Hellsing Crusade

di Rory Drakon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tu sarai Rory ***
Capitolo 2: *** Solo un piccolo morso ***
Capitolo 3: *** Christ ***
Capitolo 4: *** Giocare con la morte ***
Capitolo 5: *** Incubi e sogni ***
Capitolo 6: *** Desiderio ***
Capitolo 7: *** Ali d'angelo ***
Capitolo 8: *** Rivitalizzata ***
Capitolo 9: *** Per sempre ***
Capitolo 10: *** Rose nere ***
Capitolo 11: *** Appello ***
Capitolo 12: *** Lady di ferro ***
Capitolo 13: *** Nero e bianco ***
Capitolo 14: *** Sii mia ***
Capitolo 15: *** Dolore ***
Capitolo 16: *** Aion ***
Capitolo 17: *** Verità ***
Capitolo 18: *** Luke ***
Capitolo 19: *** Da soli ***
Capitolo 20: *** Il settimo Apostolo ***
Capitolo 21: *** Arturia ***
Capitolo 22: *** Il demone ***
Capitolo 23: *** Al salvataggio ***
Capitolo 24: *** Jackson's Beach ***
Capitolo 25: *** Verità dal passato ***



Capitolo 1
*** Tu sarai Rory ***


Fuoco. Fiamme. Morte. Distruzione. Il demone.
Intorno alla piccola Rosemary imperversava l’incendio, divorando l’intero villaggio, le case, le persone. I guerrieri del villaggio avevano fatto di tutto per contrastare il fuoco e colui che l’aveva creato, invano.
Rosemary era inginocchiata, piangente, a terra, accanto al corpo di Christ, una ragazza che un tempo era stata sua amica, ma che ormai non c’era più: lui l’aveva uccisa mentre questa cercava di proteggere Rosemary.
Lui. Il demone.
Era in piedi, davanti alle fiamme, girato di spalle, le grandi ali membranose spiegate, i lunghi capelli raccolti in una sottile treccia che gli scendevano lungo la schiena, le orecchie grandi e appuntite…
All’improvviso il demone si voltò lentamente, e volse lo sguardo verso di lei, ghignando malvagio. Le fiamme illuminarono il suo volto. Un volto che Rosemary non avrebbe mai più dimenticato.
Di forma ovale, dai lineamenti dritti e perfetti, la carnagione ambrata, gli occhi a mandorla, le iridi di un castano molto scuro. Sopra le sopracciglia e sotto agli occhi aveva dei tatuaggi appuntiti di colore nero.
La bambina lo fissò, i grandi occhi azzurri pieni di lacrime, con il cuore stretto in una soffocante morsa di paura.
All’improvviso si udì il rumore di un potente sparo, e un potentissimo proiettile fendette l’aria, colpendo il demone alla spalla sinistra. La creatura liberò un urlo di dolore, mentre un secondo proiettile la colpiva alla gamba.
Poi un’ombra comparve davanti a Rosemary, si scagliò contro il mostro e lo colpì alla faccia e poi al ventre. Nella mano stringeva due immense pistole, una d’argento, l’altra nera come la pece.
L’ombra sparò ancora una volta contro il demone, che spalancò le ali, fece un balzò e si sollevò in volo nel cielo notturno, tra le urla agonizzanti.
Rosemary scoppiò a piangere a dirotto. L’ombra l’udì e si voltò verso di lei, avanzando. La luce della luna ne illuminò i lineamenti slanciati e spigolosi.
Era un uomo di circa venti, forse anche trent’anni, dalla carnagione liscia e di un pallore cadaverico. Aveva i capelli lunghi fino alle spalle, trefoli e nerissimi. Gli occhi erano a mandorla e affusolati come quelli di un gatto, dall’iride rosso sangue con una sfumatura rosso fuoco. Indossava dei guanti bianchi, un abito carbone, stivali in pelle da equitazione, una cravatta rossa annodata a mo’ di fiocco e un cappotto rosso scarlatto con mantella.

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Istintivamente Rosemary tacque e si sollevò in piedi, indietreggiando appena.
«Non avere paura, piccola. Non ti farò del male».
Rosemary, con un groppo in gola, fissò l’uomo dritto negli occhi di sangue. Aveva una bella voce, morbida e melodiosa, che l’avvolse come una coperta calda e rassicurante.
«Io non ho paura» mormorò la bambina, la voce rotta dal pianto. «Voglio la mamma e il papà!» Singhiozzò forte, poi seppellì il viso nelle manine e pianse senza ritegno. Ma la mamma e il papà non c’erano più, come non c’era più nemmeno Christ, lei lo sapeva.
L’uomo le si avvicinò, si inginocchiò di fronte a lei, arrivando alla sua altezza, e le prese una mano con dolcezza. Rosemary si sentì un po’ meglio: per qualche motivo, la presenza di quell’uomo la rassicurava e la confortava. Si asciugò un occhio con l’altra mano.

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«Non piangere, bambina» le disse l’uomo, dolcemente. «Adesso ci sarò io con te. Per sempre».
La piccola Rosemary lo fissò, con i suoi occhi grandi e azzurri. «Come ti chiami?»
«Ho molti nomi» disse l’uomo, sfoggiando un sorriso enigmatico. «Ma tu puoi chiamarmi Alucard».
«A-lu-card» sillabò la bambina, contando sulle dita. «Bello!»
«Grazie» sorrise Alucard. «E qual è il tuo nome?»
«Rosemary» rispose la bambina. «Rosemary Elizabeth Madelyn Willow Drakon».
«È un bellissimo nome» commentò Alucard. «Tuttavia, dal momento che ora ti ho salvato e sarai con me, avrai un nuovo battesimo». La fissò negli occhi, serio. «Tu sarai Rory».


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Capitolo 2
*** Solo un piccolo morso ***


Erano passati sedici anni da quando Rosemary, ormai da tutti chiamata solo Rory, era stata presa sotto l’ala protettiva di Alucard ed era diventata un’agente dell'Organizzazione Hellsing con l'approvazione di Lady Integra.
Si era mostrata volenterosa di imparare a combattere i mostri fin da subito, ed era ben presto diventata un’abile spadaccina.
Ora aveva da poco compiuto diciannove anni, ed era diventata una ragazza molto bella, dai lunghi e lisci capelli neri lucidi, grandi occhi azzurri, carnagione chiara, viso ovale e mento appuntito.

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Alucard invece era rimasto lo stesso identico e bellissimo uomo che l’aveva salvata dal demone che aveva distrutto il suo villaggio, e così la sua servitrice, Seras Victoria.
Rory e Seras erano diventate amiche fin da quando Rory aveva varcato la soglia dell’Hellsing. Ma Rory non poteva fare a meno di pensare sempre a Christ e a quanto le mancasse.
Se avesse trovato quel bastardo di demone che aveva fatto una cosa simile, Rory gliel’avrebbe fatta pagare davvero cara. Era un mostro.
«Rory».
La voce pacata di Alucard la fece quasi sobbalzare, riscuotendola da quei pensieri.
«Alucard! Mi hai fatto spaventare, cavolo!» sbottò Rory. «Ma non potevi bussare!?»
«Che ragazza impressionabile» ridacchiò il vampiro, mostrando la dentatura diritta e perfetta dai canini allungati, uscendo completamente dalla parete.
«Per te usare le porte è un optional!?» domandò Rory, sarcastica.
«Quante storie che fai, piccola» rise Alucard.
«Ehi! Non chiamarmi così!» protestò la ragazza. «Non sono piccola! Ho diciannove anni!»
«Per me sei ancora la bambina che eri quel giorno» sospirò il vampiro.
Rory chinò il capo, perché lui non vedesse le lacrime salirle. Alucard le si avvicinò, le prese il mento con le dita e le sollevò il viso, per guardarla negli occhi.
«Non devi piangere» le disse, asciugandole le lacrime. «Il passato è passato».
Rory annuì, quindi fece un respiro profondo.
«Oggi avrai modo di distrarti, vedrai» sogghignò Alucard, mentre gli occhi gli brillavano.
«Giocheremo a cercare di ucciderci a vicenda!?» domandò Rory, con occhi adoranti.
«Dipende» ridacchiò l’uomo.
«Dipende da cosa!?»
«Se mi farai bere un goccino del tuo sangue...»
«Cheeeee!? Ma non se ne parla nemmeno!!!» esclamò Rory, voltandogli le spalle, incrociando le braccia e imbronciandosi.
Alucard scoppiò in una risata fragorosa.
«Suvvia, non vorrai mettere il broncio a questo vecchio vampiro» sghignazzò, avvicinandosi furtivamente.
«Scommettiamo?» sbuffò Rory.
Alucard non rispose, era vicinissimo ormai, dietro di lei, le cinse il torace con un braccio e il fianco con l’altro, attirandola a sé in un abbraccio morbido da pitone.
Rory avvampò come un peperone, cercò di divincolarsi, ma un’immensa sensazione di sicurezza l’aveva invasa; si sentì più leggera, ma sentiva il cuore rinchiuso nelle sue costole galoppare impazzito.
«Odio quando bari così» borbottò Rory.
«Ma mi vuoi bene proprio per questo, vero?» le soffiò all’orecchio il vampiro.
«Ti voglio bene...» mormorò Rory, atona. Quelle parole sembravano davvero stonare sulle proprie labbra.
«Dai, solo un piccolo morso» disse Alucard, mordicchiandole la pelle nivea del collo.
«Iiih... Oh e va bene, ma fai piano, Alu! E vedi di non prosciugarmi!»
«Non potrei mai».
Le labbra di lui scesero lungo la linea del collo della ragazza, mentre la sua temperatura corporea saliva senza che lei ne capisse il motivo.
Alucard le si portò davanti, la strinse tra le braccia, poi lentamente avvicinò le labbra sotto la gola di Rory, aprì la bocca mostrando i canini e lì la morse, delicatamente.
Rory si irrigidì e strinse i denti. Per quanto delicato, il morso faceva comunque molto male. La giovane sentiva chiaramente il sangue che si muoveva e veniva risucchiato via, per finire nella gola del vampiro.
«Alucard...» gemette Rory, quando il dolore divenne un bruciore intollerabile. «Basta... mi fai male...»
Il vampiro si allontanò, estraendo i canini dalla pelle della giovane, che si lasciò scappare un gridolino soffocato.
«Ops» ridacchiò Alucard. «Forse ho un po’ esagerato. Delizioso come sempre, comunque. Sai di vaniglia, lo sapevi?»
«Non è stato divertente» sbottò Rory. «Potevi prosciugarmi!»
«So controllarmi, ragazzina» replicò lui ghignando. «Ad ogni modo, per stasera potremo divertirci a ucciderci a vicenda, non ci sono delle missioni».
«Sappi che mi vendicherò atrocemente» minacciò la ragazza, gli occhi azzurri che lampeggiavano.
«Sto tremando di paura» rise Alucard, e quel suono si diffuse per tutta la stanza.


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Capitolo 3
*** Christ ***


Christ osservava la foto con gli occhi lucidi. Ritraeva lei e Rory quando erano piccole, mentre erano intente a fare il bagno insieme e a schizzarsi addosso l’acqua. Rory aveva solo tre anni, mentre Christ ne aveva quattro.
La giovane si asciugò gli occhi e accarezzò con le dita il volto ridente di Rory, poi, come d’abitudine, andò a guardarsi allo specchio.
Era cresciuta tantissimo rispetto alla foto. Ora aveva vent’anni, i capelli erano lunghi e lisci, del colore della luna piena, gli occhi sottili dalle iridi rosse serpentine e la carnagione molto chiara. Indossava un lungo abito nero con una scollatura a V vertiginosa che le metteva in evidenza il seno, e la gonna dell’abito con due larghi spacchi che le mostravano quasi completamente ciascuna delle gambe. Sarebbe stata una visione bellissima, se non fosse che il volto della giovane era rigato per colpa delle lacrime versate.

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«Suvvia, mia bellissima» disse una voce maschile, placida, alle sue spalle. «Non sciupare il tuo bel volto con le lacrime».
«Aion» mormorò Christ mentre si voltava.
Davanti a lei c’era un uomo sulla trentina, che aveva i capelli lunghissimi, biondo platino, raccolti in una coda. La carnagione era ambrata, le iridi degli occhi violacee e indossava degli occhiali e un lungo abito con mantella di un bianco puro.

