DIE TO LIVE

di chiara_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lutto ***
Capitolo 2: *** Attacco informatico ***
Capitolo 3: *** motociclista misterioso ***
Capitolo 4: *** Fantasmi ***
Capitolo 5: *** Tornare a respirare ***
Capitolo 6: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 7: *** Un piacevole contrattempo ***
Capitolo 8: *** E' me che sta coprendo... ***



Capitolo 1
*** Lutto ***



LUTTO

 
 
La giornata era grigia, le nuvole piangevano lacrime leggere e il vento soffiava come un singhiozzo impercettibile. Molti ombrelli iniziavano ad aprirsi, le persone cercarono riparo dal mal tempo e molti si ritiravano nelle proprie auto per andare via. Tutti tranne uno.

-Papà…- Alexis si voltò verso l’unico rimasto sotto la pioggia, ma venne fermata dalla presa leggera di sua nonna che le fece cenno di non avvicinarsi.

Lontano da loro Richard Castle, famoso scrittore di gialli e padre straordinario, aveva il volto bagnato dalla pioggia e dalle lacrime. Gli occhi di un blu scuro, lucidi per le troppe lacrime di quei giorni, e il contorno degli occhi arrossato. Le labbra che tremavano. Il respiro affannoso. Le gambe che cedevano nel fango creatosi sotto di lui. La nuova lapide che era stata inserita nel cimitero della città si affiancava a quella di Johanna Beckett…vittima di un omicidio. Quella nuova era di Katherine Beckett…caduta in servizio con onore.

-Oh…Kate- i singhiozzi gli impedivano di formulare qualsiasi discorso –avevo così tante cose da condividere conte…mi mancano le tue mani che mi accarezzano, le tue labbra che mi baciano…e quell’inebriante aroma di ciliegie…- lacrime copiose continuarono a correre lungo le sue guance –volevo prepararti altri caffè…vedere il tuo sorriso o il tuo sguardo per qualcosa di buffo che ho detto- singhiozzi –volevo…- si fermò –volevo fare così tante cose con te…avevo dei progetti, capisci? Dei progetti di vita…così tante cose…- le mani gli coprirono il volto distrutto.

Una mano si posò delicata sulla sua spalla, voleva mandare via quella persona, non aveva il diritto. I suoi occhi si voltarono verso la mano, ripercorrendo tutto il braccio e raggiungendo gli occhi grigi di Jim Beckett, anche lui con lo sguardo sconvolto.

-Vieni ragazzo…devi essere forte per lei…non vorrebbe vederti in questo stato- gli dette una leggera pacca sulla spalla e gli porse la stessa mano per tirarlo in piedi. Richard non si oppose, poteva capire il dolore di quell’uomo…avevano perso entrambi la donna che amavano, anzi…lui aveva perso due donne che amava. –Fa male…- mormorò, avvolto dall’abbraccio di un uomo che aveva imparato a convivere con il dolore.

-Lo so…vorrei dirti che passerà, ma non è così…potrai sentirti meglio, ma non riuscirai mai a dire ‘sto bene’- si guardavano negli occhi –ma devi essere forte…devi essere forte per te stesso, non commettere i miei stessi sbagli…sii forte e resisti per loro- si voltarono verso la famiglia dello scrittore e quella che si era formata in quegli anni.

-O…Ok…ok…sarò forte per…sarò forte per lei e per loro- annuì lui, asciugandosi le lacrime e cercando di sorridere, forse uno sforzo eccessivo per il momento. Si avviarono verso le macchine parcheggiate, ma qualcosa attirò l’attenzione dello scrittore, che si bloccò sul posto, fissando un punto preciso del cimitero.

Un uomo con un cappuccio stava osservando tutto da un punto lontano. Non poteva essere un caso. Non esistono le coincidenze, lo aveva imparato da tempo. Quindi. Chi era quell’uomo?

-Hey…- urlò lo scrittore, avviandosi verso di lui, favorendo solo la sua fuga –fermati…chi sei…fatti vedere bastardo!!- urlò, iniziando l’inseguimento. I detective che erano li avevano notato il soggetto in movimento e seguirono lo scrittore nell’inseguimento.

Corsero fino ad uno svicolo coperto da una siepe. Raggiunto il punto, non c’era nessuno per l’intera spianata. –Dove diavolo è finito?- ansimarono i due detective, alle spalle di Richard. –Chi era?-

I tre si allontanarono dalla zona, intimando allo scrittore di tornare a casa e che ci avrebbero pensato loro alle ricerche. Non poteva essere sparito nel nulla.

I tre indagarono a fondo, ma nessuna traccia, indizio o testimonianza aveva aiutato nell’indagine e la settimana passò tra rabbia, tristezza e dolore.


Richard entrò in casa dopo l’ennesima giornata fallita. Alexis lo salutò con un bacio, rimettendosi a studiare per il master che aveva deciso di prendere, e Martha un copione appena ottenuto. Lo scrittore si sedette sul divano, dopo essersi versato un bicchiere di scotch. La sua mano si poggiò su qualcosa di metallico, un orecchino s’oro bianco a goccia con uno smeraldo incastonato.


-Ti ho fatto un regalo…- Richard e Kate erano seduti sul tavolo di un ristorante, era il loro primo appuntamento dopo essere usciti allo scoperto con tutti.

-Anche io ho qualcosa per te…per ricordare il momento- sfoggiò uno dei suoi meravigliosi sorrisi. Prese una scatolina e gliela porse.

-No…n dovevi…- gli brillarono gli occhi al pensiero che anche lei aveva pensato a quel giorno in quel modo. Era un’orologio…Breil Miglia, azzurro. –E’ bellissimo…lo sganciò per metterselo subito al polso e notò subito l’incisione sul retro. Always. –Mi correggo…è magnifico- sorrise, baciandola sulle labbra. Poi le passò il suo regalo.

Kate sorrise, mostrando uno speciale luccichio agli occhi. La scatolina conteneva dei preziosi orecchini d’oro bianco a goccia, con una splendido smeraldo incastonato rea le altre piccole pietre trasparenti. –Oh…sono…bellissimi- si apprestò a togliersi i suoi ed indossare il regalo per vedere come le stavano. –Allora?-

-Sei perfetta…si intonano alla luce dei tuoi occhi…- si sorrisero nuovamente e le loro labbra si unirono in un dolce, tenero ed intenso bacio.



-Papà…stai bene?- Alexis si stava preoccupando era la quarta volta che lo chiamava. Il suo sguardo perso nei ricordi si spostò malvolentieri sulla figlia, ricordandogli la dura verità.

-Si…si, sto bene…- distolse lo sguardo nel sentire una lacrima di dolore scenderle sulla guancia.

-P…- Alexis, si apprestò a dire qualcosa, ma venne fermata da sua nonna. Martha le fece cenno di seguirla. –Le parole non servono…dobbiamo fargli sentire la nostra vicinanza…- sussurrò, facendole capire cosa intendesse. Si avvicinarono a Richard e lo avvolsero in un abbraccio. A quel contatto le lacrime iniziarono a fluire e tutti e tre iniziarono a piangere silenziosamente.


La mattina arrivò prepotente, con la sveglia del cellulare che suonava insistente. Il suo corpo si lamentò tra le coperte, voltandosi verso la parte vuota del letto. Rimase a fissare quel punto per qualche minuto. Poi, come ogni mattina, dalla sua assenza, si alzò…preparò i vestiti e si infilò sotto la doccia. Prima di spengere l’acqua corrente, si lasciò inebriare qualche minuto dall’aroma di ciliegie del bagnoschiuma di Kate. Gli occhi chiusi al ricordo della prima volta che se ne era accorto.

In cucina preparò la colazione per sua figlia e per sua madre. Per se preparò un cappuccino, non più come lo prendeva di solito, ma come piaceva a Kate. Si accertò che i fornelli fossero chiusi ed uscì di casa alle sette del mattino. La sua prima tappa, il cimitero…per incontrare la sua amata, come faceva ogni giorno. Raggiunse il bar davanti al dodicesimo e comprò due caffè, per mantenere viva l’abitudine. Entrò nel piano della omicidi e con un finto sorriso si avvicinò ai due detective appena arrivati.

-Hey…Castle!- lo salutarono, voltandosi verso di lui. –Vi ho portato il caffè- gli porse i due bicchieri.

-Oh…grazie- sorrisero lieti per il gesto, nonostante fossero a conoscenza della motivazione –perché non vieni con noi da Vikram? Ha detto di avere delle novità…- si alzarono e si diressero nell’ufficio che la Gates aveva fatto mettere nel piano. Lei era tornata al suo vecchio incarico per dare supporto alla sua vecchia squadra, ormai la sua famiglia.

-Siete arrivati…- il neo membro della squadra stava picchiettando sulla tastiera dei suoi molti computer –ho fatto delle ricerche sull’individuo che era al funerale…guardate qui- indicò tutti i cinque schermi davanti a loro.

Nel primo c’era la data del funerale e si vede l’individuo scomparire all’interno di un tombino dopo l’inseguimento. –Ecco come ci è sfuggito…le persone non scompaiono così- si irritò Esposito.

-Non è per questo che vi ho chiamati…- li riportò sul secondo e sugli altri quattro schermi –guardate-

-Ma è sempre lui e…- indicarono gli schermi -…segue Castle?! Pensavo avessimo chiuso quella faccenda con la morte di Beckett- si morse la lingua per quello che aveva detto, ma Rick gli assicurò che andava bene.

-Esatto…a quanto pare il nostro uomo ti segue da quel giorno all’ospedale…- annuì Vikram –forse, potreste mettere una telecamera tra gli occhiali di Castle e seguirlo in tutti i suoi movimenti, forse riusciamo a prenderlo-

-Facciamolo…ho anche gli occhiali con la telecamera- si sbrigò ad uscire dalla stanza.

-Come?- si sorprese Vikram. –Glieli ha regalati Beckett- lo informarono, seguendo subito lo scrittore.

 
Richard camminava per New York con disinvoltura. Ryan ed Esposito lo seguivano a distanza, facendo finta di guardare vetrine e passanti. –Castle a ore tre- la voce di Vikram risuonò dall’auricolare nell’orecchio. Lo scrittore guardò nella direzione indicata. Eccolo. L’uomo incappucciato si accorse dei suoi occhi puntati contro di lui e iniziò a confondersi tra la folla. Richard ormai ci aveva fatto l’abitudine con Kate, riconoscere i sospettati tra la folla.
Lo seguì fino ad un vicolo. Era vuoto.  Ryan ed Esposito era rimasti indietro. I suoi passi iniziarono a percorrere tutto il vicolo per cercare eventuali vie di fuga, ma niente.  Poi si accorse di una porta incastrata sul muro, era semiaperta. Entrò con un po’ di paura in volto.

-Sei diventato davvero bravo ragazzo…ti faccio i complimenti- l’uomo incappucciato uscì dall’ombra di un angolo, facendo calare il cappuccio sulle spalle.

-Papà…che ci fai qui? Perché mi stai seguendo? Che cosa sta succedendo? Perché non ti sei mostrato prime? Perché…- venne fermato dal padre che lo zittì con un dito.

-Smettila di fare tutte queste domande, sai che no posso rispondere a nessuna- si sedettero su un vecchio baule. –Ti sto solo seguendo per proteggerti e vedere come stavi-

-Sto…bene- sospirò, preoccupandosi poi dell’auricolare.

-Tranquillo…ho un modificatore di frequenza, i tuoi amici staranno ascoltando qualche radio brasiliana- sorrise, assicurandosi delle reali condizioni del figlio.

-Come sapevi che cos’era successo? Pensavo ti stessi nascondendo- incrociarono i loro sguardi.

-Rita…mia moglie, mi ha informato lei dei fatti…mi dispiace così tanto figliolo- gli mise una mano sulla spalla per dargli conforto.
-Anche a me…-

-Avrei tanto voluto vedere dei piccoli Castle intorno a voi…sarebbe stata un’ottima madre- pensò l’uomo.

-Si…lo credo anch’io…avrei voluto fare ancora tante cose con lei- si passò una mano tra i capelli il volto dolorante.

-Hai dei rimpianti?- gli chiese alla fine suo padre.

-No…l’ho amata…l’amo più di qualsiasi cosa al mondo…e SEMPRE sarà così- si alzarono, sentendo i passi dei due detective avvicinarsi.

-Io devo andare, ma ricorda…non dimenticarti di lei, non perderti nel dolore, ricordala per la donna forte e straordinaria che era…perché Katherine Beckett è una donna straordinaria…lo rimarrà dentro di noi-

-Sempre- annuì Rick, sentendo i suoi colleghi che lo chiamavano.

-Devo andare…- si rimise il cappuccio e si allontanò dalla luce.

Lo scrittore si avvicinò alla porta e ne uscì molto scosso. Anche suo padre si stava preoccupando di lui, a modo suo. Come l’avrebbe spiegato ai suoi colleghi?
-Che è successo? Un momento ti stiamo dietro e sentiamo quello che dici e quello dopo sei sparito e noi ascoltiamo la samba- brontolò Esposito, riponendo la pistola nella fondina.

-Scusatemi, forse nell’edificio c’è interferenza…sono entrato per vedere se il sospettato fosse li ma…niente- scrollò il capo deluso.

-Diamo un’occhiata anche noi…- si avviarono alla porticina da cui era uscito.

-Non c’è bisogno ragazzi…ho già controllato io…e poi…- si paralizzò, vedendo che in quella singola stanza non c’era più nessuno. Ormai doveva averci fatto l’abitudine con suo padre e invece…


Qualche ora più tardi Rick era tronato a casa per la cena e trovò sua madre e Alexis pronte per fargli una ramanzina.

-Perché non ci hai chiamate? Eravamo così in pensiero…ci ha chiamate Esposito e ci ha detto dell’inseguimento…ma che ti salta in testa!- lo riprese sua madre.

-Non sei un poliziotto e non c’è più Beckett a coprirti le spalle- puntualizzò Alexis, ricevendo una gomitata da sua nonna –scusa- si rese conto delle sue parole.


Richard rimase muto per qualche minuto per pensare ad altro. –Non vi ho chiamate perché non era successo niente di grave e poi…c’erano Esposito e Ryan a proteggermi- guardò sua figlia.

-Io vado in camera da letto…- annuì Alexis, capendo la grossa Gaffe che aveva fatto con suo padre.

-Allora? Qualche novità?- Martha conosceva bene suo figlio e sapeva che in realtà era successo qualcosa.

-E’ mio padre…- la guardò stranirsi –si…è mio padre, l’uomo con il cappuccio…voleva sapere come stavo- la informò.

-Jackson? E’ qui?- si sorprese la rossa. –Si…ha detto che mi sorvegliava in caso avessi bisogno o solo per accertarsi che stessi bene- si versò un bicchiere di vino bianco.

-Accidenti? Cosa dirai ad Esposito e Ryan? Non puoi certo dirgli chi è…- lei sorseggiò un po’ del suo vino.

-Certo che no, ci penserò domani…ora non ho voglia di pensare, sono nel mio ufficio se avete bisogno- si chiuse la porta alle spalle.

-So che non puoi sentirmi ma…grazie Jackson…- Martha alzò il suo calice grata all’uomo che gli aveva regalato suo figlio.

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-Per poco non mi scopriva…l’hai addestrato bene- Jackson Hunt apparì all’interno di un locale dismesso e privo di luce, se non fosse per la debole lamapada posta su un tavolino.
-Si beh…è stato un buon alunno…- una voce sensuale e rotta dal dolore provenne da un lettino posto vicino ad un muro –cosa gli hai detto?-
-Che ero qui per proteggerlo e per assicurarmi che stesse bene, è la verità…anche se ho volentieri omesso la parte in cui sua moglie è viva o così si può dire nelle sue condizioni e cha la sto aiutando a nascondersi per evitare che persone innocenti finiscano nel mirino di Loksat- annuì rapido.
-Hai la stessa parlantina di Richard, un giorno capirà…spero solo che arrivi presto- la donna nell’ombra cercò di alzarsi, emettendo un lamento straziante.
-Ferma…ferma, farai saltare i punti…resta giù…finché non ti sarai rimessa, prometto di proteggere Richard al posto tuo, è mio figlio- le controllò le bende sul corpo e eventuali sanguinamenti. –Sta giù Kate…- le strinse la mano per darsi forza a vicenda.


