Contractually Bound- traduzione di beate

di LyricalKris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/1/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  1

 

«Ordinazione pronta!»

Bella Swan si asciugò la fronte con la manica, la faccia arrossata dal calore della cucina. Sorrise alla cameriera che si avvicinava all’apertura passavivande con un altro foglietto in mano.

«Spero che tu abbia abbastanza cibo là dietro, Bella», disse Jessica roteando gli occhi. «Emmett MacCarty ha appena ordinato mezzo menu.»

«Ti ho sentita!» fu la chiassosa replica che arrivò dal tavolo d’angolo del ristorante, abbastanza forte da superare il normale chiacchiericcio.

Jessica passò il biglietto a Bella prima di mettere il cibo pronto sul vassoio. «Te lo giuro, deve dare a te la mancia, ordinando tutto questo cibo.»

«Ho sentito anche questo!»

«Oh, stai un po’ zitto!» rispose Jessica con un sorriso, la coda che le frustava le spalle mentre si allontanava per servire il tavolo due.

Bella ridacchiò mentre cominciava a preparare l’ordinazione successiva, poi rise di nuovo quando si rese conto che Jessica non aveva affatto esagerato. Emmett aveva ordinato abbastanza cibo per cinque persone.

Si mise al lavoro, cambiando posizione nella speranza di alleviare il suo mal di piedi. Era stata una giornata lunga e, dopo l’ondata della cena, poteva andarsene a casa. Un bel bagno caldo suonava giusto, per allora.

Canticchiando con la radio mentre cucinava, sorrise guardando fuori alla sala, affollata di persone che conosceva da quasi tutta la sua vita. C’era stato un tempo in cui non vedeva l’ora di andarsene dalla piccola città di Forks. Aveva sogni e obiettivi, pensava mentre rompeva un uovo in una scodella. Ed eccola ancora qui, nello stesso posto, a fare lo stesso lavoro che faceva quando era al liceo.

Sbatté l’uovo con una forchetta e sospirò. Per troppi anni aveva lasciato che la vita le passasse accanto, ma questo stava per finire. Stava per fare qualcosa della sua vita, qualcosa che avrebbe dovuto fare anni fa.

Uno scoppio di risa arrivò dalla sala e Bella guardò dall’apertura passavivande Jessica, che di nuovo prendeva in giro Emmett, e sua moglie Rosalie che aggiungeva di suo.

Bella scosse la testa e ridacchiò mentre suonava il campanello e gridava, «Ordinazione pronta!». Poteva anche non essere la sua grande ambizione lavorare nel ristorante di una piccola città, ma almeno di solito era divertente.

Bella salutò tutti prima di andarsene. La porta si richiuse mentre lei si stirava, poi salì stancamente i gradini dietro l’edificio che portavano al suo appartamento, sopra il ristorante. Era sfinita dal lungo turno e non vedeva l’ora di cambiarsi quei vestiti unti, farsi una lunga doccia calda e poi rilassarsi nel suo pigiama per il resto della serata.

 

***

 

Entrò nel suo appartamento, buttando le chiavi sullo scaffale di laminato. Il posto era piccolo, ma andava bene per lei. Il piccolo soggiorno non aveva molta luce, per via delle finestre troppo piccole, ma lei non stava spesso a casa di giorno, quindi andava bene. Gli unici mobili erano il sofà che aveva preso da Good Will, lo scaffale e, in un angolo, un piccolo tavolo con due sedie che usava come zona pranzo. C’era una cucinetta stretta, il bagno, ed era tutto. Niente camera da letto, il divano fungeva da letto. Non era molto, ma era pulito … se uno sorvolava sul velo di grasso che sembrava sempre indugiare, per quanto strofinasse: il risultato di vivere sopra un ristorante.

Bella sospirò. Okay, il suo appartamento era buio e squallido, ma quando se n’era andata da casa di Charlie, determinata a stare in piedi con le sue gambe, era tutto quello che poteva permettersi. Forse, se fosse arrivato il suo contributo finanziario, avrebbe potuto prendere un posto migliore in autunno. Alla sua età, avrebbe preferito un appartamento a un dormitorio ma, del resto, anche una sola stanza in un dormitorio sarebbe stata meglio di questo posto.

L’eccitazione le schizzò nella spina dorsale pensando a quello che i mesi futuri avevano in serbo per lei. Le ci era voluto così tanto per trovare il coraggio di inviare la sua domanda all’Università di Washington. Era una scuola pubblica statale, quindi non c’era in realtà la preoccupazione di non essere accettata, ma lo stesso, lei era ancora uno straccio. Era stata una lotta quotidiana cercare di non pensare all’ultima volta che aveva aspettato di essere ammessa, ma aveva provato a mettere da parte i ricordi dolorosi. Finalmente, dopo settimane di nervosa anticipazione, la lettera di ammissione alla U-Dub era arrivata, il pomeriggio scorso.

La sua vita stava per cambiare. E una volta tanto, sarebbe stato per il meglio.

Forse, pensò mentre prendeva una bottiglia d’acqua dal frigo, solo forse, poteva rimettere in sesto la sua vita. Aveva fatto alcuni terribili errori, il suo cuore si stringeva ancora al pensiero del suo più grande rimpianto, ma questo era il passato. Non avrebbe mai dimenticato, ma sarebbe potuta andare oltre. Era tempo di andare avanti e dare a se stessa la possibilità di una nuova vita.

Posò la bottiglia sul bancone e stava per andare in bagno quando sentì bussare alla porta.

Bella si accigliò, chiedendosi chi potesse fermarsi al suo appartamento, nessuno l’aveva mai fatto prima. Be’, a parte Charlie, e lui stava lavorando. Esitò quando sentì bussare di nuovo, con più insistenza, ma si avvicinò alla porta.

«Chi è?» chiese. Suo padre era un poliziotto, non c’era nessuna possibilità che lei aprisse la porta senza sapere chi c’era dall’altra parte, anche a Forks.

Ci fu una pausa, e poi lei gelò quando sentì attraverso la porta una voce che pensava di non sentire mai più.

«Sono Edward. Edward Cullen.»

 

***

 

Era rimasto seduto nel parcheggio del ristorante per quasi due ore, attirando gli sguardi di più di un cliente mentre tamburellava nervosamente le dita sul volante. Da dove era seduto aveva una visuale perfetta, vedeva molti dei tavoli e il bancone del bar. Più importante, comunque, era che poteva vedere la piccola donna nella cucina, i capelli bruni raccolti in una coda, un grembiule blu, armata di spatola. Più di una volta aveva considerato di entrare nel piccolo ristorante, ma questa non era una visita di cortesia, non c’era niente di piacevole nell’incontro che aveva pianificato. Edward non aveva chiesto a nessuno apertamente dove poteva trovare Bella o cosa stesse facendo, ma quando si era trasferito sulla Costa Ovest, un mese fa, aveva silenziosamente ascoltato quando Renee era venuta tre settimane prima a far visita a Esme, e aveva dato notizie di Bella.

Edward era rimasto scioccato e arrabbiato quando aveva scoperto che Bella lavorava come cuoca nel piccolo ristorante di Forks. Aveva avuto l’opportunità di fare qualcosa di se stessa, e invece stava sprecando la sua vita e il suo potenziale in questa città dimenticata da dio. Sì, si era arrabbiato quando aveva sentito questo, ma adesso, seduto nella sua macchina, mentre la guardava in quella cucina a servire cibo unto e ridere mentre parlava con quelli intorno a lei, era diventato furioso.

Lei non aveva assolutamente il diritto di essere felice.

Poco dopo le sette, la luce dietro il ristorante si era accesa e lui guardò mentre si apriva la porta sul retro. Si era tolta il grembiule, e indossava una semplice maglietta rossa e dei jeans. Le nocche di Edward divennero bianche mentre stringeva il volante quando notò una striscia sottile di pelle che era diventata visibile, perfino dal suo punto di osservazione, mentre alzava le braccia, inarcava la schiena e si stirava.

Gli ci vollero diversi minuti per calmarsi e scendere dalla macchina. Lasciò che il suo fastidio e la sua rabbia lo guidassero, aggrappandosi a entrambe come se fossero le sue sole ancore di salvataggio, mentre saliva le scale su cui lei era arrancata.

In piedi fuori dalla porta di legno scuro, guardò un’ultima volta le carte che aveva strette nella mano sinistra. Avrebbe dovuto portarle in una ventiquattrore. Edward Cullen usava sempre una ventiquattrore; gli dava potere. L’immagine era tutto nel suo mondo, e lui sapeva che il semplice clic mentre apriva e poi chiudeva la sua ventiquattrore avrebbe intimidito più delle parole che si era ripetuto in testa cento volte negli ultimi giorni.

Clic. Clic.

La sua mano si strinse ancora di più intorno ai documenti, stropicciandoli un po’, mentre considerava la sua stupidità per aver permesso a se stesso di essersi lasciato prendere tanto dai sentimenti da non separare la sua parte professionale da quella, normalmente repressa, emotiva. Sperava di riuscire a controllarsi davanti a lei. Erano passati otto anni, e a quanto pareva aveva ancora una presa su di lui che non aveva rivali. Sembrava che quando aveva a che fare con Bella Swan aveva ancora l’abitudine di perdere lucidità e fare cose stupide. Il piccolo pezzo di metallo che aveva in tasca era la prova di questo.

Dio, quanto la odiava.

Quel pensiero da solo alimentò la sua rabbia che era lentamente rifluita mentre stava davanti alla porta. Ma non poteva permettere che niente interferisse con la sua missione.

Con un altro respiro profondo e una riconfermata determinazione, Edward alzò la mano e bussò alla porta.

 

***

 

Faceva avanti e indietro nel piccolo soggiorno, quattro passi dal piccolo tavolo allo scaffale e indietro di nuovo. Si passava la mano tra i capelli e alternativamente di pizzicava la radice del naso, entrambi segni chiari di irritazione e frustrazione. Starsene in mezzo al suo soggiorno dopo tutti questi anni era davvero l’ultima cosa che aveva voglia di fare. Fino a un mese fa, era l’ultima cosa che pensava di fare. Non voleva rivederla. Non voleva tornare a Forks. E sicuro come l’inferno, non si voleva presentare a lei con questa proposta.

Be’, almeno la stava inquadrando come proposta. Anche se non si sarebbe sorpreso se lei si fosse riferita a questo come coercizione o manipolazione. Edward Cullen sapeva esattamente cosa stava facendo.

Il rumore si pagine sfogliate riportarono la sua attenzione alla donna seduta al tavolo della cucina. Un gomito sul tavolo, la mano alla fronte, sfogliava le pagine cercando di capire tutti gli aspetti legali … tutte le sue richieste. Era ovvio per Edward che lei temeva che lui tentasse di approfittare di lei.

«Ma stai scherzando», disse Bella, e girò un’altra pagina del contratto, scuotendo la testa mentre continuava a leggere.

«In quale parte?» chiese lui avvicinandosi. Mise i palmi sulla superficie del tavolo, prima di toglierli in fretta e ripulirsi, facendo una smorfia.

Lei lanciò uno sguardo nella sua direzione. «Tutto quanto», disse lei con tono incredulo. «Non penserai onestamente che qualcuno ci crederà.»

Edward la guardò impassibile. «Perché no? Ti credevamo tutti, prima, te lo sei scordato?»

Si godette lo sguardo di shock che attraversò i tratti di lei, ma lei riguadagnò subito la sua compostezza e riportò lo sguardo sui fogli, senza dire nulla.

Allontanandosi dal tavolo, Edward ricominciò a fare avanti e indietro. Questa volta però cominciò a guardare quell’appartamento della misura di un francobollo. Quel soggiorno era grande come la sua prima stanza al dormitorio del college. C’erano due finestre piccole, ognuna della misura di una scatola da pizza, con tende pesanti che bloccavano quasi tutta la luce. Il soffitto, un tempo bianco, aveva grosse macchie gialle dove ovviamente l’acqua era penetrata dal tetto, e anche se era pulito, quel posto puzzava di unto del ristorante appena sotto. Avrebbe dovuto ringraziarlo per portarla fuori da quel buco del cavolo. D’altra parte, pensò mentre notava l’aspetto cencioso di lei, lei aveva lo stesso aspetto del suo appartamento.

Per un attimo brevissimo, si chiese cosa le fosse successo. Questa non era la stessa ragazza che aveva conosciuto tanti anni fa. La Bella che conosceva non avrebbe mai fatto questo a se stessa. Non avrebbe mai sprecato la sua vita nascondendosi in quella stessa piccola città che aveva giurato di odiare mentre cresceva. Non avrebbe mai lasciato il college per lavorare in un ristorante. Diavolo, la Bella che conosceva aveva il sogno dell’università, del matrimonio e dei figli e …

Edward si guardò di nuovo intorno, nella piccola, desolata, deprimente stanzetta, e rabbrividì, lei aveva dei sogni. Chiudendo gli occhi e pizzicandosi la radice del naso, Edward ricordò a se stesso che non gli importava.

Ancora pagine sfogliate e la sua attenzione tornò su di lei. La guardò mentre prendeva la penna rosicchiata che stava sul tavolo e scriveva il suo nome con quell’orribile calligrafia per cui la prendeva sempre in giro quando crescevano.

Aveva firmato.

La soddisfazione lo invase e tirò un sospiro di sollievo prima di fare qualche passo, chinarsi e riprendersi il contratto. Infilando la mano in tasca tirò fuori l’ultima e più importante parte del suo piano. Edward non poteva più neanche guardarlo.

L’anello tintinnò leggermente colpendo il tavolo e saltellò verso di lei.

Lei occhieggiò l’offensivo monile con circospezione, completamente ignara del vero significato che c’era dietro. Lui ghignò, mentre lei non riusciva neanche a prenderlo in mano per osservarlo più da vicino. Edward era ben consapevole che vedersi tirare un anello con completo disprezzo dei suoi pensieri o dei suoi desideri non era la comune fantasia romantica di una ragazza, ma non gli aveva detto proprio lui tante volte che lei era tutto tranne che comune? Quel sentimento lo nauseava, ora, ma serviva a convincerlo che lei stava avendo niente di meno di ciò che meritava.

«A loro cosa diciamo?» chiese lei piano.

«Nel giro di due settimane ti porterò a cena e ti dirò come, ora che ci siamo ritrovati, non posso più lasciarti andare.» Edward dovette ingoiare la bile mentre sputava la sua bugia attentamente pianificata.

«Perché mi stai dando questo adesso?»

Lui si chinò verso di lei, le mani di nuovo appoggiate sul tavolo appiccicoso, ma provò a ignorarlo. Questo era importante, e voleva essere certo che fosse ben chiaro. Aspettò finché Bella alzò gli occhi dalla fascetta d’oro per incontrare il suo sguardo. «Perché non voglio che ci sia confusione, Bella. Questo è un accordo, un contratto, niente di più. Questa è una piccola città e noi dovremo farci vedere in pubblico perché sia credibile, per non parlare dei pranzi in famiglia e così via. Ma voglio che sia chiaro …» si avvicinò ancora e con la mano destra le afferrò il mento, «che tu non significhi assolutamente nulla per me.»

Lasciando cadere la mano e rialzandosi, si avviò alla porta. Con la testa bassa, afferrò la maniglia e disse, «Sarò qui domenica alle tre per portarti a casa dai miei.»

Non aspettò la risposta, aprì la porta e se la sbatté dietro. Non voleva restare un secondo di più.

 

***

 

Bella rimase al tavolo della cucina per ore, l’anello davanti a lei, come se, toccandolo, si sarebbe bruciata. Era completamente impreparata a vedere lui di nuovo, aveva sperato che non succedesse mai. Adesso era tornato, proprio quando cominciava a prendere il controllo della propria vita, e stava per rovinare tutto. L’ottimismo che provava poche ore prima non c’era più, lasciandola più desolata di quanto fosse mai stata prima. Di tutti i momenti per rientrare nella sua vita, doveva scegliere proprio questo

Spietatamente, mise da parte i suoi pensieri egoisti, ricordò che c’erano cose più importanti da considerare, che non l’influenza che avrebbe avuto sulla sua vita. Questo non aveva importanza Lei non aveva importanza. Aveva accettato il piano di Edward per una sola e unica ragione: Esme.

Gli occhi le si riempirono di lacrime pensando alla donna che un tempo era stata come una seconda madre per lei, ma si rifiutò di versarle. Non si meritava la liberazione che le avrebbero concesso le lacrime.

Lei aveva provocato tutto questo. Lui era stato così duro, così rabbioso. Così diverso dal ragazzo che conosceva un tempo. Il senso di colpa che l’aveva rosa per otto anni ritornò come una vendetta. Accettare le sue richieste, date le circostanze, era il minimo che poteva fare. E forse, solo forse, poteva in qualche modo fare ammenda per tutto il dolore che aveva causato.

Con dolorosa lentezza, allungò la mano verso l’anello. Lo prese con attenzione, le dita tremanti, ammirò il diamante solitario con occhio distaccato. La pietra era un singolo diamante taglio cuscino; se avesse dovuto indovinare, avrebbe detto che era non meno di mezzo carato. Non troppo grande, ma abbastanza grande da essere visto facilmente. La fascetta era di oro bianco con inciso un delicato disegno di un rampicante tutto intorno. Lei ci passò sopra il dito, le labbra piegate in un sorriso lieve ai fini dettagli. Ma le si mozzò il respiro mentre il pollice scivolava all’interno della fascetta e sentì che c’era qualcosa inciso dentro. Deglutì, e le sue mani tremavano mentre girava l’anello per guardare all’interno.

Sempre & Per sempre.

La diga che tratteneva le sue emozioni esplose, e l’enormità di quello che aveva fatto la sommerse. Stavolta, non riuscì a trattenere le lacrime.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

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Capitolo  2

 

Bella sedeva al suo piccolo tavolo da pranzo, leggendo i moduli per gli alloggi alla U-Dub mentre aspettava Edward. La sua mente, però, mulinava su tutte le ramificazioni del cosiddetto contratto che aveva firmato. Da quello che ricordava, si parlava di sei mesi… dannazione. Non ricordava le parole esatte. Avrebbe dovuto chiedere a Edward una copia del contratto. Per ora, avrebbe tenuto conto di sei mesi, che significava che il semestre autunnale sarebbe stato già cominciato per quando fosse finito il loro “matrimonio”.

La penna che aveva in mano aleggiava sul modulo per gli alloggi. Avrebbe vissuto con Edward fino ad ottobre (rabbrividì al pensiero) quindi non sapeva se l’alloggio per gli studenti sarebbe stata la scelta migliore. Poteva fare la pendolare per il primo mese, e poi, quando tutto fosse finito (si rifiutò di pensare a cosa questo significasse) poteva trasferirsi in un piccolo studio vicino al campus. D’altra parte, non era sicura che il suo vecchio camioncino ce l’avrebbe fatta a fare questo lavoro per un mese. Poteva sempre limitare i suoi corsi a due o tre giorni la settimana, forse trovare qualcosa di più economico per stare lì quei pochi giorni… o forse c’era qualche opzione di insegnamento online o a distanza, così da dover andare al campus solo poche volte durante il semestre; avrebbe comunque dovuto fare i corsi introduttivi, però. C’era poi da considerare il suo contributo finanziario. Non sapeva se aveva ancora i requisiti per le sovvenzioni e i prestiti che aveva ricevuto, dato che il suo reddito stava per schizzare in alto. Ma il divorzio avrebbe cancellato tutto, anche se non in tempo per il semestre autunnale. Da quello che riusciva a capire, c’erano grosse possibilità che dovesse saltare il primo semestre e cominciare col semestre di primavera. Forse.

Dopo parecchio tempo di inutili supposizioni, si rese conto che non aveva idea di cosa fare. Era tutto un gran casino. Questa cosa del matrimonio avrebbe incasinato tutti i suoi piani. Ovviamente, anche se aveva firmato già il contratto, non era davvero obbligata, non ancora. C’era tempo per recedere, se avesse cambiato idea. Forse. Forse sua madre e Edward avevano esagerato, e la cosa non era così grave come credevano. Poteva sperarlo, almeno. Sia per Esme che per se stessa.

Scuotendo la testa, Bella decise che la cosa migliore era parlare con qualcuno dell’ufficio ammissioni. Sapendo che adesso non aveva tempo per quello, buttò i documenti sul tavolo, insieme al catalogo dei corsi del semestre autunnale. Bella guardò l’orologio, anche se sapeva già che Edward stava arrivando.

Si mise le mani in grembo, poi giocherellò con l’orlo del vestito che aveva scelto di indossare. Normalmente girava in jeans e maglietta, ma un vestito le era sembrato più appropriato per quel giorno. Il nodo di senso di colpa allo stomaco si strinse e prese un profondo respiro nella speranza di calmare i suoi nervi, e pregando di essere più pronta a vederlo di quanto non fosse stata qualche giorno prima, che fosse pronta a rivedere i suoi genitori. A rivedere Esme.

Piena di energia nervosa, si alzò e cominciò a fare avanti e indietro nel piccolo appartamento. Finì di fronte allo scaffale dei libri e le dita toccarono le sue due pregiate prime edizioni, “Orgoglio e Pregiudizio” e “Cime Tempestose”. Non li aveva toccati da quando li aveva messi lì, dopo il trasloco. Non li aveva aperti per anni. Troppo doloroso, troppi ricordi. Fece scivolare la Austen un po’ più a sinistra, il cuore che martellava mentre prendeva la foto accuratamente nascosta in mezzo ai due libri.

La famiglia Cullen le sorrideva, il diciottenne Edward nella sua divisa gialla da diploma, il braccio stretto alle spalle di una Bella diciassettenne, la teneva vicino a sé. Esme, Carlisle e Alice erano raccolti intorno a loro, Alice attaccata alla mano libera del suo fratello maggiore. Passò le dita sulla foto, quasi sperando di poter afferrare l’amore, la felicità e l’ottimismo che sembrava circondare tutti loro, e aggrapparsi a quello.

Mentre studiava la foto, Bella inclinò la testa e si chiese come mai fosse andato tutto così storto. Il giorno in cui era stata fatta quella foto, non avrebbe mai immaginato che le cose sarebbero andate così. Gli occhi andarono a Esme. Mai questo.

Ingoiando il dolore, i suoi occhi andarono al sorriso di Edward, la sua espressione illuminata dall’eccitazione per tutte le possibilità della vita, e gli occhi pieni di amore per la sua famiglia… per lei.

Ma ora, invece del ragazzo amorevole e premuroso che aveva conosciuto, c’era un Edward duro e amaro e rabbioso. Vendicativo, perfino.

Non se lo aspettava. A un certo punto, Bella si era convinta che la loro rottura lo avesse lasciato completamente indenne, che lui fosse andato avanti e avesse dimenticato del tutto la ragazza della piccola città che si era lasciato dietro.

Il suono di un clacson interruppe i suoi pensieri, e rimise in fretta via la foto in mezzo ai due libri. Attraversò la strada per dare un’occhiata dalla finestrella e vide la nuova, lucida Volvo ferma nel parcheggio del ristorante. L’auto non le era familiare, ma lo stesso, sapeva che era Edward.

«Potevi solo suonare il clacson», brontolò Bella, roteando gli occhi mentre con Edward andava alla macchina, lui che teneva l’ombrello contro la pioggia scrosciante, il braccio stretto al suo per evitare che scivolasse. «Così non avresti dovuto avere a che fare con mio padre.» Rabbrividì ripensando all’interrogatorio che avevano appena subito.

«Mia madre mi ha cresciuto per essere un gentiluomo», aveva replicato lui, facendole un sorriso storto mentre le apriva la portiera, facendole impennare il ritmo cardiaco. «Io ti amo, Bella. Non ti mancherei mai di rispetto in questo modo.»

Guardando ancora la macchina che aspettava nel parcheggio, Bella sospirò, poi annuì. Edward stava facendo una dichiarazione e lei l’aveva sentita, forte e chiara.

Con un sorriso torvo, afferrò il suo ombrello. Se Edward Cullen pensava di metterle i piedi in testa, aveva capito proprio male.

 

***

 

Edward non si preoccupò di andare alla porta; si infilò semplicemente in uno dei due posti auto liberi nel parcheggio dietro il ristorante che erano riservati per il piccolo appartamento e suonò il clacson. Dopo pochi minuti, Bella scendeva le scale, la mano destra stretta all’ombrello e la sinistra al corrimano. Notò che per due volte stava per perdere l’equilibrio ma si era ripresa subito e cercò di non alzare gli occhi al cielo. Quella che una volta trovava una stranezza accattivante della sua personalità, adesso la detestava. Il suo essere impacciata era semplicemente un segno di trascuratezza, se Bella avesse prestato più attenzione a ciò che la circondava, non avrebbe avuto tanti incidenti.

Mentre lui sedeva al caldo e all’asciutto nella macchina, lei cercava di evitare le pozze di fango mentre correva verso di lui sotto la pioggia. Edward rabbrividì quando lei chiuse l’ombrello e mise quella cosa bagnata dentro la sua macchina nuova, ma tenne a freno la lingua, grato che almeno avesse usato quello, piuttosto che salirgli in macchina bagnata come un topo affogato.

Mentre guidava, l’aria era spessa di tensione. L’unico suono che si sentiva era il battere delle grosse gocce di pioggia sul tettuccio e il frusciare dei tergicristalli. Edward non vedeva motivo per cercare di mascherare tutto con la musica. Invece lasciò che il silenzio si ingigantisse, che la tensione suppurasse finché Bella cominciò visibilmente ad agitarsi. Prima si afferrava semplicemente le mani, poi alternava tra stringerle e muovere le dita. Poi la guardò mentre ruotava la spalla, spostandosi sul sedile. Alla fine cominciò a tamburellare il piede.

Quando non ne poté più, lasciò un sospiro esasperato. «Dillo e basta», le disse asciutto.

«Non l’ho più vista.»

Le parole erano dette a voce così bassa, piena di vergogna, che Edward le udì a malapena. Strinse il volante fino a sbiancare le nocche e continuò a guardare la strada in mezzo alla pioggia scrosciante.

«Non vedo come questo sia un mio problema.»

Bella fece un sospiro. «Mamma mi ha detto che è veramente fragile.»

Edward poté solo annuire in risposta; non gli piaceva pensare a come stava Esme… la sua salute fisica era già una causa persa. La sua attenzione adesso era concentrata solo sul suo benessere emotivo, il che significava assicurarsi di farla felice. Ormai solo di quello potevano preoccuparsi. Ma anche così, una piccola parte di lui sperava che se fosse stata abbastanza felice, se lui avesse rimediato al fatto di essere stato via tanto a lungo, forse Dio avrebbe garantito a tutti loro un miracolo.

Svoltò verso una strada di ghiaia seminascosta e notò che il respiro di Bella accelerava mentre si avvicinavano alla casa. «È solo colpa tua se non l’hai vista, lo sai», le disse.

Bella si rifiutò di voltarsi a guardarlo, e dopo un lungo momento, mentre scendevano nel vialetto privato, la sentì dire, «Lo so.»

La soddisfazione che si aspettava di provare alle sue parole, non arrivò, facendolo irritare ancora di più con lei. Infastidito, imprecò sottovoce mentre compariva la casa dei suoi genitori. Accostando nel vialetto, spense il motore e si voltò verso la donna che sedeva vicino a lui.

Vedendo che lui non accennava a scendere, lei si voltò e si guardarono per la prima volta quel giorno. Edward provò a pensare cosa avrebbe dovuto dirle. Da una parte sentiva di doverle dire di comportarsi bene, dall’altra, sapeva che non era affatto necessario. Stava avendo una grande difficoltà a riconciliare questa Bella con quella con cui era cresciuto e con quella che, ammetteva, si era costruito nella sua testa. Prese un respiro e aprì la bocca per dire qualcosa, e poi la richiuse altrettanto in fretta.

Bella lo guardò incuriosita, ma Edward scosse la testa. «Lascia perdere.»

Un attimo dopo aprì la portiera e corse veloce nella pioggia fino a raggiungere il portico coperto. Bella ci mise un po’, prima di uscire dalla macchina. Edward non aveva bisogno di essere un genio per sapere che aveva aspettato che lui le aprisse la portiera. Si fece beffe della sola idea, e la guardò con occhi sottili mentre correva sui gradini scivolosi, tenendosi dritta a malapena, per raggiungerlo.

Fu quando se la trovò di fianco che le diede un’occhiata più accurata. Diversamente dall’altro giorno, quando si era presentato al suo appartamento, Bella si era sforzata un po’ di migliorare il suo aspetto. Quando se n’era andato, quella sera, era stato tentato di dirle di farsi una doccia prima di andare dai suoi, ma non voleva che pensasse che gliene fregasse qualcosa di come appariva. Perché di certo non era così. Perciò, quando lei alzò il sopracciglio di fronte al suo esame, si ritrovò a dirle, con voce sarcastica, «Spero non pensi di impressionarmi mettendoti in ghingheri.»

Bella guardò giù il suo vestito e si strinse il cardigan che indossava a mo’ di giacca, prima di rialzare lo sguardo su Edward. «Non ti allargare. Volevo solo essere carina per Esme.»

Per qualche ragione che Edward non riusciva a immaginare, la sua rabbia divampò, e non sapeva se per la sua replica sbrigativa o perché i suoi vestiti sembravano comprati al negozio dell’usato. Strinse i pugni diverse volte lungo i fianchi prima di rilasciare un respiro esasperato e voltarsi verso la porta. Non si preoccupò di bussare e, mentre apriva la porta, ricordando che adesso il loro comportamento era importante, fece un cenno con la mano, invitando dentro Bella, come un gentleman, così come gli era stato insegnato. Mentre lei gli passava vicino, le ordinò piano di sorridere e poi la seguì all’interno.

Ovviamente tutti e due avevano un sorriso finto stampato in faccia.

 

***

 

Bella si fermò impacciata nell’atrio della casa in cui ricordava di aver giocato da bambina, sentendosi stranamente fuori posto e decisamente malvestita. Cercò di allisciare delle grinze inesistenti dal suo vestito. Era la cosa più carina che aveva nell’armadio. Non aveva ben capito perché Edward sembrasse irritato da questo ma, del resto, sembrava irritato da qualunque cosa avesse a che fare con lei. Forse doveva solo rassegnarsi a questo fatto e ignorarlo.

Sospirò e provò a buttarsi tutto alle spalle; era il momento di concentrarsi sul motivo per cui erano qui. Erano anni che non veniva in questa casa ed era sorpresa di quanto si sentisse estranea a un ambiente tanto familiare. Sei anni prima, Carlisle e Esme si erano trasferiti a Seattle per lavoro, ma avevano tenuto la casa di Forks per le vacanze estive. La madre di Bella aveva detto che scherzosamente si riferivano a quella casa come “la casetta del weekend”.

Edward la condusse in soggiorno, e il sorriso finto di Bella diventò sincero.

«Oh, Bella, sono così felice di vederti», disse Esme mentre si alzava lentamente dalla sua poltrona e andava verso di lei, stringendola in un abbraccio.

Sciogliendo un po’ l’abbraccio con la donna a cui aveva sempre pensato come a una seconda madre, Bella si trovò a dover trattenere i singhiozzi. Il senso di colpa per essere stata via così a lungo era tangibile, ed era certa che anche Esme potesse sentirlo. Il suo pensiero fu confermato quando Esme le sussurrò all’orecchio, «Va tutto bene, tesoro. Ti perdono. Andrà tutto bene adesso.»

Per un momento, Bella si permise di crederle e prese conforto dall’abbraccio di Esme, ma una vocina nella sua testa le ricordò che era decisamente tutto il contrario. Esme era quella che adesso aveva bisogno di conforto e sostegno e Bella doveva smetterla di essere così egoista.

Esme la strinse un po’ più forte prima di lasciarla andare, Bella notò come era diventata sottile. Era sempre stata piccolina e magra, ma adesso era solo pelle e ossa. Bella studiò il suo viso. A un osservatore casuale, Esme poteva sembrare solo un po’ stanca, ma c’era qualcosa in lei che decisamente non andava, anche senza le guance scavate, il pallore della pelle e le labbra screpolate. I suoi capelli erano sempre stati di un bel color caramello e corposi, mai uno fuori posto. Adesso erano smorti e senza vita, con più grigio che quel bruno dorato che Bella ricordava. Ma il cambiamento più allarmante era nei suoi occhi. Aveva sempre amato gli occhi di Esme. Erano sempre vibranti ed espressivi, dello stesso colore di quelli di suo figlio; ora apparivano spenti, tristi e pieni di sfinimento.

Come sapendo quello che Bella stava pensando, Esme disse, «Sto bene. Non preoccuparti per me, oggi.»

Era un chiaro avvertimento che non era il momento di parlare della sua salute, che era un argomento per un altro giorno.

«Mi sei mancata.»

Alzando la mano e dandole un buffetto sulla guancia, Esme disse, «Anche tu mi sei mancata, tesoro.»

Ospite affabile, come sempre, Esme portò suo figlio e Bella in soggiorno dove avrebbero potuto parlare confortevolmente, informandoli che Carlisle, anche se molto emozionato di rivedere Bella, era occupato in cucina a finire di preparare la cena. I due si sedettero insieme sul sofà, vicini il tanto che bastava a non far apparire che volessero evitarsi. Esme si accomodò su una poltrona imbottita con un pouf e Edward immediatamente saltò su a coprirle le gambe con una coperta mentre lei appoggiava la testa e chiudeva gli occhi per un momento. Poi Edward si rimise seduto sul divano vicino a Bella.

«Allora, Bella, Edward non mi ha detto come vi siete ritrovati», disse Esme dopo aver ripreso fiato ed essersi ricomposta.

Dopo aver guardato Edward pregandolo silenziosamente di aiutarla e aver trovato solo scherno appena velato, scoccò a Esme il più sincero dei sorrisi e cominciò a raccontare la storia che Edward le aveva brevemente accennato quando era andato nel suo appartamento la prima volta.

Sentiva su di sé gli occhi di Edward mentre lei tirava fuori la storia di cui avevano parlato, pronto a saltare su e aggiungere dettagli dove necessario. La voce di lei tremava un po’ e teneva le mani strette in grembo, ma a dispetto dei suoi nervi, si stava attenendo al piano. Non che avesse scelta. Fare diversamente avrebbe ferito Esme e questa era l’ultima cosa che voleva. Il viso di Esme si illuminò quando Bella disse che si erano incontrati al ristorante quando lui era appena tornato per riunirsi alla famiglia a Forks. Un brillio ritornò negli occhi di Esme mentre Bella farfugliava di come da allora avessero passato del tempo insieme e di come fosse felice di avere di nuovo Edward nella sua vita.

Quel brillio valeva ogni doloroso, detestabile momento dovette passare seduta vicino a Edward Cullen.

Lui mise le mani sopra le sue e strinse leggermente, un unico sguardo al suo viso le disse che la stava facendo troppo lunga. «Siamo fortunati ad esserci ritrovati», disse lui, dando di fatto un taglio a tutte le sue balbettanti spiegazioni.

Bella ingoiò un ringhio; lui sapeva che era orribile quando si trattava di mentire. Se voleva essere sicuro che tutto andasse come doveva andare, avrebbe dovuto essere lui a parlare. Ma del resto, conoscendo Esme, era probabile che a Edward avesse già fatto il terzo grado prima dell’arrivo di Bella. Bella si morse l’interno della guancia per evitare di scattare contro il suo cosiddetto ragazzo; Edward avrebbe dovuto passare il tempo che erano stati in macchina preparandola sulle risposte corrette, invece che limitarsi a guardarla in cagnesco.

«Cena!» chiamò Carlisle dalla cucina.

Edward e Bella si alzarono dal divano e lui si spostò in fretta per aiutare sua madre. Esme si appoggiò a lui mentre la aiutava a mettersi in piedi. Bella notò che la sua faccia si tese leggermente quando ebbe Esme tra le braccia, immaginò che lo stomaco gli si fosse annodato come era successo a lei di fronte al corpo troppo leggero della donna. Soffocò una risata quando Esme diede uno schiaffo sulla mano a Edward, comunque, quando lui provò a prenderle il braccio e portarla in cucina appoggiata a sé. Esme Cullen era sempre stata indipendente, e neanche il suo stato attuale aveva cambiato le cose.

«Mi rende così felice sapere che siete felici», disse piano Esme a entrambi mentre camminava tra Edward e Bella. «Era ora che tu mettessi da parte il dolore e la rabbia, così da poter finalmente parlare e andare avanti. So che siete stati tutti e due infelici in questi ultimi anni, ma io sapevo che eravate l’uno dell’altra e che alla fine vi sareste ritrovati. Ho sempre pensato che il dolore che proviamo nella vita renda la gioia e l’amore ancora più dolci. Non sei d’accordo, Edward?»

Alle parole di sua madre, il piede di Edward colpì l’angolo del tavolo da caffè e lui barcollò un attimo prima di riprendersi.

«Naturalmente, mamma», disse non appena riconquistato l’equilibrio.

Mordendosi il labbro per nascondere il proprio divertimento, Bella li accompagnò in sala da pranzo per salutare il resto della famiglia.

 

***

 

Tre ore più tardi, cena finita, piatti lavati e stomaci riempiti con dolce e caffè, Edward e Bella finalmente se ne andarono. Carlisle e Esme rimasero sul portico, le braccia di lui avvolte protettivamente su sua moglie, mentre Edward scortava Bella alla macchina. Questa volta aprì educatamente lo sportello per lei, uno show per i suoi genitori, lo sapeva.

Il silenzio in auto fu subito soffocante, ma Bella tenne a freno la lingua finché non furono sulla strada di ghiaia, prima di chiedere, «Quanto tempo?»

«Per cosa?»

Lei tenne gli occhi bassi e prese tra le dita un immaginario pelucco dalla gonna. «Quanto tempo le resta?»

«Pensavo tua madre te l’avesse detto.»

Senza neanche guardarlo, sapeva che la stava guardando storto da come aveva detto quelle parole. Ignorando il suo ovvio fastidio, insisté. «Avevo paura di chiedere, non volevo insistere con lei per avere informazioni. La mamma è sconvolta.»

«Lo siamo tutti, noi», replicò con un tono che chiaramente diceva che Bella non era ovviamente tra quei ‘noi’ a cui importava di Esme.

Le parole di Edward rimasero nell’aria e solo dopo aver raggiunto la strada principale si voltò di nuovo a guardare Bella. Con quello che sembrava quasi un sospiro rassegnato, disse, «Meno di sei mesi. Anche se papà ha detto, dopo le ultime analisi, che saremo fortunati se arriverà a quattro.»

Quattro mesi. Lo stomaco di Bella si annodò, e il suo cuore si sentì come se Edward lo stesse schiacciando tra le mani. Una parte di lei si rifiutava di credere che Esme fosse così malata, ma adesso, avendola vista, non poteva più prendere in giro se stessa. Bella appoggiò il gomito alla portiera e cominciò a mangiarsi le unghie guardando fuori dal finestrino. Stava lentamente trovando la determinazione mentre digeriva lentamente le sue parole. Dalla prima volta che aveva sentito sua madre pronunciare le parole “cancro al pancreas” meno di due mesi prima, aveva saputo che l’esito non sarebbe stato nulla di buono. Ma aveva evitato di chiedere cose tipo a quale stadio fosse il cancro o quale fosse la prognosi. La verità della risposta di Edward la vedeva in tutto, dal modo lento e attento in cui Esme si muoveva al modo in cui semplicemente spingeva il cibo di lato al piatto, mangiando a malapena al suo respiro affannoso quando il dolore aumentava.

Ora che sapeva, avrebbe voluto prendere quelle informazioni e nasconderle di nuovo sotto chiave. L’ignoranza era davvero beatitudine.

«Siete sicuri che non si possa fare nulla?»

L’auto sterzò bruscamente e Bella si voltò di scatto guardando Edward spaventata. «Ma che diavolo, Edward!»

«Come puoi anche solo chiedere una cosa del genere?» gridò inchiodando l’auto di lato alla strada e poi voltandosi completamente verso di lei.

«Mi biasimi per aver chiesto? Di sicuro tu hai fatto la stessa domanda. Almeno, l’Edward Cullen che conoscevo l’avrebbe fatto. Lui non prendeva mai nulla per oro colato. Non accettava mai una semplice risposta e poi si metteva seduto ad aspettare un risultato.» Chiuse gli occhi con forza per trattenere le lacrime che minacciavano di uscire e voltò il viso appoggiando la fronte contro il finestrino. «Ovviamente sei cambiato molto più di quanto pensassi.»

«Tu non sai assolutamente niente di me», lo sentì dire. Un attimo dopo sentì che la macchina tornava sulla strada. Non aprì gli occhi finché non sentì che girava e vide che erano a un paio di isolati dal ristorante. Bella pensò di nuovo al catalogo dei corsi e le informazioni sugli alloggi che stavano sul tavolo del suo appartamento, ma anche se la mente si era spostata in quella direzione, immediatamente cambiò corso, lasciando i suoi pensieri completamente consumati da Esme.

«Edward, c’è qualcosa nel tuo contratto a proposito della durata…» Lasciò che le parole si spegnessero, invitandolo a riempire i vuoti per lei. C’era una qualche condizione, ma lei non aveva fatto molto caso a niente altro che alla parte dei “sei mesi”.

«Sei mesi o due mesi dopo il funerale della mamma, a seconda di cosa dura di più», disse, e stavolta la voce era priva di qualunque emozione, mentre entrava nel parcheggio del ristorante.

Sembrava che sarebbero stati sposati per sei mesi, come aveva pensato in origine. Era un fatto che l’avrebbe resa felice solo poche ore prima, ma per la prima volta da quando aveva firmato il contratto, Bella si rese conto di tutte le implicazioni del limite di tempo del matrimonio. In qualche modo lo sapeva, ovviamente, ma solo adesso, mentre considerava insieme i due eventi, capiva come fossero intrecciati, il suo matrimonio e la salute di Esme.

Sarebbe stata la morte di Esme a mettere in moto il loro divorzio. Come la caduta della prima tessera di un domino o il colpo di pistola che segnalava l’inizio di una corsa.

La visione del viso sorridente di Esme dopo che aveva abbracciato lei e Edward, meno di venti minuti prima, le danzava davanti agli occhi.

Meno di sei mesi.

Lo stomaco le si annodò e il suo cuore sembrò infinitamente più pesante al pensiero.

Un attimo dopo, Edward parcheggiò la macchina e Bella si chinò, prese il suo ombrello dal pavimento dell’auto e si sforzò di tenere a bada le lacrime per quegli ultimi minuti che passava in presenza di Edward. «Grazie per…» cominciò, ma si bloccò immediatamente quando vide il suo sguardo gelido. Bella sbuffò infastidita e aprì lo sportello della macchina. «Avvertimi solo se c’è qualcos’altro che devo sapere sul tuo piano brillante.»

«Mi vedrai in abbondanza.»

Bella lo guardò e annuì, il piombo che sentiva nello stomaco le impedì una replica arguta. «Okay.»

Poi, senza un’altra parola, chiuse la portiera un po’ più forte di come avrebbe dovuto, probabilmente, e corse su per le scale verso il suo appartamento, senza neanche preoccuparsi di aprire l’ombrello, stavolta. Non aveva più nessuno da impressionare. Senza un attimo di esitazione, Bella marciò direttamente verso il tavolo, raccolse tutti i fogli che vi erano disseminati e li buttò immediatamente nel cestino della carta straccia.

Decisione presa. Non sarebbe tornata indietro adesso.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/3/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  3

 

Gli pneumatici dell’auto  stridettero  contro il selciato mentre  Edward accelerava uscendo dal viale di casa dei suoi e si immetteva sulla strada principale diretto a Port Angeles. Secondo quello che aveva detto suo padre, Bella e Esme  avevano preso l’auto di Carlisle per andare nella piccola città portuale a cercare un vestito da sposa, una cosa che Bella aveva convenientemente dimenticato di dirgli. Era una chiara violazione dei termini del loro contratto. Non che si aspettasse qualcosa di diverso da qualcuno che già aveva dimostrato di non avere nessuno scrupolo a  tradire la parola data.

La sua bocca era stretta in una linea sottile mentre aumentava la velocità, volando di fianco alle altre poche auto sulla strada. Alzò una mano per allentare la cravatta, poi ricordò che non ne indossava una e quindi si passò una mano stancamente sulla faccia prima di riafferrare il volante in una presa feroce.

Le scorse settimane era andato tutto secondo i piani, grazie al suo controllo ferreo. Senza il lavoro a distrarlo, grazie a tutti i congedi familiari che non aveva mai preso,  era riuscito a concentrarsi esclusivamente su Esme… e a farle credere la favola che si era inventato. Aveva funzionato. Diverse uscite pubbliche al momento giusto e poi la “proposta”,  la sua storia prefabbricata espressa a una cena domenicale con i suoi genitori e con Charlie -  era andato tutto liscio,  nonostante la bile che gli  saliva in gola a ogni  spregevole parola. Doveva ammetterlo, fino al piccolo atto di ribellione di oggi,  Bella aveva recitato il suo ruolo alla perfezione, e sua madre… sua madre era più felice di quanto l’avesse mai vista.

Ora doveva solo assicurarsi che le cose rimanessero così.

Era una pillola dura da ingoiare, aver permesso  a Bella di riconnettersi a sua madre, anche se era una conseguenza inevitabile  della farsa che era diventata la sua vita. Questa Bella non era la ragazza che conosceva un tempo, ammesso che l’avesse mai conosciuta,  e quindi non poteva del tutto anticipare le sue reazioni, ed era costretto di nuovo  a lottare per il controllo. Era dannatamente fastidioso.  Complicato, anche. Non poteva permettersi nessun errore, non poteva permettere che  sua madre restasse ferita di nuovo dalla sconsideratezza di Bella.

Edward ignorò la voce nel suo cervello che chiedeva se fosse più preoccupato per Esme o per se stesso.

Le sue labbra si contorsero di disprezzo mentre pigiava più forte sull’acceleratore e sorpassava una macchina. A volte desiderava non aver origliato quella conversazione tra Esme e Renee, non aver sentito sua madre mentre diceva che il suo unico rimpianto era che non sarebbe vissuta abbastanza da vedere Bella e Edward riconciliarsi. La tristezza nella sua voce era palpabile, solo un idiota non l’avrebbe sentita. Non c’era modo al mondo che Edward  permettesse  a sua madre un singolo momento di infelicità nei suoi ultimi giorni, non quando era in suo potere cambiare le cose.

Quindi, quel che era fatto era fatto. All’inferno il casino che stava facendo della sua vita, purché sua madre fosse felice. E adesso, lei era felice.

E  che Dio aiutasse Bella Swan se avesse messo a repentaglio questa felicità.

Arrivò a Port Angeles a tempo di record e trovò subito la macchina di suo padre davanti a una piccola boutique di articoli matrimoniali. Parcheggiò dietro la Mercedes nera, poi buttò qualche moneta nel parchimetro prima di entrare nel negozio.

Il campanello sulla porta annunciò il suo arrivo e lui si fermò all’entrata, immediatamente a disagio. L’ironia della situazione non era andata persa. Anni passati costantemente a ignorare tutto quello che aveva a che fare con matrimoni e relazioni, ed ora eccolo, di sua spontanea volontà, completamente circondato  da ammennicoli matrimoniali … alcuni dei quali destinati ad essere parte del suo matrimonio.

Il suo matrimonio con Bella.

L’unica donna che avesse mai amato.

La donna che aveva completamente distrutto la sua stessa anima.

Merda.

Sentì il petto come se qualcuno ci si fosse seduto sopra, e il suo respiro divenne affannoso. Dannazione. Cosa diavolo ci faceva qui? Doveva uscire, doveva andarsene-

Poi il suo sguardo terrorizzato incrociò quello di sua madre, e la stretta al petto si allentò, anche se un pugno stringeva il suo cuore. Per lei. Era tutto per lei.

Con questo memento, Edward prese un profondo respiro ed entrò nel negozio, prendendo nota degli occhi assottigliati e le labbra strette di Esme.

In qualunque altra occasione, lo sguardo  sulla faccia di sua madre l’avrebbe fatto ridere. Ma oggi, con la preoccupazione per le intenzioni di Bella in mente, l’unico divertimento che si concesse Edward fu una leggera contrazione delle labbra.

Esme era incazzata.

Edward la salutò con la mano e fece spallucce, tentando di apparire contrito, poi attraversò il negozio fin dove era seduta Esme, di fronte a una grande pedana rialzata circondata da specchi.

«Hey, mamma.» Si chinò per baciarle la guancia, guardando furtivamente il suo viso pallido in cerca di segni di stanchezza. Sembrava stare bene; la sua camicia rosa dava un po’ di colore al suo viso e i suoi occhi erano brillanti e luminosi. Aveva un bell’aspetto, almeno per quanto permettevano le sue condizioni. «Dov’è Bella?» chiese lui. Se le aveva detto qualcosa che  non doveva ….

Esme inclinò la testa per ricevere il bacio, anche se nel frattempo sbuffava infastidita. «È in bagno. Cosa stai facendo qui, Edward? Stiamo scegliendo il vestito di Bella, questo è l’ultimo posto in cui dovresti essere!»

Edward studiò la sua espressione, vedendo nient’altro che affetto materno tinto di un po’ di esasperazione. Sollevato che Bella stesse ancora portando avanti la commedia, rilassò la sua postura e poi alzò le mani in un gesto di difesa. «Non mi fermo a lungo, promesso. Volevo solo…»

Si interruppe bruscamente quando vide Bella avvicinarsi, i suoi jeans sbiaditi e la sua maglietta decisamente fuori posto in mezzo ai fronzoli firmati e i pizzi del negozio da sposa. Come sua madre, anche lei era incazzata. Il sorriso che toccò le labbra di lui alla vista della sua espressione infastidita, per una volta fu sincero. Ora che si era assicurato che Bella non aveva spifferato nulla a sua madre, poteva anche divertirsi un po’, già che c’era. Si meritava di prendersi qualcosa da questa storia, e irritare  a morte Bella gli avrebbe risollevato la giornata. Oltrepassò sua madre, stringendole delicatamente la mano, per salutare la sua riluttante fidanzata.

«Edward», sputò Bella a denti stretti, un sorriso teso mentre accettava il suo bacio sulla guancia. «Cosa fai qui?»

Lui ghignò. «Mamma mi ha appena chiesto la stessa cosa. Mi dispiace, cara –» non poté resistere a quell’affettuosità, sapendo che lei la odiava, «- ma sono passate più di dodici ore dall’ultima volta che ti ho visto. Papà ha detto che eri andata a comprarti dei vestiti e non ho potuto farne a meno. Dovevo vederti.»

I suoi denti morsero l’interno della guancia per nascondere il divertimento mentre sentiva  il sospiro sognante di sua madre. Tra il volto felice di sua madre e il fastidio appena velato di Bella, la sua giornata stava decisamente migliorando.

Guardò mentre Bella chiudeva gli occhi per un attimo, poi li riapriva, combattendo valorosamente per riprendere il controllo delle sue emozioni. «Edward,» disse lei. «Posso parlarti un attimo… in privato?»

Gli occhi di lui si assottigliarono al suo tono zuccheroso, ma poi fece spallucce. «Certo. Torniamo subito, mamma.»

Esme scosse la testa e fece cenno loro di andare, l’espressione irritata smentita dal brillio indulgente degli occhi. Edward mise una mano sulla schiena di Bella, facendola vacillare un attimo, e la portò nel piccolo corridoio lungo cui erano allineati i camerini di prova.

Una volta usciti dalla visuale di Esme, lei scrollò le spalle mentre si voltava a guardarlo, scacciando via di fatto la sua mano. Edward inarcò un sopracciglio mentre lei lo guardava in cagnesco, si mise la mano in tasca, ignorando il modo in cui le sue dita formicolavano ancora dopo averla toccata.

«Quale diavolo è il tuo problema?» sussurrò aspramente Bella. «Cosa fai qui?»

Il suo buon umore scomparve in un istante, rimpiazzata dal paralizzante rancore a cui era ormai abituato. Si avvicinò, entrando nello spazio personale di Bella e facendola arretrare contro il muro. «Domanda sbagliata. Il contratto, che tu hai firmato, se ricordi, specifica chiaramente che devi chiedermi il permesso per ogni  e qualunque interazione da sola con mia madre. Quindi la domanda giusta, cara, è cosa stai facendo tu, qui?»

«Oh, piantala con queste fesserie legali,» replicò Bella roteando gli occhi. «Tua madre voleva andare a comprare i vestiti per il matrimonio, quindi, ti piaccia o no, sono qui. Quella clausola è ridicola. Non vedo come potrei evitare di stare da sola con lei, se tu vuoi che creda che tutto questo sia vero.»

«Il punto è che tu devi informarmi prima. Non l’hai fatto, quindi sono qui.»

Bella alzò le mani disgustata. «Mi prendi in giro. Ti sei fatto tutta questa strada per venirmi a controllare? Cosa pensi che abbia intenzione di fare – farle del male?»

Il labbro superiore di lui si piegò, deridendola. «Non lo so, Bella. L’hai già fatto, prima. Perché non dovrei preoccuparmi che tu lo faccia di nuovo?»

Guardò freddamente mentre le sue parole la colpivano a fondo. Lei trasalì e il suo viso perse colore. Si guardarono, la rabbia e il disprezzo tra loro quasi palpabile. Fu Bella a spostare lo sguardo per prima, ma prima che Edward potesse godersi il suo trionfo, lei lo spintonò e si allontanò dal muro. Inclinò la testa da un lato e alzò il mento con aria di sfida – un’espressione determinata che le aveva visto molte volte in passato, ma non di recente.

«Falla finita,» disse lei, la voce forte e ferma, le mani strette a pugno lungo i fianchi. «Non sopporterò più i tuoi commenti maligni e le tue oh-così sottili osservazioni sarcastiche. Sì, ho fatto un casino – lo so! Non devi continuare a ricordarmelo.»

«Mi permetto di dissentire,» replicò Edward con un ghigno. «Non hai idea di quanto tu – » Si interruppe e prese un profondo respiro nello sforzo di controllare la sua rabbia crescente. Poi ricominciò. «Non mi interessa quello che tu vuoi o non vuoi. Hai firmato il contratto, hai accettato ogni clausola. Ti piaccia o no, comando io adesso, e tu farai tutto quello che ti dico di fare.»

Bella lo schernì. «Tu credi di avere qualche tipo di controllo su di me perché ho firmato quel  contratto. Be’, ti sbagli.»

«Oh, davvero?» Incrociò le braccia al petto. «Sentiamo, allora.»

«Guarda, io non sono stupida.» Trasalì, poi scosse la testa e continuò. «Tu e io sappiamo entrambi che quel contratto non è altro che un  accordo prematrimoniale . Io rispetto il contratto, poi facciamo annullare il matrimonio e tu mi firmi un assegno. Giusto?»

Lui si strinse nelle spalle. Dove voleva arrivare con questo?

Fu la volta di lei a ghignare, ma il suo atteggiamento era temperato dalle lacrime che le brillavano negli occhi. «Be’, indovina un po’, Mister Super Avvocato. Io non voglio i tuoi soldi. Sto facendo tutto questo per un’unica e sola ragione: Esme.» Una lacrima le rigò la guancia. «Ho fatto un errore a escluderla dalla mia vita, ma le voglio bene e farò qualunque cosa perché i suoi ultimi mesi –» la sua voce cominciò a spezzarsi, « – siano felici e soddisfacenti. Ma quando tutto questo sarà finito, tu e i tuoi soldi potete andarvene affanculo.»

La testa di lui sussultò per lo shock, sia delle parole sia della veemenza con cui erano state pronunciate, ma si riprese in fretta e le rispose a tono. «Se pensi che creda a qualunque cosa esca dalla tua bocca bugiarda ti stai  prendendo in giro da sola.»

Un silenzio teso riempì il piccolo corridoio.

Dopo un lungo momento, Bella sospirò e poi mormorò, «Non le farò del male, Edward. Te lo prometto.»

«Scusa, ma le tue promesse  non mi impressionano granché – non più.» La voce di Edward era quieta come quella di Bella, ma lui stesso fu sorpreso dalla tristezza amara che era evidente nel tono.

Bella aggrottò la fronte e poi si avvicinò qualche centimetro. «Edward, io-»

Lui scosse la testa e interruppe qualunque cosa stesse dicendo, deliberatamente indifferente. «Mia madre vuole fare shopping – va bene. Sappi solo che se la ferirai, le conseguenze legali e finanziarie della rottura del contratto saranno l’ultima delle tue preoccupazioni.»

Lei sembrò gelare, la mano leggermente alzata, come se volesse toccarlo. Alzò di nuovo il mento e lasciò cadere la mano lungo il fianco. «Va bene.»

«Va bene.»

Edward girò sui tacchi, più che pronto ad andarsene, ma poi si fermò e si voltò di nuovo verso Bella.

«Un’altra cosa,» disse. Poi fece un passo avanti, le afferrò la testa con le mani e   le schiacciò la bocca con la sua. Bella boccheggiò a quell’atto inaspettato e lui ne approfittò per spingere la lingua tra le sue labbra dischiuse. La baciava per la prima volta dopo otto anni.

Spinse mentalmente da parte il sapore familiare, concentrandosi sul suo intento. Le afferrò i capelli nei pugni mentre riversava  tutta la furia, il risentimento e l’amarezza del suo tradimento in quel bacio. Fu brutale, punitivo, quasi violento – niente a che vedere con quelli che si scambiavano un tempo. Lei tremò tra le sue braccia e per un attimo fu inorridito dall’impulso si soddisfazione che lo colpì, sapendo che la ferocia di quel momento l’aveva scossa.

Tutto cambiò quando sentì le sue mani poggiarsi sulle sue braccia mentre spingeva il corpo verso di lui. E poi lei stava rispondendo al bacio, con la sua stessa furia succhiava e mordeva le sue labbra. Il desiderio turbinò nel suo basso ventre e soffocò un gemito mentre sentiva che gli veniva duro. Bella doveva aver sentito la risposta del suo corpo, perché si spostò contro di lui, inviando onde d’urto di piacere direttamente al suo inguine.

Poi, lentamente, il bacio cambiò, diventando meno combattivo e più affamato, più disperato. Bella liberò le  braccia  e infilò le dita tra i capelli di lui a massaggiargli lo scalpo, lo scivolare e ritrarsi della sua bocca ora più persuasivo, che supplicava una risposta.

Edward si irrigidì, cuore, corpo e mente che guerreggiavano. Rabbia, odio, risentimento … poteva trattare queste cose con lei. Ma questo assalto gentile lo stava uccidendo, costringendolo a far riemergere emozioni che aveva seppellito da tanto tempo.

I suoi occhi pizzicarono ricordando il dolore, e questo fu ciò che lo fece arretrare, strappando le labbra dalle sue. Santo Dio, cosa aveva fatto? Lei avrebbe saputo … e non poteva. Né adesso né mai. Con più sforzo di quanto avrebbe voluto ammettere,  fece un passo indietro interrompendo completamente la connessione.

Bella lo guardava, gli occhi sgranati e il respiro affannoso, mentre le sue mani scivolavano via dai suoi capelli ricadendo inerti ai suoi fianchi. «C-cosa …?»