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«Io condivido pienamente con te il dolore per la perdita della tua preziosa amica» disse Aion, accarezzandole la guancia con il dorso delle dita. «Ma piangere non ci aiuterà a risolvere nulla».
«Perché hai riportato me in vita e non lei?» singhiozzò Christ. «Dovevo restare morta io…»
«Christ, Christ, mia dolce Christ, ne abbiamo già parlato» disse Aion con un sorrisetto. «Non avevo alcuna idea che tu avessi alle spalle quest’orribile passato. Come potevo sapere che avevi una carissima amica che amavi più di quanto si possa amare una sorella?»
«Ma poi io te l’ho detto di lei…» singhiozzò Christ. «Se sei stato in grado di riportare in vita me, perché non hai potuto riportare in vita anche lei!?»
«Calmati, piccola, adesso calmati, tranquilla» mormorò Aion, cingendole un fianco con un braccio e attirandola a sé. Christ premette il viso contro il suo petto, e lui le baciò teneramente la fronte e poi le labbra rosee, accarezzandole i capelli.
«Devi sapere…» esordì Aion, sussurrandole all’orecchio. «Che non ho potuto riportare in vita Rory perché… lei è viva».
Christ trasalì, e si ritrasse, con gli occhi sgranati. «Rory è viva?»
«Sì…»
«E dov’è adesso?»
«Purtroppo è prigioniera e schiava di quel maledetto demone bastardo che ha distrutto il vostro villaggio e ucciso te e tutte le altre persone a cui tu e Rory volevate bene» rispose Aion, con un ghigno.
Gli occhi rosso sangue di Christ si accesero di un odio ribollente.
«Alucard» sibilò ringhiando fra i denti affilati.
«Proprio lui, piccola» sogghignò Aion. «Ha rapito la tua amica dopo averti brutalmente uccisa mentre cercavi di proteggerla, e adesso lei è diventata un giocattolino nelle sue mani».
«Dobbiamo fare qualcosa!» esplose Christ. «Devo fare qualcosa! Devo fare a pezzi quel maledetto bastardo e salvarla! Lei… lei era tutto per me, era la mia migliore amica! Non lascerò che quel cane rognoso me la porti via! Gliela farò pagare per aver distrutto il nostro villaggio, per averci fatto tutto questo male!»
«Non preoccuparti, piccola» ridacchiò Aion, cingendole i fianchi. «Ti darò l’occasione di vendicarti e prenderti la tua vendetta».
Poi le labbra dell’uomo si posarono sulla spalla nuda della ragazza, risalendo lungo la linea del collo, per poi venire a contatto con quelle di lei, impetuose e passionali, lasciandola senza fiato.


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Capitolo 4
*** Giocare con la morte ***


Un ampio ed immenso sterrato circolare in mezzo ad un cupo e fitto bosco. La luna piena era alta nel cielo, circondate dalle nubi, ed illuminava tutto con la sua pallida luce.
«Se Alucard fosse qui, direbbe che è una notte splendida» commentò Rory, lanciando un’occhiata ad Alyssa, che era al suo fianco. L’amica annuì, seria.
Alyssa Phantomhive era un’altra agente dell’Organizzazione Hellsing con cui Rory era amica, assieme a Seras. Alyssa aveva un anno in più di Rory, ed era più alta di lei. Aveva lunghi capelli lisci, biondo chiaro, intrecciati con un fiocco blu e limpidi occhi azzurri. A differenza di Rory, che lottava con armi bianche, Alyssa usava principalmente armi da fuoco, e si vociferava che in quanto a mira, nell’Organizzazione, fosse seconda solamente ad Alucard.

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Alyssa spesso veniva mandata da Lady Integra nelle missioni assieme a Sebastian Michaelis, un demone dalle sembianze umane che era stato inizialmente servitore di Ciel Phantomhive, lontano antenato di Alyssa, e che avesse continuato a servire la nobile famiglia Phantomhive di generazione in generazione, fino a giungere ad Alyssa, che era la sua attuale padrona, la quale aveva deciso di mettersi al servizio dell’Organizzazione Hellsing.
A sentire quella storia, Rory aveva pensato che Sebastian fosse una sorta di Alucard versione demone. Aveva incontrato Michaelis una volta, e sebbene dapprima fosse stata prevenuta nei suoi confronti siccome era un demone e ricordava troppo bene ciò che le era accaduto da piccola, Sebastian non era affatto orribile e crudele come si era aspettata, e sembrava sinceramente molto legato alla sua padroncina Alyssa.
Esteriormente, Alyssa poteva apparire come una ragazza piuttosto fredda e distaccata, ma Rory aveva imparato a conoscerla, e sapeva che ciò era solo una maschera: Alyssa era una ragazza dolce, gentile e comprensiva, e da quando aveva conosciuto Rory le era sempre stata vicina.
«A proposito di Alucard, dov’è?» domandò Alyssa. «Non si tira mai indietro quando vogliamo giocare con lui».
«Forse vuole coglierci di sorpresa» ipotizzò Rory, guardandosi intorno guardinga, portandosi una mano all’elsa della sua spada.
«Probabile. Facciamo attenzione» avvertì Alyssa, le mani sulla sua pistola nera.
Avevano appena finito di formulare quelle frasi, che qualcosa di nero balzò fuori dalla fitta vegetazione e colpì violentemente Rory scagliandola via. La giovane sbatté contro un albero e crollò a terra.
Alyssa vide che l’ombra si era diretta verso di lei, con un balzo la schivò e riatterrò in piedi.
«Alucard!» esclamò quando lo riconobbe.
«Brava lei!» rise il vampiro.
«Grazie.»
«E dov’è Rory?» domandò Alucard, ridacchiando.
Alyssa si voltò verso l’albero sul quale l’amica aveva battuto la schiena, ma la ragazza sembrava essersi volatilizzata nel nulla. «Forse è scappata».
«Che fifona…» commentò Alucard.
Ma ad un certo punto Rory atterrò in piedi accanto ad Alyssa.
«Eh, ma allora sei proprio stronzo» sbottò, scocciata, massaggiandosi il cranio.
Alucard scoppiò in una risata fragorosa. «Che ti aspettavi? I guanti bianchi, bambinetta? Fatti sotto!»
A quelle parole Rory ed Alyssa si scagliarono entrambe contro il vampiro. Alyssa tentò un calcio dritto alla faccia, mentre Rory uno dritto allo stomaco, ma Alucard con un balzo si era già allontanato dalla loro portata, aveva estratto Casull e aveva iniziato a sparare a ripetizione, letale.
Rory estrasse la sua spada d’argento, Excalibur, la leggendaria spada di Re Artù di Camelot, e con essa fendette l’aria, rispedendogli contro i proiettili d’acciaio, mentre Alyssa aveva estratto la pistola e si era messa a sparare a sua volta.
I proiettili di Alyssa e quelli di Alucard centrarono quest’ultimo in tutto il torso, spillando una marea di sangue e costringendolo in ginocchio.
«Brave, siete veloci» sogghignò Alucard, alzandosi lentamente.
«Grazie» rispose Alyssa. «Sei tu che sei lento».
«E un idiota!» soggiunse Rory.
Alucard rise. «Non ho motivo di evitare certe cose».
In un attimo unì le mani, la destra con l’indice, il medio e il pollice sollevati, la sinistra con le dita rivolte verso il basso, e le unì, mettendole davanti all’occhio destro.

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Un campanello d’allarme risuonò nella mente di Rory. Quello era la rimozione del sigillo di Cromwell, un sigillo magico che Alucard aveva imposto ai propri pieni poteri, e che era solito liberare in una battaglia vera e propria.
Il corpo di Alucard divenne una massa gelatinosa color del fuoco, tempestata di occhi egizi rosso sangue. Da quella massa fuoriuscì un nero mastino dai denti affilati e gli occhi di fuoco che sbavando e ruggendo minaccioso si lanciò contro Rory.
Il Mastino dei Baskerville.
Istintivamente la ragazza fece un balzo, schivandolo agilmente. «Cucciolone cattivo!» esclamò, sferrandogli un fendente alla schiena.
Alyssa lasciò il mastino a Rory e rivolse la sua attenzione verso Alucard, che si era cambiato abito. Non indossava più la mantella rosso scarlatto ma una semplice tuta nera come la pece col collo alto.
Senza esitare Alyssa sollevò la pistola e sparò una raffica di colpi contro il Conte Dracula, e la lotta ricominciò.
E così c’era gente che qualcuno che giocava con la morte. Chi per divertirsi lottava contro qualcuno che volendo avrebbe potuto uccidere i suoi avversari anche con un unico dito.
Ma non l’avrebbe fatto, perché quegli avversari erano delle amiche.
Anche se una di loro per lui era qualcosa di molto, molto più importante.


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Capitolo 5
*** Incubi e sogni ***


Christ si era cambiata d’abito. Ora al posto del suo lungo e succinto abito nero indossava una camicetta bianca, un giacchetto verde acqua, una gonnellina a quadrati svolazzante, scarpe da ginnastica e lunghe calze nere. Ora si stava guardando davanti allo specchio che si trovava su una delle pareti della sala centrale del covo, pettinandosi i lunghi capelli color della luna.

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«Niente male. Adesso sì che potrai facilmente farti integrare nella Hellsing» ridacchiò una voce alle sue spalle, una calda, melodiosa, pastosa, così innocente e gradevole all’udito, così bugiarda… senza che lo volesse un brivido gelido era salito lungo la schiena di Christ.
«Pitch» ringhiò lei tra i denti, voltandosi di scatto. «Fatti vedere invece di nasconderti sempre nell’ombra!»
Una risatina sottile si diffuse nell’aria, mentre dall’ombra era emersa una magra, inquietante ed alta figura che sembrava essere fatta della stessa tenebra dalla quale stava venendo fuori con eleganza sinistra. Aveva un viso allungato, strano ma affascinante, capelli corti e neri lucidi, grandi occhi gialli, denti bianchi e appuntiti, una pelle grigio scuro ammantata d’una veste nera e lunga con una scollatura a V sul petto.
Pitch Black, l’Uomo Nero. Il Guardiano degli Incubi.

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«Che cosa vuoi?» domandò Christ, sprezzante.
«Oh, assolutamente niente, ragazzina, davo solo un’occhiata alla nostra deliziosa spia, prima di andare in giro a fare il mio lavoro» rispose Pitch, ridacchiando.
«Piantala di ridere» sibilò Christ. «Sei irritante».
«Ohh, a che cosa devo tutta questa scortesia?» domandò Black, con voce falsamente dispiaciuta. «Non ce l’avrai ancora con me per quel piccolo incubo che ti ho fatto fare l’altra volta?»
«PICCOLO INCUBO!?» esplose Christ, stringendo i pugni con tanta forza da farsi male da sola. «HO SOGNATO ME STESSA CHE UCCIDEVA RORY, E TU LO CHIAMI UN PICCOLO INCUBO!? E CERTO CHE CE L’HO ANCORA CON TE, BASTARDO MALEDETTO!»
«Non ho potuto resistere, la tua paura era così deliziosa». Le labbra sottili dello spirito si piegarono in un ghigno sbieco. Inspirò a fondo come se sentisse un profumo a lui particolarmente gradito. «Anche adesso, al solo ricordare quell’incubo, hai paura».
«Non è vero» ringhiò Christ. Ma dentro di sé sapeva di stare mentendo, e a giudicare dal sorriso sadico che le rivolse, anche lui lo sapeva, e ne godeva pienamente.
«Vattene o ti stacco la testa a morsi» minacciò la giovane, mostrando i canini affilati.
«Agli ordini!» esclamò Pitch, sarcastico. Poi il suo ghigno scomparve per essere sostituito da un’espressione minacciosa. «Ringrazia che sei sotto la protezione di quel viscido di Aion, mocciosa, altrimenti avrei potuto farti sognare di peggio. E lo farò, la prossima volta che ti rivolgerai a me in questo modo. E allora sì che mi divertirò davvero».
«Vattene, stronzo!» esplose Christ.
«E va bene» rispose Pitch, e un ghigno malvagio gli salì alle labbra. «C’è la mia vittima prediletta che mi sta aspettando».
E così dicendo l’Uomo Nero si ritirò nelle tenebre con una fredda risata.


***


Rory era accoccolata nel suo letto, nella sua stanza, e dormiva, con un’espressione beata sul volto, un lembo del lenzuolo stretto nella mano. Accanto al letto vi era un comodino con una lampada accesa che lasciava una tenue penombra.
Sopra la testa di Rory la sabbia dorata scorreva allegra, disegnando figure armoniose: Alucard e Rory seduti su una panchina, appoggiati l’uno all’altro, lui che le sussurrava parole dolcissime all’orecchio e Rory che avvampava, Christ e Rory da bambine che sguazzavano nell’acqua del mare, Alyssa, Rory e Seras che ridevano e scherzavano insieme, e con loro c’era persino una Christ viva e cresciuta…
Una risatina sottile si diffuse nella stanza, e dall’ombra proiettata dal letto di Rory fuoriuscì la sagoma nera di Pitch Black. L’Uomo Nero, lentamente, da ombra divenne carne, e si avvicinò al letto della ragazza con un largo sorriso.
«Ahh, mi era sembrato di sentire le risate gioiose di quattro ragazzine… ma che sogno adorabile… e guardatela, questa piccolina… una ragazzina preziosa… piena di speranza, desideri e sogni… certo, manca giusto una piccola cosa…» ridacchiò piano Pitch, allungando il lungo e affusolato indice alla figura di sabbia dorata e sfiorandola con la punta del dito. Fu come se vi avesse lasciato una macchia d’inchiostro nero, che via via s’impossessava di tutta la superficie dorata, trasformandola…
Rory intanto rabbrividiva, sussultando, serrando le palpebre con forza e stringendo i denti, il viso contratto da un’espressione di puro terrore.
«Un pizzico di paura… quella non guasta mai…» sghignazzò Pitch, mentre sotto i suoi occhi maligni le figure di sabbia dorata morivano, contaminate dalla sabbia nera, e davano vita a scheletrici cavalli neri dagli occhi gialli che nitrivano minacciosi…


