La porta chiusa

di shezza_demon221
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bianco ***
Capitolo 2: *** Decisions decisions ***
Capitolo 3: *** Sherlock who? ***
Capitolo 4: *** How to mend a broken soul ***
Capitolo 5: *** Whole again ***
Capitolo 6: *** Move on and don't look back ***
Capitolo 7: *** The first Christmas ***
Capitolo 8: *** The Boogey man ***
Capitolo 9: *** Say it if it's worth savin'me ***
Capitolo 10: *** If today was your last day ***
Capitolo 11: *** What if ***
Capitolo 12: *** Expectations ***
Capitolo 13: *** Secrets and lies ***
Capitolo 14: *** Upside down ***
Capitolo 15: *** Hedgehog's dilemma ***



Capitolo 1
*** Bianco ***


Ebbene, questo è il primo capitolo della mia prima fan fiction in assoluto! Spero che la scrittura e la narrativa siano abbastanza scorrevoli, devo prenderci un po’ la mano. La storia a grandi linee è definita e ci metterò tutto l’impegno possibile per renderla interessante!
Grazie a chi si fermerà a dare un’occhiata e a chi lascerà opinioni e critiche costruttive.
A presto!

Shezza_demon

 

Capitolo 1

Bianco


 

Aprendo gli occhi, Lily vedeva solo bianco e tanta luce. Forse era in Paradiso. Ma se lo immaginava meno doloroso e con una luce decisamente meno fastidiosa attraverso i suoi occhi chiusi. In quel momento si era accorta del taglio sul labbro, del gonfiore sotto l’occhio e del dolore generale che pervadeva tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi.
Sentiva voci sommesse, odore di disinfettante. Non avrebbe aperto gli occhi, in quel momento era paralizzata dalla paura. Non capiva cosa stava succedendo e questo la stava mandando nel panico.

“Quanto ci metterà a riprendere conoscenza?” chiedeva una voce femminile, preoccupata e sommessa.

“Le ferite sono abbastanza gravi, considerando anche il trauma cranico e il sanguinamento della milza. E’ una fortuna che sia ancora viva, dopo quello che le hanno fatto”. Voce maschile, profonda, impostata e professionale.

Cosa doveva fare? Aprire gli occhi? Continuare a dormire? Dove si trovava e cosa era successo? I ricordi che aveva erano annebbiati, sentiva solo il dolore alla testa, il pulsare del sangue nelle tempie. Aveva anche sete, la gola le bruciava come se fosse aggredita da un esercito di formiche rosse.

Avrebbe aperto un poco gli occhi, per sbirciare e cercare di capire dove diavolo si trovasse.
Attraverso le palpebre socchiuse, vedeva un letto con le sbarre, una flebo al suo braccio destro e un bip sommesso e intermittente. Era in ospedale. Cosa ci faceva lì, perché era attaccata a una flebo?
Alla sua sinistra c’erano tre persone. Un dottore con un camice bianco con davanti una donna, capelli mossi e biondi, con l’aria preoccupata. Accanto a lei, con aria seria e cupa c’era un uomo biondo, basso e con gli occhi di un colore che Lily non riusciva a inquadrare attraverso le palpebre socchiuse. Teneva una mano su un fianco e con l’altra circondava la vita della donna.

“Sembrano persone per bene” pensò Lily “ma chi sono?”

Un’improvviso sapore amaro le si era presentato in bocca, costringendola a tossire. Macchiò di sangue il suo camice, soffocando tra i colpi di tosse.
Le tre persone si erano voltate di colpo verso di lei e il dottore si era precipitato verso il suo letto.
All’improvviso infermiere e dottori erano intorno a lei e Lily aveva sentito una puntura al braccio.

Poi più niente.

Si era risvegliata a notte fonda, stesso scenario. Aveva tentato di muovere almeno le braccia per cercare di tirarsi su sui cuscini per dare sollievo alla schiena immobilizzata e dolorante. Aveva stretto i denti e gli occhi per lo sforzo e il dolore. All’improvviso una mano dietro le spalle l’aveva sostenuta e la stessa voce femminile e sommessa di poche ore fa aveva sussurrato:

“Ti aiuto io, tranquilla. Cerca di non muoverti troppo, non sei ancora in grado di alzarti”.

Aveva sistemato alcuni cuscini dietro la sua schiena, permettendole di avere una visuale della stanza più ampia. Non che ci fosse molto da vedere, ma almeno non avrebbe continuato a fissare il soffitto.

“Per fortuna ti sei svegliata. Ci siamo parecchio preoccupati” la donna le aveva sorriso, rassicurante. Aveva gli occhi verdi, e le sorridevano tranquilli.

Lily non riusciva a parlare, anche perché ancora ignorava il motivo per cui si trovava lì.

“Oh certo vorrai sapere almeno il mio nome” aveva detto sollevando le mani in imbarazzo “io mi chiamo Mary. Mary Morstan”.

Lily continuava a fissarla, ammutolita. Non sapeva neanche se era in grado di parlare ancora, visto la gola secca e dolorante; cosa le avrebbe detto comunque?

“Tu come ti chiami?” aveva chiesto sommessamente Mary, inclinando la testa da una parte, con fare complice.

Lily aveva schiuso le labbra, respirando appena. I suoi occhi vagavano per la stanza, per soffermarsi sul tavolino vicino al letto dov’era posata una brocca d’acqua. La fissava con brama, come se non bevesse da un centinaio d’anni.
Mary aveva seguito con sguardo curioso quello di Lily, per poi sgranare gli occhi trattenendo un respiro.

“Oh santo cielo, avrai sete! Che sciocca! Ti prendo subito un bicchiere con una cannuccia”.

Aveva riempito il bicchiere e aveva avvicinato alla bocca di Lily una cannuccia rossa: “Bevi piano, non vorrei ti sentissi male”. 

Lily aveva bevuto a piccoli sorsi, sentendo la gola riprendere vita. Non era mai stata cosi felice di bere un bicchiere d’acqua in tutta la sua vita. Aveva accennato un sorriso, timido e riconoscente. Mary la guardava con un sorriso materno e soddisfatto. Avevo ripreso il bicchiere, poggiandolo piano sul tavolino accanto al letto. Poi si era girata verso di lei, e mettendosi le mani in grembo aveva esclamato: “Quindi! Me lo dirai mai il tuo nome?”.

I suoi occhi la scrutavano, un misto di curiosità e senso materno.

“Io…mi chiamo Lily” aveva sussurrato con voce roca e debole.

Mary le aveva scoccato uno sguardo divertito: “Che bel nome! Lily...e poi?”

Le sue mani avevano stretto il lenzuolo. Lily non ricordava perché era lì, non conosceva quella persona e in quel momento era confusa e anche impaurita. Chi era Mary, cosa voleva da lei? Era della Polizia, dei servizi sociali?

All’improvviso un lampo di luce le attraversò la mente.

Era per terra, e urlava dal dolore tempestata di calci e pugni e ricoperta di improperi e bestemmie.
Era Kaleb ed era arrabbiato con lei, non si ricordava neanche per cosa.

Kaleb. Doveva trovarlo, doveva sapere dov’era. Dove sarebbe andata sennò?
Aveva cominciato ad agitarsi, scostando le lenzuola e cercando di togliersi la flebo dal braccio.

“Io devo andare via da qui. Devo tornare, devo tornare da lui, sennò si arrabbierà”.

Le mani le tremavano, la voce era ridotta a un bisbiglio terrorizzato. Gli occhi spalancati e vitrei, il terrore dipinto sul volto che era diventato bianco come il lenzuolo che stringeva tra le mani nervose.

Mary la osservava spaventata ma la sua faccia e la sua voce erano diventate improvvisamente decisa e perentorie.

“No Lily, non puoi andare via da qui. Stai male e hai bisogno di cure. Chi ti ha ridotto così, chi era la persona che è scappata quando io e John siamo venuti in tuo aiuto?”

Lily ora ricordava. Le braccia intorno alla testa, per impedire i calci, le urla e gli schiaffi. Poi una voce maschile, delle urla di donna e i calci erano cessati e lei aveva fissato il cielo stellato riprendendo fiato e con un dolore lancinante alle costole, in quella notte fredda. Sentiva il sangue caldo che le usciva dal naso, il labbro che le si gonfiava. Poi dei discorsi concitati e quell’uomo biondo, quell’uomo che aveva visto prima chino su di lei e con le mani intono alle sue tempie. Vedeva la sua bocca muoversi, i suoi occhi spaventati e scuri, forse neri forse blu. Cercava di tenerla sveglia, finchè aveva sentito attraverso le orecchie ovattate dalle botte delle sirene, un lampeggiante blu e poi buio. Fino a quando si era risvegliata lì in mezzo a quel bianco accecante, senza ricordarsi nulla.

Era già con le gambe fuori dal letto, in preda al panico e urlava che doveva andare via a tutti i costi. Mary la teneva saldamente per le braccia, ripetendo che non poteva nelle sue condizioni. Cercava di tranquillizzarla, che avrebbe pensato lei a Lily, che non doveva avere più paura di niente perchè ora era la sicuro, lontano da chi le faceva del male.

Lily a quel punto si era immobilizzata. Forse doveva darle ascolto, forse quello era un
segno del destino. Un segno che l’avrebbe portata fuori da quella merda, fuori dall’incubo. Ma poi pensò a Kaleb e dove sarebbe potuto essere. Erano sue le mani che l’avevano ridotta così.

“Ci prenderemo cura di te, Lily. Devi stare tranquilla, è finita.” Gli occhi di Mary erano decisi e duri. Gli occhi di chi aveva già preso una decisione. Ma Lily aveva paura e in quel momento decise che il suo nome sarebbe stato l’unica cosa che avrebbero saputo di lei. Si sarebbe abbandonata agli eventi, ma nient’altro sarebbe uscito dalla sua bocca.

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Capitolo 2
*** Decisions decisions ***


Capitolo 2

Decisions decisions


Erano passate 12 ore e Lily sembrava stare meglio. Mangiava regolarmente, prendeva tutte le sue medicine e riposava, cosa che non faceva da moltissimo tempo. Mary era sempre lì con lei, e Lily aveva anche fatto la conoscenza di John e della piccola Rose, la loro bambina di appena sei mesi. Sembrava quasi fatto apposta, Lily e Rose. John era un medico, e Lily lo vedeva spesso al telefono a discutere con una persona non meglio identificata. Mary lo guardava e scrollava le spalle, arresa. Ma non le aveva mai detto niente a riguardo.

Un giorno era venuto a trovarla anche un certo Gregory Lestrade, un uomo alto e con i capelli leggermente grigi, dall’aria simpatica ma stanca. Voleva sapere di più sulla sua identità e su quello che era accaduto. Ma Lily era muta come un pesce e si era riuscito solo a capire che non aveva documenti con sé e a quanto pare era senza fissa dimora.

“Dovrei denunciare il fatto ai servizi sociali, invece di farla tornare non si sa dove, probabilmente dalla persona che l’ha ridotta in quello stato” sussurrò Lestrade a Mary e John fuori dalla stanza di Lily “se non riusciamo a capire chi è e da dove viene, l’istituto è l’unica soluzione”.

“Non pensarci neanche Greg!” aveva esclamato Mary “non posso accettare una cosa del genere, è una ragazza spaventata e non sa dove andare ed essere rinchiusa in un istituto potrebbe solo peggiorare la situazione! La prenderemo in custodia noi, finchè le cose non saranno migliorate”.

“E cosa vorresti fare, si può sapere?” aveva esclamato John incuriosito “ospitarla da noi, in quel buco di appartamento che abbiamo e con una bambina piccola?” aveva incrociato le braccia e inarcato le sopracciglia a mò di domanda.

Mary aveva pensato per qualche secondo. All’improvviso il suo viso si era illuminato e sorridendo aveva detto a John: “Io un’idea ce l’avrei”.

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Assolutamente no! Io sto bene da solo, non ho bisogno di compagnia!”

John doveva ringraziare Mary per avergli scaricato questa bellissima patata bollente. “Tu lo conosci e lo sai prendere, vedrai che un po’ di impegno riuscirai a convincerlo”

Sì certo, come no.

Sherlock Holmes era seduto sulla sua poltrona, le braccia incrociate sul petto, come un bambino capriccioso. I suoi occhi grigi guardavano John increduli e offesi, come se fosse stato oltraggiato.

“Io non sono il tipo che desidera compagnia” aveva osservato John che aveva corrugato la fronte, con espressione confusa “tranne la tua, certamente”. Le sue mani si erano alzate come per scacciare un pensiero fastidioso “non so neanche come vi sia potuto venire in mente, a voi due!”

John si aspettava una reazione del genere. Sherlock era il tipico misantropo chiuso in sé stesso, ma alla fine non era cattivo.
“Si tratta di ospitarla finchè non troverà una sistemazione sua, un posto nella società, non sappiamo molto di lei ma ti posso assicurare che non è un’assassina, né tantomeno una ladra o qualsiasi altra cosa del genere. Non so neanche io perché Mary si sia incaponita su questa faccenda, ma sai che quando si mette in testa una cosa è impossibile convincerla del contrario. Ti prego, solo per un po’ di tempo. La mia stanza al piano di sopra è vuota e tu comunque a casa non ci sei quasi mai, che fastidio può darti?”

Sherlock girava per la stanza, nervoso e indispettito, con i suoi riccioli neri disordinati, come se fossero nervosi anche loro. Ci mancava questa cosa tra capo e collo, e sapeva che non poteva rifiutare un favore a John, ma che diamine! Ospitare una sconosciuta a casa sua, senza sapere chi fosse e da dove venisse. E se veramente fosse stata una ladra, una spostata? Lui già sopportava a malapena la gente e il contatto umano. Come potevano chiedergli una cosa del genere?

“Sherlock,” aveva sussurrato John richiamando la sua attenzione, dopo aver seguito il suo moto nervoso attraverso la stanza per cinque minuti “potrebbe aiutarti con la casa, prepararti da mangiare” aveva azzardato, sperando di non finire all’inferno per quella considerazione vagamente sessista.

“Io non mangio mai” aveva risposto Sherlock secco “e non mi serve una balia”.  Aveva girato le spalle a John.

“Te lo chiedo da amico. Ti giuro che andrà bene, e se qualcosa dovesse andare storto ti prometto che si troverà subito un'alternativa. Per favore, è una ragazza che ne ha passate un bel po’ a quanto pare, merita una possibilità, un qualcosa di normale”. John aveva alzato gli occhi al cielo, pensando che una convivenza con Sherlock poteva essere tutto tranne che tranquilla.

Sherlock aveva chiuso gli occhi, le labbra stretta in una linea sottile e con un sospiro plateale, si era girato verso John e con molta calma aveva detto: “ E va bene. Ma non deve toccare i miei esperimenti, né ficcare il naso tra le mie cose. Questi sono compromessi tassativi”.

John aveva sorriso, sollevato: “Grazie Sherlock. Vedrai che andrà bene”.

“Sì, sì certo. Ora vattene, ho da fare delle cose molto importanti e non voglio essere disturbato”.

John aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato e divertito: “Va bene me ne vado. Buona giornata e buon…qualunque cosa tu debba fare”. Soffocando una risata era uscito dall’appartamento.

Sherlock aveva sbuffato, e tirato un piccolo calcio alla poltrona vicino al caminetto.

Uscito dal portone del 221b di Baker Street John aveva preso il cellulare in  mano e digitato un messaggio per Mary.

Ha accettato, con ben poco entusiasmo. Spero vivamente che la tua idea abbia successo, altrimenti me la farà pagare per il resto dei miei giorni. E non sarà affatto divertente.

La risposta di Mary era arrivata pochi minuti dopo.

Andrà tutto bene, vedrai. Ho un buon presentimento. Ci vediamo a casa, mentre torni prenderesti il latte?

John si era incamminato verso la metropolitana. Questa cosa del latte lo perseguitava, non importa dove andasse a vivere.

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Lily era seduta sul divano di casa Watson, rigida e tesa come una corda di violino. Sul tavolino davanti a sé era poggiata una tazza di the fumante e un piatto di biscotti, ma non aveva il coraggio di toccarli. Aveva paura di creare qualche disastro, di far cadere qualcosa e di rovinare il bel tavolino laccato. Da quanto non vedeva una vera casa, un vero salotto con le tende alle finestre, quadri e foto ai muri. Da quanto non sentiva odore di pulito, di casa, di fiori freschi.

La cosa che più la agitava era la bambina seduta sul tappeto davanti alla TV, che nonostante i giochi e le costruzioni che la circondavano, la guardava fissa, senza distogliere lo sguardo da lei. Indagando e probabilmente chiedendosi chi fosse la sconosciuta che era seduta sul divano come una statua di sale. Mary era in cucina a sbrigare non sapeva cosa ma sarebbe arrivata a momenti, e sarebbe arrivato anche John per parlare della sua “nuova sistemazione”, di cui lei naturalmente non sapeva nulla.

Non ci avrebbe messo niente a scappare, ad alzarsi dal divano e con passo felpato raggiungere la porta per chiuderla lentamente dietro di sé. Ma qualcosa la fermava, la ancorava a quel divano. Forse era paura, forse istinto di sopravvivenza, forse gratitudine per quelle due persone che si erano fidate di lei a prescindere, facendola dormire sul loro divano, nella loro casa. Accogliendola come una conoscente, un ospite, un’amica. Lily non capiva come questo fosse possibile, come fosse possibile che ancora ci fosse del buono a questo mondo. Lei che del mondo aveva visto ben poco e quel poco era stato devastante, orribile, crudele e doloroso.
La mano le era andata automaticamente al labbro inferiore dove il taglio ancora le faceva male. Il solo contatto le fece ricordare il pugno che l’aveva colpita, i lampi di luce che le erano scaturiti negli occhi e nel cervello facendola barcollare e cadere per terra. Per quale motivo poi. Per quale motivo erano continuati i calci sulla schiena, sulla testa e sulle spalle.

Lily aveva stretto gli occhi, cercando di fermare il bruciore dietro le palpebre. Aveva cominciato a sudare e lo stomaco le si contorceva per la paura e la vergogna. Sapeva che erano a conoscenza anche della violenza. Avevano saputo tutto, perché John era un dottore e in ospedale l’avevano fatta stendere su quel lettino con le gambe divaricate e avevano frugato dentro di lei, cercando quello che poi avevano trovato. E aveva sentito vergogna e dolore e nausea.

Lo vedeva negli occhi di Mary, dopo che John l’aveva presa da parte per dirle quello che lei già sapeva. La mano di Mary sulla bocca, lo sguardo incredulo e spaurito che si era immediatamente focalizzato su di lei, pieno di compassione. Lily odiava la commiserazione, ma sapeva anche che non era voluta, era una reazione naturale. E aveva fatto finta di non vedere, aveva fatto finta di non ricordare quello che era successo quella notte e che probabilmente era successo altre volte, solo che lei non ricordava perché era troppo intontita dal dolore, dal veleno che le scorreva nelle vene, dalla disperazione che la portava a fare certe cose, dalla dipendenza che aveva verso il suo aguzzino, perché lei non voleva rimanere sola, non voleva morire.

Tutti questi pensieri le si erano riversati nella mente come un fiume in piena e aveva sentito una lacrima calda rotolarle giù per la guancia, ma aveva prontamente alzato la mano per asciugarla perché non doveva piangere. Ogni volta che l’aveva fatto era stato un incubo.
La sua vita era un foglio bianco. Il tenente Lestrade che aveva fatto visita in ospedale a Lily, non era riuscito a trovare traccia di lei da nessuna parte. Niente certificati di nascita, niente documenti, solo il suo nome, Lily. Lei non aveva aperto bocca e avevano attribuito il tutto allo shock e contavano sul fatto che prima o poi qualcosa sarebbe saltato fuori, sicuramente da lei stessa.
Tutta la sua vita era chiusa in un angolo della sua mente che raramente visitava, ma che emergeva a volte nei suoi incubi.

Non voleva pensare, non voleva ricordare. Sentiva solo una gran rabbia nel portare a galla i ricordi, così li aveva soppressi in qualche recesso del suo subconscio. Erano lì, sopiti. Ma non c’era motivo di svegliarli, nessuna voglia da parte sua. Sembrava le fosse stata data una possibilità, qualcosa a cui aggrapparsi. Quanto voleva la normalità. Ma da una parte sentiva la dipendenza da quella che era prima, da quello che l’aveva tenuta insieme anche se nel dolore e nella dipendenza affettiva.

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Mary l’aveva portata a comprare nuovi vestiti, biancheria. Era stata a tagliarsi i capelli, cosa che aveva sempre fatto da sola. Ora non faceva altro che passarsi le mani nei capelli. Erano corti, castani e non si ricordava quanto potessero essere morbidi.

I suoi pensieri erano stati interrotti da Mary, che portava altri biscotti nonostante Lily non avesse toccato quelli che erano sul tavolino di fronte a lei.
Mary aveva fatto finta di niente e si era seduta vicino a lei.

“Allora. Non ti piace il the? Se vuoi posso farti un caffè”. Le aveva sorriso, materna. La piccola Rose continuava a giocare indisturbata sul suo tappeto.

“Ehm…no grazie, il the va benissimo, mi ero solo distratta. Avete una casa molto bella” aveva detto Lily in un sussurro, stringendo le mani sulle ginocchia.

In quel momento, era rientrato John, con il latte e un’altra busta del supermercato in mano. Si era bloccato per pochi secondi sulla soglia, poi aveva sorriso ed esclamato: “Buonasera!Tutto bene?”

“Certo, certo” aveva detto Mary sorridendo “ora John potresti venire qui, così possiamo parlare con Lily?”

“Arrivo subito, poso queste buste e sono subito da voi”. Aveva cambiato espressione all’improvviso, come se si stesse preparando ad affrontare un argomento serio.

Lily cominciava a sentirsi agitata e leggermente in ansia.

Avevano chiamato i servizi sociali. Avevano chiamato la Polizia. Sarebbe andata in qualche casa famiglia.

All’improvviso aveva sentito la mano fresca di Mary sulle sue: “Non preoccuparti, Lily. Va tutto bene”.

Lily la guardava, guardava quei suoi occhi verdi e non sembrava mentire. Aveva annuito leggermente, aspettando quello che le avrebbero detto.

John aveva preso la parola per primo, con piglio sicuro.

“Dunque, Lily. Ti sei trovata bene qui?”

Lily aveva annuito sempre più nervosa “Sì, benissimo, non so come ringraziarvi, veramente. Io…non…” si era interrotta, non sapendo cos’altro dire.

“Bene, ne sono felice” aveva sorriso John, guardandola intensamente con i suoi occhi blu, facendola avvampare e sentire a disagio “come ben sai, non ce la sentiamo di farti dormire sul nostro divano, pensiamo che tu abbia bisogno di una sistemazione più consona, dove tu possa sentirti a tuo agio, più libera di fare quello che vuoi”.

Ecco. Il momento era arrivato. Di nuovo sola, chissà dove.
“Ho un amico, si chiama Sherlock. Prima si sposare Mary abitavo da lui, e si ritrova con una stanza vuota. E’ sicuramente un tipo un po’ particolare, molto eccentrico e leggermente misantropo. Ma non cattivo, te lo assicuro. Vorrei, se tu sei d’accordo, che ti trasferissi lì. Avresti la tua stanza, i tuoi spazi e potresti ricominciare da capo. Sappiamo che la tua situazione precedente non era delle migliori “ si era fermato, per raccogliere la reazione di Lily, che si era stretta nelle spalle diventando minuscola “e quando vorrai, potrai parlarne. Ma per ora, vorremmo che tu accettassi questa opportunità”. Si era fermato, aspettando la sua reazione.

Lily era confusa. Questo era ben oltre la gentilezza, e non capiva perché proprio lei. Perché tutta questa premura nei suoi confronti. Lei non era niente in fondo. Nulla che meritasse tutto questo. Si tormentava le maniche della sua felpa nuova, cercando delle parole da dire. Non venivano fuori, riusciva solo ad arrossire e cercava disperatamente di cacciare indietro le lacrime che le si formavano in gola.
Poi aveva alzato gli occhi su John e Mary. La guardavano con il più dolce dei sorrisi, soprattutto Mary. John non era il tipo da tenerezze, la guardava solo intensamente, e sentiva quegli occhi entrargli sotto la pelle.

Finalmente delle parole si facevano strada nella sua gola secca: “Io….non so che dire, siete così gentili con me ed io non so come ricambiare tutto ciò…sono…non nascondo che sono confusa. Mi avete raccolto da una strada e ora sono qui e io… non so”.

John aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le mani aveva detto con voce calda e calma: “ Accetta e basta, sarebbe la cosa migliore da fare per ringraziarci”. Aveva detto queste parole con un’espressione seria, ma con un angolo della bocca sorrideva leggermente.

“Lily” aveva esordito Mary, prendendole le mani e stringendole forte “so che non sono cose che succedono normalmente. Ma io ho una sensazione, qualcosa che mi dice che tu dovevi essere salvata. E io lo vedo sai, nei tuoi occhi. C’è paura, c’è dolore e questo non posso accettarlo. Io ho una figlia” aveva guardato Rose, ancora tranquilla intenta a giocare con i suoi giocattoli “e tutto ciò mi tocca particolarmente. Accetta, datti una possibilità. Ti prometto che non ti succederà nulla”. Il suo sguardo era deciso.

Lily aveva guardato entrambi. John, leggermente imbarazzato, con la sua tazza di the in mano intento a scrutarne l’interno. Mary con le mani tra le sue, in attesa.

“Va bene” aveva sentito dire dalla sua voce “grazie, grazie mille.”

Mary aveva sorriso e l’aveva abbracciata forte. John aveva annuito, soddisfatto.

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Il “trasloco” sarebbe stato l’indomani. Aveva solo una sacca con i suoi vestiti nuovi e basta.

Mentre cercava di dormire, immersa nell’oscurità del salotto e nel silenzio della casa addormentata, pensava a cosa ne sarebbe stato di lei. Come sarebbe andata, se finalmente l’incubo era giunto alla fine. Non era abituata a pensare al futuro, cercava di vivere alla giornata, non sapendo cosa sarebbe accaduto.
Aveva molta paura. Il passato torna sempre, ti trova sempre. E se gli avesse dato una possibilità? Se avesse cercato di non tornare indietro, ma di andare avanti? Se fosse stata la sua occasione?

Il passato, la bestia nera. Si era toccata il labbro gonfio e dolorante, il livido sotto l’occhio.

Sembravano urlare.

Torneremo.

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Capitolo 3
*** Sherlock who? ***


Capitolo 3

Sherlock who?



La mattina era arrivata.

Mentre la macchina camminava per le strade di Londra, Lily guardava fuori dal finestrino. Sentiva la colazione che aveva mangiato un’ora prima rimescolarsi nello stomaco.

La descrizione che John aveva fatto di questo Sherlock (che strano nome, poi), non era stata delle più incoraggianti. Sicuramente Lily aveva avuto a che fare con delle personalità forti (decisamente) ma questa era un’altra incognita.

Misantropo, eccentrico, particolare. Ma non cattivo. Beh, almeno quello.

Se c’era una cosa che Lily sapeva fare benissimo, era stare in silenzio. Forse era quello che serviva con questo Sherlock. Ma il nervosismo non l’abbandonava, lei con il nervosismo c’era nata, maledizione.

Non si era accorta che la macchina si era fermata.

“Lily? Lily?” la voce di Mary l’aveva richiamata alla realtà “tesoro, siamo arrivati”. Le aveva sorriso e  Lily aveva saputo solo fissarla, per un paio di secondi, senza capire.

“Forza, scendi dalla macchina. Coraggio” le aveva stretto la mano velocemente.
 
Lily era scesa, riluttante. Davanti a sé c’era un portoncino nero, con sopra dei numeri dorati: 221B.
Non era riuscita a inquadrare la zona dove si trovava e quindi non sapeva il nome della strada.

“Ed eccoci qui, Lily. 221B di Baker Street” John le aveva messo una mano sulla spalla e stretto leggermente.

Bene, aveva avuto la risposta da John. 221B di Baker Street. Abbastanza facile da ricordare.

John l’aveva guardata, serio. Lily sentiva il suo sguardo addosso e si era automaticamente girata verso di lui, guardandolo spaurita.

“Io ho paura” aveva sentito la sua voce uscire dalla sua gola automaticamente “ho sempre avuto paura di tutto e di tutti. Cosa dovrei fare ora?”

John era rimasto in silenzio. Aveva leggermente alzato le spalle, intrecciando le mani dietro la schiena.

“Io conosco Sherlock da molti anni ormai” aveva sorriso leggermente “e come ti ho già detto, non è una persona facile da inquadrare. Ma non so, ho come la sensazione che per qualche motivo potreste capirvi. Avete una bella dose di buio dentro di voi, e Dio solo sa cosa nascondete. Anche io nonostante tutti questi anni, penso di aver scalfito solo la superficie. E penso che nessuno ci riuscirà mai” aveva sospirato “ma sai, alla fine è una persona anche lui” aveva riso leggermente, poi l’aveva guardata negli occhi “qualsiasi cosa non debba andare, semmai non dovessi sentirti a tuo agio, basta dirlo. E sistemeremo tutto”.

Lily sudava e tremava dal freddo. Quella non era paura, era qualcos’altro. Sperava non fosse mai arrivata, ma alla fine il conto si presentava sempre. Era la paura di questo qualcos’altro che la mandava ancora di più in paranoia. Aveva lasciato tutto a Kaleb e ora non poteva fare nulla, se non cercare di controllare i dolori. Erano le medicine che le avevano dato all’ospedale che l’avevano tenuta tranquilla, ma ora il suo corpo si stava risvegliando, ma lei doveva controllarsi e cercare di non dare nell’occhio.

Aveva annuito verso John con un sorriso tirato, e finalmente si erano avvicinati al portoncino nero. Erano entrati e avevano salito due rampe di scale fino a trovarsi di fronte a una porta chiusa. Lily aveva tirato un respiro profondo, rallentando l battito del suo cuore che le martellava nelle orecchie.

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Da fuori, attutita dalla porta, si sentiva la melodia di un violino. John aveva scossa la testa, ridendo: “Il solito esibizionista melodrammatico”.

Aveva aperto la porta senza bussare, e la melodia era cessata di colpo.

Lily era rimasta dietro John e continuava a tremare, i muscoli indolenziti. Riusciva a guardarsi solo le scarpe, non poteva guardare in faccia nessuno in quel momento. Aveva sentito la mano di John sulla schiena “Coraggio” le sorrideva rassicurante.

Lily aveva strizzato gli occhi, tirato un bel respiro e tirato su il viso.

Davanti alla finestra c’era un uomo alto, con il violino ancora sotto il mento, l’archetto abbassato su un fianco. Era slanciato, e da quello che poteva vedere Lily visto che era controluce, aveva la pelle chiara, quasi bianca. L’uomo si era mosso verso di loro, rendendo più chiara la sua figura. Aveva capelli neri, ricci e morbidi. La bocca era bella, il labbro superiore perfettamente disegnato. Gli zigomi erano la cosa che più avevano colpito Lily; alti, sporgenti, che contribuivano a dare all’uomo un’aria misteriosa, ma anche aliena, quasi sovrannaturale. Gli occhi allungati erano un misto tra grigio e celeste e la squadravano critici, ma anche curiosi.

La stava leggendo come un libro. Sentiva i suoi occhi dappertutto, veloci e profondi. La bocca si era stretta in maniera impercettibile per poi tornare normale, seria, senza un’espressione particolare. Il silenzio sembrava durare da secoli ormai.

Sherlock guardava quella ragazza paralizzata dall’imbarazzo. Aveva le pupille dilatate, un sottile velo di sudore che le ricopriva il viso; tremava impercettibilmente, e cercava di controllarsi con tutte le sue forze. Ma nonostante tutto, lo guardava fisso. Non distoglieva lo sguardo, era come ipnotizzata, come se cercasse di vincere la paura. Aveva un taglio sul labbro, e un livido che stava guarendo sotto l’occhio. Segni rossi impercettibili sul collo.

Aveva posato il violino e guardato John, che aveva osservato questa ispezione in silenzio.

Il suo sguardo chiedeva; cosa non si sa. Forse un’introduzione formale.

John si era ripreso all’improvviso e schiarendosi la gola aveva spinto leggermente Lily oltre la soglia: “Sherlock, lei è Lily. Lily, questo è Sherlock”.

Lily stava pensando. Doveva allungare la mano? Era un tipo formale da stretta di mano? Aveva di nuovo abbassato lo sguardo, nel panico.

Sherlock aveva guardato John alzando le sopracciglia. Cosa doveva fare? John aveva spalancato gli occhi, incoraggiandolo.

“….beh, ciao Lily” altro sguardo truce di John “piacere di conoscerti”. A quel punto, aveva scrollato le spalle, non sapendo più cosa dire. Il suo viso diceva chiaramente: ho già fatto questo, fattelo bastare”.

Lily aveva aperto la bocca e articolato qualche parola: “Buongiorno signor Sherlock, io…piacere di conoscerla. La ringrazio molto per…questo, per l’ospitalità”. Aveva stretto gli occhi dandosi dell’idiota. Signor Sherlock. Ma per favore.

Aveva sentito chiaramente il sorriso di John e l’alzata di sopracciglia di Sherlock, incredulo. Ma sì, si sarebbe buttata per le due rampe di scale per la vergogna. Tanto, peggio di così.

“Chiamami Sherlock, per favore” aveva detto con tono formale.

“Ehm…va bene” Lily era riuscita a dire solo quello.

Le avevano fatto vedere la sua stanza e Sherlock aveva subito messo in chiaro le sue condizioni. Tutto quello che non rientrava nelle proprietà di Lily, non doveva essere spostato o toccato. Tranne le eccezioni, cioè tazze, bicchieri, stoviglie e cibarie.

La casa era molto carina anche se disordinata. Lo spazio principale era il salotto con un caminetto e due poltrone davanti a esso. Dall’altra parte un divano e un tavolo pieno di carte; la cucina dava direttamente sul salotto, e da lì tramite un corridoio si aveva accesso alla camera di Sherlock e al bagno. Al piano di sopra c’era la stanza che sarebbe stata di Lily.
Una casa normale, un tetto sopra la testa dove potersi rifugiare. Era tutto ciò che a Lily bastava.

John doveva scappare, Mary lo aspettava. Lily lo aveva accompagnato alla porta, e prima che potesse dire qualsiasi cosa John l’aveva stretta forte, in un abbraccio stritolante e aveva sussurrato nel suo orecchio: “ Coraggio Lily, sii forte. Andrà bene”. Dietro di lei aveva sentito un sospiro esasperato di Sherlock. John aveva sciolto l’abbraccio e le aveva sorriso.
“Ciao” aveva detto, ed era volato giù per le scale, lasciandola là impalata ancora scossa dall’abbraccio improvviso.

Ora.

Lily si era girata verso Sherlock, guardandolo.

Lui aveva inarcato un sopracciglio: “Sei sicura di stare bene?”

I suoi occhi grigi l’avevano perforata da parte a parte.

“Io? Sì, certo…benissimo” le era uscito un sorriso tirato e aveva stretto i pugni dietro la schiena conficcando le unghie nei palmi delle mani. Il dolore la faceva concentrare, senza divagare e quindi dire sciocchezze.

______________________________________________________________________________________________________________

Sherlock continuava a fissarla, a penetrarla con quegli occhi profondi.

Se non avesse smesso subito, Lily si sarebbe messa a urlare. Sia per il dolore che si stava auto infliggendo, sia perché non riusciva a reggere quello sguardo accusatorio, quegli occhi color metallo che sembravano sapere tutto.

All’improvviso, Sherlock aveva voltato le spalle a Lily, tornando al suo violino.

“Sai preparare un the?” aveva chiesto, posizionandolo sotto il suo mento.

“Posso provare…” aveva sussurrato, sollevata dal mancato contatto visivo.

“Senza zucchero, con latte” aveva cominciato a suonare, girato verso la finestra.

Lily era rimasta interdetta per qualche secondo, poi si era girata verso la cucina. Avrebbe preparato un the, o almeno ci avrebbe provato.

In cucina, aveva trovato il bollitore, due tazze di cui una sbeccata (che avrebbe preso lei) e le bustine di the.

Mancava il latte, e il suo sguardo si era subito posato sul frigo argentato dall’altra parte della cucina.

L’aveva aperto, ma subito richiuso. Non era sicura di quello che aveva visto, ma forse era meglio ricontrollare.
Aveva appena schiuso il frigo per poi sbattere la porta e squittire a voce alta: “Oh santo cielo”.
La voce le si era strozzata in gola, e subito aveva pensato che probabilmente era il tono di voce più alto che aveva usato nelle ultime 24 ore.

Sentendo il movimento, Sherlock si era fermato: “Cosa succede?” aveva chiesto con la sua voce morbida e calda.

Lily si era girata verso di lui, visibilmente imbarazzata: “ Credo ci siano degli occhi umani dentro un barattolo nel frigo”.

“Ah sì certo, sono i miei esperimenti. Non toccarli”.

La calma di Sherlock era stoica, e Lily era rimasta immobile vicino al frigo. Ok. Occhi umani dentro un barattolo. Ok, certo, nessun problema. Hai una casa, basta non aprire il frigo, e se proprio devi, socchiudi gli occhi, individua l’obiettivo e richiudilo SUBITO.

Lily non si sentiva bene, affatto. Tremava, era piena di dolori e sentiva il sangue pulsarle nelle vene come se dovessero esplodere. Per poco non faceva cadere una tazza. Il bollitore aveva cominciato a fischiare, e aveva cercato di prenderlo con le mani ferme. Era riuscita a preparare le tazze e a portarle in salotto. Sherlock la seguiva con lo sguardo, senza proferire parola.
Aveva preso la tazza e seduto sulla sua poltrona, beveva a piccoli sorsi. Lily sedeva davanti a lui, la tazza ancora fumante. Il sole dorato del tramonto colorava la stanza di arancione, stava calando la sera. Sherlock l’aveva osservata e aveva esordito:

“Io non cucino, perché raramente mangio. Se vuoi, possiamo ordinare un takeaway e poi direi che potresti riposare, sembri averne bisogno”. L’aveva guardata al di sopra della tazza, gli occhi più scuri rispetto a pochi momenti prima.
Lily si era limitata ad annuire e a mormorare un grazie sommesso.

“Non ringraziare sempre, non sei qui per essere una sottoposta. E poi di norma io non ringrazio, anche quando dovrei. Quindi rendiamo la vita facile a entrambi”. Aveva posato la tazza e ordinato da mangiare.

La serata era passata così, senza parlare. Gli unici rumori erano quelle delle posate sui piatti. Poi Sherlock aveva esordito: “Da dove vieni?”

Lily si era bloccata con la forchetta a mezz’aria; poi l’aveva lentamente posata sul piatto: “Da un piccolo paese dell’entroterra inglese”.

“Quale?” aveva rincalzato Sherlock.

“Questo è quanto c’è da sapere” Lily aveva sorriso leggermente, facendo intendere che il discorso poteva finire lì. Nel suo sguardo c’era determinazione e fermezza.

“Oh, bene” Sherlock aveva bevuto un sorso d’acqua e si era ammutolito.

“Penso che andrò a dormire, sono un po’ stanca” aveva esordito Lily, senza aspettare risposta “Buonanotte Sherlock e…la cena era molto buona”.

Sherlock sapeva che era un modo di ringraziare: “Buonanotte Lily, a domani” aveva detto senza guardarla in faccia.

Lily aveva fatto le scale due a due e si era richiusa la porta alle spalle, esausta. Poteva lasciare andare il tremore, il freddo, il sudore, il dolore e il sangue esplodere dentro le sue vene. Le sembrava di impazzire. Aveva sbattuto la testa alla porta, cercando di ignorare i crampi che le pervadevano il corpo. Ogni muscolo era teso fino allo spasmo. Era riuscita a stendersi sul letto, ancora vestita, raggomitolandosi su se stessa; quanta vergogna provava, ma quanto bisogno aveva in quel momento. E non era neanche stata una sua decisione. Lacrime silenziose uscivano dai suoi occhi, stando attenta a non singhiozzare, a non farsi sentire. Ormai era automatico. Piangere significava essere deboli, causare problemi e quindi essere picchiata fino a quando perdeva i sensi.

Voleva veramente dormire, svenire per qualche ora. Si era tolta i vestiti, ma sentiva caldo poi freddo. Non sapeva quante ore aveva passato così, sapeva solo che era notte fonda e aveva inzuppato le lenzuola di sudore e ci si era avviluppata dentro, non riuscendo a stare ferma.
A un certo punto aveva deciso di andare in bagno. Sciacquarsi la faccia, magari anche vomitare, stendersi sul pavimento freddo.

Con difficoltà era arrivata in bagno e aveva rimesso la cena dentro il water, sperando di non fare rumore e svegliare Sherlock. Piangeva e malediva sé stessa, talmente forte che non aveva sentito la porta aprirsi. Mentre vomitava bile, aveva sentito una presenza accanto a sé.

“Hai una crisi d’astinenza” la voce profonda di Sherlock l’aveva spaventata. Credeva che la presenza fosse un’allucinazione.

MERDA!” aveva esclamato “oh…che paura! Scusa Sherlock..io..” la voce si era affievolita dalla vergogna.

“Cos’è? Morfina, eroina?” le aveva preso il braccio “non hai buchi, come fai?”

“Le dita delle mani” aveva risposto stremata, in un sussurro.

Sherlock la guardava, mentre lei aveva un altro conato. Aveva sentito la sue mano fresca sulla fronte,giusto  il tempo di vomitare. Continuava a tremare dal freddo.

Era rimasto lì, senza toccarla e senza parlare. Lily era esausta, le si chiudevano gli occhi.

“Alzati” aveva detto Sherlock “non puoi dormire sul pavimento del bagno”.

Lily aveva puntato le mani sul bordo del water e si era alzata a fatica. Avrebbe obbedito, come aveva sempre fatto, avrebbe gestito l’astinenza come aveva sempre fatto. Avrebbe fatto, come al solito, senza fiatare. Non avrebbe fiatato, sennò…Dio solo sapeva cosa sarebbe successo. Ma Sherlock non era lui, non era Kaleb. Ma lei aveva un pilota automatico nel cervello. Si era alzata e appoggiandosi al muro era uscita dal bagno e fatto le scale, sentendo sempre Sherlock dietro di sé.

Arrivata in camera, aveva caldo. Si era diretta verso la finestra per aprirla, ma Sherlock l’aveva fermata: “Faccio io, tu mettiti a letto”.

Lily si era buttata sulle lenzuola umide, la testa pesante come le sue palpebre stanche. Era crollata in un sonno immediato.

Sherlock la guardava, serio e con aria leggermente infastidita. Non ci voleva, non ci voleva proprio.
Era bastato lui, anni fa. Era bastata la sua di dipendenza, accidenti. Aveva preso il telefono e digitato un sms per John.

Domani mattina è richiesta la tua presenza qui. Abbiamo un problema. SH

John aveva risposto mezz’ora dopo, sveglio per via della piccola Rose.

Cosa succede?Lily?JW

Lily ha appena avuto una crisi d’astinenza da eroina nel mio bagno. Servi tu e metadone. Ora dorme ma penso che il problema vada risolto il prima possibile. SH

Eroina? Merda  Sherlock, ora come sta?JW

Dorme, e penso anche che sia stata costretta a usare la droga in qualche modo. SH

Domani parlerò con lei. JW

Sempre che ti dica qualcosa. SH

Tentar non nuoce. Buonanotte. JW

Sherlock aveva avuto questo scambio di messaggi sulla soglia della camera di Lily. Ora dormiva, sembrava tutto apposto.
Aveva lasciato la porta accostata, scendendo lentamente le scale.

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Capitolo 4
*** How to mend a broken soul ***



Capitolo 4

How to mend a broken soul


Era buio, e c’era un cattivo odore ovunque. Era stanca e triste. L’avrebbe aiutata a stare bene, perché loro non avevano bisogno di niente e nessuno. Niente. e. nessuno.

Aveva spalancato gli occhi, senza fiato. Il sudore bollente le scorreva sulla fronte e il respiro irregolare la mandavano ancora più nel panico. Si ricordava tutto, tutto. La notte prima, la crisi di astinenza e Sherlock.

Aveva chiuso gli occhi, piena di vergogna. Un singhiozzo le era scappato dal petto. In casa era tutto silenzioso. Si sarebbe alzata, e sarebbe andata via. Non poteva vivere insieme a Sherlock in piena crisi di astinenza. Poteva creare problemi a se stessa, di quello si sarebbe presa la responsabilità solo lei, ma gli altri non potevano di certo addossarsi le sue croci e i suoi casini. Non era giusto. Si era infilata i jeans e messo la sua roba dentro la borsa. Sperava non ci fosse nessuno in casa. Aveva sceso le scale lentamente, per controllare.

Appena entrata in salotto aveva trovato Sherlock e John seduti sulle due poltrone vicino al camino; John era seduto su quella che le dava le spalle. Il suo sguardo aveva fatto capolino dallo schienale della poltrona, serio, le sopracciglia corrugate. Si erano subito distese, con un’espressione che Lily avrebbe definito morbida.
“Ciao, Lily. Buongiorno” aveva sorriso; aveva sorriso in un modo che a Lily aveva spezzato il cuore. Era un misto di sollievo, di preoccupazione e di sincero affetto.

Sherlock la fissava. Semplicemente. Una mano davanti alla bocca, immobile. Lily li aveva fissati entrambi, non sapendo cosa fare. Aveva allargato le braccia e alzato le spalle, non sapendo cosa dire. Cosa poteva comunicare, oltre la vergogna e il dispiacere?

“Mi dispiace tanto. Mi dispiace dal più profondo del cuore” la voce rotta dal pianto, le labbra che tremavano. Non voleva e non doveva piangere. Non voleva e non doveva essere debole.
Sherlock aveva alzato le sopracciglia, impercettibilmente.
Lily aveva posato lo sguardo su di lui. Quegli occhi le facevano troppo male, non riusciva a fissarlo; era come se una colata di metallo fuso le ricoprisse. Aveva strizzato gli occhi, per non guardarlo più. Aveva osservato John che aveva ancora stampato in faccia lo sguardo di prima. Si era alzato e guardandola aveva sussurrato:” Lily, perché non l’hai detto?”

E proprio lì, alla cadenza dell’ultima sillaba, Lily aveva cominciato a singhiozzare, senza ritegno. Erano bastate quelle parole, dette con quel tono di voce a sciogliere quel nodo in gola che si teneva dentro da troppo tempo ormai. Al diavolo il coraggio, al diavolo la debolezza. Non ce la faceva più.

“Io non potevo” continuava  a ripetere come un disco rotto “mi faccio già abbastanza schifo, John ti prego, TI PREGO perdonami. E aiutami, ti scongiuro”. Era collassata sulle sue ginocchia, con la testa tra le mani, non riuscendo più a dire nulla, solo a singhiozzare.
Si stava vergognando, ma non riusciva a smettere. Era una disperazione che arrivava a ondate e la sopraffaceva impedendole anche di ragionare. Non poteva controllarle, erano anni di abusi, di braccia legate e tenute ferme per bucarla e tenerla sotto controllo e farla stare “bene”. Erano anni di abusi psicologici e fisici, di nottate passati sotto i ponti, nei vicoli pieni di spazzatura. Come si poteva guarire una cicatrice così, come si poteva ricucire un’anima strappata a metà? Era tutto così squallido, e quello sguardo buono a cui non sembrava importare della vergogna di Lily l’aveva fatta cedere.
Non le importava niente. Voleva solo il perdono di chi l’aveva salvata.

John continuava a guardarla, pieno di sofferenza. Era andato lentamente verso di lei, prendendola per le braccia e facendola alzare. Le aveva sollevato il viso, gonfio di pianto.
“Mi vedi? Sono qua. Se sono qua è perché voglio aiutarti. E non ho bisogno di perdonarti, e non fai schifo. Basta con questi ragionamenti, capito? “ le aveva stretto ancora di più le braccia “Lily, guardami. Hai capito quello che ti ho detto?” il suo tono era fermo, quasi arrabbiato e imponente.

Lily aveva annuito, tra i singhiozzi. Subito dopo John l’aveva abbracciata ed era quello di cui aveva bisogno, più di ogni altra cosa. Lo aveva stretto a sua volta, più forte del necessario probabilmente. Ma lui la teneva stretta e non la lasciava andare “c’è un rimedio a tutto, vedrai. Ne uscirai fuori”.
Lily aveva annuito, con il viso sulla sua spalla “Grazie”aveva sussurrato, già stremata. Aveva smesso di tremare. Lentamente aveva sciolto l’abbraccio, tenendo sempre il viso basso.

“Vorresti una tazza di the?” l’aveva allontanata da sé, guardandola, gli occhi blu complici.

“Sì grazie” aveva sussurrato, asciugandosi le lacrime.

“Sherlock ne vuoi anche tu?” John aveva cominciato ad affaccendarsi in cucina.

“Sì John, ti ringrazio” aveva detto lentamente continuando a fissare Lily con quegli occhi di ghiaccio. Non aveva cambiato espressione né posizione dall’ultima volta che Lily l’aveva guardato.

La mano dalla bocca era passata sotto il mento. Aveva strizzato impercettibilmente gli occhi: “Eroina, vero?” aspettava la risposta, composto e immobile.

Lily aveva sentito un rimescolio caldo nello stomaco. Era rabbia, ne era certa, ma mista a vergogna e alla certezza che quello che aveva intuito era giusto e la sua deduzione l’aveva fatta sentire ancora più esposta, ancora più nuda. Come se non fosse bastata la scena patetica della notte prima, dove aveva svuotato lo stomaco in bagno. Non ci avrebbe giurato, ma nello sguardo di Sherlock sembrava aver intravisto un lampo di soddisfazione e di autocompiacimento; il sangue di Lily si era gelato. Non si era accorta di aver stretto i pugni e di essersi irrigidita come un pezzo di marmo. La voce irritata di John l’aveva riportata con la mente alla realtà.

“Sherlock, che ne dici di darci un taglio?” aveva puntato un dito contro di lui, con fare minaccioso “smettila con i tuoi giochetti”.

“Non ho detto nulla di male, ho solo fatto una domanda!” aveva ribadito piccato “e scommetto che ho anche indovinato, vero Lily?”

Il suo sguardo le aveva fatto alzare il mento leggermente, in segno di sfida: “Sì, è vero”.

“E cosa dobbiamo aspettarci, quindi” aveva ribadito Sherlock.

“DIREI” John era entrato in salotto con le tazze di the in mano” che non sono le domande da fare, in questo particolare momento” aveva porto la tazza  a Sherlock, fissandolo intensamente “Lily starà meglio, ed è per questo che sono qui oggi”. Si era riseduto sulla poltrona, dopo aver portato una sedia per Lily “siediti, Lily”.

Lei aveva obbedito, staccando i suoi occhi da quelli di Sherlock, che continuavano comunque a seguirla.
John aveva estratto dalla tasca del suo maglione una confezione di plastica e l’aveva posata sul tavolino di fronte a loro.

“Dunque. Questo è Metadone in pasticche” l’aveva guardata intensamente” il dosaggio è quello che normalmente si dà all’inizio. Diciamo che nel giro di due settimane dovresti stare meglio. Viene comunque assorbito dall’organismo abbastanza velocemente, quindi anche da subito dovresti notare dei miglioramenti”.

Lily aveva allungato la mano verso la scatolina,e  l’aveva stretta forte. Questa era la sua occasione, il suo miracolo. Il suo potersi riscattare. Aveva annuito lentamente, sorridendo. Il primo vero sorriso sincero fatto in tutti quei giorni.

"Ce la metterò tutta” pensò “ce la metterò tutta per John, per Mary, per Rose. Per me” aveva alzato lo sguardo su Sherlock, che beveva il suo the e, preso alla sprovvista, aveva fermato la tazzina tra il mento e la bocca.

E anche per Sherlock”. Aveva aggiunto dentro di sé, soffocando una risata.

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Capitolo 5
*** Whole again ***


Capitolo 5

Whole again


Lily quella mattina si era alzata contenta, quasi “intera”. Come se i pezzi stessero tornando al loro posto. Erano un po’ di giorni che prendeva le sue pasticche e si sentiva molto meglio. L’unico neo era la strana convivenza con Sherlock. Non parlavano molto, Lily cercava di essere il più silenziosa e discreta possibile.
Sherlock passava le ore sdraiato sul divano, a occhi chiusi e senza proferire parola. Lily si muoveva in punta di piedi, temendo di disturbare quelli che sembravano ragionamenti molto profondi, anche se più di una volta aveva sospettato che si fosse addormentato e basta.
Aveva uno strano bioritmo: mangiava raramente, dormiva ancora meno e non era quasi mai a casa. Dopo la conversazione con John pochi giorni prima, era diventato meno tagliente, meno “intuitivo” verso di lei. Si parlavano a malapena, non c’erano conversazioni riguardo alle loro giornate, o un semplice scambio di battute. Sembrava di vivere con un gatto: una presenza che sicuramente si avvertiva, ma era silenziosa e si muoveva sinuosa per la casa e che vedevi a malapena. Lily aveva scoperto che oltre ai disgustosi esperimenti che portava avanti nella cucina di Baker Street, Sherlock era anche un “consulente investigativo” per la polizia di Londra. Non sapeva bene cosa volesse dire precisamente, ma capitava che ricevesse una telefonata e si precipitasse fuori in uno sventolìo di cappotto e riccioli neri e tornasse anche 12 ore dopo, senza proferire parola.

Era uscita con Mary per pranzo una mattina e aveva saputo un po’ di più su Sherlock, ma niente che non avesse già intuito da sola. Era un bel mistero, un uomo dalle mille sfaccettature, ma che sembrava ignorare quella dell’interazione umana in generale. A volte Lily pensava che se avesse vissuto da sola sarebbe stata la stessa cosa; l’unico che sembrava veramente conoscerlo a livello più profondo era John. A volte lo accompagnava sulle scene del crimine per offrire la sua conoscenza medica.

“Sai Lily” aveva esordito Mary mentre mangiava il suo club sandwich “sia Sherlock che John sono legati da qualcosa che nessuno sa. Io ho sempre affermato che John è l’unica persona che riesce veramente a sopportarlo e in qualche modo a tenergli testa” aveva riso sommessamente “Sherlock è in grado di leggerti dentro solo guardando come sei vestito. Tu pensi che il tuo non raccontare il tuo passato ti abbia messo al sicuro da lui? Fidati, no. Lui già sa quasi tutto di te, ma stranamente non ne ha ancora fatto sfoggio, e questo è molto strano. Lui adora farlo “aveva preso un sorso di the, sorridendole.

Lily aveva subito pensato all’intuizione sulla sua dipendenza, allo sguardo compiaciuto quando le aveva chiesto la conferma. Era sempre immerso nei suoi pensieri, sempre in procinto di scoprire qualcosa. Aveva libri sparsi per casa, che trattavano gli argomenti più svariati e complicati; dalla chimica, alla biologia, alla matematica avanzata, fino alla cosmologia. Era un insieme di nozioni che nessuno sarebbe stato capace di imparare in una sola vita. Ma a quanto pare lui poteva, e gli riusciva anche estremamente facile. Quando era a casa, o era appollaiato in cucina a scrutare sul suo microscopio o sdraiato sul divano a congetturare; o suonava il volino, da cui Lily era stata svegliata più di una volta.
La mattina aspettava Lily per prendere il the, anche perché doveva prepararlo lei. Ormai sapeva come lo voleva, che tipo di cibo da asporto preferiva.

Finché una sera, mentre mangiavano seduti al tavolo di cucina Lily non aveva potuto farne a meno: “Che cosa sai su di me, Sherlock? Mi hanno riferito che sei dannatamente bravo ad indovinare il passato delle persone e vorrei sapere cosa sai di me, cosa hai visto”.
Lui aveva smesso di mangiare e l’aveva fissata intensamente: “Io non indovino proprio nulla. Mi limito a osservare, congetturare, e al 99% ci prendo. Tutto qua. I maghi indovinano. La gente vede, io osservo”.

Aveva intrecciato le mani sotto il mento: “Io ti ho osservata, Lily e penso più o meno di sapere quello che potresti aver passato. Ma chi lo sa, forse mi sbaglio” aveva sorriso, quasi crudele, perché sapeva che Lily gli avrebbe chiesto di raccontare.

Infatti aveva stretto i pugni sotto al tavolo e con voce più ferma possibile aveva sussurrato: “Dimmelo”.

Sherlock aveva chiuso gli occhi soddisfatto e aveva cominciato a parlare:

“Tu provieni da un comune caso di dipendenza affettiva, al limite del morboso. Hai conosciuto qualcuno che ti ha promesso qualcosa, ti ha portato qui a Londra ma di certo non per la vita rose e fiori che sognavi. La tua dipendenza dall’eroina ne è la prova. Eri disposta a drogarti piuttosto che perdere il tuo carnefice. Poi chissà, qualche furto, qualche rapina, qualche scippo a qualche povera vecchietta” si era sporto verso di lei “l’abisso è profondo e tanto tanto buio. Non sai mai dove potresti arrivare, pur di non vedere con occhi chiari il mondo che ti circonda. Il tuo passato non è affar mio, Lily. Ma tu sei scappata da qualcosa. Qualcosa che ti rendeva molto infelice. Chi ti ha ridotto com’eri prima, questo lo sapeva e manipolare una persona con carenze affettive notevoli è una passeggiata, lo sai questo..no?” era tornato al suo posto “conviene affrontare i propri demoni, ti tirano giù nel loro buco infernale e poi è così difficile uscirne. Fattelo dire da chi se ne intende”. L’intensità del suo sguardo era aumentata in modo esponenziale; le sue pupille si erano dilatate, le narici leggermente aperte, per l’enfasi del discorso.

“Quando i tuoi demoni saranno spariti” aveva sussurrato “sia che tu ci abbia fatto pace o li abbia dimenticati, allora là potrai dire di averli combattuti fino allo stremo delle forze”. Si era ammutolito.

“E i tuoi, che fine hanno fatto?” Lily aveva sentito la sua voce chiedere; era una voce diversa, come se venissi dai recessi del suo essere, come se non fosse lei “dov’è il tuo buio, Sherlock? Dove sono i tuoi demoni?” aveva sibilato.

Sherlock aveva sgranato gli occhi per due secondi, poi il suo sguardo si era rilassato,e la bocca aveva assunto una piega divertita. Aveva poggiato i gomiti sul tavolo e molto molto piano aveva detto:

“E’tutto qui, Lily” con un dito aveva picchiettato contro la sua tempia “è tutto qui dentro, nel mio magnifico palazzo mentale; c’è una stanza dedicata esclusivamente ai demoni, sai. E sono là dentro, e urlano e cercano di uscire. Ma io sono più forte di loro”. Aveva sorriso, immobile “è questione di pratica, e di coraggio”.

Lily era mai stata coraggiosa? Pensava di sì, aveva comunque subìto situazioni che la gente normale di solito non prendeva neanche in considerazione. Ma era veramente in grado di combattere, di scagliarsi contro le sue paure? Era in grado di riportarle a galla, accettarle e smettere di accusarsi per ciò di cui non aveva colpe? Era sempre stata così debole?

E subito arrivava il ricordo di Kaleb, la sua metamorfosi; era attratta da lui come una calamita; non riusciva a staccarsi da lui, nonostante il male che aveva dentro, e che era aumentato dopo aver cominciato a drogarsi, e dopo aver costretto anche Lily a farlo, così sarebbe stata per sempre sua. Lei l’aveva fatto, aveva sempre fatto tutto per lui. Cosa l’aveva portata così in basso. Lei che aveva dei sogni, delle idee. Era scappata, per non poter pensare mai più. Era scappata da qualcosa, per ricadere in una situazione peggiore. Se solo fosse stata meno stupida, se solo fosse stata più furba. Quello che aveva detto Sherlock era vero. Tutto. Ma non sapeva altro, non sapeva altre cose; o forse non le aveva semplicemente dette. Che dire? Un uomo fuori dal comune, che però ti dava i brividi quando apriva bocca e cominciava a leggerti dentro e ti spogliava di tutto, con quella sua voce profonda, che probabilmente veniva dai recessi più oscuri del suo “palazzo mentale”.

Senza accorgersene, si era alzata dalla sua sedia, e Sherlock aveva sentito ogni suo movimento.

“Io…” la voce le si bloccava in gola. Aveva alzato lo sguardo su Sherlock e l’aveva fissato, immobile. Lo guardava e lo vedeva il suo buio, lo vedeva perfettamente. E riusciva a gestirlo. Non gli piaceva la gente, era ovvio. La gente era banale, la gente era stupida, la gente era ovvia. Ma lei si sentiva tutto; si sentiva ferita, violata, privata di tutta la dignità, profondamente divisa tra essere buona e cattiva. Ma non ovvia, questo no. Lei era la persona meno ovvia del mondo, e questo lo sapeva. E lo stava dicendo anche a Sherlock guardandolo negli occhi. Sentiva una specie di rabbia mista a coraggio. Ma anche ammirazione, e sapeva che non avrebbe mai potuto odiarlo solo per averle detto la verità.

Lui aveva capito, perché ricambiava lo sguardo, tenendolo perfettamente fisso su di lei. Senza battere ciglio. Lily cercava di provare a fare lo stesso, ma era praticamente impossibile.

“Sapessi quanto baccano stai facendo in questo momento”.

La sua voce aveva perforato i sensi di Lily, come puntine. Sherlock aveva strizzato leggermente gli occhi, e si era alzato dalla sedia con una grazia silenziosa che Lily non aveva mai visto.

“Ho finito, vado a dormire” si era diretto verso il corridoio, e si era girato all’improvviso “Buonanotte Lily, dormi bene”. Ed era sparito,senza far rumore.

Le gambe di Lily avevano cominciato a tremare, violentemente. Erano come gelatina, e si era dovuta aggrappare al tavolo per non cadere. Aveva singhiozzato piano, la tensione che tentava di liberarsi. Aveva cominciato a respirare, piano e lentamente per far calmare il cuore che era come impazzito, per calmare tutte le voci che le urlavano nella testa. La sensazione provata qualche giorno prima, quella sensazione di completezza, era andata in pezzi. Si sentiva come se si stesse sbriciolando, come se si stesse trasformando in sabbia; non bastavano un paio di pasticche per ricostruire il suo essere.  E Sherlock glielo aveva appena fatto capire.
Non sapeva neanche lei cos’era successo, e avrebbe voluto saperlo. L’unica parola che le veniva in mente era confronto. Non si poteva di certo definire tale, ma si erano stabiliti dei termini, una sorte di pace.

Avevano capito che tipo di persone erano. E questo bastava per condurre una convivenza pacifica.

Nel frattempo, Sherlock aveva raggiunto la sua stanza. Una volta chiusa la porta, aveva cominciato a ridere sommessamente. Che ragazzaccio che era.

Saper leggere dentro a volte era così noioso.


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Note:  Sono arrivata al quinto capitolo senza neanche accorgermene. Sono contenta delle visualizzazioni ricevute, e vi incoraggio anche a lasciare recensioni e commenti, qualche pensiero; le opinioni altrui per me sono molto importanti, anche per sapere se posso migliorare in qualcosa e perfezionare il mio lavoro. Al di fuori di questo, vi ringrazio tutti, anche solo per essere passati e aver letto qualche capitolo. Spero siano stati di vostro gradimento.

Grazie mille, a tutti. E a presto.

Shezza_demon

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Capitolo 6
*** Move on and don't look back ***


Capitolo 6

Move on and don’t look back


Era una giornata nuvolosa e fredda. Era Dicembre. Lily non aveva mai avuto un particolare attaccamento alla festività del Natale e cose simili. La sua infanzia era costellata di ricordi tristi al riguardo e dopo…dopo si ricordava ben poco, non riuscendo più a capire in che mese fosse, se non per il cambio di temperatura.

Stava appunto pensando a tutto ciò, mentre scendeva le scale, mezza intontita dal sonno. Aveva bisogno di un caffè, e poi sarebbe stata funzionale. Non sentiva rumori in casa, quindi non si era fatta problemi a scendere al piano di sotto in pantaloncini e una maglietta a maniche lunghe, che si era tirata sopra le nocche; forse doveva considerare l’idea di dormire con un vero pigiama. Ma il mese da “persona normale” le avevano fatto scoprire cose di sé stessa che non sospettava neanche. Preferiva dormire con le gambe scoperte, le piaceva la carne al sangue e il curry, il profumo dello shampoo al gelsomino e leggere. Quello veramente le era sempre piaciuto, ed aveva divorato parecchi libri prima della caduta nell’oblìo. Le piaceva molto il colore blu oltremare e tutte le gradazioni che lo riguardavano. Adorava ascoltare la musica e cantare, quando era da sola; sembravano cose banali, ma per lei era come aprire gli occhi per la prima volta, più che altro era come conoscere un’altra persona. Era come guardarsi allo specchio e vedere qualcun altro, togliersi una pelle che non era mai stata sua. Aveva così tanta paura di tutte queste emozioni, che si sentiva sopraffatta. Possibile che lei, una persona assoggettata fin dall’inizio della sua esistenza, fosse capace di avere delle preferenze e delle cose che non le piacevano? Odiava essere fissata mentre mangiava o piangeva, odiava i rumori troppo forti. Odiava che qualcuno arrivasse in silenzio alle sue spalle, cosa che rendeva la convivenza con Sherlock un continuo saltare sulle sedie, visto che si muoveva con la grazia e il silenzio di una pantera a caccia. Ma aveva deciso di non farlo notare; odiava il suo essere maldestra e il suo affezionarsi subito a persone, oggetti, film canzoni.
Mary e John erano diventati dei punti di riferimento indispensabili per lei.

L’unica volta che non le erano piaciuti era stato quando avevano provato a farla parlare del suo passato, cosa su cui aveva spinto anche Sherlock. Si era rifiutata categoricamente; non voleva, non voleva assolutamente. Forse un giorno, quando avrebbe finalmente ritrovato il suo equilibrio ne avrebbe parlato. Ma ora voleva solo guardare avanti e non indietro.

Le era dispiaciuto che Mary le avesse chiesto scusa per averle fatto quella domanda, perché sapeva che le sue e quelle di John erano intenzioni buone. Su quelle di Sherlock era un po’ più dubbiosa: le sembravano più intenzioni per sperimentare su di lei; perché le era parso che alla fine non riuscisse a capirla poi così in fondo. Voleva sapere, e non capiva perché, non ci riusciva. Aveva sospettato la sua dipendenza, sia affettiva che chimica; ma si era fermato là e Lily pensava che avesse preso al volo l’occasione dell’indagine di John e Mary per saperne di più anche lui.

Lily a volte si spaventava da sola. Si sentiva così buia dentro, così sola, così vuota che sembrava rimbombare dentro sé stessa. Salvo poi riempirsi di gioia per una canzone o per un tramonto particolarmente bello. Ma il suo lato buio sembrava sempre prevalere. Non che fosse pazza, era stata abbastanza brava da imporre a sé stessa un controllo mentale non indifferente, nonostante per anni fosse stata vittima di abusi. Ma era proprio per quello che era così: aveva imparato a controllare il dolore delle botte, la rabbia quando veniva insultata, l’umiliazione quando veniva presa con la forza, la paura quando doveva rubare qualcosa e non se la sentiva. Sempre perché qualcuno le diceva di farlo.

L’unico che era riuscito a incrinare questo suo autocontrollo era stato Sherlock, facendola vacillare, leggendola come un libro aperto. Possibile che fosse più buio di lei? Probabilmente sì, perché sembrava non avere affetti, tranne John e sembrava anche interessato a non averne affatto. Sembrava contento solo quando suonava il suo violino. Per il resto era una maschera di freddezza che lasciava Lily perplessa, spaventata ma allo stesso tempo affascinata. Lei aveva avuto i suoi “collassi” emotivi, e se li ricordava fin troppo bene. Ma li aveva sempre affrontati in maniera negativa. Perché veniva riportata all’ordine con uno schiaffo o un calcio. Era una contraddizione vivente e voleva cercare di migliorare il prima possibile, diventare una persona “normale”.

Aveva pensato a tutto questo scendendo le scale e mantenendo l’udito attento; una sua vecchia abitudine era di cercare di essere il più vigile possibile fin dal momento in cui apriva gli occhi. Le riusciva ancora abbastanza difficile alzarsi dal letto completamente rilassata, anche perché di solito dopo nottate piene di incubi, si svegliava senza ricordarsi dov’era.

Era arrivata in cucina, e cercava il caffè solubile, quando la voce di Sherlock l’aveva fatta sobbalzare:
“Beh…buongiorno”.

Lily si era girata di scatto, trattenendo il respiro e automaticamente aveva tirato la maglietta fin sotto i pantaloncini, non facendo altro che peggiorare la situazione visto che la scollatura della maglietta si era irrimediabilmente abbassata. Sherlock l’aveva guardata con fare perplesso e aveva detto con fare saccente: “Forse dovresti provare con un pigiama più lungo”. Aveva alzato un sopracciglio e posando la sua tazza di the  (si era fatto il the da solo?) si era sfilato la vestaglia blu scuro che portava e gliel’aveva tirata.
 “Per adesso copriti con questa; sembri un coniglio davanti ai fari di un’auto”.

“Oh beh..grazie..io..ehm..” aveva cominciato.

“Lily” Sherlock aveva chiuso gli occhi e alzato un dito verso di lei “se non sai cosa dire, taci. Il balbettare è irritante e secondo me dimostra stupidità. Quindi, ti prego”.

Su quest’ultima frase aveva aperto gli occhi fissandola.

Lily non aveva saputo ribattere, aveva semplicemente annuito impercettibilmente.

Ecco a voi, Sherlock Holmes, signore e signori. La sincerità fatta persona. O lo stronzo del secolo, dipendeva dai casi.

“Mi ha chiamato il comandante Lestrade, ho un caso d’omicidio e tra un po’ sarò fuori di casa. Vuoi venire? Ci sarà anche John con Mary”.

Aveva posato la tazza nel lavandino, girandosi immediatamente per una risposta.

“Sì certo, vengo. Sì”. A quel punto si era ammutolita, perché non voleva cominciare a balbettare, e quindi irritare il suo amabile coinquilino.

“Bene, sii pronta il prima possibile” ed era volato via dalla stanza.

Lily era rimasta immobile di fronte al tavolo di cucina; niente caffè. Ottimo.

Mezz’ora dopo era pronta, con Sherlock che l’aspettava impazientemente sulla porta di casa.

“Io non capisco perché voi donne ci mettete così tanto per prepararvi”.

Lily si era fermata davanti a lui e l’aveva fissato negli occhi “Ringrazia che ci ho messo solo mezz’ora, e non ho bevuto neanche un caffè” le parole le erano uscite di getto, probabilmente per la mancanza di caffeina nel suo sistema.

Sherlock l’aveva fissata a sua volta, con il suo sguardo glaciale. Lily cercava disperatamente di tenere testa a quegli occhi color ghiaccio, ma cominciava a vacillare. Sherlock si era girato all’ultimo momento, e mentre non guardava Lily aveva tirato un sospiro di sollievo.

“Bastava dirlo che era per il caffè che sei così acida” si era infilato i guanti “ne prenderemo uno per la strada, contenta?” gli aveva sorriso come si fa ai deficienti, riducendo gli occhi a due mezzelune.

Lily aveva aperto al bocca per replicare, ma Sherlock l’aveva stoppata subito “Non. Parlare”.

Al diavolo i divieti di Sherlock aveva pensato Lily: “Io non sono acida. Tu hai mai conosciuto le persone acide?”.

Si era girato verso di lei, alzando gli occhi al cielo: “Sì, tante. E ci sei in mezzo anche tu. E la cosa più grave è che lo diventi per un motivo futile come il caffè che non hai bevuto” aveva roteato gli occhi e sbuffato “possiamo andare ora? Stiamo facendo tardi”.

“Prego” lo aveva incalzato Lily facendogli strada verso la porta.
Erano quasi arrivati al portoncino quando la signora Hudson, l’affittuaria dell’appartamento di Sherlock era spuntata dalla sua porta: “Buongiorno Sherlock! Tutto bene?”

“Buongiorno signora Hudson, tutto bene grazie, arrivederci” era con la mano sulla porta quando si era rivolta a Lily: “e tu Lily, come stai? Tutto bene?”

“Oh si signora Hudson, tutto bene grazie. Ho bisogno solo di un po’ di  caffè" aveva guardato Sherlock, ironica.

Lui si era avvicinato minacciosamente al suo viso e aveva sussurrato “Se non la pianti, niente caffè. Scommetti?”

Lily aveva stretto le labbra, sapendo che gli “scommetti” di Sherlock erano promesse sicure: “Bene. Andiamo?” aveva sorriso, tirata.

“Brava bimba” gli aveva dato un buffetto decisamente troppo forte sulla guancia.

La mano di Lily si era mossa in maniera automatica, stringendo il polso di Sherlock in maniera ferma e decisa. Sherlock aveva guardato il suo braccio, poi Lily.

“Scusa” aveva sussurrato, lasciando il polso di Sherlock come se scottasse. Aveva strizzato gli occhi. Avrebbe voluto essere inghiottita dal pavimento in quel preciso istante.

Sherlock aveva guardato per aria, pensoso: “Sì, andiamo” e si era girato di scatto scendendo in strada.

“Arrivederci signora Hudson” aveva pigolato Lily, rivolgendo un sorriso timido verso la donna che aveva osservato tutta la scena in silenzio.

“Arrivederci cara, quando vuoi vieni a prendere un the” poi era sparita dietro la sua porta.

Lily era uscita, e Sherlock era fermo sul marciapiede che chiamava un taxi; dopo averne fermato immediatamente uno ed essere saliti, era regnato il silenzio assoluto.

Era stato un movimento automatico, ma anche strano. Di solito Lily gli schiaffi li prendeva e basta, senza fiatare. Ma qual fantasma di sberla l’aveva fatta reagire come non aveva mai fatto prima. Ed era solo un buffetto sulla guancia. Non sapeva cosa fare; chiedere scusa? Veramente non sapeva cosa fare. Aveva preso fiato e cominciato: “Sherlock, io…”

Lui aveva alzato una mano per zittirla: “Non c’è nulla da dire”.
“Ma io…” aveva continuato lei.

“Ho detto. Niente. da. Dire”.

Il silenzio era calato di nuovo. Lily era imbarazzata e dispiaciuta. Non voleva assolutamente che Sherlock pensasse che quel gesto l’avesse spaventata. L’aveva spaventata in passato, ma Sherlock sapeva che non avrebbe mai alzato un dito su nessuno, figuriamoci su di lei. Era stata una cosa così nuova anche per lei stessa, che le veniva da vomitare per l’imbarazzo il disagio e la confusione.

Arrivati a destinazione, Lily era scesa e Sherlock aveva pagato il taxi, senza fiatare. Solo quando erano arrivati sulla scena del crimine aveva cominciato a parlare, ma non con lei; non se lo sarebbe aspettato comunque, ma ora sapeva che anche se lo avesse fatto, oggi non sarebbe accaduto a prescindere. Aveva salutato John e Mary, e Lily era rimasta in silenzio, finché Mary non l’aveva presa da parte, preoccupata: “Lily va tutto bene? Sembri un cencio lavato”.