Avendo ripreso il controllo, in quei pochi istanti, sapeva cosa doveva fare adesso. Lo sguardo di Edward non vacillò mentre deliberatamente alzava la mano a pulirsi la bocca, come se quel sapore lo ripugnasse. «Ora mia madre non chiederà cosa stavamo facendo qui dietro.»

L’espressione di Bella andò da perplessa a furiosa in un batter d’occhio. Gli occhi erano umidi di lacrime di rabbia, ma le ingoiò.

Lui si voltò per andarsene, soddisfatto del punto preso, ma si fermò quando sentì Bella che parlava di nuovo, senza preoccuparsi di voltarsi a guardarla.

«Ti direi che sei un figlio di puttana e un bastardo, ma Esme è la persona più dolce che conosco. Immagino che rimanga solo stronzo.»

Un muscolo vicino all’occhio di lui si contrasse, poi si allontanò lungo il corridoio verso l’area principale del negozio.

Lo stronzo doveva dare un bacio di saluto a sua madre.

Quindici minuti dopo era seduto nella sua auto di fronte al negozio, guardando attraverso la vetrina Bella e sua madre che ridevano mentre guardavano dei vestiti che aveva portato loro la commessa. Aveva pensato di andarsene immediatamente, ma qualcosa l’aveva trattenuto dall’accendere il motore.

Invece, la sua mente replicava la “conversazione” che aveva avuto con Bella dentro il negozio. In qualche modo perverso, era fiero che lei avesse tenuto la schiena dritta, che non avesse lasciato che lui la calpestasse. Gli aveva ricordato la vecchia Bella – la sua Bella. Un piccolo sorriso indugiò all’angolo delle sue labbra ricordando le sue repliche taglienti, e il suo corpo bruciava ancora per gli effetti residui  del bacio che avevano condiviso. Dio, era così tanto tempo che non si sentiva neanche lontanamente vivo come si sentiva quando stava con lei.

Alzò lo sguardo e gli si mozzò il respiro quando, attraverso la vetrina, vide Esme che alzava un vestito di fronte a Bella, chiedendo la sua opinione. Bella allungò una mano per toccare la stoffa e l’anello che aveva al dito prese la luce, facendo brillare il diamante. L’immagine che ne risultò gli inviò un’ondata di nostalgia che lo travolse. Era il suo anello al dito di lei – il suo anello – e per un attimo brevissimo si concesse di desiderare che fosse più di una commedia, che fossero davvero innamorati e si stessero preparando a passare il resto della vita insieme …

Veloce come era arrivato, Edward scacciò via quel pensiero. Infilando la chiave nel cruscotto avviò il motore e si allontanò dal marciapiede, dirigendosi verso casa. Mentre guidava, si rimproverò per quella momentanea mancanza di controllo.

Dannazione. Bella aveva sempre avuto un modo di attirarlo verso di lei, e a quanto pareva ce l’aveva ancora, ma lui si rifiutava di essere ancora vulnerabile con lei e i suoi capricci. Aveva imparato la sua lezione otto anni fa, e l’aveva imparata bene. Non poteva permettersi di perdere il controllo. C’era qualcosa di più del suo cuore, in gioco, stavolta – la felicità di Esme. Non aveva importanza quello che succedeva a lui. Alla fine, quando tutto fosse finito, ogni momento di lotta, di frustrazione, di strazio e di agonia, ne sarebbe valsa la pena.

E avrebbe fatto bene a ricordarselo.

***

«Scusa, Esme, che dicevi?» Bella sapeva che doveva concentrarsi su quello che la circondava, ma la sua mente continuava a replicare quella strana conversazione con Edward. Okay, se fosse stata completamente onesta con se stessa, cominciava ad abituarsi al suo comportamento imprevedibile. La sua mente, comunque, era intenta a replicare quello stupido bacio. Era stato il più appassionato eppure doloroso bacio che avesse mai potuto immaginare. Quando era riemersa dal corridoio, dopo essersi ricomposta, Esme aveva osservato attentamente il suo viso, e invece di sorridere  come Bella aveva immaginato, aveva assottigliato gli occhi. Bella pensò di aver visto un lampo di preoccupazione materna attraversare i tratti fragili della donna, ma era sparito troppo in fretta perché potesse esserne sicura.

«Volevo sapere cosa ne pensavi di questo,» ripeté Esme mentre indicava un vestito bianco che la commessa stava tenendo per lei.

«Questo … emm … carino,» balbettò prima di prendere un respiro per calmarsi. «Ma pensavo a qualcosa di più … non so … semplice? Un po’ meno ‘vestito da sposa’?» Bella deglutì e spostò lo sguardo dallo stupendo vestito nelle mani della commessa, sforzandosi di guardare Esme. Stavano facendo tutto questo già da un po’, e  anche se era riuscita a fingere qualche risata e appiccicarsi un sorriso in faccia, sentiva che la facciata cominciava a scivolare via.

«Vorrei che ci fosse qui tua madre.»

Bella annuì. «Anch’io.» Renee era andata in estasi, come Esme, quando aveva sentito del fidanzamento di Bella e Edward. Bella sapeva che entrambe le donne avevano sognato di vederli sposati fin da quando erano piccoli. Charlie era stato più cauto, ma con qualche frase ben piazzata, Bella lo aveva convinto che questo matrimonio era tutto ciò che voleva.

«Che tipo di vestito vuoi?»

Bella fece spallucce. A dire la verità, non voleva un vestito da sposa. Voleva qualcosa di meno “matrimoniale” possibile. Perché non potevano andare davanti a un Giudice di Pace, dire i loro voti e farla finita? O meglio ancora, un viaggio a Las Vegas e semplicemente far finta di essere sposati. Bella sospirò. Doveva ricordare a se stessa che non si trattava di lei – si trattava di Esme.

Esme assottigliò gli occhi guardando Bella per un momento, poi guardò la commessa. «Torniamo a lei tra un momento.» Quando la commessa se ne andò, si voltò verso Bella. Camminò lentamente verso di lei, poi alzò la mano e gliela passò con gentilezza sulla fronte. «Ricordo la prima volta che ti ho vista. Avevi già due settimane, quando venni a vederti. Sarei voluta venire prima, ma a Edward stavano crescendo i molari, e stava sempre male quando metteva i denti.»

Bella sentì il viso rilassarsi in un sorriso al tocco leggero di Esme e al tono rilassante che usava ogni volta che raccontava una storia del loro passato. Era confortante, rassicurante, ed era una delle cose che Bella preferiva nella sua pseudo-mamma … e una delle cose che le sarebbero mancate di più quando Esme se ne sarebbe andata.

«Fu Charlie a rispondere alla porta, quando fummo lì,» continuò Esme, «e sembrava assolutamente fuori di sé. Il pover’uomo era agitato, irrequieto e nervoso da matti. Poi sentii i tuoi vagiti che venivano dall’altra stanza. Portai dentro Edward ma lo misi subito giù quando vidi tua madre con gli occhi gonfi e le lacrime che le rigavano le guance mentre ti implorava di smettere di piangere. Tuo padre cominciò a fare avanti e indietro e questo rendeva l’atmosfera della stanza ancora più tesa.»

Tutte e due le donne stavano sorridendo, adesso, all’immagine di Charlie agitato – il capo della Polizia, grande e grosso,  che andava subito nel pallone anche sulle cose più semplici, quando si trattava della sua adorata figlia. Bella aveva visto suo padre in questo stato molte volte nella sua vita; non era mai una cosa divertente, al momento, ma sentiva un calore dentro di sé quando pensava a quanto suo padre ovviamente la amava e si preoccupava per lei.

«Io presi subito in mano la situazione. Dissi a tuo padre di andare in ufficio, tanto per farlo uscire un po’ di casa, e mandai tua madre di sopra a farsi una doccia e farsi un sonnellino. Renee ti passò subito a me prima di sparire su per le scale. Mi piacerebbe dire che l’attimo in cui ti presi in braccio tu smettesti di piangere, ma non ebbi questa fortuna. Eri praticamente inconsolabile.» Esme passò le dita dalla fronte  alla tempia di Bella e le mise una ciocca dietro l’orecchio, e alla fine lasciò la mano sul suo collo, accarezzandole con aria assente la guancia col pollice. «Provai a cullarti mentre giravo per la stanza e cantavo. Ti raccontai delle storie, ti diedi delle piccole pacche sulla schiena, ti massaggiai la pancia – davvero, non avevo maggior fortuna dei tuoi genitori, e cominciavo un pochino a preoccuparmi. Avevo visto come era sconvolta tua madre quando le avevo detto di andare a fare la doccia, e sapevo che se tu non ti fossi calmata, lei non si sarebbe riposata affatto. Alla fine misi una coperta per terra e ti misi giù. La mia più grande preoccupazione, tra l’altro, era che anche Edward si mettesse a piangere con te. Invece se ne stava in piedi vicino al divano a osservare, completamente incantato da te.»

Lasciando cadere la mano dal suo collo, Esme prese la mano di Bella, stringendola un po’ nella sua presa rassicurante. «Quando ti misi sul pavimento, lui venne subito da te. Naturalmente questo mi rese nervosa – non avevo idea di quello che avrebbe fatto. Ma le mie paure erano completamente infondate. Lui arrivò, si mise seduto vicino a te e cominciò ad accarezzarti la testa. Te lo giuro, l’attimo in cui ti toccò, tu smettesti di piangere. Edward continuò a passarti la mano sulla testa per parecchi minuti, poi si chinò e ti baciò la fronte prima di dire qualcosa che giurerei fosse la parola ‘cara’.» Esme ridacchiò. «Be’, forse. Forse provava a dirmi che ti stava accarezzando come faceva col nostro gatto, ma preferisco la mia versione.»

Bella ridacchiò piano alle parole di Esme e ammise con se stessa che anche lei preferiva la versione di Esme.

«Comunque, mi piace pensare che una volta che lui fu lì, anche tu eri incantata da lui come lui lo era da te. Dopo averti baciato, si alzò, andò alla sua borsa e tirò fuori la sua coperta. Tornò verso di te e te la mise sopra. Naturalmente ti coprì la faccia e tu cominciasti ad agitarti subito, così la tirai giù. Mentre facevo questo, Edward era tornato alla borsa e tornò con due ciucci. Uno se lo mise in bocca lui e l’altro lo mise in bocca a te. Poi si accoccolò sul pavimento vicino a te, prendendo in mano un angolo della sua coperta e dandoti dei colpetti sulla schiena con l’altra. Ti addormentasti in pochi minuti, e diventaste inseparabili per un sacco di tempo. Sono la prima ad ammettere che quel giorno fu la prima volta che mi trovai a sognare di questo, Bella.»

Strinse la mano di Bella e poi prese un respiro profondo prima di guardarla dritta negli occhi. «Io non so tutto quello che è successo tra voi otto anni fa, ma non credere diversamente, mio figlio ti ha amata fin dal primo momento che ti ha vista.» Dopo un attimo, aggiunse piano, «E ti amerà sempre.»

«Grazie,» sussurrò Bella, chiedendosi se Esme sapesse quanto quella storia avesse suscitato la sua emozione.

Il sorriso di Esme si allargò, e quando lei le sorrise di rimando, ci fu un bagliore di luce leggero nei suoi occhi verdi che prima non c’era, prima che dicesse a Bella che alla fine sarebbe andato tutto bene. «Adesso, troviamo questo vestito per te.» Con questo, Esme richiamò subito la commessa, e ritornarono alla loro missione di trovare un vestito da sposa.

All’inizio aveva provato a dire che non aveva bisogno, e non voleva, un vestito da sposa. Sarebbe stata una cerimonia semplice e Bella aveva detto che non voleva agitarsi troppo con i dettagli. Esme però aveva insistito, e dato che tutta la faccenda era a suo beneficio, Bella non aveva avuto cuore di dirle di no. Adesso, circondata da una quantità di raso bianco, taffettà, seta, pizzi e quant’altro, lo stomaco di Bella si stava annodando nel peggiore dei modi.

Le sembrava tutto sbagliato. Sia Esme che la commessa, Jenny, le stavano mostrando alcuni dei vestiti più estrosi del negozio. Erano tutti belli, ma nessuno di quelli era qualcosa che Bella poteva immaginarsi addosso per il peggiore dei suoi incubi. Non ne voleva uno che la mettesse in mostra; voleva qualcosa che la facesse confondere con lo sfondo. Ma se questo non fosse stato abbastanza, Bella sapeva anche che non doveva pensarci troppo, o mettere troppe intenzioni nella sua decisione. Quindi, quando Esme insisté che doveva cominciare a provare qualcosa, Bella non si mise a discutere. Fece semplicemente quello che le dicevano di fare e cercò di evitare di guardarsi nei tanti specchi che la circondavano nel camerino o fuori, dove Esme la aspettava per vedere come le stava ognuno.

Metti il vestito, chiedi a Jenny di chiudere la lampo posteriore, esci e mostralo alla tua futura suocera, fai un lento giro così che possa vederlo da tutti i lati, torna in camerino e infila quello dopo.

Un ciclo infinito di cui Bella si ripeteva i passi nella testa, per non pensare a come sembrava, come sentiva il vestito su di sé, come la stoffa scricchiolava e le strusciava la pelle mentre camminava.

Si dimenticò di tutto quando sentì Esme prendere un respiro improvviso mentre usciva dal camerino con l’ottavo vestito addosso.

«Oh, Bella,» sentì che diceva Esme.

Gli occhi scattarono verso quelli di Esme. «Cosa?»

«Questo  vestito è perfetto.»

Bastò questo. Bella non poté fare a meno di alzare la testa e guardare il suo riflesso negli specchi. Anche lei boccheggiò, mentre i suoi occhi andavano ad ogni dettaglio.

Questo era il vestito.

Bella era stata una ragazza molto tipica, e quando era più giovane e molto innamorata aveva sognato il suo futuro. Aveva visto dentro di sé la casa in cui lei e Edward avrebbero vissuto, i figli che avrebbero avuto, i loro Natali, i loro compleanni, le loro carriere, picnic, diplomi, vacanze in famiglia, anniversari … si era immaginata tutto,  incluso il matrimonio che aveva sognato di condividere con le loro famiglie. E in quelle visioni e sogni a occhi aperti, Bella aveva immaginato un vestito … il suo vestito … esattamente questo vestito.

Guardò il modo in cui abbracciava le sue curve, accentuava il seno e minimizzava i suoi fianchi. Non era una cosa da principessa, non era pacchiano. Non c’erano crinoline  leziose o gonne esagerate. Il vestito era di semplice raso bianco con appena un po’ di pizzo e delle delicate perline ad accentuarlo.

Era semplice.

Era bello.

Era elegante.

Era quasi identico  a quello che una volta aveva ritagliato da una rivista durante i primi mesi che Edward se ne era andato al college.

Era perfettamente Bella.

Era perfettamente Edward.

Era perfettamente … loro.

E solo per un momento, poteva dilettarsi di questo, poteva sognare, poteva volere, e poteva sentire.

«Cosa ne pensi, Bella?»

Non aveva neanche notato che Esme si era alzata, e che stava proprio al suo fianco, guardando nello specchio. Per una frazione di secondo, i loro occhi si incontrarono nello specchio, e Bella seppe che questo era quello che Esme voleva per loro. Esme vedeva le stesse cose che aveva visto lei, in quel vestito, e nello sforzo di compiacerle entrambe, combatté col senso di colpa nauseante che aveva cominciato a bussare alla sua porta nel momento preciso  in cui  aveva aperto gli occhi e aveva guardato nello specchio.

Con tutte le sue forze, voleva dire a Esme che non voleva quel vestito, che era scomodo, o che le sembrava la facesse apparire grassa – qualcosa, qualunque cosa che non la costringesse a uscire di lì con uno scontrino che diceva che aveva comprato quel vestito. Ma non riuscì a farlo. Aveva già mentito abbastanza, in quegli anni, e semplicemente non se la sentiva di mentire ancora. Se doveva sposare Edward, al di là dei motivi per cui lo faceva, allora doveva farlo nel modo giusto.

Con un profondo respiro, Bella si voltò verso Esme e annuì. «Hai ragione. E’ perfetto.»

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/4/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  4

 

Siete cordialmente invitati alla celebrazione

del matrimonio di

Isabella Marie Swan e Edward Anthony Cullen

oOo

 

Raso e pizzo sussurravano contro la pelle di Bella mentre  sua madre e Alice la aiutavano a vestirsi. I suoi occhi restavano chiusi mentre il suo stomaco si agitava, fece una smorfia al fruscio della chiusura lampo che si chiudeva, come a sigillare il suo destino. Le pulsazioni le rombavano nelle orecchie, il cuore le martellava contro la gabbia toracica. Delle mani gentili le sistemavano il velo, mentre altri nella stanza facevano i loro ooh e aaah. Bella combatteva contro il panico.

Davvero stava per affrontare la farsa di questo matrimonio? Poteva?

«Oh, Bella, sei splendida!»

La voce di Renee era piena di emozione, ed era quello che frenava Bella da scappare urlando fuori della stanza. Invece, rimase inchiodata sul posto e alla fine aprì gli occhi.

Un singhiozzo soffocato le si fermò in gola alla vista del suo riflesso nello specchio a tutta altezza. Non era il vestito che stava mandando le sue emozioni fuori controllo; l’aveva già visto prima, parecchie volte. Ma adesso, con i capelli tirati su e il velo al suo posto, sembrava esattamente la sposa che una volta aveva sognato di essere.

La sposa di Edward.

Oh, Dio.

Panico. Stava andando nel panico, e lo sapeva, ma sembrava che non riuscisse a riprendere fiato. Il suo riflesso la scherniva, ricordandole conversazioni sussurrate e sogni condivisi – quello che poteva essere, se solo non fosse stata così stupida.

E ora … ora stava per sposarsi con l’unico uomo che avesse mai amato. Sarebbe stata di fronte a tutte le persone più importanti della sua vita e avrebbe scambiato i voti con quello stesso uomo -  un uomo che adesso la odiava con la stessa intensità con cui un tempo l’aveva amata.

Bella guardò il suo riflesso col cuore pesante. Aveva sempre immaginato che il giorno del matrimonio con Edward sarebbe stato il più felice della sua vita – e invece era la cosa più lontana dalla felicità che avesse mai potuto immaginare.

Le si riempirono gli occhi di lacrime e sua madre le mise un braccio intorno alle spalle, il suo sguardo amorevole incontrò quello di Bella nello specchio.

«Non posso credere che la mia bambina sta per sposarsi,» disse Renee tirando su col naso, poi si asciugò gli occhi con un fazzoletto. Guardò verso Esme, che era seduta, già vestita e pronta per la cerimonia. «Ci crederesti, Esme? Sembra ieri che sognavamo di far sposare i nostri ragazzi, e adesso sta succedendo, finalmente.» Si voltò di nuovo verso Bella. «Oh, tesoro, non avrei potuto scegliere un uomo migliore per te … aspetta un attimo – mi sa che l’ho fatto!» canticchiò.

Bella provò a sorridere, ma sembrava più una smorfia. Ogni fibra del suo essere desiderava disperatamente scappare da quella stanza, ma bastò un solo sguardo al viso pallido ma felice di Esme per saperlo – non si tornava indietro.

L’avrebbe fatto. Non importava quanto sarebbe stato doloroso.

Aspettarono per quella che sembrò un’eternità, poi alla fine bussarono alla porta e Carlisle infilò dentro la testa, con una mano sugli occhi. «Tutte decenti?»

Esme roteò gli occhi. «Entra, Carlisle.»

Lui abbassò la mano e sorrise prima di entrare nella stanza, chiudendo la porta dietro di sé. «Sono venuto per le mamme. E’ ora di portarvi ai vostri posti …» La sua voce si spense quando Bella si voltò a guardarlo. «Bella,» sussurrò. «Sei splendida, mia cara. Edward sarà fuori di sé.»

Lei fece un piccolo sorriso, ma l’attenzione di Carlisle si era già spostata su sua moglie. Lui provò a nascondere la sua preoccupazione, ma Bella vedeva la tensione nei suoi occhi. Anche lei era preoccupata. Le condizioni di Esme peggioravano con regolarità, ma gli ultimi giorni erano stati particolarmente difficili per lei. Era macilenta, e anche il brillio di felicità che aveva negli occhi, che le derivava dal fatto di avere la sua famiglia intorno a sé – sua figlia a casa per qualche  giorno e Edward che finalmente si sposava con una donna che lei amava come una seconda figlia – non riusciva a coprire quel pallore malato.

In tutta onestà, Bella non era sicura che Esme ce l’avrebbe fatta per altre quattro settimane, figuriamoci i quattro mesi che avevano previsto i medici. Quel pensiero era terrificante, ma rafforzava la sua decisione.

Questo matrimonio era una formalità – solo un pezzo di carta che avrebbe dato la pace al cuore di una donna che stava morendo.

Carlisle aiutò sua moglie a sistemarsi sulla sua nuova sedia a rotelle. «Ecco qua. Pronta?»

Esme gli sorrise. «Assolutamente.» Poi guardò Bella e alzò una mano. Bella corse verso di lei per prenderle la mano, scacciando indietro le lacrime mentre guardava l’espressione gioiosa di Esme.

«Questo è un sogno che si avvera, mia cara ragazza … per tutti noi. Ti vogliamo bene.»

Bella fece un sorriso tremulo. Commedia o no, era felice di questa possibilità di riconciliarsi con queste persone che per troppo tempo erano state lontane dalla sua vita. «Anch’io vi voglio bene.» Non saprai mai quanto.

Furono scambiati altri baci e abbracci, e prima di allontanarsi, Renee le mise in mano un fazzoletto. «Non rovinarti il trucco, okay?» fece a Bella un sorriso divertito stringendole la mano. «Sai, tu e Edward avete fatto sul serio da così giovani, avevo paura che avreste finito per sposarvi appena finito il liceo.» Ridacchiò. «So che c’è stato un po’ di dramma nel mezzo, ma meglio così.»

Bella abbassò lo sguardo, coprendo la sua smorfia e nascondendo il dolore che sentiva.

«Ti voglio bene, bambina.»

«Anch’io ti voglio bene, mamma.»

Carlisle spinse la carrozzella di Esme verso la porta e Renee li seguì. Si fermò sulla porta e le sorrise da sopra la spalla. «Charlie sarà qui tra pochi minuti.»

Con un respiro profondo, Bella si mise un sorriso in faccia e sperò che sembrasse sincero. Annuì, e loro se ne andarono.

Chiuse un attimo gli occhi e poi si voltò per prendere il suo bouquet. La vista della sua futura cognata la fece sobbalzare; Alice era stata così silenziosa che Bella si era dimenticata che fosse lì.

«Be’, immagino che ci siamo!» disse, sperando che il leggero tremito della sua voce fosse attribuito al normale nervosismo da matrimonio.

Alice non disse nulla, l’espressione impassibile. Poi sospirò pesantemente e spostò lo sguardo, con l’aria di combattere internamente con qualcosa. Alla fine , si voltò di nuovo verso Bella e disse, «La mamma non ha voluto che lasciassi il semestre a scuola per stare con lei. Continua a dire come sia importante la mia educazione, e che ci sarà tempo per stare insieme questa estate.» Alice fece una pausa, il labbro inferiore che tremava. «Immagino che sappiamo tutti che questo non succederà.»

Gli occhi di Bella si riempirono di lacrime, e annuì.

«Ma, naturalmente, io avrò perso solo qualche mese. Edward ha perso anni.» Fece una pausa, poi la sua espressione si indurì. «Non so cosa sia successo in questi ultimi mesi, ma adesso sono qui, e tanto perché tu lo sappia, non mi piaci. Non mi piace quello che hai fatto a Edward, e non mi piace quello che hai fatto alla mia famiglia.»

Bella sgranò gli occhi scioccata. «Alice – »

«No. Non abbiamo molto tempo, quindi lasciami finire, poi potremo andare avanti.» Fece una risata amara. «Immagino che dovremo, sorella.» Disse quella parola in modo sprezzante. Senza aspettare la replica, andò avanti, il tono gelido. «Ti sei mai chiesta perché i miei si sono trasferiti a Seattle? Speravano che fosse abbastanza lontana da Forks – e da te – perché Edward tornasse dopo il college. Ma non lo era, e lui non è tornato. Io cambiai scuola a metà liceo, lasciando amici che conoscevo da tutta la vita, e lo feci volontariamente, sperando di far tornare mio fratello. Ma non servì a nulla. Lo sapevi che fino a quando non si è ammalata mamma lui non aveva messo piede a Washington, da quando avevi rotto con lui? Non è venuto per il mio diploma. Non è mai venuto per un Natale o un Ringraziamento o …» Si interruppe ingoiando un singhiozzo.

Una singola lacrima scese sulla guancia di Bella, e lei la asciugò via con dita tremanti. «Mi dispiace.»

«Lo credo bene,» replicò aspra Alice, le labbra tremanti, anche se contorte in una smorfia. «E’ stata tutta colpa tua. Hai idea di quello che gli hai fatto? Hai fatto più che spezzargli il cuore – l’hai distrutto. L’hai lasciato senza un cuore, senza un’anima. L’hai rovinato. Non è mai più stato lo stesso, dopo di te – non lo è neanche adesso. E questo è il motivo per cui so che questo matrimonio è un’enorme farsa.»

Bella scosse la testa, non sapendo come rispondere a quelle accuse. Non solo non poteva dirle la verità sul motivo per cui sposava Edward, ma onestamente non aveva idea che la loro rottura avesse provocato tanto dolore a nessun altro oltre se stessa. Sapeva di averlo ferito, naturalmente, ma un sacco di persone si lasciano al liceo, era quasi un rito di passaggio.

Lui non aveva lottato per lei. Non aveva detto proprio nulla, in realtà. In effetti, la sua facile acquiescenza la aveva convinta di aver fatto la cosa giusta. Aveva considerato anche l’idea di averlo semplicemente battuto sul tempo, che forse poteva trovare qualcuna migliore di lei. Questi pensieri l’avevano afflitta dal momento in cui aveva lasciato Dartmouth, e quando lui l’aveva lasciata andare, senza combattere affatto, si era chiesta se avesse trovato questo qualcuno. Una più bella, più intelligente e più adatta. Non che pensasse che l’aveva tradita – sapeva che non avrebbe mai fatto una cosa simile – ma aveva pensato che lui fosse stato in qualche modo sollevato. Forse si era sentito libero.

Adesso Alice le stava dicendo che era rimasto devastato quanto lei. Era davvero possibile?

«Edward non mi dirà nulla,» continuò Alice, ignara delle elucubrazioni interne di Bella, «ma io ho i miei sospetti. Quindi ti chiedo, qualunque cosa sia in ballo, non fargli di nuovo del male. Perché se lo farai, stavolta risponderai a me.»

Alice si alzò e lasciò la stanza in un turbine di taffettà azzurro, chiudendosi la porta dietro con un clic.

Bella rimase in mezzo alla stanza, paralizzata dal senso di colpa, dallo shock e dalla frustrazione. Come poteva essere andato tutto così storto? Pensava di aver fatto la cosa giusta, anche se farla l’aveva uccisa, e aveva consolato se stessa con la certezza che Edward fosse guarito in fretta e fosse andato avanti con la sua vita. Che fosse felice.

Ovviamente si era sbagliata, e molto. Edward non era guarito e non era andato avanti, e di certo non era felice. Invece, si era separato dalla sua famiglia ed era diventato qualcuno che lei non avrebbe mai immaginato. Amaro. Arrabbiato. Vendicativo. Tutto per colpa sua e della sua stupidità.

Il dolore trafisse il suo cuore come se, per la prima volta, comprendesse del tutto che orribile errore avesse fatto. Il suo respiro divenne irregolare, mentre lottava per reprimere i singhiozzi che le afferravano la gola. Cosa aveva fatto? Santo Dio. Cosa aveva fatto a questa famiglia?

***

Il sole brillava – una rarità a Forks – e Bella era stesa sulla schiena nella loro radura, crogiolandosi al caldo dei suoi raggi. Aveva gli occhi chiusi e la sua pelle formicolava dove Edward faceva scorrere le dita, lungo il suo braccio. Lui rise piano e lei rispose con un sorriso pigro.

«Un giorno sarai mia moglie.»

Bella si voltò verso di lui e alzò un sopracciglio. «Oh, davvero?»

Le labbra di lui si curvarono in un sorriso compiaciuto mentre le solleticava la guancia con un filo d’erba. «Davvero.»

«Mmm. Non lo so …»

Edward ringhiò giocoso mentre copriva il corpo di lei col suo e le mordicchiava il collo. «Non lo sai?»

Bella rise. «No. Non lo so … perché tu non me lo hai mai chiesto.»

«Oh, te lo chiederò. E quando lo farò, tu che risponderai?»

Alzò la testa per guardarla, gli occhi di lui venati di vulnerabilità, e Bella non fu in grado di portare avanti il suo piccolo gioco. Gli mise le mani ai lati del viso, e con nella voce tutta la sincerità del suo cuore, rispose, «Dirò di sì. Sì, sì, sì.»

L’espressione di lui si illuminò, e la guardò con una tale adorazione che lei non riusciva a respirare. E allora io sarò l’uomo più felice del mondo.”

«Ti amo.»

«Ti amo anch’io … sempre.»

«E per sempre.»

***

Una goccia di sudore scese lungo la schiena di Edward, nonostante avesse alzato già due volte l’aria condizionata. Aveva lo stomaco annodato e le sue mani tremavano leggermente mentre provava a mettersi il suo papillon.

«La magia della ventesima volta, giusto?» borbottò con se stesso, imprecando quando le sue dita scivolarono di nuovo. «Maledizione.»

Sentì ridacchiare dietro di sé e il suo sguardo andò al riflesso di Charlie proprio dietro la sua spalla sinistra.

«Hai bisogno d’aiuto, figliolo?»

Edward si chiese se Charlie l’avrebbe chiamato ancora così se avesse saputo che aveva sostanzialmente ricattato sua figlia per farsi sposare. Il dolore allo stomaco si intensificò. Il senso di colpa faceva schifo.

«Sai come si annoda ‘sta roba?» chiese, incapace di guardare ancora negli occhi il suo futuro suocero.

«Certo.»

Edward si voltò e alzò il mento mentre Charlie annodava rapidamente il papillon.

«Ecco qua. Devi solo controllare che sia, sai, dritto o roba simile,» disse Charlie, le guance leggermente rosa mentre si voltava verso lo specchio.

«Grazie.» Edward controllò allo specchio il suo papillon. «Va bene?» chiese.

Charlie grugnì e si spostò dall’altra parte della stanza; Edward lo prese per un sì. La giacca del suo smoking era appoggiata sulla spalliera di una sedia, lui la prese su allisciando la stoffa prima di infilarsela e tornare allo specchio a controllare che fosse tutto a posto.

Charlie giocherellava con le sue maniche, aprendo e chiudendo la bocca, finché si passò una mano sulla faccia, ignaro che Edward potesse vedere il suo riflesso allo specchio. La sua bocca si contrasse, nascondendo un sorriso; era una scena familiare. Charlie faticava quando doveva dire qualcosa di serio. Edward era nervoso all’idea di quello che poteva avere da dire, ma lasciò che si prendesse il suo tempo, sbirciando di tanto in tanto mentre fingeva di trafficare con i suoi gemelli.

Dopo diversi minuti di silenzio, Charlie alla fine si mise al lavoro. «Tu la ami.»

Era un’affermazione, non una domanda. Edward non voleva mentire a Charlie – non direttamente, comunque – e quindi si limitò ad alzare un sopracciglio.

Charlie annuì. «So che è così, e questo è il motivo per cui ti devo delle scuse, figliolo.»

Edward si accigliò e si chiese di cosa stesse parlando l’uomo.

«So cosa stai pensando,» disse Charlie, interpretando correttamente l’espressione di Edward. Charlie sembrò estraniarsi per un attimo, perso nei suoi pensieri, e Edward gelò, allo stesso tempo trafitto e sconcertato dal dolore inciso sul viso dell’uomo più anziano.

«E’ tutto a posto-» cominciò lui, ma Charlie lo interruppe.

«No, non lo è. E’ tanto che me lo porto dentro, e apprezzerei che tu mi lasciassi parlare.» Diede a Edward uno sguardo puntuto.

«Okay,» disse lui, confuso ma curioso.

Charlie annuì. «Come ho detto, ti devo delle scuse. So che per Bella è stata dura dopo che aveva rotto con te – e sapendo come la amavi, di sicuro lo è stata anche per te. Il fatto è che io avrei potuto evitarlo. Forse. Non lo so. Ma avrei potuto provare di più. Avrei dovuto provare di più.»

Edward si voltò per guardare Charlie in faccia. «Cosa intendi?»

Charlie si mise seduto sul bracciolo della poltrona. «Il divorzio tra me e sua madre ebbe veramente un brutto effetto su Bella. Il fatto che Renee se ne andasse in Arizona non aiutò di certo, ma questo lo sai. Era piccola, ma abbastanza grande per rendersi conto che sua madre  la stava lasciando. Te lo ricordi.»

Lo ricordava. Era stato un periodo orribile. Bella aveva nove anni quando Renee se n’era andata, e Edward ricordava gli impacciati tentativi di consolare la sua amica sconvolta, ricordava lei che gli chiedeva  cosa poteva fare per fare in modo che sua madre la amasse di più, così da farla restare. Era stato straziante.

«Certe cose negli anni si sono riparate, ma quel dolore le rimase. Quando tu sei partito per il New Hampshire,» continuò Charlie, «lei era terrorizzata. Lo nascondeva bene, ma … be’, non poteva nascondere certe cose al suo vecchio. La paura la mangiò dentro finché … immagino che tu sappia cosa è successo dopo, no?»

Lui scosse la testa. «Il momento in cui vidi quella lettera di rifiuto nell’immondizia, avrei dovuto sapere cosa avrebbe fatto. Dio, era proprio a pezzi. Provai a parlarle, ma non mi ascoltava. Diceva che avrebbe fatto la cosa migliore per te, che col tempo l’avresti ringraziata. Ma io la vedevo. Quella stessa vecchia paura. Ti avrebbe lasciato prima che tu potessi lasciare lei. Non essere stata accettata a Dartmouth  era solo una buona scusa.»

Edward chiuse gli occhi mentre si lasciava cadere sulla poltrona, le mani tra i capelli. Non era stata ammessa a Dartmouth? Non ne aveva idea. Non glielo aveva mai detto.

Le sue dita si strinsero tra i capelli. Non importa quali fossero le sue ragioni. Il risultato era stato lo stesso.

«Mi dispiace, Edward,» disse Charlie rialzandosi. «Probabilmente avrei potuto risparmiarvi un sacco di mal di cuore, se fossi riuscito a farle sentire ragioni. Avrei dovuto fare qualcosa-»

«No,» lo interruppe Edward, alzandosi anche lui. «Non c’è niente da perdonare. Niente di tutto questo è colpa tua. Eravamo giovani. Sono cose che capitano.» Si forzò a continuare, combattendo per evitare l’amarezza nel suo tono. «Bella e io siamo a un punto migliore, adesso. Forse tutto questo era necessario.»

Charlie gli strinse il braccio con apprezzamento. «Grazie, figliolo. E grazie per amare la mia ragazza.» Diede un’occhiata all’orologio. «E’ meglio che vada dalla sposa a vedere se è pronta. Ci vediamo tra poco.»

I pensieri di Edward vorticavano mentre se ne stava un po’ seduto per conto suo.

Era sbagliato. Era così sbagliato. Era come se il mondo fosse stato filtrato, trasformato in colori contrastanti che si scontravano tra loro. La sensazione nell’aria era discordante,  quando avrebbe dovuto essere piena di speranza. Bella. Piena d’amore, non di questa schifosa amarezza che gli lasciava permanentemente  la lingua e la gola ricoperte di orrore.

Sentì bussare alla porta. «Edward?»

Edward prese un profondo respiro e si alzò, voltandosi verso suo padre.

«Sono tutti pronti. Dobbiamo andare a prendere posto,» disse Carlisle con gentilezza. Fece una pausa, poi mise le mani sulle spalle di Edward guardandolo negli occhi. Aveva un’espressione seria. «So che stai facendo tutto questo per tua madre.»

Edward esitò «Cosa?» Era stato così attento. Se Bella aveva-

«Affrettare tutto quanto, per così dire,» continuò Carlisle, e Edward respirò. «So che vi siete ritrovati da poco, e forse sarebbe stato il caso  di prendere un po’ di tempo, invece che precipitarsi in questo matrimonio. Non è facile, lo sai. Non è mai facile.» Ridacchiò. «Ma la malattia di tua madre …» I suoi occhi si strinsero e il cuore di Edward si contorse. «Il tempo è prezioso,» continuò Carlisle dopo un momento. «L’amore è sempre un rischio, ma dobbiamo fare del nostro meglio, con il tempo che abbiamo.»

Edward non riusciva a parlare. Non sapeva cosa dire. Non sapeva se sentirsi meglio o peggio per quello che stava facendo. Non sapeva se sarebbe riuscito ad aprire bocca senza che ribollisse la sua rabbia verso Bella, verso quello che avrebbe potuto essere, verso quello che avrebbe dovuto essere.

L’amore era un rischio, e qualcuno avrebbe dovuto dirgli che lei non ne valeva la pena. Ma erano tutti lì – i suoi genitori, i genitori di lei – a dire che questa era la cosa giusta. Niente era mai stato più giusto dell’idea che Edward e Bella dovessero finire insieme.

Lei ne valeva la pena, continuavano a dire. Tutto questo valeva la pena.

Carlisle gli diede una pacca sulla spalla e si avviò verso la porta. Lui meccanicamente lo seguì.

Allora il mondo sembrò distorcersi. Era un posto surreale, e per una volta, completamente sopraffatto dall’incertezza e dal dolore, l’odio a cui si aggrappava disperatamente non c’era più.

Una volta, in questo giorno sarebbe scoppiato di meraviglia e soddisfazione. In qualche altro universo, nulla – neppure la grave malattia di sua madre, addirittura – sarebbe stato in grado di fermare il suo sorriso. Aveva avuto tanti sogni e speranze, ma nessuno più grande che fare di Bella sua moglie.

Così quando la musica cominciò e lei apparve, qualcosa nel suo cuore, nella sua mente  si spense. Si lasciò andare. Per tanto tempo aveva combattuto duramente per  mantenere la rabbia fermamente al suo fianco. La rabbia era molto più facile del dolore devastante di sapere che l’unica cosa che voleva sopra ogni altra – l’unica cosa per cui avrebbe rinunciato a tutto – era per sempre al di fuori della sua portata. Quando la vide – bella in un modo straziante, perfetta, che camminava verso di lui – cedette alla magnifica illusione che aveva inventato per il bene di sua madre.

Il passato scomparve, e per la prima volta in otto anni, si sentì intero – come quando era un adolescente. Il mondo era suo. Poteva fare qualunque cosa con questa donna al suo fianco. Era come se fosse guarito, il peso costante sul suo cuore non c’era più, ed era come se non ci fosse mai stato. Aprì la mano, lasciando che Charlie mettesse quella di lei nella sua, e quando la guardò, il suo sorriso era sincero.

Era il sorriso del suo vecchio se stesso per lei, e lui vide l’incertezza nei suoi occhi torturati prima che lei rispondesse al suo sorriso.

Si guardarono con amore e speranza, trasportati indietro di otto anni – prima che il mondo diventasse così contorto e … reale.

Subito Edward seppe che il suo cervello sarebbe tornato sui suoi passi, e avrebbe fatto male. Sarebbe tornato tutto come era prima, quando si sentiva come se lei fosse stata fisicamente strappata via dal suo corpo. Probabilmente sarebbe stato ancora peggio, e avrebbe dovuto lottare per ritrovare quella rabbia, l’odio, perché almeno attraverso l’odio poteva respirare.

Ma per quei minuti, mentre si promettevano amore eterno e devozione, si lasciò credere.

Alla indicazione del sacerdote, fece scivolare la fede nel suo dito, e lei in quello di lui.

Sempre. Per sempre.

Suo padre aveva ragione. Avevano tutti ragione. La amava. A dispetto di tutto, la amava.

E questo era il motivo per cui la odiava così tanto.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/5/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  5

 

Due mesi di vita matrimoniale e Bella stava andando fuori di testa.

Era già abbastanza brutto che ogni minuto fosse dipinto nei colori della malattia e della pesantezza dell’inevitabile. Esme aveva giorni buoni e giorni cattivi, ma anche i giorni migliori erano snervanti. Era esasperante vederla scivolare via, vedere i suoi dolori senza poter fare assolutamente niente.

La famiglia era riunita intorno a Esme e, grazie a Edward, anche Bella era coinvolta. Sapeva, naturalmente che dopo il matrimonio lei e Edward avrebbero vissuto con Esme e Carlisle per il prossimo futuro, fino alla morte di Esme. Un mese dopo il matrimonio, Alice era tornata a casa dalla scuola per l’estate. Aveva portato con sé il suo ragazzo, Jasper.

Bella voleva essere grata per questa possibilità. Era consapevole che molte persone non avevano questo, il tempo di dire tutto quello che volevano dire prima che le persone amate se ne andassero. Ma tutto questo era contaminato.

Esme afferrò la mano di Bella, sorridendo. Su suo suggerimento, le raccontò la storia di come Edward l’avesse invitata al ballo il suo ultimo anno, mentre lei era al terzo. Dopo anni a girare intorno al cambiamento della loro relazione, lui alla fine sembrava averne abbastanza. Avevano sempre voluto essere più che amici, ed era il momento che ne prendessero atto.

«Me lo spiegò come se fossimo a un corso di scienze o qualcosa di simile. Fu molto logico.» Bella sorrise malinconicamente, ricordando. «Noi siamo amici da sempre, Bella», imitò la sua voce e la sua faccia seria. «L’altro giorno mia mamma ha detto che ha tre figli. Tranne che io non voglio che tu sia mia sorella. Le relazioni che nascono come amicizie sono quelle che…» La voce di Bella si spense.

Sono quelle che non finiscono mai, aveva detto lui.

Andarono al ballo e dopo, seduti in macchina nel vialetto di casa sua, saltarono il primo bacio e andarono direttamente al “ti amo”. «Ti amo da tutta la vita.» Le aveva sorriso, e anche nel buio della notte, quel sorriso era accecante. «I miei occhi saranno sempre verdi, il mio nome sarà sempre Edward, e ti amerò per sempre.»

Esme le diede un colpetto sulla mano. Le sue dita sottili sfiorarono l’anello di fidanzamento di Bella, che aveva adesso accanto la fede, e sorrise. «Sai, ha comprato questo anello per te nella primavera del suo primo anno a Dartmouth», disse piano.

Bella sbatté gli occhi. «Cosa?»

Lo sguardo di lei era lontano. «Ricordi che aveva quel lavoro al distributore di carburante?»

«Già. Per avere un po’ di soldi da spendere al college.»

Esme rise. «Ti disse questo? Me lo sono sempre chiesta.» Scosse la testa con affetto. «Carlisle e io siamo stati molto fortunati. Ai nostri figli non è mai mancato nulla. Sapevamo fin da quando erano piccoli che avremmo potuto mandarli in qualunque college volessero. Edward non aveva bisogno di risparmiare per il college. Sapeva che avrebbe avuto tutto quello di cui aveva bisogno.

Ma Carlisle gli aveva messo in testa tanto tempo prima, che quando si trattava di ragazze, ogni gesto romantico avrebbe avuto molto più valore se veniva da soldi guadagnati.»

Bella questo lo capiva. Lei aveva un lavoro da Newton’s Olympic Outfitters, quando andava al liceo. Le piaceva fargli piccoli regali o pagare qualche uscita occasionale. Non era molto, ma la rendeva felice vederlo felice.

«Ogni appuntamento che ha avuto con te, ogni regalo, ogni ballo… ogni centesimo che abbia mai speso con te erano soldi suoi. Faceva strani lavori per i vicini quando stava a casa, ma quando se ne andò a Dartmouth, ogni centesimo che aveva guadagnato in quel distributore andò in quest’anello», continuò Esme. «Quando andai a fargli visita verso la fine dell’anno, mi portò con sé a guardare per l’anello. Era così sconvolto quando si rese conto di non avere abbastanza, ma fortunatamente riuscimmo a convincere il commesso ad abbassare il prezzo quanto bastava.»

Lo stomaco di Bella si annodò dolorosamente. A quel tempo, lei già sapeva cosa stava per fare. A quel tempo, aveva già speso parte di quello che avrebbe dovuto essere il suo fondo per il college, per quanto piccolo, per comprare un biglietto aereo per il New Hampshire, ben sapendo cosa sarebbe andata a fare là.

«Ce l’ha da allora?» chiese lei intontita.

Ebbe allora un’orribile consapevolezza. All’improvviso Bella fu dolorosamente sicura che Edward stava per farle la proposto qualche minuto prima che lei spezzasse il suo cuore.

«Oh, Bella, mi dispiace. Non volevo turbarti.»

Bella non rispose. Non stava piangendo, ma le pizzicavano gli occhi. Pensava ci fosse un limite al dolore di tutto questo intero processo. Era stata una stupida ragazzina che aveva fatto un idiota, irrevocabile errore, come fanno i ragazzini.

Il fatto era che Edward e Bella avevano pianificato le loro vite alla lettera. Quando lei non era stata ammessa a Dartmouth, il primo passo fondamentale del loro piano, si era convinta che non avrebbe avuto nulla di tutto ciò. Non avrebbe avuto la sua laurea di razza che le avrebbe permesso di entrare in un grande programma scientifico. Non sarebbe diventata un fisico famoso. Lei e Edward non sarebbero mai diventati una di quelle coppie importanti, entrambi al top nei loro campi, inarrestabili.

Era melodrammatico, e in retrospettiva, Bella capiva che era innegabilmente adolescenziale, un modo di pensare tutto-o-niente.

Ora però, quando si era finalmente decisa a farsi un progetto di vita che pensava potesse renderla felice, doveva combattere con il dolore del suo errore più grande, il suo rimpianto più grande.

E cominciava a rendersi conto di essere Renee in questo scenario, e questo era più di quanto potesse sopportare, in queste circostanze.

«Che succede qui?» La voce di Edward era tesa, e si affrettò verso sua madre. Lanciò a Bella un’occhiata gelida. Anche dopo tutto questo tempo, era come se si aspettasse da un momento all’altro che facesse del male a sua madre.

«Sto bene, caro. È tutta colpa mia.» Accarezzò la guancia di Bella, asciugando una lacrima che le era sfuggita. «Non volevo tirare fuori argomenti dolorosi, Bella. Si è risolto tutto. Ricordati solo di questo. A volte si devono fare degli errori per capire veramente quello che abbiamo.»

Bella annuì, la gola troppo chiusa per parlare.

«Sembri stanca», disse Edward a sua madre. «Vuoi che ti aiuti a stenderti?»

Esme fece una smorfia, ma non fece discussioni. Era sempre stanca. Per quanto Bella sapesse che la infastidiva, passava più tempo a dormire che altro. Concordò a malincuore con suo figlio, lasciando che spingesse la carrozzella verso la sua stanza.

Bella si ritrovò a vagare, la sua testa, come sempre adesso, troppo piena e il cuore troppo pesante. Stava provando a organizzare quello che sentiva, quello che pensava. Dal matrimonio, non aveva fatto che vacillare, sbattuta selvaggiamente contro un’ampia gamma di emozioni, una più dura dell’altra. Da un secondo all’altro, il suo umore cambiava. Era orribilmente arrabbiata con Edward per averla messa in questa posizione, per forzarla a languire in una casa dove la sua seconda madre stava morendo, il suo secondo padre era a un passo dalla devastazione completa, la donna che un tempo considerava la sua sorellina la odiava, e l’amore della sua vita sopportava a malapena di guardarla.

Eppure, la morte aveva un modo di tenerla impantanata nel suo rimpianto. La maggior parte delle volte, accettava ogni parola odiosa che Edward e Alice le scagliavano contro alle spalle dei loro genitori, perché non erano nulla in confronto alla condanna che era dentro la sua testa.

Quando sentì la voce di Alice e il suo nome, Bella si infilò in un ufficio, quello ultimamente sottoutilizzato di Carlisle, per scappare dal corridoio. Si schiacciò contro il muro, senza la vera intenzione di ascoltare, ma non potendo farne a meno.

«Basta, Alice.» La voce di Jasper suonava triste ed esasperata. Sospirò. «Tutto questo deve finire. Questo veleno… non sei tu.»

«Lei-» cominciò Alice, la voce forte e dura, ma lui la interruppe.

«Tesoro, ho sentito tutto sui peccati di Bella Swan, e te lo dico una volta per tutte, sono un mucchio di stronzate.» Il tono non era scortese, ma fermo.

«Cosa pensi-»

Di nuovo, il suo ragazzo interruppe Alice. «Vuoi sapere cosa penso? Penso che tua madre sta morendo, e tu sei spaventata. Penso che tu sia incazzata con lei perché sta per lasciarti, ma non puoi prendertela con lei. Penso che tu sia incazzata da matti anche con Edward, ma non puoi prendertela neanche con lui, perché è normale che in questo momento ti aggrappi alla tua famiglia, specialmente dopo che lui è tornato dopo tanti anni. Penso che incolpare Bella sia facile, perché se non avesse vissuto la sua vita come voleva, o come aveva bisogno, niente di tutto questo sarebbe successo, giusto? Sareste stati tutti una famiglia felice?» C’era una sfida nelle sue parole, anche se teneva il tono basso e gentile.

Lei ovviamente non aveva una risposta per questo, così lui continuò. «Forse quello che ha fatto Bella è stato stupido. Accidenti, una diciottenne che prende una decisione stupida. Non succede mai. Ma era una relazione tra liceali, otto anni fa, Ali. Ora basta.»

«Stai. Zitto.» Sembrava che Alice parlasse a denti stretti. «Smettila di difenderla. Il loro matrimonio è una commedia. Edward la odia. Lo vedo.»

Bella chiuse gli occhi, appoggiando la fronte al muro. Sentì un attimo di panico. A cosa sarebbe servito tutto questo se Alice non avesse mantenuto il segreto?

«Baby, tutto il mondo lo vede», disse Jasper ironicamente. «Tuo padre lo vedrebbe se non fosse così preso da tua madre. Tua madre lo vedrebbe, ma sono sicuro che voglia semplicemente credere che il suo ragazzo sarà felice quando lei non ci sarà più.

Ecco un’altra cosa che vedo. Qualunque cosa stia succedendo tra Bella e tuo fratello, lei vuole bene a tua madre.»

Alice lo schernì. «Certo. Per questo l’ha mollata con la stessa facilità con cui ha mollato Edward.»

«Puoi mettere il broncio quanto vuoi, ma è vero. Tutto il dolore e la paura che senti? Le sente anche lei, ma non ha nessuno a cui rivolgersi. Forse ha spezzato il cuore a Edward quando era solo una ragazzina, ma è Edward che ha deciso di stare lontano da Washington e dalla sua famiglia. È la tua famiglia che ha deciso di trasferirsi.»

Di nuovo Alice non rispose, e Bella sentì un fruscio di stoffa. Forse Jasper stava abbracciando la sua ragazza. «Non è colpa sua se tua madre è malata e tuo fratello ha perso tanto tempo con lei. Già. Sono sicuro che tra Edward e Bella stia succedendo qualcosa di poco chiaro. Ma sono sicuro anche che sia dovuto più a tuo fratello che a Bella.»

«Jasper, lei gli spezzerà di nuovo il cuore.»

«Questo riguarda solo loro.»

«No, per niente!»

«Alice.»

«Riguarda tutti noi. Se lei gli fa di nuovo del male quando la mamma è così, è così-»

«Alice.»

Ci fu una pausa, poi Bella sentì Alice che piangeva.

«Andrà tutto bene», sussurrò Jasper. Bella li sentiva a malapena.

«No, niente andrà bene.» La voce di Alice era attutita, come se fosse premuta contro il petto di lui. «Mia madre, Jazz. Vorrei… Vorrei.»

Alice crollò, e Bella, sopraffatta dalla pena, cadde sulle ginocchia. Si teneva la mano sulla bocca, piangendo insieme ad Alice.

Fuori, nel corridoio, Jasper consolava la sua ragazza. «Te lo prometto, Ali. Ti prometto che qualunque cosa accada, io sarò qui con te. Non ti lascio, baby.»

A Bella girava la testa, e tutto quello che riusciva a fare era singhiozzare silenziosamente.

Anche se era circondata dalla sua seconda famiglia, due genitori che l’amavano, tanto, anche se per i loro figli non era così, Bella non si era mai sentita così sola.

***

Nonostante le proteste di Esme e Carlisle, l’unica notte che Bella e Edward intendevano passare fuori insieme, era la loro notte di nozze. Edward aveva prenotato la più grandiosa sistemazione che aveva da offrire Forks.

Naturalmente, essendo Forks, non era dire un granché:

Edward aveva bevuto, così suo padre aveva guidato per le cinque miglia da casa fino al piccolo cottage. Edward e Bella sedevano dietro, Edward dolorante e confuso. Continuava a ricordare a se stesso che il suo braccio era intorno alle spalle di Bella perché questo era quello che suo padre e gli ospiti si aspettavano di vedere.

Per essere due persone che erano state fianco a fianco per tutto il pomeriggio, Edward e Bella avevano parlato a malapena da quando avevano pronunciato i voti. Eppure, non era stato difficile come avrebbe dovuto tenerla vicina, ballare con lei, sorriderle quando lo guardava.

Quando Carlisle salutò e loro rimasero da soli nel cottage, l’atmosfera divenne pesante di tensione. Tutti e due aspettavano, anche se Edward non avrebbe saputo dire che cosa. Aveva dimenticato le sue frasi attentamente provate. Si ritrovò a guardare il divano dall’aria confortevole, ricordando come, quando aveva prenotato la stanza, aveva pensato di farla dormire lì, invece che nel comodo letto matrimoniale che avrebbero dovuto condividere.

Alla fine, Bella si mosse. Edward sentì la porta del bagno chiudersi con un quieto clic.

Il suo stomaco e il suo cuore sembravano annodati insieme. Aveva la gola stretta. Gli bruciavano gli occhi.

Scuotendo la testa, Edward bypassò lo champagne di benvenuto e andò al minibar, versandosi un bicchiere di roba ambrata. Non sapeva neanche cosa fosse. Aveva solo bisogno del morso dell’alcool sulla lingua per calmare questo male.

Quando erano giovani e lui era uno stupido, pensava che Bella fosse una pessima attrice. Naturalmente, sapeva da quando l’aveva scaricato che non era così, ma si era dimenticato fino ad oggi quanto potesse essere convincente.

Chiuse gli occhi, provando a ricordare come gli sorrideva, timida, ma innamorata come lui.

Sempre. E per sempre

Ogni volta che l’aveva baciata, quel giorno, perché tutti se lo aspettavano, perché era quello che tutti volevano vedere, lei si era irrigidita per un attimo prima di ammorbidirsi contro di lui. Quelli erano i baci che ricordava, morbidi, dolci, pieni di promesse. Pieni di adesso e del resto delle loro vite.

Edward prese un altro sorso.

Quando Bella riemerse dal bagno, entrando nella stanza da letto dove lui era seduto, riuscì a malapena a respirare. Si era vestita per la notte, niente lingerie da prima notte di nozze, solo pantaloni del pigiama e una maglietta di cotone a maniche lunghe. Con i capelli sciolti, l’espressione penosamente incerta, somigliava tanto alla diciassettenne che era stata. Il suo amore. La sua vita.

Non c’era nulla che avrebbe voluto di più in quel momento, che questo giorno fosse reale.

Si alzò, posando la bottiglia e attraversando lentamente la stanza verso di lei. Lei lo guardava, col petto che si alzava e si abbassava a ogni respiro. Trasalì leggermente quando lui le prese il viso tra le mani. Lei le mise le mani attorno ai polsi, ma non lo allontanò, non si mosse.

Erano bloccati in uno sguardo.

Gli stati d’animo di Edward erano in conflitto. C’era una parte di lui che era così arrabbiata, così infuriata per tutto quello che lei aveva buttato dalla finestra, che le avrebbe schiacciato la testa. Voleva scuoterla. Perché? Perché non se ne rendeva conto?

Quando abbassò le labbra su quelle di lei, però, il suo bacio fu gentile. Fu l’opposto del bacio che le aveva preso nel negozio di vestiti, tutto violenza e controllo. La sentì pigolare, e le sue labbra gli risposero.

Ma mentre la baciava, ricordò la prima, e unica, notte che avevano passato insieme. All’improvviso si ricordò che tutto questo era solo una commedia. Non le era importato allora, e di certo non le importava adesso, almeno, non di lui.

Con un ringhio la fece arretrare, premendola contro il muro mentre il bacio si trasformava in qualcosa di più ferino, più aggressivo. Era furioso perché di nuovo le aveva dato il controllo delle sue emozioni, di se stesso, a questa donna di cui sapeva che non poteva fidarsi.

I suoi pensieri disordinati inciampavano l’uno nell’altro. Spostò le labbra sul suo collo e succhiò leggermente, sentendo una piccola soddisfazione quando la sentì boccheggiare.

Qualunque cosa pensasse di star facendo con lui, qui, lui non aveva intenzione di farle vincere di nuovo questo gioco.

«Edward.» La sua voce era roca, le mani che spingevano sul suo petto. Lo respinse. «Fermati.»

Lui si fermò.

Ansimavano tutti e due, e lui si chiese se anche lui avesse l’aria combattuta che aveva lei. Lui la schernì, facendo un passo avanti, così che i loro corpi erano quasi a contatto. «Che succede, tesoro?» le sue parole erano un rombo basso. «Non vuoi consumare questa cazzo di farsa?»

Il dolore che balenò sul viso di lei gli fece venire la nausea.

Lei prese un respiro tremante. «Ci sono tante cose che mi merito che tu mi dica,» disse lei, la voce bassa e quieta. «Ma questa non è una di quelle. Puoi gridare, urlarmi contro per le cose che ti ho fatto, ma non puoi farmi sentire immondizia. Nessuno merita questo.»

I suoi occhi si erano riempiti di lacrime rabbiose mentre si voltava e cercava di uscire dalla sua portata.

Lui si sentì peggiore della peggior feccia, ma era ubriaco, e ferito, e arrabbiato. Allungò la mano e le prese il braccio prima che si potesse allontanare. «Che differenza fa?» sibilò lui. «L’hai già fatto una volta, quando non significava niente per te. Cosa è cambiato?»

Le lacrime rigarono il viso di lei, e Edward avrebbe dato qualunque cosa per poterle asciugare. Odiava vederla piangere. Gli anni e la rabbia non avevano cambiato questo fatto.

«Significava tutto, per me, brutto stronzo.» A dispetto delle parole rabbiose, la voce era poco più che un sussurro.

Scuotendo la testa, lo spinse via andando verso il soggiorno, sbattendo la porta della camera da letto dietro di sé.

