Souls

di Namielly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *PROLOGO* ***
Capitolo 2: *** "Risveglio" ***
Capitolo 3: *** "Addio" ***
Capitolo 4: *** "Un aiuto" ***
Capitolo 5: *** "Amici" ***



Capitolo 1
*** *PROLOGO* ***




*PROLOGO*



A volte ti sogno ancora. Mi sveglio al mattino, e mi illudo che magari tali sogni siano potuti esser davvero reali. Questa stupida illusione è ciò che mi spinge ad andare avanti, a vivere la monotonia perenne dei miei giorni, che si susseguono tutti uguali, come uno stupido film che ogni mattino ricomincia daccapo, senza mai giungere alla sua fine. La fine che darebbe senso a tutte quelle riprese, a tutte quelle recite, all’intera storia in sé. E così, esso si ripete, in quel susseguirsi stanchevole a tal punto da portare alla noia, ed infine all’apatia.

Mi sveglio… Bevo il mio latte, soffermandomi ogni giorno ad osservare la data di scadenza prima di berlo. Mi infilo sotto la doccia, lascio che la schiuma e l’acqua mi scorra sul corpo per un’ora buona, sperando forse che essa possa lavar via anche le mie colpe ed… i miei ricordi. Mi vesto, e giro per il villaggio. Ogni volta rammento la mia infanzia sgretolata, il mio continuo vagare da bambino tra le case, sperando in conforto, in un sorriso, ma esso non arrivava mai. E allora mi vado a sedere sull’altalena, sulla nostra altalena, quella dove ci incontravamo sempre… E piango, piango sul tuo ricordo e su tutto ciò che ha caratterizzato la mia vita. Ad una certa ora torno a casa, perché so che Sakura-chan verrà a trovarmi. Appena arriva mi chiede come sto, con occhi compassionevoli. Io non rispondo, io non parlo con nessuno. La odio.

“Smettila di fissarmi con pietà. Smettila di chiedermi come sto. Smetti… di parlarmi di lui.” Questo vorrei dirle. Ma sto zitto e piango, piango come un bambino. Non credevo che sarei mai arrivato a quel punto: io, Naruto Uzumaki, stanco di lottare, stanco di me stesso, stanco… di vivere. Vivere una vita vuota non aveva alcun senso. Ed essa è vuota, senza di te.

E poi… vado a dormire, quanto prima posso. In realtà, spero che la morte mi colga, invece che il sonno. Mi addormento ed eccoti… Piccola luce in un mondo di tenebra, l’unica ragione per il quale io ancora respiro.

“Naruto.” Scoppio in lacrime. Eccoti, e sono così felice, così tremendamente sollevato di vederti che le lacrime dopo qualche minuto smettono. Ti avvicini, con quel mezzo sorriso fantastico. Tu non sei tipo da grandi sorrisi e grandi risate. Tu eri, e sei, quello che a malapena sorrideva, ma che quando lo faceva, potevi esser certo della sua sincerità. E ti ritrovavi là, stordito, sconvolto, lusingato da tale privilegio come fosse un tesoro. La tua tunica bianca lascia intravedere il petto e i tuoi piedi nudi sul pavimento ghiacciato. “Sasuke.” Non mi avvicino. Ho paura, paura che quel sogno possa terminare non appena ti sfioro. Ma non posso farne a meno. Ti corro incontro e ti stringo quanto più forte posso, gridando “Ti prego, non sparire! Ti prego, NON SPARIRE!” Poggi una mano sul mio capo mentre singhiozzo sulla tua candida tunica.

“Baka…” bisbigli dolcemente, passando la mano tra i miei capelli.

“Non posso vivere senza di te!” esclamo, tra le lacrime, stringendo forte la tua tunica, quasi con veemenza. Tu mi prendi il volto tra le mani e mi guardi dritto negli occhi. Affondo negli abissi neri che costituiscono gli occhi tuoi, e mi ci perdo, completamente.

“Io ci sono, io ci sono sempre. Mentre bevi il tuo latte, vai all’altalena o ti vedi con Sakura. Io sono con te mentre piangi di rammarico per ciò che è stato. Io sono con te mentre visiti la mia tomba ogni giorno, e depositi nuovi e candidi fiori su di essa.” Sono scioccato, sembri sapere ogni singola cosa che faccio ogni giorno.

“Vivi, Naruto. Vivi come se io fossi là. Vivi come se…” mi tocchi il braccio mozzato, ed io mi irrigidisco “… Come se non lo avessi mai perso. Vivi per me, fallo per me.”

Quel giorno di circa 3 anni fa, non persi solo la mia intera vita, la mia unica ragione… Ma anche il mio braccio. Esso pareva essersi trascinato con sé anche la mia voce, che mai nessuno aveva più avuto l’onore di udire. E forse, anche il mio intero essere. Finito, il mio animo sgretolato in mille piccoli pezzi. Se ci pensavo, avevo perso tutto quel giorno. La mia speranza di diventare hokage… la mia volontà, la mia forza, il mio essere Naruto Uzumaki.

In seguito alla perdita del mio braccio, fui congedato anche come ninja. Non potevo più esercitare il mio ruolo e, se anche avessi potuto o voluto, nessuno mi avrebbe preso nella sua squadra. Un uomo che non aveva nulla da perdere, nessuna ragione per lottare… Sarebbe stato solo un morto in più sulla coscienza dei suoi compagni.

Perché, lo sai. Lottavo solo per te. Lottavo per poterti un dì rivedere. Per poter magari aiutarti a rimembrare i nostri momenti assieme… le nostre risate… i nostri litigi più stupidi. Il nostro essere semplicemente noi, unici e irripetibili come nessun altro.

Eravamo speciali se insieme, un’accoppiata invincibile. Volevo ricordartelo. Volevo farti comprendere cosa stavamo perdendo, ossia la nostra felicità. Perché insieme eravamo sempre felici, non fare lo sbruffone adesso.

Non ho potuto. I-io non ci sono riuscito… Ho fallito. Perdonami per aver sbagliato tutto, perdonami il mio essere tanto sbagliato e insulso in un mondo che non è capace di perdonare la debolezza. I deboli son sempre schiacciati dai forti, Sasuke-kun.




Steso, in quel luogo che probabilmente era stato creato dalla mia testa, con te al fianco, pian piano riacquisto la calma persa, e riesco a vedere tutto quasi con una prospettiva diversa, quasi come se il mio passato non mi appartenesse. La mia vita è lontana, e i suoi drammi solo un malinconico e lontano ricordo. Quasi li dimentico nella dolcezza di quell’incanto, nella felicità cieca e limpida che mi pervade.

“Sasuke… Ti amo.” Bisbiglio dolcemente vicino al tuo orecchio. Siamo intrecciati assieme, come volessimo fonderci, le nostre gambe avvinghiate, i corpi attaccati, le braccia strette. Il mio viso è a qualche centimetro dal tuo orecchio sinistro, i tuoi capelli neri mi solleticano il volto.

“Naruto…” accarezzi con dita tremanti i miei capelli, mentre la voce ti si strozza in gola.

“Sasuke…”

“Non chiedermelo.”

“…Ti prego.”

La mia voce è ferma, pacata, ma intrisa di dolcezza. Vedo il tuo viso farsi teso, quasi pietrificarsi, mentre le lacrime ti scorrono lungo le guance, il tuo sguardo perso nel vuoto.

Dopo un silenzio che pare interminabile, ti giri verso di me. Mi guardi con occhi imploranti, e il mio cuore sussulta di dolore.

“Non chiedermi questo.” Sento la tua voce soffocata. Non capisci… Voglio restar con te. Ogni mattino è uno strazio, ogni mattino è solo una sofferenza costante e insopportabile. Ti ho visto morire… Per mano mia. Mentre il sangue zampillava ovunque, e non so come io abbia fatto a sopravvivere, dopo il colpo che mi avevi inferto.

“Uccidimi.” Uccidimi adesso, Sasuke… Non voglio tornare a riguardare la pietà della gente, che non sa fare altro che impietosirsi, o commentare crudelmente, o definirmi come un frocio senza palle. Si Sasuke, per loro il nostro amore non vale come il loro, il nostro è di serie B. Per loro è assurdo che io soffra per te.

“Da solo… non ne sono capace. Fa troppo male, da soli. Senti che la tua anima scivola via e l’unica cosa che sei in grado di fare e annaspare e affannarti per riuscire a salvarti… Nonostante volessi tentare di lasciarti andare all’oblio.” Ti giri, ti perdi nuovamente nel vuoto, e io ti afferro dolcemente il volto tra le mani, e il tuo sguardo incontra di nuovo il mio.

