Filo di Luce

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovi Battiti ***
Capitolo 2: *** Immagina ***
Capitolo 3: *** Dipinto Vivente ***
Capitolo 4: *** Opposti ***
Capitolo 5: *** Dono Prezioso ***
Capitolo 6: *** Solo un Nome ***
Capitolo 7: *** Occhi nascosti nelle Stelle ***
Capitolo 8: *** Lacrime di Stelle ***
Capitolo 9: *** Padre ***
Capitolo 10: *** Pensieri di Vetro ***
Capitolo 11: *** Danza ***
Capitolo 12: *** Fantasmi e Sorrisi ***
Capitolo 13: *** Battito Accelerato ***
Capitolo 14: *** Spirito di VIta ***
Capitolo 15: *** Piove ***
Capitolo 16: *** Più niente di Lei ***
Capitolo 17: *** Era importante per Te ***
Capitolo 18: *** Partire ***
Capitolo 19: *** Anche gli angeli si Perdono ***
Capitolo 20: *** Lontano ***
Capitolo 21: *** Un solo Sguardo ***
Capitolo 22: *** Profumo di Neve ***
Capitolo 23: *** Gemma Preziosa ***
Capitolo 24: *** Alba ***
Capitolo 25: *** Strada di Ghiaccio ***
Capitolo 26: *** Tregua tra i Pensieri ***
Capitolo 27: *** Assomigli al suo Sorriso ***
Capitolo 28: *** Parole di Miele ***
Capitolo 29: *** Leggo nel tuo Cuore ***
Capitolo 30: *** Spiriti di Vita ***
Capitolo 31: *** Demone ***
Capitolo 32: *** Pensieri Intricati ***
Capitolo 33: *** L'eleganza dei suoi Passi ***
Capitolo 34: *** Nel cuore della Notte ***
Capitolo 35: *** Datemi un Ordine ***
Capitolo 36: *** Giuramento ***
Capitolo 37: *** Profezie ***
Capitolo 38: *** Diamanti di Sangue ***
Capitolo 39: *** Negli occhi di una Fata ***
Capitolo 40: *** Un motivo per Odiarti ***
Capitolo 41: *** Sigillo ***
Capitolo 42: *** Ribelli ***
Capitolo 43: *** L'uomo e la Luna ***
Capitolo 44: *** Di nuovo mia Sorella ***
Capitolo 45: *** Incontri ***
Capitolo 46: *** Sguardi Legati ***
Capitolo 47: *** La Principessa e il Mortale ***
Capitolo 48: *** Profumo di Mare ***
Capitolo 49: *** Gioielli ***
Capitolo 50: *** Sogno di Ghiaccio ***
Capitolo 51: *** Othila ***
Capitolo 52: *** Sorriso di Luna ***
Capitolo 53: *** Lupi ***
Capitolo 54: *** Sfida ***
Capitolo 55: *** Piccolo Fiore ***



Capitolo 1
*** Nuovi Battiti ***


                                         Nuovi Battiti






Pensava spesso al passato, ai grandi palazzi pieni di sfarzo che per anni avevano occupato ogni suo pensiero e ad una giovane dagli occhi di cielo che aveva amato silenziosamente tutta la vita.
Anni lunghi e meravigliosi che aveva sopportato solo per assolvere ad un compito, una direttiva che giorno dopo giorno era diventata l'unico pensiero fisso che gli tormentava il cuore.
Ora però, la nuova dimensione che aveva travolto la sua vita lo costringeva a respingere continuamente i ricordi, quei palazzi terribilmente ricchi e quegli occhi tanto dolci che ogni notte tornavano a lacerare i sogni.
Si era sposato, aveva lasciato quel mondo dicendo addio per sempre al passato, all'infanzia, all'amore violento che ancora provava per lei.
Aveva scelto una nuova vita, una giovane bella e con una curiosità impressionante nei confronti di tutto ciò che era nuovo e diverso.
Non era ricca, non era nobile né si vantava giorno dopo giorno del proprio titolo.
Figlia di contadini con un talento innato per la pittura, Marie era capace di cancellare la voglia terrificante di tornare indietro.
Per questo si era sposato, per poter dimenticare il dolore che ancora gli bruciava nel petto ogni volta che pensava al passato, a quel giorno maledetto e lontano che gli aveva strappato quanto di più caro avesse al mondo.
Fece un bel respiro sistemando i finimenti del cavallo, il viaggio era stato lungo e decisamente stancante ma sentiva dentro al cuore un piacevole senso di serenità.
Era arrivato fin lì per affari, crescere cavalli di razza era un ottimo lavoro, se si era bravi e costanti capitava spesso di guadagnare molti soldi ma essere convocato da un nobile straniero, regalava ai suoi sforzi nuovo valore.
Nils Thomas Magnus Gunvald di Närke, un nobile duca arrivato in Francia assieme al vento fresco del nord.
Aveva passato tutto il viaggio a ripeterlo dentro di sé cercando di ricreare davanti agli occhi il suo volto.
Si era chiesto centinaia di volte che tipo di uomo fosse, l'aveva immaginato, disegnato sulla tela invisibile dei pensieri ridendo quando troppe parole creavano migliaia di volti assieme ma di una cosa era certo, al mondo scintillante e pieno di lussuria che offriva Parigi, quel duca straniero preferiva l'aria più tranquilla della campagna.
C'era tuttavia qualcosa di magico nel palazzo di marmo che gli splendeva davanti.
Circondato da giardini immensi e pieni di fiori era un gioiello di rara bellezza, un'opera d'arte che univa assieme eleganza e semplicità.
Le fontane lucenti erano addolcite da fiori di un pallido rosa toccati appena dai raggi del sole.
Era incantato dalle sculture, dalla finezza dei loro lineamenti, da quel silenzioso abbraccio che sembrava prendere vita come se d'improvviso potessero scendere dal loro piedistallo salutandolo divertite.
A pochi metri dall'entrata, abilmente nascosto da un intreccio di rami, c'era un bellissimo pergolato colmo di rose dai colori vivaci.
Conosceva ormai la maggior parte delle famiglie nobili di Francia, aveva frequentato i loro palazzi, i ricevimenti, le cene ufficiali, tutto sommato era divertente, ogni famiglia cercava di superare in grandezza le altre e di volta in volta gli sfarzi aumentavano, i gioielli diventavano d'improvviso più grandi e il numero di servitori raddoppiava.
Si era aspettato la stessa cosa entrando in quel parco ma quello che aveva davanti, era un piccolo mondo protetto che sopravviveva all'interno della nobiltà francese.
Circondato dalle regole, imprigionato dai doveri eppure libero di splendere e di incantare.
Aveva già provato quella sensazione, la prima volta che entrò a Versailles tutto gli era sembrato irreale.
Sorrise stupito da quei pensieri tanto sciocchi, forse non era più abituato a quel mondo.
Si guardò intorno seguendo i passi di una giovane dama che gli camminava affianco.
Il suo volto era sereno, rilassato, sfiorava con le mani le foglie fresce della siepe ridendo assieme ad un giovane.
Era circondato da uomini e donne che passegiavano intrattenendosi gli uni con gli altri, camminavano incuranti dei minuti, delle ore che scorrevano lente.
Le dame sorridevano esattamente come quella giovane, lo facevano per puro piacere e non per folli manie di protagonismo.
Le gonne ampie e scomode erano sparite, sostituite da vestiti leggeri che avevano solo il compito di regalare libertà mantenendo tuttavia un elegante rispetto per quel mondo di sfarzo a cui appartenevano “Perdonatemi” si voltò d'improvviso incontrando gli occhi scuri e profondi di un uomo.
Aveva il volto segnato dal tempo ma nel suo sguardo brillavano ancora forza e vigore .
Sorrideva affabile stringendosi le mani dietro alla schiena “Il duca si scusa per il ritardo, è stato trattenuto da affari di stato. Ci raggiungerà il prima possibile” “Questo posto è talmente bello da rendere l'attesa più piacevole” “Quand'è così allora ...” allargò leggermente un braccio indicando un punto poco distante del parco “ ... vi prego di seguirmi, aspettare richiede una buona dose di pazienza, l'attesa spesso è snervante ed è meglio accompagnarla con un buonissimo tè” un giovanotto sorridente prese le redini del cavallo permettendogli di seguire l'uomo tra i delicati intrecci del parco.
Camminarono silenziosi fino ad un gazebo di ferro dove l'edera saliva verso il cielo aggrovigliandosi su sé stessa.
"Vi prego" un debole cenno del capo per convincerlo a sedere, una giovane dallo sguardo piuttosto allegro posò tra loro un vassoio colmo di dolci mormorando qualcosa in una lingua lontana e sconosciuta “Vi ringrazio” “Sciocchezze” il silenzio scese tra loro colorando d'imbarazzo lo sguardo di Andrè “Scusatemi” si affrettò ad aggiungere l'altro “Dove ho lasciato le buone maniere?” posò la tazza sorridendo amabile“Il mio nome è François” “Siete ...” “La sua balia, il suo buon senso, il suo più fidato amico?” rise divertito annuendo “Sono tutte queste cose" "Sapete, è davvero un piacere fare la vostra conoscenza" "Conosco il vostro nome da mesi ormai, a dire il vero ho passato un'inferno per potervi trovare” “Davvero?” domandò confuso “Il duca ama i cavalli, cerca solo il meglio per le sue scuderie e il vostro allevamento da qualche anno fornisce ottimi esemplari” “Su questo non posso che darvi ragione. Ci vuole tempo per selezionare gli animali migliori, cinque anni mi hanno regalato moltissime soddisfazioni” “Ecco perché, dopo quasi un anno di ricerche vi ho chiesto di venire qui oggi. So che trascinarvi via dal vostro lavoro così d'improvviso è un fastidio non piccolo, lo sarebbe per chiunque. Il duca provvederà a ripagarvi per il disturbo” Andrè rise divertito da quel modo tanto diverso di approcciarsi alle persone.
Un nobile non si preoccupa di queste cose, non chiede scusa per aver interrotto qualsivoglia lavoro né si preoccupa di ripagare il tempo perso.
Forse il duca era davvero così diverso da come lo descrivevano, forse c'era molto di più che un semplice nobile dietro a quel nome sconosciuto “Mia moglie è più che in grado di occuparsi dei miei affari quando io sono lontano. Potete dire al duca che non ho bisogno di risarcimenti” “Una donna intelligente è un buon acquisto. Siete stato fortunato” “Molto fortunato” “Tanti pagherebbero per avere accanto una buona moglie” “Posso chiedervi una cosa?” “Dite pure Andrè” “C'è la possibilità di passeggiare all'ombra di quelle rose? Ne sento il profumo da quando sono arrivato e mi ricordano una persona a cui ero molto legato” “Mi dispiace deludervi ma temo che non sia possibile. La duchessa in questo momento sta leggendo all'ombra di quei fiori” “Non credevo che il duca fosse sposato” “Per quale motivo?” “Cosa? Oh, scusatemi, credevo di averlo solo pensato” rise di sé stesso e di quella leggerezza tanto sciocca appena commessa “Quando il duca mi ha annunciato le sue nozze devo ammettere che mi sono sentito mancare. Credevo scherzasse, fin da bambino ha sempre desiderato una vita libera dagli obblighi della società e del matrimonio” “E cos'è cambiato?” “Non so dirvelo nemmeno io. Da un giorno all'altro il bambino che mi è cresciuto davanti per trent'anni è cambiato. Credevo fosse la vecchiaia a giocarmi brutti scherzi ma quando ho conosciuto la giovane duchessa ho compreso il motivo di quel cambiamento” sorseggiò il tè cercando lo sguardo del ragazzo “La sua dolcezza è riuscita a perforare quella corazza gelida che si era costruito attorno. L'ha preso per mano mostrandogli che la vita non è fatta solo di affari e lavoro” “Da come la descrivete direi quasi che assomiglia ad un angelo” “Forse lo è davvero” mormorò François “Ma per tornare a noi Andrè, temo di non potervi accontentare. Sarò lieto di accompagnarvi in qualsiasi altra parte della tenuta ma quel pergolato e il giardino che custodisce appartengono soltanto agli attimi di pace della duchessa” “Oh non temete, visitare le scuderie mi renderà più che felice” ribatté divertito prendendo un biscotto tra le mani.
Dopotutto quell'accoglienza così diversa e nuova lo incuriosiva perché mai in tutta la vita, si sarebbe aspettato niente del genere “Posso chiedervi io un favore?” “Certamente” “Vorrei chiedervi di evitare con il duca qualsiasi domanda che abbia a che fare con il suo passato o con la mia signora. Certo, non che lei abbia bisogno di protezione al contrario, devo ammettere che è piuttosto brava a proteggersi da sola ma lei per prima rifugge la compagnia dei nobili francesi, fatta eccezione per la propria famiglia ovviamente, non le importa molto di ciò che pensa la gente, tutto quello che desidera è restare lontana da quel mondo scintillante” “Non è mia intenzione chiedere la storia del loro primo incontro se è questo che vi preoccupa” François rise tornando a sorseggiare il suo tè “Proteggete questa duchessa come se fosse un gioiello prezioso” “Lei è diventata il sole e la luna per il duca, l'unica persona in grado di rallentare il cuore troppo veloce che gli batte nel petto. Devo proteggerla Andrè” “Chissà, forse un giorno incontrerò quest'angelo” mormorò divertito ma l'altro tossicchiò lasciando la tazza sul tavolino “Non siete il primo a formulare questo desiderio. Molti viaggiano per giorni chiedendo di poter essere ricevuti dalla duchessa, la delusione sui loro volti quando incontrano una sedia vuota?” scoppiò a ridere divertito da quel gioco di pensieri a lui tanto sconosciuto “Amareggiati, irritati, stanchi. Dopo un po' vi assicuro che diventano noiosi” “Si dice in giro che il vostro signore  porti in sé sangue inglese” “Le vostre voci sono corrette Andrè, il duca custodisce in sé sangue inglese ma è la Svezia a renderlo ciò che è” “Conoscevo un conte una volta, svedese come il duca, elegante e raffinato come immagino sia il duca e ...” “Il conte di Fersen?” lo sguardo confuso sul volto del ragazzo lo fece sorridere “Il conte è un buon amico di questa famiglia, non abbiate paura a pronunciare il suo nome” la governante si avvicinò di qualche passo sussurrando qualcosa all'orecchio dell'uomo.
L'espressione sul suo volto cambiò di colpo, gli occhi si colorarono di allegria e le labbra seguirono quel sentimento piegandosi anch'esse in un tenerissimo sorriso “Il duca sta arrivando, se posso darvi un consiglio Andrè ...” si alzò permettendo alla giovane di togliere la tazza usata “ … parlate apertamente con il duca, le persone usano sottili intrighi per entrare nelle sue grazie e spesso finiscono per abbandonare questo palazzo per non ritornarvi mai più” gli fece l'occhiolino mentre un uomo alto e dal portamento orgoglioso si avvicinava a loro.
Il suo passo era svelto, le mani strette una all'altra dietro alla schiena “Hai fatto un ottimo lavoro François, come al solito” “Adularmi non ti aiuta, non ha mai funzionato nemmeno quando eri bambino” l'altro rise sedendo al posto di François “Dunque voi siete Andrè” non rispose, non si mosse nemmeno, si limitò a sorridere perso in uno sguardo carico di gelo.
I suoi occhi avevano lo stesso colore del cielo e vivevano in essi sfumature di ghiaccio così forti da togliere il respiro.
Il corpo armonioso e muscoloso nascosto da vesti eleganti adatte al nome che portava.
La sua figura imponeva rispetto, la sua forza ammutoliva gli sguardi.
Aveva capelli scuri come l'ebano mossi appena da riccioli naturali appena accennati.
Erano lunghi e ordinatamente pettinati ma non c'era traccia di moda parigina in quell'acconciatura.
Li lasciava semplicemente sciolti sulle spalle, niente fiocchi di velluto né fastidiosi profumi.
Il volto indossava lineamenti forti addolciti da labbra perfette forse dono di una madre figlia del gelo.
Il taglio degli occhi ne impreziosiva il colore rendendo il suo viso un quadro di splendide fattezze.
In lui si leggeva il distacco degli inglesi e il freddo languore del nord mischiati assieme.
Fusi come un solo uomo, quei due passati di genti e popoli brillavano chiari e lampanti nel suo sguardo incuriosendolo ogni secondo di più “Vi chiedo scusa per l'attesa” “Ero in ottima compagnia” l'altro annuì orgoglioso “Mia moglie?” domandò poi voltandosi verso la governante “Sta leggendo signore, desiderate vederla?” “No, assicuratevi che abbia tutto ciò che desidera e fate portare nella sua stanza le rose più belle” l'altra chinò leggermente il capo indietreggiando di un passo “Allora Andrè, conoscete il motivo per cui siete stato convocato non è così? Per anni ho cercato gli esemplari migliori, i cavalli più belli in grado di soddisfare le mie pretese. Sono tornato in Francia per motivi personali che ora non vi illustro ...” si fermò qualche secondo passandosi una mano tra i capelli “ … sono mesi ormai che cerco una giovane puledra ma devo ammettere che nessuno fino ad ora è riuscito a darmi ciò che voglio” sorseggiò il tè studiando il volto di Andrè “Non è mio desiderio restare in Francia tutta la vita e credetemi, se fosse dipeso da me sarei scappato da Parigi due ore dopo il mio arrivo ma la mia sposa è francese. Per lei sono disposto a sopportare qualsiasi cosa, anche restare in un paese dove la ricchezza viene sprecata a scapito della povera gente” “Credetemi, siete forse il primo nobile che mi parla in questo modo” “Ne sono certo” ribatté divertito “Ho fatto costruire questa tenuta solo per mia moglie, un posto sicuro dove possa restare in compagnia dei suoi genitori o dei suoi pensieri. Torneremo in Svezia tra qualche mese e per allora, mi piacerebbe avere un cavallo degno della mia sposa” “Perdonatemi signore, credevo che l'animale desiderato con tanta veemenza fosse un capriccio vostro” “E lo è ma il mio capriccio dipende dal suo. È un regalo, un dono, perché l'unica cosa che desidero è vederla felice” “Sapete, da queste parti non è costume vedere nobili dame eleganti cavalcare come uomini” il duca annuì affabile e un bellissimo sorriso nacque sulle labbra “Nemmeno in Svezia è così comune, anche se devo ammettere che le nostre donne sono piuttosto ostinate. Cavalcano è vero ma conservano sempre quell'altezzosa nobiltà che le contraddistingue dal resto del popolo, mia moglie ...” si fermò qualche secondo e nei suoi occhi lesse tutto l'amore di un uomo nei confronti della propria sposa “ … lei è diversa da qualsiasi altra. Per lei la società farà volentieri a meno delle rigide regole imposte fino ad ora” “Lo credete davvero? Se c'è una cosa che ho imparato signore, è che le regole cambiano solo per la povera gente ma ciò che forma la società, ciò che forma la classe alla quale appartenete non è stato creato per cambiare” lo vide sorridere divertito da quello scambio di opinioni.
Era un uomo severo e rigidamente attaccato alle regole, vi era tutta via un che di liberale nel suo sguardo “Mio padre non è uomo da piegarsi al cambiamento. È legato a quell'antica nobiltà che ha dato i natali alla nostra famiglia ma quando mi sono sposato ...” sollevò appena una mano, la cameriera annuì allontanandosi da loro “ … ha fatto un passo indietro accettando mia moglie, imparando a conoscerla e vivendo di lei esattamente come ho fatto io. Vedete? I cambiamenti sono possibili” sorrise chinando leggermente il capo “Pensate di potermi aiutare? Pensate di riuscire a trovare il dono tanto atteso?” “Provvederò affinché venga portato fin qui l'esemplare raro che state cercando” “Non mi importa il prezzo Andrè” mormorò il duca posando la tazza “Fosse anche fatto d'oro puro sarò pronto a pagarlo” “Abituate male le persone così” “Come si abituano altrettanto in fretta si disabituano. Portatemi il meglio e verrete trattato nel migliore dei modi. Come vedete sono diverso dai nobili arroganti a cui siete abituato, capisco le remore che nutrite nei miei confronti, dopotutto non mi avete mai incontrato, mantengo sempre le mie promesse Andrè” “Anche io signore e vi giuro che tra due settimane, sul selciato della vostra tenuta galopperà il miglior animale fino ad ora mai visto” François sorrise avvicinandosi a loro “Vi avevo detto che ci sapeva fare” “Il nostro generale aveva ragione, siete un brav'uomo e se manterrete la parola vi posso assicurare che tra noi nascerà un ottimo rapporto d'affari” strinse la mano tesa verso di lui imprimendo a quella presa una forza pari all'orgoglio che custodiva nello sguardo “Ora se volete perdonarmi Andrè, devo lasciarvi” “La duchessa vi sta aspettando, siete in ritardo” “Sarà arrabbiata con me?” François scosse leggermente la testa sistemandogli il colletto dell'abito “Solleverà lo sguardo dal libro, sarà silenziosa e probabilmente molto seria, resterete qualche secondo senza parole davanti ai suoi occhi ma vi sorriderà come una bambina e allora tutto andrà al posto giusto” “Quand'è stata l'ultima volta che l'ha fatto?” “Quando io vi ho raccontato questa bugia per la cinquantesima volta” un sorriso diverso colorò il volto del duca rendendolo ancora più bello.
Il distacco era sparito, la freddezza cancellata d'improvviso.
Era agitato e nervoso come un bambino, mascherava dietro alla normalità l'innocente paura di deludere la persona più importante del mondo, del suo mondo “Non fatele promesse se non potete mantenerle” “Ehi, ho buttato fuori a calci il primo ministro francese per poterla vedere” “E ne sarà molto contenta ma questa mattina avevate in programma una passeggiata assieme a lei ricordate?” “Il dottore non le aveva vietato cose folli come le passeggiate?” “È forse folle decidere di passeggiare un po'? ” sussurrò François chiudendogli il primo bottone dell'abito “Nelle sue condizioni? Sì, direi di sì” “L'avete fatta arrabbiare” “Credi che le rose siano poca cosa?” lo sguardo sul volto dell'uomo lo fece sorridere “D'accordo, fai chiamare Romuald. Ricordi quella collana di smeraldi e diamanti?” “Quella che sei anni fa avete considerato futile e priva di senso?” “Ora è diventata importante François” “Come desiderate signore” l'altro sospirò sistemandosi i capelli “Come sto?” “Siete perfetto, andate da lei ora o si arrabbierà” gli fece l'occhiolino e congedandosi da loro si allontanò lungo il sentiero lastricato seguito da due giovanotti in divisa.
“Vi chiedo scusa, quando deve incontrare la signora non capisce più niente” “Oh non temete” mormorò il Andrè alzandosi “Lo capisco sapete? L'amore rende confusi e perfino un uomo forte come il duca può sentire le gambe tremare” “Avete proprio ragione, venite, se non sbaglio c'erano delle scuderie da visitare” seguì François lungo la stradina ammaliato dalla dolcezza che il sole regalava a quel posto.
C'era un buon profumo di fiori nell'aria e colorate farfalle si posavano sulle corolle schiuse verso il cielo, stiracchiavano le ali rubando fino all'ultima goccia di luce possibile “Com'è la Svezia?” domandò d'improvviso, François sorrise portandosi le mani dietro alla schiena “Amo la Francia, ci sono nato e vi ho trascorso parte della mia vita ma le terre del nord ...” si fermò qualche secondo cercando lo sguardo del ragazzo “ … sono intrise di fascino. Le montagne proteggono immense vallate e fiumi che scorrono lenti, come se il tempo per loro non dovesse mai passare. La terra accoglie sconfinate foreste e grandi laghi che d'inverno si trasformano in ghiaccio cristallino. I fiordi e i porti svedesi sono uno spettacolo di rara bellezza e il mare che circonda la terra è ricco di vita” “Sembra davvero molto bella” “Dovreste vederla per riuscire a comprenderne la bellezza. Come vi ho detto poc'anzi la duchessa è francese, nobile e raffinata, abituata al clima di Parigi e alla quiete irruenta e confusionaria di questo mondo ma la prima volta che vide la Svezia ...” rise mentre nel cuore tornava lieto il ricordo di quel giorno “ … ho ancora davanti a me quello sguardo sognante, il sorriso tanto bello e la meraviglia che riempì i suoi occhi” diede una leggera pacca sulla spalla del giovane continuando a parlare “Era talmente innamorata del nord da impararne gli usi e i costumi in poco meno di sei mesi. Ha imparato lo svedese e il finlandese ad una velocità strabiliante” una risata allegra distrasse qualche secondo Andrè.
La stessa giovane che vide giocare con il manto leggero delle foglie era accanto alla fontana, il ventaglio aperto per mascherare il volto e una mano stretta dolcemente tra quelle di un giovanotto “Ogni volta che torniamo a Parigi i suoi occhi si riempiono di malinconia e lo sguardo si spegne” “Non si dimentica la propria casa ...” rispose Andrè “ ... forse la malinconia che prova la duchessa altro non è che il dispiacere di dover dire addio di nuovo” “Addio è solo una parola. Sapete, esistono favole e leggende che profumano di neve, paesaggi incantati che l'inverno rivendica ogni anno, sono luoghi incantati dove la duchessa ama ritirarsi perché può essere sé stessa. La lontananza assume un vaolre diverso e la mancanza della famiglia si traforma. Quando torniamo a Parigi, la duchessa che in Svezia nasce improvvisamente si spegne” il suo sguardo era cambiato.
C'era malinconia nei suoi occhi e il sorriso che poco prima gli aveva colorato il volto era sparito “Torniamo a noi Andrè” esclamò d'improvviso sollevando lo sguardo “Venite, vi mostro la collezione del duca” posò una mano sulla spalla del giovane e senza più aggiungere una parola, si immerse assieme a lui nel silenzio.




 

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Capitolo 2
*** Immagina ***


                                           Immagina






“È davvero così scorbutico come lo descrivono?” rise divertito dalla domanda di Marie “Se devo dirti la verità l'ho trovato perfetto” “Perfetto?” ribatté confusa posandogli davanti il piatto “E perfetto ha qualche significato nascosto? Per caso è piuttosto belloccio?” annuì appena sorridendole “Ha gli occhi color del cielo e quelle sfumature nello sguardo ... è come se d'improvviso il ghiaccio potesse uscire dal suo sguardo” “Uao” mormorò sognante la giovane sedendogli di fronte “Dev'essere un sogno” “Ma tu non sei sposata con me?” “Per questo lo considero un sogno” ribatté divertita “Mio marito è l'uomo più bello del mondo” scoppiò a ridere costringendola a fare altrettanto.
Aveva sempre amato la pace di casa, il camino acceso, il profumo di sua moglie, la vita calma e piacevole che forse inconsciamente aveva sempre desiderato.
Non c'era fretta nelle sue giornate né rigide regole da seguire.
Assieme a Marie la realtà diventava più leggera e divertente, poco importava se i bambini non arrivavano o se il mondo andava troppo in fretta per loro.
Gli occhi scuri di sua moglie coprivano l'azzurro dolce del passato, lo stesso azzurro che per qualche secondo gli era tornato davanti, lo stesso azzurro incastonato sul volto del duca “E lei?” “Cosa?” domandò confuso tagliando la carne “La sua sposa” “Oh” “Un uomo bello come lui deve avere qualcuno accanto” “Immagino che sia così” “Quindi?” “Non l'ho vista” “Com'è possibile?” “La tiene nascosta dal resto del mondo” “E che amore c'è in questo?” sussurrò indispettita ma lui sorrise “C'è amore anche nel voler celare al resto del mondo la cosa più preziosa che si possiede” “Andrè io non ...” “Il generale ha fatto la stessa cosa per anni, era solo innamorato di sua figlia, così tanto da non vedere cosa le costruiva attorno” “Chi è il generale?” domandò confusa ma lui non rispose, continuò a parlare senza curarsi molto dell'espressione sul volto di sua moglie “Credo sia stata la duchessa a chiedergli la possibilità di passare inosservata. L'amore che ho letto negli occhi di quell'uomo è grande. Lei vive in ogni suo pensiero amore mio” ci provava, ci provava con tutte le forze a sembrare distaccato e normale ma ogni domanda innocente che usciva dalle labbra di Marie, liberava uno dopo l'altro i ricordi così faticosamente trattenuti fino ad ora.
“Forse hai ragione, forse c'è dell'amore anche in quello” le fece l'occhiolino tornando a concentrarsi sul piatto “Vuoi sapere come la immagino?” “Se ti dico di no lasceresti perdere?” “Te lo direi lo stesso” esclamò divertita versando dell'acqua “Immagino un corpo armonioso ed elegante, è alta e con lineamenti delicati ...” la mano si posò sotto al mento e lo sguardo sognante si perse da qualche parte nel vuoto “ … il portamento orgoglioso, le spalle delicate, il collo sottile. Il suo incarnato assomiglia al cielo del tramonto” “Il cielo al tramonto?” “Si, quella seta meravigliosa che il sole dipinge sull'orizzonte” “Arancione?” “Oh andiamo! Quel rosa appena visibile, rosa di pesca leggero e delicato” “E lei assomiglia a ...” “Non interrompermi” asserì perentoria.
Aveva sempre amato questo lato di Marie, il gioco che le riempiva lo sguardo quando immaginava qualcosa, quel modo tanto buffo che aveva di giocherellare con i capelli.
Ogni volta che immaginava qualcosa vi si immergeva dentro rendendo reale i pensieri, dando loro un nome “Il volto è fine, le labbra dolci e gli occhi colorati di mare, sfumati di quel mondo lontano che l'ha portata fino a qui e che ...” “È francese amore mio” “Oh” mormorò stupita “Beh, niente impedisce alla Francia di creare occhi belli. Se non assomigliano al mare forse hanno il colore del cielo e i suoi capelli sono chiari come l'oro” “Perché?” “Perché se il duca se ne è innamorato e se il suo più caro servitore la considera un angelo, forse allora lo è davvero ed è così che immagino un angelo. Con gli occhi di cielo e i capelli di sole” “Io credo che tu stia esagerando” ribatté divertito ma lei sorrise “Forse hai ragione, non so nemmeno io perché lo sto facendo, forse è brutta e bassa con gli occhi scuri e i capelli rasposi” ma per quanto si sforzasse di ridere, nelle parole di sua moglie era nata per qualche secondo l'immagine di quell'angelo.
Giovane e bella con i lineamenti fini e due occhi d'acqua viva in grado di leggere nell'anima.
La vedeva davanti a sé, la immaginava mentre camminava tra le rose di quel giardino, mentre rideva sfiorando con le dita i petali preziosi, riusciva perfino a sentire il suono leggero di quella risata, la sentiva come se in realtà l'avesse davanti “Andrè?” fece un bel respiro cacciando via i pensieri “Stai … stai bene?” “Scusami, stavo solo pensando” “A … pensi di nuovo a lei?” non rispose, a malapena si mosse “Forse dovresti parlarne” “Sto bene” Marie sospirò cercando di cacciare via milioni di domande che vorticavano senza sosta nella mente “Non ho bisogno di parlarne, va tutto bene” non c'era sicurezza nelle sue parole, niente serenità o tenerezza.
Non aveva nessuna voglia di ricordare, non aveva voglia di ricominciare a lottare contro qualcosa che non poteva controllare.
Ogni notte, ogni dannata notte gli incubi tormentavano il riposo e la sua dolcissima Oscar gli appariva davanti.
Sola, spaventata, in lacrime mentre tutto attorno a lei diventava buio e freddo “Questa cosa ti fa del male Andrè. Lo so che non ne vuoi parlare ma sono passati cinque anni” “Marie ...” gli occhi si fusero ai suoi e un leggerissimo sorriso mascherò la rabbia “ … non ho bisogno di parlare di lei, non ho bisogno di ricordare” “Com'era?” “Cosa?” domandò confuso da quell'improvviso cambio di tono “Com'era Andre! Parlami di lei, rendila reale e … Non sono gelosa di un ricordo, come potrei esserlo? Voglio solo vederti felice e sereno” “Sono felice” come poteva spiegarle che vent'anni passati assieme a lei l'avevano reso dipendente dal suo profumo, dai suoi sorrisi, dal suono della sua voce? Senza Oscar non esisteva nemmeno più Andrè perché quello che rideva e stringeva la mano di Marie era solo la pallida imitazione di un giovane che una volta, aveva amato la vita con tutto sé stesso “Quando tornerò da lui verrai con me” “Davvero?” mormorò confusa cercando i suoi occhi “Certamente, così potrai cercare la tua meravigliosa duchessa e potrai vederla con i tuoi occhi, sempre se il duca ti concede il permesso” “Perché non dovrebbe?” “Teme che possa rapirla? Oh che sciocchezze!” “Due settimane Marie, secondo te saremo pronti?” “Abbiamo tanti validi esemplari” “Non me ne servono tanti validi, me ne serve uno perfetto” “Ne abbiamo una ricordi?” “Oh andiamo!” “Che c'è? Ne hai chiesto uno perfetto e lei lo è” “Sono affezionato a quella puledra, è la mia cucciola” “Ma se nemmeno la cavalchi” “Perché non voglio affaticarla” ribatté indispettito ma la giovane rise “Come pensi possa affaticarla una giovane duchessa di quaranta chili appena?” “Non parliamone più” “Come vuoi, ma sappi che due settimane passano in fretta” tornò a concentrarsi sul piatto chiudendo fuori dalla mente l'idea tanto sciocca di dar via quella meravigliosa cavalla, erede di un passato che non riusciva proprio a cancellare.




 

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Capitolo 3
*** Dipinto Vivente ***


                                      Dipinto Vivente






Due settimane appena, avrebbe desiderato più tempo per prepararsi, per preparare la puledra ad uno stress mai provato fino ad ora e forse anche per preparare sua moglie.
Lei non era abituata a quel mondo, non era abituata alle chiacchiere dei nobili né ai loro paroloni altisonanti.
Marie era pura, ingenua, troppo delicata per quel mondo, il volto sorridente, i capelli dolcemente intrecciati di lato.
Aveva indossato l' abito migliore perché convinta che in mezzo a tanta nobiltà, perfino i servi e i popolani avevano il diritto di apparire quanto meno normali.
Le aveva ripetuto mille volte che non gli interessava, che averla accanto vestita semplicemente di sé stessa era una gioia immensa e che non le servivano eleganti abiti o raffinate pettinature, sarebbe stata bellissima anche con pochi stracci addosso ma lei non aveva passato nemmeno tre secondi a riflettere sulle sue parole.
“Andrè” gli sguardi si mossero all'unisono incontrando il volto sereno di François “Che piacere rivedervi e voi ...” si fermò davanti a Marie esibendosi in un profondo inchino
“ … siete la sposa di cui tanto mi ha parlato” “Hai parlato di me?” domandò confusa “Solo un po'” “Davvero?” “Oh non temete, solo cose belle. Ora capisco cosa vi ha spinto a prendere in sposa una giovane come lei, è davvero un fiore incantevole” “Lo so” esclamò orgoglioso cingendole le spalle “E questo ...” la mano di François si posò sul muso dell'animale e un sorriso bello come il sole gli sfiorò le labbra “ … è il tesoro prezioso che allieterà le giornate della mia signora” il manto bianco di luna scorreva liscio sotto le dita provocandogli una piacevole sensazione di freschezza.
Sentiva i muscoli dell'animale, i nervi tesi, il respiro lento e regolare “Credo proprio che gli abbiate portato un cavallo d'oro puro Andrè” “Il duca ha chiesto la perfezione ed eccola qui” esclamò orgogliosa Marie stringendo più forte le redini tra le dita “Molto bene, vogliate seguirmi prego. Le scuderie sono poco distanti” si incamminarono assieme perdendosi di tanto in tanto nella vastità di quei parchi, nel rumore allegro dell'acqua e nel profumo delicato che i fiori e gli alberi spargevano nell'aria.
Ci misero dieci minuti buoni a raggiungere la costruzione ad est del palazzo “Sono enormi” sussurrò Marie “Amore mio, che abbiamo detto sui commenti?” “Andrè guardale! Casa nostra ci potrebbe entrare comodamente cinquanta volte” rise divertito prendendo a braccetto sua moglie “Grandi o meno giurami che non scoppierai a ridere in faccia a lui” “Perché dovrei ...” “Perché ti conosco” “D'accordo, lo giuro” si fermarono a pochi passi da un gruppetto di giovani intenti a chiacchierare tra loro “Max, dov'è finito tuo fratello?” uno di loro si voltò verso François attratto dal suono profondo della sua voce “Arriva subito, era a colloquio con l'ambasciatore francese” “Di nuovo?” l'altro sorrise chinando leggermente il capo verso Marie “Se questo è il fratello Andrè, non so davvero cosa aspettarmi” “Che ti ho detto sul silenzio?” sussurrò tirandola leggermente indietro “Perdonate la mia mancanza di rispetto, sono il duca Johan Maximilian Henrik di Närke” “Duca con tutto il rispetto, non credo riuscirò mai a ricordare tutto il vostro nome” “Non importa” mormorò l'altro stringendo dolcemente la mano della ragazza “Potete chiamarmi semplicemente duca” “Come volete” “Max?” “Fratello” “Sai che tua moglie è nella sala grande?” “Davvero?” domandò confuso lasciando andare la mano della giovane “Credevo arrivasse domani” “E invece ha deciso di anticipare di un giorno la sua visita” gli occhi del duca si riempirono di tenerezza “Vogliate scusarmi, è da tempo che aspetto questo momento” un leggerissimo inchino prima di correre via “Mio fratello è molto legato alla sua sposa” “Non preoccupatevi duca” “Questo è davvero il più bell'esemplare fino ad ora mai visto” mormorò l'altro concentrandosi sul cavallo.
Vi girava attorno sfiorando di tanto in tanto il manto dell'animale come se in realtà sfiorasse il volto di un bambino “I muscoli sono proporzionati e ben sviluppati, lo sguardo vivo e pieno di allegria. Il colore è puro, il manto liscio, sano ...” sfiorò il muso del cavallo sorridendo “ … credo tu sia perfetta. Mia moglie sarà entusiasta di te e sono abbastanza sicuro che ti porterà fino in capo al mondo pur di averti accanto” Andrè restò immobile ad osservare quel cavallo dal temperamento irruento diventare improvvisamente docile e mansueto.
Si lasciava accarezzare come un agnellino sbuffando di tanto in tanto ma restando sempre lì, ferma sotto quelle mani sapienti che le trasmettevano solo calma “Siete davvero molto bravo, di solito nessuno le si può avvicinare. Sopporta a malapena mia moglie” “I cavalli sono esseri viventi speciali. Nei loro occhi vive l'essenza della vita libera e selvaggia. Quando vi montiamo in sella chiediamo in prestito una parte di quella libertà che altrimenti ci verrebbe negata. Sono nobili e come tali vanno trattati” Marie trattenne il respiro voltandosi verso il marito ma lo sguardo di Andrè bloccò di colpo l'irruenza dei pensieri “Volete che vi chiami la duchessa?” “No per ora no, è immersa nelle sue letture. Proverò questa meraviglia per qualche ora e poi, se la riterrò degna di lei la chiameremo, nel frattempo ...” si voltò verso Marie sorridendo affabile, Andrè aveva ragione, quegli occhi erano freddi, carichi di cielo e pieni di ghiaccio.
Occhi in grado di perforare l'anima e il cuore senza lasciare più nemmeno l'aria libera di entrare nei polmoni “ … che ne dite di raggiungere la mia meravigliosa sposa?” “Io?” domandò confusa ma l'altro sorrise “Stanno per servirle il cioccolato e sono sicuro che un po' di compagnia le farà piacere” “Voi lo pensate davvero? Insomma, non credo di essere la persona più adatta per ...” “Marie” “No amore mio, dico sul serio” “Lo so” ribatté divertito scostandole dagli occhi una ciocca di capelli “Andrà tutto bene” “Lo credi davvero? Perché io penso proprio che sarà un disastro” “Ti fidi di me?” annuì nervosa mordicchiandosi le labbra “Andrà tutto bene” “Venite, vi accompagno” la mano di François si strinse dolcemente attorno alla sua spalla costringendola a sussultare “Fai un bel respiro e segui questo brav'uomo. Io ti aspetterò qui” il duca rise continuando ad accarezzare il cavallo “Donne, cosa non si farebbe per loro?” “Avete ragione” “Sono così dolci e ingenue” “Mia moglie tende ad essere fin troppo diretta duca, per questo vi è qualche remora nel suo sguardo. Teme di poter infastidire la duchessa con qualche commento un po' troppo sincero” “Oh credetemi, ci vuole ben altro per infastidire la mia sposa” ribatté divertito “Allora, vogliamo provare questo gioiello?” “Con piacere signore” si avvicinò a lui dimenticando per un secondo il volto di Marie, i suoi occhi carichi di domande e qualsiasi altra cosa al mondo che non fosse quel cavallo e quell'uomo orgoglioso che vi montava in sella senza paura alcuna.




Non era mai stata in una casa tanto ricca né si era mai immaginata a bere del cioccolato assieme ad una duchessa.
Era nata tra la gente comune, figlia di un popolo che lottava giorno dopo giorno contro fame e povertà.
La loro vita era tutto sommato serena e decisamente migliore di quanto si sarebbe mai aspettata ma davanti a quelle sale così finemente decorate, tutti i sacrifici e i traguardi raggiunti sembravano perdere la loro importanza.
Lei che tornava a casa canticchiando felice quando al mercato riusciva a tener testa ai più grandi mercanti di cavalli, lei che si esaltava per quel piccolo gruzzolo nascosto sotto l'asse di legno del pavimento in sala ora improvvisamente perdeva la parola.
La ricchezza custodita in quelle stanze avrebbe potuto sfamare l'intero villaggio per decenni.
Sollevò lo sguardo incantata dai dipinti, dagli stucchi pregiati e da sculture così reali da sembrare vive.
Si sentiva piccola e insignificante e forse era proprio questo lo scopo di quel mondo lontano, un nobile non può comprendere lo stupore che riempie lo sguardo di un uomo comune di fronte a quell'oro prezioso ma lei, lei nata nella povertà, cresciuta tra gli stenti e la fatica poteva comprenderlo perfettamente.
Fece un bel respiro seguendo la cameriera oltre l'ennesima porta di legno chiaro completamente aperta entrando in una sala meravigliosa.
C'erano due camini stupendi ricavati nel marmo che immaginava accesi e scoppiettanti nelle rigide notti d'inverno, le pareti erano adornate da librerie di legno scuro colme di preziosi volumi.
Nell'angolo più luminoso riposava un bellissimo pianoforte accompagnato da uno spartito aperto, sul piedistallo accanto allo sgabello c'era un bellissimo violino con incise le iniziali di una giovane che lasciava trasparire il suo amore per l'arte e la musica senza velo alcuno.
Tre poltrone rosso porpora in mezzo alla sala e un tavolino sul quale riposavano due tazze ancora vuote ma quello che davvero attirava la sua attenzione non era la ricchezza di quella sala né i colori delicati che la rendevano tanto invitante.
C'era una giovane seduta su una di quelle poltrone che concentrava su di sé tutta la luce del mondo.
Se ne stava lì, persa nelle pagine del suo libro senza prestare molta attenzione al via vai di cameriere.
Sembrava avvolta da un velo di eterea dolcezza che la trasportava lontano dalla realtà.
Indossava un abito stupendo che le fasciava il corpo senza costringerla a sciocchi e rigidi movimenti.
Tessuto prezioso che veniva da chissà quale paese e che le fasciava il corpo rivelando la dolcezza e la perfezione di quei tratti.
Le spalle erano scoperte e il bordo dell'abito percorreva la linea delicata del seno avvolgendosi appena attorno al braccio.
I capelli chiari intrecciati tra loro, impreziositi da piccolissime gemme che di tanto in tanto brillavano sotto i raggi del sole.
Chissà quanto tempo aveva richiesto quella complicata acconciatura.
Forse ore, minuti lunghi ed estenuanti che l'avevano costretta a fissare il silenzio o forse solo pochi secondi, pochi sciocchi secondi per assomigliare ad un angelo.
Una treccia stupenda raccoglieva ogni ciocca di quell'oro disegnando complicati intrecci per poi ricadere dolcemente sulla spalla sinistra.
Il collo era sottile, le spalle delicate dal portamento elegante, indossava una collana semplice con un ciondolo minuto, fin troppo piccolo per la moda del tempo.
Nei suoi gesti c'era nobiltà, orgoglio, fierezza, lo poteva leggere nel modo tanto delicato che aveva di girare le pagine del libro, nel movimento leggero del petto quando il respiro accelerava appena, in quelle labbra di rosa perfette e delicate.
L'aveva immaginata per ore, aveva passato la notte sveglia a fissare il silenzio dipingendo nel buio della stanza quel volto lontano e sconosciuto ma la realtà che ora colpiva gli occhi non si avvicinava nemmeno lontanamente a quel dipinto “Perdonatemi altezza, la vostra ospite è qui” la vide sorridere sollevando lo sguardo dal libro“Venite avanti ve ne prego” mormorò invitandola a sedere di fronte a lei.
Ci mise qualche minuto a convincere le gambe ma alla fine, un passo dopo l'altro finì sulla poltrona, inchiodata lì dall'azzurro violento.
Quegli occhi di cielo dal taglio perfetto le perforavano l'anima costringendola a fare esattamente ciò che le veniva ordinato.
La sua voce era dolce, controllata, creata apposta per incantare ma c'era qualcosa di diverso, qualcosa di selvaggio e libero nel suo sguardo “Marie, avete un bellissimo nome” “Davvero?” mormorò confusa “Oh, scusatemi” “Non preoccupatevi, sono abituata alla sincerità” rispose divertita lasciando il libro tra le mani della serva “Mi rincresce interrompere le vostre letture ma, beh ecco, come posso dirlo senza apparire scortese ai vostri occhi?” “Vi hanno costretta” non rispose, a malapena si mosse “Mio marito è convinto di dovermi regalare l'universo intero” “Sembrate così diversa dalle altre dame” “Lo credete sul serio?” sorrise annuendo appena “Lo ritengo un complimento. Non amo molto le sciocche frivolezze di quel mondo luminoso” “Voi suonate duchessa?” “Il violino e il pianoforte, amo la musica, la trovo l'invenzione più bella che l'uomo abbia mai creato, qualcosa che si avvicina in modo impressionante a Dio” “Posso farvi una domanda?” la vide chinare leggermente il capo concedendole quell'attimo di tenera curiosità “Posso chiedervi cosa vi ha spinto a scegliere uno straniero? Voi siete nobile, francese, per quale motivo una terra tanto lontana?” “Scegliereste mai qualcosa di diverso da quanto l'amore ha già scelto per voi?” venne liberato il tavolino e tre giovani entrarono seguendo la governante “Il cioccolato è servito signora” “Grazie Inga” “Dovere vostra altezza” ad un cenno della donna i vassoi vennero posati e Marie trasalì sconvolta dalla raffinatezza di quei movimenti a lei tanto sconosciuti.
Non aveva mai visto niente del genere, le giovani serve indossavano abiti eleganti e un nastro di seta porpora abilmente intrecciato ai capelli.
Ogni movimento era studiato, ogni passo severamente controllato dalla governante ma quella dama così raffinata sembrava non prestare più molta attenzione ai loro gesti “Avete bisogno di altro signora?” “No per ora no, grazie” un altro inchino e poi di nuovo il silenzio a far loro compagnia.
Le sembrava in qualche modo di essere entrata in un libro di favole, un libro che descriveva la vita segreta di una principessa di un paese lontano.
Quella donna di fronte a lei assomigliava in modo impressionante a quella principessa, i suoi occhi carichi di vivacità erano in netto contrasto con il freddo del ghiaccio che poco prima aveva letto nello sguardo del duca eppure tra loro vi era un legame speciale che li spingeva continuamente uno verso l'altra “Prego” prese tra le mani la tazza fumante sorridendole “Mio marito adora la cioccolata, sono quasi certa che sia colpa sua se ogni pomeriggio ne chiedo un po'” sembrava una bambina, sorrideva divertita da quel pensiero tanto innocente dimenticandosi di essere in realtà la moglie di un uomo erede di una grande famiglia, una nobile donna raffinata, tremendamente bella e dannatamente intelligente.
Marie annuì imitando al meglio quei gesti tanto semplici, strinse tra le mani la tazza senza smettere di osservare il volto della duchessa.
Il suo sorriso era luminoso, l'incarnato di rosa proprio come l'aveva immaginato e due semplici orecchini che accentuavano la finezza di lineamenti freschi come l'aria “So che magari ai vostri occhi posso sembrare indiscreta ma, vorrei chiedervi il permesso di conoscere il vostro nome” “Che sciocca, mi rendo conto che parlare con qualcuno senza conoscerne il nome è alquanto fastidioso” “No, non è … vorrei solo dare un nome all'angelo che ho di fronte” “Ve ne prego Marie, trattatemi come una vostra amica. Non sono niente di diverso da ciò che siete voi” “Siete talmente bella. Sembrate quasi irreale e vorrei sapere se anche il vostro nome vi somiglia” la giovane sorrise costringendola a trattenere il respiro per l'ennesima volta “Non credo che riuscirete a ricordarlo per intero” “Dimenticavo il bisogno che avete di creare nomi lunghi e complicati. Tuttavia, vorrei provare se non vi dispiace” “Sofie Vivianne Helena Louise Anja Majken” “Sapete ...” mormorò stupita Marie “ … forse avete ragione, non potrei mai ricordarlo” la duchessa rise divertita dallo sguardo stupito di quella ragazza tanto diversa “Potete chiamarmi Helena se vi fa piacere” “Avete davvero un bel nome duchessa” “Quale dei tanti?” Marie sorrise rilassando per la prima volta ogni muscolo del corpo “Tutti e sei signora” ribattè infine “Ma pensavo che essendo voi francese anche il vostro nome sarebbe stato francese e invece sbagliavo” “Ho cambiato nome pochi giorni dopo il mio matrimonio” “Perché?” domandò confusa “Insomma, io non potrei mai cambiare il mio nome solo perché mio marito pretende una cosa del genere” “Mi sono innamorata della Svezia, non ho accolto pretese né assecondato capricci. È costume di quel paese rinunciare al passato e questo include anche il proprio nome. D'altronde, la nostra regina ha fatto la stessa cosa rinunciando alla vita austriaca che fino ad ora l'aveva cullata” “Ma non ha cambiato sé stessa per questo” gli occhi della giovane divennero improvvisamente più profondi e l'azzurro cristallino si trasformò velocemente in uno specchio d'acqua limpida “Non ho cambiato me stessa, io sono sempre la figlia orgogliosa di mio padre” ma per quanti sforzi facesse, l'attenzione di Marie era concentrata su quegli occhi tanto belli in grado di incantare.
Forse nemmeno lei era consapevole del fascino che esercitava sulle persone, le ammaliava, le costringeva ad ascoltare senza alcuna fatica.
Avrebbe potuto raccontarle qualsiasi cosa perfino un resoconto noioso delle cronache di guerra e sarebbe rimasta lì ad ascoltarla.
Era impressionante la forza che viveva in quello sguardo, così potente e pieno di vita “ Vi è assoluta libertà di scelta sapete? Cambiare nome mi ha legato a quel popolo e a quella terra in modo indissolubile ma conservo il nome di mia madre per ricordare a me stessa che perfino da così lontano, il cuore francese che mi ha dato la vita è qui per me e mi aspetta” “Louise?” “Non lo trovate un bel nome?” “Certamente” “E allora cos'è che vi sconvolge?” Marie trasalì nascondendosi dietro ad un sorriso “Lo leggo nei vostri occhi sapete? C'è qualche domanda che non vi lascia in pace. Coraggio, a volte è meglio lasciar uscire le parole, trattenerle è faticoso” “Stavo solo … ecco … non vi manca mai la Francia?” “Spesso, ma come vedete mio marito si è fatto carico di questa mancanza costruendo un piccolo paradiso. Posso venire in Francia ogni volta che ne ho piacere, ogni volta che desidero rivedere mio padre o mia madre” “Da sola?” “Sono molto più libera di ogni altra dama in questo bellissimo paese” mormorò divertita posando la tazza sul vassoio “Mio marito non ha motivo alcuno per seguirmi. Sono fedele al mio sposo, ne sono profondamente innamorata e lui non è da meno, che motivo avrebbe per dubitare di me?” “Vi ho immaginata una volta” “Davvero?” domandò incuriosita concentrandosi sul volto di Marie “Quando Andrè è ritornato dal suo piccolo viaggio mi ha parlato del duca e ne ho immaginato la sposa” “E le somiglio?” “Siete simile a lei ma in voi brilla una luce diversa” la vide sorridere raddrizzando le spalle, la collana si mosse appena sottolineando la finezza di muscoli armoniosi pieni di grazia “Sembrate fatta di luce duchessa” “Ora basta parlare di me, raccontatemi di voi” “Di me?” annuì elegantemente appoggiandosi ai cuscini “Raccontatemi la vostra vita Marie” “Non c'è molto nella mia vita che sia adatto ad una duchessa” “Ogni vita è speciale, ogni persona ci regala un pezzetto di sé e la trovo una cosa meravigliosa, raccontatemi la vostra vita” “Di cosa ...” “Raccontatemi casa vostra” la giovane fece un bel respiro cercando di rendere quel ricordo quanto meno adatto ad una dama tanto elegante “Beh ecco, la mia casa non ha nulla a che vedere con il vostro meraviglioso palazzo. È piccola e accogliente, il salotto custodisce un bellissimo camino in pietra e ci sono molti libri. All'alba, dalle finestre potete spiare la vallata appena sveglia, gli uccelli che iniziano il loro canto, il rumore dei carretti sulla strada sterrata e poi il buon profumo del pane appena sfornato” rise divertita da quell'immagine forse perfino sciocca “C'è un buon profumo di lavanda in ogni stanza e la cucina è sempre piena di dolcissimi manicaretti. La vita scorre lenta mia signora, non c'è fretta né si avverte il bisogno di combattere contro il dolce fluire del tempo” “Avete dei figli?” quella domanda lasciata cadere nel vuoto bloccò di colpo ogni parola, trattenne il respiro irrigidendosi sulla poltrona.
La reazione arrivò immediata, vide la giovane di fronte a sé sollevare leggermente una mano portandola alle labbra “Perdonatemi” sussurrò “Non volevo essere indiscreta Marie, è solo ...” “Non preoccupatevi, va tutto bene duchessa. No, non ho figli, mi sarebbe piaciuto averne ma Dio lassù ha deciso di regalarmi una vita diversa. Mio marito continua a ripetere che va tutto bene, che in fondo non gli importa più di tanto ma temo sia una bugia” “O forse è solo innamorato di voi. Non prendetevela per questo, Dio sceglie per noi ciò che più gli aggrada, possiamo solo accettare i suoi doni e vivere al meglio la nostra vita anche quando questa ci risulta difficile o vuota” “Voi avete dei figli?” un debole sorriso sfiorò il volto della duchessa e lo sguardo si riempì di tenerezza “Un maschio” “Un'erede” esclamò estasiata Marie battendo leggermente le mani “E quanti anni ha?” “Una settimana appena” “Avete appena dato alla luce un bambino? Però! Dovreste vedere la figlia del mugnaio, ha partorito da due mesi e sembra ancora che aspetti un piccolo vitello di ...” ma si bloccò di colpo trattenendo la spontaneità di quell'attimo “Siete divertente sapete?” “Posso chiedervi il nome del futuro duca?” la giovane sorrise giocherellando con un nastro “E volete saperli tutti e quattro o ve ne basta uno?” “Per non arrecarvi offesa mia signora, credo sia più opportuno conoscere tutto il nome di vostro figlio” “Niklas François Karl Eric. Potete scegliere quello che più vi aggrada” ma l'altra scoppiò a ridere nascondendo il volto dietro alle mani “Perdonatemi, non credo di … non ho idea di come facciate a ricordarveli tutti” “Vi ho già detto che siete divertente?” risero assieme come due giovani amiche, incuranti del grado che le separava, del titolo o di quella sala tanto bella.
“Partirò per la Svezia non appena mio figlio sarà grande abbastanza per sopportare un viaggio tanto lungo ma fino ad allora ...” si fermò qualche secondo cercando il volto di Marie “ … mi piacerebbe vedervi di nuovo” “Dite davvero?” “Siete un piacevole diversivo alla vita di tutti i giorni” “La trovate tanto noiosa?” “Al contrario invece, amo la mia vita ma al momento non mi è permesso fare niente di particolarmente pericoloso” “Di cosa state ...” “Non ho una balia né sono disposta a cercarne una. Mio figlio ha bisogno che io sia in forze per poter crescere sano ogni giorno di più” la governante bussò leggermente sulla porta attirando l'attenzione della giovane “Vostro marito vi attende altezza e vostro figlio reclama per sé la mamma” “Temo che mio marito dovrà aspettare qualche minuto ancora” si alzò dalla poltrona rivelandole ancora una volta la perfezione di un corpo appena sfiorato dalla maternità “Vi chiedo perdono Marie ma sono costretta a congedarmi da voi. Mi ha fatto davvero molto piacere incontrarvi, vi prego, riflettete sul mio invito” un pianto leggero costrinse quel volto tanto bello ad accogliere l'ennesimo sorriso “Venite Marie, vi accompagno” un leggero inchino per congedarsi da lei, da una giovane dal volto d'angelo che aveva cancellato in pochi secondi l'immagine che di lei custodiva nei pensieri.

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Capitolo 4
*** Opposti ***


Miei stupendi cuori, come vedete c'è un'altra favola pronta per voi.
Mi conoscete ormai, sono lieta di rispondere a qualsiasi domanda, di chiarire ogni dubbio e ogni sospetto.
Per quanto riguarda il "Uao" che Tixit mi ha gentilmente fatto notare, beh, ho una spiegazione logica o per lo meno accettatela come tale: stavo parlando con un'amica mentre scrivevo, il uao era diretto a lei ma le dita hanno capito il contrario ed è uscito dalle labbra di Andrè e da qualche altra parte ma l'errore è stato corretto..
Grazie a Tixit per avermelo fatto notare in modo simpaticamente insistente, grazie davvero perché io scrivo alla velocità della luce e molte volte non mi accordo di queste piccole leggerezze.
Cuori miei, vi auguro una buona lettura, un bacio enorme a tutti voi.






                                     Opposti






“Devo ammettere che avete fatto un ottimo lavoro” esclamò smontando da cavallo “È perfetta e sono certo che la mia sposa ne andrà pazza” “Mi fa piacere signore” “Avete mantenuto la vostra promessa, ora io manterrò la mia” si avvicinò a lui lasciandogli tra le mani tre sacchetti pieni di monete “State … no ve ne prego, non posso accettare tanta generosità” “Mi avete portato un cavallo stupendo, un animale degno di un re e meritate di essere ripagato nel migliore dei modi” lasciò le redini dell'animale tra le mani del giovanotto al suo fianco.
Andrè sorrise stupito dalla nobiltà che traspariva anche da gesti semplici come quello.
Cosa divide un uomo comune da un nobile? È solo un titolo? Una parola? Nell'uomo di fronte a lui era racchiusa tutta la forza e l'essenza di quelle sciocche sei lettere “Mi raccomando, che sia trattato nel migliore dei modi” “Agli ordini signore” il cavallo venne portato lontano da loro lasciandoli di nuovo soli ma il duca sorrise “Oh, ecco la vostra giovane sposa” Marie sorrise chinò leggermente il capo avvicinandosi “Duca” “Vi siete divertita?” “Nascondete un tesoro prezioso?” “Se lo mostrassi al mondo dovrei passare ogni minuto del giorno a difenderlo” “Il duca nasconde un angelo Andrè, un angelo di rara bellezza” “Quindi deduco che ti sia divertita con la duchessa” “Vedessi quant'è bella amore mio! I suoi occhi e le labbra, è proprio come l'ho immaginata anzi, è mille volte meglio” “Avete immaginato mia moglie?” domandò incuriosito l'uomo “Devo ammettere che il mio sogno si accostava appena alla reale bellezza che traspare dai suoi occhi” “Concordo con voi sapete? Credo di avere la sposa più bella di questo mondo ma non amo parlare di lei” “Io ne parlerei notte e giorno” “Non fraintendetemi Marie, vorrei passare ogni minuto di ogni ora assieme a lei ma descriverla al mondo vuol dire intaccare la pace stupenda che è riuscita a creare in sé stessa e in me” Andrè tossicchiò allungando verso di lui un sacchetto di velluto “Vi prego di riprendere questo duca, quanto pattuito andrà benissimo” “Non siate sciocco, non intendo rimangiarmi la parola data né riprenderò il vostro denaro” “Consideratelo un dono” esclamò Marie stringendo più forte la mano del marito “Un dono?” “Un dono per l'erede tanto desiderato che da una settimana vi sta regalando gioia ” “Marie” sussurrò Andrè “Sei impazzita per caso?” “Perché?” “Non puoi dire certe cose” ma l'uomo di fronte a lei sorrise scuotendo leggermente la testa.
Era divertito dalla semplicità di una giovane “normale” venuta da chissà dove, così diversa da lui, dal suo mondo, da tutto quello che fino ad ora l'aveva circondato “Vi ringrazio ma la felicità per la nascita di mio figlio mi impone una generosità oltre misura. Per questo accettate la mia gratitudine” “E ora che rispondi?” ribatté divertito Andrè “Credo sia ora di tornare a casa” “Si mia dolcissima sposa, credo tu abbia ragione” “Venite, vi accompagno” mormorò François ridendo di quella scena tanto innocente.
Si congedarono dal duca seguendo l'uomo fino al calesse, un saluto appena accennato e la semplicità di un uomo e una donna sorridenti.
“Avresti dovuto vederla” “Sei pazza amore mio” esclamò divertito stringendo più forte le redini “Sei completamente pazza” “Perché?” ribatté indispettita “Solo perché dico le cose con sincerità?” i cavalli sbuffarono iniziando a trottare lungo la strada “Non si parla così ad un nobile Marie” “Cos'ha di diverso dalla gente comune? È un uomo, un padre, un marito” “Ma il suo nome viene da una famiglia antica che merita rispetto” “Lo trovo sciocco Andrè, un uomo non può avere tanti nomi” rise seguendo con lo sguardo il parco accanto a loro.
Il verde si sfumava di rosso, giallo, rosa, colori allegri e vivaci che riempivano ogni aiuola e ogni angolo di prato “Guardala” mormorò incantata “Non la trovi bellissima?” seguì lo sguardo di Marie fino al duca.
Restava immobile davanti alla scalinata, le mani dietro alla schiena in quella postura fredda e distaccata che riservava al mondo intero.
Ma c'era qualcun'altro assieme a lui, qualcuno che fino ad ora non aveva mai nemmeno immaginato.
Una figura delicata apparsa improvvisamente dal nulla accanto a lui.
Perfino da così lontano poteva intuirne la dolcezza, il volto nascosto sulla spalla del marito, lontano da loro, abbastanza per apparire sfocata ma tanto vicina da sembrare un gioco fantastico dei pensieri.
Sembrava così tenera, così terribilmente bella, le braccia dell'uomo le cingevano i fianchi accentuandone la linea delicata.
Lo vide stringere più forte le braccia attorno a quel corpo esile sollevandolo da terra, un abbraccio divertente e pieno di allegria, un abbraccio fatto di baci e tenerezza “È davvero un angelo Andrè, un angelo di carne” “È solo una donna” “Io sono solo una donna, lei appartiene alla nobiltà. Puoi accorgertene anche solo guardandola, è nei suoi movimenti, nell'aria che respira, in quegli occhi di cristallo” “Marie ...” “È perfetta, a volte forse un po' troppo silenziosa” “Silenziosa?” mormorò incuriosito voltandosi leggermente verso di lei “Non siete rimaste assieme tutto il tempo?” “Parlo di silenzi diversi Andrè, come se l'anima e il cuore volessero parlare l'uno con l'altra attraverso i suoi occhi. Ecco, è un silenzio speciale, appare di tanto in tanto nel suo sguardo” “Dici davvero?” “Non so nemmeno io come spiegartelo, dovresti vederla per poterlo capire. I suoi occhi sono così limpidi, così pieni di vita. Hanno il colore del cielo eppure esistono in essi sfumature meravigliose che ne impreziosiscono lo sguardo” per qualche secondo davanti a lui apparve di nuovo il volto sfocato di Oscar.
Un ricordo che aveva gli stessi occhi, che si chiudeva negli stessi silenzi mascherando la paura dietro ai sorrisi ma non era con quel ricordo che sua moglie aveva bevuto della cioccolata, non era con quel ricordo che aveva riso e parlato perché quel ricordo era morto ormai sei lunghissimi anni prima.
Fece un bel respiro ridendo di sé stesso, di quel gioco perverso che la mente creava dal nulla “Allora? Cosa pensa della puledra?” “Ne è innamorato, è convinto che la duchessa possa amarla almeno quanto ama lui” “Se non sta attento credo che si prenderà ben presto ogni attenzione delle duchessa, bambino escluso ovviamente” risero assieme cancellando per qualche secondo ricordi, emozioni e passato.




“Che stai facendo?” sfiorò con le labbra la fronte della moglie sedendo poi accanto a lei.
Il sole era alto nel cielo e la primavera inondava di colori ogni angolo del piccolo giardino.
Inspirò a fondo lasciandosi accarezzare dai raggi tiepidi, seguiva con lo sguardo le mani agili di Marie.
Era sempre stata brava a dipingere, ripeteva sempre che quella tela bianca era la porta per un mondo pieno di vita.
La stessa vita che i colori esprimevano mischiandosi assieme, creando sfumature e ombre.
La punta del pennello toccò la tavolozza posandosi poi sulla tela limpida “Marie?” “Dipingo un angelo” “Una donna” puntualizzò inclinando leggermente la testa di lato.
Sul bianco limpido vi era uno schizzo leggero che fino ad ora non aveva notato.
Tratti appena accennati, l'ovale del volto, il naso, gli occhi “Stai dipingendo una donna” “Non sei divertente” “È bella” mormorò infine posando una mano sullo schiena della giovane “È molto bella” “Ma se non esiste nemmeno” “Non ancora ma a breve colorerai la sua pelle di rosa, le sue labbra, i suoi occhi. Le darai un volto e un nome e allora diventerà reale” posò un bacio sul collo della moglie costringendola a sorridere.
Amava il suono della sua risata, quel modo tanto buffo che aveva di arricciare le labbra, amava tutto di lei.
Era un amore nuovo, fresco, forse troppo frettoloso ed acerbo.
Colpa sua, d'altronde, quale miglior rimedio per dimenticare se non vivere un'altra volta? Oscar restava inchiodata dentro di lui, aggrappata al cuore, attaccata all'anima.
Ricordava ogni cosa di lei, perfino il suo profumo ma ora aveva Marie accanto e non avrebbe più permesso a quel volto d'angelo di massacrargli i pensieri.
Era egoista? Forse, ma dopo cinque anni meritava un po' di serenità e quella giovane dagli occhi di notte le avrebbe regalato la pace tanto desiderata “Come la chiamerai?” “Helena” “Helena? Che razza di nome è?” Marie sorrise continuando a dipingere “Potresti chiamarla in tanti modi diversi. Magari con un nome francese amore mio” “Perché?” “Quella duchessa ti ha rubato i pensieri non è così?” rise giocando con i suoi capelli “Che avrà mai di tanto speciale” “Non so spiegartelo nemmeno io. Credo di esserne così attratta perché vedo in lei uno sguardo puro e limpido che da tempo cerco in ogni persona che incontro. È perfetta” “E come lo sai?” domandò confuso “Ho sempre cercato la modella giusta per i miei quadri. Una donna in grado di trasmettere vita attraverso la tela” “La figlia del mugnaio è sempre stata la tua modella preferita” “Già” “Ma?” la ragazza sospirò fermandosi qualche secondo “Non so spiegartelo amore mio. Quando l'avevo davanti cercavo di formulare pensieri sensati ma di fronte a quel volto le parole si bloccavano da qualche parte in fondo alla gola. È così buona e delicata” “Anche uno sciocco può esserlo” sbottò gelido ricacciando indietro un pensiero incosciente.
La mano della ragazza si strinse attorno alla sua costringendolo a respirare di nuovo “Non è una sciocca. Lei è bella e determinata, è incapace di mentire né conosce la frivolezza che accomuna ogni altezzosa dama di Parigi. Sono così diversi, così opposti l'uno all'altra” “Forse per questo restano assieme” lo sguardo confuso della giovane lo fece sorridere.
La sua dolcissima Marie, così ingenua e curiosa, così ignara della vita e al tempo stesso innamorata di essa “Due cuori uguali non batteranno mai in modo perfetto. Se il duca assomigliasse alla sua sposa niente della loro vita sarebbe reale. Vivrebbero in un mondo falso e colorato dalla semplicità ma la vita non è mai così. Ci vuole l'assenza per comprendere l'importanza di una persona, i diverbi per rafforzare l'amore, la passione per unire due corpi e due anime” sfiorò la fronte della giovane scostandole una ciocca scura dagli occhi “Se la duchessa è davvero come la descrivi, allora non poteva che essere la donna giusta per il duca” “Lo credi davvero?” “È un uomo, è razionale e forte. Abituato fin da bambino a reggere il peso di un'eredità forse troppo grande, non si piega, non vacilla ma come ogni uomo, dentro al cuore ...” posò una mano sul petto inspirando “ … custodisce la paura che appartiene a tutti noi” “E qual'è?” “Restare soli. Per quanto si ostini a sembrare forte e duro, in realtà dentro di lui vive ancora quel bambino spaventato di un tempo che ha lasciato l'infanzia troppo presto diventando uomo” strinse più forte la mano attorno a quella della ragazza sospirando.
Era bravo a districare i pensieri degli altri ma la vera lotta iniziava con sé stesso, con quel continuo negare a Marie la possibilità di conoscere il motivo dei suoi incubi “Quella bellissima duchessa che ti ha rubato i pensieri Marie, è la forza che lo costringe giorno dopo giorno ad alzarsi in piedi e lottare contro il mondo. Lei è l'aria che respira, la mano tesa verso di lui nei momenti di sconforto. È nel suo abbraccio che ritrova sé stesso, nei suoi sorrisi rivede di nuovo il fanciullo che tempo addietro amava correre e giocare. Lei gli ha regalato la possibilità di cambiare sé stesso ricominciando a vivere” una farfalla si posò leggera sul bordo della tela.
Le ali si piegarono dolcemente nascondendogli la possibilità di spiarne i colori “Ecco perché restano assieme amore mio. Sono uno la vita dell'altra” “E cosa accade se quella luce si spegne?” “Cosa?” “Per regalargli vita deve rinunciare a sé stessa. Cosa succede se quella luce si spegne?” “Sono sicuro che quella luce brillerà per sempre perché come lei regala sé stessa, sono certo che anche il duca doni alla sua sposa qualcosa di speciale” “Non lo so” sbuffò tornando ad intingere il pennello nel colore “Non credo sia giusto” “Rifletti Marie, quel bambino sarebbe mai venuto al mondo altrimenti?” ci mise qualche secondo a convincersi ma alla fine sorrise e un debolissimo no le uscì dalle labbra "Tornerai da lei?" "Non lo so Andrè, mi è sembrato così strano" "Pensaci amore mio, dopotutto, essere invitati da una duchessa è una bella cosa" la vide annuire incurante delle sue parole, c'era solo quel quadro e nient'altro nei suoi pensieri.
Si chinò leggermente verso di lei baciandola “Coraggio, sono proprio curioso di vedere il volto di quest'angelo” ma lei ridacchiò spingendolo leggermente indietro.
In fondo era quella la sua vita, proprio lì, assieme a quella giovane che dipingeva il mondo e che in qualche modo lavava via dagli occhi i ricordi passati, ricordi che fino a pochi secondi prima erano rinati nelle parole così piene d'affetto, così spontanee e violente.
Fece un bel respiro perdendosi con lo sguardo sulla linea delicata dell'orizzonte e sul volo di quella farfalla colorata che lasciata la tela, si dirigeva tranquilla verso il futuro.

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Capitolo 5
*** Dono Prezioso ***


                                  Dono Prezioso







Aveva già visto la perfezione prima, esisteva in natura, nei mari della sua terra, nelle montagne, nei boschi lussureggianti.
Perfezione che spesso aveva invidiato e che inconsciamente fin da bambino aveva sperato di possedere e forse ci era riuscito, aveva incontrato un sogno, il suo sogno e ogni certezza era crollata sciogliendosi come neve al sole.
Sarebbe rimasto a guardarla per ore senza mai stancarsi, era così bella, così dannatamente bella da cancellare tutto il resto.
Fece un bel respiro imprimendosi a fuoco nella memoria i passi lenti, quel sorriso leggero sul volto che troppe volte aveva incantato gli uomini.
Al sicuro cullato dalle braccia di sua madre riposava sereno un bambino di pochi giorni appena.
Dormiva tranquillo incurante del mondo che gli scorreva attorno, esisteva solo quella dolcissima nenia cantata a fior di labbra e nient'altro.
Non riusciva nemmeno a descrivere la gioia immensa che aveva provato ormai undici giorni prima, l'emozione di quel primo vagito e il volto di sua moglie sfinito dal parto, arrossato eppure così bello.
Negli occhi portava ancora i ricordi di quel giorno lungo e terribilmente spaventoso,  quella corsa trafelata che aveva portato François nel suo ufficio e la faccia confusa del primo ministro francese.
Ci aveva messo pochi secondi a capirne il motivo e ancora meno a lasciare quel palazzo insulso che diventò improvvisamente l'ultimo dei suoi pensieri.
La corsa a cavallo verso casa, le scale e i corridoi fino alla porta della loro camera e d'improvviso quel pianto di vita che gli fermò il cuore.
Ricordava l'emozione dipinta negli occhi della sua governante quando si avvicinò a lui sussurrando “È un maschio” e la gioia immensa che accompagnò le lacrime.
Helena gli aveva regalato un mondo pieno di vita, la stessa vita che ora brillava così forte in lei, nel movimento leggero delle labbra, in quel corpo meraviglioso nascosto da un abito caldo come il cielo al tramonto.
Era stato preparato fin da bambino a ricevere il peso di un'eredità tanto importante, suo padre gli aveva cancellato dal cuore la possibilità di essere felice perché frivolezze come l'amore passavano in secondo piano.
Nel suo futuro avrebbe trovato solo affari, incontri con uomini importanti e ricchezze di ogni tipo.
Non considerava sbagliate le scelte del padre né si preoccupava di spiegare al mondo per quale motivo in lui non brillava il desiderio di sposarsi e avere dei figli ma era bastato un viaggio in Francia per sconvolgere di nuovo tutto.
Aveva incontrato Helena per caso, il suo sguardo l'aveva incantato e quel sorriso stupendo era riuscito dove altri prima di lei avevano fallito.
Sorrise perdendosi nei dolcissimi ricordi del loro primo incontro.
Il sole caldo sulla pelle, il cielo cristallino vestito di un azzurro così intenso da fare male agli occhi.
Era tornato a Parigi per seguire importanti affari di famiglia, non amava mai soggiornare troppo a lungo in Francia, considerava la frivolezza dei nobili una continua vessazione per un popolo che non meritava sofferenze tanto grandi.
C'era un buon profumo di lavanda nell'aria, lo stesso profumo che sua madre era solita spargere per le sue stanze e che fin da bambino l'aveva accompagnato.
Si erano fermati lungo la strada per far riposare i cavalli e  un angelo vestito di velluto gli corse incontro cavalcando ad una velocità impressionante.
Così l'aveva vista la prima volta, con il volto arrossato, i capelli in disordine, le mani strette attorno alle redini e un bellissimo vestito color porpora mezzo slacciato sulla schiena.
Si era fermata di colpo a pochi passi da lui ridendo quando provò a spiegarle come mai un uomo di rango così elevato, si trovava in mezzo a quella strada sterrata assieme al suo cocchiere.
Il loro incontro era durato poco meno di un minuto eppure quell'unico battito di ciglia, era bastato a legare assieme due cuori tanto diversi.
Aveva classificato quel giorno come “attimo di debolezza”, una futile mancanza cbe non meritava altre attenzioni e senza più pensarci, aveva portato a termine il suo lavoro ma la vita a volte, nasconde regali preziosi dietro alla semplicità di una cena elegante.
Quegli occhi erano tornati prepotentemente davanti a lui, lo stesso volto, lo stesso sorriso.
Si accorse con il tempo, che quella giovane dagli occhi di zaffiro aveva il cuore pieno di ferite e la mente confusa da un passato che faticava a ricordare, un passato che l'aveva lacerata dentro costringendola a lottare con sé stessa e con il mondo “Fai rumore quando pensi” “Scusami” tornò improvvisamente alla realtà cullato dalla voce di sua moglie “Stavo solo ...” “Ci stavi spiando?” rise divertita sollevando lo sguardo “Stiamo bene, non preoccupatevi per noi” “Come puoi chiedermelo?” si avvicinò di un passo sfiorandole il volto “Sei pallida, forse dovresti riposare” “Ho già riposato abbastanza” le labbra dell'uomo si posarono sulla fronte del bambino piegandosi in un dolcissimo sorriso quando una manina si chiuse attorno al dito “È così piccolo” “Vostro figlio vi ha rubato il cuore duca” “Impossibile, l'hai già fatto tu” un bacio dolce e delicato unì i loro respiri.
Amava il profumo delicato di suo figlio, quel profumo di bambino che rilassa e costringe gli occhi a sorridere, quel profumo che si mischiava insistentemente a quello della sua mamma e che stordiva i sensi lasciandolo debole e indifeso.
Sarebbe rimasto così per sempre, con le braccia strette attorno a loro e la fronte posata alla sua, immobile in un silenzio perfetto che li rendeva ogni giorno un po' di più famiglia “Ho un regalo per te” “Nils” “Questa volta giuro che non è un castello” “Amore io non ...” “Lo so” sussurrò giocando con una ciocca d'oro “La mia dolcissima Helena non ama i regali” “Tuo padre cerca di comprare il mio perdono bambino mio” “Puoi fidarti di me? Ti piacerà” ma lo sguardo indeciso sul volto della moglie lo fece sorridere “Non hai bisogno di regalarmi il mondo, tutto quello che desidero ce l'ho già” strinse più forte il figlio tra le braccia sorridendogli.
“Che ne pensi di quella giovinetta?” “Quale?” domandò confusa “Marie” “La trovo divertente. È educata e piena di vita” si avvicinò alla culla scostando la tendina “Forse un po' impacciata” “Già” “Non essere troppo duro Nils, non è questo il suo mondo” “Questo è evidente” “Le ho chiesto di tornare a farmi visita” “Davvero?” domandò stupito posando entrambe le mani sul bordo chiaro del lettino.
La vide sorridere annuendo appena mentre con cura posava il figlioletto tra le coperte “Penso sia un piacevole diversivo alla vita di ogni giorno” “Ti annoi?” “No ma lei è una faccia nuova, dà brio e allegria” “Helena” la strinse per le spalle voltandola appena verso di sé “Non voglio vederti triste o dispiaciuta per ...” “Per caso ti sembro triste?” sentì una mano sul volto scendere leggera fino al petto “Non sentirò la mancanza di quella giovane quando torneremo a casa” “Ti conosco amore mio, ti affezioni alle persone e doni loro tutta te stessa e quando poi le lasci, vedo nei tuoi occhi un'ombra leggera e non ...” chiuse gli occhi qualche secondo cercando un modo per esprimere i pensieri ma lei sorrise sollevandogli il volto.
Non era mai stato bravo con le parole, non aveva mai regalato sé stesso a qualcun'altro ma questo non le era mai importato.
Amava suo marito, così tanto da accettare qualche silenzio di più ma in fondo non aveva alcuna importanza.
Poteva leggergli dentro con una semplicità disarmante.
Sorrise con tenerezza seguendo i lineamenti del suo volto “Puoi smetterla di preoccuparti per me, sono diventata grande ormai” “Lo so” “Davvero?” “E sia, se questo ti rende felice allora le chiederò di tornare” le diede un bacio ricacciando indietro la voglia folle di proteggerla dal mondo intero.
Lui uomo tutto d'un pezzo, abituato a vincere e a lottare, di fronte a lei perdeva ogni forza diventando improvvisamente indifeso “È sposata Nils, non credo che suo marito sia molto contento di lasciarla viaggiare da sola ...” coprì meglio il figlioletto soffermandosi qualche secondo sui lineamenti delicati che riempivano il suo volto “ … forse potrebbe raggiungerla, abbiamo molte stanze libere” “No amore mio, non credo sia possibile” “No?” domandò stupita cercando di nuovo lo sguardo di suo marito.
C'era confusione nel suo sguardo e un velo di paura che poche volte aveva incontrato “Nils?” gli sfiorò le labbra costringendolo a sospirare “Vuoi dirmi cosa c'è che non va?” “Tuo padre verrà a farci visita a breve, non credo sia opportuno avere molte persone ...” “Non è affatto un problema” “Hai partorito undici giorni fa e ti occupi della casa, del mio carattere troppo irruento, allatti nostro figlio. Hai bisogno di tranquillità” “Se pensate che sia una fragile damina avete sbagliato duca” “Al contrario” strinse le mani attorno ai suoi fianchi tirandola leggermente in avanti “Penso che voi siate la più bella duchessa del mondo. Penso che siate una creatura terribilmente forte e troppo ostinata, penso che siate la cosa più bella che mi sia mai accaduta e penso anche, che quando siete così vicina a me ...” sentì le braccia della ragazza stringersi dolcemente attorno alle spalle e un debole sospiro dolce come il miele sfiorargli le labbra “... perdo improvvisamente ogni forza. Ti ho mai detto che ti amo?” ma lei annuì baciandolo “No Helena, così non migliori la situazione” “No?” domandò divertita lasciando un altro bacio su quella bocca tanto bella “Allora forse dovreste mostrarmi il vostro regalo duca, altrimenti ho idea che non sarete più in grado di parlare” “Io ti odio” “Non è vero” sussurrò abbracciandolo “Tu mi ami da impazzire” “È vero, hai ragione” la sollevò da terra costringendola a ridere e senza più nemmeno riflettere uscì dalla stanza.

Correva ridendo come un matto incurante degli sguardi divertiti della servitù o delle proteste di sua moglie.
Una sala, un'altra ancora poi la luce del sole e il profumo dei fiori ad invadere i sensi “Amore mio ...” la posò a terra voltandola verso il parco “... ecco il mio regalo per te” “Tu hai … è mio?” domandò tremante avvicinandosi al cavallo “Oddio, sei bellissima” sfiorò il muso dell'animale lasciandovi un bacio leggero “Sei perfetta” “Ti piace?” si voltò verso l'uomo trattenendo a fatica le lacrime.
Sentì il cuore tremare nel petto mentre gli occhi imprimevano a fuoco nella memoria quel volto tanto bello a pochi passi da lui “È perfetta Nils” “Come la chiamerai?” “Non lo so” Helena girò attorno all'animale stringendo tra le mani i finimenti “Oh no amore mio” esclamò d'improvviso correndole accanto “Scordatelo chiaro? Non puoi ...” “Sto bene” infilò il piede nella staffa e montò in sella divertita dallo sguardo severo del marito.
Le gambe si chiusero sicure attorno ai fianchi dell'animale e il volto si illuminò di nuovo “Sento il suo respiro” mormorò estasiata “Helena, voglio solo che tu stia attenta” “Andrà tutto bene, è solo una piccola passeggiata per il parco e niente di più” “Ti fa male?” “No” ma lui sospirò incrociando le braccia sul petto “D'accordo, solo un po' ma sto bene” la vide stringere più forte le gambe attorno al cavallo mentre una mano si posava leggera sul ventre.
Cercava di nascondere quella fitta leggera dietro al sorriso ma più ci provava e più si rendeva conto che gli occhi di suo marito smascheravano la bugia “Promettimi che non correrai” “Nils ...” “Non sento” “Te lo prometto” si chinò leggermente verso di lui, le labbra si sfiorarono appena e un bellissimo sorriso colorò gli occhi della giovane.
L'aiutò a raddrizzare di nuovo la schiena ignorando a fatica quel dolore leggero e costante “Martin verrà con te” “Agli ordini signore” esclamò un giovane capitano a pochi passi da loro.
Un altro stalliere portò al soldato il suo cavallo chinando leggermente il capo di fronte a lei “Non permetterle di fare pazzie, niente corse folli per raggiungere chissà quali mete” “Non temete signore” “Lo sai che sei insopportabile quando fai così?” “Potrai correre a perdifiato tra qualche settimana amore mio. Fino ad allora ti prenderai cura di te stessa. Cinque minuti di passeggio e poi di nuovo con i piedi per terra. Ricordi cos'ha detto il dottore?” ma lei sorrise toccando leggermente i fianchi del cavallo.
François si avvicinò al duca tossicchiando “Io giuro che la lego alla poltrona del salotto” “Oh andiamo, da quando sei così preoccupato? Dopotutto è solo una passeggiata” “Non dovrebbe nemmeno pensarle queste cose” “Sai bene che adora cavalcare. Come puoi farle un regalo del genere e poi pretendere che finga di essere diversa da ciò che è?” si voltò confuso verso di lui cercando di rispondere ma quella voce calma e profonda bloccò ogni tentativo di replica “Non hai più alcun motivo per nasconderla al mondo” “Non voglio che soffra” “E per cosa?” ribatté François “Ho paura di vederla piangere, ho paura di perderla nel silenzio” la mano dell'uomo si strinse con forza attorno alla spalla costringendolo a respirare di nuovo.
“Sono passati anni ormai e tua moglie è ancora qui. Le hai regalato serenità strappandola ad una vita ingiusta. Godetevi quest'amore e lasciate fuori dal vostro mondo ogni altra preoccupazione” fece un bel respiro cercando di cancellare ogni dannato pensiero.
Era talmente innamorato di lei da non riuscire più ad immaginare la vita senza la sua dolcissima Helena “Se non avesse così male al ventre probabilmente starebbe già correndo a perdifiato” mormorò François seguendo con lo sguardo i passi della giovane.
Cavalcava con una grazia ed un eleganza tali da far impallidire perfino il più esperto cavaliere di sua maestà.
La schiena dritta, le spalle rilassate, teneva le redini basse seguendo con il corpo i movimenti del cavallo “Ho visto tuo figlio poco fa, diventa più grande ogni giorno che passa” “Trovi che mi somigli?” “Che domande sono ragazzo mio?” balbettò confuso ma Nils scosse leggermente la testa “Vedo in Niklas tanto di Helena e forse sono grato al cielo per questo” il silenzio di François lo costrinse a continuare “Non voglio che viva il passato che mi è stato regalato” “Non vivrà niente di quello che hai provato tu” “Dovrei prendere a servizio una balia” “Te l'ha vietato ricordi?” “Non dovrebbe stancarsi così” “Oh bambino mio, io credo che sia forte abbastanza per tutti noi” si voltò appena verso di lui sorridendo “Tuo suocero sarà qui a momenti. Come ti senti?” “La contessa è assieme a lui?” “No” “Male, mi sento male” ma l'altro rise divertito da quell'uomo che ormai non riconosceva nemmeno più.
Il suo piccolo Nils era diventato grande e tutto era accaduto troppo in fretta.
L'aveva cresciuto, si era preso cura della sua educazione, della sua istruzione, aveva seguito le direttive del duca suo padre trasformando un bambino sorridente e pieno di vita in un piccolo uomo cresciuto troppo in fretta.
Ora più che mai, sentiva bruciare dentro di sé il senso di colpa per aver permesso al piccolo Nils di sparire così “Ogni volta che mi guarda sento qualcosa di strano dentro, come se fossi costretto a dimostrare ogni minuto che passa il mio valore” “Non sei all'altezza di sua figlia” “Mi ha concesso la sua mano” ribatté indispettito ma l'altro sospirò scuotendo leggermente la testa “Non sarai mai all'altezza di sua figlia. Non ti sei accorto dell'amore che prova nei suoi confronti? È protettivo e sempre pieno di attenzioni. Si scrivono ad intervalli regolari e lei è talmente legata al padre da non riuscire ad immaginare la propria vita senza” “Non ho mai voluto interrompere questo legame” “Lo so e questo mi rende orgoglioso di te. Cerca solo di essere te stesso e tutto andrà bene” un bellissimo sorriso sul volto poi di nuovo il volto sereno di Helena di fronte a loro.
Se ne stava seduta in sella a quella bellissima giovane cavalla come se in realtà sedesse sul divano del salotto.
Le spalle rilassate, la schiena dritta e l'espressione gioiosa di una bambina “Sono passati cinque minuti” “Vostro marito ha ragione duchessa. Non dovreste affaticarvi così” sbuffò divertita smontando lentamente “Ecco duca ...” si avvicinò a lui sistemando i lacci del corpetto “ … come vedete i miei piedi sono ancora ben saldi al suolo” “Tuo padre sarà qui a momenti. Ho fatto preparare la stanza più bella, le nostre cucine sono ben attrezzate e le scuderie pronte ad accogliere ogni sua protesta” “Vedrai che non sarà tanto male” “No fino a quando ti vede passeggiare. Se fosse arrivato mentre eri in sella mi avrebbe ucciso” ma lei non lo ascoltava nemmeno più.
Lo sguardo era perso da qualche parte oltre le sue spalle, seguiva il trotto di una carrozza color della notte, sul suo fianco uno stemma caro al suo cuore, così tanto da costringerla a correre verso il cancello lasciando solo un marito innamorato alle sue spalle..




 

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Capitolo 6
*** Solo un Nome ***


                                       Solo un Nome







Aveva passato una giornata d'inferno. Tre dei suoi cavalli si rifiutavano di mangiare, un recinto era stato sradicato e aveva assunto due braccianti in più per sistemare quel disastro e raggruppare gli animali.
Si chiuse la porta di casa alle spalle assaporando qualche secondo il dolce tepore della sera.
Il camino era acceso e le candele sugli scaffali illuminavano ogni angolo riflettendo sul legno l'arancio chiaro del fuoco.
Lasciò la giacca sulla sedia accanto al tavolo, i piatti erano già al loro posto e così anche i bicchieri “Marie” dal silenzio non arrivò nessuna risposta, staccò un pezzetto di pane avvicinandosi al fuoco ma lo sguardo venne attratto dalla tela.
Ferma sul cavalletto a pochi metri dalla poltrona, le sfumature sul bianco erano più accentuate, più reali di prima.
Si avvicinò al quadro divertito da quel dolcissimo disordine che gli regnava attorno.
I colori erano sparsi sul tavolino e i pennelli un po' qua e un po' là.
Studiò qualche secondo il volto incatenato lì sopra.
L'incarnato rosa, candido, leggero come uno di quei fiori appena nati che schiudevano i petali al sole.
I lineamenti ora più chiari lasciavano trasparire la fresca gioia della giovinezza.
Il collo sottile, i capelli sfumati biondi ma il colore era ancora troppo leggero, sembrava quasi una prova a metà dove Marie non era ancora riuscita ad unire i pensieri alla realtà.
Inclinò leggermente la testa soffermandosi su quelle labbra tanto belle schiuse in un sorriso, tinte di rosa e pesca e poi gli occhi, l'unico punto ancora privo di vita.
Forse sua moglie aveva ragione, dare un colore al cielo richiedeva tentativi e una buona dose di coraggio ma da qualche parte dentro di sé, aveva la strana sensazione di aver già visto quel volto da qualche parte.
Magari in sogno, sì, in uno di quei sogni che per anni gli avevano sconvolto la mente o magari era solo una sciocca fantasia.
Quello era l'angelo di Marie, la sposa di un uomo ricco e potente, per quale motivo sarebbe dovuta entrare nei sogni di un povero umano? Si voltò verso la porta attratto dalla voce squillante di sua moglie “Ehi, scusami, sono uscita qualche minuto per controllare le galline” “Le galline?” “Mi sembrava ce ne fossero due di meno” tolse lo scialle sbuffando“In realtà erano solo nascoste” un bacio veloce prima di tornare di corsa verso la cucina “Com'è andata la giornata?” “Orribile” “Davvero?” “I puledri continuano ad avere problemi con il cibo e il vento di ieri sera ha distrutto il recinto nella vallata” “Mi dispiace amore mio. Domani vengo con te, se hai bisogno di aiuto posso ...” “Quando lo finirai?” si voltò confusa verso di lui cercando di capire a cosa si riferisse ma quando lo sguardo colpì il quadro, un bellissimo sorriso le sfiorò le labbra “Ti piace?” “È molto bella” “Aspetta di vederlo finito” “Non credi che i capelli siano troppo chiari?” “Come posso darle un colore che non è il suo?” “Esistono poche persone baciate dal sole” “La mia Helena è una di quelle” “Davvero?” domandò confuso tornando a fissare il quadro.
Non riusciva a capire per qualche sciocco motivo ne fosse tanto affascinato “Che strano” “Cosa?” domandò Marie lasciando la pentola sul tavolo “Niente, pensavo solo che somiglia ad una persona” si sedette di fronte a lei sospirando ma lo sguardo della giovane non lasciò nemmeno per un momento il suo volto “Che c'è?” “Andrè tu non parli mai … insomma non ...” “Marie” “Com'è morta?” il cuore mancò un colpo e l'aria si bloccò nei polmoni.
Non era pronto a parlare di lei, non era pronto a condividerla con il resto del mondo.
Strinse più forte i pugni tentando di respirare “È accaduto molti anni fa” mormorò tremante “Non è bene trascinare il passato nel presente” forse lei era troppo ingenua per poterlo comprendere o forse era semplicemente colpa sua perché se avesse parlato con sua moglie, se le avesse raccontato quel passato forse avrebbe reagito diversamente.
Si sentiva male, stremato dal peso di quel ricordo tirato fuori all'improvviso “Dicono che il tempo sani tutte le ferite” “Ed è così?” sollevò lo sguardo incontrando gli occhi di Marie, la vide sorridere intenerita da quell'unica lacrima “No, credo sia una bugia” “Allora Andrè, cercheremo di rendere quella bugia più sopportabile” intrecciò le dita alle sue sorridendo “Ora basta parlare. La cena è pronta” ma leggeva disagio nello sguardo di sua moglie.
Non avrebbe parlato di Oscar, non l'avrebbe fatto né con lei né con nessun'altro.




“Non dovresti essere a riposo?” “Ho avuto un figlio, non mi hanno sparato né sono saltata giù da una carrozza in corsa” ma l'uomo sospirò portandosi le mani dietro alla schiena.
Il portamento rigido e fiero di chi passa tutta una vita seguendo le regole era quello che fin da bambina aveva ammirato e che forse, segretamente, sperava di imitare.
Le camminava affianco nascondendo l'orgoglio di padre ora anche nonno, quello stesso orgoglio che l'aveva costretto ad aspettare fuori dalle sue stanze quando Niklas era venuto al mondo.
Lo stesso orgoglio che aveva dipinto sulle labbra sottili un dolcissimo sorriso, che aveva costretto un uomo testardo e altero a cambiare di colpo “Allora, cosa dice il medico?” “È sano e forte. Cresce ogni giorno un po' di più, sono certa che tra qualche mese inizierà a camminare” esclamò divertita ma l'altro sorrise scuotendo leggermente la testa “Se ti somiglia almeno un po' imparerà a correre e poi a camminare”oltrepassarono l'ennesima sala chiacchierando amabilmente.
Amava passare del tempo con suo padre, in sua compagnia ritrovava sé stessa e quel passato tanto bello che l'aveva trasformata nella donna che era “E riguardo a te bambina?” “A dire la verità è stupito dalla velocità di ripresa del mio corpo” “Questo lo sono anche io” ribatté divertito seguendola oltre la porta “Devo ammettere che ne sono contenta” “Davvero?” “Stupirvi equivale a vincere il più bel duello di pistola mai visto” “Sono qui da due giorni e rimpiango la quiete silenziosa e priva di irriverenza che mi circonda a Parigi” la prese a braccetto raddrizzando le spalle “Mia madre?” “Verrà qui non appena sarà libera dai suoi impegni” “Inga, puoi chiamare mio marito?” “Subito altezza” la governante si chinò leggermente in avanti uscendo poi seguita da due cameriere.
Era una bella giornata, luminosa, tiepida e in qualche modo dolcemente diversa.
Si avvicinò alla culla del figlioletto giocando con quelle manine minuscole e perfette “Padre ...” sollevò il bambino voltandosi radiosa verso di lui “ … vostro nipote non vede l'ora di abbracciarvi” “Hai dormito bene piccolo angelo?” prese tra le braccia quel corpicino assopito costringendola a sorridere.
L'uomo forte e orgoglioso di un tempo era stato sostituito da qualcuno di sconosciuto e lontano.
Un uomo che sorrideva passeggiando per la stanza con un neonato tra le braccia.
Un uomo che d'improvviso aveva dimenticato la fredda vita del passato e che parlava con il nipote giocando con la voce, facendo smorfie buffe e divertenti che mai avrebbe immaginato su di lui “Ti somiglia” “Trovate?” “Devo ammettere che ne sono sorpreso, pensavo avesse tutto di Nils e nulla della Francia” “Vi prego” “Dico davvero sai?Ha le tue labbra e i tuoi occhi, le mani sono proprio come le tue bambina mia” “Avrà anche qualcosa di mio marito?” “Il colore dei capelli” buttò lì osservando il volto del nipote ma lei sorrise sedendo sul divanetto “Padre?” “Che c'è?” “Conoscete una giovane di nome Marie?” lo sguardo dell'uomo divenne improvvisamente più freddo.
Si sedette di fronte a lei continuando a stringere il nipote tra le braccia “Perché lo chiedi?” “Beh ecco, è venuta una giovane qualche giorno fa. Credo abbia accompagnato suo marito” “Suo marito?” “Nils mi ha fatto un regalo stupendo, un bellissimo cavallo che viene da chissà quale allevamento” l'altro sospirò raddrizzando la schiena “Che c'è?” “Non ti hanno per caso chiesto di evitare lunghe cavalcate?” “Cosa vi fa pensare che abbia disobbedito?” “Meno sarcasmo figlia mia” Helena sorrise alzando gli occhi al cielo “Ho passato qualche ora in compagnia di quella giovane. È allegra e solare, mi sembra di conoscerla da sempre. L'ho già incontrata prima?” “Non essere sciocca” “Forse avete ragione” rise di sé stessa giocherellando con i capelli “O forse hai ragione tu Helena” lo sguardo della giovane si colorò di ironia“Oh andiamo, non giocate con me” “Magari hai incontrato qualcuno in passato con lo stesso nome, in fondo, non ti ho mai negato di incontrare persone diverse ogni giorno” “Pensate che sia legata al mio passato?” “No, credo semplicemente che esistano molte persone con quel nome” cullò leggermente il nipote sorridendogli.
Gli occhi sfiorarono appena il volto di sua figlia, c'era tranquillità nel suo sorriso ma i suoi occhi custodivano una luce diversa “Lo sai che non mi piace mai vederti così” “Stavo solo pensando” “Se c'è qualcosa che ti turba puoi parlarne con me” “Lo so” gli sguardi si incontrarono silenziosi, fino a quando quel sorriso fosse stato sulle labbra di sua figlia, ogni pensiero sarebbe rimasto oltre il confine sicuro che aveva tracciato attorno a lei.
L'avrebbe protetta fino a quando ne avesse avuto bisogno e se per caso i brutti pensieri fossero tornati ad infastidirla, allora avrebbe affrontato il presente al posto suo perché aveva giurato su Dio e sulla sua stessa vita che l'avrebbe protetta “Mangia abbastanza?” Helena sospirò risvegliandosi di colpo “Ogni due ore e mezzo” “Continuo a pensare che dovresti prendere a servizio una balia come tutte le donne di buon senso” “Non voglio che mio figlio cresca senza vedere mai il volto di sua madre” Inga rientrò reggendo un vassoio “Il té signora. Vostro marito al momento è in riunione con il primo ministro svedese ma vi raggiungerà non appena avrà finito” “Ti ringrazio. Puoi portare Niklas nelle mie stanze?” “Certamente, vieni qui angelo mio” sussurrò prendendo tra le braccia il bambino “Ha mangiato poco fa ma non appena si sveglia chiamatemi” un leggerissimo inchino poi di nuovo gli occhi di suo padre davanti al volto.
“Che c'è?” domandò confusa sollevando la tazza “Stavo solo pensando” “A cosa?” “Pensavo che fino a qualche anno fa non ti avrei mai lasciato correre per il mondo da sola” “È stato solo un incidente padre” “Un incidente che ti ha quasi portato via da me. Ora sei qui, sorridi, parli, diventi madre e cresci. La mia piccola bambina ostinata e testarda” “Cavalcherete con me?” “Tra qualche giorno, quando il medico ti darà il permesso” “Vi sembro una bambina?” “No, ma sono più che certo di dover urlare per costringerti a rallentare e sono piuttosto affezionato alla mia voce” “D'accordo” rispose divertita sorseggiando il tè, soli nel silenzio leggero di quel pomeriggio primaverile, un padre e una figlia lontani dal mondo.




 

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Capitolo 7
*** Occhi nascosti nelle Stelle ***


                    Occhi nascosti nelle Stelle







Il cielo pieno di stelle, il rumore calmo dell'acqua e una giovane dall'incarnato di luna, sarebbe stato un meraviglioso sogno, qualcosa di magico e prezioso che inebriava i sensi e addolciva la realtà e invece, quella giovane così lontana e silenziosa era lo stesso incubo.

Se ne stava immobile a fissare il lago, stretta nel suo stesso abbraccio giocava con le increspature dell'acqua e sorrideva di tanto in tanto persa nei pensieri di una notte senza luna.
Mosse un passo verso di lei chiedendo al cielo la forza di guardarla negli occhi, la forza di resistere la desiderio violento di abbattere il muro d'aria tra loro.
Strinse più forte i pugni chiedendosi il perché di quel silenzio.
Forse ne aveva il diritto, forse, essere strappati alla vita regalava la possibilità di interrogare le stelle o di perdersi con la fantasia nell'acqua profonda “Oscar” la vide tremare, stringersi più forte nelle spalle “Sei tu?” il cuore si bloccò di colpo nel petto mentre una giovane dagli occhi di cielo si voltava verso di lui.
Conosceva bene quegli occhi, erano gli stessi dov'era affogato tanti anni prima, ogni notte accadeva la stessa identica cosa, sapeva chi aveva davanti, conosceva il suo nome eppure, ogni volta che si voltava verso di lui si trovava di colpo trascinato nel passato ed ogni volta, era come se incontrasse quegli occhi per la prima volta.
La luce che illuminava il suo sguardo era sparita da qualche parte oltre il nulla, inghiottita dalle tenebre e nascosta al suo volto, una luce che aveva sempre amato e che ora non era più lì per lui “Perché sei qui?” “E tu?” domandò tremante “Perché sei qui?” “Non lo so” era spaventata e confusa, riusciva a leggerle nel cuore la paura, la solitudine e quel silenzio gelido contro cui aveva combattuto troppe volte.
Sentiva il vento leggero sulla pelle, il profumo di fiori che non aveva alcuna ragione d'esistere eppure era lì “Ti ho cercata ovunque Oscar ...” il respiro accelerò di colpo costringendola a tremare“ … ti ho cercata nei silenzi, nello sguardo di ogni donna che incrociavo per strada. Ti ho cercata nell'acqua del lago, nell'azzurro del cielo. Ovunque andassi Oscar, ovunque” la ragazza sospirò mentre indecisa scioglieva quell'abbraccio leggero che la proteggeva dal resto del mondo.
I suoi occhi si piegarono appena in un sorriso delicato, sollevò la mano nell'aria a pochi centimetri da lui “Puoi toccarmi?” domandò confusa “Lo desidero più di ogni altra cosa al mondo, credimi amore mio” il braccio si mosse leggero e la mano seguì quella di Oscar ma c'era qualcosa tra loro, una forza ostinata e perfida che li separava.
Ogni notte uguale all'altra, poteva vederla, poteva parlarle ma non poteva toccarla.
Spiava il passato dentro uno specchio lucido e freddo senza poter sentire il calore della sua pelle“Vorrei stringerti tra le braccia ...” sollevò anche l'altra mano posandola sull'aria che li separava “ … vorrei stringerti tra le braccia ma non posso … non posso farlo” abbassò lo sguardo portando con sé le lacrime“Non piangere, ti prego Andrè, non devi … non piangere” sorrise sfinito da quel sogno troppo reale, dalla forza che lei nascondeva in quelle parole e dal dolcissimo pasticcio che ogni notte ricreava per tenergli nascosto il pianto.
Sollevò lo sguardo incontrando il volto della ragazza, i suoi occhi pieni di lacrime e quel sorriso falso che aveva imparato a decifrare“Sto bene, staremo bene vedrai” “Lo ripeti ogni notte” “Davvero?” annuì appena seguendo con lo sguardo i lineamenti del suo viso “Non sto bene Oscar, non riesco nemmeno a respirare senza di te” “Lasciami andare” il cuore accelerò di colpo e le mani tremarono “Non farlo, ti prego aspetta!” picchiò con forza i pugni su quello specchio gelido nel tentativo disperato di frantumare in mille pezzi la distanza.
Conosceva bene quelle parole, erano le stesse che la trasformavano da sogno in incubo, le stesse che la trascinavano via da lui “Ti prego amore mio non lasciarmi” un sorriso dolce come il miele sfiorò le labbra di Oscar mentre tutto attorno a loro scompariva nel nulla … aprì gli occhi di colpo cercando di respirare.
Il cuore batteva all'impazzata nel petto e sulla fronte, piccole perle lucide scivolavano sulla pelle.
Si voltò verso la giovane addormentata al suo fianco.
Riposava serena con la mano stretta attorno la suo braccio e un debolissimo sorriso sulle labbra.
Sfilò lentamente il braccio, le gambe scivolarono di lato permettendogli di sedere.
Non sarebbe servito a nulla restare sdraiato a fissare il soffitto.
Infilò la camicia senza nemmeno peroccuparsi di chiuderla sul petto o del fresco respiro della notte.
Ci mise pochi secondi ad uscire dalla stanza e ancora meno a scappare via da quegli occhi.
“Sono tanto divertente?” esclamò gelido chiudendosi la porta di casa alle spalle, lo sguardo era rivolto al cielo e a quelle fiammelle tremolanti che coloravano l'oscurità.
Odiava le stelle perché quelle piccole luci insolenti che ora si prendevano gioco di lui, erano le stesse che ogni notte si portavano via i suoi occhi, la sua voce e il suo sorriso.
Fece un bel respiro passandosi una mano tra i capelli, l'aria fresca della notte invase i pensieri provocando sulla pelle un brivido gelido che nemmeno sentiva.
Carezze leggere che facevano un male atroce perché toccavano incuranti le cicatrici del cuore.
Si strinse la testa tra le mani chiudendo gli occhi e una lacrima scivolò sulla guancia perdendosi nel buio.




“Venite, la duchessa vi aspetta” “Perché sono ancora qui?” sussurrò nervosa sistemandosi i capelli.
Andrè sorrise bloccando quel gesto con la mano “Andrà tutto bene, non aver paura di lei” “Non ho paura, sono solo … solo ...” “Nervosa?” François annuì stringendo più forte il pomello del suo bastone “Non abbiate paura, avete già incontrato la duchessa, se non vi avesse preso in simpatia ora non sareste qui” “Hai sentito?” “Andrè, che ne dite se io e voi andiamo a cavallo? C'è un meraviglioso parco che desidero mostrarvi” “Con piacere” “Inga vi accompagnerà dalla duchessa” “Venite Marie” un debole si le uscì dalle labbra, un'unica parola carica di indecisione che lasciava trasparire tutta l'ingenuità del suo giovane spirito.
Seguì la governante senza nemmeno cercare di protestare.
Era la seconda volta che camminava per quei corridoi e per la seconda volta nella mente nascevano sempre le stesse domande “Prego” il volto sorridente della governante si chinò appena verso qualcuno, qualcosa di invisibile.
Entrò nel salotto confusa da quel silenzio improvviso, le cameriere sistemavano gioielli e vestiti sulle poltroncine eseguendo il loro lavoro con la massima attenzione.
Sorridevano chiacchierando sommessamente tra loro con quel fare civettuolo che molte volte aveva riconosciuto nelle giovani contessine “La signora?” “Con suo figlio” Inga sbuffò alzando gli occhi al cielo “Quante volte le ho detto di prendere una balia?” Marie si portò una mano alle labbra trattenendo le risate.
Quella donnina dal volto rubicondo aveva modi di fare decisamente stravaganti.
La seguì con lo sguardo fino a che non scomparve dietro ad una porta socchiusa fino ad ora rimasta inosservata.
Sentì la sua voce, qualche parola in una lingua straniera poi quella risata fresca e dolce che riempì il silenzio.
La porta si aprì di nuovo ed Helena ne uscì sorridente “Duchessa” chinò leggermente il capo ma la voce della ragazza la costrinse a sollevare di nuovo lo sguardo “Non fatelo ve ne prego” “Siete ...” “Sono una donna proprio come lo siete voi” mormorò divertita.
Indossava una vestaglia di seta color pesca, niente corpetti, niente abiti, solo quel semplice velo di seta.
I capelli erano sollevati e tenuti assieme da un nastro scuro, il volto rilassato era incorniciato da qualche ciocca ribelle scivolata via dalla costrizione di quel semplicissimo laccetto.
Inga la seguiva stringendo tra le mani la spazzola e un boccetto avvolto da tessuto ricamato “Sono sempre più convinta che non possiate continuare così” “Vedete Marie ...” riprese l'altra sedendo di fronte allo specchio “... la mia governante crede che occuparsi del proprio figlio sia un peso per una madre” “Jag har inte sagt att” “Si che l'hai fatto” “No invece, non ho mai pensato niente del genere altezza” “Non fai altro che ripeterlo” mormorò Helena soffocando le risate, l'altra sbuffò sciogliendo il nastro.
I capelli scivolarono nell'aria spargendo un dolcissimo profumo di gelsomino.
Erano così lunghi da sfiorarle l'incavo della schiena e agli occhi di Marie il quadro tanto difficile da terminare, prendeva vita velocemente.
Aveva ascoltato mille volte i racconti sulla bellezza della regina, sul suo volto angelico e sul colore biondo luminoso dei suoi capelli.
Ora, di fronte ad una duchessa straniera dall'incarnato di luna, si chiedeva se davvero la regina fosse così bella, se potesse superare in splendore quel volto divertito che le sorrideva riflesso nello specchio “Sedetevi Marie” “Come?” “Avete fatto colazione?” cercò il suo sguardo attraverso il vetro lucente “Siamo partiti molto presto, ho mangiato lungo la strada e ...” “Elin” una cameriera si avvicinò silenziosa chinando il capo “Fai servire la colazione qui e avverti mio marito, c'è un ospite con me” “Come desiderate altezza” “Sedetevi Marie” annuì appena cercando un modo per evitare di calpestare abiti e gioielli ma ad un cenno della duchessa, la poltrona accanto allo specchio venne liberata permettendole di sedere.
“Le nostre cuoche preparano ottimi dolci al miele, spero vi piaccia ...” “Adoro il miele” “Davvero? Anche io” “State ferma” mormorò Inga voltandola di nuovo verso lo specchio “Avete già scelto quale indossare? Non vorrei arrivare fino alla fine di questo capolavoro e aspettare due ore per conoscere il futuro di questi vestiti” “L'eleganza richiede tempo” “Fosse per voi uscireste con la camicia e i pantaloni” “Almeno sarei comoda” “Oh per favore!” Helena rise cercando il volto di Marie “A voi quale piace?” “Io?” ribatté confusa da quella domanda improvvisa.
Ci pensò qualche secondo soppesando ogni scelta con la massima attenzione ma alla fine sorrise indicando il tessuto verde acqua di fronte a sé “A te piace Inga?” la governante annuì senza prestare molta attenzione alle parole della duchessa.
Continuava ad unire ciocche di capelli creando meravigliosi intrecci, le sue dita si muovevano abili tra quella seta preziosa unendovi ad intervalli regolari perle chiare come la luna.
Era veloce, tanto veloce da stupirla perché in meno di mezz'ora, quei capelli tanto belli erano stati raccolti a dovere in una treccia elaborata che si avvolgeva dolcemente su sé stessa fermandosi poi sulla spalla destra della ragazza “Devo ringraziarvi” “Per cosa?” “Per quella meravigliosa puledra che da qualche giorno fa parte delle mie scuderie” “Spero davvero che vi piaccia. Ho passato con lei ogni ora libera del giorno e credevo di aiutarla insomma, separarsi dalla propria vita è difficile, lo è per un uomo perché per un cavallo dovrebbe essere diverso?” “Avete fatto un ottimo lavoro” rispose Helena alzandosi “Sapete, non avrei mai immaginato questa grande passione per i cavalli” “Perché?” domandò incuriosita voltandole leggermente le spalle “Perché sono una duchessa?” le mani della governante si mossero leggere togliendo la vestaglia.
La seta scivolò sulla pelle scoprendo i muscoli delicati della schiena “O forse perché in questo mondo di uomini non c'è spazio per la libertà di una donna?” “Credo un po' tutti e due” ribatté Marie ma il suo sguardo venne attratto da una piccola cicatrice sulla spalla sinistra “Posso … posso chiedervi come vi siete ferita?” “Cosa?” domandò confusa “La cicatrice sulla vostra spalla” “Un piccolo incidente. Ero una bambina ...” Inga sospirò spalmandole sulla pelle un balsamo fresco a profumato “ … giocavo spesso assieme a mio cugino ma un giorno decidemmo di prendere le pistole di mio padre” “Le pistole?” l'altra annuì lasciandosi coccolare dalle attenzioni delle cameriere.
Le giravano attorno occupandosi di lei come se avessero tra le mani un cristallo prezioso tuttavia, leggeva nello sguardo della duchessa un leggero fastidio.
Forse sbagliava, forse quella luce nei suoi occhi era solo un debole sprazzo di stanchezza eppure sembrava che quel mondo luccicante e sfarzoso non le appartenesse “Era nostro desiderio riprodurre un duello per gioco e inconsciamente ...” si fermò qualche secondo sfiorandosi con le dita la spalla nuda “ … rubammo di nascosto le armi ma la sua pistola non era ancora stata scaricata e partì un colpo” Marie trattenne il respiro portandosi una mano alle labbra “Ricordo ancora il suono sordo dello sparo, l'odore della polvere ...” si fermò qualche secondo giocando con quella cicatrice ormai lontana “ ... mi colpì con forza spingendomi indietro e persi l'equilibrio. Picchiai la testa restando incosciente per giorni e mio padre passò i successivi due anni a punirmi” “Perdonatemi, non era mia intenzione rievocare in voi ...” “Non è niente di così tremendo. È stato un incidente e niente di più. Ammetto che mi ci è voluto parecchio tempo a riordinare i pensieri e a ricodare ogni cosa, ogni anno passato ma sto bene, sono sempre stata bene” “Helena” “Oh per l'amor di Dio” esclamò Inga coprendo velocemente con lo scialle il corpo della giovane “Che ci fate voi qui?” “Sono venuto a salutare la mia sposa” esclamò allegro Nils stringendo le braccia attorno ai fianchi della moglie.
Una risata cristallina riempì l'aria costringendo anche il volto burbero ed arrabbiato della vecchina ad aprirsi in un bellissimo sorriso “Buongiorno” sussurrò posando le labbra sulla spalla nuda di Helena “Non ti hanno riferito niente amore mio?” “Riguardo a cosa?” “Ho un ospite” “Devo aver perso il tuo messaggio” “Strano, eppure Elin non è ancora capace di diventare invisibile” ma lui non rispose, si limitò a ridere stringendola più forte “Credevo fossi già partito” “Senza salutarti?” intrecciò le mani alle sue voltandosi verso Marie “Buongiorno anche a voi” “Siete sempre così sorridente al mattino?” “Dipende” “Dal sole?” ribatté ironica ma il duca sorrise “Da mia moglie” era strano, forse perfino sciocco ma agli occhi di Marie, il duca assomigliava in modo impressionante ad un collezzionista di opere d'arte.
Consapevole di avere tra le mani il pezzo più raro fino ad ora mai trovato, la teneva ben nascosta al resto del mondo.
Le mani intrecciate sul ventre della giovane, le labbra perse tra i capelli profumati e gli occhi luminosi carichi di serenità “Mio marito a volte dimentica le buone maniere” lo sentì ridere mentre un altro bacio le sfiorò la spalla “Nostro figlio?” “Sta dormendo” “Davvero? Perché sono stato nella sua camera prima e non ...” “Nel nostro letto” Inga sospirò, le mani posate sui fianchi e le dita che picchiettavano nervosamente sul grembiule “Che c'è?” “Vostra moglie non è ancora vestita, non credete di aver altro da fare?” “Non sei vestita?” sussurrò voltandola dolcemente verso di sé “Non me n'ero accorto” “Non sei divertente” sfiorò il volto della moglie con le labbra ma le mani della governante lo separarono da lei costringendolo a ridere “È mia moglie” “E non è vestita! Via, andate a fare cose da duca e lasciatemi fare il mio lavoro” Marie seguiva quella piccola discussione divertita da una scena che mai avrebbe immaginato.
Fino ad ora aveva sempre creduto che cose del genere accadessero nelle famiglie “normali” e non in quelle aristocratiche, dove regole e disciplina scandivano le ore di una vota alquanto noiosa.
Scoprire una realtà diversa da quella immaginata era piacevole e in qualche modo perfino più divertente “D'accordo, ora vi lascio prima che qualcuno dimentichi la differenza di rango e mi prenda a pugni” “Duca, conto fino a tre” borbottò la governante ma l'uomo sorrise “Helena?” la ragazza si voltò stringendosi appena nello scialle “Ti amo” le fece l'occhiolino e poi scappò via lasciando a lei il dolcissimo compito di riempire il silenzio colorandolo di sorrisi.
Inga borbottò tornando ad immergersi nel suo lavoro “C'è qualcosa che non va?” “Stavo solo pensando signora” “Cose belle spero” “Pensavo a vostro marito” “A mio marito?” “È diverso da ogni altro nobile che fino ad ora ho incontrato” l'altra annuì divertita sollevando leggermente le braccia.
Il corpetto si chiuse leggero attorno ai fianchi, era semplice, lontano dalle costrizioni di quei corpetti architettati per celare.
Si adeguava al suo corpo, ai suoi respiri, sottolineava la forma dei suoi fianchi mentre le mani veloci della vecchina intrecciavano i nastri sulla schiena “Sembrate una famiglia normale” “La normalità è noiosa” “Come?” “Trovo la normalità noiosa, non l'avrei mai sposato se fosse stato normale” “Allora signora? Che colore preferite?” ci pensò qualche secondo poi un lieve cenno della testa.
Un vestito color dell'ambra venne sollevato dalla poltrona “Non vi offendete se non indosso il verde vero?” “Io? Proprio no duchessa” “Sollevate le braccia” la stoffa si mosse delicata ricadendo sul corpo della giovane.
Drappeggi meravigliosi che le avvolgevano i fianchi senza ingombrare, senza creare quella fastidiosa moda troppo pesante per lei.
Un nastro di raso rosso venne stretto sotto al seno, le spalle libere dalla stoffa si mossero appena mentre venivano sistemati anche gli ultimi intrecci sulla schiena e la cicatrice scomparve nascosta dal bordo dorato del vestito “Siete proprio sicura di voler uscire?” “Non ho alcuna intenzione di passare tutto il giorno chiusa qui dentro” la giovane di fronte a lei rise mentre i vestiti sparivano velocemente dalle poltrone.
Due paggi entrarono reggendo tra le mani vassoi e piatti colmi di dolci.
Lo sguardo severo di Inga guidò i passi della servitù, i tavoli vennero liberati e coperti da pizzo candido e in pochi secondi ogni cosa fu al posto giusto “Sono sempre dell'idea che affaticarsi come fate voi è sbagliato” “È solo una passeggiata e poi Marie verrà con me non è così?” “Davvero?” domandò confusa la ragazza ma lo sguardo della duchessa la costrinse a sussultare “Oh … certamente! Una passeggiata non fa male.Per quale motivo poi dovrebbe farlo?” “Questo me lo chiedo anche io” “Quando vi deciderete a predere una balia?” “Ecco, ora vedo il motivo per cui dovrebbe farmi del male” “Siete piuttosto brava a celare la stanchezza ma non funziona con me, ormai dovreste saperlo” “Non sono stanca” ma la governante sorrise alzando gli occhi al cielo “Credete davvero di potermi nascondere le cose?” versò il tè ad entrambe concentrandosi sugli occhi azzurri di Helena “E per di più, non sono nemmeno certa che il sole resti con noi tutto il giorno” ma Helena ignorò quel debole tentativo di protesta “Che ne dite allora? Mi fate compagnia Marie?” un cenno del capo e nient'altro perché nel suo sorriso viveva già la risposta a quella domanda.