Edward rimase lì, guardando la porta chiusa per quelle che sembrarono ore, sentendo che piangeva. Aveva lo stomaco sottosopra e riusciva a malapena a non vomitare. Vomitare gli avrebbe dato un sollievo che non si meritava. Si mise sul letto, la testa tra le mani, cercando di trovare le ragioni della sua furia, della confusione, del dolore.

A un certo punto si addormentò, ma quando si svegliò era ancora buio. Il cottage era silenzioso. Con attenzione aprì la porta e guardò in soggiorno.

Ovviamente Bella stava dormendo. Era arrotolata su se stessa, la testa nascosta, le braccia avvolte intorno alle gambe. Accese un attimo la luce e il suo cuore si contorse quando vide le sue guance rigate di lacrime.

Tornando in camera, prese la coperta e la portò di là, appoggiandola sul suo corpo rannicchiato. Si inginocchiò al suo fianco, la mano che aleggiava sulla guancia di lei.

Sua moglie.

Più confuso di quanto fosse mai stato in vita sua, Edward tornò di nuovo nella stanza. Invece che tornare a letto, si buttò sulla poltrona e guardò la fede d’oro al suo dito finché sorse il sole.

***

Edward era seduto al tavolo della cucina, evitando di proposito la sala da pranzo dove Bella stava giocando a carte con sua madre, suo padre e Jasper. Alice era in visita da un’amica e Edward …

Edward faceva finta di avere delle cose di lavoro da fare. In realtà, stava girando avanti e indietro la fede.

La sera prima, quando si erano ritirati nella stanza che condividevano, lei aveva provato a parlargli dell’anello di fidanzamento.

Lui era diventato di nuovo così rabbioso, le aveva solo ringhiato contro che quello era una delle molte cose di cui aveva intenzione di sbarazzarsi nei prossimi mesi.

Anche se la loro rottura lo aveva lasciato amareggiato e irrevocabilmente cambiato, Edward non riconosceva se stesso, in questi ultimi mesi. Una cosa era essere arrabbiati, ma pensando alla loro prima notte di nozze e alla sera prima, sapeva che stava sfiorando la crudeltà.

Jasper gli aveva detto, «L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza.» Edward aveva finto di non sapere di cosa stesse parlando.

Alzandosi in piedi, Edward diede un’occhiata in sala da pranzo. Osservò per qualche minuto, vedendo sua madre e suo padre scherzare e godersi il tempo con lei. Sentì una pugnalata di gelosia alle budella quando suo padre allungò la mano e accarezzò la guancia di Bella, in un gesto di affetto paterno.

Sentì un’ondata di nostalgia, e desiderò poterla toccare così. Strinse i pugni. Cercò di frenare quella pena intensa. La sensazione della sua fede stretta nel palmo, che gli mordeva la carne, gli rese un po’ più facile pensare. Un po’.

Non abbastanza.

Buttandosi l’anello in tasca, afferrò la giacca e le chiavi. «Torno subito», disse agli altri. Era fuori della porta prima che qualcuno potesse reagire.

Fuori, nell’aria fredda dell’estate di Forks, poteva respirare un po’ meglio, ma capì in fretta che non era abbastanza. Aveva i polmoni chiusi, come se fosse costretto sott’acqua da un peso sulle sue spalle. Soffocava.

Andò dritto verso la sua macchina, sapendo che doveva andarsene da quella casa, anche se solo per poche ore.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

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Capitolo  6

 

Edward odiava la sua fede di matrimonio.

Anche nascosta alla vista, avrebbe giurato di sentirla ancora contro la pelle. Era come se avesse preso quel cerchietto di metallo e l’avesse tenuto sulla fiamma fino a renderlo incandescente, e solo dopo l’avesse messo in tasca.

Provò a non pensarci e  scese per il lungo viale.

Senza sapere dove andava, guidò oltre Forks. Edward immaginò che poteva andare più lontano, verso la fitta foresta o verso le spiagge rocciose di La Push, ma che senso aveva? Il silenzio avrebbe solo approfondito la sua confusione, l’avrebbe mandato solo più fuori di testa,  e lui già stava messo male.

Questo posto era infestato – ricordi della sua infanzia felice erano ovunque. Da ragazzo detestava questo posto piovoso. Era una brutta, piccola città – neanche  graziosa come a volte sono le piccole città -  ma per qualche ragione, sua madre era sempre stata innamorata di questo posto.

Suo padre gli aveva detto di colpo che sua madre stava morendo e che si sarebbero di nuovo trasferiti a Forks per i suoi ultimi mesi. Era il posto dove voleva stare, Dio solo sa perché. Avevano venduto la loro casa a Seattle e si erano trasferiti nella casa dove lui era cresciuto.

Dove lui e Bella avevano giocato da bambini.

Dove si erano dati il primo bacio a nove anni solo per vedere perché se ne parlasse tanto e decidendo che era sopravvalutato, per cambiare opinione poi più avanti.

In questi ultimi otto anni, Edward aveva desiderato essere quel tipo di persona che torna in un posto dove ha solo bei ricordi e riesce ad assaporarli. Pensò che forse era questo, che stava facendo sua madre: circondarsi di un luogo dove i suoi ricordi potevano farla sorridere, perché la realtà era difficile da sopportare.

«La morte non mi spaventa», aveva detto Esme a Renee, ignara che Edward fosse lì vicino. «Quello che mi spaventa è la mancanza di una risoluzione, non per me, ma per i miei figli. Mi preoccupo per Carlisle, naturalmente. Alla fine, comunque, penso di avergli dato una buona vita. Troppo breve, forse, ma ha conosciuto l’amore. Ha due figli meravigliosi che si prenderanno cura di lui. Siamo stati bene insieme. Abbiamo, pianto, riso, ci siamo persi e abbiamo vissuto tanto insieme. Quello che vorrei è sapere che i miei figli avranno una buona vita come l’ho avuta io. La mia Alice … è un po’ presto per dirlo, ma Jasper è una brava persona. Mi preoccupo anche di lei, ma meno, perché un buon compagno ti spinge ad essere il meglio di ciò che puoi essere. Ho aspettato che capisse che non deve per forza stare vicino a casa. E’ sempre stata così curiosa del mondo, ma cerca di rimediare all’assenza del fratello, negandosi delle possibilità che sarebbero molto buone per lei. Sai che le hanno offerto uno stage a Parigi?»

«Wow, sembrerebbe perfetto per lei.»

«Lo sarebbe stato», disse Esme malinconica. «Ma lei ha rifiutato perché non voleva stare così lontana da casa per tanto tempo.» Sospirò. «Ma almeno, con lei, ho fiducia che Jasper la incoraggerà a realizzarsi. Lui sembra vedere il suo potenziale.

Edward», disse in tono pesante, e il cuore di Edward si contorse. Si aspettava la sua condanna, per tutto il tempo in cui era stato assente. «Il mio dolce, testardo ragazzo. Si mette una cosa in testa, e non c’è più niente da fare.»

«So com’è», disse Renee . E Edward sentì una fitta di vecchio, vecchio sarcasmo. Come se le fosse mai importato qualcosa di Bella.

«Ci credo», disse Esme col sorriso nella voce. «Oh, Renee. Come mi darebbe pace vedere Edward almeno sulla strada per la felicità. Ha fatto tutto senza passione. Ha lavorato duro per avere successo, per renderci orgogliosi, ma io davvero non capisco. E’ così ovvio per me che odia il suo lavoro. Io e Carlisle non potremmo essere più fieri di quello che è riuscito a fare, ma che significato ha se non gli dà nessuna soddisfazione?

Ed è così solo.» Un altro sospiro. «Mi dice che non ha bisogno di una compagna per essere felice, e questo andrebbe bene… se fosse felice.»

«Potresti anche star parlando di Bella, adesso. Lei dice le stesse identiche cose.»

Esme fece una pausa mentre lo stomaco di Edward si annodava. Ogni volta che sentiva il nome di Bella, era come se un ago gli si infilasse nel cuore, un dolore insistente, anche se si era detto mille volte che doveva andare avanti e lasciar andare.

Doveva lasciarla andare.

«È felice?» chiese Esme con voce speranzosa.

Edward trattenne il respiro.

«Lei… non è infelice.»

«Sono sempre stati una così bella coppia.»

«È vero. Si aiutavano l’un l’altro. Andavano bene l’uno per l’altro.»

Edward fece un cenno si scherno, il sapore in bocca sempre più amaro.

«Non ho mai smesso di sperare», disse Esme. «Sai, il vecchio adagio. Se sono destinati, ritroveranno la loro strada l’uno verso l’altro. Anche adesso, non posso fare a meno di sperare…»

«Anch’io», ammise Renee. Abbassò la voce, e Edward dovette sforzarsi per sentire. «Probabilmente penserai che è folle, ma ho letto qualcosa a proposito della stregoneria. Niente di oscuro, ovviamente. Ma tipo, l’altra settimana ho fatto un piccolo incantesimo. Sai, solo una spintarella per aiutare il destino.»

Le due donne ridacchiarono. «Chissà, magari funziona.»

Edward sbatté il capo contro il poggiatesta ringhiando contro se stesso.

Forse l’incantesimo mistico di Renee aveva funzionato, in qualche modo. Forse era per quello che gli era venuta in mente quell’idea folle.

Edward non era mai stato bravo con la passività. Non era da lui far fronte a una situazione simile in alcun modo  razionale. Quando suo padre l’aveva davvero convinto che non c’era assolutamente niente da fare, Esme non aveva più nessuna possibilità di cura, non importa quanto dispendiosa o sperimentale, Edward aveva rivolto la sua attenzione al compito di farla più felice possibile. Quando era stato chiaro che non poteva viaggiare, aveva lasciato la sua compagnia in altre mani ed era venuto a Forks per stare con la sua famiglia. E poi…

E poi, per dare a sua madre un po’ di serenità, aveva concertato questo piano.

E la completa distruzione della sua stessa serenità.

Ricordava le parole di Renee. «Lei… non è infelice.»

Anche lui non era infelice. Sua madre aveva ragione; era solo, e non era contento, ma non era infelice.

E adesso invece lo erano tutti e due.

Edward tamburellò le dita sul volante, notando che in qualche modo era finito nello stesso parcheggio da cui aveva guardato Bella per quattro ore prima di avvicinarla. Tirò fuori la fede dalla tasca e la fissò.

Quella cosa dannata.

Per i suoi genitori, un anello simile era il simbolo di tutto ciò di cui aveva parlato Esme. Diceva che questa persona era collegata a un’altra, parte di un intero più grande. Diceva che camminavano in questo mondo, con tutte le difficoltà e le gioie, insieme.

Per tutta la vita, fin da quando era un ragazzino, questo era tutto ciò che Edward aveva voluto. Quello che avevano i suoi genitori.

Quando aveva dieci anni e Bella nove, e sua madre l’aveva abbandonata, lui l’aveva presa per la mano. «Sai, io non ti lascerò mai», le aveva promesso. «Io non credo che tu possa fare una cosa tanto cattiva per cui qualcuno che ti ama ti possa abbandonare.»

Ricordava bene che, pensando a Charlie e Renee, pensò che se mai avesse sposato Bella non avrebbe mai potuto lasciarla come aveva fatto Renee.

Come aveva fatto Bella.

Così la fede che adesso era costretto a indossare giorno dopo giorno era uno schiaffo in faccia, un memento di tutto ciò che era stata ogni sua speranza e ogni suo sogno, buttati via con tanta facilità. Volati via come polvere nel vento.

Voleva risposte. Voleva risposte a tante domande, ma era troppo arrabbiato per chiedere, troppo consumato dal rimpianto e dalla colpa.

Edward prese la sua ventiquattrore, sentendosi in controllo per pochi preziosi secondi quando sentì il familiare clic-clic delle serrature che si aprivano. Ci buttò dentro la fede e la chiuse di nuovo prima di scendere dalla macchina. Infilando le mani in tasca, entrò nel piccolo ristorante per la prima volta.

Dentro, si prese un attimo per respirare. Questo era il mondo di lei senza di lui, un mondo di cui non sapeva nulla. Era più che curioso di scoprire perché lei avesse scelto questo mondo invece del futuro che poteva avere con lui.

Distratto come era, gli ci volle un po’ per capire che la sua cameriera, Jessica, stava flirtando con lui.

Fu per pura abitudine che rispose al sorriso. Aveva da molto tempo perfezionato questo gioco. Nel mondo degli affari, un’apparenza esperta e affascinante era molto utile per ottenere ciò che si voleva. Non che volesse qualcosa da Jessica.

Bene.

Gli venne in mente che forse Jessica aveva qualcuna delle risposte che stava cercando disperatamente. Sapeva che conosceva Bella; le aveva viste ridere insieme mentre guardava Bella quel giorno.

Il suo sorriso si allargò. Inclinò la testa mentre rispondeva alle chiacchiere di Jessica. Sì, era nuovo in città, più o meno. Concordò che non c’era molto da fare, qui.

«Ovviamente», disse Jessica facendo le fusa, «Se sai come essere creativo…»

«Hey, Jess!»

Una voce tonante li interruppe, facendo sobbalzare Edward e alzare gli occhi a Jessica. «Hey, Emmett», salutò l’uomo enorme che era arrivato dietro di lei.

Le fece un sorriso e poi si voltò verso Edward con un ghigno. «Quindi hai incontrato Edward Cullen.»

La cameriera sgranò gli occhi e guardò Edward con aria di accusa. «Edward Cullen il marito di Bella?»

«Proprio lui.»

Edward fece una smorfia, sentendo scaldarsi le guance. «Non ci siamo presentati», disse disinvolto.

Il ghigno dello sconosciuto divenne un gran sorriso insincero. Non stava neanche provando a nascondere quanto non gli piacesse Edward.

Jessica si schiarì la gola. L’atmosfera stava diventando decisamente sgradevole. «Che posso portarti?»

«Prendo il solito per me, Rose e i ragazzi. Da portare via, per favore.» Guardò Edward. «Parlerò con il mio amico, qui, mentre aspetto.»

«Mi sembra una buona idea.» Si voltò a guardare Edward con freddezza. «E lei, mister Cullen? Vuole qualcosa?»

«Solo una Pepsi, per favore.»

Quando Jessica se ne fu andata, i sue uomini si guardarono con occhi duri. Per quanto Edward si dicesse che non gli importava, che non doveva importargli, non poteva fare a meno di immaginare quest’uomo con Bella. Era per questo che gli occhi dell’altro brillavano di rabbia? Era geloso?

Emmett sbuffò. «Sei fortunato che non ti abbia beccato mia moglie, stronzo, o a quest’ora saresti senza palle.»

La guancia di Edward si contrasse. «Non so di che parli», rispose freddamente, guardando Emmett direttamente negli occhi.

L’altro uomo sbuffò. «Ne sono sicuro.»

La derisione nello sguardo diretto di Emmett stava irritando Edward. «Ci siamo incontrati da qualche parte che non ricordo?» Se Emmett fosse andato al liceo con loro l’avrebbe riconosciuto. «Come fai a sapere chi sono?»

«Come ti conosco?»

«È quello che ti ho chiesto.»

L’uomo spostò lo sguardo. «Conosco Bella da cinque anni, ormai», cominciò lentamente. «È la più dolce, la più altruista anima che abbia mai conosciuto. Per questo si mette sempre nei guai.» Diede a Edward uno sguardo significativo. «Ma non devo dirti io queste cose, vero? È tua moglie.»

Edward lo schernì. «Sì, so bene quanto importi delle persone, a mia moglie.» Non si preoccupò di nascondere la derisione in quelle parole. Ovviamente quest’uomo già pensava il peggio di lui. A questo punto non aveva nulla da perdere.

Emmett inclinò la testa. Qualcosa di pericoloso gli scintillò negli occhi. «Già,» disse, come se avesse avuto risposta a una domanda che non era stata fatta ad alta voce. Quando continuò, il suo tono era più duro. «Come quando aveva risparmiato abbastanza soldi per iscriversi a scuola ma cedette fino all’ultimo penny perché la sua matrigna non perdesse la casa. O quando rinunciò all’unico lavoro mezzo decente che abbia mai avuto, un lavoro che l’avrebbe tenuta più in salute, perché quello stronzo del suo ex si salvasse dal carcere.

E so cosa stai pensando», disse in fretta. «Lo vedo lo sguardo che hai in faccia. Anche il suo capo l’ha giudicata male per questo. Le ha dato dell’idiota per aver avuto a che fare con quell’uomo, e per questo le diede un ultimatum: Jacob o il suo lavoro. Ma quello che lui non aveva capito era che il padre del suo ex si stava riprendendo da un infarto. Quel pover’uomo era in pessime condizioni, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno erano problemi col suo figlio idiota. Bella sacrificò la sua unica opportunità per salvare dalla sofferenza un povero vecchio paralizzato.»

Edward era silenzioso sotto lo sguardo appuntito di Emmett.

L’altro uomo si passò la mano sulla bocca. «Non sapevi niente di tutto questo.» Non era una domanda. Se ne era reso conto adesso.

Gli occhi di Edward si spostarono, poi tornarono su di lui, ma non parlò.

Il modo in cui Emmett sbuffò e l’espressione della sua faccia suggerivano che era niente di più di quanto si aspettasse. Lui spostò di nuovo lo sguardo, le labbra una linea sottile. «Ogni volta che Bella ha provato a mettersi al primo posto nella sua vita, i bisogni di qualcun altro diventavano più importanti. Chissà. Magari dà senso alla sua vita. Ma questo?» scosse la testa, la rabbia che trasudava dal suo tono. «Questo le supera tutte. Ha mollato il suo appartamento, il suo lavoro, tutti i suoi piani per andarsene finalmente da questo buco di merda in quattro e quattr’otto. Per te, a quanto pare. Immagina la nostra sorpresa quando abbiamo scoperto che si era sposata con te senza dire una parola a nessuno di noi.»

La sua agitazione cominciava a trasferirsi alle sue azioni, ora. Le sue mani erano sul tavolo, e stringeva i pugni di tanto in tanto. Sbraitava completamente, adesso, senza guardare Edward mentre parlava in fretta. «Quando chiamiamo o mandiamo un messaggio, si limita a rispedirci un messaggio dicendo che sta bene. Non chiama, non viene a trovarci. Non è complicato incontrarsi in un posto così piccolo… deve farlo apposta.»

Emmett guardò di nuovo Edward. Più che rabbia, c’era dolore nei suoi occhi. «Ti ho fatto un quadro abbastanza chiaro? Questo già suona come qualche stronzata da Dateline NBC*. Non mi sorprenderei a questo punto se finisse scomparsa o morta perché tu possa riscuotere i soldi della sua assicurazione sulla vita.»

«Non ho bisogno dei soldi dell’assicurazione», sputò Edward, trovando alla fine la voce. «Tutto questo non c’entra. Non hai risposto alla mia domanda. Tu mi conosci. Come?»

«Conosco la tua faccia», ammise Emmett, sedendosi. «Ho aiutato Bella a traslocare. C’era una scatola. Bella veramente stava per buttarla nel cassonetto, ma poi ci ha ripensato.» Ghignò. «Ho sbirciato.»

«La mia foto era lì», ipotizzò Edward.

«La scatola era piena di roba di Edward Cullen, da quello che ho visto.» Emmett fece spallucce. «Non sono mai riuscito a farla parlare di questo.»

Scuotendo la testa, Emmett si chinò sul tavolo, abbassando la voce. «Io non so cosa hai fatto a Bella, ma te lo dico adesso, non mi piace. L’hai già portata via dalla vita che stava appena rimettendo insieme. Di nuovo. La stai tenendo lontana dai suoi amici, e se vieni qui in parata come se non fossi sposato, e ti metti a flirtare con una donna a cui Bella è vicina, sei una feccia che prima o poi avrà quello che si merita. Capisci cosa intendo, fenomeno?»

«Non avevo intenzione di fare proprio nulla», disse Edward a denti stretti. Si rese conto di quanto suonassero colpevoli quelle parole, e si irritò. Anche se avesse avuto intenzione di fare qualcosa di più che flirtare con Jessica, e non era così, non è che avrebbe esattamente spezzato il cuore a Bella. E lui non la teneva lontana da nessuno, era una sua scelta.

«Okay, certo», disse Emmett con un gesto della mano, rifiutando la difesa di Edward senza pensarci un attimo. «Punto fondamentale? Noi vogliamo bene a Bella. Se tu non puoi amarla, lascia che torni da noi.»

Poi si alzò e se ne andò senza dare neanche un ultimo sguardo a Edward.

 

***

 

Con Alice e Edward fuori per il pomeriggio, Bella riuscì a rilassarsi, per la prima volta da mesi.

Era una triste situazione, quella in cui si trovava. Eccola qua, una fresca sposina profondamente sollevata di avere suo marito fuori di casa.

Non si poteva negare il fatto che il comportamento antagonistico di Edward rendesse le sue giornate più pesanti e sfinenti emotivamente di quanto fosse inevitabile. Il suo sguardo era sempre attento, come se si aspettasse sempre che combinasse un casino, che dicesse ai suoi genitori qualcosa che non doveva. Dalla loro conversazione nel negozio di vestiti, non aveva più detto apertamente che si aspettava che ferisse Esme, ma nei suoi occhi c’era sempre un avvertimento: se avesse messo un piede oltre la linea, sarebbe stato un inferno.

Poi c’era un sapore dolceamaro nelle loro interazioni. Spesso, a beneficio dei suoi genitori, la toccava con tenerezza: un tocco con le dita sulla guancia, una spinta gentile con la spalla, un bacio occasionale sulla guancia. Per qualche secondo, minuti, a volte, poteva far finta di star vivendo un’altra vita, una vita al cui diritto aveva rinunciato. A volte si confondeva, perché quando la guardava con gentilezza, per un battito di ciglia poteva credere di aver trovato il modo di tornare indietro nel tempo, e fare che tutto fosse come doveva essere.

Era un modo di vivere che le spezzava i nervi, come se dovesse sempre camminare sulle uova e respirare piano.

Molte volte, negli ultimi due mesi, Bella aveva provato a ragionare con Edward. Non era necessario che ci fosse tensione tra loro. Certo, far finta di essere felicemente sposati quando non era affatto così rendeva le cose per forza spiacevoli, ma forse questa era anche una seconda possibilità. Era ovvio che nessuno dei due era guarito dalla loro rottura di tanti anni fa; se fossero riusciti a parlare, magari avrebbero potuto dare a tutto una conclusione e trovare pace entrambi.

Ma Edward semplicemente non era pronto ad ascoltare. La sua rabbia era immediata e li consumava entrambi.

Per la prima volta, Bella poté godersi un pomeriggio con Esme e Carlisle. Anche se era guardinga, all’inizio, Jasper ebbe su di lei un’influenza calmante. Era come se lui sentisse il nervosismo intorno a lui, e si prodigasse per metterla a suo agio.

Per qualche ora, Bella si sentì tra amici.

Quando Edward tornò da dovunque fosse stato, le difese di lei furono subito di nuovo su. Si irrigidì, aspettandosi che lui la trascinasse in un angolo per interrogarla su quello che si era perso mentre era via. Come minimo si aspettava che la controllasse più da vicino del solito, ma non lo fece.

La guardava, ma c’era qualcosa di diverso.

Per tutta la sera, Edward fu innaturalmente quieto. Così, diverse volte, Bella alzò lo sguardo, trovandolo che la fissava, ma non nel modo duro che gli era solito. C’era qualcosa di contemplativo e vagamente addolorato nella sua espressione. La guardò a cena mentre aiutava Esme a tagliare il suo cibo in piccoli pezzi e la incoraggiava a mangiare qualcosa.

Bella avrebbe dato qualunque cosa, in quel momento, per sapere cosa pensava, cosa significasse quello sguardo.

Per tutta la sera non disse nulla, a meno che qualcuno non parlasse con lui. Rimase lì seduto, tranne per dare un bacio a sua madre quando Carlisle la prese in braccio per portarla al piano di sopra, a letto. Di nuovo Bella sentì i suoi occhi su di sé mentre saliva le scale dietro la coppia, per abbassare le coperte del letto di Esme, così che Carlisle potesse metterla a letto.

C’era qualcosa di strano, non di peggiore, ma strano, che rendeva Bella agitata ed ansiosa.

Non sapendo cosa fare, Bella si ritirò nella stanza che condividevano. Si accomodò sul divano con un libro, in attesa degli eventi.

Passò un’ora, poi due, e lui non veniva. I nervi le facevano pizzicare la pelle, e si ritrovò preoccupata per lui. Alla fine, decise di scendere.

Quello che vide in soggiorno, appena in fondo alle scale, la fece boccheggiare, facendole saltare il cuore in gola. Edward era steso sul pavimento, gli occhi chiusi. Chiamandolo freneticamente, sfrecciò al suo fianco e si inginocchiò. Prendendogli il viso tra le mani, lo guardò, cercando di capire cosa avesse, e continuando a chiamarlo.

Lui aprì lentamente gli occhi e Bella fece un sospiro e ridacchiò sollevata quando vide che erano velati e arrossati. Vedendo che non era ferito o svenuto, lo avrebbe baciato. «Sei caduto?» gli chiese piano.

«No.» La parola era impastata. Come sospettava, era molto, molto ubriaco. «Solo stanco.»

Faceva sempre così, quando era più giovane, trovava un posto dove rannicchiarsi sul pavimento e si addormentava. Era una strana abitudine che col tempo aveva perso. «Troppo stanco per salire le scale?» chiese lei.

«Mmhmm.»

Lei cominciò a provare a mettergli un braccio intorno.

«Che fai?» brontolò lui.

«Devi alzarti. I tuoi genitori non possono vederti così», spiegò.

«Cazzo.» Suonava come se la cosa gli fosse appena venuta in mente.

«Non ti preoccupare. Ti aiuto.»

Insieme, riuscirono a rimettersi in piedi, anche se lui vacillava un po’. Lei guidò il braccio di lui sulla sua spalla, cercando di non barcollare sotto il suo peso. Arrivati alle scale, lei gli avvolse le dita al corrimano. «Appoggiati qui o appoggiati a me. Non cadrai, okay?»

«Okay.»

In qualche modo, passo dopo passo, arrivarono di sopra, e lei lo portò nella loro stanza. Lo spinse con gentilezza sul letto e si abbassò per togliergli le scarpe.

Lui la guardava di nuovo, con espressione infelice. «Bella?» mormorò.

Il tono era dolce, gentile, e il cuore di Bella perse un colpo. Chiuse gli occhi di fronte all’assurdo, doloroso assalto di nostalgia, e deglutì. «Sì?»

«Perché fai questo? Io sono uno stronzo.»

Bella non rispose subito. Finì di togliergli le scarpe e gli rimboccò le coperte. «Perché io non lo sono.»

Lui non disse nulla.

Bella prese un bicchiere d’acqua e un’aspirina e li appoggiò sul comodino, sapendo che ne avrebbe avuto bisogno la mattina dopo. Lui aveva inclinato la testa verso di lei, gli occhi aperti che la seguivano.

Per un lungo momento si guardarono. Lei si morse l’interno del labbro.

Non sapendo bene cosa dire o fare, Bella spense la luce e si ritirò sul divano.

«Bella?» disse lui nel buio qualche minuto dopo.

Il cuore di lei martellava dolorosamente contro il suo petto. «Sì?»

«I soldi…» Deglutì. «Quando divorzieremo, voglio che tu prenda i soldi che ti ho promesso e vada a scuola.»

Lei non sapeva bene cosa si aspettava, ma di certo non era questo. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Se pensava che avrebbe preso i suoi soldi, si sbagliava di grosso.

Ma non aveva importanza. Le sue parole erano impastate. Era ubriaco, e chissà che diavolo gli stava passando per la testa.

«Dormi, Edward», disse lei piano.

Il respiro di Edward si regolarizzò, molto prima che anche Bella si assopisse.

 

 

 

* “Dateline NBC” programma giornalistico americano che fa inchieste sui predatori sessuali, più che altro pedofili (ndt)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/7/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  7

 

Come ogni adolescente, Edward era preoccupato del sesso. Ci pensava. Un sacco. Avere una ragazza non aiutava. Avere una ragazza che era incredibile sotto le sue mani, con un corpo caldo che reagiva a lui, rendeva la cosa ancora più dura.

Più di una.

Naturalmente lui poteva aspettare. Non era un animale fuori controllo. Ne avevano parlato come esseri umani razionali e avevano deciso che volevano entrambi aspettare il momento giusto. Non sembrava giusto fare sesso sotto il tetto dei loro genitori, quindi non sarebbe successo mentre erano al liceo. L’idea di prendere una camera d’albergo gli sembrava di cattivo gusto; non volevano sentirsi come se si stessero nascondendo.

La notte prima che lui partisse per Dartmouth, aveva tenuto Bella tra le braccia, nel suo letto, finché avevano potuto, prima che lei dovesse tornare a casa.

«Non c’è fretta», aveva mormorato lui contro i suoi capelli. «Abbiamo il resto delle nostre vite.»

Erano d’accordo. Quando sarebbe stato il momento giusto, l’avrebbero saputo.

Stando al college, il sesso era un argomento inevitabile. Tutti ce l’avevano in testa e tutti lo facevano. Magari non era l’unico vergine al campus, ma a volte si sentiva proprio così. I suoi compagni non riuscivano a capire perché uno come lui, che avrebbe potuto scegliersi qualunque donna del campus, fosse fedele a una fantomatica ragazza.

«Un ragazzino del liceo», lo scherniva il suo compagno di stanza, come se non fosse stato anche lui un ragazzino del liceo solo un anno prima.

«Lei non lo saprà mai. Cosa hai da perdere?» diceva un altro dei suoi compagni.

«Tutto», aveva replicato Edward senza mezzi termini, e aveva lasciato cadere.

Ma loro non mollavano. Se ne uscivano con storie di tutti i tipi che, a dispetto dei suoi sforzi, gli andavano sotto pelle.

«Io sono di una piccola città», disse una ragazza. «Lì non c’è nulla da fare, se non droga o sesso. Se non avete fato sesso quando eri là, adesso probabilmente avrà trovato qualcun altro annoiato come lei.»

A volte, ma solo a volte, si chiedeva se non fosse troppo ingenuo. La storia nella sua testa era bellissima. Quello che aveva con Bella era un sogno. Solo pensare a lei gli faceva brillare gli occhi e lo mandava in estasi. Lei gli faceva venire le farfalle nello stomaco. Lei gli faceva sentire le canzoni d’amore più sdolcinate e lui muoveva la testa con fervore a ogni parola melensa.

Lei gli faceva credere in per sempre. Più di questo, non vedeva l’ora del loro futuro insieme. Perché no, quando  quello che sentiva per lei era che tutto era buono, puro e meravigliosamente bello nel mondo?

Ascoltando i suoi compagni, cominciò a ripensare a se stesso. Si stava comportando da stupido? Non viveva nella realtà? Davvero quello che aveva con Bella era malleabile e, be’, umano come la relazione di chiunque altro?

Non aiutava il fatto che la maggior parte degli amici di lei fossero maschi.  Usciva più che altro con Mike Newton e Seth Clearwater. Mike l’aveva aiutata ad avere il lavoro al negozio di suo padre. Quando parlava con lei al telefono, la sua conversazione era costellata del nome di Mike, di Seth e di un ragazzo della riserva che gli aveva detto avere problemi a prendere un no come risposta.

Però, quando era a casa per il Ringraziamento, le vacanze di Natale o di Pasqua, erano sempre attaccati come gemelli siamesi. Lei ricordava a malapena il nome degli altri ragazzi quando erano insieme. Quando lei era con lui, gli sembrava si sentisse come si sentiva lui: completamente e beatamente innamorata.

E poi c’era stata la notte prima.

Bella era venuto a trovarlo – e a fare un giro del campus – da sola.

Erano finalmente, finalmente da soli. Niente genitori. Il compagno di stanza di Edward era stato cacciato per la notte.

La notte precedente era stata di gran lunga la migliore di tutta l’esistenza di Edward. Nonostante fossero imbranati, nervosi principianti, tutta la notte era stata la perfezione. Solo vedere Bella in quel modo, nuda e gloriosa davanti a lui, era stato meglio di qualunque altra cosa. Aveva fatto tesoro di ogni momento, meravigliato di ogni rossore, ogni minimo suono che riusciva a trarre da lei.

E quando era scivolato dentro di lei per la prima volta, era stato come essere a casa. Si era sentito completo. Intero. Giusto.

Si possono dire un sacco di cose sul sesso. Lui sapeva che poteva essere rude. Poteva essere divertente. Poteva essere orribile. Quella notte, con Bella, aveva scoperto che quando i poeti dicevano che il sesso era come essere vicini a Dio e essere vivi, avevano ragione.

Non c’era nient’altro al mondo, solo loro, i loro corpi che si muovevano assieme, la sua voce, i suoi sospiri pieni di piacere nel suo orecchio. Solo sentire il suo nome uscire dalle sue labbra le diede la gioia più grande che avesse mai provato.

Si era addormentato con Bella tra le braccia, sentendosi parte di un intero molto più grande. Anche se c’era una parte di lui che pensava che fosse un po’ ridicolo, si sentiva come se si fosse imbattuto in un segreto che nessun altro al mondo aveva mai conosciuto.

Svegliarsi col suo piccolo corpo nudo contro di sé, le gambe e le braccia aggrovigliate, era esattamente il modo in cui voleva cominciare ogni giorno per il resto della sua vita.

Si svegliò lentamente, godendosi la luce del primo mattino che giocava sulla pelle di lei. Si era chiesto se si sarebbe sentito diverso, dopo la loro prima volta, ed era così. Si sentiva assolutamente diverso.

Come era possibile sentirsi così connessi a una persona? Era nel suo sangue. Di certo erano parte della stessa anima.

Adorante e in soggezione – sentendosi fortunato che questa ragazza, questa donna, avesse scelto lui tra sette miliardi di persone sulla terra – allungò la mano per spostare una ciocca di capelli dal suo viso, per poterla guardare.

La sua migliore amica. La sua ragazza. Adesso la sua amante. E un giorno…

Il suo cuore perse un colpo quando ricordò ciò che aveva nella tasca. Per tutto il giorno prima, mentre le mostrava il campus, aveva sentito la scatolina dell’anello contro la coscia. Più di una volta si era chiesto come non se ne fosse accorta, di quel piccolo rigonfiamento alla sua sinistra.

Edward ancora non sapeva come le avrebbe fatto la proposta. Uno dopo l’altro, gli si presentavano scenari elaborati. Steso qui, con Bella al suo fianco, si rese conto che era stato uno sciocco.

Questa era Bella. Non avrebbe voluto niente di elaborato. Non avrebbe voluto essere parte di uno spettacolo.

No.

Qui nel suo piccolo letto, mentre facevano il primo passo del resto della loro vita insieme, era perfetto. Solo loro. In questa calda bolla di beatitudine.

Risoluto, Edward cominciò a guardarsi intorno, attento a non disturbare la ragazza che aveva tra le braccia. Scalciò un piede fuori dalle coperte, pescando  i suoi jeans da dove erano caduti sul bordo del letto. Con attenzione, per non farli cadere, li tirò verso di sé.

«Sì», sibilò sotto voce quando i jeans furono abbastanza vicini da poterli afferrare.

Bella emise un piccolo gemito e le sue ciglia tremarono. Edward si accigliò e subito le passò le nocche sulla guancia. «Shh, baby,» sussurrò. «È presto, ancora. Torna a dormire.»

Lei sbatté le palpebre alcune volte, come se stesse considerando.

Lui canticchiò piano, una ninna nanna che sapeva che le piaceva, quando lui la cantava. Cominciò ad inclinare la testa.

Ma poi i suoi occhi si spalancarono. «Edward?»

«Sono qui, bellissima.» Dato che ormai era sveglia, cominciò a darle dei piccoli baci sulla fronte, sulla punta del naso.

«Edward», ripeté lei, la voce un po’ gracchiante.

Lui si concentrò sui baci, una mano sulla guancia, l’altra che si infilava nella tasca dei suoi pantaloni e afferrava la piccola scatola.

«Sei sveglia?» le chiese contro le labbra.

«Mmhmm.»

«Bene.» La baciò un’altra volta e poi si tirò un po’ indietro per poterla guardare. Ingoiò il groppo che aveva in gola. «Ho pensato, stamattina.»

I loro occhi si incontrarono. Lui pensò che aveva l’aria assonnata, ma allerta.

Ricordando che lei gli aveva già promesso di dirgli di sì quando lui glielo avesse chiesto, andò avanti. «Ho pensato che il prossimo anno tu sarai qui con me. Staremo insieme per sempre nel giro di pochi mesi, e…»

Sorpreso, vide che lei chiudeva gli occhi. Rotolò via, mettendosi seduta. Edward fissò la sua schiena, sconcertato. «Bella?»

Lei non rispose. Allungò una mano, prese la sua maglietta e se la infilò, poi prese i suoi pantaloni su dal pavimento.

«Bella?» provò di nuovo. Il groppo che aveva in gola diventò più grosso, più doloroso. Si sentiva fiacco.

C’era qualcosa di sbagliato. C’era qualcosa di molto, molto sbagliato.

«Guarda, Edward.» Lei gli dava ancora le spalle. «Prima che tu vada avanti, c’è qualcosa che dovresti sapere.»

Lentamente, Edward si mise seduto vicino a lei. Le mise la mano sulla schiena, ma lei si alzò in piedi  come se il suo tocco la bruciasse. Lui deglutì. «Okay. Cosa?»

Lei si allontanò di qualche passo, poi tornò indietro. «Io …» Deglutì, poi sbuffò. «Io non verrò a Dartmouth il prossimo anno.»

Lo stomaco e i polmoni di Edward sembrarono riempirsi di acqua gelida. «Cosa?» Aveva la voce strozzata.

«Ho cominciato a pensarci già da un po’, dopo che te ne sei andato. Ma adesso che ho girato il campus con te e l’ho visto con i miei occhi, so che non è il posto giusto per me.»

Le sue parole non avrebbero potuto fargli più male se gli avesse dato una coltellata nella pancia.

«Pensavo che forse dovremmo riconsiderare quello che stiamo facendo.»

E avesse girato dentro il coltello.

«Io… Questa è una grande scuola, ma penso che non faccia per me. Io voglio andare in California.»

«Okay», disse lui lentamente, il cervello che annaspava. Non capiva cosa stesse succedendo. «Se non ti piace Dartmouth, magari potremmo prenderci il prossimo semestre libero. Io tornerò a casa, e poi…»

«No.» La sua voce era più alta, adesso. «No, non voglio che tu faccia niente del genere.»

Edward aveva le vertigini, si sentiva quasi svenire. «Cosa mi stai dicendo, Bella?»

«Ti sto dicendo…» Si torceva le mani, e continuava a non guardarlo. «Noi siamo molto giovani, Edward. È stato un bel sogno. Davvero, è un bel sogno, il nostro piano, ma non è l’unico, capisci? Penso… penso di aver bisogno di un po’ di spazio per pensare a quello che voglio veramente.»

Edward aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì nulla. Fino a quel momento non aveva mai capito cosa significasse il verbo ammutolire. Era così adesso. Era completamente senza parole. Il suo cervello si rifiutava di funzionare, rifiutandosi di mettere insieme due parole, figuriamoci la sequela che avrebbe voluto urlare.

«Guarda. Il mio volo di ritorno è tra poche ore. Non preoccuparti per me, okay? Lo so che non te lo aspettavi. Prenderò un taxi.»

«Io… io pensavo che ti fermassi qualche giorno.» Le sue parole vennero fuori come se qualcuno gli avesse stretto le palle e gliele stesse torcendo. Ad essere onesti, poteva anche essere la verità.

«A che scopo? Non voglio stare qui.» Sembrava così baldanzosa.

Edward si sentiva crivellato di colpi. Essere scorticato vivo e bruciato avrebbe fatto meno male.

Bella prese su il suo borsone. Non l’aveva neanche disfatto, si rese conto lui.

Aveva pianificato tutto questo. Aveva pianificato tutto mentre parlavano per ore al telefono, mentre contavano le settimane, i giorni, le ore, i minuti di quando si sarebbero rivisti.

Stava pianificando tutto questo mentre lui ansimava «Ti amo» contro la sua pelle, quando avevano fatto l’amore per la prima volta.

«Devo andare», disse lei quieta. «Mi dispiace. Tu … mi dispiace tanto.»

E poi era andata, portando con sé il suo cuore  e la sua anima mentre chiudeva la porta dietro di sé.

 

***

 

Lo stomaco di Edward si rivoltò, facendolo svegliare all’improvviso. Si trascinò fuori dal letto, incespicando, sbattendo nei muri mentre riusciva a malapena ad arrivare in corridoio e ad entrare in bagno. Cadde in ginocchio davanti al water appena in tempo. Si sentiva  infelice in tanti modi. Il suo corpo si contorse, purgandolo di quel poco che ci era rimasto dentro. Se non fosse stato così occupato ad aggrapparsi al mobile come se ne andasse della sua vita, si sarebbe afferrato la testa. Si chiese vagamente se avesse potuto veramente esplodere, come gli sembrava che minacciasse di fare.

Quando ebbe finalmente terminato, tirò l’acqua e appoggiò la testa sul coperchio della toilette, cercando di riprendere fiato. Stava di merda. Si sentiva svuotato e seghettato lungo i bordi.

Sentiva solo male.

Edward non aveva neanche notato che Bella era entrata in bagno. Non se ne accorse finché non sentì un panno intriso di acqua fredda dietro il collo.

I suoi pensieri vorticavano. Era difficile pensare con quel tump tump tump del suo cuore che gli pulsava nella testa. E come sempre, quando lei era vicina a lui, c’era quell’inevitabile senso di nostalgia, solo un altro dolore da aggiungere al mucchio.

Ricordava la maggior parte della notte prima. Ricordava di aver guardato Bella con i suoi genitori, come lei si muoveva automaticamente ogni volta che doveva aiutare sua madre con la cena. Nessuno glielo chiedeva o la spingeva. Lo faceva volontariamente, istantaneamente. Ricordava le storie di Emmett, e nessuna di queste lo aveva veramente sorpreso. Bella era sempre stata in quel modo, aveva sempre pensato agli altri prima che a se stessa quando avevano bisogno.

Ovviamente si ricordava come lo aveva aiutato, come lo aveva messo a letto. Stava facendo tutto questo per sua madre, lo capiva, ma non era necessario che mettesse anche lui a proprio agio. Non doveva togliergli le scarpe o rimboccargli le coperte. Avrebbe potuto farlo dormire sul divano, ma non l’aveva fatto.

E adesso si stava ancora prendendo cura di lui mentre i suoi genitori stavano probabilmente ancora dormendo e nessuno li guardava.

Il panno gli faceva bene sulla pelle surriscaldata, e Edward per un momento si sentì grato. Il suo cuore si strinse un po’ al modo tenero in cui lei gli strofinava il collo e la fronte.

Ma c’era il suo sogno-ricordo di come brutalmente e completamente avesse bastonato il suo cuore. Per cosa? La sua scusa era stata che voleva vedere cos’altro ci fosse là fuori per lei. Cosa aveva scelto? Forks e una vita da martire?

Con un ringhio spinse via la sua mano.

Lei sospirò. «Sto cercando di aiutarti.»

«Non ho bisogno del tuo aiuto.» Si mise in piedi, ma inciampò, e lei era lì, ad avvolgergli un braccio alla vita.

Lei sbuffò. «Sì, lo vedo. Guarda, so quanto trovi disgustoso che io ti tocchi, ma devi rassegnarti. Avresti dovuto pensarci prima di ubriacarti come un cane.»

Lui era infastidito, perché lei aveva ragione. E continuava ad aiutarlo, guidandolo verso il mobile. Quando fu ragionevolmente certa che lui non sarebbe caduto, prese uno dei bicchieri di carta che Esme teneva sempre in ogni bagno. Lo riempì d’acqua, e mentre lui beveva gli tirò fuori spazzolino e dentifricio.

«Vattene,» ordinò lui, sapendo bene che suonava come un ragazzino capriccioso.

Qualcosa di antagonistico lampeggiò negli occhi di lei. «Quando sarai tornato a letto ti lascerò in pace. Non lascerò che ti spacchi la testa per fare il  marmocchio cocciuto.»

Lui ringhiò di nuovo, esasperato da tutto: la sua stupida decisione di bere troppo, la sua stupida decisione di convincerla a sposarlo…

Scoppiò a ridere quando gli venne in mente. Una volta lei gli aveva detto che gli avrebbe risposto di sì se mai lui le avesse chiesto di sposarla. Era l’unica promessa che avesse mantenuto.

Edward digrignò i denti mentre lei lo seguiva, la mano tesa, pronta ad aiutare, verso la stanza da letto. Lui si lasciò cadere sul divano. Lei esitò, poi andò a sedersi sul letto.

L’aria tra loro era tesa. Surriscaldata. Pesante.

«Ho incontrato il tuo amico Emmett», disse lui casualmente.

C’erano così tante domande che voleva farle, ma era ancora mezzo ubriaco e veramente arrabbiato. Non si sentiva per niente bene, e tra questo, il suo sogno-ricordo, i suoi sentimenti sempre più confusi, sapeva che stava per dire qualcosa di stupido.

Ma questo non sembrò fermarlo.

Gli occhi di lei corsero ai suoi, e la vide respirare piano, dentro e fuori. Si schiarì la gola. «Come sta?»

La risata di Edward fu stridente. «Sembra che tu sia andata con i vecchi trucchi. Hai mollato i tuoi amici con la stessa facilità con cui hai mollato me. Immagino che dovrei sentirmi privilegiato in  questo. A loro non hai dato il beneficio di dirglielo in faccia, quando li hai scaricati.»

Lei inalò all’improvviso.

«Lascia che ti chieda una cosa… Il tuo ex. Jacob.»

Lo sguardo negli occhi di lei lo avvertì che stava andando su un sentiero pericoloso, ma lui era lanciato.

«L’hai conosciuto quando eri al liceo.» Stava unendo i punti, cercando di allineare l’immagine che aveva di Bella quando andavano a scuola con quella che si era costruito negli ultimi otto anni, e la realtà della donna che aveva davanti agli occhi.

Bella deglutì. «Sì», confermò semplicemente, senza fornire dettagli o scuse.

Lui annuì. «Mi sono sempre chiesto chi ti avesse scopata prima che ti scopassi io. È stato lui?»

Lo sguardo sul viso di lei – come se le avesse dato un pugno nella pancia – gli fece solo venire ancora più nausea di se stesso, ma non poteva rimangiarsi quello che aveva detto.

«Perché diavolo dici una cosa del genere?»  esalando di colpo.

Di nuovo, parlò prima di pensare. «Non eri vergine», sbottò.

Lei si strinse le braccia attorno al corpo. «Cosa?»

«Non avevi nessun cazzo di imene», sputò lui. Al tempo, ne era stato sollevato. Non voleva farle male, e pensò che l’avesse semplicemente persa. Poteva capitare, sapeva che erano cose che succedevano. Ma dopo che lei l’aveva lasciato, non poteva immaginare che la notte che avevano passato insieme fosse per lei così priva di significato, a meno che non ci fosse qualcun altro. O forse i suoi compagni di corso avevano ragione. Forse mentre lui progettava il loro per sempre, lei si annoiava e aveva cominciato a divertirsi.

Gli occhi di lei si assottigliarono, pieni di lacrime rabbiose. «Sei un bastardo incredibile.» Il suo tono era un sussurro aspro. «Certo che ero vergine. Non c’era stato nessun altro che te. Prima, e per anni dopo, non ci sei stato altro che tu.»

Lui non disse nulla. Voleva darle della bugiarda, ma non ci credeva. Stava dicendo la verità; sapeva che era così. Non rientrava in nessuno degli scenari che si era creato dopo la loro rottura, ma era vero lo stesso.

Bella si alzò, incrociando le braccia al petto. «Quando finirà?» chiese con voce dura.

«Di cosa stai parlando?»

«Quando sarò stata punita abbastanza?» chiese voltandosi verso di lui col fuoco negli occhi. «Quando finirà? Si arriva a un punto  in cui la rabbia non è più una giustificazione. C’è un modo giusto e un modo sbagliato di trattare una persona, e tu hai superato il limite. Secoli fa.»

Edward si strofinò le tempie. Dio, gli faceva così male la testa. Gli faceva male il cuore.

Gli faceva male tutto.

«Capisci che a questo punto sei tu – solo tu – che ci stai rendendo entrambi infelici.»

Edward esalò un respiro. «Lo so», ammise quieto.

«Allora perché…»

«Perché non puoi piacermi. Non so come fare!» Le parole ribollirono poi esplosero come un vulcano, tutto fuoco bruciante, terribile, distruttivo. «Perché questo è più facile che perderti di nuovo. Mi rende uno stronzo, ed è una cosa che odio. Odio farti del male. Non puoi immaginare quanto mi faccia male, ma è il minore di due mali, perché se non ti odio, non ho altra scelta che amarti! E non posso farlo di nuovo! Non posso!» Stava urlando alla fine, il respiro spezzato.

Bella lo fissava, gli occhi sgranati e la bocca aperta.

Sospirando, Edward si buttò indietro sul divano, mettendosi le mani sugli occhi. Respirava lentamente, riprendendo fiato, cercando di fermare la nausea del suo stomaco.

«Mi dispiace», disse lui,  il tono quieto, adesso, sconfitto. «Davvero. Mi dispiace davvero. Ma non so come affrontare tutto questo.» Si sentì come se avesse perso l’ultimo brandello di salute mentale. Si sentiva quasi peggio di quando lei l’aveva lasciato, quando niente al mondo sembrava avere più il minimo senso.

Adesso non sapeva più cosa stava succedendo. La odiava, la amava. Era irritato. La adorava. Era…

Be’, in tutta onestà, era esattamente come la ricordava: gentile, bella, intelligente. Rendeva tutto più difficile.

Perché?

Se lei non fosse cambiata completamente, come avrebbe potuto rifiutare il loro rapporto,  tutti i loro progetti, la bellissima vita che avrebbero potuto condividere, con tanta facilità? Come poteva, dopo che avevano passato la notte l’uno nelle braccia dell’altro,  aver significato così poco per lei?

L’immagine di lei che si era costruito nella sua testa, l’aveva costruita  stravolgendo pezzi di informazione per nutrirla. Se lei era una tale stronza, era ovvio che la vita che avevano progettato insieme era sempre stata una finzione. Non poteva perdere qualcosa costruito con materiali che non erano mai esistiti.

Ma se lei era qui di fronte a lui, ancora la stessa, dentro, anche se aveva di certo perso le sicurezze dell’adolescenza, quel futuro esisteva. Era tangibile.

E comunque fuori della sua portata, non per lui.

Ora il tempo di sua madre stava scadendo, e questo da solo era più di quanto Edward potesse riconciliare.

Era troppo cui fare fronte.

«Edward.» La voce di Bella era così quieta, quando parlava. «Dobbiamo risolvere questa cosa. Non posso lasciarti continuare a farmi questo. Lo capisci, vero?»

Lo stomaco di Edward si annodò di nuovo, e respirò attraverso il naso. Lei era migliore di lui. Lo era sempre stata. Aveva ogni diritto di odiarlo – era stato così crudele con lei – ma era ancora qui, a chiedergli di parlarne.

Sì, probabilmente avrebbe fatto male un sacco. Era già così un dolore inimmaginabile, rivivere il risultato della loro rottura mentre doveva  anche fare fronte alla morte imminente di sua madre, ma glielo doveva, almeno di provare.

«Lo so», disse alla fine.

Sentì i suoi passi leggeri attraversare la stanza, e poi le sue mani gentili prendere la sua. «Vieni. Alzati. Mettiti a letto. Dormici sopra.»

Alzandosi su gambe tremanti, lasciò che lo guidasse verso il letto e gli rimboccasse di nuovo le coperte.

«Bella», chiamò rendendosi conto che era sulla porta e non sul divano. Il suo cuore accelerò, ricordando la prima volta che se n’era andata, e andò nel panico. «Dove stai andando?»

«Vado solo di sotto.»

Lui si rimise giù,  sentendosi leggermente meglio. Aveva gli occhi pesanti. «Bella?» chiamò di nuovo.

«Cosa?»

«Mi dispiace.»

Ci fu silenzio per un lungo momento. Lui aprì faticosamente gli occhi per vedere se era ancora lì. C’era. «Dobbiamo parlare», disse lei alla fine.

«Lo faremo», promise lui prima di riaddormentarsi, troppo prosciugato  di tutto per restare ancora sveglio.

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/8/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  8

 

Bella quasi corse giù per le scale, col bisogno di allontanarsi da Edward. Era contenta che fosse ancora abbastanza presto e che tutti in casa stessero ancora dormendo. Incespicò fino al soggiorno prima di fermarsi, appoggiandosi contro il muro, con una mano stretta sulla bocca.

Quando pensava di conoscere tutti i modi in cui le parole aspre di Edward potevano ferirla, lui le aveva tirato una palla curva.

Quell’unica notte che avevano passato insieme era stata allo stesso tempo la migliore e la peggiore della sua vita.

Naturalmente lei sapeva cosa era andata a fare nel New Hampshire. In retrospettiva, sapeva quanto fosse stata stupida, ma in quel momento le sembrava l’unica cosa che avesse senso. Girare per Dartmouth con Edward, quel giorno, aveva solo rafforzato la sua stupida idea.

Questo era il suo posto. Qui aveva amici. Qui lui stava fiorendo.

Edward poteva ancora avere la vita che avevano progettato. Doveva essere assolutamente libero di perseguire quella vita con qualcuno che avrebbe potuto veramente ricoprire quel ruolo.

Si era meravigliata che non notasse la sua distrazione. Bella continuava a dirsi quanto fosse stata stupida a impostare la sua vita così giovane, a decidere chi voleva essere senza considerare ciò di cui era capace. Quando era molto piccola, sognava di essere un’attrice. Da adolescente, si era resa conto che non ne aveva il talento. Perché questo avrebbe dovuto essere diverso?

Mentre la giornata andava avanti, la realtà cominciò a diventare sempre più pesante, per lei.

Quando erano tornati nel suo dormitorio, lui aveva cominciato a baciarla. A ogni bacio, Bella gridava contro se stessa. Non poteva farlo. Non era giusto. Sapeva che lui era innamorato di lei. Sapeva quanto voleva la vita di cui avevano sognato insieme. Sapeva quanto gli avrebbe fatto male, quando se ne sarebbe andata.

Le girava la testa. I suoi baci le facevano sempre venire le vertigini, ma questo era diverso. Nonostante avesse passato gli ultimi mesi nel dolore, sapendo che i sogni del loro futuro, di loro stessi, erano andati in pezzi, questo dolore sarebbe stato molto peggio. Schiacciante.

Con tutto il cuore, Bella desiderò poter rimediare. Avrebbe voluto sentirsi a posto restando con lui. Lo amava in un modo disperato, che la consumava, e nonostante si fosse detta tante volte che era stupido, era ridicolo credere che qualcuno fosse il tuo tutto, quando era con lui, nient’altro contava. Niente.

Così cedette.

Fece tacere la voce rabbiosa nella sua testa e ascoltò il suo cuore.

I loro corpi si muovevano insieme come la coreografia di una danza. La maglietta di lei, la maglietta di lui. I suoi pantaloni. Quelli di lei. Si baciarono. Si toccarono. Si sussurrarono l’un l’altro con dolcezza, e lei credeva a ognuna delle parole che gli disse, quando gliele disse.

«Ti amo», gli rispose quando lui esalò quelle parole al suo orecchio.

«Sempre.»

«E per sempre.»

E quando si era svegliata quella mattina, Bella gli aveva quasi detto la verità. Aveva quasi lasciato credere a se stessa che non contava che lei non potesse essere l’altra metà di una coppia di successo. Poteva ancora avere lui. Poteva ancora avere questo.

Ma no. C’erano le favole e c’era la realtà.

Così si era voltata e gli aveva spezzato il cuore.

Bella si asciugò via lacrime di infelicità.

Naturalmente sapeva di essere stata stupida e crudele. Il senno di poi è sempre l’insegnante più duro. Quando si era resa conto che il suo piano era una cazzata, era troppo tardi. Era fatta.

E avrebbe dovuto conviverci per il resto della vita.

Le ci vollero mesi per venire a patti con tutto ciò che aveva perso. Il rifiuto da Dartmouth aveva azzerato il suo obiettivo finale: essere il meglio del meglio, al top nel suo campo in giovane età. Nella sua visione del mondo tutto-o-niente di allora, significava la morte definitiva del suo sogno di essere una ricercatrice.

Ma a parte questo, a parte la perdita di Edward, aveva perso anche una madre amorevole e un padre in Esme e Carlisle. Quante volte, prima che i Cullen si trasferissero da Forks, aveva desiderato andare da Esme? Aveva il cuore a pezzi, e stava cadendo in una profonda depressione sulla scia della auto-imposta distruzione della sua vita. Charlie non sapeva cosa fare con lei. L’ultima persona con cui lei voleva parlare era Renee.

Aveva bisogno di una madre. Aveva bisogno di una madre che la tenesse stretta, le accarezzasse i capelli e le asciugasse le lacrime.

Ma lei aveva rinunciato a sua madre. E a Carlisle. E anche ad Alice.

Poi, naturalmente, c’era Edward.

Quando non era stata accettata a Dartmouth, aveva cominciato a pensare al mondo in termini di realtà. Come aveva potuto, si chiedeva, lasciarsi travolgere da questo modo di vedere il mondo così completamente finto? Non poteva avere lo scandaloso successo che prometteva una laurea all’Ivy League. Cosa le faceva pensare di poter avere l’amore di Edward per sempre? Cosa le faceva pensare che ci fosse qualcosa di più reale? La realtà era tutto attorno a lei. La realtà era lontana dalla perfezione.

Sì, amava Edward, e lui amava lei, ma questo non significava che fossero giusti l’uno per l’altra, sul lungo temine.

Quello che aveva imparato nel modo più duro, solo quando era troppo tardi per tornare indietro, era stato che anche l’amore è una realtà. Edward era stato e sarebbe stato per sempre l’amore della sua vita. Sapeva che era possibile amare più di una persona, durante la vita, e ci aveva provato, ma Edward sarebbe stato per sempre parte del suo cuore e della sua anima. Lui sarebbe stato per sempre quello che aveva perso. Sarebbe stato per sempre il suo ‘e se…’.

Aveva sofferto molto per il suo errore. Aveva lottato per trovare la sua identità. Era stata ferita per lungo tempo.

Quello che aveva fatto a entrambi era già pessimo. Cominciava a capire, contrariamente a quello che pensava prima, che aveva portato all’inferno e alla dannazione non solo se stessa, ma anche lui, per tutti questi anni.

Come se questo non bastasse .

Ma di cosa l’aveva accusata, stamani? Di non essere stata vergine, di averlo tradito?

Perché voleva rendere tutto ancora peggiore?

«Bella?»

Bella sobbalzò mettendo una mano sulla bocca mentre si voltava.

Esme era sulla porta del soggiorno, la mano appoggiata sullo stipite.

Asciugandosi le lacrime, Bella andò in fretta verso di lei. «Esme. Cosa fai alzata?» chiese offrendole subito il braccio perché si appoggiasse.

