The Diary of Jane

di NeroNoctis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Il Rogo ***
Capitolo 2: *** David ***
Capitolo 3: *** Angel ***
Capitolo 4: *** Matt ***
Capitolo 5: *** Jane ***
Capitolo 6: *** E' giunta l'ora ***
Capitolo 7: *** Give Me Novacaine ***
Capitolo 8: *** Lucifer's Angel ***
Capitolo 9: *** Dahlia ***
Capitolo 10: *** Jimmy ***
Capitolo 11: *** Betrayed ***
Capitolo 12: *** Enclave ***
Capitolo 13: *** Shattered ***
Capitolo 14: *** Sanctuary ***
Capitolo 15: *** And All Things Will End ***
Capitolo 16: *** Life Spell ***
Capitolo 17: *** Epilogo: Ashes of Eden ***



Capitolo 1
*** Prologo: Il Rogo ***


"Non lascerai vivere colei che pratica la magia."


America, anno 1516.

La notte era gelida sulla pelle dei presenti, accorsi in massa ad assistere al lugubre spettacolo che stava per palesarsi d'innanzi ai loro occhi. Una bambina stringeva la lunga manica della madre, tentando di guardare oltre la folla che oscurava l'orrendo spettacolo. Luce rossa illuminava il corteo, luce che arrivava da bracieri posti ai lati della piazza e dalle fiaccole degli uomini scelti per compiere quell'impresa. L'intero villaggio era raccolto tutto in un unico punto, non importava che età avessi, o se fossi uomo o donna, l'unica cosa che contava era assistere a quel momento così carico di tensione, momento che rasserenava le famiglie, facendo in modo che passassero notti tranquille senza aver paura di quelle creature figlie del demonio.
Molti uomini dello stesso villaggio furono sedotti da quegli esseri, svanendo per sempre dalla circolazione o iniziando a perdere il senno, lentamente. Gli effetti erano devastanti: omicidi, bestiame infetto o ucciso, rapimenti e sacrifici in nome di dinività oscure. Così, proprio come le donne che praticavano l'arte oscura, persino gli uomini succubi di quei falsi idoli cadevano uno dopo l'altro.
E adesso, toccava a lei. La figura ritenuta responsabile del Periodo Nero. La ragazza dalla pelle diafana e dagli occhi azzurri ghiaccio. La ragazza dai lunghi capelli corvini che si muoveva con disinvoltura tra le vie di quel villaggio, che amava la lettura e raccontare storie ai più giovani. Voci di taverna raccontavano della sua natura di meretrice, ma mai nessuno ebbe le prove di quel suo talento, e chi provava ad indagare, finiva per svanire nel nulla.
Ma un giorno fu tradita da qualcuno, che rivelò la sua vera essenza.

L'essenza della Strega.

E adesso era lì, legata ad un palo di legno. Indossava una semplice veste marrone, logora, probabilmente ricavata da vecchi sacchi di patate ormai in disuso. Quelle vesti puzzavano di sterco e altro, un modo per aggiungere altra umiliazione alle già innumerevoli accuse. I piedi nudi erano poggiati su un mucchio di legna e radici, scuro sangue sgorgava su quel materiale tanto sacro per l'uomo e per la natura.
La ragazza fissava la folla che le si parava davanti. Avevano lo sguardo indignato, colmo d'odio, ma loro non sapevano, non sapevano proprio nulla. Un uomo grasso e dalla mezza età si avvicinò alla strega, puzzava di vino. In mano teneva ben salda una fiaccola accesa, che illuminava il suo volto dandogli un sfumatura quasi demoniaca, facendo sorridere la strega che trovò divertente quel gioco di luci ed ombre.
«Siamo qui riuniti per condannare questa Serva del Demonio.» annunciò l'uomo, voltandosi verso la folla. Passò in rassegna tutta la folla, crogiolandosi nei loro sguardi di ammirazione ed invidia. Chiunque desiderava bruciare una strega, ponendo per sempre fine alla loro vita, vendicando i proprio cari, i propri raccolti e proteggendo i propri figli, vittime predilette delle serve del Diavolo o di altri Falsi Idoli. E tutti desideravano processare l'ultima delle streghe, colei che gettò nello sconforto e nel terrore tutti. Veniva chiamata la Principessa Cinerea, per via della sua pelle pallida e di alcuni corpi trovati sotto forma di statue di cenere.
La folla urlò, compiaciuta. 
«Jane Ember, conosciuta come Principessa Cinerea. Possa la tua anima bruciare in eterno nelle fiamme dell'Inferno.»
Jane non rispose, si limitò ad osservare la folla con un ghigno malefico. Lei sarebbe sopravvissuta, lo sapeva benissimo. Si sarebbe vendicata di coloro che l'avevano bruciata e avrebbe trovato il responsabile, avrebbe trovato l'uomo o la donna che l'aveva venduta. Eppure il suo modus operandi non aveva falle, i suoi seguaci venivano trattati degnamente... chi mai avrebbe tradito Jane, la Principessa Cinerea? 
Adesso non importava, per adesso doveva soltanto limitarsi a fare quello che tutti volevano vedere, doveva bruciare davanti ai loro occhi colmi di desiderio e di rabbia. Sarebbe risorta, aveva dalla sua un incantesimo in preparazione dalla sua migliore allieva. Uno degli incantesimi proibiti scoperti solo di recente, che avrebbe rinchiuso la sua anima in un oggetto magico davvero potente: il suo tomo degli incantesimi, libro dove vi erano raccolte diverse formule e stralci di vita della strega. Un Diario a tutti gli effetti. Dopo che sarebbe morta e la sua anima al sicuro, la sua allieva avrebbe riaperto il tomo, liberandola nuovamente e assistendo alla sua sanguinosa vendetta.
L'uomo avvicinò la fiaccola ai piedi della strega, e le fiamme iniziarono a divampare. Jane sentiva le gambe bruciare, la pelle che moriva e lasciava spazio alla viva carne. Non urlò, osservava semplicemente. La folla sorrideva, parlava, esultava. Le fiamme si fecero via via più alte, bruciando gli stracci che aveva addosso e intaccando il resto del corpo.
Stavolta urlare era la cosa più naturale. Urlò così tanto da far male alle orecchie dei presenti, un urlo freddo, agghiacciante, demoniaco. Pochi attimi e tutto finì, il corpo sfrigolante non emetteva più alcun suono, sancendo definitivamente la morte della Principessa Cinerea. 
Da dietro i boschi, intanto, la sua allieva aveva ultimato l'incantesimo, richiudendo l'anima di Jane nel suo diario, nel suo tomo oscuro. Ma prima che la giovane ragazza potesse riaprire quell'oggetto per liberare la sua padrona, una freccia le trapassò il cranio, facendola cadere senza vita sul diario che conteneva l'anima di quella Strega ache aveva calcolato quasi tutto alla perfezione.

A poca distanza dalla piazza, un ragazzo vestito con abiti di cuoio era seduto al bancone di una taverna. Il luogo era vuoto, illuminato soltanto dalla luce lunare e da una lanterna poggiata sul bancone. Il taverniere stava ripulendo la sporcizia, stanco ormai di quei processi che la maggior parte delle volte erano infondati. Entrambi conoscevano bene Jane, entrambi avevano condiviso con lei molte cose, forse per questo non volevano vederla bruciare. O forse avevano imparato ad odiarla come il resto dei cittadini? Solo il tempo poteva dirlo. Le mani del ragazzo giocavano con la brocca di ceramica, osservando quel liquido rossastro muoversi all'interno. Aveva ordinato il miglior vino, pagandolo una fortuna. 
«William, finisci quel vino e torna a casa. Devo chiudere.»
Il ragazzo bevve tutto d'un sorso e fece per alzarsi, ma le urla agghiaccianti di Jane lo bloccarono, così come bloccaro il taverniere che sentì i peli rizzarsi. Quell'urlo era disumano, una delle cose più inquietanti che avesse mai sentito. Si voltò verso William, che deglutì, bianco in volto. Stava per dire qualcosa, ma quando aprì la bocca iniziò ad irrigidirsi, fino a diventare una statua di cenere che andò in frantumi poco dopo.


Anno 2016, in una remota cittadina americana.

Era ormai ora di cena, e la biblioteca iniziava a svuotarsi. Una ragazza dai capelli castani e dai luminosi occhi verdi salutò velocemente i due ragazzi con cui condivideva il tavolo, uscendo da quel luogo poco dopo.
«Non avete ancora chiarito?» chiese un ragazzo dai capelli ricci, sistemandosi gli occhiali. Indossava una felpa che nascondeva una maglia su cui era raffigurato il logo dei Doni della Morte, mentre i suoi occhi castani mostravano un leggero velo di amarezza.
«Affatto, sai com'è. E' testarda.» rispose l'altro ragazzo, grattandosi la leggera barba incolta. Sapeva che Sarah era una ragazza complicata, ma adesso era decisamente troppo. Condividevano ancora lo stesso gruppo di studi, ovvero lei, lui e Noah, ma i rapporti erano a dir poco glaciali. Sarah era solita chiacchierare con Noah, mentre Jacob non era lontanamente considerato. Tutto nasceva dalla gelosia di lui, a volte eccessiva, ma non poteva farci nulla.
Noah iniziò a raccogliere le sue cose, alzandosi e allontanandosi dall'amico. «Vuoi che le parli io?» 
«Non credo serva a molto. Ci becchiamo domani a lezione?»
«Come sempre.» Noah alzò la mano, svanendo subito dopo dalla porta della biblioteca.
Jacob posò il libro sul ripiano della biblioteca, fino a quando non sentì un rumore sordo provenire da dietro di lui. Non vide nessuno, eccetto una specie di diario che non aveva mai visto prima d'ora. Lo prese, esaminandolo. Sembrava molto antico, pesante. Sopra vi erano incise quelle che sembravano rune, per il resto niente che potesse suggerire a chi appartenesse o di cosa parlasse, così, spinto dalla curiosità, lo aprì. Dovette fare molta forza per riuscire nell'impresa, ma quando ci riuscì un urlo assordante gli fece perdere i sensi. Si risvegliò poco dopo, aiutato dalla signora Coulson, che ascoltò la sua storia, non credendogli. Jacob indicò così il pavimento, notando che il diario era scomparso. Pensò di essersi immaginato tutto, così decise di tornare a casa, ascoltando le varie ammonizioni della signora Coulson.


La spiaggia era vuota, dopotutto in inverno era poco frequentata. Il mare era calmo e la luna illuminava quello specchio d'acqua così cristallino. La quiete di quel paesaggio fu però interrotta da un ragazzo che iniziò a tossire, sdraiato in riva. La sua bocca sapeva di cenere e sale, i polmoni bruciavano. SI alzò di scatto, guardandosi intorno.
«Dove mi trovo?» esclamò, battendo le palpebre diverse volte, convinto di star sognando. Camminò per qualche minuto, osservandosi le mani che dolevano leggermente. Si specchiò su un coccio di vetro rotto, osservando i suoi corti capelli castani, il suo naso, le sue labbra screpolate e i suoi occhi anch'essi castani. 
«Jack?» chiamò, ma una parte di lui sapeva che non avrebbe rivisto più il taverniere. Continuò a camminare, chiedendosi dove fosse finito e ripensando a quello che gli era successo poco prima, ovvero ascoltare le urla di Jane.
Subito dopo il buio.


 

Note dell'autore.
 

Spero che il prologo della mia nuova storia vi sia piaciuto. Ero convinto di non scrivere nulla per un po' dopo Sephiroth, ma evidentemente non è stato così. La storia sarà ambientata principalmente ai giorni nostri, coinvolgendo un po' di protagonisti. Mi concentrerò molto anche sulle loro storie, ritengo che per avere un personaggio che funzioni, serva anche un background che funzioni. Quindi alternerò momenti di pura storia a momenti più introspettivi e di background. 
Non mi dilungo troppo, fatemi sapere cosa ne pensate e se volete lasciate una recensione con critiche o commenti vari, ve ne sarei molto grato.
Per il resto, alla prossima!

Marco / NeroNoctis

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Capitolo 2
*** David ***


La luna illuminava fievolmente la giacca dell'uomo che stava fissando una lapide di fronte a sè. Il cimitero, dato il tardo orario, era vuoto, silenzioso. Un vento leggero carezzava la guancia di quella persona, che tuttavia sembrava non curarsene troppo. I suoi occhi verdi erano illuminati dalla luce lunare, mentre i suoi capelli castani erano leggermente umidi, dovuti ad una doccia fatta poco prima. L'uomo si passò una mano sulla nuca, passandola successivamente sulla leggera barba incolta. Si chinò di fronte alla tomba, carezzando con fare delicato i caratteri: 

Eliza Carter 
Nata 20 Agosto 2006
Morta 15 Marzo 2015

 

Sospirò, ripensando a quanto la sua vita fosse profondamente cambiata dall'assassinio di sua figlia e, la cosa peggiore, era che l'assassino era ancora in circolazione. David aveva giurato su quello che aveva di più prezioso al mondo che avrebbe fatto giustizia. Doveva farlo, per la figlia, per la sua famiglia e per sè stesso.
Sistemò i fiori di quella tomba e restò a fissarla per un tempo indefinito, fin quando il suo cellulare non vibrò. Lo prese, svogliato, leggendo il nome che comparve sul display: Scott.
Scott era il collega di David, lavorano entrambi nella polizia, anche se David era un detective mentre Scott un semplice poliziotto. Si conoscevano sin da piccoli, decidendo di entrare in polizia insieme. Avevano passato tutto insieme: pericoli, amori, risate, casi irrisolvibili, matrimoni. Entrambi erano testimoni l'un dell'altro, anche se il matrimonio di David era andato leggermente alla deriva dopo la morte di Eliza.
Lesse il messaggio, che recitava: "C'è stato un incidente di fronte il bar di Sam, suppongo tu sia in zona."
David sbuffò, passò la mano sulla tomba di Eliza e si diresse al luogo dell'incidente.


Non appena arrivò, trovò un auto schiantata al muro e un ragazzo vestito in modo strano seduto sul pavimento, visibilmente confuso. David mostrò il distintivo e si avvicinò all'auto, assicurandosi che i passeggeri fossero illesi, ma fu deluso quando un medico gli comunicò che erano stati portati in ospedale per delle fratture multiple. Esaminò l'interno dell'auto: leggere macchie di sangue erano presenti sul vetro, entrambi gli airbag non erano stati attivati e le cinture erano bloccate. Ad una prima occhiata sembrava che i passeggeri indossassero quei dispositivi di sicurezza, bloccati a misura d'uomo, se solo non avessero indossato le cinture, la situazione sarebbe finita in tragedia. Vista così sembrava un semplice incidente, ma stava ascoltando diverse voci di Sam, che raccontava che quel ragazzo era entrato nel bar ordinando qualcosa da bere, seppur sembrasse venuto da un altro pianeta. Osservava tutto con aria strana, e tutti ricambiavano quello sguardo soffermandosi sui suoi vestiti. Quando Sam chiese se avesse i soldi necessari per pagare, il ragazzo posò qualche moneta d'argento sul tavolo, così Sam lo invitò gentilmente ad andare fuori dal locale. Una volta uscito, si sentì un'enorme schianto.
David osservò il ragazzo vestito in modo strano e gli si avvicinò.
«Sono il detective Carter, può dirmi cos'è successo?» disse in modo meccanico, quasi fosse una registrazione mandata in loop da decenni. Ricordava che la prima volta che pronunciò quelle parole fu in un caso d'omicidio e nonostante la gravità della situazione, lui era tremendamente eccitato. Adesso l'eccitazione aveva lasciato spazio alla monotonia, tranne quando si dedicava a quel caso irrisolto che portava il nome di sua figlia.
Il ragazzo fissò David, occhi azzurri che si scontravano con occhi verdi. Tremava, guardandosi intorno in modo ossessivo. Blaterava cose come mostri metallici, esseri luminosi e simili, portando il detective a pensare che fosse ubriaco, cosa che era impossibile dato che Sam l'aveva buttato fuori senza servirgli da bere.
«Come ti chiami?» chiese infine, sperando che una domanda innocua potesse tranquillizzarlo. Il ragazzo, sentendo quelle parole fissò l'uomo, come se l'avesse notato davvero solo in quell'istante. I suoi muscoli si rilassarono, anche se la sua espressione era sull'attenti, pronto a reagire a qualsiasi pericolo.
«Il tuo nome.» disse ancora, fin quando il ragazzo non aprì bocca.
«William.»
«Bene William, devo portarti con me per qualche domanda.»
David si avvicinò a William, afferrandolo per un braccio, ma il ragazzo tornò ad agitarsi finendo per scottare la mano di David, che la ritrasse subito.
I due si guardarono, successivamente l'uomo fissò la sua mano rossa e pulsante. Era ustionata, come se avesse toccato un ferro rovente. William, notando cosa aveva appena fatto, di colpo si calmò e si avvicinò a David, chiedendogli di perdonarlo. L'uomo annuì, sospettoso e incuriosito al tempo stesso. William iniziò a incamminarsi, seguito da David che gli mostrava la strada per l'automobile.


Noah era buttato sul letto accanto ad un libro con su scritto Il Ladro di Anime mentre ascoltava musica a palla. Era un ragazzo normalissimo, figlio unico di una famiglia normalissima con una vita normalissima. Aveva sviluppato passioni per la musica rock metal, tuttavia non disdegnava anche la musica commerciale a volte, principalmente quando era in compagnia degli amici. Camera sua era tappezzata di poster di varie band, videogiochi e serie tv o film, mentre la tv accesa aveva una schermata in pausa di Uncharted 4. Odiava tutto ciò che era "mondano", come le discoteche o le serate ad ubriacarsi tipiche dei ragazzi della sua età. Usava quel termine perchè non sapeva come definire i ragazzi che avevano quelle passioni, o più semplicemente perchè era un amante di Shadowhunters e usare quel termine lo gasava, cosa che comunque nessuno avrebbe capito. Il suo personaggio preferito era Simon, nonostante lui odiasse i vampiri moderni. Riteneva che il genere vampiresco dovesse tornare agli albori di un tempo, con vampiri che fossero succhiasangue, non tizi smielati che fossero eroi o ricoperti di pailletes luminose. Simon era una delle sue poche eccezioni, insieme ai fratelli Salvatore di The Vampire Diaries o alla gang di Originali capeggiati da Klaus Mikaelson.
Le parole dei Three Days Grace riecheggiavano nella stanza, con la canzone Never Too Late, fin quando il suo telefono non vibrò. Il ragazzo lo raccolse e lesse il messaggio. Era Kristine, la ragazza di cui aveva sempre avuto una cotta e che finalmente da qualche giorno aveva risposto ad un suo messaggio. La prima volta che la contattò fu su Facebook, invitandola a prendere qualcosa quando sarebbe tornato dal suo viaggio. Risposta? Visualizzato. 
La seconda volta le scrisse scherzosamente che aveva intuito che non volesse uscire con lui, ma la risposta fu la stessa di prima... beh, non che un semplice visualizzato potesse definirsi una vera risposta. La svolta arrivò quando fu le a scrivergli, con Noah che era letteralmente saltato in piedi dall'emozione, nonostante il messaggio contenesse un semplice "Ehy!"
Adesso si sentivano quasi regolarmente, ma Noah non aveva mai accennato a cosa provasse per lei, nonostante sapeva che lei ne era a conoscenza, colpa di amiche in comune. I loro discorsi erano quelli classici, discorsi di circostanza. Gusti, cosa fai, dove vai nel weekend e chi più ne ha più ne metta.
Rispose a quel messaggio, aspettando la successiva risposta di lei, ma quando il cellulare vibrò di nuovo stavolta la mittente era Sarah.
"Hai sentito Jacob? Continua a non rispondermi..."
Noah rispose di no, così provò a chiamare l'amico. In genere quando litigavano quei due erano ingestibili, ma per fortuna Noah riusciva sempre a parlare con entrambi o farli ragionare. Chiamò diverse volte Jacob, ma non rispondeva nessuno, tranne all'ultima chiamata. Noah chiamò Jacob, ma l'unica cosa che sentì fu uno strano rumore metallico seguito da una risata femminile, quella classica da film horror.
Noah restò col telefono in mano, con un brivido che gli attraversava la schiena.


Jacob era a letto, agitato. Teneva gli occhi chiusi, sembrava stesse sognando. La sua fronte era imperlata di sudore e il suo volto cambiava continuamente espressione. Nel sogno Jacob camminava in una foresta, mentre un villaggio poco distante era illuminato da una sorta di falò a centro piazza. Il ragazzo sentiva freddo, era inquieto, come se qualcuno lo stesse osservando. Inciampò su un ramo d'albero, finendo con il viso su qualcosa di duro. Inizialmente pensò si trattasse di una pietra, ma non appena alzò il viso notò essere il Diario che aveva trovato in biblioteca. Scattò in dietro di colpo, finendo su una ragazza bellissima, occhi azzurri e capelli corvini. La ragazza gli diede un bacio sulla guancia, mentre con un unghia gli graffiò il braccio. La ragazza rise di gusto e Jacob si svegliò di soprassalto.
Andò in bagno a lavarsi il viso, era ancora agitato. Sentiva uno strano sapore di sporco in bocca, come se avesse mangiato una sigaretta accesa. Passò le mani bagnate sul suo volto e si asciugò, ma prima di uscire dal bagno, dallo specchio notò un graffio esattamente nel punto in cui la ragazza del sogno l'aveva ferito. Analizzò meglio quella ferita, pensando fosse una strana coincidenza, ma quando tornò a specchiarsi, vide l'immagine riflesse di quella ragazza con il Diario in mano, ma quando si voltò, dietro di lui non c'era nessuno.

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Capitolo 3
*** Angel ***


Era già mattino e Jacob aveva un senso di nausea che avrebbe fatto invidia ad un gruppo di alcolizzati dopo l'ennesima sbornia. Scese meccanicamente dal letto, tentando di evitare con lo sguardo qualunque superficie che potesse riflettere. La sua mente continuava a tornare alla sera precedente, fatta di strani incubi e visioni nel bagno e l'unica teoria che aveva era quella di star diventando pazzo. Aveva considerato anche un'alternativa più fantasiosa legata a quel diario ritrovato il giorno precedente, ma era troppo fantasiosa per l'appunto. Indossò una maglia nera e il primo paio di jeans che trovò, dirigendosi al piano di sotto per l'ennesima, noiosa colazione. Non appena arrivò in cucina il solito odore di pancake lo inebriò. Sua mamma aveva sempre preparato i pancake a colazione, con ovvio gradimento del resto della famiglia. Battè più volte le palpebre per abituarsi alla luce della stanza, dato che era piena di finestre per essere sempre ben illuminata. Il tavolo circolare era pieno di piatti e vari succhi, con una brocca di caffè posizionata sul ripiano vicino al fornello, giusto per ogni evenienza. Era la classica colazione allegra, colorata (dovuta anche alle pareti arancioni e alla tovaglia bianco-rossa) e scherzosa. La famiglia di Jacob era abbastanza simpatica, anche se i rapporti fratello-sorella non erano dei migliori. Il ragazzo si sedette al suo posto, riempiendo una bicchiere di succo all'arancia, mentre sua sorella stava mangiucchiando i suoi pancake dopo averli imbevuti di sciroppo d'acero.
«Che brutta cera.» esclamò la ragazza dai lunghi capelli castani osservando il fratello. Da un primo sguardo poteva sembrare la classica ragazza popolare della scuola, ma coltivava diverse passioni di cui tutti al liceo erano all'oscuro, come il pianoforte. Aveva qualche anno in meno di Jacob, tuttavia a volte sembrava averne il triplo per i consigli che sfornava, mentre il resto del tempo era la classica sorella rompi scatole e antipatica.
«Ti prego Jess.» rispose lui sorseggiando il suo succo.
«Avete litigato ancora?» chiese Jessica, osservando il fratello incuriosita. Jacob alzò lo sguardo, guardandola distrattamente. «Si.» si limitò a rispondere, tentando di dimenticare la pessima notte passata. 
«Sai che la sua vita non è facile, si occupa di tutto lei. sarà soltanto stressata.»
«Hai ragione...» rispose il ragazzo, ammettendo che probabilmente sua sorella aveva ragione. Sarah non aveva una situazione familiare idilliaca e lui con la sua gelosia continuava a rovinare tutto, era normale che litigassero. Lei voleva solo star bene quando era in sua compagnia, lui combinava altro. Chissà perché se ne rendeva conto solo adesso... beh, senz'altro avrebbe cercato di cambiare e ora che era tormentato da quelle visioni e incubi, aveva bisogno di Sarah più che mai.
Abbassò lo sguardo sul bicchiere ormai vuoto, ma nella sua mente riecheggiò una voce metallica, demoniaca. «Liberami.»


Noah era in bagno, intento a lavarsi i denti. Come al solito stava ascoltando musica, stavolta gli Evanescence con Bring Me To Life. La sua vita era praticamente la stessa da sempre, amici, hobby vari e musica, tantissima musica. Fosse stato per lui avrebbe ascoltato musica anche mentre dormiva, ma ancora non era a questi livelli. Ripensò alla strana chiamata avuta con Jacob il giorno prima, decidendo di dover parlare con l'amico. Era sicuro che si trattasse di qualche scherzo, ma non era carino far preoccupare così Sarah, non se lo meritava. I due erano praticamente migliori amici, erano cresciuti insieme e condividevano praticamente ogni cosa. Era stata lei a far conoscere a Noah il mondo del rock o alternative metal, così come qualche serie tv. Sarah era stata la sua enciclopedia per quello che successivamente divenne uno stile di vita, cosa di cui la ringraziava sempre. Sputò il dentifricio ed uscì dal bagno, già pronto. Afferrò lo zaino e si diresse fuori dalla stanza, mentre con il cellulare in mano scriveva un messaggio a Sarah.


Sarah afferrò il cellulare, leggendo il messaggio di Noah che diceva dove incontrarsi. La ragazza ripose il telefono e finì di lavare i piatti, successivamente si inoltrò verso la camera da letto, dove sua madre stava riposando. Osservò l'ambiente: le finestre erano chiuse, la luce spenta e l'armadio era leggermente aperto. Un tappeto con qualche vestito sopra decorava quel pavimento, mentre di fianco al letto si ergeva un comodino pieno di medicine, fazzoletti, qualche foto e un pacco di sigarette. Sarah sospirò, togliendo quei vestiti dal pavimento e tentando di sistemare più velocemente che poteva.
«Sarah...» sussurrò sua mamma, che si dimenò sul letto.
«Mamma, io devo andare... hai bisogno di qualcosa?»
«No piccola, no... oggi sento che sarà una grandissima giornata.»
Sarah sorrise, carezzò la fronte di sua madre e successivamente le diede un bacio. Da quando suo padre era morto, sua madre era caduta in un profondo stato di depressione e toccava a Sarah occuparsi di tutto, di lei, della casa. Fortunatamente avevano un po' di soldi da parte, ma non sarebbero durati per sempre e in cuor suo, la ragazza pregava ogni giorno affinchè la madre si riprendesse. Il college era la sua unica via di fuga, insieme a Noah e Jacob, nonostante tutto. Non sapeva come riusciva a conciliare casa, madre e studio, ma in un modo o nell'altro ci riusciva, ma a volte aveva solo voglia di urlare, scappare o spaccare tutto. Uscì dalla camera di sua madre, osservandola un'ultima volta con un amaro sorriso sul viso, dopodiché afferrò le sue cose ed andò via.   


William fissava minacciosamente il televisore acceso mentre David stava preparando la colazione. L'uomo fu certo di sentire il ragazzo imprecare contro lo schermo e lamentarsi di venire ignorato, successivamente tentò di liberare un bambino inquadrato nel servizio di un telegiornale. Durante la lunga notte aveva parlato di cose strane di un passato remoto e chiesto dove fossero nascosti i cavalli, tentando di controllare sotto il cofano senza successo. Fu interrogato dalla polizia locale ma fu rilasciato poco dopo, le sue spiegazioni erano confuse ma alla fine si era arrivati alla conclusione: aveva fatto sbandare l'auto (demone corazzato, così lo chiamava lui) dopo essersi gettato in mezzo alla strada. Arrivati a casa di David accese ripetutamente la luce del salotto, successivamente si addormentò sul divano dopo aver mangiato ed amato la pizza, dicendo che dal luogo da cui proveniva non esistevano cibi magici come quello. David si convinse sempre più che il tizio fosse pazzo, ma quella bruciatura sul braccio lo incuriosiva non poco, tanto da ospitarlo a casa sua. Aveva ascoltato diverse delle sue storie, così dettagliate da sembrare vere... ma non poteva davvero essere un ragazzo del 1500, nonostante abiti, termini e modo di fare praticamente tutto dimostrassero il contrario.
«Devi ancora spiegarmi cosa mi hai fatto al braccio...» disse David, mentre strapazzava un paio di uova. Non era mai stato bravo a cucinare, ma quando se n'era andato da casa si era dovuto arrangiare. A volte tornava per stare con sua figlia maggiore, ma i rapporti con la moglie purtroppo non erano dei migliori dopo la morte di Eliza e di certo lei non gli avrebbe cucinato un bel niente.
«Io...» balbettò William, non sapendo come spiegare a quell'uomo di cosa fosse capace «Possiedo questi doni... ma il mondo li vede come opera del demonio.»
«Che tipo di doni?» chiese David, senza voltarsi. 
In risposta a quella domanda, William chiese all'uomo di lanciargli qualcosa. David lo fissò, titubante, decidendo comunque di lanciargli una forchetta, che William bloccò a mezz'aria e trasformò successivamente in cenere.
«Tu... sei una specie di mago?»
«No... non sono nulla di tutto ciò. Ho questi doni, ma non ne so il motivo. Spero non mi consegnerai all'Enclave adesso.»
«L'Enclave? Senti, io non so di cosa stai parlando. Non so cosa sei, nè tantomeno da dove vieni. Se fossi in una situazione diversa probabilmente sarei scappato a gambe levate, ma ormai nulla mi sconvolge, non più. Questo non è il 1500, siamo nel 2016. Non so come tu sia finito o come riesci a fare quello che fai, so solo che per il momento resterai qua con me, al sicuro.»
«2016...» ripetè William, fissando il pavimento. Ripensò al suo passato, al fatto di nascondere i suoi poteri da tutto e tutti. Non era uno Stregone, non possedeva il Marchio del Diavolo e non apparteneva a nessuna Congrega, ma sapeva di essere diverso da qualunque essere umano. Per tutta la sua vita si era comportato da persona normale, tranne quando incontrò Jane... distolse subito il pensiero da lei, ritornando alla cosa più importante: come aveva fatto a viaggiare nel tempo? 