Le aveva raccontato tutto, e alla fine del resoconto un leggero sorriso era apparso sulle labbra di Mary: “Probabilmente lui è più imbarazzato e dispiaciuto di te. Il grande Sherlock Holmes preso alla sprovvista!” aveva riso divertita “pensa te!” l’aveva guardata intensamente “ le tue reazioni lo spiazzano, e ora non sa come comportarsi. Ma la cosa che lo manda più al manicomio è non averlo pensato prima; questo perché non sa niente del tuo passato, tranne quello che è trapelato. Ma ora probabilmente un’idea se la sarà fatta, come me la sono fatta io”. Aveva alzato le spalle, divertita “questa è la cosa più buffa e straordinaria che io abbia mai visto” e continuava a ridere.

“Io non penso sia così” aveva replicato Lily ”non è il tipo che si imbarazza” aveva alzato le spalle, incredula “si sarà offeso perché l’ho toccato. Non  mi pare il tipo da contatto fisico”.

“Non pensi che ti avrebbe detto qualcosa con quella lingua al vetriolo che si ritrova?” aveva risposto Mary, assorta “non ti conosce, Lily. Tutto qua. Io ho capito che sei stata picchiata, e anche John. E anche Sherlock. Ma non credeva avresti reagito così. Probabilmente ha messo a posto un altro pezzo del puzzle, conoscendolo”. Aveva riso di nuovo, portandosi dietro anche Lily.

“Hmmm continuo a dire che non è così” Lily aveva arricciato il naso, dubbiosa.

“Se ti chiederà scusa, a modo suo naturalmente, allora avrò ragione io”.
L’aveva guardata, dispettosa.

Lily aveva riso, divertita “Vedremo”.

Il caso era stato più facile del previsto. Un uomo e una donna, amanti, uccisi dal marito di lei. “Banale” era stato il commento di Sherlock, che si ostinava a non guardare Lily.

Mary aveva esposto l’episodio di quella mattina a John, mentre Sherlock parlava con il tenente Lestrade.

John aveva ascoltato con attenzione; poi aveva pensato intensamente e alla fine aveva inarcato le sopracciglia e tirato giù  la bocca, sorpreso: “Non ti ha detto proprio niente?”

“Ho provato a chiedergli scusa e la sua risposta è stata “non c’è nulla da dire”.

La bocca di John aveva formato una “O” sorpresa: “Sul serio??”

Lily aveva annuito, timorosa.
John era scoppiato a ridere” Oh santo Cielo, l’Inferno si congelerà. Vuole sempre avere l’ultima parola…su tutto. Sai Lily, alla fine è un essere umano anche lui. Le cose che sfuggono al suo controllo lo mandano in confusione. Sono d’accordo con Mary”. Aveva alzato le spalle, a mò di scusa.

Lily le aveva scrollate a sua volta, incredula e leggermente irritata. Non era Sherlock quello che doveva chiedere scusa. Era lei. Lei aveva reagito in modo esagerato. Anzi, il gesto di Sherlock, stando ai suoi criteri di interazione umana, era stato fin troppo gentile. E lei aveva reagito da stronza psicotica. Non sapeva neanche lei perché aveva fatto così. Era uscita la persona che voleva diventare, la persona che si voleva difendere. Ma non con lui, non con Sherlock che l’aveva accolta a casa sua, dato un tetto, da mangiare e un letto caldo.

Mentre confabulava tra sé e sé, aveva sentito una presenza alle sue spalle. Si era girata e davanti a lei c’era Sherlock che la guardava con aria leggermente imbarazzata e irritata. Reggeva due tazze di caffè da asporto in entrambe le mani, ancora fumanti.

“Caffè nero con una zolletta, giusto?” aveva chiesto con tono monocorde.

Lily aveva guardato lui, poi il caffè e poi di nuovo Sherlock, che aveva assunto un’aria scocciata e impaziente. Il suo sguardo pretendeva una risposta.

“Ehm…” non doveva balbettare “sì…sì. Proprio così. Grazie mille, Sherlock.”

Lui le aveva porto la tazza bruscamente e si era girato in un fruscìo di cappotto e aroma di caffè.
Lily guardava la tazza, sorridendo leggermente. La teneva delicatamente tra le mani, che si scaldavano piacevolmente visto il freddo pungente di Dicembre.

Mary si era avvicinata a lei e con fare complice e anche un po’ supponente le aveva bisbigliato nell’orecchio: “Che ti avevo detto? Avevo ragione io”. E le aveva strizzato l’occhio.

Lily aveva riso, facendole una linguaccia.

Ma in quel momento, in quel preciso istante, aveva sentito un brivido dietro la schiena, qualcosa di non piacevole. Si era guardata intorno, curiosa.

Sono paranoie.

Aveva scrollato le spalle e bevuto il suo caffè.

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Capitolo 7
*** The first Christmas ***



Capitolo 7

The first Christmas


Lily camminava per strada, sfidando il freddo di Dicembre. In TV avevano detto che addirittura avrebbe nevicato e già un nevischio misto a pioggia le colpiva il viso, come piccoli proiettili gelidi. Era di cattivo umore, perché tra due giorni sarebbe stato Natale e lei non poteva permettersi di fare regali a nessuno. Si sentiva in imbarazzo, perché sapeva per certo che qualcosa a lei sarebbe arrivato, almeno da John e Mary. E lei non aveva un soldo per ricambiare tutto l’amore, l’impegno e l’affetto che le avevano dimostrato. Avrebbe voluto trovarsi un lavoro, ma ancora non si sentiva a suo agio con la gente, a interagire con le persone. E questo la faceva arrabbiare ancora di più. Passava le giornate in casa a sentire musica o a fare necessariamente nulla. Spolverava, metteva a posto ma si sentiva come un leone chiuso in gabbia.

Era uscita per fare la spesa con la carta di credito che le aveva lasciato Sherlock, visto che in casa non c’era più nulla di commestibile e non potevano vivere di soli takeaway. Lily sapeva a malapena cucinare, ci avrebbe provato, ma aveva già avvertito Sherlock di non aspettarsi piatti gourmet. Ma tanto lui a malapena mangiava, sarebbe stato semplice proporgli panini tutti i giorni e avrebbe benissimo sopravvissuto con quelli. Ma sarebbe diventato una palla nel giro di un mese; o probabilmente no, visto che sembrava bruciare calorie solo pensando.

Cercava di proteggersi il viso con le buste di carta del supermercato, ma serviva a ben poco. Svoltato l’angolo di Baker Street e arrivata davanti al 221b, aveva incontrato Sherlock che si apprestava ad uscire. Le aveva rivolto uno sguardo curioso:

 “Non ti ho trovato in casa, dov’eri?” sempre così, diretto e spiccio.

Lily cercava di tenere in equilibrio le due buste piene di cibo e parlare in modo articolato allo stesso tempo.

“Potrei chiederti la stessa cosa, stamattina mi sono svegliata e non c’eri; è da ieri pomeriggio che manchi da casa, ero da Mary ma credevo saresti tornato, stavo cominciando a preoccuparmi”. Una mela era scivolata dalla busta e Lily aveva imprecato sotto voce. Poi aveva guardato Sherlock: “Ti dispiacerebbe…?”

Lui aveva increspato le labbra e le era venuto incontro prendendo una busta e raccogliendo la mela da terra: “Ero su una scena del crimine ieri pomeriggio, poi mi ha chiamato Lestrade ieri sera tardi mentre tornavo, tu già dormivi. Non mi sembrava il caso di svegliarti” aveva aggiunto con tono di voce asciutto.

“Beh, la prossima volta lascia un biglietto…o qualcosa”. Lily si era accorta troppo tardi di sembrare una mamma chioccia, o peggio ancora una fidanzata ansiosa, quindi aveva aggiunto immediatamente “comunque ok, d’altronde i casi sono importanti, non fa niente”.

Aveva incrociato lo sguardo di Sherlock, che stranamente era divertito e non algido come al solito.
“Va bene mammina” aveva aggiunto con tono di voce bambinesco, cosa che aveva fatto imbarazzare e arrabbiare ancora di più Lily, che era diventata scarlatta fino alla punta delle orecchie: “Oh accidenti, apri questo maledetto portone, le buste pesano” aveva aggiunto piccata.

“Ok ok, agli ordini” aveva mormorato Sherlock, sempre con quel ghigno stampato in faccia. Avevano fatto le scale in silenzio, mentre Lily si dava della stupida dentro la sua testa.
Potevi lasciare un biglietto, oh Sherlock ero così in ansia. Ma che DIAVOLO” imprecava, muovendo le labbra, senza emettere alcun suono.
Arrivati all’appartamento e dopo aver messo a posto la spesa, Sherlock si era girato verso di lei e con tono MOLTO annoiato aveva detto:
“Al St. Barth’s, l’ospedale dove lavora John, ci sarà un piccolo rinfresco per gli auguri di Natale. Vuoi venire? Ero tornato a casa apposta per dirtelo ma non c’eri” si era fermato, pensieroso “dovresti procurarti un cellulare”. Aveva annuito, soddisfatto della sua idea.

“Vengo volentieri” aveva risposto Lily, evitando la considerazione sul cellulare. Come se lo sarebbe dovuto procurare? Rubandolo? Scacciando via questo pensiero non si era accorta che Sherlock le stava ancora parlando e quando se n’era accorta aveva cercato di recuperare il filo del discorso; da quando Sherlock era così loquace?

“Lily, ma mi stai ascoltando?” aveva chiesto offeso.
“Scusa Sherlock ero sovrappensiero” aveva risposto, non riuscendo a collegare il discorso che stava facendo prima.
Stavo dicendo che la sera di Natale ci sarà anche una cena da John e Mary. Sono stato minacciato direttamente da lei, e non accetterà nessun rifiuto” aveva alzato gli occhi al cielo” io ne farei volentieri a meno, ma alla fine si tratta di John; come posso dire di no?”
“Bene, sarò felice di partecipare” aveva sorriso, fingendo entusiasmo. Non perché non le andasse, ma perché si sarebbe presentata a mani vuote, anche nei confronti della piccola Rose. Senza un giocattolo, senza nulla. Aveva stretto le labbra e corrugato la fronte, cosa che non era sfuggita a Sherlock.

“Sanno già che non potrai far loro regali e ti posso assicurare che non devi preoccuparti; non li farò neanche io, la trovo un’idea stupida” aveva alzato le spalle “mia modesta opinione, naturalmente.”.

Aveva calcato su “modesta”.

“Sono persone a posto Lily, e non giudicano nessuno, figurati te”. L’aveva fissata, aspettando una sua reazione.

“Beh, a me dispiace comunque; avrei voluto fare un regalo a tutti voi, per la vostra generosità e per avermi accolto e per…insomma, per tutto. Io non pago neanche un affitto qui, non pago niente, vivo a scrocco e mi fa una rabbia che neanche immagini; io…”

Avrai la tua occasione per riscattarti, Lily. Sei all’inizio di qualcosa di nuovo, un periodo di assestamento è più che normale”.

Questo Sherlock ragionevole e rassicurante spaventava un po’ Lily. Che battesse veramente un cuore sotto quel petto? Non sembrava interessato a ciò che poteva provare un essere umano, e invece se lo ritrovava lì a dirle di non preoccuparsi, di riscatti emotivi, di vita e affini. Lo aveva guardato, e i suoi occhi color metallo sembravano più miti. Osservandolo, aveva dei tratti veramente particolari. Possibile non avesse donne a frotte, che languivano per lui? Forse sì, ma lui era completamente disinteressato a tutto ciò che poteva riguardare il sesso femminile e il sesso in generale. Lily aveva pensato anche che potesse essere gay, ma quando aveva timidamente proposto questa ipotesi in presenza di John, lui era scoppiato a ridere sonoramente.
“Lily, Sherlock è convinto che le donne, l’amore e le emozioni in generale possano corrompere la purezza della sua mente. Deve mantenerla libera da ogni vizio, per ragionare nel modo più chiaro e razionale possibile. L’ho visto flirtare con possibili indiziate, ma solo per ottenere le informazioni che voleva, e dopo sembrava quasi che si sentisse sporco. Neanche la parola “asessuato” andrebbe bene per descrivere quello che è. Nessuno lo sa, e chissà se lo sapremo mai”.

Questi pensieri avevano di nuovo fatto andare Lily in uno stato di distacco, cosa che Sherlock aveva scambiato per semplice affermazione delle sue parole.

“Bene, vogliamo andare? Saranno già tutti lì”.

Erano arrivati al St. Barth’s poco dopo ed erano già tutti lì. John, Mary, la piccola Rose il tenente Lestrade e altra gente che Lily non aveva mai visto, ma che sicuramente loro sapevano della sua esistenza. Molto stranamente erano tutti riuniti in un laboratorio, dove lavorava una certa Molly Hooper che poi era la responsabile dell’obitorio. E probabilmente, oltre la porta bianca alle spalle di Lily, c’era veramente un obitorio, con le celle argentate come quelle dei film. Aveva cercato di non pensarci, scrollando le spalle. Erano tutti là, felici e contenti, chiacchieravano e ridevano, pieni di atmosfera natalizia. Lily era rimasta in un angolo, con il suo bicchiere di punch in mano, sorridendo leggermente e da circostanza, immobile. Che cosa strana l’amicizia, la gente che parla di cose come il Natale, i regali, le cene. Cose normali, da gente normale. Aveva stretto il bicchiere tra le mani, mordendosi un labbro. Aveva alzato lo sguardo ed esattamente dall’altra parte della stanza c’era Sherlock; anche lui fermo, anche lui muto, anche lui con un bicchiere in mano. Sembravano due immagini speculari; lui l’aveva guardata e alzato gli occhi al cielo. Lei aveva sorriso timida, e alzato le spalle come per dire “E’ la social life, che vuoi farci?”

All’improvviso dalle due porte a spinta che davano sul laboratorio, erano entrati due infermieri o Lily sospettava fossero portantini, con un carrello che era decisamente uno di quelli dove si trasportavano cadaveri.

Molly li aveva guardati, sorpresa: “Ma ragazzi, oggi non c’erano arrivi, ne ero sicura”.

“Lo so Molly, scusa” aveva detto uno dei due “ma è stata una cosa improvvisa e parecchio particolare. Non abbiamo neanche potuto metterlo nel sacco, abbiamo solo il lenzuolo”.

“Va bene, va bene portatelo di là, poi ci penserò io” aveva risposto Molly svelta, facendo spostare gli altri, che si erano ammutoliti.

Il lenzuolo probabilmente era troppo lungo o messo male, non si sa. Ma all’improvviso, si era incastrato sotto la ruota del carrello facendolo cadere a terra e rivelando il cadavere. Lily si trovava a poca distanza dallo spettacolo che le si era posto davanti. Al cadavere mancava mezza faccia. Semplice. Mezza faccia non c’era più, si vedevano ancora alcuni denti; non c’erano labbra, guance niente. Solo metà volto.

Lily lo aveva osservato e dentro di lei non sentiva nulla. La gente aveva tirato urli soffocati, si era girata per non vomitare. Solo lei, John e Sherlock erano rimasti a guardare il corpo, senza scomporsi.
Lily ne aveva visti di cadaveri; uccisi, smembrati, lividi per essere morti di assideramento o per overdose. Aveva visto cadaveri senza testa, cadaveri di bambini. Era incredibile quanta gente morisse a Londra ogni giorno, e nessuno ne parlasse. Gente che finiva così, buttata nel Tamigi a tarda notte da aguzzini e spacciatori, o in mezzo alla spazzatura da papponi, per poi venir catalogata e bruciata o seppellita senza un nome, senza un qualcosa che potesse ricordarla. Quante persone venivano ingoiate dal buio della città, quante anime disgraziate finivano la loro vita in miseria. Una volta aveva tenuto la mano a Paula, una ragazza drogata che era stata accoltellata da uno spacciatore e lasciata in mezzo alla strada. Ancora ricordava come stringeva forte la sua mano, e com’era fredda. Ci aveva messo tanto, troppo tempo a morire, aggrappata a lei nella disperazione. Lily non l’aveva lasciata sola, era rimasta finché non le si erano girati gli occhi e l’ultimo respiro le aveva scosso il corpo, allentando la presa d’acciaio della sua mano.

Continuava a guardare quel cadavere, mentre i due portantini si affrettavano a ricoprirlo e l’unica cosa che aveva pensato era stata “povera anima”.
Aveva sentito una mano sulla spalla: “Lily, vieni via”.
Era John che l’aveva trascinata lontano da lì mentre il corpo veniva portato in obitorio. L’aveva girata verso di lui, guardandola con gli occhi blu preoccupati e aveva chiesto: “Stai bene?”

Lei lo aveva fissato, sbattendo gli occhi un paio di volte: “Sì John sto bene, grazie. Non è la prima volta”.

John aveva stretto le labbra, come per reprimere un moto di rabbia e frustrazione. Lily non si scomponeva, la sensazione era quella che aveva provato tante volte: sangue ghiacciato e come un masso al posto del cuore. Cosa poteva fare lei di fronte alla morte?

Niente.

Aveva alzato lo sguardo e  incrociato quello di Sherlock: la fissava, le sopracciglia leggermente corrugate, un’espressione di curiosità e qualcos’altro che Lily non riusciva a decifrare.
Cosa pensava Sherlock, che solo lui aveva visto la morte? Solo lui si aggirava intorno ai cadaveri altero e algido come un re delle nevi, scovando indizi intorno a quello che per lui non era che soltanto un guscio vuoto, senza vita?
Lily ne aveva piante di persone all’inizio, poi aveva semplicemente smesso, perché era inutile; avrebbe prosciugato tutta l’acqua del suo corpo facendo così. Aveva capito che quella era la fine di chi non aveva destino o futuro, e che probabilmente sarebbe potuto capitare anche a lei; sperava solo di non finire in qualche cassonetto, o spogliata dei suoi stessi abiti.
Aveva fissato Sherlock, con aria seria, poi si era girata verso John che aveva ancora una mano sulla sua spalla. Ci aveva appoggiato una mano sopra e sorridendo aveva detto: “Grazie John, sto bene. Davvero”.

“Sei ghiacciata” aveva risposto lui, guardandola preoccupato.

Lei aveva annuito: “E’ sempre così” e aveva sorriso, rassicurante.

Dopo il piccolo incidente, la gente si era dispersa velocemente. L’atmosfera di festa era andata a farsi benedire, e nella stanza aleggiava uno strano odore.
Erano rimasti solo Sherlock, Lily, Mary con la piccola Rose e John. Molly era in obitorio, cercando di capirci qualcosa.

Avevano deciso di tornare a casa, ancora un po’ scossi da cosa era successo.

Tornati a Baker Street, Sherlock aveva acceso il camino e Lily aveva preparato il the; una volta portate le tazze in salotto si era accoccolata sulla poltrona di fronte a Sherlock, godendosi il calore del fuoco e sorseggiando la bevanda calda che aveva appena preparato. Sherlock leggeva un libro abbastanza grosso e abbastanza vecchiotto, sembrava un volume di poesie. Lily aveva deciso di rompere quel silenzio carico di tensione.

“Cosa leggi?” aveva chiesto a Sherlock piano, sorridendo leggermente. Lui aveva sollevato gli occhi dal libro.

“John Keats” aveva risposto, la voce piena di concentrazione.

“Oh, adoro John Keats…” Lily aveva chiuso gli occhi sognante e aveva cominciato, con voce fluida e soave:

“Sparire, lontano, dissolvermi, e dimenticare poi
Ciò che tu, tra le foglie, non hai mai conosciuto:
La stanchezza, la malattia, l'ansia
Degli uomini, qui, che si sentono soffrire,
Qui, dove il tremito scuote gli ultimi, scarsi capelli grigi,
Dove la gioventù impallidisce, si consuma e simile a un fantasma muore,
Dove il pensare stesso è riempirsi di dolore,
E la disperazione regna, dalle ciglia di piombo,
Dove la bellezza vede spenta la luce dei suoi occhi
E l'amore nuovo non riesce a piangerla oltre il domani”

Aveva aperto gli occhi, sospirando. Quanto amava quella poesia, quei versi in particolare. Aveva guardato Sherlock, che la fissava sorpreso; Lily aveva dovuto mordersi la lingua per non sbottare a ridere: “Che c’è?” aveva chiesto divertita.
“Beh…” aveva cominciato Sherlock ”notevole, direi”. L’aveva fissata, con curiosità, aspettandosi una risposta da parte di Lily
.
“Grazie” aveva risposto, posando la tazza di the sul tavolino di fronte a lei “prima di diventare feccia della società, anch’io ho studiato sai. Educazione domiciliare, per la precisione”.

Non sapeva se era una cosa buona aprirsi con Sherlock così, ma alla fine si parlava di educazione, non di se stessa.

“Ah. Educazione domiciliare, quindi?” aveva risposto Sherlock, prendendo un sorso di the “a quanti anni hai imparato a memoria Keats?”

“Hmmm….” Lily aveva pensato, stringendo gli occhi “se non ricordo male, sei anni più o meno”.

Gli occhi di Sherlock si erano spalancati, sorpresi, quasi si strozzava con il the “sei anni?”

“Questo tuo tono sorpreso dovrebbe offendermi?” aveva riso Lily. Dentro di lei era terrorizzata, si stava confrontando con un uomo che aveva una cultura e una conoscenza mille volte superiore alla sua. Ma come diavolo le era venuto in mente?

“No, no” si era affrettato a rispondere Sherlock “è solo molto…inusuale” aveva stretto le spalle “l’educazione domiciliare è una cosa particolare, d’altronde”.

Lily aveva assunto un’aria pensosa, muovendo la testa impercettibilmente da un destra a sinistra “Beh sì, ma dove sono cresciuta io diciamo che era…obbligatoria” si era persa con lo sguardo, ricordando il suo educatore, il professor Schwartz. Le avevano detto che aveva insegnato a Oxford e che sapeva tutto quello che una bambina doveva sapere. Certo, insegnare a una bambina, che caduta di stile. Chissà che fine aveva fatto.

Sherlock la fissava. Il calore del fuoco del camino dava al suo sguardo  un riflesso lucido, come se i suoi occhi fossero fatti d’acqua.

“Quindi saprai un sacco di cose, immagino” aveva incrociato le mani sotto il mento, sorridendo leggermente.

“Oh, di poesia e letteratura ne so abbastanza, le altre cose o non le ricordo o non le ho proprio studiate perché ero pigra; più che altro se una cosa non mi piace, mi ci applico poco”.

Sherlock aveva riso, cosa strana per lui. Era un riso divertito e spontaneo; l’aveva guardata.

“Lavativa” aveva alzato le sopracciglia.

Lily aveva riso di gusto a sua volta, e aveva risposto con fare pomposo: “Mica possiamo essere tutti come te, grande Sherlock Holmes”. E aveva aggiunto una linguaccia, arricciando il naso e chiudendo il occhi.

Sherlock aveva tirato indietro la testa, facendo muovere tutti i riccioli; aveva riso di nuovo, però adesso sembrava meno divertito. Guardando il soffitto aveva sussurrato: “Non è sempre divertente, essere me”.

Lily era rimasta in silenzio, non sapendo cosa dire. Forse aveva esagerato, ma non era sua intenzione. Forse era il caso di ritirarsi. Si era alzata dalla poltrona lentamente.
“Io vado a dormire Sherlock, buonanotte. Sono veramente esausta” aveva aggiunto, come se dovesse giustificarsi.

“Buonanotte Lily, dormi bene” aveva risposto Sherlock, con tono asciutto “a domani”.

“Anche tu” e si era diretta in camera sua, dove aveva osato pensare che forse, per un millesimo di secondo, aveva fatto sentire il potente Sherlock Holmes vulnerabile.

Altamente improbabile, comunque.

Il giorno seguente era passato senza episodi particolari. Tranne la furia di Mary, che aveva trascinato Lily per negozi tutto il pomeriggio perché aveva deciso che “per Natale devi indossare qualcosa di carino”.

Ma Lily non si era mai sentita carina, né tantomeno bisognosa di vestiti particolarmente belli o ricercati. A lei bastava un jeans e una maglietta o una felpa, o qualsiasi altro accidente le potesse coprire il torso. Il resto non le importava. Non le importava del trucco, di acconciarsi i capelli che erano diventati un caschetto sfilzato e disordinato, o di mettersi lo smalto alle unghie. Ma l’entusiasmo di Mary era così genuino che non se l’era sentita di non assecondarla in questa missione che per lei era suicida. Le aveva comprato dei trucchi, e un maglione meraviglioso e morbido con un collo grande e caldo che la faceva sentire al sicuro; era blu oltremare chiaro anche se Mary aveva insistito per un colore più natalizio come il rosso o il verde. Ma lei se n’era innamorata. Quando lo aveva provato i suoi occhi si erano illuminati e le sue guance avevano preso colore; quel colore la rendeva bella, sana, una persona normale.
Con i suoi jeans stretti e gli anfibi che amava tanto era una ragazza che poteva essere una studentessa del college, oppure una ragazza che lavorava come commessa. Poteva essere tutto.
 
Dopo una giornata del genere era tornata a casa distrutta, ma anche sollevata e anche un po’ felice. Sherlock stranamente era a casa, in cucina ad analizzare qualcosa al microscopio.
Non aveva neanche alzato gli occhi, e con fare concentrato aveva chiesto a Lily: “Com’è andata la sessione di shopping o anche missione suicida, come l’hai gentilmente ribattezzata?”

Lily si era accasciata in poltrona, esausta e con un filo di voce aveva detto: “contro tutte le previsioni peggiori, bene. Sono solo assolutamente distrutta. Ho bisogno di un bagno caldo e di mangiare qualcosa. Sto morendo di fame”.

“Ti va il cinese?” aveva chiesto Sherlock senza alzare gli occhi dal microscopio.

“Ma sì, perché no, non posso cucinare…troooooppo distrutta” aveva alzato una mano, in un gesto plateale.

“Lavativa” aveva aggiunto Sherlock. Lily lo aveva squadrato dalla poltrona e si era accorta che sorrideva.

“Molto spiritoso mister non so farmi il the da solo” lo aveva rimproverato.

“Perché devo farlo io, quando c’è qualcuno che lo fa per me?” aveva replicato serio.

Lily aveva sbuffato, contrariata: “Certo, facile ragionare così! Quindi cinese o devo cucinare io?!”

“Cinese, cinese” aveva risposto Sherlock sghignazzando sempre con gli occhi appiccicati al microscopio “vai a farti il tuo bagno, ci penso io a ordinare”.

“Ma se non sai cosa voglio!” aveva risposto Lily, alzandosi dalla poltrona.

Sherlock aveva chiuso gli occhi, allontanandosi dal microscopio, sbuffando:
“Tu pensi che io non abbia memorizzato quello che prendi di solito al takeaway cinese?”

Lily era rimasta immobile a guardarlo. Le sembrava un gesto molto carino da parte sua, ma lungi da lei dal dirglielo. D’altronde era Sherlock Holmes come poteva non ricordarselo? Sembrava quasi offesa dalla sua mancanza di intuito.

“Hai ragione, mea culpa. Vado a fare il bagno.” Si era avviata verso la sua stanza per prendere il necessario. Non vedeva l’ora di immergersi nell’acqua calda e profumata. Un bagno per lei era un lusso, considerando che prima non ne aveva mai l’occasione.

Una volta immersa nella vasca da bagno, con il gorgoglìo dei tubi a farle compagnia, Lily aveva pensato al giorno seguente. Il Natale. Tutto ciò che ricordava era un albero addobbato grandemente e sua madre che mangiava in silenzio la cena, senza guardarla nemmeno in faccia. I regali li scartava con il suo educatore e la tata, e poi andava a dormire. Questo era quello che ricordava, quando era piccola. Crescendo, non c’erano stati più alberi, tantomeno regali. La magia era svanita, Babbo Natale non esisteva e lei era sola, come sempre in quella casa enorme.
Si era immersa ancora di più nella vasca, fin sotto il naso, strizzando gli occhi che le bruciavano per le lacrime. Un bambino non dovrebbe crescere così, non dovrebbe avere colpe che in verità non ha. Non dovrebbe e basta. Aveva sbattuto gli occhi verso il soffitto per ricacciare indietro il pianto e la commozione.
La sera, quando veniva messa a letto dalla nanny lei aveva paura del buio e chiedeva di lasciare almeno uno spiraglio di luce, per farla dormire tranquilla, lei rispondeva:
“Ma no, tu sei una bambina grande ormai. E’ silly avere paura, i mostri non esistono.” Le diceva con quell’accento cockney che lei odiava. Ma la nanny non sapeva che non erano l'uomo nero o le mani che spuntavano da sotto al letto che la spaventavano. La paura era quella dei mostri che le nascevano dentro la testa appena riusciva ad addormentarsi, che la facevano svegliare urlando, infastidendo sua madre e facendo accorrere mezza casa in suo aiuto.
Una lacrima era riuscita a farsi spazio tra le sue palpebre, ed era scivolata lungo la sua guancia come una perla.
E poi. E poi. E poi. E poi era arrivato lui, dinamico, allegro pieno di sogni e progetti, e l’aveva portata via. Sembrava amore, ma invece poi si sa come vanno le cose. I giri sbagliati, e il resto è storia.
Ma lei ora era là, in quella vasca da bagno. E poi c’era Mary, e John e Sherlock. C’erano loro, le sue scialuppe di salvataggio. E chissà cosa sarebbe successo d’ora in avanti. Un brivido le aveva percorso la schiena, nonostante l’acqua calda. Era paura? O eccitazione?   

Si era alzata, il corpo addormentato dal tepore dell’acqua e dai ricordi. Si era preparata, ed era andata in cucina dove il takeaway era appena arrivato, fumante e profumato. Lo stomaco di Lily aveva brontolato in maniera decisamente poco femminile e Sherlock aveva esclamato: “Beh mangia, per l’amor di Dio! Sennò sarai svenuta in meno di cinque minuti!”
Lily aveva riso imbarazzata, e così aveva mangiato con appetito, parlando un po’ con Sherlock, su come sarebbe stata domani questa famosa cena di Natale.

“Mah sai, come al solito. Si beve, si mangia, ci si scambia i regali..per chi li ha” aveva aggiunto sogghignando, in  maniera quasi complice “e niente, si chiacchiera finché si è ubriachi o troppo pieni di cibo per continuare. Tutto qua”. Aveva alzato le spalle.

“Beh, non sembra poi così male alla fine” aveva sussurrato Lily addentando un raviolo al vapore “sembra qualcosa di allegro, fatto con le persone a cui si vuole bene”. Aveva guardato Sherlock, che rimestava con le bacchette dentro la scatola di cartone degli spaghetti, pensoso.

“E’ bello se hai un termine di paragone” aveva aggiunto “se non ce l’hai è come un party, solo che è Natale”.

“Beh io ce l’avrei pure, ma non era così caloroso come lo hai descritto tu” Lily aveva abbassato per un attimo la voce.

“Quindi dovrebbe piacerti” aveva detto Sherlock con tono ovvio “per me, nonostante abbia avuto Natali felici, è noioso”.

“E perché? Cosa c’era di così terribile?”

Sherlock aveva arricciato il naso in maniera buffa, e aveva replicato, molto serio: “Continuavano a regalarmi orsi di pezza e trenini, mentre io volevo il set del piccolo chimico e cavie da usare per i miei esperimenti. Quindi ero molto in disappunto”.

Lily non era riuscita a trattenersi ed era scoppiata in una risata talmente forte che rischiava di farsi uscire pezzi di ravioli dal naso. Era la ragione più stupida ma anche più tenera che potesse uscire dalla cinica bocca di Sherlock Holmes. Tra i singhiozzi era riuscita solo a pigolare: “Oh Sherlock, mio Dio”.

Lui l’aveva osservata, perplesso: “E’ un motivo serio, credimi. Per un bambino mentalmente iperattivo come me era una vera tortura”. Aveva lo sguardo serio e quasi offeso.

“E’ vero, hai ragione. Scusami tanto, non doveva essere divertente per te”. Era tornata seria, riprendendo il controllo di sé stessa e cercando di capire il disagio del piccolo Sherlock. Effettivamente, doveva essere una vera rottura di palle. Quel cervello girava così veloce adesso, pensa quando era ancora fresco e giovane come quello di un bambino.

“Può sembrare buffo” un’ombra di sorriso era apparsa sulla bocca di Sherlock “ma cosa potevo farci con quegli stupidi orsi di pezza?”

“Detto da uno che tiene occhi umani dentro dei barattoli in frigo, capisco perfettamente il dilemma” aveva risposto prontamente Lily, sorridendo.

Sherlock aveva annuito e continuato a mangiare, in silenzio.
   
//

E il giorno finalmente era arrivato; l’appuntamento a casa Watson era verso mezzogiorno e Lily aveva cominciato a prepararsi alle dieci e mezza; ma non tanto per i vestiti, tanto per tutti quegli impiastri che Mary le aveva intimato di mettersi in faccia: cioè il trucco.
Aveva cominciato con il fondotinta, per poi passare a correttore, matita, mascara e fard. Cercava di ricordare tutti i movimenti che le aveva fatto vedere la commessa del grande magazzino ieri pomeriggio ed era stata molto attenta. Il risultato finale non era male; naturale, fresco e la faceva apparire meno smorta e più…carina.
Quando si era presentata in cucina per uscire, Sherlock l’aveva squadrata da capo a piedi e aveva detto: “Bel maglione”

Lily si era tirata le maniche fin sopra le nocche, come d’abitudine, e aveva mormorato un “grazie” imbarazzato.

Finalmente avevano preso un taxi ed erano arrivati da John e Mary, dove già c’erano altre persone. Appena messo piede nel salone, Sherlock si era immobilizzato e aveva sibilato a John che era accanto a lui: “John…dovevi proprio?”
John aveva alzato gli occhi al cielo, e aveva detto esasperato: “Sì Sherlock, dovevo proprio. Mycroft è tuo fratello e con tutti i magheggi che ha fatto per tirarci fuori dai guai, un invito era certamente d’obbligo. Ora, vai a salutarlo e magari presentagli anche Lily; gliene abbiamo parlato ma non l’ha mai vista”.
Lily aveva guardato entrambi, sorpresa: Sherlock aveva un fratello? Ah, le magie del Natale! E ora doveva pure conoscerlo; se era solo la metà del fratello, si salvi chi può.

“Va bene” aveva sibilato Sherlock, ma non aveva fatto in tempo a finire la frase che Mycroft si era materializzato al suo fianco. Era alto, magro e con uno strano naso. Aveva l’aria altezzosa, ma alla fine non cattiva; solo annoiata, tale e quale al fratellino. Solo che Sherlock era nettamente più bello, questo era da riconoscere.

“Sherlock” aveva esordito, con tono strascicato “ allora ci sei anche tu. Quanto tempo”.

“Già” aveva commentato lui “troppo poco intendi dire”.

Lily aveva intuito che i rapporti non erano dei migliori ed era rimasta dietro Sherlock, sperando che battibeccando tra loro, si scordassero della sua presenza.

“Ti vorrei presentare Lily” scaricabarili aveva pensato lei “ne avrai sentito parlare”.

Lily aveva sorriso, tirata stendendo la mano verso Mycroft: “Molto piacere”.

“Oh Lily, John mi ha parlato di te” aveva detto, stringendo mollemente la sua mano “come vanno le cose?”

“Meravigliosamente” aveva risposto Lily, in modo enfatico.

“Quindi la convivenza con Sherlock non ti sta facendo impazzire…strano”. Aveva bevuto un sorso dal suo bicchiere.

“Oh no, lui è…molto gentile con me, davvero”. Lily aveva sorriso, impostata.

Mycroft aveva riso di gusto e si era allontanato, lentamente. Lily aveva sentito Sherlock sbuffare dietro di lei e dire a bassa voce: “Stronzo”.

Lily aveva fatto finta di non sentire, e si era girata per ammirare gli addobbi che Mary aveva messo in giro per casa. Come per magia si era materializzata accanto a loro e con voce acuta e MOLTO alta aveva esclamato: “Ooooooh guardate un po’ voi due dove siete capitati!!!”.

Lily aveva guardato Mary, confusa. Lo stesso Sherlock.

“Siete sotto il vischio! Chi si trova sotto il vischio deve ricevere un bacio!” aveva battuto le mani, estasiata.

NO.

No. Nonononononono.

Lily aveva alzato gli occhi ed effettivamente c’era uno stramaledettissimo rametto di vischio sopra la sua testa e quella di Sherlock. Sherlock aveva guardato Mary, la punta delle orecchie rosse: “Mary, no. Non mi sembra il caso” aveva detto piano, cercando di mantenere un certo aplomb.

“Ma su! Solo un bacino piccino! Su una guancia poi, mica sulle labbra” aveva aggiunto, civettuola. Lily sospettava che avesse bevuto un po’ troppo.

Al coro si era unito anche John, e poi tutti gli altri mettendo Lily nella situazione più imbarazzante della sua vita. Mycroft li scrutava da lontano, sogghignando.
Lily aveva stretto i pugni, prendendo atto del fatto che se non l’avessero fatto li avrebbero assillati per sempre. Aveva guardato Sherlock, che aveva guardato lei. Lily non aveva saputo fare altro che alzare le spalle come per dire: decidi tu, io non so veramente cosa fare.

Sherlock aveva chiuso gli occhi nella frustrazione, e riaprendoli aveva sibilato, con un falso sorriso: “Bene, e bacio sia sotto il maledetto vischio”.

Lily si era girata verso di lui con aria di scusa. Lui aveva roteato gli occhi visibilmente scocciato. Si erano guardati e Sherlock si era avvicinato, piano e titubante. Lily aspettava, con la vergogna che le sprizzava da tutti i pori.

Un improvviso rumore sordo (la piccola Rose aveva fatto cadere un paio di bicchieri per terra, causando un fracasso infernale) l’aveva fatta girare di scatto, proprio mentre Sherlock atterrava con le labbra sul suo viso; con il risultato che il bacio era arrivato all’angolo delle labbra di Lily e non sulla guancia. Sherlock, dopo essersene accorto si era staccato subito, con aria sorpresa. Lily aveva ricambiato lo sguardo, e non sapendo cosa dire in quel momento di imbarazzo, aveva esclamato: “Beh, fatto! Contenti tutti?” si era guardata in giro, dove qualcuno aveva improvvisato un applauso e risata. Sentiva ancora il calore delle labbra di Sherlock all’angolo della sua bocca; si era girata e lui non c’era più. Aveva intravisto i suoi riccioli neri sparire in mezzo alla gente, e l’aveva seguito: “Sherlock! Sherlock!” si muoveva a fatica tra la gente.

Lui si era girato di scatto: “COSA?” aveva esclamato.

Lily si era bloccata, sorpresa. Poi un moto di rabbia si era impossessato di lei, ma con voce che lei pensava fosse molto bassa e sibilante, aveva affrontato Sherlock:

“Senti, sono in imbarazzo quanto te. E’ stato un gioco, non è piaciuto a entrambi ma per favore potresti farmi la cortesia di non rovinare il mio primo Natale decente? Io capisco tutto Sherlock, capisco la tua repulsione verso il contatto umano in generale, ma ti è mai passato per la testa che facendo così potresti ferire qualcuno? Diamine, non è successo nulla, datti una calmata e cerca di goderti anche tu la festa!” aveva ripreso aria nei polmoni, tenendo lo sguardo attaccato a quello sconcertato di Sherlock.

Lui la guardava, soppesando le parole di Lily dentro la sua testa. Aveva guardato di lato, pensando e alla fine aveva detto: “Va bene. Come ti pare. Posso andare al bagno, oppure anche questo ti offende a morte?”

Lily aveva gonfiato le guance e aveva esclamato: “Puoi andare dove più ti aggrada, Sherlock. Vatti a sciacquare la bocca, ma ti assicuro una cosa: sono sana come un pesce”. Detto questo si era girata, senza aspettare risposta.

Sherlock aveva scosso le spalle, furioso. Si era chiuso in bagno, per pensare e riprendere il controllo della situazione. Ma che stupida che era! Lui odiava tutto questo, odiava gli scherzi, le tradizioni, le feste odiava tutto ciò! Erano cose che lo facevano sentire stupido e in qualche modo vulnerabile. Ma poi perché parlargli così? Sembrava di sentire John, solo che al femminile. Faceva avanti e indietro per il piccolo bagno di casa Watson e piano piano aveva ripreso il controllo della sua coscienza.

Ma che stupida! Sospettare che lui avesse paura che fosse malata! Aveva già guardato le sue analisi del sangue al St. Barth’s e lo sapeva che era sana come un pesce, grazie tante. Certo, lei questo non lo sapeva, ma come poteva rivolgersi a lui così. Aveva già Watson che lo strigliava a dovere. Non aveva bisogno di qualcun altro che lo facesse al posto suo, visto che ora faceva il marito e padre affettuoso. Lui non aveva bisogno di nessuno.

Pensato questo, aveva respirato a fondo e aperto la porta del bagno, per poi tornare nel salotto dove Lily teneva in braccio la piccola Rose, facendola sorridere con i suoi versi buffi. All’improvviso aveva sentito la presenza di John accanto a sé e aveva chiuso gli occhi, pensando di stare per ricevere l’ennesima strigliata anche da lui.

“Come va?” aveva chiesto, con un bicchiere di birra in mano “forse Lily pensava di bisbigliare, ma si è sentito tutto abbastanza bene. O almeno io ho sentito. Beh, c’è da dire che ha un bel caratterino se messa alle strette. Sherlock, che ne dici di dare una pausa a quella povera ragazza? E’ tesa come una corda di violino, non ti ci mettere anche tu”.

“Ma io non ho fatto niente!” si era lamentato Sherlock “niente di niente!”

“Sei scappato come un gatto caduto in una tinozza d’acqua, pensi sia passato inosservato? E avevi una faccia altrettanto loquace. Non ci sei andato a letto, le hai dato un bacio sulla guancia sotto il vischio, è tradizione! Poteva capitarci chiunque; e durante la vostra assenza anche Mycroft e Lestrade si sono dati un bacetto sulla guancia” aveva riso al ricordo.

Sherlock era rimasto fermo lì, ad ascoltare le parole di John. Era l’unica persona che riusciva a farlo ragionare, a riportarlo sul pianeta Terra.

“La gente ha sentimenti Sherlock” aveva incalzato John, e guarda un po’ a Sherlock sembrava di risentire Lily “e Lily è ancora più fragile di tutte le altre persone che a te non piacciono; lo so che non le chiederai scusa perché non è nella tua indole, e lei questo lo sa già. Ma vacci piano. Lei non ti ha fatto assolutamente niente”. Gli aveva dato una pacca sulla spalla e se n’era andato, sparendo tra gli invitati.
Sherlock aveva sospirato, esasperato. Rimaneva lì, immobile sulla porta del salone stando bene attento a non ricapitare sotto il maledetto vischio. Aveva posato di nuovo lo sguardo su Lily, che teneva ancora Rose in braccio, e si era sorpreso perché anche lei lo stava guardando. Sherlock aveva sollevato il mento per darsi un tono, ma pochi secondi dopo Lily aveva diretto verso di lui la smorfia con linguaccia più brutta che lui avesse mai visto; poi era scoppiata a ridere, e aveva continuato a giocare con Rose.

Sherlock aveva abbassato la testa, scuotendola esasperato.

Ma nessuno avrebbe mai saputo che l’aveva abbassata perché stava sorridendo anche lui.




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Capitolo 8
*** The Boogey man ***



Capitolo 8


The boogey man


ATTENZIONE: In questo capitolo ci sono parole e contenuti un po’ forti. Magari poi non saranno nulla di che, ma volevo comunque avvertire. Grazie!



Era una mattina sonnacchiosa e sempre grigia a Baker Street. Fuori piovigginava, e il cielo era plumbeo, deprimente. Lily era sdraiata pigramente sul divano, cercando di capirci qualcosa con il nuovo smartphone che le avevano regalato John Mary e Sherlock per Natale; era abbastanza complicato, e oltre la frustrazione per non riuscire a usarlo, Lily era anche indispettita perché quello era il chiaro segno del suo fallimento; quel telefono probabilmente valeva più di uno stipendio medio, mentre lei non era riuscita a comprare nulla per i suoi nuovi amici. Poteva definirli così? Un regalo così costoso valeva quello che lei non aveva potuto fare. Gli altri l’avevano buttata lì con un “sarai rintracciabile, potrai farci sapere dove sei, o noi potremmo farti sapere dove siamo noi”. Non le era sembrata una spiegazione molto logica. Lily nella sua testa paranoica e paurosa sentiva solo: “poiché sei una tossica senza storia alle spalle, ti regaliamo questo aggeggio che vale una fortuna per tenerti sotto controllo. Anzi, quasi quasi ci pentiamo di averti tratta in salvo. Con quei soldi potevamo andarci in vacanza”.
Lily aveva scosso la testa, irritata. Erano pensieri negativi e veramente molto brutti nei confronti di John e Mary. Con una punta di cattiveria, Lily aveva pensato che a Sherlock invece non importasse molto di dove lei fosse o che cosa facesse. Dopo la litigata di Natale, di cui non era più stata fatta menzione, le cose erano tornate bene o male com’erano prima. All’ennesimo diniego del telefono di eseguire un'operazione, Lily aveva soffocato un sospiro frustrato e guardando il cellulare con rabbia aveva alzato un sopracciglio con fare sospettoso: “Dì un po’, me la stai rendendo più difficile del necessario??”

“Parlare con gli oggetti inanimati è uno dei primi segni della schizofrenia” aveva pronunciato una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare sul divano.

Era Sherlock, umido di pioggia, di ritorno dal St Barth’s per esaminare non si sa cosa, e Lily sicuramente non voleva i particolari della visita.

“Questo coso non vuole fare quello che dico io, altro che schizofrenia” aveva sbuffato Lily, ricadendo sui cuscini del divano “mi sta facendo impazzire”.

“Piano piano imparerai” era rimasta una nota sospesa nell’aria, come se Sherlock volesse aggiungere altro, ma alla fine si fosse trattenuto.

Lily si era alzata su un gomito e aveva sbirciato oltre il bracciolo del divano, con fare corrucciato: “anche se….?” aveva suggerito a Sherlock, spronandolo a continuare.

Lui si era immobilizzato, mentre appendeva il cappotto alla porta: “Niente, niente”, aveva aggiunto frettoloso.

“Sherlock” aveva intimato Lily.

Lui si era girato sbuffando: “anche se  non è poi così difficile da usare dopotutto, è piuttosto intuitivo” aveva alzato le spalle con un’espressione del tipo tu volevi saperlo, io l’ho detto.

Soffocando un grugnito Lily era rimasta in silenzio, ed era tornata nella sua posizione iniziale scimmiottando in silenzio Sherlock: anche se  non è così difficile da usare dopotutto, è piuttosto intuitivo.
 
La pioggia sembrava non volersi fermare e ormai Lily aveva rinunciato a far funzionare quel dannato affare. Aveva incrociato le mani dietro la nuca, guardando la pioggia che cadeva.  Non sapeva cosa stesse facendo Sherlock, lo sentiva muoversi in cucina. Alla fine si era alzata e mentre si dirigeva verso di lui, si era voltato e guardandola fissa aveva detto: “Non ci sono più biscotti”.

“Probabile, ne erano rimasti pochi dall’ultima volta che abbiamo preso il the” aveva sentenziato Lily, guardando la credenza vuota. Durante le festività, aveva evitato di fare troppa spesa, visto che era stata ospite di John e Mary un giorno sì e l’altro pure.

“Ma io voglio dei biscotti” aveva replicato Sherlock, fissando sempre lo scaffale vuoto.

“Questo l’avevo capito” aveva annuito Lily, con fare paziente ”ma ora non ce ne sono. Domani mattina uscirò a comprarli, così sarai un piccolo Sherlock felice” aveva sorriso come si fa con i bambini quando fanno i capricci.

La risposta di Sherlock era stata, appunto, infantile. Aveva sbuffato, arricciato il naso e storto la bocca. Poi si era girato verso Lily: “Li hai finiti tu, dovresti andare a comprarli”.

Lily lo aveva fissato per dieci secondi buoni, incredula. Poi aveva detto lentamente: “Scusa?”

Sherlock aveva sbuffato, alzato gli occhi al cielo e ripetuto molto lentamente: “Tu” aveva indicato Lily “li hai finiti” e aveva indicato la credenza “e quindi dovresti andare a comprarli” aveva mimato una camminata facendo avanti e indietro con le braccia. Dopodiché le aveva incrociate, alzando le spalle e le sopracciglia.

Lily viveva con Sherlock da più di un mese ormai, e mai come in quel momento aveva desiderato tirargli un pugno sul naso: “Io non ho finito i tuoi stramaledettissimi biscotti” aveva detto lentamente, contenendo la rabbia “li hai finiti tu, perché io neanche li tocco”.

Sherlock aveva aperto la bocca sconcertato: “Bugiarda!” aveva esclamato

“Beh, ne mangio sicuramente meno di te” aveva incrociato le braccia “quando sei appiccicato al microscopio, te ne fai fuori qualche decina e neanche te ne accorgi”.

Sherlock era rimasto in silenzio, e poi aveva esordito, calmo: “Voglio dei biscotti”.

Domani li avrai” aveva risposto Lily, con voce sibilante.

“Ma io li voglio ora” aveva controbattuto Sherlock.

“Allora rimettiti il tuo cappottino e vatteli a prendere” Lily già si era girata per tornare in salotto. Litigare con Sherlock era sfiancante, e lo era il doppio quando si fissava su queste cose stupide e insignificanti.

“Bene” aveva replicato asciutto Sherlock “ora ti farò capire quanto voglio i miei biscotti”.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo; oh no. Sarebbe cominciato “il lamento di Sherlock” che era una delle cose più irritanti ed esasperanti del mondo. Consisteva nel ripetere un concetto (solitamente una pretesa) con fare lagnoso e peggio di tutto, a voce molto alta. Ma non era di certo la cosa peggiore: cominciava a seguirti per tutta casa e se ti rinchiudevi a chiave in una camera si metteva dietro la porta e continuava, finché, per chi lo ascoltava, non diventava una lamento senza più senso, parole che non avevano più significato, per quanto erano state ripetute. Erano già cinque minuti che continuava e così Lily aveva fatto una cosa che faceva di solito in questi casi: aveva preso il telefono, composto il numero di John e al suo “pronto” aveva steso il braccio verso Sherlock il lagnoso. Dopo due o tre volte che ripeteva la stessa cosa, aveva avvicinato il telefono all’orecchio.

“Cosa vuole stavolta?” aveva detto John, con tono esasperato e divertito allo stesso tempo. Certo, adesso la croce era la sua, altroché se c’era da ridere.

“Vuole i biscotti, e ha accusato me di averli finiti, quando non è VERO!” aveva urlato contro Sherlock che non si era lasciato affatto intimidire e aveva urlato ancora più forte: “BISCOTTI!”

John aveva riso: “Siete impossibili voi due; Lily mi dispiace dirtelo, ma sai qual è l’unica soluzione”.

Lily aveva chiuso gli occhi e respirato piano, afferrandosi l’estremità del naso con indice e pollice: "Immagino andare a prendere i biscotti”.

“Esatto” aveva concluso John “buona fortuna!” e ridendo aveva riattaccato.

Aveva stretto il telefono in mano per qualche secondo, e si era calmata. Mentre Sherlock continuava, si era diretta verso l’attaccapanni e aveva preso il giubbotto. Mentre se lo infilava, Sherlock si era fermato: “Dove vai?”
Lily si era girata verso di lui, il fuoco negli occhi; a pochi centimetri dal suo delizioso naso cesellato aveva soffiato: “Vado a prenderti i biscotti, così la finiamo con questo tormento”.

Sherlock aveva sorriso a trentadue denti e detto: “Oh. Bene. A tra poco allora!” e si era seduto con grazia sul divano incrociando le gambe “aspetterò qui, così poi faremo il the”.

“Il che vuol dire farai” aveva pensato Lily, mentre sbatteva la porta e si metteva il cappuccio per ripararsi dalla pioggia.
Era scesa in strada, il piccolo supermarket era a un isolato di distanza. Cercava di camminare sotto i cornicioni per evitare il più possibile la pioggia. Arrivata al supermarket, era entrata e si era tirata giù il cappuccio, sospirando. Non c’era quasi nessuno, così Lily aveva puntato direttamente alla corsia dove si trovavano i biscotti, così avrebbe fatto più in fretta anche alla cassa. Mentre cercava tra gli scaffali, aveva sentito una presenza dietro di sé e poi un brivido lungo il collo. Era rimasta immobile, trattenendo il respiro.

“Guarda un po’ chi abbiamo qua, la piccola Lily…tutta ripulita”. La voce strascicata e leggermente roca l’aveva fatta rabbrividire di nuovo.

No, non poteva essere, non poteva essere affatto. Lily non riusciva a muoversi, aveva il sangue congelato nelle vene, le sue gambe rifiutavano di muoversi. Era rimasta girata, finché un impulso improvviso non l’aveva fatta scattare verso l’uscita; ma una presa di ferro le aveva agguantato un braccio e aveva sentito qualcosa di affilato premerle contro la schiena, forte e senza esitazione.

“Non urlare e non provare neanche a scappare. Se ci provi, i tuoi nuovi amici faranno tutti una brutta fine. La tua amichetta bionda, insieme al suo maritino medico e la piccola bambina; e anche lo spilungone con i riccioli neri. Andrò dove abitano e li ammazzo, Lily. Tutti. E lo sai che potrei farlo, vero? VERO?!”aveva sibilato nel suo orecchio mentre le girava un braccio dietro la schiena, facendole un male terribile. Ma non poteva urlare, così aveva stretto i denti fino a credere di spaccarseli.
“Come hai osato abbandonarmi? Come hai potuto?” la sua voce era piena di rabbia e rancore e puzzava di alcol e droga “tu sei mia, e non puoi scappare da me, perché io ti ritroverò ovunque. Ti ho seguita tutti questi giorni, sai? Tu e la tua amica a fare shopping, a pranzo fuori. E a me? Non ci pensavi, brutta puttana?” continuava a torcere il braccio di Lily e a sbatterla contro lo scaffale di alluminio, finche lei aveva bisbigliato: “Kaleb per favore, mi fai male. Lasciami”. Non passava nessuno, era tutto deserto, neanche una persona che girasse per quel maledetto supermarket. Neanche una.

“Così puoi scappare?!” aveva sentito la lama penetrare i vestiti e la pelle. Lily piangeva, sommessamente. L’incubo era tornato, il suo uomo nero era lì, l’aveva ritrovata e l’avrebbe ridotta come prima, se non peggio. Lei non voleva, non lo voleva assolutamente. Ma non poteva fare nulla. Kaleb era pazzo da rinchiudere e veramente avrebbe ammazzato John, Mary, Rose e anche Sherlock. Le si era chiuso lo stomaco dal terrore; non poteva permetterlo. Sarebbe andata con lui, ma poteva provare a lasciare un indizio, qualcosa che parlasse di lei, che gridasse in qualche modo aiuto. Con la scusa di sostenersi allo scaffale con l’altra mano, si era strappata di netto la collanina che teneva sempre al collo, da quando era piccola. Era l’unica cosa che si era sempre rifiutata di vendere per comprarsi una dose, o da bere.
Era un ciondolo che rappresentava un giglio, il significato del suo nome. Glielo aveva donato la sua nanny quando era piccola perché era simbolo di qualcosa di puro, come i bambini, come lei. Nei momenti più difficili Lily stringeva forte il suo piccolo giglio e pensava che almeno una volta nella vita era stata pura e non sporca come ora. Piangeva mentre si strappava la catenina dal collo, sperando che qualcuno l’avrebbe trovata, forse Sherlock o John o Mary semmai fossero venuti a cercarla. Che capissero che era in pericolo e voleva essere salvata. Stavolta sì, voleva essere salvata da tutto quello che stava ricominciando. Mentre Kaleb la strattonava verso l’uscita sul retro, Lily guardava la sua catenina scivolarle dalle mani e in quel momento aveva pregato, aveva pregato più forte di qualsiasi altra volta si era ritrovata a farlo. Più forte di quando pensava stesse per soccombere dal dolore o dalla disperazione. Aveva pensato, chiaramente, nella sua testa:

“Non voglio morire”.

Kaleb l’aveva trascinata fuori, su una stradina che dava su un vicolo dov’era parcheggiata una macchina; era più un’idea di macchina visto le condizioni in cui era. L’aveva fatta salire a forza sul sedile del passeggero, e sempre puntandole il coltello contro, era partito. Lily aveva già notato la mancanza della maniglia di apertura dello sportello, in modo che non potesse scappare. Sentiva il sangue caldo colarle lungo la schiena, dove Kaleb l’aveva ferita.

“Ti ho visto mentre ti soccorrevano, sai” aveva cominciato “e ti portavano via incosciente; ti ho seguito per due mesi, Lily. Ogni tuo spostamento, ogni tua abitudine, solo per questo momento. Solo per trovarti da sola, e finalmente riportarti da dove vieni: le fogne”.
Lily taceva, mentre lacrime calde le solcavano il volto. Forse stavolta sarebbe veramente morta, perché Kaleb era veramente fuori di sé e l’avrebbe picchiata fino a ucciderla. Aveva osato scappare, abbandonarlo per cercare di risalire dal buco nero dove lui l’aveva trascinata.

“Come hai potuto fare questo? Ti ho portato via da quel buco di culo di paese dove vivevi come una reclusa, e questo è il ringraziamento?” le aveva premuto il coltello sulla gola “volevi fare la bella vita? Riscattarti? Tu non sei niente, sei solo una tossica beona. Non farmi ricordare quello che hai potuto fare per una dose. Ma te l’ho fatto fare solo perché poi ne avrei approfittato anche io” aveva riso, divertito “ora non scapperai più”. L’aveva guardata, con una faccia da pazzo, con un ghigno da malato drogato. Era peggiorato, e stavolta non si sarebbe fatto scrupoli, su nulla. La vita di Lily valeva quanto un pezzo di carta.

“Mi troveranno Kaleb e tutto questo finirà e sarai tu quello a finire nella fogna” aveva sussurrato Lily all’inizio, poi presa da una rabbia accecante aveva urlato in preda alla paura e all’odio “VAI ALL’INFERNO, BRUTTO BASTARDO PSICOPATICO!”
A quel punto aveva ricordato solo lo sguardo di Kaleb e la sua mano che volava verso il suo zigomo. Poi più niente.

//

Sherlock continuava a guardare dalla finestra. Ormai era più di mezz’ora che Lily era via e il market era a solo un isolato da Baker Street. Osservava la strada, con la fronte corrugata. Che fosse andata da qualche altra parte, magari più lontano? Aveva lasciato il telefono sul tavolino, quella tonta; così non poteva neanche chiamarla. Non aveva un buon presentimento, forse lasciarla uscire da sola era stato un azzardo. Avrebbe aspettato un altro quarto d’ora, poi avrebbe chiamato John.
Era ancora un bersaglio troppo vulnerabile; non sapevano se chi l’aveva ridotta nello stato in cui l’avevano trovata John e Mary fosse ancora in giro, a cercarla. Il quarto d’ora in tutte quelle congetture nel frattempo era passato, e così Sherlock aveva chiamato John.
Dopo il secondo squillo, aveva risposto: “Sherlock? “

“John, Lily non è tornata a casa. E’ passata quasi un’ora e doveva andare a un isolato da qui. Ci sta mettendo decisamente troppo”.

Silenzio.

“Cristo” aveva sibilato John “sai dove sarebbe andata di preciso? Andiamo a cercarla lì, da qualche parte dovrà pur essere andata”.

“John” aveva azzardato Sherlock, con tono  monocorde “e se fosse scappata?”

“Non dire cazzate, Sherlock. Lily stava bene, anzi sta bene. Non voleva scappare, voleva disperatamente rimanere. E questo lo sai”.

Sherlock continuava a guardare fuori dalla finestra, in silenzio. Non sapeva cosa pensare. Le dipendenze sono creature oscure; basta un pensiero, un momento di debolezza e poteva ricominciare tutto da capo.
Sapeva che John l’aveva letto nel pensiero, e infatti la sua voce aveva subito urlato dall’altra parte del telefono: “Non pensarci neanche, pezzo d’idiota!” Sherlock aveva guardato il telefono, allontanandolo dall’orecchio “quella ragazza è fin troppo intelligente per ricascarci. Sarò lì tra venti minuti, fatti trovare pronto”.

“Lo sono già” aveva risposto piano, e aveva riattaccato.

Diciassette minuti dopo, John era a Baker Street e insieme a Sherlock si erano avviati al market. Erano entrati, guardandosi intorno. Cercavano di non dare troppo nell’occhio per evitare di agitare le altre persone presenti nel negozio. Sherlock si era incamminato subito verso la corsia dei biscotti, perché sicuramente Lily si era diretta lì, subito dopo essere entrata.
Nel frattempo, esaminava ogni persona che gli capitava sott’occhio: “padre di famiglia” “studente all’università” “madre esaurita di tre figli” ma nessuno che potesse essere ricondotto a Lily. John l’aveva raggiunto poco dopo: “Niente, Sherlock. Qui non c’è”. Stringeva i pugni, frustrato e visibilmente preoccupato “Mary ha minacciato di uccidermi se non la riporto a casa il prima possibile” aveva aggiunto, cercando di alleggerire l’atmosfera. Ma era riuscito ad appesantirla ancora di più.
Si guardavano intorno, in quella maledetta corsia, circondati da biscotti, senza sapersi orientare. Sherlock annusava l’aria come un segugio, e all’improvviso aveva detto a John:
“E’ stata qui, sicuramente, sento il suo profumo”.

John l’aveva guardato, interdetto: “Il suo profumo? Sai che profumo porta?”

Sherlock aveva esitato, poi aveva risposto secco: ”Sì, porta un’acqua profumata al gelsomino. Ammorba tutta casa con quell’intruglio”. John l’aveva guardato, alzando le sopracciglia tra il sorpreso e il dubbioso, mentre Sherlock si era spostato verso la fine della corsia, dove sapeva erano stipati i biscotti che Sherlock voleva. Si era chinato per terra, all’improvviso: “John” aveva richiamato la sua attenzione.

“Cosa” aveva risposto lui, avvicinandosi di corsa verso Sherlock “cosa c’è, cosa hai trovato?”.

Senza guardarlo in faccia, aveva passato da dietro la sua spalla la catenina di Lily a John, e poi aveva abbandonato la mano guantata sul ginocchio: “Eccolo, l’indizio. Ce l’ha lasciato lei”.

John aveva esaminato la catenina con il ciondolo attaccato: “E’ un giglio” aveva sussurrato, con il respiro mozzato.

“Già” aveva replicato Sherlock, asciutto, rialzandosi e aggiustandosi il cappotto “questa catenina è Lily, e l’ha lasciata qui per noi”.

John aveva tirato un pugno al muro, furioso: “E’ in pericolo, maledizione. Dobbiamo trovarla, prima che finisca nei guai seriamente”.

“Se l’è strappata dal collo” aveva sussurrato Sherlock “questo vuol dire che è stata costretta a seguire qualcuno, e l’ha buttata per terra senza farsi notare”. Aveva cominciato a camminare per il supermarket, fino ad arrivare alla porta sul retro.

“Bingo” aveva mormorato, un accenno di sorriso all’angolo destro della bocca. John era dietro di lui, come in trance; cercava di rimanere lucido, ma era inquieto e questo lo disturbava. Sherlock si era girato fulmineo verso di lui: “John, la tua tensione mi distrae. Ti prego, rimani concentrato” l’aveva guardato fisso negli occhi.

“Sono preoccupato” aveva risposto con aria nervosa.

“Lo so, ma così rallentiamo solo il processo. Per favore, mi servi al massimo della lucidità”.

John aveva tirato indietro le spalle e schiarito la gola: “Va bene, ma tu trovala, Sherlock”.

L’aveva guardato, bloccato. Aveva annuito impercettibilmente, senza dire una parola. Poi si erano incamminati insieme nel vicolo dietro il supermercato.

//

La testa le faceva male da morire, e lo zigomo era gonfio e dolorante; c’era puzza di fogna, e di immondizia. Lily aveva aperto leggermente gli occhi, mentre fitte di dolore le perforavano la testa. Aveva provato a muoversi, ma era troppo debole per muovere un solo muscolo. Era sdraiata su un fianco, su qualcosa di morbido; aveva guardato in basso: era un materasso sudicio, buttato per terra in quella che sembrava una stanza. Era fatiscente, i muri scrostati e macchiati di umidità, pieni di graffiti. Per terra c’erano cartacce, confezioni di cibo d’asporto, bende sporche di sangue e dall’altro capo della stanza, appoggiata a un angolo una busta trasparente piena di siringhe e pipette per fumare crack, ormai inutilizzabili. Lily aveva stretto gli occhi, l’odore le dava la nausea e tratteneva i conati di vomito che le sconquassavano lo stomaco.

“Devo alzarmi” aveva pensato “e cercare di camminare, e andare via da qui”. Aveva richiamato a sé tutte le sue forze, e spingendo su una spalla era riuscita a tirarsi su facendo leva su una mano e appoggiandosi al muro. Quella non era una stanza, era un casermone enorme, un magazzino abbandonato probabilmente. Lei si trovava in una specie di ufficio, ma alla sua sinistra vedeva che l’edificio continuava per metri e metri. Si sentiva il traffico, attutito dalle mura; Lily sapeva dove l’aveva portata Kaleb: era di nuovo a Peckham, vicino la stazione. A quasi 10 chilometri da Baker Street. Lily aveva strozzato un moto di pianto, pensando a Sherlock e a John, a Mary e Rose. “Non aveva potuto comprare i biscotti a Sherlock” era stato il suo primo pensiero.

“Come faranno a trovarmi? Sono così lontana…” pensava, cercando di capire dove potessero essere vie d’uscita. Ma la vista era sfocata, e la testa le faceva un male da impazzire. Aveva messo un ginocchio a terra, e subito dopo aveva sentito un rumore, un click dietro le sue spalle: “Io non lo farei se fossi in te”. Era Kaleb. Lily si era girata lentamente e lui era lì appoggiato al muro, con una pistola in mano e gliela puntava contro, pigramente “adesso ci trasferiremo nella sala grande, se non ti dispiace, così almeno potrai ammirare lo stupendo panorama”.

Si era avvicinato a lei e l’aveva alzata per un braccio, facendola urlare. Sicuramente aveva una spalla slogata, ma le sue gambe non potevano reggerla, così Kaleb l’aveva trascinata, mentre Lily cercava di divincolarsi con le ultime forze rimaste. Era furiosa con sé stessa. Dov’era la sua energia, dov’era la sua voglia di riscatto, di vivere?

“Se ti chiedi perché non riesci a muoverti” aveva detto Kaleb, scaraventandola contro il muro del casermone “ è perche ti ho iniettato un bel po’ di Lorazepam, per calmare i tuoi bollenti spiriti” si era avvicinato a lei, mettendosi in ginocchio, stringendole il viso in una mano, facendola sussultare dal dolore “sei parecchio focosa, Lily. Che c’è, forse lo spilungone con i ricci neri ti ha fatto un bel regalino?” aveva riso, i denti scoperti in un ghigno diabolico “ti ha scopata, forse? O è stato il piccolo medico a darti una dose della sua medicina?” si era alzato, ridendo di nuovo, di gusto.

Lily si era sentita invadere dalla vergogna per quelle affermazioni offensive di Kaleb. Nessuno l’avrebbe mai toccata; un rottame come lei, come poteva essere desiderata da un uomo, ormai? Loro erano persone gentili, piene di amore da dare; perfino Sherlock, che era così scostante, l’aveva accolta e fatta sentire a casa.

“Sono le uniche persone che mi hanno fatto sentire un essere umano dopo tanto tempo” aveva biascicato Lily, sotto l’effetto del tranquillante “sono persone vive, altruiste e buone. Sono state oneste con me. Sono state….” Non riusciva più a parlare.

Kaleb si era girato verso di lei e l’aveva presa per il collo sbattendole la testa contro il muro, facendola urlare di dolore.

“Mi fa piacere che la piccola Lily abbia avuto il coraggio di riscattarsi” le aveva stretto ancora di più il collo “ma guardati intorno,ora. Guarda dove sei tornata, piccola stronza ingrata. Appartieni a questo posto, appartieni a me. E non ti farò più andare via; mai mai MAI più” L’aveva guardata, con la testa inclinata da un lato “sei sempre stata graziosa, piccolo giglio”. L’aveva lasciata andare facendola tossire convulsamente “è ora che io mi riprenda il mio bel fiorellino” aveva sibilato, slacciandosi i pantaloni.

//

Nel frattempo John e Sherlock erano tornati a Baker Street, cercando di articolare un piano, qualcosa che potesse portarli sulle tracce di Lily.
John era seduto sulla poltrona davanti al camino, il mento appoggiato su una mano. Sherlock camminava avanti e indietro, concentrato e mormorando tra sé e sé.

“Sicuramente sono andati via in macchina” aveva detto a John “quindi potrebbero essere ovunque, anche fuori Londra” si era seduto davanti a John, incrociando le mani sotto il mento “ma non penso, quella mezza calzetta con cui si accompagnava prima, non è così furbo. Pensa di esserlo, ma è ben lontano dall’essere minimamente intelligente”.

John osservava Sherlock, il suo nervosismo. Era sempre stato calmo nelle sue indagini e nelle sue congetture. Aveva sospirato e si era avvicinato a lui, mettendo i gomiti sopra le ginocchia: “Sherlock, cosa c’è?” aveva semplicemente chiesto, senza aggiungere altro.

Sherlock si era girato verso di lui, poi di nuovo verso il caminetto spento: “E’ colpa mia” aveva detto con voce roca e bassa, come se non volesse farsi sentire.

John aveva scosso la testa, non riuscendo a capire: “Colpa tua di cosa?” aveva aggiunto, aggrottando le sopracciglia.

“L’ho mandata là fuori, da sola. E non dovevo, perché era in pericolo e questo io lo sapevo; ma l’ho fatta uscire da sola, di sera. Sono stato uno stupido” aveva stretto le labbra, portandosi un pugno sotto il mento “dovevo andare con lei, dovevo accompagnarla; sono stato un idiota”

John aveva continuato a fissarlo, per non si sa quanto tempo. Nella sua testa vorticavano mille pensieri, e non sapeva quale riferire per primo a Sherlock.

Si era schiarito la voce e con maggior tatto possibile aveva cominciato: “Sherlock, non è colpa tua. Cosa potevi saperne tu, scusami. Non ti ho mai visto così preoccupato”.

Per te lo sono stato” aveva replicato offeso Sherlock “ma cosa diavolo vai dicendo?” aveva continuato a guardare il camino, in silenzio “nessun caso era stato preso da me con tanta leggerezza, con tanta stupidità” aveva abbassato il tono della voce.

John aveva sentito un moto di rabbia agitarsi nello stomaco, ma non sembrava il momento di fare scenate. Si era schiarito la voce e aveva sibilato: “Sherlock, maledizione, questo non è un caso. Nessuno è venuto qui a chiedere il tuo aiuto in cambio di denaro. Questo. non. è. un. caso.".

Aveva scandito le parole, puntandogli un dito contro; la sua voce tremava, ma conteneva la rabbia verso Sherlock, verso il suo essere così stupido e ottuso, nonostante la sua immensa intelligenza, che però si esprimeva solo in maniera analitica “ti costerebbe tanto ammettere che sei preoccupato per lei e basta? Che potrebbero farle del male, perché fa parte della tua vita ormai, come lo sono stato io fin da subito? Ti costerebbe tanto ammettere per una sola volta che sei obiettivamente preoccupato per un’altra persona, all’infuori di me?” John aveva pensato che forse si era dato troppa importanza in quel discorso, ma le cose stavano così: Sherlock si era preoccupato sinceramente di una persona sola quando era in pericolo, cioè lui. E ora non voleva ammettere di avere le stesse preoccupazioni per Lily “ammettere di affezionarsi a una persona non è segno di debolezza, Sherlock. Quante volte dovrò ripetertelo?”

“Te l’ho già detto mille volte anche io, John. Io devo rimanere solo, perché è tutto ciò che ho ed è tutto ciò che mi protegge”.

“E io continuerò a ripeterti, Sherlock, che invece non è vero. Gli amici ti proteggono, ti aiutano e ti sostengono. Io lo faccio, l’ho fatto e lo farò sempre. Lo sai, maledizione, e vuoi sempre convincerti del contrario. Sto cominciando a stufarmi. Ammetti che sei preoccupato per Lily, che in fondo averla qui ti ha fatto sentire meno solo, che in fondo è una ragazza in gamba e che la casa era più viva con un’altra presenza dentro. In barba alle tue citazioni da poeta maledetto: la solitudine è tutto ciò che ho, mi protegge. Basta, Sherlock, basta veramente”.

Sherlock aveva guardato tutto il tempo John, con le sopracciglia corrugate e un’espressione perplessa sul volto: “E’ da quando sono nato che sono così, perché dovrei cambiare”.

“Perché la gente lo fa, Sherlock; si migliora, si ricrede. E ti assicuro, che non c’è assolutamente niente di cui vergognarsi”.

Sherlock aveva taciuto, ripensando alle parole di John. La presenza di Lily dentro casa era stata sicuramente una novità, dopo il matrimonio di John e quindi il suo abbandono di Baker Street. Ammetteva che avere pasti caldi ogni tanto era piacevole, e anche avere la casa in ordine. Che la sera chiacchierare con qualcuno era piacevole, e anche litigare con qualcuno lo era. Era piacevole che Lily gli desse il buongiorno la mattina, a volte allegra a volte con il broncio perché lui suonava il violino e l’aveva svegliata.
Ma erano cose che aveva fatto anche con John e poi lui se n’era andato. Perché affezionarsi alla gente, se poi se ne va? Voleva bene a John, sicuramente, ma ora lui aveva Mary e anche Rose, e lui era stato messo da parte. Ed era giusto così, doveva essere giusto così anche se Sherlock in fondo al suo animo ne soffriva.

All’improvviso, si era risvegliato da quei pensieri richiudendoli nel cassetto della sua mente dove non potevano disturbarlo.

“Quindi” aveva guardato John “come dovremmo agire?”

John aveva cambiato espressione, da concentrata a rassegnata e anche dispiaciuta.

“Non lo so, Sherlock. Sei tu l’esperto”.

Sherlock si era alzato in piedi e aveva ricominciato a girare per la stanza.

“Cosa sappiamo di Lily, con certezza?”

“Che è stata maltrattata da questo soggetto non meglio identificato. Mary mi ha detto che l’ha sentita dire che Kaleb sarebbe tornato a cercarla, la prima notte che l’abbiamo trovata. E che sicuramente, vivevano per strada”.

“Eccellente” aveva mormorato Sherlock “quindi si presume che fossero dei senzatetto, delle persone che vivevano di furti o di rapine”.

“O anche di qualcos’altro” John voleva testare la reazione di Sherlock “ Lily ha fatto delle visite al St Barth’s, e il responso è stato stupro. E’ stata violentata”. John sapeva che questi erano argomenti delicati e probabilmente Lily non avrebbe voluto che si sapesse tutto ciò. Ma Sherlock doveva sapere, per capire meglio ed indagare meglio. Magari anche dentro se stesso. Era rimasto in silenzio, guardando Sherlock, di spalle. Si era immobilizzato, nel bel mezzo della sua camminata nervosa; aveva notato che stringeva e allargava le mani, come per sgranchirle. Dopodiché si era girato, perforandolo con i suoi occhi metallici.