Esme le fece un piccolo sorriso. «Non dormo molto», ammise quieta. «Ero nello studio. La poltrona di Carlisle è molto più comoda. Fa meno male.» Fece un gesto debole con la mano. «Ma lascia perdere questo. Ho sentito gridare, prima. Per favore, dimmi che c’è che non va.»

Tirando su col naso, Bella provò a fare un sorriso. «Niente di che. Abbiamo solo trasceso un po’, tutto qui.»

Esme non sembrava convinta.

«Sul serio», disse Bella. «Non è niente. Io…» Deglutì, passando il pollice sopra la fede. «Stiamo bene.»

«Sei sicura, tesoro? Mio figlio non è troppo vecchio per un bel discorsetto da parte di sua madre.»

Bella non poté fare a meno di sorridere. «Ne sono sicura.»

Esme alzò una mano e passò le dita tremanti sulla guancia di Bella. «Okay.»

«Posso aiutarti a tornare a letto?»

L’altra donna sospirò e trasalì, appoggiandosi di più contro Bella. «No.» Il suo respiro era ansimante. «Non posso dormire adesso.»

Mettendo da parte la sua costernazione, Bella si limitò ad annuire. «E se ci guardassimo un film?» aggiunse con leggerezza.

«Tu dovresti tornare a letto», disse Esme. Da tuo marito, non lo aggiunse, ma Bella lo sentì lo stesso.

Lei sorrise di nuovo. «Ormai sono sveglia. Andiamo a impigrirci un po’.»

Esme sospirò, ma annuì. Appoggiandosi pesantemente a Bella, lasciò che la portasse fino al divano.

***

Il mattino, o piuttosto il pomeriggio, dopo che Edward aveva provato a bere fino a dimenticare chi fosse, quando andò a sedersi vicino a sua madre, lei lo guardò con uno sguardo che gli era familiare durante l’adolescenza.

La mamma non era contenta.

Poi però la sua espressione si ammorbidì, e gli diede un colpetto affettuoso sul ginocchio. «Ricordati solo di smaltire la rabbia in fretta. Non stressarti per le piccole cose.» Gli fece un gran sorriso. «E sono tutte piccole cose.»

Edward sbuffò, ma le sorrise debolmente di rimando. «E io che pensavo che tu fossi quella saggia. Invece rubi solo dei titoli ai libri famosi.»*

«Io ti conosco, Edward. Ti tieni tutto dentro. Lasci marcire le cose.» Gli puntò contro il dito, e lui cercò di non vedere quanto tremasse. «In un modo o nell’altro, finisci solo per farti più male.»

«È tutto a posto, mamma. Non preoccuparti, ti prego», mormorò, ma lei scosse la testa.

«Certo che mi preoccupo per te.»

Sentendo la gola che si stringeva, Edward appoggiò la testa sulla sua spalla, come se fosse di nuovo un ragazzino. Chiuse gli occhi. Respirò. L’odore di lei era strano, in qualche modo.

La malattia ha un odore, rifletté lui.

Le sue braccia si strinsero attorno a lei, e provò a non pensare quanto poco tempo le rimanesse per preoccuparsi. Provò a non pensare come avrebbe reagito se avesse saputo la metà delle cose che aveva detto a Bella.

Si sarebbe vergognata così tanto di lui.

Edward chiuse gli occhi e ascoltò il suono dei suoi respiri.

***

I giorni passarono, e loro non parlarono.

Edward stava sinceramente provando a fare le cose nel modo giusto. Non aveva dimenticato quello che gli aveva detto Charlie, che Bella non era stata accettata a Dartmouth. Tra questo, quello che aveva saputo da Emmett, e quello che vedeva con i suoi occhi, stava cercando di riorientare il modo in cui vedeva Bella.

Lei aveva ragione. Il minimo che le doveva era di smetterla di renderli infelici entrambi.

Eppure, alla fine di ogni giorno, quando si ritiravano insieme nella loro stanza, l’elefante che avevano di fronte era troppo. Dopo un’intera giornata a vedere sua madre diventare sempre più debole, l’ultima cosa che voleva era anche affrontare i propri dolori. Ogni giorno aspettava che Bella lo pressasse. Aspettava che si rendesse conto di come era cambiata l’atmosfera intorno a loro. Ma non successe. Si rannicchiava sul divano, o nel letto quando era il suo turno, e si addormentava col suo Kindle in mano.

Spesso la guardava mentre dormiva, cercando di venire a patti con tutti gli anni che aveva passato di una vita che non voleva senza di lei.

Una mattina, la famiglia era riunita come al solito per colazione, tutti cercando di non notare che Esme non faceva altro che muovere lentamente i suoi pezzi di pancake da una parte all’altra del piatto. Lei alla fine posò la forchetta e si schiarì la gola, guardando intorno a lei le persone che amava di più.

«Ho una sorpresa per voi», disse guardando Bella e Edward dall’altra parte del tavolo.

I due si guardarono l’un l’altro, e poi guardarono di nuovo lei. «Cosa intendi?» chiese Edward.

Carlisle gli sorrise e gli passò una busta. Edward ci guardò dentro. Tra le altre cose, c’erano due biglietti aerei per San Francisco. Era un volo per quella stessa sera. Edward, stordito, passò la busta a Bella.

«Vi accompagneremo tutti al Sea-Tac. Possiamo partire non appena avrete fatto i bagagli», disse Esme. «Sarà una luna di miele in ritardo.»

Sembrava così soddisfatta che Edward quasi non protestò.

Quasi.

«Mamma, non possiamo andare via. Non adesso.» Il suo tono era leggermente strozzato.

«Ci andrete.» La voce era sottile, ma il tono era quello ‘non discutere con me’ che Edward conosceva bene. Quando sia lui che Bella aprirono bocca per protestare, lei scosse la testa. «Non prenderò un no per risposta.»

Appoggiando le mani sulla tavola, si strinse le dita un po’ agitata. «Il vostro matrimonio è molto giovane, e so che ci sono state delle tensioni.»

«Esme, stiamo bene», mentì Bella seduta vicino a lei.

«Tua madre ha ragione», intervenne Carlisle. «Non avete avuto tempo per stare da soli. Neanche prima del matrimonio.» Mentre parlava, le sue mani accarezzavano la schiena di Esme. «Il matrimonio è complicato, ma dicono che il primo anno sia il più difficile.»

Edward trasalì, cercando di non reagire. Questo era l’eufemismo del secolo.

«E non provare a dirmi che non c’è tensione tra voi», si accigliò Esme.

Jasper, silenzioso fino a quel punto, sbuffò leggermente. «L’aria è pesante quando siete tutti e due nella stessa stanza.»

Edward abbassò gli occhi sul tavolo, il cuore che accelerava. Voleva voltarsi e guardare storto Bella, una vecchia abitudine, ormai. «Stiamo bene», insisté.

«Sarà divertente. Abbiamo prenotato l’hotel a Seattle. Vi accompagneremo tutti insieme. Tuo padre, Alice, Jasper ed io staremo per qualche giorno fuori da questa casa, e poi torneremo tutti insieme quando vi riprenderemo all’aeroporto.»

«Tu volevi stare a casa», disse Alice. «Perché tornare a Seattle?»

«Io amo Forks, certo. Ma sarebbe carino cambiare per un po’. Solo pochi giorni», insisté Esme. «Non succederà niente in pochi giorni.»

La tavola rimase in silenzio, sapendo tutti bene a cosa si riferisse.

Alice sbuffò. «È ridicolo.» Si voltò e lanciò uno sguardo gelido a Edward e Bella. «Non so che sta succedendo tra voi, ma mi sono stufata.»

Edward assottigliò gli occhi contro sua sorella, sperando che capisse il suo avviso silenzioso. Jasper le mise una mano sulla spalla, come a trattenerla.

«Alice», la ammonì Carlisle.

«No, papà.»

«Andremo», disse Edward in fretta, parlando sopra sua sorella. Prese un respiro e si voltò verso Bella.

I suoi occhi erano in quelli di lui, dolorosamente incerti, cercavano.

Edward forzò un sorriso, alzando la mano a scostarle una ciocca dal viso. «Un po’ di tempo da soli può essere una buona cosa», disse. Mise una mano sulla sua.

Girando il palmo, lei gli strinse le dita. «Questo è troppo.»

Edward si chiese se intendesse quello che i suoi genitori avevano speso per loro, o se l’idea di passare dei giorni da sola con lui la rendesse ansiosa come rendeva lui.

«Biglietti non rimborsabili», disse Carlisle tutto allegro. «Potete anche accettarli.»

Alzando gli occhi, Edward vide che Esme guardava le loro mani unite. Voleva credere alle loro bugie. A questo punto, lei era l’unica che li aiutava a perpetuarle.

Si erano lasciati un po’ andare in questi ultimi giorni.

«Dobbiamo tutti fare i bagagli. Meglio muoversi.» Con un gesto della mano, Esme mise tutti in moto.

Edward tirò Bella su per le scale in tutta fretta, cercando di evitare Alice. Si precipitò nella loro stanza e cominciò a fare avanti e indietro.

«Edward?» Alla voce di Bella sobbalzò. Non la guardò.

«Edward, non posso farlo. Io non…»

«Lo farai», disse lui piatto.

Lei prese un respiro improvviso. «Questo è esattamente il motivo per cui non posso. Non posso neanche immaginare di stare da sola con te senza la tua famiglia che ci fa da paracolpi. Te l’ho detto, non ti posso permettere di farmi a pezzi, e questo è esattamente quello che farai se passeremo più di cinque minuti insieme. Non ho intenzione di…»

Ogni ragionevolezza volò via dalla finestra alle sue parole. In questi ultimi giorni aveva lavorato così duramente, provando a cercare un punto dove trovare un po’ di terreno comune tra loro. Neanche lui era contento di trovarsi in questa situazione, ma il suo obiettivo finale era di far felice sua madre.

Se Bella avesse rifiutato di andare, sarebbe andato tutto in pezzi.

Nella sua disperazione, esagerò. «Sì che lo farai», ringhiò voltandosi verso di lei. «Questo è quello che vuole mia madre, questo è quello che avrà.» Rimpianse le sue parole aspre nel momento in cui lasciarono la sua bocca. Ma lui non riusciva a trovarne di migliori, più razionali.

Adesso Bella lo guardava gelida. «Quello che vuole tua madre non include i tuoi abusi verbali e la tua mancanza di rispetto», scattò lei.

Lo stomaco di Edward si contorse, perché lei aveva ragione; certo che aveva ragione, ma lui era inerme, e furioso, e non sapeva cosa fare. Se sua madre vedeva la tensione tra loro, a che serviva tutto questo? Se lei si preoccupava, che senso aveva? A che serviva questa tortura costante a cui si sottoponeva, e a cui sottoponeva Bella, se non a quell’oncia di felicità che avrebbe dovuto dare a sua madre?

Era tutto quello che poteva fare.

Non poteva portarle via il dolore, o farle tornare l’appetito. Non poteva aiutarla a dormire. Non poteva liberarla dalla malattia che la stava consumando davanti ai suoi occhi.

Questo era tutto quello che poteva fare, e stava fallendo.

E Bella gli stava mettendo i bastoni tra le ruote.

«Questo è esattamente il motivo per cui ho voluto un contratto; perché tu a quanto pare sei incapace di mantenere la parola.» La sua voce si era alzata, ma non stava urlando. Avrebbe voluto, ma non poteva, non quando era sicuro che qualcuno avrebbe sentito. «Sembra che tu non possa mantenere la parola senza un tribunale…»

«Oh, ma piantala!» Gli occhi di lei balenarono mentre invadeva il suo spazio personale. «Io non sono una deficiente, okay? Forse non sarò di mondo come te, ma non sono stupida. Pensi che non sappia che quello stupido, fottuto pezzo di carta non ha assolutamente nessun potere vincolante?»

«Se tu…»

«No. Non mi faccio intimidire.» Sbuffò. «Da non crederci. Se io adesso me ne vado e infrango tutti i tuoi preziosi caveat, tu cosa vai a dire al giudice, mh? Che non potevo mollare il nostro matrimonio perché tu minacciavi di rovinarmi finanziariamente?»

Edward rimase in silenzio. Tutto il suo corpo irradiava frustrazione e tensione.

«Il massimo che può succedere è che io non avrò i soldi che tu mi hai promesso, e sappiamo bene tutti e due che non ho nessuna intenzione di prenderli.» Incrociò le braccia al petto.

«E allora perché diavolo hai firmato se era così privo di significato, per te?»

«Ho firmato perché significava qualcosa per te

Si guardarono in faccia per dei lunghi, dolorosi secondi.

Da qualche parte, tra la miriade di emozioni che gli facevano girare la testa e minacciavano di spingere il suo corpo in mille direzioni diverse, riconobbe, a denti stretti, ammirazione.

Spinse i palmi delle mani sugli occhi, inspirando, espirando.

«Io non voglio fare del male a tua madre, Edward», disse Bella, la voce più morbida, adesso. «Lo sai che è così, ma io non posso venire con te se saranno giorni e giorni di questo.»

Edward contò fino a dieci. Poi contò fino a cento.

Che non gli avesse tirato in faccia quello che le aveva detto da ubriaco, che non avesse provato a ferirlo con le sue ammissioni, diceva molto di lei.

Non stava provando a fare del male a Esme, e non stava provando a fare del male a lui.

Ma lui stava facendo del male a lei, che fosse sua intenzione o no.

Inspirò, espirò.

Aprendo gli occhi, fece un passo avanti. Il suo cuore si strinse quando lei indietreggiò.

Non voleva essere un mostro. Non voleva.

«Hai detto che volevi parlare.» Era quasi sorpreso che la sua voce non tremasse.

Lei lo studiò attentamente. «Abbiamo molto di cui parlare. So che anche tu hai della cose da dirmi. Ma…» Spostò lo sguardo.

«Ma non ti fidi che io sia civile», finì lui.

Lei si morse il labbro e non rispose.

Lui inspirò, poi espirò.

Voltandosi, prese la sua ventiquattrore, tirò fuori il suo blocco legale e una penna. Scarabocchiò velocemente alcune righe, firmò e lo passò a lei.

Lei sembrò confusa e curiosa, mentre lo prendeva, e i suoi occhi restarono per un attimo su di lui prima che li abbassasse sul foglio.

Qui lui aveva scritto:

Io, Edward Cullen, giuro quanto segue:

Non ti mancherò di rispetto.

Ascolterò quello che hai da dire senza rabbia.

Non proverò a fare il prepotente o a manipolarti.

Non ti insulterò né ti sminuirò.

Chiederò scusa, perché so che ho fatto tutte queste cose.

Finirà adesso.

Quando alzò lo sguardo, lui vide un velo di lacrime negli occhi di lei. Questo contratto, come l’altro, non era che un simbolo, ma lui sperava che fosse abbastanza per cominciare.

Sperò di essere pronto ad ascoltarla.

Bella piegò il foglio e se lo mise in tasca, annuendo. «Vai a farti la doccia. Io faccio i bagagli.» La voce di lei era solo un sussurro.

Lui esalò e annuì. «Grazie.»

 

 

 

*“Don’t sweat the small stuff … and it’s all small stuff”: è un manuale americano di tal Richard Carlson (ndt)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/9/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  9

 

Il silenzio di Edward era snervante.

Ormai doveva essere abituata ai difficili silenzi tra di loro, ma questo era diverso. Mancava il peso della tempesta imminente. Lui non era arrabbiato, non oggi. Non stringeva i denti né era accigliato, ma era distratto.

In un modo o nell’altro, sarebbero stati giorni lunghi.

Ma qualcosa era decisamente cambiato. Nella sua distrazione, Edward si comportava più come il ragazzo che ricordava. Le prese di mano la borsa quando lasciarono la loro famiglia, mettendosela in spalla. Ai controlli di sicurezza, automaticamente allungò la mano per stabilizzarla quando barcollò togliendo le scarpe.

Bella si scusò e andò a curiosare in uno dei molti piccoli negozi intorno al Sea-Tac. Si comprò dei giornali di parole crociate per tenersi occupata durante il volo e poi tornò indietro lentamente. Quando tornò nell’area di attesa, avevano appena chiamato per l’imbarco.

Dopo che avevano messo il bagaglio a mano nello scompartimento in alto, Edward non aveva ancora detto una singola parola. Bella avrebbe voluto essere irritata, ma doveva ammettere che si stava attenendo al contratto che lei aveva piegato nella custodia del suo Kindle. Non aveva scritto niente a proposito delle conversazioni casuali.

Si chiese a cosa stesse pensando, con il labbro leggermente sporgente. L’espressione sul suo viso era impassibile.

«Mi scusi, sir. Siamo pronti a decollare, quindi per favore spenga il suo telefono. Mi scusi.» La voce dell’assistente di volo fece sobbalzare Edward. Guardò stordito da lei al telefono che aveva in mano.

«Oh, certo. Mi scusi.»

Bella lo guardò con la coda dell’occhio, curiosa. Era proprio sballato.

Lasciando perdere, Bella tornò ai suoi cruciverba.

Era sprofondata nei suoi pensieri, alla ricerca della risposta a una definizione quando una voce morbida brontolò la risposta al suo orecchio. Si voltò, sorpresa di trovare il corpo di lui girato completamente verso di lei, ma con gli occhi fissi sulla pagina.

Ingoiando il groppo che all’improvviso si era ritrovata in gola, Bella guardò giù alla pagina. Di sicuro la risposta ci stava. Le sue labbra si contrassero, e fece del suo meglio per non sentirsi intimidita. Edward era brillante. Lei non era un’idiota, ma non voleva apparire stupida.

Scrisse la sua risposta con una calligrafia chiara, chiedendosi se ora si sarebbe voltato. Non lo fece, anzi, indicò un altro spazio in basso. «Titillare», mormorò.

Per un momento, con la sua voce così bassa e vicina, Bella quasi dimenticò cosa stavano facendo. Sbatté gli occhi e si riprese, scrivendo la sua seconda risposta.

Lui si spostò ancora, il suo corpo adesso chinato più vicino al suo. «Che diavolo è un’anatra di palude?» rimuginò a voce alta, passando il dito sulla definizione.

«Un’alzavola», disse Bella scrivendo la risposta.

«Un’alzavola?» ripeté lui, perplesso. «Vorresti dirmi che c’è un’anatra che si chiama alzavola.»

Invece che discutere, girò la pagina per fargli vedere la soluzione e indicò la parola corretta. Provò a non ghignare, ma non ci riuscì.

Lui le diede con gentilezza un colpetto sulla punta del naso. «Non fare la spavalda.»

Fu un momento così sorprendentemente spensierato che lei sbatté gli occhi sorpresa. Le labbra di lui si piegarono un po’ all’ingiù, come se si fosse a un tratto ricordato che loro non dovevano essere amici, e fece per allontanarsi.

«Io, er… che mi dici di questa? Non riesco a trovarla, questa.» Tornò al cruciverba su cui stava lavorando e indicò un numero un po’ più in basso nella pagina.

Gli occhi di lui balenarono in quelli di lei per un intenso momento, prima di abbassarli sulla pagina. «Schivare» rispose lui.

«Giusto.»

«E questa è ‘allettare’.»

Un inizio che dava qualche speranza, pensò Bella. Nonostante la promessa di Edward di stare più calmo, era comunque nervosa all’idea di stare da sola con lui per giorni. Cominciava a chiedersi se ci fosse qualche speranza che potessero veramente trovare il modo di coesistere pacificamente.

***

Edward si svegliò lentamente, confuso per un momento su dove si trovasse. La stanza era troppo luminosa, tanto per cominciare. Non c’era mai così tanta luce a Forks.

Giusto. Era a Carmel, due ore da San Francisco. Da solo. Con Bella.

Erano in uno di quei romantici rifugi sul mare che affittavano bungalow lungo la spiaggia. Era un bel posto, accogliente. C’era una cucina, un soggiorno e una sontuosa camera da letto. Dato che erano arrivati tardi, Edward si era steso sul divano e si era addormentato cinque minuti dopo che erano entrati.

Alzandosi, Edward si stirò, sciogliendo nodi di collo e spalle. Esitò un attimo fuori della porta della stanza da letto poi bussò piano. Nessuna risposta. Una parte di lui sperava che Bella stesse ancora dormendo. Pensava che forse poteva usare quei pochi minuti di quiete per pensare a come affrontare la giornata.

Non che Bella fosse stata esigente per le sue attenzioni. Gli aveva dato tutto lo spazio, prima in aereo e poi sulla macchina mentre venivano qui. Decisamente non lo stava pressando.

Con attenzione, Edward aprì appena la porta e sbirciò dentro. Vedendo che il letto era vuoto, aprì tutta la porta.

Trovò subito Bella. Quando la vide gli si mozzò il respiro. Era fuori, sulla veranda, appoggiata a una colonna. Aveva i capelli sciolti che fluttuavano nella brezza leggera mentre guardava l’oceano. Aveva un accappatoio stretto alla vita da una cinta.

Fu uno di quei momenti eterei. Era bellissima.

Qualcosa dentro di lui sussurrò che era sua. Fece un passo avanti, non volendo altro che andare da lei, ma poi si fermò. Ricordò dov’era, nel posto e nel tempo, e che lei non era mai stata sua. Non veramente.

Però continuò ad avanzare, i suoi passi, non così sicuri adesso, fino alla veranda. Il fresco dell’aria mattutina lo sorprese. Non era lo stesso di Forks o della East Coast. Chiuse gli occhi e respirò lentamente.

Si sentì più calmo. I tanti mesi circondato dai cieli tetri di Forks e la cappa pesante della malattia, avevano lasciato il segno. Questo sembrava un mondo diverso. La sabbia sembrava calda e accogliente. Il cielo era chiaro, un blu brillante che Edward francamente si era dimenticato esistesse. Le onde si infrangevano sulla spiaggia semi-privata con un ritmo regolare.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Edward non sentiva la sua rabbia, il suo dolore, la sua paura.

Lasciò che gli occhi andassero ancora a Bella. Lei non si era ancora accorta che lui era uscito sul portico.

Ogni tanto usavano andare, con il gruppo dei loro amici, alla spiaggia, giù a La Push. First Beach, o se avevano voglia di passeggiare, fino a Second Beach. Ricordava quanto Bella amasse le pozze di marea, ma aveva sempre un’aria scontenta quando guardava l’oceano.

Lei fece scivolare la sua mano in quella di lui, lasciando che le sue dita la scaldassero. «Lo sai che è che fa schifo nelle spiagge di qui?»

Lui la tirò più vicina, mettendole un braccio alla vita e strofinando leggermente il naso sui suoi capelli. «Cosa?»

«Qui non puoi semplicemente metterti seduto e guardare le onde. È troppo freddo. E le rocce non sono comode come la sabbia.» Chiuse gli occhi respirando la fredda aria marina. «Voglio fare questo, un giorno. Voglio sedermi su una spiaggia calda e guardare le onde.» Guardandolo, arricciò il naso, sorridendo. «E, sai… magari buttarmi in acqua senza preoccuparmi di congelare.»

Lui ricambiò il suo sorriso e la baciò. «Lo faremo. Faremo tutto.»

Imitando la sua postura, Edward incrociò le braccia al petto.

Un tempo, lui e Bella avevano parlato all’infinito di tutte le cose che avrebbero fatto, di tutti i posti che avrebbero visto insieme. Edward si era fatto un punto di avere la vita che avevano sognato, senza di lei. Ogni volta che viaggiava pensava a lei, chiedendosi con chi lei stesse avendo queste esperienze.

Ora sapeva di più. Era pronto a scommettere che non si fosse mai allontanata tanto da Washington.

Facendo un altro passo, allungò la mano e le toccò un braccio. Lei lo guardò da sopra la spalla, l’espressione guardinga. «Hey.» La sua voce era morbida, quasi annegata nello scroscio delle onde.

«Hey», rispose lui. «Sei alzata da molto?»

Lei tornò a guardare l’acqua. «Un’ora o due.»

Le labbra di lui si incresparono. «Solo a guardare le onde?»

Di nuovo lei lo guardò da sopra la spalla. Si ricordava anche lei. Lo vedeva nei suoi occhi. La sua espressione era agrodolce. «Sì.»

«Bene.»

Cadde il silenzio per qualche secondo, prima che Edward si schiarisse la gola. Gli ci volle poco per riconoscere la sensazione  sgradevole di tensione allo stomaco come nervosismo. «Sei mai stata a San Francisco?»

«A parte quando siamo atterrati all’aeroporto l’altra notte?» Scosse la testa.

Un altro momento di silenzio mentre lui guerreggiava con se stesso.

Qua fuori, alla luce del sole, si sentiva come se potesse affrontare le cose con più razionalità, ma allo stesso tempo, era diffidente di sentirsi completamente privo di rabbia. La rabbia era sempre più forte di qualunque altra cosa.

Ricordava come era stato, non appena Bella lo aveva lasciato. Ricordava di essersi sentito molto fragile.

Non voleva più essere arrabbiato con lei, ma non era ancora pronto a parlare.

Quello che, aveva capito, era che l’immagine di lei che si era creato in questi anni era sbagliata. Anche se lei non era il suo amore, erano bloccati qui insieme. Lei stava facendo una cosa incredibile per sua madre. In sostanza, era una brava persona.

In sostanza, lui voleva che lei avesse quelle esperienze di cui avevano sognato.

«Vado a vestirmi», disse in tono piatto. «Possiamo fare colazione, poi avremmo un sacco di tempo per fare un po’ i turisti.»

Per la terza volta, lei lo guardò da sopra la spalla. La sorpresa era dipinta nei suoi tratti armoniosi. Lo studiò, con aria incerta, poi sorrise. Era solo il fantasma di un sorriso, ma c’era. «Sarebbe davvero una cosa carina.»

***

Fu una bella giornata.

Bella era nervosa, ma le sue paure si rivelarono infondate. Edward parlò solo con dolcezza, chiedendole se c’era qualcosa in particolare che voleva fare. Dato che lui era stato qui un sacco di volte, le parlò a lungo delle diverse opzioni che avevano.

«Davvero, Bella. Dove andresti, se potessi andare ovunque?»

Lei strinse le labbra. «Voglio passeggiare sul Golden Gate Bridge.»

«Tutto qui?» Sembrava divertito.

«Questo è quello che voglio di più», chiarì.

E così fu quello che fecero.

Trovarono un posto per parcheggiare e fecero quella lunga passeggiata. Edward rimase tranquillo. Non protestò quando lei volle fermarsi per guardare il panorama della città dalla baia. C’era una atmosfera di pace di cui Bella non si era resa conto di avere disperatamente bisogno, finché non vi si trovò.

«È una bellissima città», disse.

«Sì», concordò lui. «È decisamente tra le mie cinque preferite.»

«Quali sono le altre?»

«Negli Stati Uniti?»

Bella sentì uno spasmo, chiedendosi, non per la prima volta, quanto mondo avrebbe visto adesso se avesse fatto scelte diverse. «Certo.»

Lui sembrò pensare un attimo, poi continuò. «In nessun ordine particolare? Austin, Boston, Washington D.C. e…» Le sue labbra si incurvarono in basso brevemente. «E Seattle, ancora, credo.»

Lei sapeva dannatamente bene che non era più tornato a Seattle, se non per andare all’aeroporto, in otto anni.

Non volendo appesantire quell’atmosfera leggera, Bella cambiò argomento. «E però vivi a New York.»

Lui fece spallucce. «È stata una decisione dettata dal lavoro. Mi piace un sacco New York. E’ nella mia top ten. D’altra parte, il fatto che amo queste città non significa che devo viverci. Visitarle è bello.»

Bella annuì. Aveva così tante domande, ma non sapeva se voleva metterci le mani. La pace tra loro non poteva durare, questo lo sapeva. Sapeva che prima o poi avrebbero dovuto parlare, ma per il momento era contenta così.

Per una volta, lui sembrò sulla stessa lunghezza d’onda, e cambiò argomento. Come sempre, Edward sapeva assolutamente tutto. Chiacchierò un po’ della storia della città, indicando alcuni punti di riferimento.

Questo lei se lo ricordava. Ricordava com’era lui quando leggeva un libro o vedeva uno spettacolo. Bella aveva sempre amato il modo in cui lui era affascinato da tutto per giorni o ore a volte. In effetti, sapeva qualcosa di quasi tutto. Era allo stesso tempo fastidioso, Edward era un po’ esibizionista, e affascinante.

Passarono il tempo con semplicità, attraversando il ponte in un senso e poi tornando nell’altro.

Fatto quello, dato che avevano mangiato solo una colazione leggera, si diressero a Chinatown per il pranzo. C’era una bella atmosfera, ma brulicava di persone. Edward fendette la folla tenendola per mano, perché non si separassero mentre camminavano spalla a spalla con residenti e altri turisti. Navigò per le strade come un esperto, fino ad un ristorante che si chiamava Jai Yun.

Bella fu più che sorpresa, scoprendo che avevano una prenotazione. Quando lui aveva chiamato lei non se n’era accorta. Era un posto costoso, ma interessante.

«Lo chef compra tutto fresco al mercato ogni giorno, e il menu giornaliero si basa su quello che trova», spiegò lui.

San Francisco era piena di ristoranti esclusivi, come stava cominciando a scoprire.

Bella era piuttosto guardinga sul suo pasto misterioso, ma come Edward le aveva promesso, era tutto delizioso. Glielo disse e fu ricompensata da un sincero sorriso. Qualunque cosa fosse nell’aria, sembrava contento che lei si stesse divertendo.

Da là, andarono al Molo 39 dove salirono per un giro nella baia. Tutti offrivano di fotografarli, prima che si imbarcassero.

«Per la mamma?»

Bella fu sorpresa che glielo chiedesse. Annuì, sentendosi a disagio quando il fotografo fece loro cenno di stare più vicini.

«Non siate timidi, ragazzi. A noi qui non dispiacciono le manifestazioni pubbliche di affetto.»

Edward si avvicinò, mettendole un braccio alla vita. Non era una stretta così blanda. Lei lo guardò sorpresa e lo trovò che la stava guardando. I suoi occhi erano tempestosi, in conflitto, ma per nulla freddi. Lei mise la mano alla sua vita, il tocco leggero e senza pretese. Gli sorrise incerta.

«Grandioso. Ecco fatto», disse il fotografo. «Nessun obbligo. Sarà qui quando tornerà la vostra l’imbarcazione.»

Sentendosi confusa, Bella si allontanò da Edward, cominciando a salire lungo la passerella.

Il giro nella baia era lungo, ma quando Edward chiese, Bella disse che voleva stare fuori. Potevano sedersi, ma lei preferì stare in piedi.

Voleva vedere Alcatraz per bene, un giorno, rifletté, ma oggi non era la giornata. Invece, guardò l’isola passare dall’acqua, mentre una voce raccontava una serie di fatti attraverso gli altoparlanti.

I suoi occhi vagarono sul profilo di Edward. I suoi capelli erano arruffati dalla brezza. Le sue braccia, appoggiate al parapetto erano più esposte del solito, così che poteva vedere la definizione dei suoi muscoli.

Era un uomo bellissimo. Avrebbe dovuto essere cieca per non vederlo, ma in quel momento, questo la colpiva particolarmente duro.

Fu allora che capì, perché questa giornata le era sembrata surreale. Con le difese abbassate e senza la sua rabbia, le ricordava tanto il ragazzo che era stato prima che lei le spezzasse il cuore. Era ancora lì, bellissimo, come persona e come personalità. Era stato così premuroso, oggi. Perfino divertente.

Non è tuo, ricordò a se stessa.

La fantasia era la foto che presero quando scesero dal battello. L’uomo nella foto non la odiava. Sembrava, semmai, una versione più innocente di se stesso, forse come se adorasse la donna che lo stava guardando, ma non fosse sicuro che gli fosse permesso.

Non poteva essere la realtà. Magari, in realtà, lui si stava muovendo verso un posto dove non l’avrebbe odiata, ma non erano amici, figuriamoci poi… qualunque cosa quella foto rappresentasse.

Era sconcertata, quieta, mentre camminavano verso Ghirardelli Square. Non aveva idea di come avrebbe dovuto sentirsi. La sua vita non aveva assolutamente senso. A Forks, la sua figura materna stava morendo, e odiava stare lontano da lei. Era qui con un uomo che era stato talmente crudele con lei, negli ultimi mesi, e lo stesso si sentiva colpevole per gli errori che aveva fatto, per la profondità delle ferite che aveva causato. Ma oggi era contenta. Non poteva negare di sentirsi più leggera di quanto non si fosse sentita in anni. Era immersa in una nuova esperienza in un posto nuovo, con un uomo che non era il suo amico e non era il suo amante.

Il contratto diceva solo che sarebbe stato civile. Ed era stato più che civile.

Bella era distratta quando si ritrovò circondata di venditori ambulanti. Comprò una foto in bianco e nero del Golden Gate Bridge che sembrava come mangiato dalla nebbia. Edward le prese la borsa, portandola per lei, e lei lo lasciò fare.

«Gelato?» chiese lui.

«C’è mai stata una volta in cui la risposta a questa domanda non è stata un sì?»

Lui sorrise e si avviarono per la collina verso Ghirardelli’s. Ordinarono dei semplici coni. Edward comprò una scatola di cioccolatini per i suoi genitori. Passeggiarono nel tardo pomeriggio godendosi il viavai della piazza.

C’erano dei ballerini, quella sera, che danzavano al ritmo di una band di ispirazione sudamericana. Potevano essere a Rio. Si fermarono a guardare e Bella rise quando i ballerini cominciarono a  cercare di coinvolgere la folla che era lì.

Strillò per la sorpresa quando uno di loro venne da lei, le prese la mano e la portò al centro della piazza. Con le mani sui fianchi di lei, si muoveva a tempo con la musica e, lasciandosi andare all’atmosfera, Bella si mosse al ritmo della musica. Ballava mentre lui la portava, senza vergognarsi, per una volta. La folla era con lei, e applaudiva.

E Edward la guardava con una luce negli occhi che avrebbe giurato di non aver mai visto prima.

Con la coda dell’occhio, le sembrò di vedere una delle ballerine fargli un cenno piegando l’indice. Gli prese le borse dalle mani, appoggiandole in un posto sicuro vicino alla band prima di trascinarlo nel cerchio con lei, ballando con lui come l’altro ballava con Bella. Lo fece ballare…

E poi i due ballerini diedero a entrambi una spinta gentile, mandandoli uno nelle braccia dell’altro.

Per un attimo, rimasero tutti e due immobili.

Poi lui le mise le mani sui fianchi, e lei gli mise una mano al collo.

Per un po’, tra le grida di incoraggiamento e i fischi della folla, ballarono insieme, e sorridevano.

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/10/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  10

 

Nonostante avessero una bellissima stanza che li attendeva, Edward e Bella rimasero a San Francisco per la notte.

Sapendo quanto amava i musei di scienze, Edward la portò all’Exploratorium. Quando gli occhi di Bella si illuminarono, nel momento in cui capì di cosa si trattava, lui sorrise.

Lei avrebbe dovuto essere una scienziata, adesso. Cosa ne era stato di quel sogno, si chiese lui.

Quasi glielo chiese.

Invece, la guardò saltellare da esposizione a esposizione. Lei aveva sempre amato come fossero  concreti i musei di scienze.

Incrociarono una bambina che cercava di alzare la metà di una barra metallica dall’ acqua saponata.

«Posso aiutare?» chiese Bella avvicinandosi.

La ragazzina annuì. «Sono troppo piccola. Voglio fare un grande muro!»

«Possiamo farlo insieme.» Bella si mise in piedi vicino alla bambina e fece cenno a Edward di mettersi dall’altra parte. Lui lo fece. «Adesso dobbiamo stare attenti. Piano. Piano. Sì, così.»

Invece che guardare il muro di bolle di sapone, Edward guardava il viso di Bella. Lei e la bambina avevano la stessa espressione  affascinata, gli occhi sgranati. Il muro ondeggiò, prendendo i colori dell’arcobaleno, e loro fecero un gran sorriso sciocco.

Edward sentì un calore fiorire al centro del petto. Soffiò piano sul muro, per vedere la reazione. Tutte e due protestarono, prima, poi gli chiesero di farlo ancora mentre il muro si gonfiava.

«Awww!» dissero in coro quando la bolla, inevitabilmente, scoppiò.

Tornarono a Carmel lentamente, fermandosi in piccoli tratti di spiaggia. La costa era bellissima, in questa zona: a volte scogliere rocciose, a volte sabbia immacolata. In un punto, c’erano delle foche sdraiate sulla sabbia, avrebbero potuto toccarle, anche se Edward e Bella erano più svegli di così, e non l’avrebbero mai fatto.

L’atmosfera tra loro li confondeva, come minimo.

Edward si svegliò  nella loro stanza a Carmel il terzo giorno della loro luna di miele improvvisata e di nuovo trovò che Bella era già alzata. Portava un copricostume, il che suggeriva che sotto avesse il costume da bagno.

«Un po’ freddo per nuotare, no?»

Gli occhi di Bella indugiarono su di lui per un momento, come aspettando la battuta finale o un suo giudizio. «In confronto a First Beach, questa è una sauna», gli disse con un piccolo sorriso. «Potrei non andare, ma credo di non entrare nell’oceano da quando avevo dodici anni e andai a trovare mia madre.» Fece una pausa. «Vuoi venire con me?»

La sua voce era incerta, come se non fosse sicura che avrebbe dovuto offrire.

In qualche modo era confortante sapere che lui non era l’unico a non sapere come comportarsi in questa amicizia incerta tra loro. «Adesso no.»

Lei annuì e uscì subito, diretta alla spiaggia.

Edward tamburellò le dita sulla gamba, contento della tregua. Era un bene avere un po’ di spazio lontano da lei. Forse poteva pensare a qualcos’altro.

Naturalmente, finì per guardare fuori della finestra, osservando lei che osservava le onde.

I minuti passavano e Edward non si muoveva. Continuava a dirsi che doveva farlo. Doveva distrarsi. O magari, se doveva continuare a guardarla, doveva accettare la sua offerta. Una nuotata l’avrebbe distratto. Anche lui non si ricordava l’ultima volta che si era tuffato nell’oceano.

Ricordò le coppie che passavano mentre camminavano lungo la spiaggia la sera prima. Ricordava le loro risate, e il modo in cui un uomo aveva messo il braccio alla vita della donna, tentando di buttarla in acqua.

Prima di riuscire a fermarsi, immaginò di giocare in quel modo con Bella.

Il suono del cellulare lo trasse all’improvviso dalle sue fantasie, e Edward sobbalzò.

Gli si contrasse lo stomaco di un’ansia immediata. Automaticamente, i suoi pensieri andarono nella direzione più oscura. E se la sua famiglia lo stesse chiamando per dirgli…

No. No, gli serviva più tempo.

Si portò il telefono all’orecchio. «Pronto?»

«Edward?»

Edward sospirò di sollievo sentendo la voce di sua madre. «Ciao, mamma.»

«Ciao, tesoro. È un brutto momento?»

«No. Va bene.»

Parlarono un po’ di che coppia felice fossero stati negli ultimi giorni. Edward le disse delle mezze verità. Le raccontò quanto si erano divertiti. Non fu così difficile come avrebbe dovuto essere. Si era goduto veramente la compagnia di Bella, ma fece la parte dell’innamorato a beneficio di Esme.

«Edward, io ti voglio bene, ma tu devi essere onesto con me.»

«Cosa…»

«Tu sei ancora arrabbiato.»

Edward rimase in silenzio per un momento. Deglutì. «Non sono arrabbiato.»

«Sì che lo sei. Lo sei sempre stato.» Sua madre sospirò. «Lo so che se non fossi malata, tu non l’avresti sposata.»

«Mamma…»

«Sei mio figlio da tutta la vita», scherzò Esme. Poi il suo tono diventò più serio. «Io so che la ami ancora; non hai mai smesso di amarla. Ma so anche che ti stai aggrappando al passato con le mani e con i piedi.»

«Io sono…» Edward fece per discutere, ma poi lasciò perdere. Tutto considerato, sembrava che lei non fosse ancora consapevole che tutto il loro matrimonio fosse una commedia. Poteva essere un figlio che aveva problemi di relazione con sua moglie. «È solo che… io non capisco. Potevamo avere una vita bellissima insieme. È stato così inutile. Tutte quelle cose che lei non ha fatto, potevamo averle fatte insieme. Poteva avere tutto questo senza tutta quella… quell’angoscia.»

«Oh, tesoro.» Esme sembrava quasi delusa. «Non esiste una vita senza angoscia. Lei ha fatto un errore. Anche tu hai fatto degli errori. Se non fosse stato quello che ha fatto, sarebbe stato qualcos’altro. C’è sempre qualcosa.»

«Ma la nostra vita, la vita che avevamo progettato…»

«Edward.» Esme sembrava esasperata. «Sei così rigido. Ti sei creato questa vita perfetta nella tua testa quando avevi diciassette anni, e ti rifiuti di lasciarla andare.»

«Era una buona vita.»

«Lo era veramente?» Prese un respiro irregolare. «Pensaci, Edward. Tu hai fatto del tuo meglio per essere la persona che avevi deciso di essere quando eri poco più che un bambino. Ti ha portato tutta questa felicità? Tu odi il lavoro che tu e Bella avevate scelto insieme.»

«Non lo odio.»

«Edward.» Lo ammonì Esme.

«Non lo odio. Sono bravo a fare quel che faccio. Ho avuto successo.»

«Il successo non è la stessa cosa che la felicità. E sì, io ti conosco, caro. So che pensi che saresti stato felice se Bella non avesse fatto  quello che ha fatto tanti anni fa. Ma tu non sarai mai felice se non imparerai a cambiare. Non puoi essere quell’adolescente per sempre.»

Edward non disse nulla. Gli girava la testa per quello che lei gli aveva detto, ma era anche preoccupato per come lei cominciava ad impastare le parole. Sembrava esausta.

«Dovresti stenderti, mamma.»

Esme emise un sospiro tremante. «Immagino di sì. Hai una moglie da cui tornare, dopotutto.» Fece un sospiro sognante. «Nuota con lei nell’oceano, Edward. È sorprendentemente romantico. C’è un motivo se i registi dei vecchi tempi usavano l’infrangersi delle onde sulla spiaggia come metafora per l’orgasmo.»

«Mamma!» protestò Edward.

La risata di lei fu debole. «Vai, figliolo.» Ansimava tra le parole. «Ci vediamo. Quando tornerai a casa.»

«Ti voglio bene, mamma.»

«Ti voglio bene, Edward. Sempre.»

Edward riattaccò un po’ riluttante, guardando il telefono per un po’. Aveva lo stomaco annodato, e aveva bisogno di tornare da sua madre. Per un secondo, quel bisogno fu così potente che non riusciva a respirare.

Domani sera. Domani sera sarebbero volati a casa.

Edward esalò lentamente, la testa china, cercando di non pensare.

Sobbalzò quando un ramo colpì il vetro della finestra. Forte.

Assottigliando gli occhi, Edward si alzò e andò alla finestra. «Porca miseria,» mormorò sotto voce.

Durante la mezz’ora in cui aveva parlato con sua madre, il tempo era cambiato drammaticamente. Erano arrivati dei nuvoloni neri e il vento si era alzato. Edward si accigliò preoccupato  mentre attraversava il soggiorno, osservando la spiaggia.

Bella non si vedeva. Il suo asciugamano era ancora sulla spiaggia, spiegazzato e arrotolato dal vento.

Per qualche ragione, sentì un malessere fermarsi come una pietra all’imbocco dello stomaco. Uscì in fretta sul portico. Era freddo, fuori. Così freddo che Edward si strinse addosso la sua giacca.

Nessun segno di Bella.

I suoi nervi si contorsero.

L’acqua era agitata. Molto agitata. Le onde erano alte.

La memoria gli tornò a un’ora fa, quando Bella stava decidendo se  voleva o no affrontare il freddo e fare una nuotata.

Edward accelerò la sua andatura. I suoi occhi scansionavano la battigia, ma tutto quello che vedeva erano onde spumose.

Un ragazzino gli corse di lato, chiamando dietro suo fratello. «Corri! C’è qualcuno nell’acqua.»

Edward cominciò a correre.

Già una piccola folla si era riunita sulla spiaggia, e guardavano tutti verso l’acqua. Alcuni tenevano indietro le persone, a distanza dalle onde pericolose. Qualcuno era in pericolo, e all’improvviso fu terrorizzato di sapere chi fosse.

«Bella!» urlò mentre correva più veloce.

Aveva la mente vuota, ogni pensiero appeso a una singola emozione: paura.

Perché gli sarebbe stato proprio bene, se fosse finita così. Non gli aveva appena detto sua madre quanto fosse preziosa la vita? Non aveva provato a spiegargli che il nostro tempo può finire in un attimo?

Non lei. Non lei. Non lei. «Bella!»

Stava  per afferrare un tipo che aveva già alzato la mano in un cenno di stop quando sentì che qualcuno lo chiamava per nome.

Edward si voltò. «Bella?»

Bella uscì dalla folla e lui le corse incontro, afferrandola in uno stretto abbraccio. Continuava a mormorare il suo nome, così profondamente sollevato che capiva a malapena quel che stava facendo. Le prese il viso tra le mani e la baciò.

I capelli di lei erano fradici, mentre lui ci passava in mezzo le dita. La sua pelle era gelata. Il suo grido di sorpresa fu attutito contro le labbra di lui. Edward era vagamente consapevole che il corpo di lei, premuto contro il suo, era bagnato come i suoi capelli, sotto il copricostume che indossava. Doveva essere stata in acqua.

Dato che aveva corso per la spiaggia, lui era già senza fiato. Interruppe il bacio tenendola stretta contro di sé. «Mi hai spaventato a morte.»

«S-s-scusa.»

Stava rabbrividendo. Tanto. «Oh, Bella.» La lasciò, così da potersi togliere la giacca.

«Sto bene», disse lei, sbattendo gli occhi come se fosse leggermente stordita. Al suo cenno, infilò le braccia nelle maniche della sua giacca. Lo guardava con gli occhi sgranati mentre lui tirava su la chiusura davanti.

«Stai gelando», disse strofinandole la schiena. «Andiamo dentro.»

«Voglio vedere cosa è successo…»

«Bella, per favore», la pregò lui. L’ansia era ancora la sua emozione primaria. Doveva assicurarsi che lei stesse bene. Anche se la vedeva tutta intera di fronte a sé, il suo mondo era ancora troppo instabile. «Per favore, fatti portare dentro. Al caldo. Qualunque cosa succeda, sono sicuro che la sapremo.» Forse era da insensibili, ma gli importava molto di più del benessere di Bella che della persona intrappolata nell’acqua, in questo momento.

Lei lo studiò un attimo poi annuì. «Va bene», disse quieta.

All’inizio le teneva solo la mano, mentre camminavano verso casa. Ma quando vide che aveva ancora i brividi,  la strinse col braccio e portò le sue dita alle labbra, soffiandoci sopra per scaldarli.

Quando arrivarono in casa, il suo panico si era attenuato. L’aria intorno a loro era di nuovo pesante, ma non malevola. Solo strana, in qualche modo.

Edward non sapeva come processare quello che sentiva.

Bella si allontanò da lui non appena furono dentro. «Io, um… vado a farmi una doccia.»

Lui annuì. «Bene. Sì. Buona idea.» Alzò il riscaldamento di qualche grado.

Mentre lei faceva la doccia, Edward si mise sul letto, la testa tra le mani, i pensieri che vorticavano selvaggiamente.

Quello che voleva dirsi era che la preoccupazione che aveva provato per Bella era la stessa che avrebbe provato per chiunque altro, ma non era così. Non era così e basta. Quando gli era venuto in mente che lei poteva essere stata spazzata via dal mare violento, il suo cuore e la sua anima avevano urlato con un dolore che era difficile da descrivere.

Era diverso. Era così diverso da quando lei gli aveva spezzato il cuore. In quei minuti di panico, era come se il suo cuore se ne fosse andato – strappato via con la forza. L’idea che la sua vita potesse spegnersi era troppo, troppo insopportabile.

Perché lui la amava. La amava ancora.

In questi ultimi giorni aveva provato ad essere suo amico, ma c’era qualcosa di goffo, in questo. Sì, qualcosa poteva essere attribuito all’indugiare della sua rabbia, ma una parte era anche quello che le aveva detto quando era ubriaco marcio.

Non sapeva come essere suo amico. Non pensava fosse possibile.

Seduto sul letto, pensando  che la sua prima reazione vedendo che era viva e stava bene era stata baciarla e non lasciarla più andare, Edward non poteva più negare i fatti. Era innamorato di lei. Ancora. Di nuovo. Non lo sapeva.

Edward si afferrò i capelli con tutte e due le mani, stringendo, cercando di trovare un appiglio nelle sensazioni che lo stavano travolgendo. Era un tipo molto diverso di panico, perché adesso, cosa avrebbe dovuto farne di ciò che aveva scoperto?

Era ancora così arrabbiato. Doveva perdonarla? Non poteva dimenticare. E comunque, come poteva finire bene? Avrebbe dovuto perseguitarla? Perché non poteva più amarlo, non dopo il modo in cui l’aveva trattata. Ma lei lo aveva distrutto già una volta. La sua rabbia era legittima. Lui…

La porta del bagno si aprì e Bella era là, con i vestiti asciutti, un asciugamano intorno ai capelli e uno sguardo negli occhi, come sempre, incerto.

Edward si alzò e andò verso di lei. Per un momento lasciò svanire i suoi pensieri e agì d’istinto. Le mise una mano sulla guancia, vedendo di nuovo che stava bene ed era davanti a lui.

Si avvicinò di più e tirò l’asciugamano, lasciando cadere sulla sua schiena i capelli umidi. Pigramente, le passò le dita tra i capelli, pettinandoli.

Le labbra di lei erano socchiuse, gli occhi nei suoi, guardava. Sembrava ammutolita, proprio come si sentiva lui.

Stava per baciarla di nuovo? Voleva. In questo momento, voleva fingere che gli ultimi otto anni non ci fossero mai stati.

Ma c’erano stati.

Lasciando cadere la mano, Edward fece un passo indietro, voltandosi.

«Perché non sei più andata a scuola?» La domanda venne fuori come un latrato, la voce di lui ruvida.

Bella non rispose subito. «Cosa?»

Non poteva biasimarla per la sua confusione. Era veramente una domanda a caso, date le circostanze, ma era la prima che gli era venuta in mente. Tutto sommato, era anche una delle più innocenti di quelle che gli giravano in testa.

«Sono passati otto anni da quando ti sei diplomata. Perché non sei andata a scuola in tutto questo tempo?»

Lei sbuffò. «Davvero vuoi parlare di questo?»

«Hai detto che volevi parlare. Stiamo parlando.» Il suo tono era piatto, e non si era ancora voltato a guardarla. Guardava fuori dalla finestra la palma che si agitava nel vento.

«Veramente non ho una gran risposta. La vita è andata così.» Prese un profondo respiro. «Ho deciso di non tornare a scuola subito. Lo fanno in molti, sai. Ho deciso…»

«Per favore, non mentirmi.»

Bella rimase in silenzio. «Io non ti sto…»

«Tuo padre mi ha detto che non ti hanno ammessa a Dartmouth.» Lui finalmente si girò e la vide appollaiata su bordo del letto. Aveva gli occhi bassi, le spalle si alzavano e si abbassavano bruscamente. «Perché non me lo hai mai detto, Bella?» Sentiva la disperazione nella sua stessa voce, ma non riusciva a calmarsi. «Che c’è, ti vergognavi?»

«Sì!» Lo sorprese alzando la voce, lo sguardo in fiamme nel suo. Ma con la facilità con cui si era acceso, quel fuoco si spense e lui colse un lampo di puro dolore mentre lei voltava di nuovo lo sguardo. «Voglio dire… ma non è questo il punto.»

«Quindi qual è il punto?» chiese lui, la rabbia che stava rapidamente tornando. «Piuttosto che parlarne con me, piuttosto che decidere dove potevamo andare assieme, tu hai deciso che quella era la strada migliore?»

Lei si strinse le braccia intorno al corpo. «No, non lo era. Vuoi sapere perché non sono andata a scuola? Perché stavo così male per quello che avevo fatto, che all’inizio funzionavo a malapena. Sapevo che era la cosa sbagliata, ma quando me ne resi conto era troppo tardi.» Scosse la testa. «Te lo giuro, Edward. L’ho fatto per te.»

«Ma che stronzata!» Dovette chiudere gli occhi e prendere un profondo respiro. Flesse la dita ai suoi fianchi prima di ricominciare a parlare. «Tu non ti sei mai preoccupata di sapere quello che volevo, perché pensavi, cosa? Che mi vergognassi di te?»

«No.» Ma non suonava così sicura mentre lo negava.

«Non avresti dovuto conoscermi meglio di così? Non mi sarei mai vergognato di te. Ma chi cazzo se ne fregava se non rientravi nei parametri della scuola?»

«Io volevo solo che tu avessi i tuoi sogni, che fossi felice, e io ti avrei solo ostacolato…»

«Tu eri il mio sogno, Bella!» le ruggì contro abbastanza forte da farla sobbalzare. Di nuovo dovette prendere un respiro profondo. Doveva calmarsi abbastanza da non tirare un pugno al muro. Il suo tono era ancora duro e troppo alto. «Tu non volevi ostacolarmi? Be’, congratulazioni. Di certo questo l’hai ottenuto. Mi volevi felice? Be’, immagino che uno su due non sia poi così male.»

Lei si morse il labbro, voltandosi per nascondere le lacrime che aveva agli angoli degli occhi. Il cuore di Edward si strinse. Odiava ancora vederla piangere. Non voleva altro che andare da lei, prenderla tra le braccia e rendere tutto migliore.

Ma dannazione, lei li aveva portati a questo punto. Lei aveva fatto tutto questo.

Edward cominciò a fare avanti e indietro.

«Quindi vediamo se ho capito. Tu hai ‘rinunciato a me’ così io potevo andarmene e seguire i miei sogni mentre tu stavi a Forks e facevi cosa?» Questa, semmai, era la parte che più lo mandava assolutamente fuori di testa. Lei aveva tutto il potenziale per avere una vita incredibile. Lui si era costruito una vita incredibile senza di lei. Sua madre aveva ragione,  non era la vita che voleva, ma non era così… triste. «Giocavi a fare la martire? Perché da quello che vedo, quello che hai fatto negli ultimi otto anni è assolutamente nulla. E dovrei sentirmi grato per questo?»

A questo lei si alzò in piedi. «Tu non sai nulla della mia vita. Tu non sai cosa ho fatto in questi ultimi otto anni. Come cazzo ti permetti di dire che non ho fatto nulla? E davvero, non hai nessun diritto di giudicarmi.»

«Oh, non ho diritto?»

«No, non ce l’hai. Sì, ho fatto un errore, Edward, ma tu mi hai creduto. Hai creduto a tutte le cazzate che ti ho detto. Non avresti dovuto conoscermi meglio?» Gli tirò in faccia le parole che lui le aveva detto poco prima.

Edward sbatté gli occhi, un po’ stordito.

«Tu non hai lottato per me. Mi hai lasciato andare e basta!»

Respiravano pesantemente tutti e due, squadrandosi da una parte all’altra della stanza. «Quindi, era una specie di test?»

«No», disse lei schernendolo. «Certo che no.» Sembrava  che cercasse di convincere se stessa  quanto lui. «Non l’ho certo fatto per questo!» sbottò. «Non l’ho fatto apposta. Mi sembrava la cosa giusta, e tu non mi hai mai detto che fosse quella sbagliata. Hai rinunciato. Io ero il tuo sogno? Se eravamo così perfetti, insieme, se questo era quello che volevi, perché mi hai lasciato andare?»

Prima che Edward potesse cominciare a processare tutto questo, il suo cellulare squillò. «Che c’è?» ringhiò nel telefono.

«Edward?»

Era Alice. Stava chiaramente piangendo.

«Edward, devi tornare subito a casa.»

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/11/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  11

 

 

Bella era spaventosamente certa che Edward stesse andando fuori di testa.

Se la sarebbe cavata meglio se avessero dovuto guidare fino a casa, anche se quelle due ore da Carmel a San Francisco erano state snervanti, come minimo.

Mentre Edward guidava, maledicendo chiunque incontrasse sulla strada, lei scorreva sul telefono gli orari per vedere quale era il primo volo per tornare a casa.

Avevano lasciato i bagagli nella suite, così ai controlli di sicurezza erano solo loro, la borsa di Bella, il suo borsone e la ventiquattrore di Edward. Sapendo che lui era vicino alla combustione spontanea, gli prese la mano. Lo spinse a togliersi le scarpe e a continuare a muoversi.

«Non pensare neanche lontanamente di metterti a urlare con quelli della sicurezza, Edward.» Era sulle punte e gli mormorava l’avvertimento all’orecchio appena prima che lui scattasse con un agente della TSA (Transportation Security Administration) che stava solo facendo il suo lavoro.

Esme era peggiorata. Era successo all’improvviso, quasi subito dopo che aveva parlato con Edward al telefono, quella mattina. L’infermiera che aveva mandato l’ospedale aveva detto che potevano essere giorni o potevano essere ore. Era difficile dirlo. Quando era sveglia, Esme non poteva parlare. Non sarebbe stata una cosa lunga.

Avevano appena passato la sicurezza e Edward era di nuovo al telefono, prima con Alice, poi con suo padre. Dalla mezza conversazione che aveva sentito, lo stavano incoraggiando a dirle addio adesso. Lui resisteva. Duramente.

«Avete detto che l’infermiera ha detto che possono essere giorni… Lo so. Lo so che ha i dolori, ma…»

Prendendo la ventiquattrore dalle sue mani, Bella lo spinse in direzione del gate, dicendogli che sarebbe tornata subito, ma dubitava che l’avesse sentita. Voleva dargli un po’ di spazio.

Be’, voleva dargli spazio, e voleva anche un momento per sé.

Al sicuro dietro un angolo, si rannicchiò, lasciando cadere a terra le borse e la ventiquattrore, mettendosi una mano davanti alla bocca.

Per una manciata di secondi, lasciò che il dolore la travolgesse.

Naturalmente, in questi ultimi mesi, aveva saputo che questo giorno sarebbe arrivato. Questo era il risultato inevitabile, il destino ineluttabile. Ma sapere che sarebbe arrivato e trovarcisi in mezzo, non era la stessa cosa.

Il bisogno di altro tempo era palpabile, una parte fisica di lei come un braccio, o una gamba o il cuore che le pompava nel petto.

Quante volte, in questi ultimi mesi, vedendo il viso di Esme contorto dal dolore, aveva sperato che finisse? Era insopportabile da vedere, lei che si contorceva perché non poteva fermarlo. Durante i momenti peggiori con Edward, era quello che la faceva andare avanti. Cos’era la sua sofferenza psicologica di fronte al tormento di Esme?

Tutto aveva una fine. Quando Bella aveva saputo che per Esme non c’era più possibilità di cura, sapeva dentro di sé che si rifiutava di rendersi conto che quando sperava in una fine, stava pregando per la morte della sua figura materna. Questo era l’unico sollievo che le era rimasto. Era l’unica pace che poteva essere offerta a Esme.