Un'ambulanza era ferma vicino ad un vicolo, dove un ragazzo giaceva a terra in una pozza di sangue. I paramedici avevano ricevuto diverse chiamate, insieme alla polizia locale, dovute ad una sparatoria. Una volta che le forze dell'ordine e i medici arrivarono sul posto trovarono il poverino disteso a terra, senza vita.
Era un ragazzo che poteva avere circa venticinque anni, capelli castani e occhi altrettanto. Era leggermente muscoloso, e in lui c'era qualcosa che gli donava una certa prestanza nonostante non fosse una roccia. La polizia tentò di identificarlo, senza riuscirci. Il ragazzo non aveva nulla di personale addosso: niente cellulare, niente portafogli, niente di niente.
L'ipotesi di una rapina finita in tragedia si fece molto plausibile, con i vari agenti che si ritrovavano d'accordo tra di loro, dopotutto non era la prima volta che un atto del genere finiva in questo modo. La mancanza di testimoni oculari rendeva il tutto più complicato da confermare, ma probabilmente il caso sarebbe stato presto archiviato.
Uno dei medici si addentrò nel vicolo, portandosi una mano sul naso per l'eccessiva puzza di rifiuti, marcio e per ultimo l'odore del sangue. La cittadina di Lawrence presentava ambienti piuttosto vari, da strade tranquille ad angoli malfamati e pericolosi, come quel vicolo pieno di rifiuti, bottiglie rotte, insetti, topi, fogli di giornali sparsi, liquidi corporei e non ad imbrattare il tutto e ultimo ma non meno importante, quel cadavere.
Il medico si chinò sul corpo senza vita, osservandolo da vicino. Non mostrava lividi, quindi la colluttazione era da escludere. Le uniche ferite riportate erano da arma da fuoco, diverse ferite per la precisione. Un foro che attraversava la testa, uno all'altezza del cuore, tre sul torace e uno che trapassava la gamba. Qualunque cosa avesse visto o sentito quel poveretto da ridurlo in questo modo, doveva essere davvero compromettente... almeno non aveva sofferto, pensò il giovane medico. Si alzò, sospirando, ma si bloccò quando sentì una voce alle sue spalle seguita da rumori vari. Si voltò, osservando quel cadavere riprendere lentamente vita, mentre le ferite mortali si andavano rimarginando subito dopo aver espulso i proiettili dal corpo. Il medico iniziò a tremare, si voltò indietro ma non vide nessuno: i suoi colleghi erano a fare domande o sistemare cose in ambulanza... era solo, solo con quello... zombie?
Balbettò qualcosa, seguita da qualcosa che sembrava la parola "mostro"
«Mostro? La gente mi ha chiamato in tanti modi... mostro non lo sentivo da diverso tempo. Puoi chiamarmi Angel, se lo desideri.»
Il medico restò fermo, fin quando non svenne finendo su qualcosa di appiccicoso. Angel lo osservò cadere, accennando un sorriso. Non era la prima volta che vedeva qualcuno svenire di fronte a una delle sue rinascite, tuttavia la cosa continuava a divertirlo. Si sistemò i capelli e si incamminò verso il vicolo, per non attirare l'attenzione dei medici e poliziotti fuori. Si guardò intorno, fin quando non trovò una piccola stradina secondaria che lo portava fuori da quell'ambiente disgustoso, successivamente si diresse verso un bar per fare colazione.
Entrò, ordinando un paio di ciambelle e un caffè, il tutto dopo essersi seduto e aver parlato con la cameriera che sembrava davvero interessata al suo aspetto fisico, cosa che fece davvero piacere ad Angel. Addentò una ciambella e guardò fuori dal locale, con aria tranquilla, e pensare che poco prima era senza vita in un vicolo. 
Dopo aver finito quella colazione così piacevole, lasciò i soldi sul bancone ed uscì, con un solo obiettivo in mente: trovare il Diario di Jane.

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Capitolo 4
*** Matt ***


«Ti prego, dimmi che oggi hai capito qualcosa della lezione...» sbuffò Sarah, crollando sulla sedia della caffetteria. Di fronte a lei Noah aveva appena tolto le cuffie, mentre Jacob stava fissando il menù di fronte alla signora Jenkins, che lo guardava scocciata. Quel ragazzo non riusciva mai a decidere qualcosa in tempo.
«No» rispose secco Noah. Poteva vantarsi di avere ottimi voti, ma a volte quelle lezione del professor Smith erano praticamente criptate. «E poi sono ancora troppo scioccato da ieri sera.»
Sarah lo osservò per qualche secondo, poi capì a cosa si riferisse. «Hold the door, eh?»
Sentendo quelle parole, Noah poggiò la testa sul tavolino. Entrambi stavano parlando della quinta puntata della sesta stagione di Game of Thrones, dove succedevano tanti, troppi casini. «Non dirlo.» rispose lui, con aria sconfitta. 
«Vi prego, non starete parlando ancora delle vostre serie tv.» disse Jacob, arrivato finalmente al tavolo. Lui era l'unico del gruppo a non avere quel genere di interessi. A dire il vero non aveva nessun tipo di interesse al momento, si limitava a studiare e fumare qualche sigaretta una volta tanto. L'unica cosa che lo faceva star bene era Sarah, tranne quando litigavano per colpa sua, come sempre. Fortunatamente erano riusciti a chiarire, sperando che durasse tanto. Ma sì, se l'era promesso, non sarebbe stato più geloso.
«Io non capisco come tu faccia a vivere senza seguire Game of Thrones.» esclamò Sarah, guardandolo seriamente in viso. Di tutta risposta, il suo ragazzo scrollo le spalle. «Preferisco giocare con te.»
Noah iniziò a far di no con la testa. «Vi prego, niente doppisensi sul sesso. Ricordo ancora quando vi ho beccati.»
Sarah scoppiò a ridere, seguito da Jacob, mentre l'espressione di Noah era sul serio disgustata. Vedere Jacob nudo gli lasciò un senso di nausea per almeno due settimane, anche se doveva ammettere che la vista di Sarah compensava molto il resto. Era la sua migliore amica, ma aveva comunque un fisico niente male: asciutto, poco seno ma ben proporzionato al resto. Sul viso di Noah spuntò un lieve sorrisino.
«A che pensi?» chiese Sarah, come se gli avesse letto nella mente.
«Seno, coseno, queste scemenze qua.»
I due continuarono a parlottare per tutto il resto del tempo, anche quando arrivò il pranzo che avevano ordinato. La cameriera portò sfilze di torte e bevande dolci, perchè il martedì per loro era il giorno del dolce. Scelto completamente a caso, ma a loro andava bene così. Mentre gli amici avanzavano il loro battibecco, Jacob fissava la vetrata di fianco alla porta. 
Deglutì, sperando che quella figura si dileguasse al più presto, ma restava là. La stessa ragazza del suo incubo, era lì, in piedi e riflessa nel vetro. Indossava una veste bianca e sporca di sangue, con un sorriso macabro stampato sul volto.  La gente nel locale sembrava non notare nulla, cosa che metteva il ragazzo ancor più in agitazione. Le sue gambe iniziarono a tremare e sentì un nodo alla gola. Continuò ad osservarla, fin quando non attraversò il vetro come se fosse incorporea, dirigendosi verso il tavolo. La ragazza insanguinata baciò Jacob sulla guancia e successivamente squarciò la gola di Sarah e Noah, che caddero a terra con il collo reciso.
Il ragazzo scattò in piedi, urlando, mentre la ragazza si avvicinava a lui fluttuando a mezz'aria. Jacob chiuse gli occhi.
Quando li riaprì sentì il vociare del locale, mentre Sarah e Noah erano chini vicini a lui. Era a terra, con la sedia alle spalle e piatti e stoviglie sul pavimento. Ansimava, la fronte imperlata di sudore e le mani doloranti probabilmente per l'impatto col pavimento.
«Jacob?» fece Sarah, visibilmente preoccupata in viso. Sembrava che il suo ragazzo avesse visto un fantasma, ma lei non si spiegava davvero quella reazione nata praticamente dal nulla. Cercò con lo sguardo Noah, che aveva lo stesso sguardo confuso, evidentemente ne capiva meno di quanto potesse far lei.
Jacob fece per rispondere ma iniziò ad indietreggiare, fissando un punto non precisato dietro i due. «Lei è qui.» balbettò, terrorizzato. Lui la vedeva ed era sempre più vicina...
«Chi?» chise Noah, perplesso.
«JANE!» urlò, scappando fuori dal locale e lasciando i due confusi e chini a terra. 


Passarono le ore e la luna si stava alzando in cielo. Jacob era rintanato a casa che si muoveva nervosamente avanti e indietro. Durante quel periodo la vista di Jane non l'aveva mai abbandonato, anzi, la ragazza l'aveva torturato ancora, ancora e ancora. Gli aveva mostrato cose che lo stavano facendo impazzire: lui che veniva fatto a pezzi da degli esseri demoniaci, Sarah divorata dalle fiamme, Noah che sterminava dei bambini innocenti, i suoi genitori che cucinavano il cadavere della sorella, Sarah che veniva sbranata da un branco di cani e altre ancora. Il tutto era condito dalla presenza ridondante di Jane che gli sussurrava cose, lo toccava, sentiva il suo alito sulla pelle.
«Tutto ciò può finire...» sibilò Jane, interrompendo di colpo le torture psicologiche ai danni del ragazzo. Lui alzò lo sguardo, con una strana espressione in viso.
«Come?» si limitò a dire, mentre Jane gli sussurrava qualcosa all'orecchio, mentre un sorriso le si stampava sul volto.


Jacob si accasciò esausto sul pavimento, poggiando la schiena sul muro dietro di lui. Era senza maglietta, le mani sporche di sangue. Una di esse impugnava un coltello e il suo torace era ferito. Il suo sguardo febbrile fissava un punto di fronte a lui, dove aveva tracciato un pentacolo col suo stesso sangue. Al centro vi era il Diario di Jane, recuperato dallo stesso ragazzo da uno scaffale nella libreria in salotto, alla sua domanda del perchè fosse finito lì, Jane si limitò a sorridere e a dettare le istruzioni per formare quel simbolo magico fatto col sangue. Il ragazzo fissava la sua opera con uno strano sorriso in volto, mentre ripeteva qualcosa fra sè, frasi sconnesse e senza senso, che andavano da "sono libero" a "è salva", miste a concetti totalmente casuali. 
Dal piano di sotto si sentì sbattere una porta, con una voce che chiamava il nome del ragazzo. 
«Jess» sussurrò Jacob, rispondendo solo dopo alla chiamata della sorella. Jessica corse di sopra e una volta trovato il fratello ferito e seduto sul pavimento cacciò un urlo disumano. Il ragazzo la tranquillizzò, alzandosi in piedi e carezzandole il viso, sporcandola di sangue. «Cosa significa? Cos'è quel segno? Che hai fatto Jacob?»
Ma il ragazzo non rispose, si limitò a poggiare un casto bacio sulle labbra di lei a spingerla al centro del pentacolo. Jessica tentò di rialzarsi ma il segno magico iniziò a prender fuoco, con una luce rossastra che iniziò a illuminare tutta la stanza, fino ad alzarsi in cielo.


Dall'altra parte della città, un ragazzo di appena ventitrè anni era seduto sul pavimento con una bambina in braccio. Era biondo, occhi verdi e una leggera barba incolta. La bimba, nata pochi giorni prima, stava bevendo il latte da un biberon, mentre il ragazzo aveva le lacrime agli occhi. Sussurrava parole dolci alla figlia, di nome Jemma, ma dentro di lui si sentiva stanco, impotente e fragile. Non appena la bimba finì il latte, il ragazzo gli mise davanti la foto di una ragazza sorridente.
«Lei è... era mamma piccola.» singhiozzò, mentre la bimba guardava incuriosita ogni cosa. La stanza era illuminata da un lampadario al neon, il tavolo di fronte al ragazzo e a Jemma conteneva diverse cose per preparare il latte e un borsone con dentro cose per la piccola. I ripiani della cucina erano perfettamente in ordine, eccetto per un paio di piatti lasciati sul lavello ad asciugare. Tutto era in ordine, come quando il ragazzo aveva lasciato la casa, correndo in ospedale perchè la sua ragazza stava partorendo. Diede alla luce Jemma mentre stringeva la mano del suo ragazzo, Matt. Morì col sorriso sulle labbra, stroncata da quel parto e dalla malattia che la torturava da mesi ormai. I medici dicevano che il parto sarebbe andato per il verso giusto, ma così non fu. Lei morì tra le sue braccia e le sue lacrime.
Il ragazzo si alzò in piedi, con ancora Jemma in braccio, fin quando non notò una luce accecante provenire da lontano. Osservò quel fascio innalzarsi fino al cielo e formare un pentacolo, per poi svanire nel buio più totale. Deglutì, spaventato, fin quando un rumore dietro di lui non attirò la sua attenzione.
Dal pavimento si alzò un fumo grigio, che formò un essere antropomorfo simile ad un coyote. Era grigio, privo di peli e con una schiera di denti acuminati. Si ergeva maestoso su due muscolose gambe, mentre le braccia erano ricoperti di aculei che culminavano in dita con lunghi artigli. L'essere emise un verso gutturale e si lanciò verso Matt e Jemma, che si voltò per proteggere la piccola. Chiuse gli occhi, aspettando quel colpo fatale, ma l'unica cosa che sentì fu la finestra frantumarsi e qualcuno entrare di scatto. Riaprì gli occhi, osservando un ragazzo che materializzò una spada di cristallo in mano, trafiggendo l'essere e facendolo esplodere in una nube di cenere. L'arma di cristalizzò svanì nel nulla e il ragazzo si voltò verso Matt e Jemma.
«Sono Angel, scusate per il ritardo.» esclamò, pulendosi le mani dai residui di cenere e sorridendo a Matt, che batteva ripetutamente le palpebre convinto di star sognando.
«Bene... hai un bel nome.» scherzò Angel, vedendo il ragazzo immobile di fronte a lui. «Comunque, vuoi prima le buone notizie o le cattive?»  

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Capitolo 5
*** Jane ***


Angel stava fissando un quadro in cucina, mentre Matt aveva posizionato la figlia nella culla, con fare molto delicato. Il ragazzo tornò in cucina, osservando quel misterioso figuro che gli aveva salvato la vita, sbucando dal nulla e uccidendo quella strana creatura. Notò che aveva una mano vicino al collo e, osservando meglio, riuscì a notare che stava stringendo una collana. L'altro si voltò, staccando la mano dalla collana: un dente di lupo di colore nero. Matt espirò, non riusciva proprio a capire cosa stava succedendo e quella situazione lo agitava non poco. L'aver lasciato la figlia nell'altra stanza lo preoccupava già e si accorse di aver tremendamente bisogno di una mano, della mano di lei che adesso non c'era più, ma in fin dei conti, una parte di lui era rassicurato dalla presenza di Angel.
«La finestra te la ripago comunque.» esclamò Angel, osservando i cocci dei vetri sul pavimento. L'entrare in salto da una finestra non era il massimo, ma doveva ammettere che era stato abbastanza efficace, dopotutto aveva salvato la vita di Matt e Jemma... e quando li vide, si sentì pervadere da un misto di tristezza e nostalgia, non potendo fare a meno di ripensare ai suoi peccati che lo tormentavano da anni. Che questa fosse la sua redenzione? Anche se parlare di redenzione per Angel era troppo complicato, nel corso degli anni aveva tolto troppe vite, ormai la redenzione per lui non sarebbe mai arrivata... ma quei due... quella coppia di padre e figlia andava salvata, stavolta doveva riuscirci. 
«Fa niente, davvero...» esclamò Matt, ancora stordito da quella situazione. Osservare Angel lo metteva in ansia, anche se quel ragazzo aveva qualcosa di rassicurante, che si perdeva in un miscuglio di altre sensazioni. Non sapeva spiegarlo bene, ma lo trovava spietato ed eroico allo stesso tempo. In lui vedeva qualcosa di pericoloso, accompagnato da un lato altruista e buono. Era la rappresentazione vivente dello Yin-Yang, almeno secondo il giudizio di Matt. 
«Avevi detto che avevi delle notizie...» iniziò il ragazzo, ancora incerto. «Quindi? Cosa dovrei sapere?»
Angel si poggiò al muro, fissando Matt. In lui notava di tutto: paura, angoscia, confusione, adrenalina. Gli ricordava un po' sè stesso da piccolo, quando assistette a quel massacro. Ricacciò indietro quel pensiero prima che potesse prender forma e iniziò a spiegare.
«La buona notizia è che vi ho salvati da quella bestia e probabilmente continuerò a farlo.» disse, con aria tranquilla e accennando un lieve sorriso. Matt notò che quando sorrideva i suoi occhi facevano lo stesso, ma nonostante il sorriso fosse sincero, gli occhi avevano un lineamento quasi sarcastico, spigoloso. Una peculiarità di chi faceva del sarcasmo la propria arma, un sorriso tagliente e argomentazioni valide. Comunque non era quello il caso, non sentiva aria di sarcasmo in Angel.
«La cattiva è che la bestia era qui per uccidere te e per prendere la piccola.»
A quelle parole Matt sembrò ricevere diversi colpi in pieno viso, tanto che sentì il bisogno di sedersi. Divenne pallido e afferrò un bicchiere lì vicino, sorseggiando dell'acqua preparata in precedenza. Angel invece non si stupì minimamente di quella reazione, non era la prima che vedeva, ma forse sarebbe stata l'ultima. Doveva solo mettere le mani sul Diario di Jane, anche se la situazione adesso era molto più complicata.
«Perchè?» si limitò a dire il ragazzo, fissando il vuoto. Una folata di vento gelido entrò dalla finestra rotta, cosa che fece rabbrividire i due. Angel aveva sempre amato le sensazioni di freddo sulla pelle, soprattutto il sentire la pioggia sul proprio viso. La pioggia per lui era uno scudo: nessuno ti considerava, nessuno ti osservava in viso e non poteva leggere le tue espressioni. Tutti di fretta non curandosi del prossimo e per lui, questo era il paradiso. Ricordò anche che il suo primo bacio fu sotto la pioggia, ma quella era un'altra, dolorosa, storia. Non si rese neanche conto che la sua espressione notò per una frazione di secondo, dopo tutti quegli anni ancora non riusciva a controllare le sue emozioni, non che fosse facile, certo.
Il ragazzo si spostò dalla finestra, sedendosi di fronte Matt e portandosi nuovamente la mano sul dente di lupo. Era una cosa che faceva quando era nervoso o pensieroso e sentire quella superficie levigata sulle sue dita lo tranquillizzava.
«Avete osservato quel fascio di luce che formava il pentacolo in cielo, dico bene?»
Matt annuì, ripensando a lui con la bimba in braccia che fissavano fuori dalla finestra.
«Quello che avete visto è opera di una Strega. Quell'incantesimo nasce quando una Strega viene liberata o quando cerca nuove reclute. Qualunque ragazza la osservi verrà cercata per diventare una Strega, o cercherà la Strega in questione. Si crea un legame indissolubile tra Strega e queste ragazze. In questo caso tua figlia appartiene alla Strega e adesso lei farà qualunque cosa per averla. E dato che tua figlia non è abbastanza grande per cercare la Strega, beh, aspettati numerose visite. Per quanto riguarda noi poveri maschietti che veniamo esposti a quella cosa là, beh, la nostra anima viene marchiata e sarà usata in sacrificio per loro. In sintesi, la belva che hai visto era qui per rubarti l'anima. Ti avrebbe ucciso a sangue freddo, portando Jemma via con sè.»
«Stai scherzando.» rispose secco Matt, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno, ma Angel lo osservava con aria seria, scuotendo lentamente la testa. «Vorrei che fosse così.»
Il ragazzo si portò le mani in testa, successivamente osservò Angel, che non si era affatto mosso.
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Semplice.» rispose Angel, mentre si portava una mano al collo per stringere il ciondolo. «Ci sono passato molte volte... ho versato litri e litri del loro sangue.»
Ci fu un attimo di silenzio.
«Sono un Cacciatore di Streghe.»


David era chino sul tavolo ad analizzare diverse carte, mentre William tentava di mangiare della pasta cruda, chiedendosi come facessero a mangiare quella robaccia insapore e dura. L'uomo posò nervosamente i documenti che stava analizzando, lanciando un'occhiataccia al ragazzo che continuava a comportarsi in modo strano.
«Devi cucinarla quella prima!» disse, alzando leggermente la voce.
William sputò tutto e prima che potesse rispondere, si accasciò al suolo portandosi le mani alla testa. La fronte gli bruciava e sentiva un dolore partire dai lobi temporali fino ad espandersi lungo tutto il corpo. Risentì il sapore di cenere, sentì le sue carni bruciare e puzza di bruciato. Sentì le urla di Jane, la folla che acclamava lo spettacolo, sentì il sapore di sidro, l'odore del vino della taverna, il legno sotto i suoi palmi. Sentì successivamente odore di sangue, un coltello che gli lacerava l'addome e innumerevoli volti che si confondevano, fino a diventarne uno solo: quello di Jane.
Tutto improvvisamente divenne nero, come quella volta che divenne una statua di cenere.


William era seduto al solito posto della taverna di Jack, sorseggiando il solito vino e ascoltando i discorsi dei forestieri. Uno di loro raccontava di aver ucciso un serpente con tre teste a mani nude, mentre gli altri ascoltavano la storia divertiti. Alcuni facevano domande, visibilmente ubriachi, mentre altri si limitavano a prendere in giro quel povero uomo. William pagò il proprio conto ed uscì dalla taverna, osservando la luna piena alta in cielo. Inspirò, gustandosi l'aria limpida ed iniziò a fare due passi. Amava quel paesino, era nato come una piccola colonia europea ma aveva raggiunto presto l'indipendenza, creando reddito e attirando diversi forestieri in giro per l'America, ma anche briganti in cerca di sesso e fortuna. Il sesso lo trovavano, dopotutto esisteva anche qualche bordello in quelle terre, ma la fortuna un po' meno, dato che finivano su una picca il maggior numero delle volte per furtarelli o omicidi. Il ragazzo si poggiò al pozzo e si rilassò, fin quando la sua attenzione non venne attirata da diverse voci provenienti da dietro gli alberi poco distanti da lì. Si incamminò lentamente, fin quando non trovò una bellissima ragazza dai capelli corvini e gli occhi azzurri luminosi come diamanti. Stava conversando con un ragazzo, che aveva l'aria guardinga. Non seppe bene di cosa parlassero, dato che lo facevano a bassa voce, ma riuscì a sentire diverse parole: "Europa" "Vita" "Fiamme". Osservò sospettoso qel ragazzo: capelli castani e occhi che sembravano castani o verdi, era vestito come un viandante e sembrava in cerca di qualcosa. Toccava ossessivamente un ciondolo che aveva al collo, che sembrava un artiglio o un dente nero. William tentò di sporgersi ancora per sentire meglio, ma finì per cadere sul terreno attirando l'attenzione dei due. 
La ragazza gli si avvicinò, aiutandolo ad alzarsi, fin quando non si presentò con il nome di Jane. In quanto al ragazzo, William non lo vide mai più. 



«Will, Will?»
Il ragazzo aprì gli occhi, stordito. Batte le palpebre diverse volte per mettere a fuoco tutto, fin quando non riconobbe il volto di David, preoccupato.
«Cos'è successo?» chiese il ragazzo, rialzandosi in piedi e andando verso il frigorifero per prendere un sorso di aranciata. 
«Sei svenuto.» si limitò a dire David, osservando il suo strano coinquilino che si versava da bere. Era la prima volta che lo vedeva così a suo agio in quell'ambiente.
«David?» chiamò William, guardandosi improvvisamente intorno.
«Si?»
«Non so perchè, ma improvvisamente conosco perfettamente ogni cosa di questa epoca. Siamo nel 2016, la Samsung e la Apple si dividono il primato sulla telefonia e... credo di star diventando pazzo.»
«No, credo io di star diventando pazzo. Sono sicuro di aver appena visto un pentacolo disegnato in cielo mentre eri svenuto.»
Quando David finì di pronunciare quelle parole, la stanza fu invasa da una coltre di cenere che divenne successivamente un serpente. David corse a prendere la pistola, mentre il serpente si avvinghiava intorno alla sua caviglia. L'uomo cadde a terra, tentando di divincolarsi, mentre William correva in aiuto di quello che poteva definire un amico. Schioccò le dita, incendiando la coda del serpente che si voltò verso William e si lanciò verso di lui. Il ragazzo schivò e con un veloce movimento delle mani bloccò l'essere a mezz'aria, per poi farlo esplodere in una pioggia luminosa. 
«Stai bene?» chiese William, porgendo la mano a David, che respirava affanosamente.
«Credo di si. Grazie.»
William annuì e si diresse alla finestra, sapendo improvvisamente tutto quello che stava succedendo: c'era una Strega in circolazione.


Jacob osservò il fuoco divampare nella sua stanza, per poi estinguersi lentamente. Sua sorella ne uscì indenne, tranne per i vestiti completamente bruciati. La ragazza si avvicinò al fratello e gli posò un delicato bacio sulle labbra, bacio che lo fece cadere in un sonno profondo. La ragazza sorrise, dirigendosi stavolta verso lo specchio. Si osservò, mentre delle crepe apparivano sul suo volto, crepe che iniziavano a far cadere la pelle come cocci di porcellana mostrando un volto nuovo: quello di Jane.
Jane scese al piano di sotto, nello stesso istante in cui i genitori di Jacob stavano entrando in stanza. I due rimasero immobili a fissare la ragazza, ma prima che potessero formulare qualsiasi domanda, Jane li sgozzò con un veloce movimento delle mani. I corpi caddero a terra con la gola squarciata, mentre il sangue formava lentamente una pozza calda. Jane si chinò sul liquido rosso, passandogli un dito sopra. Inizialmente assaggiò quel sangue, successivamente lo passò sulle sue labbra come se fosse un rossetto.
Tornò a specchiarsi, sporca di sangue, e osservando il suo riflesso, sorrise.

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Capitolo 6
*** E' giunta l'ora ***


David aveva appena ricevuto diverse segnalazioni di efferati omicidi commessi da creature non identificate, mentre William spiegava la verità al detective: mostri nati da una strega. Raccontò anche diverse cose sulle streghe all'uomo, accennandogli di averne conosciuta una e di aver avuto un rapporto molto particolare con lei. Confessò anche di sospettare che dietro quelle bestie di cenere ci fosse proprio lei, la Principessa Cinerea. L'uomo, dal canto suo, aveva accettato ormai quella situazione, rendendosi conto di vivere in un mondo totalmente diverso, anche se a dirla tutta, il suo mondo era ormai crollato da quando sua figlia Eliza era stata assassinata. Ripensò alle vicende di quella notte, all'uomo che tolse la vita alla piccola e... finalmente ebbe l'illuminazione. Fissò William, per poi osservare i documenti raccolti nel tempo alla ricerca di quell'essere spregevole. Non sapeva bene se poteva essere fatto, ma bisognava provare.
«William.» pronunciò l'uomo, scuro in volto e visibilmente pensieroso. Non immaginava che stava per chiedere l'aiuto di qualcuno incontrato così per caso, ma il loro incontro non poteva essere un caso. William invece, che ancora si chiedeva come mai conoscesse tutto di quell'epoca dopo l'iniziale smarrimento, si avvicinò all'uomo, con sguardo interrogativo. David porse delle carte al ragazzo, che li lesse senza proferir parola.
Erano tutti documenti della polizia, tutti che trattavano di traffico di droga, armi ed organi. Il ragazzo, finito di leggere, guardò David, ancora più confuso.
«Cosa significa?»
David sospirò. «Ho indagato per anni su queste vicende, su questo gruppo di terroristi, chiamiamoli così.» Si alzò dalla sedia, dirigendosi ad uno stipetto della cucina e recuperando una bottiglia di rum scuro. Svitò il tappo e versò il contenuto in un bicchiere, porgendolo a William che accettò volentieri. Riempì un altro bicchiere e annusò il liquido speziato. Sentiva un peso sul cuore, doveva calmarsi in qualche modo e continuare quello che aveva iniziato. Madò giù tutto d'un fiato e si voltò nuovamente verso William, che aveva ancora il suo bicchiere in mano.
«Li avevo praticamente in pugno ma... una sera...» bevve un altro bicchiere, facendo una piccola smorfia dovuta al sapore pungente dell'alcol. Si poggiò al bancone della cucina, incrociando le braccia al petto. 
«Una sera mia moglie era uscita con mia figlia Kristine. Io rimasi a casa con Eliza... qualcuno entrò, mi sparò due colpi e successivamente sparò un colpo in testa alla piccola Eliza.» David singhiozzò, sforzandosi di continuare quel racconto, quell'incubo che lo tormentava ogni dannata notte. «Vidi le sue mani profanare il corpo di mia figlia e... le asportò-»
«Basta.» disse William, serio in viso. Aveva ormai svuotato il bicchiere e non riusciva davvero a comprendere come potesse accadere una cosa del genere. Capiva perchè David aveva continuato ad indagare su quella gente, capiva perchè viveva da solo, capiva perfettamente la sua sete di vendetta. Era normale perdere le persone care, ma non i figli, quelli si da per scontato che crescano, siano felici, che muoiano dopo il genitore. Ma David aveva assistito alla morte e tortura di sua figlia, con la colpa di non essere riuscita a proteggerla. Non riusciva neanche ad immaginare come potesse sentirsi quell'uomo.
William si avvicinò a lui, gli mise una mano sulle spalle e lo tirò a sè, abbracciandolo. Fu un gesto tanto naturale e spontaneo che David scoppiò, stringendo quel ragazzo. William rimase in silenzio, aspettando che i singhiozzi di David cessassero. Si concentrò sul suo cuore, sul suo modo di respirare, il modo in cui tremava... si rese conto che era un uomo che aveva bisogno di sfogarsi sin da troppo tempo.
«So cosa vuoi chiedermi... se posso localizzare chi ha fatto questo a tua figlia.»
Ci fu una pausa, durante la quale i due si staccarono da quell'abbraccio così fraterno,
«Ci proverò. E ci riuscirò.»


