Lo Spaventapasseri

di Urdi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Ashura ***
Capitolo 2: *** 2. Kakashi_pioggia ***
Capitolo 3: *** 3. Sakumo_chiodi ***



Capitolo 1
*** 1. Ashura ***


Sono passati davvero tanti anni.
Sorrido.
Calcolare il tempo, dare un nome allo scorrere della nostra esistenza, è inutile. Cerchiamo sempre di razionalizzare tutto per averne il controllo, per non sentirci perduti, ma alla fine la vita ha una dimensione troppo grande e pesante per qualsiasi persona.

Per qualsiasi ninja.

Anche per me è gunta la fine.
Il sibilo di un chiodo che fende l’aria, il sibilo di una signora che vuole abbracciarmi per sempre e trascinarmi con lei in quel mondo che non ha regole, dove perdere per sempre la ragione.

“Andiamo?” chiede mostrandomi un sorriso nell’unico occhio che mi è rimasto. Obito è diventato cieco un’altra volta.
“Sì…” rispondo, passando oltre al ricordo di un amico che perisce sotto un masso.
Non ho tempo di focalizzare la mente su altro, il mondo perde colore.

“Kakashi, sei tu?” una voce lontana, una voce lontana ma familiare e roca.
“Sì.”
Avanzo in questo spazio denso, senza sapere neppure dove sto mettendo i piedi.

Ma li ho ancora, i piedi?

“Sì, sono io… papà.”




“Il pensiero di un padre sul punto di morire non è teso a quello a cui va incontro, ma si allunga verso la famiglia, la moglie, i figli. Sa di lasciare tutto quello che ha costruito, di abbandonare ciò che aveva promesso di proteggere e teme di recare loro il danno più grande.”

“Eppure s’è ammazzato lo stesso.”









LO SPAVENTAPASSERI
di Urdi


1. Ashura




Ashura alzò lo sguardo, cercando in lontananza la figura del marito. A causa del sole, che bagnava di raggi freddi i campi coltivati, dovette portarsi una mano alla fronte per permettersi di vedere meglio.
In fondo alla strada battuta che si spiegava fra i boschi che circondavano Konoha, c’era un uomo: si muoveva lentamente, affaticato, verso la grande casa che lo avrebbe accolto.
Ashura si aprì in un raro sorriso, sistemando le maniche del kimono e slegando i lunghi capelli argentati, lasciandoli liberi sulle spalle. Si diresse quindi giù, ai piedi della collina, camminando forse troppo velocemente.
Quando la donna entrò nel campo visivo dello shinobi, lui sorrise a sua volta, lasciando che il bel viso si illuminasse di un amore sconfinato.
“Hisashiburi1.” Mormorò, fermandosi a pochi passi da lei.
Ashura si arrestò, rendendosi conto di aver fatto quella discesa di corsa solo quando il suo respiro prese a uscire irregolare.
“Okaeri2…” rispose in un soffio, scivolando con lo sguardo sulle ferite che laceravano la pelle e la divisa del jonin.
Rimasero a fissarsi senza parole per qualche minuto, a studiarsi dopo mesi di separazione. C’era stato qualcosa che avevano dimenticato? Erano cambiati?
Sakumo Hatake non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella la compagna, quasi lo avesse dimenticato davvero, quasi fosse passato troppo tempo dall’ultima volta che l’aveva vista. C’era quella pelle candida, gli occhi a mandorla color ghiaccio e l’argento dei capelli di seta che si muovevano nel vento leggero. E poi quella figura esile e forte, slanciata e fiera che era Ashura; ricordava una tempesta di neve, distruttiva e calmante allo stesso tempo.

Continuarono a fissarsi senza sapere cosa dire, anche se nelle loro menti il pensiero era uno solo: “Finalmente.”


Ashura e Sakumo si amavano probabilmente da sempre: erano cresciuti insieme all’interno del clan Hatake, relegato da Konoha perché non nobile, ma troppo forte per essere ignorato. Non erano originari del villaggio, arrivavano dalle fredde terre del Nord e non si erano mai del tutto integrati con il resto degli abitanti.
I due giovani eredi erano cugini ed erano stati destinati sin da piccoli come futuri sposi, per questo motivo non avevano potuto fare a meno di innamorarsi. Erano l’emblema dello splendore del clan e tutti andavano fieri della loro unione.
La loro dimora si trovava nell’area dei campi coltivati e in quanto ad eleganza non aveva nulla da invidiare alla tenuta degli Uchiha o degli Hyuga.








“Ashura…” un sussurro roco si spense sulle labbra della donna.
Lei abbassò le palpebre, abbandonando il viso sul cuscino.
Lui le accarezzò piano un fianco e la baciò dolcemente, appoggiando la fronte alla sua.
La donna allora aprì gli occhi, posando i piedi sul materasso, cercando di non scoprirsi con il piumone.
Si scambiarono uno sguardo, ansanti, ma persi nel loro mondo caldo fra le coltri.
“Ashura…” ripeté con dolcezza l’uomo, accarezzandole la fronte sudata, per scostarle i capelli dal viso.
“Sì, Sakumo?”
“Nulla, volevo solo sentire che c’eri…che ci sei e sei qui con me.”
La guerra faceva spesso dimenticare quanto potevano essere belli quei momenti, lasciando presagire che tutto il resto, quello che un tempo apparteneva alla bellezza della vita, fosse solo frutto di un sogno. Quando Sakumo tornava, cercava sempre di imprimere al meglio quell’immagine di purezza che aveva sotto di sé, per potersene nutrire ogni volta che sentiva di non farcela.
Ashura abbozzò un sorriso e in uno slancio di affetto lo abbracciò stretto, sfregando la fronte contro la sua spalla.
“Ehi…piano…” si lamentò lo shinobi, sentendo ogni ferita bruciare dolorosamente. Sakumo adorava il fatto che la moglie fosse così solo con lui, non avrebbe potuto sopportare di vederla affettuosa con nessun altro.
“Scusami… - la sentì mormorare, mentre lo stringeva - …stiamo un po’ così.”
“Va bene.”
Lui ricambiò l’abbraccio, cullandola lievemente, fino a riportarla con la schiena sul materasso. Per quanto fosse bello stringere forte Ashura, sentire il calore del suo corpo nudo e la stretta delle sue mani sulle spalle, la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire.
“Una buonanotte, finalmente.” sussurrò la donna, accoccolandosi al fianco del compagno, mentre lui spegneva le candele. Entrambi sapevano che presto sarebbe arrivato, lento e soffuso come la neve fuori, il sonno.



###



Quando, nel buio profondo e avvolgente della notte, Ashura si alzò e corse via, Sakumo non poté fare a meno di svegliarsi di soprassalto. Quel sonno leggero apparteneva alla dimensione dove aveva vissuto per gli ultimi due mesi: sempre lei, la guerra.
Stancamente, l’uomo si portò seduto e accese una candela, uscendo dalle coltri.
“Ashura…” chiamò piano, sentendo trafficare nella stanza da bagno. Ma l’unica risposta che ricevette fu un tossire convulso tipico di chi sta rimettendo.
L’uomo, senza aspettare, spalancò il fusuma3 e la vide nella penombra, pallida a tenere i capelli con una mano.
Le si portò immediatamente vicino e la aiutò, in modo che non si sporcasse.
“Grazie.” Sorrise lei, un’espressione piuttosto insolita per il suo viso altero, forse più bello quando era arrabbiata. Certo, Ashura non mostrava mai quello che provava, se non in rari momenti di intimità, ma l’uomo aveva imparato a capire quando piccoli segni cambiavano la sua espressione. Non era una persona che suscitasse particolare simpatia e non amava scherzare su nulla. Viveva, come la immaginava Sakumo , perfettamente dritta su un filo invisibile. Sembrava che non ci fosse davvero nulla che potesse turbare la solidità di quel carattere.
“Padrone è tutto a posto?” chiese una domestica affacciandosi nella stanza. L’uomo annuì, aiutando Ashura ad alzarsi in piedi.
“Sì, torna pure a dormire Yuka.”la donna accennò un inchino e si congedò nel buio per tornare alle proprie stanze.
“Ti riaccompagno in camera.” Fece premuroso, sollevando la compagna senza nessuna fatica. Lei nascose il viso sul collo del marito e, d’improvviso, scoppiò a ridere.
Lui accigliato, pensò che fosse impazzita.
“Ashura? Ti senti bene…?” chiese, quasi contagiato da quel sorriso.
“Sì, certo, mai stata meglio.”
Il marito la adagiò sul futon4, pensando di sfuggita che in lei qualcosa fosse cambiato davvero. Non era mai stata particolarmente estroversa.
“Sakumo, sono incinta.” Ammise limpidamente, guardandolo dritto nelle iridi scure.
L’uomo dapprima spalancò gli occhi per lo stupore, poi aggrottò le sopracciglia abbassando lo sguardo, quasi stesse cercando di capire quello che gli era appena stato detto.
Ashura si tirò il piumone sulle gambe, mantenendo un sorriso calmo.
“Perché me lo dici adesso?” riuscì semplicemente a chiedere lo shinobi, tornando a guardarla e prendendole le mani nelle sue.
“In realtà non avrei voluto dirtelo sino a domani, ma ormai è inutile negare e poi…”
Sakumo abbozzò un sorriso, abbracciandola, senza che lei rispondesse a quel contatto. Lui sapeva cosa significassero quelle mezze frasi: Ashura voleva condividere con lui quel momento di felicità, ma non lo avrebbe mai ammesso a parole.
Un bambino, una benedizione del cielo avrebbero detto all’interno del loro clan.
Un bambino… che strana sensazione. Sakumo sentì qualcosa dentro come se si fosse spaccato a metà, vicino al cuore…o allo stomaco?