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Capitolo 8
*** Lacrime di Stelle ***


                            Lacrime di Stelle






Forse Inga era davvero una specie di indovina perché le nubi gonfie di pioggia avevano ingoiato ogni sprazzo azzurro in meno di mezz'ora.
Fin dalla prima volta che la vide, lesse nei suoi occhi una forza diversa, qualcosa di tenero e confuso che sottolineava l'innata capacità di prevedere a caso situazioni quanto meno reali.
Quella dolce vecchina dai modi bruschi e diretti si avvicinava in modo impressionante all'idea di madre che aveva sempre avuto ma una madre che tuttavia, soddisfava i bisogno di una comunissima ragazza come lei perché se si fosse fermata ad immaginare la madre della duchessa, era certa che davanti agli occhi sarebbe nata una donna ben diversa.
Elegante, raffinata, con poco interesse per qualsiasi cosa che non riguardasse il mondo scintillante dov'era nata e cresciuta.
Probabilmente assomigliava ad Helena anzi, per l'esattezza era Helena ad assomigliarle e di conseguenza, il volto fine e i movimenti aggrazziati sarebbero stati degni eredi di una bellezza particolare e unica.
Sorrise divertita dal gioco complicato dei pensieri, stava correndo assieme ad una nobile duchessa verso l'entrata del palazzo, verso un posto sicuro lontano dalla pioggia che ora le colpiva leggera ma più si avvicinava a lei e più restava impigliata nella rete di mistero che l'avvolgeva.
Correva affianco ad uno spirito libero, una giovane donna unica nel suo genere che non si curava della pioggia o dei tuoni.
Una donna forte e indipendente come il vento, profumata di pioggia eppure delicata e innocente.
Non le importava nulla dell'acqua che le bagnava il volto o dei capelli ormai fradici che scivolavano via dagli intrecci dell'acconciatura.
Era davvero quella la duchessa che fino ad ora aveva conosciuto? Strinse più forte le mani attorno alla stoffa dell'abito correndo a perdifiato assieme a lei, la sentì ridere, una risata fresca e cristallina “Siamo in ritardo signora” Helena annuì divertita mentre negli occhi appariva sfocata l'immagine di suo marito.
Se ne stava al riparo sulla scalinata osservando di tanto in tanto il parco, rideva, probabilmente una risposta a qualche sciocco aneddoto di un ospite forse troppo noioso.
François era al suo fianco e tre giovani guardie chiacchieravano tra loro.
Riconosceva i loro volti perfino da così lontano, il loro modo di ridere e di muoversi, quel gesto buffo delle mani che colorava la risata del dottor Guìse, il passeggiare nervoso del giovane assistente e poi quell'uomo venuto da chissà dove.
Un uomo che fino ad ora non aveva incontrato e che forse nemmeno voleva nella sua vita.
Non aveva bisogno di altre persone accanto a sé, accettare Marie era stata di per sé una prova difficile ma l'aveva fatto per sé stessa, per respirare una nuova amicizia negli occhi e nelle parole di una giovane ben lontana dalla nobiltà.
Prima o poi avrebbe incontrato suo marito, in fondo era naturale ma fino a quel giorno, avrebbe continuato a giocare con i sorrisi e le parole evitando qualsiasi altro pensiero.
Vide Nils voltarsi appena verso il roseto, scendere due scalini avvicinandosi a François.
Di certo gli sarà sembrata un'immagine sfocata, un sogno forse o magari una sciocca invenzione della mente eppure, quella giovane donna che correva a perdifiato verso di lui, assomigliava in modo impressionante a sua moglie.
Scese un altro scalino socchiudendo gli occhi “Ma che ...” “C'è qualcosa che non va signore?” “Che buffo, ho l'impressione che sia mia moglie a correre nel temporale” “Ne sei sicuro?” mormorò l'altro seguendo il suo sguardo ma un bel sorriso nacque sulle labbra “La sai una cosa giovanotto? Credo proprio che tu abbia ragione” “Ma che sta … io la lego davvero a quel divano François!” corse in avanti incurante della pioggia o degli sguardi confusi che lo seguivano.
Andrè si avvicinò di qualche passo all'uomo senza staccare lo sguardo dalla corsa del duca “Va tutto bene?” “Oh certamente, tutto come al solito” ma le sue parole resero i pensieri se possibile ancora più confusi.
Non capiva come mai d'improvviso, il duca fosse scappato da quel riparo sicuro gettandosi tra le braccia dell'acqua fredda ma quando ne comprese il motivo, un bel sorriso colorò gli occhi e il cuore.
C'era una donna, una bellissima donna con i capelli color dell'oro e un vestito d'ambra puro davanti a lui, una donna che non cercava l'attenzione di nessuno ma che perfino così, concentrava su di lei ogni sguardo.
“Sembra una bambina” esclamò divertito ma la ragazza che le correva affianco attirò di colpo la sua attenzione “Marie? È impazzita per caso?” “Non datevi pena giovane amico. L'artefice di questa bellissima scenetta non è vostra moglie ma la dama bionda che riuscirà a giustificare questa cosa semplicemente con il sorriso” il duca allargò di colpo le braccia fermando la corsa della sua sposa.
Le loro risate si unirono assieme, la sollevò da terra girando su sé stesso mentre Marie al suo fianco riprendeva fiato.
Un angelo biondo, una bambola di porcellana, una donna imprigionata nel quadro di Marie che ancora non aveva uno sguardo o un'espressione.
Aveva passato giorni interi a chiedersi di che colore avrebbe donato al suo sguardo ma Marie sembrava indecisa, molto più indecisa di quanto l'aveva mai vista “Elins?” “Signore” “Fate preparare le stanze della duchessa. Preparate il suo bagno e anche quello del duca” “Subito” un leggero inchino poi di nuovo gli occhi confusi di Andrè davanti al volto.
Posò una mano sulla sua spalla sospirando “Vedete? È di questo che parlavo quando vi raccontavo di lei. Quando vi dicevo che era l'unica in grado di prenderlo per mano e costringerlo a vivere” “Come ci riesce?” ma l'altro sollevò leggermente le spalle ridendo “Non so spiegarvelo nemmeno io. Tutto quello che posso dirvi, è che il duca severo e distaccato scompare di colpo quando incontra i suoi occhi” “Capisco bene cosa prova” abbassò lo sguardo qualche secondo riprendendo fiato “Aveva un'amica una volta, lei mi faceva sentire bene, in pace con me stesso. Bastavano i suoi occhi per costringermi a sorridere” “Un'amica avete detto?” domandò François portandosi una mano al mento “Un'amica” “E la vostra amica è francese?” “Come lo sono io” rispose tornando a concentrarsi sull'immagine del duca “E la vedete spesso?” un debolissimo sorriso piegò appena le labbra “Non quanto vorrei” “Mi dispiace, se avete questo desiderio posso provvedere affinché la contattino e la portino qui per ...” “Se avete la possibilità di salire in cielo e rubarla alle stelle allora ve ne sarei grato” ma l'espressione sul volto dell'uomo cambiò appena.
Era forse la prima volta che parlava di Oscar con qualcuno, la prima volta che il suo ricordo accompagnava le parole senza fare tanto male “Signori prego ...” gli ufficiali si voltarono verso François incontrando il suo sguardo “ … continuiamo il nostro piacevole incontro all'interno, sicuramente saremo più tranquilli lontani dalla pioggia” uno dopo l'altro si avviarono su per la scalinata chiacchierando tra loro ma Andrè rimase immobile al proprio posto.
C'era un uomo innamorato davanti a lui che sollevava il volto di sua moglie seguendone i lineamenti con le dita.
Non gli interessava la pioggia, non avevano valore le proteste dei tuoni, restava immobile al proprio posto mentre il profilo di quella dama diventava improvvisamente un mistero da svelare.
Era così che aveva immaginato il suo futuro, assieme a lei a correre e giocare proprio come facevano da bambini consapevoli che l'amore nato tra loro, sarebbe rimasto nel cuore per tutta la vita.
Riconosceva in quella giovane duchessa la somiglianza con il sogno che ogni notte lo tormentava, riconosceva il colore dei suoi capelli, il movimento delle spalle, il modo di correre.
Rise passandosi una mano tra i capelli perché lei non era quel sogno, non era nulla di più che la moglie di un rispettabilissimo duca straniero.
Aspettava il suo volto, aspettava i suoi occhi come un'assetato aspetta l'acqua fresca ma la ragione che ancora viveva in lui urlava a gran voce nella mente: “Non essere sciocco Andrè, lei non è Oscar! Lei non è tua!”.
Il cuore rallentò e i muscoli si rilassarono nuovamente, sentì la voce di François, il suo nome lasciato cadere nel silenzio, si voltò verso di lui cancellando immagini e pensieri.




“Non ti avevo chiesto di evitare pazzie del genere?” Helena sorrise prendendo dalle mani della cameriera un telo pulito.
Quella rabbia finta nascosta tra le parole del marito era solo un'innocente tentativo di nascondere la preoccupazione “Grazie Mildred, ora lasciateci” i servitori chinarono rispettosamente il capo chiudendosi la porta alle spalle.
“Sei arrabbiato con me?” “Arrabbiato è riduttivo” si avvicinò a lui posando una mano sul petto umido di pioggia “Eppure sei qui, a preoccuparti per me e a sorridermi” “Non sorrido” “Oh si che lo fai” lo spinse leggermente indietro costringendolo a sedere sul divano.
Come poteva resisterle? Come poteva fingere rabbia quando l'aveva così vicina? I capelli sciolti sulle spalle, il volto leggermente arrossato e il corpo nascosto da quella semplice vestaglia che amava da impazzire “Sorridi sempre Nils” “Non siete divertente duchessa” “No?” domandò sedendosi su di lui.
Sentì le mani dell'uomo salire leggere lungo la schiena fino alle spalle “Come fai? Come puoi costringermi a vivere di te?” in quegli occhi di cielo una dolcissima luce prese vita costringendolo a sorridere.
Sentiva il peso leggero del suo corpo su di sé, il seno che gli sfiorava il petto attraverso il tessuto sottile.
Posò le labbra sulle sue liberando le spalle delicate dal tessuto prezioso.
La vestaglia scivolò sulla schiena seguita da carezze leggere.
La strinse più forte tra le braccia tirandola in avanti, le labbra si chiusero attorno alla dolcezza del suo seno costringendola a sospirare “Dio quanto ti amo” perso in lei, nel respiro spezzato che usciva dalle sue labbra quando le mani giocavano con la dolcezza del suo ventre, nella profondità di quegli occhi così belli e limpidi.
La sentì tremare, cercare ancora una volta la sua bocca mentre le mani salivano di nuovo fino al seno “Resterai con me Helena?” la giovane sorrise giocando con il suo sguardo “Resterai per sempre al mio fianco?” “Resterò con te ...” sentì le dita della ragazza scendere leggere fino al ventre “ … sono con te adesso ...” tremò cercando i suoi occhi, le sue labbra “ … sarò con te anche domani, tra un anno o dieci” la sollevò appena sfiorandole il collo con le labbra mentre con dolcezza univa i loro cuori.
Strinse più forte le braccia attorno a lei perdendosi nel profumo della sua pelle, nel respiro accelerato che seguiva il ritmo violento di una danza creata solo per loro.
Posò la fronte sulla spalla della giovane aggrappandosi al suo calore, la sentì inarcare la schiena, il seno unito al suo petto e la consapevolezza di non avere più nemmeno un briciolo di lucidità perché lei era in grado di cancellare in pochi secondi ogni maledetto pensiero.
Gli aveva concesso una seconda occasione per poter essere un uomo, un marito, un padre.
Lei era il suo mondo e avrebbe protetto quel mondo da chiunque, perfino dalla curiosità di una giovane venuta da troppo lontano.
Intrecciò le dita ai capelli di sole cercando il suo sguardo, aveva bisogno di lei, aveva bisogno di vederla perdere il controllo perché in quel cielo pieno di vita era custodito l'amore e la tenerezza di una donna meravigliosa.
Le sorrise stringendo più forte le dita attorno a quei fili di seta, Helena trattenne il respiro aggrappandosi a lui, alle sue labbra, all'amore violento che le regalava ogni giorno costringendola a vivere.


I raggi del sole filtravano puri attraverso la coltre di nubi.
Il temporale era scappato portandosi via con sé i brutti pensieri.
Fece un bel respiro perdendosi qualche secondo sul parco oltre le finestre, i giardinieri già al lavoro correvano ovunque.
Raccoglievano i rami spezzati, le foglie sparse dal vento avendo cura di lasciare solo ordine perché un giardino malandato, non poteva rappresentare l'importanza insita nel nome della famiglia “Andrè?” si voltò di colpo incontrando il volto sorridente di Marie “Come stai?” “Bene” aveva i capelli ancora umidi e il volto leggermente arrossato ma nei suoi occhi c'era solo tanta gioia.
Sedette accanto alla finestra sistemando la gonna di quel vestito sbucato da chissà dove “Sei sicuro di stare bene?” “Come ti è venuto in mente?” la ragazza sorrise giocherellando con i capelli “Eravamo a passeggio e all'improvviso ha iniziato a piovere” “Ci sono i paggi assieme a lei per occuparsi di ogni suo bisogno” “È stata solo una corsa” “No amore mio è stato sciocco. Cosa sarebbe accaduto se si fosse fatta male?” “Perché pensate sempre che le donne non siano in grado di correre o parlare o cavalcare senza la supervisione degli uomini?” trattenne il respiro sconvolto da quella risposta così spontanea “Non è come noi Marie. Ci sono persone che hanno bisogno di lei” la ragazza sorrise irriverente appoggiandosi allo schienale della poltrona “Se si ferisse o se cadesse come ... chi spiegherà a suo marito i motivi di questa follia?” “Una corsa è una follia?” “Marie ...” si inginocchiò di fronte a lei cercando di trattenere la rabbia “ … quella giovane che tanto ammiri è sposata con uno degli uomini più potenti del nord. Il duca è il cugino prediletto di sua maestà Gustavo III di Svezia” “Non ho mai avuto il piacere di conoscere questo grande sovrano” ribatté ironica ma lui sospirò “Lo spieghi tu al re che la moglie di suo cugino poteva rompersi una gamba correndo come una pazza sotto alla pioggia?” “Non capisco cosa ci sia di tanto sbagliato!” esclamò gelida alzandosi.
Le sciocche regole della nobiltà non le appartenevano e nemmeno la capacità di giustificare un'esistenza passata sotto una teca di cristallo negando ad una duchessa piena di gioia anche il piacere di vivere la propria vita “Perché non dovrebbe correre o saltare o andare a cavallo! Perché non può scegliere come vivere la vita” “E a te perché interessa tanto!” sbottò d'improvviso cercando i suoi occhi “Te l'ho detto, ci sono regole che vanno rispettate!” “Sono sciocche!” “Servono per tenerla al sicuro!” “Credi sia stata una mia idea? C'erano i paggi con noi e anche le cameriere ma la duchessa ha impedito loro di seguirci!” “Lei ha … cosa?” “Quando ha iniziato a piovere si è voltata verso di me ridendo Andrè!” “Ridendo?” ripeté confuso “Mi ha guardato negli occhi e mi ha sorriso, ha detto che quelle non erano altro che lacrime” “Marie senti, io non ...” “Lacrime di stelle” sollevò lo sguardo cercando gli occhi di sua moglie “Lacrime di stelle” “Esatto, e quando le ho chiesto perché le stelle fossero tanto tristi  lei ha sorriso di nuovo e poi ha iniziato a correre. Che diavolo avrei dovuto fare? Lasciarla andare da sola?” sbuffò distogliendo lo sguardo dal suo volto ma la mano di Andrè si strinse dolcemente attorno al suo polso costringendola a cercare per l'ennesima volta i suoi occhi.
Le sorrise infastidito da quelle poche parole tanto infantili “Perdonami amore mio, non volevo accusarti di niente” “Ne sei sicuro? Perché da come ne parlavi sembrava il contrario” “Andiamo?” restò in silenzio qualche secondo indecisa se seguirlo o restare al sicuro nell'allegria degli attimi passati assieme alla duchessa ma alla fine, gli occhi di mare che aveva davanti la costrinsero a sorridere.
Le dita si intrecciarono alle sue, un bacio leggero prima di uscire dalla sala congedandosi da quel mondo luccicante nel quale erano immersi da troppo tempo.

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Capitolo 9
*** Padre ***


                                                  Padre






“Voi … voi siete ...” “Andrè” esclamò l'uomo abbracciandolo “Come state?” “Conte credetemi, di tutte le persone che mi aspettavo di incontrare voi siete senza dubbio la più improbabile” il bel volto dell'uomo si colorò di orgoglio.
Conosceva bene il conte svedese che aveva di fronte, era lo stesso che per anni si era portato via il cuore di Oscar.
L'aveva odiato per questo e di certo, era l'ultima persona che avrebbe desiderato vedere.
Era strano, forse perfino sciocco ma più provava ad allontanarsi da quel palazzo e più ci si ritrovava legato.
Fece un bel respiro dipingendosi in volto un sorriso sciocco “Credetemi Andrè, avrei voluto raggiungervi immediatamente quando Oscar è ...” si fermò qualche secondo cercando le parole adatte ma non c'era dolore nel suo sguardo né paura.
I suoi occhi erano freddi, privi di ogni emozione “ … quando è morta” “Non importa” “Mi dispiace, mi dispiace davvero. Eravate molto legato a lei e so cos'ha significato per voi tutto questo silenzio” “Nel silenzio a volte si ritrova sé stessi” “O ci si perde” gli sguardi si incatenarono assieme mentre l'imbarazzo creato dal tempo passato scese tra loro.
Fersen sospirò giocherellando con il bottone dorato dell'abito, era nervoso, arrabbiato, forse per questo non c'era traccia di sofferenza nei suoi occhi; la rabbia spesso copre i sentimenti accecando il cuore e molte volte cambia nome alle parole, ma in quello sguardo era celato molto più che semplice indifferenza “Quando il generale mi ha scritto sono stato … sono stato sommerso dal dolore. Le volevo bene, era un'amica speciale per me e perderla è stato orribile, ma se io ho provato tutto questo, come l'hai vissuta tu?” era un pensiero sussurrato a fior di labbra e non una domanda ma lui sorrise cercando di trattenere ogni emozione dietro al muro solido della ragione “Sono morto assieme a lei. Le hanno sparato come dei vigliacchi” “Il generale mi ha detto che non è stato doloroso, non ha sofferto ...” non rispose, non si mosse, a dire il vero non era nemmeno certo di respirare ancora “ … e che il proiettile che l'ha ferita al cuore l'ha trascinata in un sonno dolce e silenzioso” “Voi dite?” ribatté gelido “È dolce morire in quel modo?” “Non è stata colpa vostra” “Non ero con lei” “Non avete disobbedito né offeso la famiglia per cui lavorate” “Mille volte vorrei averlo fatto” “Avete portato a termine un incarico importante per il vostro signore, non avete nulla da rimproverarvi” “Già” Fersen sorrise perdendosi in quello sguardo profondo e pieno di rabbia davanti a lui.
Gli anni trascorsi non avevano cancellato il dolore dal suo cuore né si erano premurati di renderlo più sopportabile al contrario, la distanza da Oscar l'aveva reso più silenzioso e chiuso.
Certo era bravo a mascherarlo ma aveva già visto quell'espressione anni addietro e non si sarebbe lasciato ingannare dagli occhi verdi del ragazzo “Non avete colpa. Il proiettile ha colpito il cuore, sarebbe dovuta essere qui tra noi con una sciocca ferita alla spalla ad arrabbiarsi con quel vigliacco che le ha sparato e invece non c'è” “Non ho potuto vederla né dirle addio perché il dolore del generale era troppo grande per poter essere condiviso” “Lo so” “Da allora, mi trascino per la Francia cercando una cura che possa aiutarmi a togliere dal cuore i cocci del suo ricordo ...” rise nervoso passandosi una mano tra i capelli
“ … sono passati sei anni conte e non c'è notte in cui non veda il suo sorriso perciò vi prego, non parlatemi di lei” “Vi siete sposato” annuì distrattamente soffermandosi sul sorriso dell'uomo “Forse è vostra moglie la cura che tanto cercate” “Ma di che ...” le mani di Fersen si strinsero attorno alle spalle costringendolo a trattenere le domande “Aggrappatevi all'amore di vostra moglie Andrè. Aggrappatevi ai suoi sorrisi perché solo così potrete accettare l'assenza del suo ricordo. Oscar resterà sempre l'amore della vostra vita ma c'è un futuro per voi e non prevede lacrime. Lasciate andare il passato” per quanto strano potesse sembrargli, le parole del conte non erano del tutto prive di senso.
Se fosse riuscito a dimenticare la vita di certo sarebbe stata più leggera “Posso chiedervi il motivo della vostra presenza?” Fersen sorrise sistemandosi la giacca “Helena” “La duchessa?” “La duchessa esatto. L'avete incontrata?” “No” “Mai?” socchiuse gli occhi studiando il volto di Andrè “Credetemi ne sarei onorato davvero ma non credo sia il caso di infastidirla” “Noto con piacere che non siete cambiato” d'improvviso l'espressione sul volto del conte cambiò tornando ad essere gioviale e serena, come se tutta l'ansia di quelle due semplici domande fosse scomparsa nel nulla “Mi hanno detto che ha fatto a gara con la pioggia oggi, è così?” “A quanto pare signore” “Le ho ripetuto centinaia di volte che rallentare non è sintomo di debolezza e mi aveva giurato che dopo la nascita del bambino avrebbe preso un po' di tempo per sé stessa” esclamò divertito “Ha uno strano modo di promettere le cose, credo che nemmeno suo marito sia in grado di decidere cosa è giusto e cosa sbagliato per lei” “Con tutto il rispetto, la duchessa ormai non è più una bambina” “Credetemi lo so bene. Nils ha sempre amato l'indipendenza e il carattere di sua moglie, per questo non le vieta nulla. Helena può fare e dire tutto ciò che vuole senza conseguenza alcuna” “Posso chiedervi ...” “Perdonatemi, devo proprio lasciarvi ora, sono in ritardo e il caratterino della duchessa si infiamma quando accade” gli fece l'occhiolino e senza aggiungere una parola se ne andò lasciandolo più confuso che mai.




“Siete in ritardo” “Mi hanno detto che sembravate un pulcino tutto arruffato, è così?” Nils sorrise senza nemmeno sollevare gli occhi dal libro “Prendermi in giro vi diverte?” “Molto, a dire il vero mi chiedo per quale motivo un pulcino arruffato dalla pioggia avesse bisogno di me” “Nils!” “Che c'è amore?” ci provava, ci provava davvero a non ridere ma l'espressione a metà tra la tenerezza e l'ironia dipinta sul volto di sua moglie non lo aiutava di certo.
Chiuse il libro mascherandosi dietro ad un colpo di tosse “È un piacere rivederti amico mio” l'altro sorrise esibendosi in un inchino magistrale ma un cuscino colpì il suo volto costringendolo a ridere “Avete finito di ridere di me?” “Come dovrei chiamarvi allora?” “Helena non ti piace più?” “Al contrario ma a quanto ne so, da oggi dovremo chiamarvi granduchessa” la giovane sbuffò appena alzando gli occhi al cielo“Mio cugino sta impazzendo” esclamò divertito Nils “Lo fa lentamente ma con senno. Nominarmi granduca è sempre stato un suo desiderio ma se fino ad ora ha aspettato, è stato solo per Helena. Non le piacciono i titoli altisonanti ma Gustavo ha bisogno di alleati fedeli” “Ed è sicuro? Voglio dire, avere tua moglie tra gli alleati è pericoloso” “Sai cosa c'è di bello in tutta questa storia?” domandò divertita posando le mani sulle spalle del marito “Il titolo nobiliare. Strano vero? Ho sempre odiato queste cose ma diventare granduchessa mi regala il diritto di giocare con il galateo conte” “Perché sono qui?” “A dire il vero sono stato io a chiederti di raggiungerci” mormorò il duca stringendo la mano di sua moglie.
Fersen annuì amabile sedendosi di fronte a lui “Ho bisogno di un favore” “Sai bene che puoi chiedermi quello che vuoi amico mio” “Tra un mese Helena tornerà in Svezia assieme a nostro figlio, purtroppo per ragioni di stato non posso lasciare la Francia” “Gli accordi commerciali e militari tra i nostri paesi” “Esatto” la governante entrò nella reggendo tra le braccia un piccolo bambino nascosto dalla coperta “Eccoci altezza, ci siamo fatti belli” Nils annuì appena intenerito dall'espressione di sua moglie.
Sollevò il bambino davanti al volto reggendolo con cura e sorridendo lasciò un bacio delicato sulla fronte del piccolo “Buongiorno amore mio” mormorò divertita “Hai riposato bene?” Fersen sorrise giocherellando con un laccetto di cuoio.
La conosceva da così tanto tempo ormai, da accostarla con amore all'immagine di una sorella.
Aveva i capelli sollevati, tenuti assieme da un nastro color del mare, i riccioli si muovevano leggeri nell'aria incorniciandole il volto e per la prima volta in lei vedeva qualcosa di diverso.
Colpa dei colori, di quel vestito verde smeraldo o dell'azzurro del cielo che giocava sul suo volto, colpa della sua risata o di quei gesti delicati che mai si sarebbe aspettato da lei.
Qualunque fosse il motivo di quel cambiamento, si augurava che durasse il più a lungo possibile perché vederla felice e serena era un regalo enorme “Non voglio lasciarla andare da sola Hans. Manderò la scorta armata con lei e i servitori ma ho bisogno di un amico che si curi dei suoi bisogni” gli occhi dell'uomo si fusero ai suoi e un bel sorriso prese entrambi.
Erano amici fin da bambini, non avrebbe mai rifiutato un favore a Nils soprattutto se questo riguardava Helena “Ti ringrazio” “Non dirlo nemmeno” “Perdonatemi altezza, il dottore è appena arrivato” “La mia visita settimanale” si affrettò ad aggiungere Helena rispondendo così allo sguardo confuso di Fersen “Questa è l'ultima finalmente. Tieni tu Niklas?” domandò voltandosi verso il marito.
Lo vide sorridere, tendere le mani verso di lei e un bacio leggero riempì la distanza tra le loro labbra “Torno tra poco. Mi aspettate conte irriverente?” Fersen rise tentando di rispondere ma lei era già scappata senza nemmeno dargli la gioia di formulare parole cariche di ironia.
“Ti somiglia” “Davvero?” domandò giocando con la manina del figlio “Ti somiglia molto, a dire il vero amico mio, ha qualcosa di tuo padre” “Perché lo dite tutti?” “Tutti?” “Secondo Helena ha gli occhi di mio padre, la mia governante rivede nel suo volto mio padre” l'altro socchiuse gli occhi chinandosi leggermente verso di lui.
Quel piccolo gioiello che riposava al sicuro tra le braccia del suo amico assomigliava in modo impressionante ad Helena ma era custodito nei suoi lineamenti la fierezza di suo nonno.
La stessa fierezza che decorava le espressioni di Nils e il colore scuro di capelli soffici e appena visibili “Tuo figlio ti assomiglia più di quanto immagini. Avrà gli occhi di Helena e il tuo sorriso” “Mi basta solo vederlo crescere felice e sano. Può assomigliare a mio padre o a suo padre, non importa” “Davvero?” sollevò lo sguardo posando le labbra sulla testolina del figlio “Perché da quando ti conosco, ricordo di averti sempre sentito dire: Prego Dio ogni giorno affinché non mi regali un figlio in futuro ma se così non fosse, allora spero che non assomigli a mio padre” risero assieme proprio come facevano in passato.
Fin da bambini avevano giocato insieme correndo per i meravigliosi giardini del palazzo reale, si fingevano soldati o nobili cavalieri.
I bambini non sognano un futuro complicato né fantasticano di matrimoni intrecciati tra loro per la sicurezza della famiglia reale.
Nils era l'erede di un nome scomodo, figlio dello zio del re, cugino affezionato di un uomo che amava l'arte e la cultura e che non disdegnava la compagnia delle donne “Non ti manca casa?” “Non immagini nemmeno quanto amico mio” esclamò appoggiandosi di nuovo allo schienale “Non vedo l'ora di riabbracciare mia madre” “Accadrà presto vedrai” “Se mio cugino la smettesse di giocare con alleanze di potere forse potrei tornare assieme ad Helena” “Non preoccuparti, ci penso io a lei” Niklas si mosse appena arricciando le labbra “No amore mio, non piangere. Vedrai che la mamma torna presto” “Ora ti lascio, mio padre ha convocato mezza nobiltà francese” “Davvero?” Fersen sbuffò alzandosi, il paggio gli corse accanto reggendo il suo cappello e il mantello “È convinto che la sua visita ufficiale debba avere il giusto valore” “Non starà per caso cercando di ...” “Non ne voglio parlare” “Hans ...” “No sul serio. L'amore è qualcosa che non ho più da molto tempo ormai” agganciò i lacci eleganti del mantello sistemandosi i capelli.
Un bel respiro per tornare ad essere lo stesso uomo di sempre “Ci vediamo tra qualche giorno amico mio, cerca di non farla arrabbiare o dovrò offrirti ospitalità per il resto della vita” gli fece l'occhiolino congedandosi allegramente da lui “Eh si amore mio ...” si alzò dal divano cullandolo
“ … l'amore fa paura anche ad un re, perché per un conte dovrebbe essere diverso?” sorrise seguendo con un dito i lineamenti di suo figlio.
Amava restare solo con lui, stringerlo tra le braccia, restare accanto a lui quando riposava.
Ne contava i respiri stupito dalla forza di quel giovane cuore, dalla sua dolcezza e dal significato che aveva dato alla sua vita.
Niklas non era un gioco d'affari tra governatori e primi ministri, non era una regola dell'economia né un incontro di generali ma era in grado di renderlo l'uomo più felice del mondo.
Non aveva mai compreso fino in fondo cosa fosse l'orgoglio fino a quando, due settimane prima, il pianto di suo figlio riempì l'aria.
Era diventato padre, era cresciuto riponendo nella sala dei ricordi i giochi e le paure, non c'era più spazio ormai per la vita spensierata di prima.
Sorrise posando le labbra sulla fronte del figlio, quel bambino era l'unione perfetta di due cuori, due corpi, due anime.
Lui era il suo orgoglio più grande, non l'aveva conquistato né si era arrogato il diritto di rubarlo ad altri ma l'aveva creato dal nulla assieme ad Helena.
Niklas era nato nel loro amore, cullato dai battiti forti di quel cuore troppo veloce, sfiorato dalle carezze di un padre incantato dalla forza della vita.
Quante notti aveva passato sveglio a stringere Helena tra le braccia? Le mani intrecciate sul ventre di perla sognando il suo volto, immaginando per lui o per lei un futuro stupendo.
Cancellava i mesi uno dopo l'altro chiedendosi se una volta nato, quel piccolo esserino avrebbe accettato l'idea di averlo come padre.
Lui così freddo e severo, così abituato a pensare solo ed esclusivamente a sé stesso e a sua moglie come avrebbe fatto a cambiare? Come avrebbe fatto a diventare padre? Quando lo vide per la prima volta, tutte le paure, tutte le domande e le preoccupazioni sparirono di colpo perché quel sogno fatto ad occhi aperti era diventato improvvisamente reale.
Avevano creato dal niente una vita, le avevano donato braccia e gambe, polmoni per piangere, labbra per sorridere, una voce per parlare, occhi per vedere e un cuore per ascoltare.
Avevano creato il futuro e avrebbe difeso quella piccola giovane vita con le unghie e con i denti perché nessuno avrebbe mai fatto del male al suo dolcissimo bambino.

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Capitolo 10
*** Pensieri di Vetro ***


                           Pensieri di Vetro







“Signore … voi che ...” “Spero di non disturbarti ragazzo” “Perdonatemi, non avrei mai pensato di vedervi qui, in casa mia” il generale tossicchiò appena oltrepassando la soglia “Non ti ho più visto da quando mia figlia ha scelto il paradiso a questa vita” “Vostra figlia non ha scelto” “No è vero, ma pensare che sia così allevia il dolore che provo” sedette di fronte a lui perdendosi per qualche secondo nei lineamente severi e forti che fin da bambino aveva conosciuto.
Non aveva più frequentato palazzo Jarjayes, per rispetto nei confronti di un padre distrutto e di una madre in lacrime, per sé stesso e per la sua nuova vita che non aveva bisogno di altri cambiamenti.
“Ti sei sposato” rise appena annuendo “Non vergonartene ragazzo, sono felice per te” “Davvero?” “E dimmi, ne sei innamorato?” “Si signore” “L'ameresti anche tra vent'anni?” “Perdonatemi” rispose confuso “Non vedo come questo possa ...” “Voglio solo essere sicuro che il tuo matrimonio sia sano e forte e che sopravviva e giochi strani della vita o del destino. Ti ho cresciuto come un figlio, preoccuparmi per te mi è concesso” “Si signor generale” ma sapeva bene che dietro a quella bontà spesso era nascosta un'arma a doppio taglio.
Conosceva bene quell'uomo, la sua propensione a voler dominare sul carattere di chiunque e quel senso di protezione forse troppo grande che l'aveva sempre tenuto lontano da Oscar.
C'era qualcosa di strano in lui, qualcosa che non riusciva a comprendere ma era certo che prima o poi ci sarebbe arrivato “E come si chiama la nostra giovane sposa?” “Marie” “Marie, è un bel nome” “È vero, è un bel nome” “Siete sposati da anni ormai” “Se vi state chiedendo come mai non ci sono bambini ...” “No niente del genere. Sono passato da te oggi per chiederti di accettare il mio aiuto” “Signore, non ho bisogno di niente” “Lo so” ribatté l'altro sfilando dalla tasca dell'abito un foglio sigillato “Quello che ti offro è un lavoro” “Ho già un lavoro” “Sua maestà la regina mi ha chiesto di nominarti unico fornitore delle scuderie reali” “State scherzando vero?” ma l'espressione sul volto dell'uomo era già di per sé una risposta.
Posò il foglio sul tavolo spingendolo leggermente verso di lui “Avrai il compito di procupare gli esemplari migliori, verrai investito di poteri speciali e viaggerai all'estero per cercare solo il meglio per le loro altezze. Il tuo compenso sarà molto alto e avrai una casa e molta terra” “Signore, l'offerta che mi fate è grande ma non posso … non posso accettarla” “Andrè” e d'improvviso, gli occhi di Oscar tornarono in vita sul volto di suo padre.
Lo stesso sguardo, la stessa forza e lo stesso angolo di cielo “Non sono abituato a supplicare né ad attendere. Per il bene che ti voglio sono disposto ad aspettare qualche giorno ma questo è un'ordine di sua maestà” si alzò dalla sedia tornando a vestire i panni gelidi del generale a cui era abituato “Dio si è preso il mio passato e il mio presente. Sto offrendo a te il futuro Andrè, non buttarlo via” “Signore?” il generale si fermò sulla soglia voltandosi verso di lui “Ricordate le lacrime di stelle?” un sorriso leggero gli sfiorò le labbra “Lacrime di stelle” sussurrò divertito “La mia bambina chiamava così la pioggia. Perché me lo chiedi?” “Niente, è solo … ecco vedete, c'è una duchessa che ha usato le stesse parole e ...” “Aveva cinque anni quando chiamava così la pioggia, credeva che i tuoni spaventassero anche le stelle nel cielo costringendole a piangere ma ci sono migliaia di persone a questo mondo. Anche mia nipote chiama così la pioggia” “Avete ragione ma questa giovane dama assomiglia in modo impressionante a vostra figlia e …” “L'avete vista?” domandò d'improù cercando i suoi occhi “No signore ma il suo comportamento, il suo modo di vivere che tanto ha incantato mia moglie è ...” “Non pensarlo, non affezionarti all'idea perché non è reale” ma c'era distacco nelle sue parole e una freddezza oltre misura “Perdonatemi generale, a volte sento la sua mancanza così forte da costringermi a vedere anche quello che non c'è” un altro sorriso, più freddo di prima, distaccato e lontano poi, veloce com'era arrivato quell'uomo freddo e altero se ne andò portandosi via un pezzetto di sé.


C'era profumo di pioggia nell'aria, le nuvole correvano veloci sul manto cristallino del cielo e presto, il temporale estivo avrebbe scaricato sui pascoli e sulle campagna una gran quantità d'acqua.
I cavalli erano al sicuro e per evitare spiacevoli incidenti, tre dei suoi uomini erano rimasti alle stalle per tranquillizzare gli animali e occuparsi dei puledri.
Il vento sempre più forte portava con sé l'odore dell'erba bagnata, fermò anche l'ultima finestra bloccandola con i pannelli di legno ed entrò in casa chiudendosi velocemente la porta alle spalle.
Marie era salita al piano di sopra per controllare che ogni cosa fosse al proprio posto, tolse il mantello soffermandosi sul leggerissimo bagliore del fuoco “D'accordo, siamo pronti per il temporale” esclamò radiosa Marie scendendo le scale “Speriamo sia solo quello” “Pensi sia qualcosa di più forte?” “Le nubi sono basse e veloci, il vento è sempre più forte. Jacques e suo fratello sono rimasti ai recinti” “Lisette sta chiudendo il pollaio” “D'accordo” la porta si aprì e una giovane dal volto arrossato fece capolino nascondendosi nello scialle “La porta sul retro non si chiude” “Di nuovo? D'accordo” esclamò Marie stringendo più forte il mantello attorno al collo “Vado io” “Sei sicura?” “Non preoccuparti amore mio. Sono abbastanza forte” una folata di ventro entrò gelida costringendo il fuoco a tremare.
Le pagine del libro aperto sulla poltrona impazzirono muovendosi all'unisono e un rumore sordo attirò l'attenzione di Andrè “Cosa …” “Il mio quadro” mormorò Marie avvicinandosi alla porta “Puoi sistemarlo per me?” “Certo” un bel sorriso come saluto e poi di nuovo la porta chiusa e la pace calma del silenzio.
Si avvicinò alla tela rovesciata ridendo di quel disordine tutto sommato ordinato.
I pennelli sparsi sul pavimento, i fogli pieni di schizzi buttati ovunque.
Se non avesse visto il vento giocare con quelle cose probabilmente avrebbe trovato normale quel leggerissimo caos, Marie ne faceva parte.
Raccolse i pennelli e i fogli sistemandoli sul tavolino lì accanto “A quanto pare anche gli angeli ogni tanto fanno un capitombolo” sussurrò divertito sollevando il cavalletto “Chissà quando avrai un volto” ribatté divertito “Ecco fatto” esclamò Marie chiudendosi di colpo la porta alle spalle.
Aveva i capelli in disordine e un leggerissimo rossore sulle guance “Tutto è chiuso e in ordine” “Quando le darai un volto?” “Ha già un volto” “Oh andiamo! Questo non è un volto, è un insieme di colori, non ha nemmeno gli occhi” ma la giovane rise divertita coprendo il quadro con un lenzuolo colorato “Non prenderla in giro. È bellissima anche senza occhi” “È vero, è bellissima anche così” “E allora di cosa ti lamenti?” “Vive praticamente in casa con noi amore mio. Ce l'ho davanti ogni mattina e ogni sera” “A chi somiglia?” domandò d'improvviso inclinando leggermente la testa di lato “Per costringerti a guardarla continuamente assomiglia a qualcuno di importante” “Oscar” sussurrò “Assomiglia ad Oscar” “Davvero?” annuì appena sospirando “Ha i suoi lineamenti e quel sorriso appena accennato che le sfiora le labbra” la giovane sorrise scoprendo di nuovo il dipinto “Che altro?” “Cosa?” “Che altro vedi di lei?” “Marie, questa cosa non andrà ...” “No è vero, ma ti aiuta. Forse se ne parli sarai in grado di affrontare la sua assenza” le sfiorò il volto sorridendo “Affronto la sua assenza ogni giorno” “Non sono gelosa di lei, come potrei esserlo? È stata importante per te, forse la persona più importante al mondo ma tu ora … tu lo sei per me e non voglio vederti triste Andrè” fece un bel respiro tornando a spiare la giovane donna dipinta sulla tela.
Non aveva mai condiviso Oscar con qualcuno ma la preoccupazione sul volto di Marie meritava almeno un tentativo “Le sue spalle” sussurrò stringendo la mano della giovane “La postura elegante e controllata che le hai regalato è la stessa che viveva in lei” “Davvero?” annuì appena ridendo di quel ricordo “Camminava come suo padre. Con la stessa cadenza nei passi, con lo stesso orgoglio nello sguardo. Era stata cresciuta per prendere il posto del generale, ne era così orgogliosa” “Parlami ancora di lei ti prego” mormorò la ragazza tirando due sedie fino a lui “Perché?” “Quando parli di lei la riporti in vita sai? È come se d'improvviso nascesse davanti ai miei occhi” “D'accordo” sedette cercando di nuovo quel maledetto quadro, come se da esso dipendesse il normale respiro del suo cuore.
Quella dama lontana lo guardava irriverente dalla tela candida giocando con i suoi occhi, prendendolo in giro come una bambina dispettosa “Aveva la stessa espressione, distaccata, lontana. A molti appariva altezzosa e priva di sentimenti ma era una maschera, un modo per allontanare la sciocca frivolezza di donna che mai ha conosciuto” “Non danzava?” domandò d'improvviso Marie “Non come una donna, era stata allevata per essere un uomo” “Che amore c'è nel negare alla propria figlia la dolcezza dell'esser donna?” “Me lo sono chiesto anche io. A dire il vero ho passato anni interi a farlo” “E cos'hai concluso?” “Niente” ribatté divertito “Ma credo che nemmeno suo padre abbia concluso granché” “E questo gli da il diritto di venire qui ed offrirti un lavoro?” “Viene dalla regina amore mio” “Può venire anche da Dio in persona non importa! Perché ora? Perché viene qui adesso Andrè?” “Non ne ho idea” sussurrò inclinando leggermente il volto “Lo sai che vista così sembra che rida?” “Già” “No dico davvero, sei stata bravissima a ...” “L'hai amata?” il cuore mancò un colpo mentre il volto innocente di Marie si apriva in un sorriso “Scusa” si affrettò ad aggiungere sollevando appena le mani “Non pensavo quando l'ho chiesto e non ...” “Non l'ho mai amata” ma sentiva mente e cuore urlare assieme quell'unica parola: “Bugiardo”.
Ricordava ancora la dolcezza delle sue labbra, il profumo della sua pelle mentre si stringeva a lui perdendosi nei sospiri.
Come poteva raccontarle la sua Oscar? Sorrise dipingendosi in volto un sorriso sciocco “Non l'ho mai nemmeno sfiorata ma vorrei averlo fatto, vorrei averla baciata almeno una volta” “Mi dispiace” sussurrò Marie sfiorandogli il volto “Sai cosa penso?” domandò poi cercando i suoi occhi “Che in qualsiasi angolo del cielo si trovi ora, il suo sorriso sarà sempre luminoso e bello perché l'amore rende ogni cosa più bella, perfino la distanza. Forse sta giocando con il vento o magari, cerca sull'acqua del lago l'immagine della luna” Andrè rise intrecciando le dita alle sue “Oscar amava la luna. Diceva sempre che nel suo riflesso vedeva i sogni prendere vita” “A me capita lo stesso quando guardo una torta di Annie” scoppiò a ridere assieme a lei come se quei pochi attimi di dolcezza fossero spariti nel nulla.
Il vento sempre più forte trascinava lontano quel sorriso a metà che troppe volte nei sogni si era preso gioco di lui.



 

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Capitolo 11
*** Danza ***


                                               Danza






Odiava quella sciocca sensazione di inadeguata presenza, compariva ogni volta che suo suocero chiedeva di incontrarlo.
Non si sentiva mai a proprio agio perché davanti a quell'uomo padre e soldato, ritornava improvvisamente un bambino impaurito.
Fece un bel respiro fermandosi davanti alla porta, ascoltava nel silenzio il proprio respiro, il battito del cuore che ora diventava l'unico compagno.
Sistemò velocemente il nodo della camicia e senza più riflettere entrò nella biblioteca “Perdonate il mio ritardo” “Non preoccupatevi, so bene che gli impegni che vi portano via da mia figlia sono molto importanti” “A volte vorrei lo fossero di meno” mosse leggermente una mano sedendo di fronte al suocero.
Inga aprì la porta e quattro paggi entrarono composti reggendo vassoi d'argento “Non mi piace mai lasciarla sola” “A questo proposito” mormorò l'altro prendedo tra le mani la tazza fumante “Cos' avete intenzione di fare per quanto riguarda Marie?” “Marie?” ripeté confuso “Già, la giovane che pare aver rubato l'attenzione di mia figlia” “Non credo ci sia nulla di pericoloso in quella ragazza. Tra un mese Helena rientrerà in patria assieme a nostro figlio e tutto tornerà come prima” “Non mi tranquillizza la presenza di quella giovane accanto a lei” “Credetemi, questa cosa infastidisce anche me” “Il cambiamento che ha fatto negli ultimi sei anni è stato sconvolgente tanto per lei quanto per me. Avete conosciuto la donna che Helena è diventata ma io le vivo accanto da una vita intera” si fermò qualche secondo stringendo più forte la tazza tra le dita “L'ho costretta a commettere errori, uno in particolare ed è di quello che oggi ancora mi pento ma Helena è stata più forte di me e anche dopo l'incidente, è riuscita a sollevarsi da terra” “Cosa mi state …” “Ti ho concesso la sua mano perché ho visto in te la stessa passione che brucia nel suo cuore. Sei un brav'uomo, con ideali forti e una famiglia di sani principi. Helena è innamorata di te e l'amore che tu provi per lei mi regala la certezza di aver fatto la scelta giusta” era la prima volta che si apriva con lui, la prima volta che gli concedeva il lusso di essere qualcosa di più che un semplice marito.
Si stava affezionando a lui, lo considerava un figlio e forse, per molti versi, suo suocero era stato un padre per lui perfino migliore di quello vero “Sei suo marito, sei libero di scegliere per lei ciò che più ti rende felice ma c'è una cosa che ho sempre preteso ...” “La sua sicurezza” l'altro sorrise annuendo deciso “Esatto, pretendo che tu la tenga al sicuro, lontana da qualsiasi cosa possa ricordarle quel periodo spiacevole della sua vita” “Non ho mai desiderato altro che la sua felicità. Non vorrei mai perderla e credetemi, farò tutto quanto in mio potere per evitarle quel passato” Inga posò tra loro due bicchieri di vino allontanandosi poi di qualche passo “Ora figlio mio, parlatemi un po' del ballo che avete organizzato per lei” “Pensavo di regalarle una serata di sorrisi e allegria” “Avete fatto bene” “Durerà pochi minuti, Helena odia la costrizione delle grandi serate” l'altro rise battendo leggermente le mani “Sapete, una volta le ho regalato un meraviglioso abito di seta rosa. L'avevo fatto cucire da un rinomato sarto di Parigi ed ero convinto che addosso a mia figlia sarebbe stato un gioiello” “Ed era così?” “Aveva diciassette anni lo ricordo bene. Era abituata alla mia assenza, l'esercito richiede ogni attimo di tempo libero ma ero convinto che per suo padre avrebbe indossato quell'abito ...” si fermò qualche secondo studiando il volto di Nils.
Era concentrato, serio, perso nelle sue parole come se in realtà ascoltasse fiabe magiche e lontane “ … ero curioso di vederla così vestita e forse inconsciamente, speravo di porre rimedio ad una scelta fatta molti anni prima e quando sono tornata a casa, l'ho trovata a cavallo con i capelli in disordine e il vestito mezzo strappato” Nils sorrise giocherellando con il bicchiere “Quando le ho chiesto per quale motivo fosse ridotta in quello stato mi sorrise. Diceva di aver affrontato in duello suo cugino e di aver vinto” Inga si portò una mano alle labbra nascondendo l'espressione divertita.
Immaginava quella giovane correre a perdifiato verso suo padre indossando un abito prezioso, rovinato dalla lama della spada, i capelli sciolti sulle spalle e quegli occhi meravigliosi piegati in un sorriso.
Non ne era poi molto stupida, sin dal primo giorno che la vide, si accorse che nell'eleganza dei suoi movimento era nascosta ben più che semplice educazione.
Nel suo sguardo bruciava il fuoco prezioso di uno spirito irrequieto, i lineamenti del suo volto erano stati un regalo della natura ma non era di quello che si era innamorato il suo signore.
Abituato alla solitudine e alla vita libera, si era scontrato di colpo con la vita e quel cambiamento improvviso lo aveva costretto a diventare adulto lasciandosi alle spalle le sciocche inezie della giovinezza “Non preoccupatevi duca, vedrete che resterà a quella festa fino alla fine” “Ne siete davvero convinto?” “No, ma è bene avere un po' di fede” sollevò il bicchiere inclinandolo leggermente verso di lui, Nils sorrise divertito toccando il cristallo con il proprio calice “Mi darete la gioia di avere altri nipoti?” il vino gli andò di traverso e un colpo di tosse improvvisa costrinse Inga ad alzare lo sguardo al cielo “Nipoti?” “Piccoli esseri umani che ridono e parlano, non dovrebbe essere difficile, ne avete già fatto uno e ...” “So cosa … amiamo entrambi i bambini e di certo daremo a Niklas un fratello o una sorella” “Molto bene” “Non siete … non siete orgoglioso dei nipoti che avete già?” balbettò poi asciugandosi le labbra “Ne avete molti signore” “Ne ho molti che amo ma che non sono figli vostri” “Giusto, dimenticavo l'amore che provate nei confronti di Helena” un uomo si avvicinò di qualche passo al duca sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
Aveva l'aria trafelata e il volto pallido “Ha detto quando?” “No signor duca” “Manda Cecile da lui, la mia carrozza è già pronta?” “A minuti signore” “Va tutto bene figliolo?” “Oh certo, è solo uno sciocco probelma tra i miei mezzadri, non preoccupatevi” “Padre” Helena entrò nella sala reggendo il figlioletto tra le braccia.
Sembrava una piccola bambolina di porcellana, aggrappato al vestito di sua madre, con la testolina posata sul seno e le manine accanto al volto “Da quanto siete arrivato?” “Da pochi minuti” si alzò dalla poltrona sorridendole “Come stai?” “Bene, non vi aspettavo oggi, Nils mi aveva detto che ci avreste raggiunto ma ...” “Va tutto bene” le sfiorò il volto lasciando un bacio leggero sulla fronte della figlia “Amore mio, devo uscire per qualche ora e ...” “Perché non mi hai fatto chiamare?” “Stavi riposando” “Ma è mio padre” ribatté indispettita cercando gli occhi di suo marito.
Era più bello del solito, forse era colpa dell'abito scuro o dei capelli raccolti ordinatamente dietro alla nuca, c'era qualcosa nel suo sguardo che la costringeva a sorridere “Siete il tesoro più prezioso che ho, se devo sopportare questo bel faccino arrabbiato con l'unica colpa di averti fatto riposare ...” sfiorò la testolina del figlio cercando di nuovo i suoi occhi “ … allora lo farò” “Non funziona Nils” “Lo so, ma almeno mi da un lieve vantaggio. Ci vediamo tra qualche ora” “D'accordo” le mani scivolarono nel vuoto, un bel sorriso sulle labbra prima di lasciare la sala accompagnato dai suoi servi.




“Sei bellissima” “L'hai già detto una volta” “Non posso ripeterlo?” domandò diverto stringendola più forte.
Il ventre unito al suo e gli occhi persi uno nell'altra mentre la guidava attraverso quella danza stupenda.
Il salone di solito silenzioso era gremito di persone trasformandosi in una meraviglioso mondo fatto di luci e sete preziose.
Le dame chiacchieravano allegre tra loro incuranti dei discorsi troppo complicati degli uomini.
I musicisti spargevano nell'aria dolcissime note regalando a quell'ambiente il caldo abbraccio della melodia.
Aveva sempre amato la musica, il sogno che era in grado di creare dal nulla e amava da morire l'espressione sul volto di suo marito.
Quegli occhi tanto belli sempre seri e distaccati diventavano improvvisamente laghi di emozione.
Sulle labbra un bellissimo sorriso mentre cercava in lei la stessa donna che cinque anni prima gli aveva rubato il cuore “Non dovresti indossare questi vestiti quando sono così vicino a te” “Dovrei ballare nuda?” “Vuoi vedere un lago di sangue?” ribatté ironico costringendola a ridere.
Avvolta da un vestito bianco di perla si muoveva tra le sue braccia come aria pura.
I capelli sollevati, fermati assieme da un diadema d'argento dove fili preziosi si univano e si speravano accogliendo diamanti.
Il corpetto dell'abito era semplice, seguiva le linee della schiena senza costringerla a trattenere il respiro, le spalle scoperte e una bellissima collana si posava leggera sul petto.
Nei suoi occhi c'era passione, vita, gioia, la stessa che l'aveva incatenato a lei quel giorno pieno di sole “Non vuoi dirmi cos'è accaduto oggi?” “Quando?” “Quando sei scappato via di corsa lasciandomi con mio padre” “Solo sciocchezze amore mio” “Tanto sai che lo scoprirò” “Vero” esclamò divertito baciandola “Ma fino ad allora ...” la sollevò da terra costringendola a ridere “ … mi divertirò un mondo ad averti solo per me” la musica sciamò leggera e un delicato applauso salì dalle dame e dai cavalieri attorno a loro.
“Posso avere l'onore di ballare con mia figlia?” Helena si voltò di colpo incontrando gli occhi sorridenti del padre ma era la donna al suo fianco che attirava il suo sguardo “Madre?” domandò confusa “Ciao angelo mio” “Credevo di non riuscire a vedervi prima della partenza” la mano della dama le sfiorò il volto e un piacevole calore riempì ogni angolo di cuore.
“Sei bellissima” “Anche voi” “E dimmi, ti diverti?” ma lo sguardo sul volto della figlia la costrinse a ridere “Granduchessa” esclamò Fersen stringendo la mano attorno alla spalla dell'amico “Siete un incanto stasera” “Non siate impertinente conte” “Lo sono?” “Solo un po'” “Allora forse ai vostri occhi apparirò meno impertinente se vi facessi i miei complimenti per la nuova nomina.Vice comandante supremo” “I titoli altisonanti richiedono sacrifici” “Padre” “D'accordo bambina, evitiamo discorsi lunghi e complicati, andiamo, balla con me” le dita si intrecciarono assieme mentre quegli occhi così simili parlavano tra loro senza nemmeno usare la voce.
Sentì la mano del padre posata sulla schiena mentre assieme a lui si perdeva in un mondo stupendo.
Poteva leggere nei suoi occhi l'orgoglio, la dolcezza, la paura di commettere errori.
Emozioni che aveva sempre tenuto lontane dalle labbra perché un uomo come lui non era fatto per parlare “Sei uno splendore bambina mia” “Vi ringrazio” “Dico davvero Helena, non avrei mai pensato di vederti così” “È un complimento?” domandò confusa ma l'altro rise “Ho sempre immaginato per te un futuro come questo. Ti ho immaginata felice, sorridente. Temevo di vedere i miei buoni propositi sparire come neve al sole” “Perché sono troppo diversa?” “E troppo irriverente, sei ostinata, con poca passione per il mondo di sfarzo nel quale sei cresciuta e con troppa malinconia nello sguardo” “Ma se avete detto poco fa ...” “Parlo di malinconia diversa Helena” “E voi?” “Io?” domandò stupito costringendola a girare su sé stessa “Voi siete diventato improvvisamente più tenero” “Stai giocando con il fuoco, non ti ho detto mille volte di non farlo?” “Il fuoco mi diverte” negli occhi di sua figlia era dipinta la sfida, la voglia di oltrepassare i limiti per scoprire che tipo di reazioni avrebbe scatenato in lui.
Fin da bambina quel gioco innocente l'aveva costretta a lunghe lotte con sé stessa ma ora, davanti, non aveva più la piccola dagli occhi grandi e luminosi che lo aspettava sveglia tutte le notti.
C'era una giovane donna dal volto d'angelo che nascondeva un carattere forte e a tratti perfino troppo irrequieto.
Custodiva nei lineamenti la grazia della madre ma lo sguardo, quel fuoco violento che bruciava in lei, quello era suo così come la forza che l'aveva salvata da un futuro solo e buio.
Un futuro che non avrebbe mai autorizzato perché colorato da sciocche emozioni figlie di ricordi che ormai non le appartenevano più “Tua madre si chiede come mai non hai preso peso dopo la nascita di tuo figlio” “Eppure mangio molto” “Cosa assolutamente giusta ma avrebbe un effetto migliore se non corressi continuamente da una parte all'altra” “Dovrei passare le ore a fissare il vuoto e a ricamare? Sapete bene che odio farlo” rise divertito da quell'ultima espressione “Non ti ho mai vietato niente Helena lo sai, non ho bisogno di scomodare il mio intuito per capire che stai trascurando te stessa” “Sto bene padre” “Lo so, ma vorrei vederti lontana dal cavallo almeno per qualche ora” l'espressione sul volto di Helena cambiò di colpo e un sorriso carico di ironia le sfiorò le labbra “Siete invidioso?” “Cosa te lo fa credere?” “Il fatto che io posso cavalcare ogni volta che più mi aggrada e voi siete attaccato al dovere” la musica terminò lasciando un padre e una figlia ancora stretti l'uno all'altra “Allora? Non avete risposto alla mia domanda” “Sciocchezze” borbottò poi prendendola a braccetto “Posso chiedervi una cosa?” “Se riguarda ancora ...” “Posso avere la vostra spada?” sospirò alzando gli occhi al cielo “Oh ve ne prego” “Bambina mia, la scherma non è cosa da donna” “Ve lo ripetavate continuamente quando mi insegnavate gli affondi?” “E tuo marito? Non pensi che sarà ...” “Nils” il duca si voltò verso di lei sorridendo “Ho una domanda” “Che riguarda?” “Spade” “Spade” ripeté confuso, la dama accanto a lui sorrise portandosi il ventaglio alle labbra.
“Perché dovresti chiedermi ...” “Sarebbe tanto brutto se io avessi una spada?” “Perdonatela” aggiunse la donna “Mia figlia è sempre rimasta incantata dalle armi di suo padre” “Le trovo magiche” “Se questo è un tuo desiderio amore mio puoi avere tutte le spade che desideri” le labbra si schiusero in un sorriso meraviglioso, così luminoso da togliere il fiato “Complimenti duca, avete fatto proprio un bel pasticcio” “Oh te ne prego marito mio. È solo una spada” “Non è solo una spada Louise” “No è vero, ma questo la rende felice” “È pericoloso” “Lo so ma andrà tutto bene. È grande abbastanza per badare a sé stessa” lo sguardo corse veloce al volto di sua figlia.
Era a pochi passi da lui, la mano stretta a quella del marito e gli occhi persi nei suoi, lontano da lui, dal mondo intero.
Sembrava sospesa nel tempo e nello spazio, lontana dalla musica, dalle danze e dai colori vivaci che riempivano la sala.
Parlava con suo marito incurante dei presenti “Ho bisogno di te” sussurrò divertita tirando leggermente suo marito verso di lei “C'è qualcosa di cui vuoi parlarmi?” gli occhi fusi nei suoi e poi d'improvviso quel battito diverso nel cuore.
Le sorrise seguendo con le dita i lineamenti del suo volto “Ti prego dimmi che non stai scherzando” “Perché dovrei farlo?” “Grazie al cielo” sussurrò divertito “Vogliate scusarci. La mia bellissima sposa deve parlarmi di qualcosa di molto importante” Fersen rise inclinando leggermente il bicchiere verso di loro “Ma di che ...” “Oh non preoccupatevi signore. Saranno di ritorno il prima possibile” “Esatto, non preoccupatevi padre, è solo una piccola confidenza” strinse più forte la mano di Nils correndo via assieme a lui senza nemmeno dargli il tempo di rispondere.




 

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Capitolo 12
*** Fantasmi e Sorrisi ***


                              Fantasmi e Sorrisi






Strinse più forte le mani attorno ai fianchi della ragazza, sentiva il suo seno sfiorargli leggero il petto mentre quei capelli meravigliosi si intrecciavano alle dita.
Il volto dolcemente arrossato, le labbra schiuse sulle sue. Seguì la linea delicata della schiena, i muscoli che scorrevano sotto le dita come seta pura fino alle spalle, si sollevò lentamente stringendola a sé.
Il corpetto slacciato, i capelli ormai liberi da tenere costrizioni, era certo che Inga si sarebbe arrabbiata per quel dolcissimo disordine ma in quel momento, l'unico pensiero che vorticava nella mente era Helena.
Un altro bacio, profondo, caldo.
Seguì con le labbra la linea delicata del ventre salendo fino al seno, la sentì sospirare inarcando la schiena, le gambe strette con forza attorno ai suoi fianchi, una catena violenta che lo legava anima e corpo a lei.
Intrecciò le dita alle sue bloccando le mani sul materasso e perdendosi in quello sguardo profondo e puro, accelerò quella danza massacrante togliendole il respiro.
Posò la fronte sulla sua soffocando il bisogno violento di lei che bruciava nel cuore, sentì le sue mani scivolare lentamente sul petto, le sue labbra sul collo, sul viso.
Passò un braccio sotto alla schiena di quell'angelo nutrendosi del tremito massacrante che saliva dal ventre.
La strinse più forte a sé nascondendola dalla notte e dagli occhi indiscreti di un cielo stellato che dalle finestre aperte spiava l'amore degli uomini.
Restò immobile ad ascoltare il suo respiro, il calore del suo corpo e quel sorriso leggero sulle labbra che amava da impazzire.
Le sfiorò le labbra seguendone il contorno delicato con un dito, Helena sorrise sollevando leggermente i fianchi, non capiva nemmeno lui come fosse possibile o perché ma ogni volta che l'amava, era libero di giocare con la passione fino a quando lei lo permetteva ma ora, sdraiato tra i cuscini con quel corpo perfetto su di lui che potere aveva? Dov'era finito il comandante fiero e orgoglioso che guidava i suoi uomini senza remora alcuna? Lasciò scivolare le mani sulle cosce della ragazza perdendosi nel ritmo dannatamente lento che si divertiva a creare dal nulla.
Lo costringeva ad impazzire ogni secondo un po' di più, giocava con lui, con il desiderio violento che non lasciava libero di fluire.
La sentì sospirare rallentando ancora e ancora poi quel sorriso bello come il sole, si chinò leggermente in avanti intrecciando le dita alle sue, le labbra schiuse le une sulle altre mentre lo trascinava velocemente in un'oblio di tenera follia. Di nuovo quel tremito, di nuovo quel calore bollente che scorreva nel sangue.
La tirò dolcemente in avanti abbracciandola “Dio quanto ti amo” “E credi che per me sia diverso?” sorrise giocando con i suoi capelli, la teneva così stretta da poter sentire il battito del suo cuore “Dovremo rientrare amore mio” “Oh io penso che possiamo restare qui ancora un po'. Ho un amico fidato di là che ha il compito di distrarre i nostri ospiti” “Forse meriterebbe un dono per questo” esclamò divertita sollevando leggermente il volto “Che c'è?” “Non vuoi dirmi cosa ti preoccupa?” “Niente” “Ogni volta che mi rispondi così mi aspetto che il mondo crolli all'improvviso sotto i miei piedi Helena” giocava con la sua pelle disegnandovi cerchi invisibili.
Arrivava leggera la melodia che al piano di sotto cullava i sorrisi e la spesieratezza dei loro ospiti, sarebbe rimasto così per sempre, sdraiato su quel letto con le braccia strette attorno a sua moglie e le labbra perse tra quei capelli meravigliosi “Sai cosa penso?” “Che dovremo comprare un altro cavallo?” “Che forse è meglio anticipare la data della mia partenza” “Perché?” “Non lo so. Ho solo ...” le sollevò il volto cercando i suoi occhi “C'è qualcosa che non va?” “Ho solo voglia di tornare a casa” “Helena” ma un bacio leggero bloccò qualsiasi tentativo di domanda poi un bel sorriso sulle labbra “Niklas è sveglio” “Come lo sai?” “Lo so e basta” “E questa sarebbe una risposta? Piuttosto banale granduchessa” i colpi sulla porta interruppero quell'attimo di dolce tenerezza.
Tirò la coperta nascondendola tra le braccia “Altezza?” “Si?” “Veramente cercavo vostra moglie signore” “Oh lei … lei non è qui” ribatté divertito posando una mano sulle labbra della giovane ma la porta si aprì ed Inga entrò reggendo tra le braccia un bambino in lacrime.
“Non dovresti aspettare prima di ...” “Quando sento il mio angioletto piangere non mi preoccupo molto delle vostre grazie” voltò le spalle al letto sbuffando “Da quanto è sveglio?” “Due minuti signora” scivolò via dalle braccia di Nils avvolgendosi nel lenzuolo candido “Con tutto il rispetto signore, non credete sia un'ottima idea lasciare la camera?” “Ho già visto mia moglie allattare, la trovo la cosa più dolce di questo mondo” “Di sotto chiedono insistentemente di voi e a meno che non vogliate andarci senza pantaloni ...” “D'accordo” esclamò divertito sollevando le mani.
Ci mise pochi secondi a rivestirsi e ancora meno a cacciare via la voglia folle di restare lì assieme a lei perché se l'avesse fatto, allora dei suoi ospiti, delle regole e di qualsiasi altra cosa non gli sarebbe più interessato nulla.
Legò di nuovo i capelli avvicinandosi alla governante “Scusami piccolo mio, la mamma ora penserà solo a te” “Fuori di qui duca” sorrise divertito chiudendosi la porta alle spalle.
Inga sbuffò borbottando qualcosa nella lingua del nord che aveva imparato ad amare.
Ci mise tre minuti buoni ad accorgersi dello sguardo allegro di Helena “Vi divertite a farmi preoccupare così?” “E per cosa?” si avvicinò alla sua signora lasciandole il bambino tra le braccia “Vi ho cercato ovunque altezza, scale su scale per inseguirvi e poi scopro che siete in camera vostra a fare cose poco convenienti” raccolse da terra l'abito scuotendo severa la testa “Non dovreste giocare così con una povera vecchia. Non ho più la forza di correre su e giù per rincorrervi. E guardate questo bel vestito, ma dico io, vi sembra il modo di trattare una stoffa tanto preziosa?” si voltò verso di lei spingendo gli occhiali sul naso ma l'immagine che colpì i suoi occhi fu tanto bella da regalare un attimo di tregua anche alle ramanzine.
Le manina di Niklas era posata sulla pelle candida della giovane e le labbra chiuse attorno a quella dolcezza unica in grado di cancellare le lacrime “A volte mi domando cosa vi passi per la testa” “Sei preoccupata per me?” “Non più del necessario” “Sono solo follemente innamorata di mio marito” “Ed è questo che mi spaventa” ribatté ironica l'altra ma l'epressione sul volto della duchessa attirò di colpo il suo sguardo.
La luce che brillava nell'azzurro del cielo sembrava velata da qualcosa che nemmeno lei riusciva a comprendere.
“State bene?” domandò preoccupata sollevandole il volto, Helena sospirò annuendo appena “Siete sicura?” “Credi nei sogni Inga?” “Dipende” “E da cosa?” si sedette di fronte a lei sistemandole una ciocca di capelli dietro all'orecchio “A volte sogno mio padre, è piacevole e anche piuttosto divertente. Soprattutto divertente insomma, sono vecchia, immaginate mio padre più vecchio di me?” “Non sei vecchia” “Non volete dirmi cosa sognate di tanto strano che vi regala questo faccino triste?” un debolissimo sorriso colorò le labbra della giovane mentre le parole uscivano a fatica dalle labbra “Un fantasma” “Un fantasma?” ripeté confusa la vecchina “Guarda il mare, ne ascolta il canto giocando con un fiore. Non vedo il suo volto, a malapena ne riconosco la forma” “Che stranezza” strinse più forte il bambino perdendosi nella dolcezza delle sue labbra, nel legame profondo che in quel momento apparteneva a loro soltanto.
Sentì la mano di Inga sfiorarle il volto in quella carezza così delicata che molte volte era stata il suo rifugio segreto “Non preoccupatevi, vedrete che non appena saremo a casa questi sogni spariranno. Avete solo bisogno di respirare un po' d'aria buona” “Hai ragione” “Ora occupatevi di questo piccolo principe, quando sarete pronta per i vostri ospiti vi aiuterò ad indossare di nuovo l'abito, sempre che sia ancora di vostro gradimento e che il duca non decida di rovinare ogni mio sforzo” si rialzò dal letto affaccendandosi attorno alla giovane “E poi, con molta pazienza, raccoglierò di nuovo i vostri capelli” “Non devi per forza ...” “Dovrei lasciarvi andare là fuori con i capelli sciolti? Scordatevelo! È pieno di giovanotti troppo spavaldi” “Ho un marito ricordi?” “Oh per gli uomini è più semplice” borbottò indispettita raccattando i nastri sparsi sul pavimento.
Era così concentrata sui propri pensieri da non accorgersi dello sguardo divertito di Helena “Loro pensano solo a spogliare, slacciare, gettare all'aria. Cosa importa se per raccogliere i vostri capelli ci sono volute ore? Quando torna qui mi sente” le labbra del bambino si staccarono dolcemente dal seno, lo sollevò davanti al volto baciandolo “Diventerai grande e forte amore mio e sarai un uomo meraviglioso proprio come tuo padre” Inga sorrise intenerita dalle parole della duchessa e da quel mondo così diverso che riusciva a creare ogni volta che aveva quel bambino tra le braccia.




“Partite davvero?” “Se devo essere sincera, non vedo l'ora” esclamò estasiata coprendo meglio il figlioletto “Mi manca il nord, il profumo del suo vento, i paesaggi, la libertà” “Siete libera anche qui” “Parlo di una libertà diversa Marie” ribatté divertita.
Il cielo era limpido e privo di nuvole, i raggi caldi del sole accarezzavano i fiori e l'acqua creando meravigliose sfumature.
Passeggiavano per quel meraviglioso labirinto di rose confidandosi l'una con l'altra ma la distanza che esisteva tra loro sarebbe stata chiara anche agli occhi di un bambino.
Le camminava accanto assieme ad altre quattro giovani che avevano l'unico compito di renderle piacevole quello svago leggero.
Una di loro aveva bellissimi capelli castani intrecciati e fermati dietro alla nuca da un nastro porpora, lo stesso che si fondeva alla divisa che indossava.
Reggeva l'ombrellino avendo cura di regalare alla sua signora tutta l'ombra possibile ma a lei non sembrava importare granché.
Continuava a camminare incurante del sole, delle chiacchiere frivole che le altre dame le concedevano quando si incrociavano.
Aveva indossato un abito semplice, azzurro come il cielo e ricamato di nero e argento sul corpetto.
Fili preziosi che disegnavano piccoli giochi di luce, tra le braccia stringeva quel corpicino assopito tanto importante per le loro famiglie.
Quel bambino piccolo e innocente sarebbe diventato l'erede di un nome così importante da scatenare invidie e cattiverie ma per ora, non si curava molto delle grandi domande sul futuro né si concedeva il lusso di giocare con idee o pensieri.
Se ne stava aggrappato alla sua mamma cullandosi nei suoi respiri e nella sua voce “Tornerete?” domandò Marie cercando gli occhi della giovane accanto a lei “Sono nata in questo paese, sarei una bugiarda se vi dicessi che non vorrei mai più metterci piede. Mio padre e mia madre sono qui” “E quando signora?” si strinse appena nelle spalle sorridendole “Forse tra un anno o due” lo sguardo di Marie si colorò di silenzio ma Helena strinse la mano attorno alla sua costringendola a sorridere “Vi scriverò vedrete. E quando tornerò voi sarete la prima amica che vorrò rivedere” “Me lo promettete?” “Ve lo prometto” il rumore leggero di una carrozza attirò gli sguardi delle ragazze.
Era elegante, troppo elegante per appartenere ad una semplice dama.
Non c'erano stemmi sui fianchi ma veniva preceduta da sei coppie di guardie a cavallo e seguita da altrettante.
Marie socchiuse gli occhi osservando confusa le guardie del duca, le vide sguainare la spada disponendosi in ordinato silenzio davanti alla scalinata “Dovremo proprio rientrare granduchessa” “Abbiamo ancora qualche minuto Corinne” “Come desiderate” mormorò la giovane chinando rispettosamente il capo “Allora” riprese Helena voltandosi di nuovo verso Marie “Di cosa parlavamo?” “Lettere” “Giusto, lettere. Ve ne scriverò molte e chissà, magari un giorno deciderete di visitare il nord” “No mia signora, c'è troppo freddo tra la neve” “E qui non c'è freddo forse?” “Si ma qui il sole resta ben saldo al suo posto tutto l'anno” Helena rise giocando con la manina del figlio “Devo confidarvi che quel buio lungo e silenzioso che abbraccia le terre a nord porta con se luci magiche” “Luci magiche? Che altra luce può vincere quella pura della luna?” “Avete ragione Marie, la luce della luna regala ogni volta un sogno diverso” si voltò appena verso di lei cercando di capire a cosa si riferisse.
Continuava a giocare con la manina del piccolo sorridendo di tanto in tanto, nei suoi occhi c'era dolcezza e un velo malinconico che fin dal primo giorno l'aveva colpita “Un sogno?” l'altra annuì appena divertita dall'espressione del figlio “Non vi capita mai? Sapete, molte volte quando guardo la luna mi capita di vedere nella sua luce i sogni prendere vita” “Che strano” sussurrò Marie giocherellando con un fiore “Lo trovate tanto strano?” “No signora è solo … vedete, mio marito una volta disse qualcosa di molto simile” “Vostro marito ha buon gusto in fatto di luci preziose ma credetemi, il nord regala magia” la voce di Inga arrivò d'improvviso arrestando l'intimità di quei pochi attimi.
Correva verso di loro seguita da due paggi, il vestito sollevato appena e stretto saldamente tra le mani mentre “Avete fatto arrabbiare qualcuno?” “No, fino ad ora non mi pare. Nils è uscito a cavallo assieme a suo fratello poco fa” “E allora cosa c'è di così ...” “Non vi avevo per caso chiesto di non farmi correre ovunque?” esclamò infine la governante raggiungendole.
Aveva gli occhiali leggermente abbassati sul naso e qualche leggerissima ciocca di capelli sul volto “La vostra ospite è appena arrivata” “Lo so, ho visto la carrozza e le guardie e ogni altra cosa che …” “Vi costa molto fingere di seguire il cerimoniale? Fatelo per me altezza” Marie rise divertita nascondendo il volto dietro alle mani “La mia ospite non si è mai sconvolta più di tanto” “Questo perché siete entrambe terribilmente cocciute” ribatté indispettita la governante portandosi le mani ai fianchi “Si è spazientita per la mia assenza?” “A dire il vero, sta giocando con i cani di vostro marito” “Allora direi che non c'è niente di cui preoccuparsi” “Ne siete sicura?” Helena sorrise baciando il volto arrossato della vecchina “Non preoccuparti, non ho alcuna intenzione di recare offesa a mio marito, a mio padre o alla mia ospite” “Ricevete il re?” domandò Marie colorando quella domanda di allegria “La regina” “La … scherzate?” ma la duchessa non rispose.
Si limitò a congedarla con un lieve cenno del capo mentre si allontanava da lei.

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Capitolo 13
*** Battito Accelerato ***


                              Battito Accelerato






“Perdonatela altezza, mia figlia ultimamente ha perso il senso del dovere” il bel volto della regina si colorò di allegria.
Seduta sul divano osservava divertita i giochi di sua figlia.
Correva per la sala assieme al cucciolo, un meraviglioso cane da caccia ancora troppo piccolo per poter svolgere il suo dovere.
Poco importava il titolo nobiliare che le regalava rispetto, rideva e giocava come una bambina qualsiasi di un paese qualsiasi “Concedetele ancora qualche minuto” “Sono pronta a concederle anche tutto il pomeriggio. Non ho alcuna fretta di tornare a Parigi e sinceramente, non vedo l'ora di incontrare vostra figlia” “Credetemi altezza reale, Helena prova esattamente le stesse cose” ma la giovane sospirò e un velo leggero di malinconia sfiorò i suoi occhi “Va tutto bene?” “Non ho mai approvato questo cambiamento” l'uomo sospirò sedendosi di fronte a lei “Vostra altezza, vi ho spiegato i motivi che mi hanno spinto ...” “Comprendo le preoccupazioni che affliggono il cuore di un padre e per questo dovrei esservi grata, mi avete restituito un'amica ma ...” si fermò qualche secondo stringendo più forte tra le mani il ventaglio “ … continuo a pensare che, seppur inconsciamente, abbiamo commesso un'errore” “Non voglio vedere mia figlia soffrire o restare sveglia la notte in preda a dubbi o paure” Inga entrò reggendo un vassoio.
Aveva il volto leggermente arrossato ma conservava tuttavia un elegante rispetto per quella giovane tanto importante per la Francia e per il mondo intero “Mia figlia?” “Arriva subito signore, è stata trattenuta” “E da cosa ...” “Vostro nipote” la governante sorrise appena posando il vassoio davanti alla sovrana “Oh per l'amor del cielo, quanto tempo passerà prima che una balia metta piede in questa casa?” ma la risata cristallina della regina fermò quella tenera protesta “Voi non immaginate nemmeno quanto avrei voluto comportarmi nello stesso modo, ma la corte di Francia ha rigidi cerimoniali e l'amore di una madre passa in secondo piano” “Altezza” un sorriso bello come il sole colorò il volto della giovane, Helena si avvicinò a lei chinando il capo “Perdonate il ritardo, mio figlio ...” “Aveva bisogno di voi. Non dovete chiedere scusa” rispose l'altra invitandola a sedere di fronte a sé.
Poter scappare da Versailles le regalava un po' d'aria pura, la libertà tanto agognata e fino ad ora mai avuta.
Ma per lei, granduchessa del nord abituata ad una vita piena e felice, quella giovane dal volto angelico era diventata un'amica preziosa quasi al pari di una sorella “Sei in ritardo” “Si padre, per questo ho chiesto scusa” “Meno irriverenza Helena” “Volete che vi chieda scusa di nuovo?” “Vorrei meno sarcasmo e un po' più di compostezza” un soldato si avvicinò a lui sussurrandogli qualcosa all'orecchio “Vogliate scusarmi altezza reale” “Prego” “Padre ...” “Una questione da risolvere” le sorrise e senza aggiungere una parola le lasciò sole.
Venne servito il tè sotto gli occhi attenti della governante ma dalla sala accanto un pianto leggero interruppe il silenzio.
La principessina si voltò confusa verso la madre “Chi è?” “Mio figlio” mormorò Helena sorridendole “È arrabbiato?” “No vostra grazia, credo sia solo un capriccio” “Posso vederlo?” “Non essere indiscreta Maria Teresa” “Vi chiedo scusa” ribatté la piccola avvicinandosi alla duchessa “Sapete una cosa? Sono sicura che a Niklas farebbe piacere incontrarvi” “Davvero?” annuì appena allungando una mano verso la bambina, le dita si intrecciarono assieme e un bel sorriso nacque sulle labbra “Volete incontrarlo?” “Posso madre?” l'altra annuì appena e la bambina batté le mani estasiata “Corinne?” “Signora?” “Accompagna la principessa nella stanza di Niklas e assicurati che il latte per lei sia pronto il più presto possibile” “Volete seguirmi altezza reale?” domandò la serva inginocchiandosi accanto alla piccola “Possiamo portare con noi anche cucciolo?” “Certamente, al piccolo duca piace molto la sua compagnia” la prese per mano e congedandosi da loro uscì seguita da Inga e dalla guardia del duca.
“Vi ringrazio Helena, non dovreste preoccuparvi così per mia figlia” “Un po' di latte non è di alcun disturbo, sapete bene che provo molto affetto per lei” “Almeno quanto io ne provo per vostro figlio?” “No vostra maestà, questo è impossibile” “Siete proprio sicura di voler partire?” domandò d'improvviso Maria Antonietta “Mi mancherete molto” “Anche voi ma ci rivedremo presto, ve lo prometto” gli occhi della giovane di fronte a sé si riempirono di tristezza.
Era così bella, un gioiello avvolto da stoffe preziose e diamanti.
C'era eleganza nei suoi movimenti, un eleganza figlia di anni e anni di preparazione, sembrava felice e serena ma nel suo sguardo era nascosto il silenzio, la paura di poter essere toccata nell'intimo della propria anima.
Vivere in una gabbia d'oro la distruggeva più velocemente di quanto immaginasse ma questo non importava alla nobiltà o alla corte, lei era la regina di Francia e come tale doveva comportarsi.
Non c'era spazio nella corte per la piccola Maria Antonietta, quella che amava la vita, la gioia e che rifuggiva la solitudine come si rifugge una malattia contagiosa.
Fece un bel respiro prendendo tra le mani una tazza fumante, come poteva dissolvere quella malinconia? Come poteva aiutarla a dimenticare anche solo per qualche minuto l'infelicità che avvolgeva la sua vita? Le sorrise e poi domandò allegra “Avete imparato a cavalcare?” “Più o meno” “Più o meno?” ribatté confusa “Sua maestà il re continua a ripetere che se cadessi da cavallo sarebbe una disgrazia troppo grande ...” si fermò qualche secondo osservando il volto di Helena “ … dimentica che una volta, quando ero solo una ragazza caddi dallo stesso cavallo che pochi giorni fa mi ha regalato?” “Siete caduta … com'è possibile?” “Non lo ricordate?” ma Helena tossicchiò appena cercando di trattenere le risate “Non vi ho mai vista a cavallo altezza, a meno che non abbiate attraversato la Svezia al galoppo certo” Maria Antonietta socchiuse gli occhi inclinando leggermente la testa di lato, sul suo volto era dipinta l'indecisione ma alla fine un bel sorriso cancellò la voglia folle di fare domande “Probabilmente mi sono sbagliata. Chissà perché vi ricordo in ogni mio disastroso aneddoto” “Forse perché assomiglio a qualcuno che avete conosciuto in passato” “Credo che la vostra intuizione sia giusta” la risata della bambina arrivò chiara e allegra dalla camera affianco “E ditemi Helena, vostro marito verrà con voi?” “No, ma ci raggiungerà il più presto possibile” “Non vorrete affrontare un viaggio così lungo da sola” rispose preoccupata la giovane “Vi farò scortare dalle mie guardie” “Non preoccupatevi altezza reale, ho già la mia scorta” “È affidabile?” “Voi ne avete sempre parlato molto bene, credo vi abbia rubato il cuore” e in quell'attimo esatto, la piccola Maria Antonietta si affacciò di nuovo alla vita.
Il volto si colorò di leggero rossore e lo sguardo si abbassò appena “Non vergonatevene altezza, l'amore è il sentimento più bello di questo mondo” “Sono la regina di Francia, la donna più potente del mondo ed è mio dovere amare il re ma ci sono giorni ...” si portò una mano alle labbra sospirando “ … dove tutto appare privo di senso. Mi sento vuota, come una bambola di stoffa senza più scopo né futuro” “Vi capisco” “Voi ...” “Ho provato le stesse cose altezza. Per un anno dopo quello sciocco incidente mi sono sentita una bambola vuota. Mio padre continua a ripetere che non sono più preoccupazioni mie, che ero piccola quando è accaduto ma non si può essere piccole nel corpo di una donna non credete?” “Forse l'ha fatto solo per proteggervi. Non è semplice restare a guardare mentre la propria figlia rischia la vita” “Quando è accaduto?” Maria Antonietta sorrise posando la tazza sul vassoio “Otto anni fa Helena, se vostro padre vi ha raccontato questa piccola bugia è stato solo per il vostro bene” “Devo confidarvi una cosa” sussurrò divertita “Ero al corrente di questa piccola bugia” “Voi eravate … davvero? Come?” “Mio marito” “Il duca?” “Mi ha raccontato il piccolo segreto di mio padre” “Siete arrabbiata?” ci pensò qualche secondo ricordando tutti i regali, i giorni pieni di vita e serenità che suo padre le aveva regalato.
Era consapevole di essere stata vittima di uno spiacevole incidente otto anni addietro ma tutto quello che era accaduto dopo o prima era sparito.
Non ricordava come fosse accaduto o perché, forse nemmeno le interessava. Stava bene, era felice, sposata con un uomo meraviglioso che l'amava da morire e madre di un bambino che ormai era diventato l'aria che respirava.
Non era arrabbiata con suo padre, non gli avrebbe mai rinfacciato niente del genere, come poteva? Si era occupato di lei, della sua vita, del suo futuro.
Le aveva regalato un posto nuovo nel mondo anche se per farlo aveva cambiato un ricordo innocente.
Cercò gli occhi della regina poi quel leggerissimo no sussurrato a fior di labbra “Ora basta parlare del passato” esclamò d'improvviso “Parlatemi della Svezia, che clima troverete?” “Il viaggio è molto lungo, tempo permettendo arriveremo a settembre” “Così tanto?” domandò incantata ma Helena sorrise “Mio figlio è ancora molto piccolo. Non posso affrettare il rientro” “Naturalmente” “Troverò l'autunno ad aspettarmi ma durerà poco. Arriverà l'inverno e saluteremo il sole per un mese intero” gli occhi luminosi della regina si colorarono di meraviglia.
Ascoltava una favola lontana che non avrebbe mai vissuto ma che nasceva secondo dopo secondo dalle parole della duchessa “Il freddo avvolgerà i boschi, la neve riempirà ogni angolo di terra. I laghi ghiacceranno e i monti sembreranno paesaggi incantati e nel cielo ...” si fermò qualche secondo giocando appena con l'aria “ … scie luminose coloreranno il buio” “Sembra un sogno” “È vero, è così. Un sogno che dura un mese intero maestà” “E il sole non sorge?” “Mai” esclamò divertita “E non lo trovate strano?” “All'inizio lo era. L'inverno è molto lungo e rigido, il freddo a volte è così forte da rendere doloroso anche respirare ma alla magia delle luci, un'altra si sostituisce quando i fiori sbocciano” “E quale?” “A maggio, quando la primavera si affaccia rapida e fugace, il sole inizia il suo ballo e non scende mai oltre le montagne fino a quando l'estate non si sveglia” “Devo ammettere Helena che vi invidio” la porta si aprì e la principessina corse nella sala “Angelo mio, ti sei divertita?” la bambina si aggrappò alle braccia della madre arrampicandosi sulle sue ginocchia “Non credo sia molto contento di giocare” “No? E per quale motivo?” “Sta piangendo” Inga entrò stringendo un piccolo bambino in lacrime tra le braccia “Perdonate l'intrusione vostra maestà ma abbiamo un piccolo principino piuttosto arrabbiato” “Oh non preoccupatevi, i figli hanno la precedenza su ogni discorso” si avvicinò ad Helena sospirando “Sta bene?” “Certo che sta bene, credo abbia solo voglia di abbracciare la sua mamma” “Ehi” sussurrò prendendo il figlioletto in braccio “Sono qui amore mio” la testolina di Niklas si posò sulla sua spalla mentre le manine si aggrappavano al vestito “Va tutto bene, sono qui” sfiorò la schiena del piccolo cullandolo dolcemente “Sapete amica mia, devo ammettere che siete una piacevole sorpresa” “Per quale motivo, se mi è concesso chiederlo?” “Vi ho sempre immaginata così ma non ho mai avuto il coraggio di chiedervi il vostro parere al riguardo. Mi incuriosiva la vostra vita, forse è per questo che siamo così unite” “Credetemi altezza, la vostra amicizia è per me più preziosa di qualsiasi altro gioiello al mondo” gli sguardi si unirono assieme e in quel silenzio leggero una promessa legò assieme due giovani cuori.




“Che stai facendo?” domandò confuso chiudendo la porta di casa, Marie aveva distrutto la tela del suo quadro, il volto sporcato dal colore e gli occhi carichi di rabbia “Marie?” “Ho sbagliato tutto sai? Insomma, l'ho dipinta immaginandola perfetta, le ho dato colori perfetti ...” “Non le hai mai dato un volto” “... le ho dato un volto, certo, non le ho dato degli occhi e il suo sorriso è a metà ma questo quadro è un disastro!” “D'accordo” mormorò confuso “Ho sbagliato, su tutto! L'ho dipinta troppo bella e troppo gentile e … e ora lei va via e ho questa strana impressione di averla trascinata nelle nostre vite” “D'accordo, vuoi fermarti per un secondo?” la strinse per le spalle bloccando quel fiume di parole.
Era così tenera, così dolce con quell'espressione arrabbiata e confusa negli occhi “Sei arrabbiata con la duchessa perché torna a casa sua?” “Esatto” “Non dovresti essere felice per lei?” “Lo sono” “Marie, amore sono piuttosto confuso” “E io no?” ribatté indispettita ma Andrè sorrise scostandole dagli occhi una ciocca di capelli “Non credi sia giusto così?” “E tu non trovi strano che durante tutto questo tempo non si sia mai mostrata a te?” “E perché dovrebbe farlo? Marie, quella donna è la sposa del cugino di un re, un re molto potente. Non ha né il tempo né la voglia di incontrare ogni persona di Parigi e sinceramente, ne sono piuttosto contento” “Andrè ...” scivolò via dalle mani del giovane cercando i suoi occhi “ … l'ha chiamata stella marina!” un tremito leggero salì fino alle labbra "Stella marina!" “Chi?” “Quell'uomo! Sono rimasta assieme a lei per due giorni ...” “Lo so, ti ho accompagnato io e ti sarei venuto a prendere domani ma sei scappata via” “... e in tutto questo tempo l'ho vista ridere e giocare e cullare quel bambino con tanto amore da commuovere perfino quell'uomo!” “Di chi stai parlando?” “Del generale di sua maestà che lei chiama padre!” “Marie ...” fece un bel respiro cercando di riordinare i pensieri “ … inizi a spaventarmi davvero, forse hai bisogno di riposare, che ne dici se ti preparo qualcosa di caldo e ...” “Sei sicuro che Oscar sia morta?” “Stai scherzando?” ma lei sospirò mordendosi le labbra “Senti, so che gli ultimi giorni sono stati piuttosto duri. Gli animali hanno qualche problema e ti ho trascurato, forse è per questo che saperti assieme alla duchessa mi faceva sentire piuttosto sereno ...” “Andrè è lei!” “ … ma ora ...” la strinse per le spalle sollevandole il volto “ … non sono più molto sicuro che la sua vicinanza ti faccia bene” “Helena non esiste! Lei è ...” “Non l'hai mai conosciuta,  non hai mai visto Oscar, come puoi ...” “La madre di quella stella marina è la dama di compagnia preferita della regina!” le mani scivolarono nel vuoto e il cuore accelerò di colpo.
Non poteva essere Oscar, era morta ed erano passati sei anni, sei lunghissimi anni dove aveva imparato a convivere con la sua assenza.
Probabilmente gli ultimi giorni le avevano regalato una notevole dose di ansia che non poteva sopportare eppure, nonostante la certezza, dentro di lui si insinuava veloce un dubbio innocente forse figlio di quel bisogno violento che ogni notte tornava nei sogni.
Fece un bel respiro concentrandosi sul battito del proprio cuore “L'ho vista Andrè, ho visto la regina e poi la duchessa, l'ha abbracciata come si abbraccia una sorella e quell'uomo accanto a loro … il padre severo che le è sempre vicino l'ha chiamata nello stesso modo che ...” “Marie, questo gioco non mi diverte più” “Ho l'aria di una che ha voglia di giocare?” ribatté tremante stringendosi nelle braccia.
La testa girava e i pensieri si mischiavano velocemente uno con l'altro, che senso aveva? Un sogno, magari era solo un gioco, una sciocca creazione di una mente troppo stanca ma più si costringeva a restare calmo e più sentiva il corpo ribellarsi alla ragione.
Afferrò il mantello agganciandolo velocemente attorno alle spalle “Dove stai … Andrè!” domandò preoccupata seguendolo “Dove vai?” “È una sciocchezza, non so nemmeno perché ti ascolto Marie ma non ...” spalancò la porta di casa uscendo nel buio della notte “ … non riesco più a capirci niente” “Vengo con te” “No” esclamò gelido voltandosi verso di lei “No, ho bisogno di restare solo” “Non ti lascio da solo assieme al passato!” nello sguardo sconvolto di Marie c'era tutta la forza di quelle parole.
Era spaventata, confusa, incapace di lasciarlo e costretta a seguirlo.
L'avrebbe seguito ovunque, era sua moglie, era la cosa giusta da fare.
Non conosceva il volto di quel passato ma giorno dopo giorno, aveva imparato a districare nei pensieri di suo marito l'amore terribilmente forte che lo aveva unito a quegli occhi di mare.
Forse era colpa sua, forse, se gli avesse chiesto di raccontargli Oscar si sarebbe accorta di quella somiglianza terrificante che ora era diventata il suo incubo più profondo.
Pregava con tutto il cuore di aver sbagliato, di aver visto in quella duchessa qualcosa che in realtà non esisteva e assieme a quella preghiera, custodiva segretamente la speranza di vederla partire il prima possibile.

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Capitolo 14
*** Spirito di VIta ***


                                      Spirito di Vita







Amava il profumo della pioggia, era come se d'improvviso il passato fresco e allegro che aveva nel cuore tornasse a galla cancellando sogni e paure.
Non che di paure ne avesse molte, aveva una vita meravigliosa e una famiglia perfetta ma a volte, nel silenzio della propria anima si chiedeva se quel mondo a cui era tanto affezionata sarebbe durato per sempre o se d'improvviso, da un momento all'altro sarebbe crollato colpito da una sciocca imperfezione.
Si appoggiò al muro spiando la corsa delle gocce sul vetro e l'esercito di giardinieri che tentavano di mettere al riparo i loro attrezzi.
Tutte quelle persone nel parco la divertivano, assomigliavano a tante piccole formichine che correvano indaffarate e poco importava se la natura avesse deciso di regalare pioggia o sole, il loro lavoro doveva essere portato a termine.
Le uniche autorizzate a restare immobili erano le guardie di suo marito.
Uomini alti e forti, con il volto indurito da lineamenti severi e una mano sempre stretta attorno all'elsa della spada.
Vide Inga affrettarsi lungo la stradina assieme a Corinne, il capo nascosto da uno scialle di lana, lo stesso che le aveva regalato a Natale e che da allora divenne il suo tesoro più prezioso.
In quel posto lontano ci stava bene, cullata e protetta dall'amore di Nils, dalle visite regolari di suo padre e innamorata di un figlio che le regalava giorno dopo giorno la voglia di vivere.
Passava ore intere a studiare il volto del suo bambino, vi leggeva lo stesso orgoglio del padre, i colori, gli occhi, perfino il modo di dormire ma quel sorriso delicato che da pochi giorni le donava, apparteneva a lei soltanto perché in quel leggerissimo movimento delle labbra rivedeva sé stessa e per quel sorriso, avrebbe lasciato la Francia il prima possibile.
Aveva bisogno di respirare di nuovo l'aria fresca delle montagne, di specchiarsi nei laghi cristallini del nord dove si riflettevano solo i colori dell'alba e il profilo di quelle cime innevate.
Dividere il cuore a metà era faticoso ma l'amore che provava nei confronti di suo marito, facilitava quella scelta rendendo il distacco dalla Francia solo un dolcissimo arrivederci.
Sfiorò il collo con le dita ascoltando silenziosa il rumore dei passi lungo il corridoio, Inga sollevò il volto verso la finestra agitando una mano, rise divertita da quell'espressione tanto buffa poi il respiro affannato alle sue spalle e un bel sorriso sul volto “Avevi paura di trovarmi inzuppata di pioggia?” domandò voltandosi “Ti ho fatto una promessa amore mio e non ...” le parole si spensero leggere sulle labbra, socchiuse gli occhi inclinando leggermente la testa di lato “Chi siete?” domandò confusa ma come poteva risponderle.
Come poteva formulare parole davanti a lei? Lei che lo guardava silenziosa colorando quegli occhi di cielo con mille domande, lei che aveva sollevato i capelli lasciando a quel vestito semplice il compito di renderla un gioiello.
Era bella, bella come un angelo, bella come un demone, pelle di pesca profumata di vita e un sorriso pieno di indecisione sulle labbra.
Era un fantasma, uno spirito insolente che si divertiva a torturargli il cuore seguendolo ovunque ma la sentiva respirare, come può respirare uno spirito incorporeo? Il seno si sollevava dolcemente seguendo il ritmo di un cuore pieno di vita.
Il colore dei suoi capelli così simile al sole, quelle labbra di miele e i lineamenti delicati dono del cielo, tutto di lei si univa a quel ricordo maledetto che per notti intere l'aveva costretto ad urlare disperato.
Si avvicinò a lei tremando, un passo, un altro ancora “Chi siete?” domandò confusa indietreggiando, le mani toccarono il vetro fresco della finestra mentre una carezza le sfiorò il volto.
Quegli occhi di mare le leggevano l'amina, occhi che non conosceva, occhi ai quali tentava di dare un nome.
Un debolissimo sorriso le sfiorò le labbra mentre con gentilezza lo allontanava “Forse dovreste lasciare la mia presenza. Non vi conosco signore e mio marito non è ...” “Sei viva” sussurrò “Tu sei viva” posò le mani sulle spalle della giovane tirandola tra le braccia.
Le lacrime scesero violente incuranti della ragione, insolenti perle di rugiada che scavavano solchi nel cuore mentre ogni certezza di quegli ultimi anni crollava al suolo.
La strinse più forte perdendosi nel suo profumo, lo stesso che aveva avuto accanto, lo stesso che si era attaccato all'anima quando per la prima volta l'aveva amata.
Conosceva a memoria ogni linea di quel corpo, la schiena, i muscoli che si tendevano nervosi sotto le sue mani, il ventre perfetto.
Non si muoveva, immobile con le braccia abbandonate lungo i fianchi respirava appena spaventata da quel contatto improvviso che non conosceva.
Lo sentiva piangere come un bambino indifeso, aggrappato a lei, al suo respiro, ai battiti del suo cuore.
Non c'era cattiveria in quell'abbraccio né violenza, era un uomo in lacrime spaventato da qualcosa che forse nemmeno lui riusciva a comprendere ma l'unica cosa che desiderava, era vedere il volto di suo marito, sentire le sue mani attorno alle spalle mentre l'allontanava da lui e da quel pianto disperato di cui non aveva alcuna memoria.

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Capitolo 15
*** Piove ***



                                                Piove






“Avete portato al riparo i cavalli?” “Si signore” “Molto bene” “Piove” esclamò François seguendolo lungo il corridoio “Odio la pioggia” “Ne siete sicuro? Da bambino ripetevate continuamente di voler raccogliere ogni singola goccia per creare un lago” “Avevo sei anni” “Cinque” puntualizzò l'altro ma lo sguardo di Nils venne attratto da una giovane inzuppata d'acqua e tremante che se ne stava aggrappata allo stipite di una porta “Marie? Cosa ci fate nel mio palazzo? Non dovevo vedervi oggi” domandò confuso avvicinandosi a lei.
Aveva gli occhi arrossati e lacrime gelide che le scivolavano sul volto senza tregua “State bene?” “Io ho solo … perché non me l'avete detto?” “Marie ...” sussurrò François sfiorandole il volto, la sentì tremare così forte da costringere la mano a scivolare di nuovo nel nulla “Mi avete lasciato accanto a vostra moglie senza dirmi la verità!” “Ma di che state ...” “Mio marito era innamorato di lei!” strinse una mano attorno al braccio di François cercando di riordinare i pensieri “Dov'è mia moglie?” “Nelle vostre stanze” “Siete venuta da sola?” domandò poi cercando di nuovo gli occhi della ragazza, la vide sospirare stringendosi tra le braccia mentre i singhiozzi spezzavano il respiro “Marie!” urlò afferrandola per le spalle, gli occhi si inchiodarono ai suoi e ogni altra domanda cadde nel vuoto lasciando solo quella chiara certezza.
Fece un bel respiro rallentando i battiti folli del cuore “Elise!” “Signore?” “Manda qualcuno a chiamare mio suocero, che venga qui subito assieme ai suoi uomini!” la giovane annuì correndo via.
Abbandonò Marie, le sue lacrime, i suoi maledetti singhiozzi, François lo seguì imprimendosi nella memoria ogni suo ordine “Fai annullare tutti i miei incontri di oggi” “Si signore” “Che le mie guardie circondino il palazzo, nessuno entra e nessuno esce e meno che non sia stato espressamente autorizzato da me o da te!” era agitato, respirava appena mentre si sforzava di camminare ma ad ogni passo la velocità delle parole aumentava ogni secondo un po' di più “Manda un messaggero a Versailles, che riferisca alla regina quanto appena accaduto, la mia sposa non vedrà né lei né nessun'altro perché partirà subito!” l'altro annuì allontanandosi da lui e due guardie ne presero il posto correndo al suo fianco, condividendo con il loro signore quella preoccupazione soffocante che gli stava massacrando il cuore.




Erano passati pochi minuti appena ma sembravano lunghi ore intere.
Sentiva il cuore accelerare nel petto, tremava e se Nils l'avesse vista così pallida e debole si sarebbe trasformato di nuovo nell'uomo di ghiaccio senza più alcuna pietà nel petto.
Avrebbe massacrato il giovane disperato che ancora la stringeva tra le braccia.
Chiuse gli occhi sospirando poi l'aria gelida tra loro e quella preghiera diventata reale.
Sentiva la voce di Nils, le sue mani sul volto, sulle spalle nel tentativo di nasconderla al caos che regnava dietro di loro “Helena” le sfiorò il collo sospirando“Amore mio” un debolissimo sorriso schiuse le labbra, si aggrappò a lui chiudendo qualche secondo gli occhi “Sto bene … io sto ...” “Posso essere libero di non crederti?” domandò tremante sollevandole il volto.
Era pallida, silenziosa, continuava a sorridere ma nei suoi occhi leggeva la paura e la confusione di quegli attimi passati assieme ad uno sconosciuto “Sto bene … non preoccuparti se ...” “Se mi guardi spaventata tremante?” lasciò un bacio sulla fronte gelida di sua moglie soffermandosi per qualche secondo sui movimenti rapidi e veloci dei suoi uomini “Ora ti porto via da qui” “Nils?” “Che c'è?” “Forse hai … hai ragione sai? Non sto molto bene” “E ti stupisce? Ho sempre ragione ricordi?” le diede un bacio ricacciando indietro le lacrime.
Gli era stato insegnato a soffocare i sentimenti, a nascondere le debolezze perché un uomo, un'erede di grande famiglia non poteva permettersi di apparire debole.
Cresciuto con quegli insegnamenti aveva indurito la corazza di ghiaccio attorno al cuore ma Helena, lei era quella frattura meravigliosa che aveva perforato il gelo, l'unica in grado di sciogliere quelle maledette lacrime.
La strinse più forte sollevandola da terra “Fate chiamare il medico!” François gli corse accanto preoccupato “Duchessa, come vi sentite?” un debolissimo sorriso le sfiorò le labbra “Non preoccupatevi, Inga sta già preparando ogni cosa e sapete bene con quanta dolcezza non è così?” ma gli occhi della giovane si chiusero lentamente costringendo Nils a sospirare “Trascina il nostro medico qui il più presto possibile. Non mi importa cosa stia facendo, se necessario portalo qui legato e imbavagliato!” “Mi conoscete duca? Legato e imbavagliato è il minimo che possa accerdgli se si azzarda a controbattere ” diede una leggera pacca sulla spalla del giovane e senza aggiungere una parola si allontanò lasciandolo solo assieme ai pensieri.
Sentiva il volto di sua moglie posato sul petto, la sua mano aggrappata alla camicia e la presa che diventava sempre più debole “Ora ti porto via da qui, ti porto via Helena” lo sguardo si spostò gelido sull'uomo sconvolto ancora inginocchiato sul pavimento.
Due dei suoi uomini erano accanto a lui con le spade in mano e l'attenzione rivolta al loro signore “Ta bort honom! Bort, där jag inte kan se det!” un giovane dai capelli biondi e gli occhi di mare annuì severo afferrando per un braccio Andrè “Andiamo via amore mio” la strinse più forte tra le braccia inspirando, un passo, un altro ancora, metri interi che si frapponevano tra loro restituendole un po' di tranquillità.




“Dov'è!” si voltarono di colpo spaventati dal rumore secco della porta.
Il generale camminava spedito verso François, indossava l'alta uniforme di rappresentanza e alle sue spalle marciavano silenziosi quattro uomini armati “Signore …” “Dov'è mia figlia!” “Assieme al medico signore” “Il medico?” “La duchessa ha perso i sensi” mormorò François scuotendo leggermente la testa “È svenuta?” Inga si avvicinò a loro tossicchiando, gli occhi gelidi dell'uomo si piantarono sul suo volto ma lei sostenne quello sguardo senza fatica alcuna “Vostra figlia è molto stanca signore” “E questo giustifica l'intrusione di quell'uomo?” urlò irritato.
La porta si aprì lentamente e il medico uscì seguito dai suoi assistenti “Dottore, come sta mia figlia?” “Non preoccupatevi signor generale, vostra figlia è forte almeno quanto voi” tolse gli occhiali sorridendo “Il pallore è sintomo di stanchezza. Vostra figlia si occupa del bambino senza aiuto alcuno e questo porta via gran parte delle sue energie e il mancamento ...” si fermò qualche secondo osservando il volto del generale “ … colpa dello spavento” “Mi assicurate che sta bene?” “Vostra figlia sta bene, l'ho lasciata assieme al duca ma potete andare da lei se lo desiderate” “La vedrò più tardi ma ora ...” sussurrò qualcosa ai suoi soldati, uno di loro annuì deciso fermandosi a pochi passi dalla porta chiusa “ … c'è un intruso da punire. Dov'è?” “Nello studio del duca signore” “Molto bene, che nessuno ci disturbi e soprattutto ...” cercò gli occhi di François sospirando “ … che nessuno faccia domande in giro. Sua altezza reale è rimasta molto scossa dopo aver appreso quanto accaduto e non escludo che possa decidere di tornare a trovarla” Inga chinò il capo annuendo severa “Perdonatemi signore, il duca ha dato ordine affinché il palazzo venga circondato dalle guardie. La signora partirà domani mattina e se sua altezza reale ...” “I miei uomini stanno raddoppiando la guardia, i giardini e il parco sono sorvegliati e così anche il perimetro della tenuta. Ho dato ordine affinché in ogni stanza vi sia un mio soldato affinché tutto sia protetto nel migliore dei modi” il medico tossicchiò appena avvicinandosi al generale “Con tutto il rispetto signore, è solo un uomo” “Nessuno è mai solo qualcosa dottore! Soprattutto se quel qualcuno ha toccato mia figlia!” un ultimo sguardo carico di gelo prima di lasciare la stanza seguito da un piccolo drappello di uomini armati.