Sarah aveva aperto la porta di casa, gettando le mani al collo di Noah, che sorrise di gusto a quel gesto, così naturale tra i due. Il ragazzo entrò e si tolse il giubbotto, gettandolo sul divano della ragazza. Si diresse successivamente verso la camera da letto, salutando la madre di Sarah.
«Noah» esclamò la donna, con un debole sorriso. Il ragazzo la trovava peggiorata e la cosa lo facea star male. Non riusciva ad immaginare come potesse essere la depressione, non riusciva neanche a capirla, ma soffriva terribilmente a vedere la madre della sua migliore amica in quello stato. 
«Come stiamo oggi?» rispose il ragazzo, non perdendo il suo sorriso. La madre di Sarah rispose che poteva andar meglio, alludendo poi a quanto fosse schifoso vivere in quelle condizioni e accennando anche al pessimo sapore delle medicine di cui faceva uso, per poi congedare il ragazzo dicendogli di fare il bravo con la figlia. A Noah non sfuggì che la donna sussurrò quanto fosse adatto per Sarah, ma sorvolò su quell'ultima parte, essendo appunto, solo e soltanto il migliore amico della figlia, così era sempre stato e di certo non sarebbe cambiato nulla.
I due ragazzi andarono in camera di lei, con Noah che si spaparanzò sul letto, poggiando la testa sulle gambe di sarah che fece lo stesso. 
«Notizie di Jacob?» chiese Noah, fissando il soffitto. Non sentiva l'amico da quella scenata alla caffetteria, di certo doveva aver preso qualcosa che gli aveva dato alla testa. Era strano si, ma dopotutto Jacob aveva avuto un passato di droghe, seppur leggere e per poco tempo.
«Non risponde... davvero non lo capisco più.» rispose Sarah, carezzando i capelli dell'amico. Era una cosa che rilassava terribilmente entrambi, così era quasi diventata una routine tra i due.
«Piuttosto tu? Devi dirmi nulla?» esclamò Sarah, con una voce che lasciava intendere qualcosa. Noah capì tutto, ma fece finta di nulla, si divertiva a fare il vago, anche se con Sarah era un'impresa alquanto impossibile.
«Si, devo dirti un sacco di cose. Mi sono appena rimesso in pari con Shameless e davvero non capisco come Ian posse fare questo a Mickey. Andiamo, quei due sono un'amore. Se fossi gay vorrei una storia come la loro.»
Sarah accennò un sorriso. «Pensavo tu fossi gay.»
«Io pensavo tu fossi una fetta di pizza.» detto questo, il ragazzo morse la gamba di Sarah, ricevendo un leggero schiaffo di risposta, finendo per ridere entrambi.
«Scemo. Mi riferisco a Kristine. Finalmente parlate, no?»
«Beh, chattiamo... ma sempre del più e del meno. E' così complicata, sempre sulle sue.»
Sarah conosceva Kristine, avevano delle amiche in comune, dopotutto era grazie a lei che Noah l'aveva conosciuta. Ripensò a quella sera, Jacob era fuori città così lei e il migliore amico decisero di andare a bere qualcosa, unendosi agli amici di Sarah. Davanti al locale arrivarono man mano tutti, presentandosi di volta in volta a Noah, che ricambiò il saluto con l'espressione più annoiata del mondo. Arrivò l'ultima ragazza, in un vestitino nero molto sobrio e capelli mossi che arrivavano leggermente sotto le spalle. Poco trucco e sorriso leggermente accennato. Diede timidamente la mano a Noah che la salutò a bocca aperta. 
Una volta dentro, tutti ordinarono, con Noah che fissava quella ragazza di nome Kristine che stava in silenzio all'estremità del divanetto. Era davvero sin troppo timida in quell'ambiente di ragazze più o meno snob e la cosa l'aveva catturato sin dal primo sguardo. Sapeva che non era una top model, era la classica ragazza carina che veniva notata dopo le strafighe del gruppo, ma Noah era letteralmente rimasto colpito da lei. 
«Sai almeno il suo colore preferito?» chiese Sarah, riprendendo a carezzare i capelli dell'amico.
«Boh... il verde? Dopotutto è un bel colore.»
«Okay, non lo sai.»
«Te l'ho già detto, è complicato parlare con lei, soprattutto se le chiedo qualcosa di personale e... non saprei, davvero. Quasi quasi mi trasferisco in Italia e mi fidanzo con la prima che capita... immagina: Noah e Melania presto sposi.»
«Melania?»
«E' il primo nome che mi è passato per la mente. Ma son sicuro che nessuno ama un Serpeverde come me.»
«Io ti amo, mio caro Serpeverde. E poi secondo Pottermore anche io sono una Serpeverde.»
«Mi ami eh? Allora inizieremo la nostra storia di sesso proprio adesso.»
Sarah scoppiò a ridere, seguita dal ragazzo, ma quelle risate finirono quando la luci dell'intera abitazione si spensero. Si sentì qualcosa cadere dalla camera della madre di Sarah, così Noah afferrò il cellulare e attivò la torcia. Sarah urlò il nome di sua madre, ma non arrivò nessuna risposta. La ragazza aveva il cuore in gola e non sapeva bene perchè, anche un cattivo presentimento. Noah tentò di tranquillizzarla ma fu tutto inutile. I due entrarono in camera e lo spettacolo davanti a loro fu orribile: la madre di Sarah immersa in una pozza di sangue, coperte sporche di rosse e schizzi che arrivavano fin sulle pareti. La donna era ricoperta di tagli e aveva gli occhi rovesciati all'indietro, mentre una ragazza con i capelli corvini e gli occhi azzurri la osservava da vicino. 
Sarah cacciò un urlo, facendo voltare la ragazza. Jane osservò i due ragazzi.
«Poteva essere una Strega valida se non fosse stato per questa stupida malattia.» disse, con voce gelida. «Ma tu sei sua figlia... potresti essere un'ottima sostituta.»
«Non osare avvicinarti a lei.» rispose Noah, a denti stretti.
Jane sorrise nuovamente, schioccò le dita e scomparve in una colonna di fuoco, mentre Sarah correva in lacrime dalla madre priva di vita.


Dei passi riecheggiavano in una chiesa, provocati da una donna completamente avvolta da una veste nera. Aveva un cappuccio che le copriva la quasi totalità del viso, fatta eccezione per le labbra su cui portava un rossetto nero. Dietro di lei una fila di cadaveri giaceva al suolo, segno del suo passaggio. La donna fissò l'altare e le sue labbra si curvarono in un malefico sorriso, successivamente prese una via laterale fino ad arrivare a delle scale che scendevano al piano di sotto. Percorse quella via poco illuminata, fino a trovarsi dentro una stanza vuota. Picchiettò le mani sul muro, fin quando un rumore metallico non annunciò l'apertura di un passaggio segreto. La donna avanzò, trovandosi in un corridoio illuminato da fiaccole. Lo percorse tutto, fermandosi di fronte ad una statua che raffigurava un guerriero incappucciato con una spada in mano. La donna pronunciò qualcosa e la statua si animò, lasciando spazio ad un ragazzo in carne ed ossa che cadde al cospetto della donna.
«E' giunta l'ora, mio cavaliere. Jane si è risvegliata.» annunciò lei, mentre quel ragazzo si sistemò il cappuccio e si mise in ginocchio.
«Ne sono lieto, mia Signora.» rispose lui, con voce roca dovuta alla pietrificazione.
La donna fece cenno al cavaliere di alzarsi, ed entrambi abbandonarono la chiesa, lasciandosi dietro altri cadaveri.

 

 

Note dell'autore
 

 
Eccoci qua in questo sesto capitolo dove abbiamo scoperto qualcosa sul passato di David, che ahimè non è dei migliori. 
Inizialmente pensavo che The Diary of Jane fosse semplicemente la storia di Jane e William catapultata ai giorni nostri, non immaginavo di inserire così tante vicende. Personaggi come Angel, Matt, Jemma, David, la donna in nero e il suo cavaliere sono nati solo in corso d'opera, ampliando ulteriormente la storia in contesti che non ritenevo possibili inizialmente, ma son sicuro che i colpi di scena che ho in mente vi piaceranno parecchio.
Volevo comunque dedicare questo capitolo alla mia amica Melz, che son sicuro coglierà le giuste citazioni.
Per ultima cosa, dato che son pieno di amici maturandi, volevo approfittarne per fare gli auguri ad ogni maturando che mi sta leggendo, soprattutto al mio caro Blankit che continua a seguirmi e recensire ogni capitolo nonostante sia sommerso dai libri.
Volevo anche rinnovare i miei ringraziamenti ai lettori che mi seguono in silenzio.
Più che note dell'autore, è quasi un angolo auguri e curiosità, ma ciancio alle bande! Ci si becca al prossimo capitolo, e voi lettori timidelli, lasciate qualche commentino che fa sempre piacere, perchè ehy, vi regalo i biscotti! ♥

With love, Marco / NeroNoctis

 

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Capitolo 7
*** Give Me Novacaine ***


La casa di Jacob era rimasta pressoché invariata, eccetto per le persone che vi abitavano all'interno. Jane camminava con passo leggiadro, osservando attentamente le tredici donne che erano arrivate da lei. Spaziavano dai quindici ai trent'anni, altezze diverse, corporature diverse, colore dei capelli. La Strega sorrise compiaciuta, ma al tempo stesso una leggera delusione si impossessò di lei per qualche secondo: sperava davvero che il suo reclutamento avesse coinvolto più persone, ma doveva accontentarsi. Carezzò il viso di tutte quelle ragazze, che la osservavano intimorite e curiose. Ormai erano legate a lei e anche se volevano urlare, correre via, una forza misteriosa li teneva lì, ad osservare le gesta di quella Strega che li osservava come un senzatetto guarda un piatto ricco e nutriente. Jane sapeva bene cosa fare: prendere il sangue delle presenti, mischiarlo al suo e tracciare una stella con tante punte quanto fossero i presenti. Tredici punte, tredici potenziali streghe e lei come catalizzatore al centro. Doveva funzionare. Il Regno della Principessa Cinerea doveva risorgere, e con esso anche il suo esercito. Dietro di lei apparvero i genitori di Jacob e la madre di Sarah, esseri senza vita mossi soltanto dalla magia della Strega che, nel corso degli anni, aveva imparato anche l'oscura arte della Necromanzia. Jane credeva che qualunque cosa fosse utile alla sua causa, anche le persone che avevano ricevuto l'onore di morire per mano sua. I non-morti tagliarono il polso delle tredici ragazze, per poi fare lo stesso con Jane. Mischiarono tutto in una ciotola e la porsero alla Strega, che tracciò la stella a tredici punte sul pavimento. Le ragazze si posizionarono all'estremità di ogni punta e aspettarono, nonostante la paura stesse divorando il loro corpo.
Jane, dal centro della stella, osservò i presenti, per poi pronunciare qualcosa in una lingua sconosciuta. I suoi occhi divennero interamente bianchi, i mobili iniziarono a tremare e l'atmosfera divenne asfissiante. In mano stringeva il suo Diario aperto, dove nelle pagine figuravano diverse parole, simboli ed illustrazioni. Il sangue che formava la stella iniziò a brillare e successivamente a bruciare, illuminando l'ambiente circostanze. Le ombre formate da quel fuoco iniziarono a volteggiare per tutta la stanza, fino a quando non esplosero verso le tredici presenti che si tramutarono in statue di cera. Dieci di esse, dopo qualche secondo, esplosero in mille pezzi, mentre dalle restanti tre si liberarono rispettivamente tre ragazze, che osservarono Jane con sguardo rispettoso.
Jane sorrise, osservando che nel punto in cui erano state ferite poco prima, adesso avevano il marchio della Bestia, simbolo di tutte le streghe. 
«Figlie mie.» esclamò la Strega, con voce solenne. Si avvicinò ad ognuna di loro, osservandole da vicino. La prima neo Strega era la ragazzina di quindici anni, indossava una felpa rossa e aveva lunghi capelli biondi. Lo sguardo intimorito di prima aveva lasciato spazio ad uno sguardo freddo, distaccato e calcolatore.
La seconda era una ragazza di ventotto anni, capelli a caschetto neri e occhi verdi. A giudicare dall'elegante abito da sera sporco di sangue, e dalle testimonianze delle belve cineree, era ad un appuntamento galante con il suo ragazzo, che finì inevitabilmente divorato.
La terza era una ragazza di ventidue anni, aveva una maglia dei Metallica e dei jeans strappati, mentre alle sue orecchie erano presenti dei dilatatori. Jane la carezzo in viso, successivamente le diede un bacio sulla fronte. 
«E' tempo che facciate pratica. Come prima prova voglio lasciarvi libere. Andate dove meglio credete e tornate qui, domani a mezzanotte.»
Le tre chinarono il capo e uscirono dalla porta, mentre Jane osservò la sua figura allo specchio, delusa dal fallimento del suo incantesimo. Ma poteva ancora sfruttare qualcuno, una ragazza così colma di rabbia e tristezza che sarebbe diventata una potente alleata.  


Matt era disteso sul letto accanto a Jemma, entrambi si erano addormentati più o meno tranquilli. Almeno Jemma era quella tranquilla, Matt restò guardingo per un paio di ore, fino a quando non cadde anche lui nelle braccia di Morfeo. Angel passò davanti la camera, osservando quei due che dormivano beati. Sorrise, per poi dirigersi verso il bagno. Accese la luce, osservando quella stanza tenuta fin troppo in ordine, il tocco femminile era palese. Aprì il getto d'acqua freddo del lavandino e si lavò la faccia, per poi restare a guardarsi qualche secondo. Era a torso nudo, con il suo sguardo che si soffermò sulla spalla destra, dove una cicatrice si diramava per diversi centimetri, formando una specie di ragnatela o una scheggia su un vetro. Passò le dita sopra quella vecchia ferita, con le immagini di quella notte che vorticavano di fronte a lui. Chiuse gli occhi, per poi aprirli e voltarsi di scatto. Quella sensazione... doveva essere per forza lei. Corse nell'altra stanza, indossò una camicia nera seguita da un cappotto dello stesso colore e scrisse velocemente un appunto a Matt, per poi uscire di casa. Sulla porta tracciò qualcosa con le mani, con alcuni simboli luminosi che apparvero per qualche secondo per poi svanire, dopodiché scese velocemente le scale e si diresse verso la fonte di quel potere.


Jacob aveva percorso diversi kilometri a piedi, fino ad arrivare sotto un vecchio ponte dove si riunivano persone poco raccomandabili. L'aria puzzava di urina e vomito, ferro e alcol. Le mura erano ricoperti di graffiti e scritte varie, alcune delle quali recitavano parole poco carine verso persone del quartiere. Un barile era stato trasformato in falò di fortuna, dove intorno ad esso c'erano diversi ragazzi che non appena videro Jacob sorrisero.
«Guarda chi si vede.» esclamò uno di loro con indosso un berretto bianco e avvolto da un pesante giubbotto marrone. I suoi jeans erano sporchi di terra e le sue mani erano piene di tagli e lividi. 
«Martin.» esclamò Jacob, serio in viso. Il resto del gruppo salutò Jacob, con lui che ricambiava il saluto senza impegnarsi troppo.
«Cosa ti porta qui? Pensavo fossi fuori dal giro.»
«Lo ero.» rispose Jacob, voltandosi verso un ragazzo che teneva per mano una bionda. Camminarono per qualche passo, arrivando alla parete del ponte, dove consumarono un rapporto sessuale senza curarsi di chi gli stava intorno. Jacob non vedeva né viveva quelle cose da troppo tempo. Aveva sempre detto che aveva avuto problemi di droghe leggere, ma era tutto falso. Quello era il suo vecchio mondo, fatto di alcool, eroina, cocaina, meth e le peggiori schifezze. Era il loro luogo d'incontro, fatto di chiacchierate, risse, droga e sesso. Lo stesso Jacob aveva avuto rapporti con diverse ragazze, nascosti dagli altri o meno e quella che era appena passata era proprio una delle sue... ex? Potevano definirsi così? O in quel luogo erano tutti semplicemente sacchi di carne per darsi piacere l'un l'altro? Non riuscì a formulare la risposta che Martin gli diede uno spinello.
«Prova, 'sta roba spacca.»
Jacob afferrò lo spinello e lo portò alla bocca. L'odore dell'erba era riconoscibilissimo, e inspirò tutto velocemente, per poi sorridere ai suoi ex amici. Passò la serata là, fumando e bevendo vodka e birra per tutta la notte, finendo anche per vomitare diverse volte e ripetere tutto dall'inizio.
«Devi ancora dirmi perché sei qua. Non stavi con quella ragazza là... Amanda?»
«Sarah.» rispose lui, strascicando quella parola. «La mia vita fa schifo, ho perso tutto e lei non merita di finire in quella merda.» disse lui, mandando giù della birra.
«Che principessa che sei.» rise Martin.
«Voglio qualcosa di più pesante.» disse Jacob, fissando l'amico, che lo guardò perplesso per qualche secondo, o era semplicemente la sua espressione da strafatto. Armeggiò con un sacchetto per un attimo e tirò fuori una siringa piena di qualcosa, Jacob non fece domande e dopo aver preparato a dovere il braccio si iniettò quella sostanza che non conosceva. Passò qualche minuto e le cose divennero confuse, i suoni erano ovattati e lui aveva bisogno di sfogarsi in qualche modo. Si avvicinò alla ragazza bionda, gli disse qualcosa e scomparirono dietro l'angolo, mentre le urla di lei riempivano quella parte inferiore di ponte abbandonato, facendo ridere i presenti.
Il ragazzo, dopo aver finito, si era rannicchiato tremante in un angolo, sussurrando parole sconnesse. «Dimmi che andrà bene... dimmi che andrà bene... nessun dolore... voglio il tuo bacio della buonanotte... non sentirò nulla... Sarah... scusa...»
Il tempo passò, e tutti andarono via, ma nessuno si curò di Jacob che era rimasto in posizione fetale in un angolo, immobile, faccia poggiata in una pozza di vomito e occhi iniettati di sangue e lacrime.


Sarah era seduta sui gradini del davanzale di casa sua, mentre un vento gelido le scombinava i capelli. Era tarda notte, Noah si era addormentato al piano di sopra e lei ne aveva approfittato per sgattaiolare fuori, per prendere una boccata d'aria e metabolizzare quanto successo. Ma cos'era successo in verità? Sarah aveva le idee confuse, ricordava solo sua madre martoriata e una donna che svanì, come se fosse una figura paranormale o chissà che cosa... la cosa peggiore era che anche il corpo di sua madre era improvvisamente svanito nel nulla. Si passò la manica della felpa sul viso, asciugandosi le guance e fissando di fronte a sè, nonostante non stesse davvero guardando nulla. Aveva provato a richiamare Javob più e più volte, ma non aveva mai risposto, l'unico suo conforto era Noah, che aveva deciso di restare con lei, come sempre. Si sentì davvero fortunata ad averlo, ora come non mai. Avevano passato tanti momenti insieme, ma questo era qualcosa di surreale, inspiegabile, oscuro. Ringraziò il cielo per averlo insieme a lei, maledicendo al tempo stesso il suo ragazzo che era come svanito nel nulla. 
Liberò la mente per qualche secondo, per poi ripensare agli eventi in caffetteria... e se Jacob avesse visto quella donna? L'aveva chiamata Jane... no, forse stava solo vaneggiando, ormai era sicura di essere diventata pazza. Il pensiero di passar il resto della vita senza sua madre la devastava dentro, come una trappola per orsi incastrata sul cuore, nonostante tutto, la sua mente non riusciva ancora ad elaborare quel pensiero nella sua interezza, una parte di lei era convinta di star sognando e che presto si sarebbe svegliata.
«Non pensi sia un po' tardi per stare fuori?» disse una voce maschile, che fece sussultare la ragazza. Sarah osservò il ragazzo che le si parò davanti, con un smagliante sorriso sulle labbra.
«Chi sei?» chiese con voce atona e stanca.
«La gente mi chiama Angel.» rispose lui, poggiandosi ad una macchina. Osservò quella ragazza, notando che aveva gli occhi rossi per via delle lacrime e trovò che fosse davvero un peccato, era una bella ragazza e non meritava di passare quello che stava passando. Si concentrò maggiormente, percependo diverse fonti di magia oscura in diversi angoli della città, tra cui uno che proveniva proprio dalla casa di questa ragazza.
«Non hai un vero nome?» rispose Sarah, guardandolo fisso negli occhi. Non sapeva bene il perchè, ma quel ragazzo gli ispirava sicurezza, nonostante un pieno sconosciuto, di notte, non fosse la migliore delle ipotesi per chiunque. 
«Non mi chiamano con il mio vero nome da tanto tempo. E tu? Non hai un nome?»
«Sarah.» rispose quest'ultima, non distogliendo lo sguardo dal ragazzo. «Senti, se sei qui per provarci sappi che non è il momento.»
Angel sorrise, scuotendo la testa e alzando le mani. «Mi hai frainteso!»
«Cosa vuoi allora?» rispose lei, mentre stava per perdere la pazienza. Nonostante fosse qualcuno che sembrava a posto, lei si rese conto che qualunque cosa le desse fastidio, qualunque cosa tranne Noah e Jacob, che era scomparso.
«Cos'è successo di sopra?» chiese infine Angel, mentre un'espressione seria si impossessava di lui, cosa che sorprese Sarah al punto da non farla rispondere per qualche secondo. Come faceva a sapere che era successo qualcosa? E soprattutto, come l'aveva trovata? Ma prima che potesse chiederle qualunque cosa, Jane apparve di fronte a lei, strabuzzando gli occhi non appena vide Angel. Quest'ultimo invece materializzò la sua spada di cristallo e la puntò contro la Strega.
«Jane.» sussurrò, a denti stretti.
«Pensavo fossi morto, Mikael.» esclamò la Strega, poi proseguì. «O forse dovrei chiamarti Lucifer's Angel?»

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Capitolo 8
*** Lucifer's Angel ***


Svezia, 1491.

Un uomo dai lunghi capelli neri camminava avanti ed indietro fuori dalla sua abitazione, visibilmente nervoso in viso. Nonostante fosse un abile cacciatore e guerriero, quella situazione l'aveva spiazzato emotivamente non poco. Accanto a lui, seduto su una panca, c'era l'amico di una vita: Ludvig. Ludvig era alto, muscoloso, capelli raccolti in una treccia dorata e barba dello stesso colore. Scrutava con i suoi occhi azzurri l'amico, che continuava a grattarsi la barba corvina nell'attesa più lunga della sua vita.
«Ragnar, rilassati.» esclamò Ludvig, sorseggiando un boccale di birra, come da abitudine in quelle terre. L'uomo pensava che per determinate occasioni sarebbe stato utile un po' di vino, ma importarlo non era semplice e il costo era elevato, ma dopotutto la birra non guastava.
«Non riesco. Per te è semplice, Erik è gia venuto alla luce.» rispose Ragnar, fermandosi e fissando il sole che stava quasi per tramontare, mentre Ludvig accennò un sorriso. 
«Puoi sempre ripensare alle storie di tuo fratello, sulle streghe e quelle cazzate là.»
Ragnar scoppiò a ridere, scuotendo la testa. Suo fratello era sempre stato un viaggiatore, arrivato persino in Germania, dove aveva appreso del culto delle Streghe e se ne era molto interessato, tanto che aveva portato diversi testi, tra cui uno di cui andava molto fiero: il Malleus Maleficarum.
Ludvig accompagnò l'amico, poi si fece improvvisamente serio, non perdendo comunque il suo sorriso.
«Chi l'avrebbe mai detto. Ragnar e Ludvig con figli.» esclamò, con qualcosa che Ragnar non seppe decifrare nella sua voce.
Gli sorrise. «Chi l'avrebbe mai detto.» ripetè.
Mentre i due continuavano a parlare, una donna uscì dall'abitazione, chiamandò Ragnar che senza farselo ripetere due volte si precipitò dentro. Schivò un paio di sedie e si diresse verso il letto della moglie, chinandosi su di lei e osservando il bambino che stringeva tra le sue braccia. 
«Tuo figlio, Ragnar.» disse la donna, porgendo il piccolo nelle muscolose braccia di lui, in attesa che il padre desse un nome a quello che sarebbe diventato un membro importante di quella famiglia.
«Il mio primogenito.» sussurrò Ragnar con un sorriso. «Mikael.» disse infine «Mikael Larsson, figlio di Ragnar Larsson.»


Svezia, 1507

Mikael era chino dietro un cespuglio, mentre seguiva le tracce di un cervo. Non era la prima volta che andava a caccia, l'aveva fatto diverse volte col padre, ma quella volta era diversa, speciale. Era la prima caccia senza l'ausilio del genitore, che tuttavia non era molto distante dato che stava cacciando insieme a Ludvig. Mikael sentì una mano sulla sua spalla, voltandosi e osservando un ragazzo con occhi verdi e capelli biondi che davano sul rosso. I due si sorrisero.
«Trovato niente, Erik?» chiese Mikael, stringendo l'arco tra le sue dita. L'amico per tutta risposta afferrò il pugnale e disegnò qualcosa sul terreno, spiegando il movimento previsto dal cervo. Erik, a differenza di Mikael, non era la prima volta che cacciava da solo, così i loro genitori avevano deciso che potevano benissimo fare coppia insieme, così da migliorare di pari passo.
Mikael annuì sullo schema dell'amico, ma prima che potesse rimettersi in marcia, fu bloccato da Erik stesso, che gli porse un pugnale con un'impugnatura bianca e rivestita da qualche strato di seta colorata di rosso. «Questo è il regalo per il compimento dei tuoi sedici anni.» disse Erik, sorridendo all'amico che gradì molto quel gesto.
I due si rimisero finalmente in marcia, facendo attenzione a non fare troppo rumore per non spaventare le bestie che si aggiravano in quei boschi. Proseguirono per diversi minuti, osservando il paesaggio intorno a loro: quercie, frassini, faggi. I loro rami terminavano in diverse foglie che filtravano la luce solare creando un piacevole gioco di luci ed ombre, rendendo quell'ambiente estremamente affascinante. La stessa cosa non poteva dirsi di notte, dato che la luce lunare non riusciva ad illuminare gran parte della foresta, rendendolo luogo di caccia per diversi animali selvatici.
Mikael si fermò improvvisamente, mettendo una mano davanti all'amico che chiese cosa succedesse.
«Hai sentito?» disse Mikael, tendendo l'arco e incoccando una freccia in direzioni di un gruppo di cespugli fitti, che non lasciavano intravedere cosa ci fosse dietro. Erik afferrò il suo arco, facendo lo stesso, nonostante non avesse sentito alcun rumore. I due analizzarono la zona, guardandosi intorno, mentre Mikael camminava lateralmente verso sinistra per avere una visuale migliore, ma nonostante ciò tutto taceva e niente si muoveva.
«Credo di essermi sbagliato.» disse infine, dando le spalle a quella zona e tornando verso l'amico, che tuttavia spalancò gli occhi e urlò il nome dell'amico, che non fece in tempo a voltarsi che finì sul terreno colpito da qualcosa. Rotolò di lato, afferrando il coltello che gli aveva regalato Erik e puntandolo verso la belva, che si rivelò essere un lupo. Il lupo caricò nuovamente Mikael, mentre Erik si precipitava dalll'amico, arma bianca in mano. 
Mikael si dimenava sotto gli artigli del lupo, riuscendo tuttavia a ferirlo e farlo indietreggiare, cosa che fece bloccare anche Erik, in attesa di qualche mossa dell'animale. I due amici si misero l'uno di fianco all'altro, con Mikael che mostrò un lieve graffio sul braccio.
«Stai bene?» chiese Erik, non perdendo di vista l'animale che iniziò a ringhiare ai due.
«Si, non è niente.» rispose l'altro, anche lui in posizione.
I due ragazzi notarono i muscoli del lupo contrarsi, segno che stava per attaccare nuovamente, ma prima che ciò accadesse, un sibilo attraversò la foresta, mentre due frecce si piantavano sul corpo della bestia che cadeva senza vita al suolo, annunciando l'arrivo di Ragnar e Ludvig, che corsero dai propri figli.
«State bene?» chiesero, mentre i due annuivano, soddisfatti per aver tenuto testa ad un lupo.
A fine caccia tornarono nel villaggio, con un cervo e la carcassa di quel lupo, finendo il tutto con una cena in onore del sedicesimo compleanno di Mikael.
Ragnar si avvicinò al figlio, porgendogli un ciondolo con l'artiglio di un lupo interamente nero.
«Oggi diventi un uomo, figlio mio. Questo è il mio regalo, cosicché non potrai mai dimenticarti del tuo vecchio, ricordandoti al tempo stesso che tu sei più forte di tutti i pericoli che la vita ha in serbo. Buon compleanno, Mikael.»
Il ragazzo sorrise, indossando il ciondolo nato dall'aggressione di quel lupo. Indossando il regalo di suo padre, giurando di portarlo sempre con sè. Si voltò verso la madre, che gli sorrise con amore, per poi voltarsi verso Erik, che gli fece l'occhiolino mentre mandava giù un enorme pezzo di carne, sotto lo sguardo divertito del padre Ludvig e della madre.
Calò la notte, tutti ormai stavano dormendo, con le due famiglie che avevano deciso di passare la notte insieme. Ragnar e Ludvig stavano parlando del più e del meno sotto la luce della luna, mentre le donne e i bambini dormivano beatamente. Mikael ed Erik furono svegliati da un enorme scoppio, notando della luce rossa che proveniva da fuori. Si affacciarono e videro il villaggio in fiamme, mentre diversi cadaveri giacevano al suolo, pieni di sangue e bruciature. Sentirono le urla delle loro madri, così senza dirsi nulla corsero al piano di sotto afferrando i loro pugnali. Uscirono di casa, il cuore che martellava dentro le loro casse toraciche. 
Lo spettacolo che si palesava di fronte ai loro occhi era orribile: le loro madri erano al suolo immerse nel loro stesso sangue, mentre una donna alzava una spada senza toccarla e la scagliava verso Ludvig, trafiggendogli la testa.
Erik restò immobile, mentre le lacrime rigavano il suo viso. Mikael aveva sentito diverse volte da suo zio storie su quelle che venivano chiamate Streghe, ma non ci aveva mai dato troppo peso. Adesso sapeva che era tutto vero. Si voltò verso il padre, che venne afferrato dal collo e trafitto con una sola mano da quella donna, che lo teneva ancora a sè. Ragnar si voltò verso il figlio, ordinandogli di scappare, ma quest'ultimo corse verso la Strega e la trafisse alle spalle con il suo pugnale, facendola svanire in un esplosione di fiamme oscure. Il pugnale aveva attraversato le ossa fino ad arrivare al cuore, uccidendo la Strega che non aveva percepito la presenza del ragazzino. 
Ragnar cadde a terra, con un foro sul petto. «Mikael...» sussurrò, mentre sputò del sangue sul terreno. Il figlio strinse il ciondolo, cercando conforto in quel regalo del padre, sperando che tutto si sarebbe sistemato. Con la mano destra carezzò la guancia del padre, che tentò di far forza al figlio.
«Sono fiero di te, figlio mio...»
«Padre... non morire ti prego...» disse, singhiozzando.
«Sei un uomo ormai... non dovresti piangere. Fin quando avrai quel ciondolo, io sarò sempre a vegliare su di te. Prenditi cura di te stesso, diventa un uomo forte... fai le scelte che ritieni giuste e... e...» Ragnar non riuscì mai a finire quella frase, che si spense tra le braccia del figlio, che scoppiò in lacrime.