Anche se sapeva esattamente come si sentiva Edward. Per quanto volesse portare via dal dolore Esme, voleva anche che rimanesse. Era un desiderio egoista, lo sapeva. Impossibile.

Il dolore era schiacciante. Le spalle di Bella tremavano per lo sforzo di tenerle dritte. Quello che voleva era rannicchiarsi a terra. Di certo questo dolore era troppo grande e la pietà dell’incoscienza era appena dietro l’angolo. Non voleva farlo, non voleva affrontare tutto questo. Si sentiva come un bambino che scaccia le mani dei genitori, strillando e sbattendo i piedi a terra perché non vuole assolutamente che questo accada.

«Madam. Sta bene? Madam?»

Bella boccheggiò, rendendosi conto che non prendeva fiato da troppi secondi. I polmoni le facevano male. Il cuore le faceva male.

No, non stava bene, decisamente.

«Madam? Ha bisogno di un dottore?»

Bella scosse la testa, prendendo un altro respiro tremante. I suoi pensieri cercavano di arrampicarsi verso un posto sicuro e felice dove non stava perdendo una donna che amava tanto.

Ma non c’era niente da fare. Nessun posto in cui scappare. Negazione o no, questo sarebbe successo.

Edward aveva bisogno di lei. Non importava come si sentiva Bella, Esme non era sua madre. Lei non avrebbe perso sua madre oggi o domani. Renee avrebbe vissuto per vedere un altro Natale, un altro compleanno, avrebbe visto nascere i suoi nipoti. Esme no, e dei due, sarebbe stato Edward a soffrire di più.

Aprendo gli occhi, Bella prese la mano che le offriva il suo preoccupato compagno di viaggio, lasciando che l’uomo la aiutasse ad alzarsi. «Mi… mi dispiace», disse lei. «Mia suocera sta morendo, e stiamo cercando di andare da lei. Ho solo bisogno di un momento.»

Gli occhi dell’uomo si ammorbidirono per la compassione. «Oh, cara. È difficile, è così difficile.» Fece esitante un passo avanti. «Posso abbracciarti?»

L’anima di Bella faceva male dal bisogno. «Mi piacerebbe tanto», disse lei in un sussurro.

L’uomo la prese tra le braccia e la strinse. Grazie a Dio per la gentilezza degli sconosciuti, pensò Bella intorpidita. Si aggrappò a lui per qualche secondo, prendendosi quel conforto di cui aveva disperatamente bisogno, e quando lui la lasciò andare, si sentì come se potesse respirare di nuovo.

«Grazie», disse asciugandosi le lacrime e tirando su col naso. «Devo tornare da mio marito.»

«La pace sia con te.»

Bella fece un sorriso lacrimoso ma sincero all’uomo, prima di dirigersi di nuovo verso il gate.

Non appena vide Edward, si pentì di averlo lasciato. Era vicino alla finestra e faceva avanti e indietro in quello spazio ristretto. Aveva le mani nei capelli e sembrava completamente fuori di testa.

Il cuore di Bella perse un colpo quando vide che le persone lo osservavano. Un agente della sicurezza si stava dirigendo dritto verso di lui. Bella corse a chiudere la distanza tra loro.

«Mister…» cominciò l’uomo, ma Bella lo avvicinò, toccandogli il braccio.

«Per favore», lo pregò, avvicinandosi abbastanza da poter abbassare la voce. «Sua madre sta morendo, e lui è lontano. È sconvolto. Non avrei dovuto lasciarlo solo. La prego. Ci penso io adesso.»

Lo sguardo duro dell’uomo si ammorbidì, e annuì. «Le mie condoglianze», disse piano. «Ma se disturba gli altri passeggeri…»

«Non succederà», disse Bella in fretta. «Me ne assicurerò.»

A tal fine, Bella andò diretta sulla traiettoria di Edward, alzando le mani per fermarlo. Lui incespicò, alzando su di lei occhi che non vedevano.

Lei chiamò gentilmente il suo nome, ma lui non la guardava. Aveva le labbra socchiuse, il respiro irregolare. «Siediti, okay?»

«Io…» fece per discutere, ma Bella gli mise le mani sulle braccia.

«Stai spaventando gli altri passeggeri. Se ci fai cacciare dall’aeroporto ci vorrà ancora più tempo per arrivare là.»

Edward sbuffò. Ma fece qualche passo indietro e si lasciò cadere pesantemente su una delle sedie. Crollò in avanti, la testa china.

Bella si inginocchiò di fronte a lui, infilando le dita tra i suoi pugni stretti. «Parlami, Edward. Sono qui.»

Aveva i tratti contorti. «Non posso», sussurrò.

«Parla con me.» Intrecciò le dita con quelle di lui.

Lui scrollò la testa, prendendo un respiro. «Non posso farlo», disse alla fine. La sua voce era così sottile che quasi non la sentiva.

«Cosa non puoi fare?»

«Non posso perderla, ancora. Non ancora.» Sospirò. «Non posso, Bella. Non sono pronto.» Crollò giù dalla sua sedia, sulle ginocchia di fronte a lei, come se fosse incapace di tenersi su.

Bella avrebbe voluto rannicchiarsi lì con lui. Neanche lei era pronta. Non sarebbe mai stata pronta.

Prese un profondo respiro e abbracciò Edward.

Poiché non aveva parole che rendessero migliore quel momento, non disse nulla. Lo cullò, accarezzandogli i capelli e il collo. Lo tenne contro di sé mentre lui cercava di respirare.

Pochi minuti dopo chiamarono il loro volo per l’imbarco. Edward si alzò, premendo i pugni contro gli occhi e inspirando ed espirando per qualche secondo prima di allontanarsi da lei, prendendo la sua ventiquattrore. Mettendo tutte e due le borse sulla spalla, Bella gli prese la mano. Continuò a passargli il pollice sulle nocche mentre la fila avanzava.

Edward era più che irrequieto. Il modo in cui si contorceva sul sedile e muoveva continuamente le gambe era peggio di quello di un bambino. Non lasciò andare la mano di Bella per più tempo di quanto fosse strettamente necessario.

Sembrò un secolo prima che riuscissero finalmente a decollare.

Non appena poterono abbassare i loro tavoli, Bella tirò fuori i suoi cruciverba dalla borsa. «Edward», gli disse toccandogli la mano. «Aiutami con questa.» La ricerca di una parola non richiedeva grandi pensieri. Sapeva che non sarebbe riuscito a concentrarsi su qualcosa di più complicato, così sperava che questo potesse distrarlo.

Lui strinse varie volte la mano che teneva sul ginocchio prima di chinarsi leggermente verso di lei. Quando lui mise il dito all’inizio di una parola, Bella sentì allentarsi un po’ il nodo che aveva allo stomaco.

Il volo da San Francisco a Seattle era relativamente breve, ma avrebbe potuto benissimo essere un volo fino alla Nuova Zelanda. Bella fu consapevole di ogni minuto, di ogni secondo.

Queste potevano essere le ultime ore di Esme, ed ecco come le stavano passando lei e Edward.

Edward spinse via il giornale. «Non avrei dovuto lasciarla. Questo viaggio… non saremmo dovuti andare.»

«Era quello che voleva lei.» Bella fu sorpresa quando lui le prese la mano di sua iniziativa. Lei deglutì e gli strinse le dita. «Le hai detto tutto quello che volevi dirle, vero?»

«Tu pensi che sia abbastanza?» Aveva la voce aspra.

«No.» Alzò la mano che teneva nella sua e gli accarezzò la guancia. «Non sarà mai abbastanza.»

Lui rabbrividì e chinò la fronte contro la sua.

In qualche modo, riuscirono ad affrontare il resto del viaggio. Esme era incosciente ma respirava ancora quando atterrarono. Jasper era andato a prenderli.

Erano ancora a buone tre ore e mezzo da casa.

Jasper ce la fece in tre ore.

Bella era subito dietro a Edward quando lui corse in casa e su per le scale.

Poi, dopo tante ore in macchina, di aereo, di bisogno di essere esattamente in questa stanza, tutto si immobilizzò. Il tempo rallentò.

Carlisle sedeva sul letto, le spalle contro la testiera, la mano floscia della moglie nella sua. Non spostò lo sguardo da lei neanche quando Bella e Edward arrivarono di corsa nella stanza.

Seduta a fianco di sua madre, Alice si alzò e andò rapida verso di loro. Abbracciò stretto Edward e poi abbracciò anche Bella, perché non c’erano nemici, in momenti come questo. «Sono contenta che siate a casa,» fu tutto quello che disse.

E Esme…

Sembrava così piccola in quel letto enorme. La sua pelle e le poche ciocche di capelli che le erano rimaste erano così prive di colore, l’effetto era surreale. Era il fantasma della donna vibrante che era stata, consumata, piccola, e così immobile, Bella era quasi certa che fossero arrivati troppo tardi. L’alzarsi e l’abbassarsi del suo petto era così sottile, quasi impercettibile.

«Sono qui, mamma», sussurrò Edward a sua madre mentre si sedeva vicino alla sua testa. Le prese la mano, la voce spezzata. «Sono qui, adesso.»

Esme non si mosse.

L’infermiera stava dicendo qualcosa a bassa voce, ma Bella non la ascoltava. Capì che il corpo di Esme stava cedendo. Capì che sarebbe successo presto.

Fu dopo mezz’ora che erano arrivati Edward e Bella, che Esme aprì gli occhi. Tutti boccheggiarono. Nessuno si aspettava che si svegliasse di nuovo.

«Mamma?» disse Edward.

Esme si voltò lentamente verso di lui. Il suo sguardo era velato, ma gli sorrise. Appena un accenno, a malapena un piegarsi delle labbra screpolate, ma c’era. Sorrise a suo figlio. Poi i suoi occhi andarono ad Alice, poi a Bella.

Il suo respiro era irregolare, e sembrava costargli un grande sforzo, ma alla fine voltò la testa verso suo marito.

«Tesoro», sussurrò Carlisle, scivolando così da stare steso vicino a lei. Le incorniciò il viso tra le mani, chinandosi verso di lei finché furono naso a naso.

Il cuore di Bella andò in pezzi a quella vista. Non aveva mai conosciuto una coppia così innamorata come Esme e Carlisle. Non riusciva a immaginare lui da solo. L’idea le faceva male.

Tutto faceva male.

Esme emise un respiro e chiuse di nuovo gli occhi.

Le lacrime trattenute di Carlisle traboccarono, cadendo sul cuscino sotto la sua testa. Il suo labbro tremava, ma lui strinse le labbra e si avvicinò di più. «Ti vogliamo bene», sussurrò, le labbra contro il suo orecchio. «Ti amo. Per sempre.»

La baciò. «Riposati, dolce ragazza. Riposati, adesso», sussurrò.

La mano di Edward era sulla spalla di Esme, quella di Bella sul suo braccio, e Alice aveva le dita intrecciate con le sue.

Il suo respiro venne, e andò. Venne, e andò. Venne, e andò.

E si fermò.

Carlisle emise un gemito dalla gola mentre chiudeva gli occhi e le baciava la fronte, il naso, le labbra immobili. Alice singhiozzava. Edward chinò la testa. In piedi dietro Alice, Jasper le accarezzava le spalle.

Bella piangeva silenziosamente.

L’infermiera arrivò, scostando con gentilezza Carlisle il poco che bastava perché potesse premere lo stetoscopio sul petto di Esme. Ascoltò per un momento poi mise una mano sulla spalla di Carlisle, a confortarlo.

«Se n’è andata.»

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

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Capitolo  12

 

Guardare gli inservienti avvolgere il corpo di sua madre fu probabilmente la parte peggiore. Fu il momento in cui Edward capì che sua madre se n’era andata veramente, e per sempre, completamente fuori della sua portata. Il corpo che portarono fuori dalla casa era una buccia, un guscio. Tutto ciò che rendeva Esme se stessa non era più di questo mondo.

Edward aveva sempre dato per scontato che sua madre ci sarebbe stata. Quando aveva passato tanto tempo lontano dalla sua famiglia, aveva sempre saputo che poteva tornare a casa. Aveva sempre saputo che i suoi genitori, sua madre, ci sarebbero stati.

Adesso era a casa, ma la casa non sarebbe mai più stata completa.

Ma non poté dilungarsi in questi pensieri. Quando portarono via sua madre, suo padre andò in pezzi. Carlisle straparlò, all’inizio, una lunga lista delle cose che doveva fare, nessuna delle quali poteva essere fatta alle due del mattino. Lo stesso lui tamburellava le dita, gli occhi lontani, che non vedevano.

«Papà», disse Alice.

Vedendo che suo padre andava avanti come se non avesse sentito, Edward gli strinse il braccio. «Papà.»

Carlisle si immobilizzò.

E crollò.

Alice e Edward riuscirono in qualche modo a portarlo a letto. Non nel suo letto, nessuno di loro era preparato per questo, ma nel letto di Alice.

Quando Edward e Alice erano bambini, era Esme che ogni tanto partiva per qualche viaggio di lavoro. Veniva chiamata da una parte all’altra del Paese per dei piccoli lavori di consulenza. Erano una settimana o due ogni tanto, e in quei periodi rimanevano solo Carlisle e i suoi bambini.

Ogni tanto, specialmente quando Esme non c’era, Alice aveva degli incubi orribili. Si svegliava piangendo, e Carlisle andava a stendersi con lei. Per non restare indietro, di solito anche Edward finiva nella camera di sua sorella, rannicchiato sotto le coperte. Si addormentavano così, tutti e due i bambini aggrappati al loro padre.

Ora si stringevano di nuovo nello stesso letto. Non importava che Alice e Edward fossero cresciuti. Si aggrappavano l’uno all’altro. Alice coccolava Carlisle, e tutti e due piangevano. Edward strinse suo padre e sua sorella per molto tempo, finché passarono dalle lacrime a un sonno esausto.

Era bizzarro come il corpo di Edward si sentisse così prosciugato e come invece la sua mente non volesse riposare. C’era di nuovo quell’impotenza troppo familiare, la stessa energia incessante che gli aveva fatto riaprire ferite doloranti e cercare di nuovo Bella, perché era l’unica cosa che poteva fare per sua madre.

E ora? Che poteva fare?

Quando fu sicuro che Alice e Carlisle fossero profondamente addormentati, Edward si alzò con attenzione dal letto. Si diede da fare un po’ per trovare una coperta da mettergli sopra. Fatto questo, si ritrovò a vagare senza meta.

Perso nei suoi pensieri, ci volle un po’ a Edward per rendersi conto di un flebile pianto. In fretta girò sui tacchi e infilò la testa nella stanza di Alice, ma sia lei che Carlisle stavano dormendo, se non pacificamente, almeno ignari del dolore.

Il suono, scoprì Edward, veniva dall’ufficio di Carlisle. Era Bella, immaginò tardivamente, ma quando si avvicinò alla porta, vide che Bella non era sola. Era seduta sotto la finestra, tra le braccia di Jasper.

«Va tutto bene, tesoro. Va tutto bene.»

Aveva le dita nei capelli di lei, e lei la testa poggiata contro la sua spalla.

Qualcosa si agitò nelle viscere di Edward, un tipo diverso di disagio, la bile che bruciava alla bocca dello stomaco. Strinse i pugni contro i fianchi e quasi caricò nella stanza.

La voce tremante di Bella lo bloccò. «Mi dispiace.»

«Non scusarti, Bella.» Jasper si tirò indietro e le asciugò le lacrime con la punta delle dita. «Avevo l’impressione che avessi bisogno di un abbraccio già da un po’.»

Voltandosi dalla porta, Edward incespicò qualche passo lungo il corridoio. Si appoggiò contro la parete, tirando indietro la testa.

Il mondo in cui viveva era così deformato, distorto.

Bella era sua moglie. Lui avrebbe dovuto tenerla stretta, non essere il motivo per cui lei aveva così bisogno di essere abbracciata.

Provò a dirsi che non gli importava. Se le importava davvero di Esme, sarebbe stata lì. Ogni volta ignorava, convenientemente, il fatto che Esme era la sua di madre, e anche lui ne era rimasto lontano, anche se la amava e gli importava di lei.

Esme le aveva dato l’amore di una madre quando Renee l’aveva abbandonata, indesiderata. Questi ultimi mesi sarebbero stati comunque un inferno, per lei, ma lui aveva reso tutto peggiore. Lei non aveva nessuno. È vero che lui non aveva mai avuto intenzione di allontanarla dai suoi amici, ma che scelta le aveva lasciato? Avrebbero davvero capito cosa stava veramente facendo?

Gli si strinse la gola quando ricordò gli occhi accusatori di Emmett. «A questo punto non mi sorprenderei se finisse scomparsa  o morta perché tu possa riscuotere i soldi dell’assicurazione.»

Non sapeva neanche la metà della storia.

Edward pensava che il suo cuore non potesse diventare ancora più pesante. Era un organo creativo, pensò tra sé e sé, sempre alla ricerca di nuovi modi per fare male.

I pensieri erano tutti così aggrovigliati nella sua testa che Edward non ci capiva più niente. Stava affogando.

«Oh, Edward.»

Edward vide Bella e Jasper che uscivano dallo studio di Carlisle. Bella aveva la mano sul cuore. «Mi hai spaventato», disse. «Non sapevo che eri sveglio.»

«Non mi sono proprio addormentato», disse in tono spento.

Gli occhi di Jasper erano cauti, ma fece un cenno a Edward. «Come sta Carlisle?»

«Non bene.» Edward scosse la testa lentamente. «Ma adesso dorme. E anche Alice. A quanto pare ti toccherà la stanza degli ospiti.»

«Posso farcela. I papà vengono prima.»

Edward si spinse via dal muro e quasi istantaneamente inciampò in avanti.

Bella fu subito al suo fianco, il suo braccio intorno alla vita di lui. «Attento Edward. Stavi per cadere.» Strinse la presa su di lui e lo guidò. «Vieni. Se non riesci a dormire, dovresti almeno stenderti.»

Lei si voltò a guardare da sopra la spalla per dare la buonanotte e ringraziare Jasper, prima di aiutare Edward a salire le scale ed entrare nella loro stanza.

Perso nei suoi pensieri spezzati e incoerenti, Edward all’inizio non disse nulla. Quando lei gli diede una spinta leggera, si mise seduto sul letto. Lei esitò un attimo prima di inginocchiarsi di fronte a lui e cominciare a slacciargli le scarpe.

Il cuore di Edward si contorceva per motivi diversi, adesso.

Nonostante l’inferno che le aveva fatto passare, lei si prendeva ancora cura di lui. Era un livello di gentilezza che lui quasi non comprendeva, e di certo non meritava.

Abbassando la mano, le mise il palmo sulla guancia. Con la mano intorno alla sua scarpa, lei gelò e alzò lentamente lo sguardo.

Lei si aspettava la sua rabbia; glielo vedeva negli occhi. Lei lo guardava, insicura di come reagire.

Voleva essere arrabbiato. La rabbia era meglio di questa pena insondabile. Ma perfino l’idea della rabbia lo rendeva stanco, così stanco. Dopo aver bruciato tutto come il fuoco, la rabbia lo aveva lasciato freddo dentro. Forse poteva incolpare Bella se non aveva visto gli ultimi momenti coscienti di sua madre, ma non era colpa sua. Lui l’aveva trascinata in questo casino. Se lui non avesse giocato al matrimonio, Esme non gli avrebbe mai ordinato di allontanarsi da lei.

Edward non aveva più parole. Aveva tanto da dirle, ma non sapeva come cominciare.

Invece di parlare, le prese le mani e le tirò fino a farla alzare dal pavimento. La fece sedere sul letto. Lei era già scalza, altrimenti si sarebbe scambiata di posto con lei. Quindi, scalciò via le scarpe. Chinandosi in avanti, appoggiò la fronte alla sua. «Resterai con me?»

Era una cosa egoista, da chiedere, lo sapeva. Ma non pensava di riuscire a stare da solo nel suo letto, stanotte. Voleva lasciarsi andare all’incoscienza, ma non ci sarebbe riuscito se fosse rimasto solo.

Chi lo sa quando era successo, ma Bella era il suo rifugio, la terra stabile e asciutta che prometteva riparo dal mare rabbioso.

Come cambia in fretta la vita. Questa mattina lei era stata un vulcano al suo orizzonte: una bellezza terribile che prometteva distruzione imminente. Ora la furia era solo un ricordo. Non aveva nessun potere tangibile, eclissata dal senso di perdita che sentiva.

Per la prima volta in tanti mesi, non aveva la forza per fingere di non rivolere Bella tra le braccia.

Bella sembrava confusa. «Dove altro dovrei andare?»

«No, intendo… resterai con me? Qui?»

Lei lo studiò per un momento poi annuì. «Certo.»

Edward tirò un sospiro di sollievo. Tirò giù le coperte da una parte del letto, guardandola con aria di attesa. Lei si infilò sotto.

Odiava quella trepidazione negli occhi di lei. A quanto pareva, stava aspettando che esplodesse. Con la sua rabbia spezzata come tutto il resto di lui, in quel momento, poteva vedere con chiarezza quanto male le aveva fatto.

Sospirando dentro di sé, salì sul letto. Si avvicinò a lei, disperato per il calore del suo corpo, e le mise una mano leggera alla vita. La guardò negli occhi sperando contro ogni speranza che lei non si sentisse a disagio al suo tocco, alla sua vicinanza.

Bella alzò una mano alla sua guancia, poi ai suoi capelli. Gli occhi di lei si ingentilirono e tutto quello che vide, prima di spegnere la luce, fu la tenerezza della sua espressione.

Rabbrividendo (non aveva capito quanto aveva bisogno di quel po’ di affetto finché non l’ebbe)  Edward si avvicinò finché i loro corpi si toccarono. Nessuno dei due si era preoccupato di spogliarsi.

Con le dita di Bella che passavano tra i suoi capelli, dopo quello che era stato il giorno più lungo della sua vita, Edward alla fine si addormentò.

 

***

 

Bella si svegliò all’improvviso, sentendo che c’era qualcosa che non andava.

Le ci volle un minuto per svegliarsi del tutto. Era innaturalmente stanca, quel tipo di stanchezza che aveva quando veniva svegliata in anticipo da un sonno. Era confusa. C’era luce nella stanza, quindi doveva essere mattina.

C’era un peso sui suoi polmoni che le stringeva il cuore, e Bella si premette una mano sul petto. Faceva male. Era un dolore strano, fisico, eppure …

Spalancò gli occhi.

Si sentì come se il suo cuore fosse fatto di vetro, e quando la consapevolezza che la malattia e la morte di Esme erano reali arrivò come una pietra nel suo petto, andò in frantumi. I frammenti colpirono i suoi polmoni, lasciandola senza fiato. C’erano frammenti appuntiti ovunque, nella sua gola… nel posto vuoto dove una volta era il suo cuore.

E c’era un suono così pieno di dolore che Bella voleva piangere.

Edward, si rese conto.

Per la seconda volta nella sua vita, si era addormentata tra le braccia di Edward. Anche allora si era addormentata con il cuore pesante e un groppo in gola, ma Edward era beatamente ignaro di quello che stava per fargli.

Adesso era ben lontano dalla beatitudine.

Il suono che aveva sentito era lui che piangeva piano. Aveva gli occhi chiusi, ma tutto il suo viso e il suo corpo gridavano il suo malessere. Mormorava, «Mamma», ancora e ancora.

Mettendogli una mano sulla spalla, Bella lo scosse. «Edward. Svegliati.»

Edward si svegliò di soprassalto, sbattendo gli occhi arrossati. Gli sembrò tanto un ragazzino perduto, le spalle curve, come se si fosse appena svegliato da un incubo, piangendo per una madre che non sarebbe mai arrivata.

Per qualche secondo lui respirò lentamente, come a riprendere il controllo di sé, ma Bella non era sicura che fosse una buona idea. Per quanto le si stringesse il cuore a vederlo così, aveva bisogno di un bel pianto. Non aveva versato una lacrima tutto il giorno prima.

Avvicinandosi a lui, gli mise una mano dietro il collo, accarezzandogli i capelli. «Lasciati andare», le sussurrò con le labbra vicine al suo orecchio. «Va bene. Andrà tutto bene.»

Gli si fermò il respiro mentre la afferrava all’improvviso. «No», disse. «Proprio no.»

Aveva ragione. Non era così.

Lui tenne lei, lei tenne lui. Le lacrime di lui uscivano lente, la sua pena che usciva mentre le braccia si stringevano attorno a lei. Bella chiuse gli occhi e lasciò uscire una lacrima, ma poi respirò profondamente sapendo che lui aveva bisogno di qualcuno che fosse forte per lui.

«Shh, shh», mormorava lei baciandogli i capelli. «Non soffre più, adesso. È una cosa importante, no?»

«La rivoglio. La rivoglio indietro.» La sua voce era attutita contro la spalla di lei.

«Lo so. Lo so.»

Edward ringhiò all’improvviso e si tirò indietro. I suoi occhi erano chiusi contro le lacrime che continuavano a cadere. «Io non… io non voglio…»

Invece che parlare, rotolò con il corpo. Le prese il viso tra le mani e la baciò. Bella emise un piccolo guaito. La sua mente si svuotò.

La sua mente si svuotò.

E all’improvviso, furono esattamente sulla stessa lunghezza d’onda. Sapeva quello che voleva.

Il dolore è un’emozione soffocante, che ti consuma. Era un’agonia che non poteva essere placata. Non c’era altra scelta che vivere e respirare finché non fosse passato. Settimane. Mesi. Anni. Chissà quanto sarebbe durato questo dolore,  per lui, per loro, e questo momento era l’apice di quel dolore. Era insopportabile ed esasperante.

Ineludibile.

La morte spesso portava con sé il bisogno in quelli che restavano. Bella era il conforto di Edward. Lei lo sapeva. Se così non fosse stato, lui non si sarebbe aggrappato a lei quella notte, il giorno prima. Come aveva puntualizzato Jasper, lei aveva fame di affetto fisico.

Potevano farlo. L’impotenza si portava dietro un’energia cinetica che gridava di essere consumata. Erano persi in una sovrabbondanza di emozioni. La panacea, per quanto breve potesse essere, era qualcosa di fisico.

Duro. Veloce. Disperato.

Esattamente il modo in cui Edward la stava baciando, afferrandole le spalle, tirandola violentemente contro di sé.

Bella cedette subito, rispondendo ai suoi baci e ai suoi tocchi con uguale fervore. Ci fu una raffica di movimenti: il tirare e mollare e strappare dei vestiti. E poi la mano di Edward era tra le gambe di lei, quella di lei avvolta intorno a lui.

I loro corpi si muovevano in sincrono, tutto istinto ed emozioni represse. Lui la spinse sulla schiena e lei gli cedette il controllo. Le gambe aperte ad accoglierlo, e lui spinse dentro di lei senza preamboli. Non era un atto di amore o desiderio, ma non era male.

Ed era bene sentire che non era male. Era un bene che il mondo, così travolgente e fuori controllo al momento, si riducesse solo a loro due e allo spazio che condividevano. Era bene per lei anche  cedere alla fisicità di quell’esperienza. Le faceva male, le bruciava, perché era passato tanto tempo dall’ultima volta. Ma la sensazione di lui dentro di lei, caldo e spesso, era deliziosa.

Poi fece l’errore di aprire gli occhi, e i pensieri che cercava di scacciare tornarono a gridare.

Questo non era un corpo qualunque. Questo era Edward. Giusto o sbagliato che fosse, avevano una storia complicata.

Gli occhi di lui si aprirono solo qualche secondo dopo i suoi, e lei vide il momento in cui si rese conto di quello che stava facendo. Il loro ritmo era stato aggressivo; sfuggire al dolore non era un compito facile, comunque. Erano stati presi da uno slancio frenetico. Ma quando lui la guardò, l’atmosfera tra loro cambiò, i movimenti rallentarono.

In questo modo, i loro corpi ebbero la conversazione che loro continuavano ad evitare. Cos’è il sesso, dopotutto, se non un mezzo per comunicare? Questo era il motivo per cui fare l’amore era una cosa tanto più potente che un incontro casuale con uno sconosciuto.

Edward rabbrividì, chinandosi e baciandole le labbra. Fu un bacio duro, esigente, e i suoi fianchi la inchiodarono al letto.

Perché l’hai fatto? Non senti tutto questo? Perché ci hai distrutti prima ancora che potessimo veramente cominciare?

Lei gli premeva dei piccoli baci contro il collo, solo una carezza con le labbra, e dondolava i fianchi contro i suoi. Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Ero giovane e stupida e orgogliosa. L’ho rimpianto ogni giorno, da allora. Ogni giorno. Farei qualunque cosa per tornare indietro. Qualunque cosa.

Spostandosi, lei piegò le ginocchia e le avvolse intorno a lui, premendo i calcagni nella sua schiena. Ma perché mi hai trattato come spazzatura? Infilò le dita nei suoi capelli, tirandoli abbastanza forte da farlo boccheggiare. Perché di me ricordi solo la cosa peggiore che abbia mai fatto? Perché hai dimenticato ogni giorno tranne quello?

Nascose la testa nel collo di lui, mordendogli la pelle, anche se con leggerezza.

Perché ogni nostra giornata, tutti i nostri giorni migliori sono stati così facili da dimenticare?

Allungando il braccio, lui le prese le mani e le inchiodò al materasso, ai lati del suo viso. La baciò di nuovo, oscillando con spinte veloci. Il bacio fu più gentile. Delle scuse.

Mi dispiace. Non ti odio. Mi dispiace di averci provato.

Anche lei lo baciò, intrecciando le dita alle sue, alzando i fianchi verso i suoi.

Dispiace anche a me. Non ti odio. Non voglio.

Bella si strinse attorno a lui, portandolo verso l’orgasmo mentre gli mordicchiava le labbra. Il respiro di lui era caldo contro la sua bocca, e quando alla fine si accasciò, il suo corpo rimase pesante sul suo. Non le dispiaceva il peso. Era rassicurante, in qualche modo.

Una strana pace calò su di loro. Il dolore della perdita era ancora lì, ma per il momento si era acquietato. Lei e Edward avevano ancora tanto di cui parlare. Stesa lì con lui, Bella non aveva idea di cosa sarebbe successo, o cosa voleva che accadesse di loro, e sapeva che non mancavano certo le cose che avrebbero dovuto affrontare presto.

Niente era risolto. Niente era sistemato.

Ma qualcosa era migliorato.

Qualunque cosa fosse, non faceva male, ed era già qualcosa.

Edward la baciò, un bacio dolce, rapido e morbido all’angolo della bocca e poi rotolò sul fianco. Lei lo seguì, passando le dita sulla sua guancia, così lui avrebbe saputo che sentiva questo cambiamento, qualunque cosa fosse.

«Dormi?» chiese lei, la voce un po’ rauca.

Lui sembrò incerto. «Probabilmente dovrei alzarmi.» Suonava come se fosse l’ultima cosa che voleva fare.

«C’è silenzio in casa.» Gli passò le dita tra i capelli. «Dormi. Solo un altro po’.»

Lui sospirò, ma i suoi occhi si chiusero quasi immediatamente. «Bella?» La parola fu un mormorio; si stava già addormentando.

«Sì?»

«Grazie.»

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/13/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  13

 

Edward si svegliò lentamente, disorientato. I suoi pensieri erano sfocati, il che probabilmente era una buona cosa considerato come gli stesse martellando la testa. Pensare poteva solo rendere le cose peggiori.

Gli ci vollero cinque secondi perché la nebbia del sonno lo lasciasse e la realtà lo colpisse come un pugno nello stomaco, lasciandolo senza fiato.

Per la seconda volta, Edward si era svegliato in un mondo dove sua madre non esisteva. Per la seconda volta si rese conto che si sarebbe svegliato in quel mondo per il resto della sua vita.

Come la prima volta, pensò che fosse impossibile da sopportare. Diversamente dalla prima volta, Edward fu distratto dal resto dei suoi ricordi.

Era nudo. E appiccicoso. E solo nel letto.

Certo che era solo. Erano passate tre ore da quando si era svegliato la prima volta, ed era già mattina allora. Senz’altro erano già tutti alzati, ad affrontare questo giorno, il primo giorno del resto delle loro nuove vite.

Afferrando il suo asciugamano, Edward incespicò fino in bagno. Là, si chinò, appoggiando la fronte contro le piastrelle fredde mentre l’acqua calda gli scorreva addosso, se non altro calmando il suo mal di testa.

Tre pensieri giravano in circolo nella sua testa. Il primo era un fervente desiderio. Non voleva passare per i prossimi giorni della sua vita. Non voleva chiamare amici e parenti. Non voleva organizzare il funerale. Non voleva presenziare al funerale per sentire tutti quanti dirgli quanto erano dispiaciuti.

Il secondo pensiero era una semplice analisi. La desolazione che sentiva nel punto vuoto in cui prima c’era il suo cuore lo faceva impazzire. Certo, conosceva il vecchio adagio. Sarebbe andata meglio con il tempo, ma al momento non riusciva a crederci. Era un’idea terrificante, sentirsi così per il resto della vita.

Sentiva la voce di sua madre nella testa, alcune delle sue ultime parole per lui.

Ti stai aggrappando al passato con le mani e con i piedi.

Era destinato per sua natura ad aggrapparsi a questo dolore?

Ma perfino il dolore per la perdita di Bella era svanito, a un certo punto. Non aveva dimenticato, ovviamente, ma non era sempre stato una parte di lui, come in questi ultimi mesi.

Il che lo portava al terzo pensiero.

Nel bene e nel male, non rimpiangeva di aver fatto sesso con Bella. Non era tanto sicuro di quello che sentiva, ma sapeva che non avrebbe fatto niente di diverso, anche se avesse potuto tornare indietro.

Uscendo dalla doccia, Edward si avvolse nell’asciugamano e rimase immobile. Non riusciva a trovare il coraggio di affrontare questa giornata. Invece alzò gli occhi allo specchio e guardò, come se il suo riflesso si tenesse tutta la sua determinazione.

Non era lo stesso uomo che era la mattina prima.

Edward si vestì lentamente e finalmente scese al piano di sotto. Si fermò appena fuori dalla cucina. L’odore della colazione era nell’aria, ma non gli faceva venire fame come le altre mattine. Indugiò fuori della porta, ascoltando per un momento.

«Che ne dici di un toast o dei fiocchi d’avena, Carlisle? Qualcosa di semplice.» La voce di Bella era persuasiva. Alice gli aveva detto il giorno prima che il loro padre non aveva mangiato niente tutto il giorno. Evidentemente, il trend continuava. «Dovresti mangiare almeno qualcosa.»

«Non deve mangiare se non vuole», scattò Alice.

A Edward si drizzarono i capelli, ma Bella si limitò a schiarirsi la gola, ignorando sua sorella. «Ti porto un po’ di succo.»

Prendendo un profondo respiro, Edward entrò in cucina proprio mentre Bella metteva un bicchiere di succo d’arancia davanti a suo padre. Lei alzò lo sguardo, l’espressione gentile quando i loro occhi si incontrarono.

Per un attimo, fu chiaro che nessuno dei due sapeva cosa dire. Bella ruppe per prima il silenzio. «Vuoi la colazione?»

Edward tirò fuori una sedia per lei. «Perché non ti siedi. Lascia che ti porti la colazione, e mangerò se vuoi.»

Lei sembrò sorpresa, ma poi si sedette e gli sorrise. «Sì. Okay.»

 

***

 

I successivi cinque giorni furono allo stesso tempo lenti e veloci.

Tipicamente, quando c’è molto da fare, il tempo corre troppo in fretta. Il problema, con cose del genere, quando ogni compito era una faccenda che nessuno voleva fare, era che conoscevi la misura di ogni minuto, di ogni secondo.

Tutti loro erano risentiti dalla necessità di queste cose. Quello che volevano era che Esme tornasse da loro, così che nessuna di queste cose fosse necessaria. Personalmente, se non poteva riavere indietro sua madre, Edward voleva almeno il diritto di rannicchiarsi in un angolo e non dover pensare a nient’altro al mondo se non la sua infelicità.

Il primo giorno, quando tutti loro uscirono dall’obitorio dopo aver organizzato il funerale di Esme, Bella aveva offerto un pezzettino di una prospettiva confortante. «In un certo senso è meglio che ci siano queste cose da fare. Mi sentivo così impotente quando soffriva e non potevo fare niente. Questo, almeno, è qualcosa che posso fare per lei.»

C’era qualche sollievo, in quel pensiero, rifletté Edward. È un vero inferno vedere una persona che ami soccombere alla malattia, consumarsi davanti ai tuoi occhi mentre tu sei assolutamente impotente.

Durante il viaggio di ritorno, le prese la mano e gliela strinse.

Tutti quelli che andavano chiamati furono chiamati. I nipoti di Esme, i cugini di Edward e Alice, volarono dall’Alaska per fermarsi qualche giorno.

La sorella di Esme era morta in un incidente aereo quando Edward era ancora piccolo, portando il figlio più piccolo, l’unico maschio, con lei. Tanya, Katrina e Irina erano stati adottati dai loro padrini, Carmen e Eleazar.

Dato che non erano state al suo matrimonio, ebbero qualche momento impacciato. Offrirono a Edward le loro condoglianze per la morte di sua madre, e l’attimo dopo, le congratulazioni per il suo matrimonio.

Adoravano Bella.

Lei era, come aveva sempre detto Esme, facile da amare.

Da parte sua, onestamente, Edward non sapeva come avrebbe fatto in quei cinque giorni, senza di lei. La sua famiglia stava andando in pezzi.

La maggior parte del tempo, Carlisle vagava in giro in stato confusionale. Era il facsimile di se stesso. Questo è quello che succede alle persone che vivono storie d’amore da favola, pensava Edward. Essere metà di un intero era una idea romantica finché tutti e due i pezzi vivevano. Andata Esme, Carlisle era scosso nel suo stesso nucleo.

Tra tutti, Alice era quella che aveva più problemi a far fronte all’estraneo che era diventato suo padre. Edward lo capiva completamente. Potevano essere cresciuti, ma erano ancora i bambini di Carlisle. Volevano che il loro padre fosse forte per loro. Accettare che un genitore fosse umano, fallibile, vincibile, era difficile.

Così Jasper e Alice si defilarono per la maggior parte del tempo, lasciando Bella e Edward a prendersi cura di Carlisle.

Quanto a Edward, lui si concentrava semplicemente a mettere un piede davanti all’altro, superando ogni minuto, ogni ora, ogni giorno.

Ogni sera, quando si ritiravano nella loro stanza, Edward pensava a come, se non ci fosse stata Bella al suo fianco, sarebbe già caduto. Quello che voleva era chiederle di stare con lui  di nuovo. La rivoleva nel suo letto. Voleva il rifugio delle sue braccia intorno a sé, le sue dita morbide tra i capelli. Ma ogni giorno lo lasciava così prosciugato che non gli restavano parole. La guardava dal divano o dal letto fino a che le sue palpebre si chiudevano.

 

***

 

Il giorno del funerale di Esme uscì il sole, facendo brillare il mondo di un verde vibrante. Bella non era sicura che fosse appropriato. Perché Forks doveva interrompere il suo stato costante di luttuose nuvole grigie proprio oggi, di tutti i giorni? Eppure sembrava adatto. Esme era sempre stata una presenza vibrante.

Il corpo di Esme era stato cremato la sera prima, così la commemorazione e la veglia si tennero nell’ampio cortile dei Cullen. Bella non sapeva se avrebbe dovuto sentirsi fuori posto dove si trovava, seduta a fianco di Edward in prima fila. Aveva offerto di sedersi con sua madre, suo padre e Sue, che erano due file dietro, ma Edward le aveva stretto fermamente la mano, tenendola al suo fianco.

Quando Carlisle aveva detto che voleva parlare, nessuno aveva fatto discussioni. In privato, Bella si chiedeva come aveva intenzione di farlo. Aveva a malapena tirato fuori due parole dalla morte della moglie, e aveva problemi a concentrarsi per più di un minuto alla volta.

Camminava come un uomo molto più vecchio dei suoi 52 anni quando si alzò di fronte alle persone riunite. Tutti rimasero in silenzio, mentre lui respirava profondamente, ricomponendosi. Le sue dita sfiorarono l’urna decorata che conteneva le ceneri di lei, Carlisle barcollò e sembrò per un attimo che dovesse cadere.

Drizzando la schiena, si schiarì la gola e cominciò a parlare.

«Mia cara Esme

È stato così strano senza di te, in questi ultimi giorni. Questa casa ricorda le tue risate, la tua voce, e sembra così incompleta senza te dentro.

Ieri sera, ti ho riportato indietro tra le mani. Pensavo mi facesse sentire meglio, che avere di nuovo una parte di te in casa riempisse qualcuno di quei vuoti, ma non è stato così. Non è così.»

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro prima di continuare. Alzò la testa, guardando i suoi figli. «Alice, tu mi hai chiesto come mai la mamma non mi avesse detto come avrebbe voluto questo giorno. Non potevo risponderti, perché le parole mi sembravano sbagliate.

Quando ci rendemmo conto che quel giorno stava arrivando, più in fretta di come avremmo mai voluto, tua madre mi disse che il funerale non è per chi muore. Disse che lei non avrebbe più voluto nulla, a quel punto. Disse ‘Voglio che tu e i nostri figli facciate quello di cui avete bisogno per sentirvi meglio, per essere confortati.’

Stando all’obitorio, non pensavo che fosse possibile trarre conforto da un giorno come questo.» Guardò di nuovo l’urna e le sue labbra si piegarono leggermente. «Ma come sempre, dolce ragazza, tu sapevi esattamente la cosa giusta.

Oggi ho ascoltato la musica che nostro figlio ha scelto per commemorarti, e ho sentito il modo in cui lui ti vedeva. Non sapevo che esistesse una musica che potesse catturare il tuo bellissimo spirito, la tua incredibile capacità di amare, o la pace che portavi nelle nostre vite, ma lui l’ha trovata. Ti sento di nuovo.»

Le mani di Edward tremarono nelle sue, e Bella gli strinse le dita.

«Il… dolore che sento per la tua perdita ha reso il mio mondo sordo, nero», continuò Carlisle. «Ma oggi, il nostro cortile è di nuovo vibrante e colorato, perché è così che ti vedeva nostra figlia. È come te, pieno di vita. Ti vedo di nuovo.

Da quando abbiamo saputo della tua malattia, sono stato arrabbiato. Ho pensato a tutte le cose che avresti dovuto vedere. Ho pensato che non ci sarai a vedere nostra figlia sposarsi. I nostri nipoti non ti conosceranno. Sono così arrabbiato, perché non è giusto che il destino ti abbia imbrogliato negandoti queste cose, queste semplici cose.» La sua voce tremò, e chiuse di nuovo gli occhi.

«Ma oggi, per la prima volta, ho guardato le immagini e la poesia che Bella, la ragazza che abbiamo amato come una figlia fin da quando era bambina, ha scelto per te.»

Bella sobbalzò, non aspettandosi di sentire il suo nome. Questa volta fu Edward a stringerle la mano. La poesia che aveva scelto parlava della liberazione dal fardello della malattia, così che l’autore potesse continuare a vegliare sulla sua famiglia senza pastoie.

«Quelle immagini mi ricordano qualcosa che avrei sempre dovuto sapere. Tu non ci hai lasciato, dolce ragazza. In quei giorni in cui guarderò dispiegarsi la vita dei nostri figli, quelli saranno i momenti in cui mi mancherà di più il tuo tocco. Tu sei l’unica che capirebbe l’orgoglio e la meraviglia che sento quando guardo i nostri figli. Ma in quei giorni, anche se mi mancherà la tua mano nella mia, saprò che sei al mio fianco, guarderai e sorriderai.»

 

***

 

Mentre il pomeriggio sfumava nella sera e la casa tornava quieta, Bella sentì per caso una conversazione tra le due sorelle più grandi dell’Alaska.

«Pensi che potrà amare di nuovo?» chiese Irina.

«Difficile a dirsi», disse Tanya in tono triste. «Carlisle ha così tanto amore da dare, Io spero che amerà ancora. Ma comunque non sarà la stessa cosa. Nessun altra donna avrà il suo cuore. Una parte di lui amerà Esme fino al giorno della sua morte.»

Quando Irina parlò di nuovo aveva un tono sognante. «Certi amori durano per sempre.»

«Questo è il motivo per cui continuiamo a provare, no?»

Bella sobbalzò leggermente quando sentì una mano sul braccio. Si voltò e trovò Edward dietro di sé. Sembrava esausto, così si dimenticò subito delle sorelle.

Gli prese la mano. «Vuoi andare a letto?»

Lui annuì e la seguì obbediente su per le scale.

Nessuno di loro parlò, ma Edward non la lasciò andare, quando furono nella stanza. Le mise una mano sulla schiena e tirò giù la chiusura del vestito. Il cuore di Bella accelerò, e si chiese se sarebbero di nuovo finiti a letto insieme. Non poteva dire che avrebbe detto di no. Una parte di lei non voleva che lasciare i pensieri tristi, dimenticare il suo cuore pesante e farlo in forma di movimenti frenetici. Magari quando la pena non avrebbe più colorato ogni suo pensiero, allora poteva pensare che quello che avevano fatto, che quello che potevano fare di nuovo, non era così saggio, ma adesso…

Ma quando il vestito fu ai suoi piedi, lui la prese solo tra le braccia e la strinse.

Bella allentò la sua cravatta e sbottonò la sua camicia. Lo lasciò andare solo il tempo di scalciare via le scarpe e le calze mentre lui si levava i pantaloni.

Si infilarono a letto solo con la biancheria, e finirono subito uno nelle braccia dell’altro.

Questo era un tipo diverso di conforto. Il sesso poteva spegnere l’energia che si agitava nel loro sangue, ma questo abbraccio portava con sé la consolazione. Stavano pelle a pelle, portando calore al freddo che sentivano fin dentro le ossa. Bella sentiva il battito del suo cuore contro il petto. Il dolore era un’emozione così alienante, ma carne contro carne, come potevano sentirsi soli?

Edward piegò la testa, passando il naso sulla sua fronte e inalando profondamente. Le baciò la guancia. Le baciò le labbra.

Si addormentarono respirandosi l’un l’altro.

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/14/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  14

 

Erano passati tre giorni dal funerale. La nebbia del dolore cominciava a diradarsi, o almeno, pensare oltre il giorno successivo stava di nuovo tornando a essere una priorità, specialmente per Bella.

Sei mesi, o due mesi dopo la morte di Esme. Questo era quanto il contratto di Edward stabiliva. Anche se, come lei aveva puntualizzato, quel contratto era solo simbolico, intendeva onorarne la sua parte. Questo le dava due mesi e mezzo per pensare a cosa fare, dato che aveva completamente abbandonato la sua vita precedente. Al ristorante era stata rimpiazzata, il suo appartamento era stato affittato.

Bella era stata con suo padre a Seattle ad accompagnare sua madre e il suo patrigno all’aeroporto. Mentre tornavano, Charlie le aveva chiesto come andava il matrimonio, e Bella non aveva saputo come rispondere.

I giorni dopo la morte di Esme erano stati completamente diversi. Non aveva solo intravisto il ragazzo che Edward era stato, aveva vissuto con lui. Era stato dolce e premuroso, spesso superando il suo stesso dolore per essere gentile con lei. Più di una volta le aveva preparato la colazione e la cena. E soprattutto, quando Alice era scattata di nuovo contro di lei, due giorni prima, lui aveva preso le sue difese.

I due fratelli avevano discusso a voce bassa, per non disturbare il loro padre. Come Jasper aveva asserito mesi prima, Alice era furiosa con Edward, soprattutto. Era stata la famiglia di lui, non quella di Bella ad andare in pezzi, e non ci volle molto perché la verità venisse fuori mentre  sussurravano urlando l’uno all’altro.

Alla fine, però, Bella aveva guardato mentre Edward le diceva quanto fosse dispiaciuto, finché lei crollò tra le sue braccia, piangendo per la loro madre, per la loro innocenza, per gli anni che avevano perduto.

«Non ti lascerò di nuovo, Ali», le aveva detto mentre la cullava, e sembrava proprio quel gentile fratello maggiore  di cui Bella si era innamorata tanto tempo fa.

Quando si erano ritirati in camera loro, quella sera, Edward era crollato. Si era seduto sul divano, la testa tra le mani, travolto dalla pena e dal rimpianto.

«Non so come rimettere insieme la mia vita dopo tanti errori», disse quando Bella lo avvolse tra le braccia e gli diede quell’abbraccio di cui aveva tanto bisogno.

Si chiese se si appoggiava a lei perché non aveva nessun altro, o se voleva veramente il suo, di conforto.

Il silenzio dopo la sua domanda, era stata per suo padre una risposta sufficiente. Lui aveva sospirato. «Guarda, Bells, io sono realista. Le idee romantiche sono belle. Le idee romantiche sono il motivo per cui tu sei nata, ed è grandioso, ma…»

«Ma le idee romantiche durano solo finché non arriva di nuovo la realtà?» suggerì Bella.

«Giusto. Probabilmente io avrei dovuto dire qualcosa prima di portarti all’altare.» Charlie si spostò, chiaramente a disagio. Questo tipo di conversazioni non era mai stato il suo forte. «Esme era felice, e io ho pensato…»

«Hai pensato cosa?» sbottò Bella, curiosa, a quel punto. Si era chiesta al tempo perché suo padre, normalmente iperprotettivo, sembrasse così entusiasta di vederla sposata con un uomo a cui si era riavvicinata solo poche settimane prima.

Charlie fece una smorfia. «Jacob mi aveva detto che credeva che tu fossi ancora innamorata di Edward, anche quando stavi con lui. Ha detto che non aveva mai avuto una possibilità, con te.»

Bella digrignò i denti. «Jacob era geloso se l’ombra di un altro toccava la mia.» Respirò dal naso, cercando di calmare la sua irritazione.

«Quindi stai dicendo che non avevi sentimenti per Edward? Anche allora?»

«Dico che questo non è il motivo per cui ho rotto con Jacob.»

Charlie tamburellò nervosamente sul volante. «Leah sta finalmente per conto suo. Te lo avevo detto?»

«No.» Leah era la sorellastra di Bella. Era più grande di Bella di qualche anno, ma aveva passato un brutto periodo. Aveva vissuto con Charlie e Sue di tanto in tanto, per diversi anni. «È una buona cosa per lei.»

«E Seth ha trovato casa fuori dal campus.»

«Cosa mi stai dicendo?»

«Il matrimonio è qualcosa per cui devi lavorare, e lavorare duro.» Fece una pausa. «Ma se hai bisogno di un posto dove chiarirti le idee, hai sempre una casa, con me.»

Bella sorrise a suo padre. Era una buona cosa, dato che non sapeva dove sarebbe andata la sua vita dopo i prossimi due mesi. «Grazie, papà.»

 

***

 

Cinque giorni dopo il funerale di sua madre, Edward era sfinito.

Gli ultimi mesi erano stati un mondo a parte. Tutti avevano messo in attesa la loro vita per stare con Esme. Quello che stava passando adesso era l’inevitabile ricaduta.

La sua relazione con Alice andava ridefinita. Erano andati d’accordo prima che la loro madre morisse, ma adesso, senza di lei per cui mantenere le apparenze, il risentimento di Alice stava uscendo raddoppiato. Lei aveva sacrificato molto per essere lì per i suoi genitori, perché sapeva che Edward non ci sarebbe stato.

Quindi c’era la vita di Alice da rimettere in carreggiata. Sarebbe andata a scuola, lontano da Washington per la prima volta? Edward non avrebbe voluto, ma questo era da egoisti. Stava provando a incoraggiarla a fare quello che era giusto per lei e Jasper. Era quello che avrebbe voluto Esme, ma lei non si fidava che lui non abbandonasse Carlisle.

E quanto a questo, Edward doveva ancora pensare cosa fare dei suoi affari. Non sarebbe tornato a New York, questo lo sapeva, ma c’erano tanti fili da annodare. Si chiedeva se poteva continuare a mantenere il potere nel suo lavoro, senza lasciare Washington.

Si chiese se voleva avere a che fare ancora con il suo lavoro. Esme aveva ragione, non gli aveva portato nessuna felicità. Ma se non faceva quello, che avrebbe dovuto fare del resto della sua vita?

Su tutto, poi, prevaleva la preoccupazione per suo padre. L’elogio funebre era il discorso più lungo che aveva fatto dalla morte di sua moglie. Era innaturalmente silenzioso, girava ogni tanto per le stanze così quieto che Edward neanche lo notava. Sembrava perso nel suo mondo. Rispondeva alle domande, ma non era mai più che qualche frase qua e là. Non mangiava quasi nulla.

Edward si ritirò in camera sua, la testa pesante. Sperava di trovare là Bella. Era affamato della stabilità, del conforto che gli offriva.

Si bloccò quando sentì la voce di Bella. Si accigliò, chiedendosi con chi stesse parlando. Jasper, forse. Sapeva che loro due parlavano. Provò a ricordare a se stesso che non aveva il diritto di essere geloso.

Poi, le parole che stava dicendo lo raggiunsero.

«No, così è perfetto. Non sarei comunque disponibile a cominciare subito. Così andrebbe benissimo.»

Una pietra sembrò piazzarsi sullo stomaco di Edward.

«Sì, grandioso. Aspetterò che mi richiami. Grazie per la considerazione.»

Edward aprì la porta, entrando proprio nel momento in cui lei disconnetteva la chiamata. Pensò di vedere per un attimo uno sguardo colpevole prima che i suoi occhi diventassero impassibili. «Hey.»

«Stai cercando un lavoro.» Tentò di evitare un tono accusatorio, ma non funzionò.

«Sì. Penso sia una buona idea cominciare già da adesso.» Incrociò le braccia al petto.

Edward annuì, lentamente, cercando di mordersi la lingua. Anche questo non funzionò. «Qui a Forks?»

«No. Non ci sono tante opportunità, qui.» Lei lo studiò, stringendo di più le braccia al petto. «Non devi preoccuparti. Ricordo il nostro accordo. Resterò per sei mesi, come avevamo detto.»

«Pensi che sia questo che mi preoccupa?» Il tono venne fuori più ringhioso di quanto intendesse, e lui se ne pentì quando vide Bella fare un passo indietro.

Lei deglutì. «Perché, se no? Cosa ti preoccupa?»

Edward aprì la bocca, ma si rese conto in fretta che in realtà non lo sapeva. Si voltò e si allontanò da lei, aprendo il laptop come se avesse all’improvviso degli affari urgenti da sbrigare.

«Edward?» disse lei facendo un passo avanti. «Qual è il tuo problema?»

«Sei già così pronta a spiccare il volo», disse sbuffando, gli occhi sempre sullo schermo del computer.

«Devo pensarci in anticipo», rispose lei, in tono paziente. «Il mercato del lavoro è quello che è. Probabilmente ci vorrà un po’. È per questo che sto cominciando adesso.»

Era sensato, ovviamente. Tutti loro stavano ricominciando, ma nessuno più di Bella. Non per la prima volta, il piano brillante di Edward non sembrava più così brillante, adesso che non era più coinvolto col desiderio intenso di rendere più felici possibile gli ultimi giorni di sua madre. Esme se n’era andata, e disincagliarsi da Bella non sarebbe stato affatto semplice.

Il pensiero che lei se ne andasse gli faceva torcere lo stomaco.

Si schiarì la gola. «Forse sarebbe più… prudente se tu restassi ancora un po’.» Tenne il tono della voce uniforme, anche il cuore aveva cominciato a battergli freneticamente.

«Prudente?»

«Mio padre non sta bene.» Continuava a non guardarla. «Penso che lo stress del nostro divorzio non sia la cosa migliore per lui, in questo momento.»

Era un argomento sensato, pensò. Lei era preoccupata quanto Edward, per Carlisle.

Bella non rispose subito, ma si mise seduta vicino a lui sul divano. «Non posso farlo, Edward», disse quieta.

Lui smise di battere sulla tastiera. «Non puoi fare cosa?»

«Non posso mettere la mia vita in attesa per sempre. Lo vedrò, naturalmente. Non lo abbandonerò, ma…»

«Quindi vediamo se ho capito bene.» La rabbia aveva trasformato la pietra nello stomaco in lava fusa, e lui alzò la testa a livello dei suoi occhi, guardandola con durezza. «Tu faresti qualunque cosa per il padre di Jacob Black ma non per il mio?»

Bella assottigliò gli occhi. «Non farlo, Edward. È andata bene in questi ultimi giorni.»

«Bene? Tu chiami bene quello che ha passato la mia famiglia?» Spinse via il laptop, si alzò e cominciò a fare avanti e indietro.

«Sai bene che non è quello che intendo. Non girare la frittata.»

«Sto solo provando a capire qual è la differenza.» Da qualche parte nella sua testa, sapeva che era irragionevole quello che stava facendo. Era solo che sentiva un innegabile ondata di panico. Per cosa non sapeva dirlo, ma stava esagerando per coprirlo. «Perché hai speso i soldi che avevi risparmiato per migliorare la tua vita per pagare una cauzione e tirare fuori di galera il tuo ex? Lo rivolevi indietro?»

«E questa da dove viene?»

«Voglio solo sapere perché ti sei sacrificata per Jacob Black.»

«Io non mi sono sacrificata per Jacob. L’ho fatto perché suo padre aveva appena perso una delle sue figlie, dopo che non la vedeva dalla morte di sua moglie. L’ho fatto perché quello era il motivo per cui Jacob aveva cominciato a bere, e speravo che fosse sufficiente a farlo smettere, cosa che è stata, comunque. L’ho fatto per la stessa ragione per cui ti ho sposato, perché al momento mi sembrava la cosa giusta da fare.»

Edward si voltò per nascondere la sua smorfia. C’era uno strano dolore nel suo petto e lui se lo strofinò distrattamente, come a scacciarlo.

«Se vuoi veramente saperlo, lui mi voleva ancora. Mi ha implorato. Questo sarebbe stato di certo meno stress per Billy, ma io non ho intenzione di stare in una cattiva relazione per il bene di qualcun altro. Non l’ho fatto allora e non lo farò adesso. Non sono una masochista.»

La roccia nelle viscere di Edward sembrava sempre più grande. Aveva un groppo in gola che gli rendeva difficile respirare e deglutire. Respirò dal naso. La rabbia era svanita, veloce come era arrivata, lasciandolo barcollante.

«Non abbiamo usato protezioni», disse alla fine guardandola.

Lei sbatté gli occhi. «Cosa?»

«Quella notte. O quella mattina, che ne so. Dopo che era morta mia madre. Non abbiamo usato protezioni.»

Lei sbiancò e si avvolse le braccia alle spalle. Per diversi secondi non parlò, e quando lo fece, la sua voce tremava. «Ne sono ben consapevole, credimi.»

Non era la prima volta che questa cosa gli veniva in mente, ma aveva deciso di non affrontare l’argomento, se non l’avesse fatto lei. Fino ad adesso, a quanto pareva. «E se tu fossi incinta?»

Bella non lo guardò. Aveva il respiro irregolare, e deglutì prima di rispondere. «Attraverseremo quel ponte quando ci arriveremo. Se ci arriveremo.»

Il cuore di Edward affondò. «Non resteresti comunque?»

Lo sguardo di lei era un po’ sprezzante. «Non siamo nell’Ottocento.»

