Keiichi - La ricerca di Tessaiga

di AlienorJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'antico pozzo mangia ossa ***
Capitolo 2: *** Il Mezzo-demone venuto dal passato ***
Capitolo 3: *** Uno strano futuro ***
Capitolo 4: *** Un fidanzato per Hikari ***
Capitolo 5: *** Lo zio Sota ***
Capitolo 6: *** La perla oscura ***
Capitolo 7: *** Il mondo oltre il pozzo ***
Capitolo 8: *** Una mente in subbuglio ***
Capitolo 9: *** Il nemico alle porte ***
Capitolo 10: *** Un nuovo proposito ***



Capitolo 1
*** L'antico pozzo mangia ossa ***


Ce l’ho fatta! Non so come, ma sono riuscita a seminarlo!
Hikari guardò alle sue spalle mentre tentava di riprendere fiato, nascosta dietro una colonna, nella speranza di aver finalmente messo un po’ di distanza tra lei e quel maniaco di Kenui. Quando l’avrebbe finalmente capita che doveva lasciarla in pace? Di sicuro non finché suo nonno avesse continuato a incoraggiarlo in ogni modo possibile. Chissà dove il vecchiastro aveva colto l’idea che se lei non avesse sposato Kenui nessun altro l’avrebbe voluta.
“Devi approfittarne, Hikari! O rimarrai zitella, e io voglio tanti nipotini! Se continui a respingere Kenui, vedrai che morirai sola”.
Beh, meglio sola che con quel nano pervertito!
Oltre ad essere più basso di lei di tutta una spanna, cosa che in realtà non era poi un gran problema, non perdeva occasione per metterle le mani addosso. Non importava dove fossero, con chi o in quale circostanza, le sue mani viscide finivano sempre per infilarsi sotto la sua maglietta o sotto la sua gonna. Non lo sopportava davvero.
Ormai sicura che Kenui avesse perso del tutto le sue tracce, si permise di guardarsi attorno. Era una parte della città che non conosceva assolutamente. Lei e suo padre vivevano in una villetta dall’altra parte del centro. Hikari si trovava per la prima volta in quel quartiere e solo per una festa studentesca che le sue compagne avevano dichiarato sarebbe passata alla storia e che invece si era rivelata un vero incubo. Almeno per lei. Era dovuta fuggire dopo neppure un’ora visto che Kenui non l’aveva lasciata in pace neppure un secondo e aveva guardato storto qualunque ragazzo avesse anche solo guardato verso di lei. Non che incutesse molto timore dal suo metro e cinquanta e poco più, tuttavia era il figlio del Preside del Liceo che tutti loro frequentavano e alla festa c’erano abbastanza ragazze carine da lasciarsi alle spalle senza troppi rimpianti la preferita del principino, come lo chiamavano tutti a scuola. Così era fuggita, senza sapere bene dove stesse andando. E infatti non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
Dietro di lei, una lunga scalinata portava alla sommità di una collina che con tutta probabilità ospitava un tempio. Hikari non era affatto tipo da tempii. Non credeva in nulla che fosse anche solo lontano dalla realtà. Nutriva dei dubbi sui viaggi dimensionali, perché diciamolo: poter vedere tante versioni di sé stessi sarebbe stato davvero una figata! Soprattutto se avesse trovato una realtà dove suo padre e suo nonno non le dessero il tormento riguardo al proprio futuro. Suo nonno, con la sua fissa del matrimonio, e suo padre, il grande chirurgo. L’aveva sempre spronata a studiare, a impegnarsi, per prendere un giorno in consegna la direzione della sua clinica e lavorare fianco a fianco.
Peccato che Hikari odiasse vedere gli altri soffrire e non sopportasse gli ospedali. Era così da quando sua madre era morta di cancro quando lei aveva appena undici anni. Vederla spegnersi senza poter fare nulla le aveva fatto capire che non voleva assolutamente fare il medico. All’epoca era solo una bambina, ma immaginare di perdere qualcuno, anche solo un paziente, perché non era stata in grado di fare nulla per lui le risultava intollerabile. Non avrebbe mai retto a quel senso di perdita, di sconfitta.
Era così abbattuta dai suoi pensieri riguardo al suo futuro che non si era neppure accorta di aver salito la scalinata. Il tempio sembrava esattamente come qualunque altro tempio nel quale suo nonno l’aveva sempre costretta ad entrare. Sembrava anche in totale abbandono. Si avvicinò a quello che doveva essere una volta il luogo dove vendevano amuleti e altre sciocchezze simili.
“Tempio Higurashi” diceva un cartello ormai sbiadito, vicino a una piccola finestrella.
Aveva sentito parlare di quel tempio, diversi anni prima era scoppiata un’epidemia molto virulenta in città e quasi tutta la famiglia Higurashi che viveva al tempio era morta. Era sopravvissuta solo una persona della famiglia, se ricordava bene. Chissà che fine aveva fatto. Chiaramente aveva lasciato casa e non vi era più tornato.
Ricordava bene quel periodo, perché anche lei si era ammalata gravemente. Era stata una dei pochi fortunati a salvarsi. Suo padre diceva che proprio quando ormai sembrava finita, inspiegabilmente il suo corpo aveva cominciato a guarire da solo, ma non aveva mai capito perché. Semplicemente era successo. Lo stesso giorno che l’epidemia si era fermata e la famiglia Higurashi era morta.
Mentre Hikari si aggirava tra gli edifici abbandonati, un silenzio tombale le fece correre un brivido lungo la schiena. Quel luogo la metteva a disagio. Doveva andarsene. Tornando sui suoi passi notò qualcosa di strano. Da uno degli edifici, proveniva un leggero bagliore, attraverso un sottile spiraglio della porta.
Dannati ragazzini.
Proprio a causa di tutte le storie che si raccontavano sul tempio Higurashi spesso i ragazzini andavano in quel luogo per “il gusto del brivido” per via di tutte quelle leggende che giravano intorno al vecchio tempio, in realtà era un modo per sentirsi fighi e bere birra senza essere beccati.
Si avvicinò a passo deciso all’edificio, decisa a rovinare il loro divertimento e rispedirli a casa, ma quando aprì la vecchia porta di legno consumato non trovò nessuno all’interno. Il chiarore proveniva da un pozzo, posto proprio in mezzo all’edificio. Che ci faceva un pozzo chiuso li dentro? Spinta da una profonda curiosità si avvicinò al pozzo. Il suo corpo sembrava muoversi da solo. Un senso di attesa le faceva fremere la pelle. Si sporse, agitata, per vedere cosa avrebbe trovato sul fondo di quel pozzo strano e…non c’era assolutamente nulla. Terra, solo terra, lattine di birra vuote e carte di merendine.
Si raddrizzò, in effetti un po’ delusa, ma non appena tentò di voltarsi per uscire una nuova luce, questa volta folgorante e calda come mille fuochi, la investì. Hikari si lasciò travolgere dal terrore. Non era possibile: cosa stava accadendo? Cosa poteva provocare un fenomeno come quello? Che qualcuno avesse messo una bomba nel pozzo e lei stesse andando in mille pezzi? La sensazione senz’altro era quella. Improvvisamente, si sentì leggera come una piuma, si avvicinò di nuovo al pozzo e attraverso di esso vide un cielo azzurro e tante chiome di alberi danzare al vento.
È impossibile.
Tornò la paura e allora fuggì. Con tutta la forza che aveva in corpo si costrinse a voltarsi e scappare. Doveva andarsene. Uscita dall’edificio corse verso la scalinata. Doveva tornare a casa. Purtroppo non fu abbastanza veloce. Una figura estremamente veloce la costrinse a fermarsi e, dopo averle bloccato le braccia dietro la schiena, la costrinse a terra. L’aveva immobilizzata con una velocità impressionante e una forza disumana.
Che stava succedendo? Da dove veniva quel pazzo che la stava imprigionando? Che fosse arrivato dal pozzo?
Non essere ridicola!!!
Tra lo stordimento della paura, sentì l’aggressore sconosciuto che la annusava. Quel particolare le restituì un po’ di coraggio: possibile che lei attirasse solo dei maniaci?
- Smettila subito, pervertito!
- Zitta. – le ringhiò lui vicino a un orecchio, davvero le aveva ringhiato - Sento il suo odore su di te.
- Cosa? – urlò Hikari confusa dal fatto di non sapere se avrebbe dovuto offendersi o spaventarsi ancora più.
- Dov’è? – le ringhiò ancora all’orecchio.
La fece sdraiare sulla schiena senza troppe cerimonie, rimanendo ancora sopra di lei, bloccandola col suo peso. Poteva finalmente guardare in faccia l’uomo che probabilmente l’avrebbe uccisa di li a poco, e ciò che vide la pietrificò. A pochi centimetri dal proprio viso ce n’era un altro, bello da mozzare il fiato e spaventoso come un incubo. La bocca rivelava una fila di denta bianchissimi, i canini simili a zanne e sembrava ringhiarle contro, pronta a squarciarle la gola. Gli occhi erano dorati come il più puro e perfetto dei gioielli, eppure crudeli e carichi di rabbia. Tra di loro, una cortina di capelli leggeri come fili di seta, chiari e splendenti come la luce più intensa e odoravano di resina e pino.
Era insieme la visione più bella e più spaventosa che avesse mai visto.
Un altro ringhio la richiamò alla realtà.
- Dov’è? – insisté quell’apparizione demoniaca – dov’è Tessaiga?

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Capitolo 2
*** Il Mezzo-demone venuto dal passato ***


Hikari ormai era ben al di là del panico. Il suo cervello sembrava aver appeso alla porta un cartello “sono in ferie” ed essere partito per le Barbados. La sua mente era completamente in stallo, ed era praticamente l’unico motivo che fino a quel momento le aveva impedito di cominciare a urlare, piangere e disperarsi come una disgraziata nel peggior film splatter di serie C immaginabile. Non riusciva a far altro che guardare quella figura bizzarra che le ringhiava in viso, chiedendosi cosa diavolo stesse guardando. La sua mente si rifiutava di concentrarsi sul pericolo immediato, concentrandosi su dettagli stupidi e non poi così importanti. Per esempio si stava chiedendo se quei canini innaturalmente lunghi fossero un impianto estetico, frutto di una nuova moda. Il fatto che quelle zanne potessero morderla non sembrava importante in quel momento per il suo cervello sovrastimolato.
 - Rispondimi! – urlò ancora il ragazzo.
 - Levati di dosso, lurida bestiaccia puzzolente? – le uscì di bocca, senza sapere neppure dove avesse trovato il coraggio.
 - Lurida…bestiaccia…puzzolente?
Il ragazzo sembrava completamente scioccato da ciò che Hikari aveva appena detto, qualcun altro invece doveva averlo trovato estremamente divertente a giudicare dalla risata cristallina che colse Hikari di sorpresa.
 - A quanto pare il tuo rinomato fascino ha perso colpi, fratellone!
Hikari non riusciva a vedere chi avesse parlato, ma doveva essere stata una ragazza a giudicare dalla voce fresca e gioiosa.
 - Dai, Keiichi, lasciala andare. Non vedi quanto è spaventata? – una figura minuta diede uno spintone al ragazzo che ancora la immobilizzava, aiutandola così a liberarsi.Il ragazzo allora si alzò in piedi con aria risentita.
 - Non abbastanza – disse con tono arrabbiato.
Finalmente Hikari poteva muoversi. Lentamente si alzò in piedi, studiando le due bizzarre figure che aveva davanti. Il ragazzo se ne stava leggermente in disparte, con le braccia incrociate e un broncio snervante riservato tutto a lei. Vestiva uno strano abito rosso, un kimono. La ragazza, di certo non meno stravagante, la guardava con un sorriso caldo e disponibile. Aveva degli strani capelli, alcune ciocche bianche come quelli del fratello, ma per la maggior parte erano scuri, lunghi e vaporosi. Hikari avrebbe ucciso per dei capelli del genere. Gli occhi della ragazza erano di un’intensa sfumatura grigia. Il sorriso, per quanto gentile, era tutt’altro che rassicurante, dal momento che anche lei aveva quegli strani denti spaventosi.
 - Fate per caso parte di una strana setta? Di quelli che credono nei vampiri o cose simili? – chiese Hikari, per nulla sollevata dal non trovarsi più costretta a terra.
 - Cos’è un vampiro? – chiese la ragazza con curiosità.
 - Beh…zanne lunghe, bevono sangue…
 - Che schifo! – esclamò subito la ragazza.
A quel punto calò un silenzio tombale. Cosa doveva fare? Scappare ancora? Non era riuscita la prima volta, difficile ce l’avrebbe fatta la seconda. Poteva magari guadagnare tempo, aspettare che qualcuno la trovasse.
Magari Kenui mi sta ancora cercando… Quel pensiero le mise addosso una tristezza infinita: tanta fatica per sfuggire alle manie di quel pervertito per ritrovarsi a sperare che la trovasse. Quella sera avrebbe fatto meglio a restare a casa a studiare per l’esame di storia della settimana successiva.
 - Mi dispiace se mio fratello ti ha fatto del male – disse a un tratto la ragazza, avvicinandosi di un passo – non era nostra intenzione, devi credermi.
 - Cosa volete da me?
 - Beh, potremmo cominciare col tuo nome.
 - Perché dovrei dirvelo!
Il ragazzo sbottò di nuovo.
 - Stiamo solo perdendo tempo!
 - Smettila! – ringhiò la ragazza.
- Ha addosso il suo odore! Sa qualcosa e non abbiamo tempo per le moine!
 - Certo perché i tuoi metodi finora ci hanno aiutati molto, vero?
Il ragazzo si allontanò ancora più risentito.
 - Scusalo. Non è mai stato un campione in simpatia ma di solito si impegna un po’ di più.
 - Lasciami andare via! – la pregò Hikari.
 - Ma certo! – rispose subito la ragazza – Vogliamo solo che ci dici cosa sai.
 - Su cosa?
 - Su Tessaiga.
 - Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando.
 - Stai mentendo. – disse il ragazzo tornato accanto a lei – sento il suo odore su di te. Di sicuro l’hai toccata. Qualcosa devi sapere.
 - Te l’ho già detto! – sbraitò allora Hikari – non so cosa sia questa Tessaiga!
 - È una spada – si intromise la ragazza – una spada molto potente.
 - Una spada? – chiese sconvolta – ma che razza di gente siete?
Chi diavolo se ne andava in giro ad aggredire degli sconosciuti farneticando su una qualche spada. Quei due erano pazzi! Pazzi da legare! Doveva davvero tagliare la corda il prima possibile. Doveva mettersi a correre e trovare qualcuno che la aiutasse. Stava per farlo quando qualcosa esplose in mezzo a loro.
Hikari si sentì sbalzare in aria. Stava volando indietro, spinta da non sapeva bene cosa. Vedeva il terreno scorrere sotto di sé, fino a superare la scalinata. Quando fosse atterrata si sarebbe rotta l’osso del collo. Stava per morire. O forse no. Qualcuno la prese al volo e la fece atterrare con leggerezza in fondo alle scale. Il ragazzo l’aveva aiutata. L’aveva soccorsa.
 - Scappa – le disse – va’ via di qui!
E con un unico balzo risalì la scalinata, proprio mentre un urlo di dolore infrangeva il silenzio. Hikari non se lo fece ripetere due volte. Ricominciò a correre, in una direzione a caso. Tuttavia non fece molti metri, un secondo urlo la fece fermare. La ragazza urlava il nome di Keiichi. Hikari si guardava attorno. Possibile che nessuno la sentisse? Possibile che nessuno andasse a vedere cosa stesse accadendo?
Che ti importa?
Infondo, quel ragazzo l’aveva aggredita. Però la ragazza era stata gentile, lo aveva convinto a lasciarla stare. Quel ragazzo, Keiichi, le aveva persino impedito di sfracellarsi su quelle scale, lasciando sola la sorella. L’aveva lasciata andare. Cosa doveva fare?
Ricominciò di nuovo a correre, questa volta verso il tempio. Quando arrivò in cima alla scalinata, ciò che vide le fece gelare il sangue nelle vene. La ragazza imbracciava un arco, tendendolo verso qualcosa che non aveva mai visto prima. Sembrava un serpente, ma era gigantesco e invece della testa aveva un busto umano. Le mani avevano degli artigli degni di una barbona ultracentenaria e il volto umano era sfigurato, spaventoso.
Era impossibile. Doveva avere delle allucinazioni. Non esistevano mostri simili al mondo.
Keiichi assaltava il mostro a mani nude, urlando e ringhiando con ferocia. Il mostro lo derideva e gli urlava contro, dicendogli di dargli Tessaiga. Possibile che ce l’avessero tutti con questa dannata Tessaiga?
La ragazza scoccò una freccia che purtroppo mancò il bersaglio. Il mostro allora le assestò un colpo di coda che sbalzò di vari metri, proprio accanto a lei. Hikari la soccorse subbito chiedendole se stesse bene.
 - Che ci fai ancora qui!
 - Io…
Ma non fece in tempo a rispondere. Un altro colpo di coda le colpì entrambe. Mandando la ragazza a sfondare la parete di un capanno di bambù e lei a rotolare in una piccola aiuola piena di erbacce. Mentre riprendeva fiato dopo il colpo, Keiichi le arrivò accanto e la aiutò ad alzarsi.
 - Ti avevo detto di andartene.
 - Ditemelo ancora una volta e me ne vado sul serio! 
Keiichi la guardò con sorpresa e qualcosa che si avvicinava vagamente all’approvazione. Un istante di distrazione che gli costò caro. Il mostro lo afferrò e lo scaraventò contro un albero, avvolgendolo con tutto il tronco tra le sue spire. Keiichi era in evidente difficoltà. Il mostro gli impediva di respirare.
Hikari doveva fare qualcosa. Doveva aiutarlo. Senza sapere bene cosa fare cominciò a correre verso di lui. Era a metà strada quando sentì la voce della ragazza richiamare l’attenzione del mostro. Aveva di nuovo l’arco teso e pronto a scoccare. Ciò che però non aveva visto, era che Keiichi era stato intrappolato, il mostro le bloccava la visuale. Se il mostro si fosse spostato, la freccia avrebbe colpito il fratello, senza che potesse evitarlo.
 - Ferma! – urlò Hikari, ma la ragazza era completa concentrata sul tiro.
Tutto avvenne in pochissimi istanti. La freccia fu scoccata e il mostro, con un sorriso, la scansò. La giovane, che già si preparava a scoccarne una seconda, si accorse troppo tardi del proprio errore. La freccia puntava direttamente su Keiichi. Hikari, spinta dall’istinto, si fiondò verso di lui. Mentre si dava dell’idiota per quel gesto senza senso, si strinse al ragazzo, chiedendosi se le avrebbe fatto tanto male una freccia conficcata nella schiena. Aspettò, ma il dolore non arrivò.
Azzardò uno sguardo alle sue spalle, e la freccia era ferma a mezz’aria, che spingeva verso qualcosa di invisibile, un alone azzurrino che li circondava.
 - Ma cosa…
Keiichi la guardava stupefatto.
Prima che potesse dirle qualsiasi cosa un secondo bagliore. La ragazza aveva approfittato della confusione che Hikari aveva generato per scagliare un'altra freccia verso il mostro ancora distratto. La freccia, avvolta da una luce rosata si conficcò nella fronte del mostro che subito dopo si disintegrò.
Era finita. Così come l’adrenalina nel cervello di Hikari, che sentì le gambe cederle.
Che diavolo era successo? Perché non era stata trafitta? Ma soprattutto…che diavolo le era passato per la testa? Perché lo aveva fatto?
 - Dobbiamo andarcene di qui – disse la ragazza – potrebbero arrivarne altri e siamo troppo riconoscibili.
Il ragazzo si inginocchiò accanto a Hikari e con un tono molto più dolce rispetto a quello che le aveva riservato fino a quel momento, le chiese se c’era un posto dove potevano nascondersi.
 - Perché dovrei aiutarvi? – gli disse.
 - Un po’ tardi per fare la scontrosa, non ti pare?
Touché.
 - A casa mia. Mio padre non c’è e mio nonno è in vacanza fino alla prossima settimana.
 - Dov’è questa casa?
 - Dall’altra parte della città.
 - Andiamo.
La aiutò ad alzarsi e con passo deciso si avviarono verso casa di Hikari. Probabilmente un’altra pessima idea, ma ormai per quella sera Hikari aveva rinunciato a capire qualcosa di ciò che stava accadendo. Sperava solo fosse un pessimo incubo e si sarebbe svegliata presto.
 