***


Rory era con Seras, Christ ed Alyssa, rideva e scherzava, felice come non era mai stata in vita sua. Le sue amiche erano lì con lei, tutte quante, persino Christ! Il suo sogno più grande si era avverato, non poteva crederci!
«Ahh, mi era sembrato di sentire le risate gioiose di quattro ragazzine… ma che sogno adorabile, assolutamente delizioso…»
Rory trasalì e si voltò, e lo vide. Era sempre lui, ogni notte, s’intrometteva sempre nei suoi sogni.
«Ancora tu! Vattene via, lasciami in pace!» gridò.
Pitch sogghignò, maligno, dandole i brividi. «Non posso farlo, ragazzina, le tue paure sono così gratificanti per me…»
«Sei un essere disgustoso!»
«Attenta a come parli, ragazzina, ora sei in mio potere». Sul viso dell’Uomo Nero si disegnò un sorriso feroce. «E posso farti sognare qualsiasi cosa io voglia, perché tu abbia paura».
All’improvviso la scena cambiò, Rory non era più con Alyssa, Christ e Seras, ma era immersa nel buio più assoluto, e stava precipitando, giù, sempre più giù, in un pozzo senza fondo.
Urlò per lo spavento, il cuore che le batteva nel petto, i capelli che le vorticavano al vento…
Ad un certo puntò la caduta finì, atterrò su qualcosa di morbido, ma non aveva idea di che cosa fosse, era ancora immersa nel buio, ed aveva paura, tantissima paura. Tremava come una foglia e si guardava intorno, in preda al terrore, lo stomaco sottosopra e il cuore una trottola impazzita. Le lacrime cominciarono a cadere copiose, rigandole le guance.
«Alucard…» singhiozzò, quasi senza accorgersene.
Poi all’improvviso fu come se le pareti nella stanza buia in cui si trovava si stessero muovendo l’una verso l’altra, rischiando di schiacciarla. Rory gridò, e cercò disperatamente di alzarsi e fuggire ma era incollata al pavimento, non poteva muoversi, mentre le pareti avanzavano inesorabili.
«Alucard!» chiamò ancora, e all’improvviso anche il soffitto cominciò a scendere, con tutta l’intenzione di spiaccicarla…
Poi all’improvviso sentì una voce maschile, placida e melodiosa, cantare:

«Ci sono io… e d’ora in poi…
Fra le mie braccia al caldo dormirai…
Il nostro nodo… non si scioglie…
Nessuno mai… lo farà…
Perché tu sarai…
Nel mio cuore sei…
Da adesso in poi…
Per sempre ci sarai…
»
Era una voce bellissima, sembrava la voce di un angelo, era come se al suo cantare, il buio svanisse, e all’improvviso Rory vide una luce, bianca e pura, davanti a sé. Non era una luce. Era la luna, bianca e splendente, adombrata da un’alta figura dagli occhi rossi e un sorriso sinistro dai canini appuntiti, che tendeva la mano guantata di bianco verso Rory.

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«Alucard!»
Senza esitazione Rory gli afferrò la mano, e il vampiro l’attirò a sé, circondandola con le braccia. Rory si strinse al suo petto e vi seppellì il volto, e in un attimo la paura, l’angoscia e la disperazione svanirono, per lasciare il posto ad un invincibile e rilassante senso di sicurezza.
Il vampiro posò le labbra sul collo della ragazza e con dei piccoli baci salì, fino a sfiorarle un orecchio: «Nessuno ti farà mai del male finché ci sarò io… perché tu sei mia…»
Era un sogno, eppure Rory avvertì lo stesso il suo respiro freddo solleticarle l’orecchio, le sue labbra gelide posarsi ancora una volta sulla sua pelle accaldata baciandola dolcemente, e la voce di Alucard che cantava, melodiosa e sincera come una ninnanna:

«Don’t you know what’s out there in the world…
Someone has to shield you from the world…
Stay at home…
I am home…
Who out there could love you more than I?
What out there that I cannot supply?
Stay with me…
Stay with me, the world is dark and wild…
Stay a child while you can be a child…
With me…
»


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Capitolo 6
*** Desiderio ***


Una risata maschile, di gola. Gemiti. Il suo nome pronunciato singhiozzando.
Alucard tese l’orecchio, e si rese conto che quei rumori provenivano dalla camera di Rory, dove per l’appunto lui si stava dirigendo.
Gli bastò sentire ciò per usare la sua velocità di vampiro per arrivare subito davanti alla porta. L’attraversò, come fosse fatta di gelatina, e si ritrovò nella stanza della ragazza.
E vide Pitch Black chino su Rory, che si agitava e mormorava parole sconnesse nel sonno, e dei cavalli scheletrici dagli occhi dorati danzare sopra la testa di della ragazza seguendo il movimento delle dita dell’Uomo Nero. Ma Alucard non poteva vederli, non con la vista normale, almeno.
«Bene bene… chi abbiamo qui?»
L’Uomo Nero si voltò di scatto a sentire la voce di Alucard, e il vampiro avrebbe giurato di aver visto una smorfia di paura sul suo volto. Ridacchiò, maligno. «Credevo che ci saremo incontrati all’Inferno, Black».

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«Alucard il Nosferatu che mi conosce. Quale immenso onore» disse Pitch Black, con un elegante inchino.
«Cosa fa qui il Guardiano degli Incubi?» domandò Alucard, con una risatina.
«Ciò che mi riesce meglio» rispose Pitch. «Portare la paura attraverso gli incubi» e indicò Rory con un cenno del capo.
«Davvero ammirevole» commentò Alucard, sarcastico. «Ora allontanati subito da lei e sparisci all’istante, o ti darò un assaggio di quello che è realmente la vera paura» aggiunse, minaccioso, gli occhi color del sangue che si accendevano come fiamme infernali.
Pitch non parve affatto impressionato. «Mi chiedo come sia possibile che il Conte Dracula ora si sia abbassato a prendere ordini dagli esseri umani. Una volta non eri dalla parte del mio collega?»
«La mia pazienza sta giungendo al termine» ringhiò Alucard. «Ti converrebbe sparire da solo, prima che ci pensi io».
«E sia, me ne andrò» sospirò Pitch. «Ma non finisce qui». Si trasformò in ombra e svanì nelle tenebre, lasciando Alucard solo nella stanza con Rory.
Senza esitazione, il Conte si avvicinò alla ragazza. La giovane era sdraiata supina, i pugni chiusi, stringeva i denti e serrava le palpebre con forza, dimenandosi lentamente.
«Alucard…» chiamava, quasi delirando, tendendo la mano verso di lui, come se fosse nel dormiveglia e sapesse che lui era lì.
Il vampiro senza dire una parola la strinse, si sedette sul letto e si chinò, soffiando dolcemente all’orecchio della giovane, e istintivamente cominciò a cantare le due ninnananne che era solito cantarle quando da bambina non riusciva a dormire, per colpa di ciò che le era accaduto nella sua infanzia.
Senza riuscire a trattenersi posò la bocca sulla pelle nivea del collo di lei e vi lasciò una scia di baci, e salì, fino a sfiorarle un orecchio con le labbra. «Nessuno ti farà mai del male finché ci sarò io…» sussurrò.
Come aveva sperato, lentamente Rory si rilassò, sul suo viso apparve un’espressione beata e le sue guance erano due squisite e calde sfere rosse. Il suo profumo gli giunse alle narici all’improvviso: sapeva di vaniglia, inebriante, dolcissima e delicata… inspirò profondamente, tentando di catturare con la mente quella fragranza sensuale… di nuovo spostò la sua attenzione sul collo della ragazza, baciandole nuovamente il collo, stavolta però stava scendendo…
«Tu sei mia…»
La desiderava, l’aveva sempre desiderata, un pensiero che era emerso dai margini della sua coscienza dannata sin da quando l’aveva incontrata, sin da quando l’aveva salvata dalle fiamme di quel demone maledetto che le aveva portato via la casa. Ma si era sempre tolto quel desiderio dalla testa, ma ora che era cresciuta, con lei era cresciuto prepotentemente in lui quel desiderio. Rory era giovane, bella, sfrontata, impetuosa, ed era attratta da lui, glielo leggeva negli occhi e nella mente.
Ma Alucard aveva imparato a conoscerla per quello che era veramente: una ragazza che aveva cresciuto come una figlia e che avrebbe potuto benissimo esserlo, la cui irruenza nascondeva un animo fragile e tormentato.
Con estrema riluttanza le si allontanò, ma non riuscì a resistere e continuò a guardarla, quasi volesse divorarla con gli occhi. Vedeva in lei sia una donna bellissima, sia la stessa bambina che aveva salvato anni fa. L’aveva salvata e presa con sé per capriccio, come quando aveva trasformato Seras.

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Ma con Seras era diverso. Seras non gli metteva il cuore in subbuglio quando gli volgeva lo sguardo, Seras non gli scatenava quel desiderio insaziabile di amore, Seras non era bellissima, non lo affascinava quanto Rory. Seras era sempre troppo gioiosa, sempre troppo felice, e con la trasformazione in Nosferatu era cambiata: non era più la ragazza fragile e timorosa dell’oscurità che era un tempo, era diventata forte e coraggiosa, e per questo Alucard era molto fiero e orgoglioso di lei, nient’altro di più. Anche se non l’avrebbe mai ammesso con nessuno, le voleva bene, certo, le era affezionato, ma nulla di più.
In ogni caso era chiaro che Rory scatenava in lui un’attrazione potentissima, e lui le sarebbe stato accanto sempre, anche se lei non lo voleva, avrebbe fatto di tutto per proteggerla da qualsiasi minaccia.
Anche da sé stesso. Sapeva che se si fosse lasciato andare del tutto alle sue passioni avrebbe anche potuto farle del male lui stesso. Era pur sempre un mostro. Un mostro eterno e dannato. E avrebbe preferito sparire, piuttosto che farle del male.
E poi c’era anche un altro fattore: il tempo. Lui sarebbe stato costretto a vagare sulla Terra in eterno, ma non Rory. Prima o poi sarebbe invecchiata e poi sarebbe morta. Aveva visto molte persone care spirare davanti ai suoi occhi, ed ogni volta era andato avanti, ma non era sicuro che avrebbe sopportato la perdita di Rory.
Doveva starle vicino, ma non al cuore di lei. La sofferenza non l’avrebbe nemmeno sfiorato.


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Capitolo 7
*** Ali d'angelo ***


L’elicottero dell’Organizzazione Hellsing sfrecciava veloce nel cielo, diretto verso la piazza di Londra, non troppo lontano da Buckingham Palace.
«Penso proprio che questo esercito di Ghoul sia più affollato dei centri commerciali il sabato, se Lady Integra ci ha detto a tutti e quattro di venire» commentò Rory ad alta voce, lanciando un’occhiata ai suoi compagni.
Alyssa era seduta accanto a lei, mentre di fronte vi erano Alucard e accanto a lui c’era Sebastian Michaelis, il demone al servizio di Alyssa. Non era affatto cambiato dall'ultima volta che Rory l’aveva incontrato: aveva sempre l’aspetto di un giovane, affascinante uomo alto e magro, dai capelli neri corti, con ciocche più lunghe che gli accarezzavano gli zigomi. Aveva un viso ovale dalla carnagione molto chiara, occhi affusolati, le cui pupille erano sottili e verticali come quelle di un serpente e l'iride era di un rosso rubino. Era interamente vestito con un frac nero e una cravatta.

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«Forse hai ragione, Rory» ridacchiò Sebastian. «E magari quei Ghoul sono proprio dei clienti che vengono dal centro commerciale!» e scoppiò a ridere.
Alyssa e Rory si coprirono la bocca con le mani ridacchiando, Alucard invece fece una faccia schifata. «Squallida» commentò, freddamente.
«Eddai Alu!» sbottò Rory. «Possibile che non sai mai stare agli scherzi?»
«Sarà...»
«Chiudi il becco, ragazzina!» ringhiò una voce roca. «Non siamo qui per giocare!»
«Dai, Suba, non fare così!» lo riprese una voce femminile.
Rory si era quasi dimenticata della presenza di Seras seduta al fianco del guidatore dell’elicottero.
Subaru Sakamaki era un altro vampiro al servizio dell'Hellsing, apparteneva ad una nobile famiglia, i Sakamaki, con cui Arthur Hellsing, il defunto padre di Lady Integra e antico padrone di Alucard, aveva stretto un patto tuttora valido: i Sakamaki dovevano occuparsi di mantenere segreta la propria identità sovrannaturale, non dovevano cacciare in tutta Londra e prestare aiuto all'Organizzazione Hellsing qualora lo chiedesse, e questa in cambio non li avrebbe tolti di mezzo.
Subaru Sakamaki era il minore dei sei fratelli vampiri che abitavano alla magione Sakamaki. D’aspetto, a detta di Alucard, aveva sedici anni, anche se a Rory sembrava molto, ma molto più grande. Aveva folti capelli candidi, dalle sfumature rosate, con la frangia che gli incorniciava il suo volto sul lato, occhi rossi, carnagione pallida e fisico slanciato e muscoloso.

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Seras Victoria era una giovane vampira di circa diciannove anni, dagli ispidi capelli biondo chiaro raccolti in una coda bassa, occhi color rubino e un seno prosperoso, che indossava una tuta scarlatta.

