La porta chiusa di shezza_demon221 (/viewuser.php?uid=940903)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bianco ***
Capitolo 2: *** Decisions decisions ***
Capitolo 3: *** Sherlock who? ***
Capitolo 4: *** How to mend a broken soul ***
Capitolo 5: *** Whole again ***
Capitolo 6: *** Move on and don't look back ***
Capitolo 7: *** The first Christmas ***
Capitolo 8: *** The Boogey man ***
Capitolo 9: *** Say it if it's worth savin'me ***
Capitolo 10: *** If today was your last day ***
Capitolo 11: *** What if ***
Capitolo 12: *** Expectations ***
Capitolo 13: *** Secrets and lies ***
Capitolo 14: *** Upside down ***
Capitolo 15: *** Hedgehog's dilemma ***
Capitolo 1 *** Bianco ***
Ebbene, questo è il primo capitolo della mia prima fan fiction in assoluto! Spero che la scrittura e la narrativa siano abbastanza scorrevoli, devo prenderci un po’ la mano. La storia a grandi linee è definita e ci metterò tutto l’impegno possibile per renderla interessante!
Grazie a chi si fermerà a dare un’occhiata e a chi lascerà opinioni e critiche costruttive.
A presto!
Shezza_demon
Capitolo 1
Bianco
Aprendo gli occhi, Lily vedeva solo bianco e tanta luce. Forse era in Paradiso. Ma se lo immaginava meno doloroso e con una luce decisamente meno fastidiosa attraverso i suoi occhi chiusi. In quel momento si era accorta del taglio sul labbro, del gonfiore sotto l’occhio e del dolore generale che pervadeva tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi.
Sentiva voci sommesse, odore di disinfettante. Non avrebbe aperto gli occhi, in quel momento era paralizzata dalla paura. Non capiva cosa stava succedendo e questo la stava mandando nel panico.
“Quanto ci metterà a riprendere conoscenza?” chiedeva una voce femminile, preoccupata e sommessa.
“Le ferite sono abbastanza gravi, considerando anche il trauma cranico e il sanguinamento della milza. E’ una fortuna che sia ancora viva, dopo quello che le hanno fatto”. Voce maschile, profonda, impostata e professionale.
Cosa doveva fare? Aprire gli occhi? Continuare a dormire? Dove si trovava e cosa era successo? I ricordi che aveva erano annebbiati, sentiva solo il dolore alla testa, il pulsare del sangue nelle tempie. Aveva anche sete, la gola le bruciava come se fosse aggredita da un esercito di formiche rosse.
Avrebbe aperto un poco gli occhi, per sbirciare e cercare di capire dove diavolo si trovasse.
Attraverso le palpebre socchiuse, vedeva un letto con le sbarre, una flebo al suo braccio destro e un bip sommesso e intermittente. Era in ospedale. Cosa ci faceva lì, perché era attaccata a una flebo?
Alla sua sinistra c’erano tre persone. Un dottore con un camice bianco con davanti una donna, capelli mossi e biondi, con l’aria preoccupata. Accanto a lei, con aria seria e cupa c’era un uomo biondo, basso e con gli occhi di un colore che Lily non riusciva a inquadrare attraverso le palpebre socchiuse. Teneva una mano su un fianco e con l’altra circondava la vita della donna.
“Sembrano persone per bene” pensò Lily “ma chi sono?”
Un’improvviso sapore amaro le si era presentato in bocca, costringendola a tossire. Macchiò di sangue il suo camice, soffocando tra i colpi di tosse.
Le tre persone si erano voltate di colpo verso di lei e il dottore si era precipitato verso il suo letto.
All’improvviso infermiere e dottori erano intorno a lei e Lily aveva sentito una puntura al braccio.
Poi più niente.
Si era risvegliata a notte fonda, stesso scenario. Aveva tentato di muovere almeno le braccia per cercare di tirarsi su sui cuscini per dare sollievo alla schiena immobilizzata e dolorante. Aveva stretto i denti e gli occhi per lo sforzo e il dolore. All’improvviso una mano dietro le spalle l’aveva sostenuta e la stessa voce femminile e sommessa di poche ore fa aveva sussurrato:
“Ti aiuto io, tranquilla. Cerca di non muoverti troppo, non sei ancora in grado di alzarti”.
Aveva sistemato alcuni cuscini dietro la sua schiena, permettendole di avere una visuale della stanza più ampia. Non che ci fosse molto da vedere, ma almeno non avrebbe continuato a fissare il soffitto.
“Per fortuna ti sei svegliata. Ci siamo parecchio preoccupati” la donna le aveva sorriso, rassicurante. Aveva gli occhi verdi, e le sorridevano tranquilli.
Lily non riusciva a parlare, anche perché ancora ignorava il motivo per cui si trovava lì.
“Oh certo vorrai sapere almeno il mio nome” aveva detto sollevando le mani in imbarazzo “io mi chiamo Mary. Mary Morstan”.
Lily continuava a fissarla, ammutolita. Non sapeva neanche se era in grado di parlare ancora, visto la gola secca e dolorante; cosa le avrebbe detto comunque?
“Tu come ti chiami?” aveva chiesto sommessamente Mary, inclinando la testa da una parte, con fare complice.
Lily aveva schiuso le labbra, respirando appena. I suoi occhi vagavano per la stanza, per soffermarsi sul tavolino vicino al letto dov’era posata una brocca d’acqua. La fissava con brama, come se non bevesse da un centinaio d’anni.
Mary aveva seguito con sguardo curioso quello di Lily, per poi sgranare gli occhi trattenendo un respiro.
“Oh santo cielo, avrai sete! Che sciocca! Ti prendo subito un bicchiere con una cannuccia”.
Aveva riempito il bicchiere e aveva avvicinato alla bocca di Lily una cannuccia rossa: “Bevi piano, non vorrei ti sentissi male”.
Lily aveva bevuto a piccoli sorsi, sentendo la gola riprendere vita. Non era mai stata cosi felice di bere un bicchiere d’acqua in tutta la sua vita. Aveva accennato un sorriso, timido e riconoscente. Mary la guardava con un sorriso materno e soddisfatto. Avevo ripreso il bicchiere, poggiandolo piano sul tavolino accanto al letto. Poi si era girata verso di lei, e mettendosi le mani in grembo aveva esclamato: “Quindi! Me lo dirai mai il tuo nome?”.
I suoi occhi la scrutavano, un misto di curiosità e senso materno.
“Io…mi chiamo Lily” aveva sussurrato con voce roca e debole.
Mary le aveva scoccato uno sguardo divertito: “Che bel nome! Lily...e poi?”
Le sue mani avevano stretto il lenzuolo. Lily non ricordava perché era lì, non conosceva quella persona e in quel momento era confusa e anche impaurita. Chi era Mary, cosa voleva da lei? Era della Polizia, dei servizi sociali?
All’improvviso un lampo di luce le attraversò la mente.
Era per terra, e urlava dal dolore tempestata di calci e pugni e ricoperta di improperi e bestemmie.
Era Kaleb ed era arrabbiato con lei, non si ricordava neanche per cosa.
Kaleb. Doveva trovarlo, doveva sapere dov’era. Dove sarebbe andata sennò?
Aveva cominciato ad agitarsi, scostando le lenzuola e cercando di togliersi la flebo dal braccio.
“Io devo andare via da qui. Devo tornare, devo tornare da lui, sennò si arrabbierà”.
Le mani le tremavano, la voce era ridotta a un bisbiglio terrorizzato. Gli occhi spalancati e vitrei, il terrore dipinto sul volto che era diventato bianco come il lenzuolo che stringeva tra le mani nervose.
Mary la osservava spaventata ma la sua faccia e la sua voce erano diventate improvvisamente decisa e perentorie.
“No Lily, non puoi andare via da qui. Stai male e hai bisogno di cure. Chi ti ha ridotto così, chi era la persona che è scappata quando io e John siamo venuti in tuo aiuto?”
Lily ora ricordava. Le braccia intorno alla testa, per impedire i calci, le urla e gli schiaffi. Poi una voce maschile, delle urla di donna e i calci erano cessati e lei aveva fissato il cielo stellato riprendendo fiato e con un dolore lancinante alle costole, in quella notte fredda. Sentiva il sangue caldo che le usciva dal naso, il labbro che le si gonfiava. Poi dei discorsi concitati e quell’uomo biondo, quell’uomo che aveva visto prima chino su di lei e con le mani intono alle sue tempie. Vedeva la sua bocca muoversi, i suoi occhi spaventati e scuri, forse neri forse blu. Cercava di tenerla sveglia, finchè aveva sentito attraverso le orecchie ovattate dalle botte delle sirene, un lampeggiante blu e poi buio. Fino a quando si era risvegliata lì in mezzo a quel bianco accecante, senza ricordarsi nulla.
Era già con le gambe fuori dal letto, in preda al panico e urlava che doveva andare via a tutti i costi. Mary la teneva saldamente per le braccia, ripetendo che non poteva nelle sue condizioni. Cercava di tranquillizzarla, che avrebbe pensato lei a Lily, che non doveva avere più paura di niente perchè ora era la sicuro, lontano da chi le faceva del male.
Lily a quel punto si era immobilizzata. Forse doveva darle ascolto, forse quello era un
segno del destino. Un segno che l’avrebbe portata fuori da quella merda, fuori dall’incubo. Ma poi pensò a Kaleb e dove sarebbe potuto essere. Erano sue le mani che l’avevano ridotta così.
“Ci prenderemo cura di te, Lily. Devi stare tranquilla, è finita.” Gli occhi di Mary erano decisi e duri. Gli occhi di chi aveva già preso una decisione. Ma Lily aveva paura e in quel momento decise che il suo nome sarebbe stato l’unica cosa che avrebbero saputo di lei. Si sarebbe abbandonata agli eventi, ma nient’altro sarebbe uscito dalla sua bocca.
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Capitolo 2 *** Decisions decisions ***
Capitolo
2
Decisions decisions
Erano passate 12 ore e Lily sembrava stare meglio. Mangiava regolarmente, prendeva tutte
le sue medicine e riposava, cosa che non faceva da moltissimo tempo.
Mary era sempre lì con lei, e Lily aveva anche fatto la
conoscenza di John e della piccola Rose, la loro bambina di appena sei
mesi. Sembrava quasi fatto apposta, Lily e Rose. John era un medico, e
Lily lo vedeva spesso al telefono a discutere con una persona non
meglio identificata. Mary lo guardava e scrollava le spalle, arresa. Ma
non le aveva mai detto niente a riguardo.
Un giorno era venuto a trovarla anche un certo Gregory Lestrade, un uomo
alto e con i capelli leggermente grigi, dall’aria simpatica
ma stanca. Voleva sapere di più sulla sua
identità e su quello che era accaduto. Ma Lily era muta come
un pesce e si era riuscito solo a capire che non aveva documenti
con sé e a quanto pare era senza fissa dimora.
“Dovrei denunciare il fatto ai servizi sociali, invece di
farla tornare non si sa dove, probabilmente dalla persona che
l’ha ridotta in quello stato” sussurrò
Lestrade a Mary e John fuori dalla stanza di Lily “se non
riusciamo a capire chi è e da dove viene,
l’istituto è l’unica
soluzione”.
“Non pensarci neanche Greg!” aveva esclamato Mary
“non posso accettare una cosa del genere, è una
ragazza spaventata e non sa dove andare ed essere rinchiusa in un
istituto potrebbe solo peggiorare la situazione! La prenderemo in
custodia noi, finchè le cose non saranno
migliorate”.
“E cosa vorresti fare, si può sapere?”
aveva esclamato John incuriosito “ospitarla da noi, in quel
buco di appartamento che abbiamo e con una bambina piccola?”
aveva incrociato le braccia e inarcato le sopracciglia a mò
di domanda.
Mary aveva pensato per qualche secondo. All’improvviso il suo
viso si era illuminato e sorridendo aveva detto a John: “Io
un’idea ce l’avrei”.
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“Assolutamente
no! Io sto bene da solo, non ho bisogno di
compagnia!”
John doveva ringraziare Mary per avergli scaricato questa bellissima
patata bollente. “Tu
lo conosci e lo sai prendere, vedrai che un po’ di impegno
riuscirai a convincerlo”
Sì certo, come no.
Sherlock Holmes era seduto sulla sua poltrona, le braccia incrociate
sul petto, come un bambino capriccioso. I suoi occhi grigi guardavano
John increduli e offesi, come se fosse stato oltraggiato.
“Io non sono il tipo che desidera compagnia” aveva
osservato John che aveva corrugato la fronte, con espressione confusa
“tranne la tua, certamente”. Le sue mani si erano
alzate come per scacciare un pensiero fastidioso “non so
neanche come vi sia potuto venire in mente, a voi due!”
John si aspettava una reazione del genere. Sherlock era il tipico
misantropo chiuso in sé stesso, ma alla fine non era cattivo.
“Si tratta di ospitarla finchè non
troverà una sistemazione sua, un posto nella
società, non sappiamo molto di lei ma ti posso assicurare
che non è un’assassina, né tantomeno
una ladra o qualsiasi altra cosa del genere. Non so neanche io
perché Mary si sia incaponita su questa faccenda, ma sai che
quando si mette in testa una cosa è impossibile convincerla
del contrario. Ti prego, solo per un po’ di tempo. La mia
stanza al piano di sopra è vuota e tu comunque a casa non ci
sei quasi mai, che fastidio può darti?”
Sherlock girava per la stanza, nervoso e indispettito, con i suoi
riccioli neri disordinati, come se fossero nervosi anche loro. Ci
mancava questa cosa tra capo e collo, e sapeva che non poteva rifiutare
un favore a John, ma che diamine! Ospitare una sconosciuta a casa sua,
senza sapere chi fosse e da dove venisse. E se veramente fosse stata
una ladra, una spostata? Lui già sopportava a malapena la
gente e il contatto umano. Come potevano chiedergli una cosa del genere?
“Sherlock,” aveva sussurrato John richiamando la
sua attenzione, dopo aver seguito il suo moto nervoso attraverso la
stanza per cinque minuti “potrebbe aiutarti con la casa,
prepararti da mangiare” aveva azzardato, sperando di non
finire all’inferno per quella considerazione vagamente
sessista.
“Io non mangio mai” aveva risposto Sherlock secco
“e non mi serve una balia”. Aveva girato
le spalle a John.
“Te lo chiedo da amico. Ti giuro che andrà bene, e
se qualcosa dovesse andare storto ti prometto che si troverà
subito un'alternativa. Per favore, è una ragazza che ne ha
passate un bel po’ a quanto pare, merita una
possibilità, un qualcosa di normale”. John aveva
alzato gli occhi al cielo, pensando che una convivenza con Sherlock
poteva essere tutto tranne che tranquilla.
Sherlock aveva chiuso gli occhi, le labbra stretta in una linea sottile
e con un sospiro plateale, si era girato verso John e con molta calma
aveva detto: “ E
va bene. Ma non deve toccare i miei esperimenti,
né ficcare il naso tra le mie cose. Questi sono compromessi
tassativi”.
John aveva sorriso, sollevato: “Grazie Sherlock. Vedrai che
andrà bene”.
“Sì, sì certo. Ora vattene, ho da fare
delle cose molto importanti e non voglio essere disturbato”.
John aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato e divertito:
“Va bene me ne vado. Buona giornata e
buon…qualunque cosa tu debba fare”. Soffocando una
risata era uscito dall’appartamento.
Sherlock aveva sbuffato, e tirato un piccolo calcio alla poltrona
vicino al caminetto.
Uscito dal portone del 221b di Baker Street John aveva preso il
cellulare in mano e digitato un messaggio per Mary.
Ha accettato, con ben
poco entusiasmo. Spero vivamente che la tua idea abbia successo,
altrimenti me la farà pagare per il resto dei miei giorni. E
non sarà affatto divertente.
La risposta di Mary era arrivata pochi minuti dopo.
Andrà tutto
bene, vedrai. Ho un buon presentimento. Ci vediamo a casa, mentre torni
prenderesti il latte?
John si era incamminato verso la metropolitana. Questa cosa del latte
lo perseguitava, non importa dove andasse a vivere.
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Lily era seduta sul divano di casa Watson, rigida e tesa come una corda
di violino. Sul tavolino davanti a sé era poggiata una tazza
di the fumante e un piatto di biscotti, ma non aveva il coraggio di
toccarli. Aveva paura di creare qualche disastro, di far cadere qualcosa
e di rovinare il bel tavolino laccato. Da quanto non vedeva una vera
casa, un vero salotto con le tende alle finestre, quadri e foto ai
muri. Da quanto non sentiva odore di pulito, di casa, di fiori freschi.
La cosa che più la agitava era la bambina seduta sul tappeto
davanti alla TV, che nonostante i giochi e le costruzioni che la
circondavano, la guardava fissa, senza distogliere lo sguardo da lei.
Indagando e probabilmente chiedendosi chi fosse la sconosciuta che era
seduta sul divano come una statua di sale. Mary era in cucina a
sbrigare non sapeva cosa ma sarebbe arrivata a momenti, e sarebbe
arrivato anche John per parlare della sua “nuova
sistemazione”, di cui lei naturalmente non sapeva nulla.
Non ci avrebbe messo niente a scappare, ad alzarsi dal divano e con
passo felpato raggiungere la porta per chiuderla lentamente dietro di
sé. Ma qualcosa la fermava, la ancorava a quel divano. Forse
era paura, forse istinto di sopravvivenza, forse gratitudine per quelle
due persone che si erano fidate di lei a prescindere, facendola dormire
sul loro divano, nella loro casa. Accogliendola come una conoscente, un
ospite, un’amica. Lily non capiva come questo fosse
possibile, come fosse possibile che ancora ci fosse del buono a questo
mondo. Lei che del mondo aveva visto ben poco e quel poco era stato
devastante, orribile, crudele e doloroso.
La mano le era andata automaticamente al labbro inferiore dove il
taglio ancora le faceva male. Il solo contatto le fece ricordare il
pugno che l’aveva colpita, i lampi di luce che le erano
scaturiti negli occhi e nel cervello facendola barcollare e cadere per
terra. Per quale motivo poi. Per quale motivo erano continuati i calci
sulla schiena, sulla testa e sulle spalle.
Lily aveva stretto gli occhi, cercando di fermare il bruciore dietro le
palpebre. Aveva cominciato a sudare e lo stomaco le si contorceva per
la paura e la vergogna. Sapeva che erano a conoscenza anche della
violenza. Avevano saputo tutto, perché John era un dottore e
in ospedale l’avevano fatta stendere su quel lettino con le
gambe divaricate e avevano frugato dentro di lei, cercando quello che
poi avevano trovato. E aveva sentito vergogna e dolore e nausea.
Lo vedeva negli occhi di Mary, dopo che John l’aveva presa da
parte per dirle quello che lei già sapeva. La mano di Mary
sulla bocca, lo sguardo incredulo e spaurito che si era immediatamente
focalizzato su di lei, pieno di compassione. Lily odiava la
commiserazione, ma sapeva anche che non era voluta, era una reazione
naturale. E aveva fatto finta di non vedere, aveva fatto finta di non
ricordare quello che era successo quella notte e che probabilmente era
successo altre volte, solo che lei non ricordava perché era
troppo intontita dal dolore, dal veleno che le scorreva nelle vene,
dalla disperazione che la portava a fare certe cose, dalla dipendenza
che aveva verso il suo aguzzino, perché lei non voleva
rimanere sola, non voleva morire.
Tutti questi pensieri le si erano riversati nella mente come un fiume
in piena e aveva sentito una lacrima calda rotolarle giù per
la guancia, ma aveva prontamente alzato la mano per asciugarla
perché non doveva piangere. Ogni volta che l’aveva
fatto era stato un incubo.
La sua vita era un foglio bianco. Il tenente Lestrade che aveva fatto
visita in ospedale a Lily, non era riuscito a trovare traccia di lei da
nessuna parte. Niente certificati di nascita, niente documenti, solo il
suo nome, Lily. Lei non aveva aperto bocca e avevano attribuito il
tutto allo shock e contavano sul fatto che prima o poi qualcosa sarebbe
saltato fuori, sicuramente da lei stessa.
Tutta la sua vita era chiusa in un angolo della sua mente che raramente
visitava, ma che emergeva a volte nei suoi incubi.
Non voleva pensare, non voleva ricordare. Sentiva solo una gran rabbia
nel portare a galla i ricordi, così li aveva soppressi in
qualche recesso del suo subconscio. Erano lì, sopiti. Ma non
c’era motivo di svegliarli, nessuna voglia da parte sua.
Sembrava le fosse stata data una possibilità, qualcosa a cui
aggrapparsi. Quanto voleva la normalità. Ma da una parte
sentiva la dipendenza da quella che era prima, da quello che
l’aveva tenuta insieme anche se nel dolore e nella dipendenza
affettiva.
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Mary l’aveva portata a comprare nuovi vestiti, biancheria.
Era stata a tagliarsi i capelli, cosa che aveva sempre fatto da sola.
Ora non faceva altro che passarsi le mani nei capelli. Erano corti,
castani e non si ricordava quanto potessero essere morbidi.
I suoi pensieri erano stati interrotti da Mary, che portava altri biscotti
nonostante Lily non avesse toccato quelli che erano sul tavolino di
fronte a lei.
Mary aveva fatto finta di niente e si era seduta vicino a lei.
“Allora. Non ti piace il the? Se vuoi posso farti un
caffè”. Le aveva sorriso, materna. La piccola Rose
continuava a giocare indisturbata sul suo tappeto.
“Ehm…no grazie, il the va benissimo, mi ero solo
distratta. Avete una casa molto bella” aveva detto Lily in un
sussurro, stringendo le mani sulle ginocchia.
In quel momento, era rientrato John, con il latte e
un’altra busta del supermercato in mano. Si era bloccato per
pochi secondi sulla soglia, poi aveva sorriso ed esclamato:
“Buonasera!Tutto bene?”
“Certo, certo” aveva detto Mary sorridendo
“ora John potresti venire qui, così possiamo
parlare con Lily?”
“Arrivo subito, poso queste buste e sono subito da
voi”. Aveva cambiato espressione all’improvviso,
come se si stesse preparando ad affrontare un argomento serio.
Lily cominciava a sentirsi agitata e leggermente in ansia.
Avevano chiamato i
servizi sociali. Avevano chiamato la Polizia. Sarebbe andata in qualche
casa famiglia.
All’improvviso aveva sentito la mano fresca di Mary sulle
sue: “Non preoccuparti, Lily. Va tutto bene”.
Lily la guardava, guardava quei suoi occhi verdi e non sembrava
mentire. Aveva annuito leggermente, aspettando quello che le avrebbero
detto.
John aveva preso la parola per primo, con piglio sicuro.
“Dunque, Lily. Ti sei trovata bene qui?”
Lily aveva annuito sempre più nervosa
“Sì, benissimo, non so come ringraziarvi,
veramente. Io…non…” si era interrotta,
non sapendo cos’altro dire.
“Bene, ne sono felice” aveva sorriso John,
guardandola intensamente con i suoi occhi blu, facendola avvampare e
sentire a disagio “come ben sai, non ce la sentiamo di farti
dormire sul nostro divano, pensiamo che tu abbia bisogno di una
sistemazione più consona, dove tu possa sentirti a tuo agio,
più libera di fare quello che vuoi”.
Ecco. Il momento era
arrivato. Di nuovo sola, chissà dove.
“Ho un amico, si chiama Sherlock. Prima si sposare Mary
abitavo da lui, e si ritrova con una stanza vuota. E’
sicuramente un tipo un po’ particolare, molto eccentrico e
leggermente misantropo. Ma non cattivo, te lo assicuro. Vorrei, se tu
sei d’accordo, che ti trasferissi lì. Avresti la
tua stanza, i tuoi spazi e potresti ricominciare da capo. Sappiamo che
la tua situazione precedente non era delle migliori “ si era
fermato, per raccogliere la reazione di Lily, che si era stretta nelle
spalle diventando minuscola “e quando vorrai, potrai
parlarne. Ma per ora, vorremmo che tu accettassi questa
opportunità”. Si era fermato, aspettando la sua
reazione.
Lily era confusa. Questo era ben oltre la gentilezza, e non capiva
perché proprio lei. Perché tutta questa premura
nei suoi confronti. Lei non era niente in fondo. Nulla che meritasse
tutto questo. Si tormentava le maniche della sua felpa nuova, cercando
delle parole da dire. Non venivano fuori, riusciva solo ad arrossire e
cercava disperatamente di cacciare indietro le lacrime che le si
formavano in gola.
Poi aveva alzato gli occhi su John e Mary. La guardavano con il
più dolce dei sorrisi, soprattutto Mary. John non era il
tipo da tenerezze, la guardava solo intensamente, e sentiva quegli
occhi entrargli sotto la pelle.
Finalmente delle parole si facevano strada nella sua gola secca:
“Io….non so che dire, siete così
gentili con me ed io non so come ricambiare tutto
ciò…sono…non nascondo che sono
confusa. Mi avete raccolto da una strada e ora sono qui e
io… non so”.
John aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le mani
aveva detto con voce calda e calma: “ Accetta e basta,
sarebbe la cosa migliore da fare per ringraziarci”. Aveva
detto queste parole con un’espressione seria, ma con un
angolo della bocca sorrideva leggermente.
“Lily” aveva esordito Mary, prendendole le mani e
stringendole forte “so che non sono cose che succedono
normalmente. Ma io ho una sensazione, qualcosa che mi dice che tu
dovevi essere salvata. E io lo vedo sai, nei tuoi occhi.
C’è paura, c’è dolore e
questo non posso accettarlo. Io ho una figlia” aveva guardato
Rose, ancora tranquilla intenta a giocare con i suoi giocattoli
“e tutto ciò mi tocca particolarmente. Accetta,
datti una possibilità. Ti prometto che non ti
succederà nulla”. Il suo sguardo era deciso.
Lily aveva guardato entrambi. John, leggermente imbarazzato, con la sua
tazza di the in mano intento a scrutarne l’interno. Mary con
le mani tra le sue, in attesa.
“Va bene” aveva sentito dire dalla sua voce
“grazie, grazie mille.”
Mary aveva sorriso e l’aveva abbracciata forte. John aveva
annuito, soddisfatto.
_______________________________________________________________________________
Il “trasloco” sarebbe stato l’indomani.
Aveva solo una sacca con i suoi vestiti nuovi e basta.
Mentre cercava di dormire, immersa nell’oscurità
del salotto e nel silenzio della casa addormentata, pensava a cosa ne
sarebbe stato di lei. Come sarebbe andata, se finalmente
l’incubo era giunto alla fine. Non era abituata a pensare al
futuro, cercava di vivere alla giornata, non sapendo cosa sarebbe
accaduto.
Aveva molta paura. Il passato torna sempre, ti trova sempre. E se gli
avesse dato una possibilità? Se avesse cercato di non
tornare indietro, ma di andare avanti? Se fosse stata la sua occasione?
Il passato, la bestia nera. Si era toccata il labbro gonfio e
dolorante, il livido sotto l’occhio.
Sembravano urlare.
Torneremo.
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Capitolo 3 *** Sherlock who? ***
Capitolo 3
Sherlock who?
La mattina era arrivata.
Mentre la macchina camminava per le strade di Londra, Lily guardava
fuori dal finestrino. Sentiva la colazione che aveva mangiato
un’ora prima rimescolarsi nello stomaco.
La descrizione che John aveva fatto di questo Sherlock (che strano
nome, poi), non era stata delle più incoraggianti.
Sicuramente Lily aveva avuto a che fare con delle
personalità forti (decisamente) ma questa era
un’altra incognita.
Misantropo, eccentrico, particolare. Ma non cattivo. Beh, almeno quello.
Se c’era una cosa che Lily sapeva fare benissimo, era stare
in silenzio. Forse era quello che serviva con questo Sherlock. Ma il
nervosismo non l’abbandonava, lei con il nervosismo
c’era nata, maledizione.
Non si era accorta che la macchina si era fermata.
“Lily? Lily?”
la voce di Mary l’aveva richiamata alla realtà
“tesoro, siamo arrivati”. Le aveva sorriso
e Lily aveva saputo solo fissarla, per un paio di secondi,
senza capire.
“Forza, scendi dalla macchina. Coraggio” le aveva
stretto la mano velocemente.
Lily era scesa, riluttante. Davanti a sé c’era un
portoncino nero, con sopra dei numeri dorati: 221B.
Non era riuscita a inquadrare la zona dove si trovava e quindi non
sapeva il nome della strada.
“Ed eccoci qui, Lily. 221B di Baker Street” John le
aveva messo una mano sulla spalla e stretto leggermente.
Bene, aveva avuto la risposta da John. 221B di Baker Street. Abbastanza
facile da ricordare.
John l’aveva guardata, serio. Lily sentiva il suo sguardo
addosso e si era automaticamente girata verso di lui, guardandolo
spaurita.
“Io ho paura” aveva sentito la sua voce uscire
dalla sua gola automaticamente “ho sempre avuto paura di
tutto e di tutti. Cosa dovrei fare ora?”
John era rimasto in silenzio. Aveva leggermente alzato le spalle,
intrecciando le mani dietro la schiena.
“Io conosco Sherlock da molti anni ormai” aveva
sorriso leggermente “e come ti ho già detto, non
è una persona facile da inquadrare. Ma non so, ho come la
sensazione che per qualche motivo potreste capirvi. Avete una bella
dose di buio dentro di voi, e Dio solo sa cosa nascondete. Anche io
nonostante tutti questi anni, penso di aver scalfito solo la
superficie. E penso che nessuno ci riuscirà mai”
aveva sospirato “ma sai, alla fine è una persona
anche lui” aveva riso leggermente, poi l’aveva
guardata negli occhi “qualsiasi cosa non debba andare, semmai
non dovessi sentirti a tuo agio, basta dirlo. E sistemeremo
tutto”.
Lily sudava e tremava dal freddo. Quella non era paura, era
qualcos’altro. Sperava non fosse mai arrivata, ma alla fine
il conto si presentava sempre. Era la paura di questo
qualcos’altro che la mandava ancora di più in
paranoia. Aveva lasciato tutto a Kaleb e ora non poteva fare nulla, se
non cercare di controllare i dolori. Erano le medicine che le avevano
dato all’ospedale che l’avevano tenuta tranquilla,
ma ora il suo corpo si stava risvegliando, ma lei doveva controllarsi e
cercare di non dare nell’occhio.
Aveva annuito verso John con un sorriso tirato, e finalmente si erano
avvicinati al portoncino nero. Erano entrati e avevano salito due rampe
di scale fino a trovarsi di fronte a una porta chiusa. Lily aveva
tirato un respiro profondo, rallentando l battito del suo cuore che le
martellava nelle orecchie.
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Da fuori, attutita dalla porta, si sentiva la melodia di un violino.
John aveva scossa la testa, ridendo: “Il solito esibizionista
melodrammatico”.
Aveva aperto la porta senza bussare, e la melodia era cessata di colpo.
Lily era rimasta dietro John e continuava a tremare, i muscoli
indolenziti. Riusciva a guardarsi solo le scarpe, non poteva guardare
in faccia nessuno in quel momento. Aveva sentito la mano di John sulla
schiena “Coraggio” le sorrideva rassicurante.
Lily aveva strizzato gli occhi, tirato un bel respiro e tirato su il
viso.
Davanti alla finestra c’era un uomo alto, con il violino
ancora sotto il mento, l’archetto abbassato su un fianco. Era
slanciato, e da quello che poteva vedere Lily visto che era controluce,
aveva la pelle chiara, quasi bianca. L’uomo si era mosso
verso di loro, rendendo più chiara la sua figura. Aveva
capelli neri, ricci e morbidi. La bocca era bella, il labbro superiore
perfettamente disegnato. Gli zigomi erano la cosa che più
avevano colpito Lily; alti, sporgenti, che contribuivano a dare
all’uomo un’aria misteriosa, ma anche aliena, quasi
sovrannaturale. Gli occhi allungati erano un misto tra grigio e celeste
e la squadravano critici, ma anche curiosi.
La stava leggendo come
un libro. Sentiva i suoi occhi dappertutto, veloci e
profondi. La bocca si era stretta in maniera impercettibile per poi
tornare normale, seria, senza un’espressione particolare. Il
silenzio sembrava durare da secoli ormai.
Sherlock guardava quella ragazza paralizzata dall’imbarazzo.
Aveva le pupille dilatate, un sottile velo di sudore che le ricopriva
il viso; tremava impercettibilmente, e cercava di controllarsi con
tutte le sue forze. Ma nonostante tutto, lo guardava fisso. Non
distoglieva lo sguardo, era come ipnotizzata, come se cercasse di
vincere la paura. Aveva un taglio sul labbro, e un livido che stava
guarendo sotto l’occhio. Segni rossi impercettibili sul collo.
Aveva posato il violino e guardato John, che aveva osservato questa
ispezione in silenzio.
Il suo sguardo chiedeva; cosa non si sa. Forse
un’introduzione formale.
John si era ripreso all’improvviso e schiarendosi la gola
aveva spinto leggermente Lily oltre la soglia: “Sherlock, lei
è Lily. Lily, questo è Sherlock”.
Lily stava pensando. Doveva allungare la mano? Era un tipo formale da
stretta di mano? Aveva di nuovo abbassato lo sguardo, nel panico.
Sherlock aveva guardato John alzando le sopracciglia. Cosa doveva fare?
John aveva spalancato gli occhi, incoraggiandolo.
“….beh, ciao
Lily” altro sguardo truce di John “piacere di conoscerti”.
A quel punto, aveva scrollato le spalle, non sapendo più
cosa dire. Il suo viso diceva chiaramente: ho già fatto questo,
fattelo bastare”.
Lily aveva aperto la bocca e articolato qualche parola:
“Buongiorno signor Sherlock, io…piacere di
conoscerla. La ringrazio molto per…questo, per
l’ospitalità”. Aveva stretto gli occhi
dandosi dell’idiota. Signor
Sherlock. Ma per
favore.
Aveva sentito chiaramente
il sorriso di John e l’alzata di sopracciglia di Sherlock,
incredulo. Ma sì, si sarebbe buttata per le due rampe di
scale per la vergogna. Tanto, peggio di così.
“Chiamami Sherlock, per favore” aveva detto con
tono formale.
“Ehm…va bene” Lily era riuscita a dire
solo quello.
Le avevano fatto vedere la sua stanza e Sherlock aveva subito messo in
chiaro le sue condizioni. Tutto quello che non rientrava nelle
proprietà di Lily, non doveva essere spostato o toccato.
Tranne le eccezioni, cioè tazze, bicchieri, stoviglie e
cibarie.
La casa era molto carina anche se disordinata. Lo spazio principale era
il salotto con un caminetto e due poltrone davanti a esso.
Dall’altra parte un divano e un tavolo pieno di carte; la
cucina dava direttamente sul salotto, e da lì tramite un
corridoio si aveva accesso alla camera di Sherlock e al bagno. Al piano
di sopra c’era la stanza che sarebbe stata di Lily.
Una casa normale, un tetto sopra la testa dove potersi rifugiare. Era
tutto ciò che a Lily bastava.
John doveva scappare, Mary lo aspettava. Lily lo aveva accompagnato
alla porta, e prima che potesse dire qualsiasi cosa John
l’aveva stretta forte, in un abbraccio stritolante e aveva
sussurrato nel suo orecchio: “ Coraggio Lily, sii forte.
Andrà bene”. Dietro di lei aveva sentito un
sospiro esasperato di Sherlock. John aveva sciolto
l’abbraccio e le aveva sorriso.
“Ciao” aveva detto, ed era volato giù
per le scale, lasciandola là impalata ancora scossa
dall’abbraccio improvviso.
Ora.
Lily si era girata verso Sherlock, guardandolo.
Lui aveva inarcato un sopracciglio: “Sei sicura di stare
bene?”
I suoi occhi grigi l’avevano perforata da parte a parte.
“Io? Sì, certo…benissimo” le
era uscito un sorriso tirato e aveva stretto i pugni dietro la schiena
conficcando le unghie nei palmi delle mani. Il dolore la faceva
concentrare, senza divagare e quindi dire sciocchezze.
______________________________________________________________________________________________________________
Sherlock continuava a fissarla, a penetrarla con quegli occhi profondi.
Se non avesse smesso subito, Lily si sarebbe messa a urlare. Sia per il
dolore che si stava auto infliggendo, sia perché non
riusciva a reggere quello sguardo accusatorio, quegli occhi color
metallo che sembravano sapere tutto.
All’improvviso, Sherlock aveva voltato le spalle a Lily,
tornando al suo violino.
“Sai preparare un the?” aveva chiesto, posizionandolo sotto il suo mento.
“Posso provare…” aveva sussurrato,
sollevata dal mancato contatto visivo.
“Senza zucchero, con latte” aveva cominciato a
suonare, girato verso la finestra.
Lily era rimasta interdetta per qualche secondo, poi si era girata
verso la cucina. Avrebbe preparato un the, o almeno ci avrebbe provato.
In cucina, aveva trovato il bollitore, due tazze di cui una sbeccata
(che avrebbe preso lei) e le bustine di the.
Mancava il latte, e il suo sguardo si era subito posato sul frigo
argentato dall’altra parte della cucina.
L’aveva aperto, ma subito richiuso. Non era sicura di quello
che aveva visto, ma forse era meglio ricontrollare.
Aveva appena schiuso il frigo per poi sbattere la porta e squittire a
voce alta: “Oh
santo cielo”.
La voce le si era strozzata in gola, e subito aveva pensato che
probabilmente era il tono di voce più alto che aveva usato
nelle ultime 24 ore.
Sentendo il movimento, Sherlock si era fermato: “Cosa
succede?” aveva chiesto con la sua voce morbida e calda.
Lily si era girata verso di lui, visibilmente imbarazzata: “ Credo ci siano
degli occhi umani dentro un barattolo nel frigo”.
“Ah sì certo, sono i miei esperimenti. Non
toccarli”.
La calma di Sherlock era stoica, e Lily era rimasta immobile vicino al
frigo. Ok. Occhi umani
dentro un barattolo. Ok, certo, nessun problema. Hai una casa, basta
non aprire il frigo, e se proprio devi, socchiudi gli occhi, individua
l’obiettivo e richiudilo SUBITO.
Lily non si sentiva bene, affatto. Tremava, era piena di dolori e
sentiva il sangue pulsarle nelle vene come se dovessero esplodere. Per
poco non faceva cadere una tazza. Il bollitore aveva cominciato a
fischiare, e aveva cercato di prenderlo con le mani ferme. Era riuscita
a preparare le tazze e a portarle in salotto. Sherlock la seguiva con
lo sguardo, senza proferire parola.
Aveva preso la tazza e seduto sulla sua poltrona, beveva a piccoli
sorsi. Lily sedeva davanti a lui, la tazza ancora fumante. Il sole
dorato del tramonto colorava la stanza di arancione, stava calando la
sera. Sherlock l’aveva osservata e aveva esordito:
“Io non cucino, perché raramente mangio. Se vuoi,
possiamo ordinare un takeaway e poi direi che potresti riposare, sembri
averne bisogno”. L’aveva guardata al di sopra della
tazza, gli occhi più scuri rispetto a pochi momenti prima.
Lily si era limitata ad annuire e a mormorare un grazie sommesso.
“Non ringraziare sempre, non sei qui per essere una
sottoposta. E poi di norma io non ringrazio, anche quando dovrei.
Quindi rendiamo la vita facile a entrambi”. Aveva posato la
tazza e ordinato da mangiare.
La serata era passata così, senza parlare. Gli unici rumori
erano quelle delle posate sui piatti. Poi Sherlock aveva esordito:
“Da dove vieni?”
Lily si era bloccata con la forchetta a mezz’aria; poi
l’aveva lentamente posata sul piatto: “Da un
piccolo paese dell’entroterra inglese”.
“Quale?” aveva rincalzato Sherlock.
“Questo è quanto c’è da
sapere” Lily aveva sorriso leggermente, facendo intendere che
il discorso poteva finire lì. Nel suo sguardo
c’era determinazione e fermezza.
“Oh, bene” Sherlock aveva bevuto un sorso
d’acqua e si era ammutolito.
“Penso che andrò a dormire, sono un po’
stanca” aveva esordito Lily, senza aspettare risposta
“Buonanotte Sherlock e…la cena era molto
buona”.
Sherlock sapeva che era un modo di ringraziare: “Buonanotte
Lily, a domani” aveva detto senza guardarla in faccia.
Lily aveva fatto le scale due a due e si era richiusa la porta alle
spalle, esausta. Poteva lasciare andare il tremore, il freddo, il
sudore, il dolore e il sangue esplodere dentro le sue vene. Le sembrava
di impazzire. Aveva sbattuto la testa alla porta, cercando di ignorare
i crampi che le pervadevano il corpo. Ogni muscolo era teso fino allo
spasmo. Era riuscita a stendersi sul letto, ancora vestita,
raggomitolandosi su se stessa; quanta vergogna provava, ma quanto
bisogno aveva in quel momento. E non era neanche stata una sua
decisione. Lacrime silenziose uscivano dai suoi occhi, stando attenta a
non singhiozzare, a non farsi sentire. Ormai era automatico. Piangere
significava essere deboli, causare problemi e quindi essere picchiata
fino a quando perdeva i sensi.
Voleva veramente dormire, svenire per qualche ora. Si era tolta i
vestiti, ma sentiva caldo poi freddo. Non sapeva quante ore aveva
passato così, sapeva solo che era notte fonda e aveva
inzuppato le lenzuola di sudore e ci si era avviluppata dentro, non
riuscendo a stare ferma.
A un certo punto aveva deciso di andare in bagno. Sciacquarsi la
faccia, magari anche vomitare, stendersi sul pavimento freddo.
Con difficoltà era arrivata in bagno e aveva rimesso la cena
dentro il water, sperando di non fare rumore e svegliare Sherlock.
Piangeva e malediva sé stessa, talmente forte che non aveva
sentito la porta aprirsi. Mentre vomitava bile, aveva sentito una
presenza accanto a sé.
“Hai una crisi d’astinenza” la voce
profonda di Sherlock l’aveva spaventata. Credeva che la
presenza fosse un’allucinazione.
“MERDA!”
aveva esclamato “oh…che paura! Scusa
Sherlock..io..” la voce si era affievolita dalla vergogna.
“Cos’è? Morfina, eroina?” le
aveva preso il braccio “non hai buchi, come fai?”
“Le dita delle mani” aveva risposto stremata, in un
sussurro.
Sherlock la guardava, mentre lei aveva un altro conato. Aveva sentito
la sue mano fresca sulla fronte,giusto il tempo di vomitare.
Continuava a tremare dal freddo.
Era rimasto lì, senza toccarla e senza parlare. Lily era
esausta, le si chiudevano gli occhi.
“Alzati” aveva detto Sherlock “non puoi
dormire sul pavimento del bagno”.
Lily aveva puntato le mani sul bordo del water e si era alzata a
fatica. Avrebbe obbedito, come aveva sempre fatto, avrebbe gestito
l’astinenza come aveva sempre fatto. Avrebbe fatto, come al
solito, senza fiatare. Non avrebbe fiatato,
sennò…Dio solo sapeva cosa sarebbe successo. Ma
Sherlock non era lui, non era Kaleb. Ma lei aveva un pilota automatico
nel cervello. Si era alzata e appoggiandosi al muro era uscita dal
bagno e fatto le scale, sentendo sempre Sherlock dietro di
sé.
Arrivata in camera, aveva caldo. Si era diretta verso la finestra per
aprirla, ma Sherlock l’aveva fermata: “Faccio io,
tu mettiti a letto”.
Lily si era buttata sulle lenzuola umide, la testa pesante come le sue
palpebre stanche. Era crollata in un sonno immediato.
Sherlock la guardava, serio e con aria leggermente infastidita. Non ci
voleva, non ci voleva proprio.
Era bastato lui, anni fa. Era bastata la sua di dipendenza, accidenti.
Aveva preso il telefono e digitato un sms per John.
Domani mattina
è richiesta la tua presenza qui. Abbiamo un problema. SH
John aveva risposto mezz’ora dopo, sveglio per via della
piccola Rose.
Cosa succede?Lily?JW
Lily ha appena avuto una
crisi d’astinenza da eroina nel mio bagno. Servi tu e
metadone. Ora dorme ma penso che il problema vada risolto il prima
possibile. SH
Eroina? Merda
Sherlock, ora come sta?JW
Dorme, e penso anche che
sia stata costretta a usare la droga in qualche modo. SH
Domani
parlerò con lei. JW
Sempre che ti dica
qualcosa. SH
Tentar non nuoce.
Buonanotte. JW
Sherlock aveva avuto questo scambio di messaggi sulla soglia della
camera di Lily. Ora dormiva, sembrava tutto apposto.
Aveva lasciato la porta accostata, scendendo lentamente le scale.
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Capitolo 4 *** How to mend a broken soul ***
Capitolo 4
How to mend a broken soul
Era buio, e c’era un
cattivo odore ovunque. Era stanca e triste. L’avrebbe aiutata
a stare bene, perché loro non avevano bisogno di niente e
nessuno. Niente. e. nessuno.
Aveva spalancato gli occhi, senza fiato. Il sudore bollente le scorreva
sulla fronte e il respiro irregolare la mandavano ancora più
nel panico. Si ricordava tutto, tutto. La notte prima, la crisi di
astinenza e Sherlock.
Aveva chiuso gli occhi, piena di vergogna. Un singhiozzo le era
scappato dal petto. In casa era tutto silenzioso. Si sarebbe alzata, e
sarebbe andata via. Non poteva vivere insieme a Sherlock in piena crisi
di astinenza. Poteva creare problemi a se stessa, di quello si sarebbe
presa la responsabilità solo lei, ma gli altri non potevano
di certo addossarsi le sue croci e i suoi casini. Non era giusto. Si
era infilata i jeans e messo la sua roba dentro la borsa. Sperava non
ci fosse nessuno in casa. Aveva sceso le scale lentamente, per
controllare.
Appena entrata in salotto aveva trovato Sherlock e John seduti sulle
due poltrone vicino al camino; John era seduto su quella che le dava le
spalle. Il suo sguardo aveva fatto capolino dallo schienale della
poltrona, serio, le sopracciglia corrugate. Si erano subito distese,
con un’espressione che Lily avrebbe definito morbida.
“Ciao, Lily. Buongiorno” aveva sorriso; aveva
sorriso in un modo che a Lily aveva spezzato il cuore. Era un misto di
sollievo, di preoccupazione e di sincero affetto.
Sherlock la fissava. Semplicemente. Una mano davanti alla bocca,
immobile. Lily li aveva fissati entrambi, non sapendo cosa fare. Aveva
allargato le braccia e alzato le spalle, non sapendo cosa dire. Cosa
poteva comunicare, oltre la vergogna e il dispiacere?
“Mi dispiace tanto. Mi dispiace dal più profondo
del cuore” la voce rotta dal pianto, le labbra che tremavano.
Non voleva e non doveva piangere. Non voleva e non doveva essere debole.
Sherlock aveva alzato le sopracciglia, impercettibilmente.
Lily aveva posato lo sguardo su di lui. Quegli occhi le facevano troppo
male, non riusciva a fissarlo; era come se una colata di metallo fuso
le ricoprisse. Aveva strizzato gli occhi, per non guardarlo
più. Aveva osservato John che aveva ancora stampato in
faccia lo sguardo di prima. Si era alzato e guardandola aveva
sussurrato:” Lily, perché non l’hai
detto?”
E proprio lì, alla cadenza dell’ultima sillaba,
Lily aveva cominciato a singhiozzare, senza ritegno. Erano bastate
quelle parole, dette con quel tono di voce a sciogliere quel nodo in
gola che si teneva dentro da troppo tempo ormai. Al diavolo il
coraggio, al diavolo la debolezza. Non ce la faceva più.
“Io non
potevo” continuava a ripetere come un
disco rotto “mi
faccio già abbastanza schifo, John ti prego, TI PREGO
perdonami. E aiutami, ti scongiuro”. Era
collassata sulle sue ginocchia, con la testa tra le mani, non riuscendo
più a dire nulla, solo a singhiozzare.
Si stava vergognando, ma non riusciva a smettere. Era una disperazione
che arrivava a ondate e la sopraffaceva impedendole anche di ragionare.
Non poteva controllarle, erano anni di abusi, di braccia legate e
tenute ferme per bucarla e tenerla sotto controllo e farla stare
“bene”. Erano anni di abusi psicologici e fisici,
di nottate passati sotto i ponti, nei vicoli pieni di spazzatura. Come
si poteva guarire una cicatrice così, come si poteva
ricucire un’anima strappata a metà? Era tutto
così squallido, e quello sguardo buono a cui non sembrava
importare della vergogna di Lily l’aveva fatta cedere.
Non le importava niente. Voleva solo il perdono di chi
l’aveva salvata.
John continuava a guardarla, pieno di sofferenza. Era andato lentamente
verso di lei, prendendola per le braccia e facendola alzare. Le aveva
sollevato il viso, gonfio di pianto.
“Mi vedi? Sono qua. Se sono qua è
perché voglio aiutarti. E non ho bisogno di perdonarti, e
non fai schifo. Basta con questi ragionamenti, capito? “ le
aveva stretto ancora di più le braccia “Lily, guardami. Hai capito quello che
ti ho detto?” il suo tono era fermo, quasi
arrabbiato e imponente.
Lily aveva annuito, tra i singhiozzi. Subito dopo John
l’aveva abbracciata ed era quello di cui aveva bisogno,
più di ogni altra cosa. Lo aveva stretto a sua volta,
più forte del necessario probabilmente. Ma lui la teneva
stretta e non la lasciava andare “c’è un
rimedio a tutto, vedrai. Ne uscirai fuori”.
Lily aveva annuito, con il viso sulla sua spalla “Grazie”aveva
sussurrato, già stremata. Aveva smesso di tremare.
Lentamente aveva sciolto l’abbraccio, tenendo sempre il viso
basso.
“Vorresti una tazza di the?” l’aveva
allontanata da sé, guardandola, gli occhi blu complici.
“Sì grazie” aveva sussurrato,
asciugandosi le lacrime.
“Sherlock ne vuoi anche tu?” John aveva cominciato
ad affaccendarsi in cucina.
“Sì John, ti ringrazio” aveva detto
lentamente continuando a fissare Lily con quegli occhi di ghiaccio. Non
aveva cambiato espressione né posizione
dall’ultima volta che Lily l’aveva guardato.
La mano dalla bocca era passata sotto il mento. Aveva strizzato
impercettibilmente gli occhi: “Eroina, vero?”
aspettava la risposta, composto e immobile.
Lily aveva sentito un rimescolio caldo nello stomaco. Era rabbia, ne
era certa, ma mista a vergogna e alla certezza che quello che aveva
intuito era giusto e la sua deduzione l’aveva fatta sentire
ancora più esposta, ancora più nuda. Come se non
fosse bastata la scena patetica della notte prima, dove aveva svuotato
lo stomaco in bagno. Non ci avrebbe giurato, ma nello sguardo di
Sherlock sembrava aver intravisto un lampo di soddisfazione e di
autocompiacimento; il sangue di Lily si era gelato. Non si era accorta
di aver stretto i pugni e di essersi irrigidita come un pezzo di marmo.
La voce irritata di John l’aveva riportata con la mente alla
realtà.
“Sherlock, che ne dici di darci un taglio?” aveva
puntato un dito contro di lui, con fare minaccioso “smettila
con i tuoi giochetti”.
“Non ho detto nulla di male, ho solo fatto una
domanda!” aveva ribadito piccato “e scommetto che
ho anche indovinato, vero Lily?”
Il suo sguardo le aveva fatto alzare il mento leggermente, in segno di
sfida: “Sì, è vero”.
“E cosa dobbiamo aspettarci, quindi” aveva ribadito
Sherlock.
“DIREI”
John era entrato in salotto con le tazze di the in mano” che
non sono le domande da fare, in questo particolare momento”
aveva porto la tazza a Sherlock, fissandolo intensamente
“Lily starà meglio, ed è per questo che
sono qui oggi”. Si era riseduto sulla poltrona, dopo aver
portato una sedia per Lily “siediti, Lily”.
Lei aveva obbedito, staccando i suoi occhi da quelli di Sherlock, che
continuavano comunque a seguirla.
John aveva estratto dalla tasca del suo maglione una confezione di
plastica e l’aveva posata sul tavolino di fronte a loro.
“Dunque. Questo è Metadone in pasticche”
l’aveva guardata intensamente” il dosaggio
è quello che normalmente si dà
all’inizio. Diciamo che nel giro di due settimane dovresti
stare meglio. Viene comunque assorbito dall’organismo
abbastanza velocemente, quindi anche da subito dovresti notare dei
miglioramenti”.
Lily aveva allungato la mano verso la scatolina,e
l’aveva stretta forte. Questa era la sua occasione, il suo
miracolo. Il suo potersi riscattare. Aveva annuito lentamente,
sorridendo. Il primo vero sorriso sincero fatto in tutti quei giorni.
"Ce la
metterò tutta” pensò
“ce la
metterò tutta per John, per Mary, per Rose. Per me”
aveva alzato lo sguardo su Sherlock, che beveva il suo the e, preso
alla sprovvista, aveva fermato la tazzina tra il mento e la bocca.
“ E anche per
Sherlock”. Aveva aggiunto dentro di
sé, soffocando una risata.
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Capitolo 5 *** Whole again ***
Capitolo 5
Whole again
Lily quella mattina si era alzata contenta, quasi
“intera”. Come se i pezzi stessero tornando al loro
posto. Erano un po’ di giorni che prendeva le sue pasticche e
si sentiva molto meglio. L’unico neo era la strana convivenza
con Sherlock. Non parlavano molto, Lily cercava di essere il
più silenziosa e discreta possibile.
Sherlock passava le ore sdraiato sul divano, a occhi chiusi e senza
proferire parola. Lily si muoveva in punta di piedi, temendo di
disturbare quelli che sembravano ragionamenti molto profondi, anche se
più di una volta aveva sospettato che si fosse addormentato
e basta.
Aveva uno strano bioritmo: mangiava raramente, dormiva ancora meno e
non era quasi mai a casa. Dopo la conversazione con John pochi giorni
prima, era diventato meno tagliente, meno
“intuitivo” verso di lei. Si parlavano a malapena,
non c’erano conversazioni riguardo alle loro giornate, o un
semplice scambio di battute. Sembrava di vivere con un gatto: una
presenza che sicuramente si avvertiva, ma era silenziosa e si muoveva
sinuosa per la casa e che vedevi a malapena. Lily aveva scoperto che
oltre ai disgustosi esperimenti che portava avanti nella cucina di
Baker Street, Sherlock era anche un “consulente
investigativo” per la polizia di Londra. Non sapeva bene cosa
volesse dire precisamente, ma capitava che ricevesse una telefonata e
si precipitasse fuori in uno sventolìo di cappotto e
riccioli neri e tornasse anche 12 ore dopo, senza proferire parola.
Era uscita con Mary per pranzo una mattina e aveva saputo un
po’ di più su Sherlock, ma niente che non avesse
già intuito da sola. Era un bel mistero, un uomo dalle mille
sfaccettature, ma che sembrava ignorare quella
dell’interazione umana in generale. A volte Lily pensava che
se avesse vissuto da sola sarebbe stata la stessa cosa;
l’unico che sembrava veramente conoscerlo a livello
più profondo era John. A volte lo accompagnava sulle scene
del crimine per offrire la sua conoscenza medica.
“Sai Lily” aveva esordito Mary mentre mangiava il
suo club sandwich “sia Sherlock che John sono legati da
qualcosa che nessuno sa. Io ho sempre affermato che John è
l’unica persona che riesce veramente a sopportarlo e in
qualche modo a tenergli testa” aveva riso sommessamente
“Sherlock è in grado di leggerti dentro solo
guardando come sei vestito. Tu pensi che il tuo non raccontare il tuo
passato ti abbia messo al sicuro da lui? Fidati, no. Lui già
sa quasi tutto di te, ma stranamente non ne ha ancora fatto sfoggio, e
questo è molto strano. Lui adora farlo
“aveva preso un sorso di the, sorridendole.
Lily aveva subito pensato all’intuizione sulla sua
dipendenza, allo sguardo compiaciuto quando le aveva chiesto la
conferma. Era sempre immerso nei suoi pensieri, sempre in procinto di
scoprire qualcosa. Aveva libri sparsi per casa, che trattavano gli
argomenti più svariati e complicati; dalla chimica, alla
biologia, alla matematica avanzata, fino alla cosmologia. Era un
insieme di nozioni che nessuno sarebbe stato capace di imparare in una
sola vita. Ma a quanto pare lui poteva, e gli riusciva anche
estremamente facile. Quando era a casa, o era appollaiato in cucina a
scrutare sul suo microscopio o sdraiato sul divano a congetturare; o
suonava il volino, da cui Lily era stata svegliata più di
una volta.
La mattina aspettava Lily per prendere il the, anche perché
doveva prepararlo lei. Ormai sapeva come lo voleva, che tipo di cibo da
asporto preferiva.
Finché una sera, mentre mangiavano seduti al tavolo di
cucina Lily non aveva potuto farne a meno: “Che cosa sai su
di me, Sherlock? Mi hanno riferito che sei dannatamente bravo ad
indovinare il passato delle persone e vorrei sapere cosa sai di me,
cosa hai visto”.
Lui aveva smesso di mangiare e l’aveva fissata intensamente:
“Io non indovino proprio nulla. Mi limito a osservare,
congetturare, e al 99% ci prendo. Tutto qua. I maghi indovinano. La
gente vede, io osservo”.
Aveva intrecciato le mani sotto il mento: “Io ti ho
osservata, Lily e penso più o meno di sapere quello che
potresti aver passato. Ma chi lo sa, forse mi sbaglio” aveva
sorriso, quasi crudele, perché sapeva che Lily gli avrebbe
chiesto di raccontare.
Infatti aveva stretto i pugni sotto al tavolo e con voce più
ferma possibile aveva sussurrato: “Dimmelo”.
Sherlock aveva chiuso gli occhi soddisfatto e aveva cominciato a
parlare:
“Tu provieni da un comune caso di dipendenza affettiva, al
limite del morboso. Hai conosciuto qualcuno che ti ha promesso
qualcosa, ti ha portato qui a Londra ma di certo non per la vita rose e
fiori che sognavi. La tua dipendenza dall’eroina ne
è la prova. Eri disposta a drogarti piuttosto che perdere il
tuo carnefice. Poi chissà, qualche furto, qualche rapina,
qualche scippo a qualche povera vecchietta” si era sporto
verso di lei “l’abisso è profondo e
tanto tanto buio. Non sai mai dove potresti arrivare, pur di non vedere
con occhi chiari il mondo che ti circonda. Il tuo passato non
è affar mio, Lily. Ma tu sei scappata da qualcosa. Qualcosa
che ti rendeva molto infelice. Chi ti ha ridotto com’eri
prima, questo lo sapeva e manipolare una persona con carenze affettive
notevoli è una passeggiata, lo sai questo..no?”
era tornato al suo posto “conviene affrontare i propri
demoni, ti tirano giù nel loro buco infernale e poi
è così difficile uscirne. Fattelo dire da chi se
ne intende”. L’intensità del suo sguardo
era aumentata in modo esponenziale; le sue pupille si erano dilatate,
le narici leggermente aperte, per l’enfasi del discorso.
“Quando i tuoi demoni saranno spariti” aveva
sussurrato “sia che tu ci abbia fatto pace o li abbia
dimenticati, allora là potrai dire di averli combattuti fino
allo stremo delle forze”. Si era ammutolito.
“E i tuoi, che fine hanno fatto?” Lily aveva
sentito la sua voce chiedere; era una voce diversa, come se venissi dai
recessi del suo essere, come se non fosse lei
“dov’è il tuo buio, Sherlock? Dove sono
i tuoi demoni?”
aveva sibilato.
Sherlock aveva sgranato gli occhi per due secondi, poi il suo sguardo
si era rilassato,e la bocca aveva assunto una piega divertita. Aveva
poggiato i gomiti sul tavolo e molto molto piano aveva detto:
“E’tutto qui, Lily” con un dito aveva
picchiettato contro la sua tempia “è tutto qui
dentro, nel mio magnifico palazzo mentale; c’è una
stanza dedicata esclusivamente ai demoni, sai. E sono là
dentro, e urlano e cercano di uscire. Ma io sono più forte
di loro”. Aveva sorriso, immobile “è
questione di pratica, e di coraggio”.
Lily era mai stata coraggiosa? Pensava di sì, aveva comunque
subìto situazioni che la gente normale di solito non
prendeva neanche in considerazione. Ma era veramente in grado di
combattere, di scagliarsi contro le sue paure? Era in grado di
riportarle a galla, accettarle e smettere di accusarsi per
ciò di cui non aveva colpe? Era sempre stata così
debole?
E subito arrivava il ricordo di Kaleb, la sua metamorfosi; era attratta
da lui come una calamita; non riusciva a staccarsi da lui, nonostante
il male che aveva dentro, e che era aumentato dopo aver cominciato a
drogarsi, e dopo aver costretto anche Lily a farlo, così
sarebbe stata per sempre sua. Lei l’aveva fatto, aveva sempre
fatto tutto per lui. Cosa l’aveva portata così in
basso. Lei che aveva dei sogni, delle idee. Era scappata, per non poter
pensare mai più. Era scappata da qualcosa, per ricadere in
una situazione peggiore. Se solo fosse stata meno stupida, se solo
fosse stata più furba. Quello che aveva detto Sherlock era
vero. Tutto. Ma non sapeva altro, non sapeva altre cose; o forse non le
aveva semplicemente dette. Che dire? Un uomo fuori dal comune, che
però ti dava i brividi quando apriva bocca e cominciava a
leggerti dentro e ti spogliava di tutto, con quella sua voce profonda,
che probabilmente veniva dai recessi più oscuri del suo
“palazzo mentale”.
Senza accorgersene, si era alzata dalla sua sedia, e Sherlock aveva
sentito ogni suo movimento.
“Io…” la voce le si bloccava in gola.
Aveva alzato lo sguardo su Sherlock e l’aveva fissato,
immobile. Lo guardava e lo vedeva il suo buio, lo vedeva perfettamente.
E riusciva a gestirlo. Non gli piaceva la gente, era ovvio. La gente
era banale, la gente era stupida, la gente era ovvia. Ma lei si
sentiva tutto; si sentiva ferita, violata, privata di tutta la
dignità, profondamente divisa tra essere buona e cattiva. Ma
non ovvia, questo no. Lei era la persona meno ovvia del mondo, e questo
lo sapeva. E lo stava dicendo anche a Sherlock guardandolo negli occhi.
Sentiva una specie di rabbia mista a coraggio. Ma anche ammirazione, e
sapeva che non avrebbe mai potuto odiarlo solo per averle detto la
verità.
Lui aveva capito, perché ricambiava lo sguardo, tenendolo
perfettamente fisso su di lei. Senza battere ciglio. Lily cercava di
provare a fare lo stesso, ma era praticamente impossibile.
“Sapessi quanto baccano stai facendo in questo
momento”.
La sua voce aveva perforato i sensi di Lily, come puntine. Sherlock
aveva strizzato leggermente gli occhi, e si era alzato dalla sedia con
una grazia silenziosa che Lily non aveva mai visto.
“Ho finito, vado a dormire” si era diretto verso il
corridoio, e si era girato all’improvviso
“Buonanotte Lily, dormi bene”. Ed era sparito,senza
far rumore.
Le gambe di Lily avevano cominciato a tremare, violentemente. Erano
come gelatina, e si era dovuta aggrappare al tavolo per non cadere.
Aveva singhiozzato piano, la tensione che tentava di liberarsi. Aveva
cominciato a respirare, piano e lentamente per far calmare il cuore che
era come impazzito, per calmare tutte le voci che le urlavano nella
testa. La sensazione provata qualche giorno prima, quella sensazione di
completezza, era andata in pezzi. Si sentiva come se si stesse
sbriciolando, come se si stesse trasformando in sabbia; non bastavano
un paio di pasticche per ricostruire il suo essere. E
Sherlock glielo aveva appena fatto capire.
Non sapeva neanche lei cos’era successo, e avrebbe voluto
saperlo. L’unica parola che le veniva in mente era confronto.
Non si poteva di certo definire tale, ma si erano stabiliti dei
termini, una sorte di pace.
Avevano capito che tipo di persone erano. E questo bastava per condurre
una convivenza pacifica.
Nel frattempo, Sherlock aveva raggiunto la sua stanza. Una volta chiusa
la porta, aveva cominciato a ridere sommessamente. Che ragazzaccio che
era.
Saper leggere dentro a volte era così noioso.
_____________________________________________________________
Note:
Sono arrivata al quinto capitolo senza neanche accorgermene. Sono
contenta delle visualizzazioni ricevute, e vi incoraggio anche a
lasciare recensioni e commenti, qualche pensiero; le opinioni altrui
per me sono molto importanti, anche per sapere se posso migliorare in
qualcosa e perfezionare il mio lavoro. Al di fuori di questo, vi
ringrazio tutti, anche solo per essere passati e aver letto qualche
capitolo. Spero siano stati di vostro gradimento.
Grazie mille, a tutti. E a presto.
Shezza_demon
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Capitolo 6 *** Move on and don't look back ***
Capitolo
6
Move
on and don’t look back
Era una giornata nuvolosa e fredda. Era Dicembre. Lily non aveva mai
avuto un particolare attaccamento alla festività del Natale
e cose simili. La sua infanzia era costellata di ricordi tristi al
riguardo e dopo…dopo si ricordava ben poco, non riuscendo
più a capire in che mese fosse, se non per il cambio di
temperatura.
Stava appunto pensando a tutto ciò, mentre scendeva le
scale, mezza intontita dal sonno. Aveva bisogno di un caffè,
e poi sarebbe stata funzionale. Non sentiva rumori in casa, quindi non
si era fatta problemi a scendere al piano di sotto in pantaloncini e
una maglietta a maniche lunghe, che si era tirata sopra le nocche;
forse doveva considerare l’idea di dormire con un vero
pigiama. Ma il mese da “persona normale” le avevano
fatto scoprire cose di sé stessa che non sospettava neanche.
Preferiva dormire con le gambe scoperte, le piaceva la carne al sangue
e il curry, il profumo dello shampoo al gelsomino e leggere. Quello
veramente le era sempre piaciuto, ed aveva divorato parecchi libri
prima della caduta nell’oblìo. Le piaceva molto il
colore blu oltremare e tutte le gradazioni che lo riguardavano. Adorava
ascoltare la musica e cantare, quando era da sola; sembravano cose
banali, ma per lei era come aprire gli occhi per la prima volta,
più che altro era come conoscere un’altra persona.
Era come guardarsi allo specchio e vedere qualcun altro, togliersi una
pelle che non era mai stata sua. Aveva così tanta paura di
tutte queste emozioni, che si sentiva sopraffatta. Possibile che lei,
una persona assoggettata fin dall’inizio della sua esistenza,
fosse capace di avere delle preferenze e delle cose che non le
piacevano? Odiava essere fissata mentre mangiava o piangeva, odiava i
rumori troppo forti. Odiava che qualcuno arrivasse in silenzio alle sue
spalle, cosa che rendeva la convivenza con Sherlock un continuo saltare
sulle sedie, visto che si muoveva con la grazia e il silenzio di una
pantera a caccia. Ma aveva deciso di non farlo notare; odiava il suo
essere maldestra e il suo affezionarsi subito a persone, oggetti, film
canzoni.
Mary e John erano diventati dei punti di riferimento indispensabili per
lei.
L’unica volta che non le erano piaciuti era stato quando
avevano provato a farla parlare del suo passato, cosa su cui aveva
spinto anche Sherlock. Si era rifiutata categoricamente; non voleva,
non voleva assolutamente. Forse un giorno, quando avrebbe finalmente
ritrovato il suo equilibrio ne avrebbe parlato. Ma ora voleva solo
guardare avanti e non indietro.
Le era dispiaciuto che Mary le avesse chiesto scusa per averle fatto
quella domanda, perché sapeva che le sue e quelle di John
erano intenzioni buone. Su quelle di Sherlock era un po’
più dubbiosa: le sembravano più intenzioni per
sperimentare su di lei; perché le era parso che alla fine
non riuscisse a capirla poi così in fondo. Voleva sapere, e
non capiva perché, non ci riusciva. Aveva sospettato la sua
dipendenza, sia affettiva che chimica; ma si era fermato là
e Lily pensava che avesse preso al volo l’occasione
dell’indagine di John e Mary per saperne di più
anche lui.
Lily a volte si spaventava da sola. Si sentiva così buia
dentro, così sola, così vuota che sembrava
rimbombare dentro sé stessa. Salvo poi riempirsi di gioia
per una canzone o per un tramonto particolarmente bello. Ma il suo lato
buio sembrava sempre prevalere. Non che fosse pazza, era stata
abbastanza brava da imporre a sé stessa un controllo mentale
non indifferente, nonostante per anni fosse stata vittima di abusi. Ma
era proprio per quello che era così: aveva imparato a
controllare il dolore delle botte, la rabbia quando veniva insultata,
l’umiliazione quando veniva presa con la forza, la paura
quando doveva rubare qualcosa e non se la sentiva. Sempre
perché qualcuno le diceva di farlo.
L’unico che era riuscito a incrinare questo suo autocontrollo
era stato Sherlock, facendola vacillare, leggendola come un libro
aperto. Possibile che fosse più buio di lei? Probabilmente
sì, perché sembrava non avere affetti, tranne
John e sembrava anche interessato a non averne affatto. Sembrava
contento solo quando suonava il suo violino. Per il resto era una
maschera di freddezza che lasciava Lily perplessa, spaventata ma allo
stesso tempo affascinata. Lei aveva avuto i suoi
“collassi” emotivi, e se li ricordava fin troppo
bene. Ma li aveva sempre affrontati in maniera negativa.
Perché veniva riportata all’ordine con uno
schiaffo o un calcio. Era una contraddizione vivente e voleva cercare
di migliorare il prima possibile, diventare una persona “normale”.
Aveva pensato a tutto questo scendendo le scale e mantenendo
l’udito attento; una sua vecchia abitudine era di cercare di
essere il più vigile possibile fin dal momento in cui apriva
gli occhi. Le riusciva ancora abbastanza difficile alzarsi dal letto
completamente rilassata, anche perché di solito dopo nottate
piene di incubi, si svegliava senza ricordarsi dov’era.
Era arrivata in cucina, e cercava il caffè solubile, quando
la voce di Sherlock l’aveva fatta sobbalzare:
“Beh…buongiorno”.
Lily si era girata di scatto, trattenendo il respiro e automaticamente
aveva tirato la maglietta fin sotto i pantaloncini, non facendo altro
che peggiorare la situazione visto che la scollatura della maglietta si
era irrimediabilmente abbassata. Sherlock l’aveva guardata
con fare perplesso e aveva detto con fare saccente: “Forse
dovresti provare con un pigiama più lungo”.
Aveva alzato un sopracciglio e posando la sua tazza di the
(si era fatto il the da solo?) si era sfilato la vestaglia blu scuro
che portava e gliel’aveva tirata.
“Per adesso copriti con questa; sembri un coniglio
davanti ai fari di un’auto”.
“Oh beh..grazie..io..ehm..” aveva cominciato.
“Lily” Sherlock aveva chiuso gli occhi e alzato un
dito verso di lei “se non sai cosa dire, taci. Il balbettare
è irritante e secondo me dimostra stupidità.
Quindi, ti prego”.
Su quest’ultima frase aveva aperto gli occhi fissandola.
Lily non aveva saputo ribattere, aveva semplicemente annuito
impercettibilmente.
Ecco a voi, Sherlock Holmes, signore e signori. La sincerità
fatta persona. O lo stronzo del secolo, dipendeva dai casi.
“Mi ha chiamato il comandante Lestrade, ho un caso
d’omicidio e tra un po’ sarò fuori di
casa. Vuoi venire? Ci sarà anche John con Mary”.
Aveva posato la tazza nel lavandino, girandosi immediatamente per una
risposta.
“Sì certo, vengo. Sì”. A quel
punto si era ammutolita, perché non voleva cominciare a
balbettare, e quindi irritare il suo amabile coinquilino.
“Bene, sii pronta il prima possibile” ed era volato
via dalla stanza.
Lily era rimasta immobile di fronte al tavolo di cucina; niente
caffè. Ottimo.
Mezz’ora dopo era pronta, con Sherlock che
l’aspettava impazientemente sulla porta di casa.
“Io non capisco perché voi donne ci mettete
così tanto per prepararvi”.
Lily si era fermata davanti a lui e l’aveva fissato negli
occhi “Ringrazia che ci ho messo solo mezz’ora, e
non ho bevuto neanche un caffè” le parole le erano
uscite di getto, probabilmente per la mancanza di caffeina nel suo
sistema.
Sherlock l’aveva fissata a sua volta, con il suo sguardo
glaciale. Lily cercava disperatamente di tenere testa a quegli occhi
color ghiaccio, ma cominciava a vacillare. Sherlock si era girato
all’ultimo momento, e mentre non guardava Lily aveva tirato
un sospiro di sollievo.
“Bastava dirlo che era per il caffè che sei
così acida” si era infilato i guanti “ne
prenderemo uno per la strada, contenta?” gli aveva sorriso
come si fa ai deficienti, riducendo gli occhi a due mezzelune.
Lily aveva aperto al bocca per replicare, ma Sherlock l’aveva
stoppata subito “Non. Parlare”.
Al diavolo i divieti di
Sherlock aveva pensato Lily: “Io non sono acida. Tu hai mai
conosciuto le persone acide?”.
Si era girato verso di lei, alzando gli occhi al cielo:
“Sì, tante. E ci sei in mezzo anche tu. E la cosa
più grave è che lo diventi per un motivo futile
come il caffè che non hai bevuto” aveva roteato
gli occhi e sbuffato “possiamo andare ora? Stiamo facendo
tardi”.
“Prego”
lo aveva incalzato Lily facendogli strada verso la porta.
Erano quasi arrivati al portoncino quando la signora Hudson,
l’affittuaria dell’appartamento di Sherlock era
spuntata dalla sua porta: “Buongiorno Sherlock! Tutto
bene?”
“Buongiorno signora Hudson, tutto bene grazie,
arrivederci” era con la mano sulla porta quando si era
rivolta a Lily: “e tu Lily, come stai? Tutto bene?”
“Oh si signora Hudson, tutto bene grazie. Ho bisogno solo di
un po’ di caffè" aveva
guardato Sherlock, ironica.
Lui si era avvicinato minacciosamente al suo viso e aveva sussurrato
“Se non la pianti, niente caffè.
Scommetti?”
Lily aveva stretto le labbra, sapendo che gli
“scommetti” di Sherlock erano promesse sicure:
“Bene. Andiamo?” aveva sorriso, tirata.
“Brava bimba” gli aveva dato un buffetto
decisamente troppo forte sulla guancia.
La mano di Lily si era mossa in maniera automatica, stringendo il polso
di Sherlock in maniera ferma e decisa. Sherlock aveva guardato il suo braccio, poi Lily.
“Scusa” aveva sussurrato, lasciando il polso di
Sherlock come se scottasse. Aveva strizzato gli occhi. Avrebbe voluto
essere inghiottita dal pavimento in quel preciso istante.
Sherlock aveva guardato per aria, pensoso: “Sì,
andiamo” e si era girato di scatto scendendo in strada.
“Arrivederci signora Hudson” aveva pigolato Lily,
rivolgendo un sorriso timido verso la donna che aveva osservato tutta
la scena in silenzio.
“Arrivederci cara, quando vuoi vieni a prendere un
the” poi era sparita dietro la sua porta.
Lily era uscita, e Sherlock era fermo sul marciapiede che chiamava un
taxi; dopo averne fermato immediatamente uno ed essere saliti, era
regnato il silenzio assoluto.
Era stato un movimento automatico, ma anche strano. Di solito Lily gli
schiaffi li prendeva e basta, senza fiatare. Ma qual fantasma di sberla
l’aveva fatta reagire come non aveva mai fatto prima. Ed era
solo un buffetto sulla guancia. Non sapeva cosa fare; chiedere scusa?
Veramente non sapeva cosa fare. Aveva preso fiato e cominciato:
“Sherlock, io…”
Lui aveva alzato una mano per zittirla: “Non
c’è nulla da dire”.
“Ma io…” aveva continuato lei.
“Ho detto. Niente. da. Dire”.
Il silenzio era calato di nuovo. Lily era imbarazzata e dispiaciuta.
Non voleva assolutamente che Sherlock pensasse che quel gesto
l’avesse spaventata. L’aveva spaventata in passato,
ma Sherlock sapeva che non avrebbe mai alzato un dito su nessuno,
figuriamoci su di lei. Era stata una cosa così nuova anche
per lei stessa, che le veniva da vomitare per l’imbarazzo il
disagio e la confusione.
Arrivati a destinazione, Lily era scesa e Sherlock aveva pagato il
taxi, senza fiatare. Solo quando erano arrivati sulla scena del crimine
aveva cominciato a parlare, ma non con lei; non se lo sarebbe aspettato
comunque, ma ora sapeva che anche se lo avesse fatto, oggi non sarebbe
accaduto a prescindere. Aveva salutato John e Mary, e Lily era rimasta
in silenzio, finché Mary non l’aveva presa da
parte, preoccupata: “Lily va tutto bene? Sembri un cencio
lavato”.