 
I due ragazzi facevano davvero uno strano effetto sul divano bianco di pelle del suo soggiorno. Si guardavano attorno, lui con diffidenza, lei con un grandissimo sorriso curioso ed entusiasta. Hikari aveva servito loro del the freddo, ma nessuno dei due aveva ancora bevuto neanche un sorso. Keiichi lo annusava sospettoso, la sorella invece era troppo occupata a chiederle informazioni riguardo a qualsiasi cosa vedesse nel suo appartamento. Ciò che l’aveva colpita più di tutto era il telecomando delle luci. Ma chi non ne aveva mai visto uno?
 - Forse – esordì Hikari, raccogliendo un po’ di coraggio – dovreste spiegarmi un po’ di cose.
 - Direi che è il minimo che possiamo fare, sì. – ammise la ragazza.
Il ragazzo invece si limitò a sbuffare, meritandosi uno sguardo di rimprovero da parte della ragazza accanto a lui.
 - Io mi chiamo Izumi – rispose gentilmente la ragazza – mio fratello invece Keiichi. Veniamo dall’altra parte del pozzo.
A Hikari scappò una risata. Dall’altra parte del pozzo! Che assurdità! Izumi la guardò confusa.
 - Perché ridi?
 - Perché è assurdo.
I due ragazzi si guardarono confusi.
 - Tu…non sai nulla del pozzo mangia ossa? Non sei della famiglia Higurashi?
 - Mi dispiace, ma no.
 - Allora che ci facevi al tempio? – chiese sospettoso Keiichi.
 - Ecco…è un po’ imbarazzante…mi stavo nascondendo.
 - Nascondendo?
 - Sì, da un ragazzo che mi assilla. È una lunga storia.
Non troppo in realtà, ma l’ultima cosa che voleva fare era ammettere con due perfetti sconosciuti che la sua vita sentimentale era patetica quanto una soap opera scartata.
 - In quest’epoca i ragazzi sono così pericolosi? – chiese colpita la ragazza – Mamma non ce ne aveva mai parlato.
 - Tsk! Sfido io che ha preferito restare con papà.
Hikari non aveva capito una sola parola.
 - Vostra madre viveva in città? – chiese loro.
 - Proveniva da qui, sì. Proprio dal tempio, in effetti. Era una Higurashi e quando ti abbiamo vista là pensavamo che fossi una nostra cugina o magari una lontana parente.
 - Oh.
Il suo tono di voce doveva aver espresso non poco disagio, perché entrambi i ragazzi si irrigidirono sul divano.
 - Sai qualcosa della nostra famiglia? – le chiese Keiichi.
 - So solo ciò che sanno più o meno tutti. Circa sette anni fa una strana epideia si è diffusa in città. È durata solo tre giorni ma sono morte moltissime persone. La famiglia Higurashi è stata una delle prime famiglie ad essere colpita.
 - No. – sussurrò Izumi.
 - Mi dispiace.
 - Sono tutti morti. – disse ancora la ragazza.
 - In realtà, no.
I due ragazzi si voltarono a guardarla. In attesa.
 - Non sono sicura. Anch’io sono stata colpita dal virus, sono stata tra i pochi miracolati, e allora non ho prestato molta attenzione agli altri contagiati. Comunque, da ciò che ricordo un solo Higurashi si era salvato, un uomo, Sota, mi pare, ma da quel che so se ne è andato da molto tempo. Il tempio è in stato di abbandono da allora.
Keiichi si alzò e lasciò la stanza. Dovevano essere davvero molto legati alla loro famiglia, ma se così era come potevano non sapere nulla di ciò che era accaduto? L’epidemia e il caso della famiglia completamente spazzata via dal virus avevano avuto risonanza a livello nazionale.
Izumi fissava il pavimento.
 - Keiichi era l’unico di noi ad aver conosciuto lo zio Sota, e i nonni. Io e gli altri miei fratelli, purtroppo non ne abbiamo avuto l’occasione. Sapevamo che molto probabilmente erano tutti morti, ma non potevamo non sperare che qualcuno fosse sopravvissuto. Speranza che si è fatta più forte quando abbiamo visto che il sigillo del pozzo era stato spezzato.
 - Ascolta – la interruppe Hikari – non ho idea da dove voi veniate, e non sono del tutto sicura di volerlo sapere, ma questa storia che voi venite dal pozzo è davvero assurda. Non vi aspetterete che vi creda, vero?
Izumi stava per rispondere ma Keiichi la anticipò.
 - Non ci importa a cosa credi. Vogliamo solo che ci dici cosa è successo, poi continueremo per la nostra strada e tu potrai tornare a scappare dal tuo ragazzo.
 - Non è il mio ragazzo! – si lamentò Hikari – E non ho idea di cosa vogliate sapere da me.
 - Eri là – disse Izumi – al pozzo, e Keiichi sente l’odore di Tessaiga su di te. Devi aver visto qualcosa. Magari chi ha rotto il sigillo. Solo nostra madre o qualcuno che aveva Tessaiga avrebbe potuto far riaprire il passaggio del pozzo mangia-ossa. Visto che…è impossibile che sia stata nostra madre…Tessaiga doveva essere davvero vicina.
 - Mi dispiace…ma io non ho visto proprio nessuno. Stavo per andarmene quando una luce mi ha attirata al pozzo. Mi sono sentita come se qualcosa mi attirasse verso il fondo, mi sono spaventata e così ho cercato di scappare ma tuo fratello mi ha fermata.
 - Tutto qui? - insistette Izumi.
 - Tutto qui. 
 - Quindi davvero non sai nulla.
Hikari si limitò a scuotere la testa. Keiichi si aggirava per la stanza furioso mentre Izumi lo guardava preoccupata.
 - Scusate – chiese ancora Hikari – quella cosa che abbiamo visto al tempio…che cos’era?
 - Un demone.
 - Dici sul serio?
 - E cosa pensavi che fosse?
 - Onestamente non lo so, ma i demoni non esistono.
Quella frase congelò i fratelli all’istante. La guardarono come se fosse impazzita.
 - Cosa c’è?
 - E cosa pensavi che fossimo noi? – chiese Keiichi andando a sedersi vicino a lei.
 - Dei tossicodipendenti con evidenti problemi di dipendenza da chirurgia estetica?
 - Siamo mezzi-demoni. – rispose Izumi con una risata.
Hikari la guardò stranita e confusa. Infondo quella sera ne aveva viste di cose strane. Forse…
 - Da dove pensassi arrivassero le orecchie?
- Quali orecchie?
E Izumi si indicò un paio graziosissimo di orecchie nere da cane che sbucavano dai suoi magnifici capelli sulla sommità del suo capo. Un paio identico ma completamente bianco si muovevano invece sulla testa di Keiichi. Non sapendo resistere all’impulso, Hikari allungò le mani per accarezzare quelle del ragazzo accanto a lei.
 - Oh, ma sono adorabili!!!
 - Ehi! Giù le mani!
Izumi scoppiò a ridere e cominciò a raccontare a Hikari, che sembrava finalmente disposta almeno a concedere loro il beneficio del dubbio, la loro storia. Le raccontò che lei e suo fratello venivano dall’epoca Sengoku e avevano aspettato per anni che il pozzo si riaprisse, in modo da recuperare la mitica spada di loro padre, Inuyasha, un mezzo-demone che si era innamorato di una semplice umana proveniente da un’epoca futura. I loro genitori erano morti per difendere il loro mondo e prima di morire, Kagome, la madre, aveva nascosto Tessaiga nell’epoca dalla quale proveniva, la stessa di Hikari, per evitare che finisse in cattive mani e aveva sigillato il pozzo che collegava i due mondi.
Hikari ascoltava rapita mentre Izumi raccontava, incapace di immaginare qualcuno disposto a morire per le ragioni che avevano spinto la famiglia di Izumi e Keiichi a sacrificarsi. E faceva altrettanta fatica a immaginare qualcuno disposto a rinunciare a tutto per amore. Ad Hikari non veniva in mente neanche una persona che sarebbe mai stata disposta a morire per lei. Neppure suo padre o il nonno.
 - Cosa farete ora? – chiese a Keiichi.
 - Hai detto che Sota è sopravvissuto. Forse lui saprà dirci qualcosa di più preciso riguardo a dove nostra madre possa aver nascosto Tessaiga. Mamma e papà erano venuti in questa epoca, appena prima di morire. Cominceremo da lì.
Hikari non sapeva più cosa pensare. Non poteva negare tutto ciò che aveva visto quella sera. Il demone, il pozzo. Gli stessi Izumi e Keiichi che le stavano di fronte. Che fosse tutto vero? Che Keiichi fosse davvero un mezzo-demone del passato uscito da un pozzo mangia-ossa? Le sembrava assurdo, eppure Hikari non avrebbe saputo dare altre spiegazioni più convincenti per tutto ciò che aveva visto.
Stava preparando per i due fratelli del cibo e aveva dato loro dei vestiti per farli passare inosservati, nonostante le lamentele di Keiichi che non voleva separarsi dal suo appariscente kimono rosso. Una volta cambiati e sistemati li avrebbe salutati, probabilmente per sempre. Un po’ le dispiaceva. Izumi le piaceva, col suo sorriso spontaneo e l’infinita curiosità. Keiichi, beh, non sapeva ancora bene cosa pensare di lui.
Fu proprio il ragazzo ad arrivare per primo in cucina. per lui aveva rimediato un paio di vecchi jeans di suo padre e una felpa dei suoi tempi dell'università.
 - Odio questi vestiti – ringhiò.
 - Possibile che tu debba ringhiare sempre per tutto.
 - Io non ringhio! – ringhiò ancora, ma si ammorbidì, vedendo Hikari che tratteneva una risata.
 - Come hai fatto a non notare le orecchie? Le notano sempre tutti. – chiese mentre giocherellava con una confezione di merendine al cioccolato.
 - Sarà che in quel momento era troppo concentrata sulle zanne. Non sei stato molto carino, appena mi hai incontrata.
Keiichi distolse la propria attenzione dalle merendine che stava annusando e la squadrò.
 - Forse in effetti dovrei ringraziarti.
 - E per cosa?
 - Per avermi protetto da quella freccia. Non so come tu abbia fatto, ma sarei stato nei guai se non fossi intervenuta.
Hikari restò senza fiato. Non solo Keiichi sembrava sinceramente riconoscente, ammettendo di aver avuto bisogno di aiuto, cosa che Hikari sospettava facesse molto di rado, ma la guardava con uno sguardo che non aveva nulla della furia o della diffidenza con cui l’aveva guardata fino a quel momento. Aveva uno sguardo quasi dolce, più simile a quello della sorella.
Fortunatamente non fu obbligata a rispondere, perché Izumi entrò come un tornado in cucina esultando felice.
 - Hikari! Queste vesti sono bellissime!!! Voglio vestirmi sempre così d’ora in poi.
La ragazza aveva indossato i suoi shorts di jeans ma aveva ignorato la maglietta e doveva aver ripescato dal suo armadio un vecchio top che suo nonno le aveva regalato un anno prima ma che non aveva mai osato indossare. Aveva sempre pensato che suo nonno condividesse una certa vena perversa con Kenui. Nessun nonno con un minimo di pudore avrebbe mai comprato un pezzo di tela così succinto a una nipote. Ma Izumi sembrava apprezzarlo molto. Dopotutto era più alta di lei di almeno dieci centimetri e aveva il fisico di una campionessa olimpionica. Una ragazza come lei avrebbe potuto permettersi di indossare qualsiasi cosa.
Keiichi si richiuse nel suo mondo e Izumi si legò una bandana intorno alla testa, di modo da coprire le orecchie canine.
 - Sei così gentile, Hikari. – le disse la ragazza – Vorrei tanto che venissi con noi.
 - Non è una buona idea. – si intromise Keiichi – è pericoloso.
 - Ma se ti ha salvato il culo oggi!
Keiichi divenne paonazzo.
 - Sei tu che devi imparare a mirare quando tiri, invece di scoccare a caso. E io non ho bisogno di nessuno che mi salvi il culo! Me la sarei cavata…come sempre! – e infuriato se ne andò dalla cucina.
E tanti saluti ai ringraziamenti sentiti.
 - Non farci caso! – le disse Izumi una volta rimaste sole – Ha un gran brutto carattere! Mamma diceva sempre che aveva preso tutto da papa!Hikari sorrise.
 - Comunque, sarebbe davvero bello se venissi con noi. – ripeté ancora la ragazza – Potresti almeno aiutarci a trovare Sota. Tu conosci questo mondo molto meglio di noi, risparmieremmo molto tempo.
Hikari lanciò uno sguardo indeciso all’uscio della porta dal quale Keiichi se ne era appena andato.
 -  Non so – rispose titubante – non credo che a tuo fratello vada bene. In realtà non credo di andargli molto a genio.
 -  Stai scherzando? Certo che gli vai genio! Non lo vedevo comportarsi così bene da quando ancora c’era mamma a tenerlo in riga.Hikari aveva seri dubbi a riguardi. È vero che l’aveva ringraziata, ma a parte quelle poche parole che si era prontamente rimangiato proprio davanti a lei neppure due secondi dopo averle dette, non aveva fatto altro che annusarla in maniera strana, aggredirla e darle della bugiarda.
 -  Io non so…
 -  Dai, vedrai che non ti darà fastidio! Lo obbligherò a comportarsi bene! La mamma mi ha insegnato come fare una volta, basterà trovare un rosario.
 -  Un rosario?
 -  Ah, non ti preoccupare! – disse con ancora più energia del solito – Ci penseremo a tempo debito.
Non poté aggiungere altro. Izumi mi trascinò nella mia stanza per aiutarmi a fare i bagagli, sotto lo sguardo irritato del fratello che chiaramente non aveva apprezzato di essere stato completamente scavalcato riguardo alla partecipazione di Hikari nel viaggio. Sua sorella certo non gli alleggeriva l’amaro boccone dal momento che continuava a prenderlo in giro rimproverandolo per il suo cattivo umore e chiamandolo cagnolone puzzolente, riferendosi a come Hikari lo aveva chiamato quando l’aveva aggredita. Cosa che lo faceva arrabbiare ancora di più, ma Izumi continuava a ridere e a divertirsi e prenderlo in giro.
Hikari si sentiva un po’ in colpa, per quei brutti appellativi che aveva usato con lui. Certo, erano stati più che appropriati visto che lui le aveva fatto perdere dieci anni di vita per lo spavento, però non era vero che puzzava. Anzi, Hikari doveva ammettere che Keiichi aveva un odore davvero buonissimo. Però Izumi aveva ragione: vedere Keiichi scaldarsi tanto per quella sciocchezza era uno spasso e quando la sorella si girava e pensava di non essere visto, Hikari lo aveva scoperto ad annusarsi sotto le ascelle per assicurarsi che non stesse puzzando sul serio.
 -  Puzzare, io – lo sentiva lamentarsi, borbottando – ho un fiuto formidabile, se davvero puzzassi me ne accorgerei. Stupida di un’umana! Chissà che razza di tanfi annusa in questa epoca. Non c’è nulla che non vada nel mio odore.Hikari tratteneva una risata e tornava a dedicarsi a Izumi che la copriva di domande. Lo faceva in continuazione. Senza sosta.
Una volta preparato un zaino anche per lei, Hikari e i due fratelli venuti da un’altra epoca uscirono di casa.
 -  Bene – esordì Hikari – ora prendiamo un taxi.
 -  Che cos’è un taxi? – chiese pronta Izumi.
 -  Una specie di veicolo a noleggio – ma vedendo che i due ragazzi non sembravano cogliere il senso delle sue parole aggiunse – un mezzo di trasporto, fatto per spostarsi velocemnete sulla strada.
 -  Come una carrozza – tentò Keiichi.
 -  Esatto! Solo senza cavalli.
 -  Ma se non ci sono i cavalli, chi tira il taxi?
 -  Niente. Voglio dire, si muove grazie a un motore che converte l’energia di una piccola esplosione in un movimento.
 -  Sono forse demoniaci, questi motori? – chiese Izumi un poco preoccupata.
 -  Molte donne pensano di sì-Chiaramente Izumi e Keiichi non colsero la battuta e la guardarono tra il preoccupato e il sospettoso.
 -  Lasciamo perdere. Tranquilli, non sono pericolosi.
Meglio non accennare alle statistiche sugli incidenti stradali.
 -  E dove ci porterà questo taxi?
 -  In un luogo dove si va quando si cercano risposte.
 -  Da una sacerdotessa? – chiese Izume titubante.
 -  No…in biblioteca

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Capitolo 3
*** Uno strano futuro ***


“Quindi in questa epoca viaggiate con questi taxi?” Izumi non aveva smesso un secondo per tutta la mezz’ora che li separava dalla biblioteca di farle domande riguardo alle macchine, alle strade, ai semafori. Cominciava a mal sopportare l’entusiasta curiosità della ragazza. Keiichi invece si limitava a guardare fuori dal finestrino, in silenzio, continuando a tenere il broncio mal celato dal cappello che Izumi gli aveva calcato in testa.
Hikari guardò i due ragazzi e fu piuttosto soddisfatta del risultato. Fatta eccezione per i capelli, Keiichi e Izumi sembravano due persone assolutamente normali, ma tanto negli ultimi anni i capelli bianchi erano diventati di moda. Certo, se Izumi si fosse data una calmata, evitando di guardare con meraviglia un semplice parchimetro, o se Keiichi avesse smesso di ringhiare contro chiunque lo guardasse con curiosità, sarebbe stato meglio.
Giunti finalmente alla biblioteca pubblica, Hikari tirò un sospiro di sollievo. Si era sempre sentita a suo agio nelle biblioteche. E aveva bisogno di una pausa dalle mille domande di Izumi.
“Posso aiutarvi?” la bibliotecaria si avvicinò a loro, esitando un momento sui capelli di Keiichi, ma tornando subito a sorridergli in maniera professionale.
“Salve, avremmo bisogno di trovare notizie riguardo all’epidemia di sette anni fa e alla famiglia Higurashi. Potremmo accedere all’emeroteca?”
“Da questa parte” rispose gentilmente la bibliotecaria.
Mostrò loro un computer, spiegando a Hikari che all’interno del database avrebbero trovato tutti gli articoli o le trascrizioni di servizi televisivi riguardanti l’argomento che più desideravano. Bastava scegliere una parola chiave per avviare la ricerca. Digitò “Higurashi” nel motore di ricerca e li lasciò soli. Avrebbero potuto parlare liberamente, visto che l’emeroteca era quasi sempre deserta.
“Allora, ecco qui” disse Hikari, facendo scorrere l’elenco degli articoli che parlavano soprattutto dell’epidemia e dei nuovi casi di contagio “Ci vorrà un po’: ci saranno decine di articoli o anche più”.
Izumi le si avvicinò per guardare lo schermo, per una volta concentrata su qualcos’altro che non fosse la novità.
“Abbiamo fatto bene a portarti con noi, Hikari. Non saremmo mai riusciti a far funzionare questa macchina per ottenere delle informazioni. Cosa stiamo cercando di preciso?”
“Vedi, in questo tempo le persone si interessano molto alle vite degli altri, soprattutto quando qualcuno è collegato a un qualche evento molto conosciuto. Così ci sono persone che scrivono delle notizie per far sapere a tutti cosa queste persone stanno facendo.”
“è orribile!” rispose Izumi, storcendo il naso.
“Ma in questo caso utile: è probabile che qualcuno si sia preoccupato di scoprire che fine avesse fatto vostro zio dopo aver lasciato il tempio. Solo che ci vorrà un bel po’ di tempo per leggere tutti questi articoli.”
“Non abbiamo tempo!” disse Keiichi con tono scontroso. Possibile che fosse sempre così antipatico? O forse lo era solo con lei? Di certo se Hikari non li aiutasse impiegherebbero molto più tempo a rintracciare lo zio, quindi perché doveva sempre parlarle in quel modo?
“Cosa c’è, fratellone?” lo canzonò Izumi “Non vedi l’ora di correre da Sayumi?”
Keiichi divenne rosso e cominciò a balbettare.
“Ti sembra il momento di dire simili sciocchezze?” le urlò contro “Sei proprio una bambina! Abbiamo cose più importanti a cui pensare.”
Per la prima volta Izumi mostrò segni di insofferenza nei confronti del fratello.
“Io non sono una bambina! Infatti ho notato come guardi quella spocchiosa di Sayumi! Credi che io sia cieca? Guarda che lo so che esci di casa di nascosto una notte sì e una no per andare da lei!”
Allora c’era qualcuno con cui Keiichi fosse gentile. Evidentemente Hikari aveva ragione: Keiichi non la sopportava. Forse avrebbe fatto meglio a restarsene a casa. Infondo, perché mai avrebbe dovuto aiutarli? Davvero voleva lasciarsi invischiare nei problemi assurdi di quei due ragazzi. Dopotutto aveva già abbastanza problemi per conto proprio. Hikari decise che li avrebbe aiutati ancora solo quella volta. Li avrebbe messi sulla giusta strada e poi se ne sarebbe tornata a casa.
Intanto la lite tra i due fratelli continuava.
“Beh, se anche fosse, non sono affari tuoi!” disse Keiichi, incrociando le braccia sul petto.
“Certo che lo sono! Tu esci a divertirti con quella smorfiosa e a me tocca badare ai gemelli! Sei un’egoista! Cosa credi che direbbe la mamma se potesse vederti?”
“Questo è un colpo basso!” si lamentò Keiichi “E poi neppure io sono cieco! Cosa credi avrebbe detto papà di Shippo?”
“Non ho idea a cosa tu ti riferisca?” rispose Izumi, fingendo indifferenza.
“So benissimo che hai una cotta per lui, ma dubito che papà avrebbe approvato che perdessi tempo dietro a quel volpino!”
“Queste non sono cose che ti riguardano, cagnaccio puzzolente!”
“Come mi hai chiamato?” urlò Keiichi che sembrava pronto a saltare addosso a Izumi “Ripetilo e vedrai che io…”
“Scusate…” li interruppe Hikari.
I due fratelli la guardarono come se si fossero completamente dimenticati di lei. Ed evidentemente era proprio così.
“Se non volete che ci sbattano fuori, sarebbe meglio smetterla di urlare. Inoltre” continuò, fermando Keiichi che stava per risponderle, certamente ringhiandole contro una qualche cattiveria “credo di sapere come fare ad accelerare i tempi.”
Keiichi si allontanò borbottando qualcosa sul fatto che lui non puzzava, mentre Izumi le si avvicinò inchinandosi.
“Mi dispiace. Siamo stati scortesi e maleducati. Ti chiediamo scusa”
“Parla per te!” ringhiò Keiichi.
Izumi questa volta si limitò a fulminarlo con lo sguardo.
Hikari digitò una nuova chiave di ricerca aggiungendo il nome di Sota. La lista degli articoli disponibili era lunga, ma decisamente meno rispetto a prima. Hikari selezionò sette articoli che potevano fare al caso loro e li stampò.
“Ecco qui!” disse dando i fogli con gli articoli ad Izumi “Qui c’è tutto ciò che è in archivio. Vediamo”
Sfogliò rapidamente le pagine, cercando le notizie più recenti. Trovò un articolo, decisamente più recente rispetto a tutti gli altri.
“Eccolo!” disse trionfante “Questo articolo è stato scritto due anni dopo l’epidemia. In occasione di una commemorazione pubblica e vostro zio Sota è citato.”
Hikari lesse ad alta voce: “La cerimonia è stata molto toccante e ha visto partecipare gran parte delle persone della città, segno che questa tragedia ci ha toccati tutti nel profondo. Per la prima volta era presente anche Sota Higurashi, l’unico sopravvissuto della famiglia colpita più duramente dal virus tuttora sconosciuto. Pare che Higurashi sia tornato a vivere in città, dopo aver trascorso due anni all’estero, anche se ha deciso di non tornare al tempio della sua famiglia, apparente luogo di partenza del contagio.
Hikari rimase sorpresa. Non ricordava di aver mai sentito che il tempio Higurashi fosse stato il luogo dal quale era cominciata l’epidemia. Certo, visto che la famiglia che vi viveva era stata quella maggiormente colpita e viste tutte le storie che circolavano da allora su quel luogo, la cosa non avrebbe dovuto sorprenderla. Possibile che si fosse interessata così poco riguardo alla malattia che l’aveva quasi uccisa?
Ad essere del tutto onesta, Hikari ricordava ben poco di quel periodo. Ricordava che aveva saputo di morire e alla fine si era rassegnata, pensando che presto avrebbe rivisto sua madre. Poi ricordava la nebbia. I ricordi erano confusi e distorti. L’intero anno successivo non aveva senso, come se avesse vissuto rinchiusa in un cristallo che distorceva tutto attorno a lei. Suo padre diceva che guarire richiedeva sempre del tempo e a lei, che era arrivata a un passo della morte, ce ne era voluto un po’ più del solito. Forse, una volta tornata in sé, semplicemente era stata felice di essere ancora viva e non si era preoccupata di nient’altro.
“Quindi lo zio Sota potrebbe essere ancora qui?” la riscosse Izumi.
“Potrebbe” le rispose Hikari “Anche se sono passati diversi anni. Comunque è un punto di partenza.”
“Un punto di partenza?” la derise Keiichi “Questo villaggio è immenso. Dubito che basterà chiedere a qualcuno a caso dove abita Sota Higurashi per sapere dove trovarlo!”
“Allora ti conviene cominciare subito, mastino dei miei stivali!” sbottò Hikari che cominciava davvero ad averne piene le tasche del brutto carattere di Keiichi.
Entrambi i fratelli la guardarono sorpresi dal suo cambiamento di umore. Insomma ma che si aspettavano? Che fosse sempre carina e disponibile anche quando la trattavano con così poco riguardo? Se avevano una traccia sullo zio era solo grazie a lei che si era data da fare, sopportando anche le loro liti, e invece di ricevere un grazie aveva ricevuto l’ennesimo ringhio riguardo al fatto che non era abbastanza. A quel punto voleva solo tornarsene a casa e dimenticarsi di averli mai incontrati.
“Se invece di ringhiare come un cucciolo rabbioso mi avessi chiesto gentilmente come trovare qualcuno in città, avrei potuto risponderti che qui da noi esiste una cosa chiamata elenco telefonico, ma se preferisci andare a fiutare il deretano di ogni singolo cittadino della città sei liberissimo di farlo. Ti ci vorrà un po’, ti conviene andare.” rincarò la dose.
Anche Izumi la guardava esterrefatta. Forse questa volta aveva un po’ esagerato. Keiichi la guardava furioso e allo stesso tempo sorpreso. Hikari dubitava che qualcuno gli avesse mai parlato in quella maniera, a parte forse la sorella. Prevedendo aria di tempesta, Izumi si frappose tra lei e Keiichi, riportando il discorso su qualcos’altro che non fossero le abilità canine del fratello.
“Puoi dirci dove trovare questo elenco telefonico?” le chiese gentilmente.
Hikari la guardò, ancora su di giri per la rabbia. Lanciò uno sguardo ostinato a Keiichi, il quale la ricambiò con uno sguardo altrettanto ostinato.
“Ce ne sarà senz’altro uno qui, in biblioteca. Andiamo”
I due ragazzi la seguirono in silenzio, lanciandole occhiate curiose. Arrivata al banco prestiti chiese alla bibliotecaria dove trovare l’elenco e li portò nella hall della biblioteca che le era stata indicata dove c’erano diverse cabine telefoniche.
Per una volta, Izumi trattenne le sue domande, anche se la sua curiosità l’aveva stampata chiaramente in faccia.
Hikari cercò il nome di Sota Higurashi sull’elenco. Trovatolo, trascrisse l’indirizzo su un biglietto e lo porse ad Izumi.
“Con questo dovreste trovarlo, è l’indirizzo dove dovrebbe vivere vostro zio.”
Se avesse controllato subito sull’elenco, si sarebbe liberata subito di quei due fenomeni da baraccone. Perché diavolo non ci aveva pensato subito? Stupida!
“Tenete” mise in mano a Izumi tutti i soldi che aveva con sé “dovrebbero bastarvi per pagare il taxi fino al quartiere di vostro zio e per pagarvi qualcosa da mangiare”
“Non possiamo accettare i tuoi soldi” disse orgogliosamente Keiichi.
“Dubito tu abbia dei soldi che siano ancora validi in questo secolo, genio” rispose Hikari, sempre più umiliata dall’atteggiamento freddo e arrogante di Keiichi “E non so come vi procuriate il cibo nella vostra epoca, ma qui non ci sono luoghi dove andare a caccia, a meno che tu non voglia provare a mangiarti qualche ratto.”
“Ti siamo molto grati” si intromise Izumi per rimediare alla scontrosità del fratello “per tutto. E mi dispiace se ti abbiamo offesa o ti abbiamo rubato troppo tempo. Ci sei stata di grande aiuto, non sai quanto”
La dolcezza e la gentilezza di Izumi fecero evaporare la maggior parte del risentimento covato nell’ultima ora. Non si poteva non perdonare qualsiasi cosa a quel sorriso così benevolo e contagioso. Tutta un’altra storia era Keiichi. Continuava a guardarla con risentimento e rancore.
Non aveva importanza infondo, con tutta probabilità non li avrebbe rivisti mai più.
A quel pensiero, un sentimento nuovo si animò in lei. Un’ansia profonda e intollerabile.
Non voleva che se ne andassero. Voleva restare con loro. Voleva restare con lui.
Hikari storse il naso a quel pensiero. Era assurdo! Keiichi la detestava e lei certo non voleva sprecare un solo istante accanto a un ragazzo così rozzo, scontroso e maleducato. Era davvero arrivato il momento di andarsene.
“L’ho fatto con piacere” rispose a Izumi, rassicurandola con un sorriso “Spero davvero che troviate vostro zio”
“Grazie, Hikari” le disse Izumi, stringendola forte.
“Date al conducente del taxi il biglietto che ti ho dato. Lui vi porterà dove dovrete andare”
“Spero di rivederti un giorno” le disse la ragazza.
“Anch’io”
Izumi si incamminò verso l’uscita della biblioteca. Keiichi mantenne il suo sguardo ancora per un momento su Hikari. I suoi occhi non erano più risentiti. Erano semplicemente freddi, distanti, indifferenti.
“Allora, ciao” azzardò Hikari verso di lui, ma Keiichi non le rispose. Le passò accanto, sfiorandola, senza dire una parola. Nell’istante in cui la superava, Hikari percepì ancora quella sensazione. Era come se il suo corpo le urlasse di non lasciarlo andare. Percepiva un’urgenza disperata di restare al suo fianco. Avrebbe voluto fermarlo, pregarlo di portarla con sé.
Ma lui non aveva detto una parola. L’aveva umiliata ancora, ed Hikari giurò che sarebbe anche stata l’ultima. Qualunque cosa la spingesse a desiderare di stare accanto a lui, la vinse. La annegò nel proprio rancore e nelle lacrime di frustrazione che sentiva rigarle le guance. Qualunque scherzo del destino li avesse fatti incontrare e le facesse provare quella sensazione così opposta ai veri sentimenti del suo cuore l’avrebbe soffocato. Non ci si sarebbe piegata.
Li avrebbe dimenticati e sarebbe andata avanti con la sua vita. Qualunque cosa fosse successa, non avrebbe più permesso a quel dannato mezzo-demone di farla sentire così impotente e disgustata di sé stessa come in quel momento.
Mai 