SALVE A TUTTI SONO CHIARA E SONO UNA GRANDE FAN DI CASTLE. PER LA NOSTALGIA CHE INIZIO A PROVARE HO PENSATO CHE SCRIVERE RIGUARDO A QUESTA SERIE MI AVREBBE AIUTATA A MANTENERE VIVI I LORO PERSONAGGI, ANCHE SE RIMARRANNO SEMPRE VIVI NELLO SCERMO. SPERO CHE LA MIA STORIA VI POSSA INTERESSARE, VI RINGRAZIO PER LA LETTURA. SE VOLETE FARMI SAPRE COSA NE PENSATE MI FARA' MOLTO PIACERE. PER IL RESTIO, GRAZIE E AL PROSSIMO CAPITOLO. 

 
CHIARA

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Capitolo 2
*** Attacco informatico ***


ATTACCO INFORMATICO

 

-No…nonono…- Vikram imprecava contro i suoi computer che stavano fallendo vivamente quella battaglia informatica. La sua reazione fece preoccupare vivamente i due detective e lo scrittore, che lo raggiunsero immediatamente.

-Che succede? Qualcosa su Locksat?- chiese Esposito, ormai quasi il capo gruppo.

-Qualcosa...- la faccia dell’informatico rivelava il terrore –qualcuno è entrato nei file superprotetti sulla nostra indagine segreta e sta cancellando ogni cosa…- spiegò, cercando di recuperarne anche una piccola parte.

-COSA?!!- tutti lo guardarono schioccati, compresa Hailey che era arrivata in quel momento.

-Si…vi ricordate la manovra che ho usato per tenervi fuori dai file che tenevo segreti con Beckett?- li vide annuire –qualcuno sta usando un’abilità inversa…ruba e cancella ogni cosa dalla fonte originale, senza che noi possiamo fare qualsiasi cosa- le sue mani passavano sulla testa tremanti. Mesi e mesi di indagini su una mega operazione andati in fumo a causa di un hacker informatico, molto…molto, bravo.

-C’è modo per recuperare anche una parte delle indagini?- sperò Rick, sapendo che gli unici indizi riguardo gli assassini di sua moglie stavano scomparendo sotto i loro occhi. La sua testa iniziò a ragionare in automatico e con il suo nuovo, potente, telefono fotografò gli schermi dei computer con ancora le immagini di alcuni documenti. I suoi compagni lo seguirono, ma fu troppo tardi, perché ogni schermata diventò nero.

-MERDA!!- Rick sbatté violentemente la mano sul tavolino dietro di loro, facendo sobbalzare Hailey.

-Castle…- cercò di calmarlo Esposito, vedendo che da fuori stavano guardando tutti lo scrittore.

-Lo so…lo so…- uscì sbattendo la porta e raggiungendo la macchinetta del caffè.

Le sue mani tremavano per la rabbia, la delusione, il dolore, la nostalgia e la malinconia…tutti i sentimenti negativi che esistevano lo stavano attraversando. Le sue mani iniziarono a smanettare con la caffettiera costosa che aveva comprato anni addietro. Era talmente agitato che non riusciva ad incastrare il pezzo. Lui, il mago del caffè, non riusciva ad incastrare il pezzo della macchina con la cialda. La sua mano reagì d’impulso. Lanciò l’oggetto contro la macchina violentemente, causando un guasto a qualcosa. Iniziò a prenderla a pugni e poi le mani finirono sul bancone, lo tenevano stretto come se potesse scomparire.
Aria…iniziava ad essere caldo in quel distretto. Furono i suoi partner, che chiamandolo e dicendo qualcosa che non aveva capito, lo avevano riportato alla realtà e a capire dove si trovasse. Non riusciva a parlare, l’unica cosa che fece fu prendere la sua giacca dalla sedia vicino alla scrivania di Esposito( ex scrivania di Beckett) e alzare una mano per dire di non seguirlo…lasciando chiudere le porte dell’ascensore alle sue spalle. Senza guardare nessuno se ne era andato dall’edificio.


 
-Sono passate dieci ore…nonna, dobbiamo andare a cercarlo, cosa facciamo? Ho paura…nonna, che facciamo?- Alexis camminava avanti e indietro senza sosta. Aveva l’ansia da quando i bro l’avevano chiamata per raccontarle l’avvenuto e sapere se Richard stesse bene. Come faceva a saperlo? Era sparito da dieci ore…e non aveva neanche chiamato!!

-Vedrai che ora ritorna…sono solo le sei del pomeriggio…- Martha era preoccupata, ma cercò di nasconderlo, facendo quello che solitamente la calmava, bere un bicchiere di vino…o forse due…per calmare i nervi.

-Perché non ha chiamato?- era arrabbiata, la giovane della famiglia. Aveva tanta voglia di prendere suo padre a calci per la preoccupazione che le procurava da settimane.

-Forse gli si è scaricato il telefono, non so cara…- disse, notando l’apprensione della ragazza.

La porta del loft fece un piccolo scatto. Segno che il padrone di casa era tornato e le due rosse si fiondarono subito al suo cospetto.

-MA CHE FINE HAI FATTO? SONO ORE E ORE CHE TI CERCO…CHE TI CHIAMO!! PERCHE’ SEI SPARITO COSI’? LA SMETTI DI FARCI PREOCCUPARE IN QUESTO MODO???- Alexis era furibonda con il padre.

Richard la guardò semplicemente. Aveva lo sguardo distrutto. Gli occhi arrossati e il volto sbiancato. –Avevo da fare…ora vado in camera mia…non aspettatemi per cena…- disse loro.

-COSA…COSA?- Alexis si parò davanti a lui.

-Alexis…cosa vuoi? Lasciatemi in pace…lasciatemi vivere il mio lutto…fino ad ora non capivo cosa volesse dire, cosa provasse lei ogni giorno…e ora, avrei preferito non saperlo- la scostò –ora vado in camera mia…ho bisogno di stare da solo-

-Prima dicci almeno dove sei stato…- la ragazza addolcì il tono -…per favore, vogliamo sapere solo dove sei stato…- 

-Sono stato nel vecchio appartamento di Kate…e no…non sto bene…forse non starò bene per un po’- sparì dentro la camera.

Alexis e Martha si guardarono sconsolate e tristi nel vederlo così. Non era il solito Rick Castle. Era distrutto dal dolore.

Richard era steso sul suo letto, aveva indossato una tuta e teneva tra le mani una maglietta di Kate, aveva ancora il profumo della sua pelle. La porta che si schiudeva lentamente, lo destò da tristi pensieri. –Quando sono entrato in quell’appartamento, mi è sembrato di averla vicino a me…quella casa aveva la sua energia. Mi sono seduto su quel divano, mi sono steso sul suo letto, ho guardato nello specchio dal quale mi sorrideva ogni mattina mentre si vestiva- una lacrima scese sulla sua guancia –poi prima di uscire ho notato qualcosa…aveva inciso le sue iniziali, erano bellissime…sono rimasto ad accarezzarle e ammirarle per ore…poi ho trovato questa scatola…- prese la scatola che aveva vicino al suo letto –non l’ho ancora aperta-

Martha si sedette sul bordo del letto come quando aveva avuto un brutto sogno nella sua infanzia. –Aprila…se ti farà stare bene…aprila- lo invitò.
Richard sentì la mano di sua madre asciugargli il volto e osservarlo nell’aprire la scatola.

All’interno c’era un romanzo di Richard, il suo primo per l’esattezza. In a Hail of a Bullets. Non c’era altro. Lo aprì deluso nel vedere che era solo uno dei suoi stupidi libri, ma nel farlo cadde una lettera.

Per Richard Castle. C’era scritto nella busta che conteneva la lettera. Martha si alzò per lasciarlo solo, rimanendo comunque a vegliarlo da una fessura che aveva lasciato sulla porta.

 
9 Gennaio 2000
‘Caro signor Castle,

Ti scrivo sapendo già che la mia lettera finirà nel dimenticatoio. Scrivo perché in questo modo farò finta di sfogarmi con qualcuno che starà solo ad ascoltarmi e non a dirmi di essere forte. Nessuno comprende il dolore che ho dentro…ho perso la persona che amavo e nessuno la riporterà da me. Avevo così tante cose da condividere con lei, tante cose di cui parlare, discutere e ridere. Mi manca il suo tono ragionevole da avvocato serio, da voce della coscienza che dice ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. A volte mi sembra di sentire la sua risata, ma voltandomi non c’è e allora mi chiedo se sono diventata matta. Quando le persone che conosco si avvicinano con l’intento di aiutarmi, li allontano, non posso contagiarli, non posso passargli le mie cattive emozioni. Io provo rabbia, dolore, nausea, nostalgia…e tanti di quei sentimenti negativi che forse sono diventata una calamita per questi’


Kate era seduta sulla sua brandina all’accademia di polizia. Un libro di Richard Castle e le lacrime che scendevano copiose dal suo viso roseo.


‘Oggi…è passato un anno. Un anno da quella sera in cui il detective Raglan bussò alla porta per darci la notizia. Johanna Beckett era morta. Morta. Morta. Mia Madre, la mia bellissima, straordinaria, dolce e incredibile mamma era morta’


I singhiozzi silenziosi iniziarono a rompere il silenzio che l’avvolgeva e alcune lacrime finirono sul foglio che stava scrivendo accuratamente.


‘Sento ancora il dolore e la rabbia che continuano a tormentare la ma mia vita. Attorno a me si sta creando un muro. Un muro invalicabile, che solo in pochi riusciranno a scavalcare. Non voglio più soffrire in questo modo. Non voglio più sentirmi così. Ti starai chiedendo perché ti scrivo…visto che non voglio avvicinarmi a nessuno. Ti scrivo perché con i tuoi libri hai mantenuto aperto uno spiraglio di luce nel buglio che mi avvolge. Hai lasciato viva in me una parte della vecchia Kate. Hai creato, anche se involontariamente, una porta in questo muro e da quello che sento solo tu hai la chiave’


I suoi occhi lucidi si poggiarono sulla foto dello scrittore posta nel retro della copertina. Come se fosse lui in carne ed ossa.


‘Spero di non averti annoiato troppo con i miei problemi. Volevo solo dirti grazie per tutto…non smetterò mai di ringraziarti'

La penna solcava delicatamente il foglio su cui scriveva e marcò attentamente l’ultima parola, secondo lei la più importante e la più significativa di tutte.

‘sarà una cosa che farò SEMPRE’
KB’
 

Richard si stava asciugando le lacrime cha avevano iniziato a scendere silenziose sul suo volto. La sua Kate era straordinaria, non smetteva di stupirlo e questa lettera…lei lo ringraziava per qualcosa che neanche sapeva di aver fatto. La lettera era già macchiata da alcune precedenti lacrime di dolore e a quelle si aggiunsero quelle dello scrittore.


‘P.S.: Ho imparato ad essere forte. Per mio padre…ha bisogno di vedermi forte e io lo sono, per lui e per me stessa…mia madre non vorrebbe vedermi cadere a terra senza lottare e io non vorrei che qualcuno lo facesse per me quindi mi sono detta: TIRATI SU…C’E’ ANCORA MOLTO LAVORO DA FARE’


Quelle ultime righe entrarono nella mente dello scrittore come parole dette a lui. Aveva ragione e lui stava cadendo in un precipizio molto profondo, ma quella sembrava essere la mano che Kate gli stava porgendo anche se in maniera inaspettata. Rick baciò la lettera, nel punto in cui c’era la parola Always. Si alzò dal letto e raggiunse le due rosse della famiglia. Senza dire una parola le abbracciò entrambe in un solo gesto e sussurrò –mi dispiace…da oggi in poi, cercherò di essere più forte…-

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-Che succede qui?- Jackson Hunt entrò in una vecchia e sgangherata baita tra i boschi poco lontani dalla città.

-Sei tornato, era ora…hai gli antidolorifici? Mi fanno un male cane queste ferite- Kate si avvicinò all’uomo, trascinandosi lentamente e con qualche smorfia.

-Dovevi restare stesa…non sei morta, ma ti hanno comunque sparato e non è il caso di fare gli eroi- la rimproverò –fammi vedere…chissà, avrai fatto saltare i punti con la tua testardaggine-

-I miei punti stanno bene…ora dammi qualcosa per il dolore, così mi metto al lavoro-

-Tu non lavorerai affatto…non adesso, sei pallida e hai un po’ di febbre, ti preparo un brodo e poi ti riposi- la fece stendere sul letto per cambiare i bendaggi sul suo corpo. -Ho saputo che qualcuno ha fatto arrabbiare un certo scrittore…- Jackson guardò Kate fare un sorrisetto. –Speriamo non ti abbiano scoperta, non vorrei cambiare ancora nascondiglio-

-No, tranquillo…ho portato il portatile in un posto lontano e dopo aver fatto il mio dovere l’ho distrutto…eccetto questa, naturalmente- estrasse una chiavetta dalla tasca dei jeans.

-Sei ingamba…come sei riuscita in quella manovra?- chiese, mentre tamponava con del cotone le ferite della ragazza.

-Vikram aveva programmato un file…in caso ci fossimo imbattuti in alcuni nemici e ci servissero informazioni senza essere scoperti, mi sono ricordata che aveva parlato di distruzione totale del computer madre e di tutti i dati in caso di inserimento o invio…così l’ho sfruttato. Avevo fatto una copia di quel programma o virus…come ti pare, pensavo sarebbe stato utile- si tastò le ferite, che stavano iniziando a rimarginarsi lentamente.

-Scommetto che dopo questo tuo giochetto, hai in mente dell’altro…che non è rimanere a letto malata- la studiò attentamente.

-Oh…si...- annuì lei –Troverò il responsabile e terrò lontano il mirino dalla mia famiglia…questo è il piano, ma avrò bisogno di armi e un mezzo per muovermi per la città…pensi di potermi procurare queste cose?- si accertò, sapendo che poteva farlo perfettamente.

-Tu fammi una lista di quello che ti serve e domani vedrò di procurarti ogni cosa…ma ti avverto, stai attenta…questa gente non scherza-

-SEMPRE- sorrise, addormentandosi mentre fissava una foto di lei con Richard.


ECCOMI QUI CON IL NUOVO CAPITOLO. VI RINGRAZIO MOLTO PER AVER INIZIATO A SEGUITRE LA MIA STORIA E AD APPREZZARLA. RINGRAZIO LE PERSONE CHE HANNO LASCIATO LA LORO PRIMA RECENSIONE SULLA STORIA. SPERO POSSIATE APPREZZARE ANCHE QUESTO CAPITOLO. GRAZIE E A PRESTO.
CHIARA 

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Capitolo 3
*** motociclista misterioso ***


MOTOCICLISTA MISTERIOSO
 
 
Due settimane dopo.

 
-Ciao ragazzi, dové mio padre?- Alexis entrò nel piano della omicidi del dodicesimo distretto.

-E’ andato a prendere un caffè, tornerà a momenti- si voltarono sulle loro sedie girevoli per guardare la ragazza.

-Ok…- sospirò –Di che vi state occupando?- si avvicinò per leggere la lavagna con gli indizi.

-Abbiamo trovato un cadavere completamente carbonizzato all’interno di un portabagagli, nessun’indizio, denti strappati via e i polpastrelli delle dita sono stati asportati prima di dare fuoco al corpo- rispose Ryan, ormai la ragazza veniva spesso al distretto e si era abituata al mondo violento che la circondava.

-Accidenti…sembra uno di quei casi in cui mio padre potrebbe pensare alla CIA o alla mafia russa- sorrise, sapendo quali teorie strampalate tirasse in ballo lo scrittore.

-In realtà stiamo ancora aspettando…- Esposito le fece capire che il Rick che avevano davanti non era più quello del passato -…abbiamo seguito diversi casi insieme e in nessuno ha tirato fuori qualche battutina alla Rick Castle, anzi…sembra diventato un vero poliziotto, dedito al lavoro e a trovare la verità-

Alexis si sedette sulla sedia accanto alla scrivania in attesa del padre e vedere come stava.
 
Rick era seduto in una panchina di un parco poco lontano dal distretto. Si stava godendo la brezza e le urla dei bambini che giocavano. Era una sensazione che lo tranquillizzava. Lo faceva stare bene. Il caffè nella sua mano e lo sguardo che guardava oltre quello che c’era.

