Come foglie secche.

di Tomoko_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Prologo. ***


Come foglie secche.
Prologo



Sfiorò la lunga ciocca di capelli neri con due dita, riportandola dietro l’orecchio.
Erano passate circa due ore e tre quarti da quando sua sorella era stata portata via. Due ore e tre quarti da quando l’aveva salutata con un semplice «ciao» ed un bacio delicato sulla fronte. Lei aveva sbuffato scocciata, aveva gonfiato le guance e aveva finto di indossare quell’espressione dura, quella tipica di quando voleva sembrare più forte di quanto in realtà fosse.
«Non piangere troppo, mentre non ci sono.» le aveva risposto lei, cercando di rendere più limpida la propria flebile voce.
«Ci proverò, Hana-chan.» le aveva promesso lei, lasciando andare la presa dalla sua mano. «Ci vediamo fra poco.»
L’altra aveva annuito – era troppo stanca anche solo per dire un semplice sì -  e i medici l’avevano portata via sul suo lettino d’ospedale, valicando la striscia rossa invalicabile, quella che diceva «Solo personale autorizzato». Allora la donna, venticinque anni ed una laurea in filologia alle spalle, aveva voltato le spalle ed era tornata nella camera privata della sorella, sospirando stanca mentre si legava i capelli in una crocchia disordinata. Sua madre le aveva insegnato a farlo senza utilizzare fermagli o elastici – le era grata, era molto semplice e pratico, ma ciò non faceva che ricordarle che sua sorella non aveva mai avuto quella possibilità, di imparare, imparare grazie alla propria madre. Il cancro l’aveva portata via troppo presto. Un melanoma metastatico al quarto stadio. Un melanoma che, da qualche mese, aveva infettato anche la sua sorellina.
Si massaggiò gli occhi con due dita stanche, cercando di recuperare quel poco di autocontrollo che aveva ancora. Pensare al suo passato non le faceva bene. Era sempre difficile mantenersi ancorati al presente, ma non aveva altra scelta. Doveva essere forte per sua sorella, per quella buffa ventenne che si fingeva forte e la prendeva in giro da quando aveva sei anni.
«Signorina Hyuuga?» una voce la fece improvvisamente rinsavire dai suoi pensieri. Scattò in piedi, arrossendo un poco sotto lo sguardo attento dell’uomo – probabilmente un medico – che era appena entrato nella sua stanza. Indossava una semplice uniforme di cotone verde scuro – del colore più profondo di una foglia matura – che dava risalto a due occhi azzurri magnetici. I capelli, biondo grano, erano coperti da una cuffietta arancione con stampa di piccoli vortici neri.
«Mi chiami Hinata.» rispose lei, vacillando appena mentre gli porgeva la mano.
Lui la strinse con forza, una bella stretta di mano, salda e rassicurante. «Sono il Dottor Naruto Uzumaki Namikaze, il chirurgo che ha operato sua sorella.» trattenne la sua mano per qualche secondo in più «Si sente bene?»
«Sì, sono solo… solo… un po’ stanca.» lasciò la sua mano per incrociare le braccia sotto al seno «Come sta Hanabi?»
«In questo momento si trova in sala risveglio. Fra un’ora sarà qui, ma potrebbe impiegarci un po’ a risvegliarsi. L’intervento è andato bene, non ci sono state complicanze, ma…» sospirò, appoggiandosi le mani sui fianchi «Il melanoma era più aggressivo di quanto ci aspettassimo. Era impossibile rimuoverlo tutto: saremmo incorsi in seri rischi.»
«Oh Dio.» mormorò Hinata, passandosi una mano sulla fronte e facendo qualche passo indietro per sedersi. Le gambe non le reggevano: si sentiva mancare. Il chirurgo le si accostò immediatamente, aiutandola a sedersi sulla piccola poltrona dietro di lei. Le si inginocchiò davanti con fare caritatevole. «Hinata, Hinata ascoltami.» le disse, arrossendo un poco «Scusami se ti do del tu, ma non riesco bene a gestire queste situazioni. Di solito sono i miei specializzandi a… non ha importanza! Mi ascolti?» l’altra annuì piano «Non è un problema, Hinata, ok? Grazie all’intervento, il quadro generale è migliorato. Adesso possiamo optare per diverse strade, ma io non opererei subito di nuovo. Opterei per un ciclo mirato di radiazioni e… andrà meglio, sai? Starà bene.» Hinata si stupì quando l’uomo – il ragazzo. Quanto poteva essere più grande di lei? Quattro, cinque anni? – allungò una mano per accarezzarle il viso, con un sorriso mesto stampato in faccia.
Lo osservò bene. In qualche modo le sembrò che quel sorriso non stesse bene con i suoi connotati. Non era a tono. Stonava. Quel viso era fatto per spandere sorrisi a trentadue denti, di quelli che irradiano anche gli occhi, che illuminano una stanza. Invece, quel sorrisino lì, era sbiadito. Come una piccola fiamma che si consuma lentamente. Non bastava. Non scaldava abbastanza.
«Lei non sa mentire.»





 


Angolo autrice.

Ecco qui un piccolo prologo. Come detto, la storia comincia in medias res,
ma dal prossimo capitolo torneremo indietro, nel passato. Scopriremo
sempre qualcosa in più, solo per qualche capitolo, per poi tornare a questo
momento della storia. Lo so, può sembrare banale, o incredibilmente triste,
ma vi giuro che la storia non si ferma solo su questa nota triste, altrimenti non
tornerei su EFP. Manco da tanto. Ho lasciato una storia a cui tenevo incompleta.
Intanto però ho continuato a scrivere. Sono migliorata (credo). Ricevo ancora
messaggi di lettori che vogliono leggere qualcosa di nuovo, uscito dalla mia
penna. Ne sono infinitamente onorata. Manterrò le  mie promesse. Vi ringrazio!