Ashura mosse piano le braccia e strinse a sua volta il marito affondando il viso nel suo petto.

“Avresti dovuto dirmelo prima.” La sgridò bonariamente, accarezzandole i capelli, mentre cercava di ignorare quella sorta di forellino che sembrava volersi ingoiare il suo essere. Non capiva da dove arrivasse quel dolore sottile, quella sensazioni di gioia e terrore che si mischiavano fino a formare un buco. Sapeva solo che era dentro, nel profondo e non aveva ancora una vera forma.
“Secondo Yakushi-san il sesso non è pericoloso.”lo rassicurò, intuendo le preoccupazioni dell’uomo.
Sakumo si staccò da lei, osservandola meglio: adesso si spiegava quella strana sensazione di cambiamento.
“Non c’era bisogno di farlo, avresti dovuto dirmelo lo stesso.”
“Non ci vedevamo da tanto… mi era mancato stare così con te. E se ti avessi detto che ero incinta ti saresti fatto degli scrupoli.”
L’uomo sorrise, accarezzandole una guancia candida. Anche se Ashura cercava di mantenersi distaccata, a volte tirava fuori quel lato di sé un po’ infantile e dipendente da lui che lo riempiva di tenerezza.

Scivolarono entrambi nuovamente nel futon, illuminati dalla luce tremolante della candela rimasta accesa.
Sotto alla coperta Ashura cercò lo sguardo di Sakumo.
“Sei contento?” chiese limpida, così bella da essere irresistibile.
Lo shinobi le si avvicinò abbracciandola, prima di farla scivolare sotto di sé.
“Sì.” Rispose semplicemente, baciandola lievemente sulle labbra calde.
“Soprattutto per il fatto che il sesso non è pericoloso?” chiese quasi seria.

Lui rise.



##

Nei giorni successivi Sakumo si trovò spesso a pensare alla nascita di suo figlio. Benché mantenesse il proprio carattere piuttosto distaccato, non poteva fare altro che ritornare sulle parole di Ashura, sul suo corpo che iniziava a cambiare e sulla loro vita che non sarebbe più stata la stessa.
Ordinò dell’altro sakè ormai completamente perso nel proprio mondo per sviscerare dove stesse il problema. Perché c’era, evidentemente, qualcosa che lo infastidiva. Sembrava una spina sottile e nonostante cercasse di ignorarla, dicendosi che era solo timore, la trovava sempre lì a pungere, affondando nel cervello.
Sakumo, che come Ashura era abituato ad avere sempre tutto sotto controllo, si sentiva in qualche modo impreparato alla cosa. Certo, sapeva che sarebbe accaduto, ma non così in fretta! Aveva bisogno di farsi un’idea, di ragionarci, di parlarne con la moglie… eppure non avevano potuto programmarlo. Era stata un’evoluzione naturale, come quando, poco dopo il loro matrimonio si erano ritrovati a fare l’amore con foga, felici di potersi dimostrare quel sentimento che per esigenza aveva dovuto aspettare l’unione ufficiale.

Ashura era piuttosto insofferente alle tradizioni della famiglia, ma non aveva mai opposto resistenza, neppure quando il capo clan, suo padre, volle vedere il materasso macchiato con il sangue della sua verginità.
Sakumo l’aveva vista abbassare lo sguardo, non colpevole o umiliata, ma furiosa. Per lei tutto ciò che li riguardava era e doveva rimanere all’interno della loro stanza. Per questo, anche se capitava di trovarsi ubriaco a chiacchierare con gli amici, non parlava mai di lei o di quello che condividevano.
“Ma è una donna focosa?” aveva azzardato una volta Shuei, un kohai dai capelli lunghi e neri come la seta.
Sakumo si era limitato a guardarlo male e da allora, per timore – o rispetto? – nessuno aveva più osato scherzare sull’argomento.


Quella sera, Shuei si sedette accanto a Sakumo afferrando un bicchierino con del liquore di riso e portandolo alle labbra.
“Sakumo-senpai è tornato!” constatò il moro in un sorriso.
L’uomo lo guardò e ricambiò il saluto.
“Sì, è stata una missione piuttosto lunga.”
“Oh, ma tutti a Konoha non fanno che parlare della sua abilità e del suo successo.”
Sakumo buttò giù un altro sorso e scrollò le spalle.
“E’ bene che io mantenga fede al mio credo.”
E con quelle parole Shuei intuì cosa volesse dire il suo senpai: gli Hatake erano da sempre visti con una certa diffidenza, ma negli ultimi tempi al villaggio avevano iniziato a nutrire una profonda stima proprio per l’erede del clan, grazie alla sua fama e ai suoi successi.
“Ehi, si fa baldoria senza avvisare?” un uomo dai capelli castani e gli occhi scuri, un accenno di barba sul mento e un fisico piuttosto imponente si avvicinò ai due amici.
“Taka, non avvicinarti così, mi hai spaventato…” scherzò Sakumo, ordinando da bere anche per il nuovo arrivato.
“Ha ha… Ti intimorisco?! Fantastico, non credevo che la Zanna Bianca della Foglia avesse paura di qualcosa.”
“Vi piace tanto chiamarmi così?” chiese alzando un sopracciglio, esasperato.
Taka si appoggiò al bancone e il discorso passò a cose più serie, alla morte di qualche amico, alle missioni portate a termine, che tuttavia lasciavano il vuoto dentro. La conversazione si portò su toni sempre più cupi, fin quando l’alcol divenne l’unica cosa che sembrava tenerli lontani dalla disperazione. O era il contrario?
C’era una gran confusione nelle teste dei tre ninja e nessuno pareva avere più voglia di parlarne.
Fu Shuei a rendersi conto dell’espressione grave che aveva Sakumo: l’Hatake fissava da un po’ il liquore nel suo bicchierino, perso in chissà quali pensieri e il suo Kohai lo trovò terribilmente strano.
“Senpai…”
Ma prima che finisse la frase, Sakumo lo precedette:
“Dovrei essere orgoglioso della missione. – iniziò, mentre Taka si voltava a guardarlo – E in effetti lo sono, è gratificante vedere quanto io sia ammirato. Non riesco più a nascondere il fatto che lo faccia per me stesso, per il potere e per la gloria. Sì, per il clan e il villaggio, ma per primo lo faccio perché cerco di vedere dove riesco ad arrivare, dov’è il mio limite. L’adrenalina di quel secondo in cui ti salvi, il secondo in cui puoi o vivere o morire. E l’attimo subito dopo, quando hai gli abiti sporchi di sangue e gioisci perché non è il tuo. Dovrebbe disgustarmi, farmi pensare che ho ucciso un uomo, eppure penso solo che ce l’ho fatta e che ho vinto io. Che tornerò al villaggio sentendomi elogiare come la Zanna Bianca della Foglia, sentendomi invincibile. Riabbraccerò Ashura, che mi viene incontro felice di rivedermi, con quel sorriso che rivolge solo a me … E mentre un’altra donna piangerà la sua perdita, io mi inebrierò del profumo di mia moglie, pensando che del resto non me ne importa proprio niente.”
Taka e Shuei fissarono l’amico senza sapere cosa ribattere. Sakumo si lanciava raramente in certe confessioni e quando lo faceva loro non sapevano mai cosa dire. Che era da biasimare? Che era un egoista? Che era meschino? Che la pensavano allo stesso modo?
Shuei aveva un’altra visione del mondo, lui aveva una grande paura della guerra ed ogni volta che si trovava a dover uccidere qualcuno non poteva fare a meno di sognarsi quel viso ogni notte.
Taka si limitava a non pensarci, seppellendo il senso di colpa con il dovere.
Invece Sakumo stava dicendo loro che lo faceva per sé stesso e che non gli importava di ammazzare qualcuno, anzi: gli piaceva, gli dava un senso di potere e assuefazione.
“Per questo motivo non riesco ad essere pienamente soddisfatto, perché quando sono in me e ci penso razionalmente, mi dico che è assurdo pensare che sia bello uccidere. Che è da esaltati… e mi ritrovo ad avere paura di me stesso.”
“Questa sera mi sa che hai esagerato particolarmente con il sakè…” se ne uscì Taka, cercando di sdrammatizzare e levando la bottiglietta di liquore dalla mano dell’amico.
L’altro alzò lo sguardo spento, lo sguardo di un uomo appena ventenne, che sembrava aver vissuto il doppio dei suoi anni. E Taka, che stava per raggiungere i trentatre, si sentì strano, come se guardasse davvero un ragazzino sperduto.
“Io e Ashura avremo un figlio.” Soffiò allora Sakumo, condensando in quella frase il motivo di tutti quei pensieri confusi.
Era stato inevitabile. Il pensiero di avere un bambino lo aveva fatto concentrare sul suo modo di vivere, sul cambiamento e sui timori che aveva su se stesso. Non aveva potuto fare a meno di analizzarsi e mettersi in discussione.
Taka e Shuei rimasero nuovamente senza parole.
“Non so…dovremmo fare le nostre congratulazioni…?” chiese cauto il più giovane, non sapendo come dover reagire.
Sakumo si strinse nelle spalle e appoggiò i gomiti al bancone.
“Suppongo di sì.” Bofonchiò accigliato.
All’improvviso entrambi gli shinobi scoppiarono in una fragorosa risata e Taka tirò una pacca sulla schiena al suo superiore, tanto da farlo quasi gemere di dolore.
“E bravo Sakumo!” commentò, così gioioso che l’altro non riuscì a trattenere un sorriso, dimenticando per un attimo le sue elucubrazioni.
“Già! Ottimo lavoro senpai!” Shuei versò dell’altro liquore.
“Ehi…macché lavoro!” protestò il futuro papà indignato.
“Oh su, ha capito! Dopotutto non è passato molto dal suo matrimonio…”
Taka passò un braccio attorno alle spalle del compagno.
“E’ per questo che hai iniziato a tormentarti? Guarda che capita a tutti prima o poi…”
“Speriamo poi…” mormorò Shuei, che all’idea di un bambino si sentiva male.
“Da quanto lo sai?” continuò il più grande, ignorando il commento del più giovane.
“Da tre giorni.” Sakumo, non spiegandosi tutto quell’entusiasmo, rispose meccanicamente.
“Oh, vedi?! Hai bisogno di metabolizzare la cosa, non farti prendere dall’ansia. E bevi un po’ di sakè!”
“Ma non hai appena detto che ho bevuto troppo…?”
“Sì, ma non sapevo che avessi appena appreso che sarai papà! Tieni, ti sono concessi altri tre bicchieri, minimo.”
L’Hatake davanti a quell’assurda situazione non poté fare a meno di rilassarsi e ridere, in fondo era vero: si era lasciato prendere dall’angoscia senza pensare a quanto in realtà fosse bella quella notizia.