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Capitolo 16
*** Più niente di Lei ***


                                                          Più niente di Lei







Prima o poi sarebbe accaduto, era preparato a questo, aveva passato sei anni a prepararsi ma da qualche parte nel profondo del cuore, sperava che questo incontro avvenisse il più tardi possibile.
Fece un bel respiro fermandosi davanti alla porta, c'erano due guardie sulla soglia, gli sguardi severi, le mani strette così forte attorno al fucile da renderne le nocche simili a perle.
Sistemò la spilla di zaffiro sulla divisa entrando nella penombra dello studio.
Il sole filtrava a fatica attraverso le pesanti tende di velluto, il profilo delle cose appariva quasi distorto ma avrebbe riconosciuto quel giovane in mezzo a mille.
Se ne stava immobile sulla poltrona con le mani strette attorno alla testa e il respiro ancora rotto dai tremiti.
Girò attorno alla scrivania aprendo di colpo le tende, la luce esplose violenta ed ogni cosa riprese vita “Ti sei macchiato di una colpa grave” ma l'altro non rispose, un sorriso freddo e gelido nacque sulle labbra del generale mentre sedeva di fronte a lui “Hai tenuto in ostaggio una granduchessa, la moglie del cugino di un re! Mia figlia!” urlò stringendo l'elsa della spada, Andrè sorrise sollevando lo sguardo “Come avete potuto signore?” le mani caddero nel vuoto e quegli occhi verdi di mare si fusero ai suoi “Mi avete costretto a vivere senza di lei” “Lei non è più di nessuna importanza per te” “Nessuna importanza?” ripeté confuso “Ho creduto che fosse morta!” la voce era ferma, ogni traccia di pianto sembrava dissolta nel nulla “Per sei anni ho pensato a lei! Mi sono sposato e non è servito a cancellarla dalla mente, mi sono allontanato da Parigi e non è servito! Ora scopro che è viva per una sciocca coincidenza e ...” “Una sciocca coincidenza?” “Perché signore, ditemi perché l'avete fatto!” il generale sorrise appoggiandosi allo schienale “Helena non è nata per amare un uomo comune, il suo destino è più grande di quanto immagini” “Lei è morta!” “No ti sbagli Andrè, mia figlia è viva” cercava di controllare la voce, cercava di parlare con quel giovane come se in realtà parlasse con un figlio perché se avesse ascoltato il cuore, ora probabilmente la lama della spada avrebbe trapassato da parte a parte la sua gola.
Ma ci fu un tempo passato, dove quegli occhi smeraldo erano stati importanti per lui, dove quel giovane calmo e riflessivo aveva assunto le sembianze di un figlio adottivo “Le hanno sparato tre volte ma questo non l'ha fermata” “Voi avete … avete sempre detto che era uno e ...” “Uno al cuore ...” si portò una mano al petto sospirando “ ... uno alla spalla, uno alla testa ma Dio lassù ha preso a cuore la vita di mia figlia toccando la mano di quell'assassino. I proiettili presero diverse traiettorie e lei si è salvata ma ...” si fermò qualche secondo rivedendo davanti agli occhi quei giorni ormai lontani “ … per ogni vita salvata c'è un sacrificio da pagare” Andrè restava immobile, assorto nei suoi pensieri.
Perso in un silenzio profondo ascoltava sconvolto quel racconto fino ad ora nascosto dall'ombra “Helena è rinata ma Oscar è morta. Il colpo ricevuto alla testa l'ha appena sfiorata, è caduta e ha picchiato così forte il capo da non ricordare più nemmeno il mio volto” c'era malinconia nella sua voce, rabbia e quel senso paterno di protezione che lui ancora non conosceva “Ho restituito a mia figlia un ricordo dopo l'altro” “Avete ucciso vostra figlia per la seconda volta!” “No Andrè, le ho regalato la possibilità di vivere una vita che sarebbe dovuta appartenerle dal principio. Ho cancellato l'errore commesso ventisette anni fa riempiendo il vuoto della sua mente con danze, sorrisi, abiti creati apposta per lo spirito libero che ancora le scorre nel sangue” “L'avete distrutta!” “L'ho salvata!” esclamò picchiando con forza il pugno sul tavolo “Non sei padre Andrè non ti permetto di criticare il mio comportamento! Tu non puoi capire cosa significa passare le notti accanto alla propria figlia pregando di rivedere di nuovo il suo sorriso! Non puoi capire cosa significa vederla confusa e spaventata mentre cerca di ricordare il proprio nome! C'è voluto un anno intero per donarle qualcosa di simile alla normalità ...” una giovane serva entrò nella sala reggendo un vassoio dove un calice di vino brillava altezzoso “ … ha imparato di nuovo a vivere e la donna meravigliosa che ha sempre portato dentro di sé ha preso il sopravvento creando una dama di rara bellezza. Da allora mi prendo cura di lei e la proteggo!” ma l'altro sorrise scuotendo leggermente la testa “No signor generale! Vostra figlia non è … lei non è più Oscar, non c'è più niente di Oscar nei suoi occhi e ...” “Ne sei sicuro?” domandò d'improvviso “Perché il pianto non nasce per una somiglianza, i singhiozzi non scuotono il petto se il suo sguardo assomiglia a quello di qualunque altra giovane!” “Perché non me l'avete detto?” era una domanda ma sembrava una supplica.
La supplica di un giovane ucciso dall'assenza del suo vero amore “Credevo di averla persa ma lei è stata più forte della morte, più forte di me. Quando l'ho vista sorridere, quando ho visto di nuovo i suoi occhi aprirsi ho sentito il cuore battere di nuovo! Mia figlia era tornata da me e non avrei permesso a nessuno di portarmela via, nemmeno all'amore!” lo sguardo corse al volto pallido e sfinito di Andrè “Ho chiuso la mia casa, ho nascosto la sua presenza al mondo intero ed eccetto poche persone, nessuno era autorizzato a vederla. Era debole e stanca, aveva bisogno di pace e tu non ne facevi parte. La notizia della sua morte ha oltrepassato il confine sicuro della mia casa arrivando a Versailles ma come potevo mentire alla regina?” “A me?” ribatté ironico alzandosi “A me si vero? Io non merito un po' di compassione, non sono nulla non è così?” “Tu non sei importante per lei!” “Lei era importante per me!” urlò posando entrambe le mani sulla scrivania ma il generale rise sfilando la spada dalla fodera “Lei è stata solo un bel sogno Andrè! Considerala come tale perché altrimenti ...” si alzò in piedi senza abbassare nemmeno per un secondo lo sguardo “ … sarò costretto a toglierti la vita” “E credete che questo mi spaventi? Vi conosco, conosco l'amore che provate per lei ma mai, mai avrei pensato che … che poteste arrivare a tanto per portarla via da me!” “Per lei!” le guardie si mossero appena ma un gesto del generale le bloccò di nuovo al loro posto.
“L'ho fatto per lei, per la sua vita, per il suo futuro! Ha incontrato l'amore, ha incontrato un uomo che è disposto a dare la vita per lei ed è una splendida madre” “Vostra figlia ama un uomo che non ha mai conosciuto, è madre di un figlio che sarebbe stato nostro e non ricorda il passato perché quel passato è una menzogna!” “Sai perché ritengo di aver fatto la scelta giusta?” domandò irritato stringendo più forte la spada “Quando la vedo passeggiare assieme a suo marito spensierata e felice, quando la guardo cullare il suo bambino e la vedo diventare grande, più grande di quello che avevo sperato allora ogni rimorso crolla!” “Le avete costruito attorno un mondo falso e contraddittorio e non ha nemmeno … avete cancellato noi dal suo passato e questo non è giusto” “ Helena è mia figlia, la stessa a cui ho tolto l'infanzia, la stessa che da bambina passava le ore a chiedersi per quale motivo suo padre non le facesse mai una carezza. Ora quella bambina è diventata donna, sposa, madre. Non ho mai avuto rimpianti nella vita eccetto uno, Dio mi ha concesso la possibilità di renderla felice e ora non permetto a nessuno di entrare nel suo mondo!” “L'avete permesso a mia moglie!” ma l'altro scoppiò a ridere.
“Vostra moglie, una graziosa ragazza piuttosto ingenua” “Non vi permetto di parlare così di Marie” “No? E dimmi, per quale motivo non le hai mai raccontato la verità?” “L'ho fatto e non ...” “L'hai fatto quando ti raccontava la mia Helena! Credi davvero che sia uno sciocco? Vedevo l'affetto che nasceva spontaneo tra di loro, Marie assomiglia per molti versi a mia figlia, l'unica delle sue sorelle con le quali andava d'accordo e più volte ho espresso il mio disappunto al duca” sospirò passandosi una mano in volto ma gli occhi del generale si piegarono in un sorriso tagliente “Sapeva quale pericolo si insinuava nella vita serena di sua moglie, ha appreso da me il passato che vi lega, doveva finire ogni cosa con l'incontro di quel giorno, quando lasciasti il cavallo nelle sue stalle ma Helena è rimasta affascinata da Marie, dalla gioia e dalla freschezza del suo animo” “Questo è un sogno” sussurrò Andrè stringendosi il capo tra le mani “Ha espresso il desiderio di rivederla e il duca ha acconsentito ma con un'unica regola: non avresti mai dovuto vedere mia figlia, mai! Non so cosa ti abbia spinto qui oggi, forse è semplice curiosità ma conosco molto bene il duca e posso assicurarti …” si avvicinò a lui di qualche passo ridendo “ … che in lui non esiste pietà né compassione. I sorrisi che regala, la gentilezza, l'amore, sono tutti doni di Helena e per lei ha cambiato il temperamento troppo forte del suo carattere. Mia figlia è la forza e la debolezza del suo mondo. Venendo qui oggi hai firmato la tua condanna a morte ragazzo” “Ve l'ho già detto prima signore, se credete di spaventarmi con queste ...” “Tuttavia” esclamò muovendo leggermente una mano, la guardia si avvicinò a lui aspettando ordini “Per l'affetto che ho nutrito nei tuoi confronti avrai salva la vita” “Mi avete ucciso sei anni fa, se credete di rimediare sbagliate! Siete venuto da me offrendomi un lavoro, mi avete usato, avete usato mia moglie e ora siete qui a raccontarmi quanto meravigliosa e allegra sia la vita di Oscar!” “In Svezia per crimini del genere viene regalata la morte!” “E in Francia si è sudditi di leggi straniere?” ribatté ironico “In Francia il generale dell'esercito che ora stai odiando, ti salverà la vita costringendoti a lasciare questa casa e qualsiasi sciocca idea di poterla rivedere!” “State scherzando vero?” ma non c'era scherzo nell'azzurro del cielo né compassione.
A quell'uomo di ghiaccio dal sorriso tagliente importava una cosa e una soltanto: sua figlia.
Poco importava se davanti a lui c'era un giovane distrutto, poco importava di quelle lacrime e della delusione violenta che massacrava il cuore.
Ecco, ora in quegli occhi c'era di nuovo la sua Oscar, in quello sguardo silenzioso e freddo, nella postura controllata e rigida che apparteneva ai militari soltanto “Tornerai a casa tua Andrè e dimenticherai Helena” “Oscar!” “Dimenticherai Helena e vivrai la tua vita senza più occuparti del suo ricordo! Lei non ti conosce, non sa chi sei e non ha memoria alcuna del vostro passato allo stesso modo tu eliminerai ogni briciolo di mia figlia dai tuoi pensieri” la guardia posò una mano sulla spalla del giovane costringendolo ad indietreggiare di un passo “Partirà questa sera stessa e non sentirai più il suo nome né incontrerai per caso i suoi occhi! Niente di lei vivrà in Francia per molto tempo. Portatelo via, che prenda sua moglie e se ne vada!” afferrò la spada e senza nemmeno voltarsi lasciò la sua presenza cancellando per sempre anche quel piccolo raggio di luce appena ritrovato.


 

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Capitolo 17
*** Era importante per Te ***


                        Era importante per Te







“Ti senti meglio?” sorrise lasciandosi cullare dall'abbraccio di suo marito.
Sarebbe rimasto così per ore intere, seduto sul divano con il corpo di sua moglie appoggiato a lui, le mani intrecciate sul suo ventre mentre ascoltava silenzioso il suono di quel respiro leggero “Ti chiedo scusa Helena” “E per cosa?” domandò confusa “Per non essere riuscito a proteggerti e per aver permesso a quell'uomo di entrare in casa nostra” “Non c'è niente che devo perdonarti, eri lì con me Nils, sei sempre stato assieme a me” intrecciò le dita alle sue sospirando “Non conosco quell'uomo Nils ma ho sentito il suo dolore” “Davvero?” “Era come se d'improvviso avesse trovato ciò che cercava da una vita intera. So che è sciocco, forse mi sbaglio ma credo mi abbia scambiata per qualcun'altro” l'altro sorrise portandosi la mano della giovane alle labbra “Spero che trovi la pace, non auguro a nessuno un dolore grande come quello” “Non preoccuparti Helena, vedrai che starà bene” “Posso?” sussurrò Inga “Come state altezza?” “Molto meglio grazie” “Siete pronta per noi?” domandò divertita aprendo di più la porta.
Niklas se ne stava aggrappato a lei con il mento posato sulla sua spalla e le manine strette attorno al vestito “Non siamo ancora pronti per la nostra passeggiata ma credo sia ora di fare colazione” Helena sorrise prendendo tra le braccia suo figlio “Cresce così in fretta” “Tra un po' inizierà a correre” Nils ridacchiò sollevandola leggermente, il seno appena scoperto mentre le labbra di suo figlio si schiudevano lentamente.
Sfiorò con una mano la testolina di Niklas stupito da quanta dolcezza fosse in grado di regalare, era stato cresciuto per diventare freddo e innamorato della solitudine ma in quel mondo diverso ci stava bene.
Su quel divano, con la schiena della sua sposa sul petto e le mani intrecciate le une alle altre attorno a loro figlio “Nils, Credi sia possibile lasciare la Francia ...” “Questa sera” “Davvero?” annuì appena baciandola “Ho dato disposizioni affinché tutto sia pronto per questa sera. Inga verrà con te” la governante annuì decisa sistemando una coperta sulle gambe della giovane “Si occuperà dei bisogni di Niklas e ti terrà compagnia” “Sono un'ottima compagnia” rise divertita da quell'ultima affermazione “Hans sarà qui nel pomeriggio” “Sei proprio sicuro di non riuscire a venire con noi?” “Purtroppo no” mormorò posando il mento tra i capelli di Helena “Ma credimi, butterei all'aria qualsiasi cosa per restarti accanto ma mio cugino è piuttosto irascibile in questo momento e temo che se abbandono la Francia ora, gravi ripercussioni si abbatteranno su tutti noi” “Oh non preoccuparti” sollevò meglio il bambino baciandolo “Noi ce la caveremo bene non è così Nicke?” “Certo che è così, il mio piccolo erede si prenderà cura della sua mamma nel migliore dei modi” le labbra del bambino si staccarono teneramene da lei costringendola a sorridere “Mangia così poco?” “No marito mio, vostro figlio mangia abbastanza ...” raddrizzò la schiena prendendo dalle mani di Inga un lenzuolino candido, lo posò sulla spalla e vi adagiò il piccolo, Nils sollevò appena le mani alzandosi “L'ultima volta che l'hai fatto mi ha riempito di latte” un'altra giovane entrò nella camera chinando leggermente il capo “Che c'è?” “Un messo reale signore” “Fallo accomodare di sotto, arrivo subito” “Un messaggio dal covo di serpi” sbottò indispettita Inga sistemando il tavolino accanto al divano “Intriganti, arroganti e lascivi” “Noto con piacere che il tuo amore per la corte non è diminuito” “La corte francese duca” “Giusto” si chinò verso sua moglie baciandola “Torno subito da te” “Promesso?” “Promesso” la vide sorridere, una smorfia leggera, la stessa che gli regalava al mattino, quando il sole la infastidiva e si nascondeva tra le sue braccia “Mi raccomando Inga” “Non preoccupatevi signore, sono di guardia io” di nuovo un sorriso prima di lasciarle sole.




Era arrabbiato, confuso, odiava il mondo, quel mondo pieno di regole e di sciocche reffinatezze che gli aveva nascosto per anni l'amore.
Strinse più forte la mano attorno al braccio di Marie continuando a camminare lungo il viale.
Le guardie seguivano ogni loro passo, i soldati restavano immobili ai loro posti, schierati lungo il parco, nascosti tra gli alberi, ovunque lo sguardo potesse arrivare “Andrè fermati un secondo e ...” “Dobbiamo andare via da qui! Subito!” la presa si rafforzò ancora costringendola a tremare “Ma se tu ...” “Basta!” “No!” si fermò di colpo tirando il braccio “No! Non mi muovo da qui fino a quando non parlerai con me!” “E di cosa?” urlò voltandosi verso di lei “Di quanto sia stato bello averla di nuovo tra le braccia? Del profumo della sua pelle o del fatto che non ricorda più niente di me!” “Non possiamo andare via, non … hai bisogno di parlarle!” “Non ho alcuna intenzione di vederla o di parlarle o di fare qualsiasi altra cosa che abbia a che fare con lei!” era arrabbiato, perfino così riusciva a sentirlo e forse era stata colpa sua, forse se non gli avesse raccontato quella maledetta duchessa niente di tutto questo sarebbe accaduto.
“Non ti spingo fra le sue braccia perché mi piace l'idea di perderti né mi tranquillizza sapere che quella donna è ancora viva ...” rise passandosi una mano in volto “ … ma devi parlare con lei perché hai bisogno di guardarla negli occhi e di dirle addio!” “Addio?” ripeté ironico “Le ho detto addio sei anni fa! Ho passato ogni dannato giorno di ogni dannato mese a dirle addio e ora lei torna indietro e … e suo padre si sente in diritto scegliere per lei, per me! Che diritto ha di farmi del male? Che diritto ha di cambiare la sua vita!” la strinse di nuovo per il braccio sospirando “Non tornerò da Oscar!” “Allora lo farò io” le lacrime scesero violente sul volto della ragazza costringendolo ad indietreggiare “Parlerò con lei!” “E come farai Marie? Oltrepasserai il muro di guardie che hanno circondato il palazzo? Come!” “Andrè, se tu non ...” “Se entri lì dentro verrai uccisa!” “So che mi vuole bene e che non permetterà a nessuno di farmi del male” “Ne sei così sicura?” ribatté gelido piantando gli occhi nei suoi “Riponi così tanta fiducia nei nobili?” “Non mi muovo da qui Andrè, non me ne vado senza prima averla vista perché se è davvero la donna che ...” “Non c'è più niente di Oscar nei suoi occhi! Non ricorda niente di me! Non è la mia Oscar!” “Non mi importa! Non me ne vado via!” ci mise qualche secondo a comprendere la forza di quella protesta, il volto rigato dalle lacrime di sua moglie, la paura di quello sguardo così profondo e lucente.
Era terrorizzata da lui, da quella reazione sconvolgente che gli aveva stravolto il petto.
Comprendeva i motivi che la costringevano a restare ma non avrebbe permesso ad Oscar di giocare di nuovo con il suo cuore perché vederla un'altra volta, perdersi di nuovo in quegli occhi maledettamente belli l'avrebbe spinto nell'oblio scuro dei pensieri.
Un mondo pieno di lei che desiderava da impazzire e che odiava, un mondo dove quel profumo delicato aggrappato all'anima si scioglieva lentamente adagiandosi di nuovo sul corpo di una giovane donna dal volto d'angelo.
Una meravigliosa apparizione tornata indietro dal paradiso per torturarlo.
Fece un bel respiro cancellando una lacrima insolente, perfino così Oscar riusciva a massacrarlo, lontana, distante da lui eppure così vicina “Torniamo a casa Marie!” “Non mi muovo da qui e non lo fai nemmeno tu” “No?” ribatté ridendo “Se è stata davvero così importante per te allora l'unico pensiero che dovrebbe bruciarti l'anima è : devo rivederla!” “Marie!” “No!” “Fa come ti pare” un ragazzetto si avvicinò a loro stringendo le redini dei cavalli.
Non ci mise molto a decidere che scappare lontano da quel posto fosse la cosa giusta da fare.
Montò in sella stringendo con forza le gambe attorno ai fianchi dell'animale e senza aggiungere una parola partì al galoppo seguito dai soldati.
La polvere si alzò di colpo dal terreno coprendo una ragazza tremante, in lacrime, persa in qualcosa più grande di lei che ora sembrava travolgerla.

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Capitolo 18
*** Partire ***


                                         Partire 






Le carrozze ferme davanti all'entrata sembravano sospese in un religioso silenzio.
I cavalli aspettavano tranquilli accarezzati dalle mani sapienti dei loro cocchieri.
Erano elegantemente bardati da finimenti leggeri e lucenti, le divise dei soldati brillavano sotto i raggi tiepidi del tramonto riflettendosi negli sguardi confusi dei servitori che senza fare domande, caricavano uno dopo l'altro i bagagli della duchessa.
Lasciarla andare dopo quello che era accaduto costringeva cuore e pensieri ad una lotta continua.
Non avrebbe permesso a nessun'altro di ferirla o confonderla perché lei era il suo mondo e non amava interferenze nel proprio mondo.
Fece un bel respiro giocando con un nastro di velluto, lo rigirava tra le dita cercando di apparire sereno e tranquillo, lo stesso uomo freddo e altero di sempre “È pronta?” annuì appena sospirando “Non preoccuparti amico mio” sussurrò Hans “Andrà tutto bene” “Non lasciarla mai sola. Questa cosa l'ha spaventata da morire e non ...” “Ti fidi di me?” gli sguardi si fusero assieme costringendo il cuore a rallentare “Non mi piace mai lasciarla” “Lo so ma non temere. Tra poco più di un mese entreremo in Danimarca. Il re sarà felice di ritrovare Helena, gli è molto affezionato” “Nutro qualche dubbio sulla lucidità mentale del re” “Davvero?” “Cristiano VII di Danimarca, un uomo forte, intelligente, erede di una grande casata è in realtà capriccioso, violento, con una naturale propensione alle visioni e alla paranoia. Perdonami ma resto affezionato all'idea che mi sono fatto di lui” “Tuo padre è cugino di sua madre” “E questo spiega come mai mio padre ogni tanto propone sciocchezze!” l'altro rise annuendo divertito “Tuttavia non mi importa granché della sua salute mentale. Desidero solo che Helena sia al sicuro e lontana da qui” “Una volta entrati in Danimarca sarà tutto più semplice. Non ci metteremo molto a raggiungere casa e tuo padre la sta aspettando a braccia aperte lo sai” “Già” “Trovo meraviglioso il cambiamento che ha portato Helena nella sua vita” “Ama mia moglie come una figlia” “Forse perché il buon Dio gli ha concesso solo figli maschi” Nils sorrise divertito dal ricordo di suo padre.
Davanti agli occhi tornavano uno dopo l'altra le immagini di quel giorno lontano, quando per la prima volta Helena venne introdotta alla presenza di suo padre.
Karl Magnus Fingal Oden duca di Närke, fratello del re e figlio prediletto della regina madre.
Un uomo abituato al freddo del nord e al gelo di un titolo tanto importante, un uomo arrabbiato con il mondo e con gli uomini.
Aveva sempre incontrato un padre distaccato e severo ma Helena gli aveva permesso di conoscere il cuore vero di quello stesso padre che per anni aveva desiderato.
Inga li raggiunse stringendo tra le braccia un fagotto elegantemente chiuso da un nastro lavanda “Mia moglie?” “Sta arrivando signore” “Avete tutto quello che vi serve?” “Secondo voi non penso alla mia bambina?” “Scusami, era solo una domanda” ribattè divertito ma i passi alle loro spalle bastarono ad attirare la sua attenzione.
Helena sorrise avvicinandosi a loro, il vestito di velluto scuro era nascosto da un mantello finemente ricamato.
Il cappuccio sollevato celava l'oro dei capelli, Niklas dormiva tra le sue braccia avvolto da una coperta candida e profumata.
Lo nascondeva al fresco tepore del tramonto cullandolo e regalandogli un mondo fatto di sogni “Sei pronta?” “E tu?” domandò divertita stringendo la mano del marito “Io sto impazzendo” “Lo so” la strinse tra le braccia sospirando “Ti raggiungerò il prima possibile, te lo giuro amore mio” “Avete sempre mantenuto le vostre promesse duca ...” posò la fronte sulla sua perdendosi nel suo profumo “ … perché ora dovrei credere il contrario?” lo vide sorridere, la mano posata sul volto e un bacio così dolce da sciogliere la paura “Mi manchi già” “Anche tu angelo mio ma non preoccuparti, mio padre ti sta aspettando con impazienza ...” prese il figlioletto tra le braccia sorridendo a quel faccino assonnato che si voltava appena verso di lui “ … e non vede l'ora di riabbracciare il suo nipotino. Non è così bambino mio?” “Duchessa, credete sia possibile vedervi riposare per qualche ora?” domandò divertito Hans avvicinandosi “Perché vi preoccupate tanto?” “Perché abbiamo davanti un viaggio molto lungo e non vorrei dovervi ricordare continuamente di dormire. Non gioverebbe alla mia salute mentale” Inga tossicchiò frapponendosi tra loro “Mostri un po' più di rispetto per la granduchessa ragazzo!” “Ragazzo? Sono un conte e ...” “D'accordo basta” esclamò Nils stringendo più forte a sé il figlioletto “Credo sia ora di andare” fece un bel respiro e assieme ad Helena si incamminò verso le carrozze.
Inga aprì la porta permettendo a Corinne di salire “Mi raccomando duca, non costringetemi a tornare indietro, non ho alcuna voglia di affrontare di nuovo un viaggio così lungo per colpa vostra” “Perché dovresti?” la vecchina sbuffò portandosi le mani ai fianchi “Sapete bene che non c'è nessun'atltro in grado di occuparsi della vostra servitù” “Hai ragione ma vedrai che me la caverò, e poi ...” si voltò verso Helena ridendo “ … c'è François con me” l'uomo a pochi passi da loro annuì chinando leggermente il capo “Mi mancherai” baciò la governante costringendola a ridere “D'accordo, datemi questo principino, inizia ad esserci troppo freddo per lui” “Ciao bambino mio, il tuo papà ti ama” baciò la fronte di Niklas perdendosi nel suo profumo.
Profumo di bimbo, profumo di vita, la sua vita che ora veniva stravolta ancora e ancora.
“Non preoccuparti, nostro figlio starà bene” “E tu?” domandò sfiorando il volto della sua sposa “Tu starai bene?” “Io starò bene e sarò a casa nostra ad aspettarti assieme al nostro bambino” “Fermati ogni volta che lo desideri. C'è la mia guardia personale con te e vi accompagnerà fino a casa” “Lo so” “Dico davvero” “Anche io” ribatté divertita baciandolo, Fersen rise posando la mano sulla spalla della giovane “L'hai salutata? Faremo tardi” ma Nils scosse leggermente la testa stringendola tra le braccia “Ti amo Helena, qualunque cose accada ricorda che ti amo” la staccò dolcemente da sé studiandone qualche secondo il sorriso.
Quegli occhi di cielo pieni d'amore, il volto di perla nascosto dal manto, le fece l'occhiolino costringendola a ridere, una carezza leggera, le mani intrecciate assieme “Max?” “Mi ha pregato di salutarti, ha fatto di tutto per riuscire ad essere qui in tempo ma è stato trattenuto” “Lo abbracci tu per me?” “Certamente” “Nils?” “Cosa” “Ti amo” un altro bacio, leggero, veloce prima di vederla sparire dentro al buio sicuro della carrozza.
“Ci vediamo presto amico mio” “Ti affido le cose più preziose della mia vita” mormorò Nils abbracciando l'amico “Trattali bene” “Non preoccuparti, i tuoi diamanti sono al sicuro” il rumore assordante del cuore invase i pensieri cancellando ogni altra cosa.
Avrebbe affidato ad Hans la propria vita, sapeva che assieme a lui Helena sarebbe stata al sicuro e che il suo bambino non avrebbe corso alcun rischio ma quella era la prima volta che si separava da lei, da loro.
“Fate buon viaggio duchessa” “Mi mancherai François” “Anche voi” ribatté l'uomo chiudendo la portiera “E non preoccupatevi, a vostro marito ci penso io” il cocchiere salì agilmente stringendo le redini dei cavalli, pochi secondi poi quel colpo leggero.
La carrozza si mosse veloce allontanandosi da loro e da un uomo innamorato che per la prima volta da anni, pregava un Dio a cui forse non aveva mai creduto.




“Vi prego di indietreggiare” “No voi non capite! Ho bisogno di parlare con la duchessa” ma la guardia la spinse indietro costringendola a cadere “Per ordine del granduca l'accesso è bloccato” “Devo parlare con lei!” le spade vennero sguainate ma una voce calma e profonda interruppe i gesti rapidi e veloci degli uomini.
François si avvicinò a Marie porgendole la mano “Perdonateli, eseguono gli ordini” le dita si intrecciarono assieme e la forza dell'uomo la tirò di nuovo in piedi “Come vedete l'ingresso alla tenuta è stato precluso a chiunque non sia parte della famiglia reale di Svezia” “Io ho solo … devo parlare con la duchessa” “La granduchessa è partita questa notte” “Partita?” domandò tremante “Per dove?” “Non sono tenuto a rispondervi e forse nemmeno mi interessa. Quello di cui si è macchiato vostro marito è una colpa troppo grande e se fossimo in Svezia ora probabilmente sarebbe morto” “Mio marito non ha colpa!” “No?” ribatté gelido studiando il suo volto.
Aveva i capelli in disordine, gli occhi pieni di terrore e la pelle sfumata di polvere e lacrime “Lui ha solo … se la duchessa è davvero ...” “Quello che riguarda la mia signora non è di certo affare vostro o di vostro marito. Il granduca ha dato un ordine preciso, Andrè ha salva la vita grazie all'intercessione del generale ma ...” le sorrise allungando un fazzolettino verso di lei “ … la prossima volta che le mie guardie ti troveranno a girovagare attorno alla proprietà del mio signore  non saranno così magnanime e seguiranno gli ordini alla lettera” “Siete sempre stato buono con me, vi prego, ho bisogno di vedere la duchessa” “Vi ho già detto che è partita” “Dov'è!” ma il silenzio gelido che fluì dallo sguardo dell'uomo la costrinse ad indietreggiare “È tornata … sta andando ...” “Sparite Marie, lasciate la mia presenza prima che il mio signore si accorga di voi!” gli sguardi si fuero assieme e in quell'attimo ogni certezza della giovane sparì dal cuore.
Indietreggiò di un passo, un altro ancora, non sapeva nemmeno lei come o perché ma correva a perdifiato cercando di distinguere la strada, il bosco, il cielo ma le lacrime inondavano gli occhi offuscando ogni maledetto buon senso. 

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Capitolo 19
*** Anche gli angeli si Perdono ***


                                                         Anche gli angeli si Perdono







Il vento soffiava gelido sul bosco, ogni ramo, ogni foglia, ogni fiore, tutto veniva stropicciato e massacrato dalla furia di quel freddo improvviso.
La primavera spariva lentamente salutando un autunno pieno di solitudine ma lui? Cos'avrebbe fatto lui? Si sarebbe trascinato per il mondo come un'anima dannata o avrebbe lottato per sé stesso, per sua moglie e quel futuro che ora non riusciva a vedere? Malediva ogni minuto di ogni ora passata a chiedersi se Oscar stesse bene, se dal cielo gli avesse mai sorriso.
Incatenato ai suoi occhi, perso nel profumo lontano di una donna che una volta soltanto era stata sua.
L'aveva cancellata dagli occhi e dal cuore o almeno, era quello che fino ad ora aveva tentato di fare ma lei tornava continuamente a stravolgere l'anima.
Tornava il suo sorriso, quel modo delicato che aveva di giocare con i capelli quando qualcosa la infastidiva.
Aveva pregato con tutto sé stesso di poter vedere un fantasma, di riconoscere nelle parole di Marie quel sogno che ogni notte si insinuava tra le pieghe del tempo cancellando le ore, traformando i minuti in mera follia.
Se quella duchessa fosse stata solo un'illusione, allora avrebbe respirato di nuovo riconoscendo in lei una somiglianza leggera con un angelo che ormai lo proteggeva dal paradiso.
Era quello che immaginava, quello che sperava ma quando gli occhi si riempirono di lei, la razionalità sparì nel nulla.
Non respirava, non si muoveva, sentiva l'aria entrare nei polmoni, la mente formulare pensieri ma la voce era stata risucchiata via dal suo petto.
Quella non era una duchessa né la moglie di un granduca svedese, come può un angelo tornare in vita? Come può uno spirito sorridere? Forse stava impazzendo, forse era davvero pazzo perché non riusciva a spiegarsi il motivo della sua presenza lì, di quell'espressione confusa che le colorava il volto.
Sembrava lontana, diversa eppure in lei viveva Oscar.
La sua Oscar e per quanti sforzi facesse, non riusciva a convincersi a mantenere la distanza tra loro.
Quella giovane che aveva avuto davanti agli occhi per pochi secondi era la stessa che sei anni prima aveva amato ma nei suoi occhi, in quell'azzurro cristallino pieno di vita c'era solo tanta curiosità.
Non riconosceva il suo volto, non aveva idea di chi fosse quell'uomo venuto dal nulla che faticava a trattenere le lacrime.
Perché avrebbe dovuto sorridergli? Per quale motivo si sarebbe dovuta commuovere, per lui? Per cosa? Un uomo ingenuo che aveva l'unica colpa di aver abbandonato troppo presto la speranza di poterla rivedere.
Un uomo arrabbiato da morire con Dio e con un generale egoista e perfido, che aveva scelto per sua figlia ancora una volta cosrtuendole attorno un mondo fatto di bugie.
Un mondo dove la cattiveria veniva arginata e combattuta giorno dopo giorno, un mondo dove la regina di Francia si piegava al volere di un uomo che considerava servo fedele, e non lo faceva per piaggeria o per conservare il favore della nobiltà ma solo per una giovane donna che era stata la sua prima amica, una giovane donna che aveva sostituito Oscar cancellandone perfino il nome.
Ma la cosa che lo faceva soffrire, la cosa che lo massacrava nel corpo e nell'anima era vederla felice.
Era sposata, aveva un figlio, amava e viveva concedendo sé stessa e la sua gioia ad un uomo sconosciuto, un uomo che forse la meritava più di lui, che sapeva proteggerla e che le donava il proprio cuore senza remora alcuna.
Quel duca venuto da lontano aveva rubato alla Francia un diamante vestito di terra.
L'aveva sfilato dalle sue mani cullandone i sogni, curandone le ferite come un padre con la propria figlia e lentamente, aveva pulito quel diamante grattando via la terra un po' alla volta fino a scoprirne la luce preziosa.
Quel diamante ora respirava, correva e giocava mostrandogli ancora una volta cosa fosse custodito in lei e in quel cuore di donna troppo a lungo celato.
Come avrebbe potuto raccontarle la verità? Non voleva le sue lacrime ma al tempo stesso sperava di vederle, una volta, una volta soltanto per capire se in quel pianto vi fosse la stessa giovane che gli era cresciuta accanto e che per colpa di un padre snaturato, aveva rinunciato a sé stessa e a quella felicità che ora riempiva la sua vita.
Tante volte aveva pensato alle parole del generale, tante volte aveva ripetuto a sé stesso che era sbagliato, che amare una contessa non era una cosa da comuni mortali ma era bastato un sorriso, la mano di Oscar stretta alla sua per cancellare le paure.
Non aveva timore del generale né di quello sguardo gelido che gli aveva riservato mentre con semplicità, gli sbatteva in faccia la vita nuova e colorata di sua figlia.
Sarebbe corso da lei, l'avrebbe costretta a ricordare anche a costo di rapirla e portarla lontano ma dopo? Cosa sarebbe accaduto dopo? Era moglie e madre, una splendida madre che aveva sempre soganto di vedere e che ora gli rideva in faccia prendendolo in giro ancora una volta.
Non poteva strapparla dalle braccia di suo figlio, non poteva nasconderla ad un uomo innamorato perché sapeva bene che il duca avrebbe messo a ferro e fuoco ogni maledetta città da qui alla Svezia per poterla riavere, lo capiva, in fondo, era quello che avrebbe fatto lui.
Le aveva detto addio una volta e ci sarebbe riuscito ancora perché non poteva piegarsi di nuovo sotto il peso di un amore così grande e potente, non poteva cancellare con un colpo di spugna gli ultimi cinque anni passati accanto a Marie.
L'avrebbe lasciata andare perché solo così sarebbe riuscito a respirare, anche se le lacrime ora rigavano il volto perdendosi nella forza del vento.
Quell'angelo biondo dagli occhi di cielo sarebbe rimasto chiuso a chiave nell'angolo più buio del cuore e forse un giorno, quando entrambi sarebbero stati abbastanza forti per conoscersi, l'avrebbe cercata raccontandole quella maledetta bugia che per una vita intera li aveva separati ma fino ad allora, avrebbe continuato a vivere accanto a sua moglie, avrebbe cancellato quegli attimi di debolezza allontanandosi ancora una volta da Parigi, via, il più lontano possibile dove quegli occhi non sarebbero mai potuti arrivare.
Lontano da lei, lontano dalla sua nuova vita e se il tempo era in grado di curare ogni ferita, allora avrebbe reso il suo volto solo fantasia trasformandola di nuovo un angelo lontano perso in chissà quale cielo perché forse anche gli angeli si perdono sulla terra e vagando solitari trasportati dal vento, si attaccano all'anima di chi ricorda ancora cercando il calore che in vita li cullava.
Non avrebbe ricordato, non ora, non con tutta questa rabbia in corpo e di certo, non avrebbe permesso al vento di perforargli il cuore.


 

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Capitolo 20
*** Lontano ***


                                          Lontano






C'era freddo, troppo freddo e quella giornata cupa assomigliava ad un inverno precoce a cui non erano ancora preparati.
Gli animali erano irrequieti e l'aria fresca si insinuava nei polmoni gelando il respiro.
Chiuse la porta sospirando, nel buio di casa vide l'ombra tremante di sua moglie.
Se ne stava seduta davanti al camino dove pochi pezzi di brace si consumavano lentamente “Credevo non tornassi più” mormorò sfinita massaggiandosi il collo “Eri arrabbiato” non rispose, si limitò ad annuire sedendo sul divano di fronte a lei “Andrè io ...” “Ce ne andiamo” “Cosa?” sussurrò confusa cercando il suo volto “Andiamo via” “E dove? Qui abbiamo la nostra vita e i nostri amici e ...” “Ho bisogno di aria pura Marie e questo posto non mi aiuta” “E come faremo con il nostro lavoro?” “I cavalli si possono allevare ovunque” ma la giovane si morse un labbro abbassando lo sguardo “È andata via” “Non mi importa” “Non è vero” “Ti ho detto che non mi importa!” “Mi ameresti di più se le somigliassi?” rise passandosi una mano in volto “Se ti regalassi un figlio mi ameresti di più?” “Sei impazzita?” “Forse ...” ma lui sospirò alzandosi “ … o forse non riesco … Andrè io non sono sicura di sentirmi molto bene e ...” “Ho degli amici a Tolone, domani partiamo portando con noi lo stretto indispensabile” “Non mi ascolti nemmeno?” “Abbiamo abbastanza soldi per vivere dignitosamente per il resto della nostra vita” “Andrè!” si voltò di colpo incontrando gli occhi di sua moglie “C'è qualcosa che non va e non riesco a capire cosa sia! Sto male Andrè, mi sento male perché vorrei darti tutto quello che lei ti avrebbe dato e ora non so cosa provare o cosa fare e tu ...” la vide tremare alzandosi a fatica dal suolo “ … tu non mi ascolti e io impazzisco Andrè! Sto pensando a centinaia di cose tutte assieme e nessuna di queste è bella ma non posso parlarne con te! Tu non mi ascolti!” “No hai ragione” prese di nuovo la giacca cercando di allontanare lo sgaurdo spaurito di sua moglie “Vado a sistemare gli animali, preparati a partire” infilò di nuovo il mantello e senza aggiungere una parola se ne andò.
Il rumore della porta si infranse contro la debole barriera delle lacrime incrinandone il vetro lucente.
Si strinse nelle spalle sospirando, era spaventata, confusa, non poteva parlare con lui e forse nemmeno voleva ma c'era questa strana sensazione, questo disagio violento che si insinuava nei pensieri come il fango si insinua nelle crepe dei muri, nella roccia.
Un dipinto reale di una realtà sbagliata che ora più che mai le sembrava giusta.
Non avrebbe mai potuto regalargli la serenità, non avrebbe mai visto nei suoi occhi la gioia, quella che gli regalava il pensiero di lei ma c'era qualcosa che poteva fare per aiutarlo a sopravvivere, qualcosa che fino ad ora era passato inosservato alla razionalità e che l'impulso acclamava a gran voce.
Sistemò i capelli asciugando le lacrime, accanto alla poltrona riposava distratto un fagotto rimasto al sicuro nell'ombra.
Infilò le scarpe allacciando il mantello pesante sul seno e sollevando il cappuccio, strinse a sé quel piccolo tesoro uscendo di casa.


"Siete pallido" "Sto bene" "Oh certo, state bene" ma l'altro sorrise abbandonandosi sulla poltrona, lo sguardo perso oltre il vetro e un debolissimo sorriso sulle labbra "Secondo te ho fatto la scelta giusta?" "Salvare una vita?" "Lasciarla andare da sola" "Non è sola, Fersen è assieme a lei" mormorò François raggiungendolo "Non dovreste preoccuparvi così, conoscete bene la forza che custodisce in cuore vostra moglie. Starà bene vedrete anzi, sono certo che appena messo piede in terra svedese, sorriderà come una bambina perdendosi con lo sguardo sulle lucenti distese di neve" Nils annuì ridendo di quell'immagine tanto dolce.
Ricordava bene la prima volta che la portò a casa con sé, il suo sorriso, quegli occhi tanto belli pieni di meraviglia, le corse a cavallo sulla neve fresca fino a quando il respiro si spezzava e la pelle si colorava di un tenero rossore.
Raddrizzò la schiena assumendo nuovamente la postura adatta al suo titolo ma François sorrise posando una mano sulla sua spalla "So cosa ti preoccupa bambino mio. Lo so da quando avevi tredici anni. Non è sbagliato amare" "E cosa accade quando quell'amore è assieme forza e debolezza?" "Diventi un uomo" il volto dell'uomo si piegò in una tenera smorfia "E quello che ho davanti agli occhi Nils, è l'uomo migliore che speravo diventassi. L'amore ha completato il tuo cuore modellandosi sulle cicatrici, ti ha reso più forte e poco importa se ogni tanto quella forza viene meno" "L'avrei ucciso" "Lo so" "Se ha salva la vita è grazie a mio suocero. Ma se dovessi incontrarlo di nuovo ..." fermò quella frase a metà trattenendo la rabbia e la paura.
L'amore per la sua sposa era diventata l'acque pura e cristallina che sanava le ferite di un cuore maltrattato.
Abituato alla rigida violenza del nord faticava a riconoscere l'uomo che era diventato, il padre che ogni mattina abbracciava suo figlio cullandolo nel proprio respiro.
Helena aveva smorzato l'irruenza violenta del suo carattere regalandogli la possibilità di assaporare la vita.
"L'ambasciatore francese sarà qui a minuti" "No, no oggi no. Non ho alcuna voglia di ascoltare futili questioni di governo" "Allora forse dovresti riposare un po', a lui ci penso io" gli fece l'occhiolino allontanandosi di qualche passo da lui ma una giovane dagli occhi chiari si avvicinò a lui esibendosi in un leggero inchino.
"Perdonatemi signore, c'è una visita per voi" "Riferite pure che il granduca non ha alcuna intenzione di vedere ministri o messaggeri" ma la ragazza sospirò avvicinandosi a François "Questo temo debba proprio vederlo" "Cosa?" "Aspetta oltre il cancello" "Qualcosa non va?" domandò confuo Nils ma François scosse leggermente la testa sistemandosi il colletto dell'abito "Ci penso io ragazzo. Tu riposa" "Grazie" "Emily vieni con me?" "Subito" uscirono dalla sala chiudendosi la porta alle spalle "Da quanto è qui?" "Pochi minuti" "E così dovrà essere per tutti. Che nessuno riferisca al duca quanto accaduto altrimenti temo per la vita di due persone in più" la ragazza sorrise appena chinando leggero il capo "Vai ora, occupati del bagno del duca" prese il bastone dalle mani di un paggio e senza aggiungere più una parola si incamminò lungo il corridodio silenzioso.






Era rimasto fuori da quel cancello per ore, ore lunghe e silenziose dove ogni cosa sembrava andare a rilento.
Passeggiava nervoso sotto lo sguardo vigile e attento dei soldati.
Schierati davanti a lui gli impedivano qualsiasi domanda o qualsiasi pensiero forse troppo sciocco di oltrepassare quel confine di ferro poi d'improvviso quell'uomo lontano.
Camminava lentamente verso di lui scortato da tre guardie armate.
Con la mano stringeva il bastone appoggiandosi ad ogni passo mentre il suo volto diventava via via più nitido.
“Avete chiesto di vedermi?” “Ho chiesto del duca” “Granduca” puntualizzò François muovendo appena una mano, i soldati si spostarono permettendogli di uscire dal cancello “E così avete bisogno di parlarmi” “Non è di voi che ...” “Il mio signore non ha alcun piacere di vedervi. La fragilità dell'accordo che vi tiene in vita dipende dal generale. Vi consiglio di non giocare troppo con la sua pazienza” “Mia moglie è sparita!” “Allora forse dovreste rivolgervi a qualcun'altro” ma lui sorrise avvicinandosi di un passo, le guardie sollevarono le armi bloccandolo “È venuta qui! Voleva parlare con la duchessa, con quella donna che non è … l'ho cercata per giorni ma nessuno sa dov'è finita” “Ho visto vostra moglie è vero. È venuta qui sei giorni fa, ha chiesto della granduchessa ed è stata respinta” “Respinta?” “Il mio signore non ha alcun piacere ad averla in giro per casa, non dopo quello che avete fatto” "E quello che lui ha fatto a me? Quello non conta vero?" "Avete tenuto in ostaggio la mia signora" "Ho abbracciato la donna che in passato è stata l'unico amore della mia vita!" "Non giocate con me Andrè, l'amore che ancora provate per lei vi si legge sul volto! Non avete la minima idea della confusione che avete creato. Siete egoista e infantile" “Sinceramente? Ora non mi importa granché!” “Allora qui non avete niente da fare. Vi auguro di ritrovare vostra moglie” tornò a voltarsi verso le guardie sorridendo “Nessuno è autorizzato ad avvicinarsi a più di dieci metri al cancello. Il granduca oggi resterà alla tenuta tutto il giorno” uno dei due rispose qualcosa in qualche strana lingua costringendo Andrè a ridere.
Non avrebbe trovato nessun aiuto in loro e di certo non sarebbe rimasto immobile lì davanti mentre la sua Marie era persa chissà dove.



“Stai sorridendo?” domandò divertita giocando con le manine del figlio “Hai visto Inga?” la governante annuì intenerita dalla dolcezza della giovane “Il mio piccolo principino. Vi somiglia ogni giorno un po' di più” “Lo pensi davvero? C'è molto di Nils in lui” “Ma ha il vostro sorriso” sollevò il bambino ridendo quando una manina si posò sulle sue labbra.
I suoi lineamenti cambiavano ogni giorno ad una velocità impressionante, assomigliava a Nils, aveva i suoi colori, i capelli scuri, il taglio dei suoi occhi ma le labbra le aveva rubate da lei e il sorriso da quel padre anche nonno che ora più che mai le mancava da morire.
Il paesaggio scorreva lento oltre il vetro della carrozza regalandole distese di verde e un cielo ormai sfumato d'autunno che presto sarebbe diventato inverno.
Viaggiavano da giorni ormai e il mondo diverso che si dipingeva oltre il confine sicuro dei vetri iniziava ad assomigliarsi.
I cavalli rallentarono attirando l'attenzione della governante “Che ci sia un'impedimento?” la porta venne aperta e il bel volto di Fersen apparve tra loro costringendola a sbuffare “Ci fermiamo per qualche ora, i cavalli devono riposare e sono sicuro che camminare un po' ti farà piacere” “Davvero?” mormorò sfinita Helena “Dio vi ringrazio” avvolse di nuovo il figlioletto tra le coperte lasciandolo tra le braccia della vecchina e stringendo la mano del conte, scese dalla carrozza inspirando l'aria fresca del mattino.
“Ho parlato con il locandiere ed è ben felice di ospitarci per qualche ora” “Sono certa che vedersi arrivare in casa un'esercito armato sia il sogno di ogni brav'uomo” “O donna” rise sollevandole il cappuccio sul volto “Vieni, qui fuori c'è troppo freddo” Corinne la seguì sistemando lo strascico leggero dell'abito ma lo sguardo di Helena corse al figlioletto stretto al sicuro tra le braccia della governante “Non preoccupatevi signora, sono proprio dietro di voi” ci misero pochi minuti a raggiungere la porticina di legno scuro.
Quello non era certo un posto adatto ad una granduchessa ma era caldo e piuttosto pulito.
Una donnina anziana e dal volto rubicondo si esibì in un'inchino piuttosto buffo invintandola a sedere al tavolo accanto all'unica finestra pulita della saletta.
“Altezza reale, non immaginate nemmeno quale onore è per me avervi qui” “Non dovete chiamarmi così” mormorò divertita scoprendo il volto, la donnina sorrise amabile incantata dalla dolcezza di quei lineamenti “Sapete, ho visto una principessa una volta, bionda come lo siete voi, bella come lo siete voi” “Davvero?” “Davvero altezza!” esclamò estasiata, Fersen rise divertito sedendo accanto ad Helena “Sembrate stanca signora” “Stiamo viaggiando da giorni ormai” “E siete diretta lontano?” ma l'uomo tossicchiò attirando l'attenzione della locandiera “Vi saremo grati se poteste servirci qualcosa di buono da mangiare” “Oh … oh certamente! Ho proprio quello che fa per voi!” Inga entrò osservando confusa quella donnina irritante che saltellava ovunque “Che buffa persona” sussurrò sedendo dietro alla sua giovane signora, Niklas tossicchiò attirando lo sguardo preoccupato di sua madre “Oh non è niente, solo la stanchezza” “Forse c'è troppo freddo per lui” sfiorò la manina del figlio coprendola poi con il panno di lana “Vuoi che faccia venire qui il dottore?” ci pensò qualche secondo, intenerito dall'indecisione che le colorava lo sguardo, le sfiorò una spalla.
Si mordeva le labbra come una bambina cercando di capire quale fosse la scelta giusta da fare “Helena” gli occhi azzurri della giovane si fusero ai suoi togliendogli il respiro “Ho fatto una promessa a tuo marito. Gli ho promesso che non vi sarebbe accaduto niente di male e manterrò la mia promessa quindi ora ...” le sfiorò il volto giocando con quell'unica ciocca di capelli lasciata libera di disobbedire “ … tu resti qui al caldo e inizi la colazione e io vado fuori, butto giù dalla carrozza il medico e lo porto qui” “Il più presto possibile?” “Il più presto possibile” “Auguri allora” ribatté Inga ridendo “Quell'uomo ha il sonno più pesante di una pietra” sollevò Niklas posando una mano sulla schiena del piccolo “Provare non costa nulla. Corinne?” “Signore” “Assicurati che la duchessa abbia tutto quello di cui necessita e fa portare latte caldo e qualcosa da mangiare ai soldati. Che riposino” un leggerissimo inchino per congedarsi da loro “Ecco altezza reale” la vocina squillante della donna invase la sala intera costringendo Inga a sussultare “Abbiamo tè caldo, biscotti appena sfornati e del latte. Pane caldo e burro, putroppo non ho confetture fresche in giro, sapete, con la povertà che dilaga. Ma da qualche parte devo avere del miele ...”  lasciò il vassoio sul tavolo correndo dietro al bancone di legno “ … è stato un regalo, un mio amico, contadino anch'esso è riuscito ad averlo da un amico che l'ha avuto da un amico. Che strano incrocio di vita non trovate?” “Resta qui, io vado a prendere il medico. Lascio la mia guardia assieme a te” “Non mi accadrà niente in una locanda” “Non importa” le fece l'occhiolino allontanandosi poi da lei.
La donnina oltre il bancone esultò allegra e correndo tornò al tavolo reggendo un piccolo vasetto “È poco lo so ma sono felice di condividerlo con voi” “Non preoccupatevi ...” “Cecile” “Cecile, è un bellissimo nome” “Lo pensate davvero?” “Se avessi avuto una figlia probabilmente il vostro, sarebbe stato uno dei nomi che avrei scelto” “Ne sono proprio felice” “Inga vieni, mangia assieme a me” “Oh vi ringrazio altezza” ribattè divertita sedendole accanto, Niklas allungò una manina stringendola attorno agli occhiali della governante e in quell'aria leggera e piena d'allegria, il volto di Helena tornò a colorarsi di dolcezza perché la mancanza di suo marito svaniva appena, lenita dal sorriso del loro bambino e da quella purezza che solo lui era in grado di regalarle.

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Capitolo 21
*** Un solo Sguardo ***


                             Un solo Sguardo







“Da dove vieni?” “Parigi” mormorò sfinita sedendo sullo sgabello di fronte al banco scuro.
Quella piccola locanda trovata per caso in mezzo ai boschi era stata un sogno ad occhi aperti.
C'era freddo e il vento non aveva smesso nemmeno per un'attimo di sferzare rami e persone “Parigi, davvero?” “Già” “Tieni ...” sorrise prendendo tra le mani una tazza  fumante “ … con questo tempo ci vuole qualcosa di caldo” ribatté allegra la giovinetta, era simpatica e affabile con occhi nocciola e un bel sorriso luminoso sul volto.
“Dove sei diretta?” “Non lo so” “Non lo sai?” ribatté confusa appoggiandosi al legno “Sto cercando qualcosa, qualcuno o forse sto solo impazzendo” “A volte mi capita” “Come ti chiami?” “Elise” ribatté l'altra ridacchiando “Io sono Marie” “Piacere di conoscerti Marie” le fece l'occhiolino perdendosi qualche secondo sul movimento della porta e sull'uomo che entrò salutandola allegro “Che ti porto Bernard?” “Il solito bambolina” “Philipe ...” un uomo baffuto si affacciò dalle cucine tossicchiando “Bernard è qui” “Oh finalmente! A lui ci penso io” scomparve di nuovo oltre le porte lasciando una giovane divertita a parlare assieme a lei.
“Dunque Marie, sei di Parigi e scappi da Parigi, non sai dove andare, non hai amici o un posto dove passare la notte” “Sono un disastro vero?” “Solo un pochetto” rise sconvolta dalla spontaneità di quella ragazza così simile a lei “D'accordo sai che facciamo? Ho una stanza di sopra, ci dormo quando sono di turno alla locanda ma te la cedo volentieri per stanotte” “Oh no, non devi ...” “Coraggio voglio farlo. Sei la prima ragazza della mia età che passa di qui e sei gentile, un pregio che molti hanno perso” “Elise” “E il tuo cavallo può restare nella nostra piccola scuderia, è calda e troverà del cibo nutriente” “Va bene ma ti pago il disturbo” “Affare fatto” strinse la mano di Elise recuperando per qualche secondo la piccola Marie che da giorni sembrava sparita nel nulla.




Aprì gli occhi disturbata dalla luce leggera del giorno. Un debolissimo sorriso le sfiorò le labbra mentre ogni cosa tornava ad apparirle quanto meno reale.
La testolina di Niklas sul seno, le manine aggrappate a lei e il suo respiro caldo sulla pelle.
Inga dormiva appoggiata a Corinne, abbracciata a lei come una madre ansiosa.
Fersen si voltò appena verso di lei studiandone il volto “Buongiorno” “Ti prego dimmi che siamo arrivati” passò un braccio attorno a lei tirandola leggermente verso di sé “Il confine è vicino ormai, pensavo avessi già affrontato un viaggio del genere” Helena sospirò chiudendo di nuovo gli occhi, il figlioletto si mosse appena tra le sue braccia cercando il calore del suo corpo “Una volta usciti dalla Francia vedrai che il tempo volerà via” “Davvero?” annuì pensieroso disegnando sulla spalla della giovane tenerissimi cerchi invisibili "Ma se ti dicessi che c'è una sorpresa per te?" "Non vedo l'ora di scoprire cos'è" ribatté sfinita lasciandosi cullare dalle carezze dell'uomo.
La carrozza rallentò fino a fermarsi, Helena aprì gli occhi cercando il suo sguardo  "Che c'è?" "Ti ho detto che ho una sorpresa, non l'ho fatto forse?" "Hans cosa ..." "Prima di fare qualsiasi altra cosa ..." prese Niklas dalle sue braccia lasciandola immobile a fissare confusa ogni suo gesto " ... prendo questo piccolo angelo in custodia perché sono certo che non appena scoprirai di cosa si tratta, correrai via senza pensare a niente e nessuno" "Vi ho già detto che non siete simpatico?" "Oh, ora mi dai del voi?" ma quando la luce invase l'interno del cocchio, un dolcissimo sorriso si prese le labbra della ragazza.
L'uomo in divisa appena oltre la soglia rise  stringendola tra le braccia mentre con tenerezza, la tirava verso di sé costringendola ad uscire sotto il tocco dell'aria fresca “Mi siete mancato” “Lo so, non ti avrei mai permesso di uscire dalla Francia senza prima vedermi” nascose il volto sul petto del padre perdendosi nel suo profumo “Verrò a trovarti il prima possibile Helena” “Me lo promettete?” la staccò dolcemente da sé posando le labbra sulla fronte della figlia “Te lo prometto” “Date voi un bacio a mia madre per me?” “Perché non lo fai tu?” ma l'espressione confusa sul volto della giovane lo fece sorridere.
Posò le mani sulle spalle della figlia spostandola leggermente di lato, lo sguardo diventò improvvisamente pieno di luce quando riconobbe alle spalle del padre la figura elegante e delicata di sua madre.
Scivolò via dalle mani dell'uomo correndo a perdifiato verso di lei, non le importava se a guardarla ci fossero militari, popolani o re, l'unica cosa che voleva era perdersi nel calore della propria madre almeno per qualche attimo.
Il generale sorrise avvicinandosi a Fersen mentre con lo sguardo seguiva la corsa della figlia e per qualche secondo, davanti agli occhi tornò una bambina sorridente di quattro anni appena che correva verso di lui urlando quell'unica parola che amava da impazzire.
La stessa bambina che passava le notti sveglia ad aspettarlo e che non aveva mai ricevuto nemmeno una carezza.
Le braccia della dama si aprirono leggere accogliendo il corpo tremante di Helena “Non piangere bambina mia” sussurrò stringendola a sé “Devo lasciarvi, forse le lacrime mi sono concesse” “Qualsiasi cosa accada sarò sempre qui ad aspettarti” le sollevò il volto asciugando quelle lacrime insolenti “Ricorda chi sei bambina mia. Ricorda il titolo che ti appartiene, sei una granduchessa di Svezia e Inghilterra ma appartieni alla Francia. Non aver timore amore mio né paura” “Madre ...” posò un dito sulle labbra della figlia bloccando quella tenera risposta “Tu permetti alla paura di intaccare la gioia che ti brilla nel cuore. Quello che è accaduto non deve e non può cambiare la persona meravigliosa che sei” un debolissimo sorriso sfiorò le labbra della giovane mentre la mano si chiuse attorno alla sua “So che ti ha sconvolto, te lo leggo negli occhi” “Trovo strano il comportamento di un uomo che nemmeno conosco. Come può sconvolgermi una sciocchezza del genere?” “Tu la trovi una sciocchezza?” per qualche secondo, negli occhi di Helena passò qualcosa di simile al rimorso, qualcosa che da anni non tornava più a toccarle lo sguardo.
Strinse più forte le mani attorno alle sue costringendola a respirare “Le sciocchezze rimangono tali fino a quando non si decide di dar loro un nome diverso” “Voi lo giustificate?” “Ha visto in te qualcosa che credeva perso, qualcuno che da anni non riesce a ritrovare” “Allora prego con tutto il cuore affinché ci riesca, non è bello soffrire così” l'altra annuì silenziosa abbracciandola “Sei felice Helena?” “Madre perché ...” “Perché ho bisogno di sentirlo dalle tue labbra bambina mia. Ho bisogno di sapere che le scelte fatte fino ad ora sono state solo ed esclusivamente per il tuo bene, per vederti felice e innamorata al fianco di un uomo per bene” chiuse gli occhi stringendo più forte le braccia attorno ai fianchi della madre “Sono felice, sono innamorata e vi ho regalato un nipote meraviglioso. Non abbiate paura madre, la mia vita è perfetta” ma l'allegria di poco prima sparì velocemente sostituita da qualcosa che non aveva mai provato prima.
Si perse nell'abbraccio caldo e rassicurante di sua madre ignorando l'aria fresca, gli sguardi inteneriti delle cameriere o delle guardie a cavallo poi il calore improvviso di un mantello pesante e le mani del padre intrecciate a quelle di sua moglie. “Ora devi andare, ti stanno aspettando” “Mi scriverete?” “Ogni volta che ne avrò occasione” “Sempre padre, e non solo quando vi ricordate di avere una figlia sperduta nelle lande desolate e fredde del nord” “A quanto ne so ...” ribatté indispettito “ … nelle lande desolate e fredde del nord mia figlia ci sta più che bene” “Questa non è una scusante” “Meno sarcasmo ragazzina e più rispetto” sollevò il cappuccio nascondendole per metà il volto.
La contessa rise divertita sistemando quel tenero disastro trovando di nuovo la luce fresca di quello sguardo puro come l'acqua  “Sei pronta?” sorrise orgogliosa raddrizzando le spalle, il generale annuì fiero di quella figlia una volta anche figlio e che ora, brillava di luce propria senza fatica alcuna.
Le sfiorò una spalla attirando il suo sguardo “Mostra a tutti il caratterino che ti ho regalato Helena e non dimenticarti mai che sei la figlia di un generale dell'esercito francese e che in te, brucia il fuoco della dedizione e della passione” la giovane chinò leggermente il capo verso di loro mentre Inga si avvicinava discreta nascondendo il bambino dal vento.
"Signore" "Vieni qui giovanotto" prese tra le braccia il bambino studiandone il volto “C'è molto di tuo padre in te" “Lo pensi davvero? Io credo ti assomigli molto marito mio” “Naturale! È figlio di nostra figlia” asserì orgoglioso “Diventerà grande e forte proprio come suo nonno. Sarà testardo come lei e arrogante e qualche volta, si prenderà la briga di farmi arrabbiare. Correrà troppo in fretta per un povero vecchio come me ma alla fine, sono certo che l'orgoglio che leggerò nei suoi occhi sarà mio” “E la famiglia di mio marito non ha meriti?” ribatté divertita Helena ma l'altro tossicchiò lasciando il piccolo tra le braccia di sua moglie “In parte” “In parte?” “Conte!” Fersen si avvicinò di qualche passo “Generale” “Abbiate cura di mia figlia” “Si signore” “Non scherzo giovanotto. Se dovesse accaderle qualcosa pregate Dio affinché abbia pietà di voi perché io di certo non ne avrò” “Come … certo signor generale!” esclamò portandosi una mano alla fronte, Helena sbuffò alzando appena gli occhi al cielo, un bacio ancora sulle labbra di sua madre e poi il silenzio e il freddo attorno a lei.
Camminava lentamente verso quella carrozza che ora più che mai le sembrava una prigione, sentiva i passi di suo padre, il respiro lento e regolare che scandiva i battiti di un cuore forte e orgoglioso “Niente debolezze, niente rimorsi ...” si fermrono assieme a pochi passi dal cocchiere “ … niente paure Helena. Sei giovane e bella figlia mia, il mondo intero è ai tuoi piedi, non permettere al passato di giocare con te” “Mi piace il mio passato padre” sussurrò divertita, gli sguardi si fusero assieme, il cielo si scontrò con il cielo e in quel miscuglio di parole silenziose, un padre innamorato lesse il cuore di sua figlia senza fatica alcuna.
“Vi voglio bene padre” mormorò abbracciandolo “Ve ne ho sempre voluto” “Anche io bambina” ma lasciarla andare diventava ogni volta più difficile.
In quella figlia tanto amata rivedeva sé stesso, lo stesso spirito infiammato di passione, lo stesso sguardo orgoglioso.
Helena gli apparteneva, l'aveva creata dal nulla donandole un cuore pulsante ed era quel cuore che ora sentiva parlare.
L'aiutò a salire stringendo con forza la sua mano ma quando la distanza diventò più grande, l'aria fredda si insinuò tra loro costringendo le dita a sciogliere quell'intreccio meraviglioso.
Fersen si congedò dalla contessa tornando sui propri passi ma il generale lo fermò accanto a sé “Posso fidarmi di voi non è così?” “Vi giuro signore che morirei per vostra figlia” “Tenetela lontana dal silenzio conte, almeno fino a quando suo marito non tornerà a regalarle il sorriso perché quel silenzio è pericoloso” “Conosco bene il passato che volete cancellare e credetemi, mi trovate più che d'accordo con voi anche se resto dell'idea che l'amore, qualsiasi esso sia, dovrebbe essere lasciato libero di scegliere” “Ma quando quell'amore diventa pericoloso, allora ci sono decisioni da prendere” “Vostra figlia ...” “Scapperà? No conte” rise sistemando il copricapo “Non è scappata per sei anni. È rimasta al proprio posto scoprendo una giovane donna che avevo sempre celato e ama questa giovane donna più di quanto la ami io” “Lei ...” “Proprio così” esclamò l'altro “Non permettetele di accostarsi al silenzio” un debole cenno d'assenso poi solo le spalle di un uomo freddo almeno quanto il ghiaccio che pochi minuti prima, si era trasformato nel più tenero dei padri.

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Capitolo 22
*** Profumo di Neve ***


                                  Profumo di Neve






L'aria tiepida del mattina accolse quel nuovo giorno e due ragazze appena conosciute che velocemente diventavano amiche “Stai scherzando vero?” “Sono così patetica?” scosse energicamente la testa seguendola fuori dalla porta.
Il sole brillava appena svegliando il mondo intero “No è solo … sei sicura di quello che fai? Perché vedi, entrare in un paese straniero senza alcuna meta è difficile ma lo è ancora di più quando vuoi parlare con la cognata del re” “Ho solo … ho bisogno di parlare con lei” “La conosci?” annuì appena sistemando i finimenti del cavallo “Ne sei sicura? Perché i nobili non sono fatti per le persone comuni, non si conoscono mai fino in fondo” “Hai ragione, ma se ora io non le parlo mio marito non riuscirà mai a dimenticare il passato” “Sei pazza piccola Marie” esclamò divertita Elise passandole un panno chiuso “Vuoi aiutare tuo marito a dimenticare il passato trascinando quel passato davanti ai suoi occhi” “Sono patetica” mormorò chiudendo qualche secondo gli occhi “Hai davanti un viaggio lungo e faticoso. Come pensi di affrontarlo da sola?” “Se non ci provo come posso saperlo?” vide la giovane sorridere, portarsi una mano alle labbra assorta in pensieri che forse nemmeno capiva.
Poi d'improvviso quel gesto di vittoria e una pacca sulla sua spalla “Vengo con te” “Cosa?” “Ho sempre desiderato vedere il nord! Dicono che sia freddo e grande e freddo e … l'ho già detto grande?” “Non posso portarti con me” “Guarda che non te lo sto chiedendo” “Ma tu hai una vita qui” “Hai mai lavorato in una locanda?” scosse la testa accarezzando il muso dell'animale “Questi posti fanno schifo” “Non tutti” “No hai ragione, solo quelli pieni di uomini” Marie arrossì abbassando lo sguardo “Coraggio, affrontare un viaggio in due è più semplice e anche più leggero. Il tempo sembrerà volare” le fece l'occhiolino e poi, senza più aggiungere una parola corse via saltellando allegra per il piccolo viale alberato “Secondo te sbaglio?” mormorò cercando gli occhi del cavallo “So che sto sbagliando ma l'allegria di Elise può aiutarmi. Forse mi sentirei meno sola” l'animale sbuffò costringendola a ridere.
La vicinanza di quella ragazza sbucata fuori dal nulla l'avrebbe costretta a sorridere e magari, avrebbe cancellato quel pensiero insano che da giorni le correva nelle vene.




Ti chiedo perdono Andrè, so che non riuscirai a comprendere la follia del mio gesto ma sono convinta che la mia scelta sia giusta.
Ho bisogno di vederla, di parlare con lei perché non capisco come possa una donna, una donna umana, avere un tale effetto su di te.
Non capisco come aiutarti, come farti sorridere e so che forse con un figlio assieme a noi ora tutto questo sarebbe meno importante.
Un figlio Andrè, un piccolo umano che ti somiglia e che parla e ride e ti chiama papà e che renderebbe effimero il passato perché se ci fosse, se corresse per la nostra casa le tue giornate sarebbero piene di lui e non di occhi di cielo.
Non posso darti figli, Dio lassù ci ha privato di tanto amore ma posso aiutarti.
Posso regalarti continuamente una parte di quel passato rendendoti così finalmente libero dai fantasmi perché se quel passato diventa carne e fiato, se diventa reale davanti ai tuoi occhi allora non ha più alcun diritto di ferirti …

Aveva letto e riletto centinaia di volte quel foglio e aveva maledetto il cielo per quella decisione tanto stupida.
Non capiva la metà di quello che sua moglie aveva scritto e dell'altra metà non gli interessava granché.
Le frasi contorte, i discorsi su passato e i figli.
Non aveva mai chiesto al cielo più di quanto avevano già e se i bambini non arrivavano di certo non ne avrebbe fatto una malattia ma per Marie era diverso.
In qualche strano modo era convinta di essere la causa di questa sciocca disgrazia, stavano bene assieme e non sarebbe morto nessuno se la vecchiaia fosse appartenuta a loro due soltanto.
Aveva passato giorni interi a cercarla, non credeva potesse davvero fare una cosa tanto sciocca eppure era accaduto.
Strinse più forte il foglio tra le mani sospirando “Siamo pronti” “I cavalli sono abbastanza riposati?” “Certamente, al prossimo ristoro toglieremo loro i finimenti” “Grazie Emile” “E per cosa?” “Per avermi accompagnato in questa follia” “Follia? È mia cugina, se scappa noi la cerchiamo” ribatté l'altro dandogli una pacca sulla spalla “Anche se mi chiedo cosa diavolo l'abbia spinta a fare una cosa tanto stupida” “Una sciocca duchessa apparsa all'improvviso” “Già, la duchessa” risero assieme dimenticando per qualche secondo quella pazzia condivisa “Sai cosa penso?” “No” “Beh, immaginati la guardia reale che accompagna la duchessa. Camminano tranquilli accanto alla carrozza quando d'improvviso vedono una ragazza che corre al galoppo verso di loro e ...” lasciò le redini del cavallo tra le mani di Andrè cercando di trattenere le risate “ … alle spalle di quella ragazza un po' folle, due uomini che urlano a squarciagola. Rideranno come matti” “Ci spareranno” il bel volto del giovane si congelò in una smorfia a metà tra il riso e la paura “Si beh, questo non l'avevo considerato” “Forse dovresti. La guardia reale non è certo delicata e bonaria, quella svedese a maggior ragione” “Una duchessa svedese! Non poteva essere una banalissima dama francese? Quando prendiamo mia cugina le do un calcio!” montarono in sella divertiti da quell'immagine tanto sciocca.
Correvano dietro ad una giovane arrabbiata e delusa che inseguiva la donna più bella del nord.
Una carovana di pazzi che si addentravano nei territori gelidi dove le leggi erano diverse e l'amore anche.





Fece un bel respiro lasciandosi accarezzare dal vento del mare.
Casa ormai era così vicina, così nitida all'orizzonte da apparire ormai certezza.
Sentiva di nuovo la gioia esplodere violenta nel petto mentre il brivido leggero della brezza mattutina le accarezzava il volto scendendo sul collo.
Un viaggio così lungo non l'avrebbe mai augurato a nessuno ma c'era la vita ad attenderla oltre il mare e quel castello meraviglioso che mai avrebbe voluto lasciare “Dove potevo trovarti se non qui?” “La vedo” mormorò sorridente “Vedo le montagne innevate, le distese di ghiaccio silenziose e i boschi addormentati” “E non c'è troppo freddo per te?” ma lo sguardo sul volto della giovane lo costrinse a ridere “So cosa provi sai? Ogni volta che torno a casa faccio esattamente le stesse cose. Resto immobile sul ponte per ore intere a respirare il profumo del vento, ad immaginare la mia famiglia, il loro sguardo, il sorriso di mia madre e l'abbraccio di mio padre. Resto ad ascoltare il mio mare, le mie montagne” osservò per qualche secondo l'orizzonte di fronte a sé sorridendo “So che per te è più difficile, hai lasciato la tua famiglia in Francia, tuo padre, tua madre e quando ...” “Quando scenderemo a terra ci sarà un uomo sorridente ad accogliermi, il calore del suo abbraccio, la sua voce che ripete: Bentornata figlia mia” prese a braccetto l'uomo sospirando “Ci sarà il bacio di una madre e l'allegria di fratelli e cugini. C'è una famiglia anche lì Hans, una famiglia che mi ama e alla quale devo molto” “Se ti sentisse il duca” “Non importa, mio suocero è un uomo meraviglioso e Nils gli somiglia molto anche se lui continua a ripetere il contrario. Mi ha regalato la possibilità di rinascere Hans, non è una cosa da poco” non rispose, restò immobile a stringere la sua mano tra le proprie mentre minuto dopo minuto quell'orizzonte frastagliato diventava più nitido e luminoso.
Il profumo di cui parlava prima era lì, forte e potente, le risate e gli abbracci rimbombavano nel silenzio del mare costringendola a sorridere “Ti ha mai detto nessuno che sei bellissima?” “Cosa fate conte? Giocate con la moglie del vostro più caro amico?” “No, voglio solo essere sicuro che quell'idiota del mio più caro amico te lo ripeta abbastanza” “Il giusto” mormorò divertita facendogli l'occhiolino “Ora se volete perdonarmi conte, ho una questione urgente da sbrigare” “Una questione?” “Si, piuttosto urgente direi” ma la mano del giovane si strinse attorno alla sua bloccandola “Che non ti venga in mente di scappare appena posi i piedi sulla terra ferma chiaro?” “Vuoi legarmi?” “Nils mi ha permesso di farlo” ribatté indispettito ma lei sorrise “No, no non è quella la questione urgente di cui parlavo” “Allora ti accompagno” “E poi come lo spiegherete al granduca che siete rimasto assieme a me mentre nutrivo nostro figlio” la presa si allentò di colpo e un'espressione sconvolta colorò il volto del giovane “Oh … d'accordo, allora duchessa andate pure a .. beh ecco ...” “Siete più carino quando vi imbarazzate” gli diede un bacio leggero sulla guancia scappando via come una bambina irriverente ma infondo, era di quella bambina che si era innamorato Nils, di quegli occhi, di quella spontaneità così bella e pura.
Casa era vicina e la vera Helena era pronta a rinascere di nuovo cancellando di colpo quell'attimo di debolezza ormai completamente passato.

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Capitolo 23
*** Gemma Preziosa ***


                              Gemma Preziosa





“Dovremo fermarci Marie, non credo che cavalcare con un temporale in arrivo sia la cosa giusta da fare” tirarono con forza le redini rallentando la corsa dei cavalli “Dobbiamo trovare un riparo” “C'è una locanda più avanti, mio padre mi ci portava sempre quando ero piccola” “Per mostrarti il suo lavoro?” “Per vendermi” “Elise io … mi dispiace” “E per cosa? A me non dispiace. Ho iniziato a mettere da parte i soldi fin da piccola e ora posso permettermi una vita dignitosa” “Ma sei scappata con me” “Ogni tanto cambiare aria fa bene” “Già” “Non vuoi dirmi per quale motivo questa duchessa è tanto importante?” Marie sospirò tornando a fissare il vuoto di fronte a sé “Non si fa una cosa del genere per una persona comune” “È importante per mio marito” “Davvero?” ribatté confusa “Lei è stata il suo primo amore. L'unica donna che riesce ancora a decidere per lui, che sceglie per lui quanto amore regalarmi e quanto invece negarmi” “E la cerchi ...” “Ho conosciuto quella duchessa, il suo spirito libero, la dolcezza del suo cuore. È così bella da togliere il fiato, nei suoi occhi esplode violento il colore del cielo ...” strinse più forte il mantello attorno al collo aprendo il proprio cuore un po' di più “ … le sue labbra sono di rosa e ha il corpo di un angelo. Il suo portamento è regale, perfetto ed è colta e intelligente e ama la musica. Ho passato del tempo assieme a lei e ogni volta che raccontavo a mio marito la sua gioia, non mi accorgevo che più la rendevo reale e più portavo davanti ai suoi occhi il ricordo di quell'amore” “Sarà sposata e avrà un marito nobile e ricco. Cosa importa se un innocente amore passato torna in vita?” “Credeva fosse morta” “Cosa?” mormorò tremante la giovane “Credeva di averla persa e ora d'improvviso torna davanti ai suoi occhi, ride e gioca come se niente fosse. Ha dimenticato ogni cosa del loro passato, di lui” “E tu perché vuoi riportarla nel presente a tutti i costi?” “Voglio solo guardarla negli occhi e capire se per quella duchessa, l'amore di un tempo è ancora vivo o se l'ha dimenticato” “Se non ricorda perché aiutarla a farlo. Se fosse ...” “Ho il terrore che quell'amore sia ancora lì Elise, forte come un tempo, nascosto dietro a quel volto d'angelo che ricorda mio marito ma che fa di tutto per ferirlo” “Marie aspetta un attimo” tirò le redini fermando il cavallo.
“Riportare a galla il passato non è mai una buona cosa credimi, mi è successo e ho perso l'amore della mia vita” “Ma se ...” “Dovresti lasciar perdere le duchesse e tornare da tuo marito. Potreste vivere una vita piena e felice e avere tanti bambini e ...” “No io non … non posso avere figli” “Oh, mi dispiace” “Ma posso regalare a mio marito un figlio o almeno, qualcosa che somiglia ad un figlio” “Lo sai che in molti posti, le persone come te vengono rinchiuse e perse per sempre?” l'altra sorrise facendole l'occhiolino “Andiamo? Il temporale si avvicina” “D'accordo ma questa cosa me la devi spiegare” “Più tardi forse, ora ho solo voglia di trovare un posto tranquillo per passare la notte” mosse appena le gambe, il cavallo sbuffò avanzando di qualche passo.
Non aveva idea del motivo che spingeva Elise a seguirla ma non ci pensava poi tanto, le bastava una compagnia sicura fino alla Danimarca e poi da lì, avrebbero preso strade separate.




“Eccola qui, la mia gemma preziosa” “Älskar!” esclamò correndo tra le braccia dell'uomo “Oh non immagini nemmeno quanto ti abbia pensato giovane raggio di luna” esclamò divertito sollevandola leggermente da terra “Voi siete troppo buono con me” “Forse hai ragione ma come posso farne a meno? Hai reso mio figlio meno cupo ...” la staccò dolcemente da sé seguendo con la mano il contorno delicato del volto “ … e mi hai regalato un nipote, ho forse motivo per non esserti tanto affezionato?” “No, forse no” ribatté divertita perdendosi nello sguardo dell'uomo.
Aveva gli occhi di un bellissimo verde brillante, i lineamenti del volto duri e possenti ma c'era dolcezza in quei tratti.
Il clima rigido del nord aveva scolpito nella sua pelle rughe profonde che passavano veloci attraverso il tempo e due baffi curati e lunghi completavano l'immagine del fratello di un re.
L'abito scuro dai ricami dorati veniva nascosto da un mantello pesante dal collo alto bordato di pelliccia.
Il portamento era fiero, degno di un generale capo dell'esercito ma nel suo tocco c'era tanta tenerezza, più di quella che ci si potesse aspettare.
Come un quadro dipinto da mani sapienti quel volto severo custodiva una bellezza quasi eterea, la stessa che suo marito aveva rubato e che troppe volte cercava di nascondere “Guardati, sei bellissima Helena” mormorò costringendola a girare su sé stessa “Sono passati mesi interi ma tu sei sempre la stessa gemma preziosa di sempre ma c'è qualcosa di diverso in te” “Diverso?” Fersen si portò una mano alle labbra sospirando.
Conosceva bene quello sguardo, il granduca era particolarmente bravo a leggere nell'animo delle persone “La gioia che avevi negli occhi è sfiorita” “Altezza reale” li raggiunse chinando elegantemente il capo di fronte a lui “Ho un messaggio da parte di vostro figlio ma credo sia meglio discuterne in privato. La duchessa deve riposare” “Devo ammettere che siete arrivati prima di quanto immaginassi. Perché non sono stato avvertito prima del suo arrivo?” “La mia partenza è stata improvvisa signore e non ...” “Padre” puntualizzò l'uomo osservandola divertito “Ti ho detto più di una volta che puoi chiamarmi padre e ...” inchiodò gli occhi al volto del conte “ … per quale folle motivo mio figlio l'ha lasciata viaggiare da sola!” “Gli accordi tra vostro fratello e Luigi XVI sono quasi conclusi. Vostro figlio aveva importanti affari da concludere. Un viaggio così lungo non ...” “Affari importanti?” “Non litigate ve ne prego” mormorò Helena ma la mano del suocero si strinse attorno alla sua spalla costringendola a sollevare lo sguardo “Cosa mi nascondi?” domandò preoccupato “Sono solo molto felice di rivedervi” “Anche io, ma c'è qualcosa che non va. Fersen voi avete una risposta?” sbottò gelido “Cos'è accaduto che non so!” “Che ne pensate altezza se raggiungessimo vostra moglie prima di iniziare a discorrere di tali questioni?” “E sia” asserì veloce prendendo la giovane per mano.
Alle loro spalle un gran via vai di persone colorava la tiepida luce del giorno.
Correvano ovunque come tante formiche impazzite raggruppando cose, sistemando bagagli e aiutando il seguito della duchessa a lasciare l'imbarcazione.
Non c'era eleganza nei loro gesti ma una giusta paura scatenata dalle conseguenze che un loro errore poteva regalare.
Il granduca non era certo tenero e magnanimo, fermo nelle proprie decisioni non temeva di usare il pugno di duro contro chi commetteva qualche errore, sia esso sciocco o grave.
Strinse più forte la mano del suocero voltandosi appena, Inga e Corinne camminavano sorridenti verso di loro chiacchierando “Com'è stato il viaggio?” “Lungo e stancante ma tutto sommato bello” “Qualcosa non è stato di tuo gradimento?” “No signore, è la distanza che uccide ma ora sono qui” inspirò a fondo il profumo della neve sorridendo “E non credo ci sia un altro posto al mondo tanto bello” l'uomo annuì orgoglioso coprendo la mano della ragazza con la propria.
Inga si avvicinò a loro esibendosi in un leggerissimo inchino “Altezza reale” ma lo sguardo del granduca venne attratto da una manina piccola e candida che stringeva il bordo della copertina “Niklas” sussurrò sollevando il nipotino davanti al volto “Bentornato a casa solstråle” il piccolo arricciò le labbra posando le manine sui baffi candidi del nonno “Assomigli a tuo padre più di quanto immaginassi ma il sorriso ...” si fermò qualche secondo spiando il volto di Helena “ … quello è della tua mamma” le carrozze vennero portate affianco all'uomo e il cocchiere ne aprì la porta rivelando un interno elegante “Altezza reale” si voltò di colpo attratto dalla voce del suo capitano “Ci sono questioni da discutere per ...” “Oggi la sola questione che mi interessa è la famiglia” “Ma signore” “Non mi piacciono le interruzioni. Ci sono i miei generali per le vostre stupide questioni importanti” lasciò il bambino tra le braccia di Helena aiutandola a salire “Non voglio essere disturbato per nessun motivo chiaro?” l'altro non rispose indietreggiando di un passo “Allora, sono stato chiaro!” “Si signore” si portò una mano alla fronte scappando via “Ora andiamo, tra poco si alzerà il vento. Fersen, date ordine affinché le cose della granduchessa arrivino al castello il prima possibile” “Agli ordini vostra grazia” le porte vennero chiuse e le carrozze partirono una dopo l'altra schiudendole davanti la porta di un mondo incantato che per mesi aveva sognato.


 

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Capitolo 24
*** Alba ***


                                               Alba






Conosceva bene quel castello, fin da bambino aveva giocato per quelle sale assieme a Nils, correvano a perdifiato tra le colonne impugnando spade di legno.
Non c'erano problemi né preoccupazioni, esisteva solo il gioco e niente di più.
Ricordava ogni ora di quei giorni meravigliosi, la meraviglia che riempiva gli occhi ogni volta che si affacciavano dalle grandi finestre.
La luce del sole si rifletteva sul lago creando milioni di sfumature diverse.
Il castello di Vadstena era per loro una foglia d'argento che galleggiava placida sull'acqua del lago e lì, dove i loro sogni di bimbi crescevano, la vita si divertiva a preparare per loro un futuro a cui forse non erano pronti “Cosa diavolo le è accaduto!” tremò appena riportato alla realtà dalla voce dell'uomo.
Camminava spedito lungo la navata ignorando il saluto silenzioso delle guardie.
Se qualcuno gli avesse raccontanto che da qualche parte nel mondo, esisteva un castello simile a quello delle favole probabilmente avrebbe riso ma quel castello esisteva, ed era vicinissimo a casa.
I soffitti erano alti, sessanta colonne di marmo scuro percorrevano tutta la lunghezza del salone avvolte per metà da stendardi e stemmi.
Il granduca si fermò a pochi passi da lui, lo sguardo gelido, le mani strette l'una all'altra dietro alla schiena in quella postura rigida e controllata.
Fratello minore di un monarca avventato e irruento, nato privilegiato in mezzo a tanti, figlio prediletto di una madre severa e ambiziosa il granduca crebbe in fretta, troppo in fretta per un bambino.
Legato a quel fratello tanto amato che ora reggeva le sorti del regno di Svezia, era stato nominato colonnello a solo quattordici anni, nominato granduca di Närke e signore del Götaland, quell'uomo ora così arrabbiato aveva creato dal nulla un erede di cui era orgoglioso oltre misura, un figlio che ora gli aveva fatto un dono prezioso “Signore, conoscete il passato di Helena e ...” “Cerco di pensarci il meno possibile. Trovo sciocco il pensiero che una giovane di tale raffinatezza sia entrata nel cuore di un uomo comune” “So bene cosa provate per la granduchessa signore e per l'amore che nutrite nei suoi confronti, vi chiedo di non raccontarle nulla” “Come posso farlo!” ribatté irritato, Hans sfilò dalla tasca la lettera di Nils “Vostro figlio mi ha pregato di consegnarvi questa” lasciò il foglio tra le mani del granduca sospirando “Leggetela signore e verrete a conoscenza di quanto accaduto” “Così ...” riprese l'altro camminando lentamente attorno al giovane “ … mi prega di tenere al sicuro la mia piccola gemma” “Helena ha ventisette anni, non è più tanto piccola” “Ha mai avuto importanza la sua età? Il buon Dio non mi ha concesso il dono di una figlia. Ho avuto quattro maschi di cui sono orgoglioso ma ...” si fermò qualche secondo toccandosi con una mano i baffi “ … custodivo nel cuore la speranza di poter avere una piccola principessina sorridente e allegra” “Siete forse l'unico nobile di questo mondo che desidera una figlia al posto di un'erede” “Ho già avuto quattro eredi, una figlia non avrebbe intaccato in nessun modo la mia famiglia” un bel sorriso nacque sul volto del giovane.
Era a conoscenza di quel desiderio innocente. Il granduca aveva sempre desiderato una bambina, una piccola bambolina di porcellana che portasse nei lineamenti la finezza e la dolcezza di sua moglie, la sua bellezza, il suo carattere “Siete certo che questa cosa non avrà conseguenze?” “Conseguenze?” domandò confuso “Conte, so per esperienza che un uomo innamorato è capace di pazzie” “Non credo che Andrè sia un pericolo, ha una moglie, una vita nuova” ricordò per qualche secondo il volto del ragazzo stringendosi appena nelle spalle “Non è più un pericolo” “E una moglie gelosa?” “Come?” sussurrò confuso ma l'altro rise “Sbaglio o avete detto che è sposato?” “Si signore” “Una moglie gelosa del passato non fa bene al matrimonio e non fa bene al futuro” ma Fersen sorrise “Marie è solo una giovinetta innocente, non farebbe del male a nessuno” “Non mi fido della vostra innocente giovinetta. Capitano!” un uomo emerse silenzioso dall'ombra picchiando leggermente i tacchi “Vostra grazia ha chiamato?” “Fate attendere l'ambasciatore inglese ancora qualche ora. Porgetegli le mie scuse e fate in modo che non si offenda” “Agli ordini” “È nelle sue stanze?” domandò poi cercando di nuovo il volto di Fersen “Si signore, sta riposando” “Hilda!” “Altezza reale” mormorò una giovane inchinandosi al suo signore “Fai in modo che la duchessa riposi senza sciocche intromissioni e assicurati che il fuoco nelle sue stanze sia sempre acceso” un leggerissimo cenno della testa prima di scappare via “Vi dico una cosa conte” strinse più forte la lettera tra le mani cercando i suoi occhi “Fino a quando la mia gemma preziosa è felice non verranno presi provvedimenti ma, se qualche sciocco francesino sconfina nelle mie terre ...” “Signore” “ … allora la morte sarà l'unica cosa che troverà ad aspettarlo” “Non credo che intendano sconfinare né rischiare la vita” “Ora, per quanto mi riguarda questo spiacevole incidente lo ritengo passato. Helena non ha bisogno di portare nel presente un passato che non le serve ma per quanto sia propenso a mantenere un certo distacco ...” fece un bel respiro inchiodando gli occhi al volto giovane del conte “ … sono certo che mio fratello non sarà altrettanto magnanimo” “Lo so bene signore, sarà mia premura evitare ogni spiacevole incidente” “Ora via, fuori di qui. Sono sicuro che vostro padre non vede l'ora di riabbracciarvi” diede una pacca sulla spalla del giovane invitandolo poi a seguirlo fuori dalla sala.




Amava quell'ora del giorno, un timido sole colorava il cielo mattutino di sfumature d'arancio.
Conosceva a memoria i rituali mattutini di suo suocero.
Non era capace di restare troppo a lungo tra le braccia soffici del riposo.
Ogni volta che il sole nasceva e stiracchiava i suoi raggi nel cielo, si scontrava davanti con il volto fresco e riposato del suocero.
Ricordava con tenerezza il loro primo incontro, il timore che le faceva battere il cuore poi quegli occhi di ghiaccio piegati in un sorriso.
Non c'era stanchezza nel suo sguardo, come se la notte appena trascorsa non avesse sortito alcun effetto su di lui.
Sorrise appena sfiorando la schiena del figlioletto con la mano.
Sdraiata tra le coperte e i cuscini, i capelli sciolti e la pelle sfiorata dal tepore del camino.
Si sentiva bene, protetta, al sicuro da quegli occhi di mare che per qualche minuto l'avevano sconvolta.
Sentì Niklas muoversi leggero sul suo seno, la testolina si voltò appena di lato e quegli occhioni di cielo le sorrisero.
Posò le labbra sulla fronte del piccolo voltandosi leggermente di lato.
Quell'attimo sospeso nel tempo invadeva velocemente i pensieri cancellando incertezze e sospiri.
La porta si aprì appena ed Inga entrò silenziosa reggendo tra le mani una coperta di lana stretta da un nastro color del cielo “Avete riposato bene?” domandò avvicinandosi al letto “Il granduca ha ...” “No” si affrettò ad aggiungere la vecchina posando quel dono accanto a lei “Avete tempo mia signora, riposate tranquilla” “Pensi mai di essere nel posto sbagliato?” “Voi si?” “No, no è solo ...” sfiorò la testolina di Niklas ridendo di sé stessa “ … a volte penso che avrei potuto scegliere un'altra vita” “Un'altra vita? E quale?” “Mio padre ha ...” ma si fermò di colpo trattenendo il resto delle parole “Oh che sciocchezza” ribatté allegra Inga sistemandosi gli occhiali “Guardate” sciolse il fiocco liberando la coperta e un tenero profumo si sparse nell'aria “È bellissima” sussurrò Helena sollevandosi sui cuscini, strinse più forte il lenzuolo coprendo il seno e il bambino “Sua altezza desidera farvi un regalo” “Perché lo fa? Non voglio che spenda così tanto denaro per me” “È suo nipote, non potete pretendere che resti buona e tranquilla, sapete com'è fatta” “Sono stata una sciocca” mormorò passandosi una mano in volto “Non l'ho nemmeno vista e mi sta ospitando e ora lei ...” “Un pensiero alla volta” esclamò Inga afferrandola per le spalle “Fate uscire dalle labbra un pensiero alla volta o impazzirete” un bel sorriso colorò le labbra di Helena costringendo la vecchina ad alzare gli occhi al cielo “Mi chiedo come abbiate fatto a sopravvivere alla velocità del vostro pensiero” “Non sei divertente” “Non volevo esserlo. Non preoccupatevi della signora, vi vuole molto bene. Se ora correreste da lei sono sicura che mi trascinerebbe di nuovo nelle vostre stanze con la forza” “Il riposo giova al corpo e allo spirito” “Esatto, il riposo giova al corpo e allo spirito” ripeté l'altra ravvivando il fuoco.
Chissà per quale strano motivo Inga sembrava appartenere al mondo del passato, o per lo meno a qualcuno che le assomigliava così tanto da risvegliare quel dolce legame.
Sentì le manine del figlioletto sul seno, le labbra si staccarono dolcemente da lei costringendola a sorridere “Stai diventando grande amore mio” sussurrò sollevandolo “Quando tuo padre sarà qui forse nemmeno ti riconoscerà” Niklas rise divertito stringendo tra le mani i capelli della madre “Hilda sta preparando il vostro bagno” “Grazie” “Vieni qui piccolo mio” prese tra le braccia Niklas avvolgendolo nella coperta “È ora di farci belli per incontrare la nonna” “Fai servire qui il tè?” “Lo faccio portare subito” un debolissimo cenno d'assenso poi la porta chiusa e di nuovo la pace del silenzio ad avvolgerla.


 

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Capitolo 25
*** Strada di Ghiaccio ***


                       Strada di Ghiaccio 






“No mi dispiace, niente da fare” “Siete l'unico così gentile da parlare francese e avete un'imbarcazione per ...” “I venti del nord sono molto forti in questo periodo, sta arrivando l'inverno ragazzina e il mare si riempie di ghiaccio” “Il mare?” domandò confusa Elise “Come può il mare ...” “Come posso arrivarci?” domandò d'improvviso Marie ignorando le domande innocenti della ragazza.
L'uomo di fronte a lei sospirò alzando gli occhi al cielo “Ve ne prego, ho davvero bisogno di raggiungere la Svezia, posso pagarvi bene” “Forse non mi hai capito ragazzina” borbottò irritato avvcinandosi a lei di un passo “Ci sono lastre di ghiaccio taglienti come rasoi! I venti soffiano a velocità improponibili e c'è una tempesta in arrivo. Prima di qualche settimana nessuno abbastanza intelligente lascia questo porto” “E quelli un po' pazzerelli?” domandò divertita Elise prendendo a braccetto l'amica “Il vecchio Oleg di solito perde la pazienza con questo tempo, si interstardisce ed esce in mare farneticando di chissà quale sciocca leggenda. Chiedete a lui” “Dove possiamo trovarlo?” “Siete due pazze se pensate di poter arrivare in Svezia durante l'inverno” esclamò ridendo.
Prese da terra le reti e senza più aggiungere una parola, si sedette sul bordo del molo iniziando a ripararne i fori troppo larghi.
Elise tossicchiò indicando con un lieve cenno della testa l'uomo “Sei pazza?” “Senti, se vuoi andare in Svezia allora quell'uomo è tutto quello di cui abbiamo bisogno” “Oleg è quello di cui abbiamo bisogno!” “Ma davvero?” ribatté indispettita “E come arriverai dalla tua amata duchessa? Non conosci niente di quel mondo Marie! Non sappiamo come si chiama il porto più grande, la strada da prendere o il nome del paese in cui vive!” “D'accordo” esclamò stremata massaggiandosi le tempie.
Fece un bel respiro raggiungendo il marinaio, lo vide sollevare lo sguardo confuso dalla sua presenza lì, Elise la raggiunse sedendo accanto a lui “Fa piuttosto freddo non trovate?” “Si chiama inverno per questo” la giovane sorrise stringendosi più forte nel mantello “Perché continuate a svolazzarmi attorno? Non avete niente di meglio da fare?” Marie scosse leggermente la testa sedendo accanto all'amica.
Non si sarebbe mai comportata così ma la stravaganza di Elise la costringeva a modi che mai aveva immaginato “Vedete buon uomo, questo è il nostro primo viaggio verso il nord” “Avete scelto proprio una bella stagione” ribatté ironico tornando ad occuparsi del suo lavoro “Quale porto ci consigliate?” “Fiordo” “Cosa?” “Gli svedesi preferiscono chiamarli fiordi” “Come volete” riprese Elise ridacchiando“Ve lo ripeto per l'ultima volta” posò le reti qualche secondo sbuffando “Il golfo di Botnia e i relativi fiordi sono coperti di ghiaccio. Non si naviga vero il nord per tutto l'inverno e l'inverno è lungo, molto lungo” “E le città sulla costa? Come possono sopravvivere durante ...” “Sta finendo l'autunno, se come dite voi il ghiaccio impedisce la navigazione dall'inverno in avanti allora abbiamo ancora sette giorni buoni per poter attraversare lo stretto” “Oleg amico mio” esclamò d'improvviso l'uomo alzandosi.
Borbottò qualcosa in una lingua strana e sconosciuta dando una pacca sulla spalla ad un uomo che di umano aveva solo il nome.
Avvolto in abiti pesanti camminava trascinandosi leggermente la gamba sinistra.
Aveva corti capelli ormai bianchi e una barba ispida e disordinata sul volto.
Sembrava vecchio, molto più vecchio di quanto in realtà immaginavano ma i denti ingialliti e la pelle arsa dal sole del mare l'avevano costretto ad apparire quanto meno simile ad uno scoglio.
Una di quelle rocce piene di rughe e tagli sulle quali le onde erano solite infrangere la loro forza “Ho due fastidiosi impedimenti che hanno bisogno di un passaggio fino a Stockholm” “Inte en chans, det finns is på havet och i vinter verkar styvare än vanligt!” rispose guardingo studiando per qualche secondo il volto di Marie “Io lo so bene veccho mio, sono loro che non trovano pace. Vogliono raggiungere il porto a tutti i costi” “Tror du jag bryr mig?” l'altro scoppiò a ridere dando una pacca sulla spalla dell'amico “Come potete vedere, nessuno nemmeno i pazzi vi accompagneranno oltre il mare” “Non ho capito niente di quello che ha detto” sussurrò Marie avvicinandosi all'amica “Nemmeno io ma sono certa che il rumore dei soldi lo riconoscono bene” sfilò da sotto al mantello un sacchettino chiuso porgendolo verso Oleg.
Negli occhi chiari del marinaio passò un leggerissimo bagliore e le labbra si arricciarono appena in un sorriso alquanto strano “Fino a Stockholm avete detto?” “Hai visto Marie? Parla francese” ribatté ironica prendendo a braccetto la ragazza “Per quale motivo volete attraversare lo stretto con questo tempo?” “Ho un'amica che mi sta aspettando” si affrettò a rispondere Marie “Posso pagarvi molto bene signore. Non chiedo altro che poter raggiungere terra svedese” “Stockholm è il cuore dell'impero svedese, arrivarci vuol dire affrontare un viaggio piuttosto lungo.Si attraverso questo mare capriccioso e ci si ferma a Gotland per qualche giorno. I venti del nord sono impervi e questo inverno promette temperature piuttosto rigide” “D'accordo” mormorò confusa Marie “Non siete spaventate?” ribatté l'altro marinaio tornando ad occuparsi delle reti “Sarà un viaggio di otto giorni fino a Gotland, ghiaccio permettendo si capisce. Se il mare è libero non avrete grossi problemi ma se così non fosse, ci vorranno quindici giorni solo per arrivare ad una distanza più o meno accettabile terminando poi il tragitto a piedi sul ghiaccio e, fidatevi di me bamboline ...” tagliò il filo con i denti sputacchiando ovunque “ … camminare sul ghiaccio sotto i colpi del vento non è piacevole” “Forse dovremo ascoltarlo Marie” “O forse dovremo provarci” Oleg ridacchiò sfilando dalla tasca un pezzo di formaggio pieno di muffa “Siete ostinate giovani francesi, e sia, vi accompagnerò ma la mia ricompensa è alta e non ho alcuna intenzione di farvi da sguattero, sul mio legno ognuno si rende utile” Elise si volto orgogliosa verso la ragazza e in quell'unione di sguardi, nacque di nuovo il legame leggero e forte di un'amicizia in cui forse, non aveva mai creduto fino in fondo.




Profumo di neve, il vento gelido sul volto e un sorriso sulle labbra dolce come il miele.
Strinse più forte le gambe attorno ai fianchi del cavallo spingendolo al galoppo.
Riconosceva alle proprie spalle il suono ritmico degli zoccoli di Asgard sulla neve e la risata di suo suocero che perforava il vento.
Amava correre sulla neve fresca assieme ad Helena, la prima neve d'inverno, soffice e leggera come leggera era la gioia di quella ragazza irriverente che lo sfidava ogni giorno un po' di più.
Avevano lasciato Stockholm pochi giorni dopo il suo arrivo, il castello di Läckö sulle rive del lago Vänern era la residenza preferita da Helena.
Costruito sull'isola di Kållandsö dominava con la sua magnificenza la superficie lucente del lago donando ai viaggiatori uno spettacolo di rara bellezza e a loro, tutta la tranquillità che volevano.
D'altronde, lei era diventata la sua famiglia, la figlia sempre desiderata e mai avuta.
Poche volte aveva incontrato il padre francese che le aveva donato la vita ma quel carattere forte e determinato che le colorava lo sguardo, l'aveva ritrovato negli occhi di quel generale che venuto da lontano, aveva consegnato nelle sue mani il proprio cuore.
Strinse più forte le redini spronando il cavallo, la vide voltare leggermente il capo verso di lui sollevando una mano.
Correva a perdifiato incurante del freddo o di quei leggerissimi cristalli di ghiaccio che cadevano dal cielo.
Non le importava del mondo, delle persone, del passato, c'era solo Helena e niente di più perché quella che cavalcava davanti ai suoi occhi, era una giovane donna libera e felice.
Attraversarono il bosco e in lontananza, sull'orizzonte cristallino del lago apparve il castello.
I boschi correvano assieme a loro, il verde si mischiava al blu dell'acqua, al marrone profondo della terra.
Ma più si avvicinavano e più i particolari di quella visione lontana diventavano niditi.
Gli alberi, le mura di cinta, le torri di pietra chiara e piccole figure che si affaccendavano entrando e uscendo dalla porta a nord.
Presero una strada sterrata al margine della foresta costeggiando la riva del lago, poi il ponte e il volto sorridente delle guardie all'ingresso quando videro Helena oltrepassare la soglia cavalcando meglio di un uomo.
Frenò di colpo il cavallo costringendolo ad alzarsi sulle gambe posteriori “Ho vinto signore” esclamò divertita ma l'uomo scosse appena la testa “Il tuo cavallo ha un peso più leggero da portare” gli occhi della giovane si riempirono di luce, il volto arrossato e nascosto dal cappuccio pesante ornato di pelliccia che le aveva regalato pochi giorni prima “Cavalchi meglio dei miei uomini” esclamò scendendo da cavallo “Tuo padre è stato davvero un ottimo insegnante” “Avete ragione” esclamò orgogliosa lasciando le redini tra le mani di un servo “Signor duca” Corinne si avvicinò reggendo un vassoio d'argento dove una lettera dal sigillo rosso fuoco riposava tranquilla “Viene da vostro nipote” “Mio nipote?” domandò confuso aprendola.
Ci mise pochi minuti a leggerne il contenuto e un sorriso bello come il sole gli colorò il volto “Avremo presto visite importanti” “Davvero?” “Mio nipote ci fa l'onore di passare qualche giorno assieme a noi” “Scappa di nuovo dalla corte?” l'altro rise facendole l'occhiolino “Corinne, sai per caso che fine ha fatto mia moglie?” “Vostra moglie?” “Si, quella donna testarda che ha sempre qualcosa da ridire sul modo in cui ...” “Ho sentito il tenero canto dell'amore” trattenne di colpo le parole sospirando.
Alle spalle di Corinne c'era una dama dall'aria indispettita e al sicuro tra le sue braccia un bambino appena sveglio.
Aveva un bel volto dai lineamenti gentili, due occhi verdi come il mare e i capelli di un bel castano così chiaro da sembrare quasi oro.
Vestiva abiti preziosi adatti al clima gelido di quel posto e in lei, poteva riconoscere quella grazia nei movimenti che Nils possedeva “Helena ha vinto di nuovo?” domandò divertita baciando la giovane sulla fronte “Sciocchezze, è solo molto più leggera” “Quindi deduco che sia un si Magnus” Niklas rise divertito tendendo le manine verso sua madre.
Lo prese tra le braccia posando le labbra sulla testolina del piccolo “Vi ringrazio per aver ...” “Non dirlo nemmeno. Sono sempre felice di passare del tempo con il mio nipotino preferito” “L'unico” puntualizzò l'uomo posando una mano sulla spalla della moglie “Spero proprio di no. Le famiglie povere di figli non sono mai felici” ribattè l'altra giocando con la manina del piccolo “A proposito Magnus, hai ricevuto una lettera” “Mio nipote verrà a farci visita” “E per quale motivo? Scappa di nuovo dalla sua corte” “Oh andiamo donna!” “Che c'è? Ogni volta che viene a farci visita è perché qualche nobile troppo petulante infastidisce la sua corte o per un'amante troppo espansiva. Quale delle due?” Helena seguiva divertita quel leggerissimo confronto immaginando i propri genitori fare altrettanto.
Discutere come marito e moglie senza il peso dell'etichetta che imponeva il voi come regola, senza quella distanza che colorava ogni loro parola “Non c'è alcun motivo per pensare cose del genere Victoria” “L'ultima volta era un'amante troppo insistente quindi deduco che questa volta sia un nobile petulante” “Ricordati che stai parlando del re” “Re o meno è sempre un uomo, con debolezze da uomini e anche qualche pregio. Sofia Maddalena è davvero troppo buona con lui” “Resta comunque il re” la donna rise alzando gli occhi al cielo e prendendo a braccetto Helena mormorò “Noi andiamo a discorrere amabilmente tra noi, i vincitori meritano tutti gli onori a loro dovuti non è così Magnus?” ma lui non rispose, si limitò ad annuire borbottando qualcosa di incomprensibile “Puoi ripetere marito mio? Non credo di aver sentito bene” “Irriverente, ho sposato una donna irriverente” “Viene con noi signore?” domandò divertita Helena “No, preferisco fare una passeggiata per il borgo” “Volete portare Niklas assieme a voi?” “Certamente” esclamò estasiato prendendo il nipote tra le braccia “Una bella passeggiata tra uomini” “Questa cosa non la capirò mai” mormorò poi Victoria “Un bambino così piccolo dovrebbe restare al caldo” “I bambini francesi forse o quelli inglesi. Niklas ha sangue svedese cara moglie, l'aria fresca lo renderà più forte. I nostri figli mi hanno sempre accompagnato nelle passeggiate fin da tenerissima età e sono venuti su forti e sani” la donna sollevò appena le mani arrendendosi a quella tenera protesta “Andiamo giovanotto, mostriamo loro come sono gli uomini del nord” Corinne sollevò la coperta di lana nascondendo per metà il volto del bambino “Ecco fatto, siete pronto signorino” “Molto bene” borbottò orgoglioso l'uomo infilando un caldo copricapo di lana “Saluta le donne Niklas” “A dopo amore mio” sussurrò Helena baciando una manina del figlioletto.
In quella vita frenetica ci stava più che bene, aveva due famiglie, due paesi e nel cuore abbastanza amore per entrambi.
Victoria strinse più forte la mano della giovane sorridendole “Andiamo?” un debolissimo si uscì dalle labbra prima di allontanarsi assieme a lei.

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Capitolo 26
*** Tregua tra i Pensieri ***


                                                  Tregua tra i Pensieri








I boschi erano silenziosi, più silenziosi del solito e qualche impronta decorava di tanto in tanto il manto nevoso.
Amava passeggiare per il borgo, nascosto tra i boschi sulla riva del lago quella piccola cittadina era un perfetto equilibrio tra uomo e natura.
Le finestrelle delle case si aprivano una dopo l'altra e facce ancora assonnate spuntavano un po' qua e un po' là osservando confuse il granduca “Diventerai una guida stupenda per questo popolo, ti prenderai cura di loro e li proteggerai” sfiorò il volto del nipote con le labbra ridendo di quella smorfia leggera “Ti racconto una favola Nicke vuoi?” il bambino strinse la mano attorno al dito del nonno costringendolo a trattenere per qualche secondo il respiro.
Se si fosse comportato così in passato, ora probabilmente i suoi figli vedrebbero la vita in modo diverso.
Li aveva cresciuti per diventare degni eredi del suo nome ma ora, con quel bambino tra le braccia, ogni rigida certezza crollava.
Forse Victoria aveva ragione, diventare nonno l'aveva cambiato profondamente.
Scese gli scalini di pietra costeggiando il lago “Tra i boschi addormentati, quando la neve è fitta e il silenzio avvolge il riposo, una donna ...” si fermò qualche secondo perdendosi sul riflesso cristallino del lago “ … una donna dagli occhi azzurri come il cielo cammina tranquilla cantando nenie lontane. Non la spaventa il freddo, non le importa l'ora. Coperta da un manto verde ricamato d'oro, sfiora il tronco degli alberi ridendo di quel dolce tepore” tornò a concentrarsi sul faccino di Nicklas continuando il suo racconto “I suoi capelli sono chiari come il sole e così lunghi da sembrare fili di seta, il suo incarnato è pesca. È così bella che perfinoVenere davanti a lei abbassa lo sguardo arrossendo come una bimba” un gorgoglio leggero interruppe le sue parole “Proprio così bambino mio. È Freyja che incanta gli uomini, la dea che assieme ad Odin regge le sorti del nostro mondo. Oh certo, so che nostro signore nell'alto dei cieli non ama ascoltare queste cose ma sono le basi delle nostre leggende, non fa mai male custodire le tradizioni Nicklas ricordalo sempre. Così ...” continuò a camminare seguito da due uomini silenziosi che ridevano inteneriti da quella scena tanto bella “ … questa giovane dall'aspetto angelico è in realtà forte e ostinata. La dea dell'amore, la dea della guerra. Bella e volubile e combattiva, proprio come la tua mamma. Certo, non che la voluttà e la concessione di determinati “piaceri” diaciamo così, appartengano a tua madre anzi, lei è l'opposto della vita libertina di Freyja ma l'ostinazione, la voglia di oltrepassare i confini sicuri, il desiderio della battaglia, la tua mamma le somiglia molto” “Signore” si voltò quasi infastidito da quell'intromissione “Che c'è?” “Il sole è alto ormai e credo che ci sia quel piccolo segreto da raccogliere” “Oh giusto” strinse il nipotino tra le braccia incamminandosi lungo il ponticciolo di legno.
Il borgo profumava di spezie e pane caldo, i bambini correvano allegri verso la piccola scuola dal tetto color di pece.
Salì le scale fino alla bottega del fornaio, un uomo dal volto rubicondo con due baffoni castani ad incorniciargli il volto e un sorriso enorme sempre pronto sulle labbra.
Aprì la porta cercando nella penombra la sua presenza “Altezza reale” mormorò l'altro esibendosi in un inchino piuttosto buffo “Ho qui pronto per voi il nostro piccolo segreto” “Mia moglie vi ha chiesto qualcosa?” “No signore” “Molto bene” entrò nella bottega dando ordine affinché le due guardie si fermassero fuori.
“Non ero certo di vedervi oggi” picchiò le mani una contro l'altra e una nuvola di farina si alzò nell'aria “Ecco qui signore, Lussekat appena sfornati” posò sul tavolo davanti al duca un piatto colmo di dolci fumanti, Magnus ridacchiò sollevandone uno davanti al volto “Hai visto Nicke? Profumano di buono” la manina del piccolo si strinse appena attorno al dolcetto “Oh no giovanotto, la tua mamma mi ucciderebbe. Questo Ingvar ti è venuto davvero bene” “Per voi solo il meglio signore” “Pensi di poterne preparare abbastanza per il santo Natale?” “Certamente signore ma manca ancora un mese vostra grazia” “Volevo solo esserne certo” “Vi somiglia molto, ha i vostri occhi” “Ha gli occhi di sua madre amico mio” “Io vedo molto di voi in lui e molto di vostro figlio ma il sorriso, quello si che non appartiene alla vostra famiglia” “Sono ben felice di poter rivedere la mia gemma preziosa nel suo volto” “Quella ragazza vi ha rubato il cuore” “Si vede così tanto?” “Solo un po'” esclamò divertito Ingvar “Ma è un bene altezza reale, quella giovane vi ha reso più umano” “Non esagerare ora” sollevò meglio Nicklas assaggiando il dolce “Ne voglio trecento” “Per le feste?” “Per il ballo in onore di mia figlia” gli fece l'occhiolino dimenticando il rango che si intrometteva tra loro.