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«Non essere sgarbato, Subaru» lo riprese Seras. «Due risate non ti farebbero male, lo sai?»
«A che punto siamo?» domandò Alucard, zittendo con lo sguardo il giovane vampiro, che sembrava avere voglia di ribattere alla ragazza in malo modo.
«Siamo arrivati, nobile Alucard, siamo esattamente sotto il luogo in cui sono stati avvistati i Ghoul» rispose Subaru. «Mi preparo immediatamente all’atterraggio».
«Oh, non sarà necessario» ridacchiò Alucard. «Non per me, almeno...»
«Alu?» chiamò Rory, quando gli vide il suo classico lampo di follia baluginare nello sguardo. «Che cosa stai...?»
Ma prima che la ragazza potesse solo finire la frase, Alucard spalancò il portello dell’elicottero e si buttò giù nel vuoto con un ghigno demoniaco, il cappotto rosso e i capelli vorticanti al vento.
«ALUCARD!!!» urlò Rory con tutto il fiato che aveva in gola, quando lo vide sparire.
«Ma... ma... Mio Signore!» gemette Seras, sbattendosi una mano sulla fronte.
«Questo sì che è divertente» ridacchiò Sebastian, e senza aggiungere altro, imitò Alucard e si gettò nel vuoto.
«Sebastian!!!» sbottò Alyssa, alzando gli occhi al cielo.
«SUBARU ATTERRA IMMEDIATAMENTE!!!» urlò Rory, fuori di sé.
«Non urlare e non ti azzardare a darmi ordini, umana!» sibilò il vampiro.
«ATTERRA SUBITO O TI STACCO LE DITA A MORSI!!!»
«Rory, calmati» tentò Seras, prendendola per un braccio.
«Stai calma, Alu e Seby sono immortali invulnerabili, non moriranno certo per una stupida caduta da un elicottero! E poi sanno entrambi volare, o te lo sei dimenticato? Ora, Subaru, facci atterrare, per favore» concluse Alyssa, in tono fermo.
Subaru imprecò fra i denti, ma fece quanto Alyssa gli aveva detto. L’elicottero atterrò in mezzo all'erba, sollevando un cumulo di foglie. Rory, Subaru, Seras e Alyssa scesero in tempo per vedere Alucard e Sebastian combattere i Ghoul, schiena contro schiena, il primo che sparava proiettili da Casull e Jackall ridendo come un pazzo, il secondo che lanciava coltelli e forchette argentate, con un sorriso poco rassicurante sulle labbra sottili.
«Ma in questo posto non c’è verso di incontrare qualcuno che sia normale!?» sbottò Rory.
«È quello che mi sto chiedendo anch’io da quando sono stata integrata» borbottò Seras.
«Coraggio ragazzi, ballate anche voi!» sghignazzò Alucard. «Questo è il momento più bello! Il grande valzer dei Freak!» e rise, sguaiato.
«Sei un caso disperato!» esclamò Rory, sguainando Excalibur. Anche gli altri seguirono subito il suo esempio: Alyssa estrasse le pistole e Seras il suo cannone, mentre Subaru si limitò a scrocchiare le dita e a serrare i pugni. Fu il primo a gettarsi nella mischia; rapidissimo afferrò la testa di un Ghoul con le mani e la staccò con un solo gesto, poi sferrò un pugno al petto di un altro Ghoul e lo trapassò, facendogli saltare il cuore.
Seras ne falciò via tre file sparando ripetutamente col suo potentissimo cannone, ridendo folle come il suo Signore.
«Miseriaccia ladra, ma è un esercito in piena regola!» esclamò Rory, schiena contro schiena con Alyssa, mentre menava fendenti, affettando teste e infilzava cuori.
«Così sembrerebbe» replicò Alyssa, mentre sparava. «Dobbiamo trovare il vampiro che li ha creati, così li toglieremo tutti di mezzo all’istante!»
«Fosse facile» ringhiò Rory, schivando un colpo di lato e trafiggendo il Ghoul. Subito però ne arrivarono altri, che furono falciati via dai proiettili di Alyssa. All'improvviso dei Ghoul atterrarono Rory, facendole volare via la spada di mano.
«Rory!» gridò Alyssa, e fece per correre da lei, ma un’altra marea di Ghoul le sbarrò la strada e lei fu costretta ad indietreggiare sparandogli contro.
«Andate via maledetti ammassi di carne rancida!!!» strillò Rory dimenandosi mollando calci e pugni ma quelli continuavano ad arrivarle addosso, le loro luride manacce che le sfioravano ogni parte del corpo...
«LASCIATEMI!!!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola, e all’improvviso fu come se dentro di lei crescesse una forza immensa, una forza che non sapeva di possedere. Una luce potentissima si liberò dal suo corpo, falciando una fila di Ghoul. Rory riuscì a sollevarsi in piedi, ma subito altri Ghoul l’attaccarono. Dal nulla comparvero degli strani affari bianchi che spazzarono via i Ghoul più vicini. Rory sbatté le palpebre e guardò meglio. Non erano degli strani affari bianchi.
Erano delle ali, delle ali bianchissime e piumate, le ali di un angelo, ed erano attaccate alla sua schiena!

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«Ma cosa diamine...»
Ma Rory non poté finire la frase che subito dei Ghoul arrivarono di lato e si attaccarono alle sue ali.
Istintivamente Rory immaginò di scrollare l’ala, e così accadde: i Ghoul vennero spazzati via come prima.
Rory osservò le ali stupita: erano grandi il doppio di lei, eppure sembravano leggere e potenti, sembravano muoversi in sintonia con i suoi desideri.
Erano così belle, così... familiari.
Ma non ebbe il tempo di rimirarle a lungo che subito altri Ghoul partirono all’attacco.
Istintivamente Rory tese il braccio. Excalibur si sollevò da terra e volò dritta nella sua mano. La ragazza ripartì all'attacco, menando fendenti con la spada e falciando le teste con le ali da angelo.
«Ehi!»
Rory sollevò lo sguardo e vide Alyssa sparare contro i Ghoul. Sulla sua schiena vi erano due ali d’angelo praticamente identiche a quelle di Rory, e anche Alyssa come Rory brillava di luce propria mentre lottava, falciando i Ghoul con le ali.
«Ragazze! Ma che cosa cavolo vi è successo!?» gridò Seras, mentre sparava e colpiva senza fermarsi.
«Non lo sappiamo!» gridò Alyssa in risposta.
«Non è il momento! Merda!» imprecò Subaru, tutto scarmigliato e sporco di sangue. «Questi bastardi sono in troppi, non ce la faremo mai eliminarli tutti!»
Fu allora che apparve all’improvviso una silhouette dagli occhi rossi, lunghi capelli e grandi ali nere e piumate.
Si gettò a capofitto su tutti i Ghoul, sguainando una spada nera come le tenebre e li fece a pezzi, falciandoli con le ali e la lama dell’arma.
In un attimo non vi era più un solo Ghoul che scorrazzasse in quella radura.
«Impressionante» commentò Alucard, scrutando sospettoso la figura spettrale che aveva compiuto quel massacro. Sollevò Casull e Jackall e le puntò le pistole contro.
«Alucard, aspetta!» lo fermò Rory. «Non sappiamo neppure chi è!»
«Rory?» chiamò una voce femminile.
Lentamente la figura d’ombra venne sotto la luce della luna, che ne illuminò i lineamenti.
Era una ragazza di circa venti anni, dalla carnagione chiara, lunghi capelli color della luna e grandi occhi rosso sangue. Attraverso la bocca leggermente dischiusa si intravedevano i canini appuntiti e scintillanti da vampira.
«Rory, sei davvero tu?» disse la ragazza, fissando Rory dritta negli occhi incredula.
Rory la fissò a sua volta, il volto una maschera di puro stupore.
«C-Christ?»
«Sì, Rory, sono io» mormorò Christ, con le lacrime agli occhi. «Sei cresciuta tantissimo...»
«Non è possibile...». Rory si accorse di stare piangendo solo quando udì la propria voce incrinata. «Sei viva...» disse a Christ, singhiozzando. «Sei viva!»
E sotto gli sguardi increduli di tutti, le si lanciò contro e l’abbracciò forte, piangendo.
Christ la strinse a sua volta. Era più alta di lei; appoggiò la sua testa su quella di Rory e scoppiò in un pianto dirotto, bagnando i capelli dell’amica.
Era un sogno. Doveva essere per forza un sogno.
Eppure Rory sentiva chiaramente le braccia dell’amica che la stringevano, il suo respiro singhiozzante, le lacrime di Christ che le bagnavano i neri e lunghi capelli.
Non era un sogno, era la realtà. E il suo cuore fu sopraffatto dalla commozione.
Le ali nere e bianche sparirono dalle schiene delle due ragazze, mentre il loro pianto divenne una cosa sola, riecheggiando nell’intera radura.


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Capitolo 8
*** Rivitalizzata ***