Un bambino, un piccolo essere umano candido come un foglio di carta immacolata su cui poter scrivere qualsiasi cosa. Sakumo riusciva ad immaginarlo che iniziava a muovere i primi passi, che imparava quello che lui gli avrebbe insegnato. E in quell’istante in cui vide l’immagine di quella vita, dell’amore suo e di Ashura che prendeva forma e si muoveva fra di loro… in quel momento dimenticò le domande che riguardavano il “ne sarò in grado?".

Era qualcosa di così vasto e forte che se si fosse fermato, se Taka e Shuei non ci fossero stati, si sarebbe lasciato andare ad un pianto di disperata gioia.


##



Ashura, le braccia conserte, osservava i campi inondati dal sole estivo. I contadini lavoravano senza sosta, godendo ogni tanto della brezza che arrivava dalle montagne.
La donna se ne stava lì ferma, rimirando il paesaggio, l’espressione seria, quasi concentrata.
“Che cosa fai qui in piedi?” le chiese all’improvviso Sakumo, uscito sulla soglia della tenuta.
Lei non si voltò a guardarlo, rimase immobile come se avesse potuto cogliere un messaggio rimanendo in ascolto del vento.
“Ashura, è meglio se rientri e ti riposi, lo ha detto anche Yakushi-san. E le domestiche non fanno che assillarmi.”
“Sto bene, tranquillo.” Rispose.
Lui abbozzò un sorriso avvicinandosi alla moglie e passandole le braccia attorno alla vita per stringerla a sé.
“Oh, io lo so. – e scese a baciarle la testa – So che sei forte. So che eri una ninja e che non temi nulla. Ma i tuoi continui rifiuti di rimanere a letto dopo quello che ha detto il medico stanno facendo preoccupare tuo padre e se tuo padre è preoccupato, tutto il clan lo è.”
Lui stesso odiava quel tipo di discorso, quindi non si aspettava che Ashura iniziasse a comportarsi diversamente, in cuor suo sperava semplicemente che non cercasse di ribellarsi proprio ora.
Era preoccupato per lei: qualche giorno prima la donna aveva accusato un malore svenendo e lanciando nel panico tutta la famiglia e Sakumo si era sentito colpevole, perché non era presente a causa di una missione. Quando era tornato alla tenuta degli Hatake e aveva trovato sua moglie a letto accudita dal padre e da alcuni ninja medici, era quasi impazzito per l’ira.
Gelosia? Possessione? Sakumo ancora non riusciva a comprendere che cosa lo facesse star male a vedere che qualcun altro poteva prendersi cura della propria compagna.

L’uomo scacciò quei pensieri che gli perforavano la testa come un chiodo ed accarezzò il ventre gonfio della donna con riverenza e devozione. Sentiva chiaro il desiderio di incontrare quella vita che lui e la donna che amava avevano creato. Come se fosse qualcosa che mancava per rendere tutto perfetto.
“Vorrei chiamarlo Kakashi.” Se ne uscì ad un tratto Ashura, portando la propria mano su quella del marito.
“Kakashi?” chiese, in realtà più che sorpreso, incuriosito.
“Sì… protegge i campi coltivati e fa sì che il raccolto non vada perduto. Mi piace Hatake Kakashi…”
L’uomo sorrise, inspirando il profumo di mandorla dei capelli di lei.
“Va bene. In effetti piace anche a me. - Constatò dopo averci pensato un po’ su. – ma sarebbe insolito se si trattasse di una femmina.”
Ashura si voltò staccandosi da quell’abbraccio per guardare Sakumo negli occhi.
“Ormai lo so già. E’ dentro di me e… lo so. Sakumo, è un maschio… - la donna abbassò lo sguardo e se lui non l’avesse conosciuta avrebbe quasi detto che sembrava imbarazzata - … Non voglio che si sappia proprio perché detesterei le parole di mio padre sul fatto che avremo un erede per il clan. Anche se fosse stata una femmina, sarebbe stata nostra figlia e l’avremmo amata allo stesso modo. L’idea di sapere che gioiranno per il suo sesso mi infastidisce proprio, per cui rimarranno con il dubbio, dopotutto sono affari nostri.”
L’uomo sorrise ed annuì, non osava contraddirla quando la vedeva così determinata. La fissò negli occhi chiari e si immaginò la loro vita tra qualche mese. Sakumo sperava con tutto se stesso che la guerra non scoppiasse proprio in quegli ultimi due mesi che lo separavano dal conoscere… Kakashi… sì, era un nome bizzarro, ma un bel nome, quello di suo figlio.
“Dai vieni dentro.” L’uomo prese per mano la moglie e lei alzò lo sguardo al cielo, senza tuttavia opporre resistenza.
Sakumo sorrise: internamente persino lui aveva gioito nel sapere che sarebbe stato un maschio, ma non lo avrebbe mai detto ad Ashura.



##



Nella stanza c’era silenzio. Un silenzio che, dopo il pianto insistente del nuovo nato, aveva ripreso la sua solidità.

Immaginarlo per tutto quel tempo, aveva messo addosso a Sakumo una grande aspettativa. L’ansia che aveva provato alla notizia data da Ashura si era piano piano affievolita, ma non era mai scomparsa. Ogni tanto riaffiorava nella notte, con i dubbi e le preoccupazioni.
Ma ogni volta che sentiva quel nodo allo stomaco stringersi, accarezzava il ventre della donna addormentata e si sentiva meglio. Rassicurato dal fatto di non essere solo.
Sarebbero diventati una famiglia.
Ed ora che si trovava a contemplare i suoi stessi occhi, neri e profondi, si sentiva incredibilmente sereno. Si sentiva davvero la Zanna bianca della Foglia, invincibile…

Con quei pensieri il jonin stava seduto sul futon, dove Ashura dormiva profondamente.

Kakashi, un piccolo fagotto di appena qualche ora, sembrava così fragile e allo stesso tempo così forte, proprio come sua madre. Sakumo ebbe l’impressione che quegli occhi avessero il potere di ipnotizzarlo. Ogni particolare di quel bambino gli sembrava così perfetto, l’unica cosa per cui valesse la pena vivere.
Suo figlio.
Gli accarezzò una guancia liscia con estrema delicatezza osservando quanto la sua mano fosse grande rispetto a quella testolina. Non era come si era disegnato nei suoi pensieri, aveva la consistenza di un amore e di una felicità non descrivibili. Ogni piccolo respiro sembrava avere il potere di smuovere il suo cuore e ogni movimento lo lasciava sorpreso e incuriosito.
Sakumo era diventato padre.
Si sentiva squarciato dentro da qualcosa di immenso.
“Ciao…” soffiò, mentre il bambino spostava lo sguardo sulla mano che lo sfiorava.
Si stavano studiando a vicenda per capirsi, quasi stessero chiedendo all’altro:
“E tu chi sei? Da dove arrivi? E come mai sento di conoscerti da sempre?”
Era qualcosa di indescrivibile, lontano e vicino come l’avanzare delle onde. In alcuni momenti era così forte che sembrava di esplodere.
Il mondo di Sakumo sembrava essersi capovolto.
E tutto per quella piccola vita che ora cullava tra le braccia e che pareva avesse tutta l’intenzione di addormentarcisi.
L’uomo osservò le palpebre del bimbo calare lentamente su quelle mandorle scure, ornando il visino di ciglia lunghe e sottili.
Lo shinobi adagiò lentamente il figlio sul futon accanto alla madre e rimase ad ascoltare quei due respiri che si perdevano soffici fino ai fusuma decorati.

In una muta preghiera, sperò che quel momento di serenità potesse durare non per sempre, ma il più a lungo possibile.









Continua…-








Note dell’autrice sul testo:

1 Hisashiburi (si legge con la i accentata): espressione che i giapponesi usano quando non si vedono per tanto tempo. Sarebbe più o meno come “Ma quanto tempo!”, ma in realtà non credo sia traducibile.
2 Okaeri (si legge con la i accentata): “Bentornato”
3 Fusuma: sono i pannelli scorrevoli interni delle abitazioni tradizionali giapponesi
4 Futon: il letto tradizionale giapponese composto da un materasso che viene srotolato sul pavimento *O*


Angolino dell'autrice:
Bene! Accidenti… Primo capitolo della fanfic che ho letteralmente partorito per il contest GenitoriFigli indetto da v@le e Kureani88. Mi sono classificata 2^ e sono davvero contentissima, perché ho messo tanto in questa storia (forse in questo primo capitolo non si nota, ma nei prossimi di sicuro c’è di più…). Considerando poi il tema, di nuovo la paternità che ho trattato anche in Vertigini, e il periodo in cui mi trovo a descriverla… non lo so… mi sembra tutto strano. Vorrei sapervi spiegare la sensazione, ma non riesco a trovare le parole (buffo eh?). In ogni caso, spero che vi arrivi un pochino della tenerezza, della passione e dell’amore che ho messo in questa storia e nei suoi personaggi.