“Non volete vederlo?” “Sono stanco François, manda via tutti e prepara la mia carrozza” “Dove volete ...” “A casa” esclamò secco chiudendo il libro “Torno a casa da mia moglie e mio figlio” “Credevo voleste terminare ogni accordo ancora aperto” “C'è il nostro ambasciatore per quello. Se tolleravo la Francia fino ad ora è stato solo per Helena ma ora che lei è partita, ogni giorno che passo qui mi sembra una tortura infinita” François sorrise accarezzando la testa dell'uomo “Siete sempre stato molto legato a casa vostra ma da quando è entrata nella vostra vita, sembra che nemmeno il cielo possa costringervi a restare poche ore senza di lei” Nils sorrise annuendo appena “Non preoccupatevi signor duca. Vostra moglie è al sicuro e ben lontana da sciocchi ricordi” “Non sono mai sciocchi i ricordi” chiuse gli occhi stringendosi leggermente la testa tra le mani.
Era stanco, stanco di restare in quel paese frivolo e sciocco, stanco di restare senza di lei “Se vostra moglie ricordasse il passato non credo cambierebbe molto nel vostro presente. È innamorata di voi ed è un amore puro e forte. Siete assieme ormai da cinque anni, avete un figlio” “E se ricordasse? Con che coraggio potrei spiegarle perché le ho nascosto la verità?” “Perché siete così spaventato?” domandò l'altro socchiudendo appena gli occhi “Non vi ho mai visto preoccupato né preso dallo sconforto come ora” “Forse è solo un attimo” “O forse temi di perderla per sempre” sollevò lo sguardo incontrando il volto di François.
Il voi era sparito ed era tornato il tono confidenziale del tutore che ogni giorno quand'era bambino, gli raccontava le favole e lo accompagnava a scoprire la vita “È vero ragazzo, le persone si perdono per una bugia, soprattutto se assomiglia al segreto che custodite” “L'hai guardata negli occhi ultimamente?” “E tu l'hai fatto?” lo sguardo confuso sul volto di Nils lo fece sorridere “Sei spaventato ed è comprensibile. Ho visto nei suoi occhi la stessa luce che hai visto tu. Una luce diversa, nuova o forse è sempre stata lì ma Helena è qui con te” posò una mano sul petto del ragazzo sorridendogli “Resta ancorata al tuo cuore, ti ama e vive di questo amore proprio come fai tu e non importa se quella luce cambia o resta la stessa. Butta via le preoccupazioni ragazzo mio” Nils sorrise alzandosi “Come farei senza di te?” strinse tra le braccia François sospirando “Grazie vecchio mio” poi il rumore dei colpi sulla porta e un giovinetto a pochi passi dalla soglia.
“Perdonatemi signore, c'è un messo per voi” “Mandalo via, non ho intenzione di vedere nessuno” “Ma signor duca, viene da Versailles” “Non è conveniente rispedire indietro un messaggio della regina” “E se non fosse la regina?” “E se lo fosse?” ribatté l'altro spingendolo leggermente in avanti “Non ti ho insegnato ad essere irrispettoso. Tuo padre ti prenderebbe a calci se ti vedesse fare una cosa del genere” “Allora siamo fortunati, mio padre non è qui” esclamò ironico sistemando la giacca “Andiamo giovanotto fai strada” François sorrise seguendo con lo sguardo un bambino diventato d'improvviso uomo, un uomo meraviglioso che inciampava nei battiti del proprio cuore.





Erano passati cinque giorni, cinque lunghissimi giorni per mare e ora, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era la terra.
Sull'acqua passavano di tanto in tanto pezzi di ghiaccio, alcuni troppo piccoli per impensierire, altri invece grandi e taglienti.
Oleg manovrava la sua imbarcazione con una maestria tale da renderla quasi una piuma leggera, sotto il suo tocco la prua si muoveva agile in quel groviglio di ghiacci e neve senza sfiorare nemmeno una di quelle trappoli mortali “Migsten aveva ragione, siete piuttosto fastidiose” ma Elise sorrise porgendogli una tazza di ferro fumante “Non metterci subito le labbra o ti scotterai” ma l'altro tossicchiò stringendo con una mano la barra “Allora è questo il mare del nord” “Cosa ti aspettavi?” “È grande e freddo” “Se credi che la terra lo sia di meno stai sbagliando” Marie raggiunse l'amica sedendosi assieme a lei tra le corde e le casse.
Stringeva tra le mani un panno caldo profumato di buono, sfilò un pezzo di pane lasciandolo tra le mani di Elise “Com'è il re?” il marinaio si voltò stupito verso di lei costringendola a ridere “Il re, Oleg. Un uomo che governa su una nazione intera” “So cos'è un re” “Allora raccontamelo” “Pensi che abbia le risposte a tutte domande del mondo?” “No, ma il tuo buon amico ci ha detto che sei svedese quindi saprai di certo com'è il tuo re” “Scorbutico” Marie si portò una mano alle labbra ridendo “Ed è raffinato, ama la letteratura e l'arte” bevve qualche sorso dalla tazza fumante socchiudendo gli occhi.
Tentava di distinguere sull'acqua qualcosa di diverso dal ghiaccio “Piuttosto belloccio se piace il tipo, decisamente meno virile di quanto non fosse suo padre ma comunque piacente. Si dice che la sua corte sia piena di eleganza il che, rende voi due straccione fuori luogo davanti a lui” “Non è lui che devo incontrare” “E chi?” domandò confuso cercando il volto di Marie “Una dama” rispose allegra Elise “Una duchessa per l'esattezza” “Una duchessa?” “Esatto, una duchessa francese che ha sposato ...” “Avete cara la vita?” Elise trattenne le parole incuriosita da quella domanda tanto strana.
L'espressione sul volto di Oleg era cambiata di colpo, la ruga che aveva in mezzo alla fronte si era accentuata e i suoi occhi erano pieni di sarcasmo “Se la duchessa che cercate è la stessa che conosco io allora dite pure addio alla vita fanciulle” “La conosci?” “Non personalmente ma è piuttosto famosa in Svezia, una giovane contessa francese data in sposa al cugino del nostro re. È lei che cercate?” “Esatto” “Dicono che sia bellissima” Marie sospirò abbassando lo sguardo “Dicono che sia talmente nobile d'animo da passare le brevi estate del nord nelle campagne condividendo con i contadini meno abbienti la propria casa” lo sguardo sognante di Oleg si alzò verso il cielo e verso quelle prime stelle che ne decoravano il manto “Così immagino il suo volto, colorata come questo cielo tinto di rosa” “Allora c'è un cuore sotto tutto questo burbero ribollire di rabbia” esclamò Elise dando un morso al pane tiepido “Quella duchessa non è certo sciocca e stracciona come te” “No sicuramente ma è comunque francese” “Un difetto sul quale possiamo sorvolare” asserì stringendo più forte il timone tra le dita.
L'aria gelida della notte si alzava più veloce dalle montagne sferzando quell'imbarcazione con tutta la forza del mondo.
Accucciate tra le corde e le casse lei ed Elise se ne stavano immobili a bere e mangiare mentre davanti a loro, un burbero marinaio sfidava il freddo senza timore alcuno.
Nei suoi occhi aveva letto ammirazione per quella duchessa sconosciuta che ammaliava il pensiero. Avrebbe voluto uccidere quell'immagine, dirgli che in realetà, la donna tanto benevola che vedeva con gli occhi della fantasia non esisteva, che la sua generosità era in realtà cattiveria ma come poteva farlo? Come poteva mentirgli? Helena non era niente di diverso da quanto mostrava al mondo.
Nobile nell'animo e nel cuore, elegante, colta, bella, l'esatto opposto di quella ragazzetta spaurita che stava attraversando il mare delle emozioni dentro di sé.
Una ragazzetta incosciente e arrabbiata che non vedeva il pericolo di quel gesto sconsiderato e che prima o poi, avrebbe affrontato l'ira di un marito troppo arrabbiato per capirla.


C'era profumo d'inverno nell'aria, un profumo leggero e delicato che molte volte aveva aspettato da bambino.
Si strinse più forte nel mantello spiando le stelle alte nel cielo.
Arrivare in Danimarca si era rivelato più semplice di quanto avesse mai immaginato ma di imbarcazioni verso la Svezia non ne sarebbero partite prima di qualche giorno, c'era un mercantile di ritorno da un viaggio da Stockholm e vi sarebbe ritornato portando sete e tessuti preziosi.
L'ultimo viaggio verso il nord prima che il ghiaccio chiudesse definitivamente i fiordi e i golfi.
Non si sarebbe sciolto fino alla primavera successiva ed era consapevole di recarsi in un mondo sconosciuto e lontano, dove le persone vivevano e amavano in modo diverso, dove le leggi degli uomini venivano rispettate.
Fece un bel respiro ridendo di quella luce traballante che infiammava il cielo notturno, era arrivato fin lì per sua moglie, per riportarla a casa e non era certo che casa fosse il posto dove voleva restare.
Forse doveva lasciarla andare, forse Marie aveva bisogno di trovare le sue risposte da sola, senza fretta alcuna.
Lui ci aveva messo anni per firmare una tregua con quel ricordo, Marie era stata la sua pace, il suo patto indissolubile che sanciva una tregua con quegli occhi di cielo che ancora gli bruciavano in cuore.
Ma lasciare la terra, imbarcarsi e toccare il suolo dell'estremo nord era davvero così sicuro per lui? Era questo che voleva? Quella duchessa falsa e bugiarda non avrebbe mai ricordato il suo volto, Oscar era felice e quella felicità sanava almeno un po' i graffi che aveva sul cuore anche se il suo sorriso, sarebbe rimasto dentro di lui per sempre.
Posò la fronte sulle ginocchia sospirando “Ho fatto provviste. C'è un'osteria più avanti e l'oste è felice di offrirci una stanza fino a quando non partiremo” “Credi sia una buona idea?” “Cosa?” domandò confuso il giovinetto sedendogli accanto “Ho lasciato casa mia, ho lasciato la Francia per Marie ma non ...” si fermò qualche secondo cercando un modo giusto per far uscire le parole “ … non credo voglia essere trovata Emile” “Mia cugina a volte è troppo affrettata nelle scelte. È possibile che sia tornata a casa o che abbia deciso di passare un po' di tempo sola con sé stessa” “Non la incolpo di nulla” “Lo so, non c'è bisogno che tu me lo dica ancora. Ho capito che qualcosa non va ma non è compito mio fare domande” si strofinò le mani soffiandoci sopra “Come fanno a non congelare qui? Il vento che viene dal mare è gelido” “Forse non ha nemmeno ...” “Ho parlato con un uomo, un marinaio. Mi ha descritto mia cugina e anche una ragazza” “Una ragazza?” Emile annuì distratto seguendo le luci leggere delle fiaccole accanto al molo “Una giovane di nome Elise che la sta accompagnando” un debole sorriso sfiorò le labbra di Andrè “Almeno non è da sola in questa follia” “Avrà pescato questa giovane in qualche locanda lungo il cammino” “E se la lasciassi fare?” “Scherzi?” ribatté l'altro cercando i suoi occhi “Ha bisogno di parlare con la duchessa, di farle domande e sono certo che non si rifiuterà mai di accoglierla” “Andrè tu nutri troppa speranza. I nobili non sono come noi” “Conosco bene questa duchessa” “Davvero?” sorrise mentre davanti agli occhi tornava limpido il volto di Oscar “Non conosce l'egoismo, non sa cosa sia la cattiveria né si lascia abbracciare dalla frivolezza” “La conosci davvero così bene?” “Già” Emile rise divertito dall'espressione di Andrè “D'accordo, ammettiamo pure che sia come dici tu, Marie che possibilità può avere di oltrepassare uno ad uno i membri della famiglia reale per poterle parlare? Mi hai raccontato del duca, come può … ” “Non lo so” mormorò sfinito tornando a stringersi la testa tra le mani “Sono solo … sono stanco” la mano del ragazzo si posò leggera sulla sua spalla, una conforto di cui aveva un bisogno disperato.


 

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Capitolo 27
*** Assomigli al suo Sorriso ***




                                                                      Assomigli al suo Sorriso






Stava sbagliando, per l'ennesima volta sbagliava ma che altro poteva fare? Sua moglie era scappata, via, lontano da lui in cerca di risposte che non lo avrebbero aiutato, in cerca di qualcosa, qualcuno che ora non voleva più nella sua vita perché se l'avesse vista di nuovo, se si fosse trovato davanti a quegli occhi ancora una volta, non sarebbe più riuscito a dirle addio.
Inspirò a fondo stringendosi più forte nel mantello, c'era freddo, il gelo entrava nelle ossa, condensava il respiro costringendolo ad uno sforzo enorme, restare sveglio a guardare le stelle, restare sveglio a fissare un cielo cupo che non regalava più nemmeno i sogni.
Emile si sedette accanto a lui nascondendo le mani sotto al tessuto pesante “Ho parlato con il capitano, se i ghiacci saranno troppo fitti torneremo indietro” “D'accordo” “Andrè?” si voltò appena verso di lui attratto da quella curiosità lieve che gli colorava la voce “Non vuoi dirmi perché quella donna è così importante per Marie?” “Lei non è importante per Marie” tornò a fissare il cielo perdendosi con lo sguardo oltre il buio “Lei è importante per me” “Per te?” “Sono cresciuto assieme a quella duchessa, fin da quando avevamo cinque anni lei è stata il mio respiro, il battito del mio cuore. Suo padre mi ha regalato un posto accanto a lei per proteggerla” “E l'hai fatto?” sorrise scuotendo leggermente la testa “L'ho protetta dall'irrazionale battito troppo veloce del suo cuore, dalla sconsideratezza e dall'irruenza del suo carattere ma non l'ho protetta dall'amore” “Non puoi proteggere le persone dall'amore. Non è qualcosa che si può decidere, non puoi scegliere di non amare” “Anche se quell'amore è tra una contessa e un servo?” il bel volto del giovane si tese appena in una smorfia di confusione.
Non aveva mai raccontato a nessuno quel particolare attimo della sua vita, quel ricordo che nemmeno Marie conosceva fino in fondo perché lui, troppo geloso di quel sorriso, l'aveva chiuso a chiave nel proprio cuore “Ero io l'amore da cui avrei dovuto proteggerla, ero io quel sentimento. Non sono stato abbastanza attento, mia nonna mi ripeteva continuamente: stai lontano da lei Andrè, non si gioca con il fuoco” “Ti sei scottato” “Mi sono scottato” Emile sospirò alzando lo sguardo verso le stelle “Mi sono scottato e ora le bruciature di quel fuoco vivono ancora sul cuore ma lo rifarei, lo rifarei ancora e ancora. L'ho avuta solo per me, l'ho amata. Ricordo il sapore delle sue labbra, il suo sorriso quando i raggi del sole spuntavano dall'orizzonte e quei baci frettolosi prima di lasciarla sola nella sua stanza” “Ma ora è sposata” non rispose, non si mosse nemmeno.
Restava semplicemente lì, ad ascoltare parole che non riconoscoeva, parole che forse erano solo mera fantasia “Ha un marito, è una duchessa ed una madre. Perché l'hai lasciata andare?” “Non avrei mai voluto farlo. Non ho scelto io” “E allora chi ...” “Un uomo reo di aver complottato ai danni della corona assieme ad altri. Le ha sparato una, due, tre volte, è caduta e ha picchiato la testa così forte da non ricordare più nemmeno il suo nome. Ho sbagliato ancora Emile, io non ero lì a proteggerla e l'ho persa” “Ma potevi riaverla, potevi ...” “Suo padre mi ha nascosto la verità. Pensavo fosse morta” una lacrima scivolò via dagli occhi costringendo il ragazzo a trattenere il respiro, non l'aveva mai visto piangere ma di fronte a quel dolore, nemmeno un uomo forte come lui avrebbe resistito.
Posò una mano sulla spalla di Andrè stringendola con forza, lo sentì sospirare poi di nuovo la sua voce “Quando l'ho rivista ho perso ogni forza, è stato come avere qualcuno accanto che pezzo dopo pezzo ti strappa via il cuore e lo getta al suolo. Non ricordava niente di me, di noi. Suo padre l'ha protetta, l'ha trasformata in una donna, la stessa che da giovane aveva mascherato dietro al colonnello delle guardie reali di sua maestà. L'ha cresciuta come un uomo tutta la vita assecondando il suo egoismo ma quando ha rischiato di perderla, ogni sua certezza e sparita e le ha regalato un mondo che non esiste e ora, ora lei sorride e ama un uomo che non sono io” “Non hai nessuna colpa Andrè, non hai scelto per lei, nessuno avrebbe dovuto farlo. Non si può cambiare una persona a proprio piacimento, nemmeno per riparare ad un'errore” “Posso capirlo, posso provare a comprendere perché suo padre l'abbia fatto ma non posso perdonarlo” “Non devi, ma per come la vedo io Andrè, forse parlare assieme alla duchessa può aiutarti. Guardarla negli occhi e ritrovare per qualche istante la donna che amavi può regalarti la pace che cerchi. Hai sposato mia cugina, so quanto bene le vuoi ma so anche che un amore così grande come quello che hai vissuto non può essere dimenticato” “La distruggerei Emile. Se le parlassi di noi, di quei giochi allegri e spensierati, dell'amore che nutriva nei confronti del duello la distruggerei. È sposata, è felice, che diritto ho di farla soffrire?” ma l'altro sorrise “Per questo mia cugina è scappata?” “Marie è convinta che da qualche parte in fondo al cuore, lei ricordi il mio nome e se fosse così, se lo pronunciasse almeno una volta allora potrei essere libero di dormire senza incubi e di tornare lo stesso uomo di sempre” “Ed è così?” “Voglio solo prendere mia moglie e tornare a casa niente di più” un marinaio si avvicinò a loro con due tazze fumanti.
Ne prese una tra le mani lasciandosi cullare da quel tenero calore che scioglieva di nuovo il sangue nelle vene.
Chiuse gli occhi abbandonando la testa contro il legno fresco e un debole sorriso prese il posto dello sconforto “Che c'è?” domandò confuso Emile “Mi sono chiesto mille volte come sarebbe se suo padre non l'avesse allevata come un uomo?” “Assomiglia ai tuoi pensieri almeno un po'?” domandò divertito l'altro sorseggiando il suo tè “È uguale all'immagine che mi ero fatto di lei. Quel sorriso è ancora lì, sembra spensierata e felice e so che lo è ma nei suoi occhi, in quell'azzurro cristallino ho visto il fuoco. Era mascherato e assopito dietro all'acqua ma pronto a lambire ogni suo sentimento, proprio come quando eravamo bambini” “Mi sarebbe piaciuto conoscerla, saremmo andati d'accordo” ma Andrè rise scompigliando leggermente i capelli del ragazzo.
Avevano un viaggio lungo e incerto davanti e la compagnia di Emile era un ottimo balsamo rinfrescante sulle ferite del cuore ancora troppo doloranti.




Strinse più forte la spada sollevandone la punta, l'uomo di fronte a lei sorrise e una stoccata colpì la lama della giovane.
Indietreggiò di colpo evitando con leggerezza ogni affondo, sembrava danzare nell'aria fresca come una di quelle donne vestite di ghiaccio che accompagnavano gli dei nelle loro passeggiate.
Il braccio sinistro si allargò permettendole di trovare un'equilibrio pressoché perfetto “Vi arrendete?” “Mi conoscete duca?” gli occhi azzurri del giovane si piegarono in un sorriso carico di sfida.
Karl Gustav era l'ultimo dei cinque fratelli e l'unico ad assomigliare così tanto a Nils.
Era alto come lui, con bellissimi occhi azzurri di cielo che a volte si fondevano al mare, i capelli sciolti e scuri come l'ebano e un bel sorriso luminoso sulle labbra.
Giovane e spensierato, amava ogni attimo della sua vita e lo faceva con la gioia che un ragazzo di vent'anni riesce a trovare perfino in un no “A volte mi chiedo come faccia mio fratello a sopportarvi tutto il giorno Sofie” “Sofie? Davvero?” “Che c'è? Non è forse il vostro nome?” “Non mi hai mai chiamato Sofie” esclamò fermando di colpo quel gioco “Allora forse preferite Vivianne?” “Non sei divertente” ma il sorriso che le colorava le labbra era un dolcissimo preludio di quanto sarebbe accaduto di lì a poco.
Le dita si strinsero con forza attorno all'elsa dorata e in pochi secondi, la posizione di guardia tanto perfetta appartenuta a suo padre era lì, davanti agli occhi stupiti del duca.
La camicia testa sulle linee delicate del suo corpo, sui muscoli scattanti della schiena, sul seno e pantaloni scuri avvolgevano gambe meravigliose.
Si stringevano attorno al polpaccio, ai muscoli della coscia fermandosi poi sui fianchi dove un nastro di seta scura si avvolgeva delicatamente formando un nodo leggero.
I capelli erano sciolti, fermati di lato da un pettine di diamanti che impediva a quelle ciocche lunghe e ribelli di coprirle il volto.
Suo fratello aveva ragione, Helena era fuoco, un fuoco che si assopiva quando diventava madre e moglie di un importante uomo di stato ma che esplodeva violento all'improvviso, quando tutti i rigidi cerimoniali della corte sparivano e restava solo la libertà di quel mondo immenso.
Sollevò la lama davanti al volto, la vide chiudere gli occhi qualche secondo, il piede destro scivolò in avanti e il braccio sinistro seguì quell'affondo tenendola nella giusta posizione, il cielo si infranse contro la lama lucente costringendolo ad indietreggiare.
Un colpo, un altro ancora, ogni fendente era scoccato con precisione.
Faticava a seguire il suo ritmo, la velocità dei suoi passi era impressionante e sicuramente figlia di lunghi allentamenti.
Si mosse velocemente di lato evitando un nuovo attacco ma la lama di Helena danzava nell'aria incantandolo fino a quando, pochi secondi dopo, il rumore della spada al suolo mise fine al duello.
Scoppiò a ridere battendo le mani “Sei meravigliosa” “Ma di che ...” “Vieni!” esclamò divertito prendendola per mano “Dove andiamo?” “Non fare domande, ho una sorpresa per te” “Karl ...” le parole si bloccarono di colpo quando le braccia del giovane si chiusero attorno ai suoi fianchi.
La sollevò da terra costringendola a ridere, che sforzo poteva mai significare per lui? La teneva con un braccio ben salda alla sua spalla camminando poi verso la porta.
Sentiva i suoi gomiti sulla schiena e le ginocchia sul petto che si muovevano appena nel tentativo di liberarsi “Guarda che se continui a muoverti così ti lascio cadere” “E poi chi lo spiega a tuo fratello?” ma lui rise ignorando quella tenera protesta.
Attraversò il corridoio passando accanto alla governante “Inga? Ti prego aiutami” ma la vecchina alzò gli occhi al cielo sbuffando “Ho una sorpresa per lei, se ora scappa non la troverò più” per tutta risposta la donna posò un mantello di velluto pesante sulla schiena di Helena costringendola a sospirare.
Karl rise continuanto a camminare, scese le scale poi il corridoio decorato da alte colonne di marmo e l'aria fresca del mattino.
Nevicava, avevano aspettato la neve come un assetato aspetta l'acqua ed ora era lì.
Leggerissimi fiocchi che si posavano al suolo incuranti della meraviglia che portavano negli occhi delle persone “Eccoci qui” la posò per terra, un paggio si avvicinò a loro reggendo la giacca dell'abito di Helena, la prese aiutandola ad infilarla “Mi hai portato nella neve?” “No” puntualizzò divertito allacciandole il mantello sotto al collo “Ti ho portato qualcuno veloce come il vento del nord” lo sguardo confuso sul volto della giovane lo costrinse a ridere, si spostò leggermente di lato permettendole di capire.
C'era un bellissimo cavallo bianco a pochi metri da lei, lo stesso che suo marito le aveva regalato ma non era un sogno, era lì, di fronte a lei “Ma che ...” “Sorpresa!” la mano della giovane si posò sul muso dell'animale scendendo lentamente sul collo muscoloso “È partita qualche qualche ora dopo di te. Nils pensava che averla qui ti avrebbe resa un po' meno insopportabile” “Safir” sussurrò Helena perdendosi negli occhi del cavallo “Bentrovata piccola mia” “La sella è un regalo di mia madre” sfiorò con le dita i finimenti intarsiati d'oro seguendone le linee fino a quella sella scura lavorata da mani abili.
Vi era inciso il suo nome e ogni cucitura seguiva un gioco di intrecci e linee, si univano e si separavano creando disegni complicati che custodivano lo stemma della famiglia reale al loro interno “È bellissima” “Ti piace davvero?” ma quel sorriso luminoso era già una risposta.
Un lieve cenno della mano, il giovanotto al loro fianco sparì per poi tornare pochi minuti dopo con uno splendido cavallo dal manto lucente.
Uno stallone colorato di notte, un animale forte e muscoloso che sotto le carezze del giovane diventava un gattino indifeso “Andiamo” “Vuoi perdere anche questa sfida?” ma lui non rispose, montò in sella stringendo con forza le redini.
Helena scosse leggermente la testa infilando la punta dello stivale nelle staffe, montò Safir sistemando le gambe attorno ai suoi fianchi.
La schiena dritta, le spalle rilassate mentre studiava ogni centimetro di quel corpo fremente imbrigliato dalle redini.
Karl socchiuse leggermente gli occhi seguendo ogni suo movimento con lo sguardo.
Quella era di nuovo Helena, la stessa che aveva incontrato anni addietro.
Era arrivata come una tempesta nelle loro vite, aveva sconvolto ogni loro giorno lasciando cadere quella pioggia di gioia di cui ora si nutrivano.
Giovane, irruente, ostinata e con una forza pari a quella di suo fratello, cresciuta per ereditare un titolo e un grado, allontanata dai piaceri frivoli delle giovani dame e poi d'improvviso buttata in quel mondo.
Non era cambiata, era sempre la stessa pioggia che lavava via le paure e il passato, che impediva a suo padre di tornare ad essere lo zio fiero e altero di un re, un uomo distaccato, lontano, freddamente legato alla sua famiglia e ai suoi figli.
La vide sollevare il cappuccio nascondendo i capelli, gli occhi pieni di gioia mentre con forza spronava Safir al galoppo.
Rise divertito da quell'esplosione di forza e senza pensare a niente, spinse il cavallo in avanti correndo assieme a lei.  

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Capitolo 28
*** Parole di Miele ***


                                                                        Parole di Miele 







“Dev'essere qui” rise passandosi una mano tra i capelli, due donne si fermarono qualche secondo stupite da quello scoppio di risate improvviso, da quelle parole pronunciate da una straniera a qualcuno di invisibile.
“In fondo è semplice, non ci metterò molto, lo prendo e vado via” le dita arrossate si posarono sul collo costringendola a tremare “Come posso portarlo con me? Se lei non è qui come faccio!” “Marie?” si voltò di colpo attratta dalla voce di Elise “Va tutto bene?” domandò preoccupata sfiorandole il volto “Si, si sto bene” “Stai parlando da sola” fissò confusa il volto della due ragazze a pochi passi da loro, le vide ridere, parlottare tra loro e poi correre via.
“Stavo … pensavo ad alta voce” “Parlavi da sola. Lo fai da qualche giorno ormai” “Sono solo molto stanca” “Hai parlato con qualcuno?” “Con un locandiere. Il suo francese è pessimo ma a quanto ne sa, la famiglia reale è a Stockholm ma lei non è qui” “Non c'è?” scosse leggermente la testa sospirando “Magari qui c'è troppo freddo” “E nel resto della Svezia no?” ribatté ironica.
Avevano raggiunto Stockholm sane e salve, un po' infreddolite certo ma comunque tutte intere.
Toccare di nuovo la terra le era sembrato una benedizione ma in quella città fredda e così diversa, non c'era niente di buono per loro.
Certo era bella, assomigliava ad una foglia d'argento che galleggia sull'acqua.
I canali si intersecavano con le stradine, sormontati da ponti di pietra e archi decorati permettevano il passaggio di uomini e donne ovunque essi fossero.
Il porto era grande, pieno di vita e di persone e trovare una locanda non era stato così difficile ma per lei, anche camminare lo era diventato.
Non le piaceva quel posto, perfino le persone sembravano diverse, fredde, distaccate, il loro sorriso aveva la stessa consistenza del ghiaccio, i loro occhi assomigliavano al cielo e c'era oro nei loro capelli eppure, nonostante quella placida bellezza, riusciva solo a pensare alla Francia e alla distanza che la separava da una donna che ora più che mai odiava da morire.
Elise la prese a braccetto costringendola a muovere un passo “Gli ho chiesto informazioni Marie ma è stato piuttosto restio ad aiutarmi” “Guarda gli uomini” lo sguardo dell'amica seguì il suo fino ad un gruppetto di uomini intenti a battere sul ferro fuso con i loro grandi martelli “Sono così diversi da quelli francesi” “Sono uomini Marie, maniscalchi credo ma quello con il copricapo è un fabbro” gli occhi erano attratti dalla maestria delle loro mani.
Il metallo si piegava docile sotto i loro attrezzi assumendo placido la forma scelta per lui.
In qualche modo le ricordava Helena, il cambiamento che aveva fatto piegata dalle mani di qualcun altro o magari, il cambiamento che aveva fatto per sé stessa scegliendo di cancellare dalla propria vita il passato “Una donna mi ha fermato poco fa, voleva vendermi strani dolci” un debolissimo sorriso si prese la stanchezza “Le ho chiesto se conoscesse la tua duchessa, mi ha riso in faccia Marie, a quanto pare l'unica a non conoscerla sono io” “Non sei l'unica, nemmeno io credo di conoscerla poi così bene” “La troveremo vedrai” la strinse tra le braccia sospirando ma il tocco di una mano sulla spalla le costrinse a sciogliere quell'abbraccio “Chi siete?” “Voi cercate la duchessa non è così?” “Sapete dove si trova?” la vecchina annuì sorridente “Mia sorella mi ha detto che c'era qualcuno in giro che voleva vedere la duchessa” “La donna dei dolci?” il bel volto della donna si aprì in un sorriso “Si è … abbiamo bisogno di parlare con la duchessa” “Avete bisogno della sua intercessione?” Elise ci mise qualche minuto a rispondere ma alla fine un debolissimo sì uscì dalle labbra “Oh non temete giovani viaggiatrici. La duchessa è buona, vi aiuterà a trovare della terra da lavorare e vi nutrirà” “Davvero?” domandò confusa cercando lo sguardo di Marie “Lei è l'angelo della povera gente. Aiuta chi non è così fortunato e grazie a lei molte famiglie hanno qualcosa di caldo sulle tavole. Ha aiutato tanti come me, viaggiatori che scappavano dal loro paese, bambini, vecchi” “Sapete dove possiamo trovarla?” “Al castello di Läckö sull'isola di Kållandsö, ama il lago e le grandi pianure le regalano la possibilità di cavalcare” “Vi ringrazio” sussurrò Marie stringendo le mani della donna “Non abbiate fretta bambina, le strade iniziano ad imbiancarsi. Dirigetevi verso Örebro e sostatevi per qualche giorno. Avete bisogno di forze per affrontare il nostro mondo e due fragili fiori francesi qui non sopravvivono a lungo” “Anche la duchessa è francese, un fiore fragile che è riuscito a sopravvivere” “Non fatevi ingannare dalla dolcezza di quel volto” mormorò tremante la vecchina sorridendole “C'è tanta forza nel suo cuore. Tanta rabbia e tanta ostinazione. Si prendere cura di noi, ci ama come se fosse una regina e noi amiamo lei per la bontà che ci dona ma quella bontà, quella luce dolce e calda che riempie i suoi occhi può sparire nel giro di pochi attimi ...” strinse più forte le mani di Marie cercando il suo sguardo “ … quel fiore di cui tu parli, ha spine lunghe e appuntite. Non scatenare quel fuoco bambina, altrimenti le sue fiamme lambiranno ogni angolo di questo mondo e bruceranno vivo chiunque vi si avvicini” “Chi sei?” domandò tremante Marie “Puoi chiamarmi Gissa” ma c'era tanto mistero nel suo volto.
Aveva la pelle solcata da rughe profonde ma i suoi occhi erano giovani, luminosi e mai velati dalla stanchezza.
Sembravano leggerle l'anima con una semplicità disarmante, le sue mani non erano fredde e non lo era nemmeno il suo sorriso.
Indossava un mantello fatto di pelliccia e lacci di cuoio, sulla fronte un simbolo inciso a fuoco sulla carne “Ho già visto molti altri avvicinarsi a lei. Pensavano di poterla giudicare, di poter giocare con la sua vita, con l'amore che ora le brucia nel petto. Era un posto nelle sue grazie che cercavano ma nessuno di loro l'ha ottenuto” “E che fine hanno fatto?” domandò incantata Elise “Morti, sono tutti morti e le loro teste, riposano ancora oggi nelle profondità del lago, dove la luce non toccherà mai più i loro occhi” “Era così la tua Helena?” domandò tremante stringendo il braccio dell'amica “No, no lei non ucciderebbe mai nessuno, non può” “Deve” rispose Gissa lasciando le mani della ragazza “Perché non ...” “Quando è arrivata qui assomigliava a voi, indifesa, sola, straniera in un paese che molti non sceglierebbero mai come casa” le invitò a sedere sulla pietra accanto al corrimano che dava sul canale.
Un gatto bianco le saltò in grembo lasciandosi accarezzare “Parlava poco e niente di questa lingua, avvezza a tradizioni che non fanno parte di noi, ad una vita scandita dai rintocchi rassicuranti di un uomo che chiamava padre. Ebbene quel fiore, quel piccolo cristallo francese si è distrutto in mille pezzi ricostruendo lentamente sé stesso” avrebbe voluto scappare via, allontanarsi da quella donna ma la sua voce aveva la stessa consistenza del miele fresco.
Le teneva incatenate a lei, incapaci di muovere un solo muscolo “In pochi mesi ha imparato la nostra lingua, le nostre tradizioni. Lo spirito selvaggio che le brucia nel cuore ha avuto il sopravvento costruendo dal nulla le spine di cui vi parlavo. Hanno provato ad ucciderla più volte” “Non … non lo sapevo” “L'alleanza con la Francia è solida ora, ma per restare tale ogni nuovo accordo va incastrato con quelli più vecchi. È l'equilibrio che cerchiamo ma a molti di noi questo non piace e uccidere lei, voleva dire uccidere una parte di quella nobiltà francese che si arrogava il diritto di scegliere” riprese fiato giocherellando con le orecchie del gatto “L'uomo che le siede affianco, il marito tanto innamorato è al tempo stesso amore e guerra. Si sono uniti assomigliandosi, lei è diventata guerra e lui amore”
fece un bel respiro continuando a parlare “Týr si è unito a Freyja e l'armonia precaria che vive in loro ci tiene al sicuro, ci protegge. Ma se tu scateni il fuoco bambina ...” Marie abbassò lo sguardo attirando l'attenzione di Elise “... esploderanno e avremo solo tanto dolore” “Come sai tutte queste cose?” mormorò confusa Elise “Conosco bene il duca, conosco bene suo padre” “Perché ci aiuti?” “Perché tu ...” sfiorò il volto di Marie sospirando “ … tu assomigli a mia figlia” “Io non so come … come posso ringraziarvi?” “Non scatenare quel fuoco” il gatto scese dalle sue gambe stiracchiandosi, la donnina si alzò aggrappandosi al suo bastone.
Mosse un passo, un altro ancora sotto lo sguardo attento del suo piccolo amico che attendeva silenzioso.
Elise sospirò massaggiandosi le tempie “Non ci capisco più niente. Chi diavolo era?” “Non lo so” “E chi è Freyja?” ma l'altra non rispose “Senti, troviamo questo posto, parla con lei e poi andiamo via. Non credo di poter sopportare divinazioni strane fatte da qualche simpatica vecchietta” ma l'altra annuì pensierosa sussurrando a fior di labbra “Non scateno quel fuoco se lo porto con me” “Cosa?” “Niente, andiamo?” Elise socchiuse gli occhi mordendosi le labbra.
Ci mise qualche secondo a risponderle ma alla fine un debole accompagnò il sorriso della giovane ed insieme, si incamminarono lungo quella strada gremita di persone e di occhi freddi e vuoti.

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Capitolo 29
*** Leggo nel tuo Cuore ***


                           Leggo nel tuo Cuore







Navigare in quelle acque diventava di ora in ora più difficile, il ghiaccio mascherava le correnti, il lucido specchiò d'acqua sul quale da un po' vivevano.
Non potevano più raggiungere Stockholm, i fiordi erano ormai chiusi dal ghiaccio e vi sarebero rimasti fino alla primavera.
Il capitano Pelle aveva passato ore chiuso nella sua cabina a calcolare rotte, a fare scelte in grado di salvaguardare tutti loro.
Conosceva a memoria quelle acque, erano incise a fuoco nella sua memoria ma cambiare rotta era tutta via la decisione più logica.
La prua venne girata verso Køge e da lì, attraverso lo stretto di Öresund sarebbero arrivati a Malmö.
Più vicina, più semplice da raggiungere, una piccola città nata nell'estremo sud del territorio svedese.
Pregava con tutto il cuore che Marie fosse sana e salva, che fosse riuscita a raggiungere Stockholm e che assieme a quella ragazza, avesse trovato un caldo rifugio.
L'avrebbe raggiunta, non importa quanto tempo ancora avesse dovuto viaggiare, mesi, anni forse ma l'avrebbe ritrovata.
Uno dopo l'altro, ogni grosso palo di legno che reggeva il molo venne occupato dalle cime d'attracco.
Quando scesero a terra, il mondo lontano che avevano lasciato sparì del tutto sostituito da colori vivaci e voci allegre.
C'erano quattro giovani che chiacchieravano tra loro, erano sedute una accanto all'altra attorno ad un tavolo colmo di tazze fumanti fuori da quella che, a tutti gli effetti, sembrava una piccola osteria.
Non erano ricche né nobili ma non c'era vergogna nei loro sguardi e il tenero rossore del loro volto, nascondeva egregiamente domande e difficoltà.
Indossavano abiti colorati, gonne pesanti dove righe verticali e sottili ne percorrevano l'intera lunghezza alternando colori vivaci.
La camicia bianca scompariva sotto ad un corpetto nero chiuso appena sotto al seno e una casacca, a maniche lunghe e con il collo alto che richiamava i colori della gonna.
Gli stivali erano lunghi, dalla punta strana e foderati di pelliccia, veninvano stretti attorno al polpaccio da nastri di cuoio e a completare il tutto, un pesante mantello dal cappuccio ampio.
Gli uomini che parlavano con loro indossavano abiti simili, certo non c'erano gonne né capelli intrecciati e decorati da nastri ma i colori erano simili.
L'unica differenza era la lunghezza del mantello, più corto e con il bavero alto “Che animali sono?” domandò stupito Emile indicando un recinto a pochi passi da loro.
Vi erano custoditi grossi animali somiglianti in tutto e per tutto ai cavalli ma avevano palchi di corna grandi e robuste proprio come i cervi e mantelli chiari sfumati di grigio “Hreinn” esclamò il capitano dando una sonora pacca sulla spalla di Emile “Sono animali meravigliosi, molto utili ragazzino” “Che strano nome” “Che importanza ha il nome?” ribatté confuso l'altro lanciando tra le mani di un marinaio il proprio bagaglio “La loro carne è nutriente e le loro pellicce ci proteggono dalle temperature troppo rigide dei venti del nord” “Che meraviglia” sussurrò Emile avvicinandosi al recinto “Sono vostre?” domandò ad un uomo intento ad incidere un bastone di legno.
Lo vide sollevare lo sguardo confuso da quell'interruzione improvvisa “Sono … sono vostre?” ma Pelle rise attirando l'attenzione “Är din?” l'altro annuì orgoglioso stringendo più forte il coltello tra le mani.
“Sono bellissime” sussurrò Emile sfiorando il muso dell'animale “Siete proprio sicuri di voler raggiungere Stockholm? Attraversare i boschi non è così sicuro ora, ci sono lupi e orsi, il ghiaccio è infimo e la neve che attira tante persone spesso nasconde crepacci e buche” “Come posso ...” “Assumendo due guide. Mio cugino Angus ha una locanda, è alla vostra destra subito dopo la bottega del fabbro” indicò con la mano una stradina affollata dove un'insegna di legno si muoveva sotto il tocco leggero del vento “Vi ringrazio, davvero capitano, vi ringrazio di cuore” “Non essere sciocco giovanotto, senti, io non riparto prima di qualche mese e così ...” “Non basterebbero tutti i soldi di questo mondo per la vostra generosità” ma l'altro rise assestando un altro colpo sulla schiena di Emile.
Non ci misero molto a trovare la locanda e ancora meno ad assumere delle guide esperte.
Due uomini dall'aria piuttosto gioviale, uno di loro aveva uno strano modo di ridere, era buffo e con il naso sempre rosso.
Parlavano con un forte accento svedese ma erano pur sempre comprensibili “Seguiremo la costa fino a Göteborg e da lì, con un po' di fortuna raggiungeremo Lindköping in pochi giorni, mästare” l'oste posò tra loro tre boccali colmi di una saporita bevanda dal colore ambrato “Vedremo dei lupi?” domandò incantato Emile “No mästare, conosciamo bene le piste battute dai lupi, sono pericolosi solo ad inverno inoltrato e siamo ancora all'inizio” “Come ti chiami?” domandò Andrè, l'uomo sorrise esclamando orgoglioso “Folke e questo ...” posò una mano sulla spalla del compagno seduto accanto a lui “ … è mio fratello Pontus” “Sono molto onorato di servirvi mästare Andrè” “Dunque parlavate della strada” Folke tossicchiò posando il boccale e asciugandosi i baffi riprese “Vicino al lago il freddo è più sopportabile. Il vento si infrange sulle alture attorno all'acqua e i boschi proteggono bene i borghi e i paesini. Questo è il periodo dell'anno più bello sapete?” “E per qual motivo?” Pontus rise osservando con aria sognante un punto lontano nel vuoto.
Emile seguì confuso quel gesto leggero costringendo Andrè a sorridere “En älva” “Cosa?” “Una fata” puntualizzò Folke “Una fata?” mormorò Andrè ma l'altro rise “Abitano in antri oscuri, nel profondo delle foreste; talvolta parlano agli uomini e svaniscono tutto ad un tratto” “Se a Parigi parlassimo di queste cose finiremmo bruciati vivi” sussurrò Emile osservando confuso Folke.
Continuava a parlare raccontando questo strano piccolo popolo che diventava ogni secondo più interessante, le mani disegnavano ampi cerchi nell'aria attirando gli sguardi divertiti degli altri uomini in quella sala “Almeno non sono noiosi” “In conclusione mio mästere, è per colpa di una fata che Pontus ha questo sguardo da pesce addormentato” “E questa fata ha un nome?” Folke diede un pugno al fratello costringendolo a sussultare “Perdonatemi mästere” “Dovresti smetterla di pensare a lei, lo sai che non ti fa bene” “Perché devi sempre interrompere i miei sogni? Lei mi ama” “Ma se non sa nemmeno che esisti” sbottò irritato l'uomo tornando a cercare gli occhi di Andrè “Ora credo sia meglio andare a riposare, partiremo alle prime luci dell'alba” l'allegria che sfociava nella risata di quegli uomini era in qualche modo rassicurante.
Non era abituato a fidarsi delle persone, non subito almeno ma incontrare Folke e Pontus era stata una vera fortuna.
A detta di Angus erano le più esperte guide dei boschi, gli unici in grado di percorrere gli aspri sentieri del Norrland, non che gli servisse scorrazzare per il nord ma, avere qualcuno al proprio fianco in grado di oltrepassare gli ostacoli più duri era tutto sommato tranquillizzante.
Forse con un po' di fortuna, avrebbe trovato Marie in poco tempo dopotutto, una giovane ragazza francese che viaggiava da sola, non passava di certo inosservata.




Centinaia di candele illuminavano l'immensa sala del trono.
Quella stanza ornata da ricchi drappeggi di tende e arazzi, era stata per secoli la preferita dai sovrani svedesi.
Grandi finestre davano sul giardino interno e su ampie terrazze di marmo, le fiaccole illuminavano i percorsi tra le siepi riflettendo sulla neve fresca la luce del fuoco.
C'erano ufficiali in alta uniforme, duchesse sorridenti, conti e marchesi ma sul petto di ognuno di loro, brillava la fascia di seta blu che li distingueva dal popolo.
La stessa fascia che il re amava portare in pubblico e che la famiglia reale riteneva necessaria “Eccoti qui donna, ti ho cercato ovunque!” “Ero a due passi da te Magnus” mormorò divertita Victoria congedando le sue dame di compagnia “Ti stai divertendo?” “Ho appena avuto un'interessante scambio di opinioni con la marchesa Antoniette” “La moglie del mio capitano?” domandò abbandonando il bicchiere sul vassoio di un paggio “A proposito di cosa?” “Figli” “Ne abbiamo avuti cinque, desideri forse ...” “Sei impazzito per caso?” ribatté divertita dandogli un leggerissimo colpo sul petto “Non abbiamo più l'età per i figli” “Sei sempre bellissima moglie mia” sfiorò il volto della donna costringendola a sorridere. “Helena? Che fine ha fatto?” “Sta ballando con Karl” lo sguardo dell'uomo tornò a spiare la folla poi un bel sorriso sulle labbra quando gli occhi incontrarono il volto felice della ragazza.
Aveva imposto ai suoi ospiti l'uso di tradizioni che esplodevano nei loro abiti, nei gioielli e nelle acconciature delle dame.
Ogni cosa doveva essere perfetta, ogni dama scintillante ma per Helena aveva fatto confezionare un abito speciale, un'eccezione a quelle regole rigide e severe.
Un dono per quella figlia adottiva che illuminava le giornate di tutti loro.
La stoffa per quell'abito era stata fatta arrivare da molto lontano e il colore verde brillante assomigliava allo smeraldo più vivo.
Le maniche erano lunghe, le spalle leggermente scoperte, il corpetto era intessuto di sottilissimi fili dorati quasi invisibili e i drappeggi della gonna scendevano leggeri fino al suolo.
Per costringerla ad indossarlo ci erano volute ore, certo lei avrebbe preferito scappare a cavallo per i boschi innevati ma quel ballo era importante per la loro famiglia, per lui e come moglie del suo primo erede, Helena aveva il dovere di apparire splendente.
Seguì divertito i volteggi di quel corpo delicato, aveva sollevato i capelli e in quegli intrecci complicati, preziosi fili di perle avevano il compito di imprigionare le ciocche ribelli “È un gioiello” asserì orgoglioso, Victoria sorrise stringendo leggermente il braccio del marito “Riuscirà a dimenticare?” “Perché non dovrebbe?” “È già accaduto in passato Magnus” “Lei è più forte di qualsiasi sciocco plebeo. Ho punito con la morte quegli uomini infami, le loro teste marciranno per sempre in fondo al lago” sospirò mentre la mano del marito si strinse alla sua “Nessuno la costringerà a scegliere o cambiare la vita che tanto ama” “C'è qualcosa di diverso nel suo sguardo” “Davvero?” domandò confuso tornando a spiare il volto della giovane “Per caso mangia poco?” “Magnus” “E allora cosa ...” “Ancora non ne sono sicura” la musica si fermò qualche secondo e un leggero applauso riempì la sala.
Karl corse verso suo padre stringendo per mano una giovane dal volto arrossato “Ecco qui i miei due rampolli. Vi divertite?” “Vostro figlio crede di dover conquistare il mondo danzando” sbottò ironica sfilando la mano da quella del cognato “Sei troppo delicata per ballare un valzer?” “Mi gira la testa Karl, mi hai scambiata per una bambola?” “Non ti ho insegnato niente?” mormorò altezzosa Victoria tirando leggermente l'orecchio del figlio “Ho allevato un lupo” “Uno splendido lupo che un giorno sarà un'ottimo generale” asserì orgoglioso il granduca posando una mano sulla spalla del figlio “Ho appena terminato le mie lezioni con il maestro d'armi” “Hai usato la spada?” “Tutte e quattro signore” Victoria sospirò tirando leggermente Helena accanto a sé “Vieni con me bambina, abbiamo appena perso questi grandi uomini” risero assieme raggiungendo il divanetto accanto alla finestra.
Corinne si avvicinò a loro chinando leggermente il capo, tra le mani un vassoio con due calici di cristallo e un piatto di dolci colorati “Allora, ti diverti?” “Trovo tutte queste dame piuttosto noiose” mormorò Helena giocherellando con il calice “Parlano di abiti e giovani dall'animo troppo ardito” “Fanno quello che compete alle giovani dame” “Vostra nipote Katerin è una giovane dama, queste ...” “D'accordo, molte di queste dame sono piuttosto irrequiete e alcune decisamente poco credibili ma ...” la mano della granduchessa si strinse attorno alla sua costringendola a sollevare lo sguardo “ … non è forse concesso a noi donne un po' di frivolezza?” “La trovo priva di senso” “Perché sei cresciuta in un altro mondo Helena. Non sei abituata a giochi e danze” sfiorò il volto della ragazza soffermandosi sulla linea delicata del mento “Non c'era posto per le chiacchiere e le gite nei parchi. Non ho ragione forse?” gli sguardi si fusero assieme e le labbra di Victoria si piegarono in un bel sorriso.
Il suo volto si addolcì e la presa attorno al polso di Helena diventò più leggera “Da quanto tempo?” “Pochi mesi dopo ...” “Altezza reale” si voltò di colpo attratta dalla voce di Corinne.
Sentiva lo sguardo della granduchessa correre sul volto bruciando ogni più piccolo frammento di sé.
Si sentiva piccola, indifesa, una bambina tremante che nascondeva un segreto e per la prima volta da anni, qualcuno era riuscito ad incrinare il muro di ghiaccio che vi aveva costruito attorno.
Fece un bel respiro concentrandosi sul volto della serva “Vi chiedo scusa altezza reale, non era mia intenzione interrompervi ma vostro figlio si è appena svegliato” “Perdonatemi” “E per cosa?” domandò divertita Victoria “Sei una madre, la tua creatura ha bisogno di te. Non chiedere mai perdono per questo” posò le labbra sulla fronte di Helena sospirando “Riesco a leggere nel tuo cuore, vedo bene contro cosa stai lottando, non preoccuparti bambina, sono qui per te” una lacrima leggera scivolò via dagli occhi mentre si nascondeva nell'abbraccio delicato della suocera.
Avrebbe desiderato vedere sua madre, stringerla tra le braccia e confidarsi con lei ma la Francia era lontana ormai e assieme ad essa, avrebbe ricacciato indietro anche quella sciocca esitazione.
Corinne abbassò lo sguardo concedendo loro un breve attimo di tenerezza.
Helena chiuse gli occhi aggrappandosi alla donna, al suo profumo.
Sentì la sua mano scivolarle sul collo, il suo respiro delicato, il battito del suo cuore “Ora figlia mia ...” sussurrò Victoria staccandola leggermente da sé “ … c'è un piccolo principino che si arrabbierà molto se non andrai da lui” “Vi ringrazio” “Vai ora, riprenderemo il nostro discorso quando la folla di sciocche dame sarà sparita” un altro sorriso prima di alzarsi e ricacciando indietro la commozione, si incamminò lentamente attraverso quelle note veloci che regalavano tanta allegria.
La schiena dritta, le spalle rilassate e il portamento fiero e orgoglioso che fino ad ora l'aveva protetta.




 

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Capitolo 30
*** Spiriti di Vita ***


                                                                         Spiriti di Vita 







“Meglio accamparsi qui, non si viaggia di notte mästare Andrè” “Non è ancora buio” “Entrare nel folto della foresta dopo il tramonto mio giovane signore, vuol dire sfidare gli spiriti che vi risiedono e non è mai buona cosa” Pontus annuì alle parole del fratello srotolando il suo mucchio di pelli “Accenderemo un fuoco e aspetteremo che il dio della luce ci conceda ancora il suo dono” “Non è forse un unico Dio che muove tutte le cose di questo mondo?” ribatté divertito smontando da cavallo.
Lo sguardo di Folke diventò improvvisamente più profondo mentre con accurata lentezza sfilava dalla soma del mulo dei ciocchi di legna “Non è forse Dio che sceglie cosa è giusto e cosa no?” “Oh certo, nostro signore è buono e clemente con tutti ma ci sono spiriti nascosti in ogni cosa ...” sfiorò un ramo coperto di neve giocandovi appena “ … sono nell'acqua, negli alberi, nel cielo. Dimenticarli solo perché qualcuno venuto da molto lontano pianta i semi di una credenza diversa è sciocco, meritano rispetto mästare, proprio come lo merita nostro signore nei cieli” “Forse hai ragione” sussurrò Andrè aiutandolo ad ammucchiare legna “Forse dovrei smetterla di pensare che il mio mondo sia l'unico giusto e imparare ad ascoltare” Emile sorrise sedendo sulle pelli appena stese, Pontus accese il fuoco e lo scintillio rassicurante delle fiamme invase il cuore.
Avevano cavalcato per giorni, erano stanchi e affamati ma le loro guide sembravanoriposate, come se quel viaggio tanto lungo non avesse nemmeno sfiorato il loro buon umore.
Fischiettavano allegri sistemando il piccolo accampamento per la notte.
Avevano trovato riparo in una grotta al confine del bosco che ora sembrava in tutto e per tutto un piccola stanza arredata.
Pontus aveva sistemato i letti di pellicce appoggiandoli su strane piante intrecciate tra loro.
I cavalli e i muli erano sistemati all'interno dove protetti dalle intemperie avrebbero riposato e mangiato e i due fratelli chiacchieravano allegri tra loro.
Non erano certo esseri sovraumani eppure sembravano usciti da qualche strana favola.
Strinse il mantello attorno al collo sedendo accanto al fuoco, Folke allungò verso di lui un pezzo di carne secca mentre sulle fiamme venne adagiata una piccola pentola colma di neve “Presto avremo le stelle a farci compagnia” “E non è pericoloso fermarci con ...” “I lupi hanno altro a cui pensare mio giovane signore, non è certo loro priorità avvicinarsi ad un gruppo di uomini armati” Emile sorrise continuando a mangiare “Parlatemi ancora del bosco e degli spiriti che lo popolano” “Perché?” domandò Folke sedendo di fronte a lui “Vorrei solo avere qualcosa di interessante da raccontare a mia moglie quando la riavrò tra le braccia” l'altro rise lasciando tra le mani del fratello un coltellaccio e del pane scuro.
Tolse il mantello e sistemandosi davanti al fuoco iniziò a parlare “Vedete, quando la luna si specchia nelle acque del lago, ogni spirito addormentato si sveglia; alcuni di loro cercano solo la luce dell'astro, altri invece aprono gli occhi per la prima volta. Sono incantatori, volubili, attirano l'uomo con trame fitte e menzognere e lo costringono alla pazzia” “Come le fate?” domandò incuriosito Emile “Oh, le fate” mormorò sognante Pontus tagliando una fetta di pane “Nate dall'infrangersi d'una goccia sulla superficie dell'acqua, dalla luce del sole che si riflette sul mare, nel dolce tepore del tramonto o da un giglio che schiude i suoi petali nell'attimo che precede l'alba ...” Folke sorrise perdendosi nello scoppiettio del fuoco mentre la voce del fratello li trasportava tutti in un posto lontano “ … un'unione perfetta tra natura e divino. Sono spiriti eterei di pallida luce vestiti. A volte, incantate dall'uomo ne rubano il cuore, lo incatenando a loro costringendolo ad una lenta ed inesorabile distruzione” “Ne avete mai vista una?” “Certamente!” “Davvero?” “Una volta soltanto” “E dove?” “Ero nel bosco di Värmland, tagliavo la legna per l'inverno e d'un tratto mi accorsi di non essere solo” “Oh per l'amore degli dei” sussurrò Folke massaggiandosi il collo, Andrè sorrise continuando ad ascoltare quel racconto tanto irreale “C'era uno spirito assieme a me in quel bosco, una fata. Camminava silenziosa tra gli alberi stringendo tra le mani le redini del suo cavallo” “Una donna” mormorò Andrè ma Pontus scosse leggermente la testa sospirando “Ricordo ancora il suono della sua risata, l'incedere lento dei suoi passi, la vidi per pochi minuti poi montò in sella al suo destriero e sparì nel bosco” “E se il nostro signore avesse ragione fratello? Poteva essere una donna” “O poteva essere una fata” ma l'altro sospirò alzando gli occhi al cielo.
Tornò a voltarsi verso i due giovani seduti di fronte a lui e con un bel sorriso sollevò la pentola versando nelle tazze il suo contenuto, vi mise poi delle erbe profumate e mescolò il tutto con un bastoncino di tasso scuro che aveva sfilato da un sacchettino “Prego, questo vi aiuterà a restare caldi” Andrè prese tra le mani la tazza bollente assaggiandone il liquido ambrato “Vi piace?” “Davvero ottimo” Emile si sdraiò nel suo comodo giaciglio coprendosi fin sulla testa “Ora riposate, faccio io la guardia” esclamò Pontus sfilando un pugnale dal suo mucchio di pelli.
Prese il mantello e un fiasco coperto da foglie intrecciate e uscì dalla grotta fischiettando “Non volete dirmi cosa vi tormenta?” “Come?” “Vi osservo da molto mästare Andrè. Vedo nei vostri occhi tanta malinconia” “Solo un po' di stanchezza Folke, passerà presto” “La stanchezza a volte è pericolosa. Annebbia la mente e confonde i pensieri” “Mi sa che hai ragione, forse dovrei riposare e ...” “Come si chiama?” “Chi?” domandò confuso osservando gli occhi vivaci dell'uomo “La donna per cui avete affrontato questo viaggio” “Marie, lei è mia ...” “Vostra moglie” sorrise bevendo di nuovo “No signore, io parlo della donna che vi ha costretto ad attraversare mezzo mondo costringendovi a nascondere il motivo di questa follia dietro agli occhi di vostra moglie” per qualche secondo il silenzio si prese ogni loro pensiero scendendo gelido nell'aria “Un uomo non abbandona mai la propria casa, la propria sposa, la propria vita se non per colpa dell'amore” “Marie è il mio amore, è lei che ha abbandonato me per questo sono qui. Per chiederle scusa e per riportarla a casa” ma l'altro sorrise addentando un pezzo di pane “Perdonatemi ma vedete, sono piuttosto bravo a leggere le persone, è un dono. Mio fratello crede sia stato un regalo delle fate ma io penso sia semplicemente una dote naturale” cercò lo sguardo di Andrè ancora una volta “L'amore di cui parlavo mästere è un sentimento diverso. Cosa vi spinge a rinnegarlo?” “Il passato” “Dal passato spesso si impara giovane signore. Non avete bisogno di lottare contro un ricordo per riconoscerne l'importanza” “Ma se quel ricordo è la causa della mia rabbia, come si può ragionare con lui?” “Riconoscete a quel ricordo l'importanza che merita e ponetelo accanto al vostro presente. Credetemi, non serve a nulla passare una vita a rinnegare, ad odiare; il cuore umano non è fatto per sopportare gli incubi troppo a lungo, essi lo sfiancano e lo costringono a cedere” ridacchiò arricciando leggermente le labbra “Se permettete al passato di governarvi allora non avrete mai un futuro” “Folke?” “Si?” “Credi davvero che ci sia una fata nei boschi?” “Credo sia pieno di spiriti ovunque e credo anche che mio fratello abbia visto qualcosa ma le fate e gli spiriti sono restii ad intrattenersi con uomini mortali” “E per qual motivo?” “Beh ecco, credo che la causa sia quella che poco fa vi ho raccontato. Il cuore dell'uomo è pieno di sentimenti e questo le attira ma l'odio le distrugge, forse è per questo che fuggono davanti agli uomini” gli fece l'occhiolino costringendolo a ridere “Ora dovreste riposare, domani abbiamo una giornata difficile da affrontare” tossicchiò sdraiandosi poi sul suo giaciglio e coprendosi mormorò qualcosa di incomprensibile chiudendo gli occhi.
Andrè sorrise giocherellando con la tazza, la muoveva leggermente tra le dita osservando le increspature che creava dal nulla.
Sentiva le note del flauto di Pontus: “Serve ad addolcire gli spiriti della notte, è sempre buona cosa renderli mansueti e felici, ci aiuteranno più volentieri” gli disse un giorno.
Non era abituato a niente del genere, non aveva mai nemmeno immaginato che oltre i confini della sua meravigliosa Francia esistesse un mondo tanto diverso.
Un mondo fatto di credenze, contrasti e realtà del tutto diverse.
Abbandonò la testa contro la parete rocciosa sospirando “Sei davvero là fuori?” sussurrò al silenzio spiando lo squarcio di cielo appena visibile “Spero con tutto il cuore che tu esista, sono sicuro che Marie resterebbe senza parole vedendoti camminare luminosa per i boschi” chiuse gli occhi abbandonandosi al dolcissimo tepore del riposo, abbandonandosi a sogni pieni di tenerezza.




Strinse più forte le gambe attorno ai fianchi del cavallo
staccando le mani dalle redini, un respiro lento, il battito del proprio cuore nelle orecchie.
Tese la corda dell'arco scoccando la freccia, il fischio che riempì l'aria durò pochi secondi, afferrò le redini tirandole con forza e Safir si fermò di colpo sollevandosi sugli arti posteriori.
La risata di Karl arrivò limpida dal nulla.
Smontò da cavallo cercando di riprendere fiato, sentiva il volto bruciare per il freddo e il proprio cuore battere all'impazzata “Un colpo perfetto” esclamò divertito il giovane tirando le redini del proprio animale “Sei diventata davvero brava” c'erano degli uomini alle spalle del duca.
Due di loro stringevano le corde dorate che impedivano ai cani di scagliarsi contro il cervo ormai esanime “Un colpo solo alla base del collo, sei più brava dei cacciatori che accompagnano mio padre” “Vi ringrazio duca” ribatté divertita scostandosi dagli occhi i capelli.
La giovane duchessa dai modi raffinati era sparita, sostituita da una giovane donna dallo spirito inquieto che cavalcava per quei labirinti di piante con una semplicità disarmante.
Aveva indossato pantaloni scuri stretti attorno ai fianchi e alle gambe.
Terminavano appena sotto al ginocchio dove gli stivali nascondevano l'orlo con calde finiture di pelliccia.
Un bellissimo Kytrill proteggeva il suo corpo tenendola al riparo dal freddo.
Per quel dono prezioso il granduca aveva fatto arrivare le sarte più brave da tutto il regno.
E il risultato di quel lavoro frenetico fu una tunica di lana dai colori del cielo notturno che terminava a metà delle cosce e indossata da lei, appariva come una di quelle stelle che la notte tappezzavano la volta celeste.
Sulla scollatura erano stati cuciti nodi di cuoio e lacci che si intrecciavano formando complicati disegni.
Una cintura di pelle nera si stringeva attorno ai fianchi della giovane annodandosi sul lato sinistro.
Ma c'era una cosa che lo divertiva più di ogni altra: il mantello.
Helena non lo portava come ogni dama della provincia era solita fare, agganciato sul seno con lacci dorati, no, forse era giusto così perché lei era diversa da ogni altra, lei era libertà.
Portava quel mantello come se in realtà fosse un cavaliere esperto nell'arte della caccia, una spilla d'oro e diamanti fermava il tessuto pesante sulla spalla destra permettendole di muovere senza alcun problema il braccio armato dall'arco.
Ma una cosa l'aveva conservata di quella duchessa che incantava gli uomini: aveva sollevato i capelli e una treccia meravigliosa partiva dal lato destro della testa raggruppando mano a mano ogni ciocca terminando sulla spalla sinistra.
Tra l'oro dei capelli c'erano piccoli fiori di perla che avevano il compito di sottolineare il rango a cui apparteneva.
Era quella la donna che suo fratello aveva rubato dalla Francia? Sorrise avvicinandosi a lei “Mio padre sarà molto fiero di te” esclamò divertito “La prossima volta sono sicuro che ti porterà assieme a lui” “Non sono troppo preziosa per le sue battute di caccia?” domandò ironica raggiungendo gli uomini attorno al cervo.
Era un bellissimo esemplare con palchi di corna meravigliosi, aveva scoccato un'unica freccia dando la morte ad un re ma non c'era pietà nel suo cuore né rimorso.
Lo guardava come si guarda un gioco che ormai ha perso il proprio valore, come un pezzo di passato che non voleva e che avrebbe ucciso ad ogni costo “Sono sicuro che Nils sarà entusiasto di sapere che la sua dolcissima sposa, tira con l'arco meglio di lui” un bellissimo sorriso le colorò le labbra, il primo di quella mattinata fredda e confusa.
Si voltò appena incontrando gli occhi azzurri di Karl “Credi tornerà presto?” “Sai, non sarei stupito se da un momento all'altro, tra gli alberi e la neve lo vedessimo camminare tranquillamente verso di noi” “Pensavo che sarebbe stato più facile Karl, pensavo di riuscirci” “Sei un'essere umano Helena, a volte va bene sentirsi così. Ha lottato tanto per custodire te stessa, non lasciare che un incontro casuale ti confonda” “Ho bisogno di rivedere mio marito” “Tornerà presto vedrai e quando lo farà, potrai lasciar andare questa sciocca paura che ti costringe a cercare il silenzio” le sfiorò il volto cercando la purezza del suo sguardo “Non ti fa bene il silenzio, non c'è più la mia Helena quando ti chiudi lì dentro” “Non c'è più” sussurrò perdendosi nello sguardo del giovane “No, non c'è più ma sono sicuro che da qualche parte, un uomo piuttosto innamorato abbia trovato la mia Helena e che affrontando i duri venti del nord …” si fermò qualche secondo scostandole dagli occhi quell'unica ciocca sfuggita alla costrizione delle perle “... me la stia riportando qui” “E io conosco quell'uomo?” “Ho un bellissimo nipotino grazie a quell'uomo ma ora, voglio vedere solo un sorriso su questa bocca d'accordo?” le labbra si schiusero appena e gli occhi si riempirono di tenerezza “Ecco, è questa la duchessa che ha rapito il cuore del mio burbero fratello” i cani iniziarono ad abbaiare ringhiando verso la boscaglia silenziosa.
Un cacciatore corse fino a loro reggendo un fucile tra le mani “Altezza reale, i nostri esploratori hanno trovato un altro esemplare” “Cervo?” “Si altezza reale. Un meraviglioso esemplare maschio che si allontana verso le montagne” Helena sorrise prendendo dalle mani del servo le redini di Safir, montò in sella infilando l'arco“Liberate i cani!” le corde vennero sfilate e gli animali corsero via abbiando seguiti dai cacciatori armati “Sei pronta?” domandò Karl raggiungendola “Guarda che questa volta non rallento perché sei una donna” “Questa volta non vedrai nemmeno la mia freccia partire” e negli occhi, tornò a bruciare quel fuoco di vita che aveva imparato a conoscere nel tempo.
Lo stesso fuoco che la animava quando giocava con le spade, quando sfidava a duello perfino il granduca.
Lo stesso fuoco che scatenava dipingeva il sorriso sul quelle labbra di rosa quando cavalcava a perdifiato lungo le distese di ghiaccio o le foreste, quando la sfidava ad una gara con il fucile e incantato, restava a guardare una donna dal temperamento irruento che colpiva ogni bersaglio davanti a lei.
La vide stringere più forte le redini tra le dita prima di partire al galoppo “Oh si Helena, tu appartieni a questo mondo” spronò Oden inseguendo un'angelo biondo mascherato da guerriero.



 

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Capitolo 31
*** Demone ***


                                                                              Demone







La neve cadeva leggera tra gli alberi coprendo tutto di tenero silenzio.
Suo suocero ripeteva sempre che lei assomigliava alla neve, candida e pura, capace di trasformarsi e come la neve, di sciogliersi per un raggio di sole.
Non sapeva nemmeno lei perché era innamorata così tanto di quella soffice coltre bianca, forse era incantata dalla fragilità dei suoi fiocchi, dalla danza leggera che muovevano con l'aria.
Una danza che più di una volta aveva sognato e che ora poteva avere, in quel territorio freddo e lontano, dove non c'era bisogno di fingere frivolezza né allegria.
Sfiorò il tronco dell'albero soffermandosi sulle rughe legnose, c'era tenerezza in quella vita assopita, un cuore che aspettava i tiepidi raggi del sole per tornare ad aprire gli occhi.
In fondo era così che si sentiva, una vita assopita che tornava velocemente a correre e giocare.
Una giovane elegante nei movimenti che incurante del freddo, passeggiava tra i sogni degli alberi come uno spirito del cielo.
Entrava nel loro riposo, si affacciava al loro silenzio diventandone parte e confondeva gli occhi di un giovane troppo confuso per comprendere, un giovane che poco distante da lei ne spiava i passi.
Non parlava, a malapena respirava perché era convinto che se l'avesse fatto, quell'apparizione improvvisa sarebbe svanita.
C'era curiosità nel suo sguardo, un capriccio quasi infantile che lo spingeva a cercare nelle parole di Pontus un briciolo di verità.
Avevano viaggiato per giorni, erano stanchi ma a detta di Pontus, la foresta di Värmland era uno spettacolo introvabile nel resto del mondo e come tale, meritava di essere visto.
Folke gli aveva spiegato il sentiero più sicuro dalla piccola locanda dove avevano trovato riparo, si era offerto di accompagnarlo certo non che ce ne fosse stato bisogno, il lago Vänern era vicino e questo bastava a tenere lontano lupi ed orsi poiché l'uomo, aveva il potere di spaventare anche la creatura di docile.
Non era compagnia ciò di cui aveva bisogno ma, di qualche attimo solo con sé stesso e tra quegli alberi addormentati esplodeva quieta la voglia di vita, la stessa vita che ora aveva davanti agli occhi.
Era quella la fata che aveva visto Pontus? Fino ad ora si era immaginato una donna comune, con un volto comune e un sorriso comune.
Certamente bella e con un fascino quanto meno luminoso ma anche a poca distanza da lei, non riusciva a capire se quella fosse una donna o una fata.
Il cappuccio copriva gran parte del suo viso e l'unica cosa che gli era concesso spiare, erano le labbra di rosa leggermente schiuse in un sorriso.
Si muoveva leggera senza fare alcun rumore come se conoscesse a memoria l'esatta posizione di ogni radice.
Il cavallo la seguiva docile, copriva ogni suo passo con il proprio come un cucciolo affezionato al padrone.
Sarebbe rimasto a guardarla per ore immaginandone gli occhi o il volto, immobile, sospeso nel tempo.
La vide accarezzare l'animale dal manto bruno, i finimenti erano intarsiati di metallo prezioso, forse argento o forse no, tutto quello che riusciva a vedere era la dolce complicità che avevano tra loro, le labbra che si posavano sul muso del cavallo, il suo sorriso.
Era proprio come l'aveva descritta la sua guida, eterea, forse diffidente ma comunque misteriosa e piena di fascino.
Trattenne le risate quando vide il cavallo sbuffare toccandole leggermente il volto ma il cuore tremò al suono di quella voce.
La vide indietreggiare appena divertita da quel gioco innocente, il cappuccio cadde sulle spalle e il battito regolare del cuore sparì, lasciando solo un vuoto immenso nel petto.
Conosceva bene quel volto, conosceva la dolcezza dei suoi lineamenti, l'azzurro dei suoi occhi; quando Marie aveva dipinto il suo quadro non aveva dato molta importanza a quella somiglianza così marcata, credeva fosse un gioco della sua sposa, una fantasia che portava quella duchessa ad assomigliare ad un angelo.
Certo più di una volta si era chiesto se quella donna ritratta fosse reale, se fosse lei ma aveva riso di sé stesso, come può un morto tornare alla vita? Si era lasciato per la prima volta il suo ricordo alle spalle riponendolo in quell'angolo di cuore dove erano custoditi tutti i sogni.
Ora però, dopo quella verità così egoisticamente cercata, aveva davanti la stessa duchessa ritratta da Marie e non assomigliava ad un angelo.
Non era una fata né uno spirito, lei era il demone che gli mostrava ancora una volta gli anni che aveva perso, quelli passati senza di lei e la donna che era diventata.
Diversa certo, capace di trasformarsi in duchessa o perfino regina ma in quel silenzio cullato dal suo sguardo, per pochi secondi, rivide la stessa bellissima donna che in passato aveva amato.
Quella che non comprendeva le sciocche frivolezze femminili, quella che si ritirava nel suo silenzio chiudendo fuori il mondo intero, quella che si buttava anima e corpo nel fuoco della vita oltrepassandone i limiti, costringendolo a preoccuparsi, a credere di dover restare accanto a lei notte e giorno per proteggerla.
La rivedeva nel suo modo di camminare, nel movimento leggero dei fianchi troppo femminili per essere nascosti dall'uniforme, da quegli abiti eleganti che appartenevano all'alta nobiltà svedese e che le fasciavano il corpo trasformandola in una dama stupenda.
Era persa nei suoi pensieri, troppo assorta per accorgersi che a pochi passi da lei, un uomo silenzioso le camminava affianco.
Lo conosceva bene, troppe notti l'aveva odiato inutilmente, troppe notti era rimasto sveglio ad immaginare la stessa vita accanto a lei.
Lo vide sorridere sollevando leggermente il copricapo, il manto impreziosito da ricami dorati scivolò leggermente di lato scoprendo una parte di quel fisico forte e possente.
Non le parlava, non cercava la sua attenzione perché vederla così era un incanto, la seguiva come un'ombra forse divertito dalla lontananza della giovane, dalla risata innocente che riservava al cavallo.
Fece un bel respiro perdendosi in quell'attimo così scioccamente perfetto, era diventata tutt'uno con la neve, tutt'uno con il gelo di quell'inverno e per qualche secondo, ebbe l'impressione di incontrare i suoi occhi.
Sentiva il suo sguardo bruciante sul volto, sul cuore, pochi secondi appena per credere in quell'illusione irrisoria.
Sentì la voce dell'uomo, lo sentì chiamare la sua giovane sposa costringendola a sussultare.
Lesse confusione sul suo volto, perfino così riusciva a leggerle dentro.
Era certo che centinaia di domande stessero giocando con i suoi pensieri. Si chiedeva se suo marito fosse reale, se fosse davvero davanti a lei o se quell'uomo sorridente fosse solo fantasia.
Ma quell'indecisione durò solo pochi attimi, un sorriso luminoso come la luce del sole riempì i suoi occhi mentre abbandonando quel mondo di ghiaccio correva verso di lui.
Chiuse gli occhi spingendo il suono fresco della sua risata oltre il confine sicuro della razionalità, un bel respiro prima di convincere le gambe a muovere qualche passo.
Aveva bisogno di respirare aria pura, lontano da lei e da tutto il male che gli stava facendo. Quell'attimo sospeso nel tempo che aveva unito i loro sguardi per qualche secondo, sarebbe sparito inghiottito dal buio della realtà.
Non era stato nulla di più che semplice immaginazione, non era stato reale e come tale doveva trattarlo, come una sciocca debolezza regalata dalla stanchezza e niente di più.
L'avrebbe lasciata andare ancora una volta, ancora una perché non poteva più permettersi di giocare con lei, con Marie, con sé stesso.
Faceva male, un male terrificante perché averla persa e poi ritrovata aveva sconvolto in pochi attimi tutta la sua vita.
Avrebbe voluto stringerla tra le braccia così forte da farle male, respirare il profumo della sua pelle, perdersi nel cielo dei suoi occhi perché perfino ora faticava a riconoscere la realtà della sua vita ed era certo che la colpa fosse di quel padre troppo protettivo che ancora una volta, si era sentito in diritto di scegliere per lei, per loro.
Non poteva riaverla e forse nemmeno voleva perché era certo che non sarebbe più riuscito a renderla felice.
Era una duchessa, una dama elegante che ammaliava le persone e legava gli sguardi degli uomini a sé, era una donna, quella stessa donna che avrebbe voluto vedere in passato, quella donna custodita dentro regole e gabbie di costrizioni dov'era cresciuta.
L'avrebbe resa felice, se in passato avesse scelto lui l'avrebbe resa felice ma ora? Erano sposati entrambi, avevano una vita, una bella vita e non c'era alcun motivo di rovinare tutto anche se le domande non chieste, bruciavano dentro di lui massacrando un cuore che non era più in grado di sopportarlo.
Quello che realmente gli mancava, era la possibilità di scoprire se in lei fosse custodita ancora la bambina con la quale era cresciuto, se in quegli anni era cambiata, se amava ancora bere il tè seduta sull'erba all'ombra di qualche grande albero o se, da un momento all'altro, ogni sua dolce abitudine fosse stata cambiata come il ricordo di un passato che non esisteva.
Gli occhi di Marie tornarono davanti a lui, la sua risata, la dolcezza della sua ingenuità. Fece un bel respiro allontanandosi da quella foresta, aveva fatto una promessa e l'avrebbe mantenuta anche a costo di cancellare vent'anni di passato assieme a quel demone.

 

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Capitolo 32
*** Pensieri Intricati ***


                          Pensieri Intricati





Si sentiva male, persa in immagini e pensieri che non le appartenevano ma che diventavano ogni giorno più difficili da cacciare via.
Erano arrivate a Örebro alle prime luci dell'alba, poche ore di sonno erano bastate per dar vita ad un mondo contorto che solo lei riusciva a capire.
Avrebbe risolto ogni cosa, tutto sarebbe tornato al proprio posto e Andrè avrebbe sorriso di nuovo.
Legò i capelli ridendo dell'immagine che lo specchio rifletteva “Dovrei chiedere un miracolo al cielo per arrivare a lei” mormorò allacciando l'ultimo bottone della camicia, la mano tremò ma lei rise nascondendola tra le pieghe della gonna come se d'improvviso, qualcuno potesse accorgersi di quella debolezza improvvisa.
“Così non va bene Marie, proprio no” chiuse gli occhi cercando di calmare i battiti del cuore “Non puoi tremare e se poi quando lo prendi in braccio cade?” “Con chi parli?” domandò confusa Elise chiudendosi la porta alle spalle.
Aveva il volto arrossato dal freddo e uno sguardo confuso che la rendeva forse perfino innocente.
Stringeva tra le mani una coperta di lana avvolta su sé stessa, riusciva ad intravedere la manica di un abito, la stoffa più pregiata di quella che erano solite vestire “Mi devi un favore” riprese Elise aprendo lentamente i lembi della coperta “Un favore enorme Marie” “Lo so” “Qui ci sono gli abiti” “Ci prendono a servizio?” domandò estasiata correndo accanto al letto “A quanto pare sembra essere l'unico modo per poterla vedere. Non capisco perché non possiamo chiedere regolare udienza a sua altezza e ...” “Non possiamo” “Ma perché?” “Beh ecco, diciamo che mio marito è stato fin troppo espansivo nei suoi confronti “Ah già, l'amore perduto e d'improvviso ritrovato” “Elise ...” “Dico solo che è sciocco Marie! Per quale motivo fai tutto questo? Se lei non ricorda più niente, che motivo hai per giocherellare con passato e amori che non ti appartengono? Lascia tutto com'è e torna a casa con tuo marito” non ottenne alcuna risposta, c'era la piccola Marie di fronte a lei, quella vera che ultimamente era sparita dietro alla maschera di una donna agitata e stanca.
La vide tremare, stringersi leggermente la testa tra le mani “Va tutto bene?” “Cosa?” “Sei sicura di stare bene?” domandò preoccupata “Si, si è solo un po' di stanchezza” “Saresti meno stanca se lasciassimo la Svezia?” ma lo sguardo confuso sul volto della ragazza la fece sorridere “D'accordo, vieni qui piccola, lascia che ti spieghi come va il mondo” la strinse per le spalle avvicinandola a sé.
Gli occhi erano persi nei suoi e un sorriso rassicurante a permetterle di respirare di nuovo “Non puoi combattere con un ricordo, soprattutto se il ricordo riguarda il primo amore di tuo marito” le scostò dalla fronte una ciocca di capelli sistemandola dietro all'orecchio della giovane “Conosci bene il mio passato, te l'ho raccontato ma quello che non sai ...” si fermò qualche secondo ridendo di quel ricordo innocente “ … è che una volta ho incontrato l'amore” “Davvero?” “Era un bel giovanotto con due occhi scuri e profondi e un bel sorriso luminoso” “E cos'è accaduto?” “Un giorno è venuto a trovarmi alla locanda, aveva finito di lavorare da poco e mentre aspettava di vedermi, ha incontrato il suo primo amore. Una bella ragazza del sud credo, con occhi grandi e il volto pienotto. Hanno parlato per ore alla fine, ha lasciato la locanda assieme a lei” “Oh” “A volte quando è notte e la mente si spegne il suo volto torna a farmi visita. Ero innamorata di lui, credo sia stato l'unico uomo che mi abbia mai fatto sognare un futuro diverso da quello che avevo” “E non soffri per questo?” domandò confusa Marie “Sono stata una sciocca, mi sono lasciata cullare dall'aspettativa di una vita diversa, chissà cosa mi aspettavo da lui, insomma, non era di certo nobile né aveva grandi possedimenti. Immaginavo la mia vita assieme ad un contadino ma a me andava bene così” “Perché non l'hai fermato?” “Non lo so, forse pensavo che avrei avuto tutta la vita per poterlo ritrovare ma ora, la sua presenza nei miei sogni è diventata quasi confortante” “E se ...” “Il punto non è soffrire o meno Marie” strinse più forte le mani attorno alle spalle della ragazza sospirando “La vita che ci è concessa su questa terra è breve e lo è anche l'amore, ma dimenticare richiede tempo, più tempo di quanto immaginiamo. A volte non basta una vita intera per scordare la risata di una persona, le carezze, i sorrisi” “Cosa devo fare?” domandò confusa la giovane di fronte sé “Non puoi cancellare gli occhi di quella donna dal cuore di tuo marito né il suo sorriso o la dolcezza dei suoi baci. È stata importante per lui e lo sarà per sempre ma tu ...” le diede un bacio leggero sulla fronte costringendola a sorridere “ … tu sei il suo presente. Gli uomini sono tutti uguali, grandi e forti certo ma di fronte ai sentimenti, diventano bambini spaventati e tremanti che chiamano la mamma e piangono” risero assieme dimenticando per qualche secondo la pazzia del loro sciocco piano “Non arrabbiarti con tuo marito per questa debolezza” “Non sono arrabbiata con lui, è stato un marito eccezionale Elise. Divertente, allegro, sempre pieno di gioia. Ogni mattina si svegliava con il sorriso sulle labbra, ogni sera tornava da me con un dono. Non sono arrabbiata con lui” “Ne sei sicura?” “Sono solo … non capisco come può una donna legare a sé il cuore di un uomo in questo modo. Non importa quanto tempo sia passato dall'ultima volta che si videro, Andrè ricorda a memoria i lineamenti del suo volto, il suono della sua risata lei è ...” “Lei è il suo più intimo segreto. Ci sono cose che le persone non dicono amica mia, piccoli pensieri faticosamente nascosti al mondo che non possono essere condivisi, lei non può essere condivisa con nessuno perché è stata il suo mondo per molto tempo” sentì il respiro della giovane tornare di nuovo regolare e l'incoerenza dei suoi pensieri svanire di colpo.
“D'accordo, allora ...” tornò a concentrarsi sugli abiti tra loro sollevandone uno, la stoffa era blu scuro rifinito attorno al collo e sui polsi da ricami gialli “ … visto che non possiamo essere annunciate come persone normali, l'unico modo che abbiamo per entrare in quel castello è come serve” sfilò dal mucchio di tessuti un grembiule bianco e due nastri giallo oro “Sei fortunata piccola Marie, la figlia della locandiera lavora a palazzo, mi ha presentato alla governante” “Cosa ti ha chiesto?” domandò incantata Marie giocando con una manica rifinita di pizzo “Tante cose, troppe. Per fortuna che sono piuttosto brava a mentire” “Come hai ...” “Ho pagato la figlia della locandiera” ribatté come se quella fosse l'unica risposta possibile.
“Hanno bisogno di attendenti e cameriere. A quanto pare ci sarà un ballo la settimana prossima, un ballo elegante e grande e … elegante” “L'hai già detto” “Beh scusami se sono nervosa, non ho mai fatto la cameriera, non in una casa nobile certo” “Andrà tutto bene” “Non so nemmeno come si serve il tè” “Ho solo bisogno di parlare con lei per qualche minuto, resisti qualche minuto in quel mondo di svolazzi e vestiti colorati e poi andremo via” “Promesso?” domandò ironica mordendosi leggermente le labbra “Promesso” “Non so se fidarmi di te” “Elise?” “Cosa” “Grazie” “Lo faccio solo per te ...” si abbracciarono come due sorelle ridendo divertite “ … perché mi sono affezionata a te” non era certa di aver fatto la scelta giusta.
Che possibilità avevano loro due di poter evitare il granduca? Che possibilità avevano di non essere scoperte? Se fosse accaduto, se il granduca si fosse accorto della loro presenza lì, della sua presenza era certa che la pena sarebbe stata la morte per entrambe ed era questo a terrorizzarla.
Non avrebbe mai voluto trascinare Elise in questo mondo di problemi che le viveva dentro ma forse dentro al cuore, bruciava ancora la speranza di poter parlare assieme a quella duchessa lontana.



Era rimasto sveglio tutta la notte a spiare il suo riposo.
Dormiva serena al suo fianco con una mano posata davanti al volto, i capelli sciolti sul cuscino e il profumo di una pelle di seta appena nascosta dalle coperte.
Strinse più forte la mano attorno ai fianchi di Helena perdendosi nella perfezione dei suoi lineamenti.
Le labbra rosa come quei petali profumati che riempivano i loro giardini in primavera, l'incarnato di perla, la linea delicata del collo, delle spalle.
Ci aveva messo una vita intera a trovarla, una vita dove non c'era spazio per i sentimenti eppure Helena, era riuscita a spazzare via di colpo ogni pensiero inutile, ogni sentimento lasciato troppo a lungo negli antri bui del suo carattere.
Posò la forte sulla sua e un leggero sospiro gli sfiorò il collo, spiarla mentre riposava era per lui un dono immenso.
La sua bellissima sposa spesso irrequieta, mutevole come il vento e proprio come il vento, era capace di trasformarsi in dolcissima brezza o violento temporale.
La duchessa elegante e raffinata ora sembrava la stessa donna che aveva incontrato anni addietro, libera da regole, libera da cerimoniali che tentava di evitarle ma che perfino lì dovevano essere rispettati.
Conosceva bene la velocità di quel cuore, la paura che ora le scuoteva il petto mentre tentava in tutti i modi di ignorare il battito sempre più veloce che non le dava tregua.
Aveva passato anni interi a proteggerla da sé stessa senza accorgersi che in realtà, non era protezione che sua moglie cercava.
Helena era in grado sopravvivere bene al caos del mondo, si era rialzata da terra più di una volta senza chiedere l' aiuto di nessuno.
Era riuscita a cambiare sé stessa per poter ingannare il passato, la vita stessa e ora aveva davanti una donna nuova, una donna che mascherava le domande e i rimorsi dietro al sorriso.
Pensieri nascosti che conosceva bene perché più di una volta sua moglie gli aveva affidato i suoi più intimi ricordi, quelli che le facevano male, quelli che la confondevano e che nemmeno agli occhi del padre arrivavano come tali.
La strinse più forte a sé costringendola a sorridere, aveva ancora gli occhi chiusi, era aggrappata a lui come un cucciolo arruffato ma non avrebbe cambiato niente di quell'attimo.
Sentì la sua bocca calda sfiorargli la spalla nuda, il suono di quel bacio leggero che ogni mattina da quando l'aveva sposata, era stato il suo dolce risveglio “È presto amore mio ...” le sfiorò la schiena intrecciando le dita ai capelli biondi “ … non è ancora ora di scappare via da me” “Non scappo da nessuna parte” “Helena ...” le sollevò il volto perdendosi in quel sorriso leggero “ … sono abbastanza sicuro che se ti lasciassi andare ora, probabilmente ti rivedrei questa sera o domani mattina” “Non sei divertente” la strinse più forte per i fianchi sollevandola.
Rise divertita da quel gioco innocente mentre seduta su di lui sfiorava il suo volto con le labbra “Sei sempre stata così bella?” “E voi? Voi siete sempre stato così bello duca?” “Fin da bambino” esclamò divertito intrecciando le dita alle sue “Per cui duchessa, aspettatevi un figlio estremamente bello ...” un bacio leggero sul suo collo per costringerla a sospirare “ … e molto, molto intelligente” ma il rumore di colpi leggeri interruppe quegli attimi di tenero amore.
Nils sospirò alzando gli occhi al cielo “Non posso crederci” la voce di Inga arrivò chiara e limpida dall'altro lato della porta “Perdonatemi altezza reale, non vorrei disturbarvi ma c'è un giovane duca qui con me incapace di aspettare oltre” Helena scivolò via da lui coprendosi con il lenzuolo candido.
Ci mise pochi secondi ad infilare di nuovo i pantaloni ma non aveva alcuna voglia di lasciare quel caldo rifugio e soprattutto, non avrebbe indossato nessuna camicia in grado di separare il calore dei loro corpi.
Tornò a sedere accanto ad Helena tirandola dolcemente tra le braccia prima di autorizzare l'ingresso della governante.
La donnina fece capolino dalla porta studiando per qualche secondo il volto del suo signore “Che c'è?” domandò confuso ma l'altra ridacchiò ironica “Mi chiedevo solo, altezza reale, se siete abbastanza sveglio per stringere tra le braccia vostro figlio senza farlo cadere” “Fino a pochi secondi fa ero più che sveglio” “Questo non lo metto in dubbio” “Lo sai ...” rispose divertito “ … in altre corti verresti probabilmente messa a morte per un comportamento del genere” “Fortuna allora che siamo in questa corte, dove la saggezza di vostro padre regna incontrastata” aprì la porta permettendo a Corinne di entrare assieme a Niklas.
Si avvicinò al letto chinando leggermente il capo e il duca sorrise divertito dall'espressione ancora assonnata del figlioletto.
Lo prese in braccio incantato da quello sguardo limpido e profondo che diventava ogni giorno più chiaro “Hai dormito bene?” la mano del bambino si strinse attorno al dito di sua madre costringendolo a sorridere “Sta crescendo così velocemente” “Hai visto? Ha i miei occhi” “E anche il colore dei tuoi capelli e il tuo naso” “Ma il sorriso è quello della madre” puntualizzò Inga “Non ho mai sperato niente di diverso sai? Mi somiglia è vero, ma il suo sorriso è per me fonte di gioia immensa perché mi ricorda te amore mio” “Questa forma di piaggeria non ti aiuterà a tenermi qui dentro tutto il giorno” Nils rise stringendo più forte Helena “No è vero, ma almeno posso vederti allegra e felice” la governante scosse leggermente la testa invitando due giovani ad entrare.
Erano ragazze piuttosto belline certo non così curate nell'aspetto come avrebbe voluto ma c'era tempo per trasformarle.
Per ora, bastava che seguissero ogni suo passo evitando di indisporre il duca o la duchessa, camminavano con lo sguardo basso in segno di doveroso rispetto o almeno era quello che si sarebbe aspettata perché una di loro, aveva l'ardire di fissare in faccia la duchessa.
La spiava come se in realtà non avesse mai visto una donna di grado tanto elevato e poteva capirlo, insomma, due giovani contadine cosa potevano sapere di corti ed eleganza? Eppure assomigliava in modo impressionante ad una bambina che cercava di scolpirsi a fuoco nella memoria il sorriso tanto bello della duchessa, l'amore che usciva dal suo sguardo mentre giocava con il figlioletto, mentre si lasciava accarezzare dalle mani di un uomo che le doveva sembrare un gigante.
Era incantata dalla semplicità di quei gesti, da quel bambino che senza vergogna alcuna si aggrappava alla madre cercando il suo seno.
Sbuffò spingendola di lato mentre con un lieve cenno della testa, autorizzò Corinne ad aprire completamente le tende “Oggi è una giornata meravigliosa altezza. Il sole splende, il cielo è terso e cristallino” “Un'ottima giornata per cavalcare” asserì Nils incrociando le braccia dietro alla testa “Peccato che mio padre abbia organizzato un incontro con un ricco principe austriaco” “Un principe?” “Esatto amore mio. Un principino viziato ed egoista che pensa di poter sfidare mio padre al gioco del potere” “E come spiegherà al mondo la sua sconfitta?” “Non ne ho idea, quello che so Helena, è che mio padre non acconsentirà a richieste tanto sciocche” “Quali?” domandò divertita “Un accordo che ponga fine alle tasse d'importazione sui nostri migliori prodotti” “E tuo padre lo sa?” domandò lasciando il bambino tra le braccia del marito “No, non ancora. Hans è passato da me ieri pomeriggio e ne abbiamo parlato assieme. Mio padre ne verrà informato a breve e prevedo tuoni e fulmini” “Oh non temere, conoscendo il carattere malleabile e dolce di Älskar probabilmente tutto andrà bene” “Mio padre lo sa che lo chiami Amore?” “Certo che sì” esclamò divertita, un bel sorriso colorò le labbra di Nils mentre immaginava quell'uomo burbero e irascibile diventare improvvisamente dolce e smielato davanti a quella semplice parola.
Corinne si avvicinò al letto lasciando sulla poltrona di velluto una veste di seta dai bordi color lavanda, lo specchio venne scoperto, le spazzole e i pettini allineati sul vassoio d'oro “Vostra grazia è pronta?” Helena lasciò scivolare via il lenzuolo alzandosi, le due giovani abbassarono lo sguardo mentre Inga accanto a loro cercava di rendere la loro presenza quanto meno utile.
“Ha scelto la sala degli specchi Nils” “Per il ballo?” “È convinto che in quell'immenso salone pieno di dipinti e cristalli gli ambasciatori di mezzo mondo ammireranno la sua potenza sentendosi piccoli ed insignificanti” “Ecco come riusciremo a mantenere i buoni rapporti con gli altri stati” ribatté ironico sistemando meglio Niklas tra le braccia.
La sua vocina appena scoperta gorgogliava leggera mentre si stringava nell'abbraccio del padre, la testolina sul suo petto, le manine che giocavano nell'aria mentre gli occhioni di cielo seguivano i movimenti della madre.
Inga sollevò i capelli della duchessa raggruppando una ad una le ciocche sciolte e legandole poi con un nastro di raso scuro “Elise!” la ragazza accanto alla finestra si voltò di colpo spaventata dalla voce della governante “Aiuta sua altezza reale mentre Marguerite prepara il bagno del duca assieme a Corinne” “Subito signora” mormorò tremante avvicinandosi.
Non aveva mai vestito una duchessa né si trovava a proprio agio con quell'abito dai tessuti preziosi e dai lacci lunghi e complicati.
A cosa serviva tanta stoffa poi, lei non aveva una veste da camera né persone ai suoi ordini che le allacciavano il corsetto o che la pettinavano.
La sua vita era sempre stata semplice, aveva sempre indossato abiti normali, poveri forse ma comunque normali e non comprendeva come mai tanta ricchezza fosse regalata ad un'unica donna.
Prese tra le mani il tessuto di seta seguendo con le dita i ricami delle maniche, Inga tossicchiò richiamando di colpo l'attenzione su di sé, fece un bel respiro e senza perdere tempo, iniziò a vestire Helena restando sempre un passo dietro di lei “Mio cugino avrà di certo graziose storielle da raccontare. Parlerà dei suoi viaggi, della noia che respira a corte e della graziosa possibilità di vederti amore mio” “Io?” domandò stupita alzando leggermente le braccia “E per quale motivo?” “Perché gli offri un'ottima scusa per lasciare quel mondo luccicante. Sei appena tornata in patria da un lungo viaggio e avrai di certo molte cose da raccontare” “Molto bene” sussurrò Inga avvicinandosi ad Elise “Ora arriccia il tessuto sulla schiena fermandolo con la spilla” lasciò tra le mani della giovane un spilla di diamanti così bella da toglierle il fiato “Con delicatezza mi raccomando” “Subito signora” Nils sollevò il figlioletto ridendo quando i piedini si puntarono sul suo ventre.
“Oh per l'amor del cielo” mormorò Inga “Che c'è?” “Non è troppo piccolo per fare giochi così sciocchi?” “Due mesi di vita sono abbastanza per giocare e poi ...” strinse più forte le mani attorno al corpicino di Niklas avendo cura di non permettere alla testolina movimenti troppo bruschi “ … non ho alcuna intenzione di farlo cadere. Hai visto Helena?” ma lo sguardo si fece improvvisamente più serio quando vide sua moglie tremare “Va tutto bene?” “Si, sì è solo … dev'essere il freddo” “O la stupidità umana” esclamò irritata Inga spingendo Elise lontano dalla duchessa.
Aveva il volto arrossato e gli occhi di chi sembrava pronto ad uccidere “Ti ho chiesto di aiutare la duchessa ...” sbottò seguendo con le dita un piccolo graffio sulla schiena di Helena “ … non mi pare di averti detto: tagliala con la spilla!” “Vi chiedo perdono, non volevo ...” “Non importa” sussurrò l'altra voltandosi verso la ragazza.
Il suo sorriso era dolce, delicato, i suoi occhi pieni di gentilezza ma alle sue spalle, un uomo irritato teneva gli occhi ben piantati sul volto di Elise “Dico davvero, non è accaduto niente di grave. Non sono fatta di cristallo, non mi rompo per un semplice graffio” “Vostra altezza mi dispiace, credetemi non volevo ...” “Ti ho detto che non importa” sfiorò la spalla della giovane cercando i suoi occhi “Non preoccuparti, questa cosa non avrà conseguenze” “Via di qui ora! Raggiungi Corinne e fai in modo di non distruggere niente per qualche minuto!” esclamò Inga, la ragazza chinò leggermente il capo lasciando di corsa la stanza.
“Idiota” sbottò gelido Nils sfiorando la schiena della ragazza “Stupida idiota senza esperienza!” “Sto bene amore mio, è solo un graffio” “Non importa!” la mano libera seguiva le piccole gocce rubino che scendevano lentamente sulla sua pelle mentre con il braccio destro, stringeva a sé il bambino evitandogli quella scena troppo convulsa “Fate in modo che l'archiatra la veda” “Subito vostra grazia” la vecchina lasciò la stanza permettendo al silenzio di coprire la rabbia “Nils, è solo un graffio” ma lui non rispose.
Era agitato, irritato, nei suoi occhi leggeva la stessa preoccupazione che aveva visto qualche anno prima, quando quel gruppo di ribelli si era arrogato il diritto di scegliere il suo destino.
“Ricordi quando mi hanno sparato?” “Passo meno tempo possibile a pensarci” il bambino si mosse infastidito tra le braccia del padre e un pianto leggero riempì l'aria “Mi hanno sparato, l'hanno fatto e quel proiettile mi ha sfiorato la spalla. L'archiatra è rimasto con me per tutto il giorno ed è arrivato alla mia stessa conclusione: un semplice graffio” “Quel semplice graffio è stato punito” “Lo so” sfiorò il volto del marito soffermandosi sulla linea forte del mento “Hai punito con la morte quegli uomini e ti sono grata per questo” “Cosa mi stai chiedendo?” “Non prendere decisioni avventate amore mio. È una cameriera, una giovane con poca esperienza ma imparerà presto vedrai” Nils socchiuse gli occhi studiando per qualche secondo il volto di sua moglie.
Vinceva sempre, ogni volta che lo guardava con quegli occhi vinceva.
Era accaduto in passato e accadeva anche adesso, cullò leggermente il bambino cercando di calmare quel pianto tremante “D'accordo, se questo è un tuo desiderio e sia, non ci saranno conseguenze ma se capita di nuovo ...” Helena sorrise prendendo Niklas tra le braccia “ … allora non ci saranno suppliche in grado di smuovere le mie decisioni” Inga rientrò nella stanza seguita da un paggio e da una ragazza dal portamento piuttosto rigido.
Il giovanotto si fermò sulla soglia abbassando lo sguardo, a nessuno era permesso entrare nelle stanze della duchessa a meno che la governante non fosse in loro compagnia.
C'erano regole da seguire, divieti e obblighi creati apposta per la sicurezza di Helena e nessuno aveva il diritto di aggirarle perché la pena sarebbe stata inferta senza rimorsi “L'archiatra sarà qui a breve vostra grazia. Il granduca vi aspetta per la colazione nella sala grande e ho fatto preparare il vostro bagno, forse vorrete rinfrescarvi prima di incontrare vostro padre" si avvicinò ad Helena sospirando“Ci vediamo presto amore mio” un dolcissimo bacio prima di lasciarla alle cure delle cameriere “Oh, Inga ...” la vecchina si avvicinò al duca incuriosita da quel cambio improvviso di tono “ … mi aspetto che ci siano cambiamenti chiaro?” “Quella ragazzina avrà la sua buona dose di urla” “Mi raccomando, che non si ripeta mai più niente del genere. Non amo trovare tagli e graffi sul corpo di mie moglie” “È una contadinotta signore, è goffa e impacciata ma non preoccupatevi, tra qualche ora diventerà improvvisamente più veloce. Sarà in grado di occuparsi dei bisogni della duchessa entro pochi giorni” “Hai tutta la mia fiducia” le fece l'occhiolino e senza aggiungere una sola parola, si chiuse la porta alle spalle allontanandosi da quella stanza preziosa.



“Non avvicinarti a più di cinque passi dalla duchessa a meno che lei non ti inviti a farlo” mormorò passandole dei teli puliti “Niente sorrisi, niente sguardi fugaci in giro. Devi essere sempre accorta e veloce nel tuo lavoro altrimenti Inga ti punirà” “Non volevo farlo, non ho mai … mi dispiace d'accordo?” la giovane sorrise continuando a piegare teli “Sai, la prima volta che arrivai qui tutto mi sembrava così grande e spaventoso. Avevo sedici anni, ero piena di vita e cercavo solo un buon lavoro per aiutare mio padre. Il mio primo servizio fu un disastro” “Dici davvero?” domandò confusa Elise aiutandola “Rovesciai un bicchiere di latte sull'abito della duchessa” “Cosa?” Corinne sorrise annuendo “Un abito di meraviglioso broccato rosso completamente sporco di latte, immagini la faccia di Inga?” “Era gioviale come quella che ha riservato a me poco fa?” domandò indispettita Elise ma l'altra sospirò scuotendo leggermente la testa “Non arrabbiarti, non serve a nulla ragazzina. Ascolta e impara guardando, se osservi Inga puoi diventare molto brava nel tuo lavoro” “Non ho mai fatto niente del genere Corinne, ero una semplice locandiera e ora vesto le duchesse” “Una granduchessa” puntualizzò l'altra cercando qualche secondo i suoi occhi “Vesti la moglie di un granduca svedese e devi mettere molta cura nel tuo lavoro Elise” “Come posso ...” “Ti ho visto prima, la granduchessa non è un quadro dal quale puoi sviscerare i sentimenti o i colori, non guardarla mai così perché altrimenti la sua gentilezza diventerà astio e ne pagherai le conseguenze” “È solo un'altra nobile viziata” sbottò Elise impilando uno dopo l'altro i teli puliti.
Corinne si fermò osservando quella nuova forza appena presa a servizio, era giovane e piuttosto piacente certo ma c'era in lei qualcosa di diverso.
Alla corte del granduca non c'era ribellione né stupidi litigi, le regole erano rispettate dall'alto fino all'ultimo servo del castello e proprio per questo, i suoi salotti erano i più invidiati di mezzo mondo.
Ma in quella ragazzina venuta da lontano portava con sé emozioni e sentimenti diversi “Non conosci la granduchessa, non puoi comprendere il suo mondo” “Perché sono francese? Anche lei lo è” “E proprio per questo parliamo la tua stessa lingua. Ogni uomo o donna, perfino i bambini che vivono nelle tenute del granduca parlano francese. Il nostro signore è convinto che regalarle aria di casa possa aiutare la sua sposa a sentirsi meno sola ma si è accorto ben presto, che la duchessa preferiva di gran lunga parlare svedese e perdersi con il cuore e lo spirito nel mondo di ghiaccio nel quale ora respira” “E questo non è forse egoismo?” “Perché sei così arrabbiata con lei? Hilda ha detto che non hai mai incontrato le loro altezze, perché sei così arrabbiata?” “Non lo sono” ma lo sguardo di Corinne la costrinse a continuare.
Fece un bel respiro cercando di rendere il tono della voce quanto meno controllato “Ecco io non … non capisco come si possa ammirare così tanto una donna che di speciale non ha nulla. È bellissima certo, è così bella che quando l'ho vista credevo di trovarmi in paradiso o in un posto magico lontano dalla realtà ma che altro c'è in lei di così speciale? Come può una donna giocare nella ricchezza mentre c'è gente che soffre?” “Le tue domande hanno tutte una risposta Elise” “Oh per favore” “Non hai sbagliato prima, è bellissima e quando la prima volta incontrai il suo sguardo mi parve di vedere un angelo. È gentile e nei suoi movimenti puoi leggere la nobiltà ...” si sedette sullo sgabello accanto alla tavola invitandola a fare altrettanto “ … l'eleganza, i rigidi insegnamenti di un padre severo. È tutto lì, nel suo sguardo, nel modo di camminare o di sorridere a qualcuno di nuovo. Molte volte può sembrare lontana, distaccata a tratti perfino indifferente ma c'è tanta bontà nel suo cuore” Elise sospirò scuotendo leggermente la testa “Inga dice sempre che la duchessa è nata per portare conforto nella vita della povera gente. È lei che si occupa delle distribuzioni di cibo quando l'inverno è troppo rigido, lei che accoglie i bambini e gli anziani nelle ampie sale dei suoi palazzi quando essi non hanno riparo. Ha fatto costruire strade e case, spesso la povera gente si rivolge a lei per avere un po' di sollievo e trovano conforto nelle sue parole e nel suo aiuto” “È vero che ci sono teste nel lago?” “Teste?” domandò stupita Corinne ma d'improvviso una risata allegra le ruppe il respiro “Parli forse di quegli uomini senza Dio che hanno tentato di ucciderla?” Elise annuì dimenticando per un secondo tutto il resto “Si, si ci sono le loro teste in fondo al lago” “E come ...” “Quando il granduca li ha imprigionati ha ordinato che le loro teste venissero tagliate e gettate nelle acque legate ad una pietra” “Ma come ...” il rumore dei passi alle loro spalle bloccò le parole di Elise.
Corinne si alzò costringendola a fare altrettanto “Non parlare, non rispondere, limitati ad annuire e basta” Inga irruppe come un uragano urlando e strepitando.
Se voleva sopravvivere almeno qualche giorno, si sarebbe dovuta piegare di fronte a lei e a tutti quelli come lei ma di una cosa era certa: non appena sarebbe stata libera di uscire, avrebbe ucciso Marie con le proprie mani. 

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Capitolo 33
*** L'eleganza dei suoi Passi ***


                                                                      L'eleganza dei suoi Passi







“Te l'ho già detto che mi devi un favore?” domandò sfinita lasciandosi cadere sul letto accanto a Marie “Sono distrutta” “E io no forse? Quella donna mi ha fatto lavare i pavimenti delle cucine per tutto il giorno ...” sollevò leggermente una mano sospirando “ … non mi sento più le braccia” “Beh, a te è andata meglio sai? Io ho praticamente aperto un solco nella schiena della duchessa” “Tu cosa?” domandò confusa voltandosi leggermente verso Elise “Hai … con cosa?” “Una spilla, è comunque non è un solco ma un graffietto” ribatté sganciando i bottoni della camicia “L'ho graffiata e poi ho passato le successive tre ore a fingere pentimento mentre la governante mi urlava contro” “Sei ancora viva per raccontarlo, ritieniti fortunata” “Non sei divertente” ma l'altra sorrise tornando a chiudere gli occhi.
Crescere nella povertà le aveva abituate ad essere caricate di lavoro dalla mattina alla sera ma in quel posto, perfino il passato di sudore e fatica sembrava effimero.
Era stupita dalla forza di Inga, era una vecchina dall'aspetto delicato e affabile ma dentro di lei bruciava tra le fiamme un drago sputa fuoco che non aveva timore né paura.
Inspirò a fondo ascoltando per qualche secondo il respiro dell'amica al proprio fianco “Avevi ragione Marie” “Riguardo a cosa?” “È davvero bella come l'hai descritta” “Già” “Ha il volto angelico ma i suoi occhi ...” si fermò qualche secondo ripensando ai lineamenti delicati della duchessa “ … nei suoi occhi c'è il fuoco. Si era appena alzata eppure sono riuscita a vederlo, era lì, chiaro e lampante davanti a tutti” “Elise non credo sia ...” “Non mi hai mai parlato del duca, perché?” “Non lo ritengo molto importante” “No? Beh, se dovessi scegliere chi dei due è più importante a certi “scopi” credimi, sceglierei decisamente lui. È così ombroso e seducente, il suo corpo sembra scolpito nel marmo” “Elise!” “Che c'è? Non sai com'è fatto un corpo maschile?” “Certo che lo so” “E allora?” “Non voglio parlarne” “E le sue stanze ...” continuò Elise voltandosi verso di lei “ … dovresti vedere quanto oro è custodito là dentro. Ci sono tende di velluto rosso, poltrone rivestite e candelabri meravigliosi intarsiati di diamanti. Il letto sembra nato nell'oro e con quattro dei suoi pettini potremo sfamare un villaggio intero per anni” “Per questo l'hai infilzata? Volevi rubarle il pettine?” domandò divertita aprendo gli occhi ma Elise sbuffò dandole una spinta leggera “Non ho mai messo una veste come quella, che ne sapevo io che il tessuto andava arricciato sulla schiena? Le persone normali non si coprono con cose tanto complicate” “L'ho dipinta una volta” “Davvero?” “Non credo di essere poi così brava a dipingere, mio marito non si è nemmeno accorto che quella somiglianza era reale e ...” “Marie, è un uomo, se non gli spieghi quello che vive nel dipinto non riesce a comprenderlo. A maggior ragione se hai dipinto il ricordo che con tanta fatica ha cercato di cancellare” “Perché non me ne ha mai parlato?” domandò più a sé stessa che ad Elise ma la giovane rise “Credo sia perché parlare di lei vuol dire riviverla. Te l'ho detto, ci sono cose che non si condividono con gli altri perché fanno troppo male” “E io non soffro forse? Non ho sentimenti? Non sono un gioco, non può decidere di lasciarmi da parte” “Ti è mai passato per la mente che in realtà, quello che sta cercando di fare è dirle addio?” “Ha avuto sei anni per dirle addio!” esclamò gelida tornando a fissare il soffitto.
In fondo la sua era una risposta semplice, giusta, eppure c'era molto di più dietro a quelle semplici parole “Ma mi ascoltavi quando ti parlavo dell'amore?” domandò Elise girando dolcemente il volto della ragazza verso di sé “Amare è semplice, ci si innamora velocemente di un sorriso, di uno sguardo, ci si abitua alla presenza di una donna o di un uomo nella propria vita ma dire addio ...” le sorrise giocherellando con una ciocca di capelli “ … a volte richiede più tempo di quanto immaginiamo. Ci ha messo un anno per allontanare quella duchessa dal cuore e poi ha incontrato te. Sei stata tu a dirmi quanta gioia e allegria Andrè abbia portato nella tua vita non è così?” un debolissimo sì uscì dalle labbra dell'amica costringendola a continuare “Vi siete sposati vivendo il vostro amore per tutto questo tempo e all'improvviso, davanti agli occhi ha ritrovato quel sorriso che credeva morto. Ha visto un fantasma Marie ma il guaio non è tanto vedere spiriti o parlare con loro, il suo fantasma è vivo e respira e ama” inspirò a fondo cercando di trovare le parole giuste per allinearle davanti i pensieri “Come ti sentiresti tu se dal nulla tornasse alla vita il tuo primo amore?” “Andrè è stato il mio primo amore” “D'accordo allora, immagina di perderlo e di passare sei anni accanto ad un altro credendolo morto e poi d'improvviso, mentre passeggi per la campagna te lo ritrovi davanti con lo stesso sorriso, la stessa gioia negli occhi” “Non è la stessa cosa!” “E perché? Solo perché è accaduto a lui? Non puoi incolparlo Marie, ha diritto ad un attimo di esitazione, solo un momento per comprendere l'enormità del vuoto che ora si mangia pezzo dopo pezzo il suo cuore e tu, invece di restare accanto a lui sei scappata via” la risata che uscì dalle labbra era carica di ironico nervosismo “Comprendo le tue paure e i motivi che ti hanno spinto a viaggiare fino a qui ma comprendo anche tuo marito e non sarei sorpresa di scoprire che in questo momento, mentre io e te parliamo nel buio di questa stanzetta, lui sia qui fuori da qualche parte a cercarti” “No” mormorò sfinita massaggiandosi il collo “No io devo parlare con la duchessa, devo vederla solo qualche minuto e ...” “Si lo so, lo ripeti continuamente” il silenzio calò leggero tra loro invitando il riposo.
Ogni rumore veniva soffocato dalla neve oltre le finestre, perfino lo scoppiettio del fuoco sembrava nascosto “L'hai vista?” “No, no io sono stata … sono stata nelle cucine tutto il giorno” “Domani ci sarà il ballo. Conti di nasconderti per molto ancora?” “Non dipende da me, la governante decide e io posso solo ...” “Vorrà dire che perderai l'immagine allegra di me che finisco di tagliare il corpo della duchessa con i ganci dell'abito” Marie sorrise annuendo “Un abito elegante come quello che porta lei non può darti questo problema” “No?” domandò ironica l'altra “E che ne dici di un abito che richiama le tradizioni passate?” “Cosa?” “Già, la nostra duchessa vestirà con abiti tradizionali e pieni di fastidiosi lacci di cuoio e cordoni dorati” la mano di Marie si strinse attorno alla sua mentre una risata nasceva spontanea nel silenzio “Andrà tutto bene” “Lo so” asserì orgogliosa Elise “Ora basta parlare, Inga ci butterà fuori dal letto all'alba” un altro sorriso, debole, leggero ma così fresco da risanare le preoccupazioni prima del sonno ristoratore che entrambe tanto desideravano.