Le aveva raccontato tutto, e alla fine del resoconto un leggero
sorriso era apparso sulle labbra di Mary: “Probabilmente lui
è più imbarazzato e dispiaciuto di te. Il grande
Sherlock Holmes preso alla sprovvista!” aveva riso divertita
“pensa te!” l’aveva guardata intensamente
“ le tue reazioni lo spiazzano, e ora non sa come
comportarsi. Ma la cosa che lo manda più al manicomio
è non averlo pensato prima; questo perché non sa
niente del tuo passato, tranne quello che è trapelato. Ma
ora probabilmente un’idea se la sarà fatta, come
me la sono fatta io”. Aveva alzato le spalle, divertita
“questa è la cosa più buffa e
straordinaria che io abbia mai visto” e continuava a ridere.
“Io non penso sia così” aveva replicato
Lily ”non è il tipo che si imbarazza”
aveva alzato le spalle, incredula “si sarà offeso
perché l’ho toccato.
Non mi pare il tipo da contatto fisico”.
“Non pensi che ti avrebbe detto qualcosa con quella lingua al
vetriolo che si ritrova?” aveva risposto Mary, assorta
“non ti conosce, Lily. Tutto qua. Io ho capito che sei stata
picchiata, e anche John. E anche Sherlock. Ma non credeva avresti
reagito così. Probabilmente ha messo a posto un altro pezzo
del puzzle, conoscendolo”. Aveva riso di nuovo, portandosi
dietro anche Lily.
“Hmmm continuo a dire che non è
così” Lily aveva arricciato il naso, dubbiosa.
“Se ti chiederà scusa, a modo suo naturalmente,
allora avrò ragione io”.
L’aveva guardata, dispettosa.
Lily aveva riso, divertita “Vedremo”.
Il caso era stato più facile del previsto. Un uomo e una
donna, amanti, uccisi dal marito di lei. “Banale”
era stato il commento di Sherlock, che si ostinava a non guardare Lily.
Mary aveva esposto l’episodio di quella mattina a John,
mentre Sherlock parlava con il tenente Lestrade.
John aveva ascoltato con attenzione; poi aveva pensato intensamente e
alla fine aveva inarcato le sopracciglia e tirato
giù la bocca, sorpreso: “Non ti ha detto
proprio niente?”
“Ho provato a chiedergli scusa e la sua risposta è
stata “non c’è nulla da dire”.
La bocca di John aveva formato una “O” sorpresa:
“Sul serio??”
Lily aveva annuito, timorosa.
John era scoppiato a ridere” Oh santo Cielo,
l’Inferno si congelerà. Vuole sempre avere
l’ultima parola…su tutto. Sai Lily, alla fine
è un essere umano anche lui. Le cose che sfuggono al suo
controllo lo mandano in confusione. Sono d’accordo con
Mary”. Aveva alzato le spalle, a mò di scusa.
Lily le aveva scrollate a sua volta, incredula e leggermente irritata.
Non era Sherlock quello che doveva chiedere scusa. Era lei. Lei aveva
reagito in modo esagerato. Anzi, il gesto di Sherlock, stando ai suoi
criteri di interazione umana, era stato fin troppo gentile. E lei aveva
reagito da stronza psicotica. Non sapeva neanche lei perché
aveva fatto così. Era uscita la persona che voleva
diventare, la persona che si voleva difendere. Ma non con lui, non con
Sherlock che l’aveva accolta a casa sua, dato un tetto, da
mangiare e un letto caldo.
Mentre confabulava tra sé e sé, aveva sentito una
presenza alle sue spalle. Si era girata e davanti a lei c’era
Sherlock che la guardava con aria leggermente imbarazzata e irritata.
Reggeva due tazze di caffè da asporto in entrambe le mani,
ancora fumanti.
“Caffè nero con una zolletta, giusto?”
aveva chiesto con tono monocorde.
Lily aveva guardato lui, poi il caffè e poi di nuovo
Sherlock, che aveva assunto un’aria scocciata e impaziente.
Il suo sguardo pretendeva una risposta.
“Ehm…” non doveva balbettare
“sì…sì. Proprio
così. Grazie mille, Sherlock.”
Lui le aveva porto la tazza bruscamente e si era girato in un
fruscìo di cappotto e aroma di caffè.
Lily guardava la tazza, sorridendo leggermente. La teneva delicatamente
tra le mani, che si scaldavano piacevolmente visto il freddo pungente
di Dicembre.
Mary si era avvicinata a lei e con fare complice e anche un
po’ supponente le aveva bisbigliato nell’orecchio:
“Che ti avevo detto? Avevo ragione io”. E le aveva
strizzato l’occhio.
Lily aveva riso, facendole una linguaccia.
Ma in quel momento, in quel preciso istante, aveva sentito un brivido
dietro la schiena, qualcosa di non piacevole. Si era guardata intorno,
curiosa.
Sono paranoie.
Aveva scrollato le spalle e bevuto il suo caffè.
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Capitolo 7 *** The first Christmas ***
Capitolo 7
The first Christmas
Lily camminava per
strada, sfidando il freddo di Dicembre. In TV avevano detto che
addirittura avrebbe nevicato e già un nevischio misto a
pioggia le colpiva il viso, come piccoli proiettili gelidi. Era di
cattivo umore, perché tra due giorni sarebbe stato Natale e
lei non poteva permettersi di fare regali a nessuno. Si sentiva in
imbarazzo, perché sapeva per certo che qualcosa a lei
sarebbe arrivato, almeno da John e Mary. E lei non aveva un soldo per
ricambiare tutto l’amore, l’impegno e
l’affetto che le avevano dimostrato. Avrebbe voluto trovarsi
un lavoro, ma ancora non si sentiva a suo agio con la gente, a
interagire con le persone. E questo la faceva arrabbiare ancora di
più. Passava le giornate in casa a sentire musica o a fare
necessariamente nulla. Spolverava, metteva a posto ma si sentiva come
un leone chiuso in gabbia.
Era uscita per fare la spesa con la carta di credito che le aveva
lasciato Sherlock, visto che in casa non c’era più
nulla di commestibile e non potevano vivere di soli takeaway. Lily
sapeva a malapena cucinare, ci avrebbe provato, ma aveva già
avvertito Sherlock di non aspettarsi piatti gourmet. Ma tanto lui a
malapena mangiava, sarebbe stato semplice proporgli panini tutti i
giorni e avrebbe benissimo sopravvissuto con quelli. Ma sarebbe
diventato una palla nel giro di un mese; o probabilmente no, visto che
sembrava bruciare calorie solo pensando.
Cercava di proteggersi il viso con le buste di carta del supermercato,
ma serviva a ben poco. Svoltato l’angolo di Baker Street e
arrivata davanti al 221b, aveva incontrato Sherlock che si apprestava
ad uscire. Le aveva rivolto uno sguardo curioso:
“Non ti ho trovato in casa,
dov’eri?” sempre così, diretto e spiccio.
Lily cercava di tenere in equilibrio le due buste piene di cibo e
parlare in modo articolato allo stesso tempo.
“Potrei chiederti la stessa cosa, stamattina mi sono
svegliata e non c’eri; è da ieri pomeriggio che
manchi da casa, ero da Mary ma credevo saresti tornato, stavo
cominciando a preoccuparmi”. Una mela era scivolata dalla
busta e Lily aveva imprecato sotto voce. Poi aveva guardato Sherlock:
“Ti dispiacerebbe…?”
Lui aveva increspato le labbra e le era venuto incontro prendendo una
busta e raccogliendo la mela da terra: “Ero su una scena del
crimine ieri pomeriggio, poi mi ha chiamato Lestrade ieri sera tardi
mentre tornavo, tu già dormivi. Non mi sembrava il caso di
svegliarti” aveva aggiunto con tono di voce asciutto.
“Beh, la prossima volta lascia un biglietto…o
qualcosa”. Lily si era accorta troppo tardi di sembrare una
mamma chioccia, o peggio ancora una fidanzata ansiosa, quindi aveva
aggiunto immediatamente “comunque ok, d’altronde i
casi sono importanti, non fa niente”.
Aveva incrociato lo sguardo di Sherlock, che stranamente era divertito
e non algido come al solito.
“Va bene mammina”
aveva aggiunto con tono di voce bambinesco, cosa che aveva fatto
imbarazzare e arrabbiare ancora di più Lily, che era
diventata scarlatta fino alla punta delle orecchie: “Oh
accidenti, apri questo maledetto portone, le buste pesano”
aveva aggiunto piccata.
“Ok ok, agli ordini” aveva mormorato Sherlock,
sempre con quel ghigno stampato in faccia. Avevano fatto le scale in
silenzio, mentre Lily si dava della stupida dentro la sua testa.
“Potevi
lasciare un biglietto, oh Sherlock ero così in ansia. Ma che
DIAVOLO” imprecava, muovendo le labbra, senza
emettere alcun suono.
Arrivati all’appartamento e dopo aver messo a posto la spesa,
Sherlock si era girato verso di lei e con tono MOLTO annoiato aveva
detto:
“Al St. Barth’s, l’ospedale dove lavora
John, ci sarà un piccolo rinfresco per gli auguri di Natale.
Vuoi venire? Ero tornato a casa apposta per dirtelo ma non
c’eri” si era fermato, pensieroso
“dovresti procurarti un cellulare”. Aveva annuito,
soddisfatto della sua idea.
“Vengo volentieri” aveva risposto Lily, evitando la
considerazione sul cellulare. Come se lo sarebbe dovuto procurare?
Rubandolo? Scacciando via questo pensiero non si era accorta che
Sherlock le stava ancora parlando e quando se n’era accorta
aveva cercato di recuperare il filo del discorso; da quando Sherlock
era così loquace?
“Lily, ma mi stai ascoltando?” aveva chiesto offeso.
“Scusa Sherlock ero sovrappensiero” aveva risposto,
non riuscendo a collegare il discorso che stava facendo prima.
“Stavo dicendo
che la sera di Natale ci sarà anche una cena da John e Mary.
Sono stato minacciato direttamente da lei, e non accetterà
nessun rifiuto” aveva alzato gli occhi al cielo” io
ne farei volentieri a meno, ma alla fine si tratta di John; come posso
dire di no?”
“Bene, sarò felice di partecipare” aveva
sorriso, fingendo entusiasmo. Non perché non le andasse, ma
perché si sarebbe presentata a mani vuote, anche nei
confronti della piccola Rose. Senza un giocattolo, senza nulla. Aveva
stretto le labbra e corrugato la fronte, cosa che non era sfuggita a
Sherlock.
“Sanno già che non potrai far loro regali e ti
posso assicurare che non devi preoccuparti; non li farò
neanche io, la trovo un’idea stupida” aveva alzato
le spalle “mia modesta opinione, naturalmente.”.
Aveva calcato su “modesta”.
“Sono persone a posto Lily, e non giudicano nessuno, figurati
te”. L’aveva fissata, aspettando una sua reazione.
“Beh, a me dispiace comunque; avrei voluto fare un regalo a
tutti voi, per la vostra generosità e per avermi accolto e
per…insomma, per tutto. Io non pago neanche un affitto qui,
non pago niente, vivo a scrocco e mi fa una rabbia che neanche
immagini; io…”
“Avrai
la tua occasione per riscattarti, Lily. Sei all’inizio di
qualcosa di nuovo, un periodo di assestamento è
più che normale”.
Questo Sherlock ragionevole e rassicurante spaventava un po’
Lily. Che battesse veramente un cuore sotto quel petto? Non sembrava
interessato a ciò che poteva provare un essere umano, e
invece se lo ritrovava lì a dirle di non preoccuparsi, di
riscatti emotivi, di vita e affini. Lo aveva guardato, e i suoi occhi
color metallo sembravano più miti. Osservandolo, aveva dei
tratti veramente particolari. Possibile non avesse donne a frotte, che
languivano per lui? Forse sì, ma lui era completamente
disinteressato a tutto ciò che poteva riguardare il sesso
femminile e il sesso in generale. Lily aveva pensato anche che potesse
essere gay, ma quando aveva timidamente proposto questa ipotesi in
presenza di John, lui era scoppiato a ridere sonoramente.
“Lily, Sherlock è convinto che le donne,
l’amore e le emozioni in generale possano corrompere la
purezza della sua mente. Deve mantenerla libera da ogni vizio, per
ragionare nel modo più chiaro e razionale possibile.
L’ho visto flirtare con possibili indiziate, ma solo per
ottenere le informazioni che voleva, e dopo sembrava quasi che si
sentisse sporco. Neanche la parola “asessuato”
andrebbe bene per descrivere quello che è. Nessuno lo sa, e
chissà se lo sapremo mai”.
Questi pensieri avevano di nuovo fatto andare Lily in uno stato di
distacco, cosa che Sherlock aveva scambiato per semplice affermazione
delle sue parole.
“Bene, vogliamo andare? Saranno già tutti
lì”.
Erano arrivati al St. Barth’s poco dopo ed erano
già tutti lì. John, Mary, la piccola Rose il
tenente Lestrade e altra gente che Lily non aveva mai visto, ma che
sicuramente loro sapevano della sua esistenza. Molto stranamente erano
tutti riuniti in un laboratorio, dove lavorava una certa Molly Hooper
che poi era la responsabile dell’obitorio. E probabilmente,
oltre la porta bianca alle spalle di Lily, c’era veramente un
obitorio, con le celle argentate come quelle dei film. Aveva cercato di
non pensarci, scrollando le spalle. Erano tutti là, felici e
contenti, chiacchieravano e ridevano, pieni di atmosfera natalizia.
Lily era rimasta in un angolo, con il suo bicchiere di punch in mano,
sorridendo leggermente e da circostanza, immobile. Che cosa strana
l’amicizia, la gente che parla di cose come il Natale, i
regali, le cene. Cose normali, da gente normale. Aveva stretto il
bicchiere tra le mani, mordendosi un labbro. Aveva alzato lo sguardo ed
esattamente dall’altra parte della stanza c’era
Sherlock; anche lui fermo, anche lui muto, anche lui con un bicchiere
in mano. Sembravano due immagini speculari; lui l’aveva
guardata e alzato gli occhi al cielo. Lei aveva sorriso timida, e
alzato le spalle come per dire “E’ la social life, che
vuoi farci?”
All’improvviso dalle due porte a spinta che davano sul
laboratorio, erano entrati due infermieri o Lily sospettava fossero
portantini, con un carrello che era decisamente uno di quelli dove si
trasportavano cadaveri.
Molly li aveva guardati, sorpresa: “Ma ragazzi, oggi non
c’erano arrivi, ne ero sicura”.
“Lo so Molly, scusa” aveva detto uno dei due
“ma è stata una cosa improvvisa e parecchio particolare. Non
abbiamo neanche potuto metterlo nel sacco, abbiamo solo il
lenzuolo”.
“Va bene, va bene portatelo di là, poi ci
penserò io” aveva risposto Molly svelta, facendo
spostare gli altri, che si erano ammutoliti.
Il lenzuolo probabilmente era troppo lungo o messo male, non si sa. Ma
all’improvviso, si era incastrato sotto la ruota del carrello
facendolo cadere a terra e rivelando il cadavere. Lily si trovava a
poca distanza dallo spettacolo che le si era posto davanti. Al cadavere
mancava mezza faccia. Semplice. Mezza faccia non c’era
più, si vedevano ancora alcuni denti; non c’erano
labbra, guance niente. Solo metà volto.
Lily lo aveva osservato e dentro di lei non sentiva nulla. La gente
aveva tirato urli soffocati, si era girata per non vomitare. Solo lei,
John e Sherlock erano rimasti a guardare il corpo, senza scomporsi.
Lily ne aveva visti di cadaveri; uccisi, smembrati, lividi per essere
morti di assideramento o per overdose. Aveva visto cadaveri senza
testa, cadaveri di bambini. Era incredibile quanta gente morisse a
Londra ogni giorno, e nessuno ne parlasse. Gente che finiva
così, buttata nel Tamigi a tarda notte da aguzzini e
spacciatori, o in mezzo alla spazzatura da papponi, per poi venir
catalogata e bruciata o seppellita senza un nome, senza un qualcosa che
potesse ricordarla. Quante persone venivano ingoiate dal buio della
città, quante anime disgraziate finivano la loro vita in
miseria. Una volta aveva tenuto la mano a Paula, una ragazza drogata
che era stata accoltellata da uno spacciatore e lasciata in mezzo alla
strada. Ancora ricordava come stringeva forte la sua mano, e
com’era fredda. Ci aveva messo tanto, troppo tempo a morire,
aggrappata a lei nella disperazione. Lily non l’aveva
lasciata sola, era rimasta finché non le si erano girati gli
occhi e l’ultimo respiro le aveva scosso il corpo, allentando
la presa d’acciaio della sua mano.
Continuava a guardare quel cadavere, mentre i due portantini si
affrettavano a ricoprirlo e l’unica cosa che aveva pensato
era stata “povera
anima”.
Aveva sentito una mano sulla spalla: “Lily, vieni
via”.
Era John che l’aveva trascinata lontano da lì
mentre il corpo veniva portato in obitorio. L’aveva girata
verso di lui, guardandola con gli occhi blu preoccupati e aveva
chiesto: “Stai bene?”
Lei lo aveva fissato, sbattendo gli occhi un paio di volte:
“Sì John sto bene, grazie. Non è la
prima volta”.
John aveva stretto le labbra, come per reprimere un moto di rabbia e
frustrazione. Lily non si scomponeva, la sensazione era quella che
aveva provato tante volte: sangue ghiacciato e come un masso al posto
del cuore. Cosa poteva fare lei di fronte alla morte?
Niente.
Aveva alzato lo sguardo e incrociato quello di Sherlock: la
fissava, le sopracciglia leggermente corrugate,
un’espressione di curiosità e
qualcos’altro che Lily non riusciva a decifrare.
Cosa pensava Sherlock, che solo lui aveva visto la morte? Solo lui si
aggirava intorno ai cadaveri altero e algido come un re delle nevi,
scovando indizi intorno a quello che per lui non era che soltanto un
guscio vuoto, senza vita?
Lily ne aveva piante di persone all’inizio, poi aveva
semplicemente smesso, perché era inutile; avrebbe
prosciugato tutta l’acqua del suo corpo facendo
così. Aveva capito che quella era la fine di chi non aveva
destino o futuro, e che probabilmente sarebbe potuto capitare anche a
lei; sperava solo di non finire in qualche cassonetto, o spogliata dei
suoi stessi abiti.
Aveva fissato Sherlock, con aria seria, poi si era girata verso John
che aveva ancora una mano sulla sua spalla. Ci aveva appoggiato una
mano sopra e sorridendo aveva detto: “Grazie John, sto bene.
Davvero”.
“Sei ghiacciata” aveva risposto lui, guardandola
preoccupato.
Lei aveva annuito: “E’ sempre
così” e aveva sorriso, rassicurante.
Dopo il piccolo incidente,
la gente si era dispersa velocemente. L’atmosfera di festa
era andata a farsi benedire, e nella stanza aleggiava uno strano odore.
Erano rimasti solo Sherlock, Lily, Mary con la piccola Rose e John.
Molly era in obitorio, cercando di capirci qualcosa.
Avevano deciso di tornare a casa, ancora un po’ scossi da
cosa era successo.
Tornati a Baker Street, Sherlock aveva acceso il camino e Lily aveva
preparato il the; una volta portate le tazze in salotto si era
accoccolata sulla poltrona di fronte a Sherlock, godendosi il calore
del fuoco e sorseggiando la bevanda calda che aveva appena preparato.
Sherlock leggeva un libro abbastanza grosso e abbastanza vecchiotto,
sembrava un volume di poesie. Lily aveva deciso di rompere quel
silenzio carico di tensione.
“Cosa leggi?” aveva chiesto a Sherlock piano,
sorridendo leggermente. Lui aveva sollevato gli occhi dal libro.
“John Keats” aveva risposto, la voce piena di
concentrazione.
“Oh, adoro John Keats…” Lily aveva
chiuso gli occhi sognante e aveva cominciato, con voce fluida e soave:
“Sparire,
lontano, dissolvermi, e dimenticare poi
Ciò che tu,
tra le foglie, non hai mai conosciuto:
La stanchezza, la
malattia, l'ansia
Degli uomini, qui, che
si sentono soffrire,
Qui, dove il tremito
scuote gli ultimi, scarsi capelli grigi,
Dove la
gioventù impallidisce, si consuma e simile a un fantasma
muore,
Dove il pensare stesso
è riempirsi di dolore,
E la disperazione regna,
dalle ciglia di piombo,
Dove la bellezza vede
spenta la luce dei suoi occhi
E l'amore nuovo non
riesce a piangerla oltre il domani”
Aveva
aperto gli occhi, sospirando. Quanto amava quella poesia, quei versi in
particolare. Aveva guardato Sherlock, che la fissava sorpreso; Lily
aveva dovuto mordersi la lingua per non sbottare a ridere:
“Che c’è?” aveva chiesto
divertita.
“Beh…” aveva cominciato Sherlock
”notevole, direi”. L’aveva fissata, con
curiosità, aspettandosi una risposta da parte di Lily
.
“Grazie” aveva risposto, posando la tazza di the
sul tavolino di fronte a lei “prima di diventare feccia della
società, anch’io ho studiato sai. Educazione
domiciliare, per la precisione”.
Non sapeva se era una cosa buona aprirsi con Sherlock così,
ma alla fine si parlava di educazione, non di se stessa.
“Ah. Educazione domiciliare, quindi?” aveva
risposto Sherlock, prendendo un sorso di the “a quanti anni
hai imparato a memoria Keats?”
“Hmmm….” Lily aveva pensato, stringendo
gli occhi “se non ricordo male, sei anni più o
meno”.
Gli occhi di Sherlock si erano spalancati, sorpresi, quasi si strozzava
con il the “sei anni?”
“Questo tuo tono sorpreso dovrebbe offendermi?”
aveva riso Lily. Dentro di lei era terrorizzata, si stava confrontando
con un uomo che aveva una cultura e una conoscenza mille volte
superiore alla sua. Ma come diavolo le era venuto in mente?
“No, no” si era affrettato a rispondere Sherlock
“è solo molto…inusuale” aveva
stretto le spalle “l’educazione domiciliare
è una cosa particolare, d’altronde”.
Lily aveva assunto un’aria pensosa, muovendo la testa
impercettibilmente da un destra a sinistra “Beh
sì, ma dove sono cresciuta io diciamo che
era…obbligatoria” si era persa con lo sguardo,
ricordando il suo educatore, il professor Schwartz. Le avevano detto
che aveva insegnato a Oxford e che sapeva tutto quello che una bambina
doveva sapere. Certo, insegnare a una bambina, che caduta di stile.
Chissà che fine aveva fatto.
Sherlock la fissava. Il calore del fuoco del camino dava al suo
sguardo un riflesso lucido, come se i suoi occhi fossero
fatti d’acqua.
“Quindi saprai un sacco di cose, immagino” aveva
incrociato le mani sotto il mento, sorridendo leggermente.
“Oh, di poesia e letteratura ne so abbastanza, le altre cose
o non le ricordo o non le ho proprio studiate perché ero
pigra; più che altro se una cosa non mi piace, mi ci applico
poco”.
Sherlock aveva riso, cosa strana per lui. Era un riso divertito e
spontaneo; l’aveva guardata.
“Lavativa” aveva alzato le sopracciglia.
Lily aveva riso di gusto a sua volta, e aveva risposto con fare
pomposo: “Mica possiamo essere tutti come te, grande Sherlock
Holmes”. E aveva aggiunto una linguaccia, arricciando il naso
e chiudendo il occhi.
Sherlock aveva tirato indietro la testa, facendo muovere tutti i
riccioli; aveva riso di nuovo, però adesso sembrava meno
divertito. Guardando il soffitto aveva sussurrato: “Non
è sempre divertente, essere me”.
Lily era rimasta in silenzio, non sapendo cosa dire. Forse aveva
esagerato, ma non era sua intenzione. Forse era il caso di ritirarsi.
Si era alzata dalla poltrona lentamente.
“Io vado a dormire Sherlock, buonanotte. Sono veramente
esausta” aveva aggiunto, come se dovesse giustificarsi.
“Buonanotte Lily, dormi bene” aveva risposto
Sherlock, con tono asciutto “a domani”.
“Anche tu” e si era diretta in camera sua, dove
aveva osato pensare che forse, per un millesimo di secondo, aveva fatto
sentire il potente Sherlock Holmes vulnerabile.
Altamente improbabile, comunque.
Il giorno seguente era passato senza episodi particolari. Tranne la
furia di Mary, che aveva trascinato Lily per negozi tutto il pomeriggio
perché aveva deciso che “per Natale devi indossare
qualcosa di carino”.
Ma Lily non si era mai sentita carina, né tantomeno
bisognosa di vestiti particolarmente belli o ricercati. A lei bastava
un jeans e una maglietta o una felpa, o qualsiasi altro accidente le
potesse coprire il torso. Il resto non le importava. Non le importava
del trucco, di acconciarsi i capelli che erano diventati un caschetto
sfilzato e disordinato, o di mettersi lo smalto alle unghie. Ma
l’entusiasmo di Mary era così genuino che non se
l’era sentita di non assecondarla in questa missione che per
lei era suicida. Le aveva comprato dei trucchi, e un maglione
meraviglioso e morbido con un collo grande e caldo che la faceva
sentire al sicuro; era blu oltremare chiaro anche se Mary aveva
insistito per un colore più natalizio come il rosso o il
verde. Ma lei se n’era innamorata. Quando lo aveva provato i
suoi occhi si erano illuminati e le sue guance avevano preso colore;
quel colore la rendeva bella, sana, una persona normale.
Con i suoi jeans stretti e gli anfibi che amava tanto era una ragazza
che poteva essere una studentessa del college, oppure una ragazza che
lavorava come commessa. Poteva essere tutto.
Dopo una giornata del genere era tornata a casa distrutta, ma anche
sollevata e anche un po’ felice. Sherlock stranamente era a
casa, in cucina ad analizzare qualcosa al microscopio.
Non aveva neanche alzato gli occhi, e con fare concentrato aveva
chiesto a Lily: “Com’è andata la
sessione di shopping o anche missione
suicida, come l’hai gentilmente
ribattezzata?”
Lily si era accasciata in poltrona, esausta e con un filo di voce aveva
detto: “contro tutte le previsioni peggiori, bene. Sono solo
assolutamente distrutta. Ho bisogno di un bagno caldo e di mangiare
qualcosa. Sto morendo di fame”.
“Ti va il cinese?” aveva chiesto Sherlock senza
alzare gli occhi dal microscopio.
“Ma sì, perché no, non posso
cucinare…troooooppo distrutta” aveva alzato una
mano, in un gesto plateale.
“Lavativa” aveva aggiunto Sherlock. Lily lo aveva
squadrato dalla poltrona e si era accorta che sorrideva.
“Molto spiritoso
mister non so farmi il the da solo” lo aveva
rimproverato.
“Perché devo farlo io, quando
c’è qualcuno che lo fa per me?” aveva
replicato serio.
Lily aveva sbuffato, contrariata: “Certo, facile ragionare
così! Quindi cinese o devo cucinare io?!”
“Cinese, cinese” aveva risposto Sherlock
sghignazzando sempre con gli occhi appiccicati al microscopio
“vai a farti il tuo bagno, ci penso io a ordinare”.
“Ma se non sai cosa voglio!” aveva risposto Lily,
alzandosi dalla poltrona.
Sherlock aveva chiuso gli occhi, allontanandosi dal microscopio,
sbuffando:
“Tu pensi che io non abbia memorizzato quello che prendi di
solito al takeaway cinese?”
Lily era rimasta immobile a guardarlo. Le sembrava un gesto molto
carino da parte sua, ma lungi da lei dal dirglielo.
D’altronde era Sherlock Holmes come poteva non ricordarselo?
Sembrava quasi offesa dalla sua mancanza di intuito.
“Hai ragione, mea culpa. Vado a fare il bagno.” Si
era avviata verso la sua stanza per prendere il necessario. Non vedeva
l’ora di immergersi nell’acqua calda e profumata.
Un bagno per lei era un lusso, considerando che prima non ne aveva mai
l’occasione.
Una volta immersa nella vasca da bagno, con il gorgoglìo dei
tubi a farle compagnia, Lily aveva pensato al giorno seguente. Il
Natale. Tutto ciò che ricordava era un albero addobbato
grandemente e sua madre che mangiava in silenzio la cena, senza
guardarla nemmeno in faccia. I regali li scartava con il suo educatore
e la tata, e poi andava a dormire. Questo era quello che ricordava,
quando era piccola. Crescendo, non c’erano stati
più alberi, tantomeno regali. La magia era svanita, Babbo
Natale non esisteva e lei era sola, come sempre in quella casa enorme.
Si era immersa ancora di più nella vasca, fin sotto il naso,
strizzando gli occhi che le bruciavano per le lacrime. Un bambino non
dovrebbe crescere così, non dovrebbe avere colpe che in
verità non ha. Non dovrebbe e basta. Aveva sbattuto gli
occhi verso il soffitto per ricacciare indietro il pianto e la
commozione.
La sera, quando veniva messa a letto dalla nanny lei aveva
paura del buio e chiedeva di lasciare almeno uno spiraglio di luce, per
farla dormire tranquilla, lei rispondeva:
“Ma no, tu sei una bambina grande ormai. E’ silly avere paura,
i mostri non esistono.” Le diceva con quell’accento
cockney che lei odiava. Ma la nanny non sapeva che non erano
l'uomo nero o le mani che spuntavano da sotto al letto
che la spaventavano. La paura era quella dei mostri che le nascevano
dentro la testa appena riusciva ad addormentarsi, che la facevano
svegliare urlando, infastidendo sua madre e facendo accorrere mezza
casa in suo aiuto.
Una lacrima era riuscita a farsi spazio tra le sue palpebre, ed era
scivolata lungo la sua guancia come una perla.
E poi. E poi. E poi. E poi era arrivato lui, dinamico, allegro pieno di
sogni e progetti, e l’aveva portata via. Sembrava amore, ma
invece poi si sa come vanno le cose. I giri sbagliati, e il resto
è storia.
Ma lei ora era là, in quella vasca da bagno. E poi
c’era Mary, e John e Sherlock. C’erano loro, le sue
scialuppe di salvataggio. E chissà cosa sarebbe successo
d’ora in avanti. Un brivido le aveva percorso la schiena,
nonostante l’acqua calda. Era paura? O
eccitazione?
Si era alzata, il corpo addormentato dal tepore dell’acqua e
dai ricordi. Si era preparata, ed era andata in cucina dove il takeaway
era appena arrivato, fumante e profumato. Lo stomaco di Lily aveva
brontolato in maniera decisamente poco femminile e Sherlock aveva
esclamato: “Beh mangia, per l’amor di Dio!
Sennò sarai svenuta in meno di cinque minuti!”
Lily aveva riso imbarazzata, e così aveva mangiato con
appetito, parlando un po’ con Sherlock, su come sarebbe stata
domani questa famosa cena di Natale.
“Mah sai, come al solito. Si beve, si mangia, ci si scambia i
regali..per chi li ha” aveva aggiunto sogghignando,
in maniera quasi complice “e niente, si chiacchiera
finché si è ubriachi o troppo pieni di cibo per
continuare. Tutto qua”. Aveva alzato le spalle.
“Beh, non sembra poi così male alla
fine” aveva sussurrato Lily addentando un raviolo al vapore
“sembra qualcosa di allegro, fatto con le persone a cui si
vuole bene”. Aveva guardato Sherlock, che rimestava con le
bacchette dentro la scatola di cartone degli spaghetti, pensoso.
“E’ bello se hai un termine di paragone”
aveva aggiunto “se non ce l’hai è come
un party, solo che è Natale”.
“Beh io ce l’avrei pure, ma non era così
caloroso come lo hai descritto tu” Lily aveva abbassato per
un attimo la voce.
“Quindi dovrebbe piacerti” aveva detto Sherlock con
tono ovvio “per me, nonostante abbia avuto Natali felici,
è noioso”.
“E perché? Cosa c’era di così
terribile?”
Sherlock aveva arricciato il naso in maniera buffa, e aveva replicato,
molto serio: “Continuavano a regalarmi orsi di pezza e
trenini, mentre io volevo il set del piccolo chimico e cavie da usare
per i miei esperimenti. Quindi ero molto in disappunto”.
Lily non era riuscita a trattenersi ed era scoppiata in una risata
talmente forte che rischiava di farsi uscire pezzi di ravioli dal naso.
Era la ragione più stupida ma anche più tenera
che potesse uscire dalla cinica bocca di Sherlock Holmes. Tra i
singhiozzi era riuscita solo a pigolare: “Oh Sherlock, mio Dio”.
Lui l’aveva osservata, perplesso: “E’ un
motivo serio, credimi. Per un bambino mentalmente iperattivo come me
era una vera tortura”. Aveva lo sguardo serio e quasi offeso.
“E’ vero, hai ragione. Scusami tanto, non doveva
essere divertente per te”. Era tornata seria, riprendendo il
controllo di sé stessa e cercando di capire il disagio del
piccolo Sherlock. Effettivamente, doveva essere una vera rottura di
palle. Quel cervello girava così veloce adesso, pensa quando
era ancora fresco e giovane come quello di un bambino.
“Può sembrare buffo” un’ombra
di sorriso era apparsa sulla bocca di Sherlock “ma cosa
potevo farci con quegli stupidi orsi di pezza?”
“Detto da uno che tiene occhi umani dentro dei barattoli in
frigo, capisco perfettamente il dilemma” aveva risposto
prontamente Lily, sorridendo.
Sherlock aveva annuito e continuato a mangiare, in silenzio.
//
E il giorno finalmente
era arrivato; l’appuntamento a casa Watson era verso
mezzogiorno e Lily aveva cominciato a prepararsi alle dieci e mezza; ma
non tanto per i vestiti, tanto per tutti quegli impiastri che Mary le
aveva intimato di mettersi in faccia: cioè il trucco.
Aveva cominciato con il fondotinta, per poi passare a correttore,
matita, mascara e fard. Cercava di ricordare tutti i movimenti che le
aveva fatto vedere la commessa del grande magazzino ieri pomeriggio ed
era stata molto attenta. Il risultato finale non era male; naturale,
fresco e la faceva apparire meno smorta e
più…carina.
Quando si era presentata in cucina per uscire, Sherlock
l’aveva squadrata da capo a piedi e aveva detto:
“Bel maglione”
Lily si era tirata le maniche fin sopra le nocche, come
d’abitudine, e aveva mormorato un
“grazie” imbarazzato.
Finalmente avevano preso un taxi ed erano arrivati da John e Mary, dove
già c’erano altre persone. Appena messo piede nel
salone, Sherlock si era immobilizzato e aveva sibilato a John che era
accanto a lui: “John…dovevi proprio?”
John aveva alzato gli occhi al cielo, e aveva detto esasperato:
“Sì Sherlock, dovevo proprio. Mycroft è
tuo fratello e con tutti i magheggi che ha fatto per tirarci fuori dai
guai, un invito era certamente d’obbligo. Ora, vai a
salutarlo e magari presentagli anche Lily; gliene abbiamo parlato ma
non l’ha mai vista”.
Lily aveva guardato entrambi, sorpresa: Sherlock aveva un fratello? Ah,
le magie del Natale! E ora doveva pure conoscerlo; se era solo la
metà del fratello, si salvi chi può.
“Va bene” aveva sibilato Sherlock, ma non aveva
fatto in tempo a finire la frase che Mycroft si era materializzato al
suo fianco. Era alto, magro e con uno strano naso. Aveva
l’aria altezzosa, ma alla fine non cattiva; solo annoiata,
tale e quale al fratellino. Solo che Sherlock era nettamente
più bello, questo era da riconoscere.
“Sherlock” aveva esordito, con tono strascicato
“ allora ci sei anche tu. Quanto tempo”.
“Già” aveva commentato lui
“troppo poco intendi dire”.
Lily aveva intuito che i rapporti non erano dei migliori ed era rimasta
dietro Sherlock, sperando che battibeccando tra loro, si scordassero
della sua presenza.
“Ti vorrei presentare Lily” scaricabarili aveva
pensato lei “ne avrai sentito parlare”.
Lily aveva sorriso, tirata stendendo la mano verso Mycroft:
“Molto piacere”.
“Oh Lily, John mi ha parlato di te” aveva detto,
stringendo mollemente la sua mano “come vanno le
cose?”
“Meravigliosamente” aveva risposto Lily, in modo
enfatico.
“Quindi la convivenza con Sherlock non ti sta facendo
impazzire…strano”. Aveva bevuto un sorso dal suo
bicchiere.
“Oh no, lui è…molto gentile con me,
davvero”. Lily aveva sorriso, impostata.
Mycroft aveva riso di gusto e si era allontanato, lentamente. Lily
aveva sentito Sherlock sbuffare dietro di lei e dire a bassa voce: “Stronzo”.
Lily aveva fatto finta di non sentire, e si era girata per ammirare gli
addobbi che Mary aveva messo in giro per casa. Come per magia si era
materializzata accanto a loro e con voce acuta e MOLTO alta aveva
esclamato: “Ooooooh guardate un po’ voi due dove
siete capitati!!!”.
Lily aveva guardato Mary, confusa. Lo stesso Sherlock.
“Siete sotto il vischio! Chi si trova sotto il vischio deve
ricevere un bacio!” aveva battuto le mani, estasiata.
NO.
No. Nonononononono.
Lily aveva alzato gli occhi ed effettivamente c’era uno
stramaledettissimo rametto di vischio sopra la sua testa e quella di
Sherlock. Sherlock aveva guardato Mary, la punta delle orecchie rosse:
“Mary, no. Non mi sembra il caso” aveva detto
piano, cercando di mantenere un certo aplomb.
“Ma su! Solo un bacino piccino! Su una guancia poi, mica
sulle labbra” aveva aggiunto, civettuola. Lily sospettava che
avesse bevuto un po’ troppo.
Al coro si era unito anche John, e poi tutti gli altri mettendo Lily
nella situazione più imbarazzante della sua vita. Mycroft li
scrutava da lontano, sogghignando.
Lily aveva stretto i pugni, prendendo atto del fatto che se non
l’avessero fatto li avrebbero assillati per sempre. Aveva
guardato Sherlock, che aveva guardato lei. Lily non aveva saputo fare
altro che alzare le spalle come per dire: decidi tu, io non so veramente
cosa fare.
Sherlock aveva chiuso gli occhi nella frustrazione, e riaprendoli aveva
sibilato, con un falso sorriso: “Bene, e bacio sia
sotto il maledetto vischio”.
Lily si era girata verso di lui con aria di scusa. Lui aveva roteato
gli occhi visibilmente scocciato. Si erano guardati e Sherlock si era
avvicinato, piano e titubante. Lily aspettava, con la vergogna che le
sprizzava da tutti i pori.
Un improvviso rumore sordo (la piccola Rose aveva fatto cadere un paio
di bicchieri per terra, causando un fracasso infernale)
l’aveva fatta girare di scatto, proprio mentre Sherlock
atterrava con le labbra sul suo viso; con il risultato che il bacio era
arrivato all’angolo delle labbra di Lily e non sulla guancia.
Sherlock, dopo essersene accorto si era staccato subito, con aria
sorpresa. Lily aveva ricambiato lo sguardo, e non sapendo cosa dire in
quel momento di imbarazzo, aveva esclamato: “Beh, fatto!
Contenti tutti?” si era guardata in giro, dove qualcuno aveva
improvvisato un applauso e risata. Sentiva ancora il calore delle
labbra di Sherlock all’angolo della sua bocca; si era girata
e lui non c’era più. Aveva intravisto i suoi
riccioli neri sparire in mezzo alla gente, e l’aveva seguito:
“Sherlock! Sherlock!” si muoveva a fatica tra la
gente.
Lui si era girato di scatto: “COSA?”
aveva esclamato.
Lily si era bloccata, sorpresa. Poi un moto di rabbia si era
impossessato di lei, ma con voce che lei pensava fosse molto bassa e
sibilante, aveva affrontato Sherlock:
“Senti, sono in imbarazzo quanto te. E’ stato un
gioco, non è piaciuto a entrambi ma per favore potresti
farmi la cortesia di non rovinare il mio primo Natale decente? Io
capisco tutto Sherlock, capisco la tua repulsione verso il contatto
umano in generale, ma ti è mai passato per la testa che
facendo così potresti ferire qualcuno? Diamine, non
è successo nulla, datti una calmata e cerca di goderti anche
tu la festa!” aveva ripreso aria nei polmoni, tenendo lo
sguardo attaccato a quello sconcertato di Sherlock.
Lui la guardava, soppesando le parole di Lily dentro la sua testa.
Aveva guardato di lato, pensando e alla fine aveva detto: “Va
bene. Come ti pare. Posso andare al bagno, oppure anche questo ti
offende a morte?”
Lily aveva gonfiato le guance e aveva esclamato: “Puoi andare
dove più ti aggrada, Sherlock.
Vatti a sciacquare la bocca, ma ti assicuro una cosa: sono sana come un
pesce”. Detto questo si era girata, senza aspettare risposta.
Sherlock aveva scosso le spalle, furioso. Si era chiuso in bagno, per
pensare e riprendere il controllo della situazione. Ma che stupida che
era! Lui odiava tutto questo, odiava gli scherzi, le tradizioni, le
feste odiava tutto ciò! Erano cose che lo facevano sentire
stupido e in qualche modo vulnerabile. Ma poi perché
parlargli così? Sembrava di sentire John, solo che al
femminile. Faceva avanti e indietro per il piccolo bagno di casa Watson
e piano piano aveva ripreso il controllo della sua coscienza.
Ma che stupida! Sospettare che lui avesse paura che fosse malata! Aveva
già guardato le sue analisi del sangue al St.
Barth’s e lo sapeva che era sana come un pesce, grazie tante.
Certo, lei questo non lo sapeva, ma come poteva rivolgersi a lui
così. Aveva già Watson che lo strigliava a
dovere. Non aveva bisogno di qualcun altro che lo facesse al posto suo,
visto che ora faceva il marito e padre affettuoso. Lui non aveva
bisogno di nessuno.
Pensato questo, aveva respirato a fondo e aperto la porta del bagno,
per poi tornare nel salotto dove Lily teneva in braccio la piccola
Rose, facendola sorridere con i suoi versi buffi.
All’improvviso aveva sentito la presenza di John accanto a
sé e aveva chiuso gli occhi, pensando di stare per ricevere
l’ennesima strigliata anche
da lui.
“Come va?” aveva chiesto, con un bicchiere di birra
in mano “forse Lily pensava di bisbigliare, ma si
è sentito tutto abbastanza bene. O almeno io ho
sentito. Beh, c’è da dire che ha un bel
caratterino se messa alle strette. Sherlock, che ne dici di dare una
pausa a quella povera ragazza? E’ tesa come una corda di
violino, non ti ci mettere anche tu”.
“Ma io non ho fatto niente!” si era lamentato
Sherlock “niente di niente!”
“Sei scappato come un gatto caduto in una tinozza
d’acqua, pensi sia passato inosservato? E avevi una faccia
altrettanto loquace. Non ci sei andato a letto, le hai dato un bacio
sulla guancia sotto il vischio, è tradizione! Poteva
capitarci chiunque; e durante la vostra assenza anche Mycroft e
Lestrade si sono dati un bacetto sulla guancia” aveva riso al
ricordo.
Sherlock era rimasto fermo lì, ad ascoltare le parole di
John. Era l’unica persona che riusciva a farlo ragionare, a
riportarlo sul pianeta Terra.
“La gente ha sentimenti Sherlock” aveva incalzato
John, e guarda un po’ a Sherlock sembrava di risentire Lily
“e Lily è ancora più fragile di tutte
le altre persone che a te non piacciono; lo so che non le chiederai
scusa perché non è nella tua indole, e lei questo
lo sa già. Ma
vacci piano. Lei non ti ha fatto assolutamente
niente”. Gli aveva dato una pacca sulla spalla e se
n’era andato, sparendo tra gli invitati.
Sherlock aveva sospirato, esasperato. Rimaneva lì, immobile
sulla porta del salone stando bene attento a non ricapitare sotto il
maledetto vischio. Aveva posato di nuovo lo sguardo su Lily, che teneva
ancora Rose in braccio, e si era sorpreso perché anche lei
lo stava guardando. Sherlock aveva sollevato il mento per darsi un
tono, ma pochi secondi dopo Lily aveva diretto verso di lui la smorfia
con linguaccia più brutta che lui avesse mai visto; poi era
scoppiata a ridere, e aveva continuato a giocare con Rose.
Sherlock aveva abbassato la testa, scuotendola esasperato.
Ma nessuno
avrebbe mai saputo che l’aveva abbassata perché
stava sorridendo anche lui.
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Capitolo 8 *** The Boogey man ***
Capitolo 8
The
boogey man
ATTENZIONE:
In questo capitolo ci sono
parole e contenuti un po’ forti. Magari poi non saranno nulla
di che, ma volevo
comunque avvertire. Grazie!
Era una mattina
sonnacchiosa e sempre grigia a Baker Street. Fuori piovigginava, e il
cielo era plumbeo, deprimente. Lily era sdraiata pigramente sul divano,
cercando di capirci qualcosa con il nuovo smartphone che le avevano
regalato John Mary e Sherlock per Natale; era abbastanza complicato, e
oltre la frustrazione per non riuscire a usarlo, Lily era anche
indispettita perché quello era il chiaro segno del suo
fallimento; quel telefono probabilmente valeva più di uno
stipendio medio, mentre lei non era riuscita a comprare nulla per i
suoi nuovi amici. Poteva definirli così? Un regalo
così costoso valeva quello che lei non aveva potuto fare.
Gli altri l’avevano buttata lì con un
“sarai rintracciabile, potrai farci sapere dove sei, o noi
potremmo farti sapere dove siamo noi”. Non le era sembrata
una spiegazione molto logica. Lily nella sua testa paranoica e paurosa
sentiva solo: “poiché sei una tossica senza storia
alle spalle, ti regaliamo questo aggeggio che vale una fortuna per
tenerti sotto controllo. Anzi, quasi quasi ci pentiamo di averti tratta
in salvo. Con quei soldi potevamo andarci in vacanza”.
Lily aveva scosso la testa, irritata. Erano pensieri negativi e
veramente molto brutti nei confronti di John e Mary. Con una punta di
cattiveria, Lily aveva pensato che a Sherlock invece non importasse
molto di dove lei fosse o che cosa facesse. Dopo la litigata di Natale,
di cui non era più stata fatta menzione, le cose erano
tornate bene o male com’erano prima. All’ennesimo
diniego del telefono di eseguire un'operazione, Lily aveva soffocato un
sospiro frustrato e guardando il cellulare con rabbia aveva alzato un
sopracciglio con fare sospettoso: “Dì un
po’, me la stai rendendo più difficile del
necessario??”
“Parlare con gli oggetti inanimati è uno dei primi
segni della schizofrenia” aveva pronunciato una voce alle sue
spalle, facendola sobbalzare sul divano.
Era Sherlock, umido di pioggia, di ritorno dal St Barth’s per
esaminare non si sa cosa, e Lily sicuramente non voleva i particolari
della visita.
“Questo coso non vuole fare quello che dico io, altro che
schizofrenia” aveva sbuffato Lily, ricadendo sui cuscini del
divano “mi sta facendo impazzire”.
“Piano piano imparerai” era rimasta una nota
sospesa nell’aria, come se Sherlock volesse aggiungere altro,
ma alla fine si fosse trattenuto.
Lily si era alzata su un gomito e aveva sbirciato oltre il bracciolo
del divano, con fare corrucciato: “anche
se….?” aveva suggerito a Sherlock, spronandolo a
continuare.
Lui si era immobilizzato, mentre appendeva il cappotto alla porta:
“Niente, niente”, aveva aggiunto frettoloso.
“Sherlock”
aveva intimato Lily.
Lui si era girato sbuffando: “ anche se
non è poi così difficile da usare dopotutto,
è piuttosto intuitivo” aveva alzato le spalle con
un’espressione del tipo tu
volevi saperlo, io l’ho detto.
Soffocando un grugnito Lily era rimasta in silenzio, ed era tornata
nella sua posizione iniziale scimmiottando in silenzio Sherlock:
anche se non
è così difficile da usare dopotutto, è
piuttosto intuitivo.
La pioggia sembrava non volersi fermare e ormai Lily aveva rinunciato a
far funzionare quel dannato affare. Aveva incrociato le mani dietro la
nuca, guardando la pioggia che cadeva. Non sapeva cosa stesse
facendo Sherlock, lo sentiva muoversi in cucina. Alla fine si era
alzata e mentre si dirigeva verso di lui, si era voltato e guardandola
fissa aveva detto: “Non ci sono più
biscotti”.
“Probabile, ne erano rimasti pochi dall’ultima
volta che abbiamo preso il the” aveva sentenziato Lily,
guardando la credenza vuota. Durante le festività, aveva
evitato di fare troppa spesa, visto che era stata ospite di John e Mary
un giorno sì e l’altro pure.
“Ma io voglio dei biscotti” aveva replicato
Sherlock, fissando sempre lo scaffale vuoto.
“Questo l’avevo capito” aveva annuito
Lily, con fare paziente ”ma ora non ce ne sono. Domani
mattina uscirò a comprarli, così sarai un piccolo
Sherlock felice” aveva sorriso come si fa con i bambini
quando fanno i capricci.
La risposta di Sherlock era stata, appunto, infantile. Aveva sbuffato,
arricciato il naso e storto la bocca. Poi si era girato verso Lily:
“Li hai finiti tu, dovresti andare a comprarli”.
Lily lo aveva fissato per dieci secondi buoni, incredula. Poi aveva
detto lentamente: “ Scusa?”
Sherlock aveva sbuffato, alzato gli occhi al cielo e ripetuto molto
lentamente: “ Tu”
aveva indicato Lily “ li
hai finiti” e aveva indicato la credenza
“ e quindi
dovresti andare a comprarli” aveva mimato una
camminata facendo avanti e indietro con le braccia.
Dopodiché le aveva incrociate, alzando le spalle e le
sopracciglia.
Lily viveva con Sherlock da più di un mese ormai, e mai come
in quel momento aveva desiderato tirargli un pugno sul naso:
“Io non ho finito i tuoi stramaledettissimi
biscotti” aveva detto lentamente, contenendo la rabbia
“li hai finiti tu, perché io neanche li
tocco”.
Sherlock aveva aperto la bocca sconcertato:
“Bugiarda!” aveva esclamato
“Beh, ne mangio sicuramente meno di te” aveva
incrociato le braccia “quando sei appiccicato al microscopio,
te ne fai fuori qualche decina e neanche te ne accorgi”.
Sherlock era rimasto in silenzio, e poi aveva esordito, calmo:
“Voglio dei biscotti”.
“ Domani li
avrai” aveva risposto Lily, con voce sibilante.
“Ma io li voglio ora”
aveva controbattuto Sherlock.
“Allora rimettiti il tuo cappottino e vatteli a
prendere” Lily già si era girata per tornare in
salotto. Litigare con Sherlock era sfiancante, e lo era il doppio
quando si fissava su queste cose stupide e insignificanti.
“Bene” aveva replicato asciutto Sherlock
“ora ti farò capire quanto voglio i miei
biscotti”.
Lily aveva alzato gli occhi al cielo; oh no. Sarebbe cominciato
“il lamento di Sherlock” che era una delle cose
più irritanti ed esasperanti del mondo. Consisteva nel
ripetere un concetto (solitamente una pretesa) con fare lagnoso e
peggio di tutto, a voce molto alta. Ma non era di certo la cosa
peggiore: cominciava a seguirti per tutta casa e se ti rinchiudevi a
chiave in una camera si metteva dietro la porta e continuava,
finché, per chi lo ascoltava, non diventava una lamento
senza più senso, parole che non avevano più
significato, per quanto erano state ripetute. Erano già
cinque minuti che continuava e così Lily aveva fatto una
cosa che faceva di solito in questi casi: aveva preso il telefono,
composto il numero di John e al suo “pronto” aveva
steso il braccio verso Sherlock il lagnoso. Dopo due o tre volte che
ripeteva la stessa cosa, aveva avvicinato il telefono
all’orecchio.
“Cosa vuole stavolta?” aveva detto John, con tono
esasperato e divertito allo stesso tempo. Certo, adesso la croce era la
sua, altroché se c’era da ridere.
“Vuole i biscotti, e ha accusato me di averli finiti, quando
non è VERO!” aveva urlato contro Sherlock che non
si era lasciato affatto intimidire e aveva urlato ancora più
forte: “BISCOTTI!”
John aveva riso: “Siete impossibili voi due; Lily mi dispiace
dirtelo, ma sai qual è l’unica
soluzione”.
Lily aveva chiuso gli occhi e respirato piano, afferrandosi
l’estremità del naso con indice e pollice: "Immagino
andare a prendere i biscotti”.
“Esatto” aveva concluso John “buona
fortuna!” e ridendo aveva riattaccato.
Aveva stretto il telefono in mano per qualche secondo, e si era
calmata. Mentre Sherlock continuava, si era diretta verso
l’attaccapanni e aveva preso il giubbotto. Mentre se lo
infilava, Sherlock si era fermato: “Dove vai?”
Lily si era girata verso di lui, il fuoco negli occhi; a pochi
centimetri dal suo delizioso naso cesellato aveva soffiato:
“Vado a prenderti i biscotti, così la finiamo con
questo tormento”.
Sherlock aveva sorriso a trentadue denti e detto: “Oh. Bene.
A tra poco allora!” e si era seduto con grazia sul divano
incrociando le gambe “aspetterò qui,
così poi faremo il the”.
“Il che vuol dire
farai” aveva pensato Lily, mentre sbatteva la
porta e si metteva il cappuccio per ripararsi dalla pioggia.
Era scesa in strada, il piccolo supermarket era a un isolato di
distanza. Cercava di camminare sotto i cornicioni per evitare il
più possibile la pioggia. Arrivata al supermarket, era
entrata e si era tirata giù il cappuccio, sospirando. Non
c’era quasi nessuno, così Lily aveva puntato
direttamente alla corsia dove si trovavano i biscotti, così
avrebbe fatto più in fretta anche alla cassa. Mentre cercava
tra gli scaffali, aveva sentito una presenza dietro di sé e
poi un brivido lungo il collo. Era rimasta immobile, trattenendo il
respiro.
“Guarda un po’ chi abbiamo qua, la piccola
Lily…tutta ripulita”.
La voce strascicata e leggermente roca l’aveva fatta
rabbrividire di nuovo.
No, non poteva essere, non poteva essere affatto. Lily non riusciva a
muoversi, aveva il sangue congelato nelle vene, le sue gambe
rifiutavano di muoversi. Era rimasta girata, finché un
impulso improvviso non l’aveva fatta scattare verso
l’uscita; ma una presa di ferro le aveva agguantato un
braccio e aveva sentito qualcosa di affilato premerle contro la
schiena, forte e senza esitazione.
“Non urlare e non provare neanche a scappare. Se ci provi, i
tuoi nuovi amici faranno tutti una brutta fine. La tua amichetta
bionda, insieme al suo maritino medico e la piccola bambina; e anche lo
spilungone con i riccioli neri. Andrò dove abitano e li
ammazzo, Lily. Tutti. E lo sai che potrei farlo, vero? VERO?!”aveva
sibilato nel suo orecchio mentre le girava un braccio dietro la
schiena, facendole un male terribile. Ma non poteva urlare,
così aveva stretto i denti fino a credere di spaccarseli.
“Come hai osato
abbandonarmi? Come hai potuto?” la sua voce era piena di
rabbia e rancore e puzzava di alcol e droga “tu sei mia, e non puoi
scappare da me, perché io ti ritroverò ovunque.
Ti ho seguita tutti questi giorni, sai? Tu e la tua amica a fare
shopping, a pranzo fuori. E a me? Non ci pensavi, brutta puttana?”
continuava a torcere il braccio di Lily e a sbatterla contro lo
scaffale di alluminio, finche lei aveva bisbigliato: “Kaleb
per favore, mi fai male. Lasciami”. Non passava nessuno, era
tutto deserto, neanche una persona che girasse per quel maledetto
supermarket. Neanche una.
“Così puoi scappare?!” aveva sentito la
lama penetrare i vestiti e la pelle. Lily piangeva, sommessamente.
L’incubo era tornato, il suo uomo nero era lì,
l’aveva ritrovata e l’avrebbe ridotta come prima,
se non peggio. Lei non voleva, non lo voleva assolutamente. Ma non
poteva fare nulla. Kaleb era pazzo da rinchiudere e veramente avrebbe
ammazzato John, Mary, Rose e anche Sherlock. Le si era chiuso lo
stomaco dal terrore; non poteva permetterlo. Sarebbe andata con lui, ma
poteva provare a lasciare un indizio, qualcosa che parlasse di lei, che
gridasse in qualche modo aiuto. Con la scusa di sostenersi allo
scaffale con l’altra mano, si era strappata di netto la
collanina che teneva sempre al collo, da quando era piccola. Era
l’unica cosa che si era sempre rifiutata di vendere per
comprarsi una dose, o da bere.
Era un ciondolo che rappresentava un giglio, il significato del suo
nome. Glielo aveva donato la sua nanny
quando era piccola perché era simbolo di qualcosa di puro,
come i bambini, come lei. Nei momenti più difficili Lily
stringeva forte il suo piccolo giglio e pensava che almeno una volta
nella vita era stata pura e non sporca come ora. Piangeva mentre si
strappava la catenina dal collo, sperando che qualcuno
l’avrebbe trovata, forse Sherlock o John o Mary semmai
fossero venuti a cercarla. Che capissero che era in pericolo e voleva
essere salvata. Stavolta sì, voleva essere salvata da tutto
quello che stava ricominciando. Mentre Kaleb la strattonava verso
l’uscita sul retro, Lily guardava la sua catenina scivolarle
dalle mani e in quel momento aveva pregato, aveva pregato
più forte di qualsiasi altra volta si era ritrovata a farlo.
Più forte di quando pensava stesse per soccombere dal dolore
o dalla disperazione. Aveva pensato, chiaramente, nella sua testa:
“Non voglio
morire”.
Kaleb l’aveva trascinata fuori, su una stradina
che dava su un vicolo dov’era parcheggiata una macchina; era
più un’idea di macchina visto le condizioni in cui
era. L’aveva fatta salire a forza sul sedile del passeggero,
e sempre puntandole il coltello contro, era partito. Lily aveva
già notato la mancanza della maniglia di apertura dello
sportello, in modo che non potesse scappare. Sentiva il sangue caldo
colarle lungo la schiena, dove Kaleb l’aveva ferita.
“Ti ho visto mentre ti soccorrevano, sai” aveva
cominciato “e ti portavano via incosciente; ti ho seguito per
due mesi, Lily. Ogni tuo spostamento, ogni tua abitudine, solo per
questo momento. Solo per trovarti da sola, e finalmente riportarti da
dove vieni: le fogne”.
Lily taceva, mentre lacrime calde le solcavano il volto. Forse stavolta
sarebbe veramente morta, perché Kaleb era veramente fuori di
sé e l’avrebbe picchiata fino a ucciderla. Aveva
osato scappare, abbandonarlo per cercare di risalire dal buco nero dove
lui
l’aveva trascinata.
“Come hai potuto fare questo? Ti ho portato via da quel buco
di culo di paese dove vivevi come una reclusa, e questo è il
ringraziamento?” le aveva premuto il coltello sulla gola
“volevi fare la bella vita? Riscattarti? Tu non sei niente,
sei solo una tossica beona. Non farmi ricordare quello che hai potuto
fare per una dose. Ma te l’ho fatto fare solo
perché poi ne avrei approfittato anche io” aveva
riso, divertito “ora non scapperai più”.
L’aveva guardata, con una faccia da pazzo, con un ghigno da
malato drogato. Era peggiorato, e stavolta non si sarebbe fatto
scrupoli, su nulla. La vita di Lily valeva quanto un pezzo di carta.
“Mi troveranno Kaleb e tutto questo finirà e sarai
tu quello a finire nella fogna” aveva sussurrato Lily
all’inizio, poi presa da una rabbia accecante aveva urlato in
preda alla paura e all’odio “VAI
ALL’INFERNO, BRUTTO BASTARDO PSICOPATICO!”
A quel punto aveva ricordato solo lo sguardo di Kaleb e la sua mano che
volava verso il suo zigomo. Poi più niente.
//
Sherlock continuava a guardare dalla finestra. Ormai era più
di mezz’ora che Lily era via e il market era a solo un
isolato da Baker Street. Osservava la strada, con la fronte corrugata.
Che fosse andata da qualche altra parte, magari più lontano?
Aveva lasciato il telefono sul tavolino, quella tonta; così
non poteva neanche chiamarla. Non aveva un buon presentimento, forse
lasciarla uscire da sola era stato un azzardo. Avrebbe aspettato un
altro quarto d’ora, poi avrebbe chiamato John.
Era ancora un bersaglio troppo vulnerabile; non sapevano se chi
l’aveva ridotta nello stato in cui l’avevano
trovata John e Mary fosse ancora in giro, a cercarla. Il quarto
d’ora in tutte quelle congetture nel frattempo era passato, e
così Sherlock aveva chiamato John.
Dopo il secondo squillo, aveva risposto: “Sherlock?
“
“John, Lily non è tornata a casa. E’
passata quasi un’ora e doveva andare a un isolato da qui. Ci
sta mettendo decisamente troppo”.
Silenzio.
“Cristo” aveva sibilato John “sai dove
sarebbe andata di preciso? Andiamo a cercarla lì, da qualche
parte dovrà pur essere andata”.
“John” aveva azzardato Sherlock, con tono
monocorde “e se fosse scappata?”
“Non dire cazzate, Sherlock. Lily stava bene, anzi sta bene. Non
voleva scappare, voleva disperatamente rimanere. E questo lo
sai”.
Sherlock continuava a guardare fuori dalla finestra, in silenzio. Non
sapeva cosa pensare. Le dipendenze sono creature oscure; basta un
pensiero, un momento di debolezza e poteva ricominciare tutto da capo.
Sapeva che
John l’aveva letto nel pensiero, e infatti la sua voce aveva
subito urlato dall’altra parte del telefono: “Non
pensarci neanche, pezzo
d’idiota!” Sherlock aveva guardato il
telefono, allontanandolo dall’orecchio “quella
ragazza è fin troppo intelligente per ricascarci.
Sarò lì tra venti minuti, fatti trovare
pronto”.
“Lo sono già” aveva risposto piano, e
aveva riattaccato.
Diciassette minuti dopo, John era a Baker Street e insieme a Sherlock
si erano avviati al market. Erano entrati, guardandosi intorno.
Cercavano di non dare troppo nell’occhio per evitare di
agitare le altre persone presenti nel negozio. Sherlock si era
incamminato subito verso la corsia dei biscotti, perché
sicuramente Lily si era diretta lì, subito dopo essere
entrata.
Nel frattempo, esaminava ogni persona che gli capitava
sott’occhio: “ padre
di famiglia” “ studente
all’università” “ madre esaurita di tre figli”
ma nessuno che potesse essere ricondotto a Lily. John l’aveva
raggiunto poco dopo: “Niente, Sherlock. Qui non
c’è”. Stringeva i pugni, frustrato e
visibilmente preoccupato “Mary ha minacciato di uccidermi se
non la riporto a casa il prima possibile” aveva aggiunto,
cercando di alleggerire l’atmosfera. Ma era riuscito ad
appesantirla ancora di più.
Si guardavano intorno, in quella maledetta corsia, circondati da
biscotti, senza sapersi orientare. Sherlock annusava l’aria
come un segugio, e all’improvviso aveva detto a John:
“E’ stata qui, sicuramente, sento il suo
profumo”.
John l’aveva guardato, interdetto: “Il suo profumo?
Sai che profumo porta?”
Sherlock aveva esitato, poi aveva risposto secco:
”Sì, porta un’acqua profumata al
gelsomino. Ammorba tutta casa con quell’intruglio”.
John l’aveva guardato, alzando le sopracciglia tra il
sorpreso e il dubbioso, mentre Sherlock si era spostato verso la fine
della corsia, dove sapeva erano stipati i biscotti che Sherlock voleva.
Si era chinato per terra, all’improvviso:
“John” aveva richiamato la sua attenzione.
“Cosa” aveva risposto lui, avvicinandosi di corsa
verso Sherlock “cosa c’è, cosa hai
trovato?”.
Senza guardarlo in faccia, aveva passato da dietro la sua spalla la
catenina di Lily a John, e poi aveva abbandonato la mano guantata sul
ginocchio: “Eccolo, l’indizio. Ce l’ha
lasciato lei”.
John aveva esaminato la catenina con il ciondolo attaccato:
“E’ un giglio” aveva sussurrato, con il
respiro mozzato.
“Già” aveva replicato Sherlock,
asciutto, rialzandosi e aggiustandosi il cappotto “questa
catenina è
Lily, e l’ha lasciata qui per noi”.
John aveva tirato un pugno al muro, furioso: “E’ in
pericolo, maledizione. Dobbiamo trovarla, prima che finisca nei guai
seriamente”.
“Se l’è strappata dal collo”
aveva sussurrato Sherlock “questo vuol dire che è
stata costretta a seguire qualcuno, e l’ha buttata per terra
senza farsi notare”. Aveva cominciato a camminare per il
supermarket, fino ad arrivare alla porta sul retro.
“Bingo”
aveva mormorato, un accenno di sorriso all’angolo destro
della bocca. John era dietro di lui, come in trance; cercava di
rimanere lucido, ma era inquieto e questo lo disturbava. Sherlock si
era girato fulmineo verso di lui: “John, la tua tensione mi
distrae. Ti prego, rimani concentrato” l’aveva
guardato fisso negli occhi.
“Sono preoccupato” aveva risposto con aria nervosa.
“Lo so, ma così rallentiamo solo il processo. Per favore, mi
servi al massimo della lucidità”.
John aveva tirato indietro le spalle e schiarito la gola: “Va
bene, ma tu trovala,
Sherlock”.
L’aveva guardato, bloccato. Aveva annuito impercettibilmente,
senza dire una parola. Poi si erano incamminati insieme nel vicolo
dietro il supermercato.
//
La testa le faceva male da morire, e lo zigomo era gonfio e dolorante;
c’era puzza di fogna, e di immondizia. Lily aveva aperto
leggermente gli occhi, mentre fitte di dolore le perforavano la testa.
Aveva provato a muoversi, ma era troppo debole per muovere un solo
muscolo. Era sdraiata su un fianco, su qualcosa di morbido; aveva
guardato in basso: era un materasso sudicio, buttato per terra in
quella che sembrava una stanza. Era fatiscente, i muri scrostati e
macchiati di umidità, pieni di graffiti. Per terra
c’erano cartacce, confezioni di cibo d’asporto,
bende sporche di sangue e dall’altro capo della stanza,
appoggiata a un angolo una busta trasparente piena di siringhe e
pipette per fumare crack, ormai inutilizzabili. Lily aveva stretto gli
occhi, l’odore le dava la nausea e tratteneva i conati di
vomito che le sconquassavano lo stomaco.
“Devo alzarmi” aveva pensato “e cercare
di camminare, e andare via da qui”. Aveva richiamato a
sé tutte le sue forze, e spingendo su una spalla era
riuscita a tirarsi su facendo leva su una mano e appoggiandosi al muro.
Quella non era una stanza, era un casermone enorme, un magazzino
abbandonato probabilmente. Lei si trovava in una specie di ufficio, ma
alla sua sinistra vedeva che l’edificio continuava per metri
e metri. Si sentiva il traffico, attutito dalle mura; Lily sapeva dove
l’aveva portata Kaleb: era di nuovo a Peckham, vicino la
stazione. A quasi 10 chilometri da Baker Street. Lily aveva strozzato
un moto di pianto, pensando a Sherlock e a John, a Mary e Rose.
“Non aveva potuto comprare i biscotti a Sherlock”
era stato il suo primo pensiero.
“Come faranno a trovarmi? Sono così
lontana…” pensava, cercando di capire dove
potessero essere vie d’uscita. Ma la vista era sfocata, e la
testa le faceva un male da impazzire. Aveva messo un ginocchio a terra,
e subito dopo aveva sentito un rumore, un click dietro le sue
spalle: “Io non lo farei se fossi in te”. Era
Kaleb. Lily si era girata lentamente e lui era lì appoggiato
al muro, con una pistola in mano e gliela puntava contro, pigramente
“adesso ci trasferiremo nella sala grande, se non ti
dispiace, così almeno potrai ammirare lo stupendo
panorama”.
Si era avvicinato a lei e l’aveva alzata per un braccio,
facendola urlare. Sicuramente aveva una spalla slogata, ma le sue gambe
non potevano reggerla, così Kaleb l’aveva
trascinata, mentre Lily cercava di divincolarsi con le ultime forze
rimaste. Era furiosa con sé stessa. Dov’era la sua
energia, dov’era la sua voglia di riscatto, di vivere?
“Se ti chiedi perché non riesci a
muoverti” aveva detto Kaleb, scaraventandola contro il muro
del casermone “ è perche ti ho iniettato un bel
po’ di Lorazepam, per calmare i tuoi bollenti
spiriti” si era avvicinato a lei, mettendosi in ginocchio,
stringendole il viso in una mano, facendola sussultare dal dolore
“sei parecchio focosa, Lily. Che c’è,
forse lo spilungone con i ricci neri ti ha fatto un bel
regalino?” aveva riso, i denti scoperti in un ghigno
diabolico “ti ha scopata, forse? O è stato il
piccolo medico a darti una dose della sua medicina?”
si era alzato, ridendo di nuovo, di gusto.
Lily si era sentita invadere dalla vergogna per quelle affermazioni
offensive di Kaleb. Nessuno l’avrebbe mai toccata; un rottame
come lei, come poteva essere desiderata da un uomo, ormai? Loro erano
persone gentili, piene di amore da dare; perfino Sherlock, che era
così scostante, l’aveva accolta e fatta sentire a
casa.
“Sono le uniche persone che mi hanno fatto sentire un essere umano dopo
tanto tempo” aveva biascicato Lily, sotto l’effetto
del tranquillante “sono persone vive, altruiste e buone. Sono state
oneste con me. Sono state….” Non riusciva
più a parlare.
Kaleb si era girato verso di lei e l’aveva presa per il collo
sbattendole la testa contro il muro, facendola urlare di dolore.
“Mi fa piacere che la piccola Lily abbia avuto il coraggio di
riscattarsi” le aveva stretto ancora di più il
collo “ma guardati intorno,ora. Guarda dove sei tornata,
piccola stronza ingrata. Appartieni a questo posto, appartieni a me. E non ti
farò più andare via; mai mai MAI
più” L’aveva guardata, con la testa
inclinata da un lato “sei sempre stata graziosa, piccolo
giglio”. L’aveva lasciata andare facendola tossire
convulsamente “è ora che io mi riprenda il mio bel
fiorellino” aveva sibilato, slacciandosi i pantaloni.
//
Nel frattempo John e Sherlock erano tornati a Baker Street, cercando di
articolare un piano, qualcosa che potesse portarli sulle tracce di Lily.
John era seduto sulla poltrona davanti al camino, il mento appoggiato
su una mano. Sherlock camminava avanti e indietro, concentrato e
mormorando tra sé e sé.
“Sicuramente sono andati via in macchina” aveva
detto a John “quindi potrebbero essere ovunque, anche fuori
Londra” si era seduto davanti a John, incrociando le mani
sotto il mento “ma non penso, quella mezza calzetta con cui
si accompagnava prima, non è così furbo. Pensa di
esserlo, ma è ben lontano dall’essere minimamente
intelligente”.
John osservava Sherlock, il suo nervosismo. Era sempre stato calmo
nelle sue indagini e nelle sue congetture. Aveva sospirato e si era
avvicinato a lui, mettendo i gomiti sopra le ginocchia:
“Sherlock, cosa c’è?” aveva
semplicemente chiesto, senza aggiungere altro.
Sherlock si era girato verso di lui, poi di nuovo verso il caminetto
spento: “E’ colpa mia” aveva detto con
voce roca e bassa, come se non volesse farsi sentire.
John aveva scosso la testa, non riuscendo a capire: “Colpa
tua di cosa?” aveva aggiunto, aggrottando le sopracciglia.
“L’ho mandata là fuori, da sola. E non
dovevo, perché era in pericolo e questo io lo sapevo; ma
l’ho fatta uscire da sola, di sera. Sono stato uno
stupido” aveva stretto le labbra, portandosi un pugno sotto
il mento “dovevo andare con lei, dovevo accompagnarla; sono
stato un idiota”
John aveva continuato a fissarlo, per non si sa quanto tempo. Nella sua
testa vorticavano mille pensieri, e non sapeva quale riferire per primo
a Sherlock.
Si era schiarito la voce e con maggior tatto possibile aveva
cominciato: “Sherlock, non è colpa tua. Cosa
potevi saperne tu, scusami. Non ti ho mai visto così
preoccupato”.
“ Per te lo
sono stato” aveva replicato offeso Sherlock
“ma cosa diavolo vai dicendo?” aveva continuato a
guardare il camino, in silenzio “nessun caso era stato preso
da me con tanta leggerezza, con tanta stupidità”
aveva abbassato il tono della voce.
John aveva sentito un moto di rabbia agitarsi nello stomaco, ma non
sembrava il momento di fare scenate. Si era schiarito la voce e aveva
sibilato: “Sherlock, maledizione, questo non è un
caso. Nessuno è venuto qui a chiedere il tuo aiuto in cambio
di denaro. ” Questo. non. è. un.
caso.".
Aveva scandito le parole, puntandogli un dito contro; la sua voce
tremava, ma conteneva la rabbia verso Sherlock, verso il suo essere
così stupido e ottuso, nonostante la sua immensa
intelligenza, che però si esprimeva solo in maniera
analitica “ti costerebbe tanto ammettere che sei preoccupato
per lei e basta? Che potrebbero farle del male, perché fa
parte della tua vita ormai, come lo sono stato io fin da subito? Ti
costerebbe tanto ammettere per
una sola volta che sei obiettivamente preoccupato per
un’altra persona, all’infuori di me?”
John aveva pensato che forse si era dato troppa importanza in quel
discorso, ma le cose stavano così: Sherlock si era
preoccupato sinceramente di una persona sola quando era in pericolo,
cioè lui. E ora non voleva ammettere di avere le stesse
preoccupazioni per Lily “ammettere di affezionarsi a una
persona non è segno di debolezza, Sherlock. Quante volte
dovrò ripetertelo?”
“Te l’ho già detto mille volte anche io,
John. Io devo rimanere solo, perché è tutto
ciò che ho ed è tutto ciò che mi
protegge”.
“E io continuerò a ripeterti, Sherlock, che invece
non è vero. Gli amici ti proteggono, ti aiutano e ti
sostengono. Io lo faccio, l’ho fatto e lo farò
sempre. Lo sai, maledizione, e vuoi sempre convincerti del contrario.
Sto cominciando a stufarmi. Ammetti che sei preoccupato per Lily, che
in fondo averla qui ti ha fatto sentire meno solo, che in fondo
è una ragazza in gamba e che la casa era più viva
con un’altra presenza dentro. In barba alle tue citazioni da
poeta maledetto: la
solitudine è tutto ciò che ho, mi protegge.
Basta, Sherlock, basta veramente”.
Sherlock aveva guardato tutto il tempo John, con le sopracciglia
corrugate e un’espressione perplessa sul volto:
“E’ da quando sono nato che sono così,
perché dovrei cambiare”.
“Perché la gente lo fa, Sherlock; si migliora, si
ricrede. E ti assicuro, che non c’è assolutamente
niente di cui vergognarsi”.
Sherlock aveva taciuto, ripensando alle parole di John. La presenza di
Lily dentro casa era stata sicuramente una novità, dopo il
matrimonio di John e quindi il suo abbandono di Baker Street. Ammetteva
che avere pasti caldi ogni tanto era piacevole, e anche avere la casa
in ordine. Che la sera chiacchierare con qualcuno era piacevole, e
anche litigare con qualcuno lo era. Era piacevole che Lily gli desse il
buongiorno la mattina, a volte allegra a volte con il broncio
perché lui suonava il violino e l’aveva svegliata.
Ma erano cose che aveva fatto anche con John e poi lui se
n’era andato. Perché affezionarsi alla gente, se
poi se ne va? Voleva bene a John, sicuramente, ma ora lui aveva Mary e
anche Rose, e lui era stato messo da parte. Ed era giusto
così, doveva
essere giusto così anche se Sherlock in fondo al suo animo
ne soffriva.
All’improvviso, si era risvegliato da quei pensieri
richiudendoli nel cassetto della sua mente dove non potevano
disturbarlo.
“Quindi” aveva guardato John “come
dovremmo agire?”
John aveva cambiato espressione, da concentrata a rassegnata e anche
dispiaciuta.
“Non lo so, Sherlock. Sei tu l’esperto”.
Sherlock si era alzato in piedi e aveva ricominciato a girare per la
stanza.
“Cosa sappiamo di Lily, con certezza?”
“Che è stata maltrattata da questo soggetto non
meglio identificato. Mary mi ha detto che l’ha sentita dire
che Kaleb sarebbe tornato a cercarla, la prima notte che
l’abbiamo trovata. E che sicuramente, vivevano per
strada”.
“Eccellente” aveva mormorato Sherlock
“quindi si presume che fossero dei senzatetto, delle persone
che vivevano di furti o di rapine”.
“O anche di qualcos’altro” John voleva
testare la reazione di Sherlock “ Lily ha fatto delle visite
al St Barth’s, e il responso è stato stupro.
E’ stata violentata”. John sapeva che questi erano
argomenti delicati e probabilmente Lily non avrebbe voluto che si
sapesse tutto ciò. Ma Sherlock doveva sapere, per capire
meglio ed indagare meglio. Magari anche dentro se stesso. Era rimasto
in silenzio, guardando Sherlock, di spalle. Si era immobilizzato, nel
bel mezzo della sua camminata nervosa; aveva notato che stringeva e
allargava le mani, come per sgranchirle. Dopodiché si era
girato, perforandolo con i suoi occhi metallici.