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Capitolo 4
*** Un fidanzato per Hikari ***


Che razza di buzzurro!
Hikari continuava a pensare a come Keiichi se ne fosse andato senza neppure rivolgerle la parola. Non poteva fare a meno di pensarci, e la cosa la mandava in bestia. Era davvero fuori di sé dalla rabbia. Rabbia per come se ne era andato. Rabbia per come l’aveva sempre guardata. Rabbia per come l’aveva trattata. Rabbia per la stessa rabbia che provava, incapace di fregarsene e di andare avanti. Rabbia per sé stessa che non poteva fare a meno di restare seduta sul suo letto, accoccolata nella sua coperta preferita, quella che sua madre aveva cucito per lei da bambina, chiedendosi come i due fratelli mezzo-demoni dovessero passarsela da soli in un mondo di cui non conoscevano nulla. Rabbia per sé stessa che non riusciva a nascondere il rimpianto di non essere rimasta con loro.
Keiichi l’aveva trattava malissimo e Hikari nutriva ben pochi dubbi riguardo al fatto che il mezzo-demone non la sopportasse. Eppure c’erano stati dei momenti in cui era sembrato sinceramente cordiale. Quando gli aveva salvato la vita, o quando aveva cercato di ringraziarla. Ma erano stati solo brevissimi istanti. Per la maggior parte del tempo, invece, l’aveva fatta sentire odiata e indesiderata.
Avrei dovuto lasciare che quella freccia lo trapassasse, così ora dormirei tranquilla.
Non voleva più pensare a ciò che era successo. Voleva solo riprendere con la sua vita e fingere che tutta quella storia fosse solo un brutto sogno. Si coricò a letto, decisa a superare tutto, pronta per un nuovo risveglio in un mondo dove i demoni non esistevano, i pozzi non collegavano epoche diverse e i capelli bianchi li avevano solo le nonnine centenarie.
 
Inutile. Hikari non era mai riuscita a dormire di pomeriggio. E così tanti saluti all’idea di restare nell’oblio fino al giorno successivo. Aveva trascorso due ore a rigirarsi sul letto, incapace di addormentarsi. La sua mente era troppo occupata a rivivere ed analizzare ogni singolo istante dalla notte precedente fino a quella mattina. Era rimasta così frastornata dagli eventi che aveva realizzato solo allora che non dormiva da più di un giorno. Aveva incontrato Izumi e Keiichi la sera prima e da allora persino il tempo sembrava aver perso tempo. Quando erano arrivati a casa sua ormai era notte inoltrata e tra la curiosità di Izumi e la storia che la ragazza che le aveva raccontato si era fatto giorno senza che nemmeno se ne fosse accorta. Aveva persino saltato scuola per portarli in biblioteca. Poco male, avrebbe recuperato senza problema una giornata di assenza.
C’era un unico modo per smettere di arrovellarsi su questioni ormai distanti dal proprio controllo. Immergersi in tutt’altre questioni. E cosa poteva esserci di più distante dai mezzo-demoni intra-dimensionali delle faccende domestiche? Il frigo era ormai irrimediabilmente vuoto e uscire di casa, tra la gente normale a studiare le offerte del supermercato le avrebbe di certo schiarito la mente. Si vestì in meno di cinque minuti e uscì di casa.
Era una calda giornata soleggiata e la città sembrava più viva del solito, o forse era solo una sua sensazione. Mentre camminava sul marciapiedi, ad ogni passo la sua mente si faceva più leggera. Quel tepore e il chiacchiericcio di tutte quelle persone comuni attorno a lei erano come un balsamo per il suo animo irrequieto. Keiichi, Izumi e la loro stupida Tessaiga erano ormai distantissimi dalla sua mente. Hikari andò al supermercato, dal fioriaio e in libreria a recuperare quel libro che quella settimana non aveva mai avuto il tempo di andare a ritirare. Decise persino di andare nell’enoteca preferita di sua padre per comprargli una bottiglia del suo vino preferito per quando sarebbe tornato dal suo viaggio di lavoro. In realtà avrebbe fatto qualunque cosa pur di evitare di tornare a casa, dove sarebbe stata sola e i suoi pensieri sarebbero tornati a preoccuparsi di Izumi e Keiichi. Avrebbe fatto tutte quelle commissione che rimandava sempre.
Stava per entrare in cartoleria per comprare delle penne di riserva per la scuola, quando una voce che avrebbe preferito non sentire la chiamò.
“Tanaka!”
Hikari si voltò rigidamente e venne travolta da Kenui.
“Oh, Tanaka!” diceva il ragazzo stringendola forte e facendole venire i brividi “Ieri sera sei sparita e oggi non eri a scuola. Ti ho perfino chiamata a casa!”
Possibile che dovesse starle così col fiato sul collo?
“Ero così in pensiero! Tu scappi sempre da me, lo so. Ma ho pensato che magari ieri sera poteva esserti successo qualcosa per colpa mia!”
“Kenui…”
Hikari rimase spiazzata. Non aveva mai considerato che Kenui continuava a infastidirla nonostante lei lo avesse allontanato sempre nei peggiori dei modi. Lo aveva trattato come un idiota. Certo, era insopportabile, ma forse avrebbe potuto essere un po’ più gentile nel respingerlo. Forse…
Il bel pensiero venne spazzato via non appena Hikari sentì una mano palparle il sedere.
No, Kenui non si meritava nessuna gentilezza! Gli tirò uno schiaffo e cominciò a correre, con tutte le borse della spesa che la rallentavano. Sentiva Kenui che la chiamava e la seguiva.
Tutti li guardavano con disapprovazione. Che vergogna! Doveva davvero liberarsi di quel piccolo pervertito.
Stava per voltare in un vicolo poco conosciuto quando andò a sbattere contro qualcuno. Una ragazza alta e forte con dei lunghi capelli neri e bianchi.
“Hikari!”
Il destino si stava decisamente prendendo accanendo contro di lei, pensò Hikari. Izumi la guardava felice come non mai.
“Sapevo che ci saremmo riviste! Sono così contenta!” le disse abbracciandola “Hai deciso di venire con noi? Hai cambiato idea?”
“Io…” voleva negare, ma la voce di Kenui che la stava raggiungendo le mise il panico “Ti prego, Izumi, nascondimi!”
“Cosa?” le chiese Izumi sorpresa.
“Devi nascondermi!” la pregò “Ho bisogno che mi aiuti!”
“Stai di nuovo scappando dal tuo fidanzato?” le chiese con un sorriso malizioso.
“Non è il mio fidanzato!” rispose di nuovo offesa “è lui che mi sta addosso perché vuole diventarlo, ma a me non interessa”
“E a lui lo hai detto?”
“Certo!” rispose piccata. Lo aveva fatto? Sicuramente sì, mille volte! Forse. Beh, non che fosse indispensabile, visto come lo trattava da sempre.
“Allora lascia fare a me!” e Izumi le strizzò l’occhio, proprio mentre Kenui la raggiungeva nel vicolo.
“Hikari! Ti ho raggiunta!” Kenui aveva il fiatone e si diresse dritto verso di lei, ma si fermò non appena notò Izumi che lo guardava con molta curiosità.
“Oh, non sapevo dovessi vederti con una tua amica” disse squadrandola da capo a piedi con approvazione. Che diamine! Inseguiva lei e si metteva a guardare le altre? Con lei presente, poi. Un altro esempio del perché Kenui non era decisamente il ragazzo adatto a lei. Come ci si poteva fisare di un uomo simile?
Izumi prese il controllo e si presentò “Ciao! Io sono Izumi, la sorella di Keiichi. Tu chi sei?”
Kenui la guardava rosso in volto, palesemente in imbarazzo.
“Kenui…” Izumi allora lo guardò con allarme.
“Non sarai…quel Kenui…” gli disse preoccupata.
“Perché? Mi conosci? Hikari ti ha parlato di me?” chiese Kenui speranzoso. Hikari invece guardava la ragazza, preoccupata. Così rischiava solo di incoraggiarlo! Voleva per caso complicarle ancora di più le cose.
“Ma certamente!” aveva risposto intanto Izumi “E ti consiglio di andartene subito. Mio fratello arriverà da un momento all’altro ed è meglio che non ti veda qui con Hikari. Sai” e si avvicinò a lui, facendolo diventare ancora più rosso “Keiichi ha davvero un pessimo carattere ed è anche molto geloso.”
A quelle parole Kenuo parve dimenticare momentaneamente le vicine grazie di Izumi e la guardò più seriamente.
“E chi sarebbe tuo fratello?”
“Il fidanzato di Hikari, ovviamente!”
Coooooooosa?!!!!!
Hikari non poteva credere alle proprie orecchie! Izumi non poteva averlo detto sul serio. Un altro pensiero ghiacciò il sangue nelle vene di Hikari: quando Keiichi l’avesse scoperto le avrebbe disintegrate tutte e due.
Comunque, Hikari non era l’unica ad essere rimasta sconvolta dalla notizia riguardo al suo nuovo fidanzato, Kenui era sbiancato e balbettava.
“Fi..Fid…Fidanzato?”
“Oh, sì! E sai, Hikari ci ha detto che le stai addosso e che la molesti e Keiichi è davvero molto protettivo. Non ti conviene che venga a sapere che sei qui.”
“Hikari…tu hai…”
“Mi dispiace, Kenui, ma è meglio che tu vada” disse Hikari cercando di sembrare più sicura di quanto non fosse.
“Ma io…”
“Allora sei qui, Izumi. Dove diavolo ti eri cacciata!”
Tutti si immobilizzarono all’istante, tranne Izumi che sorrideva benevola al fratello, che rimase interdetto da quell’insolito atteggiamento di Izumi.
“E adesso perché mi guardi così?” e allora notò che c’era anche Hikari, insieme a un ragazzo, basso e bianco come un lenzuolo.
“Ciao, Keiichi” disse Izumi con voce melodiosa. Keiichi li guardava perplesso. Hikari sembrava congelata e il ragazzo lo guardava, spostando continuamente lo sguardo tra lui, Hikari e Izumi. il modo in cui guardava le ragazze, comunque non gli piaceva davvero. Indugiava un po’ troppo sul corpo della sua sorellina.
“E tu, chi diavolo sei?”
Kenui saltò come un petardo “Nessuno! Nessuno! Davvero nessuno!” e se ne andò di corsa, senza voltarsi indietro neanche una volta.
Hikari solo allora si concesse di respirare e si accasciò a terra. Sospirò di sollievo.
“Grazie, Izumi”
“Figurati!” le sorrise.
“Potreste spiegare anche a me, per una volta?” chiese Keiichi, in parte ancora perplesso e in parte offeso per il fatto di essere escluso ancora una volta dai loro discorsi “E chi era il nano che è scappato?”
“Oh, era il ragazzo da cui Hikari scappava già ieri.” Disse iZumi senza scendere nei particolari. Forse anche lei pensava fosse meglio che Keiichi non sapesse nulla della piccola bugia che aveva usato per liberarla da Kenui.
“Ma chi? Il fidanzato pervertito?”
“Uffa!! Non è il mio fidanzato!” sbottò ancora una volta Hikari.
“E ora so anche il perché!” la prese in giro Izumi, Keiichi invece guardava nella direzione verso cui Kenui si era allontanato, uno sguardo particolarmente deciso che mise una certa agitazione ad Hikari.
“Cosa c’è, Keiichi?” gli chiese.
“Vuoi forse inseguirlo per dargli una lezione?” chiese invece Izumi che sembrava pregustare la scena.
Ma non scherziamo!! Pensò Hikari. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era che Keiichi se ne andasse in giro a picchiare tutti quelli che le davano fastidio. Beh, in realtà anche in quel caso avrebbe dovuto inseguire solo Kenui. Non era molto popolare tra i ragazzi. E comunque, perché mai keiichi avrebbe dovuto farlo? La detestava, magari pensava addirittura che se lo meritasse.
“No” rispose invece “ma ho memorizzato il suo odore. Se torna a disturbarti, gli farò passare la voglia di allungare le mani su chi non deve”.
Hikari rimase di sasso. Perché mai Keiichi avrebbe dovuto difenderla? Izumi invece guardava il fratello con riconoscenza e approvazione.
“Comunque cosa ci fai qui?” disse il mezzo-demone col suo solito tono arrogante.
E di nuovo tanti saluti ai pensieri positivi. Hikari non riusciva davvero a capire il carattere altalenante di Keiichi. Lo detestava, le faceva venire il mal di mare.
“Ero in giro per fare compere!” rispose adirata Hikari “Poi ho incontrato Kenui e mentre cercavo di allontanarlo mi sono imbattuta in Izumi. Non vi stavo seguendo, se è questo che credi.” rispose piccata e aggiunse “L’ultima cosa che avrei voluto era proprio incontrarvi.”
“Davvero speravi di non incontrarci?” le chiese Izumi, ferita. La ragazza aveva una smorfia triste talmente adorabile che si sentì la persona peggiore del mondo. Infondo, non era del tutto vero ciò che aveva detto. Izumi le piaceva, tanto. Era una ragazza adorabile, quando non si lasciava trasportare troppo dall’entusiasmo, e Keiichi…
Ecco, Keiichi era il vero problema.
“Scusami, Izumi, io non volevo…” ma Keiichi la interruppe, rimproverando la sorella.
“Smettila, Izumi! Questa ragazza non è nostra amica. La conosci da neppure un giorno e non sai nulla di lei. Lasciala perdere e torniamo ai nostri affari”
“Sei un idiota, Keiichi!” sbottò sua sorella “Se Hiakri non vuole più aiutarci è solo colpa tua! Non hai fatto altro che borbottare, rimproverare e ringhiare per tutto il tempo!”
“Per l’ultima volta…” sibilò a denti stretti Keiichi “…io non ringhio! E se stai per dirmi di nuovo che puzzo, ti conviene fermarti perché potrei non rispondere più di me!”
Hikari non seppe resistere. Le ultime parole di Keiichi, che sembrava ancora essere più ferito per quel “Puzzolente” piuttosto che per qualunque altra cosa, le trovava davvero esilaranti. Non poté contenersi e scoppiò in una risata contagiosa che non riusciva più a fermare.
“Scusate…ma…” non riusciva a parlare.
Izumi e Keiichi la guardarono perplessi, ma quasi subito Izumi cominciò anche a lei a ridere e in breve erano tutti e tre piegati in due dalle risate.
Solo dopo diversi minuti Hikari riuscì a riacquistare il controllo.
“Avete mangiato qualcosa?” chiese, ricordandosi che aveva dato loro dei soldi per il pranzo. I due ragazzi smisero subito di ridere e diventarono immediatamente bordeaux.
Ahi ahi ahi… pensò Hikari.
“Ecco c’è stato un piccolo intoppo…” cominciò a dire Keiichi, piuttosto a disagio.
“Ci dispiace, Hikari” lo interruppe Izumi con tono contrito “ma credo ci abbiamo raggirati. Abbiamo cercato un taxi come ci avevi detto, ma qualcosa deve essere andato storto. Il signore che guidava ci ha portato in un posto che non era quello dove volevamo andare e in più ci ha preso tutti i soldi che avevamo. Sai, sono diversi da quelli che usiamo di solito…”
Incredibile! Quei due fessi si erano fatti derubare da un falso taxista! Hikari avrebbe dovuto immaginarlo che non sarebbero andati lontani da soli. Si sentì un po’ in colpa per averli lasciati in quel malo modo in biblioteca. Ma fu solo per un istante. Almeno finché non ricordò anche il modo intollerabile con cui Keiichi se ne era andato senza fare una piega. O pronunciare una sola parola. Quel pensiero le alleggerì di molto la coscienza. Diciamo che era meritato di essere fregato in quel modo e di finire nei guai per un po’. Se solo non fossero stati i suoi soldi che gli avevano rubato….
“Non preoccupatevi” rispose Hikari, enfatizzando un sospiro di dispiacere “Vi porto io a mangiare qualcosa.”
“Davvero, Hikari?” chiese entusiasta Izumi “Verrai con noi? Non sei più arrabbiata?”
Lo era ancora? Guardò gli occhi speranzosi di Izumi e si sentì sciogliere come un gelato ai tropici: come si poteva rimanere arrabbiati con Izumi? Era impossibile.
“Sì” le rispose con un sorriso “Verrò con voi, e vi accompagnerò da vostro zio” mentre guardava Izumi saltellare contenta in ogni dove, aggiunse rivolgendosi invece a Keiichi “Sempre che a te vada bene, Keiichi.”
Il mezzo-demone la guardò attentamente per qualche secondo, poi distolse lo sguardo, riacquistando la solita aria di sufficienza.
“Se proprio ci tieni. Fa’ un po’ come ti pare.”
Hikari avrebbe voluto tirargli un pugno e urlargli contro, ma subito si quietò e lasciò perdere. Per il momento avrebbe dovuto accontentarsi. Se non altro era già un passo avanti rispetto al solito “non abbiamo bisogno di te”, o “è una perdita di tempo o addirittura “stai mentendo, dov’è Tessaiga!”. Poco per volta il vocabolario di Keiichi nei confronti di Hikari sembrava ampliarsi. Chissà che un giorno non fosse arrivato a comprendere anche frasi come “Sono felice di vederti!” o “Ho bisogno di te”.
Ma che andava a pensare? Ovviamente non sarebbe mai successo. Meglio che si rassegnasse al “fa’ un po’ come ti pare”: era il massimo della gentilezza che avrebbe mai potuto ottenere da lui.
E sinceramente, la cosa non le importava. Giusto?
meglio non rispondere a questa domanda!

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Capitolo 5
*** Lo zio Sota ***


Era uno spettacolo davvero orrendo. Hikari avrebbe voluto sprofondare nel pavimento ed evitare le occhiate di disapprovazione degli altri clienti del locale. Izumi e Keiichi sembravano non mangiare da secoli. Avevano ordinato una quantità spropositata di cibo e la stavano divorando come degli avvoltoi in un periodo di magra. Hikari sospirò, pensando alla piccola fortuna che avrebbe dovuto sborsare per saziare quei due pozzi senza fondo. Quel bel paio di scarpe che aveva puntato al centro commerciale avrebbe dovuto aspettare un altro mese per diventare suo.
“Questo cibo ninja è fantastico!” disse Izumi con la bocca piena.
“Cibo ninja?” chiese Hikari perplessa.
“Papà lo chiamava così” intervenne Keiichi, per una volta bendisposto e allegro. Hikari si annotò che avrebbe dovuto portarsi dietro del cibo per rabbonirlo quando necessario.
“Già” concordò Izumi “Papà andava matto per questa roba e quando mamma tornava in questa epoca gliene riportava sempre un sacco. Ma quelli erano dentro delle scatole e bisognava metterci l’acqua bollente. Questo qui…è davvero spettacolare! Papà ne sarebbe andato matto!”
“Credo che quelli fossero quelli già pronti. Questo è fatto in casa” spiegò Hikari.
“è la cosa migliore che abbia mai mangiato!” disse Keiichi, regalando uno dei suoi rari sorrisi. Era ancora più contagioso di quello della sorella, gli illuminava tutto il viso e lo rendeva di una bellezza sovrumana. Hikari avrebbe voluto che ridesse di più.
“Parlate spesso dei vostri genitori” disse Hikari, un poco tristemente “è bello che abbiate tanti bei ricordi di loro. Che riusciate a pensare a loro con tanta allegria”
I due fratelli la guardarono sorpresi.
“Tu non hai bei ricordi dei tuoi genitori?” le chiese Keiichi.
Hikari ci pensò su. Ricordava l’ospedale, sua madre troppo debole per alzarsi dal letto e talvolta persino per parlare. Ricordava suo padre che spesso tornava a casa e sembrava neppure vederla, così stanco e triste da smettere di mangiare e dimenticarsi di andare a prenderla a scuola. Però non era stato sempre così.
“Ricordo che a volte, la sera dopo avermi dato il bacio della buonanotte, quando credevano che dormissi, mio padre accendeva il giradischi, prendeva mia madre tra le braccia e ballavano.” disse con un sorriso “Potevo restare delle ore a guardarli, sembravano non stancarsi mai. Come se il tempo avesse smesso di scorrere. Ricordo che sognavo che un giorno avrei voluto anch’io un uomo che mi facesse ballare e mi stringesse come se non ci fosse cosa più importante al mondo. Così come mio padre faceva con mia madre”
Keiichi la guardava serio, con uno sguardo intenso che fece vergognare Hikari di aver detto troppo.
“Poi cos’è successo?” chiese Izumi “I tuoi genitori non stanno più insieme?”
“Mia madre è morta che avevo undici anni. Aveva una grave malattia e ha sofferto molto e per molto tempo. Per mio padre è stato un duro colpo. Non si è mai del tutto ripreso, si è buttato nel lavoro. Poi neppure un anno dopo c’è stata l’epidemia e ha quasi perso anche me”
Izumi la guardava con comprensione. Doveva assolutamente cambiare argomento.
“Allora” disse con tono allegro “Se avete finito di mangiare, ci avviamo! È arrivato il momento di incontrare vostro zio”
“Perché vuoi ancora aiutarci?” le chiese Keiichi, questa volta senza sufficienza o arroganza.
“Beh, non mi pare che senza siate andati molto lontani”
Izumi scoppiò a ridere. E riportò il discorso su binari più innocui, sommergendola nuovamente con mille domande. Per una volta, la cosa non dispiacque affatto a Hikari.
Perché vuoi ancora aiutarci, le aveva chiesto Keiichi. La verità era che non ne aveva la più pallida idea. Aveva sperato e tentato di lasciarsi tutto alle spalle, eppure eccola lì, di nuovo in prima linea per follilandia, e senza nessuna buona ragione tra l’altro. Preferiva non pensarci. Dal momento che una qualche forza sconosciuta sembrava rimettere i due fratelli mezzo-demoni sulla sua strada, tanto valeva stare al gioco. Li avrebbe aiutati a ritrovare lo zio, li avrebbe riportati al tempio Higurashi e li avrebbe spinti nel pozzo, augurando loro ogni fortuna nel ritrovamento di quella Tes-qualcosa. Più si fosse impegnata e prima tutta quella storia sarebbe finita.
Alla fine, aveva un indirizzo. Un paio d’ore, tre al massimo e chiuso il capitolo. Cosa poteva andare storto?
 