Non aveva l'abitudine di chiedere al cielo qualche favore ma quando all'alba aveva aperto gli occhi, il primo pensiero fu per Dio.
Gli chiese una grazia, forse un miracolo e in qualche modo le sue preghiere erano state ascoltate.
Avevano passato tutto il giorno a pulire la sala grande sistemando ogni cosa alla perfezione. C'era un che di strano nella frenesia che correva loro attorno, più di una volta si erano fermate cercandosi con lo sguardo nel tentativo di capire se fossero impazzite di colpo o se in realtà, fossero gli altri ad andare troppo veloci.
L'alba aveva lasciato il posto alla luce del sole pomeridiano che sparì dietro all'orizzonte prima di quanto pensassero.
Le candele vennero accese e così anche ogni camino, i paggi restavano immobili al proprio posto inchinandosi ogni volta che un nobile entrava dalle grandi porte in fondo alla sala.
C'erano ricchi principi provenienti da chissà quale paese e poi gli ambasciatori francesi e quelli inglesi ma la nobiltà svedese non assomigliava a nessuno di loro.
Freddi e alteri sfoggiavano lo sguardo dei guerrieri senza indietreggiare di un passo di fronte alla frivola arroganza francese.
I loro abiti era riccamente decorati da pellicce e lacci di cuoio che si intrecciavano tra loro formando meravigliosi mantelli o graziose gonne diverse da quelle che fino ad ora avevano visto.
Non erano ingombranti né scomode, gli abiti portavano colori vivaci, freschi, i corpetti erano semplici ma vi era nobiltà in quei ricami ed eleganza nei loro movimenti.
Marie sospirò rilassando ogni muscolo della schiena, era agitata, troppo per passare inosservata ma ci avrebbe provato, sarebbe rimasta immobile al proprio posto servendo il vino e raccogliendo calici vuoti.
Fino ad ora era rimasta ben lontana da Helena, ben lontana da ogni cosa che riguardasse lei, era stato un bene, in qualche modo era riuscita a far chiarezza dentro di sé e quel pensiero folle che le svegliava il petto era diventato la sua unica ragione di vita.
Ora però, in quel mondo colorato e pieno di parole, avrebbe rivisto la donna colpevole di tanto trambusto nella sua semplicissima vita.
Elise al suo fianco restava immobile a fissare le dame danzare e gli uomini parlare tra loro.
La musica che viveva in quella sala non apparteneva al presente, gli strumenti erano diversi, le note erano custodi di un passato misterioso e pieno di fascino che all'improvviso tornava alla vita.
C'era un uomo seduto sul trono di marmo, aveva il volto sorridente, gli occhi di un bambino ma l'atteggiamento di un vecchio.
Era quello il re? Eppure sembrava un uomo normale, la sua risata era fresca, muoveva le mani nell'aria mimando qualcosa forse qualcuno.
Era così diverso dal granduca suo zio, un uomo quasi glaciale, freddo nello sguardo proprio come lo era il duca suo figlio o granduca che dir si voglia.
Fece un bel respiro stringendo più forte il vassoio vuoto tra le mani, la musica si fermò qualche secondo e il cerimoniere di corte picchiò con forza il suo bastone al suolo introducendo quella coppia regale che nulla aveva da invidiare al re e alla sua sposa.
Il duca entrò stringendo la mano di Helena, era forse ancora più bello di quello che ricordava ma la gemma preziosa che rubava attenzione era la sua sposa.
Aveva indossato un abito verde come lo era la foresta addormentata attorno al castello.
Un abito dalle linee delicate, semplici. La vita era alta, le maniche lunghe tenute assieme da intrecci di lacci che seguivano tutta la forma del braccio.
Non c'erano corpetti né fastidiose gonne, era semplicemente lei ed esplodeva violenta in ogni colore.
I ricami sulla vita richiamavano l'abito di suo marito, gli stessi intrecci, la stessa libertà di movimento, gli stessi colori.
I capelli sciolti sulle spalle, lunghi, così lunghi da passarle l'incavo della schiena.
Due trecce sottli raggruppavano le ciocche disordinate attorno al volto ma non si chiudevano come ogni altra treccia al contrario, si univano al resto di quella cascata d'oro puro toccando per qualche secondo un diadema d'argento quasi nascosto.
Era quel gioiello l'artefice di tanta bellezza, esso da solo reggeva l'equilibrio di quella meravigliosa acconciatura rendendola ancora una volta perfetta.
Sorrideva amabile inchinandosi al granduca, Marie tremò appena incantata dalla dolcezza che era in grado di regalare perfino ad un uomo freddo come lui.
Lo vide sorridere, stringere la sua mano e posare un bacio sulla fronte della giovane come se in realtà avesse davanti una figlia.
C'era eleganza nei suoi passi ma come poteva stupirsene? Fin dal primo momento che la vide, ebbe chiaro davanti agli occhi la nobiltà di quella donna.
Ora, mentre si inchinava al re assomigliava più che mai ad una regina, vide l'uomo sorridere, alzarsi dal trono abbracciandola come una sorella “Sei pronta?” sussurrò Elise sfiorandole un braccio, le mani tremarono e i bicchieri sul vassoio tintinnarono leggeri “Fai un bel respiro, andrà tutto bene Marie” “D'accordo” chiuse gli occhi qualche secondo respirando ma quando li riaprì, riconobbe lo sguardo profondo di Helena, era lontana, distante da lei eppure così vicina.
Ebbe l'impressione che per qualche attimo, i loro sguardi si fusero assieme.
La musica ripartì ed Inga mosse leggera il capo liberandole, camminare in quel mare di persone non era certo semplice ma un passo dopo l'altro, ogni cosa sarebbe andata al proprio posto.
Non aveva idea del tempo che passava, minuti forse oppure ore, le danze si susseguivano e c'erano più di dieci lingue straniere che si fondevano assieme ma nonostante la diversità, ognuno dei presenti conversava amabilmente con l'altro.
Lasciò il vassoio tra le mani del paggio fermandosi a poca distanza dai musici, Inga le aveva concesso qualche attimo di respiro e l'avrebbe passato tra quelle note ora tanto tristi.
Aveva evitato accuratamente Helena, eppure parlarle era l'unico desiderio del cuore ma allora come mai non riusciva nemmeno ad avvicinarsi a lei? Non che le avrebbero permesso di servire del vino alla granduchessa, c'erano altre dame per quello ma in fondo al cuore, aveva sperato di poterla almeno sfiorare per caso.
Inspirò lasciando uscire ogni preoccupazione assieme all'aria appena imprigionata, gli occhi si concentrarono sulle mani dei musici, sul movimento delle loro dita, tentava di tradurre quelle parole tanto strane cercando un significato più o meno valido che spiegasse tutta la tristezza della musica Ask veit ek standa, heitir Yggdrasill hár baðmr, ausinn hvíta auri … strinse tra le dita il laccetto dell'abito giocandovi mentre la musica invadeva ogni angolo del cuore … þaðan koma döggvar þærs í dala falla … sorrise quando uno dei giovani impegnati a suonare la salutò appena con un lieve cenno del capo ma sentì il cuore accelerare di colpo al suono di quella voce che ormai aveva scolpito a fuoco nella memoria “Stendr æ yfir grœnn Urðar brunni” si voltò di colpo incontrando gli occhi azzurri di un angelo “E così sei una delle mie ancelle Marie?” “Altezza reale” mormorò chinando velocemente il capo “Perdonatemi, stavo solo ...” “Parla di Yggdrasill” rispose Helena senza staccare gli occhi dal volto della ragazza “Il migliore tra gli alberi, i suoi rami avvolgono tutto il mondo coprendo il cielo e tre radici forti ne sorreggono la vita. La prima ...” si avvicinò di un passo sorridendo “ … si perde negli abissi più profondi attraverso Helheimr, il regno dei morti dove non esiste pace, la seconda ...” sfiorò il volto della ragazza sollevandolo appena “ … si spinge invece verso 
Jötunheimr, la terra dove abitano i giganti mentre la terza radice, corre silenziosa verso il Miðgarðr, il mondo degli uomini, quello dove ora siamo io e te” Marie non rispose, restò immobile con lo sguardo perso in quel mare cristallino.
“La trovo la più bella tra le leggende di questo popolo. C'è mistero nelle sue parole e tanta gioia nonostante la musica sia lenta e a tratti perfino triste” “Vostra grazia perdonatemi, non avevo intenzione di ...” “Di ascoltare della musica? Chi sono io per impedirtelo?” “Voi siete la mia signora” “Quando ti ho invitata in Svezia non era certo così che immaginavo il nostro incontro” la sua risata era fresca, esattamente la stessa che l'aveva travolta quel giorno in Francia “Come mai ritrovo un'amica nelle vesti di serva? Non è così che vi voglio vedere Marie” “Devo chiedervi molte cose vostra grazia e non ho il tempo per … volevo chiedervi scusa. Vedete, l'uomo che vi ha importunato era mio marito ma non era sua intenzione sconvolgervi. Ha commesso un'errore, abbiamo commesso un'errore e ...” “Ho dimenticato quello spiacevole incidente” c'era indifferenza nella sua voce e una nota di leggero fastidio abilmente mascherata “Potete ritenere questo sciocco equivoco completamente passato” una dama si avvicinò a lei con un vassoio dorato ma con un leggero cenno della testa, Helena la costrinse ad indietreggiare di nuovo impedendole di frantumare in mille pezzi la leggerezza di quell'attimo.
“In realtà signora, è per colpa mia che tutto questo è nato e ora non so come porvi fine” “Vostro marito ha confuso una persona con un'altra, un passato con un altro. A volte capita, non siamo dopo tutto esseri umani? Errare ci è concesso, penserà Dio a sistemare i nodi dell'anima” “Vi ricordate di Andrè?” non sapeva nemmeno lei per quale sciocco motivo aveva permesso a quella domanda di lasciare le labbra ma per qualche secondo, vide negli occhi della duchessa qualcosa di diverso.
La vide sorridere stringendosi leggermente nelle spalle “Ricordo ogni attimo della mia vita, l'amore per mio marito, i giochi, l'orgoglio di mio padre. Siete qui per chiedermi se ricordo il vostro Andrè? No Marie, non ho memoria dei suoi occhi né del calore del suo abbraccio ...” la ragazza sospirò mordendosi leggermente le labbra, la donna meravigliosa che aveva davanti era diversa da quella conosciuta in passato.
C'era del ghiaccio attorno a lei, attorno al suo cuore. L'allegria, la leggerezza del suo sguardo, tutto di lei era cambiato e non aveva nessuna idea di come parlarle o di cosa dire per non sembrare completamente folle “Mi è stato raccontato il perché di quel gesto impulsivo e senza senso e credetemi, sono profondamente dispiaciuta per la sofferenza che vi ha arrecato la mia somiglianza con una donna passata e ...” “Voi siete quella donna” “No” puntualizzò gelida raddrizzando le spalle.
Ogni muscolo si tese e la postura elegante che l'aveva sempre contraddistinta riapparve di colpo “Non sono quella donna Marie, non sono il passato che cerchi e non ho alcuna voglia di sentire queste sciocchezze. Togli le vesti da serva e chiedi al cerimoniere di corte il permesso di parlare con me” “Aspettate ve ne prego, voglio solo ...” una voce forte sovrastò le loro, Helena sorrise voltandosi verso suo marito e lei così spaventata, si rannicchiò in un angolo alle spalle della duchessa con lo sguardo basso, il volto girato dal lato opposto nel tentativo di evitare gli occhi del duca ma la giovane davanti a lei non si mosse, restò immobile al proprio posto riempiendo di orgoglio lo sguardo del marito e rendendo la piccola Marie insignificante ai suoi occhi.
“Sei qui” “Ascoltavo la mia ballata preferita” “Da sola?” “Ci vuole forse compagnia per perdersi nei propri pensieri?” domandò divertita mentre un bacio leggero le sfiorava una mano “Vieni, c'è una persona che chiede insistentemente di te” lo prese per mano allontanandolo da Marie e dalla sua paura “Oh per l'amor del cielo” “Vi sono mancato non è così?” domandò divertito Fersen “Se vi rispondessi di no sarei una bugiarda?” “Abbastanza, ma ormai vi conosco duchessa e so distinguere una bugia dalla verità” Karl si avvicinò al fratello porgendogli un boccale colmo di liquido ambrato “Allora, a chi tocca il prossimo ballo?” “Non guardare me, ho passato l'ultima ora a danzare con la contessa Sandström solo perché mia moglie era in debito con lei” “Sono orgogliosa di te amore mio” sussurrò Helena stringendo la mano attorno al polso del marito “Sei una bugiarda e per punizione, ballerai con Hans questa danza” “La consideri punizione? È piuttosto bravo a danzare” “Vero” esclamò divertito l'altro porgendole la mano “Sono così bravo che le dame faticano a starmi dietro” “Questo non è un valzer” “E tu non sei una dama” Karl rise seguito dal fratello “Sei pronta?” “E tu?” le dita si intrecciarono assieme e i corpi si mossero all'unisono sotto lo sguardo attento di Nils e di una giovane donna spaventata e in lacrime che si nascondeva nell'angolo più scuro della sala.




 

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Capitolo 34
*** Nel cuore della Notte ***




                              Nel cuore della Notte





Si era svegliata all'improvviso disturbata dai colpi  sulla porta, si alzò appena dal cuscino confusa da tutto quel trambusto.
Inga le aveva spedite a riposare all'alba, avevano solo poche ore di meritata quiete ma Corinne continuava ad urlare.
Si alzò dal letto sbuffando “Che c'è?” domandò irritata spalancando la porta “Esci, presto!” “Cosa?” “Muoviti Elise” esclamò l'altra afferrandola per un polso “Andiamo, dobbiamo correre e ...” “Vuoi dirmi che succede?” ma Corinne non rispose.
Era pallida in volto e negli occhi c'era un velo d'ansia che non riconosceva.
Vestita di tutto punto come se d'improvviso dovesse accompagnare la duchessa o il duca in una passeggiata, non era nemmeno sorto il sole e quella giovane era già pronta e perfetta  “Vuoi dirmi cos'è accaduto?” “Non me le dicono certe cose Elise! Ci vogliono tutti nel salone al primo piano” annuì appena confusa da quel tremito leggero che percepiva nella voce della ragazza.
Ci mise pochi minuti ad infilare di nuovo la divisa, sollevò i capelli cercando di renderli simile a qualcosa di ordinato e pulito e senza più pensare a niente uscì dalla camera.
Camminare per i corridoi ancora bui a quell'ora di notte era tutto sommato rilassante.
C'erano enormi dipinti che si alternavano ad intrecci di tende e candelabri spenti, niente via vai di persone, niente di niente.
Ogni passo nel silenzio rimbombava così come i pensieri che ora le giravano in testa..
Socchiuse gli occhi fermandosi di colpo in mezzo al corridoio.
Sentiva sospiri, tremiti leggeri che muovevano il tessuto pesante di una tenda  costringendolo ad oscillare “C'è qualcuno?” domandò avvicinandosi di un passo, strinse il tessuto tra le dita scostandolo appena.
Una ragazza se ne stava rannicchiata tra le pieghe del velluto, aveva i capelli in disordine, il volto pallido e uno strano sorriso sulle labbra “Marie?” domandò stupita  sollevandole il volto “Che stai ...” “Non dovrei essere qui, non dovrei essere qui Elise!” “No, no tu dovresti essere a dormire o almeno a fingere di dormire. È accaduto qualcosa, Inga è arrabbiata, molto arrabbiata. Le senti le urla?” “Lei ricorda!” “Chi?” domandò inginocchiandosi accanto a lei “Lei ricorda!” “Se stai parlando della duchessa, di quell'abbraccio insignificante ti prego smettila” “No!” esclamò l'altra afferrandole un polso con la mano sinistra “Lei ricorda tutto! Ricorda il passato, ricorda … ricorda ogni cosa e ora io …” “Te l'ha detto?” “L'ho letto nei suoi occhi! Era di fronte a me, sorrideva ma l'ho visto, era nascosto in quel sorriso, in quell'indifferenza” ma lo sguardo di Elise si spostò di colpo su qualcosa, qualcuno che sperava con tutto il cuore non fosse reale.
Sfiorò il collo della ragazza spostando il mantello con le dita “Sei impazzita?” domandò tremante  “Si prenderà Andrè, si prenderà ogni sua attenzione e lo costringerà a soffrire e io ho ...” “Hai portato via suo figlio!” esclamò cercando di non urlare.
C'era un piccolo bambino adagiato sul petto di Marie, lo teneva stretto a sé nascondendolo.
Dormiva, sognava, incurante del caos che gli regnava attorno continuava a perdersi in un mondo di favole “Ma come … hai rapito suo figlio!” ma l'altra rise stringendo più forte il piccolo, era nervosa, sfinita, incapace perfino di ragionare.
Elise chiuse gli occhi stringendosi la testa tra le mani, pregava con tutto il cuore che quelle urla lontane restassero ben oltre il fragile confine della tenda.
Aveva bisogno di un attimo, soltanto un attimo per riflettere, per trovare un modo anche sciocco di salvare la vita ad entrambe “Lei ricorda l'amore che provava e se Andrè, se lui la vedesse ora capirebbe. Non posso dare a mio marito il passato che ha perso ma posso … posso regalargli un pezzo di quel ricordo, posso ...” “Forse non ti è chiaro quello che accadrà” esclamò gelida afferrandola per le spalle “Se il granduca ti trova con suo figlio tra le braccia, la morte sarà l'unica cosa che vedrai! Dobbiamo riportare il piccolo nella culla senza farci vedere da nessuno ...” tornò a fissare il vuoto cercando di ragionare “ … già, come facciamo a tornare nelle stanze della duchessa senza passare per le stanze della duchessa?” “Non ci torniamo” “Cosa?” “Torniamo a casa” “D'accordo, sai cosa facciamo? Io fingo di non aver sentito niente, lasciamo il bambino in mezzo al corridoio e tu scappi via, il più in fretta possibile” la strinse per un polso costringendola ad alzarsi “Torni verso Örebro e mi aspetti alla locanda di quella gentile signora” “E cosa cambierà?” domandò terrorizzata Marie.
Il bambino si mosse appena stringendo una manina attorno al tessuto leggero della camicia, lo sguardo dell'amica si fuse al suo e una risata leggera uscì dalle labbra costringendola a sospirare “Ti prego dimmi che questo è solo un brutto sogno” “Lo scopriranno Elise e io non ...” “Sei una bambina Marie! Una bambina sciocca e capricciosa! Come ti è venuto in mente?” domandò ironica “Credi che scappare da qui ci tenga al sicuro? Entro pochi minuti tutta la Svezia sarà messa a ferro e fuoco! Come usciremo dal paese? Come faremo con … è sbagliato Marie, è tutto sbagliato!” “No che non lo è!” “E a lui non ci pensi!” sussurrò irritata indicando il piccolo “Vuoi tornare a casa, vuoi scappare dalla Svezia trascinando con te un bambino che non ti appartiene! Strappi dalle braccia di una madre la propria creatura!” “Lei porterà via Andrè dalle mie!” “Smettila con queste sciocchezze! È una donna sposata, ha un figlio, per quale motivo vorrebbe passare il resto della sua vita con un allevatore di cavalli per giunta maritato!” “Lei ha ...” uno schiaffo risuonò nell'aria interrompendo per pochi attimi la frenesia delle parole “Se rispondi di nuovo Marie, giuro su quanto ho di più caro al mondo che ti do un altro schiaffo e un altro e un altro ancora!” l'altra annuì asciugando le lacrime che insolenti scorrevano sulle guance.
Dovevano uscire da lì e dovevano farlo il più presto possibile.
Il granduca non avrebbe di certo aspettato, se le avesse trovate con quel bambino tra le braccia la morte sarebbe stata la loro unica amica.
Già, ma come potevano uscire dal castello senza attirare l'attenzione di nessuno? Un respiro, un altro ancora nel tentativo folle di calmare i battiti del cuore “D'accordo” sussurrò tremante “Usciremo da qui e lasceremo il bambino in qualche locanda, scapperemo via cercando rifugio, forse in Norvegia ...” coprì il Niklas con il mantello della ragazza cercando di soffocare la rabbia e le urla “ … magari lì non ci staccano la testa se scoprono questa follia” “Elise tu non puoi … se ...” “Smettila di parlare a tratti, sembri ancora più sciocca e lo sei già abbastanza così” scostò la tenda guardandosi attorno.
C'erano uomini e donne che correvano avanti e indietro per l'antro scuro alla fine del corridoio, si sentivano le urla del duca sovrastare ogni altra cosa, la sua rabbia, il dolore di una madre che impregnava perfino i muri.
Era impazzita, doveva esserlo altrimenti per quale altro futile motivo Marie l'avrebbe fatto? Comprendeva le sue paure, aveva passato giorni tentando di dissolverle ma non giustificava nemmeno per un secondo quello che stava facendo.
Strappare un bambino dalla propria madre solo per dispetto era orrendo, un crimine che meritava di essere punito con la morte e forse, se fosse stata ancora la ragazza egoista e indifferente di prima probabilmente avrebbe abbandonato l'amica al proprio destino.
Ora quella ragazza non c'era più, al suo posto esisteva una giovane che stava imparando lentamente il valore della vita, dell'amicizia.
L'avrebbe aiutata a scappare da lì ma non avrebbe mai permesso che quel bambino pagasse per i peccati di qualcun'altro.
“Sta dormendo?” Marie annuì stringendo più forte a sé il corpicino addormentato “Corinne sta raggruppando tutta la servitù ma se ci muoviamo ...” prese per mano l'amica costringendola a muovere un passo “ … forse riusciamo a raggiungere le cucine” “Elise ...” “Non ringraziarmi, se potessi ti ucciderei Marie e se non lo faccio, è solo perché ho un briciolo di rispetto per la vita” le dita si intrecciarono più forte le une alle altre mentre si muovevano come ladre per quei corridoi pieni di rabbia.

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Capitolo 35
*** Datemi un Ordine ***


                                                       Datemi un Ordine







Avevano corso come ladre impaurite tutta la notte, erano stanche, affamate.
L'alba nasceva lenta portando con sé deboli raggi di sole che non avevano il dolce e tiepido tocco di Parigi.
Sospirò appoggiando la schiena contro il muro, quel capanno abbandonato nel bel mezzo del bosco era l'unico rifugio che erano riuscite a trovare.
Ricordava quel posto, ci erano passate a cavallo qualche giorno prima ma non ci aveva fatto molto caso, dopotutto, chi spera di passare la notte in un posto così? Sfiorò con lo sguardo il bambino addormentato e quel braccio candido leggermente stretto attorno a lui “Non durerà per sempre sai?” Marie aprì gli occhi sospirando “Non dormirà più e inizierà a piangere, cercherà sua madre e il calore del suo seno” “Troveremo una balia” “Marie ...” la giovane chiuse gli occhi stringendo più forte il piccolo a sé “ … questo bambino non ti appartiene, non è tuo figlio” “Lui non è di nessuno” ma Elise rise “Non l'hai portato in grembo, non hai sentito il suo pianto né hai impresso nel cuore il suo odore!Questo bambino ha un padre e una madre e ora per colpa tua, non usciremo vive dalla Svezia anzi, non riusciremo nemmeno ad uscire da questa foresta” “Io non … non so perché l'ho fatto” “No? Fantastico” sussurrò l'altra stringendosi la testa tra le mani “Marie, ricordi cosa ci disse quella vecchina strana?” “Gissa?” domandò confusa cercando di nuovo il suo sguardo “Non svegliate quel gelo, non giocate con la donna che è diventata perché non c'è pietà in lei. E tu che hai fatto?” “Mi dispiace” “Le scuse non ci salveranno la vita. Lasceremo il bambino in una locanda e diremo di averlo trovato da qualche parte in mezzo al bosco” “Ma se ...” “No zitta!” esclamò Elise portandosi un dito alle labbra “Non hai più diritto di parola né puoi sognarti di prendere decisioni. Non porto questo bambino in Francia né lo separo dall'amore di sua madre chiaro?” ma l'altra non rispose.
Sdraiata su quel materasso lercio seguiva con un dito i lineamenti del piccolo mentre un sorriso leggero le colorava le labbra.
Era quella la dolcezza? Dormire abbracciata ad un bambino, sentire le sue manine muoversi nel sonno aggrappandosi al seno? Era arrabbiata con sé stessa, sapeva di aver sbagliato ma ora in quell'errore, non riusciva a vedere più niente di male.
Aveva un bambino tra le braccia e forse, se Andrè lo avesse visto se ne sarebbe innamorato cancellando per sempre il ricordo di lei.






“Vieni avanti” l'uomo si avvicinò fermandosi a pochi passi da lui, nella penombra poteva distinguerne il volto pallido e appuntito, la corporatura grossa, le spalle muscolose.
Un tiepido raggio di sole gli sfiorò il volto rivelando un orrenda cicatrice che ne percorreva tutta la lunghezza, vestiva abiti scuri e un manto verde che copriva la lama di una spada appuntita “Sai perché sei stato convocato?” “Altezza reale, è mio compito sapere le cose” “Posso fidarmi?” “Datemi un ordine” “Riporta qui mio figlio e le due ladre che si sono arrogate il diritto di strapparlo dalle braccia di sua madre!” “Vive?” per qualche secondo un'ombra di pietà sfiorò lo sguardo di Nils, pochi secondi cancellati dal pianto di sua moglie, dal suo dolore e dalla sua rabbia.
Fece un bel respiro stringendo più forte le mani attorno ai braccioli della sedia “Non mi importa. Puoi divertirti con loro, usarle, per quanto mi riguarda puoi anche venderle come schiave basta che mio figlio torni a casa!” la governante entrò silenziosa fermandosi alle spalle del suo signore “Sono loro?” “Si vostra grazia, mancano due serve e un mezzadro ha visto due giovani correre verso il sentiero che va a nord” lo sguardo tornò a cercare quello dell'uomo “Voglio poter guardare mia moglie negli occhi e dirle che il nostro bambino è sano e salvo, che sta bene e che presto lo rivedrà sorridere” eccolo lì l'uomo freddo e spietato di sempre.
Per anni avevano vissuto nel terrore che quel gelo potesse esplodere di nuovo. La duchessa era riuscita a mitigare il freddo vento di rabbia che gli batteva in petto, con il fuoco del suo cuore l'aveva salvato ma erano bastate due sciocche idiote a distruggere di nuovo tutto.
Il bambino che Inga aveva cresciuto fin da tenera età, ora era un uomo arrabbiato, spaventato, un padre a cui avevano strappato la propria creatura e che terrorizzato, aveva stretto tra le braccia il corpo tremante di sua moglie soffocandone le urla “Fai quello che devi e fallo in fretta! Non mi importa il prezzo, sono pronto a ricoprirti d'oro ma fino a quando Niklas non tornerà a casa, nessuno in Svezia dormirà tranquillo. Portami quelle due legate mani e piedi!” l'altro sorrise chinando leggermente il capo.
François entrò seguito da un uomo in divisa, un giovane con occhi verdi come il mare e due spalle larghe e forti.
Camminava lentamente guardandosi attorno intimorito, forse perfino confuso dalla presenza di quell'uomo che di nobile non aveva proprio nulla.
Un uomo che più volte aveva visto nei bassifondi delle città, che si dilettava con armi e assassinii e che ora, lo osservava spavaldo al cospetto del duca “Ecco qui il responsabile della sicurezza che il colonnello aveva assegnato alle stanze di mio figlio” “Se vostra grazia mi permette di parlare liberamente io ...” “Spiegami com'è accaduto. Come ha fatto un infante di pochi mesi appena a dileguarsi nel nulla” esclamò Nils alzandosi di scatto “Com'è accaduto!” “Io non so … non ero in servizio signor duca e quando ho preso il posto assegnato tutto era in ordine” “Non ero in servizio?” ripeté ironico, l'uomo con la cicatrice sorrise fermandosi a qualche passo dalle spalle del soldato “Questa non è una scusa!” “Ve ne prego altezza, chiedete al mio superiore, il colonnello sarà pronto a spiegarvi ogni cosa” “Se hai tanta voglia di sentirlo parlare allora recati nelle profondità del lago! Non ci troverai un' accorata difesa ma la sua testa certamente” il giovane deglutì stringendo la mano attorno al bavero della giacca “Hai commesso un'errore, lo stato di grazia in cui vivi è dono del re e mio cugino al momento non è incline a sopportare un torto tanto grande!” urlò avvicinandosi a lui “ Hai perso mio figlio e ora ...” Inga scosse leggermente la testa sospirando “ … perderai anche la vita!” una lama trapassò da parte a parte il cuore del giovane senza nemmeno dargli il tempo di reagire.
Il sangue schizzò sui vestiti del duca sciogliendosi poi in rivoli rubino sul pavimento “Questa è la fine che meritano i traditori” sussurrò Nils accostandosi all'orecchio del poveretto “La fine che merita chi mette in pericolo la mia famiglia” il sicario rise sfilando la spada, il corpo cadde al suolo contorcendosi “Li voglio tutti Ulek! Chi ha tradito, chi ha sfiorato il mio bambino, quelle ladre fin anche le loro famiglie!” “Come vostra grazia ordina” mormorò l'altro asciugando la lama.
Un debolissimo cenno per congedarlo poi gli occhi di François davanti al volto “Respira” “Sto respirando” “No non è vero. Stai permettendo alla rabbia di prendere il sopravvento” “Mio figlio! Hanno preso mio figlio non un bambino qualsiasi!” le mani dell'uomo si strinsero attorno alle spalle costringendolo a rallentare “Ora ti cambi, raggiungi tua moglie e assieme a lei ti prendi un momento per riposare” “L'hai vista? Pensi davvero che riposerà?” “No hai ragione” mormorò l'altro “Nessuno riposerà più in questo paese finché non avremo trovato nostro figlio” “Ora vai, a questo disastro ci penso io” un debole si uscì dalle labbra del duca poi solo il buio dei pensieri e niente di più.

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Capitolo 36
*** Giuramento ***


                         
                                                                             Giuramento 







La luce del sole filtrava attraverso gli alberi illuminando il sentiero nel bosco.
Quella luce dorata donava a tutto un aspetto diverso, forse perfino incantato ma a lei non importava.
Le gambe strette con forza attorno ai fianchi del cavallo, lo sguardo gelido come quel cielo cristallino che sopra le loro teste rideva arrogante, conosceva a memoria ogni anfratto, ogni radice, ogni buco nel terreno.
Sentiva l'aria fredda sul viso, il rumore degli zoccoli e il respiro accelerato di suo marito.
Le cavalcava accanto come una furia incurante del freddo o dell'ora.
Sulle loro teste tra gli alberi addormentati un falco volava agile evitando le fronde.
Portatore di speranza era arrivato al castello alle prime luci dell'alba, recava un messaggio da parte di Ulek: abbandonato nel cuore della foresta appena prima di Trollhättan, vi era un capanno e tracce fresche che sulla neve si allontanavano, due cavalli fprse e sciocche serve che correvano veloci verso sud.
Aveva passato la notte sveglia a fissare le stelle, a chiedersi se suo figlio fosse al sicuro, se avesse paura o se piangendo, cercasse nel buio la sua mamma ma ora, l'unico terrore che le albergava nel cuore, era veder partire il suo amato bambino oltre il confine sicuro di casa.
In lontananza il profilo tremolante di una casetta di legno fece capolino tra i cespugli e i tronchi.
Tirarono di colpo le redini arrestando la corsa dei cavalli a a pochi metri da quella costruzione ammuffita.
Portavano con loro otto uomini, soldati per lo più ma assieme a loro, erano nascosti gli uomini di Ulek fedeli alla corona, fedeli a suo marito. Mercenari e sicari, gente nata tra il popolo che avevano ricevuto dal duca una grazia, la vita salva o aiuti per le loro famiglie.
A suo marito non importava la razza né l'aspetto di una persona, rifuggiva l'arroganza e il rifiuto della legge e aveva posto dei vincoli a quella fedeltà.
Nessuno di loro aveva il permesso di compiere ogni tipo di malaffare, durante quegli anni non vi era stato un solo assassinio, un furto o un litigio ma ora, perfino quegli uomini sembravano angeli mandati dal cielo e il rapimento di suo figlio valeva pure il sangue di due stupide.
Suo cugino aveva avvallato ogni sua richiesta lasciando campo libero ad ogni sua decisione.
Erano cresciuti assieme come fratelli, non si sarebbe aspettato niente di diverso da Gustavo ma sapeva bene che se non fossero riusciti a trovare Niklas entro pochi giorni, allora il re avrebbe sciolto l'esercito e imposto al proprio popolo il terrore. Nessuno avrebbe più dormito in pace, nessuno avrebbe più amato il sovrano.
Scese svelto da cavallo lasciando le redini tra le mani di Helena.
Si avvicinò al capanno e ad un giovane di bell'aspetto che sembrava aspettarlo.
Se ne stava appoggiato al tronco di un grosso albero, giocherellava con un pugnale e di tanto in tanto il suo sguardo correva veloce al volto dei compagni “Ulek?” “Altezza reale” mormorò l'altro “Il mio nome è Ansgar, sono il fratello minore di Ulek” aveva un bel volto, giovane e fresco, diverso da quello del fratello ma c'erano gli stessi occhi ad accomunarli “Che notizie portate?” “Tracce fresche nella neve” riprese l'altro “Si dirigono verso sud” “Le avete viste?” ma Ansgar non rispose.
Il suo sguardo era lontano, attratto dalla giovane che alle spalle del duca li osservava nervosa.
Avrebbe potuto mascherare il volto, celare quel corpo dietro a vesti da uomo e avrebbe capito lo stesso che c'era una donna sotto quegli abiti, gli stessi che indossava il duca.
Diversi per taglio e forma certo ma brillavano colori uguali su entrambi e segni di regalità che splendevano evidenti nelle spille d'argento e oro e in quello stemma agganciato sul fianco sinistro.
Il suo volto era di perla, i suoi occhi come il cielo.
Il cappuccio nascondeva in parte l'oro dei suoi capelli ma il fuoco che le bruciava dentro, quello era visibile ovunque attorno a lei così come lo era il gelo del suo cuore.
Accarezzava il muso del cavallo senza timore alcuno di sfidare un uomo con quegli occhi irriverenti, con quello sguardo puro e limpido che aveva sempre immaginato sul volto di Frejia “Perdonatemi altezza reale, non credevo ci fosse una donna con voi e ...” “Mia moglie” esclamò Nils “Oh … vi chiedo scusa signore, non era mia intenzione recarvi offesa” Helena si avvicinò al marito stringendo la mano attorno al suo braccio “Siete al cospetto della granduchessa e come tale, pretende il rispetto a lei dovuto sono stato chiaro?” Ansgar annuì esibendosi in un profondo inchino “Perdonatemi vostra grazia, mai avrei pensato che una duchessa potesse apparire davanti ai miei occhi in tali vesti” “Perché una donna è solo una piccola gemma indifesa non è così?” ribatté infastidita, Nils sorrise intrecciando le dita alle sue “Avete trovato quelle donne?” “No signora, ma nel pascolo poco più avanti Mongvar ha scovato due uomini e due donne” “Pastori?” “Con ogni probabilità” uno dei due ragazzi seduti poco distante si alzò tossicchiando appena “Non hanno visto né sentito nulla. Dicono che perfino le loro capre non si sono accorte di niente eppure due dei loro cavalli sono spariti, continuano a ripetere di non sapere” lo sguardo di Nils si fece più profondo costringendo l'altro a continuare “Cosa alquanto strana signor duca perché vedete, nel retro del loro squallido rifugio vi erano tracce goffamente cancellate da mani inesperte e nella neve, tra gli aghi di pino abbiamo trovato questo” la giovane trasalì mentre quel piccolo sonaglio usciva tintinnando dalla tasca dell'uomo.
“Lo riconoscete vostra grazia?” “Si” mormorò tremante sfiorando con le dita il ninnolo “È stato un regalo di mio padre” sentì la mano di suo marito stringersi con forza attorno alla propria.
Si sentiva male, confusa, arrabbiata, voleva urlare a l'avrebbe fatto ma la presenza di Nils accanto a sé le restituiva un briciolo di lucidità costringendola a respirare “Probabilmente una delle due è più furba dell'altra ma non abbastanza per confondere Ulek” “Lui dov'è?” domandò gelido il duca piantando gli occhi sul volto del giovane “È diretto a sud vostra grazia, segue la corsa delle vostre serve” “Non sono nostre, non ci appartengono, per quanto mi riguarda possono raggiungere Hel in pace!” Helena annuì appena sostenendo con forza le parole del marito.
La mano stretta con forza attorno al sonaglietto del figlio e gli occhi inchiodati al volto di Ansgar “Mio fratello mi ha dato ordini precisi signore” la mano del giovane scomparve qualche secondo sotto il mantello e un bel sorriso invase gli occhi “Tracce fresche sono apparse magicamente dopo l'incontro con i pastori” sfilò un pugnale dalla lama insanguinata sollevandolo a poca distanza dal volto di Nils “Le loro anime ora sono tra le braccia di Hel” “Così come lo saranno tutte quelle dei traditori” esclamò gelida Helena, il giovinetto chinò appena il capo incantato da quella forza che mai aveva trovato in una donna “Mio fratello vi prega di seguirmi, vi condurrò da lui ma il sole scenderà a breve e ...” sollevò qualche secondo gli occhi al cielo fischiando.
Un sibilo leggero riempì le orecchie, il falco scese veloce aggrappandosi al braccio di Ansgar “ … non appena Vedhrofölnir avrà raggiunto Ulek partiremo” legò alla zampa dell'uccello una piccolissima pergamena abilmente legata e congedandosi si allontanò di qualche passo lasciandoli soli.
“Lo troveremo amore mio” “C'è freddo, troppo freddo per un bambino così piccolo” la strinse a sé nascondendola dalla paura “Saprà cavarsela bene Helena, è nostro figlio, è coraggioso e testardo” la sentì ridere, un bacio delicato sulla fronte prima di cercare in quel mare cristallino la donna forte che aveva sposato, la stessa che riusciva a sopportare il peso massacrante della solitudine per mesi interi senza mai cedere.
Aveva il volto arrossato e gli occhi lucidi. Tremava ma non era il freddo a scuotere il corpo esile.
Forse non comprendeva il suo dolore fino in fondo e nemmeno ci provava perché il dolore di una madre, non può essere compreso né accettato.
Ogni sua decisione, ogni sguardo, ogni movimento, tutto di lei era impregnato di rabbia, perfino quel sorriso tanto bello e lui di certo non le avrebbe impedito nulla perché quello che lei provava, era lo stesso sentimento che ad ogni respiro gli bruciava nel cuore “Li avrò tutti amore mio ...” intrecciò le dita alle sue nascondendo il sonaglio “ … avrò le loro teste e fosse l'ultima cosa che faccio su questo mondo meschino, ti giuro che le punirò” “Lo so” sussurrò Helena cercando i suoi occhi, una lacrima scivolò via costringendolo a sospirare “Riesco a sentirlo Nils, ha paura, sta piangendo e non siamo assieme a lui” “Si invece, siamo con Nicke ogni minuto di ogni ora. Te l'ho detto Helena, è un bimbo forte e sarà coraggioso fino a quando non lo ritroveremo” “Non mi importa perché l'abbiano fatto, non mi importa conoscerne le ragione , voglio vedere le loro lacrime” “E allora angelo mio ...” le sollevò il volto costringendola a respirare “ … io ti giuro che avrai le loro lacrime” una folata di vento improvviso mosse di colpo i rami, cumuli di neve caddero al suolo ma i loro sguardi non si mossero.
Legati l'uno all'altro diventavano improvvisamente fiumi di parole, frasi sussurrate che non avevano bisogno della voce per essere svelate e che solo loro due erano in grado di comprendere.




“Non riesco a farlo smettere” mormorò terrorizzata Marie cullando il piccolo “Che ti avevo detto?” sbottò irritata Elise smontando dal carro “Vi ringrazio per averci portate fino a qui” ma l'uomo non rispose, si limitò ad annuire muovendo leggermente le redini.
Il carro si allontanò e anche la curiosità di quel boscaiolo forse un po' troppo invadente, il pianto incessante di quella povera creatura non aveva smesso nemmeno per un attimo e i pensieri diventavano ogni secondo più intricati “Mi hai fatto rubare del latte Marie! Ho munto una capra come una ladra e non è servito! Ho rubato dei cavalli e non è servito!” “Come si calmano?” “Non ho figli, non devi chiedermelo!” la tirò in avanti verso la porticina scura della locanda.
Il caldo tepore che le accolse fu il benvenuto più bello di quei due giorni pieni di gelo “Välkommen” “Cosa?” “Oh, siete francesi!” esclamò l'oste battendo le mani “Benvenute allora!” “Grazie” mormorò guardinga Marie “E benvenuto anche a questo piccolo arrabbiato” “Cosa vi fa pensare che lo sia?” “Beh, se avessi fame e nessuno mi ascoltasse lo sarei anche io” “A questo proposito ...” iniziò Elise togliendo i guanti “ … non conoscete per caso una balia?” “No, l'unica è mia figlia ma è a servizio nella casa del conte Maldäk però ...” lo sguardo dell'uomo si fece più allegro, uscì da dietro al suo bancone avvicinandosi a Marie “ … se non puoi allattare il tuo bambino ho una capra” “Una capra?” “Sempre meglio che niente” sussurrò Elise massaggiandosi il collo “Vivianne, porta un po' di latte” “Subito padrone” mormorò una giovane uscendo da una porticina minuscola.
“Allora, cosa vi porta da queste parti?” lo sguardo di Marie corse al volto dell'amica, la vide sospirare, mordersi leggermente le labbra nel tentativo di trovare una scusa quanto meno plausibile “Dobbiamo raggiungere la Norvegia e ...” “Siete molto distanti giovani viaggiatrici. Il confine è a molti giorni di cammino da qui” “Abbiamo solo bisogno di un riparo caldo per questa notte” mormorò Marie cercando di calmare il pianto del bambino “Viaggiare in inverno con un bambino così piccolo!” esclamò stupito l'altro “ Tra qualche giorno Sòl porterà il suo carro sotto l'orizzonte e non avremo luce per mesi” “Chi?” domandarono confuse ma l'oste rise.
Fece un bel respiro e divertito da quella domanda innocente, iniziò il suo racconto ignorando le urla del bambino “Un uomo che si chiamava Mundilfœri ebbe due figli. Essi erano così belli e gentili che egli chiamò suo figlio Máni e sua figlia Sól e diede questa in sposa a quell'uomo che si chiamava Glenr. Ma gli dèi si adirarono per questa insolenza, presero i due fratelli e li posero in cielo, costringendo Sól a cavalcare i cavalli che tirano il carro del sole” Elise socchiuse gli occhi cercando di capirci qualcosa “E che fine ha fatto suo fratello?” “Màni dirige la luna mie giovani viaggiatrici ma tra pochi giorni, Sòl lascerà il manto chiaro del cielo concedendo alla notte mesi di sovranità” “A questo non ci avevamo pensato” sussurrò Elise stringendosi la testa tra le mani “Alle leggende sulla luna?” “Al buio Marie!” “Ho una stanza sola” “Non importa, la dividiamo” “Aspetta un secondo ...” esclamò l'altra cercando gli occhi dell'oste “ … come mai non ci guardi con distacco?” “Cosa?” “Sei impazzita?” “Ogni volta che parliamo le persone qui ci guardano male Marie! È come se fossimo appestate e lui improvvisamente è affabile e prodigo di attenzioni” “Sono un locandiere, se fossi antipatico probabilmente nessuno entrerebbe nella mia locanda e poi ...” le fece l'occhiolino ridendo “ … ho altri ospiti francesi” “Davvero?” “Due giovani arrivati qui questa mattina” Vivianne rientrò reggendo un bel boccale colmo di latte tiepido “Ecco qui, avete qualcosa per darlo al bambino?” “Si è solo … può dirci quale camera è nostra?” “Al piano di sopra, la prima a sinistra” Elise prese il boccale seguendo l'amica lungo il corridoio.
La porta chiusa alle loro spalle e quel letto morbido per giorni tanto desiderato furono le uniche cose che riuscirono a vedere “Spiegami perché abbiamo dovuto abbandonare i cavalli” “Non possiamo viaggiare con un bambino così piccolo” “Lo lasceremo qui il bambino così piccolo” sbottò gelida Elise togliendo il mantello “Ma tu non ...” “Oh non temere, si prenderanno buona cura di lui e il duca non ucciderà mezzo popolo per trovare suo figlio!” Marie sospirò adagiando Niklas sul letto “Non può essere tanto cattivo, lei non lo permetterà” “Non credo sia lui il lupo cattivo dal quale dovremo proteggerci” ma lei sorrise continuando a spiare il piccolo.
Si muoveva nervoso strofinandosi il volto con le manine, grosse lacrime scendevano sulle guance arrossate e a nulla valevano le carezze “Dovremo togliergli questi abiti. Sono ricchi ed eleganti” “Ma sono anche caldi ed è l'unica cosa che abbiamo per lui” “E cosa penserà l'oste quando alzandosi al mattino, troverà tra le coperte del letto un piccolo principino addormentato?” “D'accordo” sussurrò Marie infilando di nuovo il mantello “Occupati di lui, io vado a fare un giro per il paese, forse riesco a trovare abiti caldi” “Sei impazzita per caso?” ribatté confusa Elise sollevando il piccolo “Torno subito” “No, aspetta un attimo ...” mormorò l'altra alzandosi, stringeva Niklas tra le mani tenendolo ben distante da sé “ … non mi piacciono i bambini, piangono e urlano e poi piangono di nuovo” “Devi solo dargli il latte, mi hai visto ieri notte no?” “Quando io rubavo il cibo per lui?” ma lei non rispose, si limitò a ridere lasciando la stanza.
Forse nemmeno si rendeva conto della gravità di quel gesto. L'aveva fatto inconsciamente e da qualche parte in fondo al cuore lo sapeva, sapeva di aver sbagliato e la parte più razionale di sé continuava ad urlare: fermati, lascia il bambino e torna a casa.
Ma c'era quest'altra voce nella testa, più debole, delicata quasi un sussurro ma sempre presente. Si insinuava nei sogni, tra le parole, le mostrava quanto amore era in grado di regalare un bambino così piccolo, le mostrava un futuro che non meritava, non così almeno ma più restava assieme al bambino e più quella voce diventava insistente.
Scese le scale di corsa senza nemmeno accorgersi dell'uomo che sul pianerottolo iniziava a salire, lo travolse finendo tra le sue braccia “Mi scusi … non era mi intenzione davvero, mi dispiace e ...” “Marie?” “Cosa?” alzò lo sguardo incontrando il volto incredulo di suo marito “Tu cosa … sei qui?” ma l'altro non rispose.
La strinse così forte tra le braccia togliendole “Ti ho cercata per settimane, credevo di non riuscire più a trovarti e ora sei qui e ...” “Perché?” domandò confusa staccandosi da lui “Cosa?” “Perché sei qui? Per me?” “E per chi altri?” la vide sorridere indecisa poi quel bacio delicato che conosceva bene.
La risata dell'oste li costrinse a sussultare “Oh perdonatemi, non era mia intenzione spaventarvi” “No è solo … ho ritrovato mia moglie dopo tanto tempo e non so nemmeno io come gestire la gioia che mi esplode nel petto” “E così voi siete la sposa tanto cercata” “Io?” domandò incredula Marie “Vostro marito mi ha parlato molto di voi, sta viaggiando da settimane per riuscire a trovarvi, ho perfino pensato che fosse pazzo ad affrontare il gelo per una donna ma ora ...” lo sguardo si posò sul volto di Andrè costringendolo a ridere “ … capisco cosa vi ha spinto tanto lontano da casa. La vostra sposa è davvero graziosa” “Lo so” asserì orgoglioso sfiorandole il volto ma la domanda dell'oste arrivò come un macigno tra loro “Come avete chiamato vostro figlio?” guardò confuso Marie cercando risposte ma i suoi occhi erano pieni di paura.
La prese per un polso tirandola leggermente verso di sé “Mio figlio?” l'omone rise dando una pacca sulla spalla di Andrè “Complimenti davvero, ora se volete scusarmi, ho delle cose da sbrigare” salì le scale costringendoli a cercare riparo contro il muro tiepido per evitare di cadere.
“Mio figlio?” ripeté afferrando la giovane per le spalle “Un bambino” “Di cosa stiamo parlando?” “Ho trovato un bambino amore mio. Passeggiavo per il bosco e l'ho trovato in mezzo alla neve, piangeva e …” “Hai trovato un bambino nella neve” “Già, ed è così piccolo. Non potevo lasciarlo lì, sarebbe morto e così l'ho preso con me” ma lui rise sfiorandole il volto “Perché ridi?” “Amore mio come puoi trovare un neonato tutto solo in mezzo alla neve?” “Beh, questo dovresti chiederlo ai genitori sconsiderati che l'hanno lasciato” mentiva, per l'ennesima volta stava mentendo ma era talmente convinta e legata a quella bugia da non riuscire più a districare il sogno dalla realtà.
Prese per mano suo marito tirandolo verso il piano superiore “Aspetta un attimo, Marie … non possiamo ...” “Dobbiamo portarlo con noi” “Con noi? E dove! Non puoi portare via un bambino dalla Svezia” “Non ha nessuno!” “Marie” spalancò la porta, Elise si voltò di colpo incontrando lo sguardo confuso di un uomo che fino ad ora, era rimasto solo ed esclusivamente fantasia.





“Avvertite sua maestà” “Si signore” “Hans” la mano si strinse attorno a quella del giovane regalando un attimo di tregua tra i pensieri “Com'è andato il tuo piccolo viaggio?” “Ho trovato quello che cercate signore” “Era ancora viva?” “Viva e piuttosto arzilla devo dire. Il mio generale la sta conducendo a palazzo in questo momento” “Molto bene” “Avete notizie di Helena?” il granduca sospirò passandosi una mano sul volto.
Giocava con i baffi lisciandoli come se ad ogni carezza un vecchio pensiero uscisse dalla mente lasciando più spazio a quelli successivi “Lei e mio figlio sono diventati mietitori di Hel” “Non riesco ancora a crederci” “E secondo voi io si?” ribatté irritato l'altro “Hanno portato via mio nipote nel cuore della notte. Gustavo è sul piede di guerra conte” “Chi è stato?” domandò confuso Fersen seguendolo lungo il corridoio “Due stupide ragazze francesi” “Francesi?” “Si suppone che essendo straniere, cercheranno in ogni modo di scappare verso la Francia ma il mare è ghiacciato e il clima troppo rigido per tentare di attraversare lo stretto. L'unica alternativa è trovare rifugio nei paesi più vicini al nostro” François si avvicinò a lui porgendogli una lettera “Quando è arrivata?” “Questa mattina signore” “Qualcuno scriva al generale Jarjayes. Ha diritto di sapere cosa sta accadendo a sua figlia” “La lettera tarderà ad arrivare signore, siete sicuro di volerlo spaventare così?” ma l'altro sospirò annuendo “Trovate voi le parole ma siate cauto nell'esprimere la nostra preoccupazione” François chinò il capo allontanandosi svelto.
C'era troppa confusione per quelle sale, militari, funzionari e alta nobiltà venuta a portare la loro vicinanza e il loro aiuto.
Pomposi manichini francesi che chiacchieravano tra loro fingendo rammarico o preoccupazione “In questo istante è in corso una riunione con l'ambasciatore francese. Il re chiede alla Francia di rifiutare, qualora le due fuggitive riescano ad uscire dalla Svezia, qualsiasi aiuto!” “Sono francesi signore, voi rifiuterete ad un figlio di Svezia protezione?” “Allora ho idea che i rapporti tra i nostri paesi cesseranno di colpo. Ve l'ho detto conte, mio nipote non è incline ad accettare sciocchi accordi fino a quando Niklas non sarà tornato a casa” “Il popolo è spaventato vostra grazia. Chiedono al cielo perdono per quelle due e protezione per sé stessi perché il sangue sta macchiando la candida neve di Svezia” “Non è stato portato via un bambino comune conte, un membro della famiglia reale è stato rapito, un piccolo indifeso che non meritava niente del genere. Il sangue macchierà la neve di Svezia fino a quando mio figlio e il re lo riterranno necessario. Lo conoscete bene, siete cresciuti assieme, se io ora gli dicessi che quello che fa è sbagliato passerei come un'ipocrita ai suoi occhi” inspirò a fondo portandosi le mani dietro alla schiena “Io gli ho insegnato che la famiglia è sacra, che l'amore di un padre verso suo figlio è simile all'amore di Dio. Gli ho insegnato a proteggere quanto di più caro ha al mondo con la forza e a reagire quando la tenerezza di quel mondo viene minacciato” si voltarono entrambi attirati dal rumore di passi, Victoria si avvicinò a loro sorridente e piena di luce.
Aveva abbandonato gli abiti eleganti e raffinati della granduchessa, indossava la divisa dell'esercito svedese, il manto che le copriva le spalle e il corpo era dolcemente agganciato sul seno.
Unico segno di nobiltà era quel diadema d'argento che le sollevava i capelli “Sei pronta donna?” “Tu che ne dici?” ribatté ironica “Altezza reale, perdonate la mia domanda ma ...” “Non spaventatevi conte, le vesti da guerriera spariranno presto. Ci sono questioni importanti da discutere e la sua presenza è necessaria altrimenti temo che nostro nipote scateni una guerra con la Francia” l'uomo sbuffò sistemandosi il colletto dell'abito “Guiderò io i suoi uomini sul confine Norvegese” “Voi?” “Conte ...” riprese l'altro ridendo “ … siete rimasto troppo a lungo immerso nelle frivole tradizioni francesi. Mia moglie è in grado di comandare come un uomo se necessario” “Il mio piccolo tesoro è perso là fuori chissà dove, c'è freddo, probabilmente è terrorizzato e sta piangendo ...” gli occhi di Victoria diventarono improvvisamente più profondi “ … non mi diverte certo apparire fredda o distaccata ma ho visto mio figlio piangere conte. L'ho sentito urlare, maledire il cielo, l'ho visto sorreggere sua moglie ripetendole parole dolci, ho viso un figlio che non è il mio” “Vostro figlio sta perdendo la testa altezza reale” “E credete che non lo sappia?” sfiorò la spalla di Fersen sospirando “Helena e Niklas sono l'unica cosa in grado di farlo sorridere. Loro gli ricordano che la vita non è fatta solo di affari e duelli, che si può anche respirare e amare. Quel bambino gli ha restituito la vita Hans, non era pronto ad un dolore tanto grande come non lo era Helena” la sua voce divenne improvvisamente più dolce.
C'era tenerezza nelle sue parole, la preoccupazione di una madre che ora si sentiva improvvisamente colpevole “Ricordate il suo arrivo qui?” Fersen annuì sorridendo “Era diffidente” “Lo è sempre stata mia signora. Lei ha sempre cercato il buono nelle persone dimenticando che non si può curare la falsità” Magnus socchiuse gli occhi studiando il volto del giovane “La conoscete bene non è così? Mio figlio mi ha raccontato il legame che vi unisce ad Helena” “Ho sempre pensato che fosse speciale. Una donna come poche a questo mondo, bella e leale, coraggiosa, piena di valori e rispetto. Quando è partita per la Svezia ricordo di aver visto per la prima volta sul suo volto la paura …” si fermò qualche secondo divertito dall'immagine di quel viso , di quel ricordo sfocato che lentamente assumeva fattezze umane “ … era combattuta, sapeva di fare la scelta giusta ma al tempo stesso, provava dolore nel lasciare suo padre” “Lo ricordo bene” mormorò Victoria “All'inizio ero contraria al matrimonio di mio figlio con una donna francese. Non che ci fosse qualcosa di male ad essere francese ma avevo altri piani per lui. Quando l'ho vista ...” Magnus annuì orgoglioso passando un braccio attorno alle spalle della moglie “ … ho compreso il motivo che aveva spinto mio figlio a chiedere lei in sposa. Helena è una bellezza rara che ha trovato la sua strada nel mondo. È diventata finalmente una donna, la stessa che ha convissuto con armi, divise e sogni infranti” “Avete ragione” un paggio si avvicinò interrompendo quella confidenza innocente.
Sussurrò qualcosa all'orecchio del granduca invitandolo a seguirlo “Siete a conoscenza della sua piccola bugia non è così?” Fersen annuì appena costringendola a sorridere “Ho una richiesta da farvi conte” “Ve ne prego altezza” “Portate un messaggio a mio figlio Max da parte mia. La rabbia che ora scorre nelle vene di Nils si porta via ogni razionale possibilità di successo” “Ha solo molta paura” “Lo so e lo comprendo, giustifico il suo comportamento perché una cosa del genere non dovrebbe mai provarla nessun'essere umano al mondo. Non sapere che fine abbia fatto il proprio figlio è una tortura e lo dico da madre conte. Raggiungerò il confine assieme al reggimento di mio marito e una volta là, scriverò a Cristiano chiedendo che il confide danese venga controllato” il granduca tornò accanto alla moglie borbottando qualcosa di incomprensibile “Tuo nipote è uno stolto!” “Perché quando fa qualcosa di irrazionale è mio nipote?” “Incosciente!” “Oh per l'amore del cielo Magnus” “Il mio generale ti aspetta donna” le diede un bacio leggero sulla guancia ridendo di quell'espressione a metà tra il rimprovero e la tenerezza “Che c'è?” “Non mangiare troppi dolci mentre sono via, so bene che il fornaio ti nasconde vassoi interi di leccornie” “Oh non essere sciocca donna” ma lei non rispose, agganciò la spada alla cinta e senza aggiungere una parola si allontanò lasciando Fersen confuso e ammirato “Quella donna mi fa diventare matto” “È molto coraggiosa” “Non avrei mai sposato una donna senza spina dorsale, i miei figli sono tutti forti e impavidi ed il merito è di mia moglie. È stata un'ottima madre e continua ad esserlo nonostante gli anni che passano ma ora venite conte, ho del lavoro per voi” gli diede una pacca sulla spalla costringendolo a seguire i suoi passi.
Se la guardia reale raggiungeva il confine allora per quelle giovani che si erano macchiate di un reato tanto grave, l'unica speranza era la morte perché se le avessero prese vive, allora la torture che le attendevano sarebbero state di gran lunga peggiori.

 

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Capitolo 37
*** Profezie ***


                                                                               Profezie







Non era certa di essere del tutto sveglia, c'era un uomo assieme a Marie, era alto e con due occhi verdi brillanti e pieni di vita ma l'espressione sul volto dell'amica non la rassicurava affatto.
Strinse più forte il bambino tra le braccia osservando confusa il volto di Andrè “Chi siete?” vide Marie sorridere stringendo la mano attorno a quella del giovane “L'ho trovato Elise, lui ha trovato me beh, diciamo che gli sono caduta tra le braccia mentre scendevo le scale e ora ...” “Vuoi spiegarmi cosa sta accadendo?” domandò confuso ma lei non rispose, lo tirò nella stanza chiudendo di colpo la porta.
Niklas sussultò voltandosi verso di loro, aveva ancora gli occhi arrossati e le labbra leggermente schiuse “Oh ti prego, sono appena riuscita a farlo smettere” “Scusa” “Non scherzavi” sussurrò Andrè avvicinandosi al letto “Hai trovato davvero un bambino” “Trovato?” “Elise ...” “Sei impazzita per caso?” domandò l'altra avvicinandosi all'amica “Mi è apparso davanti all'improvviso e quell'oste non ha smesso di parlare, che diavolo avrei dovuto dirgli?” “La verità!” “Ma davvero? E come!” “Così è lui tuo marito?” annuì appena osservando per qualche secondo i gesti del giovane.
Sorrideva al faccino assonnato del bambino sfiorandogli una manina, c'era nelle sue carezze tanta dolcezza, delicatezza nascosta in mani forti che riuscivano a toccare quel piccolo umano con una leggerezza meravigliosa “Signore ...” si voltò confuso verso Elise cercando nel suo sguardo qualche risposta “ … perdonatemi, c'è una cosa di cui dobbiamo parlare e ...” “Andrè” “Cosa?” “Chiamami Andrè, signore non è mai stato l'appellativo che preferisco” “D'accordo” fece un bel respiro cercando di trovare un modo logico per esporre quel caos impressionante.
Doveva spiegargli il pasticcio che sua moglie aveva combinato e doveva farlo il più in fretta possibile ma come? Come poteva dirgli che Marie aveva rapito il figlio di quella duchessa che ancora gli bruciava nel cuore? Chiuse gli occhi qualche secondo perdendosi nel suono del proprio respiro “Stai bene?” “Ecco vedi Andrè, questo bambino è ...” “È bellissimo” sussurrò sollevando il piccolo dal letto.
Lo stringeva tra le braccia studiando la perfezione dei suoi lineamenti, aveva i capelli scuri, gli occhi di ghiaccio ora così pieni di sonno.
Le sue labbra erano petali di rosa creati apposta dalla natura per quel volto minuto, lo sentì gorgogliare appena stringendo una manina attorno al suo dito “Come hai fatto a finire nella neve piccolino?” mosse leggermente le dita costringendolo a sorridere e per un attimo il cuore ebbe un sussulto.
Aveva già visto quel sorriso, quell'espressione divertita intaccata dalla stanchezza, per anni ne aveva spiato la bellezza ripetendosi che un giorno, quel sorriso tanto bello gli sarebbe appartenuto.
Si voltò verso Elise stringendolo più forte tra le braccia “Dove lo avete trovato?” “Ecco veramente non lo abbiamo proprio trovato, diciamo che ci è arrivato tra le braccia d'improvviso” “Marie!” gli occhi della giovane si mossero veloci incontrando quelli del marito “Dove hai trovato questo bambino!” “Nel bosco” “Nel bosco?” ripeté avvicinandosi a lei, Niklas si aggrappò alla camicia voltando il visetto verso di lei “Guardalo, è così piccolo amore mio, come potevo lasciarlo a morire di freddo?” Elise sospirò portandosi una mano alle labbra “Non possiamo lasciarlo solo, non ha nessuno” “Marie questo bambino è ...” “Può essere nostro se solo lo vuoi Andrè” “D'accordo ora basta” esclamò Elise afferrandola per un braccio “Basta!” “Lasciami” “Digli la verità oppure giuro su Dio che lo farò io” “Ma di cosa state ...” “Non vedi niente di strano in quel bambino?” Andrè rise sollevando il piccolo davanti al volto.
Quel sorriso era ancora lì, lo stesso che gli aveva scosso il cuore e che ora custodiva nella voce di Elise domande e tormenti “Dobbiamo lasciarlo qui, non possiamo portarlo con noi!” “Sentite ...” si voltò verso le ragazze sospirando “ … non ci capisco più niente quindi ora ...” tolse il mantello sedendo sul letto con Niklas tra le braccia “ … voi due mi spiegate cosa sta accadendo perché le frasi a metà e il panico nelle vostre voci non mi aiutano!” “Quest'idiota di tua moglie ha rapito il figlio di un nobile!” esclamò Elise tirando per un braccio la ragazza “Sta scherzando vero?” “Non l'ho rapito!” “No? E come lo chiami? Prestito? L'hai portato via nel cuore della notte sciocca che non sei altro! E io sono più sciocca di te perché ti ho aiutato a fuggire! Ma d'altronde, che altro avrei potuto fare? Restare a guardare mentre il duca ti frustava? Forse avrei potuto ...” rise camminando nervosa per la stanza “ … ci saremmo evitate un sacco di problemi e invece no! No io dovevo affezionarmi a te e aiutarti a fuggire!” “Che altro potevo fare? Te l'ho detto Elise, lei avrebbe ...” “Ora basta!” il bambino scoppiò a piangere spaventato dall'urlo improvviso che riempì la stanza “Hai rapito un bambino Marie?” “L'ho fatto per noi!” “Noi? Cosa ci vedi di buono per noi in tutto questo!” esclamò ma lei non rispose, si inginocchiò davanti a lui stringendo una mano attorno al suo polso “Non lo capisci? È per noi questo bambino! È il figlio che ci sarebbe appartenuto e ora è qui e ...” “Tu sei pazza” forse lo era davvero, forse quella voce così insistente era diventata l'unico pensiero costante, l'unica certezza in un mondo reale dove i fantasmi correvano dentro e fuori dalle parole.
Elise si strinse nelle braccia tentando di ignorare il pianto disperato di quell'anima innocente ma qualcosa si mosse dentro di lei, prese il piccolo dalle braccia dell'uomo allontanandolo dalle urla e dalla paura “Hai tolto ad una madre suo figlio! Hai rapito un bambino innocente!” “Non era innocente suo padre e non lo era sua madre!” “Perché sono qui?” ribatté confuso ridendo “Volevo portarti a casa e iniziare di nuovo la nostra vita assieme, io e te soli Marie perché sei mia moglie, la donna che ho scelto per il resto della mia vita ...” si alzò dal letto stringendosi leggermente la testa tra le mani “ … arrivo fino al gelido ghiaccio del nord per te e cosa trovo? Una ladra di bambini che ha perso il senno!” “Se tu mi avessi confidato il tuo passato dall'inizio questo non sarebbe accaduto!” “L'ho fatto” “No” puntualizzò ironica “Mi hai raccontato solo quello che volevi! Hai fatto in modo che mi innamorassi di te, mi hai usata per sostituire quel vuoto che ancora non riesci a colmare. Io non sono un gioco!” “Pensi davvero di essere questo per me?” la vide tremare, nei suoi occhi apparve la confusione di chi non riesce più a districare realtà e sogni “Ho fatto una scelta, ho scelto te e forse hai ragione, forse sarei dovuto essere sincero dall'inizio ma non è facile confidare l'amore passato alla propria moglie!” fece uno sforzo immane per trattenere la voglia folle di darle uno schiaffo.
L'aveva costretto a pregare, a scongiurare Dio affinché la tenesse al sicuro, lontano dal pericolo e ora scopriva d'improvviso che era il pericolo che sua moglie cercava “Credevo fosse morta, credevo di averla persa! Nessuno mi ha mai detto che in realtà era solo un'incubo e quando l'ho rivista mi è crollato il mondo sotto ai piedi” rise allontanandosi da lei di qualche passo “Ero talmente convinto che appartenesse al passato da trovare nel tuo quadro solo una sciocca somiglianza! Credevo di sognare, di immaginarmi il suo volto perché a volte ritorna nei miei pensieri. Accade quando vedo l'alba, quando il profumo della lavanda che metti a seccare diventa più intenso, quando ti vedo giocare con i capelli proprio come faceva lei!” fece un bel respiro tentando di calmare i battiti violenti del cuore “Mi sono sentito tradito, usato, ignorato da quell'uomo che lei ama da morire e che chiama padre! Comprendo il tuo dolore Marie ma forse ho il diritto ad un attimo, solo un secondo per pensare, per dire addio di nuovo all'idea che lei sia viva! È stata la mia famiglia per vent'anni e l'ho seppellita una volta, ora mi serve solo del tempo per riportare quegli occhi in fondo al cuore perché non è più lei che riempie le mie giornate!” “Stai … stai mentendo” sussurrò tremante sfilando la mano dalla sua “Marie!” la strinse per le spalle costringendola a sollevare lo sguardo “Dove hai preso quel bambino!” “Io l'ho ...” “Il castello di Läckö” “Il castello?” Elise annuì cullando il piccolino tra le braccia “Il bambino che ho tra le braccia è il figlio granduchessa” chiuse gli occhi pregando con tutto sé stesso che non fosse reale, ma quando Elise pronunciò il suo nome, ogni speranza cadde nel vuoto.
Aprì gli occhi di colpo cercando il volto di sua moglie “Lui è … sei impazzita per caso? Hai portato via suo figlio!” “Già, e ora abbiamo un problema non è vero Marie?” ma l'altra non rispose, si limitò ad annuire scivolando lentamente sul pavimento “Hai un'idea di quello che hai fatto!” urlò il giovane afferrandola per un braccio “Non … io non pensavo nemmeno quando l'ho preso e ora è ...” “Tu hai scatenato una guerra!” “No io ho solo ...” “Hai portato via suo figlio dandole una ragione per chiedere a suo marito la tua vita!” “Andrè, così mi fai male” Elise strinse con forza il piccolo terrorizzata.
Sentiva la paura dell'uomo, il suo terrore, la consapevolezza di aver appena scoperto che la donna dei suoi ricordi apparteneva al passato e che da quel passato, era lontana e distante.
L'amore che appariva tanto dolce e puro, ora si tingeva improvvisamente di sangue perché nella duchessa elegante e fredda del nord era chiuso un cuore pulsante che non aveva alcuna intenzione di rallentare la propria corsa “Mi hai sempre detto che il suo cuore era giusto e puro, che era nobile e capace di perdonare Andrè” “In passato forse ma è diventata madre, ha portato dentro di sé una vita e tu gliel'hai strappata via!” “Ho fatto quello che era giusto!” “L'hai costretta a piangere!” urlò adirato dandole uno schiaffo.
Era sconvolto, terrorizzato, come poteva placare la furia che ora la duchessa gli avrebbe gettato addosso? La conosceva così bene da sentire perfino così distante il rancore e il desiderio di vendetta.
Mai si era lasciata governare da sentimenti del genere ma ora era diverso, ora era suo figlio a sciogliere ogni legame con la razionalità “Dobbiamo tornare a casa e dobbiamo farlo senza questo bambino!” “Ha ragione Marie” “Morirà!” “Tu morirai!” esclamò tirandola velocemente in piedi “Se ti trovasse con suo figlio tra le braccia quale pensi sarà la fine!” Elise sospirò prendendo dal letto il mantello di lana “Dobbiamo andarcene” lo avvolse attorno al Niklas stringendolo con cura “Dobbiamo andarcene via e lasciarlo a qualcuno in grado di occuparsene, l'oste dall'aria piuttosto allegra sembra aver bevuto qualche bicchierino di troppo” “No aspetta” “Aspetta?” domandò ironico Andrè “Ora tu vai di sotto e cerchi tuo cugino” “Emile?” “Già, lo raggiungi e gli spieghi il guaio in cui ti sei cacciata e preghi Dio affinché restituisca un po' di senno al duca! Subito Marie!” corse veloce fuori dalla porta terrorizzata dalle parole del marito.
Elise posò una mano sulla testolina di Niklas avvicinandosi di qualche passo “Ho provato a farla ragionare credimi, ci ho provato ma lei è ...” “Se torniamo indietro con il bambino ci uccideranno, se andiamo avanti e ci trovano ci uccideranno” si strinse la testa tra le mani sedendo sulla piccola poltroncina dal tessuto strappato “Il duca non è certo uomo caritatevole” “No hai ragione ma l'ho visto in questi giorni” “L'hai visto?” “Siamo state al castello a servizio come serve, lo so che è sciocco ma Marie credeva di riuscire a parlare con lei, di sistemare ogni cosa” “E come? Trascinando suo figlio in mezzo al ghiaccio e al gelo?” “Posso capirla sai? Insomma, so perché l'ha fatto, ha sbagliato ma credeva di essere nel giusto” “E chi lo spiega alla duchessa? Perché credimi, l'unica cosa che ora può darle pace è vederci soffrire almeno la metà di quanto sta soffrendo lei” “Come lo sai?” sorrise scuotendo leggermente la testa “Credevo di conoscerla, credevo di … nei suoi occhi c'era ancora Oscar, era viva e mi guardava con curiosità quasi chiedendosi che ci facessi davanti a lei” Elise sorrise continuando a cullare quel fagottino di coperte “Era la stessa Oscar con la quale ho vissuto ma avere un figlio, conoscere l'amore infinito che regala al cuore un bambino l'ha cambiata” “Magari non più di tanto” “Se togli un cucciolo ad un lupo allora vedrai quel lupo ringhiare e mordere. Non si placherà con il tempo né smetterà di seguire l'odore del suo piccolo e Marie ...” rise passandosi una mano in volto “ … lei è convinta che si possa risolvere ogni problema parlando ma ci sono cose a questo mondo che non devono e non possono essere cambiate e ora non so più come avvicinarmi a lei, come spiegarle che ...” “Posso parlarle io, di solito mi ascolta” lasciò il bambino tra le sue braccia sorridendo “Aspetta non ...” “È uscita in lacrime, non cambia nulla se tento di farla ragionare. Alla fine capirà” gli fece l'occhiolino e senza più aggiungere una parola uscì lasciandolo solo nel silenzio assieme ad un piccolo cuore.
Sorrise all'espressione confusa che regnava in quegli occhioni chiari e limpidi, c'era tanto del duca in quel piccolo umano, così tanto da sembrare un dipinto vivente della sua infanzia ma le labbra, il sorriso, quel modo particolare che aveva di guardare le persone, come se volesse entrare nei loro pensieri e carpirne le emozioni.
Posò le labbra sulla fronte di Niklas mentre una dopo l'altra, lacrime insolenti scendevano sul viso.
L'aveva immaginato per anni, un bambino, il loro bambino, una piccola stilla di vita che custodiva nella finezza dei lineamenti il cuore di entrambi.
Ora stringeva tra le braccia quella fantasia e rivedeva in lui il suo bellissimo angelo ma c'era un altro cuore assieme a lei, altri occhi che le regalavano giorno dopo giorno attimi di tenerezza e lui, non era altro che l'unione perfetta dei loro sospiri.
Per l'amore che aveva custodito così tanto tempo, per la felicità e la vita di sua moglie avrebbe restituito quel piccolo indifeso alla propria famiglia senza esitazione alcuna ma per pochi attimi, pochi attimi soltanto, un unico desiderio nasceva spontaneo. Pregava con tutto il cuore che nessuno aprisse quella porta, che lo lasciassero solo a stringere tra le braccia l'ultimo sprazzo di luce che ancora era in grado di mostrargli il sorriso di un angelo.







La strinse più forte bloccandola, sentì il suo corpo spingere violentemente contro il proprio, il ventre unito al suo, il seno perfetto poi quel dolore violento sulle labbra e il respiro tremante della ragazza sul volto.
Intrecciò le dita ai capelli costringendola a sollevare lo sguardo “Fallo ancora” la vide sorridere mentre un altro morso copriva il dolore del primo “Mi hai fatto una promessa” seguì con le labbra la dolcezza del suo collo incurante di quelle suppliche cariche di rabbia che avevano solo il compito di confonderlo “Hai bisogno di dolore amore mio?” “Ho bisogno di te” strappò l'ultimo stralcio di tessuto costringendola a tremare, un dolcissimo sospiro uscì dalle labbra di Helena mentre gli sguardi si fusero assieme.
Averla tra le braccia voleva dire soffocare i pensieri perché lei, era l'unica in grado di cacciarli lontano permettendo al cuore di riposare.
Non era facile, non lo era per lui e non lo era nemmeno per la sua sposa ma avevano bisogno uno dell'altra, avevano bisogno di ritrovarsi, di sentirsi di nuovo un unico respiro perché la scia di sangue che si lasciavano alle spalle, provava l'anima di entrambi.
Sentiva il rumore del vento, la sua rabbia mentre con forza picchiava contro i muri della tenda, sottilissimi sibili entravano attraverso il tessuto spesso sfiorandole la schiena, il collo.
Si erano fermati in un luogo sperduto lontano perfino dalla grazia di Dio e nella flebile luce delle candele, ritrovavano lentamente il contatto con sé stessi, con il lato umano che da qualche giorno sembrava sparito nel nulla.
La lasciò cadere tra i cuscini soffici e le pelli di quel letto creato apposta per loro.
Slacciò uno dopo l'altro i nodi dei pantaloni senza distogliere lo sguardo dal suo volto, dalla passione che le bruciava nello sguardo.
“Ti ho giurato fedeltà Helena, ho consacrato a te il mio cuore ...” il respiro accelerò mentre le labbra si schiusero “ … ho giurato ti proteggerti e di proteggere nostro figlio” “Hai prestato fede a quel giuramento amore mio” sussurrò sfiorandogli il volto “Mi hai amata, mi hai protetto” “Non posso difenderti dal male del mondo” “Nils ...” chiuse gli occhi posando la fronte sulla sua mentre quelle labbra di miele continuavano a torturarlo “ … conosco il tuo valore, conosco l'uomo che ho sposato. Non è stata colpa tua” il cuore tremò mentre quelle parole scioglievano il gelo del cuore.
La strinse più forte sollevandola, sentì le sue mani aggrapparsi con forza alle spalle mentre i capelli così lunghi scivolavano di lato.
Chiuse gli occhi perdendosi nel suo respiro, nel tocco leggero di quelle labbra schiuse sulle sue.
Strinse più forte le ciocche dorate tirandole indietro, il volto di perla si sollevò di colpo e un sorriso gelido riempì l'azzurro cristallino dei suoi occhi dove le lacrime scorrevano senza sosta.
La luce delle candele sfiorava l'incarnato candido giocando con i suoi lineamenti, creando ombre e disegni che ai suoi occhi sembravano diamanti.
Lei era diventata il suo fuoco, la sua luce, aveva imparato ad amare per colpa sua e ora, in quella landa di ghiaccio scossa dal vento, per l'ennesima volta si sentiva indifeso, succube di una fata che tramutava i pensieri in sogno.
Non le avrebbe mai permesso di scappare via da lui né le avrebbe permesso di chiudersi nel silenzio perché se fosse accaduto, se le avesse concesso quell'attimo di solitudine allora la sua dolcissima Helena sarebbe sparita, sostituita da una dea guerriera capace di far impallidire anche Óðinn.
C'era violenza nei suoi baci, rancore nelle lacrime ma amore era nascosto in quelle carezze delicate che appartenevano a lui soltanto.
Come perle preziose i tremiti del suo ventre gli mostravano ancora una volta la donna meravigliosa che aveva sposato e ora, sotto quel cielo massacrato da nubi di ghiaccio ripeteva alle stelle il suo giuramento ancora e ancora.
Un giuramento che avrebbe scosso la terra e il cielo, che avrebbe regalato sangue e vendetta all'animo sfinito di sua moglie perché nessuno aveva il diritto di scatenare quelle lacrime.



“Benvenuta a casa” “Da quando siete così gentile?” domandò stupita la vecchina sedendo di fronte a Magnus “Vi ricordavo molto più scorbutico” “Non sono in vena di scherzi” “Nemmeno io” il gatto candido saltò sulle gambe della donna acciambellandosi sereno “Perché mi avete portato qui? È quasi l'alba” “Dov'è mio nipote?” “Non è questa la domanda giusta” “Non ho tempo da perdere!” “Vostro figlio nemmeno” “Mio figlio è così accecato dalla rabbia da non riuscire più a ragionare” “Ve l'avevo detto” mormorò l'altra accarezzando il gattino “Quando il giovane duca era soltanto un infante vi ho predetto il suo futuro” “Quel futuro si è avverato!” urlò Magnus picchiando con forza il pugno sul tavolo, l'altra sorrise sospirando “In parte mio signore. Il suo cuore è ebbro d'amore e la donna che ora lo possiede ha curato il gelo che lo avvolgeva” gli occhi dell'uomo si unirono a quelli della donna concentrando tutta l'attenzione di quell'attimo in un unico sospiro.
Conosceva bene quella vecchina, la ricordava fin da quando era bambino e negli anni trascorsi il suo aspetto non era mutato.
Suo padre era convinto che fosse una Valkyrja e che maledetta dal padre degli dei, fosse costretta su questa terra come una comune mortale trascinandosi assieme al vento ma per lui, quella donnina dallo sguardo profondo era sempre stata una preziosa confidente “Æsir e Vanir si uniranno ancora una volta sconvolgendo le leggi della natura. Tyr e Freya si apparterranno curando uno il cuore dell'altra. Il cielo toccherà la terra e una goccia di vita aprirà gli occhi. La sua purezza sarà in grado di scatenare una guerra, per la sua vita verranno in molti. Lunghi saranno i giorni del sangue e il grido degli innocenti salirà fino ad Ásgarðr ma non ci sarà pietà negli occhi di Óðinn, ...” le fusa del gatto riempirono l'aria costringendo la donna a sorridere “ … il padre degli dei non presterà soccorso alle anime dannate poiché esse appartengono ad Hel fino a quando, rabbonito dal perdono Tyr non avrà scelto diversamente. È questo che vi dissi non è così?” “Non ho alcuna intenzione di fermare mio figlio Gissa. La morte è l'unica liberazione per i traditori” “Non ho mai pensato che fosse sbagliato interferire con le profezie ma ora mi rendo conto che a volte, non tutto dev'essere lasciato al fato” lo sguardo incuriosito dell'uomo la costrinse a continuare “Ho commesso un'errore mio signore, piccolo certo ma ha cambiato per molti versi le sorti di questa profezia” “La mia piccola goccia di vita è stata portata via dall'abbraccio di sua madre!” si alzò in piedi raggiungendola dall'altro lato della scrivania.
“Hai detto che non era la domanda giusta, che sbagliavo allora dimmi: con chi è?” la donnina tossicchiò sollevando lo sguardo “Tra le braccia del passato vostra grazia” strinse il gattino alzandosi dolorante “E quel passato ancora intriso d'amore non avrà alcun riguardo per la giovane unione degli dei ma non temente. L'angelo biondo che ha donato sé stesso a vostro figlio non scapperà” “Come lo sai?” domandò guardingo “Perché è innamorata e l'amore che ora sta vivendo la rende felice. Passato è solo un nome, niente può rendere i ricordi di quella giovane meno nitidi, non ci sono riusciti sei anni di bugie e vostro figlio ne è consapevole” “Consapevole di cosa?” “Helena ricorda mio signore” Magnus sorrise strofinandosi il mento “Avverrà di nuovo, passato e presente si incontreranno molto presto signore ma questa volta non scapperanno, nessuno di loro indietreggerà e finalmente l'addio sospeso da troppi anni verrà pronunciato” “Ne sei sicura?” Gissa chiuse gli occhi perdendosi qualche secondo nel canto delicato del silenzio.
“Tyr e Freyja si stanno amando, si amano avvolti da rabbia e paura ma sono assieme ...” un dolcissimo sorriso tese quelle labbra sottili “ … i loro sospiri arrivano come melodia alle mie orecchie. Non avete motivo di temere il peggio, il loro amore è forte e tra quattro giorni, quando il Sòl si addormenterà, la goccia di vita dispersa tra i ghiacci verrà ritrovata placando le urla degli innocenti e il cuore troppo veloce di vostro figlio” la porta sul fondo della sala si aprì e un giovane entrò reggendo una spada.
Gissa riaprì gli occhi e Magnus annuì leggermente “Ricordate il nostro accordo?” “Sono un uomo d'onore” fece un cenno leggero al ragazzo permettendogli di venire avanti “Mantengo sempre le mie promesse”strinse le dita attorno all'elsa della spada sfilandola dal fodero.
La luce delle candele brillò sulla lama “Assicurami che accadrà, che la tua anima tornerà nel Valhöll e che non sto per dare la morte ad una donna innocente” l'altra rise posando il gattino sulla sedia “Le credenze moderne hanno cancellato gli antichi valori. I nostri dei meritano rispetto altezza reale, la loro forza ha tenuto in vita il nostro glorioso popolo nutrendolo di leggende e racconti, dandogli un motivo per non abbandonarsi al gelo e al freddo di questo mondo” si avvicinò a Magnus posando una mano sul petto proprio lì, dove il cuore batteva tranquillo “Non potete fidarvi delle parole ma sono rimasta così a lungo, ho visto tante cose, troppe, ora dovete liberarmi” per la prima volta nella vita, l'indecisione colorò il suo sguardo costringendolo ad abbassare la lama.
C'era una donna davanti a lui e non una fiera guerriera di Óðinn, una vecchia che per anni aveva servito la sua famiglia curando le malattie con erbe e intrugli, con musica e rune abilmente intrecciate tra loro aveva creato storie per loro, bambini così piccoli e pieni di fantasia.
Era una mortale a cui stava rubando la vita ma esisteva tuttavia un ragionevole dubbio che gli scuoteva il petto, che male c'era nel credere alle leggende? Lui stesso aveva allevato i propri figli come guerrieri promettendogli un futuro glorioso, lo stesso che suo nonno gli aveva raccontato.
La fede di Dio aveva intaccato il loro mondo già molto tempo addietro ma non aveva escluso Dio dalla vita dei suoi figli né aveva allontanato loro dalle leggende e dalle ballate.
Avevano appreso la misericordia del Signore così come avevano sognato leggendo delle gloriose gesta di Óðinn e dei suoi guerrieri.
La loro terra intrisa di magia e sogno era un luogo meraviglioso dove persone come Gissa, vivevano isolate muovendone i fili come se in realtà avessero tra le mani burattini di legno.
Chi sapeva dire cos'era reale e cosa no? Chi riusciva a leggere negli enigmi di parole creati da loro? C'era verità nelle loro profezie, più di una volta ne aveva avuto la prova, ora perché sarebbe dovuto essere diverso? Non aveva motivo per esitare eppure non riusciva ad alzare la spada verso di lei “Il dubbio” mormorò divertita sfiorandogli il volto “È dote umana la continua ricerca di risposte ma se per ogni domanda avessimo la soluzione, allora nel mondo resterebbe ben poco per cui valga la pena di vivere” strinse la mano attorno a quella del duca sollevando assieme a lui la lama lucente “Io ho incontrato le giovani che vi hanno portato via Nicke, ho dato loro indicazioni e come traditrice merito la stessa fine che hanno fatto in tanti” la lama entrò nel petto della donna e un sorriso leggero le sfiorò le labbra “Ho interferito mio signore … ma … ma ho provato a rimediare pregando affinché l'inquietudine sparisse dal cuore di quella ragazza ma ora, il destino che l'aspetta sarà più doloroso di quanto immaginavo e … ” strinse più forte la mano attorno alla sua trattenendo il dolore “ … e sarà per mano di Helena che un cuore smetterà di battere” il corpo si abbandonò tra le braccia del granduca e nel silenzio scomparve anche la voce flebile della donnina.

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Capitolo 38
*** Diamanti di Sangue ***


                                                                     Diamanti di Sangue







C'erano strani suoni nell'aria, il vento portava rumori lontani, scricchiolii e profumi che appartenevano ai monti, al mare.
Inspirò a fondo stringendosi più forte nel mantello, i capelli sciolti si muovevano liberi disegnando intrecci e nodi setosi.
Dalla cima di quell'altura salutava l'ultimo viaggio del sole.
Sentì le mani di Nils stringersi con forza attorno alle sue, le dita intrecciate sul ventre.
Indietreggiò di un passo incontrando il torace forte di suo marito, sentiva il suo respiro sulla guancia, sulla pelle appena scoperta del collo.
Amava da morire quell'attimo del giorno, il tramonto, pochi secondi dove pallide gocce sfiorate d'arancio imprimevano a fuoco la meraviglia nei loro occhi.
La brezza ormai leggera aveva pulito il cielo allontanando le nubi e poche stelle schiudevano gli occhi affacciandosi sul mondo.
Qua e là apparivano sprazzi di verde brillante, le chiome degli alberi ormai addormentate regalavano ai loro occhi una tenera magia.
Erano grandi e robusti, così radicati nella terra da non temere la furia del vento né il freddo della neve.
Le loro foglie si erano adattate, la loro linfa correva tra le pieghe del legno senza curarsi del cambiamento che veloce scuoteva il mondo.
Il fiume che scorreva tra loro era diventato una solida lastra di ghiaccio ma la vita, ben nascosta nella profondità dell'acqua, continuava il suo lento fluire.
Gli ultimi raggi di sole scomparvero sotto l'orizzonte, le mani intrecciate assieme si strinsero più forte mentre dal buio nasceva l'incanto.
Sòl si era assopita portando con sé l'astro lucente e non si sarebbe svegliata per un lungo periodo di tempo, il primo giorno di buio, il primo senza luna.
Alzò gli occhi al cielo aspettando impaziente come una bambina troppo a lungo rinchiusa nel buio.
Restava immobile, stretta tra le braccia di suo marito tratteneva il respiro come se d'improvviso potesse accadere un miracolo.
Pochi minuti ancora ed eccola lì madre natura, dolce e volubile, indecisa forse ma sempre la stessa meravigliosa dea di sempre.
Un balletto celestiale di luci nel cielo scuro fatto di rosa, verde e viola che sembravano venir fuori dalla tavolozza di un pittore.
Danzavano lente in quell'attimo sospeso nel tempo che li teneva uniti.
Le luci del nord, le luci da ascoltare, perché in quel balletto appena nato vi era custodito molto più che semplice incanto.
Se si ascoltava con attenzione, tra il richiamo leggero della brezza si poteva distinguere un suono diverso che appariva solo quando il cielo si svegliava.
Nils posò il mento tra i capelli chiari stringendola così forte da toglierle il respiro “E alla fine è accaduto” “Come ogni anno amore mio” “Già” sussurrò baciandola “Ma questa volta sarebbe stata diversa” “Diversa?” domandò confusa voltandosi dolcemente tra le sue braccia “E in cosa?” “Vi avrei portati qui e assieme avremmo visto le luci del nord” la mano della giovane si posò sul volto fresco dell'uomo e gli occhi si piegarono in un sorriso leggero “Immaginavo l'espressione confusa sul volto del nostro bambino, i suoi occhi limpidi incantati da tanta bellezza ...” le sfiorò le labbra lasciando piccole scie di baci dove le dita passavano lente “ … si sarebbe voltato verso di te con quel faccino confuso che ogni volta riserva alle novità” “O avrebbe riso come un matto tra le tue braccia” per qualche secondo lesse negli occhi di suo marito una paura profonda e sincera.
Lo sentì tremare mentre lo sguardo andava via, lontano da lei, da loro “Nils ...” socchiuse gli occhi studiando il volto di suo marito “ … non vuoi dirmi cosa ti spaventa?” gli sorrise costringendolo a fare altrettanto “Non voglio vederti soffrire” “Te l'ho già detto amore mio, non è stata colpa tua” “Non vi ho protetto, non ho protetto il nostro bambino” una lacrima scivolò via da quegli occhi di ghiaccio che mai si lasciavano andare alle emozioni “E ora mi chiedo se sta bene, se piange o se ti cerca. Che padre sono?” la sentì tremare, trattenere a forza l'emozione nel tentativo di donargli almeno per qualche minuto la sua pace “Che padre sei?” ripeté amabile “Sei il padre che nostro figlio ha scelto. Sei innamorato di Nicke, conosci a memoria i lineamenti del suo volto, l'hai visto crescere in me giorno dopo giorno e l'hai cresciuto con me” rise divertita da quel ricordo innocente “Parlavi con lui ogni volta che si muoveva e non appena sentiva la tua voce, si addormentava sereno sognando l'attimo in cui ti avrebbe incontrato” posò la fronte sulla sua sospirando “Sei un padre meraviglioso, non lasciare che i dubbi ti corrodano l'anima” “Ma se non ...” “Mi hai fatto una promessa Nils” “Intendo mantenerla, fosse anche l'ultima cosa che faccio” “Non volevo ...” scosse leggermente la testa tornando a perdersi nello sguardo di suo marito “... so che manterrai quella promessa. Conosco l'uomo che ho sposato, so quanto valore porti qui dentro” la mano scivolò sulla spalla dell'uomo scendendo fino al cuore mentre un sorriso tra le lacrime nasceva spontaneo “Non ho mai dubitato del tuo amore né delle tue parole. Il tuo giuramento è legato a me, è parte di me. Comprendo il dolore che ora ti spacca a metà il cuore perché è lo stesso che provo io” l'emozione intaccò il suono dolce di quelle parole e le lacrime scesero veloci sulle guance “Mi sento vuota Nils, mi hanno portato via l'anima e non avrò pace fino a quando non rivedrò il suo sorriso” posò le labbra sulla fronte di Helena ascoltando quel pianto nascosto che faceva male ogni volta un po' di più.
Alle loro spalle era fermo un uomo nascosto dalla pallida ombra della foresta.
Gli occhi di Helena incontrarono i suoi e il respiro rallentò di colpo, sciolse l'abbraccio costringendo Nils a seguirla “Altezza reale” “Siamo pronti?” “Si vostra grazia, il campo è stato smontato e il falco ha appena fatto ritorno” “Che notizie porta con sé?” “Ulek ha trovato diversi uomini pronti a giurare di aver visto due donne e un bambino nella cittadina di Borås, due straniere che avevano una gran fretta di raggiungere il sud” “Sono a meno di un giorno da noi” sussurrò Nils sfiorando la spalla della giovane “Erano accompagnate da due uomini, gente normale scrive Ulek ma temiamo possano commettere la follia di oltrepassare il confine norvegese trovando rifugio presso qualche rivoltoso” “E queste fonti sono attendibili?” “Diciamo che il sangue dei loro figli hanno reso quest'informazione attendibile” un sorriso gelido prese posto sulle labbra di Helena.
La duchessa amabile e dolce era sparita, non c'era pietà né salvezza nel suo sguardo, niente di lei assomigliava alla compassione.
Un secondo uomo si avvicinò a loro reggendo una torcia, aveva la carne solcata da lunghe cicatrici e gli occhi piccoli e neri simili a carbonchi.
Si inchinò di fronte al duca porgendogli una lettera “L'ha portata Tyr pochi minuti fa mio signore” “Fate in modo che i falchi riposino e che siano ben nutriti” “Come desiderate signore” “Vostra madre sta guidando il plotone di vostro padre al confine” Helena sorrise chiudendo l'ultima fibbia del mantello “Mia madre è più folle di quanto immaginassi” “Non è la prima volta che lo fa” “No è vero, ma conosco almeno un'altra donna in grado di compiere imprese del genere” “Qualcuno che io conosco?” ribatté divertita mentre Safir le venne avvicinato “Oh certamente, diciamo che tu e lei siete molto amiche” montò in sella seguito dalla sua sposa.
Gli uomini mossero appena verso di loro aspettando l'ordine del duca “Sei pronta?” Helena sollevò il cappuccio nascondendo il volto dalle luci del cielo “Che nessuno resti indietro perché non ci fermeremo!” spronarono i cavalli al galoppo muovendosi come ombre il quel cielo di diamante.




Il fuoco acceso nel camino scoppiettava allegro illuminando la saletta ormai vuota. Avevano viaggiato tutto il giorno in cerca di riparo, un luogo più pulito, adatto ad un bambino.
Una locanda o una casa che non puzzi d'aglio e di fuliggine.
Scosse leggermente la testa muovendosi appena sulla sedia a dondolo, la vecchina dietro al banco di legno sorrise tornando poi a concentrarsi sul suo libro ma conosceva bene il motivo di tanta tenerezza.
C'era un piccolo angelo addormentato tra le sue braccia, avvolto da una coperta di lana logora e colorata sognava stringendo di tanto in tanto la manina attorno al suo dito.
L'errore di sua moglie aveva sconvolto una famiglia intera, capiva il motivo di quella sciocca follia ed era disposto a perdonarla ma c'era un'altra donna che non avrebbe dato loro nemmeno il tempo di respirare.
Una donna che era cambiata così tanto da apparire solo un'immagine sfocata nei ricordi.
Eppure l'aveva vista, nei suoi occhi aveva visto Oscar e il fuoco che l'aveva sempre animata fin da piccola ed era di quel fuoco che aveva paura.
In passato riusciva a conviverci, a limitare i danni dell'incendio che quelle fiamme provocavano ma ora, ora come poteva limitare la rabbia di un cuore troppo veloce? Non le avrebbe mai permesso di toccare Marie ma doveva trovare un modo per restituire quel piccolo angelo senza sconvolgere ancora di più le persone attorno a loro.
Fece un bel respiro cullando Niklas, la vecchina si alzò dal suo sgabello porgendogli una tazza fumante “Dovete amare proprio tanto vostro figlio” “Scusatemi?” “Siete seduto lì da ore ormai” “Non … non ho molto sonno e non voglio che pianga disturbando i miei compagni” prese la tazza con la mano libera inspirando per qualche secondo il profumo del tè ambrato “Oh vi capisco, vi dispiace se vi faccio compagnia?” “Siete la benvenuta” l'altra sorrise sedendo di fronte a lui “Sapete, è raro vedere un padre cullare il proprio figlio, di solito ci si aspetta che siano le madri a farlo” “Non è certo un fastidio” ma gli occhi scuri della vecchina cercarono di nuovo i suoi “Non offendetevi ma ...” si appoggiò allo schienale continuando a parlare “ … il vostro bambino non vi somiglia” “Cosa?” “Non prendetela come un'offesa signore, è solo che vedo molti figli, molti padri e sono abituata a notarne le somiglianze” “Nessuna offesa” mormorò divertito ma nel silenzio della notte, lo stesso fischio riempì l'aria passando attraverso la finestra accostata della cucina.
Si voltò verso la cucinetta cercando di capire da dove arrivasse ma sentì la risata di Hilda e il battito leggero delle sue mani “Ma che ...” “Falchi” “A quest'ora?” “Potremo aspettare anche l'alba e là fuori vedreste le luci danzare nel cielo scuro” “Le trovo meravigliose, come può accadere? Come può una cosa tanto bella nascere senza il sole?” “Sòl si è assopita è vero, ma i raggi dell'astro si riflettono sugli scudi delle guerriere” la fissò confuso tentando di sembrare quanto meno normale ma non riusciva a comprendere come potesse tanta magia entrare a far parte della vita di ogni giorno.
In Francia cose del genere non sarebbero mai accadute, parlare di guerriere, dei e fate era un modo certo per finire rinchiuso da qualche parte o bruciato da eretico ma lì, le leggende si univano al presente e tutto sembrava normale.
Hilda strinse la tazza tra le mani giocando con il liquido al suo interno “Lo trovate tanto strano?” “No è solo … nel mio paese non si parla di queste cose” “Allora vi chiedo scusa ma vedete, io sono cresciuta con queste leggende e sono convinta che condividerle faccia bene a me e a chi le ascolta” “Allora vi prego, continuate a parlare” sollevò appena Niklas concentrandosi sulla voce della donna“Mundiìfari ebbe due figli, un maschio ed una femmina. I due infanti erano di una bellezza fuori dal comune, l'incarnato roseo e gli occhi luminosi...” posò la tazza sul tavolo sorridendo al volto di quel giovane così attento.
Era incantato dalla sua voce e per molti versi, assomigliava ai bambini che attorno al fuoco, apprendevano dai nonni il passato “Orgoglioso pensò che i suoi figli non potessero avere nomi comuni, meritavano degli appellativi degni della loro bellezza. Chiamò la fanciulla Sòl e il maschio Màni pensando che solo i due astri li eguagliassero” “Sole e Luna” Hilda annuì continuando a parlare “Ma gli dei, che avevano creato il sole e la luna si sentirono offesi da tanta presunzione: come poteva un mortale appropriarsi dei nomi degli astri da loro creati?” sollevò una mano nell'aria muovendola con eleganza.
Le dita disegnarono scie leggere rendendo reale anche l'invisibile “L'insolenza andava punita e così, Sòl fu rapita dalla terra e messa su nel cielo a guidare il carro che trasporta il sole” “E suo fratello?” “Màni, fu invece posto alla guida del carro che trasporta la luna determinandone il sorgere o il calare ma nel cielo stellato si sentiva solo e un giorno, rapì dalla terra Bil e Hjùki, due bambini che stavano guardando il riflesso della luna in un pozzo” “Che storia triste” “Perché la trovate triste?” domandò incuriosita “Sono costretti a due vite diverse, non si incontrano mai ...” abbassò lo sguardo perdendosi qualche secondo sul volto sereno del neonato “ … come può essere felice una storia del genere?” “Non si incontrano mai è vero, ma quando lei scende con il suo carro oltre il confine sicuro dell'orizzonte, il fratello aspetta e per un breve periodo i loro sorrisi possono incontrarsi. La luce che ora splende nel cielo scuro altro non è che il riflesso di quella gioia. Essa splende sugli scudi delle guerriere vergini di Óðinn” Andrè sospirò sfiorando la manina chiusa sulla sua “Loro conducono le anime dei guerrieri valorosi oltre la morte e il falco ...” mormorò Hilda posando una mano sul ginocchio del giovane “ … guida e cerca con gli occhi di un dio anime pure” “Cerca me?” domandò divertito ma lei non rispose, si limitò a sorridere sollevando appena le spalle “Non so cosa cerchino questi falchi ma c'è qualcosa di diverso nella notte” la porta dell'entrata si aprì ed un uomo si fuse alla penombra attirando l'attenzione della vecchina.
Si alzò tornando verso il bancone “Sei nato in queste leggende” sussurrò Andrè posando le labbra sulla fronte del bambino “Sei parte di questo mondo e ora mi chiedo se anche tua madre lo è diventata” “Sei qui” sollevò lo sguardo di colpo incontrando il volto ancora assonnato di Elise “Marie?” “Sta dormendo” “E tu perché sei sveglia?” “Potrei farti la stessa domanda” “Avevo bisogno di pensare” “E hai trovato le tue risposte?” domandò sedendo accanto a lui “Ho trovato una leggenda” “Una leggenda” ripeté confusa sbadigliando “Come ti sembra questo posto Elise?” “Lo trovo pulito e accogliente, non credo che verrà trattato male” “Ho scritto una lettera spiegando quanto accaduto e chiuso i suoi vestitini in un telo di sopra” “E allora cosa ti preoccupa?” “Mia moglie” l'altra annuì appena sospirando “Credo abbia solo bisogno di riposare tutto qui. Queste settimane non sono state facili per lei. Continuava a ripetermi che aveva bisogno di parlare con la duchessa e quando finalmente è accaduto, Marie non è più stata Marie” prese la tazza dal tavolo sorseggiandone il contenuto “Non so cosa le abbia detto o per quale motivo abbia combinato questo disastro. È davvero innamorata di te, penso l'abbia fatto per provarti che l'amore non può essere ignorato” “Io amo mia moglie” “Lo so” rispose Elise “Ma c'è quest'altro amore che non vuole uscirti dal cuore. È normale, è stato importante per te e non si cancella con sei anni di silenzio. Ti capisco credimi, ho provato la stessa cosa certo, il mio principe non era morto ma penso che il sentimento sia simile” gli fece l'occhiolino costringendolo a sorridere.
Per qualche secondo lo sguardo si spostò su Hilda e su quell'uomo che parlava assieme a lei.
Non ne vedeva il volto a malapena ne sentiva la voce “So che è difficile, non riesco nemmeno ad immaginare quello che devi aver provato nel rivederla” riprese Elise “Rabbia, paura ...” fece un bel respiro continuando a parlare “ … gioia, ho provato tante di quelle cose da non riuscire a respirare. Mi ero abituato alla sua assenza, ci convivevo anche se spesso la vedevo nei sogni o nei piccoli gesti quotidiani di mia moglie” “Non dev'essere stato facile” “Quando l'ho rivista ho sentito il mio cuore” posò una mano sul petto trattenendo per qualche secondo il respiro “L'ho sentito correre così forte, credevo di sognare, non avevo nemmeno immaginato che una cosa del genere potesse accadere ma quello che mi da fastidio, che non mi lascia dormire la notte è l'egoismo che ci ha tenuto separati” Elise accarezzò Niklas annuendo “Eri sposato, che avresti fatto?” “Io non … non lo so” “Sei geloso di lei” “Certo, è mia moglie” “No” mormorò la giovane cercando i suoi occhi “Sei geloso della duchessa Andrè” “Perché dovrei? Ha la sua vita, un marito che la ama e non potrei essere più felice per lei. È la vita migliore che potesse avere” “Non ti giudico per questo, io lo sarei, c'è un altro uomo accanto a lei. Ma su una cosa Marie aveva ragione” “E su cosa?” “È davvero molto bella” risero assieme dimenticando per qualche secondo la realtà.
“Ora vai a riposare, resto io con lui” “Ne sei sicura?” di nuovo quei vocalizzi acuti ad interrompere il silenzio “Falchi” si affrettò ad aggiungere divertito dall'espressione sul volto di Elise “A quanto pare stanno cercando qualcosa” “Spero che la trovino senza disturbarci oltre” prese il piccolo tra le braccia avendo cura di non svegliarlo e sbadigliando, prese il posto di Andrè su quella sedia a dondolo tanto invitante “Ci vediamo tra qualche ora” ma lei non rispose, si limitò ad annuire seguendo i passi silenziosi del giovane fino a quando non lo vide scomparire oltre le scale “Ora siamo soli io e te” sussurrò poi sistemandosi meglio.
La voce profonda dell'uomo attirò la sua attenzione, lo sentì ridere, lo vide muovere rapido il braccio e un leggerissimo sospiro oltrepassò lo scoppiettio leggero del fuoco fino a quando un tonfo ovattato le tagliò il respiro.
Strinse più forte il bambino tra le braccia cercando Andrè con gli occhi ma non era più lì.
Sentì il cuore accelerare poi quella voce profonda “Restituite il piccolo al mio signore” sollevò lo sguardo incontrando un sorriso gelido e due occhi persi nel buio della crudeltà “Non vi conosco signore, vi prego di lasciarci soli” “Soli?” domandò ironico spingendo leggermente la sedia vuota di lato “Come voi avete lasciato solo una culla vuota e il pianto di una madre? Restituitemi il bambino” le mani si paralizzarono attorno al corpicino di Niklas impedendogli qualsiasi movimento.
Dall'ombra uscirono altri tre uomini con il volto coperto, due di loro impugnavano coltelli con la lama ricurva e non sembravano temere nemmeno la morte.
Si fermarono a pochi passi da lei e sul braccio libero di uno di loro, riconobbe un falco dal becco appuntito e gli occhi vispi.
“Te lo dico un'ultima volta, restituiscimi il bambino” ma tutto quello che riuscì a sentire fu la lama gelida trapassarle la gola impedendole di urlare o di chiedere aiuto.
La presa si allentò e il piccolo le venne portato via lasciando solo il freddo della notte a sfiorarle il seno.
Vide l'uomo chinarsi leggermente verso di lei, sentiva il suo fiato sul viso, il sapore del sangue che ora invadeva la bocca e il respiro diventare sempre più debole.
Il corpo tremava, la voce sembrava sparita nel nulla, c'era solo quel sorriso indifferente davanti agli occhi, quella mano che si strinse con forza attorno al collo dove il taglio permetteva al sangue di fluire come acqua “Quando sarai di fronte a Hel ...” mormorò l'uomo a pochi centimetri dalle sue labbra “ … confida i tuoi peccati perché per colpa vostra, sono morte decine di innocenti” la spinse violentemente indietro, la sedia si rovesciò e lei cadde al suolo incapace perfino di pensare.
Gli occhi si chiusero e una lacrima scivolò silenziosa in mezzo al sangue accompagnando per l'ultima volta un emozione fino al cuore.