“Violentata, hai detto” aveva incrociato le braccia, le mani strette in due pugni.

“Sì, lesioni che fanno sospettare il non essere consensuale. Anzi non che facessero sospettare, erano sicuramente non consensuali” aveva incrociato le braccia anche lui, stringendo gli occhi.

Sherlock aveva guardato per aria, per pochi secondi, poi era tornato serio e calcolatore.

“Non si può escludere la prostituzione, quindi”. Aveva indugiato su “prostituzione”.

“Se non era quella, quel bastardo di Kaleb potrebbe averla violentata solo perché magari non aveva alzato abbastanza soldi con le rapine o i furti o la carità. Chi può saperlo”. John aveva sentito un sapore acido in bocca, di disgusto e rabbia. Quel figlio di puttana. Quando l’avrebbe trovato, lui…

“Bene” aveva concluso Sherlock “so cosa dobbiamo fare” aveva annuito.

//

Lily giaceva per terra. Fissava il soffitto, ammutolita. Quello che era appena successo era stato aberrante, sporco e violento. Una vera violazione del suo corpo, del suo essere donna. Non riusciva neanche a piangere dalla vergogna e dal dolore. Era successo altre volte certo, talmente tante. Ma ora che si sentiva pulita anche dentro, dopo settimane di medicazioni dolorose e pianti angosciosi, dopo che era tornata intatta, lui l’aveva sporcata di nuovo, ferita, squarciata nel corpo e nell’anima. Giaceva per terra, le gambe intorpidite, i jeans abbassati fino alle ginocchia, le braccia lungo i fianchi. Avrebbe voluto tirarsi su quei maledetti pantaloni, ma le sue braccia non si muovevano. Era come un fantoccio, un burattino abbandonato per terra. Gli impulsi del suo cervello non raggiungevano il resto del corpo.

Forse sto morendo aveva pensato, nella nebbia delle sue riflessioni è così che si muore? Ci si addormenta immobili, come nel sonno?”

Aveva sete, e il Lorazepam ancora circolava nelle sue vene. Forse era anche per quello che non riusciva a muoversi. Kaleb, era uscito, lasciandola lì. Come una bambola di pezza, o meglio ancora una bambola gonfiabile. Aveva riso, amara, facendo tremare tutto il suo corpo. Le bambole gonfiabili, con quella loro espressione perennemente sorpresa. Continuava a ridere, mentre le lacrime le scendevano copiose lungo le guance, finendole nelle orecchie. Le sentiva cadere anche per terra.
Almeno i pantaloni, Lily. Se devi morire, fallo con dignità, come minimo. Quel poco che ne era rimasta. Chissà quanto tempo era passato. Con uno sforzo immane, era riuscita a muovere le braccia e a tirarsi i jeans lungo i fianchi, lasciandoli aperti. Poi era tornata a fissare il soffitto e attraverso uno squarcio della copertura di telo vedeva che stava albeggiando. Era quasi giorno, e chissà loro cosa facevano. Chissà se la stavano pensando, almeno un po’.

//

Sherlock aveva appena finito di parlare con il terzo barbone della sua “rete”. Si sarebbe servito di loro, per fare passaparola e fargli sapere qualunque cosa riguardasse Lily e quel farabutto che l’aveva rapita. Ne aveva per tutta Londra, ognuno con un telefono o con abbastanza spicci da chiamare da un telefono pubblico. Aveva fatto vedere foto, fatto descrizioni, dato soldi, offerto pasti e caffè. Era una rete che andava avanti da anni ormai e più di una volta erano riusciti a risolvere casi anche grazie al suo “esercito”. Erano passati due giorni e ancora non si sapeva nulla, qualche falsa segnalazione, ragazze che potevano assomigliare a lei. Ma Sherlock sapeva che Lily non era vicina, sapeva che l’aveva portata lontana, dove poteva essere difficilmente rintracciabile.
Ma lui era Sherlock Holmes, maledizione. E l’avrebbe trovata, potesse cadere il Big Ben.
John e Mary erano un fascio di nervi. Mary aveva affrontato a brutto muso Sherlock, intimandogli di riportarla a casa il prima possibile Era così arrabbiata, e l’aveva incolpato della sua scomparsa. Sherlock sapeva che era la preoccupazione e l’angoscia a parlare e aveva fatto correre. Era rimasto in silenzio, mentre Mary scoppiava a piangere tra le braccia di John, con profondi singhiozzi, mormorando il nome di Lily. Era come una figlia, era come una Rose cresciuta. L’empatia, che strana cosa, aveva pensato Sherlock. Cosa porta a fare agli esseri umani. L’affetto, l’amore. Portava a uccidere, a uccidersi, a struggersi e ammalarsi.
Cose notevoli, ma che Sherlock non avrebbe mai fatto, ne era sicuro. Struggersi? Infantile. Uccidersi? Veramente da idioti.

Non avevano informato Lestrade, sennò avrebbe alzato un polverone enorme, e se fosse arrivato alle orecchie di Kaleb chissà cosa sarebbe potuto succedere. Avrebbe fatto da solo, con l’aiuto di John naturalmente. Ma lui doveva trovare Lily, perché nonostante tutti i bei discorsi, si sentiva terribilmente responsabile. E odiava sentirsi così, lui che non aveva mai torto, lui che sapeva sempre tutto. Lily l’imprevedibile. Con forse più buio dentro di quello di Sherlock. Forse. Una persona difficilmente decifrabile nei suoi pensieri. Che ci voleva a leggere l’esterno di una persona, e di rimando i pensieri. Ma lei era così difficile, sembrava mutare forma ogni volta che si arrivava a un millimetro dalla soluzione.

Era a casa da solo. E suonava il violino, pensando a tutto questo. Sperava che Lily fosse ancora viva, doveva esserlo. Perché lui doveva ritrovarla, a tutti i costi. E poi le avrebbe comprato pacchi e pacchi di biscotti, giusto per sdrammatizzare.










NOTE:  Siamo quasi entrati nel vivo della storia (finalmente). Continuo a vedere le vostre visualizzazioni e ne sono veramente molto felice, ma vi invito nuovamente a lasciare qualche recensione e commento, per farmi sapere cosa ne pensate di quello che sto scrivendo, oltre a poter interagire con voi e scambiarci opinioni, buone o cattive che siano. Rinnovo comunque il ringraziamento per il vostro interessamento, e spero di poter ripubblicare presto!

Grazie a tutti.

Shezza_demon

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Capitolo 9
*** Say it if it's worth savin'me ***




Capitolo 9


Say it if it’s worth savin’ me


Era una bella giornata di sole, e il profumo dei fiori si sentiva vigoroso; il loro giardino era molto grande e Lily amava passeggiare da sola per tutto quel verde, raccogliendo alcuni fiori per regalarli alla sua mamma quando sarebbe rientrata. Il sole le scaldava la nuca mentre si chinava a raccogliere dei piccoli nontiscordardime, da aggiungere alle margherite. Era proprio un bel mazzolino, e sperava che la mamma avrebbe apprezzato e sarebbe stata gentile con lei. Non capiva perché non voleva mai vederla, o parlare con lei. Quando pranzavano e cenavano stava sempre in silenzio e non la guardava mai in faccia, non le chiedeva come era andata la lezione del giorno o gli studi di violoncello. Mangiava con gli occhi chini sul piatto, senza proferire parola. Il papà se n’era andato tempo fa, lasciandole da sole. E da qual giorno la mamma era diventata così. La nanny glielo aveva raccontato perché lei era veramente troppo piccola per ricordare: aveva solo tre anni. Ma ora ne aveva sei ed era abbastanza grande per capire. Quello che non comprendeva era il perché la mamma ce l’aveva così tanto con lei. Una volta, una volta sola lo aveva chiesto alla nanny e lei l’aveva guardata, e subito dopo gli occhi le si erano riempiti di lacrime, sussurrando: “Oh Lily”.
Lei non voleva farla piangere, era sempre così gentile con lei. Così dopo quella volta non aveva chiesto più niente. Ma continuava a raccogliere fiori, che rimanevano sul letto della mamma per giorni interi, ad appassire per poi venire buttati. Ma questo lei non lo sapeva, fino al giorno in cui l’aveva vista scaraventarli contro il muro con rabbia, attraverso la porta semichiusa. Da allora, non aveva fatto più nulla. Si era rinchiusa in sé stessa, senza risposte. Solo con un dolore tanto brutto dentro. Essere odiate dalla propria mamma non era di certo una cosa bella.

Lily aveva aperto gli occhi di scatto, con le lacrime che le scorrevano lungo le guance. Ancora sogni, ancora uguali. Il soffitto era sempre lo stesso, e lei aveva perso la cognizione del tempo. Non sapeva che giorno era, che ora era. Sapeva solo che a intervalli regolari Kaleb le somministrava il Lorazepam, riducendola a uno stato di semincoscienza perenne. Riusciva a malapena a muoversi e per fare i bisogni veniva trascinata verso un angolo con un secchio, dove lei doveva espletare il tutto. Si sentiva sporca, sudicia. Kaleb abusava di lei quando ne aveva voglia; lei non aveva la forza di reagire, e quando giaceva immobile sotto di lui, lo faceva andare su tutte le furie.

“Non ti piace più, eh stronza? Non ti è mai piaciuto; forse i primi tempi, quando ancora non eri una tossica di merda. Quando ancora facevi la piccola innamorata”.

Lily piangeva. Aveva veramente amato Kaleb, fino a quando non l’aveva costretta a rubare, minacciare persone, fare rapine solo perché lui si era immischiato in guai grossi, che non potevano risolvere.
“Ci troverebbero comunque” rispondeva a Lily quando gli proponeva di andarsene da Londra, di scappare. Poi si arrabbiava e la picchiava; ed era stato sempre così, fino alla notte in cui Lily aveva perso cinque grammi di eroina scappando dalla polizia e lì Kaleb aveva perso le staffe, nel modo peggiore. L’aveva scaraventata per terra e ricoperta di calci e improperi, fino a farla urlare dal dolore.
Le erano arrivati calci in testa, in faccia, sul ventre, ovunque. E non si fermava, in preda alla furia cieca. Lei era convinta che il suo intento fosse ucciderla, ci avrebbe giurato. Lily non l’aveva fatto apposta, doveva scappare e aveva perso la droga. Veramente, non l’aveva fatto di proposito; continuava a ripeterlo a Kaleb ma lui era sordo a ogni scusa. Aveva continuato finché aveva sentito Mary urlare e John correre verso di lei, mentre lui si dileguava nel buio. John, che l’aveva alzata piano dal marciapiede, che le aveva preso il viso tra le mani, guardandola con quegli occhi blu.

John ha gli occhi blu” aveva pensato Lily “non ho mai conosciuto una persona con gli occhi blu. Esistevano persone con gli occhi blu? Ne esistevano con gli occhi color grigio, come Sherlock. Verdi, grigi, azzurri  a seconda della luce e del tempo”.
Lily aveva cominciato a piangere: perché non erano venuti a cercarla? John. Sherlock. Gli uomini che aveva preso come modello, come difesa, come cavalieri dall’armatura scintillante.
Non ne poteva più di lacrime, ma le era rimasto da fare solo quello. Ultimamente Kaleb aveva ridotto la dose di tranquillante perché ne era rimasto a corto, e lei riusciva, finalmente ma a malapena, ad alzarsi in piedi. A volte quando era abbastanza in forze, si appoggiava al muro e guardava dalla finestra ricoperta di lamiera, dove c’era un piccolo spazio per guardare fuori. E vedeva la gente, le macchine, i bambini. Vedeva tutto e lei voleva stare là fuori. Ma quanto era passato? Giorni? Settimane? Mesi? Si era accasciata a terra, il viso tra le mani e aveva urlato così forte, da farsi fischiare orecchie. Così forte da farsi venire il mal di testa.
Sherlock.
John.
Mary.
Rose.
Mrs Hudson.
Li aveva singhiozzati, uno per volta, come se facendo così potessero apparire davanti a lei. Non aveva mai pregato in vita sua, tranne quando era piccola, ma adesso lo faceva tutti i giorni, ogni momento. Pregava di uscire da lì, pregava di rivedere tutti loro, pregava di non morire in mezzo al pattume e alla merda, come le bestie abbandonate. Poi si rannicchiava sul suo materasso sudicio e sprofondava nell’incoscienza.

//

A Baker Street, nel frattempo, le ricerche continuavano senza sosta. Era passata una settimana, e tutti erano sempre più preoccupati. Si diceva che se una persona scomparsa non veniva ritrovata entro 48 ore, era molto improbabile che fosse ancora viva. Ma tutti si rifiutavano di crederlo. Lily era viva, doveva esserlo.
Quella mattina, Sherlock era fermo davanti la soglia della camera di Lily guardandola, curioso. Nell’aria si aggirava ancora un leggero profumo di gelsomino, l’anta dell’armadio era aperta. Che viziaccio cha aveva. Dei libri poggiati sul comodino, la sua catenina appesa alla lampada da lettura. Mary l’aveva fatta aggiustare, così Lily l’avrebbe potuta rimettere subito, quando sarebbe tornata a casa. Il suo cervello formulava pensieri e congetture. Dove poteva averla portata? Nessuno della sua rete aveva notizie consistenti. Lui e John avevano speso più di taxi in quella settimana che in un anno intero. Guardando meglio, Sherlock aveva strizzato gli occhi verso la testiera del letto. Qualcosa era scivolato dietro, ne vedeva solo la punta. Si era incamminato in silenzio verso il letto di Lily e aveva afferrato quell’angolo di carta. Quando lo aveva tirato via, lo aveva osservato e aveva inarcato la bocca in un leggero sorriso; era una foto della sera di Natale. Erano tutti loro.
C’era Mary, che abbracciava Lily. Accanto, John con un bicchiere in mano e il suo solito sorriso sghembo, ma sereno. Vicino a John, Sherlock, perso nei suoi pensieri come sempre. Guardava nell’obbiettivo, in maniera distratta, come se avesse fatto appena in tempo a puntare gli occhi sulla macchina fotografica. La bocca leggermente aperta, quasi sorpresa, senza sorriso. Il solito Sherlock, aveva riso Mary, e gli altri avevano riso con lei. Lui aveva alzato gli occhi cielo “non sapevo stessero per fare una fotografia” aveva risposto, ostinato. Tutti l’avevano guardato ed erano scoppiati in una risata. Ma era un riso affettuoso, un riso che diceva “tranquillo Sherlock, lo sappiamo che sei così ma ti vogliamo bene lo stesso”.
Anche Lily aveva sorriso allo stesso modo, anche lei sapeva che lui era così ma andava bene lo stesso.
Anche lei gli voleva bene, dopotutto.
Solo lui non riusciva a provare affetto verso le persone. Quello che provava per John era una grande stima, che sconfinava nel rispetto più assoluto. Poteva essere una forma di affetto? Forse. Ma John era un uomo. Sarebbe mai riuscito ad abbracciare una donna, solo per affetto? Aveva guardato in alto, pensando. Era sempre così rigido quando si trattava di abbracciare le persone. Diventava di pietra e lasciava le braccia penzolare lungo i fianchi, aspettando che l’agonia finisse. Per lui gli abbracci non erano necessari, le esternazioni di affetto neanche. Non servivano a nulla. Aveva rimesso la foto a posto ed era uscito dalla camera di Lily, richiudendola dietro di sé. Aveva sospirato, stringendo gli occhi. A volte questa sua refrattarietà ai sentimenti lo facevano sentire un alieno. Ma lui sapeva che era così perché i sentimenti annebbiano la mente, il raziocinio. Doveva mantenersi costantemente concentrato, la sua mente non riposava mai. E con i sentimenti sarebbe saltato tutto, gli ingranaggi del suo cervello avrebbero smesso di girare perfettamente in sincronia, e là sarebbe stato un vero disastro a differenza di quello di cui lo rimproverava John. Quindi, la sua scelta era quella giusta. Aveva annuito, soddisfatto.
Era andato in cucina a prepararsi un the, il silenzio lo circondava. Il telefono aveva squillato: era John.

“Posso venire lì da te? Mary e Rose sono fuori, e io sto impazzendo”.

“Certo che puoi, non c’è neanche da chiederlo”.

“Ok, sarò lì tra poco” aveva riattaccato.

//

“Tieni la cena” aveva detto Kaleb, porgendo a Lily un barattolo di zuppa istantanea. Era bollente e acquosa, senza sapore. Ma sempre meglio quello che niente. Aveva cominciato a soffiare piano e a bere la zuppa, stando attenta a non tagliarsi le labbra con i bordi della lattina.

La testa le martellava ancora dal dolore, e sentiva gli occhi gonfi e irritati.

Kaleb l’aveva osservata: “Dì un po’…hai pianto per caso?”.

Lily l’aveva guardato, non sapendo cosa rispondere. Avrebbe detto la verità, tanto al massimo l’avrebbe picchiata, sai che novità.

“Sì” aveva risposto, asciutta.

Kaleb aveva riso: “E perché mai dovresti piangere? Hai Lorazepam in corpo per stare bene almeno un giorno e mezzo”.

Lily aveva scosso la testa. Come poteva capire, uno come lui?

Si era avvicinato: “Ti mancano i tuoi amici?” era scattato all’improvviso e le aveva afferrato una ciocca di capelli “ti manca la tua famigliola stramba?” aveva sospirato, ironico “accidenti. Sembravano simpatici. È un vero peccato che non li rivedrai mai più” aveva scosso la testa, fingendo di essere addolorato.

Poi si era girato verso di lei, senza mollare la presa dai suoi capelli: “Scommetto che quello che ti manca di più è lo spilungone con i ricci neri. Proprio un bel ragazzone, devo dire”.
Lily aveva chiuso gli occhi, pensando a Sherlock; e in sospiro strozzato aveva risposto “Mi mancano tutti, tutti loro”.
A quel punto, Kaleb aveva mollato la presa dai suoi capelli: “Proprio per questo motivo non li rivedrai più. Forse avrei dovuto ucciderli sul serio, cancellarli dalla tua vita per sempre” si era acceso una sigaretta, pensoso.

“Puoi tenermi qua per sempre Kaleb, ma non far loro del male ti scongiuro”. La voce di Lily tremava, in preda al terrore "ti prego".

“Chissà” aveva riso Kaleb  “lo sai che sono un tipo istintivo”. Si era girato verso di lei, ridendo “è il destino che decide tutto, fiorellino”.

Lily lo aveva guardato con sospetto, senza dire una parola. Finché aveva lei in quel posto, non avrebbe fatto nulla. Almeno sperava. Lo diceva per metterle paura, ne era certa.

A un certo punto, una voce era risuonata nel capannone: “Kaleb! Dove diavolo sei?” era parecchio irritata, ma impostata.

Kaleb era sbiancato in viso, e aveva balbettato: “Sono qui!sono qui, arrivo subito”.

Lily aveva visto un uomo, nella penombra. Vedeva solo fino alla cintola, il resto immerso nell’oscurità. Parlava piano con Kaleb. Portava un completo elegante, che stonava con lo squallore del posto.

Era riuscita a percepire solo frammenti di conversazione: “molto bene” “era passato più di un mese” “fai in modo che non si ripeta mai più” “sennò sai quali saranno le conseguenze” il resto era un bisbiglio di parole che non era riuscita a comprendere. Quando la conversazione sembrava finita, l’uomo si era girato verso Lily, lo vedeva dalla rotazione del bacino, sempre con il volto nell’oscurità. Sapeva che la stava osservando, con molta attenzione. Poi, schiarendosi la voce, si era rivolto nuovamente a Kaleb: “Mi raccomando, basta errori”. Kaleb aveva annuito. Ci mancava poco gli facesse una riverenza.
Lily aveva guardato l’uomo andare via. Che voleva, chi era? Il fornitore di Kaleb? Di chi parlava, cosa voleva, perché l’aveva fissata?

“Chi era quello?” aveva chiesto Lily, appena se n’era andato.

“Non sono affari tuoi, stai zitta”. Lily aveva notato che Kaleb tremava impercettibilmente, visibilmente scosso.
Probabilmente era qualcuno del giro, qualcuno degli spacciatori più in alto di tutti. Mafia, forse? Molto plausibile. In che razza di giro era finito, maledizione? E in mezzo c’era anche lei. Voleva andare via, e scordarsi tutto, subire un lavaggio del cervello. Aveva finito la zuppa, ormai fredda, e aveva cercato di dormire, con i passi di Kaleb nervosi in sottofondo, che le ricordavano tanto quelli di Sherlock.

//

“Qualche notizia?” aveva chiesto John seduto in poltrona, soffiando sulla sua tazza di the.
Sherlock, l’aveva guardato, facendo intuire la risposta. John aveva sospirato, frustrato: “Non può essere sparita nel nulla, maledizione!” si era sistemato meglio sulla poltrona.

“Londra ha otto milioni e mezzo di abitanti” aveva risposto Sherlock, calmo “in questi casi bisogna prendere in considerazione tutte le opzioni possibili”.

John era rimasto in silenzio, pensoso. Poi si era girato verso Sherlock, guardandolo con un’espressione indecifrabile.

“Tu pensi sia morta, vero?” aveva sussurrato, con un tremore nella voce.

Sherlock aveva guardato nella sua tazza di the, poi l’aveva posata sul tavolino davanti a sé. Aveva intrecciato le mani, tenendosi un ginocchio, e guardando John fisso negli occhi aveva risposto, con tono tagliente: “Le possibilità sono molto elevate, d’altronde è una settimana che abbiamo false piste e nessun risultato”.

John non aveva staccato gli occhi da lui, incredulo. Aveva stretto la sua tazza tra le mani, temendo di romperla. Quello era il limite, il limite di tutto. Non poteva crederci, non voleva crederci. All’improvviso aveva scaraventato la tazza nel camino, con violenza, facendo sobbalzare Sherlock. Si era alzato e si era diretto verso di lui, afferrandolo per il collo della camicia, facendolo alzare dalla poltrona. Aveva una forza fuori dal comune, dettata dalla rabbia e dal risentimento. La faccia di Sherlock era sorpresa, e non proferiva parola: aspettava fosse John a parlare per primo.

La stretta sulla sua camicia si faceva sempre più forte, e i suoi occhi diventavano colore del petrolio.

“Come puoi” aveva cominciato con voce strozzata dalla rabbia “come puoi pensare una cosa del genere? Cosa ti è preso? Cos’hai MALEDIZIONE? Dov’è il tuo impegno? Dove sei?!?”

Sherlock pensava di vedere male, ma dopo pochi secondi si era accorto che gli occhi di John erano lucidi e poco dopo una lacrima faceva capolino all’angolo sinistro del suo occhio. A quel punto l’aveva lasciato andare, riprendendo il controllo di sé stesso e aveva aggiunto “come….quello sguardo l’ho visto solo con le persone “cattive”, con le persone che facevano del male”.

Sherlock l’aveva guardato a sua volta, aggiustandosi la camicia: “Più che altro John, cosa sta succedendo a te?” aveva guardato i cocci della tazza nel camino “cosa è preso a te”.

John aveva raddrizzato la schiena: “Io ho una figlia Sherlock e ti potrà sembrare strano, ma la amo profondamente” si era allontanato da lui “Lily è il riflesso di quello che sarà un giorno Rose. E non posso pensare che potrebbe succedere qualcosa del genere a lei, un giorno. Lily è entrata nella nostra vita all’improvviso, e a differenza delle altre persone che uno può conoscere, si è fatta amare da subito. L’unico che non si accorge delle sue qualità sei tu, e questo è spaventoso. Tu non sai quante volte ha chiesto scusa a me e a Mary per il disturbo che stava dando; quante volte l’abbiamo trovata seduta in bagno a pulire le piastrelle per sdebitarsi in qualche modo. Quante volte si è alzata nel bel mezzo della notte per calmare Rose, per permettere a me e Mary di riposare; quante volte si è medicata le sue ferite da stupro da sola, perché solo a pensare all’aiuto di Mary scoppiava a piangere, piena di vergogna”.

Aveva ripreso fiato, non staccando gli occhi da Sherlock: “Lei non è morta, quello morto sei tu Sherlock”. Aveva sbattuto gli occhi per ricacciare indietro il pianto “non sai quanto mi faccia male dirti questo. Ma come puoi pensare che sia morta? Sembra quasi che te lo auguri”.

“Mi baso solo su delle statistiche, non mi auguro certo che sia morta. Non sono così orribile”.

“Orribile no, ma oggi ti ci sei avvicinato parecchio” John aveva ripreso la sua giacca e si era avviato verso l’uscita “se hai novità, chiamami immediatamente”. E se n’era andato, in silenzio.

Sherlock era rimasto immobile per un minuto intero. Poi si era accasciato sulla poltrona, tenendosi la testa con una mano.

“Non c’è niente che non vada in me” aveva sussurrato. Poi aveva stretto gli occhi e abbandonato la testa sulla poltrona, guardando il soffitto.

Il mattino dopo il telefono di Sherlock aveva suonato presto, mentre ancora dormiva. Aveva immediatamente afferrato il cellulare: “Sì?”

“Sherlock, sono Molly” pausa “stamattina presto….è arrivato un corpo qui in obitorio; una giovane femmina, più o meno dell’età di Lily. Io non ho ancora aperto il sacco, pensavo volessi essere avvertito prima. Io non ho il coraggio di farlo da sola”.

Molly Hooper era stata l’unica a essere informata della scomparsa di Lily, per ovvie ragioni; tipo quella per cui stava chiamando in quel momento.

Sherlock era rimasto in ascolto per tutto il tempo senza interrompere, poi aveva ripreso parola: “Ok Molly, non fare nulla finché io e John non saremo al St. Barth’s. Capito?” aveva aggiunto, per sicurezza.

“Sì, sì capito. Vi aspetto qui” aveva concluso con tono frettoloso.

“Faremo il prima possibile” aveva riattaccato ed era rimasto immobile per pochi secondi, fissando il telefono. Poi aveva composto il numero di John, prendendo fiato mentre squillava.

“Dimmi” aveva risposto subito “novità?”

“Mi ha appena chiamato Molly, che mi ha riferito di avere un cadavere di una giovane donna. Non ha ancora aperto il sacco, aspetta noi” aveva taciuto, aspettando la reazione.

Silenzio.

E ancora silenzio, solo respiro.

“Ci vediamo lì” aveva risposto, interrompendo subito la linea.

Mezz’ora dopo erano al St Barth’s entrambi. Si erano incontrati sulla porta dell’obitorio, scambiandosi un frettoloso “buongiorno” mentre entravano.

“Mary?” aveva chiesto Sherlock

“Non è voluta venire, aspetta una mia telefonata” aveva risposto asciutto.

Molly era là che li aspettava, davanti al sacco nero ancora chiuso. La cromatura delle celle frigorifere davano un’aria spettrale alla stanza. C’erano solo due luci accese.

“L’hanno trovata sulle sponde del Tamigi stamattina, non troppo lontano da qui” li aveva informati in fretta.

John era rimasto leggermente indietro rispetto a Sherlock, il viso terreo e gli occhi spaventati. Nonostante fosse un medico, aveva paura, una paura terribile. Se là dentro ci fosse stata Lily, cosa avrebbe fatto? Come l’avrebbe detto a Mary? Aveva guardato di sottecchi Sherlock, immobile, con le mani dietro le schiena che guardava il sacco. Quanto invidiava la sua freddezza a volte. Lui come avrebbe reagito? Si sarebbe girato verso di lui dicendo visto, avevo ragione io. Come sempre.

Sperava vivamente di no, sennò quello sarebbe stato ricordato come il giorno che John Watson aveva quasi ucciso il suo migliore amico Sherlock Holmes.
Si erano guardati, tutti e tre. A quel punto restava solo da aprire il sacco e scoprire la verità.

“Molly, apri il sacco” aveva detto Sherlock con voce ferma.

John era avanzato vicino a lui, in silenzio. Aveva sentito una mano di Sherlock dietro la sua schiena, per sostenerlo nel caso fosse mancato o solo per chiedere scusa del discorso di ieri sera. O forse solo per dargli coraggio, chi lo sapeva.

Molly aveva cominciato ad aprire il sacco, trattenendo il respiro. Le zip erano al centro, e il corpo cominciava ad intravedersi. Man mano che la zip si apriva sul viso, John tratteneva il respiro. Ormai era fatta, stava per saperlo, le gambe gli tremavano.

Era apparso un viso lungo e con i capelli biondi. Le labbra sottili, un piercing sul sopracciglio, un tatuaggio sul collo.

“Non è lei” aveva detto John soffocando un lamento coprendosi la bocca con una mano “non è lei, grazie a Dio. Non è lei”.

Molly aveva tirato un sospiro di sollievo, appoggiando le mani sul tavolo di metallo e chinando la testa.
Sherlock aveva chiuso gli occhi, rilassando le mani che aveva tenuto strette in due pugni tutto il tempo. L’aria gli era uscita dai polmoni lentamente. John si era allontanato di fretta; forse piangeva, forse era andato a chiamare Mary.

“Ora puoi chiudere il sacco Molly, grazie” aveva sorriso leggermente.

“Sono molto contenta che non sia Lily” aveva ammesso, con un po’ di vergogna verso il corpo che comunque era lì, senza vita, con una storia dietro e chissà cos’altro.

“Anche noi” aveva ammesso Sherlock, girandosi di scatto ed uscendo dall’obitorio. John aveva appena finito di parlare al telefono con Mary. Si erano guardati, non sapendo cosa dire, consapevoli di aver commesso entrambi un errore la sera prima.

“John” aveva cominciato Sherlock, con tono di voce netto.

John l’aveva guardato, gli occhi rossi e le occhiaie che gli solcavano il viso.

“Troviamo Lily” aveva detto, un’inflessione impeccabile nella voce.

John aveva annuito, sorridendo leggermente: “Sì, troviamola e portiamola a casa”.

//

Lily, giaceva sul materasso, come al solito, intontita e piena di dolori. Kaleb la sera prima l’aveva picchiata perché non aveva mangiato. Non aveva fame, le veniva da vomitare, cosa poteva farci? Se n’era andato la mattina presto, lasciandola lì come un sacco di spazzatura. Puzzava,e questo non lo sopportava. Era riuscita a sciacquarsi la faccia, un paio di volte, ma non era servito a molto.

All’improvviso Kaleb era tornato e senza preamboli le aveva detto: “Alzati e mettiti questa” le aveva lanciato una felpa con un cappuccio abbastanza grande per coprirle la faccia “mi serve un palo e sarai tu”.
Lily lo aveva guardato fisso. Lui si era avvicinato,e prendendola per il collo aveva sibilato: “Niente scherzi, fiorellino. So dove trovarti, e stavolta non ci sarà via d’uscita”. Aveva le pupille come due capocchie di spillo, era sotto l’effetto di qualcosa, sicuramente. Lily aveva annuito afferrando il polso di Kaleb, perché stava stringendo decisamente troppo.

Lui l’aveva lasciata andare “Sbrigati, non abbiamo molto tempo”.

Erano usciti, e a Londra era una giornata con il sole; Lily aveva respirato a pieni polmoni l’aria fresca invernale; era meravigliosa, era aria viva. Aveva sorriso per la prima volta in giorni, settimane. Si guardava intorno, vedeva la gente che però si allontanava da lei, perché puzzava ed era sudicia. Questo lo sapeva. Si erano diretti verso un vicolo, con altri barboni seduti o in piedi che si riscaldavano le mani sopra bidoni fiammeggianti.

Kaleb l’aveva lasciata all’inizio del vicolo, dicendole di fischiare se avesse visto qualcosa di sospetto. Era rimasta ferma là, Kaleb con lo sguardo fisso su di lei, nessuna possibilità di fuga. Mentre si guardava intorno, aveva notato un barbone di colore, una folta barba tra il nero e il bianco che la guardava fissa, studiando il suo viso. Lily non si ricordava di averlo mai visto. Forse perché era una faccia nuova nel circondario; eppure continuava a esaminarla; e a un certo punto si era messa a fissarlo anche lei, tirandosi leggermente indietro il cappuccio, perché le era calato sugli occhi. La felpa era troppo leggera e faceva veramente freddo e Lily tremava, sperando di fare presto. Il bidone in fiamme non era così lontano dopotutto. Aveva chiamato Kaleb a bassa voce; lui si era girato: “Che c’è?”

“Sto morendo di freddo, posso scaldarmi là, per favore? È comunque vicino, ho una buona visuale anche da lì”.
Kaleb aveva studiato la situazione e con un cenno del capo aveva annuito: “Stai attenta” aveva intimato.

Lily aveva annuito e si era diretta verso il bidone: “Posso?” aveva chiesto al barbone che la fissava prima.

“Certo, certo piccola, vieni pure. Stai tremando” le aveva sorriso, gentile.

“Grazie mille” aveva sorriso di rimando Lily.

Mentre si scaldava, lui continuava a guardarla, e a un certo punto Lily aveva chiesto: “Ma ci siamo mai visti? Non mi ricordo la tua faccia”

“Non saprei piccola, vedo talmente tanta gente!” aveva riso “tu piuttosto che ci fai in mezzo a questa gente? Sei troppo carina, per questo immondezzaio”.

“E tu troppo gentile” aveva sorriso Lily, timida “è una storia lunga, e noiosa” aveva alzato le spalle.

“Io comunque sono Abraham” aveva detto lui cortese “tu come ti chiami?”

Lily aveva aperto la bocca per rispondere quando Kaleb aveva urlato: “Fiorellino, abbiamo finito, andiamo” la aspettava sul marciapiede, impaziente.

Lily aveva guardato Abraham con aria di scuse: “Arrivo Kaleb” aveva sussurrato “Ciao Abraham, è stato un piacere” gli aveva sorriso, gentile.

“Anche per me, piccola”l’aveva guardata serio, osservando i segni e i lividi sul volto di Lily “non farti più picchiare da quel farabutto; qua è visto come la peste. Se puoi, scappa.”

Lily l’aveva guardato, con gli occhi già pieni di lacrime e aveva sussurrato “Se solo potessi”.

“ALLORA??” aveva urlato Kaleb, impaziente.

“Ciao” aveva aggiunto frettolosamente Lily, correndo via “e grazie”.

“Ciao fiorellino” aveva detto Abraham, ma non poteva più sentirlo.

Abraham l’aveva guardata attentamente, quella ragazza. E sentiva dentro di sé che forse era la persona che Sherlock cercava. Quel “fiorellino”, quei capelli castani, e gli occhi color ambra con qualche pagliuzza gialla. E poi Kaleb. Ma dove potevano andare ora? Aveva chiamato un ragazzo giovane, con i capelli biondi sporchi e un cappotto troppo largo per lui.

“Shorty!” aveva gridato, mentre lui si girava e correva verso di lui “dimmi Abraham” era arrivato, sorridendo.

 “Li vedi quei due laggiù?” aveva indicato Lily e Kaleb “devi scoprire dove abitano, o dove si rifugiano”

Shorty aveva aggrottato le sopracciglia, pensoso “E perché mai dovrei…”

Abraham l’aveva guardato fisso “ Sherlock, ricordi?”

Shorty aveva sgranato gli occhi ricordando all’improvviso: “Sì! La ragazza che cerca Sherlock, come no se me lo ricordo!”

“Ecco allora vai, e non farti scoprire!” lo aveva spronato.

“Sì vado, subito!” era corso dall’altra parte della strada. Li aveva rintracciati e aveva alzato il pollice verso Abraham, che aveva sorriso e fatto cenno di andare.

Sperava fosse lei, Sherlock sembrava abbastanza preoccupato quella volta. Si era raccomandato centinaia di volte, come quel suo amico biondo, il dottore. Sembravano veramente in ansia. Mai visto Sherlock così, e neanche John Watson.

Aveva rivolto gli occhi al cielo: “Fa che sia lei buon Dio, non sopravvivrà a lungo così” ed era tornato a scaldarsi le mani, aspettando notizie di Shorty.

//

Sherlock e John erano seduti al solito tavolo da Angelo, e non parlavano. John ogni tanto portava una forchettata di cibo alla bocca, mentre Sherlock non aveva toccato il piatto e guardava fuori dalla vetrina. Il suo sguardo era indecifrabile. I suoi occhi erano più chiari del solito, visto il bel tempo che stranamente aleggiava su Londra quel giorno.

John aveva posato la forchetta sul piatto e dopo essersi pulito la bocca con il tovagliolo, aveva chiesto a Sherlock: “Cosa c’è? Sembri inquieto”.

Sherlock aveva alzato impercettibilmente le sopracciglia: “Sono nervoso, sarà il tempo”.

John lo aveva guardato senza muovere un muscolo; ora bastava solo capire per cosa fosse nervoso.

“Stamattina, ero quasi certo che dentro quel sacco ci fosse Lily” aveva detto continuando a fissare fuori dalla vetrina “e la sai una cosa, John?”

“Cosa, Sherlock?” John aveva intrecciato le mani sotto il mento.

“La sera che sei venuto da me, quando abbiamo avuto quella discussione, la mattina stessa stavo osservando la camera di Lily, e ho trovato una foto: c’eravamo tutti noi, la sera di Natale. E guardandola, ho sorriso”. A quel punto si era passato una mano nei capelli, sempre più confuso.

John era sempre immobile, e sciogliendo le mani che teneva sotto il mento aveva chiesto: “E questo ti preoccupa?”.

“No, non necessariamente. La penso come sempre, non è quello il problema. Non riesco a capire come una persona possa essersi affezionata così presto a tutti noi; è una cosa che non capisco, una cosa che mi sembra veramente strana. Io non sono neanche affezionato a Mycroft, e lui è mio fratello”.

“Quindi io dovrei offendermi” aveva riso John, prendendolo in giro.

Sherlock lo aveva guardato, esasperato: “Tu sei una persona che riesce a starmi dietro e mi sopporta, e nessuno c’era mai riuscito. Quando mi hai detto che ero il tuo migliore amico, non ho capito subito cosa volesse dire, sinceramente. Poi ho riflettuto su quello che mi hai detto tu, che gli amici si aiutano sempre e comunque. È quello che facciamo io e te. Più di una volta abbiamo rischiato la vita l’uno per l’altro, e penso che questo sia essere migliori amici”. Si era fermato.

“La nostra amicizia è un po’ estrema in effetti, ma è dato anche dal lavoro che abbiamo svolto insieme. Ma sul punto di aiutarsi sempre e comunque ci hai preso, finalmente hai capito”. Aveva preso il tovagliolo, piegandolo “tu sei preoccupato per Lily, quindi. Tutto quello che stai facendo, lo avresti fatto solo per me o se io te lo avessi chiesto. Il resto del “lavoro” erano persone che volevi trovare per soddisfare il tuo ego. Qui non parliamo di ego, Sherlock. Parliamo del fatto che vuoi salvare una persona che in qualche modo ti ha colpito; sia che ti abbia tenuto compagnia, o si sia affezionata a te subito, cosa che te non riesci a credere possibile. Guarda che la gente è così, Sherlock. Si vuole bene, fa amicizia; alcune durano, altre no. La gente si conosce, si sta simpatica o antipatica, si innamora, si sposa e poi si lascia. È la vita, semplicemente”. Quante volte doveva ripeterlo ancora, per farglielo entrare in quella zucca dura?

Sherlock aveva abbassato la bocca, in una smorfia di disappunto e cinismo. Dopo un po’ aveva sussurrato: “In quella foto, lei sorrideva. Ed erano passate solo tre settimane, dall’incidente”.

“C’è anche la gente forte, Sherlock, e con la voglia di riscattarsi. Tu non riesci a sbloccare questo sentimento. La voglia di vivere che ha la gente”. Lo aveva fissato, stavolta stranamente serio e allo stesso tempo intenerito. Continuava a fissare fuori, sembrava di riuscire a vedere gli ingranaggi del cervello che andavano da soli. A volte sembrava di parlare con un bambino piccolo. Spiegare i rapporti interpersonali, le regole della vita: eppure anche lui ne aveva passate. Dipendenze, problemi in famiglia, un esaurimento nervoso. Insomma, doveva per forza capirci qualcosa. Ma teneva tutto dentro, chiuso chissà dove, per non soffrire più; per non far uscire i demoni dentro di sé. E John naturalmente ignorava il discorso fatto da Sherlock a Lily sul palazzo mentale e sui demoni che ci abitavano dentro. Lui non ne sapeva niente. Del discorso. Del palazzo mentale ne sapeva fin troppo.
Ma come faceva, si chiedeva John. Come faceva a non diventare pazzo? E qui usciva fuori la sua incredibile intelligenza, il suo intuito formidabile, la sua rete di neuroni probabilmente doppiamente sviluppata di quella degli esseri umani normali.
Tutti lo chiamavano “strambo”. Ma era solo unico, particolare. E la gente, delle persone straordinarie, aveva paura. E John voleva bene a Sherlock proprio per questo. Perché era oltre, e nonostante tutto, sotto quella corazza di freddezza, un cuore ce l’aveva. E glielo aveva dimostrato più e più volte. Ed era strano vedere che forse stava attuando lo stesso processo con un’altra persona. Era come vedere un fiore che sbocciava lentamente, in modo esasperante.

Pensando a tutto ciò, si era commosso e aveva abbassato la testa, cercando di riprendere il controllo.

“Stai bene?” aveva chiesto Sherlock, guardandolo incuriosito.

“Sì” aveva sollevato la testa John “molto bene”. E gli aveva sorriso, sincero. E Sherlock, stranamente, aveva ricambiato.

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Quella sera a Peckham, doveva esserci una festa. Lily sentiva tanta musica, e le faceva compagnia. Era sola, come sempre. Con un tramezzino nello stomaco, stava morendo di fame. I jeans le andavano più larghi e il seno era quasi sparito. Ripensava ad Abraham; che persona gentile, ancora esistevano per fortuna. All’inizio il suo modo di scrutarla l’aveva messa a disagio, tant’è che aveva pensato a qualche spostato maniaco. Ma poi probabilmente, non avendola mai vista lì, si era incuriosito. Lo stomaco aveva brontolato di nuovo,e Lily aveva strizzato gli occhi dal disagio. Se ripensava ai manicaretti di Mary, stava ancora peggio. Così aveva pensato alla sera di Natale, o quando aveva parlato con Sherlock di Keats, davanti al camino acceso. A quando era andata a fare shopping con Mary, come l’aveva presa sotto braccio con fare complice, mentre guardavano le vetrine. All’abbraccio di John, la mattina dopo la sua crisi di astinenza, così forte e sicuro, qualcosa a cui aggrapparsi. Si era strofinata il viso con le mani, sentendo il pianto arrivare. Ma doveva resistere, per non crollare, per non impazzire completamente e non soccombere alla disperazione. Quanto gli mancavano tutti. La piccola Rose, che odorava così di buono, quando Lily la cullava, nel bel mezzo della notte per non svegliare John e Mary. Quel corpicino così piccolo, da proteggere e da amare incondizionatamente. Lo sguardo divertito della bimba quando Lily la faceva mangiare, spargendo pappa ovunque e lei non riusciva a trattenere le risate.

Era tutto finito. Non c’era più niente. Lily guardava un punto fisso del muro. Sperava che Kaleb fosse rimasto fuori tutta la notte e anche il giorno dopo, così lei poteva stare in pace, senza paura. Il Lorazepam continuava a fare effetto, facendola stare calma. Ma la dose era diminuita, così a volte aveva piccoli attacchi di panico guardando quei muri alti e sporchi, e i topi che correvano a mezzo metro dai suoi piedi. Faceva sempre più freddo là dentro, ma un fuoco non si poteva accendere sennò avrebbe dato nell’occhio. Aveva il giubbotto che indossava la sera che Kaleb l’aveva trovata, più la felpa del giorno che aveva incontrato Abraham. Ma aveva comunque freddo, sempre. Non riusciva a scaldarsi. Voleva un camino, un camino come quello di Baker Street; e Sherlock davanti a lei con il riflesso del fuoco negli occhi, come se fossero liquidi, e le poesie e…..

Si era svegliata, la musica ancora andava avanti. Sicuramente era tardi e lei era ancora sola. Meglio, meglio così.

//

Sherlock aveva da poco salutato John, ed era tornato a Baker Street. L’aveva trovata buia e silenziosa. Ci aveva fatto l’abitudine da quando John era andato via, ma poi era arrivata Lily e bene o male trovava sempre il salotto con le luci accese, la televisione accesa o un po’ di musica alla radio e quando a Lily girava bene, anche un profumo di qualcosa di commestibile provenire dalla cucina. Ora il silenzio gli faceva fischiare le orecchie. Ripensava alle parole di John, e al ragionamento che aveva fatto pochi giorni prima, riguardo la compagnia di un altro essere umano. Aveva acceso la luce, ma era comunque tutto freddo, spoglio. La presenza di un’altra persona dava veramente vita a una casa. Sia che fosse John che scriveva il suo blog al computer o Lily che cantava dietro la radio mentre cucinava. Quello scaldava tutto, lo rendeva “umano”. Sherlock già sapeva cosa avrebbe fatto: the, doccia, letto, libro, e infine (forse), sonno.
Ormai era sempre così. I suoi esperimenti per ora erano sospesi, non aveva più avuto tempo e sinceramente, neanche voglia. Non andava più all’obitorio da Molly per farsi dare parti umane su cui sperimentare, da quando erano andati a vedere il cadavere di quella giovane ragazza. Non aveva più biscotti in casa, solo the. Ancora si rimproverava a volte, di non averla accompagnata al supermarket; ma ormai quella che era fatto era fatto.

Non aveva fame come al solito, e quindi aveva deciso di passare direttamente alla doccia. Mentre i rivoli d’acqua gli scivolavano sulla schiena, pensava e pensava e pensava ancora. Cosa aveva sviluppato la dipendenza di Lily verso quell’uomo? Come poteva, una ragazza che aveva risposto a tono anche a lui, rimpicciolirsi così tanto davanti a un essere del genere; il carattere ce l’aveva, e anche abbastanza irritabile. Ma non riusciva proprio a spiegarsi come si era potuta invischiare con quella feccia umana. L’unica risposta era l’infanzia, l’adolescenza, la fuga da qualcosa che le andava stretto. Partiva sempre tutto da lì. Sherlock riusciva a pensare solo a quello. E in fondo era quello che aveva sorbito anche lui. Genitori assenti, infanzia solitaria, essere additato come strano solo perché era appassionato di scienze, e amava studiare. E poi suo fratello, la rivalità, i litigi, le scelte sbagliate. Lui che cercava di aiutarlo ma Sherlock non voleva l’aiuto di nessuno, perché lui se l’era sempre cavata da solo e non aveva bisogno della carità del fratello o di chiunque altro. Ne era uscito da solo, con difficoltà. Ma ne era uscito. Poi c’era stato John e le indagini e tutte le loro peripezie e aveva cominciato a sentirsi un po’ più vivo. Ma il suo buio era sempre lì, finché non si era scontrato con quello di Lily.
Aveva chiuso la doccia, e mentre si asciugava, continuava a congetturare e a un certo punto si era ritrovato a pensare, senza accorgersene:

“Speriamo che qualcuno della rete chiami”.

Aveva decisamente bisogno di dormire, e di spegnere l’interruttore per almeno sei ore. Aveva spento la luce, facendosi inghiottire dall’oscurità e dal silenzio. E proprio in quel momento, aveva cominciato a piovere.


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Capitolo 10
*** If today was your last day ***




Capitolo 10


If today was your last day


Il ragazzo correva, correva più del vento. Era quasi senza fiato, ma doveva arrivare il prima possibile. Doveva. Doveva assolutamente. Aveva scartato un paio di persone sul marciapiede, beccandosi qualche insulto. Poco male, c’era abituato. Dove diavolo era adesso? Dove lo trovava ora? Aveva girato l’angolo opposto al vicolo e Abraham era lì, sempre a scaldarsi, come se si fosse mosso di pochi metri, ma sempre nella stessa posizione.

“Abraham!” aveva detto senza fiato “eccomi, Abraham!” si era fermato, poggiando le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato.

“Benedetto ragazzo, ma dov’eri finito? È un giorno intero che sei sparito, cominciavo a preoccuparmi!”

“Abraham, tu mi hai chiesto una cosa, e io l’ho fatta. Ma per bene” aveva aggiunto, tutto tronfio “mi sono appostato, per essere sicuro che fosse quello il posto dove Kaleb tiene Fiorellino!”

Abraham aveva sorriso a quel nomignolo; probabilmente Shorty era convinto si chiamasse veramente così. Aveva scosso la testa, ridendo: “E dimmi ragazzo, cosa hai scoperto?”

Shorty aveva sgranato gli occhi e aveva bisbigliato, guardandosi intorno:

“In un vecchio magazzino vicino la stazione di Peckham Rye. L’ho visto che entrava e usciva e portava sempre da mangiare per due persone, lei è sicuramente là!” aveva finito, in attesa di risposte
“se non la tiriamo fuori da là, morirà! Kaleb è cattivo!”

“Lo so, Shorty, lo so. Per questo dobbiamo avvertire subito Sherlock “dobbiamo trovare una cabina pubblica, ho delle monetine che mi ha dato proprio lui”.

“Io so dov’è, Abraham! A due isolati da qui, ci metteremo pochissimo!”

“Bene, allora. Andiamo, è ora che quella povera ragazza torni a casa”.

//

John era di turno in ambulatorio quella mattina, ma non c’era molta affluenza, stranamente. Beveva un caffè tiepido, dondolandosi sulla sua poltrona davanti la scrivania. Aveva salutato Rose con tanto trasporto quella mattina, più del solito. La sua bambina, sua figlia. Aveva chiuso gli occhi, nauseato dall’idea di non sapere ancora nulla su Lily. Pensava anche alle conversazioni che aveva avuto con  Sherlock in quei giorni: era sembrato stranamente vulnerabile, ma decisamente restio ad ammetterlo; aveva sorriso leggermente: si augurava con tutto il cuore che quello che lui immaginava potesse avverarsi.
All’improvviso la porta si era aperta senza bussare, e John sapeva che quell’entrata era tipica di Sherlock, che si era affrettato subito a dire: “Ho detto che avevo un appuntamento”.

“Non ti crede più nessuno, Sherlock. Soprattutto se arrivi come una furia, come al tuo solito. Siediti. Caffè?” aveva indicato il bricco posato sulla credenza dietro di lui “un po’ freddo, ma sempre caffè”.

Sherlock aveva alzato la mano: “No, grazie. Ho preso il the stamattina”. Si dondolava anche lui sulla sedia, non parlando.

“Qualche motivo specifico per la tua venuta?” aveva chiesto John, posando la tazza sulla scrivania “stai bene?”

“Sì, sì benissimo” aveva replicato in un bisbiglio. John sapeva che non aveva dormito, le occhiaie spiccavano sulla sua pelle bianca e gli zigomi sembravano più pronunciati.

“Non hai dormito”

“Sì che ho dormito; poco e male, ma ho dormito”.

John si era massaggiato le tempie, lentamente. Era una giornata vuota, senza pensieri o pazienti che potessero distrarlo in qualche modo. L’orologio sembrava non camminare mai, ed era già esausto. E mancavano ancora due ore alla pausa pranzo. Aveva sospirato, frustrato: “Dovevo darmi malato oggi, sarei stato un po’ con Rose e Mary” aveva soffocato uno sbadiglio.

Sherlock continuava a dondolarsi sulla sedia, in maniera assente. John lo aveva guardato, preoccupato. Poi aveva sgranato gli occhi: “Sherlock, fammi vedere le braccia”.

Lui si era girato di botto, intimorito: “Perché? Sulle mie braccia non c’è nulla” una leggera contrazione del labbro l’aveva sbugiardato e John aveva ripetuto: “le braccia. Ora.”.

Sherlock aveva sbuffato, alzando gli occhi al cielo e sollevando la manica della giacca dove troneggiavano ben tre cerotti alla nicotina, di quelli enormi e tondi. John aveva sgranato gli occhi.

“Tu sei pazzo” aveva sussurrato incredulo “togliti subito quei cerotti!”

“Aiutano a concentrarmi!” aveva detto con le mani che tremavano.

“Ecco perché non dormi razza di idiota!” John si era allungato verso di lui e gliene aveva strappato uno con forza.

“Ahia! Così mi fai male, scemo!” aveva urlato di rimando Sherlock.

“Se non te li togli subito da solo, ti strappo gli altri ancora più forte!!” aveva minacciato John.

“Va bene. Va bene. Me li tolgo” li aveva staccati delicatamente dalla pelle. Dove John aveva strappato il terzo era rimasto un grosso cerchio rosso.

“Non sei normale” aveva esclamato John, scuotendo il capo “se ti concentri un altro po’, ti esplode la testa!”

Sherlock aveva sbuffato, esasperato.

//

Lily non riceveva Lorazepam da due giorni.  E non si sentiva molto bene; per fortuna la dose era diminuita ultimamente, quindi il suo corpo doveva espellere meno schifo del solito. Aveva caldo, il cuore le batteva forte e non riusciva a dormire bene. Per il resto teneva tutto sotto controllo. A volte le sembrava di sentire dei rumori, ma non sapeva se era la sua testa o se erano veri. Cercava di rimanere calma, anche se a volte avrebbe spaccato tutto.
Kaleb era sempre il solito stronzo, figurarsi. Da un po’ di giorni non la toccava, ma solo perché era particolarmente affaccendato con i suoi loschi giri, e per fortuna si faceva vedere poco. Lily soffriva anche la fame, perché mangiava a discrezione di Kaleb: quando si ricordava, le portava da mangiare, sennò poteva anche stare un giorno intero digiuna per poi doversi accontentare di un tramezzino, o chissà quale altra schifezza. Cominciava ad accusare anche questo, cioè la mancanza di cibo. Le girava la testa, non riusciva a pensare bene e per non sentire la fame, dormiva. Ma appena prendeva sonno aveva incubi e si risvegliava in un bagno di sudore; aveva pensato più di una volta di scappare mentre Kaleb era via. Ma aveva chiuso con lucchetti e catene l’uscita. Sapeva che c’era un’altra entrata, ma probabilmente era chiusa anche quella, e lei non aveva le forze necessarie per cercarla. Quel magazzino era bello grosso. Era una prigioniera, e probabilmente dentro quello schifo di deposito ci sarebbe crepata. L’unica cosa che la consolava erano i rumori che venivano dalla finestra: le ricordavano che fuori c’era la vita, c’era un mondo, qualcosa che pulsava e la faceva sentire un po’ meglio.
Per il resto, era sempre la solita merda.

//

Sherlock si massaggiava la parte del braccio arrossata, guardando in cagnesco John. Lui non ci faceva neanche caso, e leggeva delle carte che aveva sul tavolo.
All’improvviso, il telefono di Sherlock aveva suonato. Era un numero sconosciuto, ed era subito saltato dalla sedia, facendo sobbalzare John. Numero sconosciuto poteva voler dire qualcosa di importante. Aveva guardato John, che lo fissava di rimando. Poi si era scosso, e aveva intimato a Sherlock: “Ma insomma rispondi! Non guardare me, maledizione!”

Sherlock aveva risposto, tenendo lo sguardo fisso su John; si guardavano a vicenda come per darsi coraggio.

“Sì, pronto” aveva risposto Sherlock.

“Sherlock, sono io, Abraham. Zona Peckham Rye” aveva esordito, cercando di parlare il più forte possibile, per coprire i rumori del traffico.

“Abraham, certo. Dimmi tutto, che succede?”

“Li ho visti Sherlock; ho visto la ragazza insieme a quel farabutto, Kaleb. Li ho visti ieri, lei faceva il palo”.

Sherlock aveva chiuso gli occhi: “Sei sicuro? Sei sicuro che fosse lei?” John si era alzato di scatto andando vicino Sherlock, gli occhi sgranati e increduli.

“Amico mio, era sicuramente lei. Capelli castani, occhi color ambra con pagliuzze gialle. Ed è stata così gentile. Sherlock, peserà quarantacinque chili, non sta bene. Tiratela fuori da lì il prima possibile”.

“Da lì dove?” aveva chiesto Sherlock, sempre più esasperato “da lì dove, Abraham??”

“Ho mandato Shorty a seguirli e dice che la tiene chiusa in un vecchio magazzino vicino alla stazione. Le porte sono tutte chiuse, ha guardato in giro, ma quel capannone ha anche un secondo piano, con delle scale antincendio. Forse là, potrebbe esserci un’entrata o qualcos’altro”.

Sherlock aveva annuito, concentrato “Bene Abraham, fammi avere l’indirizzo preciso. Da qui in poi ci pensiamo noi…e..grazie, veramente”.

“Figurarsi, ragazzo mio. Quella ragazza ha dei modi e un sorriso che ti scaldano il cuore. Non potevo fare altrimenti”.

“A presto” aveva risposto asciutto Sherlock, e aveva riattaccato.

Aveva guardato John, che lo aveva fissato tutto il tempo della telefonata: “Ci siamo, forse ci siamo. Al 90%  è lei John. Abbiamo trovato Lily”.

John aveva chiuso gli occhi e si era abbassato sulle ginocchia, in silenzio. Sherlock non capiva se il movimento delle sue spalle era dovuto all’iperventilazione o al pianto. Lo aveva lasciato calmare, poi aveva esordito: “Adesso ci serve un piano, John. Ed è ora di informare Lestrade di tutto questo”.

John aveva alzato gli occhi verso di lui, socchiudendoli leggermente: “Sei sicuro?”

“Sì. Anche se vorrei fare da solo, un aiuto è sempre utile. Ci servirà da copertura. Io e te andremo lì dentro a salvare Lily” lo aveva guardato, intensamente “te la senti?”

John lo aveva fissato, per poi sibilare: “Sono pronto da quando l’hanno portata via, Sherlock”.

“Bene” aveva annuito, un sorriso appena accennato “il gioco è iniziato”.

//

“Io vorrei sapere perché non sono stato avvertito prima!” urlava Lestrade, sbattendo un pugno sul tavolo “un rapimento! Possibile violenza e sequestro di persona, insomma un disastro! Perlopiù di un individuo di cui non abbiamo documenti, una straccio di storia da raccontare, che sembra non esistere!!!!” aveva soffocato un grido, esasperato, alzando le mani al cielo insieme agli occhi “non posso autorizzare una’operazione di Polizia su una cosa su cui non si è indagato prima! È inammissibile!!!”

Sherlock si era schiarito leggermente la gola: “Gavin..” aveva cominciato.

“Mi chiamo GREGORY!!!!!” aveva urlato di nuovo l’ispettore, facendo strizzare gli occhi a John che era poco dietro Sherlock, gli occhi fissi a terra, come un bambino messo in punizione.

“Scusa, Gregory” aveva continuato Sherlock, con voce bassa e sicura “non ne abbiamo parlato prima, perché a quanto pare la persona che tiene sequestrata Lily è altamente pericolosa e….”

Sherlock Holmes” aveva sibilato Lestrade, avvicinandosi al suo volto “pensi che siamo degli imbecilli? Che non abbiamo mai avuto a che fare con persone pericolose in tutta la nostra carriera???” aveva alzato il tono di voce “come posso giustificare questa operazione ai piani alti, dimmelo tu!”

“Potresti venire te e un paio di agenti in borghese e se le cose si mettessero male, possiamo sempre farla passare per un’operazione casuale. Voi eravate lì, è successo…e basta”.

Lestrade lo aveva guardato fisso negli occhi e Sherlock di certo non abbassava lo sguardo. Alla fine aveva detto: “So già che me pentirò amaramente. Vi metto a disposizione DUE agenti, più io. Ma entreremo in azione solo se necessario, solo in occasione di pericolo imminente. Il che vuol dire sparatorie e simili. Per il resto me ne lavo me mani, di quello che farete voi due”. Aveva indicato John e Sherlock, e si era dileguato dalla stanza.

“Beh, non è andata proprio male” aveva alzato le spalle Sherlock, rivolgendosi a John “no?”

“Sì certo, alla grande” aveva risposto “una vera passeggiata”. E si era avviato anche lui fuori dalla stanza.

Sherlock aveva avuto l’indirizzo preciso del capannone in questione, e mentre viaggiavano sulle macchine della polizia in borghese, pensava a come fare per entrare là dentro. Doveva essere lì, doveva ispezionare, indagare e fare un piano della situazione. John era molto concentrato; sotto la sua giacca aveva la fondina con la pistola, che non usava da molto ormai. Ma era entrato in piena modalità soldato. Freddo, concentrato e soprattutto risoluto. Quella sera avrebbe riportato a casa Lily.

Viva.

O morta.

Aveva strizzato addolorato gli occhi al solo pensiero.

Lestrade aveva accostato a poche centinaia di metri dal capannone.

“Bene. Avete i telefoni, appena le cose dovessero mettersi male, chiamate. Noi arriveremo in meno di due minuti. Munizioni?”

“Sì” avevano risposto in coro.

“Giubbotti antiproiettile?”

“Sì” di nuovo in coro.

“Bene, allora andate, maledizione. E cercate di non farvi ammazzare” si era fermato “o di far ammazzare quella povera ragazza” stavano per uscire dalla macchina quando li aveva richiamati dentro “anzi! Se entro un’ora non ho vostre notizie, vi vengo a cercare, sappiatelo! Non voglio nessuno sulla coscienza, io!” dopo averli fatti scendere, era ripartito con la macchina, sgommando.

Si erano avviati verso il capannone. Man mano che si avvicinavano, si stagliava sempre più alto. Era grande e a due piani, visibilmente abbandonato. Sherlock studiava la situazione: scala antincendio lato ovest ed est, quindi due entrate. Porta principale: chiusa. Niente tetto, solo una cupola di telo. Lily doveva essere al piano terra o al primo. Forse era meglio il piano terra, per scappare più facilmente, se ne avessero avuto bisogno. Kaleb sicuramente entrava dalla porta principale, che non era grandissima, ed era legata da due catene e da un lucchetto. La zona era poco frequentata e non propriamente sicura. Quindi ci si poteva muovere con più facilità senza essere notati, soprattutto se sembravi pericoloso, o comunque sospetto. Ma sembrava che alla gente del posto non importasse molto, comunque.

In tutto ciò erano arrivati e avevano fatto il giro del capannone. Il lato Est era quello più esposto alla luce dei lampioni, quindi avrebbero prima esplorato il lato Ovest. Avevano salito le scale antincendio lentamente, per non fare troppo rumore; erano arrivati al primo piano, e la porta era chiusa, ma con un minimo di forza potevano riuscire a sfondarla.

“Faremo troppo rumore, Sherlock. E se Kaleb fosse là dentro? Se ne accorgerebbe subito”.

“Proviamo a forzarla con questo” Sherlock aveva trovato una sbarra di ferro, che si era staccata dal rivestimento delle scale “non dovrebbe metterci molto a cedere, se proviamo ad aprirla con questa sbarra”.

“Faccio io” aveva sussurrato John “la guerra mi ha insegnato a essere più silenzioso di te, sicuramente”.

Sherlock aveva sbuffato, divertito “Sì certo, soldato Watson. È tutta sua” e gli aveva passato la sbarra di ferro, con fare ironico.

John aveva sospirato e poi aveva tirato un respiro, concentrandosi. Aveva infilato molto lentamente la sbarra di ferra nell’apertura della porta, incastrandola bene. Poi con molta calma aveva cominciato a forzare, facendo cigolare i cardini, ormai arrugginiti. Si era fermato, ascoltando con attenzione reazioni particolari. Niente. Aveva forzato un po’ di più, sempre con molta calma e un cardine aveva ceduto. John aveva sorriso. Bene.
La porta già traballava, ma non riuscivano a passarci; dovevano scardinarla del tutto.

“Sherlock” aveva sibilato John “ se riesco a scardinarla completamente, potrebbe cadere. Preparati ad afferrarla”.

“Va bene” aveva risposto Sherlock, sistemandosi le maniche del cappotto “vai”.

John aveva forzato ancora di più, e una vite del cardine era saltata, lasciando il lato superiore mezzo staccato.

“Guarda se riesci al alzarla, e appoggiarla al muro” aveva suggerito John.

Sherlock aveva sollevato la porta e con un paio di spinte verso l’alto, finalmente si era staccata, facendo un rumoraccio non indifferente. John e Sherlock si erano fermati, immobili. Sarebbero rimasti così un paio di minuti, per essere sicuri di non aver attirato l’attenzione di nessuno.
Passato il tempo necessario, erano entrati nel capannone. Davanti a loro c’era un corridoio, che dava su altre scale che portavano al piano terra. Era enorme, un magazzino di grande stoccaggio, un’unica stanza con degli scaffali alti fino al soffitto. Alla loro sinistra c’erano le scale che portavano al piano terra.

“Deve essere per forza al piano terra” aveva detto Sherlock a John “là ci sono le scale, andiamo”.
John l’aveva afferrato per la spalla, guardandolo intensamente: “Sherlock, niente cazzate. Niente eroismi, niente di insensato. Non fare stupidaggini. Prima l’incolumità nostra e di Lily, poi il resto: chiaro?” continuava a guardarlo, gli occhi ridotti a due pozze scure, concentrati e affilati.

“Sì, va bene” aveva risposto Sherlock “attenzione prima di tutto”.

“Giusto” aveva annuito John, e si erano diretti verso le scale. Arrivati alla metà dell’ultima rampa, avevano visto, al centro della stanza, scatole di legno e un sacchetto dei rifiuti.

“Ci siamo” aveva bisbigliato John “deve essere qui”. Arrivati alla fine delle scale, si erano accertati non ci fosse nessuno. Un po’ più avanti, sulla sinistra c’era un materasso; con sopra Lily, di spalle, con la testa in mezzo alle ginocchia. John aveva sospirato; era viva, era in piedi. All’improvviso, Lily aveva tirato su la testa, come un animale che fiuta il pericolo, la schiena una perfetta linea dritta. Si era girata lentamente, e aveva visto John. E poi Sherlock. Credeva fosse un sogno drogato, sicuramente stava dormendo, stava sognando.

“Lily” aveva sussurrato John “Lily, siamo noi. Siamo venuti a portarti via da qui”.

Gli occhi di Lily si erano riempiti subito di lacrime e aveva cominciato a piangere. Erano venuti da lei, l’avevano cercata e trovata. Ma alla sensazione di sollievo, si era subito aggiunta quella di panico.
Era scattata verso John, camminando sulle ginocchia e si era aggrappata alla sua giacca, guardando lui e poi Sherlock, in preda al terrore: “Dovete andare via di qui, lui tornerà a momenti. Andate via John, vi prego. Vi ucciderà, per favore Sherlock, andate via” si era rivolta anche a lui, gli occhi spalancati e pieni di paura, già asciutti dal pianto di poco prima. Aveva abbassato la testa sul petto di John e aveva inalato il suo profumo. Faceva quasi male, ma non poteva farli rimanere lì, dovevano andare via subito. Sherlock si era avvicinato a Lily e l’aveva presa per le spalle, strappandola dal corpo di John. L’aveva scossa e con voce ferma aveva detto: “Siamo qua, Lily. Non ce ne andiamo senza di te, capito?” la guardava fisso negli occhi, cercando un punto di connessione, qualcosa che la riportasse a essere un minimo lucida e razionale.

“Ma lui vi ucciderà, e io non voglio” piangeva di nuovo, a grandi singhiozzi, senza riuscire a smettere. Era chiaramente sotto l’effetto di qualche droga. Aveva accarezzato piano il viso di Sherlock, poi aveva guardato John con occhi appannati e assenti. Aveva sorriso leggermente: “I miei cavalieri dall’armatura scintillante” una lacrima le era scesa giù per la guancia. Le labbra le tremavano per la commozione “grazie, grazie davvero”.

John era annichilito. Dei cavalieri, per lei erano dei cavalieri, come quelli delle favole che raccontava a Rose.

“Non ce ne andiamo senza di te, Lily. È fuori questione”. La voce gli tremava per la commozione “ti abbiamo cercata tanto, non possiamo lasciarti qui, capisci?” l’ultima frase l’aveva detta con tono più fermo e deciso.

“Beh bisognerebbe vedere se io sono d’accordo” una voce alle loro spalle li aveva fatti trasalire. Lily si era coperta la bocca con una mano, spaventata “allontanatevi da lei, subito” Kaleb era lì davanti e aveva una pistola, puntata verso di loro. John aveva guardato Sherlock: niente eroismi.

Si erano allontanati, lentamente. Forse cinque metri, forse sei. Kaleb si era avvicinato a Lily e l’aveva presa per i capelli, facendola alzare e gridare di dolore: “Alla fine ti hanno trovata” le aveva bisbigliato nell’orecchio. Chissà come hanno fatto”. Aveva guardato di nuovo Lily, e le aveva messo un braccio intorno alla gola, stringendo. Sherlock si era mosso, ma Kaleb aveva sparato un colpo in aria, facendo rimbombare tutto il capannone.

SHERLOCK, NO!!!!” aveva urlato Lily disperata, buttandosi in avanti, il viso pieno di lacrime, trattenuta dal braccio di Kaleb “non muoverti Sherlock!!! TI PREGO!!”.

John aveva bisbigliato a mezza bocca “Sherlock, maledizione, stai fermo. Lo so che lo uccideresti, ma stai calmo, per favore”.

Lily cercava di divincolarsi dalla presa ferrea di Kaleb, ma lui non mollava “Fiorellino, se ti muovi la stretta aumenta” aveva detto con calma.

John aveva avuto un rigurgito acido in gola. Fiorellino. Che cosa disgustosa.

“Dunque!” aveva cominciato a voce alta Kaleb “abbiamo due baldi giovani qui, per salvare la povera principessa Lily in pericolo” aveva riso “ma! chi è la vera Lily, chi è questo fiorellino delicato, che viene dalla provincia, una piccola contadinotta di Castle Combe?” aveva guardato Sherlock, sempre con le mani alzate.

“Sa Keats a memoria, non la definirei contadinotta” aveva detto calmo, senza muoversi. John aveva chiusi gli occhi, esasperato.

“Ah sì certo. La principessina odiata dalla mammina, che studiava i poeti inglesi a memoria per compiacerla, che suonava il violoncello per intrattenerla. Povera, piccola Lily“ aveva guardato Sherlock, poi di nuovo lei “È lui il tuo preferito? Quello che ti ha letto dentro l’anima?” aveva usato un tono drammatico ed enfatico.
Le aveva puntato la pistola sotto lo zigomo.

“Non c’è voluto niente per portarla via da quella vita di merda. Però Lily, racconta ai signori cosa hai fatto quando siamo arrivati qui; racconta cosa hai fatto per permetterti la droga. Non hai rapinato un negozio di liquori, tra l’altro ferendo il proprietario“ aveva guardato sconcertato John e Sherlock “che ora deve parlare con quell’aggeggio che si appoggia alla gola, perché la piccola bestiolina qui, ha mirato subito al collo” aveva riso di nuovo “una vera giovane iena, sotto l’effetto dell’eroina. Pensare che quando l’ho conosciuta era così innocente, così pura” aveva avvicinato la sua bocca al viso di Lily, che piangeva senza ritegno.

“Ma soprattutto Lily, non hai MAI fatto un pompino a uno sconosciuto dietro un vicolo sudicio per 5 sterline, vero? Per comprare la droga a me. E come piangeva dopo, povera piccola, così umiliata. Mi sento sporca diceva. Ma in verità, secondo me, ti era pure piaciuto. Ti è sempre piaciuto, perché sei una sudicia puttanella”.
Aveva spostato la pistola da sotto lo zigomo dentro la cinta dei pantaloni di Lily, facendola strillare di terrore.

Sherlock guardava fisso quel farabutto di Kaleb e pensava, che mai in vita sua, aveva provato più schifo per una persona. Non ci si poteva approfittare così delle gente, soprattutto se fragile. Lui aveva usato le persone, lo ammetteva. Per le sue indagini, per avere indizi. Ma mai aveva soggiogato qualcuno, portandolo ad annullarsi. Doveva togliere Lily dalle mani di quel maiale, e in fretta. Aveva guardato John. Tremava dalla rabbia, vedeva la mascella contrarsi e le narici dilatarsi.

Kaleb continuava: “Mi ha supplicato di non uccidervi, tutti quanti. Avrebbe preferito morire qui, per salvare voi. Tu” aveva indicato John ”tu” aveva indicato Sherlock “e la moglie del dottore insieme alla piccola bambina. Non è adorabile?” aveva aggiunto con tono entusiasta “ma qui in mezzo sei la più sporca di tutti”. Aveva allentato la presa dal collo di Lily, che aveva cominciato a tossire convulsamente.

“Quindi ora” Kaleb aveva fatto una giravolta su sé stesso “avete due possibilità: morire o andare via da qui e scordarvi di lei per sempre.

Nessuno dei due si era mosso; lasciarla lì era fuori questione. Come potevano avvertire Lestrade? Kaleb aveva una pistola, e loro non potevano raggiungere le loro, figurarsi il telefono.

“Sherlock, John” era la voce di Lily, flebile e piena di pianto “andate via. Andate” la sua voce era più ferma ora “ve ne prego”.

“E naturalmente ci sposteremo ancora, finché per voi non esisteremo più” aveva concluso Kaleb, soddisfatto.

Lei non ce la faceva a vederli lì, con la loro vita appesa a un filo. Teneva troppo a loro; voleva che, semmai un giorno avessero incontrato qualcun altro in difficoltà, potessero avere la possibilità di aiutare, come avevano fatto con lei.

Lily aveva alzato la testa e aveva sibilato: “Spero di morire prima, piuttosto che vivere un altro giorno con te, razza di psicopatico”. Lo aveva guardato negli occhi, piena di rabbia e risentimento “hai già rovinato la mia, di vita. Non posso permetterti di rovinare quella di altre persone”.

Kaleb l’aveva guardata, furioso. E un pugno era partito verso le sua faccia, facendola cadere a terra, semisvenuta. L’aveva presa per il collo della maglietta, alzandola, e aveva urlato: “semmai tu dovessi morire, ti ucciderò io, perché tu sei mia e di nessun’altro”. L’aveva scaraventata a terra, violentemente.

Lily si era girata verso Kaleb, chino su di lei, e gli aveva sputato in faccia, un misto di saliva e sangue. A quel punto le era arrivato anche un calcio sulla testa.

All’improvviso, uno sparo. Ma non era Kaleb. Era Lestrade, affacciato dalle scale. Aveva colpito Kaleb alla spalla facendogli cadere la pistola, che però aveva subito ripreso in mano puntandola verso Lily.

“Ci vediamo all’infermo, piccola infame!” ma non aveva finito di dire la frase che un altro proiettile era partito colpendolo allo stomaco. Si era accasciato a terra, rantolante. Lily era immobile e lo guardava, fissa. Stava guardando un’altra persona morire, probabilmente. E non sapeva cosa fare. Aveva alzato gli occhi, e il colpo era partito da Sherlock. Kaleb si muoveva ancora, cercando di tirarsi in piedi e scappare.

Ma poi era successo.

John, con passo svelto si era incamminato verso di lui, e tirando fuori la pistola, aveva cominciato a scaricargli il caricatore addosso. Senza pietà, senza prendere la mira. Uno, due, tre, quattro colpi. E non smetteva.