Ho bisogno di ritrovare un po' di fiducia in me stessa e di capire cosa non va. Vi va di lasciare un commento? 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo primo. ***


Come foglie secche.
Capitolo primo

Cinque anni prima

 
Era il suo primo giorno di università. Il primo, capite? E non era un primo giorno semplice! Era diverso dal primo giorno di scuole elementari, medie o superiori, diverso dal primo giorno di palestra o dal primo di danza, completamente diverso. In quell’università, in quei dipartimenti, in quelle aule, fra quei banchi, iniziava la sua vita da adulta. I diciotto anni non contavano niente, erano solo un numero; adesso ne aveva quasi venti ed era quello il momento di cominciare. Era lontana da casa – neanche tanto, erano solo quarantacinque minuti di autobus, ma c’era della distanza, ok? Conta. – la sera prima aveva lasciato le valigie nel suo alloggio, una camera da condividere con una sconosciuta, senza i suoi genitori, la sua famiglia, aveva piena libertà e le si stava offrendo il cemento per costruire la sua bella vita. I mattoni no, quelli l’Università non glieli dava, li doveva mettere lei: con la sua attenzione, il suo studio, le sue capacità, la sua volontà. Era sola davanti al mondo, finalmente adulta, e si sentiva… nauseata. Nauseata? E’ pazza, direte voi, ma avete presente quella sensazione sulle montagne russe, appena dopo aver mangiato un frullato o dello zucchero filato? Era troppo, tutto insieme, sembrava quasi che ci fosse una mano, nel suo intestino, pronto a premere e far casini. Le stava risalendo tutto! Tutto! E non aveva neanche mangiato! Al dire il vero, non aveva neanche messo piede in Università; se ne stava lì, davanti alla grande arcata di mattoni vecchia di duecentottanta anni ricoperta da una leggera edera, mentre di fianco a lei passavano persone, coppie, gruppi che, mentre chiacchieravano, non avevano paura di compiere quel passo. Lei stava lì, a fissare i mattoni, il nome dell’Università, il pavimento in pietra, la gente che passava e si sentiva nauseata. Aveva quasi voglia di tornare al suo alloggio, dire che non stava bene e rimanerci per almeno una settimana.
Nessuno badava a lei, ferma lì ormai da un pezzo. Nessuno ci faceva caso, sembrava quasi che fosse…
«Ouch!»
…invisibile. All’improvviso si ritrovò a terra, il fianco dolente e il cardigan bianco sporco di terra e polvere, con una certa massa sopra di lei. Quasi le mancava il fiato.
«Scusascusascusascusascuscascusa!» ripeté velocissimamente il ragazzo che l’aveva investita come un carro armato, atterrandola. Si sollevò e le tese una mano bruna «Stai bene?»
Hinata prese la mano gentile che l’aiutò ad alzarsi e si spolverò i vestiti, senza neanche osservare il suo interlocutore «Sì, t-tutto be-bene.» balbettò a pena, leggermente infastidita dall’accaduto. Balbettava sempre quando qualcosa la infastidiva, provocando in lei sensazioni diverse dalla solita calma: che fosse rabbia, disagio o paura non aveva importanza. Balbettava.
«Sei sicura?» ecco, sicuramente penserà che sono debole, pensò lei, non mi darà pace, se non sarò convincente, si disse. Così sollevo lo sguardo, mormorando un «Sì...» che le morì in bocca non appena i loro sguardi si incrociarono: occhi d’un nocciola chiarissimo, con pezzettini d’ambra, capelli scuri, volto gentile, pelle abbronzata ed un sorriso leggermente imbarazzato in volto. «…sicurissima.» completò in un sussurro.
«Ah bene!» commentò lui, dandole una pacca sula spalla e facendo una strana risatina «Di solito non sono così goffo! Davvero! Io corro, sono un atleta, sono addestrato a controllare il mio corpo, ma oggi proprio non sono riuscito a fermarmi e si sai è il primo giorno e sono un po’ agitato e ti avevo vista sai ma non sono riuscito a fermarmi in tempo non so perché e stoparlandotroppovero?» si interruppe di colpo lui, dopo essere riuscito a dire più di cinquanta parole in meno di mezzo minuto. Le guance gli si erano fatte rosse, il respiro accelerato e stava sudando freddo. Ok, forse non era l’unica esagitata per quel primo giorno. Questo, in qualche modo, la rasserenò.
«Un po’.» affermò, sorridendogli «Ma non ti preoccupare. Anche io so-sono agita-ta e quando lo so-sono ba-balbetto.»
Si guardarono per un attimo senza dire una parola. I loro occhi si incrociarono in quel silenzio imbarazzato e... scoppiarono a ridere.
«Beh, abbiamo qualcosa in comune, mi sembra, no?» disse il ragazzo davanti a lei «Però questo non toglie che ti ho praticamente placcato. Offrirti un caffè mi sembra il minimo. Ti va? Sempresehaitempoeh!»
Lei rise appena, di quella risata delicata e candida che ti scioglieva il cuore.
«Magari prendiamo un tea, va bene?»
 