“… Io ti amo. E adesso sto solo vegetando. Se c’è solo una più piccola possibilità… anche la più microscopica… che questo momento possa allungarsi in eterno ed oltre, io la coglierei.”

“Questo posto… questo posto così buio… non mi fa paura, perché ci sei tu ad illuminarlo. E se rimanessimo qui per sempre, senza nessun altro, quel nessun altro non mi mancherebbe. Per me tutto inizia e finisce in te, per me tu sei il mio tutto, che ci sia o meno qualcuno non mi importa. Il mio mondo sei tu. Tienimi qui con te… Te ne prego.”

“Non posso…” sussurri. I miei occhi ricominciano a bruciare… odio la mia emotività.

“Non vuoi stare con me?” la mia voce trema.

“Si, ma… non così. IO voglio che tu viva.” Rimarchi quell’io, sottolineandolo pacatamente.

“Dimenticami…” continui, e allora non ho potuto fare a meno che sbottare.

“Non posso farlo! Non voglio farlo! Non dirlo nemmeno per scherzo!” mi allontano di scatto, alzandomi e districandomi dal nostro intreccio, e ti sollevi su un braccio, fissandomi con sguardo vuoto.

“Così come io non posso ucciderti.” Ribadisci piano. “Naruto, credo solo di essere un fantasma. Non so darmi altra definizione. Probabilmente ti sono legato, e se tu morissi…” Sospiri. “Anche quello che è rimasto di me, la mia anima, andrebbe via da questo mondo con te. il mio ultimo desiderio, prima di morire, è stato quello che tu vivessi… E oltre ad essersi realizzato ed essere sopravvissuto, adesso, devi riprenderti. Devi vivere. Io ci sono… sono qua. Sono con te ogni cosa tu faccia. Non puoi vedermi, ma sono con te.”

Mi paralizzo… Svaniresti?

“…Ci vediamo domani, Naruto.” Accenni un sorriso triste, mentre ti vedo avvolto dalle tenebre e invano grido il tuo nome.




La luce si fa spazio tra le serrande quando riapro gli occhi. Il trillare della sveglia sul comodino è continuo e fastidioso. Prendo con rabbia e foga la sveglia, gettandola con tutta la forza che ho contro il muro adiacente. Si fracassa contro il muro, tanti piccoli ingranaggi, plastica e metalli vari saltano via violentemente. Mi siedo sul bordo del letto, e, così come fai tu quando sei pensieroso, sovrappensiero contemplo svuotato il nulla.





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Capitolo 2
*** "Risveglio" ***




“Risveglio”




Ti svegli. Prendi il latte dal frigo, lo appoggi sul tavolo. Riempi una tazza, la bevi. E’ tutto così meccanico, così assurdo. E non ho idea del perché io sia qui, o del perché io ti segua.

Non ne ho davvero idea.

E’ strano. Ti vedo trascorrere le tue giornate da più di 3 anni, da spettatore, come un film. Ma un film davvero monotono, un film davvero triste e vuoto. Angosciante, l’assenza più totale di vita è addirittura per me, l’imperturbabile, qualcosa di tormentante. La morsa che ho allo stomaco mi lascia senza fiato, non riesco a definire che cosa provo.

Naruto… E’ sempre stato strano tra noi. Ti odiavo, profondamente, ma ti amavo al contempo; rifuggivo il desiderio della tua pelle, tentando di colmarlo col contatto rabbioso dei nostri conflitti. Scappavo dal sentimento che mi suscitavi: mi scostavi dal mio obiettivo. Itachi aveva distrutto la mia vita, l’aveva uccisa e calpestata. Non mi importa realmente quanto grandi fossero i suoi buoni propositi, e come subdolamente cercasse, a suo dire, di proteggermi…

Proteggermi.

Ridicolo. Dopo la sua morte, lo lodavano tutti come un Dio. Il grande Itachi ha salvato il villaggio… Sacrificando la sua famiglia. Konoha mi fa più schifo di quanto me ne facesse prima. Con quale coraggio lo definiscono “eroe”? Un salvatore, una persona buona?

Al diavolo Konoha. Al diavolo questa mandria di ipocriti.

La mia famiglia, le persone a cui tengo, sono coloro da salvare. Se sono al sicuro, e stanno bene, gli altri possono anche schiattare. Invece Itachi ha pensato bene di uccidere nostra madre e nostro padre…

Mi viene da vomitare.

A seguito della morte del mio caro fratello, io e te finimmo per scontrarci. Il centro del mio odio, della mia frustrazione, si era spostato da Itachi al villaggio.

Il villaggio per Itachi contava molto più della mia felicità, aveva sacrificato la mia vita per quella degli altri. Forse tu cercheresti di convicermi che mio fratello mi volesse bene. Ma so che non ci crederesti nemmeno tu. Non uccidi tua madre e tuo padre mentre il tuo fratellino è in casa, se gli vuoi davvero bene. Non gli permetti di vedere gli occhi vitrei dei suoi genitori. Almeno questo poteva concedermelo…

Lo ricordo ancora quel giorno.

Non voglio raccontarlo, ma è una scena che si ripete di continuo nella mia testa. Mi ha trasformato, mi ha plagiato.

Dopo l’accaduto, gli attacchi di panico erano frequenti. Non riuscivo a controllare la mia rabbia, e avevo paura di rimanere solo.

Cercavo di stare in mezzo alla gente, anche se loro non mi volevano. Mi fissavano, bisbigliavano tra loro, i bambini scappavano via. Era terribile. Ma era meglio che stare solo. Quand’ero da solo continuavo a vedere quegli occhi, vuoti, spenti, vitrei, che sembravano fissarmi…

Gli occhi della mia defunta madre. Il terrore era insopportabile, tremavo, faticavo a respirare, la stanza sembrava restringersi attorno a me e vorticare.

Gli attacchi di panico cominciarono a divenire sempre meno frequenti, i sogni sempre meno orrendi, e mi rifugiai in me stesso. L’unica cosa che mi permetteva di andare avanti era il pensiero che avrei ucciso Itachi. Altrimenti, credo che un giorno qualche abitante mi avrebbe trovato morto. L’avevo immaginato spesso, di raggiungere mamma e papà.

Ho trovato un motivo per lottare: vendicarmi per la vita di merda che mi era stata cucita addosso senza il mio permesso.

Non credo di essere tanto da biasimare: la mia vita era un vero inferno. I fantasmi del passato mi perseguitavano ovunque andassi, e qualunque cosa facessi.

Poi, incontrai te. Ti vidi la prima volta nel parchetto dove ero solito andare. La mia altalena era occupata da un ragazzino, quel giorno. Tu. Ero troppo timido e chiuso per avvicinarmi, così ti osservai da lontano. Eri seduto sulla mia giostrina preferita, lo sguardo basso, e ti ondeggiavi appena. Mi riconobbi in te.

Vidi gli altri bambini disprezzarti, ripudiarti, scostarti, mentre tu eri così dolce e gentile… Pff. Lo ero anch’io, all’epoca. Ho smesso di esserlo con questi stronzi non molto tempo dopo.

Nonostante mi piacesse stare con te, avevo paura di legarmi troppo. Tutto è labile e temporaneo nella vita, e non potevo permettermi di dipendere da qualcuno, come avevo fatto con mio fratello, a cui ero immensamente legato. E poi, legarmi a te mi avrebbe reso difficile portare obiettivamente avanti la mia vendetta. E ti avrei potuto mettere a rischio, e non me lo sarei perdonato.

Quando giunsi a pensare quest’ultima frase, mi bloccai, paralizzai. Mi resi conto di quanto fossi debole, e di quanto in realtà mi fossi già affezionato troppo a te, tanto da pensare alla tua incolumità. Ne ebbi paura.

Ci siamo incontrati più volte nel corso della mia vendetta. Ci siamo sempre picchiati ben bene, gonfiati di santa ragione, e poi ci lagnavamo di quanto fossimo amici. Era ridicolo. Solo che ciò lo noto solo adesso che sono morto.

Correva l’anno 2013, era il giorno del mio compleanno. Ci scontrammo con violenza, avevo deciso che eri diventato davvero un intralcio. Volevo ammazzarli tutti. Erano stati loro a causarmi tutto quel dolore, tutta quella sofferenza.

Il tuo Rasengan mi mozzò un braccio.

Anche tu avevi dato priorità al villaggio, non ne avevi data a me. Eri disposto a uccidermi per salvarli… Immagino la tua faccia tosta, se potessi ascoltarmi. Potresti replicar lo stesso, vero? Io avevo dato importanza solo alla mia vendetta, e ti avrei ucciso pur di compierla.