Sherlock aveva urlato. Lestrade aveva urlato. Tutti urlavano: “Basta, John”.

E John si era fermato, il viso schizzato di sangue, l’aria completamente assente. Kaleb giaceva a terra, morto. John aveva buttato la pistola per terra e si era girato verso Lily.

Lei lo aveva guardato a sua volta. Non riusciva a piangere, era spaventata. Ma loro ora erano lì. Sherlock si era avvicinato a John ma lui aveva alzato una mano dicendo “Sto bene”.

Si era voltato, aveva sorriso a Lily: “Sei pronta per tornare a casa?”

Lei aveva annuito, muta. John si era chinato su di lei e l’aveva presa in braccio, come una bambina.

“Dio mio Lily, non pesi niente. Da quant’è che non mangi?”

Erano passati vicini a Sherlock, e lei aveva chiesto a John di fermarsi. Era scesa, e si era fermata davanti a lui, guardandolo.

“Scusa se puzzo” aveva detto prima di abbracciarlo forte, per quanto le sue forze lo permettessero “grazie” aveva sussurrato nel suo collo.

“Non devi…” aveva cominciato Sherlock.

“Sta zitto, maledizione. Per una sola volta. Zitto.”

Sherlock era rimasto muto, le sue solite braccia lungo i fianchi, che però aveva leggermente alzato, senza però toccare Lily.

Sciolto l’abbraccio, si era rivolta verso John, abbracciando anche lui. Forte. Solo che lui aveva ricambiato, stringendola e mettendole una mano dietro la testa, sorridendo. Poi l’aveva guardata e ripresa in braccio.
“John, non c’è bisogno…”

“Zitta, per una sola volta, almeno” aveva detto imitando Lily come quando aveva parlato a Sherlock qualche istante prima “Fammi fare. Dopodiché, parla. Parla finché non ci sanguineranno le orecchie”.

Lily aveva riso: “Va bene, come vuoi”.

Già si sentivano le sirene fuori dal capannone. Lestrade li aveva raggiunti: “Portatela via da qui, prima che la gente la veda. Per le cure portatela al St. Barth’s, Molly sa già tutto”.

“Va bene, grazie…” Sherlock aveva guardato di sottecchi John che aveva mimato con le labbra GREGORY  “Gregory”.

“Sì sì, ma ora andate via” aveva agitato la mano verso l’uscita “John, alla tua pistola ci penserò io. Ci manca solo l’accusa di omicidio” aveva scosso la testa, grattandosela.

Erano usciti da una porta sul retro, un’uscita di sicurezza dove li aspettava una macchina nera che li avrebbe portati al St. Barth’s per le prime cure. Poi finalmente a casa, e a Lily non sembrava vero.

Aveva appoggiato la testa alla spalla di John, esausta. Prima però aveva guardato Sherlock, dietro di loro. Lo aveva osservato e le sembrava si muovesse a rallentatore, i riccioli scuri, gli occhi chiari, e quell’andatura sempre tranquilla, come se non fosse successo nulla. Lui aveva alzato lo sguardo su di lei, spiazzato da quegli occhi che lo scrutavano. Strani, sereni ma allo stesso tempo inquieti. Gli erano tornati in mente frammenti di quella serata infernale.
Aveva sentito di nuovo la mano di Lily sul viso,
Il cavaliere dall’armatura scintillante,
“È lui il tuo preferito? Quello che ti ha letto dentro l’anima?”

 Si era sentito a disagio. Lui, Sherlock Holmes.

“Per colpa tua, non ho ancora mangiato i miei biscotti!” aveva detto a voce alta verso Lily, per bloccare il suo imbarazzo.

Lei aveva buttato indietro la testa, e riso forte.

Sherlock era contento di averla fatta ridere, anche perché non avrebbe saputo assolutamente rispondere a quel tipo di sguardo.

Aveva continuato a camminare, leggermente irritato da quella sensazione che l’aveva fatto sentire fuori dal suo ambiente sicuro.

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Capitolo 11
*** What if ***



Capitolo 11

What if


Le luci della sera si riflettevano sul finestrino della macchina della polizia. Lily si vergognava, era ridotta in condizioni assurde e non voleva appestare la bella macchina con i sedili in pelle che la stava portando al St. Barth’s. Aveva rifiutato la giacca di John, il cappotto di Sherlock, e si era accontentata di una coperta ruvida e che pizzicava della polizia. Ma in quel momento le importava ben poco; l’importante era essere salva, fuori di lì.

Kaleb era morto. All’improvviso un’ondata di dolore mista a sollievo le aveva mozzato il respiro. Lui non c’era più, non sarebbe mai più esistito, ora la sua anima forse stava attraversando i sette Cieli, verso Dio. Sarebbe stato perdonato, lei sapeva che in fondo era buono. E versò qualche lacrima per lui, perché alla fine l’aveva amato come si ama raramente, come si ama quando si è innocenti. E lui, Lily era sicura, per un periodo l’aveva ricambiata con lo stesso ardore, con la stessa dolcezza. Ma poi era cambiato, si era trasformato e il buio aveva ingoiato la sua anima. Con la testa appoggiata al finestrino, pensava a tutto ciò, mentre piccole lacrime le scendevano per le guance. Riusciva a pensare solo: “addio Kaleb, addio”.

Nella macchina c’era un silenzio denso, carico di domande e sottintesi. Cosa avrebbe fatto ora? Era libera sul serio, adesso. Avrebbe raccontato tutto alla Polizia, poi si sarebbe fatta visitare, poi si sarebbe fatta una doccia e mangiato.

Sì, certo. Ma poi.

Automaticamente si era voltata verso John e Sherlock, i suoi due punti di riferimento. Chiacchieravano sottovoce tra di loro, come le persone che si conoscono da anni. Le facce assorte e attente allo stesso tempo, e Lily per una frazione di secondo si era sentita fuori da lì, estranea. Come se non ci fosse. Come se si fosse intrufolata in qualcosa di privato, di segreto. Sherlock, all’improvviso l’aveva guardata, distratto.

“Stai bene?” aveva chiesto, piano. John si era girato a sua volta, con aria interrogativa.

Lily aveva annuito, con un sorriso tirato: “Sì, sto bene, grazie” si era stretta nella coperta , in imbarazzo.

Ma il suo cuore era pesante come piombo. Sherlock continuava a guardarla, mentre John parlava al telefono. La fissava e il cuore di Lily aveva aumentato i battiti. Cosa voleva da lei; perché mi guardi così, perché mi devi mettere a disagio anche ora; perché il mio cuore ora batte, mentre prima sembrava fermo;

Erano pensieri che si susseguivano rapidi, dentro la mente di Lily.

Ti prego, almeno per stasera, cerca di non leggermi dentro. Almeno stasera. Aveva pensato intensamente, serrando la mascella fino a farsi scricchiolare i denti.

E come se un flusso di pensieri caldo e luminoso si fosse incrociato in quell’istante, aveva sentito la sua stessa voce, dentro la sua testa: tutto è andato bene, è sicuro, quindi per ora starò zitto.

Lily aveva trattenuto il respiro per qualche istante; la voce nella sua testa aveva detto “zitto”. Ma la voce era la sua. Che fosse stato un incrocio di pensieri tra lei e Sherlock? Lily aveva distolto subito lo sguardo, rabbrividendo leggermente. Si sentiva scombussolata, il cuore continuava a martellarle nel petto, non poteva sostenere un secondo di più il suo sguardo. Aveva ricominciato a guardare la strada, sperando di arrivare il prima possibile al St. Barth’s.

Finalmente arrivati, non aveva parlato con nessuno. L’avrebbe fatto con Lestrade, per aggiungere più particolari e soprattutto perché John e Sherlock erano lì e lui era l’unico a saperlo. Mentre un’infermiera amorevole le disinfettava le ferite sul viso sorridendole materna, da dietro la porta della stanza aveva sentito voci concitate.

Fai finire almeno le medicazioni…almeno quelle.

Non ci penso proprio!

In quel preciso istante la porta si era spalancata, facendo comparire Mary, gli occhi pieni di lacrime mentre si strattonava dalla presa di John.

“Lily!” aveva esclamato con voce flebile e stridula “Lily, allora è vero!”

Era corsa verso di lei, spostando l’infermiera e stritolandola in un abbraccio da boa constrictor, piangendo come una bambina. Dopo due minuti, Lily aveva guardato John da sopra la spalla di Mary aggrottando leggermente le sopracciglia, chiedendo aiuto.

“Mary, tesoro…forse dovresti farla respirare per un attimo”.

Lei si era staccata immediatamente, prendendo il viso di Lily tra le mani: “Santo cielo, Lily. Ma cosa ti ha fatto?” un lampo di odio aveva attraversato i suoi occhi “com’è possibile? Come sta?” era scattata verso l’infermiera, che era indietreggiata leggermente intimorita.

“Sta bene, nei limiti del possibile. Ora fai finire il lavoro all’infermiera, manca poco” aveva incalzato John.

“Ma scusa, non potresti farlo tu? Sei medico!” aveva fissato la povera ragazza, che aveva teso tutto il necessario al “dottore” ed era scappata dalla stanza. John aveva rivolto uno sguardo di rimprovero a Mary, che aveva alzato le spalle. All’improvviso, aveva spalancato gli occhi: “Ho lasciato i tuoi vestiti puliti in macchina! Torno subito!” ed era corsa via, il rumore dei tacchi che echeggiava per i corridoi dell’ospedale.

John aveva scosso la testa, cominciando a disinfettare il piccolo taglio sulla guancia di Lily: “Un abitudinario, eh? Lividi e tagli sempre negli stessi posti” aveva sussurrato concentrato, osservando il livido che aveva sulla guancia sinistra. Aveva il maglione schizzato di sangue, gocce microscopiche.

Lily non aveva risposto, non sapeva cosa dire. Aveva incrociato lo sguardo di John, i suoi occhi blu che alla luce del neon sembravano neri. Lui le aveva sorriso, le rughe agli angoli degli occhi accentuate: “sei silenziosa, ti aveva detto che avresti potuto parlare fino a farci sanguinare le orecchie”. Aveva alzato le sopracciglia, perplesso.

“Non so esattamente cosa dire” aveva sussurrato Lily scrollando le spalle e sedendosi meglio sul lettino, in evidente imbarazzo.

“Se vuoi, puoi pure non parlare. Nessuno ti rimprovererà per questo”. John aveva proseguito con le medicazioni, il suo tocco leggero e delicato rassicurava Lily in parte.

Aveva arricciato le labbra, nervosa: “È solo che credevo mi sarei sentita diversa”.

John si era fermato, e aveva appoggiato il disinfettante e la garza sul lettino: “Lo so, il senso di sollievo è temporaneo. Cosa provi esattamente?” aveva stretto gli occhi, attento.

“Io…non lo so. Ho molta paura e ansia di quello che succederà adesso. Sono dispiaciuta per la morte di Kaleb, e ho paura anche che non riuscirò mai più a dormire”.

John aveva sospirato leggermente: “penso sia normale, sai? Ma non c’è nulla che non si possa risolvere con un po’ di buona volontà “le aveva messo una mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione “Lily, guardami per favore”. John, che aveva sempre bisogno del contatto visivo per parlare alla gente, con il suo piglio da ex soldato.
Povera Rose, aveva pensato Lily.

Lui continuava a esaminarla, con il più rassicurante degli sguardi: “ci vuole tempo, il tempo guarisce tutto. So che è una frase a dir poco scontata, ma è vero. Guarda me. Dopo essere rientrato dall’ Afghanistan, anch’io pensavo bene o male le stesse cose.”

Lei aveva alzato gli occhi su John, in imbarazzo. Come poteva paragonare la sua esperienza a quella di Lily? Quella di John era estremamente più grave, e lui in Afghanistan c’era stato tre anni, prima di rientrare per la ferita alla spalla.

Lily aveva annuito, non del tutto convinta. Ma si fidava ciecamente di quello che diceva, della sua saggezza innata, che sembrava scaturire sempre al punto giusto e sapeva sempre dove lenire, dove curare, dove incoraggiare.

Aveva riabbassato lo sguardo sul lettino, tracciando piccoli cerchi con il dito sulla carta.

“Sherlock dov’è?” aveva chiesto piano, puntando di nuovo lo sguardo su John.

Lui l’aveva guardata, e un accenno di sorriso si era aperto sulla sua bocca.

“È al telefono con Lestrade, tra poco arriverà”. Aveva uno sguardo divertito, che aveva messo Lily in imbarazzo: “Smettila” aveva borbottato verso John, non riuscendo a trattenere un sorriso.

“Io? Cosa ho fatto?” aveva riso di nuovo “i cavalieri non abbandonano mai le principesse, stai tranquilla.”.

Lily era diventata rossa, suscitando un’altra risata di John.

“John, ho detto basta!” aveva riso anche lei, tirandogli un rotolo di garza “che stronzo!”

John aveva ripreso contegno ed era diventato serio tutto a un tratto: “Ora sei qui, e noi siamo con te. Nessuno ti lascia sola, Lily. Sappilo. Quello che è successo è stato un errore di calcolo, una sfortunata coincidenza, chiamala come vuoi. Ma ora, più che mai, devi capire una cosa: tu una famiglia ce l’hai e siamo noi. Dicci sempre tutto, com’è giusto che sia”.

All’improvviso aveva spalancato gli occhi, alzando un dito in aria: “Ah, quasi mi scordavo!” si era frugato in tasca “avrei voluta dartela subito, ma poi mi è passato di mente”.

Le aveva preso la mano delicatamente e ci aveva posato dentro qualcosa. Al contatto con la sua pelle, Lily aveva trattenuto il respiro. Aveva aperto piano la mano e sul suo palmo c’era il ciondolo del giglio, con la sua catenina aggiustata. Era più bello, splendeva.

“L’abbiamo fatta riparare e lucidare” aveva detto piano John sorridendo, mentre Lily si rigirava la catenina tra le mani, mordendosi piano il labbro inferiore “ora è di nuovo con te, l’avevi sempre addosso, sembra essere importante. Un giorno mi racconterai anche la storia di questo bel ciondolo” le aveva strizzato il polso leggermente, e lo teneva con delicatezza. Si erano guardati per un momento e Lily aveva sorriso, piena di gioia: “Grazie” aveva sussurrato, e si era fermata “io…non..”

“Tranquilla” aveva risposto John in fretta “un grazie è più che sufficiente, l’importante è che sia tornata dal legittimo proprietario” le aveva fatto l'occhiolino.

Lily avrebbe voluto tanto abbracciare John, ma era troppo lontano e sinceramente, erano conversazioni troppo intime, troppo confidenziali. Per ora andava bene così, non erano in uno sceneggiato americano, questa era la vita vera.

“Quando potrò farmi una doccia?” aveva chiesto lamentosa Lily per alleggerire l’atmosfera “non ce la faccio più ad avere questa roba addosso. Puzzo e mi sento sudicia”. Intanto si era allacciata la catenina al collo e sentiva come la sensazione che almeno una cosa fosse tornata al suo posto.

“Le docce sono in fondo al corridoio, non dovrebbe esserci nessuno a quest’ora. Vai a lavarti, e manderò Mary a portarti biancheria e vestiti puliti”. John le aveva indicato la direzione.

Lily aveva sorriso e si era incamminata verso le docce, un ambiente bianco, sterile. Illuminato da luci calde, non era proprio accogliente, ma per Lily andava bene lo stesso. Bastava che ci fossero acqua calda e sapone. Per il resto, poco male.

//

Si era spogliata in fretta, mentre faceva scorrere l’acqua. All’improvviso il suo riflesso nello specchio sopra ai lavabi aveva attirato la sua attenzione, facendola bloccare. Era troppo magra, le costole le si vedevano una a una, e il torace era cosparso di lividi violacei. Dove non c’erano ematomi aveva la pelle bianca, tendente al giallastro per il poco nutrimento e il buio perenne. Le braccia erano minuscole, piene di lividi a forma di dita e il suo seno quasi non si vedeva più. Le erano salite le lacrime agli occhi, fino a quando la sua immagine le era apparsa sfocata allo specchio. Era brutta, era orribile. Aveva la faccia tormentata da lividi e tagli, le guance erano incavate e facevano risaltare ancora di più gli occhi, che già erano grandi per natura. Le labbra erano quasi bianche, screpolate, e un taglio rosso vivo attraversava il labbro inferiore, come uno sfregio. Sembrava un alieno, o una persona che stava per morire. C’era mancato poco, certo. Ma la sua adesso era mera, stupida, semplicissima fisicità. Non riusciva a guardare la sua immagine allo specchio.
Come avrebbe potuto un uomo volerla, prima o poi? Come avrebbe potuto un uomo amarla sinceramente, vedere il suo corpo nudo, pieno di cicatrici scure e reputarlo bello. Si sentiva un frutto ammaccato caduto dall’albero, che stava marcendo al sole. Era sicura che puzzasse anche dentro. Era brutta, era orribile. Come faceva la gente a sorriderle? Forse per pietà. Come poteva far interessare qualcun altro a lei, quando era guasta dentro e fuori? Come poteva amare e farsi amare di nuovo? Come poteva pensare a una cosa così insignificante, in quel momento? Era viva, era salva. Ma non riusciva a farne a meno. Il suo aspetto esteriore rifletteva esattamente come si sentiva dentro. Triste, ridotta in macerie, brutta, dilaniata. Aveva nascosto il viso tra le mani, piena di vergogna.

“Lily?” una voce maschile, fuori dalla porta, attutita dalla porta

“Chi è?” aveva risposto Lily, con la voce che tremava per le lacrime, il freddo e la tristezza.

“Sono Sherlock” aveva aggiunto la voce attutita dal legno, con tono ovvio.

“Non entrare!” aveva esclamato lei subito, nel panico più assoluto.

Immagino tu abbia chiuso la porta…o no?” aveva chiesto perplesso.

A Lily sembrava di sì, adesso non ricordava accidenti, cosa voleva Sherlock adesso?

“Mi pare di sì, ma tu tieni la porta chiusa” aveva ribadito.

Silenzio.

“Ehm…sì. Ma perché, sei nuda?”

Oh mio Dio aveva pensato Lily, guardando il soffitto esasperata: “La doccia non la faccio vestita sai??!”

Altro silenzio. Lily avrebbe cominciato a urlare tra 3….2….

“Comunque Mary mi ha detto di portarti i vestiti, come facciamo?”

“Lasciali fuori dalla porta!” aveva risposto Lily, sempre più imbarazzata e infreddolita.

“Ma potrebbero rubarli, è possibile sai? Una volta, in un caso che seguivo…”

No. No. NO.

Lily si era precipitata verso la porta e l’aveva aperta leggermente, facendo spuntare solo la testa, e subito dopo un braccio nudo, facendo intravedere la curva esterna del “seno”: “Dammi i vestiti” aveva aperto e chiuso la mano, per enfatizzare il concetto.

Sherlock l’aveva guardata, confuso: “Ma scusa, sei nuda, ma ce l’hai un minimo di decenza??”

Lily l’aveva guardato, sgranando gli occhi.

Sherlock continuava a guardarla, la sua domanda persa negli occhi spalancati di Lily. Rendendosi poi conto della situazione, aveva prima guardato per aria, poi per terra, poi di nuovo Lily, la cui faccia non faceva presumere nulla di buono: “Oh beh sì certo, ecco i vestiti” glieli aveva passati, poi l’aveva guardata di nuovo e con tono saccente, guardandola dall’alto in basso, aveva esordito “non dovresti stare così tanto senza vestiti, sai. Fa freddo”.

Con un gemito esasperato, Lily aveva chiuso la porta in faccia a Sherlock, non potendo più sopportare un secondo di più quella conversazione senza senso. Lei era piena di pudore. Sprizzava pudore da tutti i suoi stramaledettissimi pori. Era talmente tanto che si sarebbe messa un lenzuolo addosso, tipo i bambini che si travestono da fantasmi a Halloween.

Altro silenzio, ma Lily non sentiva passi allontanarsi.

“Beh….PREGO COMUNQUE!!!” aveva urlato Sherlock da dietro la porta, facendo sobbalzare Lily.

GRAZIE SHERLOCK, SCUSA MA ORA VADO A FARE LA DOCCIA, O IL MIO SENSO DEL PUDORE POTREBBE PRENDERE FREDDO!!” aveva urlato di rimando. A quel punto aveva sentito il sospiro sdegnato di Sherlock e i passi allontanarsi.

Lily aveva quasi scaraventato i vestiti puliti per terra, ma si era fermata in tempo. Un uomo impossibile, veramente senza speranza. Una persona la doccia se la fa nuda. Lui se la faceva vestito forse? Scuotendo la testa si era finalmente diretta sotto il getto della doccia, sospirando di sollievo e piacere, mentre si insaponava i capelli. Preoccupata si era guardata la mano: parecchi le erano caduti solo facendo lo shampoo.

Pensava ancora a Sherlock; ma che razza di persona. Mister Pudicizia. Ma aveva mai visto una donna nuda? Pensava proprio di sì, almeno lo sperava per lui. Chissà se faceva le cose che gli uomini nudi normalmente fanno davanti allo specchio: gonfiare i muscoli, osservare se avevano messo su pancia, fare le facce ridicole, e altre cose sconvenienti che Lily trovava veramente stupide.
Perché pensava a Sherlock nudo? No. Lei non pensava a Sherlock nudo, lei pensava che faceva le stesse cose che fanno tutti i maschi. O forse no, si spogliava solamente e si infilava sotto la doccia, sapendo già di essere perfetto, non aveva bisogno del riflesso dello specchio per la conferma.

Perfetto poi, aveva pensato Lily strofinandosi vigorosamente le braccia forse piacente, ma non perfetto. Certo era in forma, lei lo aveva visto senza cappotto e giacca e le camicie che metteva facevano comunque risaltare un fisico asciutto, scolpito. A volte i bottoni tiravano un pochino, perché forse era troppo muscoloso. O forse perché era un narcisista e si comprava le camicie più strette per fare bella figura. A colazione aveva sempre una maglietta sdrucita e un paio di pantaloni della tuta che non si curava di stringere in vita; pensava di nascondere tutto con la vestaglia, ma i peli della pancia che sbucavano dai pantaloni abbassati Lily li aveva visti eccome. Assumeva sempre pose strutturate, eleganti, che lo facevano apparire affascinante anche senza parlare. Mai un capello fuori posto, le mani sempre curate, mai un filo che pendeva, un bottone allentato, le scarpe sporche o non lucide. Ci teneva all’aspetto, forse per facilitare anche il suo lavoro. Ecco perché all’inizio Lily aveva pensato fosse gay. Ma poi l’aveva visto fare domande alle testimoni donne e tirava fuori uno charme e un atteggiamento rassicurante che le faceva diventare creta morbida tra le sue mani, e a quel punto poteva anche farsi rivelare il loro numero di conto corrente o la combinazione di una cassaforte.

Lily aveva pensato a tutto ciò sotto il getto caldo della doccia, non accorgendosi del tempo che passava. Aveva aperto all’improvviso gli occhi, vergognandosi di essersi soffermata così tanto sui particolari di Sherlock Holmes, lo snobbone pudico, ed era uscita dalla doccia. Mentre si asciugava davanti allo specchio, aveva sbuffato, scocciata. Ora si sarebbe dovuta sorbire il broncio di Sherlock. L’aveva appena salvata da una situazione mortale e già faceva polemica? Ma che noia!!

//

Sherlock proprio non capiva Lily, proprio non ci riusciva. Era pur vero che non aveva visto nulla, se non un braccio nudo, ma insomma! Sapeva già che se lo avesse raccontato a John, lo avrebbe preso in giro, accusato di esagerare come al solito e di essere misogino. Ma che ci poteva fare se lui era così? Le donne….perlopiù esseri volubili, senza offesa. Erano così malleabili a volte. Lo sapeva bene lui, bastava niente per farsi dire cose importanti. Eppure non faceva chissà che, se n’era accorto da solo. Sorrideva un po’, usava un tono basso di voce, qualche complimento insincero buttato a caso e loro si aprivano come margherite a primavera nella loro frivolezza, e il gioco era fatto. Questo non voleva dire che lui non rispettasse il genere femminile, solo che lo trovava così intuitivo. Quando si trattava di lavorare, era fin troppo facile.

Lily invece era… era così pacata ma allo stesso tempo aggressiva, e sempre pronta a rispondere a tono. Non si faceva incantare da nulla, se le chiedevi un favore in maniera normale ed educata era ben felice di accontentarti. Ma se provavi la lusinga, su di lei non attaccava. Si imbarazzava con uno schiocco di dita, o perché ci si soffermava troppo con lo sguardo su di lei, salvo poi aprire la porta consapevole di essere nuda, anche se c’era una lastra di legno a separarli. Bastava una sguardo per farla balbettare, ma alla prima parola fuori posto o che non le andava a genio, era pronta a balzare in avanti come una leonessa inferocita. Era un vortice di contraddizioni. I suoi pensieri dovevano rimanere puri, razionali. Ma diamine, lei gli faceva saltare i nervi come il dottor Watson. Povero lui, aveva trovato l’equivalente di John in gonnella.

E poi quello sguardo. Quello sguardo che le aveva lanciato da sopra la spalla di John, poche ore prima. Quegli occhi che lo avevano tirato fuori dalla sua zona sicura, pieni di buio ma allo stesso tempo luminosi. Cosa volevano dirgli? Grazie, forse? La storia del cavaliere.
Sherlock aveva scosso la testa, frustrato. Quella Lily. Gli stava dando filo da torcere, ne era consapevole. Ma era anche consapevole del fatto che lo faceva senza accorgersene, era lo specchio del suo sentirsi a suo agio con lui. Ogni persona ha il suo modo di porsi con le altre. E quello di Lily era quello di esasperarlo, semplicemente. O era lui che esasperava lei?

Non c’è niente che non vada in me” aveva pensato, come al solito.

//

Lily si era asciugata alla bell’e meglio i capelli, che si rivoltavano verso di lei come serpi ammattite; li aveva lisciati con le mani, ottenendo un po’ più di disciplina. Ma sembrava comunque una pazza. Aveva le guance rosse per l’acqua calda e per essersi strofinata troppo con la spugna. Si era infilata i jeans, che le calavano sui fianchi. Ed erano i più stretti che aveva; poi aveva preso quello che doveva mettersi sopra ed era trasalita: era il maglione di Natale, quello blu oltremare che le aveva regalato Mary. Se l’era infilato e per poco non ricominciava a piangere. Addosso le stava largo, le maniche le arrivavano sotto le nocche, per via delle spalle smagrite. Le stava addosso come un palloncino sgonfio, ed era terribile. Quel maglione, che lei amava così tanto, che aveva considerato un regalo bellissimo, una nuova possibilità, si stava ribellando a quello che ora era il suo corpo. Lo specchio della paura. Aveva sentito le lacrime salirle in gola, ma le aveva ricacciate indietro: avrebbe sorriso, nonostante tutto.
Era uscita dai bagni, mettendo i vestiti vecchi in una busta; non sapeva se buttarli o lavarli. La felpa che le aveva dato Kaleb l’aveva già gettata in un cassonetto per strada. Aveva percorso il corridoio, piano, molto lentamente. Ripensava alla sua immagine nello specchio, al maglione che sembrava un brutto scarabocchio su di lei. Non aveva mai prestato troppa attenzione al suo aspetto esteriore. Ma quello che aveva visto riflesso non era il suo essere, non si era mai vista così. Forse era stata pure peggio, ma non c’era mai stata una superficie riflettente a sbatterglielo in faccia. Si vergognava, non voleva essere brutta. “Che ragionamenti infantili” aveva pensato tra sé, ma non riusciva a fermarli. Era arrivata davanti alla porta della stanza, dove sentiva le voci di John, Sherlock e Mary. Entrando, si erano tutti girati contemporaneamente verso di lei. E là Lily l’aveva visto: il lampo di paura e sorpresa negli occhi di Mary, con un leggero accenno delle sopracciglia. Lo aveva visto a rallentatore. Lo sguardo di John che si era abbassato per pochi secondi, in maniera non del tutto casuale. Ma sorridevano leggermente, per non far vedere quello che Lily aveva chiaramente osservato. Sherlock invece l’aveva guardata dal basso verso l’alto, scrutandola come al solito. Lily aveva oscillato le braccia, dondolandosi sui talloni in visibile imbarazzo esclamando: “Ed ora entrino gli scheletri danzanti!” aveva riso forzata, alzando le braccia e agitandole.
Mary e John avevano riso subito dopo di lei, impacciati a loro volta. Lily si era fermata, guardando il pavimento, cercando di trattenere le urla e le lacrime che lottavano per uscire da lei. Sherlock continuava a guardare, guardare, guardare. Ma cosa diavolo voleva da lei? Un rigurgito di rabbia dal sapore amaro le era salito in bocca.

Mary era avanzata verso di lei, mettendole una mano sulla spalla: “Vuoi mangiare qualcosa, tesoro? possiamo fermarci dove vuoi, ci sono ancora tanti posti aperti. Un bel pasto sostanzioso, che dici?”

Sherlock aveva detto con molta calma e con un’aria indecifrabile: “Ce ne vorranno più di uno, questo è sicuro” un leggero sorrisetto era apparso al lato sinistro della bocca, poi aveva aggiunto “ma quello è lo stesso maglione che avevi a Natale?” aveva strizzato gli occhi, dubbioso.

In quell’istante, qualcosa dentro Lily si era rotto e lei ne aveva sentito la vibrazione, nettamente. Come un osso, come un pezzo di legno. Qualcosa dentro di lei era andato in pezzi, in quel preciso momento. Aveva alzato lo sguardo, gli occhi lampeggianti di lacrime. Senza dire niente, si era avvicinata e senza pensarci aveva tirato la mano dietro la sua testa e l’aveva fatta atterrare sulla guancia di Sherlock, provocando un vigoroso schiocco secco.

Nella stanza aleggiava un silenzio pesante come un asciugamano bagnato. John aveva allacciato le mani dietro la schiena e guardava per terra, muovendo la bocca impercettibilmente. Mary si era portata le dita della mano sinistra davanti la labbra, ed era ancora lì immobile, lo sguardo che saettava da Lily a Sherlock e viceversa.

“Tu…” aveva cominciato Lily con voce tremante e flebile “dimmelo…TU ce l’hai un maledetto cuore? Mi sono già vista. So già che sono orribile. Non c’è altro da aggiungere, ma te devi sempre avere l’ultima parola, giusto?” aveva alzato la voce “proprio non ci arrivi, giusto?”.

Lily non voleva piangere, non per una cosa del genere. Ma non sapeva come, non riusciva a fermare la pioggia di lacrime che le rigavano il viso. Una vera pioggia di lacrimoni che le rotolavano lungo le guance, che cadevano a terra facendo rumore. L’avesse detto Kaleb, l’ avesse detto l’infermiera, l’avesse detto Dio in persona, non le sarebbe importato. Ma Sherlock no, proprio no. Non poteva spingersi così oltre, non ne aveva il diritto. Non aveva il diritto di calpestare così il suo cuore, le sue emozioni. Perché lui l’aveva salvata, lui era il cavaliere. E non poteva, non doveva comportarsi così. Lo guardava, mentre lui lentamente riportava la testa alla sua posizione iniziale. Stranamente rivolgeva lo sguardo in basso, e si era portato la mano alla guancia schiaffeggiata dove facevano bella mostra cinque impronte di dita rosso acceso. Si massaggiava la guancia senza dire una parola, con le sopracciglia corrugate, sempre con lo sguardo per terra, fisso sul pavimento di finto parquet beige.

Lily si era allontanata da lui, senza proferire parola. Già si era pentita di averlo schiaffeggiato. Lei non poteva arrogarsi il diritto di mettergli le mani addosso. Ma era stato tutto automatico, un grido di amarezza, tramutato in forza fisica. Ma stavolta non avrebbe chiesto scusa subito. Forse domani, forse tra una settimana, non lo sapeva. Ma sicuramente non quella sera.
Si era asciugata il viso, e si era rivolta a John e Mary: “Effettivamente ho una bella fame da lupi. Dove si può andare?”

Mary, risvegliata dalle parole di Lily, aveva cominciato a elencare una miriade di posti, prendendola sottobraccio e portandola fuori dalla stanza parlando senza sosta.

John continuava a guardare per terra, stavolta con le mani in tasca. Dondolava piano sui talloni, come aveva fatto Lily poco prima, ma lui non lo faceva per l’imbarazzo. Lo faceva per contenere la rabbia. Aveva alzato il viso e lo aveva rivolto a Sherlock, che continuava a massaggiarsi la guancia stretto nel suo cappotto, come un pipistrello avvolto nelle sue ali rigide.

“Dovevi proprio?” erano state le prime parole di John “non sei proprio riuscito a resistere”.

Sherlock lo aveva guardato: “Forse è meglio che vada a casa”.

John in tre passi lo aveva raggiunto, mettendo il suo viso a pochi centimetri da quello di Sherlock e aveva sibilato: “No, tu verrai invece. Così potrai osservare come mangia una persona digiuna da giorni”. Il suo tono non ammetteva repliche, e Sherlock lo sapeva bene.

“Chi tace acconsente” aveva mormorato John “ma tacere non sempre è così facile, vero?” lo aveva guardato a lungo, poi scuotendo la testa si era avviato fuori dalla stanza, fermandosi sulla soglia, aspettandolo.

Sherlock aveva tirato su il bavero del cappotto e si era avviato verso l’uscita insieme a John.

//

Alla fine erano andati in un fastfood, niente di particolarmente esoso e particolare. Lily stava morendo di fame, e mentre addentava il suo doppio hamburger, John le aveva raccomandato di mangiare piano, sennò si sarebbe sentita male. Ma aveva troppa fame, e senza tanta eleganza aveva azzannato il suo panino, mugolando al primo boccone. Il cibo, che cosa straordinaria. Sherlock era seduto di fronte a lei ma spostato di una sedia; davanti c’era Mary, e John era accanto a lei che la guardava divertito mentre mangiava come una bambina entusiasta. John aveva lanciato un’occhiata a Sherlock, che continuava a guardare il tavolo con le mani incrociate, come in preghiera. Non sapeva cosa pensare. Era arrabbiato? Si vergognava? Cosa diavolo gli passava per la testa? La sua capacità di moderazione pari a zero non smetteva mai di stupire John.
Guardava Mary che parlava con Lily, mentre sorseggiava un caffè, e si sarebbe sentito sereno se lui non se ne fosse uscito con l’ennesima sparata da bastardo. Lily mangiava con gusto, forse troppo veloce, forse troppo euforica per sembrare un sentimento genuino e reale; il sorriso le era tornato in viso mentre guardava le foto di Rose sul telefono di Mary. Poi, chissà cosa passava per la testa pure a lei. Come si sentiva, come stava. Si sentiva ferita, questo era ovvio. Ma poi cos’altro? Se lei non avesse chiesto aiuto a nessuno di loro, avrebbe dovuto lavorare su tutta questa situazione, su tutti i suoi demoni, da sola. E questo spaventava parecchio John.

“Lily, così ti verrà il mal di stomaco, vai piano!” aveva riso di nuovo, scacciando per un momento quei cattivi pensieri.

“Ma è così buoooonoooo” diceva Lily lamentandosi “dai, non fare il guastafeste!” aveva fatto una linguaccia a John, che aveva risposto a sua volta.

“Non dire che non ti avevo avvertito, poi” l’aveva ammonita, sorridendo.
Sherlock sentiva tutto, e vedeva anche grazie alla sua vista periferica. La guancia bruciava ancora, le impronte della dita erano sfumate in un rosa chiaro, ma diavolo se bruciava. Gli aveva assestato un ceffone a regola d’arte. Non voleva essere lì, voleva solo andare a casa, bere un the e andare a dormire. Era John, era sempre lui a farlo sentire così. Ma cavolo, lo sapevano che non aveva peli sulla lingua, ancora non aveva imparato nessuno? Ma forse c’era qualcosa di più profondo stavolta, qualcosa che lui stranamente non era riuscito a carpire. E rifletteva su quello in quel momento,sui modi di ferire le persone portando a galla ricordi suoi, ricordi di altre persone, ricordi di John. Pensava, pensava e non si fermava mai. Sembrava che gli andasse in fumo il cervello. Sentiva le loro voci, ma non quello che dicevano, che esprimevano. Era troppo concentrato.

“Aaaah ora mi sento molto meglio” aveva detto Lily stiracchiandosi e portando le braccia sopra la testa “ci voleva proprio” aveva annuito soddisfatta, massaggiandosi la pancia con aria buffa. Mary aveva riso, seguita da John.

“Devi rimettere su peso” aveva detto John “ starai bene presto, vedrai”.

Lily aveva abbassato lo sguardo sul tavolo, nella sua testa sprazzi del suo corpo nudo riflessi nello specchio; aveva semplicemente annuito, sorridendo leggermente.

Mentre uscivano dal fastfood, John le si era avvicinato e aveva detto piano: “Vuoi dormire da noi stasera? Sai che non ci sono assolutamente problemi” le aveva sorriso.

Lily aveva stretto piano il braccio di John: “Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Sto bene; arrivata a Baker Street, mi lavo i denti e vado a letto; ho bisogno di dormire un po’”.

“Va bene, se lo vuoi tu. Noi prendiamo la macchina, tu e Sherlock tornate in taxi”.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo, scherzosa. John le aveva dato la buonanotte, Mary pure e si erano divisi. Il taxi aspettava, Sherlock già posizionato sul sedile. Lily era salita, e il tassista aveva detto: “dove si va, signorina?”

Lily aveva guardato Sherlock per una frazione di secondo, poi aveva riferito al tassista: “221b di Baker Street, grazie”.

//

Il viaggio in taxi era stato silenzioso. Sia Lily che Sherlock sedevano dalla parte opposta del sedile, ognuno a scrutare fuori dal finestrino. Lily, attraverso il riflesso del vetro, osservava Sherlock. Il viso poggiato su una mano, la postura rigida. Ogni volta che si fermavano a un semaforo, guardava avanti a sé, finché non ridiventava verde; a quel punto, tornava alla posizione iniziale. Lily aveva guardato le sue gambe per qualche secondo sentendosi, nonostante tutto, in colpa. Non le piaceva trattare male le persone; non le piaceva essere irrispettosa. Guardava l’ammasso di riccioli neri di Sherlock e si chiedeva perché, però, lo scrupolo se lo facesse solo lei. Era la prima volta che schiaffeggiava una persona. Aveva malmenato, e pure parecchio a causa della droga, ed era stata a sua volta picchiata. Dagli spacciatori, dai ladri. Ma lei di proposito non aveva mai alzato una mano su nessuno, se non per difendersi. Ma nel momento in cui aveva schiaffeggiato Sherlock era riuscita a pensare solo a quello, era stato uno stimolo irresistibile, forse un modo di proteggere se stessa, e se ci pensava ancora sentiva il bruciore sulla mano, la sensazione della pelle di Sherlock sulla sua. Era fredda, glaciale, come l’anima che vi risiedeva dentro. Aveva sospirato piano, e aveva pensato che chiedere scusa non sarebbe servito. E sinceramente, non voleva neanche. Non pretendeva che Sherlock sapesse esattamente come si sentiva, ma lui che si vantava di dedurre tutto, era stato inopportuno su un argomento così delicato, così fragile. Soprattutto a poche ore dal suo salvataggio, a poche ore dalla fine dell’inferno che avevano provato tutti quanti, non solo lei. Scuotendo la testa, era tornata a guardare fuori dal finestrino, facendosi andare in fumo il cervello per trovare un appiglio, una giustificazione a quello che era successo quella sera.

Nel frattempo, erano arrivati a Baker Street e Sherlock, dopo aver pagato di gran fretta il tassista, era sceso dalla macchina con in mano già le chiavi di casa. Voleva sbrigarsi, voleva tornare a casa e rinchiudersi in camera probabilmente. Voleva rifugiarsi dietro quella porta chiusa, che era la sua mente e il suo cuore. Lily si era sorpresa di pensarla allo stesso modo. Voleva chiudersi dentro la sua stanza, dentro sé stessa, mettere un qualcosa di fisico e materiale tra lei e Sherlock. Pensare a quello che era successo e a quello che sarebbe successo, soprattutto. Saliva le scale dietro a Sherlock, fissando l’estremità del suo cappotto che oscillava ogni volta che saliva un gradino. Arrivati dentro casa, aveva appeso il soprabito dietro la porta e si era diretto subito in corridoio, verso la sua camera, senza proferire verbo. Lily era rimasta al centro della stanza osservando bene l’appartamento, tutto ciò che aveva lasciato e aveva ritrovato. Aveva sorriso leggermente, sentendosi sollevata. L’odore era sempre lo stesso: legno, polvere, e un piccolo accenno di formaldeide che Sherlock usava per preservare i suoi esperimenti. Si era girata verso la cucina, e il microscopio era lì. Senza vetrini, senza niente attorno. Come se fosse stato sospeso, fermo. A quel punto, aveva cominciato a farle male lo stomaco. Avrebbe dovuto dare retta a John, decisamente. Man mano che il tempo passava, il dolore era sempre un po’ più forte, così Lily si era lavata i denti e stesa sul letto, sperando che il dolore si affievolisse un minimo. Guardava il soffitto, e il lampadario, e sentiva le palpebre sempre più pesanti; se fosse riuscita a dormire, forse il dolore sarebbe passato da solo.

Siringhe. Polvere bianca e cucchiai riscaldati; limone e poi..poi era finito tutto, bisognava trovare i soldi. Il negozio di liquori, la crisi di astinenza, il taglierino smussato in una mano. Le minacce, il rifiuto, la rabbia e un sapore metallico in bocca. Il salto sul bancone, l’atterraggio sul proprietario e poi la sua mano che sferrava un colpo netto alla laringe troppo profondo, forse aveva preso anche le corde vocali, non sapeva. Vedeva solo sangue e gli occhi sbarrati dell’uomo che si teneva la gola con una mano, mentre tendeva l’altra verso di lei. Kaleb aveva preso i soldi, gridando guarda che hai combinato, stupida troia. Scappiamo, la polizia starà già arrivando. E lei era coperta di sangue, e ci era scivolata sopra, ed era scappata nel buio della notte. Poi l’acquisto, e la droga e le botte per quel gesto sconsiderato, la violenza. Vedeva le stelle dentro i suoi occhi; ma non sapeva se erano quelle vere su nel cielo, o quelle nate dai colpi. Il viso di Kaleb deformato dalla rabbia, un coltello puntato alla gola, la prossima volta che ci esponi così io ti ammazzo, ti ammazzo hai capito? Aveva la schiuma alla bocca, come un cane rabbioso, le pupille piccole e nere. Non si muoveva, mentre Kaleb le iniettava il veleno nelle vene. Adesso starai meglio, anche se non te lo meriteresti. Schiaffo. Urlo. Urla! Urla! Non sente nessuno!!

Lily aveva spalancato gli occhi, nell’oscurità di Baker Street, un bagno di sudore, le lenzuola attorcigliate intorno al suo corpo. Si era seduta sul letto senza neanche accorgersene. Aveva tirato su le ginocchia abbracciandole, appoggiando la testa sulle braccia e gemeva piano, spaventata e tremante.
Aveva sentito un cigolio e la luce fievole del corridoio era entrata nella sua stanza, somigliava a una lama. Aveva aperto leggermente gli occhi e aveva riconosciuto l’ombra di Sherlock, la sua vestaglia e i suoi ricci disordinati.

“Stavi urlando” aveva detto con tono ruvido “incubi?”

Lily aveva annuito, senza alzare il viso dalle sue braccia. Non voleva guardarlo, non poteva farcela ora. Quegli occhi grigi l’avrebbero trapassata e ora non ce la faceva proprio, non avrebbe potuto resistere a quella colata di acciaio bollente.

“Stai male?” aveva continuato a chiedere, sempre calmo, sempre profondo, sempre Sherlock.

Di nuovo sì, con la testa. Poi un fantasma di voce, un lamento che proveniva dalla sua gola “Ho mal di stomaco”.

“Vuoi un the, o una camomilla? Potrebbe farti bene” quella voce apriva il cuore di Lily in due.

“No, grazie” aveva sussurrato “passerà da solo, ho mangiato troppo”. La testa sempre lì,  Lily si era intimata da sola, non guardarlo. O i pezzi saranno troppo piccoli da raccogliere, dopo.

Un momento di silenzio, l’ombra di Sherlock immobile, la mano appoggiata sulla maniglia della porta. Troppo silenzio, che però faceva un baccano infernale.

“Ti chiedo scusa” aveva mormorato Sherlock “dal più profondo del cuore”.

Lily aveva sbarrato gli occhi, il fiato sospeso. Le stava chiedendo scusa, non poteva crederci. Sentiva formarsi un nodo alla gola, sempre più stretto.

“E non sei orribile, Lily. Non dirlo più” aveva aggiunto, con tono monocorde.

A quel punto il nodo si era sciolto e Lily aveva cominciato a piangere forte, con singhiozzi sconquassanti, che le facevano tremare il corpo da cima a piedi. Si lamentava e piangeva e singhiozzava, come non aveva mai fatto. Era come buttare fuori tutto lo schifo, il dolore, una specie di materia nera e viscosa che si era appiccicata al suo corpo. Quanto buio vedeva ancora davanti a sé. Ma forse, se avesse pianto per giorni interi così, sarebbe tornata normale. Ma non si poteva. Non poteva. Sarebbe stato come dimenticare tutto. Era un palliativo, ma per adesso andava bene.

Sherlock era ancora lì, immobile. Era pietrificato dalla potenza del pianto di Lily, dal fatto di averlo scatenato con poche parole che in quel momento reputava veramente sincere, perché un uomo che si rispetti deve chiedere scusa quando è necessario. E le sue gambe non si muovevano, non ci riuscivano. Le sembrava così piccola su quel letto, un pulcino bagnato. Quel corpo fragile che veniva scosso dai singhiozzi come scariche elettriche. Sherlock aveva visto poche volte questo tipo di dolore. Pochissime, anzi. E non voleva riportarle a galla. Lei non poteva vedere la sua faccia ma era immobile anche quella, l’espressione scolpita nei suoi tratti. Se non avesse smesso, cosa avrebbe potuto fare? Neanche John sarebbe stato d’aiuto, ora. O forse sì. Perché John sapeva abbracciare le persone, sapeva circondarti le spalle con un braccio e cullarti finché non ti addormentavi stremato. John sapeva cos’era un contatto umano. Sherlock aveva stretto la maniglia della porta, e voleva imporre al suo corpo di provare a toccare Lily, ad abbracciarla, rassicurandola. Capire cosa si poteva provare a consolare una persona, a essere mentalmente aperto per una volta sola. Ma non si muoveva, il suo corpo rimaneva immobile. Poteva solo assistere a quella scena di disperazione e lacrime, senza poter dire o fare niente.

Lily sentiva la testa leggera, mentre continuava a piangere, sempre più piano, come un giocattolo che lentamente esaurisce le batterie. Lo stomaco la stava facendo impazzire, era come se tanti coltelli le trafiggessero il ventre. Si era chiesta se vomitare sarebbe stato utile, ma non riusciva a muoversi. Voleva stare lì, un pezzo di carne tremante, finché non fosse finito tutto. La lama di luce era ancora lì, e Sherlock anche. Era il suo modo di consolare, quello? Continuava a non volerlo guardare in faccia. Sarebbe stato troppo bello, troppo rigido, troppo Sherlock per lei, ora. Non poteva guardare quel viso perfetto, senza un graffio o un livido, con la pelle bianca e liscia e gli zigomi alti. Non poteva, non poteva proprio.
Ma allo stesso tempo, avrebbe voluto le sue braccia intorno a lei, la sua voce profonda nei suoi capelli, che la rassicurava. Se lei era in questo letto, in questa casa finalmente, era merito suo e di John.
E allora perché sentiva questo tira e molla infernale dentro la testa, come se due Lily litigassero tra di loro.

Consolami!
No, non farlo.
Abbracciami!
No, non farlo.
Guardami!
No, non farlo.
Fai qualcosa!
Non saprei. Non ci riesco. Ho paura.

“Puoi andare Sherlock” aveva mormorato Lily “scusami, non volevo farti preoccupare, ora sto bene”.

Sentiva l’esitazione di Sherlock, il suo non crederle.

“Sei sicura?” aveva risposto lui, titubante.

“Sì” Lily aveva annuito, sempre con gli occhi fissi sul materasso.

“Va bene. Hai il telefono, qualsiasi cosa mandami un sms o vieni a cercarmi”. Libero arbitrio, aveva pensato.

Lily aveva sorriso impercettibilmente: “Grazie Sherlock, sul serio”.

Un attimo di silenzio: “Di nulla” aveva concluso.

E la lama di luce era sparita.

Lily finalmente aveva tirato su la testa, gli occhi gonfi di pianto, e il naso che colava. Aveva cercato un fazzoletto e si era asciugata il viso come meglio poteva. Si era stesa di nuovo sul letto, le braccia sopra la testa, lo stomaco che le faceva ancora male.

Ti chiedo scusa dal più profondo del cuore.
E non sei orribile.

Lily aveva sospirato profondamente, sentendo il cuore più leggero.
Forse Sherlock contava di più di quello che lei pensava. Lo scambio di pensieri dentro la macchina, i confronti, le litigate, le cattiverie. Erano tutte cose che formavano un unico nucleo che erano lei e Sherlock. Un legame che nessun’altro poteva avere, proprio perché siamo tutti diversi. Ferendola, lo aveva indebolito. Chiedendole scusa, lo aveva rafforzato. Era un’altalena, ma non era forse questa la natura dell’essere umano? Intrecciare rapporti, spezzarli, mantenerli?

Sentiva lo stomaco scaldarsi, in un moto dolce. Non poteva innamorarsi di Sherlock; troppo pericoloso e sicuramente con un rischio pari al 99,9999999%.

Ci avrebbe pensato con lo scorrere dei giorni, con più calma e raziocinio, ora era estremamente vulnerabile. Poteva innamorarsi anche dell’autista del taxi che li aveva riportati a casa.

Aveva deciso di dormire, così aveva rimesso a posto il letto e guardando le luci fuori dalla finestra, era caduta in un sonno profondo e senza sogni.

//

Il mattino era arrivato. Troppo presto, secondo Lily. Voleva rimanere a letto tutto il giorno, o perlomeno chiusa nella sua stanza per non vedere Sherlock dopo la strana situazione della notte stessa.
Era sdraiata sulla schiena e fissava il soffitto bianco. La sola idea di alzarsi e guardare Sherlock negli occhi la mandava in tachicardia. Si sentiva imbarazzata e se provava a pensare a qualcosa da dire, la sua mente rimaneva vuota. Non che Sherlock fosse un gran interlocutore, ma anche un semplice “buongiorno” l’avrebbe fatta arrossire fino alle orecchie. Si era premuta il cuscino sul viso, sospirando. Non poteva stare in camera tutta la giornata, e poi doveva fare pipì, merito della Coca Cola XXL che si era scolata al fastfood.
Aveva tirato un bel respiro profondo e si era alzata dal letto, non sapendo neanche che faccia avesse. Si era specchiata nella toletta che aveva in camera. Il viso era gonfio, soprattutto sotto gli occhi, che erano arrossati; ma pensava peggio. I lividi e il taglio sul labbro erano sempre lì, ma su quello proprio non poteva farci nulla.
Si era infilata i pantaloni della tuta e una felpa. Lentamente aveva aperto la porta, e lo scatto della serratura le era sembrato uno sparo. Aveva chiuso gli occhi, nervosa, e aperto la porta. Sarebbe scesa al piano di sotto e andata al bagno. Non ce la faceva più.
Mentre scendeva le scale, sentiva dei rumori impercettibili ma non sapeva se attribuirli a una persona o ai normali scricchiolii che si sentono dentro le case. Magari Sherlock era uscito e questo l’avrebbe aiutata non poco. Avere l’appartamento per sé e rilassarsi un attimo, senza il timore di incappare nella sua presenza. Arrivata all’ingresso, si era affacciata lentamente sul salone. I rumori erano cessati.

“Lily?” la voce di Sherlock era risuonata per tutta la stanza. Lily aveva chiuso gli occhi, strizzandoli sconfitta. Era a casa, e ora cosa faceva. Il cuore le batteva forte e sentiva il sangue affluire alle guance e al viso.

“Lily, sei tu?” continuava a chiedere Sherlock.

A quel punto si era fatta coraggio e aveva fatto capolino in cucina, mormorando: “Sono io, Sherlock. Scusa, non ti avevo sentito”.

Lui era in cucina, seduto davanti al microscopio e la guardava. Era nella sua “tenuta notturna”, con una tazza di the accanto.

“Buongiorno” le aveva sorriso, timidamente “come ti senti stamattina? Lo stomaco?”

Lily aveva trattenuto il fiato: cos’erano tutte queste parole, di prima mattina poi. Di solito era intrattabile. Aveva le occhiaie e Lily sperava che non fosse rimasto sveglio tutta la notte per colpa sua.
“Meglio, grazie. Mi è passato del tutto. Mi sento bene, grazie Sherlock” aveva accennato un sorriso, ma il taglio sulla bocca le aveva tirato e le aveva fatto male “ahi” aveva mormorato, premendosi una mano sul labbro.
Sherlock continuava a guardarla e al suo lamento di dolore aveva mosso leggermente le sopracciglia.

“La ferita ti fa male? Ma sei sicura che non ci andassero dei punti?” si era alzato, leggero come una piuma, facendo sventolare la vestaglia e in meno di due secondi era davanti a lei: “fammi vedere” aveva mormorato, con voce roca.

Lily non aveva avuto il tempo di dire “non preoccuparti” che le mani di Sherlock le avevano circondato il viso, tenendolo fermo. Si era avvicinato, e con il pollice della mano destra le aveva sfiorato il labbro inferiore, tirandolo giù leggermente. Il cuore di Lily stava per esplodere. Non si era nemmeno lavata i denti, quindi cercava di non respirare in faccia a Sherlock. Ma tratteneva comunque il fiato, sentendosi estremamente in imbarazzo. Quel contatto era inusuale e Lily era sinceramente sorpresa. Ma non perché le mani di Sherlock le sfioravano il viso, ma proprio perché una fisicità così improvvisa l’aveva spiazzata. Aveva gli occhi più aperti del solito, per la sorpresa. E guardava il viso di Sherlock, la sua pelle, l’arco superiore della bocca che si increspava leggermente mentre le esaminava il taglio, i suoi occhi grigi che la scrutavano. Mormorava mentre le guardava le labbra, qualcosa che non era riuscita a carpire. Poi i suoi occhi color metallo si erano fissati nei suoi, per un momento. Le mani erano sempre lì, ma erano fredde: un piacevole contatto con la pelle calda di Lily, che pensava di impazzire in quel momento, e aveva sbattuto velocemente gli occhi. Non voleva perdersi un secondo di Sherlock Holmes, di quell’attimo di intimità che probabilmente sarebbe stato unico.

“Guarda questo livido qui, accidenti” le aveva sfiorato con l’altro pollice la guancia opposta, dove sbocciava un bel livido violetto. Lily si stava auto imponendo di non cominciare a tremare, o di chiudere gli occhi. Cercava di essere normale, come se fosse in visita dal dottore. Come se quelle mani che la toccavano fossero mani estranee e non quelle di Sherlock. La guardava nuovamente, e poi un leggero sorriso era apparso all’angolo della sua bocca: “Niente che non si possa risolvere”. Aveva visto i suoi denti per una frazione di secondo, fare capolino dalle sue labbra. Lei aveva annuito leggermente: “Meno male” la voce ridotta a un mormorio. Sherlock era diventato serio tutto a un tratto. Lily aveva guardato la guancia dove lo aveva schiaffeggiato: la pelle era intatta, lattea, perfetta come sempre. Ora la stava semplicemente scrutando, senza interessarsi alle sue ferite di guerra. Era un momento diverso, molto teso e carico di sottintesi non necessariamente romantici, solo molto strani. Non era disagio, non era eccitazione. Semplicemente una cosa nuova. La esaminava come si studia qualcosa di sconosciuto. Lily cercava disperatamente qualcosa di intelligente da dire per rompere quel silenzio assurdo, ma la sua mente era completamente bianca e non riusciva a trovare una frase di senso compiuto. Un lampo le era passato per la mente: e se fosse una forzatura, un gesto che secondo lui era doveroso fare. In quel momento magari si sentiva anche a disagio per il contatto che stava avendo con Lily, pensando guarda cosa mi tocca fare, per essere definito essere umano.  E se fosse stato quello?
Lily sperava ardentemente di no, sennò quel minimo che pensava di aver capito di Sherlock sarebbe andato in fumo, insieme a tutto quello che John Mary e altre persone le avevano raccontato di lui. Non era tipo da gesti spontanei, lo sapeva bene. Sembrava quasi lo facesse per farsi perdonare ulteriormente. Ma non serviva, non serviva assolutamente. Andare contro natura era insensato. Spersonalizzarsi per piacere a una persona, cosa che era decisamente capitata a lei e di cui si era pentita amaramente, era una mossa assolutamente sbagliata e lei non voleva in nessun modo far provare agli altri una sensazione del genere.
Poi lo squillo del telefono l’aveva tratta in salvo. Sherlock aveva fatto scivolare via le mani dal suo viso e si era diretto in cucina dove si trovava il cellulare.

Lily aveva ricominciato a respirare e il primo pensiero che era riuscita ad articolare era stato “Wow Holmes, così uccidi la gente”.

Mentre lui parlava al telefono girando per il salotto, Lily si era rifugiata in bagno e una volta chiusa la porta aveva sospirato platealmente, appoggiandosi al lavandino. Aveva fissato la ceramica bianca e sussurrato: “Accidenti Sherlock, non nascondere la tua vera natura, torna lo stronzo che sei sempre stato, ti scongiuro”. Con quella preghiera si era resa immediatamente conto che aveva dato per certo il suo ragionamento di pochi minuti prima. Aveva strizzato gli occhi, in disappunto.

Razza di stupida frignona, guarda cos’hai combinato.

Si era guardata allo specchio e senza pensarci aveva alzato un pugno, agitandolo rabbiosa verso la sua immagine riflessa.

Sbuffando si era lavata la faccia e data una sciacquata alla bocca. Continuava a darsi della stupida sottovoce, poi all’improvviso si era fermata.
Forse era il caso di parlarne con il diretto interessato. Sì, ma come? Al diavolo, sarebbe venuto spontaneo e buonanotte al secchio. Era uscita dal bagno, e aveva trovato Sherlock con una tazza di the fumante in mano.
“Tieni, è per te” le aveva sorriso, facendo rabbrividire Lily.
Un automa, un fottutissimo automa. Sherlock robot. Aiuto.

Lily aveva sorriso tirata e aveva preso la tazza sporgendo la testa in avanti: “Grazie, Sherlock”. Poi l’aveva posata sul tavolo. Lui aveva seguito tutti i suoi movimenti, confuso: “Oh, forse volevi del caffè? Dovevo chiedertelo scus…”.
“Sherlock” aveva esordito Lily, forse a voce un po’ troppo alta, guardandolo fisso “Sherlock” aveva ripetuto più piano, con voce tenera. Aveva portato le mani davanti al viso, sfregandolo. Sospirando, le aveva abbandonate lungo il corpo, salvo rialzarle poco dopo per afferrare i lembi della vestaglia di Sherlock e tirandolo verso di lei, aveva poggiato la testa sul suo sterno. Guardava il pavimento e i piedi di Sherlock, nudi come sempre.
Sentiva la tensione nel suo corpo, e aveva anche sentito la sua testa che si era abbassata: “Ti senti bene? Stai per svenire?”

Lily aveva cominciato a ridere di gusto: “No, io sto bene. Sei tu che stai male. Smettila per favore.”. Sorrideva, mentre guardava per terra “questo Sherlock non mi piace, torna la canaglia che eri, ti preferisco così” si era fermata per un momento, pensosa “a meno che tu non sia inopportuno, naturalmente. Mi hai chiesto scusa ieri sera e va bene così. Smettila di comportarti come se non fossi tu. È stupido” aveva alzato la testa guardandolo in maniera preoccupata, e alzando un sopracciglio aveva aggiunto “e un pelino inquietante”.

Sherlock la guardava, confuso. Poi aveva stretto le labbra, guardato di lato e scuotendo la testa aveva detto: “Volevo essere gentile” aveva storto la bocca, in disappunto; “canaglia” aveva sussurrato.

Lily aveva riso: “Lo so, e ti ringrazio. Ma così mi fai sentire strana, o meglio mi fai sentire come quando interroghi qualche donnetta da strapazzo. E io non sono il tipo. So incassare, e ne sei ben consapevole” lo aveva guardato, strafottente “con le lusinghe non attacca, Holmes” aveva riso di nuovo.
Sherlock aveva sgranato gli occhi, per una frazione di secondo; era lo stesso identico ragionamento che aveva fatto la sera prima, quando aveva portato i vestiti a Lily ai bagni del St. Barth’s. Si sentiva un po’ spiazzato. Aveva guardato oltre la spalla di Lily, sul tavolo del salone.
“Ora berrò il mio the, grazie” aveva sospirato Lily, soddisfatta, liberandolo dalla sua stretta.

Sherlock si era diretto verso il tavolo afferrando un’agenda rilegata in pelle nera. L’aveva accostata al petto, mentre Lily lo osservava.

“Cos’è? l’agenda con i numeri delle tue amanti?” aveva chiesto con fare complice.

Lui aveva sbuffato, sarcastico: “Figurarsi, sprecare una così bella agenda per cose così insulse. Sono appunti sui casi e sulle indagini, niente di che. Noiose per te, interessanti per me. Cioè, ci sono ragionamenti talmente complessi che…”

“Eccolo qui, il mio Sherlock” aveva sussurrato Lily, guardandolo divertita “bentornato.”

Lui aveva alzato gli occhi al cielo: “Ecco cosa si ottiene quando si prova a essere gentili. Si viene presi in giro! Ma non vi sentite strani, voi tutti?”

“Per voi tutti intendi le persone cortesi?” aveva chiesto Lily, soffiando sul the bollente.

“Sì esatto. Siete tutti così distratti tra tutti i “grazie” e i “prego”. È bello non essere me. Deve essere rilassante” aveva guardato in alto pensoso, portandosi l’angolo dell’agenda sotto il mento.

Lily aveva sbuffato una risata: “Sì sua maestà, una noia terribile” aveva continuato a bere il suo the lentamente “chi era al telefono? Un caso?”

“No, veramente era John. Ci ha cordialmente invitati a pranzo, dove ci saranno un paio di suoi amici dell’università e non so chi altro. A malincuore, ho detto sì. Ho pensato che un po’ di sana frivolezza ti avrebbe fatto bene, dopo tutti, sai… gli avvenimenti” aveva mimato le virgolette con le dita.

“Beh, a noi gente frivola piace stare in gruppo e scambiarci opinioni e storie divertenti nel nostro linguaggio incomprensibile” aveva risposto Lily, scuotendo la testa in maniera esagerata, alzando gli occhi al cielo.

Sherlock aveva sorriso, mettendo l’agenda sotto il braccio: “Ci aspettano per mezzogiorno, quindi…” aveva guardato l’orologio in cucina “sarà meglio che ti prepari”.

Lily, aveva messo una mano sulla fronte mimando un saluto militare e aveva detto: “Agli ordini! Vado!” e si era diretta in bagno. Si era fermata, di botto: “comunque grazie per il the. La nostra conversazione fa presumere che certi gesti possano essere apprezzati anche in futuro” aveva aggiunto alzando un sopracciglio.

Sherlock aveva soffocato una risata ironica: “Tu non hai ben capito che con questa conversazione ti sei di nuovo arrogata il diritto di prepararmi il the per sempre!” aveva alzato i pollici, in segno di vittoria e con un’aria stupida sul volto “non sei felice?”

“Come chi ha vinto la lotteria!!” la voce di Lily si era affievolita, mentre andava in bagno.

Rimasto solo, Sherlock aveva guardato l’agenda sporgendo le labbra in fuori. Poi aveva guardato verso la cucina, fissando la tazza di the di Lily, aveva avuto un flash della notte appena passata. Lily che piangeva, scossa dai singhiozzi. Aveva strizzato leggermente gli occhi, muovendo la testa leggermente di lato. Poi si era ricomposto ed era andato in camera sua.

Lily, chiusa in bagno, si guardava allo specchio.

“Ti sei cacciata in un bel guaio, cara Lily. E il problema è che non c’è speranza. Lascia perdere, prima che faccia troppo male”.

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Capitolo 12
*** Expectations ***




Nota
: la frase alla fine del capitolo contrassegnata da (*) è presa da un libro di Banana Yoshimoto, Amrita. Piccola licenza poetica!


Capitolo 12

Expectations


Sherlock e Lily avevano deciso di camminare un po’ prima di fermare un taxi per andare a casa di John. Lily avrebbe voluto un espresso, cosa che aveva fatto esultare Sherlock visto che provava la sua ipotesi: invece del the che le aveva offerto a colazione avrebbe preferito il caffè. Lei aveva riso divertita: non era quello il concetto, aveva replicato. Ma Sherlock sembrava così tronfio che aveva lasciato perdere.
Lasciamolo annegare nel suo autocompiacimento aveva pensato, guardandolo il suo viso contento e soddisfatto.

Mentre Lily teneva in mano la sua tazza da asporto nel freddo di Febbraio, le era tornata in mente la mattina che le aveva offerto il famoso caffè sulla scena del crimine.

“Era un modo per chiedermi scusa?” aveva chiesto, dopo aver raccontato il suo ricordo a Sherlock.

Lui aveva alzato le spalle, e fatto una smorfia pensierosa: “Probabilmente. O era il senso di colpa per averti lasciato senza caffeina”.

Lily lo aveva guardato, con aria dubbiosa: “Puoi dirmelo, non andrò a spifferarlo in giro” aveva portato il bicchiere di carta alle labbra, camuffando un sorriso mentre Sherlock si girava verso di lei di scatto con una faccia leggermente infastidita: “Guarda che io so chiedere scusa; quello che faccio raramente è implorare e supplicare”.

Lily aveva continuato con l’espressione scettica: “Tu sai chiedere scusa, davvero?”

“Ma come!” aveva risposto Sherlock “e stanotte? te la sei sognata forse?” aveva guardato davanti a sé, diventando serio tutto a un tratto. L’aria scherzosa era sparita “sono dispiaciuto per quello che è successo, so che a volte mi spingo oltre ma lo capisco una frazione di secondo dopo aver aperto bocca. O se non me ne accorgo subito, ci pensa John a puntualizzare e farmi rendere conto di aver fatto una stupidaggine”.

Lily lo aveva fissato tutto il tempo, assorta. Non intendeva fermare le parole che gli uscivano dalla bocca; il contatto fisico di poche ore prima, ora questo. Era rimasta affascinata da questa piccola apertura da parte sua che andava avanti da tutta la mattinata. Tali momenti era sicura fossero rari, e quindi non osava fiatare per evitare che il flusso di pensieri di Sherlock si interrompesse.

“Ci saranno altre occasioni in cui probabilmente ti ferirò, ne sono quasi sicuro” aveva chiuso gli occhi per un momento “ma tu pensa sempre a che tipo di persona sono. Non sono cattivo, sono propenso a dire quello che la gente tende a nascondere per educazione. E non sopporto la chiusura mentale e la stupidità. Questo non vuol dire che io voglia male alle persone; se succederà, ricordatelo. Pensa a come sono, pensa a me”.

Il cuore di Lily aveva fatto una capriola. Sentiva le guance arrossarsi, lo spazio e il tempo si erano distorti, probabilmente erano in un'altra dimensione. Si era trattenuta dal dirgli che a lui ci pensava un po’ troppo ultimamente ed era estremamente confusa. Ma si era morsa la lingua, sapendo che Sherlock si definiva non interessato alle relazioni sentimentali ed era sposato al suo lavoro. L’aveva guardato, e lui sentendosi osservato si era girato verso di lei “Te lo ricorderai? Di come sono?”

“Certo. Cercherò di farlo” i suoi occhi si erano incollati a quelli di Sherlock. Lui aveva sorriso leggermente. Lily a quel punto aveva sentito un bisogno impellente di avere un contatto con lui. Si era avvicinata ed aveva infilato un braccio sotto quello di Sherlock “Troppo? Ti mette a disagio?” aveva chiesto, non staccando gli occhi dai suoi.

Sherlock si era irrigidito leggermente; aveva visto la sua gola fare su e giù, nel gesto di deglutire. Poi aveva aperto leggermente la bocca, facendo uscire un po’ di condensa: “Uhm…non saprei, non credo. È un’estremità, niente di che” e aveva guardato il suo braccio intrecciato a quello di Lily, spostando gli occhi su di lei “è una cosa che la gente fa di solito, no?”

“Sì, la gente lo fa” Lily aveva stretto la presa, sorridendo all’evidente disagio di Sherlock “non è un abbraccio, questo è sicuro” si era fermata per un attimo “hai ricevuto un abbraccio, vero? aveva aggiunto, pensando anche che probabilmente era una domanda molto stupida. Non poteva credere non ne avesse mai ricevuto uno. Non contando il suo, la sera prima.

“Certo che ne ricevo” aveva replicato “da un sacco di gente, ma lo reputo un gesto molto inutile. Il contatto umano è sopravvalutato. Insomma, si può dire grazie a una persona in un milione di modi, senza soffocarla con le braccia”.

Lily aveva sentito una fitta vicino al cuore, sentendosi chiamata in causa. Ma probabilmente neanche se lo ricordava, con tutta l’adrenalina che scorreva subito dopo la sparatoria.

Aveva scrollato le spalle e aveva chinato la testa, ridendo: “Ma guarda che il contatto umano non è brutto, Sherlock. Anzi, a volte può far star meglio. Mai sottovalutare il conforto di un abbraccio dopo una brutta giornata o per fare pace dopo aver litigato. Io penso sia terapeutico”.

“Perché tu sei una donna, e voi siete fissate con queste cose. Abbracci, baci, coccole” aveva storto la bocca.

“Le coccole sono sottovalutate a mio parere. Sentire la presenza di una persona vicina a te, avere un contatto che non deve essere necessariamente carnale è rassicurante. E divertente anche. Perché puoi ridere e dire cose sciocche, puoi giocare con i capelli della gente o fare la lotta”.

“Fare la lotta?” aveva chiesto Sherlock “che razza di roba è?”

Certo, Sherlock non aveva mai potuta fare la lotta con una donna, non avendone mai avuta una. Ma poi aveva scosso la testa internamente, irritata. Sherlock Holmes non poteva essere vergine. Era fuori discussione.

“È divertente. Ti fai il solletico e cerchi di prevalere sull’altro e di farlo arrendere. Poi in quelle più hardcore si possono aggiungere i pizzicotti o i morsi” aveva concluso soddisfatta “se vuoi un giorno proviamo. Tanto vinco io” aveva esclamato di getto. All’ultima sillaba, si era accorta di quello che era uscito dalla sua bocca, ed era inorridita. Era il caffè, la lingua sciolta di Sherlock o il fatto che stesse parlando con lui che le faceva dire certe cose?

Ma che diavolo hai detto, stupida. La lotta con Sherlock Holmes, ma sei scema?

Aveva cautamente alzato lo sguardo verso Sherlock, che sembrava molto pensieroso: “Forse è come quella che facevo con Mycroft da piccolo. Solo che finiva a lividi e botte pesanti, forse non è il tipo di lotta che intendi tu” l’aveva guardata, ed era rossa fino alla punta dei capelli. Aveva aggrottato le sopracciglia “tutto bene?”

“Sì sì tutto bene, scusa. Ma questo caffè è veramente bollente” aveva riso Lily nervosa; doveva riprendere il discorso con nonchalance per non far trasparire il suo evidente imbarazzo, ma ormai era in ballo e doveva ballare “quella che intendi tu, Sherlock, è la lotta tra maschietti. Io intendevo quella tra uomo e donna” aveva tralasciato il fatto che di solito la lotta portava a qualcos’altro, avesse turbato la mente di Sherlock più del necessario. Per carità. Si stava invischiando in un discorso molto complicato. Sentiva un vago sentore di panico salirle in gola.

“Ma i morsi e i pizzichi non sono divertenti” aveva aggiunto lui, con voce ovvia “chi li reputa divertenti?”.
Veramente, a volte sembrava di parlare con un bambino di tre anni.

“Sherlock è un gioco, non ci si fa male sul serio” aveva risposto Lily con voce materna.

Continuava a guardare l’espressione smarrita e parecchio confusa di Sherlock.

Lily aveva preso il discorso alla larga: “Insomma Holmes, quando vai a letto con una donna non ci giochi un po’ prima di…” aveva alzato le sopracciglia, muovendo la mano libera con un cenno vago, cercando di farsi capire.

Sherlock aveva di nuovo puntato gli occhi su di lei, come due spilli.

Lily lo guardava a sua volta. Doveva sapere assolutamente questa cosa, assolutamente.

“Veramente no. Quando capita” per fortuna aveva capito il soggetto del discorso “e bada bene succede solo per delle indagini estremamente importanti, e solo per quello arrivo al contatto fisico“ aveva tenuto ad aggiungere “io addirittura penso ad altro. Sbrigo la funzione, le faccio rivestire e se ne vanno. Nessuna ha mai passato la notte nel mio letto. Dormire in compagnia mi fa sentire a disagio”.

“Ah” era tutto ciò che era riuscita a dire Lily. Un romanticone, Sherlock Holmes.

“Quindi la gente fa la lotta per poi fare sesso” aveva intuito, chiedendolo a Lily.

Noooo è solo per scherzare Sherlock” Lily ci aveva rinunciato. Parlare di sesso con lui era come parlare di fisica quantistica a una cheerleader.

“Però per come la descrivi tu, sembra divertente” aveva sorriso, come un bambino “noi siamo amici?” le aveva chiesto, guardandola intensamente. Lily si sforzava di ricordare se la sera prima Sherlock avesse preso qualche botta in testa. Questo giustificava le domande ingenue e assurde che le stava ponendo da venti minuti buoni.

Spiegare anche il concetto di amicizia, che bellezza.

“Beh…direi di sì, vi ho fatto passare un bel po’ di guai e voi mi avete aiutato; di solito gli amici fanno questo l’uno per l’altro” aveva aggiunto titubante. Sperava vivamente di non sentire quello che sospettava, perché sarebbe stata solo colpa sua e non poteva rimangiarsi nulla a quel punto.

“Ho salvato molte volte anche John” aveva detto Sherlock “e lui ha salvato me, molto di meno eh, ma mi ha pur sempre salvato. E noi siamo amici”.

“Giusto” la voce di Lily tremava ormai. L’amicizia tra uomo e donna, un mistero ancora non risolto ai giorni d’oggi.

“Con lui non ho mai fatto la lotta, qualche volta mi ha messo le mani addosso per l’esasperazione ma temo non fosse per gioco” aveva mormorato, con aria corrucciata.

Lily continuava a fissare davanti a sé, continuando a pregare dentro la sua testa.

“Beh semmai dovesse capitare, mi farai vedere come fanno la lotta i maschi e le femmine” aveva concluso “anche perché è praticamente impossibile che tu possa vincere, figurati. Sei un fuscelletto”.