 
«Hina-chan!»
Lo vide sbracciarsi seduto ad un tavolo di legno nel cortile del campus, un vassoio con un piatto di patate e salsicce davanti e due ciotole di mousse di fianco. Appena l’aveva chiamata tutti si erano girati verso di lei, squadrandola, e Hinata non aveva potuto fare a meno di arrossire.
«Hinataaa!» chiamò ancora a gran voce, come se non si fosse accorto della figura che stava facendo. In quei dieci minuti passati insieme durante la mattinata aveva perfettamente capito che Kiba Inuzuka non era un tipo normale: era ingenuo, gentile e a volte terribilmente sfrontato – di sicuro non gli importava di fare brutta figura. Era il tipo di persona che diceva subito quello che pensava, amava gli animali e perciò si era iscritto a veterinaria nonostante odiasse lo studio ed era un tremendo casinista. Si erano conosciuti in un modo un po’ goffo, ma aveva capito che era il tipo a cui piaceva fare cuori infranti esattamente cinque minuti dopo, non appena aveva cominciato a fare sorrisi ammiccanti alle sue future compagne di corso. Nonostante tutto, è un tipo apposto, pensò sedendosi davanti a lui con un sorriso delicato in volto. Basterà evitare di essere la sua prossima preda, si disse.
«Sei tutta rossa!» commentò lui, ingoiando un pezzo enorme di salsiccia «Vuoi andare dentro? Mi sono messo fuori perché è una così bella giornata! E poi ho sentito dire da quelli del terzo anno che i “novellini” non si siedono mai qui fuori, per una sorta di rispetto, come se fosse il loro posto, e allora io ho pensato-»
«Non è questo.» lo interruppe lei, ridendo internamente di quel modo agitato di parlare. «Inuzuka-kun, potresti evitare di chiamarmi alzando la voce? Mi metti in-»
«Imbarazzo?» l’altro rise «Ah, Hina-chan, fregatene! Tanto qui non ci conosce nessuno. Sai cosa mette in imbarazzo me, invece?»
L’altra negò piano col capo.
«Che tu mi chiami col mio cognome!» sembrava quasi arrabbiato «Potresti chiamarmi semplicemente Kiba? Siamo amici, no?»
«Emh… presumo di sì.» un amico in più non farà male.
«Bene. E poi non mi piace molto il mio cognome.» nei suoi occhi nocciola qualcosa cambiò, ma durò solo un attimo.
«E… perché?»
«Tu sei Inuzuka-kun?» disse una voce nuova, ma conosciuta. Hinata alzò lo sguardo dal suo piatto di riso e vide Sakura Haruno, la sua compagna di stanza. Era una bella ragazza, con quei capelli rossi così chiari da sembrare rosa e gli occhi smeraldini. Aveva un fisico statuario e il modo in cui si poneva con le persone era forte, proprio come il suo essere. Era completamente diversa da lei, una mora minuta e con troppo seno per il suo fisico, timida e silenziosa, perciò ancora non era riuscita bene a legarci. Però ci stava provando, ecco perché prima, quando si erano incontrate mentre cambiavano aula, le aveva raccontato del suo incontro mattutino. Non pensava potesse presentarsi lì.
«Chi lo chiede?» domandò Kiba, indossando la maschera del rubacuori. Le fece un sorriso che sarebbe stato capace di sciogliere migliaia di donne, ma non Sakura.
«Sakura Haruno, diciannove anni, iscritta a Medicina e coinquilina di Hinata. Tu fai parte di quella famiglia Inuzuka?» chiese l’altra, cercando di affievolire il proprio tono duro.
Kiba lasciò andare la forchetta e la guardò duramente. «Che cosa vuoi?»
«Sono venuta qui solo per dirti che ti batterò. Siamo stati accettati in trenta quest’anno, e le statistiche dicono che almeno sei di noi lasceranno il programma di medicina migliore della regione, altri sette non passeranno gli esami e infine cinque verranno licenziati per qualche cavolata. Rimarremo in dodici, e tu non passerai solo perché hai una bella faccia e la raccomandazione dei tuoi. C’è chi non è nato con la laurea incisa nel culo come te, Inuzuka. E quel qualcuno ti batterà.»
«Sakura…» mormorò Hinata.
«Ok, accomodati.» rispose duro Kiba «Adesso te ne vai o vuoi guardare questo bel faccino firmato Inuzuka che mangia tranquillo fregandosene di una mammoletta come te?»
«Hnf, che stronzo.» la rosa si voltò arrabbiata e se ne andò, camminando fiera verso i suoi amici.
«Kiba-kun…» chiamò piano Hinata «Mi dispiace così tanto.»
«Non è colpa tua.» l’altro cominciò a ridere «Pensa piuttosto alla sua faccia quando scoprirà che non sono iscritto a medicina!»
Hinata strabuzzò gli occhi. «Già, ma perchè non le hai detto niente?» poi realizzò la tremenda figura che aveva fatto la sua coinquilina e cominciò a ridere «Sei crudele!»
«Beh, devo prendermi qualche rivincita. Sai, è per questo che odio il mio cognome. Tutti si aspettano che io diventi un chirurgo, compresa la mia famiglia… e invece, ho scelto veterinaria! Capisci? Per loro è un affronto.»
Se lo capiva? Ma certo che sì. Le bastava ricordare lo sguardo glaciale con cui l’aveva guardata suo padre quando gli aveva detto di voler intraprendere filologia, per buttarsi nella ricerca o, magari, diventare un’insegnante. Per lui era stata come un offesa personale. Aveva sempre pianificato per lei una bella vita, degli studi economici per poi diventare il business manager di una delle loro innumerevoli aziende. Non aveva detto neanche una parola, suo padre. Loro non si parlavano mai, non litigavano, non alzavano la voce. Ma quello sguardo… sentirselo perennemente addosso, così gelido, era come ricevere uno schiaffo.
Tese una mano e prese la sua, stringendola sul tavolo di legno da picnic, senza neanche pensarci. Qualche ora dopo, ripensandoci, se ne sarebbe pentita, ma in quel momento sentiva che era la cosa giusta da fare. Ne aveva bisogno.
«Hinata…?» mormorò lui, guardandola con occhi stupiti.
«Ti capisco, Kiba-kun, davvero. L’ho provato e mi sono sempre sentita sola. Non voglio che lo sia anche tu. Mi farebbe molto piacere essere una tua amica. Ti va?»
L’altro sorrise, contento. Quella strana sfumatura nei suoi occhi era sparita.
«Ti ho già detto di sì, Hinata. Ti dirò sempre sì.»

