A passo di gambero di Mistiy_Ronny (/viewuser.php?uid=795818)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vecchi tempi ***
Capitolo 2: *** Vecchi tempi- parte seconda ***
Capitolo 3: *** Vecchi tempi- parte terza ***
Capitolo 4: *** Erika?! ***
Capitolo 5: *** Il diario di Lysa ***
Capitolo 6: *** Passi incrociati ***
Capitolo 7: *** Un minuto ***
Capitolo 8: *** Abbandono ***
Capitolo 9: *** dove ho lasciato la mia vita ***
Capitolo 10: *** ragazzi tosti ***
Capitolo 11: *** Nulla è finito per sempre ***
Capitolo 1 *** Vecchi tempi ***
A
passo di gambero
vecchi
tempi- prima parte
Era calata
una notte buia, priva
di stelle e luna. Al di fuori della finestra tutto pareva immobile,
neppure il vento si muoveva nell'oscurità. Il silenzio
esterno
rispecchiava quello interno: il castello era silente dato che tutti
s'erano coricati, da ore avevano annunciato la “buona
notte” ma
Levi lo sapeva, si trattava d'una farsa dato che il giorno seguente
era stata organizzata una spedizione al di fuori delle mura. Se
l'immaginava i membri della sua squadra sotto alle coperte con gli
occhi spalancati colmi di paura ed eccitazione. Chi morirà?
Chi
sopravviverà? Domande che verranno sanate quando il sole
sarà alto,
quando i cancelli delle mura s'innalzeranno.
Le notti precedute dalle
missioni erano sempre così silenziose e Levi ne
approfittò per
starsene solo con i suoi pensieri, difatti era in cucina, sedeva al
tavolo in compagnia d'una tazza di tè e i suoi pensieri
erano tutti
rivolti verso quel futuro così prossimo. Mentalmente
rielaborava il
piano di Erwin, non si domandò se andrà a buon
fine perché non aveva
alcun senso: potevano anticipare tutti gli imprevisti possibili ma alla
fine si trattava sempre d'una questione di attimi, bisognava sempre
avere la lama a portata di mano e gli occhi ovunque.
Decise di liberare la mente dal
futuro prossimo focalizzando lo sguardo sulla notte nera e i pensieri
camminarono all'indietro ritornando a un passato lontano.
. * .
Un giovane
Levi camminava lungo
un terriccio roccioso stando ben attento a non calpestare pozzanghere
aquitrine. Ai lati di quella sotto specie di strada,
c'erano case scosciate ricoperte di muffa e fango. Gli parevano delle
tane per topi perchè solamente questi erano creati per
vivere sotto
terra.
Il fetore di piscio e fogna era
devastante per le narici, stava andando a casa perché
lì l'odore
del disinfettante soffocava quello della muffa. Il desiderio venne
soffocato da una distrazione: vide una nuca argentea appartenente a
un vecchio uomo, l'andatura barcollante e le rughe profonde gli
suggerirono che doveva avere più di sessanta anni. Lo
seguì con lo
sguardo e questo scomparì dietro le ante d'una lurida
taverna. Lo
seguì anche con il passo perché il vecchio doveva
aver vissuto a lungo nel mondo sovrastante poiché nessun
uomo
nato nel ghetto riusciva a raggiungere quell'età. Proprio
perché
non erano ratti, la mancanza dei raggi solari provocavano delle
debolezze nel sistema immunitario così molti finivano per
morire
precocemente a causa di qualche sciocchezza.
Aprì le ante di legno ammuffite
per entrare in una stanza circolare cosparsa di tavoli occupati da
uomini. Gli ubriaconi parlavano con toni vocali troppo alti per i
suoi gusti. Nell'angolo a sinistra vi era una nicchia di gente che
stava in piedi intrattenendosi nel gioco delle freccette, quelli
erano i più rumorosi. Il suo sguardo andò al
banco dove china vi
era una testa argentata, lo sgabello accanto al suo era vuoto. Levi
vi si sedette senza troppi complimenti
<<
Vecchio >> disse
secco e due occhi spenti dalle cataratte si voltarono.
<<
Ti offro da bere >>
<<
Tu sì che sei un bravo
ragazzo! >> lo sguardo divenne subito allegro e come se
temesse
un repentino cambiamento d'idea, il vecchio si sbracciò
attirando
l'attenzione del barista, ma poteva fare anche con comodo
poiché
Levi non avrebbe di certo ritirato l'offerta. Kenny gli aveva
insegnato a comportarsi così quando voleva sciogliere la
lingua di
un alcolista.
Due
bicchieri di Gin si deposero
sotto ai loro nasi. Il vecchio trangugiò avido una buona
parte del
liquido, Levi ne prese un sorso sentendo quanto bruciante fosse
quella porcheria, lo depose di nuovo sul banco. Ovviamente la sua
espressione non tradì alcun disgusto.
Quando constatò che il calice
del vecchio era stato svuotato, decise che era giunto il momento di
parlare.
<< Vecchio, presuppongo
che hai vissuto a lungo in superficie >>
la nuca scompigliata annuì
<< Bene, allora devo …
>>
<< Prendo un altro
bicchiere, va bene ragazzo? >>
<< Sì >> sputò
fuori irritato dal fatto d'essere stato interrotto
Arrivò il secondo bicchiere di
Gin e Levi con un tutta la calma di cui disponeva,
riagganciò il
discorso.
<< Allora, hai vissuto a
lungo fuori da questa topaia? >>
<< Sì, sì. Mi sono
rintanato qua sotto perché ho assassinato uno della capitale
reale,
sai uno di quelli che indossano il cappello a cilindro >>
<< Questo non mi interessa
>> sentenziò arido.
<< Quello che voglio
sapere è come è la vita là sopra,
sicuramente si sta meglio che in
questo buco di merda, però voglio sapere come? Parlami anche
dei
giganti, sono una minaccia? >>
<< Oh, i giganti! Mi
ricordo che quando ero un moccioso e andavo a scuola, un mio compagno
di classe salì su dei trampoli indossando una maschera
inquietante,
gridò: “son un gigante, ora vi mangio
tutti”. Nessuno si
spaventò, ma quando quell'idiota cadde, dio quanto ridemmo!
Rido
ancora oggi al solo pensiero >>
<< Non mi interessa >>
Levi serrò i denti reprimendo l'impulso di sferrare un pugno
sulla
mascella del vecchio << quello che voglio sapere
è quanto è
migliore la vita là sopra >>
Il vecchio lo fissò, l'euforia
nata dal racconto di poco fa era svanita
<< Ragazzo, ho capito cosa
vuoi dire. Certo ero giovane il corpo non mi faceva male ed ero pieno
d'entusiasmo, allora stavo meglio rispetto ad ora. Un tempo non
dovevo alzarmi sette volte a notte per pisciare, ora bevo una pinta
di birra e dopo poco rischio di farmela addosso. Giusto …
>>
Si alzò dallo sgabello portando
la mano sulla patta del pantalone << vado al cesso
>>
Levi non attese il suo rientro e
s'immerse nelle strade della città.
Tutti parlavano di come erano
giunti in quel posto, del crimine che avevano commesso come se fosse
una sorta di manifesto, di pubblicità. Senza problemi lo
narravano,
eppure nessuno raccontava come era la vita là fuori. Era
come se
tutti eliminassero dal passato i raggi solari.
Sapeva
che doveva uscire da lì, non sapeva cosa lo aspettasse al di
fuori
di quel soffitto roccioso ma ne era cero, sarebbe stato meglio vivere
sotto una volta celeste piuttosto che schiacciati da stalattiti
rocciosi. Questo era il suo unico scopo, racimolare più
soldi che
poteva per procurarsi dei documenti falsi e uscire da quello schifo,
però avere qualche informazione in più sulla vita
esterna gli
avrebbe fatto comodo. Un domani si sarebbe ritrovato là
fuori e
avrebbe anche voluto conoscere la faccenda dei giganti che venivano
qualche volta menzionati ma di fatto sembrava che nessuno li avesse
mai visti.
Il
flusso dei suoi pensieri venne spezzato da un grugnito quasi
animalesco, Levi si blocca sui propri piedi dato che quel ruggito lo
conosce fin troppo bene.
Si
voltò e vide una ragazza che se ne stava con la schiena
abbandonata
contro il muro. La chioma bionda brillava nella semi ombra, gli
occhi invece non emanavano alcun riflesso, erano fissi verso un punto
ceco. Stava immobile mentre il grassone le si spalmava addosso, le
metteva le mani ovunque, le dita tozze la percorrono da capo a piede,
dalla bocca uscivano grugniti sconnessi quando non era impegnata a
leccare il profilo della giovane.
Poteva
andarsene, girare i tacchi e proseguire per la sua strada dato che
non era in cerca di rogne, ma successe. La ragazza girò il
capo come se si fosse accorta della sua presenza, lo fissa e i suoi
occhi
erano due pozzi neri nel quale non si poteva far altro che
sprofondare.
<<
Lo hai steso con un calcio? >> disse la ragazza incredula
nell'osservare il vecchio riverso a terra.
<<
Non è morto, perciò ti conviene sloggiare
>> difatti il vasto
pancione si muove con una certa fretta, su e giù. Levi era
intervenuto perché non era stato in grado di mettere a
tacere la coscienza, a dirla tutta non l'ascoltò appieno:
quest'ultima voleva
uccidere, voleva vedere il vecchio porco morto con le budella
squarciate. La sua coscienza sarebbe stata soddisfatta, lui no, non
voleva seguire le orme di Kenny per diventare “Levi lo
squartatore”.
Girò
le spalle pronto per tornare a casa.
<<
Aspetta! >>
Con
una certa noia arrestò i propri passi, non voleva alcun
ringraziamento, era intervenuto solamente per soddisfare un desiderio
personale.
Lei
si piazzo dinnanzi a lui a tre dita di distanza, per istinto Levi
arretrò d'un passo, mai stare troppo vicini a una persona,
per
quanto piccola ed innocua quella potrebbe tirare fuori un pugnale.
Kenny gli aveva insegnato così.
<<
Il mio nome è Erika >> disse abbozzando un
sorriso.
<<
Levi >> disse lui secco, non avevano altro da di dirsi
perciò
era giunto il momento d'andarsene ma successe. In uno scattò
lei
accorciò la distanza e le sue labbra si posero sulle sue
combaciando
alla perfezione. Levi rimase granitico con gli occhi sbarrati dalla
sorpresa, reagì solamente nel momento in cui
sentì la lingua
estranea intrufolarsi oltre le labbra.
Levi
si staccò facendo un balzò all'indietro,
portò le mani alla bocca
umida riscoprendosi sorpreso,accaldato e sconcertato.
<<
Che c'è? Hai forse avuto delle brutte esperienze col sesso?
>>
chiese lei allarmata dallo sguardo che le stava rivolgendo, pareva
aver voglia di sgozzarla.
<<
Scusa, io volevo solamente ringraziarti >> disse lei
senza
avvicinarsi.
Levi s'asciugò con la manica della camicia la bocca
umida e si ricompose ricercando quell'autocontrollo che non
riuscì a
riacquistare, era percosso da troppe sensazioni.
<<
Potevi evitare, non voglio i tuoi fottutti ringraziamenti
>>
Levi
le cacciò un ultima occhiata rognosa e svanì con
velocità dalla
vista lasciando una ragazza senza domande e risposte, non aveva visto
nessun uomo reagire in quel modo ad una sua attenzione.
Levi
sbattè la porta con rabbia.
La
prima cosa che fece fu quella d'andare in bagno, acchiappò
lo
spazzolino e prese a spazzolarsi il denti con furia.
Sciacquò la
bocca, sputò riprendendo a spazzolare con frenesia la
cavità. Le gengive avevano preso a bruciare ma non gli
importava,
la bocca era sporca e quella sporcizia pareva non volersene andare.
Prese
a lavarsi il viso con foga, anche quello gli pareva lercio.
Era
arrabbiato, non per il bacio in se ma per le sensazioni che gli aveva
arrecato. Era un ventenne e come tutti i giovani aveva
fatto i conti con le sensazioni elettriche derivanti dalla
giovinezza, ma nonostante ciò mai, neppure per un secondo,
gli era
saltato alla testa l'idea di intrattenersi nel calore d'una donna. Le
ragioni erano tante, di fatti era un ragazzo dall'aria scontrosa, i
suoi modi di fare poco gentili non attiravano affatto l'altro sesso, e
poi aveva tante cose da fare. Stava racimolando denaro per uscire
dalla città sotteranea, era un progetto ambizioso che
richiedeva
tutte le sue energie, non poteva spendere queste ultime per coltivare
la sessualità. Inoltre l'idea di toccare qualcuno gli pareva
così
sporca come il bordello in cui era vissuto. L'odore della muffa
s'appiccica ovunque, nei muri, nelle strade, sui vestiti, nei
capelli. Non importava quanto ti lavassi, l'odore ti s'addossava come
una seconda pelle, non voleva odorare il fetore addosso ad un'altra
persona.
Era
strano, nonostante tutti questi elementi, la bocca dello stomaco
s'era chiusa.
Una
sensazione solleticante correva lungo tutta la lunghezza della pelle.
Era
stato disgustoso ma ne voleva ancora, voleva sentire di nuovo quelle
labbra color pastello sopra le sue.
L'incisivo
affondò nella carne morbida, il fatto che gli fosse in un
qualche
modo piaciuto, gli faceva schifo.
Buona sera! :)
Questa piccola long
(sarà lunga all'incirca otto capitoli), è in
corso da così tanto tempo che finalmente mi son decisa a
pubblicare il primo capitolo.
Non voglio anticiparvi nulla di questa storia, posso solamente dirvi
che i capitoli sono quasi tutti scritti e pubblicherò con
cadenza regolare ( non lo prometto ma ci proverò
>.< )
Spero che questo
primo capitoletto vi sia piaciuto e non vedo l'ora di conoscere le
vostre impressioni.
un abbraccio grande
Mistiy
|
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Capitolo 2 *** Vecchi tempi- parte seconda ***
Vecchi
tempi –
parte seconda
La
incontrò pochi giorni dopo al mercato nero.
Levi
s'era diretto verso un banco poco affollato, sopra alla lastra di
legno stavano scatole cubiche, su una di queste c'era scritto
“tè
nero”. Senza indugio allungò la mano, era una
merce cara lì sotto
dato che era considerato un bene di lusso al quale molti cittadini
della città sotterranea potevano rinunciare.
Le
dita s'allungano ma una mano veloce l'anticipò sottraendo
l'oggetto
del desiderio. Levi indispettito, voltò il capo pronto a
fulminare
con lo sguardo l'usurpatore ma la palpebre si spalancarono nel
momento in cui incontrò due grandi occhi neri.
<<
Ciao! >> esclamò Erika con voce allegra e lo
stomaco di Levi
s'accartocciò su se stesso.
Lui
ricambiò il saluto con un cenno del capo
<<
Anche a te piace il the nero? >> domandò con
curiosità e
anche stavolta si limitò ad annuire.
<<
Però c'è solamente una scatola … chi
se lo prende? >>
Lui
non rispose, in quel momento esistevano solamente le labbra a forma
di cuore cucite sul volto della ragazza stante di fronte sé.
“ Sono
un porco” pensò con accidia tra
sé e sè
<<
Hai ragione, non c'è alcun problema, vale la legge
“chi prima
arriva meglio alloggia”, perciò …
>> tirò fuori dalla
tasca qualche moneta per consegnarle al mercante
Levi
infastidito da tutto ciò, girò le spalle pronto
per andare via
<<
Aspetta dove scappi? >> la ragazza s'affiancò
a lui
<<
Che vuoi? >> arcigno sputò fuori. Non
interruppe la camminata
perché non voleva guardarla in volto, la cinghia presente
nello
stomaco prendeva a stringere sempre più forte.
<<
Ti va un tè? >> di sottecchi le rivolse una
delle sue
occhiatacce
<<
Sai, è il minimo che posso fare >>
proseguì lei guardandosi
le scarpe << sai mi hai salvata e voglio ringraziarti
… >>
<<
Non voglio i tuoi fottuti ringraziamenti, mi sembra d'avertelo
già
detto >>
Erika
gonfiò le guance e dalle labbra uscì un lungo e
pesante soffio
<<
Che uomo esasperante! Dai che diamine ti costa? >> si
piazzò
di fronte a lui ponendo le mani sui fianchi e Levi fu costretto a
fermarsi.
<<
Voglio ringraziarti a tutti i costi perciò ora verrai a casa
mia, ti
preparerò la cena e poi il tè, capito?
>>
Levi
storse il naso e corrucciò le sopracciglia dinnanzi a quel
repentino
cambio d'atteggiamento, poco fa era una ragazzetta dal fare giocoso e
in tre quattro otto s'era tramutata in una piccola donna chiassosa.
<<
Va bene >> sibilò acido << spero
tu sappia cucinare >>
<<
ah, ti stupirò! >> disse tutta contenta
ritornando al suo
fianco
.
***.
Erika
viveva in una specie di monolocale, dall'esterno pareva una
catapecchia pronta a cadere da un momento all'altro. L'interno della
casa rispecchiava il degrado esteriore: i muri erano scrostati, le
mattonelle decorate da lunghe crepe nere, ma per lo meno era un
luogo pulito, non puzzava di sterco come l'intera città.
Stavano
seduti al tavolo rettangolare, non avevano parlato un
granchè, Erika
aveva provato a instaurare una conversazione orientata sulle varie
tipologie di the, Levi aveva partecipato in modo abbastanza attivo
alla conversazione, ma quando alla fine giunsero alla conclusione che
il te nero era imbattibile, calò il silenzio. Il vuoto di
parole
indusse Erika a sparecchiare la tavola, appoggiò sul tavolo
due
tazze di te e al centro pose un vasetto di vetro, al suo interno
c'era un mazzo di primule appena sbocciate. Lo sguardo di Levi
s'incollò su quei piccoli petali bianchi
<<
Ti piacciono? >> chiese lei speranzosa d'instaurare una
nuova
conversazione
<<
Non sono male >> disse allungando il pollice e tastando
la
morbidezza del piccolo petalo. I fiori nella città non
sbocciavano
mai, li aveva già visti in passato ma non ricordava dove,
forse nel
bordello ove lavorava sua madre?
<<
Dove li hai presi? >> chiese incuriosito dal dubbio
appena
sorto.
<<
li ho comprati al mercato nero, c'era un tizio che era riuscito a
sgattaiolare fuori per qualche ora, ha preso su tutte le erbacce che
ha trovato >>
Levi
ci credette, o per meglio dire finse di crederci.
Continuò
a tastare con le dita il morbido petalo, i fiori erano così
rari
nella città, eppure era convinto che al di sopra della volta
grottesca, ce n'erano a bizzeffe. Probabilmente gli abitanti della
terra sovrastante non li degnavano d'uno sguardo.
<<
Se vuoi te li regalo >> la buttò lì
così tanto per dire
<<
No, voglio vederli incorporati ad un suolo mica in un vasetto
>>
<<
Vuoi comprare la cittadinanza? >> chiese lei incuriosita
dall'affermazione
<<
Certo, tutti vogliono uscire da qua >>
Alla
risposta secca come una sentenza, lei scosse le spalle verso l'alto
con disinvoltura.
<<
Non tutti >>
<<
Ti piace vivere nella spazzatura? >> chiese sarcastico
incrociando le braccia, gli pareva un'affermazione talmente imbecille
<<
Certo, non mi piace vivere qua sotto però anche in questo
squallore
posso trovare la bellezza >> si alzò in piedi
così che Levi
poté scrutarla da capo a piede. Indossava un vestito ampio,
troppo
grande per la sua corporatura
<<
Tali volte la bellezza la ritrovo nelle cose, altra volte nelle
persone. >>
Sotto
l'occhio attento quanto vigile di Levi, Erika piegò le
ginocchia
dando un bacio a stampo sulla guancia diafana.
<<
Che cazzo fai? >> chiese strabuzzando gli occhi, lo aveva
sorpreso.
<<
Niente, ti ho solo dato un bacetto >>
<<
Perchè? >>
<<
Perchè sei bello! >> la buttò
lì come se si trattasse d'un
fatto talmente scontato che non meritava neppure d'essere espresso.
Lei
si chinò per schioccare un altro bacio a fior di pelle ma
Levi
arretrò un poco il busto, sospettoso ma la contempo stupito
la
guardò dritta negli occhi per cercare una risposta
più
soddisfacente.
Erika
non s'arrese, colmò la distanza fra loro e si sedette sulle
sue
ginocchia, i muscoli di Levi s'irrigidirono.
<<
Levati dalle palle >> disse arido, sentirla
così vicina lo
infastidiva.
<<
Perchè? >> chiese lei un poco sorpresa da
quell'atteggiamento
così remissivo
<<
Ti faccio così schifo? >>
<<
Non mi fai schifo, devi solamente levarti da qui >> lo
disse
con tutta l'acidità risiedente nell'animo, ma nonostante
ciò non si
scansò via, neppure quando le braccia di Erika andarono ad
allacciarsi dietro al suo collo
<<
Senti, non so che problemi hai con il sesso però se lo si fa
con la
persona giusta al momento giusto, può rivelarsi un cosa
bella >>
alitò sul suo viso le seguenti parole, e la pelle di Levi
cominciò
a tremare. Quella vicinanza, quell'abbraccio emanavano un calore
strano al quale non era affatto avvezzo. Kenny aveva dimostrato il
suo affetto(se così si poteva definire), a suon di calci e
schiaffi
che Levi s'era dimenticato del calore derivante dalla vicinanza d'una
altra persona. Non ricordava l'ultima volta che aveva avuto un essere
umano così vicino, forse l'ultima persona che s'era
avvicinato a lui
in tal modo era stata sua madre, l'unica anima che s'era sprecata di
trasmetterle un briciolo di calore.
Levi
rimase immobile, guardò quelle labbra avvicinarsi alle sue
rimanendo
ascoltò delle sensazioni discordanti che si dimenavano
all'interno
del suo petto: il disgusto serrava il suo stomaco, il calore
scaturito dalle calde labbra mandavano scosse elettriche lungo la
pelle.
Dischiuse
la bocca e lasciò che le lingue si scontrassero in quel
bacio
bagnato, sporco ma piacevole. Sì per quanto lo odiasse, per
quanto
lo ripudiasse il calore derivante dalle bocche era confortante.
Un
'immagine passò veloce e letale come un colpo di frusta: una
donna
dai capelli corvini viene schiacciata contro la parete, l'uomo la
bracca, le blocca le braccia stringendole i polsi. La ingabbia, non
le lascia alcuna via di scampo schiacciandola contro la parete con il
peso del corpo. Il piccolo Levi guardava senza capire il motivo
per cui quel vecchio si impegnava: lei non si sarebbe ribellata non
lo faceva mai, sarebbe rimasta lì granitica a subire ogni
forma di
violenza.
Il
ricordo lo disgustò a tal punto che afferra le spalle di
Erika per
allontanarla.
<<
Perchè vuoi farlo? >> chiese lui serio, non
c'erano spazio per
i dubbi. << per ringraziarmi? >>
<<
Te l'ho già detto >> affondò la
mano tra i ciuffi corvini <<
Perchè sei bello >>
<<
Tutto qua? >> chiese con un certo scetticismo, gli pareva
una
cosa così assurda che una donna potesse trarre piacere da un
rapporto carnale. Gli uomini del bordello giungevano come ladri, ogni
qualvolta uscivano con un sorriso, anche sua madre sorrideva eppure
giorno dopo giorno diveniva sempre più tirato e suoi occhi
sempre
più spenti. Giorno dopo giorno si prendevano un pezzo della
sua
dignità fino a a quando non si ritrovò sdraiata
nel letto, immobile
con lo sguardo fisso chissà dove. A quel punto i ladri non
venivano
più avevano già preso tutto quello che potevano
da sua madre,
quest'ultima si lasciò morire derubata da tutte le emozioni,
svuotata fino al midollo, morì sotto gli occhi impotenti del
figlio,
abbandonata dal bordello.
Erika
abbozzò un timido sorriso poi si chinò
<<
Tutto qua >> soffiò sulle sue labbra, Levi
strinse forte gli
occhi, stava lottando contro il suo istinto quello che assomigliava
al ladro. Erika ignara della battaglia che s'agitava all'interno
dell'animo del ragazzo, infilò una mano sotto la sua
camicia. Il
palmo si apre, aderisce contro la pelle e il suo petto vibrò.
Levi
imprigionò tra le mani il volto della ragazza,
scostò le lunghe
onde gialle dal suo volto per guardarla dritta negli occhi. Erano
talmente neri che parevano due pozzi senza fondo nel quale non si
poteva far altro che precipitare. Decise, si lasciò cadere.
.
* .
Avevano
consumato un rapporto sessuale impacciato, quasi imbarazzato e Levi
ne era convinto, Erika non s'era divertita affatto, eppure non glielo
aveva fatto pesare, l'aveva congedato con un sorriso.
Al
di là del piacere fisico Levi s'era sentito strano: i corpi
privi di
vesti che s'erano intrecciati la notte scorsa, gli aveva lasciato
addosso uno strano calore. Il piacere che gli s'era cucito addosso
non poteva essere in alcun modo paragonato all'orgasmo momentaneo. La
pelle era calda e i muscoli parevano essersi sciolti sotto le carezze
della ragazza.
Levi
camminava ripensando alla notte precedente, doveva svolgere un furto
per conto di un riccone abitante della città sotterranea ma
aveva
del tempo libero a disposizione, così decise d'andare
nell'appartamento della ragazza. Non voleva ripetere la vicenda della
notte scorsa, voleva semplicemente vederla.
Arrivata
alla sua porta bussò. Un'occhiata fugace alla finestra e
l'assenza
di luce gli confermò che non era in casa.
Sarebbe
passato più tardi, allora si direzionò verso il
punto d'incontro
ove si sarebbe svolta la rapina. Imboccò una strada
qualunque, il
mondo sotterraneo era talmente misero che bastava un paio d'ore per
percorrerlo. Conosceva le strade, i sottopassaggi, le case
dannatamente bene, eppure per pura causalità si
ritrovò a
percorrere la strada in cui stava il bordello. Volutamente
ignorò la
struttura marrone come la terra sottostante ma l'occhio cadde sul
porticato, volente o meno era il luogo in cui era cresciuto e per
quanto fosse disgustoso e deplorevole, era impossibile ignorarlo.
Vide
una chioma gialla, e lo sguardo tornò dinnanzi a
sé.
Non
erano affari suoi e poi aveva un lavoro da svolgere.
.
*** .
Levi
stava nel suo appartamento seduto sulla sedia, con i gomiti posati
sul tavolo e il volto intrappolato fra le mani.
Il
lavoro era stato terminato con successo, sentiva il peso delle monete
nella tasca del pantalone, eppure ogni pensiero era rivolto verso la
nuca bionda ondulata intravista poche ore fa. Era Erika, ne era certo
dato che aveva infilato le dita tra quelle onde gialle, come avrebbe
potuto non riconoscerle?
Levi
non era un ingenuo, il sospetto che la ragazza fosse una prostituta
era nato la prima volta che l'aveva vista: aveva addosso vesti troppo
appariscenti per essere indossate da una qualsiasi ragazza.
Sentì
lo stomaco chiudersi, non aveva costretto Erika a intrattenersi in
quel rapporto carnale, eppure non poteva fare a meno che sentirsi in
colpa: la ragazza faceva sesso con gli uomini per vivere, e l'aveva
fatto anche con lui durante il suo tempo libero.
I
polpastrelli affondarono nella nuca e strinse forte i capelli. Doveva
fare qualcosa per liberarsi dal macigno che s'era depositato nella
bocca dello stomaco.
Ciao
a tutti:)
Il
flash back riguardante la città sotterranea
terminerà nel prossimo capitolo, solo allora
comincerà la vera storia:)
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, spero di sentire le
vostre opinioni <3
Ci tengo a ringranziare tutti coloro che hanno inserito la storia tra
le seguite, preferite e ricordate, dedico un caldo ringraziamento a
coloro che hanno commentato fino ad ora:)
un
abbraccio
Mistiy
|
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Capitolo 3 *** Vecchi tempi- parte terza ***
Vecchi
tempi- parte terza
<<
Voglio
la bionda >>
Disse gettando le monete sul
banco.
<< Signore ne abbiamo due
>> rispose il proprietario mostrando un sorriso sdentato
<< Quella con i capelli
lunghi e mossi >> specificò evitando di
pronunciare il nome
della ragazza, sicuramente tra quelle mura utilizzava uno pseudonimo.
<< Oh, vuoi la bella
Olivia? >>
Levi annuì nascondendo il
malessere che il vecchio gli stava arrecando con quel sorriso
puzzolente. L'odore di marcio derivante dalla sua bocca arrivava fino
alle sue narici.
<< E' fortunato, ora non
ha nessun cliente, la trova nella stanza dieci situata al secondo
piano. >>
Non se lo fece ripetere una
seconda volta, si voltò sorpassando i clienti che se ne
stavano
ammassati nell'altro in attesa d'essere soddisfatti dalle prostitute.
Percorse le scale a passo calibrato cercando d'ignorare i gradini
cigolanti, le lunghe crepe attorno ai muri: quel posto pareva essere
rimasto immutato e non voleva concentrarsi su alcun particolare
perché altrimenti non ce l'avrebbe fatta, il nervosismo
avrebbe
preso il sopravvento e non sarebbe riuscito a giungere nella stanza
ove stava Erika.
Stava realmente andando da
lei? Levi auspicava una risposta negativa, sperava di trovarsi
dinanzi a un volto sconosciuto poiché la ragazza non
meritava quel
tipo di vita. A dirla tutta nessuna donna doveva condurre uno stile
di vita così logorante. Aveva visto sotto i suoi occhi una
madre
ammalarsi: uomo dopo uomo, anno dopo anno, quelli giungevano per poi
andarsene via intascandosi un pezzo della sua dignità fino a
quando
non era rimasto più niente tramutandosi in un involucro
privo di
vita.
Giunto alla porta bussò ma non
aspettò il consenso, l'aprì e quando la vide il
respiro si disperse
nel petto.
La stanza era avvolta nella semi
oscurità, solo il lume posto sotto la finestra faceva
risplendere
gli occhi scuri della ragazza
<< Levi?! >> esclamò
lei sorpresa dell'apparizione.
Lui con un calcio chiuse la
porta dietro di sé e il mondo per qualche secondo prese a
girare, il
pavimento pareva voler prendere il posto del soffitto e viceversa.
<< Non dovevi venire qua
>> disse lei cercando d'apparire sorridente, la bocca
saliva
verso l'alto ma i suoi occhi erano lucidi e frenetici.
<< Ah sì? Per vederti
devo prendere appuntamento e pagarti, giusto? >> la
ragazza
arretrò d'un passo colpita in pieno dall'accidia. L'aveva
ferita,
Levi ne era cosciente eppure non poteva farci niente,
l'aggressività
era l'unico modo che conosceva per esprimere il suo dolore.
<< Cosa vuoi che ti dica?
Io non sono la donna di nessuno >> nel dirlo
puntò lo sguardo
per terra e la sua voce strisciò fuori con una tale
stanchezza .
<< Levi!? >> lo
chiamò ad alta voce, ma quest'ultimo se l'era filata via
sbattendo
sonoramente la porta.
. *** .
Io
non sono la donna di
nessuno, aveva detto questo Erika ma legalmente non era
così.
Levi s'era
informato, Erika era
stata abbandonata e comprata all'età di dodici anni dal
vecchio
proprietario del bordello, in poche parole era una schiava e
apparteneva a quel posto.
Levi non riusciva a giustificare
un fatto: la ragazza possedeva un appartamento, quello in cui era
stato assieme a lei, dove avevano consumato quell'amore impacciato.
Perchè una schiava del sesso poteva avere una casa tutta
sua? Forse
qualche cliente gliela aveva donata, o magari se l'era comprata con i
pochi soldi derivanti dalla sua professione ...
Non lo sapeva, l'unica cosa che
gli interessava era il fatto che aveva un posto in cui stare.