A Lily era venuta in mente una battutaccia, ma aveva subito messo a tacere quel lato del suo cervello che la faceva diventare una donnaccia da osteria: “Certo, Sherlock, sicuramente. Ora prendiamo il taxi? Si è fatto tardi”.

Che brutta considerazione che aveva Sherlock del contatto fisico, pensava Lily mentre lasciava il suo braccio. Una cosa che non gli suscitava emozioni, una cosa che non lo confortava. Anche solo il prenderlo sotto braccio l’aveva fatto tendere come una corda di violino. Ma non poteva credere che l’amicizia di John non l’avesse fatto emozionare. Li aveva visti parlare, confrontarsi e quello che c’era era chimica pura. Si capivano al volo e si sopportavano l’un l’altro. Mary a volte li chiamava “marito e moglie”.
Aveva sorriso, ripensando ai litigi a cui aveva assistito, allo scambio di battute che la facevano morire dal ridere.
Il sesso poi, questo sconosciuto. Si era mai innamorato, aveva questa avversione per i sentimenti proprio perché aveva sofferto? Lily non sapeva come poteva essere stato anni e anni fa, ma non credeva al fatto che non si fosse mai infatuato di qualcuno. Andava a letto con le donne, ma solo per ottenere informazioni. Un brivido le era corso lungo la schiena. Lo immaginava declinare inviti a cene e  aperte provocazioni da donne sicuramente magnifiche, bellissime e seducenti. Solo perché lui credeva che il contatto fisico fosse inutile, sopravvalutato.
L’amore per lui, non esisteva.
Lily aveva sentito il cuore stringersi. Non si poteva competere con una convinzione così radicata. E poi chi era lei, per far cambiare idea a Sherlock Holmes, l’uomo dagli occhi e dall’animo di ghiaccio? Non aveva neanche scalfito la superficie.

Aveva sospirato, sperando che questa idea della lotta venisse accantonata da qualche parte del suo cervello e dimenticata.

Le aveva chiesto se erano amici. Ma perché, non lo sapeva già? Certo che erano amici, dannazione.
L’aveva accolta in casa sua, senza neanche conoscerla, le aveva dato un rifugio, l’aveva salvata da Kaleb. Non era forse quello essere amici, aiutarsi? O l’aveva fatto solo sotto la spinta di John?

Lily aveva scosso la testa, furiosa. Doveva smetterla con tutti questi pensieri e ricominciare a ragionare da persona normale. Tutte queste informazioni e dubbi che le riempivano la testa, la mandavano solo in confusione. Sapeva che Sherlock era Sherlock e lei non si riteneva abbastanza speciale per farsi notare da lui. Ma gli voleva un gran bene, un bene che sconfinava nell’infatuazione. L’aveva affascinata come fa un serpente con la sua preda, l’aveva avvolta nelle sue spire e adesso la stritolava con i suoi discorsi razionali e scettici. Ma era un dolore dolce, perché poi all’improvviso le sorrideva o teneva aperta la porta per lei, la avvertiva se c’era uno scalino o una buca sul marciapiede; “attenta” diceva, con quella sua voce profonda; quel suo modo di essere trasognato e innocente su alcune cose mentre su altre era altamente ricettivo ed esperto. Le aveva permesso di prenderlo sottobraccio e secondo lei questa era una dimostrazione di fiducia nei suoi confronti. E lei ne era contenta, talmente tanto che forse si sarebbe anche accontentata di essere sua “amica”. Ma non ne era molto sicura. Se quella mattina, con il suo viso tra le mani l’avesse baciata, lei non avrebbe detto nulla, avrebbe solo ricambiato avvinghiandosi a lui per non lasciarlo andare mai più, rischiando tutto.
Era ipnotico, era…era…unico.
Era Sherlock e basta.
E Lily si sentiva fortunata solo per il fatto di averlo conosciuto, anche se era così.

//

Sherlock camminava poco più avanti a Lily, perplesso. Era stata una conversazione strana, senza un vero senso compiuto. È così che interloquiva la gente normale? Si diceva queste cose? E sinceramente, non si era neanche annoiato più di tanto. Lily parlava bene, correttamente, e sapeva esprimersi nel migliore dei modi. Forse si era aperto un po’ troppo, soprattutto sul fatto del sesso con le donne che voleva interrogare, ma poco male: ormai era fatta. Sherlock aveva avuto esperienze, poche per la verità, ma ogni donna lo aveva definito un eccellente amatore. Anche se lui non se ne spiegava il motivo. Ci metteva così poca passione e partecipazione che sembrava strano dimostrasse il contrario. Aveva sentito parlare di fuochi d’artificio, sensazioni incommensurabili. Era piacevole, ma fino a un certo punto. Forse recitava e non se ne accorgeva. Più di una volta gli era stato detto che aveva un fascino misterioso che attraeva le donne come api sul miele, a lui ne era disturbato. Era una metafora soffocante e appiccicosa, veramente poco elegante e che lo faceva andare su tutte le furie. Ma a volte il sesso sembrava l’unico modo per ottenere quello che voleva. Non aveva memoria se fosse stato diverso prima oppure no. Quanto può incidere la tua vita vissuta, sul tuo futuro? Parecchio, si ripeteva. Vedeva colleghi e colleghe di John sposarsi, avere figli. E lui non capiva. Non era noioso vivere per sempre con la stessa persona, giorno dopo giorno, anno dopo anno? Aveva alzato impercettibilmente le spalle, scuotendo la testa piano. Lo facessero gli altri, lui si trovava benissimo nel suo piccolo spazio vitale.
I suoi casi.
Le sue indagini.
I suoi esperimenti.
E poi le persone più strette come John, Mary, Lily…
Aspetta un attimo. Aveva rallentato il passo leggermente. Aveva appena collocato Lily nell’elenco delle persone importanti della sua vita.
Aveva snocciolato i nomi automaticamente e lei era lì, si era ritrovata nell’Olimpo del grande Sherlock Holmes senza neanche accorgersene. La conosceva da talmente poco, ma allo stesso tempo era successo così tanto da farla diventare parte integrante della sua vita. L’aveva conosciuta, l’aveva salvata in modo quasi automatico, facendolo lui stesso senza interporre nessuno tranne John. Ed ora era lì, fragile, salva e in cerca di chissà cosa. Si era guardato alle spalle, Lily lo seguiva con piccoli passi svelti, per stare dietro alla sua falcata. Lo aveva guardato e poi aveva sorriso, le guance arrossate dal freddo, un accenno di occhiaie scure sotto gli occhi: “Non ho le gambe lunghe come le tue, io!” ansimava leggermente.
Sherlock si era fermato per aspettarla, altra cosa che non aveva mai fatto con nessuno se non con John. Anche lui gli era corso dietro più di una volta, poverino.
Pensava, Sherlock Holmes, pensava parecchio quella mattina mentre saliva sul taxi, finalmente al caldo. Sentiva in sottofondo la voce argentina di Lily che diceva al conducente l’indirizzo di John e aveva sospirato, piano. Un leggero senso di colpa si era insinuato sotto le sue costole. Ma poi l’aveva spazzato via, senza timore.

“Va tutto bene, tu sei Sherlock Holmes, vedi di ricordartelo” aveva insinuato una vocina nella sua testa.

Il taxi era partito, immettendosi nel traffico di Londra.

“Insomma chi hai detto che c’è a questo pranzo?” aveva chiesto Lily rivolgendosi a Sherlock. Era ombroso, serio e sembrava preoccupato. Aveva aggrottato le sopracciglia, perplessa: “Ehi Sherlock, tutto ok?”

Si era girato verso di lei, sbattendo gli occhi. Come se si fosse appena svegliato “Cosa, scusa?” aveva chiesto, balbettando.

Lily aveva riso, divertita: “Dov’eri?”

“Da nessuna parte, ragionavo”.

Sembrava infastidito, così Lily aveva abbassato il tono di voce rendendolo un po’ più docile: “Ti avevo chiesto chi c’era al pranzo di John e Mary, ma lo vedrò al mio arrivo” aveva concluso, in fretta.

“Ok” aveva risposto Sherlock, ancora più serio.

Lily era perplessa. Dov’era l’atmosfera di pochi minuti prima, quella giocosa e spensierata? Ancora non aveva avuto l’occasione per osservare fino in fondo i cambi d’umore di Sherlock. Ecco qua, l’aveva appena fatto. Il viaggio si era svolto in silenzio, con Lily che guardava fuori dal finestrino e Sherlock fisso davanti a sé, sempre più accigliato. Sembrava infastidito dai suoi stessi pensieri.

Lily sperava non fosse colpa sua, ma non le sembrava di aver detto chissà cosa per farlo innervosire.
Aveva scrollato le spalle; se Sherlock voleva comportarsi come una donna in fase premestruale erano affari suoi.

Arrivati da John erano stati accolti con entusiasmo. C’era un po’ di gente che Lily non conosceva e questo l’aveva fatta un po’ agitare. Aveva provato a truccarsi un po’, a darsi un tono, ma senza molto successo. Il livido si vedeva e anche il taglio sul labbro. Poteva inventarsi una storia, tipo che era caduta dalle scale, ma poi la gente era sicura avrebbe pensato subito alla violenza domestica. Se ne sarebbe fregata, fregata degli sguardi degli altri. Un paio di persone già l’avevano guardata in maniera strana e Lily aveva deciso che non le stavano simpatiche. Era più una specie di pranzo in piedi, con le persone che chiacchieravano per il salotto o sedute sul divano e sedie sparse qua e là. Meglio. Dispersivo e senza occhiate strane da una parte all’altra del tavolo.

John si era avvicinato a Lily, posandole una mano sulla spalla: “Come va oggi?” aveva sussurrato, guardandola.

“Ho avuto mal di stomaco” aveva sorriso Lily, vedendo il sorriso sornione che illuminava il viso di John “avevi ragione tu”.

Non gli avrebbe raccontato dell’episodio di Sherlock. Le sembrava quasi come mentire, ma era troppo lungo e troppo personale per spiegarlo. Non che John potesse fare qualcosa alla fine.

“Lui come si è comportato?” aveva indicato con la testa Sherlock, nel suo solito angolo con un bicchiere in mano “ha fatto qualche altra battuta?”

“No no, anzi. Stamattina mi ha preparato il the. Solo che penso sia di cattivo umore” aveva alzato le spalle “non so cosa abbia, stamattina era abbastanza allegro, poi si è rabbuiato tutto a un tratto. Eppure stavamo parlando di cose divertenti, leggere, non so cosa gli sia preso”.

“Sarà immerso in qualche suo pensiero nebuloso. Prima o poi gli passerà, ci sono abituato, ma tu no. Quando è così lascialo per conto suo anche se in queste circostanze non è socievole, si sa”.

Lo avevano guardato entrambi: sembrava una statua, nel suo completo nero. Teneva in mano un bicchiere di vino. L’altro braccio sosteneva quello che reggeva il bicchiere. Lo sguardo era fisso, concentrato, sembrava di vedere uscire dalle sue orecchie numeri, lettere, formule. Che mistero.

“Lily!” si era sentita chiamare dall’entrata del salotto. Era Mary, con in mano un piatto strapieno di roba da mangiare “Ciao” l’aveva salutata frettolosamente “questo è per te” le aveva porto il piatto “tutto fatto in casa, mangia pure! Rose dorme, appena si sveglia la saluti. Ho delle cose in forno, corro a controllarle! Mangia!” era sparita tra la gente.

Lily si era girata verso John, guardando il piatto “Ne vuoi un po’?”

“Prendo uno di queste” aveva afferrato una tartina alla crema di salmone “sono buone, assaggia”.

Lily aveva fatto il possibile, ma quel piatto era veramente troppo pieno. John era impegnato in una conversazione e lei si era ritrovata sola nel mezzo della stanza con il suo piatto che poteva soddisfare l’appetito di almeno tre persone. Si era diretta verso Sherlock per chiedergli se voleva mangiare un po’ anche lui.
Era sempre nello stesso posto, immobile. Si era avvicinata lentamente, come si fa con un animale spaventato.

“Sherlock…scusami…” aveva detto a bassa voce, sperando che non si facesse venire una crisi isterica “Mary mi ha dato tutta questa roba da mangiare, ma io da sola non ce la faccio. Ne vuoi un po’? Non hai mangiato nulla stamattina” aveva avvicinato il piatto verso Sherlock, che lo aveva guardato per una frazione di secondo: “No grazie, non ho fame”.

Lily aveva notato che anche il bicchiere era intatto. Era rimasta in silenzio, annuendo leggermente.

“Ti dispiace se rimango qui con te? C’è un po’ di gente che mi guarda strano, almeno qui non corro il rischio di essere osservata come un pesce nell’acquario”.
Aveva lasciato cadere la battuta vista l’assenza di sguardo di Sherlock, che aveva alzato le spalle e borbottato: “Come vuoi, sulla parete c’è spazio per tutti”.

Lily aveva appoggiato le spalle al muro, poco distante da Sherlock e aveva continuato a sbocconcellare dal piatto in silenzio. La gente si divertiva a quanto pare.
Improvvisamente, dal nulla, era apparso un uomo visibilmente su di giri e con decisamente troppo alcol in corpo. Si era avvicinato a loro barcollando, e dopo aver guardato il viso di Lily per un decina di secondi dondolando verso di lei, le aveva soffiato un’alitata di alcol in faccia, dicendo: “Gesù, bimba. Ma ti hanno messo la faccia in un frullatore?” aveva esclamato a voce alta, coprendo le conversazioni degli altri. Si era fatto silenzio all’improvviso e come in un incubo si erano girati tutti verso di lei, guardandola. Lily aveva deglutito, nel panico. L’uomo ubriaco continuava: “Ma come hai fatto a ridurti così, per l’amor del cielo?” aveva riso “il tuo uomo ti picchia?” la voce era strascicata, untuosa e alcolica. Lei era paralizzata, e sentiva lo sguardo di Sherlock su di lei vigile e attento, testando la sua reazione.

“Io…ecco…” Lily aveva la gola chiusa. Cercava di parlare, le sue labbra si muovevano ma non emettevano nessun suono. Non riusciva neanche a trovare una risposta sarcastica alle battute di quell’idiota. Non le piacevano le persone ubriache, erano moleste e cattive. E anche molto violente, lo sapeva per esperienza. Continuava a guardare quell’uomo, che non fermava il fiume di parole che uscivano dalla sua bocca non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Perché Sherlock non diceva niente? dov’era John? Dov’era la gente normale, che poteva dirgli di  smetterla?
Dov’erano tutti?
Gli occhi di Lily saettavano per tutta la stanza e sentiva montare dentro di sé un panico non indifferente, misto a un sentore di nausea. Si sentiva rimpicciolire in mezzo a quel silenzio e a tutti quegli occhi che la fissavano. Quando aveva visto due donne avvicinare le teste e dirsi qualcosa all’orecchio senza smettere di guardarla, aveva ceduto. Aveva dato il piatto in mano a Sherlock e pigolando uno “scusa”, era corsa verso il bagno. Per il corridoio aveva incrociato John, ma l’aveva passato velocemente senza sentire quello che le diceva. Aveva aperto il bagno e si era chiusa dentro, appoggiandosi alla porta. Respirava velocemente e cercava di calmare i battiti del suo cuore che sembrava impazzito.
Ma cosa voleva la gente da lei, ma perché non veniva lasciata in pace? Era una calamita, una calamita per la cattiveria, per le disgrazie, per i guai, per tutto!!! Aveva tirato un pugno alla porta, facendosi anche male. Si era diretta al lavandino, per sciacquarsi la faccia. Dopo averlo fatto si era guardata allo specchio.
Sì, la sua faccia sembrava fosse finita dentro una centrifuga. Aveva strizzato gli occhi, soffocando un singhiozzo;

Stava per darsi dell’idiota da sola, quando aveva sentito un gran baccano, rumore di vetri e gente che urlava. Era uscita dal bagno, correndo in salone, dove aveva trovato l’uomo ubriaco attaccato al muro, tenuto per il colletto della camicia nientemeno che da Sherlock. Lo sbatteva ripetutamente contro la parete, la mascella serrata, gli occhi grigi socchiusi di rabbia. L’uomo si divincolava inutilmente dalla presa ferrea di Sherlock, che veniva tenuto a sua volta da John, inutilmente.

“Venite alle feste per ubriacarvi e infastidire la gente? Non sai niente di quello che è successo, faresti meglio a tenere a freno quella lingua prima che ti faccia male sul serio!!”

Continuava ad agitarlo tenendolo per il collo, senza dargli la possibilità di replicare e di muoversi. John lo teneva per un braccio, ma riusciva a smuoverlo solo impercettibilmente. Era come se i piedi di Sherlock fossero cementati al suolo. John si era girato contro Lily, con uno sguardo più che eloquente: forse tu riesci a fermarlo, fai qualcosa o almeno provaci prima che lo faccia a pezzi.

Lily si era scossa di botto e facendosi largo tra la gente era arrivata vicino a Sherlock.

“Sherlock! Sherlock, fermo! Lascia stare dai. Non fa niente, sul serio, lascia perdere”.

Si era girato verso di lei, un ricciolo nero gli era ricaduto sulla fronte. L’espressione rimaneva granitica, ma non mollava la presa: “Tu stai bene?” aveva chiesto, dondolando leggermente per il divincolarsi dell’uomo. Aveva perso il contatto visivo e quindi anche la concentrazione “vorrei che ti chiedesse scusa ma non sta fermo!!!” aveva urlato, girandosi di nuovo verso di lui, e sbattendolo di nuovo al muro facendogli rimbalzare la testa un paio di volte.

“Non fa niente Sherlock. È ubriaco, lascialo andare. Basta.”. Gli aveva messo una mano sul braccio, stringendo leggermente.

Si era girato nuovamente e guardandola aveva sussurrato: “Sicura?”

Lily aveva sorriso e annuito lentamente: “Sì va tutto bene, ora lascialo andare”.

Sherlock aveva allentato di malavoglia la presa dalla camicia dell’uomo, che si era accasciato a terra tossendo e biascicando. Lily continuava a tenere il braccio di Sherlock e lo aveva allontanato da lì. Sentiva la consistenza dei suoi muscoli da sotto la camicia. Irradiava calore e Lily per un attimo si era sentita pervadere da un’ondata di energia.
Sherlock si stava mettendo a posto la camicia e Lily a malincuore aveva interrotto il contatto con il suo braccio, tenendolo comunque vicino a sé. Lui sembrava nervoso e imbarazzato, aveva cominciato a parlare senza freno, come una macchinetta inceppata: “Quando te ne sei andata ha continuato, peggiorando il suo eloquio da cavernicolo” aveva sibilato “si è anche rivolto a me chiedendomi se io sapevo che cosa ti era successo. Sembrava ossessionato maledizione, così l’ho attaccato al muro. Mi stava dando veramente noia. È incredibile e mi sorprende che John e Mary possano frequentare gente del genere. Ma insomma, non sono neanche le tre del pomeriggio e guarda in che stato è, non mi sembra veramente poss..”

Lily gli aveva messa una mano davanti alla bocca, anche quella calda a furia di parlare: “Sherlock basta. È ubriaco e le persone ubriache fanno così; è stato carino da parte tua, grazie” aveva sussurrato, sorridendo leggermente e facendo scivolare la mano dalle sue labbra. Sherlock la guardava, la bocca aperta e la pelle leggermente arrossata per lo sforzo e la rabbia. All’improvviso aveva spostato lo sguardo sulla camicia e i pantaloni.

“Di nulla” aveva borbottato, guardandosi i polsini della camicia “odio sgualcire i vestiti”.

“Già, è proprio una bella camicia” aveva detto Lily con voce bassa e un po’ triste “ti sta bene addosso; vedrai, una lavata e tornerà come nuova”.

“Sherlock! Ma cosa diavolo ti è preso??!” la voce di John li aveva raggiunti. Si era fermato davanti a lui “volevi picchiarlo?”

“Dovresti scegliere meglio le persone che frequenti” aveva risposto Sherlock, con calma “ha cominciato a prendere in giro Lily in modo pesante e poi si è rivolto anche a me, mi ha fatto arrabbiare. Poi non sono neanche dell’umore migliore oggi”.

“Davvero?? Non me ne ero accorto!” aveva esclamato John, sbarrando gli occhi, poi si era fermato, guardando Lily “cosa ti ha detto?”

“Mi ha chiesto se avevo messo la faccia in un frullatore” aveva risposto Lily, alzando le spalle “e mi ha chiesto se il mio uomo mi picchiava”

John aveva chiuso gli occhi stringendo la bocca: “E a te cos’ha detto di così grave?” si era rivolto a Sherlock alzando le sopracciglia, in attesa.

Lui aveva guardato John e con occhi glaciali aveva sibilato: “Continuava a chiedermi cosa avesse e poi ha accusato me di averla ridotta così”. Lily aveva guardato Sherlock, sorpresa. Questo prima non l’aveva detto. Lui continuava a tormentarsi i polsini della camicia nervosamente. Non si riusciva a capire se li volesse aprire o semplicemente sistemare “tutto ciò solo perché eravamo vicini e l’ha vista offrirmi qualcosa dal suo piatto” aveva continuato, la voce rabbiosa.

John aveva chiuso gli occhi e sollevato il viso in alto “O santo cielo” aveva sussurrato “quel Davis è un’idiota da sobrio, figurarsi da ubriaco. Mi dispiace per la situazione spiacevole, ma questo non vuol dire che puoi attaccare le persone al muro, Sherlock!”

“Ok va bene, mi dispiace. Ma è veramente un coglione, John. Ma come fai a frequentare persone così?”

Lily era quasi sicura che fosse la prima volta o forse la seconda, che sentiva una parolaccia uscire dalla bocca di Sherlock Holmes.

“Non lo frequento, Sherlock. Lo vedo a lavoro e si è ritrovato in mezzo a una conversazione ed è uscita fuori questa mezza festa. Ho dovuto invitarlo per forza. Vado vedere come sta”. Si era rivolto verso Lily “mi dispiace. Stai bene?”

“Si John, tranquillo. Forse ho iperventilato un po’ ma tutto a posto. Niente di grave. Mi hanno detto di peggio” aveva riso.

John aveva fatto una faccia strana. Un misto tra imbarazzo, sollievo e un’altra espressione che Lily non era riuscita a decifrare bene. Come se John non le credesse fino in fondo.

“Ci vediamo dopo” aveva detto, sparendo tra la gente.

Sherlock finalmente aveva finito di tormentare i polsini. Era arrabbiato con se stesso per aver perso il controllo in quel modo. Ma con quell’insinuazione aveva visto rosso. Non si era neanche accorto delle sue mani che volavano verso il colletto della camicia di quel Davis. Sentiva che voleva fargli male, ma si era trattenuto perché era a casa di John. In quei momenti tirava fuori una forza strana, non riusciva a smuoverlo nemmeno la dinamite. Non avrebbe torto un capello a una donna, mai. La violenza gli dava la nausea. Come osava quell’ubriacone accusarlo di aver ridotto così Lily? Ma che ne sapeva lui.
Aveva sbuffato sonoramente. Ogni volta che si trovava in mezzo alla gente succedeva qualcosa. Per questo stava bene in  mezzo ai morti, nell’obitorio di Molly Hooper. Silenzio, calma e nessun deficiente che sparasse cavolate.
Comunque.
Dopo la rissa, molta gente era andata via e gli ultimi elementi erano rimasti seduti sul divano ma prossimi anche loro al commiato. Erano rimasti, alla fine, sempre loro quattro più la piccola Rose che gongolava tra le braccia di Lily. Tenerla in braccio la affaticava parecchio e le costole malconce si facevano sentire, quindi si era messa seduta.
Mary continuava a lamentarsi: ”È avanzata un sacco di roba” aveva messo il muso, le mani sui fianchi “Lily, te ne metto un po’ dentro qualche contenitore così la portate a casa e stasera non dovete cucinare” aveva sorriso alla sua idea brillante.

“Grazie Mary, ci faresti un grosso favore” aveva il dito mignolo imprigionato nella manina di Rose “almeno ci diamo un taglio con i takeaway e la mia orribile cucina” aveva tirato fuori la lingua, in segno di disgusto “dovresti insegnarmi a cucinare, sono veramente una frana”

Mary aveva annuito, soddisfatta: “Quando vuoi” ed era sparita di nuovo in cucina. John era seduto vicino a Lily sul divano con una bottiglia di birra in mano. Sherlock era in poltrona invece, intento a guardare il vuoto come suo solito.
John l’aveva guardato per l’ennesima volta: “Sherlock” aveva detto.

“Hm?” aveva risposto sempre con lo sguardo fisso su qualcosa di imprecisato.

John aveva guardato Lily, preoccupato: “È ora che tu lo sappia: Lily e io stiamo insieme. Il matrimonio con Mary è una farsa, in verità ci ha prestato l’utero per avere Rose. In realtà è figlia nostra” aspettava una reazione, anche solo uno sguardo leggermente perplesso. Niente. Lily si era morsa le labbra per non ridere.

“Ok” era stata la laconica risposta.

John aveva sgranato gli occhi, incredulo: “Ehi detective da strapazzo, ma hai sentito cosa ho detto? Esci dal palazzo mentale e torna tra i vivi per favore”.

Si era smosso a “detective da strapazzo”: “Ehi!” aveva ribattuto, visibilmente offeso.

“Bentornato tra noi, sua maestà. Eccesso di testosterone? Ti ha dato alla testa?”
Lily aveva riso piano. Adorava questi momenti, anche se Sherlock veramente era più fuori dal mondo del solito. Ma soprattutto senza un motivo, per esempio un caso da risolvere.

“Dai Sherlock, stai un po’ con noi” aveva aggiunto, pregandolo.

Aveva sbuffato: “Ma cosa volete che vi dica? Oggi è così, non potete obbligarmi a farvi compagnia se non ne ho voglia!”

John aveva scosso la testa, e rivolgendosi a Lily aveva esclamato: “Ma tu quando hai le tue cose, sei così?”

Lily era trasalita alla domanda di John. Si sentiva di nuovo sul piedistallo e al centro dell’attenzione; ma si può chiedere una cosa del genere a una donna?

“Veramente quando ha le sue cose, è un pianto continuo. Piange perché nasce il sole, perché tramonta, piange per la Regina e la Principessa Diana. Piange anche per le pubblicità. Una volta l’ho beccata a frignare sullo spot di una carta di credito” aveva risposto Sherlock al posto di Lily, che l’aveva guardato in disappunto: “Ma che dici, non è vero!” aveva esclamato, risentita.

Da quando in qua Sherlock si accorgeva del suo orologio biologico? Si era sentita arrossire dappertutto e voleva che il divano la inghiottisse all’istante.

“Sì che è vero. Ti arrabbi se lascio gli sportelli aperti in cucina, mentre di solito li chiudi e basta. Non sopporti l’odore dell’alcol che uso per gli esperimenti e quello del pollo fritto” l’aveva guardata, rivolgendole una sguardo scaltro “una volta hai dato di matto perché l’ho ordinato al takeaway, sapendo che lo mangi volentieri. Quella volta continuavi a insistere che a te il pollo fritto non era mai piaciuto. Dunque dimmi: ti piace il pollo fritto?” aspettava la risposta di Lily, che era sempre più confusa.

“Beh..insomma..diciamo che…sì. Sì, mi piace. Ma non ricordo niente di quello che hai appena detto”.

Mentiva; era tutto vero, dalla prima all’ultima parola.

Sherlock aveva sbuffato, ironico: “Lily, per favore”.

“Beh non mi piace molto essere osservata quando io..insomma..sono giorni molto delicati” aveva aggiunto, offesa. Poi si era rivolta verso John mimando con le labbra un grazie mille, stizzita.

Lui aveva alzato le spalle a mo di scusa, come per dire continua a sorprendermi anche dopo anni, che ne potevo sapere.

“Tranquilla, non c’è bisogno di osservare. Sei chiara come un vetro pulito. Non serve nessuna scienza”. Aveva sorriso, tirato.

Lily aveva aggrottato le sopraciglia, cullando Rose: “Antipatico” aveva mugugnato.

“Lo so che menti. In verità ti sto simpatico, tu mi adori” aveva ribadito, con aria sorniona.

“Non esagerare Holmes!” aveva risposto piccata.

“Ecco, forse per caso si avvicina la data?” aveva intrecciato le mani con fare professionale. Lily aveva aperto la bocca, sconcertata.

A quel punto John era scoppiato a ridere fragorosamente, attirando l’attenzione di entrambi. Aveva tirato la testa indietro ridendo di gusto: “Oh mio Dio, voi due dovreste fare cabaret. Siete stupendi”.

In quel momento, Mary era entrata in salotto con una pila di contenitori di alluminio dentro una busta: “Non vale due contro uno, Watson e Holmes!” poi si era girata verso Lily “veramente però, Lily. Piangi per la REGINA?”

Altre risate, a cui si era aggiunta anche quella di Lily. Li amava e li adorava tutti anche se erano inopportuni e sciocchi. Aveva guardato Sherlock, che sorrideva leggermente divertito, guardando il bracciolo della poltrona.

Sapeva che molto probabilmente la reazione di Sherlock fosse dovuta al fatto che l’uomo ubriaco avesse accusato lui di aver picchiato Lily; un bel colpo al suo orgoglio straripante; lui che odiava essere giudicato ed etichettato da chi non lo conosceva neanche. Sapeva che lei non aveva importanza in tutto ciò, che il suo chiedere se stava bene era una forma di gentilezza scontata. Ma in fondo l’aveva tolta dall’imbarazzo, mettendo l’ubriaco  al centro dell’attenzione, risparmiando a lei altri sguardi e commenti non proprio belli. Aveva sospirato, sentendosi sempre più nei guai.

//

Erano le cinque quando erano usciti da casa di John e Mary.  Lily aveva respirato l’aria invernale, guardando il cielo ormai quasi buio. Adorava quel profumo, il freddo e la sfumatura di blu che prendeva il cielo.

“Se camminiamo un po’, dietro l’angolo ci dovrebbe essere l’isola dei taxi così possiamo prenderne subito uno” aveva detto Sherlock, incamminandosi piano nella direzione opposta.

“Oh..ok, andiamo” Lily si era girata e seguiva Sherlock, come un pulcino con la mamma. Era decisamente troppo veloce, anche se camminava piano. Aveva le gambe lunghe, non era colpa sua, ma Lily si impegnava per stargli dietro.

C’era un’atmosfera particolare in giro per Londra, quella sera. Il cielo sfumato di blu, le luci dei negozi che illuminavano la via dandole un’aria calda e accogliente. Il freddo che pungeva le guance e arrossava il naso, la gente che sembrava sorridere a ogni angolo, Sherlock che camminava davanti a lei con il capotto che svolazzava, le mani in tasca e i riccioli che andavano a ritmo con i suoi passi. Lily avrebbe voluto congelare quel momento, e conservarlo per sempre. Era tutto perfettamente coordinato in quel momento. Si sentiva bene anche se ripensare a Sherlock, a quello che aveva fatto e ai suoi sbalzi d’umore le facevano contrarre lo stomaco dalla preoccupazione. Il pensiero che non avrebbe potuto mai camminare con lui, sentire il suo braccio intorno alle spalle o sentirsi libera di guardarlo negli occhi, la rattristava. D’altro canto non riusciva a immaginare uno Sherlock innamorato, preso da una relazione. Sarebbe stato troppo strano, forse neanche naturale. Lily non sapeva neanche se lei era pronta per una relazione ancora.

“Lily? Lily!” aveva sentito la voce di Sherlock chiamarla impaziente.

Lei aveva interrotto i suoi pensieri bruscamente; lo aveva guardato, spaesata.

Lui era lì, davanti a un taxi e teneva aperta la porta, per farla salire: “Smettila di sognare ad occhi aperti, scendi dalla tua nuvola rosa e sali!” l’aveva rimproverata.

“Che ne sai che ero su una nuvola rosa?” aveva replicato, salendo a fatica sul taxi, cercando di non rovesciare la busta che teneva in mano.

“Di solito chi fa brutti pensieri non sorride come uno sciocco mentre cammina”.

Doveva averla guardata mentre pensava a camminare con lui come una coppietta: “Bah ma che noioso che sei!  Io penso a quello che mi pare e se voglio mi metto anche a ballare per strada!” aveva risposto imbarazzata.

“In quel caso, fai finta di non conoscermi” aveva sorriso ironico Sherlock.

“Certo, certo” aveva sbuffato Lily, sistemandosi la sciarpa intorno al collo “la tua reputazione è al sicuro, tranquillo” continuava a lottare, non trovava il capo e cominciava a irritarsi; più tirava, più si stringeva. Aveva sospirato, frustrata: “Maledizione!”

Sherlock si era allungato verso di lei sospirando, cominciando a svolgere la sciarpa.

“Ma come diavolo hai fatto?” continuava ad armeggiare, riuscendo finalmente a liberarla dalla stretta di lana mortale “adesso, stai ferma. Non ti muovere finché non arriviamo a Baker Street” aveva alzato le mani verso di lei, puntandole gli indici contro.

Lily aveva messo su un mezzo broncio e aveva borbottato; “Stupida sciarpa” infilandola a forza dentro la borsa.

Sherlock l’aveva osservata e poi era scoppiato a ridere.

“Che c’è?” aveva chiesto, ancora infervorata per la lotta.

“Dovresti vederti ora. Sei tutta rossa e con i capelli per aria; sei buffa” aveva detto alzando le spalle.

Anche il conducente del taxi la guardava dallo specchietto retrovisore sorridendo.

“Beh, molto lieta di scatenare tutta questa ilarità” aveva ribattuto a mezza bocca, guardando sia lui che il tassista “non riuscivo a liberarmi, stavo per soffocare!” aveva aggiunto lamentosa, starnutendo per qualche pelucco di lana finito nel naso “oh, povera me” aveva tirato su con il naso.

Sherlock rideva ancora e ancora e non riusciva a smettere; era così comica, così goffa. Neanche i bambini si strangolavano con la sciarpa, ma Lily era un’eccezione. Riusciva a cacciarsi in situazioni ridicole ed esilaranti allo stesso tempo, come quella volta che non riusciva ad accendere un fiammifero; era inutile, provava e riprovava ma o si spezzavano o non si accendevano proprio. Rivedeva gli scatti nervosi del suo braccio mentre cercava di sfregare la testa del fiammifero sul fianco della scatola, e ogni volta erano sempre più rabbiosi. E lei era sempre più rossa, più frustrata, finché non aveva battuto i piedi e scaraventato la scatola nel camino, urlandole gli improperi più mostruosi che Sherlock avesse mai sentito. E anche quella volta, l’aveva osservata divertito bevendo il suo the seduto in poltrona. E Lily si era anche arrabbiata con lui, perché si sentiva presa in giro. Ma poi aveva cominciato anche lei a ridere ed era finita così. Era un bel lato di Lily, il non prendersi troppo sul serio. Mentre Sherlock era molto suscettibile se veniva preso in giro, lei all’inizio si arrabbiava poi scrollava le spalle e ci rideva sopra.

“Stavi ripensando ai fiammiferi!!” aveva esclamato Lily, puntandogli un dito contro.

Sherlock aveva annuito, ridendo ancora di più.

Lily scuoteva la testa, esasperata “Ma che scemo” aveva starnutito di nuovo.

“Ma allora lo fai apposta!” Sherlock si era preso il viso tra le mani, non ce la faceva più.

Le spalle del tassista si muovevano su e giù, in una risata silenziosa.

“Beh, basta ci rinuncio” aveva detto Lily, girandosi verso il finestrino, un accenno di sorriso che cercava di controllare “siete due persone orribili e…” aveva risucchiato le guance per non ridere.

Sherlock si era calmato, anche perché ormai erano arrivati a Baker Street. Il tassista, dopo essere stato pagato li aveva ringraziati per avergli fatto fare due risate in quella noiosa serata invernale.

“Di niente, di niente” aveva risposto Lily, facendo una riverenza “dovrei cominciare a farmi pagare” aveva aggiunto dopo, mentre si dirigevano verso il portoncino. Era la prima volta che vedeva Sherlock ridere così di gusto. Gongolava per essere stata lei la causa scatenante del tutto. Anche se aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere la persona più goffa e maldestra del mondo. Mentre pensava a tutto questo, aveva sentito una voce morbida alle loro spalle:

“Sherlock! Sherlock, ehi sono io!”

Si era girata e dall’altra parte della strada una donna agitava la mano in segno di saluto. Mentre attraversava, Lily la osservava attentamente: capelli scuri, occhi allungati da gatta, zigomi alti e scolpiti e tutte le curve al posto giusto. Ondeggiava sui tacchi alti, fasciata in una gonna fino al ginocchio. Sembrava non sentire il freddo, portava solo una giacca leggera molto aderente insieme a una sciarpa di cotone. Il suo sorriso smagliante e perfetto brillava nella sera. I suoi denti sembravano piccole perle. Era ormai davanti a loro, e ansimava leggermente per la piccola corsa; aveva guardato Sherlock raggiante, poi lo sguardo si era spostato su Lily. Ma era tornata subito a lui, scuotendo la graziosa massa di capelli scuri e mossi diffondendo un buon profumo tutto intorno. Lily si sentiva molto sciatta di fronte a lei.

“Ehi straniero, ti ho beccato proprio mentre rientravi a casa…come stai?” lo aveva abbracciato calorosamente, forse un po’ troppo. E non lo lasciava andare, continuava a cingergli la vita con un braccio.

“Ciao Janine” aveva sorriso tirato Sherlock, guardando imbarazzato entrambe, cercando di liberarsi dalla stretta della donna “io…io tutto bene e tu?”

“Oh benissimo grazie! Aspettavo mi richiamassi ma temo tu abbia perso il mio numero, vero?” aveva frugato nella sua microscopica borsetta per tirarne fuori un foglietto e una penna “girati, così posso usare la tua schiena”. Aveva sorriso, seducente.

Un’ondata di nausea aveva tramortito Lily. Non solo una donna bellissima si era appena avviluppata a Sherlock, ma in quel momento lei non esisteva. Sherlock era troppo imbarazzato e contrariato per parlare, mentre Janine la ignorava di proposito. Il suo sguardo sembrava dire "chi è questa nanerottola che ti porti dietro? Forse la donna delle pulizie? Non posso credere che tu possa portarti a letto una come lei perché insomma…guardami”

Janine emanava profumo di erotismo, ma di erotismo vero. Da lenzuola di raso e candele profumate insieme a luci soffuse, babydoll e autoreggenti. La seduzione in persona, e non una ragazzina scheletrica e brutta ancora impregnata di sesso adolescenziale e violento. Lei non sapeva niente della seduzione. Ne era venuta a conoscenza dai film, dai libri che leggeva e dai racconti di altre persone; anche se era molto difficile non carpire l’aura di sensualità che emanava Janine, il suo piglio sicuro con gli uomini, il suo sapersi muovere vicino a loro; sapeva sorridere e sfiorare in maniera maliziosa, senza un minimo di imbarazzo. A Lily sarebbe piaciuto avere almeno la metà del suo charme e della sua sicurezza.

Non si era mossa di un centimetro, continuando a stringere la busta con il cibo che le aveva dato Mary. Ah, sicuramente Janine era anche una cuoca eccellente. Avrebbe voluto tanto la sua sciarpa ora, non sentiva più il sangue scorrerle nelle vene.

“Ecco fatto, Sherlock” aveva infilato il foglietto nella tasca interna del cappotto “ma insomma, dimmi qualcosa! Come te la passi? John come sta?” un altro sguardo glaciale alla figura di Lily.

“Ehm…stanno tutti bene grazie; benissimo, in formissima” Sherlock si era schiarito la gola, guardando Lily. Lei aveva ricambiato lo sguardo di sottecchi e per alcuni secondi. Non voleva mettere in imbarazzo nessuno.

“Oh…ma forse avevi da fare?” aveva portato una mano fresca di manicure davanti alla bocca a forma di cuore “che cafona, sei in compagnia!” aveva riso, maliziosa.

Alla fine sono solo cinque minuti che sono qui, come uno stoccafisso aveva pensato Lily, contrariata.

Ma aveva sorriso al suo meglio, cercando di non sbuffare.

“Certo, sì! Lei è Lily, occupa la stanza di John a Baker Street da poco…quanti sono? Due, tre mesi?” aveva esordito Sherlock guardandola, pensando di aver avviato una conversazione normale.

“Quattro” aveva precisato lei, in un soffio.

“Giusto, quattro” Sherlock sembrava in difficoltà, ma Lily era ancora più in confusione di lui. Cosa lo faceva agitare così tanto?

“Ooooh Sherlock” aveva risposto Janine con tono sorpreso “adesso hai un coinquilino donna? Ti sei evoluto rispetto a qualche mese fa” aveva soffocato una risatina “addirittura vivere con una femmina sotto lo stesso tetto” aveva fissato Lily, squadrandola da capo a piedi “una vera fortuna, per uno come te” il sorriso era sparito dalla sua bocca perfettamente truccata “una cosa speciale”.

Sherlock aveva tossito leggermente, cercando di riprendere il controllo: “È stata una successione di eventi che l’ha portata a vivere con me…ah giusto a proposito Lily, lei è Janine”.

Lily aveva annuito velocemente “Avevo intuito”.

“Che nome grazioso!” continuava a squadrarla come se fosse un mucchio di immondizia “beh Sherl, magari mi racconterai tutto a cena che ne dici” lo aveva guardato di nuovo negli occhi, accarezzandogli il cappotto “è tanto che non ci vediamo”.

Sherl???? aveva pensato Lily, perplessa.

Lui aveva guardato di nuovo Lily, che però stavolta non aveva ricambiato; si concentrava su un minuscolo spazio tra Janine e Sherlock, riusciva a intravedere il 221b in caratteri dorati nello spazio tra le loro teste. Era molto focalizzata su quello. Aveva sentito distintamente l’occhiata di Sherlock planare e schiantarsi a terra a metà del tragitto tra lui e Lily. Sicuramente non aveva bisogno del suo aiuto in quel momento; era così sicuro di se stesso, che cosa poteva volere da lei?

“Beh Janine, io ora dovrei andare” aveva farfugliato Sherlock allontanandosi leggermente da lei “è stato…un piacere”.

“Oh lo so bene” aveva ammiccato lei, sfacciata “chiamami, potremmo passare una bella serata” aveva fatto scivolare la lingua su “serata” in una maniera talmente lasciva che Lily era rabbrividita leggermente. Faceva prima a dire scopami! scopami!

“Ehm..sì. Grazie Janine e buonanotte” Sherlock aveva messo già la chiave nella toppa.

“Metafora interessante” aveva bisbigliato Lily a mezza bocca, carpendo di nuovo lo sguardo di Janine su di lei. Aveva subito guardato la chiave nella serratura.

“Buonanotteeeee” aveva sussurrato Janine, senza salutare Lily. Aveva fatto ciao ciao con la manina verso di lui, girandosi a guardarlo mentre attraversava la strada. Non voleva perdersi un secondo di Sherlock Holmes.

Lily conosceva la sensazione, ma senza tutto il sesso in mezzo.

La nuvola di profumo si era dissolta, il calore del suo corpo pure ed erano rimasti solo lei e Sherlock. Nessuno fiatava, sentiva solo il suo sguardo puntato sulla sua nuca.

“Era per un caso, un’indagine, sai” aveva azzardato Sherlock, con voce decisa.

“Oh certo, ne sono sicura, non c’è problema” Lily lo aveva guardato sorridendo come una pazza. Cercava di essere disinvolta, ma l’immagine di Janine avvinghiata a Sherlock continuava a tormentarla.

Salivano le scale, in silenzio. Lily non poteva dire nulla, doveva far finta di niente. Era una che si era portata a letto per un caso, naturalmente. Ma perché faceva così male? La differenza tra lei e Janine era abissale e lo sapeva bene. Erano quelle le donne di Sherlock, quei tipi lì, simili a lui. Eleganti, sofisticate, vestite bene e profumate. Lily si sentiva l’esatto contrario, ed ecco risalire tutte le sue insicurezze, le sue paure.

Janine era stupenda, arguta. Sapeva sedurre un uomo senza vergogna perché era sicura di se stessa, della sua presenza, del suo corpo. Sapeva che gli uomini la guardavano e in fondo, le piaceva. Ma sceglieva lei a chi concedersi. Lo aveva capito anche Lily, che non era una grande esperta in tecniche di seduzione.

Ma come diavolo poteva Lily competere con lei. Scuoteva la testa impercettibilmente. Pensava a tutte le immagini di quel pomeriggio, a tutte le sue fantasie romantiche. Ma che cretina che era.

“Sherlock” aveva esordito Lily, con voce malferma “vorrei proporti una cosa”.

“Certo, dimmi” sentiva il tono fermo di Sherlock, come se sondasse il terreno.

“Semmai dovesse capitare per le tue indagini di portare una donna a casa, potresti avvertirmi prima” il silenzio era calato per qualche secondo “potrei organizzarmi con Mary e John e tu potresti stare tranquillo, con la casa vuota” si era fermata davanti la porta, aspettando Sherlock con le chiavi.

Si era fermato. Sentiva il suo sguardo fisso su di lei, come per analizzarla. Poteva immaginare tutti i suoi meccanismi che giravano e giravano, cercando una risposta concreta alla richiesta di Lily.

“Lily” aveva risposto dopo un silenzio interminabile “hai mai visto donne in casa da quando sei arrivata qui?”

“Io…no, non ne ho viste, mai. Almeno credo” aveva alzato le spalle.

Sherlock aveva sospirato: “Te lo dico io: non ce ne sono state. Come potrei portare delle donne qui, sapendo che tu dormi al piano di sopra?” aveva continuato, con tono infastidito.

“Beh, perché no scusa?” Lily aveva riso, leggermente fuori tempo “io sono la tua coinquilina, ma nonostante tutto non pago affitto e bollette; nessuno può impedirti di farlo se vuoi. Sia che si tratti di indagini o…altro” aveva abbassato la voce, riducendola in un sussurro.

Sherlock le era passato davanti, per aprire la porta. Sembrava spazientito, addirittura arrabbiato: “Ho già ribadito parecchie volte che affitto e bollette non sono un problema. Per ora, grazie al cielo, non ho bisogno di donne nel mio letto per risolvere casi e indagini” come se mi facesse piacere aveva bisbigliato tra sé e sé “ma ti ringrazio comunque per la delicatezza della tua domanda” armeggiava con le chiavi, non riusciva a trovare quelle della porta.

Lily era rimasta zitta e immobile. La rabbia composta di Sherlock la spaventava. Ovvio che le avrebbe fatto piacere non avere donne in mezzo ai piedi a Baker Street. Ma chi era lei per impedirlo? Certo che le sarebbe piaciuto che Sherlock avesse risposto che non avrebbe portato donne in casa perché ora c’era lei ed era tutto ciò di cui aveva bisogno. Ma di nuovo, lei non era nessuno, non era niente per Sherlock Holmes.

Sherlock aveva trovato la chiave e spalancato la porta, richiudendola dietro di sé. Mentre si toglieva il cappotto Lily vedeva che ragionava, pensava come se fosse impazzito. Lei riusciva solo a rimanere ferma all’ingresso, la busta stretta tra le braccia sapendo di aver detto una stupidaggine, ma in quel momento le era sembrata la cosa giusta da fare. Se avesse fatto una scenata di gelosia cosa sarebbe cambiato? Sicuramente nulla, ma per certo avrebbe reso la situazione tra loro ridicola e imbarazzante.

Non bastava un “ti chiedo scusa” o un salvataggio dal cattivo di turno per far breccia nel cuore di Sherlock Holmes. Persino quella sera lui aveva difeso il suo orgoglio e non quello di Lily. Con lui non bastava niente, era troppo sopra tutto e tutti. Era irraggiungibile.

“Sai una cosa” aveva ribadito Sherlock all’improvviso girandosi verso Lily, l’aria di chi doveva per forza dire qualcosa per giustificarsi e imporre il proprio punto di vista “io sarò anche una persona anaffettiva e gonfia di ego” l’aveva guardata, gli occhi grigi e freddi “ma il rispetto per le altre persone, seppur poco, mi è rimasto. E neanche per tutte le persone, ti dirò la verità. Le donne che sono venute qui si contano sulle dita di una mano, fidati. E sono state qui sempre con motivazioni valide, almeno per me” la sua voce era carica di sottintesi “non mi sono mai divertito, neanche un po’. Era tutto meccanico, calcolato, ma te l’avevo già detto stamattina mi pare. Ma visto che me l’hai chiesto con tanta gentilezza,  va bene. Se dovesse capitare te lo dirò con LARGO anticipo, se la cosa ti rende felice”.

“Ma Sherlock, io…” Lily aveva cominciato a parlare per cercare di spiegare, anche se in maniera sbagliata, quello che intendeva “io non voglio in nessun modo intralciare le tue…”

Sherlock aveva riso, ironico: “Lily, pensi non ci siano altri posti dove poter espletare tutti i rituali necessari alle indagini??” aveva allargato le braccia “per me Baker Street è comoda perché dopo loro vanno via e io rimango a casa, tutto qui. Posso cambiare le lenzuola, aprire le finestre, farmi una doccia. Avevo già previsto tutto, avevo già tutto sotto controllo come al solito. Ed è inconcepibile che tu abbia questa scarsa considerazione della mia intelligenza. È assurdo” si era seduto in poltrona, le mani sotto il mento.

Lily era rimasta zitta. Non gli interessava l’opinione che aveva di lui come persona. Si preoccupava che lei sottovalutasse la sua intelligenza. Tutto ciò era molto da Sherlock, avrebbe dovuto intuirlo. Ma lei non faceva Holmes di cognome.

“Ti ho solo chiesto una cosa, non sapevo avessi già organizzato tutto. Credevo di toglierti da una situazione scomoda e comunque non dubito della tua intelligenza, né tantomeno della tua morale”

“E chi ha parlato di morale?” aveva replicato Sherlock, scrollando le spalle.

Hai mai visto donne in casa da quando sei arrivata qui? Le parole di Sherlock le rimbombavano in testa. Sembrava un discorso riguardo la morale. O si sbagliava?

Aveva riferito a Sherlock le sue parole di poco prima.

“Stavo solo rispondendo alla tua domanda! Semplicemente: hai mai visto donne da quando sei qui? No! E quindi era logico che non ce ne sarebbero mai state altre, perlomeno qui dentro! Te l’ho chiesto per farti rendere conto che il problema non si poneva dall’inizio. Ma tu non l’hai capito, hai dovuto tirare fuori la morale, il fatto di intralciare le indagini…nessuno intralcia le mie indagini, e tutte quelle altre sciocchezze” aveva incrociato le braccia, seccato.

Ma sì, al diavolo la morale.

Lily, nonostante il ragionamento intricato e sicuramente di dubbia verità, aveva deciso di credere a Sherlock. La morale c’era, molto in fondo e probabilmente unilaterale, ma lei era convinta che a tutto questo Sherlock non ci avesse minimamente pensato. E con la sua domanda aveva scatenato il suo lato vulnerabile, cioè quello della disattenzione, quello del non aver preso in considerazione tutto quanto e di conseguenza perdere il controllo del suo filo logico. Strano da parte sua.

“Ok Sherlock, scusa. Dovevo capirlo da sola, quando mi hai fatto la domanda la prima volta”.

Tutta colpa di Janine.

Sherlock rimaneva fermo sulla poltrona; si era tolto la giacca e non proferiva parola. Lily non aveva la più pallida idea di quello che stesse succedendo, e anche il discorso fatto fino a quel momento le appariva ingarbugliato.

Sherlock ragionava. Proprio quella mattina aveva collocato Lily nella lista di persone che riteneva importanti; e tutto ciò che era successo lo aveva fatto arrabbiare. L’incontro con Janine era stato proprio il culmine, non era stato calcolato, come non era stata calcolata la conversazione di poco prima. Si era distratto, ed era imperdonabile. Era tutto vero: era per un’indagine, quella famosa sera a casa non c’era neanche John, figurarsi. Come se lui dovesse dare spettacolo, come se ne andasse fiero. Invece non gliene importava proprio niente, se fosse stato per lui ne avrebbe fatto volentieri a meno. Non riusciva mai a spiegarsi e la gente era troppo poco furba per capire. Ma non importava. E il fatto che Lily gli avesse chiesto una cosa del genere!! Non doveva spiegazioni a nessuno!!

Poi si era fermato e calmato. Ripensava a quello che stava facendo. Aveva chiuso gli occhi, soffocando la voce dentro di lui che parlava, parlava, parlava; poi era tornata quella che aveva sentito la mattina stessa:

“Va tutto bene, tu sei Sherlock Holmes, vedi di ricordartelo”.

Non lo aveva tranquillizzato come prima, ma lo aiutava a rimanere lucido. Cominciava a sentirsi strano, forse un po’ preso in giro da quella voce che era il suo subconscio. Ma era l’unica che lo riportava alla realtà.

“Ok, ci siamo chiariti” era tornato sulla terra, finalmente “ora vado a dormire, sono stanco. Buonanotte” aveva quella sensazione di soffocamento e di disagio che non riusciva a fermare. Sperava solo che il suo lato più analitico reggesse.

Lily lo aveva seguito con lo sguardo sussurrando un “buonanotte”. Ogni tanto si perdeva nel suo mondo; poi tornava e spariva di nuovo, però fisicamente. Forse era quello che lo teneva calmo, ma ogni volta era spiazzante e complicato, con ragionamenti intricati e non sempre limpidi. Possibile che ogni giorno dovessero discutere?

Aveva sospirato, scrollando le spalle. Ultimamente aveva degli sbalzi d’umore non indifferenti. Un momento prima scherzava ed era di buonumore, poi all’improvviso diventava scontroso e silenzioso come se un pensiero improvviso lo turbasse o un ricordo riaffiorasse alla sua mente, ricordandogli qualcosa di doloroso. Aveva messo in conto che sarebbe stato complicato convivere con una personalità così sfaccettata, ma a volte si preoccupava seriamente, anche alla luce dei sentimenti che aveva appena scoperto per  lui.
Era difficile stargli accanto la sera sul divano guardando la tv, o cenare con lui al tavolo del salotto. Era difficile scendere le scale la mattina e trovarlo assorto in un libro o al microscopio, ancora assonnato ma allo stesso tempo concentrato. Era difficile perché avrebbe voluto avvicinarsi a lui e dargli un bacio o arruffargli i capelli, ma poteva solo accennare un buongiorno e nulla più. Accettava tutto questo, perché in fondo andava bene anche così; era abituata ad accontentarsi ed era disposta anche a sopportare i suoi sbalzi d’umore. Sapeva che non era una cosa buona, ragionare così. Poteva anche arrabbiarsi, ma sapeva che l’avrebbe perdonato comunque, nonostante tutto. Prima o poi sarebbe arrivata una donna, qualcuno che l’avrebbe fatto uscire fuori dal suo guscio. O forse no, chi poteva saperlo. Sembrava il tipo che poteva rimanere tutta la vita da solo con se stesso.

La cosa che la tirava un po’ su era che in fondo aveva il privilegio di essere la coinquilina di Sherlock Holmes; chi poteva vantarsi di questo, oltre a John?

Aveva sorriso amara, consolandosi con questo pensiero flebile. Poi aveva sistemato la roba in frigo ed era salita in camera, sperando di riuscire a dormire.

//

Il mattino dopo, come sempre, Sherlock si comportava come se nulla fosse successo. Lily a volte pensava se veramente fosse successo quello che ricordava; Sherlock era troppo rilassato, troppo tranquillo come se veramente l’episodio della sera prima non fosse accaduto.

Doveva distrarsi e uscire da lì, si sentiva soffocare. Sarebbe andata a prendere un caffè e a fare un po’ di spesa, almeno avrebbe staccato la spina e si sarebbe allontanata anche se per poco da Baker Street e dal suo inquilino strambo.

Uscita in strada era andata alla caffetteria; aveva annusato l’aroma del caffè fino in fondo, calmandosi. C’era il sole stranamente, e Lily ne apprezzava ogni raggio, scaldandosi nella sua luce. Arrivata al supermercato aveva cominciato a girare per gli scaffali, distratta. Aveva la lista in testa ma non riusciva a concentrarsi, intontita dal calore di poco prima. Era ubriaca di sole, che bella sensazione. Si era irrigidita per un attimo, quando era arrivata nella corsia dei biscotti. In fondo, dall’altra parte del corridoio, c’era lo scaffale dove aveva incontrato Kaleb. Aveva sentito un brivido, ma poi si era ricomposta; era tutto finito.

All’improvviso aveva sentito una botta alla schiena e quello che teneva in mano era volato via dalla sua presa, cadendo per terra.

Lily aveva imprecato a bassa voce, girandosi furiosa verso “l’abbattitore”.

“Mi scusi, mi scusi tanto. Stavo guardando gli scaffali in alto e non mi sono accorto…accidenti, le ho fatto cadere tutto…” era un uomo, chinato per terra, e raccoglieva la roba di Lily. Aveva alzato il viso verso di lei: era biondo cenere, i capelli mossi e gli occhi castani, grandi. Forse un po’ tondi, ma molto caldi. Aveva sorriso a Lily che lo stava guardando, mettendo in mostra una dentatura bianca accompagnata da due adorabili fossette incise ai lati della bocca. Si era alzato e aveva porto a Lily la roba che le era caduta: “Sono veramente spiacente, spero non si sia rotto nulla”.

“Ehm…forse i biscotti, ma li cambierò…grazie” Lily cercava di tenere tutto tra le braccia, ma aveva questo brutto vizio di non prendere un cestino arrivando alla cassa con le mani strapiene.

“Mi permetta di aiutarla, per favore. È il minimo che possa fare”.
Bam, altro sorriso scintillante. Lily sentiva il viso diventare rosso: “Per…per favore, dammi del tu, non sono così vecchia” aveva riso nervosa.

“Oh, scusa allora. Solo che credevo che una ragazza carina come te fosse sposata..sai” si dondolava da un piede all’altro, guardando il pavimento.

“Ah, chi io? No, figurati!” la voce era uscita in un sussurro impaurito. Carina? Ma l’aveva vista in faccia?

“Beh, meglio allora!” aveva esordito il ragazzo misterioso “quindi…posso chiederti come ti chiami? Se non sono troppo indiscreto” la guardava da sotto i capelli biondi.

“Io…mi chiamo Lily” aveva steso la mano, ma la spesa stava per ricadere a terra “oops, che sbadata, scusami. Comunque molto piacere”.

“Bene Lily, io sono Andrew, piacere mio. Senti, che ne dici di una mano? Di questo passo arriverai a casa dopodomani” altro sorriso scintillante “permetti?” aveva allungato le braccia.

“Ok…ehm..grazie Andrew” avevano diviso equamente la spesa e si erano avviati alla cassa.

Avevano chiacchierato un po’ mentre mettevano la roba nelle buste di carta e Lily pagava la spesa, sempre con la carta di Sherlock. Si erano avviati verso Baker Street, e Andrew era veramente un tipo interessante. Parlare con lui era estremamente facile, molto piacevole. Studiava psicologia e abitava in un appartamento con un suo compagno di corso. Voleva aprire uno studio tutto suo e veniva da fuori Londra.

“Il classico ragazzo di campagna che arriva nella City” aveva riso.

“Eppure non sembra, non hai l’accento di uno che viene da fuori”.

Il sorriso di Andrew era scemato leggermente verso il centro della bocca, per poi allargarsi nuovamente: “Beh imparo in fretta, cerco di parlare correttamente anche per l’università”

Lily aveva annuito timidamente. Andrew la osservava, poi a un certo punto aveva esordito: “E di te che mi dici? Da dove vieni?”

Lily aveva raccontato a grandi linee da dove veniva senza spingersi nei particolari; Andrew la ascoltava, attento. Non faceva domande indiscrete. E ne era ben contenta, anche perché se le avesse chiesto dei lividi non avrebbe saputo cosa rispondere.

Erano arrivati davanti al 221b, e Lily non sapeva se era il caso di far vedere a Andrew dove abitava. L’aveva appena conosciuto dopotutto. Però non potevano continuare a girare per il quartiere carichi delle buste della spesa. Si era fermata e aveva balbettato: “Io sono arrivata a casa, abito qui” aveva indicato con il pollice il portoncino.

“Ah bene!” aveva esclamato Andrew “ti serve aiuto per portarla in casa?”

“Ehm…” aveva cominciato a parlare quando aveva sentito una voce dietro le sue spalle.

“Lily?” era Sherlock, appena uscito dal portone e fermo sugli scalini “sei tornata. Tutto ok?” aveva guardato prima lei e poi Andrew, perplesso.

“Oh, ciao Sherlock. Lui è Andrew” si era girata verso di lui “questo è il mio coinquilino, Sherlock. Andrew mi ha aiutato con le buste”.

“Abbiamo avuto uno scontro tra le corsie del supermercato e per farmi perdonare le ho portato la spesa” aveva guardato Lily, sorridendo “piacere di conoscerti, Sherlock” aveva allungato la mano verso di lui, ma Sherlock era rimasto immobile, guardando prima la mano e poi lui. Aveva sorriso con circostanza, ma sembrava più una smorfia di dolore. Poi aveva esordito, con la sua voce profonda: “che strane cose che accadono al supermercato; persone che si perdono, persone che si incontrano" aveva guardato entrambi, sollevando le spalle e accennando un sorrisetto ironico.

Lily aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo, vergognandosi come una ladra. Andrew nel frattempo aveva ritirato la sua mano tesa, rendendosi conto che quella di Sherlock sarebbe rimasta ben ancorata nella tasca del cappotto.

Dopo qualche minuto di silenzio, Sherlock aveva ripreso la parola “Lily, dammi le buste e prendi quelle di Anton, così possiamo portarle su a casa”. Si era girato, aprendo il portone e sparendo all’interno del palazzo.

Lily si era girata verso Andrew con aria preoccupata, mentre lui le porgeva le buste sorridendo e bisbigliando: “Wow, non penso di essergli molto simpatico. Non si è neanche ricordato il mio nome!” aveva sorriso leggermente.

“Scusami, Sherlock è così con tutti. È un tipo un po’ particolare, sopporta a malapena me” aveva sollevato le spalle.

“Ma tu e lui…” Andrew aveva lasciato la frase in sospeso, guardando verso il portoncino semiaperto.

“Chi, io e lui? No, no assolutamente” Lily aveva sentito una stretta allo stomaco mentre pronunciava quelle parole “no, non stiamo insieme; è un caro amico, mi ha aiutato molto”.

“Ah, okay. Uhm…senti Lily” era imbarazzato “so che è un po’ presto..ma…mi lasceresti il tuo numero? Mi piacerebbe rivederti in circostanze meno…ingombranti” aveva riso, indicando le buste della spesa.

Lily pensava. Una sottile paura si era insinuata sotto la sua pelle e subito dopo aveva pensato a Sherlock, sentendosi ghiacciare lo stomaco.

Ti ha chiesto il numero, non di sposarlo. Potrebbe essere un segno, tentar non nuoce. Ricomincia a vivere.

La voce della Lily dentro la sua testa la spronava. Ma Sherlock? Si sentiva quasi in colpa, sembrava come tradirlo.

Tradirlo di cosa?ti sei scordata dei tuoi ragionamenti di stamattina? Lui è Sherlock Holmes, non vedrà mai te come possibile compagna.

Dentro la testa di Lily regnava il caos più assoluto; la sua insicurezza la faceva chiudere a riccio. Ma Andrew le aveva detto che era carina, ed era così piacevole parlare con lui, e pensava lo sarebbe stato ancora di più davanti a una tazza di the in un posto tranquillo.

Al diavolo, prova. Sherlock non ti vuole, lo sai.

Lily aveva sospirato e poi aveva sorriso leggermente a Andrew: “Certo, hai carta e penna? O il cellulare?”

Lui aveva tirato fuori lo smartphone dalla tasca interna della giacca, facendole l’occhiolino.

Mentre Lily dettava il numero a Andrew, dentro l’appartamento Sherlock li osservava dalla finestra, nascosto dietro la tenda. Aveva socchiuso gli occhi, memorizzando i particolari di Andrew. Non aveva avuto una buona percezione nei suoi confronti, non lo convinceva. Sorrideva troppe volte, e troppo esageratamente. Si avvicinava troppo a Lily, invadendo il suo spazio. C’era qualcosa che non andava. Ma lei rideva timida, si spostava i capelli dietro l’orecchio; come se si fosse dimenticata dei lividi che aveva sul volto. Sherlock tamburellava le dita sulla cornice di legno della finestra e aveva distolto lo sguardo. Doveva parlarne con John. Finalmente Andrew aveva salutato Lily e lei si era avviata verso il portoncino; poi si era fermata e aveva sorriso, salutando di nuovo un punto della strada che Sherlock non riusciva a vedere.
Sentiva che saliva le scale, entrava in casa e posava le buste sul tavolo della cucina insieme a quelle che aveva portato lui. Metteva a posto la spesa, senza proferire parola.

“Strani incontri si fanno al supermercato” aveva esordito Sherlock, con un sorrisetto beffardo sulla faccia.

Lily si era girata verso di lui, guardandolo storto: “ È stato gentile, che c’è di male? So che per te il concetto è nebuloso, ma aiutare la gente mica è reato”.

“Io aiuto sempre le persone, risolvo casi per loro e trovo il colpevole” aveva continuato Sherlock incrociando le braccia dietro la schiena e girandosi verso di lei “quindi dobbiamo girare anche a te la promessa che ti ho fatto ieri sera? Se io non porto donne, tu non porti uomini”.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo; cercava di provocarla, lo sapeva e non capiva neanche il perché: “Tranquillo Sherlock, guardi davvero troppo avanti. Mi ha aiutato a portare la spesa, niente di che”.

“Hm” Sherlock l’aveva guardata negli occhi “e non gli hai dato il tuo numero, vero?” le tende erano leggermente tirate, immergendo il salotto nella penombra. Sembrava fondersi perfettamente nell’ambiente con il suo completo grigio antracite. Continuava a fissarla, aspettando una risposta.

Lily si era morsa il labbro, riprendendo subito contegno: “Beh…può darsi. È un problema?”

Sherlock si era girato verso la finestra, ridendo. Poi era tornato serio e posando di nuovo lo sguardo su Lily aveva detto piano: “No, figurati. Solo fa attenzione, l’hai appena conosciuto”.

Il cuore di Lily era sprofondato al piano di sotto; sperava, molto molto in fondo, che Sherlock facesse trasparire un minimo di fastidio, un pelo di gelosia. Invece no, si raccomandava come un padre premuroso. Aveva chiuso gli occhi e scosso la testa. Era amareggiata, il suo povero cuore ridotto in briciole: “Va bene, starò attenta. Se dovesse succedere qualcosa”.

“Succederà” aveva replicato Sherlock serio, scostando con la punta delle dita la tenda dalla finestra.

“Giusto, ricordavo che hai la palla di vetro” Lily aveva riso leggermente “dove stavi andando prima?” tormentava con le dita la tovaglia del tavolo della cucina, guardando il pavimento.

“Al St. Barth’s da John. Vuoi venire? Forse Mary è di turno”.

Lily aveva sospirato: “Sì, perché no. Vengo anche io”.

Aveva fatto passare Sherlock, che aveva lasciato dietro di lui il suo profumo. Lo aveva seguito, chiudendo la porta.

Alla fine era successo. Lily si sarebbe aspettata un chiasso assordante. Invece nulla; nessuno riusciva a sentirlo, nessuno se ne accorgeva, tranne lei.

Una persona sorride mentre il suo cuore, segretamente, si consuma*

Era proprio vero.

Un cuore spezzato non fa rumore.





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Capitolo 13
*** Secrets and lies ***





Capitolo 13

Secrets and lies



Non si erano parlati per tutto il tragitto fino al St Barth’s. Lily era molto triste, non aveva mai provato il dolore del rifiuto, dell’indifferenza. Almeno dal punto di vista romantico. In tutta la sua vita aveva avuto solo una “relazione” ed era finita nel peggiore dei modi. Era bello innamorarsi, ma venire rifiutati, tra l’altro senza essersi dichiarati, era la peggiore delle torture. Non poteva confessare i suoi sentimenti a Sherlock, perché aveva paura di perderlo. Doveva tenersi tutto dentro, il dolore a scavarle il cuore; era come avere sete e non poter bere. O avere un prurito insopportabile e non potersi grattare. Da andare ai pazzi.

Andrew era capitato in un momento strano, Lily non sapeva come gestire la situazione. Si sentiva in colpa perché aveva pensato a Sherlock quando lui le aveva chiesto il numero di telefono; ma a un certo punto sarebbe dovuta andare avanti, fare un tentativo, cercare di rimettere a posto i pezzi del suo cuore e della sua vita, cercare di essere felice. Sherlock era irraggiungibile, e non era interessato a lei. Aveva pensato al giorno in cui un’altra donna sarebbe atterrata nella sua vita, e aveva sentito un dolore lancinante in tutto il corpo. Ma sperava di essere guarita quando sarebbe arrivato il momento; sperava di amare qualcun altro.

Perché tu lo ami, vero? La voce  nella sua testa la tormentava ancora.

Non posso amarlo.

Un brivido freddo le aveva percorso la schiena. Voleva assolutamente pensare a qualcos’altro, sennò sarebbe scoppiata a piangere senza ritegno.

Percorreva il corridoio del St Barth’s dietro a Sherlock, triste e nervosa. Doveva darsi una possibilità con Andrew? Non lo sapeva. Una rabbia bruciante le aveva sferzato la pelle; era sempre così indecisa, piena di dubbi. Doveva tirare fuori gli attributi, aveva pensato mentre guardava Sherlock che camminava davanti a lei. Il suo portamento, i suoi capelli, le sue mani, tutto. Tutto faceva battere il cuore a Lily. Le sue spalle larghe, il naso perfetto, le ciglia nere e lunghe, il modo in cui i vestiti gli cadevano addosso. Ma non poteva, doveva darsi una mossa, guardare avanti. Mentire a sé stessa era una tortura, ma forse se qualcun altro le avesse fatta sentire amata sul serio, l’infatuazione sarebbe passata.
Unico problema: era davvero un’infatuazione? O era amore? Non aveva termini di paragone, Kaleb non contava; forse sì, ma era amore adolescenziale, non adulto. Era tutto diverso. Lily apprezzava sia i pregi che i difetti di Sherlock, e secondo lei questo era segno di qualcosa di maturo; uno dei tanti, almeno.

Mentre divagava, erano arrivati in ambulatorio e Sherlock aveva aperto la porta, senza bussare. John era seduto al tavolo e mangiava un panino insieme a Mary.

“Oh, ma che bella sorpresa!” aveva esclamato lei, sorridendo a entrambi “qual buon vento vi porta?”

Dovresti bussare, Sherlock” aveva sibilato John. Aveva guardato entrambi.

“E perché mai? Sei in pausa pranzo! Saremmo arrivati prima, ma Lily ha avuto un contrattempo” si era girato verso di lei, che era rimasta leggermente indietro, le mani affondate nelle tasche del giubbotto. Alle parole di Sherlock aveva alzato gli occhi, esasperata:  “Sherlock, ti prego” aveva piagnucolato.

“Ah sì, e cosa è successo?” John aveva guardato Lily strizzando gli occhi, curioso, e continuando a masticare.

“Ma no, niente di…” aveva cominciato lei, scuotendo la testa.

“Lily ha incontrato un uomo al supermercato, che le ha portato le buste della spesa fino a casa”  aveva continuato Sherlock. L’aveva guardata, con aria di sfida. Si stava divertendo.

Mary aveva trattenuto il respiro, sorpresa, mettendosi le mani davanti alla bocca “Davvero?”

John guardava Lily, serio. La scrutava attentamente. Lily aveva incontrato per pochi secondi i suoi occhi e li aveva abbassati, a disagio. C’era qualcosa nel modo in cui la squadrava che la faceva sentire quasi nuda, come se non avesse barriere o scudi. Aveva affondato ancora di più le mani nelle tasche stringendosi nelle spalle, vergognosa.

“Dai Lily, mica è una brutta cosa, anzi. È carino?” aveva continuato Mary, con tono complice. Lily in quel momento aveva avuto un moto di antipatia verso di lei e sperava che John la salvasse in qualche modo, ma lui continuava a mangiare, gli occhi fissi sul suo panino. Lily era arrabbiata anche con lui, era arrabbiata con tutti.

“Mi ha solo aiutato con la spesa” aveva mugugnato. Un leggero rossore le colorava le guance.

“Ti ha chiesto anche il numero di telefono” aveva continuato Sherlock, impunito.

Lily lo aveva guardato, gli occhi fiammeggianti. Contraeva la mascella, furiosa. Ma perché non teneva quella boccaccia chiusa?

Mary aveva lanciato un gridolino entusiasta. Lily lo aveva sentito stridere sui suoi nervi.

Sherlock la guardava con aria di sfida. La stava mettendo in imbarazzo apposta, per fargliela pagare riguardo al discorso della sera prima. Non si era dimenticato niente, anzi. Aspettava solo il momento giusto, le aveva chiesto di andare con lui di proposito per scatenare la curiosità morbosa di Mary e a quanto pare l’indifferenza di John, che continuava a mangiare senza esprimersi. E lui si stava godendo lo spettacolo in prima fila. Aveva accennato un sorrisetto e poi si era girato: “Vuole diventare psicologo” aveva continuato verso Mary, che lo guardava avida di informazioni “proprio un bravo ragazzo” aveva alzato le spalle, il sorriso beffardo ancora stampato in faccia.

Dopodiché si era incamminato verso il bricco del caffè appena fatto, versandolo dentro una tazza. Si era appoggiato al tavolo, le gambe incrociate e una mano a sorreggere il proprio peso, mentre con l’altra si portava il caffè alle labbra. Lily vedeva i suoi occhi scintillare divertiti. Erano grigio ardesia, più scuri del solito. Sembravano gli occhi di un demone. Lily aveva sentito la pelle avvampare di piacere, insieme a un moto di rabbia, frustrazione e pianto. Erano occhi stupendi, ma cattivi. In quel momento lo avrebbe preso a schiaffi su quegli zigomi affilati, fino a farsi male. Aveva stretto le mani dentro il giubbotto, deglutendo. John l’aveva guardata di nuovo, gli occhi blu concentrati. Lily non capiva. Poteva smettere di guardarla con quegli occhi come due pozzi scuri; non serviva anche il suo, di giudizio.
Nessuno parlava e aspettavano che fosse lei a prendere la parola lanciandosi in una descrizione dettagliata di Andrew; ma lei non sapeva niente di lui, lo conosceva appena.

Aveva sospirato, fulminando Sherlock con lo sguardo.

“Scusate” aveva mormorato e si era diretta verso la porta, sbattendola alle proprie spalle.

Mary aveva sobbalzato, sorpresa. Era rimasta in silenzio per qualche attimo, poi si era girata verso John “ Cosa le è preso” aveva domandato, guardando anche Sherlock “è una ragazza carina, doveva aspettarselo prima o poi” aveva alzato le spalle, incredula. Poi si era illuminata: “oh, si vergogna, poverina! Vado a cercarla!” e si era lanciata fuori dalla stanza, lasciando John e Sherlock da soli.