-Sai Rick…quando tutto questo inferno sarà finito, mi piacerebbe iniziare con te questa nuova avventura- Erano seduti in una panchina del parco, osservando i bambini che correvano felici e giocavano spensierati. Quell’affermazione improvvisa lo aveva fatto sorprendere. Non se l’aspettava.

-Stai dicendo che…-

-Rick…- prese il suo volto tra le mani -…facciamo un bambino…- gli disse, baciandolo con dolcezza, facendogli capire cosa intendeva anche con i gesti.

-Facciamo un bambino…- ripeté ad eco, rispondendo al bacio.

-Ma non mettiamoci fretta…al momento non è la cosa più indicata, ma…possiamo sempre fare pratica- l’argomento da serio e profondo, prese una nuova piega. Si morse il labbro inferiore con quell’aria che mandava lo scrittore fuori di testa.

-A me piace fare pratica…è divertente…- sorrise lo scrittore.

-Magari sarà utile a farti perdere quei chiletti in più che ti sei preso…- lo beffeggiò lei.

-Mi sono ingrassato?- si guardò –lo so…uff…-mise il broncio.

-Sei perfetto così…sei bellissimo così – lo baciò nuovamente con dolcezza.

-Sei molto brava…ma inizierò subito a fare sport- sorrise tra le sue labbra morbide.

-Potresti farlo con me…potrei essere il tuo personal trainer…sarebbe, stimolante, da vari punti di vista- il suo volto mostrò nuovamente quel sorrisetto malizioso.

-Non credo sarebbe produttivo…insomma, potremmo finire a fare dell’altro…- mostrò il suo sguardo da bambinone.

-Sempre attività fisica è…potremmo fare delle sessioni intense di un’allenamento…molto, molto…produttive- il bacio che lo avvolse non fu più dolce e casto.

-Capitano Beckett!- lui si sorprese, ma rispose vivamente al bacio –Non si fanno certe cose davanti ai bambini…- protestò lui, con occhi da cucciolo.

-Diciamo…che mi diverto a stuzzicarti- sorrise, staccandosi da lui –Ora, sarà meglio che tu ti chiuda il cappotto, mentre ci avviamo al distretto…non vorrei che qualcuno vedesse la tua antenna…- si alzò, lasciandolo senza parole.

In quel momento non indossava dei Jeans e la stoffa morbida dei suoi pantaloni mostrava chiaramente la sua erezione premere sotto il tessuto. –Vuoi uccidermi?-

-No, solo assicurarmi che il tuo partner fosse pronto per le nostre ‘sessioni di ginnastica’- sorrise, alzandosi dalla panchina, per tornare al lavoro.

-Ti odio…- le disse, alzandosi a sua volta, sentendo la pressione sotto la cintura.

-Ti amo anch’io- si avvicinò per un ultimo bacio e tornare in modalità professionale –non preoccuparti, recuperiamo questa sera e forse…potrai avere la tua rivincita…-

-Puoi scommetterci Beckett…non puoi prenderti gioco di Rick Castle senza conseguenze- gli puntò il dito contro.

-Non vedo l’ora…anche perché, se vogliamo veramente un bambino…dobbiamo divertirci ora…- era tornata sull’argomento di partenza.

-Allora dicevi seriamente- anche lui tornò serio.

-Non si parla di certe cose se non si è seri…voglio provare quest’emozione, sentire una piccola vita crescere dentro di me e le tue mani che accarezzano il nostro bambino ancora qui dentro- si toccò istintivamente la pancia, facendo commuovere Richard.

-Non vedo l’ora che accada…sarai una madre straordinaria…- Kate lo fermò all’istante, gli regalò il sorriso più luminoso che aveva e lo baciò con amore.


-TI AMO…- pronunciarono insieme, incamminandosi nuovamente mano nella mano.


Richard si riprese dai ricordi. Tornando alla cruda verità che quel futuro perfetto non sarebbe mai arrivato. Gli rimaneva l’immaginazione. Immaginare se stesso in piedi vicino ad un letto d’ospedale con la sua Kate che teneva tra le braccia il frutto del loro amore. Non si accorse che aveva iniziato a piangere al pensiero, erano lacrime miste tra tristezza e emozione per un avvenimento tanto desiderato e mai realizzabile.

Ritornò al distretto ancora con gli occhi leggermente rossi. Si accorse della presenza di Alexis, solo quando si avvicinò maggiormente alla postazione dei due detective. I tre, seduti alle scrivanie, si voltarono per guardarlo e non si lasciarono sfuggire la nota di tristezza presente nel suo volto.

-Dove sei andato a prendere il caffè? E’ passata più di mezz’ora- Ryan voleva alleggerire la tensione.

-Mi sono fermato al chiostro vicino al parco, poi mi sono seduto su una panchina ad inalare aria pulita- rispose semplicemente, omettendo il momento in cui si era perso tra i ricordi.

-Hai pianto?- Perché sua figlia ultimamente era così? Non poteva semplicemente supportarlo?

-No, deve essere stato qualcosa che mi è entrato negli occhi- si difese lui, non voleva mettere al corrente tutti, riguardo i suoi momenti di estraniamento e passaggio nel mondo dei ricordi e dell’immaginazione. –Abbiamo qualche prova in più per il caso?- deviò discorso.

-Niente, Vikram ha provato a recuperare i dati del cellulare, ma ha detto che ci vorranno ventiquattr’ore. E non abbiamo alcuna prova per identificare la vittima. Dobbiamo aspettare i risultati del laboratorio e iniziare a fare domande in giro- rispose Esposito, capendo la situazione.

-Io torno a dare un’occhiata alla scena del crimine, magari ci è sfuggito qualcosa, poi torno a casa…volete venire a cena? Per una pizza?- li invitò con naturalezza.
-Allora veniamo con te, non sarà un male fare un secondo sopralluogo e parlare con qualche barbone- Ryan, seguito dal partner si alzò dalla sua postazione –e la birra la offriamo noi-

-Come volete…- sorrise lui, grato. Da quando Kate non c’era più il loft gli sembrava troppo grande e silenzioso. Non c’era più il suono delle sue risate e della sua voce calda.


Raggiunsero tutti e quattro il molo isolato dove era stata rinvenuta la macchina bruciata. I nastri gialli delimitavano la scena e c’erano ancora i segni che indicavano la presenza della scientifica.

Setacciarono ogni singolo angolo nascosto, ogni indizio sospetto per rimanere a mani vuote.

-Qui non c’è niente, speriamo di avere delle altre prove domani- Esposito fece capire che non c’era altro da cercare in quel posto. Rientrarono in auto e prima di poter mettere in moto, un violento urto colpì la Crown Victoria.

La macchina venne lentamente spinta verso l’acqua, volevano ucciderli. Esposito stava premendo il pedale del freno con tutta la forza e tirava il freno a mano. Non potevano vincere quella sfida, era un SUV enorme contro una semplice auto della polizia.

-Che facciamo?- si preoccupò Alexis, vedendo che avanzavano troppo velocemente.

-Pensa…pensa…pensa…- Esposito guardava gli assalitori dallo specchietto retrovisore, sapeva che se avesse fatto qualsiasi mossa avrebbero comunque usato gli enormi fucili che avevano legati al corpo.

Il forte rumore di una moto che avanzava nella loro direzione li fece voltare tutti nella medesima direzione e sembrava avesse fermato l’insistenza dei loro assalitori. Sfortunatamente la macchina rimase in bilico. Metà sporgeva verso l’Hudson e l’altra al cemento.  Stava ondeggiando da una parte all’altra, sarebbe bastato anche solo un cambiamento e sarebbero finiti in acqua. Intrappolati.

-Non muovete un muscolo…o siamo fregati…ho già vissuto un’esperienza simile, non è divertente ve l’assicuro…-Castle ricordò la stessa situazione vissuta qualche anno prima con Kate.

L’unica cosa che riuscirono a fare fu osservare la moto avanzare nella loro direzione. Un uomo vestito completamente di nero, compreso il casco integrale era nero con la visiera oscurata. Le mani guantate afferrarono la nove millimetri che aveva sul fianco ed iniziò a sparare.

-Siamo morti…- urlò Ryan.

-No…non sta sparando a noi…- gli fece notare lo scrittore. Era vero non stava sparando a loro, ma al SUV. Gli assalitori iniziarono a sparare a loro volta, ma il motociclista fu molto più abile, colpì tutti con abilità. La sparatoria durò poco meno di due minuti. Il rumore di bossoli che cadevano a terra, l’odore pungente della polvere da sparo e quello metallico del sangue.

L’unico sopravvissuto della banda di assalitori, fuggi e il motociclista non volle seguirlo. Si preoccupò solo della macchina rimasta sospesa e in procinto di precipitare. Senza togliersi il casco si mise alla guida del SUV ed iniziò ad andare a marcia indietro, lentamente.

Non si erano accorti che aveva legato una fune d’acciaio tra le due vetture. I passeggeri sfortunati iniziarono a sentire la stabilità che stavano riacquisendo e senza neanche rendersene conto l’uomo aveva abbandonato il SUV e era tornato sulla sua moto. Una Yamaha XT660R. moto da fuoristrada.

I quattro scesero dall’auto per raggiungerlo, i due agenti volevano arrestarlo, così estrassero le loro pistole d’ordinanza. –Non muoverti!!- gli urlarono, ma l’uomo mise in moto e con un movimento esperto girò su se stesso e iniziò ad avviarsi per la strada da cui era venuto. I due detective non se lo fecero ripetere, rientrarono tutti nella vettura e iniziarono l’inseguimento.

Si ritrovarono tra le strade della città, erano libere, era quasi l’ora di cena. La moto aveva molto vantaggio, si muoveva agile e veloce, non riuscivano a tenere la sua velocità.

Il problema si presentò quando la macchina di servizio iniziò ad emettere strani suoni, come a voler dire ‘sto morendo’. Esposito perse il controllo del veicolo, nessuna aveva pensato che avesse riportato danni e invece. Il motociclista si fermò ad osservare la scena a debita distanza. L’auto stava sbandando da una parte all’altra, finendo la sua corsa contro un lampione che rimase in bilico. Indeciso se cadere o meno. Uscirono tutti dalla Crown Victoria, guardando i danni che avevano causato, tirando un grosso respiro di sollievo, sapendo di essere scampati alla morte una seconda volta. All’improvviso un SUV nero, forse il gemello di quello rimasto al molo li raggiunse, ora non avevano via di scampo.

L’uomo che era fuggito aveva chiamato i rinforzi. Ryan ed Esposito questa colta estrassero le loro armi e le puntarono contro i nuovi assalitori. –Che diavolo sta succedendo? Chi ha fatto arrabbiare il nostro corpo carbonizzato?- si chiese Ryan, iniziando a sparare, in risposta ai nemici.

Non ce l’avevano con tutti e quattro in realtà lo capirono nel modo in cui indicavano lo scrittore, rimasto accovacciato vicino alla macchina. I suoi partner si erano spostati, lasciandolo senza copertura e sua figlia era accovacciata dalla parte opposta. Sentì alcuni passi veloci che si muovevano nella loro direzione. Che volevano da lui? All’improvviso si trovò faccia a faccia con un uomo in passamontagna nero che gli puntava contro una pistole. Gli occhi gli si chiusero d’istinti e uno sparo venne esploso in aria. Lo scrittore riaprì gli occhi blu terrorizzati, per guardare il suo assalitore accasciarsi a terra esanime. E come un sipario gli mostrò chi lo aveva salvato. Il motociclista. Ma chi era?

Senza rivolgergli alcuna parola, lo invitò a seguirlo e a salire in sella alla sua moto e lui obbedì, gli aveva salvato la vita due volte, poteva fidarsi. Poteva fidarsi? Prima di partire gli passò un giubbotto antiproiettile preso dal portabagagli dell’auto della polizia. Poi scattarono veloci per la strada e come il motociclista si aspettava iniziarono a seguirli con il SUV. Ryan ed Esposito presero una volante che in quel momento era sopraggiunta nella zona, accodandosi e seguendo l’inseguimento.

Il motociclista era veramente abile e si muoveva esperto per la città. Tagliava per vicoli e piazze pedonali. Cecava di seminare gli inseguitori. Spari risuonarono nell’aria. Uno arrivò a colpire il guidatore di striscio sulla spalla e un gemito risuonò all’interno del casco. Lo scrittore si preoccupò, vedendo che stava soffrendo per il dolore e anche perché aveva sbandato leggermente. Subito però venne sorpreso. Il suo salvatore passò sopra al dolore e riprese il pieno controllo della situazione.

–Reggiti- una voce, visibilmente modificato lo invitò a reggersi nei sostegni dietro di lui.

Non fece in tempo ad obbedire che la moto si rigirò su se stessa e sparì all’interno di un vicolo, prendendo alla sprovvista tutti. Con quella mossa aveva riacquistato terreno. Raggiunse il garage sotterraneo di un palazzo e salì la rampa che portava dritta al parcheggio sul tetto. Come si aspettava il SUV lo aveva seguito, ma a grossa sorpresa di tutti, il motociclista si posiziono su una pedana e riscese veloce in strada. Richard poteva giurare di aver sentito una risata dalla persona che lo stava salvando. Ritornarono nel punto in cui si era schiantata la macchina dei due detective e lo fece scendere, ormai era ghermito di poliziotti e quindi sarebbe stato al sicuro.

Prima che potesse ringraziare il motociclista, questo partì a razzo, fermandosi solo qualche metro più in la per assicurarsi delle condizioni dello scrittore. Ripartendo nuovamente per raggiungere la sua destinazione.

-Non ho capito…- Alexis si avvicinò a lui ancora scossa –quello li…è dei buoni o dei cattivi?-

 
-Mi ha salvato la vita…ci ha salvato la vita, non credo sia dei cattivi…avrei solo voluto ringraziarlo come si deve…- lui stava ancora fissando il punto in cui era scomparsa la moto nera che lo aveva ospitato.

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La moto da fuoristrada stava percorrendo una strada molto isolata, svoltando per un sentiero nel bosco. Con molta abilità nella guida raggiunse una piccola casetta di legno, molto isolata, non si poteva raggiungere se non si conosceva la strada. Il motore si spense. Il motociclista si tolse i guanti e mostrò le sue mani rosee. Slacciò il giacchetto di pelle, mostrando una maglietta grigia della polizia di New York. Il casco venne slacciato e tolto, liberando una massa di capelli castano dorati, che cadevano morbidi sulle spalle. Il viso era leggermente arrossato. Dopo quel frenetico inseguimento non avrebbe potuto essere diverso. Aprì la porta e si rilassò nel sentire il tepore della stufa, riscaldarle il corpo.

-Mi servono ago e filo- si sfilò la giacca, mostrando il taglio lasciato dal proiettile che l’aveva colpita.

-Quante volte hai intenzione di mettere a rischio la tua vita ragazza?- Jackson Hunt si alzò dalla sua sedia e si avvicinò a lei per tamponarle e disinfettarle la ferita.

-E’ stato necessario…a quanto pare Loksat non vuole lasciare in pace la mia famiglia e io devo pur sempre prendermi cura di loro- alzò le spalle, sapendo di aver agito bene.

-Kate devi essere cauta…guarda…- gli mostrò l’intero filmato che compariva in ogni telegiornale. Il titolo era…’misterioso motociclista salva la vita a Richard Castle’.

-Non mi ha riconosciuto nessuno, neanche lui…siamo rimasti a distanza, non ho emesso un fiato…sono stata attenta-  sospirò, sentendo il leggero bruciore al braccio.

-Grazie- la guardò alla fine Jackson –per aver salvato mio figlio e mia nipote-

-Sempre…- gli sorrise, ricoprendo la ferita, che non aveva avuto bisogno di punti, ma solo di uno strato di garza.
 

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Capitolo 4
*** Fantasmi ***


FANTASMI

 
-State bene? Ho sentito dell’attacco da Esposito! Perché  non avete chiamato? Volete farmi morire di paura?- Martha corse alla porta d’ingresso per accogliere figlio e nipote.

-Stiamo bene nonna…papà ha un angelo custode in motocicletta- le due rosse si scambiarono un abbraccio affettuoso.