“Violentata, hai detto” aveva incrociato le
braccia, le mani strette in due pugni.
“Sì, lesioni che fanno sospettare il non essere
consensuale. Anzi non che facessero sospettare, erano sicuramente non
consensuali” aveva incrociato le braccia anche lui,
stringendo gli occhi.
Sherlock aveva guardato per aria, per pochi secondi, poi era tornato
serio e calcolatore.
“Non si può escludere la prostituzione,
quindi”. Aveva indugiato su
“prostituzione”.
“Se non era quella, quel bastardo di Kaleb potrebbe averla
violentata solo perché magari non aveva alzato abbastanza
soldi con le rapine o i furti o la carità. Chi
può saperlo”. John aveva sentito un sapore acido
in bocca, di disgusto e rabbia. Quel figlio di puttana. Quando
l’avrebbe trovato, lui…
“Bene” aveva concluso Sherlock “so cosa
dobbiamo fare” aveva annuito.
//
Lily giaceva per terra. Fissava il soffitto, ammutolita. Quello che era
appena successo era stato aberrante, sporco e violento. Una vera
violazione del suo corpo, del suo essere donna. Non riusciva neanche a
piangere dalla vergogna e dal dolore. Era successo altre volte certo,
talmente tante. Ma ora che si sentiva pulita anche dentro, dopo
settimane di medicazioni dolorose e pianti angosciosi, dopo che era
tornata intatta, lui l’aveva sporcata di nuovo, ferita,
squarciata nel corpo e nell’anima. Giaceva per terra, le
gambe intorpidite, i jeans abbassati fino alle ginocchia, le braccia
lungo i fianchi. Avrebbe voluto tirarsi su quei maledetti pantaloni, ma
le sue braccia non si muovevano. Era come un fantoccio, un burattino
abbandonato per terra. Gli impulsi del suo cervello non raggiungevano
il resto del corpo.
Forse sto morendo
aveva pensato, nella nebbia delle sue riflessioni è così che
si muore? Ci si addormenta immobili, come nel sonno?”
Aveva sete, e il Lorazepam ancora circolava nelle sue vene. Forse era
anche per quello che non riusciva a muoversi. Kaleb, era uscito,
lasciandola lì. Come una bambola di pezza, o meglio ancora
una bambola gonfiabile. Aveva riso, amara, facendo tremare tutto il suo
corpo. Le bambole gonfiabili, con quella loro espressione perennemente
sorpresa. Continuava a ridere, mentre le lacrime le scendevano copiose
lungo le guance, finendole nelle orecchie. Le sentiva cadere anche per
terra.
Almeno i pantaloni, Lily. Se devi morire, fallo con dignità,
come minimo. Quel poco che ne era rimasta. Chissà quanto
tempo era passato. Con uno sforzo immane, era riuscita a muovere le
braccia e a tirarsi i jeans lungo i fianchi, lasciandoli aperti. Poi
era tornata a fissare il soffitto e attraverso uno squarcio della
copertura di telo vedeva che stava albeggiando. Era quasi giorno, e
chissà loro cosa facevano. Chissà se la stavano
pensando, almeno un po’.
//
Sherlock aveva appena finito di parlare con il terzo barbone della sua
“rete”. Si sarebbe servito di loro, per fare
passaparola e fargli sapere qualunque cosa riguardasse Lily e quel
farabutto che l’aveva rapita. Ne aveva per tutta Londra,
ognuno con un telefono o con abbastanza spicci da chiamare da un
telefono pubblico. Aveva fatto vedere foto, fatto descrizioni, dato
soldi, offerto pasti e caffè. Era una rete che andava avanti
da anni ormai e più di una volta erano riusciti a risolvere
casi anche grazie al suo “esercito”. Erano passati
due giorni e ancora non si sapeva nulla, qualche falsa segnalazione,
ragazze che potevano assomigliare a lei. Ma Sherlock sapeva che Lily
non era vicina, sapeva che l’aveva portata lontana, dove
poteva essere difficilmente rintracciabile.
Ma lui era Sherlock Holmes, maledizione. E l’avrebbe trovata,
potesse cadere il Big Ben.
John e Mary erano un fascio di nervi. Mary aveva affrontato a brutto
muso Sherlock, intimandogli di riportarla a casa il prima possibile Era
così arrabbiata, e l’aveva incolpato della sua
scomparsa. Sherlock sapeva che era la preoccupazione e
l’angoscia a parlare e aveva fatto correre. Era rimasto in
silenzio, mentre Mary scoppiava a piangere tra le braccia di John, con
profondi singhiozzi, mormorando il nome di Lily. Era come una figlia,
era come una Rose cresciuta. L’empatia, che strana cosa,
aveva pensato Sherlock. Cosa porta a fare agli esseri umani.
L’affetto, l’amore. Portava a uccidere, a
uccidersi, a struggersi e ammalarsi.
Cose notevoli, ma che Sherlock non avrebbe mai fatto, ne era sicuro.
Struggersi? Infantile. Uccidersi? Veramente da idioti.
Non avevano informato Lestrade, sennò avrebbe alzato un
polverone enorme, e se fosse arrivato alle orecchie di Kaleb
chissà cosa sarebbe potuto succedere. Avrebbe fatto da solo,
con l’aiuto di John naturalmente. Ma lui doveva trovare
Lily, perché nonostante tutti i bei discorsi, si sentiva
terribilmente responsabile. E odiava sentirsi così, lui che
non aveva mai torto, lui che sapeva sempre tutto. Lily
l’imprevedibile. Con forse più buio dentro di
quello di Sherlock. Forse. Una persona difficilmente decifrabile nei
suoi pensieri. Che ci voleva a leggere l’esterno di una
persona, e di rimando i pensieri. Ma lei era così difficile,
sembrava mutare forma ogni volta che si arrivava a un millimetro dalla
soluzione.
Era a casa da solo. E suonava il violino, pensando a tutto questo.
Sperava che Lily fosse ancora viva, doveva esserlo. Perché
lui doveva ritrovarla, a tutti i costi. E poi le avrebbe comprato
pacchi e pacchi di biscotti, giusto per sdrammatizzare.
NOTE:
Siamo quasi entrati nel vivo della storia (finalmente). Continuo a
vedere le vostre visualizzazioni e ne sono veramente molto felice, ma
vi invito nuovamente a lasciare qualche recensione e commento, per
farmi sapere cosa ne pensate di quello che sto scrivendo, oltre a poter
interagire con voi e scambiarci opinioni, buone o cattive che siano.
Rinnovo comunque il ringraziamento per il vostro interessamento, e
spero di poter ripubblicare presto!
Grazie a tutti.
Shezza_demon
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Capitolo 9 *** Say it if it's worth savin'me ***
Capitolo 9
Say it if
it’s worth savin’ me
Era una bella giornata
di sole, e il profumo dei fiori si sentiva vigoroso; il loro giardino
era molto grande e Lily amava passeggiare da sola per tutto quel verde,
raccogliendo alcuni fiori per regalarli alla sua mamma quando sarebbe
rientrata. Il sole le scaldava la nuca mentre si chinava a raccogliere
dei piccoli nontiscordardime, da aggiungere alle margherite. Era
proprio un bel mazzolino, e sperava che la mamma avrebbe apprezzato e
sarebbe stata gentile con lei. Non capiva perché non voleva
mai vederla, o parlare con lei. Quando pranzavano e cenavano stava
sempre in silenzio e non la guardava mai in faccia, non le chiedeva
come era andata la lezione del giorno o gli studi di violoncello.
Mangiava con gli occhi chini sul piatto, senza proferire parola. Il
papà se n’era andato tempo fa, lasciandole da
sole. E da qual giorno la mamma era diventata così. La nanny
glielo aveva raccontato perché lei era veramente troppo
piccola per ricordare: aveva solo tre anni. Ma ora ne aveva sei ed era
abbastanza grande per capire. Quello che non comprendeva era il
perché la mamma ce l’aveva così tanto
con lei. Una volta, una volta sola lo aveva chiesto alla nanny e lei
l’aveva guardata, e subito dopo gli occhi le si erano
riempiti di lacrime, sussurrando: “Oh Lily”.
Lei non voleva farla
piangere, era sempre così gentile con lei. Così
dopo quella volta non aveva chiesto più niente. Ma
continuava a raccogliere fiori, che rimanevano sul letto della mamma
per giorni interi, ad appassire per poi venire buttati. Ma questo lei
non lo sapeva, fino al giorno in cui l’aveva vista
scaraventarli contro il muro con rabbia, attraverso la porta
semichiusa. Da allora, non aveva fatto più nulla. Si era
rinchiusa in sé stessa, senza risposte. Solo con un dolore
tanto brutto dentro. Essere odiate dalla propria mamma non era di certo
una cosa bella.
Lily aveva aperto gli occhi di scatto, con le lacrime che le scorrevano
lungo le guance. Ancora sogni, ancora uguali. Il soffitto era sempre lo
stesso, e lei aveva perso la cognizione del tempo. Non sapeva che
giorno era, che ora era. Sapeva solo che a intervalli regolari Kaleb le
somministrava il Lorazepam, riducendola a uno stato di semincoscienza
perenne. Riusciva a malapena a muoversi e per fare i bisogni veniva
trascinata verso un angolo con un secchio, dove lei doveva espletare il
tutto. Si sentiva sporca, sudicia. Kaleb abusava di lei quando ne aveva
voglia; lei non aveva la forza di reagire, e quando giaceva immobile
sotto di lui, lo faceva andare su tutte le furie.
“Non ti piace più, eh stronza? Non ti
è mai piaciuto; forse i primi tempi, quando ancora non eri
una tossica di merda. Quando ancora facevi la piccola
innamorata”.
Lily piangeva. Aveva veramente amato Kaleb, fino a quando non
l’aveva costretta a rubare, minacciare persone, fare rapine
solo perché lui si era immischiato in guai grossi, che non
potevano risolvere.
“Ci troverebbero comunque”
rispondeva a Lily quando gli proponeva di andarsene da Londra, di
scappare. Poi si arrabbiava e la picchiava; ed era stato sempre
così, fino alla notte in cui Lily aveva perso cinque grammi
di eroina scappando dalla polizia e lì Kaleb aveva perso le
staffe, nel modo peggiore. L’aveva scaraventata per terra e
ricoperta di calci e improperi, fino a farla urlare dal dolore.
Le erano arrivati calci in testa, in faccia, sul ventre, ovunque. E non
si fermava, in preda alla furia cieca. Lei era convinta che il suo
intento fosse ucciderla, ci avrebbe giurato. Lily non l’aveva
fatto apposta, doveva scappare e aveva perso la droga. Veramente, non
l’aveva fatto di proposito; continuava a ripeterlo a Kaleb ma
lui era sordo a ogni scusa. Aveva continuato finché aveva
sentito Mary urlare e John correre verso di lei, mentre lui si
dileguava nel buio. John, che l’aveva alzata piano dal
marciapiede, che le aveva preso il viso tra le mani, guardandola con
quegli occhi blu.
“ John ha gli
occhi blu” aveva pensato Lily “ non ho mai conosciuto una
persona con gli occhi blu. Esistevano persone con gli occhi blu? Ne
esistevano con gli occhi color grigio, come Sherlock. Verdi, grigi,
azzurri a seconda della luce e del tempo”.
Lily aveva cominciato a piangere: perché non erano venuti a
cercarla? John. Sherlock. Gli uomini che aveva preso come modello, come
difesa, come cavalieri dall’armatura scintillante.
Non ne poteva più di lacrime, ma le era rimasto da fare solo
quello. Ultimamente Kaleb aveva ridotto la dose di tranquillante
perché ne era rimasto a corto, e lei riusciva, finalmente ma
a malapena, ad alzarsi in piedi. A volte quando era abbastanza in
forze, si appoggiava al muro e guardava dalla finestra ricoperta di
lamiera, dove c’era un piccolo spazio per guardare fuori. E
vedeva la gente, le macchine, i bambini. Vedeva tutto e lei voleva
stare là fuori. Ma quanto era passato? Giorni? Settimane?
Mesi? Si era accasciata a terra, il viso tra le mani e aveva urlato
così forte, da farsi fischiare orecchie. Così
forte da farsi venire il mal di testa.
Sherlock.
John.
Mary.
Rose.
Mrs Hudson.
Li aveva singhiozzati, uno per volta, come se facendo così
potessero apparire davanti a lei. Non aveva mai pregato in vita sua,
tranne quando era piccola, ma adesso lo faceva tutti i giorni, ogni
momento. Pregava di uscire da lì, pregava di rivedere tutti
loro, pregava di non morire in mezzo al pattume e alla merda, come le
bestie abbandonate. Poi si rannicchiava sul suo materasso sudicio e
sprofondava nell’incoscienza.
//
A Baker Street, nel frattempo, le ricerche continuavano senza sosta.
Era passata una settimana, e tutti erano sempre più
preoccupati. Si diceva che se una persona scomparsa non veniva
ritrovata entro 48 ore, era molto improbabile che fosse ancora viva. Ma
tutti si rifiutavano di crederlo. Lily era viva, doveva esserlo.
Quella mattina, Sherlock era fermo davanti la soglia della camera di
Lily guardandola, curioso. Nell’aria si aggirava ancora un
leggero profumo di gelsomino, l’anta dell’armadio
era aperta. Che viziaccio cha aveva. Dei libri poggiati sul comodino,
la sua catenina appesa alla lampada da lettura. Mary l’aveva
fatta aggiustare, così Lily l’avrebbe potuta
rimettere subito, quando sarebbe tornata a casa. Il suo cervello
formulava pensieri e congetture. Dove poteva averla portata? Nessuno
della sua rete aveva notizie consistenti. Lui e John avevano speso
più di taxi in quella settimana che in un anno intero.
Guardando meglio, Sherlock aveva strizzato gli occhi verso la testiera
del letto. Qualcosa era scivolato dietro, ne vedeva solo la punta. Si
era incamminato in silenzio verso il letto di Lily e aveva afferrato
quell’angolo di carta. Quando lo aveva tirato via, lo aveva
osservato e aveva inarcato la bocca in un leggero sorriso; era una foto
della sera di Natale. Erano tutti loro.
C’era Mary, che abbracciava Lily. Accanto, John con un
bicchiere in mano e il suo solito sorriso sghembo, ma sereno. Vicino a
John, Sherlock, perso nei suoi pensieri come sempre. Guardava
nell’obbiettivo, in maniera distratta, come se avesse fatto
appena in tempo a puntare gli occhi sulla macchina fotografica. La
bocca leggermente aperta, quasi sorpresa, senza sorriso. Il solito
Sherlock, aveva riso Mary, e gli altri avevano riso con lei. Lui aveva
alzato gli occhi cielo “non sapevo stessero per fare una
fotografia” aveva risposto, ostinato. Tutti
l’avevano guardato ed erano scoppiati in una risata. Ma era
un riso affettuoso, un riso che diceva “tranquillo Sherlock,
lo sappiamo che sei così ma ti vogliamo bene lo
stesso”.
Anche Lily aveva sorriso allo stesso modo, anche lei sapeva che lui era
così ma andava bene lo stesso.
Anche lei gli voleva bene, dopotutto.
Solo lui non riusciva a provare affetto verso le persone. Quello che
provava per John era una grande stima, che sconfinava nel rispetto
più assoluto. Poteva essere una forma di affetto? Forse. Ma
John era un uomo. Sarebbe mai riuscito ad abbracciare una donna, solo
per affetto? Aveva guardato in alto, pensando. Era sempre
così rigido quando si trattava di abbracciare le persone.
Diventava di pietra e lasciava le braccia penzolare lungo i fianchi,
aspettando che l’agonia finisse. Per lui gli abbracci non
erano necessari, le esternazioni di affetto neanche. Non servivano a
nulla. Aveva rimesso la foto a posto ed era uscito dalla camera di
Lily, richiudendola dietro di sé. Aveva sospirato,
stringendo gli occhi. A volte questa sua refrattarietà ai
sentimenti lo facevano sentire un alieno. Ma lui sapeva che era
così perché i sentimenti annebbiano la mente, il
raziocinio. Doveva mantenersi costantemente concentrato, la sua mente
non riposava mai. E con i sentimenti sarebbe saltato tutto, gli
ingranaggi del suo cervello avrebbero smesso di girare perfettamente in
sincronia, e là sarebbe stato un vero disastro a differenza
di quello di cui lo rimproverava John. Quindi, la sua scelta era quella
giusta. Aveva annuito, soddisfatto.
Era andato in cucina a prepararsi un the, il silenzio lo circondava. Il
telefono aveva squillato: era John.
“Posso venire lì da te? Mary e Rose sono fuori, e
io sto impazzendo”.
“Certo che puoi, non c’è neanche da
chiederlo”.
“Ok, sarò lì tra poco” aveva
riattaccato.
//
“Tieni la cena” aveva detto Kaleb, porgendo a Lily
un barattolo di zuppa istantanea. Era bollente e acquosa, senza sapore.
Ma sempre meglio quello che niente. Aveva cominciato a soffiare piano e
a bere la zuppa, stando attenta a non tagliarsi le labbra con i bordi
della lattina.
La testa le martellava ancora dal dolore, e sentiva gli occhi gonfi e
irritati.
Kaleb l’aveva osservata: “Dì un
po’…hai pianto per caso?”.
Lily l’aveva guardato, non sapendo cosa rispondere. Avrebbe
detto la verità, tanto al massimo l’avrebbe
picchiata, sai che novità.
“Sì” aveva risposto, asciutta.
Kaleb aveva riso: “E perché mai dovresti piangere?
Hai Lorazepam in corpo per stare bene almeno un giorno e
mezzo”.
Lily aveva scosso la testa. Come poteva capire, uno come lui?
Si era avvicinato: “Ti mancano i tuoi amici?” era
scattato all’improvviso e le aveva afferrato una ciocca di
capelli “ti manca la tua famigliola stramba?” aveva
sospirato, ironico “accidenti. Sembravano simpatici.
È un vero peccato che non li rivedrai mai
più” aveva scosso la testa, fingendo di essere
addolorato.
Poi si era girato verso di lei, senza mollare la presa dai suoi
capelli: “Scommetto che quello che ti manca di più
è lo spilungone con i ricci neri. Proprio un bel ragazzone,
devo dire”.
Lily aveva chiuso gli occhi, pensando a Sherlock; e in sospiro
strozzato aveva risposto “Mi mancano tutti, tutti
loro”.
A quel punto, Kaleb aveva mollato la presa dai suoi capelli:
“Proprio per questo motivo non li rivedrai più.
Forse avrei dovuto ucciderli sul serio, cancellarli dalla tua vita per
sempre” si era acceso una sigaretta, pensoso.
“Puoi tenermi qua per sempre Kaleb, ma non far loro del male
ti scongiuro”. La voce di Lily tremava, in preda al terrore "ti prego".
“Chissà” aveva riso Kaleb
“lo sai che sono un tipo istintivo”. Si era girato
verso di lei, ridendo “è il destino che decide
tutto, fiorellino”.
Lily lo aveva guardato con sospetto, senza dire una parola.
Finché aveva lei in quel posto, non avrebbe fatto nulla.
Almeno sperava. Lo diceva per metterle paura, ne era certa.
A un certo punto, una voce era risuonata nel capannone:
“Kaleb! Dove diavolo sei?” era parecchio irritata,
ma impostata.
Kaleb era sbiancato in viso, e aveva balbettato: “Sono
qui!sono qui, arrivo subito”.
Lily aveva visto un uomo, nella penombra. Vedeva solo fino alla
cintola, il resto immerso nell’oscurità. Parlava
piano con Kaleb. Portava un completo elegante, che stonava con lo
squallore del posto.
Era riuscita a percepire solo frammenti di conversazione:
“molto bene” “era passato più
di un mese” “fai in modo che non si ripeta mai
più” “sennò sai quali saranno
le conseguenze” il resto era un bisbiglio di parole che non
era riuscita a comprendere. Quando la conversazione sembrava finita,
l’uomo si era girato verso Lily, lo vedeva dalla rotazione
del bacino, sempre con il volto nell’oscurità.
Sapeva che la stava osservando, con molta attenzione. Poi, schiarendosi
la voce, si era rivolto nuovamente a Kaleb: “Mi raccomando,
basta errori”. Kaleb aveva annuito. Ci mancava poco gli
facesse una riverenza.
Lily aveva guardato l’uomo andare via. Che voleva, chi era?
Il fornitore di Kaleb? Di chi parlava, cosa voleva, perché
l’aveva fissata?
“Chi era quello?” aveva chiesto Lily, appena se
n’era andato.
“Non sono affari tuoi, stai zitta”. Lily aveva
notato che Kaleb tremava impercettibilmente, visibilmente scosso.
Probabilmente era qualcuno del giro, qualcuno degli spacciatori
più in alto di tutti. Mafia, forse? Molto plausibile. In che
razza di giro era finito, maledizione? E in mezzo c’era anche
lei. Voleva andare via, e scordarsi tutto, subire un lavaggio del
cervello. Aveva finito la zuppa, ormai fredda, e aveva cercato di
dormire, con i passi di Kaleb nervosi in sottofondo, che le ricordavano
tanto quelli di Sherlock.
//
“Qualche notizia?” aveva chiesto John seduto in
poltrona, soffiando sulla sua tazza di the.
Sherlock, l’aveva guardato, facendo intuire la risposta. John
aveva sospirato, frustrato: “Non può essere
sparita nel nulla, maledizione!” si era sistemato meglio
sulla poltrona.
“Londra ha otto milioni e mezzo di abitanti” aveva
risposto Sherlock, calmo “in questi casi bisogna prendere in
considerazione tutte le opzioni possibili”.
John era rimasto in silenzio, pensoso. Poi si era girato verso
Sherlock, guardandolo con un’espressione indecifrabile.
“Tu pensi sia morta, vero?” aveva sussurrato, con
un tremore nella voce.
Sherlock aveva guardato nella sua tazza di the, poi l’aveva
posata sul tavolino davanti a sé. Aveva intrecciato le mani,
tenendosi un ginocchio, e guardando John fisso negli occhi aveva
risposto, con tono tagliente: “Le possibilità sono
molto elevate, d’altronde è una settimana che
abbiamo false piste e nessun risultato”.
John non aveva staccato gli occhi da lui, incredulo. Aveva stretto la
sua tazza tra le mani, temendo di romperla. Quello era il limite, il
limite di tutto. Non poteva crederci, non voleva crederci.
All’improvviso aveva scaraventato la tazza nel camino, con
violenza, facendo sobbalzare Sherlock. Si era alzato e si era diretto
verso di lui, afferrandolo per il collo della camicia, facendolo alzare
dalla poltrona. Aveva una forza fuori dal comune, dettata dalla rabbia
e dal risentimento. La faccia di Sherlock era sorpresa, e non proferiva
parola: aspettava fosse John a parlare per primo.
La stretta sulla sua camicia si faceva sempre più forte, e i
suoi occhi diventavano colore del petrolio.
“Come puoi” aveva cominciato con voce strozzata
dalla rabbia “come puoi pensare una cosa del genere? Cosa ti
è preso? Cos’hai MALEDIZIONE?
Dov’è il tuo impegno? Dove sei?!?”
Sherlock pensava di vedere male, ma dopo pochi secondi si era accorto
che gli occhi di John erano lucidi e poco dopo una lacrima faceva
capolino all’angolo sinistro del suo occhio. A quel punto
l’aveva lasciato andare, riprendendo il controllo di
sé stesso e aveva aggiunto
“come….quello sguardo l’ho visto solo
con le persone “cattive”, con le persone che
facevano del male”.
Sherlock l’aveva guardato a sua volta, aggiustandosi la
camicia: “Più che altro John, cosa sta succedendo
a te?” aveva guardato i cocci della tazza nel camino
“cosa è preso a
te”.
John aveva raddrizzato la schiena: “Io ho una figlia Sherlock
e ti potrà sembrare strano, ma la amo
profondamente” si era allontanato da lui “Lily
è il riflesso di quello che sarà un giorno Rose.
E non posso pensare che potrebbe succedere qualcosa del genere a lei,
un giorno. Lily è entrata nella nostra vita
all’improvviso, e a differenza delle altre persone che uno
può conoscere, si è fatta amare da subito.
L’unico che non si accorge delle sue qualità sei
tu, e questo è spaventoso. Tu non sai quante volte ha
chiesto scusa a me e a Mary per il disturbo che stava dando; quante
volte l’abbiamo trovata seduta in bagno a pulire le
piastrelle per sdebitarsi in qualche modo. Quante volte si è
alzata nel bel mezzo della notte per calmare Rose, per permettere a me
e Mary di riposare; quante volte si è medicata le sue ferite
da stupro da sola, perché solo a pensare all’aiuto
di Mary scoppiava a piangere, piena di vergogna”.
Aveva ripreso fiato, non staccando gli occhi da Sherlock:
“Lei non è morta, quello morto sei tu
Sherlock”. Aveva sbattuto gli occhi per ricacciare indietro
il pianto “non sai quanto mi faccia male dirti questo. Ma
come puoi pensare che sia morta? Sembra quasi che te lo
auguri”.
“Mi baso solo su delle statistiche, non mi auguro certo che
sia morta. Non sono così orribile”.
“Orribile no, ma oggi ti ci sei avvicinato
parecchio” John aveva ripreso la sua giacca e si era avviato
verso l’uscita “se hai novità, chiamami
immediatamente”. E se n’era andato, in silenzio.
Sherlock era rimasto immobile per un minuto intero. Poi si era
accasciato sulla poltrona, tenendosi la testa con una mano.
“Non c’è niente che non vada in
me” aveva sussurrato. Poi aveva stretto gli occhi e
abbandonato la testa sulla poltrona, guardando il soffitto.
Il mattino dopo il telefono di Sherlock aveva suonato presto, mentre
ancora dormiva. Aveva immediatamente afferrato il cellulare:
“Sì?”
“Sherlock, sono Molly” pausa “stamattina
presto….è arrivato un corpo qui in obitorio; una
giovane femmina, più o meno dell’età di
Lily. Io non ho ancora aperto il sacco, pensavo volessi essere
avvertito prima. Io non ho il coraggio di farlo da sola”.
Molly Hooper era stata l’unica a essere informata della
scomparsa di Lily, per ovvie ragioni; tipo quella per cui stava
chiamando in quel momento.
Sherlock era rimasto in ascolto per tutto il tempo senza interrompere,
poi aveva ripreso parola: “Ok Molly, non fare nulla
finché io e John non saremo al St. Barth’s.
Capito?” aveva aggiunto, per sicurezza.
“Sì, sì capito. Vi aspetto
qui” aveva concluso con tono frettoloso.
“Faremo il prima possibile” aveva riattaccato ed
era rimasto immobile per pochi secondi, fissando il telefono. Poi aveva
composto il numero di John, prendendo fiato mentre squillava.
“Dimmi” aveva risposto subito
“novità?”
“Mi ha appena chiamato Molly, che mi ha riferito di avere un
cadavere di una giovane donna. Non ha ancora aperto il sacco, aspetta
noi” aveva taciuto, aspettando la reazione.
Silenzio.
E ancora silenzio, solo respiro.
“Ci vediamo lì” aveva risposto,
interrompendo subito la linea.
Mezz’ora dopo erano al St Barth’s entrambi. Si
erano incontrati sulla porta dell’obitorio, scambiandosi un
frettoloso “buongiorno” mentre entravano.
“Mary?” aveva chiesto Sherlock
“Non è voluta venire, aspetta una mia
telefonata” aveva risposto asciutto.
Molly era là che li aspettava, davanti al sacco nero ancora
chiuso. La cromatura delle celle frigorifere davano un’aria
spettrale alla stanza. C’erano solo due luci accese.
“L’hanno trovata sulle sponde del Tamigi
stamattina, non troppo lontano da qui” li aveva informati in
fretta.
John era rimasto leggermente indietro rispetto a Sherlock, il viso
terreo e gli occhi spaventati. Nonostante fosse un medico, aveva paura,
una paura terribile. Se là dentro ci fosse stata Lily, cosa
avrebbe fatto? Come l’avrebbe detto a Mary? Aveva guardato di
sottecchi Sherlock, immobile, con le mani dietro le schiena che
guardava il sacco. Quanto invidiava la sua freddezza a volte. Lui come
avrebbe reagito? Si sarebbe girato verso di lui dicendo visto, avevo ragione io. Come
sempre.
Sperava vivamente di no, sennò quello sarebbe stato
ricordato come il
giorno che John Watson aveva quasi ucciso il suo migliore amico
Sherlock Holmes.
Si erano guardati, tutti e tre. A quel punto restava solo da aprire il
sacco e scoprire la verità.
“Molly, apri il sacco” aveva detto Sherlock con
voce ferma.
John era avanzato vicino a lui, in silenzio. Aveva sentito una mano di
Sherlock dietro la sua schiena, per sostenerlo nel caso fosse mancato o
solo per chiedere scusa del discorso di ieri sera. O forse solo per
dargli coraggio, chi lo sapeva.
Molly aveva cominciato ad aprire il sacco, trattenendo il respiro. Le
zip erano al centro, e il corpo cominciava ad intravedersi. Man mano
che la zip si apriva sul viso, John tratteneva il respiro. Ormai era
fatta, stava per saperlo, le gambe gli tremavano.
Era apparso un viso lungo e con i capelli biondi. Le labbra sottili, un
piercing sul sopracciglio, un tatuaggio sul collo.
“Non è lei” aveva detto John soffocando
un lamento coprendosi la bocca con una mano “non è
lei, grazie a Dio. Non è lei”.
Molly aveva tirato un sospiro di sollievo, appoggiando le mani sul
tavolo di metallo e chinando la testa.
Sherlock aveva chiuso gli occhi, rilassando le mani che aveva tenuto
strette in due pugni tutto il tempo. L’aria gli era uscita
dai polmoni lentamente. John si era allontanato di fretta; forse
piangeva, forse era andato a chiamare Mary.
“Ora puoi chiudere il sacco Molly, grazie” aveva
sorriso leggermente.
“Sono molto contenta che non sia Lily” aveva
ammesso, con un po’ di vergogna verso il corpo che comunque
era lì, senza vita, con una storia dietro e
chissà cos’altro.
“Anche noi” aveva ammesso Sherlock, girandosi di
scatto ed uscendo dall’obitorio. John aveva appena finito di
parlare al telefono con Mary. Si erano guardati, non sapendo cosa dire,
consapevoli di aver commesso entrambi un errore la sera prima.
“John” aveva cominciato Sherlock, con tono di voce
netto.
John l’aveva guardato, gli occhi rossi e le occhiaie che gli
solcavano il viso.
“Troviamo Lily” aveva detto,
un’inflessione impeccabile nella voce.
John aveva annuito, sorridendo leggermente: “Sì,
troviamola e portiamola a casa”.
//
Lily, giaceva sul materasso, come al solito, intontita e piena di
dolori. Kaleb la sera prima l’aveva picchiata
perché non aveva mangiato. Non aveva fame, le veniva da
vomitare, cosa poteva farci? Se n’era andato la mattina
presto, lasciandola lì come un sacco di spazzatura.
Puzzava,e questo non lo sopportava. Era riuscita a sciacquarsi la
faccia, un paio di volte, ma non era servito a molto.
All’improvviso Kaleb era tornato e senza preamboli le aveva
detto: “Alzati e mettiti questa” le aveva lanciato
una felpa con un cappuccio abbastanza grande per coprirle la faccia
“mi serve un palo e sarai tu”.
Lily lo aveva guardato fisso. Lui si era avvicinato,e prendendola per
il collo aveva sibilato: “Niente scherzi, fiorellino. So dove
trovarti, e stavolta non ci sarà via
d’uscita”. Aveva le pupille come due capocchie di
spillo, era sotto l’effetto di qualcosa, sicuramente. Lily
aveva annuito afferrando il polso di Kaleb, perché stava
stringendo decisamente troppo.
Lui l’aveva lasciata andare “Sbrigati, non abbiamo
molto tempo”.
Erano usciti, e a Londra era una giornata con il sole; Lily aveva
respirato a pieni polmoni l’aria fresca invernale; era
meravigliosa, era aria viva. Aveva sorriso per la prima volta in
giorni, settimane. Si guardava intorno, vedeva la gente che
però si allontanava da lei, perché puzzava ed era
sudicia. Questo lo sapeva. Si erano diretti verso un vicolo, con altri
barboni seduti o in piedi che si riscaldavano le mani sopra bidoni
fiammeggianti.
Kaleb l’aveva lasciata all’inizio del vicolo,
dicendole di fischiare se avesse visto qualcosa di sospetto. Era
rimasta ferma là, Kaleb con lo sguardo fisso su di lei,
nessuna possibilità di fuga. Mentre si guardava intorno,
aveva notato un barbone di colore, una folta barba tra il nero e il
bianco che la guardava fissa, studiando il suo viso. Lily non si
ricordava di averlo mai visto. Forse perché era una faccia
nuova nel circondario; eppure continuava a esaminarla; e a un certo
punto si era messa a fissarlo anche lei, tirandosi leggermente indietro
il cappuccio, perché le era calato sugli occhi. La felpa era
troppo leggera e faceva veramente freddo e Lily tremava, sperando di
fare presto. Il bidone in fiamme non era così lontano
dopotutto. Aveva chiamato Kaleb a bassa voce; lui si era girato:
“Che c’è?”
“Sto morendo di freddo, posso scaldarmi là, per
favore? È comunque vicino, ho una buona visuale anche da
lì”.
Kaleb aveva studiato la situazione e con un cenno del capo aveva
annuito: “Stai attenta” aveva intimato.
Lily aveva annuito e si era diretta verso il bidone:
“Posso?” aveva chiesto al barbone che la fissava
prima.
“Certo, certo piccola, vieni pure. Stai tremando”
le aveva sorriso, gentile.
“Grazie mille” aveva sorriso di rimando Lily.
Mentre si scaldava, lui continuava a guardarla, e a un certo punto Lily
aveva chiesto: “Ma ci siamo mai visti? Non mi ricordo la tua
faccia”
“Non saprei piccola, vedo talmente tanta gente!”
aveva riso “tu piuttosto che ci fai in mezzo a questa gente?
Sei troppo carina, per questo immondezzaio”.
“E tu troppo gentile” aveva sorriso Lily, timida
“è una storia lunga, e noiosa” aveva
alzato le spalle.
“Io comunque sono Abraham” aveva detto lui cortese
“tu come ti chiami?”
Lily aveva aperto la bocca per rispondere quando Kaleb aveva urlato:
“Fiorellino, abbiamo finito, andiamo” la aspettava
sul marciapiede, impaziente.
Lily aveva guardato Abraham con aria di scuse: “Arrivo
Kaleb” aveva sussurrato “Ciao Abraham, è
stato un piacere” gli aveva sorriso, gentile.
“Anche per me, piccola”l’aveva guardata
serio, osservando i segni e i lividi sul volto di Lily “non
farti più picchiare da quel farabutto; qua è
visto come la peste. Se puoi, scappa.”
Lily l’aveva guardato, con gli occhi già pieni di
lacrime e aveva sussurrato “Se solo potessi”.
“ALLORA??” aveva urlato Kaleb, impaziente.
“Ciao” aveva aggiunto frettolosamente Lily,
correndo via “e grazie”.
“Ciao fiorellino” aveva detto Abraham, ma non
poteva più sentirlo.
Abraham l’aveva guardata attentamente, quella ragazza. E
sentiva dentro di sé che forse era la persona che Sherlock
cercava. Quel “fiorellino”, quei capelli castani, e
gli occhi color ambra con qualche pagliuzza gialla. E poi Kaleb. Ma
dove potevano andare ora? Aveva chiamato un ragazzo giovane, con i
capelli biondi sporchi e un cappotto troppo largo per lui.
“Shorty!” aveva gridato, mentre lui si girava e
correva verso di lui “dimmi Abraham” era arrivato,
sorridendo.
“Li vedi quei due laggiù?”
aveva indicato Lily e Kaleb “devi scoprire dove abitano, o
dove si rifugiano”
Shorty aveva aggrottato le sopracciglia, pensoso “E
perché mai dovrei…”
Abraham l’aveva guardato fisso “ Sherlock,
ricordi?”
Shorty aveva sgranato gli occhi ricordando all’improvviso:
“Sì! La ragazza che cerca Sherlock, come no se me
lo ricordo!”
“Ecco allora vai, e non farti scoprire!” lo aveva
spronato.
“Sì vado, subito!” era corso
dall’altra parte della strada. Li aveva rintracciati e aveva
alzato il pollice verso Abraham, che aveva sorriso e fatto cenno di
andare.
Sperava fosse lei, Sherlock sembrava abbastanza preoccupato quella
volta. Si era raccomandato centinaia di volte, come quel suo amico
biondo, il dottore. Sembravano veramente in ansia. Mai visto Sherlock
così, e neanche John Watson.
Aveva rivolto gli occhi al cielo: “ Fa che sia lei buon Dio,
non sopravvivrà a lungo così” ed era
tornato a scaldarsi le mani, aspettando notizie di Shorty.
//
Sherlock e John erano seduti al solito tavolo da Angelo, e non
parlavano. John ogni tanto portava una forchettata di cibo alla bocca,
mentre Sherlock non aveva toccato il piatto e guardava fuori dalla
vetrina. Il suo sguardo era indecifrabile. I suoi occhi erano
più chiari del solito, visto il bel tempo che stranamente
aleggiava su Londra quel giorno.
John aveva posato la forchetta sul piatto e dopo essersi pulito la
bocca con il tovagliolo, aveva chiesto a Sherlock: “Cosa
c’è? Sembri inquieto”.
Sherlock aveva alzato impercettibilmente le sopracciglia:
“Sono nervoso, sarà il tempo”.
John lo aveva guardato senza muovere un muscolo; ora bastava solo
capire per cosa
fosse nervoso.
“Stamattina, ero quasi certo che dentro quel sacco ci fosse
Lily” aveva detto continuando a fissare fuori dalla vetrina
“e la sai una cosa, John?”
“Cosa, Sherlock?” John aveva intrecciato le mani
sotto il mento.
“La sera che sei venuto da me, quando abbiamo avuto quella
discussione, la mattina stessa stavo osservando la camera di Lily, e ho
trovato una foto: c’eravamo tutti noi, la sera di Natale. E
guardandola, ho sorriso”. A quel punto si era passato una
mano nei capelli, sempre più confuso.
John era sempre immobile, e sciogliendo le mani che teneva sotto il
mento aveva chiesto: “E questo ti preoccupa?”.
“No, non necessariamente. La penso come sempre, non
è quello il problema. Non riesco a capire come una persona
possa essersi affezionata così presto a tutti noi;
è una cosa che non capisco, una cosa che mi sembra veramente
strana. Io non sono neanche affezionato a Mycroft, e lui è
mio fratello”.
“Quindi io dovrei offendermi” aveva riso John,
prendendolo in giro.
Sherlock lo aveva guardato, esasperato: “Tu sei una persona
che riesce a starmi dietro e mi sopporta, e nessuno c’era mai
riuscito. Quando mi hai detto che ero il tuo migliore amico, non ho
capito subito cosa volesse dire, sinceramente. Poi ho riflettuto su
quello che mi hai detto tu, che gli amici si aiutano sempre e comunque.
È quello che facciamo io e te. Più di una volta
abbiamo rischiato la vita l’uno per l’altro, e
penso che questo sia essere migliori amici”. Si era fermato.
“La nostra amicizia è un po’ estrema in
effetti, ma è dato anche dal lavoro che abbiamo svolto
insieme. Ma sul punto di aiutarsi sempre e comunque ci hai preso,
finalmente hai capito”. Aveva preso il tovagliolo, piegandolo
“tu sei preoccupato per Lily, quindi. Tutto quello che stai
facendo, lo avresti fatto solo per me o se io te lo avessi chiesto. Il
resto del “lavoro” erano persone che volevi trovare
per soddisfare il tuo ego. Qui non parliamo di ego, Sherlock. Parliamo
del fatto che vuoi salvare una persona che in qualche modo ti ha
colpito; sia che ti abbia tenuto compagnia, o si sia affezionata a te
subito, cosa che te non riesci a credere possibile. Guarda che la gente
è così, Sherlock. Si vuole bene, fa amicizia;
alcune durano, altre no. La gente si conosce, si sta simpatica o
antipatica, si innamora, si sposa e poi si lascia. È la
vita, semplicemente”. Quante volte doveva ripeterlo ancora,
per farglielo entrare in quella zucca dura?
Sherlock aveva abbassato la bocca, in una smorfia di disappunto e
cinismo. Dopo un po’ aveva sussurrato: “In quella
foto, lei sorrideva. Ed erano passate solo tre settimane,
dall’incidente”.
“C’è anche la gente forte, Sherlock, e
con la voglia di riscattarsi. Tu non riesci a sbloccare questo
sentimento. La voglia di vivere che ha la gente”. Lo aveva
fissato, stavolta stranamente serio e allo stesso tempo intenerito.
Continuava a fissare fuori, sembrava di riuscire a vedere gli
ingranaggi del cervello che andavano da soli. A volte sembrava di
parlare con un bambino piccolo. Spiegare i rapporti interpersonali, le
regole della vita: eppure anche lui ne aveva passate. Dipendenze,
problemi in famiglia, un esaurimento nervoso. Insomma, doveva per forza
capirci qualcosa. Ma teneva tutto dentro, chiuso chissà
dove, per non soffrire più; per non far uscire i demoni
dentro di sé. E John naturalmente ignorava il discorso fatto
da Sherlock a Lily sul palazzo mentale e sui demoni che ci abitavano
dentro. Lui non ne sapeva niente. Del discorso. Del palazzo mentale ne
sapeva fin troppo.
Ma come faceva, si chiedeva John. Come faceva a non diventare pazzo? E
qui usciva fuori la sua incredibile intelligenza, il suo intuito
formidabile, la sua rete di neuroni probabilmente doppiamente
sviluppata di quella degli esseri umani normali.
Tutti lo chiamavano “strambo”. Ma era solo unico,
particolare. E la gente, delle persone straordinarie, aveva paura. E
John voleva bene a Sherlock proprio per questo. Perché era
oltre, e nonostante tutto, sotto quella corazza di freddezza, un cuore
ce l’aveva. E glielo aveva dimostrato più e
più volte. Ed era strano vedere che forse stava
attuando lo stesso processo con un’altra persona. Era come
vedere un fiore che sbocciava lentamente, in modo esasperante.
Pensando a tutto ciò, si era commosso e aveva abbassato la
testa, cercando di riprendere il controllo.
“Stai bene?” aveva chiesto Sherlock, guardandolo
incuriosito.
“Sì” aveva sollevato la testa John
“molto bene”. E gli aveva sorriso, sincero. E
Sherlock, stranamente, aveva ricambiato.
//
Quella sera a Peckham, doveva esserci una festa. Lily sentiva tanta
musica, e le faceva compagnia. Era sola, come sempre. Con un tramezzino
nello stomaco, stava morendo di fame. I jeans le andavano
più larghi e il seno era quasi sparito. Ripensava ad
Abraham; che persona gentile, ancora esistevano per fortuna.
All’inizio il suo modo di scrutarla l’aveva messa a
disagio, tant’è che aveva pensato a qualche
spostato maniaco. Ma poi probabilmente, non avendola mai vista
lì, si era incuriosito. Lo stomaco aveva brontolato di
nuovo,e Lily aveva strizzato gli occhi dal disagio. Se ripensava ai
manicaretti di Mary, stava ancora peggio. Così aveva pensato
alla sera di Natale, o quando aveva parlato con Sherlock di Keats,
davanti al camino acceso. A quando era andata a fare shopping con Mary,
come l’aveva presa sotto braccio con fare complice, mentre
guardavano le vetrine. All’abbraccio di John, la mattina dopo
la sua crisi di astinenza, così forte e sicuro, qualcosa a
cui aggrapparsi. Si era strofinata il viso con le mani, sentendo il
pianto arrivare. Ma doveva resistere, per non crollare, per non
impazzire completamente e non soccombere alla disperazione. Quanto gli
mancavano tutti. La piccola Rose, che odorava così di buono,
quando Lily la cullava, nel bel mezzo della notte per non svegliare
John e Mary. Quel corpicino così piccolo, da proteggere e da
amare incondizionatamente. Lo sguardo divertito della bimba quando Lily
la faceva mangiare, spargendo pappa ovunque e lei non riusciva a
trattenere le risate.
Era tutto finito. Non c’era più niente. Lily
guardava un punto fisso del muro. Sperava che Kaleb fosse rimasto fuori
tutta la notte e anche il giorno dopo, così lei poteva stare
in pace, senza paura. Il Lorazepam continuava a fare effetto, facendola
stare calma. Ma la dose era diminuita, così a volte aveva
piccoli attacchi di panico guardando quei muri alti e sporchi, e i topi
che correvano a mezzo metro dai suoi piedi. Faceva sempre
più freddo là dentro, ma un fuoco non si poteva
accendere sennò avrebbe dato nell’occhio. Aveva il
giubbotto che indossava la sera che Kaleb l’aveva trovata,
più la felpa del giorno che aveva incontrato Abraham. Ma
aveva comunque freddo, sempre. Non riusciva a scaldarsi. Voleva un
camino, un camino come quello di Baker Street; e Sherlock davanti a lei
con il riflesso del fuoco negli occhi, come se fossero liquidi, e le
poesie e…..
Si era svegliata, la musica ancora andava avanti. Sicuramente era tardi
e lei era ancora sola. Meglio, meglio così.
//
Sherlock aveva da poco salutato John, ed era tornato a Baker Street.
L’aveva trovata buia e silenziosa. Ci aveva fatto
l’abitudine da quando John era andato via, ma poi era
arrivata Lily e bene o male trovava sempre il salotto con le luci
accese, la televisione accesa o un po’ di musica alla radio e
quando a Lily girava bene, anche un profumo di qualcosa di commestibile
provenire dalla cucina. Ora il silenzio gli faceva fischiare le
orecchie. Ripensava alle parole di John, e al ragionamento che aveva
fatto pochi giorni prima, riguardo la compagnia di un altro essere
umano. Aveva acceso la luce, ma era comunque tutto freddo, spoglio. La
presenza di un’altra persona dava veramente vita a una casa.
Sia che fosse John che scriveva il suo blog al computer o Lily che
cantava dietro la radio mentre cucinava. Quello scaldava tutto, lo
rendeva “umano”. Sherlock già sapeva
cosa avrebbe fatto: the, doccia, letto, libro, e infine (forse), sonno.
Ormai era sempre così. I suoi esperimenti per ora erano
sospesi, non aveva più avuto tempo e sinceramente, neanche
voglia. Non andava più all’obitorio da Molly per
farsi dare parti umane su cui sperimentare, da quando erano andati a
vedere il cadavere di quella giovane ragazza. Non aveva più
biscotti in casa, solo the. Ancora si rimproverava a volte, di non
averla accompagnata al supermarket; ma ormai quella che era fatto era
fatto.
Non aveva fame come al solito, e quindi aveva deciso di passare
direttamente alla doccia. Mentre i rivoli d’acqua gli
scivolavano sulla schiena, pensava e pensava e pensava ancora. Cosa
aveva sviluppato la dipendenza di Lily verso quell’uomo? Come
poteva, una ragazza che aveva risposto a tono anche a lui,
rimpicciolirsi così tanto davanti a un essere del genere; il
carattere ce l’aveva, e anche abbastanza irritabile. Ma non
riusciva proprio a spiegarsi come si era potuta invischiare con quella
feccia umana. L’unica risposta era l’infanzia,
l’adolescenza, la fuga da qualcosa che le andava stretto.
Partiva sempre tutto da lì. Sherlock riusciva a pensare solo
a quello. E in fondo era quello che aveva sorbito anche lui. Genitori
assenti, infanzia solitaria, essere additato come strano solo
perché era appassionato di scienze, e amava studiare. E poi
suo fratello, la rivalità, i litigi, le scelte sbagliate.
Lui che cercava di aiutarlo ma Sherlock non voleva l’aiuto di
nessuno, perché lui se l’era sempre cavata da solo
e non aveva bisogno della carità del fratello o di chiunque
altro. Ne era uscito da solo, con difficoltà. Ma ne era
uscito. Poi c’era stato John e le indagini e tutte le loro
peripezie e aveva cominciato a sentirsi un po’ più
vivo. Ma il suo buio era sempre lì, finché non si
era scontrato con quello di Lily.
Aveva chiuso la doccia, e mentre si asciugava, continuava a
congetturare e a un certo punto si era ritrovato a pensare, senza
accorgersene:
“Speriamo che qualcuno della rete chiami”.
Aveva decisamente bisogno di dormire, e di spegnere
l’interruttore per almeno sei ore. Aveva spento la luce,
facendosi inghiottire dall’oscurità e dal
silenzio. E proprio in quel momento, aveva cominciato a piovere.
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Capitolo 10 *** If today was your last day ***
Capitolo 10
If today was your last day
Il ragazzo correva,
correva più del vento. Era quasi senza fiato, ma doveva
arrivare il prima possibile. Doveva. Doveva assolutamente. Aveva
scartato un paio di persone sul marciapiede, beccandosi qualche
insulto. Poco male, c’era abituato. Dove diavolo era adesso?
Dove lo trovava ora? Aveva girato l’angolo opposto al vicolo
e Abraham era lì, sempre a scaldarsi, come se si fosse mosso
di pochi metri, ma sempre nella stessa posizione.
“Abraham!” aveva detto senza fiato
“eccomi, Abraham!” si era fermato, poggiando le
mani sulle ginocchia, riprendendo fiato.
“Benedetto ragazzo, ma dov’eri finito? È
un giorno intero che sei sparito, cominciavo a preoccuparmi!”
“Abraham, tu mi hai chiesto una cosa, e io l’ho
fatta. Ma per bene”
aveva aggiunto, tutto tronfio “mi sono appostato, per essere
sicuro che fosse quello il posto dove Kaleb tiene Fiorellino!”
Abraham aveva sorriso a quel nomignolo; probabilmente Shorty era
convinto si chiamasse veramente così. Aveva scosso la testa,
ridendo: “E dimmi ragazzo, cosa hai scoperto?”
Shorty aveva sgranato gli occhi e aveva bisbigliato, guardandosi
intorno:
“In un vecchio magazzino vicino la stazione di Peckham Rye.
L’ho visto che entrava e usciva e portava sempre da mangiare
per due persone, lei è sicuramente là!”
aveva finito, in attesa di risposte
“se non la tiriamo fuori da là, morirà!
Kaleb è cattivo!”
“Lo so, Shorty, lo so. Per questo dobbiamo avvertire subito
Sherlock “dobbiamo trovare una cabina pubblica, ho delle
monetine che mi ha dato proprio lui”.
“Io so dov’è, Abraham! A due isolati da
qui, ci metteremo pochissimo!”
“Bene, allora. Andiamo, è ora che quella povera
ragazza torni a casa”.
//
John era di turno in ambulatorio quella mattina, ma non c’era
molta affluenza, stranamente. Beveva un caffè tiepido,
dondolandosi sulla sua poltrona davanti la scrivania. Aveva salutato
Rose con tanto trasporto quella mattina, più del solito. La
sua bambina, sua figlia. Aveva chiuso gli occhi, nauseato
dall’idea di non sapere ancora nulla su Lily. Pensava anche
alle conversazioni che aveva avuto con Sherlock in quei
giorni: era sembrato stranamente vulnerabile, ma decisamente restio ad
ammetterlo; aveva sorriso leggermente: si augurava con tutto il cuore
che quello che lui immaginava potesse avverarsi.
All’improvviso la porta si era aperta senza bussare, e John
sapeva che quell’entrata era tipica di Sherlock, che si era
affrettato subito a dire: “Ho detto che avevo un
appuntamento”.
“Non ti crede più nessuno, Sherlock. Soprattutto
se arrivi come una furia, come al tuo solito. Siediti.
Caffè?” aveva indicato il bricco posato sulla
credenza dietro di lui “un po’ freddo, ma sempre
caffè”.
Sherlock aveva alzato la mano: “No, grazie. Ho preso il the
stamattina”. Si dondolava anche lui sulla sedia, non parlando.
“Qualche motivo specifico per la tua venuta?” aveva
chiesto John, posando la tazza sulla scrivania “stai
bene?”
“Sì, sì benissimo” aveva
replicato in un bisbiglio. John sapeva che non aveva dormito, le
occhiaie spiccavano sulla sua pelle bianca e gli zigomi sembravano
più pronunciati.
“Non hai dormito”
“Sì che ho dormito; poco e male, ma ho
dormito”.
John si era massaggiato le tempie, lentamente. Era una giornata vuota,
senza pensieri o pazienti che potessero distrarlo in qualche modo.
L’orologio sembrava non camminare mai, ed era già
esausto. E mancavano ancora due ore alla pausa pranzo. Aveva sospirato,
frustrato: “Dovevo darmi malato oggi, sarei stato un
po’ con Rose e Mary” aveva soffocato uno sbadiglio.
Sherlock continuava a dondolarsi sulla sedia, in maniera assente. John
lo aveva guardato, preoccupato. Poi aveva sgranato gli occhi:
“Sherlock, fammi vedere le braccia”.
Lui si era girato di botto, intimorito: “Perché?
Sulle mie braccia non c’è nulla” una
leggera contrazione del labbro l’aveva sbugiardato e John
aveva ripetuto: “le braccia. Ora.”.
Sherlock aveva sbuffato, alzando gli occhi al cielo e sollevando la
manica della giacca dove troneggiavano ben tre cerotti alla nicotina,
di quelli enormi e tondi. John aveva sgranato gli occhi.
“Tu sei pazzo” aveva sussurrato incredulo
“togliti subito quei cerotti!”
“Aiutano a concentrarmi!” aveva detto con le mani
che tremavano.
“Ecco perché non dormi razza di idiota!”
John si era allungato verso di lui e gliene aveva strappato uno con
forza.
“Ahia! Così mi fai male, scemo!” aveva
urlato di rimando Sherlock.
“Se non te li togli subito da solo, ti strappo gli altri
ancora più forte!!” aveva minacciato John.
“Va bene. Va
bene. Me li tolgo” li aveva staccati
delicatamente dalla pelle. Dove John aveva strappato il terzo era
rimasto un grosso cerchio rosso.
“Non sei normale” aveva esclamato John, scuotendo
il capo “se ti concentri un altro po’, ti esplode
la testa!”
Sherlock aveva sbuffato, esasperato.
//
Lily non riceveva Lorazepam da due giorni. E non si sentiva
molto bene; per fortuna la dose era diminuita ultimamente, quindi il
suo corpo doveva espellere meno schifo del solito. Aveva caldo, il
cuore le batteva forte e non riusciva a dormire bene. Per il resto
teneva tutto sotto controllo. A volte le sembrava di sentire dei
rumori, ma non sapeva se era la sua testa o se erano veri. Cercava di
rimanere calma, anche se a volte avrebbe spaccato tutto.
Kaleb era sempre il solito stronzo, figurarsi. Da un po’ di
giorni non la toccava, ma solo perché era particolarmente
affaccendato con i suoi loschi giri, e per fortuna si faceva vedere
poco. Lily soffriva anche la fame, perché mangiava a
discrezione di Kaleb: quando si ricordava, le portava da mangiare,
sennò poteva anche stare un giorno intero digiuna per poi
doversi accontentare di un tramezzino, o chissà quale altra
schifezza. Cominciava ad accusare anche questo, cioè la
mancanza di cibo. Le girava la testa, non riusciva a pensare bene e per
non sentire la fame, dormiva. Ma appena prendeva sonno aveva incubi e
si risvegliava in un bagno di sudore; aveva pensato più di
una volta di scappare mentre Kaleb era via. Ma aveva chiuso con
lucchetti e catene l’uscita. Sapeva che c’era
un’altra entrata, ma probabilmente era chiusa anche quella, e
lei non aveva le forze necessarie per cercarla. Quel magazzino era
bello grosso. Era una prigioniera, e probabilmente dentro quello schifo
di deposito ci sarebbe crepata. L’unica cosa che la consolava
erano i rumori che venivano dalla finestra: le ricordavano che fuori
c’era la vita, c’era un mondo, qualcosa che pulsava
e la faceva sentire un po’ meglio.
Per il resto, era sempre la solita merda.
//
Sherlock si massaggiava la parte del braccio arrossata, guardando in
cagnesco John. Lui non ci faceva neanche caso, e leggeva delle carte
che aveva sul tavolo.
All’improvviso, il telefono di Sherlock aveva suonato. Era un
numero sconosciuto, ed era subito saltato dalla sedia, facendo
sobbalzare John. Numero sconosciuto poteva voler dire qualcosa di
importante. Aveva guardato John, che lo fissava di rimando. Poi si era
scosso, e aveva intimato a Sherlock: “Ma insomma rispondi!
Non guardare me, maledizione!”
Sherlock aveva risposto, tenendo lo sguardo fisso su John; si
guardavano a vicenda come per darsi coraggio.
“Sì, pronto” aveva risposto Sherlock.
“Sherlock, sono io, Abraham. Zona Peckham Rye”
aveva esordito, cercando di parlare il più forte possibile,
per coprire i rumori del traffico.
“Abraham, certo. Dimmi tutto, che succede?”
“Li ho visti Sherlock; ho visto la ragazza insieme a quel
farabutto, Kaleb. Li ho visti ieri, lei faceva il palo”.
Sherlock aveva chiuso gli occhi: “Sei sicuro? Sei sicuro che
fosse lei?” John si era alzato di scatto andando vicino
Sherlock, gli occhi sgranati e increduli.
“Amico mio, era sicuramente lei. Capelli castani, occhi color
ambra con pagliuzze gialle. Ed è stata così
gentile. Sherlock, peserà quarantacinque chili, non sta
bene. Tiratela fuori da lì il prima possibile”.
“Da lì dove?” aveva chiesto Sherlock,
sempre più esasperato “da lì dove,
Abraham??”
“Ho mandato Shorty a seguirli e dice che la tiene chiusa in
un vecchio magazzino vicino alla stazione. Le porte sono tutte chiuse,
ha guardato in giro, ma quel capannone ha anche un secondo piano, con
delle scale antincendio. Forse là, potrebbe esserci
un’entrata o qualcos’altro”.
Sherlock aveva annuito, concentrato “Bene Abraham, fammi
avere l’indirizzo preciso. Da qui in poi ci pensiamo
noi…e..grazie, veramente”.
“Figurarsi, ragazzo mio. Quella ragazza ha dei modi e un
sorriso che ti scaldano il cuore. Non potevo fare altrimenti”.
“A presto” aveva risposto asciutto Sherlock, e
aveva riattaccato.
Aveva guardato John, che lo aveva fissato tutto il tempo della
telefonata: “Ci siamo, forse ci siamo. Al 90%
è lei John. Abbiamo trovato Lily”.
John aveva chiuso gli occhi e si era abbassato sulle ginocchia, in
silenzio. Sherlock non capiva se il movimento delle sue spalle era
dovuto all’iperventilazione o al pianto. Lo aveva lasciato
calmare, poi aveva esordito: “Adesso ci serve un piano, John.
Ed è ora di informare Lestrade di tutto questo”.
John aveva alzato gli occhi verso di lui, socchiudendoli leggermente:
“Sei sicuro?”
“Sì. Anche se vorrei fare da solo, un aiuto
è sempre utile. Ci servirà da copertura. Io e te
andremo lì dentro a salvare Lily” lo aveva
guardato, intensamente “te la senti?”
John lo aveva fissato, per poi sibilare: “Sono pronto da
quando l’hanno portata via, Sherlock”.
“Bene” aveva annuito, un sorriso appena accennato
“il gioco è iniziato”.
//
“Io vorrei sapere perché non sono stato avvertito
prima!” urlava Lestrade, sbattendo un pugno sul tavolo
“un rapimento! Possibile violenza e sequestro di persona,
insomma un disastro! Perlopiù di un individuo di cui non
abbiamo documenti, una straccio di storia da raccontare, che sembra non
esistere!!!!” aveva soffocato un grido, esasperato, alzando
le mani al cielo insieme agli occhi “non posso autorizzare
una’operazione di Polizia su una cosa su cui non si
è indagato prima! È inammissibile!!!”
Sherlock si era schiarito leggermente la gola:
“Gavin..” aveva cominciato.
“Mi chiamo GREGORY!!!!!” aveva urlato di nuovo
l’ispettore, facendo strizzare gli occhi a John che era poco
dietro Sherlock, gli occhi fissi a terra, come un bambino messo in
punizione.
“Scusa, Gregory” aveva continuato Sherlock, con
voce bassa e sicura “non ne abbiamo parlato prima,
perché a quanto pare la persona che tiene sequestrata Lily
è altamente pericolosa e….”
“ Sherlock
Holmes” aveva sibilato Lestrade, avvicinandosi
al suo volto “pensi che siamo degli imbecilli? Che non
abbiamo mai avuto a che fare con persone pericolose in tutta la nostra
carriera???” aveva alzato il tono di voce “come
posso giustificare questa operazione ai piani alti, dimmelo
tu!”
“Potresti venire te e un paio di agenti in borghese e se le
cose si mettessero male, possiamo sempre farla passare per
un’operazione casuale. Voi eravate lì,
è successo…e basta”.
Lestrade lo aveva guardato fisso negli occhi e Sherlock di certo non
abbassava lo sguardo. Alla fine aveva detto: “So
già che me pentirò amaramente. Vi metto a
disposizione DUE agenti, più io. Ma entreremo in azione solo
se necessario, solo in occasione di pericolo imminente. Il che
vuol dire sparatorie e simili. Per il resto me ne lavo me mani, di
quello che farete voi due”. Aveva indicato John e Sherlock, e
si era dileguato dalla stanza.
“Beh, non è andata proprio male” aveva
alzato le spalle Sherlock, rivolgendosi a John “no?”
“Sì certo, alla grande” aveva risposto
“una vera passeggiata”. E si era avviato anche lui
fuori dalla stanza.
Sherlock aveva avuto l’indirizzo preciso del capannone in
questione, e mentre viaggiavano sulle macchine della polizia in
borghese, pensava a come fare per entrare là dentro. Doveva
essere lì, doveva ispezionare, indagare e fare un piano
della situazione. John era molto concentrato; sotto la sua giacca aveva
la fondina con la pistola, che non usava da molto ormai. Ma era entrato
in piena modalità soldato. Freddo, concentrato e soprattutto
risoluto. Quella sera avrebbe riportato a casa Lily.
Viva.
O morta.
Aveva strizzato addolorato gli occhi al solo pensiero.
Lestrade aveva accostato a poche centinaia di metri dal capannone.
“Bene. Avete i telefoni, appena le cose dovessero mettersi
male, chiamate. Noi arriveremo in meno di due minuti.
Munizioni?”
“Sì” avevano risposto in coro.
“Giubbotti antiproiettile?”
“Sì” di nuovo in coro.
“Bene, allora andate, maledizione. E cercate di non farvi
ammazzare” si era fermato “o di far ammazzare
quella povera ragazza” stavano per uscire dalla macchina
quando li aveva richiamati dentro “anzi! Se entro
un’ora non ho vostre notizie, vi vengo a cercare, sappiatelo!
Non voglio nessuno sulla coscienza, io!” dopo averli fatti
scendere, era ripartito con la macchina, sgommando.
Si erano avviati verso il capannone. Man mano che si avvicinavano, si
stagliava sempre più alto. Era grande e a due piani,
visibilmente abbandonato. Sherlock studiava la situazione: scala
antincendio lato ovest ed est, quindi due entrate. Porta principale:
chiusa. Niente tetto, solo una cupola di telo. Lily doveva essere al
piano terra o al primo. Forse era meglio il piano terra, per scappare
più facilmente, se ne avessero avuto bisogno. Kaleb
sicuramente entrava dalla porta principale, che non era grandissima, ed
era legata da due catene e da un lucchetto. La zona era poco
frequentata e non propriamente sicura. Quindi ci si poteva muovere con
più facilità senza essere notati, soprattutto se
sembravi pericoloso, o comunque sospetto. Ma sembrava che alla gente
del posto non importasse molto, comunque.
In tutto ciò erano arrivati e avevano fatto il giro del
capannone. Il lato Est era quello più esposto alla luce dei
lampioni, quindi avrebbero prima esplorato il lato Ovest. Avevano
salito le scale antincendio lentamente, per non fare troppo rumore;
erano arrivati al primo piano, e la porta era chiusa, ma con un minimo
di forza potevano riuscire a sfondarla.
“Faremo troppo rumore, Sherlock. E se Kaleb fosse
là dentro? Se ne accorgerebbe subito”.
“Proviamo a forzarla con questo” Sherlock aveva
trovato una sbarra di ferro, che si era staccata dal rivestimento delle
scale “non dovrebbe metterci molto a cedere, se proviamo ad
aprirla con questa sbarra”.
“Faccio io” aveva sussurrato John “la
guerra mi ha insegnato a essere più silenzioso di te,
sicuramente”.
Sherlock aveva sbuffato, divertito “Sì certo,
soldato Watson. È tutta sua” e gli aveva passato
la sbarra di ferro, con fare ironico.
John aveva sospirato e poi aveva tirato un respiro, concentrandosi.
Aveva infilato molto lentamente la sbarra di ferra
nell’apertura della porta, incastrandola bene. Poi con molta
calma aveva cominciato a forzare, facendo cigolare i cardini, ormai
arrugginiti. Si era fermato, ascoltando con attenzione reazioni
particolari. Niente. Aveva forzato un po’ di più,
sempre con molta calma e un cardine aveva ceduto. John aveva sorriso.
Bene.
La porta già traballava, ma non riuscivano a passarci;
dovevano scardinarla del tutto.
“Sherlock” aveva sibilato John “ se
riesco a scardinarla completamente, potrebbe cadere. Preparati ad
afferrarla”.
“Va bene” aveva risposto Sherlock, sistemandosi le
maniche del cappotto “vai”.
John aveva forzato ancora di più, e una vite del cardine era
saltata, lasciando il lato superiore mezzo staccato.
“Guarda se riesci al alzarla, e appoggiarla al
muro” aveva suggerito John.
Sherlock aveva sollevato la porta e con un paio di spinte verso
l’alto, finalmente si era staccata, facendo un rumoraccio non
indifferente. John e Sherlock si erano fermati, immobili. Sarebbero
rimasti così un paio di minuti, per essere sicuri di non
aver attirato l’attenzione di nessuno.
Passato il tempo necessario, erano entrati nel capannone. Davanti a
loro c’era un corridoio, che dava su altre scale che
portavano al piano terra. Era enorme, un magazzino di grande
stoccaggio, un’unica stanza con degli scaffali alti fino al
soffitto. Alla loro sinistra c’erano le scale che portavano
al piano terra.
“Deve essere per forza al piano terra” aveva detto
Sherlock a John “là ci sono le scale,
andiamo”.
John l’aveva afferrato per la spalla, guardandolo
intensamente: “Sherlock, niente cazzate. Niente eroismi,
niente di insensato. Non fare stupidaggini. Prima
l’incolumità nostra e di Lily, poi il resto:
chiaro?” continuava a guardarlo, gli occhi ridotti a due
pozze scure, concentrati e affilati.
“Sì, va bene” aveva risposto Sherlock
“attenzione prima di tutto”.
“Giusto” aveva annuito John, e si erano diretti
verso le scale. Arrivati alla metà dell’ultima
rampa, avevano visto, al centro della stanza, scatole di legno e un
sacchetto dei rifiuti.
“Ci siamo” aveva bisbigliato John “deve
essere qui”. Arrivati alla fine delle scale, si erano
accertati non ci fosse nessuno. Un po’ più avanti,
sulla sinistra c’era un materasso; con sopra Lily, di spalle,
con la testa in mezzo alle ginocchia. John aveva sospirato; era viva,
era in piedi. All’improvviso, Lily aveva tirato su la testa,
come un animale che fiuta il pericolo, la schiena una perfetta linea
dritta. Si era girata lentamente, e aveva visto John. E poi Sherlock.
Credeva fosse un sogno drogato, sicuramente stava dormendo, stava
sognando.
“Lily” aveva sussurrato John “Lily, siamo
noi. Siamo venuti a portarti via da qui”.
Gli occhi di Lily si erano riempiti subito di lacrime e aveva
cominciato a piangere. Erano venuti da lei, l’avevano cercata
e trovata. Ma alla sensazione di sollievo, si era subito aggiunta
quella di panico.
Era scattata verso John, camminando sulle ginocchia e si era aggrappata
alla sua giacca, guardando lui e poi Sherlock, in preda al terrore:
“Dovete andare via di qui, lui tornerà a momenti.
Andate via John, vi prego. Vi ucciderà, per favore Sherlock,
andate via” si era rivolta anche a lui, gli occhi spalancati
e pieni di paura, già asciutti dal pianto di poco prima.
Aveva abbassato la testa sul petto di John e aveva inalato il suo
profumo. Faceva quasi male, ma non poteva farli rimanere lì,
dovevano andare via subito. Sherlock si era avvicinato a Lily e
l’aveva presa per le spalle, strappandola dal corpo di John.
L’aveva scossa e con voce ferma aveva detto: “Siamo
qua, Lily. Non ce ne andiamo senza di te, capito?” la
guardava fisso negli occhi, cercando un punto di connessione, qualcosa
che la riportasse a essere un minimo lucida e razionale.
“Ma lui vi ucciderà, e io non voglio”
piangeva di nuovo, a grandi singhiozzi, senza riuscire a smettere. Era
chiaramente sotto l’effetto di qualche droga. Aveva
accarezzato piano il viso di Sherlock, poi aveva guardato John con
occhi appannati e assenti. Aveva sorriso leggermente: “I miei
cavalieri dall’armatura scintillante” una lacrima
le era scesa giù per la guancia. Le labbra le tremavano per
la commozione “grazie, grazie davvero”.
John era annichilito. Dei cavalieri, per lei erano dei cavalieri, come
quelli delle favole che raccontava a Rose.
“Non ce ne andiamo senza di te, Lily. È fuori
questione”. La voce gli tremava per la commozione
“ti abbiamo cercata tanto, non possiamo lasciarti qui,
capisci?” l’ultima frase l’aveva detta
con tono più fermo e deciso.
“Beh bisognerebbe vedere se io sono
d’accordo” una voce alle loro spalle li aveva fatti
trasalire. Lily si era coperta la bocca con una mano, spaventata
“allontanatevi da lei, subito” Kaleb era
lì davanti e aveva una pistola, puntata verso di loro. John
aveva guardato Sherlock: niente
eroismi.
Si erano allontanati, lentamente. Forse cinque metri, forse sei. Kaleb
si era avvicinato a Lily e l’aveva presa per i capelli,
facendola alzare e gridare di dolore: “Alla fine ti hanno
trovata” le aveva bisbigliato nell’orecchio.
Chissà come hanno fatto”. Aveva guardato di nuovo
Lily, e le aveva messo un braccio intorno alla gola, stringendo.
Sherlock si era mosso, ma Kaleb aveva sparato un colpo in aria, facendo
rimbombare tutto il capannone.
“ SHERLOCK,
NO!!!!” aveva urlato Lily disperata, buttandosi
in avanti, il viso pieno di lacrime, trattenuta dal braccio di Kaleb
“non muoverti Sherlock!!! TI PREGO!!”.
John aveva bisbigliato a mezza bocca “Sherlock, maledizione,
stai fermo. Lo so che lo uccideresti, ma stai calmo, per
favore”.
Lily cercava di divincolarsi dalla presa ferrea di Kaleb, ma lui non
mollava “Fiorellino, se ti muovi la stretta
aumenta” aveva detto con calma.
John aveva avuto un rigurgito acido in gola. Fiorellino. Che
cosa disgustosa.
“Dunque!” aveva cominciato a voce alta Kaleb
“abbiamo due baldi giovani qui, per salvare la povera
principessa Lily in pericolo” aveva riso “ma! chi
è la vera Lily, chi è questo fiorellino delicato,
che viene dalla provincia, una piccola contadinotta di Castle
Combe?” aveva guardato Sherlock, sempre con le mani alzate.
“Sa Keats a memoria, non la definirei contadinotta”
aveva detto calmo, senza muoversi. John aveva chiusi gli occhi,
esasperato.
“Ah sì certo. La principessina odiata dalla
mammina, che studiava i poeti inglesi a memoria per compiacerla, che
suonava il violoncello per intrattenerla. Povera, piccola
Lily“ aveva guardato Sherlock, poi di nuovo lei
“È lui il tuo preferito? Quello che ti ha letto dentro l’anima?”
aveva usato un tono drammatico ed enfatico.
Le aveva puntato la pistola sotto lo zigomo.
“Non c’è voluto niente per portarla via
da quella vita di merda. Però Lily, racconta ai signori cosa
hai fatto quando siamo arrivati qui; racconta cosa hai fatto per
permetterti la droga. Non hai rapinato un negozio di liquori, tra
l’altro ferendo il proprietario“ aveva guardato
sconcertato John e Sherlock “che ora deve parlare con
quell’aggeggio che si appoggia alla gola, perché
la piccola bestiolina qui, ha mirato subito al collo” aveva
riso di nuovo “una vera giovane iena, sotto
l’effetto dell’eroina. Pensare che quando
l’ho conosciuta era così innocente,
così pura”
aveva avvicinato la sua bocca al viso di Lily, che piangeva senza
ritegno.
“Ma soprattutto Lily, non hai MAI fatto un pompino a uno
sconosciuto dietro un vicolo sudicio per 5 sterline, vero? Per comprare
la droga a me.
E come piangeva dopo, povera piccola, così umiliata. Mi sento sporca
diceva. Ma in verità, secondo me, ti era pure piaciuto. Ti
è sempre piaciuto, perché sei una sudicia
puttanella”.
Aveva spostato la pistola da sotto lo zigomo dentro la cinta dei
pantaloni di Lily, facendola strillare di terrore.
Sherlock guardava fisso quel farabutto di Kaleb e pensava, che mai in
vita sua, aveva provato più schifo per una persona. Non ci
si poteva approfittare così delle gente, soprattutto se
fragile. Lui aveva usato le persone, lo ammetteva. Per le sue indagini,
per avere indizi. Ma mai aveva soggiogato qualcuno, portandolo ad
annullarsi. Doveva togliere Lily dalle mani di quel maiale, e in
fretta. Aveva guardato John. Tremava dalla rabbia, vedeva la mascella
contrarsi e le narici dilatarsi.
Kaleb continuava: “Mi ha supplicato di non uccidervi, tutti
quanti. Avrebbe preferito morire qui, per salvare voi. Tu”
aveva indicato John ”tu” aveva indicato Sherlock
“e la moglie del dottore insieme alla piccola bambina. Non
è adorabile?”
aveva aggiunto con tono entusiasta “ma qui in mezzo sei la
più sporca di tutti”. Aveva allentato la presa dal
collo di Lily, che aveva cominciato a tossire convulsamente.
“Quindi ora” Kaleb aveva fatto una giravolta su
sé stesso “avete due possibilità:
morire o andare via da qui e scordarvi di lei per sempre.
Nessuno dei due si era mosso; lasciarla lì era fuori
questione. Come potevano avvertire Lestrade? Kaleb aveva una pistola, e
loro non potevano raggiungere le loro, figurarsi il telefono.
“Sherlock, John” era la voce di Lily, flebile e
piena di pianto “andate via. Andate” la sua voce
era più ferma ora “ve ne prego”.
“E naturalmente ci sposteremo ancora, finché per
voi non esisteremo più” aveva concluso Kaleb,
soddisfatto.
Lei non ce la faceva a vederli lì, con la loro vita appesa a
un filo. Teneva troppo a loro; voleva che, semmai un giorno avessero
incontrato qualcun altro in difficoltà, potessero avere la
possibilità di aiutare, come avevano fatto con lei.
Lily aveva alzato la testa e aveva sibilato: “Spero di morire
prima, piuttosto che vivere un altro giorno con te, razza di
psicopatico”. Lo aveva guardato negli occhi, piena di rabbia
e risentimento “hai già rovinato la mia, di vita.
Non posso permetterti di rovinare quella di altre persone”.
Kaleb l’aveva guardata, furioso. E un pugno era partito verso
le sua faccia, facendola cadere a terra, semisvenuta. L’aveva
presa per il collo della maglietta, alzandola, e aveva urlato:
“semmai tu dovessi morire, ti ucciderò io,
perché tu sei mia e di nessun’altro”.
L’aveva scaraventata a terra, violentemente.
Lily si era girata verso Kaleb, chino su di lei, e gli aveva sputato in
faccia, un misto di saliva e sangue. A quel punto le era arrivato anche
un calcio sulla testa.
All’improvviso, uno sparo. Ma non era Kaleb. Era Lestrade,
affacciato dalle scale. Aveva colpito Kaleb alla spalla facendogli
cadere la pistola, che però aveva subito ripreso in mano
puntandola verso Lily.
“Ci vediamo all’infermo, piccola infame!”
ma non aveva finito di dire la frase che un altro proiettile era
partito colpendolo allo stomaco. Si era accasciato a terra, rantolante.
Lily era immobile e lo guardava, fissa. Stava guardando
un’altra persona morire, probabilmente. E non sapeva cosa
fare. Aveva alzato gli occhi, e il colpo era partito da Sherlock. Kaleb
si muoveva ancora, cercando di tirarsi in piedi e scappare.
Ma poi era successo.
John, con passo svelto si era incamminato verso di lui, e tirando fuori
la pistola, aveva cominciato a scaricargli il caricatore addosso. Senza
pietà, senza prendere la mira. Uno, due, tre, quattro colpi.
E non smetteva.
Sherlock aveva urlato. Lestrade aveva urlato. Tutti urlavano:
“Basta, John”.