“Blah, questo caffè fa schifo” aveva esordito Sherlock svuotandolo nel lavandino. John ne aveva preso un sorso: “A me piace. Sai cos’è che non mi piace invece? Te che fai lo stronzo” aveva appoggiato la tazza sul tavolo facendole fare un rumore secco e si era girato verso Sherlock, scrutandolo con aria di rimprovero.

Sherlock aveva sgranato gli occhi, incredulo: “Cosa ho fatto adesso?”

John aveva scosso la testa, irritato: “Hai messo in imbarazzo Lily, razza di cretino” aveva esclamato John “ma veramente non te ne rendi conto?”

Sherlock aveva riso ironico: “Ah, quello?” si era tolto la sciarpa, appoggiandola sul tavolo “cosa sarà mai, si scherzava; una piccola rivincita, per quello che è successo ieri sera” aveva abbassato le labbra e alzato le sopracciglia.

John naturalmente si era fatto raccontare tutto; Janine, il discorso che aveva fatto con Lily, il piccolo diverbio e l’incontro con Andrew.

“Insomma, come può pensare che io porti altre donne in casa con lei dentro?” aveva sbuffato verso l’alto, facendo muovere un ricciolo che gli era cascato sugli occhi.

“Con me l’hai fatto” John aveva appallottolato la carta del panino “certo, io sono un uomo, è diverso” aveva appoggiato il viso su una mano, guardandolo.

“Non è vero, tu non c’eri mai!” aveva esclamato lui, incredulo.

John aveva sospirato: “Sherlock, certo che c’ero. Non con Janine, ma le ho sentite le tue “tester”. Più di una volta. Eri convinto che non ci fossi, un paio di volte sono uscito di nascosto ma non sempre. E di certo non venivi a controllare in camera, razza di spilungone pigro”.

“Arrivavo e ti chiamavo a voce alta, se non rispondevi per me non c’eri.” l’espressione di Sherlock diventava sempre più rabbiosa “dovevi dirmelo che eri in casa!”

“Certo che non rispondevo! Sentivo risatine di donna! Se fossi saltato fuori, le avresti cacciate di casa mandano a monte l’”interrogatorio”! e certe volte, scusa tanto, dormivo!” John lo guardava, godendosi la sua espressione. Uguale identica a quando lo aveva accusato di essere una primadonna. Poi si era incupito: “Lily cosa c’entra in tutto ciò? credeva di farti un piacere, non di metterti in imbarazzo, cosa che hai fatto te, nel peggiore dei modi. Sai che è timida e l’essere messa al centro dell’attenzione la manda nel panico. Non ti è bastato l’uomo ubriaco?”.

“Oh insomma, non ho fatto niente di grave” aveva borbottato Sherlock, guardando il pavimento.

“Sei proprio sicuro che non l’hai fatto per vendicarti? O magari ti scoccia che abbia incontrato Andrew?”

“Andrew non mi piace” aveva risposto lui “sorride troppo, invade il suo spazio, è troppo irruento”.

“Oh, capisco” aveva annuito John “non piace a te quindi non deve piacere neanche a lei”.

“Ma chi ha detto niente! le ha anche dato il numero di telefono, chi sono io per dirgli di non farlo?” aveva agitato una mano per aria, infastidito.

“Lily ascolta sempre quello che dici, e prende molto in considerazione le tue opinioni”.

“Ma io non le ho detto che non mi piace; l’ho solo avvertita, le ho detto di stare attenta, tutto qui”.

“E quello che hai fatto qui? Sicuramente ha capito che l’hai fatto apposta, non è stupida” John si era versato altro caffè, avvicinandosi a Sherlock “ieri sera si sarà sentita in imbarazzo, oggi con Andrew e te, e adesso di nuovo. Sherlock per l’amor di Dio, ti avevo chiesto di darle pace, ma fai esattamente il contrario”.

“Non capisco perché con Andrew si sarebbe sentita in imbarazzo” aveva chiesto Sherlock.

“Non sei stato propriamente cortese, se è vero quello che mi hai raccontato” aveva sibilato John.

“Se una persona non mi piace, perché dovrei essere cortese? È inutile, va contro la mia natura” aveva alzato le spalle.

“Forse perché piace a Lily?” John aveva posato la tazza nel lavandino.

Sherlock aveva fatto spallucce: “Non ne ho idea; e poi non ha detto apertamente che le piace; io non so com’è lei quando le piace una persona”.

John aveva soffocato una risata, mentre sciacquava la tazza: “Già” aveva scosso la testa.

Sherlock si era girato verso di lui, interrogativo.

John gli aveva dato una pacca su una spalla: “Se dovesse uscirci, cerca di non fare il pezzo di merda” aveva sorriso ironico.

“Io non sono la balìa di Lily! può fare quello che vuole, le ho solo detto di fare attenzione se dovesse succedere!!!” aveva urlato, irritato.

La risata di John era echeggiata nell’ambulatorio, mentre andava in bagno.

//

Lily si era rifugiata nella prima stanza che aveva trovato. Camminava avanti e indietro, in un moto nervoso, come un animale in cattività. Si era passata le mani nei capelli, cercando di calmare il nervosismo e il cuore che le esplodeva nel petto. Improvvisamente aveva tirato un calcio ad una sedia di metallo lì vicino, facendo un rumore infernale.

“Chi è?” una vocina timida era risuonata nell’altra stanza.
Lily si era accorta di essere entrata senza volerlo nell’obitorio. Una figura minuta si era affacciata dalle porte a spinta; era Molly, con dei guanti sporchi di sangue e degli occhialoni calcati sul viso che le rendevano gli occhi più grandi del normale: “Chi è?” ripeteva, sbattendo le palpebre dietro la maschera. Aveva posato lo sguardo su Lily, sorpresa.

“Oh Lily, ciao!” le aveva sorriso un po’ a disagio “che ci fai da queste parti?”
    
“Io…scusa Molly, non volevo spaventarti” si era passata una mano sul viso, imbarazzata.

“Oh no, figurati. Solo che stando in questo posto, se sento un rumore forte, mi preoccupo e controllo subito dentro le celle” aveva riso, divertita.

Lily aveva riso a sua volta. Che persona carina. Non l’aveva frequentata molto ma sapeva che aveva aiutato parecchio John e Sherlock durante le indagini sulla sua scomparsa. Era piccolina, minuta, e con una voce sottile. Per questo veniva soprannominata “topolino”, le aveva detto John. Le era simpatica, era una ragazza tranquilla, discreta e sempre gentile.

Nel frattempo si era tolta i guanti e gli occhiali, arruffandosi i capelli; li aveva aggiustati ridendo piano, quasi in imbarazzo. Poi si erano guardate e lei aveva esordito: “Come mai da queste parti? Ti serve qualcosa?”

“Veramente sono scappata” aveva allargato le braccia “da John Mary e Sherlock”

“Oh…Sherlock” aveva abbassato lo sguardo, triste, mentre tormentava i guanti con le mani “immagino, non è una persona facile da tenere a bada”.

Ahi ahi ahi  aveva pensato Lily qui c’è qualcosa che non va. Un’altra vittima di Sherlock Holmes il macina-cuori.

Molly era rimasta per alcuni secondi sovrappensiero, poi si era ripresa e le aveva sorriso, a disagio: “Se sei ancora in fuga, posso darti asilo politico per un po’. Ti va un the? Ho il bollitore qui in laboratorio” l’aveva guardata, timida.

Lily aveva accettato volentieri, Molly la tranquillizzava invece di mandarla ai matti come Mary, troppo piena di energia.

“Insomma” aveva cominciato a riempire il bollitore “come mai in fuga? Ti hanno fatto arrabbiare?” si muoveva svelta per il piccolo cucinino che aveva arrangiato nell’angolo della stanza.

“Più che arrabbiare, mi hanno messo alle strette, e io non sono ancora molto pronta alle situazioni dove c’è troppa pressione” si era seduta al tavolo di Molly, sulla sedia a cui aveva appena dato un calcio “di solito John viene in mio aiuto, ma stavolta ha preferito rimanere zitto” Lily aveva abbassato la voce, dispiaciuta.

“John Watson” aveva riso Molly “una brava persona, si preoccupa sempre degli altri mettendosi al secondo posto. Lo fa anche con Mary, anche se io credo che non siano proprio fatti l’uno per l’altro. Lei mi sembra troppo effervescente per un tipo come lui” aveva detto tutto con molta nonchalance, come se pensasse ad alta voce. Poi si era fermata e aveva guardato Lily, timorosa “accidenti, scusami. È tua amica, non volevo offenderla…cioè, alla fine mi sta molto simpatica solo che…non mi sembra il tipo per il dottor Watson” aveva detto l’ultima frase sussurrando, guardando il bollitore con estremo disagio.

Lily aveva scrollato le spalle: “Tranquilla, ognuno ha le sue opinioni. Effettivamente è piena di energia, è difficile starle dietro. Ma forse è per questo che John è innamorato di lei” aveva sorriso, rassicurante.

“Sì certo, sicuramente” Molly aveva sorriso di sghembo continuando a preparare il the “e…Sherlock invece? Cosa ha fatto stavolta?” evitava di guardare Lily in faccia. Era imbarazzata.

Lily le aveva raccontato l’episodio di poco prima e Molly aveva riso: “Sempre il solito, non ha proprio un filtro tra bocca e cervello” aveva accarezzato la tazza dove stava facendo raffreddare il the. La sfiorava con tenerezza, come se stesse accarezzando la guancia di un bambino. O di un ipotetico Sherlock. Poi aveva preso la sua e gliel’aveva porta: “attenta, scotta parecchio”.

“Grazie, Molly” le aveva sorriso.

“Sherlock è molto particolare. Risponde sempre con quel piglio deciso e quasi cattivo. Chissà cosa gli ronza per la testa…non lo sapremo mai” aveva ridacchiato; poi aveva sospirato, assumendo un’aria triste “ne sono stata molto innamorata”.

Al St Barth’s girava questa voce ma non era mai stata confermata. E comunque, nonostante Lily ne fosse quasi sicura, sentirlo dire così apertamente le aveva fatto quasi andare il the di traverso.

“Ho provato molte volte a offrirgli un caffè, o a proporre di andare a cena ma non c’è stato niente da fare” aveva alzato le spalle “mi affascinava tantissimo, ma poi mi sono resa conto che non era assolutamente interessato a me e che probabilmente l’ho anche infastidito in più di un’occasione”.

Amen sorella aveva pensato Lily, corrugando leggermente le sopracciglia, sentendo un’affinità fin troppo comune.

“Era sempre con John, spalla a spalla. Giorno e notte, tant’è che a un certo punto ho pensato che stessero insieme” aveva alzato una mano in aria, agitandola “forse sarebbe stato meglio”.

Lily aveva sospirato, dispiaciuta. Molly non meritava di stare così male, era così buona e gentile. Sentiva una certa empatia, erano tutte e due attratte da Sherlock in maniera impossibile.

“Stai male anche tu per lui?” l’aveva guardata di sottecchi, intimidita “tranquilla, non lo dirò a nessuno. Sono  molto discreta” aveva riso piano “ti ho vista, mentre lo osservi e non posso darti torto. È…unico”. A Lily sembrava di risentirsi.

“Già, lo è. Molto, al limite della sopportazione”.

Avevano riso all’unisono, sentendosi molto unite.

“A volte vi muovete con una sintonia incredibile, non so come spiegarlo” Molly aveva assunto un’espressione trasognata.

Lily si era sistemata sulla sedia, in imbarazzo: “Ho imparato a muovermi intorno a lui, per non intralciarlo. È molto svelto e agile, se mi trova in mezzo ai piedi comincia a lamentarsi e poi lì mi toccherebbe ucciderlo. Ma lui non penso sia interessato alle relazioni in generale” non voleva dare conferma della sua infatuazione, avrebbe lasciato il giudizio a Molly, si fidava di lei e del suo intuito femminile.

“Capisco” aveva sussurrato portando la tazza alle labbra “probabilmente nessuna è il suo tipo, a meno che non sia come lui e in quel caso si salvi chi può”

Lily aveva annuito leggermente: “Già”.

Si erano guardate di nuovo, sorridendo.

“Potremmo andare a pranzo qualche volta o a cena e poi a bere qualcosa” aveva esordito Molly, la voce che tremava, un po’ imbarazzata “se ti fa piacere, naturalmente. Non ho molte amiche e ti confesso che a volte sfogarmi con qualcuno o semplicemente parlare da donna a donna mi manca” stringeva le mani intorno alla tazza, nervosa. Aveva paura del giudizio degli altri, credeva di non essere abbastanza. Un po’ come lei.

“Con molto, molto piacere, davvero” Lily aveva allungato le sue mani verso quelle di Molly, stringendole. Erano fredde, nonostante tenesse il the caldo.

Sul viso di Molly si era aperto un sorriso sincero e brillante, felice: “Che bello! sono molto contenta. Posso darti il mio numero?” aveva accennato.

“Come no, certo!” Lily aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca interna del giubbotto.

Si erano scambiate i numeri e avevano cominciato a parlare di cose leggere come ragazzi e vestiti, come due adolescenti; ogni tanto ridacchiavano frivole e Lily si sentiva molto meglio. Questo era un altro passi avanti per riprender in mano la sua vita; amici, conoscenze, un motivo per uscire e divertirsi.

“E quindi, com’è questo Andrew?” aveva chiesto Molly, alzando le spalle eccitata “è carino?”

“Sì, è carino. Studia psicologia” aveva accennato Lily.

“Ti ha già chiamato?”

“Veramente no, però c’è tempo”

“Buttati, Lily. Se è così carino e gentile come dici”.

Lily aveva inclinato leggermente la testa di lato, sentendosi quasi sicura della risposta: “Ma sì, può darsi che andrò a prenderci un caffè uno di questi giorni. Se chiama”.

“Certo che chiamerà, ma che dici?” aveva esclamato Molly.

Lily aveva riso, scrollando le spalle. Chi lo sapeva, ormai.

“Accidenti, devo tornare a lavoro sennò non finirò in tempo; devo consegnare dei rapporti entro stasera” Molly aveva guardato l’orologio in disappunto “uffa, mi stavo divertendo a parlare con te” aveva arricciato il naso.

“Tranquilla, vado anch’io o mi daranno per dispersa” aveva posato la tazza nel lavello “sentiamoci questi giorni, sarei felice di andare da qualche parte e continuare i nostri discorsi da ragazzacce” aveva sorriso a Molly.

“Certamente! Il prima possibile!” aveva risposto lei, contenta accompagnandola alla porta “Lily, è stato un piacere, davvero”.

“Anche per me” si erano prese le mani, stringendole forte “ a presto”.

“A presto!” Molly la salutava sulla porta agitando la mano, poi era rientrata in laboratorio.

Lily stava incominciando a incamminarsi quando aveva visto John sfrecciare dall’altra parte del corridoio, guardandosi intorno. Poi l’aveva vista e si era fermato: “Lily! Ehi, ma dov’eri finita, ti stavo cercando ovunque” era arrivato vicino a lei, sorridendo “credevo fossi uscita”.

Lily non sapeva come affrontare John; non capiva il comportamento che aveva avuto prima, era molto strano. Era rimasta zitta, guardandosi le scarpe.

John aveva sospirato: “Ehi” le aveva preso il mento con due dita sollevandole il volto “mi dispiace per prima, so che ti sei sentita con le spalle al muro” gli occhi blu scintillavano, decisi come sempre “ma ho sentito un’energia strana, e non e la sono sentita di mettermi in mezzo”.

Lily non capiva: “Energia strana?” aveva detto piano “che intendi?”

John aveva riso: “Ti ho visto, appena entrata. Era come uno scontro tra titani; Sherlock è il solito scemo questo lo sai. Ma tu…tu avevi una faccia diversa, gli occhi ti lampeggiavano, sembravi sul punto di esplodere e non volevo che in qualche modo pensassi che mi stavo intromettendo. Volevo vedere come andava a finire. Se fosse continuata sarei intervenuto Lily, davvero. Ma in quel momento eravate voi due e basta; te l’ho detto, è stato strano” per una frazione di secondo gli occhi di John avevano guardato altrove, come se le nascondesse qualcosa: “comunque l’ho strigliato per bene” le aveva sorriso, la sua mano sul viso di Lily, rassicurante e calda. Quando c’era arrivata? A Lily piaceva, la faceva sentire al sicuro: “mi credi Lily? Dai, non tenermi il muso” i suoi occhi erano scuri ma allo stesso tempo splendevano di una luce strana, quasi folle, ma allo stesso tempo dolce. Erano gli occhi di un soldato, aveva pensato.

“D'accordo, Watson” Lily aveva alzato gli occhi al cielo ridendo “ stavolta ti perdono, ma non lo fare mai più” gli aveva poggiato un dito sul naso.

John aveva piegato la testa da un lato “Non ci sarò sempre io a difenderti” ne sembrava quasi addolorato.

“Lo so. Ma finché posso, vorrei approfittarne” aveva sorriso, guardando i due pozzi scuri che la scrutavano.

E va bene” aveva acconsentito John stringendole il collo con un braccio “sei proprio una ragazzaccia. Oltre a te, solo mia figlia riesce a farmi dire sempre di sì” le aveva sussurrato in un orecchio, complice. Le aveva posato la bocca sui capelli, stringendola.

Lily aveva ricambiato l’abbraccio, stringendo forte la vita di John con il braccio libero: “La vita di strada mi ha plasmata, soldato Watson”.

John aveva buttato indietro la testa, ridendo di gusto: “Già, proprio così. Ma io ho fatto la guerra, signorinella”.

“Ok, uno a zero per te allora, se tiri in ballo la guerra” l’aveva strattonato leggermente, scherzando.

“Vinco sempre, con l’Afghanistan” aveva replicato soddisfatto “ a qualcosa sono servito, quindi”.

“Certo che sì, sei un eroe per madre Inghilterra. Servi a tanto, John” aveva detto piano Lily, diventando seria “già tutto quello che hai fatto per me dimostra che sei una persona su cui contare davvero”. Lui l’aveva guardata con accenno di sorriso poi l’aveva stretta ancora più forte, emozionato.

“È la verità”, aveva continuato Lily continuando a camminare tutta storta, per l’abbraccio strano di John. Le ultime parole erano uscite attutite perché aveva il viso quasi completamente spalmato sul suo maglione. Gli voleva un bene dell’anima, di questo non avrebbe mai dubitato.

Stavano parlando allegramente e Lily non si era accorta che avevano aperto la porta del’ufficio; si erano trovati davanti Sherlock seduto sulla sedia di John, un piede appoggiato sul tavolo; cercava di mandare delle carte da gioco dentro il cestino posizionato a un metro da lui. La maggior parte erano dentro il secchio, alcune sparse per terra. Di Mary non c’era traccia, era dovuta tornare alla postazione delle infermiere. Comunque la salutava e le avrebbe telefonato la sera stessa o l’indomani per farsi raccontare bene la faccenda, aveva riferito John.

“Va bene va bene” aveva sospirato Lily, ormai arresa.

“Dove sei stata?” aveva chiesto Sherlock, sempre concentrato sul secchio.

Lily lo aveva guardato, sorpresa: “Da Molly Hooper; abbiamo fatto due chiacchiere e mi ha offerto il the”.

“Ah il topino da obitorio” aveva esclamato Sherlock, continuando a tenere lo sguardo fisso sulle carte che volavano intorno al secchio “che personcina strana”.

C’era stato un momento di silenzio, carico di tensione. Poco dopo, Lily si era avvicinata al secchio e gli aveva sferrato un calcio, facendolo rotolare dall’altra parte della stanza. Aveva sentito distintamente John sussurrare sorpreso: “Wow”.

“Non parlare male di Molly Hooper, non ti ha fatto niente ed è mia amica. E poi senti chi parla di persone strane” lo guardava torva, la voce ferma e impostata; la rabbia sopita era montata di nuovo improvvisamente.

Sherlock era rimasto immobile, con una carta tra l’indice e il medio. Aveva abbassato la mano, poi era scattato in piedi, mettendo la proprio faccia a dieci centimetri da quella di Lily. Lei era rimasta immobile, cercando di mantenere il respiro regolare e di non tremare. Sentiva la presenza tesa di John. Sherlock la fissava, gli occhi erano diventati grigi, con una sfumatura viola come il mare in tempesta, furibondi. Si sentiva oltraggiato. La guardava, senza muoversi. Era immobile. Lily anche. Potevano rimanere così anche tutta la notte, per quanto la riguardava; nell’iride dell’occhio sinistro c’era una piccolissima macchia nera, Lily non l’aveva mai notato. Era tesa, ma non si sarebbe mossa, neanche morta. L’atteggiamento di sfida la eccitava, le faceva scorrere il sangue nelle vene e il rumore le rimbombava nelle orecchie. Nonostante la rabbia e il risentimento a un certo punto aveva pensato:
È l’essere più bello che io abbia mai visto”.
Sherlock a un certo punto si era mosso leggermente e aveva spostato lo sguardo di lato, strizzando per una frazione di secondo gli occhi, come se avesse sentito un rumore. Il suo profumo bruciava la pelle di Lily. All’improvviso era scattato verso la porta, facendo svolazzare il cappotto e l’aveva chiusa con violenza, facendo vibrare il vetro.
Lily aveva ricominciato a respirare piano. John le si era avvicinato e le aveva stretto le spalle: “Lily, se n’è andato, ora puoi muoverti”.

Lei aveva alzato un dito verso John sussurrando: “Un attimo solo”.

Aveva respirato, sbattuto le palpebre e finalmente i suoi muscoli si erano sciolti, facendola muovere.

John aveva riso sommessamente: “Che ti avevo detto? Scontro fra Titani. E secondo te dovevo mettermi in mezzo?”

Un fantasma di sorriso era apparso sul volto di Lily; le tremavano le gambe e aveva i crampi per quanto aveva contratto i muscoli per rimanere concentrata e immobile.

“Dai, tra un’ora ho finito il turno, ti riaccompagno a casa” aveva aggiunto divertito John “ragazza mia, tu sei pazza” aveva scosso la testa, incredulo.

//

Sherlock digrignava i denti così forte che gli faceva male la testa. Questo era il colmo. Come…come era possibile? Il calcio al secchio e Lily che aveva cambiato voce. Semplicemente oltraggioso. Una piccola vipera, per l’amor del cielo. Ci fosse una volta che non lo esasperasse, con i suoi atteggiamenti infantili. Il suo porsi di fronte a lei era stato un gesto spontaneo, ma mai aveva affrontato così a brutto muso una donna. Mai nella sua vita. Era furibondo. Gli prudevano le mani dalla rabbia; non gli prudevano così da quella volta che quegli agenti americani che cercavano il telefono della Donna erano entrati a casa loro, ferendo Mrs. Hudson. E quella volta l’agente era volato dalla finestra. Per tre volte.
Camminava a lunghe falcate per scaricare il fuoco rabbioso che gli bruciava dentro. Quella ragazzina lo aveva sfidato, lo aveva guardato dritto negli occhi rimanendo immobile. A Sherlock era scappata una risata incredula e soffocata; ma come? Camminando assorto nei suoi pensieri aveva dato una spallata a un tizio di fronte a un pub e aveva gridato un insulto ubriaco verso Sherlock.
“Oh, non aspettavo altro” aveva sorriso alzandosi il bavero del cappotto, tornando indietro.

//

Lily era stata svegliata dal suono del campanello; fuori era buio e lei si era addormentata sulla poltrona di Sherlock; era arrivata a casa e si era preparata un boccone per poi svenire sulla poltrona. Di Sherlock nessuna traccia. Ma aveva pensato fosse meglio così, almeno avrebbe sbollito la rabbia.
Una seconda scampanellata impaziente, che l’aveva fatta alzare. Aveva acceso la luce e si era diretta verso la porta, barcollante e con gli occhi semichiusi. Non aveva neanche chiesto chi era, cosa molto pericolosa, ma si era limitata a spalancare la porta, irritata. Di fronte a lei c’era il tenente Lestrade con una faccia non proprio allegra; teneva per il bavero del cappotto il grande Sherlock Holmes, completamente ubriaco. Guardava verso le scale, perplesso: “Ma io questo posto lo conosco..” aveva biascicato “ma sì, è casa mia!!” aveva concluso allegro, ridendo di gusto. Poi si era girato verso Lily “e questa è Lily!!!” farfugliava, si mangiava le parole e aveva un’aria buffa. Ma guardandolo meglio, Lily aveva notato un taglio sul suo zigomo sinistro e un accenno di livido violetto sotto di esso, più altre escoriazioni sparse.
Era rimasta immobile davanti alla porta, cercando di capire; era una scena piuttosto bizzarra e inusuale. Gregory Lestrade sembrava veramente irritato e non lasciava andare Sherlock per nessun motivo.

“Buonasera, Lily” aveva cominciato, un sorriso tirato sulle labbra “è tuo questo?” e aveva sgrullato Sherlock che sembrava molto divertito da quel gesto e aveva cominciato a urlare “ancora Gavin, ancora!!!” rideva come un babbeo.

“Neanche da ubriaco riesci a ricordarti il mio nome, razza di scemo!!” lo aveva guardato in faccia e Sherlock continuava a ridere: “sei buffo, Gavin. Ma sei un brav’uomo, lo ammetto. Bravo, bravo” gli aveva dato una pacca sulla spalla, poi aveva guardato Lily “lui è mio amico, lui mi ha salvato”. Lily aveva inarcato le sopracciglia sorpresa, annuendo velocemente. Si aspettava una spiegazione non logica, ma perlomeno credibile. Aspettava in silenzio, confusa e preoccupata. Forse avrebbe dovuto chiamare John. Ma prima voleva assicurarsi dell’accaduto, in modo da non procuragli un esaurimento nervoso.

“Il signor Holmes” aveva cominciato Lestrade tenendolo fermo, mentre Sherlock guardava per aria cercando chissà cosa “ha avuto la brillante idea di fare a botte con un paio di tizi fuori da un pub. Non so come abbia avuto la meglio, fatto sta che gli altri intelligentoni che si trovavano là hanno pensato bene di eleggerlo a eroe, offrendogli da bere fino a ridurlo in questo stato” lo aveva scosso di nuovo, provocando un altro scroscio di risa da parte di Sherlock.

“Non sapevo bevesse” aveva mormorato Lily, alzando un sopracciglio, perplessa. Non sapeva neanche come avesse potuto accettare roba da bere da completi sconosciuti che sicuramente riteneva poco intelligenti. Là davanti c’era uno Sherlock Holmes ridotto all’età cerebrale di un bambino di due anni. Le veniva da ridere, ma allo stesso tempo era preoccupata per lo zigomo di Sherlock che si stava gonfiando. Ma lui non sembrava soffrire, quindi si sarebbe goduta lo spettacolo un altro po’.

“Beve eccome” aveva ribadito Lestrade “ubriachezza molesta e danni. Ha rotto una vetrata tirandogli uno sgabello contro”.

“Oh”. Lily era riuscita a dire solo questo.

“Quello sgabello era brutto e fuori dalla vetrina c’era un mastino enorme! Come quello di Baskerville!” aveva alzato le braccia, per mimare la grandezza della bestia.

“Sherlock. Era un bulldog francese, quale mastino! Povera bestia, si è spaventata a morte!” continuava a scrollarlo; ma ora Sherlock non rideva più.

“Gregory” aveva detto piano Lily “io smetterei di scuoterlo, sembra stia per vomitare” e si era allontanata leggermente.

Lestrade si era subito fermato con il timore che Sherlock potesse svuotare lo stomaco sul suo cappotto: “Beh, è tutto tuo. Non lo tengo in cella, perché non voglio guai. Mi è bastato l’addio al celibato di Watson, grazie mille”. Lo aveva lasciato andare e Sherlock era rimasto in piedi e barcollando si era appoggiato alla spalla di Lily; l’aveva guardata con un sorriso ubriaco: “Ciao” aveva sussurrato, lasciando una scia alcolica dietro di sé.

“Ciao, Sherlock” aveva risposto Lily, allontanando la faccia dalla sua.

Improvvisamente, il viso di Sherlock si era rabbuiato: “Vipera” aveva sussurrato.

Lily aveva soffocato una risata e contemporaneamente aveva avvertito una stilettata: “Lo prenderò come un complimento” cercava di sostenere il suo peso, ma sorreggere un uomo di un metro e ottanta era fuori dalla sua portata “ora potresti cercare di tenerti in piedi da solo? Sai, pesi”.

“IO NON PESO!” aveva urlato “sono una piuma, guarda come sono magro” si era staccato da lei e si era massaggiato la pancia piatta, barcollando qua e là “guarda, Lily. GUARDA!!!” voleva attirare la sua attenzione, prendendola per un braccio e strattonandola “guarda. che. pancia. piatta” continuava a muovere la mano sul suo stomaco, con aria sorniona “sono molto bello, lo so”.

Lestrade aveva scosso la testa furioso: “Te lo affido; mettigli la testa sotto l’acqua fredda e mandalo a letto. E fai in modo di parlare a voce alta domattina; ci sarà da divertirsi” aveva sogghignato al ricordo “buonasera Lily, e scusa il disturbo” aveva fatto un cenno con la mano ed era volato giù per le scale.

“Non sarebbe meglio tenerlo in centrale per stanotte??” aveva gridato Lily verso le scale “Greg!!”

“Non ci penso proprio!!!” Lily aveva sentito il portoncino chiudersi. Sherlock era ancora là che si massaggiava la pancia ripetendo tra sé e sé: “Sì sì, è proprio piatta”.

Lily si era girata verso di lui: “Forza Sherlock, entra dentro casa. Provo a disinfettare questo taglio; siediti sul divano” gli aveva messo una mano dietro la schiena, spingendolo leggermente oltre la porta.

“NO! Voglio tornare dai miei amici del pub!” si era diretto verso l’uscita.

Non penso sia una buona idea” aveva sibilato Lily riprendendolo per il cappotto “sono andati via, sono tutti a nanna”.

“Io non dormo mai” aveva borbottato Sherlock, seguendola docile.

“Oh sì che dormirai” aveva risposto Lily sarcastica “come un bambino”.

“Non dormivo neanche da bambino, Lily. Dio, ma devo spiegarti sempre tutto?” aveva sbuffato.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo, prendendo un respiro profondo.

Sherlock aveva cominciato a ridere. Poi l’aveva guardata con gli occhi appannati: “Avresti dovuto vedere quello sgabello” aveva mimato la traiettoria con il braccio, insieme a suoni molto convincenti “un autentico volo da maestro, una parabola perfetta” l’aveva guardata, aspettando una sua reazione. Aveva gli occhi rossi ai lati, un po’ gonfi. Il viso era leggermente arrossato e le labbra impastate. I ricci neri erano tutti scompigliati, come quando si alzava dal letto la mattina.

“Sono sicura che è stato un lancio impeccabile, Sherlock” aveva detto Lily togliendogli il cappotto. Mentre Sherlock si girava per sfilarlo, aveva perso l’equilibrio ma era riuscito a rimanere in piedi; ma aveva continuato a girare come una trottola esclamando: “sono una ballerina!”

Mio Dio, ma l’hanno anche drogato? aveva pensato Lily.

“Sherlock, penso dovresti fermarti, per il tuo bene” lo aveva preso per un braccio e fatto sedere sul divano “ora stai qui, non muoverti. Vado in bagno a prendere qualcosa per medicarti”.

Lui aveva annuito, obbediente: “Signorsì capitano” si era portato una mano vicino alla fronte per mimare il saluto militare prendendosi, invece, un occhio “ahi, che male” si era lamentato.

“Cerca di non farti male, per cortesia” lo aveva ammonito Lily “torno subito, rimani lì”.

“Ho già detto di sì, Lily. Ci metti più a parlare che ad agire” aveva risposto composto, sventolando una mano, anche se continuava a oscillare. Lily si era sorpresa di come riuscisse a esprimersi bene, nonostante la sbronza colossale.

Aveva alzato gli occhi al cielo (aveva già perso il conto di quante volte l’avesse fatto) e si era avviata verso il bagno, sbuffando. Pensava che avrebbe dovuto chiamare John, ma non sapeva neanche che ora era. Aveva guardato il telefono. Le dieci; era in queste condizioni alle dieci di sera? D’accordo, a Londra si cominciava a bere da molto prima, ma ci era voluta una buona dose di impegno per ridursi così non prima di mezzanotte.

Aveva preso tutto l’occorrente; avrebbe disinfettato e visto in che condizioni era il taglio sullo zigomo; se pensava necessitasse di punti, avrebbe chiamato John. Era tornata in salotto ma Sherlock sul divano non c’era. Era vicino alla finestra, con il violino in mano. Lo teneva sottosopra e sembrava parecchio irritato. L’aveva guardata, furioso: “Lily pretendo che tu mi spieghi perché il mio violino non vuole suonare” aveva mosso l’archetto a tempo mentre parlava “avanti, spiegamelo. Risolvi questo caso per me”.

“Sherlock, è al contrario, l’hai girato. Le corde sono sotto, invece devono stare sopra” aveva risposto calma.

Sherlock aveva guardato il violino, poi lei: “Eccellente. Brava Lily, la mia vicinanza ti giova davvero, sei diventata una detective con i fiocchi” aveva annuito soddisfatto.

“Ti ringrazio Sherlock. Ora, per favore, posa il violino e vieni qui così posso medicarti” aveva pensato per un attimo “non vorrai mica che lo zigomo ferito ti deturpi, mettendo a rischio tutto l’insieme del tuo corpo? Pensa alla pancia piatta” non restava altro che assecondarlo.

“Oh diavolo, no” aveva sussurrato lui “non voglio”.

“Allora vieni qua, così possiamo porre rimedio” aveva battuto con la mano sui cuscini.

Sherlock era arrivato vacillando, l’aria preoccupata: “Farà male?” aveva chiesto.

“Spero di no, non saprei dirti” Lily aveva alzato le spalle.

Sherlock si era seduto, composto. Aveva chiuso gli occhi e messo le mani in mezzo alle ginocchia, la schiena dritta: “Sono pronto”.

Lily aveva cominciato a disinfettare il taglio delicatamente. Cercava di non fargli male, perché non voleva. Poteva osservarlo, ora.
Per almeno due minuti era regnato il silenzio, interrotto solo dai flebili lamenti di Sherlock quando l’acqua ossigenata bruciava un po’.

“Scusa” aveva sussurrato Lily, vicina al suo viso “mi dispiace”.

“Lo so” aveva ribadito Sherlock.

Lily aveva sorriso; il solito stronzo, anche da ubriaco.

“Come mai hai fatto a botte stasera?” aveva chiesto, curiosa.

“Ero arrabbiato” aveva risposto lui, aggrottando le sopracciglia.

“Hm, capisco” aveva detto Lily “eri arrabbiato con me?”

Non aveva risposto subito, poi aveva detto asciutto: “Anche”.

Lily aveva chiuso gli occhi, mortificata: “Oh, Sherlock”.

Lui non aveva risposto. Poi all’improvviso aveva spalancato gli occhi: “Margaret!”

Lily, spaventata, si era guardata intorno: “Margaret?”

Sherlock si era alzato ed era corso verso il suo cappotto. Aveva tirato fuori dalla tasca una bustina di plastica con dentro un pesce rosso: “Lily” aveva esordito “ti presento Margaret. Me l’hanno regalato i miei amici del pub quando ho vinto una partita di beer pong”.*

Lily guardava il povero pesce rosso costretto in quella bustina di plastica: “Forse dovremmo metterlo in un recipiente più grande”

Sherlock l’aveva guardata: “Sì, penso sia meglio” osservava Margaret, muovendo la testa al ritmo della coda del pesce.

Ci mancava anche il pesce rosso, aveva pensato Lily. Certo perché no, non facciamoci mancare nulla. L’avrebbe dato a John, sennò chissà che fine avrebbe fatto quella povera bestia. In cucina aveva trovato un recipiente abbastanza grande e ci aveva travasato il pesce.

“Molto meglio” aveva sorriso Sherlock osservandolo “sembra più contenta”.

Lily aveva evitato di chiedere il perché pensava fosse femmina e soprattutto perché si chiamasse Margaret.

Si sentiva stanca, come se avesse lavorato in cantiere per tutto il giorno. Prendersi cura di uno Sherlock ubriaco era spossante. Girava per il salone, toccando e spostando oggetti. Lily gli andava dietro rimettendo a posto ciò che metteva in disordine. Se non avesse trovato le sue cose al loro posto da sobrio, sarebbe successo un finimondo.

Barcollava sempre di più finché non si era seduto sul divano, con un’aria strana.

“Non mi sento molto bene” aveva sussurrato, diventando pallido all’improvviso. Aveva guardato Lily, con aria smarrita. Era bianco come un cencio.

“Sherlock, vuoi andare in bagno? Magari devi vomitare” aveva sussurrato Lily.
Sherlock aveva il viso giallognolo, la fronte imperlata di sudore e le pupille dilatate. Lily cominciava a preoccuparsi: “Sherlock, cos’hai? Parlami”.

Lui si era limitato a guardarla e a mettersi sdraiato sul divano. Respirava a fatica e sudava come un matto. Lily lo guardava sempre più preoccupata e cominciava ad andare nel panico.

“Sherlock? Sherlock?” aveva preso il suo viso tra le mani, scuotendolo leggermente. Aveva chiuso gli occhi e non rispondeva.

“Merda” aveva sussurrato Lily, piena di paura. Aveva messo due dita sotto il naso di Sherlock: respirava. E questa era una buona notizia. Ma lo faceva a fatica e non aveva proprio un bell’aspetto.
Si era precipitata verso il suo giubbotto, cercando il cellulare. Doveva chiamare John, e in fretta. Aveva afferrato il telefono e con mani tremanti, composto il suo numero. Mentre il telefono squillava, continuava a controllare Sherlock. Provava a scuoterlo, ma niente. Si era morsa il labbro, nervosa.

“Avanti avanti John, rispondi” aveva sussurrato in preda al panico.

“Lily?” la voce di John l’aveva fatta sospirare di sollievo.

“John! John per fortuna hai risposto! Ho un problema, mi serve il tuo aiuto” continuava  a ravviare i capelli di Sherlock nervosamente.

“Stai bene?” aveva chiesto subito, agitato.

“Sì, io sto bene. È Sherlock che ha un problema” aveva risposto con voce fioca.

Gli aveva spiegato tutto, e John era scoppiato a ridere arrabbiato: “Maledetto idiota” aveva sibilato.

“Non so proprio cosa fare, John. Sembra stia malissimo e non so come comportarmi” continuava Lily, sempre più agitata.

“Arrivo, tranquilla. Tu continua a controllarlo. Lo voglio trovare vivo e ucciderlo io”.

Una volta riattaccato, era tornata vicino a Sherlock; si era seduta a terra appoggiando le braccia sul bordo del divano. Lo guardava mentre respirava a fatica e sudava copiosamente. Sembrava più tranquillo, ma Lily era comunque preoccupata a morte. Gli aveva sfiorato la fronte ed era bollente. Aveva ancora la giacca addosso ma Lily non sapeva come sfilargliela.

Si era avvicinata a lui e aveva parlato piano: “Ehi Sherlock…Sheeerlooock..” aveva sussurrato “che ne dici di toglierti la giacca? Ti prego, parlami Sherlock” gli aveva tolto un ricciolo dalla fronte sudata; aveva lasciato le dita lì e aveva cominciato ad accarezzarlo lentamente. Era rimasta sulla fronte scendendo sullo zigomo non ferito, passandoci il pollice. La sua pelle era liscia come vetro e calda. Lily aveva sospirato piano, mordendosi un labbro.

“Dio, Sherlock” aveva corrugato le sopracciglia “ma cosa diavolo mi hai fatto?”.

Si era mosso impercettibilmente, leccandosi le labbra. Si era lamentato piano, facendo una smorfia. Lily aveva soffocato una risata amara: anche da addormentato riusciva a conservare la sua attitudine antipatica.
Le sue dita si erano mosse di nuovo, spostandosi sulle labbra. Erano calde anche quelle, e morbide. Lily sentiva una stretta al cuore costante e non andava via.
Amava Sherlock Holmes, lo sapeva. Si era innamorata di lui, pazzamente. Ma doveva cercare di reprimere, di soffocare, di guarire. Non era assolutamente possibile. Sentiva le lacrime bruciarle gli occhi, la gola chiudersi. Si sfiorava le labbra con lo stesso dito con cui aveva sfiorato quelle di Sherlock. Aveva riso di nuovo, abbandonando la testa sulle braccia: era peggio di una adolescente, ma non riusciva a smettere di fissare la bocca di Sherlock, era come ipnotizzata. Lui continuava a respirare a fatica, a lamentarsi ogni tanto. Ma perché John non arrivava? Nel frattempo avrebbe provato a fargli delle spugnature di acqua fredda, scottava troppo.
Era andata in bagno per riempire una ciotola d’acqua e aveva preso un asciugamano pulito. Si era inginocchiata di nuovo vicino a Sherlock, immerso l’asciugamano nell’acqua fresca e cominciato a passarlo delicatamente sui lineamenti del detective. La mascella decisa, lo zigomo affilato, le labbra carnose, la fronte che per una volta era rilassata e non accigliata.
Il cuore di Lily batteva per l’emozione: era il contatto più intimo che avrebbe potuto avere con Sherlock. Avere il suo viso così vicino le sembrava un privilegio non indifferente, anche perché avrebbe potuto osservarlo così solo da addormentato.
Aveva sospirato: “Sei…cavolo, non so neanche che aggettivo usare con te” Lily parlava piano, per non disturbarlo “sei cinico, antipatico, freddo e distaccato. Ma sei anche divertente quando vuoi, lo sai? E sai essere buono. Lo so, lo sento anche se non vuoi dimostrarlo al mondo” gli aveva passato l’asciugamano sul collo sudato, facendolo sospirare. Lily aveva sorriso, intenerita “da quando ti ho conosciuto, la mia vita è cambiata completamente. Riesci a confondermi e a farmi arrabbiare come nessun altro” aveva strizzato gli occhi per non piangere “forse non lo saprai mai, o forse te lo dirò solo per il gusto di vedere la tua faccia. Ma stasera non puoi sentirmi, e non ti ricorderai nulla comunque. Devo andare avanti Sherlock, devo farlo assolutamente, ma almeno una volta devo togliermi questo peso dal cuore. Sono innamorata di te, Sherlock Holmes; e lo sarò sempre. Mi hai salvata e mi hai fatto capire che, in fondo, non sono morta dentro” le si era incrinata la voce e si era portata una mano davanti alla bocca, soffocando un singhiozzo. Aveva posato l’asciugamano e si era seduta dando le spalle a Sherlock, prendendosi la testa tra le mani. Piangeva piano con singhiozzi che non riusciva a controllare, il dolore che le squarciava il petto. Questo era l’amore, questa era la vita. Cercava di darsi un contegno, anche perché John sarebbe arrivato a momenti. Si era ricomposta, e asciugata le lacrime. Sperava non si vedesse troppo.

In quel momento era suonato il campanello. Lily era saltata in piedi e aveva aperto la porta.

John era sulla soglia con l’aria decisamente irritata: “Ciao” aveva esordito, abbracciando velocemente Lily “dov’è il babbeo di Baker Street?”.

“Sul divano” aveva detto piano Lily, sorridendo leggermente “è tutto tuo”.

“Già!” John si era diretto verso Sherlock, per poi fermarsi all’improvviso e guardare Lily “stai bene?” si era avvicinato leggermente, inclinando la testa.

“Io? Sì sì, tutto a posto…sono solo un po’ preoccupata per Sherlock. So che probabilmente è solo una sbronza colossale ma ha anche fatto a botte, per questo mi sono agitata. Non so, un colpo alla testa oppure..” si era fermata, la voce ridotta a un mormorio. Sentiva il pianto farsi strada ma non voleva piangere davanti a John.

“Ok Lily, adesso controllo come va” aveva ripreso John, per tagliare il silenzio imbarazzato “vedrai che non sarà niente” aveva sorriso rassicurante.

Lily aveva annuito, incrociando le braccia: “Mi fido di lei, dottor Watson”.

John aveva soffocato una risata chinandosi su Sherlock addormentato: “Sherlock? Sherlock, mi senti” aveva dato un leggero schiaffetto sulla sua guancia “riesci ad aprire gli occhi?”

Aveva avuto un movimento improvviso; si era aggiustato sul divano, lamentandosi.

John aveva controllato gli occhi, la bocca e auscultato il cuore. Tutto quello che una visita domiciliare potesse comportare. Alla fine, aveva sospirato: “Sta benissimo. È solo sbronzo da far schifo; i parametri sono normali, sembra non abbia preso colpi alla testa. Lo lascerei qui, con una bacinella per eventuali vomitate notturne. E poi mi godrei lo spettacolo domani mattina. Ha avuto un semplice calo di pressione, per questo è impallidito e ha cominciato a sudare. Niente di grave quindi. Forse dovremmo togliergli la giacca, per farlo respirare un po’. Io lo alzo e tu lo prendi sotto le braccia mentre io gli sfilo la giacca, d’accordo?”

“Va bene” aveva risposto Lily, mettendosi seduta ai piedi di Sherlock. John aveva tirato su il peso morto di Sherlock, e lentamente lo aveva appoggiato tra le braccia di Lily. Accidenti se pesava; era caldo e nonostante tutto, profumava. Era il profumo di Sherlock, misto a sudore e alcol. Poteva suonare disgustoso, ma in verità era squisito. Lily aveva appoggiato il mento sulla spalla di Sherlock e lui automaticamente aveva ruotato la testa e adagiato la guancia su quella di Lily.

Era rimasta immobile, trattenendo il fiato. Sentiva il respiro di Sherlock sull’orecchio e in mezzo ai capelli, la sua pelle calda a contatto con la sua. Aveva stretto le braccia avvolte intorno al busto e aveva sorriso leggermente. Si sentiva stupida e anche un pelino inquietante, ma in quel momento non le importava assolutamente.

“Ok, ora dovrebbe andare meglio” aveva esordito John, piegando la giacca di Sherlock e appoggiandola sul divano “almeno respira un po’ di più. Possiamo rimetterlo giù”.

Aveva osservato Lily mentre si staccava dal corpo addormentato di Sherlock, un’espressione materna sul suo volto, mentre sistemava i cuscini dietro alle sue spalle.

“Lily, so che è tardi ma potrei avere un caffè? Ce lo beviamo insieme che dici?” l’aveva guardata.

“Certo, te lo preparo subito” aveva sorriso, girandosi per guardare un’ultima volta Sherlock.

Arrivati in cucina, John si era seduto appoggiandosi con le braccia al tavolo e intrecciando le mani: “Sei sicura di star bene?” aveva chiesto, con voce curiosa.

Lily gli dava le spalle mentre riempiva la caffettiera: “Certo, benissimo. Mi sono solo preoccupata un po’ per Sherlock, tutto qui” aveva alzato le spalle impercettibilmente; per fortuna era girata, John non avrebbe visto il rossore che le aveva invaso il volto.
Lui aveva annuito. Non credeva a una sola parola, ma non voleva forzare Lily ad aprirsi se non era pronta. Ammettere dei sentimenti non doveva essere facile per lei.

“Tu sai che puoi dirmi tutto vero?” aveva risposto, con voce controllata e profonda.

Lily aveva rallentato i movimenti sentendosi presa in causa, finché non si era fermata del tutto. Aveva riso, nervosa: “Cosa dovrei nasconderti?” tormentava lo straccio dei piatti, arrotolandolo tra le mani “io sto bene, veramente”.

“Non sembra, Lily. Sei agitata, nervosa. Non sembri felice, adesso che potresti. Non ti vedo serena, con la voglia di ricominciare. Sembri spenta, arresa. Cosa ti succede?”

Lily, sempre di spalle, aveva poggiato le mani sul bancone della cucina, chiudendosi dentro le spalle e abbassando la testa. Era così evidente il suo disagio?

“Io…sto cercando di abituarmi alla mia nuova vita” si era girata di scatto, sorridendo forzata.

John aveva assunto un’aria ferita e preoccupata: “Perché mi dici bugie?” era rimasto seduto per non invadere lo spazio di Lily. Sembrava nervosa come un animale braccato e John voleva che si sentisse al sicuro, non il contrario: “non voglio metterti alle strette. Magari non riesci ad affrontare queste cose da sola, forse dovresti parlare con qualcuno di cui ti fidi, qualcuno che possa consigliarti al meglio” aveva azzardato.

Lily era rimasta immobile, il sorriso forzato era svanito dal suo volto: “Pensi che dovrei parlare con uno psicologo?” aveva aggiunto, con voce tremante.

“Potrebbe essere un’idea, ma non necessariamente. Anche con un terapeuta, un gruppo di aiuto che magari ha passato le tue stesse esperienze di violenza e abusi” John aveva allargato le mani. Ora sembrava un vero e proprio medico e a Lily questa cosa non piaceva, anzi la faceva arrabbiare. Aveva sbuffato e riso insieme.

“La cosa è molto meno grave di quanto pensi, dottor Watson. Non ho bisogno di psicologi, medicine e quant’altro. Lo strizzacervelli lo lascio a chi ne ha veramente bisogno” aveva aggiunto con voce velenosa.

John aveva strizzato gli occhi, sistemandosi meglio sulla sedia: “Ho detto che potrebbe essere un’idea, non che devi farlo per forza” il suo tono era cauto, ma allo stesso tempo deciso “se hai un problema, non vuol dire che tu debba affrontarlo per forza da sola. In questi casi essere coraggiosi è più dannoso che terapeutico”.

Si era alzato dalla sedia lentamente. La caffettiera aveva cominciato a fischiare e Lily si era precipitata a spegnere il gas per evitare di svegliare Sherlock. Aveva dato di nuovo le spalle a John, innervosita. Le mani le tremavano mentre cercava di prendere le tazze dalla credenza. Ma come funzionava? Una persona era triste e subito si pensa alla depressione? Il caso di Lily era un “semplice” cuore spezzato, prendere atto del fatto che la persona di cui era innamorata non l’avrebbe mai amata. Non era facile vedere Sherlock tutti i sacrosanti giorni senza dire niente. Non voleva confidarsi con nessuno, era una cosa sua e basta. Parlarne con qualcuno poteva aiutarla? Sì certo, forse, magari. Ma lei era fatta così, teneva tutto dentro; non aveva raccontato a nessuno della sua infanzia, da dove veniva, che strade aveva percorso. Era tutto dentro di lei e non sapeva perché non volesse parlarne. Rendersi  libera del dolore sarebbe stato troppo facile. E se una volta fatto non fosse stata più se stessa? Se avesse cambiato il suo modo di pensare, di essere? Lei non voleva dimenticare, perché quello che aveva passato l’aveva resa la persona che era ora. La persona che aveva fatto in modo di farsi voler bene da John, Mary e Molly. La persona che riusciva a far ridere Sherlock con una semplice sciarpa annodata intorno al collo. Era questo, era lei. E cambiare, anche soffrendo, non la attirava. Diventare una persona che ignorava il suo passato, che lo dimenticava per stare meglio, era fuori discussione. Lily voleva imparare a essere felice anche con il suo fardello sulle spalle. Magari con qualcuno vicino, che la aiutasse a ritrovarsi.

L’unica persona che pensava potesse aiutarla era addormentata nell’altra stanza e non sentiva niente per lei. Doveva andare avanti, ma non voleva dire che nel mentre non avesse sofferto. Non era la prima volta. Ma nel suo profondo sentiva che stavolta sarebbe stata più dura. Non era mai stata innamorata; almeno non in questo modo. Erano cose nuove, tutto qui. Non sapeva neanche se questo suo ragionamento fosse un mentire a se stessa. E tutto ciò per Sherlock Holmes.

“Lily” John si era avvicinato a lei, parlando piano “vuoi dirmi cosa ti fa stare così male?”

Lily aveva appoggiato una mano sul tavolo della cucina e si era morsa un labbro. Aveva guardato in alto, gli occhi le bruciavano e sentiva che stava per piangere. Odiava essere così debole, odiava non poter controllare le stronze lacrime che premevano da sotto le palpebre.

“È Sherlock, vero? Il problema è lui?” era rimasto fermo dov’era, mentre Lily cercava di non mettersi a urlare dalla frustrazione.

Lasciatemi in pace pensava lasciatemi in pace, maledizione.

Poi si era girata verso John: i suoi occhi blu la guardavano attenti, la scrutavano per cogliere le sue emozioni. Aveva stretto le labbra, passandoci la lingua in mezzo; faceva così quando era concentrato o emozionato per qualcosa. Lily aveva fissato gli occhi nei suoi per pochi secondi per poi abbassarli, pieni di vergogna e rabbia. Ma come faceva John Watson a capire sempre tutto? Come faceva a farla sentire così ogni sacrosanta volta; vulnerabile, goffa e impacciata anche solo stando in piedi vicino a lui. Con il suo portamento fiero, la schiena dritta come una linea, le mani ferme e controllate come il tono di voce. Tutto in lui era definito, fermo e circoscritto. Forse Lily aveva bisogno di uno come lui vicino; qualcuno che la tenesse su con le sue braccia forti, con il suo modo di pensare analitico ma allo stesso tempo incline a capire le emozioni.

Lily guardava il pavimento, le piastrelle traslucide, la luce artificiale che illuminava la cucina. Seguiva le fughe delle mattonelle, disegnando ipotetiche vie d’uscita. Sarebbe stato facile essere una formica, nascondersi e non dover spiegare niente a nessuno. Aveva scosso la testa leggermente, in un movimento continuo. Negava, come sempre.

“Lily” di nuovo John, la sua mano calda sulla spalla “che succede? Cosa ti ha fatto?”

Lei era tornata con lo sguardo su John, la voce affilata come un rasoio: “Niente, John. Niente di cui io possa accusarlo” aveva scrollato le spalle, arresa “niente di cui possa incolparlo, sul serio. Ti potrebbe fare male solo camminandoti accanto, ma non vuol dire che sia colpa sua. È com’è fatto, è come si pone nei confronti del mondo. Io…non posso accusarlo di nulla, veramente. Di nulla”. Si era spostata una ciocca di capelli dietro l’orecchio “e il fatto è che ne sono consapevole; ma non posso farci niente” aveva guardato il soffitto, sbuffando “è un bel casino, e sto cercando di capire come uscirne fuori. Da sola”.

Si era girata verso John e il suo sguardo era cambiato. Non era più concentrato e serio. Era stupito e preoccupato.

“Piccola…” aveva sussurrato. John lo sospettava, ma ora era certo. Sentir parlare Lily in quel modo era peggio di un foglio scritto. Era tutto chiaro.
Lily aveva sospirato, chiudendo gli occhi: “Che idiota, eh?” aveva riso ironica "Dimmi John, cosa dovrei fare secondo te?”.

John si era sorpreso a pensare che non ne aveva la più pallida idea. Questo parlare e non parlare, intendersi con i silenzi. Era questa la cosa giusta? Conosceva Sherlock abbastanza da essere sicuro che in un qualche modo distorto e altamente pericoloso, tenesse a Lily. Ma non sapeva con quale intensità, in quale modo. Continuava a essere un mistero, nonostante l’amicizia e le peripezie e tutto ciò che avevano passato. Poteva essere affezionato a lei come ci si affeziona a un animaletto o forse poteva veramente provare un sentimento verso una persona che non fosse lui. Ma non lo sapeva, proprio no. Lily era disperatamente attratta da Sherlock, ma cosa poteva fare lui per lei? Assolutamente nulla.
Forse Andrew era veramente un segno del fatto che dovesse andare avanti e lasciar perdere Holmes. Non sapeva niente di cosa passasse per il cervello di Sherlock e non voleva neanche tirare a indovinare. Aveva sempre pensato che le persone che stanno male per qualcosa o qualcuno, prima o poi avrebbero reagito. Confessandolo oppure andando avanti. E la seconda possibilità adesso, considerando il soggetto desiderato, sembrava la più papabile e la meno dolorosa.

Lily aveva ricominciato a parlare: “Non lo sai, vero? Neanche io, o forse sì. Penso che darò una possibilità a Andrew” si era girata verso John “prima o poi passerà, vero? Dimmi che passerà John, ti prego”. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime e si stava lasciando andare.

Avrebbe accettato tutto, anche una clamorosa bugia. Ma sentirlo dire da qualcuno che non fosse lei, le avrebbe fatto bene.

“Sì, passerà. Sicuramente” John l’aveva abbracciata forte, mentre Lily piangeva sommessamente sulla sua spalla. Si sentiva un ipocrita, ma adesso era la cosa giusta da fare “andrà tutto bene, guarda avanti” la stringeva forte, e il suo dolore sembrava passare attraverso di lui “ci siamo noi, ci sono io. Non sei sola”.
Pensava che anche volendole dare il suo appoggio, ci sarebbe voluto troppo tempo; Sherlock era estremamente lento in queste cose, estremamente cocciuto e decisamente poco empatico. Se si fosse accorto dei sentimenti di Lily, a quel punto sarebbe stato troppo tardi. E lì ci si sarebbe trovati non con uno, ma con ben due cuori spezzati.
John aveva abbracciato Lily, e le passava una mano tra i capelli cullandola piano. Era capitato poche volte che non trovasse le cose da dire, e stasera era una di quelle. Sentiva un dolore dentro che non riusciva a sopprimere. Voleva aiutare Lily, ma la sua sofferenza lo sopraffaceva. A volte, forse, bisognava solo stare zitti e ascoltare, non dare voce alle cose palesi. Bisognava solo tacere e dare appoggio incondizionato, comportarsi come se non fosse successo nulla, come se non si sapesse niente.

Lily piangeva tra le braccia di John. Avrebbe lavorato sul suo rapporto con Sherlock, sperando di riuscire a guarire. Sperando di riuscire a trovare qualcuno che la aiutasse ad amare e dimenticare. Qualcuno che non fosse lui. Voleva disperatamente farlo, a tutti i costi.

All’improvviso avevano sentito un rumore sordo e un lamento. John e Lily avevano alzato gli occhi all’unisono. John si era precipitato fuori dalla cucina per trovare Sherlock per terra che si lamentava, ancora ubriaco.

“Sherlock, maledizione! Come hai fatto a cadere?” John aveva imprecato mettendolo a sedere per terra.

“Credevo di essere a letto” aveva piagnucolato Sherlock con voce impastata “sono molto ubriaco?”

“Amico, ci puoi scommettere” John lo osservava per controllare stesse bene “una bella sbronza con i fiocchi”

Sherlock si teneva la testa con una mano, poi aveva alzato gli occhi e si era guardato in giro: “Lily? sta dormendo?”
“Veramente è rimasta con te un bel po’. Ti ha controllato e ti ha fatto delle spugnature” Sherlock aveva sbarrato gli occhi, spaventato “solo sul viso, tranquillo” aveva concluso John.

“Tranquillo Sherlock, solo su viso e collo” Lily era appoggiata allo stipite della porta della cucina, le mani a sostenere il corpo “non mi sono spinta più in giù del colletto della camicia”.

Sherlock l’aveva guardata con palpebre pesanti e gli occhi cerchiati di rosso: “Lily”.

“Sherlock” aveva risposto lei, abbozzando un sorriso. Guardava la testa ciondolante e i ricci neri ingarbugliati; la camicia stropicciata e i pantaloni spiegazzati. Le labbra secche e la pelle lucida di sudore. Aveva stretto con forza il legno della cornice della porta, appoggiandoci anche la testa. John aveva guardato Lily e poi aveva esclamato: “Bene, Holmes sono arrivato fino a qui e ora ti porto a letto” gli aveva circondato la vita con un braccio e lo aveva tirato su. Sherlock aveva piegato le gambe, debole. Poi aveva cominciato a ridacchiare: “John, insomma. Almeno offrimi una cena prima”.

John aveva alzato gli occhi al cielo, sbuffando: “ Cerca di tirarti su e smettila di fare il cretino” era paonazzo per lo sforzo e anche piuttosto irritato “cammina in camera tua e vedi di dormire, è mezzanotte passata, non possiamo stare tutti dietro a te”.

“Va bene, va bene” aveva biascicato Sherlock “vado a dormire; però vorrei la mia bacinella, grazie. Non voglio vomitare per terra” aveva allungato una mano verso il divano. Lily aveva afferrato la bacinella e gliel’aveva portata.

“Grazie, piccola Lily” aveva sorriso, con aria sorniona “buonanotte”.

“Buonanotte Sherlock” aveva alzato una mano in imbarazzo.

Sherlock era rimasto fermo mentre John tentava di portarlo via: “Aspetta aspetta” aveva socchiuso gli occhi per vedere meglio; guardava Lily, e aveva detto a bassa voce: “tu hai pianto” l’aveva indicata.

Lily aveva sentito il sangue gelarsi nelle vene. Non voleva che Sherlock capisse. Era ubriaco ma pur sempre attento e vigile. Adesso non serviva questo, a nessuno dei due: “Ma che dici Sherlock. Sono solo stanca, niente di più” aveva scosso la testa, incrociando le braccia.

Sherlock era rimasto in silenzio, scrutandola ancora: “Non è vero, hai pianto e si vede. Perché?” era molto serio, e barcollava appoggiandosi a John “perché hai pianto? Io sto bene, mi vedi?”

Lily aveva guardato John, agitata. Lui aveva ricambiato lo sguardo e detto: “Sherlock, coraggio. È veramente molto tardi, devi dormire”.

“Io non mi muovo finché non mi dite cosa succede” aveva incrociato le braccia, testardo.

“Oh, ma insomma BASTA!” Lily aveva alzato la voce, spazientita. John l’aveva guardata con un’espressione di avvertimento: bada bene a ciò che dici, potresti pentirtene.

“Sto bene, e non ho pianto. Sono solo molto stanca e vorrei andare a dormire. Se continui a fare il bambino, domani giuro che farò il possibile per rendere infernali i tuoi postumi. Ora fila a letto” aveva ripreso fiato, rendendosi conto di quello che aveva detto solo in quell’esatto momento “Sto bene” aveva ripetuto, abbassando la voce. Che terribile ipocrita che era.

Sherlock aveva sbattuto gli occhi un paio di volte, serio: “Sei una pessima bugiarda. Ma alla fine non sono affari miei. Fai come ti pare, ma poi non offenderti se la gente non ti capisce e se ti senti sola. Buonanotte” si era girato e barcollando era andato verso la sua stanza, cercando di mantenere un’andatura offesa. Senza molto successo, effettivamente. John l’aveva seguito. Lily sentiva una rabbia cieca salirle dal fondo dello stomaco fino alla bocca.

IO NON SONO SOLA, RAZZA DI BABBEO!!!” aveva urlato Lily verso il corridoio. La voce le si era incrinata  sull’ultima sillaba. Era rabbiosa, ma consapevole del fatto che era veramente una pessima bugiarda.


//


John aveva scortato Sherlock fino alla sua stanza, stizzito: “Accidenti a te. Ubriaco sei anche peggio”.

“Volevo solo capire perché Lily ha pianto. Non mi sembra una cosa difficile” si stava sbottonando la camicia, molto lentamente “io noto le cose, lo sai” si era lasciato cadere sul materasso, per togliersi i calzini, sbuffando.

“Se una persona ti dice che una cosa non è vera, prendila come verità. Poco male se è una bugia o meno” aveva replicato John prendendo i vestiti e appendendoli nell’armadio.

Gli occhi di Sherlock si erano illuminati: “Allora è vero!” aveva indicato John “avevo ragione!”

“Io non ho detto proprio un bel niente!” John era scattato all’improvviso “sto solo dicendo che non sempre la gente ha voglia di parlare”.

“Hmmm capisco” Sherlock si era infilato sotto le coperte “Lily ha la lacrima facile quando è triste e preoccupata”.

John aveva alzato le sopracciglia, sorpreso: “Wow Sherlock, ottima intuizione. Ora dormi” si era avviato verso la porta “Buonanotte”.

Gli occhi di Sherlock si chiudevano leggermente: “Non…dovrebbe…chiamare..Andrew. Non…mi piace” la testa era precipitata sul cuscino, e Sherlock era finalmente muto e addormentato.

John aveva sospirato, stanco: “Lo so, ma l’alternativa potrebbe essere ancora peggio” aveva mormorato. Conosceva Sherlock e anche se non se ne accorgeva, stava già portando abbastanza scompiglio nella povera testa di Lily. Avrebbe voluto vederli insieme, vedere Sherlock contento e rilassato. Ma la sua mente lo portava a pensare che non fosse veramente possibile. Cercava giustificazioni, ma non ne trovava. Cercava i lati positivi, ma non gliene veniva in mente nessuno.

Era tornato in salotto, con il cuore che pesava una tonnellata. Lily era seduta sul divano, un cuscino tra le braccia. Aveva alzato lo sguardo su John: “Tutto ok?” aveva sorriso leggermente.

“Sherlock si chiedeva ancora perché avessi pianto” aveva alzato le spalle, arreso.

Lily aveva riso sommessamente: “Il solito testardo”.

“Non gradisce Andrew a quanto pare. Ha detto che non dovresti chiamarlo”

Lily aveva alzato gli occhi al cielo: “Me ne ero accorta il giorno che mi ha accompagnato a casa. Eppure è convinto che usciremo”.

“Ed è vero?” aveva chiesto John, guardandola.

“Penso proprio di sì; devo reagire in qualche modo. Poi si sa, la vita è fatta di sorprese” aveva posato il cuscino vicino a lei.

“Buon per te, è il primo passo avanti” John aveva sentito di nuovo il senso di colpa insinuarsi sotto la sua pelle “va tutto bene?”

“Sì, sto bene. Vai pure a casa, sarai esausto. Grazie per essere venuto” si era alzata per accompagnarlo alla porta.

“Non c’è di che, figurati. Chiamami sempre, quando vuoi. Per…tutto, insomma” gli aveva messo una mano sul viso, accarezzandole una guancia “stai su, okay? magari ci vorrà un po’ di tempo ma tu sei forte, puoi farcela”.

Lily aveva annuito, prendendo la mano di John “Okay” aveva risposto in un sussurro.

“Buonanotte Lily” John aveva aperto la porta, stampato un bacio sui suoi capelli e preso le scale.

Lily aveva chiuso la porta, esausta. Era mezzanotte e mezza, non tardissimo. Lo sguardo si era posato sul telefono, abbandonato sul tavolo vicino alla finestra. Si era avvicinata lentamente, prendendolo in mano. Aveva sbloccato lo schermo e aperto i messaggi.

Ciao Andrew, scusa per l’ora, ma che ne dici di andare a prendere  quel famoso caffè uno di questi giorni?

Guardava il cursore che lampeggiava dopo il punto interrogativo. Si era morsa un labbro, dubbiosa. Aveva volto lo sguardo verso la camera di Sherlock, sospirato e premuto invio.

Si era infilata il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e spento tutte le luci. Filtrava una luce bianca attraverso le tende.

“Stai facendo la cosa giusta” aveva sussurrato nel buio.
//
La mattina dopo era stata un incubo. Uno Sherlock irritabile e scontroso era entrato in cucina, coperto solo da un lenzuolo. Lo avvolgeva dalla testa ai piedi, schiacciando i ricci neri sulla fronte.
Lily era sveglia da un paio d’ore ed era seduta al tavolo della cucina con una tazza di caffè e una rivista. Nel momento in cui Sherlock era arrivato, la tazza si era fermata a mezz’aria.

“Buongiorno” aveva esordito lentamente, seguendolo con lo sguardo. Non aveva aggiunto altro.

Un grugnito le aveva dato la risposta che cercava. Sherlock girava a vuoto per la stanza, cercando non si sa cosa. Mentre camminava senza meta, si era fermato davanti alla vaschetta del pesce rosso: “Da quando in qua abbiamo un pesce?” lo scrutava con gli occhi semichiusi, uno smorfia di dolore sul volto.

“Veramente è tornata con te ieri sera. Hai detto che si chiama Margaret” aveva risposto Lily.

Sherlock aveva abbassato la testa a livello della boccia, scrutandola: “Non possiamo avere un pesce. Dove l’ho presa?”

“L’hai vinta a una partita di beer pong ieri sera” Lily continuava a fissare la rivista, prendendo un sorso di caffè.

Sherlock si era lamentato: “Ah già…il beer pong” aveva stretto il lenzuolo sotto il mento “ricordo vagamente qualcosa”.

“Caffè?” Lily aveva alzato la tazza.

Sherlock si era girato verso di lei, un bozzolo di lino bianco: “Sì, grazie”.

Lily si era alzata e diretta verso la credenza dove tenevano il caffè. Cercava di non guardare troppo Sherlock, avvolto nelle lenzuola. Era completamente ignara del fatto se fosse nudo o no là sotto, e cercava di non pensarci troppo. Voleva veramente impegnarsi e cercare di calmarsi. Certo, il destino non la aiutava: Andrew ancora non aveva risposto al suo messaggio, e lei si sentiva ancora piuttosto scombussolata. Non sapeva se aveva fatto bene a parlare di Sherlock a John; poteva contare solo sulla sua discrezione, sperando che non cominciasse a darle consigli non richiesti. Voleva uscirne da sola, con le sue gambe e le sue forze.
Pensava a tutto ciò mentre preparava il caffè, e non si era accorta che Sherlock le stava parlando.

“Lily?!mi stai ascoltando??” la sua voce era roca e irritata “mi costa parecchio parlare in questo momento, vorrei che tu mi ascoltassi”

Si era girata verso di lui: “Scusa, ero sovrappensiero, cosa stavi dicendo?” gli aveva passato la tazza di caffè bollente “tieni, bevi finché è caldo, ti farà bene”

Sherlock aveva preso con cautela il caffè e aveva sorseggiato piano la bevanda. Aveva allontanato di scatto la tazza dal viso: “È amaro e fa schifo, non lo voglio” aveva piagnucolato, tendendole la tazza.

“Bevi e non fare il bambino. Il caffè amaro ti aiuterà a riprenderti un po’ da questa tua modalità zombie e magari ti farà anche uscire da quel bozzolo di lenzuola. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso” aveva cominciato a rimettere a posto la cucina “sei adulto e vaccinato, non fare la lagna”

Il detective aveva sbuffato, riportando la tazza alle labbra: “che scocciatura” aveva mugugnato “comunque ti stavo chiedendo se ieri sera ho fatto qualcosa di stupido, non mi ricordo molto ma spero di non essermi reso troppo ridicolo” continuava ad avere i riccioli schiacciati dal lenzuolo e sembrava stranamente vulnerabile conciato in quel modo.

“Mah, hai solo tirato uno sgabello contro una vetrata, Lestrade ti ha riaccompagnato a casa, hai finto di essere una ballerina e non riuscivi a suonare il violino perché lo avevi messo al contrario; per il resto, nulla con cui possa ricattarti purtroppo” Lily aveva riso sotto i baffi, mentre Sherlock la guardava con occhi sgranati. Poi aveva ritrovato il suo aplomb e si era limitato a una scrollata di spalle, bevendo un sorso di caffè: “Niente che un inglese medio ubriaco non faccia di solito”

“Ma tu non sei l’inglese medio. Tu sei Sherlock Holmes” aveva ribadito Lily, divertita.

Sherlock l’aveva guardata in cagnesco: “Oh, ma smettila” aveva sbuffato.

Lily aveva scosso la testa, reprimendo una risata. Aveva guardato Sherlock, appollaiato sul suo sgabello: “Quando avrai finito, manda un messaggio a John, vorrà sapere come stai e magari farsi una risata”.

Lui aveva sbuffato, insofferente: “Devo proprio?”

“Oh sì che devi. È stato lui che ieri mi ha rassicurato e ti ha visitato per sincerarsi che non fossi morto. Quindi direi che sì, una telefonata è d’obbligo”.

Il bozzolo aveva mugugnato un “va bene”, alzandosi a fatica; per poco non cadeva a faccia in avanti.

In quel momento il telefono di Lily aveva suonato. Era calato un silenzio strano dopo il trillo che segnalava un messaggio in entrata.

“Uh oh, un messaggio per Lily” aveva esclamato Sherlock, guardando verso di lei “sarà il gentil fattorino?” l’aveva guardata ghignando.

Lily aveva sorriso tirata e fatto cadere nel lavello una decina di forchette e piatti sporchi, facendo un fracasso non indifferente. Sherlock aveva strizzato gli occhi, in evidente sofferenza. Li aveva riaperti e aveva sibilato: “Ma sei impazzita? Ho la testa che mi esplode”.

Lily aveva alzato le spalle, con falso imbarazzo: “Ops, scusa. Sono così goffa” aveva sbattuto gli occhi, cercando di non ridere.

Sherlock aveva sbuffato, irritato: “salutalo tanto da parte mia” si era buttato un lembo di lenzuolo oltre la spalla e si era incamminato impettito verso il corridoio. Lily aveva cominciato a lavare le stoviglie sporche, guardando ogni cinque secondi il telefono come se fosse una bomba inesplosa. Non sapeva se era pentita di aver mandato un messaggio a Andrew; voleva leggerlo, ma voleva anche cancellarlo senza neanche aprirlo. Aveva chiuso gli occhi, irritata. Aveva le mani dentro l’acqua all’altezza dei gomiti, e all’improvviso le aveva tirate fuori dal lavello, schiumose e scivolose; si guardava intorno, ansiosa. Stava gocciolando per terra e continuava a fissare il telefono. Lo aveva afferrato senza pensare, facendolo scivolare sul tavolo. Si era messa le mani nei capelli, imprecando sottovoce; si sentiva una cretina completa.

Ok, niente panico. È solo un cellulare. Prendilo e leggi quello che c’è scritto sul messaggio. Asciugati le mani e prendilo.

Mentre allungava le mani verso il tavolo, l’aggeggio infernale aveva suonato di nuovo; si era ritratta, spaventata. Era la seconda notifica, Lily se ne era completamente dimenticata.

“Ho capito, ho capito ora leggo. Anche il telefono ha fretta” aveva sussurrato nervosa, afferrandolo. Aveva sbloccato lo schermo e aperto il messaggio.

Buongiorno Lily, come stai? sono molto contento che tu mi abbia contattato, speravo veramente di risentirti. Per il caffè, quando vuoi. Fammi sapere quando sei disponibile, non vedo l’ora. Andrew.

Lily aveva tirato un sospiro di sollievo. Non era un rifiuto; ma la sensazione di sollievo era durata ben poco. Non sapeva come ci si comportava, come si faceva a uscire con qualcuno. Nella sua testa si erano susseguite mille immagini: Sherlock, John, Andrew. Sherlock con una tazza di caffè, Sherlock che gliela porgeva, imbarazzato. Sherlock. Sherlock. Sherlock.

Basta.

Si era schiarita la gola, e raddrizzando la schiena aveva cominciato a scrivere:

Se vuoi posso anche oggi pomeriggio, hai qualche posto da proporre?

Invia, blocca lo schermo, posa il telefono sul tavolo come se scottasse. Stop. A posto così.