Il giorno dopo si ripresentò al
bordello, dinnanzi al proprietario con un sacchetto di tela colma di
denaro.
<< Olivia, la voglio
comprare >> disse mostrandosi deciso e intransigente.
Il vecchio scosse il capo, disse
che era una bella ragazza e avrebbe perso molti clienti,
così Levi
aggiunse qualche altra moneta e il proprietario acconsentì.
Con quel
denaro poteva comprarsi altre due figlie di nessuno.
Una lurida e veloce stretta di
mano e il contratto orale venne stipulato e perfezionato con la
consegna dei documenti della giovane, quelli che dichiaravano che era
la schiava del vecchio.
Levi piegò il foglio
infornaciandolo nella tasca del pantalone.
Percorse le scale per dirigersi
nella stanza di Erika, passo dopo passo si ripromise che mai
più
sarebbe inciampato in quel posto, neppure la ragazza.
Con poca grazia aprì la porta.
<< Levi?! >>
sobbalzò sulla sedia su cui stava.
Non disse nulla, si limitò ad
afferrare il suo braccio con una salda presa.
<< Cosa fai? >>
sbottò lei spaventata da quell'aggressività, ma
lui non emise
alcuna parola, si limitò a trascinarla via. Erika cercava di
piantare i piedi al suolo per non essere trasportata, ma la forza
dell'uomo era inaffrontabile.
Giunti fuori dal bordello, Levi
lasciò la presa
<< Che cosa ti è preso?!
>> sbottò con una voce stridulaa mostrandosi
confusa quanto
spaventata da quella rudezza.
Levi diede una risposta tirando
fuori il documento.
<< Mi hai comprata?! >>
incredula sgranò gli occhi color onice.
<< Ora non sei la donna di
nessuno >> porse il foglio e la ragazza timidamente lo
prese
fra le mani. Senza aggiungere alcuna parola il ragazzo
s'incamminò
verso un'altra strada, via dal bordello e dalla ragazza dagli occhi
neri. Aveva utilizzato tutti i risparmi per poter tranciare le
catene che legavano la ragazza al bordello, non era pentito della sua
scelta poiché lei non era la donna di nessuno e
così doveva essere.
Gli aveva offerto una seconda possibilità, quella che non
aveva
potuto donare a sua madre. Non voleva mai più rivederla
poiché lei
non apparteneva a nessuno e lui non desiderava possedere
alcunché,
tanto meno la vita d'una giovane.
<<
Levi! >> il chiamato arrestò i propri passi ma
non si
voltò.
<< Là fuori, noi due ci rincontreremo sotto al
sole >> la voce tremante dall'emozione giunse
così forte e
chiara che non c'era bisogno d'aggiungere alcuna altra parola.
Levi
andò avanti e un sorriso tirato si disegnò sul
suo volto, voleva
credere alla promessa silenziosamente stipulata.
. *** .
Esattamente undici anni dopo
l'accaduto, Isabel, Farlen e Levi sedevano al tavolo circolare d'una
locanda semi vuota.
Nel giro di pochi anni avevano
creato un legame indissolubile che poteva essere paragonato alla
fratellanza. Levi s'era abituato alla presenza dei due, eppure gli
pareva strano poter aver qualcuno al proprio fianco. Lui era sempre
stato un cane solitario, teneva tutti a distanza poichè
nessuna
esistenza doveva gravare sulle sue spalle, eppure s'era ritrovato a
condividere la sua vita con Isabel e Farlen.
<< Andiamo al mercato,
dobbiamo far rifornimento di viveri >> disse Farlan
alzandosi
in piedi
<< Sì! >> esultò
energica Isabel per affiancarsi al ragazzo
<< A causa di questa
mangia pane a tradimento, le dispensa della cucina s'è
svuotata >>
uno schiaffetto scherzoso s'assestò sulla nuca rossa e
Isabel si
lamentò pronta a discutere con Farlen
<< Hey! Guarda che devo
crescere! E poi chi s'è sbafato tutti i biscotti? Non io!
>>
<< Vieni Levi? >>
chiese Farlan ignorando volutamente Isabel giusto per farla
infuriare.
<< Andate, io vi raggiungo
dopo >> disse tagliando corto
Con un saluto si congedarono e
Levi rimase solo ad osservare il liquido presente nella sua tazza. Il
locale era semi vuoto e nell'aria s'era diffuso un chiacchiericcio
tollerabile, ma una voce grossa e ruvida si sovrappose alle altre.
<< Allora, hai avuto i
soldi dalla puttana? >>
Di sottecchi movimentò gli
occhi, a tre tavoli di distanza stavano due uomini dotati d'una
costituzione massiccia, un era vecchio e calvo, l'altro più
giovane
dotato d'una capigliatura nera e arruffata come un nido d'uccello.
Erano degli strozzini, la feccia
peggiore della città sotterranea: quelli prestavano soldi a
gente
disperata richiedendo interessi ingiusti rendendo sempre più
misere
le esistenze dei debitori. Levi li aveva riconosciuti
dall'abbigliamento, difatti questi giravano indossando degli
impermeabili come a dimostrare il fatto che erano superiori, che la
sozzeria della città scivolava sul tessuto impermeabile per
non
addossarsi alle loro pelli.
<< No, non me li ha dati
>> disse il giovane stravaccandosi sulla sedia
<< E quindi che hai fatto?
>>
<< C'era poco da fare,
ovviamente l'ho uccisa >>
Il vecchio sbuffò tirando fuori
dalla tasca un taccuino e una penna
<< Un altro nome da
depennare dalla lista riscossione crediti, come si chiamava?
>>
<< Boh … >> si
grattò la nuca con noncuranza << Credo Rika o
Reika, non so
qualcosa del genere >>
“ Erika!
“ il cuore di Levi
perse un battito, ma continuò a porgere l'orecchio. Ne
esistevano
tante di Erika nel mondo, non poteva trattarsi della stessa ragazza
conosciuta anni fa.
<< Dove hai lasciato il
cadavere? >> chiese il vecchio tracciando una riga sul
foglio.
Parlavano in toni tranquilli, avevano appena annullato l'esistenza
d'una persona e loro rimanevano intrappolati in uno stato annoiato,
come se il valore d'una vita potesse essere quantificata col denaro.
<< L'ho lasciata vicino al
mercato nero, sai in quel vicolo dove la gente butta la spazzatura
>>
Levi s'alzò in piedi, a passo
spedito uscì dalla taverna perchè non necessitava
d'altre
informazioni.
. * .
Con un
fazzoletto posto sul naso
camminava lungo il vicolo nauseabondo.
Alzava le ginocchia per evitare
d'imbrattare i pantaloni, evitava i sacchi straripanti di spazzatura.
Lungo quelle due mura strette il fetore di marcio penetrava nei
polmoni per sconvolgere le viscere.
Gli occhi nella semi oscurità
li teneva bassi, calciava qualche sacco e i ratti correvano via
spaventati. Cosa era costretto a fare, vivere nella città
sotterranea non era già abbastanza disgustoso? No, quel
posto non
faceva altro che risucchiarti per trascinarti sempre più in
fondo.
Assestò un calcio rabbioso
verso un altro sacco ma il piede non tornò a terra, rimase
lì fermò
a mezz'aria: gli pareva d'aver visto qualcosa di luminoso
nell'oscurità.
Con la punta dello stivale
spinse via qualche altro sacco e dal terreno emersero lunghe ciocche
bionde. Con la consapevolezza che lì sotto c'era un corpo,
s'abbassò, le mani frenetiche presero a cacciare di lato la
spazzatura ingombrante e le ciocche divennero lunghi capelli. Lo
strozzino diceva il vero, lì aveva lasciato un corpo dalla
stazza
minuta, supino a pancia in giù.
Levi ingoiò a vuoto, lo stomaco
gli s'era chiuso, la gola s'era arrotolata su se stessa e il respiro
era scomparso, ma nonostante ciò afferrò la
spalla rigida della
sagoma senza vita, la girò in uno scatto quasi violento come
a voler
scoprire al più presto l'identità della donna.
Vide occhi semi chiusi, scuri
come le ombre della città, li riconobbe immediatamente. Lo
sguardo
corse lungo un volto tumefatto, lividi violacei spiccavano sopra alla
pelle tirata come la carta d'una pergamena. Le labbra un tempo rosse
e piene, non esistevano più, s'erano arricciate verso l'alto
e
mostravano denti resi marroni dal terreno sottostante.
Lo sguardo corse giù e dalla
tunica marrone vide tre fori macchiati di sangue.
“ Questo
posto è
letteralmente senza fondo “
Nell'osservare il corpo prossimo
alla decomposizione di Erika, gli venne in mente questa frase detta
da Farlen poco tempo fa.
Le viscere presero a rivoltarsi
su se stesse, gli odori nauseanti che fino a poco fa potevano essere
tutto sommati tollerati, penetrarono nella narici, con forza si
fecero largo lungo o stomaco. S'alzò in piedi reprimendo un
conato,
non voleva vomitare vicino a lei.
Con movimenti veloci simili a
scatti, si svestì del soprabito per porlo sopra al cadavere
della
ragazza, lo infastidiva così tanto vedere la salma della
giovane
riversa nello squallore assoluto.
A falcate caute ma ben decise
uscì dal vicolo, sapeva cosa doveva essere fatto.
Ritornò
al locale, ma non
entrò. S'appoggiò al muro, vicino alle ante che
conducevano
all'entrata. A braccia conserte con il capo chino attese fino a
quando non vide una nuca scura uscire a passo sbilenco. Doveva
essersi ubriacato ma a Levi non interessava.
Lo pedinò con discrezione
mantenendo un'adeguata distanza in modo tale che non s'accorgesse
della sua presenza.
Dopo qualche isolato l'uomo
arrestò la marcia storpiata per fermarsi presso una
catapecchia di
mattoni, anche Levi si fermò accostandosi dietro al muro.
Lo guardava mentre cercava la
chiave nella tasca del pantalone, la trovò e a tentoni
ricercò la
serratura , ridacchiò e questo fatto lo fece incazzare
terribilmente. Aveva ucciso una persona e osava ridere, doveva
metterlo a tacere per sempre.
Dopo qualche minuto la serratura
scattò, aprì la porta e Levi scattò in
un balzo arrivò dietro
alle sue spalle. Con un calcio secco lo spinse all'interno
dell'appartamento.
<< Che cazzo … >>
sbottò l'uomo cadendo a terra.
Chiuse l'uscio e lo sguardo
corse lungo la stanza, non c'era nessuno. Solamente lui e l'assassino
di Erika.
<< Chi cazzo sei? >>
urlò con voce imperiosa cercando d'alzarsi ma Levi glielo
impedì
ponendo la pianta dello stivale sul suo petto. Lo schiacciò
e la
vittima sottostante emise un grugnito.
<< Hai ucciso tu la
ragazza, quella lasciata nel vicolo? >> chiese con un
tono
vocale atono, ma l'espressione contorta in mille pieghe esprimeva
tutta la sua ira.
<< Chi? La puttana? >>
sputò l'uomo con tono quasi scherzoso e Levi perse tutto
l'autocontrollo di cui disponeva, si spogliò della sua
umanità per
divenire un concentrato di furia e fu l'istinto a guidarlo. Il
pugnale finì nella mano destra, scagliò quattro
pugnalate secche e
veloci lungo il petto dell'assassino sorridente.
<< Si chiamava Erika! >>
quasi urlò rialzandosi in piedi con la mano tremante. Il suo
corpo
fremeva ma gli occhi rimanevano fissi sull'uomo ferito. Lo
guardò
contorcersi, bestemmiare fino a quando la bocca si riempì di
sangue
e l'uomo non poté far altro che muoversi scompostamente
urlando
suoni sconnessi e soffocati. Fu una questione di minuti, piano piano
il corpo perse la capacità di contorcersi, compiva scatti
leggeri,
come se venisse mosso da piccole scosse elettriche, infine si
paralizzò in in una grande pozza di sangue.
Levi lo fissò qualche minuto,
sospirò consapevole di non aver tratto alcuna soddisfazione
dall'atto appena compiuto. Lo aveva ucciso vendicando Erika, ma lei
era morta e quell'uccisione non aveva fatto altro che rendere il
mondo sotterraneo ancora più profondo. Era così,
ci s'ammazzava a
vicenda per vendetta, per denaro come se il sangue della vittima
potesse in un qualche modo colmare l'angoscia, ma alla fine il rosso
lasciava addosso solamente un grande senso di vuoto.
Prese dalla tasca un fazzoletto
pulendo il pugnale sporco.
Girò le spalle per incamminarsi
là dove aveva lasciato Erika. Meritava una degna sepoltura.
Il caporale
Levi osservava la
tazza divenuta tiepida sotto al suo naso, da quanto tempo non pensava
ad Erika? Erano trascorsi molti anni eppure mai aveva gettato lo
sguardo indietro alla ricerca della sua memoria. Quel giorno l'aveva
sepolta con la convinzione che non sarebbe più tornata nella
sua
mente, difatti non indagò sul motivo per cui era tornata nel
bordello, neppure il perché s'era rivolta a degli strozzini
per
ricevere del denaro. Qualunque fosse la ragione lei era morta.
La città sotterranea era così,
ti inghiottiva portandoti sempre più a fondo e la
maggioranza della
gente si lasciava cadere. Si finiva col identificarsi con quel posto
con la convinzione che non c'era altro, il futuro come il mondo
esterno poteva offrire solamente spazzatura perciò era
inutile
ribellarsi per guadagnarsi un posto nel mondo.
Dei passi derivanti dal soffitto
spezzarono il corso dei suoi pensieri.
Gettò lo sguardo, la notte non
era più così buia. Il cielo si stava schiarendo
perciò il momento
della battaglia s'avvicinava. S'alzò in piedi pronto per
indossare
la sua divisa, pronto per combattere.
Ciao:)
Ecco qua, il lungo flash back
riguardante la città sotterranea è terminato, da
questo momento in
poi le vicende che verranno raccontate sono ricollocabili dal
capitolo 24 del manga( in poche parole dalla comparsa del gigante
femmina )
Il finale della vicenda è
infelice e spero non ci siate rimasti\e troppo male per la fine di
Erika, non ho mai analizzato la psiche interna del personaggio ma non
vi preoccupate, in un qualche modo rispunterà fuori ;)
Lo ammetto, mi è dispiaciuto
farle fare questa morte, ma senza la sua morte la storia non poteva
proseguire:(
Comunque sia spero che il
capitolo vi sia piaciuto e mi auguro che continuerete a seguire la
storia dato che la storia è appena cominciata.
Ci tengo a
ringraziare tutti voi
che avete inserito la Fic tra le preferite, ricordate o seguite.
Ovviamente un grazie speciale lo dedico a tutti voi che avete
commentato la storia fino ad ora <3.
Un abbraccio
Mistiy
|
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Capitolo 4 *** Erika?! ***
Erika?
Un
senso d'angusta sconfitta dilagava tra i soldati della legione. La
missione avvenuta al di fuori delle mura s'era rivelata un vero e
proprio fallimento a causa del titano femmina, aveva spazzato via
metà dei componenti della legione. Oltre al danno ingente
s'era
verificata anche la beffa: nel tornare all'interno delle mura, i
sopravvissuti avevano dovuto attraversare i cancelli per essere
accolti da un coro composto da voci lamentose, irate, piangenti. I
cittadini s'erano sfogati sui sopravvissuti ricoprendoli d'insulti,
denigrandoli, odiadondoli per il sol fatto d'essere vivi, avrebbero
preferito veder tornare i propri cari.
.
I
soldati tavano nell'infermiere del quartier generale situato tra le
mure Rose, i letti erano pieni di giovani feriti e mutilati. I membri
della legione rimasti in piedi, s'aggiravano frenetici in aiuto delle
infermiere. Era stata una lunga notte per tutti e il cielo pareva
imbrunirsi, finalmente un giorno nuovo stava per cominciare, tutti
volevano dimenticare seppure per qualche ora di sonno, quella
terribile battaglia. Era bastato un gigante per far inginocchiare la
legione, quanto erano deboli gli esseri umani? La vittoria che
stavano inseguendo poteva trattarsi d'una illusione?
<<
Ragazzi, chi può camminare venga qua >> disse
il caporale
Hanji mettendosi al centro della stanza, al comando si alzarono sette
ragazzi vestiti in armatura.
<<
Il caporale Levi è stato ferito, necessita di riposo
perciò abbiamo
bisogno di due volontari che vadano a dare una mano al castello dove
sta Eren Jaeger >>
facce
dalle pelli tiratissime rimasero intrappolate in espressioni atone,
dopo aver visto cosa aveva fatto la gigantessa anomala, nessuno
voleva rischiare di stare in compagnia d'un altro suo simile. Tutti i
presenti rimasero con i petti bloccati e le bocche serrate, tranne
uno.
<<
Hey >> un ragazzo abbassò il capo verso una
nuca color
inchiostro
<<
Hai paura di Eren? >> sussurrò
<<
Dovrei averne? >> bisbigliò la giovane
lasciando trapelare il
sarcasmo
<<
Caporale Hanji! >> si rizzò in piedi attirando
l'attenzione
dei presenti
<<
Io e Lysa ci offriamo volontari >>
Tutti
trassero un sospiro di sollievo, tranne la chiamata, questa si
premurò di lanciare all'amico uno sguardo carico d'angustia.
<<
Bene, Andate a sellare i cavalli, si parte! >> l'
entusiasmata
Hanji s'incamminò, i due la seguirono.
.
*** .
Davanti
a segnare la loro strada stava in sella al proprio cavallo il
caporale Hanji affiancata da altri due soldati.
I
soldati semplici s'erano premurati di lasciare qualche metro di
distanza come a simboleggiare in qualche modo la supremazia che i
veterani esercitavano nei loro confronti.
I
due amici cavalcavano fianco a fianco, sulla stessa strada eppure
erano così diversi, talmente diversi che nessuno riusciva a
comprendere come questi due potessero mai definirsi amici.
Trevis
era un ragazzo dotato d'una chioma folta e brillante, la sua
capigliatura rispecchiava il suo essere solare e sempre disposto a
tutto pur d'aiutare un compagno.
Lysa
era una diaciassettenne riservata poco propensa alla chiacchiera,
difatti raramente s'intratteneva in feste o giochi organizzati dai
compagni. Utilizzava la laringe per esprimersi solamente nei casi che
(secondo il suo parere), riteneva necessari. Uno di questi casi s'era
presentato, così aprì la bocca per dire:
<< sei proprio uno
stronzo >>
Era
stanca, non vedeva l'ora di coricarsi per riposare un poco le
membra, invece il suo compagno l'aveva invischiata in quella faccenda
scomoda.
<<
Dai Lysa, non essere così acida >> la
canzonò lui
<<
Trevis, chiudi quella boccaccia di merda >>
Il
biondo rise, oramai non faceva più caso ai termini scurrili:
col
tempo aveva compreso che la giovane non pronunciava gli insulti con
rabbia, era semplicemente il suo modo di rivolgersi alle persone.
<<
Pensa a Eren, è stato sconfitto in battaglia, tutti lo
incolpano per
la grave sconfitta … >>
<<
Io non lo sto incolpando >> intervenne nel discorso agile
come
una saetta
<<
Appunto! Non credi che abbia bisogno di amici come noi al suo fianco?
>>
<<
Amici? >> disse con tono beffardo << ma se
ci siamo
arruolati nella legione un anno prima di lui? E poi quanto hai
parlato con Eren? Gli avrai rivolto sì e no due battute in
croce >>
<<
E' vero, non siamo esattamente amici >> ammise lui
emettendo
uno sbuffo rassegnato. questa fu costretta ad innalzare il collo per
incontrare lo sguardo celeste di Trevis.
<<
Non siamo amici nel senso stretto, ma siamo compagni d'armi e i
compagni si aiutano a vicenda, giusto? >>
Seppure
con una certa riluttanza, Lysa annuì, aveva passato tutta la
notte
ad aiutare i compagni feriti perchè mai doveva trascorrere
anche
tutta la giornata ad aiutare un altro compagno?
<<
Se, se … >> bofonchiò distogliendo
lo sguardo dal sorriso
del compagno, doveva essere stanco quanto lei eppure sul suo volto
non era presente la spossatezza. Quanto la faceva incazzare quel
fatto ...
<<
Tu tiri sempre fuori belle parole, e ora ci tocca sgobbare
>>
<<
Dai, non essere così egoista Lysa >> non era
un rimprovero
giacchè l'aveva pronunciato con un sorriso, difatti lei le
lanciò
un'occhiataccia intimidatoria ma priva di cattiveria.
Come
poteva odiare Trevis? Era un ragazzo genuino come solo una persona
di buon cuore poteva esserlo.
“
Non
vivrai a lungo se continuerai a comportati così, non lo sai
che
quelli che non muoiono mai sono i cattivi?”
pensò fra sé e sé
posando gli occhi a terra.
.
***
Levi
stava seduto sulla sedia.
Toccò
il ginocchio fasciato e dolorante, eppure il dolore non era
così
insopportabile, trovava decisamente più intollerabile quel
tavolo
rettangolare, fino a ieri era occupato dalla
sua squadra in quel momento era vuoto, orridamente
silenzioso,
come se fosse notte fonda quando in realtà il sole
troneggiava alto
nel cielo.
Eren
stava nella sua stanza, non aveva molta voglia di parlare e Levi
preferì così. In quel momento anche il suo umore
era così
incrinato che non poteva sputare qualche parola di conforto per il
ragazzo, quest'ultimo se le meritava, difatti il fallimento
dell'operazione così come la morte della sua squadra, non
poteva
essere ricondotto a lui, a chi allora? Forse a se stesso dato che non
era intervenuto subito o forse alla gigantessa? Con il senno di poi
tutto si sarebbe chiarito.
Stava
attendendo Hanji, Erwin e altri membri della legione esplorativa per
discutere sulla possibile identità del gigante. Si sarebbero
riuniti
verso sera perciò decise di ritrovare il silenzio nella sua
stanza,
non voleva correre il rischio d'incrociare qualcuno prima della
riunione.
S'era
abituato, aveva visto così tanti cari morire ma nonostante
ciò non
era divenuto immune nei confronti della morte. Giungeva spesso
lasciandogli dentro un senso d'angoscia, l'età e la vita
l'aveva
reso più forte eppure l'angoscia rimaneva sempre
lì, si nascndeva
nel suo petto mandando in cancrena ogni sentimento.
Con
una fatica perfettamente celata, si alzò in piedi, neppure
in
solitudine si concedeva il lusso di mostrarsi dolorante. A passo
storpiato si diresse verso la sua stanza, lì nessuno sarebbe
venuto
a disturbarlo, non voleva recepire nemmeno una parola confortevole.
Qualche ora di solitudine e poi si sarebbe sentito un poco meglio,
certo l'angoscia rabbiosa non se ne sarebbe andata, ma il silenzio lo
avrebbe tranquillizzato.
Dopo
avrebbe pensato anche ad Eren, non voleva che quest'ultimo si
scoraggiasse dato che era l'unica carta vincente
dell'umanità. Gli
avrebbe fatto uno dei suoi discorsi, poco sensibili ma veritieri. Era
fatto così, non riusciva a rivestire con belle parole i suoi
pensieri, quella era una dote che lasciava ad Erwin.
.
*** .
“
Che
stronzata” pensò la giovane nel
rovesciare il secchio colmo
d'acqua insaponata lungo il pavimento. Prese in mano lo spezzettatone
e a schiena piegata prese a pulire il pavimento
Quando
Hanji aveva chiesto aiuto, di certo non s'aspettava di dover pulire
il castello.
“
Non
mi sono arruolata per fare la domestica!”
Era
arrabbiata per essersi ritrovata in tale situazione, ma quella
mansione le pareva troppo assurda: erano in guerra e quelli pensavano
alle pulizie? Le pareva una cosa troppo paranormale. A confermare la
sua teoria erano gli sguardi, appena si girava intravedeva gli occhi
di un soldato: la stavano spiando, probabilmente anche Trevis che era
stato incaricato di pulire l'ala opposta del castello, stava
ricevendo lo stesso trattamento.
Il
motivo le era sconosciuto giacché non aveva violato alcuna
regola,
in battaglia s'era dimostrata discreta, non era stata impulsiva e non
aveva messo a repentaglio la vita di nessuno.
A
testa bassa movimentò lo spazzetone per non pensare a quegli
sguardi
sfuggenti, si concentrò sulle piccole bolle di sapone
presenti sul
pavimento. Apparivano bianche e brillavano sotto i raggi obliqui.
La
mente tornò indietro, ove il biancore dominava
.
* .
Le
reclute stavano svolgendo una piccola missione che consisteva nel
scalare la montagna per arrivare al punto di raccolta, una piccola
baita in legno. La bufera s'intensificava passso dopo posso, il vento
sputava a raffica sul suo volto fiocchi di neve ghiacciati.
<<
Hey! >> urlò Trevis. Il vento era talmente
rombante che le
parole venivano coperte da quest'ultimo, diffatti Lysa
continuò a
proseguire. Il ragazzo pose la mano sulla sua spalla così da
attirare la sua attenzione
<<
Dobbiamo fermarci! >> gridò e lei
accnsentì dato che non
riuscivano a vedere una accidente.
Presero
dalla sacca un tendone verde impermeabile, lo agganciarono a dei
bassi rami sistemandolo a mo di tenda.
S'erano
costruiti una minuscola cupola, in quel miser spazio la neve non gli
pioveva addosso e il vento non feriva i timpani.
Stanca
e infreddolità si sedette
<<
Odio la neve >> disse irata contro quell'addestramento.
<<
Perchè? >> domandò lui quasi
scandalizzato, di rimando lei le
cacciò un'occhiataccia, una di quelle che intendevano farti
rimangiare le parole appena dette
<<
Va bene, capisco che questa non sia una bella situazione, or ora la
neve non ci aiuta affatto, però se fossi a casa tua, accanto
al
caminetto con una tazza di cioccolato caldo in mano, la odieresti
comunque? >>
<<
Sì >>
<<
Perchè mai? >>
<<
Perchè è fredda ed ingombrante! >>
disse irritata affondando
il collo nel colletto della giacca. Sì, la neve era fredda e
ingombrante, però questo non era il reale motivo per cui
odiava la
neve. Il clima del mondo sotterraneo era perennemente umido, ma
quanto fuori cadeva la neve, la roccia assorbiva tutto il gelo e
l'umidità diveniva così gelida che neppure
l'abbraccio di mamma
riusciva a scaldarla. Anche se era fuori dalla città
grottesca,
permaneva l'odio nei confronti di quella bianca coltre.
<<
Non posso darti torto, ma ti assicuro che l'amerai >>
Lei
innalzò un sopracciglio critico al quale lui rispose con un
sorriso
<<
Il prossimo inverno verrai a casa con la mia famiglia, mangeremo
l'esagerato pranzo di mamma e poi ci sederemo sul portico con una
tazza di cioccolata calda per contemplare il paesaggio rivestito di
bianco. Dopo magari insceneremo una battaglia a palle di neve insieme
ai mie fratelli e vedrai che persino tu riuscirai ad amare la neve
>>
terminò quel discorso con un meraviglioso sorriso e lei
divenne
paonazza.
<<
Sei un cretino >> bofonchiò e lui le rispose
per l'ennesima
volta con un sorriso.
.
* .
Lysa
sorrise nel rimembrare quel piccolo aneddoto. Trevis aveva capito che
l'odio nei confronti nella neve s'allacciava a brutti aneddoti. Lui
gli avrebbe offerto un nuovo ricordo.
“ Il
prossimoinverno” ripeté fra
sé. Il caldo s'appiccicava sulla
pelle e l'inverno era lontano, eppure non vedeva l'ora di sapere come
poteva essere una giornata immacolata.
“ Sì,
se sopravviviamo” il pensiero s'introdusse nella
sua mente, e
il sorriso svanì. Lysa riprese a pulire il pavimento con
maggiore
energia.
.
*** .
Hanji
s'era intrufolata nella sua stanza senza neppure chiedere il
permesso, non s'era neppure accorta che Levi s'era sdraiato con gli
avambracci posti sopra gli occhi. Hanji lo conosceva troppo bene,
sapeva che non stava dormendo perciò cominciò a
parlare camminando
avanti e indietro per la stanza.
<<
Sai ho chiesto ai membri in salute della legione esplorativa di
venire a dare una mano al castello. Se ci fosse una talpa non credi
che quest'ultima accetterebbe al volo l'occasione di catturare Eren?
Concordi con me giusto? Orbene, si sono offerti due ragazzi che a
quanto so, sono nella squadra di Mike, però non sembrano
minimamente
interessati ad Eren. Li sto facendo sorvegliare di soppiatto e quelli
sembrano così concentrati nella pulizia ... magari
è solo una
finta?! Forse aspettano il momento propizio per attaccare …
che ne
pensi? >>
Levi
alzò il busto per poter guardare Hanji con un certo
cipiglio.
Ammirava la sua intelligenza, la sua curiosità e il suo modo
d'approcciarsi ai problemi con l'intento di risolverli, però
il
piano gli pareva una colossale scemenza.
<<
E secondo te queste possibili talpe si farebbero sgamare
così
facilmente? >>
Lei
scrollò le spalle << sta succedendo un tale
casino che mi
sento in dovere di escludere ogni possibilità
>>
<<
Allora escludi questa, il titanio femmina non può essere un
membro
della legione >>
Si
sdraiò di nuovo, mosse la gamba e una piccola smorfia di
dolore si
dipinse sul suo viso.
<<
Se vuoi degli analgesici per il dolore … >>
<<
No, sto bene così. Ora esci che voglio riposare
>> disse lui
riponendo l'avambraccio sopra lo sguardo.
<<
Va bene, allora ti farò portare almeno un tè
>> e svanì via
chiudendo la porta dietro di sé.
<<
Che spacca palle >> disse piano anche se l'idea di bere
un te
non gli dispiaceva affatto.
.
*** .
<<
Lysa! >> colta di soprassalto rizzò la
schiena, abbandonò la
scopa per compiere il saluto militare, bisognava comportarsi
così
dinnanzi a un superiore.
<<
Potresti andare a preparare un te e portarlo al caporale Levi?
>>
<<
Devo terminare le pulizie … >>
<<
Non ti preoccupare, quelle le farai dopo >> con
velocità si
dileguò dalla vista senza poter neppure obbiettare. Lysa
strinse i
denti intrappolando un'imprecazione. Sapeva come si preparava un te,
l'avrebbe preparato per chiunque ma non voleva presentarsi dinnanzi
al caporale Levi, nonché l'uomo più forte
dell'umanità. Non era la
paura quella a frenarla, neppure il timore dato che sul suo conto
così come si narravano leggende, si narrava anche il fatto
che fosse
un uomo scontroso, dall'arrabbiatura facile. In breve lo si poteva
definire simpatico come una matita conficcata in un occhio. Il fatto
era che non voleva essere notata da un uomo così popolare
perché
aveva imparato che mantenere l'anonimato era una questione
fondamentale per non andare in contro ai guai.
<<
Fanculo >> pronunciò la parola in un soffio
per dirigersi
verso la cucina, in fondo doveva solamente consegnare un te caldo.
Quando
l'acqua all'interno del pentolino raggiunse l'ebollizione,
versò il
contenuto con cautela all'interno della tazza. Mise il piccolo
filtrino e lo lasciò navigare nell'acqua per qualche minuto,
fino a
quando l'acqua non si tinse d'un marrone scuro. Allungò il
naso
verso il vapore caldo, era un aroma buono e avvolgente come solamente
il te nero poteva esserlo.
“ Dovrebbe
andare bene, e se ha qualcosa da ridire, io gli risponderò
che sono
una soldatessa, mica una cameriera”
pensò tra sé e sé per
poi rinnegare immediatamente il pensiero, se avesse in un qualche
modo criticato la preparazione della bevanda, si sarebbe presa su gli
insulti senza battere ciglio.
A
passo cauto con la tazza di coccio fra le mani, si direzionò
verso
la stanza più temuta dell'edificio. Quando arrivò
dinnanzi alla
lastra di legno, pose le nocche e bussò con leggerezza, non
voleva
apparire troppo irriverente.