 

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Capitolo 39
*** Negli occhi di una Fata ***



                                                                                       Negli occhi di una Fata












Aprì gli occhi di colpo infastidito dalle urla acute dei falchi, sentiva le corde strette attorno alle mani bruciare come fuoco vivo.
Scavavano solchi nella pelle, nel cuore.
Seduto su quella sedia, immobile nel silenzio da due giorni ormai non riusciva nemmeno a credere che la fata vista nel bosco potesse essere il ricordo spietato che custodiva nel petto.
C'era un uomo seduto a pochi metri da lui, giocava con il pugnale picchiettandone la lama sul legno “Chi siete?” lo sentì ridere “Non lo sapete?” domandò poi continuando a giocare “Il mio signore mi ha mandato a cercarvi” “Dov'è mia moglie!” “Nella stanza qui accanto” “Voglio vederla” “L'unica cosa che vedrai è il volto del mio signore e quello della sua sposa” “La sua sposa è diventata un'assassina!” “Se fossi in te sceglierei con cura le parole” si alzò dalla sedia avvicinandosi di qualche passo “Perché quell'assassina di cui parli è l'unica in grado di salvarti. È per merito suo se ancora respiri” “Elise è morta!” avrebbe voluto urlare, alzarsi e prendere a pugni quel volto irriverente ma non riusciva nemmeno a respirare, si sentiva male e non era tanto il dolore fisico a costringerlo lì ma quello dei pensieri “Ieri notte Tyr ha fatto ritorno ...” riprese l'uomo “ … portava con sé un messaggio” sfilò dalla tasca una piccola pergamena arrotolata avvicinandola al suo volto “Le parole che custodisce sono la tua salvezza e quella di tua moglie. La mia signora ha scelto la tua vita e l'ha fatto senza dire nulla al proprio sposo” gli occhi si fusero ai suoi e il respiro accelerò “Sono stato mandato per ucciderti è vero. Desiderio del duca è vederti appeso senza più una stilla di vita ma la duchessa ...” si fermò qualche secondo sorridendo “ … lei conserva la bontà d'animo che ti permette di respirare ancora giovane straniero” “Che bontà vedi in tutto questo?” “Non ho mai vissuto nella giustizia ma so per certo che una donna come lei, in quello sguardo custodisce molto più che semplice vendetta perché c'è nobiltà nei suoi gesti e nei suoi pensieri” la porta si aprì e il suo ricordo prese forma davanti agli occhi.
Aveva i capelli raccolti in una meravigliosa treccia che scendeva sulla spalla sinistra.
La luce tremula delle candele sfiorò l'oro e la perfezione di quegli intrecci diventò improvvisamente visibile.
Non era un'unica treccia ma tante unite assieme in giri e nodi che mai aveva visto, l'incarnato chiaro appena sfumato di rosa sulle guance e un sorriso quasi invisibile sulle labbra.
Gli abiti eleganti erano spariti, niente nastri di raso o preziose collane, al loro posto era apparso un abito maschile cucito apposta per lei ma perfino così, la delicatezza del suo corpo splendeva davanti agli occhi di tutti.
Sul braccio destro proprio sopra al polso gli artigli di un falco stringevano con forza il cuoio del guanto “Altezza reale” “Sai leggere Ulek?” l'altro sorrise chinando leggermente il capo “Non era questo il mio ordine!” “Vi chiedo perdono ma vostro marito aveva ...” “Quello che riguarda mio marito non sempre riguarda me. Non ho fatto viaggiare Heimdallr per gioco! Ora fuori di qui!” l'altro annuì muovendosi veloce nell'ombra.
Ci mise qualche secondo a comprendere che quella davanti a lui era una donna vera e non solo un sogno.
Il rumore della porta chiusa li avvolse nel silenzio, la vide sorridere mentre con la mano libera accarezzava le piume lucide dell'animale “Du var bra Heimdallr” sganciò la fibbia del mantello liberando la spalla sinistra “Du är värdig av guden som företräder” poi gli occhi azzurri della giovane si fusero ai suoi e il sorriso scomparve.
Si muoveva verso di lui come se in realtà stesse camminando tra gli alberi innevati e non in una squallida stanza piena di spifferi.
Non le importava molto del luogo né le interessava la sporcizia sui muri “Eri tu nel bosco?” domandò d'improvviso “Eri tu che spiavi i miei passi” “Non so più chi sei” “Io so chi sei tu” il falco volò via aggrappandosi allo schienale della sedia “Conosco il tuo nome” sfilò il guanto sospirando.
La mano scomparve sotto al tessuto pesante dell'abito mentre gli occhi così pieni di cielo lo costringevano ad annaspare perché quando la ritrasse, vide intrecciato alle dita un laccio di cuoio che imprigionava un trottola di legno piccola e graziosa.
“Ricordi?” domandò tremante, Helena non rispose, si inginocchiò davanti a lui sciogliendo i nodi delle corde.
Una dopo l'altra le funi caddero al suolo liberando i polsi di Andrè.
Sentì l'aria fresca sulla pelle arrossata e quelle carezze leggere che scomparvero nel nulla “Perché?” domandò la giovane rialzandosi “Perché il mio bambino?” “L'ho preso io” si affrettò ad aggiungere ma lei sorrise stringendosi appena nelle spalle “Mi credi davvero una sciocca?” “Ti prego, ti prego voglio solo prendere mia moglie e andare via da qui” “Credevo volessi parlare con me. Marie non ha fatto altro che ripeterlo nelle ultime ore” “Sta bene?” domandò preoccupato ma lei indietreggiò di colpo allontanandosi ancora una volta “Quando sei diventata così!” non voleva urlare, non ora perché aveva la possibilità di dire addio al passato ma non riusciva nemmeno a pensare.
“Ho pregato, Dio solo sa quanto ho pregato per rivederti! Quando tuo padre mi scrisse che eri morta ho smesso di respirare, sono morto con te e ora sei qui, davanti ai miei occhi e fatico a riconoscerti” “Eppure, assomiglio alla stessa donna che amavi” era rabbia che leggeva nella sua voce, una rabbia profonda che non riusciva a comprendere “La stessa che giocava con questa trottola o che si sdraiava nell'erba a spiare il cielo. Non assomiglio forse alla bambina ostinata che aspettava per ore il ritorno di suo padre? Che spiava il giardino chiedendosi se esistesse un altro mondo oltre a quello?” “Ricordi davvero il mio volto?” la giovane annuì mordendosi appena le labbra, lo stesso gesto tanto dolce che era inciso a fuoco nella memoria.
Era accaduto raramente in passato, ma a volte, quando il fiero colonnello abbandonava la divisa, la piccola donna che viveva in lei manifestava ogni dubbio proprio come faceva ora davanti ai suoi occhi “Oscar tu ...” “Helena” puntualizzò giocherellando con il guanto “Solo mio padre ha il permesso di chiamarmi così e ormai non lo fa nemmeno più” “Perché!” “Perché ho fatto una scelta!” esclamò piantando gli occhi nei suoi “Ho scelto cosa essere, ho scelto quello che lui mi ha negato e ho trovato l'amore” “Avevi già l'amore!” urlò afferrandola per un polso “Avevi il mio amore, avevi la mia vita!” strinse più forte la mano attorno alla sua tirandola leggermente in avanti “Da quanto ricordi?” “Ha importanza?” “Da quanto ricordi?” sentì il gelo del suo sguardo entrare nell'anima “Da sempre” la presa si allentò e il polso esile scivolò via da lui “Ho sentito quei proiettili entrarmi nella carne, li ho sentiti bruciare la mia pelle. Ricordo l'odore del sangue, ricordo il suono del mio corpo sulla pietra” rise di sé stessa nascondendo le mani dietro alla schiena “Sembravo un vaso di terracotta che si frantuma in mille pezzi. Tu sei stato il mio ultimo pensiero, ti ho detto addio ma poi ho riaperto gli occhi. Un'altra possibilità per dirti le cose che non ti avevo mai detto e tu non c'eri” “Tuo padre mi ha impedito perfino di vederti!” “Mio padre mi ha restituito la vita!” urlò la giovane spingendolo leggermente indietro “Pensi che sia stato tutto semplice Andrè?” il suono del suo nome arrivò come una pugnalata in pieno petto.
Lei ricordava, ricordava ogni cosa e ora, era lì di fronte a lui con quegli occhi così pieni di rabbia, così belli.
Aveva il respiro accelerato, le mani strette così forte da rendere le nocche simili a perle, non indietreggiava, non scappava, non l'aveva mai fatto e di certo non si sarebbe sottratta a quel confronto “Il mondo che mi ha costruito attorno mi ha protetto, non sapevo cosa fare, chi essere o perché. Avevo bisogno di tempo per comprendere me stessa e ...” “Comprendere? Che altro avevi da comprendere! Eri perfetta, eri tutto quello che un uomo può desiderare Oscar e ora ti sei trasformata in una regina di ghiaccio dal cuore di pietra!” “Ti ho cercato” “Cosa?” sorrise accarezzando l'animale accanto a lei “Ti ho cercato tante volte Andrè. L'ho fatto di nascosto, ho mentito a mio padre inventando sciocche scuse ma quando finalmente ti ho trovato ...” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … ho capito che non avevi bisogno di un fantasma. Eri felice, avevi una ragazza al tuo fianco e una vita. Non potevo distruggere quello che avevi creato, non di nuovo” “Ti prego dimmi che questo è solo un brutto sogno” rise nervoso stringendosi la testa tra le mani “Tu mi hai torturato in silenzio per sei anni Oscar! Ho perso il mio cuore con te!” “È questo?” domandò Helena “Hai perso il cuore con me?” “Potevi scrivermi, potevi bussare alla mia porta e parlarmi perché Oscar, avrei affrontato il mondo per restarti accanto” “Eri sposato!” dei colpi sulla porta poi il volto di Ulek.
Si avvicinò ad Helena pronunciando poche parole, la vide annuire, muovere leggermente la mano ancora coperta “Heimdallr komma, det är dags att vila” il falco volò sul suo braccio costringendola a sorridere “Den är vårdas” Ulek chinò il capo prendendo l'animale e in silenzio com'era apparso se ne andò lasciandoli ancora una volta al silenzio.
“Heimdallr fu il primo regalo di mio marito. Un falco dal becco scuro e gli occhi dorati” mormorò sfiorando con le dita il bordo della sedia “Lo chiamai Heimdallr come il dio padre degli uomini liberi e nobili” “Da quando credi in queste sciocchezze?” ma le sue parole le scivolarono addosso senza intaccare la leggerezza della voce “Egli ha il potere di vedere ciò che al cuore non è chiaro ...” si avvicinò al giovane cercando i suoi occhi “ … egli ha il potere di udire ciò che le parole non dicono ...” si avvicinò a lui sollevando la mano e con dolcezza, la posò sul petto accarezzando quel battito accelerato “… egli ascolta i pianti silenziosi dell'anima che sfuggono a noi” “Perché fai così” era una supplica, una supplica violenta che gli spezzava la voce perché era troppo vicina, troppo bella, troppo diversa “Ti ho detto addio ormai molti anni fa” “Oscar...” “Io ho un marito che mi ama, ho un figlio che mi è stato strappato dalle braccia eppure sono qui a proteggere la tua vita” “Perché?” “Perché non sei mai stato un gioco per me” sentiva il peso leggero della sua mano, il dolce calore che le apparteneva e che perfino oltre la stoffa era in grado di toccare.
L'avrebbe abbracciata, se ne avesse avuto la forza l'avrebbe stretta tra le braccia ma era terrorizzato dal muovere anche solo un dito perché era certo che se l'avesse fatto, lei sarebbe sparita nella nebbia proprio come i sogni dolorosi che per anni l'avevano imprigionato “Eri felice Andrè, lei ti rendeva felice” “Hai scelto per tutti e due. Non avevi il diritto di farlo” “Hai ragione, forse sarei dovuta venire da te e dirti: lo sai che in realtà respiro!” “Ti sei presa gioco di me, tuo padre si è preso gioco di me e dei miei sentimenti! Non sono come lui Oscar, ho un cuore e non posso sopportare il tuo sarcasmo né la tua perché l'ho fatto per sei anni. Sai cosa vuol dire seppellire un amore? Hai idea dello sforzo che ho fatto per tenerti in fondo al cuore?” “Era più semplice dimenticare, la soluzione più sicura per entrambi” “Più sicura?” ribatté gelido allontanandosi da lei “È accaduto per caso” si voltò di nuovo verso cercando in quella piccola rivelazione qualche risposta “Stavo cavalcando, sapevo di aver sbagliato strada, mio padre ripeteva continuamente che non avrei dovuto corre in quel modo. César galoppava veloce come il vento e all'improvviso ...” un dolcissimo sorriso le sfiorò le labbra rendendola ancora più bella “ … mi sono trovata davanti un uomo dallo sguardo di ghiaccio. Era immobile accanto alla sua carrozza, parlava, urlava forse ma ricordo il suo sorriso. Si voltò verso di me e mi chiese la strada per la reggia. Lo ritenni solo uno sciocco incidente, una cosa di poco conto” rise divertita da quel ricordo tanto innocente.
“Pochi giorni dopo, lo trovai seduto nello studio di mio padre. Era il figlio di un granduca, l'erede di una stirpe gloriosa che veniva dal nord ma questo non bastò a convincermi. Ho rifiutato la sua corte, l'ho evitato come si evita un brutto sogno ma con dolcezza, lentamente, il suo viso è diventato parte della mia vita e mi sono accorta che quell'uomo venuto da lontano non era lì per matrimoni vantaggiosi o per giochi di potere. Era lì per me, per conoscere il cuore di donna che batteva veloce nel mio petto” parlava del passato con una semplicità disarmante senza rendersi conto che davanti a lei, c'era un uomo distrutto capace solo di respirare.
“Non aveva intenzione di cambiarmi né di costringermi ad essere qualcosa di diverso. Ogni ora che passavo assieme a lui affievoliva il dolore che mi ero imposta di rispettare e quando ha chiesto la mia mano, ho detto addio al passato e l'ho seguito. Forse sono stata egoista all'inizio, credevo che Nils avrebbe curato le ferite del mio cuore e invece è riuscito a mostrarmi che ero in grado di amare di nuovo, che se tu potevi dimenticare allora potevo farlo anche io ” “No ti sbagli” mormorò tremante abbandonandosi di nuovo sulla sedia “Non ti ho mai dimenticato” “Ho pregato con tutto il cuore affinché lei ti rendesse felice. Ho pregato affinché ti donasse amore” “E su cosa basi il tuo matrimonio, sulla menzogna?” “E tu? Su cosa basi il tuo matrimonio, sulla finzione?” domandò tagliente posando le mani sullo schienale della sedia di fronte a lui “Quando Marie mi ha guardata negli occhi parlandomi di quanto fosse semplice e bella la vita con suo marito, ho capito che non le avevi mai raccontato nulla del nostro passato. Volevo fermare quel gioco sciocco prima che fosse troppo tardi ma sei venuto da me, sapevo che avrebbe fatto male ad entrambi parlare di nuovo e sono partita” “Sei scappata” “Sono partita perché ne avevamo bisogno entrambi ma Marie mi ha seguito, si è fatta prendere a servizio da mio marito e quando si è accorta che il mio cuore ricordava, ha rapito il mio bambino!” “Era spaventata, non capiva nemmeno la gravità del suo gesto e più di una volta ha cercato un modo per riportarlo da te” “Non sei bravo a mentire, non lo eri da piccolo e non lo sei nemmeno ora” lasciò cadere il mantello sulla sedia liberando la dolce sensualità di un corpo creato per splendere e non per nascondersi “Hai per caso idea delle conseguenze che ha scatenato? Della rabbia che ha sciolto in mio marito? Sono morte persone innocenti per colpa sua” “Non sarebbe mai dovuto accadere, se Oscar fosse davvero Oscar nessuno avrebbe perso la vita!” “Alle vostre spalle c'è una scia di sangue che non sarebbe mai apparsa se quella sciocca non avesse toccato mio figlio!” urlò picchiando con forza il pugno sul tavolo mezzo scheggiato “Sono una granduchessa svedese, mio figlio è l'erede di una famiglia antica e potente e tua moglie non si è nemmeno preoccupata della sua salute! L'ha trascinato nel freddo e nel vento con l'unico scopo di portarlo da te!” “L'ho tenuto al caldo e l'ho curato e ora ...” “Tu la giustifichi” sussurrò stupita “Comprendo il motivo del suo comportamento” “È mio figlio!” urlò spingendo violentemente il tavolino di lato.
In quello sguardo pieno di ghiaccio, in quella rabbia trattenuta a forza dal tremore delle mani viveva una forza vibrante dono della natura, della maternità e di quella nuova vita che l'aveva salvata “Il mio bambino Andrè! Io gli ho dato la vita, ho sofferto per sentire il suo pianto e l'ho amato fin dal suo primo vagito e ora una sciocca venuta dalla Francia, si arroga il diritto di portarmelo via per vedermi soffrire, per pareggiare i conti con un passato che non ti lascia in pace” la voce del duca esplose violenta oltre la porta chiusa.
Ulek tentava di calmarlo ma più ci provava e più otteneva l'effetto opposto, Helena sorrise indietreggiando di un passo poi il rumore violento della porta e quell'uomo arrabbiato di fronte a lei “Stai bene?” domandò preoccupato sfiorandole il volto, un debolissimo si uscì dalle labbra rallentando per qualche attimo la corsa del suo cuore “Non dovresti essere qui” “Lo sai perché lo faccio” “Lo so ma non mi aiuta vederti sconvolta” strinse la mano di sua moglie baciandola poi con sguardo tagliente, si voltò verso l'uomo “Datemi un motivo, uno solo per cui non dovrei uccidervi” “Non ho spiegazioni né scuse, prendete pure la mia vita se lo desiderate ma lasciate andare mia moglie” si mosse veloce verso di lui ma la mano di Helena saldamente ancorata alla sua lo costrinse ad indietreggiare “No amore mio, ora basta con il sangue” sussurrò abbracciandolo “Hai mantenuto la tua promessa, il nostro bambino è salvo. Basta con il sangue” Nils chiuse gli occhi qualche secondo cercando di ritrovare la razionalità che sempre, fin da bambino, l'aveva guidato.
Strinse più forte la mano attorno ai fianchi della giovane tornando a respirare “Ringraziatela” sussurrò gelido “Ringraziate Helena perché è per volere suo che siete ancora vivi!” prese il mantello dalla sedia coprendola agli occhi di un uomo ormai sfinito “Tornerete a Läckö con noi e vedrete con i vostri occhi il risultato della follia che avete commesso!” “Non ho paura di voi né delle vostre minacce, non è solo con una spada che si può uccidere un uomo” lo sguardo si fuse a quello della ragazza e in quell'attimo milioni di parole esplosero violente nei suoi occhi “Se è desiderio di mia moglie allora verrete liberati ma non prima di aver scontato la vostra pena!” passò un braccio attorno alle spalle della sua sposa e senza più prestargli attenzione uscì dalla camera chiudendo quell'uomo e le sue domande oltre il confine sicuro della distanza.



 

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Capitolo 40
*** Un motivo per Odiarti ***




                        Un motivo per Odiarti






Non era abituato al freddo, certo anche in Francia l'inverno era rigido ma lì, così lontano da casa inverno assumeva nuovo nome.
Sentiva il gelo entrare nelle ossa, attaccarsi ad ogni respiro e a nulla valeva la protezione degli abiti o dei guanti.
Le dita gelavano, la voce tremava, bloccati da qualche parte nel bel mezzo del nulla seguivano percorsi e strade che solo loro conoscevano.
Era certo che prima o poi sarebbero tornati alla civiltà ma per ora, tutto quello che vedeva erano distese di neve e montagne che si infrangevano aspre nel cielo.
Strinse più forte le redini del cavallo chiedendosi ancora una volta per quale sciocco motivo fosse in mezzo alla neve ad aspettare qualcuno, qualcosa.
Accampati ai margini della foresta gli uomini avevano eretto tende e fiaccole, la landa desolata che poco prima si era aperta davanti ai suoi occhi ora sembrava un piccolo villaggio caldo e rassicurante ma sapeva bene che nascosto nell'intimità di una tenda grande e sorvegliata, vi era uno sguardo limpido come il cielo che reggeva da solo la sorte di quella tremula tregua fino ad ora rispettata.
“Perché sono qui?” l'uomo accanto a lui sorrise “Perché il duca mi ha appena promosso, sono diventato la tua balia e dove vado io vieni tu” “Ho capito sai? Questo è un gioco, un gioco che sembra divertire molto il tuo signore e che francamente non capisco ma va bene, lo accetto purché mia moglie e suo cugino siano ...” “Al sicuro?” annuì appena sospirando “Lo saranno fino a quando tu rispetterai i miei ordini” “Hai paura che scappi?” il volto del giovane si colorò d'ironia.
Aveva gli occhi di un bel nocciola sfumato che attenuava la violenza della cicatrice che gli sfigurava il volto.
Molte volte si era chiesto come ci fossero finiti quei tagli sulla sua pelle ma conoscere il suo nome era l'unica informazione che gli fosse permessa di conoscere.
Quegli uomini così freddi e duri come roccia erano diversi da lui.
Giovani, forti, dal cuore pieno di sogni e l'animo di un crudele assassino.
Fece un bel respiro stringendosi più forte nel mantello “Vuole vedermi soffrire” Gustaf tornò a fissare il debole tremore del fuoco e i passi silenziosi degli uomini “Vuole farmi provare le stesse cose che ha provato la sua sposa, le stesse cose che ha provato lui. Lo fa spingendo al limite il mio corpo e il mio spirito ma se questo è ...” “Tu non capisci” “E allora ti prego spiegamelo, perché vedi, sono ore che provo a districare i dubbi e quello che riesco a ottenere è maggior confusione!” “Non è il tuo corpo che vuole ferire né quello della tua sposa” “Per questo da ordine di trascinarmi fuori come un ladro? Per questo mi allontana da Marie lasciandola nel panico!” “Non è stato un ordine del duca” “Cosa?” “Quella sposa a cui tu ti riferisci come se parlassi di una comunissima serva! Quella donna che vi tiene in vita, è suo l'ordine” “Come … lei ha davvero ...” “Lei ci guiderà alla caccia oggi e tu verrai con noi” “Con il buio?” domandò confuso osservando il cielo “Voi francesi” sbottò irritato l'altro frenando i passi del suo cavallo “Credete di conoscere le regole e leggi del mondo! Osservate il vento e decretate dove farà cadere le foglie e se per caso sbagliate, allora la colpa sarà sicuramente del vento e della sua irriverenza!” “Era solo una domanda” “È buio è vero e lo sarà per mesi ma in questi boschi...” indicò con la mano la selva scura di fronte a loro sorridendo “ … la vita scorre come sempre. Non la ferma il buio né le domande sciocche. Il cielo ci regalerà la sua luce e noi renderemo grazie per questo” Andrè sollevò lo sguardo e leggerissime scie luminose apparvero muovendosi flessuose come nastri di raso.
Un debole sorriso schiuse le labbra mentre tentava di ricordare uno spettacolo altrettanto bello “Non servono gli occhi per vedere né orecchie per sentire. Non si caccia solo con cani e servi armati” una risata cristallina invase il silenzio e il cuore rallentò la sua corsa mentre davanti agli occhi, una fata prendeva vita.
I capelli imprigionati in dolcissimi intrecci fermati da lacci di cuoio e perle, il suo volto era roseo, luminoso, nei suoi occhi c'era fuoco e acqua che convivevano assieme come fratelli.
Indossava abiti dai colori scuri ornati di pelliccia e lana.
Intessuti di fili d'argento rendevano il suo incarnato una seta preziosa..
Non c'era il mantello a coprire la sua figura ma una giacca nera più lunga del solito che si agganciava sul seno e sulla schiena, vi erano gli stessi fili luminosi che giocavano a rincorrersi.
Camminava tranquilla tra gli uomini senza preoccuparsi dei loro sguardi, della bellezza dirompente che rovesciava su loro.
Avrebbe potuto indossare stracci o pezze delle più sudice mai trovate e sarebbe stata lo stesso bellissima.
In fondo, era uguale a sé stessa fin da quando erano bambini.
Aveva passato con lei una vita intera e nemmeno nella dolce età dei cambiamenti aveva mutato la sua tenerezza.
In ogni suo gesto c'era nobiltà e un'eleganza innata che difficilmente poteva essere insegnata “Non è bellissima?” domandò divertito Gustaf “Una driade dei boschi che non teme l'uomo” “Ne sei innamorato?” “E tu?” ribatté cercando gli occhi di Andrè “Vedi francese, io sono suo servo, sono pronto a morire per lei e se domani mattina si svegliasse con il desiderio di uccidermi non avrei nulla da rimproverarle” “Perché?” domandò sfinito continuando a seguire i passi della giovane “Le ho giurato fedeltà. L'amore che provo nei suoi confronti è pari a quello che prova il popolo nei confronti della regina. Lei è la luce e il buio, la donna che ha salvato il mio signore dalla solitudine ma tu ...” si fermò qualche secondo studiando il volto di Andrè, il suo sguardo assorto.
Leggeva in lui il dubbio, la curiosità, domande mai poste che ora gli bruciavano in petto rendendo chiaro anche ai suoi occhi la profondità di un sentimento mai estinto “ … tu non hai alcun motivo per costringerla a piangere, perché lo fai?” “Io non ...” “La legge di Dio è sacra così come lo è quella della natura. Avete strappato ad una madre il proprio bambino sciogliendo le catene che trattenevano la rabbia del duca. Molti innocenti sono morti per voi. Hai chiesto pietà e sei stato ascoltato, c'è una punizione che vi attende ma avrete salva la vita per merito della duchessa” “Vederla soffrire è l'ultima cosa che vorrei credimi” “Perché ne sei innamorato?” ma lui non rispose, si limitò a sospirare abbozzando un leggerissimo sorriso “Sono innamorato di un ricordo” “Non si possono amare due donne né si può giocare con i sentimenti di una duchessa” tre giovani montarono a cavallo seguiti da Helena e dal duca.
La luce tenue del cielo si rifletteva sui cristalli di ghiaccio e il vento ora più lieve accompagnava le risate dei ragazzi.
La vide annuire legando l'arco alla coscia destra “È così che cacceremo?” domandò confuso voltandosi verso il giovane “Con arco e frecce?” “In questo mondo dove il giorno diventa notte bisogna rispettare la natura e il suo silenzio” “Non puoi tirare con l'arco al buio” “Non sono tuoi gli occhi che ci condurranno alle prede” “E di chi?” Gustaf indicò di nuovo la giovane costringendolo a seguire il suo sguardo.
Parlava con suo marito giocando con i suoi occhi, con le sue labbra e il suo sorriso.
Un bacio leggero, un bacio che faceva un male atroce perché creato apposta per mostrargli la realtà.
Sollevò appena il braccio davanti al petto, un battito d'ali quasi impercettibile perforò il silenzio e poi gli artigli stretti con forza attorno al polso esile della giovane “Athena ci porterà nel bosco e Odino ...” un secondo uccello si aggrappò al braccio del duca costringendo Gustaf a sorridere “... ci aiuterà a non perderla” “Quelli sono ...” “Civette delle nevi” asserì orgoglioso “Lei è l'unica in grado di toccare Athena” “Perché?” “È irruenta, diffidente e testarda” “E Oscar non lo è forse?” “Usa rispetto quando parli della mia signora” esclamò irritato l'altro posando una mano sull'elsa della spada.
Helena sussurrò qualcosa accarezzando il petto arruffato del rapace “Perché le civette?” “Perché continui a fare domande?” “Perché ho capito la punizione in cosa consiste e mi serve qualcosa che tenga occupata la mente quindi sì, voglio sapere perché le civette!” “Il loro volo è silenzioso, i loro occhi in grado di vedere oltre la coltre cupa” ribatté Gustaf, un ordine riempì il silenzio, mosse il suo cavallo in avanti e la piccola colonna si immerse nel sonno della foresta.
Camminare per quei labirinti di vegetazione non era di certo semplice e più di una volta Gustaf era stato costretto a prendere le redini tirandolo di nuovo sulla strada giusta “Non guardare in basso” esclamò cercando di trattenere la voce “Tieni gli occhi inchiodati alla duchessa!” sollevò lo sguardo incontrando lo scintillio leggero delle loro vesti.
Quell'argento intessuto brillava sotto i tiepidi raggi del cielo guidando gli uomini attraverso il buio.
“Är du redo Athena?” sussurrò Helena legando alla zampa dell'animale lacci uguali a quelli che aveva in petto “Ta mig av rådjur” le ali si spiegarono silenziose, ali possenti che non creavano alcun rumore.
La civetta si alzò in volo scomparendo nel buio “Sicura di riuscirci?” “Non sono più una bambina amore mio” sussurrò divertita sporgendosi appena verso il marito “Vuoi fare un gioco con me?” “Helena, se mi fai domande del genere dimentico cosa sto per fare e ...” “Un colpo solo alla base del collo” il duca rise sfiorandole le labbra con un bacio “Hai sentito Ulek? La mia sposa alza la posta stasera” l'uomo annuì giocherellando con le redini del cavallo “E sia, un colpo alla base del collo” la baciò di nuovo costringendola a ridere “Puoi farmi un regalo questa volta?” “Quale?” “Ricordati che oltre il cervo c'è tuo marito. L'ultima volta mi hai piantato la freccia nella coscia” “Ma con la seconda ho preso il cervo” gli sorrise divertita stringendosi appena nelle spalle "Non ero abituata alle luci del nord ma ho preso lo stesso la mia preda" “Che ne pensi Ulek?” “Che siete un uomo fortunato signore” “Oh questo lo puoi ben dire” sganciò l'arco stringendolo nella mano sinistra “Preparati francese” mormorò Gustaf “Ora imparerai a cacciare” “Cosa?” “Tieni le redini strette, quando Odino si alzerà in volo io e te seguiremo la duchessa. Non staccare gli occhi da lei per nessun motivo chiaro?” un debolissimo sì uscì dalle labbra ma l'animo urlava.
Come poteva spiegargli che guardare quell'angelo era l'ultima cosa di cui aveva bisogno? Fece un bel respiro concentrandosi sull'uccello ancora appollaiato sul braccio del duca.
La debole luce si rifletteva sulle piume lucide come uno specchio riflette l'immagine della luna.
I minuti sembravano lunghi ore intere mentre il silenzio veniva rotto a tratti da una risata delicata appena sussurrata, un sorriso carico di sfida colorò gli occhi del duca mentre sollevava la civetta davanti al volto, gli occhi gialli e luminosi si mossero veloci seguendo qualcosa nel buio, qualcosa di invisibile e sconosciuto e poi d'improvviso si alzò in volo.
I cavalli vennero spronati partendo al galoppo e il duca scomparve seguito dai due cavalieri.
Correvano agili evitando rami e radici ma lui, lui cresciuto in un paese lontano dove la notte era fatta per i sogni faticava a seguire il loro passo.
Strinse più forte le redini senza mai abbandonare quei disegni leggeri sulla schiena della giovane.
Nelle orecchie solo il respiro rapido dei cavalli, il rumore dei loro zoccoli nella neve fresca, nelle radici e il respiro accelerato di una ragazza sorridente.
Cavalcava leggera attraverso gli alberi incurante del vento gelido sul volto, dei rami sottili che le graffiavano i vestiti.
Per qualche secondo ebbe l'impressione di vivere di nuovo nel passato, quello dove due giovani pieni di vita correvano a perdifiato lungo il fiume con i loro cavalli.
Quel passato dove un padre severo chiedeva il motivo dei graffi sul volto della figlia e dove una giovane dallo sguardo irriverente nascondeva dietro ad un'innocente bugia la lotta di pochi minuti prima.
Quella bambina era sparita, quella giovane scomparsa, ora davanti a lui c'era una donna fiera, orgogliosa, una donna a cui aveva detto addio e che per l'ennesima volta l'aveva ferito rivelandogli una verità che mai avrebbe voluto.
Fece un bel respiro chinandosi sul collo del cavallo, cercava con tutte le forze di ignorare la rabbia violenta che gli cresceva nel cuore perché era colpa di quella donna se ora non riusciva nemmeno a portare via sua moglie, era colpa sua se faticava a lasciar andare un ricordo e se per l'ennesima volta, era costretto ad attingere ad una forza che ormai non aveva più.
Seguì i movimenti rapidi della giovane scoprendo ben presto che il suo sguardo era ben lontano dalla strada.
Guardava il cielo cercando nelle deboli pieghe di luce la sua meravigliosa civetta.
Socchiuse gli occhi spiando per qualche secondo il volo del rapace, il suo canto arrivò fino a loro costringendo lo stupore a riempire gli occhi.
Volteggiava veloce sulle loro teste trascinandoli verso un punto ben distinto e d'improvviso scese verso gli alberi girando su sé stessa.
Helena sorrise stringendo più forte l'arco, lo sguardo si abbassò di colpo seguendo il volo rapido di Athena mentre davanti a lei apparve nel buio il profilo sfocato di qualcosa, un animale forse. Correva veloce tra gli alberi sollevando leggerissima polvere di neve poi d'improvviso il fischio acuto dell'altra civetta.
Pochi secondi per respirare, il battito accelerato del cuore nelle orecchie e un sorriso gelido sul volto “Från träden, Athena ta sedan Oden!” lasciò le redini incoccando la freccia, la civetta si mosse veloce verso i nastri d'argento che di fronte a lei si agitavano confusi.
Tese con forza la corda dell'arco trattenendo il respiro, il fischio rapido della freccia perforò l'aria poi un tonfo ovattato, Gustaf urlò alzando un braccio al cielo “Ecco! È così che si caccia mia signora!” la giovane rise tirando con forza le redini, la corsa del cavallo si fermò di colpo.
Davanti a loro, tra le radici e la neve c'era il corpo sanguinante di un cervo, un maschio grosso e muscoloso che a malapena respirava.
La freccia conficcata nel collo aveva trapassato la gola ma c'era una seconda freccia piantata a poca distanza dalla prima “Hai visto francese?” ma lo sguardo di Andrè era lontano, perso negli occhi di Helena che senza alcuna debolezza sosteneva quella curiosità.
La risata del duca spaccò quell'attimo di gelida solitudine costringendo la giovane a distogliere lo sguardo “Un colpo preciso” esclamò divertito “Ma ho vinto io” “E per quale motivo?” domandò confusa scendendo da cavallo “La mia freccia è più bassa della tua” “Non è una buona scusa” ma l'altro rise sollevandola appena da terra “Sono disposto a deporre le armi se mi regalate un bacio” sfiorò il volto arrossato della sua sposa perdendosi nella dolcezza delle sue labbra “La prossima volta vincerò io duca” sollevò lo sguardo verso il cielo fischiando, le due civette scesero veloci aggrappandosi alle braccia dei loro padroni “Du förtjänar ett pris” sussurrò Helena accarezzando le penne liscie dell'animale “En bra belöning” sfilò dalla cinta il pugnale e inginocchiandosi accanto al cervo, piantò la punta sul muscolo ancora tremante incidendo con forza la carne “Gli occhi li ha presi Odino amore mio” mormorò orgoglioso Nils accarezzando il suo lucente compagno “Ed è stato un giusto premio, noi preferiamo la carne più calda” sollevò il pugnale davanti al volto ridendo.
Il sangue colava sull'elsa sporcandole la pelle ma a lei non importava “Ecco qui” sussurrò amorevole avvicinando il pugnale alla civetta, il becco forte si chiuse attorno alla carne strappandone grossi bocconi “Ulek, caricate il cervo!” “Subito altezza reale” l'uomo scese da cavallo seguito dal suo compagno “Svelto smonta!” sbottò poi avvicinandosi ad Andrè “Hai sentito il duca?” lasciò andare le redini confuso dal comportamento tanto diverso della giovane “Gustaf fagli vedere come si fa!” sentì la mano del giovane stringersi con forza attorno alla spalla “Andiamo” smontò velocemente seguendo i passi dell'uomo mentre lo sguardo di quella fata lo sfidava senza sosta.




“A caccia?” annuì appena stringendosi più forte nel mantello “Con il buio?” domandò tremante Marie sedendo accanto a lui.
Lo scoppiettio del fuoco copriva le risate degli uomini all'esterno, la musica delicata dei loro flauti e la voce della giovane dama che anche con il gelo era diventata fuoco “Come hai ...” “Due civette delle nevi” “Davvero?” domandò stupito Emile “Le usano per cacciare?” “Sembrano lame di ghiaccio che volano nel cielo. Sono silenziose e rapide nei movimenti, loro sono gli occhi dei cacciatori” “Ti hanno trascinato fuori senza dirmi perché, ho avuto paura che tu ...” ma la mano si ritrasse di colpo quando sentì il braccio di suo marito sottrarsi a quella carezza leggera “Va tutto bene?” “Cerco di capire come fare per salvarti la vita” mormorò gelido piantando gli occhi sul volto di Marie “Ti rendi conto di quello che hai fatto?” “Ne abbiamo già parlato, mi dispiace!” “Ti dispiace?” domandò stupito “Lo sai perché non siamo ancora finiti impiccati a qualche albero?” “Oh ti prego” “La donna a cui hai portato via il bambino ci tiene in vita! È per merito suo se respiriamo e parliamo” “È innamorata di te!” Emile sospirò abbassando lo sguardo “Ti ama Andrè e tu sei l'unico a non accorgersene!” urlò tremante afferrando la sua mano “Non ha mai dimenticato! Lei ricorda, ricorda la vostra vita e sa cosa provi e gioca con te come una volpe con il coniglio!” “Smettila” ma lo sguardo della giovane divenne più profondo “Te l'ha detto non è così? Ti ha detto la verità!” “Marie se non la smetti ...” “Perché ne sono così stupita? Tu l'ami?” “Cosa?” “Sei innamorato di lei? Perché vedi, io sono tua moglie e ti amo, amo l'uomo che sei e non il passato! Lei è arrogante, egoista e ...” uno schiaffo si infranse contro il volto di Marie costringendola a sussultare “Non voglio più sentire una sola parola su di lei, su di me o su qualsiasi altra sciocca idea che ti sia venuta in mente! Questo non è un gioco, non hai rubato una bambola ma un bambino e l'hai fatto senza preoccuparti delle conseguenze che avrebbe avuto su di me o su tutte quelle povera anime innocenti che sono morte a causa tua compresa Elise!” era arrabbiato, confuso, aveva il terrore di dover lottare contro qualcosa di più grande di loro che riposava dietro al cielo di quello sguardo.
Fece un bel respiro tornando a fissare il fuoco “Non voglio più sentire una sola parola Marie! Sono stato chiaro?” “Andrè” lo sguardo corse veloce al volto di Emile “Ora basta, ha capito” “Davvero?” ribatté ironico alzandosi “Perché aveva capito anche prima di commettere questa mancanza e guarda dove siamo ora!” “Andrà tutto bene, ne usciremo e ...” “Morti? Perché se lei si ostina a sfidare la pazienza del duca è così che ci riconsegneranno alla Francia!” la tenda si aprì appena e il volto di Gustaf apparve nella penombra.
Reggeva tra le mani un pezzo di legno colmo di carne cotta e foglie arrostite dal profumo decisamente poco invitante “La vostra cena” Marie nascose il volto celando assieme al tremito delle labbra anche il pianto “Ho bisogno di passeggiare” “Passeggiare?” domandò confuso posando la carne accanto al fuoco “Vuoi passeggiare” “Esatto, ho bisogno di aria fresca, subito!” ma il giovane rise “E non ti è bastata tutta l'aria presa fino ad ora?” “Non sei diventato la mia balia? Dove sei tu vado io non è così?” “D'accordo francese, verrai a spaccare legna con me” lasciò tra le sue mani una scure dal manico intagliato continuando a spiare incuriosito il volto arrossato della giovane “Andiamo” si fece da parte permettendogli di uscire.
L'aria entrò improvvisamente nei polmoni calmando quel rogo di rabbia che bruciava nel petto “Non sono molto bravo con i sentimenti ma credo tu abbia appena indisposto la tua sposa” “Se la mia sposa non avesse indisposto me non saremo qui” sbottò ironico seguendolo nella foresta.
Ogni colpo d'ascia che intaccava il legno si portava con sé un po' di frenesia.
Picchiava con forza contro il tronco della pianta cercando di scaricare quanta più rabbia possibile, un colpo, un altro ancora poi il rumore del legno al suolo e la risata di Gustaf nelle orecchie “Sei più forte di quello che immaginavo. Dimmi, che lavoro facevi?” “Allevo cavalli” “Questo si che è un bel lavoro. Mi sarebbe piaciuto” “E perché non l'hai fatto?” “La vita porta scelte difficili. Le mie mi hanno condotto qui oggi ma non ne rimpiango nessuna però ...” sfilò dalla sacca due rametti di fiori abilmente intrecciati tra loro “ … se ora finissimo preda delle huldra non potrei mai più rivedere la luce del sole. Non so se sono pronto a questo” “Ma di che ...” “Legalo alla cinta e non perderlo mai” “Cos'è?” domandò confuso rigirandosi il rametto tra le dita “Un porta fortuna” “Gustaf” il giovane si voltò di colpo chinando il capo “Non dovresti lavorare a quest'ora, hai diritto al riposo” “Non è un problema per me vostra grazia” un bellissimo sorriso schiuse le labbra di Helena costringendo Andrè a distogliere lo sguardo “Ti sei comportato molto bene durante la caccia. I tuoi passi erano sicuri e rapidi accanto ai miei. Meriti di riposare” alle spalle della giovane, appoggiato ad un tronco nascosto dal buio, Ulek spiava silenzioso i passi della sua signora senza avere l'ardire di intromettersi nei suoi discorsi “Coraggio vai, Mitra prenderà il tuo posto” “Come desiderate” un debolissimo inchino prima di allontanarsi da loro.
“Non sono più nemmeno degna dei tuoi occhi?” “Non so cosa sto guardando” ma lei rise portandosi le mani dietro alla schiena in quel gesto fanciullesco che molte volte aveva spiato “Una duchessa” “Ed è così che i vostri uomini vi proteggono ...” gettò l'ascia al suolo sospirando “ … allontanandosi senza preoccuparsi di voi?” “Non ha alcun motivo per farlo, sono ben protetta” ribatté divertita voltandosi appena verso Ulek, lo vide sorridere chinando leggermente il capo verso di lei “E se la prossima domanda riguarda mio marito o la sua fiducia la risposta è si, sa esattamente dove sono e cosa sto facendo” sfiorò con le dita il tronco rugoso di un albero sorridendo.
Non indossava guanti né mantelli pesanti, giocava in mezzo al freddo ignorando il tremito leggero o lo sguardo confuso di Andrè “Perché siete qui?” “Perché è l'ora del giorno che preferisco. L'alba” sollevò il volto al cielo chiudendo gli occhi per qualche secondo “I raggi del sole sono ben lontani ma le spose del vento si sono appena svegliate” il suono leggero della sua risata perforò il muro solido della razionalità costringendolo a trasalire.
Era bella, troppo bella per diventare solo un volto da odiare.
Non erano bastati sei anni a cancellarla dal cuore e averla così vicino non lo aiutava di certo a pensare “Le senti nell'aria, nel respiro leggero della terra” “Sono fredde e meschine come tutte le donne” mormorò indifferente “Egoiste e nient'altro” “Eppure amano” “Una vita piena di menzogne?” “Una vita che ha regalato loro un futuro” gli sguardi si fusero assieme e in quel silenzio pieno di parole, riconobbe ancora una volta la sua bellissima Oscar.
Era davanti a lui, tenera, innocente, lo guardava con occhi di bimba urlando il suo nome con tutta il fiato che aveva in gola proprio come quel maledetto sogno.
Era così vicina, così limpida davanti agli occhi da confonderlo. Sollevò una mano allungandola tremante verso di lei, Ulek raddrizzò la schiena stringendo più forte l'elsa della spada ma non mosse un solo passo.
La mano toccò il volto fresco di Helena, le dita tremanti sfiorarono la perfezione dei suoi lineamenti costringendo il cuore a battere più forte “Sei reale” “Sono un ricordo” sorrise perdendosi nel mare immenso del suo sguardo “Sono una moglie, sono una madre” indietreggiò di un passo sottraendosi a quella carezza che ormai non le apparteneva più.
Il suo sorriso divenne improvvisamente freddo e distaccato, i suoi occhi si riempirono di delusione mentre la mano cadeva nuovamente nel vuoto “Hai massacrato mezza Svezia per tuo figlio e ora passi il tuo tempo a cacciare e passeggiare e ...” “Vuoi insegnarmi ad essere madre?” domandò stupita “Non era mia intenzione ...” “Dimenticavo la tua grande esperienza in campo genitoriale” mosse appena una mano, Ulek uscì dall'ombra avvicinandosi a loro di qualche passo “Mio figlio ha un padre che lo ama, una madre che darebbe la vita per lui e nonni meravigliosi. Passa il suo tempo ascoltando fiabe e leggende, gioca con la natura, impara le regole di questo mondo e ora, un allevatore di cavalli venuto dalla Francia pretende di insegnarmi come fare la madre!” “Non sei mai stata cattiva” rispose “Non iniziare ora” “Ti sembro cattiva?” “Non sei più quel ricordo” “Nemmeno tu” “Oscar io non ...” “Te l'ho già detto una volta!” esclamò gelida sfiorando l'elsa del pugnale “È con una duchessa che parli non con una serva né tanto meno con una moglie irriverente ladra di bambini. Mostra rispetto allevatore” “Chiamandoti con un nome che non ti appartiene?” “Vostra grazia andrà benissimo” ribatté sarcastica “Tra qualche ora ci metteremo in viaggio. Forse dovresti riposare perché ciò che vi attende non è certo di facile comprensione” “Credi che non lo sappia?” la giovane si voltò di nuovo cercando di comprendere il significato di quella domanda lasciata cadere nel silenzio “La mia punizione, il motivo per cui mi trascini ovunque come una bambola di pezza” ma lei rise inclinando leggermente la testa di lato, la treccia si mosse nell'aria appoggiandosi delicata sul seno “Davvero?” domandò divertita “E pensi di poterci convivere?” “E tu? Pensi di poter giocare ancora molto con me? Perché vedi …” fece un bel respiro stringendo più forte il collo del mantello “ … ho una vita in Francia e mi piacerebbe tornarci assieme a mia moglie” “La vostra vita mi appartiene fino a quando ne avrò voglia Andrè. Qui non siamo in Francia, le leggi, le regole sono diverse” “Ah, dimenticavo, le sciocche superstizioni di cui ormai sei convinta” Helena sospirò cercando ancora una volta i suoi occhi “La vita che faccio, ciò in cui credo, quello che sono diventata ...” mosse un passo verso di lui e poi un altro e un altro ancora “ … quello che provo ormai non ti appartiene più ma tu resti aggrappato al passato ...” sfiorò con una mano il petto dell'uomo sorridendo “ … tu ricordi una donna che non esiste più, un corpo che hai avuto e che ora freme sotto il tocco di un altro uomo ...” le labbra schiuse così vicine alle sue da farlo impazzire “... non riesci a dimenticare e così, leghi entrambi al caos” “Smettila” sussurrò cercando un modo anche sciocco per allontanarsi da lei ma quegli occhi tanto belli lo incatenavano a terra costringendolo a sopportare ancora una volta l'irruenza del suo profumo.
Stordito da quello sguardo di mare restava immobile con quel corpo d'angelo così vicino da poterne sentire il calore “Sei stata il mio incubo per anni, ora basta” “Eppure ...” sussurrò divertita “ … non riesci nemmeno ad allontanarti da me” sentiva il suo respiro, il profumo della sua pelle che con prepotenza entrava nel cuore attaccandosi ad ogni battito “Ti do un motivo per odiarmi Andrè” l'aria gelida tornò improvvisamente tra loro costringendolo a respirare “Ti do un motivo per dirmi addio” si voltò tornando veloce sui propri passi, Ulek rise divertito “Siete stata convincente mia signora” “Si, mi sono piaciuta” lasciò il pugnale tra le mani dell'uomo tornando ad essere la duchessa di ghiaccio a cui tutti portavano rispetto “Riportatelo nella sua tenda, che mangi e dorma perché tra poche ore la nausea sarà tutto quello che riuscirà a sentire” Ulek fischiò e tre uomini uscirono dal buio accerchiando Andrè “Portatelo indietro e che non esca più fino a quando sua altezza non lo avrà ordinato” un debolissimo cenno d'assenso poi di nuovo il volto fresco della giovane “Mio figlio?” “Dorme sereno assieme a vostro marito” la dolcezza tornò a colorarle lo sguardo “Andiamo” Ulek la seguì silenzioso lasciando alle sue spalle un uomo confuso che a malapena comprendeva il significato delle sue parole.







 

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Capitolo 41
*** Sigillo ***


                                                 Sigillo






“Quali notizie?” “Sono in viaggio signor duca” Magnus annuì deciso permettendo a François di sistemare il prezioso mantello ornato di pelliccia che gli regalava un grado e un titolo impossibile da raggiungere.
Inspirò a fondo cercando di rilassare ogni muscolo.
Di fronte a lui solo una grande porta sorvegliata da guardie armate, posò le mani sul legno spingendola con forza e il volto cupo del re accolse il suo sguardo “Caro zio, vi prego venite avanti” “Gustavo” mormorò Magnus avvicinandosi al trono.
Il nipote amato che fin da bambino aveva coccolato era diventato un ottimo re, certo a volte dimenticava di controllare l'irruenza ed era incline ai capricci tuttavia, leggeva nel suo sguardo qualcosa di molto simile alla preoccupazione “Posso chiedervi il motivo di tanto pensare?” “Vi prego, non usate con me il voi, siete mio zio, sono io a dovervi portare rispetto” un debolissimo sorriso gli colorò il volto mentre lo invitava a sedere sul seggio accanto a lui “Allora dimmi, cosa c'è di così difficile da affrontare?” “Voi mi confermate il ritrovamento di Niklas non è così?” Magnus sospirò annuendo “Ne siete certo? Perché vedete, conosco bene mio cugino, se fino ad ora non mi ha informato vuol dire che qualcosa non è andato come di consueto” “Niklas è al sicuro, tu devi occuparti di altro ora” “Altro?” ribatté indispettito “La casa reale di Svezia è stata sbeffeggiata” si alzò dal trono ridendo “Non che questo mi importi, francamente penso di governare su un regno che la Francia non può nemmeno provare ad eguagliare ma quello che non posso e non voglio dimenticare …” riprese fiato giocando con un lembo della veste preziosa “ … è che mio cugino abbia sofferto per colpa di due insulse serve! Due donne per giunta francesi che si sono prese l'ardire di toccare un membro della mia famiglia!” due servi entrarono reggendo vassoi d'argento dove calici e leccornie erano state preparate per il capriccio del re “Non devi preoccuparti, tuo cugino sta bene” “Considero quel bambino al pari di un figlio e non permetto che nessuno tocchi i miei figli!” la mano si mosse rapida contro uno dei due vassoi spingendolo via dalle mani del servo.
I bicchieri si frantumarono al suolo e schegge di cristallo volarono ovunque innervosendo ulteriormente Gustavo.
Tre giovani apparvero dal nulla affrettandosi a raccogliere e pulire il caos di dolci e vino sul pavimento “L'ambasciatore francese sarà qui a breve, ti prego di ritrovare il controllo Gustavo, non ci fa bene un litigio con la Francia” “Non ci fa bene nemmeno il pianto di una madre svedese caro zio!” le porte si aprirono e un uomo elegante con il suo seguito di guardie fece il suo ingresso “Il duca Michel de Codignac, ambasciatore francese in Svezia” esclamò gravoso il ciambellano.
Gustavo sorrise portandosi le mani dietro alla schiena.
Le spalle si rilassarono di colpo e il portamento tornò quello orgoglioso di sempre “Ambasciatore” “Vostra altezza” mormorò l'altro inchinandosi “Sono qui per giungere ad un'accordo” “Fino a quando mio cugino non sarà tornato a casa, nessun accordo riavvicinerà i nostri due popoli” “Prego la maestà vostra di riflettere ancora un volta sulle gravi conseguenze che questo porterà a ...” “Voi mi piacete” esclamò il re sedendo di nuovo accanto a suo zio “Siete un buon oratore e siete anche piuttosto divertente ma qua non si discute di cene ufficiali o di nuove rotte di navigazione. Due donne, due francesi hanno rapito un bambino dalla culla!” gli occhi chiari di Gustavo si piantarono sul volto dell'uomo e un sorriso carico di sfida nacque sulle labbra “Un bambino che per vostra disgrazia è mio cugino. Vi ho chiesto più di una volta in questi giorni di aiutare i miei ufficiali d'esercito concedendo loro il permesso di toccare suolo francese qual'ora le due fossero riuscite a fuggire oltre il mare, cosa che giudico alquanto improbabile ma è sempre bene non aspettarsi mai nulla dal fato” Magnus rise appoggiandosi allo schienale “Vi ho informato più di una volta vostra grazia riguardo alla difficile situazione di cui è vittima la Francia in questo momento” “Non mi importa duca! Pensate davvero che avrei mandato oltre mare un branco di cuccioli impauriti?” “No vostra grazia” “No” esclamò gelido picchiando con forza la mano sul bracciolo “E pensate che sorpresa è stata quando uno dei vostri aiuti, è venuto da me informandomi che al momento era impossibile accontentare la mia richiesta” l'uomo sospirò abbassando lo sguardo “Ora ho io una sorpresa per voi caro ambasciatore” un paggio si avvicinò all'uomo porgendogli una pergamena ben sigillata “Ritiro le mie truppe dalla Francia, l'accordo tra i nostri paesi è sciolto” “Altezza reale io vi prego di ...” “Riflettere?” domandò ironico Gustavo “Ci ho rilfettuto abbastanza e la mia risposta non cambia. Le mie compagnie torneranno a casa il prima possibile, d'altronde, è o non è una difficile situazione quella che si vive ora in Francia? Che motivo ho per mettere a repentaglio la vita di centinaia di soldati? Ognuno di loro ha una madre che soffre per la loro assenza, molti hanno figli e famiglia” “Ma non … se vostra grazia mi concede un attimo per ...” “I rapporti commerciali tra i nostri paesi cambieranno duca, d'ora in avanti le merci francesi pagheranno un dazio di due volte superiore a quello già in corso e le merci che esportiamo hanno aumentato il loro prezzo” “Così non invogliate di certo il commercio vostra grazia” “Avete ragione, tuttavia ...” si voltò appena verso Magnus ridendo “ … credo sia la Francia ad aver bisogno della Svezia al momento e non il contrario. Abbiamo solidi accordi commerciali con l'Inghilterra e la Danimarca, il mio popolo riceverà sempre il meglio dalle nostre navi. Riferitelo con calma ai vostri sovrani, so che hanno cose più divertenti a cui pensare” “I nuovi ordini avranno valore effettivo a partire da questo pomeriggio duca, vi consiglio di usare il tempo che vi resta per trovare delle belle parole, non vogliamo di certo che sua maestà Luigi XVI si indigni per una lettera sciatta” sbottò Magnus, François si avvicinò all'uomo invitandolo ad uscire assieme a lui.
Un debole inchino e poi di nuovo il silenzio attorno a loro “Vostro figlio per me è un fratello” “Lo so Gustavo” “Non vuole il mio aiuto, l'ho capito sapete? Quando è venuto da me a chiedere il mio benestare sapeva che non avrei mai negato nulla a lui o a Helena. Ho letto nel suo sguardo una determinazione che da troppo tempo aveva cancellato ma ...” sganciò il mantello liberando le spalle da un peso eccessivo “ … so per certo che quella determinazione porta con sé anche dolore. È riuscito a mantenere la sua promessa e ha ritrovato suo figlio. So che il cuore di Helena è troppo buono e che a volte dimentica che non tutti possono essere salvati” “È una dote che spesso le invidio” “Ho la certezza che risparmierà la vita di quegli infami per pietà ma io non sono disposto a perdonare” lo sguardo si fece più profondo “Non mi importa se sceglieranno di salvare loro la vita o meno. Verranno portati al mio cospetto come traditori e come traditori verranno giustiziati!” Magnus annuì deciso “La casa reale svedese è forte. Essa non teme stranieri né profezie, non può apparire debole o indifesa e non può sottomettersi alla pietà” “Mi trovi perfettamente d'accordo Gustavo. Conosco bene mio figlio, non permetterà mai che suo cugino appaia debole agli occhi del mondo” il giovane si inginocchiò davanti al granduca baciandogli una mano.
Lo stesso gesto che faceva quando da bambino, chiedeva il permesso di dimostrargli affetto.
Sfiorò la fronte del nipote con le labbra orgoglioso della forza e dell'uomo che era diventato.





Chiuse gli occhi tentando di respirare ma c'era solo quella nausea violenta ad invaderle la mente.
Sentì la mano di un uomo sulla testa, le sue dita strette attorno ai capelli mentre con forza la costringeva a sollevare lo sguardo.
Davanti a lei, un grande albero dalla voce antica si caricava addosso il sangue innocente di uomini e donne.
Appesi ai suoi rami vi erano corpi ancora insanguinati, gli occhi vitrei, spalancati, occhi ancora colmi di paura che sembravano fissarla.
C'erano fiaccole ovunque, fuochi accesi apposta per loro, per mostrargli l'orrore ancora dipinto su quei volti.
Le loro vesti erano strappate, zuppe di sangue, il collo spezzato dalla fune che li teneva ben lontani dal terreno.
Quattro uomini e due donne.
Ricordava il volto di una di loro, l'aveva visto tre giorni prima mentre assieme ad Elise cercava un posto sicuro per passare la notte.
Ricordava il suo sorriso luminoso, la sua voce calda e gentile, diceva che un giorno avrebbe visto la Francia e invece, il suo corpo era lì, assieme agli altri in un posto dove il gelo impediva ai cadaveri di tornare ad essere semplice polvere.
Era immobile davanti a quell'orrore da ore ormai, Andrè al suo fianco riusciva a malapena a respirare ed Emile era svenuto pochi minuti prima.
Il vento mosse leggero i corpi esanimi rendendoli simili a foglie leggere.
Si portò una mano alle labbra cercando di trattenere la nausea, l'uomo alle sue spalle rise mentre Ulek al suo fianco affilava la lama del pugnale.
La neve e il freddo rendevano difficile il ritorno a Läckö, erano lontani ancora molti giorni ma il duca sembrava non avere alcuna fretta.
Forse per lui era tutto più semplice, non aveva scene del genere da sopportare né lacrime da trattenere ma lei? Come poteva resistere ancora davanti a quel grido di morte? Strinse più forte i pugni, la neve fredda sotto le ginocchia iniziava ad oltrepassare i vestiti caldi toccando la pelle “Si alza il vento” mormorò Ulek sollevando appena lo sguardo.
C'era indifferenza nei suoi occhi e il distacco di chi, da molto tempo, ha legato la morte alla propria vita.
Guardava quei corpi abbandonati nel vuoto come se in realtà avesse davanti agli occhi pezzi di carne e nulla di più.
Non lo sconvolgeva il via vai di persone che nel villaggio poco più in là, animava la piccola stradina né lo intimoriva il castigo di un Dio in cui forse nemmeno credeva.
Ma d'altronde, come si può temere un castigo quando si passa una vita intera ad uccidere? Era certa che Ulek fosse abituato al dolore più di quanto in realtà mostrasse, non era forse umano lui? Non provava pietà per i suoi fratelli? E quella duchessa tanto buona e nobile d'animo ora dov'era! Ulek si avvicinò ad Andrè ridendo di quell'espressione sconvolta che dipingeva di orrore le sue labbra “Direi che può bastare” “Uomini senza Dio” sussurrò tremante l'altro ma Ulek sospirò alzando leggermente gli occhi al cielo “Non avete nemmeno un briciolo di pietà nel cuore!” “Pietà?” domandò irritato stringendolo per un braccio “Sono morti con il nome di tua moglie sulle labbra, ha forse avuto pietà lei nei loro riguardi?” ma Andrè sciolse di colpo quella presa stringendo sua moglie tra le braccia “Puoi nasconderla dal freddo se questo ti fa piacere ma non puoi nasconderla dai loro occhi!” mosse leggermente la mano, due giovani si avvicinarono sfilando i coltellacci “La vostra vita è salva ma c'è una pena da scontare e abbiamo ancora dodici villaggi prima di raggiungere il lago. Vi consiglio di riposare” Marie si aggrappò alle braccia di suo marito nascondendo il volto mentre un passo alla volta, si allontanavano da quel cimitero orrendo senza più nemmeno la forza di pensare.




Sfiorò la testolina del figlio sorridendo quando la sua manina si strinse delicata attorno al dito.
Si aggrappava a lei come un cucciolo spaventato, le labbra chiuse attorno alla dolcezza del suo seno, gli occhi che cercavano i suoi mentre con tenerezza gli sfiorava il volto disegnando scie leggere su quella pelle di pesca profumata di buono.
Una voce profonda, ordini secchi e precisi, sollevò lo sguardo incontrando gli occhi freddi di suo marito.
La neve cadeva leggera dagli abiti mentre il fuoco ne scioglieva la purezza “Come state?” domandò sganciando le fibbie del mantello, Helena sorrise appoggiandosi alle coperte.
La camicia era slacciata, il seno nudo, i capelli sciolti scendevano sulla spalla destra lasciando scoperto il collo.
Era bella, lo era sempre stata ma quando allattava il loro bambino, tutto di lei diventava poesia.
Fece un bel respiro avvicinandosi al letto “Sei bellissima” le sfiorò il volto con la mano scendendo sul collo candido “Cosa?” domandò confuso perdendosi nei suoi occhi “Non credi sia ora di lasciar andare il rancore amore mio?” “Ne abbiamo già parlato. Ho acconsentito al tuo capriccio ma non sono disposto ad andare oltre” “Nils” “No, no Helena, non sono disposto a permettere che il sangue svedese versato per colpa di quella donna venga dimenticato” “Non credo possa mai dimenticare niente del genere” “Porterà quel sangue con sé ovunque andrà” “Lo so” “Allora ti prego, non chiedermi di tornare sulle mie scelte” “Sei davvero sicuro di voler fare questa cosa?” “Ho delle responsabilità verso mio padre, verso di te e verso il re. Conosci mio cugino, a quest'ora starà strepitando e acclamando a gran voce le loro vite. Non posso permettere che appaia debole agli occhi del mondo” “Però puoi infrangere la promessa fatta a tua moglie” sorrise stringendosi leggermente la testa tra le mani, Helena sospirò tornando a perdersi sul volto sereno del suo bambino “Manterrò la mia promessa. Ho giurato di non toccarli e intendo mantenere la parola data ma devo trovare un compromesso, qualcosa che possa ammansire la rabbia di mio cugino e la mia perché credimi ...” tornò a cercare i suoi occhi e quell'azzurro delicato che alla luce del fuoco diventava mare “ … sto facendo uno sforzo immenso Helena” “Lo so, quello che ti chiedo Nils, è se questa punizione è necessaria” “Non sei con me?” domandò confuso ma lei sorrise “Sono tua moglie, sarò sempre con te” “E allora cosa ...” “Conosco bene il sangue, il dolore che porta una morte, una vita spezzata. È stato il mio passato. Ho detto addio a quel mondo, a lui, all'amore che provavo per lui. Abbiamo ritrovato il nostro bambino, mi hai riportato nostro figlio Nils” strinse la mano attorno alla sua costringendolo a sollevare lo sguardo, le dita si intrecciarono assieme mentre la voce delicata di sua moglie entrava lentamente nel cuore “Non voglio le lacrime nella mia vita, non voglio la paura nel mio presente. Se continueremo a sciogliere i segreti della neve, avranno davanti agli occhi sangue e dolore e non li dimenticheranno mai” “È questo che voglio” “Ti chiedo solo di allentare un po' il giogo della vendetta. Permetti loro di respirare” lo vide sospirare indeciso, le labbra strette, gli occhi carichi di domande “Amore mio ascoltami ...” sorrise al volto confuso del marito stringendo più forte la sua mano “ … non permettere al rancore di mangiare pezzo dopo pezzo la nostra vita. Loro non sono importanti per noi, partiranno e non sentiremo mai più parlare di loro o delle loro vite. Conosco bene il rancore, la paura di apparire debole ...” cercò i suoi occhi stringendo più forte a sé Niklas “ … mio padre ha creato in me quella paura, ricordi? Tu sei ...” “Il figlio che non ho mai avuto” sussurrò Nils “Ero suo figlio, mi ha creato dal nulla e mi ha distrutto. Mi sono rialzata di nuovo dimenticando il male, l'egoismo, la rabbia. Gustavo sopporterà benone le conseguenze di una grazia e noi ...” gli sorrise portandosi alle labbra la mano del marito “ … avremo indietro la nostra vita” lo vide sorridere mentre quelle carezze delicate diventavano improvvisamente aria pura.
“Mancano molti giorni a cavallo, molti villaggi prima del lago” “Lo so” “Sopporteranno questa punizione ancora Helena ma dopo il terzo villaggio, porrò fine alla mia ritorsione” la giovane socchiuse gli occhi inclinando leggermente la testa di lato.
Cercava in suo marito qualche segno di cedimento, una debolezza, qualsiasi cosa in grado di convincerla che le parole appena pronunciate, fossero in realtà un blando tentativo di rabbonire il suo spirito ma non c'era alcuna traccia di menzogna sul suo viso.
Il suo sguardo era vero, orgoglioso sì ma leale e vero.
Posò la fronte sulla sua sospirando “Mio cugino impazzirà” “Grazie” la mano dell'uomo si strinse con forza attorno alla spalla tirandola dolcemente in avanti, le labbra si unirono assieme e quel bacio profondo che sapeva d'amore, riempì di colpo la distanza tra loro assumendosi il gravoso compito di sigillo prezioso.
Una promessa che lo legava ai loro cuori impedendo a tutti e due di fuggire troppo lontani uno dall'altra venendo meno a quelle parole incise a fuoco nella loro anima.






 

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Capitolo 42
*** Ribelli ***


                                                                                        Ribelli







“Quando è arrivato?” “Pochi minuti fa” “Ha chiesto di Helena?” François annuì gravoso seguendo Magnus lungo il corridoio “Hans?” “Dovrebbe essere qui a momenti e ...” “Altezza reale” “Oh eccoti qui ragazzo” mormorò sollevato dando una pacca sulla spalla del giovane “Devi farmi un favore” “Chiedete pure tutto quello che volete” lo sguardo di Magnus si mosse rapido fino al volto di François “Precedimi nella sala grande, fa che i nostri ospiti siano accuditi nel migliore dei modi” il servo annuì e scomparve lasciandoli soli nel silenzio.
“Signor duca ma che ...” “Come posso spiegare ad un padre il caos che attraversa la mia mente? Come posso raccontargli la rabbia di sua figlia?” gli occhi del conte si fecero improvvisamente più freddi “È qui?” annuì appena sospirando “Ho bisogno che tu raggiunga Nils” “Si signore” “Parti assieme a Maximilan e riportalo a casa il più presto possibile” “La neve è alta signore, temo che ci vorrà qualche giorno per ...” “Non importa, mi serve che Helena sia qui, davanti agli occhi di suo padre sana e salva. Mi serva che sorrida e che lo tranquillizzi perché comprendo l'agitazione che gli toccherà il cuore dopo il nostro incontro” l'altro sorrise stringendo più forte la fibbia del mantello “Prendi pure tutti gli uomini di cui hai bisogno, le ultime notizie giunte davano per dispersi un gruppo di ribelli. Si nascondono come topi nei boschi e sappiamo bene quale pericolo corriamo se dovessero accorgersi di averli così vicino” “Nel Värmland giusto?” Magnus sbuffò borbottando qualche strana parola “Signore?” “A quanto pare mio figlio ha scelto la via più complicata per tornare a casa” sbottò infine torturandosi le mani “Non preoccupatevi, riusciremo a raggiungerlo” “Padre” “Max” il giovane chinò leggermente il capo aspettando quel tocco leggero unico segno d'affetto “Sei pronto?” “Non temete, riporterò a casa mio fratello il più velocemente possibile” “Ne sono più che certo” diede una leggerissima pacca sulla spalla del figlio congedandoli entrambi.
Aveva poco tempo per mettere al proprio posto ogni cosa e di certo, il ruolo di portatore di orrende novelle non era quello che più preferiva.
Da padre poteva comprendere la preoccupazione di quell'uomo e aggravarla era l'ultima cosa che voleva.
Spinse con forza la porta incontrando due occhi freddi come il ghiaccio.
Il suo sguardo era cielo, il suo orgoglio così vivido e forte da far impallidire perfino lui.
Si avvicinò agli uomini dipingendosi in volto un sorriso quanto meno credibile “Generale” “Altezza reale” mormorò l'altro chinando appena il capo “Che piacere vedervi. Immaginate la mia sorpresa nell'udire del vostro arrivo” “Perdonatemi, forse avrei dovuto farmi annunciare” “Suvvia non siate sciocco, siamo parte della stessa famiglia ora. Non c'è niente di cui scusarsi” Inga si avvicinò a loro prendendo i mantelli pesanti e fradici di neve “Signori prego” mormorò Magnus “Il mio fedele servitore provvederà ad ogni vostro bisogno” ma i soldati non si mossero di un passo.
Immobili come statue di ghiaccio aspettavano un ordine che non era lui a dover dare.
Il generale sorrise compiaciuto dalla fedeltà dei suoi uomini, sedette di fronte al duca congedando i soldati.
La porta venne chiusa e lo scoppiettio del fuoco invase il silenzio riempiendo la distanza tra loro.
Due uomini forti, orgogliosi, due uomini che non avevano paura della vita poiché avevano passato l'esistenza a lottare e vincere.
Due uomini che ora si guardavano l'un l'altro con gli occhi di un padre “Vi sembrerà sciocca la mia domanda generale, sono certo che il motivo del vostro viaggio sia Helena ma posso chiedervi cosa vi spinge ad attraversare il ghiaccio?” “Ordini” “Ordini?” mormorò confuso Magnus prendendo un calice di cristallo dal vassoio di Inga “Avete già conosciuto l'ambasciatore francese?” “Il duca Michel de Codignac. Ha sostituito il barone De Guise e mi è molto chiara la posizione di mio nipote in merito” “Ottimo soggetto il duca. Brillante nel pensiero e decisamente stravagante nel modo di esprimersi ma pecca di ingenuità. Credo sia colpa della sua giovane età” “Che strano” ribatté Magnus ridendo “Mi è stato ordinato di accompagnare il duca nel suo viaggio per evitare incontri poco raccomandabili” “Avete affrontato di certo un lungo ed estenuante calvario per raggiungere la Svezia” “Sciocchezze” ribatté il generale posando il calice “Certo è che portiamo il ritardo con noi. Per nostra fortuna re Gustavo ha ricevuto l'ambasciatore in tempo” “Mio nipote è sempre ben lieto di ricevere ospiti di si tale statura morale. Entrano tutti con la meraviglia negli occhi al cospetto del re, come ne escono, beh, quello è un racconto diverso” esclamò divertito “Ho saputo degli accordi sospesi” “Misure straordinarie generale” “Per quale motivo signore?” “Siete stato un folle a partire così tardi” “Non ci ho pensato poi molto sapete? Ho lasciato la Francia due settimane dopo mia figlia e devo ammettere che questo viaggio è stata una piacevole scusa per rivederla” c'era tenerezza nelle sue parole, un flebile amore nascosto dietro alla maschera di ghiaccio che vestiva ogni giorno.
Helena aveva rubato da lui il colore degli occhi, la postura severamente controllata dai muscoli, il fuoco che bruciava nello sguardo.
C'era molto di quell'uomo in lei e a proprio per questo, a volte Helena litigava con Helena perché custodire un carattere come quello non era certo cosa di poco conto “Non credo di essere mai stato pronto a dirle addio. È sempre stata l'unica figlia per me. Posso apparire egoista ai vostri occhi, sono un padre e come tale dovrei amare ogni mia figlia allo stesso modo” “Al contrario” rispose Magnus sorridendogli “Comprendo bene il dubbio che vi scuote il cuore. Ho provato e provo la stessa cosa generale e vi assicuro che difficilmente si può mentire a sé stessi” “Forse avete ragione” i calici si toccarono appena costringendoli a sorridere.
In quel silenzio carico di amichevole cordialità, sarebbe esplosa a breve la rabbia di un padre che non si sarebbe placata fino a che gli occhi di sua figlia non fossero tornati a riempire il cuore.





Cavalcare nel buio più profondo cancellava la normale cognizione del tempo, la notte era giorno, la luce era buio.
Tutto del sole sembrava ormai un lontano ricordo, nell'oscurità sfiorata appena dal tocco dell'aurora seguivano senza sosta il volo di due civette dal manto di luna.
I loro occhi avevano ali e becchi e di loro dovevano fidarsi per forza.
Il duca urlò qualcosa tirando con forza le redini del cavallo, uno dopo l'altro gli uomini si fermarono e il respiro pesante degli animali spaccò il silenzio “Basta così, i cavalli devono riposare” smontò veloce raggiungendo la sua sposa.
Avvolta dal mantello nascondeva il volto e un tesoro più prezioso di qualsiasi altra gemma.
Il calore del suo petto riscaldava un piccolo cuoricino che aggrappato a lei riposava sereno.
Nascosto al sicuro sotto agli abiti di sua madre, legato a lei con calde bende di lana che lo proteggevano dal gelo del vento dormiva sognando di chissà quali mondi “Dobbiamo fermarci Helena, i cavalli hanno bisogno di riposare” la vide sorridere mentre scendeva dal suo destriero “Come state?” “Riposa” sussurrò scostando appena il mantello, Nils sorrise intenerito dalla visione appena accennata di quella testolina posata sul seno materno, la pelle candida della ragazza e quella manina tanto piccola che ne sfiorava la dolcezza “Ciao amore mio” sussurrò lasciando un bacio sulla mano del figlio “Devi riposare Helena” “Sto bene” “Sei fredda” mormorò preoccupato sfiorandole il volto.
Un ordine secco, una parola sola urlata nel vento.
Gli uomini corsero nel bosco e in pochi secondi, il rumore delle accette riempì il silenzio, Gustaf scese da cavallo costringendo Andrè e Marie a fare altrettanto “Perché ci fermiamo?” “La duchessa ha bisogno di riposare” “Per riprendersi da quale fatica?” sbottò sarcastico stringendo sua moglie tra le braccia.
Il giovane rise dipingendosi in volto un sorriso carico di disprezzo “Lascia che ti spieghi come funzionano le cose Andrè” si avvicinò di un passo costringendo Emile a sussultare “Qui non ci sono balie. In questo bosco non esistono villaggi né giovani ragazze in grado di allattare. Quel bambino sopravvive solo grazie a sua madre” lo sguardo di Marie si soffermò qualche secondo sul volto pallido della giovane a pochi passi da loro.
Su quegli occhi tanto stanchi eppure ancora in grado di mascherare la debolezza “Il suo corpicino è tenuto al caldo dal calore di sua madre. Non ci sono stoffe che li separano eccetto le fasce del piccolo ...” Gustaf sospirò riprendendo fiato “ … gli abiti pesanti della duchessa coprono la tenerezza di entrambi” “Perché?” “Cosa?” domandò confuso “Perché è … non sarebbe più facile avvolgerlo nelle coperte di lana?” domandò tremante Marie ma l'altro rise “E fermarsi continuamente per allattarlo? Questo modo di portare i figli è molto più sicuro. Il seno della madre sfiora le labbra del bambino offrendogli nutrimento ogni volta che ne ha bisogno ma se questo è tutto sommato facile per quel piccoletto, non lo è altrettanto per sua madre” lasciò tra le mani di Emile delle corde spingendolo leggermente di lato “Allattare un bambino in queste condizioni richiede molta forza. Il vento è forte, il gelo avanza e lei diventa ogni secondo un po' più debole” altri due uomini si avvicinarono a lui sussurrando qualcosa “Marie!” la giovane sussultò voltandosi di colpo verso Gustaf “Tu aiuterai la duchessa” “Io?” domandò tremante stringendo più forte la mano del marito “Non volevi giocare ad essere madre?” “No aspetta, mia moglie non va da nessuna parte se non ...” “Se fossi in te la smetterei di comportarmi così!” sbottò afferrando la ragazza per un braccio, gli uomini lo separarono da lei costringendo la rabbia a restare saldamente imprigionata tra le loro mani “Non temere, la riavrai indietro tra poche ore” lo sguardo terrorizzato di Marie lo costrinse a sussultare ma cosa sarebbe accaduto se si fosse ribellato? Fece un bel respiro cercando di ritrovare un briciolo di lucidità.
La ragazza scomparve velocemente nel buio, trascinata fino a quella tenda apparsa velocemente dal nulla.
Gustaf la spinse dentro e il tocco del caldo fuoco sulla pelle la costrinse a tremare, Helena si voltò di colpo spaventata da quell'intrusione improvvisa ma un sorriso caldo e gelido assieme sfiorò le labbra “Altezza reale” mormorò tremante la giovane “Puoi alzare lo sguardo. Non è mia intenzione punirti se i tuoi occhi sfiorano il mio volto” la sua voce era la stessa di sempre.
Dolce, melodiosa, diversa da quella fredda dell'amazzone conosciuta fino ad ora “Non ho chiesto io il tuo aiuto ma mio marito è preoccupato” il mantello cadde al suolo rivelando un dolcissimo gonfiore appena sotto al seno.
I suoi gesti erano lenti, delicati, sfilò la tunica pesante e poi la camicia.
Uno dopo l'altro gli indumenti scivolarono via fino a quando la pelle nuda non brillò leggera sotto il tocco del fuoco.
Fasce candide di lana avvolgevano l'addome della duchessa salendo fino al seno dove le labbra di un piccolo angelo rapivano il dolce sapore del latte “Nu mamman frigör dig min lilla älskling” sussurrò Helena iniziando a sciogliere il nodo delle fasce “Non sente freddo” “Cosa?” balbettò confusa Marie “So che è strano vedere questo intreccio di tessuti ma il suo corpicino non sente alcun freddo” “Perdonatemi … io non volevo ...” la risata cristallina della duchessa costrinse il cuore a tremare.
Aveva davanti una giovane sfinita per il viaggio, una madre che nutriva suo figlio incurante del freddo o del posto e una granduchessa, un membro della famiglia reale che aveva scelto di infliggerle quella punizione tanto atroce “Tornerete in Francia. Non ci sono più villaggi tra noi e il lago. La tua punizione è finita” “Si signora” Helena socchiuse gli occhi studiando per qualche secondo il volto della giovane.
Il suo sguardo vitreo, vuoto, non c'era Marie davanti a lei ma solo una pallida imitazione della ragazza sorridente che aveva imparato a conoscere.
La punizione inferta era terribile ma l'alternativa a quell'inferno si chiamava morte e non avrebbe mai permesso che suo marito uccidesse il passato, che uccidesse lui perché anche se aveva fatto una scelta, restava affezionata all'amore innocente provato per Andrè.
Strinse Nicke tra le braccia avvicinandosi di un passo alla ragazza “Perché l'hai fatto?” “Io ...” “Perché il mio bambino!” eccola lì, ecco di nuovo l'amazzone impavida che sfidava perfino Dio per avere le sue risposte “Voi ricordate” “E questo è un buon motivo per rapire mio figlio?” ribatté ironica sollevandole il volto “Voi siete forte altezza reale, avete cambiato vita, avete cambiato amore. Siete voi stessa anche così lontano da casa e non vi importa nulla dell'effetto che avete su chi vive attorno a voi ma Andrè non è così!” “Ora ha un motivo per odiarmi, non temere, tornerà a casa con te” “Siete riapparsa dal nulla sconvolgendo le nostre vite. Siete tornata indietro per la seconda volta e non vi importa del dolore che provocate, non temete la rabbia né la paura. Per voi la vita è semplice, divertente come un gioco” Helena sorrise sciogliendo il laccio che fermava la treccia.
I capelli scivolarono leggeri sulle spalle spargendo nell'aria un leggerissimo profumo di lavanda “Tutti quelli che ho incontrato fino ad ora mi parlavano della preziosa duchessa francese. La donna nobile dal cuore grande che aveva cambiato il carattere irruento del duca” “Davvero?” domandò sedendo poi sulle pelli di fronte al fuoco.
La schiena posata contro quel mucchio soffice, il piccolo tra le braccia mentre lo sguardo continuava a perforare il volto di Marie succhiandone via ogni briciolo di sicurezza “In fondo al cuore era orgogliosa di quella duchessa, era francese, era buona e se era riuscita a portare la pace in un cuore tanto irrequieto, allora forse parlare con lei mi avrebbe aiutato a capire. Ora però ...” si fermò qualche secondo soffermandosi sul volto di Helena “ … ho davanti agli occhi l'altro volto di quella duchessa” inspirò a fondo cercando di sostenere quello sguardo così carico di nobiltà da farla tremare “Un volto dai lineamenti preziosi ormai sporchi di sangue” “Hai scelto di giocare con una delle poche cose che ha valore per me, per la Svezia. La rabbia acceca mio marito, lo costringe a non dormire, a svegliarsi tra gli incubi urlando! Tu vuoi sapere perché ho lasciato Andrè nel caos, perché non sono tornata da lui raccontandogli la verità!” “Voi non ...” “Racconteresti mai all'amore della tua vita una menzogna? Io l'ho cercato Marie, l'ho cercato così tante volte da perderne il conto. Mentivo a mio padre e in fondo al cuore era quasi certa che ne fosse a conoscenza, scappavo via dal mondo dorato che mi costruiva attorno per ritrovare l'uomo che amavo ma quando finalmente l'ho raggiunto ...” un bel sorriso le sfiorò le labbra illuminando ancora di più quello sguardo puro come l'acqua “ … ho capito che la felicità che cercava non l'avrebbe mai avuta con me. Era sposato, tu lo rendevi felice e alleggerivi il peso della mia assenza” “Una medicina” mormorò Marie scivolando lentamente al suolo “Sono stata questo per lui, una sciocca medicina” “L'hai curato” “Non si cura il mal d'amore” Helena annuì appena sfiorando con le labbra la fronte del figlio.
“Sei stata la sua salvezza. L'hai costretto a sorridere impedendo al silenzio di strappare la voglia di amare dal suo cuore. Come potevo rovinare il suo presente?” “Siete scappata” “Mi è stata regalata una seconda occasione. Sono nata donna e forse potevo dare un'opportunità alla mia natura. Non è stato semplice Marie” sollevò il bambino stringendolo dolcemente tra le braccia “Tu vedi quello che sono ora, non sai nulla del cammino che mi ha portato fino a qui, delle difficoltà e delle paure che ho imparato a combattere per arrivare fino a qui” un dolce sorriso tornò nel cuore mentre il ricordo di quel passato tornava a galla lentamente “Una contessa, è questo che sarei dovuto essere fin dal mio primo vagito. Ho provato, ho provato con tutte le mie forze a diventare quella nobildonna che mio padre tanto decantava. Temevo di non riuscire ad essere niente di diverso da quel colonnello delle guardie reali che era stato tutta la mia vita” “Ma siete una duchessa ora” “Sono una duchessa” c'era dolcezza nelle sue parole.
Le raccontava il passato come se in realtà stesse giocando con una favola. Quel colonnello delle guardie reali era ancora lì, scolpito a fuoco nei suoi muscoli, nel suo sguardo, nelle movenze controllate ma c'era qualcos'altro, qualcosa di diverso che poteva appartenere solo alla dolcezza femminile.
Mezza nuda, con i capelli in disordine e il volto pallido per la stanchezza, era quella l'immagine che la duchessa portava ai suoi occhi eppure non era mai stata così bella.
Era di questo che parlava poc'anzi, della sensuale eleganza di un corpo sempre nascosto dalla divisa, di una donna consapevole della propria bellezza che non si preoccupava per i capelli sciolti o il tenue colore dell'incarnato.
Lei era semplicemente sé stessa e in quell'attimo di intimità, la duchessa, quella vera, riaffiorava come una bambina da quell'azzurro cristallino “Come ci riuscite? Come potete ...” “Venticinque anni” Marie sollevò lo sguardo incontrando il suo sguardo “Venticinque compleanni, venticinque estati, venticinque inverni. È una vita intera. Io e lui siamo stati una cosa sola per così tanto tempo” sfiorò la schiena del figlioletto giocando con quei leggerissimi riccioli scuri “Abbiamo condiviso l'infanzia, l'adolescenza. Sono diventata donna e con lui mi confidavo quando le paure tremolanti della vita si affacciavano al mio mondo. Non sono stata allevata per vivere a corte tra svolazzi di abiti e pizzi. Il mio destino era l'esercito e una brillante carriera che avrebbe portato lustro alla nostra famiglia” “Altezza io ...” “Tu hai portato via mio figlio per regalare a tuo marito un pezzo di quel passato che non può più avere” trasalì trattenendo il respiro “Volevi regalargli un figlio, un piccolo umano che potesse costringerlo a dimenticare il mio volto ma che conservasse in sé qualche cosa di noi” una lacrima scivolò via dagli occhi scuri della ragazza costringendo Helena a sorridere “Credevi di aiutarlo? Non vuole aiuto, ciò che cerca di dimenticare non può essere cancellato in pochi giorni e non scompare se gli metti davanti un bambino non suo” “Lui è ...” “È un uomo Marie. È orgoglioso e forte, nasconde il dolore dietro ai sorrisi credendo di soffocarlo. Non si sentono le urla dei ricordi se li nascondi non è così?” un leggerissimo velo di malinconia sfiorò gli occhi di Helena “Tutti questi anni passati a trovare un motivo, una ragione anche sciocca che potesse spiegare la mia morte non sono stati vani. È riuscito ad oltrepassare il mio ricordo e ha trovato te e io non ...” “Avete ucciso voi tutti quegli … tutti quegli uomini?” “Hai tradito la mia fiducia Marie, se volevi parlare con me non avevi che da chiedere. Ti avrei accolta nonostante le ritrosie di mio marito. Non l'hai fatto, hai preferito trascinare mio figlio nel gelo mettendo a repentaglio la sua vita” “Non … non avrei mai permesso che morisse, non volevo fargli del male” “Lo so, ti credo” “Davvero?” annuì appena costringendola a respirare di nuovo “Tu volevi ferire me come io ho ferito Andrè. Volevi costringermi a piangere, ad urlare e imprecare contro il cielo ...” gli occhi si fusero ai suoi e il silenzio divenne più pesante “ … ci sei riuscita Marie, mi hai fatto del male, probabilmente più male di quanto immagini” “Voi non ne avete fatto a me forse?” ma Helena non rispose, si limitò ad annuire mordendo leggermente le labbra “Fuori di qui” sussurrò infine “Non ho bisogno del tuo aiuto, vai a riposare, domani sarà una giornata molto lunga” “Aspettate, io devo chiedervi solo ...” “Få henne Gustaf !” esclamò poi coprendosi con un mantello.
L'uomo entrò nella tenda avendo cura di non sfiorare nemmeno per un secondo il volto della sua signora “Che riposi e si nutra, domani sarà una giornata molto lunga” “Come vostra grazia ordina” mormorò l'altro tirando Marie in piedi “Mio marito?” “Abbiamo ricevuto notizie mia signora” “Buone?” “Ribelli” Helena sospirò stringendo più forte il figlio “Sono troppo vicini a noi e per questo motivo il duca vi prega di attenderlo qui, dove siete al sicuro e protetta” “Non è certo mia intenzione uscire Gustaf. Porta Athena e Heimdallr con te. È ora di caccia” un bellissimo sorriso le colorò il volto confondendo ancora di più quella giovane tramante a pochi passi dall'uomo “Con il vostro permesso altezza reale” mormorò Gustaf chinando il capo “Andiamo” sbottò poi spingendo leggermente Marie fuori dalla tenda.
Il gelo colpì nuovamente il suo volto costringendola a respirare, a tornare finalmente alla realtà perché in quel mondo delimitato dal tepore del fuoco, c'era una donna in grado di confondere i pensieri e distruggere emozioni, una donna che ora era tornata così maledettamente tenera e bella da farla impazzire di nuovo perché ogni volta che la immaginava, che la disegnava dal nulla creandola nelle parole della gente, lei cambiava forma, si trasformava, mutava nell'anima e il suo sguardo diventava uno specchio profondo dove ogni volta il passato si perdeva.





 

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Capitolo 43
*** L'uomo e la Luna ***


                                                                               L'uomo e la Luna







Nel silenzio del bosco nacque leggero l'ululato del lupo.
Un lamento carico di tristezza che cullava la debole luce delle stelle “Sei malinconico questa sera” sussurrò sfinito massaggiandosi il collo “Che ti è successo? Forse la luce della luna è troppo debole per te amico lupo?” rise di quella sciocca domanda posta al silenzio.
Sentiva gli uomini parlottare sereni tra loro, il fuoco che scoppiettava e il respiro lento e regolare di Marie addormentata a pochi passi da lui.
Le aveva impedito di restare sveglia, a dire il vero le aveva impedito perfino di parlare.
Era debole e impaurita, nei suoi occhi vedeva ancora l'orrore di quei corpi appesi, di quegli sguardi vitrei che ormai fissavano il nulla.
Fece un bel respiro stringendosi più forte nel mantello.
Il telo pesante della tenda era stato issato per metà coprendo solo i giacigli e permettendogli di spiare il tiepido buio di fronte a sé “Non dormi?” “E voi? Per quale motivo non dormite?” sentì la risata fresca e profonda del duca poi di nuovo la sua voce “Lo senti?” socchiuse gli occhi cercando di capire a cosa si riferisse “Il canto del lupo” “A me sembra un pianto duca” “Ti sbagli. Il lupo canta alla luna i suoi pensieri. Come in una favola antica le sue parole risuonano per le vallate e altri lupi si uniranno a lui” “Io non ...” “Ascolta” restò immobile terrorizzato perfino di respirare.
Nel silenzio riconobbe un secondo ululato e un terzo “Pensieri” “Allora non sono l'unico a doversi preoccupare” ribatté spiando il volto dell'uomo.
Il fuoco ne illuminava i lineamenti ora induriti da quel peso sul cuore che fino ad ora aveva dimenticato.
Indossava un abito dai colori scuri dove fini cuciture dorate dipingevano sprazzi di nobiltà, il suo sguardo era forte, deciso, non vi era alcuna debolezza in lui, nessuna visibile almeno perché era certo di conoscere bene l'unico suo pensiero in grado di indebolire quella corazza di ghiaccio.
“Perché siete venuto da me?” domandò confuso ma l'altro rise sollevando la mano sinistra, le dita erano chiuse con forza attorno alla coscia di un cervo tranciata di netto dal corpo “Tra poco avremo la cena. Sveglia la tua sposa” “E la vostra sposa?” Nils si fermò di colpo cercando di nuovo gli occhi del giovane “Cos'è accaduto alla vostra sposa? È addormentata da sei anni altezza reale” “Chi sei tu per decidere come si debba comportare mia moglie?” Ulek si avvicinò al suo signore prendendo la carne “Sono suo marito Andrè, non dimenticarlo!” “Voi l'avete cambiata” esclamò gelido cercando i suoi occhi “L'avete rovinata perché non riconosce più nemmeno la sacralità di una vita umana! Oscar non è questa donna!” “Perché ti importa tanto?” trasalì colpito dalle parole del duca “Non sei forse sposato? Non è tua moglie la ragazza che riposa al tuo fianco?” un bel sorriso colorò le labbra di Nils rendendo quell'espressione ancora più tagliente “Perché resti attaccato al ricordo di Helena?” “Perché è stata la mia vita!” esclamò gelido alzandosi “Lo è stata per venticinque anni duca e non immaginate nemmeno cosa si prova a scoprire da un giorno all'altro che la donna che ami, la donna a cui hai detto addio è viva e respira!” “Non ami tua moglie dunque” “Cosa?” “L'affetto che provi nei confronti di Helena è sempre vivo nel tuo cuore, nel tuo sguardo. Lo rispetto, sei stato e sei tutt'ora importante per mia lei perché quando mi racconta il passato sorride come una bambina ricordando, a volte piangendo. Quello che non voglio Andrè ...” si avvicinò a lui di un passo senza abbassare lo sguardo “ … è il caos che ora le corre intorno. Non so cosa si prova hai ragione e ringrazio il signore per tenermi ben lontana anche solo l'idea di quel dolore ma, come io fatico a comprendere il tuo sentimento, tu fatichi a comprendere il mio. Sai cosa vuol dire ascoltare il pianto disperato di una madre? Sai cosa si prova quando la tua sposa non riesce nemmeno a respirare sotto il peso delle lacrime? L'astio che provo non si è placato né scompare” “Duca” mormorò Andrè “Forse è bene parlarne perché io non ...” “Il caos che non voglio è la sua tristezza. Ho sposato una donna terribilmente forte, determinata e colta. Una donna dagli occhi di cielo e il cuore pieno di fuoco. Sono abituato a vederla così perché questa è Helena” “Ma non è Oscar” “Non le impongo regole, non le impedisco di fare scelte. Helena è libera di fare ciò che vuole quando vuole perché batte nel suo petto anche il mio cuore. Ho incontrato anni addietro una giovane indecisa e forse perfino impacciata, non era mai stata al centro di così tante attenzioni e scoprire da un giorno all'altro la dolcezza dell'essere donna l'ha spaventata. Da quel giorno sono passati molti anni e ora, quella che hai davanti è quello che lei vuole essere” “È quello che vuole suo padre” Ulek corse accanto a Nils sussurrandogli qualcosa.
L'espressione sul volto del duca cambiò di colpo “Prendi con te quattro dei tuoi uomini migliori, gli altri restino qui” “Come desiderate” negli occhi rimase solo l'immagine di un uomo fiero e orgoglioso che si allontanava a grandi passi poi quella giovane illuminata dal chiarore del fuoco, i suoi capelli così lunghi da passare l'incavo della schiena.
Sciolti, liberi proprio come lo era lei. La vide annuire appena abbracciando suo marito, il volto nascosto sul suo petto, le mani intrecciate assieme in quel silenzio quasi irreale.
Ricordava il suo abbraccio, la forza di quei muscoli delicati, il profumo del suo incarnato, ora però non era più il tempo del ricordo, ora doveva pensare a Marie e a riportarla a casa salvando quell'ultimo sprazzo di innocenza che ancora viveva nel suo sguardo.
“Tornerò presto vedrai” “Promettilo Nils, promettimi che non inseguirai quegli sciocchi e che tornerai qui da me, da noi” “Odin è tornato con notizie pessime amore mio” “Lo so” “Quei vermi si nascondono a mezza giornata di cammino da noi. Ci seguono come i lupi seguono le loro prede. Non posso permettergli di arrivare fino a qui. Fino a te e a Nicke” la sentì sospirare, era certo che nei suoi occhi vi fosse dipinta l'indecisione perché in quel respiro lento poteva sentire ogni suo battito “Non preoccupatevi altezza reale, penso io a vostro marito” sorrise sciogliendo quell'abbraccio delicato, Ulek alle sue spalle masticava qualcosa di simile a carne arrostita sul fuoco che ormai, conservava della carne solo il nome.
“Non lasciarlo scappare” “Ti sembro per caso un cane disobbediente?” “Sei irruento e testardo e so che la ragione sparirà quando li incontrerai” “Mio fratello sarà qui a breve, promettimi che fino ad allora te ne starai tranquilla” “I miei uomini sono di guardia, nessuno ha il permesso di avvicinarsi alla duchessa” il cavallo venne portato accanto a Nils e uno dopo l'altro, gli uomini montarono in sella “Helena” le sollevò il volto giocando con i lineamenti delicati delle sue labbra “Ti amo lo sai vero?” un bacio leggero e quel sorriso tanto bello che non riusciva mai a dimenticare “Torna da me guerriero” “Abbraccia mio figlio e digli che suo padre sarà presto a casa” le sfiorò il volto un'ultima volta poi montò in sella e veloce come il vento sparì tra gli alberi lasciando una giovane dallo sguardo malinconico alle proprie spalle.






“Non dovresti essere qui” “E tu non dovresti parlare con me” sollevò gli occhi costringendolo a trasalire.
I raggi della luna si intrecciavano alle ciocche dorate intessendo bagliori e dolcezza, il suo volto ora più roseo assomigliava in modo impressionante a quello di sua madre.
I lineamenti più dolci, le labbra schiuse a metà tra il sorriso e la diffidenza.
Restava immobile a sfidarlo con irriverenza mostrandogli ancora una volta quanto potere avesse su di lui “Dovresti dormire accanto a tua moglie e non seguirmi” “Non ti seguo, Gustaf mi ha chiesto di aiutarlo a raccogliere legna” lasciò cadere accanto al fuoco grossi ceppi dall'aria molto pesante.
C'erano due uomini alle spalle della giovane, avevano il volto segnato da quella stessa cicatrice che aveva visto in Ulek “Non sei al centro dei miei pensieri Oscar, non più ormai” “Ne sei sicuro?” si mosse leggera, i capelli ondeggiarono intrecciandosi e sciogliendosi “Insinui forse ...” “Al contrario. Io ti credo Andrè ma tua moglie continua a ripetermi il contrario” “Non scherzavi vero?” “Quando?” domandò confusa perdendosi nella danza delle fiamme “Le hai detto che saremo liberi, che una volta tornati al castello ci avresti lasciato andare” “Che motivo avrei per mentire al riguardo?” “Perché è troppo semplice” lo sguardo della giovane si fuse al suo.
Migliaia di parole volarono nel silenzio, una guerra di ricordi che si prendevano a pugni senza sosta costringendoli ancora una volta a tremare “Ci lascerai andare?” “Giuri di dimenticare?” “No” sussurrò avvicinandosi a lei ma l'uomo alle sue spalle sfilò il pugnale costringendolo ad indietreggiare di nuovo “Non dimentico, non posso” “Perché?” “Come hai fatto?” domandò sfinito passandosi una mano in volto “Come ci sei riuscita? Come hai fatto a dimenticarti di noi?” “Non l'ho fatto” sentì di nuovo Oscar urlare.
La sentì lottare contro il ghiaccio che aveva attorno per riemergere in quello sguardo di cielo che le assomigliava appena “E allora perché non hai ...” “Si fanno delle scelte, si decide per il meglio. So che lo comprendi” “Non puoi chiedermi niente del genere” “Amo mio marito” “Lo so” e in quelle due stupide parole, per la prima volta da anni sentì la rassegnazione prendere il sopravvento e il cuore battere seguendo il normale ritmo del suo respiro.
Il tremito era sparito, il dolore più sopportabile.
Era quella l'accettazione? Era così che ci si sentiva quando si diceva addio? La vide sorridere, giocava con i capelli come faceva quando erano bambini, quando lo guardava con aria innocente chiedendogli aiuto per una punizione già in sospeso per loro “Sei cambiata” “Anche tu” “Ricordo una ragazza di nobili ideali, una ragazza che lottava fino allo stremo delle forze per le proprie idee e che non era in grado di serbare rancore. Una giovane amabile, incapace di odiare e disgustata dalla violenza. Era questo che sognavo” “Non era un sogno” “No, non era un sogno ma a me piaceva quella giovane” socchiuse gli occhi imprimendosi a fuoco nella memoria quell'espressione tanto dolce “Ti ho sognata ogni notte per sei anni Oscar e ogni notte mi svegliavo tremando” la giovane sospirò sedendo su una pietra accanto al fuoco.
I suoi occhi erano bassi, lo sguardo perso chissà dove “Mi sono sposato per dimenticarti, ci ho provato. Marie mi ha regalato un amore puro, libero da costrizioni e nobiltà. Sono stato egoista, le ho nascosto il mio passato prendendo da lei solo la luce ma con il tempo, la sua vicinanza ha affievolito il peso degli anni passati e ho sentito di nuovo l'amore in me. Ho imparato ad amare di nuovo” “Dimenticando” “No, non l'ho mai fatto” “Hai mascherato i nostri volti, hai finto che l'amore che ci legava non fosse più importante” “Non riuscivo più nemmeno a respirare!” “E rimproveri me per aver fatto altrettanto?” “Tu hai ...” “Cosa?” domandò gelida piantando gli occhi sul suo volto “Ho nascosto a mio padre la verità? Oh no Andrè, conosci mio padre, pensi davvero che io riesca a nascondergli le cose?” si alzò di nuovo avvicinandosi a lui “Non sei arrabbiato con me per questo. Forse lo sei con mio padre per averti nascosto la verità ma non puoi essere arrabbiato con me per aver scelto di proteggere la tua vita accanto a Marie” “L'hai convocata a palazzo. Sapevi chi era, perché l'hai fatto?” “Volevo solo capire cosa ci fosse in quella ragazza di tanto speciale. Forse ero gelosa di lei, ti era rimasta accanto tutto quel tempo imparando a conoscerti, cambiandoti. Sei stato il mio migliore amico, volevo solo esser certa che avessi accanto una donna brava e buona” “L'hai distrutta Oscar” “Le ho salvato la vita!” era vicina, troppo vicina per ignorarne il profumo, troppo vicina per trattenere un sorriso “Quale pensi sarebbe stata l'alternativa?” “E torturarla così è stata la scelta migliore? Continui a ripetere che ami tuo marito, che per te è cambiato dimmi Oscar, è questo il cambiamento di cui sei innamorata?” ribatté trattenendo a stento la rabbia.
Le labbra della giovane si piegarono in un sorriso delicato carico di sfida “È questo che non riesci a sopportare?” “Ma di che ...” “È il mio matrimonio” “No” “Sei arrabbiato con me perché amo, perché respiro e vivo!” “Come potrei arrabbiarmi per questo? Lo sai, te l'ho ripetuto centinaia di volte, se tu sei felice allora lo sono anche io” “E qui dentro?” domandò la giovane posando una mano sul petto di Andrè “Sei felice qui dentro?” ci mise qualche secondo a capire il vero significato di quella domanda.
Strinse la mano delicata intrecciando le dita alle sue, attraverso la pelle di pesca poteva riconoscere la corsa folle di un cuore troppo veloce per il mondo, per chiunque.
Quegli occhi erano diventati improvvisamente lo specchio di un'anima bella e generosa, la stessa preziosa amica che in passato l'aveva protetto e convinto a crescere.
Un tremito leggero le sfiorò la mano costringendola ad indietreggiare ma la presa del giovane si fece più forte “Mi rimproveri perché amo un uomo che non sei tu, perché ho un figlio e sono madre. Perché hai perso questo della nostra vita, perché forse, se mio padre non avesse scelto per tutti noi, ora questo figlio sarebbe tuo” “Oscar ...” “Non è il mio nome” mormorò cercando i suoi occhi “Non lo è più ormai. Ho fatto delle scelte. Ho percorso strade nuove e sconosciute e ora non torno indietro, non si abbandona il presente, non si fugge. L'amore che provo per mio marito è forte e vero perché lui mi ha permesso di risollevare la bambina in lacrime che viveva dentro di me” la mano scivolò lentamente nel vuoto e l'aria gelida tornò tra le dita.
Un debolissimo sorriso poi solo le sue spalle e quel modo di camminare che avrebbe riconosciuto anche in mezzo a migliaia di persone “È sbagliato” si voltò di colpo ma Gustaf rise “Lo sai che è sbagliato, per quale motivo continui ad insistere?” “Io non ...” “È per colpa di una sciocchezza come questa che sono saltate teste. Preoccupati di eseguire i miei ordini e lascia stare i pensieri” ma l'altro sospirò costringendo il ragazzo a continuare “Conosci la leggenda dell'uomo e della luna?” Andrè scosse appena la testa sedendo accanto a Gustaf “Un uomo solo vagava silenzioso per i boschi litigando con i propri pensieri. Era solo, stanco, indebolito dall'amore e così ...” si fermò qualche secondo osservando l'espressione sul volto di Andrè “ … confidò alla Luna i suoi segreti ma lei così bella e lontana, decise di rubare la sua voce. La intrecciò alla rugiada del mattino rendendola delicata, preziosa. Dalle montagne ai valichi, quella voce risuonava limpida ma sentendola così diversa, l'uomo immaginò il volto della sua amata ...” “Io non ...” “ … non era più solo ormai. Da quel bosco perso sulle montagne urlava ogni notte nel tentativo di portarla a casa ma solo quella voce interrompeva il silenzio risuonando tra i crepacci finché un giorno, l'uomo decise che ascoltarla non era abbastanza e così la cercò per il bosco, sui monti, nelle valli. Si spinse fino alle più remote foreste del regno fino a quando il mare non lo accolse e allora l'eco senza cuore smise per sempre di parlare con lui e la Luna alta nel cielo, prese con sé l'anima di questo povero disperato costringendolo ogni notte a guardare la terra e la nostalgia del suo sguardo, è per lei motivo d'orgoglio perché un mortale non ha il privilegio di rivolgere lo sguardo alla Luna” “Sono io quell'uomo?” “Già” mormorò l'altro spezzettando della corteccia nelle due tazze sul fuoco “Cerchi lei, vivi di lei anche se ormai non ti appartiene più eppure, nonostante tutto, continui a sperare in cuor tuo che qualcosa possa costringerla a tornare da te e non importa cosa sia, ti basta solo riaverla tra le braccia un'ultima volta” “No, no io non ...” “Ma lei si diverte e ogni notte ti chiama nei sogni costringendoti a perdere la testa. Non lo vedi Andrè? Non ti accorgi dell'effetto che ha su di te?” indicò la mano del giovane, lo sguardo seguì il suo e si accorse d'improvviso che le dita tremavano leggere “Ti ha rubato la voce ragazzo francese. Ti nega le sue labbra e così facendo, ti nega tutta sé stessa. Perché vuoi soffrire? Perché non puoi semplicemente andare avanti?” “È difficile” “Lei l'ha fatto” “Hai ragione, lei l'ha fatto” “Così va meglio, ragazzo francese” gli passò la tazza sospirando “È tornata?” “Chi?” domandò Gustaf tornando ad osservare il suo volto “L'amore di quell'uomo è mai tornato a casa?” “C'è chi dice che fu proprio l'amore a sciogliere il tormento dell'uomo e a riportarlo sulla terra e chi invece, prima di rivolgersi alla Luna chiedono il permesso di alzare lo sguardo ed interpellare la sua luce perché i lamenti di quell'uomo sono ancora qui. Tutto sommato sei fortunato Andrè. Hai sollevato lo sguardo e parlato con la Luna e hai ancora tutte e due le braccia e un cuore che batte. Altri prima di te hanno perso la vita per questo” inspirò a fondo portandosi la tazza alle labbra.
Il liquido caldo scese come fuoco vivo riscaldando ogni parte del corpo perfino il cuore. Quella favola era molto più reale di quanto immaginasse e da quella favola, aveva imparato a dire addio.   

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Capitolo 44
*** Di nuovo mia Sorella ***


                                                                                            Di nuovo mia Sorella 








Assomigliava ad un lamento, il verso dei cuccioli quando cercando la mamma, una dolce intrusione nei sogni.
Aprì gli occhi sollevandosi, il braccio di Marie scivolò di lato mentre un debole sorriso gli colorò il volto.
Tirò più su la coperta nascondendola al freddo e attratto da quel suono uscì dalla tenda.
Il vento era sparito e il cielo colmo di stelle dava il benvenuto ad una notte d'inverno piena di sogni, una notte scura illuminata dal chiarore dei fuochi e dal canto di una giovane madre che cullava il figlioletto in lacrime.
Passeggiava lenta attorno al falò, ogni suo gesto, ogni suo sospiro, tutto di lei era improvvisamente nuovo e sconosciuto.
Stringeva tra le braccia il bambino come se in realtà stringesse un ninnolo di cristallo.
La sua presa era forte, delicata, colma di quel caldo affetto che nessun altro avrebbe mai potuto regalare a quel piccolo umano.
Fece un bel respiro cercando di non muovere nemmeno un muscolo, proprio come quel giorno ormai lontano, quando con occhi colmi di meraviglia seguiva i passi di una fata nel bosco addormentato.
Ora come allora, la paura di farla scappare era così grande da costringerlo a trattenere il respiro, a tremare in silenzio seguendo il suono della sua voce.
L'aveva immaginata per anni, a volte, quando il generale lo lasciava libero dai ogni altro impegno, si sdraiava sull'erba fresca.
Lo sguardo perso sul volto sorridente della luna e la fantasia libera di fluire.
La immaginava madre, la immaginava donna.
Riusciva perfino a sfiorare il volto di quel fantasma inventato, c'era dolcezza nei suoi occhi, la stessa che provavano molte altre donne quando il miracolo della vita sfiorava il loro ventre.
La vedeva sorridere, piangere e nascondere le lacrime quando il dolore della nascita diventava più forte.
La vedeva passeggiare in mezzo al grano dorato mentre un bambino le stringeva la mano, correre, ridere, sussultare, provare giorno dopo giorno tutte le emozioni che un cuore di donna così diverso dall'arido cuore dell'uomo poteva regalarle.
Ma la vita è strana, il destino gioca con il futuro, intesse trame, si impiglia nei sentimenti e cambia il volto e il cuore di due persone che erano nate una per l'altra.
Dimenticarla era stato difficile, ritrovarla una pugnalata al cuore e dirle addio, dirle addio era forse la prova più difficile che Dio gli avesse donato.
Avevano entrambi una vita, una persona accanto a loro, un futuro diverso.
Con che coraggio avrebbe potuto trascinarla lontano da tutto quello che amava? Era libertà che voleva perché il suo cuore era libero e indomabile.
Lei era tutto quello che desiderava e proprio come il mare, mutava al sorgere della luna assomigliando per qualche attimo al gioco innocente che la sua mente in passato aveva creato dal nulla.
Ma non c'era lui a ridere assieme a quel bambino, non era lui ad insegnargli a camminare o ad ascoltare orgoglioso la sua prima parola.
In fondo, ogni cosa a questo mondo capita per un motivo preciso, forse il suo era rivederla un'ultima volta, una volta ancora per vederla respirare, amare, vivere perché c'era quella madre davanti ai suoi occhi, con i capelli sciolti così lunghi e una manina aggrappata al suo seno.
C'era tenerezza nei suoi baci e parole che non conosceva perché cambiare vita, l'aveva portata al rifiuto del passato e alla sicurezza di un futuro diverso.
Non era colpa sua, non era colpa di nessuno ma, nonostante la distanza tra i loro due mondi, l'amore di una madre è uguale in tutte le lingue.
Così, rimase immobile ad ascoltare quella nenia “Byssan lull, koka kittelen full, där blåser tre vindar på haven, på Stora ocean, på lilla Skagerack och långt upp i Bottniska viken ...” “Una ninna nanna” la voce di Gustaf invase lentamente quell'attimo di dolcezza “Tre venti soffiano sul mare. Il primo vola dal grande oceano, il secondo da Skaggerak e il terzo attraversa il golfo di Botnia” lo sguardo tornò a sfiorare i passi della ragazza “ … Byssan lull, koka kittelen full, där segla tre skutor på vågen. Den första är en bark, den andra är en brigg, den tredje har så trasiga segel ...” Gustaf sorrise sedendo su un mucchio di pelli a pochi passi da lui “Tre legni navigano nel mare ...” si voltò verso Andrè cercando i suoi occhi “ … uno è una barca, l'altro un brigantino e l'ultimo ha le vele strappate” poi ancora quella voce a riempire il silenzio “ ...Byssan lull, koka kittelen full, sjökistan har trenne figurer. Den första är vår tro, den andra är vårt hopp, den tredje är kärleken, den röda” gli occhi della giovane si fusero ai suoi togliendogli il respiro “E sulla cassa del tesoro che custodiscono, sono incise tre figure. Una si chiama Speranza, una Fede e l'ultima è l'Amore” “Lämna oss ifred Gustaf” l'uomo annuì chinando rispettosamente il capo e senza aggiungere una parola si rialzò allontanandosi di qualche passo da loro.
“Non volevo svegliarti” “Non hai … non sei stata tu” la vide inclinare leggermente la testa di lato socchiudendo gli occhi “Perdonami, non era mia intenzione disturbarti ma fatico a ritrovare il sonno. Viviamo nel buio da giorni ormai” ma lei non rispose, strinse più forte il piccolo giocando con la sua manina “Non c'è troppo freddo qui fuori per lui?” “Niklas è un bambino forte, qualche attimo di freddo aiuta i piccoli a diventare robusti e li prepara alla vita che avranno nel buio o nel sole” “È questo il suo nome?” “Cosa?” mormorò confusa, un debole sorriso gli sfiorò le labbra “Ti ho sempre immaginato così sai? Felice, tranquilla nel tuo mondo fatto di sogni ma in ogni mia fantasia, a quel bambino davi il nome di tuo padre” “Mio figlio nasce dall'unione di due cuori diversi. La sua vita appartiene a due mondi diversi e così anche il suo nome. Daresti mai il nome di tuo padre a tuo figlio senza pensare nemmeno per un secondo alle scelte di tua moglie?” “Mia moglie è francese” “E mio marito svedese” e per un attimo, nella sua voce tornò lo stesso gelo che ormai era diventato il suo unico respiro “E tu?” domandò avvicinandosi di un passo “Perché hai cambiato il tuo nome?” “È questa la mia vita ora” sfiorò con le labbra la testolina del figlio “Questo mondo che ti confonde è la mia casa. Vivere qui è difficile, la natura ha le sue leggi e vanno rispettate poiché trascendono quelle dell'uomo” il canto lontano di una civetta la costrinse a sorridere “Ho imparato a convivere con queste leggi. Nel freddo cuore del nord scorre la vita, ci ho messo molto tempo ad abituarmici ma è accaduto e ora, non immagino altro posto al mondo dove vorrei essere” “Potevi trovare quella vita anche in Francia” “E ricordare ogni giorno per quale motivo ero sola?” “Io non ...” “Ho avuto tutto quello che potevo desiderare. Un padre, una madre, una vita piena di forza ma non ho avuto te” “Oscar” “Potevo averti di nuovo. Se fossi venuta da te saresti scappato via da tua moglie ma non era questo che desideravo. Come mi sarei sentita io se qualcuno ti avesse allontanato da me?” “Perché?” ma lei sorrise “Non sono pentita delle scelte fatte. Non rinnego niente e non odio mio padre per avermi nascosta così dal mondo. So che l'ha fatto per amore e ...” “Amore?” domandò gelido “Quale amore vedi in tutto questo? Che padre è un uomo che cancella dal cuore della propria figlia ogni sentimento? Che padre è un uomo che da un giorno all'altro decide di cambiare ancora una volta la propria bambina? Non c'è amore nelle sue scelte!” “Ma resta comunque mio padre” gli sguardi si fusero assieme e il cuore per qualche secondo sussultò.
Non sarebbe mai riuscito a trascinare il generale in fondo ai suoi pensieri.
Era suo padre, la persona che l'aveva messa al mondo, che l'aveva cresciuta.
L'uomo che con tutti i suoi difetti, era riuscito a rendere grande il cuore di una bambina che non gli assomigliava poi così tanto.
Certo c'era il suo volto in quello di Oscar, viveva in lei come le stelle nel cielo, suoi erano quegli occhi e suo quel portamento pieno d'orgoglio ma la ragazza francese ora figlia del nord, portava in sé un'eleganza meravigliosa che forse lui aveva accentuato senza saperlo.
Aveva giocato con sua figlia credendo di poterla cambiare a proprio piacimento senza accorgersi che in realtà, ogni imposizione, ogni regola, ogni sorriso tirato, le regalavano un po' di luce, la stessa luce che ora esplodeva violenta davanti a lui “Non puoi cambiare ciò che è stato fatto” “Non voglio cambiarlo” “E allora perché sei qui fuori?” perché non riusciva a cancellarla dalla mente, perché perfino così riusciva a sentire la sua preoccupazione, non era difficile da ripetere ma le labbra restavano ben salde e le parole legate in fondo alla gola.
Sorrise stringendosi appena nelle spalle “Non lo so” mormorò poi cercando i suoi occhi “Non lo so Oscar, forse mi preoccupo per te” “Non devi” “Non cambia con il tempo, non si cancella. Tu sei stata importante per me, la mia migliore amica, mia sorella” “C'è già qualcuno nella mia vita che si prende cura di me, di noi” sussurrò sollevando leggermente il figlioletto “Non ho bisogno di niente Andrè, sono una bambina grande ormai” ma lui rise annuendo appena “Non hai mai avuto bisogno di molte cose. Sei sempre stata più forte di me fin da quando eravamo piccoli” “No” il suo sguardo divenne improvvisamente più dolce, lo stesso di tanti anni prima “Questa è una bugia” “È vero, è una bugia ma ho bisogno di credere che sia vera. Non posso più chiederti di amarmi ma posso chiederti di restare mia sorella” “Perché?” sussurrò Helena “Ho bisogno della mia migliore amica, ho bisogno di parlare con lei, di ridere e scherzare proprio come in passato. Ho bisogno di quella bambina capricciosa che combinava marachelle e poi scappava a nascondersi nella mia stanza. La sorellina dagli occhi grandi pieni di gioia che si spaventava quando un tuono diventava troppo forte” “Non c'è più quella bambina” riprese la giovane coprendo meglio Nicke “Quei tempi sono lontani ormai” “Hai ragione, non c'è più quella bambina davanti ai miei occhi ma so che da qualche parte, dietro a quella maschera di ghiaccio esiste ancora il suo sorriso” socchiuse gli occhi studiando qualche secondo il volto della giovane “Sei lì dietro Oscar, non nasconderti da me” “Andrè?” si voltò di colpo e gli occhi preoccupati di Marie lo costrinsero a respirare di nuovo.
“Va tutto bene?” “Perché sei sveglia?” sussurrò stringendola a sé “Dovresti riposare” ma gli occhi della ragazza erano inchiodati al volto di Helena, al suo sorriso carico di fredda dolcezza.
Gustaf si avvicinò a loro attratto dalla voce della sua signora “Ai vostri ordini altezza” “Fai accendere i fuochi, Niklas si è appena addormentato” “Come desiderate” “Grazie” “La vostra cena è pronta mia signora, non attendete oltre” un debole cenno d'assenso per congedarlo e poi di nuovo lo sguardo di Marie sul volto “Non ho intenzione di mangiarti Marie” “Cosa? Oh, perdonatemi io stavo solo ...” “Non importa” “No signora, è solo che siete … insomma siete ...” un debolissimo sorriso sfiorò le labbra di Helena costringendo Andrè a fare altrettanto “Torna dentro Marie, qui fuori c'è troppo freddo” baciò il volto del figlioletto e senza più aggiungere una parola si allontanò da loro “Bellissima” sussurrò la giovane cercando gli occhi di suo marito “È … è bellissima questa notte” “Andiamo” la strinse più forte costringendola a tornare verso la tenda.
Bellissima, era quello stasera, semplicemente bellissima.
Ma lui che riusciva a leggere così bene dentro di lei, per qualche attimo aveva visto debolezza nei suoi occhi, paura e tenera indecisione.
C'era qualcosa di diverso in quello sguardo, qualcosa che tentava di nascondere al mondo intero e che prima o poi, sarebbe uscito con la forza di una tempesta perché era questo Oscar, una tempesta di emozioni che arriva all'improvviso e che lascia solo tanta distruzione dietro di sé ma da quelle macerie, un nuovo futuro apriva gli occhi e lei diventava improvvisamente sole e cielo, acqua, diventava improvvisamente vita.