 
La casa era del tutto anonima, praticamente identica a qualunque altra nel quartiere. Non sapeva bene perché, ma la cosa la deluse un po’. Si aspettava qualcosa di più eccentrico dallo zio di due mezzo-demoni come Izumi e Keiichi.
I due fratelli sembravano aver perso la voce tutto ad un tratto. Entrambi guardavano la casa in silenzio, immobili e chiaramente tesi. Guardavano il portone rosso, tesi come corde di violino, apparentemente incapaci di muovere un muscolo. Persino Izumi e il suo entusiasmo sembravano congelati.
A quanto pareva, sarebbe toccato a Hikari fare gli onori di casa.
Suonò il campanello.
E non accadde nulla. Dietro di lei Keiichi diede segno di un certo nervosismo. Poteva capirlo: Izumi non aveva mai conosciuto Sota, ma da ciò che le avevano raccontato, Keiichi invece lo aveva conosciuto bene. Erano stati una famiglia e poi non si erano più visti per ben sette anni, senza sapere se qualcuno di loro fosse sopravvissuto. Poteva solo immaginare cosa stesse provando Keiichi, e cosa avesse provato in tutti quegli anni. Hikari aveva perso sua madre, ed esattamente dallo stesso giorno in cui l’aveva persa, aveva saputo che non l’avrebbe mai più vista, che non sarebbe mai più tornata. Che sarebbe rimasta sola, per sempre.
Suonò una seconda volta il citofono. Poi una terza e una quarta. Non poteva finire così! La macchina era parcheggiata là davanti. Doveva essere in casa. E infatti, al sesto tentativo, la porta si spalancò. Un uomo dinoccolato, in vestaglia e con un paio di occhiali eleganti la guardava irritato.
“Che diavolo c’è?” le ringhiò contro in un modo che le suonava famigliare.
“Mpf! È proprio di famiglia” bofonchiò tra sé.
“Allora?” la incalzò l’uomo togliendosi gli occhiali e squadrandola con malevolenza.
“Signor Higurashi, io mi chiamo Hikari. Siamo qui per…” indicò Keiichi e Izumi dietro di lei, e non appena l’uomo posò il suo sguardo sui due fratelli il suo sguardo cambiò completamente. Sembrava aver visto un fantasma.
“Inuy…” cominciò a dire, ma subito si fermò, come folgorato da una rivelazione “Keiichi!”.
L’uomo la superò con passo rapido, completamente dimentico della sua presenza, raggiunse il ragazzo e lo abbracciò, stringendolo stretto, come se potesse svanire da un momento all’altro. Keiichi sembrava sotto shock. Una statua di sale. Il volto, però, tradiva una sincera e profonda emozione.
L’uomo finalmente si staccò da Keiichi, guardandolo con le lacrime agli occhi.
“Non posso crederci” gli disse con un sorriso “Temevo che non ti avrei rivisto mai più. Sei cresciuto!” disse studiandolo con occhio attento “Sei proprio identico a tuo padre.”
Keiichi sembrava aver perso completamente la parola. Sota allora lo lasciò andare definitivamente e deviò la propria attenzione sulla nipote.
“Tu devi essere Izumi” e abbracciò stretta anche lei, la quale, a differenza del fratello, ricambiò l’abbraccio, piangendo felice.
“Zio Sota!”
“Sei più bella di quanto avessi mai immaginato” le disse con dolcezza “un angelo come tua madre” e allora lo sguardo di Sota si adombrò “Come siete arrivati, qui?” chiese, nella voce una leggera nota di preoccupazione “Il pozzo dovrebbe essere sigillato”.
“Non più” rispose Keiichi, che sembrava aver riconquistato un poco il controllo e la sua solita rigidità.
Sota si fece attento e si guardò attorno circospetto, “Meglio entrare in casa”. Guidando all’interno i nipoti, lanciò ad Hikari uno sguardo sospettoso. A quanto pareva i suoi fans nella famiglia Higurashi non stavano aumentando, tanto per cambiare.
La casa sembrava quella di uno studioso. Libri e carte varie erano stipati un po’ dappertutto. L’uomo sorrideva amorevole ai nipoti, mentre liberava delle sedie per farli sedere.
“Scusate il disordine!” disse con entusiasmo “Non ricevo molti ospiti di questi tempi”
Izumi lo guardava con un sorriso emozionato, Keiichi invece si guardava attorno incuriosito.
“Mi sembra impossibile che siate qui” disse l’uomo mentre si sedeva su una poltrona.
Izumi sorrise beata “Sono contenta di conoscerti, zio” disse emozionata “mamma ci parlava spesso di te”
Un sorriso malinconico ingentilì i tratti del volto di Sota.
“Mia sorella era una donna meravigliosa. Era dura vederla così di rado, dopo che si era sposata, ma ogni volta che tornava ci raccontava della sua vita, di tutti voi. Era felice. Davvero felice. Più di quanto fosse mai stata. Eravamo grati ad Inuyasha per questo”.
Sota sospirò perso in chissà quanti ricordi, “Sento la loro mancanza ogni giorno”.
Izumi gli strinse una mano, il volto dolce e comprensivo di sempre.
“Anche io sono felice di conoscerti, Izumi” le disse con un sorriso “Inuyasha stravedeva per te. Non parlava d’altro della sua piccola e dolce Izumi, quando veniva da questa parte. Tutti non vedevamo l’ora di conoscerti”.
Sota sospirò, asciugandosi le lacrime. Quella famiglia aveva affrontato prove davvero dure. Per quanto Hikari avesse sofferto nella sua vita, suo padre e suo nonno erano sempre rimasti accanto a lei. Forse si erano allontanati, i rapporti si erano irrigiditi, a causa del dolore che non erano stati in grado di condividere, ma almeno erano ancora tutti insieme.
“Allora” cambiò argomento l’uomo, guardando attento Keiichi “come siete arrivati qui? Come mi avete trovato?”
“Grazie ad Hikari” rispose Izumi “ci ha aiutato davvero tanto. Non so se ti avremmo trovato senza di lei”.
Stranamente Keiichi non sbuffò, ringhiò o disapprovò. Era una novità.
Sota la guardò con attenzione, studiandola.
“Ci siamo incontrati appena siamo arrivati da questa parte e da allora ci ha aiutati” continuò Izumi, raccontando allo zio di come l’avevano trovata vicino al pozzo, del demone e di tutto ciò avvenuto fino ad allora.
“Come è possibile?” chiese Sota confuso “Il pozzo dovrebbe essere sigillato. Solo mia sorella poteva togliere il sigillo”.
“O Tessaiga” lo corresse Keiichi, lanciando uno sguardo non troppo velato a Hikari.
Che sospettasse ancora di lei? Che pensasse ancora che era lei a nascondere quel suo ferro vecchio? Se era davvero così, dopo ciò che aveva fatto per loro, dopo avergli persino salvato la vita, l’avrebbe preso a schiaffi alla prima occasione.
“Credi che Tessaiga sia ricomparsa?” chiese Sota, intercettando lo sguardo di Keiichi su di lei e guardandola incuriosito. Forse la scelta di accompagnarli non era stata delle migliori. E se avessero deciso che lei era una minaccia?
“Ho chiaramente percepito il suo odore” rispose il nipote “Izumi ha percepito l’energia del pozzo risvegliarsi e quando siamo andati a controllare ho avvertito chiaramente l’odore di Tessaiga. Il passaggio era aperto e nel pozzo c’era una luce, sul fondo, come se qualcuno lo stesse attraversando. Così ci siamo buttati”
“Siete stati avventati” lo rimproverò.
“Sentivo chiaramente che Tessaiga era vicina, dopo sette anni, non potevo non verificare” rispose piccato Keiichi.
“Sì, e chissà chi avresti potuto incontrare dall’altra parte".
“Beh” rispose con un’alzata di spalle “abbiamo trovato lei” disse indicandola con un gesto del capo.
“Questo è interessante” disse Sota, per la prima volta guardandola con un sincero interesse privo di sospetto “Hai davvero una fortuna sfacciata, Keiichi”.
Il mezzo-demone lo guardò perplesso, ma Sota continuò, eccitato come un ragazzino, rivolgendosi a Izumi.
“Hai detto che Hikari ha salvato Keiichi fermando una tua freccia sacra, giusto?”
Izumi assentì.
“Credo di sapere cosa sia successo” e si alzò andando a prendere una vecchia scatola logora di legno che aveva nascosto in una cassaforte nel muro “Quando mia sorella arrivò qui, dicendoci che Inuyasha era morto e che avevano fallito, chiese il nostro aiuto. Disse che, ora che non c’era più Inuyasha e Keiichi era ancora troppo piccolo, Tessaiga doveva essere tenuta al sicuro.”
“Aspetta” lo interruppe Keiichi “vuoi dire che è stata nostra madre a nascondere Tessaiga?”
“Esatto” Hikari guardò Keiichi, sul suo volto era chiaro il dolore. Era ferito. “Voleva impedire che Tessaiga finisse in mani sbagliate e non voleva che tu e i tuoi fratelli doveste affrontare dei rischi troppo grandi per dei bambini a causa della spada di vostro padre. Così venne da me, per farsi aiutare”
“Cosa ti chiese?” intervenne Izumi.
“Di conservare questa”.
Sota aprì la scatola antica e all’interno vi era posta una splendente perla di un colore nero intenso. Hikari si perse in quell’oscurità. Le voci attorno a lei si fecero ovattate e infine si spensero del tutto. Non vedeva nient’altro, solo quella gemma. Era come se la chiamasse, come se la invitasse. Esattamente come era successo al pozzo, ma quella volta era molto più intensa. Voleva toccarla. Doveva toccarla. Era sua, una parte di sé.
Quel pensiero così strano le regalò un briciolo di lucidità, quel poco sufficiente perché potesse sentire Keiichi che la chiamava, mentre la tratteneva cercando di non farle del male. Trovarsi nel suo abbraccio la fece arrossire, “Lasciami andare”, gli disse. Keiichi la guardò con attenzione e allora la accontentò.
Non sapeva come, ma Hikari era in piedi, a un soffio da Sota, che la guardava meravigliato.
“Che è successo?” chiese Hikari spaventata.
“Ti sei alzata, fissando la gemma in modo strano e hai cercato di prenderla. Avevi uno sguardo che faceva paura e…” Izumi guardò Keiichi preoccupata, e confusa.
“E…cosa?” la incintò Hikari.
“Hai cambiato odore” concluse Keiichi “Avevi di nuovo l’odore di Tessaiga, più forte di quanto lo avessi mai percepito”.
Quindi profumava come un ferro vecchio e arrugginito. Grandioso!
“è fantastico” sussurrò Sota.
“Non mi pare proprio” borbottò Hikari, tornando a sedersi e cercando di dimenticare la sensazione di svuotamento che aveva provato, per non parlare di quella di Keiichi che la stringeva. Non aveva già abbastanza problemi? Ci mancavano le trance da zombie e gli ormoni impazziti per un cagnaccio puzzolente che la detestava e sospettava di lei.
“Questa è la perla di vostro padre. Vostra madre mi disse che una volta era un portale che portava al luogo dal quale Inuyasha aveva preso Tessaiga. Loro l’avevano utilizzata proprio per quello scopo. Quando me la portò, mi disse che questa perla sarebbe stata indispensabile per portarvi a Tessaiga”.
“Vuoi dire che Tessaiga sarebbe di nuovo in quel mondo? E che dovremmo usare la perla per andarci come avevano fatto i nostri genitori”
“Non lo so, potrebbe. Ma in quel caso, sarebbe inutile: la perla poteva funzionare solo una volta. Non è più un portale ormai, però è in grado di mostrare dove è nascosta Tessaiga…se usata dalla persona giusta”
“Cosa vuol dire?” chiese Izumi.
“Vostra madre era una persona intelligente. Sapeva che non poteva semplicemente nascondere Tessaiga. Così ha reso le cose più difficili. Tutto ciò che so, è che Kagome ha fatto creare una nuova perla, una gemella di questa. Nessuna delle due funziona se non sono insieme. Una l’ha data a me e l’altra l’avrebbe affidata a qualcuno al di là del portale” qui il suo tono di voce si fece profondamente triste “Quando è…tornata all’epoca Sengoku ha sigillato il pozzo, in modo tale che nessuno potesse più viaggiare tra le due epoche”
“Ha separato il lucchetto e la chiave. Furba” commentò Hikari.
“E non solo, anche una volta riunite, le due perle non funzionano, a meno che a utilizzarle non sia una persona precisa. Solo quella persona può azionare il loro potere”.
“E chi è questa persona?” chiese Keiichi frustrato.
“Neppure Kagome lo sapeva. Mi disse solo che questa persona era molto preziosa, che, una volta trovata, andava protetta e che, senza di lei, sarebbe stato impossibile ritrovare Tessaiga”.
“E come la troviamo questa persona?” ringhiò Keiichi, sempre più irritato.
“Credo che lei abbia già trovato noi!” sorrise Sota, guardando Hikari.
Non scherziamo!! Tutti e tre la guardavano insistenti, Sota con benevole incoraggiamento, Izumi con entusiasmo e Keiichi…beh. Lo sguardo di Keiichi le gelò il sangue nelle vene. I suoi occhi e le zanne esposte non lasciavano dubbi a riguardo: la odiava più che mai. Non lo sopportava.
No!” esplose alzandosi “Ti sbagli. Io…non voglio. Io…” li guardò, terrorizzata “…devo tornare a casa”.
Keiichi la fermò, afferrandola per le braccia. “Tu non vai da nessuna parte” le disse, duro.
“Lasciami andare subito!” sibilò tra i denti, in tono di avvertimento.
“Non se ne parla!” rispose “Sapevo che qualcosa non andava in te. Che non dovevo fidarmi. Adesso ci dirai tutto ciò che sai, e senza mentire questa volta!”.
“Keiichi…” tentò di intervenire Sota, ma il ragazzo non lo sentiva neppure. Keiichi doveva sfogare la propria rabbia e Hikari era il capro espiatorio perfetto.
“Io non ho mentito!” gli urlò in faccia “Vi ho detto tutto ciò che so! Vi ho aiutati! Se c’è qualcosa che va in qualcuno è in te! Non ti ho fatto nulla, ti ho aiutato, ti ho salvato la vita! E tu non hai fatto altro che trattarmi male e farmi sentire indesiderata! Bene! Hai vinto! Me ne vado!”
“No, tu non te ne vai!” e le strinse forte il braccio.
“Keiichi, smettila!” gli disse Izumi.
“E cosa vuoi fare?” Hikari non ci vedeva più dalla rabbia “Legarmi e trascinarmi di peso fino al pozzo?”
“Non tentarmi” sibilò a un passo dal suo viso.
“Sei incredibile” rispose a bassa voce Hikari “Io non ho alcuna intenzione di restare con te. Non mi importa cosa vuoi o puoi fare. Non ti aiuterò, mai più. E prima te ne tornerai da dove sei venuto, più sarò felice”.
Keiichi la guardò sorpreso, completamente spiazzato. La sua presa su Hikari si allentò e lei ne approfittò per per svincolarsi. Raccolse le sue cose, salutò per sempre Izumi e uscì dalla casa. Non voleva rivedere Keiichi mai più. Asciugandosi una lacrima si avviò verso la fermata dell’autobus.
Era finita. Questa volta per sempre. Non li avrebbe più rivisti. Avrebbe potuto dimenticare tutta quella storia. Infondo era ciò che voleva.
Allora perché non si era mai sentita così sola?
Allora perché si sentiva così vuota?

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Capitolo 6
*** La perla oscura ***