Passarono diversi giorni, Mikael ed Erik avevano appena finito di mangiare la carne del cervo cacciato pochi giorni prima. Entrambi avevano perso l'intera famiglia, restando soltanto l'uno in compagnia dell'altro.
«Ho sentito diverse storie sulle terre oltreoceano... dicono che ci sono diverse possibilità per gente come noi.» annunciò Mikael, serio in viso.
«Cosa intendi?» rispose Erik.
«In diverse colonie sono state avvistate delle Streghe, a quanto pare si stanno spostando tutte nel nuovo continente.»
«Vuoi cacciarle?» chiese Erik, avvicinandosi all'amico, che aveva uno sguardo così diverso che quasi non sembrava lui,
«Proprio così. Qui non abbiamo nulla, è tempo di vendicarci contro le figlie del Demonio. Sei con me, fratello?»
Erik lo fissò, per poi annuire. «Sono con te, fratello.» 


America, 1510

Mikael ed Erik ormai erano riconosciuti come Cacciatori di Streghe, venendo addestrati dai migliori Cacciatori del paese. Si lasciarono alle spalle la loro vecchia vita, tuttavia ricordandola ogni notte prima di dormire, come monito delle loro imprese. I loro abiti tipici delle terre del Nord adesso erano sostituiti con abiti di colori più scuri, fatti appositamente per contenere spade, pugnali, archi, balestre e diverse fiale contenente bombe al sale, acqua santa o altri strumenti utili alla loro caccia. Mikael indossava ancora il ciondolo del padre, portando con sè anche il pugnale che gli aveva donato Erik il giorno del suo sedicesimo compleanno. Il loro addestramento durò un anno, fatto di prove ai limiti dell'umano che duravano fino a venti ore giornaliere. 
Dopo due anni, avevano cacciato e ucciso più di sette Streghe, spedendone al rogo almeno dieci in diverse colonie e villaggi americani.I due alloggiavano in una locanda, con Mikael che si sedette sul letto, scuotendo la testa.
«Se solo fossi stato più veloce...» disse, con voce amareggiata. Erik ripensò all'evento: una Strega era stata scoperta, prendendo in ostaggio un padre ed un figlia neonata. Quel padre aveva parlato diverse volte con i due Cacciatori, tanto da ospitarli anche a casa e offrirgli da mangiare. L'uomo aveva fatto amicizia soprattutto con Mikael, che non disdegnava di raccontargli diverse avventure o storie palesemente inventate che facevano divertire l'uomo. La loro amicizia durò per tre mesi, fino a quell'evento.
Mikael fu respinto dalla Strega, che tagliò la gola al padre e alla giovane neonata, ricavandone un potere enorme, ma non aveva calcolato la presenza di Erik, che la colpì da un tetto con diversi dardi imbevuti di sale ed acqua santa.
Conosceva fin troppo bene Mikael, sapeva che non si sarebbe mai perdonato quell'evento.
«Non è colpa tua, fratello mio.» rispose, osservando l'amico che stava quasi torturando il ciondolo del padre. «Adesso dormiamo, domani dobbiamo affrontare un lungo viaggio.»
«Hai ragione.» rispose Mikael, promettendo di redimersi da quella vicenda che lo stava torturando internamente.


America, 1513

Mikael ed Erik stavano indagando in un villaggio in cui si narrava di diverse fenomeni paranormali, come sparizioni di donne e bambini ed uomini soggiogati dalle figlie della notte. I due amici si separarono, tentando di allargare le loro ricerche e finire prima il loro compito. 
Mikael era in una foresta, dove venne fermato da una ragazza dai capelli corvini ed occhi azzurri che quasi lo ipnotizzavano. Non era la prima volta che vedeva quella ragazza, dato che si erano scambiate diverse occhiate durante l'assemblea del villaggio, di certo la cosa non gli dispiaceva, nonostante Erik lo prendesse in giro, dato che il ragazzo non aveva mai avuto molte esperienze con le ragazze, per colpa della Caccia.
«Non dovresti seguire uno sconosciuto nel bosco.» scherzò Mikael, avvicinandosi alla ragazza.
«Ma lo sconosciuto sei tu, credo che tu mi abbia praticamente divorata con gli occhi» sorrise lei.
«Sono Mikael.» disse lui, afferrando la mano di lei e dilettandosi in un baciamano.
«Jane.» rispose la ragazza, sorridendo. «Così sei un Cacciatore di Streghe.»
Mikael accennò un sorriso. «Proprio così.»
Jane camminò avanti ed indietro, picchiettandosi le dita sul mento. «Non è vietato che i Cacciatori abbiano relazioni?» chiese lei.
«Beh, si. Ma potrei fare un eccezione.» rispose, avvicinandosi alla ragazza e stringendo le mani di lei tra le sue. I due si baciarono, iniziando una relazione che durò circa sei mesi, il tempo della permanenza dei due Cacciatori in quel villaggio. Jane era una ragazza solare, premurosa, simpatica ed intelligente, ma soprattutto piena d'amore, così tanto amore che Mikael non sapeva nemmeno spiegare.
Arrivò il momento dell'addio tra i due, con Mikael ed Erik che partirono verso una chiamata urgente da un villaggio poco distante. «Ci rivedremo?» chiese Jane.
«Te lo prometto.» rispose Mikael.


America, 1516 

I due Cacciatori tornarono nel villaggio di Jane, pensando di prendersi una meritata vacanza da tutte quelle Streghe, ma ciò che trovarono turbò i due non poco. Trovarono tracce di una Strega in una foresta, così decisero di seguire quelle tracce, finendo in una caverna dove all'interno vi erano Jane e una donna interamente vestita di nero, con almeno il doppio degli anni della ragazza. Jane stava compiendo un sacrificio umano, immersa interamente in un pentacolo. La donna in nero osservò fuori dalla caverna, notando i due Cacciatori.
«Cacciatori.» sibilò, alzandosi e dirigendosi verso i due, seguita da Jane che cambiò espressione non appena vide Mikael. Quest'ultimo continuava a scuotere la testa, incredulo. Come poteva la ragazza di cui si era innamorato essere una Strega? Come? Perchè? Erik tentò di riportarlo alla realtà, ma la Strega in Nero evocò diverse radici che avvolsero il corpo del ragazzo, fino a strangolarlo. Mikael tornò in sè e con la sua spada spezzò le radici, liberando il fratello che indietreggiò, tossendo e portandosi la mano sul collo. Passò all'attacco, brandendo la sua spada ma finendo colpito sia da Jane che dalla Strega Nera, stessa cosa Mikael, che non riusciva a colpire con convinzione la ragazza che amava. Per i due Cacciatori la situazione si fece complicata: la Strega Nera trafisse Erik con diverse radici, perforandolo in più punti e lasciandolo a terra immobile, mentre Jane evocò una lastra di pietra appuntita e trafisse la spalla di Mikael, lasciandolo a terra immerso in una pozza di sangue, lasciando Jane soddisfatta dal suo lavoro. Mikael era stata il banco di prova per il suo incantesimo, un rito che causava la morte istantanea a chiunque venisse trafitto da quell'enorme scheggia di pietra.

Passarono diversi giorni, Mikael era stato soccorso dagli uomini del posto, chiedendo subito dell'amico, ricevendo tuttavia la notizia della sua morte. La sua mascella si irrigidì dalla rabbia.
«Jane Ember. E' la Strega che state cercando, insieme ad una donna in nero.»
Gli uomini in stanza annuirono e dopo diverse ricerche e constatazioni, Jane venne messa al Rogo.


Mikael si riprese del tutto, mentre diversi uomini di chiesa osservavano il Diario di Jane, tomo oscuro usato per diversi incantesimi. Erano a conoscenza che una volta aperto, l'anima di Jane sarebbe tornata più forte di prima pronta a seminare morte e distruzione. Mikael entrò in chiesa, chiedendo informazioni su quel tomo e apprendendo il destino di Jane, tenuta in vita da un incantesimo che legava la sua anima a quelle pagine.
«Aprirò quel Diario e la finirò con le mie stesse mani.» disse Mikael, serio in viso.
«Nessun Cacciatore o uomo che sappia la natura del Diario può aprirlo. Serve qualcun ignaro delle vicende della Principessa Cinerea. Non è detto nemmeno che rinasca in questa epoca.»
«Allora procedete all'Immortalis Venator.»
Gli uomini di Chiesa si guardarono tra loro, increduli. Solo un Cacciatore aveva chiesto quella pratica, non sopravvivendo. «Sai che non si sopravvive a quel rito! Sei il miglior Cacciatore dei nostri tempi, non puoi rischiare.»
«Se non lo farete voi, allora lo farò io stesso.»
«Procedi.» disse la carica più importante dentro quel luogo sacro. «Che dio ci aiuti.»
Mikael  venne posizionato all'interno di un pentacolo, mentre in un pentacolo opposto veniva posizionato il Diario di Jane. Il Cacciatore consegnò il suo pugnale all'uomo che stava preparando il rito, pensando che fosse assurdo che la magia nera fosse tanto disprezzata dopo che veniva usata anche dagli ecclesiastici per diverse opere di caccia alle Streghe. L'uomo pronunciò una formula magica e trafisse Mikael con il suo stesso pugnale, che scomparve dentro di lui. Mikael cadde a terra in preda a diversi spasmi, fino a bloccarsi e smettere di respirare. Dopo qualche minuto si rialzò, inginocchiandosi di fronte all'ecclesiastico.
«Mio Signore...» balbettò lui, iniziando a pregare seguito da tutti gli altri. Mikael era diventato il Cacciatore Immortale, colui che poteva essere ucciso soltanto da una Strega, colui legato al Diario di Jane e che faceva della morte della ragazza la sua stessa ragione di vita, insieme al desiderio di vendetta per quella Strega Nera che aveva ucciso Erik.


Salem, 1692

La chiesa era piena come sempre, mentre il parroco stava benedicendo tutti i presenti contro la presenza oscura delle Streghe avvenuta un anno prima, con diversi malefici e sortilegi che presero presto in vita in tutta la cittadina. Tutto procedeva tranquillamente, fin quando la vetrata della chiesa non fu infranta e qualcosa entrò dall'alto, posizionandosi chino sull'elsa di una spada gigante, pezzo di una statua angelica. L'effetto ottico fu di gran classe, con quel ragazzo che sembrava avere due enormi ali sulle spalle.
«Un Angelo!» iniziarono ad urlare i presenti, fin quando quell'angelo non saltò sull'altare e tagliò la testa al prete con una spada di cristallo. Il ragazzo mietè diverse vittime in quella chiesa, uccidendo tutti coloro che avevano avuto rapporti con le figlie della notte e ad alcune Streghe che si nascondevano tra la folla. Il suo viso era ormai imbrattato di sangue, il suo sguardo colmo d'odio e la gente che iniziò a temere la sua presenza. I suoi modi così crudeli di Caccia trasformarono il suo soprannome da Angelo ad Angelo di Lucifero, con la leggenda del Lucifer's Angel che prestò dilagò in tutta Salem. Grazie al Lucifer's Angel, la comunità di Salem venne ben presto ripulita dal male, mentre il ragazzo continuò il suo viaggio in cerca di Jane, la Strega Nera, ed altre Streghe su cui riversare la propria rabbia. 
La furia omicida di Mikael, il Lucifer's Angel durò fino al 1700, fin quando non sognò Ragnar, suo padre, che lo pregava di ritornare in sè e abbandonare la strada dell'odio e della violenza insensata, così Mikael decise di troncare quel soprannome, che divenne semplicemente Angel.


Lawrence, 2016

«Va dentro.» ordinò Angel a Sarah, che corse in fretta e furia le scale, chiudendo tutto dietro di sè. Adesso il confronto era solo tra quei due ex amanti di cinquecento anni prima, adesso l'uno di fronte all'altra.
«E' finita, Jane.»
Jane sorrise. «Mi sono risvegliata adesso dopo cinque secoli. Sarei solo una sciocca se ti affrontassi, Mikael.»
Sorrise, per poi svanire in uno stormo di corvi, lasciando il Cacciatore da solo nella notte.

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Capitolo 9
*** Dahlia ***


«Siamo arrivati.» esordì Angel chiudendo la porta dietro di sè e facendo accomodare Noah e Sarah, che osservavano quell'abitazione. Sentendo quel rumore e quelle voci, Matt si precipitò subito all'ingresso, guardando perplesso Angel e gli altri due ragazzi. Come poteva prendersi la libertà di invitare sconosciuti a casa sua? Aprì la bocca per parlare, ma fu bloccato del ragazzo.
«Lo so, non è casa mia.» iniziò il Cacciatore, fissando Matt che incrociò le braccia, aspettando una spiegazione plausibile. Non che ormai le scelte plausibili fossero frutto della sana logica, ma sperava che la spiegazione fosse più normale di catastrofi legate a mostri, streghe o chissà quale altro evento paranormale.
«Però loro sono in pericolo quanto te e, ora come ora, casa tua è uno dei posti più sicuri.»
Matt sbuffò, abbassando lo sguardo, successivamente si soffermò su Sarah, che gli disse "scusa" senza farsi sentire da nessuno, cosa che lo fece annuire. Dopotutto perché doveva negare protezione a quella gente? In fondo era rimasto da solo con Jemma, non aveva altre persone in quella città... anche se, voleva davvero un po' di tranquillità.
Passarono le ore, Matt ed Angel stavano discutendo su eventuali scappatoie a quella situazione, con quest'ultimo che disse al ragazzo che effettivamente c'era un modo per eludere quella magia, ma doveva abbandonare la cittadina ed andare abbastanza lontano da sfuggire al controllo della Strega. 
«Jane è ancora debole. Se solo riuscissi ad allontanarti di tanto, forse...»
«Canada.» rispose Matt, fissando una tazza di caffè fumante, che si era premurato di offrire anche agli ospiti, che stavano discutendo abbracciati su un altro divano, con la testa di Sarah poggiata sulle gambe di Noah, che continuava a carezzarla con fare molto dolce. Angel fissò quella scena diverse volte, per poi tornare a concentrarsi su Matt.
«Canada?» ripetè Angel.
«Si. Mia madre vive lì, potrebbe essere un posto abbastanza lontano, non trovi?»
Il ragazzo ci pensò su, per poi annuire. «Si, là saresti al sicuro.»
Matt sospirò, visibilmente rilassato in viso. Pensò alla sua bimba, al fatto di farle conoscere la nonna, intraprendere una vita felice e tranquilla e non dover pensare a minacce magiche. Si, era decisamente la cosa migliore da fare, dopotutto non aveva nulla da perdere, non più ormai. 
«Vado a controllare Jemma.» disse, alzandosi e svanendo dietro la porta, diretto in camera da letto. Angel si poggiò sullo schienale, toccò il ciondolo per qualche secondo e successivamente sospirò.
«Tutto ok?» chiese Noah, guardando il ragazzo, che evidentemente non si aspettava quella domanda. «Si.» rispose infine.
Durante il tragitto dalla casa di Sarah a quella di Matt, Angel si era lanciato in una spiegazione dettagliata di quello che era successo, spiegando la natura delle Streghe, chi fosse Jane e i vari riti di cui si servivano. Convincere quei due non fu semplicissimo, ma furono inclini alla verità dato che avevano assistito in prima persona alle opere della Strega. Il ragazzo spiegò anche la sua natura di Cacciatore Immortale, reso tale da un incantesimo di legame ad un oggetto stregonesco, vincolando la sua immortalità ad una strega. La sua vita poteva finire solo per mano di una di loro, mentre le ferite mortali dovute da incidenti, attentati o altro lo uccidevano solo temporaneamente. Non risentiva neanche del trascorrere del tempo e, tra le altre caratteristiche, aveva acquisito un limitato potere magico, come l'evocazione di armi e il tracciamento di alcuni incantesimi di protezione o supporto. 
«Non ti ho ancora ringraziato.» disse Sarah, alzandosi e dirigendosi verso il ragazzo. Si sedette accanto a lui, osservandolo con un sorriso. Lui la guardò per qualche secondo, sorridendole a sua volta. «Non devi.»
«Si invece, grazie Mikael.» ribattè lei, mentre giocava con un braccialetto che teneva in mano. Era un regalo di Noah, un braccialetto di cuoio che a volte la ragazza toglieva per stringerlo tra le mani. Era praticamente la stessa cosa che faceva il Cacciatore con la sua collana, solo che lui non la toglieva ma la stringeva solamente. Per alcune persone bastava poco per tranquillizzarsi, e loro due appartenevano a questa categoria. Alcuni oggetti, ricordi, regali... erano davvero importanti tanto da regalare all'animo umano quella pace che nessun'altra cosa poteva donare. A volte le cose di poco valore per alcuni, erano tesori per altri. 
Mikael... sentendo quel nome, Angel sussultò. Un conto era essere chiamato così da Jane ma... sentire quel nome da un'altra voce era strano. Non sapeva dire con certezza quali emozioni l'avevano attraversato, sapeva solo che comunque non era male risentirlo dopo cinquecento anni. Portò nuovamente la sua mano al ciondolo, ripensando a quando sentiva quel nome da suo padre, o sua madre. Padre che tuttavia era sempre con lui, grazie a quel ciondolo ma non solo. Anche la sua spada di cristallo era un omaggio al padre Ragnar: la lama si chiamava infatti Ragnarok, omaggio al padre e alla lotta tra le forze della luce e delle tenebre nella mitologia norrena, evento che porterà alla fine del mondo e alla sua rinascita. Angel trovava la cosa poetica, dopotutto lui cacciava le tenebre, altre volte la trovava banale.
«Senti, se sei qui per provarci sappi che non è un buon momento.» esclamò Angel, alludendo alla conversazione avuta con la ragazza davanti casa sua. Quella battuta la fece sorridere, facendole dimenticare per qualche secondo tutti i problemi che l'affliggevano. I due restarono così, a guardarsi e a sorridersi per diversi secondi, mentre Noah li fissava con un sopracciglio alzato, simulando un accesso di tosse poco dopo.
Sarah guardò l'amico, per poi dirigersi verso di lui, mentre Matt irrompeva in stanza con Jemma in braccio e una valigia pronta. I due amici si guardarono tra di loro, mentre Angel fece una strana espressione, si aspettava di tutto, tranne quello.
«Non vedo perchè dovrei aspettare. Parto ora, in piena notte.»
«Matt...» iniziò Angel, ma fu bloccato da Matt, che era fermo sulla sua decisione.
«Che senso ha stare qui, intrappolato tra quattro mura? Hai detto che se vado abbastanza lontano Jane non potrà trovarmi, hai anche detto che serve un marchio visibile sulla pelle per le maledizioni rintraccibiali ovunque. Io non ho nessun marchio, idem Jemma. Siamo solo vincolati a quella Strega solo perché ci troviamo nel suo raggio d'azione, è ora di finirla. Se non fosse stato per te io sarei morto e Jemma catturata, quindi grazie... ma è arrivato il momento di salutarci. Usa questo posto come casa tua, è il minimo che posso fare per te.»
«Sei sicuro?» chiese Angel. Sapeva di non poter proteggerlo per sempre, sapeva che se usciva da Lawrence e andava abbastanza lontano Jane non poteva trovarlo, ma... rimaneva comunque rischioso.
«Sono sicuro, davvero.» Matt chinò il capo, per poi andare verso la porta e dirigersi verso l'automobile, per svanire nella notte in una manciata di minuti. In casa si ritrovarono soltanto Angel, Noah e Sarah, con l'amico di quest'ultima che fece una domanda abbastanza sensata.
«Quindi se Sarah abbandona la città...»
«No.» lo interruppe subito Angel, mentre si andava a versare un drink. «Jane ha espressamente scelto Sarah, questo rende il loro vincolo... diverso.»
«Poi non ho intenzione di scappare.» aggiunse Sarah, seria in viso. «Quella puttana ha ucciso mia madre, devo fargliela pagare.»
Noah non aggiunse altro, mentre Angel fece un'espressione che lasciava intendere praticamente tutto, ovvero: "Guarda quanto è cazzuta questa qua."
Il Cacciatore iniziò a sorseggiare il suo drink, mentre il silenzio della stanza fu rotto dallo squillare di un cellulare. Sarah rispose.
«Si... si sono io... cosa? Jacob? Arrivo subito.»
Sarah corse via dall'abitazione, seguita da Noah che non riuscì a capire il discorso, non aveva tuttavia intenzione di lasciarla da sola. Angel rimase a bere quel cocktail, osservandosi intorno e notando il braccialetto della ragazza sul pavimento. Lo raccolse, osservandolo per qualche secondo, successivamente posò il drink, mise il bracciale in tasca  e seguì la coppia di amici, tenendosi a debita distanza per non essere invadente. 

Dalla cima di un palazzo, il ragazzo incappucciato osservava ogni cosa. Aveva visto Matt e Jemma uscire di casa, aveva osservato dalla finestra Angel che beveva e discuteva con gli altri, aveva osservato ogni singolo movimento di quel gruppo, concentrandosi principalmente sul cacciatore. Nella mano destra stringeva la stessa spada che aveva quando divenne una statua, mentre la sinistra era aperta, rilassata. Quando Angel passò sotto di lui, il ragazzò lo fisso con una smorfia. Sentì gli occhi umidi, per poi accorgersi di star lacrimando. Portò la mano libera sul viso, toccando quella lacrime per poi osservare le dita calde e bagnate, notando quel liquido rosso che rigava il suo viso. Stava piangendo sangue.

Matt procedeva spedito sulla strada verso il Canada, era ormai in viaggio da una decina di minuti. Aveva posizionato Jemma in modo che non si facesse male, assicurandosi anche di non essere seguito da nessuno. Ancora non riusciva a metabolizzare per davvero quella situazione: mostri di cenere, Streghe sanguinarie, magie, riti, maledizioni... si sentì improvvisamente catapultato in un film, ma la cosa era purtroppo reale.
Non voleva mettere in gioco la vita della sua piccola, non poteva. L'amava con tutto sè stesso e, anche se non si sentiva pienamente in grado di poter riuscire ad essere un buon genitore, doveva riuscirci. Era quello che avrebbe voluto la madre di Jemma, lui doveva essere forte e dimostrarle che poteva farcela, poteva crescerla in salute e vederla andare a scuola, vedere le sue prime cotte, i suoi primi problemi adolescenziali. Per poi passare al matrimonio, figli e così via. 
Sorrise, accorgendosi di star correndo troppo con la fantasia. Si voltò verso Jemma, che stava dormendo ignorando quello che il mondo aveva in serbo per lei. Doveva essere davvero rilassante essere così innocenti e capire davvero poco del mondo, pensò Matt.
Tornò a fissare la strada, trovandosi a dover frenare di botto per non investire una signora completamente vestita di nero. L'auto si fermò a qualche metro dalla donna, che si avvicinò alla vettura. Jemma iniziò a piangere e il cuore di Matt martellava dentro il suo petto. Tentò di slacciare la cintura di sicurezza ma senza riuscirci.
«Maledizione.» disse, con un filo di voce, non dandosi per vinto. Continuò a tentare, con tutta la forza che aveva in corpo, mentre il pianto della sua piccola accompagnava ogni suo movimento, come una drammatica melodia.
«Serve una mano?» chiese la donna, ormai accanto a Matt che osservò quella donna. Aveva il viso magro, un sorriso sottile e occhi verdi. I suoi capelli erano neri come il carbone e indossava un elegante abito nero che sembrava uscito da un quadro dell'ottocento.
«Chi diavolo sei?» chiese lui, notando qualcosa nello sguardo di quella donna che lo inquietava non poco. Pensò a Jane, ma sperava con tutto sè stesso che il nome che avrebbe sentito fosse diverso. Doveva essere diverso, non poteva finire di certo così.
«Vuoi sapere il mio nome? Sciocco umano...» sibilò lei, carezzando il viso di Matt, che si sentì terribilmente a disagio da quel contatto. Era come se un'essere freddo e oscuro lo stringesse dall'interno, allentando il suo respiro e avvolgendolo in un velo di ghiaccio.
«Oh... pensi che io sia Jane?» disse infine, mostrando un'espressione stupita e divertita allo stesso tempo, sentendo il ragazzo tremare sotto le sue dita.
«Se la cosa può consolarti... no. Il mio nome è Dahlia.»
«Stai lontana da me.» rispose Matt, tentando di liberarsi.
Dahlia sorrise, per poi avvicinarsi a Jemma, facendo agitare ancor di più Matt, che le urlava contro le peggiori cose e di lasciar stare la sua bambina. Dahlia, tuttavia, non ascoltò una sola parola e aprì lo sportello passeggero, sfiorando Jemma che a quel contatto, smise di piangere e... di respirare. Il suo volto divenne cianotico e il suo corpicino non si mosse più.
Matt si bloccò, incapace di dire qualcosa o muoversi. Dahlia si avvicinò nuovamente a lui, aprendo il suo sportello e passandogli una mano sul torace con fare molto delicato. Sorrise, per poi infilare il palmo nel corpo del ragazzo, estraendone successivamente il cuore. 
Dahlia osservò quell'organo pulsare nella sua mano, per poi pronunciare una formula magica, assorbendo la linfa vitale di quel padre e figlia, che le donarono molto più potere di quanto potesse immaginare, dovute anche all'incantesimo di Jane. 
La Strega Nera lanciò successivamente il cuore dietro di sè, e dopo diversi passi, svanì in una tempesta di petali neri.


 
 
Note dell'autore.
 



Rieccoci con l'angolino di Marco! Allora, so che alcuni aspettano la storyline di William e David ma non si integrava bene con le varie vicende per ora. Dovrei riuscire a parlarne nel prossimo capitolo, con sviluppi carini per qualche personaggio.
Tenevo a dire anche un'altra cosa, riguardo alla pubblicazione: non so se riuscirò a mantenere il ritmo settimanale, quindi se dovessi superare i classici 7 giorni, sappiate che è normale, questo mese è leggermente più pieno di impegni (e anche perchè è estate, qui in Sicilia FACCALDO e a me manca la voglia di scrivere in estate!) ma ci sarò comunque, con ritmi forse irregolari ma ci sarò.
Infine... beh, godetevi il capitolo as always!
Passo ai soliti grazie per i miei due stalker (ve se ama) per chi segue le storie, per chi legge in silenzio e per tutti gli altri che passeranno da queste righe.
Il vostro (accaldato) NeroNoctis / Marco!

Ps. Per il finale... sono parente di Giorgione Martin, sappiatelo. 

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Capitolo 10
*** Jimmy ***


Sarah e Noah erano arrivati in corsa fin dentro all'ospedale dove, secondo la chiamata che aveva ricevuto la ragazza, era stato ricoverato Jacob. Una volta dentro, i due si fermarono qualche secondo per riprendere fiato, per poi chiedere informazioni ai medici che stavano passando lì vicino. Una volta appreso il numero della stanza, i due si precipitarono nella direzione corretta, mentre Angel continuava a stare dietro ai due senza intromettersi troppo.
Non sapeva nemmeno perchè volesse rispettare la privacy di quei due, dopotutto era un Cacciatore, uno che si faceva gli affari degli altri per cacciare, proteggere... ma stavolta non voleva davvero essere inopportuno.
I due amici arrivarono finalmente nel corridoio esatto, notando in lontananza un medico che stava parlando con un ragazzo vestito con un paio di jeans neri e una maglia con un teschio sopra. I capelli erano così neri che avrebbero fatto invidia persino al buio dell'universo, mentre i suoi occhi azzurri sembravano due stelle che illuminavano quell'oscurità. Quello strano abbinamento di nero ed azzurro era quasi ipnotico, con quello sguardo glaciale messo in risalto dalla matita che portava agli occhi.
Sarah e Noah lo conoscevano bene, era una vecchia amicizia di Jacob, una di quelle amicizie che è meglio lasciarsi alle spalle. Giravano un sacco di voci su Jimmy, nessuna confermata e nessuna smentita. Tutto ciò che la gente sapeva di quel ragazzo erano solo storie riguardo il suo essere disadattato, ribelle, maleducato e a volte anche violento. Che facesse uso di droghe era risaputo, ma Sarah era sicura che dietro quel comportamento ci fosse qualcosa o qualcuno, cosa che tradiva a volte il suo sguardo.
«Jimmy» disse Sarah, avvicinandosi al ragazzo che notò solo in quel momento la sua presenza. La osservò in modo ambiguo, come se stesse cercando di decifrare un cubo di Rubik, cosa che mise una certa inquietudine a Sarah, che tuttavia non distolse lo sguardo da quegli occhi azzurri. Pensò che era davvero un peccato ridursi in quel modo, dopotutto Jimmy era davvero un bel ragazzo, ma il destino evidentemente avevi altri piani in serbo per lui. Noah si avvicinò all'amica, come a darle manforte per resistere a quello sgaurdo così strano e penetrante. Jimmy non degnò di uno sguardo Noah, restando concentrato sulla ragazza. Dopo qualche attimo la sua espressione si rilassò, inclinando leggermente la testa, come se fosse un cagnolino che tenta di capire qualcosa che non conosce.
«Ci conosciamo?» rispose lui, tenendo la testa inclinata e sgranando gli occhi. Noah pensò che quel tipo era davvero strano come si raccontava in giro, chiedendosi come facesse Jacob a frequentare gente come lui. Pensò che evidentemente dopo qualche spinello era tutto più interessante, ma trovare interessante qualcuno come Jimmy era davvero... difficile.
Noah si voltò per un attimo, notando alle sue spalle Angel poggiato al muro, che osservava la scena da lontano. Il Cacciatore chinò la testa, come a voler dire "siete al sicuro", gesto che ricambiò il ragazzo, visibilmente sollevato da quella presenza. Dopo aver assistito alla morte della madre di Sarah, una malsana paura e preoccupazione si era impossessata di lui, ma cercò di non darlo troppo a vedere, doveva occuparsi di Sarah e cercare di farla star bene. 
«Sono Sarah. Jacob è il mio ragazzo... dimmi cos'è successo, ti prego.» 
Jimmy parve pensarci su, poi finalmente rispose a quella domanda. Dall'espressione che assunse sembrava quasi la domanda più difficile di un esame universitario, ma riuscì a venirne fuori, dopotutto. «L'ho trovato sotto al ponte, dove ci riuniamo. Pensavo fosse morto...» sorrise leggermente, per poi tornare a completare il suo discorso «ma respirava ancora. Ho chiamato un ambulanza ed eccoci qua. L'ho visto mentre si faceva di chissà cosa, poi...» 
«Poi cosa?» chiese la ragazza, visibilmente preoccupata. Non riusciva a credere che Jacob avesse fatto uso di droghe pesanti, perchè mai poi? Per via di Jane? Non aveva senso...
Jimmy non rispose, si limitò a fissare la ragazza per poi guardare un punto indefinito dietro di lei. Il suo sguardo parve confuso, successivamente divenne colpo di rabbia, odio, come se fosse davanti al suo peggior nemico. Strinse i pugni, continuando a guardare in cagnesco il nulla. Noah strinse la mano di Sarah, come se si stesse preparando per qualcosa, non sapendo in effetti cosa.
«STA ZITTO!» urlò Jimmy, puntando il dito contro il muro per poi colpirlo con un pugno.
«VAI VIA, VATTENE, VATTENE! LASCIAMI STARE!» 
Altri pugni si riversarono contro quella parete, mentre le nocche del ragazzo diventavano rosse per via del sangue che iniziò a sgorgare. Un gruppo di medici corse verso il ragazzo, afferrandolo di forza per poi portarlo via, mentre lui continuava ad urlare frasi sconnesse e senza senso. Sarah aveva sentito storie riguardo ad una sorta di pazzia che affliggeva Jimmy, ma non ci aveva mai dato troppo peso, ma in quell'istante le cose cambiarono, mentre lei si ritrovava a provare un gran pena per quel ragazzo.