Dopo un po’ Rory e Christ smisero almeno di piagnucolare e si sciolsero appena dall’abbraccio.
«Oh, Christ… Christ… Ma com’è possibile?» gemette Rory, mentre le lacrime continuavano a cadere copiose.
«Smettila di piangere…» singhiozzò Christ. «Sennò poi finisco per fare la fontana anche io!»
«Ma tu l’hai già fatta la fontana!» singhiozzò Rory. «Guarda, mi hai bagnato tutti i capelli, scema!»
«E tu mi hai bagnato tutta la camicetta, cretina!»
La loro conversazione venne interrotta da Sebastian, che tossicchiò visibilmente, come per far notare che lui e gli altri erano sempre lì.
Rory e Christ si voltarono verso gli altri, un po’ imbarazzate.
«Loro sono i tuoi amici?» domandò Christ, scrutandoli attentamente.
Alyssa fece un passo avanti. «Esattamente, e da quel che ho capito anche tu sei una sua amica… ciao, io mi chiamo Alyssa, piacere di conoscerti!»
«Ed io sono Seras, ciao!» si presentò allegramente la vampira.
«Piacere mio, io sono Christ!»
«E dovresti essere morta…» dichiarò Alucard, puntando Casull e Jackall contro Christ, che indietreggiò appena.
«Alucard!» esclamò Rory.
«Mio Signore!» chiamò Seras, ma il vampiro le ignorò entrambe.
«Ti ho vista morire» disse Alucard, fissando attraverso gli occhiali dalle lenti gialli gli occhi rossi e serpentini di Christ. «Eppure ora sei qui… e sei persino una draculina. Come? Perché?»
«Il grande Conte Dracula, vero?» fece la ragazza, con un sorriso impertinente. «Mi hanno parlato molto di te. I tuoi sospetti sono più che fondati, in effetti dovrei essere morta, ma non lo sono…»
«Ohhh bene, mi conosci» ridacchiò Alucard. «Allora saprai anche che cosa sono in grado di fare e che non ho molta pazienza. Quindi ti conviene rispondermi». E tolse la sicura alle due armi.
«Alu!» gridò Rory. «Metti giù quelle pistole!»
«Calma, Rory» replicò Christ, posandole una mano sulla spalla. «Risponderò a tutte le tue domande, Conte…»
«Alle nostre domande» la corresse Sebastian, serio. «Se è vero ciò che ha detto Alucard, gradirei anche io delle risposte…»
«Seby, non ti ci mettere anche tu!» protestò Rory, ma il demone la zittì con uno sguardo.
«Voglio solo assicurarmi che la tua presunta amica non sia una minaccia. Immagino sia questo che voglia verificare anche tu, vero, Alucard?» domandò Sebastian.
«Precisamente» rispose il vampiro, le pistole ancora puntate verso Christ.
«Dunque, come mai non sei morta?» chiese allora Sebastian.
«Sono stata resuscitata…» rispose Christ, intimorita.
«Forse vorresti dire rivitalizzata, ragazzina. Sei stata anche vampirizzata, a quanto vedo. Chi ti ha creata?» domandò Alucard.
«Un vecchio vampiro che mi ha cresciuto come una figlia, finché non è scomparso poche settimane fa» raccontò Christ.
«Quindi è stato lui a trasformarti» dedusse Sebastian.
Christ annuì.
«Che ne è stato del vampiro che ha creato i Ghoul che abbiamo affrontato?» chiese Alucard.
«L’ho fatto in polvere…» sbuffò Christ. «Odio chi mi rompe le scatole».
«Come mai eri da queste parti?» domandò Sebastian.
«Come ho detto, il vampiro che mi ha cresciuta è scomparso, e di solito si aggirava da queste parti quando non era casa, così sono venuta a cercarlo…»
«Mmm… capisco…» borbottò Alucard, ritraendo Casull e Jackall.
«Pensavo che fossi morta, Rory» mormorò Christ, accorata, guardando l’amica.
«Tu pensavi che io…? Io lo pensavo!» strillò Rory. «Io… Io ti ho vista morire!»
«Potresti per favore non urlare?» sbottò Christ, scocciata. «Sono passati sedici anni e ancora non hai perso questo vizio… accidenti a te!»
«E tu sei sempre la solita brontolona, Christy!»
«Rosemary, non farmi incazzare, sai quanto odio essere chiamata Christy!»
«Ma siete troppo buffe!!» esclamò Seras, scoppiando a ridere.
«Seras, tappati la bocca» disse secco Alucard.
Seras smise di ridere e chinò il capo, mortificata.
«Ti credevo più simpatico, Conte…» commentò Christ, alzando un sopracciglio.
«Oh, be’, mi dispiace deluderti» sghignazzò Alucard.
«Ehi tu!» sbottò Subaru, rivolgendosi a Christ. «Prima ti ho vista combattere e avevi sulla schiena delle ali d’angelo... come quelle che sono apparse a loro due, solo nere!»
«Cavolo, è vero! Ed io ce le ho ancora!» esclamò Alyssa, fissando le ali piumate sulla propria schiena.
«È vero. E con questo?» chiese Christ.
«Com’è possibile una cosa del genere?» fece Rory.
«Be’, è normale… dato che anche voi due siete degli Apostoli…»
A quelle parole Rory ed Alyssa sgranarono gli occhi.
«Cosa!?» esclamò Alyssa, mentre le ali le sparivano, quasi percepissero i dubbi e le domande che le si affollavano nella mente.
«Lo sapevo…» mormorò Sebastian, quasi fra sé e sé.
«Quindi avevo ragione…» mormorò Alucard, allo stesso modo.
Seras li guardò alzando gli occhi al cielo.
«Che palle!!!» esplose Subaru. «Fate capire qualcosa anche a noi!!!»
Christ ridacchiò. «Sei un po’ troppo… ecco… rompiscatole, ragazzino».
«A chi hai dato del ragazzino, mocciosa piagnucolosa!?» sibilò Subaru.
In un attimo il giovane vampiro si trovò la punta della lama nera della spada di Christ sulla gola.
«Come scusa?» ringhiò Christ. «Non sono una mocciosa, chiaro?»
«Metti giù le mani» ringhiò Subaru, afferrandole un polso e facendole cadere la spada di mano. «Non osare minacciarmi».
«Fatela finita, piccioncini. Detesto fare il baby-sitter» borbottò Alucard.
«A chi hai detto piccioncini!?» esclamarono all’unisono Subaru e Christ, scatenando l’ilarità del Conte Dracula.
«Be’, se ora il mio interrogatorio è finito io me ne tornerei a casa» annunciò Christ.
«Ma Christ, non puoi!» protestò Rory. «Hai detto che non hai più nessuno con te!»
«Lo so, ma la casa è rimasta a me…»
«Dove credi di andare?» sbuffò Subaru. «Non ci hai ancora spiegato che cosa sono gli Apostoli».
«È vero, me lo stavo giusto chiedendo anch’io!» esclamò Seras.
«Ma cosa sono? Un insegnante di storia?» sbottò Christ. «Fatevelo raccontare da questi due» e indicò Alucard e Sebastian. «Dato che a quanto pare lo sanno anche loro…»
«Christ…» mormorò Rory, accorata. «Non te ne andare, per favore… non mi lasciare di nuovo!» Rory le si gettò addosso e l’abbracciò forte. «Mi sei mancata così tanto… ti prego… vieni con noi!»
«Rory…» Christ contraccambiò l’abbraccio. «Va bene… rimango… ma non mi soffocare!»
«Immagino che a Lady Integra andrà più che bene un altro agente operativo» considerò Alyssa in tono piatto.
«Be’… vengo se i due adulti sono d’accordo» disse Christ, lanciando un’occhiata speranzosa ad Alucard e Sebastian.
Quest’ultimo scrollò le spalle, con un sorriso. «Sarà Lady Integra a decidere, indipendentemente dal nostro consenso».
«Be’, allora possiamo tornare alla base insieme!» esclamò Rory, radiosa.
«Va bene… ma Rory, staccati… mi stai fermando la circolazione!»
«Ops, scusa Christ» fece l’amica, imbarazzata, sciogliendosi dall’abbraccio.
«Considerati fortunata, Apostolo» replicò Subaru. «Sull’elicottero c’è posto anche per te».
«Elicottero? No grazie». Sulle spalle di Christ apparvero immediatamente le grandi ali corvine. «Preferisco volare a modo mio».
«Christ, se vorrai essere un’accettabile agente della Hellsing dovrai abituarti» le disse Alyssa.
«O hai paura di quell’affare di metallo?» la sfidò Subaru.
«Ti piacerebbe! Ci ho volato migliaia di volte con l’elicottero, ci ho attraversato mezzo mondo!» lo rimbeccò Christ. «E va bene, viaggerò assieme a voi». Le ali nere sparirono, e Christ seguì gli altri mentre si apprestavano a salire sull’elicottero.
«Ehi Christ, dato che tu sai usare i tuoi poteri meglio di noi, perché non ci insegni ad usarli?» le propose Rory, lanciando un’occhiata ad Alyssa, che annuì sorridendo.
Christ sorrise alle due ragazze a sua volta. «Con piacere».
Alucard ridacchiò e fissò la luna piena su nel cielo. «È stata davvero una splendida notte…» mormorò, mentre l’elicottero prendeva il volo e si librava nelle tenebre.


***


Aion era seduto sul suo trono, ed osservava l’elicottero allontanarsi nella notte dalla sua sfera di cristallo, con un sorriso malvagio stampato sulle labbra sottili.
Distrattamente sollevò lo sguardo sull’immenso ed imponente cilindro di vetro, che si trovava alla sua destra. Al suo interno vi era rinchiusa una giovane di circa sedici anni, dai capelli biondo dorato intrecciati con un fiocco nero, la pelle pallidissima e un lungo abito di seta nero. Al collo invece portava un misterioso e grosso ciondolo marrone, molto simile ad un orologio. Aveva gli occhi chiusi, le braccia lungo i fianchi e le gambe chiuse. Sembrava più morta che viva.

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Accanto a lei c’erano altri sei cilindri identici a quello in cui era rinchiusa, vuoti.
Poi Aion volse lo sguardo sotto di sé. Ai suoi piedi giaceva, legato con pesanti catene, un giovane di circa diciassette anni, dalla carnagione color sabbia, occhi bordeaux, lunghi e lisci capelli violacei raccolti in una lunga treccia, che indossava un lungo abito scarlatto.

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Il giovane aveva i vestiti stracciati e sporchi di fango, e la sua pelle era percorsa da lividi e ferite, i capelli scarmigliati e disordinati.
Si divincolava animatamente, cercando di liberarsi, invano, e puntava contro il cilindro in cui era prigioniera la giovane dai capelli biondi vestita di nero.
«Ah, Chrono» ridacchiò Aion, fissandolo divertito. «Dovresti davvero smetterla di torturarti così, amico mio, non fai altro che sprecare energie inutilmente. Non riuscirai mai a liberarti».
«Va’ all’Inferno, Aion!» gli sputò contro Chrono. «Non smetterò mai di lottare! Non sono più un tuo amico e non ti aiuterò mai nel tuo folle piano!»
«Mi piacerebbe poter dire che è interamente mio come ho sempre sostenuto, ma ahimè non è così» replicò Aion. «In ogni caso, io sono certo che lo farai, vedrai».
«Scordatelo» sibilò Chrono.
«Ti sei già dimenticato di Rosette?» domandò Aion, in tono innocente, facendo un cenno verso la giovane prigioniera nel cilindro. «Non vorrai che le succeda qualcosa, vero?»
Chrono impallidì. «Non puoi farle del male. Ti occorre per il tuo schifo di scopo!»
«Il mio padrone mi ha detto che sì, servono gli Apostoli per realizzare il nostro piano, ma questo non significa che questi cosiddetti Apostoli debbano essere in buona salute, quando il nostro piano si realizzerà» sogghignò Aion, lanciando uno sguardo malefico a Rosette. «E credimi, sono tante le cose che potrei farle senza doverla uccidere». Si leccò le labbra, famelico.
«Non… ti… azzardare…» ringhiò Chrono, minaccioso. Aveva afferrato al volo.
«Allora…» ridacchiò Aion. «Forse ti converrebbe stare attento a come parli». Aion si alzò dal trono e gli si avvicinò, prendendogli il mente con la mano, le labbra ad un centimetro dalle sue. «Dopotutto è come ai vecchi tempi, non credi? Di nuovo insieme, a lottare per acquistare la libertà. Il Paradiso scenderà sulla Terra e noi lo distruggeremo, lo trasformeremo nell’Inferno, nella nostra casa, costruiremo un mondo nuovo e migliore. Una volta staresti stato entusiasta di tutto ciò. Tu e tuo fratello una volta non credevate appieno in questo fantastico scopo?»
«Io e mio fratello siamo cambiati, abbiamo compreso che cosa significa tutto questo» ringhiò Chrono. «Noi non siamo come te e il tuo padrone, chiunque sia! Forse sei riuscito ad avere ragione su di me, ma mio fratello non cederà mai ad un ricatto del genere!»
«Oh, tu non lo conosci a fondo» ridacchiò Aion. «È così tanto che non lo vedi, molte cose in lui sono cambiate. E fidati di me, se ti dico che un ricatto come il tuo lo convincerà per bene».
«Sei un povero illuso» sibilò Chrono. Si liberò dalla stretta dell’altro con uno strattone, quindi sputò ai suoi piedi.
Aion ridacchiò. «Vedrai. Con la mia deliziosa spia all’Hellsing, avrò in pugno tutti quanti».


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Capitolo 9
*** Per sempre ***


Come aveva predetto Alyssa, Lady Integra acconsentì che Christ entrasse nell’Organizzazione Hellsing, e Sebastian, ormai diventato maggiordomo della Hellsing al posto del defunto Walter C. Dornez, si era occupato di prepararle una stanza personale in cui dormire e rifocillarsi.
Non appena si ritrovò da sola, Christ si lanciò sul letto e vi si accoccolò.
«Bene, bene, piccola» disse una voce familiare.
«Aion!» esclamò Christ, alzandosi dal letto e buttandosi tra le sue braccia. «Che ci fai qui?»
«Sono passato a salutarti, ovviamente» ridacchiò. «A qualcuno sono mancato parecchio, eh? E dire che non è passato neanche un giorno».
«Per me è stata quasi un’eternità» singhiozzò Christ, affondando il viso nel suo petto. «È viva… Rory è viva… come avevi detto tu… sono così felice…»
«Anch’io sono felice per te, mia bellissima» disse Aion, accarezzandole i capelli. «Ma non dimentichiamoci che adesso è schiava di quel maledetto di Alucard».
Christ lo guardò interdetta. «A me non è sembrata un suo burattino, anzi sembrava praticamente in sé quando l’ho incontrata. E Alucard… non somigliava per niente al demone che mi ha uccisa, e poi… nemmeno troppo crudele… non sembrava che Rory fosse un suo giocattolo…»
«Perché non lo conosci bene quanto lo conosco io, piccola» spiegò Aion. «Non sembra che Rory sia un suo burattino, ma ora è comunque una sua proprietà, e ci gioca praticamente tutte le notti, riempiendole la testa di menzogne. Devi fare in modo che Rory gli stia lontano, cosicché tu possa farle comprendere la verità, e portarla qui da me, assieme alla sua amica Alyssa».
«Perché dovrei portare anche Alyssa?»
«Lei ha stipulato un contratto con quel demone, quel Sebastian» rispose Aion. «Gli ha venduto la sua anima in cambio dei servigi del demone. Sai bene quanto i demoni siano infidi ed ingannevoli. Ucciderà quella ragazza alla prima occasione, divorandole l’anima…»
«Ma è terribile! Non se lo merita!» esclamò Christ. «Sembra una ragazza così dolce…»
«Non temere, piccola» disse Aion, avvicinandosi il suo volto a quello di lei. «Salveremo sia lei che Rory, e distruggeremo Alucard per sempre».
Poi Aion le cinse i fianchi con le mani, la spinse sul letto e cominciò a baciarla con foga, infilandole una mano sotto la camicetta...


***


Rory non riusciva a dormire quella notte, e a dirla tutta, non ne aveva voglia. Così decise di alzarsi dal proprio letto ed uscire fuori ad ammirare la notte. Ma quando si diresse verso l’entrata della propria finestra, vide che questa era aperta, e c’era già qualcuno fuori.
Alucard era in piedi sopra il davanzale della finestra, e fissava il cielo ormai scuro, le stelle che brillavano e la luna piena ancora alta e brillante nel cielo. Un fresco venticello pervadeva l’aria, facendogli svolazzare i neri e folti capelli.
«Non dovresti essere a letto?» ridacchiò il vampiro, senza voltarsi. Aveva chiaramente avvertito la sua presenza.
«Non dovresti essere nel sotterraneo?» lo rimbeccò Rory, arrossendo.
«Io sono libero di fare ciò che voglio» replicò Alucard, ridacchiando. «E tu lo sai che la notte non dormo. A differenza tua».
«Non avevo sonno» mormorò Rory, accostandosi a lui sul davanzale della finestra. «Sono accadute così tante cose tutte insieme… e in un certo senso… sono felice…»
Alucard annuì, continuando a fissare la luna. «Per la tua amica…»
«Non ti fidi di lei.»
«Chi te lo dice?»
«Alucard, ti conosco da diciannove anni. Credi davvero che non sappia come sei fatto?»
Gli occhi del vampiro le si appuntarono addosso, attraverso le lenti degli occhiali, pungendole la pelle come una spilla. Eppure la giovane umana fronteggiò con decisione lo sguardo dell’uomo.
«Io la conosco meglio di te. E so che è una brava persona. Ci possiamo fidare di lei.»
«Staremo a vedere…» mormorò Alucard, quasi fra sé.
«Brrr…» Rory batté i denti per il freddo. Era uscita fuori solo con la camicia da notte bianca e a piedi nudi. Si strinse nelle spalle, rabbrividendo.
Alucard ridacchiò alla vista delle sue guance rosse e le sue labbra viola e screpolate. «Ogni tanto è divertente osservare la stoltezza di voi esseri umani…»
«C-Che f-freddo…» Rory, senza riflettere, si strinse al petto dell’uomo, affondando le mani nella sua camicia.
Alucard ridacchiò ancora, mentre le circondava il busto con le braccia. «Possibile che tu sia sempre così distratta?»
«N-Non è c-colpa m-mia…» balbettò Rory, le guance due carboni ardenti. Si sentiva strana, tutta un fremito, ed il cuore non la smetteva di martellarle nel petto.
«Una bella dormita ti farebbe bene…»
«Non voglio…»
«Perché no?»
Rory chinò lo sguardo, e rimase in silenzio.
Alucard avvicinò il proprio volto a quello di lei, appoggiando la fronte. Occhi color del fuoco incontrarono occhi color dell’oceano. La giovane si sentì come ipnotizzata.