Era seguita una telefonata abbastanza rilassata, almeno dalla parte di Andrew. Lily era tesa come una corda di violino. L’appuntamento era per quel pomeriggio alle cinque, in una sala da the vicino Baker Street; alle quattro e mezza Lily era in modalità panico completo, cercando un mix di vestiti che la facesse sembrare decente. Guardava nervosa il suo letto pieno di magliette e jeans, una mano davanti alla bocca e un piede che batteva nervosamente il pavimento. Come diavolo ci si vestiva per prendere un the o un caffè con un ragazzo, per la prima volta? Alla fine aveva optato per un maglioncino lungo e un paio di leggins insieme ai suoi anfibi. Una sciarpa al collo, il suo giubbotto di pelle e si sentiva abbastanza a suo agio. Sperava solo di non morire di freddo, anche se era talmente nervosa che rischiava l’autocombustione. Si sarebbe fatta coraggio, doveva assolutamente sembrare disinvolta anche se si sentiva come una liceale al suo primo appuntamento. Effettivamente era il suo primo appuntamento da persona normale; non si potevano considerare appuntamenti quelli con Kaleb, che consistevano nello sgattaiolare da casa di notte per bere e fumare erba fino a stordirsi. Decisamente no.

Il campanello. Lily era saltata di qualche centimetro, il cuore in gola, il battito dentro le orecchie. Aveva respirato a fondo e si era diretta alla porta. Si era fermata per un attimo e aveva urlato verso la stanza in fondo al corridoio: “Sherlock, io esco! Torno presto!”

Era spuntato dalla stanza, lentamente: “Esci?”

Aveva annuito, nervosa. Sherlock l’aveva squadrata da capo a piedi e aveva scrollato le spalle: “Divertiti”.

Lily aveva sbattuto gli occhi velocemente; pensava di aver sentito male invece era proprio così, le aveva augurato di divertirsi. Poi, guardandolo meglio, aveva intravisto il suo solito sorriso sghembo e impertinente. Non aveva tempo per indagare e cercare di capire cosa le volesse dire, quindi aveva borbottato un “grazie” irritato e aveva preso le scale di fretta. Ci mancava lui, certo. Come al solito. Quel sorrisetto stronzo, come se sapesse già l’esito dell’incontro.

Al diavolo, al diavolo tutto. Era davanti al portoncino chiuso. Si era aggiustata i capelli, lisciato la maglietta, tirato indietro le spalle e con un bel sorriso aveva aperto la porta.

Andrew era lì, con un cappotto nero, una camicia azzurra e un paio di jeans scuri. Le sorrideva, i capelli scompigliati.

“Ciao, Lily” le aveva preso una mano e l’aveva portata alla bocca, facendo perdere un bacio nell’aria “tutto bene?”

Lily lo guardava e si sentiva una perfetta idiota; aveva annuito e dopo pochi secondi aveva balbettato un “tutto bene, grazie”. Si guardavano, fermi in mezzo a Baker Street.

Ti prego ti prego, fai qualcosa, dì qualcosa  era il pensiero di Lily, che ormai aveva stampato sul viso un sorriso di circostanza e le guance cominciavano a farle male.

“Vogliamo andare?” aveva esordito Andrew “ci vuole una bella tazza di qualcosa di caldo, qua fuori si gela!” le aveva offerto il braccio e Lily lo aveva accettato, maldestra: “sì, effettivamente fa freddino” e così il primo scoglio era superato, ora toccava vedere come andavano gli altri.

Da dietro le tende, Sherlock osservava. Aveva stretto leggermente gli occhi, cercando di capire: o quel Andrew era veramente uno sciocco ragazzone con il sogno di diventare psicologo, oppure uno molto furbo. Sherlock si accorgeva sempre se qualcosa non andava; quando era così, avvertiva una strana sensazione, uno strano formicolio alle mani. Sembrava che il suo corpo intuisse che c’era qualcosa che non andava, che qualcosa sarebbe andato storto.
Non sapeva neanche perché questa cosa lo prendesse così tanto. Non era affar suo, figurarsi. Ma quello che si era iniziato era da finire assolutamente. Aveva sospirato, la testa ancora dolorante e lo stomaco sottosopra: “Non berrò mai più, che schifo” aveva sussurrato, allontanandosi dalla finestra.

Nel frattempo Lily e Andrew erano arrivati alla famosa sala da the. Un posto tranquillo, caldo e umido con un buon odore di tisane e caffè. Sulle pareti facevano bella mostre lavagnette con le specialità della casa e i vari tipi di bevande. C’era una bella luce dentro, accogliente. Si erano seduti a un tavolino appartato, anche se il locale era poco affollato e si avvertivano solo i brusii del personale e delle poche persone presenti. Una leggera musica faceva da sottofondo, quasi impercettibile. Lily si era tolta il giubbotto, guardandosi intorno. Si era soffiata sulle mani, cercando di scaldarle e aspettava che Andrew tornasse con le bevande e la fetta di torta che avevano deciso di condividere. Si era stretta nelle spalle, leggermente più rilassata: Andrew riusciva a metterla a suo agio; parlava abbastanza, ma non risultava noioso. Faceva domande mirate, a cui Lily riusciva a rispondere senza balbettare come una bambina piccola. Faceva brevi pause, tra una battuta e l’altra, insomma sembrava veramente capire il suo carattere inizialmente timido e ritroso.

Mentre pensava a tutto ciò, Andrew era arrivato al tavolo con un vassoio e un sorriso smagliante: “Bene, ecco qua il tuo the al bergamotto” le aveva porto una tazza colorata.
Si era seduto sistemando il piatto con la torta: “ Prego, prima le signore” aveva indicato il cibo educatamente.

“Oh, grazie molto gentile” aveva risposto lei, prendendo timidamente una forchettata di torta. L’aveva assaggiata e tirato su il pollice: “Ottima” aveva mugugnato, ridendo.
“Bene” aveva risposto soddisfatto “mi hai lasciato questa grande responsabilità, speravo di aver fatto la scelta giusta” l’aveva guardata intensamente, il sorriso più leggero.
Lily aveva distolto gli occhi dai suoi, sentendosi in imbarazzo e aveva preso un sorso di the bollente, ustionandosi la gola. Almeno l’avrebbe resa più vigile e meno imbarazzata.

“Beh” aveva cominciato, la voce un po’ roca per mascherare il dolore “cosa hai fatto di bello oggi?”

Andrew aveva incrociato le mani sotto il mento, guardandola divertito: “Niente di che, ho sbrigato alcune commissioni, e poi ho telefonato a casa per sentire come stavano i miei genitori”

“Oh, che bello..stanno bene?” aveva chiesto Lily aggiungendo un po’ di zucchero al suo the.

“Sì…molto bene, anche se dove abito io piove quasi sempre. Tu senti spesso i tuoi?”
Lily aveva fermato il cucchiaino che girava dentro la tazza: “Beh…no. Anzi, è parecchio che non chiamo casa” sentiva le guance avvampare.

“Eh già, i genitori sanno essere noiosi a volte” la sua voce si era fatta più profonda “sarei preoccupato anche io, sapendoti a Londra da sola”.

Lily aveva soffocato una risata amara: “Beh sì, certamente”

“Non mi hai mai raccontato da dove vieni” aveva preso un boccone di torta “so solo che anche tu vieni da fuori Londra”

“Ti assicuro che non è una storia interessante, vengo da un paesino di 350 anime, dove piove 265 giorni l’anno, niente di emozionante” continuava a girare il the, nervosa. Parlare del suo passato non la metteva a suo agio. Il paesino da dove veniva era veramente grazioso, c’era anche un castello, cinque hotel e un orologio astronomico. Addirittura un circuito automobilistico. Ma era piccolo, soffocante e lei lì dentro si sentiva in trappola; soprattutto perché c’erano degli standard da rispettare, dovevi essere meritevole e modesta, non ti potevi esprimere perché eri quella che eri e lei non voleva ricordare, non voleva far emergere nulla.

“Beh, è sempre casa no? Non c’è nessun posto come casa propria” aveva risposto Andrew guardandola intensamente.

Lily aveva poggiato il cucchiaino sul piattino, facendolo tintinnare: “Certo, naturalmente. Ma non sempre è così” aveva sorriso flebilmente, cercando di far morire la conversazione su quell’argomento.

“Hmmm, sì capisco a volte la famiglia può soffocarti” Andrew continuava, con tono affabile “e sei figlia unica? Sembri il tipo cresciuto con tanti fratelli e sorelle”

“Veramente no, sono figlia unica” si era passata una mano nei capelli, gesto che faceva quando era nervosa “te invece? Tu più che altro sembri il tipo cresciuto in mezzo a tanti parenti; sei così spigliato” cercava disperatamente di spostare l’attenzione su di lui, perlomeno sull’argomento infanzia e famiglia.

“Ho un fratello e una sorella” aveva sorriso e si era lanciato in un racconto della sua infanzia abbastanza particolareggiato, facendo tirare un sospiro di sollievo a Lily, che aveva cominciato a seguire la sua storia con entusiasmo.

Dopo due ore e un’altra tazza di the ciascuno, si erano decisi a uscire. Faceva più freddo di prima e Lily aveva cominciato a tremare per lo sbalzo di temperatura. Fuori era quasi sera, avevano fatto il tragitto a ritroso, parlando di libri e musica fino a quando erano arrivati davanti il 221b.

“Mi sono divertita tanto, grazie Andrew” Lily aveva salito un paio di gradini. Le dispiaceva doversi separare da Andrew. Escludendo la parentesi del racconto sulla sua famiglia, era stato un pomeriggio molto gradevole.

“Sono stato bene anch’io, Lily. Ti andrebbe di rivederci la prossima settimana? Vorrei tanto incontrarti prima, ma ho delle cose da fare fuori Londra…ma veramente, vorrei rivederti”.

Lily era arrossita e aveva annuito, contenta: “Certo, non c’è problema. Fammi sapere quando torni a Londra” gli aveva sorriso.
Andrew sembrava sollevato: “Meraviglioso, temevo che pensassi fosse una scusa ma ti giuro che mi farò sentire tutti i giorni”. Si era avvicinato a lei e gli aveva posato un bacio sulla guancia: “a presto” aveva sussurrato, sorridendo. Si era incamminato verso la metropolitana, girandosi ogni tanto per guardarla e salutarla.

Quando Lily lo aveva perso di vista tra la folla, era rientrata a casa. Sorrideva ed era contenta; si sentiva bene, quasi felice.

Sherlock era seduto sulla sua poltrona, un libro in mano. Il fuoco era acceso, e c’era un piacevole tepore per tutto l’appartamento: “Ciao” aveva esordito Lily, levandosi il giubbotto e appendendolo dietro la porta.

“Hmmmm..” era stata la risposta. Aveva finito di leggere la frase e aveva chiuso il libro con un movimento fluido “com’è andata, insomma?”

Lily si era fermata, sorpresa: “Ti interessa?” aveva chiesto, sorpresa.

Sherlock aveva scrollato le spalle: “Di solito si chiede dopo un appuntamento, no? Tu mi chiedi sempre come sono andate le indagini”.

Lily aveva scosso la testa, divertita: “Si chiede se uno è interessato, Sherlock” lo aveva guardato, il suo sguardo perplesso “comunque sì, è andato tutto bene. Grazie per l’interessamento”.

“A te interessa quando torno dopo 12 ore di indagini sulle rive fangose del Tamigi?” aveva chiesto dubbioso.

Lily aveva alzato le spalle: “Beh sì. Mi interessa sapere quello che fai, se ti sei divertito o meno”.

Sherlock l’aveva fissata con aria perplessa: “Bah, io non vi capirò mai, a voi donne”

“Eh già siamo un immenso oceano di segreti” aveva aggiunto Lily ridendo.

“Certo, certo” Sherlock aveva sventolato una mano per aria “ti va un thai stasera?”

“Che domande! Certo che sì” aveva risposto Lily andando verso il bagno.


//

Erano passati quattro giorni, in cui Andrew aveva scritto a Lily sempre. Lei aveva risposto volentieri.

Il quinto giorno le aveva fatto sapere che era tornato a Londra e l’aveva invitata a mangiare qualcosa al posto dov’erano stati la prima volta; Lily aveva accettato. Si erano dati appuntamento lì davanti e Lily era arrivata con qualche minuto d’anticipo. Mentre aspettava, era suonato il telefono: era Sherlock.

“Lily? per caso hai il mio portafoglio? L’ultima volta te l’avevo dato per metterlo in borsa mentre eravamo al St. Barth’s. Ce l’hai ancora te?”

Lily aveva frugato nella borsa e aveva visto il portafogli nero di Sherlock: “Sì, è qui. Credevo l’avessi ripreso”.

“Accidenti, l’ho dimenticato” aveva sibilato. Devo venire a prenderlo, dove sei?”

Lily aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva dato le indicazioni per raggiungerla. Sperava arrivasse prima di Andrew, ma era altamente improbabile.

Infatti lui era arrivato due minuti dopo, affannato e con una borsa a tracolla: “Scusami Lily, sono stato trattenuto in facoltà, non volevano lasciarmi andare” aveva sorriso e le aveva aperto la porta, facendola entrare nel locale. Si erano accomodati e Andrew si era scusato, assentandosi per andare al bagno. Lily era contenta di rivederlo; di Sherlock ancora nessuna traccia.

Si guardava intono come sempre e pensava che finalmente si sentiva un po’ più serena. Il telefono aveva trillato: era un messaggio di John che le chiedeva come andava e le chiedeva se più tardi poteva passare a Baker Street per un the. Lily aveva sorriso, rispondendo al messaggio. In quel momento la borsa di Andrew, appoggiata alla sedia, era caduta per terra aprendosi sul pavimento. Erano uscite alcune cartelline e fogli. Lily si era chinata per raccoglierle e dei fogli in bianco e nero avevano attirato la sua attenzione: non erano fotocopie, né prospetti. Erano foto.

Non era roba che ti aspettavi di trovare nella borsa di uno studente di psicologia. Erano foto di persone; erano foto sue, scattate con un teleobiettivo.

Lei al supermercato; lei al St Barths; lei fuori da Baker Street con Sherlock e John; foto di lei che rideva, di lei che leggeva seduta al tavolo di un caffè. Lei, lei, lei.

Sherlock.
John.
Mary.
Gregory.

Erano là. Ma la maggior parte erano foto sue, gli altri sembravano di contorno. Le mani le tremavano, mentre sfogliava le foto dei suoi primi piani. Cosa ci faceva con quelle foto? Chi le aveva scattate? Perché? Non riusciva a respirare, e il cuore le batteva forte nel petto e le rimbombava nelle orecchie. Non sentiva più i rumori intorno a lei, solo un ronzio fastidioso. Doveva andarsene, ora. Non era al sicuro, non voleva stare più là, aveva bisogno di aria.

Che cosa stava succedendo? Chi era Andrew e cosa voleva da lei?









*Definizione di Beer pong (da Wikipedia):

Birra Pong o in inglese: Beer Pong, conosciuto anche come Beirut, è un gioco di bevute, in cui i giocatori lanciano una pallina da tennis da un lato all'altro di un tavolo con lo scopo di fare centro in un bicchiere di birra che si trova dall'altro lato del tavolo. Può essere giocato sia singolarmente (1 contro 1) o a squadre, con più varianti riguardanti l'ordine di tiro. Non esistono regole ufficiali, ma solitamente vengono usati 6 o 10 bicchieri di birra per ogni squadra.

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Capitolo 14
*** Upside down ***




Capitolo 14


Upside down



Doveva essere un sogno, una strana fantasia onirica, qualcosa non vera. Quella non sono io, quelle non sono foto scattate di nascosto. Deve esserci un motivo, deve esserci per forza. Non voglio credere a nulla che non sia un sogno. Deve essere un sogno, dev -

Lily teneva ancora le foto tra le mani tremanti e non smetteva di fissarle. Erano diventate una macchia indistinta, insieme ai suoni che la circondavano, un brusio di voci e rumori non meglio definiti. Cosa avrebbe detto? Sentiva la rabbia montarle in corpo: avrebbe voluto bruciare le foto e poi tutto il locale.

Si era alzata dal pavimento, la gente cominciava a guardarla in modo strano.

“Allora, eccomi qui! cosa vuoi…” la voce di Andrew alle sue spalle, che si fermava di botto “oh”.

“Oh?” aveva sibilato Lily “oh??” aveva ripetuto, incredula e sull’orlo della crisi isterica “cosa sono queste” aveva detto sbattendo le foto sul petto di Andrew “cosa. sono. queste” la voce era distorta, lei doveva sapere, doveva assolutamente sapere cosa diavolo stesse succedendo.

“Posso spiegarti” aveva cominciato Andrew, con voce bassa e calma “lascia solo che..” si era avvicinato a Lily, con cautela.

Lei si era allontanata di scatto, le foto patinate strette nella mano. Ormai rovinate, ormai piene di pieghe. Troppe volte si era sentita dire queste parole, ora era stufa.
 
“Voglio spiegazioni ora, Andrew. Immediatamente” muoveva lo sguardo intorno alla sala, non voleva che la gente notasse troppo la sua tensione.

Sentiva che stava per cedere, che un attacco di panico stava per arrivare. Tutto era confuso, tutto era più stretto, più piccolo. Le mancava il respiro, doveva uscire da lì al più presto o sarebbe svenuta. Aveva afferrato la borsa e si era precipitata verso la porta, sbattendoci contro come se fosse cieca. Sentiva la voce di Andrew che la chiamava, ma non si era fermata. Non voleva fermarsi; lo avrebbe ucciso. Mentre si incamminava, aveva sentito una stretta possente stringerle il braccio: “Lily, dove stai andando?”.

Si era girata e Sherlock era lì, che la teneva ferma mentre lei voleva solo muoversi e camminare. Due occhi grigi la scrutavano, perplessi.

“Che cosa succede Lily? sembra che tu abbia visto un fantasma” la sua voce era distorta all’inizio, poi era diventata più chiara e lineare. Dillo a Sherlock, dì cosa è successo. Parla.

“Lily..??” Sherlock continuava a guardarla, poi aveva sgranato gli occhi “ti ha messo le mani addosso” non era una domanda, era più un’affermazione “quel bastardo ti ha messo le mani addosso!”

Lily aveva chiuso gli occhi, scuotendo la testa e si era limitata a ficcargli tra le mani le foto, liberandosi dalla stretta ferrea: “Io…devo andare. Devo proprio”.

Aveva visto Sherlock guardarle, mentre Andrew arrivava dalla parte opposta della strada.
“Te le ha fatte lui??” Sherlock parlava, troppo per i gusti di Lily. Lei doveva solo andare via, per favore lasciatemi andare via.

Aveva guardato Andrew, poi Sherlock e aveva mormorato: “Scusa, io devo andare. Non posso stare qui” aveva ripetuto, come un giradischi rotto.

Era la prima volta che vedeva Sherlock così confuso. Guardava lei e poi guardava in fondo alla strada. Aveva raggiunto Lily e le era passato davanti, parandosi di fronte a lei. Come se volesse proteggerla.

Andrew era ormai davanti a loro e guardava oltre la spalla di Sherlock: “Lily, per favore. Posso spiegarti tutto, dammi la possibilità di…”

“Perché hai queste foto con te? Chi le ha fatte? Sei uno stalker? Cosa vuoi da lei?” le domande di Sherlock si susseguivano veloci.

Andrew non lo ascoltava, cercava solo di passare oltre il metro e ottanta di detective che gli si parava contro: “ti prego!” continuava a ripetere.

Lily era lì, e non lo guardava. Era dietro la schiena di Sherlock che la copriva quasi tutta e guardava solo il marciapiede. Non voleva sentire Andrew. Non voleva sentire Sherlock. Non voleva sentire assolutamente nessuno, voleva solo stare da sola.

“Lasciatemi stare” aveva detto barcollando “lasciatemi stare!!” aveva alzato la voce, un timbro isterico e tremante. Poi aveva alzato le mani, aggiungendo con voce tremante “ora me ne vado. E guai a voi se mi seguite” aveva puntato un dito contro entrambi e si era allontanata, sparendo nella folla.

Sherlock si era mosso per seguirla, poi si era fermato di botto, riducendo le labbra a una linea sottile e strizzando leggermente gli occhi. Si era girato di scatto e aveva preso Andrew per il bavero della giacca e sibilato con fare gelido: “Adesso io e te facciamo due chiacchiere”.


//


Lily aveva camminato fino a Baker Street, ma non sapeva se entrare a casa oppure no; meno di mezz’ora fa aveva confermato a John di vedersi per un the proprio lì e lei non voleva vedere nessuno. Voleva stare da sola, non voleva neanche capire perché Andrew avesse quelle foto. Era incredibile, la sua vita era stata un continuo pedinamento. Prima Kaleb, ora lui e chissà quale altro motivo si celava dietro tutto questo casino. Non ce la faceva più, era stufa di guardarsi alle spalle ogni tre per due. Contraeva la mascella da ormai quaranta minuti e sentiva incombere un mal di testa colossale. Era ancora agitata e doveva trovare un posto dove rimanere tranquilla, dove pensare e soprattutto calmarsi.


//

Sherlock aveva trascinato Andrew all’angolo della strada con modi non proprio gentili: “Sarebbe meglio che tu parlassi, perché non voglio ricorrere alla violenza. O a mio fratello Mycroft. Le persone che lavorano per lui hanno metodi non proprio ortodossi. Ma neanche io, quindi non saprei quale potrebbe essere la soluzione migliore. Anzi no, una c’è: parlare, e subito”. Lo teneva ancora per il bavero della giacca, il viso a due centimetri da quello di Andrew. Gli occhi scintillavano rabbiosi e grigi. Doveva ad ogni costo sapere cosa era successo.
“Va bene, parlerò. Ora però lasciami, non vorrai attirare l’attenzione?” Andrew si divincolava dalla stretta ferrea di Sherlock guardandosi intorno imbarazzato “non volevo fare del male a Lily, giuro”.

“Mi riesce difficile crederlo, visto che avevi sue foto scattate con un teleobiettivo. Non proprio da educanda” Sherlock aveva allentato la presa, e ora stringeva il braccio di Andrew: “Bene, ti darò la possibilità di parlare. Ma a modo mio e dove dico io”.
Andrew aveva annuito, spaventato.

//

Erano passate ore ormai, e il sole stava per tramontare; Lily era arrivata a Regent’s Park. Poco lontano da Baker Street, ma con ben 160 ettari di verde a circondarla. Se dovevano cercarla, faticassero almeno. Era seduta su una panchina vicino al lago, vicino un bellissimo salice piangente, con i rami che pendevano spogli come piccole braccia rachitiche e disperate. Si era stretta nella giacca, non c’era più molta gente; solo qualche jogger che sfidava il freddo della sera e padroni intirizziti che portavano fuori il cane. Lily non pensava a nulla di particolare, si godeva solo il silenzio del parco, gli uccelli che si chiamavano tra di loro e la sfumatura blu del cielo che si rifletteva sul lago piatto. Sul punto più buio, il blu sembrava quello degli occhi di John. Che sicuramente continuava a chiamarla da almeno due ore. Il telefono non aveva smesso di suonare e vibrare, finché Lily non aveva messo il silenzioso e tirato un sospiro di sollievo. Non aveva neanche visto chi era. Si faceva sempre più buio, sempre più freddo ma a lei non importava. Rifletteva, rifletteva e a tratti piangeva e a tratti rideva. Non sapeva come reagire alla piega che stava prendendo la sua vita: forse comica, ma non comica ahahahah che ridere; comica come una barzelletta triste, una che non faceva ridere nessuno. Si sentiva fuori tempo, appena qualcosa andava bene, arrivava la botta che buttava tutto giù, la vagonata di mattoni che la sotterrava di nuovo.
Tutto quello che credeva potesse essere una nuova possibilità, si rivelava un fallimento.
Sherlock.
Andrew.
La prospettiva di una nuova vita, al diavolo. Come no, impossibile se ti chiami Lily.
Niente andava come lei avrebbe voluto. Abbandonarsi agli eventi non sortiva alcun effetto, impegnarsi neanche. Cosa doveva fare allora? Si era sfregata le mani e il viso, dove le lacrime si ghiacciavano e le bruciavano la pelle. Non si sentiva più il naso, anche gli uccelli avevano smesso di cantare all’improvviso. Ora c’erano solo lei e il salice. Piangenti entrambi. Era in buona compagnia. Ripensava alle foto e le si torceva lo stomaco dall’orrore. Non si era accorta di nulla, eppure un teleobiettivo era grande, l’avrebbe notato. Ma chissà quant’era lontano chi l’aveva fotografata. Quanti avevano visto le sue foto, cosa ci avevano fatto?
Aveva scosso la testa facendosi scappare un singhiozzo amaro. Era stanca, tanto. Quando si sentiva così pensava al giardino della casa dov’era nata; pieno di fiori e api che ronzavano intorno alle piante. Papaveri, tulipani, ranuncoli, anemoni. Mille colori, che con la primavera esplodevano raggianti, pieni di vita. E lei che correva per i vialetti fatti di ghiaia bianca, che faceva male agli occhi per quanto era abbagliante sotto il sole. La nuca che scottava nella calura estiva mentre osservava le farfalle che bevevano dai fiori la loro proboscide. Quando il giardiniere le aveva spiegato che si chiamava esattamente come quella degli elefanti Lily aveva riso così tanto. Aveva passato l’infanzia così, in mezzo alla natura. Rifugiandosi in essa, la accoglieva e la consolava senza fare domande.
Mentre sognava a occhi aperti non si era accorta dello scricchiolio della ghiaia dietro di lei, pensava fosse un sogno molto vivido, i suoi ricordi portati all’estremo.

“Lily” una voce profonda, che la chiamava come se non volesse svegliarla.

Si era girata di botto, spaventata. Dietro di lei si stagliava la figura di Sherlock, illuminata debolmente dai piccoli lampioni posizionati poco più avanti. Aveva le mani in tasca e la sciarpa stretta intorno al collo.

Si era girata nuovamente verso il lago, sospirando: “Come hai fatto a trovarmi?” aveva detto piano.

“Sono andato a intuito” aveva risposto piano “da quanto sei qui?”

“Non lo so” aveva risposto con tono monocorde, scavando con la punta della scarpa per terra “e tu?”

“Abbastanza” era stata la risposta. Si era avvicinato ancora, rimanendo dietro le spalle di Lily “dovresti tornare a casa, sono tutti in pensiero. Non rispondi al telefono ed è buio. E in più, penso che tu debba sapere alcune cose”.

Lily aveva riso, ironica: “Andrew è a Baker Street, vero? Non voglio parlare con lui” aveva alzato le spalle.

“Dovresti ascoltarlo invece, ha delle cose importanti da dirti”.

Lily si era girata di scatto, guardandolo: “Quindi tu sai”.

Sherlock aveva aggrottato le sopracciglia: “Sì, ma non che Andrew abbia avuto molta scelta. Le opzioni erano parlare o finire in mano agli scagnozzi di Mycroft”

Lily faceva girare nella mano alcuni sassolini bianchi, pensierosa: “Non mi hai mai detto che lavoro fa tuo fratello. Parli di scagnozzi, deve essere qualcosa di importante”.

“Beh, diciamo che lui è il governo britannico, ha le mani in pasta un po’ ovunque. L’uomo più indispensabile del paese” aveva soffocato una risata ironica “ma a volte risulta utile”.

Lily aveva guardato Sherlock, impressionata: “Non essere così duro con lui” aveva risposto poi.

Sherlock aveva roteato gli occhi, senza parlare.

“Non voglio sentire cosa ha da dirmi, non mi interessa” le mani di Lily continuavano a raccogliere sassolini, in un moto nervoso. Nega, nega sempre. Scappa da tutto, codarda.

“Bugiarda” era stata la risposta. Lei era trasalita, e aveva chinato la testa, strizzando gli occhi.

Sherlock aveva sospirato e si era avvicinato ancora, ora Lily sentiva il suo profumo portato dal leggero vento freddo che si era alzato. Non le veniva niente di pungente da dire, veramente non sapeva neanche come si sentiva. Era come se fosse in stand by, un tasto premuto su “pausa”.

“Non puoi comunque rimanere qui, il parco chiuderà tra poco e qui si gela. Andiamo a bere qualcosa di caldo, ti va? Offro io” sentiva un sorriso nelle parole di Sherlock. Sembrava scaldasse l’intero parco.

“Offri sempre te” aveva risposto sarcastica.

“Un giorno pagherai tu e là ci sarà da divertirsi. Ti farò spendere un patrimonio”.

Lily aveva riso, tirando un sasso nel lago. I cerchi sull’acqua si allargavano fino a sparire: “Non me la sento, Sherlock. Ho paura”.

“Lo so, ma devi farlo. Ci sono delle cose che devi sapere, assolutamente. E devi tornare a casa, Lily. Ti aspettano tutti”.

Silenzio. Lily non voleva alzarsi da lì.

Un uccello aveva fischiato, una colpo di vento aveva alzato le foglie morte del salice vicino alla panchina.

“Lily….ti prego” Sherlock aveva parlato piano, con tono quasi dolce “torna a casa”.

Lei si era irrigidita, ripensando alla loro passeggiata sottobraccio, il giorno della festa di John e Mary, il giorno dell’uomo ubriaco.

“Quello che faccio raramente è implorare e supplicare”.

Sherlock la stava pregando di tornare a casa, lo stava facendo sul serio. Aveva sentito una stretta allo stomaco, le lacrime pizzicarle gli occhi. Voleva così tanto che tornasse a casa? Voleva così tanto che stesse a sentire quello che aveva da dire Andrew? A quanto pare sì, e lei si fidava di lui.

“Va bene” si era alzata lentamente, le gambe intorpidite dal freddo “ma ci sono due cose che devo chiederti e vorrei che mi ascoltassi” si era girata verso di lui ed era così bello, così meraviglioso nel suo Belstaff nero abbottonato fino al mento, la postura perfetta e il viso arrossato dal freddo. I suoi occhi erano color del ghiaccio, misti alla luce dei lampioni. Una visione. Lily aveva avuto un tuffo al cuore. Qualcosa o qualcuno giocava contro di lei e i suoi sentimenti; non riusciva a staccare i suoi pensieri e il suo cuore da lui. Era così difficile, se lui era così perfetto, così magico.

“Dimmi pure” si era avvicinato a lei, talmente vicino che Lily aveva dovuto alzare la testa per guardarlo negli occhi. Sentiva il calore emanato dal suo corpo.

Lily aveva abbassato la testa e stretto le labbra: “Vorrei una cioccolata calda. E poi..” aveva messo le mani in tasca, intirizzita “vorrei parlare con Andrew domani. Stasera non posso, non sarei lucida. Sono stanca, triste e ho bisogno di rimettere a posto i pensieri. Per favore”.

Sherlock l’aveva guardata a lungo, Lily vedeva i pensieri guizzare nella sua testa alla ricerca di una soluzione. Poi, sempre guardandola, aveva tirato fuori il telefono dalla tasca del cappotto e premuto un tasto per la chiamata rapida: “Mycroft? Sono Sherlock; sì, l’ho trovata. Sta bene” le aveva sorriso leggermente senza staccare gli occhi da lei “ho bisogno di un ulteriore favore. Dovresti prendere in custodia una persona fino a domani pomeriggio. Sì, custodia stretta, non deve essere perso di vista neanche un secondo. Domani potrai farlo accompagnare a Baker Street dai tuoi uomini. Sì, te ne ho parlato prima. Non ti deve interessare il perché, sono cose personali!!” aveva alzato la voce, irritato “sì, magari più in là. Il suo nome è Andrew…tra quanto? Mezz’ora? Eccellente, saremo di ritorno tra un’ora, allora” Lily vedeva il suo sguardo rabbuiarsi mentre il fratello parlava “stai dicendo sul serio? Per un favore così piccolo??” altra pausa “va bene. Come vuoi, ma è scorretto!!” aveva attaccato senza salutare. Aveva guardato Lily e aveva sorriso “tutto  a posto, ora andiamo a prendere questa cioccolata” le aveva fatto l’occhiolino e Lily aveva sentito le gambe tremare “ma solo cioccolata calda? Senza neanche un po’ di alcol dentro?”
Lily aveva cominciato a camminare vicino a lui: “ Anche se in questo momento ne avrei veramente bisogno, andrò con una semplice”.

“Io ne ho voglia di una corretta al bourbon, e se fai la brava te ne farò assaggiare un po’” aveva annuito soddisfatto.

Lily aveva riso di gusto, per la prima volta dopo ore: “Come faceva Mycroft a sapere che mi stavi cercando? E cos’è scorretto? Ne parlavi con lui al telefono”

Sherlock aveva sbuffato: “Sapeva che ti stavo cercando perché se non avessi avuto successo avrei fatto sguinzagliare i suoi uomini per tutta Londra. L’avevo solo avvertito di tenersi pronto” Lily era arrossita, sentendosi messa al centro dell’attenzione “per il favore di stasera invece mi ha incastrato per il prossimo Natale; dovrò andare alla cena dei miei genitori. Stanno cercando di riscattarsi da anni per non esserci stati molto durante la nostra infanzia. Sai, niente nipotini..neanche Mycroft è sposato. Ogni anno mi invitano e io trovo sempre qualcosa di alternativo da fare o una scusa. Io odio le feste di Natale, ma tanto porterò te e John, almeno non sarò solo. Renderà il tedio meno pesante”.

“Era un invito tra le righe, Sherlock Holmes?” aveva detto Lily divertita.

“Neanche troppo, so già che verrete” aveva risposto con tono ovvio.

Lily aveva scosso la testa: “Se lo dici tu”.

//

Si erano avviati verso un piccolo caffè dall’altra parte della strada. Lily pensava avrebbero preso le bevande da asporto, invece Sherlock si era seduto su uno sgabello davanti a una vetrata: “Sediamoci un po’, aspettiamo che vadano a prelevare Andrew e poi torniamo a casa”.

Lily aveva annuito in silenzio mentre Sherlock si allontanava per andare a prendere da bere. Aveva tirato fuori il telefono dalla tasca dopo ore.

12 chiamate di John, 5 di Sherlock e svariati messaggi. Aveva sospirato, sentendosi in colpa per John, che doveva essere preoccupato a morte.

Non sapeva se era ancora a Baker Street, ma più tardi l’avrebbe chiamato per scusarsi. Guardava le luci fuori dalla vetrata. Era molto stanca, e voleva solo dormire. Sherlock era tornato, con un piattino con due biscotti a forma di cuore: “il ragazzo al bancone deve aver frainteso, mi ha dato anche questi, dicendo che erano omaggio della casa”.

Lily si era girata, e aveva beccato il suddetto a fissare la montagna di riccioli neri di Sherlock con una brama non indifferente, per poi abbassare lo sguardo in imbarazzo quando aveva notato lo sguardo divertito di Lily, che aveva riso sotto i baffi, tornando alla sua cioccolata.

“Avrà pensato che siamo una coppia” aveva mormorato Sherlock per non farsi sentire “però in compenso abbiamo due biscotti gratis” aveva aggiunto, contento.

Lily lo aveva guardato, con aria ironica: “Sherlock, non ha pensato che siamo una coppia. Voleva il tuo numero di telefono” soffiava sulla cioccolata, girandoci il cucchiaino.

Lui aveva assunto un’aria perplessa: “Ma no, cosa dici” si era girato leggermente.

“Dico la cosa esatta, ti fissava i riccioli come se fossero fatti di liquirizia” aveva preso un sorso, stando attenta a non scottarsi “gli piaci”.

Sherlock aveva scrollato le spalle: “Figurati”.

Lily aveva alzato gli occhi al cielo: “È molto modesto da parte tua far finta di non crederci, ma entra nell’ottica che sei un bell’uomo, piaci, e la gente ti guarda a prescindere dal sesso di appartenenza”.

Era rimasto zitto per un po’, spezzando il biscotto in due: “Sono un uomo attraente?” aveva rivolto lo sguardo a Lily, masticando lentamente e porgendole l’altra metà del cuore spezzato.

Lily si era immobilizzata, pensando a quello che aveva appena detto, guardando perplessa la metà del biscotto: “Beh…sì. Non dirmi che non ne sei consapevole. I tuoi ricci neri, gli occhi chiari e gli zigomi alti fanno scena. Tu non te ne accorgi ma quando vai in giro, attiri molti sguardi su di te” si sentiva in imbarazzo e sentiva il pericoloso accenno di rossore che cominciava a imporporare le sue guance e le orecchie: “insomma, non è un segreto, lo sanno tutti” aveva concluso in fretta, addentando il cuore spezzato sperando di esorcizzare il suo significato intrinseco.

Sherlock aveva represso una risata, poi era tornato serio: “E lo hai sempre saputo anche tu? Visto che noti tutte queste cose e a quanto pare sei molto attenta a chi mi guarda e chi no” aveva alzato le sopracciglia.

Lily sentiva che la tazza le stava per scivolare dalle mani; l’aveva rimessa sul tavolo con cautela per evitare di combinare disastri: “Saputo cosa?” aveva pigolato, guardandolo di sottecchi.

“Che sono un bell’uomo”  aveva appoggiato il viso su una mano, guardandola divertito.

Lily aveva riso sbuffando con fare ironico, per nascondere l’imbarazzo. Gli occhi le saettavano ovunque, tranne che su Sherlock: “Beh te l’ho detto, è un dato di fatto. So riconoscere la bellezza, se la vedo” dentro la sua testa stava urlando. Tutte le parole che le uscivano dalla bocca erano sbagliate; sbagliate e stupide.

Lui aveva fatto una faccia soddisfatta, tornando alla sua tazza di cioccolata. “Beh, grazie allora”.

“Ehm..prego?” non era ben sicura dove fosse andata a parare quella conversazione, ma per fortuna era finita. L’ego di Sherlock era stato soddisfatto, quindi poteva tirare un sospiro di sollievo.

Il cellulare del detective aveva cominciato a suonare. L’aveva tirato fuori dalla tasca: “John” era tornato serio e parlava piano “ah accidenti, ho scordato di chiamare per dirtelo. Sì, sono uomini di Mycroft, devono prendere Andrew. Lo terranno in custodia per stanotte e domani lo riporteranno a Baker Street. Lily preferisce dormirci sopra prima di affrontarlo....sì certo, me lo ha chiesto lei. Sta bevendo qualcosa di caldo, tra poco torniamo a casa” l’aveva guardata “beh sì, penso di sì. Aspetta, te la passo” gli aveva allungato il telefono “messaggio per te” la faccia non era delle più incoraggianti. Lily aveva sentito lo stomaco contorcersi. Aveva preso il telefono lentamente e sussurrato: “Pronto?”

“Lily” era John, con la voce più cupa che avesse mai sentito uscire da lui.

“John, ciao” aveva risposto lei, timorosa “com - ”
    
“Stai bene?” sentiva la tensione e sapeva che era arrabbiato a morte con lei per essere sparita nel nulla per ore, ma sperava capisse.

“Io sì, sto bene. Un po’ infreddolita ma tutto bene” aveva chiuso gli occhi. Quel tipo di rabbia calma era anche peggio. La faceva sentire ancora più male e la spaventava da morire.

Silenzio.

“Bene. A dopo” e aveva riattaccato.

Lily aveva guardato il telefono, restituendolo a Sherlock: “cavolo, mi odia”

Lui aveva scosso la testa: “Ma no che non ti odia. È molto arrabbiato, quello sì. Ma addirittura odiare mi sembra eccessivo. È arrivato a Baker Street, convinto di prendere un the e ha trovato me che urlavo contro Andrew e gli sventolavo le foto sotto il naso. Le ha guardate e prima gli ha dato un pugno, poi mi ha chiesto dov’eri. Gli ho raccontato che eri in giro per Londra a calmarti ed è uscito fuori di senno. Diceva che era pericoloso e ha cominciato a subissare di domande quel povero babbeo, senza riuscire a cavare un ragno dal buco, visto che ormai era terrorizzato” aveva riso “non sono riuscito a spiegargli nulla tra l’altro, ormai la frittata era fatta. Scoprirà tutto domani insieme a te. È arrabbiato, ma perché si è spaventato”.

Lily aveva chiuso gli occhi, mortificata: “Che pasticcio”.

“Se scappi per Londra e non rispondi al telefono, questo è ciò che ottieni” aveva alzato le spalle, finendo la cioccolata.

Lily avrebbe voluto rispondere a tono, ma sapeva che aveva ragione.

//

Avevano camminato il più lentamente possibile. Faceva parecchio freddo, era metà Febbraio, ma l’aria di primavera già si poteva sentire. Sicuramente sarebbe esplosa tutta insieme, come faceva di solito. Lily non vedeva l’ora.
Arrivati davanti Baker Street, aveva sospirato, rilasciando nell’aria una nuvola di condensa. Si era fermata davanti al portoncino, i numeri dorati brillavano immobili nell’aria fredda della sera. Sherlock si era girato verso di lei: “Tutto ok? vuoi rimanere un altro po’ fuori?”

Lily aveva scosso la testa: “Non ha senso, entriamo e basta. Andrew dovrebbe essere già fuori, no?”

“Sì, sicuramente Mycroft ha tenuto fede alla parola data. Andiamo allora, John sarà dentro ad aspettarci”

È proprio questo il problema aveva pensato Lily, salendo le scale che la portavano a casa.

Una volta entrati, l’avevano trovato seduto sulla poltrona di Sherlock, un bicchiere in mano che faceva oscillare lentamente, pieno di un liquido ambrato. Il fuoco acceso faceva scintillare il suo contenuto, dandogli riflessi rossastri. La fronte era aggrottata, solcata da rughe di preoccupazione e tensione che erano sparite appena avevano messo piede in casa, lasciando spazio a una rabbia celata e fredda. Sherlock si era tolto il cappotto con un gesto fluido, attaccandolo alla porta: “John, buonasera. Eccola qui, sana e salva” aveva indicato Lily come facevano le vallette nei quiz televisivi “mi faccio un po’ di the, ne vuoi?”

John aveva alzato il bicchiere in silenzio.

“Va bene” aveva risposto Sherlock e si era diretto in cucina dove aveva cominciato a mettere su l’acqua: “Lily vuoi un po’ di the per caso?”

Lei aveva scosso la testa, senza parlare. Era già tanto se riusciva a respirare. John la guardava, muovendo le labbra e mordendosi l’interno della guancia, come se volesse evitare di parlare, di dire qualcosa. Gli occhi sembravano neri e la fissavano senza chiudersi un secondo.
L’aveva scrutata per un minuto buono, come per accertarsi che non fosse ferita o altro. Poi aveva abbassato gli occhi, e si era alzato lentamente. Aveva posato il bicchiere sul tavolino vicino alla poltrona e diretto verso la porta dov’era attaccata la sua giacca. Tutti movimenti netti che sembravano quasi studiati. Lily lo osservava di straforo, per poi spalancare gli occhi quando si era accorta che si se ne stava andando. Senza dire una parola aveva preso la porta. Lily era stata sopraffatta da un’ondata di panico che le aveva mozzato il respiro. John la ignorava e questa cosa per lei era insostenibile. Lui era la sua àncora, il suo rifugio, non poteva lasciarlo andare così.

Aveva fatto due passi incerti verso di lui e mormorato: “John, ascolta..”

Lui si era fermato, stringendo i pugni mentre le dava le spalle; poi si era girato all’improvviso e puntandole un dito contro aveva sibilato: “No. No ascolta tu, Lily. Sparire così di punto in bianco è stato il gesto più irresponsabile e vigliacco che tu potessi fare. Siamo stati ore a cercarti, a chiamare chiunque per avere anche solo uno straccio di indizio, per sapere dove potessi essere perché tu non ti degnavi di rispondere al maledetto telefono. Ti ricordo, nel caso avessi perso la memoria tutto a un tratto, che meno di due mesi fa sei sparita nel nulla per mano di quel balordo di Kaleb, e ci hai quasi rimesso la pelle. Ma nonostante tutto oggi hai pensato bene di andartene in giro per Londra e rifugiarti in un parco semideserto e buio, subito dopo aver scoperto che qualcuno ti ha scattato delle foto di nascosto. Fregandotene del fatto che avresti potuto essere seguita, o che qualcuno stesse aspettando il momento giusto per prenderti e gettarti nel Tamigi tagliata in un milione di pezzi. No, Lily, adesso ascolti tu. Per quanto tu possa essere scettica al riguardo, ci sono persone che tengono a te e si preoccupano per te. La prossima volta che scappi, cerca di ricordartelo”.

L’aveva guardata con gli occhi sbarrati, riprendendo fiato. Lily era annichilita, non riusciva a muoversi e sentiva un nodo alla gola che le impediva di respirare. John aveva tirato indietro le spalle e si era girato per andarsene, quando lei aveva urlato quasi senza pensare:

“È VERO! HAI RAGIONE, E MI DISPIACE!” John si era fermato nuovamente, stavolta rimanendo di spalle “ma io..ho avuto paura e sono così stufa di tutte queste sorprese, di questi misteri. Sono stanca e non ce la faccio più. Mi dispiace John, davvero. Perdonami”.

L’ultima parola le era morta in gola. Non sapeva più che dire, era sempre lo stesso pensiero, lo stesso concetto.

Lui si era girato leggermente: “È ora di smettere di scappare, Lily. Così non risolverai mai niente”
Lily sapeva che ormai John non si riferiva più all’episodio di cui stavano parlando poco fa. Parlava di tutto ciò che c’era stato prima. Le stava dicendo di reagire e smettere di avere paura di tutto. Di aprire il suo cuore, di dire finalmente la verità su come si sentiva. Di essere libera.

Ma lei ancora non si sentiva pronta per affrontare le conseguenze. Aveva abbassato la testa, l’ennesima sconfitta. John aveva preso la porta e se n’era andato. E con lui, anche l’unico punto fermo nella vita di Lily.

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Era rimasta in piedi davanti al camino per qualche minuto, fissando la porta chiusa. Come se si aspettasse che John tornasse indietro, ma sapeva che non l’avrebbe fatto. Poi si era mossa lentamente ed era sprofondata nella poltrona, il viso tra le mani. Sentiva la presenza di Sherlock alle sue spalle, silenziosa ma allo stesso tempo chiassosa come un’orchestra da parata.

“Dagli un po’ di tempo. Passerà, deve solo calmarsi. Penso che anche l’alcol abbia contribuito” aveva mormorato, alzando davanti al viso la bottiglia di liquore che era vicino la poltrona.

“Ho fatto un casino” aveva risposto Lily, la voce attutita dalle sue stesse mani “mi odia e pensa che io sia stupida”.

“Non è vero” aveva continuato Sherlock “Lily, tieni conto che è un ex soldato e non è mai scappato di fronte al pericolo o alle difficoltà. Per lui è difficile capire alcune situazioni, in più ha scaricato tutta la tensione accumulata nel pomeriggio. Era veramente fuori di sé dalla preoccupazione. L’ho visto così poche volte, te lo assicuro”.

Lily aveva scosso la testa, disperata: “Non posso perderlo, Sherlock. È troppo importante per me”.

C’era stato un silenzio strano e carico di sottintesi, prima che Sherlock cominciasse a parlare.

“Lily..sei innamorata di John?” aveva azzardato, con tono interrogativo.

Lily aveva tirato su la testa talmente di scatto che le aveva fatto male il collo. Poi si era girata lentamente verso di lui e con occhi sgranati aveva chiesto con tono incredulo: “Sherlock, sei impazzito?” sentiva le guance andare in fiamme dall’imbarazzo “Ma…cosa…che ti è preso? La cioccolata al bourbon ti ha dato alla testa??”

Lui aveva allacciato le mani dietro alla schiena, leggermente imbarazzato: “Stavo solo chiedendo; sei arrossita” aveva aggiunto poco dopo.

“Forse perché mi hai messo in imbarazzo, razza di genio!” aveva allargato le braccia.

“Oh beh” aveva continuato Sherlock alzando leggermente le spalle “sembravi così distrutta da questo litigio e insomma…mi sembrava una sorta di atteggiamento romantico, ecco” aveva riflettuto per pochi secondi “quando litighi con me, non reagisci così”

Lily gli aveva lanciato un’occhiata che diceva “e tu ne sapresti qualcosa di romanticismo? Ti prego”. Poi aveva aggiunto: “Non reagisco così quando litigo con te perché è quasi sempre colpa tua e perché mi mandi al manicomio”.

Sherlock aveva prima assunto un’aria ironica, ma vedendo lo sguardo di Lily aveva alzato le mani in gesto di resa: “Ok, allora. Le mie scuse”. Poi aveva incrociato le braccia e alzato il mento, un misto tra l’offeso e l’imbarazzato.

In quel momento qualcosa si era mosso nello stomaco di Lily, nel profondo del suo essere; ed era salito fino alle sue labbra. E con sorpresa di Sherlock, era un sorriso. Che era sfociato in una risata contagiosa e di cuore, da lacrime agli occhi. Lily non riusciva a smettere, era troppo divertente. L’espressione di Sherlock, il suo balbettare insicuro e il tono cauto che aveva usato; il tutto, combinato, era di un’ilarità unica. Rideva, rideva cercando di scusarsi. Sherlock inizialmente la guardava perplesso, poi si era leggermente irritato: “Non capisco cosa ci sia da ridere, ho solo fatto una domanda. Tra l’altro pertinente, visto il tuo stato d’animo” aveva aggrottato le sopracciglia.

Lily aveva preso fiato, le mani sulle ginocchia: “Sì Sherlock, scusa. Era solo un po’ buffo, tutto qui. Mi dispiace. Comunque no, non sono innamorata di John Watson”.

“Ok, va bene. Cercavo solo di capire” aveva risposto in un sibilo.

“Ma come! Tu sai tutto!” aveva risposto Lily, sorpresa.

“Beh, quando si tratta di sentimenti..non sono così…ferrato” aveva incrociato le braccia, offeso.

“Ah, giusto” Lily aveva alzato gli occhi al cielo “beh detective, penso che andrò a dormire, domani sarà una giornata intensa” le era passata accanto e si era fermata, guardandolo. Poi aveva appoggiato una guancia sul suo braccio e detto piano: “Grazie per la cioccolata e il sostegno. E grazie anche per la risata, ci voleva proprio”.

Sherlock l’aveva guardata: “Di nulla” aveva risposto, le braccia ancora incrociate.

“Buonanotte” gli aveva sorriso leggermente e si era diretta verso le scale, sentendo lo sguardo di Sherlock su di lei. Non era la prima volta che la faceva ridere così di gusto. E di questo, gliene era infinitamente grata.

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Appena Lily era scomparsa dietro la parete per andare in camera sua, Sherlock aveva sospirato. Che giornata, accidenti. Va bene l’azione, ma così era un po’ troppo.
Si chiedeva come avrebbe reagito Lily alla chiacchierata con Andrew. Non riusciva a trarre una conclusione, e questo lo irritava parecchio. Aveva guardato il fuoco, socchiudendo gli occhi. Si era diretto verso il tavolo pieno di carte e si era seduto. Sfiorava i fogli pieni di appunti, dentro la sua agenda nera.
Ripensava al ringraziamento di Lily; alla sfuriata di John e al fatto che quella ragazza minuta aveva portato uno scompiglio non indifferente nelle loro vite. Così piccola e con un’energia fuori dal normale.
Aveva sospirato, guardando la superficie del tavolo.
Chissà cosa sarebbe successo.

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La mattina dopo il cielo era plumbeo e l’aria umida e pesante; proprio come si sentiva Lily, che guardava il cielo attraverso le tende della finestra, cercando di trovare la forza per alzarsi e affrontare Andrew. Non sapeva neanche chi sarebbe stato presente. Una stretta allo stomaco l’aveva fatta trasalire, pensando a John e al suo discorso della sera prima. Probabilmente sarebbe venuto per sapere quale terribile segreto dovesse svelare; ma non le sarebbe stato vicino, Lily non avrebbe potuto contare sul suo appoggio e questa cosa le faceva andare ancora di più nel pallone e le faceva avere ancora più paura. Avrebbe dovuto affrontare tutto da sola, senza sapere minimamente cosa aspettarsi. Aveva stretto gli occhi, nel panico.
Ma no.
Non si sarebbe tirata indietro, anche se fosse stata da sola contro il resto del mondo. C’era qualcosa che la riguardava e che lei doveva sapere. Si trattava di lei, di lei e basta. Oggi si sarebbe dovuta sorreggere da sola, avere le spalle abbastanza larghe da sostenere il peso di qualsiasi rivelazione, di qualsiasi verità. Dentro di sé tremava, ma non c’erano opzioni, non c’erano scelte. Non c’erano alternative; continuare a nascondersi e scappare avrebbe solo peggiorato la situazione.
Un vago sentore di nausea, nonostante il discorsetto di incoraggiamento, la perseguitava.

Aveva afferrato i jeans, un maglione a collo alto color ghiaccio ed era scesa per andare in bagno; appena arrivata al piano di sotto aveva trovato Sherlock in cucina; si era girato di scatto e aveva esclamato: “Buongiorno! Ti ho preparato la..ehm..colazione” aveva indicato impacciato verso il tavolo dove troneggiava una bricco di caffè fumante e una montagna di muffin e scones sopra un piatto.
Lily l’aveva guardato alzando un sopracciglio, poi aveva guardato i dolci che sarebbero bastati per un esercito. Anche se le costava parecchio rifiutare un gesto gentile di Sherlock, aveva risposto: “hmmm…grazie, ma passo. Sai, il nervosismo”. Non aveva fame, non riusciva neanche a pensare al cibo.

Sherlock l’aveva guardata smarrito: “Ma tu devi mangiare”

Lily aveva sgranato gli occhi, guardandosi intorno: “Non necessariamente, Sherlock”.

“Ti farà bene, non puoi stare senza cibo nello stomaco” aveva allungato un braccio verso il tavolo, in un gesto di offerta.

Lily aveva sospirato, sofferente: “Senti, davvero ti ringrazio ma proprio no. Non ho fame”

Lui l’aveva guardata per cinque secondi, aveva scosso la testa, si era lanciato contro di lei e l’aveva afferrata per le spalle, trascinandola in cucina: “No, devi fare colazione. Devi mangiare, sennò i succhi gastrici attaccheranno le pareti del tuo stomaco facendolo bruciare e procurandoti un’ulcera” l’aveva fatta sedere di prepotenza “qui c’è il caffè e lì i dolci, mangia”

“Ehi!” aveva protestato Lily con ancora i vestiti in mano “ma che prepotente che sei! Ma se ti ho detto…”

Sherlock aveva chiuso gli occhi, inspirando per calmarsi: “Lily, sono dolci molto buoni. Per favore, mangiali. Mi sono alzato molto presto stamattina per andarli a prendere; li ho presi per te, quindi per favore, mangia” aveva indicato di nuovo il piatto, una leggera sfumatura di rosa gli colorava le guance. Era imbarazzato e fuori posto. Quando mai Sherlock Holmes avrebbe fatto una cosa del genere.

Lily aveva sorriso, arresa: “Va bene, d’accordo. Grazie” aveva aggiunto “tu non mangi?”

Sherlock aveva sbuffato, ironico: “Io non mangio mai”

“Ma perché hai preso così tanta roba, allora” Lily aveva intaccato uno scone ai mirtilli. Era buono sul serio. E le era anche venuto appetito.

“Beh…” si era fermato, lasciando la frase in sospeso.

Ah giusto, John. I muffin al cioccolato erano i suoi preferiti. Aveva preso un sorso di caffè, girandosi verso Sherlock: “Sono molto buoni” aveva alzato la mano che teneva il dolce, sorridendo affettuosa.

Lui aveva annuito, soddisfatto.

Finita la colazione, Lily si era lavata, vestita e si era seduta sulla poltrona davanti a Sherlock. Lui leggeva un libro, il ritratto della tranquillità. Lily avrebbe voluto spaccare tutto invece. Non sapeva neanche a che ora sarebbe arrivato Andrew; sperava arrivasse prima John veramente, voleva avere sia lui che Sherlock vicino. Ne aveva bisogno, la facevano sentire al sicuro.

Verso le dieci del mattino, qualcuno aveva suonato alla porta; Sherlock aveva alzato gli occhi dal libro, fissandoli sulla porta. Lily aveva sobbalzato letteralmente, guardando nella stessa direzione di Sherlock e subito dopo girandosi verso di lui.

“È John” era stata la risposta di Sherlock allo sguardo terrorizzato di Lily.

Lei aveva tirato un sospiro di sollievo: “Ah…ok”. Era rimasta seduta sul divano, e Sherlock non accennava a muoversi. Mrs Hudson non c’era.

Altra scampanellata. Lily si era girata di nuovo verso Sherlock con aria interrogativa.

“Non mi va di andare ad aprire. Potresti…?” aveva gesticolato con la mano verso la porta, con fare stanco.

Lily lo aveva guardato, alzando gli occhi al cielo: “Sherlock, ti prego”.

“È che proprio non posso, capisci?” scuoteva leggermente la testa.

Voleva che lei andasse ad aprire per affrontare John. Ma Lily era talmente agitata che non poteva in quel momento. Il poco coraggio che aveva doveva incanalarlo per l’incontro con Andrew, non poteva fare entrambe le cose. Ma Sherlock era Sherlock e non si sarebbe alzato nemmeno se fosse crollato il palazzo.

Aveva sospirato ed era scesa per le scale, mentre il campanello suonava rabbioso per la terza volta stridendo sui già fragili nervi di Lily. Aveva sentito una vampata di rabbia salirle alla testa, mentre apriva con uno strattone il portoncino.

John era lì, stretto nella sua giacca nera, gli occhi scuri e il viso stanco, di chi non aveva dormito quasi per niente. Non si aspettava la sua presenza alla porta, e aveva impercettibilmente alzato le sopracciglia sorpreso, per poi riprendere subito il suo contegno e borbottando un “buongiorno” frettoloso, passando accanto a Lily ed evitando per un pelo di darle una spallata. Lei aveva accennato uno sguardo, girandosi appena per vedere che stava salendo le scale senza neanche aspettarla. Così aveva chiuso il portoncino ed era tornata all’appartamento. Anche Mary le aveva telefonato quella mattina, chiedendo spiegazioni e rimproverandola leggermente per il suo comportamento. Non una parola su John.

Il silenzio era pesante. Sherlock osservava John, che guardava dalla finestra. Lily fissava il vuoto, non sapendo che dire. Poi aveva cominciato con voce sottile: “John, vorresti un the, qualcosa da bere? Sherlock ha comprato dei dolci stamattina, ci sono anche i muffin al cioccolato..i tuoi preferiti” aveva esalato, guardando per terra per sfuggire allo sguardo di John fisso su di lei, quasi sorpreso fosse stata così intraprendente da rivolgergli la parola.

“No, grazie. Magari dopo” aveva allacciato le mani dietro la schiena, tornando alla finestra.

Lily era tornata alla poltrona, sollevando le gambe e circondandole con le braccia. Voleva diventare minuscola, un granello di polvere, e volare fuori dalla finestra per andare via e scappare da questo silenzio arrabbiato. Lo stomaco le si era annodato ancora di più. Fissava la figura di John che le dava le spalle, la sua silhouette che si stagliava contro la luce bianca della finestra. Il solito portamento militaresco, fermo e immobile a guardare chissà cosa.

E poi c’era Sherlock, seduto in poltrona con le lunghe gambe accavallate, i piedi nelle solite scarpe eleganti; era vestito di tutto punto, nonostante stesse dentro casa. Lily aveva cominciato a seguire la linea della sua caviglia, risalendo per la gamba, il polpaccio sottile e le cosce snelle fino al cavallo dei suoi pantaloni dove il tessuto si perdeva in mille pieghe. Guardava la fibbia della sua cinta, i fianchi stretti fasciati dalla camicia scura. Non si era accorta della sua bocca che si era leggermente aperta e della lingua che si muoveva lenta tra i suoi denti, concentrata su ogni centimetro del corpo di Sherlock. Lo osservava, frammento dopo frammento, arto dopo arto e riusciva quasi a sentire dove il calore si concentrasse di più, su quale parte del suo corpo fosse più calda.  Aveva continuato a far vagare gli occhi sul petto e sui bottoni della camicia sempre un po’ tirati, come se volessero aprirsi, un accenno di clavicola che spuntava dalla stoffa, il suo collo lungo così…invitante, la pelle bianca interrotta da vene azzurrognole. Fino ad arrivare al suo viso. E là si era fermata, avvampando, una stretta allo stomaco di piacere e paura. Sherlock la stava guardando, gli occhi fissi nei suoi. Chiari, attenti, ma allo stesso tempo pieni di domande. Il viso era poggiato sul suo pugno, il libro abbandonato sul bracciolo della poltrona. E Lily non riusciva a smettere di guardarlo, di conficcare gli occhi nei suoi. Si stava vergognando per essere stata colta a fissarlo in quel modo; chissà da quanto la osservava, chissà da quale parte del corpo aveva cominciato. Si guardavano e volevano parlarsi, o almeno a Lily sembrava che lui volesse dirle o chiederle qualcosa; perché non aveva mai visto gli occhi di Sherlock così, non sembravano neanche i suoi. Nella sua testa urlava di distogliere lo sguardo, di rivolgerlo altrove ma c’era come qualcosa che la teneva ancorata a quegli occhi che oggi erano grigi come il cielo, plumbei come la pioggia che cadeva. Erano trasparenti, ma non riusciva a capirli.
Quello che aveva capito lei invece era che lo desiderava, con tutte le sue forze. Osservare così il suo corpo era vergognoso, era maleducato, era strano. Ma era desiderio, qualcosa che non sentiva da parecchio. Il voler essere abbracciata, spogliata, toccata. Voluta.  

Un altro piccolo traguardo, alla fine. E Sherlock, anche se indirettamente, ne era il fautore. Lily aveva chiuso gli occhi per due secondi e l’atmosfera si era spezzata. Sherlock si era mosso, lo sguardo era cambiato e non era più nel suo. La bolla era scoppiata, e non sapeva neanche cosa avesse interrotto.

Sherlock si era schiarito la gola, alzandosi dalla poltrona: “Stanno arrivando” la voce era più profonda e impostata.

John si era girato verso di lui: “Bene. Lily, siediti sulla poltrona di Sherlock, Andrew si metterà su quella di fronte”. Erano ordini impartiti con fare secco e nonostante a Lily non piacesse essere comandata a bacchetta, si era alzata e messa dove John aveva detto. Il cuore le martellava nel petto, ma voleva calmarsi. Respirava profondamente per calmare il battito impazzito. Avrebbe affrontato tutto, doveva farlo.

Il campanello aveva suonato e John era sceso ad aprire. Sherlock si era girato verso Lily; si era avvicinato appoggiando le mani su entrambi i braccioli della poltrona. Il suo viso era a pochi centimetri da quello di Lily, che aveva trattenuto il respiro dalla sorpresa.

“Lily” scrutava i suoi occhi come poco prima “quello che ti verrà detto non so che effetto avrà su di te. Quello che ti dico è di ascoltare, fino in fondo. Potrà sembrare difficile, ma è la cosa migliore da fare”.

“Ci proverò” aveva annuito in fretta, sentendo i passi per le scale.

“Bene” si era rimesso in piedi aggiustandosi la camicia, posizionandosi dietro la poltrona.

Due omoni vestiti di nero erano entrati nell’appartamento, Andrew in mezzo a loro. Aveva l’aria stropicciata, stanca e anche parecchio impaurita. Non doveva aver passato un bel momento. Ma non sembrava ferito, quindi poteva ritenersi fortunato vista la reputazione che si portavano dietro i gorilla di Mycroft. Anche se alla fine non aveva fatto nulla che meritasse un pestaggio. O forse sì? Il livido sulla sua guancia confermava il pugno di John.

“Ciao Lily” si era seduto sulla poltrona, guardandola con aria colpevole “ stai bene?”

“Non so. Dovrei?” era stata la risposta glaciale di lei. Aveva sentito John mettersi sempre dietro la poltrona, vicino a Sherlock. Le sue guardie del corpo, i suoi cavalieri.

“Ti voglio chiedere scusa…io non volevo farti del male, sul serio. Ed è stato veramente piacevole frequentarti, nonostante…”

“Penso che non siano cose da dire in questo momento” era intervenuto secco Sherlock, con fare rabbioso “i discorsi strappalacrime lasciali a dopo. Dì a Lily quello che deve sapere” il tono era minaccioso e non ammetteva repliche.

Andrew aveva guardato Sherlock e poi John, visibilmente impaurito: “Va bene, d’accordo”.

Lily aveva preso un respiro profondo e tirato indietro le spalle.

“Io…sono stato incaricato da una persona di trovarti. Viva o morta”.

Lo stomaco di Lily si era girato. Non capiva, chi poteva cercarla?: “E questa persona chi sarebbe?”

Andrew si era leccato le labbra e poi aveva detto, con voce bassa: “Elizabeth Marie Scott Wright”.

In quel preciso momento, tutto il sangue di Lily si era gelato. Era sicura che nel suo corpo non ce ne fosse più nemmeno una goccia. Le orecchie le ronzavano e la bocca le si era addormentata. Era come insensibile e il mondo cominciava a girare, mentre la stanza diventava sempre più stretta.

Erano anni ormai, anni che non sentiva più quel nome.

Sentiva la voce di John, ovattata, che chiedeva a Andrew: “e chi è questa persona, cosa vuole da lei?”

Tutto a un tratto, i sensi di Lily erano tornati, chiari e nitidi. Aveva sentito la sua stessa voce dare la risposta.

“Elizabeth Wright è mia madre”.

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L’aria nella stanza era diventata immobile, non si sentiva volare una mosca. Solo un mormorio, la voce di John incredula: “Santo cielo..”

Lily si era chinata in avanti, i gomiti sulle gambe, il viso tra le mani. Sua madre. La cercava. Ma cosa voleva? Aveva alzato il viso verso Andrew, cercando di articolare un pensiero logico.

“Cosa vuole da me? Dopo anni di silenzio? Non hai mai saputo dove fossi e a quanto pare non le è mai premuto saperlo. Cosa vuole da me?”

“Semplicemente ritrovarti, Lily. Sta invecchiando, e sei la sua unica figlia”.

Lily aveva sbuffato: “Ha incantato anche te, a quanto pare” intrecciato le mani davanti alla bocca, guardando altrove.

Andrew aveva assunto un’aria perplessa: “È tua madre, e mi ha chiesto di cercarti, per mari e monti. Vorrebbe rivederti, e parlare con te. Io l’ho vista e ci ho parlato Lily. Vorrebbe che andassi a Castle Combe, nella vecchia tenuta di famiglia”.

Una risata amara era uscita dalla bocca di Lily: “Sì certo, tornare in quel paese in mezzo al nulla. Non ci penso proprio, sono fuori da questa merda. Sono scappata proprio per quello. E per lei. Puoi riferirle che sto bene, ma non ho intenzione di andare a Castle Combe, né ora né mai”.  

Si era alzata, barcollando leggermente. Sua madre la cercava. Si era ricordata di avere una figlia, guarda un po’. La senilità al contrario.

“Lily, potresti darle una possibilità. È sola, in quella grande casa…” aveva cominciato Andrew

NON MI INTERESSA!!!” aveva urlato Lily “non mi interessa” aveva ripetuto tra sè e sè, più piano “io sono stata sola sempre e comunque, ed ero una bambina. E a lei questo non ha mai creato problemi. Quindi ripeto: ne sono fuori” si era diretta alla porta e l’aveva aperta “mi dispiace ti abbia fatto perdere tempo. Ora vattene Andrew, buon tutto e buona vita”

Andrew era rimasto seduto. Aveva guardato Sherlock che aveva annuito leggermente. Si era alzato, sospirando. Era arrivato accanto a lei e si era fermato: “Pensaci bene Lily. Dopo non si può più tornare indietro”.

Lei non l’aveva guardato, era rimasta immobile, gli occhi fissi sul pavimento.

“Ciao” Andrew le aveva messo una mano sulla spalla. Era calda e pesante “buona fortuna”.

Nell’appartamento era calato un silenzio di tomba. Sherlock e John erano fermi e immobili, dietro la poltrona. Nessuno parlava, nessuno respirava quasi. Lily era rimasta con la mano sulla maniglia della porta chiusa. Poi si era spostata al centro della stanza, non sapendo cosa fare. Nessuno osava prendere per primo la parola, nessuno osava fiatare. Cosa si diceva in una situazione del genere?

Tutto a un tratto, la voce di Sherlock era risuonata nella stanza: “Dovresti pensarci bene sul serio”.

John aveva chiuso gli occhi, aspettando la sfuriata.

“Non ho bisogno di pensare proprio a nulla, Sherlock” aveva risposto Lily calma “non ho bisogno di lei, adesso è troppo tardi” aveva fatto spallucce.

“Ora dici così perché sei sconvolta e arrabbiata” aveva continuato “pensaci un po’su”

“Parli proprio tu, che non vai alle feste di Natale dei tuoi per fargliela pagare di non esseri stati presenti durante la tua infanzia? Vieni a dire questo a me? Tu?” Lily aveva alzato la voce, puntando il dito verso Sherlock.

“Te lo dico proprio per questo. Non vorrei diventassi come me” aveva aggiunto calmo.

Un’ondata di senso di colpa aveva travolto Lily: “Mi dispiace, scusa” aveva sussurrato.

Altre spallucce: “Sono stato trattato peggio”. John, sempre muto, aveva spalancato gli occhi, annuendo.

“Non posso andare lì” aveva detto Lily, come se parlasse a sé stessa.

“Pensaci bene. Ora capisco che non ne hai la minima intenzione, ma magari con la mente fredda potresti ripensarci”

“Non credo, me ne sono andata di notte senza lasciare biglietti o informazioni. E nessuno mi è mai venuto a cercare”.

“Non puoi saperlo”

“Lo so eccome. Per mesi ho guardato giornali e telegiornali ma niente. Nulla. Se una persona ti cerca, come in questo caso, in qualche modo lo vieni a sapere. E io ero qui a Londra, non dall’altra parte del mondo”.

Silenzio. Una parte di ragione c’era. Anzi, più di una.

“E allora perché non ti ha mai cercato?” aveva chiesto John, cauto.

Lily aveva scrollato le spalle: “Io penso che non mi abbia mai voluto granché bene, mia madre. Mio padre è sparito nel nulla quando avevo….due? Tre anni? È scappato con una delle nostre cameriere e mia madre penso abbia attribuito a me la colpa di tutto ciò. È più facile scaricare le colpe su una bambina piccola, piuttosto che guardarsi dentro, no?”

Nessuno aveva parlato.

“Sono cresciuta con le tate e le cameriere. E nel mio piccolo mondo personale. Giuro che” la voce le si era incrinata al ricordo del suo mazzolino di fiori sbattuto contro la parete, ai biglietti di Natale buttati nel fuoco del camino “giuro che ci ho provato, con tutte le mie forze, a farmi voler bene da lei. Studiavo a casa con ottimi voti, studiavo violoncello e canto, prendevo lezioni di danza. Facevo tutto quello che potevo per renderla orgogliosa di me. Ma non è mai servito a nulla. Vedevo nel suo sguardo il risentimento e l’odio. Suo marito era andato via per colpa mia, perché io ero nata e lui non se la sentiva di affrontare la paternità. Avevo interrotto qualcosa, il loro idillio da sposini. Ma che colpa ne potevo avere io” aveva scosso la testa, amareggiata “ora lo so, ma una bambina di tre anni queste cose le sente e pensa che sia veramente colpa sua. Non c’è niente di peggio che sentirsi rifiutati senza un motivo apparente e sapere che comunque il difetto sei tu.” Si era asciugata le lacrime che le scendevano silenziose sul viso, guardando fuori dalla finestra “come mai adesso vuole vedermi? Perché proprio ora?”

“Ogni persona ha i propri tempi, Lily” aveva aggiunto Sherlock “ci si accorge dei propri sentimenti a volte troppo tardi. Ci si pente, e si cerca di rimediare. Non ti dirò cosa fare, sia ben chiaro. Ti sto solo dando un consiglio” voleva aggiungere da amico ma sembrava troppo “su una cosa Andrew ha ragione; dopo è troppo tardi”.

Lily aveva immaginato la morte di sua madre tante volte quando era adolescente e piena di odio e rabbia per l’amore che non aveva ricevuto, e quasi godeva a fantasticarne. Non le importava se era viva o meno.
Ma ora era diverso, non sapeva come sentirsi. C’era risentimento, questa era ovvio, ma non sapeva quanto e in che intensità. Poteva portarsi dentro un rimpianto così grande tutta la vita? Non avere l’occasione di sentire la versione di sua madre? Non lo sapeva, perlomeno non ora. Continuava a pensare anche al rapporto che aveva avuto con Kaleb. Perché doveva sempre essere la vittima? Perché doveva sempre essere lei quella maltrattata psicologicamente mentre voleva solo dare e ricevere amore? Era lei che sbagliava qualcosa? eppure non le sembrava. Forse il suo difetto era quello di fidarsi sempre e subito, di dare tutto senza aspettarsi nulla in cambio. Ma con una madre è diverso, una madre dovrebbe amare incondizionatamente. E invece no. Lily voleva sapere quale fosse il nome della cattiva stella sotto cui era nata.

Sherlock aveva rotto il silenzio pesante che era calato in casa: “Beh, è quasi ora di pranzo” aveva guardato l’orologio in cucina “volete mangiare? Prendo un take away, qualcosa? John? Lily?”

La tensione ormai era caduta e Lily stava morendo di fame. Doveva riempire il vuoto con qualcosa, forse il cibo avrebbe funzionato: “Ma sì, perché no? Fai tu, basta che sia molto grasso e unto, una cosa da sentirsi male”

“Come dottore lo sconsiglierei, ma una volta ogni tanto si può anche fare” aveva risposto John.

“Bene, torno tra poco” Sherlock si era infilato il cappotto in fretta “no, tu rimani a casa. Faccio prima se vado da solo” aveva fermato subito John che si era diretto anche lui verso la porta “e penso anche che dovreste parlare, voi due. Vedervi così muti e risentiti mi fa venire i nervi. A dopo” ed era volato via per le scale, senza fare rumore.

“Io non sono risentita!!!” aveva urlato Lily verso la porta. Poi aveva sospirato, e si era diretta in cucina per prendere un po’ di caffè. Era freddo, ma le serviva per tenersi impegnata, per non rimanere nella stessa stanza con un John offeso che nonostante stesse in silenzio, faceva baccano a prescindere. La sua rabbia faceva rumore.

Ne aveva preso un sorso e per poco non vomitava. La tazza era finita nel lavandino insieme al suo contenuto. Non c’era neanche niente da lavare, stranamente era tutto in ordine. Si era appoggiata al tavolo, non sapendo cosa fare.

Non si era accorta che John la osservava appoggiato allo stipite della porta, con aria divertita: “Non sei capace  a fingere, lo sai”.

Lily aveva alzato leggermente le spalle, in imbarazzo.

Era arrivato lì davanti, guardandola con le mani in tasca. Lei lo guardava di sottecchi, come un bambino che aspetta spaventato il rimprovero di un genitore.

Alla fine John aveva allargato le braccia, sospirando: “Vieni qua, coraggio. Prima che cambi idea”.

Lily non se l’era fatto ripetere due volte e si era buttata tra le sue braccia, stringendolo più forte che poteva. Lui aveva ricambiato, facendola sprofondare nel suo petto, le braccia a circondarle la testa: “Non farlo mai più, intesi? Mi state facendo venire tutti i capelli bianchi. Speriamo che Rose non sia una ribelle come te”.

Lily aveva riso, il viso nel maglione di John, il suo profumo che la rassicurava e la faceva sentire protetta. John non era altissimo, ma nonostante tutto le sue braccia e la sua presenza erano forti, piene di sicurezza.

“Secondo me saresti carino con i capelli bianchi ma visto che tu ci tieni, farò la brava”. Aveva sciolto leggermente l’abbraccio per guardarlo in faccia: “mi dispiace tanto, davvero”.