Passarono diversi minuti ma finalmente Sarah entrò in camera di Jacob, mentre Noah aveva ricevuto una chiamata e sembrava davvero preoccupato. Una volta finita quella chiamata, disse qualcosa a Sarah e corse via, lasciando la ragazza da sola con Jacob, mentre Angel era poggiato al muro fuori dalla stanza. Il Cacciatore inarcò un sopracciglio vedendo Noah correre via, ma non si fece troppe domande, dopotutto non era braccato da entità paranormali, quindi era momentaneamente al sicuro.
«Jacob...» sussurrò Sarah, mentre il suo ragazzo apriva lentamente gli occhi. Era ancora pallido, labbra screpolate ed occhi lucidi. Sarah gli passò una mano sul viso, con lui che accennò uno stanco sorriso.
«Ti ho deluso...» rispose lui, con aria triste. Era la prima volta che vedeva Jacob in quelle condizioni e la cosa le faceva davvero male.
«No» disse Sarah, chinandosi su di lui «non mi hai deluso.»
«Si... ho quasi rischiato di morire e forse... forse lo volevo davvero. Non voglio che succede lo stesso a te...» 
«Di cosa parli?» chiese Sarah, confusa.
«Jane...» ribattè Jacob, mentre fuori dalla stanza Angel aggrottò la fronte. Come poteva conoscere Jane? Anche lui aveva assistito al rituale? No, non poteva... Jane evocava le creature di cenere, non si presentava mai ad uccidere un uomo con le sue stesse mani, non in quel contesto almeno.
«Io ho liberato Jane dal suo Diario... per colpa mia... mia sorella ed i miei genitori sono... sono...»
Il respiro del ragazzo si fece affannato, il suo corpo venne attraversato da spasmi e il macchinario a cui era connesso iniziò a suonare, mentre un'equipe di medici si precipatava in stanza e faceva uscire sarah, che si ritrovò fuori in corridoio in preda ai suoi pensieri, alle sue perdite e al suo dolore.
Si poggiò con la schiena al muro, scivolando lentamente sul pavimento ed iniziando a piangere, con il respiro spezzato da innumerevoli singhiozzi. Forse era la prima volta che ripensava sul serio alla sua situazione: la morte di sua madre, Jacob quasi morto e in condizioni critiche, il suo liberare Jane... e Noah era praticamente scappato senza un motivo logico. La vita di Sarah stava precipitando sempre di più in un baratro senza via d'uscita.
Ripensò ai momenti felici con sua madre, quando ancora quella stupida depressione non la costrinse a letto. Ripensò ai momenti felici con Jacob, quando non era così opprimente e non lottava nemmeno tra la vita e la morte. Pensò di essere sbagliata, di aver sbagliato tutto e che forse quella era la punizione che si meritava. Ma cosa aveva fatto di male? Cosa? Non seppe rispondersi, l'unica cosa che sapeva era di non meritarsi tutto questo, mentre i singhiozzi riempivano quel corridoio e le lacrime rigavano e riscaldavano le sue guance.
Improvvisamente sentì un tocco sul suo viso, un tocco leggero, delicato. Aprì lentamente gli occhi, osservando Angel chinato su di lei. «Ehy...» le sussurrò, asciugandole le lacrime con la mano, mentre con l'altro braccio la tirava a sè, stringendola in un abbraccio. Sarah affondò il viso nell'incavo del collo di lui, continuando a singhiozzare, seppur in maniera minore rispetto a prima. Angel le carezzava i capelli, mentre sentiva il battito del cuore di lei nel suo petto. Era una sensazione strana, non abbracciava qualcuno da troppo tempo e forse ne aveva bisogno anche lui. Non seppe bene dire il perchè, ma era felice di avere Sarah tra le braccia.
«Sono qui» continuò a sussurrarle, mentre i singhiozzi della ragazza erano cessati del tutto. Rimasero seduti sul pavimento, uno tra le braccia dell'altra almeno per cinque minuti, in silenzio, ascoltando solo il rumore dei propri respiri, l'odore della pelle e il battito dei loro cuori.
Sarah chiuse gli occhi, mentre con le mani stringeva ancor di più il corpo di Angel. Aveva davvero bisogno di qualcuno in quel momento e avere la persona che le aveva salvato la vita non era davvero la cosa peggiore del mondo, soprattutto se lui si dimostrò così... così come? Non sapeva descrivere quel momento, sapeva solo che in quell'istante, il Cacciatore era fondamentale per lei.
«Ti ho portato una cosa» esclamò Angel, staccandosi dall'abbraccio. Mise una mano in tasca, estraendo il bracialetto di Sarah. La ragazza lo osservò, battendo le palpebre più volte, mentre il ragazzo la osservava con un sorriso.
«Pensavo di averlo perso... grazie Mikael.»
«Non ringraziarmi per così poco.» rispose lui, ancora con quel sorriso in viso.
«Non è solo per il bracciale... grazie per tutto.»
Angel posò le labbra sulle fronte di lei, successivamente le spostò i capelli dalla guancia. «Adesso riposa, è stata una giornataccia.»
Lei annuì, sistemandosi sulle sedie di quel corridoio e chiudendo gli occhi.


La ragazza si era ormai addormentata e la stanza di Jacob era nuovamente aperta. Angel non volle svegliare Sarah per avvisarla delle condizioni di Jacob, tornate stabili. Il ragazzo faceva avanti e indietro nel corridoio, fin quando uno strano rumore non attirò la sua attenzioni. Si diresse verso la stanza del ragazzo, notando una figura incappucciata che puntava una spada verso Jacob, che lo guardava inerme, quasi rassegnato. Angel scattò verso quella figura, evocando la sua spada di cristallo e puntandola alla gola dell'essere, che non si mosse.
Rimasero così per qualche secondo, successivamente il guerriero incappucciato saltò all'indietro e tentò di colpire Angel, che parò il colpo con la sua arma. Il Cacciatore diede un calcio al nemico, facendolo cadere fuori dalla finestra per poi seguirlo. I due si ritrovarono nel cortile dell'ospedale, mentre l'alba illuminava i loro corpi. Camminarono in semi cerchio, scrutando ogni loro mossa. Angel tentò di vedere chi fosse quel ragazzo, ma non riusciva a notare i dettagli del viso.
L'incappucciato si scagliò verso Angel, ma prima che potesse colpirlo fece cadere l'arma a terra e schivò l'attacco di Ragnarok, la spada di cristallo. Con un guizzo si portò davanti al ragazzo e l'avvolse con le sua braccia, in quello che era a tutti gli effetti un abbraccio. Angel si ritrovò confuso, balbettando qualcosa fin quando l'incappucciato non si staccò da lui e corse via, lasciando il Cacciatore immobile.
Angel tornò nella stanza di Jacob, assicurandosi che stesse bene. «Mi hai salvato la vita» esclamò quest'ultimo, osservando Angel con un sorriso.
«Non l'ho fatto per te.» rispose il ragazzo, voltandosi e lasciando la stanza, guardando Sarah che stava ancora dormendo. 


Will era chino su una mappa, pronunciando parole incomprensibili mentre David camminava nervosamente avanti ed indietro. Quella storia stava andando avanti da almeno mezz'ora, senza risultati visibili. Iniziò a credere che William non fosse in grado di trovare l'assassino di sua figlia, eppure era così vicino... ripensò a quella notte, per poi ricacciarla subito indietro. Preferì ripensare ad Eliza ancora in vita, doveva ricordala in quel modo.
«L'ho trovato» esclamò William, soddisfatto, mentre gli occhi di David brillarono per un attimo.
«Frena, campione. Non è solo.»
«Nemmeno noi lo siamo.» rispose David, componendo il numero di Scott, il suo migliore amico nonchè collega.
Il tempo della resa dei conti era finalmente arrivato.



 

Note dell'autore
 
 
Sono riuscito a non essere in ritardo!
Volevo soltanto dire che Jimmy tornerà...in una storia tutta sua! Si intitolerà WHISPERS e vedrà la luce dopo la fine di The Diary of Jane. Quindi dovrete sopportarmi ancora per un po'!
Godetevi il capitolo nel frattempo.
NeroNoctis / Marco

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Capitolo 11
*** Betrayed ***


Il sole carezzava delicatamente il viso di Eliza, che mostrava il più bel sorriso che David avesse mai visto. La bimba era seduta sull'altalena, mentre il padre la spingeva ad intervalli regolari, accompagnato da quelle risate che riscaldavano il suo cuore. Era davvero così bello passare il tempo libero con la sua famiglia, con Kristine e sua madre che iniziavano a parlare praticamente di tutto, con Eliza che si incuriosiva per le piccole cose e passava il tempo a giocare con David, che si sentiva l'uomo più fortunato del mondo.
Una famiglia perfetta: moglie che lo amava come non mai, la figlia maggiore che, nonostante ormai si fosse fatta abbastanza grande da avere i classici problemi adolescenziali, aveva mantenuto lo stesso rapporto puro con David ed infine Eliza, che non faceva altro che ripetere il nome del papà.
Quel nucleo familiare era solito fare pic-nic o uscite varie, non si curavano troppo di invitare amici, quei quattro si bastavano tra loro. Ed era così bello, quell'amore incondizionato era perfetto.
Ma le cose perfette non esistono.
Era sera, le grandi di casa erano uscite e rimanevano soltanto David e la piccola Eliza. Dei violenti colpi alla porta scosseroi due, fin quando non entrò un uomo che sparò due colpi a David, che cadde a terra dolorante. Sentì il calore e il dolore prendere il sopravvento su di lui, ma era ancora cosciente, non era finita. Alzò lo sguardo, osservando il volto di quell'aggressore: George Castle, il capo dell'organizzazione indagata da David il quale era davvero vicino a smascherarli e farli finire tutti dietro le sbarre. Il detective aveva ricevuto diverse minacce, ma nel suo mestiere era una cosa naturale, ma stavolta quelle minacce erano reali.
George sorrise al sanguinante detective, mentre Eliza corse al piano di sotto, allarmata da quei rumori. Non appena l'aggressore vide la piccola, le sparò un colpo in piena fronte, facendola cadere rovinosamente a terra priva di vita. David cacciò un urlo disumano, facendo divertire ancor di più George, che si avvicinò al corpo esanime di Eliza con un coltello e...


«David? David?» 
L'uomo si destò da quei pensieri, ritrovandosi in auto. Guardò alla sua sinistra, osservando l'uomo che guidava: capelli lunghi e biondi, pizzetto dello stesso colore e occhi verdi. Il suo migliore amico, il poliziotto con cui aveva condiviso ogni cosa: Scott.
Nei sedili posteriori era presente William, che da qualche secondo aveva assunto un'espressione diversa da quella normale. David parve notare quel cambiamento, così chiese se fosse tutto a posto.
«George si sta muovendo, ed è diretto proprio qui.» disse, indicando un punto sulla mappa del navigatore. Non appena il detective vide il punto indicato, il suo viso perse colore, mentre veniva inondato da brividi di freddo. Non poteva essere, non di nuovo. Quella era la casa dove vivevano sua figlia e sua moglie. Scott fece subito inversione, accelerando verso quella destinazione, mentre David afferrò la pistola, stringendola nervosamente tra le mani.


Noah stava correndo ormai da almeno quindici minuti. Il fiato ormai era al limite e i polmoni bruciavano, così come le sua gambe. Si odiò per il fatto di non fare mai attività fisica, certo, aveva provato ad iniziare, ma la sua vita sedentaria aveva sempre vinto. Possedeva diversi accessori da fitness, ma li aveva usati solo una volta... beh, stavolta si sarebbe adattato, avrebbe vinto comunque lui.
Durante l'attesa in ospedale stava chiaccherando come di consueto con Kristine, quella misteriosa e distaccata fiamma che l'accompagnava ormai da diverso tempo. Era certo di non avere speranze con lei, ma il solo sentirla lo faceva star bene. Sapeva bene che sarebbe andato tutto male, ma l'essere umano ama farsi del male dopotutto. Improvvisamente ricevette una sua chiamata, la ragazza affermava che qualcuno stava forzando la serratura e spiegò a grandi linee cos'era successo poco tempo prima in quella stessa casa.
Noah si vide costretto così a correre verso di lei, ma in verità stava solo correndo verso una cotta o ad un pericolo ben maggiore? Dentro di sé sapeva benissimo la risposta, ma non gli importava. Sapeva di aver lasciato Sarah in ottime mani e sapeva che lui doveva cavarsela da solo... sperava di cavarsela da solo.
Arrivò di fronte l'abitazione della ragazza, notando la porta socchiusa ed evidenti segni di scassinamento. Prese un profondo respiro ed aprì lentamente quella porta, mentre il suo cuore martellava nel petto, sia per lo sforzo che per la paura. Dentro le luci erano completamente accese e, cosa peggiore, un uomo stava puntando una pistola verso Kristine, che era immobile e tremante.
Quella minacciosa figura era vestita con una giacca di pelle marrone e dei jeans ormai logori, i suoi capelli erano rasati e aveva una leggera barba incolta, mentre sulla guancia aveva una strana cicatrice, ricavata probabilmente da una collutazione con qualche rivale. Aveva un portamento fiero, quella postura di chi ha il potere concentrato nelle sue mani.
Una postura di chi non ha paura di togliere la vita altrui.
L'uomo si voltò, osservando con il suo sguardo gelido Noah che senza pensarci due volte, corse verso la ragazza, ma non appena le arrivò di fronte, l'uomo sparò, perforando il torace di Noah. 
Il ragazzo guardò verso il basso, osservando la macchia rossa che si andava via via allargando, mentre il suo campo visivo iniziava a diventare più scuro. Alzò lo sguardo verso la ragazza, osservando i suoi occhi castani, i ricci capelli dello stesso colore e le sue labbra martoriate dai denti, reazione dovuta probabilmente alla paura di quella situazione.
Noah passò la sua mano sul viso di Kristine, sporcandole la guancia di sangue, successivamente cadde al suolo. 
«Che ragazzo stupido» disse George, divertito. Puntò nuovamente la pistola davanti a sé, verso la ragazza che chiuse gli occhi, in attesa della punizione finale. Un attimo di silenzio e poi... uno sparo. George premette il grilletto, con un ghigno soddisfatto sul viso, che svanì quando il proiettile impattò contro una sorta di muro invisibile di fronte la ragazza, che battè ripetutamente gli occhi, confusa.
Prima che il killer potesse reagire a quella stranezza, dentro la stanza entrarono David, Scott e William, che teneva il palmo alzato verso Kristine, avvolgendola con una barriera di protezione cristallina, la stessa che le aveva salvato la vita. David sospirò quando vide Kristine illesa, ma non poté dire lo stesso di quel ragazzo ai suoi piedi. 
Puntò l'arma verso George, sparandogli due colpi e ricordando quella notte in cui lui aveva fatto lo stesso. Dentro lui sentì una strana sensazione, l'adrenalina si stava impossessando di lui e stava già assaporando il sapore della vendetta, della giustizia. L'uomo cadde a terra, immerso nel suo stesso sangue, mentre la sua pistola cadde ai piedi di William, che l'afferrò d'istinto, nonostante nessuno avesse notato quel suo gesto.
«Cosa diavolo stai facendo? SPARAGLI!» urlò George, guardando Scott per poi sputare sangue. Il biondo poliziotto ebbe un attimo d'esitazione, poi afferrò la pistola e la puntò verso David, ma prima che potesse far fuoco, William rispose a quella minaccia colpendo l'amico di David alla gamba.
«Cosa significa?» chiese David, visibilmente confuso da quella situazione.
«Ma come? E' stato il tuo amico Scott a fornirmi i tuoi indirizzi. E' stato il tuo amico a dirmi che eri solo in casa con tua figlia quella notte. E' stato lui ad avvertirmi che stavate venendo a prendermi. E' sempre stato dalla mia parte... il mio fratellino.»
David barcollò, come se avesse ricevuto diversi colpi. Non poteva essere vero, Scott non aveva mai avuto fratelli, non poteva averlo tradito... non...
Altri due spari.
Stavolta Will centrò in piena testa George, mentre Scott si tolse la vita, lasciando il gruppo lì, interdetto. David cadde al suolo, portando le mani sulla testa, mentre Kristine guardò William con aria di supplica, indicandogli Noah sul pavimento. Il ragazzo corse da lui, portandogli la mano sulla ferita e sussurrando qualcosa, fin quando questa non si richiuse e il ragazzo aprì lentamente gli occhi, mentre Will, esausto ma soddisfatto, cadde a terra dopo l'immenso sforzo. 
«Kris... Kristine...» sussurrò il ragazzo, ma lei gli fece cenno di non parlare, mentre David si avvicinò finalmente alla figlia.


L'incappucciato si faceva strada in un groviglio di alberi e cespugli, mentre ripensava a diverse cose della sua vita. La testa gli scoppiava, e sentiva ancora i muscoli doloranti dovuti al suo periodo di reclusione come statua. Dahlia gli aveva salvato la vita, doveva tutto a quello strega, che era per lui praticamente una madre. Però a volte vedeva determinati frammenti di qualcosa che non sapeva distinguere bene, come quando vide Mikael. Sapeva di doverlo uccidere, ma sapeva anche che una parte di lui non voleva, non sapendo spiegare minimamente il perchè. 
Arrivò di fronte ad un cerchio magico che aveva perso ormai il suo potere, mentre Black Dahlia osservava compiaciuta quei resti, per poi voltarsi verso il suo cavaliere.
«Hai fatto presto, Erik.» sussurrò lei, mentre il ragazzo si toglieva il cappuccio e mostrava il volto di quel ragazzo che aveva accompagnato da sempre Mikael durante i suoi viaggi. 
«Si, mia signora. Purtroppo quello che temevi è vero.» rispose lui, con voce sottomessa e fedele.
La Strega Nera si portò una mano sotto al mento, sapendo a cosa si riferisse il suo cavaliere.
«L'Immortalis Venator è Mikael Ragnarsson, conosciuto come Angel.» continuò Erik, con capo chino.
«Non posso osare tanto, non ancora almeno.» rispose la Strega «Occupatene tu, Erik. Sei un Cavaliere della Strega, hai il potere di ucciderlo.»
Erik annuì. «Così sia.»


 

Note dell'autore
 
 
Errata corrige: Nel capitolo dedicato ad Angel, l'ho indicato come Mikael Larsson, figlio di Ragnar Larsson. Diciamo che mi sono sbagliato alla grande, dato che essendo figlio di Ragnar, il suffisso -son si applica al nome del padre appunto. Quindi Mikael Ragnarsson e non Larsson. 
Vorrà dire che un eventuale figlio di Mikael lo chiamerò Klaus, così da avere un Klaus Mikaelson. 
Riferimenti, riferimenti everywhere!
Mi dispiace non essermi accorto prima dell'errore, chiedo umilmente venia.
Marco/NeroNoctis

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Capitolo 12
*** Enclave ***


Angel e Sarah erano ormai ritornati a casa di Matt, ignari del destino nefasto che aveva investito il ragazzo. Lei si sistemò sul divano, ancora intontita dalla dormita in ospedale e dalla vista di Jacob, mentre una miriade di pensieri su di lei, sulle streghe e su sua mamma le affolavano la mente come uno stormo di uccelli in trappola. Il Cacciatore invece si avvicinò alla cucina, rovistando tra stipetti e frigorifero, attirando l'attenzione di Sarah che lo osservò con un sorriso.
«Che combini?» chiese lei, poggiando la testa al cuscino e continuando ad osservarlo.
Angel alzò la mano, mostrando del salmone trovato in frigo, per poi avvicinare il pesce al naso per annusarlo, probabilmente per assicurarsi del suo grado di freschezza. Afferrò poi un coltello e iniziò a sfilettare il pesce, mentre canticchiava una canzone sconosciuta alla ragazza, che non riusciva a carpirne neanche le parole. Era una lingua diversa, quasi antica, qualcosa di freddo e spigoloso, ma affascinante, un po' come lui, dopotutto.
«Canto, sfiletto, cucino. Sono affamato come te, quindi provvedo alla cena!» rispose lui, mentre continuava ad armeggiare con la lama e controllava di avere tutti gli ingredienti nel bancone. Sentiva lo sguardo di lei addosso e la cosa lo faceva sorridere in un modo così affilato che sembrava quasi poter tagliare in due quel salmone soltanto con uno sguardo.
Era una cosa che gli ripetevano sin da piccolino, il suo sorriso era così particolare che a volte poteva incutere timore e allo stesso tempo rassicurare ed ammaliare.
«Non sapevo sapessi cucinare il salmone» ribattè lei, accorgendosi di avere una certa fame. Non mangiava da davvero troppo tempo e le varie situazioni drammatiche e sovrannaturali l'avevano distratta da ogni cosa, ma adesso che la sua mente era leggermente più tranquilla, iniziava a sentire quel bisogno fisico.
«Da piccolino lo pescavo con mio padre» iniziò lui, afferrando delle spezie «mi insegnò come sfilettare e condire il salmone, per conservarlo a lungo... una delle tante cose che ho imparato da lui»
«Ti manca?» chiese lei, incuriosita. Angel aveva un tono così solenne quando parlava del padre che la ragazza non sentiva praticamente mai in nessun'altra persona. Ogni sillaba scandiva un profondo legame padre-figlio, cosa che faceva sentire Sarah quasi a disagio e forse un po' invidiosa... suo padre era morto e lei non aveva mai davvero provato quel legame così profondo con lui.
«Si... ma quando vivi da tanto tempo come me impari a farci l'abitudine. Sono svedese, ho più di cinquecento anni e... tanti morti sulla coscienza. Quando scegli di diventare un cacciatore immortale sai che perderai tante persone, sai che vedrai tutti i tuoi cari morire. Il ricordo di mio padre è quello che mi tiene legato alla mia umanità, è quello che mi permette di non essere il mostro che sono stato tempo fa. Quindi si, mi manca, ma al tempo stesso lui è sempre con me, anche se non riesco a vederlo.» rispose lui, fermandosi un attimo e portandosi la mano al ciondolo, gesto ormai che lo distingueva. Sarah chinò la testa, riflettendo sulla risposta da dare.»
«Non sei un mostro. Tu salvi le persone.»
Angel sorrise, per poi scuotere la testa «Io non sono una brava persona Sarah. Il motivo per cui ho scelto di essere quello che sono è stata la morte del mio migliore... di mio fratello Erik. La sua perdita mi ha convinto ad essere il Cacciatore Immortale ma da quel giorno le cose cambiarono. Provavo odio per tutto quello che concerneva la magia nera, non avevo più metro di giudizio... mi bastava un solo sospetto e iniziavo a sporcarmi le mani di sangue. Arrecavo dolore per non ascoltare il mio e io...»
Angel posò di colpo tutto sul bancone, osservandosi le mani e ricordandole quando erano sporche di quel liquido vermiglio. Continuava a scuotere la testa, sapendo di aver ucciso troppi innocenti in nome della Caccia. Sapeva di non essere una brava persona, sapeva tutto. Improvvisamente sentì le mani di Sarah posarsi sulle sue, così si volto ad osservare la ragazza, che gli sorrise in un modo così innocente e puro che sembrava quasi un angelo. Sarah posò una mano sulla guancia di lui, che rispose premendo ancor di più il suo viso nella sua mano, quasi a cercare conforto.
«Non sei un mostro. Tu sei il mio angelo custode.»
«No, sei tu l'angelo tra noi...»
Ci fu un interminabile silenzio tra i due, silenzio che era accompagnato solo dai loro respiri e dalla mano che continuava ad essere poggiata sul viso di Angel. Il ragazzo rispose a quella carezza, spostando una ciocca dei capelli di lei dietro l'orecchio, per poi passare delicatamente il pollice sulla sua guancia.
«Sai di pesce...» sussurrò, chiudendo gli occhi e spostando la mano dalla guancia al collo, mentre Angel continuava il suo movimento.
«Se vuoi ti lascio»
«No... non voglio. Tu cosa vuoi?»
«Io voglio-» Il ragazzo non riuscì a finire la frase che in casa entrarono Noah e Kristine, che si bloccarono di colpo a vedere i ragazzi così vicini, che si staccarono subito facendo finta di nulla. Noah osservò la ragazza al suo fianco, mentre Angel alzò una mano con un sorriso sghembo e continuò ad armeggiare con il coltello, mentre Sarah si avvicinò alla finestra, rossa come un peperone e mordendosi il labbro. Ripensò a Jacob, sentendosi terribilmente in colpa per quello che stava per fare. Ma cosa stava per fare? Non voleva pensarci, ma la sua mente continuava a tornare a quell'attimo, a quelle mani e a quelle... No! Non doveva proprio fare quei pensieri. 
«Non posso...» sussurrò Sarah, con il volto di Jacob stampato in mente. Il turbinio di pensieri finì, mentre lei tentava di rilassarsi. La tensione del momento era finita e lei non poteva credere di star per fare qualcosa di cui poteva pentirsi, nonostante il quel momento forse lo voleva anche lei.
Noah nel frattempo si voltò, osservando Will che entrava in casa e iniziò stranamente a  portarsi la mano sul petto, che iniziò a fargli terribilmente male. La cosa attirò l'attenzione di Angel, che sapeva bene cosa stava accadendo: il sigillo alla porta aveva reagito ad una fonte di magia nera e quella fonte era Will.
Il Cacciatore sfoderò la sua arma, tentando di colpire il ragazzo che bloccò l'arma di cristallo con uno scudo invisibile, che si frantumò in superficie come se fosse fatto di vetro.
«Chi sei tu?» sibilò Angel, puntando la spada alla gola di Will, che sembrò essersi ripreso ma che aveva uno sguardo minaccioso in viso. 
«Tu sei... quel ragazzo, nel bosco. Con Jane.» rispose William, sorpreso di vedere quella stessa persona di cinquecento anni prima. Angel tentò di afferrare Will, che tuttavia si spostò così velocemente tanto da schivare il colpo. Il Cacciatore tentò un nuovo fendente, ma Will lo bloccò nuovamente con lo scudo di vetro, non riuscendo tuttavia a respingere la presa di Angel, che lo trascinò fino al muro bloccandogli la gola con l'avambraccio.
«Dimmi cosa sei!» sussurrò il ragazzo a Will, che non riusciva neanche a deglutire per via dell'enorme pressione del suo rivale. Non sapeva bene perchè l'aveva attaccato, ma sentiva che qualcosa non andava. Non era Angel, le sue intenzioni erano buone... era forse lui?  
«BASTA VOI DUE!» urlò Noah, facendoli di fatto smettere. «Siete impazziti? Lui mi ha salvato la vita!» continuò il ragazzo, indicando Will che si portò la mano alla gola. Osservò il ragazzo, chinando il capo in segno di ringraziamento, mentre Angel si allontanò con le mani sui fianchi e scuotendo la testa con uno strano sorriso sul volto. 
«E' questo che adesso facciamo? Portiamo magia nera a casa? Questo qua ha lo stesso fetore di Jane.»
«La mia non è magia nera» ribattè Will, avvicinandosi di un passo ad Angel e fissandolo dritto negli occhi.
«Si che lo è. Sono un Cacciatore, so riconoscere la magia oscura e tu ne sei pieno, per di più la stessa di Jane, che per inciso è la Strega che sta distruggendo le nostre vite giorno dopo giorno. Dovrei reciderti la testa proprio adesso.»
«Provaci» rispose Will, allargando le braccia con uno sguardo di sfida. La situazione stava precipitando e nessuno sapeva bene cosa fare. Noah aveva tentato di dir qualcosa ma non sapeva bene dove andare a parare, Kristine era completamente estranea a quella situazione e rimase in silenzio tutto quel tempo, ancora visibilmente confusa da tutto e per di più in pensiero per suo padre che era rimasto a casa ad aspettare l'arrivo della polizia. Infine c'era Sarah, che osservava la scena in disparte, con un enorme desiderio di fermare quello che stava succedendo tra quelle quattro mura. Forse era l'unica che poteva farlo... così si avvicinò al ragazzo e gli sussurrò qualcosa all'orecchio, facendolo ragionare, almeno così sembrava.
«Okay, va bene. Allora dimmi chi sei, raccontami ogni cosa» disse Angel fissando Will, che iniziò il racconto di ogni singola parte della sua vita.