Il
suono fu assecondato da una specie di grugnito, lei lo
interpretò
come una sorta di permesso ed aprì la porta. Una nuca
corvina stava
ripiegata sopra voluminosi ammassi cartacei, la scrivania sopra cui
stavano i fogli era in fondo alla stanza. Lysa attraversò il
piccolo
corridoio con lunghe falcate, caricando il peso del corpo sulle punte
dei piedi: non voleva distrarlo, voleva comportarsi come un fantasma
e filare via il prima possibile, ma non poté azzittire il
rumore
della tazza che si pose sul legno della scrivania. A passo di gambero
arretrò, occhi sfuggenti la sfiorarono per poi incollarsi
sulla sua
figura.
Le
palpebre fino a pochi attimi fa strette, si spalancarono alla vista
della ragazza
“
Erika?
“ la domanda
interiore prese a rimbalzare tra le pareti del craneo per produrre
echi sempre più forti e violenti come onde d'urto.
“che
cazzo ho combinato? “ pensò la giovane
fra sé e sé cercando
di sfuggire da quelle pupille grige taglienti, sentiva la pesantezza
del suo sguardo e la cosa cominciava a mandarla in paranoia.
Perchè
era così interessato? Forse aveva combinato qualche guaio?
La
conosceva? No, impossibile, non s'erano incrociati neppure per
sbaglio.
<<
Le ho preparato il te signore >> disse a voce alta,
schiena
ritta e pugno sul cuore. Voleva distrarlo, sembrava orridamente
incantato da lei e francamente Lysa non vedeva l'ora di filare via,
così disse
<<
Posso congedarmi? >>
<<
Sì, vai >> alle sue orecchie arrivò
una voce calma e
autoritaria, così uscì a cuor leggero. Forse
s'era trattato
solamente d'una sua impressione, magari il caporale Ackerman era
caratterizzato da quello sguardo pazzoide. Un'informazione che non
gli era giunta all'orecchio ma tutto era possibile, non bisognava mai
affidarsi troppo alle voci di corridoio.
La
porta si chiuse e il cuore di Levi non si placò, anzi
batteva così
forte che persino le tempie presero a pulsare.
Quella
ragazza era tale e quale ad Erika: aveva riconosciute le labbra a
forma di cuore, il naso dritto, la carnagione rosea, era la ragazza
conosciuta sedici anni fa
Non
era lei, anzi non poteva essere lei dato che la ragazza possedeva
lunghi capelli neri, la giovane della città sotterranea era
dotata
d'una lunga chioma ondulata, chiara come il grano.
Nervosa
la mano affondò nella chioma, strinse forte l'attaccatura
per poi
ripetere il gesto. Due falangi si soffermarono su un ciuffo di
capello, era talmente nero che le dita bianche parevano pezzi di luce
<<
Hanji! >> imperioso la chiamò, aveva sentito i
suoi passi
oltre la porta, quest'ultima irruppe nella stanza, sbatté la
porta
contro al muro mandando al diavolo ogni forma di cortesia.
<<
Che c'è Levi? Stai male? >> chiese lei
direzionandosi verso
di lui con l'occhio concentrato sulla gamba.
<<
No >> riuscì a recuperare il suo consono
autocontrollo,
perlomeno in apparenza.
<<
Puoi portarmi i fascicoli riguardanti i due soldati venuti oggi al
castello? >>
Hanji
non si fece troppe domande, Levi pareva tranquillo quanto una statua
e così pose i fascicoli sulla scrivania per andarsene, aveva
tante
cose da fare, dovevano catturare la gigantessa!
Quando
la porta si chiuse, l'autocontrollo mantenuto da Levi andò a
farsi
benedire, afferrò immediatamente il fascicolò che
sfogliò con
frenesia. Non appena incontrò la piccola fotografia della
soldatessa
si soffermò e gli occhi andarono a leggere le scritte.
C'erano
così poche informazioni sul suo conto a livello anagrafico,
neppure
la data di nascita era trascritta. Però c'era un nome, Lysa.
<<
Lysa >> lo ripeté ad alta voce come a
volerselo imprimere bene
nella memoria. Proseguì la lettura, c'era trascritto che
aveva
compiuto l'addestramento cominciato all'età di tredici anni,
pochi anni dopo s'era arruolata nella legione esplorativa.
<< diciasette anni >> ripeté. Le
informazione su Lysa finivano lì,
non gli bastava. C'era una questione che doveva assolutamente
conoscere, la risposta non tardò ad arrivare
“
cittadinanza:
acquisita 11\5\ 445
Il
respiro si mozzò in gola, s'annodò tra la bocca
dello stomaco e
l'esofago.
Aveva
conosciuto Erika sedici anni fa ed era morta pochi anni più
in là.
Lysa
aveva diciassette anni e proveniva dalla città sotterranea.
“ Non
è possibile” pensò fra
sé lasciando andare via quel respiro
imbottigliato.
. *** .
Raggi
solari obliqui attraversavano le grandi vetrate, facendo splendere il
pavimento ove Lysa aveva passato con lo straccio.
La
luce accarezzava la sua figura, la pelle acquisiva un colore roseo,
ma sui capelli i raggi non l'avevano vinta, quelli erano talmente
neri che cacciavano via la luce.
Lysa
stava con gli occhi a terra concentrata a compiere la mansione,
ignara del fatto che Levi stava poggiato sullo stipite del corridoi a
guardarla. Il suo cuore perse un battitto quando distrattamente la
ragazza alzò lo sguardo verso la vetrata e vide brillare due
pupille
grige. Gli occhi non erano stretti come i suoi, ma erano più
grandi
ornati da lunghe ciglia scure. Vide il volto della ragazza e lui si
ritirò nascondendosi dalla sua vista. Si sentiva un dannato
vigliacco e per la prima volta il suo spirito combattivo era andato a
rintanarsi chissà dove. Dinnanzi a quella minuta ragazza si
sentiva
così disarmato: come avrebbe dovuto approcciarsi a lei? E
per quale
motivo avrebbe dovuto farlo? Su quale supposizione poteva basare il
suo rapporto filiazione? Su qualche somiglianza fisica? Era
così
ridicola la questione, era vero che il mondo umano era minuscolo,
però di gente ce n'era tanta e la causalità
spesso portava a
designare soggetti somiglianti fra loro. Forse Levi era incappato in
questa causalità, anzi gli pareva l'unica opzione sensata,
allora
perché non riusciva a staccarle gli occhi di dosso?
Buona
sera:)
Ecco
qua il quarto capitolo e che posso dire spero d'avervi in un qualche
modo sorpreso ma al contempo spero che non l'abbiate trovato troppo
assurdo.
Molte
cose le ho inventate di sana pianta ( come per esempio il piano
bislacco di Hanji), ma nonostante ciò spero che la lettura
sia risultata interessante e coinvolgente.
ritaglio
un piccolo spazio per ringraziare tutti voi che seguite questa storia,
che avete commentato, che avete inserito la fics tra le storie
preferite, seguite, ricordate. Mi rendete così felice
<3
Non
vedo l'ora di conoscere le vostre impressioni
un
abbraccio
Mistiy
|
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Capitolo 5 *** Il diario di Lysa ***
10
/ 12/ 445
Prologo:
perchè una futura soldatessa scrive un diario?
Ho
preso su questa abitudine da quando mi sono arruolata nel corpo
d'addestramento, la ragione principale è chiara: la noia.
Quando
tutti dormivano accovacciati nei loro letti, io dopo le tre di notte
ero già vigile come un grillo, pronta per sottopormi a un
addestramento massacrante. Dato che era vietato per le reclute
girovagare a vuoto nelle ore notturne, dovevo starmene costretta a
letto a fissare il soffitto.
Un
bel giorno scoprii sotto al letto un taccuino abbandonato da
chissà
chi. La copertina di cuoio era logora e impolverata, ma le pagine
interne erano candide, parevano non aver subito gli effetti del
tempo. Allora che feci? Trovai una penna e via, cominciai a scrivere
frasi sconnesse, mi limitavo a tracciare dei commenti e così
feci
per varie notti, come se non volessi mai esprimere chiaramente un mio
pensiero, a chi poteva mai interessare la mia opinione? A nessuno,
neppure a me interessava. Fu così che mandai al diavolo
l'idea del
diario. Passarono tre notti e la nullafacenza mi logorava,
quando la noia t'avvolge la mente parte e comincia a correre via, nel
passato, nel presente e persino nel futuro. Questa cosa
non
m'andava molto a genio giacché non facevo altro che
procurarmi ansie
fantasme: con il sorgere del giorno si sarebbero disperse fra un
esercizio fisico e l'altro, fra le urla dell'istruttore e gli
schiamazzi dei miei coetanei, ma la notte tornava sempre assieme ai
fantasmi.
Allora
elaborai una soluzione: se scrivessi questi dannatissimi pensieri su
carta, non rimarranno chiusi lì? Sì, in tal modo
divenivano
tangibili così da poterli leggere e ridicolizzare.
Così
è maturata la decisione di scrivere un diario, una soluzione
quasi
perfetta per una come me che non può mai esprimere quello
che le
gira in testa.
Non
m'interessa conoscere me stessa dato che sono una folle, non
m'importa neppure dei miei sentimenti, voglio solamente liberarmi di
questi dannati pensieri.
Mi
piacerebbe divenire vuota come il nulla e profonda come un bicchiere
di birra. È l'unico modo per non soffrire è
quella di spogliarsi
d'ogni sentimento, giusto?
Quando
il diario sarà finito, difatti lo getterò o lo
brucerò, in tal
modo ogni mia debolezza sarà annullato.
Ecco
qua il motivo per cui una soldatessa impugna una penna.
12\
3 \ 446
La
gabbia è popolata da folli
In
questo folle mondo si distinguevano due grandi categorie di persone
guidate da un'ideologia: quelli che stanno bene e si godono la pace(
se così si può chiamare), e quelli che fanno di
tutto per cercare
di uscire dalla gabbia, quest'ultimo movimento può essere
tranquillamente identificato con la legione esplorativa.
Gli
aristocratici benestanti abitanti nelle mura Sina additano con
criticità i legionari, coloro che combattono i giganti nella
speranza di abbatterli per sempre per poi spaccare le mura, di
conseguenza i soldati della legione esplorativa guardano con sguardo
infimo coloro che s'accontentano di questa vita limitata.
Chi
ha ragione? Chi torto? Nessuno, secondo me son tutti irragionevoli
poiché nessuno riesce in un qualche modo a piantare la
bandiera
della ragionevolezza.
Gli
aristocratici pensano che i giganti esisteranno per sempre
perciò il
genere umano deve starnarsene buono e zitto all'interno delle mura
cercando di non disturbare le orride creature.
I
legionari credono che se non si trova una soluzione per sterminare i
titani, questi prima o poi ci annienteranno.
Il
quesito esistenziale è il seguente: accontentarsi di questa
vita che
va avanti da un secolo, vivere alla giornata per sperare di non
attirare l'attenzione dei giganti, oppure combattere, sacrificare la
propria vita per vivere come persone “Libere”?
E'
questa la scelta che ogni persona deve compiere, io opterò
per la
seconda ma è stata una decisione imposta dalle circostanze
poiché nessuna delle due scelte può essere
definita moralmente sbagliata.
Se
fossi nata in una famiglia ricca e aristocratica, sicuramente non
avrei intrapreso la strada militare: sarei andata a scuola, mi sarei
laureata e infine avrei trovato un impiego tranquillo presso il
tribunale. sarei stata una folle tranquilla ma ahimè, son
nata nella
melma, povera, priva d'un cognome e d'una famiglia, perciò
mi
arruolerò prendendo parte alla schiera dei folli esuberanti.
Il
motivo per cui entrerò nella legione esplorativa
anziché in quella
militare( ove la percentuale di mortalità non era
così
schiacciante), è molto semplice: visto che non posso
rientrare nella
tranquilla aristocrazia, tanto vale associarsi ai folli esuberanti.
Una scelta priva di morale e passione basata esclusivamente su un
ragionamento astratto ma va bene così: dato che siamo tutti
folli di
conseguenza lo sono anche io, perciò quale fondamento
può mai avere
il ragionamento d'un irragionevole?
3
\ 4 \ 446
Rimango
chiusa in me stessa con l'armatura addosso.
Mi
arruolerò nella legione esplorativa perciò
morirò presto, ma
questo non significa che creperò facilmente. Ovviamente
farò del
mio meglio per sopravvivere il più a lungo possibile, si
può dire
che giocherò a nascondino con la morte.
L'unico
modo per rimanere in vita là fuori è essere abili
con le spade e le
armature 3D, ma questo non basta, bisogna anche essere furbi
sì,
questa abilità serve per sopravvivere nella gabbia di roccia.
Ho
acquistato la cittadinanza perciò teoricamente son libera di
scorrazzare tra le mura liberamente, di fatto è
così ma il problema
sorge nel caso vado incontro a responsabilità penale
perché
commetto una qualche sorta di atto illecito. È
più facile di quanto
si creda compiere un atto illecito, Un esempio? Mollo un cazzotto a
un ragazzo che m'ha palpato il sedere, questo magari mi denuncia,
salta fuori il fatto che provengo dalle fogne e boom! In tre e
quattrotto tramite sentenza mi spediscono giù a marcire.
Sono leggi
specifiche indirizzate a noi ex abitanti del sottosuolo ma su quale
fondamento si basano? Sullo stereotipo, difatti le persone abitanti
della gabbia vedono il cittadino sotterraneo come un individuo
sporco, maleducato, rabbioso e privo di rispetto nei confronti degli
altri. In poche parole non è altro che immondizia.
Dato
che non ho potuto occultare la data dell'acquisizione della
cittadinanza, i miei superiori lo sanno che provengo da là
sotto
perciò cerco di rispettare in un qualche modo lo stereotipo:
son
gentile ma non cortese, tengo sempre la fronte corrucciata
così da
dimostrare che son sempre incazzata e infine cerco di mantenere
disordinato il mio alloggio. Ovviamente pulisco le lenzuola e lavo lo
sporco giacche non sono una bestia, però lascio sempre le
coperte
stropicciate, magari qualche vestito sparso qua e là giusto
per
rientrare nello stereotipo e per essere ben inquadrata dai mie
superiori. In tal modo non li confondo.
Un'altra
cosa importantissima per sopravvivere è quella d'apparire
comune,
non soltanto da un punto di vista fisico, ma anche intellettuale e
tecnico. Difatti durante l'addestramento non do il meglio, anzi
m'impegno a non essere brava, perché i bravi vengono sempre
messi
alla prova di conseguenza crepano prima delle persone comuni.
Se
non ho potuto occultare le mie origini ai miei superiori, posso
nasconderlo ai miei coetanei, perciò cerco di dialogare il
meno
possibile con loro, mi limito a rispondere alle domande senza
instaurare alcuna forma di dialogo, mi mostro annoiata dinnanzi a
qualsiasi dichiarazione. Devo ammettere che questa strategia ha
funzionato poiché i miei compagni si limitano a salutarmi e
cercano
di starmi alla larga. Sono riuscita a isolarmi, a chiudermi
all'interno di me stessa assieme al mio segreto, l'unico che s'ostina
stare al mio fianco è Trevis. Io quello non lo capisco.
Più
di una volta l'ho liquidato con rispostacce degne d'una scaricatrice
di porto e sapete come reagisce lui? Si mette a ridere. Inizialmente
pensavo che fosse una forma per ridicolizzarmi difatti presi maggiori
distanze, ogni volta che vedevo per caso la sua capigliatura leonina,
io giravo i tacchi ma poi un giorno non potei sfuggire alla sua
persona, ci incrociammo in un corridoio e lui si fermò
<<
Ciao Lysa, come stai? >>
<<
Son cavoli miei >> risposi per proseguire per la mia
strada e
lui ovviamente si mise a ridere.
<<
Si può sapere perché cazzo ridi?!
>> sbottai e repressi la
voglia di spaccargli la mascella con un gancio.
<<
Rido perché sei una persona divertente >>
s'asciugò le
piccole lacrime poste ai lati degli occhi. << Non ho mai
incontrato una ragazza schietta ma al contempo gentile come te
>>
Mi
riscoprii analfabeta, io che avevo sempre la battuta pronta non seppi
come reagire dinnanzi a quel complimento così poco
veritiero, lui
deve aver in un qualche modo interpretato il mio sconcerto
perché
continuò a parlare
<<
Sì, sei gentile! Quando vedi un nostro compagno che cade a
terra per
qualche motivo idiota, tu non ti metti a ridere assieme agli altri,
quando cammini eviti di calpestare i fiori. È evidente, sei
una
persona gentile. >>
“ che
cazzone” pensai con la voglia di spaccargli la faccia, ma non
lo
feci. Mi voltai bofonchiando “ pensala come ti
pare”.
Me
ne andai via da sola quel giorno, ma il giorno successivo Trevis
stava al mio fianco e devo ammetterlo, la sua presenza non
m'infastidì e non m'infastidisce tuttora.
Ciao,
ho aggiornato presto, strano non è vero?Xd
Ho
deciso di introdurre nella storia questa novità,
nonché il
diario di Lysa. Tra un capitolo e l'altro inserirò
questi
piccoli scritti, è solamente un modo per farvi conoscere il
personaggio e spero che l'idea vi piaccia.
I
capitoli riguardanti il diario di Lysa sono pezzi disconnessi,
difatti non c'è un filo temporale a tenere unite queste
“pagine di
diario”.
Spero
che l'idea vi piaccia
Un
abbraccio
Mistiy
|
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Capitolo 6 *** Passi incrociati ***
Passi
incrociati
Il sole
s'era andato a
nascondere dietro le colline, la cena era stata consumata e
finalmente Lysa poté lasciar cadere sul materasso il proprio
corpo.
Le ultime energie le aveva utilizzate per buttarsi sotto la doccia,
un'insaponata, una sciacquata e andò sotto le lenzuola.
<< Lysa, dormi? >>
arrivò fastidiosa quanto il ronzio d'una zanzara la voce di
Trevis.
<< Se stai zitto … >>
rispose lei mal celando l'irritazione, nonostante ciò
aprì un
occhio per ritrovarsi faccia a faccia con un volto fiacco ma pur
sempre sorridente.
<< Non so come diamine
puoi dormire, t'invidio sai? >>
<< Trevis, siamo in piedi
da due giorni, la sonnolenza arriva anche se non la cerchi
>>
disse lei secca pronta a chiudere lo sguardo.
<< No, anche io sono
stanco però non riesco a dormire. Ho visto molti veterani
morire, ho
visto la crudeltà di quel gigante anomalo e poi credo che
qualcosa
si stia movimentando … >>
Trevis si sedette sull'orlo del
materasso.
Affranta
Lysa s'alzò a sedere. L'amico non l'avrebbe
lasciata dormire
in alcun caso, tanto valeva ascoltarlo .
<< Erwin e Hanji hanno
corso tutto il giorno avanti e indietro per il castello assieme ad
altri soldati, sono certo che fra poco metteranno in atto un piano,
uno di quelli pericolosi … >>
<< E allora? >>
arida la sua voce spezzò il flusso di parole dell'amico
<< Tu come me sei un
soldato semplice, non sei né un caporale né uno
stratega. L'unico
obbligo che ti da l'uniforme che indossi è “
obbedire”. Quando
questo presunto piano verrà rivelato anche a noi, tu farai
la parte
del bravo soldatino, annuirai e accetterai l'incarico che
t'assegneranno. >>
Lysa si sdraiò su un fianco
porgendo la schiena a Trevis, pronta per intraprendere il sonno tanto
atteso, ma quest'ultimo non sembrava intenzionato a imitarla.
<< Vattene a letto Trevis,
non ricordi la regola del buon soldato: mangia, bevi e dormi quando
puoi, ora è tempo di dormire. >>
Sottile la risata maschile si
diffuse nella stanza.
<< Hai ragione, noi non
dobbiamo riflettere troppo >> disse l'amico alzandosi,
con un
soffio spense la candela per poi scomparire nel suo letto.
Lysa finalmente libera da
qualsiasi rumore disturbante chiuse gli occhi.
Si sentì una dannata ipocrita
. *** .
<<
Mamma >> la chiamò accovacciandosi per terra.
Kuchel
stava supina, ritta come un asse di legno con il volto rivolto verso
il soffitto.
<<
Mamma >> la richiamò perché lei non
stava dormendo, da quella
veduta poteva osservare delle palpebre semi chiuse. Il piccolo Levi
decise di prendere la sua mano, la strinse forte
<<
Mamma! >> con agitazione la richiamò e il suo
animo s'acchetò
quando questa voltò il capo verso di lui. Rivelò
un volto
spigoloso, scavato dalla magrezza, uno sguardo privo d'espressione ma
era viva. Levi s'accontentò di tal fatto.
<<
Mamma sono io, Levi >> disse lui stringendole forte la
mano. La
guardò negli occhi, se li ricordava grigi eppure sotto la
fioca luce
della candela apparivano neri, allora concentrò lo sguardo
alla
ricerca del chiarore e lo vide: attorno alle grandi pupille scure
stavano due sottili cerchi chiari
<<
Levi … >> flebile uscì la sua voce
e il figlio esultò
internamente perché da giorni non parlava.
<<
Sì, son io >> rispose cacciando giù
in gola le lacrime
amare. Era un bambino, però se lo sentiva sotto pelle, sua
madre non
sarebbe vissuta a lungo e voleva godersi ogni istante che le rimaneva
assieme a lei.
<<
Levi … >> nel momento in cui le labbra secche
si riaprirono,
le palpebre calarono nascondendo uno sguardo color inchiostro.
Levi
si svegliò con uno strano gusto in bocca.
Si
rizzò a sedere scoprendo che il sole non era sorto.
Un'occhiata
fugace all'orologio e capì che aveva dormito tre ore. Non
s'era
riposato, la sua mente aveva viaggiato verso un passato lontano che
in quel momento pareva così vivido e tangibile.
Era
assurdo, stava accadendo il finimondo, difatti grazie ad Aremin s'era
designata una sospettata: Annie poteva essere il gigante femmina. Le
sue mani fremevano, non vedeva l'ora di spazzare via quella bastarda
che aveva decimato la legione con una tale crudeltà. La
voleva
torturare pian piano, giorno dopo giorno, sentirla urlare dal dolore,
voleva essere crudele. Era un sentimento vendicativo che desiderava
placare ad ogni costo col sangue e le urla del mostro, ma Levi lo
sapeva: la vendetta non lo avrebbe portato verso alcuna soddisfazione
poiché sì, ogni uomo si dirigeva verso la legge
del taglione ma di
fatto non riusciva mai a placare il senso d'angoscia, quello che ti
schiaccia le viscere.
Mosse
il ginocchio, una scossa dolorosa promanante dalla gamba scosse tutto
il corpo.
Non
aveva rimpianti, aveva agito d'istinto poiché quella
giornata
avevano già perso troppi soldati, non poteva morire anche
Mikasa. L'aveva guardata dritta negli occhi e lo aveva capito, per
salvare
Eren era disposta a tutto, persino sacrificare la sua stessa vita.
Anche lui avrebbe fatto lo stesso per Isabel e Farlen.
Gettò
l'occhio sulla scrivania, c'era una bottiglia di Gin mezza vuota,
arricciò il naso con un certo disgusto. Non amava l'alcool
poiché
questo appannava i sensi rendendo le persone più disinibite
e poco
ragionevoli, lui era stato educato ad essere costantemente vigile e
attento, però quella sera ricordò il detto
ripetuto nel ghetto: “
bevi per dimenticare”. Lo mise in pratica.
Voleva
dimenticare Lysa, voleva fingere che non fosse mai entrata nel suo
ufficio eppure era un desiderio ridicolo dato che la persona da
eliminare dalla memoria non era la giovane soldatessa bensì
Erika.
Lysa
pareva la fotocopia di Erika, per dimenticare la ragazza del
sottosuolo non sarebbe bastato neppure l'alcool presente in tutto il
mondo. Lo stesso discorso valeva per Kuckel.
Ricordava
così poco della madre, nella memoria erano rimasti attimi
trascorsi
assieme, non erano altro che un ammasso di sensazioni e parole mezze
dette. Alla sua persona più che altro riusciva ad associava
sensazioni calorose, a volte momenti d'affetto, ma nella sua testa
s'erano insidiati quegli occhi neri, nonché l'ultimo sguardo
di sua
madre verso il mondo circostante. Era sempre così, ogni
qualvolta
che la madre riaffiorava nella sua mente, il calore, l'affetto
venivano sempre schiacciati dalla morte, dal suo ultimo respiro e da
quel lento battito di palpebra.
Nervosamente
si alzò sulle gambe, la ferita gli intimò con una
scossa elettrica
di tornarsene a letto ma lui ignorò il dolore,
infilò gli stivali e
uscì dalla camera. Non sarebbe riuscito a riprendere il
sonno, non
voleva correre il rischio d'inciampare nel ricordo mortale di Kuckel,
neppure in quello di Erika.
.
*** .
I
raggi lunari filtravano nella stanza, i colori bluastri danzavano per
ricoprire ogni cosa compresi due occhi sbarrati verso il soffitto.
Nessun rumore aveva destato il sonno di Lysa, eppure era sveglia con
lo sguardo vigile. Era un dato di fatto, lei riusciva a dormire
quattro ore a notte, neanche un minuto di più. La guerra, i
giganti
non erano stati loro a rubarle il sonno, era così da quando
ne aveva
a memoria. Rimanere lì a letto a poltrire? Poteva essere una
prospettiva allettante, ma non per Lysa. Scostò le coperte e
in
punta di piedi cercò i suoi abiti ritrovandoli piegati
accuratamente
sulla sedia. Con estrema delicatezza si svestì per indossare
la
divisa. Lasciò perdere le cinghie e l'attrezzatura 3D. Con
entrambe
le mani acchiappò tutti i capelli per intrappolarli in una
salda
coda, nemmeno un capello doveva rimanere appiccicato sulla fronte, la
vista non poteva essere intralciata da alcun ciuffo.
Acchiappò la
sacca verde, quella che si portava sempre appresso per spostarsi e
trasportare i suoi pochi averi.
Lentamente
stando ben attenta a non produrre alcun rumore, prese fuori il
taccuino e la penna. Le dita tamburellarono sopra la copertina, non
aveva alcuna voglia di gettare su carta i propri pensieri
così lo
ripose al suo posto.
Guardò
Trevis sepolto sotto alle coperte, dormiva sdraiato supino con le
braccia incrociate sul petto, il suo respiro era cauto e regolare.
Lysa si sedette al suo fianco così da poter notare una
piccola
contrattura in mezzo alla fronte, non stava facendo un sonno
tranquillo ma almeno dormiva e la ragazza non aveva alcuna intenzione
di svegliarlo.
Dalle
labbra uscì un sospiro sconnesso, breve e leggero. Stava
succedendo
il finimondo, probabilmente tutti i soldati dormivano avvolti dagli
incubi come Trevis, lei invece no. Aveva visto morire così
tante
persone eppure non riusciva a provare niente. Paura, angoscia, ansia,
compassione … nulla. Perchè avrebbe dovuto
provare tristezza per i
soldati morti? Avevano intrapreso la strada della battaglia e si sa,
chi va a combattere ha la vita appesa a un filo, perciò
perché si
sarebbe dovuta rattristare per loro? Nessuno li aveva realmente
costretti, si sono lasciati convincere dal discorso di Erwin ed hanno
impugnato le lame.
“
Ieri
sono morti loro, un domani toccherà a me “
pensò e un sorriso
sinistro comparve sulle sue labbra.
Uscì
dalla stanza per ritrovarsi nel corridoio deserto, dalle finestre
entravano raggi di luce bluastri e la notte non pareva così
buia.
Con
estrema lentezza aprì la finestra sedendosi sul davanzale,
lasciò
le gambe ciondolare nel vuoto. Era al secondo piano, con un balzo
sarebbe potuta scendere e scappare via, ma si limitò ad
alzare il
naso all'insù e uno sbuffo sfuggì dalle labbra
quando vide una luna
grande e piena. Lei preferiva la mezza luna, poiché non
amava quel
cerchio perfetto.
“
E'
così grande e luminosa, ma non può sostituire il
sole” pensò
fra sé e sé e si prese in giro per quel pensiero
così infantile.
Incrociò
le gambe e sentì qualcosa all'interno della tasca del
pantalone, con
curiosità lo tirò fuori per ritrovare tra le mani
un sigaro. Quel
pomeriggio aveva pulito una stanza inabitata del castello, aveva
trovato una scatola cubica in legno posta dentro l'armadio. La
curiosità l'aveva spinta ad aprirla per scoprire una lunga
fila di
sigari ben allineati e così se n'era intascato uno
così tanto per
fare, senza una ragione precisa dato che non amava fumare.
Con
una scrollata di spalle lo mise fra le labbra e lo accese,
sì visto
che c'era aveva preso anche il pacchetto di fiammiferi.
Un
impeccabile soldato sarebbe dovuto rimanere nella stanza, ma tali
volte le piaceva trasgredire le regole. Nella città
sotterranea
l'unica legge vigente era la “sopravvivenza”
perciò la
trasgressione non esisteva: la prostituzione, gli omicidi, la
povertà, la violenza, erano tutte cose facenti parte della
quotidianità.
Sbuffò
e guardò la densa nuvola di fumo sospingersi verso l'alto.
Fumare
non era vietato, non venivi di certo condannato a qualche pena se un
superiore ti beccava, ma una giovane soldatessa non sarebbe stata
guardata con un buon occhio. Di questo Lysa ne era certa,
nel suo piccolo stava infrangendo qualche norma almeno morale.
“
Finchè
nessuno mi vede posso fare ciò che voglio, giusto?
“ il
pensiero volò via assieme a un'altra folata fumosa.
Stanca
di contemplare la volta celeste, gettò il sigaro ancora
acceso fuori
dalla finestra lasciando così la prova tangibile di quella
piccola
trasgressione.
Ripose
i piedi sul pavimento del corridoio decidendo d'andare a bersi
qualcosa giù in cucina
La
notte era ancora lunga e voleva infrangere qualche altra regola.
.
***.
Scendere
le scale fu faticoso dato che la gamba non smetteva di ardere e
pulsare.
Hanji
gli ripeteva che per guarire doveva cercare di muoversi il meno
possibile, sì ma stare immobile significava non fare niente
di
conseguenza la mente rimaneva attiva, quest'ultima s'agitava verso
pensieri passati e futuri. Levi era un uomo riflessivo
perciò spesso
trascorreva ore immobile a cercare di designare certe situazioni, ma
il periodo del riposo era troppo lungo e per lui risultava
inconcepibile starsene immobile a rimembrare i vecchi tempi. Quelli
dovevano essere sepolti nel passato, sotto le rocce della
città
sotterranea e se ne dovevano stare buoni e zitti lì.
In
prossimità della sala comunale vide la luce giallastra
abbattersi
contro le mattonelle
“ Chi
diamine è sveglio a quest'ora? “ si
domandò con un certo
nervosismo dato che ricercava la compagnia d'una silenziosa tazza di
tè.
S'affacciò e vide una
figura minuta illuminata dalla fioca candela posta sul tavolo. Le
mostrava le spalle e una nuca corvina costretta in una salda coda.
“ Lysa
“ pensò fra sé e l'istinto lo
fece arretrare in un scatto, fu
troppo veloce, troppo rumoroso perché la ragazza si
voltò
immediatamente. Quando gli sguardi s'incrociarono il respiro di Levi
andò in apnea, Lysa invece rizzò la schiena e con
la mano libera
dalla tazza di coccio mise il pugno sul petto.
Con
un gesto della mano il caporale la slacciò dalla
formalità e lei
lasciò cadere il pugno lungo il fianco. Levi non si
concentrò sulla
soldatessa poiché non era certo che il suo cuore avrebbe
retto la
sua vista, doveva mantenere il suo consono autocontrollo dato che lui
era il caporale Levi, l'uomo inflessibile che caratterizzava la
legione, la punta di diamante dell'esercito.
Gli
occhi sfuggenti andarono all'ambiente circostante, vide un pentolino
sul fornello spento, c'era ancora dell'acqua calda e allora si
preparò un te per poi prendere posto al tavolo.