John l’aveva guardata, spostandole i capelli arruffati dal viso: “Lo so, me ne sono accorto dal tuo sguardo ieri sera. Ma ero troppo arrabbiato per darti retta. Dispiace anche a me, per aver reagito in quel modo” le aveva dato un buffetto affettuoso sulla guancia, riabbracciandola forte “sarai la mia rovina”.

Lily aveva risposto, la voce attutita dal petto di John: “Noooo, Rose sarà la tua rovina e io la aiuterò a farti impazzire”.

Lui aveva riso, facendo vibrare il petto e la guancia di Lily: “Oh beh, prevedo un futuro roseo allora”.

Avevano cominciato a chiacchierare, sempre vicini. John aveva voluto sapere dov’era andata e cosa aveva fatto il giorno prima e Lily gli aveva raccontato tutto. Anche dell’episodio della caffetteria e del cameriere che secondo lei voleva il numero di Sherlock.

“Sherlock ha grande potenziale su entrambi i sessi” aveva risposto lui “potrebbe ottenere quello che vuole con il suo aspetto e il suo charme. Ma a lui non importa”

Lily aveva sorriso: “Beh...che abbia charme è ovvio. Saranno gli zigomi o gli occhi, chi lo sa”

“Vuoi sapere cosa suscita così tanto interesse? È qualcosa che va oltre l’aspetto fisico”

“Sì! Sì dimmelo, sono molto curiosa” Lily aveva un tono cospiratorio “giuro che non lo dirò a nessuno”

John aveva incrociato le braccia e le gambe, appoggiato al lavandino: “Il segreto è il suo vero menefreghismo su tutto, il fatto che non gli importi di avere un rapporto con qualcuno. È il classico bello e tenebroso, troppo attraente per essere vero e perciò irresistibile e, soprattutto, irraggiungibile. Alla gente piace questo tipo di persona” l’aveva guardata con il più eloquente degli sguardi, facendola arrossire: “Tu cosa ne pensi? È intrigante?”

Lily aveva fatto spallucce: “Beh…gli ho detto che effettivamente attrae molti sguardi su di lui, ma si è comportato come se non se ne accorgesse. Non so se lui sia consapevole del fascino che emana. Non riesco a capire se lo fa apposta” aveva borbottato lei, in imbarazzo, e sentendosi presa come esempio.

John aveva annuito, dandole ragione: “A giudicare da come si comporta quando vuole interrogare qualcuno di sesso femminile, secondo me lo sa. Ma sa nasconderlo molto bene. Quello su cui ha più lacune è l’amore romantico, forse. Non so proprio se sia mai stato innamorato di qualcuno”.

Lily aveva sorriso, sognante: “Se solo sapesse com’è bello...” non voleva dirlo, davvero. Era un pensiero espresso ad alta voce. Si era irrigidita e aveva guardato John, che la guardava a sua volta, un leggero ghigno sul viso “essere innamorati, intendevo” il sorriso sornione di John si era allargato ancora di più “ehm…apparecchiamo, che dici?” aveva cominciato a tirare fuori piatti e bicchieri, in visibile imbarazzo.

“Bello e tenebroso, quindi?” la voce di Sherlock aveva fatto sobbalzare entrambi “irresistibile e irraggiungibile..mi piace, dovrei scriverlo sul mio biglietto da visita: Sherlock Holmes, consulente investigativo irresistibile e irraggiungibile…o sarebbe meglio con bello e tenebroso?” era sulla porta della cucina, con due sacchetti nella mano destra, la sinistra sotto il mento con fare pensoso “dovrei provare, potrei incrementare il giro d’affari” aveva guardato John e Lily, imbarazzati all’ennesima potenza “su, coraggio! non c’è mica da vergognarsi, no? Sono lieto che mi immaginiate così” aveva strizzato l’occhio e messo i sacchetti sul tavolo “ecco il rancio, mangiamo”.

“Comunque non è educazione spiare le conversazioni altrui” aveva borbottato John.

“Oh ma questa è anche casa mia ed è capitato che sono arrivato mentre parlavate. Sembrava  divertente, così ho origliato. E sono anche contento che voi due abbiate fatto pace”.

Lily era atterrita e con voce flebile aveva domandato: “Quindi hai sentito tutto?”

Sherlock le aveva scoccato un ghigno soddisfatto: “Tutto tutto” altro occhiolino al cardiopalma.
Bene, molto bene. Uno schifo al quadrato. Ma insomma, alla fine Sherlock sapeva che lei lo riteneva un bell’uomo e lei si era corretta su quanto fosse bello essere innamorati. Il suo progetto di non essere più infatuata di Sherlock stava fallendo miseramente; ma non voleva dire che tutta Londra dovesse essere al corrente dei suoi sentimenti. Metterla in imbarazzo era il gioco preferito di Sherlock, e lei era la preda perfetta. Perché era rimbambita, goffa e non riusciva a non pensare ad alta voce. Pessimo difetto, veramente pessimo.

John e Sherlock parlavano tra di loro mentre lei rimuginava su tutto ciò. Il cibo era ottimo e mangiava in silenzio, senza fiatare.

“Lily, tutto ok?” aveva chiesto John.

Lei aveva alzato la testa dal piatto, sorpresa: “Sì sì, tutto ok. Mangio”.

L’espressione di John era un misto tra il divertito e il comprensivo. Lily lo aveva guardato con aria sconfitta.

Sherlock esaminava la scena. Povera Lily, sempre così goffa e imbarazzata. La osservava, senza che lei se ne accorgesse. Ultimamente lo aveva fatto spesso, per capire com’era quando non si aspettava di essere vista. L’aveva studiata mentre lavava i piatti e cantava sottovoce; mentre scriveva o ritagliava qualcosa e metteva la lingua all’angolo della bocca. Quando mangiava qualcosa di nuovo e le piaceva, sollevava leggermente le sopracciglia, sorridendo; leggeva e si attorcigliava una ciocca di capelli intorno al dito. Erano particolari che non erano sfuggiti agli occhi esperti di Sherlock, ed erano divertenti e in un certo senso teneri. Non era come le donne che aveva frequentato lui, sempre impostate e attente a quello che facevano, per non sembrare sciocche. A Lily non importava apparire, anche perché non ci riusciva, semplicemente. Ogni cosa di lei era pura, ogni suo movimento, sguardo e atteggiamento erano solo suoi e scaturivano dal suo essere. Anche il suo modo di sedersi era impacciato, sempre accosciata o con un piede sotto il corpo. L’aveva vista poche volte accavallare le gambe, il resto delle volte si teneva le ginocchia con le braccia o semplicemente teneva le gambe incrociate all’altezza delle caviglie. La cosa buffa è che riusciva ad avere questi atteggiamenti semplici e risultare comunque femminile, a modo suo.

Si era ritrovato a sorridere leggermente, mentre Lily e John lo fissavano, perplessi. Sherlock Holmes che sorrideva era un evento raro e poco documentato. Il suo cipiglio era parte di lui e il farlo sorridere era impresa molto ardua. Per questo lo guardavano preoccupati e curiosi allo stesso tempo.

“Sherlock, per caso hai vinto la lotteria?” aveva chiesto John pulendosi la bocca con il tovagliolo “vuoi portarci tutti alle Maldive?”

Il sorriso era sparito dal viso di Sherlock: “Stavo pensando a una cosa divertente, niente di che. Sorridere non è mica un reato”.

“No, assolutamente. Ma tu lo fai raramente, devi ammettere almeno questo”.

Aveva scrollato le spalle, irritato: “Finite di mangiare e non fatemi il quarto grado. Sono affari miei”.

John aveva alzato le braccia in segno di resa, mentre Lily era arrossita e aveva ripreso a mangiare in silenzio. Poi aveva pigolato uno “scusa” sommesso, cosa che aveva infastidito ancora di più Sherlock, che aveva sbuffato sonoramente: “che chiedi scusa a fare, non hai fatto nulla di male!”

La fronte di Lily si era corrugata leggermente: “Beh, mi dispiaceva averti messo in imbarazzo solo guardandoti. Sei umano solo perché a volte mangi e dormi; se mi dovessi basare sui tuoi atteggiamenti avrei i miei dubbi”.

Ci risiamo, era stato il commento di John.

Non ero imbarazzato” aveva sibilato Sherlock “mi sono sentito osservato, tutto qui”

“Da che pulpito! Tu sei quello che non stacca mai gli occhi dalla gente e dalle cose!” Lily aveva posato la forchetta sul piatto “questo tuo modo di reagire è veramente infantile”.

Sherlock aveva aperto la bocca incredulo: “Beh grazie tante”.

“Prego, non c’è di che” aveva risposto Lily, fredda.

“Potremmo stare ore a parlare dei tuoi atteggiamenti infantili” aveva replicato lui a mezza bocca, ma facendo bene attenzione a farsi sentire.

“Per favore…” aveva mormorato John, senza successo.

Lily aveva sbattuto la mano sul tavolo, facendo tremare le stoviglie: “Certo, rigiriamo la colpa a me per non vedere i tuoi, di difetti” aveva incrociato le braccia “prego, comincia ad elencare, sono tutta orecchie”

Sherlock si era allungato sul tavolo “Non riesci a prendere una decisione senza prima pensarci mille volte, scappi da tutto e cerchi di nascondere l’evidenza dei tuoi sentimenti su ogni cosa. Hai paura dei tuoi impulsi, della tua vita e del tuo futuro. Hai paura di te stessa”.

Ogni parola aveva colpito Lily come un pugno: “Razza di arrogante bastardo” aveva soffiato rabbiosa “sei un cinico maledetto, che non riesce a capire che la gente ha dei sentimenti che possono interferire con l’analisi perfetta del tuo cervello da robot. Perché tu non senti niente e non ti accorgi di niente. Neanche quando ferisci a morte una persona, più e più volte. Sono stufa di sorbirmi le tue lezioncine da stronzo. Forse penserai che dire le cose in faccia sia una buona cosa ma ti svelo un segreto: a volte la bocca deve restare chiusa per evitare che esca merda” si era alzata facendo stridere la sedia: “con permesso. Scusa John” ed era salita in camera sua, sbattendo la porta.

John e Sherlock erano rimasti in silenzio.

“Mamma mia, siete come marito e moglie” aveva esordito John finendo di mangiare “quasi non sopporto più queste vostre liti domestiche”

“Figurarsi, ho detto la verità, nulla di più” Sherlock aveva replicato irritato.

“È vero, ha paura di molte cose ed è molto insicura. Ma penso che quello che ha passato possa aver influito. Non c’è bisogno che glielo ricordi ogni volta, le causa già abbastanza sofferenza. Me l’ha detto lei. Ma alcune cose sono troppo importanti da affrontare ed è terrorizzata dal perderle. E no, non ti dirò quali sono; se un giorno vorrà te lo dirà lei. Anche se continuando così, la vedo difficile. Io me ne tiro fuori”

“Continuando così come?” aveva chiesto Sherlock.

“Terrorizzandola e ferendola a morte, ogni volta. Arriverà a un punto che non ti rivolgerà più la parola con la paura di essere analizzata e giudicata da te. Non è bello, soprattutto se trai le tue conclusioni non avendo uno straccio di prova. Eppure è il tuo lavoro.”

“Cerco di spronarla a fare meglio” Sherlock giocava con il suo tovagliolo, piegandolo in forme geometriche strane.

“Beh, così sbagli. Ti sei comportato bene prima, quando le hai consigliato di pensare alla faccenda della madre, senza pressioni, senza analisi. Quello è un atteggiamento giusto da avere. Aggredire non serve. Sembra che tu sia gentile con lei solo quando è già a pezzi e di peggio non si può fare”.

Sherlock era rimasto in silenzio, non sapendo cosa dire. Le parole di John erano accusatorie e parecchio pesanti. Quella era una delle poche volte che Sherlock Holmes non sapeva cosa replicare.

“E Sherlock, ti comporti così solo quando sei in imbarazzo per qualcosa e temi che possa uscire quel lato umano che tanto ti ostini a nascondere. Stavi sorridendo Cristo santo, non stavi affogando gattini. È una cosa bella, non orribile”

Sherlock non avrebbe mai rivelato il motivo per cui stava sorridendo, neanche sotto tortura. Era un segno di debolezza, quel sorriso era stata una minuscola crepa nel suo perfetto palazzo mentale. Come se fosse entrato per un secondo un raggio di sole. Non sarebbe dovuto succedere, mai più.

Era rimasto in silenzio.

“Bene, immagino che la ramanzina sia finita. Ma tanto non servirà a nulla, vero? Quante volte ti avrò detto tutto ciò? Qualche milione, probabilmente. Tutto questo fiato sprecato, sembro un disco rotto” si era alzato, sospirando “torno a casa, Mary mi aspetta. Ci sentiamo”

E ora era solo.

//

Lily era sdraiata sul letto e pensava come non mai. Era arrabbiata, soprattutto con sé stessa. Era arrabbiata anche con Sherlock che nonostante tutto, non finiva di ferirla. Ed era arrabbiata anche perché nonostante le cattiverie e le recriminazioni, non smetteva di pensare a lui. Anche quando era arrabbiato, era bello. Anche quando gli sbatteva in faccia la verità, lei lo amava. Era questo che sbagliava? Si innamorava delle persona sbagliate, di quelle prepotenti? Ma lui la voleva ferire di proposito? O voleva farle capire qualcosa? da ogni piccola domanda scaturiva un quesito psicologico e articolato. Aveva sentito John che se ne andava e ora erano loro due, da soli. Sentiva l’acqua che scorreva, il rumore dei piatti.

La rabbia le era già passata, a dire il vero. Sentirsi dire la verità faceva male, soprattutto se a dirla era Sherlock Holmes con il suo piglio arrogante. Lei sapeva che era così e doveva ammetterlo invece di scappare in camera. Aveva abbracciato il cuscino, sospirando.

Mi sento in trappola.

Quale sarebbe stato il momento giusto per confessargli come si sentiva? Ci sarebbe mai stato?
E all’improvviso una decisione, uno sprazzo di coraggio nella sua mente sempre spaventata; una convinzione improvvisa, chiara e pura come acqua.
Sarebbe andata a Castle Combe; avrebbe parlato con sua madre e avrebbe scoperto se era cambiato qualcosa, se finalmente poteva fare pace con i demoni della sua infanzia.

E cominciare ad essere una persona migliore.

//

Sherlock era rimasto in salotto, seduto sulla sua poltrona, a pensare. C’era stato tutto il pomeriggio e ormai era quasi sera. Lily era rinchiusa in camera sua da ore ormai. Continuava a riflettere su  quello che aveva detto John. Faceva male alla gente quando si trovava con le spalle al muro, doveva ammetterlo con sé stesso. Aveva fatto male a John, e a volte continuava a fargliene, faceva male a Lily, faceva male a suo fratello. Anche a Molly, e a Lestrade e a Janine. Era automatico, un sistema di difesa che scattava da solo: i sentimenti per lui erano off limits e se qualcuno suscitava qualcosa in lui che fosse riconoscenza, affetto, simpatia lui lo allontanava. E cos’è che allontana le persone meglio di qualsiasi altra cosa?

La cattiveria.

Aveva giurato a sé stesso, molti anni prima, che non avrebbe mai provato nulla verso nessuno perché i sentimenti non facevano ragionare, non facevano rimanere lucida la mente. E lui non aveva bisogno di tutto ciò; lui voleva essere perfetto, voleva essere una macchina. Vedeva gente soffrire per i figli, per amanti e famigliari e questo lo faceva inorridire. O forse lo spaventava.  Prima di diventare così, anche lui aveva provato dolore. Quando era morto il suo cane, quando i suoi genitori non c’erano, quando era preso in giro a scuola, quando non era accettato. Ma lui sapeva perché la gente lo trattava così: perché aveva paura, perché era intelligente e capiva più cose degli altri. E così aveva cominciato a essere cattivo anche lui, a reprimere tutto ciò che potesse portare amore nella sua vita. Era dotato di una grande mente analitica e razionale, così l’aveva sfruttata a suo favore. Aveva studiato ciò che gli piaceva, il resto lo aveva dimenticato. Aveva scoperto, ironia della sorte, che quello che gli riusciva meglio era leggere le persone. E così l’aveva sfruttato a suo vantaggio, e aveva cominciato a fare il consulente investigativo. Non per aiutare la gente, per carità. Ma per dimostrare, sempre e comunque, che lui era una spanna sopra gli altri.

Poi, John. Che aveva saputo prenderlo e volergli bene nonostante fosse così. E con lui sapeva che poteva aprirsi, nei limiti del possibile. Erano amici, anzi migliori amici a detta di John. Ma anche lui l’aveva tradito, lasciandolo solo. Aveva sposato Mary, aveva Rose. E Sherlock era stato messo da parte. Continuavano a vedersi, a risolvere casi insieme. Ma non era come prima, non sarebbe più stato come prima.
Avvenimenti del genere lo convincevano sempre di più che stare soli fosse la soluzione migliore. La solitudine lo proteggeva dal dolore e dalla paura. E quando finalmente le cose cominciavano a filare nel modo giusto, quando ricominciava ad abituarsi alla sua routine solitaria, Lily era piombata nella sua vita. Una persona diversa dalle altre, enigmatica e semplice allo stesso tempo. Non riusciva a leggerla, non riusciva a capire cosa pensasse, perché arrossiva all’improvviso, perché fosse così timida su alcune cose e altamente capace su altre. Dimostrava affetto in maniera diversa dalle altre persone, semplicemente con la sua presenza, come se dicesse “so che non sei il tipo che parla, ma io sono qui. Qualunque cosa accada”.
Era paziente, discreta. E Sherlock non capiva come potesse essere così. Vedeva l’affetto che John provava verso di lei e un po’ ne era invidioso.
Era così fragile, ma allo stesso tempo così forte; la gente l’aveva usata, ferita, disprezzata. Ma lei continuava a essere buona.

Ed eccoci di nuovo al punto di partenza. Ogni volta che litigavano, faceva sempre i soliti ragionamenti. Lui faceva le stesse identiche cose che avevano fatto le altre persone. L’aveva ferita, disprezzata. La usava per scaricare le sue frustrazioni, quando vedeva che in qualche modo riusciva a penetrare nel suo essere, a renderlo un pochino più umano. Chi era lei per arrivare così e scombinare tutto?

La bottiglia ormai era vuota e lui ubriaco. Aveva finito l’ultima goccia della bottiglia vicino al camino e si sentiva caldo dentro e freddo fuori. I suoi ragionamenti erano dettati dall’alcol e non sapeva neanche perché aveva cominciato a bere.
Perché aveva litigato con Lily, perché John l’aveva rimproverato per l’ennesima volta, perché si sentiva solo, perché non aveva la droga a tenergli compagnia. Così aveva ripiegato sul brandy, mezza bottiglia fatta fuori in pochissimo tempo. Era così incline alle dipendenze: alcol, fumo, droga, pericolo. Guardava il bicchiere, ormai vuoto.
Una cosa era certa. E ammetterla era per Sherlock un grosso sforzo.

Se non ci fossero stati John e Lily, lui a quest’ora probabilmente sarebbe morto.

Doveva andare al bagno, forse a vomitare o a sciacquarsi la faccia, non lo sapeva. Si era alzato barcollando, il mondo girava e non era piacevole. Quante volte si diceva che non si sarebbe bevuto più e poi ci si ricascava con tutte le scarpe?

Appunto.

Era arrivato alla porta del bagno e l’aveva spalancata. Davanti a lui c’era Lily, che si era girata di scatto, lo spazzolino in bocca e l’aria spaurita.

“Scusa” aveva mormorato lui, appoggiandosi alla porta “torno dopo”.

Lily lo aveva guardato sospettosa. Sapeva che il suo atteggiamento non era dei più normali e lei l’aveva capito.
“No tranquillo, ho finito. Puoi rimanere, vieni pure” Lily guardava Sherlock che barcollava sulla soglia e sapeva che aveva bevuto. Anche perché la puzza di alcol arrivava fino a lei “Sherlock, perché ti sei conciato così?”

Lui aveva alzato le spalle: “Mi andava” si era avvicinato al lavandino e si era posizionato dietro Lily. Lo specchio rifletteva entrambi, continuavano a fissarsi senza parlare. Lily cominciava a sentirsi un po’ nervosa. Questa vicinanza e lo sguardo di Sherlock la spaventavano. Aveva tolto lo spazzolino dalla bocca e si era sciacquata le labbra: “Ho finito, ora puoi…”

Non sapeva perché e neanche come. Fatto sta che Sherlock era avanzato verso di lei, abbracciandola. Un braccio intono al suo collo e un altro intorno alla vita, il suo petto appoggiato alla schiena di Lily, il suo viso nell’incavo del collo. Sentiva il suo respiro caldo e umido, odoroso di brandy. Si era irrigidita, il cuore che voleva schizzarle fuori dal petto.

Niente panico, è ubriaco. È MOLTO ubriaco. Ci sei già passata, non è niente. Solo che l’altra volta fingeva di essere una ballerina, ora ti sta abbracciando.

“Sherlock…stai bene? Vuoi sederti sul…”

Aveva visto una montagna di riccioli neri fare “no”: “Voglio stare così per un po’” aveva mugugnato sulla pelle di Lily, che sembrava bruciare per l’emozione. Tutto era irreale, sembrava un sogno. Era immobile, il respiro leggermente accelerato. Sentiva caldo, sia per il turbamento, sia per la vicinanza di Sherlock, per il suo corpo premuto contro il suo. Voleva piangere. Si era mossa leggermente e l’aveva stretta ancora più forte, in maniera disperata. Come se cercasse qualcosa a cui aggrapparsi, un naufrago allo scoglio. Respirava piano contro il suo collo, facendola arrossire ancora di più. Dio solo sapeva quanto volesse tutto questo, con lui, ma non in questo modo, non in queste circostanze. Sognava il suo tocco da mesi ormai, le sue braccia a stringerla. Ma questo non era lui, non era quello che voleva veramente Sherlock. Era il fantasma di chissà quale fantasia, di chissà quale paura.

“Sherlock..io..” Lily aveva toccato il braccio che le circondava il collo, cercando di sciogliersi da quell’abbraccio tanto desiderato quanto terribile. Il risultato era stato che la presa era aumentata, ma non sul suo collo. Là il braccio rimaneva delicato, la vita ormai era immobile, non poteva muoversi. Era come un serpente, era prigioniera delle sue spire; non riusciva (e probabilmente nella sua testa neanche voleva), a liberarsi.

“Lily…” aveva spostato leggermente la testa, sfiorandole inavvertitamente il collo con le labbra, cosa che aveva fatto schizzare i battiti del cuore di Lily all’impazzata “sei così piccola tra le braccia di un uomo. Potresti spezzarti”.

Il nodo alla gola di Lily cominciava a sciogliersi. Era così vulnerabile in quel momento, lo erano entrambi. C’era solitudine nella voce di Sherlock, e paura. Continuava a rimanere immobile; l’impulso di affondare le mani nei suoi capelli era irresistibile, ma non l’avrebbe fatto. Non poteva sostenere nulla di più. Già questa situazione era emotivamente schiacciante.

“Non è colpa mia se sono così. Tu mi credi, vero? Dimmi che mi credi Lily, ti prego”.

Era troppo.

Le lacrime avevano cominciato a uscire copiose e cadevano sulla maglietta di Lily e sul braccio di Sherlock. Lei non voleva singhiozzare, non voleva che lui si accorgesse di quanto era emozionata, di quanto era dispiaciuta per lui in quel momento e di quanto fosse dispiaciuta anche per se stessa, imprigionata in questa giostra impossibile da fermare, che era l’amore per quell’arrogante sociopatico che la stava abbracciando in quel momento.

Non riesco a lasciarlo andare, è troppo amore, troppo tutto. Io non riesco a staccarlo da me. È dentro di me e non vuole andarsene. Non voglio lasciarlo andare.

Gli occhi annebbiati di Sherlock avevano incontrato quelli di Lily nello specchio: “Perché piangi? Ti sto facendo male?”

Lei aveva scosso la testa: “No. Tranquillo, non mi fai male”

Almeno non fisicamente.

“Perché piangi allora?” aveva aggrottato le sopracciglia, dubbioso “non si piange senza motivo”.

“Perché vorrei aiutarti a stare meglio” aveva sussurrato, con voce tremante.

Sherlock aveva sorriso leggermente: “Lo stai già facendo Lily. Così” e l’aveva stretta ancora, rituffando il viso nel suo collo “proprio non capisci?”

Aveva strizzato gli occhi, disperata. Non c’era dolore peggiore, probabilmente.

“Tu e John mi aiutate a non morire”.

Basta. Lily aveva portato le mani al viso, scoppiando in singhiozzi aspri e taglienti. Come poteva dire queste cose e pretendere che lei non lo amasse? Come?

Sherlock, a quel punto, senza avvisare, si era staccato da lei, quasi spaventato. Il contrasto tra il suo corpo caldo e il freddo della stanza avevano fatto trasalire Lily.

“Scusami Lily, io ora vado. Buonanotte. E non piangere, per favore” le aveva sfiorato una spalla ed era andato via così, senza dire più nulla. Era come se le avesse succhiato via tutte le energie, come se separandosi da lei Sherlock avesse staccato la batteria. Era caduta in ginocchio per terra, come una marionetta a cui avevano tagliato i fili, continuando a piangere senza ritegno, le mani davanti al viso. Lui era andato via, e lei era sola.

Erano soli entrambi, ma non riuscivano a trovarsi.

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Capitolo 15
*** Hedgehog's dilemma ***



Capitolo 15

Hedgehog's Dilemma


Lily era esausta; era ancora seduta sul pavimento del bagno, piccoli singhiozzi le scuotevano il corpo. Si era calmata un po’, ma la sensazione di angoscia dentro di lei era presente come non mai. Sentiva ancora il profumo di Sherlock addosso e il primo impulso era stato quello di infilarsi sotto la doccia.

Ma a quanto pare aveva una certa tendenza al sadismo, e sentire quell’odore su di lei le procurava un dolore misto a piacere. Cercava di memorizzarlo, perché era sicura che non lo avrebbe mai più risentito. Perlomeno non con questa intensità.

“Maledizione” aveva sussurrato, la fronte appoggiata sulla mano “come puoi farmi questo, perché?”

Sentiva gli occhi schizzarle fuori dalle orbite; erano gonfi e irritati e riusciva a malapena a tenerli aperti. Le parole di Sherlock continuavano a rimbalzarle nella testa. Erano parole forti, troppo piene di significato per essere dette così. Si era alzata leggermente, allungando la mano sul lavandino dov’era appoggiato il telefono. Erano le dieci di sera. Non sapeva neanche quanto tempo era rimasta seduta sul pavimento freddo, persa nella spirale del pianto.

Aveva sbloccato lo schermo e aperto la schermata dei messaggi.

TO: John

22.03

Scusa per l’ora, sei sveglio?

Non sapeva neanche per quale motivo lo stesse facendo, aveva bisogno di parlare con qualcuno di razionale.

FROM: John

22.05

No, ho appena messo a letto Rose. Mary dorme. Che succede?

TO: John

22.08

Tu lo sapevi che io e te aiutiamo Sherlock a non morire?

Passavano i minuti e John non rispondeva; Lily sapeva che stava cercando di capire.

FROM: John

22.16

Santo cielo, cosa ha combinato stavolta?

Lily aveva riso ironica, nessuna traccia di divertimento.

TO: John

22.18

Si è ubriacato ed è venuto in bagno dove mi ha abbracciato talmente forte da non farmi respirare. Ha poi aggiunto che io e te lo aiutiamo a non morire. Non so neanche quanto tempo è che sono seduta qui per terra a piangere. Mi ha ucciso, John. Letteralmente. Poi se n’è andato e mi ha lasciato qui. E io ora ho solo voglia di andarmene.

22.20…

22.25…

22.37…

FROM: John

22.40

Vuoi passare la notte qui da noi? Ti sentiresti più tranquilla?

Lily aveva riflettuto. Forse le conveniva dormire sul divano di John almeno questa notte. Lontano da Sherlock e da Baker Street. Ma..
Aveva digitato la risposta.

TO: John

22.42

Non ho soldi per il taxi.

Si era alzata dal pavimento, dolorante.

FROM: John

22.42

Va al diavolo, Lily. Sbrigati, ti aspetto fuori dal portone. Offro io.

Lily aveva sorriso leggermente ed era uscita dal bagno. Era andata in camera, preso i suoi vestiti e un cambio di biancheria. Tornata di sotto si era affacciata sul corridoio. La stanza di Sherlock era chiusa e non sentiva nessun rumore. Sicuramente era svenuto sul letto, era inutile provare a svegliarlo. Lily non aveva pensato a lasciargli un messaggio, era stordita e stanca. Si era chiusa la porta alle spalle, lentamente.

In strada non c’era nessuno. Sperava di trovare un taxi in fretta, non le piaceva tutto quel silenzio. Ne aveva intravisto uno dall’altro lato della strada e aveva alzato la mano; per fortuna era libero e l’aveva vista. Era salita e finalmente aveva sentito un po’ di tensione sciogliersi mentre vedeva Baker Street sparire dalla sua visuale.
Svoltato l’angolo della via dove abitava John, lo aveva già visto in piedi davanti al portone di casa sua stretto nella sua giacca, tremante dal freddo. Lily era scesa e si era precipitata verso di lui. Ormai era così tra loro due: Lily si lanciava tra le sue braccia e John era sempre pronto ad accoglierla, non c’era neanche bisogno di dirlo.

“Stai bene?” aveva detto piano, mentre pagava il tassista.

“Definisci “bene”…” aveva sospirato Lily, mentre John prendeva il suo zaino e si dirigevano verso l’entrata di casa.

Avevano cominciato a bisbigliare automaticamente appena entrati nell’appartamento, per evitare di svegliare Rose e Mary.

“Vuoi qualcosa da bere, o da mangiare?” aveva chiesto John.

“No grazie, mi sistemo sul divano e mi metto a dormire. Sono stanca”

“Ok, qualsiasi cosa io sono in camera ok?”

Lily aveva annuito.

“Buonanotte” aveva sussurrato John nell’oscurità. C’era stato silenzio, ma Lily sentiva che era ancora lì, sentiva la sua presenza “Lily?”

“Sì?”

“Io penso che quello che ha detto Sherlock sia vero, in parte. Vuole far vedere che è forte, ma è più fragile di quanto immagini”.

Lily non aveva risposto. Le riusciva difficile credere alle parole di John in quel momento.

Poi John se n’era andato, lasciandola con i suoi pensieri. Ci aveva messo un po’ ad addormentarsi. Il divano era comodo, ma era la sua testa che non la lasciava in pace. Si rigirava, sentendo ogni tanto un sentore di pianto affacciarsi. Ma si voleva controllare, doveva cercare di non ricadere in quello stato d’animo di poche ore prima. Alla fine, stremata, era riuscita ad addormentarsi.

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Un profumo di gelsomino, così forte che sembrava reale. Ma lo era, perché Sherlock si era girato e c’era Lily vicino a lui che dormiva. Le lunghe ciglia scure, la bocca semiaperta, le labbra rosa, il respiro regolare del sonno. Una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Perché era lì, perché era nel suo letto. La luce era ovattata, lattiginosa, quasi ospedaliera. Una mano era adagiata sopra le lenzuola candide, la spalla bianca e nuda. Non aveva i vestiti, come poteva essere. All’improvviso un ramo aveva cominciato ad inerpicarsi sul letto circondando il corpo di Lily; e poi un altro e tanti ancora che si arrampicavano su di lei che continuava a dormire, tranquilla. Non si accorgeva di niente. Sherlock urlava, voleva svegliarla, perché le foglie e i rami la stavano ricoprendo e sarebbe morta così. C’erano anche dei piccoli fiori bianchi, fiori di gelsomino. La soffocavano e ora Lily non si vedeva più. Sherlock aveva cominciato a strappare con forza ma erano troppo spessi, troppo forti. Gridava il nome di Lily, fino a farsi bruciare la gola, finché non aveva spalancato gli occhi, trovandosi seduto nella penombra della sua stanza. Aveva appena fatto in tempo a sporgersi dal letto che aveva vomitato senza ritegno sul pavimento, i conati che lo soffocavano e lo scuotevano. Aveva la mente annebbiata, la testa gli scoppiava. Una volta ripresosi, si era guardato intorno: nessuna traccia di Lily, né di rami, foglie e fiori di gelsomino. Solo l’odore del suo vomito, che gli faceva girare la testa. Puzza di alcol, di sudore. Era immondo. Doveva farsi una doccia. Era sceso dal letto e barcollando si era diretto in corridoio.

//

Lily dormiva. Ma nella nebbia del sonno si era fatto strada un bussare agitato, una voce ovattata che proveniva oltre la porta di casa di John. Il salotto era separato dall’ingresso e non riusciva a vedere nulla e con gli occhi semichiusi cercava di alzarsi, ma stava dormendo troppo pesantemente per scattare in piedi. Comunque John l’aveva preceduta; lo sentiva imprecare, mentre raggiungeva la porta.
Voci concitate, bisbigli e alla fine un tono di voce normale. Lily si era alzata lentamente e si era avvicinata alla parete che divideva il salone dall’ingresso di casa Watson.

“Sai qualcosa?? non c’è, ti dico che non c’è!!”

Lily era trasalita. Era la voce di Sherlock.

“Mi sono svegliato stamattina e non era a casa. Non risponde al telefono, nessun biglietto, la porta di casa senza mandate. Le sue chiavi erano in cucina!! E lei è sparita, non c’è!!”

John cercava di parlare, ma veniva sovrastato dalla voce animata di Sherlock: “Sherlock, ascolta…”

“No, John” aveva ripreso il suo solito contegno “io ieri…ho detto delle cose..ho fatto..”

“Ti assicuro che..”

“E mi ricordo solo quel poco che mi fa pensare che sia scappata”.

Lily era perplessa. Cos’era tutta questa preoccupazione, questa agitazione nei suoi confronti? Senso di colpa? Non sembrava il tipo da soffrirne. Vergogna? Eh, forse quella sì.

“Sherlock!!! Fammi parlare, per l’amor di Dio!!!!” John aveva alzato la voce, esasperato “Lily è qui, dorme in salone, sul nostro divano. È venuta ieri sera, ha preso un taxi ed è al sicuro. Mi ha chiamato un po’ scossa e le ho proposto di venire qui. Sta bene”

Silenzio: “Ah…ottimo”.

Lily aveva scosso la testa, arresa. Non riusciva proprio a dimostrare un minimo di sollievo. Sperava solo avesse i peggiori postumi della storia, peggio di quelli dell’ultima volta. Aveva preso il telefono da sotto il cuscino. Capirai, due chiamate senza risposta. Niente in confronto alle quindici di John. Dilettante.

Sherlock adesso parlava piano, per non farsi sentire: “ho fatto un sogno e mi sono svegliato nel panico. È stata una reazione a catena. Ma se mi dici che è qui e sta bene, ok” di nuovo silenzio “ti ha raccontato qualcosa?”

Lily non aveva sentito la risposta di John, probabilmente perché aveva risposto con gli occhi.

Sospiro.
“ L’hai stesa ieri sera, forse è il caso che tu le parli. È arrivata qui che aveva gli occhi di un pesce palla. E dovresti finirla di attaccarti alla bottiglia ogni volta che qualcosa non ti sta bene. E dovresti anche finirla di farti dare consigli da me. Hai rotto”.

Di nuovo sospiro, ma stavolta di stizza.

“Dorme ancora?” aveva chiesto Sherlock.

“Non lo so, vado a vedere. NO, tu rimani qui. E guai a te se sbirci”.

Lily era tornata sul divano, le mani in mezzo alle gambe. Aveva freddo, e aveva tirato su le spalle, convinta che così si sarebbe scaldata.

John era entrato piano, facendo cigolare leggermente la porta. La sua testa aveva fatto capolino, gli occhi verso il divano. Poi l’aveva vista e l’espressione del suo viso si era rilassata, aveva aperto di più la porta fermandosi sulla soglia: “Buongiorno” un sorriso caloroso, quello che le serviva.

“Buongiorno” aveva sussurrato Lily, sorridendo a sua volta.

“Ti ha svegliata lui?” aveva indicato con il pollice verso l’ingresso.

“Penso che abbia svegliato più o meno tutto il vicinato” aveva aggiunto Lily ironica.

“Oh no. Mary e Rose dormono alla grossa. La piccola deve aver ripreso dalla madre, dorme come un sasso”.

Lily aveva riso, ravviandosi i capelli: “Secondo te perché è qui?”

“Ufficialmente perché è preoccupato, officiosamente perché pensava fossi scappata in un moto di ribellione post adolescenziale. O magari rapita da qualche brutto ceffo”

“Rapita? Di nuovo?” Lily aveva ghignato soddisfatta.

“Molto divertente, signorina” aveva guardato attraverso la porta semichiusa “sono sorpreso che sia venuto fino a qua e non mi abbia telefonato. Sa che gli rispondo sempre. Penso che voglia sincerarsi di persona se stai bene oppure no. Mi ha detto che ha fatto qualcosa, detto qualcosa…parla di quello che mi hai raccontato ieri sera?”

Lily aveva annuito, sentendo la gola stringersi al solo pensiero. Le parole le rimbombavano nella testa.

Sei così piccola, tra le braccia di un uomo.

Aveva sentito l’imbarazzo colorarle le guance. Tutti erano piccoli tra le braccia di Sherlock Holmes.

John aspettava, paziente.

“Non saprei cosa dire. Non mi viene in mente nulla”

“Non devi per forza dire qualcosa; tu alla fine c’entri relativamente poco. Ha fatto tutto lui”

“Va bene, fallo venire qui. Qualcosa succederà”

“Ok. Vuoi aprire un po’ la finestra?”

La stanza era immersa nella penombra. Sicuramente fuori era nuvoloso, perché la luce era pallida e filtrava debole attraverso le tende grigie di lino grezzo. Lily non voleva che vedesse il suo viso arrossire.

“No, grazie. Va bene così”

John aveva annuito, leggendole il pensiero. Era uscito dal salone; Sherlock aveva alzato lo sguardo, tradendo una sorta di aspettativa. La camicia che aveva addosso era sgualcita e fuori dai pantaloni, le maniche arrotolate in fretta e furia. I capelli arruffati.

“Dio mio, hai un aspetto orribile”  John aveva alzato un sopracciglio con espressione critica.

“Sì, lo so. Grazie mille” Sherlock aveva alzato gli occhi al cielo “quindi? La principessa mi concede udienza?”

Il viso di John si era rabbuiato tutto a un tratto: “Vacci piano, detective dei miei stivali. Sei in torto marcio e guai a te se fai lo spiritoso. Al posto di Lily, ti avrei mandato via a calci in culo. Quindi non uscire fuori dal seminato” il tono era decisamente perentorio. Sherlock aveva alzato le mani sgranando gli occhi: “va bene, ho capito. Niente ironia”

“Non so neanche come ti vengano fuori certe cose” John aveva scosso la testa “incredibile”

Sherlock era diventato serio e pensieroso: “A volte non lo so neppure io” per una frazione di secondo John pensava di aver intravisto un lampo di senso di colpa nei suoi occhi.

“Ricordati sempre che non se lo merita a prescindere. Non ti ha fatto nulla”

Aveva annuito, obbediente.

“Ora vai, è in salotto. Se sento alzare la voce, interverrò. Sappilo”

Sherlock ormai era vicino la porta del salone, ma John sapeva che l’aveva sentito.

//

Lily guardava davanti a sé, sul tavolino davanti al divano. Sembrava fosse tornata indietro di mesi, prima di conoscere Sherlock. Quando era seduta lì, aspettando Mary con il the. Impaurita, terrorizzata, piena di lividi e ferite dentro di sé. Si ricordava tutto, come se fosse ieri. E ora eccola di nuovo lì; sempre impaurita, sempre nervosa, sempre ferita. Ma in maniera diversa.
Sherlock era davanti la porta di legno, fermo. Aveva alzato la mano per bussare, ma si era fermato a mezz’aria, calcolando tutte le variabili di quell’incontro. Le cose erano due: avrebbero litigato di nuovo, oppure Lily l’avrebbe perdonato come aveva già fatto milioni di volte. Avrebbe rischiato. Si ricordava tutto della sera prima, stranamente. Ed era terribilmente imbarazzato. Lo spazio personale doveva rimanere tale e nessuno lo sapeva meglio di lui, che cominciava a diventare insofferente appena qualcuno gli si avvicinava più del dovuto.
Aveva bussato, senza pensarci troppo.

Lily era saltata sul divano. Adesso bussava? Si era grattata la nuca, lo stomaco sottosopra dal nervosismo: “Avanti” aveva detto, con voce abbastanza ferma.
Adesso lo vedrai, sai che effetto ti fa ogni volta. Sarà bellissimo, sarà da restare senza fiato. Ma tu non guardare, rimani ferma su un punto, non mollare. Se lo guardi, è finita. Ti tornerà in mente tutto, e ora è troppo presto. Hai ancora il suo profumo addosso, almeno fatti una doccia prima di guardarlo negli occhi. L’associazione potrebbe essere mortale.

La porta si era aperta e richiusa. Lily guardava il tavolino, le mani strette in grembo. Si era ravviata di nuovo i capelli per poi tornare nella posizione iniziale. Aveva sentito il peso di Sherlock mentre si sedeva, il cuscino sprofondare leggermente vicino a lei.

E poi silenzio. Solo due respiri, dove prima ce n’era solo uno.

A un certo punto Sherlock si era schiarito la voce: “Ciao” aveva esordito.

“Buongiorno, Sherlock” aveva aggiunto Lily, con voce chiara e decisa.

“Stamattina mi sono svegliato e non c’eri. Potevi lasciare un biglietto”

Nella testa di Lily questa frase suonava estremamente sbagliata. Ma non aveva fatto a meno di notare, come al solito, il tono polemico. Aveva sospirato e stretto le labbra.

“Hai ragione, scusa. Non dovevo dirlo, John è stato chiaro” aveva mormorato, ma Lily aveva sentito. Un angolo della bocca si era piegato in un sorriso ironico e amaro. Aveva scosso leggermente la testa.

“Io…ecco…io volevo chiederti scusa per quello che è successo ieri sera. Per quello che ho fatto. Non dovevo, e sono molto dispiaciuto di averti spaventato e averti costretto ad andare via di casa in piena notte. Ti porgo le mie scuse”.

Spaventata. Lui era convinto di averla spaventata. Forse un po’. Ma la storia era un’altra, ma si rendeva conto che spiegargli come si sentiva sarebbe stato pressappoco inutile.

“È stato strano, non spaventoso; tu non tocchi mai nessuno” aveva mormorato lei “per quello ho reagito così”

Sherlock non rispondeva. Non si sarebbe mai spinto talmente oltre da ammettere che quello che aveva fatto potesse essere lontanamente dettato dalle emozioni. Non sarebbe stato Sherlock, per lui era tutto un errore. La soluzione migliore era il mutismo.

Lily per un attimo aveva sentito un’ondata di irritazione salirle in gola e bruciarle il viso. Com’era ottuso a volte. Maledizione, scava a fondo per una volta, non farlo solo con i tuoi casi da strapazzo. Cerca di capire. Cerca di comprendere, in modo che io possa dirti veramente come mi sento, in modo che possa finalmente spiegarti le emozioni che mi dai, tutto ciò che mi susciti.

I  sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde.

L’aveva detto una volta, non ricordava in che circostanza. Ma quelle parole erano marchiate a fuoco nella mente e sulla pelle di Lily. Lei era perdente, dall’inizio. Sherlock no. Doveva farselo tatuare da qualche parte.

Ma era rimasta lì, di nuovo immobile, senza dire una parola.

Tu e John  mi aiutate a non morire.

“È  da quando sono entrato che non mi guardi”

Lily aveva sgranato leggermente gli occhi. Era vero, ma era necessario che lei non lo guardasse. Era di vitale importanza.

“Lily…stai bene?” le aveva messo una mano sul braccio. Lei si era allontanata delicatamente dal suo tocco, e Sherlock era rimasto con la mano a mezz’aria, confuso.

“Il mio tocco ti disgusta così tanto?” aveva chiesto, con voce bassa e profonda “ti ho fatto così male ieri sera?”

Lily aveva aperto la bocca, poi l’aveva richiusa. Repulsione era l’ultima cosa che Sherlock suscitasse in Lily.

La mano di Sherlock era ricaduta sul divano: “sono mortificato”.

Meglio di niente, aveva pensato Lily.

“Guardami” aveva detto di nuovo Sherlock “se non mi guardi vuol dire che hai paura di me. Hai paura di me?”

“No” aveva sussurrato Lily.

“Allora fallo, dimostralo” la sua voce ora era dura, perentoria. Lily aveva sentito un brivido lungo la schiena. Doveva farlo, non sapeva se rifiutandosi l’avrebbe ferito. Probabilmente no, era solo l’ennesima sfida con sé stesso. Ma lei avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che rischiare di fargli del male. Anche se sapeva che sbagliava.

Così si era girata, lo sguardo sempre basso.

Negli occhi, Lily” aveva sentito il fantasma della voce di Sherlock raggiungere le sue orecchie.

Aveva alzato lo sguardo e incontrato gli occhi magnifici di Sherlock. Erano grigi come le nuvole fuori dalla finestra. Aveva le occhiaie, e le labbra bianche perché era disidratato. Ma il cuore di Lily aveva fatto una capriola.

“Ecco, ora sì. Ti piacciono le sfide e sei testarda quanto me” aveva sorriso leggermente.

No, è perché guardandoti mi ricordo che non potrai mai essere mio. Ma allo stesso tempo, non riesco a farne a meno.

Aveva abbassato di nuovo lo sguardo, per non scoppiare a piangere.

L’aria era diventata calda là dentro. C’era un misto di emozioni che stava per soffocare Lily. Così aveva steso le braccia sopra la testa e sospirato: “Ho fame, chiediamo a John la colazione?” Era ora di tornare la Lily normale, la Lily che non soffriva, mai. Era ora di spezzare quell’atmosfera ambigua che aleggiava nella stanza. Era ora di far finta di niente. Ancora e ancora.

“Sì, perché no” aveva risposto lui, sollevando le spalle. Sembrava sollevato.

“Sherlock, fattelo dire. Puzzi da far schifo” aveva detto Lily, guardandolo.

“Lo so. Stamattina ho vomitato sul pavimento” aveva aggiunto, in leggero imbarazzo.

“Spero tu abbia pulito”

“Come ho potuto. Ero parecchio rintronato”

“Che schifo. Santo cielo, lo sai che non reggi l’alcol, cosa bevi a fare se poi devi combinare disastri!”

“Oh, lasciami in pace” aveva risposto Sherlock con tono stizzito. Si erano alzati e diretti verso la cucina.

//

Erano usciti dalla stanza, in silenzio. Avevano trovato John in cucina, con Mary e Rose sul seggiolone, che quando aveva visto Lily aveva teso le manine verso di lei ridendo contenta. L’aveva presa in braccio e stretta forte.

“Lily! che bello vederti! Come stai?” Mary si era avvicinata a lei, stringendola, poi si era girata per non farsi vedere da Sherlock e aveva bisbigliato “com’è andata, tutto bene?”

Aveva sorriso leggermente, per non dare nell’occhio: “Sì tutto bene. Alla fine ha chiesto scusa”

Mary aveva sbuffato: “Gliele dai sempre vinte, non mi sembra giusto” le aveva dato una leggera gomitata nello stomaco “la prossima volta fallo soffrire un po’”.

“Sarà fatto. Ma è già tanto che abbia chiesto scusa, pensaci bene” aveva mormorato Lily, cullando Rose che giocava con la sua catenina a forma di giglio.

“Avete fame? Colazione?” John aveva appena spadellato una quantità industriale di pancakes e bacon con uova strapazzate “ a casa Watson solo colazioni nutrienti!”

Si erano seduti al tavolo della cucina, chiacchierando allegramente. Lily passava piccoli pezzetti di pancake a Rose, seduta nel seggiolone vicina a lei. Aveva sentito un brivido lungo il collo e facendo scorrere lo sguardo sopra il tavolo aveva incontrato per un attimo gli occhi di Sherlock. Faceva girare per il piatto le uova strapazzate, giocando con la forchetta. Poi all’improvviso aveva teso il collo e assunto un’aria attenta.

“Non è possibile…” aveva sussurrato.

E il campanello aveva suonato.

//

John si era girato, verso l’ingresso: “Chi può essere a quest’ora del mattino?”

Sherlock si muoveva sulla sedia con fare nervoso: “Penso di sapere chi è”

John l’aveva guardato, curioso: “Ah sì? E chi?”

“Mycroft”

C’era stato un momento di silenzio, interrotto solo dalle proteste di Rose perché Lily aveva smesso di darle da mangiare. Il campanello aveva suonato di nuovo.

“Beh accidenti, andiamo ad aprire!” aveva replicato Mary stizzita.

Sherlock e John si erano guardati, prudenti. Lily aveva intercettato questo scambio di occhiate e si chiedeva cosa ci fosse di così grave. Certo, aveva visto Mycroft una volta sola, alla festa di Natale. E a parte essere un po’ fuori posto, non gli era sembrato chissà quale mostro. Sherlock le aveva rivelato che aveva un lavoro non proprio ordinario, ma questo lo rendeva una brutta persona?

Aveva sentito Mary salutarlo e dirgli di accomodarsi in cucina. Mycroft era entrato, vestito in maniera impeccabile e con un ombrello in mano, che faceva oscillare lentamente. Aveva guardato tutti quanti con un sorriso di circostanza e si era fermato sulla figura di Lily: “Oh eccola qua, la fuggitiva. Buongiorno Lily, tutto bene?”

“Oh…Mycroft, buongiorno. Sì grazie, tutto bene. Volevo scusarmi per tutto il disturbo che le ho procurato..per..ecco…la questione di Andrew”

Mycroft aveva fatto un vago cenno con la mano: “Figurarsi. Per il mio caro fratellino questo e altro” lo aveva guardato “Sherlock”

“Mycroft” aveva replicato lui, freddo.

“Interessante…” aveva mormorato impercettibilmente verso di lui, stringendo leggermente gli occhi. Sherlock aveva fatto altrettanto, in gesto di sfida.

“Come facevi a sapere che eravamo qui?”

Mycroft aveva riso piano: “Tu sai che io so sempre tutto”

“Mi chiedo come”

“Vuoi sapere troppo, mio caro”

“Non chiamarmi caro. E nemmeno fratellino” Sherlock aveva il tono di un bambino arrabbiato.

“Beh, visto che sei qui gradiresti una tazza di the?” aveva chiesto John sorridendo, cercando di spezzare l’atmosfera tesa.

“Grazie John, molto volentieri, fa un freddo terribile fuori” Mycroft si era accomodato su una sedia, accavallando le gambe e poggiando le mani sulle ginocchia. Era a capotavola, con Lily e Sherlock ciascuno a un lato. John intanto preparava il the, mentre Mary chiacchierava del più e del meno con lui.

Pronto il the, John lo aveva versato in una tazza e si era diretto verso l’altro lato della cucina, dove era seduto Mycroft. Nel tragitto era inciampato in un gioco di Rose abbandonato per terra e la tazza gli era scivolata di mano.

Lily non aveva neanche pensato. Si era girata e aveva preso la tazza da sotto, rovesciando qualche goccia di the sul pavimento. Ma la presa era solida e ferma.

C’era stato un momento di silenzio e poi Mycroft aveva sussurrato: “Ottimi riflessi. Attenzione e velocità. Quello che serve anche per usare un’arma, come una pistola. O un coltello..o meglio ancora…” si era portato un dito sotto il mento, l’aria pensante “un taglierino. Con quelle dita sottili, si potrebbero maneggiare oggetti leggeri” gli aveva guardato le mani, quella che teneva la tazza ancora ferma a mezz’aria.

Mycroft” aveva sibilato Sherlock.

Lily lo aveva guardato, incuriosita. Il riferimento al taglierino non le sembrava casuale.

“Ho fatto le mie esperienze” aveva risposto calma; Mycroft non le stava antipatico, aveva solamente la stessa attenzione per i particolari del fratello.

Lui aveva alzato le sopracciglia, divertito: “Beh, buon per te” le aveva sorriso.

Lei aveva ricambiato: “Ti ringrazio” era passata dal dargli del lei a un più informale “tu”.

John la guardava, Sherlock anche: “Ma cosa…” aveva cominciato, scandalizzato.

“Beh…posso sostenere, caro fratellino, che tutto si può dire di Lily Scott tranne che sia una novellina”. Continuava a guardarla fissa. Il suo cognome associato al suo nome era una cosa che non sentiva da parecchio tempo. Lily era sorpresa. Ma non più di tanto, visto che Andrew era stato sotto la custodia  di Mycroft per una notte.

John aveva aperto la bocca per replicare: “Andrew e io abbiamo fatto una chiacchierata, la sera che è stato mio ospite. Un ragazzo loquace, non c’è dubbio” aveva preso un sorso di the. Nel frattempo la tazza era arrivata nelle sue mani.

Sherlock aveva sbuffato, indispettito: “Sbruffone” aveva sibilato, incrociando le braccia.

Mycroft aveva riso sommessamente: “Beh, signori è stato un piacere. I doveri mi chiamano. Vi ringrazio per il the e vi auguro una buona giornata. Ah e…Lily? potresti farmi la cortesia di accompagnarmi alla porta? Proprio non mi ricordo la strada” aveva scoccato un’occhiata di traverso a Sherlock, che aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo.

Lily si era guardata intorno, perplessa. Vedendo che anche gli altri avevano la stessa espressione, non si era preoccupata troppo: non era l’unica a non capire il motivo di quella richiesta.

Aveva sentito John sottovoce che diceva: “Ma solo io sono stato portato in un capannone abbandonato?” e Sherlock che lo zittiva.

Stranamente si sentiva tranquilla. Mycroft era sicuramente un uomo pericoloso e Lily se ne era accorta. Ma aveva come l’impressione che lo fosse solo quando era strettamente necessario. Per il resto, era un po’ sbruffone. Come Sherlock d’altronde. Buon sangue non mente.

Mycroft aveva tolto il suo cappotto dall’attaccapanni. Lily aveva afferrato la sciarpa e gliel’aveva porta.

“Ti ringrazio” aveva fatto un leggero cenno del capo “quindi, Lily? ti trovi bene qui?” era passato ai guanti “mio fratello si sta comportando bene?”

Lily aveva aspettato a rispondere. Quei pochi secondi erano bastati a far fissare gli occhi di Mycroft nei suoi: “qualcosa non va?”

“No, è che…” non se la sentiva di sparlare di Sherlock “a volte reagisce in maniera un po’ bizzarra. Ma è il suo carattere, immagino”

Mycroft aveva riso, ironico: “Scommetto che lo fa quando si sente sotto pressione. Probabilmente ti ha anche ferito, qualche volta.”

Lily aveva mosso la testa da un lato all’altro: “Beh, sì. Non è molto…affettuoso. Non si apre, semplicemente. Con nessuno. E abbiamo litigato a volte, e non è stato propriamente tenero”

Mycroft aveva sospirato e alzato le sopracciglia, un espressione quasi dispiaciuta. Poi aveva ripreso il suo atteggiamento normale e guardandola aveva accennato un sorrisetto ironico.

Si era avvicinato leggermente: “Lily, tu sai cos’è il dilemma del porcospino?”

Lily aveva scrollato le spalle. Non lo sapeva, no.

“È una metafora per esprimere la complessità dei rapporti umani. Mio fratello è esattamente così, è come un porcospino. Più le persone si avvicinano, più vogliono aiutarlo e prendersi cura di lui, più le allontana e le ferisce. Ha una corazza di aculei non indifferente, e dio solo sa come l’abbia costruita. È convinto che così sia più facile. Ma da una parte, se mi hai detto che ti ha ferito, può darsi che stia cominciando a capire qualcosa, a pensare fuori dai suoi schemi prestabiliti. Di solito ignora chi non gli va a genio. O si limita a insultarlo”

“Beh, non è proprio il modo migliore di cambiare” aveva riso Lily, un po’ amareggiata “avrei preferito dei confronti più tranquilli”.

“Oh Lily…mio fratello non è stupido. Sa con chi può farlo e con chi no. Sa chi rimarrà…e chi no. Prova a chiedere al dottor Watson. Chi rimane, vuol dire che vuole farlo” le aveva lanciato un sguardo inequivocabile.

Lily aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata.

“Non dovrei ma…” si era frugato nella tasca interna della giacca, e aveva scritto qualcosa con una penna argentata sul retro di un pezzo di carta “questo è il mio biglietto. Per qualsiasi cosa, per qualsiasi necessità non esitare a contattarmi. Capisco che non è facile. Sherlock è impegnativo. Ti ringrazio comunque per la pazienza”.

Lily lo aveva guardato, l’espressione di Mycroft perfettamente studiata e immobile. Un sorriso di circostanza gli si era stampato sul viso, aspettando che lei accettasse quel gesto che per lui era stato decisamente oggetto di grandi riflessioni. Aveva allungato la mano lentamente e  preso in mano il biglietto, la carta color avorio attraversata da una scritta nera:

Mycroft Holmes

Diogenes Club

London, England

Lily continuava a guardare il biglietto.

Esplicativo.

“Il mio cellulare è sul retro. Non nascondo che spero tu non ne abbia mai bisogno”

“Beh..grazie” aveva stretto il biglietto tra le mani. La carta aveva una consistenza leggera e profumava di buono “sei molto gentile”

“Spero solo che vada tutto bene” si era avviato alla porta, e l’aveva aperta. Lo aspettavano due uomini vestiti di nero, con l’auricolare e gli occhiali da sole nonostante fuori fosse nuvoloso “forse è meglio che Sherlock non sappia di questa conversazione e del fatto che tu abbia il mio telefono. Confido nella tua discrezione” si era toccato la testa in gesto di saluto “arrivederci, Lily”

Lei si era limitata a sollevare la mano e a sorridere imbarazzata. Wow, Mycroft era tosto.

Si rigirava il biglietto tra le mani e lo aveva annusato: un misto di the al bergamotto, e fumo di sigaro. Buono.

Non aveva posti dove nasconderlo, essendo in pigiama. Così era sgattaiolata in salotto e lo aveva messo dentro il suo zaino, dentro la tasca interna. Poi era tornata in cucina, dove tutti si erano girati all’unisono per guardarla. Lily aveva alzato un sopracciglio: “Quanto tempo!” aveva mugugnato e si era seduta di nuovo al tavolo, sperando di poter finire la colazione, anche se ormai era fredda. La mano di Mary le aveva tolto il piatto da sotto il naso: “Lo passo al microonde, così è immangiabile”.

Lily le aveva sorriso: “Grazie, Mary”. Lei le aveva fatto l’occhiolino.

Sentiva gli occhi inquisitori di Sherlock su di lei: la scrutava, in cerca di indizi. Lily cercava di ignorarlo, ma il suo sguardo era come una colata di acciaio bollente e non si poteva evitare. Così si era girata verso Sherlock e gli aveva sorriso, imbarazzata. Lui continuava a fissarla, senza cambiare espressione. John lo aveva guardato, mentre Lily chiedeva aiuto con lo sguardo.

“Cosa ti ha detto?” aveva esordito all’improvviso, poggiando i gomiti sul tavolo e piegandosi in avanti.

Lily aveva fatto vagare lo sguardo sul tavolo per qualche secondo e poi aveva risposto: “Mi ha chiesto come stavo, se andava tutto bene. Niente di particolare. Alla fine ci ha fatto un favore, e magari voleva sapere..ecco…come andava in generale”

“Ti ha fatto un favore” aveva detto Sherlock con tono ironico “e strano che ti abbia chiesto solo informazioni sul tuo stato di salute mentale. Non è il tipo”

“Beh Sherlock, è stato comunque carino da parte sua arrivare fino a qui per vedere come stavamo tutti” aveva risposto John.

“Più che altro non capisco dove tu voglia arrivare Sherlock” aveva continuato Lily, spostandosi per far posare il piatto a Mary sul tavolo “ha fatto un gesto carino, a mio parere”

“Non conosci Mycroft” aveva ribattuto Sherlock “non fa mai niente per niente”

“E tu mi sembri un po’ paranoico” cominciava ad arrossire. Non le piaceva mentire, soprattutto a Sherlock, ma poteva capire perché Mycroft le avesse chiesto di essere riservata sulla loro conversazione: lui avrebbe cominciato a sparare a zero sul fratello, e a negare quello che invece, era una verità assoluta. Il dilemma del porcospino, come l’aveva  definito Mycroft era la metafora perfetta per descrivere l’atteggiamento di Sherlock non solo verso Lily, ma verso il genere umano. La gente aveva relazioni, e si feriva. Ma questo non voleva dire isolarsi da tutto e tutti. Com’era possibile che lui fosse così? Cosa lo spaventava tanto? Sicuramente non l’avrebbe mai saputo.

Mentre pensava a tutto ciò, cercando di non arrossire troppo, Sherlock aveva sospirato: “Non ci si può più fidare di nessuno ormai”

Mary si era girata, John aveva alzato gli occhi al cielo. Lily si era limitato a guardarlo, arresa: “Sai una cosa, Sherlock? Non importa. Continua così, veramente non mi interessa. Io non voglio fare la guerra, non l’ho mai voluto. Forse un giorno capirai che tutto questo non serve a nulla. Io, per quanto mi riguarda, non posso aiutarti a farti ricredere su cose così radicate dentro di te. Lo devi capire tu, sennò è inutile” aveva posato la forchetta sul piatto quasi intatto facendolo tintinnare “grazie per la colazione, posso fare una doccia?” aveva sorriso a Mary.

“Certo, Lily. Gli asciugamani sono sotto il lavandino” era sorpresa, ma anche fiera di lei.

Si era alzata: “Con permesso” era sparita dietro la porta, lasciando tutti con un palmo di naso, Sherlock compreso. Che però si era ripreso immediatamente, tirando indietro le spalle e borbottando: “Cosa mai avrà voluto dire”

“Che dovresti cominciare a volere bene alle persone che te lo dimostrano ogni giorno, razza di babbeo” aveva risposto John, guardandolo negli occhi.

“Io te lo dimostro” aveva replicato lui, offeso.

John non aveva ribattuto, attribuendo al silenzio la risposta più appropriata.

//

Lily si era chiusa in bagno, finalmente lontana dagli sguardi accusatori di Sherlock. Addirittura non fidarsi di lei. Ma si era riscoperta a pensare che poteva arrivare a tutte le conclusioni del mondo tranne a quella più ovvia: cioè che lei avrebbe fatto tutto per lui perché ne era innamorata. Era come una parola proibita; quel testone capiva tutto, tranne l’amore. Sotto al getto di acqua bollente, si dava comunque della stupida. Bastava così poco per metterlo di fronte alla verità: confessarlo. Ma era spaventata a morte dalla sua reazione. E se lo avesse perso? Una fitta di dolore e angoscia le aveva trafitto il petto. Non era ancora pronta a questa eventualità. Ancora no.

Si stava tamponando i capelli con l’asciugamano mentre apriva la porta del bagno, persa nei suoi pensieri. Anche lei sperava di non dover mai usare il biglietto di Mycroft. Se l’avesse fatto avrebbe voluto dire sicuramente che era successo qualcosa di grave, o di irrimediabile. L’avrebbe conservato, anche per eventuali emergenze riguardanti Sherlock anche se sicuramente John sapeva già come procedere in casi estremi.

Ma quali erano i casi estremi alla fine? Si era tirata su l’asciugamano che le avvolgeva il corpo, cercando di non farlo cadere. Voleva mettersi i suoi vestiti puliti.

In tutto questo casino, doveva comunicare a John e Sherlock la scelta che aveva preso riguardo Castle Combe. Era stata una decisione presa di getto, ma nonostante tutto era ancora convinta che avrebbe dovuto almeno provare, vedere come avrebbe reagito lei. E poi sua madre.

Già, la mamma.

La sera che era scappata avevano litigato e si erano dette cose orribili. Con quella discussione Lily aveva capito una volta per tutte che sua madre non l’amava, non come doveva amare un genitore. Era andata via, senza rimpianti, senza lacrime. Una volta arrivata a Londra aveva tenuto d’occhio i notiziari e i giornali, senza trovare traccia di lei e della sua sparizione. Aveva cercato di dimenticare, di sotterrare quel dolore che era dentro di lei, a cui non sapeva dare un nome preciso. Come si chiama l’amarezza che provi quando un genitore ti odia? Non lo sapeva, faceva solo terribilmente male.

Un altro pensiero le vorticava in testa: doveva andare da sola? Sapeva che non poteva chiedere a John e Sherlock di mollare tutto per accompagnarla nel suo paese natale e sonnacchioso, probabilmente senza cavare un ragno dal buco. Ma andare lì da sola le sembrava strano e le faceva provare una sensazione di angoscia non indifferente. John aveva Mary e Rose, Sherlock i suoi casi e le sue indagini. Gliene avrebbe parlato, ma solo per informarli della sua decisione.
Mentre pensava a tutto ciò, si era vestita e avviata in cucina; era cambiata solo la disposizione dei posti; Mary non c’era, probabilmente si stava prendendo cura di Rose. John e Sherlock erano seduti uno accanto all’altro, John girato verso Sherlock e parlavano a voce bassa.
Lily aveva bussato leggermente alla porta per avvertirli che era a portata d’orecchio. Si erano girati e John le aveva sorriso, mentre Sherlock la guardava come se già sapesse che doveva dire qualcosa.
Lily aveva sorriso, tesa. Si era seduta davanti a loro, lentamente. Aveva unito le mani davanti a sé, prendendo un respiro profondo: “Devo parlarvi”.
    
John aveva aggrottato le sopracciglia, in un movimento fulmineo. Aveva l’aria preoccupata. Il tono di Lily non era dei migliori. Sembrava serena ma allo stesso tempo agitata, un’adolescente che doveva confessare ai genitori qualche stupidaggine.
L’interesse di Sherlock era stato catturato immediatamente; si era seduto meglio e aveva tirato su le spalle, con fare professionale. Chissà se si comportava così quando interrogava i suoi clienti.

“Okay, dicci tutto Lily” John aveva sorriso, rassicurante “c’è qualcosa che non va?”

“Ehm..” Lily aveva cominciato lentamente “io ci ho pensato e…anche se sembra una decisione affrettata…ecco..avrei deciso di andare a Castle Combe. Per vedere quello che potrebbe succedere. Per sentire quello che ha da dire mia madre. Non voglio più avere paura” aveva guardato Sherlock per una frazione di secondo, e lui aveva strizzato gli occhi impercettibilmente “spero che stavolta sia veramente un punto di svolta per me, qualcosa che mi aiuti a…insomma..capire. Qualunque cosa possa essere” vedeva John che sorrideva leggermente, quasi fiero. Lily si torceva le mani nervosa, non riusciva a tenerle ferme, le facevano male i polsi “volevo solo informarvi della mia decisione, perché alla fine mi ci avete fatto riflettere voi..quindi..” aveva sorriso timida, non sapendo cos’altro dire.

“Bene, sono felice per te” John aveva allungato le mani su quelle di Lily stringendole forte.

Sherlock aveva annuito, senza dire nulla: “Beh, quando si parte?”

Lily aveva diretto lo sguardo verso di lui, sorpresa. Questa era bella. Aveva aperto la bocca, senza che ne uscisse alcun suono. John guardava entrambi.

“Io…” stavolta Lily non sapeva veramente cosa dire, non si aspettava una risposta del genere “io non credevo che..”

Sherlock l’aveva guardata, confuso: “Cosa? pensavi non saremmo venuti con te? Vuoi andare da sola?”

“No!” aveva replicato subito Lily, con un tono di voce decisamente alto “io vorrei tanto che voi mi accompagnaste…ma credevo che..insomma..avete le vostre vite, le vostre cose..da fare..” si sentiva rimpicciolire, la voce sempre più fioca e imbarazzata.

John aveva alzato le sopracciglia: “Beh, Lily devi dirci tu cosa vuoi che facciamo. Se ci vuoi al tuo fianco, una soluzione si trova” l’aveva guardata intensamente, facendo avvampare Lily ancora di più dall’imbarazzo “ehi, alla fine siamo un po’ come i tre moschettieri, no? Uno per tutti, tutti per uno”

Sherlock aveva annuito, serio.

Un nodo alla gola aveva fatto abbassare la testa di Lily. Aveva le mani in grembo, le guardava ma l’immagine andava sfocandosi man mano per via delle lacrime che le riempivano gli occhi. Era un gesto bellissimo, affettuoso da parte loro. Sentirsi parte di un nucleo così stretto, da cui tutti erano fuori, la stessa Mary, Mycroft, Lestrade. Erano solo loro tre, con un rapporto unico e inspiegabile, almeno per Lily. Non aveva mai avuto amici, qualcuno che si prendesse cura di lei. Per questo era strano sentirsi dire con tanta nonchalance che sarebbe stata sostenuta in una cosa così importante. Lei era sempre stata sola, tutto questo la sopraffaceva. Era questo quindi, il sentirsi capiti, il sentirsi amati. Era strano sapere come ci si doveva comportare ma non poterlo mai mettere in atto. Ora loro glielo stavano dimostrando, e lei non si aspettava nulla di tutto questo perché era troppo abituata a ricevere solo rifiuti e cattiverie, abituata a pensare che non si meritasse nulla di buono.

Erano sempre loro, i suoi cavalieri dall’armatura scintillante. Nonostante Sherlock fosse quello che era, si sentiva grata per questo gesto che sembrava così spontaneo. Si voleva convincere fosse così, almeno per ora.

“Lily? stai bene?” la voce di John le arrivava soffusa, lontana.

Lei aveva annuito, la testa ancora bassa: “Grazie” aveva sussurrato “non avete idea quanto conti questo per me. Grazie mille, davvero”

John aveva sbuffato, divertito: “Pensi davvero che ti avremmo lasciata sola? Sarebbe successo solamente se ce lo avessi chiesto espressamente tu”

“Sai che non sono abituata a questo genere di cose” aveva borbottato Lily, stringendosi nelle spalle.

John aveva riso, divertito: “Quando vuoi partire?”

“Vorrei aspettare ancora un po’, probabilmente per metà Marzo. Ormai Febbraio è quasi finito, quindi sarebbero al massimo due settimane”

Sia John che Sherlock avevano annuito in simultanea.

“Si spera ci sia un minimo di bel tempo, mi piacerebbe farvi vedere il posto. Se dovesse piovere, sarebbe veramente noioso”.

Sherlock aveva il telefono in mano: “Sto guardando come arrivare. Con il treno è un viaggio troppo lungo; scambi, corriere e quant’altro. Forse converrebbe noleggiare una macchina” aveva posato il telefono sul tavolo.

John lo guardava e Lily sospettava quale fosse il motivo: tutta questa partecipazione attiva era alquanto strana. Ma non voleva pensarci in quel momento. Aveva un paio di settimane per abituarsi all’idea di tornare a casa sua, dov’era cresciuta. Rimettere i pensieri in ordine, cercare le parole da dire, cercare di non pensare subito in negativo riguardo sua madre. Le riusciva ancora difficile pensare che dopo tutto quel tempo si fosse accorta proprio ora che da qualche parte avesse una figlia, un proseguimento del suo DNA. La confusione era molta, non sapeva neanche se avvertire del suo arrivo. Sicuramente Andrew aveva riferito la sua reazione a sua madre e quindi si aspettava che non sarebbe mai arrivata; avrebbe potuto farle una sorpresa: non che si aspettasse che cadesse in ginocchio piangendo, ma le reazioni a caldo erano quelle che facevano capire meglio la genuinità dei sentimenti. Non c’era bisogno di avvertire, quella era comunque casa sua, nel bene o nel male.

Sarebbe stato un percorso decisamente difficile, decisamente emotivo. Non sapeva cosa sarebbe accaduto.

Sherlock e John continuavano a parlare tra di loro, mentre Lily era immersa nei suoi pensieri.

“Lily?” Sherlock la guardava, perplesso “ci sei?”

Si era girata, confusa: “Scusa, stavo pensando. Cosa stavi dicendo?”

“John ci ha invitati a rimanere a pranzo. Tu hai qualcosa da fare?”

Lily aveva alzato le spalle: “No, certo che no. Sono libera come l’aria”. Si sentiva sulle nuvole, un mare di pensieri le affollavano la mente e non riusciva a concentrarsi. Era tutto così improvviso e veloce. Decisioni da prendere, emozioni da tenere a bada. Era tutto molto caotico.

“Ok” Sherlock la osservava, perplesso, poi si era girato verso John, sussurrando “secondo te sta bene?”

Lui aveva sorriso: “Sta cominciando a capire come ci si sente quando si prendono decisioni importanti senza sapere quali saranno le conseguenze. Ci siamo passati tutti, e porta a una grande confusione”

Sherlock aveva alzato le sopracciglia perplesso: “Poi dite che essere razionali come me non fa comodo. Ci si risparmia un sacco di grattacapi”.

John aveva riso, alzando gli occhi al cielo.

La giornata era passata tranquillamente, Sherlock e Lily avevano passato gran parte del pomeriggio da John e verso le sei si erano diretti nuovamente a Baker Street. Lily era stata assente per quasi tutta la giornata. Era come se si fosse aperta una porta, che le aveva fatto ricordare mille cose. Aveva ripensato alla sua stanza, alla sua casa, a tutte le cose che faceva lì. Come passava il tempo, cosa faceva quando la noia la inghiottiva. Ripensava all’ora del the, cosa su cui sua madre non transigeva. Alle cinque in punto Lily doveva essere in salotto. La cerimonia si svolgeva in silenzio, senza sguardi e senza conversazioni particolari. Era una messa in scena assurda, e Lily non lo sopportava. Quante volte la cameriera era venuta a supplicarla di scendere prima che sua madre desse di matto. Proprio non capiva. Che senso aveva? Il resto della giornata la ignorava e faceva come se non esistesse. Era iraconda, e si fissava su delle cose veramente ridicole. Da quel poco che era riuscita a farsi dire, era così da quando suo padre era andato via. E Lily era scappata proprio per quello. Era vista come una disgrazia, un errore nella sua vita perfetta. Si sarebbe potuta appoggiare a lei, essere felice almeno di averla vicino. Invece no, si era semplicemente abbandonata al risentimento.

Aveva sentito una mano sulla spalla. Era Sherlock.

“Direi di smettere di pensare per oggi. Posso vedere il fumo che ti esce dalle orecchie”.

Lily aveva riso: “Hai ragione. Mi dispiace di non essere stata di compagnia oggi. Non riuscivo a smettere di ragionare. Con questa decisione mi sono tornati in mente mille ricordi e situazioni che avevo rimosso”

“Hai paura?” Sherlock la guardava, impassibile. Era in piedi accanto a lei.

Lily aveva scrollato le spalle, dubbiosa: “Forse, un po’. Non so cosa aspettarmi”.

“Lo scoprirai solo andando lì. Ci saremo io e John, non sarai sola”.

Il sole ormai era calato, per strada era buio. Quello che aveva appena detto Sherlock era vero, ci sarebbero stati loro con lei e questo fino ad oggi era bastato.

Ma Lily temeva che questa volta non sarebbe stato abbastanza.

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