E John si era fermato, il viso schizzato di sangue, l’aria
completamente assente. Kaleb giaceva a terra, morto. John aveva buttato
la pistola per terra e si era girato verso Lily.
Lei lo aveva guardato a sua volta. Non riusciva a piangere, era
spaventata. Ma loro ora erano lì. Sherlock si era avvicinato
a John ma lui aveva alzato una mano dicendo “Sto
bene”.
Si era voltato, aveva sorriso a Lily: “Sei pronta per tornare
a casa?”
Lei aveva annuito, muta. John si era chinato su di lei e
l’aveva presa in braccio, come una bambina.
“Dio mio Lily, non pesi niente. Da
quant’è che non mangi?”
Erano passati vicini a Sherlock, e lei aveva chiesto a John di
fermarsi. Era scesa, e si era fermata davanti a lui, guardandolo.
“Scusa se puzzo” aveva detto prima di abbracciarlo
forte, per quanto le sue forze lo permettessero
“grazie” aveva sussurrato nel suo collo.
“Non devi…” aveva cominciato Sherlock.
“Sta zitto, maledizione. Per una sola volta. Zitto.”
Sherlock era rimasto muto, le sue solite braccia lungo i fianchi, che
però aveva leggermente alzato, senza però toccare
Lily.
Sciolto l’abbraccio, si era rivolta verso John, abbracciando
anche lui. Forte. Solo che lui aveva ricambiato, stringendola e
mettendole una mano dietro la testa, sorridendo. Poi l’aveva
guardata e ripresa in braccio.
“John, non c’è
bisogno…”
“Zitta, per una sola volta, almeno” aveva detto
imitando Lily come quando aveva parlato a Sherlock qualche istante
prima “Fammi fare. Dopodiché, parla. Parla
finché non ci sanguineranno le orecchie”.
Lily aveva riso: “Va bene, come vuoi”.
Già si sentivano le sirene fuori dal capannone. Lestrade li
aveva raggiunti: “Portatela via da qui, prima che la gente la
veda. Per le cure portatela al St. Barth’s, Molly sa
già tutto”.
“Va bene, grazie…” Sherlock aveva
guardato di sottecchi John che aveva mimato con le labbra GREGORY
“Gregory”.
“Sì sì, ma ora andate via”
aveva agitato la mano verso l’uscita “John, alla
tua pistola ci penserò io. Ci manca solo l’accusa
di omicidio” aveva scosso la testa, grattandosela.
Erano usciti da una porta sul retro, un’uscita di sicurezza
dove li aspettava una macchina nera che li avrebbe portati al St.
Barth’s per le prime cure. Poi finalmente a casa, e a Lily
non sembrava vero.
Aveva appoggiato la testa alla spalla di John, esausta. Prima
però aveva guardato Sherlock, dietro di loro. Lo aveva
osservato e le sembrava si muovesse a rallentatore, i riccioli scuri,
gli occhi chiari, e quell’andatura sempre tranquilla, come se
non fosse successo nulla. Lui aveva alzato lo sguardo su di lei,
spiazzato da quegli occhi che lo scrutavano. Strani, sereni ma allo
stesso tempo inquieti. Gli erano tornati in mente frammenti di quella
serata infernale.
Aveva sentito di nuovo la mano di Lily sul viso,
Il cavaliere
dall’armatura scintillante,
“È
lui il tuo preferito? Quello che ti ha letto dentro
l’anima?”
Si era sentito a disagio. Lui, Sherlock
Holmes.
“Per colpa tua, non ho ancora mangiato i miei
biscotti!” aveva detto a voce alta verso Lily, per bloccare
il suo imbarazzo.
Lei aveva buttato indietro la testa, e riso forte.
Sherlock era contento di averla fatta ridere, anche perché
non avrebbe saputo assolutamente
rispondere a quel tipo di sguardo.
Aveva continuato a camminare, leggermente irritato da quella sensazione
che l’aveva fatto sentire fuori dal suo ambiente sicuro.
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Capitolo 11 *** What if ***
Capitolo 11
What if
Le luci della sera si
riflettevano sul finestrino della macchina della polizia. Lily si
vergognava, era ridotta in condizioni assurde e non voleva appestare la
bella macchina con i sedili in pelle che la stava portando al St.
Barth’s. Aveva rifiutato la giacca di John, il cappotto di
Sherlock, e si era accontentata di una coperta ruvida e che pizzicava
della polizia. Ma in quel momento le importava ben poco;
l’importante era essere salva, fuori di lì.
Kaleb era morto. All’improvviso un’ondata di dolore
mista a sollievo le aveva mozzato il respiro. Lui non c’era
più, non sarebbe mai più esistito, ora la sua
anima forse stava attraversando i sette Cieli, verso Dio. Sarebbe stato
perdonato, lei sapeva che in fondo era buono. E versò
qualche lacrima per lui, perché alla fine l’aveva
amato come si ama raramente, come si ama quando si è
innocenti. E lui, Lily era sicura, per un periodo l’aveva
ricambiata con lo stesso ardore, con la stessa dolcezza. Ma poi era
cambiato, si era trasformato e il buio aveva ingoiato la sua anima. Con
la testa appoggiata al finestrino, pensava a tutto ciò,
mentre piccole lacrime le scendevano per le guance. Riusciva a pensare
solo: “addio
Kaleb, addio”.
Nella macchina c’era un silenzio denso, carico di domande e
sottintesi. Cosa avrebbe fatto ora? Era libera sul serio, adesso.
Avrebbe raccontato tutto alla Polizia, poi si sarebbe fatta visitare,
poi si sarebbe fatta una doccia e mangiato.
Sì, certo. Ma poi.
Automaticamente si era voltata verso John e Sherlock, i suoi due punti
di riferimento. Chiacchieravano sottovoce tra di loro, come le persone
che si conoscono da anni. Le facce assorte e attente allo stesso tempo,
e Lily per una frazione di secondo si era sentita fuori da
lì, estranea. Come se non ci fosse. Come se si fosse
intrufolata in qualcosa di privato, di segreto. Sherlock,
all’improvviso l’aveva guardata, distratto.
“Stai bene?” aveva chiesto, piano. John si era
girato a sua volta, con aria interrogativa.
Lily aveva annuito, con un sorriso tirato: “Sì,
sto bene, grazie” si era stretta nella coperta , in imbarazzo.
Ma il suo cuore era pesante come piombo. Sherlock continuava a
guardarla, mentre John parlava al telefono. La fissava e il cuore di
Lily aveva aumentato i battiti. Cosa voleva da lei; perché
mi guardi così, perché mi devi mettere a disagio
anche ora; perché il mio cuore ora batte, mentre prima
sembrava fermo;
Erano pensieri che si susseguivano rapidi, dentro la mente di Lily.
Ti prego, almeno per
stasera, cerca di non leggermi dentro. Almeno stasera.
Aveva pensato intensamente, serrando la mascella fino a farsi
scricchiolare i denti.
E come se un flusso di pensieri caldo e luminoso si fosse incrociato in
quell’istante, aveva sentito la sua stessa voce, dentro la
sua testa: tutto
è andato bene, è sicuro, quindi per ora
starò zitto.
Lily aveva trattenuto il respiro per qualche istante; la voce nella sua
testa aveva detto “zitto”. Ma la voce era la sua.
Che fosse stato un incrocio di pensieri tra lei e Sherlock? Lily aveva
distolto subito lo sguardo, rabbrividendo leggermente. Si sentiva
scombussolata, il cuore continuava a martellarle nel petto, non poteva
sostenere un secondo di più il suo sguardo. Aveva
ricominciato a guardare la strada, sperando di arrivare il prima
possibile al St. Barth’s.
Finalmente arrivati, non aveva parlato con nessuno. L’avrebbe
fatto con Lestrade, per aggiungere più particolari e
soprattutto perché John e Sherlock erano lì e lui
era l’unico a saperlo. Mentre un’infermiera
amorevole le disinfettava le ferite sul viso sorridendole materna, da
dietro la porta della stanza aveva sentito voci concitate.
Fai finire almeno le
medicazioni…almeno quelle.
Non ci penso proprio!
In quel preciso istante la porta si era spalancata, facendo comparire
Mary, gli occhi pieni di lacrime mentre si strattonava dalla presa di
John.
“Lily!” aveva esclamato con voce flebile e stridula
“Lily, allora è vero!”
Era corsa verso di lei, spostando l’infermiera e
stritolandola in un abbraccio da boa constrictor, piangendo come una
bambina. Dopo due minuti, Lily aveva guardato John da sopra la spalla
di Mary aggrottando leggermente le sopracciglia, chiedendo aiuto.
“Mary, tesoro…forse dovresti farla respirare per un attimo”.
Lei si era staccata immediatamente, prendendo il viso di Lily tra le
mani: “Santo cielo, Lily. Ma cosa ti ha fatto?” un
lampo di odio aveva attraversato i suoi occhi
“com’è possibile? Come sta?”
era scattata verso l’infermiera, che era indietreggiata
leggermente intimorita.
“Sta bene,
nei limiti del possibile. Ora fai finire il lavoro
all’infermiera, manca poco” aveva incalzato John.
“Ma scusa, non potresti farlo tu? Sei medico!”
aveva fissato la povera ragazza, che aveva teso tutto il necessario al
“dottore” ed era scappata dalla stanza. John aveva
rivolto uno sguardo di rimprovero a Mary, che aveva alzato le spalle.
All’improvviso, aveva spalancato gli occhi: “Ho
lasciato i tuoi vestiti puliti in macchina! Torno subito!” ed
era corsa via, il rumore dei tacchi che echeggiava per i corridoi
dell’ospedale.
John aveva scosso la testa, cominciando a disinfettare il piccolo
taglio sulla guancia di Lily: “Un abitudinario, eh? Lividi e
tagli sempre negli stessi posti” aveva sussurrato
concentrato, osservando il livido che aveva sulla guancia sinistra.
Aveva il maglione schizzato di sangue, gocce microscopiche.
Lily non aveva risposto, non sapeva cosa dire. Aveva incrociato lo
sguardo di John, i suoi occhi blu che alla luce del neon sembravano
neri. Lui le aveva sorriso, le rughe agli angoli degli occhi
accentuate: “sei silenziosa, ti aveva detto che avresti
potuto parlare fino a farci sanguinare le orecchie”. Aveva
alzato le sopracciglia, perplesso.
“Non so esattamente cosa dire” aveva sussurrato
Lily scrollando le spalle e sedendosi meglio sul lettino, in evidente
imbarazzo.
“Se vuoi, puoi pure non parlare. Nessuno ti
rimprovererà per questo”. John aveva proseguito
con le medicazioni, il suo tocco leggero e delicato rassicurava Lily in
parte.
Aveva arricciato le labbra, nervosa: “È solo che
credevo mi sarei sentita diversa”.
John si era fermato, e aveva appoggiato il disinfettante e la garza sul
lettino: “Lo so, il senso di sollievo è
temporaneo. Cosa provi esattamente?” aveva stretto gli occhi,
attento.
“Io…non lo so. Ho molta paura e ansia di quello
che succederà adesso. Sono dispiaciuta per la morte di
Kaleb, e ho paura anche che non riuscirò mai più
a dormire”.
John aveva sospirato leggermente: “penso sia normale, sai? Ma
non c’è nulla che non si possa risolvere con un
po’ di buona volontà “le aveva messo una
mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione “Lily,
guardami per favore”. John, che aveva sempre bisogno del
contatto visivo per parlare alla gente, con il suo piglio da ex soldato.
Povera Rose,
aveva pensato Lily.
Lui continuava a esaminarla, con il più rassicurante degli
sguardi: “ci vuole tempo, il tempo guarisce tutto. So che
è una frase a dir poco scontata, ma è vero.
Guarda me. Dopo essere rientrato dall’ Afghanistan,
anch’io pensavo bene o male le stesse cose.”
Lei aveva alzato gli occhi su John, in imbarazzo. Come poteva
paragonare la sua esperienza a quella di Lily? Quella di John era
estremamente più grave, e lui in Afghanistan c’era
stato tre anni, prima di rientrare per la ferita alla spalla.
Lily aveva annuito, non del tutto convinta. Ma si fidava ciecamente di
quello che diceva, della sua saggezza innata, che sembrava scaturire
sempre al punto giusto e sapeva sempre dove lenire, dove curare, dove
incoraggiare.
Aveva riabbassato lo sguardo sul lettino, tracciando piccoli cerchi con
il dito sulla carta.
“Sherlock dov’è?” aveva
chiesto piano, puntando di nuovo lo sguardo su John.
Lui l’aveva guardata, e un accenno di sorriso si era aperto
sulla sua bocca.
“È al telefono con Lestrade, tra poco
arriverà”. Aveva uno sguardo divertito, che aveva
messo Lily in imbarazzo: “Smettila” aveva
borbottato verso John, non riuscendo a trattenere un sorriso.
“Io? Cosa ho fatto?” aveva riso di nuovo
“i cavalieri non abbandonano mai le principesse, stai
tranquilla.”.
Lily era diventata rossa, suscitando un’altra risata di John.
“John, ho detto basta!” aveva riso anche lei,
tirandogli un rotolo di garza “che stronzo!”
John aveva ripreso contegno ed era diventato serio tutto a un tratto:
“Ora sei qui, e noi siamo con te. Nessuno ti lascia sola,
Lily. Sappilo. Quello che è successo è stato un
errore di calcolo, una sfortunata coincidenza, chiamala come vuoi. Ma
ora, più che mai, devi capire una cosa: tu una famiglia ce
l’hai e siamo noi. Dicci sempre tutto,
com’è giusto che sia”.
All’improvviso aveva spalancato gli occhi, alzando un dito in
aria: “Ah, quasi mi scordavo!” si era frugato in
tasca “avrei voluta dartela subito, ma poi mi è
passato di mente”.
Le aveva preso la mano delicatamente e ci aveva posato dentro qualcosa.
Al contatto con la sua pelle, Lily aveva trattenuto il respiro. Aveva
aperto piano la mano e sul suo palmo c’era il ciondolo del
giglio, con la sua catenina aggiustata. Era più bello,
splendeva.
“L’abbiamo fatta riparare e lucidare”
aveva detto piano John sorridendo, mentre Lily si rigirava la catenina
tra le mani, mordendosi piano il labbro inferiore “ora
è di nuovo con te, l’avevi sempre addosso, sembra
essere importante. Un giorno mi racconterai anche la storia di questo
bel ciondolo” le aveva strizzato il polso leggermente, e lo
teneva con delicatezza. Si erano guardati per un momento e Lily aveva
sorriso, piena di gioia: “Grazie” aveva sussurrato,
e si era fermata “io…non..”
“Tranquilla” aveva risposto John in fretta
“un grazie è più che sufficiente,
l’importante è che sia tornata dal legittimo
proprietario” le aveva fatto l'occhiolino.
Lily avrebbe voluto tanto abbracciare John, ma era troppo lontano e
sinceramente, erano conversazioni troppo intime, troppo confidenziali.
Per ora andava bene così, non erano in uno sceneggiato
americano, questa era la vita vera.
“Quando potrò farmi una doccia?” aveva
chiesto lamentosa Lily per alleggerire l’atmosfera
“non ce la faccio più ad avere questa roba
addosso. Puzzo e mi sento sudicia”. Intanto si era allacciata
la catenina al collo e sentiva come la sensazione che almeno una cosa
fosse tornata al suo posto.
“Le docce sono in fondo al corridoio, non dovrebbe esserci
nessuno a quest’ora. Vai a lavarti, e manderò Mary
a portarti biancheria e vestiti puliti”. John le aveva indicato la direzione.
Lily aveva sorriso e si era incamminata verso le docce, un ambiente
bianco, sterile. Illuminato da luci calde, non era proprio accogliente,
ma per Lily andava bene lo stesso. Bastava che ci fossero acqua calda e
sapone. Per il resto, poco male.
//
Si era spogliata in fretta, mentre faceva scorrere l’acqua.
All’improvviso il suo riflesso nello specchio sopra ai lavabi
aveva attirato la sua attenzione, facendola bloccare. Era troppo magra,
le costole le si vedevano una a una, e il torace era cosparso di lividi
violacei. Dove non c’erano ematomi aveva la pelle bianca,
tendente al giallastro per il poco nutrimento e il buio perenne. Le
braccia erano minuscole, piene di lividi a forma di dita e il suo seno
quasi non si vedeva più. Le erano salite le lacrime agli
occhi, fino a quando la sua immagine le era apparsa sfocata allo
specchio. Era brutta, era orribile. Aveva la faccia tormentata da
lividi e tagli, le guance erano incavate e facevano risaltare ancora di
più gli occhi, che già erano grandi per natura.
Le labbra erano quasi bianche, screpolate, e un taglio rosso vivo
attraversava il labbro inferiore, come uno sfregio. Sembrava un alieno,
o una persona che stava per morire. C’era mancato poco,
certo. Ma la sua adesso era mera, stupida, semplicissima
fisicità. Non
riusciva a guardare la sua immagine allo specchio.
Come avrebbe potuto un uomo volerla, prima o poi? Come avrebbe potuto
un uomo amarla sinceramente, vedere il suo corpo nudo, pieno di
cicatrici scure e reputarlo bello. Si sentiva un frutto ammaccato
caduto dall’albero, che stava marcendo al sole. Era sicura
che puzzasse anche dentro. Era brutta, era orribile. Come faceva la
gente a sorriderle? Forse per pietà. Come poteva far
interessare qualcun altro a lei, quando era guasta dentro e fuori? Come
poteva amare e farsi amare di nuovo? Come poteva pensare a una cosa
così insignificante, in quel momento? Era viva, era salva.
Ma non riusciva a farne a meno. Il suo aspetto esteriore rifletteva
esattamente come si sentiva dentro. Triste, ridotta in macerie, brutta,
dilaniata. Aveva nascosto il viso tra le mani, piena di vergogna.
“Lily?” una voce maschile, fuori dalla porta,
attutita dalla porta
“Chi è?” aveva risposto Lily, con la
voce che tremava per le lacrime, il freddo e la tristezza.
“Sono Sherlock” aveva aggiunto la voce attutita dal
legno, con tono ovvio.
“Non entrare!” aveva esclamato lei subito, nel
panico più assoluto.
“ Immagino
tu abbia chiuso la porta…o no?” aveva chiesto
perplesso.
A Lily sembrava di sì, adesso non ricordava accidenti, cosa
voleva Sherlock adesso?
“Mi pare di sì, ma tu tieni la porta
chiusa” aveva ribadito.
Silenzio.
“Ehm…sì. Ma perché, sei
nuda?”
Oh mio Dio
aveva pensato Lily, guardando il soffitto esasperata: “La
doccia non la faccio vestita sai??!”
Altro silenzio. Lily avrebbe cominciato a urlare tra
3….2….
“Comunque Mary mi ha detto di portarti i vestiti, come
facciamo?”
“Lasciali fuori dalla porta!” aveva risposto Lily,
sempre più imbarazzata e infreddolita.
“Ma potrebbero rubarli, è possibile sai? Una
volta, in un caso che seguivo…”
No. No. NO.
Lily si era precipitata verso la porta e l’aveva aperta
leggermente, facendo spuntare solo la testa, e subito dopo un braccio
nudo, facendo intravedere la curva esterna del
“seno”: “Dammi i vestiti” aveva
aperto e chiuso la mano, per enfatizzare il concetto.
Sherlock l’aveva guardata, confuso: “Ma scusa, sei
nuda, ma ce l’hai un minimo di decenza??”
Lily l’aveva guardato, sgranando gli occhi.
Sherlock continuava a guardarla, la sua domanda persa negli occhi
spalancati di Lily. Rendendosi poi conto della situazione, aveva prima
guardato per aria, poi per terra, poi di nuovo Lily, la cui faccia non
faceva presumere nulla di buono: “Oh beh sì certo,
ecco i vestiti” glieli aveva passati, poi l’aveva
guardata di nuovo e con tono saccente, guardandola dall’alto
in basso, aveva esordito “non dovresti stare così
tanto senza vestiti, sai. Fa freddo”.
Con un gemito esasperato, Lily aveva chiuso la porta in faccia a
Sherlock, non potendo più sopportare un secondo di
più quella conversazione senza senso. Lei era piena di pudore.
Sprizzava pudore
da tutti i suoi stramaledettissimi pori. Era talmente tanto che si
sarebbe messa un lenzuolo addosso, tipo i bambini che si travestono da
fantasmi a Halloween.
Altro silenzio, ma Lily non sentiva passi allontanarsi.
“Beh…. PREGO
COMUNQUE!!!” aveva urlato Sherlock da dietro la
porta, facendo sobbalzare Lily.
“ GRAZIE
SHERLOCK, SCUSA MA ORA VADO A FARE LA DOCCIA, O IL MIO SENSO DEL PUDORE
POTREBBE PRENDERE FREDDO!!” aveva urlato di
rimando. A quel punto aveva sentito il sospiro sdegnato di Sherlock e i
passi allontanarsi.
Lily aveva quasi scaraventato i vestiti puliti per terra, ma si era
fermata in tempo. Un uomo impossibile, veramente senza speranza. Una
persona la doccia se la fa nuda. Lui se la faceva vestito forse?
Scuotendo la testa si era finalmente diretta sotto il getto della
doccia, sospirando di sollievo e piacere, mentre si insaponava i
capelli. Preoccupata si era guardata la mano: parecchi le erano caduti
solo facendo lo shampoo.
Pensava ancora a Sherlock; ma che razza di persona. Mister Pudicizia.
Ma aveva mai visto una donna nuda? Pensava proprio di sì,
almeno lo sperava per lui. Chissà se faceva le cose che gli
uomini nudi normalmente fanno davanti allo specchio: gonfiare i
muscoli, osservare se avevano messo su pancia, fare le facce ridicole,
e altre cose sconvenienti che Lily trovava veramente stupide.
Perché pensava a Sherlock nudo? No. Lei non pensava a
Sherlock nudo, lei pensava che faceva le stesse cose che fanno tutti i
maschi. O forse no, si spogliava solamente e si infilava sotto la
doccia, sapendo già di essere perfetto, non aveva bisogno
del riflesso dello specchio per la conferma.
Perfetto poi,
aveva pensato Lily strofinandosi vigorosamente le braccia forse piacente, ma non perfetto.
Certo era in forma, lei lo aveva visto senza cappotto e giacca e le
camicie che metteva facevano comunque risaltare un fisico asciutto,
scolpito. A volte i bottoni tiravano un pochino, perché
forse era troppo muscoloso. O forse perché era un narcisista
e si comprava le camicie più strette per fare bella figura.
A colazione aveva sempre una maglietta sdrucita e un paio di pantaloni
della tuta che non si curava di stringere in vita; pensava di
nascondere tutto con la vestaglia, ma i peli della pancia che sbucavano
dai pantaloni abbassati Lily li aveva visti eccome. Assumeva sempre
pose strutturate, eleganti, che lo facevano apparire affascinante anche
senza parlare. Mai un capello fuori posto, le mani sempre curate, mai
un filo che pendeva, un bottone allentato, le scarpe sporche o non
lucide. Ci teneva all’aspetto, forse per facilitare anche il
suo lavoro. Ecco perché all’inizio Lily aveva
pensato fosse gay. Ma poi l’aveva visto fare domande alle
testimoni donne e tirava fuori uno charme e un atteggiamento
rassicurante che le faceva diventare creta morbida tra le sue mani, e a
quel punto poteva anche farsi rivelare il loro numero di conto corrente
o la combinazione di una cassaforte.
Lily aveva pensato a tutto ciò sotto il getto caldo della
doccia, non accorgendosi del tempo che passava. Aveva aperto
all’improvviso gli occhi, vergognandosi di essersi soffermata
così tanto sui particolari di Sherlock Holmes, lo snobbone
pudico, ed era uscita dalla doccia. Mentre si asciugava davanti allo
specchio, aveva sbuffato, scocciata. Ora si sarebbe dovuta sorbire il
broncio di Sherlock. L’aveva appena salvata da una situazione
mortale e già faceva polemica? Ma che noia!!
//
Sherlock proprio non capiva Lily, proprio non ci riusciva. Era pur vero
che non aveva visto nulla, se non un braccio nudo, ma insomma! Sapeva
già che se lo avesse raccontato a John, lo avrebbe preso in
giro, accusato di esagerare come al solito e di essere misogino. Ma che
ci poteva fare se lui era così? Le
donne….perlopiù esseri volubili, senza offesa.
Erano così malleabili a volte. Lo sapeva bene lui, bastava
niente per farsi dire cose importanti. Eppure non faceva
chissà che, se n’era accorto da solo. Sorrideva un
po’, usava un tono basso di voce, qualche complimento
insincero buttato a caso e loro si aprivano come margherite a primavera
nella loro frivolezza, e il gioco era fatto. Questo non voleva dire che
lui non rispettasse il genere femminile, solo che lo trovava
così intuitivo. Quando si trattava di lavorare, era fin
troppo facile.
Lily invece era… era così pacata ma allo stesso
tempo aggressiva, e sempre pronta a rispondere a tono. Non si faceva
incantare da nulla, se le chiedevi un favore in maniera normale ed
educata era ben felice di accontentarti. Ma se provavi la lusinga, su
di lei non attaccava. Si imbarazzava con uno schiocco di dita, o
perché ci si soffermava troppo con lo sguardo su di lei,
salvo poi aprire la porta consapevole di essere nuda, anche se
c’era una lastra di legno a separarli. Bastava una sguardo
per farla balbettare, ma alla prima parola fuori posto o che non le
andava a genio, era pronta a balzare in avanti come una leonessa
inferocita. Era un vortice di contraddizioni. I suoi pensieri dovevano
rimanere puri, razionali. Ma diamine, lei gli faceva saltare i nervi
come il dottor Watson. Povero lui, aveva trovato
l’equivalente di John in gonnella.
E poi quello sguardo. Quello sguardo che le aveva lanciato da sopra la
spalla di John, poche ore prima. Quegli occhi che lo avevano tirato
fuori dalla sua zona sicura, pieni di buio ma allo stesso tempo
luminosi. Cosa volevano dirgli? Grazie, forse? La storia del cavaliere.
Sherlock aveva scosso la testa, frustrato. Quella Lily. Gli stava dando
filo da torcere, ne era consapevole. Ma era anche consapevole del fatto
che lo faceva senza accorgersene, era lo specchio del suo sentirsi a
suo agio con lui. Ogni persona ha il suo modo di porsi con le altre. E
quello di Lily era quello di esasperarlo, semplicemente. O era lui che
esasperava lei?
“ Non
c’è niente che non vada in me”
aveva pensato, come al solito.
//
Lily si era asciugata alla bell’e meglio i capelli, che si
rivoltavano verso di lei come serpi ammattite; li aveva lisciati con le
mani, ottenendo un po’ più di disciplina. Ma
sembrava comunque una pazza. Aveva le guance rosse per
l’acqua calda e per essersi strofinata troppo con la spugna.
Si era infilata i jeans, che le calavano sui fianchi. Ed erano i
più stretti che aveva; poi aveva preso quello che doveva
mettersi sopra ed era trasalita: era il maglione di Natale, quello blu
oltremare che le aveva regalato Mary. Se l’era infilato e per
poco non ricominciava a piangere. Addosso le stava largo, le maniche le
arrivavano sotto le nocche, per via delle spalle smagrite. Le stava
addosso come un palloncino sgonfio, ed era terribile. Quel maglione,
che lei amava così tanto, che aveva considerato un regalo
bellissimo, una nuova possibilità, si stava ribellando a
quello che ora era il suo corpo. Lo specchio della paura. Aveva sentito
le lacrime salirle in gola, ma le aveva ricacciate indietro: avrebbe
sorriso, nonostante tutto.
Era uscita dai bagni, mettendo i vestiti vecchi in una busta; non
sapeva se buttarli o lavarli. La felpa che le aveva dato Kaleb
l’aveva già gettata in un cassonetto per strada.
Aveva percorso il corridoio, piano, molto lentamente. Ripensava alla
sua immagine nello specchio, al maglione che sembrava un brutto
scarabocchio su di lei. Non aveva mai prestato troppa attenzione al suo
aspetto esteriore. Ma quello che aveva visto riflesso non era il suo
essere, non si era mai vista così. Forse era stata pure
peggio, ma non c’era mai stata una superficie riflettente a
sbatterglielo in faccia. Si vergognava, non voleva essere brutta.
“ Che
ragionamenti infantili” aveva pensato tra
sé, ma non riusciva a fermarli. Era arrivata davanti alla
porta della stanza, dove sentiva le voci di John, Sherlock e Mary. Entrando, si erano tutti girati contemporaneamente verso di lei. E
là Lily l’aveva visto: il lampo di paura e
sorpresa negli occhi di Mary, con un leggero accenno delle
sopracciglia. Lo aveva visto a rallentatore. Lo sguardo di John che si
era abbassato per pochi secondi, in maniera non del tutto casuale. Ma
sorridevano leggermente, per non far vedere quello che Lily aveva
chiaramente osservato. Sherlock invece l’aveva guardata dal
basso verso l’alto, scrutandola come al solito. Lily aveva
oscillato le braccia, dondolandosi sui talloni in visibile imbarazzo
esclamando: “Ed ora entrino gli scheletri
danzanti!” aveva riso forzata, alzando le braccia e
agitandole.
Mary e John avevano riso subito dopo di lei, impacciati a loro volta.
Lily si era fermata, guardando il pavimento, cercando di trattenere le
urla e le lacrime che lottavano per uscire da lei. Sherlock continuava
a guardare, guardare, guardare. Ma cosa diavolo voleva da lei? Un
rigurgito di rabbia dal sapore amaro le era salito in bocca.
Mary era avanzata verso di lei, mettendole una mano sulla spalla:
“Vuoi mangiare qualcosa, tesoro? possiamo fermarci dove vuoi,
ci sono ancora tanti posti aperti. Un bel pasto sostanzioso, che
dici?”
Sherlock aveva detto con molta calma e con un’aria
indecifrabile: “Ce ne vorranno più di uno, questo è sicuro”
un leggero sorrisetto era apparso al lato sinistro della bocca, poi
aveva aggiunto “ma quello è lo stesso maglione che
avevi a Natale?” aveva strizzato gli occhi, dubbioso.
In quell’istante, qualcosa dentro Lily si era rotto e lei ne
aveva sentito la vibrazione, nettamente. Come un osso, come un pezzo di
legno. Qualcosa dentro di lei era andato in pezzi, in quel preciso
momento. Aveva alzato lo sguardo, gli occhi lampeggianti di lacrime.
Senza dire niente, si era avvicinata e senza pensarci aveva tirato la
mano dietro la sua testa e l’aveva fatta atterrare sulla
guancia di Sherlock, provocando un vigoroso schiocco secco.
Nella stanza aleggiava un silenzio pesante come un asciugamano bagnato.
John aveva allacciato le mani dietro la schiena e guardava per terra,
muovendo la bocca impercettibilmente. Mary si era portata le dita della
mano sinistra davanti la labbra, ed era ancora lì immobile,
lo sguardo che saettava da Lily a Sherlock e viceversa.
“Tu…” aveva cominciato Lily con voce
tremante e flebile “dimmelo… TU ce
l’hai un maledetto cuore? Mi sono già vista. So
già che sono orribile. Non c’è altro da
aggiungere, ma te devi sempre avere l’ultima parola,
giusto?” aveva alzato la voce “proprio non ci
arrivi, giusto?”.
Lily non voleva piangere, non per una cosa del genere. Ma non sapeva
come, non riusciva a fermare la pioggia di lacrime che le rigavano il
viso. Una vera pioggia di lacrimoni che le rotolavano lungo le guance,
che cadevano a terra facendo rumore. L’avesse detto Kaleb,
l’ avesse detto l’infermiera, l’avesse
detto Dio in persona, non le sarebbe importato. Ma Sherlock no, proprio
no. Non poteva spingersi così oltre, non ne aveva il
diritto. Non aveva il diritto di calpestare così il suo
cuore, le sue emozioni. Perché lui l’aveva
salvata, lui era il cavaliere. E non poteva, non doveva comportarsi
così. Lo guardava, mentre lui lentamente riportava la testa
alla sua posizione iniziale. Stranamente rivolgeva lo sguardo in basso,
e si era portato la mano alla guancia schiaffeggiata dove facevano
bella mostra cinque impronte di dita rosso acceso. Si massaggiava la
guancia senza dire una parola, con le sopracciglia corrugate, sempre
con lo sguardo per terra, fisso sul pavimento di finto parquet beige.
Lily si era allontanata da lui, senza proferire parola. Già
si era pentita di averlo schiaffeggiato. Lei non poteva arrogarsi il
diritto di mettergli le mani addosso. Ma era stato tutto automatico, un
grido di amarezza, tramutato in forza fisica. Ma stavolta non avrebbe
chiesto scusa subito. Forse domani, forse tra una settimana, non lo
sapeva. Ma sicuramente
non quella sera.
Si era asciugata il viso, e si era rivolta a John e Mary:
“Effettivamente ho una bella fame da lupi. Dove si
può andare?”
Mary, risvegliata dalle parole di Lily, aveva cominciato a elencare una
miriade di posti, prendendola sottobraccio e portandola fuori dalla
stanza parlando senza sosta.
John continuava a guardare per terra, stavolta con le mani in tasca.
Dondolava piano sui talloni, come aveva fatto Lily poco prima, ma lui
non lo faceva per l’imbarazzo. Lo faceva per contenere la
rabbia. Aveva alzato il viso e lo aveva rivolto a Sherlock, che
continuava a massaggiarsi la guancia stretto nel suo cappotto, come un
pipistrello avvolto nelle sue ali rigide.
“Dovevi proprio?” erano state le prime parole di
John “non sei proprio riuscito a resistere”.
Sherlock lo aveva guardato: “Forse è meglio che
vada a casa”.
John in tre passi lo aveva raggiunto, mettendo il suo viso a pochi
centimetri da quello di Sherlock e aveva sibilato: “No, tu
verrai invece. Così potrai osservare come mangia una persona
digiuna da giorni”.
Il suo tono non ammetteva repliche, e Sherlock lo sapeva bene.
“Chi tace acconsente” aveva mormorato John
“ma tacere non sempre è così facile,
vero?” lo aveva guardato a lungo, poi scuotendo la testa si
era avviato fuori dalla stanza, fermandosi sulla soglia, aspettandolo.
Sherlock aveva tirato su il bavero del cappotto e si era avviato verso
l’uscita insieme a John.
//
Alla fine erano andati in un fastfood, niente di particolarmente esoso
e particolare. Lily stava morendo di fame, e mentre addentava il suo
doppio hamburger, John le aveva raccomandato di mangiare piano,
sennò si sarebbe sentita male. Ma aveva troppa fame, e senza
tanta eleganza aveva azzannato il suo panino, mugolando al primo
boccone. Il cibo, che cosa straordinaria. Sherlock era seduto di fronte
a lei ma spostato di una sedia; davanti c’era Mary, e John
era accanto a lei che la guardava divertito mentre mangiava come una
bambina entusiasta. John aveva lanciato un’occhiata a
Sherlock, che continuava a guardare il tavolo con le mani incrociate,
come in preghiera. Non sapeva cosa pensare. Era arrabbiato? Si
vergognava? Cosa diavolo gli passava per la testa? La sua
capacità di moderazione pari a zero non smetteva mai di
stupire John.
Guardava Mary che parlava con Lily, mentre sorseggiava un
caffè, e si sarebbe sentito sereno se lui non se ne fosse
uscito con l’ennesima sparata da bastardo. Lily mangiava con
gusto, forse troppo veloce, forse troppo euforica per sembrare un
sentimento genuino e reale; il sorriso le era tornato in viso mentre
guardava le foto di Rose sul telefono di Mary. Poi, chissà
cosa passava per la testa pure a lei. Come si sentiva, come stava. Si
sentiva ferita, questo era ovvio. Ma poi cos’altro? Se lei
non avesse chiesto aiuto a nessuno di loro, avrebbe dovuto lavorare su
tutta questa situazione, su tutti i suoi demoni, da sola. E questo
spaventava parecchio John.
“Lily, così ti verrà il mal di stomaco,
vai piano!” aveva riso di nuovo, scacciando per un momento
quei cattivi pensieri.
“Ma è così buoooonoooo”
diceva Lily lamentandosi “dai, non fare il
guastafeste!” aveva fatto una linguaccia a John, che aveva
risposto a sua volta.
“Non dire che non ti avevo avvertito, poi”
l’aveva ammonita, sorridendo.
Sherlock sentiva tutto, e vedeva anche grazie alla sua vista
periferica. La guancia bruciava ancora, le impronte della dita erano
sfumate in un rosa chiaro, ma diavolo se bruciava. Gli aveva assestato
un ceffone a regola d’arte. Non voleva essere lì,
voleva solo andare a casa, bere un the e andare a dormire. Era John,
era sempre lui a farlo sentire così. Ma cavolo, lo sapevano
che non aveva peli sulla lingua, ancora non aveva imparato nessuno? Ma
forse c’era qualcosa di più profondo stavolta,
qualcosa che lui stranamente non era riuscito a carpire. E rifletteva
su quello in quel momento,sui modi di ferire le persone portando a
galla ricordi suoi, ricordi di altre persone, ricordi di John. Pensava,
pensava e non si fermava mai. Sembrava che gli andasse in fumo il
cervello. Sentiva le loro voci, ma non quello che dicevano, che
esprimevano. Era troppo concentrato.
“Aaaah ora mi sento molto meglio” aveva detto Lily
stiracchiandosi e portando le braccia sopra la testa “ci
voleva proprio” aveva annuito soddisfatta, massaggiandosi la
pancia con aria buffa. Mary aveva riso, seguita da John.
“Devi rimettere su peso” aveva detto John
“ starai bene presto, vedrai”.
Lily aveva abbassato lo sguardo sul tavolo, nella sua testa sprazzi del
suo corpo nudo riflessi nello specchio; aveva semplicemente annuito,
sorridendo leggermente.
Mentre uscivano dal fastfood, John le si era avvicinato e aveva detto
piano: “Vuoi dormire da noi stasera? Sai che non ci sono
assolutamente problemi” le aveva sorriso.
Lily aveva stretto piano il braccio di John: “Ti ringrazio,
ma non ce n’è bisogno. Sto bene; arrivata a Baker
Street, mi lavo i denti e vado a letto; ho bisogno di dormire un
po’”.
“Va bene, se lo vuoi tu. Noi prendiamo la macchina, tu e
Sherlock tornate in taxi”.
Lily aveva alzato gli occhi al cielo, scherzosa. John le aveva dato la
buonanotte, Mary pure e si erano divisi. Il taxi aspettava, Sherlock
già posizionato sul sedile. Lily era salita, e il tassista
aveva detto: “dove si va, signorina?”
Lily aveva guardato Sherlock per una frazione di secondo, poi aveva
riferito al tassista: “221b di Baker Street,
grazie”.
//
Il viaggio in taxi era stato silenzioso. Sia Lily che Sherlock sedevano
dalla parte opposta del sedile, ognuno a scrutare fuori dal finestrino.
Lily, attraverso il riflesso del vetro, osservava Sherlock. Il viso
poggiato su una mano, la postura rigida. Ogni volta che si fermavano a
un semaforo, guardava avanti a sé, finché non
ridiventava verde; a quel punto, tornava alla posizione iniziale. Lily
aveva guardato le sue gambe per qualche secondo sentendosi, nonostante
tutto, in colpa. Non le piaceva trattare male le persone; non le
piaceva essere irrispettosa. Guardava l’ammasso di riccioli
neri di Sherlock e si chiedeva perché, però, lo
scrupolo se lo facesse solo lei. Era la prima volta che schiaffeggiava
una persona. Aveva malmenato, e pure parecchio a causa della droga, ed
era stata a sua volta picchiata. Dagli spacciatori, dai ladri. Ma lei
di proposito non aveva mai alzato una mano su nessuno, se non per
difendersi. Ma nel momento in cui aveva schiaffeggiato Sherlock era
riuscita a pensare solo a quello, era stato uno stimolo irresistibile,
forse un modo di proteggere se stessa, e se ci pensava ancora sentiva
il bruciore sulla mano, la sensazione della pelle di Sherlock sulla
sua. Era fredda, glaciale, come l’anima che vi risiedeva
dentro. Aveva sospirato piano, e aveva pensato che chiedere scusa non
sarebbe servito. E sinceramente, non voleva neanche. Non pretendeva che
Sherlock sapesse esattamente come si sentiva, ma lui che si vantava di
dedurre tutto, era stato inopportuno su un argomento così
delicato, così fragile. Soprattutto a poche ore dal suo
salvataggio, a poche ore dalla fine dell’inferno che avevano
provato tutti quanti, non solo lei. Scuotendo la testa, era tornata a
guardare fuori dal finestrino, facendosi andare in fumo il cervello per
trovare un appiglio, una giustificazione a quello che era successo
quella sera.
Nel frattempo, erano arrivati a Baker Street e Sherlock, dopo aver
pagato di gran fretta il tassista, era sceso dalla macchina con in mano
già le chiavi di casa. Voleva sbrigarsi, voleva tornare a
casa e rinchiudersi in camera probabilmente. Voleva rifugiarsi dietro
quella porta chiusa, che era la sua mente e il suo cuore. Lily si era
sorpresa di pensarla allo stesso modo. Voleva chiudersi dentro la sua
stanza, dentro sé stessa, mettere un qualcosa di fisico e
materiale tra lei e Sherlock. Pensare a quello che era successo e a
quello che sarebbe successo, soprattutto. Saliva le scale dietro a
Sherlock, fissando l’estremità del suo cappotto
che oscillava ogni volta che saliva un gradino. Arrivati dentro casa,
aveva appeso il soprabito dietro la porta e si era diretto subito in
corridoio, verso la sua camera, senza proferire verbo. Lily era rimasta
al centro della stanza osservando bene l’appartamento, tutto
ciò che aveva lasciato e aveva ritrovato. Aveva sorriso
leggermente, sentendosi sollevata. L’odore era sempre lo
stesso: legno, polvere, e un piccolo accenno di formaldeide che
Sherlock usava per preservare i suoi esperimenti. Si era girata verso
la cucina, e il microscopio era lì. Senza vetrini, senza
niente attorno. Come se fosse stato sospeso, fermo. A quel punto, aveva
cominciato a farle male lo stomaco. Avrebbe dovuto dare retta a John,
decisamente. Man mano che il tempo passava, il dolore era sempre un
po’ più forte, così Lily si era lavata
i denti e stesa sul letto, sperando che il dolore si affievolisse un
minimo. Guardava il soffitto, e il lampadario, e sentiva le palpebre
sempre più pesanti; se fosse riuscita a dormire, forse il
dolore sarebbe passato da solo.
Siringhe. Polvere bianca
e cucchiai riscaldati; limone e poi..poi era finito tutto, bisognava
trovare i soldi. Il negozio di liquori, la crisi di astinenza, il
taglierino smussato in una mano. Le minacce, il rifiuto, la rabbia e un
sapore metallico in bocca. Il salto sul bancone,
l’atterraggio sul proprietario e poi la sua mano che sferrava
un colpo netto alla laringe troppo profondo, forse aveva preso anche le
corde vocali, non sapeva. Vedeva solo sangue e gli occhi sbarrati
dell’uomo che si teneva la gola con una mano, mentre tendeva
l’altra verso di lei. Kaleb aveva preso i soldi, gridando
guarda che hai combinato, stupida troia. Scappiamo, la polizia
starà già arrivando. E lei era coperta di sangue,
e ci era scivolata sopra, ed era scappata nel buio della notte. Poi
l’acquisto, e la droga e le botte per quel gesto
sconsiderato, la violenza. Vedeva le stelle dentro i suoi occhi; ma non
sapeva se erano quelle vere su nel cielo, o quelle nate dai colpi. Il
viso di Kaleb deformato dalla rabbia, un coltello puntato alla gola, la
prossima volta che ci esponi così io ti ammazzo, ti ammazzo
hai capito? Aveva la schiuma alla bocca, come un cane rabbioso, le
pupille piccole e nere. Non si muoveva, mentre Kaleb le iniettava il
veleno nelle vene. Adesso starai meglio, anche se non te lo
meriteresti. Schiaffo. Urlo. Urla! Urla! Non sente nessuno!!
Lily aveva spalancato gli occhi, nell’oscurità di
Baker Street, un bagno di sudore, le lenzuola attorcigliate intorno al
suo corpo. Si era seduta sul letto senza neanche accorgersene. Aveva
tirato su le ginocchia abbracciandole, appoggiando la testa sulle
braccia e gemeva piano, spaventata e tremante.
Aveva sentito un cigolio e la luce fievole del corridoio era entrata
nella sua stanza, somigliava a una lama. Aveva aperto leggermente gli
occhi e aveva riconosciuto l’ombra di Sherlock, la sua
vestaglia e i suoi ricci disordinati.
“Stavi urlando” aveva detto con tono ruvido
“incubi?”
Lily aveva annuito, senza alzare il viso dalle sue braccia. Non voleva
guardarlo, non poteva farcela ora. Quegli occhi grigi
l’avrebbero trapassata e ora non ce la faceva proprio, non
avrebbe potuto resistere a quella colata di acciaio bollente.
“Stai male?” aveva continuato a chiedere, sempre
calmo, sempre profondo, sempre Sherlock.
Di nuovo sì, con la testa. Poi un fantasma di voce, un
lamento che proveniva dalla sua gola “Ho mal di
stomaco”.
“Vuoi un the, o una camomilla? Potrebbe farti bene”
quella voce apriva il cuore di Lily in due.
“No, grazie” aveva sussurrato
“passerà da solo, ho mangiato troppo”. La testa sempre lì,
Lily si era intimata da sola, non
guardarlo. O i pezzi saranno troppo piccoli da raccogliere, dopo.
Un momento di silenzio, l’ombra di Sherlock immobile, la mano
appoggiata sulla maniglia della porta. Troppo silenzio, che
però faceva un baccano infernale.
“Ti chiedo scusa” aveva mormorato Sherlock
“dal più profondo del cuore”.
Lily aveva sbarrato gli occhi, il fiato sospeso. Le stava chiedendo
scusa, non poteva crederci. Sentiva formarsi un nodo alla gola, sempre
più stretto.
“E non sei orribile, Lily. Non dirlo
più” aveva aggiunto, con tono monocorde.
A quel punto il nodo si era sciolto e Lily aveva cominciato a piangere
forte, con singhiozzi sconquassanti, che le facevano tremare il corpo
da cima a piedi. Si lamentava e piangeva e singhiozzava, come non aveva
mai fatto. Era come buttare fuori tutto lo schifo, il dolore, una
specie di materia nera e viscosa che si era appiccicata al suo corpo.
Quanto buio vedeva ancora davanti a sé. Ma forse, se avesse
pianto per giorni interi così, sarebbe tornata normale. Ma
non si poteva. Non poteva. Sarebbe stato come dimenticare tutto. Era un
palliativo, ma per adesso andava bene.
Sherlock era ancora lì, immobile. Era pietrificato dalla
potenza del pianto di Lily, dal fatto di averlo scatenato con poche
parole che in quel momento reputava veramente sincere,
perché un uomo che si rispetti deve chiedere scusa quando
è necessario. E le sue gambe non si muovevano, non ci
riuscivano. Le sembrava così piccola su quel letto, un
pulcino bagnato. Quel corpo fragile che veniva scosso dai singhiozzi
come scariche elettriche. Sherlock aveva visto poche volte questo tipo
di dolore. Pochissime, anzi. E non voleva riportarle a galla. Lei non
poteva vedere la sua faccia ma era immobile anche quella,
l’espressione scolpita nei suoi tratti. Se non avesse smesso,
cosa avrebbe potuto fare? Neanche John sarebbe stato d’aiuto,
ora. O forse sì. Perché John sapeva abbracciare
le persone, sapeva circondarti le spalle con un braccio e cullarti
finché non ti addormentavi stremato. John sapeva
cos’era un contatto umano. Sherlock aveva stretto la maniglia
della porta, e voleva imporre al suo corpo di provare a toccare Lily,
ad abbracciarla, rassicurandola. Capire cosa si poteva provare a
consolare una persona, a essere mentalmente aperto per una volta sola.
Ma non si muoveva, il suo corpo rimaneva immobile. Poteva solo
assistere a quella scena di disperazione e lacrime, senza poter dire o
fare niente.
Lily sentiva la testa leggera, mentre continuava a piangere, sempre
più piano, come un giocattolo che lentamente esaurisce le
batterie. Lo stomaco la stava facendo impazzire, era come se tanti
coltelli le trafiggessero il ventre. Si era chiesta se vomitare sarebbe
stato utile, ma non riusciva a muoversi. Voleva stare lì, un
pezzo di carne tremante, finché non fosse finito tutto. La
lama di luce era ancora lì, e Sherlock anche. Era il suo
modo di consolare, quello? Continuava a non volerlo guardare in faccia.
Sarebbe stato troppo bello, troppo rigido, troppo Sherlock per lei,
ora. Non poteva guardare quel viso perfetto, senza un graffio o un
livido, con la pelle bianca e liscia e gli zigomi alti. Non poteva, non
poteva proprio.
Ma allo stesso tempo, avrebbe voluto le sue braccia intorno a lei, la
sua voce profonda nei suoi capelli, che la rassicurava. Se lei era in
questo letto, in questa casa finalmente, era merito suo e di John.
E allora perché sentiva questo tira e molla infernale dentro
la testa, come se due Lily litigassero tra di loro.
Consolami!
No, non farlo.
Abbracciami!
No, non farlo.
Guardami!
No, non farlo.
Fai qualcosa!
Non saprei. Non ci
riesco. Ho paura.
“Puoi andare Sherlock” aveva mormorato Lily
“scusami, non volevo farti preoccupare, ora sto
bene”.
Sentiva l’esitazione di Sherlock, il suo non crederle.
“Sei sicura?” aveva risposto lui, titubante.
“Sì” Lily aveva annuito, sempre con gli
occhi fissi sul materasso.
“Va bene. Hai il telefono, qualsiasi cosa mandami un sms o
vieni a cercarmi”. Libero
arbitrio, aveva pensato.
Lily aveva sorriso impercettibilmente: “Grazie Sherlock, sul
serio”.
Un attimo di silenzio: “Di nulla” aveva concluso.
E la lama di luce era sparita.
Lily finalmente aveva tirato su la testa, gli occhi gonfi di pianto, e
il naso che colava. Aveva cercato un fazzoletto e si era asciugata il
viso come meglio poteva. Si era stesa di nuovo sul letto, le braccia
sopra la testa, lo stomaco che le faceva ancora male.
Ti chiedo scusa dal
più profondo del cuore.
E non sei orribile.
Lily aveva sospirato profondamente, sentendo il cuore più
leggero.
Forse Sherlock contava di più di quello che lei pensava. Lo
scambio di pensieri dentro la macchina, i confronti, le litigate, le
cattiverie. Erano tutte cose che formavano un unico nucleo che erano
lei e Sherlock. Un legame che nessun’altro poteva avere,
proprio perché siamo tutti diversi. Ferendola, lo aveva
indebolito. Chiedendole scusa, lo aveva rafforzato. Era
un’altalena, ma non era forse questa la natura
dell’essere umano? Intrecciare rapporti, spezzarli,
mantenerli?
Sentiva lo stomaco scaldarsi, in un moto dolce. Non poteva innamorarsi
di Sherlock; troppo pericoloso e sicuramente con un rischio pari al
99,9999999%.
Ci avrebbe pensato con lo scorrere dei giorni, con più calma
e raziocinio, ora era estremamente vulnerabile. Poteva innamorarsi
anche dell’autista del taxi che li aveva riportati a casa.
Aveva deciso di dormire, così aveva rimesso a posto il letto
e guardando le luci fuori dalla finestra, era caduta in un sonno
profondo e senza sogni.
//
Il mattino era arrivato. Troppo presto, secondo Lily. Voleva rimanere a
letto tutto il giorno, o perlomeno chiusa nella sua stanza per non
vedere Sherlock dopo la strana situazione della notte stessa.
Era sdraiata sulla schiena e fissava il soffitto bianco. La sola idea
di alzarsi e guardare Sherlock negli occhi la mandava in tachicardia.
Si sentiva imbarazzata e se provava a pensare a qualcosa da dire, la
sua mente rimaneva vuota. Non che Sherlock fosse un gran interlocutore,
ma anche un semplice “buongiorno”
l’avrebbe fatta arrossire fino alle orecchie. Si era premuta
il cuscino sul viso, sospirando. Non poteva stare in camera tutta la
giornata, e poi doveva fare pipì, merito della Coca Cola XXL
che si era scolata al fastfood.
Aveva tirato un bel respiro profondo e si era alzata dal letto, non
sapendo neanche che faccia avesse. Si era specchiata nella toletta che
aveva in camera. Il viso era gonfio, soprattutto sotto gli occhi, che
erano arrossati; ma pensava peggio. I lividi e il taglio sul labbro
erano sempre lì, ma su quello proprio non poteva farci nulla.
Si era infilata i pantaloni della tuta e una felpa. Lentamente aveva
aperto la porta, e lo scatto della serratura le era sembrato uno sparo.
Aveva chiuso gli occhi, nervosa, e aperto la porta. Sarebbe scesa al
piano di sotto e andata al bagno. Non ce la faceva più.
Mentre scendeva le scale, sentiva dei rumori impercettibili ma non
sapeva se attribuirli a una persona o ai normali scricchiolii che si
sentono dentro le case. Magari Sherlock era uscito e questo
l’avrebbe aiutata non poco. Avere l’appartamento
per sé e rilassarsi un attimo, senza il timore di incappare
nella sua presenza. Arrivata all’ingresso, si era affacciata
lentamente sul salone. I rumori erano cessati.
“Lily?” la voce di Sherlock era risuonata per tutta
la stanza. Lily aveva chiuso gli occhi, strizzandoli sconfitta. Era a
casa, e ora cosa faceva. Il cuore le batteva forte e sentiva il sangue
affluire alle guance e al viso.
“Lily, sei tu?” continuava a chiedere Sherlock.
A quel punto si era fatta coraggio e aveva fatto capolino in cucina,
mormorando: “Sono io, Sherlock. Scusa, non ti avevo
sentito”.
Lui era in cucina, seduto davanti al microscopio e la guardava. Era
nella sua “tenuta notturna”, con una tazza di the
accanto.
“Buongiorno” le aveva sorriso, timidamente
“come ti senti stamattina? Lo stomaco?”
Lily aveva trattenuto il fiato: cos’erano tutte queste
parole, di prima mattina poi. Di solito era intrattabile. Aveva le
occhiaie e Lily sperava che non fosse rimasto sveglio tutta la notte
per colpa sua.
“Meglio, grazie. Mi è passato del tutto. Mi sento
bene, grazie Sherlock” aveva accennato un sorriso, ma il
taglio sulla bocca le aveva tirato e le aveva fatto male “ahi”
aveva mormorato, premendosi una mano sul labbro.
Sherlock continuava a guardarla e al suo lamento di dolore aveva mosso
leggermente le sopracciglia.
“La ferita ti fa male? Ma sei sicura che non ci andassero dei
punti?” si era alzato, leggero come una piuma, facendo
sventolare la vestaglia e in meno di due secondi era davanti a lei:
“fammi vedere” aveva mormorato, con voce roca.
Lily non aveva avuto il tempo di dire “non
preoccuparti” che le mani di Sherlock le avevano circondato
il viso, tenendolo fermo. Si era avvicinato, e con il pollice della
mano destra le aveva sfiorato il labbro inferiore, tirandolo
giù leggermente. Il cuore di Lily stava per esplodere. Non
si era nemmeno lavata i denti, quindi cercava di non respirare in
faccia a Sherlock. Ma tratteneva comunque il fiato, sentendosi
estremamente in imbarazzo. Quel contatto era inusuale e Lily era
sinceramente sorpresa. Ma non perché le mani di Sherlock le
sfioravano il viso, ma proprio perché una
fisicità così improvvisa l’aveva
spiazzata. Aveva gli occhi più aperti del solito, per la
sorpresa. E guardava il viso di Sherlock, la sua pelle,
l’arco superiore della bocca che si increspava leggermente
mentre le esaminava il taglio, i suoi occhi grigi che la scrutavano.
Mormorava mentre le guardava le labbra, qualcosa che non era riuscita a
carpire. Poi i suoi occhi color metallo si erano fissati nei suoi, per
un momento. Le mani erano sempre lì, ma erano fredde: un
piacevole contatto con la pelle calda di Lily, che pensava di impazzire
in quel momento, e aveva sbattuto velocemente gli occhi. Non voleva
perdersi un secondo di Sherlock Holmes, di quell’attimo di
intimità che probabilmente sarebbe stato unico.
“Guarda questo livido qui, accidenti” le aveva
sfiorato con l’altro pollice la guancia opposta, dove
sbocciava un bel livido violetto. Lily si stava auto imponendo di non
cominciare a tremare, o di chiudere gli occhi. Cercava di essere
normale, come se fosse in visita dal dottore. Come se quelle mani che
la toccavano fossero mani estranee e non quelle di Sherlock. La
guardava nuovamente, e poi un leggero sorriso era apparso
all’angolo della sua bocca: “Niente che non si
possa risolvere”. Aveva visto i suoi denti per una frazione
di secondo, fare capolino dalle sue labbra. Lei aveva annuito
leggermente: “Meno male” la voce ridotta a un
mormorio. Sherlock era diventato serio tutto a un tratto. Lily aveva
guardato la guancia dove lo aveva schiaffeggiato: la pelle era intatta,
lattea, perfetta come sempre. Ora la stava semplicemente scrutando,
senza interessarsi alle sue ferite di guerra. Era un momento diverso,
molto teso e carico di sottintesi non necessariamente romantici, solo
molto strani. Non era disagio, non era eccitazione. Semplicemente una
cosa nuova. La esaminava come si studia qualcosa di sconosciuto. Lily
cercava disperatamente qualcosa di intelligente da dire per rompere
quel silenzio assurdo, ma la sua mente era completamente bianca e non
riusciva a trovare una frase di senso compiuto. Un lampo le era passato
per la mente: e se fosse una forzatura, un gesto che secondo lui era doveroso fare. In
quel momento magari si sentiva anche a disagio per il contatto che
stava avendo con Lily, pensando guarda
cosa mi tocca fare, per essere definito essere umano.
E se fosse stato quello?
Lily sperava ardentemente di no, sennò quel minimo che
pensava di aver capito di Sherlock sarebbe andato in fumo, insieme a
tutto quello che John Mary e altre persone le avevano raccontato di
lui. Non era tipo da gesti spontanei, lo sapeva bene. Sembrava quasi lo
facesse per farsi perdonare ulteriormente. Ma non serviva, non serviva
assolutamente. Andare contro natura era insensato. Spersonalizzarsi per
piacere a una persona, cosa che era decisamente capitata a lei e di cui
si era pentita amaramente, era una mossa assolutamente sbagliata e lei
non voleva in nessun modo far provare agli altri una sensazione del
genere.
Poi lo squillo del telefono l’aveva tratta in salvo. Sherlock
aveva fatto scivolare via le mani dal suo viso e si era diretto in
cucina dove si trovava il cellulare.
Lily aveva ricominciato a respirare e il primo pensiero che era
riuscita ad articolare era stato “ Wow Holmes, così
uccidi la gente”.
Mentre lui parlava al telefono girando per il salotto, Lily si era
rifugiata in bagno e una volta chiusa la porta aveva sospirato
platealmente, appoggiandosi al lavandino. Aveva fissato la ceramica
bianca e sussurrato: “Accidenti Sherlock, non nascondere la tua vera
natura, torna lo stronzo che sei sempre stato, ti scongiuro”.
Con quella preghiera si era resa immediatamente conto che aveva dato
per certo il suo ragionamento di pochi minuti prima. Aveva strizzato
gli occhi, in disappunto.
Razza di stupida
frignona, guarda cos’hai combinato.
Si era guardata allo specchio e senza pensarci aveva alzato
un pugno, agitandolo rabbiosa verso la sua immagine riflessa.
Sbuffando si era lavata la faccia e data una sciacquata alla bocca.
Continuava a darsi della stupida sottovoce, poi
all’improvviso si era fermata.
Forse era il caso di parlarne con il diretto interessato.
Sì, ma come? Al diavolo, sarebbe venuto spontaneo e
buonanotte al secchio. Era uscita dal bagno, e aveva trovato Sherlock
con una tazza di the fumante in mano.
“Tieni, è per te” le aveva sorriso,
facendo rabbrividire Lily.
Un automa, un
fottutissimo automa. Sherlock robot. Aiuto.
Lily aveva sorriso tirata e aveva preso la tazza sporgendo la testa in
avanti: “Grazie, Sherlock”. Poi l’aveva
posata sul tavolo. Lui aveva seguito tutti i suoi movimenti, confuso:
“Oh, forse volevi del caffè? Dovevo chiedertelo
scus…”.
“Sherlock”
aveva esordito Lily, forse a voce un po’ troppo alta,
guardandolo fisso “Sherlock” aveva ripetuto
più piano, con voce tenera. Aveva portato le mani davanti al
viso, sfregandolo. Sospirando, le aveva abbandonate lungo il corpo,
salvo rialzarle poco dopo per afferrare i lembi della vestaglia di
Sherlock e tirandolo verso di lei, aveva poggiato la testa sul suo
sterno. Guardava il pavimento e i piedi di Sherlock, nudi come sempre.
Sentiva la tensione nel suo corpo, e aveva anche sentito la sua testa
che si era abbassata: “Ti senti bene? Stai per
svenire?”
Lily aveva cominciato a ridere di gusto: “No, io sto bene.
Sei tu che stai male. Smettila per favore.”. Sorrideva,
mentre guardava per terra “questo Sherlock non mi piace,
torna la canaglia che eri, ti preferisco così” si
era fermata per un momento, pensosa “a meno che tu non sia
inopportuno, naturalmente. Mi hai chiesto scusa ieri sera e va bene
così. Smettila di comportarti come se non fossi tu.
È stupido” aveva alzato la testa guardandolo in
maniera preoccupata, e alzando un sopracciglio aveva aggiunto
“e un pelino inquietante”.
Sherlock la guardava, confuso. Poi aveva stretto le labbra, guardato di
lato e scuotendo la testa aveva detto: “Volevo essere
gentile” aveva storto la bocca, in disappunto; “ canaglia”
aveva sussurrato.
Lily aveva riso: “Lo so, e ti ringrazio. Ma così
mi fai sentire strana, o meglio mi fai sentire come quando interroghi
qualche donnetta da strapazzo. E io non sono il tipo. So incassare, e
ne sei ben consapevole” lo aveva guardato, strafottente
“con le lusinghe non attacca, Holmes” aveva riso di
nuovo.
Sherlock aveva sgranato gli occhi, per una frazione di secondo; era lo
stesso identico ragionamento che aveva fatto la sera prima, quando
aveva portato i vestiti a Lily ai bagni del St. Barth’s. Si
sentiva un po’ spiazzato. Aveva guardato oltre la spalla di
Lily, sul tavolo del salone.
“Ora berrò il mio the, grazie” aveva
sospirato Lily, soddisfatta, liberandolo dalla sua stretta.
Sherlock si era diretto verso il tavolo afferrando un’agenda
rilegata in pelle nera. L’aveva accostata al petto, mentre
Lily lo osservava.
“Cos’è? l’agenda con i numeri
delle tue amanti?” aveva chiesto con fare complice.
Lui aveva sbuffato, sarcastico: “Figurarsi, sprecare una
così bella agenda per cose così insulse. Sono
appunti sui casi e sulle indagini, niente di che. Noiose per te,
interessanti per me. Cioè, ci sono ragionamenti talmente
complessi che…”
“Eccolo qui, il mio Sherlock” aveva sussurrato
Lily, guardandolo divertita “bentornato.”
Lui aveva alzato gli occhi al cielo: “Ecco cosa si ottiene
quando si prova a essere gentili. Si viene presi in giro! Ma non vi
sentite strani, voi tutti?”
“Per voi
tutti intendi le persone cortesi?” aveva
chiesto Lily, soffiando sul the bollente.
“Sì esatto. Siete tutti così distratti
tra tutti i “ grazie”
e i “ prego”.
È bello non essere me. Deve essere rilassante”
aveva guardato in alto pensoso, portandosi l’angolo
dell’agenda sotto il mento.
Lily aveva sbuffato una risata: “Sì sua
maestà, una noia terribile”
aveva continuato a bere il suo the lentamente “chi era al
telefono? Un caso?”
“No, veramente era John. Ci ha cordialmente invitati a
pranzo, dove ci saranno un paio di suoi amici
dell’università e non so chi altro. A malincuore,
ho detto sì. Ho pensato che un po’ di sana
frivolezza ti avrebbe fatto bene, dopo tutti, sai… gli avvenimenti”
aveva mimato le virgolette con le dita.
“Beh, a noi gente frivola piace stare in gruppo e scambiarci
opinioni e storie divertenti nel nostro linguaggio
incomprensibile” aveva risposto Lily, scuotendo la testa in
maniera esagerata, alzando gli occhi al cielo.
Sherlock aveva sorriso, mettendo l’agenda sotto il braccio:
“Ci aspettano per mezzogiorno, quindi…”
aveva guardato l’orologio in cucina
“sarà meglio che ti prepari”.
Lily, aveva messo una mano sulla fronte mimando un saluto militare e
aveva detto: “Agli ordini! Vado!” e si era diretta
in bagno. Si era fermata, di botto: “comunque grazie per il
the. La nostra conversazione fa presumere che certi gesti possano
essere apprezzati anche in futuro” aveva aggiunto alzando un
sopracciglio.
Sherlock aveva soffocato una risata ironica: “Tu non hai ben
capito che con questa conversazione ti sei di nuovo arrogata il diritto
di prepararmi il the per sempre!” aveva alzato i pollici, in
segno di vittoria e con un’aria stupida sul volto
“non sei felice?”
“Come chi ha vinto la lotteria!!” la voce di Lily
si era affievolita, mentre andava in bagno.
Rimasto solo, Sherlock aveva guardato l’agenda sporgendo le
labbra in fuori. Poi aveva guardato verso la cucina, fissando la tazza
di the di Lily, aveva avuto un flash della notte appena passata. Lily
che piangeva, scossa dai singhiozzi. Aveva strizzato leggermente gli
occhi, muovendo la testa leggermente di lato. Poi si era ricomposto ed
era andato in camera sua.
Lily, chiusa in bagno, si guardava allo specchio.
“Ti sei
cacciata in un bel guaio, cara Lily. E il problema è che non
c’è speranza. Lascia perdere, prima che faccia
troppo male”.
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Capitolo 12 *** Expectations ***
Nota: la frase alla fine del capitolo contrassegnata da
(*) è presa da un libro di Banana Yoshimoto, Amrita. Piccola
licenza poetica!
Capitolo
12
Expectations
Sherlock e Lily avevano deciso di camminare un po’ prima di
fermare un taxi per andare a casa di John. Lily avrebbe voluto un
espresso, cosa che aveva fatto esultare Sherlock visto che provava la
sua ipotesi: invece del the che le aveva offerto a colazione avrebbe
preferito il caffè. Lei aveva riso divertita: non era quello
il concetto, aveva replicato. Ma Sherlock sembrava così
tronfio che aveva lasciato perdere.
Lasciamolo annegare nel
suo autocompiacimento aveva pensato, guardandolo il suo
viso contento e soddisfatto.
Mentre Lily teneva in mano la sua tazza da asporto nel freddo di
Febbraio, le era tornata in mente la mattina che le aveva offerto il
famoso caffè sulla scena del crimine.
“Era un modo per chiedermi scusa?” aveva chiesto,
dopo aver raccontato il suo ricordo a Sherlock.
Lui aveva alzato le spalle, e fatto una smorfia pensierosa:
“Probabilmente. O era il senso di colpa per averti lasciato
senza caffeina”.
Lily lo aveva guardato, con aria dubbiosa: “Puoi dirmelo, non
andrò a spifferarlo in giro” aveva portato il
bicchiere di carta alle labbra, camuffando un sorriso mentre Sherlock
si girava verso di lei di scatto con una faccia leggermente
infastidita: “Guarda che io so chiedere scusa; quello che
faccio raramente è implorare e supplicare”.
Lily aveva continuato con l’espressione scettica:
“Tu sai chiedere scusa, davvero?”
“Ma come!” aveva risposto Sherlock “e
stanotte? te la sei sognata forse?” aveva guardato davanti a
sé, diventando serio tutto a un tratto. L’aria
scherzosa era sparita “sono dispiaciuto per quello che
è successo, so che a volte mi spingo oltre ma lo capisco una
frazione di secondo dopo aver aperto bocca. O se non me ne accorgo
subito, ci pensa John a puntualizzare e farmi rendere conto di aver
fatto una stupidaggine”.
Lily lo aveva fissato tutto il tempo, assorta. Non intendeva fermare le
parole che gli uscivano dalla bocca; il contatto fisico di poche ore
prima, ora questo. Era rimasta affascinata da questa piccola apertura
da parte sua che andava avanti da tutta la mattinata. Tali momenti era
sicura fossero rari, e quindi non osava fiatare per evitare che il
flusso di pensieri di Sherlock si interrompesse.
“Ci saranno altre occasioni in cui probabilmente ti
ferirò, ne sono quasi sicuro” aveva chiuso gli
occhi per un momento “ma tu pensa sempre a che tipo di
persona sono. Non sono cattivo, sono propenso a dire quello che la
gente tende a nascondere per educazione. E non sopporto la chiusura
mentale e la stupidità. Questo non vuol dire che io voglia
male alle persone; se succederà, ricordatelo. Pensa a come
sono, pensa a me”.
Il cuore di Lily aveva fatto una capriola. Sentiva le guance
arrossarsi, lo spazio e il tempo si erano distorti, probabilmente erano
in un'altra dimensione. Si era trattenuta dal dirgli che a lui ci
pensava un po’ troppo ultimamente ed era estremamente
confusa. Ma si era morsa la lingua, sapendo che Sherlock si definiva
non interessato alle relazioni sentimentali ed era sposato al suo
lavoro. L’aveva guardato, e lui sentendosi osservato si era
girato verso di lei “Te lo ricorderai? Di come
sono?”
“Certo. Cercherò di farlo” i suoi occhi
si erano incollati a quelli di Sherlock. Lui aveva sorriso leggermente.
Lily a quel punto aveva sentito un bisogno impellente di avere un
contatto con lui. Si era avvicinata ed aveva infilato un braccio sotto
quello di Sherlock “Troppo? Ti mette a disagio?”
aveva chiesto, non staccando gli occhi dai suoi.
Sherlock si era irrigidito leggermente; aveva visto la sua gola fare su
e giù, nel gesto di deglutire. Poi aveva aperto leggermente
la bocca, facendo uscire un po’ di condensa:
“Uhm…non saprei, non credo. È
un’estremità, niente di che” e aveva
guardato il suo braccio intrecciato a quello di Lily, spostando gli
occhi su di lei “è una cosa che la gente fa di
solito, no?”
“Sì, la gente lo fa” Lily aveva stretto
la presa, sorridendo all’evidente disagio di Sherlock
“non è un abbraccio, questo è
sicuro” si era fermata per un attimo “hai ricevuto
un abbraccio, vero? aveva aggiunto, pensando anche che probabilmente
era una domanda molto stupida. Non poteva credere non ne avesse mai
ricevuto uno. Non contando il suo, la sera prima.
“Certo che ne ricevo” aveva replicato “da
un sacco di gente, ma lo reputo un gesto molto inutile. Il contatto
umano è sopravvalutato. Insomma, si può dire
grazie a una persona in un milione di modi, senza soffocarla con le
braccia”.
Lily aveva sentito una fitta vicino al cuore, sentendosi chiamata in
causa. Ma probabilmente neanche se lo ricordava, con tutta
l’adrenalina che scorreva subito dopo la sparatoria.
Aveva scrollato le spalle e aveva chinato la testa, ridendo:
“Ma guarda che il contatto umano non è brutto,
Sherlock. Anzi, a volte può far star meglio. Mai
sottovalutare il conforto di un abbraccio dopo una brutta giornata o
per fare pace dopo aver litigato. Io penso sia terapeutico”.
“Perché tu sei una donna, e voi siete fissate con
queste cose. Abbracci, baci, coccole”
aveva storto la bocca.
“Le coccole sono sottovalutate a mio parere. Sentire la
presenza di una persona vicina a te, avere un contatto che non deve
essere necessariamente carnale è rassicurante. E divertente
anche. Perché puoi ridere e dire cose sciocche, puoi giocare
con i capelli della gente o fare la lotta”.
“Fare la lotta?” aveva chiesto Sherlock
“che razza di roba è?”
Certo, Sherlock non aveva mai potuta fare la lotta con una donna, non
avendone mai avuta una. Ma poi aveva scosso la testa internamente,
irritata. Sherlock Holmes non poteva essere vergine. Era fuori
discussione.
“È divertente. Ti fai il solletico e cerchi di
prevalere sull’altro e di farlo arrendere. Poi in quelle
più hardcore si possono aggiungere i pizzicotti o i
morsi” aveva concluso soddisfatta “se vuoi un
giorno proviamo. Tanto vinco io” aveva esclamato di getto.
All’ultima sillaba, si era accorta di quello che era uscito
dalla sua bocca, ed era inorridita. Era il caffè, la lingua
sciolta di Sherlock o il fatto che stesse parlando con lui che le
faceva dire certe cose?
Ma che diavolo hai
detto, stupida. La lotta con Sherlock Holmes, ma sei scema?
Aveva cautamente alzato lo sguardo verso Sherlock, che sembrava molto
pensieroso: “Forse è come quella che facevo con
Mycroft da piccolo. Solo che finiva a lividi e botte pesanti, forse non
è il tipo di lotta che intendi tu”
l’aveva guardata, ed era rossa fino alla punta dei capelli.
Aveva aggrottato le sopracciglia “tutto bene?”
“Sì sì tutto bene, scusa. Ma questo
caffè è veramente bollente” aveva riso
Lily nervosa; doveva riprendere il discorso con nonchalance per non far
trasparire il suo evidente imbarazzo, ma ormai era in ballo e doveva
ballare “quella che intendi tu, Sherlock, è la
lotta tra maschietti. Io intendevo quella tra uomo e donna”
aveva tralasciato il fatto che di solito la lotta portava a
qualcos’altro, avesse turbato la mente di Sherlock
più del necessario. Per carità. Si stava
invischiando in un discorso molto complicato. Sentiva un vago sentore
di panico salirle in gola.
“Ma i morsi e i pizzichi non sono divertenti” aveva
aggiunto lui, con voce ovvia “chi li reputa
divertenti?”.
Veramente, a volte sembrava di parlare con un bambino di tre anni.
“Sherlock è un gioco, non ci si fa male sul
serio” aveva risposto Lily con voce materna.
Continuava a guardare l’espressione smarrita e parecchio
confusa di Sherlock.
Lily aveva preso il discorso alla larga: “Insomma Holmes,
quando vai a letto con una donna non ci giochi un po’ prima
di…” aveva alzato le sopracciglia, muovendo la
mano libera con un cenno vago, cercando di farsi capire.
Sherlock aveva di nuovo puntato gli occhi su di lei, come due spilli.
Lily lo guardava a sua volta. Doveva sapere assolutamente questa cosa,
assolutamente.
“Veramente no. Quando capita” per fortuna aveva
capito il soggetto del discorso “e bada bene succede solo per delle
indagini estremamente importanti, e solo per quello arrivo al contatto
fisico“ aveva tenuto ad aggiungere “io addirittura
penso ad altro. Sbrigo la funzione, le faccio rivestire e se ne vanno.
Nessuna ha mai passato la notte nel mio letto. Dormire in compagnia mi
fa sentire a disagio”.
“Ah” era tutto ciò che era riuscita a
dire Lily. Un romanticone, Sherlock Holmes.
“Quindi la gente fa la lotta per poi fare sesso”
aveva intuito, chiedendolo a Lily.
“ Noooo
è solo per scherzare Sherlock” Lily ci aveva
rinunciato. Parlare di sesso con lui era come parlare di fisica
quantistica a una cheerleader.
“Però per come la descrivi tu, sembra
divertente” aveva sorriso, come un bambino “noi
siamo amici?” le aveva chiesto, guardandola intensamente.
Lily si sforzava di ricordare se la sera prima Sherlock avesse preso
qualche botta in testa. Questo giustificava le domande ingenue e
assurde che le stava ponendo da venti minuti buoni.
Spiegare anche
il concetto di amicizia, che bellezza.
“Beh…direi di sì, vi ho fatto passare
un bel po’ di guai e voi mi avete aiutato; di solito gli
amici fanno questo l’uno per l’altro”
aveva aggiunto titubante. Sperava vivamente di non sentire quello che
sospettava, perché sarebbe stata solo colpa sua e non poteva
rimangiarsi nulla a quel punto.
“Ho salvato molte volte anche John” aveva detto
Sherlock “e lui ha salvato me, molto di meno eh, ma mi ha pur
sempre salvato. E noi siamo amici”.
“Giusto” la voce di Lily tremava ormai.
L’amicizia tra uomo e donna, un mistero ancora non risolto ai
giorni d’oggi.
“Con lui non ho mai fatto la lotta, qualche volta mi ha messo
le mani addosso per l’esasperazione ma temo non fosse per
gioco” aveva mormorato, con aria corrucciata.
Lily continuava a fissare davanti a sé, continuando a
pregare dentro la sua testa.
“Beh semmai dovesse capitare, mi farai vedere come fanno la
lotta i maschi e le femmine” aveva concluso “anche
perché è praticamente impossibile che tu possa
vincere, figurati. Sei un fuscelletto”.
A Lily era venuta in mente una battutaccia, ma aveva subito messo a
tacere quel lato del suo cervello che la faceva diventare una donnaccia
da osteria: “Certo, Sherlock, sicuramente. Ora prendiamo il
taxi? Si è fatto tardi”.