Casa sua le sembrava più vuota che mai. Ma non avrebbe cambiato idea. Non sarebbe tornata indietro. Keiichi poteva cavarsela da solo. Non le importava.
Le avevano detto che era una sottospecie di radar-spirituale per trovare un ferro vecchio, che era importante e andava protetta, e Mister Delicatezza si era preoccupato di come tutto ciò potesse farla sentire? Di quanto potesse essere spaventata? Certo che no! Aveva immaginato chissà quale nuovo complotto, le aveva urlato contro e l’aveva minacciata di legarla e portarsela a casa come un vichingo conquistatore col bottino. Era un bullo! Ecco, cos’era.
Hikari era accoccolata sul divano, stringendo un cuscino. Doveva essere quello su cui si era appoggiato Keiichi perché sentiva ancora il suo odore. Nonostante ce l’avesse proprio con lui e in quel momento avrebbe voluto prenderlo a padellate in testa, quel profumo riusciva a calmarla. Preferiva non pensare a quanto fosse irritante quella contraddizione. Odiava provare cose così contrastanti. Hikari non era mai stata una persona complicata. Qualcuno o le andava a genio o no, una cosa la faceva o non la faceva. Non esistevano mezze misure, ma il mondo in cui era entrata dopo aver conosciuto i due fratelli sembrava del tutto diverso. Hikari non pensava che facesse per lei. Non era adatta al loro mondo. Era invece la classica giovane donna del ventunesimo secolo, con una spasmodica voglia di avventura, non quella di inseguire demoni per rubare una spada. Avventura per la sua generazione voleva dire fare un viaggio zaino in spalla per andare a vedere i canguri in Australia, oppure bivaccare per qualche settimana su una spiaggia polinesiana a bere cocktails e flirtare col barista dell’hotel, oppure andare un mese in missione ad aiutare un’associazione di volontariato. Hikari andava a scuola, chattava online e sognava un lavoro rispettabile che le permettesse di viaggiare. Lo aveva sempre voluto, era nata per quello, giusto?
Ormai Keiichi e Izumi dovevano già essere tornati a casa. Chissà quanto doveva essere arrabbiata Izumi con il fratello. Beh, se lo meritava.
Qualcuno suonò al citofono. Hikari sperava solo non fosse ancora Kenui. L’aveva già chiamata quattro volte da quando era arrivata a casa. A quanto pareva la bugia di Izumi non aveva funzionato poi così bene.
“Chi è?” chiese con voce stanca.
“Ciao, Hikari. Sono Sota”
Hikari fece un salto di spavento. Che ci faceva da lei? Cosa voleva da lei?
“Possiamo parlare? E stai tranquilla, Keiichi non è invitato. Izumi controllerà che se ne resti tranquillo a cuccia”.
Certo, come no! Più per curiosità che per altro decise di aprire la porta. Sota le sorrise incoraggiante. Entrò in casa e si sedette sul divano.
Hikari era tesa e per nulla contenta.
“Mi dispiace” disse Sota “Keiichi è…beh, degno figlio di suo padre. Anche avere a che fare con Inuyasha non era sempre facile anche se grazie a Kagome era migliorato molto, per non parlare dopo la nascita di Keiichi e di Izumi”.
“Beh, non credo di poter aspettare che Keiichi abbia dei figli per poterlo sopportare”, rispose Hikari tagliente.
Sota rise di gusto “Certo che no!” poi si fece serio “Non è per giustificarlo, ma è stata dura per lui. Quando Kagome è arrivata qui, per cercare aiuto, Inuyasha era morto e lei era stata infettata dal virus demoniaco. Grazie alla sua forza spirituale poteva resistere più a lungo degli altri, ma…” il volto di Sota si adombrò, carico di dolore “Keiichi ha assistito alla morte di Inuyasha”.
“Oh, no!” Hikari era addolorata. Povero Keiichi! Sapeva cosa voleva dire vedere un genitore morire.
“Poi è morta anche Kagome e…beh, aveva tre fratellini. Era solo”
Hikari vide Keiichi sotto una luce del tutto diversa dopo il racconto di Sota. In realtà, a parte il fatto che lui avesse assistito alla morte del padre, erano cose che già sapeva, eppure non aveva riflettuto su cosa avesse significato per Keiichi. Forse anche lei, proprio come Keiichi, era rimasta concentrata più su sé stessa, sui propri sentimenti e su ciò che voleva, che su cosa stesse vivendo invece l’altro. Si era arrabbiata con lui, e certo Keiichi avrebbe potuto essere più gentile, tuttavia anche lei non aveva cercato di capirlo.
“So che a volte è davvero insopportabile” proseguì Sota “ma devi avere pazienza: lui non vuole ammetterlo, e forse non lo farà mai, ma ha bisogno di te. Più di quanto creda”.
Hikari dubitava davvero che Keiichi avesse bisogno di chiunque.
“Perché Kagome ha agito così?” chiese tristemente “Perché farmi questo? Io non c’entro nulla con voi e il vostro mondo”.
“Kagome non mi ha mai spiegato le sue ragioni. E come ti ho detto, non credo che sapesse davvero chi sarebbe stato incaricato di custodire le perle spirituali. Non so perché sei stata scelta tu e forse non lo sapremo mai”.
Quella risposta non era esattamente quella che avrebbe desiderato. Avrebbe preferito “Tranquilla, ci siamo sbagliati! Addio!”. Sota invece tirò fuori da un zainetto la scatola di legno antico.
“Questa è tua”.
“Non la voglio” disse Hikari ritraendosi spaventata.
“Nessuno può ignorare ciò che è, Hikari” le disse Sota con voce calda e comprensiva “Restare chiusa qui, andare a scuola, non ti darà le risposte che cerchi, né ti farà sentire felice”.
Hikari distolse lo sguardo, volgendolo verso la finestra. Fu solo un istante, ma avrebbe giurato di vedere Keiichi sbirciare dalla finestra. Che fosse là fuori ad origliare? La cosa non l’avrebbe stupita.
“Mia sorella all’inizio fece fatica a capire e ad accettare quel che le stava succedendo, quando cominciò a viaggiare nell’epoca Sengoku” raccontò Sota “Ha affrontato prove che io stento persino ad immaginare e ha sofferto più di quanto molti potrebbero sopportare. Eppure sono sicuro che non si sia mai pentita della scelta di aiutare Inuyasha nella sua missione. Neppure quando poi…beh, nonostante come sia finita”.
Hikari non poteva rispondere. Era solo una ragazza di diciannove anni, con una vita normale.
Sota le porse ancora la scatola e Hikari questa volta la prese. Solo toccandola, percepì una grande energia.
“Cosa dovrei fare?” chiese Hikari, rassegnata.
“Non lo so davvero! Io ero il fratellino che aspettava Kagome e il ragazzo buffo vicino al pozzo, piacevolmente ignaro”.
Tanto per cambiare!
Le mani le formicolavano per il bisogno di aprire quella scatola. Al diavolo! Non appena vide la perla nera, la stessa sensazione provata a casa di Sota si ripresentò. Tutto scomparve. Nulla aveva più importanza.
Hikari” sentì una voce che la chiamava.
Allungò la mano e strinse la gemma. Davanti a lei comparve una luce intensa e improvvisamente si ritrovò davanti a un enorme albero. Lo stesso dove lei aveva salvato Keiichi, ma tutto attorno, c’era solo luce.
Hikari” una donna bellissima, dai lineamenti delicati e gli occhi dolci le sorrideva. Assomigliava in modo impressionante a Izumi.
“Chi sei?” le chiese, spaventata “Come sono arrivata qui?”
“Mi chiamo Kagome” Non poteva essere!
“Sei la madre di Keiichi e Izumi”
Il sorriso della donna si illuminò, riempiendola d’amore.
“Cosa vuoi da me?” le chiese.
“Tu sei l’unica che può aiutare i miei figli. Presto saranno in grave pericolo, anche tu lo sarai. Se vorrete sopravvivere, dovrete aiutarvi a vicenda”.
“Qualcuno minaccia Keiichi e Izumi?” chiese preoccupata.
“La stessa persona che ha ucciso me e Inuyasha. Colui che voleva Tessaiga, e la vuole ancora”. Fantastico, un’ottima notizia dalla donna morta. L’aldilà non poteva averle mandato un messaggio magico con scritto “Troverai l’amore della tua vita, insieme vivrete fino a 95 anni e morirete sereni”. No! Era molto più ad effetto un fantasma in una sfera che le diceva che qualcuno la voleva morta senza neanche conoscerla. Le ci mancava solo una telefonata che le diceva “morirai entro sette giorni” ed era a posto.
“Dimmi dov’è allora” disse a Kagome “Così Keiichi potrà andare a prenderla e difendersi”.
“Keiichi non può raggiungere la spada” quella era una brutta notizia, un’altra, tanto per cambiare “Ma tu sì!” e quella era ancora peggiore! Non osava immaginare come avrebbe reagito Keiichi quando l’avesse saputo.
“La spada è in un luogo dove nessun mortale ancora in vita può entrare, ormai. Nel corso del tempo tutte le strade che collegano quel luogo al nostro mondo sono andate perdute, ormai è rimasta una solo strada per entrarvi. Una strada che si può percorrere solo da morti”
“La cosa non promette affatto bene per me” commentò Hikari. Keiichi comunque sarebbe stato felice di liberarsi di lei.
“Ho trovato un modo” la rassicurò Kagome “ma solo tu puoi utilizzarlo”.
“Perché?” chiese esasperata.
Kagome la guardò addolorata “Non è ancora tempo che tu lo sappia”.
“Un po’ troppo comodo così, non credi?” Kagome le sorrise incoraggiante.
“Andrà tutto bene, Hikari” le disse materna “Te lo prometto”
Hikari avvertì una stretta allo stomaco. La voce di Kagome era così dolce, tenera, amorevole. Una mamma. Nessuno le parlava in quel modo da così tanto tempo. Nessuno l’aveva più guardata così da quando sua madre era…
Ma Kagome non era sua madre. Era la madre di Keiichi e di Izumi.
“Se avevi la possibilità di comunicare con qualcuno” le chiese timidamente “perché non hai fatto in modo di poter comunicare con i tuoi figli?”
Kagome la guardò addolorata “Ammetto di averci pensato, e stupidamente ho pure sperato che sarebbe stata Izumi ad avere il potere di usare le perle, visto che ha poteri molto simili ai miei. Anche se sapevo che era impossibile”.
“Perché impossibile” le chiese confusa.
“Perché mi sono sono impegnata tanto per rendere Tessaiga irraggiungibile. L’ho fatto per proteggere i miei figli, quindi non potevo coinvolgerli in tutto questo, non finché non fosse arrivato il momento. Anche se vorrei davvero poter parlare ancora con loro”.
Sembrava così triste, rassegnata. Un’ombra.
“Mi dispiace”, fu l’unica cosa che riuscì a dire.
“Se non altro, grazie a te, potrò ancora stare loro accanto”
“Cosa dovrei fare?” le chiese, sperando in una risposta migliore di quella che aveva ricevuto da Sota.
“Devi recuperare l’altra perla. Solo una volta riunite, potrai trovare il luogo dove è conservata Tessaiga”.
“Ma Sota ha detto che l’altra perla l’hai portata nell’epoca Sengoku” le fece notare.
“Esatto. Il pozzo si è aperto perché ha avvertito la tua presenza. Il sigillo avrebbe dovuto aprirsi quando il prescelto fosse stato pronto”.
Hikari sentì il terreno franarle sotto i piedi. Keiichi non aveva avuto tutti i torti a dubitare di lei. Anche se non sapeva come, era stata proprio lei a riattivare il pozzo mangia-ossa. Quella storia stava prendendo una piega sempre peggiore.
“Immagino non ci sia un modo per recuperare Tessaiga stando nella mia epoca, vero? Una qualche postilla magica, magari”, azzardò Hikari.
Kagome la guardò questa volta duramente, “Voglio essere chiara, Hikari, perché devi capire la gravità della situazione in cui ci troviamo. Se tu non accetterai tutto questo, non solo i miei figli moriranno, ma molti altri. Anche tu hai visto i risultati di tre giorni di epidemia, e non è nulla rispetto a ciò che arriverà se fallirai”.
“Vuoi dire che potrebbe succedere di nuovo?” chiese terrorizzata Hikari. Lei stessa era quasi morta per colpa dell’epidemia di sette anni prima.
“Se tu rinunci, questa volta non sarà come è stato per me. In pericolo questa volta non c’è solo l’epoca Sengoku, ma anche la nostra lo sarà. Io e Inuyasha non siamo riusciti a impedirlo, ma l’abbiamo ritardato. Toccherà a voi impedire che tante persone muoiano”.
“Io non voglio tutto questo. Voglio aiutare, ma…come posso farlo?” chiese ormai impaurita.
“In te c’è più di quanto credi” le disse accarezzandole il viso, infondendole coraggio “Ti prometto che andrà tutto bene. Fidati di me e fidati di Keiichi”.
Un fantasma e un ragazzo che la detestava. Più facile a dirsi che a farsi!
“Quando avrai superato il pozzo, cerca Shippo. Digli ciò che hai visto, cosa ti ho detto. Lui saprà cosa fare”.
Kagome le sorrise ancora una volta e si allontanò da lei. Se ne stava andando.
“Aspetta!” la richiamò “Ho così tante cose da chiederti!”
“Ogni volta che avrai bisogno di me, mi troverai qui. Col tempo avrai le tue risposte” disse Kagome continuando ad allontanarsi.
Aspetta!” la richiamò ancora Hikari, e questa volta Kagome si voltò a guardarla “Non vuoi che dica qualcosa a Keiichi, Izumi o Sota da parte tua?”
Kagome abbassò lo sguardo, evidentemente sofferente.
“Per ora è meglio che nessuno sappia che puoi parlare con me, a parte Shippo. Soprattutto Keiichi”.
“Perché?” per Hikari non aveva senso.
“Conosco mio figlio, è come suo padre. Non ascolta, non riflette e non perdona facilmente. Quando ho incontrato Inuyasha era così, c’è voluto del tempo perché cominciasse a fidarsi di chi lo amava e gli stava attorno. Sarà così anche per Keiichi, dovrai essere paziente con lui”.
“Vorrei che smetteste di ripetermelo” esplose risentita Hikari “La pazienza non è uno dei miei pregi”.
Kagome le sorrise ancora, questa volta con più entusiasmo. Ricordava molto Izumi, il suo slancio per la vita.
“Si ammorbidirà, te lo prometto, e Izumi ti aiuterà. Le ho insegnato un paio di trucchi per tenere a bada il suo intrattabile fratellone”.
Izumi le aveva parlato di un rosario, chissà cosa voleva dire.
“Ora devi andare, Keiichi non reagisce bene quando si preoccupa troppo”.
Preoccuparsi troppo? E che vorrebbe dire??!
La luce attorno a loro si intensificò e infine tutto scomparve. Kagome, l’albero, non c’era più niente.
Hikari!” qualcuno la stava chiamando, ripeteva il suo nome preoccupato.
“Si riprenderà presto, vedrai” un’altra voce…Sota.
“Hikari, svegliati!” era Keiichi.
Hikari aprì gli occhi. Keiichi la teneva tra le braccia, guardandola preoccupato. Che imbarazzo!
“La…lasciami andare, per favore” gli disse, ma lui non la ascoltò.
“Stai bene? Che è successo?” le chiese invece.
“Ci hai davvero spaventati!” Izumi era accanto al fratello e la guardava preoccupatissima.
“Sto bene. State tranquilli” si mise a sedere, liberandosi dall’oppressione fisica del mezzo-demone che delicatamente si fece da parte.
“Cosa hai visto?” le chiese Sota.
Cosa poteva dire? Kagome le aveva detto che era meglio non dire di lei. Guardò il viso di Keiichi, così teso. Non era d’accordo con Kagome: avevano il diritto di sapere tutto ciò che le aveva raccontato, ma Hikari non li conosceva bene come Kagome e lei non aveva il diritto di tradire le volontà di Kagome. Quali che fossero le sue ragioni, e anche se Hikari non poteva comprenderle, Kagome agiva per proteggere i suoi figli.
Fidati di me, le aveva detto. E lo avrebbe fatto, almeno per il momento.
“So cosa dobbiamo fare” disse, slittando sulla domanda diretta.
“Sai dov’è Tessaiga?” chiese subito Keiichi.
“No” la delusione sul viso del ragazzo le spezzò il cuore “Non ancora. Ma so cosa dobbiamo fare adesso”.
Keiichi la guardò perplesso, “Vuoi dire che verrai con noi?” le chiese titubante.
La guardava così intensamente, quasi supplicandola. Aveva bisogno di lei.
“Sì” disse sorridendogli “Vi aiuterò”.
Straordinariamente Keiichi le sorrise, un ringraziamento migliore di qualunque altro. Izumi le saltò addosso abbracciandola e ridendo soddisfatta, mentre Sota li guardava con approvazione.
“Dobbiamo prepararci allora” disse lo zio con un sorriso, subito seguito dall’entusiasmo di Izumi che si alzò come una molla, lasciando Hikari ancora seduta a terra e cominciando a programmare la partenza con lo zio.
Hikari li guardava contenta. Era felice di aver partecipato a renderli così entusiasti. Non voleva lasciare casa sua per quel viaggio, ma voleva aiutarli. Voleva fare qualcosa per aiutarli nella loro missione. Se poteva farlo, allora lo avrebbe fatto. Avrebbe trovato Tessaiga, l’avrebbe consegnata a Keiichi e allora sarebbe tornata a casa. Con un po’ di fortuna sarebbe tornata prima del ritorno di suo padre e suo nonno.
Keiichi le porse una mano e la aiutò ad alzarsi. Non disse nulla. La guardava e basta.
“A quanto pare non dovrai legarmi e portarmi via come un sacco di patate. Mi dispiace” lo provocò scherzosamente. Keiichi non rise, ma quasi.
“è presto per dirlo”. 

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Capitolo 7
*** Il mondo oltre il pozzo ***


Ciao!! Sono partita qualche giorno con degli amici. Dovrei tornare presto. Non preoccupatevi! Fate i bravi!
 
Hikari rilesse il biglietto ancora una volta. Corto, evasivo…perfetto! Non aveva mai fatto una cosa del genere, ma suo padre si fidava di lei e la considerava una ragazza in gamba. Sperava fosse abbastanza perché non si preoccupasse troppo nel caso in cui non fosse riuscita a tornare prima del loro ritorno.
Aveva sistemato casa, preso qualche abito, nonostante Izumi le avesse detto che avrebbero trovato qualcosa per lei una volta tornati nell’epoca Sengoku. Hikari aveva visto come erano vestiti appena arrivati e non sembrava il massimo della comodità. In ogni caso, aveva sistemato il suo paio di jeans più comodi nello zaino. Aveva fatto scorta di shampoo e balsamo, caricato l’i-pod e preso quel caricatore a energia solare che le avevano regalato qualche anno fa e non aveva mai usato. Un’epoca senza energia elettrica sarebbe stata il contesto ideale per testarlo. Poteva forse rinunciare a internet e al cibo da asporto, ma certo non sarebbe sopravvissuta senza musica e dubitava che Keiichi sarebbe stato disposto a cantarle qualcosa.
Andò in salotto dove Izumi e Keiichi stavano prendendo le ultime borse da caricare sull’auto di Sota. Mentre Hikari aveva sistemato le cose a casa, zio e nipoti avevano fatto spese folli. Medicine, garze e una quantità spropositata di cibo pronto. Sota diceva che aveva fatto tutto come faceva sempre Kagome quando tornava a casa, prima di ripartire per l’epoca Sengoku.
“Sei pronta?” le chiese Izumi.
“Credo di sì” disse aiutandola con una delle borse che cercava di trasportare.
“Vedrai che ti piacerà casa nostra!” le disse entusiasta “E conoscerai il resto della famiglia! I gemelli ti piaceranno da morire! Sono delle vere pesti, ma molto più simpatiche di Keiichi!”.
“Ehi!” si lamentò il diretto interessato “Guarda che ti ho sentito!”, ma Izumi continuò come se niente fosse.
“Oh! E conoscerai anche Shippo!” disse illuminandosi, beccandosi un’occhiataccia dal fratello “Vedrai, ti piacerà un sacco! È un vero tesoro!”.
Sota li aspettava in auto e partirono subito.
“Scusa, Izumi” chiese Hikari “ma chi è questo Shippo?”
“Oh, Shippo è un demone!” disse Izumi con orgoglio.
Un demone?!!! L’immagine del serpentone al tempio le procurò un brivido. Se Shippo era un demone poteva capire perché Keiichi disapprovasse. Izumi intercettò la sua preoccupazione e la rassicurò.
“Tranquilla, Hikari! Non tutti i demoni sono cattivi! Beh, la maggior parte sì” la precisazione non la faceva stare tranquilla “ma non tutti! E Shippo è decisamente uno di quelli buoni. È un grande demone volpe ed era un grande amico di mamma e papà. Li ha aiutati ai tempi della loro lotta contro il demone Naraku. Era un bambino all’epoca, ma da allora sono rimasti sempre tutti assieme. Era parte della famiglia. Poi quando i nostri genitori sono morti, Shippo è rimasto e lui e Keiichi si sono presi cura di noi.”
Dopo la spiegazione di Izumi poteva capire perché Kagome le avesse detto di cercarlo. Perché avesse chiesto il suo aiuto. Che avesse lui l’altra perla oscura? Era possibile, se era così amico di Kagome come sosteneva Izumi.
 
Sota cambiò umore non appena arrivarono al vecchio tempio. Divenne cupo e silenzioso. Si guardava attorno senza dire una parola, trattenendo le lacrime. Hikari decise che era meglio lasciarlo ambientare, dargli il tempo di riprendersi. Non doveva essere facile per lui tornare in quel posto. Lo lasciò ai suoi pensieri e si ritrovò a contemplare l’enorme albero del tempio. Chissà perché Kagome le era apparsa davanti a quell’albero. Strinse tra le dita il sacchetto di tela nel quale aveva infilato la perla di Inuyasha. Non era riuscita a trovare nulla di meglio dove metterla per portarla con sé senza perderla.
“Questo è l’albero sacro”
Hikari, completamente assorta dai propri pensieri non aveva sentito Keiichi avvicinarsi.
“A Izumi piace raccontare storie, come a nostra madre” disse, anche lui con lo sguardo incatenato all’albero “Quando eravamo piccoli ci raccontava spesso la storia di come lei e nostro padre si fossero incontrati, proprio sotto questo albero quando mia madre era arrivata nella nostra epoca per la prima volta. Mio padre era stato sigillato da una freccia sacra, proprio a questo albero, e mia madre lo liberò. Diceva che questo albero era importante per la nostra famiglia”.
“Tua madre deve aver amato molto Inuyasha per aver deciso di rimanere con lui in un’epoca diversa dalla sua”, Hikari non riusciva a immaginare alcuna ragione che potesse convincerla a rinunciare a casa sua, a suo padre e alla sua vita.
“Mia madre diceva che era diventata anche la sua. E sì, lo amava molto. E mio padre la amava altrettanto, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.”
Allora era molto fortunata. Hikari avrebbe voluto avere la stessa fortuna un giorno, amare tanto una persona ed essere ricambiati alla stessa maniera. Purtroppo era una fortuna estremamente rara.
“Perché hai cambiato idea?” le chiese Keiichi, puntandole addosso i suoi occhi dorati, mettendola in agitazione.
“Avete bisogno di me” rispose semplicemente.
“Ne avevamo anche a casa dello zio Sota, ma te ne sei andata”.
Non c’era accusa nelle sue parole, voleva solo capire. Kagome e Sota le avevano detto che doveva avere pazienza, e che Keiichi era rimasto solo ad affrontare tutto quanto quando era ancora troppo giovane.
“Non scapperò più, Keiichi, te lo prometto” le disse sorridendogli con calore e prendendogli una mano per sentirlo più vicino. Keiichi la guardò intensamente, leggermente in imbarazzo.
“Non sei più solo”.
 
Izumi abbracciò con slancio lo zio, dandogli un bacio sulla guancia.
“Dovrò memorizzare come arrivare a casa tua zio! Così potrò venire a trovarti senza rischiare di perdermi”.
“Non sarà necessario” le disse con calore “Mi troverete qui”.
“Vuoi riaprire il tempio?” gli chiese Hikari.
“Questo posto è sempre stato un luogo meraviglioso, ed è sempre appartenuto alla mia famiglia. Vederlo in questo stato…non sarei dovuto andarmene. E se fossi rimasto non avreste dovuto penare tanto a cercarmi”.
Sota era ancora triste, ma sembrava anche aver raggiunto una sorta di consapevolezza. In quel luogo aveva perso la sua famiglia, ma c’erano ancora più ricordi felici. I ricordi di una famiglia intera, come le aveva detto Keiichi sotto l’albero.
“Che bello, zio! Così potremo venire a trovare quando vorremo!” disse Izumi. Gli stampò un sonoro bacio sulla guancia e si lanciò nel pozzo.
Hikari la guardò scomparire, con ansia crescente. Stava per buttarsi anche lei dentro un pozzo. E se quando avesse cercato di buttarsi lei, il passaggio si fosse richiuso? Avrebbe picchiato sul fondo. E probabilmente Keiichi l’avrebbe presa in giro per il resto della vita, o magari avrebbe ricominciato a urlarle contro, accusandola di chissà quale nuovo errore. A ben ripensarci, l’idea di partire non era poi così brillante. Forse non ci aveva pensato abbastanza.
Sota interruppe i suoi cupi pensieri, abbracciandola “Mi raccomando” le disse “fai attenzione”.
“Lo farò” rispose, commossa dal fatto che qualcuno si preoccupasse per lei, anche se chi avrebbe potuto farlo era del tutto ignaro di cosa stesse per fare.
“E tieni d’occhio i miei nipoti!” aggiunse Sota “Vedi che non si uccidano a vicenda!”.
“Ora sì che mi chiedi l’impossibile!” scherzò Hikari, aveva davvero bisogno di allentare la tensione.
“Che divertente!” sbuffò Keiichi mentre si caricava su una spalla un grosso zaino e le prendeva la mano, guidandola al bordo del pozzo.
“Fate attenzione!” ripeté Sota mentre Keiichi si lanciava nel pozzo, trascinando Hikari con sé “E tornate presto a trovarmi!”.
Uno strattone allo stomaco, la sensazione di annegare e infine…un cielo blu..
 