Solo che tu eri puro, eri giusto. Io ero corrotto dalla rabbia e dall’odio.

Stavo là, a guardarti ansimare e annaspare, steso al mio fianco. Osservavo i tuoi capelli biondi, il tuo profilo, quegli strani segni sulle guance (che non ho mai capito che diavolo fossero), le tue labbra, e infine il sangue che sgorgava dalla tua spalla, laddove prima c’era il tuo braccio destro.

Che ironico. Ci eravamo entrambi mozzati un braccio, tu il destro, io il sinistro. Perché ironico? Non sembrava casuale. Anche quel giorno, eravamo complementari, eravamo opposti si, ma ci completavamo.

Sorrisi, fissandoti. Sembrava come se la calma fosse scesa nel mio animo, dopo tutto quel casino che avevo combinato. Sapevo che saresti sopravvissuto: aveva un demone dentro di sé. E gli Dei dell’inferno non muoiono, non come noi mortali.

“Naruto…” tu ti girasti a guardarmi. I tuoi occhi si spalancarono.

“Sasuke…” il mio pallore e le mie labbra livide dovevano essere davvero preoccupanti. Ma mi sentivo sereno. Basta lotte.

Non avevo altra scelta. Sapevo che al villaggio non sarei mai potuto tornare, dopo tutto quello che avevo fatto, e non volevo vivere da fuggiasco. Dovevo morire. Ed eri stato tu a mandarmi all’altro mondo… Il mio rivale. La mia segreta e malcelata passione. La persona che più ho odiato-amato nella mia vita. Quella più importante.

Era giusto così.

“Sono felice di averti incontrato.” Volevo fartelo sapere. Vidi i tuoi occhi riempirsi di lacrime, ma ebbi appena il tempo di pensare al fatto che sarei potuto benissimo affogare, in quegli occhi.

Era il 23 luglio del 2013… e io morii.




La prima cosa che sentii fu il freddo, e il pizzicare dell’erba sotto di me.

Mi risvegliai respirando faticosamente e rumorosamente, una mano premuta forte sul petto. Artigliavo la mia maglia, laddove sentivo il tamburellare frenetico e agitato del mio cuore. La prima cosa che feci fu guardarmi. Come facevo a essere ancora vivo? Passai le mani sulle braccia, e sulle gambe. No, ero davvero io, ed ero davvero vivo. L’unica cosa che potevo fare era capire come avessi fatto a sopravvivere. Non avevo nemmeno più una goccia di sangue nelle vene… Il mio braccio! Incredulo, mossi le dita e i muscoli del braccio sinistro. Che miracolo era mai questo?

Mi alzai, e mi resi conto di essere nel cimitero di Konoha. Mi girai piano, lentamente, presagendo vagamente quello che avrei visto. La mia lapide si ergeva fredda e bianca. C’era scritto solo il mio nome, e la data di nascita e morte. Ringraziai almeno che avessero avuto la decenza di non depositarmi al fianco di Itachi. Stava calando la sera, il cielo era turchese e il sole era già svanito dietro l’orizzonte.

Il mio cuore non smetteva di battere impazzito. Avevo paura. Quella era la mia tomba, e io ero fuori, ed ero vivo… come? Presi un profondo e tremolante respiro. Decisi di fare l’unica cosa sensata che mi venisse in mente: chiederti che cosa diavolo avessi combinato.

Fui lì in qualche istante. Feci per bussare. La mia mano passò attraverso. Terrorizzato, ritirai la mano. Tutto questo non era normale. Non era affatto normale. Non mi restò che attraversare la porta, cosa che feci strizzando gli occhi. Ma non sbattei. Mi ritrovai dentro.

“Naruto… Per favore… Parlami.” Riconobbi quella voce. Sakura. Stava singhiozzando. Un tantino scettico (non ero solito farmi i fatti altrui così… mi sembrava quasi di irrompere), entrai. Sperai, anche se senza convinzione, che mi avreste visto, e che mi saresti corso incontro caricando un bel pugno.

Invano. Mi ritrovai davanti a una strana scena: Sakura ti scuoteva forte per le spalle, infine ti abbracciò di slancio. E tu… non ti riconobbi. Frastornato, attonito, mi sedetti a terra. Avevo bisogno di un attimo, dovevo riprendermi... dio. Cosa ti era successo?

Eri immobile, come una statua, mentre Sakura ti stringeva. Guardavi il vuoto, mentre le lacrime colavano lungo le guance. Eri magro. Terribilmente magro. Le occhiaie profonde, i capelli sporchi, i vestiti lerci. Un fischio acuto mi trafisse le orecchie, e non sentivo più i singhiozzi di Sakura, né il ticchettare dell’orologio appeso al muro.

Stavi morendo pian piano.

Non ero pronto. Non ero pronto a vedere il mio rivale, sempre così gonfio di tenacia e allegria, ridotto in quello stato pietoso.

Mi ripresi da quello strano torpore, e sentii le parole biascicate di Sakura

“Parlami… Perché non parli?”

La consapevolezza mi colpì. Avevi perso la voce. Il mio sguardo si perse nel vuoto, e non pensavo a nulla di definito.

“Sono mesi che Sasuke è morto. Non puoi andare avanti così.” Mesi? Mi girai verso il calendario che tenevi al muro. 18 Dicembre 2013. Ignorai il gran bailamme che infestava quella casa. Sembrava non venisse pulita da mesi. Dalla cucina alle vostre spalle si levava un olezzo preoccupante.

Non rispondesti. Come una statua, continuavi a fissare il nulla, con occhi vuoti. Sakura prese la sua borsa, da cui si intravedeva qualche attrezzo medico, la chiuse con uno scatto e, passandomi attraverso, si diresse verso l’uscio. Arrivata là, si fermò. Con voce intrisa di pianto, Sakura ti salutò flebilmente, scappando piangendo in quella fredda sera invernale. Rimasi impietrito, e il silenzio era talmente assordante da essere insopportabile.

Un po’ traballante sulle gambe, passai attraverso la porta e una volta fuori cercai di respirare regolarmente, mentre l’aria fredda mi trafiggeva i polmoni.




Mi allontanai da quella casa, temendo di tornarci. Riuscii a stargli lontano sino al 25 Dicembre. Cosa avevo fatto in quel lasso di tempo? Assolutamente nulla, se non affogare nella marea di ricordi che quel maledetto villaggio mi evocava. Nessuno poteva parlarmi, e nessuno poteva vedermi, dunque non mi rimaneva altro che vagabondare e pensare. E faceva male.

Quel giorno, venni da te. La casa era stata ripulita, e di certo c’era lo zampino di una donna: era tutto lindo, pulito e ordinato. Tu, dobe, anche quando eri al massimo della forma restavi un disordinato cronico.

Un alberello si ergeva nel piccolo soggiorno, adornato di qualche pallina luccicante e qualche luce intermittente. Eri solo, ed eri chino su un fogliettino. Mi avvicinai per vedere cosa facessi, e ci stavi scrivendo qualcosa. Mi sporsi per leggere.

“Voglio sognare Sasuke ogni notte.” Un tuffo al cuore. Le lacrime colavano lungo le mie guance, nonostante cercassi di mantenermi freddo, distaccato… come potevo?

“Come faccio a realizzare un desiderio simile?” bisbigliai. Era impossibile. Ti vidi chiudere quel foglietto in una bustina, e appoggiare il tutto sotto l’albero. Sospirasti forte, e trascinando i piedi, andasti nella tua cameretta. Senza pensare ti seguii.

Ti infilasti nel letto. Sentivo i tuoi singhiozzi, mentre ti rannicchiavi in posizione fetale, stringendoti le spalle con la braccia. Una profonda tenerezza mi assalì, e mi chiesi quanto stessi soffrendo. Ti sentivi in colpa… Vero, usuratonkachi? O cos’altro? Soffri per la mia dipartita? Non ci sono mai stato per te… eppure adesso piangi come se io ti fossi sempre stato al fianco.

Mi pentivo silenziosamente di non averlo fatto, ma ormai era troppo tardi…

I singhiozzi cessarono. Stavi dormendo.

In un istante, mi ritrovai risucchiato in un vortice nero. Quando atterrai, ero in un luogo di un buio impressionante. Solo il nero più fitto mi circondava, e sembravo solo. Ma a che gioco stavamo giocando? E con chi? Perché tutto questo stava diventando assurdo. Il nervosismo mi prese: non ero padrone di ciò che accadeva, e non c’è nulla che mi dia più fastidio.