Che brutta considerazione che aveva Sherlock del contatto fisico,
pensava Lily mentre lasciava il suo braccio. Una cosa che non gli
suscitava emozioni, una cosa che non lo confortava. Anche solo il
prenderlo sotto braccio l’aveva fatto tendere come una corda
di violino. Ma non poteva credere che l’amicizia di John non
l’avesse fatto emozionare. Li aveva visti parlare,
confrontarsi e quello che c’era era chimica pura. Si capivano
al volo e si sopportavano l’un l’altro. Mary a
volte li chiamava “marito e moglie”.
Aveva sorriso, ripensando ai litigi a cui aveva assistito, allo scambio
di battute che la facevano morire dal ridere.
Il sesso poi, questo sconosciuto. Si era mai innamorato, aveva questa
avversione per i sentimenti proprio perché aveva sofferto?
Lily non sapeva come poteva essere stato anni e anni fa, ma non credeva
al fatto che non si fosse mai infatuato di qualcuno. Andava a letto con
le donne, ma solo per ottenere informazioni. Un brivido le era corso
lungo la schiena. Lo immaginava declinare inviti a cene e
aperte provocazioni da donne sicuramente magnifiche, bellissime e
seducenti. Solo perché lui credeva che il contatto fisico
fosse inutile, sopravvalutato.
L’amore per lui, non esisteva.
Lily aveva sentito il cuore stringersi. Non si poteva competere con una
convinzione così radicata. E poi chi era lei, per far
cambiare idea a Sherlock Holmes, l’uomo dagli occhi e
dall’animo di ghiaccio? Non aveva neanche scalfito la
superficie.
Aveva sospirato, sperando che questa idea della lotta venisse
accantonata da qualche parte del suo cervello e dimenticata.
Le aveva chiesto se erano amici. Ma perché, non lo sapeva
già? Certo che erano amici, dannazione.
L’aveva accolta in casa sua, senza neanche conoscerla, le
aveva dato un rifugio, l’aveva salvata da Kaleb. Non era
forse quello essere amici, aiutarsi? O l’aveva fatto solo
sotto la spinta di John?
Lily aveva scosso la testa, furiosa. Doveva smetterla con tutti questi
pensieri e ricominciare a ragionare da persona normale. Tutte queste
informazioni e dubbi che le riempivano la testa, la mandavano solo in
confusione. Sapeva che Sherlock era Sherlock e lei non si riteneva
abbastanza speciale per farsi notare da lui. Ma gli voleva un gran
bene, un bene che sconfinava nell’infatuazione.
L’aveva affascinata come fa un serpente con la sua preda,
l’aveva avvolta nelle sue spire e adesso la stritolava con i
suoi discorsi razionali e scettici. Ma era un dolore dolce,
perché poi all’improvviso le sorrideva o teneva
aperta la porta per lei, la avvertiva se c’era uno scalino o
una buca sul marciapiede; “attenta”
diceva, con quella sua voce profonda; quel suo modo di essere
trasognato e innocente su alcune cose mentre su altre era altamente
ricettivo ed esperto. Le aveva permesso di prenderlo sottobraccio e
secondo lei questa era una dimostrazione di fiducia nei suoi confronti.
E lei ne era contenta, talmente tanto che forse si sarebbe anche
accontentata di essere sua “amica”. Ma non ne era
molto sicura. Se quella mattina, con il suo viso tra le mani
l’avesse baciata, lei non avrebbe detto nulla, avrebbe solo
ricambiato avvinghiandosi a lui per non lasciarlo andare mai
più, rischiando tutto.
Era ipnotico, era…era…unico.
Era Sherlock e basta.
E Lily si sentiva fortunata solo per il fatto di averlo conosciuto,
anche se era così.
//
Sherlock camminava poco più avanti a Lily, perplesso. Era
stata una conversazione strana, senza un vero senso compiuto.
È così che interloquiva la gente normale? Si
diceva queste cose? E sinceramente, non si era neanche annoiato
più di tanto. Lily parlava bene, correttamente, e sapeva
esprimersi nel migliore dei modi. Forse si era aperto un po’
troppo, soprattutto sul fatto del sesso con le donne che voleva
interrogare, ma poco male: ormai era fatta. Sherlock aveva avuto
esperienze, poche per la verità, ma ogni donna lo aveva
definito un eccellente amatore. Anche se lui non se ne spiegava il
motivo. Ci metteva così poca passione e partecipazione che
sembrava strano dimostrasse il contrario. Aveva sentito parlare di
fuochi d’artificio, sensazioni incommensurabili. Era
piacevole, ma fino a un certo punto. Forse recitava e non se ne
accorgeva. Più di una volta gli era stato detto che aveva un
fascino misterioso che attraeva le donne come api sul miele, a lui ne
era disturbato. Era una metafora soffocante e appiccicosa, veramente
poco elegante e che lo faceva andare su tutte le furie. Ma a volte il
sesso sembrava l’unico modo per ottenere quello che voleva.
Non aveva memoria se fosse stato diverso prima oppure no. Quanto
può incidere la tua vita vissuta, sul tuo futuro? Parecchio,
si ripeteva. Vedeva colleghi e colleghe di John sposarsi, avere figli.
E lui non capiva. Non era noioso vivere per sempre con la
stessa persona, giorno dopo giorno, anno dopo anno? Aveva alzato
impercettibilmente le spalle, scuotendo la testa piano. Lo facessero
gli altri, lui si trovava benissimo nel suo piccolo spazio vitale.
I suoi casi.
Le sue indagini.
I suoi esperimenti.
E poi le persone più strette come John, Mary,
Lily…
Aspetta un attimo. Aveva rallentato il passo leggermente. Aveva appena
collocato Lily nell’elenco delle persone importanti della sua
vita.
Aveva snocciolato i nomi automaticamente e lei era lì, si
era ritrovata nell’Olimpo del grande Sherlock Holmes senza
neanche accorgersene. La conosceva da talmente poco, ma allo stesso
tempo era successo così tanto da farla diventare parte
integrante della sua vita. L’aveva conosciuta,
l’aveva salvata in modo quasi automatico, facendolo lui
stesso senza interporre nessuno tranne John. Ed ora era lì,
fragile, salva e in cerca di chissà cosa. Si era guardato
alle spalle, Lily lo seguiva con piccoli passi svelti, per stare dietro
alla sua falcata. Lo aveva guardato e poi aveva sorriso, le guance
arrossate dal freddo, un accenno di occhiaie scure sotto gli occhi:
“Non ho le gambe lunghe come le tue, io!” ansimava
leggermente.
Sherlock si era fermato per aspettarla, altra cosa che non aveva mai
fatto con nessuno se non con John. Anche lui gli era corso dietro
più di una volta, poverino.
Pensava, Sherlock Holmes, pensava parecchio quella mattina mentre
saliva sul taxi, finalmente al caldo. Sentiva in sottofondo la voce
argentina di Lily che diceva al conducente l’indirizzo di
John e aveva sospirato, piano. Un leggero senso di colpa si era
insinuato sotto le sue costole. Ma poi l’aveva spazzato via,
senza timore.
“Va tutto
bene, tu sei Sherlock Holmes, vedi di ricordartelo”
aveva insinuato una vocina nella sua testa.
Il taxi era partito, immettendosi nel traffico di Londra.
“Insomma chi hai detto che c’è a questo
pranzo?” aveva chiesto Lily rivolgendosi a Sherlock. Era
ombroso, serio e sembrava preoccupato. Aveva aggrottato le
sopracciglia, perplessa: “Ehi Sherlock, tutto ok?”
Si era girato verso di lei, sbattendo gli occhi. Come se si fosse
appena svegliato “Cosa, scusa?” aveva chiesto,
balbettando.
Lily aveva riso, divertita: “Dov’eri?”
“Da nessuna parte, ragionavo”.
Sembrava infastidito, così Lily aveva abbassato il tono di
voce rendendolo un po’ più docile: “Ti
avevo chiesto chi c’era al pranzo di John e Mary, ma lo
vedrò al mio arrivo” aveva concluso, in fretta.
“Ok” aveva risposto Sherlock, ancora più
serio.
Lily era perplessa. Dov’era l’atmosfera di pochi
minuti prima, quella giocosa e spensierata? Ancora non aveva avuto
l’occasione per osservare fino in fondo i cambi
d’umore di Sherlock. Ecco qua, l’aveva appena
fatto. Il viaggio si era svolto in silenzio, con Lily che guardava
fuori dal finestrino e Sherlock fisso davanti a sé, sempre
più accigliato. Sembrava infastidito dai suoi stessi
pensieri.
Lily sperava non fosse colpa sua, ma non le sembrava di aver detto
chissà cosa per farlo innervosire.
Aveva scrollato le spalle; se Sherlock voleva comportarsi come una
donna in fase premestruale erano affari suoi.
Arrivati da John erano stati accolti con entusiasmo. C’era un
po’ di gente che Lily non conosceva e questo
l’aveva fatta un po’ agitare. Aveva provato a
truccarsi un po’, a darsi un tono, ma senza molto successo.
Il livido si vedeva e anche il taglio sul labbro. Poteva inventarsi una
storia, tipo che era caduta dalle scale, ma poi la gente era sicura
avrebbe pensato subito alla violenza domestica. Se ne sarebbe fregata,
fregata degli sguardi degli altri. Un paio di persone già
l’avevano guardata in maniera strana e Lily aveva deciso che
non le stavano simpatiche. Era più una specie di pranzo in
piedi, con le persone che chiacchieravano per il salotto o sedute sul
divano e sedie sparse qua e là. Meglio. Dispersivo e senza
occhiate strane da una parte all’altra del tavolo.
John si era avvicinato a Lily, posandole una mano sulla spalla:
“Come va oggi?” aveva sussurrato, guardandola.
“Ho avuto mal di stomaco” aveva sorriso Lily,
vedendo il sorriso sornione che illuminava il viso di John
“avevi ragione tu”.
Non gli avrebbe raccontato dell’episodio di Sherlock. Le
sembrava quasi come mentire, ma era troppo lungo e troppo personale per
spiegarlo. Non che John potesse fare qualcosa alla fine.
“Lui come si è comportato?” aveva
indicato con la testa Sherlock, nel suo solito angolo con un bicchiere
in mano “ha fatto qualche altra battuta?”
“No no, anzi. Stamattina mi ha preparato il the. Solo che
penso sia di cattivo umore” aveva alzato le spalle
“non so cosa abbia, stamattina era abbastanza allegro, poi si
è rabbuiato tutto a un tratto. Eppure stavamo parlando di
cose divertenti, leggere, non so cosa gli sia preso”.
“Sarà immerso in qualche suo pensiero nebuloso.
Prima o poi gli passerà, ci sono abituato, ma tu no. Quando
è così lascialo per conto suo anche se in queste
circostanze non è socievole, si sa”.
Lo avevano guardato entrambi: sembrava una statua, nel suo completo
nero. Teneva in mano un bicchiere di vino. L’altro braccio
sosteneva quello che reggeva il bicchiere. Lo sguardo era fisso,
concentrato, sembrava di vedere uscire dalle sue orecchie numeri,
lettere, formule. Che mistero.
“Lily!” si era sentita chiamare
dall’entrata del salotto. Era Mary, con in mano un piatto
strapieno di roba da mangiare “Ciao”
l’aveva salutata frettolosamente “questo
è per te” le aveva porto il piatto
“tutto fatto in casa, mangia pure! Rose dorme, appena si
sveglia la saluti. Ho delle cose in forno, corro a controllarle!
Mangia!” era sparita tra la gente.
Lily si era girata verso John, guardando il piatto “Ne vuoi
un po’?”
“Prendo uno di queste” aveva afferrato una tartina
alla crema di salmone “sono buone, assaggia”.
Lily aveva fatto il possibile, ma quel piatto era veramente troppo
pieno. John era impegnato in una conversazione e lei si era ritrovata
sola nel mezzo della stanza con il suo piatto che poteva soddisfare
l’appetito di almeno tre persone. Si era diretta verso
Sherlock per chiedergli se voleva mangiare un po’ anche lui.
Era sempre nello stesso posto, immobile. Si era avvicinata lentamente,
come si fa con un animale spaventato.
“Sherlock…scusami…” aveva
detto a bassa voce, sperando che non si facesse venire una crisi
isterica “Mary mi ha dato tutta questa roba da mangiare, ma
io da sola non ce la faccio. Ne vuoi un po’? Non hai mangiato
nulla stamattina” aveva avvicinato il piatto verso Sherlock,
che lo aveva guardato per una frazione di secondo: “No
grazie, non ho fame”.
Lily aveva notato che anche il bicchiere era intatto. Era rimasta in
silenzio, annuendo leggermente.
“Ti dispiace se rimango qui con te? C’è
un po’ di gente che mi guarda strano, almeno qui non corro il
rischio di essere osservata come un pesce
nell’acquario”.
Aveva lasciato cadere la battuta vista l’assenza di sguardo
di Sherlock, che aveva alzato le spalle e borbottato: “Come
vuoi, sulla parete c’è spazio per tutti”.
Lily aveva appoggiato le spalle al muro, poco distante da Sherlock e
aveva continuato a sbocconcellare dal piatto in silenzio. La gente si
divertiva a quanto pare.
Improvvisamente, dal nulla, era apparso un uomo visibilmente su di giri
e con decisamente troppo alcol in corpo. Si era avvicinato a loro
barcollando, e dopo aver guardato il viso di Lily per un decina di
secondi dondolando verso di lei, le aveva soffiato un’alitata
di alcol in faccia, dicendo: “Gesù, bimba. Ma ti
hanno messo la faccia in un frullatore?” aveva esclamato a
voce alta, coprendo le conversazioni degli altri. Si era fatto silenzio
all’improvviso e come in un incubo si erano girati tutti
verso di lei, guardandola. Lily aveva deglutito, nel panico.
L’uomo ubriaco continuava: “Ma come hai fatto a
ridurti così, per l’amor del cielo?”
aveva riso “il tuo uomo ti picchia?” la voce era
strascicata, untuosa e alcolica. Lei era paralizzata, e sentiva lo
sguardo di Sherlock su di lei vigile e attento, testando la sua
reazione.
“Io…ecco…” Lily aveva la gola
chiusa. Cercava di parlare, le sue labbra si muovevano ma non
emettevano nessun suono. Non riusciva neanche a trovare una risposta
sarcastica alle battute di quell’idiota. Non le piacevano le
persone ubriache, erano moleste e cattive. E anche molto violente, lo
sapeva per esperienza. Continuava a guardare quell’uomo, che
non fermava il fiume di parole che uscivano dalla sua bocca non
riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Perché Sherlock
non diceva niente? dov’era John? Dov’era la gente
normale, che poteva dirgli di smetterla?
Dov’erano tutti?
Gli occhi di Lily saettavano per tutta la stanza e sentiva montare
dentro di sé un panico non indifferente, misto a un sentore
di nausea. Si sentiva rimpicciolire in mezzo a quel silenzio e a tutti
quegli occhi che la fissavano. Quando aveva visto due donne avvicinare
le teste e dirsi qualcosa all’orecchio senza smettere di
guardarla, aveva ceduto. Aveva dato il piatto in mano a Sherlock e
pigolando uno “scusa”, era corsa verso il bagno.
Per il corridoio aveva incrociato John, ma l’aveva passato
velocemente senza sentire quello che le diceva. Aveva aperto il bagno e
si era chiusa dentro, appoggiandosi alla porta. Respirava velocemente e
cercava di calmare i battiti del suo cuore che sembrava impazzito.
Ma cosa voleva la gente da lei, ma perché non veniva
lasciata in pace? Era una calamita, una calamita per la cattiveria, per
le disgrazie, per i guai, per tutto!!! Aveva tirato un pugno alla
porta, facendosi anche male. Si era diretta al lavandino, per
sciacquarsi la faccia. Dopo averlo fatto si era guardata allo specchio.
Sì, la sua faccia sembrava fosse finita dentro una
centrifuga. Aveva strizzato gli occhi, soffocando un singhiozzo;
Stava per darsi dell’idiota da sola, quando aveva sentito un
gran baccano, rumore di vetri e gente che urlava. Era uscita dal bagno,
correndo in salone, dove aveva trovato l’uomo ubriaco
attaccato al muro, tenuto per il colletto della camicia nientemeno che
da Sherlock. Lo sbatteva ripetutamente contro la parete, la mascella
serrata, gli occhi grigi socchiusi di rabbia. L’uomo si
divincolava inutilmente dalla presa ferrea di Sherlock, che veniva
tenuto a sua volta da John, inutilmente.
“Venite alle feste per ubriacarvi e infastidire la gente? Non
sai niente di quello che è successo, faresti meglio a tenere
a freno quella lingua prima che ti faccia male sul serio!!”
Continuava ad agitarlo tenendolo per il collo, senza dargli la
possibilità di replicare e di muoversi. John lo teneva per
un braccio, ma riusciva a smuoverlo solo impercettibilmente. Era come
se i piedi di Sherlock fossero cementati al suolo. John si era girato
contro Lily, con uno sguardo più che eloquente: forse tu riesci a fermarlo, fai
qualcosa o almeno provaci prima che lo faccia a pezzi.
Lily si era scossa di botto e facendosi largo tra la gente era arrivata
vicino a Sherlock.
“Sherlock! Sherlock, fermo! Lascia stare dai. Non fa niente,
sul serio, lascia perdere”.
Si era girato verso di lei, un ricciolo nero gli era ricaduto sulla
fronte. L’espressione rimaneva granitica, ma non mollava la
presa: “Tu stai bene?” aveva chiesto, dondolando
leggermente per il divincolarsi dell’uomo. Aveva perso il
contatto visivo e quindi anche la concentrazione “vorrei che
ti chiedesse scusa ma non
sta fermo!!!” aveva urlato, girandosi di nuovo
verso di lui, e sbattendolo di nuovo al muro facendogli rimbalzare la
testa un paio di volte.
“Non fa niente Sherlock. È ubriaco, lascialo
andare. Basta.”. Gli aveva messo una mano sul braccio,
stringendo leggermente.
Si era girato nuovamente e guardandola aveva sussurrato:
“Sicura?”
Lily aveva sorriso e annuito lentamente: “Sì va
tutto bene, ora lascialo andare”.
Sherlock aveva allentato di malavoglia la presa dalla camicia
dell’uomo, che si era accasciato a terra tossendo e
biascicando. Lily continuava a tenere il braccio di Sherlock e lo aveva
allontanato da lì. Sentiva la consistenza dei suoi muscoli
da sotto la camicia. Irradiava calore e Lily per un attimo si era
sentita pervadere da un’ondata di energia.
Sherlock si stava mettendo a posto la camicia e Lily a malincuore aveva
interrotto il contatto con il suo braccio, tenendolo comunque vicino a
sé. Lui sembrava nervoso e imbarazzato, aveva cominciato a
parlare senza freno, come una macchinetta inceppata: “Quando
te ne sei andata ha continuato, peggiorando il suo eloquio da
cavernicolo” aveva sibilato “si è anche
rivolto a me chiedendomi se io sapevo che cosa ti era successo.
Sembrava ossessionato maledizione, così l’ho
attaccato al muro. Mi stava dando veramente noia. È
incredibile e mi sorprende che John e Mary possano frequentare gente
del genere. Ma insomma, non sono neanche le tre del pomeriggio e guarda
in che stato è, non mi sembra veramente poss..”
Lily gli aveva messa una mano davanti alla bocca, anche quella calda a
furia di parlare: “Sherlock basta. È ubriaco e le
persone ubriache fanno così; è stato carino da
parte tua, grazie” aveva sussurrato, sorridendo leggermente e
facendo scivolare la mano dalle sue labbra. Sherlock la guardava, la
bocca aperta e la pelle leggermente arrossata per lo sforzo e la
rabbia. All’improvviso aveva spostato lo sguardo sulla
camicia e i pantaloni.
“Di nulla” aveva borbottato, guardandosi i polsini
della camicia “odio sgualcire i vestiti”.
“Già, è proprio una bella
camicia” aveva detto Lily con voce bassa e un po’
triste “ti sta bene addosso; vedrai, una lavata e
tornerà come nuova”.
“Sherlock! Ma cosa diavolo
ti è preso??!” la voce di John li aveva raggiunti.
Si era fermato davanti a lui “volevi picchiarlo?”
“Dovresti scegliere meglio le persone che
frequenti” aveva risposto Sherlock, con calma “ha
cominciato a prendere in giro Lily in modo pesante e poi si
è rivolto anche a me, mi ha fatto arrabbiare. Poi non sono
neanche dell’umore migliore oggi”.
“Davvero?? Non me ne ero accorto!” aveva esclamato
John, sbarrando gli occhi, poi si era fermato, guardando Lily
“cosa ti ha detto?”
“Mi ha chiesto se avevo messo la faccia in un
frullatore” aveva risposto Lily, alzando le spalle
“e mi ha chiesto se il mio uomo mi picchiava”
John aveva chiuso gli occhi stringendo la bocca: “E a te
cos’ha detto di così grave?” si era
rivolto a Sherlock alzando le sopracciglia, in attesa.
Lui aveva guardato John e con occhi glaciali aveva sibilato:
“Continuava a chiedermi cosa avesse e poi ha accusato me di averla
ridotta così”. Lily aveva guardato Sherlock,
sorpresa. Questo prima non l’aveva detto. Lui continuava a
tormentarsi i polsini della camicia nervosamente. Non si riusciva a
capire se li volesse aprire o semplicemente sistemare “tutto
ciò solo perché eravamo vicini e l’ha
vista offrirmi qualcosa dal suo piatto” aveva continuato, la
voce rabbiosa.
John aveva chiuso gli occhi e sollevato il viso in alto “O
santo cielo” aveva sussurrato “quel Davis
è un’idiota da sobrio, figurarsi da ubriaco. Mi
dispiace per la situazione spiacevole, ma questo non vuol dire che puoi
attaccare le persone al muro, Sherlock!”
“Ok va bene, mi dispiace. Ma è veramente un
coglione, John. Ma come fai a frequentare persone
così?”
Lily era quasi sicura che fosse la prima volta o forse la seconda, che
sentiva una parolaccia uscire dalla bocca di Sherlock Holmes.
“Non lo frequento, Sherlock. Lo vedo a lavoro e si
è ritrovato in mezzo a una conversazione ed è
uscita fuori questa mezza festa. Ho dovuto invitarlo per forza. Vado
vedere come sta”. Si era rivolto verso Lily “mi
dispiace. Stai bene?”
“Si John, tranquillo. Forse ho iperventilato un po’
ma tutto a posto. Niente di grave. Mi hanno detto di peggio”
aveva riso.
John aveva fatto una faccia strana. Un misto tra imbarazzo, sollievo e
un’altra espressione che Lily non era riuscita a decifrare
bene. Come se John non le credesse fino in fondo.
“Ci vediamo dopo” aveva detto, sparendo tra la
gente.
Sherlock finalmente aveva finito di tormentare i polsini. Era
arrabbiato con se stesso per aver perso il controllo in quel modo. Ma
con quell’insinuazione aveva visto rosso. Non si era neanche
accorto delle sue mani che volavano verso il colletto della camicia di
quel Davis. Sentiva che voleva fargli male, ma si era trattenuto
perché era a casa di John. In quei momenti tirava fuori una
forza strana, non riusciva a smuoverlo nemmeno la dinamite. Non avrebbe
torto un capello a una donna, mai. La violenza gli dava la nausea. Come
osava quell’ubriacone accusarlo di aver ridotto
così Lily? Ma che ne sapeva lui.
Aveva sbuffato sonoramente. Ogni volta che si trovava in mezzo alla
gente succedeva qualcosa. Per questo stava bene in mezzo ai
morti, nell’obitorio di Molly Hooper. Silenzio, calma e
nessun deficiente che sparasse cavolate.
Comunque.
Dopo la rissa, molta gente era andata via e gli ultimi elementi erano
rimasti seduti sul divano ma prossimi anche loro al commiato. Erano
rimasti, alla fine, sempre loro quattro più la piccola Rose
che gongolava tra le braccia di Lily. Tenerla in braccio la affaticava
parecchio e le costole malconce si facevano sentire, quindi si era
messa seduta.
Mary continuava a lamentarsi: ”È avanzata un sacco
di roba” aveva messo il muso, le mani sui fianchi
“Lily, te ne metto un po’ dentro qualche
contenitore così la portate a casa e stasera non dovete
cucinare” aveva sorriso alla sua idea brillante.
“Grazie Mary, ci faresti un grosso favore” aveva il
dito mignolo imprigionato nella manina di Rose “almeno ci
diamo un taglio con i takeaway e la mia orribile cucina”
aveva tirato fuori la lingua, in segno di disgusto “dovresti
insegnarmi a cucinare, sono veramente una frana”
Mary aveva annuito, soddisfatta: “Quando vuoi” ed
era sparita di nuovo in cucina. John era seduto vicino a Lily sul
divano con una bottiglia di birra in mano. Sherlock era in poltrona
invece, intento a guardare il vuoto come suo solito.
John l’aveva guardato per l’ennesima volta:
“Sherlock” aveva detto.
“Hm?” aveva risposto sempre con lo sguardo fisso su
qualcosa di imprecisato.
John aveva guardato Lily, preoccupato: “È ora che
tu lo sappia: Lily e io stiamo insieme. Il matrimonio con Mary
è una farsa, in verità ci ha prestato
l’utero per avere Rose. In realtà è
figlia nostra” aspettava una reazione, anche solo uno sguardo
leggermente perplesso. Niente. Lily si era morsa le labbra per non
ridere.
“Ok” era stata la laconica risposta.
John aveva sgranato gli occhi, incredulo: “Ehi detective da
strapazzo, ma hai sentito cosa ho detto? Esci dal palazzo mentale e
torna tra i vivi per favore”.
Si era smosso a “detective da strapazzo”:
“Ehi!” aveva ribattuto, visibilmente offeso.
“Bentornato tra noi, sua maestà. Eccesso di
testosterone? Ti ha dato alla testa?”
Lily aveva riso piano. Adorava questi momenti, anche se Sherlock
veramente era più fuori dal mondo del solito. Ma soprattutto
senza un motivo, per esempio un caso da risolvere.
“Dai Sherlock, stai un po’ con noi” aveva
aggiunto, pregandolo.
Aveva sbuffato: “Ma cosa volete che vi dica? Oggi
è così, non potete obbligarmi a farvi compagnia
se non ne ho voglia!”
John aveva scosso la testa, e rivolgendosi a Lily aveva esclamato:
“Ma tu quando hai le tue cose, sei così?”
Lily era trasalita alla domanda di John. Si sentiva di nuovo sul
piedistallo e al centro dell’attenzione; ma si può
chiedere una cosa del genere a una donna?
“Veramente quando ha le sue cose, è un pianto
continuo. Piange perché nasce il sole, perché
tramonta, piange per la Regina e la Principessa Diana. Piange anche per
le pubblicità. Una volta l’ho beccata a frignare
sullo spot di una carta di credito” aveva risposto Sherlock
al posto di Lily, che l’aveva guardato in disappunto:
“Ma che dici, non è vero!” aveva
esclamato, risentita.
Da quando in qua Sherlock si accorgeva del suo orologio biologico? Si
era sentita arrossire dappertutto e voleva che il divano la
inghiottisse all’istante.
“Sì che è vero. Ti arrabbi se lascio
gli sportelli aperti in cucina, mentre di solito li chiudi e basta. Non
sopporti l’odore dell’alcol che uso per gli
esperimenti e quello del pollo fritto” l’aveva
guardata, rivolgendole una sguardo scaltro “una volta hai
dato di matto perché l’ho ordinato al takeaway,
sapendo che lo mangi volentieri. Quella volta continuavi a insistere
che a te il pollo fritto non era mai piaciuto. Dunque dimmi: ti piace
il pollo fritto?” aspettava la risposta di Lily, che era
sempre più confusa.
“Beh..insomma..diciamo che…sì.
Sì, mi piace. Ma non ricordo niente di quello che hai appena
detto”.
Mentiva; era tutto vero, dalla prima all’ultima parola.
Sherlock aveva sbuffato, ironico: “Lily, per favore”.
“Beh non mi piace molto essere osservata quando
io..insomma..sono giorni molto delicati” aveva aggiunto,
offesa. Poi si era rivolta verso John mimando con le labbra un grazie mille,
stizzita.
Lui aveva alzato le spalle a mo di scusa, come per dire continua a sorprendermi anche
dopo anni, che ne potevo sapere.
“Tranquilla, non c’è bisogno di
osservare. Sei chiara come un vetro pulito. Non serve nessuna
scienza”. Aveva sorriso, tirato.
Lily aveva aggrottato le sopraciglia, cullando Rose:
“Antipatico” aveva mugugnato.
“Lo so che menti. In verità ti sto simpatico, tu
mi adori”
aveva ribadito, con aria sorniona.
“Non esagerare Holmes!” aveva risposto piccata.
“Ecco, forse per caso si avvicina la data?” aveva
intrecciato le mani con fare professionale. Lily aveva aperto la bocca,
sconcertata.
A quel punto John era scoppiato a ridere fragorosamente, attirando
l’attenzione di entrambi. Aveva tirato la testa indietro
ridendo di gusto: “Oh mio Dio, voi due dovreste fare cabaret.
Siete stupendi”.
In quel momento, Mary era entrata in salotto con una pila di
contenitori di alluminio dentro una busta: “Non vale due
contro uno, Watson e Holmes!” poi si era girata verso Lily
“veramente però, Lily. Piangi per la REGINA?”
Altre risate, a cui si era aggiunta anche quella di Lily. Li amava e li
adorava tutti anche se erano inopportuni e sciocchi. Aveva guardato
Sherlock, che sorrideva leggermente divertito, guardando il bracciolo
della poltrona.
Sapeva che molto probabilmente la reazione di Sherlock fosse dovuta al
fatto che l’uomo ubriaco avesse accusato lui di aver
picchiato Lily; un bel colpo al suo orgoglio straripante; lui che
odiava essere giudicato ed etichettato da chi non lo conosceva neanche.
Sapeva che lei non aveva importanza in tutto ciò, che il suo
chiedere se stava bene era una forma di gentilezza scontata. Ma in
fondo l’aveva tolta dall’imbarazzo, mettendo
l’ubriaco al centro dell’attenzione,
risparmiando a lei altri sguardi e commenti non proprio belli. Aveva
sospirato, sentendosi sempre più nei guai.
//
Erano le cinque quando erano usciti da casa di John e Mary.
Lily aveva respirato l’aria invernale, guardando il cielo
ormai quasi buio. Adorava quel profumo, il freddo e la sfumatura di blu
che prendeva il cielo.
“Se camminiamo un po’, dietro l’angolo ci
dovrebbe essere l’isola dei taxi così possiamo
prenderne subito uno” aveva detto Sherlock, incamminandosi
piano nella direzione opposta.
“Oh..ok, andiamo” Lily si era girata e seguiva
Sherlock, come un pulcino con la mamma. Era decisamente troppo veloce,
anche se camminava piano. Aveva le gambe lunghe, non era colpa sua, ma
Lily si impegnava per stargli dietro.
C’era un’atmosfera particolare in giro per Londra,
quella sera. Il cielo sfumato di blu, le luci dei negozi che
illuminavano la via dandole un’aria calda e accogliente. Il
freddo che pungeva le guance e arrossava il naso, la gente che sembrava
sorridere a ogni angolo, Sherlock che camminava davanti a lei con il
capotto che svolazzava, le mani in tasca e i riccioli che andavano a
ritmo con i suoi passi. Lily avrebbe voluto congelare quel momento, e
conservarlo per sempre. Era tutto perfettamente coordinato in quel
momento. Si sentiva bene anche se ripensare a Sherlock, a quello che
aveva fatto e ai suoi sbalzi d’umore le facevano contrarre lo
stomaco dalla preoccupazione. Il pensiero che non avrebbe potuto mai
camminare con lui, sentire il suo braccio intorno alle spalle o
sentirsi libera di guardarlo negli occhi, la rattristava.
D’altro canto non riusciva a immaginare uno Sherlock
innamorato, preso da una relazione. Sarebbe stato troppo strano, forse
neanche naturale. Lily non sapeva neanche se lei era pronta per una
relazione ancora.
“Lily? Lily!” aveva sentito la voce di Sherlock
chiamarla impaziente.
Lei aveva interrotto i suoi pensieri bruscamente; lo aveva guardato,
spaesata.
Lui era lì, davanti a un taxi e teneva aperta la porta, per
farla salire: “Smettila di sognare ad occhi aperti, scendi
dalla tua nuvola rosa e sali!” l’aveva rimproverata.
“Che ne sai che ero su una nuvola rosa?” aveva
replicato, salendo a fatica sul taxi, cercando di non rovesciare la
busta che teneva in mano.
“Di solito chi fa brutti pensieri non sorride come uno
sciocco mentre cammina”.
Doveva averla guardata mentre pensava a camminare con lui come una
coppietta: “Bah ma che noioso che sei! Io penso a
quello che mi pare e se voglio mi metto anche a ballare per
strada!” aveva risposto imbarazzata.
“In quel caso, fai finta di non conoscermi” aveva
sorriso ironico Sherlock.
“Certo, certo” aveva sbuffato Lily, sistemandosi la
sciarpa intorno al collo “la tua reputazione è al
sicuro, tranquillo” continuava a lottare, non trovava il capo
e cominciava a irritarsi; più tirava, più si
stringeva. Aveva sospirato, frustrata:
“Maledizione!”
Sherlock si era allungato verso di lei sospirando, cominciando a
svolgere la sciarpa.
“Ma come diavolo hai fatto?” continuava ad
armeggiare, riuscendo finalmente a liberarla dalla stretta di lana
mortale “adesso, stai ferma. Non ti muovere finché
non arriviamo a Baker Street” aveva alzato le mani verso di
lei, puntandole gli indici contro.
Lily aveva messo su un mezzo broncio e aveva borbottato;
“Stupida sciarpa” infilandola a forza dentro la
borsa.
Sherlock l’aveva osservata e poi era scoppiato a ridere.
“Che c’è?” aveva chiesto,
ancora infervorata per la lotta.
“Dovresti vederti ora. Sei tutta rossa e con i capelli per
aria; sei buffa” aveva detto alzando le spalle.
Anche il conducente del taxi la guardava dallo specchietto retrovisore
sorridendo.
“Beh, molto lieta di scatenare tutta questa
ilarità” aveva ribattuto a mezza bocca, guardando
sia lui che il tassista “non riuscivo a liberarmi, stavo per
soffocare!” aveva aggiunto lamentosa, starnutendo per qualche
pelucco di lana finito nel naso “oh, povera me”
aveva tirato su con il naso.
Sherlock rideva ancora e ancora e non riusciva a smettere; era
così comica, così goffa. Neanche i bambini si
strangolavano con la sciarpa, ma Lily era un’eccezione.
Riusciva a cacciarsi in situazioni ridicole ed esilaranti allo stesso
tempo, come quella volta che non riusciva ad accendere un fiammifero;
era inutile, provava e riprovava ma o si spezzavano o non si
accendevano proprio. Rivedeva gli scatti nervosi del suo braccio mentre
cercava di sfregare la testa del fiammifero sul fianco della scatola, e
ogni volta erano sempre più rabbiosi. E lei era sempre
più rossa, più frustrata, finché non
aveva battuto i piedi e scaraventato la scatola nel camino, urlandole
gli improperi più mostruosi che Sherlock avesse mai sentito.
E anche quella volta, l’aveva osservata divertito bevendo il
suo the seduto in poltrona. E Lily si era anche arrabbiata con lui,
perché si sentiva presa in giro. Ma poi aveva cominciato
anche lei a ridere ed era finita così. Era un bel lato di
Lily, il non prendersi troppo sul serio. Mentre Sherlock era molto
suscettibile se veniva preso in giro, lei all’inizio si
arrabbiava poi scrollava le spalle e ci rideva sopra.
“Stavi ripensando ai fiammiferi!!” aveva esclamato
Lily, puntandogli un dito contro.
Sherlock aveva annuito, ridendo ancora di più.
Lily scuoteva la testa, esasperata “Ma che scemo”
aveva starnutito di nuovo.
“Ma allora lo fai apposta!” Sherlock si era preso
il viso tra le mani, non ce la faceva più.
Le spalle del tassista si muovevano su e giù, in una risata
silenziosa.
“Beh, basta ci rinuncio” aveva detto Lily,
girandosi verso il finestrino, un accenno di sorriso che cercava di
controllare “siete due persone orribili
e…” aveva risucchiato le guance per non ridere.
Sherlock si era calmato, anche perché ormai erano arrivati a
Baker Street. Il tassista, dopo essere stato pagato li aveva
ringraziati per avergli fatto fare due risate in quella noiosa serata
invernale.
“Di niente, di niente” aveva risposto Lily, facendo
una riverenza “dovrei cominciare a farmi pagare”
aveva aggiunto dopo, mentre si dirigevano verso il portoncino. Era la
prima volta che vedeva Sherlock ridere così di gusto.
Gongolava per essere stata lei la causa scatenante del tutto. Anche se
aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere la persona
più goffa e maldestra del mondo. Mentre pensava a tutto
questo, aveva sentito una voce morbida alle loro spalle:
“Sherlock! Sherlock, ehi sono io!”
Si era girata e dall’altra parte della strada una donna
agitava la mano in segno di saluto. Mentre attraversava, Lily la
osservava attentamente: capelli scuri, occhi allungati da gatta, zigomi
alti e scolpiti e tutte le curve al posto giusto. Ondeggiava sui tacchi
alti, fasciata in una gonna fino al ginocchio. Sembrava non sentire il
freddo, portava solo una giacca leggera molto aderente insieme a una
sciarpa di cotone. Il suo sorriso smagliante e perfetto brillava nella
sera. I suoi denti sembravano piccole perle. Era ormai davanti a loro,
e ansimava leggermente per la piccola corsa; aveva guardato Sherlock
raggiante, poi lo sguardo si era spostato su Lily. Ma era tornata
subito a lui, scuotendo la graziosa massa di capelli scuri e mossi
diffondendo un buon profumo tutto intorno. Lily si sentiva molto
sciatta di fronte a lei.
“Ehi straniero, ti ho beccato proprio mentre rientravi a
casa…come stai?” lo aveva abbracciato
calorosamente, forse un po’ troppo. E non lo lasciava andare,
continuava a cingergli la vita con un braccio.
“Ciao Janine” aveva sorriso tirato Sherlock,
guardando imbarazzato entrambe, cercando di liberarsi dalla stretta
della donna “io…io tutto bene e tu?”
“Oh benissimo grazie! Aspettavo mi richiamassi ma temo tu
abbia perso il mio numero, vero?” aveva frugato nella sua
microscopica borsetta per tirarne fuori un foglietto e una penna
“girati, così posso usare la tua
schiena”. Aveva sorriso, seducente.
Un’ondata di nausea aveva tramortito Lily. Non solo una donna
bellissima si era appena avviluppata a Sherlock, ma in quel momento lei
non esisteva. Sherlock era troppo imbarazzato e contrariato per
parlare, mentre Janine la ignorava di proposito. Il suo sguardo
sembrava dire "chi
è questa nanerottola che ti porti dietro? Forse la donna
delle pulizie? Non posso credere che tu possa portarti a letto una come
lei perché insomma…guardami”
Janine emanava profumo di erotismo, ma di erotismo vero. Da lenzuola di
raso e candele profumate insieme a luci soffuse, babydoll e
autoreggenti. La seduzione in persona, e non una ragazzina scheletrica
e brutta ancora impregnata di sesso adolescenziale e violento. Lei non
sapeva niente della seduzione. Ne era venuta a conoscenza dai film, dai
libri che leggeva e dai racconti di altre persone; anche se era molto
difficile non carpire l’aura di sensualità che
emanava Janine, il suo piglio sicuro con gli uomini, il suo sapersi
muovere vicino a loro; sapeva sorridere e sfiorare in maniera
maliziosa, senza un minimo di imbarazzo. A Lily sarebbe piaciuto avere
almeno la metà del suo charme e della sua sicurezza.
Non si era mossa di un centimetro, continuando a stringere la busta con
il cibo che le aveva dato Mary. Ah, sicuramente Janine era anche una
cuoca eccellente. Avrebbe voluto tanto la sua sciarpa ora, non sentiva
più il sangue scorrerle nelle vene.
“Ecco fatto, Sherlock” aveva infilato il foglietto
nella tasca interna del cappotto “ma insomma, dimmi qualcosa!
Come te la passi? John come sta?” un altro sguardo glaciale
alla figura di Lily.
“Ehm…stanno tutti bene grazie; benissimo, in
formissima” Sherlock si era schiarito la gola, guardando
Lily. Lei aveva ricambiato lo sguardo di sottecchi e per alcuni
secondi. Non voleva mettere in imbarazzo nessuno.
“Oh…ma forse avevi da fare?” aveva
portato una mano fresca di manicure davanti alla bocca a forma di cuore
“che cafona, sei in compagnia!” aveva riso,
maliziosa.
Alla fine sono solo
cinque minuti che sono qui, come uno stoccafisso aveva
pensato Lily, contrariata.
Ma aveva sorriso al suo meglio, cercando di non sbuffare.
“Certo, sì! Lei è Lily, occupa la
stanza di John a Baker Street da poco…quanti sono? Due, tre
mesi?” aveva esordito Sherlock guardandola, pensando di aver
avviato una conversazione normale.
“Quattro” aveva precisato lei, in un soffio.
“Giusto, quattro” Sherlock sembrava in
difficoltà, ma Lily era ancora più in confusione
di lui. Cosa lo faceva agitare così tanto?
“Ooooh Sherlock” aveva risposto Janine con tono
sorpreso “adesso hai un coinquilino donna? Ti sei evoluto
rispetto a qualche mese fa” aveva soffocato una risatina
“addirittura vivere con una femmina sotto lo stesso
tetto” aveva fissato Lily, squadrandola da capo a piedi
“una vera fortuna, per uno come te” il sorriso era
sparito dalla sua bocca perfettamente truccata “una cosa speciale”.
Sherlock aveva tossito leggermente, cercando di riprendere il
controllo: “È stata una successione di eventi che
l’ha portata a vivere con me…ah giusto a proposito
Lily, lei è Janine”.
Lily aveva annuito velocemente “Avevo intuito”.
“Che nome grazioso!” continuava a squadrarla come
se fosse un mucchio di immondizia “beh Sherl, magari mi
racconterai tutto a cena che ne dici” lo aveva guardato di
nuovo negli occhi, accarezzandogli il cappotto “è
tanto che non ci vediamo”.
Sherl????
aveva pensato Lily, perplessa.
Lui aveva guardato di nuovo Lily, che però stavolta non
aveva ricambiato; si concentrava su un minuscolo spazio tra Janine e
Sherlock, riusciva a intravedere il 221b in caratteri dorati nello
spazio tra le loro teste. Era molto focalizzata su quello. Aveva
sentito distintamente l’occhiata di Sherlock planare e
schiantarsi a terra a metà del tragitto tra lui e Lily.
Sicuramente non aveva bisogno del suo aiuto in quel momento; era
così sicuro di se stesso, che cosa poteva volere da lei?
“Beh Janine, io ora dovrei andare” aveva
farfugliato Sherlock allontanandosi leggermente da lei
“è stato…un piacere”.
“Oh lo so bene” aveva ammiccato lei, sfacciata
“chiamami, potremmo passare una bella serata” aveva
fatto scivolare la lingua su “serata” in una
maniera talmente lasciva che Lily era rabbrividita leggermente. Faceva
prima a dire scopami! scopami!
“Ehm..sì. Grazie Janine e buonanotte”
Sherlock aveva messo già la chiave nella toppa.
“Metafora interessante” aveva bisbigliato Lily a
mezza bocca, carpendo di nuovo lo sguardo di Janine su di lei. Aveva
subito guardato la chiave nella serratura.
“Buonanotteeeee” aveva sussurrato Janine, senza
salutare Lily. Aveva fatto ciao ciao con la manina verso di lui,
girandosi a guardarlo mentre attraversava la strada. Non voleva
perdersi un secondo di Sherlock Holmes.
Lily conosceva la sensazione, ma senza tutto il sesso in mezzo.
La nuvola di profumo si era dissolta, il calore del suo corpo pure ed
erano rimasti solo lei e Sherlock. Nessuno fiatava, sentiva solo il suo
sguardo puntato sulla sua nuca.
“Era per un caso, un’indagine, sai” aveva
azzardato Sherlock, con voce decisa.
“Oh certo, ne sono sicura, non c’è
problema” Lily lo aveva guardato sorridendo come una pazza.
Cercava di essere disinvolta, ma l’immagine di Janine
avvinghiata a Sherlock continuava a tormentarla.
Salivano le scale, in silenzio. Lily non poteva dire nulla, doveva far
finta di niente. Era una che si era portata a letto per un caso,
naturalmente. Ma perché faceva così male? La
differenza tra lei e Janine era abissale e lo sapeva bene. Erano quelle
le donne di Sherlock, quei tipi lì, simili a lui. Eleganti,
sofisticate, vestite bene e profumate. Lily si sentiva
l’esatto contrario, ed ecco risalire tutte le sue
insicurezze, le sue paure.
Janine era stupenda, arguta. Sapeva sedurre un uomo senza vergogna
perché era sicura di se stessa, della sua presenza, del suo
corpo. Sapeva che gli uomini la guardavano e in fondo, le piaceva. Ma
sceglieva lei a chi concedersi. Lo aveva capito anche Lily, che non era
una grande esperta in tecniche di seduzione.
Ma come diavolo poteva Lily competere con lei. Scuoteva la testa
impercettibilmente. Pensava a tutte le immagini di quel pomeriggio, a
tutte le sue fantasie romantiche. Ma che cretina che era.
“Sherlock” aveva esordito Lily, con voce malferma
“vorrei proporti una cosa”.
“Certo, dimmi” sentiva il tono fermo di Sherlock,
come se sondasse il terreno.
“Semmai dovesse capitare per le tue indagini di portare una
donna a casa, potresti avvertirmi prima” il silenzio era
calato per qualche secondo “potrei organizzarmi con Mary e
John e tu potresti stare tranquillo, con la casa vuota” si
era fermata davanti la porta, aspettando Sherlock con le chiavi.
Si era fermato. Sentiva il suo sguardo fisso su di lei, come per
analizzarla. Poteva immaginare tutti i suoi meccanismi che giravano e
giravano, cercando una risposta concreta alla richiesta di Lily.
“Lily” aveva risposto dopo un silenzio
interminabile “hai mai visto donne in casa da quando sei
arrivata qui?”
“Io…no, non ne ho viste, mai. Almeno
credo” aveva alzato le spalle.
Sherlock aveva sospirato: “Te lo dico io: non ce ne sono
state. Come potrei portare delle donne qui, sapendo che tu dormi al
piano di sopra?” aveva continuato, con tono infastidito.
“Beh, perché no scusa?” Lily aveva riso,
leggermente fuori tempo “io sono la tua coinquilina, ma
nonostante tutto non pago affitto e bollette; nessuno può
impedirti di farlo se vuoi. Sia che si tratti di indagini
o…altro” aveva abbassato la voce, riducendola in
un sussurro.
Sherlock le era passato davanti, per aprire la porta. Sembrava
spazientito, addirittura arrabbiato: “Ho già
ribadito parecchie volte che affitto e bollette non sono un problema.
Per ora, grazie al cielo, non ho bisogno di donne nel mio letto per
risolvere casi e indagini” come se mi facesse piacere
aveva bisbigliato tra sé e sé “ma ti
ringrazio comunque per la delicatezza della tua domanda”
armeggiava con le chiavi, non riusciva a trovare quelle della porta.
Lily era rimasta zitta e immobile. La rabbia composta di Sherlock la
spaventava. Ovvio che le avrebbe fatto piacere non avere donne in mezzo
ai piedi a Baker Street. Ma chi era lei per impedirlo? Certo che le
sarebbe piaciuto che Sherlock avesse risposto che non avrebbe portato
donne in casa perché ora c’era lei ed era tutto
ciò di cui aveva bisogno. Ma di nuovo, lei non era nessuno,
non era niente per Sherlock Holmes.
Sherlock aveva trovato la chiave e spalancato la porta, richiudendola
dietro di sé. Mentre si toglieva il cappotto Lily vedeva che
ragionava, pensava come se fosse impazzito. Lei riusciva solo a
rimanere ferma all’ingresso, la busta stretta tra le braccia
sapendo di aver detto una stupidaggine, ma in quel momento le era
sembrata la cosa giusta da fare. Se avesse fatto una scenata di gelosia
cosa sarebbe cambiato? Sicuramente nulla, ma per certo avrebbe reso la
situazione tra loro ridicola e imbarazzante.
Non bastava un “ti chiedo scusa” o un salvataggio
dal cattivo di turno per far breccia nel cuore di Sherlock Holmes.
Persino quella sera lui aveva difeso il suo orgoglio e non
quello di Lily. Con lui non bastava niente, era troppo sopra tutto e
tutti. Era irraggiungibile.
“Sai una cosa” aveva ribadito Sherlock
all’improvviso girandosi verso Lily, l’aria di chi
doveva per forza dire qualcosa per giustificarsi e imporre il proprio
punto di vista “io sarò anche una persona
anaffettiva e gonfia di ego” l’aveva guardata, gli
occhi grigi e freddi “ma il rispetto per le altre persone,
seppur poco, mi è rimasto. E neanche per tutte le persone,
ti dirò la verità. Le donne che sono venute qui
si contano sulle dita di una mano, fidati. E sono state qui sempre con
motivazioni valide, almeno per me” la sua voce era carica di
sottintesi “non mi sono mai divertito, neanche un
po’. Era tutto meccanico, calcolato, ma te l’avevo
già detto stamattina mi pare. Ma visto che me
l’hai chiesto con tanta gentilezza, va bene. Se
dovesse capitare te lo dirò con LARGO anticipo, se la cosa
ti rende felice”.
“Ma Sherlock, io…” Lily aveva cominciato
a parlare per cercare di spiegare, anche se in maniera sbagliata,
quello che intendeva “io non voglio in nessun modo
intralciare le tue…”
Sherlock aveva riso, ironico: “Lily, pensi non ci siano altri
posti dove poter espletare tutti i rituali necessari alle
indagini??” aveva allargato le braccia “per me
Baker Street è comoda perché dopo loro vanno via e io
rimango a casa, tutto qui. Posso cambiare le lenzuola, aprire le
finestre, farmi una doccia. Avevo già previsto tutto, avevo
già tutto sotto controllo come al solito. Ed è
inconcepibile che tu abbia questa scarsa considerazione della mia
intelligenza. È assurdo” si era seduto in
poltrona, le mani sotto il mento.
Lily era rimasta zitta. Non gli interessava l’opinione che
aveva di lui come persona. Si preoccupava che lei sottovalutasse la sua
intelligenza. Tutto ciò era molto da Sherlock, avrebbe
dovuto intuirlo. Ma lei non faceva Holmes di cognome.
“Ti ho solo chiesto una cosa, non sapevo avessi
già organizzato tutto. Credevo di toglierti da una
situazione scomoda e comunque non dubito della tua intelligenza,
né tantomeno della tua morale”
“E chi ha parlato di morale?” aveva replicato
Sherlock, scrollando le spalle.
Hai mai visto donne in
casa da quando sei arrivata qui? Le parole di Sherlock le
rimbombavano in testa. Sembrava un discorso riguardo la morale. O si
sbagliava?
Aveva riferito a Sherlock le sue parole di poco prima.
“Stavo solo rispondendo alla tua domanda! Semplicemente: hai
mai visto donne da quando sei qui? No! E quindi era logico che non ce
ne sarebbero mai state altre, perlomeno qui dentro! Te l’ho
chiesto per farti rendere conto che il problema non si poneva
dall’inizio. Ma tu non l’hai capito, hai dovuto
tirare fuori la morale, il fatto di intralciare le indagini… nessuno intralcia
le mie indagini, e tutte quelle altre sciocchezze” aveva
incrociato le braccia, seccato.
Ma sì, al diavolo la morale.
Lily, nonostante il ragionamento intricato e sicuramente di dubbia
verità, aveva deciso di credere a Sherlock. La morale
c’era, molto in fondo e probabilmente unilaterale, ma lei era
convinta che a tutto questo Sherlock non ci avesse minimamente pensato.
E con la sua domanda aveva scatenato il suo lato vulnerabile,
cioè quello della disattenzione, quello del non aver preso
in considerazione tutto quanto e di conseguenza perdere il controllo
del suo filo logico. Strano da parte sua.
“Ok Sherlock, scusa. Dovevo capirlo da sola, quando mi hai
fatto la domanda la prima volta”.
Tutta colpa di Janine.
Sherlock rimaneva fermo sulla poltrona; si era tolto la giacca e non
proferiva parola. Lily non aveva la più pallida idea di
quello che stesse succedendo, e anche il discorso fatto fino a quel
momento le appariva ingarbugliato.
Sherlock ragionava. Proprio quella mattina aveva collocato Lily nella
lista di persone che riteneva importanti; e tutto ciò che
era successo lo aveva fatto arrabbiare. L’incontro con Janine
era stato proprio il culmine, non era stato calcolato, come non era
stata calcolata la conversazione di poco prima. Si era distratto, ed
era imperdonabile. Era tutto vero: era per un’indagine,
quella famosa sera a casa non c’era neanche John, figurarsi.
Come se lui dovesse dare spettacolo, come se ne andasse fiero. Invece
non gliene importava proprio niente, se fosse stato per lui ne avrebbe
fatto volentieri a meno. Non riusciva mai a spiegarsi e la gente era
troppo poco furba per capire. Ma non importava. E il fatto che Lily gli
avesse chiesto una cosa del genere!! Non doveva spiegazioni a nessuno!!
Poi si era fermato e calmato. Ripensava a quello che stava facendo.
Aveva chiuso gli occhi, soffocando la voce dentro di lui che parlava,
parlava, parlava; poi era tornata quella che aveva sentito la mattina
stessa:
“Va tutto
bene, tu sei Sherlock Holmes, vedi di ricordartelo”.
Non lo aveva tranquillizzato come prima, ma lo aiutava a rimanere
lucido. Cominciava a sentirsi strano, forse un po’ preso in
giro da quella voce che era il suo subconscio. Ma era l’unica
che lo riportava alla realtà.
“Ok, ci siamo chiariti” era tornato sulla terra,
finalmente “ora vado a dormire, sono stanco.
Buonanotte” aveva quella sensazione di soffocamento e di
disagio che non riusciva a fermare. Sperava solo che il suo lato
più analitico reggesse.
Lily lo aveva seguito con lo sguardo sussurrando un
“buonanotte”. Ogni tanto si perdeva nel suo mondo;
poi tornava e spariva di nuovo, però fisicamente. Forse era
quello che lo teneva calmo, ma ogni volta era spiazzante e complicato,
con ragionamenti intricati e non sempre limpidi. Possibile che ogni
giorno dovessero discutere?
Aveva sospirato, scrollando le spalle. Ultimamente aveva degli sbalzi
d’umore non indifferenti. Un momento prima scherzava ed era
di buonumore, poi all’improvviso diventava scontroso e
silenzioso come se un pensiero improvviso lo turbasse o un ricordo
riaffiorasse alla sua mente, ricordandogli qualcosa di doloroso. Aveva
messo in conto che sarebbe stato complicato convivere con una
personalità così sfaccettata, ma a volte si
preoccupava seriamente, anche alla luce dei sentimenti che aveva appena
scoperto per lui.
Era difficile stargli accanto la sera sul divano guardando la tv, o
cenare con lui al tavolo del salotto. Era difficile scendere le scale
la mattina e trovarlo assorto in un libro o al microscopio, ancora
assonnato ma allo stesso tempo concentrato. Era difficile
perché avrebbe voluto avvicinarsi a lui e dargli un bacio o
arruffargli i capelli, ma poteva solo accennare un buongiorno e nulla
più. Accettava tutto questo, perché in fondo
andava bene anche così; era abituata ad accontentarsi ed era
disposta anche a sopportare i suoi sbalzi d’umore. Sapeva che
non era una cosa buona, ragionare così. Poteva anche
arrabbiarsi, ma sapeva che l’avrebbe perdonato comunque,
nonostante tutto. Prima o poi sarebbe arrivata una donna, qualcuno che
l’avrebbe fatto uscire fuori dal suo guscio. O forse no, chi
poteva saperlo. Sembrava il tipo che poteva rimanere tutta la vita da
solo con se stesso.
La cosa che la tirava un po’ su era che in fondo aveva il
privilegio di essere la coinquilina di Sherlock Holmes; chi poteva
vantarsi di questo, oltre a John?
Aveva sorriso amara, consolandosi con questo pensiero flebile. Poi
aveva sistemato la roba in frigo ed era salita in camera, sperando di
riuscire a dormire.
//
Il mattino dopo, come sempre, Sherlock si comportava come se nulla
fosse successo. Lily a volte pensava se veramente fosse successo quello
che ricordava; Sherlock era troppo rilassato, troppo tranquillo come se
veramente l’episodio della sera prima non fosse accaduto.
Doveva distrarsi e uscire da lì, si sentiva soffocare.
Sarebbe andata a prendere un caffè e a fare un po’
di spesa, almeno avrebbe staccato la spina e si sarebbe allontanata
anche se per poco da Baker Street e dal suo inquilino strambo.
Uscita in strada era andata alla caffetteria; aveva annusato
l’aroma del caffè fino in fondo, calmandosi.
C’era il sole stranamente, e Lily ne apprezzava ogni raggio,
scaldandosi nella sua luce. Arrivata al supermercato aveva cominciato a
girare per gli scaffali, distratta. Aveva la lista in testa ma non
riusciva a concentrarsi, intontita dal calore di poco prima. Era
ubriaca di sole, che bella sensazione. Si era irrigidita per un attimo,
quando era arrivata nella corsia dei biscotti. In fondo,
dall’altra parte del corridoio, c’era lo scaffale
dove aveva incontrato Kaleb. Aveva sentito un brivido, ma poi si era
ricomposta; era tutto finito.
All’improvviso aveva sentito una botta alla schiena e quello
che teneva in mano era volato via dalla sua presa, cadendo per terra.
Lily aveva imprecato a bassa voce, girandosi furiosa verso
“l’abbattitore”.
“Mi scusi, mi scusi tanto. Stavo guardando gli scaffali in
alto e non mi sono accorto…accidenti, le ho fatto cadere
tutto…” era un uomo, chinato per terra, e
raccoglieva la roba di Lily. Aveva alzato il viso verso di lei: era
biondo cenere, i capelli mossi e gli occhi castani, grandi. Forse un
po’ tondi, ma molto caldi. Aveva sorriso a Lily che lo stava
guardando, mettendo in mostra una dentatura bianca accompagnata da due
adorabili fossette incise ai lati della bocca. Si era alzato e aveva
porto a Lily la roba che le era caduta: “Sono veramente
spiacente, spero non si sia rotto nulla”.
“Ehm…forse i biscotti, ma li
cambierò…grazie” Lily cercava di tenere
tutto tra le braccia, ma aveva questo brutto vizio di non prendere un
cestino arrivando alla cassa con le mani strapiene.
“Mi permetta di aiutarla, per favore. È il minimo
che possa fare”.
Bam, altro sorriso scintillante. Lily sentiva il viso diventare rosso:
“Per…per favore, dammi del tu, non sono
così vecchia” aveva riso nervosa.
“Oh, scusa allora. Solo che credevo che una ragazza carina
come te fosse sposata..sai” si dondolava da un piede
all’altro, guardando il pavimento.
“Ah, chi io? No, figurati!” la voce era uscita in
un sussurro impaurito. Carina? Ma l’aveva vista in faccia?
“Beh, meglio allora!” aveva esordito il ragazzo
misterioso “quindi…posso chiederti come ti chiami?
Se non sono troppo indiscreto” la guardava da sotto i capelli
biondi.
“Io…mi chiamo Lily” aveva steso la mano,
ma la spesa stava per ricadere a terra “oops, che sbadata,
scusami. Comunque molto piacere”.
“Bene Lily, io sono Andrew, piacere mio. Senti, che ne dici
di una mano? Di questo passo arriverai a casa dopodomani”
altro sorriso scintillante “permetti?” aveva
allungato le braccia.
“Ok…ehm..grazie Andrew” avevano diviso
equamente la spesa e si erano avviati alla cassa.
Avevano chiacchierato un po’ mentre mettevano la roba nelle
buste di carta e Lily pagava la spesa, sempre con la carta di Sherlock.
Si erano avviati verso Baker Street, e Andrew era veramente un tipo
interessante. Parlare con lui era estremamente facile, molto piacevole.
Studiava psicologia e abitava in un appartamento con un suo compagno di
corso. Voleva aprire uno studio tutto suo e veniva da fuori Londra.
“Il classico ragazzo di campagna che arriva nella
City” aveva riso.
“Eppure non sembra, non hai l’accento di uno che
viene da fuori”.
Il sorriso di Andrew era scemato leggermente verso il centro della
bocca, per poi allargarsi nuovamente: “Beh imparo in fretta,
cerco di parlare correttamente anche per
l’università”
Lily aveva annuito timidamente. Andrew la osservava, poi a un certo
punto aveva esordito: “E di te che mi dici? Da dove
vieni?”
Lily aveva raccontato a grandi linee da dove veniva senza spingersi nei
particolari; Andrew la ascoltava, attento. Non faceva domande
indiscrete. E ne era ben contenta, anche perché se le avesse
chiesto dei lividi non avrebbe saputo cosa rispondere.
Erano arrivati davanti al 221b, e Lily non sapeva se era il caso di far
vedere a Andrew dove abitava. L’aveva appena conosciuto
dopotutto. Però non potevano continuare a girare per il
quartiere carichi delle buste della spesa. Si era fermata e aveva
balbettato: “Io sono arrivata a casa, abito qui”
aveva indicato con il pollice il portoncino.
“Ah bene!” aveva esclamato Andrew “ti
serve aiuto per portarla in casa?”
“Ehm…” aveva cominciato a parlare quando
aveva sentito una voce dietro le sue spalle.
“Lily?” era Sherlock, appena uscito dal portone e
fermo sugli scalini “sei tornata. Tutto ok?” aveva
guardato prima lei e poi Andrew, perplesso.
“Oh, ciao Sherlock. Lui è Andrew” si era
girata verso di lui “questo è il mio coinquilino,
Sherlock. Andrew mi ha aiutato con le buste”.
“Abbiamo avuto uno scontro tra le corsie del supermercato e
per farmi perdonare le ho portato la spesa” aveva guardato
Lily, sorridendo “piacere di conoscerti, Sherlock”
aveva allungato la mano verso di lui, ma Sherlock era rimasto immobile,
guardando prima la mano e poi lui. Aveva sorriso con circostanza, ma
sembrava più una smorfia di dolore. Poi aveva esordito, con
la sua voce profonda: “che strane cose che accadono al
supermercato; persone che si perdono,
persone che si incontrano"
aveva guardato entrambi, sollevando le spalle e accennando un
sorrisetto ironico.
Lily aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo,
vergognandosi come una ladra. Andrew nel frattempo aveva ritirato la
sua mano tesa, rendendosi conto che quella di Sherlock sarebbe rimasta
ben ancorata nella tasca del cappotto.
Dopo qualche minuto di silenzio, Sherlock aveva ripreso la parola
“Lily, dammi le buste e prendi quelle di Anton,
così possiamo portarle su a casa”. Si era girato,
aprendo il portone e sparendo all’interno del palazzo.
Lily si era girata verso Andrew con aria preoccupata, mentre lui le
porgeva le buste sorridendo e bisbigliando: “Wow, non penso
di essergli molto simpatico. Non si è neanche ricordato il
mio nome!” aveva sorriso leggermente.
“Scusami, Sherlock è così con tutti.
È un tipo un po’ particolare, sopporta a malapena
me” aveva sollevato le spalle.
“Ma tu e lui…” Andrew aveva lasciato la
frase in sospeso, guardando verso il portoncino semiaperto.
“Chi, io e lui? No, no assolutamente” Lily aveva
sentito una stretta allo stomaco mentre pronunciava quelle parole
“no, non stiamo insieme; è un caro amico, mi ha
aiutato molto”.
“Ah, okay. Uhm…senti Lily” era
imbarazzato “so che è un po’
presto..ma…mi lasceresti il tuo numero? Mi piacerebbe
rivederti in circostanze meno…ingombranti” aveva
riso, indicando le buste della spesa.
Lily pensava. Una sottile paura si era insinuata sotto la sua pelle e
subito dopo aveva pensato a Sherlock, sentendosi ghiacciare lo stomaco.
Ti ha chiesto il numero,
non di sposarlo. Potrebbe essere un segno, tentar non nuoce. Ricomincia
a vivere.
La voce della Lily dentro la sua testa la spronava. Ma Sherlock? Si
sentiva quasi in colpa, sembrava come tradirlo.
Tradirlo di cosa?ti sei
scordata dei tuoi ragionamenti di stamattina? Lui è Sherlock
Holmes, non vedrà mai te come possibile compagna.
Dentro la testa di Lily regnava il caos più assoluto; la sua
insicurezza la faceva chiudere a riccio. Ma Andrew le aveva detto che
era carina, ed era così piacevole parlare con lui, e pensava
lo sarebbe stato ancora di più davanti a una tazza di the in
un posto tranquillo.
Al diavolo, prova.
Sherlock non ti vuole, lo sai.
Lily aveva sospirato e poi aveva sorriso leggermente a Andrew:
“Certo, hai carta e penna? O il cellulare?”
Lui aveva tirato fuori lo smartphone dalla tasca interna della giacca,
facendole l’occhiolino.
Mentre Lily dettava il numero a Andrew, dentro l’appartamento
Sherlock li osservava dalla finestra, nascosto dietro la tenda. Aveva
socchiuso gli occhi, memorizzando i particolari di Andrew. Non aveva
avuto una buona percezione nei suoi confronti, non lo convinceva.
Sorrideva troppe volte, e troppo esageratamente. Si avvicinava troppo a
Lily, invadendo il suo spazio. C’era qualcosa che non andava.
Ma lei rideva timida, si spostava i capelli dietro
l’orecchio; come se si fosse dimenticata dei lividi che aveva
sul volto. Sherlock tamburellava le dita sulla cornice di legno della
finestra e aveva distolto lo sguardo. Doveva parlarne con John.
Finalmente Andrew aveva salutato Lily e lei si era avviata verso il
portoncino; poi si era fermata e aveva sorriso, salutando di nuovo un
punto della strada che Sherlock non riusciva a vedere.
Sentiva che saliva le scale, entrava in casa e posava le buste sul
tavolo della cucina insieme a quelle che aveva portato lui. Metteva a
posto la spesa, senza proferire parola.
“Strani incontri si fanno al supermercato” aveva
esordito Sherlock, con un sorrisetto beffardo sulla faccia.
Lily si era girata verso di lui, guardandolo storto: “
È stato gentile, che c’è di male? So
che per te il concetto è nebuloso, ma aiutare la gente mica
è reato”.
“Io aiuto sempre le persone, risolvo casi per loro e trovo il
colpevole” aveva continuato Sherlock incrociando le braccia
dietro la schiena e girandosi verso di lei “quindi dobbiamo
girare anche a te la promessa che ti ho fatto ieri sera? Se io non
porto donne, tu non porti uomini”.
Lily aveva alzato gli occhi al cielo; cercava di provocarla, lo sapeva
e non capiva neanche il perché: “Tranquillo
Sherlock, guardi davvero troppo avanti. Mi ha aiutato a portare la
spesa, niente di che”.
“Hm” Sherlock l’aveva guardata negli
occhi “e non gli hai dato il tuo numero, vero?” le
tende erano leggermente tirate, immergendo il salotto nella penombra.
Sembrava fondersi perfettamente nell’ambiente con il suo
completo grigio antracite. Continuava a fissarla, aspettando una
risposta.
Lily si era morsa il labbro, riprendendo subito contegno:
“Beh…può darsi. È un
problema?”
Sherlock si era girato verso la finestra, ridendo. Poi era tornato
serio e posando di nuovo lo sguardo su Lily aveva detto piano:
“No, figurati. Solo fa attenzione, l’hai appena
conosciuto”.
Il cuore di Lily era sprofondato al piano di sotto; sperava, molto molto in fondo, che
Sherlock facesse trasparire un minimo di fastidio, un pelo di gelosia.
Invece no, si raccomandava come un padre premuroso. Aveva chiuso gli
occhi e scosso la testa. Era amareggiata, il suo povero cuore ridotto
in briciole: “Va bene, starò attenta. Se dovesse
succedere qualcosa”.
“Succederà” aveva replicato Sherlock
serio, scostando con la punta delle dita la tenda dalla finestra.
“Giusto, ricordavo che hai la palla di vetro” Lily
aveva riso leggermente “dove stavi andando prima?”
tormentava con le dita la tovaglia del tavolo della cucina, guardando
il pavimento.
“Al St. Barth’s da John. Vuoi venire? Forse Mary
è di turno”.
Lily aveva sospirato: “Sì, perché no.
Vengo anche io”.
Aveva fatto passare Sherlock, che aveva lasciato dietro di lui il suo
profumo. Lo aveva seguito, chiudendo la porta.
Alla fine era successo. Lily si sarebbe aspettata un chiasso
assordante. Invece nulla; nessuno riusciva a sentirlo, nessuno se ne
accorgeva, tranne lei.
Una persona sorride mentre il suo cuore, segretamente, si consuma*
Era proprio vero.
Un cuore spezzato non fa rumore.
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Capitolo 13 *** Secrets and lies ***
Capitolo 13
Secrets and lies
Non si erano parlati per
tutto il tragitto fino al St Barth’s. Lily era molto triste,
non aveva mai provato il dolore del rifiuto,
dell’indifferenza. Almeno dal punto di vista romantico. In
tutta la sua vita aveva avuto solo una “relazione”
ed era finita nel peggiore dei modi. Era bello innamorarsi, ma venire
rifiutati, tra l’altro senza essersi dichiarati, era la
peggiore delle torture. Non poteva confessare i suoi sentimenti a
Sherlock, perché aveva paura di perderlo. Doveva tenersi
tutto dentro, il dolore a scavarle il cuore; era come avere sete e non
poter bere. O avere un prurito insopportabile e non potersi grattare.
Da andare ai pazzi.
Andrew era capitato in un momento strano, Lily non sapeva come gestire
la situazione. Si sentiva in colpa perché aveva pensato a
Sherlock quando lui le aveva chiesto il numero di telefono; ma a un
certo punto sarebbe dovuta andare avanti, fare un tentativo, cercare di
rimettere a posto i pezzi del suo cuore e della sua vita, cercare di
essere felice. Sherlock era irraggiungibile, e non era interessato a
lei. Aveva pensato al giorno in cui un’altra donna sarebbe
atterrata nella sua vita, e aveva sentito un dolore lancinante in tutto
il corpo. Ma sperava di essere guarita quando sarebbe arrivato il
momento; sperava di amare qualcun altro.
Perché tu lo
ami, vero? La voce nella sua testa la
tormentava ancora.
Non posso amarlo.
Un brivido freddo le aveva percorso la schiena. Voleva assolutamente
pensare a qualcos’altro, sennò sarebbe scoppiata a
piangere senza ritegno.
Percorreva il corridoio del St Barth’s dietro a Sherlock,
triste e nervosa. Doveva darsi una possibilità con Andrew?
Non lo sapeva. Una rabbia bruciante le aveva sferzato la pelle; era
sempre così indecisa, piena di dubbi. Doveva tirare fuori
gli attributi, aveva pensato mentre guardava Sherlock che camminava
davanti a lei. Il suo portamento, i suoi capelli, le sue mani, tutto.
Tutto faceva battere il cuore a Lily. Le sue spalle larghe, il naso
perfetto, le ciglia nere e lunghe, il modo in cui i vestiti gli
cadevano addosso. Ma non poteva, doveva darsi una mossa, guardare
avanti. Mentire a sé stessa era una tortura, ma forse se
qualcun altro le avesse fatta sentire amata sul serio,
l’infatuazione sarebbe passata.
Unico problema: era davvero un’infatuazione? O era amore? Non
aveva termini di paragone, Kaleb non contava; forse sì, ma
era amore adolescenziale, non adulto. Era tutto diverso. Lily
apprezzava sia i pregi che i difetti di Sherlock, e secondo lei questo
era segno di qualcosa di maturo; uno dei tanti, almeno.
Mentre divagava, erano arrivati in ambulatorio e Sherlock aveva aperto
la porta, senza bussare. John era seduto al tavolo e mangiava un panino
insieme a Mary.
“Oh, ma che bella sorpresa!” aveva esclamato lei,
sorridendo a entrambi “qual buon vento vi porta?”
“ Dovresti
bussare, Sherlock” aveva sibilato John. Aveva
guardato entrambi.
“E perché mai? Sei in pausa pranzo! Saremmo
arrivati prima, ma Lily ha avuto un contrattempo” si era
girato verso di lei, che era rimasta leggermente indietro, le mani
affondate nelle tasche del giubbotto. Alle parole di Sherlock aveva
alzato gli occhi, esasperata: “Sherlock, ti
prego” aveva piagnucolato.
“Ah sì, e cosa è successo?”
John aveva guardato Lily strizzando gli occhi, curioso, e continuando a
masticare.
“Ma no, niente di…” aveva cominciato
lei, scuotendo la testa.
“Lily ha incontrato un uomo al supermercato, che le ha
portato le buste della spesa fino a casa” aveva
continuato Sherlock. L’aveva guardata, con aria di sfida. Si
stava divertendo.
Mary aveva trattenuto il respiro, sorpresa, mettendosi le mani davanti
alla bocca “Davvero?”
John guardava Lily, serio. La scrutava attentamente. Lily aveva
incontrato per pochi secondi i suoi occhi e li aveva abbassati, a
disagio. C’era qualcosa nel modo in cui la squadrava che la
faceva sentire quasi nuda, come se non avesse barriere o scudi. Aveva
affondato ancora di più le mani nelle tasche stringendosi
nelle spalle, vergognosa.
“Dai Lily, mica è una brutta cosa, anzi.
È carino?” aveva continuato Mary, con tono
complice. Lily in quel momento aveva avuto un moto di antipatia verso
di lei e sperava che John la salvasse in qualche modo, ma lui
continuava a mangiare, gli occhi fissi sul suo panino. Lily era
arrabbiata anche con lui, era arrabbiata con tutti.
“Mi ha solo aiutato con la spesa” aveva mugugnato.
Un leggero rossore le colorava le guance.
“Ti ha chiesto anche il numero di telefono” aveva
continuato Sherlock, impunito.
Lily lo aveva guardato, gli occhi fiammeggianti. Contraeva la mascella,
furiosa. Ma perché non teneva quella boccaccia chiusa?
Mary aveva lanciato un gridolino entusiasta. Lily lo aveva sentito
stridere sui suoi nervi.
Sherlock la guardava con aria di sfida. La stava mettendo in imbarazzo
apposta, per fargliela pagare riguardo al discorso della sera prima.
Non si era dimenticato niente, anzi. Aspettava solo il momento giusto,
le aveva chiesto di andare con lui di proposito per scatenare la
curiosità morbosa di Mary e a quanto pare
l’indifferenza di John, che continuava a mangiare senza
esprimersi. E lui si stava godendo lo spettacolo in prima fila. Aveva
accennato un sorrisetto e poi si era girato: “Vuole diventare
psicologo” aveva continuato verso Mary, che lo guardava avida
di informazioni “proprio un bravo ragazzo” aveva
alzato le spalle, il sorriso beffardo ancora stampato in faccia.
Dopodiché si era incamminato verso il bricco del
caffè appena fatto, versandolo dentro una tazza. Si era
appoggiato al tavolo, le gambe incrociate e una mano a sorreggere il
proprio peso, mentre con l’altra si portava il
caffè alle labbra. Lily vedeva i suoi occhi scintillare
divertiti. Erano grigio ardesia, più scuri del solito.
Sembravano gli occhi di un demone. Lily aveva sentito la pelle
avvampare di piacere, insieme a un moto di rabbia, frustrazione e
pianto. Erano occhi stupendi, ma cattivi. In quel momento lo avrebbe
preso a schiaffi su quegli zigomi affilati, fino a farsi male. Aveva
stretto le mani dentro il giubbotto, deglutendo. John l’aveva
guardata di nuovo, gli occhi blu concentrati. Lily non capiva. Poteva
smettere di guardarla con quegli occhi come due pozzi scuri; non
serviva anche il suo, di giudizio.
Nessuno parlava e aspettavano che fosse lei a prendere la parola
lanciandosi in una descrizione dettagliata di Andrew; ma lei non sapeva
niente di lui, lo conosceva appena.
Aveva sospirato, fulminando Sherlock con lo sguardo.
“Scusate” aveva mormorato e si era diretta verso la
porta, sbattendola alle proprie spalle.
Mary aveva sobbalzato, sorpresa. Era rimasta in silenzio per qualche
attimo, poi si era girata verso John “ Cosa le è
preso” aveva domandato, guardando anche Sherlock
“è una ragazza carina, doveva aspettarselo prima o
poi” aveva alzato le spalle, incredula. Poi si era
illuminata: “oh, si vergogna, poverina! Vado a
cercarla!” e si era lanciata fuori dalla stanza, lasciando
John e Sherlock da soli.
“Blah, questo caffè fa schifo” aveva
esordito Sherlock svuotandolo nel lavandino. John ne aveva preso un
sorso: “A me piace. Sai cos’è che non mi
piace invece? Te che fai lo stronzo” aveva appoggiato la
tazza sul tavolo facendole fare un rumore secco e si era girato verso
Sherlock, scrutandolo con aria di rimprovero.