Ci tengo, come al solito, a congratularmi con la vincitrice: Hotaru! E le altre partecipanti SonSara e Sasori No Danna!
E ringrazio le giudici *inchino* che hanno valutato la mia storia e mi hanno concesso il massimo della proroga (scusate invece me per il ritardo ._.)

Ecco la valutazione che mi hanno dato:



^ 2 Classificato - Lo Spaventapasseri di Urdi ^

Originalità 9 su 10: Molto originale e ben interpretata** Mi ha tenuta incollata al pc per tutti e tre i capitoli** Complimenti!
Interpretazione dell’Immagine 9 su 10: Non c’è che dire ù.ù interpretazione ottima!
Trattazione e IC dei Genitori e Figli 13.5 su 15: Mi è veramente piaciuto il personaggio di Ashura se devo essere sincera ed ho gradito anche come hai parlato dei Kakashi e di Sakumo. Sentivo i loro sentimenti e le descrizioni mi sono parse vive**
Giudizio Personale del Giudice 5 su 5: Voto pieno! Ho adorato questa fic!
Totale 36.5 su 40


P.s. del 2012 IMPORTANTE: un ulteriore ringraziamento devo farlo a suni, una delle mie autrici preferite qui su EFP. Tempo fa, ha lasciato una bellissima richiesta per inserire questa fanfic tra le scelte del sito e non potete capire quanto mi abbia resa contenta. Adesso suni la conosco anche dal vivo e sono davvero contenta :) è una ragazza molto intelligente, adulta, simpatica, con la quale ci si diverte, per cui la sua opinione - a posteriori - oggi vale ancora di più. Grazie, grazie davvero! Rileggo oggi quelle parole e quasi mi emoziono! E dire che son la prima a urlare che son solo ff... haha... al prossimo spritz!!!!

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Capitolo 2
*** 2. Kakashi_pioggia ***


LO SPAVENTAPASSERI
di Urdi

2. Kakashi_Pioggia


“Teru Teru Bozu, Teru Bozu,
portami il sole domani
Se il cielo sarà sereno come lo sogno ti regalerò un campanello dorato.
Teru Teru Bozu, Teru Bozu,
portami il sole domani
Se ascolterai le mie preghiere ti donerò del sake dolce
Teru Teru Bozu,Teru Bozu
portami il sole domani

Se sarà nuvoloso ti staccherò la testa”5




Sakumo piantò l’aikuchi6 nella gola dell’uomo senza alcuna esitazione e il sangue schizzò sulle sue gambe, finalmente libero dalla prigionia del corpo.
“Sasori…non ti avvicinare!” Una voce disperata raggiunse l’Hatake.
L’uomo dai capelli argentei si voltò in direzione del lamento, estraendo la spada dal cadavere senza alcuna fatica.
Una donna con un bambino.
“Papà…” piangeva disperato il bimbo, mentre la madre cercava di farlo stare zitto.
Sakumo si avvicinò alla coppia senza fretta e li osservò a lungo: tremanti lo fissavano con puro terrore negli occhi.
L’Hatake vacillò.
Fino ad allora non aveva mai avuto ripensamenti, aveva dovuto uccidere per non essere ucciso, per tornare da sua moglie e da suo figlio. Cosa che l’uomo esanime sulla strada sabbiosa non avrebbe più potuto fare. Tanto valeva ucciderli tutti!

Il jonin strinse l’impugnatura dell’aikuchi fino a sbiancarsi le nocche.
Gli occhi castani del piccolo Sasori lo fissarono sgranati.
Occhi di un bambino, come quelli di Kakashi quando si svegliava la notte in preda ad un terribile incubo. E la schiena di una donna che proteggeva il suo bambino; la schiena di Ashura mentre si spazzolava i capelli…
/Ashura…/ pensò tristemente, correndo a qualche mese prima, alla prematura scomparsa della moglie a causa di una grave malattia.
La ricordava ancora, mentre gli diceva di occuparsi del loro bambino, di crescerlo come avrebbero fatto insieme. Ricordava Kakashi che, ancora incapace di parlare sembrava volerle impedire di morire, allungando le braccia verso il suo corpo spento.

Sakumo preparò il colpo.
Niente esitazioni. Tu vivi loro muoiono.
E’ necessario…? E’ necessario.

L’ultima cosa che avrebbe visto, prima di saltare via, sarebbe stato il sangue sul viso del piccolo Sasori in lacrime.

##


Kakashi dondolava le gambe corte osservando il Teru Bozu appeso che si muoveva al tocco del vento freddo.
Fuori pioveva incessantemente. Da giorni.
A nulla era servito il talismano, così Kakashi si allungò nel tentativo di afferrarlo, ma era davvero ancora troppo piccolo per arrivarci.
Con lo sguardo, il bambino dagli occhi neri sembrava dire:
“Non mi hai portato il sole, ti staccherò la testa.” E con esso non era arrivato neppure suo padre.
Dove si erano nascosti Sakumo e l’astro del giorno?
Perché doveva rimanere sempre ad aspettarlo, mentre il capoclan cercava di attirare la sua attenzione sulle armi?

Kakashi, ormai arresosi alla vittoria di Teru Bozu, osservò gli spaventapasseri che sotto la pioggia rimanevano dritti a difendere i campi.
Forse avrebbe dovuto anche lui mettersi lì in mezzo ad aiutarli, dopotutto era uno di loro, pensò, l’attenzione sull’amuleto ormai svanita.
Il bambino, allora, si alzò in piedi e corse giù, nella pioggia battente e fredda tanto da congelare tutto.
Legò per bene il fazzoletto sul viso, proprio come quello che avevano gli altri spaventapasseri ed attese a braccia aperte.

Rimase lì qualche ora, prima che Yuka, la domestica che serviva gli Hatake da decenni, lo trovasse fradicio e infreddolito.
“Che cosa stai facendo?!” lo rimproverò, ma il bambino si limitò a guardarla.
Proteggeva i campi…e aspettava papà.
Si sentiva così terribilmente solo in quella casa, con la pioggia. Voleva riabbracciare Sakumo e giocare con lui, farsi raccontare di quanto era vasto il Paese Del Vento e di come aveva sconfitto gli ultimi nemici!
Ma papà, come sempre più spesso accadeva, non c’era.
Allora se ne stava lì, solo gli occhi scoperti, attendendo di vedere la figura dell’uomo in fondo alla strada che scendeva dalla collina, ignorando di quante volte lo avesse fatto anche sua madre.

Yuka dovette quasi prenderlo di peso per convincerlo a rientrare e una volta in casa si premurò di asciugarlo con un grosso panno bianco, sfregando sulla pelle ghiacciata.
Mentre stavano lì, in mezzo al corridoio che dava sull’ingresso, Sakumo fece la sua comparsa.


Kakashi, ancora avvolto nella spugna bianca, come un gatto che alza la testa incuriosito guardò verso il Genkan7.
“Papà!” esclamò felice, indifferente alle macchie di sangue che si allungavano sulla divisa del jonin.
L’uomo sorrise debolmente e accolse il figlio fra le braccia.
“Kakashi, come mai sei mezzo nudo?” chiese, improvvisamente dimentico di quello che era accaduto a Suna due giorni prima e che lo aveva tormentato durante il tragitto del ritorno.
“Voleva proteggere i campi…” sorrise bonariamente Yuka.
Sakumo prese l’asciugamano e lo strofinò sulla testa del figlio.
“Sei stato di sicuro di molto aiuto.” Commentò con orgoglio, mentre Kakashi gli rivolgeva un sorriso impagabile.
Il jonin lo contemplò felice, ma qualcosa dentro di lui lo faceva sentire amareggiato.
“Teru teru bozu!” l’esclamazione del bambino però distrusse qualsiasi elucubrazione.
L’uomo per un attimo non capì, poi, sentendosi tirare per una manica, vide il figlio indicare il pupazzetto appeso vicino alla porta.
“Piove.” Continuò imbronciato Kakashi.
Sakumo allora si avvicinò ed afferrò l’amuleto che serviva per scacciare la pioggia, staccandolo dalla sua cordicella.
“Che cattivo, non ha fatto il suo dovere, hm?” chiese il jonin al figlio, mentre gli consegnava il piccolo omino di carta.
Kakashi annuì ripetutamente, rigirandosi l’oggetto tra le mani con interesse.
“Yuka, per cortesia, mi prepareresti un bagno?”
“Certo signore.”
“Ti ringrazio.”

L’uomo riportò l’attenzione su suo figlio.
“Sei freddo Kakashi, fai un bagno con il tuo papà, ok?”
Il bambino si illuminò in un altro sorriso ed annuì felice, mentre l’uomo lo lasciava andare.
Sakumo lo osservò correre verso la stanza da bagno, a piedi nudi, e decise di lasciar perdere gli ultimi avvenimenti. Eppure qualcosa dentro lo faceva sentire meno orgoglioso di un tempo di essere la Zanna Bianca della Foglia.

Teru Bozu sul pavimento, la testa staccata dal corpo, sembrava osservarlo con accusa.