“Sasuke…”

Mi fissavi incredulo. Ti guardai portarti sbigottito una mano alle labbra.

Io non potei fare a meno che spalancare la bocca come un ebete per quelli che mi parvero minuti.

“Cosa sta succedendo?” chiesi.

Fui scaraventato a terra, non ricevendo risposta.

“SEI QUI!” gridasti, baciandomi tutto il volto. Ero pietrificato. Allibito. Sconvolto!

“Naruto…” Dissi con voce soffocata “Sono felice anch’io ma… Perché sono qui?”

“Non lo so.” Mi guardasti felice, gli occhi luccicavano. “E non mi importa.”



Non so cosa sia accaduto quel giorno, e cosa esattamente accadde nei giorni successivi. Ma ogni notte, io e te ci ritrovavamo in sogno.

Straordinariamente, dopo il nostro primo incontro notturno, iniziasti a migliorare. Le tue guance si riempirono, tornasti a prenderti cura di te… Ma la tua voce non tornò. Ti seguivo ovunque andassi, sapendo che ormai vivevi aspettando la notte. E sapevo, in cuor mio, che questo era un male, ma ero troppo egoista per smettere di incontrarti. Speravo che un giorno sarei potuto tornare. Sono un folle. Io sono morto, sono sicuramente un fantasma.

Mi chiedevo vanamente chi mi avesse fatto quello strano dono, quel potere dei sogni, che in questi 3 anni ho imparato a gestire abbastanza bene. Non sapevo ancora come modificare il posto dove ci incontravamo: avevo provato a materializzare qualche oggetto, e un paio di volte ci sono riuscito. Ma di illuminare tutte quelle tenebre non c’era verso.

Non so nulla, ormai, né di me né della mia vita. Non sono più sicuro di nulla, ma una consapevolezza stava prendendo piede nella mia testa: stavo rovinando la tua vita.





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Capitolo 3
*** "Addio" ***




“Addio”




“Non posso restare” esordisco. Gelo accoglie le mie parole. Tu sei immobile. Pietrificato. Raggelato sul posto, a malapena respiri. Un tremore lieve della mia voce mi tradisce: non vorrei andarmene. Cogli quel tentennamento al volo.

“Tu non vuoi realmente andartene!” dici tra le lacrime. “Perché lo fai? Perché mi fai questo?...” cadi in ginocchio e piangi. Ti nascondi il viso con le mani, ed è evidente che ti vergogni. E ti odi profondamente. Conosco questo tipo di sentimento.

“Io sono distrutto.” Mi dici tra i singhiozzi. “Non mi vedi? Io non sono nemmeno l’ombra di me stesso! E’ come se fossi morto insieme a te, quel giorno.” Rialzi lo sguardo su di me, i tuoi occhi lucidi improvvisamente rabbiosi. “Non vivo, e nemmeno posso dire di sopravvivere... Respiro mio malgrado. Vuoi togliermi l’unico momento della giornata in cui sono felice?”

Quelle parole mi colpiscono, ma non lo do a vedere. Con calma forzata, ti rispondo pacatamente.

“Se non vivi…” sospiro. Cambio improvvisamente tattica: anche se ti dovessi spiegare tutto, con ragionevolezza, non mi vorresti ascoltare. “Sono stanco. Non voglio più vederti. Non mi interessa come tu stia. Devo andarmene, questo posto… Konoha. Mi sta stretto da sempre, lo sai. Ero scappato dai miei fantasmi, per non tornare mai più. E tu mi ci hai riportato anche da morto… Non voglio stare qui. Addio, Naruto.” Precipitosamente, chiudo quella conversazione e ho appena il tempo di osservare i tuoi occhi spalancati, sconvolti, e stracolmi di lacrime, prima che il buio ti inghiotta.

Sono fuori, e non mi giro a guardare svegliarti, sento solo il tuo respiro agitato e affannoso. Non posso voltarmi. Non posso esitare: rimarrei. Corro, corro senza voltarmi mai. Mi ritrovo, non so nemmeno io come, nella Valle dell’Epilogo. Quanto ho corso? E per quanto tempo? E quale strano pensiero mi ha condotto qui? Mi abbandono seduto sulla terra tiepida, mentre il vento freddo mi sferza il viso. Guardo, senza in realtà vederla, la piccola cascata che si infrange nel laghetto. Attorno a me, diverse querce.

Quel luogo sa del nostro passato, nel nostro strano affetto fraterno, del nostro legame. Mi racconta ancora della tua testardaggine, del mio odio, delle mie ferite, delle tue. Sento ancora le tue grida rimbombarmi nelle orecchie, le tue minacce di farmi a brandelli pur di riportarmi al Villaggio. Alla fine… Mi ci avevi davvero riportato sbrandellato, penso sprezzante.

Non so cosa provo se ripenso alla mia morte. Se rabbia perché mi hai ammazzato, o pace, o risentimento verso il villaggio, o te. Forse è semplicemente tutto questo. Non so se sia giusto o meno, come tutto ciò che ho provato nella mia breve vita. Non sono mai stato sicuro di fare o sentire la cosa giusta.

Ma provare un sentimento dev’essere davvero giustificato e giusto? Mi domando infine.

Mi sento ridicolo. La mia mente vaga e divaga, probabilmente tutto ciò è dovuto alla solitudine… O forse semplicemente mi sto costringendo a pensare a tutt’altro, che a quello che ho fatto.

L’ho fatto davvero. Sono scappato via, e ho lasciato che vivessi la tua vita. Mi sento svuotato e, nonostante il mio orgoglio mi gridi di non ammetterlo, mi sento terribilmente perso. Cosa potrei fare, adesso? Cosa farò? Solo, sperduto in questo mare di niente in cui sono rinato? Sono solo un fantasma, la cui unica consolazione era di farti visita in sogno. Adesso non ho neppure quella. Sono piccolo in questa immensità.

Sono solo, mi ripeto ancora, e il cuore mi si stringe in una morsa. Ho di nuovo paura. Che razza di Uchiha sono?

Mio fratello non era come me.

Il mio fratello perfetto, quello amato, e idolatrato. Il super ragazzo capace di diventare un ninja formidabile a soli 10 anni… Quello che mi batteva in tutto. Quello che mi sorrideva, che mi prendeva in braccio e mi accompagnava alle giostrine…

Scuoto il capo. Basta. Divagare. Per. Favore.

Decido di andarmene, e aggirarmi tra la folla. Calma, mi impongo. Un tempo ero invisibile tanto quanto adesso. Riacquisto la calma, mentre la gente mi passa affianco, alle volte addirittura attraverso, e cerco di riflettere seriamente sulla mia situazione.

Punto primo: non so cosa sono. Non so se sono un fantasma, o altra roba strana.

Secondo punto: non posso toccare gli oggetti, se non dopo un’enorme spreco di energie.

Terzo punto: Ho solo una capacità, anche se non so se posso usarla solo su di te. Ovvero quella dei sogni.

Cosa posso fare, se non cercare aiuto? Forse attraverso i sogni posso chiedere aiuto a qualcuno. Penso istintivamente al Maestro Kakashi. Lui è sempre stato con una mente più aperta, avrebbe potuto credere all’esistenza dei fantasmi. Potrei domandargli qualcosa.

Sempre se la tecnica funziona, ovviamente. Potere, o tecnica, o quello che è.

Sono patetico. Non riesco a non sentirmi un completo idiota in quest’assurda situazione.

Un ragazzo mi passa vicino. Una strana sensazione di familiarità mi fa girare. Ci metto un po’ prima di riconoscerlo. E’ Sai! Mi chiedo se abbia ancora a che fare con te. In questi anni non l’ho affatto visto.

Forse perché ti sei isolato dal mondo intero?

Non ricordavo che mi somigliasse così tanto. Invece si potrebbe scambiare addirittura per un Uchiha, con i suoi tratti delicati, i capelli nerissimi e la pelle bianca. Mi si storce il naso quando noto, con un certo disgusto, che il ragazzo sembrava avesse caldo sulla pancia. Perché diavolo andava in giro mostrando la pancia? Non poteva comprarsi una maglia decente? Ho l’istinto irrefrenabile di prendergli la maglia e costringerla con la forza a coprirlo fino alla cinta. Con un violento strattone forse sarei riuscito a deformarla. Perché mi sto fissando su un particolare tanto stupido? Mi chiedo, e la vena comincia a pulsare sulla mia tempia. Sto iniziando a non tollerare nemmeno me stesso, penso troppo spesso a futilità.