Keiichi la issò senza sforzo fuori dal pozzo. Davanti a lei c’era uno spettacolo meraviglioso. Il tempio era sparito. La città era sparita. Hikari era seduta sul bordo di un vecchio pozzo ricoperto di edera, nel bel mezzo di una foresta immensa. Il cielo si stava ormai scurendo per il giorno che volgeva al termine e le prime stelle erano già visibili sull’orizzonte. Quel paesaggio era davvero meraviglioso e Hikari lo guardava estasiata.
“Andiamo, andiamo” li incitava Izumi, saltellando qua e là come una cavalletta impazzita “Forza, muovetevi!”.
Keiichi levò gli occhi al cielo, afferrò tutte le borse che poteva e si avvicinò a Hikari “Salimi sulla schiena”.
Hikari lo guardò esterrefatta. Non pensava davvero che gli avrebbe permesso di scarrozzarla in giro come un sacco?
“Non ci penso neanche!”
“Faremo molto prima se ti lasci portare, noi siamo molto più veloci di te…” cercò di convincerla Keiichi con un certo fastidio.
“Non credo sarà necessario, fratellone!” lo interruppe Izumi col sorriso più splendente che le avesse mai visto. Guardava verso un piccolo sentiero alla loro destra. Non passarono molti istanti che una figura uscì dal folto della foresta procedendo verso di loro. Era un uomo giovane, molto alto, con dei lunghi capelli color nocciola e dei meravigliosi occhi verdi. Hikari notò anche una folta e lunga coda.
Izumi si precipitò verso il nuovo arrivato e gli saltò al collo, felice come non mai. Dopodiché lo baciò con slancio, senza preoccuparsi di Hikari che guardava la punta delle sue scarpe, piuttosto in imbarazzo per quell’intrusione, così si sentiva, un’intrusa, nella vita privata della ragazza, né di Keiichi che guardava da un’altra borbottando tra sé come faceva spesso. Il nuovo arrivato strinse Izumi, nonostante il suo viso avesse assunto una notevole tonalità bordeaux.
Hikari, a quel punto aveva pochi dubbi riguardo a chi potesse essere lo sconosciuto. Doveva essere Shippo, il demone volpe di cui già le avevano parlato, e che Kagome le aveva detto di rintracciare, e se davvero era lui, poteva capire benissimo Izumi: era davvero un ragazzo molto bello. Il suo viso esprimeva una non poca gioia di vivere oltre che una certa propensione al sorriso. Aveva anche un qualcosa di malizioso e irriverente che lo rendeva estremamente affascinante.
“Mi sei mancata” sussurrò Shippo all’orecchio di Izumi, che sorrise ancora di più e lo ringraiò con un altro bacio, ancora più esplicito del precedente. Hikari cominciava davvero a sentirsi in imbarazzo.
“Finitela voi due!” li rimbeccò Keiichi “Siamo stati via poco più di un giorno! Non siate ridicoli!” Hikari non poteva essere più d’accordo.
Il demone, rimettendo a terra Izumi, lanciò a Keiichi uno sguardo lascivo che fece arrossire Hikari fino alla punta dei capelli “Anche tu mi sei mancato, Keiichi!” disse al mezzo-demone, provocandolo.
“Oh, finiscila!” e caricatosi gran parte delle borse che avevano portato con loro dall’altra epoca se ne andò.
Hikari rimase di sasso: Keiichi si era mosso velocissimo. Una saetta impazzita. Era appena partito e Hikari già non lo vedeva più da nessuna parte.
“Ma cosa…?”
A quel punto, il demone la notò.
“Vi siete portati un souvenir?” chiese Shippo a Izumi, con dolcezza, la quale subito si staccò da lui per recuperarla dal bordo del pozzo, dove Keiichi l’aveva alla fine lasciata.
“Questa è Hikari!” disse lei presentandoli “Viene da dove veniva mamma, ovviamente. Se siamo potuti tornare così presto, è solo grazie a lei. Ci ha aiutati tanto. È qui per darci una mano!”.
Shippo le strinse la mano con un sorriso estremamente cordiale. Hikari decise subito che le piaceva. Sperava sarebbero diventati amici facilmente come era accaduto con Izumi, e qualcosa le diceva che così sarebbe stato.
“Piacere! Grazie per aver aiutato Keiichi e Izumi”.
“L’ho fatto con piacere!” rispose Hikari “Beh, quasi sempre”. Shippo la guardò incuriosito, cercando una spiegazione guardando Izumi.
“Keiichi” disse Izumi con eloquenza “non ha trattato molto bene Hikari all’inizio”.
All’inizio?
“Allora dovremo pensare a una bella punizione per lui” disse Shippo con uno sguardo cospiratore che mise i brividi a Hikari e allo stesso tempo la divertì. L’idea di vendicarsi del modo in cui Keiichi l’aveva trattata la stuzzicata.
“Fidati” gli rispose Izumi, con l’aria di chi la sapeva lunga “ho già un piano perfetto per insegnare al nostro caro e intrattabile Keiichi ad essere un po’ più gentile!”.
Izumi e Shippo si guardavano come due geni del male. Sembravano Harley Queen e il Joker che programmavano un nuovo attacco contro Batman. Facevano quasi paura. Quasi.
“Allora, Hikari” disse Shippo, caricandosi le borse rimanenti e avviandosi lungo il sentiero, subito seguito dalle due ragazze “dubito che tu abbia scelto di venire fin qui per il fascino di Keiichi” e Hikari arrossì di nuovo fino alla punta dei capelli – che idea ridicola!
“è una storia davvero assurda!” si intromise Izumi e così gli raccontò ciò che era successo da quando lei e Keiichi avevano attraversato il pozzo. Man mano che la ragazza raccontava, Shippo si faceva più silenzioso e vigile. Il sorriso, dapprima spontaneo e luminoso, sembrava essersi congelato sul viso. Quando Izumi arrivò a raccontare della perla oscura, Shippo cominciò a guardare sempre più insistentemente verso Hikari.
“…Sota era andato da solo a parlare con Hikari” continuava Izumi “perché avevamo paura che se ci fosse stato anche Keiichi, lei non avrebbe mai voluto vederci. Io sono rimasta a controllare che non facesse qualcuna delle sue solite stupidaggini. Cosa inutile, visto che non appena mi sono distratta un solo secondo, quel cagnaccio se l’è svignata per andare a spiare Sota e Izumi dal balcone”.
Allora Hikari non se lo era immaginato.
“Io l’ho seguito ed è stato davvero strano” continuava a raccontare Izumi, quella volta però con meno entusiasmo rispetto a come aveva raccontato il resto della storia “Sota e Izumi parlavano, e già era una buona cosa. Cercavamo di capire cosa si stessero dicendo, quando Hikari ha preso in mano la perla ed è andata in una specie di trance. È stato davvero strano. Si è accasciata a terra come un corpo morto. Cavolo, ero così spaventata. Anche Keiichi. Siamo entrati subito e Keiichi l’ha subito raggiunta. La chiamava e cercava di toglierle quella perla della mano, ma non è riuscito a smuovere neanche un dito. Eravamo davvero in pena, e poi, velocemente come era arrivata, la trance si è interrotta e Hikari si è svegliata come se niente fosse”.
Shippo la guardava intensamente, come se volesse comunicarle qualcosa. Se Kagome l’aveva mandata da lui, forse Shippo sapeva cosa aveva visto toccato la perla.
“Subito dopo, ci siamo preparati e siamo tornati”.
“Sono contento che tu stia bene, e che siate tornati così presto” disse guardando Izumi con sollievo.
Se ricominciavano a baciarsi, Hikari se ne sarebbe andata via correndo, come aveva fatto Keiichi.
“Dove sarà andato Keiichi?” chiese ai piccioncini, cercando di riportare i loro pensieri in direzioni per lei più sicure.
“Pft!” soffiò infastidita Izumi “Sarà corso da quel barbagianni di Sayumi”.
“Izumi!” la rimproverò Shippo.
“Assomiglia esattamente a un barbagianni” si lamentò Izumi “sempre a guardarti con aria di superiorità, dall’alto in basso, come se le avessero infilato qualcosa su per il…”
“Non essere meschina” la riprese ancora Shippo “se tuo fratello vuole stare con lei, dovremmo sostenerlo”.
“Non intendo farlo” replicò piccata “Keiichi non ha bisogno di una donna simile. Si merita di meglio”.
Hikari sorrise di fronte a quella dimostrazione di affetto di Izumi. Anche lei avrebbe sempre voluto avere un fratello, qualcuno su cui contare sempre. Un complice. Purtroppo sua madre si era ammalata e avevano dovuto accontentarsi di lei sola.
“Anch’io penso che Keiichi sbagli a passare tanto tempo con lei” continuò Shippo “ma non sappiamo come stanno veramente le cose. Keiichi dice che non si frequentano in quel senso”.
“Sì, come no!”
“E se anche fosse, è una sua scelta. Noi non c’entriamo”.
“Io sono sua sorella!” replicò Izumi convinta “C’entrerò sempre con le sue idee stupide. È compito mio evitare che si rovini la vita”.
Nel frattempo, la boscaglia si era diradata e infine erano giunti in vista di un piccolo villaggio rurale.
“Oh” disse Hikari con meraviglia “è così bucolico!”.
“è casa” disse Izumi con un sorriso.
 
Hikari guardava il cielo stellato come mai aveva fatto prima. Le luci della città non permettevano un simile spettacolo. Era fantastico. Il villaggio l’aveva accolta con molto calore. Avevano organizzato un piccolo banchetto per lei e l’avevano trattata con ogni riguardo. Le avevano persino dato una piccola casetta che solitamente usavano per dare rifugio ai viandanti, per farla stare più comoda.
Keiichi non si era più visto, e Hikari non poteva fare a meno di chiedersi dove fosse finito. Avvertiva di nuovo quell’insistente bisogno di averlo vicino, quell’impossibilità di perderlo di vista.
Ogni fibra del suo corpo le urlava di andarlo a cercare, ma Hikari sarebbe morta prima di farlo. Per trovare cosa poi? Keiichi che si trastullava con quella Sayumi?
No, grazie!, pensò intristita Hikari. Non che le importasse che Keiichi frequentasse qualcuno. Lui era insopportabile, prepotente e sospettoso, oltre al fatto che la sopportava mal volentieri, ma lei era là perché dovevano difendersi a vicenda e invece Keiichi, alla prima occasione buona, se l’era svignata chissà dove a fare chissà che cosa. E se un demone l’avesse attaccata in quel momento con lui lontano?
E cosa gliene importerebbe se ti capitasse qualcosa?
Gliene sarebbe importato. Perché senza di lei, Keiichi non avrebbe mai recuperato Tessaiga. Lei gli serviva. Era il mezzo per raggiungere il suo scopo. Ecco cos’era Hikari in tutta quella faccenda. La mappa che conduceva al tesoro.
“Ti manca casa?”
Hikari si voltò, e vide Shippo avvicinarsi e sedersi accanto a lei sul prato.
“No” rispose con un sorriso rassicurante “non ancora, almeno”.
“Vorrei poter dire che col tempo andrà meglio” le disse “ma non è così. Kagome tornava spesso alla sua epoca. Le mancava terribilmente la sua famiglia, la sua vita, nonostante qui avesse degli ottimi amici, soprattutto quando Inuyasha la faceva impazzire”.
“Tu sai cosa ho visto nella perla, vero?” apprezzava il fatto che Shippo non avesse voluto pressarla riguardo all’argomento che più premeva a entrambi affrontare, ma era inutile tergiversare.
“Ho notato che Izumi non ne ha accennato” rispose Shippo “Ne ho dedotto che tu non le lo abbia raccontato, quindi credo di essermi fatto un’idea a riguardo”.
“Ho visto la madre di Izumi, Kagome” raccontò Hikari “Ho parlato con lei. Ed è stata lei a chiedermi di non dire a nessuno a parte te che l’avevo vista”.
Shippo la ascoltava attentamente, incoraggiandola a continnuare.
“Mi ha detto che è importante che io aiuti Keiichi e Izumi, e che siamo in grave pericolo, soprattutto se non ci proteggeremo a vicenda. E in realtà non mi ha detto molto altro, se non che dovevo venire qui e cercarti, chiederti aiuto per trovare l’altra perla”.
Shippo si sdraiò con un sospiro, fissando il suo sguardo verso il cielo.
“Sei fortunata, sai?” le disse ad un tratto “Quanto vorrei poter parlare ancora con lei. Kagome mi ha dato una casa, degli amici, una famiglia. Quando l’ho incontrata, io ero solo un bambino e avevo appena perso mio padre e di certo mi sarei fatto ammazzare se lei non avesse convinto Inuyasha ad aiutarmi. Da allora non mi ha mai abbandonato. Da allora non sono più stato solo.”
“è così ingiusto che io possa parlare con lei, mentre voi, che l’avete conosciuta così tanto, che le avete voluto così bene, non possiate farlo”.
“C’è una ragione se Kagome agisce attraverso di te. Lei si è sempre presa cura di chi le stava attorno. Se avrai fiducia in lei e ti lascerai guidare, si prenderà cura anche di te”.
Hikari sorrise riconoscente. Era confortante pensare di avere una sorta di angelo custode facilmente rintracciabile in un sacchetto tenuto in tasca.
“Per quanto riguarda il motivo per cui sei qui” continuò poi Shippo “In effetti io posso aiutarti”.
“Sai dov’è la perla? L’ha affidata a te?” se Shippo avesse avuto la perla, tutta quella storia si sarebbe potuta chiudere anche subito e il giorno dopo Hikari sarebbe potuta tornare a casa.
“Quando Kagome è tornata da questa parte, io la stavo aspettando vicino al pozzo.” Shippo raccontava con la voce cupa, carica di dolore “Era ormai in fin di vita ed era disperata perché aveva visto il virus diffondersi anche nel suo mondo e sterminare la sua famiglia. Mi disse che non poteva completare il suo compito, che non poteva portare la perla in un luogo sicuro. Così me la affidò. Mi disse di trovare un luogo dove nasconderla, dove nessuno avrebbe potuto impossessarsene. E così ho fatto. L’ho portata nel luogo più sicuro che conoscessi e sono tornato qui. A prendermi cura di Keiichi e gli altri”.
“E dove si trova?” chiese impaziente Hikari “Dove l’hai portata?”
“Dalle uniche persone di cui ci fidavamo e che eravamo sicuri non avrebbero mai permesso che qualcuno si impossessasse della perla. Dove anche Kagome voleva portarla. Al villaggio degli Sterminatori di Demoni”. 

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Capitolo 8
*** Una mente in subbuglio ***


Tornare a casa non era stato liberatorio come aveva immaginato. La sua mente continuava a tormentarlo con dubbi, incertezze e pensieri strani.
Mentre Keiichi fissava il soffitto della caverna, fastidiosamente irritato, non riusciva a fare a meno di pensare a Hikari. Quella ragazza ancora non lo convinceva del tutto. Troppe cose erano strane. Spuntava fuori all’improvviso, rompendo il sigillo del pozzo, e guarda caso è proprio lei l’unica persona che può usare le perle per trovare Tessaiga. Aveva pensato che fosse anche lei alla ricerca della spada di suo padre, ma se così fosse stato, perché salvargli la vita? Sarebbe stato più facile per lei se lui fosse rimasto sigillato o ucciso al tempio. Avrebbe avuto tutto il tempo di agire senza essere intralciata. Invece l’aveva salvato. Li aveva aiutati a rintracciare Sota, l’unico in grado di rivelare loro di cosa lei fosse capace. Non aveva senso. Già solo per quello avrebbe dovuto fidarsi di lei, concederle un’occasione, eppure ancora non riusciva a fidarsi di lei. Sentiva su di lei l’odore di Tessaiga, e come era possibile se lei non la aveva? Inoltre Hikari non aveva raccontato cosa era successo quando era entrata in contatto con la perla oscura. Si era limitata a dire che doveva andare nella loro epoca e nient’altro. Solitamente avrebbe insistito per farsi raccontare tutto, ma in quel momento, a casa di Hikari, qualcos’altro aveva preso il sopravvento. L’aveva vista accasciarsi. Sembrava come spenta, vuota. Morta. L’aveva raggiunta ed era stato preso dal panico. Non poteva accadere di nuovo: qualcuno che moriva davanti a lui, improvvisamente, senza che potesse fare nulla per impedirlo. Era accaduto con suo padre, con sua madre, e da allora aveva giurato che non lo avrebbe permesso mai più. Inoltre aveva percepito qualcosa che lo aveva turbato molto e che non riusciva davvero a spiegarsi. L’ennesimo mistero di Hikari. Quando era andata in trance, per un momento, Keiichi aveva percepito l’odore di sua madre. Una cosa impossibile, che lo aveva sconvolto, e lo aveva reso più emotivo del solito. Gli aveva fatto perdere il controllo, altrimenti non si sarebbe mai preoccupato tanto per la sorte di una sconosciuta, e certo non ci sarebbe andato così cauto con lei dopo che si era ripresa.
Ma non sarebbe più successo. Non si sarebbe più fatto imbrogliare dalla bella straniera del futuro. Appena tornato al villaggio l’avrebbe torchiata per sapere esattamente cosa fosse accaduto durante la trance, cosa avesse visto. Cosa ancora gli nascondesse.
Non poteva tollerarlo. Non avere il controllo lo mandava in bestia. E con Hikari non lo aveva mai avuto. In un qualche modo lei e tutto ciò che la riguardava prendeva sempre il sopravvento su qualsiasi altra cosa. Doveva trovare un modo per cambiare quelle circostanze. Chiaramente non poteva rispedirla a casa. Lei gli serviva.
Non poteva non maledire sua madre per aver architettato tutto. Era colpa sua se invece di avere Tessaiga tra le mani doveva sorbirsi quella palla al piede e probabilmente affrontare un duro viaggio con lei e quella rompiscatole di Izumi per recuperare la spada che gli spettava di diritto. E che gli spiriti lo assistessero se Shippo avesse deciso di seguirli. Lo avrebbero fatto impazzire nel giro di due giorni.
“Sei pensieroso” mormorò una voce calda accanto a lui “Sai che non mi piace quando hai la testa da un’altra parte”.
Keiichi non rispose. Aveva già abbastanza pensieri per conto suo, senza doversi anche occupare delle paranoie di Sayumi. Appena tornato alla propria epoca avrebbe solo voluto andare a casa sua e dormire, ma aveva bisogno di allontanarsi da Hikari, dai dubbi e dalla tensione che gli procurava, e soprattutto non voleva sorbirsi le smancerie di Izumi e Shippo.
Anche se non lo avesse mai ammesso con nessuno dei due, meno che mai con Izumi, era felice che sua sorella avesse accanto qualcuno che le voleva davvero bene, e su cui poter sempre contare. Shippo la amava davvero, l’aveva sempre protetta fin da quando era una bambina, ed era soprattutto grazie a lui e al sostegno che aveva dato loro dopo la morte dei genitori se Izumi era rimasta così solare e felice. Non poteva che essergli grato, ma averli vicini costantemente era davvero soffocante.
Era passato solo a vedere che i gemelli stessero bene e poi se ne era andato nell’unico luogo dove poteva andare per sentirsi più sé stesso e dimenticare di avere delle responsabilità. Era andato da Sayumi.
Tra loro due c’era un rapporto particolare. A volte credeva di amarla, ma la verità era che non si erano mai davvero avvicinati. Si erano conosciuti poco dopo la morte dei suoi genitori, Keiichi alla ricerca di qualcuno che lo vedesse per il ragazzo normale, giovane e libero che voleva essere, Sayumi di qualcosa che alleggerisse la tensione dei suoi studi per diventare una sacerdotessa. Entrambi cercavano qualcuno con cui poter essere semplicemente sé stessi, due ragazzi giovani che non avrebbero dovuto affrontare così tante responsabilità così giovani.
Col tempo erano cambiati. Sayumi era diventata una forte e fiera sacerdotessa, pienamente consapevole del suo ruolo e orgogliosa di ricoprirlo. Keiichi invece era diventato adulto sentendo gravare ogni giorno di più il peso della propria vita. Amava la sua famiglia, ma a volte avrebbe voluto soltanto andarsene e poter vivere la propria vita senza dover rendere conto a nessun altro al di fuori di sé stesso. E ovviamente poi non poteva evitare di sentirsi in colpa per aver dimenticato di non essere stato l’unico a perdere i suoi genitori.
Sayumi si strusciò su di lui languidamente, baciandogli il collo. Dopo tanti anni sapeva perfettamente come muoversi sul suo corpo, come rendere impossibile che la sua concentrazione vagasse altrove. Ci era sempre riuscita. Tranne quella volta. Le mani sapienti di Sayumi vagavano sul suo corpo, stuzzicandolo.
Keiichi l’aveva cercata proprio per quello. Era andato a casa sua e si erano subito recati alla caverna, dove Sayumi si era concessa a lui con la naturalezza di sempre. Avevano fatto sesso a lungo, con più tensione del solito. Keiichi non era riuscito a lasciarsi andare completamente. La sua mente aveva continuato a vagare e, apparentemente, non voleva ancora fermarsi. Percepiva il tocco di Sayumi, ma non riusciva a goderselo. Il pensiero di Hikari continuava a infiltrarsi, irritandolo.
“Perché sei venuto da me, se non ci sei con la testa?” si lamentò Sayumi, mentre gli baciava l’ampio torace.
“Scusami” le disse “ma quella ragazza mi fa uscire di testa”.
Sayumi si fermò all’istante, guardandolo con uno sguardo infuocato, “Quale ragazza?”.
“Non fare la ragazzina gelosa” sbuffò Keiichi “non ti si addice”.
“Quale ragazza!?” insistette Sayumi gelida.
“Quell’umana che ci siamo trascinati dietro dall’altra epoca” rispose Keiichi “Non mi convince, c’è qualcosa che non ci dice, qualcosa che nasconde e…”.
“E devi davvero pensarci mentre siamo insieme?” lo interruppe Sayumi, guardandolo irritata.
Perché diavolo se la prendeva in quella maniera?
“Se davvero non hai voglia di stare con me, puoi tornare dalla tua nuova amichetta” aggiunse piccata “non vi va di essere un ripiego”.
“Stai dicendo un sacco di stupidaggini, Sayumi” la rimproverò Keiichi, scansandola e rialzandosi dal giaciglio improvvisato dove di solito si incontravano.
“Dove credi di andare?” si lamentò arrabbiata.
“Me ne torno a casa” rispose mentre si rivestiva e si legava i capelli in una coda alta.
“Non dirai sul serio?!” disse Sayumi alzandosi in piedi e bloccandogli la strada “Sei appena arrivato!”.
“Non ho la mente lucida e, come hai detto, tu non mi vuoi quando ho la testa altrove” ribatté freddo.
“Ora sarebbe colpa mia?” lo guardava esterrefatta e ferita.
“Volevo solo un po’ di pace, Sayumi, ma come al solito tu sei troppo concentrata su te stessa”.
“Sei un vero stronzo!” gli rispose.
“Un motivo in più per andarmene!” concluse Keiichi raccogliendo la sua spada.
Sayumi non aggiunse altro, si avvolse attorno al corpo sinuoso una coperta, mettendo un broncio adorabile. Keiichi le si avvicinò, attirandola a sé.
Era davvero bellissima, con una pelle delicata e chiara. I suoi capelli, di un intenso colore cioccolato ricadevano lisci e leggeri fino al fondoschiena rotondo. Era alta e forte. Il suo corpo lo aveva sempre stregato.
Le diede un bacio leggero sulle labbra soffici e sottili.
“Mi dispiace”, le sussurrò.
Sayumi lo guardò scontrosa e non rispose.
“Ci vediamo presto” le disse, sperando di rabbonirla un poco.
“Come ti pare”, rispose invece con evidente indifferenza. E il dubbio di Keiichi era che davvero per Sayumi potesse non fare differenza se lui fosse tornato a cercarla o meno.
Uscì dalla caverna e si avviò verso casa. Con calma. Davvero non aveva fretta di tornare. Tutti sarebbero stati su di giri per la nuova arrivata. I gemelli sarebbero stati irrefrenabili, più del solito, per non parlare di Shippo e Izumi che la avrebbero trattata come un’ospite di prim’ordine.
No, decisamente non aveva fretta di tornare a casa. Poteva prendersela con calma, godersi un po’ di pace, silenzio e solitudine.
Chissà quando avrebbe potuto goderne di nuovo.

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Capitolo 9
*** Il nemico alle porte ***