 

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Capitolo 45
*** Incontri ***


                                                                                                                            Incontri

  





Credeva di sognare, forse quell'attimo di pace era bastato a confonderla permettendo agli occhi qualche secondo di riposo.
Sentiva le voci degli uomini all'esterno, il loro mormorio così basso da sembrare quasi un sospiro e poi il corpicino caldo del figlioletto su di lei.
Il suo respiro era lento, le manine strette a pugno attorno ai suoi seni.
Sorrise sfiorando con le labbra la fronte del bambino e cercando di fare meno rumore possibile, si alzò stringendolo a sé con un braccio.
La luce dei fuochi all'esterno illuminava debolmente i lineamenti di suo figlio, le labbra dolcemente schiuse così uguali alle sue, il taglio degli occhi, il nasino piccolo e perfetto.
Lo adagiò tra le coperte nascondendolo al freddo della notte, un bacio per tenerlo al sicuro e poi di nuovo gli abiti e il gelo dell'inverno sulla pelle.
Ci aveva messo pochi minuti a rivestirsi e ancora meno a capire che quell'uomo a pochi passi da lei non era Nils ma qualcuno che gli somigliava molto.
Lo vide ridere, abbandonare il copricapo tra le mani di Gustaf poi le sue braccia strette con forza attorno ai fianchi delicati tirandola in un abbraccio caldo e rassicurante “Max” chiuse gli occhi posando la fronte sulla spalla dell'uomo “Ti chiedo perdono Helena, ho fatto tardi” ma lei rise stringendosi più forte a lui “Non aver paura, conosci mio fratello. Non è capace di restare troppo tempo lontano da te” le sollevò il volto lasciando un bacio delicato sulla fronte della ragazza “Porterà a termine il suo incarico e tra qualche giorno, quando il cielo si sveglierà di nuovo lo vedrai oltrepassare le mura del castello” “Lo so” ma lo sguardo si fece più intenso.
Oltre le spalle del cognato era fermo un uomo che apparteneva al passato.
Indossava una divisa, elegante, raffinata, diversa da quella svedese ma così vivida nella memoria da costringerla a sorridere.
Lasciò la mano di Maximilian avvicinandosi di qualche passo a quel ricordo, gli occhi socchiusi, le labbra strette nel tentativo di non lasciare all'emozione troppa libertà ma l'altro le sorrise chinando il capo di fronte a quegli occhi tanto belli che in passato aveva amato.
“Altezza reale” “Voi siete ...” “Sono qui in cerca del colonnello delle guardie reali che una volta è stata il battito del mio cuore” “E l'avete trovata?” domandò tremante sollevandogli il volto.
I suoi occhi erano gli stessi che in passato l'avevano seguita in silenzio, gli stessi che avevano preso ordini da lei senza mai opporsi.
In quell'azzurro colorato di verde e grigio era ancora vivo il sorriso di un uomo nato per comandare, un uomo che l'aveva seguita e che si era innamorato al punto da chiederla in moglie ma la vita gioca spesso con le persone rendendo difficile anche quello che in realtà è semplice.
“C'è una splendida granduchessa davanti ai miei occhi e credetemi, mai in tutta la mia vita avrei sperato di vedervi così” strinse la mano di Helena portandola alle labbra.
C'era tenerezza nei suoi gesti, una dolcezza così delicata da sembrare quasi irreale.
Non era cambiato molto dall'ultima volta che lo vide, il suo volto era lo stesso di sempre, bello, fresco, decorato da capelli castani lunghi e setosi, sciolti sulle spalle e liberi da costrizioni.
Il fisico raffinato, forte e al tempo stesso ben scolpito come una di quelle statue greche che spesso aveva ammirato da bambina.
Non era amore che provava nei confronti di quell'uomo, non era mai stato amore eppure, rivederlo dopo anni interi di silenzio era una piacevole sorpresa che rendeva il cuore più leggero.
Strinse le braccia attorno alle spalle dell'ufficiale attirandolo a sé “Mi siete mancato” l'altro rise appena ricambiando quella tenerezza “Anche voi” “Non lo dite solo per cortesia vero?” “Potrei mai mentirvi?” “Perché siete qui?” domandò poi cercando di nuovo i suoi occhi “Vostro padre” “Mio padre?” Maximilian tossì appena avvicinandosi ad Helena “Tuo padre è al castello mitt hjärta” ma lo sguardo confuso sul volto della giovane lo costrinse a sorridere “Ci è apparso davanti da un momento all'altro chiedendo di sua figlia” “Ma che ...” “Conoscete il generale, l'incarico dato da sua maestà la regina è stato un piacevole pretesto per cercarvi” mormorò l'uomo “Per questo siete qui?” “Per riportarti a casa il più presto possibile” ribatté Max lasciando tra le mani di Gustaf il proprio mantello.
Nel freddo della notte suo cognato assomigliava più che mai ad una scultura scolpita nel marmo, non sentiva freddo né il peso di quelle preoccupazioni troppo grandi per lei.
Cresciuto nel gelo del nord aveva imparato fin da bambino a non temere l'inverno, ad amarlo come si ama un fratello perché in fondo, la natura selvaggia di quel mondo era sua sorella e lo stesso sarebbe stato per Niklas “Hans mi ha seguito con un gruppo di uomini, arriverà tra qualche ora e il conte ...” si fermò qualche secondo dando una pacca leggera sulla spalla dell'uomo “ … beh ecco, diciamo che tuo padre l'ha costretto a seguirmi” “Mi dispiace” mormorò confusa “Voleva essere certo che tu fossi tutta intera e ha mandato qualcuno di fidato a controllare” “Mi dispiace Victor, non avrei mai voluto ...” “Non scherzate nemmeno. Non immaginate nemmeno che piacere è rivedere il vostro sorriso” “Puoi smetterla di usare il voi. Non ne ho bisogno qui” “Perdonatemi” rispose l'altro “Ma non posso dimenticare tutti gli anni passati assieme e ora, il rango che vi eleva così vicino alla casa reale non può che essere rispettato” “Gustaf” l'uomo si avvicinò ad Helena attendendo ordini “Gör förbereder tält för våra gäster” “Ai vostri ordini altezza reale” un debole vociare si alzò dagli uomini mentre ogni compito veniva distribuito con la massima rapidità.
“Ora dimmi, come sta il mio nipotino?” domandò Maximilian costringendola ancora una volta a sorridere “Sta riposando ora” “E loro dove sono?” la sua voce cambiò di colpo.
Il tono si alzò e la rabbia colorò di calde venature le sue labbra “Max, ti prego, è tutto risolto” “Risolto? Gustavo è ingestibile! Se mio padre non avesse un forte ascendente su di lui ...” “Ti prego” le mani della giovane si strinsero appena attorno alle sue spalle bloccando il fiume di parole che gli spezzavano il respiro “Ti prego, è passato ormai” “Il passato non si cancella Helena” “No hai ragione, ma si può comunque evitare di portarlo nel presente” “D'accordo” mormorò infine “D'accordo ma ho bisogno di vedere Niklas” “Non svegliarlo” le diede un bacio e senza più aggiungere una parola, si allontanò a grandi passi da lei.
“Lo sveglierà” sussurrò divertita tornando a concentrarsi sullo sguardo dell'ufficiale “Siete più bella di quanto ricordavo” “E voi sempre troppo buono” i capelli si mossero leggeri sollevati dal vento “Vostro padre mi ha pregato di consegnarvi questo” sfilò dalla tasca una catenina d'oro dove un piccolo pendente a forma di croce mostrava tutta la finezza del diamante e dello smeraldo “Ha detto che voi avreste capito” un debole sorriso le sfiorò le labbra mentre stringeva tra le dita il gioiello.
Conosceva bene quella collana, era la preferita di suo padre, il solo regalo fatto con amore, l'unico sincero che non si mascherava dietro all'immagine del dono al figlio perfetto.
Quella collanina l'aveva fatta fare per sua figlia, la bambina irriverente che spesso lo sfidava, per l'adolescente irrequieta e la donna meravigliosa che un giorno sarebbe diventata “Siete sorpresa?” “Un po'. Non credevo si ricordasse di questa” “A quanto ne so mia signora, il generale non ha mai dimenticato nulla di importante che riguarda la vostra persona” “Solo il cuore di donna che mi batte nel petto” “Questo non vi ha mai impedito di fare scelte. Vi ha imposto delle regole è vero, ma guardatevi ora. Siete una visione altezza. Avete libertà, bellezza, una famiglia” “Dimenticavo quanto siete bravo ad adulare le persone” ribatté divertita “Resterete con me non è vero?” ma lo sguardo confuso sul volto dell'uomo la costrinse a tremare appena “Fino a quando mio marito non sarà tornato a casa. Non credo che mio padre desideri lasciare la mia casa troppo presto” aggiunse muovendo appena la mano.
Due uomini si avvicinarono a lei reggendo tazze fumanti “Prendetene conte. Con questo freddo è piacevole sedere attorno al fuoco con qualcosa di caldo tra le mani” un debolissimo sì, leggero, appena accennato, un sì che in pochi secondi riapriva un mondo passato.




“Quanti sono?” “Otto vostra grazia. Mirdar ne ha catturati tre e altri sei sono morti” sospirò passandosi una mano in volto “Secondo te è al sicuro?” Ulek sospirò sedendo accanto a Nils.
Il fuoco scoppiettava allegro spezzando l'oscurità attorno a loro “Vostro fratello a quest'ora l'avrà raggiunta” un debolissimo sorriso sfiorò le labbra del duca “Credetemi altezza, è molto più al sicuro vostra moglie di quanto lo siamo noi in questo momento” “Perché continuano a cercarla!” “Perché è francese. La dama più vicina al re in questo momento e se vostro cugino decidesse di lasciare il trono conoscete bene quale futuro vi attende” “Non lo farà” “Non potete saperlo” “Lo conosco bene Ulek” “Una donna francese alla guida di una nazione come la nostra non è ammissibile per i rivoltosi” “Una donna francese?” ripeté irritato “Mia moglie è svedese, lo è diventata quando ha scelto di sposarmi, quando mi ha dato un figlio, quando ha rinunciato al suo nome e al suo passato per vivere assieme a me!” “Lo so” “Cosa ne sanno loro del dolore che la mia sposa ha sopportato? Cosa ne sanno del suo passato!” urlò stringendo con forza l'elsa della spada “Non è mai un bene lasciare che la rabbia prenda il sopravvento mio signore” lo sguardo confuso del duca colpì il volto di Ulek “In questo momento così delicato, non è l'ira che vi serve” “Non lascio che un gruppo di scellerati senza Dio scorrazzino liberi per i miei boschi minacciando la mia sposa!” “Ecco perché ci sono io” sussurrò l'altro passandogli un pezzo di carne secca “La mia spada ha imparato molto bene ormai qual'è il suo destino. Il sangue non indugia a lungo sull'elsa perché non provo più pietà o compassione. Ho smesso di ascoltare gli esseri umani ma voi ...” cercò gli occhi di Nils sorridendo “ … voi mi avete salvato la vita e ho un debito nei vostri confronti” “Hai ripagato il tuo debito molti anni addietro” “Ho fatto una promessa a vostro padre. Non voglio soldi né titoli, tutto quello che mi interessa è la vostra gratitudine” “Hai la mia gratitudine, l'hai sempre avuta” lo sguardo dell'uomo si fuse al suo suggellando ancora una volta un tacito accordo.
Da anni ormai, quegli occhi che di umano conservavano solo il nome, erano stati motivo di conforto per lui.
Mai aveva utilizzato la forza contro il popolo, mai aveva scelto di punire il suo popolo con la morte ma non era padre allora, non aveva provato la gioia di sentire quel pianto disperato cercare aria per la prima volta.
Niklas gli aveva regalato qualcosa di molto più prezioso di un titolo, qualcosa che non riusciva a spiegare e che mai prima d'ora aveva immaginato.
“Dovreste dormire signor duca” “Dormirò quando saremo di nuovo a casa” “Siete testardo” rise divertito dalle parole dell'uomo “Ora capisco come mai andate così d'accordo voi e la duchessa” “Attento Ulek, se un giorno ti scappasse questa cosa davanti a lei sono certo che te la farebbe pagare” “Ecco perché mi guardo bene dall'esprimere qualsiasi tipo di pensiero” gli fece l'occhiolino continuando a mangiare.
Gli uomini attorno a loro parlavano sommessamente raccontandosi chissà quali leggende ma lui, padre e marito ora così lontano dal calore di sua moglie, aveva nel cuore un unico pensiero e non avrebbe riposato fino a quando non avesse stretto tra le braccia la sua meravigliosa sposa e il loro bambino.






“Voi lo chiamate disguido io lo chiamo tradimento!” il calice di vino cadde al suolo frantumandosi in mille pezzi “Ti sei sempre fidato di tuo cugino, non commettere la leggerezza di ignorare le sue volontà ora Gustavo” “Mio cugino a volte dimentica quello che è giusto! La bontà lo assale ed Helena fa il resto” Magnus sorrise sedendo sulla poltrona di fronte al fuoco.
Il carattere irruento di suo nipote ora usciva in tutta la sua magnificenza rivelando un sovrano capriccioso, irruento e sconvolto dalle emozioni “Avvallo ogni sua decisione caro zio, lo faccio perché ripongo in lui una fiducia oltre misura. Affiderei a Nils la mia stessa vita” “Lo so bene, mio figlio pensa esattamente le stesse cose” “Quel bambino è parte di me! L'ho battezzato, in quale altro stato un re si abbassa a tale compito?” esclamò ironico passeggiando nervosamente per la stanza “L'ho fatto perché nutro verso mio cugino un affetto profondo e sincero, perché Helena lo rende l'uomo che è ora. Ho giurato davanti a Dio che mi sarei preso cura di Niklas!” “Dio ha ascoltato il tuo giuramento, sono sicuro che non vorrebbe vedere altro dolore. Quello sparso nei giorni passati è sufficiente” “Sufficiente?” domandò confuso fermandosi davanti a suo zio “Quelle due sguattere francesi non conoscono ancora la paura” “Una” il re annuì appena sorridendo “Hel avrà cura dell'altra” “La lettera giunta fino a noi porta buone notizie Gustavo” “Ma davvero?” ribatté muovendo appena la mano.
Un servo si avvicinò a lui reggendo un vassoio d'argento.
Sopra, nascosta da un telo di lino vi era una lettera “Siete al corrente degli spostamenti di vostro figlio?” domandò Gustavo sollevando la busta “Perché vedete, a meno che non sia impazzito decidendo di mentire al re, ora quel folle di mio cugino è perso chissà dove nei boschi ad inseguire i rivoltosi assieme ad un pugno di uomini!” “Ma di che ...” “Non temete” si affrettò ad aggiungere mostrandogli il foglio “I miei uomini sono in viaggio e dal sud tre compagnie stanno risalendo le vallate. Lo raggiungeranno entro due giorni e se Dio vuole, tornerà a casa sano e salvo” Magnus trattenne la rabbia stringendo tra le dita il foglio, la carta scricchiolò costringendo Gustavo a sorridere “Non preoccupatevi, Nils è sempre stato un uomo forte, non saranno certo quattro stolti a spaventarlo” “Dobbiamo portare Helena al sicuro il più in fretta possibile” “Maximilian avrà raggiunto gli uomini a quest'ora, non temete caro zio, sarà a casa molto presto” ma lo sguardo preoccupato sul volto dell'uomo lo costrinse a continuare “Venite ora, c'è un generale francese sul piede di guerra che aspetta solo un buon pretesto per litigare” “Non prenderti gioco di lui. È un padre preoccupato” “Non gliene faccio una colpa” aggiunse poi prendendo a braccetto Magnus “L'amore per un figlio è spesso debolezza” un altro sorriso poi solo il rumore dei passi sul pavimento lucido e nulla di più.





 

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Capitolo 46
*** Sguardi Legati ***


                                                                                                      Sguardi Legati









L'aria era fredda, la notte scura ma il profilo del castello si stagliava forte all'orizzonte costringendola a sorridere.
Strinse più forte le gambe attorno ai fianchi del cavallo spingendolo al galoppo, Max rise seguendola.
C'era profumo di casa, un profumo forte e intenso che la costringeva a correre, a sfiancare i cavalli pur di arrivare sana e salva.
Le luci tremule dei fuochi, le mura di cinta, conosceva bene il significato di quelle luci.
Ogni volta che lasciava il castello suo suocero faceva accendere ogni fiaccola, ogni torcia disponibile illuminando di speranza il cammino.
Fuochi caldi e rassicuranti che avevano l'unico compito di guidarla nelle tenebre.
Abbassò il viso tagliando il vento, la mano stretta sul seno, sulla testolina di un bambino nascosto dal suo mantello, dal calore del suo corpo.
Pregava il cielo che suo figlio restasse buono e tranquillo ancora per qualche minuto perché casa era vicina e il suo pianto li avrebbe rallentati di nuovo, l'unica cosa che voleva era raggiungere quel maledetto ponte.
Sentiva nelle orecchie il respiro pesante dei cavalli, gli ordini di Max forti nel vento e un peso sul cuore terribile che la costringeva a rivedere davanti agli occhi il sorriso di suo marito, i suoi baci.
Era abituata a cavarsela da sola, suo padre l'aveva preparata bene al mondo freddo e crudele ma nonostante tutto, la distanza che ora li separava diventava ogni giorno più tagliente.
Scosse leggermente la testa ridendo di quella debolezza innocente, erano vicini ormai, abbastanza da sentire le urla delle guardie, sollevò la mano destra muovendola appena, un uomo si affiancò a lei reggendo un vessillo abilmente rilegato su sé stesso “Raggiungi l'ingresso, che aprano le porte” “Si mia signora” l'uomo rise spingendo l'animale in avanti.
Le luci delicate del cielo illuminavano la neve rivelando il cammino poi quel suono leggero che la costrinse a sorridere, gli zoccoli dei cavalli sul legno solido del ponte, il selciato che cantava sotto passi così forti e il volto sorridente di François “Altezza reale!” esclamò afferrando le redini del cavallo “Vostra grazia non sa che gioia regala al cuore di questo povero vecchio” la vide ridere mentre smontava di sella, le sue mani tremavano, il volto era pallido ma la regalità del suo sguardo era la stessa di sempre “François” sussurrò abbracciando l'uomo “Mi sei mancato” “Anche voi altezza” “Ti sono mancati i miei capricci?” domandò divertita osservando il volto del vecchio “Il bambino?” “Aggrappato alla sua mamma” scostò appena il mantello, la testolina di Niklas lo costrinse a sorridere “Non preoccupatevi, le vostre stanze sono pronte” “Io non ...” “Il granduca ha dato ordine affinché fossero sempre al meglio. Non sapevamo quando vi avremo rivisto, i messaggi che arrivavano erano sempre un po' confusi” “Mio suocero dov'è?” “Dal re assieme a vostro padre” sospirò passandosi una mano tra i capelli dorati “Assicurati che i miei uomini abbiano tutto quello che desiderano” “Vecchio mio!” esclamò Max dando una pacca sulla spalla del servo “Come stai?” “E voi? Come state?” ribatté sarcastico massaggiandosi il braccio “Ti avevo promesso che l'avrei riportata a casa il più presto possibile no?” “Avete mantenuto la vostra promessa” “Venite conte” Girodelle annuì appena sistemando il copricapo “C'è una bella stanza calda e accogliente che vi aspetta” “Vi ringrazio” “Non siate sciocco” “Non essere irriverente!” esclamò François dando un colpo leggero sul petto del giovane.
Ecco il calore che le era mancato, il calore della propria famiglia, della propria vita.
Gustaf si fermò a pochi passi da loro “Ci siamo tutti?” “Si vostra grazia” smontò di sella seguito da Andrè e dalla sua giovane sposa ma gli occhi di François si inchiodarono al volto di Marie togliendole il respiro “Mio marito ha già perdonato i traditori” “Il re non sarà dello stesso avviso” Helena sorrise stringendo più forte il bambino a sé “Se ci è riuscito suo cugino allora anche Gustavo può perdonare” “E al granduca lo spiegherete così?” “Che siano trattati con tutti gli onori. Sono nostri ospiti fino al ritorno di mio marito” “Bambina mia!” si voltò di colpo attratta dalla voce di Inga.
Correva verso di lei tenendosi gli occhiali con una mano “Inga come ...” ma la frase morì in gola, le braccia della vecchina si strinsero attorno a lei così forte da toglierle il respiro.
“Ho pregato ogni giorno, ogni giorno mi sono inginocchiata davanti alla croce e ho pregato per voi” “Sto bene” “Questo lo decido io” ribatté l'altra sfiorandole il volto “Siete pallida” “Sono solo un po' stanca” “Si, diremo questo a vostro padre” sbottò sarcastica scostandole dal volto i capelli “Povere le mie creature” gli occhi si riempirono di lacrime quando sfiorò con la mano il dolcissimo rigonfiamento sul seno della giovane “Andiamo, avete bisogno di riposare” “Ho bisogno di un bagno, un bagno che si possa definire bagno perché ...” “Ho già fratto preparare tutto, Camille si occuperà di Nicke, ora basta protestare” Girodelle sorrise amabile incantato dalla forza di quella giovane così diversa dal passato.
Era una madre, una madre stupenda, esattamente come l'aveva immaginata accanto a lui ma Helena aveva scelto un'altra vita.
Era diventata libera, libera da costrizioni, da decisioni e catene pesanti.
Aveva la sua vita, una famiglia diversa da quelle nobili francesi eppure lei sembrava nata in quel mondo.
La vide sospirare, alzare gli occhi al cielo mentre si lasciava guidare dalle mani della governante “Io sono il secondo per linea dinastica, mi ha cresciuto eppure divento invisibile quando c'è Helena” esclamò divertito Maximilian “Siete geloso per caso?” “No conte, sono solo felice di averla ritrovata sana e salva. Sono affezionato a quella ragazza, un affetto fraterno per questo non esiste gelosia. La considero una sorella e mi prendo cura di lei come una sorella” “Sapete ...” riprese Girodelle lasciando la spada nelle mani di un paggio “Io l'ho conosciuta molto tempo addietro ormai. È sempre stata silenziosa, riflessiva, legata a rigidi cerimoniali e regole di rango. Quella che ho davanti agli occhi è una piacevole scoperta” l'altro annuì deciso “Aspettate di vederla questa sera allora. Sarà la stella più luminosa del nostro cielo” “Più luminosa di così?” “Gustaf!” il giovane si voltò di colpo cercando gli occhi del suo signore “Occupati dei nostri ospiti. Che gli ordini di mio fratello vengano rispettati” “Si vostra grazia” un debolissimo cenno d'assenso prima di vederlo sparire assieme al suo nobile ospite.
“Andiamo” “Dove?” domandò confusa Marie stringendo la mano del marito “Conosci già questo castello. Vi accompagno nelle vostre stanze” “Perché?” “Perché è un ordine” “No” sussurrò Andrè “Perché lo fa?” Gustaf sollevò appena le spalle togliendo i finimenti al cavallo “Dev'essere davvero molto affezionata a te per tenerti in vita” Marie tremò appena abbassando lo sguardo “Convincere il duca non dev'essere stato semplice ma lei ci è riuscita e ora siete qui, parlate e respirare” prese il proprio mantello dalla sella lasciando poi l'animale alle cure degli stallieri “Io smetterei di fare domande. Lo stato di grazia che vi tiene in vita dura solo grazie alla duchessa. Andiamo ora, tra qualche ora si cenerà” “Come ci riesci? Come fai a capire quando è ora di cenare?” domandò confuso Emile seguendoli “Solo perché il buio avvolge ogni cosa non vuol dire che sia perennemente notte ragazzino. Esiste un modo per distinguere le ore” il cancello venne chiuso alle loro spalle mentre passo dopo passo, entravano in quel maniero di gelo ormai colorato di tenerezza.




“Passerai con noi tutta la notte?” “Sarò la vostra balia ancora per un po'” sbottò l'altro sedendo sulla poltroncina di fronte al fuoco “Avete dormito?” Marie annuì appena sorseggiando il suo tè “Tra qualche ora la cena verrà servita nella sala grande” “Non credo che il duca sia felice di averci tra i suoi ospiti” “Oh non temete, il granduca è dal re assieme al generale, avete ancora qualche giorno di pace” rispose Gustaf ridendo “Sua altezza il duca Maximilian ha deciso di festeggiare il ritorno a casa della giovane duchessa. Incontrerete la famiglia reale al completo” “Non vedevo l'ora” sussurrò Andrè perdendosi nel calore del fuoco “Non è stato rivelato loro la vostra provenienza né il motivo per cui siete trattenuti qui. A parte i figli del granduca e pochi servitori, la maggior parte delle persone qui dentro è allo scuro di tutto” ma l'altro scoppiò a ridere attirando lo sguardo di Marie.
“Avete sterminato mezzo mondo per trovare i traditori francesi e ora ci mascherate? Che senso ha tutto questo?” “Non maschero voi, maschero te” esclamò gelido piantando gli occhi sul volto di Andrè “Tu soltanto avrai l'onore di unirti a questo piccolo festeggiamento” “Tu sei pazzo” “Sei l'unico che ha un volto sconosciuto. Posso mascherare la vostra presenza qui ma tua moglie è già stata vista a corte. Era una serva, incapace certo ma comunque una serva” “Ed è questa la punizione della tua signora?” domandò ironica Marie “Separarmi da mio marito? Mostrarmi ancora una volta che può averlo quando le fa più comodo?” “No signorina, tutto quello che desidera è tenerti al sicuro! Hai commesso un'idiozia prendendo quel bambino dalla culla, una sciocca e fatale idiozia! Ora, c'è mezza servitù di questo castello che ti ha visto, cosa penserebbero se ora ti trovassero al fianco della duchessa vestita da nobile!” “Non ho intenzione di unirmi ai festeggiamenti senza mia moglie” “Non è compito tuo decidere Andrè!” una cameriera entrò nella saletta posando sul tavolo un vassoio colmo di leccornie “La governante mi manda a dirvi che tra un'ora la cena sarà servita” Gustaf annuì alzandosi “Preparate la sala qui accanto. Marie ed Emile ceneranno prima” “Come ordinate” mormorò l'altra chinando il capo.
“Andrè” “Ti ho già detto cosa ...” “E io ti ho detto che non è compito tuo decidere” c'erano due uomini nascosti tra le tende, riusciva a vedere le loro spade, i loro occhi attenti che scrutavano ogni movimento.
Se avesse rifiutato cosa sarebbe accaduto? Era certo che per ogni no che usciva dalle sue labbra, Marie sarebbe stata usata come scusa più che valida per convincerlo.
Sfiorò il volto della moglie lasciandovi un bacio delicato “Ci vediamo presto amore mio” “Stai attento” un debolissimo sorriso sfiorò le labbra mentre per l'ennesima volta era costretto a lasciarla.








Piccolo festeggiamento, decisamente riduttivo come pensiero perché aveva davanti una sala gremita di gente e si sentiva immensamente piccolo.
I candelabri illuminavano a giorno ogni angolo, dal soffitto grandi lampadari luccicanti regalavano sfarzo e lustro a quel mondo scintillante che mai la sua Oscar aveva amato.
Calici di vino si muovevano rapidi sui vassoi dei camerieri e uno stuolo di musicisti suonavano rapidi regalando note melodiche e terribilmente belle.
Gustaf al suo fianco sorrise sistemandogli i lacci preziosi del mantello “Non si porta come in Francia” mormorò tirando leggermente di lato le fibbie “L'apertura è sulla spalla destra” “Lo trovo sciocco” “Ma in guerra salva la vita” “Non siamo in guerra” “No? Aspetta di vedere quanto può essere estenuante la curiosità delle persone” “Sono un uomo comune” “Sei la novità in questo mondo tanto diverso” “Quanti sono?” domandò stupito osservando i musicisti “Cento” “Stai scherzando?” “Perché dovrei? Come pensi possa allietare una sala grande come questa il maestro di musica? Serve un grande concerto per un grande uomo o in questo caso, una grande donna” “La donna che tanto ammirate è solo un quadro e nulla di più” “Sarà anche un quadro ma ti assicuro che in lei brucia il fuoco della vita” il ciambellano picchiò con forza il suo bastone d'oro attirando l'attenzione.
La musica cessò, i camerieri si fermarono, perfino i respiri sembravano fatti di cristallo “Sua altezza reale la granduchessa Sofie Vivianne Helena Louise Anja Majken, signora di Närke e principessa delle quattro province” Gustaf rise avvicinandosi leggermente ad Andrè “Avete rapito un bambino comune” sussurrò sarcastico ma lui non rispose, si limitò ad annuire sentendosi terribilmente sciocco in quegli abiti che non appartenevano alla sua cultura, al suo mondo ma quando negli occhi apparve l'immagine della duchessa, perfino l'imbarazzo svanì.
A pochi passi dal ciambellano c'era la stessa giovane che come una selvaggia, aveva cavalcato assieme a loro nel freddo del nord.
Gli abiti di guerra erano spariti, i capelli non più sciolti e liberi ma costretti in complicati intrecci sul lato sinistro che raccoglievano le ciocche ribelli.
Fili di perle si nascondevano tra l'oro fermandosi appena sopra l'orecchio destro.
Sembrava un quadro, un dipinto vivente dove la perfezione riposava nelle abili mani di Inga.
Indossava un abito dal taglio semplice.
Scuro come la notte ed impreziosito da piccoli ricami d'argento che dalle spalle scendevano per tutta la lunghezza dell'abito.
Un manto di prezioso tessuto scuro le copriva le spalle e la schiena, lungo, pesante eppure tanto semplice da indossare.
Era chiuso da un intreccio di fili dorati mollemente abbandonati sul seno della giovane ma saldamente ancorati alle fibbie.
Il suo incarnato era di pesca e non più pallido e stanco e una collana di diamanti e d'argento rendeva il suo petto luce pura.
Nei suoi occhi c'era gioia, felicità, era sparita la paura, niente più rabbia.
Oscar era sparita, al suo posto prendeva vita una granduchessa elegante, raffinata, dalle movenze aggraziate e dagli occhi di cielo.
Al suo fianco, a reggerle la mano il granduca in tutta la sua possenza “Sua altezza reale il granduca Johan Maximilian Henrik Magnus di Närke, principe e signore del Norrland” i nobili e gli invitati chinarono rispettosamente il capo e le dame si esibirono in delicati inchini.
Ad un cenno del granduca la musica tornò a riempire il silenzio e il chiacchiericcio allegro delle giovani donne colorò di tenerezza tutto il resto.
“Andrè” si voltò appena incontrando lo sguardo di Girodelle “Conte” “Devo dire che vedervi così lascia senza fiato. Se fossi una donna probabilmente vi chiederei di ballare” “Meno male che non lo siete allora” l'altro rise sollevando appena il bicchiere “Vogliate scusarmi” mormorò Gustaf “Devo sistemare una piccola cosa ma non temete, sono proprio qui ...” gli occhi si inchiodarono a quelli di Andrè “ … a pochi passi da voi” ci mise qualche secondo a farsi scivolare addosso il sarcasmo ma alla fine, rimase solo in compagnia del conte.
“Non la trovate stupenda?” “Come?” “Helena” “Oscar” l'altro annuì appena ridendo “È radiosa. Sembra concentrare su di sé tutta la luce del mondo e poco importa se fuori impera il buio ...” gli sguardi si spostarono sulla giovane, sui suoi sorrisi “ … certo in lei è ancora viva la stessa giovane di un tempo ma le scelte fatte l'hanno cambiata profondamente” “Già” sussurrò Andrè prendendo un bicchiere dal vassoio del paggio “Non datevi pensa amico mio, è felice” “Una gabbia d'oro non rende felice il cuore di una persona” “Ma lei non vive in una gabbia. Non vedete? Gioca con loro, si diverte, li prende perfino in giro ma lo fa con un'eleganza tale, da apparire perfetta ai loro occhi” “E se quella perfezione fosse una trappola anche per lei?” “L'ho vista là fuori, l'ho vista cavalcare e ridere con suo figlio. È stata il mio comandante così tanto tempo e ora, ora che dovrei vedere in lei lo stesso colonnello ligio al dovere e severo ...” si fermò qualche secondo divertito dall'espressione della ragazza.
Ballava con suo cognato, rideva, giocava proprio come una bambina “ … riesco soltanto a distinguere una giovane donna serena e felice” “Voi lo sapevate?” “Cosa?” domandò confuso Girodelle “Eravate a conoscenza della menzogna che suo padre ha creato?” gli occhi del duca cambiarono, il suo sguardo divenne improvvisamente più scuro e profondo “Sarei un'ipocrita a dirvi il contrario. Quando è accaduto ho visto il generale maledire il cielo, è arrivato a fare un patto con Dio e quel Dio lo ha ascoltato. Gli ha restituito la figlia tanto amata” “E lui in cambio cos'ha dato?” “Suo figlio” mormorò l'altro sospirando “Ha rinunciato al suo erede. Le ha donato una vita, la stessa che avrebbe dovuto avere fin da bambina e per farlo, ha cancellato tutto quello che aveva creato. Per questo ha celebrato quelle sciocche esequie, per questo ha chiuso la sua casa e si è trasferito nella tenuta al mare” ma Andrè non rispose.
Immobile ad ascoltare finalmente la verità, seguiva con gli occhi quella danza gioiosa perdendosi nella gioia di Oscar “Sapete, ho sempre immaginato che la sua vita prima o poi si sarebbe intrecciata alla vostra” “Cosa ve lo fa pensare? Sono solo un servo” “Ma siete innamorato di lei” “Lo ero, un tempo lo ero” “Ne siete sicuro? Perché riconosco in voi lo stesso sguardo che mi decorava il volto quando pensavo a lei” “Ormai le ho detto addio. Tutto quello che voglio è ritrovare mia sorella” “Allora date retta ad un buon amico ...” riprese Girodelle posando una mano sulla spalla del giovane “ … dimenticate il passato e ripartite dal presente. Sono a conoscenza della sciocchezza commessa e so anche che ormai appartiene al passato. È disposta a perdonare Andrè, fatelo anche voi e ritrovate l'amica preziosa che tanto vi manca” “Conte” “Ecco qui il gioiello più prezioso di tutti” sussurrò inchinandosi a lei “Siete bellissima” “Siete sempre stato troppo buono con me” “Sei bellissima, smettila di sminuire la cosa” mormorò Max cingendole le spalle “Ballate con me conte” Gustaf tornò al fianco di Andrè salutando la sua signora “Coraggio, avete paura?” “Non ho mai paura” ribatté l'altro posando il calice sul vassoio vuoto di un paggio.
Le mani si strinsero assieme e la musica li trascinò via portando con sé anche il respiro di Andrè “Vogliate scusarmi, mia moglie mi attende” mormorò Maximilian “Mi raccomando, hai la mia fiducia” “Come sempre vostra grazia” sussurrò Gustaf annuendo.
“Non ho alcuna intenzione di rapire bambini” riprese Andrè una volta soli “Né ho intenzione di trascinare via la vostra preziosa dama” “Non era di te che parlava il duca” “Strano” “Abituati all'indifferenza Andrè, qui dentro non sei niente di più che uno straniero” “Si, anche la vostra signora me l'ha appena dimostrato” ma l'altro rise “Lei è l'aquila” “Cosa?” domandò confuso ma la voce del giovane lo trascinò di nuovo nel sogno.
“All'orizzonte, quando il sole rinasce nel cielo puoi vedere l'aquila e il falco volare assieme. Volano veloci nel vento, in alto, sempre più in alto fino a toccare le stelle ma nessuno dei due è in grado di uccidere l'altro, litigano, urlano, gli artigli strappano piume, lambiscono la carne ma i due cuori si amano” “Lei è …” “Lei è l'aquila, è forte, leggera piena di vita e vola verso le stelle ma se la osservi ...” indicò Helena con un debole cenno del volto sorridendo “ … leggi nei suoi occhi la preoccupazione, certo è abile a nasconderla ma quell'aquila tanto bella che ti volteggia davanti non vola leggiadra come sempre. Le manca il falco, le manca da morire perché anche se in guerra si feriscono, nella tenerezza del cuore si amano. La duchessa è l'aquila, suo marito il falco possente che le vola accanto. Se li separi, se ne ferisci uno allora anche l'altro morirà” “Cosa stai cercando di dirmi?” domandò irritato mentre una risata confusa uscì dalle labbra “Che sono io a renderla infelice? Che devo ritrovare il suo falco?” ma l'altro scosse la testa sospirando “Non ha bisogno del passato, non sei più tu il falco che la sorreggeva” “Lo so, passate ogni dannato minuto del giorno a ripetermelo. L'ho lasciata andare, le ho detto addio! Perché continuate a ...” “Perché non è un addio che leggo nei tuoi occhi” “Ora basta” lasciò il bicchiere tra le mani di un giovane inchiodando gli occhi a quelli di Gustaf “Sono stanco di essere trattato come un burattino, un fantoccio di pezza che non ha nemmeno il diritto di avere un attimo solo, uno solo per dire addio! L'ho lasciata andare, l'ho fatto e mi è costato metà del cuore Gustaf, ora vorrei solo avere un momento per me stesso!” “Non te ne verranno concessi Andrè. Lei ti sta dando più di un motivo per odiarla, raccogli questo dono e torna a casa tua” “Basta, sono stanco, voglio vedere mia moglie” l'altro rise annuendo “Te l'ho detto ...” mormorò chinando il capo “ … lei non ti darà tregua” si voltò di colpo incontrando quegli occhi azzurri tanto belli “Scappi?” domandò inclinando leggermente la testa di lato.
Il ciondolo si mosse leggero e così anche una tenera ciocca dorata lasciata libera dalla costrizione degli intrecci “Mi rincresce non poter restare oltre vostra grazia. Mia moglie mi attende” la vide sorridere poi quella mano tesa verso di lui “Sono costretto a declinare il vostro invito altezza” “Non volevi di nuovo tua sorella?” per qualche secondo il cuore rallentò la sua corsa.
Il respiro si fece più leggero e gli occhi si fusero ai suoi. Era brava, era terribilmente brava a giocare con le parole, con lui.
Fece un bel respiro ricacciando indietro la voglia folle di stringere quella mano tra le sue “Non eri sincero dunque, non era la sorella di sempre che cercavi” non rispose, non si mosse nemmeno.
Helena colorò lo sguardo di orgoglio e sfida, la mano ricadde nel vuoto e il gelo avvolse di nuovo il suo cuore “Che torni dalla serva tanto dedita allo spirito materno” esclamò d'improvviso rivolgendosi a Gustaf “Come desiderate mia signora” “Sei davvero così?” domandò Andrè cercando i suoi occhi “Sei capricciosa e infantile?” “Ti ho offerto di nuovo quella sorella che tanto desideravi e l'hai respinta. Ora avrai solo una granduchessa del nord alla quale devi obbedienza” la mano di Gustaf si posò sulla spalla di Andrè tirandolo leggermente indietro “Quella sorella mi manca da morire” ma lei non rispose, restò immobile a ridere di una scelta tanto sciocca che l'aveva allontanato del tutto dal passato.

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Capitolo 47
*** La Principessa e il Mortale ***


                                                               La Principessa e il Mortale







Aveva lasciato il ballo parecchie ore fa ma la musica riempiva l'aria dissolvendosi in echi lontani.
Fece un bel respiro continuando a camminare nella penombra.
La roccia nuda era ammorbidita da lunghe tende di broccato rosso tenute assieme da cordoni dorati.
Tra le pieghe e le balze intravedeva di tanto in tanto mobili antichi di legno scuro e lo stemma della famiglia reale dove due nomi vivevano legati assieme da intrecci e diamanti.
Le candele illuminavano lo splendore di quei lunghi corridoi così grandi e pieni di mistero, poteva sentire la pietra cantare, la sua voce raccontare fiabe e leggende.
Nel silenzio risuonavano forti i passi dell'uomo alle sue spalle, un angelo custode con il compito di seguirlo, di spiarlo, di impedirgli qualsiasi follia perché di certo, un secondo miracolo non l'avrebbero mai ottenuto.
Non aveva idea di quale fosse la sua destinazione, continuava a camminare cancellando dalla mente i pensieri, dimenticando perfino di indossare quell'abito così diverso e sciocco.
L'aria fresca colpì il volto costringendolo a sollevare lo sguardo.
Davanti ai suoi occhi, si aprì d'improvviso una sala immensa dove le pareti scomparivano nascoste da grandi scaffali colmi di libri.
Salivano fino al soffitto costringendolo a dimenticare perfino la magnificenza della libreria di casa Jarjayes “Meraviglioso” sussurrò portandosi una mano alle labbra.
Elaborate scale a chiocciola salivano leggere fino al primo cerchio, al secondo e al terzo. Ad ogni piano vi era una poltrona, un tavolino e fiori, tanti fiori.
Ma se le pareti erano così belle, allora la sala che si apriva davanti al suo sguardo era un angolo di celestiale paradiso.
Il pavimento scuro, libero da tappetti e sete strane, i mobili d'abete rosso, una scrivania nell'angolo più lontano, vicino alle vetrate, vicino al sole.
Immaginava le ore di riposo di Oscar, la immaginava seduta sulla poltrona di velluto dove ora riposava silenziosa una coperta di lana, proprio come tanti anni prima, proprio come quella bambina che si rifugiava nel silenzio dei libri per ritrovare sé stessa.
Sul tavolino una tazza ancora piena spargeva nell'aria una scia delicata di fumo e un libro aperto dove un fiore ormai secco, brillava timido sotto il tocco delle fiamme.
Si voltò confuso verso Gustaf ma lui sorrise chinando il capo “Mi seguite?” sussultò spaventato da quella voce improvvisa ma la risata cristallina della giovane rivelò ben presto il suo nome “Ovunque io sia ti trovo al mio fianco” “Non è sempre stato così?” domandò tremante cercando il volto di Helena.
Immobile accanto ad una delle scale sorrideva amabile stringendo tra le braccia il suo bambino.
L'abito elegante di poche ore prima era sparito, al suo posto vi era un semplice vestito dal colore del cielo.
Niente stoffe troppo complicate, niente corpetti difficili da portare né gonne ampie e scomode, i capelli erano raccolti e tenuti assieme da un nastro di raso bianco.
Nascondeva il figlioletto in un abbraccio colmo di amore ma perfino così, riusciva a distinguere la perfezione di un volto infantile così simile a lei “Perdonatemi, non volevo disturbarvi, credevo foste al ricevimento” “Non amo danzare tutta la notte” rispose sorridendo al bambino “Ma mio cognato è più che capace di portare a termine questo ballo senza di me, non è così amore mio?” sussurrò sollevando leggermente il bambino davanti al volto, Gustaf sorrise indietreggiando di un passo.
Un tenero gorgoglio costrinse Andrè a nascondere una dolcissima smorfia ma gli occhi di Helena, abituati com'erano a leggergli nell'anima, non ci misero molto ad accorgersene.
“Volete sedere con noi?” domandò d'improvviso avvicinandosi al tavolino “Stavamo leggendo una bellissima favola” “Come mi avete poc'anzi ricordato altezza reale, non sono degno di restare al vostro cospetto. Sono un servitore fedele ad una duchessa del nord non è così?” ribatté gelido ma l'ironia scivolò via da lei come le gocce di rugiada scivolano via dallo stelo di un fiore “Non impedisco a nessuno, nemmeno ai miei servitori di ascoltare un sogno” sedette silenziosa invitandolo a fare altrettanto.
Gustaf posò una mano sulla sua spalla spingendolo lievemente in avanti, forse era colpa della curiosità, forse era solo la stanchezza ma un passo dopo l'altro, raggiunse il divano di fronte a lei sedendosi a spiare un volto d'angelo capace di diventare ghiaccio puro.
Helena sorrise avvolgendo il piccolo nella coperta ma gli occhi di Niklas si piegarono in un sorriso cercando quelli della madre, prese il libro con la mano libera iniziando a leggere “In alto, dove le stelle uniscono i sogni e le parole, vive una principessa dal volto di fata. Figlia del re degli dei intesse preziosi vestiti e lunghi mantelli che dona a suo padre e agli immortali ...” Gustaf si avvicinò a loro sedendo su una poltrona alle spalle del giovane “ … ma con il passare del tempo, la bella principessa diventò triste perché non conosceva niente del mondo che ogni notte spiava dall'alto. Suo padre allora, decise di accontentarla concedendole di attraversare il fiume celeste” Inga entrò posando un vassoio sul tavolino e veloce com'era arrivata scomparve, portandosi via la tazza ancora tiepida.
“Ma la fanciulla si innamorò di un mortale e lui di lei costringendola a dimenticare quali erano i suoi doveri. Gli dei allora si adirarono impedendo ai due innamorati di vedersi. Il fiume venne reso impetuoso e ogni ponte distrutto” lo sguardo di Helena cercò per qualche secondo quello del giovane seduto di fronte a lei ma la manina del figlio sulle sue labbra la fece sorridere.
Gli occhi tornarono ad immergersi nelle parole di quel libro sconosciuto che tanto amava “Ma il pianto della fanciulla feriva a morte il cuore del padre e così, mosso da compassione, il re degli dei fece un patto con la figlia. Le avrebbe concesso di incontrare il suo amato una sola notte all'anno ma se lei avesse disobbedito, se avesse dimenticato di nuovo allora l'acqua avrebbe gonfiato di nuovo il fiume impedendole di vedere il giovane. Da quell'anno, ogni terzo giorno del mese i falchi trasportano la fanciulla fino al suo amato e sul volto del re degli dei, nasce un sorriso sincero” Niklas si mosse appena stringendo la manina attorno al dito della madre “È bella amore mio?” chiuse il libro baciando la fronte del figlioletto “Quando tuo padre tornerà a casa te ne leggerà molte” il suo sguardo diventò improvvisamente più triste e un velo di malinconia sfiorò la voce “Tornerà” mormorò Andrè sospirando “Tornerà a casa presto” “E tu che ne sai?” “Perché è quello che farei io se fossi costretto lontano da te” un debole sorriso sfiorò le labbra della giovane “O meglio, era quello che avrei fatto in passato” “Ora è diverso” “Già, ora è diverso” c'era gelo nella voce del giovane, un gelo che non gli apparteneva e che creava dal nulla solo per proteggere sé stesso.
“Tyr har återvänt?” Gustaf scosse appena la testa ma Helena annuì tornando a concentrarsi sul volto del figlio “Tornerà presto amore mio, Tyr farà ritorno portando con sé il rumore degli zoccoli e il sorriso del tuo papà” un altro bacio, più leggero del primo, più dolce e bello “Ti chiedo scusa” ci mise qualche secondo a comprendere che quelle parole erano per lui e non per il bambino “Non avrei dovuto comportarmi così al ricevimento” “Perché stai ...” “Perché mi è stato insegnato il rispetto e a volte, fatico a tenere sotto controllo questo carattere irruento” “Sei capricciosa proprio come lo era la nostra regina ricordi?” “Non sono una regina, posso essere ciò che voglio” “Non sei nemmeno frivola e altezzosa” “È del passato che hai bisogno?” mosse appena una mano, Corinne si avvicinò a lei prendendo il bambino “Portalo nelle mie stanze” “Si mia signora” si alzò dalla poltrona muovendo dolcemente le spalle.
I muscoli della schiena si tesero rapidi disegnando linee e curve delicate e forti assieme.
Gustaf si avvicinò al giovane sussurrando “Puoi avere la mia spada se ti va” “La tua … non ho alcuna intenzione di usare la spada” la giovane rise avvicinandosi alla libreria.
Una spada agganciata alla pietra riposava silenziosa, la lama nascosta dal fodero, l'elsa d'argento finemente intarsiata.
La mano si strinse con dolcezza attorno ad essa sfilandola lentamente dalla sua custodia, la luce del camino indugiò sulla lama costringendola a brillare “Se non ricordo male, eri solito sfidare tua sorella” “Mia sorella è morta ormai molti anni addietro” “Eppure continui a cercarla in me” “Credevo di averla ritrovata, credevo che fosse ancora viva nei tuoi occhi ma mi sbagliavo” la giovane rise tornando di fronte a lui “Coraggio allora, vendica la sua morte” sollevò appena la lama sfidandolo per l'ennesima volta.
Era un'errore, sapeva di sbagliare ma era la rabbia a muovere i suoi passi, si alzò prendendo la spada di Gustaf, tolse la giacca dell'abito liberando di colpo la stoffa preziosa della camicia ma lei, lei che seguiva ogni suo passo rideva.
Non le importava nulla del pericolo o della possibilità anche remota di perdere, se ne stava lì, di fronte a lui con la spada sollevata mentre nasceva veloce la stessa postura perfetta ed elegante che aveva sempre tentato di riprodurre.
I suoi occhi erano tornati quelli di sempre, c'era orgoglio, forza, fuoco, lo studiava come un collezionista studia un quadro prezioso, tentava di leggergli nel cuore, nell'anima.
Si mosse lentamente avvicinandosi a lei di un passo, la lama sollevata davanti al volto e il respiro lento e regolare, la vide chiudere gli occhi qualche secondo appena, le spalle rilassate, il braccio sinistro appena discosto dal petto, le gambe che perfino così riusciva a distinguere.
La stoffa si tese sui muscoli delle cosce, sul ventre sottile, sul seno poi di nuovo l'azzurro violento e quel fendente scagliato con forza.
Ogni affondo era studiato, calcolato, veloce lo era sempre stata ma così … ricordava una giovane in grado di sfidare chiunque con la spada ed ora, aveva davanti una guerriera che aveva passato giorni interi ad affinare la propria tecnica.
Danzava nell'aria, giocava con l'ironia colorando quello sguardo di sarcasmo ogni volta che lo costringeva ad indietreggiare.
Un colpo, un altro ancora, sollevò la lama bloccando la spada della giovane e senza pensarci, strinse il polso di Helena con la mano libera tirandola in avanti.
Le labbra così vicine da potersi quasi sfiorare, il suo profumo, il suo sorriso “È così che vendichi tua sorella?” domandò gelida inchiodando gli occhi ai suoi “Giocando con le spade come un bambino?” “Cosa vuoi da me?” domandò tremante “Tu mi hai lasciata sola!” lo spinse di nuovo indietro cercando di nascondere le lacrime ma quelle perle di rugiada rigavano il volto di pesca senza mai fermarsi “Mi hai lasciata sola Andrè!” “Credevo fossi morta!” un colpo violento arrivò sulla lama della giovane “Credevo di averti persa e ora sono qui, ti parlo e mi chiedo chi ho seppellito!” “Ti ho cercato, ti ho cercato così tanto” la voce si ruppe e l'emozione le tolse il respiro ma la forza dei suoi colpi non diminuì “Ho disobbedito a mio padre, ferito i sentimenti di mia madre per te ma ogni notte, ogni dannata notte mi ripetevo che era giusto così, che seguivo il desiderio del mio cuore. Perché tu non l'hai fatto?” “Non potevo!” la spada del giovane cadde al suolo e il volto arrossato di Helena fu l'unica cosa che riuscì a distinguere “Io ti avrei cercato Andrè, se mi avessero raccontato la stessa cosa ti avrei cercato per dirti addio, per abbracciarti un'ultima volta” lanciò la spada sul pavimento di pietra, il rumore gelido rimbombò costringendo Gustaf ad abbassare lo sguardo.
“Io non sono come te Oscar! Tu eri il mio respiro, la mia luce, quando mi hanno detto che eri morta io sono morto con te!” “Bugiardo” “Che ne sai? Cosa ne sai tu del dolore che ho provato!” urlò portandosi una mano al cuore “Che ne sai della fatica che ho fatto per dimenticarti?” ma gli occhi di Helena erano lontani dai suoi, così distanti da fargli male “Quando ti ho rivista è stato un colpo al cuore” si avvicinò di un passò ingoiando quel nodo enorme che bloccava le parole “Sei sposata, hai una vita meravigliosa e sei innamorata, l'ho capito sai? Anche se cerchi di mascherare i sentimenti di fronte a me l'amore è lì, nel tuo sguardo, lo stesso che mi regalavi tanti anni fa. Non ho nessun diritto di chiederti di nuovo quell'amore ...” posò una mano sulla spalla della giovane e la sentì tremare così forte da togliergli il fiato “ … non ho il diritto di chiederti niente. Cerchi di restituirmi quella sorella chiedendomi scusa, mascherando la donna meravigliosa che sei diventata, la granduchessa di Svezia che non ha padri né padroni” “Non sono più quella sorella Andrè” “Lo sei invece” le sorrise asciugando una lacrima insolente “Lo sei quando mi sfidi, quando cerchi il mio sguardo di nascosto, quando tenti di capire come mai io sia così silenzioso. Sei mia sorella quando ti preoccupi di me, di mia moglie. Provi continuamente a restituirmi mia sorella ma questo ti sta distruggendo e non voglio vederti soffrire. Non sono arrabbiato con te, non ti odio per aver scelto di amare un altro uomo, non ti odio per quel figlio che tanto ami, non più ormai. Io ho sbagliato, io ho mancato e ora ...” si fermò qualche secondo cercando il suo sguardo.
Nella dolcezza dell'acqua rivide per qualche secondo la piccola Oscar “ … ora ti lascio andare via da me. Mi fa male, mi fa male da morire ma ho bisogno di dirti addio perciò, non ho più una sorella, è morta molto tempo fa” un debole sorriso sfiorò le labbra mentre le lacrime scorrevano incontrollate sul volto.
La strinse tra le braccia così forte da farle male ma lei non si mosse, restò immobile ad ascoltare il suo respiro, il pianto soffocato e nascosto che un uomo non dovrebbe mai mostrare.
Le aveva già detto addio ma forse, in fondo al cuore non aveva ancora accettato l'idea di perderla ora invece, parlare con lei, lottare con lei gli aveva permesso di liberarsi finalmente di quel peso enorme che da anni portava con sé.
Sentì le braccia della giovane stringersi con forza attorno a lui, il suo respiro spezzato, il pianto violento che le scuoteva il petto “Tornerà a casa da te” sussurrò rafforzando la presa.
La paura era sparita, la rabbia con essa.
Riconosceva nel pianto della giovane lunghi anni di silenzio, lunghi anni passati ad odiarlo, ad amarlo e poi quel sentimento nuovo, il terrore di non poter rivedere il marito che ora era diventato così importante per lei, il marito che aveva odiato da morire perché si era portato via il suo angelo.
Per il suo bene e per il bene di Oscar, avrebbe dimenticato ogni cosa e abbandonato l'idea infantile di poter avere per sé la bambina dagli occhi grandi che era diventata più di un'amica per lui.
Aveva tra le braccia il suo primo amore, delicata come allora, tenera e bella come quella rosa che aveva amato in passato.
Quante volte aveva sognato quell'abbraccio, quante volte aveva sperato di poterla rivedere un'ultima volta ma quell'incanto durò solo pochi attimi.
Il vento spalancò con forza i vetri socchiusi aprendo brecce, soffocando le candele ma quel falco venuto da lontano, irruppe con forza nel silenzio attirando lo sguardo della giovane.
Scivolò via da lui lasciandolo immobile a sfiorare con le dita un fantasma che ormai non gli apparteneva più.
La vide correre verso Gustaf, prendere tra le mani quel foglietto di carta poi un sorriso enorme sulle labbra e il pianto trasformato in gioia.
Scappò via costringendo Andrè a socchiudere gli occhi, l'uomo si avvicinò a lui sorridendo mentre gli mostrava quel pezzo di carta ornato da parole che non conosceva “Cosa ...” “Amore mio, apri i cancelli” lo invitò sulla terrazza indicando un punto lontano sulla stradina del villaggio.
Uomini a cavallo correvano guidati dalla luce delle torce.
Le guardie si mossero rapide aprendone le pesanti grate, vide i cavalli avvicinarsi ancora e ancora fino a quando un uomo non smontò di sella a metà del ponte.
Un uomo alto, dalle spalle larghe e gli occhi innamorati, lo vide togliere il copricapo, ridere correndo a perdifiato verso i cancelli ormai spalancati.
Abbassò qualche secondo lo sguardo e riconobbe il motivo di tanta gioia.
Helena stava facendo la stessa cosa, correva verso di lui stringendo con forza la gonna dell'abito poi quell'abbraccio pieno di gioia mentre la stringeva a sé così forte da cadere nella neve.
Il respiro accelerato, una mano che sfiorava il volto arrossato della giovane e poi quel bacio decorato dal sapore delle lacrime.
Distolse lo sguardo da loro sospirando “Le hai detto addio” mormorò Gustaf seguendolo “L'avevo già fatto” “No francese, fino ad ora hai costretto te stesso a crederlo. Questa notte le hai detto addio una volta per tutte” richiuse le porte dietro di loro ridendo “Tornerai in Francia molto presto vedrai” e un sorriso appena visibile sfiorò il volto di Andrè mentre si allontanava da quella sala assieme al soldato.



 

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Capitolo 48
*** Profumo di Mare ***


                                                                    Profumo di Mare







“Non riesco mai a smettere di guardarla” Marie tremò appena stringendosi più forte nel mantello “Mi chiedo come abbia fatto, quanta forza le sia servita per diventare la donna meravigliosa che ho davanti” “Perché parlate con me? Non sono solo una serva?” “E io non sono solo un conte?” ribatté divertito appoggiandosi alla colonna, cristalli di neve leggeri con soffice piume scendevano placidi dal cielo imbiancando il cortile interno e i sorrisi di una giovane che sfidava il suo sposo con la spada.
Lo sguardo fiero, i movimenti eleganti e sulle labbra un sorriso così limpido “Sapete, quando l'ho conosciuta io non c'era una donna davanti ai miei occhi ma la replica esatta di suo padre il generale. Ogni suo passo era controllato, l'eleganza innata che le appartiene non faceva altro che accentuare la somiglianza insita in lei” sorrise mentre il granduca la costringeva ad indietreggiare ancora e ancora “Voi ricordate la vostra infanzia Marie?” si voltò verso l'uomo tentando di capire cosa significasse, perché un conte francese perdesse il suo tempo a parlare con lei “Ricordate la vostra infanzia?” un debolissimo si uscì dalle labbra della giovane e un bellissimo sorriso le colorò gli occhi “Immagino che sia stata bellissima” “Piena di povertà signor conte ma la più bella del mondo” Girodelle annuì giocando con l'elsa della spada “Avete mai fatto la stessa domanda alla duchessa?” “Non vedo come ...” “Suo padre le ha rubato l'infanzia, l'adolescenza. Ha rubato tutto della figlia gentile e dolce che Dio gli ha regalato. L'ha resa forte, più forte di molti uomini perché una giovane così bella non potesse venir ferita in nessun modo al mondo. Ma se da un lato la rinforzava, dall'altro non faceva altro che distruggere la figlia e creare il figlio” “Perché mi dite queste cose?” domandò irritata Marie “Perché se non comprendete il suo passato, non potete capire come mai o perché si comporta in questo modo” “Non è altro che una donna sciocca e arrogante che crede di poter avere tutto ciò che vuole e quando vuole!” “Forse” mormorò l'altro “O forse non riuscite a vedere il suo vero volto. C'è tanta nobiltà nei suoi gesti, tanta gentilezza e tanto amore. Ho sempre visto in lei il comandante delle guardie reali ma lentamente, si è trasformata davanti ai miei occhi” il bel volto dell'uomo si riempì di dolcezza.
Nei suoi occhi nacquero di nuovo i ricordi di un passato che a lei non era concesso, attimi e respiri che avevano cambiato le vite di tutti e che non riusciva a comprendere.
Come può un'unica donna costringere molti a soffrire? Come può farli impazzire d'amore senza mai regalare loro un attimo di tenerezza? Eppure era accaduto, lei era lì, davanti ai suoi occhi a giocare, a ridere con suo marito, con l'unica persona al mondo in grado di avvicinarsi al suo amore.
“È sempre stata bellissima, fin da quando aveva quattordici anni suo padre aveva mascherato quella bellezza dietro ad un uniforme senza rendersi conto che in realtà, non faceva altro che accentuare la dolcezza del suo corpo, il suo incarnato, l'oro dei suoi capelli” “Parlate di lei come se in realtà fosse l'amore della vostra vita” “Lo è stato” lo sguardo confuso di Marie lo costrinse a sorridere “Ero innamorato di lei, credo di esserlo sempre stato. Ero pronto a sposarla, ad amarla e a renderla felice per il resto della mia vita ma lei è scappata via. Si è allontanata da me con leggerezza, come questi fiocchi di neve candidi e puri. Credo fosse paura di amare, paura del futuro o forse, il suo cuore batteva già per qualcuno” Marie sospirò abbassando lo sguardo ma la voce del conte riempì di nuovo il silenzio “Voi siete gelosa di un ricordo, di un passato che non conoscete” “Io vorrei solo … vorrei tornare a casa con mio marito e vederlo felice, guarito” “Non si guarisce mai dall'amore Marie. Hanno passato una vita assieme, il sentimento che li unisce è nato giorno dopo giorno. Avevano solo cinque anni quando si sono incontrati per la prima volta e da allora, non si sono mai lasciati. Si sono presi cura uno dell'altra come fratello e sorella ma non era l'amore di un fratello che riempiva il cuore di Andrè” “Perdonate l'interruzione” si voltarono entrambi incontrando lo sguardo freddo di François.
Indossava abiti pesanti e occhiali piccoli e tondi leggermente calati sul naso “Il pranzo verrà servito a breve mio signore” “Avete notizie del generale?” “Sono a meno di tre giorni da qui. Tempo permettendo ovviamente” l'altro chinò leggermente il capo annuendo.
Il rumore delle spade cessò all'improvviso e la voce del duca irruppe potente tra loro “Qualcosa non va vecchio mio?” Marie indietreggiò di un passo abbassando lo sguardo “È accaduto qualcosa?” “No altezza reale” “François?” mormorò Helena raggiungendoli “Va tutto bene?” “Certamente” “E allora cosa ...” “Non temere amore mio” la mano di Nils si strinse con forza attorno ai fianchi della giovane tirandola a sé “Sono sicuro che c'è una sorpresa per noi” “Mio padre?” “Arriverà presto” “Hai visto?” ribatté divertito Nils baciandola “Vostra madre si fermerà ancora qualche giorno da vostro zio” “Come mai questa decisione improvvisa?” “Non saprei cosa rispondervi” “Conte” esclamò poi cercando gli occhi di Girodelle “La mia sposa mi ha raccontato la persona meravigliosa che siete” gli occhi di Helena si piegarono in un sorriso stupendo.
Quanto aveva condiviso con Marie poco prima era esatto, ricordava il comandante delle guardie reali e non una giovane con il volto arrossato, pieno di gioia e d'amore.
I capelli intrecciati, l'incarnato di seta, le mani strette a quelle del marito incurante del luogo, dell'ora o della presenza di altre persone.
Era semplicemente sé stessa e questo le bastava “Ora la mia bellissima sposa si congederà da noi non è così?” “Nils” “Sei pallida e stanca” “Quindi deduco che tu non voglia accompagnarmi” “Perché dovrei ...” ma lo sguardo irriverente sul volto di Helena fermò di colpo i pensieri.
Tornò a fissare divertito l'uomo di fronte a sé e stringendola più forte a sé riprese “Vogliate scusarci conte, siamo stanchi e pallidi, abbiamo bisogno di riposare ma sono certo che François vi terrà ottima compagnia” il servitore sbuffò alzando gli occhi al cielo “Che c'è?” “A volte mi domando chi ho cresciuto fino ad ora” “Un figlio” ribatté Nils ridendo “Andiamo moglie mia?” “Aspetta solo un secondo, vorrei prima ...” “Non accetto proteste” la sollevò da terra incatenandola con forza alla spalla.
A nulla valevano le proteste o le minacce, la stringeva così forte da impedirle qualsiasi movimento “Scusateci, ci attendono” “Chi?” domandò ironica Helena spingendo con forza le mani sulla schiena del marito “Non è importante. François, accompagna il conte e fai servire il pranzo” “Come vostra grazia ordina” Marie sorrise appena divertita da quella scenetta ma trattenne il respiro quando il volto di Helena si sollevò appena inchiodando gli occhi ai suoi.
C'era forza nell'azzurro del cielo e passione e ironia, leggeva in quello specchio di emozioni l'urlo potente di un cuore ancora troppo arrabbiato per concederle la pace.
Certo era libera di girare per un'ala del castello perché nell'ombra e nel silenzio strisciavano le guardie di suo marito, la seguivano come fantasmi solitari, i loro sguardi erano freddi, le loro labbra sigillate e Ulek sempre presente.
Voleva solo tornare a casa e dimenticare, scappare via da quel mondo di ghiaccio dove non c'era posto per una giovane ragazzina francese dal cuore troppo buono.




“Non ne sarà contento” “Puoi parlare con lui” Nils sorrise scostandole dal volto una ciocca di capelli.
Amava vederla così, libera, felice.
La sollevò appena stringendola più forte a sé, sentiva il respiro del suo ventre sul proprio, il calore delle sue mani posate sul petto e quegli occhi troppo belli per lui “Perché ogni volta che parliamo di qualcosa finisco sempre con l'accontentarti?” “Perché mi ami” un bacio leggero sfiorò le labbra mentre il cuore correva più forte “Ho pensato a te ogni secondo di ogni ora Helena. Nel freddo di quei boschi tu sei stata il mio fuoco, il mio calore. Non so cosa farei se d'improvviso …” un altro bacio interruppe le parole costringendolo a sospirare “Non vado da nessuna parte, non scappo, non ti lascio. Da quando hai così paura?” ma lui sorrise giocando con la pelle candida della sua schiena “C'è qualcosa che devi dirmi?” “Cosa te lo fa pensare?” domandò divertita sfiorandogli il volto “Hai la stessa faccia colpevole di quando mi dicesti: sai, sono sicura che è stato solo una fatalità, non volevo infilzarti una freccia nella coscia” posò le labbra sulla spalla della giovane abbracciandola “Hai ragione, c'è una cosa che devo dirti” “Cos'hai combinato?” sussurrò staccandola dolcemente da sé “Perché devo sempre aver fatto qualcosa di sbagliato?” “Sto solo giocando Helena” la porta si aprì appena “È permesso?” domandò Inga “Vostro figlio è sveglio altezza reale” la giovane scivolò via da lui avvolgendosi nel lenzuolo “Sei diventato grande” mormorò Nils prendendo tra le braccia il figlioletto “Sei stato bravo sai? Ti sei occupato della tua mamma e lei sorride” la testolina del piccolo si posò sul petto nudo mentre il braccio della giovane si stringeva attorno a loro.
Sarebbe rimasto così per sempre, nascosto nella dolcezza della sua famiglia, lontano dagli errori e dagli sbagli commessi ma aveva dei compiti da portare a termine, persone da vedere, patti da stringere.
Helena gli aveva chiesto un sacrificio enorme e lui l'aveva accettato perché l'amava così tanto da dimenticarsi perfino di sé stesso.
Avrebbe trovato molte più risposte se le avesse chiesto il passato ma non gli interessava, non voleva sapere niente di quegli anni lontani.
Li guardava con rispetto perché l'avevano resa la donna stupenda che era ora ma non li voleva più nelle loro vite.
La sua sposa non aveva bisogno del passato, di quell'amore lontano che ormai non le apparteneva più, non poteva negarlo né costringerla a dimenticare ma lentamente, stava imparando a conviverci restandole accanto, accettando ogni emozione che le colorava lo sguardo quando parlava della sua infanzia.
“Fai preparare i miei uomini Inga, che i messi siano pronti a consegnare le mie lettere” “A chi?” domandò incuriosita la vecchina aprendo le tende “A mio cugino il re” Helena sollevò appena lo sguardo incontrando gli occhi di suo marito “Mi avrai sulla coscienza amore mio, quando scoprirà tutto mi appenderà a testa in giù alle guglie del suo castello” “Verrò a liberarti io” sussurrò divertita baciando quelle labbra di miele, Inga sorrise alzando gli occhi al cielo “Qualcosa non va?” “Mi ricordate una favola” ribatté divertita portandosi le mani ai fianchi “È così che vorrei vedervi ogni giorno sapete?” “Anche io” Niklas gorgogliò portandosi le manine alle labbra “Quando crescerai amore mio, imparerai che le donne hanno strani poteri su di noi ma per ora ...” lo sollevò appena voltandolo verso di sé “ … goditi i loro baci” “Vi faccio portare il tè” un debole cenno d'assenso poi di nuovo il silenzio e loro tre, tre cuori che battevano assieme.







“Andiamo svelti” “Ma che ...” “È un ordine del duca. Tornate a casa oggi stesso” esclamò Gustaf lasciando tra le mani di Marie un fagotto ben chiuso “Perché?” “Perché ho fatto una promessa alla mia sposa” Andrè rise scuotendo leggermente la testa “Il generale e il granduca mio padre saranno qui tra qualche giorno. Se fossi in voi accetterei quest'atto di clemenza” “So per esperienza che niente viene mai regalato per niente” “Non voglio che la vostra presenza qui infastidisca oltre mia moglie. Non ho dimenticato il dolore che ci avete regalato. Tornerete in Francia e attenderete lì la mia venuta perché Andrè ...” si fermò qualche secondo cercando gli occhi dell'uomo “ … sono disposto a lasciarvi in vita ma il tempo che trascorrerete su questa terra sarà per voi un incubo” un sorriso freddo come il ghiaccio sfiorò le labbra del duca “Gutaf, esegui!” l'altro annuì chinando il capo mentre quell'uomo lasciava la stanza.
“Avete sentito il mio signore? Coraggio, la nave parte tra poco” “Hai presto tutto?” domandò sfiorando il volto della moglie “Aspetta, io non ...” “L'hai sentito? Non voglio restare un giorno di più in questo posto” Gustaf rise poi quei passi rapidi alle sue spalle e il volto di Ulek nella penombra “Sono pronti?” “Si” “Andiamo” la mano della giovane si strinse attorno a quella di Andrè mentre suo cugino le camminava affianco.
Erano rientrati nella civiltà da pochi giorni e ora di nuovo, salivano su cavalli diretti a sud, dove il mare incontra la terra e la strada per casa brillava placida.
Lasciava quel posto abbandonando per sempre anche l'ultimo ricordo di lei, lei che da giorni restava ben lontana dal suo sguardo, nascosta da qualche parte, così lontana da fargli male e allo stesso tempo da salvarlo.
Non la vedeva da giorni ormai e in fondo al cuore le era grata per quel silenzio, leggeva confusione negli occhi di sua moglie, una paura profonda che mai più sarebbe stato in grado di cancellare.
Un giorno, un altro ancora, lunghe ore di freddo in mezzo al bosco, in mezzo al nulla poi in lontananza le luci del porto e una nebbiolina sottile che si sollevava dall'orizzonte.
Il cielo si era svegliato e illuminato a festa da quelle luci stupende sembrava salutarlo. Smontò da cavallo seguendo Gustaf lungo il ponticciolo.
Un mercantile dalle vele ancora chiuse aspettava il suo carico prezioso e tre ospiti che vi avrebbero trovato rifugio per giorni “Il ghiaccio è più sottile ora, è più semplice raggiungere la costa” mormorò Gustaf.
Alla fine del pontile, una torre di pietra alta e robusta custodiva un fuoco prezioso, una guida in quel mare di buio che aiutava i marinai a ritrovare la via di casa.
“Comandante” “E così sono questi i miei ospiti” un uomo burbero e dal volto rovinato dal sole e dal sale si chinò goffamente a Marie “La mia non è certo una comoda imbarcazione per giovani ragazze delicate come lo siete voi” “Non importa” rispose tremante nascondendosi dal freddo “Non ho paura della normalità” “Questo allora rende tutto più semplice” esclamò l'altro dandole una pacca sulla spalla “Coraggio, ora salite” esclamò Gustaf spingendoli sulla passerella, Ulek alle sue spalle ridacchiava orgoglioso accarezzando di tanto in tanto le piume scure e lisce del falco.
La piccola cittadina ancora addormentata, salutava un nuovo giorno aprendo lentamente le finestrelle colorate.
Il profumo del pane caldo si sparse nell'aria invadendo i polmoni, caricandoli di un addio così dolce e prezioso.
La passerella venne issata separandoli dal suolo, da quel mondo di ghiaccio che custodiva un fascino particolare, che custodiva lei.
Fece un bel respiro aggrappandosi con forza alla murata di legno, spiava con lo sguardo i passi lenti delle poche persone sul molo.
Ridevano, giocavano tra loro ritrovando amicizie fraterne, le locande accendevano una candela dopo l'altra sullastrada del porto colorando la neve di calde sfumature.
Il profumo del mare gli sfiorò il volto e un bel sorriso nacque spontaneo sulle labbra, tornava a casa, tornava in Francia.
Da piccolo aveva sognato molte volte di viaggiare, di scoprire mondi nuovi e lontani ma crescendo, si rese conto ben presto che l'idea di lasciare casa non era così magica come l'aveva immaginata.
Avrebbe dovuto lasciare la sua amata nonna, quella casa tanto bella e la sua Oscar.
Ora era lì, lontano da casa e rimpiangeva quel passato dove le paure erano solo brutti sogni e il futuro si mascherava nei giochi di bimbo.
Le funi vennero sciolte, caddero nell'acqua sollevando soffici spruzzi salati, la voce del capitano si sparse nel vento e le vele vennero spiegate.
Marie al suo fianco strinse con forza la mano attorno al suo braccio mentre lentamente, il veliero si allontanava dal molo.
L'acqua gorgogliava picchiando dolcemente contro i fianchi del legno esibendosi in disegni di schiuma soffice e leggera.
Sollevò lo sguardo perdendosi qualche secondo sulla luce calda della torre, socchiuse gli occhi studiandone i riflessi dorati e si accorse ben presto, che accanto al fuoco c'era un angelo, il suo angelo.
Se ne stava appoggiata alla pietra gelida con il silenzio dipinto negli occhi e le labbra rosa di pesca.
Riusciva a sentire il suo sguardo, lo sentiva sulla pelle, sul cuore.
I capelli erano sciolti sulle spalle, lo stesso abito che aveva indossato la prima volta nella foresta, scuro, intessuto d'argento e di diamante poi quel mantello pesante che ne nascondeva le forme.
Le sorrise sollevando appena la mano libera, Marie seguì lo sguardo del marito fino a quel volto di perla così freddo e lontano ma lei non si mosse, non rispose a quel saluto tanto tenero.
Sembrava una statua, una meravigliosa statua di ghiaccio dove non passavano le emozioni e i sentimenti non avevano più alcun nome.
Andrè sospirò scuotendo leggermente la testa “Va tutto bene?” “È sempre stata testarda” mormorò divertito “Non è capace di dire addio” “E tu?” si voltò verso la giovane studiando il suo volto “Tu sei capace di dire addio?” “Le ho detto addio per l'ultima volta, ora basta così, ho bisogno di riavere la mia vita” tornò a cercare lo sguardo di Helena e la vide al sicuro, stretta tra le braccia di un uomo forte che la nascondeva dal mare, dal cielo, da lui.
Il cuore tremò appena, il respiro accelerò ma ormai, così lontano da lei non aveva alcun motivo per custodire la rabbia.

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Capitolo 49
*** Gioielli ***


Miei cuori non uccidetemi, lo so che sono terribilmente in ritardo con gli aggiornamenti ma, beh ecco, diciamo che sono accadute un sacco di cose in questo periodo.
Non ho avuto molto tempo per scrivere e ammetto che questo mi è mancato ma questa storia non può restare incompiuta, io non scrivo le incompiute quindi, eccovi un altro capitolo. Arriviamo alla fine assieme, mano nella mano come abbiamo fatto durante tutta la favola del nord che ho condiviso con voi.
Un abbraccio enorme e un bacio a tutti voi.







                                           Gioielli





Reims sei anni dopo ...




Chiuse la porta di casa lasciando cadere il mantello sulla poltrona.
Il fuoco era acceso, il divano dolcemente disfatto e un libro ancora aperto sul tavolino “Sei tu?” mormorò un sì distratto inginocchiandosi davanti alle fiamme tiepide “Ti sei addormentata per caso? Il fuoco si sta spegnendo” “Scusa” si affrettò ad aggiungere Marie scendendo velocemente le scale.
Aveva i capelli raccolti e un bel vestito rosso fermato in vita da un nastro scuro “Stavo cercando i fiocchi di raso, quelli belli che ci ha regalato il fornaio per il nostro matrimonio” “I nastri di raso?” “Devo chiudere il sacchettino che ho confezionato per Gwendaline” ma lo sguardo confuso di Andrè la bloccò di colpo “Cos'è quella faccia?” domandò crucciata avvicinandosi di qualche passo “Tra pochi giorni è Natale” “Tre delle nostre puledre sono ammalate, le imposte che paghiamo sono troppo alte! Sono costretto a scegliere e questo non mi piace per niente” “Di cosa parliamo?” “I cavalli non supereranno il freddo di quest'inverno, non abbiamo abbastanza cibo per tutti” “Sono forti” “Perché sei così felice?” domandò sfinito lasciandosi cadere sul tappeto “Perché è Natale” “Non dormi, ci sono incubi dentro e fuori la tua mente Marie, il nostro matrimonio non esiste più e tu sei felice?” ma la giovane sorrise appena sedendo accanto a lui “Non so come lottare con questi incubi. Non posso, non ci riesco o forse nemmeno voglio. Continuo a vedere quelle persone, li vedo morire per colpa mia, vedo il loro sangue e non … non so come mandarli via” inspirò a fondo perdendosi qualche secondo sulla danza del fuoco.
Ombre e luci che una semplice fiamma era in grado di rischiarare lasciando solo un dolce tepore nel cuore “A volte vorrei chiudere gli occhi e non svegliarmi mai più ...” c'era tristezza nella sua voce, un dolore profondo che non sarebbe mai riuscito a cancellare “ … e il nostro matrimonio ...” un debole sorriso sfiorò le labbra della ragazza costringendolo a ridere “ … era finito già molto tempo addietro ma nessuno di noi due riusciva a vederlo. Ero convinta di doverti tenere solo per me, di costringerti ad amare me dimenticando lei” “Non hai colpe Marie” “Ricordi quando tutto è cambiato?” “Eri seduta in giardino ...” le sfiorò il volto giocando con quell'unica ciocca ribelle “... mi hai guardato e mi hai chiesto: cosa ne sarà di noi?” “Mi hai risposto che potevamo scegliere ciò che più ci piaceva, che potevamo essere marito e moglie o conoscenti o qualsiasi altra cosa mi avesse aiutato a stare bene” la vide sospirare stringendosi dolcemente nelle spalle “Ricordi cosa ti chiesi?” Andrè sorrise sussurrando “Vuoi essere mio fratello?” “Esatto” “Perché?” domandò poi tornando a cercare i suoi occhi “Hai perso una sorella e questo fa più male di ogni altra cosa al mondo, io ho perso un marito. Avevamo bisogno entrambi di qualcuno” “Sbagli” le fece il solletico costringendola a ridere “Ora ho una famiglia” “Una sorella nuova, forse meno bella della prima, meno nobile nei movimenti e decisamente meno educata” “Non dire sciocchezze” ma lo sguardo di Marie diventò improvvisamente più dolce.
“Mi hai salvato la vita Andrè” “Ho reso difficile ogni tuo giorno” “Ti sei preso cura di me, mi hai riportato a casa e non mi hai lasciata sola. Sai cosa accade quando un uomo ripudia sua moglie? Mi hai tenuto assieme a te e questo mi ha salvato la vita perché ho qualcuno che mi vuole bene e che rende questo peso un po' più sopportabile” passò un braccio attorno alle spalle della giovane stringendola appena a sé “Questo è un ottimo motivo per essere felici perché tra qualche giorno nostro Signore viene al mondo per portare la gioia e la luce” sollevò appena il volto di Andrè sorridendogli “Non lasciare che il buio riempia il tuo cuore” “Come possiamo farlo Marie? Non riusciamo più a sostenere delle spese tanto alte” “Possiamo vendere qualche gioiello, ne ho molti ancora” “Scordatelo” “Oh andiamo, sono solo cose, non mi servono poi così tanto” ma lui sbuffò lasciando cadere di colpo la mano.
Era arrabbiato, arrabbiato con sé stesso, con quell'uomo del nord che perfino da così lontano riusciva a comandare la sua vita “Andrà tutto bene” “Davvero?” ribatté ironico alzandosi “Perché vedi, non c'è un solo nobile qui attorno che voglia comprare i nostri cavalli. Parigi è un crogiolo di problemi che diventeranno enormi e perfino lì, la boria e l'egoismo dei ricchi non pare soddisfatto dai nostri animali e sono i migliori di Francia!” “Lo so” “Sono gli esemplari più belli che la corte abbia mai visto, ma loro no! Non li comprano, non li guardano nemmeno. Cosa c'è che non va!” esclamò irritato massaggiandosi il collo “Li vedo anch'io Andrè, uomini vestiti di nero che dal bosco ci osservano. Uomini che sono ovunque noi siamo. Abbiamo cambiato casa e a cos'è servito?” “Come fa ad arrivare fino a qui? Come può un uomo solo avere tanto potere?” domandò più a sé stesso che a lei ma la giovane rise alzandosi in piedi “Renderò la tua vita un inferno” “Cosa?” “Non furono le sue ultime parole?” domandò divertita incamminandosi verso il tavolo “Devo dire che riesce piuttosto bene nel suo intento” “Hai intenzione di cenare?” “Non ho molta fame” “Non essere sciocco” sbottò irritata “Se non ti rimetti in forze come puoi sperare di risolvere i nostri problemi” “Tu non devi preoccuparti di nulla, non sono problemi di cui devi ...” “Ehi, sei l'unica famiglia che ho, i tuoi problemi sono i miei. Domani mattina verrò con te alle stalle e controllerò le puledre, forse basterà cambiare il foraggio” “Non ne abbiamo a sufficienza per tutti” “Si invece, dobbiamo solo razionarlo meglio e poi, la biada ha funzionato con il nero” “Lui era molto più robusto” “Anche loro lo sono” si avvicinò alla tavola sedendo di fronte alla giovane “Oh, dimenticavo ...” esclamò Marie correndo di nuovo su per le scale “Ma che stai ...” “Oggi è arrivata questa per te” scese veloce raggiungendolo di corsa.
Stringeva tra le dita una lettera dalla carta preziosa con un nastro color del cielo ad intrecciarne i contorni e brillante cera lacca sulla chiusura “Scordatelo” “Ma non sai nemmeno ...” “Conosco bene quel sigillo, l'ho visto tra la neve e il ghiaccio per troppo tempo. Non ho alcuna intenzione di averci a che fare di nuovo!” “Non mi hai sempre insegnato il rispetto per la parola?” “E questo cosa dovrebbe ...” “Ci saranno sicuramente parole qui dentro, mostra rispetto e aprila” fece uno sforzo tremendo per ricacciare indietro la voglia folle di strapparla ma gli occhi di Marie lo costrinsero a respirare.
In fondo le doveva almeno questo, non era riuscito a proteggerla dal male del mondo, da sé stesso e dalla sua sciocca speranza di poter riavere indietro quello che la vita gli aveva negato.
Non l'aveva protetta da sé stessa, dal freddo e da una donna che ormai viveva solo nei ricordi.
Aveva affidato il suo prezioso amore al gelo del nord e in quel gelo lei era cresciuta.
Negli occhi grandi colorati di cielo viveva una donna che niente aveva a che fare con la giovane di cui era stato innamorato.
In fondo, lei ci stava bene in quel mondo lontano, perché avrebbe dovuto preoccuparsi della sua vita? Fece un bel respiro prendendo tra le mani la busta sigillata, lo scricchiolio della carta invase il silenzio e gli occhi si persero sulle righe scure elegantemente ordinate.




Che diavolo ci faceva di nuovo in quel posto ancora non riusciva a spiegarselo.
Fece un bel respiro fermando il cavallo davanti alla scalinata di marmo lucente “Sono quasi certo che la colpa sia tua” Marie smontò di sella ridendo “Ha importanza? Se ti avessi lasciato solo probabilmente saresti scappato via dalla Francia pur di non rivederlo” “Puoi farmene una colpa?” ribatté ironico ma lei si strinse appena nelle spalle ridacchiando “A quanto pare, non siamo gli unici ad aver cambiato casa” sussurrò la giovane perdendosi con lo sguardo sulla vastità del parco “Non era già abbastanza lontano da noi?” “Marie” “Che c'è? Dico solo che non c'era bisogno di rubare tutto il marmo del mondo per una sola abitazione” il rumore sordo degli stivali nella neve lo fece sorridere.
Il manto candido aveva coperto fontane e aiuole mascherando il loro profilo e costringendolo ancora una volta ad immaginare.
La terra riposava serena e tra il bianco, i giardinieri e le serve coperti da pesanti mantelli, si aggiravano silenziosi sistemando cose, distruggendo e ricreando piccole meraviglie decorative, rami intrecciati ad arte, lucenti bacche rosse e piccole candele.
Lasciò le redini tra le mani di uno stalliere poi il volto severo di François e quelle poche parole “Seguitemi prego” “Io lì dentro non ci metto piede” sbottò gelida Marie piantando gli occhi sul volto dell'uomo “Non sono incline ad accettare rifiuti” “Non siete voi il signore che manda a chiamare mio marito, non vi devo obbedienza” Andrè sorrise cingendo le spalle della giovane con un braccio “Mia moglie non ha molta voglia di rivedere il vostro signore” “E sia, ma resterà nella neve, sorvegliata dalle mie guardie” “Come volete” mormorò ironico “Io vado e torno” riprese poi cercando gli occhi della giovane “Pensi di farcela a trattenere le parole?” “Farò del mio meglio” le diede un bacio leggero sulla guancia e senza aggiungere una parola, seguì François.
Attraversarono viali e dolci corridoi viventi che in primavera sarebbero esplosi di colori e profumi.
I paggi chinavano rispettosamente il capo davanti a loro e le giovinette si spostavano rapide temendo qualche grave rimprovero.
C'era un buon profumo di lavanda nell'aria, goccioline delicate di un'essenza leggera che aveva sempre amato e che percepiva appena ma era lì, reale, umana.
Spiava con gli occhi tutto ciò che era custodito in quei giardini quasi come se la mente assetata di meraviglia, chiedesse continuamente splendore e arte e sapeva che l'arte, quella pura, quella vera, non era racchiusa nei quadri o negli arazzi.
L'arte che cercava era improgionata negli intrecci delicati delle rose ormai sfiorite, nei rami degli alberi così grandi e forti, in quei nastri colorati e nei giochi di bimbo sparsi sul manto candido.
Quel posto assomigliava in modo impressionante alla tenuta ormai lontana nei ricordi, dove uno straniero gli aveva chiesto un dono per la propria sposa.
Ora i tempi erano cambiati, le persone erano cambiate e anche i luoghi.
Lontano da Parigi, lontano dal caos che ribolliva nei sobborghi e nei cuori della gente, nasceva una tenuta costruita apposta per proteggere.
Le mura alte che circondavano tutto il parco, guardie armate e uomini nascosti ovunque che come angeli custodi vegliavano sugli abitanti di quella piccola fortezza.
Quel curioso disordine sparso sul prato, assomigliava ad una di quelle scene infantili dipinte nei libri per bambini ma al posto del soffice verde, vi era solo neve e candidi silenzi.
Una palla colorata, cerchi e nastri, una giovane donna dai capelli scuri come l'ebano.
Raccoglieva ogni gioco chiacchierando amabile con un'altra giovinetta senza prestare molta attenzione a lui.
Ogni gesto era preparato, studiato nel profondo, eseguiva tutto con una tenera eleganza rendendo anche un compito leggero come quello, qualcosa di molto importante “Prego, da questa parte” François si spostò leggermente di lato rivelando l'ingresso di un piccolo parco privato sul retro della tenuta.
Alte siepi ormai spoglie ne coprivano la pace isolandolo dal resto del mondo.
Riconobbe sotto la neve un gazebo di marmo, le colonne chiare, il tavolino di pietra, niente rose a coprirne il tetto, niente fiori.
C'era un uomo di spalle davanti a loro, lo sguardo perso sul volo di un uccello nero come la pece.
Aveva le braccia incrociate sul petto e un sorriso orgoglioso sulle labbra forse figlio di qualche nobile pensiero.
Indossava abiti diversi, più leggeri dei suoi, più eleganti.
La camicia leggermente aperta sul petto, i capelli sciolti e un paio di pantaloni scuri che sparivano dentro lucidi stivali da equitazione.
Era così irreale, così fuori posto in quel mondo che non gli apparteneva, eppure, nonostante tutto, la sua forza e la sua grazia diventavano via via più visibili.
L'inverno pareva sorvolare il corpo forte, il freddo non lo toccava, la neve si scioglieva tra i capelli d'ebano senza costringerlo a tremare.
Come una statua di marmo insensibile alle intemperie, quel duca venuto da lontano sopportava il freddo senza preccuparsi di nient'altro che non fosse quel falco lucente.
“Bevenuto” lo sguardo divenne improvvisamente più duro ma il duca sorrise voltandosi lentamente verso di lui “Prima che possiate dire qualsiasi cosa Andrè, sappiate che questo è strano per voi tanto quanto lo è per me” “Bene, allora sarà più facile porvi fine” “Vi ho convocato qui perché ho qualcosa da dirvi” “Duca credetemi, ho di meglio da fare che perdere il mio tempo a ...” “Siete liberi dai dazi” “Cosa?” “Niente più dazi, niente più rincari sulle vostre tasse, niente più sorveglianza” “Di che state ...” “Oh andiamo, non ditemi che non ve ne siete accorto” “Non so di cosa state parlando” “No? Che strano, Ulek dev'essere diventato piuttosto bravo a confondersi con gli alberi” “Già” ribatté ironico distogliendo qualche secondo lo sguardo “I vostri uomini sono piuttosto pittoreschi” “Avevano un compito e l'hanno portato a termine” “E quale? Terrorizzare mia moglie? Massacrare i miei affari?” “A quanto ne so ...” riprese l'altro voltandosi verso di lui “ … vostra moglie non è più così tanto moglie per voi e i vostri affari? Beh, con i tempi che corrono, direi che siete stato molto fortunato” “Se fossi in voi signore, mi preoccuperei dei vostri affari o del vostro matrimonio” “Arrogante, mi piace questo nuovo lato del vostro carattere. Quello che fate con quella donna a me non importa, per quanto mi riguarda potete anche avere otto amanti e cinque mogli se vi rende felice” “Avete comprato ogni terreno attorno alla mia casa, ho gli stalloni migliori di Francia eppure, chissà come mai ogni dannato nobile che ...” François tossì costringendolo a bloccare le parole “Siete in presenza di un granduca, comportatevi con rispetto!” “Non importa” ribatté Nils sollevando appena una mano.
C'era sfida nei suoi occhi e una forza oltre misura che ormai non ricordava più “Chi non sarebbe arrabbiato al posto suo? Odio questo paese, la nobiltà è debole, rinsecchita da anni di pacchiana eleganza e da vizi squallidi” “Sbaglio o vostra moglie è francese?” ma l'ironia nella voce del giovane gli scivoltò addosso “Non amo il cibo francese, il vostro inverno è irrisorio ...” sollevò una mano giocando con l'aria fredda.
Fin dal primo giorno che lo vide, si dipinse chiara in lui la convinzione che quel nobile uomo venuto da lontano, fosse in realtà figlio del gelo.
I fiocchi cadevano radi, il respiro condensava nell'aria fresca ma al duca non importava nulla, non c'era niente di lui che potesse mostrargli umanità, non un tremito, non un sospiro “Provo pena per questo paese che custodisce in sé una bellezza meravigliosa. Il popolo è malnutrito, vessato, oppresso. La scontentezza serpeggia per questi boschi, per le città e la famiglia reale finge di non vedere” “La povertà è la stessa signore, qui o in Svezia, fin anche in Inghilterra. Ai nobili non importa nulla dei più sfortunati” “Un re deve pensare al bene del proprio popolo! Su cosa regna un sovrano solo? A chi da ordini se il suo unico seguito è il silenzio?” “Il re svedese è forse più magnanimo del nostro? Ho conosciuto la sua bontà, era fatta di spade e morte” “Ogni azione commessa ha una conseguenza, se voi portate via qualcosa a me io porterò via qualcosa a voi” si fermò qualche secondo inchiodando gli occhi a quelli del giovane “Questa si chiama natura. Avete mai rubato un cucciolo ad un lupo?” un debole sorriso sfiorò gli occhi di cielo stemperando l'ironia.
“Voi avete portato via da me il tesoro più prezioso che possedevo, avete toccato il mio cucciolo e per vostra sfortuna, il nipote del mio sovrano ma la vostra vita è salva. Voi camminate, respirate, giocate a fingere un matrimonio” “La mia vita non è di vostro gradimento forse?” “Non lo è mai stata a dire il vero. Voi avete un angelo custode Andrè e non vive lassù tra le stelle no, dorme nel mio letto, gira per le mie stanze indossando i miei vestiti” “Se trovate tanto brutto questo posto come mai siete qui?” domandò gelido ma l'altro rise “Come potevo negarle il Natale assieme alla sua famiglia?” “Già” rispose “Per questo volete vedermi? Per esibire la vostra sposa come un premio? Avete vinto molto tempo addietro duca” “Credete davvero che consideri Helena un premio?” “Non lo fate forse?” François mosse un passo in avanti ma la mano di Nils lo riportò di nuovo al proprio posto.
“State correndo su un filo di lama molto sottile, se fossi in voi sceglierei con cura le parole” “Perché sono qui?” “Ve l'ho detto, ritengo pagato il vostro debito” “Questo è forse un gioco?” “Questo ...” riprese Nils “ … è il mio regalo di Natale. La vostra punizione è svanita e con essa anche la mia rabbia” “Conosco bene la nobiltà signore, so per certo che un dono come questo richiede qualcosa in cambio” “Non sono un nobile francese!” esclamò irritato stringendo i pugni “Ho fatto un giuramento, l'ho fatto nel giorno stesso in cui avete trascinato mio figlio nel freddo!” il viso cupo di Ulek apparve di colpo alle spalle del duca riportando indietro quei giorni orrendi.
“François?” “Si altezza reale” “Portate qui i gioielli” lo sguardo dell'uomo si addolcì di colpo mentre un leggero inchino congedò la sua presenza “Non ho il tempo né la voglia di essere preso in giro, sono qui oggi  per tenere fede ad una promessa che annulla quel giuramento Andrè!” “Non prendetela male duca ma credo di potermi riservare il diritto di giudicare da solo le vostre parole” “Giudicare?” ripeté confuso ma l'altro rise “Ho già conosciuto la vostra rabbia e francamente cerco di dimenticarla. Non ho bisogno del vostro denaro né dei vostri gioielli. Ce la siamo cavata bene fino ad ora senza questa improvvisa bontà, lo faremo di nuovo” strinse più forte il mantello attorno al collo sospirando “Ora vostra grazia, se non avete altro da aggiungere prendo congedo e ...” “Mi è stato fatto un regalo immenso” si fermò di colpo incuriosito da quella nota di tenerezza apparsa dal nulla.
“Un dono meraviglioso che rende il passato, i vostri errori, semplici giochi privi di senso” gli occhi di Nils diventarono improvvisamente più profondi “Ulek partirà presto assieme a noi, nessuno dei miei uomini avrà più il compito di seguirvi. I dazi sono spariti, i terreni comprati con la forza restituiti” “Perché?” “Perché ho una famiglia” rispose amabile Nils “Duca io non ...” ma l'uomo sollevò appena una mano bloccando le parole in fondo alla gola.
Seguì il suo sguardo fino a François e a quel bambino dagli occhi chiari che gli camminava accanto.
Occhi rubati alla perfezione di un volto che conosceva bene e che aveva visto una volta, ormai molti anni addietro.
“Jag vann far” mormorò il piccolo stringendosi alle gambe del padre, il volto sollevato verso di lui e un sorriso pieno di gioia sulle labbra “ Vad jag sade på tungan?” “ Men pappa ...” “In francese” “Perché?” “Ricordi cosa ti ho detto?” “Impara sempre quante più cose possibili. Il sapere ti condurrà sulla via della grandezza” “Esatto” scompigliò i capelli del figlio voltandolo dolcemente verso Andrè “Chi siete?” ci mise qualche secondo a comprendere che quella domanda innocente lasciata andare nel vuoto era per lui “Perdonatemi giovane duca” si affrettò ad aggiungere “La mia sorpresa nel rivedervi oggi è grande. L'ultima volta che vi ho avuto tanto vicino avevate pochi mesi appena” “Ho sei anni ora, quasi sette” esclamò orgoglioso raddrizzando le spalle.
C'era nei suoi occhi la stessa irriverenza del padre, lo stesso spirito forte e combattivo.
I capelli scuri, sciolti sulle spalle, ribelli.
Indossava abiti pesanti per proteggerlo dal freddo ma non troppo complicati per impedirgli la libertà “Perché siete qui?” “Non ne sono molto sicuro” “Resterete?” “Non so darvi una risposta giovane duca” “C'è qualcosa di cui siete sicuro?” “Sai cosa penso dell'irriverenza vero?” domandò Nils ma il bambino rise alzando il volto verso il padre “Erland ed Elin?” “Vi accorgerete presto del loro arrivo” sussurrò François “Erland ha perso” “Ha un anno meno di te, non pensi sia giusto concedergli un po' di vantaggio?” Niklas annuì divertito poi una vocina allegra “Mio figlio Erland” esclamò orgoglioso il duca mentre un bambino poco più piccolo di Niklas si aggrappava a lui.
Non si era nemmeno accorto di quel piccoletto, era talmente concentrato sul volto di Niklas da non accorgersi di nient'altro  “E questa ...” riprese il duca allargando leggermente il braccio libero “ … è Elin, il mio piccolo angelo” e forse ad un piccolo angelo quella bambina assomigliava davvero.
Aveva lunghi capelli castani così chiari da sembrare quasi grano, occhi grandi colorati di cielo e mare, l'incarnato candido di una pesca e lunghe sopracciglia a sottolineare la vastità di uno sguardo limpido come l'acqua.
Non aveva paura degli estranei al contrario, sfidava con quegli occhi tanto belli la pazienza di un uomo sfinito dal tempo, massacrato dal lavoro e dalla rabbia.
Suo fratello accanto a lei aveva gli stessi lineamenti, le stesse labbra, gli stessi occhi “Non è un gioco della vostra mente, non sono apparizioni sbucate fuori dal nulla, sono gemelli” mormorò orgoglioso Nils posando una mano sulla testa della figlioletta.
Indossavano entrambi completi dai colori scuri intessuti d'argento, pantaloni e giacca che mostravano un eleganza terribilmente reale.
Ogni cosa del loro aspetto era curato, creato apposta per mostrare agli occhi del mondo la perfezione del nord.
I mantelli agganciati sulla spalla destra, i ciondoli intagliati in pietre verdi come il mare.
Simboli e lettere, amuleti per difenderli, per proteggerli dal mondo grande e buio che viveva in Francia.
In fondo, non era nient'altro che un gioco, il gioco della neve e delle rose che assieme creavano l' incarnato di seta, il gioco del cielo e dei verdi boschi di Svezia, del mare impetuoso e della notte più scura che aveva colorato i loro occhi di meraviglia.
Nel loro sguardo era stata imbrigliata la forza dell'acqua, incatenata alla ragione, ammansita con rigide regole che avevano come unico scopo quello di elevarli al di sopra di qualsiasi altro mortale perché in fondo, quei bambini erano gli eredi di una famiglia potente, di una casata antica almeno quanto la vita dell'uomo.
Mai avrebbe immaginato esseri umani così uguali tra loro, mai avrebbe immaginato di conoscere l'artefice di tanta perfezione e perfino così poteva vederlo, un'equilibrio perfetto di forze e sospiri che univa quei due piccoli umani.
Elin era il silenzio, Erland la parola. Lei era il fuoco e lui l'acqua, lei era orgoglio e lui ragione, lei era luce e lui ombra. Ogni cosa di loro era perfettamente bilanciata, tenuta in equilibrio dalla natura che aveva riversato tutto il peso del futuro su di loro avendo cura di suddividerne il fardello.
Non avevano bisogno di parlare tra loro o di rivolgergli strane domande, bastava guardarli negli occhi per comprendere la loro curiosità, la gioia che l'infanzia troppo svelta porta con sé.
Non c'erano abiti femminili per quella bambina, niente laccetti né vaporose gonne, niente costrizioni né sciocche frivolezze “Siete sorpreso?” “Al contrario, ho sempre saputo che sarebbe diventata una madre meravigliosa” “Chi?” domandò incuriosito Erland ma il duca ignorò quella domanda innocente.
“Siete sopreso della somiglianza che li accomuna, che li lega a mia moglie ogni giorno un po' di più. Siete sorpreso dalla loro vita, da mia figlia e dal suo sguardo” “Vostra moglie per prima ha sofferto da giovane. Le è stata rubata l'infanzia signore, non lasciate che vostra figlia sopporti lo stesso fardello” “I miei figli sono nobili guerrieri di Svezia ...” lo sguardo forte del padre sfiorò i faccini indifesi dei piccoli costringendoli a sorridere “ … sono nati per portare luce nei cuori del nostro popolo. Diventeranno guide meravigliosi per la gente ma una guida forte, non deve aver paura della propria ombra” Elrand sollevò orgoglioso il faccino annuendo “L'educazione inizia fin dalla tenera età ma non nego a mia figlia il piacere di assomigliare alla regina di Francia ogni volta che desidera né ai miei bambini di correre per casa senza quei soffocanti panciotti dentro ai quali costringete i vostri figli!” “Assomigliate al generale” mormorò divertito Andrè “Non siete nobile, non avete doveri da portare a termine e non siete padre ...” esclamò tagliente Nils
“ … non avete alcun diritto di parola né potete permettervi di dirmi come crescere i miei figli!” “Non ho mai preteso niente del genere, le mie erano solo mere riflessioni” ma la rabbia del duca scomparve improvvisamente nel nulla.
La mano della figlia stretta alla propria bastò a rallentarne i respiri, lo vide sorridere, chinarsi verso di lei prendendola in braccio.
Scoprire un presente diverso da quanto aveva immaginato era stranamente piacevole, fuori luogo certo ma piacevole perché non si sentiva più legato al ricordo di quella giovane né si arrogava il diritto di sognarla ogni notte.
Lei era stata importante, l'amore della sua vita e non avrebbe mai dimenticato nemmeno un solo particolare del suo volto ma erano passati anni, aveva elaborato la sua assenza senza troppi problemi.
Scoprire quanta meraviglia era stata in grado di creare lo rendeva orgoglioso di lei e del suo essere donna “Un bambino è una benedizione, due sono un miracolo” Elin posò la testolina sulla spalla del padre senza staccare gli occhi dal volto di Andrè “Helena mi ha regalato un mondo diverso e non voglio l'odio nel mio mondo quindi Andrè, d'ora in avanti sarete liberi” “Den vår ängel ser” “Lo so” sussurrò Nils stringendola più forte a sé “Mi promettete di fare i bravi?” Erland annuì appena ma negli occhi di suo padre nacque d'improvviso la tenerezza “Niklas?” “Hai la mia parola padre” “D'accordo allora” posò la figlia per terra dandole un leggerissimo buffetto in volto.
Vide Erland prendere per mano la sorella, Niklas al suo fianco mentre si allontanavano da loro assieme ad una giovane serva “François si occuperà di ogni cosa. Ci sono compensi mai consegnati, soldi da restituire” “Io non credo sia ...” “Vi restituirò ogni tassa, ogni moneta fin anche la più insignificante che fino ad ora avete pagato. È desiderio della mia sposa che i terreni acquistati attorno alle stalle siano vostri” “Accetto la fine della guerra duca, avete la mia gratitudine per questo ma non ho alcuna intenzione di prendere più di quello che mi spetta. La vostra sposa è sempre molto generosa ma questa volta non posso accettare, non è pietà che voglio” “No?” ribatté divertito “Allora sarete voi a dirle queste cose” “Io?” un leggerissimo cenno del capo, Ulek si mosse silenzioso “Volete seguirmi?” “François vi accompagnerà da lei. Perdonate il mio eccesso di zelo ma l'ultima volta che un francese è rimasto solo nella mia casa, Niklas è sparito” “Duca non credo sia una buona idea incontrare vostra moglie” “Non vi mangia sapete?” “Voi non venite?” domandò guardingo studiando il suo volto “Aspetto una visita piuttosto importante, mia moglie sa difendersi benissimo da sola, dovreste saperlo ormai ma vi raggiungerò presto” “Prego, da questa parte” ripeté Ulek costringendolo a muovere un passo.
Non era certo di capire cosa stesse accadendo ma aveva imparato sulla propria pelle che troppe domande, portavano senza dubbio alcuno a punizioni piuttosto crudeli.
L'avrebbe incontrata se questo gli avesse permesso di lasciare quel posto il prima possibile, non aveva più paura di lei né dei suoi occhi e anche se il cuore batteva più forte, la ragione lo tratteneva ben saldo al suolo impedendogli di volare via tra le stelle.

 

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Capitolo 50
*** Sogno di Ghiaccio ***


                              Sogno di Ghiaccio






Camminare per quel palazzo, riportava la mente ai grandi castelli svedesi, alle notti interminabili, al cielo pieno di colori che indicava la strada sicura.
Non c'era solo odio in Svezia, non era tutto buio e cattivo, amore si schiudeva luminoso nelle vallate colme di rigogliosi boschi.
Amore camminava tra gli alberi addormentati, cantava loro fiabe, leggende, scioglieva paura e viveva nel battitto forte delle ali di una farfalla.
Era amore che respirava per quei corridoi, corridoi di pietra fredda e nuda che niente aveva a che fare con l'aspetto dei palazzi francesi e che nonostante tutto, sembrava intrisa di poesia.
Si fermarono a pochi passi da una porta socchiusa, il suono dell'arpa si mischiava alle risate di bimbo, alle voci allegre.
François sorrise aprendo la porta e la luce colpì d'improvviso i suoi occhi.
Elin era sdraiata tra i cuscini davanti al fuoco, lo sguardo concentrato sulle parole scure racchiuse nel suo libro e i capelli così lunghi da sfiorare il pavimento.
Teneva una manina sotto al mento mentre disegnava piccoli cerchi nell'aria con i piedi.
Era così lontana, così assorta nei suoi pensieri da sembrare una piccola damina altezzosa.
Al suo fianco Erland. Il volto sorridente, gli occhi persi su quel piccolo burattino di pezza che si muoveva nell'aria parlando una lingua sconosciuta e Niklas, che con occhi sognanti dava vita a quel gioco innocente.
Poco importava il luogo o l'ora, non esisteva fretta nelle loro vite né cerimoniali troppo pesanti.
Non dovevano preoccuparsi del mondo oltre quelle mura, non dovevano temere la paura che serpeggiava per i boschi e le campagne.
Era così che avevasognato il domani.
Un servo non può desiderare niente del genere ma in cuor suo, aveva sempre custodito la speranza, un desiderio innocente che si nutriva dei sorrisi di Oscar, un desiderio piccolo e forse per Dio senza importanza alcuna ma aveva immaginato un futuro con Oscar.
Una casa, un posto pieno di calore con bambini sorridenti che giocavano e ridevano aspettando sera dopo sera il suo ritorno ma la realtà, quasi mai rasenta il sogno e la sua era diversa.
Era un uomo comune, aveva una casa comune, decisamente povera a confronto e non c'erano bambini ad allietare le sue giornate ma era vivo, aveva una famiglia, aveva qualcuno che gli regalava calore, un lavoro e il ricordo di un'infanzia a cui aggrapparsi quando tutto diventava buio.
Entrò silenzioso seguendo François, il rumore dei passi sulla pietra sparì attutito dal legno.
Le tende erano state sollevate e il broccato rosso fermato da cordoni dorati, tra le pieghe del tessuto, come angeli custodi gli uomini di Ulek vegliavano sui giochi dei piccoli.
I loro volti erano scuri, colmi di cicatrici e nei loro occhi viveva un mondo fatto di violenza e cattiveria ma di tanto in tanto, quando lo sguardo di Elin cercava la loro presenza, in quegli stessi occhi un tenero lampo di dolcezza prendeva vita regalandogli un'immagine diversa.
Alle pareti scaffali colmi di libri, meravigliosi arazzi e candele, così tante candele da ricreare il sole.
Passi leggeri, la voce di un ricordo.
La porta dall'altro lato della stanza si aprì ed Helena entrò col suo seguito di servitori.
Camminava lenta come se il mondo attorno a lei non avesse alcuna importanza.
Ricordava ogni suo lineamento, il suo profumo, quell'espressione infastidita che le colorava il volto quando qualcosa la costringeva ad indietreggiare.
L'oro prezioso dei capelli era imprigionato in una meravigliosa treccia che scendeva dolcemente sulla spalla sinistra.
Fermate di tanto in tanto da luminose perle e intricati fili d'argento, le ciocche ribelli incorniciavano due occhi di cielo colmi di curiosità.
Il suo abito era semplice, elegante certo, ricco di nobiltà ma era una nobiltà diversa, la stessa che aveva visto in Svezia.
Niente gonne o corpetti così stretti da togliere il respiro, indossava gli stessi abiti di suo marito, certo più teneri e dal taglio deciamente più delicato ma aveva gli stessi colori, gli stessi simboli cuciti addosso.
Per qualche secondo gli parve di rivedere la stessa donna che aveva avuto accanto per tanto tempo, diversa da tutte le altre, testarda e a tratti irriverente.
Quella giovane era ancora lì, indossava ancora abiti maschili e l'irriverenza faceva parte del suo sguardo tanto come allora ma c'era un bambino aggrappato a lei, un bambino che dava un senso diverso a quell'incontro.
La testolina posata sulla sua spalla piena di teneri ricci castani, gli occhi grandi di un verde così chiaro da sembrare quasi cielo.
Era così piccolo, così indifeso, forse nemmeno era in grado di reggersi da solo sulle proprie gambe ma c'era tanta forza nel suo sguardo e una voglia impressionante di scoprire il mondo.
La vide sorridere confusa da quell'intrusione improvvisa nel suo piccolo mondo sicuro “Perché siete qui?” ma nell'azzurro del suo sguardo si accese un lampo di fuoco “Ulek” l'uomo annuì appena muovendosi veloce.
Elin alzò lo sguardo attratta dalla voce madre, la vide mormorare qualcosa all'orecchio dell'uomo poi quel si sussurrato a fior di labbra.
Chiuse il libro e senza aggiungere una sola parola, si alzò dai cuscini raggiungendola.
La mano si strinse attorno alla sua, gli occhi si fusero assieme mentre un sorriso bello come il sole riempì il volto di Helena.
“So perché siete qui e la mia risposta è no” “Non è una domanda che porto con me” “Volete rifiutare i doni di mio marito” “Non ho bisogno della pietà, non ho bisogno delle ricchezze o dei soldi” ma lei rise appena posando le labbra sulla testolina del figlio “Siete un pessimo bugiardo, ve l'ho detto tante volte in passato eppure, nonostante il tempo trascorso, siete rimasto un pessimo bugiardo” “Già” un debole sorriso nacque sulle labbra ma la donna che aveva davanti sembrava aver dimenticato vent'anni di vita passata accanto a lui.
“Porta i bambini fuori da qui” “Si mia signora” “Jag vill inte lämna dig” “Lo so amore mio” sussurrò Helena sfiorando il volto di Niklas “Ma non temere, Ulek vi porterà a fare una passeggiata nel parco” “Davvero?” “Vostra grazia dubita di me forse?” Erland rise scuotendo con forza la testolina “Andiamo? I falchi sono pronti per la seconda battuta di caccia” il volto di Elin si illuminò di colpo e tutta la confusione di poco prima parve sparire nel nulla “Tu vieni mamma?” “No, non ora amore mio” “Posso usare il tuo fucile?” “No” “Pochi attimi te ne prego” si inginocchiò davanti alla figlia scostandole dagli occhi una ciocca di capelli “Niente fucili né pistole, tuo padre ti porterà a sparare più tardi, però ...” sfilò dallo stivale il frustino di pelle “ … puoi portare con te questo. Ricordi come si usa?” “Devo muoverlo indicando al falco la direzione” “Non farla giocare con Heimdallr ...” riprese sfiorando qualche secondo il volto di Ulek con lo sguardo “ ... l'ultima volta è tornata con il volto tutto graffiato” “Mi è scivolato” mormorò crucciata la bambina “Non l'ho fatto apposta, era troppo grande per me” “Lo è anche adesso Elin” “Ma a lui piace il mio braccio” “Quando sarai più grande avrai il tuo falco angelo mio” Ulek sfiorò la spalla della piccola costringendola ad allontarsi dalla madre.
“Non ama nessun'altro all'infuori di me” “Siete sua madre, sarebbe strano il contrario” ma Helena rise stringendo più forte a sé il figlioletto “Il mio falco, è il mio falco che mi ama alla follia” “Ricordo molto bene il vostro falco” ribatté ironico “Non mi piaceva l'idea di farvi incontrare i miei figli, non mi piaceva l'idea di portarli in Francia ma mio marito ha insistito. Diceva che non avreste mai accettato nulla da lui senza una spiegazione, senza una ragione. È così forse?” il cielo del suo sguardo divenne improvvisamente più profondo, una voragine fatta di cristallo puro dove perdersi “Non ero felice nemmeno io di questo incontro” “Dunque la nostra ragione non vi ha convinto” mosse appena il capo, una giovane serva si avvicinò silenziosa “Portalo nelle mie stanze” “Subito altezza reale” ma le manine del piccolo si strinsero con forza attorno a lei “Jag har något viktigt att göra Reine” lo staccò dolcemente da sé lasciandolo in lacrime tra le braccia della serva.
La ragazza guardò confusa la sua signora aspettando un ordine, un sussurro, qualsiasi cosa che potesse aiutarla a sciogliere l'indecisione di quei pochi attimi “Via, fuori di qui” “Si vostra grazia” ma il piccolo scoppiò a piangere allungando le mani verso la madre “Dopo amore mio. Portalo fuori, che si diverta assieme ai suoi fratelli” un debole inchino, il pianto disperato di suo figlio che lentamente si affievoliva nascosto dai muri spessi.
La vide sospirare massaggiandosi il collo “E così, niente di tutto questo ha funzionato” riprese poi sedendo sulla poltrona di fronte a lui “Un bambino che piange non ha forse più importanza di questo discorso?” “Un bambino?” ripeté confusa studiando il suo volto “È di un granduca che parlate, il più giovane tra i nipoti del nostro re, l'unico a cui è permesso piangere in presenza di nostro Signore se la cosa gli aggrada” “Non ricordo di aver mai giurato fedeltà al re svedese” “E io non ricordo di avervi mai visto così tranquillo in vita mia” ma Andrè rise scuotendo leggermente la testa “Cosa stiamo facendo?” “Parliamo, è questo che si fa tra persone normali” lo invitò a sedere senza prestare molta attenzione al caos che velocemente gli cresceva dentro.
Fece una fatica assurda a trattenere le emozioni e un passo alla volta, si avvicinò a lei, il velluto sotto le mani, il respiro accelerato e quel sorriso ironico che gli massacrava il cuore ogni secondo un po' di più.
Sedersi di fronte a lei voleva dire sedere di fronte al passato, lo stesso passato faticosamente cancellato  che ora gli rideva in faccia irriverente come non mai “È passato molto tempo dal nostro ultimo incontro” “Un addio silenzioso, ecco tutto quello che ricordo di te Oscar” “Ho fatto quello che dovevo per tenere al sicuro la mia famiglia, mio figlio e il mio matrimonio” “E questo includeva la tortura regalataci per tutti questi anni?” sbottò gelido stringendo più forte le mani attorno ai braccioli “Mio marito non è mai stato bravo a dimenticare” mormorò amabile la giovane “Non conosce la parola perdono, specialmente se questo ha a che fare con i suoi figli o con me” le labbra di seta si addolcirono di colpo rendendo quel sorriso ancora più bello.
Sapeva che niente di lei sarebbe stato diverso dal ricordo che custodiva nel cuore, era preparato alla sua bellezza, a quella tenerezza che esplodeva violenta nei suoi occhi ogni volta che sorrideva.
Eppure, non era più abituato alla sottile ironia che metteva in ogni parola, alla forza di quel mondo nuovo che viveva nel suo sguardo.
Pochi attimi, pochi attimi per riuscire a riordinare le idee, per cercare di leggerle di nuovo nel cuore come una volta ma il gelo del nord era entrato con forza dentro di lei, l'aveva protetta costruendole attorno una spessa corazza che a malappena veniva scalfita dalle sue parole.
Fece un bel respiro studiando qualche secondo il volto della ragazza, era calma, forse perfino divertita da quella situazione alquanto irreale.
Le spalle rilassate, le gambe dolcemente accavalate, il respiro lento, regolare.
Poteva quasi sentire il battito del suo cuore, il leggero tremore di vita che sollevava dolcemente il suo seno costringendolo a sorridere “La sua collera è stata imprigionata ma non è scomparsa” “Credo di averla trovata io giovane dama, è rimasta in Francia per sei anni, è stata nostra compagna nelle lunghe notti invernali e per poco non siamo morti di stenti!” ma lei sorrise annuendo appena “Ora invece, da un giorno all'altro, tuo marito diventa un angelo” “Ha imparato a perdonare” “Perché?” domandò gelido “Perché adesso!” “I fiumi non smettono mai di scorrere, l'acqua continua a fluire senza mai sostare e così anche la vendetta in un grande cuore” la mano si mosse appena autorizzando l'entrata di Corinne.
Reggeva un bel vassoio d'argento dove due tazze fumanti decoravano con soffice scie di fumo le loro parole “Lascia pure, ci penso io” “Sapete bene che non è mio compito lasciare le cose a metà” “Non devi ...” “Si vostra grazia” mormorò amabile posando le tazze sul tavolino “Mio figlio si è calmato?” “Diciamo che è piuttosto testardo mia signora, non smette di chiamarvi” Helena sospirò sfiorando con le dita il ciondolo d'argento “Mio marito?” “Mi ha pregato di dirvi che si occuperà di Reine non appena l'ambasciatore lascerà la tenuta” “Più o meno tra qualche mese” ribatté ironica prendendo tra le mani la tazza fumante “L'ambasciatore è piuttosto chiacchierone” “Forse vostro marito è troppo buono” esclamò divertita la cameriera sistemando il tavolino “Desiderate altro?” “Chiedi ad Inga di raggiungerlo, offriamogli una via di fuga” Corinne annuì appena lasciando la sala.
Il silenzio tornò di colpo tra loro fino a quando la voce della duchessa non sciolse di nuovo l'imbarazzo “Gradirei avervi come ospiti” “No” si affrettò a rispondere ma lei rise “Non è una domanda” “E la mia non era una risposta” sbottò ironico “Non ho alcuna intenzione di riportare indietro i fantasmi passati ma compirò gli anni e mio marito ha invitato ambasciatori e amici. Non pretendo la tua amicizia, conosco bene l'odio che ora ti batte nel petto” “Io non … non ti odio” sussurrò più a sé stesso che a lei, gli occhi di Helena si fecero improvvisamente più dolci e per qualche secondo, Oscar tornò ad affacciarsi alla realtà “Non importa, posso convivere bene con l'odio e con la rabbia tuttavia, voi siete l'unico legame che mi resta con l'infanzia e mio marito pensa sia più che normale custodire i ricordi” “E tu?” cercò i suoi occhi ancora una volta sospirando “Cosa pensi tu?” ma lei abbassò lo sguardo allontanandosi nuovamente da lui.
La porta si aprì di nuovo e il duca entrò reggendo un bambino dal volto arrossato e gli occhi ancora lucidi, Andrè sorrise appena alzandosi “Non scomodatevi” esclamò Nils avvicinandosi alla sua sposa “Abbiamo un problema” Helena prese il piccolo tra le braccia stringendolo a sé “Vad är min kärlek?” Reine chiuse gli occhi nascondendo il volto sul seno della madre mentre i singhiozzi rompevano di tanto in tanto il suo respiro “Oggi non riusciamo proprio a restare tranquilli” sfiorò il volto del figlioletto scostandogli dalla fronte i ricci mandidi di sudore "Forse è colpa dei denti amore mio" ma l'espressione confusa sul volto del marito la costrinse a continuare "Questa notte ne è uscito un altro" "Davvero?" mormorò l'altro sfiorando con un bacio la testolina del bambino "Stai diventando grande angelo mio" “L'ambasciatore?” “Il tuo gesto non è passato inosservato” le diede un bacio accarezzando la testolina di Reine “La mia sposa è stata educata con voi?” Andrè tremò di colpo riportato alla realtà da quella domanda improvvisa.
Fece un bel respiro costringendosi ad assomigliare allo stesso uomo di sempre “Come ci si può aspettare da una granduchessa mio signore” “Deduco quindi sia un si?” domandò Nils cingendo con un braccio le spalle della giovane “Se non c'è altro per me ...” riprese Andrè sistemando i lacci della camicia “ … prego le vostre altezze di congedarmi. Mia moglie mi aspetta” Helena rise appena cullando il bambino “Avete così tanta paura?” “Non ho paura di voi” “Allora resta” una scossa violenta percorse il cervello arrivando fino al cuore.
La distanza retta fino ad ora dall'etichetta era sparita, il suo sguardo era colmo di sfida e di ghiaccio, lo stesso ghiaccio che sembrava averle rubato il cuore.