Lo sto seguendo. Quando me ne rendo conto, sono interdetto. Un’idea folle inizia a girarmi in testa.

Sai mi somiglia! Ripenso a te, e non so se sto sottovalutando i tuoi sentimenti per me, o se li sto sopravvalutando…oh, al diavolo! Ci devo provare. Non posso lasciarti a marcire in quella casa. Se tu non vuoi farti una vita… Sarò io a indurti ad averne una!

Lo osservo con maggiore attenzione, mentre gli cammino ad appena un metro di distanza, e vedo che è concentrato a leggere un foglio che ha tra le mani. Ho un lampo di genio. Concentro tutte le mie energie su un unico pensiero. Le mani di Sai sul foglio si allentano, e una folata di vento lo spazza via. Vedo un Sai incredulo gettare un urlo spaventato, e non ha il tempo di evocare i suoi animali di carta e inchiostro, che il foglio svolazza in una viuzza, svoltando l’angolo.

Per fortuna, ci troviamo solo a qualche isolato da te. Sorrido vedendo il foglio entrare nella tua finestra. Crollo a terra esausto, mentre Sai suona alla tua porta. Sono madido di sudore e senza fiato, come se mi fossi allenato per delle ore. Ci sono riuscito. Esulto mentalmente. Sento Sai entrare in casa, ma aspetto qualche attimo prima di alzarmi. Spio attraverso la finestra, sentendomi un po’ invadente.

“Non ci vediamo da molto…” esordisce Sai, infrangendo il silenzio gelido della stanza. Gli chiedi debolmente di sedersi, scostando una sedia dal tavolo. Lui si siede, e vedo addirittura un lieve imbarazzo sul suo volto. Come immaginavo, Sai è davvero una persona schietta.

“Mi sento imbarazzato, è come se l’aria qui fosse pesante.” Sta nervosamente guardandosi intorno “Qualcosa non va… Naruto-kun?”

Silenzio. I tuoi occhi si riempiono di lacrime. Singhiozzi ti scuotono il petto, e Sai scatta in piedi, rosso come un pomodoro. “Na…Naruto?” chiede Sai, rigido come uno stoccafisso. Lo guardo incredulo. Lo vedo afferrare il foglio di fretta e furia. Questo deficiente sta scappando?

“Forse è meglio che me ne vada, Naruto-kun. Non sono la persona adatta a confortare, non capisco nemmeno che cosa provi…” Lo abbracci. Forte. Sembra che tu voglia essere consolato da qualcuno. Forse vorresti parlargli di me, dei sogni, ma non hai la voce. Stringo i denti, e i pugni, cercando di non piangere. Corro via, e l’ultima cosa che vedo è Sai che ti mette cautamente una mano dietro la schiena, in un’imitazione blanda di un abbraccio.

I tuoni rompono il silenzio, mentre lampi lucenti squarciano il cielo. Ha iniziato a piovere. Senza pensare, sono tornato nella via centrale di Konoha, dove ho incontrato Sai. Vedo la gente scappare ai ripari, rifugiarsi in casa, dentro qualche negozio o sotto qualche balcone. Sono al centro della strada, solo, mentre la pioggia mi passa attraverso. Lascio che il rumore della pioggia sovrasti quello dei miei pensieri.





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Capitolo 4
*** "Un aiuto" ***




“Un aiuto”




E’ notte. Sento solo il respiro regolare del Maestro Kakashi nel silenzio notturno. Sono immobile. Non so se funzionerà. Prendo un profondo respiro, preparandomi. E’ sempre così strano: ogni volta mi sembra come di sprofondare in un vortice e di esserne risucchiato. Una sensazione pessima, che sopportavo per te. Ma adesso sono incerto. Non so se Kakashi sia la scelta giusta, e non so nemmeno se riuscirò a combinare qualcosa. Stavo facendo le cose in maniera piuttosto grossolana, anche per quanto riguardava Sai avevo fatto lo stesso. L’ho buttata lì, e non so se funzionerà mai, ma almeno ci ho provato.

Con questo pensiero, entro nei sogni di Kakashi. Una volta giunto, sono davanti a qualcosa che non desideravo vedere. Kakashi è steso sulla sedia sdraio, mentre un gruppo di ragazze civettuole e con costumi striminziti gli spalmano la crema solare addosso. Sono pietrificato.

Ho i piedi nudi nell’acqua, mi giro e vedo il mare stagliarsi sino all’orizzonte e il sole, alto nel cielo, mi brucia gli occhi e la pelle. Torno a scrutare a occhi stretti Kakashi, che spaparanzato si gode il sole e le ragazze.

Mi avvicino, e nel frattempo mi chiedo perché abbia addosso la maschera anche sotto il sole. Sto tizio non è normale.

“Sasuke!” grida quasi, tra lo sconcerto e l’entusiasmo “Qual buon vento ti porta qui?”

“Ehilà.” Accenno un saluto con la mano, mentre lo guardo torvo. Ho sbagliato tutto. Cosa mi era saltato in testa quando avevo pensato a lui?

“Potresti farle andare via?” chiedo, indicando le ragazze con un cenno. Kakashi allegramente le invita ad andarsene, con un “Ci vediamo dopo” ammiccante, mentre ad una di loro stampa una pacca sul sedere. Mi do anche io una pacca, si, ma in piena faccia. E’ ufficiale: sono un idiota.

“…Me ne vado.” Mi giro, pronto ad andarmene, ma Kakashi mi afferra per un braccio.

“Devo parlarti di Naruto.” Alzo lo sguardo su di lui, e Kakashi mi sprona a sedermi sulla sdraio vicino alla sua. Mi siedo, le gambe larghe, e le braccia conserte.

“Parla.” Dico soltanto. Si sistema sulla sedia, per guardarmi dritto negli occhi. “Naruto sta malissimo. Non esce quasi mai di casa, e, se lo fa, va al cimitero. Sono molto preoccupato. Ho paura che non si riprenderà, questa volta.” Mi racconti cose che già so, penso. Sospiro, il cuore un po’ pesante.

“Lo so.” Sussurro, mentre mi guarda attonito.

“Come fai a saperlo? Tu sei morto!” mi fa costernato. “Sei solo un sogno, una proiezione dei miei ricordi. Null’altro. Non puoi sapere della realtà.”

“Credi che se fosse solo un sogno, come tu dici, saresti capace di renderti conto che è tale?” gli domando “Quanti sogni fai nel quale sei consapevole di stare sognando e ragioni in maniera tanto lineare?”

“E’ reale?!” mi stona quasi le orecchie “Sono davvero alle Hawaii?!” mi spalmo nuovamente la mano in faccia. E’ ufficiale: sono doppiamente un idiota.

“No.” Cerco di stare calmo. “Semplicemente non è un sogno normale. Sono davvero Sasuke e… sto cercando di comunicare con te.” Finalmente lo sguardo di Kakashi si fa serio.

“Quindi il vero Sasuke sta parlando con me?” sembra lo stia chiedendo più a sé stesso che a me. Si riprende, e continua “Cosa vuoi dirmi, Sasuke?”

Cerco di spiegargli brevemente cosa mi è accaduto, senza i dettagli del mio rapporto con te, delle visite frequenti che ti ho fatto e l’ultima idea che ho avuto di Sai. Gli accenno solo di averti fatto visita, e di aver visto come stavi.

“Non so se sono davvero un fantasma, o qualcos’altro.” Dico infine “E nemmeno se è stato qualcuno a darmi questo potere, o se è semplicemente una mia capacità. Io credo sia stato qualcuno: prima che Naruto facesse quel desiderio, io non avevo nessuna capacità, e non potevo toccare nessun oggetto. Dopo che lui l’ha fatto, ho addirittura sbattuto contro il tavolo. Prima di allora, io passavo attraverso a qualsiasi cosa. Non che adesso non lo faccia, ma se voglio posso toccarlo. Richiede spreco di energie, ma ci riesco, con un po’ di sforzo.” Chiudo il discorso, aspettando una risposta.

Silenzio. Kakashi sembra rimuginare su ciò che gli ho raccontato.

“Dunque, potresti essere un fantasma… Ma francamente, non ho mai sentito di fantasmi che entrano nei sogni. Mi pare strano… e tu puoi interagire con gli oggetti. Ricordo di aver letto una volta che i fantasmi non hanno una loro energia, un loro chakra da poter sfruttare, dunque per toccare gli oggetti devono utilizzare l’energia derivante dall’elettricità. Per questo gli elettrodomestici e ciò che è elettronico impazzisce in loro presenza. Loro assorbono e utilizzano quell’energia, per poter spostare oggetti e comunicare.”