 



 


Angolo autrice.

Ecco qui il primo capitolo. Come scritto nell'intestazione,
si tratta di un ritorno al passato di circa cinque anni. Hinata
si ritrova ad affrontare il suo primo giorno in università.
Si tratta del primo incontro con Kiba: un tipo strano, un
latin lover (o almeno crede di esserlo), ma un buon amico,
gentile e divertente. Per Hinata è una novita: non ha mai
incontrato un ragazzo così. Cosa accadrà?


Ho bisogno di ritrovare un po' di fiducia in me stessa e di capire cosa non va. Vi va di lasciare un commento? 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo. ***


Come foglie secche.
Capitolo secondo

Cinque anni prima



 
Era passato qualche giorno, abbastanza da arrivare al primo week-and in università.
Mentre si aggirava con un paio di libri sottobraccio nel corridoio dell’Università e l’aria pensosa, Hinata era ben consapevole di essere riuscita a superare quella settimana infernale solo grazie alle sue forze. E dire che la prima settimana era quella più semplice: quella in cui fai conoscenza, impari i nomi dei professori, cerchi di memorizzare le aule che devi frequentare, scambi il numero con qualche collega simpatica. Era semplice, ma era stato asfissiante: quella semplicissima settimana le aveva risucchiato le energie come un’aspirapolvere. Era stata pochissimo nell’alloggio che condivideva con Sakura; mangiava quasi sempre alla mensa o in biblioteca, cercando di studiare quei primi argomenti che già le sembravano così difficili. Eppure era quello che voleva, niente di più, niente di meno. Era contenta, anche se le mancava da morire la sorellina, con cui comunque si sentiva almeno due volte al giorno – suo padre, invece, non l’aveva chiamata nemmeno una volta.
«E allora, ‘nee-chan? Che farai questo venerdì?» le chiese eccitata la sorella d’altra parte della cornetta «Non c’è qualche feste sbalorditiva a cui andare?»
«Ah beh, penso di sì, ma-»
«Eh NO!» gridò la minore. Aveva solo quindici anni, eppure la sua capacità di imporsi era incredibile «Non farmi questo, ‘nee-chan! Tu finalmente puoi uscire, tornare a casa tardi senza sorbirti le prediche di nessuno! Sei all’università, capisci che vuol dire?»
«No.» mormorò Hinata, rassegnata. In effetti era vero. Aveva capito ben poco di quella settimana. Era stato solo un lungo e inerte andare confuso.
«Vuol dire sesso, droga e rock’n’roll!»
«Hanabi!» proruppe l’altra, arrossendo «Spero che tu non applichi questo motto anche ai tuoi venerdì sera ora che non ci sono io, perché altrimenti io prendo il pullman e vengo lì a… Non andrai da Konohamaru, vero?»
«No, okaa-san.» rispose gentilmente Hanabi, chiamandola “mammina” in quel modo pacato che usava da bambina per farla tranquillizzare. Hinata lo apprezzò molto.
«Bene, perché sai benissimo che non è adatto a te. Tu sei più matura e…» la maggiore sospirò, tentando di darsi un contegno. Si fermò ad una macchinetta per prendere una bottiglia d’acqua. «Scusami. Mi manchi molto, sai?»
«Anche tu. Per questo devi fare tutto quello che farei io.» Hinata infilò una mano nella tasca per cercare le sue monetine «Infilati un bel vestito e vai ad una festa, stasera, ok? Ti devi divertire. Non puoi pensare solo allo studio.»
«Ma non mi ha invitato nessuno, Hana-chan.» inserì il codice e si accovacciò per prendere la bevanda.
«E tu autoinvitati!» esultò l’altra «Mettiti il vestito bianco a fiori viola, falli secchi!»
Hinata si voltò per raggiungere l’uscita, la bottiglia d’acqua in una mano e il telefono all’orecchio.
«Lo sai che quello è il mio preferito, e lo uso solo nelle occasioni speciali perciò…» si interruppe appena prima di aprire la porta a vetri, notando Kiba venirle incontro con una mano sollevata in aria a mo’ di saluto. «Hana-chan, non ti arrabbiare, ma devo chiudere, c’è Kiba-kun e…»
«Kiba? Quel Kiba?» la ragazzo alzò la voce «Hinata, voglio sentire. SE CHIUDI IL TELEFONO GIURO CHE-»