-Vorrei tanto sapere chi è…almeno per ringraziarlo, non voglio arrestarlo come erano intenzionati Ryan ed Esposito- ragionò Rick, ripensando alle fattezze del suo salvatore.

-Non credo sia una casualità…andiamo, prima ci ha salvati dal finire nell’Hudson e poi ha salvato te, facendoti salire sulla sua moto- Alexis si voltò verso il padre –a proposito, com’è stato?- chiese curiosa.

-Andare in moto, molto eccitante, potrei inserire una scena simile nel mio nuovo romanzo, sembrava di essere in un film di 007- era vero, tutta quell’azione lo aveva lasciato molta adrenalina nelle vene.

-Sapete chi è che voleva uccidervi?- si informò Martha, sempre preoccupata.
-No, Ryan ed Esposito hanno fermato il SUV sul tetto dal quale sono fuggito con il motociclista- la sua faccia si incupì –si sono uccisi tutti con del veleno, in laboratorio stanno già analizzando la sostanza-

-Deve essere una cosa pericolosa, credi che ci riproveranno?- chiese Martha aumentando la sua preoccupazione.

-E’ per questo che due agenti rimarranno fuori dalla porta e altri due davanti al palazzo- la rassicurò Richard –ma, per questa sera e finché non avremo risolto la questione nessuno si muove senza avvisare o senza scorta- le avvisò.

-Certo…non voglio morire giovane- Martha fece un gesto con la mano, che fece ridere i presenti.

-Vado a farmi una doccia…ordinate qualcosa da mangiare, non ho voglia di cucinare oggi…- si allontanò verso la sua camera.

-Ordino io, vai anche tu a darti una rinfrescata cara- La rossa si rivolse alla nipote che accettò volentieri la sua proposta, salendo le scale del loft.


 
Dopo aver mangiato e guardato un film, tutti erano nelle rispettive camere. Volevano riposare almeno qualche ora, anche se tutto quel movimento, gli agenti di guardia e tutto il resto…non permetteva a nessuno di farlo.

Richard sentì uno strano rumore provenire dalla porta d’ingresso. Si avviò per controllare e gli occhi si spalancarono nel confermare uno strano sospetto. Le gambe si pietrificarono e le mani iniziarono a tremare, aveva paura. Il cuore si fermò nel momento stesso in cui una mano gli avvolse la bocca e lo blocca.

-Non fare un fiato ragazzo…- Jackson Hunt con un tono impercettibile invitò il figlio a seguirlo al piano superiore. Lui obbedì e cercò di essere il più silenzioso possibile. La prima camera che raggiunsero fu quella di Alexis, anche lei sveglia e in compagnia di sua nonna.

-Ja…- Martha venne subito fermata dall’uomo che gli mise una mano davanti alla bocca per attutire l’esclamazione della donna. Gli intimò di restare in silenzio.
-SShh…non fate un fiato e non muovetevi di qui- gli sussurrò, prendendo la pistola che aveva dietro la schiena e tolse la sicura.

-Ho la vecchia pistola di Kate nel cassetto in soggiorno- sussurrò Castle.

-Lo so…e se sarà necessario ti sarà utile- l’uomo gli passò l’arma in questione –Non fare niente di stupido…intesi? Solo se è necessario…ricordati che sei uno scrittore- gli ricordò suo padre.

Richard annuì, prendendo l’arma in mano. Ogni volta che la impugnava, sentiva la forza di Kate infondergli sicurezza. La stanza, illuminata solo dai lampioni esterni era caduta in un silenzio inquietante. Poi uno scatto fece drizzare le orecchie di Jackson, che uscì dalla stanza e si posizionò nel corridoio che mostrava le scale. Cinque uomini armati erano appena entrati con le pistole spianate e i passamontagna che li rendevano irriconoscibili.

Richard aveva appena mandato un sms ai due detective, che avevano risposto immediatamente. Sarebbero arrivati il prima possibile.

Richard come sempre non seguì i consigli di suo padre e lo seguì al piano inferiore. Si nascosero dietro i banconi della cucina. Suo padre non gli risparmiò un’occhiataccia di disappunto, ma ormai non potevano più muoversi.

Non capendo neanche chi avesse iniziato da entrambe le fazioni iniziarono ad esplodere colpi. La musica degli spari, dei bossoli che cadevano a terra e dei caricatori che venivano inseriti divenne la colonna sonora di quel momento. L’odore della polvere da sparo e del sangue che fluiva dai corpi caduti a terra.

-Jackson- sussurrò Rick, ricevendo subito un caricatore di riserva dal padre, come se gli avesse letto la mente. Gli spari erano incessanti e nessuno accennava a smettere. L’unico problema era che i due erano a corto di proiettili e il problema iniziava a farsi sentire quando la pistola di Rick fece capire che aveva finito i colpi.

-Ok…resta giù…cerca di non farti sparare- l’uomo sembrava visibilmente turbato e preoccupato, soprattutto quando anche la sua arma dimostrò di aver finito le ricariche.

-E adesso?- gli intrusi probabilmente avevano capito la loro condizione, non stavano più sparando.

-Ho un’altra pistola, ma ha solo cinque colpi…- annuì suo padre –ora tu…farai questo, raggiungerai la camera dove sono tua madre e tua figlia e ti ci chiudi dentro- sospirò –i tuoi colleghi non sono lontani, sento già le sirene- era vero in lontananza si sentivano già le sirene –io li distraggo…questa volta Rick, fai come ti ho detto- estrasse una pistola di piccolo calibro dalla caviglia.

Jackson si alzò di scatto, attirando l’attenzione dei tre uomini rimasti vivi, mentre Rick scattò e raggiunse silenzioso il piano superiore, ma rimanendo a guardare la situazione.

Fu una frazione di secondo, colpi vennero esplosi. Uno degli uomini cadde esanime a terra, ma anche suo padre venne ferito e giaceva a terra. Il suo istinto, come quello delle due rosse che erano uscite dalla camera fu quello di scendere. Si accasciarono sul corpo dell’uomo, senza badare alle conseguenze.

-Che diavolo fate!- urlò loro ansimando per il dolore.

I due uomini rimasti avanzarono nella loro direzione, con le pistole puntate alle loro teste. I tre ancora inginocchiati alzarono le mani in segno di resa e chiudendo gli occhi di riflesso. Le dita guantate che premevano sul grilletto e poi due spari.

Per la seconda volta Rick si sorprese di non essere stato colpito, accompagnato da madre e figlia. I loro occhi si spostarono sui due killer che cadevano a terra senza vita. Aprendo il sipario al salvatore.

Un individuo in nero e con un casco oscurato si avvicinò a loro, posizionando la pistola che aveva appena usato dietro la schiena. Non disse una prola, si avvicinò e si abbassò sul ferito.

-Portami via…non devono prendermi…- ansimò Jackson, facendo annuire il loro salvatore. Il nuovo arrivato prese un braccio dell’uomo e se lo portò dietro al collo e facendosi forza lo tirò in piedi.

-No…hai bisogno di andare in ospedale…- cercò di fermarli Richard, vedendo il sangue che suo padre stava perdendo.

-Lo sai che non posso andare in ospedale…non preoccuparti per me…domani ti farò sapere se sono sopravvissuto, ma voi…non dovete parlare di questo con nessuno- Jackson guardò la sua famiglia.

-Dai sbrighiamoci…non voglio incontrare i suoi colleghi- si avviarono verso l’uscita.

-Un momento…chi è lui? Chi sei? Perché fai tutto questo?- Rick voleva sapere.
-E’ un mio alleato…- rispose suo padre, scomparendo all’interno dell’ascensore.
Nel  giorno di un paio d’ore il loft era gremito di poliziotti. La famiglia Castle era seduta sul divano e stava rilasciando la deposizione ad Esposito e Ryan.
-Ma chi è questo motociclista?-


 
 
-Ho finito- Kate mise l’ultimo punto alla ferita di Jackson e la coprì con le garze che avevano a disposizione.

-Per fortuna non ha colpito organi vitali…- sospirò l’uomo, bevendo un altro sorso di vodka.

-Si…sei stato molto fortunato- la ragazza si sedette sulla sedia vicino al letto e so tolse i guanti in lattice che aveva usato –Che facciamo? Loksat continua a prendere di mira la mia famiglia- le mani passarono tra i capelli lasciati liberi.

-Devi tornare da lui…non perderlo di vista...dovrai fare attenzione a qualsiasi persona si avvicini a lui e qualsiasi altra cosa sospetta. Aguzza i tuoi sensi. Come spia sei perfetta e come angelo custode lo sei anche di più…salvalo, non permettere che lo uccidano…non posso farlo io…almeno per qualche giorno- le prese una mano, guardandola negli occhi. –Devi farlo smettere di indagare…solo così sarà salvo-

 
-Vado…- la ragazza si legò i capelli e li nascose all’interno del casco. Prese due pistole, una la mise nella fondina che aveva allacciata all’interno della giacca, una dietro alla schiena. Ne prese anche una di calibro più piccolo e la posiziona alla caviglia destra.

-Come lo convincerai?- l’uomo non ricevette risposta.


 
 
Richard era passato dal suo bar per bere qualcosa e dimenticare cosa fosse successo la stessa notte. Aveva passato una giornata intera a pensare alle condizioni di suo padre e al misterioso salvatore.

-Signore…questo glielo offre il motociclista laggiù…- il barman gli porse un bicchiere di Scotch con un biglietto incorporato.
Lo scrittore bevve il liquore e poi lesse il foglio.

Incontriamoci al cimitero…alla tomba della tua Kate…dobbiamo parlare’

Le antenne di Richard iniziarono a captare che qualcosa stava succedendo. Non perse altro tempo. Era tardi ed era buio, ma non gli importava. Raggiunse rapido il cimitero e la tomba del suo amore. Visto che non c’era nessuno si abbassò per lasciare un bacio alla foto della sua Kate. Poi dei passi leggeri attirarono la sua attenzione.

-Come sta mio padre?- chiese preoccupato vedendo che all’incontro c’era il motociclista.

-Sta bene…non era grave- una voce modificata uscì dal casco –Mi ha mandato lui…mi ha detto di dirti di smettere di indagare e lasciar perdere la vita da detective- continuò.

-Lui sa chi c’è dietro, non è vero?- erano rimasti a distanza di sicurezza.

-Tu non ci sei arrivato? Pensavo avessi notato i dettagli o le coincidenze con un’associazione di questo genere- lo fece ragionare.

-Loksat- lo vide annuire –non posso smettere…non può chiedermelo mio padre e non può chiedermelo nessun’altro- gli disse arrabbiato.

-Se non smetti, morirai…è questo che vuoi? Vuoi che la tua famiglia soffra?- la voce dell’individuo risuono nella mente dello scrittore.

-E sia…non mi tirerò indietro, lo devo ad una persona…- indicò la tomba accano a loro. Rimasero in silenzio per qualche minuto.

-Non far soffrire tua madre e tua figlia, non se lo meritano…non farle soffrire perché vuoi continuare questa guerra…lascia questa storia alle spalle…trova un altro modo di trarre ispirazione- riprovò.

-Ma chi sei tu? Chi diavolo ti credi di essere per venirmi a dire quello che devo fare? Sei solo uno degli uomini di mio padre…sei una spia…sei un’ombra, che ne sai tu di famiglia?- si arrabbiò Rick –che ne sai del dolore?-

-Io so tutto sul dolore…ho provato la perdita di un genitore e per proteggere le persone che amavo sono stato costretto a diventare quello che tu definisci ‘un’ombra’- gli rispose

-Come faccio a fidarti di te? Come posso crederti? Siete abituati a mentire…io non ti credo e non ho più voglia di stare a sentirti- si voltò nella direzione opposta per andarsene.

-Se si fida tuo padre, puoi fidarti anche tu- questo fece scattare lo scrittore, che spinse la persona che aveva davanti all’indietro, facendola cadere a terra.
Subito la vide portarsi una mano all’addome…e sentì un gemito di dolore, quasi trattenuto. Si abbassò per assicurarsi che stesse bene. –Mi dispiace…mi sono fatto prendere dalla rabbia, fammi vedere che ti sei fatto- avvicinò una mano, ma venne respinto bruscamente.

-Non preoccuparti, ora passa…- lo vide inginocchiarsi preoccupato -…sono vecchie ferite non rimarginate bene-

-Come te le sei fatte?- Chiese, anche se non gli interessava molto.

-Mi hanno sparato…quelle stesse persone che sono state mandate per uccidere te- rispose l’altro.

-Oh…- si sorprese, cercando di capire –ma chi sei?-

-Non posso dirtelo…non sarebbe sicuro per te, mi dispiace- si guardarono, nonostante l’ostacolo del casco.

-Prometto che non darò di matto o qualsiasi cosa ti aspetti che faccia- insisté.

-Non è per questo…è per proteggerti, non posso mandare all’aria questi mesi…mi dispiace…ho faticato per proteggerti…non rovinerai tutto- si alzò, voltandosi verso la sua moto.

Nel farlo qualcosa si sganciò dal suo polso. Un braccialetto da donna cadde sul prato. Richard si sorprese nel vederlo e si abbassò per raccogliere l’oggetto. –Ti è caduto…questo- gli porse l’accessorio, mostrando l’incisione interna. Always. I suoi occhi si spalancarono.
Il motociclista rimase pietrificato, consapevole di ciò che lo scrittore aveva tra le mani.

-No…come fai ad averlo? Questo…- i suoi occhi si mossero rapidi tra l’oggetto e il motociclista. Lo squadrò più attentamente. Struttura slanciata. Corpo snello. Non era un uomo, ma una donna. Ferite ancora non rimarginate. Presente ogni volta che era nei guai. In contatto con suo padre. Abile con la pistola. I suoi occhi si spalancarono maggiormente.

La donna sapendo di non avere scelta. Si sganciò lentamente il cinturino del casco. I capelli cadere a cascata sulle spalle e il volto familiare che tanto gli era mancato si mostrò a lui.

-K…Kate…-


ECCOMI CON QUESTO NUOVO CAPITOLO. VI RINGRAZIO PER LE RECENSIONI E PER AVER LETTO. CI SENTIAMO AL PROSSIMO CAPITOLO...GRAZIE E A PRESTO. 
CHIARA
 

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Capitolo 5
*** Tornare a respirare ***


TORNARE A RESPIRARE
 
 
-K…Kate- le sue gambe indietreggiarono e i suoi occhi studiavano la persona davanti a se –No…non è possibile, tu sei morta…sei morta…ti ho visto all'obitorio…ti ho vista…io…- si strofinava gli occhi. In quel momento emozioni contrastanti colpivano l’animo dell’uomo.

-Rick…- sussurrò lei, sapendo perfettamente come poteva sentirsi. Erano passati mesi da quel giorno infernale. Da quella sparatoria e da quell'idea che aveva attuato realmente.

-No…no…- lo scrittore si accasciò a terra, in ginocchio. Le lacrime che scendevano sul suo viso –lo so…ok…è un incubo…un dei miei soliti incubi, io che ti vedo e poi che scompari al mio risveglio- scrollava il capo riluttante.

-Rick…guardami…guardami…- Kate si abbassò davanti a lui e gli prese il viso tra le mani, asciugando le sue lacrime con i pollici.

Lo scrittore alzò gli occhi bagnati dalle lacrime verso di lei, incontrando, dopo troppo tempo, le sfumature di quelli di lei.
Non riuscì a guardarla veramente che qualcuno lo colpì alle spalle. Il suo corpo cadde violentemente a terra e l'ultima cosa che vide fu il volto della sua amata scomparire nella nebbia del cimitero.

-No…aspetta…- tese la mano nel vuoto, per poi chiudere gli occhi svenuto.

 
Ore dopo Rick si risvegliò dal sonno troppo pesante per essere volontario. I suoi occhi studiarono e misero a fuoco la camera in cui si trovava. Le pareti erano bianche e fredde. I rumori meccanici delle macchine mediche facevano da sottofondo e l’odore di disinfettante regnava nell’aria. Era in ospedale. Subito la sua attenzione si spostò sulla giovane Castle che si alzò rapida dalla sedia.

-Papà…- sorrise sollevata, svegliando anche sua nonna.

-Richard…come ti senti figliolo?- si preoccupò subito la donna.

-Io sto…sto bene, ma che è successo?- chiese, sentendo la testa girare.