Sentì
dei passi incamminarsi verso l'uscita
<<
Dove credi d'andare? >> domandò lui con quel
suo solito tono
scontroso
<<
Vado nella mia stanza signore >> sputò fuori
frettolosamente
senza neppure voltarsi
<<
Siediti e finisci di bere >>
<<
E' un ordine? >> chiese lei con una nota sarcastica che
avrebbe
tanto voluto ricacciare giù nella gola. Era un suo superiore
e
quella sfacciataggine non era affatto consona alla situazione.
<<
Sì >> disse secco ma si sentì un
autentico cretino nel
momento in cui Lysa si sedette qualche posto più in
là dal suo. Non
voleva parlarle, non voleva conoscerla, non voleva sapere
assolutamente nulla di lei eppure c'era una forza che l'attirava
verso quella ragazza minuta. Era entrata a passo scalzo nella sua
vita e se ne sarebbe potuta andare con la stessa cadenza, ma qualcosa
d'irriconoscibile si dimenava nel suo petto. Levi non sapeva dare un
nome a quella strana attrazione.
Un
silenzio immobile calò, Lysa sentendosi imbarazzata da
quella
situazione inverosimile, sorseggiò la bevanda. Voleva
finirla il
prima possibile per scappare via ma l'acqua aromatizzata bruciava
come l'inferno, se l'avesse bevuta tutta d'un sorso si sarebbe
scorticata l'esofago e la lingua.
<<
Hai dei problemi col sonno? >> fu lui a spezzare il
silenzio.
<<
No >>
<<
E allora perché non dormi? >> chiese Levi
sbirciandola
sottecchi. Voleva mostrarsi disinteressato, anche se il suo petto
sembrava non volerglielo permettere.
<<
Signore, sono successe così tante cose, chi riuscirebbe mai
a
dormire bene? >>
Il
pensiero cadde immediatamente sulla sua squadra, in un flash
passarono gli occhi spenti di Petra. Li scacciò via dalla
testa
ponendo una seconda domanda alla ragazza
<<
Hai perso dei compagni? >>
<<
Sì >> disse lei frettolosa, donava domande
circoncise come se
temesse che una parola in più potesse rivelare un qualcosa
di se
stessa. Levi l'aveva intuita così, non gli pareva semplice
nervosismo dato che non era presente alcuna titubanza nella sua voce.
<<
Hai avuto paura? >> le domandò e lei non
rispose
immediatamente, Levi
gettò di
sfuggita lo sguardo sulla ragazza, questa stava con la schiena ritta
come una corda di violino.
<<
No >> rispose infine la ragazza che decise di spiegare la
risposta inconsueta poiché tutti avevano paura dei giganti,
anche i
veterani.
<<
Erwin ci aveva già spiegato cosa c'aspettava là
fuori, ci avete
insegnato a combattere perciò non ho paura d'uscire dalle
mure >>
Colpito
dalle parole solenni alzò lo sguardo e Levi prese coscienza
d'un
fatto fondamentale: gli occhi grigi erano grandi, adornati da lunghe
ciglia come quelli di Erika, ma nonostante ciò non vide la
ragazza
del sottosuolo. Quest'ultima aveva gli occhi vivaci seppure velati
da una certa tristezza, quelli di Lysa erano severi, contratti, quasi
autoritari. Era lo sguardo d'una adulta cucito addosso a una
ragazzina nonché lo sguardo d'un soldato che aveva
combattuto.
La
vide alzarsi da sedere in uno scatto
<<
Posso congedarmi? Domani m'aspetta una giornata dura perciò
vorrei
approfittare delle poche ore rimaste per riposare >>
Un
cenno del capo e Lysa filò via veloce come una gazza.
Guardandola
e ascoltandola Levi aveva capito una cosa fondamentale: Lysa era una
persona completamente differente da Erika.
Erika
era una ragazza, Lysa era una soldatessa.
Potevano
anche assomigliarsi fisicamente, ma non c'era alcuna traccia della
personalità di Erika, neppure un soffio.
“ Nelle
sue vene non scorre il sangue di Erika “
sentenziò infine,
ogni dubbio poteva essere sepolto.
.
*** .
Lysa
entrò nella sua stanza, con delicatezza chiuse la porta.
Cercò
con lo sguardo la sacca verde, l'acchiappò per tirar fuori
il
taccuino e la penna. Si sedette a gambe incrociate sul pavimento
utilizzando una coscia come scrivania.
Impugnò
la penna, tremante era la sua mano ma questa non la fermò
Lo
sa, il caporale lo sa! Sa che provengo dalle fogne e scommetto che la
cosa non gli va tanto a genio, scommetto che non vuole che un cumulo
di spazzatura come me faccia parte della legione esplorativa. Lo sa,
ho visto nei suoi occhi il rimprovero nei confronti della mia
esistenza, ma cosa posso farci? Sarò nata anche per sbaglio
però
devo pur fare qualcosa della mia vita, no?
Lo
sa e scommetto che farà di tutto per sbattermi fuori, oppure
mi
manderà a crepare in una qualche missione impossibile e
così si
sbarazzerà di me e poi …
Allontanò
la penna dal foglio per trarre un lungo respiro. Doveva darsi una
calmata. Si stava agitando, il cuore batteva troppo forte e
così
pose l'orecchio verso l'esterno, verso il cauto respiro di Trevis. Lo
guardò, era immobile intrappolato nella stessa posizione in
cui
l'aveva lasciato poco fa. Chiuse gli occhi e prese a respirare
cercando di seguire il respiro armonioso dell'amico. Riuscì
a
placare il cuore e quando respirare tornò ad essere un gesto
meccanico, impugnò di nuovo la penna.
Il
caporale Levi lo sa, forse non m'importa così tanto. Se non
gli
vado a genio, se vorrà farmi sparire la cosa mi sta bene, in
fondo
puzzo di muffa e la sporcizia deve essere eliminata.
Mi
sta bene, posso accettare la cosa purché spifferi in giro.
Se si
diffondesse tra i miei coetanei il fatto che son una cittadina della
città sotterranea, anche Trevis lo verrà a
sapere. A quel punto lui
vorrà ancora essere amico mio?
Lesse
l'ultima frase e lo stomaco si strinse.
Chiuse
il quaderno, non voleva una riposta a quella domanda, preferiva non
conoscerla.
Ciao:)
Ecco
qua un altro capitolo e che dire, ci sono sentimenti contrastanti
anche se provo un poco di rammarico perché sto procedendo
con troppa
lentezza, ma non oso spezzare il filo narrativo già
costruito in
passato, non vorrei correre il rischio di bloccarmi e lasciare in
sospeso anche questa storia (Guai mai :O)
Spero
che la lettura sia risultata piacevole e scorrevole ( ho corretto
tutti gli erori? Lo spero >.<)
A
costo di sembrare ripetitiva, ringrazio tutti voi che continuate a
seguire questa storia, che commentate, che avete messo la storia tra
le seguite o preferite, ricordate. Grazie perché davvero non
m'aspettavo che questa Fics venisse seguita da così tante
persone <3
Grazie
di cuore
Spero
di sentire la vostra opinione
un
abbraccio
Mistiy
|
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Capitolo 7 *** Un minuto ***
Un
minuto
Levi stava
nella sala dove si
sarebbe svolta la riunione presieduta da Erwin.
Il capitano ha narrato ai capi
squadra il fatto che Annie era la presunta gigante, questi ultimi
avevano girato ogni quartier generale per diffondere la notizia che
si sarebbe svolta una riunione urgente senza comunicare il tema
principale.
Il
silenzio era stato necessario poiché per acchiappare un
intruso la
segretezza era fondamentale, ma tale silenzio mandava in visibilio le
menti dei giovani soldati stanti fuori dall'edificio. La riunione si
sarebbe svolta fra meno di un'ora e Levi a braccia conserte scrutava
oltre la finestra che s'affacciava al cortile del castello.
I legionari correvano per il
cortile con fare indaffarato e sguardi colmi di ansia oppure paura,
ognuno li poteva interpretare a proprio modo.
Erano nervosi e sconvolti, si
aggiravano nel giardino con una certa irrequietezza, assomigliavano a
bestie racchiuse in gabbie.
Guardò alla ricerca di una nuca
corvina ma non la vide, probabilmente stava ancora nella sua stanza
ma gli pareva strano che non fosse uscita incuriosita dagli
schiamazzi prodotti dai giovani fuori stanti.
Sentì l'uscio aprirsi e vide
Mike, si afiancò a lui.
<< Buongiorno >>
disse lui e Levi rispose con un cenno del capo. Erano compagni d'armi
e nessuno poteva mettere in dubbio il fatto che in battaglia si
sarebbero coperti le spalle a vicenda, ma da quando l'aveva messo al
tappeto quel giorno nella città sotterranea era nata nei
suoi
confronti una certa antipatia provocata dalla sconfitta.
Levi non era una persona
infantile e di certo non provava rancore nei suoi confronti per una
tale sciocchezza, però Mike era stato uno dei pochi in grado
di
sconfiggerlo in un combattimento corpo a corpo.
<< La soldatessa Lysa,
come se la cava in battaglia. So che ha combattuto nella tua squadra
… >> gli venne in mente quell'informazione
scritta sul
fascicolo della ragazza.
<< Bene. È diligente e
non s'abbatte sui giganti con lo spirito dell'eroe. Diciamo che lei
li uccide con colpi secchi solamente quando è necessario.
>>
<< Quindi è un buon
soldato >> disse Levi infine senza riuscire a trattenere
il
sollievo. Era brava perciò poteva sopravvivere qualche anno
in più
nella legione.
<< Sì … però devo
ammettere che mi ha sorpreso. Nelle schede valutative compilate
durante l'addestramento non aveva voti alti, anzi a malapena
raggiungeva la sufficienza! Difatti nessun caposquadra voleva
collaborare con lei, a dirla tutta neanche i suoi compagni a parte
Trevis … >>
<< E allora perchè tu
l'hai presa? >> chiese con un certo sarcasmo
<< Perchè il suo odore
assomiglia al tuo >>
<< Che razza di
giustificazione è mai questa? >>
domandò Levi arricciando le
sopracciglia.
<< Niente di che, mi
mancava un membro della squadra e Nabada l'aveva vista in azione
durante la prima spedizione, poi ha l'odore del nanerottolo
più
forte dell'umanità perciò decisi di inserirla
nella mia squadra >>
Levi non disse nulla seppure
sentì lo stomaco attorcigliarsi su se stesso. L'olfatto di
Mike era
paranormale e praticamente infallibile, quella poteva essere definita
un'altra prova della presunta paternità?
“ No,
non posso essere un
padre “ disse a se stesso, ma il suo sguardo
navigò oltre la
finestra: voleva vederla per convincersi per l'ennesima volta che
quella non poteva essere figlia di Erika, così come non
poteva
essere sua.
. *** .
Come
sono entrata nella squadra di Mike
459
Puzzo
di muffa e merda.
Posso
farmi tutte le docce che voglio, posso strofinare la spugna fino a
quando la pelle non diventa rossa, ma io puzzo. Sento addosso l'odore
della città sotterranea, ci ho vissuto così a
lungo che mi si è
appiccicato addosso.
Ero
appena entrata nella legione, avevamo compiuto da pochi giorni la
nostra prima missione al di fuori delle mura ma nonostante
ciò i
nuovi arrivati erano costretti a svolgere le infime mansioni, difatti
quel giorno io e Trevis stavamo pulendo un corridoio del quartier
generale situato tra le Mure Rose. Avevamo combattuto, i veterani ci
avevano visto e protetto e ora dovevano decidere a quali squadre
assegnarci. Per tal motivo noi stavamo a piede libero a pulire i
pavimenti, le armature e così via. In poche parole le
matricole
erano delle sguattere.
Ero
rassegnata al fatto che avrei trascorso anche quella giornata a
pulire cessi e pavimenti quando apparve un uomo alto con il volto
coperto da un frangione frastagliato. Al suo fianco c'era Nabada ci
salutò con gentilezza, io e Trevis ricambiammo.
<<
Tu >> l'uomo possente indicò Trevis
<<
Sarai nella mia squadra nella prossima missione >> detto
ciò,
s'incamminò verso un corridoio ma Trevis lo fermò
<<
Aspetti caporale Mike! >>
Si
fermò pronto ad ascoltarlo e io tesi l'orecchio incuriosita.
<<
Non può prendere anche Lysa nella sua squadra? È
brava! >>
Strinsi
forte il manico della scopa e cacciai giù in gola le
imprecazioni,
come diamine si permetteva a porre una domanda del genere a un
superiore? Pensava che ero così incapace che nessuno
m'avrebbe
ammessa in una squadra?
M'aspettavo
che il caporale mandasse al diavolo Trevis e invece non fu
così:
l'uomo si avvicinò ponendosi di fronte a me, si
chinò ed ispirò
profondamente. Io rimasi immobile come una statua, sbigottita da
quella vicinanza a dir poco inappropriata. Devo ammettere che
è
stata dura reprimere l'impulso d'arretrare.
Mike
ritornò in posizione eretta ed annui.
<<
Sì, anche tu sarai nella mia squadra >>
Voltò
le spalle e camminò via, rivolsi uno sguardo interrogativo
verso
Nabada e lui mi rispose con un sorriso e una scrollata di spalle,
come per dire: “ non farci casa, lui è fatto
così”
Lysa
sorrise nel leggere su
carta quello strano incontro.
Riponeva una grande fiducia in
Mike ma nonostante ciò continuava pensare che era strano
quell'uomo
che utilizzava l'olfatto anziché la vista per conoscere le
persone.
Girò le pagine a casaccio per
poi soffermare la vista su un altro scritto.
Morirò
giovane
459
7
cadetti del nostro battaglione d'addestramento decisero di arruolarsi
nella legione esplorativa. Io, Trevis, una ragazza dai capelli rossi,
Nabada e altri sette ragazzi. Li avevo visti durante l'addestramento,
mi ero allenata con loro ma di fatto non ricordavo i loro nomi, non
m'era mai interessato conoscerli.
Dopo
il discorso di Erwin, ci consegnarono le mantelle verdi, quelle con
la stampa delle ali della libertà, ricordo che era una sera
primaverile poiché faceva fresco e nel momento in cui la
indossai
provai un certo calore.
I
veterani ci dissero di divertirci, d'andare a festeggiare
poiché fra
pochi giorni s'andava fuori dalle mura perciò la ragazza dai
capelli
rossi propose d'andare a bere qualche bicchiere di birra. Due ragazzi
e Nabada declinarono l'invito con cortesia, anche io espressi il mio
dissenso ma alla fine Trevis mi convinse, lui e quel suo maledetto
sorriso...
Ci
dirigemmo verso la prima taverna incontrata strada facendo, era un
luogo spartano, poco affollato così ci sedemmo ad un tavolo
rettangolare.
I
calici di birra arrivarono e tra una chiacchiera e l'altra scoprii
che la ragazza si chiamava Mika, il ragazzetto gracile dai capelli
neri si chiamava Arthur, invece l'altro era Mirko. Lui era alto e
muscoloso, indossava una espressione seria e corrucciata, pareva
l'immagine del perfetto soldato pronto a tutto pur di farsi ammazzare
in nome dell'umanità.
Si
persero in chiacchiere maestose, non vedevano l'ora d'andare fuori a
mozzare i colli dei giganti, non vedevano l'ora di contribuire alla
salvezza dell'umanità anche se riconobbi un certo timore
nascosto
negli occhi annebbiati dalla gloria.
Un
brindisi dopo l'altro e Mika saltò su spiazzando tutti con
la
seguente domanda
<<
Quando uscirete dalla legione, che farete? >>
<<
Ti sei arruolata con l'intento di scappare via il prima possibile?
>>
puntualizzò Mirko con tono beffardo
<<
Certo che no! Però ho un sogno da realizzare: dopo aver
prestato
servizio alla legione, voglio una famiglia numerosa tutta mia!
>>
<<
Ma sei scema? Guarda che non puoi ritirarti dall'esercito
così
facilmente? >>
puntualizzò
Mirko ridendo. Sì, stavamo facendo troppi brindisi difatti
le guance
di tutti i presenti erano scarlatte.
<<
Dalla legione esplorativa non si esce >> disse Mark
ridendo
eppure non c'era alcun motivo per essere allegri, era risaputo che
chi andava a combattere prima poi ci lasciava le penne.
Mika
gonfiò le guancia per produrre un lungo e sonoro sbuffo
<<
Allora poniamo la questione in questo modo: se mai in futuro potreste
uscire dalla legione, cosa vi piacerebbe fare? >>
calò uno
strano silenzio riflessivo, era un gioco dalle note amare leggermente
zuccherato dal tasso alcolico circolante nelle nostre vene. Chi
sarebbe mai uscito dallla legione? Nessuno, indossando quella
mantella avevamo stipulato una sorta di contratto silenzioso: la
nostra vita in cambio d'un sogno, la libertà.
<<
Io farei l'insegnante >> Trevis fu il primo a rispondere
e
tutti si misero a ridere, neppure io resistetti. Ve l'ho già
detto
che avevo bevuto?
<<
Lysa, perchè ridi? >> chiese Trevis,
provò a corrucciare le
sopracciglia per mostrarsi in un qualche modo offeso, ma il sorriso
lo tradiva.
<<
Saresti un pessimo insegnante perché sei troppo indulgente
>>
dissi infine e l'immagine d'un Trevis che cerca di acchetare gli
animi vivaci dei bambini a suon di sorrisi … non so, la
trovavo
una scena comica e al contempo bizzarra.
<<
Ha ragione, quelli ti rigirerebbero come una frittata >>
sentenziò Mika
<<
Ora tocca a te Lysa >> curiosi si voltarono verso di me e
io
scossi le spalle.
<<
Boh, io non credo che sopravviverò. Morirò
giovane >> lo
dissi con leggerezza, così tanto per fare, solo
successivamente mi
resi conto d'aver spezzato l'atmosfera allegra, persino il sorriso di
Trevis s'era infiacchito.
Avevo
rivelato la verità scomoda non riuscendo a stare al gioco,
ma Mika
non s'arrese.
Con
entusiasmo acchiappò un tovagliolo di carta e una penna
<<
Allora in tal caso ci conviene scrivere le nostre ultime
volontà.
Moriremo giovani ma potremmo pur decidere come celebrare il nostro
funerale >>
<<
Ma smettila con sta faccenda macabra! >> la
liquidò Arthur con
fare scocciato
<<
Macabra? Se non sono libera di decidere del mio futuro, sarò
ben
libera di decidere come celebrare il mio funerale?! >>
<<
Signore! Ci porti altre birre! >> urlò Trevis
con un sorriso
che illuminò la stanza e il barista s'affrettò a
posare altri
calici.
<<
Dunque … >> Mika utilizzò la penna
per grattarsi la nuca ed
assunse un'espressione pensierosa
<<
Ci sono! >> schizzò allegra e
cominciò a scrivere a raffica
sul fragile tovagliolo
<<
la mia salma deve essere vestita con quell'abito blu posto
nell'armadio della mia camera, quel colore fa risaltare i miei occhi.
Al collo voglio una collana di perle, perle vere eh! Mica quelle da
quattro soldi che si comperano ai mercati cittadini. Poi … i
miei
cari non devono piangere >>
<<
Perchè mai? >> chiesi incuriosita, i funerali
non erano stati
creati per compiangere il defunto?
<<
Oh cara Lysa, devono tenersi le lacrime in tasca, le devono
conservare per le loro disgrazie personali. Gli unici che devono
piangere durante il funerale sono i bei ragazzi: guardando quanto
sarò bella da defunta, quelli si metteranno le mani fra i
capelli
dicendo tra un singhiozzo e l'altro: “ oh perchè
diamine non mi
sono affrettato a corteggiare una ragazza così bella!? Una
donna
così mi avrebbe regalato dei figli belli e sani”
>>
A
quel punto tutti noi scoppiammo a ridere senza ritegno, tra un
singhiozzo e l'altro le dicemmo che era una scema, una screanzata
spiritosa e ridemmo così tanto che la mia memoria s'arresta
qua.
Ci
addormentammo sul tavolo tra una scemenza e l'altra, fu il barista a
svegliarci il giorno seguente.
Non
ricorderò la restante serata, però nella mia
anima son rimasti
impressi i loro nomi e quelle risate così gioiose.
Mika
morì nella seconda spedizione schiacciata dal piede d'un
gigante
Arthur
e Mirko morirono nella quarta spedizione divorati dallo stesso
gigante.
A
quel tavolo ora possiamo sederci solamente io e Trevis, mi domando
chi sarà il prossimo a scomparire.
I
resti del corpo di Mika tornarono a casa ma il becchino non era
riuscito a ricomporla così il suo funerale si svolse a bara
chiusa. Non posso farne a meno, mi chiedo a cosa sia servita la sua
morte:
Mika, ha realmente contribuito alla salvezza dell'umanità?
Non
credo proprio.
Mika
sarebbe potuta diventare una ottima madre, magari avrebbe allevato
otto figli possenti e degni d'appartenere all'armata ricognitiva e
anche questi sarebbero morti là fuori.
È
inutile ricercare un senso, ogni volta il pensiero va verso la fine
dei giochi nonché verso il cammino finale, la morte.
Probabilmente
si vive per morire, in questo mondo noi possiamo solamente decidere
come morire.
Non
vidi con i miei occhi la dipartita
di Mika perchè stavamo in squadre diverse, la sua morte
venne
narrata da un soldato durante il macabro appello, quello che si
compie ogni qualvolta che ci si accampa per la notte. Si contano i
vivi, i morti e poi nessuno aveva più voglia di dire nulla,
neppure
una parola di conforto.
Sopra
di noi stava una volta celeste tetra, priva di stelle e luna.
c'eravamo
accampati presso un
rudere, stava vicino alla foresta
dei giganti, alcuni
dormivano all'interno delle mura, altri avevano preferito dormire in
tende.
Anche
io avevo deciso di dormire in tenda ma ovviamente non ci riuscii. La
luna non c'era, stavano dei soldati fuori a fare la guardia eppure
avevo la sensazione che se avessi chiuso gli occhi non li avrei mai
più riaperti. Mi stava bene morire in battaglia ma non nel
sonno,
magari c'erano giganti capaci di movimentarsi senza la
necessità
d'essere illuminati dai raggi lunari, chi poteva saperlo? Non avevamo
certezze.
Mi
rigirai più di una volta nel sacco a pelo, un altro fatto
che non mi
faceva prendere sonno era la ragazza con cui condividevo la tenda.
Piangeva, cercava di soffocare le lacrime contro il cuscino ma i
singhiozzi arrivavano impetuosi alle mie orecchie. Non la conoscevo,
ma quel pianto mi suggerì che si trattava d'una novellina
che aveva
visto per la prima volta i giganti. Avrei tanto voluto urlargli
qualcosa addosso poiché era tempo di dormire, i suoi
compagni li
avrebbe pianti durante i funerali ma alla fine preferii stare zitta.
Se voleva piangere io non potevo impedirglielo ma potevo rifiutarmi
d'ascoltarla. Così uscii dalla tenda, a piedi scalzi
camminai lungo
l'erba fresca. C'era il vento e così decisi di slegare la
coda e
lasciai i capelli svolazzare via. Fu una bella sensazione sentire il
vento addosso, l'aria era calda ma pulita. Chiusi le palpebre e quasi
mi dimenticai del fatto che eravamo in missione,che quella non era di
certo una scampagnata. Inspirai profondamente. Era così
buona
l'aria.
Il
mio sguardo andò nel buio verso ovest, oltre la foresta dei
giganti
e sentii qualcosa stringersi attorno allo stomaco. Volevo andare via,
volevo camminare verso ovest e scoprire una nuova terra, libera dai
mostri, senza città sotterranea, senza mura e armi. Ma chi
volevo
prendere in giro?! Se per assurdo esistesse una terra priva di
giganti, i soldati e le armi servirebbero comunque: che ci piaccia o
no, l'uomo nasce con un senso di morte nel cuore, quello che ti
incita a prendere la lama e a sgozzare un tuo compagno. L'uomo
desidera la guerra anche se aspira alla pace perchè alla
fine siamo
bestie e si sa le bestie sono irragionevoli. Perchè siamo
così? Non
lo so, forse non c'è nulla da capire. Pace e guerra, due
contraddizioni, due facce senza il quale la vita non esisterebbe.
Scacciai
via il pensiero distogliendo lo sguardo che incontrò della
luce,
erano le due lanterne accese dai soldati che facevano la guardia,
vidi anche la tenda di Trevis.
Trevis
era da solo, ne ero certa perché il soldato con cui doveva
condividere la tenda era morto. Decisi d'andarlo a salutare e
così a
passo felpato camminai, non volevo farmi notare dai soldati.
Piano
scostai i tessuti per poi gattonare all'interno.
<<
Chi è? >> chiese di soprassalto
<<
Shhh … coglione sono io! >> gli intimai a
bassa voce. Per
accertarsi della mia presenza accese la piccola lanterna.
<<
Lysa che ci fai qua? >> mi chiese senza sorpresa
stropicciandosi le palpebre con una mano. Era dannatamente stanco e
io che ci facevo lì? Non lo sapevo.
<<
Niente, torna a dormire >> dissi pronta a sloggiare via
ma lui
afferrò il mio braccio, fu una presa leggera e con una
scrollata
avrei potuto cacciare via le sue dita.
<<
No, resta >> me lo chiese eppure la domanda m'arrivo come
una
sorta di supplica. Non sorrideva e nei suoi occhi leggevo la
stanchezza e l'orrore della giornata trascorsa. Chissà cosa
aveva
visto nei miei, forse i suoi occhi non erano altro che il riflesso
del mio sguardo.
Entrambi
ci accomodammo a gambe incrociate.
<<
Ti hanno assegnato il turno di guardia? >> mi chiese come
se
sentisse la necessità di colmare il silenzio
<<
No, tu? >>
<<
Neppure >>
Annuì,
eravamo stati fortunati eppure non mi sentivo graziata.
Per
tante cose dovevo sentirmi grata, come per esempio essere viva ma non
riuscivo a provare gratitudine per tal fatto. Non riuscivo a
ringraziare nessuno, neppure la fortuna che fino a quel momento aveva
risparmiato la mia esistenza.
Ero
così affaticata che non riuscivo a tenere il collo dritto,
era una
stanchezza strana che non promanava dai muscoli o dalle ossa,
bensì
dalle interiora. Forse ero stanca d'essere un soldato, forse la morte
di Mika mi aveva sconvolto a tal punto che il senso della mia stessa
esistenza vacillava. Che ci stavo a fare lì? Combattevo una
guerra
senza fine legata a un ideale a cui non riuscivo a credere. La
libertà non esisteva, seppure libera dalla prigione di
roccia le mie
origini stavano lì sotto e tra quelle mura dovevo fingere
d'essere
una soldatessa come tante altre, eppure il vento fuori dalla
città
era diverso. Era caldo, piacevole e non puzzava di muffa.
Sarebbe
bello vivere nel verde con l'orizzonte privo da qualsiasi muraglia.
Questa può essere chiamata libertà?
Alzai
il capo e m'accorsi che Trevis mi stava fissando.
<<
Che c'è? >> chiesi innervosita, odiavo e odio
tutt'ora quando
qualcuno concentra lo sguardo su di me.
<<
Niente, è solo che sembri molto stanca >>
<<
Anche tu hai una faccia di merda >>
Un
fiacco sorriso affiorò sul suo volto, ogni volta che
esprimevo la
mia aggressività lui rideva. Lo fa tuttora, credo che non mi
prenda
sul serio. Magari è così, forse non sono
realmente arrabbiata con
il mondo.
<<
I tuoi capelli … >>
<<
Che cosa hanno? >>
<<
Un bel niente, sono bellissimi. Dovresti portarli spesso sciolti
>>
<<
Sono scomodi >> dissi arida affondando le dita nella
cute.
Erano talmente sporchi e impasticciati di sudore che a stento i
polpastrelli scorrevano lungo la chioma.
La
mano di Trevis si allungò per accarezzare un ciocca nera. La
strinse
piano tra le dita
<<
Sono belli >>
Io
non dissi nulla, non cacciai via la sua mano neppure quando questa si
pose sulla mia guancia. Non mi scostai neppure quando pose la fronte
sulla mia. I nostri respiri s'incontravano per abbattersi l'uno sulla
pelle dell'altro. Era piacevole, come la brezza che stava là
fuori.
Non
lo fermai, lui si avvicinò e lasciai che le labbra
s'accostarono
sopra le mie. Non avevo bisogno di fare sesso ma di sentirmi viva
perchè sì, eravamo destinati a morire e tutto
quello che ci
rimaneva era l'attimo. Volevo godermelo fino in fondo
Allungai
la mano per spegnere la piccola lanterna, non volevo guardarlo in
volto.
Ci
spogliammo senza dire alcunché, le parole sembravano
così inutili e
poi cosa c'era da dire? Una frase e il bisogno di sentire le nostre
pelli si sarebbe annullato nell'imbarazzo. Spensi la luce e ci
rotolammo, ci abbracciavamo un po' impacciati, un po' inesperti ma
privi di imbarazzo. In fondo eravamo giovani e stanchi, cosa c'era di
sbagliato nel fare l'amore?
Le
nostre mani andavano ovunque anche se devo dire che le mie sapevano
dove direzionarsi perché purtroppo conoscevo i punti giusti,
quelli
necessari per risvegliare il piacere.
Non
ero affatto innocente dato che la mia prima esperienza se l'era
portata via mio padre. Non posso provare rancore nei confronti di
quel bastardo bavoso dato che ho praticato la legge del taglione: lui
si è preso la mia femminilità, io mi sono presa
la sua vita.
Eppure
sotto le carezze di Trevis mi sentivo viva e innocente, ogni pensiero
veniva annullato dai nostri respiri flebili, dalle carezze tremanti e
dai battiti dei nostri cuori.
Trevis
si addormentò abbracciandomi da dietro, il suo respiro
leggero
scivolava lungo il collo. Io non mi addormentai, difatti non volevo
rimanere lì poiché non volevo esserci al suo
risveglio. Non doveva
illudersi: per quanto piacevole e rigenerante, l'accaduto durante la
notte era paragonabile a una parentesi apertasi e chiusasi nell'arco
di poche ore.
Mi
vestii e tornai nella mia tenda dove stava la ragazza piangente.
Quando
il cielo cominciò a imbrunirsi, fummo svegliati dai capi
squadra.
Veloci risistemammo le tende e recuperavamo i nostri cavalli pronti
per tornare nella gabbia.
<<
Buongiorno >> Trevis mi colse di spalle mentre stavo
sellando
il mio cavallo. Sorrise e si avvicinò con una strana
disinvoltura,
come se dalla notte precedente si fosse accaparrato il diritto di
toccarmi. La sua mano s'avvicinò alla mia guancia e io mi
scostai.
Le
sopracciglia bionde si corrucciarono e io risposi a quella domanda
inespressa.
<<
Si è trattato solamente d'una notte >> dissi
secca con tutta
l'accidia di cui disponevo. Vidi qualcosa di strano passare lungo il
suo volto, tristezza, stupore non lo capii, non potei soffermarmi e
riflettere sul suo stato d'animo perchè inarcò le
labbra all'insù
e mi regalò un sorriso luminoso, uno di quelli che ti
rassicurano e
ti scaldano le ossa.
<<
Va bene. Ho capito >> disse per poi dirigersi verso il
suo
cavallo.
“
Ho
capito” disse Trevis ma ne dubito.
Non
credo che Trevis abbia compreso che non posso essere la fidanzatina
di nessuno, non sono il tipo di ragazza che può permettersi
d'instaurare una relazione talmente intima poiché non ne
sono
capace.
In
passato ho amato una persona con tutta me stessa e quando questa se
ne è andata ... diavolo mi ha distrutta! Ha lasciato
solamente ombre
nel mio cuore.
Non
sono più disposta a respirare nel nome di qualcun altro.
Quante
riflessioni inutili sto scrivendo, perché perdo tempo a
rimuginare?