«Ok ok ma fa silenzio!» fece finta di chiudere la chiamata giusto prima che Kiba aprisse la porta e la salutasse, sfiorandole appena un braccio con la mano.
«Hinata, ciao! Com’è andata la tua giornata?» le chiese, gentile, rubandole la bottiglia d’acqua per berne un po’, senza preoccuparsi dei germi o di chiedere. Hinata lo lasciò fare. In fondo non la infastidiva. Le piaceva quella familiarità.
«Abbastanza bene. E la tua?»
«Meglio, ora che ti ho vista!» proruppe lui, facendolo arrossire. Hinata già si immaginava le risate che si stava facendo la sorella in quel momento. «E sai perché? Perché andremo ad una festa, stasera!»
«Una fe-festa?» balbettò l’altra.
«Ma certo! Adoro le feste. Mi piace ballare, bere, fare amicizia… Non trovi anche tu?» chiese, restituendole la bottiglietta mezza vuota.
«Beh, in realtà, io…»
«No, non mi dire!» la interruppe l’altro «Sei quel tipo di ragazza? Quella che alle feste non parla mai?»
Hinata sorrise appena, portandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio. «Credo… credo di sì.»
Kiba la guardò quasi con tenerezza. Si abbassò lentamente verso di lei, facendosi più vicino. I loro visi quasi si sfioravano. Riportò la ciocca ribelle al suo posto, e per un attimo la mano bronzea rimase lì.
«Beh, nessuno lo sa.» le suggerì lui «Hai l’occasione di essere diversa. Ti andrebbe di farlo?»
Hinata annuì, incantata. La sua vicinanza la metteva in subbuglio. Non riusciva a capire… cosa mi succede? Pensava.
«Bene. E se ti va, ti prometto che dopo staremo svegli fino all’alba a guardare le stelle. Ho la sensazione che sia questo quello che ti piace di più. Che ne dici?»
«Va bene, Kiba.» mormorò lei, con un gran sorriso e le guance imporporate.
«Ottimo! Ti passo a prendere alle otto.» affermò, allontanandosi da lei. «Ora vado, ho lezione.»
«A dopo, Kiba-kun.» salutò mestamente l’altra. «Buona giornata.»
Hinata attese che il ragazzo si allontanasse abbastanza da lei per tornare a respirare. Non si era neanche accorta di aver smesso di farlo, in quel momento. Si sentiva le guance in fiamme. Il modo in cui li si era rivolto a lei… l’aveva lusingata.
Sentì rumori metallici e all’improvviso si ricordò che sua sorella l’aspettava ancora al telefono. Lesta se lo riavvicinò all’orecchio, ma già da lontano poteva sentire sua sorella gridare.
«NEE-CHAN!» urlava. «Non mi puoi abbandonare così!»
«So-sono qui Hana-chan.» mormorò l’altra, stordita. «Sei riuscita a sentire?»
«Sì, tutto!» sembrava incredibilmente eccitata «Hai visto? Hai una festa a cui andare! D’altronde era ovvio, tu gli piaci e nelle prime settimane bisogna assolutamente frequentare qualche bel party per fare amicizia. Cosa ti metterai? Continuo a proporre il vestito bianco a fiori e…»
Il cervello di Hinata si era spento a metà frase. Dopo quelle parole non era più in grado di elaborare i messaggi che le venivano inviati. Diventò ancora più rossa – se possibile – e il fumo prese ad uscirle dalle orecchie…
«Io non gli piaccio.» commentò la ragazza, riprendendo il discorso dal punto in cui l’aveva sconvolta. «Non è possibile. Io sono… siamo solo amici.»
«Per ora, Hinata. Ma ci pensi? Tu non hai mai legato tanto velocemente con qualcuno: c’è alchimia!» squittì quella. «E lui ricambia! Hai sentito che ti ha detto? “Ora meglio, ora che ti ho vista”.» concluse, abbassando il tono di voce per imitare Kiba.
«Smettila, Hana-chan! Non è possibile che lui si sia invaghito di me.» continuò a protestare l’altra, guardando la bottiglia mezza vuota come se fosse una bomba del nemico «Siamo solo amici.»
«Senti, nee-chan, so che hai paura. Non ti sei mai fidata molto dei ragazzi, ma a volte possono essere divertenti e, beh… gentili. L’idea ti dispiace così tanto?» tentò di convincerla, «Lascia che la storia segua il suo corso. Non ti opporre, non ti chiudere a riccio. Se si trasformerà in qualcosa di più, beh, allora era destino, ok?» Hinata pensò che probabilmente, la sorella, in quel momento stesse sorridendo. «Lascia che sia, ‘nee-chan. E mettiti il vestito a fiori!»
 