##


Sakumo si coricò accanto a Kakashi, avvolgendolo nella coperta del futon con delicatezza. Il bambino con il viso affondato nel cuscino, dormiva sereno, immerso nella dimensione del sonno.
Si sentiva in colpa per averlo trascurato tutto quel tempo, ma la guerra non aspettava i comodi dei soldati, la guerra si prendeva i suoi tributi, a caso, come la vita stessa.
Accarezzò una guancia morbida e il bimbo si mosse impercettibilmente, avvertendo quel tocco leggero.
“Spero siano dei bei sogni.” Mormorò l’uomo, stanco, ma preda dell’insonnia.
Non poteva dormire, perché la notte gli aveva riportato davanti agli occhi il pianto di Sasori.
Lo stesso pianto che avrebbe potuto vedere sul volto del proprio figlio.
Come avrebbe fatto allora per proteggere Kakashi? Ne sarebbe stato in grado?
Non si era mai fatto paranoie sulle proprie capacità, era famoso per essere uno dei migliori e non avrebbe mai permesso che qualcuno portasse sul viso del suo bambino tanta disperazione.
Eppure, quando la solitudine della notte si addensava, quando Ashura sembrava ormai solo un ricordo sbiadito e lontano, si faceva prendere dall’incertezza.
Perché li aveva uccisi?
Cosa ne sarebbe stato del piccolo bambino dai capelli rossi?
Perché non aveva ucciso anche lui?
Erano domande piene di retorica.
Lui sapeva perché lo aveva fatto: perché era un padre e il suo bambino era l’unica cosa per cui ora valesse la pena tornare a casa. Per vederlo sorridere, per vederlo corrergli incontro, per dimenticare l’orrore della guerra.
Guardare attraverso i suoi stessi occhi neri, che sembravano catturare tutto il male che aveva provato in missione, fino a disperderlo come un filtro.
Non avrebbe mai potuto toccare un essere puro come lui.
Però gli aveva distrutto l’infanzia.

Kakashi, quasi avvertendo il nervosismo del genitore, aprì gli occhi all’improvviso.
Sakumo lo guardò preoccupato.
“Hai fatto un brutto sogno?” chiese sottovoce.
Il bimbo sbatté le palpebre un paio di volte nella penombra della stanza, poi annuì in un’espressione indecifrabile.
“Era solo un sogno.” Lo rassicurò Sakumo, accarezzandogli la testa.
Kakashi allora si avvicinò maggiormente al padre e lo abbracciò, nascondendo il viso sul suo petto.
Il jonin ricambiò l’abbraccio e sorrise.
“Ci sono io.” Sussurrò, cullandolo lievemente, fino a riportarlo sulla soglia del sonno.

Quando il respiro del figlio si fece regolare, anche l’uomo avvertì l’insonnia scivolare via.

####


Kakashi aprì gli occhi lentamente, avvertendo del movimento attraverso i pannelli. Suo padre non c’era, era solo nella stanza, eppure fuori sentiva la sua voce sussurrare qualcosa a qualcuno.
Le ombre nel corridoio sembravano agitarsi, muovendosi avanti e indietro quasi impazzite.
Il ragazzino fece scorrere la porta e vide suo padre afferrare l’aikuchi, assieme al porta kunai.
Una missione?
“Papà…” sussurrò, ancora assonnato, sfregandosi gli occhi.
L’uomo si voltò e gli rivolse un sorriso.
“E’ molto presto Kakashi, torna a dormire.”
L’interessato non calcolò quella frase.
“Vai via?”
“Sì…”
Un lampo di tristezza balenò negli occhi del ragazzino, ma Sakumo riuscì ugualmente a coglierlo.
L’uomo si portò vicino al figlio e gli si inginocchiò di fronte per portarsi alla sua altezza.
“Tornerò presto.” Promise in un sorriso e Kakashi annuì, senza nascondere un po’ di malinconia.
Poi, come risvegliato da un insolito torpore il ragazzino alzò lo sguardo determinato.
“Quando tornerai, sarò un chunin.”
L’uomo, il cui sorriso si era incrinato verso l’amarezza per lasciare il figlio, tornò a guardarlo con orgoglio.
Una parte di lui avrebbe voluto dirgli “Stai attento” o “Potresti partecipare tra qualche anno, non c’è fretta”, ma riuscì semplicemente a mormorare, un:
“Festeggeremo la tua promozione quando torno, allora.”
Il ragazzo, incoraggiato dalle parole di quel mito vivente che era suo padre, si riempì d’orgoglio.
Lo avrebbe fatto per lui, dimostrandogli quanto fosse forte.



Ma da quell’alba in cui Kakashi aveva osservato uscire suo padre passarono, lenti e densi, otto mesi.

Il ragazzo, ogni tanto tornava con lo sguardo lungo la strada che scendeva dalla collina.
Aspettava, nelle pause dagli allenamenti con suo nonno.
Aspettava con in testa il sorriso di suo padre, ansioso di fargli vedere quanto fosse diventato forte.
Aspettava, quando camminando per il villaggio qualcuno lo fermava ed iniziava a dire:
“Ah, tu sei il figlio di Zanna Bianca? E’ in missione? Portagli i miei saluti! Portagli i miei onigiri…”.
Aspettava quando era in missione, mentre cercava di prendere sonno su un albero.
Aspettava talmente che l’ansia lo aveva iniziato a corrodere dentro, lenta e fastidiosa come un tarlo.
Aspettava suo padre.
Aspettava di potergli parlare.
Aspettava immobile.
Aspettava.


A volte, in quell’attesa di brulicante nervosismo, lo sfiorava l’idea che magari non sarebbe tornato; ma la scacciava subito. Sakumo non era uno stupido amuleto, costruito dagli uomini. Suo padre era come quegli spaventapasseri che sotto la pioggia difendevano il raccolto. Anche se ormai era grande per capire che erano inutili contro di essa, li ammirava lo stesso: gli facevano compagnia quando ritornava a casa, immobili a osservare la strada, ad attendere assieme a lui.


E così, un’altra notte scese in quei lunghi otto mesi.
Una notte fatta di cigolii, di rumori sordi e lontani, di pioggia e vento.

Kakashi cercava di prendere sonno, sdraiato su un fianco, una mano stretta sull'impugnatura di un kunai.
Da quando aveva iniziato ad andare fuori in missione, si era abituato a tenerlo con sé a protezione, a sostituire il calore di suo padre.

E quando il fusuma si aprì lentamente, il ragazzo meccanicamente uscì dal futon stringendo l’arma, pronto all’attacco.
“Kakashi, sono io.”

Sakumo osservò atterrito la figura del figlio che ancora lo minacciava. Non avrebbe mai voluto vederlo così, immerso in quella stessa dimensione in cui aveva vissuto lui. Timoroso persino di non riuscire a riconoscere il proprio padre.
“Sono io, davvero.” Cercò di dire, avvicinandosi, mentre l’altro lo guardava dubbioso.
Il ragazzo abbassò l’arma, lasciando che cadesse sui tatami. Rimase ancora a guardare la figura dell’uomo, illuminata debolmente dal chiarore della luna che filtrava dalla finestra.
Lo aveva aspettato così a lungo…
Non riuscì a frenarsi e lo abbracciò di slancio, ispirando il suo odore, che sapeva di sudore e fatica, di sangue e distruzione, ma era pur sempre l’odore di quel padre che aveva atteso per tanto tempo.

L’uomo scompigliò affettuosamente i capelli del figlio, lo sguardo più stanco di quando era partito, forse addirittura più vecchio.

“Sei un chunin, hm?” il ragazzino annuì con orgoglio, staccandosi dal padre per non mostrarsi troppo debole.
Sakumo sorrise nel vedere quegli occhi, tuttavia l’orrore che provava ormai era troppo grande perché solo quelli riuscissero a filtrarlo.
“Sono fiero di te. Domani festeggeremo in grande stile.”
“Raccontami della missione.” Chiese invece il ragazzo, ormai troppo eccitato per pensare di rimettersi a dormire.
“Ne hai uccisi tanti?! E che tecniche hai usato?”
Sakumo rise a quelle richieste, sentendo le ferite bruciare.

Solo quelle?

“Forse dovremmo parlarne domani.”
“Ma domani…” Kakashi si bloccò.
Domani poteva essere di nuovo lontano, in un’altra lunga missione e lui voleva godersi ogni singolo attimo che avrebbe passato con il suo papà.
Sakumo colse quella frase non detta e il suo sorriso si fece più amaro.
Il suo ragazzo a sei anni parlava e pensava già come un uomo, come un ninja.
Ashura cos’avrebbe pensato?

“Va bene, prepariamoci un tè.”


##
##

Shuei urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, quando le fiamme aggredirono le sue gambe.
Tutto bruciava intorno a loro.
Tutto.
Vide la figura di Sakumo sfumarsi tra i riflessi di calore e pensò che fosse davvero troppo lontano.
Il fumo lo fece tossire, mentre la pelle si scuriva. Cadde a terra, incapace di reggersi in piedi.
Il dolore era così forte che lo sentiva in ogni altra cellula del corpo, come un riverbero di onde infuocate.

“Shuei!” un richiamo gli fece alzare la testa.
“Sakumo…” i formalismi in quel momento persero di consistenza e Shuei riuscì semplicemente a sputare a fatica quel nome.
Sakumo si piegò sul compagno di squadra, esaminandone le ferite profonde.
“Capitano… - bofonchiò il ragazzo dai capelli neri, tossendo alla ricerca d’ossigeno - … Andate, presto!”
Il ninja dai capelli argentei sembrò non sentire quell’ordine.
Osservò il giovane martoriato e sfigurato dalla potenza del fuoco ed ebbe un moto di rabbia nei confronti della missione.
Più in là, in una pozza di sangue, doveva aver visto anche Taka.
Cazzo, tutti ma non loro!