Se continuava così sarebbe impazzita presto. Quella fastidiosissima sensazione che provava quando stava distante da Keiichi non l’aveva abbandonata un solo istante per tutta la notte. Come avrebbe mai potuto a proteggerlo se lui spariva in quel modo? Che gli fosse successo qualcosa?
Forse a lui poteva non importare se le capitava qualcosa, cosa sulla quale non aveva alcun dubbio ormai, ma Hikari non ci teneva proprio a cominciare il dialogo successivo con Kagome con “Tutto bene! Ah, e sai tuo figlio? Niente, non ce l’ho fatta! Mi dispiace”. No, non ci teneva proprio.
Si era rigirata in quella specie di materassino stra-scomodo per tutta la notte. Per non parlare del freddo che l’aveva fatta rabbrividire come una foglia. Come facevano a vivere con tutti quegli spifferi? Le mancavano le comodità del suo secolo. Cosa non avrebbe dato per un bel letto comodo con un caldo piumone in quel momento!
Invece se ne stava a rabbrividire, avvolta in una coperta troppo leggera per scaldarla, cercando di resistere all’impulso di andare a cercare Keiichi. Così aveva deciso di uscire dal regno dello spiffero per andare da Izumi. Si erano messe d’accordo per vedersi il mattino presto, così Izumi le avrebbe dato dei vestiti adatti a quell’epoca.
Non che Hikari smaniasse all’idea di indossare un vecchio kimono, ma se non altro avrebbe avuto qualcos’altro a cui pensare. Sarebbe arrivata un po’ in anticipo ma pazienza. Avrebbe finalmente conosciuto i famosi gemelli.
Chissà cosa poteva aspettarsi? Due brontoloni attaccabrighe come Keiichi o invece due vivaci e dolci birbe come Izumi? O forse qualcosa di ancora diverso?
“Sei in anticipo!”
Hikari si voltò, incrociando così lo sguardo gioviale di Shippo.
“Shippo!” lo salutò contenta “Stai andando anche tu da Izumi?”
“Sì!” rispose “Dobbiamo cominciare a programmare la partenza”.
“Ma scusa” gli chiese curiosa “Tu non vivi con Izumi?”.
Shippo divenne tutto rosso e la guardò stupefatto, “Cosa? No! No! Ma cosa dici! Io e Izumi non siamo mica sposati!”
“Oh!” disse Hikari, non del tutto convinta, “Pensavo che formaste una vera e propria coppia, che steste insieme”, cercò di spiegarsi meglio Hikari.
“Beh, sì è cosi” rispose impacciato Shippo, tormentandosi i capelli “ma fammi capire, nella tua epoca le persone vivono insieme anche se non sono sposate?”.
“In effetti, sì!” ammise Hikari “Non tutti vogliono sposarsi, alcuni semplicemente decidono di convivere e basta. Altri ancora vivono insieme per un po’ e si sposano poi più avanti, quando sono davvero convinti”.
“Convinti?” chiese ancora Shippo “E di cosa?”.
“Di aver scelto la persona giusta”.
Shippo assunse un’espressione pensierosa davvero buffa, che fece sorridere Hikari.
“Ci vuole così tanto a capirlo?” chiese allora “Se è quella giusta dovrebbe essere facile riconoscerla”.
“Non sempre, credo” rispose titubante Hikari “Purtroppo non so risponderti. Le uniche persone davvero innamorate che ho conosciuto erano i miei genitori. Papà dice sempre che aveva capito che mia madre era quella giusta appena l’aveva vista. Si conoscevano da neanche un anno quando si sono sposati”.
“Io invece ho visto anche un amore tormentato, quello tra Inuyasha e Kagome” raccontò “Era evidente per tutti ciò che provavano, ma la loro missione, il passato e l’indecisione di Inuyasha…sembrava che il destino si accanisse per separarli. Alla fine, hanno avuto una possibilità perché Kagome non si è mai arresa”.
Doveva essere davvero orribile restare al fianco di qualcuno che si ama senza poter mai cedere, senza poter neanche sperare. Stare insieme eppure non esserlo mai. Kagome doveva aver avuto un cuore davvero grande e una forza di volontà impareggiabile per sopportare tutto ciò che aveva vissuto nell’epoca Sengoku.
“E tu?” chiese Shippo con un sorriso malizioso.
“Io cosa?” chiese.
“Izumi mi ha detto che hai uno spasimante piuttosto deciso nella tua epoca” la stuzzicò “Sicura che non ci sia qualcosa tra voi?”.
“Kenui?! Ma cosa dici!? Assolutamente no!” rispose scontrosa, guardandolo male.
Shippo rise di gusto. Izumi aveva davvero la bocca larga…Hikari doveva ricordarsi di dirgliene quattro! Se Shippo avesse spifferato a Keiichi qualcosa riguardo alla bugia che avevano raccontato a Kenui per sbarazzarsi di lui, si sarebbe davvero infuriato e dal momento che già la sopportava a malapena, non sarebbe stata una grande idea provocarlo ulteriormente.
“Credi che Keiichi sarà tornato a casa?” Hikari non riusciva a smettere di preoccuparsi. Anche se Shippo era una piacevole distrazione, con la sua allegria, i suoi pensieri tornavano irrimediabilmente a convergere sul mezzo-demone. Era davvero snervante, se non addirittura umiliante.
“Immaginavo che ti aggirassi sconsolata per i boschi a causa sua”, ammise Shippo.
“Non sono sconsolata!” si offese Hikari “Immagino di poterne parlare con te. È strano: da quando è iniziata tutta questa storia è come se non fossi più me stessa. Provo cose che normalmente non proverei, come questa costante preoccupazione per il benessere di Keiichi. Anche se so che può cavarsela benissimo da solo, e anche se lo conosco appena, non posso farne a meno. Sento che dovrei stargli vicino; anche se lui mi disprezza e non si fida di me, sento di doverlo proteggere. Anche ciò che faccio è ormai privo di senso per me. Mi sono buttata contro una freccia per proteggere un ragazzo che fino a un attimo prima mi stava aggredendo, solo perché ho reagito a un impulso che anche mentre lo seguivo non capivo. È come se non avessi più una volontà mia. E odio tutto questo. Odio desiderare di stare vicino a qualcuno che mi odia”.
“Credo che tu sbagli innanzitutto nel credere una cosa” intervenne serenamente Shippo “Dubito fortemente che Keiichi ti odi. Sicuramente non si fida di te, ma lui non si fida di nessuno, al di fuori di sé stesso”.
Hikari dubitava delle parole di Shippo. Era convinta che, se solo avesse potuto, Keiichi l’avrebbe risbattuta nel pozzo dal quale era arrivata sperando di non incontrarla mai più.
“E riguardo alla tua mente confusa” continuò il demone “credo che l’unica che potrà svelare qualche mistero sarà Kagome. Quando mi disse che un giorno sarebbe venuto qualcuno a cercarmi, mi disse che avrei dovuto fidarmi, perché dentro di sé quella persona avrebbe avuto qualcosa in grado di proteggerci tutti. Qualunque cosa ti muova, Kagome si fida di te, quindi dovresti fidarti anche tu”.
“A sentire Kagome e anche voi, io dovrei fidarmi del mondo”, si lamentò Hikari.
“La fiducia è qualcosa di molto importante” la consolò Shippo “E poi se non la concedi, finirai per diventare simpatica come Keiichi”.
“Dio me ne scampi!” rispose ridendo Hikari.
Davanti a loro, ecco comparire una casa, un po’ discostata dal villaggio, all’ombra del bosco. Dovevano essere arrivati. E le urla che giungevano dall’interno lo confermavano. Izumi comparve davanti alla porta, il volto sopraffatto dalla stanchezza che si rasserenò almeno un pochino quando la raggiunsero.
“Buongiorno, Hikari!” la salutò con un sorriso stanco.
“Non sono l’unica a non aver dormito molto allora”.
Izumi sbuffò, “la mia è i gemelli, e la tua scusa qual è?”.
“Troppi pensieri, ma soprattutto il freddo”.
“Oh, mi dispiace!” le disse sinceramente dispiaciuta.
Improvvisamente un urlo proruppe dalla casa. Un bambino che piangeva. Izumi imprecò a denti stretti, “Io lo ammazzo Keiichi! Lui se ne va tranquillo e sereno e tocca a me badare alle pesti!”.
Quindi Keiichi non era ancora tornato.
“Tornerà presto!”, la rassicurò Shippo, entrando in casa, accolto da urla di giubilo.
“Già” rispose Izumi alla porta aperta “e questa volta lo ammazzo davvero!”.
Shippo uscì, seguito subito da due bellissimi bambini dai capelli scurissimi e gli occhi nocciola. Il bambino era paffutello e con lo sguardo curioso e sensibile, oscurato dalle lacrime, mentre la sorellina lo guardava corrucciata, lo sguardo sveglio e risentito.
“Zio Shippo” si lamentava la bimba “Yoshito mi ha tirato i capelli!”.
“Perché lei mi ha detto che sono una pappamolle! Che piango sempre come una mammoletta e che papà si vergognerebbe di me!”.
“Yosuke!” la rimproverò Izumi “Sai che non devi dire cose del genere a tuo fratello!”.
“Stai zitta, Izumi!” la rimbeccò la bimba con uno sguardo combattivo “Tu lo dici sempre a Keiichi quando litigate per zio Shippo!”.
Certo che quella bambina aveva un bel caratterino! Shippo era diventato rosso come un peperone, così come anche Izumi anche se lei sembrava davvero pronta a esplodere di rabbia.
“Piccola peste…” ma Yosuke ormai non la ascoltava più. Lei e il gemello erano completamente concentrati sulla nuova venuta e guardavano Hikari come fosse stata un cono gelato con un nuovo gusto stuzzicante. Facevano un po’ paura.
Completamente dimentichi dei loro bisticci, le si avvicinarono, studiandola incuriositi.
“Chi sei?” “Da dove vieni?” “Perché sei vestita così strana?” “Sei un’altra fidanzata di Shippo?” e qui Izumi urlò di protesta.
“Izumi…” sussurrò Hikari sopraffatta “…aiuto”.
“Basta!” li rimproverò Izumi “Lei è Hikari e dovete essere gentili con lei! Viene da dove veniva mamma ed è qui per aiutarci, quindi fate i bravi, mostricciattoli!”.
Yosuke e Yoshito si guardarono complici, “Deve essere l’umana rompiscatole di cui ha parlato il fratellone!” disse Yosuke.
Umana rompiscatole?! Che razza di farabutto!! E lei che si era preoccupata per lui tutta la notte. Poteva anche perdersi nel bosco! Non avrebbe più perso un solo secondo di sonno per quella specie di mastino insopportabile.
“Credo di sì…” concesse il piccolo Yoshito “Però non sembra così antipatica!”.
“Grazie!” gli sorrise Hikari.
“Vedremo…” disse invece Yosuke, studiandola con attenzione.
Chissà da chi aveva preso la monella, si chiese Hikari sarcasticamente. Avrebbe voluto rispondere, ma una strana sensazione la gelò sul luogo. Era come sentirsi un peso incredibile sul petto, come se qualcuno cercasse di schiacciarla a terra e farla sprofondare nel terreno. Sentiva la testa pesante ed era come se volesse esplodere.
Izumi, che doveva aver percepito un cambiamento in Hikari, la guardò preoccupata, “Hikari? Tutto bene?”.
Dobbiamo scappare!
Quell’unico pensiero si insinuò nella sua mente con una chiarezza disarmante. Era l’unica cosa che le pareva avere senso in quel momento. Un imperativo vitale che si imponeva su qualunque altra cosa. Dovevano andarsene. Erano in pericolo.
Keiichi…” sussurrò tenendosi la testa tra le mani, sopraffatta da quella sensazione sgradevole “…sta’ lontano da qui…”.
A quel punto anche Shippo e Izumi si misero sull’attenti, guardandosi attorno circospetti.
“Demoni” sussurrò Izumi.
Demoni?, non poteva dire sul serio. Di nuovo?
“Izumi” disse Shippo, diventato serio e assumendo un’espressione decisa “porta via Hikari e i gemelli”.
“Scordatelo!” rispose la ragazza, con una velocità impressionante e grande efficienza recuperò l’arco e lo impugnò “Non ti lascio qui da solo”.
“E chi si occuperà dei gemelli?” la rimproverò Shippo.
“Ci penserò io” Hikari non sapeva da dove le arrivasse tutta quella sicurezza. In realtà, era terrorizzata, eppure riusciva ad apparire perfettamente tranquilla ed era allo stesso tempo anche convinta di poter proteggere i gemelli.
Shippo la guardò indeciso, “Sei sicura?”.
“Fidati di me”.
“Corri nella foresta!” disse Izumi, porgendole una spada, che comunque Hikari non avrebbe saputo come usare “Nascondetevi più a lungo che potete. Se non vi troveremo noi, vi troverà Keiichi”.
Hikari strinse la spada, quel pezzo di ferro così inutile nelle sue mani. Non poteva aiutare Shippo e Izumi, ma poteva comunque portare lontano i bambini e in caso proteggerli. Avrebbe fatto ciò che poteva.
Improvvisamente dalla terra uscirono tre figure. Erano tre uomini, con gli occhi roventi e le orecchie appuntite come quelle di Shippo.
“Ci avete percepito, finalmente” disse quello al centro “ce ne avete messo di tempo! Eravamo abbastanza stufi di controllarvi e basta”.
“Andatevene!” disse Shippo tra i denti, la voce minacciosa e il volto trasfigurato. In quel momento, faceva quasi paura. Anzi, molta paura. Shippo solitamente era così gentile e bonario da far dimenticare quale fosse la sua vera natura, ma in quel momento nessuno poteva avere alcun dubbio riguardo a quale fosse. Shippo era un demone.
“Tranquillo, volpino!” ripeté sempre lo stesso uomo. Aveva un aspetto bizzarro. I suoi capelli erano neri come l’inchiostro ma sembravano scintillare, come se avessero dei brillanti incastrati tra di loro. Gli occhi erano di un rosso cupo e profondo e su metà del viso aveva una runa violacea che ricordava vagamente una fiamma. Gli altri due non erano certo da meno. Uno aveva dei capelli corti e blu scuro, vestiva un kimono nero con ricamate delle folgori rosse, e l’altro invece aveva una benda nera che gli copriva gli occhi e un tatuaggio stranissimo sulla fronte. Simile a quello che aveva l’uomo che aveva parlato.
“Non ci interessano le vostre stupide vite” continuò l’uomo “Se ci darete ciò che vogliamo, ce ne andremo”.
Shippo non attese oltre, “Fuoco di volpe!” e scagliò contro di loro un fuoco verde potentissimo “Vai, Hikari!”.
Hikari prese per mano i due gemelli e cominciò a correre, guidandoli nel bosco. Correva più veloce che poteva con i due bambini che dovevano tenere il passo. Corse e non si fermò mai. Sentiva Izumi e Shippo combattere alle sue spalle, e l’unica cosa che riusciva a pensare era che non era ancora lontana abbastanza. Doveva proseguire e trovare un luogo sicuro per Yoshito e Yosuke.
 
Non avvertiva più alcun rumore. Il bosco li avvolgeva. I gemelli ansimavano, stanchi, così Hikari si fermò. C’era un roveto abbastanza ampio, proprio ai piedi di una ragnatela di radici di un albero imponente. Un buon posto dove nascondersi. Vi spinse all’interno i gemelli e finalmente si concesse un momento per rilassare i muscoli e la mente.
Chissà come stavano Izumi e Shippo. Se ne era andata senza dire una parola, proprio come le avevano detto, e non si era concessa di preoccuparsi per loro. Almeno fino a quel momento. Sarebbe voluta tornare indietro, per controllare o aiutarli, ma doveva proteggere i gemelli. Izumi li aveva affidati a lei. Non poteva far altro che fidarsi di loro e spettare che fossero loro o Keiichi a trovarli e riportarli a casa. Anche perché, a quel punto, correndo così alla cieca, Hikari non aveva la più pallida idea di dove fossero, né avrebbe saputo come tornare a casa di Izumi e Keiichi.
Era davvero nei guai. In cosa era andata a cacciarsi? Perché proprio lei? In quel momento poteva essere a casa a guardarsi una puntata in streaming del suo anime preferito, oppure a mangiare un gelato con le sue amiche in centro. Invece era nascosta in un roveto, torturata da mille aghi che si infilavano nei suoi vestiti, stanca per una notte insonne e a vigilare su una coppia di bambini che la guardavano spaventati.
Era finita in un vero e proprio incubo. Voleva tornare a casa.
“Dove sei?” una voce suadente ruppe il silenzio. Hikari si congelò all’istante. Era l’uomo che aveva parlato davanti alla casa. Come poteva essere lì? Che Shippo e Izumi…
No! Non può essere!
Yosuke e Yoshito la guardavano più terrorizzati che mai.
“Avanti, Custode!” continuava il demone “So che sei qui vicina! Sento il tuo odore. L’ho sentito dal momento in cui hai varcato il passaggio del pozzo. Ho percepito il tuo odore speciale dal momento in cui sei arrivata nel nostro mondo. L’odore della Spada del Regno degli Uomini. L’odore della zanna demoniaca Tessaiga”.
Era così che li aveva trovati? Li aveva scovati seguendo il suo odore. Stavano cercando lei. Volevano solo lei.
Cosa doveva fare? Izumi e Shippo chissà dove fossero. Keiichi era scomparso e non poteva fare affidamento su di lui: la odiava, non gli interessava il suo destino e in quel momento certamente la sua preoccupazione sarebbe stata diretta verso la sua famiglia, ovviamente, non verso l’umana rompiscatole che era stato costretto a trascinarsi dietro per una macchinazione di sua madre.
E tuttavia, non aveva importanza. L’unica cosa importante in quel momento era mettere al sicuro i gemelli, e se davvero quei demoni stavano inseguendo lei, era proprio Hikari a metterli in pericolo. Finché fosse rimasta con loro, li avrebbe messi in pericolo. E Keiichi non le lo avrebbe mai perdonato. Ma soprattutto, lei stessa non se lo sarebbe mai perdonato.
“Ascoltate” sussurrò nella maniera più lieve di cui era capace “Voi restate qui, in silenzio, non muovetevi”.
“Cosa vuoi fare?” chiese Yosuke spaventata.
“Non ti devi preoccupare” le rispose cercando di tranquillizzarla “Se resterete buoni e zitti andrà tutto bene. Io li attirerò lontani da voi. Voi aspettate qui in silenzio. I vostri fratelli arriveranno presto a prendervi”.
Yoshito le strinse una mano, terrorizzato.
“Andrà tutto bene” disse, sorridendo ai bambini, cercando di infondere in loro un po’ di fiducia. Una fiducia che in realtà non aveva.
Non era una combattente, non era una sacerdotessa, non aveva alcun potere. Aveva solo una spada che non sapeva usare e la forza della disperazione.
Con ogni probabilità, per lei sarebbe finita molto male. Poteva solo sperare di allontanare il pericolo da due bambini innocenti.
Meglio me, che loro.
Senza aggiungere un’altra parola, uscì dal nascondiglio e si lanciò di corsa in una direzione a caso nel bosco. Non sapeva neppure dove fosse, una direzione sarebbe valsa un’altra. In ogni caso, probabilmente sarebbe morta, in un luogo sconosciuto, da sola.
Il pensiero le gelò il cuore. Non voleva morire così. Nulla le aveva mai fatto più paura di quel pensiero. Eppure era ciò che stava per accadere. La disperazione la travolse. Il terrore le mise le ali ai piedi. Se voleva salvarsi poteva contare solo su di sé.
Sono sola…
“Fuggire è inutile!” qualcosa la colpì con violenza su un fianco, sbalzandola e facendola volare per diversi metri. Sbatté contro qualcosa di ruvido e incredibilmente duro, un tronco probabilmente. La schiena cominciò a bruciare e pulsare, a causa di una grave escoriazione e le sembrava che il corpo fosse pronto a spezzarsi in due, mentre a terra cercava di riprendere fiato e schiarirsi le idee.
Un secondo colpo al ventre, arrivato da chissà dove, la scaraventò ancora più lontano. Non aveva mai subito dei colpi del genere. In realtà, non aveva mai subito colpi da parte di nessuno. Il suo corpo si contraeva dal dolore e la sua mente urlava di paura.
“Credevi di poter scappare?”, il demone era in piedi davanti a lei, la guardava come se fosse stata più insignificante di una formica, “Proprio tu! Una debole e inutile umana”.
Però, pensò Hikari, ad ogni nuova persona che incontro vengo ulteriormente declassata!
“Quando ho avvertito il tuo lezzo pensavo di sbagliarmi” continuò il demone “Ma io non sbaglio mai. Sei tu la Custode, per quanto sia incredibile. La Sacerdotessa era davvero stupida”.
Sacerdotessa? Che parlasse di Kagome?
“Dimmi” disse allora, afferrandola per la felpa e alzandola da terra come se pesasse meno di un grammo, “dov’è Tessaiga? Dammela!”.
“Non…non posso!” cercò di rabbonirlo.
“Hai il suo odore!” le ringhiò in volto “So che ce l’hai tu! Dammela subito!”.
“Io non ce l’ho!” cercava ancora di dire Hikari, ma il demone sembrava non volerla ascoltare. La gettò a terra e le diede un calcio così potente che Hikari pensò si sarebbe spezzata in mille pezzi come un vaso d’argilla.
“Ti prego…basta” sussurrò, gli occhi colmi di lacrime per il dolore.
“Prega quanto vuoi!” rispose il demone “Non ti servirà, finché non mi darai quella spada!”.
Il demone continuava a colpirla e Hikari non aveva la più pallida idea di cosa fare. La sua mente si faceva sempre più confusa, annebbiata. Ogni pensiero svaniva come fumo nel vento. Restava immobile, incapace di reagire, sperando solo che tutto finisse presto. Solo quello voleva, che il dolore finisse presto. Era l’unico pensiero che ancora riusciva a formulare, l’unico a cui la sua mente sembrava ancora in grado di dare un senso. Serrò gli occhi. Voleva solo che finisse. Solo che finisse. Niente più dolore.
E improvvisamente, i colpi cessarono. Un profondo tepore si diffuse nel suo corpo e il dolore cominciò a svanire. Si sentiva come avvolta in una coperta infinita e potente.
Aprì gli occhi. Il demone se ne stava a diversi metri da lei, con uno sguardo carico di rabbia e furore. La guardava come se avrebbe voluta ucciderla, e non aveva dubbi che lo avrebbe fatto davvero. Hikari non aveva mai visto uno sguardo come quello.
“Come hai fatto?” le urlò contro “Come può una debole umana produrre una barriera demoniaca così potente?”.
Una barriera? C’era una barriera? Hikari si guardò attorno e scorse un alone azzurrino e dorato nell’aria, come quella volta quando la freccia diretta contro Keiichi aveva cambiato direzione. Quindi era una barriera? Ed era lei a crearla? Come era possibile?
Il demone estrasse per la prima volta la spada dal fodero e si scagliò contro di lei con una forza sconvolgente. Hikari a mala pena scorse il movimento. Ebbe appena il tempo di pensare che sarebbe morta, ma non avvenne. Il demone si scontrò con la barriera. Si liberò una forza immensa e il demone venne respinto con violenza.
La barriera l’aveva protetta. L’aveva salvata.
E aveva fatto arrabbiare ancora di più il demone.
Lurido rifiuto!”.
I complimenti miglioravano sempre più.
Il demone tentò un altro attacco, ma venne respinto ancora più lontano. Anche Hikari però non stava bene. Il calore che aveva avvertito da quando la barriera si stava riducendo e cominciava a sentirsi piuttosto stanca. Eppure non aveva fatto nulla, non si era più mossa, ma era come se anche solo restare là, accucciata a terra e immobile le costasse tutte le sue forze.
Che fosse proprio a causa della barriera? Se davvero era lei a crearla, poteva avere senso che le costasse fatica tenerla attiva, anche se non aveva la più pallida idea di come facesse nessuna delle due cose.
Quanto avrebbe retto ancora? Si sentiva sempre più stanca, debole. Cosa sarebbe accaduto quando la barriera si fosse dissolta? Non aveva bisogno di immaginare per saperlo: il demone l’avrebbe uccisa, o peggio avrebbe continuato a colpirla cercando di ottenere da lei delle risposte che Hikari non poteva dargli. Non sapeva dove fosse Tessaiga. Non sapeva come trovarla. In realtà, se anche l’avesse vista non l’avrebbe neppure riconosciuta.
Accanto al demone comparve ne comparve un altro. Quello con l’abito rosso che sosteneva il terzo. Erano entrambi ridotti molto male.
“Ketzumi, meglio se ce ne andiamo”, disse al demone che aveva cercato di attaccare Hikari.
Ketzumi la guardò con un odio così profondo da farle tremare le ossa.
“Tornerò”, le disse e velocissimi se ne andarono tutti e tre.
Hikari sospirò esausta.
I gemelli!
Quel pensiero la spaventò ancora di più. Li aveva lasciati da soli, chissà dove. Potevano averli trovati e allora…
Doveva tornare da loro. Attingendo alle sue ultime forze, si alzò. Si guardò attorno alla ricerca di un punto di riferimento, ma non conosceva affatto quel luogo. Ogni albero pareva uguale a quello vicino, e mentre fuggiva non aveva prestato attenzione a dove si stesse dirigendo. Il demone l’aveva raggiunta praticamente subito, non doveva essere poi troppo distante da dove li aveva nascosti.
“Yoshito!” urlò, sperando che i bambini non fossero troppo lontani, e sentissero la sua voce.
“Yosuke!”.
Anche urlare le costava fatica. Svanito ormai il senso di potere e benessere della barriera, il dolore era tornato prepotente e sconvolgente. Il petto sembrava squarciarsi ad ogni respiro, sentiva le gambe tremare, pronte a cedere, e la schiena come se fosse fatta di vetro e fosse ormai incrinata, sul punto di sbriciolarsi. La testa risuonava come un tamburo.
“Yoshito! Yosuke!” chiamò ancora “Dove siete? Rispondete!”.
“Siamo qui!”.
Un gran sollievo la fece sospirare. Stanno bene!
Si trascinò più velocemente possibile verso di loro. Li trovò ancora abbracciati proprio dove li aveva lasciati.
“Siamo rimasti zitti e immobili”, le disse Yosuke.
“Siete stati bravi!” disse Hikari inginocchiandosi accanto a loro e abbracciandoli. Yoshito le si strinse contro, piangendo in silenzio.
“Davvero bravi!”.
Era esausta. Davvero esausta. Non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Il suo corpo era un ammasso di carne dolorante e informe. La mente era annebbiata. Quel demone l’aveva usata come un sacco da boxe e Hikari si sentiva come un guscio vuoto.
“Bambini” chiese con un soffio di voce “sapete tornare a casa da qui?”.
“Sì” rispose Yosuke decisa.
Hikari non era sicura di essere in grado di tornare a casa di Izumi. Era davvero troppo esausta. E non poteva mandarli da soli. Cosa poteva fare?
Si stava convincendo che poteva farcela, quando una voce li raggiunse.
“Yosuke!” era la voce di Izumi.
“Hikari!” e Shippo.
“Siamo qui!” urlò Hikari con la voce che le restava.
Un tramestio violento si avvicinò a loro, e i due ragazzi comparvero. Shippo si guardava attorno, circospetto. Aveva gli abiti stracciati e un livido su un occhio che già stava diventando blu. Chissà quanti doveva averne lei e che aspetto doveva avere in quel momento.
Izumi si lanciò sui fratelli che la abbracciarono stretta.
“Oh, dei! Grazie” sospirò Izumi.
Era finita. Shippo e Izumi avrebbero pensato ai gemelli. Li avrebbero riportati a casa. Il sollievo la fece rilassare. La tensione si sciolse e rimase solo la stanchezza. Una profonda e benefica stanchezza.
“Hikari…” sentì Shippo che la chiamava, ma non sapeva cosa volesse dirle. Non lo vedeva più, non vedeva né sentiva più nulla. Anche il dolore era scomparso.
Finalmente, era finita. 