Sherlock aveva sgranato gli occhi, incredulo: “Cosa ho fatto
adesso?”
John aveva scosso la testa, irritato: “Hai messo in imbarazzo
Lily, razza di cretino” aveva esclamato John “ma
veramente non te ne rendi conto?”
Sherlock aveva riso ironico: “Ah, quello?” si era
tolto la sciarpa, appoggiandola sul tavolo “cosa
sarà mai, si scherzava; una piccola rivincita, per quello
che è successo ieri sera” aveva abbassato le
labbra e alzato le sopracciglia.
John naturalmente si era fatto raccontare tutto; Janine, il discorso
che aveva fatto con Lily, il piccolo diverbio e l’incontro
con Andrew.
“Insomma, come può pensare che io porti altre
donne in casa con lei dentro?” aveva sbuffato verso
l’alto, facendo muovere un ricciolo che gli era cascato sugli
occhi.
“Con me l’hai fatto” John aveva
appallottolato la carta del panino “certo, io sono un uomo,
è diverso” aveva appoggiato il viso su una mano,
guardandolo.
“Non è vero, tu non c’eri
mai!” aveva esclamato lui, incredulo.
John aveva sospirato: “Sherlock, certo che c’ero.
Non con Janine, ma le ho sentite le tue “tester”.
Più di una volta. Eri convinto che non ci fossi, un paio di
volte sono uscito di nascosto ma non sempre. E di certo non venivi a
controllare in camera, razza di spilungone pigro”.
“Arrivavo e ti chiamavo a voce alta, se non rispondevi per me
non c’eri.” l’espressione di Sherlock
diventava sempre più rabbiosa “dovevi dirmelo che
eri in casa!”
“Certo che non rispondevo! Sentivo risatine di donna! Se
fossi saltato fuori, le avresti cacciate di casa mandano a monte
l’”interrogatorio”! e certe volte, scusa
tanto, dormivo!” John lo guardava, godendosi la sua
espressione. Uguale identica a quando lo aveva accusato di essere una
primadonna. Poi si era incupito: “Lily cosa c’entra
in tutto ciò? credeva di farti un piacere, non di metterti
in imbarazzo, cosa che hai fatto te, nel peggiore dei modi. Sai che
è timida e l’essere messa al centro
dell’attenzione la manda nel panico. Non ti è
bastato l’uomo ubriaco?”.
“Oh insomma, non ho fatto niente di grave” aveva
borbottato Sherlock, guardando il pavimento.
“Sei proprio sicuro che non l’hai fatto per
vendicarti? O magari ti scoccia che abbia incontrato Andrew?”
“Andrew non mi piace” aveva risposto lui
“sorride troppo, invade il suo spazio, è troppo
irruento”.
“Oh, capisco” aveva annuito John “non
piace a te quindi non deve piacere neanche a lei”.
“Ma chi ha detto niente! le ha anche dato il numero di
telefono, chi sono io per dirgli di non farlo?” aveva agitato
una mano per aria, infastidito.
“Lily ascolta sempre quello che dici, e prende molto in
considerazione le tue opinioni”.
“Ma io non le ho detto che non mi piace; l’ho solo
avvertita, le ho detto di stare attenta, tutto qui”.
“E quello che hai fatto qui? Sicuramente ha capito che
l’hai fatto apposta, non è stupida” John
si era versato altro caffè, avvicinandosi a Sherlock
“ieri sera si sarà sentita in imbarazzo, oggi con
Andrew e te, e adesso di nuovo. Sherlock per l’amor di Dio,
ti avevo chiesto di darle pace, ma fai esattamente il
contrario”.
“Non capisco perché con Andrew si sarebbe sentita
in imbarazzo” aveva chiesto Sherlock.
“Non sei stato propriamente cortese, se è vero
quello che mi hai raccontato” aveva sibilato John.
“Se una persona non mi piace, perché dovrei essere
cortese? È inutile, va contro la mia natura” aveva
alzato le spalle.
“Forse perché piace a Lily?” John aveva
posato la tazza nel lavandino.
Sherlock aveva fatto spallucce: “Non ne ho idea; e poi non ha
detto apertamente che le piace; io non so com’è
lei quando le piace una persona”.
John aveva soffocato una risata, mentre sciacquava la tazza: “ Già”
aveva scosso la testa.
Sherlock si era girato verso di lui, interrogativo.
John gli aveva dato una pacca su una spalla: “Se dovesse
uscirci, cerca di non fare il pezzo di merda” aveva sorriso
ironico.
“Io non sono la balìa di Lily! può fare
quello che vuole, le ho solo detto di fare attenzione se dovesse
succedere!!!” aveva urlato, irritato.
La risata di John era echeggiata nell’ambulatorio, mentre
andava in bagno.
//
Lily si era rifugiata nella prima stanza che aveva trovato. Camminava
avanti e indietro, in un moto nervoso, come un animale in
cattività. Si era passata le mani nei capelli, cercando di
calmare il nervosismo e il cuore che le esplodeva nel petto.
Improvvisamente aveva tirato un calcio ad una sedia di metallo
lì vicino, facendo un rumore infernale.
“Chi è?” una vocina timida era risuonata
nell’altra stanza.
Lily si era accorta di essere entrata senza volerlo
nell’obitorio. Una figura minuta si era affacciata dalle
porte a spinta; era Molly, con dei guanti sporchi di sangue e degli
occhialoni calcati sul viso che le rendevano gli occhi più
grandi del normale: “Chi è?” ripeteva,
sbattendo le palpebre dietro la maschera. Aveva posato lo sguardo su
Lily, sorpresa.
“Oh Lily, ciao!” le aveva sorriso un po’
a disagio “che ci fai da queste parti?”
“Io…scusa Molly, non volevo spaventarti”
si era passata una mano sul viso, imbarazzata.
“Oh no, figurati. Solo che stando in questo posto, se sento
un rumore forte, mi preoccupo e controllo subito dentro le
celle” aveva riso, divertita.
Lily aveva riso a sua volta. Che persona carina. Non l’aveva
frequentata molto ma sapeva che aveva aiutato parecchio John e Sherlock
durante le indagini sulla sua scomparsa. Era piccolina, minuta, e con
una voce sottile. Per questo veniva soprannominata
“topolino”, le aveva detto John. Le era simpatica,
era una ragazza tranquilla, discreta e sempre gentile.
Nel frattempo si era tolta i guanti e gli occhiali, arruffandosi i
capelli; li aveva aggiustati ridendo piano, quasi in imbarazzo. Poi si
erano guardate e lei aveva esordito: “Come mai da queste
parti? Ti serve qualcosa?”
“Veramente sono scappata” aveva allargato le
braccia “da John Mary e Sherlock”
“Oh…Sherlock” aveva abbassato lo
sguardo, triste, mentre tormentava i guanti con le mani
“immagino, non è una persona facile da tenere a
bada”.
Ahi ahi ahi
aveva pensato Lily qui
c’è qualcosa che non va.
Un’altra vittima di Sherlock Holmes il macina-cuori.
Molly era rimasta per alcuni secondi sovrappensiero, poi si era ripresa
e le aveva sorriso, a disagio: “Se sei ancora in fuga, posso
darti asilo politico per un po’. Ti va un the? Ho il
bollitore qui in laboratorio” l’aveva guardata,
timida.
Lily aveva accettato volentieri, Molly la tranquillizzava invece di
mandarla ai matti come Mary, troppo piena di energia.
“Insomma” aveva cominciato a riempire il bollitore
“come mai in fuga? Ti hanno fatto arrabbiare?” si
muoveva svelta per il piccolo cucinino che aveva arrangiato
nell’angolo della stanza.
“Più che arrabbiare, mi hanno messo alle strette,
e io non sono ancora molto pronta alle situazioni dove
c’è troppa pressione” si era seduta al
tavolo di Molly, sulla sedia a cui aveva appena dato un calcio
“di solito John viene in mio aiuto, ma stavolta ha preferito
rimanere zitto” Lily aveva abbassato la voce, dispiaciuta.
“John Watson” aveva riso Molly “una brava
persona, si preoccupa sempre degli altri mettendosi al secondo posto.
Lo fa anche con Mary, anche se io credo che non siano proprio fatti
l’uno per l’altro. Lei mi sembra troppo
effervescente per un tipo come lui” aveva detto tutto con
molta nonchalance, come se pensasse ad alta voce. Poi si era fermata e
aveva guardato Lily, timorosa “accidenti, scusami.
È tua amica, non volevo
offenderla…cioè, alla fine mi sta molto simpatica
solo che…non mi sembra il tipo per il dottor
Watson” aveva detto l’ultima frase sussurrando,
guardando il bollitore con estremo disagio.
Lily aveva scrollato le spalle: “Tranquilla, ognuno ha le sue
opinioni. Effettivamente è piena di energia, è
difficile starle dietro. Ma forse è per questo che John
è innamorato di lei” aveva sorriso, rassicurante.
“Sì certo, sicuramente” Molly aveva
sorriso di sghembo continuando a preparare il the
“e…Sherlock invece? Cosa ha fatto
stavolta?” evitava di guardare Lily in faccia. Era
imbarazzata.
Lily le aveva raccontato l’episodio di poco prima e Molly
aveva riso: “Sempre il solito, non ha proprio un filtro tra
bocca e cervello” aveva accarezzato la tazza dove stava
facendo raffreddare il the. La sfiorava con tenerezza, come se stesse
accarezzando la guancia di un bambino. O di un ipotetico Sherlock. Poi
aveva preso la sua e gliel’aveva porta: “attenta,
scotta parecchio”.
“Grazie, Molly” le aveva sorriso.
“Sherlock è molto particolare. Risponde sempre con
quel piglio deciso e quasi cattivo. Chissà cosa gli ronza
per la testa…non lo sapremo mai” aveva
ridacchiato; poi aveva sospirato, assumendo un’aria triste
“ne sono stata molto innamorata”.
Al St Barth’s girava questa voce ma non era mai stata
confermata. E comunque, nonostante Lily ne fosse quasi sicura, sentirlo
dire così apertamente le aveva fatto quasi andare il the di
traverso.
“Ho provato molte volte a offrirgli un caffè, o a
proporre di andare a cena ma non c’è stato niente
da fare” aveva alzato le spalle “mi affascinava
tantissimo, ma poi mi sono resa conto che non era assolutamente
interessato a me e che probabilmente l’ho anche infastidito
in più di un’occasione”.
Amen sorella
aveva pensato Lily, corrugando leggermente le sopracciglia, sentendo
un’affinità fin troppo comune.
“Era sempre con John, spalla a spalla. Giorno e notte,
tant’è che a un certo punto ho pensato che
stessero insieme” aveva alzato una mano in aria, agitandola
“forse sarebbe stato meglio”.
Lily aveva sospirato, dispiaciuta. Molly non meritava di stare
così male, era così buona e gentile. Sentiva una
certa empatia, erano tutte e due attratte da Sherlock in maniera
impossibile.
“Stai male anche tu per lui?” l’aveva
guardata di sottecchi, intimidita “tranquilla, non lo
dirò a nessuno. Sono molto discreta”
aveva riso piano “ti ho vista, mentre lo osservi e non posso
darti torto. È…unico”. A Lily sembrava
di risentirsi.
“Già, lo è. Molto, al limite della
sopportazione”.
Avevano riso all’unisono, sentendosi molto unite.
“A volte vi muovete con una sintonia incredibile, non so come
spiegarlo” Molly aveva assunto un’espressione
trasognata.
Lily si era sistemata sulla sedia, in imbarazzo: “Ho imparato
a muovermi intorno a lui, per non intralciarlo. È molto
svelto e agile, se mi trova in mezzo ai piedi comincia a lamentarsi e
poi lì mi toccherebbe ucciderlo. Ma lui non penso sia
interessato alle relazioni in generale” non voleva dare
conferma della sua infatuazione, avrebbe lasciato il giudizio a Molly,
si fidava di lei e del suo intuito femminile.
“Capisco” aveva sussurrato portando la tazza alle
labbra “probabilmente nessuna è il suo tipo, a
meno che non sia come lui e in quel caso si salvi chi
può”
Lily aveva annuito leggermente: “Già”.
Si erano guardate di nuovo, sorridendo.
“Potremmo andare a pranzo qualche volta o a cena e poi a bere
qualcosa” aveva esordito Molly, la voce che tremava, un
po’ imbarazzata “se ti fa piacere, naturalmente.
Non ho molte amiche e ti confesso che a volte sfogarmi con qualcuno o
semplicemente parlare da donna a donna mi manca” stringeva le
mani intorno alla tazza, nervosa. Aveva paura del giudizio degli altri,
credeva di non essere abbastanza. Un po’ come lei.
“Con molto, molto piacere, davvero” Lily aveva
allungato le sue mani verso quelle di Molly, stringendole. Erano
fredde, nonostante tenesse il the caldo.
Sul viso di Molly si era aperto un sorriso sincero e brillante, felice:
“Che bello! sono molto contenta. Posso darti il mio
numero?” aveva accennato.
“Come no, certo!” Lily aveva tirato fuori il
cellulare dalla tasca interna del giubbotto.
Si erano scambiate i numeri e avevano cominciato a parlare di cose
leggere come ragazzi e vestiti, come due adolescenti; ogni tanto
ridacchiavano frivole e Lily si sentiva molto meglio. Questo era un
altro passi avanti per riprender in mano la sua vita; amici,
conoscenze, un motivo per uscire e divertirsi.
“E quindi, com’è questo
Andrew?” aveva chiesto Molly, alzando le spalle eccitata
“è carino?”
“Sì, è carino. Studia
psicologia” aveva accennato Lily.
“Ti ha già chiamato?”
“Veramente no, però c’è
tempo”
“Buttati, Lily. Se è così carino e
gentile come dici”.
Lily aveva inclinato leggermente la testa di lato, sentendosi quasi
sicura della risposta: “Ma sì, può
darsi che andrò a prenderci un caffè uno di
questi giorni. Se chiama”.
“Certo che chiamerà, ma che dici?” aveva
esclamato Molly.
Lily aveva riso, scrollando le spalle. Chi lo sapeva, ormai.
“Accidenti, devo tornare a lavoro sennò non
finirò in tempo; devo consegnare dei rapporti entro
stasera” Molly aveva guardato l’orologio in
disappunto “uffa, mi stavo divertendo a parlare con
te” aveva arricciato il naso.
“Tranquilla, vado anch’io o mi daranno per
dispersa” aveva posato la tazza nel lavello
“sentiamoci questi giorni, sarei felice di andare da qualche
parte e continuare i nostri discorsi da ragazzacce” aveva
sorriso a Molly.
“Certamente! Il prima possibile!” aveva risposto
lei, contenta accompagnandola alla porta “Lily, è
stato un piacere, davvero”.
“Anche per me” si erano prese le mani, stringendole
forte “ a presto”.
“A presto!” Molly la salutava sulla porta agitando
la mano, poi era rientrata in laboratorio.
Lily stava incominciando a incamminarsi quando aveva visto John
sfrecciare dall’altra parte del corridoio, guardandosi
intorno. Poi l’aveva vista e si era fermato: “Lily!
Ehi, ma dov’eri finita, ti stavo cercando ovunque”
era arrivato vicino a lei, sorridendo “credevo fossi
uscita”.
Lily non sapeva come affrontare John; non capiva il comportamento che
aveva avuto prima, era molto strano. Era rimasta zitta, guardandosi le
scarpe.
John aveva sospirato: “Ehi” le aveva preso il mento
con due dita sollevandole il volto “mi dispiace per prima, so
che ti sei sentita con le spalle al muro” gli occhi blu
scintillavano, decisi come sempre “ma ho sentito
un’energia strana, e non e la sono sentita di mettermi in
mezzo”.
Lily non capiva: “Energia strana?” aveva detto
piano “che intendi?”
John aveva riso: “Ti ho visto, appena entrata. Era come uno
scontro tra titani; Sherlock è il solito scemo questo lo
sai. Ma tu…tu avevi una faccia diversa, gli occhi ti
lampeggiavano, sembravi sul punto di esplodere e non volevo che in
qualche modo pensassi che mi stavo intromettendo. Volevo vedere come
andava a finire. Se fosse continuata sarei intervenuto Lily, davvero.
Ma in quel momento eravate voi due e basta; te l’ho detto,
è stato strano” per una frazione di secondo gli
occhi di John avevano guardato altrove, come se le nascondesse
qualcosa: “comunque l’ho strigliato per
bene” le aveva sorriso, la sua mano sul viso di Lily,
rassicurante e calda. Quando c’era arrivata? A Lily piaceva,
la faceva sentire al sicuro: “mi credi Lily? Dai, non tenermi
il muso” i suoi occhi erano scuri ma allo stesso tempo
splendevano di una luce strana, quasi folle, ma allo stesso tempo
dolce. Erano gli occhi di un soldato, aveva pensato.
“D'accordo, Watson” Lily aveva alzato gli occhi al
cielo ridendo “ stavolta ti perdono, ma non lo fare mai
più” gli aveva poggiato un dito sul naso.
John aveva piegato la testa da un lato “Non ci
sarò sempre io a difenderti” ne sembrava quasi
addolorato.
“Lo so. Ma finché posso, vorrei
approfittarne” aveva sorriso, guardando i due pozzi scuri che
la scrutavano.
“ E va bene”
aveva acconsentito John stringendole il collo con un braccio
“sei proprio una ragazzaccia. Oltre a te, solo mia figlia
riesce a farmi dire sempre di sì” le aveva
sussurrato in un orecchio, complice. Le aveva posato la bocca sui
capelli, stringendola.
Lily aveva ricambiato l’abbraccio, stringendo forte la vita
di John con il braccio libero: “La vita di strada mi ha
plasmata, soldato Watson”.
John aveva buttato indietro la testa, ridendo di gusto:
“Già, proprio così. Ma io ho fatto la
guerra, signorinella”.
“Ok, uno a zero per te allora, se tiri in ballo la
guerra” l’aveva strattonato leggermente, scherzando.
“Vinco sempre, con l’Afghanistan” aveva
replicato soddisfatto “ a qualcosa sono servito,
quindi”.
“Certo che sì, sei un eroe per madre Inghilterra.
Servi a tanto, John” aveva detto piano Lily, diventando seria
“già tutto quello che hai fatto per me dimostra
che sei una persona su cui contare davvero”. Lui
l’aveva guardata con accenno di sorriso poi l’aveva
stretta ancora più forte, emozionato.
“È la verità”, aveva
continuato Lily continuando a camminare tutta storta, per
l’abbraccio strano di John. Le ultime parole erano uscite
attutite perché aveva il viso quasi completamente spalmato
sul suo maglione. Gli voleva un bene dell’anima, di questo
non avrebbe mai dubitato.
Stavano parlando allegramente e Lily non si era accorta che avevano
aperto la porta del’ufficio; si erano trovati davanti
Sherlock seduto sulla sedia di John, un piede appoggiato sul tavolo;
cercava di mandare delle carte da gioco dentro il cestino posizionato a
un metro da lui. La maggior parte erano dentro il secchio, alcune
sparse per terra. Di Mary non c’era traccia, era dovuta
tornare alla postazione delle infermiere. Comunque la salutava e le
avrebbe telefonato la sera stessa o l’indomani per farsi
raccontare bene la faccenda, aveva riferito John.
“Va bene va bene” aveva sospirato Lily, ormai
arresa.
“Dove sei stata?” aveva chiesto Sherlock, sempre
concentrato sul secchio.
Lily lo aveva guardato, sorpresa: “Da Molly Hooper; abbiamo
fatto due chiacchiere e mi ha offerto il the”.
“Ah il topino da obitorio” aveva esclamato
Sherlock, continuando a tenere lo sguardo fisso sulle carte che
volavano intorno al secchio “che personcina strana”.
C’era stato un momento di silenzio, carico di tensione. Poco
dopo, Lily si era avvicinata al secchio e gli aveva sferrato un calcio,
facendolo rotolare dall’altra parte della stanza. Aveva
sentito distintamente John sussurrare sorpreso: “ Wow”.
“Non parlare male di Molly Hooper, non ti ha fatto niente ed
è mia amica. E poi senti chi parla di persone
strane” lo guardava torva, la voce ferma e impostata; la
rabbia sopita era montata di nuovo improvvisamente.
Sherlock era rimasto immobile, con una carta tra l’indice e
il medio. Aveva abbassato la mano, poi era scattato in piedi, mettendo
la proprio faccia a dieci centimetri da quella di Lily. Lei era rimasta
immobile, cercando di mantenere il respiro regolare e di non tremare.
Sentiva la presenza tesa di John. Sherlock la fissava, gli occhi erano
diventati grigi, con una sfumatura viola come il mare in tempesta,
furibondi. Si sentiva oltraggiato. La guardava, senza muoversi. Era
immobile. Lily anche. Potevano rimanere così anche tutta la
notte, per quanto la riguardava; nell’iride
dell’occhio sinistro c’era una piccolissima macchia
nera, Lily non l’aveva mai notato. Era tesa, ma non si
sarebbe mossa, neanche morta. L’atteggiamento di sfida la
eccitava, le faceva scorrere il sangue nelle vene e il rumore le
rimbombava nelle orecchie. Nonostante la rabbia e il risentimento a un
certo punto aveva pensato:
“ È
l’essere più bello che io abbia mai visto”.
Sherlock a un certo punto si era mosso leggermente e aveva spostato lo
sguardo di lato, strizzando per una frazione di secondo gli occhi, come
se avesse sentito un rumore. Il suo profumo bruciava la pelle di Lily.
All’improvviso era scattato verso la porta, facendo
svolazzare il cappotto e l’aveva chiusa con violenza, facendo
vibrare il vetro.
Lily aveva ricominciato a respirare piano. John le si era avvicinato e
le aveva stretto le spalle: “Lily, se
n’è andato, ora puoi muoverti”.
Lei aveva alzato un dito verso John sussurrando: “Un attimo
solo”.
Aveva respirato, sbattuto le palpebre e finalmente i suoi muscoli si
erano sciolti, facendola muovere.
John aveva riso sommessamente: “Che ti avevo detto? Scontro
fra Titani. E secondo te dovevo mettermi in mezzo?”
Un fantasma di sorriso era apparso sul volto di Lily; le tremavano le
gambe e aveva i crampi per quanto aveva contratto i muscoli per
rimanere concentrata e immobile.
“Dai, tra un’ora ho finito il turno, ti
riaccompagno a casa” aveva aggiunto divertito John
“ragazza mia, tu sei pazza” aveva scosso la testa,
incredulo.
//
Sherlock digrignava i denti così forte che gli faceva male
la testa. Questo era il colmo. Come…come era possibile? Il
calcio al secchio e Lily che aveva cambiato voce. Semplicemente
oltraggioso. Una piccola vipera, per l’amor del cielo. Ci
fosse una volta che non lo esasperasse, con i suoi atteggiamenti
infantili. Il suo porsi di fronte a lei era stato un gesto spontaneo,
ma mai aveva affrontato così a brutto muso una donna. Mai
nella sua vita. Era furibondo. Gli prudevano le mani dalla rabbia; non
gli prudevano così da quella volta che quegli agenti
americani che cercavano il telefono della Donna erano entrati a casa
loro, ferendo Mrs. Hudson. E quella volta l’agente era volato
dalla finestra. Per tre volte.
Camminava a lunghe falcate per scaricare il fuoco rabbioso che gli
bruciava dentro. Quella ragazzina lo aveva sfidato, lo aveva guardato
dritto negli occhi rimanendo immobile. A Sherlock era scappata una
risata incredula e soffocata; ma come? Camminando assorto nei suoi
pensieri aveva dato una spallata a un tizio di fronte a un pub e aveva
gridato un insulto ubriaco verso Sherlock.
“Oh, non aspettavo altro” aveva sorriso alzandosi
il bavero del cappotto, tornando indietro.
//
Lily era stata svegliata dal suono del campanello; fuori era buio e lei
si era addormentata sulla poltrona di Sherlock; era arrivata a casa e
si era preparata un boccone per poi svenire sulla poltrona. Di Sherlock
nessuna traccia. Ma aveva pensato fosse meglio così, almeno
avrebbe sbollito la rabbia.
Una seconda scampanellata impaziente, che l’aveva fatta
alzare. Aveva acceso la luce e si era diretta verso la porta,
barcollante e con gli occhi semichiusi. Non aveva neanche chiesto chi
era, cosa molto pericolosa, ma si era limitata a spalancare la porta,
irritata. Di fronte a lei c’era il tenente Lestrade con una
faccia non proprio allegra; teneva per il bavero del cappotto il grande
Sherlock Holmes, completamente ubriaco. Guardava verso le scale,
perplesso: “Ma io questo posto lo conosco..” aveva
biascicato “ma sì, è casa
mia!!” aveva concluso allegro, ridendo di gusto. Poi si era
girato verso Lily “e questa è Lily!!!”
farfugliava, si mangiava le parole e aveva un’aria buffa. Ma
guardandolo meglio, Lily aveva notato un taglio sul suo zigomo sinistro
e un accenno di livido violetto sotto di esso, più altre
escoriazioni sparse.
Era rimasta immobile davanti alla porta, cercando di capire; era una
scena piuttosto bizzarra e inusuale. Gregory Lestrade sembrava
veramente irritato e non lasciava andare Sherlock per nessun motivo.
“Buonasera, Lily” aveva cominciato, un sorriso
tirato sulle labbra “è tuo questo?” e
aveva sgrullato Sherlock che sembrava molto divertito da quel gesto e
aveva cominciato a urlare “ancora Gavin, ancora!!!”
rideva come un babbeo.
“Neanche da ubriaco riesci a ricordarti il mio nome, razza di
scemo!!” lo aveva guardato in faccia e Sherlock continuava a
ridere: “sei buffo, Gavin. Ma sei un brav’uomo, lo
ammetto. Bravo, bravo” gli aveva dato una pacca sulla spalla,
poi aveva guardato Lily “lui è mio amico, lui mi
ha salvato”. Lily aveva inarcato le sopracciglia sorpresa,
annuendo velocemente. Si aspettava una spiegazione non logica, ma
perlomeno credibile. Aspettava in silenzio, confusa e preoccupata.
Forse avrebbe dovuto chiamare John. Ma prima voleva assicurarsi
dell’accaduto, in modo da non procuragli un esaurimento
nervoso.
“Il signor Holmes” aveva cominciato Lestrade
tenendolo fermo, mentre Sherlock guardava per aria cercando
chissà cosa “ha avuto la brillante idea di fare a
botte con un paio di tizi fuori da un pub. Non so come abbia avuto la
meglio, fatto sta che gli altri intelligentoni che si trovavano
là hanno pensato bene di eleggerlo a eroe, offrendogli da
bere fino a ridurlo in questo stato” lo aveva scosso di
nuovo, provocando un altro scroscio di risa da parte di Sherlock.
“Non sapevo bevesse” aveva mormorato Lily, alzando
un sopracciglio, perplessa. Non sapeva neanche come avesse potuto
accettare roba da bere da completi sconosciuti che sicuramente riteneva
poco intelligenti. Là davanti c’era uno Sherlock
Holmes ridotto all’età cerebrale di un bambino di
due anni. Le veniva da ridere, ma allo stesso tempo era preoccupata per
lo zigomo di Sherlock che si stava gonfiando. Ma lui non sembrava
soffrire, quindi si sarebbe goduta lo spettacolo un altro po’.
“Beve eccome” aveva ribadito Lestrade
“ubriachezza molesta e danni. Ha rotto una vetrata tirandogli
uno sgabello contro”.
“Oh”. Lily era riuscita a dire solo questo.
“Quello sgabello era brutto e fuori dalla vetrina
c’era un mastino enorme! Come quello di
Baskerville!” aveva alzato le braccia, per mimare la
grandezza della bestia.
“Sherlock. Era un bulldog francese, quale mastino! Povera
bestia, si è spaventata a morte!” continuava a
scrollarlo; ma ora Sherlock non rideva più.
“Gregory” aveva detto piano Lily “io
smetterei di scuoterlo, sembra stia per vomitare” e si era
allontanata leggermente.
Lestrade si era subito fermato con il timore che Sherlock potesse
svuotare lo stomaco sul suo cappotto: “Beh, è
tutto tuo. Non lo tengo in cella, perché non voglio guai. Mi
è bastato l’addio al celibato di Watson, grazie
mille”. Lo aveva lasciato andare e Sherlock era rimasto in
piedi e barcollando si era appoggiato alla spalla di Lily;
l’aveva guardata con un sorriso ubriaco:
“Ciao” aveva sussurrato, lasciando una scia
alcolica dietro di sé.
“Ciao, Sherlock” aveva risposto Lily, allontanando
la faccia dalla sua.
Improvvisamente, il viso di Sherlock si era rabbuiato:
“Vipera” aveva sussurrato.
Lily aveva soffocato una risata e contemporaneamente aveva avvertito
una stilettata: “Lo prenderò come un
complimento” cercava di sostenere il suo peso, ma sorreggere
un uomo di un metro e ottanta era fuori dalla sua portata
“ora potresti cercare di tenerti in piedi da solo? Sai,
pesi”.
“IO NON PESO!” aveva urlato “sono una
piuma, guarda come sono magro” si era staccato da lei e si
era massaggiato la pancia piatta, barcollando qua e là
“guarda, Lily. GUARDA!!!” voleva attirare la sua
attenzione, prendendola per un braccio e strattonandola
“guarda. che. pancia. piatta” continuava a muovere
la mano sul suo stomaco, con aria sorniona “sono molto bello,
lo so”.
Lestrade aveva scosso la testa furioso: “Te lo affido;
mettigli la testa sotto l’acqua fredda e mandalo a letto. E
fai in modo di parlare a voce alta domattina; ci sarà da
divertirsi” aveva sogghignato al ricordo “buonasera
Lily, e scusa il disturbo” aveva fatto un cenno con la mano
ed era volato giù per le scale.
“Non sarebbe meglio tenerlo in centrale per
stanotte??” aveva gridato Lily verso le scale
“Greg!!”
“Non ci penso proprio!!!” Lily aveva sentito il
portoncino chiudersi. Sherlock era ancora là che si
massaggiava la pancia ripetendo tra sé e sé:
“Sì sì, è proprio
piatta”.
Lily si era girata verso di lui: “Forza Sherlock, entra
dentro casa. Provo a disinfettare questo taglio; siediti sul
divano” gli aveva messo una mano dietro la schiena,
spingendolo leggermente oltre la porta.
“NO! Voglio tornare dai miei amici del pub!” si era
diretto verso l’uscita.
“ Non penso sia
una buona idea” aveva sibilato Lily
riprendendolo per il cappotto “sono andati via, sono tutti a
nanna”.
“Io non dormo mai” aveva borbottato Sherlock,
seguendola docile.
“Oh sì che dormirai” aveva risposto Lily
sarcastica “come un bambino”.
“Non dormivo neanche da bambino, Lily. Dio, ma devo spiegarti
sempre tutto?” aveva sbuffato.
Lily aveva alzato gli occhi al cielo, prendendo un respiro profondo.
Sherlock aveva cominciato a ridere. Poi l’aveva guardata con
gli occhi appannati: “Avresti dovuto vedere quello
sgabello” aveva mimato la traiettoria con il braccio, insieme
a suoni molto convincenti “un autentico volo da maestro, una
parabola perfetta”
l’aveva guardata, aspettando una sua reazione. Aveva gli
occhi rossi ai lati, un po’ gonfi. Il viso era leggermente
arrossato e le labbra impastate. I ricci neri erano tutti scompigliati,
come quando si alzava dal letto la mattina.
“Sono sicura che è stato un lancio impeccabile,
Sherlock” aveva detto Lily togliendogli il cappotto. Mentre
Sherlock si girava per sfilarlo, aveva perso l’equilibrio ma
era riuscito a rimanere in piedi; ma aveva continuato a girare come una
trottola esclamando: “sono una ballerina!”
Mio Dio, ma
l’hanno anche drogato? aveva pensato Lily.
“Sherlock, penso dovresti fermarti, per il tuo
bene” lo aveva preso per un braccio e fatto sedere sul divano
“ora stai qui, non muoverti. Vado in bagno a prendere
qualcosa per medicarti”.
Lui aveva annuito, obbediente: “Signorsì
capitano” si era portato una mano vicino alla fronte per
mimare il saluto militare prendendosi, invece, un occhio
“ahi, che male” si era lamentato.
“Cerca di non farti male, per cortesia” lo aveva
ammonito Lily “torno subito, rimani lì”.
“Ho già detto di sì, Lily. Ci metti
più a parlare che ad agire” aveva risposto
composto, sventolando una mano, anche se continuava a oscillare. Lily
si era sorpresa di come riuscisse a esprimersi bene, nonostante la
sbronza colossale.
Aveva alzato gli occhi al cielo (aveva già perso il conto di
quante volte l’avesse fatto) e si era avviata verso il bagno,
sbuffando. Pensava che avrebbe dovuto chiamare John, ma non sapeva
neanche che ora era. Aveva guardato il telefono. Le dieci; era in
queste condizioni alle dieci di sera? D’accordo, a Londra si
cominciava a bere da molto prima, ma ci era voluta una buona dose di
impegno per ridursi così non prima di mezzanotte.
Aveva preso tutto l’occorrente; avrebbe disinfettato e visto
in che condizioni era il taglio sullo zigomo; se pensava necessitasse
di punti, avrebbe chiamato John. Era tornata in salotto ma Sherlock sul
divano non c’era. Era vicino alla finestra, con il violino in
mano. Lo teneva sottosopra e sembrava parecchio irritato.
L’aveva guardata, furioso: “Lily pretendo che tu mi
spieghi perché il mio violino non vuole suonare”
aveva mosso l’archetto a tempo mentre parlava
“avanti, spiegamelo. Risolvi questo caso per me”.
“Sherlock, è al contrario, l’hai girato.
Le corde sono sotto, invece devono stare sopra” aveva
risposto calma.
Sherlock aveva guardato il violino, poi lei: “ Eccellente. Brava
Lily, la mia vicinanza ti giova davvero, sei diventata una detective
con i fiocchi” aveva annuito soddisfatto.
“Ti ringrazio Sherlock. Ora, per favore, posa il violino e
vieni qui così posso medicarti” aveva pensato per
un attimo “non vorrai mica che lo zigomo ferito ti deturpi,
mettendo a rischio tutto l’insieme del tuo corpo? Pensa alla
pancia piatta” non restava altro che assecondarlo.
“Oh diavolo, no” aveva sussurrato lui
“non voglio”.
“Allora vieni qua, così possiamo porre
rimedio” aveva battuto con la mano sui cuscini.
Sherlock era arrivato vacillando, l’aria preoccupata:
“Farà male?” aveva chiesto.
“Spero di no, non saprei dirti” Lily aveva alzato
le spalle.
Sherlock si era seduto, composto. Aveva chiuso gli occhi e messo le
mani in mezzo alle ginocchia, la schiena dritta: “Sono
pronto”.
Lily aveva cominciato a disinfettare il taglio delicatamente. Cercava
di non fargli male, perché non voleva. Poteva osservarlo,
ora.
Per almeno due minuti era regnato il silenzio, interrotto solo dai
flebili lamenti di Sherlock quando l’acqua ossigenata
bruciava un po’.
“Scusa” aveva sussurrato Lily, vicina al suo viso
“mi dispiace”.
“Lo so” aveva ribadito Sherlock.
Lily aveva sorriso; il solito stronzo, anche da ubriaco.
“Come mai hai fatto a botte stasera?” aveva
chiesto, curiosa.
“Ero arrabbiato” aveva risposto lui, aggrottando le
sopracciglia.
“Hm, capisco” aveva detto Lily “eri
arrabbiato con me?”
Non aveva risposto subito, poi aveva detto asciutto:
“Anche”.
Lily aveva chiuso gli occhi, mortificata: “Oh,
Sherlock”.
Lui non aveva risposto. Poi all’improvviso aveva spalancato
gli occhi: “Margaret!”
Lily, spaventata, si era guardata intorno:
“Margaret?”
Sherlock si era alzato ed era corso verso il suo cappotto. Aveva tirato
fuori dalla tasca una bustina di plastica con dentro un pesce rosso:
“Lily” aveva esordito “ti presento
Margaret. Me l’hanno regalato i miei amici del pub quando ho
vinto una partita di beer
pong”.*
Lily guardava il povero pesce rosso costretto in quella bustina di
plastica: “Forse dovremmo metterlo in un recipiente
più grande”
Sherlock l’aveva guardata: “Sì, penso
sia meglio” osservava Margaret, muovendo la testa al ritmo
della coda del pesce.
Ci mancava anche il pesce rosso, aveva pensato Lily. Certo
perché no, non facciamoci mancare nulla. L’avrebbe
dato a John, sennò chissà che fine avrebbe fatto
quella povera bestia. In cucina aveva trovato un recipiente abbastanza
grande e ci aveva travasato il pesce.
“Molto meglio” aveva sorriso Sherlock osservandolo
“sembra più contenta”.
Lily aveva evitato di chiedere il perché pensava fosse
femmina e soprattutto perché si chiamasse Margaret.
Si sentiva stanca, come se avesse lavorato in cantiere per tutto il
giorno. Prendersi cura di uno Sherlock ubriaco era spossante. Girava
per il salone, toccando e spostando oggetti. Lily gli andava dietro
rimettendo a posto ciò che metteva in disordine. Se non
avesse trovato le sue cose al loro posto da sobrio, sarebbe successo un
finimondo.
Barcollava sempre di più finché non si era seduto
sul divano, con un’aria strana.
“Non mi sento molto bene” aveva sussurrato,
diventando pallido all’improvviso. Aveva guardato Lily, con
aria smarrita. Era bianco come un cencio.
“Sherlock, vuoi andare in bagno? Magari devi
vomitare” aveva sussurrato Lily.
Sherlock aveva il viso giallognolo, la fronte imperlata di sudore e le
pupille dilatate. Lily cominciava a preoccuparsi: “Sherlock,
cos’hai? Parlami”.
Lui si era limitato a guardarla e a mettersi sdraiato sul divano.
Respirava a fatica e sudava come un matto. Lily lo guardava sempre
più preoccupata e cominciava ad andare nel panico.
“Sherlock? Sherlock?” aveva preso il suo viso tra
le mani, scuotendolo leggermente. Aveva chiuso gli occhi e non
rispondeva.
“Merda” aveva sussurrato Lily, piena di paura.
Aveva messo due dita sotto il naso di Sherlock: respirava. E questa era
una buona notizia. Ma lo faceva a fatica e non aveva proprio un
bell’aspetto.
Si era precipitata verso il suo giubbotto, cercando il cellulare.
Doveva chiamare John, e in fretta. Aveva afferrato il telefono e con
mani tremanti, composto il suo numero. Mentre il telefono squillava,
continuava a controllare Sherlock. Provava a scuoterlo, ma niente. Si
era morsa il labbro, nervosa.
“Avanti avanti John, rispondi” aveva sussurrato in
preda al panico.
“Lily?” la voce di John l’aveva fatta
sospirare di sollievo.
“John! John per fortuna hai risposto! Ho un problema, mi
serve il tuo aiuto” continuava a ravviare i capelli
di Sherlock nervosamente.
“Stai bene?” aveva chiesto subito, agitato.
“Sì, io sto bene. È Sherlock che ha un
problema” aveva risposto con voce fioca.
Gli aveva spiegato tutto, e John era scoppiato a ridere arrabbiato:
“Maledetto idiota” aveva sibilato.
“Non so proprio cosa fare, John. Sembra stia malissimo e non
so come comportarmi” continuava Lily, sempre più
agitata.
“Arrivo, tranquilla. Tu continua a controllarlo. Lo voglio
trovare vivo e ucciderlo io”.
Una volta riattaccato, era tornata vicino a Sherlock; si era seduta a
terra appoggiando le braccia sul bordo del divano. Lo guardava mentre
respirava a fatica e sudava copiosamente. Sembrava più
tranquillo, ma Lily era comunque preoccupata a morte. Gli aveva
sfiorato la fronte ed era bollente. Aveva ancora la giacca addosso ma
Lily non sapeva come sfilargliela.
Si era avvicinata a lui e aveva parlato piano: “Ehi
Sherlock…Sheeerlooock..” aveva sussurrato
“che ne dici di toglierti la giacca? Ti prego, parlami
Sherlock” gli aveva tolto un ricciolo dalla fronte sudata;
aveva lasciato le dita lì e aveva cominciato ad accarezzarlo
lentamente. Era rimasta sulla fronte scendendo sullo zigomo non ferito,
passandoci il pollice. La sua pelle era liscia come vetro e calda. Lily
aveva sospirato piano, mordendosi un labbro.
“Dio, Sherlock” aveva corrugato le sopracciglia
“ma cosa diavolo mi hai fatto?”.
Si era mosso impercettibilmente, leccandosi le labbra. Si era lamentato
piano, facendo una smorfia. Lily aveva soffocato una risata amara:
anche da addormentato riusciva a conservare la sua attitudine
antipatica.
Le sue dita si erano mosse di nuovo, spostandosi sulle labbra. Erano
calde anche quelle, e morbide. Lily sentiva una stretta al cuore
costante e non andava via.
Amava Sherlock Holmes, lo sapeva. Si era innamorata di lui, pazzamente.
Ma doveva cercare di reprimere, di soffocare, di guarire. Non era
assolutamente possibile. Sentiva le lacrime bruciarle gli occhi, la
gola chiudersi. Si sfiorava le labbra con lo stesso dito con cui aveva
sfiorato quelle di Sherlock. Aveva riso di nuovo, abbandonando la testa
sulle braccia: era peggio di una adolescente, ma non riusciva a
smettere di fissare la bocca di Sherlock, era come ipnotizzata. Lui
continuava a respirare a fatica, a lamentarsi ogni tanto. Ma
perché John non arrivava? Nel frattempo avrebbe provato a
fargli delle spugnature di acqua fredda, scottava troppo.
Era andata in bagno per riempire una ciotola d’acqua e aveva
preso un asciugamano pulito. Si era inginocchiata di nuovo vicino a
Sherlock, immerso l’asciugamano nell’acqua fresca e
cominciato a passarlo delicatamente sui lineamenti del detective. La
mascella decisa, lo zigomo affilato, le labbra carnose, la fronte che
per una volta era rilassata e non accigliata.
Il cuore di Lily batteva per l’emozione: era il contatto
più intimo che avrebbe potuto avere con Sherlock. Avere il
suo viso così vicino le sembrava un privilegio non
indifferente, anche perché avrebbe potuto osservarlo
così solo da addormentato.
Aveva sospirato: “Sei…cavolo, non so neanche che
aggettivo usare con te” Lily parlava piano, per non
disturbarlo “sei cinico, antipatico, freddo e distaccato. Ma
sei anche divertente quando vuoi, lo sai? E sai essere buono. Lo so, lo
sento anche se non vuoi dimostrarlo al mondo” gli aveva
passato l’asciugamano sul collo sudato, facendolo sospirare.
Lily aveva sorriso, intenerita “da quando ti ho conosciuto,
la mia vita è cambiata completamente. Riesci a confondermi e
a farmi arrabbiare come nessun altro” aveva strizzato gli
occhi per non piangere “forse non lo saprai mai, o forse te
lo dirò solo per il gusto di vedere la tua faccia. Ma
stasera non puoi sentirmi, e non ti ricorderai nulla comunque. Devo
andare avanti Sherlock, devo farlo assolutamente, ma almeno una volta
devo togliermi questo peso dal cuore. Sono innamorata di te, Sherlock
Holmes; e lo sarò sempre. Mi hai salvata e mi hai fatto
capire che, in fondo, non sono morta dentro” le si era
incrinata la voce e si era portata una mano davanti alla bocca,
soffocando un singhiozzo. Aveva posato l’asciugamano e si era
seduta dando le spalle a Sherlock, prendendosi la testa tra le mani.
Piangeva piano con singhiozzi che non riusciva a controllare, il dolore
che le squarciava il petto. Questo era l’amore, questa era la
vita. Cercava di darsi un contegno, anche perché John
sarebbe arrivato a momenti. Si era ricomposta, e asciugata le lacrime.
Sperava non si vedesse troppo.
In quel momento era suonato il campanello. Lily era saltata in piedi e
aveva aperto la porta.
John era sulla soglia con l’aria decisamente irritata:
“Ciao” aveva esordito, abbracciando velocemente
Lily “dov’è il babbeo di Baker
Street?”.
“Sul divano” aveva detto piano Lily, sorridendo
leggermente “è tutto tuo”.
“Già!” John si era diretto verso
Sherlock, per poi fermarsi all’improvviso e guardare Lily
“stai bene?” si era avvicinato leggermente,
inclinando la testa.
“Io? Sì sì, tutto a
posto…sono solo un po’ preoccupata per Sherlock.
So che probabilmente è solo una sbronza colossale ma ha
anche fatto a botte, per questo mi sono agitata. Non so, un colpo alla
testa oppure..” si era fermata, la voce ridotta a un
mormorio. Sentiva il pianto farsi strada ma non voleva piangere davanti
a John.
“Ok Lily, adesso controllo come va” aveva ripreso
John, per tagliare il silenzio imbarazzato “vedrai che non
sarà niente” aveva sorriso rassicurante.
Lily aveva annuito, incrociando le braccia: “Mi fido di lei,
dottor Watson”.
John aveva soffocato una risata chinandosi su Sherlock addormentato:
“Sherlock? Sherlock, mi senti” aveva dato un
leggero schiaffetto sulla sua guancia “riesci ad aprire gli
occhi?”
Aveva avuto un movimento improvviso; si era aggiustato sul divano,
lamentandosi.
John aveva controllato gli occhi, la bocca e auscultato il cuore. Tutto
quello che una visita domiciliare potesse comportare. Alla fine, aveva
sospirato: “Sta benissimo. È solo sbronzo da far
schifo; i parametri sono normali, sembra non abbia preso colpi alla
testa. Lo lascerei qui, con una bacinella per eventuali vomitate
notturne. E poi mi godrei lo spettacolo domani mattina. Ha avuto un
semplice calo di pressione, per questo è impallidito e ha
cominciato a sudare. Niente di grave quindi. Forse dovremmo togliergli
la giacca, per farlo respirare un po’. Io lo alzo e tu lo
prendi sotto le braccia mentre io gli sfilo la giacca,
d’accordo?”
“Va bene” aveva risposto Lily, mettendosi seduta ai
piedi di Sherlock. John aveva tirato su il peso morto di Sherlock, e
lentamente lo aveva appoggiato tra le braccia di Lily. Accidenti se
pesava; era caldo e nonostante tutto, profumava. Era il profumo di
Sherlock, misto a sudore e alcol. Poteva suonare disgustoso, ma in
verità era squisito. Lily aveva appoggiato il mento sulla
spalla di Sherlock e lui automaticamente aveva ruotato la testa e
adagiato la guancia su quella di Lily.
Era rimasta immobile, trattenendo il fiato. Sentiva il respiro di
Sherlock sull’orecchio e in mezzo ai capelli, la sua pelle
calda a contatto con la sua. Aveva stretto le braccia avvolte intorno
al busto e aveva sorriso leggermente. Si sentiva stupida e anche un
pelino inquietante, ma in quel momento non le importava assolutamente.
“Ok, ora dovrebbe andare meglio” aveva esordito
John, piegando la giacca di Sherlock e appoggiandola sul divano
“almeno respira un po’ di più. Possiamo
rimetterlo giù”.
Aveva osservato Lily mentre si staccava dal corpo addormentato di
Sherlock, un’espressione materna sul suo volto, mentre
sistemava i cuscini dietro alle sue spalle.
“Lily, so che è tardi ma potrei avere un
caffè? Ce lo beviamo insieme che dici?”
l’aveva guardata.
“Certo, te lo preparo subito” aveva sorriso,
girandosi per guardare un’ultima volta Sherlock.
Arrivati in cucina, John si era seduto appoggiandosi con le braccia al
tavolo e intrecciando le mani: “Sei sicura di star
bene?” aveva chiesto, con voce curiosa.
Lily gli dava le spalle mentre riempiva la caffettiera:
“Certo, benissimo. Mi sono solo preoccupata un po’
per Sherlock, tutto qui” aveva alzato le spalle
impercettibilmente; per fortuna era girata, John non avrebbe visto il
rossore che le aveva invaso il volto.
Lui aveva annuito. Non credeva a una sola parola, ma non voleva forzare
Lily ad aprirsi se non era pronta. Ammettere dei sentimenti non doveva
essere facile per lei.
“Tu sai che puoi dirmi tutto vero?” aveva risposto,
con voce controllata e profonda.
Lily aveva rallentato i movimenti sentendosi presa in causa,
finché non si era fermata del tutto. Aveva riso, nervosa:
“Cosa dovrei nasconderti?” tormentava lo straccio
dei piatti, arrotolandolo tra le mani “io sto bene,
veramente”.
“Non sembra, Lily. Sei agitata, nervosa. Non sembri felice,
adesso che potresti. Non ti vedo serena, con la voglia di ricominciare.
Sembri spenta, arresa. Cosa ti succede?”
Lily, sempre di spalle, aveva poggiato le mani sul bancone della
cucina, chiudendosi dentro le spalle e abbassando la testa. Era
così evidente il suo disagio?
“Io…sto cercando di abituarmi alla mia nuova
vita” si era girata di scatto, sorridendo forzata.
John aveva assunto un’aria ferita e preoccupata:
“Perché mi dici bugie?” era rimasto
seduto per non invadere lo spazio di Lily. Sembrava nervosa come un
animale braccato e John voleva che si sentisse al sicuro, non il
contrario: “non voglio metterti alle strette. Magari non
riesci ad affrontare queste cose da sola, forse dovresti parlare con
qualcuno di cui ti fidi, qualcuno che possa consigliarti al
meglio” aveva azzardato.
Lily era rimasta immobile, il sorriso forzato era svanito dal suo
volto: “Pensi che dovrei parlare con uno
psicologo?” aveva aggiunto, con voce tremante.
“Potrebbe essere un’idea, ma non necessariamente.
Anche con un terapeuta, un gruppo di aiuto che magari ha passato le tue
stesse esperienze di violenza e abusi” John aveva allargato
le mani. Ora sembrava un vero e proprio medico e a Lily questa cosa non
piaceva, anzi la faceva arrabbiare. Aveva sbuffato e riso insieme.
“La cosa è molto meno grave di quanto pensi,
dottor Watson. Non ho bisogno di psicologi, medicine e
quant’altro. Lo strizzacervelli lo lascio a chi ne ha
veramente bisogno” aveva aggiunto con voce velenosa.
John aveva strizzato gli occhi, sistemandosi meglio sulla sedia:
“Ho detto che potrebbe essere un’idea, non che devi
farlo per forza” il suo tono era cauto, ma allo stesso tempo
deciso “se hai un problema, non vuol dire che tu debba
affrontarlo per forza da sola. In questi casi essere coraggiosi
è più dannoso che terapeutico”.
Si era alzato dalla sedia lentamente. La caffettiera aveva cominciato a
fischiare e Lily si era precipitata a spegnere il gas per evitare di
svegliare Sherlock. Aveva dato di nuovo le spalle a John, innervosita.
Le mani le tremavano mentre cercava di prendere le tazze dalla
credenza. Ma come funzionava? Una persona era triste e subito si pensa
alla depressione? Il caso di Lily era un “semplice”
cuore spezzato, prendere atto del fatto che la persona di cui era
innamorata non l’avrebbe mai amata. Non era facile vedere
Sherlock tutti i sacrosanti giorni senza dire niente. Non voleva
confidarsi con nessuno, era una cosa sua e basta. Parlarne con qualcuno
poteva aiutarla? Sì certo, forse, magari. Ma lei era fatta
così, teneva tutto dentro; non aveva raccontato a nessuno
della sua infanzia, da dove veniva, che strade aveva percorso. Era
tutto dentro di lei e non sapeva perché non volesse
parlarne. Rendersi libera del dolore sarebbe stato troppo
facile. E se una volta fatto non fosse stata più se stessa?
Se avesse cambiato il suo modo di pensare, di essere? Lei non voleva
dimenticare, perché quello che aveva passato
l’aveva resa la persona che era ora. La persona che aveva
fatto in modo di farsi voler bene da John, Mary e Molly. La persona che
riusciva a far ridere Sherlock con una semplice sciarpa annodata
intorno al collo. Era questo, era lei. E cambiare, anche soffrendo, non
la attirava. Diventare una persona che ignorava il suo passato, che lo
dimenticava per stare meglio, era fuori discussione. Lily voleva
imparare a essere felice anche con il suo fardello sulle spalle. Magari
con qualcuno vicino, che la aiutasse a ritrovarsi.
L’unica persona che pensava potesse aiutarla era addormentata
nell’altra stanza e non sentiva niente per lei. Doveva andare
avanti, ma non voleva dire che nel mentre non avesse sofferto. Non era
la prima volta. Ma nel suo profondo sentiva che stavolta sarebbe stata
più dura. Non era mai stata innamorata; almeno non in questo
modo. Erano cose nuove, tutto qui. Non sapeva neanche se questo suo
ragionamento fosse un mentire a se stessa. E tutto ciò per
Sherlock Holmes.
“Lily” John si era avvicinato a lei, parlando piano
“vuoi dirmi cosa ti fa stare così male?”
Lily aveva appoggiato una mano sul tavolo della cucina e si era morsa
un labbro. Aveva guardato in alto, gli occhi le bruciavano e sentiva
che stava per piangere. Odiava essere così debole, odiava
non poter controllare le stronze lacrime che premevano da sotto le
palpebre.
“È Sherlock, vero? Il problema è
lui?” era rimasto fermo dov’era, mentre Lily
cercava di non mettersi a urlare dalla frustrazione.
Lasciatemi in pace pensava
lasciatemi in pace,
maledizione.
Poi si era girata verso John: i suoi occhi blu la guardavano attenti,
la scrutavano per cogliere le sue emozioni. Aveva stretto le labbra,
passandoci la lingua in mezzo; faceva così quando era
concentrato o emozionato per qualcosa. Lily aveva fissato gli occhi nei
suoi per pochi secondi per poi abbassarli, pieni di vergogna e rabbia.
Ma come faceva John Watson a capire sempre tutto? Come faceva a farla
sentire così ogni sacrosanta volta; vulnerabile, goffa e
impacciata anche solo stando in piedi vicino a lui. Con il suo
portamento fiero, la schiena dritta come una linea, le mani ferme e
controllate come il tono di voce. Tutto in lui era definito, fermo e
circoscritto. Forse Lily aveva bisogno di uno come lui vicino; qualcuno
che la tenesse su con le sue braccia forti, con il suo modo di pensare
analitico ma allo stesso tempo incline a capire le emozioni.
Lily guardava il pavimento, le piastrelle traslucide, la luce
artificiale che illuminava la cucina. Seguiva le fughe delle
mattonelle, disegnando ipotetiche vie d’uscita. Sarebbe stato
facile essere una formica, nascondersi e non dover spiegare niente a
nessuno. Aveva scosso la testa leggermente, in un movimento continuo.
Negava, come sempre.
“Lily” di nuovo John, la sua mano calda sulla
spalla “che succede? Cosa ti ha fatto?”
Lei era tornata con lo sguardo su John, la voce affilata come un
rasoio: “Niente, John. Niente di cui io possa
accusarlo” aveva scrollato le spalle, arresa
“niente di cui possa incolparlo, sul serio. Ti potrebbe fare
male solo camminandoti accanto, ma non vuol dire che sia colpa sua.
È com’è fatto, è come si
pone nei confronti del mondo. Io…non posso accusarlo di
nulla, veramente. Di nulla”. Si era spostata una ciocca di
capelli dietro l’orecchio “e il fatto è
che ne sono consapevole; ma non posso farci niente” aveva
guardato il soffitto, sbuffando “è un bel casino,
e sto cercando di capire come uscirne fuori. Da sola”.
Si era girata verso John e il suo sguardo era cambiato. Non era
più concentrato e serio. Era stupito e preoccupato.
“Piccola…” aveva sussurrato. John lo
sospettava, ma ora era certo. Sentir parlare Lily in quel modo era
peggio di un foglio scritto. Era tutto chiaro.
Lily aveva sospirato, chiudendo gli occhi: “Che idiota,
eh?” aveva riso ironica "Dimmi John, cosa dovrei fare secondo
te?”.
John si era sorpreso a pensare che non ne aveva la più
pallida idea. Questo parlare e non parlare, intendersi con i silenzi.
Era questa la cosa giusta? Conosceva Sherlock abbastanza da essere
sicuro che in un qualche modo distorto e altamente pericoloso, tenesse
a Lily. Ma non sapeva con quale intensità, in quale modo.
Continuava a essere un mistero, nonostante l’amicizia e le
peripezie e tutto ciò che avevano passato. Poteva essere
affezionato a lei come ci si affeziona a un animaletto o forse poteva
veramente provare un sentimento verso una persona che non fosse lui. Ma
non lo sapeva, proprio no. Lily era disperatamente attratta da
Sherlock, ma cosa poteva fare lui per lei? Assolutamente nulla.
Forse Andrew era veramente un segno del fatto che dovesse andare avanti
e lasciar perdere Holmes. Non sapeva niente di cosa passasse per il
cervello di Sherlock e non voleva neanche tirare a indovinare. Aveva
sempre pensato che le persone che stanno male per qualcosa o qualcuno,
prima o poi avrebbero reagito. Confessandolo oppure andando avanti. E
la seconda possibilità adesso, considerando il soggetto
desiderato, sembrava la più papabile e la meno dolorosa.
Lily aveva ricominciato a parlare: “Non lo sai, vero? Neanche
io, o forse sì. Penso che darò una
possibilità a Andrew” si era girata verso John
“prima o poi passerà, vero? Dimmi che
passerà John, ti prego”. Gli occhi le si erano
riempiti di lacrime e si stava lasciando andare.
Avrebbe accettato tutto, anche una clamorosa bugia. Ma sentirlo dire da
qualcuno che non fosse lei, le avrebbe fatto bene.
“Sì, passerà. Sicuramente”
John l’aveva abbracciata forte, mentre Lily piangeva
sommessamente sulla sua spalla. Si sentiva un ipocrita, ma adesso era
la cosa giusta da fare “andrà tutto bene, guarda
avanti” la stringeva forte, e il suo dolore sembrava passare
attraverso di lui “ci siamo noi, ci sono io. Non sei
sola”.
Pensava che anche volendole dare il suo appoggio, ci sarebbe voluto
troppo tempo; Sherlock era estremamente lento in queste cose,
estremamente cocciuto e decisamente poco empatico. Se si fosse accorto
dei sentimenti di Lily, a quel punto sarebbe stato troppo tardi. E
lì ci si sarebbe trovati non con uno, ma con ben due cuori spezzati.
John aveva abbracciato Lily, e le passava una mano tra i capelli
cullandola piano. Era capitato poche volte che non trovasse le cose da
dire, e stasera era una di quelle. Sentiva un dolore dentro che non
riusciva a sopprimere. Voleva aiutare Lily, ma la sua sofferenza lo
sopraffaceva. A volte, forse, bisognava solo stare zitti e ascoltare,
non dare voce alle cose palesi. Bisognava solo tacere e dare appoggio
incondizionato, comportarsi come se non fosse successo nulla, come se
non si sapesse niente.
Lily piangeva tra le braccia di John. Avrebbe lavorato sul suo rapporto
con Sherlock, sperando di riuscire a guarire. Sperando di riuscire a
trovare qualcuno che la aiutasse ad amare e dimenticare. Qualcuno che
non fosse lui. Voleva disperatamente farlo, a tutti i costi.
All’improvviso avevano sentito un rumore sordo e un lamento.
John e Lily avevano alzato gli occhi all’unisono. John si era
precipitato fuori dalla cucina per trovare Sherlock per terra che si
lamentava, ancora ubriaco.
“Sherlock, maledizione! Come hai fatto a cadere?”
John aveva imprecato mettendolo a sedere per terra.
“Credevo di essere a letto” aveva piagnucolato
Sherlock con voce impastata “sono molto ubriaco?”
“Amico, ci puoi scommettere” John lo osservava per
controllare stesse bene “una bella sbronza con i
fiocchi”
Sherlock si teneva la testa con una mano, poi aveva alzato gli occhi e
si era guardato in giro: “Lily? sta dormendo?”
“Veramente è rimasta con te un bel po’.
Ti ha controllato e ti ha fatto delle spugnature” Sherlock
aveva sbarrato gli occhi, spaventato “solo sul viso,
tranquillo” aveva concluso John.
“Tranquillo Sherlock, solo su viso e collo” Lily
era appoggiata allo stipite della porta della cucina, le mani a
sostenere il corpo “non mi sono spinta più in
giù del colletto della camicia”.
Sherlock l’aveva guardata con palpebre pesanti e gli occhi
cerchiati di rosso: “Lily”.
“Sherlock” aveva risposto lei, abbozzando un
sorriso. Guardava la testa ciondolante e i ricci neri ingarbugliati; la
camicia stropicciata e i pantaloni spiegazzati. Le labbra secche e la
pelle lucida di sudore. Aveva stretto con forza il legno della cornice
della porta, appoggiandoci anche la testa. John aveva guardato Lily e
poi aveva esclamato: “Bene, Holmes sono arrivato fino a qui e
ora ti porto a letto” gli aveva circondato la vita con un
braccio e lo aveva tirato su. Sherlock aveva piegato le gambe, debole.
Poi aveva cominciato a ridacchiare: “John, insomma. Almeno
offrimi una cena prima”.
John aveva alzato gli occhi al cielo, sbuffando: “ Cerca di
tirarti su e smettila di fare il cretino” era paonazzo per lo
sforzo e anche piuttosto irritato “cammina in camera tua e
vedi di dormire, è mezzanotte passata, non possiamo stare
tutti dietro a te”.
“Va bene, va bene” aveva biascicato Sherlock
“vado a dormire; però vorrei la mia bacinella,
grazie. Non voglio vomitare per terra” aveva allungato una
mano verso il divano. Lily aveva afferrato la bacinella e
gliel’aveva portata.
“Grazie, piccola Lily” aveva sorriso, con aria
sorniona “buonanotte”.
“Buonanotte Sherlock” aveva alzato una mano in
imbarazzo.
Sherlock era rimasto fermo mentre John tentava di portarlo via:
“Aspetta aspetta” aveva socchiuso gli occhi per
vedere meglio; guardava Lily, e aveva detto a bassa voce: “tu
hai pianto” l’aveva indicata.
Lily aveva sentito il sangue gelarsi nelle vene. Non voleva che
Sherlock capisse. Era ubriaco ma pur sempre attento e vigile. Adesso
non serviva questo, a nessuno dei due: “Ma che dici Sherlock.
Sono solo stanca, niente di più” aveva scosso la
testa, incrociando le braccia.
Sherlock era rimasto in silenzio, scrutandola ancora: “Non
è vero, hai pianto e si vede. Perché?”
era molto serio, e barcollava appoggiandosi a John
“perché hai pianto? Io sto bene, mi
vedi?”
Lily aveva guardato John, agitata. Lui aveva ricambiato lo sguardo e
detto: “Sherlock, coraggio. È veramente molto
tardi, devi dormire”.
“Io non mi muovo finché non mi dite cosa
succede” aveva incrociato le braccia, testardo.
“Oh, ma insomma BASTA!” Lily aveva alzato la voce,
spazientita. John l’aveva guardata con
un’espressione di avvertimento: bada bene a ciò
che dici, potresti pentirtene.
“Sto bene, e non ho pianto. Sono solo molto stanca e vorrei
andare a dormire. Se continui a fare il bambino, domani giuro che
farò il possibile per rendere infernali i tuoi postumi. Ora
fila a letto” aveva ripreso fiato, rendendosi conto di quello
che aveva detto solo in quell’esatto momento “Sto
bene” aveva ripetuto, abbassando la voce. Che terribile
ipocrita che era.
Sherlock aveva sbattuto gli occhi un paio di volte, serio:
“Sei una pessima bugiarda. Ma alla fine non sono affari miei.
Fai come ti pare, ma poi non offenderti se la gente non ti capisce e se
ti senti sola. Buonanotte” si era girato e barcollando era
andato verso la sua stanza, cercando di mantenere un’andatura
offesa. Senza molto successo, effettivamente. John l’aveva
seguito. Lily sentiva una rabbia cieca salirle dal fondo dello stomaco
fino alla bocca.
“ IO NON SONO
SOLA, RAZZA DI BABBEO!!!” aveva urlato Lily
verso il corridoio. La voce le si era incrinata
sull’ultima sillaba. Era rabbiosa, ma consapevole del fatto
che era veramente una pessima bugiarda.
//
John aveva scortato Sherlock fino alla sua stanza, stizzito:
“Accidenti a te. Ubriaco sei anche peggio”.
“Volevo solo capire perché Lily ha pianto. Non mi
sembra una cosa difficile” si stava sbottonando la camicia,
molto lentamente “io noto le cose, lo sai” si era
lasciato cadere sul materasso, per togliersi i calzini, sbuffando.
“Se una persona ti dice che una cosa non è vera,
prendila come verità. Poco male se è una bugia o
meno” aveva replicato John prendendo i vestiti e appendendoli
nell’armadio.
Gli occhi di Sherlock si erano illuminati: “Allora
è vero!” aveva indicato John “avevo
ragione!”
“Io non ho detto proprio un bel niente!” John era
scattato all’improvviso “sto solo dicendo che non
sempre la gente ha voglia di parlare”.
“Hmmm capisco” Sherlock si era infilato sotto le
coperte “Lily ha la lacrima facile quando è triste
e preoccupata”.
John aveva alzato le sopracciglia, sorpreso: “Wow Sherlock,
ottima intuizione. Ora dormi” si era avviato verso la porta
“Buonanotte”.
Gli occhi di Sherlock si chiudevano leggermente:
“Non…dovrebbe…chiamare..Andrew.
Non…mi piace” la testa era precipitata sul
cuscino, e Sherlock era finalmente muto e addormentato.
John aveva sospirato, stanco: “Lo so, ma
l’alternativa potrebbe essere ancora peggio” aveva
mormorato. Conosceva Sherlock e anche se non se ne accorgeva, stava
già portando abbastanza scompiglio nella povera testa di
Lily. Avrebbe voluto vederli insieme, vedere Sherlock contento e
rilassato. Ma la sua mente lo portava a pensare che non fosse veramente
possibile. Cercava giustificazioni, ma non ne trovava. Cercava i lati
positivi, ma non gliene veniva in mente nessuno.
Era tornato in salotto, con il cuore che pesava una tonnellata. Lily
era seduta sul divano, un cuscino tra le braccia. Aveva alzato lo
sguardo su John: “Tutto ok?” aveva sorriso
leggermente.
“Sherlock si chiedeva ancora perché avessi
pianto” aveva alzato le spalle, arreso.
Lily aveva riso sommessamente: “Il solito testardo”.
“Non gradisce Andrew a quanto pare. Ha detto che non dovresti
chiamarlo”
Lily aveva alzato gli occhi al cielo: “Me ne ero accorta il
giorno che mi ha accompagnato a casa. Eppure è convinto che
usciremo”.
“Ed è vero?” aveva chiesto John,
guardandola.
“Penso proprio di sì; devo reagire in qualche
modo. Poi si sa, la vita è fatta di sorprese”
aveva posato il cuscino vicino a lei.
“Buon per te, è il primo passo avanti”
John aveva sentito di nuovo il senso di colpa insinuarsi sotto la sua
pelle “va tutto bene?”
“Sì, sto bene. Vai pure a casa, sarai esausto.
Grazie per essere venuto” si era alzata per accompagnarlo
alla porta.
“Non c’è di che, figurati. Chiamami
sempre, quando vuoi. Per…tutto, insomma” gli aveva
messo una mano sul viso, accarezzandole una guancia “stai su,
okay? magari ci vorrà un po’ di tempo ma tu sei
forte, puoi farcela”.
Lily aveva annuito, prendendo la mano di John
“Okay” aveva risposto in un sussurro.
“Buonanotte Lily” John aveva aperto la porta,
stampato un bacio sui suoi capelli e preso le scale.
Lily aveva chiuso la porta, esausta. Era mezzanotte e mezza, non
tardissimo. Lo sguardo si era posato sul telefono, abbandonato sul
tavolo vicino alla finestra. Si era avvicinata lentamente, prendendolo
in mano. Aveva sbloccato lo schermo e aperto i messaggi.
Ciao Andrew, scusa per
l’ora, ma che ne dici di andare a prendere quel
famoso caffè uno di questi giorni?
Guardava il cursore che lampeggiava dopo il punto interrogativo. Si era
morsa un labbro, dubbiosa. Aveva volto lo sguardo verso la camera di
Sherlock, sospirato e premuto invio.
Si era infilata il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e spento
tutte le luci. Filtrava una luce bianca attraverso le tende.
“Stai facendo la cosa giusta” aveva sussurrato nel
buio.
//
La mattina dopo era stata un incubo. Uno Sherlock irritabile e
scontroso era entrato in cucina, coperto solo da un lenzuolo. Lo
avvolgeva dalla testa ai piedi, schiacciando i ricci neri sulla fronte.
Lily era sveglia da un paio d’ore ed era seduta al tavolo
della cucina con una tazza di caffè e una rivista. Nel
momento in cui Sherlock era arrivato, la tazza si era fermata a
mezz’aria.
“Buongiorno” aveva esordito lentamente, seguendolo
con lo sguardo. Non aveva aggiunto altro.
Un grugnito le aveva dato la risposta che cercava. Sherlock girava a
vuoto per la stanza, cercando non si sa cosa. Mentre camminava senza
meta, si era fermato davanti alla vaschetta del pesce rosso:
“Da quando in qua abbiamo un pesce?” lo scrutava
con gli occhi semichiusi, uno smorfia di dolore sul volto.
“Veramente è tornata con te ieri sera. Hai detto
che si chiama Margaret” aveva risposto Lily.
Sherlock aveva abbassato la testa a livello della boccia, scrutandola:
“Non possiamo avere un pesce. Dove l’ho
presa?”
“L’hai vinta a una partita di beer pong ieri
sera” Lily continuava a fissare la rivista, prendendo un
sorso di caffè.
Sherlock si era lamentato: “Ah già…il
beer pong” aveva stretto il lenzuolo sotto il mento
“ricordo vagamente qualcosa”.
“Caffè?” Lily aveva alzato la tazza.
Sherlock si era girato verso di lei, un bozzolo di lino bianco:
“Sì, grazie”.
Lily si era alzata e diretta verso la credenza dove tenevano il
caffè. Cercava di non guardare troppo Sherlock, avvolto
nelle lenzuola. Era completamente ignara del fatto se fosse nudo o no
là sotto, e cercava di non pensarci troppo. Voleva veramente
impegnarsi e cercare di calmarsi. Certo, il destino non la aiutava:
Andrew ancora non aveva risposto al suo messaggio, e lei si sentiva
ancora piuttosto scombussolata. Non sapeva se aveva fatto bene a
parlare di Sherlock a John; poteva contare solo sulla sua discrezione,
sperando che non cominciasse a darle consigli non richiesti. Voleva
uscirne da sola, con le sue gambe e le sue forze.
Pensava a tutto ciò mentre preparava il caffè, e
non si era accorta che Sherlock le stava parlando.
“Lily?!mi stai ascoltando??” la sua voce era roca e
irritata “mi costa parecchio parlare in questo momento,
vorrei che tu mi ascoltassi”
Si era girata verso di lui: “Scusa, ero sovrappensiero, cosa
stavi dicendo?” gli aveva passato la tazza di
caffè bollente “tieni, bevi finché
è caldo, ti farà bene”
Sherlock aveva preso con cautela il caffè e aveva sorseggiato
piano la bevanda. Aveva allontanato di scatto la tazza dal viso:
“È amaro e fa schifo, non lo voglio”
aveva piagnucolato, tendendole la tazza.
“Bevi e non fare il bambino. Il caffè amaro ti
aiuterà a riprenderti un po’ da questa tua
modalità zombie e magari ti farà anche uscire da
quel bozzolo di lenzuola. Chi è causa del suo mal, pianga se
stesso” aveva cominciato a rimettere a posto la cucina
“sei adulto e vaccinato, non fare la lagna”
Il detective aveva sbuffato, riportando la tazza alle labbra:
“che scocciatura” aveva mugugnato
“comunque ti stavo chiedendo se ieri sera ho fatto qualcosa
di stupido, non mi ricordo molto ma spero di non essermi reso troppo
ridicolo” continuava ad avere i riccioli schiacciati dal
lenzuolo e sembrava stranamente vulnerabile conciato in quel modo.
“Mah, hai solo tirato uno sgabello contro una vetrata,
Lestrade ti ha riaccompagnato a casa, hai finto di essere una ballerina
e non riuscivi a suonare il violino perché lo avevi messo al
contrario; per il resto, nulla con cui possa ricattarti
purtroppo” Lily aveva riso sotto i baffi, mentre Sherlock la
guardava con occhi sgranati. Poi aveva ritrovato il suo aplomb e si era
limitato a una scrollata di spalle, bevendo un sorso di
caffè: “Niente che un inglese medio ubriaco non
faccia di solito”
“Ma tu non sei l’inglese medio. Tu sei Sherlock
Holmes” aveva ribadito Lily, divertita.
Sherlock l’aveva guardata in cagnesco: “Oh, ma
smettila” aveva sbuffato.
Lily aveva scosso la testa, reprimendo una risata. Aveva guardato
Sherlock, appollaiato sul suo sgabello: “Quando avrai finito,
manda un messaggio a John, vorrà sapere come stai e magari
farsi una risata”.
Lui aveva sbuffato, insofferente: “Devo proprio?”
“Oh sì che devi. È stato lui che ieri
mi ha rassicurato e ti ha visitato per sincerarsi che non fossi morto.
Quindi direi che sì, una telefonata è
d’obbligo”.
Il bozzolo aveva mugugnato un “va bene”, alzandosi
a fatica; per poco non cadeva a faccia in avanti.
In quel momento il telefono di Lily aveva suonato. Era calato un
silenzio strano dopo il trillo che segnalava un messaggio in entrata.
“Uh oh, un messaggio per Lily” aveva esclamato
Sherlock, guardando verso di lei “sarà il gentil
fattorino?” l’aveva guardata ghignando.
Lily aveva sorriso tirata e fatto cadere nel lavello una decina di
forchette e piatti sporchi, facendo un fracasso non indifferente.
Sherlock aveva strizzato gli occhi, in evidente sofferenza. Li aveva
riaperti e aveva sibilato: “Ma sei impazzita? Ho la testa che
mi esplode”.
Lily aveva alzato le spalle, con falso imbarazzo: “Ops,
scusa. Sono così goffa”
aveva sbattuto gli occhi, cercando di non ridere.
Sherlock aveva sbuffato, irritato: “salutalo tanto da parte
mia” si era buttato un lembo di lenzuolo oltre la spalla e si
era incamminato impettito verso il corridoio. Lily aveva cominciato a
lavare le stoviglie sporche, guardando ogni cinque secondi il telefono
come se fosse una bomba inesplosa. Non sapeva se era pentita di aver
mandato un messaggio a Andrew; voleva leggerlo, ma voleva anche
cancellarlo senza neanche aprirlo. Aveva chiuso gli occhi, irritata.
Aveva le mani dentro l’acqua all’altezza dei
gomiti, e all’improvviso le aveva tirate fuori dal lavello,
schiumose e scivolose; si guardava intorno, ansiosa. Stava gocciolando
per terra e continuava a fissare il telefono. Lo aveva afferrato senza
pensare, facendolo scivolare sul tavolo. Si era messa le mani nei
capelli, imprecando sottovoce; si sentiva una cretina completa.
Ok, niente panico.
È solo un cellulare. Prendilo e leggi quello che
c’è scritto sul messaggio. Asciugati le mani e
prendilo.
Mentre allungava le mani verso il tavolo, l’aggeggio
infernale aveva suonato di nuovo; si era ritratta, spaventata. Era la
seconda notifica, Lily se ne era completamente dimenticata.
“Ho capito, ho capito ora leggo. Anche il telefono ha
fretta” aveva sussurrato nervosa, afferrandolo. Aveva
sbloccato lo schermo e aperto il messaggio.
Buongiorno Lily, come
stai? sono molto contento che tu mi abbia contattato, speravo veramente
di risentirti. Per il caffè, quando vuoi. Fammi sapere
quando sei disponibile, non vedo l’ora. Andrew.
Lily aveva tirato un sospiro di sollievo. Non era un
rifiuto; ma la sensazione di sollievo era durata ben poco. Non sapeva
come ci si comportava, come si faceva a uscire con qualcuno. Nella sua
testa si erano susseguite mille immagini: Sherlock, John, Andrew.
Sherlock con una tazza di caffè, Sherlock che gliela
porgeva, imbarazzato. Sherlock. Sherlock. Sherlock.
Basta.
Si era schiarita la gola, e raddrizzando la schiena aveva cominciato a
scrivere:
Se vuoi posso anche oggi
pomeriggio, hai qualche posto da proporre?
Invia, blocca lo schermo, posa il telefono sul tavolo come se
scottasse. Stop. A posto così.
Era seguita una telefonata abbastanza rilassata, almeno dalla parte di
Andrew. Lily era tesa come una corda di violino.
L’appuntamento era per quel pomeriggio alle cinque, in una
sala da the vicino Baker Street; alle quattro e mezza Lily era in
modalità panico completo, cercando un mix di vestiti che la
facesse sembrare decente. Guardava nervosa il suo letto pieno di
magliette e jeans, una mano davanti alla bocca e un piede che batteva
nervosamente il pavimento. Come diavolo ci si vestiva per prendere un
the o un caffè con un ragazzo, per la prima volta? Alla fine
aveva optato per un maglioncino lungo e un paio di leggins insieme ai
suoi anfibi. Una sciarpa al collo, il suo giubbotto di pelle e si
sentiva abbastanza a suo agio. Sperava solo di non morire di freddo,
anche se era talmente nervosa che rischiava
l’autocombustione. Si sarebbe fatta coraggio, doveva
assolutamente sembrare disinvolta anche se si sentiva come una liceale
al suo primo appuntamento. Effettivamente era il suo primo appuntamento
da persona normale; non si potevano considerare appuntamenti quelli con
Kaleb, che consistevano nello sgattaiolare da casa di notte per bere e
fumare erba fino a stordirsi. Decisamente no.