Lo osservo incredulo. Fino a qualche minuto prima gli avrei dato del cerebroleso, mentre adesso risultava addirittura utile.

“Quindi… Non sono un fantasma.” Non so se prenderla positivamente. Da una parte, credo che sia positivo, probabilmente ciò significherebbe che non sono propriamente morto. Ma al contempo, questa notizia mi getta nell’oblio del nulla. Non so niente. Sono a zero, non ho nemmeno idea di che cosa io sia diventato e di come sia successo.

“Sicuramente è stato qualcuno a renderti questo.” Continua Kakashi, e mi scruta di sbieco, come un ammonimento silenzioso “E se questo qualcuno non si è ancora presentato, significa che lo farà non appena lo riterrà opportuno, o quando gli servirà.” Quando gli servirà? A cosa potrei mai servirgli, io?

“Non so che utilità potrei avere.” Affermo, guardandomi i palmi. Sono l’essere più futile dell’universo, in questo momento.

“Non so cosa voglia questo qualcuno, ma l’unica cosa che posso dirti è: stai attento. Non sappiamo chi sia, e nemmeno quali siano le sue intenzioni. Potrebbero essere buone, ma anche cattive. Apparentemente ti ha aiutato, ma non sappiamo se sia solo una facciata.”

Silenzio. Sollevo la sabbia col piede e la faccio scorrere tra le dita, pensieroso.

“Puoi aiutarmi? Potresti fare delle ricerche per me?” gli chiedo. Si acciglia.

“Potrei andare nella biblioteca dell’Hokage e dare un’occhiata. Sicuramente troverò qualcosa al riguardo.”

Lo guardo. Sono così profondamente grato che davvero, quasi lo abbraccerei… Se solo non odiassi il contatto fisico con gli estranei. Lo so, il Maestro non è propriamente un estraneo, ma dal punto di vista fisico lo è. Ho bisogno di tempo, conoscenza, qualche contatto lieve prima che io conceda qualcosa di tanto intimo come un abbraccio. E poi credo che se un abbraccio non è davvero sentito e profondo, non abbia alcun senso darlo.

“Grazie.” Mi limito solo a dire.

“Gli Uchiha non ringraziano, Sasuke. Quasi mi meraviglio di te!” ogni tipo di gratitudine scompare a queste parole. Il fastidio è immediato. Questo crede di scherzare, ma io odio che si nomini il mio clan in questa maniera, e mi fa pensare alla fredda compostezza degli Uchiha. E al fatto che io dovrei essere così.

“Vado via.” Scatto in piedi e mi ritrovo risucchiato fuori.

Il sole sta pian piano sorgendo. La luce comincia a entrare dalla finestra, e lascio Kakashi a russare nel suo letto. Magari adesso sta riprendendo a trastullarsi le sue donnine. Perché diavolo ci sto pensando? Pervertito, dovrebbe vergognarsi.



Sono nella valle dove ci siamo scontrati, steso sull’erba calda. Riesco a sentire solo la terra sotto di me: tutto il resto non riesco a toccarlo se non usando il chakra. Quindi mi accontento di sentire il calore della terra sotto di me. Sono stanco di pensare, non riesco e non so fare altro. Non riesco quasi più a tollerarmi, davvero. Sto troppo tempo solo con me stesso. Prima avevo altra gente attorno, anche se non la volevo o non volevano me, comunque la loro presenza mi portava a non pensare a me, alla mia vita, a te. E poi, prima avevo il mio obiettivo: la vendetta. Adesso non ho assolutamente nulla, ho solo la compagnia triste dei miei pensieri. Che, fidati, non è una bella compagnia.

Aspetto che il sole tramonti. Sono rimasto qui quasi tutta la giornata, a malapena mi sento le gambe. Forse non riuscirò nemmeno ad alzarmi.

L’umido cala a bagnare l’erba e la terra, e comincio a sentire freddo. Il cielo è turchese, e qualche stella è già evidente. Tra poco, la tonalità del cielo passerà al blu, e potrò andare a far visita a quel tonto di Kakashi. Forse ha già dato un’occhiata. O forse non ha dato peso al sogno, e ha passato la giornata a completare il rapporto della sua ultima missione. Sospiro, alzandomi lentamente. Le gambe mi reggono, nonostante l’immobilità forzata.

Mentre cammino, le mani affondate nelle tasche, osservo la gente attorno a me. Konoha alla sera si riempie di persone, che escono per mangiare qualcosa o passare del tempo in un bar con gli amici. Non sono quasi mai uscito con te, se non quelle rare volte in cui mi hai trascinato fuori casa sino dall’Ichiraku Ramen. Te lo avrò ripetuto forse migliaia di volte, non mi piace il ramen. Al pensiero i nervi mi salgono quasi quanto allora. Non so quanti pugni in testa ti avrò dato, quelle poche volte in cui mi hai portato là praticamente di peso.

Adesso mi manca. Anche l’odore del ramen che mangiavi tu mi manca. E i nostri litigi, i nostri insulti, sembrano quasi dolci ricordi adesso, ricordi di una vita felice.

Questa situazione mi sta gettando nello sconforto.

All’improvviso, ti vedo. Mi immobilizzo.

Sei con Sai. La gelosia mi attanaglia, nonostante i miei buoni propositi siano andati a buon fine. Mi sforzo di essere felice, ma non ci riesco. Sai ti sta tirando per un braccio, e ti fa sedere su uno sgabello, proprio dall’Ichiraku. Tu sorridi debolmente, accettando silenziosamente la situazione. Non resisto ad avvicinarmi.

Rifletto velocemente sul fatto che mi rendo conto piuttosto poco della realtà che mi circonda: non mi sono nemmeno reso conto di essere davanti al ristorante, e di star pensando alle nostre uscite per questo motivo. La realtà è così sfocata, preso come sono dai miei pensieri, e il mondo attorno a me è invisibile quasi quanto lo sono per lui.

Mentre mi avvicino, sento già la voce atona di Sai.

“Non mi piace il ramen, ma so che tu lo ami. Perciò, mangiare ciò che ti piace potrebbe risollevarti il morale. L’ho letto su un libro. Cerco di imparare come poter esprimere e riconoscere le emozioni, e quindi cerco tanti libri che li trattino. A volte leggo libri sentimentali, per capire come riconoscere l’amore, l’affetto, e altra roba del genere. Così quando arriveranno, io lo saprò.” Ti sorride lievemente, tu apri la bocca ma la richiudi subito, rabbuiato. Non riesci ancora a parlare, ma già il fatto che Sai ti abbia invogliato a rispondere è un grande passo.

Davvero, te lo giuro. Ci sto provando a essere felice. Cerco di indurmelo a forza, ma mentirei se lo dicessi. Non fraintendermi, sono felice che i tuoi occhi siano luminosi, e che tu stia facendo passi avanti. Ma da una parte non posso esserlo, se penso che è perché mi stai mettendo da parte. Egoisticamente, amavo quel tuo struggimento per me, amavo quel posto che avevo nel tuo cuore. Pensare di poter essere rimpiazzato è per me doloroso e quasi inaccettabile.

Mi giro, piano, e mi allontano, mentre la voce di Sai si allontana, come anche il profumo del ramen.

L’ho voluto io. Non posso dire altrimenti. Stavolta, non posso incolpare nessuno.

Sono a casa di Kakashi. Lui non è in casa: decido di aspettarlo, sedendomi sul pavimento e cingendo le gambe con le braccia.

Non mi sono mai compatito tanto quanto adesso.

Passano le ore, e vorrei tanto dormire. Farebbe passare il tempo, mi rilasserebbe e non mi permetterebbe di pensare. Le giornate sono interminabili, insopportabili da sostenere.

Sento la chiave che gira nella toppa. Resto dove sono, immobile. Sono troppo di malumore anche solo per alzarmi. Kakashi entra, e appende la giacca all’appendiabiti. Va in camera sua, e io sono come pietrificato sul posto. Desidero dormire con tutto il mio essere, rintanarmi tra le coperte aggrovigliate e dormire. E non fare altro. Mi era capitato di leggere riguardo alla depressione, e sapevo che uno dei sintomi era proprio questo: dormire tanto, e non voler uscire dal letto. Mi comporterei così, mi rifugerei tra le lenzuola, se solo potessi.