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«Perché ieri notte hai avuto un incubo». Non era una domanda quella del vampiro, ma un’affermazione.
«Come fai a…?»
«Ti ho vista e sentita agitarti nel sonno» rispose Alucard. Ma decise di non svelarle che aveva visto l’Uomo Nero provocarle quell’incubo, per non spaventarla ulteriormente. «Ero lì accanto a te».
«In camera mia!?»
«Esatto» ridacchiò il vampiro all’espressione furiosa della ragazza.
«CHE COSA DIAVOLO CI STAVI FACENDO IN…!!!» sbraitò a squarciagola la ragazza, ma non poté finire la frase che si ritrovò le labbra del vampiro sulle sue.
Fu come se il tempo si fosse fermato, per intrappolarli per sempre in quell’unico momento. Non c’era spazio per vedere, ma solo per sentire: la morbidezza delle labbra di lui, il suo respiro gelido, la forza con cui le sue mani le cingevano i fianchi…
Alucard si allontanò, un ghigno soddisfatto sulle labbra sottili.
Rory lo fissò con gli occhi sgranati, il sangue in tutto il suo corpo era diventato una lava rovente, il suo cuore una palla che rimbalzava nella gabbia delle sue costole.
«Ma tu… ma che cavolo… perché l’hai fatto?» balbettò lei.
«Di’ un po’, avevi forse intenzione di svegliare tutta l’Hellsing con i tuoi strilli isterici?» sghignazzò Alucard. «Qualcuno doveva pur fermarti.»
«Ma… ma…»
«Adesso è davvero tardi, signorinella, va’ a dormire». La voce inflessibile del vampiro non diede alcuna possibilità di scelta alla ragazza che, sospirando per contenere il fastidio crescente, chiuse gli occhi e chinò lo sguardo.
«Alucard… io ho paura…»
«Cosa temi, Rory?». Alucard le accarezzò il viso con dita delicate come petali di rosa.
La giovane deglutì, poi gli raccontò l’incubo che aveva avuto la sera precedente, e manifestò la sua paura nell’addormentarsi e precipitare di nuovo nell’oblio.
Il vampiro l’ascoltò in silenzio, senza mostrare alcun segno di sorpresa.
«Non devi temere nulla» la rassicurò il Conte. «Se non la paura stessa. Niente ti potrà mai minacciare, finché ci sarò io con te. Per sempre…»
«Per sempre…» ripeté Rory, e fu come se quella parola le procurasse una stanchezza immensa. Sbadigliò e si accasciò sul petto del vampiro; dopo pochi secondi era addormentata.
Alucard le baciò teneramente la fronte.
«Per sempre…» sussurrò di nuovo, solenne come una promessa d’amore.


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Capitolo 10
*** Rose nere ***


Christ passeggiava nel giardino di rose della magione Hellsing, divorando con gli occhi quella meraviglia.
Le rose erano bellissime, di tutti i colori e le dimensioni, e sotto la luce pallida della luna sembravano brillare come pietre preziose.
La vampira adocchiò una delle aiuole, e vide che era ripiena di rose esclusivamente nere. Le si illuminarono gli occhi: quelle erano le sue rose preferite in assoluto!
Senza esitazione si avvicinò all’aiuola e inspirò l’intenso ed inebriante profumo, chiudendo gli occhi.
«Che cosa diavolo ci fai tu qui!?»
La voce di Subaru la raggiunse alle spalle come un pugno, facendola sobbalzare. La ragazza si girò di scatto, perse l’equilibrio, scivolando indietro verso il rigoglioso roseto.
Prima ancora che i suoi pensieri potessero elaborare cosa stesse succedendo e le sue labbra articolare anche il più fievole suono d’allarme, Subaru le afferrò il polso strattonandola in avanti. Il suo braccio destro le circondò la vita, stringendola tanto forte da sentire le dita affondare nel fianco; i loro petti aderirono l’uno all’altro.
Christ arrossì di botto quando si accorse di trovarsi tra le braccia del vampiro.
«Subaru! Ma sei del tutto rimbambito!» sbottò Christ, stizzita. «Lasciami!»
«Ma sta’ zitta! Ti ho appena salvata! Potevi cadere e farti male!» la rimproverò aspramente Subaru.
Christ si rese conto che aveva ragione.
«Scu… scusami. Grazie» mormorò, rossa in viso.

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«Non serve» borbottò lui, lasciandole i fianchi. «Che cosa accidenti ci facevi qui?» domandò, burbero, scrutandola con i suoi penetranti occhi rossi.
«Stavo ammirando queste bellissime rose nere, prima che arrivassi tu e mi facessi prendere un infarto!» replicò Christ, infastidita dall’intensità di quello sguardo. Si sentiva tutta un fremito, ma non ne capiva il motivo.
«Capisco…» La voce di Subaru si addolcì di colpo, lasciandola quasi basita. «Così ti piace il nero, eh?»
«Molto» confermò Christ, imbarazzata.
Subaru fece un impercettibile cenno d’assenso, poi si chinò al fianco di un bocciolo di rosa nera particolarmente piccolo. Con fare quasi paterno, il ragazzo controllò le foglie per accertarsi che la sua crescita procedesse senza problemi o fastidiose complicazioni.
«Tu qui ci vieni spesso, vero?». Dal tono di voce di Christ, quella sembrava più un’affermazione che una domanda.
«A volte» rispose Subaru, senza staccare gli occhi dalla rosa nera.
«Perché tieni tanto a questo roseto?»
Il vampiro si alzò, appoggiando una mano sul fianco snello, scrutandola con tanto d’occhi, sul viso era dipinta un’espressione corrucciata.

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«Perché degli insulsi fiori come questi dovrebbero interessarmi?»
«Si vede che ne sei molto legato» ammise Christ. «E non ho mai visto Sebastian mettere piede in questa parte di giardino per occuparsene. E queste rose, questo intero roseto, è decisamente curato con tanto amore».
«Non me ne frega niente di queste stupide rose. Sono banali.»
«Non ti credo, Subaru. Nemmeno un po’».
Lui la fulminò con lo sguardo, ma Christ non si lasciò intimidire e ricambiò con un’espressione tenace.
«Cosa ne sai, tu!?» sbraitò Subaru, afferrandole di scatto il polso con tanta forza da farla gemere. «Che cosa ne sai tu di me!?»
«Subaru, mi fai male!» pigolò Christ, dimenandosi. «Lasciami!»
Lui allentò la presa ma non la lasciò. La fissò, penetrante, negli occhi color del sangue.
«Cosa vuoi da me?» La voce di Subaru era poco più di un bisbiglio, e sembrava parlare fra sé. «Cosa ti aspetti da una persona inutile, ripugnante e corrotta come me?»
Stavolta fu Christ a fissarlo intensamente negli occhi.
«È così che ti vedi?» chiese la ragazza. «Come una persona inutile, ripugnante e corrotta?»
Subaru non rispose.
«Non lo sei» affermò Christ. «Sei solo… fragile. Ti comporti sempre in questo modo irruente e scontroso perché hai paura di mostrare i tuoi veri sentimenti».
«Come te?»
Christ chinò il capo, senza proferire risposta. Non voleva ammettere che Subaru aveva fatto centro. Sin da quando l’aveva incontrato e l’aveva visto atteggiarsi aveva compreso che persona fosse. Perché anche lei si comportava così. Il vampiro sembrò percepire il disagio e la tristezza che avevano invaso la giovane. E l’attirò a sé, stringendola al suo petto, accarezzandole i lunghi capelli.

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Christ avvertì un’immensa sensazione di sicurezza, e il suo cuore martellarle nel petto.
«Mi hai chiesto perché tengo molto a queste rose» esordì il vampiro, sfiorandole la fronte con le labbra.
«Sì…» balbettò Christ.
«A casa mia, nella magione Sakamaki, c’è un altro roseto, anche se solo di rose bianche» raccontò Subaru. «Quelle rose, e anche queste, sono l’ultimo ricordo che mi lega a mia madre Christa. L’unica, evanescente linea che mi permette di rammentare il suono della sua voce, lo sfavillio triste nei suoi occhi imprigionati. Di lei si innamorò mio padre, Tōgo Sakamaki, un uomo subdolo e lussurioso, che la rapì, la rinchiuse in una torre e la violentò più volte. Fu così che nacqui io, e non passò molto tempo che mia madre morì, uccisa da mio padre perché lei non riusciva più a soddisfarlo nei suoi luridi bisogni. Ed io non potei fare nulla per fermarlo».
Christ trasalì e fissò Subaru con gli occhi sgranati, all’udire quella storia terribile.
«Subaru, mi dispiace, io non…»
Il vampiro la zittì, posandole un dito sulle labbra. Subaru si avvicinò all’aiuola di rose nere, tuffando una mano nella foresta di spine e petali. Christ trattenne il fiato nell’udire il fragile rumore di uno stelo che si spezzava, accompagnato dal frusciare impercettibile delle foglie. Subaru estrasse un bocciolo di rosa completamente fiorito, e ne rimosse delicatamente le spine.
«Ciascuna di queste rose mi permette di ricordare, giorno per giorno, che lei esistette nella mia vita. A differenza dei miei fratelli, io voglio che mia madre permanga nei miei pensieri per l’eternità, assieme a ciò che di più importante mi insegnò» mormorò Subaru, accarezzando il nudo stelo della rosa nera, per poi posarla con dolcezza tra i lunghi capelli di Christ.
«Che cosa ti insegnò tua madre?» mormorò Christ, accorata.
«Mi insegnò che l’amore era una bellissima rosa dalle mille sfumature. Delicata e preziosa, ma anche aggressiva e pericolosa».
Le dita del vampiro sfiorarono la guancia della giovane, ipnotizzandola con i suoi occhi di rubino. E Christ si ritrovò a desiderare ardentemente di annegare nel suo sguardo per l’eternità.


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Capitolo 11
*** Appello ***


Joshua correva a perdifiato per il bosco fitto, preceduto da Satella che teneva in braccio il corpo esanime di Azmaria.
Mentre correva istintivamente si girò a guardare: l’ombra li inseguiva, rapida, dalle sembianze vagamente umanoidi, ma correva e saltava sopra le cortecce degli alberi con una grazia ed un’agilità anormali.
«Joshua, resisti! Manca poco!» gridò Satella.
Joshua guardò fisso davanti a sé ed in lontananza vide l’imponente ed immensa magione dell’Organizzazione Hellsing. Erano dunque quasi arrivati.

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Ma d’un tratto Joshua vide l’ombra comparire dinnanzi, sbarrando la strada ai tre fuggiaschi.
Non era un ombra. Era un ragazzo.
Sembrava un ragazzo normale, dall’età più o meno tra i vent’anni. Aveva un viso allungato, carnagione pallida, grandi occhi color ambra e folti capelli verdognoli. Era alto, snello e slanciato, ed indossava una lunga giacca bianca, maglietta e pantaloni neri.

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«Fine della corsa» ridacchiò Dune. «Davvero pensavate di potermi sfuggire?»
«Maledetto» sibilò Satella. «Non ci arrenderemo mai! Non porterai via con te Joshua e Azmaria!»
«Quanto coraggio, Strega dei Gioielli» commentò Dune. «Eppure hai lasciato che io prendessi quel demone insignificante e Maria Maddalena».
Satella digrignò i denti, e il suo magico gioiello scintillò al polso.

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«Joshua» chiamò. «Prendi Azmaria con te e portala via di qui. Vi copro io».
«Satella, no!» protestò Joshua. «È troppo forte! Ti ucciderà!»
«Non credere che gli renderò facile il compito. Adesso vai!» Satella lo costrinse a prendere in braccio Azmaria prima che potesse minimamente protestare. «Vola subito verso l’Hellsing e non fermarti per nessuna ragione!»
Joshua annuì. Chiuse gli occhi, si concentrò e sulla sua schiena subito gli spuntarono un paio di ampie ed immense ali piumate, nere come l’oscurità.
Il giovane le spalancò e con un solo gesto si sollevò in volo, tenendo ben stretta tra le braccia Azmaria, a rotta di collo verso la fine del bosco, dove si trovava la magione Hellsing.
«Dove credete di andare, piccoli Apostoli?» sghignazzò Dune, puntando una mano contro di loro. Dal palmo scaturì una sfera d’energia rossastra che si scagliò a velocità supersonica contro Joshua ed Azmaria in volo.
«Evocazione!» urlò Satella, sfiorando il diamante al suo polso, che brillò di una purissima luce blu. «Prendi forma, Cavaliere di Gemma!»
Dal diamante scaturì uno zampillo di luce dal quale fuoriescono delle pietre preziose azzurre che si unirono, fino a formare un gargantuesco cavaliere dall’armatura di gemma celeste.