Presto la guerra mi ridurrà in un mucchietto di polvere
perciò ogni
dubbio verrà annientato.
Mi
auguro solamente di non dover vedere Trevis morire.
Lysa chiuse
il diario distratta
da un chiacchiericcio proveniente dall'esterno così accorse
alla
finestra. Il sole stava a mezza via e sotto i raggi obliqui vide
soldati in armatura.
Alcuni camminavano avanti e
indietro, altri muovevano le labbra e alcuni dialogavano utilizzando
la mimica delle mani. Non poteva udire le conversazioni ma l'intuito
le urlò che non stavano narrando storielle divertenti.
<< Cazzo … >>
sussurrò ripensando a quello che Trevis le aveva detto la
sera
precedente. Aveva ragione, un piano era stato architettato.
Gettò lo sguardo verso l'amico,
quello se ne stava beatamente spaparanzato sul materasso. I piccoli
ricci biondi si depositavano leggeri sulla federe del cuscino, le
palpebre erano distese all'ingiù e un rigolo di bava colava
dall'angolo della bocca. Pareva la personificazione della
beatitudine.
Innervosita da tal fatto, Lysa
aprì la mano per scagliare uno schiaffo sulla nuca leonina.
<< Svegliati! >>
disse a denti stretti
<< Lysa! Ti pare questo il
modo di svegliare un amico? >> disse lui a palpebre semi
chiuse
tastando il punto della nuca dolorante
<< Non c'è tempo per
cazzeggiare, guarda … >> un cenno del capo
alla finestra e
Trevis corse sul davanzale
<< Che ci fanno tutti i
membri della legione nel cortile del castello? >>
domandò
guardando Lysa e quest'ultima alzò le spalle
<< Io che diamine ne so.
Vestiti e andiamo a sentire >> rispose trattenendo
l'impulso di
mollargli un altro ceffone: se avesse avuto la risposta a portata di
mano, di certo non starebbe rimasta chiusa in quella stanza con il
cuore palpitante.
Trevis obbedì e senza troppe
cerimonie prese a svestirsi per indossare l'armatura. Lysa distolse
immediatamente lo sguardo ponendolo a terra.
Venne colta da uno strano
disagio così in fretta stando ben attenta a non guardare
l'amico,
raccolse la sacca e tutte le cose sparse per la stanza
<< Muoviti, ti aspetto giù
>> uscì senza neanche attendere una contro
risposta.
. * .
Lysa stava
a braccia incrociate,
presto si sarebbe svolta la riunione ma nessuno sapeva quale sarebbe
stato il tema trattato.
Picchiettava il piede sinistro e
la sua impazienza usciva da ogni poro della pelle, quando li
avrebbero convocati? Perché doveva starsene lì a
rimuginare
nell'angoscia? Tale fatto le pareva ingiusto, voleva sapere a cosa
stava andando incontro, a quale morte era destinata. Allora
s'incamminò verso il castello, verso la sala ove si sarebbe
tenuta
la lezione. Trevis le corse dietro per fermarla, per domandarle dove
stesse andando, ma un tonfo arrestò la camminata di entrambi.
Sia Trevis che Lysa si voltarono
per vedere un giovane a terra.
Aveva la fronte fasciata da un
grande benda, le stampelle di legno s'erano spezzate. Uno sguardo
alla sua figura accasciata e Lysa notò che era privo d'un
polpaccio.
Era un sopravvissuto della battaglia avvenuta qualche giorno fa, era
la testimonianza vivente di quanto sia stata feroce e letale la
gigante femmina.
Un cerchio di persone si formò
attorno a lui, Trevis corse verso il ragazzo e Lysa lo seguì
a passo
cauto.
<< Ragazzi io vorrei tanto
venire con voi perchè questo mondo sta andando in malora e
io … >>
pose le dita tremanti là, dove il polpaccio non esisteva
più. Toccò
l'aria e il ragazzo prese a piangere.
Tutti stavano ritti sulle
proprie gambe e guardavano il ragazzo piangere con compassione,
eppure l'unico a inginocchiarsi fu Trevis: si accovacciò al
suo
fianco, pose una mano sulla spalla per dire: << non ti
preoccupare, ora ci penseremo noi. Ti presteremo la nostra forza e in
tuo onore combatteremo anche per te >>
Le parole di Trevis non
produssero alcun effetto calmante dato che prese a singhiozzare. Lysa
imprecò mentalmente, avevano poco tempo, dovevano riunirsi
al
castello per conoscere il piano architettato così decise
d'intervenire.
<< Hey, tu. Piantala di
frignare >> un volto irrigato dalle lacrime si
innalzò
<< Hai perso una gamba e
non puoi più fare niente per la legione esplorativa,
rassegnati a
questo dato di fatto e torna a casa dalla tua famiglia >>
non
v'era alcuna accidia nelle sua voce, pronunciò la frase con
solennità come se stesse leggendo un importante articolo di
cronaca.
Il ragazzo era rimasto
ammutolito e i suoi occhi parevano aver cristallizzato le lacrime,
però pochi secondi dopo prese a singhiozzare con una tale
forza ...
<< Lysa! Come diamine puoi
dire queste cose? Ma ce l'hai un cuore? >> Lysa
guardò gli
occhi sbarrati dell'amico colmi di rimprovero. Le parole giunsero
come schegge ardenti dritte al suo petto. Se l'avesse detto qualcun
altro la frase non l'avrebbe neppure sfiorata per caso. Girò
gli
occhi e nel suo campo visivo rientrarono tanti sguardi alcuni
stupidi, altri minacciosi, altri ancora accusatori.
Lysa strinse forte la mascella e
a passo veloce percorse la strada per entrare nel castello,
lasciò
la porta chiudersi dietro di sé, non si curò dei
passanti, neppure
di porgere i saluto militare ai superiori incrociati verso la sala
ove si sarebbe tenuta la riunione. Quando giunse chiuse la porta
dietro di sé, abbassò la nuca lasciando fuggire
dalle labbra un
ringhio soffocato.
“ Ce
l'ho anche io un
cuore, il problema è che l'ho lasciato sotto terra
“ pensò
tra sé e sé nascondendo il volto tra le mani.
Lei si
sentiva una ragazza
dall'animo spietato, privo di compassione. Era sbagliata, lo sapeva e
tutti narravano questo fatto, anche Trevis aveva udito le voci di
corridoio riguardanti il suo conto, eppure non aveva mai accusato il
suo modo di essere, ma a quanto pareva neppure lui l'accettava. Forse
in quel minuto si era accorto della sua vera natura: spietata,
letale, apatica.
<< Stai bene? Hai un
aspetto di merda >>
La schiena di Lysa si rizzò, il
collo si movimentò frenetico assieme agli occhi per
ritrovare la
fonte della voce severa: era il caporale Levi, se ne stava seduto
all'angolo della stanza con le braccia incrociate.
<< Sto bene signore >>
disse frettolosa cacciando giù in gola il tormento
emozionale.
Prese posto a una sedia, erano
poste in linee ritte e perpendicolari dinnanzi a una grande lavagna
che occupava l'intera parete frontale.
Lysa
voleva ignorare la faccenda appena accaduta ma Levi non glielo
permise dato che aveva visto tutta la scena attraverso la finestra.
Non aveva udito le parole, ma attraverso la mimica e gli sguardi dei
soldati aveva compreso l'accaduto.
S'alzò in piedi e s'appoggiò
al muro, di fianco seduta sulla sedia pieghevole c'era la soldatessa
con il capo basso e lo sguardo incollato a terra.
<< Quel soldato non può
più combattere, deve rassegnarsi e condurre un'altra vita
>>
Finalmente lo sguardo di Lysa si
innalzò
<< Mi stai dando ragione?
>> chiese lei senza nascondere la sorpresa
<< No >> disse secco << non
so cosa sia giusto o sbagliato, quali sia il modo
migliore per rivolgersi a una persona menomata. Sto solamente
dichiarando una situazione di fatto >>
I grandi occhi grigi si
sbarrarono dinnanzi a quelli del suo superiore che parevano freddi,
taglienti quanto l'acciaio, eppure Lysa sentì un piccolo
formicolio
formarsi nel petto.
“ Allora,
forse qualcuno mi
comprende” pensò tra sé e
sé riabbassando lo sguardo. Non
voleva mostrare gli occhi inumiditi, stava mettendo in pratica una
regola d'ora appresa durante la vita: mai mostrarsi vulnerabili.
Levi allungò inconsciamente la
mano verso la nuca e quando s'accorse del gesto che stava per
compiere, la ritirò immediatamente tornando al proprio posto.
Era stato posseduto dall'istinto
d'accarezzarle la testa come per porgerle una sorta di conforto.
“ sono
proprio un coglione,
lei non è mia figlia” pensò
tornando al proprio posto,
dall'altra parte della stanza, lontano da lei.
. *** .
Il
contenuto della missione era
stato narrato nell'arco di un'ora: Mikasa, Armin, Eren, dovevano
costringere Annie a scendere giù, nel passaggio sotterraneo
situato
nella capitale, se questa nell'arco d'un minuto non fosse scesa con i
tre, dieci persone dovevano intervenire per immobilizzarla: in tal
modo non si sarebbe tramutata in un gigante. Era un incarico
pericoloso, Trevis si offrì immediatamente volontario, anche
Lysa: era un suo amico perciò non l'avrebbe lasciato solo.
Erano
usciti dal castello e il
corteo silenzioso si dirigeva verso la capitale, i soldati
cavalcavano lentamente dietro una grande carrozza e altri carri
contenenti gli armamenti necessari per affrontare il mostro.
Tutti erano
rimasti ammutoliti,
privi di domande e risposte ma anche sospettosi: se Annie era
riuscita a infiltrasi così facilmente nell'esercito, quanti
altri
mostri sotto vesti umane esistevano?
“ Hanno
fatto un bel
lavoro, ora chi sta al nostro fianco può essere un nemico
“
pensò Lysa notando quanto fossero sfuggenti e inorriditi gli
occhi
dei compagni.
Lei era rimasta sconvolta della
rivelazione come tutti gli altri, ma Annie non l'aveva sorpresa: non
la conosceva, difatti non s'erano scambiate neanche una parola,
eppure l'aveva vista in mezzo ai soldati e la bionda le era rimasta
impressa perché si comportava come se non facesse parte
realmente
dell'armata. Se ne stava sempre in disparte con quell'aria annoiata,
come se nulla le interessasse realmente. La gente si comportava in
tal modo quando doveva nascondere un grande segreto, quello di Annie
era scabroso e rivoltante. Lysa provava nei confronti della giovane
una strana comprensione perché anche lei si nascondeva, con
il suo
atteggiamento rigido e dispotico allontanava tutti, persino Trevis.
Ogni
giovane stava
silenziosamente racchiuso nei propri pensieri con una speranza nel
cuore: che Annie non fosse realmente un gigante. Affrontarla dentro
alle mura li terrorizzava, tutti rimembravano cos'era successo
qualche anno fa quando le prime mure crollarono.
Lysa si guardò in giro e
l'occhio cadde sulla carrozza, uno sguardo alla vetrata e vide una
nuca color inchiostro, un'altra color grano. Il caporale Levi e il
comandante. Si chiese il motivo per cui il guerriero più
forte
dell'umanità veniva dato che era ferito, quale
utilità poteva mai
avere un soldato ferito?
Cercò con gli occhi Eren e gli altri due soldati che
avrebbero dato inizio all'operazione, non
li vide, forse erano già arrivati alla capitale. Lysa
scacciò via
il pensiero, era solamente una soldatessa perciò si sarebbe
limitata
ad eseguire il compito affidatogli.
<< Lysa? >> guardò
di sottecchi per scoprire un timido sorriso
<< Che vuoi Trevis? >>
<< Io … volevo chiederti
scusa per quello che ho detto. Non ho riflettuto …
>>
<< Sì, sei stato uno
stronzo >> interruppe il filo del discorso con una tale
repentinità che Trevis si ritrovò ad annuire
silenziosamente. Era
pentito e avrebbe raccattato su qualsiasi insulto pur d'essere
perdonato.
<< Però lo sono stata
anche io perciò lascia perdere la questione, concentrati
sulla
missione >> disse infine raddrizzando la schiena e
riponendo
gli occhi verso l'orizzonte.
<< Ok >> il sorriso
del ragazzo si ampliò ma il suo cuore non si
alleggerì, difatti con
una certa titubanza parlò
<< Non posso fare quel che
dici, non posso pensare alla missione … >>
Lysa gli rivolse un'occhiataccia
ma con un cenno del capo lo invitò a proseguire. Era
visibilmente
nervoso, vedeva le sue mani tremare attorno alle cinghia di cuoio
perciò era curiosa di sapere cosa affliggeva l'animo
dell'amico.
<< Lo sai che questa
potrebbe essere l'ultima volta che ci parliamo? >>
<< Taci! >> tagliò
secca roteando gli occhi verso il cielo. Trevis aveva ragione, eppure
non voleva udire discorsi dipartitici, quelli pieni di disperazione e
rimpianti. Ne aveva uditi fin troppi durante la carriera militare.
<< Lysa, parlo sul serio … >>
Si voltò e non vedendo alcun
sorriso lo invitò a proseguire il discorso con un cenno
frettoloso
del capo.
<< Ecco … >> le
parole vacillarono pareva non essere più in grado di
pronunciare
alcun suono, difatti le sue labbra erano dischiuse ma neanche un
ronzio usciva fuori dalla gola.
<< Che c'è? Un gigante ti
ha mangiato la lingua? >> lo incalzò lei con
quel fare
impregnato di sarcasmo acido.
<< No, sei tu. Tu mi fai
questo effetto ogni volta che provo a dirti questa cosa, il tuo
sguardo divora il mio coraggio e le mie parole s'annullano
>>
<< Trevis, che c'è? Sputa
il rospo una volta per tutte e mettiamoci una pietra sopra!
>>
disse esasperata da quell'atteggiamento intimidito, da quando in qua
l'amico dotato d'una parlantina fuori dal comune aveva paura di
comunicare?
<< Io non voglio mettere
una pietra sopra a quello che dirò >>
<< Che c'è, non vuoi più
essere amico mio per quello che ho detto al ragazzo? >>
sputò
fuori irosa celando alla perfezione la paura d'una tale prospettiva.
<< No! >> s'affrettò
a dire per poi recuperare la calma << O per meglio dire
sì, io
non voglio più essere un tuo amico perché vorrei
essere qualcosa di
più per te … >>
Il respiro di Lysa si bloccò
nel petto il cuore cominciò a pulsare sempre più
velocemente ma non
espresse in alcun modo il suo stato d'agitazione, si limitò
ad
osservare gli occhi sfuggenti dell'amico.
<< Io, lo sai no Lysa? Tu
mi piaci, mi piaci dalla prima volta che t'ho vista >> e
lo
sguardo di Trevis andò verso terra, aveva dovuto cacciare
fuori
dall'anima un grande coraggio per esprimere ciò che provava
dato che
temeva la risposta della ragazza, quella che appariva dinnanzi agli
occhi di tutti come una persona fredda, priva di sentimenti. Trevis
lo sapeva, tutti si sbagliavano: Lysa era calda come il fuoco e
sentiva ogni cosa, l'unico problema era che lo nascondeva
dannatamente bene.
<< Trevis >> il
chiamato alzò lo sguardo speranzoso che quell'amore acerbo
potesse
essere ricambiato in un qualche modo, ma lei non lo guardava,
manteneva gli occhi fissi verso l'orizzonte.
<< Io non posso essere la
ragazza di nessuno >>
. *** .
La mano di
Levi s'appoggiò sul
ginocchio dolorante, ogni piccolo balzo compiuto dalla carrozza era
un dolore. Balzo dopo balzo, dolore dopo dolore e il ginocchio pareva
infuocato.
Era irrequieto ed evitava di
guardare il volto di Erwin che stava seduto di fronte a sé.
La sua
agitazione era causata da tanti fattori, come il piano per catturare
Annie, avrebbe funzionato? Quanta gente morirà? Quanti
soldati?
Quanti civili? La cosa che lo faceva più incazzare era il
fatto di
non poter scendere in campo a combattere, doveva rimanere nell'angolo
a braccia incrociate come un misero osservatore.
Si voltò e attraverso il
quadrato vetrato vide il profilo della ragazza proveniente dalla
città sotterranea, non sembrava impaurita: seduta sul
cavallo,
manteneva la schiena dritta e lo sguardo fisso chissà dove.
Non
pareva preoccupata eppure aveva tutte le ragione per esserlo dato che
s'era offerta volontaria per mettere in pratica il piano iniziale,
quello che senza alcun dubbio sarebbe fallito dato che Levi pensava
fosse impossibile impedire a una persona di procurarsi del dolore
fisico. Bastava una misera unghia scheggiata per procurare un
graffietto.
Lysa s'era offerta e Levi ne era
convinto, era spacciata e sarebbe definitivamente scomparsa dalla sua
vita assieme ad Erika. Il pensiero non gli procurò alcun
sollievo,
sentì una strano malessere accartocciarsi all'interno del
petto.
Lysa si stava dirigendo verso il
suicidio e lui non avrebbe fatto nulla per impedirglielo
poiché era
una soldatessa: arruolarsi nella legione esplorativa significava
morire per l'umanità, la ragazza l'aveva capito
perciò stava
andando incontro alla propria scelta.
<< La conosci? >>
Levi si voltò incontrando il
volto di Erwin.
<< Chi? >> chiese
con quel suo fare sgarbato
<< La ragazza, quella con
i capelli neri. La stai fissando da tempo >>
osservò lui e
Levi gli rispose con un'occhiataccia, una di quelle furenti dato che
non voleva affrontare l'argomento, ma non si stupì della
domanda.
Erwin era un uomo intelligente, un'osservante impeccabile, per tal
motivo era il capitano che dirigeva la legione.
<< Ti assomiglia
tantissimo >> dichiarò infine e il corpo di
Levi s'irrigidì.
Non rispose giacché Erwin aveva capito tutto, aveva compreso
il
dilemma nascente nel suo essere. Il nome del padre della ragazza era
scolpito sul suo viso, eppure non vi erano certezze, solo sospetti
fondati su date e somiglianze fisiche.
<< Non vuoi fermarla? >>
chiese infine Erwin guardando la ragazza col petto fiero
<< Non posso, ha fatto la
sua scelta e non posso intervenire >>
. *** .
Un minuto.
All'apparizione di Annie, Eren
Mikasa e Armin avevano a disposizione tale lasso di tempo per
convincere la ragazza a direzionarsi giù, verso il passaggio
sotterraneo. Se non ci riuscivano, i
soldati dovevano intervenire per immobilizzarla.
Stavano tutti accovacciati e
schiacciati contro le pareti, respiravano piano per non produrre
alcun rumore. Erano tutti vestiti in abiti civili, anche Lysa. Con le
dita andò a lisciare la lunga gonna, un gesto stupido e
futile che
le permise di non pensare al fatto che al suo fianco stava Trevis.
Era stata severa, forse troppo
perché non s'erano rivolti alcuna parola dopo la sua
affermazione,
ma per quanto dolorosa Lysa s'era limitata a dire la verità.
Non
poteva essere la ragazza di nessuno poiché non voleva fare
la fine
delle donne che aveva incrociato durante la sua vita. Se avesse
cominciato a dipendere in qualsiasi modo da qualcuno, primo o poi
avrebbe cominciato a vivere nel nome di qualcun altro trascurando se
stessa e alla fine sarebbe morta per quest'ultima persona. Succedeva
così, indipendentemente dal rapporto instaurato si finiva
per
annullare se stessi pur di proteggere la persona amata.
“ E'
meglio morire per una
causa più grande di me che per una persona”
pensò tra sé con
una certa amarezza. Forse non esisteva un modo giusto di morire, alla
fine si muore e basta, che sia per i giganti o per Trevis.
Arrivò Annie assieme a una
persona incappucciata.
I soldati smisero di respirare.
Un veterano picchiettò a suon di piuma il dito sul palmo
della mano,
ogni battito silenzioso indicava il secondo che scorreva. Lysa non
svuotò la mente, quello poteva rivelarsi il suo ultimo
minuto di
vita e così fissò lo sguardo sul dito del soldato
che si
movimentava con cadenza regolare.
Pensò a Trevis e pregò che si
salvasse, anche se non poteva essere la sua donna non voleva veder
morire il suo amico.
L'indice colpì quindici colpi e
il pensiero si direzionò verso una lunga chioma dorata come
il sole.
Immaginò le dita passare lungo la chioma ondulata, ne
percepì la
consistenza. La donna bionda sorrise e anche la piccola Lysa, quella
vissuta all'interno della gabbia rocciosa.
“Chissà
dov'è ora? Chi
starà mai toccando quei capelli luminosi?”
pensò fra sé e
sé.
Rimanevano altri dieci rintocchi
silenziosi, a chi poteva rivolgere il suo ultimo pensiero?
All'umanità? Ai giganti? Alle prostitute del bordello? A se
stessa?
Non c'era più tempo, il dito si
bloccò, i sessanta secondi erano trascorsi e la figura di
Annie
stava immobile con i piedi incollati al suolo.
“ E'
giunta l'ora di andare. ciascuno di noi va verso la stessa strada: io
a morire voi a sopravvivere. Che cosa sia meglio, nessuno lo
sa.”
Un cenno della mano e via,
armati di corde i soldati partirono, verso la morte, verso l'oblio,
verso la vittoria.
Ciao :)
Inannzitutto
chiedo scusa a
tutti i lettori, ho avuto un periodo abbastanza pieno e il tempo
dedicato alla scrittura è andato a quel paese
>.<
Comunque sia ecco qua il settimo
capitolo, devo dire che ho dato poco spazio a Levi ma non temete,
sarà molto intesnso.
Che posso dire di Lysa? E' il
personaggio più contorto e difficile che abbia mai creato e
beh …
spero vi piaccia XD
Spero che il capitolo vi sia
piaciuto, non vedo l'ora di conoscere le vostre impressioni,
mi rendono sempre
molto felice <3
Dedico un
abbraccio a tutti
coloro che continuano a leggere questa folle storia ;)
un altro abbraccio
Mistiy
P.S. La
faccenda della missione
basata sul “minuto” ovviamente me la sono
inventata, spero
l'abbiate trovata plausibile >.<
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Capitolo 8 *** Abbandono ***
Abbandono
Levi osservava il fumo levarsi verso l'alto assieme
alla gigantessa.
Osservò la coltre fumosa ove le anime dei dieci soldati
volontari si erano dissolte per levarsi verso il cielo sospinte dal
vento .
La terra tremava sotto piedi, le mura tremavano, le persone, le cose
vibravano sotto i passi titanici.
La coltre di fumo diventava sempre più fitta e Levi vide
un'altro gigante innalzarsi verso l'alto. Un ruggito
echeggiò, sobbalzò sopra ogni cosa e il mondo
pareva volersi capovolgere.
“ Potrebbe
essere viva” pensò
non credendoci affatto. Osservò da lontano i giganti
rincorrersi e se li immagina, dei pezzi di Lysa stavano sotto le piante
dei loro piedi.
Levi stava a sedere su una cassa di legno con la schiena incurvata
verso il basso e i gomiti poggiati sulle ginocchia. I ciuffi neri
ricadevano sugli occhi, nel campo visivo rientrano soldati esagitati.
Azionarono il 3D per andare verso i giganti con le gambe tremanti ma
con l'animo d'acciaio.
<< Levi >> si voltò e vide Erwin
in piedi, al suo fianco stava Nile a braccia incrociate con le ciglia
corrucciate.
Lo sguardo dell'amico indicò un punto lontano, ove le case
si erano sostituite alle macerie.
<< Lo so che vuoi andare, perciò sbrigati
>>
<< Dove diamine dovrei mai andare? >>
sputò fuori arido. Quanto lo infastidiva il fatto che Erwin
aveva già intuito ciò che stava accadendo nel suo
cuore
<< Lo sai >> disse infine Erwin con tono
solenne.
Uno sbuffo carico di stanchezza escì dalle labbra. Levi non
voleva andare a vedere ciò che restava di Lysa ma doveva
farlo per chiudere definitivamente la faccenda riguardante Erika.
Solamente guardando il corpo privo di vita della giovane avrebbe potuto
dire per sempre addio al suo passato.
Senza dire alcunché si alzò, a passa storpiato si
diresse verso la meta rivelatrice.
. *** .
Due
occhi si spalancarono, si immerssero in una spessa coltre fumosa.
L'aria bruciava, entrava a fatica nei polmoni, questi sembrano
infilzati da tanti piccoli aghi infuocati.
Lysa aprì la bocca e boccheggiò incapace di
trattenere ossigeno. Si sentiva schiacciata e non vedeva nulla. La
terra tremava ma non riusciva a sentire alcun rumore, le sembrava
d'essere all'interno d'una bottiglia e lei era liquido privo di forma e
consistenza. Sentiva solamente una grande pressione che la schiacciava
verso il basso.
Comandò alla mano di muoversi e questa strisciò
piano. La vide scivolare lungo la roccia.
“ allora son
viva “ pensò
con stupore ma il sentimento venne immediatamente sostituito dalla
paura quando avvicinò la mano al proprio volto. Era
scarlatta. Roteò gli occhi all'impazzata e il fumo si
affievolì. Il pavimento sotto stante era scarlatto. Gli
occhi girarono ancora di più e vide braccia, gambe,
articolazioni rosse sparse ovunque.
<< Trevis … >> voleva urlare il
suo nome per farsi sentire dall'amico, ma dalla gola uscì un
misero brontolio.
Comandò a quel corpo di muoversi ma quest'ultimo pareva
essere una massa informe disobbediente. Lente e tremanti le mani si
movimentarono e toccarono roccia dura e aguzza. Gli ci vollero pochi
secondi per realizzare il fatto che era schiacciata sotto un masso.
Prese coscienza del suo corpo e del suo dolore, difatti dalla vita in
giù era bloccata.
Tastò la superficie sovrastante, la graffiò
cercando inutilmente di spostare quello che pareva un blocco roccioso.
“ La mia
strada è stata segnata, morirò qui “ pensò
cercando inutilmente di portare ossigeno ai polmoni.
Rassegnata lasciò le braccia cadere giù, contro
il pavimento tappezzato da pozzanghere scarlatte.
Lasciò le palpebre calare verso il basso, la sua sarebbe
stata una lotta inutile quanto dolorosa. Non ne valeva la pena, lo
sapeva.
Nelle orecchie si ripercuoteva un lungo ronzio, sonoro rimbalzava
contro le pareti del cranio. Quello era il canto della morte, la
incitava ad arrendersi, a calarsi in quel ronzio poiché fra
pochi istanti tutto sarebbe finito. Il mondo sarebbe divenuto un posto
silenzioso privo di colori e rumori. Il canto della fine era
così silente ma al contempo assordante, un rumore che pareva
un ossimoro ma la morte è così per tutti gli
uomini: un ossimoro inconcepibile giacchè noi siamo vita e
non possiamo comprendere la fine di quest'ultima.
Le palpebre calarono ma si riaprirono quando vide due occhi grigi come
i suoi.
“ Il
caporale Levi “ constatò
con apaticità. Vide le sue labbra muoversi ma non
udì alunchè, nemmeno l'uomo più forte
dell'umanità poteva azzittire il canto mortuario.
Vide il suo volto accartocciarsi in mille pieghe.
“ sta
provando compassione per me? “ pensò
non sapendo come interpretare quell'apparizione così
inaspettatata. Quando scomparve dalla sua vista un certo senso di
sollievo si insinuò in lei poiché voleva morire
sola, non voleva essere scrutata da nessuno durante i suoi ultimi
faticosi respiri. Non sarebbe potuta crepare in pace sotto occhi
esterni.
La pressione percepita fino a quel momento svanì, il ronzio
scordante venne sostituito da un urlo, non sembrava appartenere un
umano. Era lungo ed echeggiante, così stridulo che i timpani
presero a bruciare. Lysa si rese conto che quella disperazione non
proveniva da una fonte esterna ma dalla sua gola.
Il corpo divenne una massa solida costituita da dolore.
Respirò a fondo ma i polmoni vennero bloccati.
Inclinò la testa e vomitò sangue.
La mente, il corpo parevano essere impazziti, gli occhi rotearono verso
l'alto e l'ultima immagine che riuscì a identificare fu il
volto del caporale Levi.
. *** .
Levi stava seduto su una sedia a gambe incrociate
con gli abiti impolverati.
Al suo fianco c'èra Lysa sistemata sul letto ospedaliero.
Levi si tastò le mani sporche e colme di graffi. Per salvare
Lysa aveva dovuto sollevare quel pezzo di muro che la comprimeva
impedendole di respirare. Lo aveva sollevato e poi se l'era caricata
sulla spalla con una tale velocità, l'aveva portata dai
soccorritori. Questi l'avevano medicata alla bene meglio, le avevano
fatto sputare tutto il sangue che le impediva di respirare e poi
l'avevano posta su un carro diretto verso il primo ospedale. C'era
salito anche lui, quando arrivarono una squadra di medici la
caricò su una barella per trascinarla in sala operatoria.
Levi aveva atteso ore fino a quando non venne posta nella stanza a fine
operazione.
La mano sporca andò a infossarsi tra i
capelli neri. Era stanco, terribilmente stanco.
Quando era giunto nel luogo in cui Annie s'era tramutata in gigante,
s'aspettava di vedere un pezzo di cadavere e invece non fu
così. Vide una ragazza boccheggiare stancatamene ma era
ancora viva. Quando i suoi occhi si movimentarono … quale
gioia immensa naque nel suo cuore! Una gioia che venne immediatamente
sostituita dal terrore di veder morire la ragazza. Lysa doveva
assolutamente vivere perchè Levi non era disposto ad
aggiungere un altro nome nella lista delle anime scomparse.
Strinse forte le mani callose e ripensò
a quello che aveva provato nello stringerla forte a sé.
Si dimenava urlava di dolore con gli occhi bianchi privi di pupille.
Una persona compassionevole le avrebbe dato un colpo di grazia mettendo
fine a quell'agonia espressa dalle urla agonizzanti, eppure non ci era
riuscito. L'aveva stretta forte a sé trascinandola dai
paramedici. Il suo cuore aveva preso a battere talmente forte che i
rumori erano scomparsi.
Durante tutto il tragitto non riuscì a staccare gli occhi da
quella minuta ragazza ricoperta di sangue, il suo petto scalpitava su e
giù con la stessa cadenza del passo di un cavallo impazzito.
Levi stringeva le braccia attorno ai fianchi per reprimere l'impulso
d'accoglierla tra le sue. Ne era certo, sarebbe morta durante il
tragitto e lui non voleva mollarla neppure per un secondo
finchè il suo corpo era ancora caldo.
Non sapeva spiegarselo, che fosse sua figlia o meno, che fosse figlia
di ERika o no, non voleva perderla di conseguenza non poteva lasciarla
andare.
La
sala dove riposava Lysa era stracolma di letti occupati da altrettanti
soldati. Gli infermieri agitati si movimentano tra gli schiamazzi e le
urla doloranti. Anche quella missione era stata devastante ma questa
volta erano state coinvolti anche i civili, difatti vedeva uomini privi
d'armatura agonizzare.
Vide parecchi giovani, dovevano avere la stessa età di Lysa
e Levi si ritrovò a pensare ai loro padri che se ne stavano
nell'ansia a pregare per la vita del proprio figlio. Fu inevitabile,
cascò nel ricordo di Petra, più precisamente in
quello di suo padre.
Quel giorno gli si era avvicinato con entusiasmo narrando quanto la
ragazza fosse energica, che doveva vivere ancora così tante
avventure. Levi lo ascoltò in silenzio perchè lui
stesso aveva visto quel corpo esamine rotolare via nella landa verde.
Petra era destinata a decomporsi nel verde e non riuscì a
comunicare tale fatto al padre.
Prese
un fazzolletto inumidito dalla tasca, si pulì le mani
impolverate con energia, c'erano delle chiazze vinacce essiccate sui
palmi, erano residui del sangue di lysa.
Strofinò fino a quando non scomparvero.
Gettò nella pattumiera il bavero giallastro e una strana
nausea strinse il suo stomaco.