 
Stava finendo di mettersi il rimmel quando la sua compagna di stanza fece irruzione. Per poco non le cadde di mano a causa dell’irruenza di lei. Ancora non si era abituata a quella presenza forte e agile. Avevano cercato di avvicinarsi: la sera, riordinando le loro cose prima di dormire, parlavano a lungo, ma era difficile legare senza conoscersi a fondo. L’una non conosceva i motivi profondi della timidezza dell’altra; l’altra non capiva perché indossasse quella maschera da dura.
«Ehi.» la salutò la rosa, dandole uno sguardo appena mentre raggiungeva lesta l’armadio «Vai a quella festa, stasera?»
«Sì.» rispose Hinata, ultimando il suo trucco «Anche tu?»
«Già.» si voltò verso la mora con due vestitini nelle mani, entrambi corti e attillati, di quelli che solo le donne magrissime potevano portare bene «Quale?»
«Quello verde.» le consigliò l’altra, guardandola mentre si spogliava in fretta e si cambiava. La invidiava. Lei aveva passato ore a prepararsi, per sembrare decente; a Sakura bastava infilarsi un vestito, un paio di tacchi e liberare la lunga chioma dalla crocchia disordinata per essere perfetta. Le si avvicinò per rubarle il rimmel dalle mani. «Me lo presti?»
Hinata annuì. «Con chi vai alla festa?»
«Con Ino e altri vecchi amici. E tu?»
«Con Kiba.» mormorò appena Hinata, mentre le guance si imporporavano.
Sakura smise di mettersi il mascara e la guardò con attenzione, alzando appena un sopracciglio. «E’ un appuntamento?»
«N-n-no, pe-perché?» rispose l’altra, agitata.
«Beh sai, vorrei sapere se fa parte della tua vita perché… insomma, se lo vedrò spesso dovrò scusarmi per l’altra volta.» le restituì il mascara «Non vorrei essere costretta a farlo, ma se frequenterà spesso questo alloggio la situazione sarà imbarazzante e quindi dovrei.»
Hinata ripose pazientemente i suoi trucchi al loro posto, mentre intanto si mordicchiava le labbra. Se Kiba avesse fatto parte della sua vita? Beh, quella sì che era una bella domanda. Era un ottimo amico, anche se si conoscevano da poco. Quello che le aveva detto la sorella, quella mattina, le continuava a frullare nel cervello, lasciandola senza scampo. Non poteva più non pensarci. Non aveva mai conosciuto un ragazzo come Kiba; certo, con le esponenti dell’altro sesso era spesso un po’ incurante e menefreghista, gli piaceva divertirsi, ma non c’era nulla di male finché lo faceva con gentilezza. A lei però non andava di essere la ragazza di una notte di qualcuno, non era qualcosa che apprezzava. Personalmente, Hinata non sarebbe mai riuscita a considerare il sesso come qualcosa di semplicemente “divertente” – era bello, c’erto, ma non era un intrattenimento: era qualcosa di serio e profondamene importante. Quell’atto aveva un peso, per lei – motivo per cui, all’età di vent’anni, era ancora vergine. Scosse la testa all’improvviso, come per scacciare via quella sensazione di imbarazzo e timidezza. Le guance le erano diventate rosse. Non doveva pensare a Kiba a quel modo! Lui era gentile con lei, e questo bastava: i ragazzi l’avevano sempre umiliata e maltrattata, anche se non sapeva bene perché. Kiba però si era sempre posto nei suoi confronti come un amico leale e premuroso.
Meglio, ora che ti ho vista.
Un piccolo sorriso nacque fra le sue guance. Quel commento casuale le era stato gradito. Anche lei stava meglio, dopo averlo visto.
Si voltò verso Sakura, che stava tentando di dare movimento alla sua chioma. «Sì, penso che lo vedrai spesso.» affermò, contenta «Perciò cerca di essere gentile con lui.»
«Va bene.» gonfiò le guance, infastidita «Non capisco ancora perché tu non mi abbia detto niente.»
«Mi dispiace. E’ solo che…»
Qualcuno bussò alla porta, con un tocco non troppo pesante.
«E’ Kiba.» disse Hinata repentinamente, senza sapere perché si aspettasse che fosse lui.
Si alzò in piedi e, dopo essersi data un ultimo sguardo allo specchio, andò ad aprire in un modo che, avrebbe detto Sakura, era un po’ impacciato.
Proprio come Hinata aveva previsto, davanti a lei c’era Kiba, perfetto nella sua non curanza. Sembrava essersi messo la prima cosa trovata alla rinfusa, ma la maglietta scura sotto alla camicia marrone da boscaiolo stava benissimo insieme a quei buffi capelli scompigliati.
«Ciao! Scusa se sono in ritardo ma il mio compagno di stanza non mi mollava e quindi io…» si mise un poco di lato «Ti dispiace se viene anche Shino, con noi?»
Hinata guardò il nuovo arrivato senza dire una parola: quello sì che era un tipo strano! Era completamente vestito di nero, portava una felpa con il cappuccio tirato sulla testa e i capelli erano tanto lunghi da nascondergli gli occhi. Per poco non le cadde la mascella dallo stupore, ma tentò di contenersi.
«Certo che no, va bene.» improvvisamente pensò che non voleva rimanere da sola con due ragazzi. Si voltò verso Sakura, tentando di fare leva sul suo desiderio di far pace con Kiba «Sakura-chan?» chiamò flebilmente «Vu-vuoi unirti a no-noi?»