Il cuore di lui martellava più veloce, adesso, e lui cercava disperatamente qualcos’altro da dire.

Perché? Perché questo gli annodava lo stomaco? Era inevitabile, no? Cercò di ricordare a se stesso che era stata solo una cosa temporanea, solo per sua madre, e poi non avrebbe mai più dovuto rivedere Bella. Avrebbe potuto lasciarsela alle spalle una volta per tutte.

E allora perché, all’improvviso, il pensiero di lei che andava avanti con la sua vita gli faceva venire voglia di buttarsi in ginocchio e implorare?

La risposta era abbastanza semplice.

Aveva per settimane combattuto il fatto che se non la odiava, avrebbe dovuto amarla. C’era una bella differenza, però, tra il rendersi conto che hai ancora sentimenti per una vecchia fiamma e chiedere a tua moglie di restare.

Non aveva nessun diritto, lo sapeva bene. Questo matrimonio era solo un documento, lo sapevano tutti e due.

Dopo tutto quello che era successo tra loro, come poteva pensare che lei sarebbe rimasta?

Eppure voleva sentirselo dire. Sapeva che doveva farlo, anche se lo odiava, perché sapeva che gli avrebbe spezzato il cuore. Ma poi, nessun epilogo sarebbe stato facile, no?

Gli ci volle un intero minuto per trovare la voce. «E se io volessi che tu restassi?»

Lei boccheggiò, ma non parlò. Lui non la guardò. Non poteva.

Il suo lamento fu così flebile che lui pensò di averlo immaginato. «Edward.» Il suo nome sulle sue labbra era appena un respiro. «Non posso farlo.»

Il cuore di lui si incrinò, ma non si spezzò.

Sembrava insicura, si rese conto. Non era così risoluta. Lui deglutì. «Noi…»

«Io ti amo», lo interruppe, e il cuore di Edward perse un colpo. «È questo che vuoi sentirti dire?» Alzandosi in piedi, cominciò a fare avanti e indietro. «Non ho mai smesso di amarti. Ci ho provato tanto, ma è ancora tutto lì. Una parte di me.»

Prese un profondo respiro e si fermò per guardarlo. «Ma come potrebbe mai funzionare? Anche se mi perdonassi per quello che ti ho fatto, tu ce l’avresti comunque con me per non essere  quell’adolescente.» Ricominciò a camminare, contando sulla punta delle dita. «Io non sono lei, non più. Non voglio più essere una scienziata. Voglio altre cose dalla mia vita. Non penso come lei. Io… io sono cresciuta, Edward.»

Edward era silenzioso, a quel punto, sconcertato. Non sapeva bene come processare quello che lei stava dicendo. Non sapeva bene cosa voleva o come sentirsi.

Non che fosse importante. Bella non aveva finito. Si sedette pesantemente sul divano, torcendosi le mani. «E onestamente… per quanto ti ami, Edward, io non ti conosco più di quanto tu conosca me, a questo punto.» Quando lo guardò, aveva gli occhi tristi. «Il ragazzo che conoscevo? Se mi avessi detto che quel ragazzo mi avrebbe detto le cose che tu hai detto a me, ti avrei riso in faccia. Avrei volentieri scommesso la mia vita che tu non mi avresti mai trattato così.»

Il cuore gli batteva forte, e gli girava la testa. Chinò la testa, strofinandosi le tempie. «Il ragazzo che ero non avrebbe permesso a nessuno di trattarti come ti ho trattata io», ammise. «Mi dispiace. Mi dispiace davvero.»

Lei si alzò e andò a sedersi sul letto vicino a lui. Gli prese le mai e intrecciò le dita con le sue. «Tu sei ancora arrabbiato con me.» Non era una domanda.

«Io non…»

«Sì», disse lei ferma. «Lo sei. Andavamo così bene, e ti è bastato un nonnulla per scatenarti di nuovo contro di me, proprio adesso.»

Edward chinò la testa, non potendo negare. «Mi dispiace», disse di nuovo.

Quando lei gli incorniciò il viso con le mani, lui trasalì, ma non si spostò. «Guardami», gli disse piano.

Si sentiva vulnerabile. Aveva la gola stretta.

«Mi dispiace.» Bella guardava dritta nei suoi occhi. «Mi dispiace tanto per quello che ti ho fatto. È stato crudele e immaturo, e sarà sempre il più grande rimpianto della mia vita.»

Edward chiuse gli occhi imbarazzato, perché all’improvviso era certo di stare per scoppiare a piangere. Alzò le mani, premendole su quelle di lei sulle sue guance, e respirò semplicemente per qualche minuto. Poi si spostò, avvolgendola con le braccia e tenendola stretta contro di sé. Quando anche lei lo abbracciò altrettanto stretto, sentì la presa sui suoi polmoni allentarsi un poco.

«Mi dispiace», mormorò contro i suoi capelli. «Mi dispiace di averti creduto. Mi dispiace di averti lasciato andare con tanta facilità. Questo sarà sempre il più grande rimpianto della mia vita.» Questa consapevolezza lo colpì come un mattone sul petto. Aveva sempre pensato che il suo più grande rimpianto fosse essersi fidato di lei, ma si rese conto in quel momento di quanto lui stesso fosse stato responsabile della propria infelicità.

Le baciò la guancia prima di districarsi da lei.

«Io, um…» balbettò, sentendo all’improvviso il bisogno di essere altrove, perché i suoi pensieri stavano di nuovo gridando. «Ero salito per dirti che andrò a New York per un paio di giorni. Devo parlare con il mio socio, e…» Fece un gesto con la mano, perché davvero, non era importante. «Comunque penso che stanotte dormirò nella stanza degli ospiti.»

Bella annuì lentamente. Sembrava triste e incerta. «Okay.»

Edward esitò. C’erano così tante cose che voleva dire, tante cose che voleva chiedere, ma sapeva che prima doveva pensare. C’erano un sacco di cose che gli giravano in testa.

Si voltò, ma prima che potesse andarsene, lei gli prese la mano. «Edward.»

Lui si fermò e si voltò.

L’aria intorno a loro era pesante di tutte le cose che non si stavano dicendo.

«Io sono qui, okay? Se avrai bisogno di me.»

Alzando la mano, le passò la punta delle dita sulla guancia. «Lo so», disse quieto.

Poi si avviò alla porta, verso la solitudine della stanza degli ospiti.

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/15/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  15

 

Edward non riusciva a dormire.

Davvero non capiva perché gli mancasse tanto Bella. Sì, avevano dormito nella stessa stanza, ma per la maggior parte del tempo non avevano dormito veramente insieme. E anche quando l’avevano fatto, era stato solo per confortarsi. Non c’era tra loro una vera relazione.

Allora perché gli faceva male il cuore al suo rifiuto? Perché gli sembrava di star respirando sott’acqua?

Perché mai al mondo si sentiva come se volesse buttarsi ai suoi piedi e implorarla di riconsiderare tutto?

La morte porta con sé quella vecchia prospettiva di cui tanti parlano, ma che non afferri veramente finché non capita a te. La vita non è mai così preziosa come per quelli il cui tempo sta scadendo.

All’improvviso, tutto quello che cercava di dirgli sua madre era chiaro e cristallino. Aveva avuto successo, ma non era felice. Non era mai stato felice. Aveva passato tutto quel tempo a rincorrere qualcosa che credeva di dover volere.

Perdere sua madre lo aveva reso bisognoso. Non voleva più perdere nessuno, nient’altro. Aveva ciò che era rimasto della sua famiglia.

Non voleva perdere Bella.

Ma come puoi perdere ciò che non hai mai avuto veramente?

Incapace di restare a letto, con quei pensieri sempre più tristi e frustranti, Edward si alzò. Rimase seduto sul bordo del letto per qualche minuto, ma decise subito che doveva trovare qualcosa per distrarsi.

Edward si bloccò quando vide sua sorella entrare. Si fissarono per un lungo, teso momento.

«Guai in paradiso?» chiese alla fine Alice.

«Stanne fuori, Alice.»

Lei lo guardò poi fece spallucce. «Come ti pare. Guarda, veramente speravo di trovarti sveglio.» Incrociò le braccia al petto. «Penso che dovresti portare papà con te a New York.»

«Cosa? Perché?»

Lo sguardo che gli lanciò Alice suggeriva che lei sospettasse che avesse perso le cellule cerebrali da qualche parte. «Stai scherzando? Pensi che un cambiamento di scenario non gli farebbe bene?»

Edward si passò una mano sui capelli. Voleva dire di no al volo. Aveva vissuto da solo per otto maledetti anni. Gli ultimi mesi non erano che un momento, per lui. Specialmente dopo la sua discussione con Bella, non vedeva l’ora di avere qualche giorno per chiarirsi le idee. Aveva problemi a far fronte a tutti i cambiamenti nella sua vita, alla sua incertezza completa, e non ultimo, a qualunque diavolo di cosa stesse succedendo tra lui e Bella.

Chiuse gli occhi e contò fino a dieci, prima di fare una scenata davvero infantile. Come poteva essere così egoista quando suo padre era in quelle condizioni? Esalò un lungo respiro. «Mi chiedo se ci sia ancora posto sul volo.»

Alice sorrise. «L’ho già cambiato. Parte solo un’ora dopo, quindi non andare nel panico. Vi ho anche passato in prima classe.»

Per qualche secondo, le labbra di Edward si inarcarono in su e in giù, in su e in giù. Non sapeva se mettersi a urlare o mettersi a ridere. Venne prima la risata, e scosse la testa. «Non ho mai avuto scelta, vero?»

«No.» Alice sembrava compiaciuta, e si chinò verso di lui con aria cospiratrice. «Il trucco è lasciar pensare che hanno una scelta e guidarli finché arrivano a quella giusta.»

«Giusto», sbuffò Edward. «Va bene, lo porterò. Ma tu devi farmi un favore.»

Sua sorella roteò gli occhi. «Fammi indovinare. Lasciare in pace Bella?» Lo guardò sospettosa. «Hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo tra voi?» Si guardò intorno nella stanza degli ospiti con intenzione.

«No.» Sospirò, sentendosi esausto. «Ma fidati. È più colpa mia che sua, stavolta, okay? Solo… cerca di essere gentile.»

«Va bene», brontolò. «Posso essere civile.»

«Sul serio, Alice.»

 «Sul serio. Te lo prometto.» Alzò le dita. «Parola di boy scout.»

Edward la studiò attentamente prima di annuire. «Grazie.»

 

***

 

Alice aveva ragione, naturalmente. Andarsene di casa, uscire dallo stato, fece a Carlisle un mondo di bene. Almeno, fu un bene che non potesse più essere assorbito dai suoi pensieri. Con solo Edward su cui concentrarsi, fu naturalmente un po’ più attento di quanto non fosse stato a casa.

Aiutò anche che gli amici e gli associati di Edward fossero così gentili. Benjamin, il suo socio, li portò fuori per una cena elegante. Il giorno dopo, sua moglie Tia si offrì di intrattenere Carlisle mentre lui e Benjamin sistemavano le faccende di lavoro.

Al momento, Benjamin sedeva di fronte a lui nel suo ufficio, le mani a campanile mentre dondolava avanti e indietro sulla sua poltrona. «Stai parlando sul serio.» Non era una domanda. «Vuoi proprio rinunciare al tuo, molto redditizio, se posso aggiungere, lavoro?»

«Be’, ti sto chiedendo di comprare la mia parte per quello che vale», puntualizzò Edward. «Non è esattamente una cifra irrisoria.» Si chinò in avanti, e mani intrecciate sulla sua scrivania. «Hai portato avanti gli affari quasi completamente da solo negli ultimi cinque mesi. Non dovrebbe essere una transizione particolarmente difficile.»

«No, non è di questo che mi preoccupa. Hai ragione. Non ho avuto molti problemi da solo, qui. Posso cavarmela.» Il suo amico lo studiò. «Ma tu? Hai una vita, qui, e vorresti rinunciare a tutto per una piccola città? Che farai là?»

«Non ne ho idea», ammise Edward. «So solo che non posso più fare questo.»

«E i tuoi amici?»

Edward sorrise guardandosi le mani. C’erano persone che occasionalmente lo invitavano alle feste, o con cui andava a fare un drink dopo una giornata di lavoro, ma nessuno di loro gli era davvero mancato nei mesi in cui era stato via. Pensava a loro a malapena.

Ricordò Emmett, l’amico di Bella, e si chiese se qualcuno si sarebbe preoccupato tanto per lui, se a qualcuno sarebbe importato se fosse sparito da un giorno all’altro. Sinceramente ne dubitava. «C’è sempre Facebook», disse con leggerezza. «Questa è la vita, no? Le persone vanno avanti. Cambiano. È il 2013. Non dobbiamo smettere di essere amici.»

«Mi pare giusto.» Benjamin scosse la testa. «È solo che io non riesco a immaginare di lasciare questa vita.»

Si chinò, tutto business, a quel punto. Benjamin disse un cifra. Edward annuì. Era più che giusta. Si strinsero la mano.

E con questo, Edward abbandonava quell’aspetto della sua vita che aveva progettato con Bella quando era poco più che un ragazzino.

 

***

 

Essendo un uomo con dei mezzi, fu abbastanza semplice impacchettare la sua vecchia vita. Dopo aver firmato per il suo lavoro e aver organizzato il trasloco dal suo appartamento, restava sorprendentemente poco da fare.

Davvero non aveva un gran vita, qui, si rese conto. Di nuovo, sua madre aveva ragione.

La sera prima della loro partenza, Edward sedeva da solo al tavolo della stanza da pranzo, e faceva girare il suo telefono sul tavolo.

Ricordava di aver discusso sulla vita di Bella. Gli sembrava così piccola. Il lavoro al ristorante, con niente altro da mostrare per gli ultimi otto anni.

Tranne degli amici che la amavano, e a cui mancava.

«Tu non sai niente della mia vita. Tu non sai cosa ho fatto in questi ultimi otto anni. Come cazzo ti permetti di dire che non è nulla? E davvero, non hai nessun diritto di giudicarmi.»

Cosa gli aveva fatto pensare di avere il diritto di giudicarla? Nonostante le ipotesi prevenute basate su pezzi della sua vita che conosceva, in realtà non aveva una storia coesa.

Prima di ripensarci, Edward mandò un messaggio a Bella.

Tutto a posto, a casa?

C’erano molte altre cose che voleva dire, ma si chiese perché aveva pensato di avere il diritto di dirle. Dopo quello che le aveva fatto passare, perché avrebbe dovuto aver voglia di parlare.

Tutto a posto. Come sta Carlisle?

Come a un segnale, Carlisle apparve nel corridoio. «Edward?»

«Ciao papà. Pensavo dormissi.»

Carlisle entrò, sedendosi di fronte a lui. Premette i palmi delle mani contro gli occhi, strofinando. «Dormivo. Ora non più.»

«Giusto.»

«E tu?»

Edward fece spallucce. Si alzò, prendendo una birra per sé e offrendone una a suo padre. Carlisle la prese, ma dopo il primo sorso, si limitò a guardarla. Questa era la norma. Non mangiava che pochi bocconi di cibo e qualche sorso.

«Sei sicuro di quello che stai facendo qui, Edward? Rinunciare al tuo lavoro, alla tua vita?»

«È fatta», disse lui semplicemente. Prese un sorso della sua birra. «Sai di cosa non abbiamo parlato?»

«Di cosa?»

«Cosa vuoi fare tu, papà?»

Carlisle guardò giù il tavolo. «È una buona domanda», mormorò. Si passò la mano sugli occhi. «L’ospedale, il mio vecchio ospedale, dice che posso tornare, se voglio.»

«A Seattle?»

Suo padre annuì lentamente.

«È quello che vuoi?»

«È che…» Carlisle dondolò la sua birra avanti e indietro. «Una volta mi rendeva felice. Potrebbe essere un bene, per me.»

Edward annuì. «Seattle. Mi può andare Seattle.»

Suo padre alzò lo sguardo su di lui. «Edward, sai che non devi stare con me, vero?»

«Papà…»

«Tu hai la tua vita, e hai una moglie, adesso.»

Fu la volta di Edward a guardare il tavolo. «Io non…» Deglutì. «Non sarà un problema.»

Sentiva gli occhi di suo padre su di lui, così svicolò in fretta. «Sono anni che Bella vuole andarsene da Forks. Sono sicuro…»

«Parla con me, Edward.» La voce di Carlisle era dolce, ma aveva dentro un tono che i papà perfezionavano sempre. Il tono “dico sul serio”.

Edward sospirò. «Non voglio caricarti di un fardello.»

«Essere tuo padre non è mai un fardello.»

Negli ultimi giorni, provando a uscire dal casino che aveva in testa, Edward aveva tanto desiderato poter parlare con qualcuno. Ma con chi? La rabbia male indirizzata di sua sorella sarebbe stata inutile. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era qualcuno che alimentasse la sua, di rabbia residua. La furia distorceva la verità.

Quello che avrebbe tanto voluto era parlare con sua madre, ma questo era impossibile. Suo padre avrebbe dovuto essere la scelta migliore. Ma quello che aveva detto a Bella qualche giorno prima era vero. Era preoccupato che qualcosa si aggiungesse alla ovvia depressione di Carlisle.

Ma del resto, forse non era male gettare delle fondamenta.

Edward sbuffò. «Il mio matrimonio è in guai seri», ammise.

Carlisle annuì, come se questa non fosse una sorpresa. Naturalmente non lo era. C’era un motivo se i suoi genitori li avevano mandati in California per quella luna di miele in ritardo. «Posso farti una domanda?»

«Certo.»

«Sei ancora innamorato di lei?»

A Edward si fermò il respiro.

«Non è la stessa cosa che amarla», lo avvertì Carlisle.

«Lo so.» La voce di Edward era tenue, sconfitta. «Sono innamorato di lei.» Il suo cuore si contorse mentre lo diceva, mentre lo ammetteva con se stesso. Forse era vero, non la conosceva più come una volta, ma l’amore e la logica raramente andavano di pari passo.

Ricordò ogni volta che aveva lasciato che se la prendesse con lei, senza andarsene, resistendo alla sua rabbia, alla rabbia di Alice, per il bene di sua madre. Ricordò mentre la guardava con i suoi genitori, il suo sorriso, la sua gentilezza. E ricordò quei brevi momenti in cui aveva pensato che fosse scomparsa in mare. Il panico di averla persa una volta per tutte.

«Sono innamorato di lei», ripeté deglutendo. «E lei mi ama, ma non credo che sia innamorata di me.»

Carlisle non rispose subito. «Sapevi che tua madre era fidanzata con un altro quando ci siamo incontrati?»

Edward sussultò. «Cosa? Aveva tipo… diciassette anni quando vi siete incontrati, no?»

«Infatti.» Lo sguardo di Carlisle era lontano, e per un breve momento, sorrise. Edward vide i suoi occhi diventare lucidi prima che si voltasse.

«Papà…»

«Fu un periodo difficile. Ero così innamorato di lei, e non pensavo… Lei non stava bene con Charles. Mi sembrava più che fosse un dovere, per lei. Tua madre è così… era così leale. Stava con lui fin dal primo anno del liceo, e…» Scosse la testa.

Abbassò lo sguardo. «Io decisi di andarmene. Andai in un’altra scuola. Pensai… un nuovo inizio da qualche parte, lontano, era l’unica cosa che aveva senso. Il più lontano possibile da tua madre, così forse avrei potuto dimenticarla.»

«Questa l’ho già sentita», mormorò Edward. «Poi cosa successe?»

Carlisle allungò la mano sul tavolo e gli prese il braccio. «Se ancora vi amate c’è sempre speranza.» Prese un profondo, lento respiro. «Ne vale la pena, Edward.» Annuì. «Ogni minuto, ogni ferita che io e tua madre ci siamo inflitti… anche adesso, da dove mi trovo, è valsa la pena combattere per questo. Per tutto quanto.»

 

***

 

Papà sta veramente meglio.

Dopo cinque minuti, ne arrivò un altro.

Vuoi venire a prendermi all’aeroporto? Lascia che Alice e Jasper portino a casa papà.

Bella si morse il labbro, guardando il messaggio. Trasalì quando il telefono ronzò di nuovo.

Per favore, Bella.

Stringendo le labbra, Bella pensò un attimo, poi rispose.

Okay.

Bella continuava a pensare cosa poteva volere Edward mentre stava per entrare in cucina. All’ultimo momento si rese conto che qualcuno stava litigando.

Alice e Jasper, ovviamente. Non riusciva a sentire bene quello che stavano dicendo. La voce di Alice era alta, mentre quella di Jasper restava costante.

Le voci si avvicinarono e Bella ebbe a malapena il tempo di tirarsi indietro prima che Alice uscisse a tutta velocità. In un attimo aveva girato l’angolo e stava salendo le scale sbattendo i piedi.

Entrò in cucina. Trovò Jasper con la testa tra le braccia sul bancone.

All’inizio Bella non disse nulla. Tirò fuori una bottiglia di whisky e due bicchieri. Sedendosi vicino a Jasper, versò per tutti e due un bicchiere. Jasper alzò la testa e sbuffò, ma prese il bicchiere e ingurgitò.

«Vuoi parlarne?» offrì Bella.

Jasper la guardò in tralice, poi fece spallucce. «Immagino che se c’è qualcuno che può capire questa famiglia sei tu.» Sospirò. «Alice ha rinunciato a un sacco di occasioni per stare vicina ai suoi genitori.»

«E sta per farlo di nuovo?»

Jasper annuì lentamente. Fece una risata priva di allegria. «È un po’ folle come questa famiglia sia in continuo mutamento. È vero, la Legge di Murphy, no?»

«Nella mia esperienza sì.»

«Silenzio sotto pena di morte», la avvertì Jasper puntandole contro un dito.

«Non dirò una parola», promise Bella.

«Bene. Appena prima della laurea, Alice aveva saputo che era stata accettata in un workshop. La maggior parte delle spese pagate. A Milano.»

«Straordinario.»

Jasper versò altro whisky per tutti e due. «Già», concordò. «Naturalmente, con Esme così malata, era scontato che non andasse.»

«Ma ha ancora una possibilità?» indovinò Bella.

«Sì. Le sono rimasti quattro giorni per confermare, e dovrebbe essere là nel giro di un mese e mezzo.» Sospirò. «Non è per sempre. Tornerebbe qui in meno di un anno. Ma lei rifiuta anche di prendere in considerazione l’idea.»

«Dev’essere frustrante, per te.» Bella inclinò la testa, osservando il ragazzo di Alice. «E la tua parte in tutto questo? Se rimane, se va…»

Lui ridacchiò. «Come ho detto, siamo tutti in continuo mutamento.» Scosse la testa sorridendo. «È stato strano, per me, sai? È stato un periodo strambo. Non avrei mai pensato di trovarmi disoccupato, a vivere con i miei neanche-suoceri. Suona patetico, se la metti in questo modo, eh?

Mi sono laureato un anno e mezzo fa. Ho lavorato. Niente di spettacolare, ma per farla corta, i miei conti erano pagati. Avevo qualcosa da parte, che è quello che ho usato negli ultimi mesi.»

Sorrise. «Ma dovunque vada la mia ragazza, io la seguirò. Lei è il mio futuro, questo lo so. E capisco la connessione alla famiglia. Non ho niente in contrario.» Strinse le labbra. «È che… lei ha dei sogni più grandi di questa piccola città, sai?»

«Credimi, capisco.» Prese il bicchiere che le aveva riempito Jasper e lo buttò giù. «È sempre così che succede. Arrivano le opportunità e nello stesso tempo, i momenti difficili. Devi scegliere.»

«Io voglio solo che sia la scelta giusta per lei.» Jasper guardò Bella con attenzione. «Non voglio che abbia i rimpianti che ha suo fratello.»

Bella sorrise e gli strinse il braccio. «Sei una brava persona. Alice è davvero fortunata.»

Lui le strinse le spalle col braccio. «E tu, Bella? Lo sai che puoi parlare con me, vero, se hai bisogno di un pubblico neutrale?»

«Lo so, lo so.»

Per un attimo Bella intravide un futuro che non aveva considerato.

Un uomo al suo fianco che la amasse come l’aveva amata Edward tanto tempo fa, un padre amorevole, una sorella, e un amico in Jasper. Era una bella scenografia.

Non la realtà, ricordò a se stessa.

 

***

 

Bella si morse l’interno della guancia. Per ragioni che non capiva, era nervosa. Aveva lo stomaco annodato.

Le sembrava in maniera sospetta simile a un appuntamento.

Edward aveva guidato fino a un ristorante in città. Bella aveva sempre amato guardare le persone, e questo era un posto adatto. Edward aveva chiesto un tavolo vicino alla finestra. Il ristorante era in alto e guardava giù alle vie affollate di Pike’s Place Market.

«Vuoi parlare di qualcosa, vero?» chiese alla fine Bella.

Edward si schiarì la gola. «Io… sì.» Si mosse sulla sedia. Ovviamente, di qualunque cosa si trattasse, non lo metteva a suo agio. «Io… Quando tu mi hai lasciato…»

«Edward», lo interruppe lei, risentita. L’ultima cosa che voleva a questo punto, era sentire altre recriminazioni da parte sua.

Lui sospirò. «No. Ascoltami, per favore. Non si tratta di te.» Lui sbuffò, guardandosi le mani. «Sei sempre sulla difensiva.» Non l’aveva detto come un’accusa, ma come se se ne fosse appena reso conto. «Naturale. Perché non dovrebbe essere così? Ti sono saltato alla gola ogni volta che ho potuto, vero?»

Bella non rispose, ma si strinse le braccia intorno alle spalle.

Lui riprovò, il tono più morbido. «Quando mi hai lasciato, all’inizio ero sicuro che non fosse vero. Per tutto il resto del giorno, e anche i giorni dopo, a dire la verità, ho aspettato che tu richiamassi o riapparissi.

Poi, quando alla fine accettai che tu non saresti tornata, io sentii… un sacco di cose, ma la vergogna era una di queste.»

Bella scattò. «Vergogna? E per che cosa dovevi vergognarti?»

Lui torceva il tovagliolo tra le mani. «Non te l’ho mai detto… Per tutto il semestre i miei compagni mi riempirono la testa di dubbi. Quello che c’era tra noi non era reale. Tu non eri fedele a me, quindi io non avrei dovuto essere fedele a te. E io dicevo di no. Io e te eravamo la cosa reale.»

Le labbra di Bella si contorsero. «Poi io sono arrivata e ho confermato tutto quello che loro continuavano a dirti da tempo.»

Lui annuì. «Sai che all’inizio non ero neanche arrabbiato? C’era la rabbia, ma era seppellita sotto tutto il resto, sotto tutto quello che stavo sentendo. Ero così confuso.»

Furono interrotti quando arrivò il cibo che avevano ordinato. Entrambi si scostarono. Bella non si era resa conto fino a quel momento che si erano chinati sul tavolo.

Quando il cameriere se ne andò, Edward le prese la mano. «Alla fine di tutto, Bella… ho creduto a una bugia, e mi dispiace per questo. Valeva la pena lottare per te.» Prese un gran respiro. «E non è un errore che voglio ripetere.»

Gentilmente Bella ritirò la sua mano, guardando giù il suo piatto. «Edward, io non so se…»

«No, Bella, ascolta.» Le sue parole erano una preghiera gentile. «C’è qualcosa tra te e me. So che lo senti anche tu. E non voglio perderlo, qualunque cosa sia, perché non sono abbastanza coraggioso da combattere. Quello che voglio dire, a meno che non ti abbia ferita così tanto da non volere avere più niente a che fare con me, è che io voglio provare.»

Bella aveva la bocca secca e un groppo in gola. «E questo cosa significa?»

Le labbra di lui si piegarono in giù. «Non lo so, ancora», ammise. «Potremmo finire come amici, o potremmo…» Le sue parole si spensero mentre scuoteva leggermente la testa. «Male che vada, sarebbe bello arrivare a una conclusione.»

Bella sentì un colpo lontano al cuore, come se quell’idea, benché logica, non suonasse bene.

Realtà, ricordò a se stessa.

Annuì lentamente. «Okay. Quindi cosa vuoi che facciamo?»

Lui cominciò a spostare il cibo dentro il piatto. Nessuno dei due stava mangiando. «Penso… potrebbe essere una buona cosa se io restassi nella stanza degli ospiti. La mia famiglia sa che abbiamo dei problemi, e penso che sarebbe più facile non confondere le linee.»

Di nuovo, il cuore di Bella si contorse. Doveva ammettere che le era piaciuto averlo vicino in quei giorni difficili dopo la morte di Esme. Ma annuì. «Ha senso.»

Lui fece un sorriso leggero, elettrizzato che lei fosse così ben disposta, finora. Questo sembrò rafforzare la sua sicurezza. «Ho pensato parecchio a quello che hai detto, che non ci conosciamo. Quindi questa è l’unica cosa che ti chiedo.» La sua espressione era esitante, quasi timida. «Pensi che potremmo conoscerci, o è troppo tardi per questo?»

Questa volta fu Bella che allungò il braccio e prese la mano di lui. «Certo che non è troppo tardi per questo.»

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/16/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  16

 

La prima conversazione non andò bene.

Era il giorno dopo che Edward era tornato da New York. Alice e Jasper avevano portato Carlisle fuori a Port Angeles per la serata. Nello sforzo di cominciare bene le cose, Edward aveva preparato la cena.

Bella sorrise, mentre si sedeva guardando la cena che aveva cucinato. «Questo è quello che fece Esme la sera prima che tu partissi per Dartmouth.»

Per un attimo a Edward si fermò il respiro. Gli mancava così tanto sua madre. Ricambiò il sorriso. «Mi chiedevo se l’avresti notato.» Lui inclinò la testa, provando a decifrare lo sguardo di lei, non riuscendoci. «Che c’è?»

«Tutto considerato, fu una gran bella serata.» Le sue parole erano lente, attente.

«Ma?»

Abbassò la testa, un’emozione incerta negli occhi, come se non fosse sicura di cosa dovesse dire. «Al tempo, fu la cosa più difficile che avessi mai fatto. Aiutarti a fare i bagagli. Lasciarti andare.»

A Edward si strinse la gola. La voce molesta nella sua testa riecheggiava una risposta sferzante. Quella poteva essere la cosa più difficile che avesse mai fatto. Non sarebbe mai stato più difficile che sentire la sua mancanza per un unico anno di scuola.

Sospirò, lasciando perdere quel pensiero. Anche se fossero stati insieme, sapeva abbastanza della vita da capire che sarebbe stato sempre più difficile essere un adolescente in una relazione a distanza. E d’altra parte, il peso del suo dispiacere aveva portato via la voce rabbiosa del suo veleno.

Perdita e dolore erano aspetti inevitabile della vita. Non aveva senso aggiungere la rabbia al mix. Era un’emozione illogica e distruttiva, e la vita di Edward era già un caos così com’era.

Sorrise a Bella. «Ma più che altro un bel ricordo?»

Lei annuì. Di nuovo, il suo sguardo era furtivo, mentre lo sbirciava, esitando prima di parlare. «Ricordi che passammo quasi tutta la serata a parlare sul dondolo sotto il portico?»

Questo lo ricordava molto bene. Era una delle memorie che gli facevano più male.

Dopo cena si erano messi sul dondolo, Bella infilata sotto il suo braccio. Più che altro, si baciarono. Dovevano essersi baciati per un’ora intera, come se facessero scorta, sapendo che non ne avrebbero avuto per mesi. Ricordava con chiarezza cristallina che aveva sempre tenuto gli occhi aperti, memorizzando il suo viso mentre lo baciava.

«Mi ricordo.»

«Pensavamo di aver previsto tutto, allora», rifletté lei. «Non mi ricordo neanche cosa pensassi che significasse essere una scienziata. Volevo solo scoprire qualcosa che aiutasse le persone.»

«È un bel sogno.»

Bella annuì. «Lo è, ma pensalo in pratica. A scuola, nei corsi di scienze, sì, ci sono un sacco di lezioni noiose, ma è tutto scandito da cose emozionanti. Gli esperimenti. Le cose che può fare la scienza sono così divertenti.»

Edward sorrise vedendo la luce eccitata nei suoi occhi. Era come vederla di nuovo all’Exploratorium.

«Ma sai… è stato già fatto tutto. Tutte le scoperte sono già state fatte da qualcun altro. La realtà della scienza sono anni, decenni di prove e fallimenti. E se sei abbastanza fortunato da arrivare a quel punto. Devi prima avere a che fare con quasi dieci anni di scuola, poi entrare nel laboratorio giusto. E non puoi scappare dalle politiche stronze delle imprese.» Lo guardò con aria di scusa. «Mi dispiace.»

«No, un sacco di affari sono stronzate. Lo so, credimi.» Strinse le labbra, considerando. «Era tutto così affascinante nelle nostre teste, vero?»

Lei sorrise gentile. «Quindi essere un fenomenale uomo d’affari non è divertente come sembra?» Le guance di lei si tinsero di rosa quando lui la guardò con curiosità. «Qualche volta ti ho cercato su Google», ammise lei. «Articoli che uscivano su di te nelle riviste economiche, e tu che andavi ai galà o feste di beneficenza. Sembravi felice.»

Lui annuì, facendo girare quell’informazione nella sua testa. «C’erano dei momenti, e non ero infelice, con uno sforzo di immaginazione. Mi piaceva che il mio nome avesse abbastanza peso da fare un po’ di bene nel mondo.»

«Ma?» disse lei, stavolta.

Edward strinse le labbra, chiedendosi come rispondere. «Il mio socio, Benjamin, lui ama quello che facciamo, quello che facevo. Le relazioni sociali, le conoscenze importanti, le trame, pensare ogni mossa dieci passi avanti. Lui ama tutte queste cose. Anche le stronzate politiche, come le chiami tu. È molto bravo, in questo.

Ero bravo anch’io, molto bravo. Ma non mi ha mai appassionato come appassiona lui. Ogni giorno che si alza per andare a lavorare lui è rinvigorito.»

«E tu come ti sentivi?»

«In dovere.» Edward picchiettò la forchetta sul tavolo, domandandosi, con un’intuizione improvvisa, se si sarebbe risentito con Bella per averlo portato a una carriera da cui non traeva nessuna gioia, anche se non avessero rotto. Sospirò e cambiò in fretta argomento prima che il suo cervello potesse attaccarsi a vecchi rimpianti.

«Allora, in cosa hai intenzione di laurearti?»

Gli ci vollero alcuni minuti di un gentile interrogatorio, ma alla fine Bella si aprì, parlandogli della nuova passione che aveva trovato. Pensava di laurearsi in psicologia o sociologia, qualcosa che la mettesse in grado di aiutare gli adolescenti in difficoltà.

Gli raccontò la storia del suo fratellastro, Seth. Al tempo del disastro, non era il suo fratellastro. Suo padre, uno dei migliori amici di Charlie, era morto all’improvviso di infarto, quando lui aveva quindici anni.

Al tempo, tutti i ragazzi che lui venerava erano al loro peggio. Jacob era sconvolto, sull’orlo del baratro, dopo la morte di sua sorella. Sam Uley, il ragazzo di sua sorella Leah, l’aveva tradita con la loro cugina Emily. Sua madre lavorava giorno e notte non solo lottando per pagare i conti, ma anche per fuggire dal dolore della morte di suo marito.

Senza nessuno cui appoggiarsi, Seth aveva cominciato a seguire gli altri due ragazzi, Jared e Paul. Per farla corta, loro erano solo guai, e Seth finì nei guai.

Dato che era minorenne, Sue fu considerata responsabile per le sanzioni e le multe comminate a suo figlio. Tra queste multe, le spese legali, il pagamento dei corsi che Seth era stato obbligato a seguire, non ci volle molto perché Sue si ritrovasse l’acqua alla gola con i conti.

A quel tempo, Charlie si era innamorato di Sue. Le aveva già dato quello che poteva, cercando di aiutarla a sostenere le spese legali e mantenere Leah a scuola.

Era una cifra dolorosamente piccola, tutto considerato, quella che avrebbe evitato a quella famiglia di implodere completamente.

«È per questo che le hai dato i tuoi risparmi», disse Edward, un altro pezzo del puzzle che andava al suo posto.

Bella annuì lentamente. «Al tempo, comunque, ancora non avevo deciso di cosa fare con la mia vita. Mi stavo districando da Jacob. Avevo un lavoro fisso a Port Angeles, niente di speciale, ma pagava l’appartamento in cui stavo in quel periodo.»

Edward tamburellò le dita sul tavolo, pensieroso. Poi sbuffò. «Dovresti prendere i soldi che ti ho offerto.»

Bella si irrigidì. «Edward…»

«No, guarda. È tanto diverso da quello che tu hai fatto per la tua matrigna? Ci è voluto così poco per stabilizzare la sua vita. Io posso farlo per te.»

Gli occhi di lei lampeggiarono e lo guardò gelida. «Non ho bisogno, né voglio il tuo aiuto. La mia vita va bene così com’è.»

«Non è quello che…»

«Perché continui a farlo?» lo interruppe lei. «Ti fa sentire meglio con te stesso farmi sentire così dozzinale?»

«Bella.» Il suo tono era esasperato. «Non è quello che ho detto. Non è per niente quello che ho detto. E comunque non credo che sia così. Se c’è qualcosa che mi hanno insegnato questi ultimi mesi, è che l’unica cosa che ho realizzato in questi otto anni sono soldi. Ed è… una buona cosa. Puoi fare un sacco di cose con i soldi, ma è anche una cosa molto vuota. Il massimo che puoi fare è aiutare qualcuno a…»

«Non sono un caso caritatevole», scattò lei.

«Sii ragionevole. È un mezzo per un fine. Tu hai lavorato per questo. Non per me, ma hai lavorato duro, no? Sarebbe abbastanza per poter andare a scuola full time e vivere per conto tuo.»

«Tutto grazie al magnanimo Edward Cullen. Perché io non posso arrivarci da sola.»

Edward assottigliò gli occhi, l’irritazione che prendeva il sopravvento. «Be’, finora non ci sei arrivata, no?»

Lei lo squadrò e buttò sul tavolo il suo tovagliolo. «Grazie per la cena. Era deliziosa», disse laconica voltandosi verso la cucina col suo piatto in mano.

«Cazzo», imprecò Edward sottovoce e si fiondò dietro di lei. «Bella…»

Lei si voltò. «Non prenderò i tuoi soldi, okay? Te l’ho già detto, non ti ho sposato per i soldi. Non trarrò profitto da quel po’ di pace che ti ho aiutato a dare a tua madre. Sono grata di aver potuto trascorrere del tempo con lei. Sono grata di essermi riavvicinata a tuo padre e mi piacerebbe tanto trovare una sorta di pace tra te e me. Se questo è impossibile…»

«Non è impossibile. Almeno, non per me.» Si passò la mano tra i capelli, irritato e frustrato in egual misura.

Emise un respiro, sapendo che era ipocrita da parte sua inveire contro di lei perché era andata irrazionalmente fuori dei gangheri, quando questo era stato il modus operandi di lui per mesi e mesi.

Bella scosse la testa e si voltò di nuovo.

Lui le afferrò il braccio e la fece voltare di nuovo. «Ascoltami. Per favore.»

Lei liberò il braccio, ma non si mosse.

«Veramente non lo intendevo in quel senso. Davvero.» Espirò dal naso, irrequieto. «Tu hai dato così tanto agli altri, e vuoi aiutare le altre persone. Mi importa abbastanza di te da volere questo per te. È così terribile?»

Lo sguardo rabbioso di lei si ammorbidì appena, e incrociò le braccia al petto, studiandolo.

Edward voleva toccarla. Ricordava che quando erano giovani e innamorati, quando non riusciva con le parole, poteva sempre mostrarle quello che sentiva. «Non sto cercando di essere ostile.»

Lei sospirò. «Non prenderò i tuoi soldi. È l’ultima volta che voglio sentirne parlare.»

«Va bene.»

Dopo un altro momento di tensione, le labbra di lei si piegarono leggermente. «La cena era davvero buona.»

«Vuoi…» Si sentiva irragionevolmente nervoso. «Vuoi vedere un film?»

C’era una parte di lui, una gran parte, che voleva dire vaffanculo tutto. Lei stava sulla difensiva, e giustamente. Gli aveva già spezzato il cuore una volta, cosa gli faceva pensare che non sarebbe stato meglio senza di lei?

Ma stava imparando, forse troppo tardi, l’ultima lezione di sua madre. Non era riuscito a dimenticare Bella in otto anni. Le sue emozioni intense verso di lei (amore o odio) non erano mai svanite. E tutto quello che valeva, ciò per cui valeva la pena di lottare, era difficile.

La postura difensiva di Bella si ammorbidì leggermente, poi annuì. «Certo. Mi piacerebbe.»

 

***

 

I pessimisti e i cinici hanno molti detti popolari. “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”, “Traditore una volta, traditore per sempre”, “Le persone non cambiano” e così via.

Secondo Bella, queste erano tutte cazzate.

Le persone non fanno che cambiare. A volte in meglio, a volte in peggio. E sì, c’era la possibilità che un certo comportamento distruttivo o dannoso non cambiasse, ma c’era sempre la possibilità che lo facesse. Era per questo che c’erano le cliniche riabilitative, le consulenze psicologiche, e persone che facevano passare l’uno all’altro il peggior tipo di inferno solo per poi finire insieme, più forti che mai.

Bella l’aveva visto tante volte, una persona arrivare al momento fatidico, affondare o nuotare, a seconda se volesse cominciare la sua lotta per riemergere o lasciarsi trascinare sempre più a fondo.

Per Seth, il momento era arrivato quando aveva passato tre giorni dietro le sbarre. Aveva diciassette anni, ed era sempre stato un ragazzo grande e grosso. Ma finì in gattabuia a Seattle, non nella cella di un paesino, con grossi ragazzi di città veramente crudeli, tosti.

Il cattivo ragazzo, arrabbiato e fuorviato che era stato per due anni e mezzo, ne uscì terrorizzato e confuso. E i suoi occhi si spalancarono quando vide il risultato delle sue azioni, le sofferenze che aveva causato a sua madre, tutte le cazzate che aveva fatto.

Per Jacob, fu quando Bella pagò la sua cauzione per tirarlo fuori di galera. Aveva passato tanti anni della sua adolescenza a prendersi cura di suo padre, e si rese conto, mentre lei lo accompagnava a casa in macchina, di come poteva aver disfatto tutto quello che aveva fatto di buono per suo padre in un batter d’occhio. E seppe anche che era stato pericolosamente vicino a distruggere la sua stessa vita. Bella gli aveva fatto un regalo. Niente era stato ancora distrutto, ma avrebbe potuto.

Entrambi erano cambiati in meglio, e nessuno dei due era tornato ai vecchi comportamenti.

Quindi in teoria, Bella non aveva problemi a credere che il cambiamento nell’atteggiamento di Edward fosse permanente. Non era il luogo comune più comune? Quante volte la morte di una persona cara faceva accendere la proverbiale lampadina? La vita è troppo preziosa per sprecarla con la rabbia.

Eppure, il suo cuore si sentiva ancora pericolosamente fragile. Questo ragazzo, quest’uomo impossibile, era sempre stato il suo golden standard, quello cui aveva paragonato ogni altra relazione. Era il suo unico rimpianto, il suo “e se…”. Ed era perché sapeva che un amore come il loro era possibile che si rifiutava di accontentarsi di qualcosa di meno. Anche se, alla fine, lui era l’unico che le aveva fatto più male di quanto ne avesse fatto a se stessa lasciandolo.

Era guardinga, sulla difensiva, non voleva lasciarsi andare a credere di aver visto ormai tutta la sua rabbia, perché sarebbe stata ancora peggio quando sarebbe tornata.

Era passata poco più di una settimana dal suo ritorno da New York, quando la portò fuori a cena. L’ultima cosa che lei si aspettava, era che la portasse a cena nel ristorante dove aveva lavorato.

«È parecchio tempo che non vedi i tuoi amici, vero?» le aveva chiesto quando lei l’aveva guardato con aria interrogativa.

Bella aveva mandato loro messaggi, email, aveva parlato con loro su Facebook di tanto in tanto, ma Edward aveva ragione. Non li aveva più visti, tranne qualche minuto di tanto in tanto quando vedeva suo padre.

Per quanto fosse nervosa, sapeva che probabilmente avrebbero avuto mille domande su suo marito, tra le altre cose, l’idea di parlare di nuovo con Jessica la rendeva felice. Ed era giovedì. Di solito Emmett e Rosalie mangiavano al ristorante con i ragazzi il giovedì.

Infatti, non appena entrarono nel ristorante, Henry, il figlio di sette anni di Emmett e Rosalie, corse verso di lei. «Bella! Bella, sei tu?»

«Uff», boccheggiò Bella quando la colpì. Si mise a ridere e lo abbracciò. «Hey, piccoletto!»

«Non sono un piccoletto», disse lui con un gemito. «La mamma dice che sarò grande come papà, un giorno.» La prese per mano e la portò verso il loro tavolo.

Emmett era subito in piedi, e le diede un abbraccio da orso. Anche Rosalie la salutò così, ma assottigliò gli occhi verso Edward.

Bella si schiarì la gola. «Emmett, ho sentito che hai già incontrato mio marito.»

Il suo amico orso sembrò stupito che lei sapesse del loro incontro. «Già, una volta.»

Edward offrì la mano a Rosalie. «Io sono…»

«Oh, lo so chi sei, Edward Cullen.»

Bella vide le labbra di lui contrarsi, ma poi lui annuì e sorrise.

La serata non fu facile, per lui. Le frecciate di Emmett e Jessica erano sottili, ma era chiaro che stavano cercando di provocarlo.

Rosalie non si preoccupò neanche di nasconderlo.

«Strano», disse lei dopo che Edward aveva fatto un innocuo commento su come il blu del maglione di Bella facesse risaltare il colore dei suoi capelli. «Avevo sentito che avevi una cosa per le bionde.» I suoi occhi guizzarono su Jessica.

A questo punto, Bella vide un lampo sia di shock che di rabbia attraversare gli occhi di Edward, prima che temperasse la sua reazione. «Non so cosa intendi. Io preferisco le brune.» Poi guardò Bella con un sorriso che le fece temporaneamente dimenticare che era curiosa di sapere a cosa si riferisse esattamente Rosalie. Le si mozzò il respiro quando lui allungò una mano e si arrotolò una ciocca nel dito, prima di far ricadere in grembo la mano.

Per tutta la sera, deviò i colpi dei suoi amici e li respinse con grazia e indifferenza. Fece dei complimenti a Bella più di una volta, le parole sincere. E anche se stavano recitando la parte della coppia sposata, lui le diede il suo spazio. Poi, quando stavano tornando alla macchina, lei pensò che le avrebbe preso la mano. Invece, lui se le infilò in tasca.

Anche Bella si infilò le mani in tasca, chiedendosi se la strana nostalgia che aveva, il desiderio che lui allungasse la mano verso di lei, fosse solo uno spettro del passato, una pura memoria. Dopo tutto, l’ultima volta che erano usciti insieme da quel ristorante, era stato quando lui era tornato a casa per il Ringraziamento da Dartmouth. Lei lavorava al ristorante anche durante il liceo, e lui era venuto a prenderla appena arrivato. Le aveva tenuto la mano per tutta la strada e poi l’aveva salutata come Dio comanda nell’abitacolo caldo dell’auto.

Bella scacciò via quel ricordo mentre si dirigevano verso casa. «Che intendeva Rosalie quando ha detto che ti piacevano le bionde? Da dove usciva?»

Edward si irrigidì visibilmente, e le sue mani si strinsero sul volante. Sbuffò e deglutì. «Ti ho detto che ho incontrato Emmett, quel giorno. Be’, c’era un motivo se era non era tanto contento di me.» Fece una smorfia. «Stavo parlando con Jessica, e non le avevo detto chi ero. Stavo…» Si accigliò. «Stavo flirtando», disse in fretta. Scoccò uno sguardo verso di lei, gli occhi imploranti. «Ti giuro che era una cosa innocua. Niente di audace. Niente… niente di più di quello che facevo di solito. La politica degli affari, ricordi?»

Lo stomaco di Bella si era annodato. «Ma perché, Edward? Perché avresti fatto una cosa del genere?»

Lei lo guardò mentre cercava di trovare le parole. «Io ero… C’erano tante cose che volevo chiederti, e sapevo chi era lei. Sapevo che aveva delle risposte.»

«Non potevi chiedere a me?»

Allora lui la guardò. «Allora non potevo.»

Bella rimase in silenzio, provò a pensare.

Quando accostarono vicino casa, lui le prese la mano, la presa ferma. «Bella, ti prego. Qualunque cosa abbia detto o fatto, non stavo certo provando a ferirti, con lei. Ti giuro che non è così.»

«Ti credo», disse Bella quieta. Gli ultimi cinque mesi erano stati tutto tranne che lineari, tra loro.

E aveva notato che l’aveva portata al ristorante ben sapendo che i suoi amici erano meno che bendisposti verso di lui. Doveva aver saputo che gli avrebbero dato guai.

E nonostante la sua tendenza ad andare fuori dai gangheri, aveva visibilmente controllato la sua rabbia, con loro.

Ora sembrava vulnerabile, come se non potesse credere che lei avrebbe lasciato correre.

«Sul serio», disse lei con gentilezza, stringendo le sue dita. «Siamo okay.» Su questo, almeno.

Lui sembrò sollevato.

Stava di nuovo scendendo dalla macchina quando lui la tirò ancora indietro. Sembrava nervoso. «Volevo chiederti… tu… cosa è successo con il forse-bambino?»

Lei sbatté gli occhi.

Sapeva a cosa si riferiva, ovviamente. Come gli aveva detto, era ben consapevole del fatto che non avevano usato protezioni la notte della morte di Esme. Era stato un sollievo, quando il suo periodo era arrivato, il giorno prima. «Non c’è nessun bambino, Edward.»

«Oh», disse piano, lasciando la mano di lei e guardando fisso davanti a sé.

Vedendo come era crollata la sua postura, Bella era confusa. «Sei… deluso?»

Davvero avrebbe voluto che lei fosse incinta? Bella ne era stata terrorizzata. Complessa e completamente instabile come era la loro relazione, aggiungere un bambino al mix sarebbe stato disastroso. Era in assoluto l’ultima cosa di cui avevano bisogno, quando ancora stavano cercando un terreno stabile per loro due.

«No», disse in fretta. Troppo in fretta. «Be’…» Strinse le labbra, l’espressione un po’ rammaricata mentre guardava fuori dal vetro. «Era… È un’idea bella, in qualche modo. Una vita che finisce e un’altra che comincia. Ho sempre trovato che fosse un bellissimo concetto.»

In altre circostanze, se fossero stati a un punto diverso della loro relazione, Bella avrebbe potuto vedere la bellezza dietro tutto questo. Si sforzò di trovare una risposta.

Lui le sorrise malinconicamente, prendendole di nuovo la mano e giocando con le sue dita. Bella sentì il calore sprigionarsi a quel tocco intimo e gentile, ma l’aria intorno a loro era leggermente imbarazzata.

Edward sospirò, guardando giù le dita di lei. «Sai cos’è più difficile di tutta questa cosa che stiamo facendo?»

Bella lo schernì, non senza gentilezza, ma non rispose.

Lui ghignò. «A parte ogni cosa», concesse. «È solo che… è… una perversione di tutto quello di cui ho sognato. Io e te…»

«E col bambino fanno tre?»

Lui alzò gli occhi su di lei, occhi incredibilmente teneri. Le si mozzò il respiro. Lui alzò la mano e gliela mise sulla guancia. I suoi occhi andarono per un attimo alle labbra di lei, e Bella avrebbe giurato che stava per baciarla.

Lo avrebbe lasciato fare.

Ma poi lasciò cadere la mano e le strinse le dita prima di lasciarla andare.

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

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Capitolo  17

 

Il tempo è la risposta a molte frustrazioni.

Negli ultimi otto anni, la vita di Bella era andata avanti. C’era sempre il lavoro, suo padre, la sua nuova famiglia. Per un po’, c’era stato Jacob.

Ora, la sua vita era in stallo. Invece che esserne risentita, come credeva, sentì che era una tregua benvenuta. Per la prima volta, poteva pensare senza doversi agitare, senza chiedersi come avrebbe messo insieme il suo prossimo pasto o come avrebbe pagato l’affitto.

Il denaro ha i suoi vantaggi.

Bella aveva vissuto la sua vita con pochi rimpianti. Aver spezzato il cuore di Edward e tutto quello che aveva perso facendolo, era stato l’apice di tutti. Per quanto fosse stato doloroso, per quanto ogni giorno fosse stato una pena, aveva riparato qualcosa nel suo cuore riconnettendosi a Esme prima che morisse.

Lei e Carlisle passavano un sacco di tempo nell’ufficio di lui. All’inizio, aveva pensato che potesse essere penoso per lui, il fatto che lei gli facesse tante domande su Esme.

«Capiresti cosa intendo, se ti dicessi che è un dolore buono?» le disse stringendole la mano. «Edward e Alice… per loro è ancora difficile parlare di lei, credo. Ognuno affronta il dolore a suo modo.»

Il suo sguardo era lontano, gli occhi lucidi, e il suo labbro tremò un attimo, prima che si riprendesse. «Io non posso non pensare a lei. È sotto la mia pelle. Non c’è nessun pensiero nella mia testa che non sia legato a lei. Così erano le nostre vite, intrecciate. Quei ricordi sono solo miei, ora.»

Sorrise a Bella, un sorriso esangue. «È doloroso, ma aiuta», le assicurò.

Parlavano per ore della vita sua e di Esme prima che nascessero i ragazzi, le stramberie del bambino Edward, agitato com’era, e poi Alice, come solo un genitore poteva vederli.

In un modo o nell’altro, queste persone erano state le più importanti della sua vita, un tempo. Ricucire queste relazioni, prima con Esme e adesso con Carlisle, riparava un buco nel suo cuore.

E poi, Edward.

Era gentile ogni mattina, salutandola con un tè e l’offerta della colazione. Di solito faceva anche il pranzo, vedendo che Bella passava molte mattine con Carlisle in ufficio a parlare.

Certi giorni, Carlisle quasi non mangiava. Passava un sacco di tempo perso nei suoi pensieri. Uno di quei giorni, Edward e Bella si guardarono preoccupati quando lo videro alzarsi e andarsene da tavola a metà conversazione.

Bella fu sorpresa quando Edward le prese la mano e la tirò a sé per un abbraccio. «Lo stai aiutando tanto, lo sai», le mormorò all’orecchio.

Lei rabbrividì, il suono basso delle sue parole che mandava piacevoli brividi lungo la sua spina dorsale.

«Grazie», disse lui.

Anche lei lo strinse, prima che la lasciasse andare. «Non sto facendo niente», insisté.

Lui le sorrise, allungando la mano a spostarle una ciocca, con un gesto affettuoso.

Allora a Bella venne in mente che tante cose erano cambiate tra loro nell’ultimo mese. Che strano, pensò tra sé e sé. Si rese conto che era da un po’ che non si metteva sulla difensiva quando c’era lui. Non si era neanche accorta quando aveva smesso di farlo, ma aveva smesso.

Esposizione prolungata, suppose lei. Avevano incespicato un po’, all’inizio, come quando avevano litigato sul fatto di prendere o no i suoi soldi per la scuola, ma piano piano si stavano di nuovo conoscendo. Più andava avanti, più Bella si convinceva che Edward non le fosse più ostile. A un certo punto, si era resa conto che non c’era più bisogno di camminare sulle uova, quando era con lui.

Inclinando la testa, Bella lo considerò con occhi nuovi.

Aveva visto un film con Nicholas Cage, una volta, in cui lui, uno scapolo incallito, veniva trasportato in una vita dove aveva una moglie, un sacco di conti da pagare e due figli. La sua figlia più piccola aveva stabilito che lui era stato rimpiazzato da un alieno con il suo aspetto. Naturalmente, il buon vecchio Nick imparò la lezione. Amava sua moglie, i suoi figli, le sue responsabilità, e la sua ragazzina lo riaccolse con un sorriso di soddisfazione.

L’uomo che sorrideva a Bella, adesso, era lo stesso con cui era cresciuta. Il suo migliore amico, il suo primo amore. Era solo stato esiliato per un po’, ma ora, a quanto pareva, era tornato.

All’improvviso incerta e nervosa, allungò il braccio e prese lei la sua mano, stavolta. Lui abbassò lo sguardo sulle loro mani e poi lo rialzò su di lei.

«Come stai tu, Edward?»

«Io…»

«Non dirmi che stai bene», lo avvertì. «Ti prendi cura di tuo padre, ti stai prendendo cura di tua sorella, e ho saputo dei contatti di lavoro che hai trovato per me. Grazie, a proposito.» Gli strinse le dita. «Cosa stai facendo per te stesso?»

La bocca di Edward era stretta in una linea sottile, ma la sua espressione era pensierosa. «Io… io sto meglio di quanto dovrei.»

«E questo che significa?»

«Pensavo… ero sicuro che dover vedere morire mia madre mi avrebbe ucciso.» Si spostò, lo sguardo furtivo. «Questo era uno dei motivi per cui ero così arrabbiato quando venni da te. Volevo che mia madre fosse felice. Avrei fatto qualsiasi cosa per darle anche solo un po’ di pace, ma…» Lui alzò lo sguardo, la sua espressione così aperta e onesta prese Bella alla sprovvista. Il suo cuore si strinse alla vulnerabilità che vi vide. «Perdere te… mi aveva distrutto in tanti modi. Era stato così doloroso. Guardare mia madre morire, sapendo che non potevo fare nulla per impedirlo, e sapere che avrei dovuto vivere il resto della mia vita senza di lei… davvero non sapevo come far fronte a due dolori insieme.

Ora, mi sento come se dovessi annegare nel senso di colpa. Ho perso così tanto tempo con lei, perché stavo sguazzando nel mio dolore, evitando ogni cosa che mi ricordasse te.» Fece una risata senza allegria. «Naturalmente, allo stesso tempo, mi circondavo della vita che avevamo progettato insieme, facendo tutte le cose che avevamo detto di fare, senza mai fermarmi a pensare se era quello che ancora volevo.»

Strinse le labbra un momento poi continuò. «Ma non lo so. Sembra che invece mi abbia dato uno scopo. Io non ho idea di cosa voglio veramente fare della mia vita.» Le sorrise. «Penso che tu lo capisca meglio di altri. Ma per ora, mi basta poter spingere Alice a cominciare la vita che vuole. Mi basta sapere che non lascerò da solo mio padre. E…»

Abbassò lo sguardo sulle loro mani unite e deglutì. Avvicinò un po’ la sedia alla sua. «Bella.» Continuava a giocare con le sue dita. «Spero tanto che questo non venga fuori nel modo sbagliato. Suona… molto condiscendente, nella mia testa, ma ti assicuro che non è così che lo intendo.»

La gola di Bella si strinse. Non sapeva cosa stava per dire, ma prese un profondo respiro, ricordando a se stessa di ascoltare senza mettersi sulla difensiva.