David stava ancora osservando i cadaveri di Scott e del fratello di quest'ultimo. Non ci credeva ancora, quei due fratelli... il migliore amico di una vita era sempre stato un doppiogiochista, tutta la sua vita era stata una splendida montatura. Cosa poteva accadere ormai? Aveva perso Eliza, i rapporti con la moglie erano praticamente assenti, il suo migliore amico non era tale ed era anche morto, mostri e streghe terrorizzavano il mondo... che situazione assurda.
L'unica cosa che rimaneva all'uomo era Kristine, quella figlia così sulle sue e sempre molto riservata con la quasi totalità del mondo. Era sempre stata una ragazza difficile, sceglieva le sue amicizie con parsimonia, tanto che le migliore amiche che avesse erano sparse per il mondo, soprattutto a Londra. Non aveva avuto molti rapporti con dei ragazzi, per lo stesso identico motivo: nessuno soddisfaceva le sue aspettative o forse... era troppo normale. Kristine probabilmente cercava qualcuno in grado di stupirla, proteggerla e farla divertire al tempo stesso. Qualcuno che la tenesse per mano nei momenti peggiori e non solo in quelli migliori, qualcuno con cui ridere ma soprattutto piangere, qualcuno che la amasse.
David era abbastanza sicuro che avrebbe trovato quel principe che probabilmente desiderava ma non aveva mai chiesto, dopotutto non era per niente brava ad esternare i propri sentimenti, forse per questo i due non riuscivano ad avere quel rapporto così speciale che invece avveniva con Eliza. L'uomo si sentiva un po' in colpa per questo, avere ormai quell'unica figlia e non riuscire a parlare del tutto. Diverse volte si sentiva completamente inutile, come padre e come marito. Come detective, per non essere riuscito a vendicare la morte di Eliza, fino a quel giorno almeno. Succedeva anche spesso che le sue giornate finivano tra diversi bicchieri e fascicoli, il tutto condito da enormi mal di testa. Tutto questo portò agli innumerevoli litigi coniugali che segnarono praticamente la fine della storia con la moglie, storia che forse non sarebbe mai ripartita del tutto. 
L'uomo fu destato da un rumore alle sue spalle, convinto che si trattasse della squadra di polizia incaricata di occuparsi del caso, ma quando si voltò, le persone che vide erano completamente diverse dalle sue aspettative. A sinistra del gruppo una ragazza che a primo impatto poteva avere la stessa età di Kristine, compresi i gusti musicali a giudicare dalla sua maglia con il logo dei Metallica. I suoi capelli erano neri e il suo sguardo era divertito. Accanto a lei una bionda ragazzina di quindici anni, con lo sguardo perso nel vuoto ed infine una ragazza visibilmente più grande, ma che non aveva ancora raggiunto i trenta. Il gruppo delle tre ragazze si spostò, facendo passare una quarta, vestita con un lungo abito bianco che contrastava con i lunghi capelli corvini e il suo sguardo di ghiaccio. 
«Chi siete?» chiese David, confuso.
«Io sono Jane e loro sono le mie predilette» rispose la Strega, avvicinandosi al detective e passandogli una mano sulla guancia, con fare sardonico. In lui sentiva qualcosa di diverso, come se fosse entrato in contatto con una potente fonte di energia e lei bramava quel potere, doveva averlo. Non sapeva bene come mai da quel luogo provenisse così tanta energia magica, ma vedendo David sapeva che lui ne era a conoscenza, in un modo o nell'altro.
Continuò a carezzarlo delicatamente, pronta a togliergli la vita per assorbire la sua energia vitale e quella fonte magica, ma poco prima di compiere quel mortale gesto, Jane sgranò gli occhi, iniziando a tremare e abbracciare l'uomo, che non sapeva bene come reagire. 
«Aiutami...» sussurrò la Strega all'orecchio di David, che continuo a rimanere immobile, mentre gli occhi delle altre tre Streghe erano puntati su lui e Jane.
«Aiutami... ti supplico» ripetè ancora la Strega, mentre le sue guance si bagnavano di calde lacrime.


Sede dell'Enclave, Vaticano 


Un gruppo di uomini dalle diverse età era seduto attorno ad un enorme tavolo finemente decorato di oro e altri oggetti visibilmente antichi e costosi. Le pareti erano scure, rifinite in oro e rame, mentre diversi arazzi coprivano il resto delle pareti. Un enorme lampadario d'oro massiccio illuminava debolmente la stanza, che puzzava di fumo ed incenso, mentre il vociare di quelle persone diveniva via via più alto. Indossavano tutti la tunica parrocchiale, sia i più giovani che i più anziani.
«Così l'Immortalis Venator è compromesso» disse un uomo tozzo e con i capelli grigi, mentre si sistemava gli occhiali sul naso. Aveva settant'anni, uno dei più anziani religiosi chiusi in quella stanza.
«Propriò così. La sua Ancora si è manifestata e sappiamo tutti cosa succede se l'Ancora del Venator viene meno» rispose l'uomo al suo fianco, lunghi baffi neri e capelli dello stesso colore.
«Di cosa state parlando?» chiese un ragazzo di circa trent'anni, il più giovane di quella seduta segreta. Aveva studiato molte cose riguardo la religione e i suoi segreti, ma non conosceva alla perfezione il rito dell'Immortalis Venator, sapeva soltanto il minimo necessario: l'immortalità del cacciatore.
«Per creare l'Immortalis Venator servono diverse cose: prima di tutto un movente e forza di volontà. Il più delle volte è una persona cara che viene uccisa da una Strega. Se il caso è questo, come per Mikael Ragnarsson, si procede al rito con un dono della persona defunta e un oggetto magico di enorme potenza»
«Il Diario di Jane e il pugnale di Erik, se non erro» rispose il ragazzo, visibilmente preparato sulla storia di Mikael Ragnarsson, l'Immortalis Venator.
«Esatto. Il Diario è alla base del rito, mentre il pugnale è il catalizzatore per l'incantesimo. La morte di Erik è l'ancora di Mikael. Come sospettavano da tempo, Erik è vivo e sotto il controllo della Strega Nera. Se Mikael venisse a sapere di Erik, il suo incantesimo perderebbe l'effetto originario» spiegò il più vecchio dei presenti, un anziano uomo dai vivi ochi azzurri e corti capelli bianchi. Nonostante la sua età, non era per niente stanco in viso, mostrando invece un incredibile vitalità e forza. Era il Gran Maestro dell'Enclave, colui che controllava la questione delle Streghe e delle creature a loro legate, ordinando riunioni e altre innumerevoli cose ad ogni membro della Chiesa e dell'Enclave.
«E questo cosa comporterebbe? La morte di Mikael? La fine della sua immortalità?»
«Oh, molto peggio ragazzo mio. L'Immortalis Venator ogni qualvolta uccide una Strega, assorbe  parte del suo potere nel catalizzatore, cosa che gli serve per gli incantesimi base e per la sua rinascita in caso di morte. Se l'Ancora viene meno, tutte quel potere si tramuterebbe in maledizioni. Sai cosa comporta una maledizione di una Strega, ragazzo?»
Il ragazzo parve pensarci qualche secondo, per poi rispondere a bassa voce: «Fa impazzire le persone...»
«Proprio così. Adesso ogni Strega uccisa si tramuterebbe in maledizione. Ad oggi Mikael ha sterminato più di trecento Streghe»
«Trecento maledizioni» continuò il ragazzo, mentre il resto dei presenti ascoltava quella spiegazione tra i due, mentre l'aria diveniva più tesa.
«Esatto. Una maledizione porta alla pazzia. Trecento... Dio solo lo sa. E nel caso di un Venator Immortale... darebbe vita ad un Witcher: un Cacciatore Oscuro controllato dallo spirito di vendetta di tutte le sue vittime. Se Mikael Ragnarsson dovesse divenire un Witcher, l'intera umanità assisterà alla propria estinzione.»
Il silenzio calò tra i presenti, che capirono forse per la prima volta la minaccia a cui andavano incontro. Proprio per questo il Gran Maestro Aloysius Knight aveva convocato quella riunione, tutti dovevano sapere. Improvvisamente nella sala dell'Enclave entrò un altro uomo di Chiesa, sudato e con il respiro corto.
«Mio Signore, il vostro ospite è arrivato» annunciò, lasciando spazio ad un uomo di quarant'anni dal fisico allenato, corti capelli castani e occhi verdi cangianti sul castano.
«Benvenuto, Cacciatore di Streghe» esclamò Aloysius Knight non appena lo vide.
«Sono appena stato in un covo di Banshee, quindi saltiamo i convenevoli. Chi saranno le mie prossime vittime?» rispose lui, stanco.
«Jane Ember, la Strega Nera Dahlia ed il suo cavaliere Erik ed infine... Mikael Ragnarsson.»

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Capitolo 13
*** Shattered ***


David aveva raggiunto una casa insieme a Jane, mentre il trio delle neo streghe seguiva in rigoroso silenzio. L'uomo non sapeva bene cosa aspettarsi, non sapeva nemmeno perché stava lì a seguire quelle sconosciute, ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a farlo. Durante il viaggio, la ragazza si era presentata come Jane, cosa che permise a David di riconoscerla come la Strega del passato di Will. Era assurdo come in poche ore la vita di quel detective era cambiata: l'incontro con il misterioso ragazzo, l'attacco di mostri, il tradimento di quello che credeva un amico... troppe cose, troppo strane. 
Dopo la perdita della figlia non si faceva stupire più da niente, cosa che si stava dimostrando esatta anche in quella situazione. Maghi, streghe, demoni e mostri: nulla di tutto ciò aveva intaccato David, che continuava imperterrito a essere quello di sempre, quello che cercava vendetta, giustizia... ma adesso che l'aveva trovata, cosa avrebbe fatto? Forse l'incontro con Jane avrebbe dato tutte le risposte.
Il gruppo si fermò di fronte la porta d'ingresso, le tre giovani streghe stavano confabulando qualcosa mentre Jane spalancò la porta con il solo ausilio della mano, che portò davanti a sé e da cui seguì un leggero sibilo, come di vento. David non si fece sorprendere e proseguì, mentre il gruppo di ragazze camminava dietro di lui.
La casa era completamente al buio, appena entrati si poteva subito distinguere l'odore acre della cenere misto a quello che sembrava sangue. Il suo istinto da detective avrebbe voluto esaminare ogni cosa, ma tentò comunque di resistere, non era il caso. Non che sapesse bene cosa stava facendo.
«Non ti fai impressionare facilmente» esclamò Jane, portandosi una mano vicino le labbra. Era molto aggraziata nei movimenti, quasi come se fosse davvero una principessa. La sua pelle bianca era in perfetto contrasto con i capelli corvini e gli occhi azzurri, cosa che le dava quasi una aura sacra, di qualcosa di fragile ma forte allo stesso tempo, qualcosa di profondamente equilibrato e in contrasto al tempo stesso.
«Non più» rispose David, analizzando qualche foto e riconoscendo i membri: li aveva visti qualche volta in giro per le via delle città. Non volle chiedere che fine avessero fatto, sapeva già la risposta: morti.
Jane si avvicinò a David, che aveva ancora la foto della famiglia in mano. La ragazza carezzò la mano dell'uomo con fare molto delicato, mentre sul suo viso un sadico sorriso prendeva lentamente vita. 
«Sono morti» disse, sardonica.
«Perché io sono ancora vivo?» chiese David, posando la fotografia e osservando lo Strega con uno sguardo pieno di domande, rabbia e qualcosa che Jane non seppe cogliere.
«Perché...» Jane si bloccò, non sapendo bene cosa rispondere. La sua sete di potere era smisurata, così come la sua voglia di vendetta e sangue. L'unico modo per raggiungere il suo fine era acquisire abbastanza potere per potere eseguire uno dei più potenti incantesimi mai creati, un incantesimo che richiedeva innumerevoli vite e un enorme potere magico. Ecco perchè le servivano più streghe, per poter lanciare quell'incantesimo. Certo, erano utili anche come esercito di protezione, ma il fine ultimo era lanciare l'incantesimo del tempo.
Ma allora perché non uccideva anche David? Cosa aveva lui di diverso? Perché provava affetto per quell'uomo che non aveva mai visto ma che sentiva di aver già incontrato?
«Semplicemente perché, non voglio che tu muoia. Sento di averti già incontrato, sento che... sento di doverti proteggere. Resta al mio fianco, ti prego»
«Mi hai chiesto di aiutarti, a cosa ti riferivi?»
«Non lo so. Sento che mi manca qualcosa, sento che tu puoi aiutarmi...»
David non rispose, si limitò a vagare per la casa e controllare ogni angolo. Perché quella strega, quell'assassina diceva quelle cose? Cosa poteva darle? Non sapeva, si accorse di non sapere nulla... ma al tempo stesso, una vocina nella sua testa gli stava suggerendo qualcosa. Forse era una valida alternativa, dopotutto cosa aveva da perdere? Sfiorò qualche mobile, fino a trovarsi di fronte ad un tomo rilegato. Lo aprì, trovando diverse pagine di diario, così decise di leggerne alcune righe.

 
Caro Diario
Oggi ho accompagnato Juliet al pozzo... è una donna così anziana che mi chiedo ancora il motivo per cui si sforzi così tanto di lavorare.
Le fa onore, è una donna forte.
Tutti qui al villaggio la rispettano, così come anche io.
Sto preparando un incantesimo per aiutarla, per darle una serena vecchiaia, ma non so se ne sono ancora in grado. 
Tuttavia sono felice, sono felice di avere questo potere e di poter aiutare così tante persone.
Le Streghe fanno sempre del male, io sarò diversa.
Renderò il mio Marchio qualcosa di positivo. 
Chissà, forse un giorno saremo anche accettate.
Adesso vado, spero di scrivere al più presto.

David continuò a sfogliare quelle pagine, fino a quando le annotazioni giornaliere divennero settimanali e via via più rade, con le pagine che si riempivano di incantesimi e schizzi inquietanti. L'uomo non riusciva a capire quel cambiamento, cosa poteva accadere ad una ragazza così amorevole verso il prossimo divenire il mostro sanguinario di oggi?
«Un tempo era il mio diario, adesso è il mio grimorio... ormai la gente lo conosce come il Diario di Jane... le ultime cinque pagine contengono gli incantesimi più potenti che siano mai stati concepiti, ma... per qualche ragione sono completamente bianche. Forse qualcuno ha lanciato un sigillo, o semplicemente sono troppo debole per poterne usufruire. Non ne sono ancora sicura»
«Di che incantesimi si tratta?» chiese David, continuando a sfogliare fino ad arrivare alle cinque pagine bianche finali, che effettivamente erano consumate ma completamente pulite.
«Non li ricordo, è come se qualcuno li avesse rimossi dalla mia mente e dal Diario.»
«Esiste qualcosa per riportare in vita i morti? Per riportare in vita... mia figlia?»
«Conosco l'arte della necromanzia, ma riportare una persona in vita dal mondo dei morti non è semplice»
«Allora ti aiuterò. Io cercherò quello che ti serve e tu...aiuterai me»
Jane annuì, mentre David, leggermente tremante, sfogliava piano quelle pagine, fin quando, arrivando alla prima delle cinque, dei leggeri schizzi iniziarono ad apparire lentamente. L'uomo tentò di dargli un senso, ma non arrivò fin quando il disegno non fu completo: una foto di William, con delle note che riportavano un incantesimo per creare la vita dal nulla.
David non era sicuro, ma se quello che stava guardando rappresentava la verità, Will non era altro che un incantesimo, una creazione di Jane.


Il rumore della pioggia distoglieva Julian da qualsiasi pensiero, soprattutto dopo una lunga ed estenuante giornata di lavoro. Aveva trovato impiego in una importante ditta, ricevendo anche un paio di meritate promozioni che avevano aumentato sia il salario che il monte ore settimanali, ma a Julian non importava, avrebbe fatto di tutto per assicurare una vita agiata alla moglie e alla figlia. I problemi della vita in fondo si riducevano al lavoro, impegni familiari e niente più. 
Da quando l'uomo aveva trovato quell'importante lavoro, la famiglia aveva deciso di prendersi una pausa dal caos di città, scegliendo una casa situata nel bel mezzo della natura e degli alberi. Era letteralmente un paradiso: il profumo dell'erba, sentire il cinguettio degli uccelli ed essere svegliati semplicemente dai raggi del sole (questo quando la sveglia decideca di prendersi una vacanza)
Svegliarsi accanto a Melissa e Jill era la sensazione più bella del mondo, anche se quella mattina piovosa le donne della sua vita non erano al suo fianco. L'uomo pensò che erano già al piano di sotto a fare colazione, così si limitò ad osservare fuori dalla finestra ed osservare le gocce infrangersi sul vetro ed iniziare quella gara verso il punto più basso della finestra.
Julian osservava il riflesso dei suoi occhi verdi, ripensando al colore degli occhi di suo padre ed essendo fiero di portare lo stesso paio di occhi. In quel momento sentì la mancanza del suo vecchio, non sentiva di essere arrabbiato con lui per essere uscito a caccia, sentiva semplicemente la mancanza di quel padre che era stato l'unico genitore che aveva avuto, dato che la madre era stata uccisa da una Strega. Il padre di Julian era un noto Cacciatore, membro dell'Enclave così come il padre prima di lui e così per diverse generazioni, una sorta di eredità maledetta. L'infanzia del piccolo Julian non era stata per niente facile: allenamenti con armi bianche e da fuoco, sforzi fisici mirati per aumentare forza e resistenza, prove estenuanti sotto la pioggia, sopravvivenza nei boschi senza cibo né acqua, prove per sapersi orientare, combattimenti corpo a corpo o prove d'apnea... qualcosa degna della marina militare probabilmente. Tuttavia, sotto la facciata rude e severa di suo padre, si nascondeva un cuore ed un animo nobile, che avrebbe fatto tutto per proteggere quel figlio che amava così tanto... purtroppo Julian l'avrebbe capito troppo tardi, quando una spedizione guidata dal Gran Maestro Aloysius Knight sarebbe finita in tragedia, colpa del senso di altruismo del padre di Julian, che scelse di rimanere indietro per proteggere Knight, di cui era amico ormai da anni e lo reputava come un fratello. Julian non aveva mai incontrato nessuno dell'Enclave, ma sapeva che quel Gran Maestro era importante.
Ed adesso era lì, un Cacciatore che non uccideva, semplicemente una normale persona che osservava fuori dalla finestra di casa sua, pronto per scendere al piano di sotto per gustarsi la colazione e l'amore della moglie e della figlia... ma le cose non andarono come previsto. Una volta scese le scale, la scena che si palesò agli occhi di Julian fu terribile: Melissa e Jill ricoperte di sangue e prive di vita, giacevano entrambe sul freddo pavimento mentre una ragazza in lacrime di sangue e coperta da vesti logore bianche singhiozzava al centro della stanza. Il sangue si gelò nelle vene dell'uomo, che non voleva credere a quello che stava guardando. Sapeva benissimo che creatura era quella di fronte a lui: una Banshee, uno spirito di una Strega che era in una sorta di limbo tra la vita e la morte, uno spirito che si distingueva per i suoi pianti insanguinati e lamenti agghiaccianti, per poi attaccare con urla così strazianti da riuscire ad uccidere in pochi secondi. 
Ma perchè una Banshee era lì? Perchè aveva sterminato la sua famiglia? Non fece in tempo a chiederselo che la Strega alzò il velo trasparente che aveva di fronte al viso e, con le guance completamente vermiglie per via del sangue, sibilò qualcosa a Julian, parole che l'uomo non avrebbe mai dimenticato:
«Questo sarà il mio Marchio, figlio di Jonathan. Io ti maledico, in nome delle mie sorelle morte per mano di tuo padre! La tua esistenza sarà lunga e vivrai ogni singolo giorno questo momento, fin quando non cederai e sporcherai le tue stesse mani del colore scarlatto del sangue!»
Non appena la Banshee pronunciò queste parole, il petto di Julian iniziò a bruciare, fin quando un Marchio non si impresse nella sua pelle, Marchio che avrebbe portato a vita, a meno che non avrebbe posto fine all'esistenza di quella Banshee. Ne valeva la sua sanità mentale e soprattutto la vendetta della sua famiglia. L'essere davanti a lui iniziò a ridere, risata mista a quel pianto così inquietante ed assordante, per poi svanire in un esplosione di urla, lasciando il povero Julian a terra, vicino ai cadaveri insanguinati della sua famiglia mentre la visione della Strega che lacerava la pelle delle due ragazze si faceva strada nella mente dell'uomo, che alzò lo sguardo verso il soffitto e cacciò un urlo disumano.


Julian si risvegliò in un sedile passeggero di una jeep nera, madido di sudore e col respiro pesante. Guardò alla sua sinistra, riconoscendo i capelli ricci di Paul che continuava a guidare nonostante l'uomo si fosse appena svegliato urlando. 
«E' successo di nuovo, vero?» chiese il ragazzo, che era praticamente la spalla di Julian, conosciuto durante la liberazione di una casa infestata di una Banshee. Julian oggi era questo: un Cacciatore di Banshee, anche se a volte accettava diversi incarichi dall'Enclave in cambio di favori, informazioni o nuove avanzate armi nella lotta contro il soprannaturale.
«Come sempre» rispose lui, sospirando e voltandosi verso il finestrino.
«Sei sicuro? Di voler dare la caccia a tutte queste persone, intendo» chiese Paul, con una vena di preoccupazione nella voce. Anche lui aveva perso tutta la famiglia, trovando in Julian quello che si poteva definire uno zio, forse. 
«Ho ucciso molte Streghe, Banshee, Lamia e Streghe del Sonno, non saranno di certo queste due più qualche Cacciatore a preoccuparmi»
«Mi preoccupo più del Witcher a dire il vero... se solo viene a sapere dell'esistenza di Erik-»
«No» lo interruppe Julian, fissando ancora fuori dal finestrino «non serve che sappia che Erik sia vivo per innescare le maledizioni del Witcher... basta soltanto un piccolo, leggero contatto fisico»


Tutti erano ormai andati a dormire: Noah si era appisolato sul divano, mentre Sarah e Kristine avevano optato per il letto matrimoniale. Angel, invece, si era addormentato in una poltrona, nella posizione più scomoda del mondo. Tutti avevano ascoltato il racconto di Will, che narrava le vicende del suo passato: il vivere nel piccolo villaggio, lo scoprire dei suoi poteri, la conoscenza di Jane e il suo sentirsi accettato da parte sua, descrivendo un rapporto di intesa per poi ripudiare i suoi metodi sanguinari. Quando qualcuno chiedeva qualcosa della vita da bambino di Will, quest'ultimo non riusciva a dare una risposta precisa, restando sempre sul vago o non riuscendo a ricordare per niente, le uniche cose che sapeva riguardavano il suo essere ormai un ragazzo e i poteri esercitati solo con Jane, per poi passare le giornate come un normale paesano tra bar e passatempi vari.
Adesso era in quella cosa, l'unico ancora sveglio e uno dei pochi a chiedersi perché, durante il rogo di Jane, lui stesso si trasformò in una statua di cenere per poi risvegliarsi in quel tempo. Non riusciva a darsi una spiegazione, aveva analizzato ogni singola possibilità ma non era ancora arrivato ad una soluzione. Si alzò dalla sedia, dirigendosi verso il bianco ma venendo attirato dalla figura di Mikael in piedi, che osservava Sarah dormire mentre impugnava la sua spada in mano.
«Angel?» chiamò piano, per non svegliare le ragazze. Il ragazzo sussultò, voltandosi di scatto mentre la sua spada di cristallo scompariva dalle sue mani. Battè diverse volte le palpebre, per capire cosa ci facesse lì e cosa stava succedendo. «Stai bene?» chiese ancora Will, poggiandosi alla porta. Nonostante i primi problemi tra i due, dopo tentarono di capire le loro posizioni, con un Will molto più comprensivo rispetto ad Angel, che continuava ad essere sospettoso.
«Si... mi fa solo male la testa. Credo che andrò a fare un giro» rispose lui, con un tono che poteva essere scambiato facilmente per un post sbornia.
«Vuoi che ti accompagno?» Will si staccò dalla porta, avvicinandosi ad Angel nello stesso modo in cui si approccia un animale ferito, perché, dopotutto, l'espressione di Angel era quella: qualcuno di ferito, come se avesse rivissuto qualcosa di terribile o avesse assistito ad una scena straziante, forte.
«No... no, va bene così.»
«Come vuoi» rispose il ragazzo, mentre Angel indossava un giubbotto di pelle trovato nell'armadio di Matt e si dirigeva fuori.


Angel si guardò intorno, sentiva il rumore della pioggia e l'odore pungente del sangue. Il sole del mattino entrava dalle vetrate colorate, mentre una croce intarsiata si ergeva maestosa sopra un altare. Aveva le mani che facevano male, mentre un dolore dietro gli occhi gli dava la nausea. Non ricordava molto, l'unica cosa che riusciva a distinguere in quei dolori era un incubo così nitido da sembrare reale: la sua terra natia, i suoi genitori, Erik e la caccia... con la sola differenza che Erik stavolta era adulto. Da dietro, il tizio incappucciato che aveva affrontato affondava la spada nel petto di Erik, mentre dal cappuccio si intravedeva una figura scheletrica che ghignava. Successivamente lo scheletro che animava la tunica si sgretolava, finendo sul cadavere di Erik. Tutto questo mandato in un fastidioso loop.
Ma era solo un incubo. Il ragazzo si guardò intorno, riconoscendo le panche di una chiesa, semi distrutte e sparpagliate in tutta la struttura, mentre intorno al ragazzo, un mucchio di cadaveri di persone innocenti presentavano ferite mortali di arma da taglio. Angel continuò a guardarsi intorno, riconoscendo la sua spada sul pavimento... improvvisamente un lampo, ricordando alcune frammenti di quanto accaduto. Era quasi l'alba, la chiesa era aperta con dentro diversi fedeli mentre Angel entrava con la spada in pugno. Tutti lo osservarono, urlando, mentre il prete chiedeva il nome del ragazzo.
«Lucifer... Lucifer's Angel» rispose, per poi scagliarsi su ogni persona in quel luogo, ponendo fine alle loro vite.
 
 
Note dell'Autore
 
 
Avevo accennato qualche capitolo fa che c'era la remota possibilità di pubblicare in ritardo... beh, è successo! E mi scuso davvero, davvero tanto. Agosto e Settembre sono stati e sono ancora mesi molto pieni, in cui non ho avuto tempo per praticamente nulla. 
Adesso diciamo che la situazione è leggermente migliore, ma non assicuro un capitolo a settimana, ma uno ogni 10/15 giorni. Tenterò di ritornare alla pubblicazione settimanale quanto prima, vi ringrazio per la pazienza, davvero. E mi scuso per l'ennesima volta per il ritardo.
Ringrazio anche le persone che hanno messo la storia tra le seguite, ricordate e preferite durante la mia assenza e rinnovo i miei ringraziamenti alle persone che c'erano già!

Sorry (and thanks) guys! 

Marco / NeroNoctis

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Capitolo 14
*** Sanctuary ***


La Strega Nera era seduta su una roccia, osservando il fuoco del falò morire lentamente, mentre immagini di morte e distruzione passavano davanti ai suoi occhi bramosi. Il fuoco, uno degli elementi naturali così cari alla stregoneria, le stava mostrando l'Immortalis Venator compiere un vero e proprio massacro all'interno di una chiesa, ponendo fine ad innumerevoli vite. La scena la fece sorridere, mentre i suoi piani prendevano via via forma.
Ne era certa, presto avrebbe avuto un nuovo alleato, un Cavaliere ancor più abile di Erik, un Cavaliere Witcher.
Dal canto suo, Erik era molto più cosciente. Da quando Dahlia aveva assistito all'inizio della maledizione del Witcher, il Cacciatore riusciva a pensare e muoversi con la sua volontà. Forse il legame con Dahlia si era indebolito e questo giovava molto alla sua salute mentale e, soprattutto, forse poteva liberarsi del tutto ed aiutare il suo migliore amico.
Il ragazzo osservava la strega contemplare il fuoco, sentendosi tremendamente in colpa per quello che aveva fatto, costretto dal legame oscuro. Per colpa sua, il suo amico e fratello Mikael stava per diventare una minaccia e soprattutto, stava per perdere la ragione, mentre la sua mente veniva plasmata dalle innumerevoli streghe che aveva ucciso durante i suoi cinquecento anni. 
Se solo non fosse stato colpito da Dahlia cinquecento anni prima... se solo si fosse arreso alla morte...
«Potrete ricongiungervi presto» esclamò Dahlia con voce leggera, quasi divertita. 
Erik osservò la donna, notando i suoi lineamenti segnati dal tempo, nonostante non mostrasse più di cinquant'anni. Improvvisamente, un guizzo attraversò quel viso, che il ragazzo non seppe bene decifrare, ma la risposta non tardò ad arrivare.
«E' comunque arrivato il tempo di rallentare Jane» sussurrò la donna, alzandosi in piedi e pronunciando qualcosa in un'antica lingua, mentre allargava lentamente le braccia e il fuoco ormai morto riprendeva ad ardere con veemenza.