Kakashi torna vestito del pigiama. Getta un’occhiata all’orologio, e io faccio lo stesso: l’una. Si dirige verso il frigo, lo apre e prende una bottiglia d’acqua. La porta con sé, mettendola sul comodino della sua stanza da letto. Si distende, infilandosi sotto le coperte. Aspetto di sentire il suo respiro regolarizzarsi, non mi sono mosso da dove sono. Non appena sento un lieve russare, mi alzo goffamente.

Entro nei sogni di Kakashi, e stavolta siamo entrambi vestiti da anbu. Siamo in una missione, credo. Vedo Kakashi saltare da un albero all’altro, e per stargli dietro faccio lo stesso.

“Kakashi!” grido, e lui si ferma. “Sasuke!” si blocca di colpo, fissandomi. Ci fermiamo in uno spiazzo verde.

“Dobbiamo inseguirlo!” a chi si sta riferendo? Incredulo, vedo il suo volto rigato di lacrime.

Ricomincia a saltare da un ramo all’altro, e io lo inseguo, non capendo bene cosa stia accadendo. Faccio apparire una katana nel mio palmo, mentre Kakashi infine salta al suolo, e ci ritroviamo in una vallata piuttosto grande. Vedo una foresta solo in lontananza. Essere tanto esposti… Aspetta. Ma questo è solo un sogno.

“Kakashi… è solo un sogno.” Cerco di rassicurarlo. Lui è immobile, teso, e protende un braccio in avanti, indicando un punto in lontananza. “Là.” Dice gelido. Seguo la direzione indicatami e vedo Pain.

Kakashi gli corre con furia incontro, non ho nemmeno il tempo di assimilare cosa stia accadendo. “Ha ucciso Jiraya! E io adesso ucciderò lui!” è completamente impazzito. Sento una risata provenire da quel ragazzo, raggelante. Il Maestro prova a colpirlo, ma Pain svanisce in una nuvola di fumo nero. Confuso, sono immobile. Che devo fare? Intervenire? Con te non mi sono mai trovato in queste situazioni… Tu semplicemente non sognavi più nulla di definito.

Vedo Kakashi girarsi verso di me, e raggelarsi. Stava fissando con orrore qualcosa dietro le mie spalle. O qualcuno…

Mi giro lentamente, e mi ritrovo davanti al volto folle di mio fratello. Il sangue cola dal coltello che ha tra le mani, nell’altra mano regge la testa di Mikoto Uchiha. Osservo le gocce di sangue colare dalla testa mozzata di mia madre, sino a terra.

Non riesco a respirare. Non riesco a muovermi. Sono impietrito dal terrore. Kakashi colpisce Itachi in volto con un calcio, ma la sua espressione, se possibile, si fa ancora più agghiacciante. Quel calcio non aveva minimamente spostato Itachi dalla sua posizione, e con solo un cenno della mano, fa volare Kakashi in aria, che ricade al suolo come un sacco. Tremo.

“Ciao, fratellino…” stringo saldamente la katana tra le dita, e gliela conficco con forza nella pancia. La spada lo trapassa da parte a parte, ma la sua espressione non muta. Il suo sorriso, anzi, si allarga, mentre il sangue gli macchia i denti. “Son vivo, o son morto?” Cosa? Allibito, lo guardo. Cantilena nuovamente quella domanda “Son vivo, o son morto?”

Mi sento male. Mi viene da vomitare. Che razza di domanda è? E’ morto, e io lo so. E’ morto con quell’attacco di cuore, durante il nostro scontro…

“Sei morto.” Rispondo, e sono un tantino incerto.

Vedo i suoi occhi allargarsi, lo sharingan ben evidente. “SBA-GLIA-TO.” Mi colpisce, e non so cosa mi accade. Vedo improvvisamente tutto nero.




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Capitolo 5
*** "Amici" ***






“Amici”



Mi risveglio, col cuore in subbuglio, il respiro affannoso. Gli occhi sbarrati. E’ mattina presto, ancora il sole non è sorto. Una forte morsa dolorosa allo stomaco mi attanaglia, e non riesco a muovermi. Mi raggomitolo su me stesso, mi accartoccio lentamente, affondando la testa tra le braccia.

Mi hai abbandonato. Non sento più la tua presenza per casa. Mi ero così tanto abituato alla tua silenziosa e invisibile presenza; non mi sentivo più solo. E adesso… Non ci sei. Mi alzo di scatto, e ti chiamo invano “Sasuke?...” Non sento nulla. Solo un vuoto assurdo, probabilmente simile al panico. Forse, un giorno, avrei trovato un modo per diminuire la nostra distanza… Un modo per comunicare… O magari, di farti tornare visibile… Eppure tu non sei rimasto… Sono passati 3 anni, sono conscio che sia troppo tempo, ma la speranza non m’abbandona. Non voglio abbandonarla.

Mi siedo su una sedia, e mi cingo le gambe con le braccia. Sconsolato, rimango ad ascoltare il ticchettare gelido e perentorio dell’orologio. E’ quasi assordante nel silenzio assoluto che regna in casa mia. Resto lì, a tremare, e non solo per il freddo.

La giornata è passata vuotamente, e l’unica cosa che sono riuscito a fare è stato guardare la tv, anche se ero troppo preso dai miei pensieri per seguire qualcosa. Una sferzata di vento improvvisa spalanca la finestra, e un foglio vola dritto sopra le mie ginocchia. Il trillare del campanello mi fa sussultare. Controvoglia, e con le spalle curve, apro la porta.

“Naruto-kun” mi saluta sorridendo lievemente Sai. Aggrotto la fronte, vedendolo. Sai sembra consapevole del mio stato, ma non riesce a capire la mia espressione. Mi guarda, come sforzandosi di intrepretare. Sbuffo, facendogli cenno di seguirmi. Gli indico una sedia, mentre apro un’anta del mobile che sorregge la tv e prendo un taccuino e una penna. Raccolgo da terra anche il foglio che era svolazzato sin dentro casa, e mi siedo anch’io, di fianco a Sai.

Sembra nervoso, si tormenta le nocche imbarazzato. “Non ci vediamo da molto…” sembra apparentemente voler rompere il ghiaccio, ma non sembra riuscirci molto bene. Lo fisso vuotamente, e gli porgo il suo foglio. Avevo scorto il suo nome e anche “Chunin” leggendo qua e là. Sai lo afferra piano, e bisbiglia un leggero “Grazie.”

Probabilmente in Alaska si sentirebbe meno freddo che qui, ma Sai non può pretendere un caloroso benvenuto: io mi sento una pezza, e oltretutto sono tremendamente deluso da lui. Anche se so che non tutte le colpe sono sue, ma sono ugualmente deluso: non una volta che sia venuto a farmi visita, in questi anni. E adesso si presenta qui, solo perché quello stupido foglio è capitato in casa mia.

“Mi sento imbarazzato, è come se l’aria qui fosse pesante.” Sta nervosamente guardandosi intorno “Qualcosa non va… Naruto-kun?”

Silenzio. I miei occhi si riempiono di lacrime. Non riesco a trattenermi. Con rabbia, mi asciugo le lacrime col dorso della mano, pensando che tutti mi avevano abbandonato proprio quando ne avevo avuto più bisogno. Quado ero forte, tutti mi stavano felicemente affianco… Adesso che sono così debole, così stremato, sono tutti scomparsi. E adesso… anche tu hai fatto lo stesso. Sono così tediante? Immagino di si, ma vorrei solo qualcuno che mi stesse vicino… senza che pretenda nulla da me…

“Na…Naruto?” chiede Sai, rigido come uno stoccafisso. Non lo guardo. Lo vedo con la coda dell’occhio prendere il suo foglio, e alzarsi frettolosamente.

“Forse è meglio che me ne vada, Naruto-kun. Non sono la persona adatta a confortare, non capisco nemmeno che cosa provi…” Lo abbraccio. Forte. Affondo la testa nel suo collo, nonostante una parte di me vorrebbe colpire quel traditore, e scatenare la mia furia. Invece resto lì, a stringerlo, a stritolarlo, col desiderio di fargli un po’ male, ma anche che mi consoli. Che resti. Sento una mano che, esitante, si poggia sulla mia schiena.

“Naruto… Stai ancora male per Sasuke?” Mi chiede piano e io, stizzito, lo scosto da me. Mi sta giudicando, come Sakura-chan. Giudicano tutti il fatto che io non sia riuscito ad andare avanti. A dimenticarti. O a metterti in un angolino della mia mente. Ci ho provato, e ci ho riprovato. Ma era come se mi dimenticassi un po’ anch’io, era come perdersi, e alla fine tornavo in quel sogno folle che era il tuo ritorno. Ho sempre agognato, e sperato solo questo nella mia vita, e questo continuo a fare dopo la tua morte. Era l’unica cosa che mi spingeva a vivere… E’ l’unica cosa che mi spinge a vivere ancora adesso.