Il campanello. Lily era saltata di qualche centimetro, il cuore in
gola, il battito dentro le orecchie. Aveva respirato a fondo e si era
diretta alla porta. Si era fermata per un attimo e aveva urlato verso
la stanza in fondo al corridoio: “Sherlock, io esco! Torno
presto!”
Era spuntato dalla stanza, lentamente: “Esci?”
Aveva annuito, nervosa. Sherlock l’aveva squadrata da capo a
piedi e aveva scrollato le spalle: “Divertiti”.
Lily aveva sbattuto gli occhi velocemente; pensava di aver sentito male
invece era proprio così, le aveva augurato di divertirsi.
Poi, guardandolo meglio, aveva intravisto il suo solito sorriso sghembo
e impertinente. Non aveva tempo per indagare e cercare di capire cosa
le volesse dire, quindi aveva borbottato un
“grazie” irritato e aveva preso le scale di fretta.
Ci mancava lui, certo. Come al solito. Quel sorrisetto stronzo, come se
sapesse già l’esito dell’incontro.
Al diavolo, al diavolo tutto. Era davanti al portoncino chiuso. Si era
aggiustata i capelli, lisciato la maglietta, tirato indietro le spalle
e con un bel sorriso aveva aperto la porta.
Andrew era lì, con un cappotto nero, una camicia azzurra e
un paio di jeans scuri. Le sorrideva, i capelli scompigliati.
“Ciao, Lily” le aveva preso una mano e
l’aveva portata alla bocca, facendo perdere un bacio
nell’aria “tutto bene?”
Lily lo guardava e si sentiva una perfetta idiota; aveva annuito e dopo
pochi secondi aveva balbettato un “tutto bene,
grazie”. Si guardavano, fermi in mezzo a Baker Street.
Ti prego ti prego, fai
qualcosa, dì qualcosa era il pensiero
di Lily, che ormai aveva stampato sul viso un sorriso di circostanza e
le guance cominciavano a farle male.
“Vogliamo andare?” aveva esordito Andrew
“ci vuole una bella tazza di qualcosa di caldo, qua fuori si
gela!” le aveva offerto il braccio e Lily lo aveva accettato,
maldestra: “sì, effettivamente fa
freddino” e così il primo scoglio era superato,
ora toccava vedere come andavano gli altri.
Da dietro le tende, Sherlock osservava. Aveva stretto leggermente gli
occhi, cercando di capire: o quel Andrew era veramente uno sciocco
ragazzone con il sogno di diventare psicologo, oppure uno molto furbo.
Sherlock si accorgeva sempre se qualcosa non andava; quando era
così, avvertiva una strana sensazione, uno strano formicolio
alle mani. Sembrava che il suo corpo intuisse che c’era
qualcosa che non andava, che qualcosa sarebbe andato storto.
Non sapeva neanche perché questa cosa lo prendesse
così tanto. Non era affar suo, figurarsi. Ma quello che si
era iniziato era da finire assolutamente. Aveva sospirato, la testa
ancora dolorante e lo stomaco sottosopra: “Non
berrò mai più, che schifo” aveva
sussurrato, allontanandosi dalla finestra.
Nel frattempo Lily e Andrew erano arrivati alla famosa sala da the. Un
posto tranquillo, caldo e umido con un buon odore di tisane e
caffè. Sulle pareti facevano bella mostre lavagnette con le
specialità della casa e i vari tipi di bevande.
C’era una bella luce dentro, accogliente. Si erano seduti a
un tavolino appartato, anche se il locale era poco affollato e si
avvertivano solo i brusii del personale e delle poche persone presenti.
Una leggera musica faceva da sottofondo, quasi impercettibile. Lily si
era tolta il giubbotto, guardandosi intorno. Si era soffiata sulle
mani, cercando di scaldarle e aspettava che Andrew tornasse con le
bevande e la fetta di torta che avevano deciso di condividere. Si era
stretta nelle spalle, leggermente più rilassata: Andrew
riusciva a metterla a suo agio; parlava abbastanza, ma non risultava
noioso. Faceva domande mirate, a cui Lily riusciva a rispondere senza
balbettare come una bambina piccola. Faceva brevi pause, tra una
battuta e l’altra, insomma sembrava veramente capire il suo
carattere inizialmente timido e ritroso.
Mentre pensava a tutto ciò, Andrew era arrivato al tavolo
con un vassoio e un sorriso smagliante: “Bene, ecco qua il
tuo the al bergamotto” le aveva porto una tazza colorata.
Si era seduto sistemando il piatto con la torta: “ Prego,
prima le signore” aveva indicato il cibo educatamente.
“Oh, grazie molto gentile” aveva risposto lei,
prendendo timidamente una forchettata di torta. L’aveva
assaggiata e tirato su il pollice: “Ottima” aveva
mugugnato, ridendo.
“Bene” aveva risposto soddisfatto “mi hai
lasciato questa grande responsabilità, speravo di aver fatto
la scelta giusta” l’aveva guardata intensamente, il
sorriso più leggero.
Lily aveva distolto gli occhi dai suoi, sentendosi in imbarazzo e aveva
preso un sorso di the bollente, ustionandosi la gola. Almeno
l’avrebbe resa più vigile e meno imbarazzata.
“Beh” aveva cominciato, la voce un po’
roca per mascherare il dolore “cosa hai fatto di bello
oggi?”
Andrew aveva incrociato le mani sotto il mento, guardandola divertito:
“Niente di che, ho sbrigato alcune commissioni, e poi ho
telefonato a casa per sentire come stavano i miei genitori”
“Oh, che bello..stanno bene?” aveva chiesto Lily
aggiungendo un po’ di zucchero al suo the.
“Sì…molto bene, anche se dove abito io
piove quasi sempre. Tu senti spesso i tuoi?”
Lily aveva fermato il cucchiaino che girava dentro la tazza:
“Beh…no. Anzi, è parecchio che non
chiamo casa” sentiva le guance avvampare.
“Eh già, i genitori sanno essere noiosi a
volte” la sua voce si era fatta più profonda
“sarei preoccupato anche io, sapendoti a Londra da
sola”.
Lily aveva soffocato una risata amara: “Beh sì,
certamente”
“Non mi hai mai raccontato da dove vieni” aveva
preso un boccone di torta “so solo che anche tu vieni da
fuori Londra”
“Ti assicuro che non è una storia interessante,
vengo da un paesino di 350 anime, dove piove 265 giorni
l’anno, niente di emozionante” continuava a girare
il the, nervosa. Parlare del suo passato non la metteva a suo agio. Il
paesino da dove veniva era veramente grazioso, c’era anche un
castello, cinque hotel e un orologio astronomico. Addirittura un
circuito automobilistico. Ma era piccolo, soffocante e lei
lì dentro si sentiva in trappola; soprattutto
perché c’erano degli standard da rispettare,
dovevi essere meritevole e modesta, non ti potevi esprimere
perché eri quella che eri e lei non voleva ricordare, non
voleva far emergere nulla.
“Beh, è sempre casa no? Non
c’è nessun posto come casa propria”
aveva risposto Andrew guardandola intensamente.
Lily aveva poggiato il cucchiaino sul piattino, facendolo tintinnare:
“Certo, naturalmente. Ma non sempre è
così” aveva sorriso flebilmente, cercando di far
morire la conversazione su quell’argomento.
“Hmmm, sì capisco a volte la famiglia
può soffocarti” Andrew continuava, con tono
affabile “e sei figlia unica? Sembri il tipo cresciuto con
tanti fratelli e sorelle”
“Veramente no, sono figlia unica” si era passata
una mano nei capelli, gesto che faceva quando era nervosa “te
invece? Tu più che altro sembri il tipo cresciuto in mezzo a
tanti parenti; sei così spigliato” cercava
disperatamente di spostare l’attenzione su di lui, perlomeno
sull’argomento infanzia e famiglia.
“Ho un fratello e una sorella” aveva sorriso e si
era lanciato in un racconto della sua infanzia abbastanza
particolareggiato, facendo tirare un sospiro di sollievo a Lily, che
aveva cominciato a seguire la sua storia con entusiasmo.
Dopo due ore e un’altra tazza di the ciascuno, si erano
decisi a uscire. Faceva più freddo di prima e Lily aveva
cominciato a tremare per lo sbalzo di temperatura. Fuori era quasi
sera, avevano fatto il tragitto a ritroso, parlando di libri e musica
fino a quando erano arrivati davanti il 221b.
“Mi sono divertita tanto, grazie Andrew” Lily aveva
salito un paio di gradini. Le dispiaceva doversi separare da Andrew.
Escludendo la parentesi del racconto sulla sua famiglia, era stato un
pomeriggio molto gradevole.
“Sono stato bene anch’io, Lily. Ti andrebbe di
rivederci la prossima settimana? Vorrei tanto incontrarti prima, ma ho
delle cose da fare fuori Londra…ma veramente, vorrei
rivederti”.
Lily era arrossita e aveva annuito, contenta: “Certo, non
c’è problema. Fammi sapere quando torni a
Londra” gli aveva sorriso.
Andrew sembrava sollevato: “Meraviglioso, temevo che pensassi
fosse una scusa ma ti giuro che mi farò sentire tutti i
giorni”. Si era avvicinato a lei e gli aveva posato un bacio
sulla guancia: “a presto” aveva sussurrato,
sorridendo. Si era incamminato verso la metropolitana, girandosi ogni
tanto per guardarla e salutarla.
Quando Lily lo aveva perso di vista tra la folla, era rientrata a casa.
Sorrideva ed era contenta; si sentiva bene, quasi felice.
Sherlock era seduto sulla sua poltrona, un libro in mano. Il fuoco era
acceso, e c’era un piacevole tepore per tutto
l’appartamento: “Ciao” aveva esordito
Lily, levandosi il giubbotto e appendendolo dietro la porta.
“Hmmmm..” era stata la risposta. Aveva finito di
leggere la frase e aveva chiuso il libro con un movimento fluido
“com’è andata, insomma?”
Lily si era fermata, sorpresa: “Ti interessa?”
aveva chiesto, sorpresa.
Sherlock aveva scrollato le spalle: “Di solito si chiede dopo
un appuntamento, no? Tu mi chiedi sempre come sono andate le
indagini”.
Lily aveva scosso la testa, divertita: “Si chiede se uno
è interessato, Sherlock” lo aveva guardato, il suo
sguardo perplesso “comunque sì, è
andato tutto bene. Grazie per l’interessamento”.
“A te interessa quando torno dopo 12 ore di indagini sulle
rive fangose del Tamigi?” aveva chiesto dubbioso.
Lily aveva alzato le spalle: “Beh sì. Mi interessa
sapere quello che fai, se ti sei divertito o meno”.
Sherlock l’aveva fissata con aria perplessa: “Bah,
io non vi capirò mai, a voi donne”
“Eh già siamo un immenso oceano di
segreti” aveva aggiunto Lily ridendo.
“Certo, certo” Sherlock aveva sventolato una mano
per aria “ti va un thai stasera?”
“Che domande! Certo che sì” aveva
risposto Lily andando verso il bagno.
//
Erano passati quattro giorni, in cui Andrew aveva scritto a Lily
sempre. Lei aveva risposto volentieri.
Il quinto giorno le aveva fatto sapere che era tornato a Londra e
l’aveva invitata a mangiare qualcosa al posto
dov’erano stati la prima volta; Lily aveva accettato. Si
erano dati appuntamento lì davanti e Lily era arrivata con
qualche minuto d’anticipo. Mentre aspettava, era suonato il
telefono: era Sherlock.
“Lily? per caso hai il mio portafoglio? L’ultima
volta te l’avevo dato per metterlo in borsa mentre eravamo al
St. Barth’s. Ce l’hai ancora te?”
Lily aveva frugato nella borsa e aveva visto il portafogli nero di
Sherlock: “Sì, è qui. Credevo
l’avessi ripreso”.
“Accidenti, l’ho dimenticato” aveva
sibilato. Devo venire a prenderlo, dove sei?”
Lily aveva alzato gli occhi al cielo e gli aveva dato le indicazioni
per raggiungerla. Sperava arrivasse prima di Andrew, ma era altamente
improbabile.
Infatti lui era arrivato due minuti dopo, affannato e con una borsa a
tracolla: “Scusami Lily, sono stato trattenuto in
facoltà, non volevano lasciarmi andare” aveva
sorriso e le aveva aperto la porta, facendola entrare nel locale. Si
erano accomodati e Andrew si era scusato, assentandosi per andare al
bagno. Lily era contenta di rivederlo; di Sherlock ancora nessuna
traccia.
Si guardava intono come sempre e pensava che finalmente si sentiva un
po’ più serena. Il telefono aveva trillato: era un
messaggio di John che le chiedeva come andava e le chiedeva se
più tardi poteva passare a Baker Street per un the. Lily
aveva sorriso, rispondendo al messaggio. In quel momento la borsa di
Andrew, appoggiata alla sedia, era caduta per terra aprendosi sul
pavimento. Erano uscite alcune cartelline e fogli. Lily si era chinata
per raccoglierle e dei fogli in bianco e nero avevano attirato la sua
attenzione: non erano fotocopie, né prospetti. Erano foto.
Non era roba che ti aspettavi di trovare nella borsa di uno studente di
psicologia. Erano foto di persone; erano foto sue, scattate con un
teleobiettivo.
Lei al supermercato; lei al St Barths; lei fuori da Baker Street con
Sherlock e John; foto di lei che rideva, di lei che leggeva seduta al
tavolo di un caffè. Lei, lei, lei.
Sherlock.
John.
Mary.
Gregory.
Erano là. Ma la maggior parte erano foto sue, gli altri
sembravano di contorno. Le mani le tremavano, mentre sfogliava le foto
dei suoi primi piani. Cosa ci faceva con quelle foto? Chi le aveva
scattate? Perché? Non riusciva a respirare, e il cuore le
batteva forte nel petto e le rimbombava nelle orecchie. Non sentiva
più i rumori intorno a lei, solo un ronzio fastidioso.
Doveva andarsene, ora. Non era al sicuro, non voleva stare
più là, aveva bisogno di aria.
Che cosa stava succedendo? Chi era Andrew e cosa voleva da lei?
*Definizione di Beer pong (da Wikipedia):
Birra
Pong o in inglese: Beer
Pong, conosciuto
anche come Beirut,
è un gioco di bevute, in cui i giocatori lanciano una
pallina da
tennis da un
lato all'altro di un tavolo con lo
scopo di fare centro in un bicchiere di birra che si
trova dall'altro lato del tavolo. Può essere giocato sia
singolarmente (1 contro 1) o a squadre, con più varianti
riguardanti l'ordine di tiro. Non esistono regole ufficiali, ma
solitamente vengono usati 6 o 10 bicchieri di birra per ogni squadra.
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Capitolo 14 *** Upside down ***
Capitolo 14
Upside
down
Doveva essere un sogno, una
strana fantasia onirica, qualcosa non vera. Quella non sono io, quelle
non sono foto scattate di nascosto. Deve esserci un motivo, deve
esserci per forza. Non voglio credere a nulla che non sia un sogno.
Deve essere un sogno, dev -
Lily teneva ancora le foto tra le mani tremanti e non smetteva di
fissarle. Erano diventate una macchia indistinta, insieme ai suoni che
la circondavano, un brusio di voci e rumori non meglio definiti. Cosa
avrebbe detto? Sentiva la rabbia montarle in corpo: avrebbe voluto
bruciare le foto e poi tutto il locale.
Si era alzata dal pavimento, la gente cominciava a guardarla in modo
strano.
“Allora, eccomi qui! cosa vuoi…” la voce
di Andrew alle sue spalle, che si fermava di botto
“oh”.
“Oh?” aveva sibilato Lily “ oh??”
aveva ripetuto, incredula e sull’orlo della crisi isterica
“cosa sono queste” aveva detto sbattendo le foto
sul petto di Andrew “ cosa.
sono. queste” la voce era distorta, lei doveva
sapere, doveva assolutamente sapere cosa diavolo stesse succedendo.
“Posso spiegarti” aveva cominciato Andrew, con voce
bassa e calma “lascia solo che..” si era avvicinato
a Lily, con cautela.
Lei si era allontanata di scatto, le foto patinate strette nella mano.
Ormai rovinate, ormai piene di pieghe. Troppe volte si era sentita dire
queste parole, ora era stufa.
“Voglio spiegazioni ora, Andrew. Immediatamente”
muoveva lo sguardo intorno alla sala, non voleva che la gente notasse
troppo la sua tensione.
Sentiva che stava per cedere, che un attacco di panico stava per
arrivare. Tutto era confuso, tutto era più stretto,
più piccolo. Le mancava il respiro, doveva uscire da
lì al più presto o sarebbe svenuta. Aveva
afferrato la borsa e si era precipitata verso la porta, sbattendoci
contro come se fosse cieca. Sentiva la voce di Andrew che la chiamava,
ma non si era fermata. Non voleva fermarsi; lo avrebbe ucciso. Mentre
si incamminava, aveva sentito una stretta possente stringerle il
braccio: “Lily, dove stai andando?”.
Si era girata e Sherlock era lì, che la teneva ferma mentre
lei voleva solo muoversi e camminare. Due occhi grigi la scrutavano,
perplessi.
“Che cosa succede Lily? sembra che tu abbia visto un
fantasma” la sua voce era distorta all’inizio, poi
era diventata più chiara e lineare. Dillo a Sherlock,
dì cosa è successo. Parla.
“Lily..??” Sherlock continuava a guardarla, poi
aveva sgranato gli occhi “ti ha messo le mani
addosso” non era una domanda, era più
un’affermazione “quel bastardo ti ha messo le mani
addosso!”
Lily aveva chiuso gli occhi, scuotendo la testa e si era limitata a
ficcargli tra le mani le foto, liberandosi dalla stretta ferrea:
“Io…devo andare. Devo proprio”.
Aveva visto Sherlock guardarle, mentre Andrew arrivava dalla parte
opposta della strada.
“Te le ha fatte lui??” Sherlock parlava, troppo per
i gusti di Lily. Lei doveva solo andare via, per favore lasciatemi
andare via.
Aveva guardato Andrew, poi Sherlock e aveva mormorato:
“Scusa, io devo andare. Non posso stare qui” aveva
ripetuto, come un giradischi rotto.
Era la prima volta che vedeva Sherlock così confuso.
Guardava lei e poi guardava in fondo alla strada. Aveva raggiunto Lily
e le era passato davanti, parandosi di fronte a lei. Come se volesse
proteggerla.
Andrew era ormai davanti a loro e guardava oltre la spalla di Sherlock:
“Lily, per favore. Posso spiegarti tutto, dammi la
possibilità di…”
“Perché hai queste foto con te? Chi le ha fatte?
Sei uno stalker? Cosa vuoi da lei?” le domande di Sherlock si
susseguivano veloci.
Andrew non lo ascoltava, cercava solo di passare oltre il metro e
ottanta di detective che gli si parava contro: “ti
prego!” continuava a ripetere.
Lily era lì, e non lo guardava. Era dietro la schiena di
Sherlock che la copriva quasi tutta e guardava solo il marciapiede. Non
voleva sentire Andrew. Non voleva sentire Sherlock. Non voleva sentire
assolutamente nessuno, voleva solo stare da sola.
“Lasciatemi stare” aveva detto barcollando
“ lasciatemi
stare!!” aveva alzato la voce, un timbro
isterico e tremante. Poi aveva alzato le mani, aggiungendo con voce
tremante “ora me ne vado. E guai a voi se mi
seguite” aveva puntato un dito contro entrambi e si era
allontanata, sparendo nella folla.
Sherlock si era mosso per seguirla, poi si era fermato di botto,
riducendo le labbra a una linea sottile e strizzando leggermente gli
occhi. Si era girato di scatto e aveva preso Andrew per il bavero della
giacca e sibilato con fare gelido: “Adesso io e te facciamo
due chiacchiere”.
//
Lily aveva camminato fino a Baker Street, ma non sapeva se entrare a
casa oppure no; meno di mezz’ora fa aveva confermato a John
di vedersi per un the proprio lì e lei non voleva vedere
nessuno. Voleva stare da sola, non voleva neanche capire
perché Andrew avesse quelle foto. Era incredibile, la sua
vita era stata un continuo pedinamento. Prima Kaleb, ora lui e
chissà quale altro motivo si celava dietro tutto questo
casino. Non ce la faceva più, era stufa di guardarsi alle
spalle ogni tre per due. Contraeva la mascella da ormai quaranta minuti
e sentiva incombere un mal di testa colossale. Era ancora agitata e
doveva trovare un posto dove rimanere tranquilla, dove pensare e
soprattutto calmarsi.
//
Sherlock aveva trascinato Andrew all’angolo della strada con
modi non proprio gentili: “Sarebbe meglio che tu parlassi,
perché non voglio ricorrere alla violenza. O a mio fratello
Mycroft. Le persone che lavorano per lui hanno metodi non proprio
ortodossi. Ma neanche io, quindi non saprei quale potrebbe essere la
soluzione migliore. Anzi no, una c’è: parlare, e
subito”. Lo teneva ancora per il bavero della giacca, il viso
a due centimetri da quello di Andrew. Gli occhi scintillavano rabbiosi
e grigi. Doveva ad ogni costo sapere cosa era successo.
“Va bene, parlerò. Ora però lasciami,
non vorrai attirare l’attenzione?” Andrew si
divincolava dalla stretta ferrea di Sherlock guardandosi intorno
imbarazzato “non volevo fare del male a Lily,
giuro”.
“Mi riesce difficile crederlo, visto che avevi sue foto
scattate con un teleobiettivo. Non proprio da educanda”
Sherlock aveva allentato la presa, e ora stringeva il braccio di
Andrew: “Bene, ti darò la possibilità
di parlare. Ma a modo mio e dove dico io”.
Andrew aveva annuito, spaventato.
//
Erano passate ore ormai, e il sole stava per tramontare; Lily era
arrivata a Regent’s Park. Poco lontano da Baker Street, ma
con ben 160 ettari di verde a circondarla. Se dovevano cercarla,
faticassero almeno. Era seduta su una panchina vicino al lago, vicino
un bellissimo salice piangente, con i rami che pendevano spogli come
piccole braccia rachitiche e disperate. Si era stretta nella giacca,
non c’era più molta gente; solo qualche jogger che
sfidava il freddo della sera e padroni intirizziti che portavano fuori
il cane. Lily non pensava a nulla di particolare, si godeva solo il
silenzio del parco, gli uccelli che si chiamavano tra di loro e la
sfumatura blu del cielo che si rifletteva sul lago piatto. Sul punto
più buio, il blu sembrava quello degli occhi di John. Che
sicuramente continuava a chiamarla da almeno due ore. Il telefono non
aveva smesso di suonare e vibrare, finché Lily non aveva
messo il silenzioso e tirato un sospiro di sollievo. Non aveva neanche
visto chi era. Si faceva sempre più buio, sempre
più freddo ma a lei non importava. Rifletteva, rifletteva e
a tratti piangeva e a tratti rideva. Non sapeva come reagire alla piega
che stava prendendo la sua vita: forse comica, ma non comica ahahahah
che ridere; comica come una barzelletta triste, una che non faceva
ridere nessuno. Si sentiva fuori tempo, appena qualcosa andava bene,
arrivava la botta che buttava tutto giù, la vagonata di
mattoni che la sotterrava di
nuovo.
Tutto quello che credeva potesse essere una nuova
possibilità, si rivelava un fallimento.
Sherlock.
Andrew.
La prospettiva di una nuova vita, al diavolo. Come no, impossibile se
ti chiami Lily.
Niente andava come lei avrebbe voluto. Abbandonarsi agli eventi non
sortiva alcun effetto, impegnarsi neanche. Cosa doveva fare allora? Si
era sfregata le mani e il viso, dove le lacrime si ghiacciavano e le
bruciavano la pelle. Non si sentiva più il naso, anche gli
uccelli avevano smesso di cantare all’improvviso. Ora
c’erano solo lei e il salice. Piangenti entrambi. Era in
buona compagnia. Ripensava alle foto e le si torceva lo stomaco
dall’orrore. Non si era accorta di nulla, eppure un
teleobiettivo era grande, l’avrebbe notato. Ma
chissà quant’era lontano chi l’aveva
fotografata. Quanti avevano visto le sue foto, cosa ci avevano fatto?
Aveva scosso la testa facendosi scappare un singhiozzo amaro. Era
stanca, tanto. Quando si sentiva così pensava al giardino
della casa dov’era nata; pieno di fiori e api che ronzavano
intorno alle piante. Papaveri, tulipani, ranuncoli, anemoni. Mille
colori, che con la primavera esplodevano raggianti, pieni di vita. E
lei che correva per i vialetti fatti di ghiaia bianca, che faceva male
agli occhi per quanto era abbagliante sotto il sole. La nuca che
scottava nella calura estiva mentre osservava le farfalle che bevevano
dai fiori la loro proboscide. Quando il giardiniere le aveva spiegato
che si chiamava esattamente come quella degli elefanti Lily aveva riso
così tanto. Aveva passato l’infanzia
così, in mezzo alla natura. Rifugiandosi in essa, la
accoglieva e la consolava senza fare domande.
Mentre sognava a occhi aperti non si era accorta dello scricchiolio
della ghiaia dietro di lei, pensava fosse un sogno molto vivido, i suoi
ricordi portati all’estremo.
“Lily” una voce profonda, che la chiamava come se
non volesse svegliarla.
Si era girata di botto, spaventata. Dietro di lei si stagliava la
figura di Sherlock, illuminata debolmente dai piccoli lampioni
posizionati poco più avanti. Aveva le mani in tasca e la
sciarpa stretta intorno al collo.
Si era girata nuovamente verso il lago, sospirando: “Come hai
fatto a trovarmi?” aveva detto piano.
“Sono andato a intuito” aveva risposto piano
“da quanto sei qui?”
“Non lo so” aveva risposto con tono monocorde,
scavando con la punta della scarpa per terra “e tu?”
“Abbastanza” era stata la risposta. Si era
avvicinato ancora, rimanendo dietro le spalle di Lily
“dovresti tornare a casa, sono tutti in pensiero. Non
rispondi al telefono ed è buio. E in più, penso
che tu debba sapere alcune cose”.
Lily aveva riso, ironica: “Andrew è a Baker
Street, vero? Non voglio parlare con lui” aveva alzato le
spalle.
“Dovresti ascoltarlo invece, ha delle cose importanti da
dirti”.
Lily si era girata di scatto, guardandolo: “Quindi tu sai”.
Sherlock aveva aggrottato le sopracciglia: “Sì, ma
non che Andrew abbia avuto molta scelta. Le opzioni erano parlare o
finire in mano agli scagnozzi di Mycroft”
Lily faceva girare nella mano alcuni sassolini bianchi, pensierosa:
“Non mi hai mai detto che lavoro fa tuo fratello. Parli di
scagnozzi, deve essere qualcosa di importante”.
“Beh, diciamo che lui è il governo britannico, ha
le mani in pasta un po’ ovunque. L’uomo più
indispensabile del paese” aveva soffocato una
risata ironica “ma a volte risulta utile”.
Lily aveva guardato Sherlock, impressionata: “Non essere
così duro con lui” aveva risposto poi.
Sherlock aveva roteato gli occhi, senza parlare.
“Non voglio sentire cosa ha da dirmi, non mi
interessa” le mani di Lily continuavano a raccogliere
sassolini, in un moto nervoso. Nega, nega sempre. Scappa da tutto,
codarda.
“Bugiarda” era stata la risposta. Lei era
trasalita, e aveva chinato la testa, strizzando gli occhi.
Sherlock aveva sospirato e si era avvicinato ancora, ora Lily sentiva
il suo profumo portato dal leggero vento freddo che si era alzato. Non
le veniva niente di pungente da dire, veramente non sapeva neanche come
si sentiva. Era come se fosse in stand by, un tasto premuto su
“pausa”.
“Non puoi comunque rimanere qui, il parco chiuderà
tra poco e qui si gela. Andiamo a bere qualcosa di caldo, ti va? Offro
io” sentiva un sorriso nelle parole di Sherlock. Sembrava
scaldasse l’intero parco.
“Offri sempre te” aveva risposto sarcastica.
“Un giorno pagherai tu e là ci sarà da
divertirsi. Ti farò spendere un patrimonio”.
Lily aveva riso, tirando un sasso nel lago. I cerchi
sull’acqua si allargavano fino a sparire: “Non me
la sento, Sherlock. Ho paura”.
“Lo so, ma devi farlo. Ci sono delle cose che devi sapere,
assolutamente. E devi tornare a casa, Lily. Ti aspettano
tutti”.
Silenzio. Lily non voleva alzarsi da lì.
Un uccello aveva fischiato, una colpo di vento aveva alzato le foglie
morte del salice vicino alla panchina.
“Lily….ti prego” Sherlock aveva parlato
piano, con tono quasi dolce “torna a casa”.
Lei si era irrigidita, ripensando alla loro passeggiata sottobraccio,
il giorno della festa di John e Mary, il giorno dell’uomo
ubriaco.
“Quello che
faccio raramente è implorare e supplicare”.
Sherlock la stava pregando di tornare a casa, lo stava facendo sul
serio. Aveva sentito una stretta allo stomaco, le lacrime pizzicarle
gli occhi. Voleva così tanto che tornasse a casa? Voleva
così tanto che stesse a sentire quello che aveva da dire
Andrew? A quanto pare sì, e lei si fidava di lui.
“Va bene” si era alzata lentamente, le gambe
intorpidite dal freddo “ma ci sono due cose che devo
chiederti e vorrei che mi ascoltassi” si era girata verso di
lui ed era così bello, così meraviglioso nel suo
Belstaff nero abbottonato fino al mento, la postura perfetta e il viso
arrossato dal freddo. I suoi occhi erano color del ghiaccio, misti alla
luce dei lampioni. Una visione. Lily aveva avuto un tuffo al cuore.
Qualcosa o qualcuno giocava contro di lei e i suoi sentimenti; non
riusciva a staccare i suoi pensieri e il suo cuore da lui. Era
così difficile, se lui era così perfetto,
così magico.
“Dimmi pure” si era avvicinato a lei, talmente
vicino che Lily aveva dovuto alzare la testa per guardarlo negli occhi.
Sentiva il calore emanato dal suo corpo.
Lily aveva abbassato la testa e stretto le labbra: “Vorrei
una cioccolata calda. E poi..” aveva messo le mani in tasca,
intirizzita “vorrei parlare con Andrew domani. Stasera non
posso, non sarei lucida. Sono stanca, triste e ho bisogno di rimettere
a posto i pensieri. Per favore”.
Sherlock l’aveva guardata a lungo, Lily vedeva i pensieri
guizzare nella sua testa alla ricerca di una soluzione. Poi, sempre
guardandola, aveva tirato fuori il telefono dalla tasca del cappotto e
premuto un tasto per la chiamata rapida: “Mycroft? Sono
Sherlock; sì, l’ho trovata. Sta bene” le
aveva sorriso leggermente senza staccare gli occhi da lei “ho
bisogno di un ulteriore favore. Dovresti prendere in custodia una
persona fino a domani pomeriggio. Sì, custodia stretta, non
deve essere perso di vista neanche un secondo. Domani potrai farlo
accompagnare a Baker Street dai tuoi uomini. Sì, te ne ho
parlato prima. Non ti deve interessare il perché, sono cose
personali!!” aveva alzato la voce, irritato
“sì, magari più in là. Il
suo nome è Andrew…tra quanto? Mezz’ora?
Eccellente, saremo di ritorno tra un’ora, allora”
Lily vedeva il suo sguardo rabbuiarsi mentre il fratello parlava
“stai dicendo sul serio? Per un favore così
piccolo??” altra pausa “ va bene. Come vuoi,
ma è scorretto!!” aveva attaccato senza salutare.
Aveva guardato Lily e aveva sorriso “tutto a posto,
ora andiamo a prendere questa cioccolata” le aveva fatto
l’occhiolino e Lily aveva sentito le gambe tremare
“ma solo cioccolata calda? Senza neanche un po’ di
alcol dentro?”
Lily aveva cominciato a camminare vicino a lui: “ Anche se in
questo momento ne avrei veramente bisogno, andrò con una
semplice”.
“Io ne ho voglia di una corretta al bourbon, e se fai la
brava te ne farò assaggiare un po’”
aveva annuito soddisfatto.
Lily aveva riso di gusto, per la prima volta dopo ore: “Come
faceva Mycroft a sapere che mi stavi cercando? E
cos’è scorretto? Ne parlavi con lui al
telefono”
Sherlock aveva sbuffato: “Sapeva che ti stavo cercando
perché se non avessi avuto successo avrei fatto
sguinzagliare i suoi uomini per tutta Londra. L’avevo solo
avvertito di tenersi pronto” Lily era arrossita, sentendosi
messa al centro dell’attenzione “per il favore di
stasera invece mi ha incastrato per il prossimo Natale;
dovrò andare alla cena dei miei genitori. Stanno cercando di
riscattarsi da anni per non esserci stati molto durante la nostra
infanzia. Sai, niente nipotini..neanche Mycroft è sposato.
Ogni anno mi invitano e io trovo sempre qualcosa di alternativo da fare
o una scusa. Io odio le feste di Natale, ma tanto porterò te
e John, almeno non sarò solo. Renderà il tedio
meno pesante”.
“Era un invito tra le righe, Sherlock Holmes?”
aveva detto Lily divertita.
“Neanche troppo, so già che verrete”
aveva risposto con tono ovvio.
Lily aveva scosso la testa: “Se lo dici tu”.
//
Si erano avviati verso un piccolo caffè dall’altra
parte della strada. Lily pensava avrebbero preso le bevande da asporto,
invece Sherlock si era seduto su uno sgabello davanti a una vetrata:
“Sediamoci un po’, aspettiamo che vadano a
prelevare Andrew e poi torniamo a casa”.
Lily aveva annuito in silenzio mentre Sherlock si allontanava per
andare a prendere da bere. Aveva tirato fuori il telefono dalla tasca
dopo ore.
12 chiamate di John, 5 di Sherlock e svariati messaggi. Aveva
sospirato, sentendosi in colpa per John, che doveva essere preoccupato
a morte.
Non sapeva se era ancora a Baker Street, ma più tardi
l’avrebbe chiamato per scusarsi. Guardava le luci fuori dalla
vetrata. Era molto stanca, e voleva solo dormire. Sherlock era tornato,
con un piattino con due biscotti a forma di cuore: “il
ragazzo al bancone deve aver frainteso, mi ha dato anche questi,
dicendo che erano omaggio della casa”.
Lily si era girata, e aveva beccato il suddetto a fissare la montagna
di riccioli neri di Sherlock con una brama non indifferente, per poi
abbassare lo sguardo in imbarazzo quando aveva notato lo sguardo
divertito di Lily, che aveva riso sotto i baffi, tornando alla sua
cioccolata.
“Avrà pensato che siamo una coppia”
aveva mormorato Sherlock per non farsi sentire
“però in compenso abbiamo due biscotti
gratis” aveva aggiunto, contento.
Lily lo aveva guardato, con aria ironica: “Sherlock, non ha
pensato che siamo una coppia. Voleva il tuo numero di
telefono” soffiava sulla cioccolata, girandoci il cucchiaino.
Lui aveva assunto un’aria perplessa: “Ma no, cosa
dici” si era girato leggermente.
“Dico la cosa esatta, ti fissava i riccioli come se fossero
fatti di liquirizia” aveva preso un sorso, stando attenta a
non scottarsi “gli piaci”.
Sherlock aveva scrollato le spalle: “Figurati”.
Lily aveva alzato gli occhi al cielo: “È molto
modesto da parte tua far finta di non crederci, ma entra
nell’ottica che sei un bell’uomo, piaci, e la gente
ti guarda a prescindere dal sesso di appartenenza”.
Era rimasto zitto per un po’, spezzando il biscotto in due:
“Sono un uomo attraente?” aveva rivolto lo sguardo
a Lily, masticando lentamente e porgendole l’altra
metà del cuore spezzato.
Lily si era immobilizzata, pensando a quello che aveva appena detto,
guardando perplessa la metà del biscotto:
“Beh…sì. Non dirmi che non ne sei
consapevole. I tuoi ricci neri, gli occhi chiari e gli zigomi alti
fanno scena. Tu non te ne accorgi ma quando vai in giro, attiri molti
sguardi su di te” si sentiva in imbarazzo e sentiva il
pericoloso accenno di rossore che cominciava a imporporare le sue
guance e le orecchie: “insomma, non è un segreto,
lo sanno tutti” aveva concluso in fretta, addentando il cuore
spezzato sperando di esorcizzare il suo significato intrinseco.
Sherlock aveva represso una risata, poi era tornato serio: “E
lo hai sempre saputo anche tu? Visto che noti tutte queste cose e a
quanto pare sei molto attenta a chi mi guarda e chi no” aveva
alzato le sopracciglia.
Lily sentiva che la tazza le stava per scivolare dalle mani;
l’aveva rimessa sul tavolo con cautela per evitare di
combinare disastri: “Saputo cosa?” aveva pigolato,
guardandolo di sottecchi.
“Che sono un bell’uomo” aveva
appoggiato il viso su una mano, guardandola divertito.
Lily aveva riso sbuffando con fare ironico, per nascondere
l’imbarazzo. Gli occhi le saettavano ovunque, tranne che su
Sherlock: “Beh te l’ho detto, è un dato
di fatto. So riconoscere la bellezza, se la vedo” dentro la
sua testa stava urlando. Tutte le parole che le uscivano dalla bocca
erano sbagliate; sbagliate e stupide.
Lui aveva fatto una faccia soddisfatta, tornando alla sua tazza di
cioccolata. “Beh, grazie allora”.
“Ehm..prego?” non era ben sicura dove fosse andata
a parare quella conversazione, ma per fortuna era finita.
L’ego di Sherlock era stato soddisfatto, quindi poteva tirare
un sospiro di sollievo.
Il cellulare del detective aveva cominciato a suonare.
L’aveva tirato fuori dalla tasca: “John”
era tornato serio e parlava piano “ah accidenti, ho scordato
di chiamare per dirtelo. Sì, sono uomini di Mycroft, devono
prendere Andrew. Lo terranno in custodia per stanotte e domani lo
riporteranno a Baker Street. Lily preferisce dormirci sopra prima di
affrontarlo....sì certo, me lo ha chiesto lei. Sta bevendo
qualcosa di caldo, tra poco torniamo a casa”
l’aveva guardata “beh sì, penso di
sì. Aspetta, te la passo” gli aveva allungato il
telefono “messaggio per te” la faccia non era delle
più incoraggianti. Lily aveva sentito lo stomaco
contorcersi. Aveva preso il telefono lentamente e sussurrato:
“Pronto?”
“Lily” era John, con la voce più cupa
che avesse mai sentito uscire da lui.
“John, ciao” aveva risposto lei, timorosa
“com - ”
“Stai bene?” sentiva la tensione e sapeva che era
arrabbiato a morte con lei per essere sparita nel nulla per ore, ma
sperava capisse.
“Io sì, sto bene. Un po’ infreddolita ma
tutto bene” aveva chiuso gli occhi. Quel tipo di rabbia calma
era anche peggio. La faceva sentire ancora più male e la
spaventava da morire.
Silenzio.
“Bene. A dopo” e aveva riattaccato.
Lily aveva guardato il telefono, restituendolo a Sherlock:
“cavolo, mi odia”
Lui aveva scosso la testa: “Ma no che non ti odia.
È molto arrabbiato, quello sì. Ma addirittura
odiare mi sembra eccessivo. È arrivato a Baker Street,
convinto di prendere un the e ha trovato me che urlavo contro Andrew e
gli sventolavo le foto sotto il naso. Le ha guardate e prima gli ha
dato un pugno, poi mi ha chiesto dov’eri. Gli ho raccontato
che eri in giro per Londra a calmarti ed è uscito fuori di
senno. Diceva che era pericoloso e ha cominciato a subissare di domande
quel povero babbeo, senza riuscire a cavare un ragno dal buco, visto
che ormai era terrorizzato” aveva riso “non sono
riuscito a spiegargli nulla tra l’altro, ormai la frittata
era fatta. Scoprirà tutto domani insieme a te. È
arrabbiato, ma perché si è spaventato”.
Lily aveva chiuso gli occhi, mortificata: “Che
pasticcio”.
“Se scappi per Londra e non rispondi al telefono, questo
è ciò che ottieni” aveva alzato le
spalle, finendo la cioccolata.
Lily avrebbe voluto rispondere a tono, ma sapeva che aveva ragione.
//
Avevano camminato il più lentamente possibile. Faceva
parecchio freddo, era metà Febbraio, ma l’aria di
primavera già si poteva sentire. Sicuramente sarebbe esplosa
tutta insieme, come faceva di solito. Lily non vedeva l’ora.
Arrivati davanti Baker Street, aveva sospirato, rilasciando
nell’aria una nuvola di condensa. Si era fermata davanti al
portoncino, i numeri dorati brillavano immobili nell’aria
fredda della sera. Sherlock si era girato verso di lei:
“Tutto ok? vuoi rimanere un altro po’
fuori?”
Lily aveva scosso la testa: “Non ha senso, entriamo e basta.
Andrew dovrebbe essere già fuori, no?”
“Sì, sicuramente Mycroft ha tenuto fede alla
parola data. Andiamo allora, John sarà dentro ad
aspettarci”
È proprio questo il problema aveva pensato Lily, salendo le
scale che la portavano a casa.
Una volta entrati, l’avevano trovato seduto sulla poltrona di
Sherlock, un bicchiere in mano che faceva oscillare lentamente, pieno
di un liquido ambrato. Il fuoco acceso faceva scintillare il suo
contenuto, dandogli riflessi rossastri. La fronte era aggrottata,
solcata da rughe di preoccupazione e tensione che erano sparite appena
avevano messo piede in casa, lasciando spazio a una rabbia celata e
fredda. Sherlock si era tolto il cappotto con un gesto fluido,
attaccandolo alla porta: “John, buonasera. Eccola qui, sana e
salva” aveva indicato Lily come facevano le vallette nei quiz
televisivi “mi faccio un po’ di the, ne
vuoi?”
John aveva alzato il bicchiere in silenzio.
“Va bene” aveva risposto Sherlock e si era diretto
in cucina dove aveva cominciato a mettere su l’acqua:
“Lily vuoi un po’ di the per caso?”
Lei aveva scosso la testa, senza parlare. Era già tanto se
riusciva a respirare. John la guardava, muovendo le labbra e mordendosi
l’interno della guancia, come se volesse evitare di parlare,
di dire qualcosa. Gli occhi sembravano neri e la fissavano senza
chiudersi un secondo.
L’aveva scrutata per un minuto buono, come per accertarsi che
non fosse ferita o altro. Poi aveva abbassato gli occhi, e si era
alzato lentamente. Aveva posato il bicchiere sul tavolino vicino alla
poltrona e diretto verso la porta dov’era attaccata la sua
giacca. Tutti movimenti netti che sembravano quasi studiati. Lily lo
osservava di straforo, per poi spalancare gli occhi quando si era
accorta che si se ne stava andando. Senza dire una parola aveva preso
la porta. Lily era stata sopraffatta da un’ondata di panico
che le aveva mozzato il respiro. John la ignorava e questa cosa per lei
era insostenibile. Lui era la sua àncora, il suo rifugio,
non poteva lasciarlo andare così.
Aveva fatto due passi incerti verso di lui e mormorato:
“John, ascolta..”
Lui si era fermato, stringendo i pugni mentre le dava le spalle; poi si
era girato all’improvviso e puntandole un dito contro aveva
sibilato: “No. No ascolta tu, Lily. Sparire
così di punto in bianco è stato il gesto
più irresponsabile e vigliacco che tu potessi fare. Siamo
stati ore
a cercarti, a chiamare chiunque per avere anche solo uno straccio di
indizio, per sapere dove potessi essere perché tu non ti
degnavi di rispondere al maledetto telefono. Ti ricordo, nel caso
avessi perso la memoria tutto a un tratto, che meno di due mesi fa sei
sparita nel nulla per mano di quel balordo di Kaleb, e ci hai quasi
rimesso la pelle. Ma nonostante tutto oggi hai pensato bene di
andartene in giro per Londra e rifugiarti in un parco semideserto e
buio, subito dopo aver scoperto che qualcuno ti ha scattato delle foto di nascosto.
Fregandotene del fatto che avresti potuto essere seguita, o che
qualcuno stesse aspettando il momento giusto per prenderti e gettarti
nel Tamigi tagliata in un milione di pezzi. No, Lily, adesso ascolti
tu. Per quanto tu possa essere scettica al riguardo, ci sono persone
che tengono a te e si preoccupano
per te. La prossima volta che scappi, cerca di ricordartelo”.
L’aveva guardata con gli occhi sbarrati, riprendendo fiato.
Lily era annichilita, non riusciva a muoversi e sentiva un nodo alla
gola che le impediva di respirare. John aveva tirato indietro le spalle
e si era girato per andarsene, quando lei aveva urlato quasi senza
pensare:
“È VERO! HAI RAGIONE, E MI DISPIACE!”
John si era fermato nuovamente, stavolta rimanendo di spalle
“ma io..ho avuto paura e sono così stufa di tutte
queste sorprese, di questi misteri. Sono stanca e non ce la faccio
più. Mi dispiace John, davvero. Perdonami”.
L’ultima parola le era morta in gola. Non sapeva
più che dire, era sempre lo stesso pensiero, lo stesso
concetto.
Lui si era girato leggermente: “È ora di smettere
di scappare, Lily. Così non risolverai mai niente”
Lily sapeva che ormai John non si riferiva più
all’episodio di cui stavano parlando poco fa. Parlava di
tutto ciò che c’era stato prima. Le stava dicendo
di reagire e smettere di avere paura di tutto. Di aprire il suo cuore,
di dire finalmente la verità su come si sentiva. Di essere
libera.
Ma lei ancora non si sentiva pronta per affrontare le conseguenze.
Aveva abbassato la testa, l’ennesima sconfitta. John aveva
preso la porta e se n’era andato. E con lui, anche
l’unico punto fermo nella vita di Lily.
//
Era rimasta in piedi davanti al camino per qualche minuto, fissando la
porta chiusa. Come se si aspettasse che John tornasse indietro, ma
sapeva che non l’avrebbe fatto. Poi si era mossa lentamente
ed era sprofondata nella poltrona, il viso tra le mani. Sentiva la
presenza di Sherlock alle sue spalle, silenziosa ma allo stesso tempo
chiassosa come un’orchestra da parata.
“Dagli un po’ di tempo. Passerà, deve
solo calmarsi. Penso che anche l’alcol abbia
contribuito” aveva mormorato, alzando davanti al viso la
bottiglia di liquore che era vicino la poltrona.
“Ho fatto un casino” aveva risposto Lily, la voce
attutita dalle sue stesse mani “mi odia e pensa che io sia
stupida”.
“Non è vero” aveva continuato Sherlock
“Lily, tieni conto che è un ex soldato e non
è mai scappato di fronte al pericolo o alle
difficoltà. Per lui è difficile capire alcune
situazioni, in più ha scaricato tutta la tensione accumulata
nel pomeriggio. Era veramente fuori di sé dalla
preoccupazione. L’ho visto così poche volte, te lo
assicuro”.
Lily aveva scosso la testa, disperata: “Non posso perderlo,
Sherlock. È troppo importante per me”.
C’era stato un silenzio strano e carico di sottintesi, prima
che Sherlock cominciasse a parlare.
“Lily..sei innamorata di John?” aveva azzardato,
con tono interrogativo.
Lily aveva tirato su la testa talmente di scatto che le aveva fatto
male il collo. Poi si era girata lentamente verso di lui e con occhi
sgranati aveva chiesto con tono incredulo: “Sherlock, sei
impazzito?” sentiva le guance andare in fiamme
dall’imbarazzo “Ma…cosa…che
ti è preso? La cioccolata al bourbon ti ha dato alla
testa??”
Lui aveva allacciato le mani dietro alla schiena, leggermente
imbarazzato: “Stavo solo chiedendo; sei arrossita”
aveva aggiunto poco dopo.
“Forse perché mi hai messo in imbarazzo, razza di
genio!” aveva allargato le braccia.
“Oh beh” aveva continuato Sherlock alzando
leggermente le spalle “sembravi così distrutta da
questo litigio e insomma…mi sembrava una sorta di
atteggiamento romantico, ecco” aveva riflettuto per pochi
secondi “quando litighi con me, non reagisci
così”
Lily gli aveva lanciato un’occhiata che diceva “ e tu ne sapresti qualcosa di
romanticismo? Ti prego”. Poi aveva aggiunto:
“Non reagisco così quando litigo con te
perché è quasi sempre colpa tua e
perché mi mandi al manicomio”.
Sherlock aveva prima assunto un’aria ironica, ma vedendo lo
sguardo di Lily aveva alzato le mani in gesto di resa: “Ok,
allora. Le mie scuse”. Poi aveva incrociato le braccia e
alzato il mento, un misto tra l’offeso e
l’imbarazzato.
In quel momento qualcosa si era mosso nello stomaco di Lily, nel
profondo del suo essere; ed era salito fino alle sue labbra. E con
sorpresa di Sherlock, era un sorriso. Che era sfociato in una risata
contagiosa e di cuore, da lacrime agli occhi. Lily non riusciva a
smettere, era troppo divertente. L’espressione di Sherlock,
il suo balbettare insicuro e il tono cauto che aveva usato; il tutto,
combinato, era di un’ilarità unica. Rideva, rideva
cercando di scusarsi. Sherlock inizialmente la guardava perplesso, poi
si era leggermente irritato: “Non capisco cosa ci sia da
ridere, ho solo fatto una domanda. Tra l’altro pertinente,
visto il tuo stato d’animo” aveva aggrottato le
sopracciglia.
Lily aveva preso fiato, le mani sulle ginocchia:
“Sì Sherlock, scusa. Era solo un po’
buffo, tutto qui. Mi dispiace. Comunque no, non sono innamorata di John
Watson”.
“Ok, va bene. Cercavo solo di capire”
aveva risposto in un sibilo.
“Ma come! Tu sai tutto!” aveva risposto Lily,
sorpresa.
“Beh, quando si tratta di sentimenti..non sono
così…ferrato” aveva incrociato le
braccia, offeso.
“Ah, giusto” Lily aveva alzato gli occhi al cielo
“beh detective, penso che andrò a dormire, domani
sarà una giornata intensa” le era passata accanto
e si era fermata, guardandolo. Poi aveva appoggiato una guancia sul suo
braccio e detto piano: “Grazie per la cioccolata e il
sostegno. E grazie anche per la risata, ci voleva proprio”.
Sherlock l’aveva guardata: “Di nulla”
aveva risposto, le braccia ancora incrociate.
“Buonanotte” gli aveva sorriso leggermente e si era
diretta verso le scale, sentendo lo sguardo di Sherlock su di lei. Non
era la prima volta che la faceva ridere così di gusto. E di
questo, gliene era infinitamente grata.
//
Appena Lily era scomparsa dietro la parete per andare in camera sua,
Sherlock aveva sospirato. Che giornata, accidenti. Va bene
l’azione, ma così era un po’ troppo.
Si chiedeva come avrebbe reagito Lily alla chiacchierata con Andrew.
Non riusciva a trarre una conclusione, e questo lo irritava parecchio.
Aveva guardato il fuoco, socchiudendo gli occhi. Si era diretto verso
il tavolo pieno di carte e si era seduto. Sfiorava i fogli pieni di
appunti, dentro la sua agenda nera.
Ripensava al ringraziamento di Lily; alla sfuriata di John e al fatto
che quella ragazza minuta aveva portato uno scompiglio non indifferente
nelle loro vite. Così piccola e con un’energia
fuori dal normale.
Aveva sospirato, guardando la superficie del tavolo.
Chissà cosa sarebbe successo.
//
La mattina dopo il cielo era plumbeo e l’aria umida e
pesante; proprio come si sentiva Lily, che guardava il cielo attraverso
le tende della finestra, cercando di trovare la forza per alzarsi e
affrontare Andrew. Non sapeva neanche chi sarebbe stato presente. Una
stretta allo stomaco l’aveva fatta trasalire, pensando a John
e al suo discorso della sera prima. Probabilmente sarebbe venuto per
sapere quale terribile segreto dovesse svelare; ma non le sarebbe stato
vicino, Lily non avrebbe potuto contare sul suo appoggio e questa cosa
le faceva andare ancora di più nel pallone e le faceva avere
ancora più paura. Avrebbe dovuto affrontare tutto da sola,
senza sapere minimamente cosa aspettarsi. Aveva stretto gli occhi, nel
panico.
Ma no.
Non si sarebbe tirata indietro, anche se fosse stata da sola contro il
resto del mondo. C’era qualcosa che la riguardava e che lei
doveva sapere. Si trattava di lei, di lei e basta. Oggi si sarebbe
dovuta sorreggere da sola, avere le spalle abbastanza larghe da
sostenere il peso di qualsiasi rivelazione, di qualsiasi
verità. Dentro di sé tremava, ma non
c’erano opzioni, non c’erano scelte. Non
c’erano alternative; continuare a nascondersi e scappare
avrebbe solo peggiorato la situazione.
Un vago sentore di nausea, nonostante il discorsetto di
incoraggiamento, la perseguitava.
Aveva afferrato i jeans, un maglione a collo alto color ghiaccio ed era
scesa per andare in bagno; appena arrivata al piano di sotto aveva
trovato Sherlock in cucina; si era girato di scatto e aveva esclamato:
“Buongiorno! Ti ho preparato la..ehm..colazione”
aveva indicato impacciato verso il tavolo dove troneggiava una bricco
di caffè fumante e una montagna di muffin e scones sopra un
piatto.
Lily l’aveva guardato alzando un sopracciglio, poi aveva
guardato i dolci che sarebbero bastati per un esercito. Anche se le
costava parecchio rifiutare un gesto gentile di Sherlock, aveva
risposto: “hmmm…grazie, ma passo. Sai, il
nervosismo”. Non aveva fame, non riusciva neanche a pensare
al cibo.
Sherlock l’aveva guardata smarrito: “Ma tu devi
mangiare”
Lily aveva sgranato gli occhi, guardandosi intorno: “Non
necessariamente, Sherlock”.
“Ti farà bene, non puoi stare senza cibo nello
stomaco” aveva allungato un braccio verso il tavolo, in un
gesto di offerta.
Lily aveva sospirato, sofferente: “Senti, davvero ti
ringrazio ma proprio no. Non ho fame”
Lui l’aveva guardata per cinque secondi, aveva scosso la
testa, si era lanciato contro di lei e l’aveva afferrata per
le spalle, trascinandola in cucina: “No, devi fare colazione.
Devi mangiare, sennò i succhi gastrici attaccheranno le
pareti del tuo stomaco facendolo bruciare e procurandoti
un’ulcera” l’aveva fatta sedere di
prepotenza “qui c’è il caffè e
lì i dolci, mangia”
“Ehi!” aveva protestato Lily con ancora i vestiti
in mano “ma che prepotente che sei! Ma se ti ho
detto…”
Sherlock aveva chiuso gli occhi, inspirando per calmarsi:
“Lily, sono dolci molto buoni. Per favore, mangiali. Mi sono
alzato molto presto stamattina per andarli a prendere; li ho presi per
te, quindi per favore, mangia” aveva indicato di nuovo il
piatto, una leggera sfumatura di rosa gli colorava le guance. Era
imbarazzato e fuori posto. Quando mai Sherlock Holmes avrebbe fatto una
cosa del genere.
Lily aveva sorriso, arresa: “Va bene, d’accordo.
Grazie” aveva aggiunto “tu non mangi?”
Sherlock aveva sbuffato, ironico: “Io non mangio
mai”
“Ma perché hai preso così tanta roba,
allora” Lily aveva intaccato uno scone ai mirtilli. Era buono
sul serio. E le era anche venuto appetito.
“Beh…” si era fermato, lasciando la
frase in sospeso.
Ah giusto, John. I muffin al cioccolato erano i suoi preferiti. Aveva
preso un sorso di caffè, girandosi verso Sherlock:
“Sono molto buoni” aveva alzato la mano che teneva
il dolce, sorridendo affettuosa.
Lui aveva annuito, soddisfatto.
Finita la colazione, Lily si era lavata, vestita e si era seduta sulla
poltrona davanti a Sherlock. Lui leggeva un libro, il ritratto della
tranquillità. Lily avrebbe voluto spaccare tutto invece. Non
sapeva neanche a che ora sarebbe arrivato Andrew; sperava arrivasse
prima John veramente, voleva avere sia lui che Sherlock vicino. Ne
aveva bisogno, la facevano sentire al sicuro.
Verso le dieci del mattino, qualcuno aveva suonato alla porta; Sherlock
aveva alzato gli occhi dal libro, fissandoli sulla porta. Lily aveva
sobbalzato letteralmente, guardando nella stessa direzione di Sherlock
e subito dopo girandosi verso di lui.
“È John” era stata la risposta di
Sherlock allo sguardo terrorizzato di Lily.
Lei aveva tirato un sospiro di sollievo:
“Ah…ok”. Era rimasta seduta sul divano,
e Sherlock non accennava a muoversi. Mrs Hudson non c’era.
Altra scampanellata. Lily si era girata di nuovo verso Sherlock con
aria interrogativa.
“Non mi va di andare ad aprire.
Potresti…?” aveva gesticolato con la mano verso la
porta, con fare stanco.
Lily lo aveva guardato, alzando gli occhi al cielo:
“Sherlock, ti prego”.
“È che proprio non posso, capisci?”
scuoteva leggermente la testa.
Voleva che lei andasse ad aprire per affrontare John. Ma Lily era
talmente agitata che non poteva in quel momento. Il poco coraggio che
aveva doveva incanalarlo per l’incontro con Andrew, non
poteva fare entrambe le cose. Ma Sherlock era Sherlock e non si sarebbe
alzato nemmeno se fosse crollato il palazzo.
Aveva sospirato ed era scesa per le scale, mentre il campanello suonava
rabbioso per la terza volta stridendo sui già fragili nervi
di Lily. Aveva sentito una vampata di rabbia salirle alla testa, mentre
apriva con uno strattone il portoncino.
John era lì, stretto nella sua giacca nera, gli occhi scuri
e il viso stanco, di chi non aveva dormito quasi per niente. Non si
aspettava la sua presenza alla porta, e aveva impercettibilmente alzato
le sopracciglia sorpreso, per poi riprendere subito il suo contegno e
borbottando un “buongiorno” frettoloso, passando
accanto a Lily ed evitando per un pelo di darle una spallata. Lei aveva
accennato uno sguardo, girandosi appena per vedere che stava salendo le
scale senza neanche aspettarla. Così aveva chiuso il
portoncino ed era tornata all’appartamento. Anche Mary le
aveva telefonato quella mattina, chiedendo spiegazioni e
rimproverandola leggermente per il suo comportamento. Non una parola su
John.
Il silenzio era pesante. Sherlock osservava John, che guardava dalla
finestra. Lily fissava il vuoto, non sapendo che dire. Poi aveva
cominciato con voce sottile: “John, vorresti un the, qualcosa
da bere? Sherlock ha comprato dei dolci stamattina, ci sono anche i
muffin al cioccolato..i tuoi preferiti” aveva esalato,
guardando per terra per sfuggire allo sguardo di John fisso su di lei,
quasi sorpreso fosse stata così intraprendente da
rivolgergli la parola.
“No, grazie. Magari dopo” aveva allacciato le mani
dietro la schiena, tornando alla finestra.
Lily era tornata alla poltrona, sollevando le gambe e circondandole con
le braccia. Voleva diventare minuscola, un granello di polvere, e
volare fuori dalla finestra per andare via e scappare da questo
silenzio arrabbiato. Lo stomaco le si era annodato ancora di
più. Fissava la figura di John che le dava le spalle, la sua
silhouette che si stagliava contro la luce bianca della finestra. Il
solito portamento militaresco, fermo e immobile a guardare
chissà cosa.
E poi c’era Sherlock, seduto in poltrona con le lunghe gambe
accavallate, i piedi nelle solite scarpe eleganti; era vestito di tutto
punto, nonostante stesse dentro casa. Lily aveva cominciato a seguire
la linea della sua caviglia, risalendo per la gamba, il polpaccio
sottile e le cosce snelle fino al cavallo dei suoi pantaloni dove il
tessuto si perdeva in mille pieghe. Guardava la fibbia della sua cinta,
i fianchi stretti fasciati dalla camicia scura. Non si era accorta
della sua bocca che si era leggermente aperta e della lingua che si
muoveva lenta tra i suoi denti, concentrata su ogni centimetro del
corpo di Sherlock. Lo osservava, frammento dopo frammento, arto dopo
arto e riusciva quasi a sentire dove il calore si concentrasse di
più, su quale parte del suo corpo fosse più
calda. Aveva continuato a far vagare gli occhi sul petto e
sui bottoni della camicia sempre un po’ tirati, come se
volessero aprirsi, un accenno di clavicola che spuntava dalla stoffa,
il suo collo lungo così…invitante, la pelle
bianca interrotta da vene azzurrognole. Fino ad arrivare al suo viso. E
là si era fermata, avvampando, una stretta allo stomaco di
piacere e paura. Sherlock la stava guardando, gli occhi fissi nei suoi.
Chiari, attenti, ma allo stesso tempo pieni di domande. Il viso era
poggiato sul suo pugno, il libro abbandonato sul bracciolo della
poltrona. E Lily non riusciva a smettere di guardarlo, di conficcare
gli occhi nei suoi. Si stava vergognando per essere stata colta a
fissarlo in quel modo; chissà da quanto la osservava,
chissà da quale parte del corpo aveva cominciato. Si
guardavano e volevano parlarsi, o almeno a Lily sembrava che lui
volesse dirle o chiederle qualcosa; perché non aveva mai
visto gli occhi di Sherlock così, non sembravano neanche i
suoi. Nella sua testa urlava di distogliere lo sguardo, di rivolgerlo
altrove ma c’era come qualcosa che la teneva ancorata a
quegli occhi che oggi erano grigi come il cielo, plumbei come la
pioggia che cadeva. Erano trasparenti, ma non riusciva a capirli.
Quello che aveva capito lei invece era che lo desiderava, con tutte le
sue forze. Osservare così il suo corpo era vergognoso, era
maleducato, era strano. Ma era desiderio, qualcosa che non sentiva da
parecchio. Il voler essere abbracciata, spogliata, toccata. Voluta.
Un altro piccolo traguardo, alla fine. E Sherlock, anche se
indirettamente, ne era il fautore. Lily aveva chiuso gli occhi per due
secondi e l’atmosfera si era spezzata. Sherlock si era mosso,
lo sguardo era cambiato e non era più nel suo. La bolla era
scoppiata, e non sapeva neanche cosa avesse interrotto.
Sherlock si era schiarito la gola, alzandosi dalla poltrona:
“Stanno arrivando” la voce era più
profonda e impostata.
John si era girato verso di lui: “Bene. Lily, siediti sulla
poltrona di Sherlock, Andrew si metterà su quella di
fronte”. Erano ordini impartiti con fare secco e nonostante a
Lily non piacesse essere comandata a bacchetta, si era alzata e messa
dove John aveva detto. Il cuore le martellava nel petto, ma voleva
calmarsi. Respirava profondamente per calmare il battito impazzito.
Avrebbe affrontato tutto, doveva farlo.
Il campanello aveva suonato e John era sceso ad aprire. Sherlock si era
girato verso Lily; si era avvicinato appoggiando le mani su entrambi i
braccioli della poltrona. Il suo viso era a pochi centimetri da quello
di Lily, che aveva trattenuto il respiro dalla sorpresa.
“Lily” scrutava i suoi occhi come poco prima
“quello che ti verrà detto non so che effetto
avrà su di te. Quello che ti dico è di ascoltare,
fino in fondo. Potrà sembrare difficile, ma è la
cosa migliore da fare”.
“Ci proverò” aveva annuito in fretta,
sentendo i passi per le scale.
“Bene” si era rimesso in piedi aggiustandosi la
camicia, posizionandosi dietro la poltrona.
Due omoni vestiti di nero erano entrati nell’appartamento,
Andrew in mezzo a loro. Aveva l’aria stropicciata, stanca e
anche parecchio impaurita. Non doveva aver passato un bel momento. Ma
non sembrava ferito, quindi poteva ritenersi fortunato vista la
reputazione che si portavano dietro i gorilla di Mycroft. Anche se alla
fine non aveva fatto nulla che meritasse un pestaggio. O forse
sì? Il livido sulla sua guancia confermava il pugno di John.
“Ciao Lily” si era seduto sulla poltrona,
guardandola con aria colpevole “ stai bene?”
“Non so. Dovrei?” era stata la risposta glaciale di
lei. Aveva sentito John mettersi sempre dietro la poltrona, vicino a
Sherlock. Le sue guardie del corpo, i suoi cavalieri.
“Ti voglio chiedere scusa…io non volevo farti del
male, sul serio. Ed è stato veramente piacevole
frequentarti, nonostante…”
“Penso che non siano cose da dire in questo
momento” era intervenuto secco Sherlock, con fare rabbioso
“i discorsi strappalacrime lasciali a dopo. Dì a
Lily quello che deve sapere” il tono era minaccioso e non
ammetteva repliche.
Andrew aveva guardato Sherlock e poi John, visibilmente impaurito:
“Va bene, d’accordo”.
Lily aveva preso un respiro profondo e tirato indietro le spalle.
“Io…sono stato incaricato da una persona di
trovarti. Viva o morta”.
Lo stomaco di Lily si era girato. Non capiva, chi poteva cercarla?:
“E questa persona chi sarebbe?”
Andrew si era leccato le labbra e poi aveva detto, con voce bassa:
“Elizabeth Marie Scott Wright”.
In quel preciso momento, tutto il sangue di Lily si era gelato. Era
sicura che nel suo corpo non ce ne fosse più nemmeno una
goccia. Le orecchie le ronzavano e la bocca le si era addormentata. Era
come insensibile e il mondo cominciava a girare, mentre la stanza
diventava sempre più stretta.
Erano anni ormai, anni che non sentiva più quel nome.
Sentiva la voce di John, ovattata, che chiedeva a Andrew: “e
chi è questa persona, cosa vuole da lei?”
Tutto a un tratto, i sensi di Lily erano tornati, chiari e nitidi.
Aveva sentito la sua stessa voce dare la risposta.
“Elizabeth Wright è mia madre”.
//
L’aria nella stanza era diventata immobile, non si sentiva
volare una mosca. Solo un mormorio, la voce di John incredula:
“Santo cielo..”
Lily si era chinata in avanti, i gomiti sulle gambe, il viso tra le
mani. Sua madre. La cercava. Ma cosa voleva? Aveva alzato il viso verso
Andrew, cercando di articolare un pensiero logico.
“Cosa vuole da me? Dopo anni di silenzio? Non hai mai saputo
dove fossi e a quanto pare non le è mai premuto saperlo.
Cosa vuole da me?”
“Semplicemente ritrovarti, Lily. Sta invecchiando, e sei la
sua unica figlia”.
Lily aveva sbuffato: “Ha incantato anche te, a quanto
pare” intrecciato le mani davanti alla bocca, guardando
altrove.
Andrew aveva assunto un’aria perplessa:
“È tua madre, e mi ha chiesto di cercarti, per
mari e monti. Vorrebbe rivederti, e parlare con te. Io l’ho
vista e ci ho parlato Lily. Vorrebbe che andassi a Castle Combe, nella
vecchia tenuta di famiglia”.
Una risata amara era uscita dalla bocca di Lily:
“Sì certo, tornare in quel paese in mezzo al
nulla. Non ci penso proprio, sono fuori da questa merda. Sono scappata
proprio per quello. E per lei. Puoi riferirle che sto bene, ma non ho
intenzione di andare a Castle Combe, né ora né
mai”.
Si era alzata, barcollando leggermente. Sua madre la cercava. Si era
ricordata di avere una figlia, guarda un po’. La
senilità al contrario.
“Lily, potresti darle una possibilità.
È sola, in quella grande casa…” aveva
cominciato Andrew
“ NON MI
INTERESSA!!!” aveva urlato Lily “non
mi interessa” aveva ripetuto tra sè e
sè, più piano “io sono stata sola
sempre e comunque, ed ero una bambina. E a lei questo non ha mai creato
problemi. Quindi ripeto: ne sono fuori” si era diretta alla
porta e l’aveva aperta “mi dispiace ti abbia fatto
perdere tempo. Ora vattene Andrew, buon tutto e buona vita”
Andrew era rimasto seduto. Aveva guardato Sherlock che aveva annuito
leggermente. Si era alzato, sospirando. Era arrivato accanto a lei e si
era fermato: “Pensaci bene Lily. Dopo non si può
più tornare indietro”.
Lei non l’aveva guardato, era rimasta immobile, gli occhi
fissi sul pavimento.
“Ciao” Andrew le aveva messo una mano sulla spalla.
Era calda e pesante “buona fortuna”.
Nell’appartamento era calato un silenzio di tomba. Sherlock e
John erano fermi e immobili, dietro la poltrona. Nessuno parlava,
nessuno respirava quasi. Lily era rimasta con la mano sulla maniglia
della porta chiusa. Poi si era spostata al centro della stanza, non
sapendo cosa fare. Nessuno osava prendere per primo la parola, nessuno
osava fiatare. Cosa si diceva in una situazione del genere?
Tutto a un tratto, la voce di Sherlock era risuonata nella stanza:
“Dovresti pensarci bene sul serio”.
John aveva chiuso gli occhi, aspettando la sfuriata.
“Non ho bisogno di pensare proprio a nulla,
Sherlock” aveva risposto Lily calma “non ho bisogno
di lei, adesso è troppo tardi” aveva fatto
spallucce.
“Ora dici così perché sei sconvolta e
arrabbiata” aveva continuato “pensaci un
po’su”
“Parli proprio tu, che non vai alle feste di Natale dei tuoi
per fargliela pagare di non esseri stati presenti durante la tua
infanzia? Vieni a dire questo a me? Tu?” Lily aveva alzato la
voce, puntando il dito verso Sherlock.
“Te lo dico proprio per questo. Non vorrei diventassi come
me” aveva aggiunto calmo.
Un’ondata di senso di colpa aveva travolto Lily:
“Mi dispiace, scusa” aveva sussurrato.
Altre spallucce: “Sono stato trattato peggio”.
John, sempre muto, aveva spalancato gli occhi, annuendo.
“Non posso andare lì” aveva detto Lily,
come se parlasse a sé stessa.
“Pensaci bene. Ora capisco che non ne hai la minima
intenzione, ma magari con la mente fredda potresti ripensarci”
“Non credo, me ne sono andata di notte senza lasciare
biglietti o informazioni. E nessuno mi è mai venuto a
cercare”.
“Non puoi saperlo”
“Lo so eccome. Per mesi ho guardato giornali e telegiornali
ma niente. Nulla. Se una persona ti cerca, come in questo caso, in
qualche modo lo vieni a sapere. E io ero qui a Londra, non
dall’altra parte del mondo”.
Silenzio. Una parte di ragione c’era. Anzi, più di
una.
“E allora perché non ti ha mai cercato?”
aveva chiesto John, cauto.
Lily aveva scrollato le spalle: “Io penso che non mi abbia
mai voluto granché bene, mia madre. Mio padre è
sparito nel nulla quando avevo….due? Tre anni? È
scappato con una delle nostre cameriere e mia madre penso abbia
attribuito a me la colpa di tutto ciò. È
più facile scaricare le colpe su una bambina piccola,
piuttosto che guardarsi dentro, no?”
Nessuno aveva parlato.
“Sono cresciuta con le tate e le cameriere. E nel mio piccolo
mondo personale. Giuro che” la voce le si era incrinata al
ricordo del suo mazzolino di fiori sbattuto contro la parete, ai
biglietti di Natale buttati nel fuoco del camino “giuro che
ci ho provato, con tutte le mie forze, a farmi voler bene da lei.
Studiavo a casa con ottimi voti, studiavo violoncello e canto, prendevo
lezioni di danza. Facevo tutto quello che potevo per renderla
orgogliosa di me. Ma non è mai servito a nulla. Vedevo nel
suo sguardo il risentimento e l’odio. Suo marito era andato
via per colpa mia, perché io ero nata e lui non se la
sentiva di affrontare la paternità. Avevo interrotto
qualcosa, il loro idillio da sposini. Ma che colpa ne potevo avere
io” aveva scosso la testa, amareggiata “ora lo so,
ma una bambina di tre anni queste cose le sente e pensa che sia
veramente colpa sua. Non c’è niente di peggio che
sentirsi rifiutati senza un motivo apparente e sapere che comunque il
difetto sei tu.” Si era asciugata le lacrime che le
scendevano silenziose sul viso, guardando fuori dalla finestra
“come mai adesso vuole vedermi? Perché proprio
ora?”
“Ogni persona ha i propri tempi, Lily” aveva
aggiunto Sherlock “ci si accorge dei propri sentimenti a
volte troppo tardi. Ci si pente, e si cerca di rimediare. Non ti
dirò cosa fare, sia ben chiaro. Ti sto solo dando un
consiglio” voleva aggiungere da amico ma sembrava troppo
“su una cosa Andrew ha ragione; dopo è troppo
tardi”.
Lily aveva immaginato la morte di sua madre tante volte quando era
adolescente e piena di odio e rabbia per l’amore che non
aveva ricevuto, e quasi godeva a fantasticarne. Non le importava se era
viva o meno.
Ma ora era diverso, non sapeva come sentirsi. C’era
risentimento, questa era ovvio, ma non sapeva quanto e in che
intensità. Poteva portarsi dentro un rimpianto
così grande tutta la vita? Non avere l’occasione
di sentire la versione di sua madre? Non lo sapeva, perlomeno non ora.
Continuava a pensare anche al rapporto che aveva avuto con Kaleb.
Perché doveva sempre essere la vittima? Perché
doveva sempre essere lei quella maltrattata psicologicamente mentre
voleva solo dare e ricevere amore? Era lei che sbagliava qualcosa?
eppure non le sembrava. Forse il suo difetto era quello di fidarsi
sempre e subito, di dare tutto senza aspettarsi nulla in cambio. Ma con
una madre è diverso, una madre dovrebbe amare
incondizionatamente. E invece no. Lily voleva sapere quale fosse il
nome della cattiva stella sotto cui era nata.
Sherlock aveva rotto il silenzio pesante che era calato in casa:
“Beh, è quasi ora di pranzo” aveva
guardato l’orologio in cucina “volete mangiare?
Prendo un take away, qualcosa? John? Lily?”
La tensione ormai era caduta e Lily stava morendo di fame. Doveva
riempire il vuoto con qualcosa, forse il cibo avrebbe funzionato:
“Ma sì, perché no? Fai tu, basta che
sia molto grasso e unto, una cosa da sentirsi male”
“Come dottore lo sconsiglierei, ma una volta ogni tanto si
può anche fare” aveva risposto John.
“Bene, torno tra poco” Sherlock si era infilato il
cappotto in fretta “no, tu rimani a casa. Faccio prima se
vado da solo” aveva fermato subito John che si era diretto
anche lui verso la porta “e penso anche che dovreste parlare,
voi due. Vedervi così muti e risentiti mi fa venire i nervi.
A dopo” ed era volato via per le scale, senza fare rumore.
“Io non sono risentita!!!” aveva urlato Lily verso
la porta. Poi aveva sospirato, e si era diretta in cucina per prendere
un po’ di caffè. Era freddo, ma le serviva per
tenersi impegnata, per non rimanere nella stessa stanza con un John
offeso che nonostante stesse in silenzio, faceva baccano a prescindere.
La sua rabbia faceva rumore.
Ne aveva preso un sorso e per poco non vomitava. La tazza era finita
nel lavandino insieme al suo contenuto. Non c’era neanche
niente da lavare, stranamente era tutto in ordine. Si era appoggiata al
tavolo, non sapendo cosa fare.
Non si era accorta che John la osservava appoggiato allo stipite della
porta, con aria divertita: “Non sei capace a
fingere, lo sai”.
Lily aveva alzato leggermente le spalle, in imbarazzo.
Era arrivato lì davanti, guardandola con le mani in tasca.
Lei lo guardava di sottecchi, come un bambino che aspetta spaventato il
rimprovero di un genitore.
Alla fine John aveva allargato le braccia, sospirando: “Vieni
qua, coraggio. Prima che cambi idea”.
Lily non se l’era fatto ripetere due volte e si era buttata
tra le sue braccia, stringendolo più forte che poteva. Lui
aveva ricambiato, facendola sprofondare nel suo petto, le braccia a
circondarle la testa: “Non farlo mai più, intesi?
Mi state facendo venire tutti i capelli bianchi. Speriamo che Rose non
sia una ribelle come te”.
Lily aveva riso, il viso nel maglione di John, il suo profumo che la
rassicurava e la faceva sentire protetta. John non era altissimo, ma
nonostante tutto le sue braccia e la sua presenza erano forti, piene di
sicurezza.
“Secondo me saresti carino con i capelli bianchi ma visto che
tu ci tieni, farò la brava”. Aveva sciolto
leggermente l’abbraccio per guardarlo in faccia:
“mi dispiace tanto, davvero”.