Sì voltò verso la ragazza, era viva ma ferita.
Le avevano bloccato l'emorragia interna, la gamba sinistra era stata
praticamente frantumata perciò gliela avevano ricostruita
con del metallo, difatti questa era ricoperta da un grande gesso dal
quale uscivano fuori lunghi chiodi.
I medici dissero che sarebbe sopravvissuta, non si sapeva in quale
stato ma il suo cuore continuerà a battere.
La
pelle della ragazza era cerea quanto il lenzuolo sotto al quale
riposava. Grandi chiazze grige ricoprivano il suo volto, sangue secco e
raggrumato era cosparso lungo la fronte. Guardò il volto
macchiato con un certo disgusto, vederla in quello stato feriva il suo
animo, lo sporco presente sul suo volto lo irritava. Allora prese dalla
tasca un altro fazzoletto bianco e con delicatezza passò
lungo il volto.
Riconobbe le labbra formose di Erika, i suoi zigomi alti, le lunga
ciglia scure e poi vide altro.
Lo stracciò passò lungo il profilo di quel naso
posto all'insù, vide delicate sopraccigliare nere e capelli
scuri quanto le ombre della città sotterranea. Quelle
caratteristiche le aveva viste tante volte nel suo stesso riflesso.
Stancamente Levi si risedette sulla sedia e un sospiro flebile
scappò dalle labbra.
Non aveva più alcun dubbio, non conosceva la ragazza eppure
lo sapeva, Lysa era nata da quell'amore impacciato condiviso con Erika
anni fa. Poteva chiedere a Hanji di effettuare qualche accertamento
tramite esami del sangue ma gli parevano così inutili.
Quale paura aveva provato nel vedere Lysa in quello stato e quale
angoscia sentiva nel vederla riversa in quel letto? Le sue ossa erano
stanche e indolenzite ma il suo petto bruciava come se fosse stato
trafitto da una spada infuocata. Da anni non provava una tale
apprensione nei confronti di qualcuno, ogni volta che l'occhio cadeva
su Lysa sentiva il sangue caldo rabbrividire all'interno delle vene.
Poteva costruirsi tutte le scuse mentali possibili ma Lysa era sua
figlia e che razza di padre le era capitato? Un uomo incapace di
manifestare il suo affetto, un uomo talmente ferito e colmo di ombre
che ha bruciato tutta la strada addietro per divenire un soldato
spietato.
“ Che cazzo
di padre potrò mai essere? “ pensò
con una certa rabbia rancorosa e il pensiero cadde su Kenny. Non
l'aveva chiamato mai “padre” eppure di fatto lo era
stato. Lo aveva raccolto dalla strada, gli aveva dato un pugnale in
mano e gli aveva insegnato a sopravvivere a suon di calci e rimproveri.
Quello era l'unico esempio di padre che avrebbe mai potuto mettere in
pratica, ma Lysa non se lo meritava. Nessuno si meritava un padre del
genere. Nonostante il disprezzo nei confronti di Kenny, un dolore allo
stomaco nacque nel rimembrare l'ultimo giorno in cui lo vide.
. * .
Un
vecchio ubriacone l'aveva sbattuto a terra per divertimento. La sua
risata bassa e roca rimbalzò tra le pareti rocciose assieme
a un generale vociare.
Levi cercò d'alzarsi in piedi e per un attimo vide tanti
volti divertiti attorno a sé, vide anche un impermeabile
bianco ma non potè registrare l'immagine poiché
un calcio in faccia annientò ogni possibilità di
rialzarsi. Le risate aumentarono assieme al dolore causato dal calcio.
Sentiva il sangue scorrere e battere veloce lungo le vene e ne era
certo, Kenny era tra quei spettatori ridenti. Un altro calcio
arrivò sulla schiena e un'altra certezza naque: Kenny era
lì e non avrebbe fatto niente per aiutarlo, se la doveva
cavare da solo per dimostrargli che aveva assorbito ogni suo
insegnamento, che non era più un moccioso ingombrante ma un
giovane assassino.
Alzò il volto dal fango sottostante e senza pensare al
dolore, tornò in posizione eretta. Guardò in
faccia il vecchio panzone sdentato che rideva senza ritegno, come se si
trovasse dinnanzi a un piccolo scarafaggio da schiacciare, ma Levi non
lo era affatto. Prese la forza dalla rabbia, dall'orgoglio di
dimostrare quello che era dinnanzi agli occhi del padre e si mosse con
agilità. Colpì le ginocchia grasse per
atterrarlo, scagliò calci e pugni per renderlo silenzioso e
inoffensivo, infine sguainò il pugnale. Sentiva gli occhi di
Kenny addosso perciò pose la lama sulla carotide dell'uomo
morente e urlò parole minacciose piene di Ira, in tal modo
nessun altro si sarebbe avvicinato a lui, nessun altro avrebbe osato
mettere in dubbio la sua forza.
Roteò lo sguardo e nel campo visivo rientrarono volti
stupiti, altri impauriti, altri ancora sconcertati ma di quella nicchia
anonima non gli importava un bel niente. Voleva vedere per una volta
quegli occhi perennemente sprezzanti colmi d'orgoglio. Non s'aspettava
di certo una pacca sulla spalla accompagnata da un commento
approvativo, però non s'aspettava neppure di vedere l'uomo
che l'aveva cresciuto camminare via.
La sua schiena si dirigeva verso la strada opposta alla sua e nella
testa di Levi nacque spontaneamente una domanda: Ho
sbagliato?
Aveva messo in pratica i suoi insegnamenti, s'era difeso massacrando di
botte l'assalitore eppure Kenny scomparve.
Lo ricercò tra le strade buie nella speranza di rivederlo
per caso ma lui s'era dissolto nel nulla. L'aveva abbandonato e il
giovane Levi rimase solo e privo di risposte.
. * .
Lo
aveva abbandonato e per lungo tempo lo aveva segretamente rimproverato
ma con gli anni capì che Kenny gli aveva dato la
possibilità di sopravvivere in quell'inferno roccioso. Che
fosse suo padre o meno, gli aveva regalato tutti gli strumenti
necessari per uscire dalla città sotterranea,
perciò non poteva far altro che provare riconoscenza nei sui
confronti. Nessun legame di sangue li univa dato che mai s'era
dichiarato padre, se n'era andato e Levi non poteva pretendere alcuna
spiegazione per tal fatto. Come poteva rimproverare Kenny in quel
momento? Lui aveva fatto la stessa cosa, aveva abbandonato Lysa.
Quel giorno lontano quando aveva ritrovato il
cadavere di Erika, s'era limitato a consumare la vendetta per poi
seppellire il corpo della giovane. Non aveva minimamente preso in
considerazione il fatto che la donna potesse avere dei legami,
né tanto meno una figlia, per tal motivo non s'era preso il
disturbo di comunicare il decesso della donna. L'aveva seppellita in
silenzio.
Sarebbe dovuto tornare all'alloggio di Erika e magari lì
avrebbe trovato una piccola Lysa impaurita, sola e abbandonata.
“ Che cosa
avrei mai potuto fare?” pensò
Levi. All'epoca aveva in testa un'unica cosa: la cittadinanza e salvare
dalle fogne Isabel e Farlan. Se avesse trovato Lysa? Si sarebbe
comportato come un padre? Sarebbe stato capace d'accollarsi il peso
della sua vita sulle spalle?
Levi non lo sapeva, domande su domande s'accavallavano nella testa e
un'unica certezza s'affermò: lui non poteva essere padre.
Era un criminale violento con le mani sporche di sangue umano, poi era
divenuto un soldato con l'armatura sporca del sangue dei giganti. Il
sangue di questi ultimi evaporava via ma l'odore marcio d'interiora
lacerate rimaneva addosso.
Un assassino non poteva essere un padre, era una contraddizione che non
poteva stare in piedi: l'assassino strappa via la vita, il padre la
dona per poi proteggerla. Lui non apparteneva a quest'ultima categoria,
ne era certo.
Anche senza la sua presenza Lysa era cresciuta bene visto che era
riuscita a sopravvivere nella città sotterranea
perciò anche senza il suo intervento, sarebbe andata avanti.
Levi s'alzò in piedi pronto per camminare via verso la
legione per capire cosa stesse succedendo, l'esercito necessitava della
sua presenza, invece Lysa no. Era cresciuta senza di lui fino a quel
momento, ora mai era grande perciò se la sarebbe cavata
benissimo da sola. Rivelare la paternità sarebbe stato
doloroso per Lysa poiché magari aveva un padre seppure non
biologico al quale era affezionata.
Magari era stata cresciuta da un umo amorevole oppure da un cinico
killer, cosa importava?
Chi diamine era lui per stravolgere questa possibilità?
Nessuno, era solamente un uomo.
Con questa convinzione attraversò i corridoi dell'ospedale
per andarsene via con la speranza di poter scacciare via il desiderio
di rivederla.
Ciao! :)
La storia oramai sta giungendo verso la fine,
mancano un paio di capitoli.
Non ho rispettato perfettamente il filo narrativo del manga ma
nonostante ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio tutti coloro che continuano a leggere questa storia, che
commentano, che l'hanno inserita tra le seguite, preferite o ricordate.
Un abbraccio grande
Mistiy
|
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Capitolo 9 *** dove ho lasciato la mia vita ***
Dove
ho lasciato la mia vita
448
Il
diario di Lysa
“ Degradante”,
Definiscono
così la città sotterranea, di conseguenza la
gente che vive là
sotto è “degradata”. Strano, quando ero
una bambina non sapevo
neppure cos'era il degrado; passavo le giornate nella polvere con i
miei coetanei, giocavamo, ci azzuffavamo, ci mordevamo per poi
tornare a casa pieni di lividi. Ammazzavamo il tempo così.
Tornavo
a casa e aspettavo il rientro di mamma, lavorava tanto e io avevo un
sacco di tempo libero così quando non stavo fuori a
rotolarmi nella
polvere, lavavo il piccolo alloggio da cima a fondo. Quando giungeva
a casa, mamma era felice di trovare la catapecchia pulita.
Il
mondo sottoterra è piccolo, cupo, sporco quanto la tana d'un
topo,
ma il mio pianeta iniziava e finiva nella mamma. Era un mondo
caloroso, piccolo ma al contempo immenso. L'affetto che mi donava non
poteva essere quantificato, tuttora non so dargli una
dimensione.
Aspettavo sempre il suo rientro e quando giungeva
scoppiavo di gioia poi ci sedavamo alla tavola apparecchiata per
mangiare.
Mamma mi prometteva che si sarebbe presa un giorno
libero per stare con me perché ero piccola e non dovevo
trascorrere
tutto quel tempo da sola. Non lo faceva mai, il lavoro assorbiva
tutto il suo tempo ma non m'interessava, m'accontentavo della
promessa e sorridevo.
Mi
bastava fermarmi pochi attimi con lei per essere felice.
Il sole
non batteva nella città ma non m'importava un
granché, passavo le
dita tra i capelli biondi, l'abbracciavo e mi sentivo già
riscaldata, chi aveva bisogno del sole quando c'era qualcuno che
t'amava?
Il tutto non m'appariva così degradante.
Trascorsi
così la mia infanzia e mai neppure per una volta ho pensato
d'essere
una persona degradata, ma poi si cresce e io dovetti farlo in fretta.
Successe
un giorno, credo d'aver avuto allora dieci anni e come al solito
mamma tornò a casa. Non sorrise, non si
complimentò per l'odore di
pulito, per l'assenza di polvere in casa. Era strana, sotto gli occhi
s'erano formati due solchi neri quanto le sue pupille. Camminava con
lentezza a schiena incurvata.
<< Mamma, stai bene? >>
domandai con titubanza
<< Sì, sì . Devo solo riposarmi.
Non preoccuparti >> sorrise per poi nascondersi sotto le
coperte. Mi rassicurò più di una volta del suo
stato di salute,
eppure il timore si fece spazio nella mia anima.
Il
timore dopo due giorni si tramutò in terrore
poiché era ufficiale:
la malattia s'era insidiata nella nostra casa.
Da quando s'era
messa a letto non s'era più alzata. Non faceva altro che
dormire, il
suo respiro pesante veniva spezzato da colpi di tosse potenti e io
tremavo. Avevo visto così tante persone scomparire, forse
era giunto
il momento di mamma ma non potevo accettarlo.
Dormiva ma io mi
ostinavo a svegliarla perchè doveva nutrirsi per combattere
la
malattia, lei apriva le palpebre lentamente e mi liquidava con parole
confortevoli del tipo “ non preoccuparti, fra qualche giorno
starò
bene”.
Passò
una settimana e non ero più impaurita ma terrorizzata! Mamma
era
cambiata: le sue guance erano scavate e il colore della sua pelle
aveva assunto sfumature bluastre.
Dovevo fare qualcosa e così
alla mente balenò un'idea: aveva bisogno di un farmaco e
solo chi
vive nella città sotterranea sa quanto è
difficile procurarsene
uno, li vendevano al mercato nero, erano pochi e talmente cari che la
gente s'indebitava per acquistarli. Non era il nostro caso, noi
avevamo dei soldi messi da parte. All'interno dell'armadio c'era una
piccola scatolina di legno colma di banconote stropicciate, ogni
volta che mamma tornava a casa dal lavoro metteva all'interno qualche
soldo.
“ Questi
soldi sono intoccabili Elysa, li useremo per uscire dalla
città
sotterranea” mi disse una volta.
Stando ben attenta a non
produrre alcun rumore, aprii l'armadio, rovistai tra gli ammassi di
stoffa alla ricerca del piccolo tesoro. Quando lo presi tra le mani
un grignolino di gioia mi sfuggì dalle labbra e purtroppo
svegliai
anche mia madre. Venni colta in fragrante: nel momento in cui i
nostri sguardi si scontarono, nascosi dietro la schiena la scatola
rettangolare ma fu inutile poiché mia madre ci vedeva
dannatamente
bene.
<< Rimettilo al suo posto >> la sua voce
era
fioca ma il rimprovero giunse forte e chiaro alle mie orecchie.
<<
No >> dissi guardando le punte delle mie scarpe. Mamma
raramente mi sgridava poiché era una donna affettuosa e ogni
rimprovero era rivestito da un tono vocale morbido sempre
accompagnato da un mezzo sorriso, ma quella volta il suo volto era
spaventoso. La sua voce era flebile e ruvida quanto la carta vetrata,
mille pieghe s'erano formate lungo la fronte.
<< Rimettili
al suo posto >> m'intonò con un velo di
minaccia insito nella
voce.
Scossi la testa senza innalzare gli occhi.
<<
Smettila di fare i capricci e rimetti la scatola al suo posto
… >>
innalzò il tono vocale ma la frase rimase sospesa nell'aria
poiché
fu colta da un ruggente colpo di tosse.
Cercava di soffocare il
rumore ponendo la mano sulla bocca, ma la tosse promanante dai
polmoni era talmente rumorosa che mi spaventai. L'avevo fatta agitare
e un malato doveva starsene tranquillo, così rimisi la
scatola al
suo posto e mi affiancai a lei per massaggiarle la schiena.
Quando
finalmente smise di tossire, scostò la mano dalla bocca. Sul
palmo
s'erano deposte gocce di sangue.Guardai il rosso e fui colta da una
disperazione ceca.
<< Mamma, non morire! >> urlai e
lei non si scosse. Si limitò a guardarmi mentre cercavo di
trattenere le lacrime brucianti.
<< Non posso deciderlo io,
ma anche se morissi la vita continua, tu vivrai anche senza di me
…
>>
<< No, no! >> urlai forte ponendo le mani
contro le orecchie. Non volevo sentirla, non poteva arrendersi
perché
non potevo immaginare una vita senza di lei.
<< Elysa … >>
intrappolò la mia testa fra le mani e mi
guardò dritta negli
occhi, aprì le labbra ma io le impedii di parlare
poiché urlai
<<
Abbiamo i soldi! Usiamoli per curarti! >> sbottai, quanta
paura
rivestita di rabbia s'era insinuata nel mio cuore.
Lei incurvò le
labbra verso l'alto rivolgendomi un sorriso forzato.
<< No,
quelli non si possono toccare. Sono per la tua cittadinanza
>>
<<
Non me ne importa nulla! Se tu non ci sarai più che cosa me
ne
faccio della cittadinanza?! >>
<< Per vivere una bella
vita >>
Piansi e l'abbracciai forte. Non le dissi che non
potevo esistere senza di lei, non riuscivo neppure a immaginarmi un
futuro. In fondo ero una mocciosa e nessun moccioso presente al mondo
vuole assistere alla morte del proprio genitore.
Piansi tanto e
lei si limitò ad accarezzarmi la schiena. Non disse nulla
per tutto
il tempo, mi cullò e tra un singhiozzo e l'altro
m'addormentai.
Il
giorno seguente mi risvegliai sola con gli occhi gonfi e brucianti.
Un senso d'affanno mi colse vedendo il lato del letto accanto
vuoto.
“ La
morte se l'è portata via!” pensai, come se un
morto potesse
camminare via così facilmente, quanto ero stupida? I
cadaveri
rimangono immobili a decomporsi, fino a quando non puzzano talmente
tanto che qualche buon samaritano li getta via da qualche
parte.
Difatti la morte non se l'era portata via, mamma rincasò
dopo poche ore. Il mio cuore scoppiò di gioia quando la vidi
estrarre dalla borsa un flacone di vetro. Si trattava del suo
salvavita, noi del ghetto chiamavamo così i farmaci.
Le andai
incontro e l'abbraccia stando attenta a non farle male, diavolo s'era
consumata così tanto nel giro di poche settimane!
<< Hai
utilizzato i soldi della cittadinanza! >> non glielo
domandai,
era un'esclamazione esuberante giacché aveva deciso di non
lasciarsi
morire.
Lei slacciò l'abbraccio e mi rivolse un sorriso strano,
non era malinconico, forse beffardo. Tutt'ora non lo riesco a
interpretare, comunque sia mi disse : << no, quei soldi
non si
toccano >>
Io scrollai le spalle, come si fosse procurata il
denaro non poteva fregarmene un bene amato niente. Ero troppo felice
per preoccuparmene.
Passo
dopo passo, giorno dopo giorno riprese le forze. Certo dormiva molto
e non era nelle condizioni di lavorare perciò il cibo
scarseggiava a
casa, dato che quei dannati soldi non si potevano toccare, mi
dilettai in piccoli furti. Quando mamma dormiva andavo al mercato
nero, mi nascondevo nella baraonda di gente e furtiva allungavo la
mano qua e là rubando il cibo presente sui banchi, tali
volte
riuscivo a prendere anche dei portafogli. Mi procuravo il necessario
per mantenerci in vita.
L'unica cosa che m'importava era che lei
si stava riprendendo: le guance tornavano piene, gli occhi
più
lucidi e la pelle non era più così pallida. Mamma
si stava
rigenerando e la mia vita sarebbero tornate quella di sempre. Io
fuori a giocare con i miei coetanei, poi a casa ad attendere il suo
rientro.
Quel
giorno fu il rumore della serratura a svegliarmi. Mi alzai di scatto
con gli occhi semi chiusi e vidi mamma dinnanzi alla porta.
<<
Esci? >> chiesi stropicciando le palpebre con le dita.
<<
Sì >>
<< Vai a lavorare? >>
Non ripose
subito, ma alla fine annuì, allora rasserenata dalla
conferma mi
sdraiai con la sicurezza che tutto era tornato come prima.
Mia
madre m'impedì di chiudere gli occhi perché si
sedette sull'orlo
del materasso.
<< Elysa? >> alzai gli occhi per
incrociare quelli neri di mamma. Le sue labbra erano incurvate verso
il basso e trovai il fatto alquanto strano. Pensai che doveva
comunicarmi qualcosa d'importante e così mi sforzai di
tenere le
palpebre aperte.
<< Se qualcuno bussa alla porta tu non
aprire, mai, per nessuna ragione, chiaro? >>
Annuì, era una
cosa che mi diceva sempre prima d'uscire
<< Ricordati che i
soldi quelli nascosti nell'armadio, non si toccano. Servono per
comprare la cittadinanza. Quando sarà il momento opportuno,
tu vai
dai gendarmi con i soldi in tasca >>
Annuii di nuovo. Era
una delle tante raccomandazioni.
Ci fu un momento di silenzio,
durò qualche istante e vidi gli occhi di mamma diventare
liquidi
come inchiostro. Non mi diede il tempo di preoccuparmi di tale cosa
perché le sue labbra s'incurvarono verso l'alto e mi
regalò un
sorriso stupendo, uno di quelli capaci di dissipare ogni dubbio,
d'eliminare ogni incertezza.
<< Ricordati che ti amo >>
mi accarezzò la guancia e sorrisi. Anche quella era una
delle tante
cose che mi diceva.
Mi addormentai immediatamente, con la
certezza che sarebbe tornata per ridirmelo.
Mamma
non tornò.
Nessuno bussò alla porta.
Non so quanto tempo
trascorsi chiusa in casa, fatto stava che alla fine uscii per
cercarla tra le strade. Ovviamente non la trovai.
Erapassata
una settimana, la trascorsi in solitudine, tali volte uscivo per
cercarla ma poi tornavo sempre a casa. Per non pensare, per non
annegare nella preoccupazione, pulivo. Ogni angolo, ogni mobile, ogni
crepa, io la rendevo immacolata così che quando mamma
sarebbe
tornata a casa … che gioia! Quella casa doveva risplendere a
tutti
costi
I
giorni passavano e qualcuno bussò alla porta
<<
Erika? Sei in casa? >> con insistenza continuò
a bussare. Era
una voce femminile e non pareva affatto minacciosa così
decisi
d'infrangere il comando di mamma e con titubanza aprii l'uscio. Mi
ritrovai dinnanzi a una donna alta con il volto pieno di lentiggini e
una testa colma di ricci focosi.
<<
Tu sei la figlia di Erika, giusto? >>
<<
Sì , tu chi sei? >>
<<
Sono adriana, una collega di lavoro di Erika. Dov'è tua
madre? Non
si fa viva da giorni >>
<<
Non lo so. >>
<<
Davvero? >> disse sbarrando le palpebre senza celare la
preoccupazione, la stessa che mi stava divorando da giorni.
<<
allora chiederò in giro dove si è cacciata
…. >>
La
donna sparì per poi ripresentarsi qualche giorno
più in la. Mi
disse che mia madre pareva essere scomparsa nel nulla, nessuno sapeva
dove s'era cacciata e così mi propose d'andare a vivere con
lei ma
declinai l'offerta. Quella poveretta aveva già cinque figli
da
tirare su e poi io ce l'avevo già una mamma, non volevo
sostituirla.
Non era né morta né scomparsa, sarebbe tornata,
ne ero certa. Non
avrebbe mai osato lasciarmi sola.
Lei
era il mio mondo nonché il terreno sul quale poggiavo i
piedi, dove
sarei mai potuta andare? Senza il mio suolo sarei precipitata punto e
basta. Con questa convinzione lavai da cima fondo casa, andai persino
a pulire gli angoli spigoli, mi arrampicavo sui mobili alti
perchè
volevo eliminare qualsiasi granello di polvere. Serrai la porta,
chiusi le finestre, perchè la casa era immacolata e l'aria
malsana
della città non doveva contaminarla. Trascinai il materasso
nell'ingresso, sotto alla porta così quando mamma sarebbe
tornata a
casa l'avrei accolta a braccia spalancate, e lei sarebbe stata tanto
felice di trovare la casa immacolata.
Tutto
sarebe tornato come prima. Mamma, io, la casa pulita, mi bastava
questo per essere felice.
I
giorni passarono e mamma non tornò, io non volevo uscire ma
le
scorte di cibo erano terminate, i soldi c'erano ma quelli erano
intoccabili così andai a bussare alla porta di Arianna
<<
Dove lavorava mamma? >> gli chiesi, avevo deciso di
cercare un
lavoro e magari potevo sostituirla ma di fatto non sapevo che
mestiere praticasse, neppure l'ubicazione del luogo.
La
rossa storse il naso << se tua madre non te l'ha detto ci
sarà
un perchè >>
<<
Non m'importa, portami nel luogo in cui guadagnava il pane
perché
anche io devo mangiare >>
<<
No, sei troppo piccola! >> sbottò lei irritata
ma io me ne
infischiai, insistetti così tanto che alla fine decise
d'accompagnarmi. La strada non fu lunga, qualche isolato ed Arianna
mi indicò una grande case marrone incastonata tra le
catapecchie
laterali. Non cadeva a pezzi come la maggior parte delle costruzioni
della città sotterranea. Era alta, dotata di sei piani.
M'incamminai
verso il porticato dove stavano delle donne agghindate, non udendo il
rumore dei passi di Arianna mi arrestai per domandarle
<<
Tu non vieni? Non lavori anche tu qua? >>
<<
Oggi è il mio giorno libero e non voglio sprecarlo
lì dentro >>
Scrollai
le spalle per marciare verso la casa colossale
<<
Aspetta >> esclamò la rossa e io mi voltai
<< Tua
madre faceva la donna delle pulizie, domanda per questo lavoro, se
Lukro ti vuole affidare un'altra mansione non accettarla, capito?
>>
le pronunciò con una serietà unica
così annuì per accontentarla,
solo in seguito capii il senso delle sue parole e oggi la ringrazio
per averle pronunciate: il vecchio proprietario disse che le mie mani
erano troppo belle per essere immerse nel detersivo, io non gli
credetti e alla fine diventai la bimba delle pulizie del bordello.
Non
sapevo che mestiere praticasse la mamma, lavorava tanto
perché
s'assentava anche per giorni da casa ma io non ero curiosa, non
m'interessava come si procurava il necessario per vivere. in fondo
ero una bambina, mi bastava che tornasse a casa e il resto non era
rilevante..
La
consapevolezza del mestiere che le donne praticavano arrivò
gradualmente a passo scalzo. Non sapevo cosa fosse il sesso fino a
quando non lo vidi, sì lo vidi con i miei occhi. Stavo
pulendo il
corridoio del piano superiore, una delle tante porte era socchiusa e
da questa giungevano rumori soffocati che non parevano appartenere a
bestie. Spinta da una curiosità timorosa, mi accostai alla
porta e
sbirciai, quello che vidi mi sconvolse: due corpi nudi, la donna
stava sotto a gambe aperte, invece il maschio si dimenava con
ferocia.
Scottata
dalla scena mi allontanai immediatamente, afferrai la scopa e
ricomincia a pulire con energia, cercai d'ignorare i suoni disgustosi
provenienti dalla stanza.
Ero
una sciocca sconvolta, cosa potevano mai fare delle donne chiuse in
quelle stanze? Perchè arrivavano solamente uomini in quella
grande
casa? La risposta era talmente ovvia, ce l'avevo lì sotto al
naso
eppure ci arrivai solamente quando la vidi con i miei stessi
occhi.
Poi arrivò anche la consapevolezza che mamma non era la
donna delle pulizie, ma solamente una prostituta, una delle tante. Lo
dimostrava la paga settimanale, con quella che ricevevo riuscivo a
malapena a procurarmi il cibo, invece con le monete che portava a
casa mamma potevamo permetterci di soddisfare qualche sfizio.
Eppure
mamma non era come le prostitute situate nella casa, queste si
distinguevano in due categorie: alcune erano rabbiose, suscettibile e
bastava una mezza parola per farle arrabbiare e m'arrivava uno
schiaffo sui denti, altre invece parevano amebe prive di carattere.
Si movimentavano, parlavano con una strana lentezza. A dire il vero
parevano sorde e ceche.
Mamma non era così, lei era energica,
rideva, mai neppure per scherzo ho pensato che fosse una persona
triste, forse all'interno del bordello soffocava se stessa e si
trasportava con la mente in un altro posto durante le degradanti ore
lavorative.
E allora in quel tumulto di amebe finsi anche io
d'essere sorda e ceca.
Tra
la puzza di fumo, incenso e detersivo, divenni un adolescente senza
neppure accorgermene. Fu Arianna a farmelo notare
<<
Hey tu! >>
Mi girai per ritrovarmi dinnanzi a una donna dai
lunghi capelli ricci e focosi
<< Che cosa diamine stai a
fare qua? >> chiese lei con severità, dato che
ero muta le
mostrai lo spazzettone e il secchio colmo d'acqua acquitrina. Era
ovvio il mio mestiere.
<< Non intendevo questo. Ti sei
guardata allo specchio? Hai visto come ti guardano i clienti?
>>
accennai un no col capo dal momento che non guardavo mai
il mio riflesso, ci vedevo spesso la mamma e la cosa m'infastidiva.
Stavo sempre con la schiena piegata sul pavimento alla caccia di
macchie e sporcizia.
Uno sbuffo esasperato uscì dalla sua bocca,
si avvicinò e con poca grazia pose la mano sul mio seno.
Scandalizzata scattai all'indietro urlando << “
che cazzo
fai?! >>
<< Che cazzo fai tu? Non lo capisci? Ti sta
crescendo il seno, ti stanno venendo fuori i fianchi, stai diventando
una donna appetibile, credi veramente che potrai continuare a pulire
i cessi d'un bordello? >>
<< Perchè, dove sta il
problema? >>
<< Sei davvero così ingenua? >>
Arianna alzò gli occhi verso il soffitto per poi proseguire
con una
certa noia << tra le gambe hai una piccola miniera d'ora
e ben
presto il proprietario ti costringerà ad usarla, a nessun
cliente
importa che il luogo sia profumato. >>
Sconvolta sbarrai le
palpebre, qualcuno poteva veramente costringermi a prostituirmi?
<<
Vattene via finché sei in tempo, altrimenti farai la mia
fine e
quella di tua madre. >>
Quelle parole bruciarono come fuoco,
avrei fatto la fine di mia madre? Ma quale era stata la sua fine? Non
sarebbe mai più tornata, oramai era divenuto un fatto chiaro
e
cristallino dato che non l'avevo mai più incrociata neppure
per
caso. Ma che fine aveva fatto?
Certo, da quello che avevo capito
aveva trascorso gli anni lì dentro, s'era lasciata possedere
da
uomini schifosi in cambio di denaro che io stessa avevo utilizzato
per sopravvivere all'interno della città. Anche io avrei
percorso i
suoi stessi passi?
Abbandonai la scopa per chiudermi all'interno
d'una delle camere vuote del bordello. Mi spoglia dinnanzi allo
specchio, scostai la lunga frangia dal viso e mi guardai con un certo
distacco, come se il riflesso non rispecchiasse me stessa
bensì
un'altra persona. Era una ragazza così magra, le scapole
erano
talmente pronunciate che parevano voler schizzare fuori dalla
pelle.
Corse giù lo sguardo e vidi due piccole coppe morbide e
pallide, scesi ancora di più e dalle costole sbucavano due
curve
aguzze.
Arianna
aveva ragione, stavo diventando una creatura simile a tutte le donne
presenti nel bordello. Avevo due scelte: diventare una prostituta per
poi consumarmi fino a morire, oppure andare via verso un mondo che
non conoscevo e tentare di vivere.
Mentre
mi rivestivo promisi a me stessa che me ne sarei andata.
Ogni
giorno rimandavo la dipartita dal mondo sotterraneo, la vita che
stavo vivendo era degradante e il futuro si prospettava peggiore del
presente stesso, eppure qualcosa mi tratteneva. Probabilmente era la
paura, già avevo paura d'andare via da sola. Il mondo
sotterraneo
faceva schifo, ma almeno lo conoscevo. Il mondo sovrastante invece
era una incognita, chi poteva mai assicurarmi che sotto un cielo blu
avrei vissuto una vita migliore?
.
***
<< Ce
l'ho un padre? >>
lo chiesi un bel giorno spinta da una
curiosità innata che tutti i bambini sprovvisti d'un
genitore
possiedono.