-Qualcuno ti ha atterrato con un colpo alla testa mentre eri al cimitero- rispose Martha.

-Ma che ci facevi a quell’ora al cimitero?- gli domandò Alexis, sempre molto dura con il padre in quei giorni.

-Sono andato a trovare mia moglie…non credo ci siano degli orari per farlo- la guardò, proprio non riusciva a capire il comportamento della figlia. Perché era così dura con lui? Non poteva rispettare il suo lutto?

-Alexis cara, perché non vai ad informare il dottore che tuo padre si è svegliato?- Martha sentì la leggera nota di disappunto nella voce del figlio.

-Si…vado…- annuì la ragazza, uscendo dalla stanza.

-Perché è così dura con me? Sto provando in tutti i modi di essere come prima per lei e cerco di sorridere per tutti voi…cosa c’è di sbagliato se provo ancora così tanto dolore? E’ sbagliato soffrire dopo la morte di tua moglie? Del tuo futuro?- quelle parole gli ricordarono quello che credeva di aver visto la sera prima al cimitero. Kate. No…era solo uno dei soliti scherzi amari che gli giocava la sua mente.

-Rick…è preoccupata, lo so che forse è un po’ troppo rigida, ma abbiamo creduto di perderti…non solo questa notte, ma anche…quel giorno…- non usò il suo solito tono teatrale. Aveva sofferto moltissimo quando gli avevano detto che era in ospedale.

-Ho capito…ma sono vivo…sono qui con voi e questo è solo grazie a Kate, se non fosse stato per lei sarei morto di sicuro…ma non volevo che fosse lei a pagare- le lacrime tornarono insistenti sul suo volto.

-Oh…Richard- Martha non sopportava di vederlo in quello stato –Sono sicura che lei sta vegliando su di te in questo momento…come ha sempre fatto, come fai a non sentirla vicino a te?- gli accarezzò il volto, cercando di asciugargli il voto.

-Mi manca così tanto…- i singhiozzi ruppero la tranquillità di quel posto. Guardandosi attorno i ricordi del suo risveglio tornarono alla sua memoria.

-Devo andare via di qui…- Richard si destò da quel ricordo doloroso. Non doveva restare in quel posto un secondo di più. Si staccò tutti i cavi attaccati al suo corpo. Un piccolo fiotto di sangue uscì dall’ago sul braccio. Si fiondò nell’armadio dove trovò i suoi vestiti. Infilò rapido i pantaloni e la camicia, fiondandosi all’uscita della stanza.

-RICHARD!!- lo richiamò sua madre urlando per l’ennesima volta il suo nome –CALMATI, NON PUOI ANDARE VIA…- cercò di fermarlo come quella volta.
 
-Richard stai giù…sei stato appena operato- sua madre e sua figlia cercavano di tenerlo fermo sul letto d’ospedale. Lui però aveva bisogno di spere dov’era la sua ragione di vita, nessuno voleva dirgli cosa le fosse successo.

-Devo andare a cercarla…per favore…devo sapere che sta bene…fatemi andare da lei…- si agitava, spingendo lontano le due rosse, stando attento a non fare loro del male. Corse fuori dalla stanza, staccandosi tutti i fili che erano attaccati al suo corpo.

Usci dalla stanza e sempre come quella volta venne fermato da medici ed infermieri. Doveva andarsene il prima possibile. Il dolore alla testa era niente
in confronto a quello che stava provando nel suo cuore.

Infermieri e medici cercarono di fermarlo, ma invano.

Percorse rapido il corridoio, ritrovandosi, però, esattamente in quel maledetto posto. Lo sguardo fisso su una sedia vuota e poi sulla porta aperta, con il lettino vuoto.

Dopo aver percorso numerosi corridoi dell’ospedale, raggiunse quello in cui vi trovò un volto familiare. Era Jim Beckett. Era seduto su una sedia del corridoio. Le mani sulla testa e gli occhi pieni di dolore, che guardavano il pavimento.

-Kate…- si allarmò subito Richard, facendo cadere l’attenzione dell’uomo su di lui.

-Rick…no…no…- cercò di bloccarlo l’uomo, ma anche lui fallì nell’intento.


Le sue gambe si fermarono nel momento stesso in cui si ritrovò davanti a quella stanza. Gli occhi si riempirono di lacrime, il cuore iniziò a battere troppo velocemente, le mani iniziarono a tremare…era tutto come quel maledetto giorno.
 
Il corpo dello scrittore si pietrificò nel momento stesso in cui aprì la porta di quella stanza. Gli occhi che silenziosi si riempirono di lacrime. Le mani iniziarono a tremare. Poi si sbloccò di colpo, fiondandosi vicino al letto in cui c’era lei. Indifesa. Il corpo di lei disteso in quel letto. Nessun cavo, flebo o di altri strumenti medici fuoriuscivano dal suo corpo. Gli prese la mano e la rinchiuse tra le sue. C’era ancora la fede e l’anello di fidanzamento. Il freddo del corpo passò al suo, facendogli sentire il dolore più devastante che mai nessuno dovrebbe provare.

-No…Kate…ti prego…ti prego- cercò di muoverla –amore mio, svegliati ti prego…svegliati, fallo per me…- le lacrime scendevano copiose dal suo volto. –Ti prego…vita mia, torna da me….io ti amo…ti amo…non lasciarmi…non lasciarmi…- le gambe cedettero a terra, incapaci di sostenere quel peso così grande.


Si rialzò a fatica. Posando un bacio sulla mano che teneva, poi sul suo viso. Sulla fronte, sul naso, sulle guance e poi sulla bocca. Il suo cuore finì in mille pezzi.

-KATE!!!- urlò con il dolore in corpo –TI PREGO…SVEGLIATI…IO TI AMO…ALWAYS, SVEGLIATI…TI PREGO…ALWAYS, ALWAYS…KATE!!- la sua testa si appoggiò sul petto della donna, mentre le lacrime, i singhiozzi e il dolore, non accennavano ad abbandonarlo.
 
Richard si appoggiò al muro dietro di lui. Stava avendo un attacco di panico. Non riusciva a respirare. Respira…respira.
Sotto gli occhi increduli di tutti uscì dall’ospedale, fermò un taxi e si fece portare lontano da quel posto stregato.

-Fermatelo!!- urlavano gli addetti al reparto, che correvano dietro allo scrittore, non riuscendo comunque a fermarlo dalla fuga.

-PAPA’/RICHARD!!- urlarono in coro le due rosse preoccupate, frustrate e arrabbiate.
 

Richard era ancora preda di quel violento attacco di panico, quando vide l’autista fermarsi all’improvviso. Erano all’interno di un capannone abbandonato. Come ci erano arrivati li? Lo vide voltarsi verso di lui.

-Ragazzo calmati…calmati…respira…- l’uomo scese dall’auto e lo fece scendere a sua volta.

-Non…Jackson…io non…- il respiro troppo affannoso, sarebbe svenuto a breve se non si fosse calmato.

-Respira figliolo…- cercò di mimarglielo, ma niente.

Richard si alzò in piedi barcollando…non voleva avere nessuno intorno. Corse per un breve tratto, per poi appoggiarsi a quello che era un vecchio tavolino sgangherato.
La vista iniziava ad offuscarsi. Le gambe cedettero, facendolo cadere a terra. Se non riprendeva a respirare era la fine.
Poi una mano si poggiò sulla spalla, non era quella di suo padre, grande e ruvida, no era morbida e piccola. Era la mano di una donna. La stessa che si abbassò davanti a lui. I capelli che le cadevano sulle spalle e i suoi enormi occhi verdi che lo fissavano preoccupata.

-Ok…Castle, respira per me…respira per me…- Richard cercò di mettere a fuoco la donna che gli stava parlando. Perché o era diventato matto o la voce che stava sentendo era troppo familiare.

-Castle…respira…ti prego…respira- gli intimò ancora la donna, cercando di dargli coraggio. Niente, non riusciva ancora a respirare. Poi tutto accadde in un attimo. La ragazza poggiò le sue labbra su quelle dello scrittore, che si ritrovò addosso un sapore e un odore troppo familiari. L’inebriante aroma di ciliegie risvegliò lentamente il suo olfatto. Le labbra morbide e il contatto risvegliò tutto il suo corpo. Le mani sul suo petto fecero reagire i suoi polmoni, che tornarono a respirare, e il suo cuore, che tornò a battere regolarmente.

-Bravo…respira…- la ragazza appoggiò la fronte su quella dello scrittore per mantenere il contatto e fargli realizzare ogni cosa.

-Sei tu…sei…sei…- balbettava, davanti a se aveva la donna che amava in carne ed ossa –Sei la mia Kate…- le lacrime tornarono a solcargli il volto e i singhiozzi tornarono insistenti.

-Nonono…non piangere ti prego…respira, sono qui…sono qui con te…- si inginocchiò al suo fianco e gli poggiò la testa sul suo petto, per fargli sentire il suo battito. Rimasero in quella posizione per alcuni minuti.

-Ok…non vorrei disturbarvi oltre, ma forse è il caso di andare via da qui…- li interruppe Jackson che aveva assistito a tutta la scena.
Entrambi i ragazzi si alzarono, ripulendosi i vestiti dalla polvere.

-Tu…voi…- Richard spostava lo sguardo tra suo padre e Kate –che sta succedendo?- li risvegliò Castle.

Kate scosse la testa a Jackson –non qui…ci vediamo al rifugio…- disse la donna, avviandosi alla moto che aveva lasciato fuori dal capannone.

-Ne sei sicura? Potrebbe essere pericoloso…- si accertò l’uomo.

-Troveremo un altro posto…in caso d’emergenza, ma non possiamo permetterci che qualcuno ci scopra…- annuì svelta.

-Alt…alt…alt…- Richard li guardò arrabbiato –che sta succedendo qui?-

-Portalo tu…io faccio un’altra strada…ma voglio essere io a dirgli ogni cosa- Kate guardò nuovamente Jackson che annuì. Poi si spostò a guardare Richard. –Prometto che ti spiegherò tutto a breve, ma fidati…vai con lui…ci vediamo tra qualche minuto…e ti racconterò ogni cosa- gli accarezzò il viso.
 

Nel giro di mezzora. Rick e Jackson avevano raggiunto la casetta in mezzo al bosco. Lo scrittore si guardò intorno. Per arrivarci avevano usato una strada che strada non era. Era completamente isolato dal resto del mondo.

-Dov’è Kate?- chiese Richard, iniziando a metabolizzare il fatto.

-Sta arrivando…ha preso una strada diversa…non possiamo permetterci di fare errori- rispose suo padre, nascondendo la macchina in un capanno malmesso. –Vieni entra…ti offro una birra?- gli propose.

-No…nessuna birra, voglio sapere solo cosa sta succedendo – scrollò il capo, studiando la casa. Era tutto in legno, a parte l’angolo cottura. Una scala portava al piano superiore, mentre vicino c’era la porta che giungeva al piccolo bagno. Su un secchio vicino ad una brandina c’erano delle garze sporche di sangue. La brandina non era stata cambiata e dal tessuto riuscì a vedere del sangue vecchio di mesi. Ci passò sopra una mano.

-E’ di Kate…l’ho portata qui dopo l’operazione…- si lasciò sfuggire Jackson, mentre guardava lo sguardo del figlio.

Richard continuò la perlustrazione, raggiungendo il piano superiore. C’era un letto, se così si poteva definire. Sopra di esso c’erano delle fotografie attaccate alla parete di legno. Erano foto di lui e di lei. Di loro insieme. Una foto era del matrimonio. Il rumore di una moto che si spengeva richiamò la sua attenzione.

-Adesso mi volete spiegare cosa sta succedendo adesso?- chiese Castle frustrato.

-Solo un secondo…ahh…- Kate ansimò mentre tentava di togliersi la giacca di pelle. Jackson si fiondò da lei con delle garze. –Credo si sia infettata…- stringeva i denti per il dolore.

-Non si è infettata…c’è un frammento di legno nella ferita…ecco perché ti fa male…- l’uomo prese delle pinzette e si posizionò davanti alla ferita sul braccio. –Sei pronta? Al mio tre la estraggo…farà male, ma non abbiamo anestetici ti ricordo…-

-Ok…vai…sono pronta…- guardò l’uomo negli occhi.

-Uno…Due…- Jackson estrasse rapido la scheggia e tamponando la ferita con delle garze pulite –Tre…sorrise-

Kate non stava affatto sorridendo. Sentiva il dolore propagarsi per tutto il suo corpo. La faccia rivolta verso la direzione opposta. Il volto che mostrava una leggera smorfia…ma nessun urlo disperato.
Respirando velocemente si sedette sulla sedia attorno al tavolo e senza parlare invitò lo scrittore a fare lo stesso. Per tutto il tempo era rimasto a guardare i due. Il sangue e Kate.

-Ok…ok…- prese un bicchiere e ci versò dell’acqua – credo che dobbiamo parlare- annuì Kate, tranquillizzando i battiti.

-Lo credo anch’io- la guardò, mentre Jackson metteva una grossa fascia sul braccio, coprendo accuratamente la ferita al braccio.

-Allora credo che dovremmo partire dall’inizio- Kate chiuse gli occhi per il dolore al braccio, tornando subito a guardare lo scrittore.

 

ECCOMI DINUOVO. RICK STA SOFFRENDO. TROVARSI IN OSPEDALE GLI FA RIVIVERE MOMENTI DOLOROSI. MA COS’E’ SUCCESSO AL CIMITERO? COME REAGIRA’ IL NOSTRO SCRITTORE ALLA SCIOCCANTE SCOPERTA? KATE HA UNA FERITA AL BRACCIO COME SE L’E’ PROCURATA?
CI VEDIAMO AL PROSSIMO CAPITOLO. SE VOLETE SAPERE COME CONTINUA LA STORIA. GRAZIE A TUTTI PER LE RECENSIONI E PER LA SEMPLICE LETTURA. SPERO DI SAPERE COSA NE PENSATE. A PRESTO
CHIARA
 

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Capitolo 6
*** Ritrovarsi ***


RITROVARSI 

 
-Non essere arrabbiato con lei…ha fatto la scelta giusta…ha salvato la vita a tutti voi- Jackson si sedette al fianco del figlio, in un tronco caduto. 
 
-Come faccio a non essere arrabbiato? Ha infranto la nostra promessa…avremmo dovuto continuare le indagini insieme e nessuno doveva mentire più- le mani dello scrittore erano tra i suoi capelli –io ho sofferto tantissimo in questi mesi…come ha potuto farmi questo?- chiese, guardando il padre.

-Non ha potuto…ha dovuto- il figlio scrollò la testa – Se fosse sopravvissuta, in questo momento avreste celebrato il funerale di tutte le persone coinvolte in questa faccenda. Compreso quello di tua figlia e tua madre…avresti veramente voluto questo?- lo scrutò suo padre.

-Io…avrei voluto saperlo…io…non so…- la confusione regnava nella mente di Richard.

-Lo so che hai sofferto, lo sa anche lei…e lo sai anche tu che lei può capirti meglio di qualsiasi altra persona, ma anche lei ha sofferto- Richard tornò a guardarlo negli occhi –hai la vaga idea di quello che ha passato? Era ferita gravemente, ma ha resistito…è stata forte, lo è stata per te…per tornare da te…e il restare lontano da suo marito è stata la tortura più grande…prova a metterti nei suoi panni…- cercò di convincerlo suo padre.

-Come sta? Le sue ferite sono guarite bene?- si preoccupò Rick, voleva sapere di quei mesi, cos’era successo.

-Sta bene…ma se fosse stato per lei, avrei dovuto ricucirla venti volte- un leggero sorriso comparve nel volto del padre –si…ricordo bene la sua testardaggine…- 

-Kate sta giù…ti hanno sparato e se non sei morta è solo un miracolo- Jackson trattenne la ragazza dall’alzarsi dal suo lettino.

-Io non posso stare qui a fare niente, devo andare la fuori a proteggere la mia famiglia- si lamentava Kate, divincolandosi per l’ennesima volta dalla presa dell’uomo.

-Lo so, ma se continui così non permetterai mai al tuo corpo di guarire…devi avere la pazienza necessaria a restare ferma per qualche settimana- la fece stendere nuovamente sulla brandina, controllando che le ferite non si fossero riaperte.