“Merda!” imprecò, ormai l’unico a non aver riportato ustioni gravi.
I suoi amici stavano lì, stesi, ormai completamente in balia di una morte che sembrava solo molto lenta, ma certa.

Lo guardavano con gli occhi ricolmi di speranza.

“Sakumo, cazzo, muoviti!” gli urlò Taka, parando un colpo di un altro avversario con le ultime forze rimaste.

Il ninja esitò.
Voleva opporsi a quella condizione che tutto gli stava portando via.
Dopo i suoi genitori, dopo Ashura e dopo gli amici…avrebbe perso anche Kakashi?
Era condannato a rimanere vivo solo lui?
Era per espiare le colpe del suo ego?

Era confuso.
Sempre di più.
Nella sua mente immagini distorte si susseguivano a ruota, in un loop continuo.
Voleva opporsi al destino.
Voleva cambiare le carte in tavola.
Voleva agire da uomo e non da ninja. Sempre per se stesso, come gli suggeriva l’ego, ma non per il villaggio.
La voce dell’onore si fece così flebile che non riuscì più a sentirne l’urlo prepotente che le altre volte lo aveva incoraggiato.

##


Quando Kakashi, in cima alla collina, guardò giù, vedendo la figura di suo padre arrancare si aprì in un sorriso.

Senza neppure rendersene conto, prese a correre incontro allo shinobi con il desiderio di riabbracciarlo.
L’uomo alzò lo sguardo spento nel vedere il proprio figlio e non poté fare a meno di pensare un “Menomale, è ancora vivo” che non avrebbe mai detto a parole.
Kakashi osservò il jonin, incerto.
Quello era suo padre?
Come l’anno prima, quando lo aveva visto tornare dopo otto lunghi mesi, anche adesso sembrava molto più vecchio di quando era partito: gli occhi neri erano scavati, la barba incolta, il viso sfregiato e sporco di fumo.

Anche Sakumo fissò intensamente la figura del figlio: era più alto e sul suo mento faceva mostra di sé una ferita suturata, che scendeva oltre un fazzoletto legato intorno al collo.
“Cosa hai fatto qui?” chiese alzandogli il viso con le dita.
Il ragazzo si staccò da quel contatto, puntando uno sguardo imbarazzato verso il terreno.
“Ero in missione, un ninja della Roccia… mi sono messo i punti, ma non riuscendo a vedere è stato difficile.”
Quella confessione, per Sakumo, fu peggio di qualsiasi altra parola. Al villaggio le voci sul fallimento della sua missione stavano già iniziando a circolare, in più tornava a casa e doveva fare i conti con il pensiero di suo figlio mandato in missione a rischiare la vita. Con gli amici si era opposto, con Kakashi cosa poteva fare?

“Ma, raccontami della missione!” esclamò il ragazzo, cambiando discorso e pensando distrattamente a quanto sarebbe stato meglio coprire quella ferita piuttosto che farla vedere al padre.
L’uomo, lo sguardo mortalmente serio, serrò la mascella.
“Non c’è nulla da raccontare.”
“So che era una missione segreta, ma ho l’opportunità di essere il figlio del migliore...”
L’uomo lo guardò tristemente.
Cosa significava essere il migliore?
Sporcarsi le mani a discapito degli altri?
Lui che miseramente aveva fallito per trarre in salvo i propri compagni. Lui che aveva dovuto sentire l’odio di Shuei che, con ustioni sul settanta percento del corpo, gli urlava contro “Avresti dovuto lasciarmi morire!”

Le voci dal villaggio, sembravano avere la forza di uscire dalle mura e di arrampicarsi con lui sulla collina.
Cosa poteva dire a quel figlio? A quegli occhi, che ormai erano colmi di dolore tanto da amplificare il suo?
Sentiva nella testa quel chiodo spingere nel suo cervello, come quando aveva saputo che sarebbe diventato padre.
Eppure la sensazione era inversa, era tanto dolorosa che se si concentrava un poco poteva sentire la pazzia arrivare.
Doveva ammettere il fallimento.
Doveva ammettere il disonore.
Il chiodo premette ancora più forte.

Kakashi non riuscì a smettere di guardare l’uomo, aspettando una risposta. Ma non arrivò mai, le ultime parole che Sakumo gli rivolse furono un ordine ben preciso:

“Torna ad allenarti! Non c’è più nulla che io ti possa raccontare.”





Continua…-


Eccoci qua! Anche il secondo capitolo è andato. Ci tengo a scusarmi per l’assenza, ma sono stata costretta a letto da una brutta influenza ce mi ha fatto stare malissimo. Purtroppo ho perso una preziosa settimana e quindi dovrò recuperare. Le consegne finali si avvicinano e i miei tempi di scrittura si allungheranno. Sigh… lo dico per le altre fics in corso (a chi fosse mai interessato XD). So che sono già molto lenta, ma vi assicuro che non mi è molto facile consiliare tutte le cose da fare.
Vi ringrazio comunque dell’entusiasmo espresso per questa mini fic sugli Hatake J vi adoro!^_^
Presto il prossimo (ultimo) capitolo ondine.

Urdi


Note dell’autrice sul testo:
5 Teru Teru Bozu: l’ho scritto con i nostri segni senza mettere trattini, così, anche perché tutte le parole in giapponese usate, sono state messe con caratteri diciamo…occidentali. Quindi niente segni, che tanto confonderebbero solo i lettori. In ogni caso il Teru Teru Bozu o Teru Bozu, è un amuleto a forma di omino che i giapponesi costruiscono artigianalmente con della carta o della stoffa, mettendolo davanti alla finestra (o attaccandolo all’ombrello), per scacciare la pioggia (per la storia intera wikipedia). La filastrocca all’inizio della seconda parte è stata presa da wikipedia.
6 Aikuchi: spada a lama corta giapponese
7 Genkan: E l’ingresso tradizionale, dove i giapponesi si levano le scarpe


Risposte ai commenti:
@Slice: Non sono stata padre, forse proprio per questo mi affascina la figura paterna. Mi incuriosisce e intenerisce (si dirà?XD bah) la figura di un uomo che accudisce il figlio, proprio perché mi è estraneo il senso di paternità. Voglio dire, per una donna il senso di maternità è qualcosa di istintivo, che arriva anche se lo respinge, a parte della sua natura (che lo voglia o no). Invece per l'uomo questa cosa è diversa, per lo meno nella maggior parte è come se fosse esterna e lontana. E'per questo che mi piace avere a che fare coi papà, che spesso sanno essere più bravi di certe madri, che come dicevo, per assurdo dovrebbero averlo nel dna in modo più "marcato". Sono felice che ti piaccia il nome Ashura. Volevo che fosse un bel nome, solenne... boh... a volte... XD Ralegrati, questo era l'unico capitolo positivo :) grazie dei complimenti T_T sei sempre adorabile *bacino*
@Suni: Suni che recensisce una mia fic...oddea, respiro *O* ok. Niente... è che sei una delle mie autrici preferite e ricevere complimenti da te è davvero da... argh... oddea.. imbarazzo vecchio stile con guanciotte color rosso porpora! Io sinceramente spero che la fanfic ti piaccia fino alla fine e che conitnuerai ad apprezzarla... :) sono ancora convinta che nonostante la divisione in capitoli, vada letta tutta insieme u_u Mah... Sono pazza. Grazie mille comunque*_*
@Hotaru: Per prima cosa: congratulazioni per il primo posto! Lo hai proprio meritato *_* la tua storia è bellissima *_* Poi... grazie dei complimenti! Questa storia è stata sul serio un parto, quindi spero che anche il resto, per quanto amaro, non ti deluda. Io più la rileggo più ci trovo pecche, ma sono felice che almeno agli altri piaccia :) Mi sono fatta l'idea che la madre di kakashi non fosse una figura così importante e che, per lo meno, lui avesse un rapporto più stretto con il padre. Ma questo può essere dovuto per tanti motivi (io ho scelto di farla morire, ma potrebbe anche essere solo perché Kakashi è un maschio ed era più affine e legato a suo padre, perché era un mito vivente che ammirava con tutto se stesso). Ti ringrazio tanto *___*!
@Bravesoul: Grazie mille, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. :)
@beat: Grazie mille! Non è stato facile immaginare Sakumo in verità, però sono soddisfatta del risultato :) e di questo capitolo cosa ne pensi?

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Capitolo 3
*** 3. Sakumo_chiodi ***


Lo Spaventapasseri
di Urdi

3.Sakumo_Chiodi



Che cosa si infilava nella testa di un uomo per convincerlo a togliersi la vita?
Era forse il disonore, il crollo delle certezze, la paura di non poter più tornare ad avere lo splendore di un tempo?
Era forse un chiodo, come quello avrebbe attentato alla vita di Kakashi in un giorno di giugno?
Di sicuro aveva la stessa forma, sottile e pungente.
Aveva la capacità di infilarsi proprio in quell’ingranaggio tra la ragione e il sentimento, capace di far sballare tutto.

Così persino il suo cervello smise di ragionare in modo lucido, mettendo davanti ai suoi occhi solo le immagini del suo fallimento.

Sakumo, inginocchiato nella propria stanza, osservava il suo riflesso sulla lama dell’aikuchi. Non si riconosceva, o meglio, si sentiva come se quello che stava lì a guardarlo sul filo tagliente dell’arma, fosse un uomo che non aveva mai conosciuto.