Mamma
mi prese in braccio e seduta sulle sue ginocchia cominciò a
raccontare: disse che mio padre era un'eroe che era sceso a patti con
se stesso ma nonostante tutto credeva nella libertà ma non
la
processava poiché lui era un uomo dall'animo gentile, non
avrebbe
mai osato opporre una propria convinzione nelle teste altrui. Era un
uomo che non si piegava allo squallore, alla vigliaccheria, al
malessere generale. Lui era l'uomo che aspirava alla
libertà, un
piccolo eroe che combatteva contro se stesso e il mondo circostante,
che non si piegava dinnanzi a nessuno e che un giorno l'avrei
incontrato lassù, nel mondo sovrastante perché
nelle mie vene
scorreva il suo sangue, per tal motivo dovevo seguire le sue
orme.
Non mi disse il suo nome poiché non glielo chiesi, allora
non m'interessava, mi bastava sapere d'essere stata generata da un
padre.
Lavorando nel bordello mi resi conto che m'aveva raccontato
una bella quanto finta fiaba.
Mia
madre lavorava nel bordello da anni, ancora prima che nascessi
perciò
l'uomo che aveva contribuito alla mia nascita non poteva trattarsi
d'un eroe ma d'un lurido cliente.
Li vedevo come i clienti
trattavano le donne: le prendevano con violenza, le piacchiavano
scaricavano addosso lo squallore della loro stessa vita. Certo,
alcuni erano gentili, così si potevano definire coloro che
s'accontentavano dell'ebbrezza del coito sacrificando qualche
moneta.
Mio padre non era un eroe, era uno schifoso puttaniere che
aveva ingravidato mia madre costringendola a quella miserabile vita.
Già, avevo riflettuto a lungo ed ero giunta a una
convinzione: se
mia madre non fosse rimasta incinta, lei se ne sarebbe andata dal
bordello dopo aver racimolato i soldi necessari per la cittadinanza e
invece sono capitata io. Mio padre ed io siamo stati la sua rovina,
il suo cancro che l'ha costretta a rimanere immobile lì, a
consumarsi giorno dopo giorno per mantenere una figlia nata dalla
violenza e dal soldo.
Avevo contribuito alla scomparsa di mia
madre.
Non
volevo conoscere mio padre ma un giorno accadde.
Era una giornata
tranquilla, non c'erano clienti nella hall così mi misi a
pulire il
grande spiazzo sotto l'occhio vigile di Lukro, quello se ne stava a
sedere beatamente dietro al bancone. Mi guardava e poi leggeva il
registro contabile tra una boccata di pipa e l'altra.
L'uscio si
aprì, in genere non guardavo mai i clienti che entravano, ma
di
sottecchi sbirciai. Era vestito in modo elegante, portava una camicia
e una giacca nera di velluto. Dietro gli abiti perfettamente stirati
si nascondeva una grossa e disgustosa pancia, ricordo che bottone
della giacca a stento rimaneva fermo sul punto vita.
Era un grasso
porco, come tanti, ma quello che catturò la mia attenzione
furono i
suoi capelli: dal cappello a cilindro scendeva una capigliatura
liscia e scura quanto le ombre della città. Quella
tonalità così
nera l'avevo vista solamente addosso a me stessa.
Non fu solo
questo ad attirare la mia attenzione. Il grasso porco si
fermò e i
nostri sguardi si incrociarono e li vidi, sotto le soffuse luci del
locale vidi brillare due piccoli occhietti cerei. Si infossavano tra
le pieghe del suo volto ma ne ero certa, quegli occhi erano grigi
come i miei, come l'acqua sporca raccolta all'interno del secchio
sotto stante ai miei piedi.
Ci scrutammo a lungo, ci studiammo e
sentii qualcosa movimentarsi nel mio petto, era animalesco e
rabbioso.
Alla fine camminò via verso Lukro e io continuai a
spazzare il pavimento con una certa foga. In me s'era accesa la
rabbia, una miccia pericolosa che non portava a nulla di buono.
Non
c'erano dubbi. Quello era mio padre e non vedevo l'ora di ucciderlo.
.
*** .
“
Quell'uomo
è interessato a te, che dici? Vuoi fare un po' di
soldi?” mi disse
Lukro e io ovviamente accettai, potevo rimanere sola con quel porco e
così colsi l'occasione .
Il
giorno seguente mi ritrovai distesa sul letto di una delle tante
camere che avevo pulito da cima a fondo.
Addosso avevo un lunga e
setosa camicia da notte, l'aveva comprato l'uomo per farmela
indossare.
I lunghi capelli erano racchiusi in una treccia che
cadeva sulla spalla destra, mi aveva pettinato con cura una
prostituta del posto.
Lo attendevo con impazienza. Toccai la punta
del pugnale posta sotto al cuscino e il cuore cominciò a
battere
frenetico, gli occhi balenavano lungo la stanza e il fiato diveniva
sempre più corto. Ero eccittata, tale stato fisico non
scaturiva
dalla prospettiva del sesso, bensì dalla vendetta: non
vedevo l'ora
d'immergermi nel sangue del porco, berlo per poi invocare la
giustizia.
Arrivò senza bussare, rimasi immobile mentre chiuse la
porta. Lo guardai spogliarsi per porre le vesti sulla sedia. Era
disgustoso, la pelle sbilenca cascava verso il basso, ogni movimento
era accompagnato da un tremore del suo corpo. Non m'importava, mi
bastava porre il pollice sulla lama del coltello nascosto e il
disgusto calava giù nello stomaco.
Si mise sopra di me a
cavalcioni, voleva domarmi e io rimanevo inerme, qualsiasi cosa
poteva farmi poiché sapevo come sarebbe finita quella
vicenda,
ovviamente tutto era a mio beneficio. Dovevo solamente ignorare le
sue mani grassocce e sudate, le labbra bavose e vogliose, l'erezione
schifosamente ritta.
M'aveva
strappato le vesti di dosso e non faceva altro che strusciarsi.
Quando spalancò le mie gambe capii che il momento stava
giungendo.
Io sudavo e ansimavo, forse lui deve averla intesa come una
sottospecie di febbri citazione sessuale, così fu veloce. In
un
colpo solo penetrò.
Strinsi
i denti per soffocare il dolore e lo guardai. Si muoveva dentro di me
con spinte forti, la sua pelle si dimenava e la voglia di sgozzarlo
cresceva sempre di più, ad ogni spinta. Ma dovevo essere
paziente e
così attesi il momento che non tardò ad arrivare.
Lo vidi stringere
forte gli occhietti grigi, emanò un lungo brontolio
gutturale. Era
il momento, era distratto e reso ubriaco dall'orgasmo.
Inclinò
all'indietro la testa mostrandomi la lunghezza della gola e
così lo
feci. Veloce piantai la lama, sprofondò nella carotide.
Mi arrivò
addosso una cascata calda odorante di ruggine, tenni le palpebre
aperte, non distolsi lo sguardo da quegli occhietti stupiti.
Spalancati e inniettati di sangue mi guardava, apriva la bocca per
emanare brontoli sbottanti di sangue.
Mi cascò addosso e il suo
corpo preso dalla convulsioni si muoveva a scatti. Non mi scostai,
rimanevo lì a sentirlo, petto contro petto il suo cuore
scalpitava
come se volesse uscire dalla gola. Rimasi lì, immersa nella
sostanza
vischiosa fino a quando il suo corpo non smise di tremare assieme al
suo cuore.
Rimaneva un'ultima cosa da fare: avevo eliminato il
cancro principale di mia madre, ora rimanevo io. Puntai la lama sulla
carotide pulsante ma ero indecisa. Avevo visto mio padre morire
eppure la cosa non m'aveva recato alcuna gioia, neppure un briciolo
di soddisfazione. Difatti non era cambiato niente: lui era morto ma
la mamma non sarebbe mai più tornata a casa, cosa avevo
risolto? Un
bel niente. Se mi fossi suicidata avrei risolto qualche problema? No,
però avrei smesso di soffrire.
Scostai il cadavere con rabbia,
non lo guardai neppure.
Mi alzai e acchiappai dei vestiti che
infilai in fretta e furia.
Il suicidio non era la risposta,
soltanto soffrendo là fuori avrei estirpato la colpa
d'essere venuta
al mondo.
Ricordo
d'essermi cambiata, d'aver pulito meticolosamente ogni traccia di
sangue dal mio collo, dal volto, dalle braccia. Indossai degli
indumenti puliti, che avevo preparato sulla sedia
Ignorai il
cadavere e per evitare d'essere vista da Lukro e dalle restanti
donne, mi buttai giù dalla finestra. Era al secondo piano
perciò
riusci a cadere sui miei piedi senza procurarmi alcun dolore.
Non
mi voltai, neppure per dare una fugace occhiata alla struttura. Il
bordello, le persone conosciute fino a quel momento appartenevano
già
al passato. C'ero solamente io, la mia angoscia e il mondo fuori
stante.
Quando
tornai a casa afferrai una sacca, ci buttai dentro i soldi e qualche
indumento. Il minimo indispensabile. Non volevo macchiare il mio
futuro con qualche oggetto del passato.
Uscii senza voltarmi, a
passo spedito mi recai dinnanzi alla gradinata, quella che conduceva
verso l'esterno. Un gendardo allampanato dal volto allungato si
parò
davanti.
<< Voglio comprare la cittadinanza >>
allungai immediatamente il plico di soldi.
Lui mi scrutò da capo
a piede arricciando il naso. Le afferrò e le
contò il denaro,
quando arrivò alla cifra desiderata, s'intascò il
compenso e tirò
fuori un quaderno e una penna.
<< Dimmi il tuo cognome >>
ordinò asettico
<< Non ce l'ho >> dissi
spontaneamente.
<< Puoi anche inventartelo >>
<<
No >> dissi secca. Che senso poteva mai avere? Il cognome
designa la famiglia d'appartenenza dell'individuo e dato che mia
madre era la figlia di nessuno, il cognome non ce lo avevo. Se mi
fossi informata sull'identità di mio padre avrei potuto
accontentare
il Gendarmo irritato. Quest'ultimo difatti sbuffò
chiaramente
scocciato dalla situazione.
<< Il nome, quello ce l'hai?
>>
<< Lysa >> prima di rispondere riflettei e
in
un battito di ciglia decisi di lasciare giù nella terra
sotterranea
la E, la vocale che stava ad Erika. Elysa non esisteva più.
Il
soldato compì un giro attorno a me, mi ispezionò
controllando che
addosso non avessi armi.
<< Non sei armata, hai i soldi e
non sembri malata . Manderò la richiesta al registro
anagrafe e se
tutto fila liscio ti consegnerò i documenti fra
breve>>
Attesi
sulle gradinate un'intera giornata, non sarei tornata a casa per
nessuno ragione al mondo. Non temevo più il mondo esterno,
bensì
quello che m'ero lasciata dietro. Un terribile ammasso di violenza,
sangue, fame e ricordi, alcuni dolci, altri brutali. Era strano, ma
quelli che facevano più male erano momenti addolciti dalle
carezze
di mamma, quelli pieni di risate poiché sapevo che
là fuori non
avrei mai trovato lo stesso calore che mamma m'aveva trasmesso
durante gli anni. Avevo perso qualcosa di così grande e lo
sentivo,
nel mio petto s'era formata una voragine che niente e nessuno avrebbe
più potuto colmare.
L'ingresso
nel nuovo mondo fu ceco.
Non vidi nulla, fui letteralmente
accecata dal sole. La luce m'arrivava dritta in faccia producendo
lunghe e dolorose fitte alla testa.
Camminai a lungo su passi
incerti, tenevo la testa bassa per controllare i miei piedi dato che
non riuscivo a rizzare la schiena che un raggio solare mi colpiva e
la vista diveniva tutta cosparsa di macchie e lustrini.
Ceca
camminai a lungo fino a quando non sbattei contro il petto d'un
ragazzo, non domandai scusa e quest'ultimo mi inseguì.
Convinta che
volesse mollarmi una ceffone per l'offesa arrecata, strinsi il pugno
pronta per difendermi.
Ma non fu così, mi sbagliai di grosso. Non
potendolo vedere in volto a causa della cecità, mi limitai
ad
ascoltarlo e capii che si trattava d'un giovane come me, lui
però
era gentile.
Non ricordo il motivo, ma ci sedemmo su una panca e
lui cominciò a narrare il fatto che si stava addestrando per
arruolarsi nella legione esplorativa, mi raccontò dei
giganti, di
quanto fossero misteriosi e spaventosi. Mi parlò della
libertà e mi
spiegò il motivo per cui eravamo obbligati a combatterli.
Il
giovane si scusò perché s'era messo a blaterare
senza neppure
presentarsi così a lungo che difatti il sole era calato
dietro le
mura. Finalmente potei alzare gli occhi senza essere ferita dal sole.
Vidi il suo
sorriso, era
sincero, liscio si distendeva lungo il volto.
<< Il mio nome
è Trevis, tu come ti chiami? >>
<< Lysa >>
risposi, infine stringemmo la mano.
Il
giorno seguente cominciai
l'addestramento per divenire soldato
Gli occhi
si aprirono piano per
incontrare un soffitto grigio.
Si
svegliò con la bocca arida, secca e priva di saliva.
Masticò a
vuoto per scacciare via la secchezza . La sensazione arida venne
immediatamente sostituita dal dolore, scaturiva dalla gamba e si
propagava lungo tutto il corpo, ogni centimetro di pelle era
inquinato, schiacciato da dolorose scosse elettriche.
Si
sentiva così male che le pareva d'essere un vaso rotto con i
pezzi
incollati qua e là.
<<
Buongiorno >>
piano
girò il collo per trovarsi faccia faccia con un omino
sciupato.
Indossava il camice bianco così dedusse che si trattava d'un
dottore
<<
Signorina Lysa, durante la battaglia ha riportato un grave trauma
toracico, inoltre la gamba gliela abbiamo dovuta ricostruire in sala
operatoria >>
Gettò
l'occhio all'ingiù e la vide appesa all'aria. Era ricoperta
da un
grande e spesso gesso dal quale uscivano due lunghi chiodi.
<<
Potrò tornare a combattere >> chiese a voce
roca, voleva
saperlo immediatamente e difatti fu l'espressione corrucciata del
medico prima delle sue parole a confermare il suo timore.
<<
Signorina, tutti i partecipanti alla missione sono morti, è
un
miracolo che sia ancora viva. Si riposi >> si
congedò con
parole asettiche, come se fosse stata così fortunata da non
meritarsi nient'altro che la vita. Certo, era viva, ma che vita le
avevano lasciato? Quella di una storpia e i soldati storpi
combattevano? Ovviamente no, quelli venivano congedati con una
medaglia, il loro futuro era sconosciuto perché sparivano
dalla
vista di tutti. Forse andavano a rifugiarsi nella città
sotterranea
ove nessun poteva vederli.
Non
ebbe tempo di riflettere su ciò perché le
palpebre calarono contro
la sua volontà.
I
giorni passarono e Lysa aveva perso il senso del tempo. Tali volte
riapriva gli occhi che era giorno, altre era notte. Non poteva far
altro che chiudere gli occhi e alle sue orecchie arrivavano rumori,
voci soffuse e lontane. Le sembrava d'essere racchiusa in una
bottiglia di vetro, difatti ogni singola cosa arrivava con una
lentezza spossante e spesso non capiva neppure il senso delle frasi,
tali volte arrivavano urla, altre volte sentiva qualcuno piangere ma
nulla riusciva a riscuoterla da quello strano stato di sonnolenza
perenne. Nulla riusciva a penetrare quella gabbia di vetro nel quale
giaceva.
Si
svegliò, quella volta riuscì a tenere le palpebre
aperte. Incredula
e stupita del fatto di non essere sprofondata nel tepore del
dormiveglia, rizzò un poco il busto per circumnavigare con
lo
sguardo l'ambiente circostante. Il silenzio dominava nella grande
sala cosparsa di letti posti perpendicolarmente e colmi di persone
sdraiate. Alcuni dormivano fasciati da capo a piede, altri invece
stavano immobili come stoccafissi con lo sguardo rivolto verso
l'alto. Parevano involucri vuoti privi di energia. Le uniche forme di
vita in quella stanza sembravano essere le infermiere. Queste
s'aggiravano tra i feriti a passo felpato con gli occhi altalenanti,
pronte a intervenire in caso di bisogno.
Le
pupille della ragazza girarono all'impazzata, sapeva chi cercare ma
non vide la chioma color grano. Lo sguardo navigò alla
ricerca di
quel sorriso. Ne sentiva la mancanza
“
Trevis
non c'è, sarà stato ricoverato in un altro
ospedale. Devo trovarlo”
pensò tra se e sé.
Si
sbilanciò di lato pronta per mettere in pratica la ricerca.
<<
Cosa sta facendo! >> urlò l'infermiera
mettendosi subito al
fianco di Lysa per impedirle di scendere dal letto
<<
Me ne vado via. Sono viva e mi sento meglio, perciò voglio
lasciare
questo letto al prossimo ferito che verrà >>
disse lei
cercando di cacciare via le mani dell'infermiera che la bloccavano.
<<
Non può! Ha subito pochi giorni fa un grosso intervento
perciò deve
riposarsi >>
<<
Preferirei riposare a casa, non voglio stare in un ambiente
asettico>>
Le
mani dell'infermiera non si allontanarono, però la signora
chinò il
viso per guardarla dritta negli occhi.
<<
Immagino che per te sarà più rilassante riposare
in un ambiente
familiare >>
Lysa
guardò il volto rugoso della vecchia infermiera ed
annuì con
energia, aveva imparato a mentire nel corso degli anni.
<<
Capisco. Allora domanderò al medico che ti ha operata se
puoi
tornare a casa. >> finalmente lasciò le sue
braccia e prima
d'incamminarsi fuori dalla stanza le intimò
<<
Guai a te se scappi >>
Lysa
annuì solennemente ma era una brava bugiarda, difatti non
attese
l'infermiera. Afferrò delle stampelle poste al fianco del
letto,
camminò via a passo zoppo stando bene attenta a non
incrociare
infermieri e dottori lungo la via.
Percorse
la città. Le viscere dolevano, ogni passo su quelle
stampelle e ogni
pezzo di pelle tirava così tanto che le ossa perevano voler
uscire
fuori dalla pelle.
A
denti stretti continuava a camminare, vedeva persone correre tra le
macerie, scavare tra i sassi, urlare nomi nella speranza che i
chiamati rispondessero sotto i pezzi di mura.
Anche
Lysa stava cercando qualcuno, ma non lo chiamò dato che gli
pareva
inutile.
Si
recò nel posto dove era rimasta ferita.
Grazie
alla presenza di sangue rosso schizzato tra le macerie
riuscì a
riconoscere il luogo.
Zoppiccò
qualche passo non sapendo neppure dove guardare in quello sfacelo.
Guardò attentamente e non vide alcun cadavere, neppure
qualche pezzo
di pelle.
<<
Trevis … >> chiamò a bassa voce
senza crederci realmente.
Non era ingenua, la speranza che fosse sopravvissuto non era altro
che una bella balla che si narrava a se stessa. Una dolce bugia come
quelle che le raccontava sua madre.
Doveva
essere rude con se stessa per scacciare via la splendida illusione
<<
Trevis, tu sei morto. Mi hai salvato e sei crepato. Anche il caporale
Levi mi ha salvata, chissà se lui è morto
… >> disse
sottovoce per voltare le spalle alle macerie.
Ogni
passo era uno sforzo incredibile, camminava evitando i massi sparsi
qua e là fino a quando non fu costretta a fermarsi. Il fiato
si era
fermato nella gola, la pelle era madida di sudore e i capelli le si
appiccicavano alla fronte rendendole impossibile proseguire il
cammino.
<<
Fanculo >> ringhiò cercando di scostare con
una mano i ciuffi
appiccicati.
“
perchè
il caporale mi ha salvata? “ pensò tra
se e sé con rabbia,
come se gli avesse procurato un dispetto enorme lasciandogli quella
vita.
Levi
lo aveva già visto da qualche parte, non a cavallo mentre si
direzionava verso la la guerra, neppure mentre scorrazzava nel cielo
come una rondine. L'aveva già incontrato, magari mentre
passeggiava
in abiti civili, sì doveva essere andata così
perché sentiva
d'averlo già incontrato, la sensazione era nata nel momento
in cui i
loro occhi s'erano incrociati all'interno del castello.
Quell'espressione strafottente, i capelli neri come l'ebano e poi gli
occhi che parevano dello stesso colore della tempesta. Li aveva
già
incontrati.
Si
fermò per prendere fiato, camminare affidandosi a una sola
gamba e
alle braccia era terribilmente faticoso.
Alzò
lo sguardo per incontrare la vetrina impolverata d'un negozio rimasto
miracolosamente intatto. Rimase immobile con le palpebre spalancate a
scrutarsi perché nel riflesso c'era una persona che non
doveva
esserci, eppure c'era sempre stata. Il problema è che non
l'aveva
mai notata.
Scosse
la testa con energia per scacciare via il pensiero.
<<
Devo riposarmi … >> disse sotto voce.
L'unica
casa che l'era rimasta era sotto terra, nel ghetto dove aveva
lasciato la sua vita.
Lì
andrà per ricomporre i pezzi, i pensieri sbilenchi.
Ciao
:)
Mi
inchino e chiedo scusa a tutti coloro che seguono la storia
perché
ho pubblicato con un ritardo spaventoso. Ho dichiarato fin
dall'inizio che la storia era già stata scritta ma
ahimè, mi sono
lasciata trasportare dalle modifiche, dai ripensamenti, così
ora mi
ritrovo a riscrivere i restanti capitoli.
Tornando
al capitolo appena pubblicato, che posso dire? Lo definirei un
capitolo doveroso perché ho fatto una volta per tutte luce
sul
passato di Lysa e devo ammettere che ho provato un po di ansia nel
momento in cui l'ho pubblicato dato che il personaggio non ha vissuto
una vita molto piacevole, ma in fondo parliamo della città
sotterranea e credo che nessun individuo possa condurre una vita
adagiata in quel luogo.
Per
quanto riguarda la storia ormai siamo agli sgoccioli, ci sono giusto
altri due capitoli, forse uno se riesco a narrare tutto.
Che
altro posso dire? Niente, lascio a voi l'opinione:D
Spero
di sentirvi
un
abbraccio
Mistiy
|
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Capitolo 10 *** ragazzi tosti ***
Buonasera
carissimi/me
Prima di
lasciarvi alla lettura
devo assolutamente scusarmi con tutti voi, sono scomparsa dal forum
di punto in bianco senza avvertire coloro che seguono la storia.
Non posso
essere scusata ma in
un qualche modo mi devo assolutamente giustificare: ho passato un
periodo intenso tra lo studio, problemi familiari e
sentimentali,
avevo la mente talmente affollata di preoccupazioni che non riuscivo
neppure a scrivere una frase a senso compiuto.
Qualche
settimana fa la voglia
di scrivere è tornata grazie al cielo, perciò vi
chiedo scusa e
spero che tutti voi continuate a leggere questa storia così
particolare.
Ci tengo a
ringraziare tutti voi
che avete recensito, tutti voi che avete inserito la storia tra le
preferita, seguita o ricordata. Grazie di cuore perché
m'incoraggiate a proseguire questa storia.
Vi lascio
alla lettura del
penultimo capitolo
un abbraccio
Mistiy
Ragazzi
tosti
Levi dopo
la cattura di Annie,
era tornato all'ospedale per verificare le condizioni di Lysa. Non la
trovò, l' affanno s'era formato alla bocca dello stomaco.
Afferrò
il braccio del primo infermiere vagante per i corridoio per
interrogarlo sulla questione
<<
Dov'è la soldatessa
Lysa? >> domandò Levi.
<< Non ne ho idea, ci sono
troppi soldati per ricordare i nomi >> disse l'infermiera
con
noncuranza pronta per correre via ma Levi non glielo permise: la mano
si strinse attorno all'avambraccio, le dita affondarono prepotenti
nel camice.
<< Lysa è bassa, ha
capelli neri, occhi grandi di colore grigio, viso tondo e carnagione
chiara. Allora, dove si trova? >> il tono di Levi era
pacato e
tranquillo, eppure le
sopracciglia incurvate verso il basso, il volto contratto in mille
pieghe, tratti visivi che lo facevano somigliare a una belva pronta a
divorarla. La ragazza tremò sentendo la presa sul braccio
ferrea,
sbarrò gli occhi e balbettò : <<
S … sì, mi ric ..
ricordo di lei. Se n'è andata via senza permesso
poiché desiderava
riposare a casa >>
Levi abbandonò il braccio della
giovane e quest'ultima s'affrettò ad andar via come una
pecorella
impaurita dal lupo.
Levi non si rammaricò della
ragazza terrorizzata, non aveva tempo per provare un tale sentimento.
Rifletté sulle parole della giovane : … Tornare a
casa”. Quale
casa? Da quello che sapeva Lysa alloggiava negli ostelli riservati ai
soldati e non s'era mai presa un congedo, perciò non aveva
un luogo
in cui tornare.
Casa.
Ripeté mentalmente
e la risposta arrivò fulminea poiché tutti hanno
un luogo in cui
sono nati, in cui hanno vissuto una parte notevole della propria
esistenza. La casa di Lysa era la città sotterranea.
Rimase lì immobile sui propri
piedi mentre la gente esagitata gli passava accanto alla ricerca dei
propri cari.
Si poteva
affermare che il
destino aveva tracciato una soluzione perfetta: la ragazza era
certamente tornata giù nel ghetto e a causa delle condizioni
fisiche
in cui riversava, Lysa sarebbe rimasta lì fino alla fine dei
suoi
giorni. Comodo, no?
Arrivò l'immagine della
ragazza, distesa in una pozza melmosa con le vesti strappati, un
volto bianco tumefatto tracciato da grandi ematomi. Colto da un
brivido freddo, scacciò via la macabra visione, non ci
riuscì. La
figura rimaneva in fondo alle pupille. No, non poteva lasciarla
morire, non doveva fare la stessa fine di Erika.
Dal
primo momento che l'aveva vista, aveva desiderato che Lysa
scomparisse via per sempre dalla sua esistenza. Il desiderio si stava
realizzando con una tale facilità ma non poteva lasciar che
la
causalità tranciasse in tal modo il legame con la ragazza.
Levi non
poteva lasciarla morire giù, soffocata dalla puzza di fogna
in balia
dei criminali, dei stuprarti e dei morsi della fame.
. *** .
<<
Non ci siamo … non ci siamo … >>
Kenny sbuffò e scose la
testa lentamente per dare maggiore enfasi alle parole dette.
<<
Moccioso di merda?! >>
Levi
si sentì chiamato, innalzò il mento e sotto la
fioca luce della
candela apparì un occhio solo, il sinistro era chiuso,
gonfio come
una prugna acerba.
<<
Come accidenti pensi di sopravvivere in questo posto di merda se
continui a farti pestare da chiunque? >>
<<
Diventerò forte >> disse con fermezza, sapeva
che era sempre
una buona cosa mostrarsi deciso e imperturbabile. Non doveva mai
apparire lagnoso o insicuro, seppure bambino, doveva sempre mostrarsi
adulto dinnanzi agli ochhi di kenny.
<<
Dventerò forte >> ripetè Kenny in
falsetto con l'intento di
deriderlo. Proseguì: << una mezza sega come
te? Sei basso,
gracile come una bambina! Come credi di diventare
forte?!>>
<<
Mi allenerò >> rispose con la stessa fermezza
dato che i
commenti dell'adulto non lo avevano ferito, s'era sentito dire cose
ben peggiori.
<<
Non dovrai diventare solamente forte. Per spravvivere in questo posto
di merda dovrai diventare il figlio di puttana più tosto
della
città, e magari un giorno potrai uscire da qua sotto, sempre
se
sopravviverai >>
Alla mente
tornò quel momento,
quanti anni erano passati? Ventitre? Ventiquattro? Levi non se lo
ricordava e preferì non farlo, aveva altre faccende da
sbrigare.
A passo storpiato percorse la
gradinata, gradino per grandino s'allontanava, a poco a
poco la luce diveniva sempre più tetra. L'odore acre di
fogna sempre
più intenso si faceva largo nelle narici per scendere
giù nei
polmoni e rivoltare lo stomaco. Il fetore era sempre lo stesso, non
era cambiato nel corso degli anni.
Dinnanzi ai suoi occhi si
destava un paesaggio roccioso. Le Catapecchie diroccate la dicevano
lunga: il gigante femmina aveva provocato danni non solo sul mondo
sovrastante, ma anche in quello sotto stante. I passi titanici
avevano mosso il terreno a tal punto che la maggioranza delle case
erano crollate su se stesse.
Camminava a
passo zoppicante, la
gamba faceva ancora male ma mai quanto il ritrovarsi sotto la cupola
rocciosa: quelle catapecchie gettate lì, la puzza di melma e
fogna,
gli squitti dei topi. Ritornava indietro a quei tempi in cui si
dannava come un matto per la realizzazzione di quella leggenda,
sì
la si poteva definire così perchè uscire dalla
città, acquistare
la cittadinanza era un'impresa così impossibile che in pochi
perseguivano quel sogno. Loro tre invece erano speciali, qualche
volta capitava che si mettevano ad un tavolo ed Isabel parlava di
cieli stellati, del sole, dell'aria fresca. Lui l'ascoltava con aria
disinteressata ma ogni volta il suo petto si stringeva al solo
pensiero di poter essere libero. Libero, lo era veramente?Passava sul
terriccio aquitrino,
ai lati dellla strada fangosa erano situate catapecchie malconcie,
accellerrò il passo e le catapecchie divennero macerie. Fermò i
piedi solamente quando
vide una piccola gradinata, oltre un tempo ci stava una casa, per
l'esattezza la casa che condivideva assieme ad Isabel e Farlen.
Rimase fermo sui propri passi un poco turbato dalla vista.
Sì,
durante gli anni in segreto aveva coltivato il desiderio di
distruggere quel posto con le proprie mani, di raderlo al suolo e
farlo crollare su se stesso eliminandolo per sempre dal mondo, eppure
quella vista non gli procurò alcuna soddisfazione. Isabel e
Farlan
erano morti e in quella catapecchia stavano le loro ultime cose, i
loro oggetti, si poteva affermare che la loro memoria risiedeva
lì dato che non erano stati sepolti.Levi
proseguì, continuò a
camminare, in fondo gli oggetti non erano così importanti, i
nomi
dei suoi amici erano cuciti col fil di ferro nel suo animo e un
piccolo terremoto non li sarebbero riusciti a cancellare. Mai,
così
come i numerosi compagni persi in quelle guerre senza senso.
Continuò
a marciare tra le
rovine e si dovette di nuove fermare. Vide un arco, era alto formato
da pilastri circolari e spessi. Lo chiamavano “l'arco dei
defunti”,
poiché oltrepassato s'entrava in un grande spiazzo di roccia
dove erano conficcate croci di legno.
S'appoggiò alla colonna e
lasciò navigare lo sguardo, le croci un tempo ritte e
ammassate si
presentavano spezzate, tutte sparse alcune sepolte sotto massi e
stalattiti staccatesi dalla volta grottesca.
Sotto la terra argillosa, sotto
i pezzi di legno, erano sepolte Kuchel ed Erika. Ma dove stavano
esattamente i loro corpi? Le croci con incisi i loro nomi erano
spezzate e sparse tra i tanti legni dedicati agli altri defunti, dove
stavano? Levi non ricordava la locazione esatta e per un secondo
sentì qualcosa salirgli dalla bocca dello stomaco: rabbia,
paura,
tristezza, disperazione, impotenza? Non seppe dargli un nome e non
volle rifletterci su poiché decise di ingoiare e ricacciare
giù
nello stomaco l'emozione. Doveva andare da Lysa, lei era viva e
necessitava d'aiuto.
. *** .
La ragazza
lasciò il corpo
cadere sul materasso. Sfinita dalla lunga marcia chiuse gli occhi,
inspirò ed espirò lentamente per recuperare
fiato, ma non perse
troppo tempo per regolarizzare il respiro poiché gli occhi
roteavano
lungo la stanza. Non ci poteva credere, era tornata a casa e questa
non aveva subito alcuna trasformazione. Nessun ladro era entrato per
impossessarsi dei pochi beni rimasti, nessuno l'aveva occupata
abusivamente. Pareva essere rimasta lì congelata nel tempo,
solo la
polvere depositata in ogni dove testimoniava il fatto che erano
trascorsi anni. Ne era certa, se avesse aperto l'armadio avrebbe
rivisto ogni abito di sua madre ma non lo fece. Per quanto sciocco ed
impossibile non era giunta lì per rimembrare il passato
remoto, ma
per risistemare gli eventi recenti. Troppe cose erano accadute e Lysa
doveva riordinare i ricordi, ripescarli poiché le parevano
fuggiti
via dalle mani.