«Tu devi sapere che io ti perdono.» Le sue parole furono quiete, sincere, e la guardava negli occhi mentre parlava. «Se mia madre mi ha insegnato qualcosa prima di morire, è che io sono responsabile della mia felicità. Non posso dire che tu non abbia lasciato il tuo marchio, ma sono sicuro che la stessa cosa si possa dire di me nei tuoi confronti. Ho finito di incolparti per le scelte che io ho fatto dopo che mi avevi lasciato, e capisco perché l’hai fatto.»

Anche se una parte di lei voleva indignarsi, in realtà era bloccata in una sensazione differente. Da quando riusciva a ricordare, c’era stato come un peso sulle sue spalle, un vincolo sul suo cuore che lo teneva ingabbiato. Con le parole di Edward, quel peso se n’era andato, e il cuore di Bella si era elevato come un uccello che vola per la prima volta dopo aver rotto un’ala.

Forse era il modo in cui la guardava. La perdita del suo amante, del suo compagno in questa vita, era stata devastante, ma era stata la perdita del suo migliore amico che l’aveva storpiata.

Incapace di parlare, gli si avvicinò e lo strinse in un abbraccio. Lui rispose prontamente, avvolgendola tra le braccia.

Da qualche parte dentro di lei, la diciottenne che era stata una vita fa aveva bisogno di sentire quelle parole.

Dopo un po’, lui la strinse più forte e poi la lasciò andare. «Vuoi vedere qualcuna delle case che stiamo guardando?» offrì lui.

Bella inclinò la testa, studiandolo per un lungo momento.

Stavano camminando in punta di piedi intorno all’elefante nella stanza. Dove sarebbe andata Bella, quando loro si sarebbero trasferiti, il prossimo mese?

«Solo per divertimento», disse lui disinvolto.

«Okay.» Lasciò che prendesse la sua mano e la portasse di sopra.

 

***

 

Fu solo l’ultima settimana che Edward trovò le palle per chiederle di Jacob Black. Era una curiosità morbosa e masochista, ma lui era infinitamente curioso dell’uomo con cui lei aveva almeno provato a stare per un po’.

Edward non era mai riuscito a far durare le sue relazioni. Non era colpa loro. Era semplicemente più preso dal lavoro.

«Mi faceva ridere», aveva detto Bella. «Ci riusciva sempre. Era carino, premuroso e molto, molto paziente.»

«Paziente?»

Lei sospirò. «Sai già che non stavo messa tanto bene, dopo te. Il rimorso mi mangiava viva, ma più che quello, ero così persa su… be’, su tutto. E Jacob era più giovane di me, e per me era solo un ragazzino. Aveva una cotta. Sapevo che ce l’aveva, ma non mi pressava, e io lo ignoravo… finché non lo ignorai più.»

«Sembra… bello», disse lui con attenzione.

«Era bello. Semplice.» Il suo sorriso era malinconico quando alzò lo sguardo su di lui. «Non sarebbe mai durata. Penso di averlo sempre saputo. Alla fine, so quanto… incredibile può essere il non semplice.» Gli diede un colpo, spalla contro spalla. «Volevo provare.»

«Poi cosa è successo?»

«Jacob rese molto facile la rottura. Era davvero possessivo e geloso. L’ultima goccia fu quando feci una passeggiata a First Beach col suo migliore amico, Quil. Jacob perse completamente la testa. Colpì Quil e mi urlò contro. Non era la prima volta che esagerava se qualcuno parlava con me o mi guardava.»

In quel momento, Edward si sentì al di sopra di Jacob Black, almeno riguardo a questo. Aveva le sue colpe, ma tra queste non c’era essere uno stronzo geloso.

Era sicuro di questo finché non capitò che lui e Bella andassero a cena al “Pacific Pizza”.

Ora che quel buco nel suo cuore si stava chiudendo – ancora dolorante ai bordi, ma non più una ferita aperta – Edward trovò che gli piaceva reclamare i ricordi della sua infanzia. Avevano passato tante estati, qui. Non solo era l’unico ristorante che faceva la pizza, ma era proprio uno dei pochi che c’erano.

Si stavano divertendo, ricordando l’estate in cui lui aveva quattordici anni, e lei quasi tredici, e provavano le più strane combinazioni di pizza che venivano loro in mente.

«Hey, Bells.»

Edward trasalì, ricordando all’improvviso che non erano da soli in una piccola bolla, ma in pubblico, a Forks, dove la gente li conosceva. Erano chinati sul tavolo, ma tutti e due si tirarono indietro e guardarono verso la voce e l’imponente figura che si era avvicinata al loro tavolo.

«Hey, Jacob», lo salutò Bella. I suoi occhi guizzarono verso Edward e poi indietro, la sua postura si fece guardinga.

Prima che Edward potesse reagire, Jacob si era seduto a fianco di Bella. Lei si spostò di lato  appena in tempo per evitare di ritrovarsi in braccio il suo fastidioso ex-boyfriend.

Edward arruffò le penne.

Jacob si fece un punto di guardarla bene da capo a piedi prima di voltarsi verso Edward con un sorriso tutto denti. Gli offrì la mano. «Sono Jacob Black. Tu devi essere il marito.»

«Edward Cullen», disse lui a denti stretti, trovandosi nel tipico scenario da stretta di mano mortale. Fu gratificato quando vide Jacob trasalire leggermente e ancora più soddisfatto quando riuscì a non reagire affatto alla stretta dell’altro.

Tirandosi indietro, Jacob allargò le braccia sulla panca, e capitò che le sue dita sfiorassero il collo di Bella.

Edward digrignò i denti.

Si scambiarono i soliti convenevoli. Bella chiese di suo padre e di sua sorella. Lui le disse di aver visto da poco Charlie e Sue e le chiese della sua vita da sposata.

«Finiti i giorni selvaggi, quando ti buttavi con me dalla scogliera, eh?» Sciabolò giocosamente le sopracciglia.

«Tu saltavi dalla scogliera?» La voce di Edward si era appena un po’ alzata alla fine della domanda.

Bella roteò gli occhi. «Ci buttavamo in acqua, e io lo facevo da un punto basso. Alcuni ragazzi della riserva saltavano da più in alto, perché erano matti.»

Jacob ridacchiò. «Sei riuscita a trovarti nei guai anche quella volta.» Guardò Edward. «Un’onda la colpì troppo forte, e per poco non annegò. La tirai fuori io.»

Lo stomaco di Edward si annodò e all’improvviso ebbe le vertigini. Ricordava quegli orribili minuti sulla spiaggia in California, quando aveva creduto che Bella fosse in acqua, in pericolo.

E se fosse annegata ancora prima che la ritrovasse?

Inconsapevole del suo improvviso disagio, Jacob si voltò verso Bella con un gran sorriso. «Quindi tecnicamente mi devi la vita.»

Lei gli tirò dei popcorn, che “Pacific Pizza” serviva come certi ristoranti messicani servono le patatine, e Jacob li prese quasi tutti in bocca al volo, facendola ridere. Ovviamente, era una cosa che avevano già fatto.

Edward ingoiò un ringhio.

Oh, diavolo. Era uno stronzo geloso.

Fortunatamente per lui, Jacob alla fine raccolse i non tanto sottili segnali che Bella gli stava inviando. Si alzò, ma si mise a capotavola. «Hey, Bells. È il tuo compleanno la prossima settimana. Pensi che potrei offrirti un drink? O un pranzo. O qualcosa. Se al maritino non dispiace.»

Al maritino spiaceva eccome, ma Edward strinse i denti, sapendo che non aveva il diritto di impedirlo a Bella, se era quello che voleva.

«Vedremo, Jake.»

Dopo che Jacob se ne fu andato, Edward si distrasse. Il resto della cena fu piacevole, ma dentro di sé, Edward si stava domandando se aveva il diritto di chiedere a Bella quello che stava per chiederle.

Erano in macchina quando lui trovò le parole giuste.

«Bella?»

«Mmm?»

«Mi piacerebbe molto se tu passassi il tuo compleanno con me.» Andò avanti veloce, prima che lei potesse rispondere. «Lo facevamo sempre, ricordi? Quando eravamo amici. Tu dicevi ai tuoi genitori che non volevi una festa, ma io ne preparavo una comunque. So che non hai progetti con tuo padre. Ti ho sentito che gli dicevi che non ti importava se andava a pescare. Così pensavo…»

Si interruppe quando Bella scoppiò a ridere. «Che c’è?»

Lei scosse la testa. «Ti ricordi quando mi hai chiesto di ballare? Al nostro primo appuntamento?»

«Certo che sì.»

«Mi hai spiegato tutto così. Punto per punto secondo logica.»

Lui sospirò. «Quindi?»

«Okay.»

Gli occhi di lui per poco non uscirono dalle orbite. Da quando ottenere un sì da questa ragazza era diventato così facile? «Okay?»

Il sorriso di lei era divertito. «Posso sempre ritirarlo.»

«No.» Il sorriso arrivò lentamente sul viso di lui. «Dove vuoi andare? Possiamo andare dovunque vuoi.»

«C’è una cosa che avrei sempre voluto fare.»

«Cosa?»

«Penserai che è stupido.»

«Non importa se io penso che è stupido. È il tuo compleanno. Se vuoi che vada in Inghilterra per prenderti un tè con frittelle con indosso un cappellino, sono moralmente obbligato a dire di sì.»

Bella scoppiò a ridere, e Edward scoprì che la vista del suo sorriso lo faceva più felice di quanto non fosse stato da tanto tempo a questa parte. «Dovresti stare attento. È pericolosamente vicino a una sfida. Ma no.»

«Allora, cosa vuoi?»

 

***

 

Il desiderio di Bella era semplice.

Nonostante non vivesse così lontano, Bella aveva visto poche volte le cose più famose di Seattle. Era stata in cima allo Space Needle, ma non di notte. Era stata una volta in gita all’acquario. Non era mai stata al Museo EMP – Experience Music Project.

Il Seattle City Pass offriva a poco prezzo due giri in cima allo Space Needle – uno di notte e uno di mattina – l’ingresso al Seattle Aquarium, un biglietto per una crociera nel porto, l’ingresso al museo EMP e al Pacific Science Museum, e un ingresso al Woodland Park Zoo o al Museum of Flight.

Andarono all’acquario non appena aprì e si godettero un giro veloce prima che si presentasse la solita massa di ragazzini. Edward fece una foto a Bella che posava come una medusa, e si lamentò che le pozze di marea vicino a La Push fossero rifornite meglio di quelle dell’acquario. Lui le comprò una piccola, adorabile lontra marina di peluche che si teneva per mano col suo compagno, e fu felice del suo sorriso contento.

Fecero colazione sul battello del giro al porto, godendo a stare sull’acqua e ascoltando la storia del paesaggio di Seattle. Quando Bella uscì per dare un’occhiata da vicino ai leoni marini, rifiutati come compagni per la stagione, avevano detto, rabbrividì nell’aria fredda di settembre, e Edward le mise un braccio attorno alle spalle. Lei lo guardò, sorrise e si strinse più vicina, lasciando che la tenesse.

Dato che la pioggia era ancora leggera, andarono dal molo fino allo Space Needle a piedi. Arrivarono fino alla cima per il loro giro del mattino. Il vento era decisamente freddo, e Edward fece una foto a Bella con i capelli che svolazzavano ovunque mentre rideva. Dentro, si presero poi una cioccolata calda per riscaldarsi.

Il Pacific Science Museum e l’EMP si trovavano nella stessa piazza dello Space Needle. Visitarono l’EMP. Giocarono come ragazzini nelle varie cabine e si fecero una foto su una Harley fuori della mostra delle giacche di pelle.

Ma il piatto forte dell’EMP era il Museo della Fantascienza, che si trovava nello stesso edificio.

Là trovarono molte mostre interattive, ma il migliore era il creatore di mostri di ombre. Le loro ombre venivano proiettate su un muro bianco, ma venivano rese sinistre da strane appendici, occhi, cose ringhianti che venivano fuori dalle figure che formavano con i loro corpi. Edward e Bella cominciarono fianco a fianco, ma più giocavano, più si intrecciavano insieme, provando a fare il mostro più strano possibile.

Ridevano tutti e due, le mani sul corpo dell’altro a creare spazi vuoti dove apparivano occhi inquietanti. Bella stava praticamente boccheggiando dalle risate quando formarono una creatura che doveva avere almeno tredici occhi e una bocca sputacchiante. Si voltò verso di lui e…

All’improvviso, furono entrambi molto consapevoli della posizione in cui si trovavano.

I sorrisi morirono sulle labbra, l’atmosfera tra loro passò da spensierata a molto più pesante.

Bastò un piccolo movimento a Edward per far scivolare la sua mano dalla spalla al collo e poi al suo viso. Lei lo guardò, voltandosi così che il suo corpo era completamente premuto contro il suo. L’altra mano di lui andò in fondo alla sua schiena, mentre quelle di lei scivolavano intorno alla vita di lui.

Per una manciata di respiri, si guardarono soltanto, il rumore del viscido mostro che avevano creato lontano dalle orecchie di Edward. Avrebbe giurato che il martellare del suo cuore si sentisse al di sopra di tutti quei rumori, tutto quell’urlare, quello sbuffare, quei rumori inquietanti.

Lui sussurrò il suo nome, guardando la lingua di lei che passava sulle labbra.

Con gli occhi chiusi, lei si spinse sulle punte, chiudendo la distanza tra le sue labbra e quelle di lui.

In questi sei mesi, l’aveva baciata un sacco di volte.

Baci che erano una finta, parte della commedia.

Baci che erano una manifestazione fisica della sua furia, il suo risentimento perché lei aveva ancora tanto controllo su di lui.

Baci che avevano segnato il suo sollievo che lei fosse viva e intera davanti a lui, invece che portata via dal mare.

Baci che erano un atto di disperazione perché provava così tanto dolore dopo la morte di sua madre, doveva dimenticare, doveva sentirsi vivo.

Ma lei non l’aveva mai baciato per prima.

Fosse dannato se quello non era il momento più dolce della sua vita. Era speranza, perché si era chiesto, nel cuore della notte, solo nella sua stanza, lontano da sua moglie, se alla fine di tutto questo sarebbe rimasto innamorato. Era sollievo, perché si era chiesto se davvero era innamorato di lei, o se questa non fosse solo un’altra sfaccettatura della sua incapacità di lasciar andare quello che avevano avuto tanti anni fa, quando erano ancora bambini.

No. Il bacio di lei era casa. Era tutto quello che mancava dalla sua vita vuota. Era innamorato di lei, e il suo bacio gli diceva che lei non aveva dimenticato.

Dio, quanto gli era mancata. Lei era fatta per lui. Le labbra di lei si adattavano alle sue, muovendosi come nella coreografia di una danza. Il suo corpo stava contro il suo nel modo giusto, la testa inclinata, allo stesso modo, eppure…

Diverso.

Semmai, meglio. Questo era molto di più. Non erano più due ragazzini che giocavano all’amore. Si erano spogliati l’un l’altro di ogni fede ingenua e idealista, si erano buttati giù dal piedistallo e si erano gettati nel fango. Avevano visto il peggio l’uno dell’altro, la bruttura.

E lo stesso erano capaci di momenti come questo, di una bellezza che toglieva il fiato. Era magnifico e terrificante, e anche se una parte di Edward capiva che doveva finire, e presto – erano in pubblico, dopotutto – aveva intenzione di assorbire ogni secondo che poteva.

Capì, quando si separarono, che il mondo non sarebbe stato lo stesso. Così preso com’era nella magia, nella passione che sentiva per la donna tra le sue braccia, una parte di lui era sempre ben consapevole che erano in bilico. Le aveva detto una volta che non sapeva come esserle amico, e questo non era cambiato.

Alla fine del bacio, sarebbero caduti e atterrati da una parte o dall’altra.

Ma Edward non voleva pensare a questo, adesso. Voleva baciare questa ragazza, questa donna, finché qualcuno non lo costrinse a tornare alla realtà.

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.

A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.

https://www.fanfiction.net/s/9193694/18/Contractually-Bound

 

 

 

 

Capitolo  18

 

Una volta, Bella era stata parte di qualcosa di bellissimo.

La donna adulta che era adesso riconosceva che ragazzina assurda fosse stata. Tutti gli adolescenti credono di sapere tutto. La maggior parte delle loro incarnazioni adulte si guardavano indietro con la consapevolezza che in realtà non sapevano un accidenti, né del mondo reale né delle persone che sarebbero diventate. Edward e Bella non erano diversi.

Eppure, per un battito di ciglia, un respiro, l’intero mondo di Bella era stato perfetto, un dipinto meraviglioso di cui la maggior parte delle persone fantastica soltanto, adulti o no.

Bella credeva fermamente che tutto l’amore fosse reale, ma che questo non rendesse le persone coinvolte meno umane, meno fragili. Era un’idea bella, ma per nulla basata sulla realtà.

Pur bello e travolgente come era stato il loro amore, non aveva fermato Bella dal distruggere quello che avevano. Come un artista capriccioso che aveva fatto un piccolo errore e che invece di cancellare e ricominciare distrugge matite e pennelli.

Il loro amore era abbastanza forte da resistere a tutto, ma Bella no. Edward non si era dimostrato più forte di lei. Il loro amore, quella cosa travolgente che sentivano l’uno per l’altro, non vacillò mai nella sua vitalità, ma fu la coppia ad andare in pezzi al primo ostacolo della vita.

La vita aveva insegnato a Bella che, anno dopo anno, la maggior parte delle persone andava in pezzi e si ricostruiva, forse non dalle fondamenta, ma in pezzi e parti.

Di certo lei non era la stessa ragazza che era quando si era innamorata per la prima volta di Edward Cullen.

La prima volta che si era innamorata era impavida, una piccola folle che non sapeva qual era la posta in gioco in quello che stava facendo. La seconda volta era terrificante.

E mozzafiato.

Ed esaltante.

E. Sì. Terrificante.

Dopo che i loro primi baci furono interrotti da un genitore arrabbiato il cui bambino stava aspettando da un bel pezzo per fare i mostri, Edward e Bella finirono il giro al museo come in una nebbia.

Nessuno dei due parlò, e Bella non aveva la minima idea di cosa lui stesse pensando. Anche i suoi pensieri erano caotici. Emozionati, ma decisamente caotici.

Ma che diavolo pensavano di fare, adesso?

Lui le tenne la mano, passandole il pollice sulle nocche finché trovarono la mostra di Jimi Hendrix. Là, la portò a una rotonda di seggiole e spinse le loro più vicine. Un sorriso gli danzava sulle labbra, e questo cancellò anche l’ultima preoccupazione di lei. All’inferno la logica. All’inferno voler dare un senso a tutto quanto.

Lei gli sorrise in risposta mentre lui prendeva un set di cuffie per l’isolamento acustico. Si chinò, sfiorandole la mascella con dei baci leggeri, tracciando un sentiero fino al suo orecchio. «Chiudi gli occhi», sussurrò. Il tono basso della sua voce e la sua vicinanza le mandavano brividi lungo la spina dorsale.

Non appena obbedì, sentì che le metteva le cuffie alle orecchie. Un’altra manciata di secondi e il suo mondo non fu altro che Jimi Hendrix e la sua chitarra. Sentiva le pulsazioni del ritmo nel suo flusso sanguigno.

Poi sentì la bocca di Edward sopra la sua. Le mani di lui di lato, le sue dita che tap, tap, tap, battevano leggermente insieme alla musica.

Era Hendrix. Era un pezzo veloce, e i suoi baci si muovevano a un ritmo appassionato. La sua bocca era premuta su quella di lei, conducendola in una danza dove labbra e lingua si muovevano in sincronia perfetta.

Non c’era altro che questo, nessun mondo al di fuori.

Quando la canzone svanì, Bella era senza fiato. Stava ansimando. E anche lui. Respiravano il loro alito caldo mescolato, e fu solo allora che Bella si rese conto che erano completamente intrecciati, lì dov’erano, le braccia dell’uno intorno all’altro, le gambe piegate insieme.

Bella afferrò un movimento con la coda dell’occhio. Non erano soli. Certo che non erano soli. Era un giorno feriale, ma erano in un museo. C’erano altri che giravano all’interno della mostra.

Schiarendosi la gola, Bella, riluttante, si staccò da Edward. Lui sorrise soltanto, dandole un bacio veloce sul mento prima di allontanarsi.

I pensieri di Bella rimasero annebbiati e furono di nuovo fuori, dove il freddo rinfrescò le sue guance febbricitanti. Rabbrividì. Edward le mise un braccio attorno alle spalle, tirandosela vicina. Lei guardò su, lui guardò giù, e fu fin troppo facile condividere un altro bacio mentre andavano verso il museo di scienze.

Il resto del giorno passò tutto più o meno così. Giocarono, come avevano fatto prima, godendo la compagnia l’uno dell’altro, ma adesso con l’aggiunta dei baci ogni volta che ne avevano voglia. Nessuno dei due sembrava averne mai abbastanza. Era come aprire una borsa con dentro i dolcetti più golosi, giurando che ne prenderai solo uno, poi due…

E quando la borsa sarebbe stata vuota, si chiedeva, che sarebbe successo?

Si faceva sera, e loro fecero il loro secondo giro sullo Space Needle. Se possibile, il vento mordeva ancora di più, ma Bella lo sentiva a malapena. Non appena trovarono un posto sulla terrazza panoramica, Edward la prese tra le braccia e la baciò in cima al mondo.

Presero un taxi per tornare alla loro macchina. Durante il viaggio, Bella si accoccolò contro di lui, appoggiando la testa sul suo petto e respirando il suo odore, il suo calore. Il mento di lui era sulla sua testa e le sue dita disegnavano cerchi sul suo braccio.

Fu un viaggio breve, poi dovettero separarsi per il viaggio più lungo verso Forks. Edward teneva la mano sul cambio mentre parlavano del più e del meno.

Erano tutti e due silenziosi quando scesero per entrare in casa. Edward prese le due borse, solo qualche cianfrusaglia che lui le aveva comprato qua e là, con una mano e con l’altra prese quella di lei. La casa era silenziosa, e salirono le scale insieme.

Edward entrò con lei nella stanza dove stava da sola ormai da un mese e mezzo. Gli occhi di lui erano su di lei mentre posava la borsa. Ogni centimetro di pelle di Bella si sentiva vivo, sveglio.

Non era tanto sicura di cosa voleva che facesse. Il suo corpo lo chiamava, bramoso del suo tocco, della sua pelle contro la sua. Il suo cuore non era neanche lontanamente così sicuro, e le gridava di stare attenta.

Lui allungò la mano, con le dita le sfiorò la guancia e poi le pose tutto il palmo sul viso. Bella rilasciò un sospiro tremante, chiudendo gli occhi e premendo la sua mano contro quella di lui. Lui fece un altro passo avanti, i corpi che si sfioravano, e cominciò a lasciarle dei piccoli baci sulla tempia.

«Hai passato una bella giornata, Bella?» Mentre parlava, portò la mano in fondo alla sua schiena, e Bella gli passò un braccio intorno alla vita.

«Mmhmm», rispose lei con un sospiro. «Il miglior compleanno da un sacco di tempo a questa parte, a dire la verità.»

Il suo respiro era caldo contro i capelli di lei. Le baciò la radice del naso, lentamente , con tenerezza. «Questo mi rende molto felice.»

La mano di lei scivolò sulla sua schiena. Lei inclinò la testa in alto e gli fece un sorriso malizioso. «Il punto era rendere felice me, ricordi? È il mio compleanno.»

Un sorriso sollevò le sue labbra da un lato, e le strofinò contro il naso. Fece un altro passo avanti, costringendola ad arretrare. Un altro passo e la schiena di lei era premuta contro la porta, il cuore di lei che martellava furioso nel petto. Timorosa, gli mise le braccia al collo, all’improvviso senza respiro.

Il corpo di lui la inchiodò contro la porta mentre la baciava. Fu un bacio serio, lento ma insistente. La lingua di lui stuzzicò la sua, e quando lei andò verso di lui, lui interruppe il bacio, ghignando, quando lei emise un piccolo lamento dal fondo della gola. «Sei felice?»

Come mai le girava tanto la testa, come se fosse ubriaca ma senza le fitte allo stomaco? «Sì.» La sua risposta fu lieve e subito annegò mentre lei lo baciava. Appoggiò i palmi piatti contro la porta, ai lati della testa di lei, ricambiando il bacio con la stessa urgenza.

Il cuore di Bella la implorava di stare attenta, ma lei lo sentiva a malapena nel tumulto del suo desiderio. Aveva le vertigini per quanto lo voleva.

Ma.

Sospirò contro le sue labbra, le sue mani scivolarono lungo le spalle di lui.

Ma.

Con un verso che era un po’ un ringhio, un po’ un riprendere fiato, Edward si allontanò da lei. Non andò lontano, ma fu abbastanza perché il cervello di lei tornasse in carreggiata. Emise un lamento, piegando la testa contro il suo collo.

Essere degli adulti non regolati dagli ormoni dell’adolescenza faceva schifo, a volte.

Edward ridacchiò, passandole le dita sui capelli prima di allontanarsi un altro passo. La baciò ancora, un bacio che mancava del calore che li avrebbe messi nei guai, ma rimediava con la dolcezza. «Dovrei lasciarti andare a dormire.»

«Di nuovo nel mondo reale, domani», brontolò Bella, pensando ad alta voce. Si scansò dalla porta, aprendola per farlo uscire.

Prima di uscire sul corridoio, Edward le prese la mano. Lo sguardo sul suo viso era così intensamente vulnerabile, dava un volto all’incertezza esitante che indugiava nella mente di lei, in attesa del momento giusto per rialzare la sua brutta testa.

Edward strinse le labbra prima di parlare. «Sarà diverso, domani?»

La gola di lei si strinse dolorosamente. «Non lo so.»

La guardò per un po’, come se volesse dire qualcos’altro. Invece, alzò la mano e passò le nocche sule labbra di lei. «Buon compleanno, Bella.»

Con questo, fece un passo indietro, ora ufficialmente nel corridoio. Strinse un’altra volta la mano di lei prima di lasciarla andare e avviarsi alla sua stanza.

 

 

Il giorno dopo il compleanno di Bella, Edward stava di nuovo guidando verso Seattle. Questa volta, tutta la sua famiglia e Jasper erano con lui.

E Bella, naturalmente.

Era seduta nel sedile posteriore, avendo lasciato il posto davanti a Carlisle, adducendo problemi di spazio per le gambe. Lei era bassa. Carlisle no. Non lo era neanche Jasper, ma lui era giovane e non guidava.

Naturalmente, questo lasciava Bella vicino ad Alice nel sedile posteriore. Edward continuava a guardare nello specchietto, chiedendosi se si stava immaginando la tensione in macchina.

«Penso che sia grandioso quello che stai per fare, Alice», disse Bella, il tono pacato.

«Sì, ci scommetto.»

Ovviamente, Edward non se lo stava immaginando. Guardò storto sua sorella nello specchietto, ma lei non alzò lo sguardo.

Ma il soldatino Bella come sempre non mollò. «Penso sia una cosa molto coraggiosa. Hai  veramente dei buoni motivi per stare qui, ma hai anche tanti motivi per andare. Mi sono trovata in questa situazione, e non ho mai avuto il coraggio di spiccare il salto.»

Alice fece un piccolo mugugno, ma poi sospirò. «Sono proprio nervosa.»

Jasper allungò il braccio e le prese la mano. «Sogna in grande, baby. Puoi fare qualunque cosa.»

Guardando da sopra la spalla, Carlisle sorrise a sua figlia. «E noi saremo qui quando tornerai a casa.»

 

 

Dopo aver lasciato Alice e Jasper all’aeroporto, il resto della famiglia andò a vedere qualche casa.

«Questa potrebbe essere ideale.» Carlisle era alla porta posteriore di una grande casa e guardava il cortile spazioso.

L’agente immobiliare annuì entusiasticamente. «Un’unità distaccata per i suoceri, così i ragazzi hanno il loro spazio. E ai suoi nipotini basterà attraversare il prato per vedere il nonno.»

Lo sguardo di Edward guizzò verso Bella. Stava arrossendo, si mordeva il labbro guardandosi i piedi.

«Io, umm… vado a vedere le stanze da letto.»

La guardarono mentre si allontanava in fretta. L’agente immobiliare sembrava preoccupato. «Mi dispiace, ho…»

«Non si tratta di lei», assicurò Edward. Si voltò verso suo padre e gli fece un sorriso tirato. «Perché non vai a vedere la casa piccola? Io parlerò con Bella.»

«Okay.» Gli diede una pacca sulla spalla. «Buona fortuna.»

Edward salì le scale, non sapendo cosa spettarsi. Aveva l’orribile sensazione che l’ansia che aveva sentito quando aveva lasciato la stanza di lei la sera prima, stesse per essere confermata. Ieri era stata una bella giornata, pericolosamente vicina alla perfezione. Si era sentito come se quel mondo fosse perduto per lui, quando si era svegliato la mattina.

Per tutto il giorno aveva sentito bisogno di lei. Aveva cercato dei piccoli tocchi da parte sua. A colazione, le aveva toccato il piede col suo, guadagnandosi un piccolo sorriso e un sottile gioco di piedino. Dopo che se n’erano andati Jasper e Alice, lei gli aveva premuto la mano sulla schiena in un gesto di conforto. Quando lui le aveva preso la mano, mentre guardavano le case, lei non si era scostata.

Ma questo non significava che l’incerta felicità che sentiva non stesse per crollare tutto intorno a lui.

Trovò Bella nella stanza da letto padronale, che guardava fuori dalla finestra, giù al grande prato. Sentì una scarica di vertigini.

Per un secondo, solo un secondo, vide in un flash la visione di un futuro davanti ai suoi occhi. Vide questa stanza, arredata secondo i loro gusti. Immaginò di camminare verso di lei, abbracciarla da dietro, mentre lei guardava i loro bambini giocare nel grande prato.

Una visione del futuro che era uno spettro del loro passato.

Ingoiando il groppo che aveva in gola, Edward entrò nella stanza. «Hey.»

Lei non si voltò subito e, quando lo fece, voltò solo il corpo nella sua direzione, senza guardarlo. «Penso che dovremmo almeno dire a Carlisle che stiamo divorziando, se non tutta la storia», disse lei tutto insieme.

Edward boccheggiò, come se gli avesse dato un pugno nello stomaco.

«Voglio dire, sarebbe giusto. Voi dovete cercare una casa che soddisfi le vostre esigenze, non le mie.»

«Io…» Edward scoprì che non aveva la voce per continuare. Prese aria, cercando di allentare il nodo che gli chiudeva i polmoni. «Tu…»

Prima che potesse pensare a cosa dire, sentirono le voci di Carlisle e dell’agente provenire dalle scale.

Le spalle di Bella si alzarono e si abbassarono bruscamente. «Dobbiamo parlare, stasera.»

Edward non poté fare altro che annuire.

 

 

Il resto della giornata fu orrendamente lungo.

Edward rimase appartato per la maggior parte del tempo, perso nei suoi pensieri, mentre faceva una disputa dietro l’altra nella sua mente.

Il suo compleanno non aveva significato nulla per Bella? Diavolo, camminavano sul filo del rasoio da quando lei era piombata di nuovo nella sua vita… e niente di tutto questo era filtrato in lei?

Lui aveva vacillato, così tentato di ricadere in vecchi schemi. Forse lei aveva veramente un cuore di ghiaccio come lui aveva pensato.

O forse aveva tutti i motivi per correre via urlando da lui, a questo punto. L’incendio della sua rabbia si era consumato troppo tardi.

Forse era sempre stato troppo tardi, per loro.

Quando arrivarono all’hotel, Edward era più che agitato. Faceva tutto quello che poteva per non afferrare Bella, correre in un posto dove poteva affrontarla e distruggere ogni possibilità tra loro, una volta per tutte.

O convincerla a dargli una possibilità.

Edward fu riportato al presente quando Carlisle gli mise in mano una card. Lui abbassò lo sguardo, sbatté gli occhi, guardando quella cosa senza comprendere. «Questa è la stanza tua e di Bella,» gli spiegò suo padre. «Io sono stanco. Vado a stendermi.»

Inclinò la testa, dando a suo figlio uno sguardo significativo. Datti da fare, diceva quello sguardo.

Edward poteva quasi sentire la voce di sua madre a sostegno di Carlisle.

Con un cenno della testa, Edward tornò alla macchina a prendere il bagaglio e la sua sposa riluttante.

Per fortuna, Bella non disse nulla mentre parcheggiava la macchina. Diede tempo a Edward di formulare un’apertura della discussione. Scesero dalla macchina, Bella con sulla spalla la borsa con tutte le sue cose e Edward con la loro unica valigia. Lui aprì lo sportello per lei.

Non si erano veramente guardati da quando avevano interrotto la loro conversazione.

Edward chiuse la porta, mettendo a terra la valigia e osservò lei che guardava la stanza, gli occhi che indugiavano sul letto singolo.

«Non voglio divorziare da te.»

Le sue parole colsero di sorpresa entrambi. Finalmente gli occhi di lei scattarono verso i suoi. Prese un profondo respiro. «Edward…»

Lui attraversò in fretta la stanza e la afferrò per le spalle. La sua presa non era violenta. Poteva facilmente sgusciare via, ma non lo fece. Gli occhi fissi nei suoi, le parole le morirono sulle labbra.

Edward deglutì. Sentiva il suo cuore battere forte nelle orecchie. «Non è stato facile per noi. So che noi… io…» Chiuse gli occhi, prendendosi due secondi per calmare il suo balbettio. Quando aprì di nuovo gli occhi, la sua voce era più calma, ma lui non si sentiva affatto così.

La risposta alla sua domanda successiva poteva spezzarli, poteva spezzarlo.

«Non vuoi per niente un noi? Neanche un po’?»

Trattenne il respiro.

«Edward», sussurrò.

Le spalle di lui si irrigidirono, preparandosi per il no finale.

«Sì, io voglio un noi.» Le sue parole erano così sussurrate che lui pensò per un attimo di averle immaginate.

Lui esalò.

«Ma non credo che le due cose siano connesse», si affrettò a dire lei. «So che di solito un divorzio è la fine della relazione, ma non deve essere così per forza…»

Edward era troppo euforico per lasciarla continuare. Si lanciò in avanti, le sue mani incorniciarono il suo viso e la baciò. Fu un bacio duro, gioioso e sollevato. Fu un bacio che era l’incarnazione di ogni momento di adorazione che aveva soppresso o annullato nella rabbia in quegli ultimi mesi. Tutta la sua passione repressa, tutto l’amore a cui era terrorizzato di lasciarsi andare, lo avvolsero come una fiamma.

E il corpo di Bella rispose al suo. Rispose al bacio afferrando nei pugni la sua camicia. Le mani corsero alla sua vita, incespicarono, per l’improvvisa, incredibile forza della loro emozione. Perdendo l’equilibrio, le spalle di Edward colpirono il muro. Lui si spostò, senza lasciarla andare e fece voltare entrambi chinandosi contro il muro e lui chinandosi verso di lei.

Le diede dei baci a bocca aperta sul collo, godendosi i gemiti che riusciva a ottenere da lei. «Vuoi questo?»

«Sì», disse lei senza fiato.

Lui le baciò la mandibola poi alzò la testa. Premendole due dita sotto il mento, voltò la testa di lei verso di sé. «Mi vuoi?»

Le labbra di lei si piegarono all’insù. «Sì», sussurrò. Gli mise le braccia al collo, le mani tra i suoi capelli. «Tu mi vuoi?»

Stringendole le braccia attorno, le diede una pioggia di baci sul naso. «Sì.»

Lui si girò di nuovo, così che lei fosse con le spalle al muro e la baciò di nuovo. Il bacio fu più lento, crescente. Lei mugolò, o lui mugolò, era difficile da dire. Comunque fosse, il resto del mondo si stava dissolvendo.

Quando Bella avvolse una gamba intorno a lui, Edward la prese su e insieme incespicarono qualche passo indietro, cadendo sul letto, lei sopra di lui.

Nel suo cervello confuso dalla lussuria, pensò che questa era una posizione del tutto nuova, per loro. La esplorò con le mani, facendo scivolare le dita dalla sua schiena fino al suo sedere.

Dio, quanto gli piaceva. Il peso di lei era perfetto sopra di lui, i suoi baci…

«Oh, Dio», ansimò Bella arretrando un po’, ma i loro baci non si interruppero a lungo. Lei si riavvicinò per averne ancora. «Dobbiamo fermarci», mugolò contro le sue labbra.

«Dobbiamo?» Qualcosa non gli tornava. Questa era Bella ed era tra le sue braccia e lei voleva stare tra le sue braccia e lui la voleva lì.

E non sembrava che lei avesse fretta di muoversi di lì.

«Cosa stiamo facendo?» Gemette lei, ma continuava a baciarlo sotto la mascella. «Dobbiamo essere più svegli di così.» Reclamò di nuovo la bocca di lui. «Dobbiamo farlo nel modo giusto.»

Edward aveva qualche suggerimento su come avrebbero potuto farlo nel modo giusto, ma nonostante il modo in cui lo stava baciando, come si muoveva su di lui, il tono di lei catturò la sua attenzione.

L’atmosfera tra loro era sempre così intensa. Il picco dell’amore. La forza completamente distruttiva della rabbia. Il bisogno di calmarsi. Se volevano questa possibilità di ritrovarsi, di reclamare ciò che era giustamente loro, dovevano parlare.

«Cazzo», ringhiò Edward. La abbracciò di nuovo, rotolandosi di fianco. Non la lasciò andare, ma si allontanò un po’, dandole spazio. Chiuse gli occhi. I loro respiri erano mescolati, e Bella non provò a liberarsi. Aspettarono.

«Okay», disse Edward alla fine. Si mise seduto, portandola con sé. «Okay. Parliamo.»

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate. A questo indirizzo potrete trovare la versione originale. https://www.fanfiction.net/s/9193694/19/Contractually-Bound



Capitolo 19

Bella sapeva che dovevano parlare. Il suo corpo e il suo cervello erano in modalità protesta. Il suo corpo era ancora completamente eccitato, e indignato. Che c’era di così interessante nel parlare? Lui la voleva. Lei voleva lui. Era un’equazione vecchia come il mondo, e quindi, perché no?
Il suo cervello non la aiutava affatto. Il suo pensiero più coerente al momento era tipo, «Wubba dub, uh, huh?»
«Di cosa parliamo?»
Al suo fianco, Edward scoppiò a ridere. Le passò il dito sulla punta del naso, con un’espressione così adorante che lei ne fu disarmata. «Tesoro, sei tu quella che ha detto che dovevamo fermarci. Dimmelo tu.»

Al suo sorriso, il cuore di lei sfarfallò, un altro tipo di calore le si spandeva per tutto il corpo. Ma il suo cuore diede un colpo, e lei ricordò che questo era Edward Cullen. Quest’uomo aveva sempre avuto un potere su di lei che lei non capiva e non controllava.

Erano troppo esplosivi, insieme, per non stare attenti. Aveva già spezzato il cuore di lui, e il suo, una volta. L’aveva ferito fin nell’anima. Le acque dovevano essere calme prima di far salpare la nave, o sarebbe affondata.

«Giusto,» disse lei, più che altro al suo cuore. La stava implorando di fare attenzione.
Aveva provato questo discorso tutto il giorno, e lui l’aveva interrotta con i suoi baci.
«Io voglio …» Prese le mani di lui. «Quello che c’è tra noi è molto confuso. So quello che sento per te e so quello che voglio. Io vorrei …»
La sua voce si spense, mentre guardava le sue dita che le stringevano la mano, la accarezzavano. Sospirò. «Ho sempre sognato che noi tornassimo insieme.»

«Davvero?»

Lei annuì senza guardarlo. Non ci riusciva, ancora.
«Immaginavo che ci saremmo corsi incontro. Forse io sarei venuta a New York – avrei sempre voluto visitarla - o tu saresti tornato qui, e ci saremmo corsi incontro.»
Sorrise al pensiero dei suoi sogni a occhi aperti, ma poi si accigliò. «Ovviamente, i sogni erano più facili. Tu non eri mai arrabbiato. Qualche volta eri felice con qualcun'altra, ma non eri mai arrabbiato.»

«Non sono più arrabbiato.» Il suo tono era fervente, la implorava di credergli.
Bella alzò lo sguardo. «Questo lo so.»
Prese un profondo respiro, cercando di essere completamente onesta. L’onestà era un imperativo, se avevano intenzione di fare questo. «Io ti credo, ma mi sento ancora come se tu dovessi azzannarmi da un momento all’altro.»
Edward abbassò la testa, guardandosi le mani. «E’ comprensibile. Ti ho aggredita per mesi, costantemente. Non posso aspettarmi che tu prenda per buona la mia parola. Il tempo, immagino, ti convincerà.»

«Mi piace l’idea del tempo.»

Alzò lo sguardo, trovando gli occhi di lei, e sorrise.

«Questo matrimonio è costruito sulla bruttura, Edward. Tu mi odiavi.»

«Non ti ho mai odiato.»

Bella girò nel dito il suo anello di fidanzamento. «Questo me l’hai tirato. Ti ricordi? Questo matrimonio è bugie e inganno e tutta la nostra rabbia. E’ … contaminato da tutto questo. Da questo e dal peso della consapevolezza che era legato ai tempi della malattia di tua madre.»

Lui aprì la bocca, ma lei disse in fretta, «Lo so. Sono pronta a buttarmi tutto alle spalle. Lo sono. E ti amo. Non voglio andarmene.» Scosse la testa, sostenendo lo sguardo di lui. «Ma non sono ancora pronta ad essere sposata con te. Non ci siamo, ancora.»

«Lo so.» La sua voce era tesa. Le tirò la mano. «Vieni qui?» le disse con un piccolo sorriso. «Prometto che farò il bravo.»

Bella lasciò che se la mettesse in grembo. Lui la guardava con una sorta di reverenza, tracciando i tratti del suo viso prima con gli occhi, poi con il pollice. La baciò ancora una volta – un bacio casto, incorniciandole il viso con le mani. «Non voglio divorziare da te.» Il tono era quieto, ma saldo. «Non tu. Io …» Sbuffò. «Non dirò che ho fatto un errore sposandoti, perché non è questo quello che sento. Mia madre è stata felice, quel giorno, anche se noi non lo eravamo, e non rimpiango nessuna delle decisioni che ti hanno riportato da me, per quanto incasinate fossero.

Io già odio il fatto che quel giorno che doveva essere il più felice delle nostre vite sia stato … be’, quello che è stato.» Le scostò i capelli. «Divorzio è una brutta parola. Non voglio aggiungere altra bruttezza.»

«E’ solo una parola,» disse lei piano.

«Quando pensavo di sposarti, non ho mai pensato che avrei divorziato.»

«Nessuno si sposa pensando di divorziare. Questo è il punto.» Gli mise le braccia al collo e gli alzò il mento con le dita. «I voti non sono una magia. Non tengono insieme le persone. E essere divorziati non significa che dobbiamo separarci.»

«Se divorzio è solo una parola, allora lo è anche matrimonio. Non dobbiamo comportarci come se fossimo sposati. Stai in un’altra stanza.» Strinse le labbra. «Oppure fa’ quello che devi. Non ti fermerò. Di qualunque cosa tu abbia bisogno. Perché non restiamo sposati sulla carta se non abbiamo intenzione di rompere?»

«Prova a pensare logicamente. Il matrimonio è solo un pezzo di carta, ma quella carta è un contratto con le istituzioni. Avrebbe effetto su tutto quello che faccio. Non potrei avere un aiuto finanziario per la scuola, perché penserebbero che sono ricca marcia come te.»

Edward fece una smorfia. «Allora lascia che paghi io. Lascia che ti aiuti a tornare a scuola. Hai rimandato già troppo a lungo.»

Bella sospirò. «Devo poter stare in piedi con le mie gambe.»

«Sarebbe così. Qual è la differenza, Bella? E’ diverso che avere una borsa di studio? Se prendi un aiuto finanziario, dovrai restituirlo. A me non dovrai restituire nulla.»

«E se tra noi non funziona?» Gli accarezzava il collo mentre chiedeva.

«Allora sarebbe un premio di consolazione.» Lui sospirò quando lei gli diede un’occhiataccia. «Se … se non funziona tra noi, almeno non avrai sprecato il tuo tempo. Sarai all’università, in viaggio verso la vita che vuoi. O, diavolo, Bella. Se ti fa sentire meglio, non potresti considerarlo un prestito? Zero interessi. Me li restituisci come preferisci tu, e non ti darò mai della delinquente.»

Lui la sistemò meglio sulle sue ginocchia, così da stringerla di più. «Bella, lo so che non ci siamo ancora. Lo so. Ma … se tu mi ami-»

«Non si tratta dell’amore. Lo capisci, vero?» Lo baciò, un bacio leggero come una farfalla. «Io sono innamorata di te. Non posso farne a meno. Non ho mai potuto. Ma questo non significa che le nostre vite siano ancora compatibili. Potrebbero non esserlo più.»

«Ma potrebbero esserlo. Voglio dire, dimmi se sbaglio. Dimmi dove ci scontriamo. Tu sei libera, e sai quello che vuoi. Non c’è motivo che il fatto di stare con me debba bloccarti. Ed io …» Piegò la testa per toccare quella di lei. «Dio, Bella, l’unica cosa che so per certo è che ti voglio. Qualunque altra cosa nella mia vita è un gigantesco punto interrogativo.»

Gli occhi di Bella si chiusero mentre strofinava il naso contro il suo.
«Non può essere così. Non puoi costruire di nuovo la tua vita intorno a me. Troppa pressione.»

«Questo lo so.» Le mordicchiò le labbra. «Non faccio mai due volte lo stesso errore. Uno e uno fanno due, saremo più forti, così.» La baciò, un bacio prolungato. «Non voglio divorziare da te.» La sua voce vibrava contro le labbra di lei. «Ti prego, pensaci. Ti darò tutto quello che vuoi, tutto lo spazio di cui hai bisogno. Questa è l’unica cosa che ti chiedo.» Di nuovo, il suo bacio si prolungò, la lingua languida contro quella di lei.
«Compromesso,» disse dopo un po’. «E’ parte di una relazione sana.»

«Tu non giochi pulito, Cullen.»

Lui si tirò indietro, la strinse contro di sé, mettendole una mano sulla guancia. «Io gioco duro quando c’è qualcosa per cui vale la pena di lottare.» La baciò con dolcezza. «O qualcuno.»

L’esitazione del cuore di Bella era diventata solo un sussurro a quel punto. Si acquietò ancora di più alla reverenza dei suoi baci. La sua bocca si muoveva con quella di lui con una sincronia perfetta.

Lui si spostò con lei ancora tra le braccia, e la stese sul letto. Si chinò su di lei, la mano che aleggiava di lato.

Quando la mano sfiorò il suo seno, lei pigolò.

Edward lasciò le sue labbra e si appoggiò sul braccio.
«Piano. Lo so.» Le accarezzò le guance e il naso con la punta del dito, lo sguardo negli occhi di lui tenero. «Lasci che ti tocchi?»

Senza fiato, lei annuì. La mano di lui andò alla sua camicetta e cominciò a sbottonarla abilmente mentre la baciava. La sollevò facendole togliere camicia e reggiseno. Appoggiato su un gomito, gli occhi di lui la bevevano. Bella sentì arrossarsi le guance alla lussuria nello sguardo di lui.

«Sei così bella.»
Le mise una mano sul seno, sfiorandole il capezzolo col pollice. Le baciò le labbra, il mento. La spinse col naso e lei inclinò la testa perché potesse baciarla sul collo.

Il suo respiro si impuntava mentre lui con il dito tracciava il cerchio della sua areola e passava i denti sula sua clavicola. Baciò tutti e due i suoi seni, e la mano di lei era dietro la sua testa.

«Questo va bene?» chiese, premendo un bacio umido sulla sua pelle, appena sopra il capezzolo.

«Mmhmm.»

La sua bocca si chiuse intorno a lei, la punta della lingua che stuzzicava la sua carne. Boccheggiò.

Mentre faceva piovere baci e lappate sui suoi capezzoli e intorno al suo seno, le sue dita si dirigevano in basso. Prese un respiro improvviso, sentendo i brividi che salivano mentre la mano di lui si fermava, le dita che la sfioravano appena sopra la cinta dei pantaloni.

«Questo va bene?» chiese di nuovo.

«Sì. Edward.» Le parole erano poco più di un respiro, un sospiro che le scivolava dalle labbra.

Aprì il bottone dei suoi jeans e fece scivolare dentro una mano. Le sue dita trovarono subito quello che cercavano.

«Oh.» I suoi fianchi si alzarono contro la sua mano, il movimento ondulante così che il petto si sollevava contro la bocca di lui.

«Ti piace così?» Il modo in cui la sua voce vibrava contro la sua pelle indurì ancora di più i suoi capezzoli, e Bella mugolò.

«Sì.»

«Sei così bagnata.» Fece scivolare due dita dentro di lei, il pollice che premeva contro il clitoride. Salì con i baci, afferrandole il lobo con i denti. «Voglio assaggiarti.»

Tutto il corpo di Bella si compresse alle sue parole, le sue pareti si strinsero intorno alle sue dita.
«Posso assaggiarti?»
La testa le girava nel più piacevole dei modi. «Sì.» La parola era una preghiera.

Edward non perse tempo. Si mise seduto, il sorriso luminoso mentre le toglieva pantaloni e mutandine. Si sistemò in fretta tra le due gambe aperte, passando il naso sulle sue cosce. Le sue dita continuavano a lavorare su di lei finché trovò il clitoride.

Era bravo in questo, al liceo.

Il tempo lo aveva solo migliorato.

«Oh Cristo. Oh cazzo.» Le sue dita si strinsero nei suoi capelli e il corpo si contorse. Succhiò e leccò e le mise le mani ovunque, finché il suo corpo cedette. Urlò il suo nome quando venne, e lo sussurrò mentre riprendeva fiato.

Lei gli tirò i capelli e lui seguì la sua indicazione silenziosa, premendo un bacio sulla sua pancia e poi nella valle trai suoi seni. Lei gli passò le mani tremanti sul collo e poi tirò la testa verso di sé. Il lor bacio fu lento, la sua lingua che lappava il suo stesso sapore dalla bocca di lui.

Quando Bella fece per allungare una mano tra le sue gambe, lui le afferrò il polso.

«Dormi con me,» disse baciandola tra il naso e le labbra. «Dormi e basta.»

Lei gli strinse la mano. «Okay.»

Un gran sorriso si allargò lentamente sul viso di lui. «Sì? Dormo anche sul pavimento, se vuoi, lo sai.»

«No. Dormi con me.»

Le diede un altro bacetto. «Okay.»

***

Pochi giorni dopo, pochi meravigliosi giorni di baci e toccamenti, Bella disse finalmente a Edward che aveva deciso.

«Non divorzieremo, e se ce la faremo per il semestre di primavera, mi farò aiutare con la scuola.»

Edward sbatté gli occhi, scioccato. Si era preparato mentalmente perché lei insistesse per il divorzio. Era razionale, lo sapeva, ma non voleva farlo. Era un romantico nel cuore, e voleva tanto credere a un lieto fine con la donna che era sempre stata l’amore della sua vita.

«Davvero?» Fece un passo verso di lei, avvolgendole le braccia alla vita.

Lei si sciolse contro di lui. «Ho delle condizioni.»

«Quello che vuoi.»

«Non voglio vivere nella nuova casa. Penso che abbiamo bisogno dei nostri spazi.»

La delusione formò un nodo alla gola di Edward, ma annuì. «Ha senso.»

«Se faremo tutto questo, voglio dire la verità ai tuoi. Anche ai miei amici, perché non voglio rinunciare alla mia vecchia vita. Amo anche loro.»
Lo guardò, gli occhi guardinghi mentre aspettava la sua risposta.

Di nuovo lui sentì la gola stretta e la bocca secca. Deglutì e le prese la mano, portandola alle labbra. «Okay.»

Lei inarcò un sopracciglio. «Okay?»

«Sì.»

Lei sorrise, alzandosi sulle punte per baciarlo. Quando ridacchiò nella sua bocca, anche lui rise, lasciandosi andare all’euforia.

Quando si separarono, lui le diede un colpetto sulle labbra con il dito. «La mia ragazza è mia moglie,» rifletté.

Lei si tolse l’anello di fidanzamento e l’anello nuziale, mettendoli entrambi nel palmo della mano di lui e chiudendogli le dita. «Questi me li ridarai un giorno.»

Pensò a come fossero unici. Per qualunque altra coppia, lei che gli ridava gli anelli avrebbe significato una fine. Anche se quello era un momento dolceamaro, Edward si sentì riempire di speranza. Si tolse il suo anello e lo offrì a lei. «Lo farò.»

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.
A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.
https://www.fanfiction.net/s/9193694/20/Contractually-Bound


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.
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Capitolo 20


Lo dissero prima a Carlisle. Era una scelta ovvia. Era l’unico che avrebbe scoperto immediatamente che sua nuora era sparita di casa.

Se Edward aveva un desiderio, solo una possibilità di tornare indietro e cambiare una singola scelta, sarebbe stata questa: rendere quella versione della verità che avevano inventato una realtà.

Quando Carlisle aveva chiamato Edward quel giorno, sollecitandolo a tornare a casa, suo figlio aveva fatto resistenza, come sempre, e allora lui gli aveva detto quelle parole fatali.

«Tua madre sta morendo.»

Carlisle Cullen non avrebbe mai detto parole del genere se non ne fosse stato assolutamente certo. Era un medico, e anche bravo. Non usava la parola morire a meno che non fosse inevitabile.

Quindi udire quelle parole da suo padre, lasciò Edward barcollante. Sapeva che non c’era nulla da fare. Non c’erano trattamenti da tentare o miracoli per cui pregare. Non si era mai sentito tanto impotente, e tanto in colpa, in tutta la sua vita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, assolutamente qualsiasi cosa per rimediare, e siccome capiva che non poteva rimediare per sua madre, volle rimediare per quello che poteva.

Poteva darle un po’ di pace. Era l’unico dono che gli era rimasto per lei.

Ed era vero.

Nella storia che raccontarono, Edward era semplicemente andato da Bella con un piano in mente. Le aveva chiesto se voleva prendere in considerazione l’idea di sposarlo per poter dare a sua madre qualche mese felice. Sarebbe stato un matrimonio finto, ma lei non gli doveva nulla.

Bella raccontò la sua parte. Che aveva fatto un errore che non sapeva come riparare. Che le erano mancati tanto Esme, Carlisle e Alice. Come Edward, aveva rimpianto tutto il tempo perso, tempo che Esme non aveva più. Aveva colto l’occasione di rivederli tutti, di ricongiungersi e fare ammenda. Dopo tutto, la prima volta non aveva neanche salutato il resto della famiglia. Edward rimase sbalordito quando si rese conto di quanto facilmente questa storia avrebbe potuto essere la realtà. Bella avrebbe accettato il suo piano comunque. Una volta spiegata la situazione, avrebbe solo dovuto dire per favore, probabilmente neanche quello, e lei avrebbe detto sì.

E poi, la storia avrebbe avuto una conclusione scontata.

«Questo ci ha dato la possibilità di riavvicinarci», disse Bella prendendo la mano di Edward. «Vogliamo provare di nuovo.»

Edward era silenzioso mentre la guardava negli occhi. Lei lo amava. L’aveva amato quando era stato inutilmente crudele con lei. Nonostante gli avesse spezzato il cuore quando era poco più che una ragazzina, non poteva perdonarsi il modo in cui la aveva trattata. Sarebbe stato facile come respirare se solo fosse stato civile con lei fin dal principio.

Adesso, nonostante tutto, avevano una seconda possibilità. Sarebbe stata più dura di quanto avrebbe dovuto, ma questo sembrava essere l’approccio di Edward alla vita. Sorridendo, Edward portò la mano di Bella alle labbra e le baciò le dita. Lui le stava dando una seconda possibilità, e lei stava facendo lo stesso con lui. Si stavano buttando alle spalle il loro passato, e stavano ricominciando. Questo era il motivo di tanta onestà.

Be’. Quasi onestà.

Carlisle si sfregò una mano sotto il mento, guardandoli tutti e due con un’espressione che Edward non riusciva a decifrare. Poi, con grande sorpresa di Edward, suo padre sorrise. «Tu l’hai fatta davvero felice, sai. Serena.» Scosse la testa, l’espressione distante. «Tu eri la sua più grande preoccupazione, Edward. È morta sapendo che tu saresti stato bene, dopotutto.»

Edward strinse le labbra. Odiava l’idea di aver dato delle preoccupazioni a sua madre, ma razionalmente, sapeva che questo era inevitabile. Le madri si preoccupano. Questa è una verità semplice e inevitabile.

«Ricordi che ha parlato con te il giorno che è morta?» andò avanti Carlisle.

«Certo che sì.»

«Lei sapeva, credo.» Fece un gesto tra Edward e Bella. «Ero io quello che voleva credere alle vostre bugie, ma Esme sapeva. Ma quando lei riattaccò il telefono, quel giorno, mi prese la mano e mi disse, ‘Il nostro ragazzo starà bene. Lui e Bella staranno bene’. Fu praticamente l’ultima cosa che disse.»

Edward sbatté gli occhi lucidi, mentre guardava suo padre. Si chiedeva se sua madre avesse saputo la verità, che anche allora la sua rabbia vacillava, e la sua amarezza stava per essere scalfita. E quando era morta, si era portata via la sua ultima rabbia.

Poteva sapere che sarebbe successo? Questo era il motivo per cui lo spingeva a guardare veramente il suo passato, che davvero non valeva la pena di aggrapparsi alla vita che si era costruito? Era per questo che lo aveva mandato in California con Bella, perché sapeva che il suo tempo stava per scadere, e lui aveva bisogno di quell’ultima spinta?

«Staremo bene.» Edward disse queste parole a Bella stringendole la mano.

Guardandolo, lei annuì. «Lo penso anch’io.»

«Questa è la cosa più importante. C’è sempre da lavorare. Nelle relazioni, intendo. Non sono mai una fiaba.»

«Non ti sembra strano che essendo sposati stiamo separati, per ora?» chiese Edward.

«Io penso che solo voi sappiate quello di cui avete bisogno.» Carlisle allungò le braccia e prese le loro mani. «Tua madre e io eravamo d’accordo su…» Trasalì. «Eravamo d’accordo su un sacco di cose. Una delle cose in cui tutti e due credevamo, erano le belle idee. Questo è quello che è ogni relazione, una bella idea. Fate quello che dovete. Costruite delle fondamenta, e tornerete più forti.»

«Questo è il piano», disse Bella.

*****

Pochi giorni dopo che Bella si era trasferita a casa di Charlie e Sue, loro diedero una specie di festa di benvenuto. Furono invitati tutti i loro amici, e anche Edward. Naturalmente, questo richiese che tutta la storia fosse di nuovo raccontata, come l’avevano raccontata a Carlisle.

Gli amici di Bella non furono così indulgenti come Carlisle, ma questo se lo aspettavano. La grazia salvifica della situazione, fu la normale etichetta di un incontro sociale. Nessuno avrebbe reso l’atmosfera imbarazzante con domande fuori luogo.