Jane stava discutendo con David riguardo all'incantesimo per riportare in vita Eliza. L'uomo capì ben presto che non era sicuramente facile e il rischio di riportare indietro solo un guscio vuoto e senza personalità ed anima era molto alto. La Strega spiegò comunque che con i giusti ingredienti alchemici e di stregoneria, la negromanzia poteva riportare indietro completamente una persona, annullandone completamente la morte, seppur questo tipo di incantesimo doveva essere pagato con un tributo: la magia della morte ha sempre bisogno di essere equlibrata.
David annuiva ad ogni spiegazione, ormai convinto di star facendo la cosa giusta anche se nel profondo del suo cuore, innumerevoli dubbi etici e morali tentavano di farsi strada prepotentemente. No, non poteva pensare al giusto e sbagliato adesso, doveva riportare indietro quella vita andata via troppo presto. Eliza non lo meritava e lui le avrebbe ridato quella scintilla, doveva farlo per lei e Jane era l'unica che poteva aiutarlo, a costo di fare cose orribili.
«Cosa ci serve per l'incantesimo?» chiese David, con un filo di voce.
«Ciocche di capelli di tua figlia, terra di cimitero, sei gocce di sangue di animale, sei gocce del tuo sangue e sei gocce del mio sangue... Successivamente un pentacolo con inciso il nome di Eliza e... un sacrificio umano»
«Un sacrificio?» l'uomo aveva la gola secca. Come poteva uccidere qualcuno per riportare indietro Eliza? Jane intendeva questo allora quando diceva che la magia della morte voleva equilibrio: una vita per un'altra. Almeno per una resurrezione perfetta.
«Si, di una persona cara alla vittima. Tuttavia le possibilità di riuscita si aggirano sempre sul 40%»
«E' comunque una possibilità... sarò io a morire allora»
«No» rispose Jane «chi commissiona l'incantesimo non può offrirsi. Devi trovare un altra persona»
David abbassò lo sguardo, con la testa che gli scoppiava. Come poteva uccidere qualcuno di caro ad Eliza? E poi chi doveva essere? Prima che riuscisse a pensare ad un nome adatto per quell'impresa, le tre streghe di Jane irruppero in stanza, con le mani al collo e diversi conati di vomito. 
«Che succede?» esclamò Jane, scattando in piedi, ma prima che potesse ricevere alcuna risposte, delle radici fuoriuscirono dagli occhi, naso e orecchie delle tre giovani ragazze, mentre un fiore nero nasceva dalla loro bocca, un fiore sporco di sangue. Una dalia insanguinata.
Jane osservò quella scena in silenzio, anche se l'uomo riuscì a notare un leggero tremore nelle sue mani. Sembrava intimorita e arrabbiata al tempo stesso, come se avesse capito perfettamente cos'era successo e quale minaccia si parasse di fronte a lei.
«Dahlia...» sussurrò Jane, stringendo i pugni e osservando i cadaveri delle giovani streghe. I suoi occhi azzurri saettarono verso David, colmi di rabbia e lucidi di lacrime represse. David non capiva, chi poteva essere quella Dahlia da riuscire a far tremare, arrabbiare e quasi piangere Jane, la strega che aveva gettato scompiglio nella città di Lawrence? Perchè mai Jane sembrava temere quella persona? L'uomo non fece nessuna di quelle domande, ma si limitò ad alzarsi, avvicinarsi alla ragazza e stringerla a sè, con la mano sinistra sulla schiena e la destra che le carezzava i capelli, mentre i singhiozzi della strega aumentavano. Non sapeva quanto tempo era passato da un abbraccio dato ad una donna, non sapeva nemmeno perchè si sentiva in dovere di farlo con Jane, ma l'unica cosa che sapeva con certezza era una: Jane non era sempre stata il mostro che appariva, aveva un lato umano e con lui, quel lato si era mostrato, anche se in forma limitata.
«Ehy, sono qui. Sono qui con te. Respira» le sussurrava l'uomo, in un modo in cui Jane non aveva mai sentito nei suoi confronti. Era quasi bello sentirsi dire quelle parole e, in quello stesso istante, si rese quasi conto di essere incompleta, come se una parte di lei fosse scomparsa per sempre. Guizzi della sua vita nel 1500 le attraversarono la mente, ma arrivarono in maniera così confusa e veloce che la ragazza non riuscì a distinguerli. L'unica cosa che sentiva era il collo di David, il profumo del suo dopobarba e quel calore umano che pensava di non riprovare mai più nella vita. Non riusciva a spiegare perchè le importasse così tanto di quell'uomo sconosciuto, ma era sicura che una parte di lei l'aveva già incontrato. Ripensò a Dahlia, rendendosi anche conto di non essere ancora in forze per affrontarla. I rapporti tra le due erano tesi per via del fatto che la Strega Nera stava solo usando la Principessa Cinerea, voleva le sue doti di necromanzia e il suo aiuto per lanciare uno degli incantesimi più pericolosi della storia: la resurrezione di un'intera congrega di streghe, congrega i cui resti si trovavano in un luogo sigillato dall'Enclave. Lanciare quell'incantesimo significava una cosa sola: la morte di colei che esercitava quel rito, la morte di Jane. La Strega non sapeva bene il perchè doveva essere lei a riportare in vita la congrega, cosa che Dahlia non volle mai spiegarle, ma con le giuste ricerche, la ragazza riuscì a scoprire che si trattava della sua congrega di origine, la congrega della sua famiglia, di sua madre, sua nonna e così via fino agli albori del tempo.
Ma perchè Dahlia voleva indietro quelle specifiche persone? Jane quello non riuscì mai a scoprirlo.
La ragazza si staccò da David, fissando un punto imprecisato davanti a sè.
«Devo reclutare un'altra persona» sussurrò a denti stretti, per poi svanire nel nulla davanti agli occhi dell'uomo.


Will era poggiato alla finestra, intento a gustarsi i colori delle prime luci del mattino. Provava una certa nostalgia ad osservare quello spettacolo della natura e, al tempo stesso, un'immensa tristezza a vedere la terra ridotta ad un ammasso di cemento e grattacieli. Il mondo era migliorato così tanto che non era neanche in grado di descrivere quel progresso, ma la bellezza della natura del 1500, beh, quella era una perdita che faceva un po' male. Le cose dovevano comunque essere equilibrate dopotutto. Nonostante quei pensieri nostalgici al passato, il panorama era comunque niente male: il gioco di luci ed ombre sulla città appena sveglia era comunque qualcosa di godibile e poi, in fondo, il cielo era sempre lo stesso: sconfinato, azzurro e testimone di miliardi di storie narrate silenziosamente in ogni parte del globo.
Dietro di lui la situazione era leggermente strana, cosa che lo faceva sorridere perchè aveva capito perfettamente quello che stava accadendo: Noah e Kristine erano seduti sul pavimento a parlare fra di loro, stessa cosa facevano Sarah ed Angel, anche se quest'ultimo sembrava leggermente turbato, ma non era il caso di indagare maggiormente. Era comunque palese che i due ragazzi provavano interesse per le loro compagne di dialoghi... forse anche Will doveva trovare qualcuna da poter corteggiare, dopotutto la sua ultima storia -sempre se poteva chiamarsi così- era di un'altra vita e quella ragazza era ormai solo un mucchio d'ossa. La cosa lo fece rabbrividire non poco, così tentò di concentrarsi su altro, decidendo comunque di lasciare quelle due aspiranti coppie in intimità.
«Vado a prendere qualcosa per la colazione» esclamò Will staccandosi dal bordo della finestra ed osservando velocemente i presenti, soffermandosi però sul Cacciatore, con uno sguardo di preoccupazione e di disponibilità. Angel parve notare quello sguardo, sussurrando "sto bene" al ragazzo, che annuì leggermente. Angel non era molto sicuro, ma vedeva in Will qualcosa di familiare e soprattutto, si sentiva in colpa per non essersi subito fidati di lui... forse doveva ascoltare il ragazzo la sera prima, chissà, forse la strage nella chiesa non sarebbe mai accaduta. Ma come poteva essere? Prima quel sogno, poi il ritorno di Lucifer in maniera così prepotente... perchè uccidere degli innocenti? Troppe domande e, forse, l'unico con cui poteva parlarne era Will. Non voleva coinvolgere Sarah in quella storia, non poteva. 
Mentre Will usciva di casa, Sarah ed Angel continuarono a parlare di così tante cose che per un attimo Angel tentò di dimenticarsi di quella chiesa.
«Pensi che ci sarà mai un lieto fine?» chiese il Cacciatore, poggiando la testa al piano bar della cucina. Da quella posizione vedere Noah e Kristine era praticamente impossibile, cosa che faceva stare più tranquillo il ragazzo, che voleva un po' di intimità con Sarah. Ormai era impossibile prendersi in giro: quella ragazza gli piaceva ed era sicuro che in fondo, anche lei provava qualcosa.
Sarah ci pensò su qualche secondo, ripensò alla madre, a Jacob e a tutto quello che aveva perso, ma aveva ancora delle certezze e forse, sperare in un lieto fine, non era poi così male «Si» rispose, accennando un sorriso, forse per auto-convincersi o forse perchè ci credeva davvero.
«Spero che tu abbia ragione... un lieto fine per voi è la giusta ricompensa per tutta questa... surrealità. Ma per uno come me... non lo so» asserì il ragazzo, sospirando stanco.
«Uno come te... dovresti essere un esempio per gli altri Mikael, lo sai bene»
Il ragazzo guardò Sarah, specchiandosi nei suoi occhi e osservandola così in profondità che quasi rischiò di perdersi in quelle due pupille. Guardare dritto negli occhi, nell'anima, qualcuno, non è mai semplice. Non è semplice reggere sguardi intensi, perchè tutti in fondo hanno paura di essere scoperti, di venir osservati nella loro reale essenza.
«Non sono un brava persona, Sarah. Se solo tu sapessi... non ti piacerà il vero me» disse a bassa voce Angel, chinando il capo.
Sarah afferrò il mento del ragazzo, così delicatamente che il Cacciatore quasi non si accorse di quel tocco. Le mani della ragazza alzarono il viso di lui, che tornò a riguardare gli occhi della ragazza, che sembravano brillare. «Tu sei una brava persona»
Angel scosse la testa, con aria distrutta. Voleva quasi urlare, piangere e sfogarsi per quello che aveva fatto, per quelle vite spezzate in quella chiesa e per il piacere che ne ricavava a falciare ogni singolo corpo. In quel momento non era cosciente, ma contemporaneamente sentiva ogni cosa, ricordava ogni cosa. Ricordava il rumore della carne aprirsi, il rumore e il sapore del sangue, le grida, le preghiere e il senso di potere, la brama di sangue ed oscurità che continuava a crescere. 
E gli piaceva. 
Ma adesso... adesso che si rendeva conto di tutto, sentiva le urla di quelle persone dritte nella sua anima, come ganci che tiravano verso l'esterno e facevano malissimo.
Un rumore come di vento e scariche elettriche attraversò l'intera stanza, con tutti i presenti che scattarono in piedi ed Angel che evocava la sua spada verso quella persona che si era parata davanti a lui: Jane.
La Strega sorrise in modo freddo, spietato e con la sola imposizione delle mani bloccò al muro Noah e Kristine, che sembravano soffocare per quella pressione invisibile sui loro corpi. Sarah stava per dire qualcosa, ma Angel si lanciò su Jane, che bloccò il Cacciatore con la stessa tecnica, notando comunque qualcosa di strano in lui.
«Mikael... tu hai il Marchio» disse, ghignando. Strinse il pugno della mano destra ed Angel urlò di dolore, mentre del fumo nero si alzava all'altezza del suo petto e la sua maglia si bruciava mostrando un pentacolo non del tutto formato all'altezza del cuore. Sarah indietreggiò, non sapendo bene come comportarsi, mentre Jane si avvicinava con le mani giunte verso di lei.
«Piccola Sarah, ti donerò un potere che ti renderà unica»
«LASCIALA STARE» urlò Angel, mentre il fumo nero intorno a lui continuava a divenire via via più denso e fitto. I suoi occhi cambiavano ripetutamente colore, passando dal suo castano ad un rosso acceso, mentre la voglia di far fuori tutti i presenti stava lentamente prendendo il sopravvento. Jane sorrise, rivolgendo una semplice domanda al Cacciatore.
«Qual'è il tuo nome?»
«Lucifer» rispose, tentando di liberarsi dalla morsa della Strega e con la voglia di reciderle la testa. Durante quel casino, la porta di casa di Matt si spalancò, con Will che faceva irruzione e liberava Noah e Kristine, che caddero sul pavimento privo di sensi. 
«William?» disse Jane, incredula, ma prima che questi potesse rispondere a Jane, si lanciò su di lei e su Angel, svanendo davanti gli occhi in lacrime di Sarah e ai corpi privi di sensi di Noah e Kristine.


Will, Angel e Jane si ritrovarono in un luogo mai visto prima: lo scorrere dell'acqua riempiva di suoni quel luogo altrimenti silenzioso, mentre radici, terra e vegetazione decoravano tutto il resto. Ad una prima occhiata sembrava quasi una caverna, ma era davvero troppo spaziosa per poterlo essere davvero. Era più una macro area sotterranea coperta da una fitta vegetazione e le radici degli alberi, cosa che lasciava filtrare anche qualche raggio di sole che illuminava il resto della zona. Serpenti e insetti varie si muovevano in quel terreno naturale, mentre le pareti rocciose erano umide e lucide per via dell'acqua che bagnava quel luogo in diversi punti. L'odore della terra era molto intenso, così come quello deglia alberi e delle foglie. Fuori si riusciva a sentire qualche sporadico cinguettio, ma il lento rumore di acqua faceva da padrone, accompagnato stavolta dai lamenti di Angel che era finito rovinosamente sul terreno, mentre Will e Jane erano riusciti ad atterrare in modo meno rocambolesco. 
La Strega fu la prima a rialzarsi, osservandosi intorno e notando in lontananza due figure umane che parevano stringersi le mani, ma non era abbastanza sicura di voler indagare, soprattutto se insieme a lei vi erano William e Mikael, quest'ultimo con addosso la maledizione del Witcher.
In quel caso vi era solo una cosa da fare: andare via.
Jane sorrise «Will, promettimi che non morirai» detto ciò, svanì in uno stormo di corvi, lasciando i due ragazzi da soli.
Angel si rialzò lentamente, evocando nuovamente la sua spada e lanciandosi verso Will, che riuscì ad evocare giusto in tempo uno scudo di cristallo. Fortunatamente il ragazzo era abile nelle magie difensive, un po' meno in quelle offensive, dato che di base la sua era una natura non violenta. Scrutò gli occhi rossi di Angel, percependo una tremenda energia oscura, cosa suggerita anche dal Marchio delle Streghe sul petto, simbolo di una maledizione. Nel caso di Angel, la maledizione del Witcher.
William non ne era a conoscenza, ne aveva soltanto sentito parlare di sfuggita durante una delle sue bevute alla taverna, tentando di non darci troppo peso e affondare tutti i suoi piaceri nel dolce e gustoso siero di bacco. Era anche abbastanza certo che Jane non ne avesse mai fatto parola, anche se il suo comportamento in quel misterioso luogo gli suggeriva che conoscesse qualcosa sull'argomento. 
Jane... l'aveva rivista. L'ultima volta fu cinquecento anni prima, mentre lei bruciava nel rogo e lui tentava di non ascoltare le urla bevendo qualcosa di caldo e avvolgente. Una parte di lui voleva correre fuori e liberarla dalla morsa degli abitanti, l'altra parte di lui... beh, sapeva che le azioni di Jane nell'ultimo periodo erano diventate davvero estreme. Non sapeva chi l'aveva venduta, anche se nutriva qualche sospetto su un paio di persone... ma prima che potesse perdersi nel tutto nei suoi pensieri e nel dolce vino, alla morte di Jane lui si trasformò in una statua di cenere, cosa alla quale non riusciva ancora a dare una spiegazione logica. Forse neanche Jane sapeva il perché di quel processo, dopotutto non sarebbe stata così stupita nel vederlo.
Non lo sapeva, troppe domande e poche risposte e di certo farsi assalire dai pensieri durante un combattimento potenzialmente fatale non era la migliore soluzione. La lama magica di Angel aveva incrinato lo scudo di Will, che riuscì a rotolare di lato sentendo la lama infrangersi sul terreno, mentre il Cacciatore si preparava ad un nuovo fendente. Il tempo sembrò quasi rallentare mentre William analizzava le soluzioni: altro scudo? Inutile. Offensiva era un suicidio... l'unica soluzione era fuggire con l'incantesimo di teletrasporto.
Angel alzò nuovamente la sua lama, tentando di colpire il ragazzo sotto di lui che stava pronunciando qualcosa a bassa voce. Quando la lama toccò il terreno, Will era ormai scomparso, lasciando Angel da solo in quella landa desolata. Il ragazzo urlò dalla rabbia, mentre intorno a lui scie di fuoco disegnavano pian piano un pentacolo, con il ragazzo in piedi esattamente al centro.


Will cadde sul freddo terreno sentendo il sapore della terra sulla sua bocca. Non sapeva bene dove era finito, aveva recitato la formula troppo velocemente per poter decidere una destinazione concreta, ma la cosa fondamentale era l'essere in vita. Si sentiva attraversato come da scariche elettriche e, effettivamente, rumore di elettricità impregnava l'area intorno a lui. Si alzò lentamente, riconoscendo la luna sopra di lui e una rete di alberi, mentre dei rumori provenivano da un luogo non troppo lontano da lui. Iniziò a camminare, tentando di riconoscere quel luogo, ma quando arrivò a destinazione, non credeva ai suoi occhi.
Quello che stava osservando era il suo villaggio, con al centro un rogo e un gruppo di uomini e donne che osservava soddisfatto quello spettacolo. L'urlo che si levò dal rogo fu agghiacciante e demoniaco, con Jane che cessava di vivere.
Will ancora non ci credeva, forse stava sognando o forse era qualcosa di reale ma di fatto, si trovava nel 1516, il giorno della morte di Jane e della successiva scomparsa del ragazzo.

Era tornato indietro nel tempo.

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Capitolo 15
*** And All Things Will End ***


Lo scrosciare dell'acqua fece ridestare Angel che, senza rendersene neanche conto, era finito privo di sensi sul pavimento. La terra fredda e bagnata era piacevole al contatto con la pelle del viso, quasi lenitiva. Poi voleva anche concentrarsi su altro, basta uccisioni, maledizioni e quel maledetto mal di testa che lo stava distruggendo da quando aveva aperto gli occhi. Inspirò, sentendo il profumo della terra e della natura, misto a puzza di bruciato. Si rialzò lentamente, mettendosi seduto e fissando dritto davanti a sè.

Alberi, muschi, piante, animali striscianti e piccoli corsi d'acqua che sfociavano dalle pareti rocciose. Sembrava quasi casa, quella lontana -sia nello spazio che nel tempo- Svezia, terra che l'aveva visto nascere e crescere, aveva visto le sue prime amicizie, i suoi rapporti con la gente del posto... la sua prima uccisione di quella Strega e l'inizio del suo dramma.

Sospirò, rimanendo immobile. Ogni fibra del suo corpo sembrava anche in attesa, così come il suo respiro lento e regolare, il suo sguardo fisso e i suoi pensieri, forse per la prima volta, completamente calmi, piatti. Anche il mal di testa stava via via scemando, lasciando spazio ad una pace quasi innaturale, come se quel luogo trasmettesse armonia, serenità, quel luogo che tanto sapeva di casa.

Angel sorrise, un sorriso amaro che nascondeva tanti dubbi e certezze, un sorriso che guardava al futuro e che sapeva che non potevano esserci lieto fine, sapeva bene che non avrebbe avuto nessun futuro roseo con Sarah, un futuro senza amore, senza amici e soprattutto senza se stesso.

E tutte le cose finiranno, pensò.

Non capiva bene il motivo per cui il Marchio delle Streghe aveva preso posto all'altezza del suo cuore, non capiva perché sentiva le urla e le risate delle sue vittime dentro la testa e non sapeva neanche perchè provava piacere ad uccidere gli innocenti. Stava diventanto qualcosa che aveva giurato di distruggere, stava ritornando ad essere quel Lucifer accecato dall'odio e dall'ira... ma stavolta era tutto così diverso. 

In passato il Lucifer's Angel era semplicemente un ragazzo immortale che aveva giurato vendetta contro la stirpe che aveva ucciso la sua famiglia e suo fratello Erik. Quello che si era impossessato di lui sembrava quasi un demone distruttore. Sentiva il potere crescere dentro quando non riusciva a controllarsi, sentiva la magia nera scorrere nelle sue vene. 
Sentiva tutto, come se fosse uno spettatore delle sue stesse azioni e questo lo uccideva lentamente ed inesorabilemente.

Chissà cosa pensava Will di quell'aggressione... e Sarah? E Jane? Perchè si preoccuoava di lei, poi?

Decise di alzarsi, camminando lentamente in quell'ammasso naturale che sembrava scavato nel terreno. Ogni suo passo affondava nel terreno fresco mentre gli animali lo osservavano per poi scappare via da lui. Il ragazzo notò in lontananza due figure umane, così decise di indagare.
Una volta arrivato notò quelle che si rivelarono essere due statue a grandezza naturale: un ragazzo e una ragazza inginocchiati l'uno di fronte all'altra, mano nella mano e con lo sguardo carico di speranza, amore e calma. La ragazza aveva i capelli lunghi, decorati da diverse trecce, mentre i capelli di lui erano raccolti in una coda. 

Angel si chiese quale storia appartenne a quei due, ma non avrebbe mai scoperto la verità. La cosa, senza sapere bene il perché, lo rattristò.

«Hai vissuto più vita di quanta io possa mai immaginare, Mikael Ragnarsson»

Angel si voltò di scatto, trovandosi di fronte un uomo sulla quarantina, indossava un giubbotto di pelle nera ed un paio di jeans strappati. Il suo viso era sereno e deciso, con uno strano sorriso sul volto.

«Chi sei?» rispose Angel, trovandola la risposta più adatta in quella circostanza. E poi, come faceva a sapere il suo vero nome? Lo sapevano soltanto un paio di persone e di certo quell'uomo non rientrava nella lista.

«Julian Sullivan» rispose l'uomo, non scomponendosi. 

Angel alzò un sopracciglio, in attesa di ulteriori informazioni, dopotutto non era il modo di presentarsi in una situazione del genere. Non era certo un ricevimento o qualcosa del genere.

«Sono un Cacciatore di Streghe inviato dall'Enclave qui per ucciderti»

Il ragazzo rise, scuotendo la testa «L'Enclave si è sciolto da diversi secoli e io sono l'ultimo Cacciatore rimasto, apprezzo comunque il tentativo»

Julian scosse la testa «Dovevano avvertirmi che eri anche all'oscuro di tutto, mi sarei preparato un discorso. Cercherò di essere il più breve possibile: L'Enclave agisce in segreto, una branca segreta della Chiesa Cattolica. Sono qui per ucciderti prima che tu diventi un Witcher, ma a quanto posso vedere possiedi già il Marchio delle Streghe, quindi la Maledizione è iniziata»

«Witcher? Cosa ne sai poi di questo Marchio?»

Julian alzò la maglia grigia e scostò leggermente il giubbotto per far vedere ad Angel: lo stesso Marchio, all'altezza del cuore. Con la sola differenza che quello di Julian era una "semplice" maledizione di una Banshee.

«L'Immortalis Venator agisce a determinate condizioni. Tu sei tale per la morte del tuo amico Erik, ma evidentemente sei entrato in contatto con lui, cosa che ti ha fatto perdere il controllo sulle Streghe che hai ucciso. Per farla breve: Erik è vivo e se non lo uccidi, beh, metterai fine alla razza umana»

«Che idiozie» ribattè Angel, scuotendo la testa visibilmente infastidito.

«Bene, passiamo al piano B» Julian estrasse una pistola dalla cintola e sparò un singolo colpo che si schiantò sulla fronte di Angel, facendolo cadere a terra a privo di vita. Il Cacciatore si avvicinò al corpo esanime del ragazzo, caricandolo sulle spalle e avviandosi verso l'uscita di quel luogo, formato da intricati rovi e sassi che si univano in una scala improvvisata. Dall'alto di quella scala, Paul osservava i due con una fune e uno sguardo interrogativo sul viso.

«Non ha voluto ascoltarti vero?»

«Non mi ascoltava mio nonno, figurati un ragazzo di 500 anni»

«Così hai deciso di piantargli un proiettile in testa?» disse Paul, con una vena di divertimento.

«Andiamo, non potevo mica offrirgli i pasticcini! Cala la fune, abbiamo poco tempo»



William aveva osservato il corpo di Jane bruciare e finire privo di vita, mentre gli abitanti del villaggio iniziavano via via ad andare nelle rispettive case. Per loro era una liberazione: la morte della Principessa Cinerea, la Strega dietro tutti i problemi del villaggio, colei che aveva addestrato le altre neo-streghe. Una vera piaga.

Il ragazzo iniziò a camminare lentamente tra quelle strade ormai quasi deserte, mentre il chiasso della vita stava cessando, lasciando spazio ai lontani rumori della cena. Si chiese come si poteva riuscire a mangiare qualcosa dopo aver assistito ad un rogo... non l'avrebbe mai capito e ad essere sinceri, non voleva neanche farlo. La cosa più strana poi era un'altra: nessuno sembrava notare la sua presenza, probabilmente l'incantesimo lanciato -per sbaglio- da William era incompleto: un viaggio nel tempo senza che nessuno potesse interagire con lui, non necessariamente un male. Senza neanche rendersene conto, si ritrovò davanti alla taverna nel quale si stava accingendo ad ubriacarsi quella stessa sera, prima di ritrovarsi a Lawrence nei tempi moderni. Senza pensarci minimamente, entrò.

La taverna era completamente al buio, Jack era già andato via... probabilmente a gambe levate, dato che tutto era come lui l'aveva lasciato. Il boccale, lo sgabello e... la statua di cenere frantumata in mille pezzi. I suoi mille pezzi. Quella doveva essere la sua fine. Si avvicinò a quei mucchi di cenere e una volta che ne prese uno in mano, la stanza intorno a lui sembrò quasi collassare su sè stessa, mentre delle scariche di elettricità attraversarono nuovamente il corpo del ragazzo, che svanì nel nulla.

Si ritrovò in una chiesa, circondato da uomini che stavano analizzando il Diario di Jane. Lo conosceva bene: l'aveva visto da vicino diverse volte, quando lui e Jane avevano quel rapporto così particolare che può essere riconducibile a due fratelli, quasi. Fece per avvicinarsi e toccarlo, ma prima che potesse raggiungere quel grimorio, le porte della Chiesa si spalancarono, mostrando Angel.       

Gli uomini spiegarono ad Angel che l'anima di Jane era legata al Diario e che, una volta aperto, la Strega sarebbe rinata. Tuttavia doveva essere un'apertura casuale: nessuno con l'intenzione di liberare la Strega poteva aprire quel Diario. Angel rispose così di procedere con l'Incantesimo dell'Immortalis Venator, incantesimo che gli avrebbe donato la vita eterna in attesa di uccidere Jane.

Il rito fu eseguito con successo, ma Will non riuscì ad assistere a nient'altro che un nuovo viaggio temporale iniziò, mandandolo stavolta in una stanza sotteranea circondata da grate e con in il Diario di Jane gelosamente custodito in un altare. Il ragazzo non ci pensò su un secondo e afferrò quel Grimorio, svanendo nuovamente circondato da piccoli fulmini.

William si ritrovò in una biblioteca, con il Diario in mano. Davanti a lui, seduti attorno ad un tavolo, vi erano Sarah, Noah ed un ragazzo che si rivelò essere Jacob, il fidanzato di Sarah. Will sorrise, quei ragazzi erano così normali prima di finire in quelle vicende. Da quanto poteva notare, Jacob e Sarah avevano litigato, con quest'ultima che abbandonò la biblioteca, seguita poco dopo da Noah che salutò l'amico.

William chinò lo sguardò, con un amaro sorriso sul volto. Venne nuovamente circondato dalle scariche, segno che stava per effettuare un altro salto temporale, ma stavolta, senza rendersene conto, il Diario di Jane cadde dalle sue mani, finendo sul pavimento e attirando l'attenzione di Jacob, che si avvicinò a quel grimorio e lo aprì... liberando inconsapevolmente l'anima di Jane e dando il via a tutti i futuri eventi. 



William si risvegliò in una stanza con le luci accese, una stanza con David, Jane, Noah, Kristine e Sarah. Il gruppo era al muro, Jane era sporca di sangue. Will tentò di dire qualcosa, ma prima che potesse farlo, una voce alle sue spalle lo fece voltare.

«William: l'Incantesimo perfetto»

Il ragazzo non rispose, mentre la donna davanti a lui iniziò a ridere, svelando quel sadico sorriso che solo Black Dahlia era in grado di mostrare. 

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Capitolo 16
*** Life Spell ***


Julian camminava nervosamente avanti e indietro, non perché qualcosa lo preoccupasse, semplicemente perché le attese lo infastidivano. Si era cambiato d'abito: indossava una maglia verde militare e un paio di pantaloni color sabbia, mentre il Marchio della Banshee iniziava a bruciare un po', lì all'altezza del cuore, per ricordargli tutto quello che aveva passato. Avrebbe voluto urlare, ma si trattenne. Non era né il luogo né il momento adatto.

Sentiva le voci confuse di Paul ed Erik, ma non si interessò molto al discorso. Riuscì solo a capire l'argomento: Black Dahlia. Era comunque una cosa ovvia, Erik era riuscito a liberarsi dal controllo della Strega Nera dopo che questa si era interessata in maniera quasi morbosa al Witcher. Antiche leggende dell'Enclave parlavano molto di questo argomento, ovvero i Cavalieri della Strega. Ripensò alle pagine del Diario di suo padre Jonathan, che aveva scritto alcune righe sui Cavalieri durante i suoi anni di attività. 

E' quasi curioso come le Streghe si dedichino a noi umani. Ci vedono in così tanti modi... chi ci reputa inferiori, chi ci vede come oggetto di piacere e chi... chi ci trasforma nelle loro guardie scelte, nelle loro macchine da guerra. 
E' questo che è un Cavaliere della Strega: un individuo di sesso maschile che è stato soggiogato dalla magia o semplicemente instaura un qualunque tipo di rapporto con la figlia del diavolo. 
Ammetto di non averne mai incontrati, dopotutto le Streghe sono quasi estinte e di certo quelle che sono ancora tra noi, si premurano a nascondersi e non a creare un Cavaliere.
Mi domando anche perché ne sto parlando qui... ma dopotutto scrivere mi fa bene tra una missione e l'altra. Sempre meglio di ascoltare quel logorroico di Aloysius Knight.
L'unica cosa positiva rimane tuttavia che la Strega può avere un solo Cavaliere per volta, quando ne individua uno nuovo, il legame creato con quello vecchio svanisce... a meno che il Cavaliere non sia innamorato della Strega... esiste un solo caso documentato, ma è più una leggenda che altro... ma adesso non mi va di parlarne, lo stufato è pronto ed io muoio dalla fame. 


«Julian, si sta svegliando» fu Paul a parlare e quella notizia riempì di piacere il Cacciatore, che osservò Angel, legato ad una sedia, anche se era abbastanza sicuro che quello non bastasse a tenerlo fermo.