 

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Capitolo 51
*** Othila ***


 
                                    Othila




L'aria fresca della sera le sfiorò il collo costringendola a ridere.
Sollevò il bambino davanti al volto perdendosi nel profondo di quel verde immenso, nel suo sorriso, in quella gioia delicata che solo un bambino era in grado di regalare, le mani di Reine si posarono sul suo volto e una risata cristallina ruppe il silenzio.
C'era freddo, più freddo di quanto la Francia era solita regalare ma a loro cosa importava? Persi in quel gioco innocente non si curavano poi molto di ciò che accadeva oltre quel confine sicuro.
L'incarnato di seta del figlioletto si tingeva lentamente di un tenero rosa, più intenso, una pennellata di natura scolpita dall'inverno.
Era troppo concentrata sulla gioia per accorgersi di lui “Siete qui” si voltò di colpo incontrando lo sguardo severo di François “Credevo voleste riposare” “Riposare?” ripeté indifferente tornando a perdersi sul volto luminoso di Helena “Che riposo posso trovare nel silenzio?” “La vostra sposa ha fatto una scelta” “E la seguirò anche io statene certo” “Tra qualche giorno tutti i documenti saranno pronti e potrete lasciare la tenuta con ogni vostro nuovo possedimento. Che senso ha farvi viaggiare due volte?” “L'ho capito sapete?” l'altro rise portandosi le mani dietro alla schiena “Questo è solo un gioco, il vostro signore non riesce a lasciar andare la rabbia” “Voi ci riuscireste?” fece un bel respiro mormorando un semplicissimo no.
La risata del piccolo attirò di nuovo il suo sguardo, aiutato dalle mani della madre, si reggeva sulle proprie gambe divertito da quel manto candido che diventava un immenso gioco “Dieci mesi” “Cosa?” “L'età del bambino” riprese François indicando con un lieve cenno del capo la sua signora “Vorrebbe camminare e correre come i suoi fratelli ma la natura ha i suoi tempi, che senso ha oltrepassarli?” “Perché mi parlate di ...” “Perché sento le vostre domande perfino da qui Andrè. Non provo simpatia nei vostri confronti ma so per esperienza che un cuore ferito, anche quello di un servo, non guarisce con il tempo né dimentica. Certo impara a convivere con il dolore ma ci sono tante domande senza risposta, domande a cui vorreste trovare un senso” “Non ho domande da fare François. Ho risposto alla vostra con sincerità” “Davvero?” “Se qualcuno avesse ferito la vostra sposa e messo in pericolo vostro figlio, nemmeno voi sareste libero dalla rabbia” “Complimenti ...” lo sguardo di François si fece più profondo “ …gli anni passati al servizio della mia signora sono ancora ben vivi nella memoria, le buone maniere resistono ancora in voi” “È felice?” “Questa è una domanda” ribatté divertito ma gli occhi tornarono al volto gioioso della duchessa.
Andrè seguì il suo sguardo fino a lei “Mi chiedete se è felice ...Voi cosa dite?” come poteva trovare una risposta? Riconoscerla era perfino impossibile.
Sembrava uno spirito silenzioso, una fata dell'inverno che custodiva il cuore di quel bambino con una forza tale da far impallidire il resto del mondo.
La sua bellezza esplodeva violenta in ogni gesto, in ogni sorriso, nei suoi occhi era dipinto lo stesso fuoco che fin da giovane l'aveva protetta ma era madre e quella dolcezza rendeva le fiamme più leggere.
Un cavallo correva a perdifiato verso di lei, riconobbe nel cielo il suo adorato falco e nell'aria la risata del duca “Un marito innamorato, un uomo che la protegge e la segue. Non che lei abbia bisogno di protezione certo ma vedete, a volte le persone dimenticano la nobiltà che vive nel suo cuore e spesso, quando le lunghe notti di casa prosciugano i cuori ...” si fermò qualche secondo seguendo con tenerezza di passi della giovane “ … incurante dei pericoli o delle raccomandazioni la mia signora esce nel gelo per aiutare chi è meno fortunato ma la gratitudine del popolo è un po' troppo, diciamo espansiva” Nils fermò il cavallo a pochi passi da Helena e una leggerissima nuvola di neve si sollevò dal suolo.
Alle sue spalle tre giovani troppo piccoli per animali del genere eppure, nei loro gesti, nel loro sguardo bruciava orgoglio puro “Sono bambini, non dovrebbero cavalcare stalloni così grandi” François silenzioso accanto a lui tossì leggero.
Ogni limite era superato, ogni ostacolo abbattuto.
“Sono così piccoli” sussurrò stringendosi appena nelle spalle “Sono guerrieri” rispose l'altro “Sono bambini” “L'infanzia è diversa nei nostri paesi giovane uomo. Quello che voi considerate puerile è per noi il primo passo verso la grandezza. Non costringiamo i nostri bambini in vestiti ingombranti, niente cerimoniali, non li priviamo della presenza materna sia essa appartenere ad una regina o ad una locandiera” gli sguardi si sfiorarono qualche secondo.
Leggeva negli occhi di Andrè la curiosità, la voglia di scoprire quanto ancora della donna che conosceva era racchiuso nella duchessa.
Le sue domande erano diverse da quelle che poneva anni addietro, l'amore era cambiato, cresciuto, lentamente, con il tempo si era trasformato in un affetto più dolce, simile a quello di un fratello maggiore e tuttavia diverso “Sono abituati a lottare e attraverso il gioco, imparano l'arte della ragione. Imparano che non tutto a questo mondo è dovuto, che il loro nome non li protegge né li tiene al riparo dalla cattiveria” chi era lui per permettersi di cambiare le profonde radici di una tradizione così antica? Poco importava la giovane età, poco importavano i sogni colorati di un cuore innocente, il mondo là fuori non era certo dolce e delicato.
Imparare dai propri errori, seguire con dedizione un ideale, ecco ciò che li avrebbe resi grandi guide per la loro gente ed era questo che aveva davanti.
Tre bambini privi di paura, privi di timidezza, anime pure iniziate al gioco della vita forse troppo presto ma vedeva in loro tanta determinazione.
Giovani e belli, irriverenti, figli di un amore grande e luminoso come un diamante e come un diamante, pieno di sfaccettature dai colori brillanti.
Rimase immobile ad osservare quell'immagine tanto bella, le loro parole, i loro discorsi “Tua figlia è terribilmente furba Helena” “Se la costringi a giocare poi aspettati delle conseguenze” ma Nils non rispose, si limitò a sollevare il mantello.
Una freccia di legno dalla punta leggermente stondata era conficcata nel tessuto pesante “Ha toccato il cuoio delle protezioni” esclamò estasiato “Sta diventando davvero brava ed Erland migliora ogni giorno di più. Altri tre allenamenti e saranno pronti per la caccia” “Non correre troppo amore mio, hanno solo cinque anni” Andrè sorrise stringendosi nel mantello.
Elin aveva le guance teneramente arrossate, il cappuccio nascondeva gran parte del suo volto ma le labbra schiuse in un sorriso erano ben visibili.
Al suo fianco Erland, lo stesso volto, gli stessi occhi, eleganza e forza espresse in una rigida postura che ben conosceva e Niklas, il primo tra loro, l'erede prezioso di una grande dinastia.
La voce di François invase di nuovo il silenzio allontanando le loro parole “Quello che ora avete davanti è l'immagine del futuro. Un dono così grande va protetto” “Dovrebbero giocare tutto il giorno, scoprire il mondo nella dolcezza dell'infanzia imparando a riconoscerne le emozioni” “E voi cosa ne sapete?” si voltò verso l'uomo, un sorriso debole sulle labbra e la mente di nuovo al tempo passato “Ho già visto questa scena ormai molto tempo addietro. Non c'è niente di buono in un futuro preparato” François rise divertito da quella risposta inaspettata.
Spinse più su gli occhiali concentrandosi sul volto del giovane davanti a sé “Questi piccoli umani che tanto vi affannate a proteggere non hanno bisogno di avervi come paladino. Niklas parla fluentemente cinque lingue diverse, i suoi fratelli stanno imparando ora la quinta. Usano la spada, l'arco, le pistole. Conoscono l'arte della ragione perché è in un'età tenera come la loro che si scopre il piacere della conoscenza” fece un bel respiro portandosi le mani dietro alla schiena “Il loro mondo è fatto di vallate colme di neve, cieli dove il sole non sorge mai e luci del nord che riempiono il cuore di sogni. Nessuno vieta loro di giocare ogni volta che lo desiderano, possono perfino chiedere la luna al padre e saranno accontentati” “E cosa accade se la luna decide di non piegarsi alla volontà del duca?” “Allora verrà spiegato loro il motivo di tanta irriverenza” ma l'espressione sfinita sul volto di Andrè lo costrinse a continuare “Non giudicate le nostre tradizioni, non le conoscete” “Non voglio. Tutto quello che desidero è uscire da qui assieme a mia moglie” “Avete scelto di dormire nelle stalle, vostra moglie sarà accontentata e anche voi se lo desiderate ma a palazzo non si entra vestiti di stracci, è bene che lo ricordiate” “Non ho alcuna intenzione di entrare a palazzo, se questo gioco del duca dev'essere fatto allora che sia, ma non ho alcuna intenzione di sottostare a regole sciocche” “Non prendo ordini da voi, mi limito ad obbedire e lo farete anche voi credetemi” “Non credo sapete?” “Oh si che lo farete e non perché vi verrà ordinato, sarà la curiosità a spingervi verso la mia signora e quella stessa curiosità vi allontanerà da lei prima di quanto possiate immaginare” fece un bel respiro profondo ridacchiando “Prendete questi giorni come un dono, conoscere le tradizioni di un altro popolo è sempre una cosa meravigliosa” “Ho già conosciuto le vostre tradizioni” “Avete ragione, ma ora, avete quattro ottimi motivi per restare” batté le mani ed Ulek apparve accanto a loro “Accompagna il nostro ospite alle sue stanze, che riposi, stasera la cena verrà servita presto” quella giovane sorridente e piena di vita scomparve dietro al volto duro e freddo di Ulek e così anche ogni altra parola.


Passeggiare per il parco di notte restituiva ai pensieri un po' di pace.
Sentiva su di sé gli occhi delle guardie, angeli silenziosi che vegliavano sul riposo dei loro signori.
Ma dopotutto, a lui cosa importava? Sarebbero bastati pochi giorni per tornare alla stessa vita di sempre.
La luce tenue delle fiaccole illuminava il viale regalandogli uno spettacolo leggero di ombre poi d'improvviso quella voce sbucata fuori dal nulla “Chi siete?” si voltò di colpo cercando di capire a chi appartenesse ma quando gli occhi incontrarono il volto di Elin, il respiro si bloccò a metà nel petto e il cuore accelerò di colpo.
La vide inclinare leggermente la testa di lato, dolci ciocche di capelli scivolarono fuori dal cappuccio incorniciando due occhi grandi e luminosi.
Il suo sguardo era fermo, profondo, pieno di domande, fece un bel respiro cercando di sorridere “Cosa fa vostra grazia fuori dal suo letto a quest'ora? La notte è fatta per i sogni” ma la bambina sollevò leggermente il braccio destro “O per la caccia” la luce leggera del fuoco brillò sul guanto di cuoio che le avvolgeva la mano “Vostro padre sa che siete qua fuori da sola?” “Non sono sola, ho il mio falco con me” “E cosa accadrebbe se il vostro falco se ne andasse?” “Voi non avete figli vero?” “Come fate a ...” “Perché se ne aveste avuti, la mia piccola ed innocente fuga vi avrebbe fatto sorridere e avreste cercato in ogni modo di riportarmi verso casa e invece restate lì, a guardarmi con fare confuso senza sapere bene cosa dire” “Però” esclamò stupito “Assomigliate in modo impressionante a vostra madre lo sapete vero?” la piccola sorrise orgogliosa sistemando il laccetto di cuoio sul mantello “Avete ragione, non sono bravo con i bambini” “Non mi avete risposto, chi siete?” “Un uomo comune” “E da dove venite?” “Dal mondo” “Dal mondo” sussurrò guardinga Elin “E questo mondo per caso aveva a che fare con mia madre?” “Siete sicura di avere cinque anni?” “Sei tra qualche mese” “Parlate come una donna adulta” “Mio padre dice che è un dono e che devo proteggerlo come proteggo la mia vita” era impressionante la somiglianza che quella bambina aveva con Oscar.
Era sveglia e svelta nelle risposte. Non indietreggiava, non si spaventava, perfino ora, nel cuore della notte se ne stava immobile a parlare con uno sconosciuto, rilassata, tranquilla, appariva finanche a proprio agio.
Forse era l'irrequietezza infantile o forse, la sicurezza di sapere che a pochi passi da lei aleggiava sicura la presenza di Ulek “Non avete bisogno di proteggere la vostra vita, non ho alcuna intenzione di farvi del male” “Questo lo disse anche mio cugino” “Davvero?” la bambina arricciò appena le labbra ridendo “Lo disse prima di sfilare il pugnale per tentare di ferirmi” ma lo sguardo confuso sul volto di Andrè la divertì ancora di più “I bambini francesi non giocano con le spade?” “Non le bambine vostra grazia e di certo, non in modo così ...” “Irruento? Mio padre dice sempre che la prontezza del corpo deve seguire quella della mente ma mia madre ripete che un cuore forte, anche un cuore di donna, può vincere contro eserciti interi” “E vostro cugino cosa … perché aveva ...” “Un allenamento” “Il vostro falco dov'è?” sussurrò cercando di ritrovare un minimo di controllo ma Elin non rispose, si limitò a sollevare lo sguardo sorridendo.
Nel cielo trapunto di stelle, un'ombra scura si muoveva lentamente sulle loro teste “Ha un nome il vostro falco?” “Othila” “È … è un bel nome” “Othila come la runa” esclamò quasi irritata “Perdonatemi, non credo di conoscere la vostra runa” “Non avete mai visto una runa?” scosse leggermente la testa con un'aria di sufficienza creata apposta per lui.
“Il dono di Ing, la saggezza passata dagli avi” “Non credo di capirvi, perdonatemi ma sono piuttosto stanco e dovrei ...” “Andare a riposare” Elin sbuffò alzando gli occhi al cielo “Vuoi dirmi cosa ci fai qua fuori?” “Padre io ...” “Tu hai disobbedito” il volto di Nils apparve lentamente dal buio, lo sguardo severo, le labbra tirate in una smorfia a metà tra il sorriso e la rabbia “Siete troppo protettivo” “E tu sei in punizione” “Ma io non ...” “Resterai tre giorni chiusa nella tua stanza, non cavalcherai assieme ai tuoi fratelli, niente lezioni con l'arco né passeggiate per il bosco. Passerai i pomeriggi a contemplare il significato della parola: regola” “Come avete fatto a trovarmi?” “Tua madre” la piccola sbuffò scuotendo leggermente la testa “Non puoi fare come vuoi Elin, cosa sarebbe accaduto se ti fossi ferita scendendo da quel rampicante?” “Ulek era con me” “Non mi importa. Se ti fossi fatta del male o qualcuno ti avesse portato via da noi cosa sarebbe accaduto? Le regole esistono per tenervi al sicuro, non sono fatte per essere aggirate, potevi farti male Elin” “Non è accaduto” “Non è un buon motivo per farlo accadere” tirò più su il cappuccio della figlioletta abbozzando un leggerissimo sorriso “Via ora, la tua punizione inizia da questo momento” “Come volete” “E non si ricorre a scorciatoie chiaro?” “Se pensate che mia madre possa essere una scorciatoia valida allora forse, dovreste passare i pomeriggi con me a contemplare la parola: muro” “Meno irriverenza bambina altrimenti tuo padre sarà costretto a prendere provvedimenti e se fossi in te, eviterei di passare il gioco a tua madre perché le sue punizioni superano di gran lunga le mie” diede un leggero buffetto sul volto della figlia seguendo poi con lo sguardo i suoi passi nel buio.
“Perdonatemi altezza, non era mia intenzione ...” “Che colpa avete voi?” rispose il duca “Mia figlia è piuttosto brava ad aggirare i divieti” “Vostra figlia è molto spigliata signore” l'altro rise portandosi le mani dietro alla schiena “Elin è terribilmente sveglia. La sua mente corre veloce e le parole spesso anticipano i pensieri” “Perché ve ne stupite? Sua madre è uguale” “E secondo voi, chi mi ha detto dove trovarla?” gli occhi del duca erano fusi ai suoi e in quello sguardo, leggeva nuovamente il divieto assoluto che creava apposta per lui.
Un divieto che avvolgeva Helena e i suoi figli e che perfino dopo tanti anni, era ancora lì “Mia moglie riesce a comprendere il cuore di Elin prima ancora di quanto faccia lei stessa. La seguivo da qualche minuto ormai e vi avrei interrotto prima ma resto incantato ogni volta che la sento parlare” il volto del duca cambiò nuovamente.
Viveva in lui un padre, un uomo innamorato di sua figlia che faticava perfino a parlare di lei senza che l'emozione intaccasse la voce “Amate vostra figlia più di voi stesso, non è un male dirlo a voce alta vostra grazia” “L'ho sognata” il silenzio si prese per qualche secondo il mondo attorno a loro.
Pochi attimi appena poi di nuovo la voce del duca e un cuore forte mai abituato ad aprirsi con il mondo “L'ho sognata vestita d'argento, l'ho sognata felice, bella come un'angelo lucente e quando il suo pianto mi toccò il cuore per la prima volta, capii che quell'angelo era reale, che era vivo ed era mio” Andrè restò immobile, incantato da quelle parole che mai avrebbe sperato di ascoltare dalle sue labbra, non riusciva nemmeno a muovere un passo “Amo i miei figli, darei la vita per ognuno di loro. Mi rendono orgoglioso ogni giorno di più ma una figlia ...” un debole sorriso schiuse le labbra dell'uomo illuminando il suo bel volto “ … una figlia è un dono speciale. Un regalo immenso da proteggere e custodire” “Curioso, e io che pensavo fosse l'erede maschio quello più importante” “Come può non esserlo anche una figlia?” “Questo l'avete detto al generale?” ribatté ironico ma Nils rise “Dentro il petto di Elin batte metà del mio cuore. Come potrei non amarla al pari dei suoi fratelli?” “Già” un debole cenno del capo per congedarsi e poi solo silenzio.


“Ti ha detto quando saranno pronti?” “Appena dopo Natale” tolse il mantello sedendo di fronte alla giovane “Credimi Marie, so bene che sforzo stai ...” “Fino a quando non entrerò in quella casa starò bene” Andrè sorrise guardandosi attorno.
Erano stalle ma sembravano palazzi reali.
Non c'erano odori sgradevoli, niente insetti né mosche.
Li dentro erano custoditi esemplari splendidi, ogni animale aveva il suo spazio, acqua fresca, fieno e biada e un giovinetto in grado di occuparsi al meglio dei loro bisogni.
Sorrise divertito dall'espressione della ragazza.
Era rimasta lì dentro tutto il giorno senza mai mettere piede fuori eppure, nonostante le lunghe ore di solitudine, era riuscita ad occupare la giornata trasformando quel piccolo spazio a loro disposizione, in un comodo giaciglio per la notte.
Il fieno soffice al posto del materasso e lenzuola candide che Inga aveva fatto recapitare.
Ogni cosa in quella stalla era un insieme di contraddizioni, il profumo del fieno, il marmo candido dei ripari, un letto che assomigliava ad una tana di qualche animale coperto da tessuti preziosi e vassoi d'argento sui quali riposavano tazze, manicaretti e posate.
“Cosa vogliono?” “Da me? Nulla Marie, solo chiedermi scusa a quanto pare” “E ci vogliono giorni per farlo?” “Non lo so” “Sono cinque lettere, si possono pronunciare in pochi secondi” sbottò irritata ma lui rise slacciando il bottone della camicia “È cambiata?” “Chi?” “Oh andiamo, lo sai di chi parlo!” “No, è sempre la stessa” “Ed è la stessa di sempre perché è così o perché sei tu che la vedi così?” “Non so dirtelo nemmeno io” “Mileg mi ha detto che i suoi figli sono angeli” “Mileg?” domandò confuso ma la giovane annuì ridendo “Il figlio del custode” “Oh … non l'ho visto qui attorno e non ...” “Hai visto i suoi bambini?” annuì appena sospirando “E?” “E Mileg ha ragione, sono angeli” “A chi assomigliano?” “Marie ...” “Ti prego, ho bisogno di parlare di qualcosa che non sia fieno o cavalli, oggi è stata una giornata complicata” strinse la mano attorno alla sua “Parliamo di altro ti va?” “Perché?” “Marie, desidero solo tornare a casa, non ho bisogno di vecchi ricordi o ...” “Quanti figli ha?” “Perché vuoi saperlo?” “Ho sempre pensato che una giovane come lei, una duchessa tanto forte e bella avrebbe avuto più di un figlio” “Quattro, sono quattro” il bel volto della ragazza s'illuminò di tenerezza.
Conosceva bene quell'espressione, era la stessa che riservava ai bambini “Visto? Il piccolo Niklas ha dei fratelli” “La solitudine dell'infanzia è meno difficile da sopportare assieme ad un fratello” “La tua duchessa non ha forse cinque sorelle?” “Quante di loro sono state cresciute come un uomo?” un spiffero d'aria fredda sfiorò la schiena della giovane costringendola a tremare.
Si sdraiò sul letto avvolgendosi nella coperta “Domani mattina incontrerò il duca” “Perché?” domandò confusa ma lui sorrise sfiorandole il volto “Non aver paura, non può accadere niente di male” “L'hai detto anche in Svezia e sono morte persone innocenti” “Questa volta è diverso” “Perché d'improvviso il cuore di ghiaccio che ora le batte nel petto è cambiato?” “No Marie, quel cuore è sempre lo stesso” gli occhi si persero su qualcosa di invisibile, un punto indefinito di fronte a sé “Andrè?” “Dovresti vederla giocare con i suoi figli. È felice, è sé stessa, quella giovane donna che io ho conosciuto e che non appartiene a questo mondo” “Tu sei ancora ...” “Non essere sciocca” ribatté divertito dandole una leggerissima spinta “Le voglio bene, un bene tremendo e mi manca da morire parlare assieme a lei” “Perché non lo fai allora! Puoi vederla, il duca ti concede la sua vicinanza, perché non lo fai Andrè” “Perché è lei a non volerlo” “Ma se hai appena detto ...” “Non mi vuole nel suo mondo e io non voglio lei, passerà Natale e ogni cosa tornerà al proprio posto” “Ne sei sicuro?” “Ora basta, è ora di dormire, domani sarà una giornata piuttosto lunga” le fece l'occhiolino tirando più su la coperta.
In fondo non era così difficile, Natale sarebbe arrivato presto e così anche il ritorno a casa. 

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Capitolo 52
*** Sorriso di Luna ***


                                                            Sorriso di Luna





Sarebbe rimasto per ore a guardarli.
Una casa piena di bambini era una casa felice, o almeno, era quello che aveva sempre pensato ma crescendo, con il tempo, aveva scoperto che la felicità poteva unire anche due persone sole.
Certo non era il caso suo ma che importanza poteva avere? Era contento della sua vita e se tutto era andato in quel modo che colpa aveva? Dio nell'alto dei cieli, aveva certo più diritto di lui a scegliere.
Non rimproverava nulla a Marie, lei non aveva alcuna colpa e nemmeno quei bambini che giocavano davanti ai suoi occhi incuranti del tempo o del mondo che prendeva fuoco al di là di quelle mura sicure.
Avrebbe firmato i documenti di François non appena il servitore fosse tornato a casa ma per ora, la visione di quei giochi bastava a dargli sollievo.
Elin sedeva assieme a suo fratello, gli occhi sognanti che seguivano i movimenti di una nave intagliata nel legno.
Un'imbarcazione più piccola di quelle che fino ad ora aveva visto, vele quadrate e un corpo di donna incatenato a prua.
Sirene le chiamavano nel gelo del nord, donne dal volto d'angelo che vivevano nelle profondità degli abissi, cuori solitari che attiravano con il loro canto marinai deboli e stolti.
Niklas creava nell'aria strane figure muovendo rapido le mani.
Fingeva uragani e mari in tempesta che la Francia non poteva regalargli.
Il fuoco era acceso e cuscini di morbido velluto erano stati sparsi sul tappeto.
La balia leggeva silenziosa sollevando di tanto in tanto lo sguardo dalle pagine per spiare i giochi dei bambini.
C'era magia nelle parole di Niklas, quella storia innocente custodiva una forza impressionante, lo leggeva sul volto stupito di Erland, negli occhi della sorella che si fondevano al verde smeraldo del mare e al ghiaccio tagliente “Il freddo silenzio del mare del nord viene rotto dal frangersi delle onde sui fiordi e dal lamento del vento ...” sollevò il piccolo veliero avvicinandolo al volto del fratello “ … riesci a vederlo Erland?” domandò estasiato poi d'improvviso la voce del duca.
Il volto di Niklas si illuminò di colpo confermando ancora una volta al cuore di Andrè, che l'amore, quello vero, non era racchiuso nel pensiero della donna desiderata o in una vita perfetta ma bensì, negli occhi di un figlio.
Si appoggiò alla colonna sorridendo mentre quel padre orgoglioso svestiva gli abiti del nobile freddo e privo di sentimenti.
Lo vide abbandonare il mantello tra le mani della balia sedendo poi sul tappeto accanto al figlio.
Aveva il volto stanco, le spalle piegate dalle fatiche di quegli ultimi giorni.
Non era un bel momento per la Francia e la fragile sicurezza fino ad ora regalata dalle mura, minacciava presto di sparire sotto i colpi di una rivolta imminente ma nonostante tutto, davanti ai bambini la paura non esisteva, la rabbia svaniva e ogni preoccupazione si trasformava in sorriso “Che storia racconti amore mio?” “Tu riesci a vederlo padre?” domandò Erland sollevando davanti al volto dell'uomo il veliero “Questa è una delle mie preferite” sussurrò Nils scompigliando i capelli del figlio “Dov'è la mamma?” “Sta riposando” “Questa è una bugia” “Si, ma non ti dirò comunque cosa sta facendo. Sei in punizione Elin ricordi?” “E mi fate giocare con i miei fratelli?” domandò divertita sdraiandosi a pancia in giù.
Le mani avevano l'unico compito di sorreggere la testa mentre i lunghi capelli sfioravano il tessuto prezioso del tappeto incorniciando due occhi di smeraldo “Per caso hai intenzione di fare la spia?” “No signore” si affrettò ad aggiungere mentre Erland al suo fianco assunse la stessa identica posizione “Allora, vediamo un po' ...” sollevò davanti al volto il modellino spiandone ogni più piccolo anfratto.
Lo muoveva con delicatezza tra le mani costringendo i bambini a seguire ogni suo battito di ciglia.
Sembravano tre giovani assetati che per troppo tempo avevano conosciuto la durezza del deserto ma la voce profonda dell'uomo lenì quella sete “Il capitano Eirkìkr regge saldo il timone della nave” la balia rientrò nella sala, tra le braccia Reine e un sorriso affabile sulle labbra.
L'ultimo tra loro, il gioiello più piccolo e indifeso della sua casata e il più simile a lei tra tutti. Aveva il volto ancora assonnato e una calda coperta avvolta attorno al corpo ma bastò la voce del padre per convincere il bambino a sorridere “Vieni amore mio” sussurrò Nils prendendolo con sé.
Al sicuro, seduto tra le gambe dell'uomo seguiva silenzioso il gioco invisibile delle onde del mare, la testolina posata al petto del duca, la mano stretta alla sua “ Non lo spaventano i fulmini né il rombo delle onde” riprese Nils “Naviga sicuro guidando con braccio saldo i suoi uomini nella tempesta fino a che ...” lasciò il gioco tra le manine del figlioletto sorridendo “... simile ad una sentinella di pietra, a nord dell'isola di Eysturoy, svetta imponente il monte Slaettarantindur” “E com'è?” “Così grande da coprire tutta la superficie dell'isola. Un monte tagliente le cui asperità si confondono tra le nuvole basse, rischiarate appena dal sole di mezzanotte” Elin sorrise sussurrando “Le luci del nord” “Esatto, le luci del nord Lin, le luci che guidano i marinai nelle lunghe notti d'inverno, le stesse che guidano Eirkìkr all'estremo nord” “E cosa trovò?” “Nebbie così pesanti da non lasciar trasparire nemmeno la fiammella del fuoco ma tra l'oscurità e il silenzio, le Faer Oer sbucano come ultimo faro di speranza” “Le hai mai viste padre?” “No, ma conosco una persona che vi ha passato molto tempo” “Chi?” domandò confuso il bambino “Una persona che non ha paura di nulla” “Il nonno?” “Nostra madre” sussurrò Niklas “La mamma?” “Proprio così. Vostra madre ha passato mesi interi in quel mondo lontano. Sperduta tra le nebbie e i ghiacci, accompagnata da Ulek e da pochi altri uomini. Un'amazzone nelle lande desolate” “Perché?” “Ottima domanda Elin” rispose Nils sollevando lo sguardo “Ma non è questo il momento di cercare tale risposta” batté leggermente le mani, un giovinotto si avvicinò timoroso chinando il capo “Fate chiamare la mia guardia del corpo” “Subito altezza reale” “Padre, secondo te possiamo andare anche noi laggiù?” “Puoi andare ovunque tu desideri Erland, puoi fare tutto ciò che vuoi. Il mondo è un posto immenso, così grande da costringere gli uomini a cercare tra i suoi segreti terre e mari sconosciuti” sollevò con una mano il volto del figlio riconoscendo nel suo sguardo l'orgoglio che fin da bambino aveva visto nel proprio “Non c'è motivo alcuno per rinunciare al mondo” non c'era alcun motivo per rinunciare a vivere.
La voce di François riportò Andrè di nuovo nel presente “Perdonate il ritardo, viaggiare di questi tempi diventa piuttosto complicato” “Pericoloso” “Come?” “Questa è la parola che dovreste usare” “Avete ragione” asserì l'altro infilando gli occhiali “Ho con me la maggior parte dei documenti signore, se volete essere così gentile da seguirmi, sistemeremo questa faccenda in pochi minuti” “Poi sarò lasciato libero di ...” “Mancano ancora due atti di proprietà, arriveranno tra qualche giorno. Credo comunque che il mio signore non abbia niente in contrario alla vostra partenza” una guardia armata di spada si avvicinò all'uomo sussurrando qualcosa “E non è ancora tornata?” lo vide scuotere leggermente la testa e sul volto del vecchio, passò un velo di leggera preoccupazione “Ulek è con lei?” “Si signore” “D'accordo, fate chiamare il consigliere” un debole si poi di nuovo gli occhi dell'uomo fusi ai suoi “Prego, da questa parte” seguì i passi dell'uomo immaginando solo la strada verso casa, la stessa vita di sempre, la stessa gioia.




Un fischio forte e potente, sollevò il volto al cielo sorridendo, gli occhi seguivano il volo di un falco.
Volteggiava nell'aria lasciandosi trasportare dal vento proprio come i suoi pensieri.
Appoggiata allo stipite di legno spiava la vita che scorreva lenta all'interno di quel parco.
Una vita che di rado aveva conosciuto, una vita che non le apparteneva ma che sembrava mancare da morire ad Andrè.
Non era colpa sua, era cresciuto con quelle regole, con lo sfarzo e le notti scintillanti della nobiltà conservando tuttavia la purezza dell'onestà.
Era di questo che si era innamorata, di lui, del suo essere sempre giusto, sempre sé stesso.
Non c'erano filtri tra il suo cuore e il mondo, non conosceva la cattiveria perché questa non le apparteneva e sapeva di aver scelto una storia impossibile e ne aveva pagato le conseguenze ma ora, dopo così tanti anni, era riuscita finalmente a perdonare sé stessa.
Come si può cancellare dal cuore di un uomo una donna come lei? Rise di quel pensiero tanto sciocco che raramente tornava a farle visita.
Ora, la nuova dimensione delle loro vite, lasciava al passato solo il compito di svegliare i sogni nel cuore della notte.
Una bambina correva tra l'erba appena macchiata di neve, un braccio sollevato verso il cielo poi quella risata tanto bella che scaldava il cuore “Non vi ha mai detto nessuno che è pericoloso restare da soli con sé stessi?” tremò voltandosi di colpo, davanti agli occhi il bel volto di un uomo, lo stesso che aveva incontrato in Svezia, un conte, un essere umano “Non volevo spaventarvi, vi chiedo scusa” “No è solo … io vi conosco” “Si è vero” rispose l'altro togliendo il copricapo “Mi avete visto ormai molti anni addietro” si avvicinò a lei di un passo sorridendo.
Era alto, bello, un uomo dai lineamenti puri che perfino vestito di stracci urlava nobiltà “Cosa fate tutta sola nelle stalle?” “Andrè è a colloquio con il duca e io lo … io aspetto” “Temo che il suo colloquio dovrà attendere Marie, il duca ha altro per la testa ora” la ragazza socchiuse gli occhi studiando qualche secondo il suo volto “Ricordate il mio nome?” “Non l'ho mai scordato” “Perché?” “Eravate così innocente, così spaesata e fuori posto in mezzo all'eleganza. Un fiore in boccio spaventato dalla vita” “Non ho più paura della vita” “No è vero” mormorò l'altro “Ora avete spine acuminate che vi difendono e il bocciolo che vi proteggeva è sparito. Siete una rosa lucente che lotta con il passato” Marie sospirò stringendosi più forte nelle spalle “Se alludete alla duchessa io non ...” “Conosco bene il passato, conosco bene la duchessa che vi torna ogni notte negli incubi. Non è sempre stata così sapete?” lo sguardo confuso sul volto della giovane lo costrinse a sorridere.
Sfilò i guanti raccontando un ricordo che apparteneva a pochi soltanto “Amava la solitudine, non ha mai concesso a nessuno di avvicinarsi più di tanto al suo cuore e il suo sorriso era per pochi fortunati soltanto. Non c'erano bambini nella sua vita né il pensiero di poter avere un giorno una famiglia. Il mondo che le correva attorno profumava di polvere da sparo e di ordini impartiti con forza” lo sguardo si spostò qualche secondo sul gioco della bambina, sulla sua corsa e sull'erba leggera mossa dal soffio del vento “Odiava le luci dei grandi saloni, odiava le feste, gli abiti eleganti, le chiacchiere delle dame. Odiava tutto ciò che era in qualche modo legato a quel mondo perché accettarlo, voleva dire accettare la donna che viveva dentro di lei” “Ne siete sicuro?” ribatté ironica la giovane “Non ho mai sentito il suono fresco della sua risata, non l'ho mai vista abbandonare le rigide costrizioni dell'uniforme per giocare né ho mai sperato di vederla felice al punto da ignorare le regole e le leggi. C'è gioia nel suo sguardo e amore e pazzia” “Le persone cambiano con il tempo, sono parole vostre conte” “È vero ma voi ora vedete una granduchessa di Svezia, una donna con lo sguardo di ghiaccio e un cuore invisibile ma c'è bontà dentro di lei. Conosco bene quel cuore e posso assicurarvi che avvicinarsi ad esso, vuol dire scoprire d'improvviso com'è fatto l'amore” “Ed è quella bontà che ha condannato a morte decine di anime innocenti?” ribatté tagliente ma l'altro sospirò stringendo la mano sull'elsa della spada “Non commettete lo stesso errore di molti Marie, non giudicate con gli occhi perché c'è un mondo intero nascosto dietro a quello sguardo” “Perché la giustificate? È colpa sua se sono morte persone innocenti, è colpa sua se la notte non dormo e il mio mondo è fatto di incubi!” “La rabbia, la paura, il pianto, ecco cos'ha condannato quegli uomini. Non è abituata a provare sentimenti tanto forti come lo è l'amore per un figlio” “Perché la giustificate!” “Perché la conosco Marie, so cosa vive in questo momento nel suo cuore e so che non è in grado di controllarlo. Colpa del padre certo, crescerla come un uomo le ha regalato libertà e indipendenza ma l'ha distrutta ...” si fermò qualche secondo cercando gli occhi scuri della giovane “… Andrè lo sa bene. Ha vissuto accanto a lei tutta un vita” “Per questo ora gioca con lui? Una vita non le è bastata?” “Sarà per questo che ora vi tiene qui?” “Cosa?” balbettò confusa “Non riesce a trovare un modo per chiedervi scusa, ci prova, ci prova da quando vi ha mandato a chiamare” “Una parola soltanto, non c'è bisogno di giorni interi per questo” “A volte le parole pesano più di un macigno Marie” strinse la mano della ragazza tra le proprie portandola alle labbra “E quel macigno sta navigando in un mare burrascoso d' orgoglio dove i sentimenti cambiano nome e le paure affiorano come scogli taglienti. So che odiate questo posto e sarei un'ipocrita a chiedervi di accompagnarmi ma ...” lasciò un bacio leggero sulla pelle candida sorridendo “ … vi invito a riflettere sulle mie parole. Ci sono troppe anime che non vivono i loro sogni perché stanno seguendo le loro paure” “Conte ...” “Non permettete alla paura di avere il sopravvento. Non permettete al passato di intaccare il vostro presente, ci sono ancora cose buone in questo mondo” la mano scivolò dolcemente via dalle sue, un bel sorriso poi i passi nel freddo e quelle parole tanto dolci e rimbombare nel silenzio.




La notte era serena e la luna splendeva alta nel cielo illuminando di pallida tenerezza i profili delle statue.
Amava spiare la luna, amava il suo sorriso sul mondo, la sua purezza.
Fece un bel respiro giocando con i capelli.
Le mani di Nils si strinsero più forti attorno ai suoi fianchi costringendola a ridere. Indietreggiò di un passo incontrando il petto forte di suo marito, il suo respiro sul collo mentre lasciava sulla pelle teneri baci “Perché la mia sposa spia la luna?” “E perché il mio sposo ha permesso ad Elin di giocare con i fratelli oggi?” “Non l'ho fatto” “Bugiardo” posò le mani sulle sue, le dita intrecciate mentre il fresco respiro della notte sfiorava i loro volti “Cosa cerchi nella luna amore mio?” “Non lo so” Nils sorrise stringendola più forte a sé.
Sentiva il profumo della sua pelle, quel caldo tepore che il mantello le regalava separando con una spessa scia di tessuto i loro corpi.
Amava da morire sua moglie e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, per vederla sorridere, per saperla felice “Cosa c'è Nils?” “Niente” mormorò spiando l'astro luminoso “È solo paura tutto qui” “Paura di cosa?” domandò preoccupata voltandosi lentamente verso di lui.
Gli sguardi si incontrarono legando parole silenziose e battiti leggeri “Cos'è che impedisce al tuo cuore di riposare?” “La Francia non è più sicura Helena” “Lo so” “Non voglio rischiare di mettere in pericolo i nostri figli, non voglio mettere in pericolo te” “Perché dovresti? L'abbiamo scelto assieme ricordi? Rivedere mio padre, permettere ai bambini di conoscere quel nonno che tanto è mancato e passare il Natale assieme” chiuse gli occhi posando la fronte sulla sua “Non aver paura amore mio, non accadrà nulla di male” “Il popolo è in rivolta, ci sono saccheggi ovunque. Le strade non sono sicure Helena, la Parigi luminosa e tranquilla che ricordavi è sparita” “Parigi non è mai stata tranquilla, c'è tanta povertà e tanto rancore. Non condannare queste persone, stanno soffrendo Nils” “Non sono loro che condanno” sfiorò con la mano il volto del marito seguendone i lineamenti.
Era abituata al suo sorriso, alla forza dei suoi occhi e vederlo così indifeso di fronte ai sentimenti, faceva un male tremendo al cuore.
“Torna a casa con i bambini” aprì gli occhi di nuovo cercando il suo sguardo “Torna a casa ti prego, non voglio che la rabbia di questo paese intacchi la vostra vita” “Nils io non ...” “Tuo padre verrà con te, partirà assieme a voi e si prenderà cura dei piccoli” strinse la mano attorno a quella della giovane baciandola “Mancano pochi giorni a Natale e mi sembra un lento cammino verso il patibolo” “Da quando hai così paura?” “Da quando sei entrata nella mia vita e mi hai cambiato Helena. Da quando mi hai regalato una famiglia, un motivo per vivere di nuovo” il volto della giovane si colorò di tenerezza.
Gli occhi piegati in un sorriso leggero, le labbra dolcemente schiuse e il respiro accelerato da centinaia di pensieri.
Conosceva bene la prossima domanda, la capacità della sua sposa di leggergli nell'anima ma non era pronto “Verrai con me?” lesse nel suo sguardo la speranza, la voglia folle di credere che anche solo per qualche secondo, la realtà fosse uguale al mondo perfetto che viveva dentro di lei.
La vide sospirare, abbassare lo sguardo e come una bambina terrorizzata, cercare rifugio tra le sue braccia.
“Tornerò presto” sussurrò stringendola più forte “Te lo giuro, fosse anche l'ultima cosa che faccio al mondo tornerò da te e dai nostri bambini” posò la fronte sulla spalla della giovane nascondendosi al sorriso ingannatore della luna.
“Non ho alcuna intenzione di lasciarti qui da solo” “Sono solo pochi giorni” “Non hai mai lasciato i nostri figli, non hai mai lasciato me. Non farlo adesso, non costringerci a restare lontano da te” “Non è un gioco, c'è la guerra là fuori” Helena sorrise annuendo leggermente “Ha un altro nome e non presenta eserciti ma è una guerra e in guerra non esiste la pietà” “Se ti chiedessi una cosa del genere lo faresti Nils? Mi lasceresti qui da sola?” un debolissimo no uscì dalle labbra dell'uomo.
Pacato, leggero, quasi un sussurrò eppure era lì “Allora non chiedermi niente del genere amore mio, non farlo ti prego” “Voglio solo saperti al sicuro” “Lasciami restare al tuo fianco, allora sarò al sicuro” si allontanò dolcemente dal marito nascondendo il tremito della voce ma c'erano leggere scie di diamante a solcarle il volto.
Lacrime silenziose che da troppo tempo non toccavano la seta delle guance, le sfiorò le labbra cancellando quelle piccole perle insolenti “Promettimi che una volta passate queste maledette feste partirai Helena, promettimi che prenderai i nostri figli e che tornerai a casa” “E tu promettimi che la smetterai con queste sciocchezze” “Non sto scherzando duchessa” “Nemmeno io” lasciò un bacio su quelle labbra forti costringendolo a ridere “Ora basta, domani ho incontri importanti ricordi?” “L'ambasciatore francese, come potrei dimenticarlo? Quell'uomo ama mia moglie” “Andiamo?” domandò stringendo la mano attorno a quella del marito “Dove stiamo ...” “A cancellare queste lacrime duca e con esse, anche le vostre paure” le dita si strinsero con forza attorno alle sue e come un bambino, si lasciò guidare attraverso le ombre della sala permettendo alla luna pochi attimi di tenera confidenza.

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Capitolo 53
*** Lupi ***


                                                Lupi





Sorrise stringendola più forte a sé “Sei troppo bella per questo pover'uomo” sarebbe rimasto così per sempre, sdraiato in quel letto profumato con la schiena della sua sposa sul petto, il collo a pochi centimetri dalle labbra e le mani intrecciate alle sue “L'uomo che mi stringe ora non mi ama forse?” “E come dovrebbe ...” “Ami solo la mia bellezza?” domandò divertita ma lui scosse leggermente la testa “No?” domandò scivolando via ma le mani di Nils si strinsero con forza attorno a lei tirandola di nuovo verso di sé “State attenta duchessa, non tutti sono generosi e magnanimi come lo sono io” “Nemmeno l'ambasciatore?” Nils sbuffò alzando gli occhi al cielo “Che c'è?” “Non mi piace quell'uomo, è irritante e sciocco” “Non è per caso colpa del raggiro ai danni di tuo padre?” “No” la risata della giovane riempì il suo cuore riversandosi come acqua fresca sulle ferite “So cosa mi chiederà, stai tranquillo, la mia risposta è sempre la stessa” “Non giocare troppo con lui, è svelto di mente e abile nei raggiri” posò la mano su quella della giovane giocando con le dita affusolate “Non permettergli di vincere” “L'ho mai fatto?” un debole sorriso sfiorò le labbra dell'uomo “No, hai ragione amore mio” “Perché non chiede udienza a te?” “Non arriverebbe da nessuna parte, chissà per quale sciocco motivo, è convinto che la mia sposa sia più tenera e facilmente malleabile. Forse pensa che una tua parola possa smuovere mio cugino” “Ma cos'hanno questi uomini che non va?” domandò divertita voltandosi appena, le labbra sfiorarono le sue in un bacio dolcemente tenero “Nils, se non mi lasci ho idea che l'ambasciatore mi incontrerà svestita” “Non giocare con me” “Lo sai vero che sono svegli?” “È l'alba, troppo presto per i bambini, niente giochi all'alba” le labbra si unirono nuovamente chiudendoli in un mondo fatto di tenerezza “Profumi di pesca” “Davvero?” “Da quanto sei sveglia amore mio?” “Poco” “Bugiarda” la vide sorridere mentre le dita si intrecciavano nuovamente le une alle altre “Che c'è?” “Devo essere stata davvero molto buona in passato”sfiorò le labbra della giovane perdendosi nell'azzurro cristallino dei suoi occhi poi un altro bacio, più dolce del primo, più tenero “Sono svegli” “Allora ...” la mano scivolò sulla schiena di Helena fino alla coperta, le dita si strinsero attorno al tessuto nascondendo quel corpo meraviglioso alla luce del sole “ … dobbiamo porre rimedio a questa cosa, se non ci vedono non hanno alcun motivo per chiamarci” “Nils, sono svegli” “Io non credo di aver sentito nulla di …” la porta si aprì lentamente rivelando il faccino ancora assonnato di Erland.
I capelli scompigliati e la mano stretta a quella della sorellina “Come fai?” sussurrò Nils alzandosi appena “Ben svegliati angeli miei” Elin sollevò le braccia verso di lui lasciandosi cullare, il fratello si arrampicò sul letto rifugiandosi tra le braccia della madre “Hai dormito bene?” posò le labbra sulla testolina di Erland giocando con i suoi capelli poi la voce di Inga e il suo volto pieno di allegria.
“Un regalo per voi altezza reale” “Un altro?” “Vostro padre teme di non essere stato un buon padre negli ultimi anni” “E gli anni passati non contano perché?” “Colpa mia” sussurrò l'uomo “Gli ho detto che la distanza spesso cambia la visione delle cose e delle persone. Sono passati due anni dal vostro ultimo incontro e ...” “Lo vedrò domani” “Conosci tuo padre Helena? Non si darà pace fino a quando non ti stringerà tra le braccia” Elin sbadigliò lasciandosi cullare dalle braccia del duca “Mio figlio?” “È sveglio da ore signor duca” “Sta svolgendo i suoi compiti?” “Non ho mai visto nessuno così diligente” mormorò orgogliosa la vecchina legando le tende.
La luce entrò limpida dai vetri costringendo Erland a nascondere il volto sul seno della madre mentre Inga osservava intenerita la scena.
Un padre e una madre e nulla di più. In quella stanza non c'erano duchi né duchesse, solo due genitori giovani, belli, legati da un amore che ora non aveva più ombre né segreti.
Giocavano con i figlioletti senza preoccuparsi della sua presenza, senza preoccuparsi delle cameriere che entravano e uscivano da lì “Dovreste vestirvi duchessa, tra qualche ora inizieranno le udienze” “Puoi fingere di non ridere?” domandò indispettita “Ci provo amore mio, ci provo davvero ma l'ultima volta che ti ho vista condere un'udienza ...” la risata nacque spontanea dal cuore e frammentando le parole.
Sua moglie odiava concedere udienze, più di una volta le aveva permesso di scappare via ma i nobili svedesi in Francia, desideravano incontrare quella duchessa tanto bella che i loro figli, nostalgici di una terra lontana, descrivevano come un dipinto vivente e forse, lei ad una di quelle ancelle impresse nella tela ci assomigliava davvero.
Osservava ogni suo movimento, le gambe che scivolavano di lato, le mani strette attorno al lenzuolo, la linea delicata della schiena.
Ogni muscolo si tendeva veloce rivelando ombre e disegni che aveva impresso a fuoco nella memoria.
La veste da giorno venne allacciata nascondendo ogni sprazzo di pelle.
Le mani della vecchina si mossero abili sollevandole i capelli, attorno a lei tre giovani volteggiavano silenziose prendendo nastri, gioielli, stoffe preziose.
Sotto la guida severa della governante ogni gesto venne eseguito all'unisono come se in realtà, a vestirla fosse una sola donna e non tre.
Il corpetto venne stretto leggero sul seno di Helena, la vide annuire, una risposta silenziosa a qualche sciocca domanda e poi muoversi seguendo il tocco di Inga.
Non c'erano stecche fastidiose né costrizioni, il suo corpo era semplicemente ciò che la natura le aveva regalato, quello che faceva impazzire suo marito e che lei era così orgogliosa di mostrare al mondo.
Le ragazzine strinsero i lacci dell'abito sollevandone le maniche, il tessuto vuoto si riempì di colpo modellandosi sulle curve del suo corpo.
Il guscio vuoto fatto di stoffa divenne improvvisamente uno scrigno segreto custode di battiti e respiri.
Inga sciolse i capelli di Helena prendendone tra le dita ciocche setose.
Ne intrecciava una all'altra giocando con sottilissimi fili di perle che avevano l'unico compito di renderla luminosa.
Un giro, un altro ancora fino ad ottenere una treccia stupenda che sciolta arrivava fino all'incavo della schiena ma che, nonostante la perfezione, non apparteneva alla moda francese.
Una donna con i capelli così acconciati a corte sarebbe stata scambiata per pazza, una sciocca priva di gusto proveninete da chissà quale landa selvaggia ma a lei non importava poi molto.
Abituata a vestire abiti pregiati che lasciavano al corpo libertà di movimento, non si curava molto delle chiacchiere né si preoccupava di sollevare quelle trecce complicate, lunghe e perfette che illuminavano il suo sorriso.
Ma per una volta soltanto, la libertà solitamente espressa nei gesti venne imbrigliata come l'acqua dalla pietra perché in quel mondo fatto di eleganza ed eccessi, viveva un generale dell'esercito di sua maestà poco avvezzo a tali cambiamenti.
Inga sfilò dal portagioie una spilla luminosa tornando a concentrarsi sul proprio lavoro.
Il diamante era stato tagliato da mani abili e l'argento che lo racchiudeva ne rendeva la luce simile più che mai ad una stella.
La treccia venne sollevata e raccolta su sé stessa fermandosi appena sopra il collo, un ultimo giro poi il diamante bloccò i nodi setosi “Siete perfetta” sussurrò la vecchina posando le mani sulle spalle della giovane “Una principessa perfetta” “Sono ben lontana dalla perfezione sai?” la vocina di Erland invase leggera il loro discorso “Padre, mi racconti una favola?” Nils strinse più forte a sé i bambini sorridendo “La notte è fatta per le favole, la mattina invece, per i giochi” “Niente giochi prima di colazione” sussurrò Helena chinandosi leggermente verso la piccola “Non è bella la mamma?” domandò divertito il duca “Indossa un'abito dai colori dell'ambra che nessun'altra al mondo ha il privilegio di possedere ...” le dita si strinsero teneramente attorno al suo polso costringendola a ridere “ … ha occhi di mare dipinti da Odino e la bellezza di Freija” “Mamma è un gioiello” “Esatto” esclamò divertito “La mamma è un gioiello” “Un gioiello prezioso che deve incontrare ospiti molto importanti” esclamò Inga tirando la giovane leggermente indietro “Dovete finire di prepararvi altezza” “Sono pronta” “Lo sarete quando lo dico io” “Ma non credo di dover ...” “Siete la stella più luminosa del firmamento, non crederete davvero che vi lasci uscire là fuori come una stracciona!” lottare con Inga era inutile, assomigliava in modo impressionante ad un muro di pietra invalicabile.
Fece un bel respiro sedendo di fronte allo specchio ma lo sguardo severo della donna non seguì i suoi passi al contrario, restò ben saldo sul volto del duca “Voi?” “Io cosa?” domandò confuso Nils giocando con la manina di Elin “Avete intenzione di alzarvi?” “Curioso, credevo di dover andare incontro a mia madre nel pomeriggio” mormorò ironico ma la vecchina non rispose, posò le mani sui fianchi costringendolo sospirare “In un'altra corte saresti stata punita” “Fortuna che sono nella vostra allora” “Inga, possiamo avere i tuoi biscotti?” “Certo principe però ora ...” aiutò il bambino a scendere dal letto ridacchiando “ … via di qui, vostro padre deve vestirsi” Elin seguì il fratello e prendendo la mano di una giovane cameriera, lasciò la stanza.
Un paravento finemente decorato venne fatto entrare nascondendo agli occhi delle serve il duca “Ecco il fastidio delle camere comuni” mormorò irritata la governante invitando gli attendenti ad entrare “Che bisogno avete di restare qui dentro giorno e notte?” “Mia moglie” Helena rise perdendosi qualche secondo nel sorriso di Corinne “Dico solo che se aveste dormito nella vostra stanza ora, non ci sarebbe questo problema” “Sei fastidiosa Inga, te l'ho mai detto?” un giovinotto dall'aria svampita si avvicinò al duca con una camicia candida tra le mani.
Ci mise pochi secondi a vestirsi e quando riapparve davanti alla governante, lo sguardo che lesse sul suo volto liberò una risata meravigliosa “E secondo voi siete presentabile?” “Quanto basta per raggiungere le mie stanze e vestirmi adeguatamente” “La camicia mezza slacciata, i capelli sciolti, a volte mi chiedo chi vi abbia allevato” “Diciamo solo che tu hai avuto ampio merito nella mia crescita” “Era un duca che speravo diventaste, non un orso di montagna privo di buone maniere” ma l'altro rise lasciando un bacio sulla guancia della donna “Ci vediamo più tardi amore mio” un debolissimo sì, un bacio leggero poi solo il silenzio attorno a lei.




I minuti passarono veloci, il via vai di cameriere cessò di colpo mentre e una donna bella ed elegante prese vita davanti allo specchio “L'ambasciatore è già arrivato?” “Si altezza reale” “Puoi andare Corinne, grazie” un debole inchino poi un sorriso leggero e il suono dei passi nel corridoio.
Camminava tranquilla con lo sguardo fiero di chi può piegare il mondo intero ai propri piedi e forse lei, questo potere l'aveva davvero.
La schiena dritta, le spalle rilassate, aveva perso da anni ormai il passo cadenzato dei soldati tuttavia, conservava nella postura l'imposta eleganza che rendeva ogni suo movimento leggiadro.
Le guardie schierate lungo il corridoio abbassavano lo sguardo al suo passaggio a.
Una porta, un'altra ancora poi gli occhi verdi di quel giovane irriverente che senza vergogna alcuna spiava il suo volto “Vi siete perso?” “Vostro marito desidera vedermi ma temo di aver sbagliato strada” chinò leggermente il capo indietreggiando di un passo ma la giovane sorrise “Mi dispiace lasciarvi solo ma ho delle udienze che mi aspettano e ...” “Da quando concedete udienze?” “E voi da quando fate domande così irriverenti?” Andrè socchiuse appena gli occhi studiando il suo volto.
Cercava di leggervi qualcosa di diverso dall'ironia che le colorava la voce ma non c'era nient'altro se non pura e semplice sfida “Mio marito al momento è occupato e credo lo sarà per le successive sei ore. Mi dispiace privarvi della sua compagnia ma ci sono questioni urgenti che richiedono la sua presenza. Tuttavia ...” si fermò qualche secondo giocherellando con la collanina “ … potete accompagnarmi se lo desiderate” “No, io non credo sia ...” “Opportuno? Consideratela una visione diversa sulla vita politica del paese, e inoltre, colmerete l'assenza di mio marito per qualche minuto” l'espressione su quel volto di perla divenne improvvisamente più delicata.
Forse era colpa sua, forse non era abbastanza forte ma era certo ormai, che nella sua voce, nei suoi occhi, nel battito di quel cuore non vi era più nulla di loro.
Era andata avanti, era stata più brava di lui e guardando al domani, aveva costruito una vita preziosa che si era cucita addosso come un abito pregiato.
Fece un bel respiro annuendo.
Fecero poca strada prima di fermarsi davanti al cerimoniere, le porte vennero aperte e la voce dell'uomo si sparse per la grande sala.
C'erano uomini in divisa, nobili, dame costrette in pesanti vestiti, i loro occhi inchiodati all'incedere elegante della giovane, le voci sussurravano, lodavano senza nemmeno preoccuparsi di quell'uomo sconosciuto che camminava pochi passi dietro di lei.
“Uno alla volta Julius” “Come vostra grazia desidera” attraversarono quel mare vivente fino ad una camera più piccola e decisamente più accogliente.
Le porte vennero chiuse e il silenzio invase di nuovo ogni angolo.
Al centro della sala una poltrona di velluto rosso che recava sullo schienale il simbolo della famiglia reale svedese e al suo fianco, due scranni più piccoli sui quali sedevano due uomini dall'aria altera.
“Altezza reale” mormorò uno di loro baciando la mano della giovane “Oggi siete uno splendore” “E voi siete troppo buono consigliere Aström” “Sciocchezze, è mio compito dirvi sempre la verità” lo sguardo dell'uomo si posò confuso sul volto di Andrè “Non preoccupatevi, è un amico di mio marito, è solo desideroso di conoscere il meccanismo che muove il complicato mondo delle udienze” “Sono sempre onorato di conoscere uomini assetati di conoscenza” Helena rise divertita da quell'attimo di imbarazzo che lo costrinse a trattenere le parole.
Sedette silenziosa posando una mano sul bracciolo, sembrava una di quelle dame altere che molte volte aveva visto nei quadri, con lo sguardo freddo, l'espressione infastidita da quella cerimonia che mal sopportava eppure, nonostante tutto, in quel mondo lei ci stava più che bene.
La voce del ciambellano irruppe nel silenzio “L'ambasciatore francese De Rembrant” “Di nuovo lui” sussurrò irritata “Di nuovo qui per voi” “Per le sue sciocche richieste vorrete dire. Mio marito è piuttosto contrariato dal suo comportamento, ho idea che il nostro ambasciatore durerà poco” il vecchio rise divertito mentre un uomo impettito si avvicinava alla giovane.
Era basso e sgraziato, indossava un abito troppo stretto di un colore strano, a metà tra la porpora e il rosa.
Sul naso aquilino portava un paio di occhialini buffi e tondi che mal si addicevano al suo volto“Vostra grazia è oggi più bella del sole stesso” “Oggi il sole non c'è, ambasciatore” l'uomo trattenne qualche secondo il fiato esibendosi in un profondo inchino “Il sole è sempre splendente anche quando le nubi lo avvolgono” “Siete qui per parlarmi del tempo?” “No vostra grazia, sono qui per parlarvi dell'accordo tra Francia e Svezia” Aström tossicchiò aprendo un libro dalle pagine ordinate “Di quali soldi stiamo parlando signore?” “Perché dovremo parlare di soldi?” “Se un'ambasciatore francese chiede un'incontro urgente con la mia signora, qualcosa vorrà pur dire non siete d'accordo?” “Siete a conoscenza del motivo per cui esistono questi pagamenti?” domandò Helena appoggiandosi dolcemente allo schienale.
Le mani giocavano lente con il laccio del corpetto e gli occhi scavavano profondi solchi nella mente dell'uomo che aveva di fronte, un uomo piccolo di statura, dall'aspetto goffo ma veloce di pensiero.
Conosceva bene l'ambasciatore francese, era noto per un'insolita capacità di raggiro che mal si accompagnava alla filosofia svedese “Non vorrete forse dirmi che la famiglia reale, così all'avanguardia nel modo di pensare, è in grado di portare rancore vero?” “Vi siete divertito ad aggirare con sciocchi trucchetti mio suocero, come potrei portarvi rancore?” “Sono passati due anni altezza reale” “Dunque è vostro desiderio vedermi approvare la richiesta che portate con voi?” “Se la maestà vostra ci concede questa grazia” “E perché dovrei farlo?” domandò gelida, Andrè trasalì stupito dalla freddezza della giovane.
Era svelta nelle risposte, abile e preparata, in qualche modo la copia esatta del generale dallo sguardo spietato che in passato l'aveva costretta a lunghi allenamenti con la spada “Siete al corrente della situazione che vive in Francia? Diciamo solo che la povera gente di Parigi ve ne sarà molto grata” “La povera gente di Parigi non ha motivo per ringraziare una duchessa svedese. La fame e la povertà che vivono nelle vostre strade è colpa di una politica scellerata che offre come risultato sprechi e miseria” “Quindi rinnegate la contessa francese che una volta viveva in voi? Questo non me lo sarei mai aspettato da un colonnello delle guardie reali” Helena sorrise e nei suoi occhi apparve l'ombra leggera dell'ironia “Come potrei rinnegare il sangue che mi scorre nelle vene? Sono orgogliosa del mio passato” le mani caddero dolcemente nel vuoto mentre la dama dagli occhi di ghiaccio, si alzava lenta dal suo trono.
Un lupo in caccia, un lupo che non temeva il giudizio né il confronto, camminava verso l'ambasciatore incurante dei suoi sguardi fin anche troppo spinti, incurante di ogni cosa.
Un passo, un altro ancora “Ma ho sposato un duca svedese, un granduca per l'esattezza. Il cugino del re, così vicino al sovrano da considerarsi prossimo nella linea di successione al trono se il nostro re lo desidera” “Si, sono al corrente di tali informazioni” la giovane annuì elegantemente muovendosi leggera attorno a lui “Siete allora al corrente della mia posizione ambasciatore” “Avete l'aria confusa giovane signore” sussurrò l'anziano consigliere avvicinandosi ad Andrè.
Nei suoi occhi c'era allegria e orgoglio in quel sorriso freddo quasi quanto l'inverno “Come ci riesce? Come riesce ad oscurare perfino i suoi pensieri? Non riesco a capire come ...” “Si che lo capite, voi la conoscete bene” “Cosa ve lo fa credere?” “Gli occhi non mentono ragazzo. Vi conoscete da tempo perché nello sguardo della mia signora c'è tranquillità, una pace data dall'avere accanto un amico di lunga data e non un semplice conoscente del marito” “Non siamo più così amici signor consigliere” “No è vero, ma vi sorride il cuore quando ascoltate le sue parole” “Veramente, mi aspetto di vederla trapassare da parte a parte il corpo di quel pover'uomo” “Le parole tagliano più di una lama” seguì lo sguardo del vecchio tornando ad incontrare quella scena confusa.
La giovane camminava serena attorno all'ambasciatore, il volto leggermente sollevato dall'orgoglio, le labbra schiuse nel sorriso irrisorio più bello del mondo “Mio marito è un uomo potente, un uomo che tollera male i ricatti, specialmente se questi sono fatti a suo padre” “Per questo manda voi? Si nasconde dietro al volto d'angelo della sua sposa pur di evitare il confronto” “Non ho alcuna intenzione di lasciar cadere quel beneficio ambasciatore. Riferite pure ai vostri sovrani che l'alleanza con la Svezia ha un costo e che diciassette anni fa, per mano del duca Choiseul fu redatto tale contratto” “Condannate il popolo alla fame così facendo” “Perché venite da me? È con sua altezza Gustavo che dovete parlare, io non ho alcun potere al riguardo” si fermò davanti a lui “Non posso sciogliere un regio decreto lo sapete bene” “Avete ragione ma vedete, sappiamo entrambi che l'unico modo che ho per restituire un po' di respiro al popolo, è la vostra parola con il sovrano svedese” “Perché dovrei farlo?” “Entrambi sappiamo che il re non è insensibile alle vostre richieste” “Vi prego di ricordare ambasciatore che è con una granduchessa che parlate ...” strinse più forte le labbra cercando di trattenere la rabbia “ … non con un'amante del re” due guardie si mossero rapide portandosi al suo fianco ma ad un cenno del capo, indietreggiarono di nuovo riponendo le armi.
“Voi desiderate una parola buona con il mio sovrano? Ebbene, ecco il patto” il consigliere accanto ad Andrè sospirò portandosi una mano alle labbra.
Giocava con i lunghi baffi candidi mormorando qualcosa in una lingua a lui sconosciuta, un gesto semplice eppure intriso di preoccupazione “Scioglieremo il beneficio annuale di mezzo miliore di lire ma l'esercito svedese riterrà sciolto con esso anche il patto tra i nostri sovrani” “Non potete farlo, abbiamo bisogno dei vostri uomini per ...” “Per cosa? Forse le loro altezze reali non sono in grado di difendersi con il proprio esercito?” André trasalì cercando un motivo, anche una stupida scusa per comprendere quelle parole.
Oscar era sempre stata molto legata alla regina Maria Antonietta ed ora, quella tenera amicizia nata nell'adolescenza, appariva come una scialba immagine di un ricordo senza più alcun valore “Il popolo è affamato, i bambini muoiono per le strade e nessuno ha più un soldo nemmeno per curarsi. Quanto pensate possa durare ancora?” “Le scelte di sua maestà Luigi XVI sono ponderate e prese con il massimo rispetto nei confronti del popolo” “E sua maestà sa cos'accade al di fuori delle mura sicure della sua casa?” sbottò irritata avvicinandosi di un passo “Non si governa con la frusta né si sfrutta il popolo fino alla fame. Una nazione, una grande nazione come lo è la vostra ambasciatore, merita dei regnanti capaci, sovrani in grado di comprendere la paura che ora si insinua per le strade” “E che ne sa una granduchessa svedese della paura? Avete tradito la vostra nazione, avete disonorato il nome di vostro padre sposando un uomo che non ha mai tollerato qualsiasi cosa provenga dalla Francia!” “Se questo vi infastidisce allora forse dovreste parlarne con mio padre ma vi avverto ...” si fermò qualche secondo mordendosi il labbro “ … è piuttosto suscettibile al momento, non tollera molto bene i richiami e mal sopporta discorsi che riguardano le sue scelte” “Voi non avete la minima idea di cosa ...” “Questo è l'accordo ambasciatore, se siete pronto ad assumervi tale responsabilità allora prego, firmate senza rimorso alcuno” allargò leggermente un braccio, un giovane vestito con abiti raffinati si avvicinò a lei.
Reggeva tra le mani un libro dall'aspetto pesante, in esso vi erano custoditi documenti e decreti importanti per lei, per il bene della Svezia.
Nella mano sinistra una piuma d'oca e un calamaio, Helena inspirò a fondo tornando a cercare gli occhi dell'ambasciatore “Se fossi in voi, prenderei un po' di tempo per comprendere le conseguenze che tale scelta può portare” lo vide trasalire, indietreggiare di un passo “Non è così semplice vero? Eppure, avete fama di essere un uomo retto, un uomo capace di scegliere solo il meglio per la Francia. Coraggio allora, fate la vostra scelta” ma l'altro non rispose “Avete un giorno di tempo ambasciatore, un giorno appena al termine del quale, riterrò nulla la mia proposta e non vi verrà concessa una seconda udienza” e senza più aggiungere una parola, tornò sui propri passi mettendo fine a quell'incontro.
Il volto rubicondo dell'uomo si colorò di un bianco ceruleo, lo sguardo smarrito e le mani tremanti, il cerimoniere si avvicinò a lui sussurando qualcosa, forse un congedo.
“Siete stata brava” mormorò Aström chinando il capo “Si, devo ammettere che mi sono piaciuta” “Non è stata affrettata come decisione?” “Non firmerà” “Ne siete sicura?” gli occhi di cielo scattarono veloci infuocando il volto di Andrè “Voi rinuncereste a migliaia di uomini ora che il popolo minaccia una rivolta?” “Io non credo di ...” “Pomposi burattini senza nervo!” esclamò irritata costringendo il giovane a trattenere le parole.
Il volto leggermente arrossato, il respiro accelerato dalla rabbia che mal celava “Come si permette? Viene qui, in casa mia e … l'ho detto più di una volta alla regina, le ho detto che era sbagliato, che affamare il popolo era ...” “Vi ha chiesto solo un po' di respiro per la povera gente” “Conosco bene il secondo fine di questa richiesta e la mia risposta è no Andrè!” il cielo e il mare si incontrarono di nuovo fondendosi assieme.
C'era rancore nel cielo, sprazzi di nostalgia ben legata alle nubi che vi correvano dentro, nubi che nemmeno il mare era in grado di disperdere ma poco importavano i sentimenti, lei non apparteneva più alla Francia, non apparteneva a nessun'altro se non a sé stessa.
La vide sospirare, chiudere gli occhi qualche secondo nel tentativo di ricacciare indietro la voglia folle di urlare.
Un respiro lento, profondo, il petto si mosse dolcemente seguendo il tenero canto della natura “Basta così” sussurrò infine cercando il volto del consigliere “Cancellate ogni altra udienza” “Siete sicura di ...” “Che vadano a piangere dai loro sovrani i dispiaceri della vita, sono stanca di ascoltare sempre e solo lamentele” “Come vostra grazia desidera” “Fate passare gli ambasciatori svedesi affinché io possa respirare un po' d'aria pura” “Li ricevete subito?” “Nella sala della musica, Ulek!” lo sguardo di Andrè si mosse rapido seguendo quello della giovane.
C'era un uomo nascosto nel buio.
Appoggiato alle colonne se ne stava immobile a mangiucchiare un pezzo di legno.
L'aveva già visto in passato, gli uomini svedesi erano soliti masticare piccoli rametti o legnetti dal profumo pungente.
Ricordava il primo incontro con lui, il volto scuro, gli occhi come carboni ardenti che bruciavano la pelle e poi quelle cicatrici sulla guancia, sul collo.
Lo vide annuire appena avvicinandosi silenzioso alla duchessa “Se till att alla kommer ut. Nionde protester tillåts” "Nu ska jag skicka mina män för att utföra dina order" “Subito!” l'altro annuì chinando rispettoso il capo.
“Cos'è appena ...” mormorò confuso ma il vecchio al suo fianco scosse mesto la testa “La duchessa non ama giocare con la politica” “Non le è mai piaciuto a dire il vero” “Tuttavia, la sua mente è dotata di una sorprendente capacità di reazione. Riesce a leggere nei cavilli delle parole rendendo il complicato improvvisamente semplice” “Per questo è arrabbiata?” “Ci sono ragioni dietro a determinate scelte, accordi che non possono essere sciolti per capriccio né per gioco. È arrabbiata con il mondo falso che la corte di Parigi ha creato” “Sembrate dimenticare che anche la vostra signora appartiene a questo mondo” “A quanto ne so ...” chiuse il libro invitandolo a seguire i propri passi “ … la mia signora era tutto fuorché un'insipida dama invischiata nella politica” un debole sorriso sulle labbra e la consapevolezza di avere davanti una donna adulta, libera nelle proprie scelte, libera di mostrare ciò che più gradiva.

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Capitolo 54
*** Sfida ***


                                                                    Sfida





Aria fresca sul volto, il respiro della natura che accompagnava il suo senza mai come un vortice violento.
Strinse più forte le gambe attorno ai fianchi dell'animale chinandosi leggermente in avanti, il rumore sordo degli zoccoli sulla neve riempì il silenzio restituendole sorrisi.
La mente era vuota, niente pensieri, niente paure, solo l'inverno, il respiro accelerato del cavallo e il battito sempre più forte del cuore.
Abbassò il volto nascondendosi dal vento ma il sorriso sulle labbra nacque spontaneo mentre la risata allegra di suo figlio accompagnava quella corsa.
Un giovane duca dallo irriverente che le cavalcava accanto senza preoccuparsi molto del freddo o della neve.
Niklas assomigliava in modo impressionante al padre, viveva in lui lo stesso orgoglio, la stessa voglia infinita di vivere.
Sette anni sono pochi per accorgersi del tempo che passa ma il suo bambino sembrava giocare con le ore e i minuti rendendo ogni altro pensiero effimero.
Cambiava davanti ai suoi occhi ogni volta un po' di più e il ricordo di quel piccolo aggrappato al suo seno si imprimeva a fuoco nella mente.
Non avrebbe mai permesso al suo bambino di essere infelice, non era quello il mondo che sognava per lui.
Niklas era l'erede di una grande famiglia ed era certa che un domani, sarebbe stato un uomo splendido, una guida per la sua gente perché il suo cuore, era così pieno d'amore da rendere luminosa anche una giornata di pioggia.
Era giusto crescerlo così? Quante volte si era fatta quella domanda, quante volte era rimasta sveglia la notte a guardarlo riposare sereno, quante volte aveva litigato con Nils per gli allenamenti troppo duri o i giochi concessi con troppa facilità ma ora, guardandolo negli occhi, il dubbio spariva e la certezza di aver scelto per lui solo il meglio, cancellava quell'attimo di debolezza.
Le regole erano rigide, gli svaghi rari ma tutto ciò, serviva a regalargli un futuro e quando un giorno, duca e padre, si fosse guardato alle spalle, avrebbe visto solo l'amore di sua madre e l'orgoglio di un padre che lo amava più della sua stessa vita.
Donava a suo figlio ogni attimo di tempo libero che il suo rango le regalava, gli donava la possibilità di crescere, di conoscere il mondo attraverso la guida dei più bravi istitutori, gli donava la voglia di scoprire cosa viveva oltre il confine sicuro della sua casa e velocemente, davanti agli occhi era nato un piccolo uomo assetato di conoscenza, incapace di attendere il normale sviluppo della vita e per certi versi, simile al nonno.
Nel volto roseo e perfetto del suo bambino, rivedeva i lineamenti forti di Nils e il taglio degli occhi di un generale che in passato, l'aveva costretta ad oltrepassare ogni limite negando perfino sé stessa al proprio cuore.
Ma ora quel generale, viveva nei respiri di suo figlio, nella sua risata, nel modo che aveva di portarsi le mani dietro alla schiena, quel generale era il nonno irraggiungibile che Niklas immaginava nelle lunghe notti di Svezia.
Molte volte le aveva chiesto come fosse, quale profumo avesse la sua pelle e molte volte, quelle domande scomparvero veloci com'erano arrivate perché c'era un altro nonno ad occupare le sue giornate eppure, la curiosità verso un mondo che non conosceva, lo spingeva a chiedersi quanto di lui vivesse nel generale.
Strinse più forte le redini tra le mani costringendo il cavallo a bruschi cambi di direzione, si voltò appena cercando il volto di Niklas e lo vide ridere seguendo senza paura ogni suo passo poi la luce più chiara, il fischio leggero dei falchi e un'ombra nella foreste.
La mano destra scivolò sul fianco del cavallo stringendosi con forza attorno all'arco “Un colpo solo Nicke, un colpo alla base del collo” il bambino annuì deciso copiando ogni singolo gesto della madre, la vide sollevare il volto al cielo e poi sentì la sua voce alzarsi forte e decisa “Heimdallr
driva den framåt!” il falco scese rapido verso gli alberi ormai scarni, tesero l'arco come un sol uomo e le frecce schizzarono attraverso l'aria rapide e perfette.
Un tonfo ovattato, la risata di suo figlio nelle orecchie mentre tiravano con forza le redini “L'abbiamo preso madre!” esclamò estasiato Nicke scivolando giù dal suo cavallo“Avete visto com'è grande?” domandò correndo verso il corpo tremante del cervo.
Rise divertita scendendo da cavallo e riponendo l'arco, raggiunse il figlio inginocchiandosi accanto a lui “Ha dei palchi meravigliosi” “Sei stato bravo amore mio, un unico colpo alla base del collo” poi il passo degli altri cavalli e un uomo orgoglioso che applaudiva estasiato “Sei stato perfetto bambino mio!” “Davvero padre?” “Non hai esitato, non ti sei fermato. Hai scoccato quella freccia con una forza tale da lasciarmi senza parole!” la mano di Nils si posò sulla testa del figlio scompigliandone leggermente i capelli “Ora richiama il falco ...” strinse le dita attorno al polso del bambino guidandolo “ … rilassa la schiena, le spalle basse, il braccio dev'essere morbido e poi …” sollevò appena il volto del figlio sorridendogli “ … un bel fischio amore mio” Niklas seguì gli ordini del padre allontanandosi di qualche passo da loro.
“Sono così orgoglioso di lui” sussurrò Nils aiutando la giovane a rialzarsi “Diventa ogni giorno più bravo” “Riesci ad immaginarlo Helena? Un giovane uomo impavido e preparato al mondo” un dolcissimo sorriso le sfiorò le labbra “Forte, determinato e anche piuttosto piacente” “Piacente?” domandò divertita seguendo i passi del figlio.
Camminava attorno al cervo osservando ogni movimento degli uomini.
Accarezzava con la mano libera il dorso lucente del falco soffermandosi di tanto in tanto sul suo sguardo luminoso “Vostra grazia dimentica forse che è mio figlio” “Questo dovrebbe impressionarmi?” “Enormemente” la strinse a sé ridendo di quell'espressione a metà tra l'ironia e il dispetto “Hai ragione amore mio, sarà un gran bel duca” “Ti assomiglia così tanto” “Trovi?” domandò Nils staccandola appena da sé “Ulek amico mio” l'uomo chinò rispettosamente il capo avvicinandosi a loro.
Aveva il volto sporco di sangue e stringeva nella mano sinistra un coltellaccio dalla lama lucente “Secondo te mio figlio mi somiglia così tanto?” “Stessa faccia mio signore” “La dolcezza dei suoi lineamenti non conta nulla allora?” “No vostra grazia, la dolcezza della mia signora è negli occhi del giovane duca, senza contare il fatto che il sorriso appartiene a vostra grazia” Helena annuì orgogliosa “E se mi è permesso parlare liberamente signore ...” il voltò si tirò in un sorriso strano, perfino divertito “ … l'ironia e la caparbietà sono un'altra dote naturale rubata alla madre” “Visto? Ulek vede meglio di voi” ma Nils non rispose, si limitò a baciarla mentre un giovane servo si avvicinò a lui.
Nelle mani stringeva le redini del cavallo e sul volto spaurito un chiaro pallore “Perdonate la mia intrusione, non è mia intenzione disturbavi mio signore ma ...” “Che è successo?” domandò irritato stringendo la mano attorno a quella di Helena “François mi ha ordinato di raggiungervi, ci sono disordini e tafferugli che ...” “Dove?” “All'ingresso nord mio signore” la mano lasciò andare lentamente quella della giovane costringendola a cercare sul suo volto rispose che non poteva dare “Ulek, portali a casa” “Non pensarci nemmeno” “Helena, ti prego” restò immobile qualche secondo, gli occhi persi nei suoi e milioni di parole nella mente “D'accordo” la tirò tra le braccia inspirando.
Il suo profumo si attaccò all'anima rallentando i battiti violenti del cuore “Porta Ulek con te” “Non se ne parla nemmeno, non ti lascio da sola chiaro?” “Nils, ti prego, fallo per me” “Perché?” “Posso tornare a casa da sola, non ci sono pericoli qui” “L'avevi detto anche del viaggio e della permanenza in Francia e a quanto pare, il popolo è piuttosto avverso amore mio” “Sono solo arrabbiati” “Anche io spesso mi arrabbio ma non sfondo cancellate e vetri, non uccido nobili a caso” un debole sorriso colorò le labbra della sua sposa mentre Niklas si aggrappava alle sue gambe “Padre ...” si inginocchiò davanti a lui agganciando il laccio del mantello appena sotto al collo “Ci sono disordini che minacciano la nostra casa e la nostra famiglia. Devo raggiungere l'ingresso a nord per assicurarmi che nessuno entri nel parco e domani, quando tutto sarà passato, festeggeremo il Natale e la nascita della tua mamma” “E torneremo a casa?” sussurrò il bambino sollevando il volto verso la giovane “Appena dopo Natale, te lo giuro amore mio” “Ho un compito per te Niklas” lo sguardo tornò a scattare rapido inchiodandosi al volto del padre “Devi riportare la mamma a casa sana e salva, puoi farlo?” “Certamente padre” “Bravo il mio bambino” lo strinse a sé sorridendo “Ora ...” riprese alzandosi “ … via da qui, voglio vedervi lasciare la mia presenza entro pochi secondi” “Non sono una delle tue guardie Nils” sbottò ironica sistemando la staffa del cavallo “Non ho mai pensato che lo fossi” “Allora non darmi ordini” l'altro sollevò appena le mani ridacchiando “Ulek?” “Sono pronto vostra grazia” “Mi assicuri che i tuoi uomini sorvegliano la tenuta?” “Mio fratello li accompagnerà fino al palazzo. Due ore a cavallo, andrà tutto bene vostra grazia” “Non mi tranquillizzi così” “L'avete già lasciata sola altre volte in circostanze ben peggiori ricordate?” ma l'altro non rispose, si limitò a sospirare seguendo ogni passo della sua sposa “Ricordate come l'abbiamo trovata al nostro ritorno?” rise annuendo al ricordo di quegli attimi così folli “Seduta su una roccia ad affilare la spada” “Avete scelto una guerriera, come potete chiedere ad una donna del genere di comportarsi da docile moglie?” “Hai ragione. Andiamo amico mio” “Nils ...” si voltò appena incontrando due occhi di cielo pieni di domande.
“Ti ho fatto una promessa ...” si avvicinò al cavallo intrecciando le dita a quelle della giovane “ … terrò fede a questo giuramento Helena, ora vai” lesse nei suoi occhi la paura, per la prima volta da anni quel sentimento tornava a farle visita cancellando in pochi secondi ogni certezza.
Non avrebbe mai voluto vederla così ma quelli erano periodi difficili, le strade non erano sicure per nessuno tanto meno lo erano le battute di caccia per una donna così bella perché in quel clima surreale, i titoli e i gradi non contavano più.
Le mura non garantivano più protezione e i cancelli non impedivano all'odio di entrare.
Fece uno sforzo enorme a lasciarla andare, la mano scivolò nel vuoto mentre gli occhi sussurravano frasi silenziose che solo loro riuscivano a leggere.
Prese dalle mani del servo le redini e senza più fermarsi montò in sella spronando con forza l'animale, Ulek lo seguì scomparendo nel buio del bosco “Madre?” “Oss tillbaka hem!” il falco lasciò il braccio di Niklas alzandosi in volo “Andiamo amore mio” si chinò leggermente di lato sollevando il figlio, lo strinse con forza sistemandolo davanti a lei “Moég!” “Altezza reale” “Porta con te il cavallo di mio figlio e prendi tre guardie” “Mia signora voi ...” “Assicurati che non ci sia nessun altro in giro per il parco” “Ne siete sicura? Vostro marito ha ...” “Mio marito ha altro a cui pensare in questo momento” “Verrò punito per questo” ribatté montando a cavallo ma lei rise “Nessuno verrà punito questa notte” coprì il bambino nascondendone il volto prezioso nel pesante cappuccio.
Non le piacevano le guerre, e men che mai le guerre tra poveri perché se un ricco lotta e combatte lo fa per scelta ma un uomo comune, un contadino a cui il re hanno rubato ogni cosa , cos'aveva da perdere un uomo così? La Francia era piena di uomini comuni, uomini e donne che non avevano scelta alcuna e ai quali non importava nulla della divisione sociale che li separava.
Lei era una duchessa, avida, sciocca, priva di cuore, così appariva agli occhi di quei poveracci e a poco sarebbe valso tentare di spiegare la realtà.
Non conosceva l'entità di quella rivolta né voleva saperlo, tutto quello che desiderava era tornare in Svezia, lontano da quel caos di mente e cuori ma di una cosa era certa, se qualcuno avesse provato a sfiorare suo figlio, sarebbe smontata da quel cavallo e gli avrebbe trapassato la gola da parte a parte.
Fece un bel respiro cercando di ritrovare la calma, sentiva il corpo di Niklas unito al suo, la confusione del suo sguardo che perfino da lì riusciva a vedere.
Le redini si strinsero con forza attorno alle dita, il cavallo partì al galoppo e d'improvviso, ogni pensiero divenne sciocco ed effimero, c'era solo un motivo per correre verso casa e quel motivo, stringeva con forza le mani guantate attorno alle sue chinando il capo in avanti per evitare il vento.





“E così il vostro incontro non ha avuto successo” “No altezza reale” fece un bel respiro sedendo sul seggio dorato “Non va bene ambasciatore, vi ho chiesto di eliminare quel patto, non fa bene al mio popolo e voi tornate da me con un'accordo che mai firmerò” “Ho provato vostra maestà ma quella donna è piuttosto testarda e, oserei dire, anche piuttosto furba” il re sospirò appena ridendo “Furba? È stata al mio servizio per anni ambasciatore. Devo a lei molto più di quanto lei non debba a me” l'altro tossicchiò appena avvicinandosi di qualche passo “Forse, se la maestà vostra me lo concede, potremo chiedere aiuto a sua altezza reale la regina Maria Antonietta” sul volto di Luigi passò un lieve attimo di stupore.
“La regina?” “L'avete detto voi poco fa, la duchessa è stata al vostro servizio per anni e a quanto ne so altezza, è stata la guardia personale della regina” “Non ho alcuna intenzione di esporre sua maestà ad un pericolo tanto grande” esclamò perentorio stringendo più forte la mano attorno al bracciolo.
Un paggio elegantemente vestito si avvicinò al re con un vassoio d'argento ma un cenno del sovrano bastò per riportarlo al proprio posto “Sire, non avete bisogno di raggiungere la tenuta della duchessa, basterà convocarla. Un nobile francese è tenuto a rispondere ad un invito di sua maestà” “Voi dite?” l'ambasciatore annuì deciso spingendo leggermente in su gli occhiali “Ha sposato un duca svedese ma questo non vuol dire che da qualche parte, batta ancora un cuore francese” “E sia, fatela convocare ma sarà vostro compito mettere al corrente sua maestà la regina dell'intera faccenda” “Come vostra altezza ordina” rispose l'altro chinando rispettosamente il capo fin quasi a toccare terra.
“Ora lasciatemi, ci sono gravi decisioni da prendere e in questo momento, ho bisogno di riflettere” un debole cenno del capo, passi silenziosi e poi solo il niente.


“Quando è arrivata?” “Pochi attimi fa” prese la busta tra le mani sorridendo “Profuma proprio come lei” Inga le sollevò il volto studiando per qualche secondo lo sguardo della giovane “Vi manca non è così?” “Non lo so. Ho passato così tanto tempo lontano dalla Francia che ora mi sembra tutto così strano” “Strano?” “Hai mai la sensazione di vivere in un sogno che non ti appartiene?” la donnina indietreggiò di un passo portandosi una mano alle labbra “Ecco Inga, è questo che provo qui. Amo la mia terra, la amo al punto da costringere mio marito e i miei figli a lasciare la sicurezza di casa per soddisfare un mio capriccio” “Capriccio? Voler passare il Natale assieme al proprio padre non è affatto un capriccio” “No?” domandò divertita sedendo sulla poltrona “Forse hai ragione Inga, però vedi, restare qui, respirare di nuovo quest'aria, forse è colpa della Svezia” l'espressione confusa sul volto della governante la costrinse a continuare “Prima di incontrare la purezza intatta dei suoi boschi e delle sue vallate, vivevo in una gabbia, una gabbia dorata. Le scelte di mio padre mi hanno permesso di accedere a privilegi che altrimenti mi sarebbero stati preclusi ma in questa gabbia stavo soffocando. Ogni giorno diventava più piccola e mio padre vi costruiva attorno un mondo fatto su misura per lui e non per me poi è arrivato Nils ...” si fermò qualche secondo aprendo la busta candida “ … ha portato con sé la libertà e la possibilità di diventare di nuovo donna, di nuovo Oscar” “Lo siete sempre stata” sussurrò l'altra sfiorandole il volto “Solo che non avevate il coraggio di scoprire la dolcezza che viveva nel vostro cuore. Avete imparato troppo tardi ad amare ma vedete cosa siete diventata?” le sorrise seguendo con le dita i lineamenti delicati del suo volto “Siete una donna bellissima, una madre meravigliosa e una moglie perfetta per il lupo sconclusionato che ho allevato” borbottò indispettita “Avete imparato a brillare come la luna e proprio come la luna, guardate il mondo con occhi di cristallo” “Perché sei così buona con me?” ma l'altra non rispose, la tirò leggermente in avanti accarezzandola “Di cosa avete paura?” “Non è ancora tornato” “Sta bene, conosco il mio lupacchiotto, sarà a casa prima di pranzo e vi porterà un dono” “Non voglio doni, desidero solo rivedere il suo volto” “Io credo che dovreste aprire la lettera di sua maestà la regina” sorrise allontanandosi di nuovo da Inga.
La carta scricchiolò appena sotto le dita, quella calligrafia l'avrebbe riconosciuta in mezzo a migliaia.
Le lettere allungate, ordinatamente riposte una dopo l'altra, si inclinavano leggermente verso destra rendendo ogni parola colma di eleganza “Una convocazione a Versailles” “Questo è davvero un grande onore” “Tu dici?” sussurrò posando la lettera sul tavolino “Fai chiamare i miei consiglieri per favore” “E perché mai? Non è forse una convocazione privata?” “Si, ma sento il dolce aroma del sotterfugio anche da qui. I miei figli?” “Niklas ha rifiutato la colazione vostra grazia” Helena sospirò alzandosi “Falla servire di nuovo in biblioteca, mio figlio mangerà assieme a me” l'altra annuì appena lasciando la sala.
Non si sentiva per niente bene, i brividi salivano lungo la schiena e il cuore batteva così veloce da farle male.
Strinse più forte i pugni cercando di ritrovare un attimo di respiro ma vorticava ogni cosa nella stanza e il gelo che sentiva sulla pelle, sembrava diventare ogni secondo più forte, Corinne si avvicinò a lei stringendo Reine tra le braccia “Siete pallida mia signora” “Sto bene” “Ne siete sicura?” annuì distratta sorridendo al faccino imbronciato del piccolo “So cosa vi fa soffrire così” mormorò Corinne “Ma non datevi pena, molte volte è accaduto in passato ricordate?” “Già, ma non c'era una rivolta nel cuore degli uomini né così tanto odio per il mondo” “Vostra grazia mi ha fatto chiamare?” “Consigliere, venite avanti” l'uomo chinò appena il capo raggiungendola.
Aveva il respiro affannato, un lieve rossore sulle guance e la voce spezzata dalla corsa “Siete a conoscenza di questa lettera?” indicò la carta abbandonata sul tavolino, l'altro annuì ridendo “Aspettavate una risposta ed eccola qui” “Questo conferma quanto in cuor mio già conosco” “E cosa sarebbe?” “Vostra grazia ha un'influenza molto forte sulle loro maestà. Se arrivano ad usare la regina per vedervi, allora state certa che da questo incontro non arriverà niente di buono” “Non sono un sovrano né ho il potere per decidere di sciogliere regi decreti. Se vogliono giocare alla guerra che scrivano direttamente al nostro re” sbottò irritata massaggiandosi il collo “Non ho né il tempo né la voglia di assecondare capricci e non accetto insulti!” l'uomo abbassò lo sguardo colpito da quella sferzata di rabbia che da troppo tempo non vedeva.
“François!” il vecchio servitore entrò trafelato mascherando la preoccupazione. Funzionava così quel mondo di regole, ad ogni sottoposto era consegnato un compito da eseguire, un posto, una vita.
Alcuni giorni le sembrava di vivere in un teatrino fatto di burattini e bambole di pezza, uomini e donne che correvano ai suoi ordini se solo lei schioccava le dita “Preparate il mio cavallo, voi venite con me?” il consigliere annuì appena sorridendole “Ma … ma vostra grazia, non ci si presenta al cospetto di un re così e non …” “Ho giurato fedeltà a questa regina e l'ho amata ogni giorno, ogni ora di questi ultimi anni ma la mia famiglia, i miei figli, loro vengono prima di qualsiasi giuramento François! Se è suo desiderio vedermi, allora lo farà anche adesso” l'altro corse via eseguendo quegli ordini folli “Vostra grazia è sicura di ciò che fa?” “Davvero?” sbottò ironica scostandosi dal volto i capelli “Il mio compito è regalarvi consigli” “Lo farete non preoccupatevi” la porta si aprì di nuovo e un giovane dallo sguardo di mare si guardò attorno confuso “La vostra casa è piuttosto rumorosa sapete?” “Siete qui per giocare con me?” “Siete arrabbiata duchessa, non mi sognerei mai di giocare con voi” sussurrò Andrè osservandola.
Aveva il volto arrossato, il respiro accelerato e inquietudine negli occhi. I capelli sciolti arrivavano fino all'incavo della schiena oltrepassandolo, non era nemmeno certo che respirasse ancora, i movimenti erano rapidi, nervosi.
C'era qualcosa in lei che non lasciava il cuore libero di seguire il normale ritmo della vita “State bene?” domandò confuso avvicinandosi di un passo ma lei non rispose, si limitò ad autorizzare l'entrata di Corinne.
Reggeva tra le mani una scatola d'ebano lucida, Helena sfilò l'anello e la catenina riponendoli al sicuro lì dentro “Se vostra grazia è pronta” “Andiamo” “Perdonatemi” lo sguardo corse rapido al volto del giovane togliendogli il respiro “Ho bisogno di parlare con voi di una questione piuttosto urgente e non ...” “Se avrete l'accortezza di attendermi, parleremo delle vostre sciocchezze tra mezz'ora più o meno” un sorriso irriverente sulle labbra e la confusione sul volto dell'uomo “Non prendetevela giovane francese” mormorò il consigliere dandogli una leggerissima pacca sulla spalla “Abbiamo ricevuto notizie piuttosto fastidiose” “A questo proposito” riprese l'altro “Vorrei parlare con il duca riguardo alla mia permanenza qui. Non ho alcuna intenzione di esporre mia moglie a pericoli che non sono necessari” “Ho idea allora che dobbiate aspettare Andrè” “Questo è quello che ripetete continuamente!” sbottò irritato stringendo più forte i pugni “Il duca al momento non è qui” “E dove sarà mai?” ma l'uomo corrugò la fronte sospirando “Ci sono disordini attorno alla nostra tenuta. Il duca ha lasciato la sua casa questa notte e non ha ancora fatto ritorno” Andrè trattenne il respiro indietreggiando di un passo.
Era quello il motivo di tanta rabbia, una distanza imposta che bruciava più del fuoco vivo.
Era preoccupata, sola, indifesa di fronte ad un mondo che voleva mangiarla viva “Voi avete passato più tempo di chiunque altro assieme alla mia signora” “Non credo sia saggio portare a galla ricordi del genere” “Venite con noi” “Cosa?” “Accompagnatela altrimenti prevedo grandi catastrofi all'orizzonte” “Non voglio offendervi in alcun modo ma ...” i passi rapidi alle sue spalle interruppe le parole.
Non era passato così tanto tempo eppure, quella che aveva davanti era una donna colma di risentimento che sembrava cambiare volto con la stessa velocità del vento.
Indossava un abito verde così scuro da sembrare nero, la vita era alta, si stringeva appena sotto al seno dov'era cucito un simbolo che mai aveva visto.
Le maniche si aprivano a metà dell'avambraccio rivelando la lucentezza di un incarnato di pesca, il tessuto si muoveva assieme a lei e lacci di cuoio scuri erano stretti appena sopra ogni gomito chiudendosi in un nodo leggero.
Con il freddo dell'inverno a minacciare assedi, era più che certo che quel nodo servisse a chiudere la manica e che tirandolo, una dolce magia di intrecci e disegni avrebbe stretto entrambi i lembi di tessuto.
Non c'erano corpetti né scollature, il taglio dolce della stoffa si apriva leggermente sulla schiena.
Un abito semplice, forse perfino troppo povero per l'alta nobiltà francese eppure, lui coi capelli erano stati raccolti dietro alla nuca e scendevano liberi sulla schiena costretti di tanto in tanto, da un fermaglio d'argento che aveva il compito di tenerli uniti.
Una coda tanto lunga da lasciare sulle labbra un sorriso perché chiunque guardandola, né avrebbe immaginato il profumo.
Il suo volto era sereno, la rabbia resisteva ancora nel suo sguardo ma permetteva tuttavia a quel cuore di rallentare.
Indossava una collana d'argento vivo che terminava con un simbolo, una runa, la stessa che Elin gli aveva rivelato e che lui aveva ignorato “Allora, di cosa volevate parlarmi?” “Siete molto bella” la vide sollevare appena il volto, gli occhi socchiusi nel tentativo di leggergli l'anima “Non ci sono secondi fini duchessa, è solo un complimento” “Non ho bisogno dei vostri complimenti” “Io però ho bisogno di chiedervi una cosa” “Avanti, dite pure” Corinne si avvicinò a lei agganciandole sul seno la fibbia del mantello “Chiedo il vostro permesso per congedarmi dalla vostra tenuta una volta per tutte” “Forse che le mura di casa mia vi recano offesa?” “No, solo non intendo esporre mia moglie a pericoli di cui non facciamo parte. Conosco bene quello che accade là fuori, sono parte del popolo ricordate? Le voci corrono piuttosto veloci” “Se la cosa vi aggrada andate pure, François si occuperà dei vostri documenti anche senza di voi” “Siete sicura di stare bene?” gli occhi si fusero assieme costringendola a tremare “Duchessa, se avete qualsiasi ...” “Sua altezza reale sarebbe onorata se vorreste seguirla a corte” “Cosa?” domandò confusa cercando lo sguardo del consigliere “Ricordate mia signora? Sono qui per darvi consigli” “E cosa c'è di saggio in tutto questo?” tirò il cappuccio nascondendosi dentro al pesante tessuto bordato di pelliccia.
Corinne si mosse veloce precedendola, niente ordini, niente imposizioni, bastava uno sguardo per muovere ogni uomo lì dentro.
Andrè restò immobile al proprio posto ignorando l'uomo al suo fianco “Ve ne prego, non lasciate che la rabbia prenda il sopravvento” “Non ho alcun motivo per restarle accanto. Anni addietro vi avrei seguito senza alcun problema ma ora ...” sorrise appena sistemandosi la giacca “ … non credo che la vostra signora desideri avermi attorno e io non ho alcuna intenzione di contravvenire a quel desiderio” si congedò amabile dal vecchio lasciandolo solo a tentare di districare nodi di pensieri troppo stretti.








 

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Capitolo 55
*** Piccolo Fiore ***


                                                       Piccolo Fiore





Un fiore di cristallo, era così che appariva ai suoi occhi Maria Antonietta.
Bella come allora, dolce e delicata, un piccolo fiore troppo debole per la cattiveria di quella corte, un fiore con spine fragili e forse perfino troppo presuntuoso.
Fece un bel respiro camminando lentamente attraverso la sala gremita di gente.
Sentiva i loro sguardi bruciare sulla pelle, le domande silenziose assetate di chiarimenti.
Perché era lì? Con quale diritto una granduchessa del nord camminava per i saloni di Versailles senza alcun controllo? E si divertiva ad immaginare le espressioni sui loro volti.
Lo sgomento, la confusione nel vedere una giovane donna avanzare senza paura alcuna, sicura in ogni suo passo.
Un abito che non apparteneva all'aristocrazia parigina, un abito cucito da mani abili che nulla aveva di pomposo o ingombrante e i capelli, lunghi, terribilmente lunghi e così luminosi da oscurare perfino il sole.
Ciocche dorate raccolte in una treccia considerata alquanto volgare ma che le permetteva di sorridere senza timore alcuno.
Il ciambellano si inchinò a lei piegando il bastone dorato, un cenno solo, le porte vennero chiuse alle sue spalle e assieme a loro, ogni sguardo, ogni sussurro, ogni stupida parola lasciva.
Erano sole, lei e quel passato dal quale era fuggita.
Vide il bel volto della regina illuminarsi, i suoi occhi di cielo riempirsi di emozione “Ho pregato in ogni lingua del mondo di potervi rivedere” chinò il capo seguita dal saggio consigliere che aveva con sé ma l'altra scosse la testa sorridendo “Ve ne prego, sedete con me” “Vostra grazia vorrà perdonare questa piccola intrusione, non era mia intenzione distrarre la maestà vostra dai suoi impegni” “Impegni?” domandò confusa “Credete davvero che possa avere impegni?” “Non è compito mio credere cose del genere” si avvicinò a lei sedendo sulla poltrona porpora di fronte alla regina.
“Avete espresso il desiderio di vedermi altezza reale” “Si, è così e voi ...” “Ho realizzato il vostro desiderio ma avrei io un favore da chiedervi” l'uomo al suo fianco tossicchiò appena costringendola a ridere ma lo sguardo confuso di Maria Antonietta le permise di continuare “Perdonatemi, vedete, il mio consigliere ha passato l'ultima ora a ripetermi quanto sciocco sia chiedere favori ad una regina” “Siete così diversa” “In cosa?” domandò divertita appoggiandosi dolcemente allo schienale.
Era rilassata, diversa dal capitano delle guardie reali che per tanti anni le era rimasto accanto, c'era in lei il freddo dei ghiacci, nei suoi occhi viveva la forza, nei suoi gesti l'eleganza di una donna che ha imparato ad amare.
L'aveva convocata a palazzo per parlare con lei, per tentare di assecondare il piano sciocco del re convinta che la loro amicizia l'avrebbe aiutata ma ora, di fronte a quello sguardo tagliente dipinto d'ironia, ogni pensiero si mischiava, ogni parola rifiutava di uscire dalle labbra.
Lei era lì e la sfidava con quegli occhi tanto belli, con quel modo così diverso di appoggiarsi allo schienale, con leggerezza quasi come volasse “Siete diversa nell'aspetto, siete diversa nelle parole” “Il tempo cambia molte cose mia regina” “Non cambia le persone così tanto” “Al contrario, credo invece che il tempo sia il miglior amico del cambiamento” “Dunque avete una domanda per me?” “Si vostra grazia” “Chiedete ve ne prego” gli occhi di Helena si sollevarono irriverenti piantandosi sul suo volto “Perché mi avete convocato a palazzo?” ci mise qualche secondo prima di trovare una scusa per risponderle.
Si portò una mano alle labbra sorridendo “Non è forse privilegio di una regina poter chiedere l'incontro con un'amica amata?” “No” “No?” “Non è per questo che sono qui altezza reale, non è per questo che mi avete convocato” la regina sospirò stringendo più forte le mani sui braccioli “Via, lasciateci tutti!” una giovinetta dagli occhi di notte posò un vassoio sul tavolino affrettandosi a lasciare la presenza della sovrana ma Aström restò immobile alle spalle della sua signora.
Lo sguardo fiero, le mani elegantemente chiuse dietro alla schiena “Oscar, ve ne prego, vorrei parlare con voi in privato” “Il mio consigliere si occupa degli affari di stato, si occupa della complessa velocità dei miei pensieri quando mio marito è assente e vedete, in questo momento, il mio sposo non c'è” per qualche secondo, lesse sul volto della giovane il fastidio per quella risposta arrivata come un fulmine su di lei ma che potere aveva la regina di Francia? Era una granduchessa svedese, una donna sposata con il cugino di sua maestà Gustavo di Svezia, la preferita tra le sue cugine e nemmeno il potere di Maria Antonietta sembrava intaccare la luce preziosa che le splendeva dentro “Se questo è vostro desiderio Oscar e sia, ma non vi risparmierò certo parole dure” “Non ho alcuna intenzione di evitarle” “La complessità dei vostri pensieri racchiude anche la cattiveria?” inspirò a fondo rilassando ogni muscolo del corpo “Volete conoscere i miei pensieri vostra altezza?” non aspettò nemmeno la risposta si alzò dalla poltroncina passeggiando elegantemente “Penso che la corona francese sia più debole di quanto in realtà non voglia apparire, penso che un sovrano che affama il proprio popolo meriti di soffrire quanto soffre il popolo e ...” si fermò qualche secondo davanti a lei permettendo all'ironia di colorarle la voce “ … penso anche che il ridicolo tentativo del re sia fallito e penso che la regina meravigliosa che una volta servivo, non avrebbe mai accettato simili ricatti” “Lo faccio per il mio popolo” “Lo fate per voi stessa. È redenzione che cercate? L'ho già detto ai vostri ambasciatori, le questioni di stato appartengono al re” “Voi siete l'unica in grado di arrivare al sovrano, le vostre parole possono smuovere il pugno duro con il quale sta colpendo la Francia!” esclamò Maria Antonietta stringendo più forte le mani sui braccioli “Non ho alcun potere vostra grazia, non ho stretto io tali accordi e non ho alcuna intenzione di entrare nei giochi della politica” “Voi mi dovete obbedienza!” era forse la prima volta che la regina di Francia, tirava fuori la forza del suo cuore.
In piedi a pochi passi da lei, il petto che tremava sotto lo sforzo di quello scatto improvviso, le labbra serrate, gli occhi come fulmini.
Una volta forse, avrebbe chinato il capo e chiesto perdono per aver deluso sua altezza reale ma ora, che motivo aveva per chinare il capo? Amava la sua regina, l'amava da sempre e per anni aveva sperato di vederla diventare più grande di quanto già non fosse.
Per anni aveva pregato al suo fianco affinché diventasse la più amata tra tutte le regine, giusta, caritatevole con il popolo, madre e sovrana.
Perfino ora, davanti a quello scatto nervoso, vedeva nei suoi occhi la bambina viziata che non era stata in grado di prendersi cura della propria nazione e si rimproverava per questo, forse avrebbe potuto aiutarla diversamente, forse avrebbe potuto fermarla e aprirle gli occhi ma come si può cambiare il passato? Lei stessa ci aveva provato e a cosa era servito? Il passato era tornato a cercarla, gli occhi di Andrè avevano bussato alla porta del presente ma i lunghi anni trascorsi lontani l'uno dall'altra, avevano forgiato un carattere diverso, forte, indipendente più di quanto non fosse già.
Quegli occhi avevano trovato il rifiuto sulla soglia, una famiglia, una vita, la libertà, era cambiata e forse era quel cambiamento che cercava nello sguardo di Maria Antonietta.
Una regina non può scegliere chi amare né vivere una vita semplice questo lo sapeva bene ma una sovrana, una sovrana vera, aveva il dovere di curare ogni uomo, donna o bambino del suo regno come figlio proprio.
Era questo che lei non capiva, pretendeva obbedienza, pretendeva lo scioglimento di un patto stipulato molti anni addietro e in cambio di cosa? Vedeva in quel gesto, il tentativo disperato di avere nuovamente al suo fianco l'amica che tanto le era mancata ma come poteva restituirle quell'amica? Sarebbe ripartita subito per la Svezia, a che scopo legarla ad una promessa che mai avrebbe trovato pace? Si avvicinò di un passo ancora alla sovrana sospirando “Ci sono cose a questo mondo che non possono essere cambiate vostra altezza” “Sono la regina di Francia, posso cambiare anche le stelle nel cielo se la cosa mi aggrada!” “Siete arrabbiata, siete delusa e spaventata. Potete urlare con me, sono forte abbastanza sapete? Sopporto bene le sferzate della rabbia” “Non avete alcun diritto di rivolgervi a me con questo tono! Dimostrate rispetto e abbassate lo sguardo!” ma Helena non si mosse, l'uomo alle sue spalle sorrise appena “Avete sempre avuto il mio rispetto, avete sempre avuto la mia amicizia e il tenero amore di una sorella ma ora vostra grazia, le priorità nella mia vita sono cambiate” “Siete francese, la vostra obbedienza è qui!” esclamò gelida mostrandole l'anello reale.
Il volto delicato era ormai colmo di rossore, gli occhi lucidi, il respiro accelerato “Partirò questa notte stessa altezza reale. Torno in Svezia e con me partiranno anche i miei figli” per qualche secondo, sul volto di Maria Antonietta passò la confusione “I vostri ...” Helena sorrise annuendo dolcemente “Niklas, l'erede che tanto desiderava mio marito ...” continuava a parlare allentando la tensione nel cuore della giovane
“ … Erland ed Elin, il sole e la luna delle nostre vite ...” sfiorò il volto della regina costringendola a respirare di nuovo “... e Reine, il mio piccolo angelo” “Voi avete ...” “Siete madre anche voi, conoscete l'amore per i figli, come posso mettere in pericolo i miei bambini?” la sentì tremare sotto le dita “Vostro marito ha mentito dunque! Gli ho chiesto molte volte … gli ho chiesto di voi e non ha mai ...” “Avete mentito anche voi altezza reale” la giovane rise cercando di trattenere lacrime innocenti, indietreggiò di colpo sedendo maldestramente sul suo piccolo trono “Non sono arrabbiata con voi, avete il mio amore altezza reale ma non più la mia obbedienza e credetemi, il dolore che voi provate, mi ha spaccato il cuore ogni minuto da quando la vostra lettera ha toccato le mie mani” “Kunglig höghet” Helena annuì appena voltandosi verso Aström, il ciambellano si avvicinò alla sovrana, lo sguardo confuso mentre le dame di compagnia entravano trafelate.
Si affaccendavano attorno a lei come tante piccole api alla ricerca del nettare prezioso ma gli occhi di Maria Antonietta erano ancora incatenati ai suoi “Prendo congedo dalla maestà vostra” “Non potete, non ve lo permetto” “Mi lascerete andare perché c'è un sovrano là fuori che mal sopporta questi giochi. Ho sposato un figlio del nord altezza reale, il mio re ora è un'altro ma voglio che sappiate che il mio cuore ...” posò una mano sul petto trattenendo un tenero singhiozzo “ … è sempre stato colmo d'amore per voi” “Voi mentite Oscar, non è amore qualcosa che ti costringe al pianto” “Lo è forse fingere che tutto sia normale? C'è una rivolta attorno a voi, siete forte abbastanza per affrontarla. Non avete bisogno di me né del mio sovrano” “Oscar ...” strinse più forte la mano sul petto chinando lentamente il capo, l'uomo al suo fianco fece lo stesso seguendo poi i passi della duchessa “Siete stata brava” sussurrò non appena le porte furono richiuse alle loro spalle “Temevo di dovervi staccare da lei con la forza” “Non sono una bambina. Questa follia non poteva certo trovare accoglimento. Non mi piacciono i ricatti né questa corte sciocca e presuntuosa” “Allora perché piangete?” sorrise appena nascondendo una perla trasparente “Era vero quello che le ho detto, l'amavo come una sorella” sentì la mano dell'uomo posarsi dolcemente sulla sua schiena, una carezza delicata che aveva l'unico compito di alleviare il dolore.


 

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