Dopo pranzo, Emmett sfidò Edward a una partita di basket uno contro uno. Bella seppe subito si cosa si trattava. Una dimostrazione di testosterone. Edward doveva dimostrare di essere abbastanza virile da meritare il rispetto di Emmett. Barbarie travestita da competizione amichevole. I ragazzi sono ragazzi.

Bella non si preoccupava di questo. Edward se la cavava atleticamente. Sapeva che avrebbe dato buona prova di sé. Ed Emmett non era il tipo da tenere il muso. Bella aveva detto che era felice. Una volta stabilito che Edward non era uno stronzo, sarebbe stato tutto a posto.

Con Rosalie sarebbe stato più complicato.

Dopo aver visto che i suoi bambini stavano giocando tranquillamente, andò a sedersi vicino a Bella sotto il portico, a guardare i loro uomini che se la sudavano. Non parlò subito, il che fece sospirare Bella.

«Di’ quello che devi dire, Rose.»

Rosalie andò dritta al punto. «Non i piace per niente questa storia, Bella.»

«Sorprendimi.»

«Be’, cosa c’è che mi potrebbe piacere? Invece che parlare con noi sei mesi fa, hai scelto di scomparire dalla faccia della terra. I tuoi migliori amici hanno scoperto che ti eri sposata attraverso qualche pettegolezzo. Se era tutto così innocente come hai detto tu, allora perché non ci hai parlato allora del tuo piano?»

Bella si sfregò le tempie, mentre pensava alla sua risposta. «Cosa vuoi che ti dica? Cosa sarebbe successo se ti avessi chiamato e ti avessi detto, hey, Rose, ho deciso di rinunciare al mio lavoro, al mio appartamento, alla possibilità di tornare all’università per almeno un anno, per un matrimonio finto? Cosa mi avresti detto?»

«Che eri una pazza completa.» Rosalie incrociò le braccia e guardò storto Bella. «Avrei voluto sapere perché continuavi a buttare via le possibilità di una vera vita.»

«Vedi? Questo è il motivo per cui non te l’ho detto.» Era una delle ragioni, comunque. La più grande. Bella non si aspettava che Rose capisse la sua logica. «Perché vedi le cose che ho fatto come un buttare via la mia vita?»

«Perché è esattamente quello che fai. Lo fai continuamente. Tu potresti avere una vita migliore.»

«Non è quello che ti ha detto tua madre quando hai sposato Emmett?» la sfidò Bella. «Avevi una carriera incredibile, un sacco di opportunità in una grande città, e hai rinunciato a tutto per avere i bambini di Emmett e vivere in questa piccola città.»

Rosalie si accigliò. «Mio marito e i miei figli valevano il sacrificio.»

«E tu pensi che io rimpianga i sacrifici che ho fatto per le persone della mia vita?» Bella scosse la testa. «Chiedimi se lo rimpiango. Sue e Seth, Jacob e Billy, Esme. Chiedimi se rimpiango di aver fatto le cose che ho fatto.»

La sua amica la guardò. «Lo rimpiangi?»

«No. Mai. So che a volte tu pensi come sarebbe stato se avessi continuato col lavoro che avevi quando hai incontrato Emmett. Ovviamente, io ho gli stessi pensieri. E se? Ma alla fine della giornata, sono sempre felice delle decisioni che ho preso.»

«Dovresti rimpiangerle.»

«Perché? La mia vita sarebbe stata tanto migliore?» Bella spostò la sedia, in modo da stare di fronte a Rosalie. «Se avessi lasciato che Sue perdesse la casa, o Billy solo a far fronte all’alcolismo di suo figlio, oltre che alla morte di sua figlia, allora cosa? Forse avrei una laurea, adesso. Ma pensa quante cose avrei mancato.»

«Tipo che? Che c’è di così grandioso nella tua vita per cui non dovresti rimpiangere di aver portato prima il tuo culo all’università?»

«Te, per cominciare. Ricordi tutte quelle notti in cui eravamo solo io e te, perché Emmett faceva gli straordinari e non c’era mai, qualche anno fa?»

L’espressione di Rosalie cambiò, un accenno di incertezza ammorbidì i suoi tratti.

«Pensi che scambierei la nostra amicizia? Eravamo io e te quando è nata Allison, ricordi? Arrivò così in fretta, Emmett non ebbe il tempo di arrivare in ospedale.»

Le labbra di Rosalie si contrassero. «Mi ricordo.»

«Tu questo lo rimpiangi? Se le cose fossero andate in un altro modo, se io fossi andata a scuola come avevo progettato al principio, niente di tutto questo sarebbe successo.»

«Tu sai cosa significa per me la nostra amicizia. È ovvio che non rimpiango nulla di tutto questo, ma tu dovresti avere di più. Meriti di più.» Scosse la testa. «Comunque. Le chiacchiere stanno a zero. Tu hai sposato questo tipo, Bella. Gli hai dato il controllo totale su dove vivi, quello che fai, tutto.»

«Non è così.»

«E allora perché hai rinunciato anche al tuo lavoro?»

«Perché l’idea era passare tempo con Esme. Non minimizzare quello che significa… significava per me. Questo è un altro motivo per cui non rimpiango come è andata la mia vita. Se fossi stata all’università, non avrei potuto dedicare tutto il tempo ad Esme. Invece, abbiamo potuto dirci tutto quello che dovevamo, prima che lei morisse. Ho riavuto indietro una madre. Ho riavuto indietro un padre. Mi hanno perdonato quello che avevo fatto al loro figlio e quello che avevo fatto a loro, dato che avevo abbandonato anche loro. Anche se io e Edward non ci fossimo riavvicinati, ne sarebbe valsa la pena.»

Bella allungò un braccio e prese impulsivamente la mano di Rosalie. «Ogni volta, ho fatto la scelta con cui potevo convivere. C’è stata una sola scelta nella mia vita che ho rimpianto… e mi ha schiacciato. Non sarò più così stupida. Non prenderò più una decisione che distruggerebbe tutta la mia vita.»

Rosalie contorse le labbra. Sembrava che volesse discutere, ma pensasse che non era il caso. «Quindi è questo quello che vuoi? Un ex?»

«Sì.» La parola fu risoluta. Bella non sapeva se era una buona idea, provare a stare con Edward, ma sapeva con assoluta certezza che non era un’idea sbagliata. «Ma starò attenta. Te lo giuro. È per questo che mi sono allontanata da casa sua. È perché dobbiamo confrontarci con le nostre vite individualmente prima di provare a vivere il nostro lieto fine.»

Rosalie sembrava ancora scontenta, ma avvolse Bella in un grande abbraccio. «Tu meriti il mondo. Ti meriti di prendere, per una volta, invece che dare tutto. Stai solo attenta, Bella, e ricorda che noi siamo tutti qui, se hai bisogno.» Si tirò indietro e scompigliò giocosamente i capelli di Bella. «Anche se noi pensiamo che sei matta, hai ragione tu. È la tua vita.»

*****

L’ospite d’onore era scomparsa.

Andare a casa senza Bella era l’ultima cosa che Edward voleva fare, ma immaginò che questa parte fosse inevitabile. Aveva fatto il bravo ragazzo, oggi. Aveva tenuto le mani a posto e aveva lasciato che gli altri si prendessero tutte le sue attenzioni. Tutto quello che voleva era una bacio della buonanotte prima di andare via.

Quando era stato evidente che non era tra gli ospiti fuori, Edward aveva vagato in casa. Là, la sentì prima di vederla e si fermò nel corridoio fuori della cucina.

«Leah…»

«Guarda, lo so che io e te non siamo sempre andate d’accordo, ma siamo civili, giusto?» Leah, la sorellastra di Bella, sembrava, come sempre, irritata. «Non ti ho mai detto… quello che hai fatto per mia madre e mio fratello… è stato straordinario.»

Si affrettò, prima che Bella potesse rispondere. «Mamma mi ha detto che cerchi un lavoro a Seattle. Il che ha senso, ovviamente, dato che vuoi andare a scuola lì. Sappiamo tutte e due che tu devi andartene da questa stupida piccola città. Non c’è niente per te, qui. Se vivrai a Seattle sarà più facile avere un lavoro, più facile avere colloqui, sai com’è. E poi non dirmi che non vuoi stare più vicina al tuo ragazzo... tuo marito... o che diavolo è.»

«Okay», disse Bella, la voce che tradiva la confusione. «Quindi, cosa mi stai dicendo?»

«Io ho un gran posto. Quello stronzo del mio ex marito è stato abbastanza bravo da lasciarmi la casa dove avremmo dovuto crescere i nostri figli.» Sbuffò. «Ci sono un sacco di stanze. Io non sto quasi mai a casa, e non credo che tu distruggeresti quel posto. Se vuoi prenderlo in considerazione, puoi restare con me gratis, finché non ti rimetti in piedi.»

Edward appoggiò la fronte al muro, pregando silenziosamente che Bella accettasse l’offerta della sua sorellastra. Capiva perché fosse riluttante a lasciare che lui la aiutasse, ma questo era diverso. Questo non sarebbe stato altro che una ricompensa.

«È un’offerta molto generosa», disse Bella, le parole lente che tradivano la sua sorpresa. «Sarebbe bello. Mi chiedevo come avrei potuto avere dei colloqui a Seattle, vivendo qui.»

Edward rilasciò un respiro. Non era un rifiuto. Era così contento, avrebbe fatto un balletto. Decidendo che aveva origliato anche più di quanto doveva, bussò sulla parete, attirando la loro attenzione prima di entrare. «Ho interrotto qualcosa?»

«No, abbiamo finito», rispose Leah. «Fammi sapere, Bella. Tutto quello che ti serve.»

«Lo farò. Grazie.»

Leah si avviò alla porta. Passando vicino a Edward gli diede un certo sguardo. «Me ne devi una. Grossa.»

Edward alzò un sopracciglio fingendo ignoranza, ma sapeva cosa intendeva. Era un grande sollievo sapere che Bella aveva la possibilità di stare più vicino a lui. Dopo tutto, era più facile lavorare a una relazione quando le due parti stavano, se non altro, nella stessa città.

Quando Leah fu uscita, Edward aprì le braccia, facendo un gran sorriso quando lei lo raggiunse. Si abbracciarono. Lei si spinse contro di lui, petto contro petto, e lui le scostò i capelli dagli occhi quando lei alzò il viso.

All’inizio le diede solo un bacetto sulle labbra, un gesto leggero e giocoso. Ma durò solo un attimo. La bocca di lui si spinse sulla sua, la mano aperta in fondo alla sua schiena mentre la premeva contro di sé. Fu un bacio accurato, lungo. Ogni intenzione di interagire con lei con leggerezza quella sera, volò via dalla finestra.

Edward non voleva ammetterlo, ma per tutta la notte quella sensazione l’aveva strattonato. Aveva paura di lasciarla andare, paura che se si fossero separati, anche poco, lei non sarebbe mai tornata da lui.

Fino a quel momento, la paura era paralizzante.

Bella rispose al bacio, lasciando che lui sostenesse il suo corpo con le braccia. Si aggrappò a lui, lasciandolo in possesso del suo corpo, anche se per pochi istanti. Lei fece scivolare le mani dalle spalle ai suoi capelli, tenendo la testa contro la sua.

Quando il bacio finì, Bella non fece nessuna mossa per lasciarlo andare o arretrare. Gli passava i pollici dietro le orecchie con un sorriso gentile. «Sono qui.» Le sue parole erano quiete ma salde. Un’affermazione. «Non vado da nessuna parte.»

Lui annuì, chinandosi per baciarla di nuovo. «Sarai dall’altra parte della città.»

Lei sbuffò, mettendogli le braccia alla vita. «Siamo a Forks. L’altra parte della città è praticamente a quattro passi.»

«È lo stesso troppo lontano.» Le diede un altro bacio con un po’ di broncio. «Mi mancherai. So che probabilmente è una cosa stupida da dire, ma è vero.»

«Non è stupida.» Alzando una mano, tracciò il contorno del suo occhio con la punta del dito. «Il mio nome sarà sempre Bella, i miei occhi saranno sempre marroni e ti amerò per sempre.» Echeggiò lo stesso giuramento che lui le aveva sussurrato tante volte, tanti anni prima.

Edward non era preparato per l’ondata di sollievo che lo invase. Avendola lì tra le sue braccia, scoprì che poteva reclamare i ricordi dolci del suo passato, quelli cui prima gli faceva male pensare. Per tanti anni, non aveva permesso a se stesso di ricordare la sua infanzia, di cui lei era tanta parte. Si lasciò andare alle memorie.

Bella che gli sorrideva, cinque anni, orgogliosa di aver scalato quell’albero, e lui le aveva detto che non ci sarebbe riuscita.

L’estate in cui lei aveva nove anni e lui undici. Erano in bicicletta, doveva essere una bella giornata, e invece i cieli si aprirono. Tornarono a casa di lui fradici fino alle ossa e inzaccherati. Esme aveva fatto loro del sidro di mele caldo e aveva asciugato i loro capelli con l’asciugamano dopo che si erano messi dei vestiti asciutti.

Bella aveva tredici anni e lui quindici, il Quattro di Luglio, e stavano accendendo insieme i fuochi artificiali. Uno di questi la prese alla sprovvista, e lei fece un salto indietro, afferrando la mano di lui. Non lo lasciò andare, mentre guardavano la pioggia di scintille. Fu la prima volta che Edward si chiese come sarebbe stato baciarla.

Ricordò il loro primo bacio. E poi il secondo. E il terzo.

Tornato al presente, la baciò fino a restare senza fiato.

Le mani di lei erano sulle sue ai lati del proprio viso, e si guardarono a lungo prima che lei parlasse. «Ricordati che questo non è un addio. È solo una buonanotte.»

Lui le diede allora un bacio più gentile, l’ansia placata. «Non voglio mai più dirti addio.»




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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate. A questo indirizzo potrete trovare la versione originale. https://www.fanfiction.net/s/9193694/20/Contractually-Bound




Capitolo 21

«Non guardare adesso, ma penso che tuo marito e il tuo ex-boyfriend stiano provando ad impressionarti.»
Bella ghignò, guardando quel pissing contest tra maschi alfa. Era il giorno del trasloco. Edward, Emmett e Jacob stavano facendo del loro meglio per sollevare il maggior numero di cose pesanti allo stesso tempo. Emmett era solo Emmett, il tipo era forte, nulla da dire, ma gli altri due stavano facendo i coglioni.

«Non guardare adesso, ma non è me che Jacob sta cercando di impressionare», disse Bella alla sua sorellastra. Si piegò dalle risate l’attimo in cui vide lo sguardo inorridito sul viso di Leah. «E’ te che sta guardando, non me.»

«Questo è… conosco Jacob da tutta la vita. E’ folle.»

Bella alzò le mani. «Hey, sto solo dicendo che guarda te, e non me. Tutto qui.»

Leah guardò in direzione di Jacob. Di sicuro, il sorriso di lui si allargò. Lei scoprì i denti, mimando un morso. Jacob scoppiò a ridere, caricando sulle spalle una scatola enorme e dirigendosi in casa.

«Penso che tu andresti bene per Jacob.» Bella la stava stuzzicando.

«E come ti viene in mente?»

«Ha bisogno di qualcuno che non gli lasci passare niente.»

«Oh, grandioso.» Leah roteò gli occhi, ma poi guardò di nuovo in direzione di Jacob. «Quindi cosa dovrei ricavarne io?»

Bella si accigliò, dentro di sé. L’incerta amicizia con la sua lunatica sorella era qualcosa di nuovo. Non voleva spingere troppo. Ma poi, Leah era una tipa tosta. Forse la franchezza era il modo giusto con lei. «Ma andiamo, Leah. Ti piacerebbe un ragazzo con cui puoi fare la prepotente.»

Leah si accigliò, e Bella stava quasi per scusarsi, ma poi scoppiò a ridere. «Sì, immagino che tu abbia ragione.»

«Hey, Hells Bells.» Emmett veniva verso di loro. Prese la bottiglia d’acqua che Bella gli offriva e la buttò giù tutta prima di parlare. «Tuo marito è più ricco di Gesù, giusto?»

«Gesù era un falegname senza un penny, Emmett. Sono piuttosto sicura che la maggior parte di noi sia più ricca di Gesù.»

«Hey, intelligentona, rispondi alla domanda.»

Bella sospirò e incrociò le braccia. «Il mio boyfriend non sta messo male a soldi. No.»

«E allora perché cazzo il tuo boyband», si fermò a ridacchiare al suo stesso stupido gioco di parole, «non assume un po’ di traslocatori?»

Bella sorrise. «Per due motivi. Primo, Edward presume, correttamente, che io vorrei che non avesse tutti i soldi che ha. Sa che mi fa sentire come se non avessi abbastanza da mettere sul tavolo.» Fece una smorfia ma continuò prima che Emmett potesse parlare. «E secondo, sta provando ad essere più inclusivo con i miei amici.»

«Ma che diavolo? Vuole includerci nei lavori manuali.»

«Guardala in questo modo, Em, adesso lui ti deve un favore che non può rifiutare.»

Gli occhi di Emmett si illuminarono. «Ah. Adesso è in debito con noi. Capisco.» Si strofinò le mani e rise come un cattivo dei cartoni animati. «Be’, è uno strano modo di entrare nelle grazie di qualcuno, ma me lo prendo.»

***

Ogni muscolo del corpo di Edward faceva male.
Non che fosse così fuori forma, ma era stata una giornata come minimo faticosa. Ma lui e suo padre si erano sistemati nella nuova casa, la casa con l’unità per i suoceri e l’enorme prato, e avevano appena scaricato l’ultimo scatolone nella nuova stanza di Bella, in casa di Leah.

Edward si lasciò cadere a faccia in giù sul letto di Bella con un gemito di puro sfinimento. «Lasciami qui a morire.»

Il letto si abbassò quando Bella si mise seduta vicino a lui. L’attimo dopo sentì le sue mani sulle spalle. Lei cominciò a impastare, muovendo i pollici in cerchio dietro il collo di lui. Edward gemette di nuovo, questa volta per un dolore più piacevole. «Non… non devi farlo.»

Rimpianse di averlo detto quando quella deliziosa pressione scomparve, ma lei teneva la mano sul suo sedere. «Togliti la camicia.»

La sua voce era bassa, e lui si chiese se lei fosse seduttiva di proposito. Il suo uccello si contrasse, a dispetto del suo desiderio di non muoversi mai più. Con un grugnito, si mise sulle ginocchia. La guardò con la coda dell’occhio, tenendo il suo sguardo per un attimo prima di togliersi la camicia. Gli occhi di lei si abbassarono, guardando tutto il suo corpo per un lungo momento prima di guardarlo di nuovo in faccia. «Stenditi.»

Un brivido di pura eccitazione gli corse lungo la spina dorsale, comprimendosi nella sua pancia. Deglutì il groppo che aveva in gola stendendosi di nuovo sulla pancia. Il tocco di lei era elettrico. Si chiese se sapeva quello che gli stava facendo.

L’ultimo mese era stata una pratica di pazienza. Erano in uno strano posto con regole non scritte. Andare piano significava che poteva baciarla e stringerla, ma non andavano mai troppo lontano. Si vedevano spesso, ma non tutti i giorni. Si stavano dando spazio l’un l’altro, progettavano le loro vite mentre si muovevano, passo dopo passo, l’uno verso l’altro.

Edward trovava sempre più difficile ricordarsi che era sua moglie solo sulla carta. Come era strano. Il corpo di lei non aveva segreti, per lui, ma era ancora un mistero. Più spesso che no, quando erano insieme, trovava strano non comportarsi nel modo che a lui sembrava il più naturale del mondo.

In quel momento, gli faceva male fisicamente non poterla toccare. Le mani di lei erano sulla sua pelle, massaggiavano i nodi dei suoi muscoli. Sapeva che la stanza di lei era spaziosa, ma sembrava piccola, il calore dei loro corpi rendeva l’aria incendiaria. Gli aveva consumato ogni senso. Tutti e due erano sudati per quel giorno di duro lavoro, ma invece che spegnerlo, questo accentuava il suo desiderio, alimentando in lui un’urgenza più primitiva.

«Dovresti lasciare che te lo faccia io.» Non era un’offerta altruistica. Non ricordava com’era la sua schiena nuda, e desiderava toccarla come lei stava toccando lui. Poteva già immaginare la sua pelle morbida sotto le dita. Voleva spingere il palmo nell’incavo in cui la sua schiena incontrava il sedere di lei. Aveva sentito tante volte quel punto quando la baciava, quando la stringeva, ma non l’aveva mai visto.

«Hai lavorato duro, oggi.»

«Anche tu.»

Mentre parlavano, le mani di lei scivolavano lungo la sua schiena, seguendo la sua spina dorsale prima di allargarsi sui suoi fianchi. Edward prese un respiro improvviso, mordendosi l’interno della guancia per provare a calmare la sua reazione immediata. Era contento di stare a pancia in giù.

Comunque, era solo questione di tempo e non sarebbe riuscito a soffocare i suoi gemiti di piacere. Le cose che stava facendo al suo corpo dovevano essere peccato. «Sono sporco e sudato», disse lui.

«Sì, lo so. Dovrei essere disgustata.» Le dita di lei premettero in fondo alla sua schiena e lui sobbalzò, sussultando istintivamente al suo tocco. Quando lui cominciava a rilassarsi di nuovo, lei si chinò, così che i suoi vestiti sfiorarono quelli di lui. «Stai spargendo la tua puzza per tutto il mio letto.» Si chinò di nuovo, la sua voce appena un sussurro al suo orecchio. «Quando andrò a dormire stanotte sarà come se tu fossi con me.»

A Edward si mozzò il respiro.

Non poteva essere un caso che le sue mani fossero scivolati sui suoi fianchi, i pollici premuti contro il suo sedere.

C’era appena lo spazio sufficiente tra i loro corpi perché lui potesse rotolarsi sulla schiena. Dovevano essere sulla stessa lunghezza d’onda, perché lei si mise subito cavalcioni su di lui, chinandosi a prendere le sue labbra in un bacio febbrile. La bocca di lui si aprì per la sua lingua e le sue mani la strinsero alla vita.

«Ti voglio», mormorò tra i baci.

«Sono qui.» Erano le stesse parole che gli aveva detto in precedenza. Le aveva dette tante volte, in effetti, mentre navigavano la loro complessa e confusa relazione. Ma questo era diverso. La sfumatura cambiava il suo significato.

E lei si strusciava contro di lui, esattamente dove la voleva.

Edward sentì le vertigini. Rimase immobile solo per un momento, poi le tolse via la maglietta. Lei alzò le braccia sopra la testa, lasciando che lui gliela tirasse via.

Le mani di lui andarono alla sua vita e la immobilizzarono, così che poté guardare. Veramente guardare.

Era magnifica. Splendida. Glielo disse e lei arrossì. Il rossore delle sue guance gli diede un’ondata di adorazione. Era chiaro adesso che aveva fatto apposta a sedurlo, eppure c’era ancora un accenno della ragazza timida che era stata un tempo. Passato e presente convergevano finalmente in un unico pezzo.

Ignorando il bisogno del suo corpo, Edward si mise seduto. Le avvolse le braccia intorno, le labbra premute sulle sue in un bacio lento e crescente. Solo quando ebbe abbastanza della dolcezza della sua bocca si fermò. Si allontanò appena di qualche centimetro prendendole la testa tra le mani e guardandola negli occhi.

«Ho bisogno che tu capisca una cosa.» Come riuscisse a mantenere la voce salda quando lei era su di lui, con le mani infilate nella cinta dei suoi jeans e gli toccavano i sedere, non avrebbe saputo dirlo, ma ci riuscì. «Io sono innamorato di te, Bella. Voglio fare l’amore con te.»

Rotolò, godendosi il suo sospiro improvviso mentre si sistemava sopra di lei. Chinò la testa, baciandola mentre spingeva i fianchi contro i suoi, lasciando che sentisse quanto la voleva. «Dimmi cosa vuoi.»

«Voglio te.» Le dita di lei scivolarono dai suoi capelli ai suoi jeans, aprirono il bottone e fecero scendere la chiusura mentre pregava. «Per favore, Edward.»

Lui prese di nuovo le sue labbra, appoggiandosi su un braccio mentre la sua mano trovava le gambe aperte di lei. Lei si contorse sotto di lui mentre rispondeva al bacio. Rotolarono avanti e indietro, lottando con la stoffa finché riuscirono entrambi a togliersi i pantaloni.

Per quanto spesso Edward avesse immaginato questa scena negli ultimi mesi, non avrebbe mai indovinato che sarebbe stato così. Erano sporchi e stanchi. Eppure, in qualche modo, era perfetto proprio perché non era nulla di preparato. Naturale.

Di nuovo, come quando lei era alla finestra della casa che ora possedevano, Edward ebbe una visione del loro futuro. Poteva averla proprio così, con totale accettazione. Potevano fare l’amore quando erano sporchi, quando erano stanchi. Immaginò di svegliarla con le sue dita, così da poter fare l’amore e baciarsi con l’alito mattutino mentre erano ancora tutti e due mezzi addormentati.

Per un secondo, immaginò che fossero stanchi e doloranti perché lei aveva traslocato nella sua casa, oggi.

Fino quel punto, Edward si era preso il suo tempo. Aveva accarezzato, aveva esplorato il suo corpo con le dita, con la bocca, con la lingua. Aveva mordicchiato il suo collo e aveva sentito il sale della sua pelle. Ma quando pensò al loro futuro, a rendere reale il loro matrimonio, non riuscì più ad andare lentamente.

Il sesso tra loro era un altro modo di conversare.

La loro prima volta era stata intensa e incredibile. Un accumulo che si era costruito in anni. Lui l’aveva già toccata, prima, l’aveva assaggiata, ma era così diverso essere parte di lei. Erano nuovi al sesso, e imbranati, ma fu bello. Indipendentemente dai piani di Bella per il giorno successivo, quell’unica notte fu solo per ciò che sentivano l’uno per l’altro. Il loro amore era vero, e commovente. Ogni tocco, ogni bacio, ogni spinta del suo corpo dentro quello di lei era stato un “ti amo” sussurrato.

La volta successiva che erano stati insieme, dopo la morte di sua madre, Edward cercava di sentire qualcosa, oltre quel dolore che lo schiacciava. Voleva perdersi in qualcosa che riaffermasse la vita, e cosa meglio del sesso? Ma quello a cui non era riuscito a pensare era ciò che era rimasto non detto, e il troppo che non avrebbe dovuto essere detto, tra lui e Bella. I loro corpi avevano parlato anche quando loro non avevano le parole. L’amore era ancora lì, tra loro, intenso come sempre, ma era mescolato con emozioni altrettanto forti. La loro rabbia, il loro dolore, i loro problemi erano tutti lì con loro, tra loro, mentre si muovevano insieme.

Uno a uno, avevano fatto fronte a tutti i loro problemi. Gli ultimi mesi erano stati una rieducazione per entrambi, scoprendo dove erano individuali e dove si sovrapponevano. Edward conosceva questa donna tra le sue braccia. Conosceva la sensazione dei suoi baci, conosceva i suoi sogni e le sue speranze. Conosceva i suoi punti più bassi e i più alti, aveva visto e accettato le sue colpe e le sue virtù, così come lei aveva accettato quelle di lui.

Quando fu dentro di lei, Edward sentì un profondo senso di giustezza. Che lui dovesse amare questa donna, era stato il suo pianto per anni. Ora era la sua gioia, la sua estasi. Edward immaginò che poche cose in tutto il pianeta si potessero paragonare a come si sentiva quando lei sospirava il suo nome, la sua voce un respiro vicino al suo orecchio. Con una parola, lui sentiva tutto quello che il corpo di lei gli stava dicendo. Lei era innamorata di lui, e lui di lei. Quello che condividevano poteva essersi piegato, ma non si era mai spezzato. Erano più forti, adesso, le loro cicatrici li rendevano solo più belli agli occhi l’uno dell’altro, e insieme.

«Oh Dio, Edward. Oh Dio.»

«Bella. Bella, Bella, Bella.»

Aprì gli occhi e la trovò che lo guardava, e fu perso. Andato. Era suo. E lei era sua. Gli ultimi pezzi rotti si fusero mentre precipitavano insieme nell’orgasmo. Quando si riprese, Edward si spostò appena per toglierle il peso. Appoggiò la testa sul petto di lei, riprendendo fiato. Lei gli teneva la mano in una delle sue, passandogli l’altra tra i capelli. Una grande pace calò su Edward, allora.

Erano esattamente nel posto giusto. Gran parte del loro viaggio era ancora davanti a loro, e andava bene così. Era perfetto. Lei gli camminava a fianco, adesso, e questo faceva la differenza.

Diversamente dalle ultime due volte che erano stati insieme, non c’era nessuna finalità nel loro fare l’amore. Avevano tempo, adesso. Erano ancora giovani e molto innamorati. C’erano milioni di modi di esprimere l’amore, e a Edward piaceva l’idea di avere il tempo per scoprirli tutti.

«Dovremmo farci una doccia», disse Bella sbadigliando.

Edward grugnì. «Non ne ho voglia. Sto bene così.» Era mezzo addormentato, con la testa sul seno di lei e il braccio sui suoi fianchi.

«Puzziamo. Dovremmo farci una doccia, o quando ci sveglieremo faremo schifo.»

Riluttante, Edward alzò la testa per guardarla.

Era bella, la sua forma nuda perfetta sotto la sua mano. Si leccò le labbra, immaginando di premere i palmi di lei contro le piastrelle della doccia, così da guardare l’acqua scorrere sulla sua schiena prima di prenderla di nuovo. La baciò sotto il mento. «Dammi qualche minuto per recuperare. Poi facciamo la doccia.»

«Un po’ egocentrico?» Lo baciò con un sorriso giocoso. «E se io volessi solo lavarmi?»

«Se volevi solo lavarti non avresti dovuto invitarmi.»

«Chi dice che ti voglio?»

Edward assottigliò gli occhi. Invece che rispondere, la baciò. Fu un bacio duro, esigente. Chiuse la mano sul suo seno, stuzzicando tra le dita il suo capezzolo e lei sospirò nella sua bocca.

Quando lei cominciò ad afferrarlo, inarcando il corpo contro il suo, Edward si tirò indietro. Lei sbatté gli occhi, le labbra ancora aperte a metà bacio, le pupille dilatate. «Okay», disse lei ansimando. «Mi hai dato una motivazione convincente. Immagino che potremmo farlo nella doccia.»

Lui ridacchiò e la baciò di nuovo, con dolcezza, stavolta. Gli piaceva fare questi giochetti da amanti con lei. Era bello sentirsi a proprio agio con lei. «Ti amo», disse lei rispondendo al bacio. Erano naso a naso, labbra a labbra.

Lui fece un gran sorriso, più felice di quanto non fosse da tanto, tanto tempo. «Come ti amo io.»





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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.
A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.
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Capitolo 22


«Vattene via da me», scattò Bella. «Non toccarmi.»

Edward alzò le mani arretrando di qualche passo da sua moglie e si passò la mano dietro il collo. Rosalie andò verso di lui e lo spinse via. «Dovresti farti una passeggiata.» Il tono diceva chiaramente che non era un suggerimento.

«Rosalie...»

«Ci penso io. Vai.»

Edward ringhiò, ma andò. Ma non lontano. Si lasciò cadere sulla prima sedia che trovò, i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani.

Sua madre gli aveva detto una volta, “lascia che sfati per te uno dei più grandi miti della nostra società, qui e adesso. Non c’è niente di sacro nel matrimonio. C’è molto di buono. Di divino, perfino, ma niente di magico. È una bella unione tra due persone, ma c’è il punto debole. Quelle persone non sono meno umane di prima che entrassero in quella unione.”

Gli aveva preso le mani e le aveva strette, l’espressione malinconica. “Io penso che tutti noi ci innamoriamo tante volte nella vita. Magari di un lavoro, di un hobby. O magari amerai tante persone nella tua vita. L’amore è così. Le sue definizioni sono infinite e le sue possibilità senza limiti. Non lasciare che qualcuno ti dica qualcosa di diverso.
Quando ti sposi, se sei fortunato e lavori duro, ti innamorerai continuamente della stessa persona. Il tempo ti cambierà. Il tempo cambierà lei. Il tempo cambierà il vostro amore. Può succedere che arrivi un momento in cui la vostra unione non sarà più così bella. Non c’è niente di sbagliato in questo, nessuna vergogna, ma se è rimasta un po’ di bellezza, la possibilità che tu desideri di mantenere le vostre vite intrecciate, devi metterci dentro tutto quello che hai. Combatti. E questo non vale solo per il matrimonio. Combatti per tutto quello che ami, qualunque cosa buona della tua vita.”


Così Edward aveva combattuto. Lui e Bella, avevano combattuto entrambi.

E avevano vinto.

Come tutto nella vita, la strada non è per niente spianata. Cercarono di stare attenti. Cercarono di essere consapevoli delle vite che si stavano costruendo separatamente.

Quando si trasferirono a Seattle, le cose andarono bene per un periodo.

Fu Edward che ricordò qualcosa che era uscito di mente a Bella. Il contributo finanziario era concesso sulla base delle tasse pagate nell’anno precedente, non quello corrente. Quindi lei aveva ancora i requisiti per ottenerlo per il semestre di primavera. Con l’incoraggiamento di Edward, parlò con il rettore della UDub, e le fu concessa un’ammissione tardiva per il semestre primaverile.

Edward andava ancora alla deriva.

Pensò che fosse il karma che tornava a mordergli il culo. Quando ogni pensiero su Bella era colorato di rancore, Edward aveva disprezzato la sua lentezza nell’agire.

Ma come era successo a Bella quando aveva diciotto anni, quando si era accorto che la vita che aveva pianificato non era quella che voleva, Edward si era smarrito.

Che diamine voleva fare del resto della sua vita? Cosa lo avrebbe reso felice? E lui sapeva quanta felicità può portare una buona professione. L’aveva visto ogni volta che suo padre tornava a casa dopo una giornata di duro lavoro all’ospedale. Carlisle poteva anche sembrare a pezzi, completamente esausto per essere stato troppo in piedi e con troppe vite tra le mani. Ma c’era quello sguardo, nei suoi occhi, una soddisfazione profonda che permeava ogni aspetto del suo essere. Camminava più in alto, per quello. E per Esme e il suo lavoro era la stessa cosa.

Edward aveva sempre voluto quello. Quando lui e Bella erano giovani, avevano una visione idealistica delle persone che volevano essere. Lei si vedeva come una ricercatrice di successo, il tipo che avrebbe cambiato il mondo con i suoi esperimenti infinitamente affascinanti. Lui vedeva se stesso con un completo formale, trasudante carisma e successo.

In realtà, la visione di Edward era stata corretta, ma neanche lontanamente soddisfacente. Non c’era anima nel mondo degli affari.

Il che lasciava la domanda: dove voleva stare l’anima di Edward?

Finora, si era distratto con le opere di bene. Quando era furioso per quello che doveva soffrire sua madre, le umiliazioni della malattia, lei gli aveva dato un colpetto sulla mano. «Io sono fortunata, Edward. Ho tutte le migliori cure possibili e una famiglia amorevole. Questa è la natura, e la natura non è sempre indulgente. Ci sono tanti che non hanno il conforto che ho io.»

Così, mentre pensava a cosa fare della propria vita, aveva cominciato a mettere insieme una fondazione che mirava ad aiutare persone prive di assicurazione o supporto. Era un’impresa enorme, ma lui aveva sia i soldi che il senso degli affari per farcela.

«Tua madre sarebbe fiera di te», gli diceva spesso Carlisle.

Edward sospirò mentre tornava al presente. Guardò l’orologio, notando che era quasi mezzanotte. Com’era calzante.

Era quasi un anno dalla morte di sua madre. C’era in programma una veglia, ma sembrava che lui e Bella non ci sarebbero stati. Ma non pensava che a sua madre sarebbe dispiaciuto, in questo caso particolare.

«Mister Cullen?»

Edward si alzò in un batter d’occhio. «Mia moglie sta bene?»

L’infermiera sorrise. «Tutto a posto. L’ha perdonato. La rivuole con sé.» Gli diede una piccola pacca sulla spalla. «Non si preoccupi. Penso che stavolta la terrà con sé, papà. Stiamo arrivando al nono inning.»

Ansioso di tornare da Bella, Edward corse per il corridoio dell’ospedale.

Rosalie si alzò dal suo posto vicino a Bella, lasciando a malincuore che Edward prendesse il suo posto. Disse qualcosa a proposito di andare i caffetteria, ma Edward la sentì a malapena.

«Edward.» Bella sembrava sollevata mentre allungava la mano verso quella di lui. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto, Edward.»

«Shh, shh, tesoro.» Prese la mano di lei con tutte e due le sue.

«Mi ero solo incazzata, per un secondo, ma ho bisogno di te. Ho bisogno di te qui.»

«Sono qui. Non vado da nessuna parte. Te lo giuro.» Le scostò una ciocca umida dal viso. «Okay?»

Bella tirò su col naso, più calma. Appoggiò il viso sul palmo di lui. «Okay.»

Edward si chinò, premendole un lungo bacio sulla fronte prima di sedersi di nuovo al suo legittimo posto. Lasciò una delle sue mani tra quelle di lei e poggiò l’altra, come faceva sempre ultimamente, sulla sua enorme pancia. «Come sta la nostra bambina?»

«Meglio, adesso che ha sentito il dottore dire che potrò avere l’epidurale.»

«Grazie a Dio.»

«È quello che abbiamo detto.» Sospirò, premendo la mano contro la pancia. «Sono preoccupata.»

«Non c’è niente di cui preoccuparsi.»

«È in anticipo.»

«Il dottore dice che sta bene. Loro sanno cosa cercare, Bella.»

Lei strinse le labbra, ovviamente non comprando quello che lui cercava di venderle. «È colpa mia.»

«Bella.»

«No. Ricordi? Quando abbiamo saputo di lei, tutto quello che riuscivo a pensare era che avrebbe interferito con l’università. Di nuovo.» Sbatté la testa sul cuscino. «La vita non vuole che vada all’università. Sembrava la peggior cosa del mondo.»

«Bella. Tesoro, lei sta bene. Starà benissimo.» Le accarezzò la guancia con gentilezza. «Ricordi cos’è domani, vero?»

«Certo.»

«Io non credo che sia una coincidenza. Forse è la mamma che ti dà questo regalo. La scuola comincia tra due settimane, giusto? Potresti andarci, così. Ci hai pensato?»

«Non mi importa. Non mi importa più. Voglio solo che la nostra bambina stia bene.» La sua voce si spezzò e il cuore di Edward si strinse.

Era stanca. Aveva i dolori da un sacco di tempo. Edward avrebbe fatto di tutto per aiutarla. Si sentiva impotente, e lui non era bravo con l’impotenza.

Ma poteva essere forte per lei. Poteva essere forte per Bella e la loro figlia.

Prima che potesse consolarla, Bella boccheggiò. Afferrò la mano di lui mentre una forte contrazione la colpiva. «Respira. Respira. Sono qui.» Guardò il monitor, strofinandole la schiena con la mano. «Quasi finito, Bella. Hai quasi finito con questa.»

La contrazione si attenuò e Bella si afflosciò contro di lui.

«L’anestesista dovrebbe essere qui a momenti», le assicurò l’infermiera. «Vado a controllare dov’è.»

Edward sistemò il braccio intorno a sua moglie, tenendola vicina. Le baciò la tempia. «Sono così orgoglioso di te, Bella. Ti amo tanto.»

«Anch’io ti amo.»

Appoggiò la fronte contro quella di lei, mettendo di nuovo la mano sulla sua pancia. La loro bambina era quasi qui. Gli ultimi cinque mesi erano stati una corsa folle. Be’, in realtà erano stati nove anni folli. Edward non aveva idea di come fosse successo. Come era finito ad avere tutto ciò che voleva quando aveva diciotto anni? Oh, certo. Il lavoro significativo era ancora in divenire, ma tutto il resto era riuscito in qualche modo a ricucirlo insieme.

Era sposato con la donna di cui era innamorato da quando era ragazzino. Erano completamente innamorati, anche dopo tutto questo tempo, specialmente dopo tutto questo tempo.

Quando erano adolescenti, pensavano che poco prima dei trenta sarebbe stato un buon momento per mettere su famiglia. Ventisette. Dava loro il tempo di andare avanti nelle loro carriere ed essere comunque dei genitori giovani.

La loro nuova vita aveva avuto diversi ritocchi. A ventisette e ventotto anni stavano ricostruendo la loro relazione. Erano felici e stavano diventando più forti, ma non avevano neanche parlato di rendere reale il loro matrimonio prima che il bambino li sorprendesse.

Bella prendeva la pillola. O erano rientrati nell’1% o forse non l’aveva presa nel modo giusto. In un modo o nell’altro, era occupata con la scuola quando all’improvviso era svenuta al campus. Ripensando a sua madre, Edward andò nel panico e la portò da un dottore. Aveva detto che non c’era niente che non andava in Bella, ma solo che c’era un panino di quattro mesi nel forno di Bella previsto per due settimane dopo l’inizio del semestre autunnale.

Cambiò tutto, evidentemente. Bella si trasferì a casa sua, a casa loro, e all’improvviso c’era un bambino da progettare insieme al resto delle loro vite.

Erano felici, cautamente estatici, perfino. Era tutto fuori ordine, ma stavano abituandosi all’idea che avesse ragione John Lennon: la vita è quello che ti succede mentre sei occupato a fare altro.

Edward si schiarì la gola. «Hey. Ho una cosa per te.» Si mise la mano in tasca e tirò fuori l’anello di fidanzamento. Bella fece una mezza risata e Edward la guardò con un sorriso impacciato. «Hey, non c’è niente di normale qui, tanto vale farlo come si deve.» Allora il sorriso di lui si ingentilì mentre le prendeva la mano. «Bella Cullen. Madre di mia figlia. Amore della mia vita. Vuoi sposarmi, veramente sposarmi?»

Lei rise di nuovo, ma era un suono allegro, non ironico. «Certo. Sì, lo voglio.»

Il sorriso di Edward si allargò. Fece scivolare l’anello nel dito di lei e portò la mano alle labbra per baciarla. Lui voleva di più. Voleva una cerimonia. Non una cerimonia tradizionale, gli sembrava sbagliato senza sua madre, ma una di fronte ai loro amici, dove gli altri potessero vedere quanto erano felici.

Ma per ora, era lieto che portasse finalmente l’anello con tutto il sentimento che era giustamente assegnato a una cosa simile.

Una dottoressa apparve sulla porta in quel momento, e aveva un gran sorriso. «Il pusher è qui.»

«Oh, bene. Ero proprio in crisi di astinenza.»

La donna annuì. «Be’, vediamo cosa ho per lei, Mrs. Cullen.»

***

Bella era spenta, completamente prosciugata di ogni energia. E dolorante. Gesù Cristo, non era mai stata così dolorante. Muoversi era disagevole, per usare un eufemismo.

Un flebile miagolio la trasse dal suo stato sonnolento. Sorrise, voltando la testa verso quel suono. Aprì gli occhi e il cuore le si fermò alla vista meravigliosa che aveva davanti.

Suo marito teneva tra le braccia la loro figlia nuova di zecca. La guardava con meraviglia, in faccia il sorriso più sciocco mentre contava le sue minuscole dita, per la centesima volta, probabilmente.

Era stanca, indolenzita… e completamente felice. Nonostante le sue preoccupazioni perché era in anticipo di quattro settimane, sua figlia era bella e sana. Solo due chili e un po’, ma sana. E incredibilmente preziosa.

Nata a un anno di distanza, quasi nello stesso minuto in cui sua nonna era morta.

Bella ricordò quello che aveva detto Edward quando sperava, nonostante l’incertezza della loro relazione, che quella notte frenetica e di speranza che avevano passato insieme avesse innescato un'altra vita. Loro si amavano. Non importava cos’altro esisteva tra loro, quel bambino sarebbe stato concepito nell’amore.

Solo pochi mesi erano passati tra il potenziale bambino e quello vero, che differenza. Non erano pronti (anche se, chi è mai veramente pronto ad essere un genitore?) ma lei era stata concepita solo nell’amore, senza la rabbia e il dolore che li avevano circondati per tanto tempo.

Era ancora, come aveva detto Edward, una vita che cominciava mentre un’altra finiva.

La loro bambina non sarebbe stata qui, neanche loro sarebbero stati qui, se non fosse stato per Esme. La sua morte aveva dato loro una seconda possibilità di quella vita per cui nessuno dei due aveva lottato abbastanza.

La bambina strillò, ignorando le coccole di suo padre.

«Probabilmente ha fame.» La voce di lei era ruvida di sonno. Trasalì mentre si metteva seduta.

Edward alzò la testa, allargando il sorriso. «No, non credo. Stiamo parlando.» Guardò giù la bambina. «Non è vero, piccola? Tu vuoi parlare col tuo papà, vero?» Era proprio ridicolo. E adorabile.

E suo.

Tutto questo era suo. Loro erano suoi.

Bella sentì il cuore farsi così grande, non le entrava più in petto.

Prima che potesse parlare, sentì un rumore alla porta. «Hey», disse qualcuno, a bassa voce.

Edward e Bella alzarono gli occhi e videro Carlisle, Jasper e Alice sulla porta. Sbirciarono dentro cauti, ma quando videro che tutti erano svegli, entrarono tutti. «Siamo venuti prima possibile,» disse Carlisle. I suoi occhi erano sul fagotto tra le braccia di suo figlio.

Edward si alzò. «È arrivata in anticipo.» Guardò suo padre. «Vuoi tenerla?»

Gli occhi di Carlisle si illuminarono. Non rispose, ma allungò le braccia per prenderla. Bella guardò mentre Edward la posava sulle sue braccia. Guardò come il labbro di suo suocero tremava mentre guardava la sua prima nipote.

Fu un momento dolceamaro. Il cuore di Bella faceva male. Avrebbe tanto voluto che ci fosse Esme, lì con loro. Poteva immaginarsi perfettamente il modo gioioso in cui avrebbe sorriso. Sentì una fitta di senso di colpa. Se soltanto lei avesse…

Ma no.

Aveva chiuso con i se soltanto. Aveva una buona vita e non l’avrebbe cambiata con niente al mondo. Neanche per qualunque vita avrebbe avuto se non avesse spezzato il cuore di Edward e il suo.

Non esiste vita senza guai, dolore e rimpianto, dopotutto.

«L’abbiamo chiamata Mae», disse Bella. «Mae Serena Cullen.»

Carlisle la guardò con gli occhi lucidi. Le sue labbra si piegarono in un sorriso, e inalò un respiro tremante. «È perfetto.» Alzò la bambina verso di sé e le diede un bacio sulla fronte. «Benvenuta al mondo, piccola. Sono così felice di conoscerti.»

Alice e Jasper scivolarono dietro Carlisle. Jasper offrì a Edward una stretta di mano di congratulazioni e una pacca sulla spalla mentre Alice abbracciava Bella.

Le cose andavano meglio, tra loro, in particolare da quando Alice era tornata da Milano due mesi prima. Alice era molto più calma adesso. Aveva trovato pace nell’idea che sua madre avrebbe voluto che vivesse la sua vita senza pastoie e limitazioni, e dato che Edward era felice come una pasqua in quei giorni, non aveva motivo di essere arrabbiata con Bella. Non erano ancora amiche, ma questa cosa era all’orizzonte.

Dopo che Jasper l’ebbe baciata sulle guance e si fu congratulato con lei, tutti si spostarono. Alice e Jasper si avvicinarono a Carlisle e alla bambina. Edward tornò di nuovo vicino a Bella. Le prese la mano e gliela baciò con dolcezza e reverenza, e quando lei lo guardò negli occhi, vide che era raggiante. E lei era sicura di avere lo stesso enorme sorriso in faccia.

Chinò la testa contro di lei e sospirò mentre chiudeva gli occhi.

Che corsa strana e surreale era stata, per arrivare fin qui.

Venne in mente a Bella che la vita non è fatta per essere progettata. Ogni volta che aveva provato, aveva fallito miseramente. Forse non aveva bisogno di un piano, ma di una prospettiva.

Magari non era una laureata, ma era una buona figlia, una buona amica.

Magari stava guardando in faccia i suoi ventotto anni con un curriculum che la etichettava come cameriera di fast food, ma era anche una moglie, e adesso una madre.

Magari aveva inciampato per arrivare qui, ma aveva una bella figlia, un suocero affettuoso, una seconda famiglia, e un marito che era un vero compagno di vita.

Voltando la testa, Bella prese le labbra di Edward in un bacio. «Ti amo», sussurrò.

Edward le sorrise, un uomo totalmente diverso da quello che aveva bussato alla sua porta un anno e qualche mese fa. Prendendole la mano, passò il pollice sopra il suo anello. «Sempre», promise.

E suggellò la sua promessa con un bacio.




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Capitolo 23
*** Epilogo ***


CONTRACTUALLY BOUND, è stato scritto in inglese da LyricalKris e tradotto in italiano da beate.
A questo indirizzo potrete trovare la versione originale.
https://www.fanfiction.net/s/9193694/23/Contractually-Bound




Ringrazio tutti quelli che hanno seguito questa storia e in particolar modo quelli che hanno lasciato una recensione, non ho potuto rispondere singolarmente a tutti ma ho letto e molto apprezzato i vostri commenti. Grazie ancora e alla prossima, che inizierà presto: sarà ancora nel fandom di Twilight e si chiamerà All the Wild Horses




Epilogo Sulla scia della morte di Esme, i suoi cari avevano perduto tutti molto, ma ne avevano anche guadagnato. Edward e Bella si erano ritrovati. Alice aveva trovato la libertà. Tutti avevano guadagnato uno scopo. Per quanto in modo dolceamaro, le loro vite erano cambiate in meglio.

Eccetto per Carlisle.

Aveva un sacco di giorni buoni. Come aveva previsto, Carlisle trovò pace e uno scopo nella sua vita, giorno per giorno, in ospedale. Era sempre stato bravo in quello che faceva. Aveva Edward, Bella e Mae con sé ogni giorno. Alice stava trovando la sua strada nel mondo, e il suo successo gli dava soddisfazione.

Ma lo stesso, una parte essenziale della sua vita mancava. In certi giorni, sembrava che Carlisle fosse morto insieme ad Esme, e il suo corpo aspettasse solo di raggiungerla.

In quei giorni più bui, Carlisle spesso si sedeva sulla sua poltrona preferita e guardava il cortile. Bella non chiedeva mai, ma pensava che immaginasse Esme là fuori, a occuparsi del loro giardino nascente. Edward e Bella provavano, ma Esme avrebbe reso quello spazio un paese delle meraviglie verdeggiante. Guardava fuori per ore, ignorando tutti. Edward e Bella non potevano raggiungerlo.

Quando era di questo umore e Mae lo trovava sulla sua poltrona, gli prendeva le mani e lo tirava. «Gioca con me, nonno. Gioca con me.»

Carlisle resisteva sempre, all’inizio. Bella capiva la depressione, e come risucchiasse energia dal midollo delle ossa. Ma Mae era una ragazzina testarda. Era gentile ma insistente. Riusciva sempre a far alzare suo nonno dalla poltrona e a farlo giocare. Se c’era qualcuno che poteva ancora farlo sorridere, era lei.

Mae era a dir poco un miracolo, in così tanti modi. Era la dimostrazione fisica che qualcosa di bello poteva venir fuori da un amore che era stato così contorto come quello di Bella e Edward. Oh, potevano aver avuto delle belle vite l’uno senza l’altro, ma non era questa la mano che il destino aveva deciso. Quattro anni dopo la morte di Esme, erano più forti che mai, innamorati follemente l’uno dell’altro e della loro bambina.

Guardando la sua bambina, che aveva gli occhi di sua nonna e la sua infinita capacità di amare, Bella non poteva fare a meno di chiedersi se Esme non avesse mandato un dono per tutti loro. Era stato sapere che Mae era in viaggio che aveva dato a Bella e Edward la spinta finale. Bella si era trasferita da Edward e aveva accettato il suo aiuto per la scuola. Addolorato dalla consapevolezza che sua figlia non avrebbe mai conosciuto sua madre, Edward aveva deciso di aver trovato la sua vocazione nell’organizzazione che aveva fondato. Voleva aiutare le persone ad avere una seconda possibilità di crescere le loro famiglie e stare con i loro cari.

E poi, naturalmente, c’era il conforto che Mae portava a Carlisle.

Le risatine di Mae si diffondevano dal prato di sotto. Bella sorrise guardando sua figlia correre su e giù sopra l’erba, zigzagando per evitare Charlie e Carlisle che la rincorrevano. Strillò quando Carlisle la prese e la alzò in aria. Lui aveva un gran sorriso mentre le dava un bacione sulla guancia. Ancora ridacchiando, Mae le mise gli braccia magre attorno al collo.

Era bello vedere Carlisle così leggero e contento. L’anniversario della morte di Esme poteva essere un giorno così triste. Ma per il terzo anno, la giornata fu invece piena di famiglie, amici e una bambina sorridente con la faccia coperta della torta di compleanno.

Bella fu tratta all’improvviso dai suoi pensieri quando due braccia la strinsero alla vita da dietro. Sorrise e si rilassò, appoggiando la schiena al petto di Edward. Lui strofinò il naso sui suoi capelli, intrecciando le dita con quelle di lei.

«Penso che potrei essere un veggente», disse, la voce bassa contro il suo orecchio. Bella rabbrividì alla vibrazione che sentì nel sangue.

«Cosa te lo fa pensare?» Lei inclinò la testa in alto, così da sfregare la guancia con la sua. Le piaceva la sensazione della barba sulla sua pelle.

«Ricordi quando eravamo venuti a vedere questa casa?»

Lei ridacchiò. La vita sembrava così diversa, allora, piena di speranza, ma con un grande punto interrogativo per entrambi. «Me lo ricordo.»

«Tu stavi qui, e guardavi fuori dalla finestra proprio così.» Mentre parlava le accarezzava i capelli sulla spalla e cominciò a darle piccoli baci di lato al viso. «Ho avuto una visione, chiara come il giorno. Ti ho vista qui, nella nostra stanza, a guardare i bambini che giocavano sul prato.»

Bella sospirò, inclinando la testa così che potesse mordicchiarle il collo. «Bambini? Ne abbiamo solo una.» «Be’, volevo parlarti di questo.» Le sue mani le accarezzavano i fianchi, ma poi le spostò, mettendo entrambi i palmi sulla sua pancia. «Ti sei laureata, hai cominciato a lavorare…»

«Ho appena cominciato a lavorare.» Aveva l’impressione di sapere dove stava andando a parare.

Lui annuì contro la sua guancia. «Ma se cominciassimo a pensare a un fratellino per Mae. Solo cominciare a pensarci. Ci possono volere mesi perché resti incinta. E poi ne servono altri nove in forno.»

Bella sospirò e si voltò tra le sue braccia. Gli mise le braccia al collo.

Quando erano giovani e innamorati per la prima volta, avevano parlato di figli. Cinque figli erano stati parte del loro originale, rigido piano per la vita.

Avrebbero dovuto parlare per vedere se la pensavano alla stessa maniera, ma a Bella piaceva l’idea di averne due. E aveva pensato che sarebbe stato bello dare un fratello a Mae prima che ci fosse una differenza d’età troppo grande.

Bella prese tra le mani il viso di Edward. Si prese un momento per apprezzare l’amore che vedeva nei suoi occhi, il suo sorriso, poi lo baciò profondamente. «Dovremmo pensarci.»

Il sorriso di lui avrebbe potuto illuminare la stanza.

«Ma prima dobbiamo badare a quella che abbiamo.»

Lui annuì. «Alice e Jasper saranno qui tra un’ora. Jasper mi ha già avvertito che il loro sedile posteriore è pieno di regali.»

Bella emise un lamento. «E ha già una montagna di regali da tutti gli altri. Ci vorrà un’ora solo per calmarla stasera, con tutta questa eccitazione.»

Edward si chinò baciandola un’altra volta e accarezzandole la guancia. «Ti amo, lo sai.»

«Anch’io ti amo. Sempre.»

***

Quella sera, quando Mae finalmente si addormentò, era tra le braccia di suo nonno, Edward seguì Carlisle nella stanza di Mae e lo guardò mentre la metteva a letto. Quando vide che non si muoveva per andarsene, Edward gli si avvicinò.

Per un lungo momento, nessuno dei due parlò. C’era uno strano sguardo negli occhi di Carlisle mentre si arrotolava intorno al dito uno dei riccioli color caramello di Mae.

Quando alla fine parlò, la sua voce era bassa e distante. «In un momento di debolezza egoista, ho chiesto a tua madre come pensava che avrei potuto vivere senza di lei. Era doloroso anche da immaginare. Lo è ancora. Pensando a tutti gli anni che dovrò vivere senza di lei…»

Edward era stupito. Carlisle si persuadeva raramente a parlare solo di Esme, figuriamoci della sua morte. Mise una mano sulla spalla di suo padre, facendogli semplicemente sentire una presenza confortante.

Carlisle sospirò. «Lei mi ha detto, ‘Vivere è una scelta. Hai scelto di accogliere la vita. Dolore e tutto. E tu hai tanto per cui vivere’.» Scosse la testa. «Forse questo mi rende un cattivo padre...»

«Papà. No.»

«...ma io semplicemente non lo vedevo. Non vedevo come valesse la pena di vivere, perfino per te e Alice. Si muore anche di crepacuore. Per tanto tempo sono stato… arrabbiato che non succedesse a me.»

Passò la punta delle dita sulla guancia di Mae prima di alzare gli occhi su Edward. «Tua madre aveva ragione. È una scelta, no? Una scelta quotidiana. Tu respiri attraverso il dolore perché c’è tanto per cui vivere.» Allungò la mano e strinse il braccio di Edward. «Sono contento di essere ancora qui.»

Edward non sapeva cosa dire, così abbracciò suo padre. «Ne sono felice anch’io, papà.»

Pochi minuti dopo, data la buonanotte a suo padre, si fermò fuori dalla stanza da letto, cercando di raccogliere i suoi pensieri.

Pensò alla scelta di superare finalmente il dolore di quello che Bella gli aveva fatto tanto tempo prima. Pensò alla scelta di Bella di perdonargli ogni cosa vile e cattiva che le aveva detto e fatto nella sua rabbia. Pensò alla loro scelta di dipanare il casino complicato che era il loro passato e presente, così da poter avere un futuro insieme. Pensò a come aveva scelto di vivere dopo otto anni di mera sopravvivenza.

Edward chiuse gli occhi e ringraziò silenziosamente sua madre. Lei era la sua coscienza, la voce nella sua testa che l’aveva condotto verso il meglio nella sua vita, a scegliere l’amore invece dell’apatia. Era stata quella che gli aveva insegnato come amare e come lottare per ciò che voleva. Era quella che gli aveva insegnato come perdonare e come chiedere perdono.

Il cuore gli faceva male, e sperò che potesse vederlo adesso, vedere come era felice.

E poi spinse la porta, tornando da sua moglie, e sperò di amarla così, profondamente come Carlisle aveva amato Esme, per il resto della sua vita. Qualunque cosa accada, gioia o dolore, per tutta la vita e oltre.




FINE

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