«Vi dispiace?» esclamò Angel, indicando le corde con lo sguardo per poi fissare in cagnesco sia Paul che Julian. Non amava essere legato, soprattutto da sconosciuti che gli sparano in testa, non che quello sia mai stato un problema da quando era diventato immortale.

«Mikael...» fece Erik, avvicinandosi all'amico che lo notò solo adesso. Il viso del ragazzo divenne cinereo, dimenticandosi persino delle corde. No, non poteva essere lui. Erik era morto e lui l'aveva visto morire. Ripensava a quella scena ogni giorno, anche quando non voleva. Iniziò a muovere la testa, ripetendo più volte la parola "no"

«Sono io» disse Erik, avvicinandosi ancora di più all'amico. Avrebbe voluto dirgli così tante cose, avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene ma... non sarebbe stata la verità. Nulla stava procedendo per il verso giusto e quell'amicizia non sarebbe dovuta esistere in quel tempo. Dovevano semplicemente vivere nel loro tempo e morire forse insieme, forse in tempi diversi, ma non così.

«Io ti ho visto morire» rispose Mikael, atono. Doveva essere felice, ma si sentì preso in giro. Non sapeva bene il perchè, era come se qualcosa stesse bloccando i suoi veri sentimenti, come se poco a poco stesse morendo sempre di più. Nonostante questo, sentiva comunque l'amore che lo legava a lui, seppure era debole e sepolto in un angolo remoto della sua anima. Aveva voglia di schiaffeggiarlo, urlargli contro, ma anche di stringerlo e dirgli quanto gli fosse mancato. Era un casino, la sua mente era un groviglio di fili e lui non sapeva districarsi da quel labirinto.

«Quello che hai visto secoli fa... è la pura verità. Dahlia mi ha ucciso. Successivamente mi ha riportato in vita e mi ha reso il suo cavaliere, trasformandomi in pietra, in attesa del momento giusto.»

«Il momento giusto?» chiese lui, guardando altrove.

«Il risveglio di Jane. Ha aspettato cinquecento anni per mettere in atto il suo piano»

Paul e Julian si guardarono, probabilmente entrambi avevano pensato alla stessa cosa. Nonostante le Streghe fossero donne dotate di notevole potere magico, nessuna di loro aveva mai vissuto così tanto. Forse anche loro, come l'Enclave, avevano sviluppato un incantesimo di immortalità, anche se l'Immortalis Venator si limitava ad assorbire gli anni di vita di qualunque strega uccisa, rendendolo di fatto un incantesimo assorbi-tempo. Certo, la questione che i colpi normali non uccidevano il Cacciatore quella poteva essere intesa come immortalità, ma di base anche l'Immortalis Venator aveva una scadenza, che veniva prolungata ad ogni uccisione.

«Non mi importano i piani di quella Strega, so solo che adesso tu sei qui e noi la uccideremo»

Il volto di Erik si incupì, il suo leggero sorriso si spense del tutto e chinò lo sguardo. Mikael cambiò espressione, conosceva fin troppo bene Erik e sapeva che quella faccia voleva dire pessime notizie.

«L'Immortalis Venator ha un difetto Mikael. Se entri in contatto con la cosa o persona che ti ha spinto ad usare quella formula, beh, si aziona la maledizione del Witcher. Uccidendo quelle Streghe tu... le hai assorbite. Quando ci siamo visti per la prima volta, Dahlia l'ha fatto per innescare il processo di trasformazione. Ti voleva come Witcher, ti vuole come suo nuovo Cavaliere, un Cavaliere con un potere superiore a qualsiasi altra Strega, superiore forse alla Strega Madre. Le voci che senti, i tuoi momenti di... che non sei in te, non sono casuali. E' la maledizione delle Streghe che ti spinge a fare ciò. Tu... tu sei un Witcher ormai e dal momento che sai di me, restano pochi minuti...»

«Mikael» stavolta fu Julian a parlare, la sua voce era seria, così come il suo volto. Per la prima volta Mikael guardò il Cacciatore con sguardo sinceramente interessato, tentando anche di nascondere quella crescente preoccupazione che stava nascendo in lui «il motivo per cui siamo qui è uno solo. C'è un modo per spezzare la maledizione del Witcher.»

«Devi uccidermi» concluse Erik. Stavolta Mikael non seppe bene come reagire. Sapeva che tutto quello che stava accadendo intorno a lui era vero, lo sapeva perché conosceva Erik, dopo cinquecento anni riusciva ancora ad essere in sintonia con lui, nonostante una parte di lui provava quella strana sensazione verso i membri della stanza, verso il mondo, verso tutto. Ma cos'era? Odio? Rancore? Semplice e pura voglia di sfogarsi? Non lo sapeva, l'unica cosa che sentiva era il cuore bruciare, come se fosse ricoperto da lava incandescente. Si lasciò sfuggire una smorfia, mentre nella sua mente si albergavano diversi pensieri che non erano suoi, ma che voleva, voleva ascoltarli ed essere soggiogato da loro.

Perché doveva rinunciare ad essere un Witcher? Quel potere poteva essergli utile e poi non voleva enanche uccidere Erik, nonostante avesse mentito sulla sua morte. Erik l'aveva abbandonato, doveva soffrire. Voleva comunque bene all'amico ma voleva comunque vederlo piangere per almeno cinquecento anni, lo stesso periodo in cui lui aveva sofferto e si era abbandonato a quel suo lato oscuro che prendeva il nome di Lucifer. Non che la cosa gli dispiacesse, era bello essere avvolti dall'oscurità.

Il ragazzo rimase in silenzio per diversi minuti, fino a quando i suoi occhi non cambiarono colore e le corde attorno ai suoi polsi presero fuoco. Adesso era libero, sia da quelle corde che da ogni pensiero, era bello assaporare quel potere così denso e nero. Una sensazione davvero piacevole. Si scagliò verso Julian, ma non riuscì a colpirlo. Il Cacciatore rispose prendendo una boccetta di polvere scura che lanciò sul viso del Witcher, che urlò di dolore e rabbia.

 «Sorbo degli uccellatori» rantolò Lucifer, osservando Julian con i suoi occhi color fiamma. Aveva una strana sfumatura nella voce, quasi come se fosse un'altra persona a parlare. Il Witcher ghignò, decidendo di rimandare quell'incontro che l'avrebbe certamente divertito nel tempo. Aveva un altro obiettivo dopotutto: trovare Dahlia e... Sarah.


 


 «William: l'Incantesimo Perfetto» disse Dahlia, per scoppiare a ridere poco dopo. Tutti i presenti si voltarono d'istinto verso il ragazzo, che osservò la Strega Nera in silenzio, mentre Jane tentò di balbettare qualcosa, come se fosse stata presa in contropiede.

«Oh... Jane» iniziò Dahlia, voltandosi verso la sua ex allieva «avevo dimenticato che tu non ne sapevi nulla. Ricordi quando provasti l'incantesimo della vita?»

Jane annuì. «Si, ma non funzionò. Mi dicesti che non ero abbastanza forte e preparata»

«Mentivo» rispose Dahlia, divertita «ha funzionato, fin troppo bene. Quella formula ha creato William. Lui è una delle tue creature, al pari degli esseri di cera»

William osservò Jane, confuso. Dahlia stava mentendo, lui non poteva essere una mera creazione di una Strega. No, non era così. Ripensò al suo passato, tentando di concentrarsi su sua madre ma... nulla. Non ricordava praticamente nulla del suo passato. Il primo ricordo che aveva era l'essersi risvegliato in una terra dimenticata da Dio, per poi viaggiare e trovare Jane, con il quale aveva legato in modo quasi innaturale. Quel legame... non voleva pensarci.

«Non ascoltarla, Will» esclamò David, guardando l'amico. Sapeva benissimo che Dahlia aveva ragione, ma non voleva che il ragazzo soffrisse di quella situazione. Nonostante era una semplice creazione magica, era puro di cuore, semplicemente un ragazzo che tentava di fare sempre la cosa giusta anche a rischio della propria vita.

«Silenzio!» urlò Dahlia, che colpì il detective con una forza invisibile «il prossimo che proferisce parola morirà»

«Papà...» sussurrò Kristine, allungando la mano verso il padre, ma la Strega Nera notò quel gesto e trafisse la giovane ragazza con un numero non quantificabile di radici, non dandole neanch il tempo per urlare. David si scagliò istintivamente contro la figlia, ma finì per subire la stessa sorta della ragazza. Un gruppo di radici si diressero verso di lui, trafiggendolo ripetutamente. Sentiva gli organi lacerarsi, per poi osservare il suo campo visivo svanire.

Noah e Sarah si strinsero la mano, tentando di non respirare neanche. Il ragazzo avrebbe voluto urlare, scagliarsi contro quella Strega e colpirla ripetutamente, ma sarebbe stato inutile. Doveva restare lì, vivo per Sarah. Doveva proteggerla, soprattutto dopo quello che aveva passato per colpa di Jane. La Principessa Cinerea aveva mantenuto la sua promessa, trasformando Sarah nella creatura che odiava: una Strega.

«Qualche altro intervento coraggioso? No? Bene» esclamò Dahlia, con un sorrisino sul viso. «Jane, cara. Tutto quello che devi fare è venire con me al Santuario e riportare in vita il tuo clan. Successivamente puoi fare benissimo tutto quello che vuoi, prometto di non intralciarti»

«Perché?» rispose lei, tentanto di non colpire la Strega con tutto il potere magico che aveva in corpo. Quando vide David cadere, sentì l'odio crescere, ma non poteva agire. Dahlia era troppo forte e lei era ancora spossata dalla sua rinascita. Non sapeva bene il motivo, ma riusciva a percepire lo stesso odio nel corpo di Will, l'unico insieme a David e Sarah di cui si curava. Il resto, Noah, Kristine o il mondo intero, poteva benissimo bruciare.

«Perchè voglio rivedere tua nonna» disse, in maniera secca e sincera «quando lei morì, il mio amore per lei non fece altrettanto. Voglio semplicemente riavere indietro la donna della mia vita»

Prima che Jane potesse formulare qualsiasi tipo di domanda, sentì il suo torace diventare caldo ed umido. Era una strana sensazione, che non riuscì ad identificare fin quando il suo sguardo non si posò sulla verità: una lama di cristallo che la attraversava. Il mondo intorno a lei iniziò a diventare sempre più distante, i suoni ovattati e i colori iniziarono a spegnersi. Sentì la lama lasciare il suo corpo, mentre le gambe cedevano e lei si ritrovava sul freddo pavimento, incrociando lo sguardo soddisfatto di Mikael.

«Jane...» sussurrò Will, che corse verso la ragazza e tentò di tamponare la ferita, anche se lui iniziava a sentirsi stremato. Non dovette neanche tentare di farsi delle domande che aveva già capito tutto: se Jane moriva, lui sarebbe scomparso. 

Il Witcher si avvicinò a Dahlia, sussurrandole qualcosa all'orecchio. Lei annuì, per poi scomparire in una tempesta di petali neri, successivamente il ragazzo si avvicinò a Sarah, carezzandole la guancia. «Sarah...» ma questa non ebbe la forza per rispondere. Quello che aveva davanti non era il Mikael che aveva conosciuto. Non aveva quello sguardo così freddo e spietato, quello non era lui. Non servì neanche parlare che il Witcher si rese conto di ogni cosa, fece una smorfia e poi svanì, facendo inavvertitamente cadere il suo ciondolo sul pavimento.



Passarono diversi attimi, fino a quando la stanza non si riempì nuovamente di gente: Paul, Julian ed Erik erano riusciti a raggiungere il resto del gruppo, seguiti da Jacob che li aveva intanto incontrati durante il tragitto. Quest'ultimo si lanciò verso Sarah, stringendola a sé e sentendo i suoi singhiozzi. «Sono qui» le sussurrava, mentre guardò con sguardo di ringraziamento Noah, che annuì al gesto del ragazzo, nonostante fosse distrutto dalla morte di Kristine.

«Cos'è successo?» chiese Erik, chinandosi sul corpo di Jane e di Will, che non riusciva più a reggersi in piedi. 

«Angel...» si limitò a dire Will, osservando quel ragazzo che gli ricordava così tanto quel nome, per l'appunto.

«Merda» esclamò il Cacciatore, osservando il corpo della Strega. Posò indice e medio sul collo di lei, riuscendo a sentire un debole battito. Era ovvio, Jane era viva, per questo William era ancora lì. Non tutto era perduto.

«Will, ascolta. Tu sei-»

«Una creazione di Jane, lo so» rispose lui.

«Esatto. Quello che devi sapere è che tu non sei solo una creazione, ma sei anche parte di lei. Quando Jane eseguì il rito per l'incantesimo della vita, Dahlia lanciò contemporaneamente un altro incantesimo, togliendo la parte razionale di Jane e spostandola verso di te. In poche parole, tutte le qualità di Jane le hai acquisite tu durante la tua creazione. Jane era troppo forte, ma anche troppo buona, Dahlia doveva rimediare in qualche modo. Per questo dopo quel giorno lei è diventata la macchina di morte che tutti conosciamo.»

«E con questo?» chiese Will, in un lamento.

«Sto dicendo che... se tu tornassi a lei... Jane potrebbe fermare per sempre Dahlia.»

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Capitolo 17
*** Epilogo: Ashes of Eden ***


Inghilterra, 1470

La guerra tra gli York e i Lancaster continuava ad imperversare: morti, complotti e tradimenti facevano da sfondo a quel periodo, vissuto con estrema tensione ed ansia dai vari cittadini. Varie casate sia avviavano verso l'estinzione ed altre iniziavano ad acquisire potere.

La sera era il momento di maggior tensione, dove tutti si richiudevano in casa e speravano di vedere l'alba del giorno dopo. Il silenzio di quelle sere fu tuttavia spezzato da dei vagiti di una neonata, nata in quel periodo così difficile, l'alba di una nuova era agli occhi della famiglia.

Una donna tamponava la fronte della madre, spostandole i neri capelli dalla fronte, mentre i suoi occhi azzurri erano lucidi sia per lo sforzo che per l'emozione. La bambina appena nata fu lavata, mentre la madre si addormentava, esausta, dopo averla osservata per qualche secondo.

Finalmente il sole attraversò le finestre, segnando l'inizio di un nuovo giorno. Gloria, ormai riposata a dovere, si avvicinò alla figlia. La osservò, notando il Marchio delle Streghe nel suo piccolo corpo. Non seppe bene se esserne felice o meno, dal momento che la vita delle Streghe era fatta di nascondigli e fughe, da sempre. 

Gloria lo sapeva bene, aveva passato la sua intera vita in questo modo, lo stesso faceva la sua congrega, una delle più potenti di quell'epoca: le Streghe Ember. Il gruppo di donne si era stabilito a York, trovando una momentanea pace tra le vie di quelle città, pace che si tramutò in paura durante la guerra delle Due Rose.

«E' bellissima» esclamò una donna anziana, la più vecchia della Congrega. 

«Si, lo è» ammise Gloria, ancora in preda a mille pensieri. Avrebbe cresciuto la figlia da sola, insieme alla donne della sua famiglia. Non avrebbe mai avuto un padre, ucciso durante la guerra... non che questo fosse necessariamente un male, dato che Gloria era rimasta incinta durante uno stupro di quell'uomo che passava le giornate tra vino e prostitute. Non si fidava più degli uomini, ne era schifata, per questo si rese conto di iniziare a provare dell'affetto verso la sua amica... per la Congrega questo non era un problema, ma per il resto del mondo era visto qualcosa di impuro, demoniaco.

«Hai già scelto il nome?» chiese l'anziana, destando Gloria da quei pensieri.

«Dawn» rispose secca, la madre.    

«Dawn» ripetè l'altra, annuendo. 

Dei colpi arrivarono dalla porta, esattamente quattro ripetuti ad intervalli regolari, segno che poteva essere una sola persona. Gloria si precipitò verso l'entrata, abbracciando Dahlia e baciandola ripetutamente, cosa che la ragazza ricambiò. 

«Dov'è lei?» chiese Dahlia, sorridendo.

Gloria afferrò la sua amante per la mano e la trascinò verso la piccola, mentre si promettevano piani per il futuro.


1482


«Così la mamma mi ha cucito questo vestito!» esclamò Dawn, che camminava mano nella mano con Dahlia, che ascoltava divertita ed interessata le storie della bambina, che ormai aveva 12 anni compiuti. Passavano molto tempo insieme, tra le vie della città ormai tranquilla dopo che la Guerra stava volgendo al termine.   

«Lo so, ha talento la mamma» rispose Dahlia con enorme dolcezza nella voce. L'aveva amata sin dal primo momento, l'aveva sempre fatto e l'avrebbe fatto per sempre.

Dahlia e la piccola Dawn giunsero finalmente davanti casa, ma rimasero entrambe ferme, mentre il sangue si gelava nelle loro vene. La casa era in fiamme.

Dahlia si precipitò dentro, estinguendo le fiamme con la sola imposizione delle mani. Dawn entrò con lei, inciampando sulla mano dell'anziana, ormai ridotta ad un mucchio di ossa carbonizzate.

«Dahlia...» sussurrò Gloria, ancora in vita. Era tenuta sollevata dalla ragazza, mentre la piccola si rialzava e si avvicinò alle due donne più importanti della sua vita. Gloria si voltò verso la figlia, mentre una lacrima bagnava il suo viso completamente bruciato e nero per via delle cenere. «Amore mio...» disse alla figlia, che iniziò a singhiozzare.

«Non morirai qui» sibilò Dahlia, tentando di trattenere le lacrime.

«Non prendiamoci in giro... promettimi che ti prenderai cura di lei, promettimelo.»

«Te lo prometto» rispose Dahlia, mentre una lacrima scese sulla sua gote.

«Ti amo» continuò infine, non ricevendo comunque risposta da Gloria, che aveva ormai esalato l'ultimo respiro.


Oggi


«Che storia commovente» ghignò Mikael, osservando Dahlia che stava fissando un falò ormai prossimo alla morte. Il Witcher era poggiato su un albero, mentre con il suo enorme potere magico stava deliberatamente facendo una gita nei ricordi di Dahlia, scoprendo il suo lato umano, trovandolo estremamente divertente.

«Basta» tagliò corto Dahlia, che si alzò e si diresse verso il suo Cavaliere, con aria minacciosa.

«Ehy rilassati! Sono solo annoiato mia Signora! E dimmi un po', cos'è successo a Dawn?»

«Siamo scappate. Gli anni passarono e lei purtroppo morì per colpa di una brutta malattia, non prima di dare alla luce una bambina con un enorme potere magico...»

«Jane» rispose sicuro Mikael, mentre Dahlia annuiva.

«E adesso Jane è in preda all'agonia pre-morte, con il mio piano apparentemente infranto» continuò Dahlia.

Mikael si staccò dall'albero. «Apparentemente. Ho assorbito il potere di Jane, tutto quello che ti serve è incanalare il mio potere magico. Il punto è: per un incantesimo così forte, ti serve un luogo pieno di magia»

«Il Santuario dei Gemelli, andremo lì. E' tempo che la Congrega degli Ember torni a  calpestare questo mondo. E' tempo che Gloria torni tra le mie braccia.»


 

 

«Se mi unisco a Jane io... scomparirò» disse Will, in preda ai dolori.

«Si, è così» rispose Erik «ma morirai comunque se non la salviamo»

William osservò Jane, la sua ferita aperta dalla quale sgorgava rosso sangue, i suoi respiri sempre più deboli. Si voltò verso David e Kristine, che avevano pagato con la vita quella guerra che non apparteneva a loro. Sarah, Noah e Jacob, stretti l'un con l'altro. Julian e Paul... Erik. 
Chiuse gli occhi, sentendo i suoni sempre più distanti: stava morendo e ne aveva una paura tremenda. Non voleva morire, non voleva, ma ormai il suo destino era segnato. C'era una sola cosa da fare: scegliere il modo in cui andarsene.

«Lo farò» esclamò William, afferrando la mano di Jane e recitando un incantesimo che aveva, quasi ironicamente, ricordato come per magia.

Il tempo passava, lasciando i presenti col fiato sospeso, ma non stava succedendo un bel niente. 

«E' troppo debole, moriranno entrambi» affermò Erik, mordendosi il labbro «serve una Strega che canalizzi i loro poteri»

«Ehy tu, piccoletta» fu Julian a parlare, rivolgendosi a Sarah che iniziò a tremare ancor di più, mentre Jacob la guardò perplesso.

«Io?» chiese Sarah.

«Si tu, so riconoscere una Strega. Alza il culo e vieni a dare una mano»

«Perchè dovrei?» sbottò Sarah, alzando la voce «lei ha ucciso mia madre! Ha sterminato la famiglia di Jacob, ha distrutto le vite di tutti noi! Perchè dovrei tenerla in vita?»

Julian si avvicinò alla ragazza, chinandosi di fronte a lei. «Perchè se non lo fai, tutti qui faremo una brutta fine» Julian si alzò, dando le spalle alla ragazza e a Noah e Jacob «e poi non è stata Jane ad uccidere. E' stata Dahlia, Jane non era in sé. Quindi, se vuoi vendicare tutta questa gente, è meglio che tu ti dia una mossa»


 

 

Dahlia e Mikael erano ormai al Santuario, pronti per l'Incantesimo. Mikael iniziava ad odiare quel posto così verdeggiante, trovando persino fastidiosa quella statua che rappresentava l'unica opera artificiale di quel luogo così naturale. Dahlia aveva preparato un classico pentacolo su tutta l'area, disponendo alle punte dei sacchetti di tela al cui interno vi erano alcuni oggetti che la Strega non aveva voluto nominare.

«Posizionati qui» disse la donna, indicando il centro del pentacolo, con Mikael che si ritrovò ad ubbidire. La Strega afferrò le mani di Mikael, iniziando a recitare una formula. Il ragazzo inizialmente non si curava troppo di quelle formule, fin quando non iniziò a sentirsi indebolito, risucchiato di tutto il potere magico.

«Cosa stai...»

«Assorbo il tuo potere, non muoverti, se non vuoi indebolire sia me che te»

L'incantesimo continuò, fin quando Dahlia non fu spazzata via da una forza invisibile, sbattendo la schiena contro la parete rocciosa. Mikael finì in ginocchio, osservando qualcosa alla sua sinistra e riconoscendo Jane, affiancata da Julian, Paul ed Erik. Era sicuro di aver visto anche qualcun altro correre via, sicuro che fossero Sarah con i suoi due cagnolini.

«Dovevi essere morta!» urlò Mikael, con i suoi occhi che si accesero di un debole rosso.

«Lo ero, ma non sono qui per te Mikael. Sono qui per fermare lei» disse, indicando Dahlia che si rialzava con fatica.

Mikael urlò di rabbia, scagliandosi contro Jane ma venendo bloccato dalla spada di Julian, che gli sorrise in modo beffardo. A Julian si unì Erik, che tentò di colpire l'amico a mani nude.

«Lascialo a me» disse Erik a Julian, che si tirò indietro «Ai tuoi ordini, nonno.»  

«Erik, ti prego!» continuava a ripetere Mikael, menando fendenti verso l'amico che parava tranquillamente ogni colpo. Era molto più debole dopo  che Dahlia l'aveva prosciugato, ma sentiva che se si fosse ripreso, per Erik sarebbe stata la fine.

«Sei mio fratello, non ti lascio» rispose Erik, non staccandosi dall'amico.


 


Julian si stava dirigendo verso le due Streghe, ma Dahlia aveva evidentemente anticipato quella mossa, così decise di intervenire sul Marchio del Cacciatore. L'uomo si fermò un secondo, per poi voltarsi verso Paul, che vedeva sotto le sembianze della Strega Nera. Corse verso di lui e, senza pensarci due volte, lo colpì in pieno stomaco e lo spinse all'indietro con un calcio, facendolo cadere da una piccola altura di diversi metri.

Sorrise soddisfatto, certo di aver appena colpito mortalmente la nemica del gruppo, ma non appena la manipolazione terminò, Julian vide che il corpo immobile era quello di Paul. Si sentì quasi trafiggere da una lama al cuore, non sapendo bene cosa fare. L'istinto lo fece girare verso Dahlia, che, schivando un incantesimo di Jane, colpì Julian dalla distanza, facendogli perdere i sensi.


 

 

Jane era ormai faccia a faccia con Dahlia, che tentò di colpirla con una radice spinata, che si infranse tuttavia su una barriera azzurra e cristallina. 

«Sei debole, Dahlia» Jane incenerì la radice, continuando ad incalzare verso la donna che cadde a terra. Anche lei, come Mikael, era debole dopo che il rituale fu interrotto, nonostante avesse assorbito quasi tutto il potere del Witcher.

«Questo potere... non dirmi che Will?»

«Siamo tornati ad essere quelli che eravamo prima che tu manipolassi tutto»

La Strega Nera imprecò, tornando ad attaccare la nipote della donna che aveva da sempre amato.


 

 

Mikael ed Erik continuavano il loro combattimento, con il primo che tentava di convincere l'altro ad abbandonare quella lotta, mentre Erik si premurava a far ragionare Mikael. Lo sapeva fin troppo bene: c'era ancora del buono in Mikael e lui doveva tirarlo nuovamente fuori, non poteva finire in questo modo.

«Mikael, dannazione! Uccidilo e vieni ad aiutarmi prima che ti faccio far la fine dei tuoi amichetti Matt e Jemma!» urlò Dahlia, dall'altro lato del Santuario. Quelle parole fecero desistere un attimo Mikael, che ripensò a Matt e alla sua piccolina, ricordando che era stato lui a convincerli ad andare via... ed erano morti. Non era riusciuto a salvarli come si era promesso, era caduto vittima del suo stesso errore per una seconda volta.

Erik notò il cambiamento nello sguardo dell'amico, capendo improvvisamente cosa doveva fare. Forse non tutto era perduto, c'era ancora speranza per lui. Così, deviando un ultimo fendente di un Mikael ormai incerto, afferrò la spada dell'amico e fece in modo di trafiggersi dritto al cuore, guardando per l'ultima volta gli occhi del fratello che da rossi tornarono al loro colore originale.

Erik cadde a terra, privo di vita, mentre Mikael si diresse meccanicamente verso Dahlia, che continuava a resistere ai colpi di Jane. Il Cacciatore colpì violentemente Jane, facendola rotolare, e afferrò per il braccio Dahlia, che gli sorrise.

La Strega assorbì l'ultima goccia di potere di Mikael, ma prima che potesse lanciare l'incantesimo, Mikael la trafisse con la sua spada di cristallo, osservando la vita che iniziava a svanire dallo sguardo della Strega. Sentì anche la mano di Dahlia che aveva estratto il suo cuore nello stesso istante, sapendo che quello era ormai il suo ultimo momento sulla terra e che si sarebbe riunito con suo padre e con Erik. Era la fine adatta, probabilmente. Entrambi caddero a terra, Mikael con un sorriso, Dahlia mentre pronunciava delle ultime, incomprensibili, parole.


 

 

Passarono tre giorni, tutti ormai erano tornati alla vita normale, sempre se normalità era il termine esatto. Julian si era diretto nel Regno Unito insieme a Paul, finito in coma dopo quel colpo mortale. L'uomo conosceva un paio di ottimi dottori e voleva provare qualunque cosa per salvare il suo amico.

Erik e Mikael furono seppelliti al Santuario, insieme, chissà, forse adesso avevano ritrovato la tanto ricercata pace. Il corpo di Dahlia fu bruciato e le sue ceneri sparse nello stesso luogo della sua morte. Al momento della morte la Strega era comunque riuscita a lanciare un incantesimo: nessuna Ember tornò in vita, ma il mondo tornò a popolarsi di Streghe, dato che la donna aveva risvegliato il potere latente di tutti. Stava per iniziare un nuovo periodo, un mondo popolato da gente con poteri magici e gente normale, solo il tempo avrebbe dato le risposte a tutte le domande che stavano per sorgere.

Sarah, Noah e Jacob ripresero la loro vita, con i due -ormai- orfani che decisero di vivere insieme, ristrutturando casa di lui. Jane aveva deciso di lanciare un incantesimo che avrebbe fatto dimenticare a tutta la cittadina di Lawrence gli ultimi eventi, modificandoli a dovere per renderli più... dolci, tuttavia il trio decise di tenere memoria di quei giorni, come monito per il futuro, mentre la giovane Sarah iniziava ad esercitarsi con la magia, promettendo di usarla a fin di bene.

Jane tornò nel suo tempo, riuscendo finalmente a leggere gli incantesimi cancellati dal suo Diario. Prima di partire mantenne la parola, modificando i ricordi dei cittadini di Lawrence, incantesimo che si manifestò come una nevicata cinerea.

I giorni ormai passavano abbastanza tranquilli nel 1516, anche se la ragazza, per ovvi motivi, si ritrovò a dover cambiare cittadina, annotando nel suo Diario quegli ultimi giorni vissuti così intensamente.

Dietro di lei, la porta si aprì, mostrando William che era tornato con diverse provviste, mentre un uomo lo salutava da lontano, identificandolo come signor Ember.

Will si avvicinò a Jane, osservando il Diario, per poi concentrarsi sulla ragazza «Hai fame, sorellina?»

Jane annuì e, chiudendo le pagine di quel Diario, si diresse con William in cucina, iniziando così una nuova vita con il fratello.

 

Note dell'autore
 

E' stato un bellissimo viaggio e ringrazio tutti voi per avermi sempre seguito. Ammetto di essermi molto divertito a scrivere delle vicende di Jane e Will e mi rendo conto di aver forse sbagliato in alcuni punti della storia, introducendo cose che non ho approfondito più di tanto (qualcuno parla di Kristine?)

Comunque, non sono qui per parlare di questo, sono qui per dirvi grazie. GRAZIE! 
Tenevo anche a ringraziare in modo particolare Melz e Blankit per aver recensito ogni piccola storia e per avermi tenuto compagnia durante la stesura di questa storia. Tra teorie, discussioni e tutto ci siamo divertiti! Siete i migliori amici che EFP poteva regalarmi!

Ringrazio chi ha seguito, preferito e ricordato la storia. Ringrazio chi mi ha contattato in privato e chi ha letto in silenzio. Spero che tornerete nel sequel di questa storia, che prometto sarà la miglior cosa che abbia mai scritto!

Stay tuned and non fate incavolare gente che potrebbe rivelarsi qualche Strega!

Marco / NeroNoctis

 
 
☩   Julian tornerà in The Diary of Jonathan   
 

 

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