Si alzò dal letto trattenendo
una bestemmia, aveva posato la gamba ingessata a terra dimenticandosi
che era frantumata. Strinse gli occhi per non piangere, strinse forte
le labbra per non urlare e quando la scarica di dolore si
placò,
movimentò con lentezza il braccio alla ricerca della
stampella.
L'acchiappò, cauta si mosse verso la scrivania. Nel terzo
cassetto
stavano dei fogli e una penna, così ricordava, difatti la
memoria
non l'ingannò. Con cautela si sedette, afferrò la
penna
stilografica e per qualche minuto osservò il foglio
ingiallito dalla
polvere.
Doveva far luce su ciò che era
accaduto durante la missione e l'unico modo per recuperare i ricordi
era scriverli una volta per tutte sulla carta.
Trevis
è morto.
Come
è morto?
Mi
ricordo, il segnale del capo squadra e tutti ci muovemmo. Una
manciata di soldati arrivò da Annie, le corde erano
già strette
attorno a lei. Io ero rimasta indietro pronta per aiutare i primi
arrivati all'obbiettivo. Correvo veloce ma Trevis mi superò.
Si
voltò, i nostri sguardi s'incrociarono e nei suoi occhi vidi
qualcosa che non riuscii ad interpretare poiché non mi diede
il
tempo. Mosse le labbra, disse qualcosa e poi mi diede una gomitata
talmente potente che persi l'equilibrio finendo a terra con lo
sguardo verso il cielo, un gran frastuono giunse, il cielo divenne
nero. Quando riaprii gli occhi c'era solamente polvere e pezzi di
carne.
Trevis
è morto, non l'ho visto morire eppure dicono che sono stata
l'unica
a sopravvivere, perchè?
No,
no, no … una cosa alla volta, cosa ha detto Trevis?
È dentro di
me, ne sono certa, cosa ha detto Trevis? I suoi occhi azzurri come
quello stesso cielo visto poco prima della devastazione, le labbra si
mossero, come si mossero? So leggere il labiale, le ho viste bene
movimentarsi … devo ricordarmelo! Ha mimato una
“s”, poi di
nuovo una”s”, poi una “a”. Ha
detto “ssa”? No, non ha
senso, ci deve essere un'altra lettera. Dopo la prima
“s” ….
giusto! Una “c”.
“
Scsa”.
Manca
una lettera, per una questione di logica deve essere stata la
“u”,
esce la parola “ scusa”.
Lysa si
congelò sul posto,
smise di scrivere, di respirare, di leggere, di pensare, per mera
inerzia il cuore continuò a battere, quanto avrebbe voluto
arrestare
anche quel muscolo.
La mano prese a tremare ma
nonostante ciò ricominciò a scrivere
poiché la verità stava
giungendo, per quanto dolorosa, per quanto sofferente la
verità
arrivava.
“
scusa”
Trevis
aveva capito: Annie si stava trasformando, pochi attimi c'erano
così
anziché salvarsi, correre via seguendo l'istinto della
sopravvivenza, lui si è voltato per gettarmi a terra.
È per questo
che mi sono salvata perché l'urto non mi è
arrivato direttamente
addosso.
Mi
ha salvata per poi scusarsi. No, non lo perdono!
Perché
non ti sei gettato Trevis? Diavolo se c'era qualcuno che meritava di
vivere quello eri tu! Trevis, il ragazzo più dolce,
simpatico,
sincero e amichevole che abbia mai conosciuto. Come hai potuto
privare il mondo dei tuoi sorrisi? Quelli che compievi ogni volta che
mi guardavi anche quando eri stanco e privo di forza tu riuscivi a
sorridere. Tu riuscivi a donare conforto a chiunque senza sforzo,
anche se non lo conoscevi tu porgevi una carezza a qualsiasi volto
piangente. Trevis, come hai potuto lasciare senza figlio i tuoi
genitori? Quando giungerà la neve la tua famiglia
riserverà un
posto a quella famosa tavola bandita di cibo preparato dalla tua cara
mamma eppure tu non ti presenterai. I tuoi fratelli giocheranno a
palle di neve e sentiranno la tua mancanza, come hai potuto fare
questo, Trevis!
La
verità giunse. Come un pugno
infuocato arrivò dritta allo stomaco, sentì il
bruciore promanare
dal petto per poi espandersi lungo il corpo, il cranio e in un
battere d'occhio tutto il corpo pareva andare a fuoco. Strinse forte
gli occhi, le sentì le lacrime arroganti volevano uscire ma
Lysa non
voleva piangere. Non era pronta, non poteva affrontare una tale
sofferenza.
Si diede uno schiaffo in testa
per scacciare via Trevis, si concentrò sul dolore presente
nella
gamba per non pensare alla sofferenza proveniente dal petto.
Lo sguardo girò affannato lungo
la stanza per incrociare il proprio riflesso in uno specchio.
Vide due occhi grigi iniettati
di rosso e si ricordò del caporale Levi, colui che le
somigliava
così tanto.
“Può
essere mio padre “
tal pensiero era passato in testa ma lo aveva rimosso poiché
le
pareva assurdo: lei, figlia dell'uomo più forte
dell'umanità? Una
menzogna ridicola, inoltre il padre non esisteva più, lo
aveva
ucciso anni fa nel bordello.
Un rumore e
Lysa rizzò il collo
colta dallo spavento. Due occhi nervosi si spostarono, il corpo
s'irrigidì pronta per attaccare colui che si stava
introducendo in
caso.
Si congelò sul posto quando la
tremolante luce della candela illuminò il volto di Levi.
Basita,
senza parole rimase a bocca semichiusa, la sorpresa nel vederlo nella
casa natale era tale che neppure un pensiero passò nella
mente della
ragazza.
Levi rimase immobile, prima
d'osservarla girò gli occhi lungo l'abitacolo. Lo guardava
senza
curiosità, con una certa noia e Lysa ebbe la sensazione che
era già
stato in casa sua.
<< Qui abitava Erika vero?
>> domandò Levi con titubanza, come se avesse
timore della
risposta.
Lysa si limitò ad annuire, era
ancora scandalizzata, non le pareva vera quella situazione.
<< Erika era tua madre,
vero? >>
Lysa annuì
<< Ho conosciuto tua madre
diciassette anni fa e credo di essere tuo padre. Pensi sia possibile?
>>
Lysa annuì, non aveva né
parole né pensieri da esprimere.
. *** .
“ Quello
che rimane di
Erika è una ragazza rancorosa “
pensò mentre osservava la
ragazza mangiare senza appetito.
Erano usciti dalla città
sotterranea per rifugiarsi all'interno della prima tavola calda.
Lysa era stanca, a stento
riusciva a tenere il mento alto, per mero orgoglio non lasciava
cadere la testa sul piatto. Provò compassione per quella
ragazza che
fino all'altro giorno pareva così fiera sul suo cavallo, in
quel
momento invece appariva un'altra persona: gracile, con le guance
smunte, spalle incurvate verso il basso.
“ Ha
un aspetto di merda”
pensò Levi, non espresse a voce tal pensiero
poiché era certo che
anche lei ne era consapevole. Doveva mangiare perciò decise
di
lasciarla tranquilla. Nel giro di pochi giorni le guance erano
divenute concave verso l'interno e le sue spalle sparivano nella
blusa bianca. Non sembrava aver fame dato che portava la forchetta
alla bocca con inerzia poiché erano passati troppi giorni
dall'ultima volta che aveva mangiato. Dopo un lasso di tempo
prolungato i morsi della fame s'attenuano fino a scomparire, Levi lo
sapeva bene. Anche lui era stato colpito da fame cronica. I sintomi
se li ricordava: lo stomaco duole e pare volersi distaccare dal
corpo, il budello si muove e produce quel fastidioso rumore simile ad
un rantolo animalesco. La cosa peggiore della fame è che ti
strappa
la capacità di pensare, s'impadronisce della mente e occupa
ogni
cosa. Pur di placare quel dolore sei disposto a compiere ogni gesto,
persino massacrare qualcuno pur d'ottenere un pezzo di pane. Levi
l'aveva fatto? Qualche volta era capitato, altre volte non ce n'era
stato bisogno perchè la fame tutto d'un tratto smette
d'assillarti,
non la si sente più. Il fisico necessita d'un supplemento
eppure lo
stomaco tace.
“ E'
come se il corpo
smettesse di lottare per sopravvivere, si rassegna a morire”
pensò
Levi, probabilmente quello era il caso di Lysa.
Vide che la ciotola di terra
cotta contenente la zuppa era quasi vuota. Erano rimaste due fette di
pane in un piatto poco distante.
<< Mangia anche quelle,
dopo ordina qualcos'altro >> disse Levi e due occhi
taglienti
come lame d'acciaio lo trafissero. Lui non distolse lo sguardo anche
se la cosa non lo lasciò affatto indifferente.
“
Devi
diventare il figlio di
puttana più tosto della città”
La voce proveniente dal passato
arrivò forte e chiara alle orecchie come se Kenny fosse
lì dinnanzi
a lui.
Levi era divenuto tosto, eccome
se lo era! Era sopravvissuto nel ghetto, era riuscito a uscire, aveva
perso il conto dei giganti uccisi nel corso delle missioni, aveva
visto morire Kuckel, Erika, Isabel, Farlan e tanti altri compagni ma
nonostante ciò era ancora vivo. Era divenuto talmente tosto
che
s'era meritato il soprannome “l'uomo più forte
dell'umanità”.
Nonostante il passato tormentato dalle mille difficoltà
superate,
dinnanzi allo sguardo diffidente della giovane non si vedeva forte,
si sentiva solamente un comunissimo :“figlio di
puttana che
aveva abbandonato sua figlia”.
Lysa non disse nulla, distolse
lo sguardo da Levi e afferrò una fetta di pane.
Sapeva di doverle parlare ma non
sapeva come fare, difettava in delicatezza poiché lui era
famoso per
la sua schiettezza. Tutto d'un tratto s'era ritrovato a rivestire le
vesti d'un padre, non aveva idea che indumenti indossassero questi
ultimi, né quali parole utilizzassero.
<< Lysa >> richiamò
la sua attenzione, la chiamata non innalzò il mento ma
solamente le
pupille. Continuò a masticare
<< Erika non mi ha mai
parlato di te, non sapevo che tu esistevi fino a quando non ti sei
arruolata nella legione esplorativa … >>
<< Come hai conosciuto mia
madre? >> pose la domanda con disinvoltura, non
alzò neppure
gli occhi eppure Levi sbarrò le palpebre colto dalla
sorpresa.
<< L'ho conosciuta per le
strade della città >> disse decidendo
d'omettere il fatto che
l'aveva salvata da uno stupratore. Una piccola bugia bianca, un
piccolo riguardo nei suoi confronti.
<< Quindi non l'hai
conosciuta nel bordello >>
<< No >> disse
velocemente e con la stessa velocità arrivò un
dubbio che espresse
immediatamente: << sei cresciuta nel bordello?
>>
<< No, ci ho lavorato
quando mamma se ne è andata >>
In un secondo il corpo di Levi
si pietrificò sul posto, una pressione si stanziò
sul petto fino a
quando Lysa non s'affrettò a dire: << lavavo i
pavimenti, non
mi prostituivo >>.
Riprese a respirare.
<< Mia madre … >>
la ragazza prese a parlare a voce bassa, con titubanza e lui
capì
che doveva porgli una questione importante così non la
esortò in
alcun modo. Si limitò a stare in silenzio fino a quando Lysa
ritrovò
le parole.
<< Mia madre … sai dove
è finita? >>
La domanda lo spiazzò e il
respiro se ne andò via assieme a un battito cardiaco.
Lysa non sapeva della morte di
Erika, come avrebbe potuto saperlo? Levi quel giorno s'era limitato a
inseguire il carnefice della donna per poi seppellirla in silenzio.
Non ne aveva fatto parola con nessuno poiché comunicare al
mondo la
sua morte era una questione troppo dolorosa e poi aveva dato per
scontato che Erika fosse sola al mondo. Non pensava che qualcuno
l'aspettasse a casa, quel qualcuno lo guardava con occhi colmi
d'aspettativa. Dopo così tanti anni doveva comunicare la
perdita
alla stessa figlia, colei che era rimasta nel dubbio per tutto quel
tempo.
<< L'ho trovata deceduta
nella discarica, quella vicina al mercato nero. >> disse
infine
e Lysa non mostrò alcuna emozione poiché
chinò il mento, lunghe
ciocche di capelli ricaddero lungo il viso formando un ombra sui suoi
occhi.
“ Sono
un pezzzo di merda “
pensò Levi tra sé e sè
<< L'hai uccisa tu? >>
domandò lei con fermezza senza mostrare il viso.
<< No >> la domanda
non lo sorprese. Era evidente, diffidava da lui e la cosa gli stava
bene così, nonostante tutto erano estranei anche se i
lineamenti
confermavano il loro legame di parentele.
<< L'ha uccisa uno
strozzino, l'ho ammazzato senza domandare il suo nome >>
disse
infine, come se la cosa potesse in un qualche modo confortarla.
<< Lysa, se avessi saputo
che tu esistevi … >>
<< Cosa avresti fatto?
Saresti tornato a prendermi? >> domandò e la
sua voce risuonò
arida e carica d'accidia.
<< Sì >> rispose
Levi senza esitazione perchè ne era certo, sarebbe andato a
prenderla. Non sapeva se avrebbe fatto il padre, se l'avrebbe tenuta
con sé oppure l'avrebbe affidata a una buona famiglia.
Allora aveva
così tante cose in testa …
<< Hai fatto bene a non
venire, ti avrei ammazzato >>
Levi non si sentì ferito dalla
dichiarazione, capì una cosa: Lysa era una ragazza tosta
esattamente
come lui. Chi l'aveva resa così? Nel suo caso era stato
Kenny, chi
aveva ricoperto lo stesso ruolo? Chi l'aveva guidata verso la
violenza?
La vide. Le spalle tremavano
assieme alle mani posate sul tavolo. Il volto chino
all'ingiù
nascondevano la sua espressione. Lysa era una ragazza tosta
addolorata e lo sapeva bene, i tosti non mostrano a nessuno le
proprie lacrime.
Rispettò il suo dolore,
distolse lo sguardo verso il locale, verso le cameriere, verso i
pochi clienti presenti.
Poteva dire qualche parola di
conforto, una cosa del tipo “passerà” o
“ andrà tutto bene”,
ma Levi non era quel tipo di persona, non riusciva a mentire e donare
false speranze. Ci sono cose che passano attraverso i muscoli, i
nervi, le vene e non se ne vanno mai più via.
“ Potrai
seppellirlo sotto
milioni di faccende, sotto le preoccupazioni del presente ma non
passerà mai poiché arriveranno quei momenti di
noia, di calma
piatta e ci ripenserai. Il medesimo dolore ripasserà, lungo
i
muscoli, i nervi, le vene” pensò tra se e
sé decidendo di
rimanere in silenzio. Per non ferire il suo orgoglio, spostò
gli
occhi verso le cameriere, i clienti, le mura del locale.
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Capitolo 11 *** Nulla è finito per sempre ***
Buongiorno a tutti.
Da quanto tempo? Tanto!
Devo scusarmi con tutti coloro che seguono la storia,
purtroppo avevo accantonato questo ultimo capitolo, ma finalmente ho
avuto il tempo per risistemarlo e pubblicarlo.
Prima di lasciarvi alla lettura, ci tengo a precisare
che è presente un salto temporale: le vicende trattate nel
testo che
leggerete, si collocano dopo il capitolo 70 del manga, per tal motivo
sconsiglio a tutti coloro che non seguono con regolarità
Hajima di
non proseguire la lettura per non cadere nello
“Spoiler”.
Un abbraccio
spero di sentirvi
Mistiy
Nulla
è finito per sempre
Ti
ho visto.
Era
una notte limpida, priva di nubi, le stelle brillavano alte assieme
alla luna.
Tu volavi utilizzando il 3D, l'arpione si conficcava
tra le mura degli edifici e agile come un'aquila volavi, a volte
appoggiavi i piedi sui tetti per prendere la rincorsa ed innalzarti
sempre più in alto. Io ti stavo dietro tenendo gli occhi
fissi sullo
stemma stampato sul tuo mantello, le ali della libertà.
Quella notte
ti calzavano a pennello dato che non riuscivo starti dietro.
Da
quando in qua sei diventato così veloce? Diamine, mi avevi
fatto
venire il fiato corto, lo sai?! Nonostante ciò riuscii a non
perderti di vista, persino quando voltasti il capo mostrandomi una
parte del tuo viso, sorridesti.
<< Che cavolo ridi?! >>
rabbiosa urlai, ma non ridevi di me. Eri semplicemente contento di
sentire l'aria scompigliare i riccioli, d'andare
controvento.
Continuammo a rincorrere la luna poiché stava sul
nostro orizzonte, alta e luminosa come non era mai stata.
Appoggiammo
i piedi sulle tegole d'un edificio e mi bastò un'occhiata
fugace per
capire che non potevamo proseguire: dinnanzi a noi c'era una pianura,
una infinita valle erbosa priva di alberi e mura. Il 3D era divenuto
inutilizzabile perciò era giunto il momento di voltarci e
ripercorrere il tragitto intrapreso, ma tu non condividevi la mia
idea perchè ti vidi correre. Quando capii che volevi
gettarti nella
valle gridai << fermati >>
Non
ubbidisti, anzi …
<<
Pazzo! >> sbraitai.
Quando
giungesti alla fine delle tegole, saltasti in alto, azionasti il gas,
un'altra spinta in alto e ti guardai con terrore, osservai sapendo
che ti saresti sfracellato contro il suolo ed io corsi già
pronta a
soccorrerti ma non avevi bisogno del mio aiuto.
Non
sei caduto, anzi ti innalzavi verso l'alto, sempre di più.
Volevi
raggiungere la luna e il 3D non ti serviva più, ci pensava
il vento
a sospingerti con leggerezza verso il cielo. Incredula ti guardai
svolazzare in aria come un fazzoletto di carta. Ti muovevi un po' a
destra, poi a sinistra ma sempre verso l'alto verso quella luna
luminosa. Ridevi, diavolo se ridevi! Gioiosa come quella di un
bambino privo di pensieri la tua risata echeggiava nella notte. Non
resistetti, persino io risi anche se tu t'allontanavi sempre di
più
Mi
sveglia che era giorno e tu non c'eri.
Se
devo essere sincera ti ho visto altre volte.
Due
giorni fa mentre camminavo nel paese.
Ti
ho visto in armatura camminare assieme a un nostro compagno d'armi.
Il mio respiro si bloccò in gola, poi ti focalizzai per
comprendere
che non eri tu. Era un ragazzo qualsiasi con i capelli ricci, ma non
eri tu.
Un
altro giorno ti vidi dinnanzi alla vetrina d'una bottega, un altro
ancora ti trovai di spalle rivolto verso una bella ragazza, poi in
una locanda ma non eri mai tu. Il motivo è ovvio, sei morto
due
settimane fa. Ero persino presente al funerale.
Mia
madre diceva spesso: “ Nulla è finito per
sempre”.
I
contesti in cui diceva tal frase non lo rimembro, eppure solo oggi a
distanza di anni sono entrata in empatia con tal affermazione.
Nulla
è finito per sempre.
Anche
se tu sei morto, continuerai a riapparire all'improvviso strappandomi
il respiro e il cuore. Anche se sei cenere ritornerai a farmi
compagnia durante la notte, t'intrufolerai nei miei sogni senza
neppure chiedere il permesso. Non c'è niente da fare, sei
nel mio
animus e non te ne andrai con facilità.
Colta
da un brivido di freddo causato dal vento, appoggiò la
penna, si
voltò per guardare oltre la finestra un cielo cerino. Le
nubi scure
racchiudevano acqua che non voleva scendere verso terra, eppure il
temporale era vicino. Lo sentiva nell'odore del vento che correva
lungo gli alberi, l'erba, le case, fino ad arrivare nella sua stanza
per scuotere le tende e i capelli.
Un
sorriso amaro apparve sulle sue labbra perché le pareva di
vedere in
quel cielo il riflesso dei suoi occhi. Non aveva pianto per la morte
di Trevis, l'intenzione c'era eppure non ci riusciva. Ogni volta che
sentiva gli occhi pizzicare, non riusciva a versare quelle
stramaledette lacrime liberatorie che forse l'avrebbero fatta sentire
un poco leggera.
“ leggera?!”
il pensiero scatenò una risata sgradevole.
L'unica
volta in cui si era sentita leggera era quando imitava le aquile,
quando volava con 3D al fianco dell'amico. Entrambe le cose non
c'erano più.
Toccò
la gamba ingessata, il suo secondo motivo per piangere. Era diventata
una storpia in così poche ore che ancora non riusciva
capacitarsene.
Non riusciva a convincersi del fatto che la sua vita era cambiata
radicalmente.
Il
suo posto non era più tra i combattenti, neppure sotto terra
tra i
malfamati, allora dove stava?
Levi
s'era premurato d'offrirle un appartamento in affitto situato in una
campagna del Wall Sinea. Era un luogo pacifico, l'attività
principale dei cittadini del paese era l'agricoltura. Stava bene,
eppure sapeva di non poter stare lì per sempre. Non poteva
dipendere
per sempre dall'arbitrio di un uomo.
Riprese
la penna in mano per proseguire la scrittura.
Nulla
è finito per sempre eppure io devo dirti addio, anche se non
sarà
difficile, ci devo provare, per andare avanti per realizzare il fatto
che non sarai più con me in carne ed ossa. Vivrai nei miei
ricordi,
nelle cose circostanti, nella mia anima ma non sarai più al
mio
fianco ad aiutarmi.
Prima
di salutarti, voglio dirti come sta proseguendo la mia vita. Mi sento
in dovere di raccontartelo dato che sei stato tu a salvarmi.
Al
momento vivo qui, in un piccolo paese rurale situato tra le mura
Sinea.
È
un luogo tranquillo composto da piccole case e fattorie. È
stato
Levi a procurarmi questo alloggio provvisorio, difatti la casa
appartiene a un vecchio signore proprietario d'una fattoria a tre km
da qui.
Levi
è mio padre,assurdo! L'ho sempre visto sul suo cavallo,
negli uffici
della legione a comandare tutti i sottoposti con quell'aria
perennemente imbronciata ed ora scopro che un uomo del genere
è mio
padre. Ed io che pensavo d'essere nata da una carogna!
Non
so cosa pensare di Levi, onestamente non ho neppure avuto modo di
parlare con lui. Il giorno dopo in cui è venuto a tirarmi
fuori
dalla città sotterranea, mi ha portato in questo luogo poi
non l'ho
più visto. Forse non vuole avere a che fare con me e come
posso
biasimarlo?! L'ho minacciato, gli ho detto che l'avrei ucciso se si
fosse presentato durante la mia adolescenza! Ahaha …
Non
so se voglio ampliare il mio rapporto con lui poiché non mi
pare
quel tipo di persona affettuosa incline ad entrare in empatia con un
altro individuo, eppure pare essere l'unica persona che mi sta
aiutando. Levi potrebbe essere l'ultima persona che vuole avere a che
fare con me.
Basta
divagare, questa è l'ultima volta che ti scrivo, cosa
sarà della
mia vita .. non ne ho idea, ma il momento è giunto Trevis.
Ti
ringrazio per essere stato al mio fianco in tutti questi anni, d'aver
sopportato il mio carattere aggressivo, d'aver ignorato i miei
costanti insulti perché tu eri bravo a guardare le persone.
Eri un
ottimo interprete perché tra i miei insulti sprezzanti,
riuscivi a
scorgere il mio amore per te.
Avevi
ragione, ti voglio tanto bene. Te ne vorrò per sempre.
Conoscerti
è stato un toccasana per il mio spirito.
Ti
abbraccio forte per poi lasciarti andare.
Addio
Un
rombo assordante.
Un
flash squarciò il cielo nuvoloso.
Il
diluvio cominciò
.***.
Piano
lasciò chiudere la porta dietro di sé.
Era
notte fonda e Levi decise di compiere lentamente i passi, non sapeva
se Lysa dormiva, ma non c'era alcuna fonte di luce perciò
decise di
procedere con cautela.
Afferrò
il lume posto sul tavolo della cucina, con un fiammifero l'accese.
Con
cipiglio guardò l'ambiente circostante: era il caos totale:
ndividuò
una pila di stoviglie nel lavello, armadietti aperti, giornali
cartacei ammassati sul tavolo, qualche vestito buttato sulle sedie.
Un
caos del genere non era ammissibile, anzi era intollerabile secondo
gli standard di Levi. Se non fosse stato così stanco avrebbe
pulito
ma per la prima volta l'idea di cimentarsi nelle faccende casalinghe,
non lo allettava affatto. La testa faceva male come i suoi muscoli,
troppe cose erano capitate in quei giorni, per l'umanità,
per la
legione esplorativa, per se stesso. Dopo anni aveva incontrato Kenny,
l'uomo che credeva suo padre.
Nei
suoi ultimi attimi di vita aveva smentito tale credenza
dichiarandogli che era solamente suo zio. Inizialmente s'era sentito
sollevato, Kenny era un uomo spregevole e il fatto di non derivare
direttamente da lui l'aveva rincuorato.
Kenny
era solamente suo zio, non aveva alcun obbligo morale nel stare al
suo fianco, anzi aveva fatto già troppo insegnandogli
a stare
al mondo.
“ Sarò
il figlio di chissà quale puttaniere” pensò
fra se e sé ben sapendo che non l'avrebbe mai saputo. In
fondo era
giusto così, che la sua curiosità non sarebbe mai
stata
accontentata. Sapeva già che il padre biologico sarebbe
stato un
cittadino della città sotterranea, perciò una
gigantesca delusione.
Non ci voleva neppure pensare, voleva solamente vedere Lysa.
Intraprese il corridoio in punta di piedi, non continuò in
avanti
verso il bagno. Si bloccò per aprire con lentezza la porta
socchiusa, fu colto da una folata di vento. Pose in avanti la
candela, vide la ragazza giacere sul letto, sdraiata sul fianco sul
letto. S'affretto per chiudere la finestra sbarrata. Un vento gelido
era giunto per rompere il clima primaverile. Non diede della
screanzata alla ragazza per essersi addormentata in quel gelo,
neppure per non aver mantenuto in uno stato decente l'appartamento,
anche la camera come la cucina era immerso nel disordine. Lysa doveva
riprendersi doveva adeguarsi alla nuova situazione, come poteva fare
qualcosa con quel gesso invadente?
“ Domani
pulirò da cima a fondo la casa, poi assumerò una
domestica”
Si
accomodò sull'orlo del materasso rivolgendosi verso la
ragazza.
Sotto la tremolante luce della candela vedeva mezzo volto, la parte
mancante sprofondava nel cuscino. Avvicinò di poco la
candela e da
quel poco che riusciva ad avvistare, lei pareva star bene: respirava,
non c'erano tracce di sangue, lo zigomo sotto la luce non era
incavato. Non aveva altri indicatori per valutare lo stato di salute
della giovane dato che stava raggomitolata su se stessa.
Levi
non la svegliò, non le pareva giusto disturbarla per saziare
la sua
curiosità.
Era
stanco e voleva dimenticare il volto bruciato di Kenny. Voleva
chiudere gli occhi per qualche minuto così pose la candela
sul
comodino. Veloce sfilò gli stivali per sdraiarsi sulla
schiena. Il
letto matrimoniale era abbastanza grande, se ne sarebbe stato
lì
qualche minuto per poi ritornare negli alloggi della legione.
La
luce del lume danzava creando ombre sulle pelli.
Due
corpi scoperti dalle lenzuola giacevano sul materasso.
Lei
appoggiava il volto sul suo petto, il braccio cingeva la vita del
ragazzo. La gamba s'intrecciava alla sua.
Levi
la stringeva a sé, non stavano stretti con la paura di
perdersi, ma
con l'obbiettivo di scaldarsi, per ingannare l'umidità
gelida
presente nel sottosuolo, per ingannare la solitudine perpetua che li
avrebbe colti una volta separatesi.
Erika
decise d'interrompere quel silenzio
<<
Nulla e finito per sempre, lo sai? >> sussurrò
ma Levi non
rispose, non osò rispondere con cinismo a quella frase
romantica. Si
limitò a stringerla più forte a sé
Si
svegliò. Aprì e chiuse più d'una volta
le palpebre infastidito da
un raggio di luce.
Aveva
sognato Erika eppure le pareva d'aver vissuto in passato
quell'episodio assieme a lei, ma non ne era certo ... era passato
trascorso troppo tempo.
Alzò
il busto ponendo una mano sullo sguardo per non rimanere accecato
dalla luce.
Guardò
in basso per accorgersi che Lysa non era sul letto.
Scese
di fretta dal materasso, nella stanza non c'era. Entrò nel
corridoio
per capire che non era situata nel bagno dato che la porta era
spalancata. Qualche passo per accertarsi che non stava neppure in
cucina.
Lysa
pareva essere sparita e fu colto dalla paura di non rivederla mai
più.
Decise
di non pensare al peggio così infilò gli stivali
per uscire dalla
casa. Non poteva scappare, la giovane doveva rimettersi in forma,
doveva acquisire nuove capacità intellettuali per colmare
l'incapacità fisica per crearsi un futuro, per poter essere
un
giorno autosufficiente e rispettata. Lui sarebbe stato sempre al suo
fianco, seppure silente sarebbe stato lì sempre pronto a
porgerle la
mano nei momenti opportuni. Non poteva essere un buon padre ma poteva
pur sempre porgerle aiuti di indole materiale: soldi, una casa, cure
mediche … avrebbe avuto tutto!
Camminò
tra i pochi passanti.
Levi
li squadrava da capo a piedi alla sua ricerca, orientava lo sguardo
verso i vasti campi verdi senza vederla. Accelerò il passo e
finalmente poté fermarsi; stava a qualche metro dalla
strada, seduta
tra le spine di grano guardava il cielo tappezzato da qualche
stralcio di nuvola bianca.
Piano
la raggiunse per sedersi sulle spighe al suo fianco.
Lei
non emanò alcuna parola così di sottecchi
sbirciò il suo volto
osservando il suo profilo caratterizzato da quel naso
all'insù. Lei
continuava a guardare verso l'alto, come se lui non ci fosse, decise
di seguire la traiettoria del suo sguardo per capire cosa vedeva in
quel cielo.
“
Nulla
è finito per sempre” ripeté
mentalmente Levi la frase detta
da Erika. Lei non esisteva più, eppure aveva messo al mondo
qualcuno
che protraeva la sua esistenza cessata ingiustamente anni fa, nel
silenzio della città sotterranea. Lysa era l'ereditaria del
sogno di
Erika, quello di vivere sotto la luce del sole, senza doversi
nascondere come una carogna.
La
faglia era il prolungamento dell'essenza di Erika, per tale motivo
Levi si sarebbe presa cura di lei.
<<
Lysa >> la chiamò e finalmente la ragazza
distolse lo sguardo
dall'alto per porlo su Levi.
<<
Cosa ne pensi del cognome Ackerman? >>
<<
Penso che non sia un brutto cognome. >> disse lei in
fretta.
Sorrise,
la sua schiettezza era così sincera da sembrargli
inverosimile.
<<
Allora dobbiamo andare entrambi all'ufficio anagrafe. Sei d'accordo?
>>
Pensò
qualche secondo per poi affermare << sono d'accordo
>>.
Levi
si alzò in piedi, prese la mano della ragazza pronto per
aiutarla,
per accompagnarla ovunque.
Fine
Ringrazio tutti voi che avete continuato a seguire la storia.
Un ringraziamento speciale lo dedico a tutti coloro che hanno recensito <3
Mistiy |
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