John l’aveva guardata, spostandole i capelli arruffati dal
viso: “Lo so, me ne sono accorto dal tuo sguardo ieri sera.
Ma ero troppo arrabbiato per darti retta. Dispiace anche a me, per aver
reagito in quel modo” le aveva dato un buffetto affettuoso
sulla guancia, riabbracciandola forte “sarai la mia
rovina”.
Lily aveva risposto, la voce attutita dal petto di John:
“Noooo, Rose sarà la tua rovina e io la
aiuterò a farti impazzire”.
Lui aveva riso, facendo vibrare il petto e la guancia di Lily:
“Oh beh, prevedo un futuro roseo allora”.
Avevano cominciato a chiacchierare, sempre vicini. John aveva voluto
sapere dov’era andata e cosa aveva fatto il giorno prima e
Lily gli aveva raccontato tutto. Anche dell’episodio della
caffetteria e del cameriere che secondo lei voleva il numero di
Sherlock.
“Sherlock ha grande potenziale su entrambi i sessi”
aveva risposto lui “potrebbe ottenere quello che vuole con il
suo aspetto e il suo charme. Ma a lui non importa”
Lily aveva sorriso: “Beh...che abbia charme è
ovvio. Saranno gli zigomi o gli occhi, chi lo sa”
“Vuoi sapere cosa suscita così tanto interesse?
È qualcosa che va oltre l’aspetto fisico”
“Sì! Sì dimmelo, sono molto
curiosa” Lily aveva un tono cospiratorio “giuro che
non lo dirò a nessuno”
John aveva incrociato le braccia e le gambe, appoggiato al lavandino:
“Il segreto è il suo vero menefreghismo su tutto,
il fatto che non gli importi di avere un rapporto con qualcuno.
È il classico bello e tenebroso, troppo attraente per essere
vero e perciò irresistibile e, soprattutto, irraggiungibile.
Alla gente piace questo tipo di persona” l’aveva
guardata con il più eloquente degli sguardi, facendola
arrossire: “Tu cosa ne pensi? È
intrigante?”
Lily aveva fatto spallucce: “Beh…gli ho detto che
effettivamente attrae molti sguardi su di lui, ma si è
comportato come se non se ne accorgesse. Non so se lui sia consapevole
del fascino che emana. Non riesco a capire se lo fa apposta”
aveva borbottato lei, in imbarazzo, e sentendosi presa come esempio.
John aveva annuito, dandole ragione: “A giudicare da come si
comporta quando vuole interrogare qualcuno di sesso femminile, secondo
me lo sa. Ma sa nasconderlo molto bene. Quello su cui ha più
lacune è l’amore romantico, forse. Non so proprio
se sia mai stato innamorato di qualcuno”.
Lily aveva sorriso, sognante: “Se solo sapesse
com’è bello...” non voleva dirlo,
davvero. Era un pensiero espresso ad alta voce. Si era irrigidita e
aveva guardato John, che la guardava a sua volta, un leggero ghigno sul
viso “essere innamorati, intendevo” il sorriso
sornione di John si era allargato ancora di più
“ehm…apparecchiamo, che dici?” aveva
cominciato a tirare fuori piatti e bicchieri, in visibile imbarazzo.
“Bello e tenebroso, quindi?” la voce di Sherlock
aveva fatto sobbalzare entrambi “irresistibile e
irraggiungibile..mi piace, dovrei scriverlo sul mio biglietto da
visita: Sherlock
Holmes, consulente investigativo irresistibile e irraggiungibile…o
sarebbe meglio con bello e tenebroso?” era sulla porta della
cucina, con due sacchetti nella mano destra, la sinistra sotto il mento
con fare pensoso “dovrei provare, potrei incrementare il giro
d’affari” aveva guardato John e Lily, imbarazzati
all’ennesima potenza “su, coraggio! non
c’è mica da vergognarsi, no? Sono lieto che mi
immaginiate così” aveva strizzato
l’occhio e messo i sacchetti sul tavolo “ecco il
rancio, mangiamo”.
“Comunque non è educazione spiare le conversazioni
altrui” aveva borbottato John.
“Oh ma questa è anche casa mia ed è
capitato che sono arrivato mentre parlavate. Sembrava
divertente, così ho origliato. E sono anche contento che voi
due abbiate fatto pace”.
Lily era atterrita e con voce flebile aveva domandato:
“Quindi hai sentito tutto?”
Sherlock le aveva scoccato un ghigno soddisfatto: “ Tutto tutto”
altro occhiolino al cardiopalma.
Bene, molto bene. Uno schifo al quadrato. Ma insomma, alla fine
Sherlock sapeva che lei lo riteneva un bell’uomo e lei si era
corretta su quanto fosse bello essere
innamorati. Il suo progetto di non essere più
infatuata di Sherlock stava fallendo miseramente; ma non voleva dire
che tutta Londra dovesse essere al corrente dei suoi sentimenti.
Metterla in imbarazzo era il gioco preferito di Sherlock, e lei era la
preda perfetta. Perché era rimbambita, goffa e non riusciva
a non pensare ad alta voce. Pessimo difetto, veramente pessimo.
John e Sherlock parlavano tra di loro mentre lei rimuginava su tutto
ciò. Il cibo era ottimo e mangiava in silenzio, senza
fiatare.
“Lily, tutto ok?” aveva chiesto John.
Lei aveva alzato la testa dal piatto, sorpresa:
“Sì sì, tutto ok. Mangio”.
L’espressione di John era un misto tra il divertito e il
comprensivo. Lily lo aveva guardato con aria sconfitta.
Sherlock esaminava la scena. Povera Lily, sempre così goffa
e imbarazzata. La osservava, senza che lei se ne accorgesse.
Ultimamente lo aveva fatto spesso, per capire com’era quando
non si aspettava di essere vista. L’aveva studiata mentre
lavava i piatti e cantava sottovoce; mentre scriveva o ritagliava
qualcosa e metteva la lingua all’angolo della bocca. Quando
mangiava qualcosa di nuovo e le piaceva, sollevava leggermente le
sopracciglia, sorridendo; leggeva e si attorcigliava una ciocca di
capelli intorno al dito. Erano particolari che non erano sfuggiti agli
occhi esperti di Sherlock, ed erano divertenti e in un certo senso
teneri. Non era come le donne che aveva frequentato lui, sempre
impostate e attente a quello che facevano, per non sembrare sciocche. A
Lily non importava apparire, anche perché non ci riusciva,
semplicemente. Ogni cosa di lei era pura, ogni suo movimento, sguardo e
atteggiamento erano solo suoi e scaturivano dal suo essere. Anche il
suo modo di sedersi era impacciato, sempre accosciata o con un piede
sotto il corpo. L’aveva vista poche volte accavallare le
gambe, il resto delle volte si teneva le ginocchia con le braccia o
semplicemente teneva le gambe incrociate all’altezza delle
caviglie. La cosa buffa è che riusciva ad avere questi
atteggiamenti semplici e risultare comunque femminile, a modo suo.
Si era ritrovato a sorridere leggermente, mentre Lily e John lo
fissavano, perplessi. Sherlock Holmes che sorrideva era un evento raro
e poco documentato. Il suo cipiglio era parte di lui e il farlo
sorridere era impresa molto ardua. Per questo lo guardavano preoccupati
e curiosi allo stesso tempo.
“Sherlock, per caso hai vinto la lotteria?” aveva
chiesto John pulendosi la bocca con il tovagliolo “vuoi
portarci tutti alle Maldive?”
Il sorriso era sparito dal viso di Sherlock: “Stavo pensando
a una cosa divertente, niente di che. Sorridere non è mica
un reato”.
“No, assolutamente. Ma tu lo fai raramente, devi ammettere
almeno questo”.
Aveva scrollato le spalle, irritato: “Finite di mangiare e
non fatemi il quarto grado. Sono affari miei”.
John aveva alzato le braccia in segno di resa, mentre Lily era
arrossita e aveva ripreso a mangiare in silenzio. Poi aveva pigolato
uno “scusa” sommesso, cosa che aveva infastidito
ancora di più Sherlock, che aveva sbuffato sonoramente:
“che chiedi scusa a fare, non hai fatto nulla di
male!”
La fronte di Lily si era corrugata leggermente: “Beh, mi
dispiaceva averti messo in imbarazzo solo guardandoti. Sei umano solo
perché a volte mangi e dormi; se mi dovessi basare sui tuoi
atteggiamenti avrei i miei dubbi”.
Ci risiamo,
era stato il commento di John.
“ Non ero
imbarazzato” aveva sibilato Sherlock
“mi sono sentito osservato, tutto qui”
“Da che pulpito! Tu sei quello che non stacca mai gli occhi
dalla gente e dalle cose!” Lily aveva posato la forchetta sul
piatto “questo tuo modo di reagire è veramente
infantile”.
Sherlock aveva aperto la bocca incredulo: “Beh grazie
tante”.
“Prego, non c’è di che” aveva
risposto Lily, fredda.
“Potremmo stare ore a parlare dei tuoi atteggiamenti
infantili” aveva replicato lui a mezza bocca, ma facendo bene
attenzione a farsi sentire.
“Per favore…” aveva mormorato John,
senza successo.
Lily aveva sbattuto la mano sul tavolo, facendo tremare le stoviglie:
“Certo, rigiriamo la colpa a me per non vedere i tuoi, di
difetti” aveva incrociato le braccia “prego,
comincia ad elencare, sono tutta orecchie”
Sherlock si era allungato sul tavolo “Non riesci a prendere
una decisione senza prima pensarci mille volte, scappi da tutto e
cerchi di nascondere l’evidenza dei tuoi sentimenti su ogni
cosa. Hai paura dei tuoi impulsi, della tua vita e del tuo futuro. Hai
paura di te stessa”.
Ogni parola aveva colpito Lily come un pugno: “Razza di
arrogante bastardo” aveva soffiato rabbiosa “sei un
cinico maledetto, che non riesce a capire che la gente ha dei
sentimenti che possono interferire con l’analisi perfetta del
tuo cervello da robot. Perché tu non senti niente e non ti
accorgi di niente.
Neanche quando ferisci a morte una persona, più e
più volte. Sono stufa di sorbirmi le tue lezioncine da
stronzo. Forse penserai che dire le cose in faccia sia una buona cosa
ma ti svelo un segreto: a volte la bocca deve restare chiusa per
evitare che esca merda”
si era alzata facendo stridere la sedia: “con permesso. Scusa
John” ed era salita in camera sua, sbattendo la porta.
John e Sherlock erano rimasti in silenzio.
“Mamma mia, siete come marito e moglie” aveva
esordito John finendo di mangiare “quasi non sopporto
più queste vostre liti domestiche”
“Figurarsi, ho detto la verità, nulla di
più” Sherlock aveva replicato irritato.
“È vero, ha paura di molte cose ed è
molto insicura. Ma penso che quello che ha passato possa aver influito.
Non c’è bisogno che glielo ricordi ogni volta, le
causa già abbastanza sofferenza. Me l’ha detto
lei. Ma alcune cose sono troppo importanti da affrontare ed
è terrorizzata dal perderle. E no, non ti dirò
quali sono; se un giorno vorrà te lo dirà lei.
Anche se continuando così, la vedo difficile. Io me ne tiro
fuori”
“Continuando così come?” aveva chiesto
Sherlock.
“Terrorizzandola e ferendola a morte, ogni volta.
Arriverà a un punto che non ti rivolgerà
più la parola con la paura di essere analizzata e giudicata
da te. Non è bello, soprattutto se trai le tue conclusioni
non avendo uno straccio di prova. Eppure è il tuo
lavoro.”
“Cerco di spronarla a fare meglio” Sherlock giocava
con il suo tovagliolo, piegandolo in forme geometriche strane.
“Beh, così sbagli. Ti sei comportato bene prima,
quando le hai consigliato di pensare alla faccenda della madre, senza
pressioni, senza analisi. Quello è un atteggiamento giusto
da avere. Aggredire non serve. Sembra che tu sia gentile con lei solo
quando è già a pezzi e di peggio non si
può fare”.
Sherlock era rimasto in silenzio, non sapendo cosa dire. Le parole di
John erano accusatorie e parecchio pesanti. Quella era una delle poche
volte che Sherlock Holmes non sapeva cosa replicare.
“E Sherlock, ti comporti così solo quando sei in
imbarazzo per qualcosa e temi che possa uscire quel lato umano che
tanto ti ostini a nascondere. Stavi sorridendo Cristo santo, non stavi
affogando gattini. È una cosa bella, non orribile”
Sherlock non avrebbe mai rivelato il motivo per cui stava sorridendo,
neanche sotto tortura. Era un segno di debolezza, quel sorriso era
stata una minuscola crepa nel suo perfetto palazzo mentale. Come se
fosse entrato per un secondo un raggio di sole. Non sarebbe dovuto
succedere, mai più.
Era rimasto in silenzio.
“Bene, immagino che la ramanzina sia finita. Ma tanto non
servirà a nulla, vero? Quante volte ti avrò detto
tutto ciò? Qualche milione, probabilmente. Tutto questo
fiato sprecato, sembro un disco rotto” si era alzato,
sospirando “torno a casa, Mary mi aspetta. Ci
sentiamo”
E ora era solo.
//
Lily era sdraiata sul letto e pensava come non mai. Era arrabbiata,
soprattutto con sé stessa. Era arrabbiata anche con Sherlock
che nonostante tutto, non finiva di ferirla. Ed era arrabbiata anche
perché nonostante le cattiverie e le recriminazioni, non
smetteva di pensare a lui. Anche quando era arrabbiato, era bello.
Anche quando gli sbatteva in faccia la verità, lei lo amava.
Era questo che sbagliava? Si innamorava delle persona sbagliate, di
quelle prepotenti? Ma lui la voleva ferire di proposito? O voleva farle
capire qualcosa? da ogni piccola domanda scaturiva un quesito
psicologico e articolato. Aveva sentito John che se ne andava e ora
erano loro due, da soli. Sentiva l’acqua che scorreva, il
rumore dei piatti.
La rabbia le era già passata, a dire il vero. Sentirsi dire
la verità faceva male, soprattutto se a dirla era Sherlock
Holmes con il suo piglio arrogante. Lei sapeva che era così
e doveva ammetterlo invece di scappare in camera. Aveva abbracciato il
cuscino, sospirando.
Mi sento in trappola.
Quale sarebbe stato il momento giusto per confessargli come si sentiva?
Ci sarebbe mai stato?
E all’improvviso una decisione, uno sprazzo di coraggio nella
sua mente sempre spaventata; una convinzione improvvisa, chiara e pura
come acqua.
Sarebbe andata a Castle Combe; avrebbe parlato con sua madre e avrebbe
scoperto se era cambiato qualcosa, se finalmente poteva fare pace con i
demoni della sua infanzia.
E cominciare ad essere una persona migliore.
//
Sherlock era rimasto in salotto, seduto sulla sua poltrona, a pensare.
C’era stato tutto il pomeriggio e ormai era quasi sera. Lily
era rinchiusa in camera sua da ore ormai. Continuava a riflettere
su quello che aveva detto John. Faceva male alla gente quando
si trovava con le spalle al muro, doveva ammetterlo con sé
stesso. Aveva fatto male a John, e a volte continuava a fargliene,
faceva male a Lily, faceva male a suo fratello. Anche a Molly, e a
Lestrade e a Janine. Era automatico, un sistema di difesa che scattava
da solo: i sentimenti per lui erano off limits e se qualcuno suscitava
qualcosa in lui che fosse riconoscenza, affetto, simpatia lui lo
allontanava. E cos’è che allontana le persone
meglio di qualsiasi altra cosa?
La cattiveria.
Aveva giurato a sé stesso, molti anni prima, che non avrebbe
mai provato nulla verso nessuno perché i sentimenti non
facevano ragionare, non facevano rimanere lucida la mente. E lui non
aveva bisogno di tutto ciò; lui voleva essere perfetto,
voleva essere una macchina. Vedeva gente soffrire per i figli, per
amanti e famigliari e questo lo faceva inorridire. O forse lo
spaventava. Prima di diventare così, anche lui
aveva provato dolore. Quando era morto il suo cane, quando i suoi
genitori non c’erano, quando era preso in giro a scuola,
quando non era accettato. Ma lui sapeva perché la gente lo
trattava così: perché aveva paura,
perché era intelligente e capiva più cose degli
altri. E così aveva cominciato a essere cattivo anche lui, a
reprimere tutto ciò che potesse portare amore nella sua
vita. Era dotato di una grande mente analitica e razionale,
così l’aveva sfruttata a suo favore. Aveva
studiato ciò che gli piaceva, il resto lo aveva dimenticato.
Aveva scoperto, ironia della sorte, che quello che gli riusciva meglio
era leggere le persone. E così l’aveva sfruttato a
suo vantaggio, e aveva cominciato a fare il consulente investigativo.
Non per aiutare la gente, per carità. Ma per dimostrare,
sempre e comunque, che lui era una spanna sopra gli altri.
Poi, John. Che aveva saputo prenderlo e volergli bene nonostante fosse
così. E con lui sapeva che poteva aprirsi, nei limiti del
possibile. Erano amici, anzi migliori amici a detta di John. Ma anche
lui l’aveva tradito, lasciandolo solo. Aveva sposato Mary,
aveva Rose. E Sherlock era stato messo da parte. Continuavano a
vedersi, a risolvere casi insieme. Ma non era come prima, non sarebbe
più stato come prima.
Avvenimenti del genere lo convincevano sempre di più che
stare soli fosse la soluzione migliore. La solitudine lo proteggeva dal
dolore e dalla paura. E quando finalmente le cose cominciavano a filare
nel modo giusto, quando ricominciava ad abituarsi alla sua routine
solitaria, Lily era piombata nella sua vita. Una persona diversa dalle
altre, enigmatica e semplice allo stesso tempo. Non riusciva a
leggerla, non riusciva a capire cosa pensasse, perché
arrossiva all’improvviso, perché fosse
così timida su alcune cose e altamente capace su altre.
Dimostrava affetto in maniera diversa dalle altre persone,
semplicemente con la sua presenza, come se dicesse “so che
non sei il tipo che parla, ma io sono qui. Qualunque cosa
accada”.
Era paziente, discreta. E Sherlock non capiva come potesse essere
così. Vedeva l’affetto che John provava verso di
lei e un po’ ne era invidioso.
Era così fragile, ma allo stesso tempo così
forte; la gente l’aveva usata, ferita, disprezzata. Ma lei
continuava a essere buona.
Ed eccoci di nuovo al punto di partenza. Ogni volta che litigavano,
faceva sempre i soliti ragionamenti. Lui faceva le stesse identiche
cose che avevano fatto le altre persone. L’aveva ferita,
disprezzata. La usava per scaricare le sue frustrazioni, quando vedeva
che in qualche modo riusciva a penetrare nel suo essere, a renderlo un
pochino più umano. Chi era lei per arrivare così
e scombinare tutto?
La bottiglia ormai era vuota e lui ubriaco. Aveva finito
l’ultima goccia della bottiglia vicino al camino e si sentiva
caldo dentro e freddo fuori. I suoi ragionamenti erano dettati
dall’alcol e non sapeva neanche perché aveva
cominciato a bere.
Perché aveva litigato con Lily, perché John
l’aveva rimproverato per l’ennesima volta,
perché si sentiva solo, perché non aveva la droga
a tenergli compagnia. Così aveva ripiegato sul brandy, mezza
bottiglia fatta fuori in pochissimo tempo. Era così incline
alle dipendenze: alcol, fumo, droga, pericolo. Guardava il bicchiere,
ormai vuoto.
Una cosa era certa. E ammetterla era per Sherlock un grosso sforzo.
Se non ci fossero stati John e Lily, lui a quest’ora
probabilmente sarebbe morto.
Doveva andare al bagno, forse a vomitare o a sciacquarsi la faccia, non
lo sapeva. Si era alzato barcollando, il mondo girava e non era
piacevole. Quante volte si diceva che non si sarebbe bevuto
più e poi ci si ricascava con tutte le scarpe?
Appunto.
Era arrivato alla porta del bagno e l’aveva spalancata.
Davanti a lui c’era Lily, che si era girata di scatto, lo
spazzolino in bocca e l’aria spaurita.
“Scusa” aveva mormorato lui, appoggiandosi alla
porta “torno dopo”.
Lily lo aveva guardato sospettosa. Sapeva che il suo atteggiamento non
era dei più normali e lei l’aveva capito.
“No tranquillo, ho finito. Puoi rimanere, vieni
pure” Lily guardava Sherlock che barcollava sulla soglia e
sapeva che aveva bevuto. Anche perché la puzza di alcol
arrivava fino a lei “Sherlock, perché ti sei
conciato così?”
Lui aveva alzato le spalle: “Mi andava” si era
avvicinato al lavandino e si era posizionato dietro Lily. Lo specchio
rifletteva entrambi, continuavano a fissarsi senza parlare. Lily
cominciava a sentirsi un po’ nervosa. Questa vicinanza e lo
sguardo di Sherlock la spaventavano. Aveva tolto lo spazzolino dalla
bocca e si era sciacquata le labbra: “Ho finito, ora
puoi…”
Non sapeva perché e neanche come. Fatto sta che Sherlock era
avanzato verso di lei, abbracciandola. Un braccio intono al suo collo e
un altro intorno alla vita, il suo petto appoggiato alla schiena di
Lily, il suo viso nell’incavo del collo. Sentiva il suo
respiro caldo e umido, odoroso di brandy. Si era irrigidita, il cuore
che voleva schizzarle fuori dal petto.
Niente panico,
è ubriaco. È MOLTO ubriaco. Ci sei già
passata, non è niente. Solo che l’altra volta
fingeva di essere una ballerina, ora ti sta abbracciando.
“Sherlock…stai bene? Vuoi sederti
sul…”
Aveva visto una montagna di riccioli neri fare
“no”: “Voglio stare così per
un po’” aveva mugugnato sulla pelle di Lily, che
sembrava bruciare per l’emozione. Tutto era irreale, sembrava
un sogno. Era immobile, il respiro leggermente accelerato. Sentiva
caldo, sia per il turbamento, sia per la vicinanza di Sherlock, per il
suo corpo premuto contro il suo. Voleva piangere. Si era mossa
leggermente e l’aveva stretta ancora più forte, in
maniera disperata. Come se cercasse qualcosa a cui aggrapparsi, un
naufrago allo scoglio. Respirava piano contro il suo collo, facendola
arrossire ancora di più. Dio solo sapeva quanto volesse
tutto questo, con lui, ma non in questo modo, non in queste
circostanze. Sognava il suo tocco da mesi ormai, le sue braccia a
stringerla. Ma questo non era lui, non era quello che voleva veramente
Sherlock. Era il fantasma di chissà quale fantasia, di
chissà quale paura.
“Sherlock..io..” Lily aveva toccato il braccio che
le circondava il collo, cercando di sciogliersi da
quell’abbraccio tanto desiderato quanto terribile. Il
risultato era stato che la presa era aumentata, ma non sul suo collo.
Là il braccio rimaneva delicato, la vita ormai era immobile,
non poteva muoversi. Era come un serpente, era prigioniera delle sue
spire; non riusciva (e probabilmente nella sua testa neanche voleva), a
liberarsi.
“Lily…” aveva spostato leggermente la
testa, sfiorandole inavvertitamente il collo con le labbra, cosa che
aveva fatto schizzare i battiti del cuore di Lily
all’impazzata “sei così piccola tra le
braccia di un uomo. Potresti spezzarti”.
Il nodo alla gola di Lily cominciava a sciogliersi. Era così
vulnerabile in quel momento, lo erano entrambi. C’era
solitudine nella voce di Sherlock, e paura. Continuava a rimanere
immobile; l’impulso di affondare le mani nei suoi capelli era
irresistibile, ma non l’avrebbe fatto. Non poteva sostenere
nulla di più. Già questa situazione era
emotivamente schiacciante.
“Non è colpa mia se sono così. Tu mi
credi, vero? Dimmi che mi credi Lily, ti prego”.
Era troppo.
Le lacrime avevano cominciato a uscire copiose e cadevano sulla
maglietta di Lily e sul braccio di Sherlock. Lei non voleva
singhiozzare, non voleva che lui si accorgesse di quanto era
emozionata, di quanto era dispiaciuta per lui in quel momento e di
quanto fosse dispiaciuta anche per se stessa, imprigionata in questa
giostra impossibile da fermare, che era l’amore per
quell’arrogante sociopatico che la stava abbracciando in quel
momento.
Non riesco a lasciarlo
andare, è troppo amore, troppo tutto. Io non riesco a
staccarlo da me. È dentro di me e non vuole andarsene. Non
voglio lasciarlo andare.
Gli occhi annebbiati di Sherlock avevano incontrato quelli di Lily
nello specchio: “Perché piangi? Ti sto facendo
male?”
Lei aveva scosso la testa: “No. Tranquillo, non mi fai
male”
Almeno non fisicamente.
“Perché piangi allora?” aveva aggrottato
le sopracciglia, dubbioso “non si piange senza
motivo”.
“Perché vorrei aiutarti a stare meglio”
aveva sussurrato, con voce tremante.
Sherlock aveva sorriso leggermente: “Lo stai già
facendo Lily. Così” e l’aveva stretta
ancora, rituffando il viso nel suo collo “proprio non
capisci?”
Aveva strizzato gli occhi, disperata. Non c’era dolore
peggiore, probabilmente.
“Tu e John mi aiutate a non morire”.
Basta. Lily aveva portato le mani al viso, scoppiando in singhiozzi
aspri e taglienti. Come poteva dire queste cose e pretendere che lei
non lo amasse? Come?
Sherlock, a quel punto, senza avvisare, si era staccato da lei, quasi
spaventato. Il contrasto tra il suo corpo caldo e il freddo della
stanza avevano fatto trasalire Lily.
“Scusami Lily, io ora vado. Buonanotte. E non piangere, per
favore” le aveva sfiorato una spalla ed era andato via
così, senza dire più nulla. Era come se le avesse
succhiato via tutte le energie, come se separandosi da lei Sherlock
avesse staccato la batteria. Era caduta in ginocchio per terra, come
una marionetta a cui avevano tagliato i fili, continuando a piangere
senza ritegno, le mani davanti al viso. Lui era andato via, e lei era
sola.
Erano soli entrambi, ma non riuscivano a trovarsi.
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Capitolo 15 *** Hedgehog's dilemma ***
Capitolo 15
Hedgehog's Dilemma
Lily era esausta; era
ancora seduta sul pavimento del bagno, piccoli singhiozzi le scuotevano
il corpo. Si era calmata un po’, ma la sensazione di angoscia
dentro di lei era presente come non mai. Sentiva ancora il profumo di
Sherlock addosso e il primo impulso era stato quello di infilarsi sotto
la doccia.
Ma a quanto pare aveva una certa tendenza al sadismo, e sentire
quell’odore su di lei le procurava un dolore misto a piacere.
Cercava di memorizzarlo, perché era sicura che non lo
avrebbe mai più risentito. Perlomeno non con questa
intensità.
“Maledizione” aveva sussurrato, la fronte
appoggiata sulla mano “come puoi farmi questo,
perché?”
Sentiva gli occhi schizzarle fuori dalle orbite; erano gonfi e irritati
e riusciva a malapena a tenerli aperti. Le parole di Sherlock
continuavano a rimbalzarle nella testa. Erano parole forti, troppo
piene di significato per essere dette così. Si era alzata
leggermente, allungando la mano sul lavandino dov’era
appoggiato il telefono. Erano le dieci di sera. Non sapeva neanche
quanto tempo era rimasta seduta sul pavimento freddo, persa nella
spirale del pianto.
Aveva sbloccato lo schermo e aperto la schermata dei messaggi.
TO:
John
22.03
Scusa
per l’ora, sei sveglio?
Non sapeva neanche per quale motivo lo stesse facendo, aveva bisogno di
parlare con qualcuno di razionale.
FROM:
John
22.05
No,
ho appena messo a letto Rose. Mary dorme. Che succede?
TO:
John
22.08
Tu lo
sapevi che io e te aiutiamo Sherlock a non morire?
Passavano i minuti e John non rispondeva; Lily sapeva che stava
cercando di capire.
FROM:
John
22.16
Santo
cielo, cosa ha combinato stavolta?
Lily aveva riso ironica, nessuna traccia di divertimento.
TO:
John
22.18
Si
è ubriacato ed è venuto in bagno dove mi ha
abbracciato talmente forte da non farmi respirare. Ha poi aggiunto che
io e te lo aiutiamo a non morire. Non so neanche quanto tempo
è che sono seduta qui per terra a piangere. Mi ha ucciso,
John. Letteralmente. Poi se n’è andato e mi ha
lasciato qui. E io ora ho solo voglia di andarmene.
22.20…
22.25…
22.37…
FROM:
John
22.40
Vuoi
passare la notte qui da noi? Ti sentiresti più tranquilla?
Lily aveva riflettuto. Forse le conveniva dormire sul divano di John
almeno questa notte. Lontano da Sherlock e da Baker Street. Ma..
Aveva digitato la risposta.
TO:
John
22.42
Non
ho soldi per il taxi.
Si era alzata dal pavimento, dolorante.
FROM:
John
22.42
Va al
diavolo, Lily. Sbrigati, ti aspetto fuori dal portone. Offro io.
Lily aveva sorriso leggermente ed era uscita dal bagno. Era andata in
camera, preso i suoi vestiti e un cambio di biancheria. Tornata di
sotto si era affacciata sul corridoio. La stanza di Sherlock era chiusa
e non sentiva nessun rumore. Sicuramente era svenuto sul letto, era
inutile provare a svegliarlo. Lily non aveva pensato a lasciargli un
messaggio, era stordita e stanca. Si era chiusa la porta alle spalle,
lentamente.
In strada non c’era nessuno. Sperava di trovare un taxi in
fretta, non le piaceva tutto quel silenzio. Ne aveva intravisto uno
dall’altro lato della strada e aveva alzato la mano; per
fortuna era libero e l’aveva vista. Era salita e finalmente
aveva sentito un po’ di tensione sciogliersi mentre vedeva
Baker Street sparire dalla sua visuale.
Svoltato l’angolo della via dove abitava John, lo aveva
già visto in piedi davanti al portone di casa sua stretto
nella sua giacca, tremante dal freddo. Lily era scesa e si era
precipitata verso di lui. Ormai era così tra loro due: Lily
si lanciava tra le sue braccia e John era sempre pronto ad accoglierla,
non c’era neanche bisogno di dirlo.
“Stai bene?” aveva detto piano, mentre pagava il
tassista.
“Definisci “bene”…”
aveva sospirato Lily, mentre John prendeva il suo zaino e si dirigevano
verso l’entrata di casa.
Avevano cominciato a bisbigliare automaticamente appena entrati
nell’appartamento, per evitare di svegliare Rose e Mary.
“Vuoi qualcosa da bere, o da mangiare?” aveva
chiesto John.
“No grazie, mi sistemo sul divano e mi metto a dormire. Sono
stanca”
“Ok, qualsiasi cosa io sono in camera ok?”
Lily aveva annuito.
“Buonanotte” aveva sussurrato John
nell’oscurità. C’era stato silenzio, ma
Lily sentiva che era ancora lì, sentiva la sua presenza
“Lily?”
“Sì?”
“Io penso che quello che ha detto Sherlock sia vero, in
parte. Vuole far vedere che è forte, ma è
più fragile di quanto immagini”.
Lily non aveva risposto. Le riusciva difficile credere alle parole di
John in quel momento.
Poi John se n’era andato, lasciandola con i suoi pensieri. Ci
aveva messo un po’ ad addormentarsi. Il divano era comodo, ma
era la sua testa che non la lasciava in pace. Si rigirava, sentendo
ogni tanto un sentore di pianto affacciarsi. Ma si voleva controllare,
doveva cercare di non ricadere in quello stato d’animo di
poche ore prima. Alla fine, stremata, era riuscita ad addormentarsi.
//
Un profumo di gelsomino, così forte che sembrava reale. Ma
lo era, perché Sherlock si era girato e c’era Lily
vicino a lui che dormiva. Le lunghe ciglia scure, la bocca semiaperta,
le labbra rosa, il respiro regolare del sonno. Una ciocca di capelli
dietro l’orecchio. Perché era lì,
perché era nel suo letto. La luce era ovattata, lattiginosa,
quasi ospedaliera. Una mano era adagiata sopra le lenzuola candide, la
spalla bianca e nuda. Non aveva i vestiti, come poteva essere.
All’improvviso un ramo aveva cominciato ad inerpicarsi sul
letto circondando il corpo di Lily; e poi un altro e tanti ancora che
si arrampicavano su di lei che continuava a dormire, tranquilla. Non si
accorgeva di niente. Sherlock urlava, voleva svegliarla,
perché le foglie e i rami la stavano ricoprendo e sarebbe
morta così. C’erano anche dei piccoli fiori
bianchi, fiori di gelsomino. La soffocavano e ora Lily non si vedeva
più. Sherlock aveva cominciato a strappare con forza ma
erano troppo spessi, troppo forti. Gridava il nome di Lily, fino a
farsi bruciare la gola, finché non aveva spalancato gli
occhi, trovandosi seduto nella penombra della sua stanza. Aveva appena
fatto in tempo a sporgersi dal letto che aveva vomitato senza ritegno
sul pavimento, i conati che lo soffocavano e lo scuotevano. Aveva la
mente annebbiata, la testa gli scoppiava. Una volta ripresosi, si era
guardato intorno: nessuna traccia di Lily, né di rami,
foglie e fiori di gelsomino. Solo l’odore del suo vomito, che
gli faceva girare la testa. Puzza di alcol, di sudore. Era immondo.
Doveva farsi una doccia. Era sceso dal letto e barcollando si era
diretto in corridoio.
//
Lily dormiva. Ma nella nebbia del sonno si era fatto strada un bussare
agitato, una voce ovattata che proveniva oltre la porta di casa di
John. Il salotto era separato dall’ingresso e non riusciva a
vedere nulla e con gli occhi semichiusi cercava di alzarsi, ma stava
dormendo troppo pesantemente per scattare in piedi. Comunque John
l’aveva preceduta; lo sentiva imprecare, mentre
raggiungeva la porta.
Voci concitate, bisbigli e alla fine un tono di voce normale. Lily si
era alzata lentamente e si era avvicinata alla parete che divideva il
salone dall’ingresso di casa Watson.
“Sai qualcosa?? non c’è, ti dico che non
c’è!!”
Lily era trasalita. Era la voce di Sherlock.
“Mi sono svegliato stamattina e non era a casa. Non risponde
al telefono, nessun biglietto, la porta di casa senza mandate. Le sue
chiavi erano in cucina!! E lei è sparita, non
c’è!!”
John cercava di parlare, ma veniva sovrastato dalla voce animata di
Sherlock: “Sherlock, ascolta…”
“No, John” aveva ripreso il suo solito contegno
“io ieri…ho detto delle cose..ho fatto..”
“Ti assicuro che..”
“E mi ricordo solo quel poco che mi fa pensare che sia
scappata”.
Lily era perplessa. Cos’era tutta questa preoccupazione,
questa agitazione nei suoi confronti? Senso di colpa? Non sembrava il
tipo da soffrirne. Vergogna? Eh, forse quella sì.
“Sherlock!!! Fammi parlare, per l’amor di
Dio!!!!” John aveva alzato la voce, esasperato
“Lily è qui, dorme in salone, sul nostro divano.
È venuta ieri sera, ha preso un taxi ed è al
sicuro. Mi ha chiamato un po’ scossa e le ho proposto di
venire qui. Sta bene”
Silenzio: “Ah…ottimo”.
Lily aveva scosso la testa, arresa. Non riusciva proprio a dimostrare
un minimo di sollievo. Sperava solo avesse i peggiori postumi della
storia, peggio di quelli dell’ultima volta. Aveva preso il
telefono da sotto il cuscino. Capirai, due chiamate senza risposta.
Niente in confronto alle quindici di John. Dilettante.
Sherlock adesso parlava piano, per non farsi sentire: “ho
fatto un sogno e mi sono svegliato nel panico. È stata una
reazione a catena. Ma se mi dici che è qui e sta bene,
ok” di nuovo silenzio “ti ha raccontato
qualcosa?”
Lily non aveva sentito la risposta di John, probabilmente
perché aveva risposto con gli occhi.
Sospiro.
“ L’hai stesa ieri sera, forse è il caso
che tu le parli. È arrivata qui che aveva gli occhi di un
pesce palla. E dovresti finirla di attaccarti alla bottiglia ogni volta
che qualcosa non ti sta bene. E dovresti anche finirla di farti dare
consigli da me. Hai rotto”.
Di nuovo sospiro, ma stavolta di stizza.
“Dorme ancora?” aveva chiesto Sherlock.
“Non lo so, vado a vedere. NO, tu rimani qui. E guai a te se
sbirci”.
Lily era tornata sul divano, le mani in mezzo alle gambe. Aveva freddo,
e aveva tirato su le spalle, convinta che così si sarebbe
scaldata.
John era entrato piano, facendo cigolare leggermente la porta. La sua
testa aveva fatto capolino, gli occhi verso il divano. Poi
l’aveva vista e l’espressione del suo viso si era
rilassata, aveva aperto di più la porta fermandosi sulla
soglia: “Buongiorno” un sorriso caloroso, quello
che le serviva.
“Buongiorno” aveva sussurrato Lily, sorridendo a
sua volta.
“Ti ha svegliata lui?” aveva indicato con il
pollice verso l’ingresso.
“Penso che abbia svegliato più o meno tutto il
vicinato” aveva aggiunto Lily ironica.
“Oh no. Mary e Rose dormono alla grossa. La piccola deve aver
ripreso dalla madre, dorme come un sasso”.
Lily aveva riso, ravviandosi i capelli: “Secondo te
perché è qui?”
“Ufficialmente perché è preoccupato,
officiosamente perché pensava fossi scappata in un moto di
ribellione post adolescenziale. O magari rapita da qualche brutto
ceffo”
“Rapita? Di nuovo?” Lily aveva ghignato soddisfatta.
“Molto divertente, signorina” aveva guardato
attraverso la porta semichiusa “sono sorpreso che sia venuto
fino a qua e non mi abbia telefonato. Sa che gli rispondo sempre. Penso
che voglia sincerarsi di persona se stai bene oppure no. Mi ha detto
che ha fatto qualcosa, detto qualcosa…parla di quello che mi
hai raccontato ieri sera?”
Lily aveva annuito, sentendo la gola stringersi al solo pensiero. Le
parole le rimbombavano nella testa.
Sei così
piccola, tra le braccia di un uomo.
Aveva sentito l’imbarazzo colorarle le guance. Tutti erano
piccoli tra le braccia di Sherlock Holmes.
John aspettava, paziente.
“Non saprei cosa dire. Non mi viene in mente nulla”
“Non devi per forza dire qualcosa; tu alla fine
c’entri relativamente poco. Ha fatto tutto lui”
“Va bene, fallo venire qui. Qualcosa
succederà”
“Ok. Vuoi aprire un po’ la finestra?”
La stanza era immersa nella penombra. Sicuramente fuori era nuvoloso,
perché la luce era pallida e filtrava debole attraverso le
tende grigie di lino grezzo. Lily non voleva che vedesse il suo viso
arrossire.
“No, grazie. Va bene così”
John aveva annuito, leggendole il pensiero. Era uscito dal salone;
Sherlock aveva alzato lo sguardo, tradendo una sorta di aspettativa. La
camicia che aveva addosso era sgualcita e fuori dai pantaloni, le
maniche arrotolate in fretta e furia. I capelli arruffati.
“Dio mio, hai un aspetto orribile” John
aveva alzato un sopracciglio con espressione critica.
“Sì, lo so. Grazie mille” Sherlock aveva
alzato gli occhi al cielo “quindi? La principessa mi concede
udienza?”
Il viso di John si era rabbuiato tutto a un tratto: “Vacci
piano, detective dei miei stivali. Sei in torto marcio e guai a te se
fai lo spiritoso. Al posto di Lily, ti avrei mandato via a calci in
culo. Quindi non uscire fuori dal seminato” il tono era
decisamente perentorio. Sherlock aveva alzato le mani sgranando gli
occhi: “va bene, ho capito. Niente ironia”
“Non so neanche come ti vengano fuori certe cose”
John aveva scosso la testa “incredibile”
Sherlock era diventato serio e pensieroso: “A volte non lo so
neppure io” per una frazione di secondo John pensava di aver
intravisto un lampo di senso di colpa nei suoi occhi.
“Ricordati sempre che non se lo merita a prescindere. Non ti
ha fatto nulla”
Aveva annuito, obbediente.
“Ora vai, è in salotto. Se sento alzare la voce,
interverrò. Sappilo”
Sherlock ormai era vicino la porta del salone, ma John sapeva che
l’aveva sentito.
//
Lily guardava davanti a sé, sul tavolino davanti al divano.
Sembrava fosse tornata indietro di mesi, prima di conoscere Sherlock.
Quando era seduta lì, aspettando Mary con il the. Impaurita,
terrorizzata, piena di lividi e ferite dentro di sé. Si
ricordava tutto, come se fosse ieri. E ora eccola di nuovo
lì; sempre impaurita, sempre nervosa, sempre ferita. Ma in
maniera diversa.
Sherlock era davanti la porta di legno, fermo. Aveva alzato la mano per
bussare, ma si era fermato a mezz’aria, calcolando tutte le
variabili di quell’incontro. Le cose erano due: avrebbero
litigato di nuovo, oppure Lily l’avrebbe perdonato come aveva
già fatto milioni di volte. Avrebbe rischiato. Si ricordava
tutto della sera prima, stranamente. Ed era terribilmente imbarazzato.
Lo spazio personale doveva rimanere tale e nessuno lo sapeva meglio di
lui, che cominciava a diventare insofferente appena qualcuno gli si
avvicinava più del dovuto.
Aveva bussato, senza pensarci troppo.
Lily era saltata sul divano. Adesso bussava? Si era grattata la nuca,
lo stomaco sottosopra dal nervosismo: “Avanti”
aveva detto, con voce abbastanza ferma.
Adesso lo vedrai, sai
che effetto ti fa ogni volta. Sarà bellissimo,
sarà da restare senza fiato. Ma tu non guardare, rimani
ferma su un punto, non mollare. Se lo guardi, è finita. Ti
tornerà in mente tutto, e ora è troppo presto.
Hai ancora il suo profumo addosso, almeno fatti una doccia prima di
guardarlo negli occhi. L’associazione potrebbe essere mortale.
La porta si era aperta e richiusa. Lily guardava il tavolino, le mani
strette in grembo. Si era ravviata di nuovo i capelli per poi tornare
nella posizione iniziale. Aveva sentito il peso di Sherlock mentre si
sedeva, il cuscino sprofondare leggermente vicino a lei.
E poi silenzio. Solo due respiri, dove prima ce n’era solo
uno.
A un certo punto Sherlock si era schiarito la voce:
“Ciao” aveva esordito.
“Buongiorno, Sherlock” aveva aggiunto Lily, con
voce chiara e decisa.
“Stamattina mi sono svegliato e non c’eri. Potevi
lasciare un biglietto”
Nella testa di Lily questa frase suonava estremamente sbagliata. Ma non
aveva fatto a meno di notare, come
al solito, il tono polemico. Aveva sospirato e stretto le
labbra.
“Hai ragione, scusa. Non dovevo dirlo, John è
stato chiaro” aveva mormorato, ma Lily aveva sentito. Un
angolo della bocca si era piegato in un sorriso ironico e amaro. Aveva
scosso leggermente la testa.
“Io…ecco…io volevo chiederti scusa per
quello che è successo ieri sera. Per quello che ho fatto.
Non dovevo, e sono molto dispiaciuto di averti spaventato e averti
costretto ad andare via di casa in piena notte. Ti porgo le mie
scuse”.
Spaventata. Lui era convinto di averla spaventata. Forse un
po’. Ma la storia era un’altra, ma si rendeva conto
che spiegargli come si sentiva sarebbe stato pressappoco inutile.
“È stato strano, non spaventoso; tu non tocchi mai
nessuno” aveva mormorato lei “per quello ho reagito
così”
Sherlock non rispondeva. Non si sarebbe mai spinto talmente oltre da
ammettere che quello che aveva fatto potesse essere lontanamente
dettato dalle emozioni. Non sarebbe stato Sherlock, per lui era tutto
un errore. La soluzione migliore era il mutismo.
Lily per un attimo aveva sentito un’ondata di irritazione
salirle in gola e bruciarle il viso. Com’era ottuso a volte.
Maledizione, scava a fondo per una volta, non farlo solo con i tuoi
casi da strapazzo. Cerca di capire. Cerca di comprendere, in modo che
io possa dirti veramente come mi sento, in modo che possa finalmente
spiegarti le emozioni che mi dai, tutto ciò che mi susciti.
I sentimenti
sono un difetto chimico della parte che perde.
L’aveva detto una volta, non ricordava in che circostanza. Ma
quelle parole erano marchiate a fuoco nella mente e sulla pelle di
Lily. Lei era perdente, dall’inizio. Sherlock no. Doveva
farselo tatuare da qualche parte.
Ma era rimasta lì, di nuovo immobile, senza dire una parola.
Tu e John mi
aiutate a non morire.
“È da quando sono entrato che non mi
guardi”
Lily aveva sgranato leggermente gli occhi. Era vero, ma era necessario
che lei non lo guardasse. Era di vitale importanza.
“Lily…stai bene?” le aveva messo una
mano sul braccio. Lei si era allontanata delicatamente dal suo tocco, e
Sherlock era rimasto con la mano a mezz’aria, confuso.
“Il mio tocco ti disgusta così tanto?”
aveva chiesto, con voce bassa e profonda “ti ho fatto
così male ieri sera?”
Lily aveva aperto la bocca, poi l’aveva richiusa. Repulsione
era l’ultima cosa che Sherlock suscitasse in Lily.
La mano di Sherlock era ricaduta sul divano: “sono
mortificato”.
Meglio di niente, aveva pensato Lily.
“Guardami” aveva detto di nuovo Sherlock
“se non mi guardi vuol dire che hai paura di me. Hai paura di
me?”
“No” aveva sussurrato Lily.
“Allora fallo, dimostralo” la sua voce ora era
dura, perentoria. Lily aveva sentito un brivido lungo la schiena.
Doveva farlo, non sapeva se rifiutandosi l’avrebbe ferito.
Probabilmente no, era solo l’ennesima sfida con sé
stesso. Ma lei avrebbe preferito tagliarsi una mano piuttosto che
rischiare di fargli del male. Anche se sapeva che sbagliava.
Così si era girata, lo sguardo sempre basso.
“ Negli occhi,
Lily” aveva sentito il fantasma della voce di
Sherlock raggiungere le sue orecchie.
Aveva alzato lo sguardo e incontrato gli occhi magnifici di Sherlock.
Erano grigi come le nuvole fuori dalla finestra. Aveva le occhiaie, e
le labbra bianche perché era disidratato. Ma il cuore di
Lily aveva fatto una capriola.
“Ecco, ora sì. Ti piacciono le sfide e sei
testarda quanto me” aveva sorriso leggermente.
No, è
perché guardandoti mi ricordo che non potrai mai essere mio.
Ma allo stesso tempo, non riesco a farne a meno.
Aveva abbassato di nuovo lo sguardo, per non scoppiare a piangere.
L’aria era diventata calda là dentro.
C’era un misto di emozioni che stava per soffocare Lily.
Così aveva steso le braccia sopra la testa e sospirato:
“Ho fame, chiediamo a John la colazione?” Era ora
di tornare la Lily normale, la Lily che non soffriva, mai. Era ora di
spezzare quell’atmosfera ambigua che aleggiava nella stanza.
Era ora di far finta di niente. Ancora e ancora.
“Sì, perché no” aveva
risposto lui, sollevando le spalle. Sembrava sollevato.
“Sherlock, fattelo dire. Puzzi da far schifo” aveva
detto Lily, guardandolo.
“Lo so. Stamattina ho vomitato sul pavimento” aveva
aggiunto, in leggero imbarazzo.
“Spero tu abbia pulito”
“Come ho potuto. Ero parecchio rintronato”
“Che schifo. Santo cielo, lo sai che non reggi
l’alcol, cosa bevi a fare se poi devi combinare
disastri!”
“Oh, lasciami in pace” aveva risposto Sherlock con
tono stizzito. Si erano alzati e diretti verso la cucina.
//
Erano usciti dalla stanza, in silenzio. Avevano trovato John in cucina,
con Mary e Rose sul seggiolone, che quando aveva visto Lily aveva teso
le manine verso di lei ridendo contenta. L’aveva presa in
braccio e stretta forte.
“Lily! che bello vederti! Come stai?” Mary si era
avvicinata a lei, stringendola, poi si era girata per non farsi vedere
da Sherlock e aveva bisbigliato “com’è
andata, tutto bene?”
Aveva sorriso leggermente, per non dare nell’occhio:
“Sì tutto bene. Alla fine ha chiesto
scusa”
Mary aveva sbuffato: “Gliele dai sempre vinte, non mi sembra
giusto” le aveva dato una leggera gomitata nello stomaco
“la prossima volta fallo soffrire un po’”.
“Sarà fatto. Ma è già tanto
che abbia chiesto scusa, pensaci bene” aveva mormorato Lily,
cullando Rose che giocava con la sua catenina a forma di giglio.
“Avete fame? Colazione?” John aveva appena
spadellato una quantità industriale di pancakes e bacon con
uova strapazzate “ a casa Watson solo colazioni
nutrienti!”
Si erano seduti al tavolo della cucina, chiacchierando allegramente.
Lily passava piccoli pezzetti di pancake a Rose, seduta nel seggiolone
vicina a lei. Aveva sentito un brivido lungo il collo e facendo
scorrere lo sguardo sopra il tavolo aveva incontrato per un attimo gli
occhi di Sherlock. Faceva girare per il piatto le uova strapazzate,
giocando con la forchetta. Poi all’improvviso aveva teso il
collo e assunto un’aria attenta.
“Non è possibile…” aveva
sussurrato.
E il campanello aveva suonato.
//
John si era girato, verso l’ingresso: “Chi
può essere a quest’ora del mattino?”
Sherlock si muoveva sulla sedia con fare nervoso: “Penso di
sapere chi è”
John l’aveva guardato, curioso: “Ah sì?
E chi?”
“Mycroft”
C’era stato un momento di silenzio, interrotto solo dalle
proteste di Rose perché Lily aveva smesso di darle da
mangiare. Il campanello aveva suonato di nuovo.
“Beh accidenti, andiamo ad aprire!” aveva replicato
Mary stizzita.
Sherlock e John si erano guardati, prudenti. Lily aveva intercettato
questo scambio di occhiate e si chiedeva cosa ci fosse di
così grave. Certo, aveva visto Mycroft una volta sola, alla
festa di Natale. E a parte essere un po’ fuori posto, non gli
era sembrato chissà quale mostro. Sherlock le aveva rivelato
che aveva un lavoro non proprio ordinario, ma questo lo rendeva una
brutta persona?
Aveva sentito Mary salutarlo e dirgli di accomodarsi in cucina. Mycroft
era entrato, vestito in maniera impeccabile e con un ombrello in mano,
che faceva oscillare lentamente. Aveva guardato tutti quanti con un
sorriso di circostanza e si era fermato sulla figura di Lily:
“Oh eccola qua, la fuggitiva. Buongiorno Lily, tutto
bene?”
“Oh…Mycroft, buongiorno. Sì grazie,
tutto bene. Volevo scusarmi per tutto il disturbo che le ho
procurato..per..ecco…la questione di Andrew”
Mycroft aveva fatto un vago cenno con la mano: “Figurarsi.
Per il mio caro fratellino questo e altro” lo aveva guardato
“Sherlock”
“Mycroft” aveva replicato lui, freddo.
“Interessante…” aveva mormorato
impercettibilmente verso di lui, stringendo leggermente gli occhi.
Sherlock aveva fatto altrettanto, in gesto di sfida.
“Come facevi a sapere che eravamo qui?”
Mycroft aveva riso piano: “Tu sai che io so sempre
tutto”
“Mi chiedo come”
“Vuoi sapere troppo, mio caro”
“Non chiamarmi caro. E nemmeno fratellino” Sherlock
aveva il tono di un bambino arrabbiato.
“Beh, visto che sei qui gradiresti una tazza di
the?” aveva chiesto John sorridendo, cercando di spezzare
l’atmosfera tesa.
“Grazie John, molto volentieri, fa un freddo terribile
fuori” Mycroft si era accomodato su una sedia, accavallando
le gambe e poggiando le mani sulle ginocchia. Era a capotavola, con
Lily e Sherlock ciascuno a un lato. John intanto preparava il the,
mentre Mary chiacchierava del più e del meno con lui.
Pronto il the, John lo aveva versato in una tazza e si era diretto
verso l’altro lato della cucina, dove era seduto Mycroft. Nel
tragitto era inciampato in un gioco di Rose abbandonato per terra e la
tazza gli era scivolata di mano.
Lily non aveva neanche pensato. Si era girata e aveva preso la tazza da
sotto, rovesciando qualche goccia di the sul pavimento. Ma la presa era
solida e ferma.
C’era stato un momento di silenzio e poi Mycroft aveva
sussurrato: “Ottimi riflessi. Attenzione e
velocità. Quello che serve anche per usare
un’arma, come una pistola. O un coltello..o meglio
ancora…” si era portato un dito sotto il mento,
l’aria pensante “un taglierino. Con quelle dita
sottili, si potrebbero maneggiare oggetti leggeri” gli aveva
guardato le mani, quella che teneva la tazza ancora ferma a
mezz’aria.
“ Mycroft”
aveva sibilato Sherlock.
Lily lo aveva guardato, incuriosita. Il riferimento al taglierino non
le sembrava casuale.
“Ho fatto le mie esperienze” aveva risposto calma;
Mycroft non le stava antipatico, aveva solamente la stessa attenzione
per i particolari del fratello.
Lui aveva alzato le sopracciglia, divertito: “Beh, buon per
te” le aveva sorriso.
Lei aveva ricambiato: “Ti ringrazio” era passata
dal dargli del lei a un più informale
“tu”.
John la guardava, Sherlock anche: “Ma
cosa…” aveva cominciato, scandalizzato.
“Beh…posso sostenere, caro fratellino, che tutto
si può dire di Lily Scott tranne che sia una
novellina”. Continuava a guardarla fissa. Il suo cognome
associato al suo nome era una cosa che non sentiva da parecchio tempo.
Lily era sorpresa. Ma non più di tanto, visto che Andrew era
stato sotto la custodia di Mycroft per una notte.
John aveva aperto la bocca per replicare: “Andrew e io
abbiamo fatto una chiacchierata, la sera che è stato mio ospite. Un ragazzo
loquace, non c’è dubbio” aveva preso un
sorso di the. Nel frattempo la tazza era arrivata nelle sue mani.
Sherlock aveva sbuffato, indispettito: “Sbruffone”
aveva sibilato, incrociando le braccia.
Mycroft aveva riso sommessamente: “Beh, signori è
stato un piacere. I doveri mi chiamano. Vi ringrazio per il the e vi
auguro una buona giornata. Ah e…Lily? potresti farmi la
cortesia di accompagnarmi alla porta? Proprio non mi ricordo la
strada” aveva scoccato un’occhiata di traverso a
Sherlock, che aveva sgranato gli occhi per una frazione di secondo.
Lily si era guardata intorno, perplessa. Vedendo che anche gli altri
avevano la stessa espressione, non si era preoccupata troppo: non era
l’unica a non capire il motivo di quella richiesta.
Aveva sentito John sottovoce che diceva: “Ma solo io sono
stato portato in un capannone abbandonato?” e Sherlock che lo
zittiva.
Stranamente si sentiva tranquilla. Mycroft era sicuramente un uomo
pericoloso e Lily se ne era accorta. Ma aveva come
l’impressione che lo fosse solo quando era strettamente
necessario. Per il resto, era un po’ sbruffone. Come Sherlock
d’altronde. Buon sangue non mente.
Mycroft aveva tolto il suo cappotto dall’attaccapanni. Lily
aveva afferrato la sciarpa e gliel’aveva porta.
“Ti ringrazio” aveva fatto un leggero cenno del
capo “quindi, Lily? ti trovi bene qui?” era passato
ai guanti “mio fratello si sta comportando bene?”
Lily aveva aspettato a rispondere. Quei pochi secondi erano bastati a
far fissare gli occhi di Mycroft nei suoi: “qualcosa non
va?”
“No, è che…” non se la
sentiva di sparlare di Sherlock “a volte reagisce in maniera
un po’ bizzarra. Ma è il suo carattere,
immagino”
Mycroft aveva riso, ironico: “Scommetto che lo fa quando si
sente sotto pressione. Probabilmente ti ha anche ferito, qualche
volta.”
Lily aveva mosso la testa da un lato all’altro:
“Beh, sì. Non è
molto…affettuoso. Non si apre, semplicemente. Con nessuno. E
abbiamo litigato a volte, e non è stato propriamente
tenero”
Mycroft aveva sospirato e alzato le sopracciglia, un espressione quasi
dispiaciuta. Poi aveva ripreso il suo atteggiamento normale e
guardandola aveva accennato un sorrisetto ironico.
Si era avvicinato leggermente: “Lily, tu sai
cos’è il dilemma del porcospino?”
Lily aveva scrollato le spalle. Non lo sapeva, no.
“È una metafora per esprimere la
complessità dei rapporti umani. Mio fratello è
esattamente così, è come un porcospino.
Più le persone si avvicinano, più vogliono
aiutarlo e prendersi cura di lui, più le allontana e le
ferisce. Ha una corazza di aculei non indifferente, e dio solo sa come
l’abbia costruita. È convinto che così
sia più facile. Ma da una parte, se mi hai detto che ti ha
ferito, può darsi che stia cominciando a capire qualcosa, a
pensare fuori dai suoi schemi prestabiliti. Di solito ignora chi non
gli va a genio. O si limita a insultarlo”
“Beh, non è proprio il modo migliore di
cambiare” aveva riso Lily, un po’ amareggiata
“avrei preferito dei confronti più
tranquilli”.
“Oh Lily…mio fratello non è stupido. Sa
con chi può farlo e con chi no. Sa chi
rimarrà…e chi no. Prova a chiedere al dottor
Watson. Chi rimane, vuol dire che vuole farlo” le aveva
lanciato un sguardo inequivocabile.
Lily aveva abbassato lo sguardo, imbarazzata.
“Non dovrei ma…” si era frugato nella
tasca interna della giacca, e aveva scritto qualcosa con una penna
argentata sul retro di un pezzo di carta “questo è
il mio biglietto. Per qualsiasi cosa, per qualsiasi
necessità non esitare a contattarmi. Capisco che non
è facile. Sherlock è impegnativo. Ti ringrazio
comunque per la pazienza”.
Lily lo aveva guardato, l’espressione di Mycroft
perfettamente studiata e immobile. Un sorriso di circostanza gli si era
stampato sul viso, aspettando che lei accettasse quel gesto che per lui
era stato decisamente oggetto di grandi riflessioni. Aveva allungato la
mano lentamente e preso in mano il biglietto, la carta color
avorio attraversata da una scritta nera:
Mycroft
Holmes
Diogenes Club
London, England
Lily continuava a guardare il biglietto.
Esplicativo.
“Il mio cellulare è sul retro. Non nascondo che
spero tu non ne abbia mai bisogno”
“Beh..grazie” aveva stretto il biglietto tra le
mani. La carta aveva una consistenza leggera e profumava di buono
“sei molto gentile”
“Spero solo che vada tutto bene” si era avviato
alla porta, e l’aveva aperta. Lo aspettavano due uomini
vestiti di nero, con l’auricolare e gli occhiali da sole
nonostante fuori fosse nuvoloso “forse è meglio
che Sherlock non sappia di questa conversazione e del fatto che tu
abbia il mio telefono. Confido nella tua discrezione” si era
toccato la testa in gesto di saluto “arrivederci,
Lily”
Lei si era limitata a sollevare la mano e a sorridere imbarazzata. Wow,
Mycroft era tosto.
Si rigirava il biglietto tra le mani e lo aveva annusato: un misto di
the al bergamotto, e fumo di sigaro. Buono.
Non aveva posti dove nasconderlo, essendo in pigiama. Così
era sgattaiolata in salotto e lo aveva messo dentro il suo zaino,
dentro la tasca interna. Poi era tornata in cucina, dove tutti si erano
girati all’unisono per guardarla. Lily aveva alzato un
sopracciglio: “Quanto tempo!” aveva mugugnato e si
era seduta di nuovo al tavolo, sperando di poter finire la colazione,
anche se ormai era fredda. La mano di Mary le aveva tolto il piatto da
sotto il naso: “Lo passo al microonde, così
è immangiabile”.
Lily le aveva sorriso: “Grazie, Mary”. Lei le aveva
fatto l’occhiolino.
Sentiva gli occhi inquisitori di Sherlock su di lei: la scrutava, in
cerca di indizi. Lily cercava di ignorarlo, ma il suo sguardo era come
una colata di acciaio bollente e non si poteva evitare. Così
si era girata verso Sherlock e gli aveva sorriso, imbarazzata. Lui
continuava a fissarla, senza cambiare espressione. John lo aveva
guardato, mentre Lily chiedeva aiuto con lo sguardo.
“Cosa ti ha detto?” aveva esordito
all’improvviso, poggiando i gomiti sul tavolo e piegandosi in
avanti.
Lily aveva fatto vagare lo sguardo sul tavolo per qualche secondo e poi
aveva risposto: “Mi ha chiesto come stavo, se andava tutto
bene. Niente di particolare. Alla fine ci ha fatto un favore, e magari
voleva sapere..ecco…come andava in generale”
“Ti ha fatto un favore” aveva detto Sherlock con
tono ironico “e strano che ti abbia chiesto solo informazioni
sul tuo stato di salute mentale. Non è il tipo”
“Beh Sherlock, è stato comunque carino da parte
sua arrivare fino a qui per vedere come stavamo tutti” aveva
risposto John.
“Più che altro non capisco dove tu voglia arrivare
Sherlock” aveva continuato Lily, spostandosi per far posare
il piatto a Mary sul tavolo “ha fatto un gesto carino, a mio
parere”
“Non conosci Mycroft” aveva ribattuto Sherlock
“non fa mai niente per niente”
“E tu mi sembri un po’ paranoico”
cominciava ad arrossire. Non le piaceva mentire, soprattutto a
Sherlock, ma poteva capire perché Mycroft le avesse chiesto
di essere riservata sulla loro conversazione: lui avrebbe cominciato a
sparare a zero sul fratello, e a negare quello che invece, era una
verità assoluta. Il dilemma del porcospino, come
l’aveva definito Mycroft era la metafora perfetta
per descrivere l’atteggiamento di Sherlock non solo verso
Lily, ma verso il genere umano. La gente aveva relazioni, e si feriva.
Ma questo non voleva dire isolarsi da tutto e tutti. Com’era
possibile che lui fosse così? Cosa lo spaventava tanto?
Sicuramente non l’avrebbe mai saputo.
Mentre pensava a tutto ciò, cercando di non arrossire
troppo, Sherlock aveva sospirato: “Non ci si può
più fidare di nessuno ormai”
Mary si era girata, John aveva alzato gli occhi al cielo. Lily si era
limitato a guardarlo, arresa: “Sai una cosa, Sherlock? Non
importa. Continua così, veramente non mi interessa. Io non
voglio fare la guerra, non l’ho mai voluto. Forse un giorno
capirai che tutto questo non serve a nulla. Io, per quanto mi riguarda,
non posso aiutarti a farti ricredere su cose così radicate
dentro di te. Lo devi capire tu, sennò è
inutile” aveva posato la forchetta sul piatto quasi intatto
facendolo tintinnare “grazie per la colazione, posso fare una
doccia?” aveva sorriso a Mary.
“Certo, Lily. Gli asciugamani sono sotto il
lavandino” era sorpresa, ma anche fiera di lei.
Si era alzata: “Con permesso” era sparita dietro la
porta, lasciando tutti con un palmo di naso, Sherlock compreso. Che
però si era ripreso immediatamente, tirando indietro le
spalle e borbottando: “Cosa mai avrà voluto
dire”
“Che dovresti cominciare a volere bene alle persone che te lo
dimostrano ogni giorno, razza di babbeo” aveva risposto John,
guardandolo negli occhi.
“Io te lo dimostro” aveva replicato lui, offeso.
John non aveva ribattuto, attribuendo al silenzio la risposta
più appropriata.
//
Lily si era chiusa in bagno, finalmente lontana dagli sguardi
accusatori di Sherlock. Addirittura non fidarsi di lei. Ma si era
riscoperta a pensare che poteva arrivare a tutte le conclusioni del
mondo tranne a quella più ovvia: cioè che lei
avrebbe fatto tutto per lui perché ne era innamorata. Era
come una parola proibita; quel testone capiva tutto, tranne
l’amore. Sotto al getto di acqua bollente, si dava comunque
della stupida. Bastava così poco per metterlo di fronte alla
verità: confessarlo. Ma era spaventata a morte dalla sua
reazione. E se lo avesse perso? Una fitta di dolore e angoscia le aveva
trafitto il petto. Non era ancora pronta a questa
eventualità. Ancora no.
Si stava tamponando i capelli con l’asciugamano mentre apriva
la porta del bagno, persa nei suoi pensieri. Anche lei sperava di non
dover mai usare il biglietto di Mycroft. Se l’avesse fatto
avrebbe voluto dire sicuramente che era successo qualcosa di grave, o
di irrimediabile. L’avrebbe conservato, anche per eventuali
emergenze riguardanti Sherlock anche se sicuramente John sapeva
già come procedere in casi estremi.
Ma quali erano i casi estremi alla fine? Si era tirata su
l’asciugamano che le avvolgeva il corpo, cercando di non
farlo cadere. Voleva mettersi i suoi vestiti puliti.
In tutto questo casino, doveva comunicare a John e Sherlock la scelta
che aveva preso riguardo Castle Combe. Era stata una decisione presa di
getto, ma nonostante tutto era ancora convinta che avrebbe dovuto
almeno provare, vedere come avrebbe reagito lei. E poi sua madre.
Già, la mamma.
La sera che era scappata avevano litigato e si erano dette cose
orribili. Con quella discussione Lily aveva capito una volta per tutte
che sua madre non l’amava, non come doveva amare un genitore.
Era andata via, senza rimpianti, senza lacrime. Una volta arrivata a
Londra aveva tenuto d’occhio i notiziari e i giornali, senza
trovare traccia di lei e della sua sparizione. Aveva cercato di
dimenticare, di sotterrare quel dolore che era dentro di lei, a cui non
sapeva dare un nome preciso. Come si chiama l’amarezza che
provi quando un genitore ti odia? Non lo sapeva, faceva solo
terribilmente male.
Un altro pensiero le vorticava in testa: doveva andare da sola? Sapeva
che non poteva chiedere a John e Sherlock di mollare tutto per
accompagnarla nel suo paese natale e sonnacchioso, probabilmente senza
cavare un ragno dal buco. Ma andare lì da sola le sembrava
strano e le faceva provare una sensazione di angoscia non indifferente.
John aveva Mary e Rose, Sherlock i suoi casi e le sue indagini. Gliene
avrebbe parlato, ma solo per informarli della sua decisione.
Mentre pensava a tutto ciò, si era vestita e avviata in
cucina; era cambiata solo la disposizione dei posti; Mary non
c’era, probabilmente si stava prendendo cura di Rose. John e
Sherlock erano seduti uno accanto all’altro, John girato
verso Sherlock e parlavano a voce bassa.
Lily aveva bussato leggermente alla porta per avvertirli che era a
portata d’orecchio. Si erano girati e John le aveva sorriso,
mentre Sherlock la guardava come se già sapesse che doveva
dire qualcosa.
Lily aveva sorriso, tesa. Si era seduta davanti a loro, lentamente.
Aveva unito le mani davanti a sé, prendendo un respiro
profondo: “Devo parlarvi”.
John aveva aggrottato le sopracciglia, in un movimento fulmineo. Aveva
l’aria preoccupata. Il tono di Lily non era dei migliori.
Sembrava serena ma allo stesso tempo agitata, un’adolescente
che doveva confessare ai genitori qualche stupidaggine.
L’interesse di Sherlock era stato catturato immediatamente;
si era seduto meglio e aveva tirato su le spalle, con fare
professionale. Chissà se si comportava così
quando interrogava i suoi clienti.
“Okay, dicci tutto Lily” John aveva sorriso,
rassicurante “c’è qualcosa che non
va?”
“Ehm..” Lily aveva cominciato lentamente
“io ci ho pensato e…anche se sembra una decisione
affrettata…ecco..avrei deciso di andare a Castle Combe. Per
vedere quello che potrebbe succedere. Per sentire quello che ha da dire
mia madre. Non voglio più avere paura” aveva
guardato Sherlock per una frazione di secondo, e lui aveva strizzato
gli occhi impercettibilmente “spero che stavolta sia
veramente un punto di svolta per me, qualcosa che mi aiuti
a…insomma..capire. Qualunque cosa possa essere”
vedeva John che sorrideva leggermente, quasi fiero. Lily si torceva le
mani nervosa, non riusciva a tenerle ferme, le facevano male i polsi
“volevo solo informarvi della mia decisione,
perché alla fine mi ci avete fatto riflettere
voi..quindi..” aveva sorriso timida, non sapendo
cos’altro dire.
“Bene, sono felice per te” John aveva allungato le
mani su quelle di Lily stringendole forte.
Sherlock aveva annuito, senza dire nulla: “Beh, quando si
parte?”
Lily aveva diretto lo sguardo verso di lui, sorpresa. Questa era bella.
Aveva aperto la bocca, senza che ne uscisse alcun suono. John guardava
entrambi.
“Io…” stavolta Lily non sapeva veramente
cosa dire, non si aspettava una risposta del genere “io non
credevo che..”
Sherlock l’aveva guardata, confuso: “Cosa? pensavi
non saremmo venuti con te? Vuoi andare da sola?”
“No!” aveva replicato subito Lily, con un tono di
voce decisamente alto “io vorrei tanto che voi mi
accompagnaste…ma credevo che..insomma..avete le vostre vite,
le vostre cose..da fare..” si sentiva rimpicciolire, la voce
sempre più fioca e imbarazzata.
John aveva alzato le sopracciglia: “Beh, Lily devi dirci tu
cosa vuoi che facciamo. Se ci vuoi al tuo fianco, una soluzione si
trova” l’aveva guardata intensamente, facendo
avvampare Lily ancora di più dall’imbarazzo
“ehi, alla fine siamo un po’ come i tre
moschettieri, no? Uno per tutti, tutti per uno”
Sherlock aveva annuito, serio.
Un nodo alla gola aveva fatto abbassare la testa di Lily. Aveva le mani
in grembo, le guardava ma l’immagine andava sfocandosi man
mano per via delle lacrime che le riempivano gli occhi. Era un gesto
bellissimo, affettuoso da parte loro. Sentirsi parte di un nucleo
così stretto, da cui tutti erano fuori, la stessa Mary,
Mycroft, Lestrade. Erano solo loro tre, con un rapporto unico e
inspiegabile, almeno per Lily. Non aveva mai avuto amici, qualcuno che
si prendesse cura di lei. Per questo era strano sentirsi dire con tanta
nonchalance che sarebbe stata sostenuta in una cosa così
importante. Lei era sempre stata sola, tutto questo la sopraffaceva.
Era questo quindi, il sentirsi capiti, il sentirsi amati. Era strano
sapere come ci si doveva comportare ma non poterlo mai mettere in atto.
Ora loro glielo stavano dimostrando, e lei non si aspettava nulla di
tutto questo perché era troppo abituata a ricevere solo
rifiuti e cattiverie, abituata a pensare che non si meritasse nulla di
buono.
Erano sempre loro, i suoi cavalieri dall’armatura
scintillante. Nonostante Sherlock fosse quello che era, si sentiva
grata per questo gesto che sembrava così spontaneo. Si
voleva convincere fosse così, almeno per ora.
“Lily? stai bene?” la voce di John le arrivava
soffusa, lontana.
Lei aveva annuito, la testa ancora bassa: “Grazie”
aveva sussurrato “non avete idea quanto conti questo per me.
Grazie mille, davvero”
John aveva sbuffato, divertito: “Pensi davvero che ti avremmo
lasciata sola? Sarebbe successo solamente se ce lo avessi chiesto
espressamente tu”
“Sai che non sono abituata a questo genere di cose”
aveva borbottato Lily, stringendosi nelle spalle.
John aveva riso, divertito: “Quando vuoi partire?”
“Vorrei aspettare ancora un po’, probabilmente per
metà Marzo. Ormai Febbraio è quasi finito, quindi
sarebbero al massimo due settimane”
Sia John che Sherlock avevano annuito in simultanea.
“Si spera ci sia un minimo di bel tempo, mi piacerebbe farvi
vedere il posto. Se dovesse piovere, sarebbe veramente
noioso”.
Sherlock aveva il telefono in mano: “Sto guardando come
arrivare. Con il treno è un viaggio troppo lungo; scambi,
corriere e quant’altro. Forse converrebbe noleggiare una
macchina” aveva posato il telefono sul tavolo.
John lo guardava e Lily sospettava quale fosse il motivo: tutta questa
partecipazione attiva era alquanto strana. Ma non voleva pensarci in
quel momento. Aveva un paio di settimane per abituarsi
all’idea di tornare a casa sua, dov’era cresciuta.
Rimettere i pensieri in ordine, cercare le parole da dire, cercare di
non pensare subito in negativo riguardo sua madre. Le riusciva ancora
difficile pensare che dopo tutto quel tempo si fosse accorta proprio
ora che da qualche parte avesse una figlia, un proseguimento del suo
DNA. La confusione era molta, non sapeva neanche se avvertire del suo
arrivo. Sicuramente Andrew aveva riferito la sua reazione a sua madre e
quindi si aspettava che non sarebbe mai arrivata; avrebbe potuto farle
una sorpresa: non che si aspettasse che cadesse in ginocchio piangendo,
ma le reazioni a caldo erano quelle che facevano capire meglio la
genuinità dei sentimenti. Non c’era bisogno di
avvertire, quella era comunque casa sua, nel bene o nel male.
Sarebbe stato un percorso decisamente difficile, decisamente emotivo.
Non sapeva cosa sarebbe accaduto.
Sherlock e John continuavano a parlare tra di loro, mentre Lily era
immersa nei suoi pensieri.
“Lily?” Sherlock la guardava, perplesso
“ci sei?”
Si era girata, confusa: “Scusa, stavo pensando. Cosa stavi
dicendo?”
“John ci ha invitati a rimanere a pranzo. Tu hai qualcosa da
fare?”
Lily aveva alzato le spalle: “No, certo che no. Sono libera
come l’aria”. Si sentiva sulle nuvole, un mare di
pensieri le affollavano la mente e non riusciva a concentrarsi. Era
tutto così improvviso e veloce. Decisioni da prendere,
emozioni da tenere a bada. Era tutto molto caotico.
“Ok” Sherlock la osservava, perplesso, poi si era
girato verso John, sussurrando “secondo te sta
bene?”
Lui aveva sorriso: “Sta cominciando a capire come ci si sente
quando si prendono decisioni importanti senza sapere quali saranno le
conseguenze. Ci siamo passati tutti, e porta a una grande
confusione”
Sherlock aveva alzato le sopracciglia perplesso: “Poi dite
che essere razionali come me non fa comodo. Ci si risparmia un sacco di
grattacapi”.
John aveva riso, alzando gli occhi al cielo.
La giornata era passata tranquillamente, Sherlock e Lily avevano
passato gran parte del pomeriggio da John e verso le sei si erano
diretti nuovamente a Baker Street. Lily era stata assente per quasi
tutta la giornata. Era come se si fosse aperta una porta, che le aveva
fatto ricordare mille cose. Aveva ripensato alla sua stanza, alla sua
casa, a tutte le cose che faceva lì. Come passava il tempo,
cosa faceva quando la noia la inghiottiva. Ripensava all’ora
del the, cosa su cui sua madre non transigeva. Alle cinque in punto
Lily doveva essere in salotto. La cerimonia si svolgeva in silenzio,
senza sguardi e senza conversazioni particolari. Era una messa in scena
assurda, e Lily non lo sopportava. Quante volte la cameriera era venuta
a supplicarla di scendere prima che sua madre desse di matto. Proprio
non capiva. Che senso aveva? Il resto della giornata la ignorava e
faceva come se non esistesse. Era iraconda, e si fissava su delle cose
veramente ridicole. Da quel poco che era riuscita a farsi dire, era
così da quando suo padre era andato via. E Lily era scappata
proprio per quello. Era vista come una disgrazia, un errore nella sua
vita perfetta. Si sarebbe potuta appoggiare a lei, essere felice almeno
di averla vicino. Invece no, si era semplicemente abbandonata al
risentimento.
Aveva sentito una mano sulla spalla. Era Sherlock.
“Direi di smettere di pensare per oggi. Posso vedere il fumo
che ti esce dalle orecchie”.
Lily aveva riso: “Hai ragione. Mi dispiace di non essere
stata di compagnia oggi. Non riuscivo a smettere di ragionare. Con
questa decisione mi sono tornati in mente mille ricordi e situazioni
che avevo rimosso”
“Hai paura?” Sherlock la guardava, impassibile. Era
in piedi accanto a lei.
Lily aveva scrollato le spalle, dubbiosa: “Forse, un
po’. Non so cosa aspettarmi”.
“Lo scoprirai solo andando lì. Ci saremo io e
John, non sarai sola”.
Il sole ormai era calato, per strada era buio. Quello che aveva appena
detto Sherlock era vero, ci sarebbero stati loro con lei e questo fino
ad oggi era bastato.
Ma Lily temeva che questa volta non sarebbe stato abbastanza.
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