-Ok…ma starò ferma solo cinque giorni…- lo guardò seria Kate, suscitando una risata da parte di Jackson. 

-Forse ho capito perché mio figlio si è innamorato di te…siete due testoni…- la fece ridere.

-Si…è una donna straordinaria- Jackson sorrise, invitando il figlio a rientrare in casa, iniziava ad essere buio e freddo.

-Dov’è Kate?- Richard si guardò attorno preoccupato.

-Tranquillo…sarà andata disopra a cambiarsi…perché non la raggiungi mentre preparo qualcosa per la cena?- gli indicò le scale.

Richard era titubante. Non aveva reagito bene alla sua confessione, ma forse era normale. Comunque aveva detto cose di cui ora si pentiva, non aveva messo in considerazione il dolore che anche la sua straordinaria moglie aveva provato. 
La trovò di spalle, stava guardando fuori dalla finestra. Lo sguardo perso tra i suoi pensieri. Aveva indossato una vecchia tuta e delle scarpe da ginnastica. I capelli erano raccolti in una coda veloce. Alcune ciocche le ricadevano sul volto, incorniciandolo alla perfezione. Si era fermato a pochi passi da lei quando la vide voltarsi. 

-Kate/Rick…- sussurrarono all’unisono, come se uno dei due sarebbe sparito all’istante –mi dispiace…- si unirono in coro. Entrambi sorrisero. I loro occhi si incontrarono, servirono solo quei pochi istanti di silenzio per farli fiondare l’uno tra le braccia dell’altro. Un abbraccio tanto desiderato, voluto e pieno di emozioni. 

-Dio quanto mi sei mancata!!- entrambi avevano le lacrime agli occhi. L’abbraccio divenne più forte, avevano bisogno di quel contatto. 

-Mi dispiace…mi dispiace…mi dispiace- ripeté Kate come un mantra all’orecchio di Richard, che sentì il cuore morirgli sentendo il tremolio nella voce di Kate. 

-Scusami tu…non ti ho capita…solo…- venne fermato da Kate che gli poggiò un dito sulle labbra. Poi portò la mano sulla sua guancia, sul suo collo e poi tra i capelli corti. Mentre con l’altra gli asciugò le lacrime. Richard fece esattamente le stesse mosse. Una mano le accarezzò tutto il collo, intrufolandosi tra i capelli, facendoli sciogliere, mentre l’altra asciugava dolcemente le sue guance morbide. 
Entrambi si avvicinarono tremanti al volto dell’altro. Il respiro di entrambi inebriava i sensi di entrambi, lo sfiorarsi dei loro volti li fece rabbrividire, gli occhi di entrambi erano immersi l’uno nell’anima dell’altra. Fu un attimo. All’unisono si unirono in un bacio. I corpi che si irrigidirono al contatto. Le mani di entrambi si strinsero, per aumentare il contatto. Le lacrime tornarono a scendere silenziose sui loro volti mischiandosi, come se il dolore di entrambi venisse sostenuto da due cuori invece che da uno solo. Le loro labbra continuarono ad accarezzarsi, le bocche si schiusero, le lingue si cercarono e assaporarono il sapore dell’altro, mischiato alle lacrime salate. Si staccarono solo quando la necessità di respirare li costrinse a farlo. Kate appoggiò la sua fronte a quella di Rick, entrambi con gli occhi chiusi e commossi per l’intero momento. Rick le baciò la fronte, l’orecchio, il collo e poi l’abbracciò forte, tenendola stretta tra le sue braccia. Kate fece lo stesso. 

-AMORE MIO…ANGELO MIO…TI AMO TROPPO PER PERDERTI…- la strinse ancora più forte al suo petto.

-TI AMO DA MORIRE ANCHE IO…SEI LA MIA RAGIONE DI VITA…SEI LA PARTE MIGLIORE DI ME- lo strinse ancora più forte a se. 

-Sarà meglio andare adesso…tuo padre sta preparando la cena…- Kate lo prese per mano e lo portò al piano inferiore. 

-Cenerai con noi e poi ti riporteremo a casa, Dio solo sa come saranno preoccupate le due rosse- gli fece ricordare di sua madre e di Alexis. 

-E’ vero!- si batte la fronte, ricordandosi di come le aveva lasciate in ospedale.

-Ti riporterò io…Kate attirerebbe l’attenzione di tutti con la sua moto- aggiunse Jackson, passando un piatto di pasta ai due. 

-Ok…ma potrò rivedervi?- si preoccupò subito.

-Ci faremo vivi noi…al momento non possiamo avere telefoni con noi o cose simili…vedrai che troveremo un modo- gli assicurò Kate con un sorriso.

-Ok…va bene- annuì lui, realizzando l’intera situazione. 

Cenarono e risero. Richard e Kate erano molto più tranquilli. Jackson aveva raccontato altri aneddoti riguardanti i giorni di convalescenza di Kate. Rick sapeva che la sua musa era testarda, ma non aveva mai immaginato fino a quel punto. 

-E’ ora di andare Rick…ti aspetto in macchina- Jackson gli lasciò il tempo di salutarsi.

-Promettimi che starai attenta…- le accarezzò la guancia –e che ti farai viva presto…non so quanto potrò vivere lontano da te- 

-Te lo prometto, ma anche tu stai attento e ricordati quello che ti abbiamo detto…non svegliate il drago…o sarà la fine per tutti- lo abbracciò. 

-Ti amo Kate…Always- la baciò sulle labbra, molto delicatamente.

-Always…- sorrise lei, prima di vederlo uscire dalla casa.
 


Richard tirò un lungo sospiro, prima di inserire la chiave nella toppa ed entrare in casa. Sapeva già che al suo interno c’erano le due rosse pronte a fargli una ramanzina. Si fece coraggio ed entrò nel loft. Neanche il tempo di richiudere la porta che sua madre e sua figlia gli corsero incontro. Non erano sole, però, con loro c’erano anche i due detective , Lanie, Hailey e Jenny.
Tutti avevano le mani sui fianchi e lo sguardo severo. 

-Dove diavolo sei stato?- chiesero in coro.

-L’avete preparata questa?- una battuta? Aveva fatto una battuta? No…era solo un caso.

-Dove sei stato? Hai idea di quanto ci hai fatto preoccupare? Ti abbiamo cercato ovunque…possibile che non pensi a quello che fai? Dove sei stato?- lo attaccò Alexis. Il suo comportamento iniziava a dargli sui nervi.

-Cos’è…avevate paura che mi rapissero gli alieni?- un’altra battuta? Tutti si guardarono tra il sorpreso e il preoccupato. –Ho avuto un attacco di panico…è vero, ma ora sto bene…ho preso un taxi e sono andato in spiaggia- rispose rapido, sperando che se la siano bevuta.

-E’ ora di assumere una babysitter- commentò la giovane rossa, appoggiata da tutti i presenti.
Richard sentì la rabbia salirgli, ma si trattenne dal dare spettacolo.

-Potevi almeno chiamare- Hailey si avvicinò anche lei preoccupata.

-Il telefono lo avevate voi…- indicò l’oggetto elettronico sopra al comodino – e poi sono un adulto…posso badare a me stesso senza che qualcuno si preoccupi di continuo della mia incolumità- voleva rinchiudersi in camera e allontanarsi, ma il braccio della figlia lo fece voltare verso di loro.

-ADESSO BASTA!- urlò Rick, guardando severo la figlia, spaventando tutti –SMETTILA!! CHE DIAVOLO VI PRENDE? HO PERSO UNA DELLE PERSONE PIU’ IMPORTANTI DELLA MIA VITA, COSA VI ASPETTATE DA ME? CHE CORRA E SALTELLI PER LE STRADE? CHE NON PIANGA PERCHE’ SOFFRO? CHE FARESTE VOI SE UNA DI LORO FOSSE MORTA?- guardò i due detective e le rispettive compagne –PRIMA DI ATTACCARMI OGNI SINGOLA VOLTA CHE IL DOLORE EMERGE…METTETEVI NEI MIEI PANNI…MALEDIZIONE!- urlava contro di tutti –FA MALE…NON NE AVETE NEANCHE IDEA…MA HO PROVATO AD ANDARE AVANTI PER TUTTI VOI…COSI’ DA NON FARVI PIU’ PREOCCUPARE…PERCHE’ VOI NON PROVATE A FARE LO STESSO PER ME? IO HO PERSO L’AMORE DELLA MIA VITA…E QUESTO NON SI SUPERA DA UN GIORNO ALL’ALTRO…- si rinchiuse in camera, sbattendo la porta.

Erano rimasti tutti con la bocca aperta. Non sapevano come e se ribattere. Nessuno aveva mai provato a mettersi nei sui panni, lo avevano sempre e solo giudicato. 

-L’avevo detto che stava bene…- Jim Beckett comparve da dietro una colonna –Nessuno di voi è riuscito a capirlo…quando si perde l’amore della propria vita è come se il terreno sotto ai piedi scomparisse. Ogni ricordo, fotografia e momento sono come coltellate all’anima. Rispettate il suo lutto…io sono caduto in basso per non affrontarlo…lui è stato più forte di me- si avvicinò al divano per prendere il suo impermeabile. –E’ un dolore che non scomparirà mai…potrà solo essere alleviato…io avevo mia figlia che mi aiutava, lui…ha solo persone che lo giudicano perché si lascia andare alle emozioni- concluse, uscendo dal loft, lasciando che i presenti ragionino sulle sue parole.
 

Tutti tornarono alle rispettive abitazioni. Martha e Alexis si erano rinchiuse nelle loro camere. Richard stava guardando il soffitto della sua, ancora con la camicia e i pantaloni addosso. Non aveva osato alzarsi per nessun motivo. Non aveva voglia di andare in cucina per nessun motivo…non voleva incontrare nessuno in quel momento. 

Nel silenzio della stanza sentì la porta della sua camera aprirsi molto lentamente e poi chiudersi.

-Alexis…o mamma…non ho voglia di parlare adesso, quindi andatevene…- disse, senza guardare chi fosse realmente. Non sentì nessuno, quindi si portò a sedere e davanti a lui c’era un’ombra molto familiare. –Sto sognando?- si strofinò gli occhi come se volesse svegliarsi.

-No…non credo…ma se vuoi restare solo me ne vado…- si voltò per uscire.

-No…no…resta…- si precipitò da lei, chiudendo la porta.

Kate sorrise, avvicinandosi al suo letto, non prima di aver chiuso la porta a chiave. –Volevo solo chiederti se potevo dormire tra le tue braccia questa notte- chiese, con un lieve rossore in viso, per l’imbarazzo.

-Vieni…- aprì le braccia, invitandola a stendersi vicino a lui. Kate si tolse le scarpe, la giacca e le diverse pistole che aveva addosso. –Sei ben fornita…- scherzò Rick, vedendola togliere l’ultima arma dal suo corpo.

-Non si è mai preparati abbastanza- sorrise lei, adagiandosi sul letto. La testa si appoggiò al petto dello scrittore e la sua mano iniziò ad accarezzargli i pettorali da sopra la camicia. –Non sai quanto mi è mancato sentire il tuo cuore battere- confessò, chiudendo gli occhi, ascoltando attentamente.

-A me è mancato tenerti tra le braccia, sentire il calore del tuo corpo e il tuo respiro caldo sul mio petto- le accarezzò i capelli e le braccia scoperte. Un bacio leggero si poggiò sulla fronte di lei, che alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi. 

Kate si alzò su un gomito per avvicinarsi al volto dello scrittore. Lo accarezzò e posò un bacio dolce e delicato sulle labbra di Rick, che la tenne attaccata a se con una mano tra i suoi capelli morbidi. 

-Come ho fatto a sopravvivere senza di te per tutto questo tempo?- sussurrarono insieme, sorridendo entrambi.

Richard rimase ad osservarla. Quel sorriso luminoso che si apriva sul suo volto era da mozzare il fiato.

-Che c’è?- Kate arrossì.

-Niente…mi è mancato il tuo sorriso…mi è mancato il leggero rossore che si crea sulle tue guance quando sei imbarazzata, mi è mancato il luccichio dei tuoi occhi…occhi che fanno ridere il mio cuore- rispose sinceramente, accarezzandole ogni lineamento del suo viso.

-a me è mancato tutto di te…sei tutta la mia vita…ti amo Rick- non avrebbe mai smesso di dirglielo. 

Si guardarono negli occhi per un’eternità. Lentamente si avvicinarono, occhi negli occhi, il respiro farsi più forte, i cuori battere all’unisono. Le loro labbra si sfiorarono, si assaggiarono per qualche secondo, si staccarono. Silenziosamente sorrisero e tornarono labbra contro labbra. Le bocche si schiusero, iniziando una danza di fuoco con le loro lingue.  Kate si alzò sopra di lui, accarezzandogli i pettorali e slacciando la camicia blu che indossava. Rick accarezzava la schiena coperta dalla maglietta, portando le sue mani sotto di essa e privando la sua donna di quell’indumento. Rick si alzò per permettere a Kate di sfilargli la camicia, ma ne approfittò anche per portarla sotto di se. Le sue labbra partirono dalla bocca di Kate, percorrendo la sua guancia, il suo collo, le sue spalle. Le carezze percorrevano il corpo della sua musa, passando sopra alle vecchie e alle nuove cicatrici, posandoci subito un bacio. 
In poco tempo si ritrovarono completamente nudi, pelle contro pelle, che continuavano a baciarsi.

-Rick…- lo vide aprire gli occhi per guardarla –Amami…- sussurrò a fior di labbra, baciandolo nuovamente.

-Oh…Kate…- lui tornò a baciarle le labbra, a stuzzicarle e assaporarle. 

Entrambi si guardarono, perdendosi l’uno nello sguardo dell’altro. Rick si posizionò e con un unico movimento entrò lentamente dentro di lei, avanzando finché tutta la sua lunghezza non era dentro di lei. La vide aprire la bocca, ma nessun rumore uscì dalle sue labbra. Rick si abbassò baciandole il collo e stuzzicando quel punto che era così sensibile. Quando entrambi sentirono di essere pronti, Rick uscì da lei e affondò nuovamente, facendole inarcare la schiena e attutendo i gemiti di entrambi con un bacio. 
Le mani di Richard andarono ad accarezzare i seni di lei, seguite da una scia di baci sul suo petto. Le mani di Kate strinsero i capelli corti di lui, riportando le sue labbra sul suo volto. Continuarono a muoversi all’unisono, in perfetta sincronia, contatto pieno di emozioni e desiderato da entrambi. Le spinte aumentarono automaticamente, i corpi che iniziavano a tremare era il segnale che stavano arrivando al culmine. Rick e Kate ripresero a baciarsi, in modo da attutire l’inevitabile orgasmo che stava per arrivare. 
Richard uscì per l’ultima volta, per poi affondare nuovamente dentro di lei. Kate inarcò la schiena, i muscoli della sua vagina si contrassero attorno al membro di Rick, che a quella condizione si lasciò andare anche lui. –Ti amo…Kate- sussurrò, rimanendo sopra di lei ancora qualche istante. 

-Ti amo Rick- lo baciò ancora lei, accarezzandogli la schiena nuda.

Richard si stese supino sul letto, accogliendo Kate tra le sue braccia. Lei appoggiò nuovamente la testa sul suo petto e dopo essersi coperti, si addormentarono cullati dai loro respiri e i loro battiti. Le loro mani sinistre erano intrecciate, mettendo in mostra le loro fedi, simbolo del loro amore immortale. 
 

Richard venne svegliato dai raggi del sole che inondavano la stanza con la sua luce e il suo calore. Lo scrittore si mosse dentro il letto, sentendo la parte fredda accanto a se. Kate se ne era già andata, era normale, visto che erano già le otto del mattino. Richard assaporò l’odore della sua amata rimasto tra le lenzuola. Il suo sguardo cadde su un vassoio appoggiato sul suo comodino. C’erano un cornetto, una tazza di cappuccino fumante e un piccolo foglietto di carta. Always us. Un sorriso si accese involontariamente sul volto dello scrittore. 
 

ECCOMI QUI. IL MIO NUOVO CAPITOLO PRONTO PER VOI. SPERO DI NON AVER FATTO SUCCEDERE TUTTO TROPPO IN FRETTA. RINGRAZIO TUTTI PER AVER LETTO E LE PERSONE CHE GENTILMENTE HANNO LASCIATO UNA RECENSIONE. VI ASPETTO AL PROSSIMO CAPITOLO. 
CHIARA.