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Capitolo 10
*** Un nuovo proposito ***


Aveva camminato lentamente verso casa. Lasciando vagare i pensieri, in cerca di qualcosa di chiaro negli ultimi eventi. Inutilmente.
Non era esattamente il suo forte: strategie, inganni e simili non erano la sua area di competenza. Shippo e Izumi se la cavavano decisamente meglio di lui in quel genere di cose. Keiichi era un uomo d’azione. Uno che agiva e basta, senza porsi troppo domande. Perché fermarsi a pensare quando bastava agire? Perché sprecare tempo?
E poi, quando passava troppo tempo a lambiccarsi il cervello finiva solo per deprimersi e inevitabilmente finiva anche per non fidarsi più di nessuno. Era meglio lasciarsi guidare dall’istinto.
Se, in quel caso in particolare, avesse dovuto basarsi solo su di esso, avrebbe concesso il beneficio del dubbio, almeno per il momento, a Hikari. Infatti l’istinto gli diceva che era una persona genuina, altruista, gentile e lei certo lo aveva dimostrato ampiamente. Keiichi doveva ammettere che, a ruoli invertiti, non avrebbe fatto per quell’estranea neanche metà di ciò che Hikari invece aveva fatto per loro.
Tuttavia, lo stesso istinto lo metteva anche in guardia. Sentiva che c’era qualcosa che non quadrava ancora in tutta quella storia. Qualcosa che non sapeva, ma che sentiva essere di fondamentale importanza. L’istinto lo costringeva a rimanere vigile, quando si trattava di Hikari. Forse ci si poteva fidare di lei, ma potevano esserci ben altri pericoli legati alla sua presenza in quel luogo. Pericoli e circostanze di cui forse persino Hikari era all’oscuro, ma che non li rendeva per questo meno insidiosi. Ecco perché ancora non riusciva a fidarsi completamente di lei e non poteva fare a meno di rimanere freddo e distaccato nei suoi confronti. Non poteva farsi coinvolgere. Dopotutto, era proprio sua la responsabilità della sua famiglia. Doveva vegliare su di loro e da allora in avanti avrebbe dovuto farlo con più impegno.
Appena era tornato se ne era andato. Non che fosse davvero così impaziente di vedere Sayumi, ma restare ad assistere al teatrino da coppia felice di sua sorella lo soffocava.
Invidiava la sorella per quel legame che era riuscita a costruirsi. Per quella piccola isola di felicità e condivisione che Keiichi invece non aveva mai trovato. Sayumi lo aveva fatto sentire accettato per quel che era, lo aveva accolto senza bugie, senza imposizioni di nessuna sorta. Con lei si sentiva libero, tuttavia non si sentiva completo. Sayumi non era mai stato di farlo sentire a casa, come Shippo invece faceva in ogni secondo con Izumi. Riconoscere quella mancanza nella sua vita, gli faceva male. Lo faceva sentire più solo che mai. Ecco perché aveva dovuto allontanarsi.
E ovviamente, anche perché aveva bisogno di stare un po’ lontano da Hikari, e decidere cosa fare con lei. Non poteva continuare a comportarsi come un pazzo quando aveva lei intorno, passando da momenti sereni a momenti in cui le urlava contro. E finché l’avesse avuta vicina non sarebbe riuscito a schiarirsi le idee.
Guardò il cielo: doveva essere ormai mezzo dì. Era stato via molto più a lungo di quanto avesse programmato. Doveva restare lontano solo un paio d’ore, ma le sue gambe lo avevano invece condotto da Sayumi. Il suo desiderio di spegnere completamente il cervello e dimenticare tutto aveva avuto la meglio e aveva trascorso la notte con lei.
Era stato via più di mezza giornata. Lasciando Izumi da sola con i gemelli. Sarebbe stata una furia non appena l’avesse visto. E quella volta avrebbe avuto ragione. Il pozzo di nuovo aperto, i demoni che li attaccavano persino dall’altra parte del passaggio, per non parlare dell’odore di Hikari che Keiichi riusciva a percepire persino da quella distanza. L’odore di potere demoniaco. L’odore di Tessaiga. Se Keiichi poteva fiutarla, ci sarebbe riuscito anche ogni singolo demone della zona.
Una calamita per i guai.
Certo, l’odore di Tessaiga era mascherato da quello dolce e fruttato di Hikari, ma rimaneva tuttavia riconoscibile. Perché Hikari aveva quella traccia su di sé? Che senso aveva? Non riusciva davvero a capire come fosse possibile, una ragione plausibile.
Ad ogni modo, sarebbe dovuto tornare prima. L’odore di Hikari era davvero così forte da attirarlo anche da chilometri di distanza, e, per quanto Shippo e Izumi fossero forti o determinati, non sapevano esattamente chi si sarebbe messo sulla loro strada per ritrovare Tessaiga. In caso di attacco avrebbero potuto aver bisogno di aiuto, soprattutto dal momento che oltre a combattere avrebbero dovuto pensare a difendere i gemelli e anche Hikari, che non era minimamente in grado di combattere.
Una nota stonata nell’aria lo fece fermare, per annusare meglio. Qualcosa non andava.
Sangue. C’è odore di sangue…e proveniva proprio dalla direzione di casa sua.
Keiichi scattò più velocemente possibile in quella direzione. La mente in fiamme, pronta a esplodere, carica di paura e di senso di colpa.
Stupido. Stupido. Stupido!
Li avevano attaccati! Mentre lui era lontano. Sentiva chiaramente l’odore del sangue di Shippo e di Izumi. Erano due odori che conosceva bene, ma erano flebili. C’era un odore più intenso. Il sangue di qualcun altro. Tanto sangue.
Hikari…sono arrivati a Hikari…
Accelerò l’andatura. L’aveva portata in un’epoca che non conosceva, che non era la sua. L’aveva lasciata sola, senza protezione. Non poteva esserle accaduto nulla. Doveva stare bene. Doveva!
 
La casa non era stata risparmiata. Era stata danneggiata, ma non tanto quanto tutto ciò che la circondava. Il bosco non sembrava neppure più lo stesso.
Shippo, che doveva averlo fiutato, lo stava aspettando sulla soglia. La seconda espressione più seria che gli avesse mai visto in volto. La prima era quella con cui l’aveva guardato prima di dirgli che anche sua madre era morta.
“Stai tranquillo” gli disse subito, la voce monocorde “Yoshito, Yosuke e Izumi stanno bene”.
Grazie al cielo, pensò Keiichi, anche se non aveva potuto notare che Shippo non aveva incluso Hikari nell’elenco.
“Cos’è successo?”, gli chiese Keiichi con urgenza.
“Tre demoni ci hanno attaccati questa mattina presto” spiegò il demone volpe “Non so da quanto tempo ci tenessero sotto controllo, ma deve essere non poco. Credo che anche loro sentissero la presenza di Tessaiga: hanno puntato subito su Hikari”, e gli spiegò di come Hikari aveva preso i gemelli per allontanarli dalla battaglia e come così invece li avesse messi ancora più in pericolo, “Non ho idea come né perché, ma sembravano convinti che lei avesse Tessaiga. Continuavano a chiamarla Custode, dunque sanno che in qualche modo lei è legata alla zanna e a come ritrovarla”.
“Hikari non sa combattere” puntualizzò Keiichi “come è possibile che i gemelli stiano bene?”.
“Yosuke ha detto che il demone che li ha seguiti parlava dell’odore di Hikari. La ragazza deve aver capito che stava inseguendo lei, perché li ha lasciati in un nascondiglio, dicendo loro di restare in silenzio, e se ne andata, tirandosi dietro il demone”.
Non è possibile! Stupida ragazzina! Era forse impazzita? Keiichi si lanciò verso la casa, ma Shippo gli bloccò la strada.
“Spostati!” gli ringhiò contro.
“Aspetta” lo riprese Shippo, per nulla intimorito dalla sua rabbia “Izumi è sul piede di guerra, preparati. Ma molto più importante: cerca di darti una calmata! L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno adesso è uno dei tuoi colpi di testa. Soprattutto Hikari”.
“Fatti da parte, Shippo” sibilò tra le zanne “Non lo ripeterò”.
Doveva vedere coi suoi occhi cosa fosse successo. La sua mente gli mostrava mille immagini, mille scenari possibili e orribili in cui avrebbe potuto vedere Hikari. Doveva fermare la propria fantasia, perché ad ogni secondo che passava l’immagine che si formava nella sua mente si faceva sempre più spaventosa.
Shippo, alla fine si fece da parte e Keiichi corse in casa.
Ciò che vide non avrebbe potuto immaginarlo. Hikari non sembrava neppure più lei. Non sarebbe stato in grado di riconoscerla in quello stato, non fosse stato per l’odore. Il viso era tumefatto, per metà completamente violaceo e purpureo, graffiato e livido. L’espressione solitamente attenta e gentile era contorta dal dolore. Doveva provarne tanto a giudicare dalla tensione del corpo, i muscoli che tremavano. La pelle lucida e velata di sudore. Un braccio e le gambe erano fasciati con garze bianche, già macchiate di sangue in più punti. L’odore del sangue di Hikari riempiva la casa. Era sdraiata su un fianco, con un braccio si teneva il ventre. Da dove si trovava non poteva vedere la schiena, ma l’odore che arrivava da quella parte della stanza era più forte che in qualunque altra.
“Sarai soddisfatto ora”.
Keiichi si voltò. Ditro di lui, in uno degli angoli della stanza era accucciata Izumi, lo sguardo di fuoco e le zanne snudate, in una chiara minaccia. Nonostante la sorella fosse immobile, Keiichi non poté non notare che teneva rigido un braccio e aveva un evidente livido sulla mascella. A parte ciò, pareva illesa.
“Tu come…”.
“Non osare chiederlo!” tuonò Izumi “Non osare dire una sola parola!”.
Keiichi non aveva parole di scontro, quella volta. Non c’era nulla che potesse dire, per alleggerire il proprio senso di colpa, così come non c’era nulla che potesse dire per placare la rabbia di Izumi. sua sorella aveva ragione, completamente.
Era stato egoista, e a pagare erano stati loro e Hikari.
“Mi dispiace”, sussurrò.
Un pugno violentissimo lo sbalzò contro la porta, frantumandola e facendolo cadere di nuovo all’esterno. Izumi gli fu subito addosso e ricominciò a colpirlo.
“Izumi!” intervenne Shippo, vedendo che Keiichi non intendeva reagire. La afferrò per le braccia e la divise dal fratello.
“Ti ho detto di stare zitto!” urlò Izumi in preda alla rabbia “Lasciami andare, Shippo! Lasciami!”.
“Izumi…i gemelli…” disse Shippo continuando a trattenerla.
Keiichi si voltò e vide Yoshito guardarlo, ancora terrorizzato, così come Yosuke, sebbene la sua sorellina tentasse di nasconderlo. Anche Izumi portò l’attenzione sui bambini e si fermò. Tuttavia continuava a guardare Keiichi con una furia mai vista.
“è colpa tua!” gli sibilò contro “Saresti dovuto essere qui! Con noi! Con la tua famiglia. Avevamo bisogno di te, e tu non c’eri. Un’estranea si è presa cura dei tuoi fratelli, mentre tu ti sollazzavi chissà dove” Izumi troneggiava su di lui “Saremmo dovuti restare uniti. Lo zio Sota ci aveva avvistai, che Hikari è importante e avremmo dovuto proteggerla, ma tu alla prima occasione te la sei svignata. E ora lei è là dentro, distrutta, per aver fatto ciò che avresti potuto fare tu, per aver cercato di difenderci, quando sarebbe dovuto essere il contrario”.
“Mi dispiace” disse ancora Keiichi.
“Taci!” urlò ancora Izumi “Non ti credo! Non ti sei preoccupato di lei nemmeno un secondo. L’hai portata qui come fosse un pacco, senza neppure pensare che avrebbe avuto bisogno di aiuto e sostegno per ambientarsi. Ti sei fatto gli affari tuoi, senza pensare che avrebbe potuto essere in pericolo in questa epoca”.
Non poteva replicare nulla. Tutte le ragioni che si era accuratamente ripetuto in mente da quando erano tornati erano evaporate nell’istante in cui aveva visto come era stata ridotta Hikari. Mentre lei veniva picchiata a sangue, Keiichi era tra le braccia di Sayumi.
Izumi si avvicinò ancora a lui, “Non sei degno dell’eredità di nostro padre. Non sei degno di Tessaiga”.
Izumi lo guardò abbassare lo sguardo e si avviò verso i gemelli. Li prese per mano e si allontanò. Keiichi rimase a guardare la terra davanti alle sue ginocchia.
“è arrabbiata” disse Shippo, rompendo il silenzio “Non pensa davvero ciò che ha detto”.
“Sì, invece” sospirò Keiichi, rimettendosi in piedi “E ha ragione: non sono all’altezza di mio padre, e potrei non esserlo mai”.
Shippo lo guardava con dolore e rimpianto. Keiichi sapeva che Shippo avvertiva spesso la mancanza di suo padre Inuyasha. Era cresciuto avendolo accanto, esattamente come Keiichi, o forse anche di più. Solo in quel momento, studiando quell’espressione infelice, Keiichi si accorse di un occhio gonfio che faticava a rimanere aperto.
“Tu come stai?” gli chiese.
“Sto già guarendo, tranquillo” Shippo si sedette sul patio che circondava la casa “Cosa pensi di fare ora?”.
Keiichi sospirò e si sedette accanto a lui. Non ne aveva idea. Ad ogni modo, Hikari non poteva essere spostata, non in quelle condizioni, ma restando in quel luogo avrebbero rischiato un altro attacco. Peccato non ci fosse più la vecchia Kaede, l’anziana sacerdotessa del villaggio che aveva aiutato e consigliato i suoi genitori da giovani. Non solo avrebbe potuto curare Hikari meglio e più velocemente di quanto avrebbero potuto fare loro, ma avrebbe anche saputo aiutarlo a capire cosa avrebbe dovuto fare.
“Non credevo avremmo potuto venire attaccati così presto, e proprio qui, in casa”, disse ancora Shippo.
“Io ci ho pensato mentre tornavo qui, poco fa, quando mi sono accorto di quanto fosse intenso l’odore di Hikari” commentò Keiichi “Avendo passato diverso tempo con lei, non me ne ero accorto prima”.
“Quella ragazza è incredibile” disse Shippo, finalmente con l’accenno di un sorriso sul volto “mentre venivamo qui, prima dell’attacco, era preoccupata che potesse esserti capitato qualcosa. Che tu potessi aver bisogno di aiuto”.
Davvero? Keiichi guardò Shippo sconvolto. Hikari era una comune umana, senza alcun potere, mentre lui aveva ereditato il potere di suo padre, il potere di un mezzo-demone. Come pensava di poterlo aiutare?
“E quando ci hanno attaccati non ha avuto esitazioni: ha preso i gemelli ed è scappata”.
“Una stupidaggine” commentò Keiichi, finalmente pronto a riconoscere che la colpa non era completamente sua “Come hai potuto permettere che si allontanasse in un luogo che non conosce, senza alcun modo di difendersi, disarmata…”.
“Izumi le aveva dato una spada…” cercò di giustificarsi Shippo.
“Un’arma che Hikari non sa brandire. Non sa combattere: nelle sue mani era completamente inutile”.
“Se io e Izumi ci fossimo divisi” aggiunse allora deciso Shippo “Non so se saremmo riusciti a respingerli. Erano davvero potenti, Keiichi. Credo che se avessimo dovuto affrontarli separatamente sarebbe finita molto male”.
Era strano sentire Shippo ammettere di avere avuto difficoltà, almeno con Keiichi. Tra loro c’era sempre stata una sana competizione.
“Se Hikari non ci avesse lasciati insieme, non ci sarebbe solo lei là dentro”, aggiunse Shippo.
Hikari era stata incredibilmente coraggiosa. D'altronde, il coraggio era una dote che proprio non le mancava e Keiichi aveva potuto constatarlo già dal primo giorno, quando Hikari si era frapposta fra lui e una freccia sacra.
“Non possiamo rimanere qui” disse Keiichi dopo alcuni minuti di silenzio.
“Hikari non si può muovere” puntualizzò Shippo.
“Lo so” ma Keiichi non poteva rischiare che i demoni attaccassero di nuovo la sua famiglia “ma non possiamo rischiare. Dobbiamo almeno portare Yoshito e Yosuke in un posto sicuro”.
“Cosa hai in mente?”.
“Dovete portare via i gemelli. Prima possibile”.
“E dove?”, chiese Shippo poco convinto.
“Al villaggio degli Sterminatori” concluse Keiichi “Loro ci aiuteranno”.
“E Hikari?”
“Io e Hikari resteremo qui finché lei non starà meglio e non sarà in grado di intraprendere il viaggio. Mi occuperò io di lei”.
Shippo lo guardava con intensità, “Sei sicuro?”.
“Mi fido di te” gli disse con un mezzo sorriso “So che proteggerai i miei fratelli al meglio. Vi raggiungeremo il prima possibile”.
“Ma…” cercò di intervenire Shippo, ma Keiichi lo interruppe subito.
“E se ti preoccupi per Hikari, puoi stare tranquillo” aggiunse “Non permetterò più che le accada una cosa del genere. Te lo prometto”.
Shippo annuì, più sereno, “Sono contento di sentirtelo dire. Allora vado da Izumi, partiremo entro un paio d’ore”.
Si alzò, avviandosi verso il villaggio, ma fermandosi subito, deciso ad aggiungere ancora una cosa.
“Se davvero hai paura di non essere all’altezza di tuo padre, forse dovresti cominciare col ricordare qual è il vero scopo di Tessaiga. Perché è stata creata”.
“La conosco la storia: mamma ce la raccontava sempre”.
“Allora cerca di tenerla bene a mente, ti servirà”.
 
Hikari ancora non aveva aperto gli occhi, e ormai era scesa la notte. Keiichi cominciava ad essere seriamente preoccupato. La sentiva battere i denti e mugugnare nel sonno. Tremava come una foglia e lui non aveva idea di cosa fare per darle sollievo. Non voleva spostarla o anche solo toccarla, per paura di provocarle ancora più dolore e peggiorare le cose. Poteva solo stare seduto là, accanto a lei, a guardarla soffrire da sola.
“Mi dispiace, Hikari” disse a bassa voce, dopo un po’.
“Non…non è colpa tua” balbettò una voce leggera.
Allora è sveglia! Keiichi si avvicinò subito a lei. Lo guardava con lo sguardo triste e preoccupato. Non aveva davvero paura di lui? Se era così, non poteva che biasimare sé stesso per come l’aveva trattata fino a quel momento.
“Come ti senti?” le chiese col tono più incoraggiante di cui fosse capace.
“Mi…mi dispiace...io…non sono abbastanza forte per…” continuò a dirgli invece lei “Come…come stanno i gemelli?” concluse, incapace di parlare troppo a lungo.
“Stanno bene, non ti devi preoccupare” la rassicurò Keiichi, sorpreso che nonostante le sue condizioni, il primo pensiero di Hikari fosse ancora diretto a qualcun altro “Sono al sicuro, o ci saranno presto. Ora dobbiamo pensare a rimetterti in senso”.
Hikari annuì e si strinse ancora il ventre, sul volto una chiara espressione di dolore. Keiichi sapeva che aveva promesso a Shippo di comportarsi bene, di non turbare ancora di più Hikari, ma non poteva trattenersi.
“Cosa ti è saltato in mente?” le chiese, con gentilezza e solo una lieve nota di rimprovero nella voce “Sei stata davvero stupida, a farti inseguire da un demone. Si può sapere cosa ti è passato per la testa?”.
“Ci avrebbe trovati” sussurrò Hikari “Sentiva il mio odore, come te. Voleva solo me. Era l’unica cosa che potevo fare per tenere al sicuro i gemelli”.
“Sciocca” sussurrò ancora Keiichi, provocando un sorriso sul volto sfigurato di Hikari. Un sorriso che scomparve immediatamente, sostituto da un brivido che le fece battere i denti.
“Dovresti dormire, se vuoi rimetterti presto”.
“Non ci riesco” rispose Hikari raggomitolandosi ancora di più su sé stessa.
“Provi molto dolore?” le chiese preoccupato “è per questo che non dormi?”.
“No” sospirò Hikari “O meglio, sì sento un male del diavolo, ma non è per questo che non riesco a dormire”, batté ancora i denti e poi continuò “Ho freddo. Sto gelando. Anche ieri notte non ho chiuso occhio”.
“Non possiamo accendere un fuoco, vorrei evitare altre visite, dal momento che per ora non potremo muoverci di qui” rispose preoccupato Keiichi.
“Lo so” disse Hikari, stringendosi più possibile la coperta attorno al corpo. In realtà ne aveva già tre addosso. Purtroppo in casa non ve ne erano altre: nessuno di loro risentiva del clima come i comuni umani, quindi ne avevano davvero poche in casa. Quelle usava sua madre una volta, probabilmente piene di buchi dopo sette anni che non venivano utilizzate. C’era solo una cosa che poteva fare per farla stare meglio. Si accostò a lei, per stendersi sotto la coperta con lei.
“Cosa stai facendo?” gli chiese preoccupata.
“Se restiamo vicini, sentirai un po’ più caldo”, le rispose tranquillamente.
Hikari rifletté un momento poi assentì, “attento alla schiena, mi fa davvero male”.
“Tranquilla”, Keiichi scostò la coperta e si accostò a quel corpo minuto e tremante. Hikari si sporse verso di lui, dapprima titubante ma poi con più serenità. La sentì sospirare di sollievo e lentamente rilassarsi tra le sue braccia. Smise di tremare e il suo respiro si fece regolare. La sentì addormentarsi profondamente. Cercava di muoversi il meno possibile, fissando il suo profilo nella semi oscurità di una notte serena e illuminata dalla luna. Gli sembrava incredibile, di essere là, in casa sua, abbracciato a una ragazza umana che conosceva a mala pena.
Si chiese se all’inizio della sua missione anche suo padre si fosse sentito come lui si sentiva in quel momento. Stordito, sopraffatto e carico di dubbi. Inuyasha si era costruito il proprio futuro un passo dietro l’altro mentre lottava per compiere la propria impresa. Aveva trovato sé stesso e l’amore della sua vita. Aveva trovato la sua ragione di vivere.
Ora era arrivato il suo turno. E lui cosa avrebbe trovato lungo il suo di cammino? Avrebbe trovato anche lui sé stesso o si sarebbe perso? Avrebbe scoperto il proprio scopo o sarebbe morto da solo?
Hikari si strinse ancora più a lui, attirata dal suo calore.
La ragazza si era fidata di loro fin dal primo momento. Si era fidata di lui, nonostante Keiichi non avesse perso occasione di farle capire quanto lui invece non si fidasse di lei. Anche in quel momento, nonostante fosse ferita e principalmente a causa sua, continuava ad avere fiducia in lui.
Come faceva? Come riusciva a credere così tanto in chi la circondava?
Izumi aveva ragione: non si era messo fino ad allora nei panni di Hikari, non si era chiesto cosa dovesse provare ad essere là con loro, in un mondo diverso, con persone di fatto poco più che estranee. Non aveva cercato di capire. Era rimasto concentrato solo su di sé, e lei ne aveva pagato le conseguenze. Proprio lei che aveva abbandonato tutto, solo per aiutare lui e la sua famiglia. Ecco cosa ne aveva guadagnato. Era quasi morta.
Keiichi credeva di essere solo, ma lui aveva Izumi e Shippo, i gemelli. Hikari invece era davvero sola in quel luogo. Si sarebbe preso cura lui di lei, non l’avrebbe più lasciata sola.
Keiichi decise che da allora in poi si sarebbe fidato di lei. Le avrebbe concesso il beneficio del dubbio e l’avrebbe riportata presto a casa sana e salva. Dopotutto era in debito con lei, per avergli salvato la vita e per aver protetto i gemelli.
Avrebbe fatto ciò che avrebbe fatto anche suo padre: avrebbe dato tutto sé stesso per compiere la sua impresa, così come per proteggere tutti i suoi compagni d’avventura, compresa Hikari, indipendentemente da ciò che gli fosse costato. Sarebbe diventato degno di Tessaiga e del suo potere e allora sarebbe stato degno anche di suo padre e avrebbe finito ciò che lui non era riuscito a termine. Avrebbe finalmente vendicato sia lui che sua madre.

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