Sakura guardò prima Hinata, poi Kiba e poi ancora lo strano tizio appena arrivato con la fronte corrucciata e strani pensieri in mente. Il più sensato era che fosse meglio non iniziare con il piede sbagliato il rapporto con la sua coinquilina. Aveva bisogno di aiuto e… beh, aveva già fatto abbastanza errori. Pensò che probabilmente avrebbe litigato con i suoi amici per giorni per aver dato loro buca, ma in fondo stavano andando ad una festa, perciò si sarebbero visti comunque, in qualche modo. E poi doveva cercare di recuperare la brutta figura fatta con Kiba Inuzuka, il rampollo non tanto apprezzato della famiglia che possedeva l’Inuzuka corporation, l’associazione ospedaliera più importante del paese. Ancora le andava in pappa il cervello per la rabbia quando pensava che lui e Hinata l’avevano presa in giro. Probabilmente avevano anche riso di lei… ma poi pensava a quante grasse risate si facevano lei e Ino alle spalle degli altri e cercava di metterci una pietra su. In fondo anche lei aveva commesso molti errori comportandosi superficialmente.
»Certo, Hinata.» acconsentì l’altra, riacciuffando la borsa in mezzo al cumulo di vestiti che aveva gettato in un angolo. «Andiamo.» disse, prendendo le chiavi e chiudendosi la porta alle spalle. Poi si voltò verso Kiba. «Inuzuka-kun, posso parlarti un momento?»
Kiba la guardò stranito – in realtà stava tentando con tutte le sue forze di non scoppiare a ridere – e lasciò cadere lo sguardo su Hinata. Il suo viso era raggiante: era contenta, si vedeva, e lo incoraggiava telepaticamente ad acconsentire.
«Certo.» affermò allora, precedendo gli altri insieme a lei. Si misero a camminare nel dedalo di corridoi per uscire all’aria aperta ed attraversare il campus fino all’area comune del cortile. Mentre Sakura e Kiba parlavano, vicini, Hinata si trattenne alle loro spalle insieme al coinquilino di Kiba. Le incuteva un leggero timore ma, come ogni ragazza di buona educazione, sentiva il dovere di metterlo a suo agio.
«Shi-shino-kun?» chiamò piano «Posso chiamarti così?»
L’altro annuì piano, ma non emise nemmeno una parola. Hinata deglutì, imbarazzata.
«Che corso frequenti?» domandò allora lei, cercando di spostare l’attenzione su un argomento affrontabile da entrambi.
«Biologia.» rispose l’altro, con tono assente. «E tu?»
«Frequento Filologia.» affermò Hinata, con un tono quasi orgoglioso.
«Filologia?» mormorò l’altro «Una scelta coraggiosa.»
«Eh?» la ragazza si turbò immediatamente «Perché?»
«Non da’ molta scelta riguardo al lavoro, se non la ricerca.» ad Hinata sembrò che la stesse guardando dall’alto in basso, ma era difficile vedergli gli occhi «In più il mercato è saturo.»
Incredibilmente, Hinata si irritò. Era difficile riuscirci, ma per lei la scelta dell’università era un tasto molto, molto dolente. Era stato il maggiore punto di scontro con il padre, ma aveva deciso testardamente di inseguire ciò che amava. Era consapevole che, se non avesse fatto ciò che più desiderava, non l’avrebbe fatto altrettanto bene e con altrettanta passione. Gonfiò le guance. «Se sarò all’altezza, troverò sicuramente un buon lavoro.» affermò Hinata, irritata. Per la prima volta non fu gentile, quando disse: «E poi non è che Biologia sia messa meglio.»
Tacquero entrambi. Era calato un certo imbarazzo. Intanto, davanti a loro, Kiba e Sakura non smettevano di chiacchierare, mentre li conducevano al cortile per la festa. Hinata pensò che sua sorella aveva preso una grande cantonata: non era possibile che Kiba fosse interessato a lei, anzi, sembrava molto preso dalla sua coinquilina. Mentre pensava a questo, fissando la schiena del moro, quasi non si accorse che Shino le stava parlando.
«Hinata?» si sentì chiamare.
«Co-come scusa?» si risvegliò lei «Scusami, ero sovrappensiero. Cosa dicevi?»
«Non volevo essere scortese.» mormorò l’altro, atono «Era solo una considerazione. Non volevo offenderti.»
Hinata lo osservò, incuriosita. Era molto più bassa di lui e, per farlo, doveva sollevare il capo. Il ragazzo accanto a lei era un tipo strano, certo, ma non era cattivo come le era sembrato. Era solo… troppo sincero, ecco.
«Non ti preoccupare, è tutto apposto.» gli sorrise lei. Per un attimo, le sembrò che stesse sorridendo, ma fu solo un secondo, poiché lui distolse lo sguardo, volgendo il capo. Rimasero in silenzio ancora; era facile lasciare che esso cadesse, non era più imbarazzante. In qualche modo, è tranquillizzante, pensò Hinata.
«Sai, se difendi con tale passione ciò che studi, si capisce che ti ci dedichi anima e corpo.» borbottò l’altro. «Siamo ancora agli inizi, ma sono sicuro che riuscirai a realizzare i tuoi desideri.
Hinata arrossì immediatamente. Quell’implicito complimento l’aveva veramente lusingata. Era la prima volta che qualcuno le dava tanta fiducia così semplicemente.
«Grazie, Shino.»
 