Do le spalle a Sai, e so che è come un muto assenso. Sono stizzito, sono stanco.

“Sono quasi le 8.” Esordisce Sai, e io mi giro imbronciato a guardarlo. Sono arrabbiato, e non so nemmeno per cosa di preciso. Faccio per prendere il taccuino, e scrivergli di andarsene, quando lui mi fa: “Ti va di andare dall’Ichiraku?” sono confuso. Sai si gratta nervosamente la nuca, mentre lo fisso cauto.

“In nome dei vecchi tempi.” Mi sorride piano, e io accetto con più entusiasmo di quanto mi aspettassi. Vado in camera. Sai non sembra volermi tormentare con domande o altro, ma che voglia solo passare del tempo con me; mi accorgo che è esattamente ciò che desidero. Mi vesto velocemente, buttando all’aria il pigiama, mentre Sai mi osserva sbigottito sull’uscio. Nemmeno lui si aspettava tutto quell’entusiasmo, evidentemente.

Mi vesto solo con una maglietta a maniche corte grigia e un paio di pantaloni di tuta, prendo il taccuino e la penna ficcandomeli in tasca. Sai, sempre con tono incolore, mi chiede:

“Ma non ti lavi nemmeno i denti, dobe?” mi accenna un sorrisetto, e a sentirlo chiamarmi così il mio entusiasmo svanisce. Hai presente quando scoppi un palloncino con uno spillo? Sai sembrava aver fatto lo stesso con la mia esaltazione.

Mugugnando qualche verso iroso, vado di malumore in bagno, e mi lavo i denti. Ne esco ancora di pessimo umore.

“A me non piace molto il ramen, infatti non lo mangio molto spesso.” Chiacchiera Sai, mentre camminiamo diretti al ristorante. Sono grato del fatto che si sforzi di riempire il silenzio, e che riesca tranquillamente a parlarmi del più e del meno. Sembra quasi come se questi 3 anni non siano affatto passati.

Siamo arrivati, mentre Sai continua a parlare. Mi sento straordinariamente tranquillo.

“Non mi piace il ramen, ma so che tu lo ami. Perciò, mangiare ciò che ti piace potrebbe risollevarti il morale. L’ho letto su un libro. Cerco di imparare come poter esprimere e riconoscere le emozioni, e quindi cerco tanti libri che li trattino. A volte leggo libri sentimentali, per capire come riconoscere l’amore, l’affetto, e altra roba del genere. Così quando arriveranno, io lo saprò.” Mi sorride, e io arrossisco un po’. Il suo discorso è davvero carino, e molto più profondo dei soliti. Ricordavo fosse solo pervertito, (quasi al mio livello) ma non ricordavo accennasse nemmeno minimamente a un sentimento. In questi anni, dev’essersi messo di impegno. Apro la bocca per ribattere, ma non una parola esce dalle mie labbra. Prendo il taccuino, e scrivo. Glielo giro.

“Questi sentimenti non si possono imparare su un libro, è la vita a insegnarteli… Ma quanto sei profondo, Naruto-kun… Naruto-kun?” L’ho sentito. Il cuore martella impazzito. Lo sento, è nelle vicinanze. Scorro freneticamente lo sguardo tra la gente, sperando in un fottuto miracolo. Ma la mia vita si sa, può solo andare in discesa e impantanarsi… Le salite non esistono.

“Il tuo ramen, piccoletto.” Mi fa tenero il cuoco, porgendomi una coppa. Guardo, e vedo due uova tagliuzzate, anziché una, galleggiare nel brodo. Quando stavo bene, non lo aveva fatto. Quando stavo bene, mi picchiava con la scopa perché non avevo i soldi per pagarlo. Riesco a malapena a mangiare qualche noodles, mentre Sai mi osserva di sottecchi, come a voler leggere anche me. Ma io sono un libro difficile da leggere.

Sono sempre apparso come un ragazzo gioviale, ma io e te, dentro, siamo sempre stati uguali. Con la stessa sorte, e la stessa rabbia. Solo che io reagivo al tutto diversamente: tu avevi una sensibilità davvero spiccata rispetto alla mia. Mi fulmineresti con gli occhi, se potessi, ma so che cosa sto dicendo: sei una persona emotiva, terribilmente. Cerchi di controllarti, fai l’indifferente, fai finta che niente ti interessi, ma menti a tutti, anche a te stesso. E tu lo sai bene. Alla fine sei scoppiato, hai represso tutto troppo a lungo.

Anche io sono arrabbiato. Anche io odio tutta questa dannata ipocrisia. Prima la prendevo come fosse tutto un gioco, una gara, una sfida… Un qualcosa che dovevo superare, un modo per migliorarmi, e migliorarmi anche ai loro occhi. Se solo potessi sentirmi… che diresti? Che sto dicendo stronzate? O mi ascolteresti in silenzio? Non lo so, sei imprevedibile nelle tue reazioni. E questa cosa l’adoro e la temo al contempo.

“Smettila.” Mi rimprovera Sai. Sussulto, mentre Sai mi passa una mano sulla spalla. “Smetti di tormentarti così.” Non è realmente un rimprovero. E’ un riprendermi senza rabbia. Abbasso lo sguardo, e sorrido. Prendo il taccuino, e scrivo. Glielo faccio leggere.

“Verrai a trovarmi? Ma certo.” Esclama, e io riprendo a mangiare, anche se freddo il ramen è sempre buono! Mi scombina i capelli, arruffandomeli, e io sbuffo. “E comunque, non me ne sto mica andando!”

Mi prende sotto braccio, con fare amichevole, e ci incamminiamo per le strade. Come al solito, non so mai come diavolo vestirmi: stamattina faceva caldo, sul serio. Mentre adesso sento un freddo indecente! Tremo, e Sai lo sente. Si guarda intorno, mi fa “Aspetta qui”. Corre dentro un negozio, e ritorna fuori poco dopo, con una sciarpa immensa, arancione. Me la mette attorno al collo, avvolgendomi. Il calore è quasi immediato. Sorrido debolmente, e Sai ricambia. Muovo le labbra in un “Grazie” silenzioso, sperando riesca a leggere il labiale. Mi scompiglia di nuovo i capelli e io sbuffo, gonfiando le guance. Riprendiamo a camminare.

“Non sono venuto da te prima perché…” si ferma. Sospira. “Non sapevo come fare per aiutarti. Spesso so essere fuori luogo, sono troppo schietto e potevo farti del male, con le parole sbagliate. Anche Sakura mi ha suggerito di non avvicinarmi, non eri dell’umore e nelle condizioni adatte. Mi parla molto di te e… Ogni volta piange.” Abbassa gli occhi, poi li rialza a guardarmi.

“Quel foglio era della mia missione… Faccio da insegnante ai piccoli ninja, eheh… Mi hanno messo a controllare tre piccoletti, indovina? Team 7. Mi fanno credo… tenerezza, ecco. Credo sia quello che provo. Forse voglio loro bene, chissà… Non riesco ancora a comprendere queste cose perfettamente. E, insomma, devono andare alla loro prima missioncina fuori dalla Foglia, nulla di serio… Ma comunque dovevo almeno sapere cosa devono affrontare, no? E quando mi è volato via, avevo appena iniziato a leggerlo.”

Silenzio… Sento che il mio risentimento è scemato. Non importa il passato.

“Naruto… Tu ci credi, nel destino?” mi domanda serio. Gli accenno un si con la testa.

“Dovevo aspettarmelo da un romanticone come te.” Incrocio le braccia teatralmente, ma lui continua.

“Penso che quello di oggi fosse destino. Il destino ha voluto che mi riavvicinassi. Non potrei chiamarlo altrimenti quel foglio che svolazza proprio dritto dritto nella tua finestra…” effettivamente, nemmeno io so spiegarmelo. Sembra quasi come se davvero qualcosa abbia spinto Sai a suonare a quel campanello. Non sembra casualità. Prendo il taccuino e scrivo: “Il destino mi ha fatto davvero un brutto tiro, allora!”

Dopo aver letto mi da un pugno amichevole sulla spalla, ridacchiando.

“Avresti preferito che a suonare il campanello fosse un figo nudo e arrapato, vero?” ecco il pervertito che ricordavo! Arrossisco come un pomodoro, e lo riempio di pugni, sia in testa che sul petto, spalla, dove mi capita insomma. Lui ride, cercando malamente di ripararsi, mentre la gente passa, e vedendoci sorride.




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