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Capitolo 7
*** Un piacevole contrattempo ***


UN PIACEVOLE CONTRATTEMPO

-Siete sicuri che sia questo il posto?- Hailey e Alexis guardavano interrogative i due detective e lo scrittore.

-Le tracce portano tutte qui…i nostri spacciatori assassini hanno la base in questo edificio- rispose Esposito, pronto ad estrarre la pistola in caso di necessità.

-Scusami partner, ma non credo sia una buona idea coinvolgere anche loro- sussurrò Ryan, preoccupato per l’incolumità dei tre non armati.

-Non li abbiamo invitati noi…erano già qui…tranne Castle, lui è arrivato per conto suo…a proposito, come lo sapevi che era qui?- Esposito si voltò verso lo scrittore.

-Ho ragionato e ho analizzato tutte le prove….come facciamo sempre e gli indizi mi hanno portato qui- rispose Richard, dietro all’ispanico, con in dosso il suo giubbotto.

-Ok…pronto…- Esposito fece diversi segni al partner armato e dopo diverse occhiate d’intesa, aprirono la porta ed entrarono con le pistole pronte davanti a loro.

Il silenzio calò nel momento stesso in cui entrarono nell’edificio. Avevano chiamato i rinforzi da qualche minuto, ma non potevano permettersi di farsi sfuggire l’occasione di catturare quella spietata banda. Raggiunsero il salone centrale, era tutto troppo tranquillo per essere un covo di spacciatori assassini, la guardia era sempre più alta e l’attenzione aveva impiegato tutti i sensi.

Il riflesso di qualcuno che si muoveva dietro di loro fece scattare l’istinto militare di Esposito che subito si girò e ordinò a tutti di mettersi ai ripari. Iniziando a sparare insieme ai criminali.

-Espo…sono troppi- affermò Ryan, facendogli guardare sul corridoio sopra le loro teste e dietro le casse al loro stesso piano.

-Ok…tieni Hailey…Kevin dai la tua pistola a Castle, saranno i nostri rinforzi- ordinò Esposito.

L’irlandese fece come richiesto e al concerto presero parte anche lo scrittore e la loro nuova partner.

-Sono sempre troppi…- questa volta fu Richard a parlare, suscitando una smorfia sul volto dei due detective.

-Dobbiamo solo prendere tempo…a momenti arriverà la squadra e potremmo arrestare questi bastardi.

Alexis si votò istintivamente e guardò il corridoio sopra di loro, due uomini si stavano mettendo in posizione per sparare. –Papà…- sussurrò lei, facendo cenno al padre di guardare nella sua stessa direzione.

-O…merda…- gli occhi di Richard si spalancarono. Provò a puntare contro di loro la pistola, ma un colpo partì da quegli uomini, colpo che fece saltare l’arma dalle mani dello scrittore. A quel punto anche i due agenti si allarmarono, ma non abbastanza velocemente.

-Laggiù…- Esposito e Ryan si erano già avviati, seguiti subito dalle due donne e poi da Castle. Quest’ultimo rimasto indietro per distrarre i criminali.

-Castle sta giù…- urlò Esposito, Richard si voltò nella direzione in cui c’era un uomo pronto a sparargli. Neanche un secondo che qualcuno si buttò addosso allo scrittore, rialzandosi rapido e sparando magistralmente e atterrando l’uomo.  

Il suo salvatore era un individuo munito di casco oscurato. –Sta giù…- lo fece abbassare dietro alle casse. Poi si guardò intorno, guardando la porta dalla quale forse era entrato. –Quando te lo dico corri in quella direzione…ti copro le spalle…- gli indicò il punto.

-Ok…- annuì lui, vedendo la persona puntare la pistola contro gli uomini sui corridoi superiori.

-ORA…- gli intimò, iniziando a sparare, si sentivano i corpi cadere pesanti sul pavimento e il sangue schizzare ovunque. Richard aveva fatto come richiesto, ma troppo lentamente per la persona con il casco. Questo lo prese e lo fece avanzare più velocemente, sparando anche agli ultimi uomini armati, bersaglio anche dei due detective che avevano continuato a sparare per tutto il tempo.

Non erano usciti nella strada principale, ma in un vicolo sudicio e bagnato. –Stai bene?- la persona alzò la visiera, permettendo allo scrittore di capire chi fosse, anche se lo aveva già capito da tempo.

-Sto bene…sto bene, grazie…- lo scrittore si studiò il corpo, appurando realmente di non avere ferite in corpo –perché non ti sei fatta più viva?- sussurrò, sapendo che era pericoloso per lei rimanere li.

-Sono stata a Los Angeles con tuo padre, abbiamo seguito una pista su Loksat…- rispose rapida –e tu…- gli accarezzò il volto, dopo essersi sfilata un guanto –ti lascio qualche giorno da solo e ti ritrovo in mezzo ad una sparatoria?- gli occhi sorrisero, luminosi.

-Che ci posso fare…hai detto di stare lontano da tu sai chi, non dai casi in generale- ricambiò il sorriso.

In lontananza sentirono l’arrivo dei rinforzi a sirene spiegate. –Sarà meglio che vada…- appurò Kate, alzandosi il casco dalla testa. Senza toglierlo del tutto, appoggiò una mano al petto dello scrittore e gli lasciò un dolce bacio sulle labbra, per poi correre via di li.

-Stai attenta…- sussurrò Castle, vedendola annuire. –Anche tu sta attento Rick…- rispose ad eco lei.

Dopo qualche minuto Richard tornò alla facciata principale dell’edificio, dove c’erano tutti. Alexis lo abbracciò subito, nel vederlo comparire incolume. –Sto bene…sto bene- sorrise lui, sapendo come si preoccupava per lui.

-State bene?- lo scrittore, guardò i due detective e le due donne.

-Tutto a posto, a parte l’adrenalina che ho in circolo- rispose Hailey, facendo ridere tutti.

Sul ponte che era davanti a loro c’era Kate, a debita distanza, con il casco sulla testa, irriconoscibile agli occhi di tutti, ma non a quelli di lui. Richard infatti si era voltato istintivamente verso di lei, l’aveva sentita. La fissò per qualche minuto, come se stessero comunicando telepaticamente. Quando anche i suoi amici andarono a fissare quel punto, Kate salì in moto e fuggì via.

-Ma chi è quello? Il tuo angelo custode?- chiese Hailey, riconoscendo il motociclista, come quello della scorsa volta.

-Si Castle, chi è? Sembra che ogni volta che sei in pericolo si fa vivo per salvarti…a proposito, la prossima volta puoi chiedergli di aiutare anche noi?- borbottò Ryan, guardandolo.

-Non ne ho idea, ma gli sarò sempre grato…chissà che storia ha…un bodyguard segreto, mi piace- commentò subito Richard, sperando di essere stato convincente.

-Cos’era quello?- si stupì Alexis, ma anche gli altri tre.

-In che senso?- Richard si irrigidì subito alla reazione dei quattro davanti a lui.

-Hai fatto una battuta…- gli fece notare Esposito.

-Oh…mi stavate preoccupando, pensavo chissà cos’avevo fatto- sbuffò Castle, sorridendo e tirando un silenzioso sospiro di sollievo.

-Castle…- lo richiamò Ryan -…non fai battutine da un mese…certo che ci preoccupiamo, è successo qualcosa di cui non siamo al corrente- indagò il detective.

-Forse l’adrenalina di essere scampato ad una sparatoria ha fatto tornare il vecchio Castle per un momento- si giustificò subito lui, allontanandosi da quella conversazione.

Qualche ora più tardi erano tutti al distretto per chiudere in bellezza quel caso tanto fastidioso. Richard stava fissando un punto indefinito nella stanza e tutti si rendevano conto che la sua mente stava vagando altrove.

-Secondo te dobbiamo preoccuparci?- chiese Alexis ai suoi amici.

-No…capita a tutti di perdersi nei propri pensieri- rispose subito Esposito alla ragazza.

-Non solo di questo…ma  è diverso da qualche tempo…come se stesse rinascendo il vecchio Richard…piano piano ovviamente- commentò Hailey.

-Smettetela…iniziate ad essere un po’ esasperanti…prima non vi sta bene che soffra, poi sorride e fa battute ed è esattamente la stessa cosa…mi spiegate cosa volete da lui?- le interrogò Esposito.
 



Richard era rimasto solo in casa, sua figlia e sua madre erano andate a cena fuori con Hailey e Lanie. Erano le otto di sera. Stava guardando dalla finestra dello studio, ammirando il movimento della città e il gioco di luci.

-A che pensi?- la voce di Kate lo fece sobbalzare e voltare verso di lei, con una mano sul petto.

-Al fatto che mi farai morire se continui ad apparire all’improvviso…- rispose, facendola ridere –come fai ad entrare senza che nessuno ti veda? E qui dentro?- chiese lui.

-Ho la chiave…- gli mostrò il mazzo di chiavi che aveva in mano –perspicace come si mi sorprende che non ci sei arrivato da solo- si avvicinò, alzando una mano, mostrando un sacchetto.

-Ramys?- sorrise lui, raggiungendola.

-Pensavo ti avrebbe fatto piacere cenare insieme, almeno finché le tue rosse non tornano- annuì lei. Si sedettero sul tappeto e la schiena appoggiata al divano. Il cibo appoggiato sul tavolino di vetro davanti a loro.

-Hai pensato bene- la guardava molto intensamente –come stai?- le chiese subito.

-Bene…mi sono ripresa completamente, tu? Ti sei ripreso dalla sparatoria?- ricambiò.

-Da quella si, dalle domande di mia figlia e dei ragazzi un po’ meno- rispose scuotendo la testa.

-Ti va se ricominciamo? Non mi va di parlare di questo- lo sorprese lei.

-Certo…come vuoi ricominciare?- chiese divertito.

-Così…- si sporse leggermente dal suo lato e lo accolse con un tenero bacio sulle labbra.

-Concordo…è molto meglio…- scoppiarono entrambi a ridere.

Mangiarono, parlarono e risero per tutta la sera. Kate si era accoccolata sul fianco di Richard che le accarezzava la schiena con movimenti delicati. Lei gli accarezzava il petto e lo solleticava con il suo respiro.

-Avete scoperto qualcosa a Los Angeles?- chiese alla fine Richard, aveva resistito anche troppo.

-Lo sai che non posso coinvolgerti…è per proteggerti- si alzò, per guardarlo negli occhi.

-Andiamo è una settimana che non ci vediamo…dimmi almeno quanto devo aspettare prima di riaverti qui con me- si lamentò lui, quella situazione era molto fastidiosa e scomoda.

-Ti dico solo che abbiamo trovato degli ottimi indizi, ma niente di più…stiamo ancora analizzando il materiale che abbiamo trovato…ti prometto che quando tutto questo sarà finito ti racconterò ogni cosa, ma per ora non posso dirti altro, mi dispiace- gli lasciò un bacio sulle mani.

-Sapere che sei la fuori senza di me è frustrante, non sapere se stai bene o se…- venne fermato da Kate che gli poggiò un dito sulle labbra.

-Io sto bene…e anche per me è difficile, come oggi…pensare di non essere li per proteggerti le spalle e tutto il resto…- gli accarezzò il volto.

-A me è sembrato il contrario…non era una tua sosia oggi che mi ha salvato la vita…eri tu e quindi continui a farlo- le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-Ti regalo una cosa…- Kate prese qualcosa dalla tasca della giacca appoggiata sul divano –Tieni…oltre ad essere un’arma…è stato il mio portafortuna per molto tempo…magai ti aiuterà, si nel caso dovessi trovarti in una situazione difficile…- era un coltellino a serramanico. Il manico coperto da pelle nera e con delle iniziali incise in corsivo. KB.

Richard lo prese e passò il pollice sopra l’incisione. –Ne avrò cura per te e quando arriverà il momento te lo restituirò…è una promessa- sorrise, avvicinandosi per baciarla sulle labbra. Le loro mani si incontrarono e si intrecciarono tra di loro. Erano labbra contro labbra, i cuori battere all’unisono come ogni volta che accadeva. Rimasero a baciarsi a lungo, senza secondi fini, quel gesto, visto da fuori, poteva sembrare la reazione di due adolescenti, ma loro sapevano bene che quello era il modo per trasmettere ad entrambi la forza necessaria ad andare avanti.

-Devo andare…- si staccò Kate -…le tue rosse stanno per tornare- disse sicura.

-Come lo sai?- chiese sorpreso.

-Ho messo un localizzatore sulla macchina con cui sono partite e il mio telefono mi ha appena informato che sono a qualche isolato da qui- rispose, infilandosi il giacchetto di pelle.

-Credo che mi farò bastare questi momenti…ma non puoi aspettare ancora qualche minuto?- la supplicò, fermandola per le braccia.

-Solo due minuti…poi me ne devo andare- lo assecondò Kate, portando le sue braccia dietro al suo collo, mentre lui l’avvicinava per la vita.

-Facciamo cinque- Richard iniziò a baciarle tutto il volto. Poi raggiunse il lobo dell’orecchio, il collo e quel punto così sensibile che gli piaceva tanto stuzzicare.

-Oddio Rick…se continui così…saranno dieci…- ansimò Kate, con la testa appoggiata sulla sua spalla, mentre le sue mani accarezzavano i capelli corti dello scrittore.

-Giuro che ti farò uscire di qui in tempo…non avevo realizzato che ne avevamo così poco- commentò, tuffandosi nuovamente sul suo collo, spingendola contro la colonna dietro di lei.

-Allora facciamo in fretta…- Kate aveva già slacciato la cintura dei pantaloni di Richard e slacciato la zip dei pantaloni. Richard aveva fatto lo stesso, togliendole completamente i jeans e l’intimo. –Potevamo farlo più tranquillamente, abbiamo passato due ore a parlare- ansimò Kate, al tocco sensuale del marito.

-In realtà…- si abbassò i boxer e la fece arrampicare sul suo bacino -…non era in programma…è stato quel tuo coltellino…mi ha risvegliato…- disse, guardandola negli occhi, mentre si faceva strada in lei.
 


-Richard caro…siamo tornate…- si annunciarono, entrando in casa.

-Papà?- lo chiamò Alexis.

-Sono in bagno arrivo!- si apprestò a rispondere dal bagno della sua camera.

-Hai cenato?- la ragazza si guardò intorno, notando che tutto era in ordine.

-Si…sono andato al Ramys e poi a prendere un gelato…- si mostrò alle due rosse di casa Castle.

-Oh…sei uscito…- commentò Martha –hai fatto bene, dopo quello che è successo oggi…- commentò la rossa.

-Si in effetti avevo bisogno di fare due passi, ma poi sono tornato a casa e mi sono messo a scrivere, ho quasi finito il mio nuovo romanzo- disse contento, prendendo posto sul divano.

-Alexis mi ha parlato del tuo angelo custode…è vero che ti ha salvato la vita tre volte?- chiese curiosa sua madre.

-Parli del motocilista?- Richard mandò un’occhiataccia alla figlia –Se vuoi sapere chi è non ne ho la più pallida idea…-

-E non vuoi indagare per ringraziarlo?- insistette la donna.

-Dovrei? Dopo non ci sarebbe più suspense…e poi il mio nuovo romanzo parla proprio di lui…un uomo misterioso che agisce nell’ombra per salvare uno scrittore…non è fantastico?- sorrise lui, notando gli sguardi divertiti delle due donne.

-Io vado a dormire…si è fatto tardi…domani ho i corsi all’università- si congedò Alexis, lasciando un bacio sulla guancia del padre e uno su quella della nonna.

-Ti saluto anche io…domani ho le prove per il nuovo spettacolo- anche Martha imitò la nipote e si dileguò al piano superiore.

Rimasto solo Richard si accertò di esserlo realmente, così si apprestò a raggiungere la camera e chiudere la porta a chiave.

-C’è mancato poco eh?- sorrise alla donna stesa sul suo letto.

-Te l’avevo detto che non era il caso di iniziare la nostra attività…ricreativa- commentò Kate, spostandosi su un fianco.

-Ma devi ammettere che è stato…molto…eccitante- gli fece qualche stupido gesto che la fecero ridere e scuotere la testa, come solo lei sapeva fare.