Il cortile era stato decorato con un’infinità di luci natalizie. Erano ovunque: fra i rami degli alberi, sulla statua monumentale di qualche ex studente molto importante, intorno alle panchine e sul tavolo con le vivande. Al posto del falò, severamente vietato dall’università, c’era un enorme matassa di lucine, accese. In un altro contesto, vedere delle persone sedute intorno a quel gomitolo pieno di nodi, a cantare e scherzare, avrebbe ispirato una certa ilarità, ma quella sera sembrava davvero perfetto. C’era un’atmosfera quasi romantica, fraterna, semplice e meravigliosa, che in qualche modo le scaldava il cuore. Sapeva che l’Università le avrebbe regalato tante belle esperienze, ma quella prima sera in compagnia dei suoi nuovi amici le avrebbe lasciato per sempre una carezza nel cuore.
Kiba e Shino avevano portato alle ragazze dei bicchieri di cartone pieni di punch alla fragola. Accolse il suo con un certo imbarazzo, perché non amava bere, ma non lo rifiutò. Continuarono a parlare per quasi tutta la sera: le loro chiacchiere erano accompagnate dalla chitarra acustica di qualcuno e dalla voce un po’ stonata di altri. Molto spesso, dei ragazzi e delle ragazze li salutavano e si fermavano a parlare con loro. Per lo più erano conoscenti di Kiba e, a volte, di Sakura: sembrava che quei due fossero molto popolari. Hinata aveva conosciuto Ino, Choji e Shikamaru, dei vecchi amici di Sakura. Solo Shikamaru frequentava però l’università, gli altri si erano imbucati. Ino aveva un negozio di fiori, mentre Choji frequentava un corso di cucina. Hinata però non riusciva a smettere di osservare Kiba e Sakura. Insieme sembravano una di quelle coppie perfette, belle e popolari. Sembrava che avessero superato l’imbarazzo della gaffe della ragazza, con una leggerezza disarmante. D’altronde, aveva perfettamente capito che Kiba era così: si lasciava scivolare tutto addosso pur di mantenere il bel sorriso stampato in volto.  Passare la serata insieme a lui era molto piacevole, anche se fra loro si frapponeva Sakura. Sembrava intenzionata a rimediare al suo errore. Questo le faceva piacere, ma al contempo le dava un certo fastidio alla bocca dello stomaco.
«Hinata-san?» la chiamò Shino «Ti andrebbe di vedere una cosa?»
La voce di Shino le arrivò quasi all’improvviso alle orecchie, penetrandole nel cervello con una certa irruenza. Ancora una volta si era abbandonata ai pensieri, ignorando completamente il resto del mondo. Erano tutti seduti intorno al finto falò, su dei tronchi di albero. Shino invece era in piedi, e le stava porgendo una mano per aiutarla ad alzarsi. Senza pensarci, Hinata l’afferrò. Di sfuggita, mentre si allontanava con Shino, vide che Kiba la stava osservando ed il suo sguardo era davvero strano… ciononostante, seguì Shino con passi lenti e fermi, mentre lui la conduceva verso il bosco. Questo le sembrò un po’ strano, ma in quel momento cercò di non farci caso. L’altro si manteneva silenzioso, come sempre, e lei non aveva il coraggio di fargli alcuna domanda.
Si fermarono vicino ad un albero piuttosto in ombra. Shino osservò il fusto, poi, lentamente, infilò una mano in un piccola rientranza naturale. Quando le mostro mani, chiuse fra loro, qualcosa ronzava al suo interno. D’istino Hinata fece un passo indietro, spaventata. Non amava gli insetti, anzi, li trovava disgustosi.
«No, non avere paura.» borbottò il ragazzo cupamente. «Guarda.» disse, aprendo le mani a coppa. Quattro, cinque piccoli insetti erano immobili fra le sue mani. Quando poi però lui le sfiorò appena con un indice, esse si illuminarono. Erano… «Lucciole.» affermò il ragazzo. «Stavano dormendo.»
Hinata le guardò strabiliata. Ormai era ottobre, e non si sarebbe mai aspettata di vedere lucciole a università iniziata. Esse appartenevano all’estate, che ormai sembrava così distante… lontana anni luce. Eppure loro erano lì, sveglie e silenziose.
«Sono bellissime.»
«Vero?» un piccolo sorriso si piegò sulle labbra del moro. Hinata ne rimase veramente stupita. «Sono loro ad avermi fatto innamorare della Biologia.» mormorò lentamente.
Hinata allungò le mani e gli strinse i polsi, sorridendogli. «Allora anche tu, con questa passione, realizzerai i tuoi desideri!»
Shino arrossì, ed in qualche modo Hinata riuscì a vedere i suoi occhi scuri brillare. Sentiva che fra loro si stesse aprendo una bella amicizia, nonostante l’iniziale fraintendimento.
Quel bel momento fu interrotto da un rumore ben somigliante ad un rigurgito. I due si voltarono. Proprio all’albero accanto al loro, una ragazza bionda ed emaciata stava vomitando. I due amici sospirarono imbarazzati e, riposte le lucciole nell’insenatura dell’albero, cercarono di aiutare la ragazza. Le fornirono acqua e tentarono di rinfrescarla.
«Hinata, io la porto in infermeria.» affermò il ragazzo.
«Ti aiuto, ci andiamo insieme!» disse subito l’altra, aiutando Shino a caricarsi la ragazza sulle spalle.
«No, non ti preoccupare.» rispose lui «Tu cerca pure gli altri e salutameli. Ci vediamo presto.»
«Ciao, Shino.» salutò a sua volta Hinata, prima di voltarsi e cercare gli altri nella folla. Tornò dove erano seduti prima, ma erano scomparsi, così camminò un po’ nel cortile, avvicinandosi prima al tavolo con le vivande e al finto falò dopo. Chiese anche a degli studenti con cui avevano chiacchierato prima, ma i due sembravano essersi volatilizzati nel nulla.
E’ troppo strano, pensò Hinata, preoccupandosi. Kiba non sarebbe scomparso così, senza dirle niente. Lui era un ragazzo sincero, e manteneva le sue promesse. “Ti prometto che dopo staremo svegli fino all’alba a guardare le stelle.”, le aveva detto quella mattina, e quel ricordo bruciava come fuoco acceso sulla pelle. Kiba manteneva le promesse. Ne era certa. Magari era semplicemente stanco ed era tornato al suo dormitorio. Oppure si era rifugiato lì per cercare di sfuggire alle attenzioni di Sakura. Era possibile no? Ma avrebbe certamente mantenuto la promessa. Si incamminò verso il dormitorio maschile, ansiosa. E se si fosse sentito male? Magari avrebbe potuto andare in infermeria da Shino per verificare se Kiba fosse lì. Perché pensava sempre al peggio?
Si spinse nel dedalo di corridoi fino a raggiungere l’ala in cui c’era la stanza di Kiba e Shino. Che numero le aveva detto che fosse? 211… 221… 218! Certo, era la 218! Corse verso di essa e bussò leggermente contro il legno scuro. Nel farlo, la porta si scostò un poco: era rimasta aperta. Chiari gemiti arrivarono fino a lei. A quel punto era impossibile non vedere, anche dallo spazio ristretto della porta socchiusa. Spalancò gli occhi, scioccata. Il suo cuore andò in frantumi.
«Ah, Kiba…» gemeva una voce femminile.
E quella voce proveniva da una ragazza coi capelli di un rosso così chiaro da sembrare rosa.
 


 
 
Angolo autrice.

E' davvero passato così tanto? Mi dispiace immensamente, ma sono stata impegnata con gli esami.
Il mio ben 100 però ne è valsa davvero la pena.  Adesso finalmente ho il tempo di occuparmi delle
mie passioni, e così eccomi qui. Intanto questa storia non ha avuto molto successo, ma spero che.
adesso che entriamo nel vivo della storia, riesca a colpire più persone.
Mi raccomando, lasciate una recensione!



Ehi... psss... ehi tu... ho scritto un libro, e si trova su Amazon! Si chiama OMBRE! Link in bio.

 

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