Magari c’era sempre stato dentro di lui, da qualche parte, quell’essere così pallido ed etereo da sembrare un fantasma. La solidificazione del suo fallimento.
E più lo guardava, più gli sembrava che la sua bocca si aprisse in un urlo di rabbia.
O forse era lui stesso che gridava, inghiottito dalla sua stessa disperazione.

Era l’urlo di un uomo che aveva cercato di opporsi alle onde della mareggiata ed era stato travolto, finendo sul fondo oscuro e sconosciuto dell’oceano.

Desiderava ardentemente non vederlo più.
Desiderava ardentemente non sentire più quel grido che si mischiava alle frasi di scherno dei suoi amici e degli abitanti del villaggio.
Desiderava smetterla di vedere Ashura che vomitava sangue sui tatami.
Desiderava cancellare lo sguardo cupo di Kakashi che lo osservava con pena, senza sapere come comportarsi.

E dall’altro lato, desiderava poter tornare indietro e capire cosa doveva fare davvero.
Lasciar crepare le uniche persone su cui aveva potuto contare nella sua vita ed evitare di sparire davanti a suo figlio ogni volta che veniva richiamato all’ordine.

Ma la sabbia della clessidra non poteva scorrere verso l’alto.

Lui si trovava di fronte ad un muro talmente alto da non vederne la fine. Non avrebbe potuto mai più scavalcarlo. Circondato dai mattoni, sarebbe stato schiacciato fino a diventare poltiglia su cui gli altri avrebbero sputato.


“Papà…” un suono distante, arrivò veloce come la lacrima che scese dal suo occhio sinistro.

“Come hai detto?” Sakumo guardava incredulo il bambino che allungava le braccia verso di lui, sgambettando impacciato sul pavimento di legno.
“Papà…” ripeté il bimbo con più sicurezza e Sakumo, per la prima volta dalla scomparsa di Ashura, sorrise con amore prendendolo in braccio. Amava quel suono dolce ed incerto.

“Kakashi, perdona quest’uomo, che non ha saputo essere il padre che meritavi. Come Teru Bozu non ho riportato il sole, ma solo altra pioggia.” Sussurrò nella notte, puntando l’aikuchi all’altezza dello stomaco.

“Papà… ma… perché io non ho una mamma?”

Le lacrime divennero due.

Sakumo alzò lo sguardo dalla tazza di tè fumante e fissò il figlio senza sapere cosa rispondere. Kakashi sembrava ormai abbastanza grande da capire, per cui non avrebbe dovuto mentire.
Ma prima che potesse dire qualcosa, il ragazzino lo interruppe:
“Gli altri bambini in accademia, vengono sempre accompagnati dalle loro mamme. Ne vorrei una anche io, perché non posso?”
“Perché è volata in cielo.”
“Perché?”
“Perché… ha perso la strada e non sa come tornare.”
“Allora se la chiamo forte magari mi troverà.”
“Ormai è troppo lontana per poterti sentire.”


Un colpo forte, con decisione.
Sperò distrattamente che quella menzogna raccontata ad un bambino, fosse davvero tale. 
Anche lui presto si sarebbe allontanato, raggiungendo Ashura, ma sperava ardentemente di poter udire ancora quel suono che amava così tanto. Quel “papà” ricolmo di affetto.

Sakumo spinse maggiormente la lama, sentendola lacerare il suo corpo. Il sangue scese a lambirgli le mani e il dolore si fece così acuto che gli mozzò il fiato nella gola.
Ancora un pochino…solo un po’…e poi sarebbe finalmente svanito.



“Papà!” che strano, se si concentrava, quel richiamo poteva quasi udirlo davvero…




##


Kakashi si era svegliato di soprassalto. Dormiva da solo da qualche tempo ormai, più precisamente da quando suo padre aveva perso la ragione. 
Il ragazzo, che ancora non capiva cosa provasse per quella situazione, lo aveva osservato muoversi come un fantasma, delirare parlando a qualcuno che non c’era, tirare le testate sul pavimento sino a sanguinare.
Quando lo trovava così, stentava a credere che quello fosse davvero lui.
Quando aveva iniziato a cambiare?
Il chunin non se ne era accorto.

La sera in cui era tornato da quella missione fallita, non avevano più parlato. 
Lui in imbarazzo e confuso, l’uomo troppo preso dalla rabbia verso se stesso – o il resto del mondo?

Dopo cena, il ragazzo era rimasto ad ascoltare il discorso duro del capoclan, nascosto con Yuka nel corridoio ed aveva così appreso del fallimento della missione e di ciò che aveva comportato.

Il clan lo aveva disconosciuto e così persino Kakashi avrebbe perso il titolo di erede.
Se ne sarebbero dovuti andare, Sakumo e suo figlio, perché nessuno li avrebbe più voluti all’interno di quella famiglia macchiata dal disonore.
Ma alla fine loro due erano rimasti e gli altri se ne erano andati. Troppa era la vergogna.

Così ora c’erano solo loro ed i loro fantasmi, intrappolati in quella grande villa fatta di legno e carta, di amore ed odio.

Da qualche mese ormai Kakashi si occupava di suo padre come se fosse un bambino, pregando ogni volta che fosse un terribile incubo da cui si sarebbe potuto svegliare. Ma quando si trovava a dover medicare le ferite che l’uomo – consapevolmente?- si procurava, capiva che ormai non c’era più nulla da fare.

Suo padre era morto quel giorno.


Il chunin si passò una mano sulla fronte sudata. Da quando suo padre aveva iniziato a dare segni di squilibrio, lui era diventato nervoso e faceva sempre lo stesso sogno: c’era un uomo dai capelli di fuoco davanti a lui. Un uomo con dei chiodi piantati sul viso. In quella dimensione, ne afferrava uno, lo sfilava e glielo piantava in un occhio. A quel punto il ragazzo si svegliava sgomento, sudato e provato.


Anche quella notte era andata così e quando si era svegliato non aveva sentito il sollievo di essere tornato alla realtà. Al contrario, aveva avvertito un gran fastidio all’altezza dello stomaco. Con lentezza si era alzato ed aveva percorso il corridoio, cercando di capire se tutto fosse ancora normale.
Ma più si avvicinava alla stanza di suo padre, più avvertiva la stessa sensazione di quel chiodo che lo svegliava – lo uccideva.
Era un dolore penetrante che prendeva tutta la testa fino alla base del collo.
“Papà!” chiamò, passandosi una mano sulla fronte.
/Sciocco, come se potesse ancora riconoscerti…/

E spalancò la porta, lasciando che la propria ombra si disegnasse sul pavimento della stanza…










“Papà…” soffiò, guardando il corpo di Sakumo riverso sul pavimento in mezzo ad una pozza scura. 
Il sangue nella penombra, pareva inchiostro.



Si era ucciso.



Kakashi lo aveva pensato a lungo come ad un morto che camminava, eppure, dietro a quel corpo ormai magro e fragile, c’era sempre il suo eroe. 
Invece ora, sul pavimento, non era altro che carne.
Sakumo si era arreso.
Questo sembrò il vero fallimento a Kakashi.

“Papà…” mormorò cercando di trattenere le lacrime, mentre si inginocchiava davanti a lui. 
Appoggiò la mano sul collo ancora caldo e notò i segni del pianto su quel viso dall’espressione statica.
Il labbro inferiore di Kakashi tremò proprio come quello di un bambino.
Cercò di tirarlo su, ma si rese conto che ormai era troppo pesante.
“Papà…” pianse infine, abbracciandolo disperato, fregandosene del sangue. Lo abbracciò tanto forte che credeva lo avrebbe spezzato, nel tentativo di imprimersi ancora un volta nella mente e nel cuore la sua essenza. 
“Perché l’hai fatto?” gemette, tirando su con il naso, il viso pressato su quel petto, ignorando il grosso squarcio che si apriva più in basso.
“Avresti potuto vivere almeno per me! Al diavolo l’onore, sei proprio un fallito!” urlò rabbiosamente, ma nonostante tutto non riusciva a staccarsi. Lo odiò, perché era anche lui un essere umano e non il mito che per anni aveva creduto. Lo odiò perché lo aveva lasciato, altro che eroe!

E si sentì solo.



Rimase lì, Kakashi, per qualche ora, sperando di sfuggita che suo padre lo stringesse in quell’abbraccio tornando dalla morte. Singhiozzando nel silenzio, indeciso se essere furioso o infinitamente triste.

Ma Sakumo non sarebbe tornato.

Era solo davvero, senza neppure più la speranza dell’attesa.

Quando le lacrime cessarono, il ragazzo si portò seduto, scivolando con lo sguardo lungo la mano che ancora impugnava l’aikuchi. Con difficoltà la tolse da quelle dita e ne osservò la lama sporca.

Bene, non doveva essere così difficile: si inginocchiò e la puntò contro il proprio stomaco.

Lo sguardo calò nuovamente sul viso dell’uomo, sulla smorfia d’agonia che gli dipingeva le labbra e gli occhi.
Kakashi inspirò ed espirò, bastava un colpo. 
Uno solo.
Eppure gli parve assurdo fare una cosa simile.
Lui non aveva fallito nulla nella sua vita, ma aveva ugualmente perso tutto, eppure…anche se suo padre era riverso sui tatami sporchi di sangue, lui non riusciva ad uccidersi. 

Guardò l’aikuchi di nuovo, poi suo padre.
“Io non sbaglierò. Mai più. Seguirò il codice ninja e non commetterò mai i tuoi stessi errori.”
Mormorò nel buio, legandosi il fazzoletto sul viso a coprire il naso e le labbra.





Così, impugnando l’arma, uscì a contemplare i campi dove gli spaventapasseri, ormai sbilenchi e privi di significato, venivano bagnati dai primi raggi del sole. Si era fatta l’alba ed un altro giorno si levava oltre le montagne.