-Su questo non posso darti torto…- si morse sensualmente il labbro inferiore -…ma la prossima volta che ti dico di fermarti…lo farai…intesi- lo guardò divertita.

-Intesi…ma ammettilo…mi sono destreggiato bene…insomma, ho detto che ho mangiato al Ramys e non era del tutto una bugia e il fatto di scrivere un nuovo romanzo? Neanche quella lo era…- commentò lui.

-Hai veramente intenzione di scrivere di me?- sorrise sorpresa.

-Sei la mia musa da anni…è per questo motivo che ti definisco musa…non ti pare? E poi non scriverò su di te…ma su un motocilista misterioso che salva la vita delle persone a cui tiene…- rispose.

Kate gli dette un piccolo pungo sulla spalla –Sono contenta di essere la tua musa Castle- sorrise, vedendo che si avvicinava per baciarla.

-Lo sarai sempre…- si avvicinò ulteriormente, appoggiando le sue labbra sulla sua bocca socchiusa.
 

-Papà?!- la voce di Alexis li fece staccare immediatamente e uno sguardo preoccupato comparve nel volto di entrambi.

-E adesso?- chiese sottovoce Kate.
 


CARI LETTORI, ECCO A VOI IL MIO NUOVO CAPITOLO. SPERO DI NON ESSERE NOIOSA MENTRE SCRIVO. COMUNQUE ECCOCI. KATE SALVA NUOVAMENTE IL NOSTRO SCRITTORE DA UNA SITUAZIONE COMPLICATA E SI INCONTRANO PER PASSARE UNA SERATA INSIEME, IN ASSENZA DELLE DUE ROSSE DI CASA CASTLE. UN CONTRATTEMPO PIACEVOLE TRATTERRA’ KATE UN PIU’ A LUNGO DEL PREVISTO, RIUSCIRANNO AD EVITARE CHE LA GIOVANE CASTLE SCOPRA LA VERITA’? AL PROSSIMO CAPITOLO…GRAZIE A TUTTI PER AVER SEGUITO E RECENSITO LA MIA STORIA.
CHIARA

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Capitolo 8
*** E' me che sta coprendo... ***


E’ ME CHE STA COPRENDO
 
Richard fissava un punto indefinito della sala ristoro. Era passato un mese dalla sera in cui Kate era rimasta con lui. Alexis fortunatamente non era entrata nella stanza e non aveva scoperto la verità scioccante. Era comunque passato un mese, un mese dove non aveva saputo niente o visto sua moglie. Non sapeva se stava bene, se aveva bisogno di aiuto o qualsiasi cosa che potesse farlo stare bene. Neanche suo padre si era degnato di dargli notizie, erano in silenzio radio da troppo tempo. Richard iniziava ad essere ansioso e preoccupato. Tanto da sbattere il palmo della mano sul tavolino, facendo ribaltare la tazza di caffè che stava bevendo.

-Qualcuno si è arrabbiato- Esposito fece capolino da dietro la porta.

-Oh…scusa…ero sovrappensiero- si affrettò a pulire tutto.

-Che ti turba amico? Andiamo…puoi parlare con me- l’ispanico si sedette difronte a lui.

-Niente...veramente, solo…vuoi una tazza di caffè?- si alzò per versarsi una nuova tazza della bevanda e ne porse una anche al detective.

-Se lo dici tu...quindi posso annunciarti la grande notizia- sorrise entusiasta Esposito.

-Che grande notizia?- sorrise Richard, notando uno speciale luccichio negli occhi dell’amico.

-Io e Lanie ci sposiamo…non è ancora di dominio pubblico e ti sarei grato se non ne facessi parola con nessuno- rispose contento lui.

-Oh…non sai come io sia felice per voi…e a dirla tutta era proprio ora! Dopo tutto questo tira e molla vi siete decisi- si congratulò lo scrittore, alzandosi per abbracciare l’amico.

-Si beh…neanche tu e Beckett avete scherzato!- la battuta gli era scappata per sbaglio.

-Si…noi avevamo qualcosa di un po’ particolare prima di capire cosa volevamo veramente, ma per fortuna ci siamo trovati…ci sono coppie che fanno la nostra stessa danza per tutta la vita- lo tranquillizzò Richard, sapendo che forse si stava sentendo in colpa.

-Penso che te lo chiederà Lanie, ma te lo accenno io…- tornò serio, facendo capire anche allo scrittore che si trattava di qualcosa di importante –Ryan sarà il mio testimone di  nozze e Lanie avrebbe voluto avere Kate al suo fianco…- gli fece capire di cosa si trattasse –date le circostanze…vorrebbe chiedere a te…di essere la sua testimone- concluse.

Richard rimase sorpreso per la richiesta, ma non poteva essere più felice. –Accetto molto volentieri...sono onorato...- lo abbracciò commosso Richard.

-Quando te lo chiederà lei, cerca di essere sorpreso come adesso…vorrei arrivarci vivo all’altare…- lo fece ridere.

-Te lo prometto…- sorrise, vedendo che stava uscendo –e se avete bisogno di qualsiasi cosa…non esitate a chiedere- lo informò.
 

Rimasero tutta la mattinata al distretto, la giornata sembrava tranquilla. La lieta notizia aveva migliorato di poco la giornata dello scrittore. L’ansia regnava ancora sovrana nella sua mente, ma cercò di frenare qualsiasi segno visibile, non voleva far preoccupare nessuno.
All’improvviso il distretto si animò. L’apertura delle porte dell’ascensore si aprirono all’improvviso. Mostrando una persona barcollante mostrarsi a tutti. Una copiosa quantità di sangue era all’interno della cabina dell’ascensore, sangue che sicuramente proveniva dall’uomo appena arrivato.
Richard lo osservò più attentamente e gli bastò vedere i lineamenti di quella persona per riconoscerla. Si fiondò da lui preoccupato. –Jackson!!- si allarmò.

-Ragazzo…- si sedette su una sedia li vicino, ansimava e teneva una mano premuta contro la ferita.

-Che succede? Che ti è successo?- chiese preoccupato.

-Ci siamo avvicinati troppo al sole ragazzo- gli fece capire di cosa stava parlando.

L’uomo stava perdendo i sensi. Avrebbe voluto dire dell’altro, ma non ci riuscì.

-ODDIO!! HO BISOGNO DI UN’AMBULANZA…SVELTI!!- urlò Richard, stendendo suo padre a
terra, cercando di premere sulla ferita.

Richard vide che c’era Lanie vicino ad Esposito. –Aiutami…aiutalo…- le chiese, vedendo che aveva capito perfettamente che aveva bisogno di lei.

-Ha perso molto sangue…la pallottola l’ha trapassato, ma non sembra abbia colpito organi vitali, è stato fortunato…ma ha bisogno immediatamente di una trasfusione- lo informò, rigirando il corpo dell’uomo a terra.

-Facciamo in tempo a portarlo all’ospedale?- si preoccupò lui.

-No…ne ha bisogno subito…o lo perderemo…- annuì Lanie, cercando di pensare.

-Tu la puoi fare? La sai fare?- chiese subito, sempre più in ansia.

-Mi servono gli strumenti…forse li ho disotto, ma non sappiamo che gruppo sanguigno ha…possiamo sbagliare- spiegò.

-Io lo conosco…- Esposito si accovacciò -…è l’uomo che era al cimitero e che ti seguiva qualche mese fa…- annunciò.

-Il mio sangue andrà bene…- Richard non aveva neanche sentito il detective .

-Come lo sai? Non abbiamo fatto neanche una prova…- lo guardò Lanie, cercando di farlo ragionare.

-Andrà bene perché è mio padre…e abbiamo lo stesso gruppo sanguigno- rivelò loro, convincendoli e sorprendendoli allo stesso momento.
 

Qualche ora dopo, Richard era seduto in una poltroncina d’ospedale. Suo padre disteso nel letto che si stava riprendendo bene. –Ragazzo!- lo chiamò debolmente Jackson.

-Sei sveglio…- si fiondò da lui –che è successo? Dov’è Kate?- chiese, vedendo che non c’era nessuno.

-Hai detto ai tuoi amici chi sono?- era più un’affermazione, ma non gli importava granché.

-E’ stato necessario…dovevo salvarti la vita- annuì lo scrittore.

-Ora c’è qualcun altro che ha bisogno del tuo aiuto…- lo fece tornare serio –Sta bene, tranquillo…ma la battaglia che sta per iniziare non può vincerla da sola…ha bisogno del vostro aiuto…come ti ho detto ci siamo avvicinati troppo al sole…- gli disse.

-Non vi siete fatti sentire per un mese…- lo rimproverò lo scrittore.

-Ragazzo…se vincerete questa battaglia, tutto tornerà come prima…le che torna a casa e le vostre vite tornare alla normalità- gli disse suo padre.

-La battaglia finale…come la trovo?- si guardarono.

-La giacca…c’è un telefono…prendilo, premi il tasto uno…ti metterà in contatto con lei…il resti spetta a lei dirtelo- si abbandonò sul letto, era stanco. –Io vi raggiungerò appena mi sarò ripreso-

 
Richard entrò in un vecchio capanno abbandonato. Lo sguardo analizzava ogni singolo angolo di quel posto, finché non si ritrovò davanti sua moglie, vestita di tutto punto.

Si abbracciarono, sollevati nel ritrovarsi.

-Stai bene? Che è successo? Perché non ti sei fatta più viva? Un mese…un mese è
passato- non era arrabbiato, solo frustrato dal fatto di non sapere niente.

-Rick lo sai di cosa mi sto occupando…ho trovato diversi indizi e mi hanno potata dove volevo- rispose, guardandolo dritto negli occhi.

-L’hai trovato? Jackson ha detto che avresti avuto bisogno di una mano- la vedeva preoccupata e dimagrita.

-Si…e si…siamo alla frutta…- annuì Kate –ma prima ho bisogno di chiederti un favore…- lo guardò negli occhi.

-No…non resterò in disparte- rispose, sapendo cosa stava per chiedergli.

-Lo so e non è questo che volevo chiederti- sorrise, sapendo che si sarebbe immischiato anche senza il suo consenso.

-E allora cosa?- la guardò sorpreso.

-Abbracciami…ho bisogno di stare tra le tue braccia- gli disse sinceramente.

-Non c’è bisogno di chiederlo- la avvolse con la sua solida presa, il suo volto poggiato sul suo petto e le mani che le accarezzavano i capelli e la schiena.

Rimasero in quella posizione per molto tempo. –Non vedo l’ora che questo incubo sia finito…voglio riaverti con me tutti i giorni, guardarti mentre dormi…svegliarmi con i tuoi baci…tutte quelle piccole cose che una coppia normale fa di solito- sorrise, cullandola.

-Anche io…mi manca un letto comodo e una doccia come si deve…e il miglior marito che mi sorride e che amo- sorrise –ma devo dirtelo…- si scostò per guardarlo negli occhi -…il fatto di fissarmi mentre dormo è un tantino inquietante- scoppiarono in una risata.

-Dovrai convocare tutti a rapporto, ma cerca di non dirgli niente riguardo a me…di solo che tuo padre si stava occupando della questione e che qui ci sono tutte le prove…metti questo…- gli passò un’auricolare –Ti aiuterò passo…passo, cerca di non farti scoprire a parlare con me però- gli disse.

-Ma come gli spiego come ha fatto mio padre a scoprire tutte queste cose?- ragionò Castle.

-Tu provaci…speriamo non ti facciano domande più specifiche…- sperò Kate –e avrai bisogno di questa…- gli passò una chiavetta –ci sono tutti i file che vi ho rubato e in più quelli che ho aggiunto io…vi basteranno per capire l’intera situazione- spiegò.

-Ok…vedrò di essere credibile, ma non ti prometto niente- prese l’oggetto e se lo mise in tasca.

-Cercate di non farvi scoprire…- lo avvertì, baciandolo sulla guancia e allontanandosi.
 

-Figliolo…perché non ti siedi? Mi fai venire il mal di testa- Jackson era già ‘uscito’ dall’ospedale ed era seduto sul divano del loft di Castle.

-Sono un po’ agitato se non lo avessi notato…sto per dare delle notizie ai miei amici, ma non posso spiegargli come sono venuto a conoscenza…devo essere credibile davanti a persone che capiscono i bugiardi al volo…ma questo è una sottigliezza- rispose rapido lo scrittore.

-Cerca di tranquillizzarti Rick…o ti farai scoprire prima di iniziare a parlare…- gli disse Kate, dall’auricolare.

-Ok…- si fece forza, prendendo dei grossi respiri e ricacciando l’aria dai polmoni.

-Papà…siamo arrivate e ci sono anche degli ospiti…- si annunciò Alexis, entrando in casa con tutta la truppa al seguito.

-Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo qui?- chiese esasperato Esposito.

-Perché non vi sedete…- li invitò sul divano, facendogli notare la presenza di Jackson.

-Salve- li salutò Jackson, cercando di sedersi meglio sul divano. Esposito e Ryan si guardarono interrogativi, come Alexis e Hailey.

-Inizia…-gli disse Kate all’orecchio.

-Ok…ok…- si sedette anche lui ansioso –Devo parlarvi…- iniziò con voce tremante.

-Credo sia ora…- lo intimò suo padre, facendogli segno di sbrigarsi.

-Si…sappiamo chi è Loksat…- confermò alla fine Richard, sentendo gli sguardi di tutti che lo trapassavano.

-Cosa…cosa? Noi abbiamo perso tutte le prove di Loksat e tu vuoi dirmi che hai scoperto chi è?- Esposito si alzò arrabbiato.

-Non io…mio padre…- indicò Jackson sul divano, come gli aveva detto Kate.

-Oh…suppongo che sia stata opera sua quel giochetto al mio computer…- commentò Vikram.

-Esatto- rispose Jackson, mentendo.

-E chi sarebbe? No perché ho proprio voglia di ficcargli una pallottola in fronte- disse sempre più arrabbiato Esposito.

-Javi…- cercò di tranquillizzarlo Lanie.

-Il suo nome è Edward Kramer…vero capo della G.D.S.  e di tutto il movimento che noi chiamiamo Loksat- rispose Castle, mostrando loro la foto che era nella chiavetta di Kate.

-E allora che aspettiamo?- chiese Ryan, anche lui pronto per entrare in azione.

-Dobbiamo essere cauti…vi ricordate il posto in cui ero rinchiuso? L’edificio dove si nasconde è molto simile…ma non possiamo agire senza un piano d’azione- rispose Richard.

-Ha ragione…avete bisogno tutti di armi e protezioni adeguate- disse Jackson.
Richard scorse le foto che erano dentro alla chiavetta, osservandole tutte molto attentamente, finché sua figlia non lo fermò.

-Queste sono datate con i giorni in cui lui ti stava seguendo…com’è possibile che fosse  a Los Angeles?- chiese Alexis, guardando suo padre.
Richard non sapeva come rispondere, guardava suo padre e cercava di sentire qualcosa dall’auricolare. Niente.

-Cosa ci stai nascondendo Richard?- questa volta era sua madre a leggero come un libro, conosceva bene la sua faccia.

-Niente…io…niente- alzò le braccia, notando gli sguardi puntati su di lui.

-Chi stai coprendo Castle? Diccelo maledizione!- urlò Esposito.

-Nessuno ve l’ho detto…ci siamo dentro solo io e mio padre…nessun’altro- Castle indietreggiò, preoccupato di come si stava evolvendo in maniera molto negativa.

-Menti Rick…si vede- gli fece notare Hailey.

-Dicci chi stai coprendo…andiamo, diccelo!- si avvicinarono i due detective.

-ORA BASTA!- una voce li distrasse tutti –Castle sta coprendo me…lui non c’entra niente con tutta questa storia…- si mostrò a loro come un fantasma. I due detective indietreggiarono, gli occhi delle donne rimasero spalancati. Richard invece guardava sua moglie sorpreso e grato allo stesso momento.
 

SCUSATE SE HO RITARDATO UN PO’ PER PUBBLICARE QUESTO CAPITOLO. SPERO MI PERDONIATE. GRAZIE PER LE RECENSIONI E PER AVER SEGUITO ANCHE QUESTO CAPITOLO DELLA MIA STORIA. GRAZIE ANCORA.
CHIARA.
 

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