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Il gigante si lanciò nella traiettoria della sfera rossastra e la tagliò a metà con la spada, disintegrandola.
Dune si voltò verso Satella, con un ghigno perfido sul volto perfetto.
«E così vuoi la guerra, Strega? Accomodati. Dopo che ti avrò tolta di mezzo catturare quei due Apostoli sarà facile come bere un bicchier d’acqua».
E si scagliò contro di lei e il Cavaliere di Gemma.


***


Seras Victoria passeggiava per il giardino, cantando allegramente Thriller di Michael Jackson, stando però ben attenta a non fare troppo rumore.
Non voleva svegliare i suoi colleghi e compagni che stavano riposando quella notte, dato che non c’erano missioni in corso, e nemmeno voleva farsi sentire dal suo Signore Alucard, temendo che la rimproverasse e le desse dell’idiota come l’altra volta che l’aveva beccata svolgere quell’attività.
Il pensiero un po’ la innervosì. Uffa, ma perché non poteva neanche canticchiare in santa pace? Non poteva neanche fare un po’ quello che gli pareva la notte? Ma poi che cosa accidenti c’era di male nel canticchiare un po’? Mah, forse il suo Signore esagerava davvero a volte…
Ultimamente Alucard le era sembrato un po’ – come avrebbe potuto dire? – preoccupato? Distaccato? Più freddo del solito?
Spesso la notte, quando non vi erano missioni, l’aveva visto uscire comunque, per andare chissà dove, e spesso rientrava quando era praticamente mezzogiorno. C’era delle volte che era uscito anche di giorno, rinunciando quindi a dormire. La maggior parte delle volte, invece, Seras l’aveva visto dirigersi in camera di Rory.
Non aveva potuto fare a meno di sentirsi inquietata da quel comportamento. Non era la prima volta che gliel’aveva visto fare, sapeva che quando era piccola Rory aveva avuto un passato difficile e che Alucard, come pure lei, più di una volta aveva dovuto aiutarla ad addormentarsi.
Ma che lei sapesse Rory aveva cominciato a dormire tranquillamente dopo i tredici anni, quindi tecnicamente Alucard non avrebbe più dovuto entrare in camera sua, a meno che…
“Lui la ama”.
Ma era un pensiero talmente assurdo che Seras lo scacciò immediatamente dalla mente. Era troppo ridicolo, però… però non trovava altra spiegazione. Alucard era legatissimo a Rory, l’aveva visto, sin da quando l’aveva presa con sé era emerso un lato di lui che lei non aveva mai avuto modo di osservare. Un lato… tenero.
Li aveva visti un paio di volte insieme, e c’era qualcosa che aveva visto nel suo Signore, quando si trovava con quella ragazza, che l’aveva lasciata semplicemente senza parole. Sembrava… più umano… più… felice.
Poteva davvero il Re dei Non-Morti, il Re Immortale, il Nosferatu, il Conte Dracula, Vlad l’Impalatore, essersi innamorato?
I pensieri della vampira vennero interrotti da un frullare d’ali. Seras alzò lo sguardo e vide una figura d’ombra che volava e si dirigeva verso la magione Hellsing.
Seras chiuse gli occhi e poi li riaprì di scatto. La sua vista illimitata subito le venne in aiuto, così ebbe modo di vedere con chiarezza cosa fosse.
Era un ragazzo, un ragazzo di circa quindici anni, dalla carnagione pallida, occhi grandi e azzurri e capelli folti e biondi. Sulla schiena vi erano due grandi ed immense ali piumate nere, che Seras associò subito a quelle di Christ, che aveva visto alcune notti fa, quando la ragazza si era unita all’Organizzazione Hellsing.

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Il ragazzo alato teneva in braccio una ragazzina che doveva avere circa dodici anni, dai lunghi capelli lilla, occhi socchiusi color magenta ed un lungo abito roseo con un cappellino.

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Seras cominciò a correre, finché in un baleno raggiunse il cancello della magione, proprio mentre il ragazzo alato e la ragazzina semisvenuta atterravano lì dinnanzi. Le ali oscure sparirono dalla schiena del ragazzo.
«Chi siete?» domandò Seras. «Identificatevi!»
«Mi chiamo Joshua Christopher» rispose subito il ragazzo, con un tono d’urgenza. «E lei è Azmaria Hendric. Sei un’agente dell’Organizzazione Hellsing? Aiutaci, ti prego!»
«Che cosa vi è successo?»
«Facevamo parte dell’Ordine della Maddalena» raccontò Joshua. «Un’organizzazione che si occupava di combattere i mostri».
«Perché parli al passato?» domandò Seras, scrutandolo attentamente. Accidenti, se era carino, pensò la giovane. Arrossì di botto.
La ragazzina in braccio a Joshua, Azmaria, raddrizzò la schiena e si aggrappò al collo di Joshua.
«Josh…» gemette Azmaria. «Josh… mi sento male…»
«Oh no, Az!» Joshua si voltò verso Seras. «Ti prego, facci entrare! Siamo venuti qui per chiedere aiuto a Lady Integra Fairbrook Wingates Hellsing! Mentre venivamo qui Azmaria è stata colpita, ha assolutamente bisogno di cure! Dopo risponderò a qualsiasi domanda, ma ti scongiuro, portaci da Lady Integra!»
Seras non seppe resistere allo sguardo supplichevole del giovane.
«D’accordo, seguimi» lo invitò Seras. «Spero per te che questo non sia un trucco, altrimenti potresti pentirtene seriamente» lo minacciò.
Joshua ammutolì, ma annuì con vigore. «Come ti chiami?»
«Seras» rispose lei con un sorriso timido. «Seras Victoria».
Joshua sorrise e seguì la draculina verso la magione.


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Capitolo 12
*** Lady di ferro ***


Dopo aver affidato Azmaria alle cure di Sebastian, Seras accompagnò Joshua da Integra, come gli aveva promesso. Era stato molto fortunato, dato che quella notte era il turno di veglia per la direttrice.
Mentre si dirigevano verso l’ufficio di Integra, Joshua non poté fare a meno di guardare Seras mentre lo conduceva.
Era davvero carina, pensò il ragazzo, lo superava di qualche centimetro in altezza, ma con quegli occhi rosso sangue lo inquietava un po’. Eppure il suo viso, incorniciato dai biondi capelli, era così luminoso e pieno di vita, sembrava un sole in miniatura. E poi il suo seno… accidenti se era prosperosa!
“Joshua!” si rimproverò, distogliendo imbarazzato lo sguardo. “Che razza di pensieri ti vengono in mente, vergognati! Sei qui per chiedere aiuto a Lady Integra!”
«Joshua? Joshua, ci sei?»
La voce di Seras lo riscosse da quei pensieri poco pudici. «Sì?»
«Siamo arrivati, questo è l’ufficio della direttrice Integra». E così dicendo la vampira posò il pugno sulla grande porta di legno e bussò.
Un chiaro e tondo “Avanti!”, e Seras spinse la porta e, seguita da Joshua, entrò nell’ufficio del Capo dell’Organizzazione Hellsing.
Integra Fairbrook Wingates Hellsing era seduta sulla sua scrivania, illuminata dalla luce della luna filtrata dalla finestra alle sue spalle.
Era una donna di ventidue anni affascinante, snella e abbastanza alta e slanciata. La sua pelle era di un colorito tendente al bruno, mentre i suoi capelli erano biondi e alquanto lunghi. Indossava una giacca e un paio di pantaloni verde scuro, una camicia bianca abbottonata, un papillon rosso e un paio di occhiali circolari.

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Sedeva dritta e composta, come una regina, tenendo le braccia appoggiate sulla scrivania e le mani guantate di bianco congiunte.
Seras si inchinò rispettosamente. «Direttrice Integra, perdoni il disturbo. Lui è Joshua Christopher dell’Ordine della Maddalena, ha chiesto urgentemente di lei. È venuto qui assieme ad un’altra agente, Azmaria Hendric, che ora è ferita e di cui Sebastian si sta occupando».
«Grazie, Seras» disse Integra. Poi volse lo sguardo verso Joshua, il quale si sentì un po’ intimidito dall’autorità e la serietà che gli trasmetteva. «Si sieda pure, agente Christopher».
Joshua obbedì senza esitazione.
«Così lei appartiene all’Ordine della Maddalena, la famosa organizzazione ammazza-mostri di New York City?»
«Sì, signora. O sarebbe meglio dire, appartenevo. Adesso l’Ordine non esiste più» replicò Joshua, la voce incrinata.
Integra trasalì a quelle parole. «Che cosa vuole dire?»
«Poche settimane fa la base dell’Ordine, a New York, è stata attaccata» raccontò Joshua. «Ci sono state tantissime vittime, e solo cinque sopravvissuti. Io e i miei compagni Chrono, Azmaria Hendric, Satella Harvenheit e Rosette Christopher.»
«Chi vi ha attaccato?»
«Aion. Un demone perfido e malvagio che ha in mente dei folli piani». Joshua pronunciò quel nome come se fosse una parolaccia. «Lui ed altri demoni seguaci, assieme ad un enorme esercito di non-morti. Erano in troppi, non siamo riusciti a fronteggiarli. Io e i miei compagni siamo stati costretti a fuggire, ma tutti gli altri…» La voce del ragazzo si spezzò.
Seras, senza riflettere, gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla; Joshua sembrò sentirsi meglio a quel gesto.
Lui non poteva sapere che la draculina lo capiva perfettamente: anche a lei era successo di perdere in battaglia dei compagni molto cari. E subito le venne in mente Pip Bernadotte. Ricacciò indietro le lacrime che avevano minacciato di uscire.
«Che fine hanno fatto i suoi compagni sopravvissuti?» chiese Integra a Joshua.
«Quando siamo scappati, qualcuno ci ha inseguito» spiegò Joshua, con voce rotta. «E… e mia sorella Rosette e il suo partner, Chrono… sono stati catturati da Dune, un demone collega di Aion. Io, Azmaria e Satella ci siamo diretti qui sotto richiesta di quest’ultima, pensava che qui saremmo potuti essere al sicuro. Io ed Azmaria siamo riusciti ad arrivare perché Satella è rimasta a combattere Dune, il quale ci ha trovati nuovamente e inseguiti».
Integra finì di ascoltare, seria e composta, poi domandò, con un sussulto: «Ha detto… Satella? Satella Harvenheit?»
«Sì. La conosce?»
Integra annuì, sospirando. «È da molto tempo che non ci vediamo, ma non l’ho mai dimenticata. È mia cugina.»
«Non lo sapevo. Satella non ha mai accennato di avere una cugina. Per la verità, non l’ho mai sentita parlare in generale della sua famiglia, mai.»
«Lo credo bene. La sua famiglia è morta, così come il suo popolo. Sono stati tutti uccisi da un potente demone. Io sono l’unica sua parente ancora in vita».
Joshua ammutolì, e Seras sgranò gli occhi a sentire quelle rivelazioni. La storia di Satella era molto simile a quella di Rory, pensò. Anche la sua famiglia era morta per colpa di un demone. L’istinto le disse che non poteva essere una coincidenza.
«Mi parli di questo Aion, Christopher» ruppe il silenzio Integra. «A quanto sembra lo conosce bene».
«Purtroppo sì» confermò Joshua. «Il suo scopo è riunire i Sette Apostoli, per far scendere il Paradiso sulla Terra e trasformarlo in Inferno. Vuole distruggere questo mondo per crearne uno migliore come vuole lui. Vuole che non ci siano più Inferno e Paradiso».
Integra ascoltò, impassibile. «Un pazzo esaltato drogato di potere e ubriaco di grandezza, dunque» fu il freddo commento della donna.
«Ha ragione, signora, ma purtroppo altri non la pensano come lei, anzi credono che sia una buona causa, e per questo seguono Aion. Io l’ho seguito per un po’, finché non mi sono reso conto della malvagità del suo piano e l’ho abbandonato. Non sapevo che Aion avesse altri seguaci. Dune voleva catturare me, Rosette ed Azmaria, perché siamo Apostoli. E c’è quasi riuscito. Ha preso mia sorella, ha preso Rosette! È tutta colpa mia, avrei dovuto proteggerla… e adesso, probabilmente Satella è…» Joshua si lasciò sfuggire un singhiozzo.
«Non è stata colpa tua» intervenne Seras, accorata. «Sicuramente l’hanno fatto per trarvi in salvo, in modo che Aion non potesse mettervi le mani sopra».
«Esattamente» replicò Integra. «Ciò che conta è che ora siate qui sani e salvi. Deve sapere, Christopher, che abbiamo con noi ben altri tre Apostoli come lei e la signorina Azmaria Hendric. La nostra missione ora è quella di trovarli per proteggerli da gente come Aion. Sarò ben felice di accogliervi. Presumo avesse intenzione di chiedermelo».
«Sì, signora» annuì Joshua.
«Ebbene, acconsentirò, per il bene del mondo e perché lo devo alla mia cara cugina. Seras, mi faresti la cortesia di chiedere a Sebastian di preparare al signor Christopher e alla signorina Hendric delle stanze in cui possano rifocillarsi e dormire?»
Seras rivolse a Joshua uno splendente sorriso, che fece avvampare il ragazzo all’istante. «Certamente, signora Integra».
La draculina e l’Apostolo uscirono fuori dall’ufficio, lasciando da sola la Lady di ferro.
Non appena udì la porta chiudersi e i passi dei due ragazzi farsi ormai lontani, Integra appoggiò le mani congiunte sotto il mento. «E con questo siamo a quota quattro Apostoli».
«Cinque» corresse la voce di Alucard, fuoriuscendo dall’oscurità dietro Integra. «Anche la ragazzina che è venuta con lui è un Apostolo. Aion e il suo presunto padrone hanno il sesto apostolo: Rosette Christopher, ovvero Maria Maddalena».
«Dunque resta da trovare il settimo Apostolo» chiarì Integra.
«Esattamente». Alucard fece un sospiro. «E così mio fratello è vivo, assieme alla sua ragazza, anche se ora purtroppo entrambi sono in mano a quei bastardi».
«Non sarebbe saggio intrufolarsi al Castello Oscuro per liberarli. Perlomeno non ora». Integra non aveva bisogno di saper leggere nel pensiero per sapere cosa passasse per la testa al suo servitore. «Prima dovremo finire di radunare gli Apostoli, assicurarci che sappiano utilizzare appieno i loro poteri e successivamente potremo lanciare un attacco al Castello Oscuro».
Alucard annuì, riluttante. «Spero che quella ragazza, Christ, sappia il fatto suo e sappia insegnare a Rory e ad Alyssa. Così come pure quei due, Azmaria e Joshua». Fece una pausa. «Tuttavia non mi fido del tutto di Christ».
«Si è dimostrata un’ottima combattente ed è un’Apostolo con piena consapevolezza dei propri poteri, non avevo alcun motivo di rifiutare che entrasse nell’Organizzazione» replicò Integra. «Tuttavia sono d’accordo, la storia che ha raccontato non mi convince fino in fondo. La terrò d’occhio, comunque, non temere».
«Sono preoccupato per Rory» mormorò Alucard. «Non vorrei che il ritorno di Christ la rendesse meno vigile e attenta. Si è sempre lasciata sopraffare facilmente dai propri sentimenti.»
«Sa badare a sé stessa, Alucard. Non dimenticare che ha avuto te per tutto questo tempo».
Alucard non disse nulla, si avvicinò alla porta e si accinse ad uscire attraversandola come suo solito.
La Lady di ferro avrebbe giurato di sapere dove fosse, era sicura che andasse a trovare Rory nella sua stanza mentre dormiva. Da quando quella bambina era arrivata Alucard non aveva avuto occhi se non per lei. Maggiormente adesso che era cresciuta.
“Mi chiedo se non si sia innamorato” pensò Integra, assorta.
“Non dire assurdità” sibilò la voce di Alucard nella sua testa.
Integra per poco non sobbalzò, ma poi si ricordò che tutto questo era normale. Alucard sapeva leggere nel pensiero e aveva doti telepatiche.
Si chiese se i vampiri, così come gli umani, mentissero allo stesso modo quando provavano particolari sentimenti.
I vampiri potevano innamorarsi?