C’era una brezza gentile che gli accarezzava il volto coperto, che gli scompigliava i capelli, che gli spingeva fuori il dolore. Distrutto nell’anima, giurò davvero di prendere sul serio il suo essere ninja.

Eppure di fronte alla voragine che voleva inghiottirlo, fare promesse non gli sembrava per nulla consolatorio.



Ad uno ad uno, ogni spaventapasseri, perse la testa, come lui perse la fiducia.

# # # # # # # # # # # #










Mio padre getta un altro pezzo di legno nel falò ed il fuoco si discosta velocemente, prima di abbracciarlo affamato.

Noi due, che sembravamo ormai destinati a non vederci più, abbiamo immediatamente fatto i conti con ricordi lontanissimi. Sono affiorati all’improvviso, veloci come il sibilo di quel chiodo che da sempre ha tormentato le nostre menti. 

Fino ad oggi.


E l’intensità con cui abbiamo vissuto quei momenti ha stretto la sua presa attorno al nostro collo, quasi a soffocarci.

“E’ ora di andare.” Dice, alzandosi e porgendomi una mano.

Vorrei dirgli che non ce n’è bisogno, eppure la afferro. E’ calda, dalla pelle ruvida.

“Cosa faremo adesso?”

Ma non è lui a rispondermi.

“Hai continuato a chiamarmi ed io ho trovato la strada.”

Dal buio esce una donna bellissima, dai lunghi capelli argentati e gli occhi come il ghiaccio.

Ed io mi ritrovo bambino, il dolore del corpo lontano.

“Andiamo tesoro.” E non ho bisogno d’altro per capire che si tratta di mia madre. Allunga un braccio verso di me e la manica del kimono scivola sul suo polso.

E più in là, oltre il nero della morte, ci sono tutti: persino Obito, Jiraiya e Minato sensei. E Taka e Shuei.
Sembra una scenografia dipinta ad acquerello…

“Sei stato solo troppo a lungo, spaventapasseri.” Mormora mio padre.

E giuro, giuro che lo vorrei davvero, voltarmi verso Sakura e Naruto, verso Sasuke e Tsunade. Dire loro che sono stati parte di me, che mi hanno insegnato qualcosa… Eppure i loro volti perdono di consistenza e non posso fare a meno di guardare questa luce immensa di cui sono fatte le persone che mi avevano abbandonato.




Un giorno anche io accoglierò i miei allievi, a braccia aperte, come uno spaventapasseri che protegge il grano.




Owari

[8 Febbraio 2009]




Note e chiarimenti (assolutamente random!): 

Le note sono doverose per spiegare alcune cose fondamentali.

Per prima cosa: alla fine è Kakashi che decapita in un impeto d'ira, tutti gli spaventapasseri. Non so ancora adesso perché non ho descritto la scena, ho voluto solo lasciare il dubbio con quella frase che, se vogliamo è anche un po' metaforica u_u ("Ad uno ad uno, ogni spaventapasseri, perse la testa, come lui perse la fiducia.").

Il nome Ashura, scelto semplicemente per “come suonava”, ispirandomi al manga RgVeda delle CLAMP (Ashura-oh, almeno nel manga, poi in realtà non so nella realtà, è il Dio della Guerra, ecco perché volevo che Ashura risultasse piuttosto battagliera). Successivamente cercando online ho scoperto che Ashura è anche una festa islamica, ma questa è pura curiosità.

Mi sono fatta un bel giro su forum e siti sulla gravidanza, per capire come cambia una donna durante questo momento della sua vita. Non credo di aver disseminato particolari troppo precisi in verità, però mi sono fatta una cultura. 
In ogni caso, siccome la data di nascita di Kakashi è il 15 settembre (e sono andata in crisi ieri perché su wikipedia italiana hanno messo 10 novembre e non so perché), l’inizio della storia si svolge a Febbraio, questo perché in teoria il bambino dovrebbe essere stato concepito intorno a Dicembre. Quindi è ancora inverno. Quindi nevica. Quindi non dovrebbe causa il clima di Konoha, ma…licenza poetica XD.

I nomi degli amici di Kakashi:
Shuei, scelto assolutamente random ù_ù 
Taka, falco, così. Mi sono immaginata che per il personaggio piuttosto robusto e forte ci stesse bene XD
Yakushi-san è il medico, padre di Kabuto ù_ù e/o suo parente, but non è utile al fine della trama XD


All’inizio la fanfic è in prima persona narrata da Kakashi, il pezzo prima del titolo in corsivo va ad interpretazione, ma direi che molto probabilmente è un frase che dice Minato (o Obito) a Kakashi ipoteticamente parlando. Ho preso spunto anche qui da un discorso fatto con un mio amico (per altro lo stesso che mi ha ispirato la Yamato Tayuya XD).

Mi sono poi concentrata all’inizio su Sakumo in generale, sulla donna e sugli amici che condividono la sua vita e sul suo modo di essere e di affrontare la notizia che presto avrà un figlio. Purtroppo avendo ben poche informazioni al riguardo, se non che fosse uno degli shinobi più famosi e temuti di Konoha, ho faticato un po’ a cercare di “creargli un carattere”. Mi sono detta: uno shinobi più famoso dei sannin deve essere uno con le palle. Uno che ha anche l’ambizione dalla sua. Sicuramente poi la nascita del figlio lo avrà condizionato…e da lì ragionando sono arrivata a questa visione.

Penso che più si vada indietro con la storia di Naruto, più le tradizioni giapponesi siano “forti” per questo motivo i legami tra membri dello stesso clan ed il rispetto per lo stesso (seppur presenti anche nel tempo del manga) sono stati sottolineati (anche dal carattere di Ashura, che vorrebbe ribellarsi, ma non lo fa).

Ovviamente ho anche giocato sul nome di Kakashi (spaventapasseri) Hatake (campo coltivato). Ho immaginato che il clan si occupasse anche di agricoltura e per questo motivo fosse fuori dalle mura del villaggio e quindi anche “esterno” a Konoha. Considerando i tratti di Kakashi e padre, ho ipotizzato potessero essere una popolazione nordica. L’idea mi piaceva.


Ed ora, colgo l'occasione per ringraziarvi, sperando abbiate pssato delle ottime vacanze di Pasqua. 
E' stata dura scrivere questa storia e tutt'ora il finale non mi convince, però...boh...le sono affezionata.

Probabilmente scriverò ancora su Sakumo e Kakashi, mi piacciono troppo *_*!

Infine, l'immagine che dovevo scegliere come ispirazione del contest non la metto perché è troppo grnade, ma rappresentava un chiodo. Per le giudici ho colto bene l'ispirazione, voi che dite?°_° Mah...

alla prossima fanfic e grazie, come sempre, del sostegno. Vi adoro!

Urdi


Risposte ai commenti:


@Lalani: Grazie mille per i complimenti, mi fa molto piacere ti sia piaciuta tanto :) Sai, io acnora adesso vedo Ashura come una mary Sue, ma mi sono messa il cuore in pace, perché non ho potuto descrivere altro della sua vita u_u. forse in futuro, chissà... Dovrei suggerire la scena a kishimoto?XD certo, se kishimoto fa il bravo... forse... XD ahah, no dai, scherzo, non sono così presuntuosa. Però sai, volevo dare un'interpretazione davvero diversa di Kakashi. E quell'idea m'è piaciuta subito. Sakumo mi sa di personaggio contorto e poi sono sempre convinta che non sia facile capire cosa porti una persona al suicidio (ecco la domanda iniziale di questo capitolo). Ti ringrazio davvero, mi hai fatto troppi complimenti (sì, c'ho messo anche Sasori T_T poverino... mi sono ricordata che Sakumo ha ucciso i suoi genitori...e ce l'ho infilato). Buona Pasquetta ^__^
@Slice: anche io sono soddisfatta del secondo capitolo. C'ho condensato un sacco di cose che volevo a tutti i costi esprimere e sono felicissima che siano arrivate anche a chi legge. Sei stata davvero troppo carina a dire che io riesco a dipingere e dare profondità alla storia, è una cosa bellissima. Grazie, mi son quasi commossa T_T. Spero di continuare a migliorare, perché nella vita, anche se non si direbbe, sono una frana ad esprimermi XD Faccio sempre dei gran casini u___u'Shuei non è ingrato...è ustionato per il 70% del corpo XD non stava tanto felice della cosa. Io sono in ripresa anche se ho ancora la tosse (e sono a quota 3 settimane!), tranquilla a kakashi e Tenzo penserò io ù_ù/ E le tue rec sono bellissime, perché vuote? Le adoro e ti adoro*__* sei sempre troppo carina!Buona Pasquetta darling *bacini*
@Aya88: se ti ho fatto emozionare anche solo un pochino non posso che ritenermi soddisfatta! ^_^ Che bello... Io sulla scena finale dello scorso capitolo ero dubbiosa, ma mai come su questo terzo. Non lo so, solo voi lettori potrete darmi un parere, perché io l'ho riletta troppe volte XD Ti ringrazio cara della rec e non preoccuparti^_^ a me interessa che leggiate e vi piaccia quello che scrivo, se poi non c'è il tempo di lasciare una rec, amen... Buona Pasquetta tesora!!!
@Bravesoul: grazie mille :) in questo cap si vede un po' di più anche il pensiero di Kakashi, sepro tu possa apprezzarla fino alla fine! Buona Pasquetta :)

Un Grazie anche a chi ha messo la fanfic nei preferiti :)

Aya88, blackhorse96, bravesoul, k14, kaitlee90, Kinuye, Mamo_Chan, slice, suni, _kakashina_














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