***


Nella parete centrale della sala principale del Castello Oscuro vi si stagliava l’immenso trono di pietra nera, dove, nascosto dall’ombra, qualcuno era seduto. Si intravedeva solamente una lunga veste nera e due occhi sottili, rossi più del sangue.
Un lampo di luce rossa, e al centro della stanza, ad alcuni metri dinnanzi dal trono oscuro si materializzò Dune, le braccia incrociate, la bocca contratta in un sorriso divertito.
«Infine sei tornato, Dune» pronunciò una voce maschile, una voce tetra, profonda, cavernosa e risonante, che proveniva dalla creatura dagli occhi rossi nell’ombra.
Dune sorriso e si inchinò rispettosamente. «Mio Signore…»
«Ebbene? Hai preso con te gli Apostoli, dunque?»
«Non esattamente, padrone…»
Il dolore lo dilaniò all’istante prima ancora che potesse finire la frase. Cadde a terra tremando, mentre coltelli invisibili gli trapassavano la pelle da parte a parte, implacabili e spietati. Dune strinse i denti, trattenendo un urlo strozzato.
E poi tutto cessò. Dune si sollevò in ginocchio, ansimando, poi lentamente si alzò in piedi.
«Ti avevo espressamente ordinato di non azzardarti a ricomparirmi davanti senza prima avermi portato quei due Apostoli» ringhiò la voce nell’oscurità. «Come osi, dunque, disubbidirmi e mostrarmi dinnanzi la tua inettitudine?»
«Non sono riuscito a catturare gli Apostoli, è vero» disse Dune. «Purtroppo sono riusciti a sfuggirmi. È evidente che li ho sottovalutati, e più di ogni altra cosa ho sottovalutato la Strega dei Gioielli che era assieme con loro e li proteggeva».
«Inetto» sibilò il Signore Oscuro. «Dovrei torturarti fino alla pazzia per questo!»
«Peccato che i nostri piccoli Apostoli fossero molto legati a questa Strega» replicò Dune, con un sorrisetto maligno. «Chissà come sarebbero in pensiero, se dovesse accaderle qualcosa di veramente spiacevole… non vorrebbero certo che succeda, vero? Sarebbero disposti a qualsiasi cosa…»
Un lampo maligno balenò negli occhi di sangue nel buio, all’udire quelle parole.
«Interessante» sghignazzò l’Oscuro Signore. «Così non hai ucciso la Strega, quando questa si è trovata sul tuo cammino?»
«No, infatti» sorrise Dune. «È proprio qui, viva, anche se non del tutto illesa». Dune schioccò le dita. Un lampo di luce, ed apparve la prigioniera, legata da pesanti catene dietro la schiena.
Era una donna di circa vent’anni, dai lunghi capelli rossi, carnagione molto chiaro ed occhi magenta, dal seno prosperoso, che indossava un lungo abito color crema col corpetto grigio che le stringeva i seni generosi. La donna guardò fisso davanti a sé, con disprezzo, cercando di scorgere la creatura nascosta nell’ombra, invano.

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«E così questa è l’ultima discendente della stirpe degli Sciamani dei Gioielli» esordì il Signore Oscuro con una risatina. «È un vero piacere conoscerti, Satella Harvenheit».
«Il piacere è tutto tuo, chiunque tu sia» sputò Satella in risposta. «Fatti vedere, lurido vigliacco!»
Una scossa elettrica rossastra l’attraversò da capo a piedi, facendola urlare di dolore.
«Non sta bene insultare e rivolgersi in questo modo al mio Signore» ridacchiò Dune. «Lui potrebbe farti provare dolori anche peggiori, che questa mia scossetta per te sarebbe il paradiso, piccola strega».
«Muori e resuscita all’Inferno» sibilò Satella, scatenando l’ilarità del ragazzo.
«Basta così» tuonò il Signore Oscuro, zittendolo. «Hai davvero un bel coraggio, umana, o forse sei soltanto molto sciocca… e debole. Non sei riuscita a proteggere i tuoi amichetti Apostoli…»
Satella digrignò i denti, quindi sputò ai suoi piedi. L’Oscuro Signore non si scompose, anzi ridacchiò.
«Questa tua insolenza ti porterà alla morte, temo, mia povera ragazza. Ma non ora. Imprigionala nella segreta, assieme a quell’insulso di Chrono» ordinò il malvagio a Dune. «Fa’ in modo che gli Apostoli lo vengano a sapere, così che cadano nella trappola. La terrai in vita fino ad allora. Se tutto andrà secondo i piani, la sua vita sarà insignificante. La vita di tutti quei mortali della Hellsing sarà insignificante. Li schiacceremo uno per uno, quando il momento giungerà».
Una risata tonante risuonò nelle mura del Castello Oscuro.


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Capitolo 13
*** Nero e bianco ***


Nell’infermeria dell’Organizzazione Hellsing, Azmaria riposava in uno dei letti bianchi, mentre Sebastian si accingeva a posarle un pezza intrisa d’acqua fresca sulla fronte accaldata, stando bene attento a non sfiorarle la pelle.
Se l’avesse fatto probabilmente la fronte avrebbe spillato sangue che l’avrebbe sfiorato, causandogli un dolore indicibile. Era uno dei poteri degli Apostoli: sapevano respingere i demoni e ogni male grazie alle loro stigmati, nascoste sulla fronte, i polsi e le caviglie.
La ragazzina si era prese una brutta febbre, e non era per il fatto di essere stata troppo tempo fuori al freddo gelido della notte.
Era stata colpita da un raggio energetico, per di più scagliato da un demone. Sebastian sapeva che questo aveva un influsso negativo sugli Apostoli, ma sapeva anche che non sarebbe durata a lungo: un giorno di riposo e Azmaria sarebbe tornata come prima.
«Sebastian, sei qui?»
Era la voce di Alyssa, la sua padrona.
La ragazza entrò titubante, e trovò il demone intento a prendersi cura di Azmaria.
«Mia signora» l’accolse Sebastian con un elegante inchino. «A cosa devo il piacere?»
«Ti prego, Seby, te l’ho ripetuto mille volte, chiamami Alyssa e dammi del “tu”» borbottò Alyssa.
«Come desiderate» ridacchiò Sebastian. «Sarete anche sua discendente, ma non somigliate molto a Ciel Phantomhive».
«Ti ho appena detto di darmi del tu!» sbottò secca la ragazza.
«Ecco, adesso gli somigliate un po’ di più. Anche lui dispensava ordini a bacchetta con quel tono».
Alyssa sbuffò. «Da come ne parli, sembra che tu ne fossi innamorato!»
La ragazza sentì un sibilo e vide che il maggiordomo ora era pericolosamente vicino a lei, tanto che i loro nasi si sarebbero potuti sfiorare.
«Chi può dirlo?» fece Sebastian, fissandola intensamente con i suoi occhi color rubino. «Noi demoni non abbiamo alcuno scrupolo e non ci facciamo alcun problema morale, siamo capricciosi e lussuriosi. Una cosa del genere è verosimile…» Sebastian le accarezzò delicatamente il lato destro del collo, con una calma simile all’indifferenza.
Alyssa ebbe un invisibile fremito. Solo lei e Sebastian sapevano cosa si nascondesse, sotto l’alto colletto della camicetta bianca che la ragazza era solita portare.
Il marchio del loro contratto.

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Anche Sebastian lo aveva, sul dorso della mano sinistra, sempre guantata di bianco.
Alyssa ricordava il giorno in cui avevano stretto il loro patto come se fosse ieri. Era da poco diventata la legittima proprietaria ereditaria della magione Phantomhive, per volere della regina Elisabetta. Ma i suoi genitori non l’avevano mai accettata, perché era una ragazza. Forse era meglio dire che non l’avevano mai accettata da quando era nata. L’avevano abbandonata a sé stessa, sempre.
Per questo, quando la regina Elisabetta li aveva costretti ad includerla nell’eredità della magione Phantomhive, non si erano fatti scrupoli a mandare un sicario ad ucciderla, quando aveva poco più di dieci anni.
Quell’uomo c’era quasi riuscito a farla fuori, ma in quel mentre Sebastian era apparso, sopito dal 1900, proponendole il contratto, e Alyssa l’aveva accettato.
Così Michaelis aveva ucciso il sicario e i genitori di Alyssa, sotto richiesta di quest’ultima. Ora il demone doveva servirla a vita, prestando con lei servizio all’Organizzazione Hellsing, in cambio dell’anima della ragazza.
Ma in tutto quel tempo che l’aveva servita, Sebastian non aveva mai avanzato alcuna pretesa su di lei, quando avrebbe potuto, dato che ora aveva la sua anima. Alyssa si chiedeva spesso il perché.
“Quanto siamo masochisti, mia signora” aveva detto Sebastian, quando lei gli aveva posto quella domanda. “Se vuoi posso anche accontentarti”. E le sorrideva malizioso, al che Alyssa arrossiva e lo azzittiva in malo modo.
«Non dovresti essere con i tuoi fratelli Apostoli ad esercitare i tuoi poteri, mia signora?»
La voce di Sebastian le interruppe quel flusso di pensieri.
«Ci stavo andando» confermò Alyssa. «Volevo… informarmi su come stesse Azmaria. Joshua è parecchio preoccupato.»
«Digli di non preoccuparsi, mia signora. La sua amica si rimetterà tra breve tempo».
«Ne sono lieta». Alyssa gli rivolse un gran sorriso, girò i tacchi e fece per andarsene. Ma quando fu davanti alla porta, si bloccò. «Sebastian?»
Il maggiordomo diabolico si girò al suono della sua voce. «Mia signora?»
«Perché mi hai salvata? Perché non ti approfitti della mia anima da quando l’hai avuta? Voglio che tu mi dica la verità» disse Alyssa, risoluta. «E questa non è una richiesta, è un ordine».
Michaelis la fissò, in silenzio, con uno sguardo indecifrabile. Poi le si avvicinò, si chinò e posò le proprie labbra su quelle della ragazza, cingendole i fianchi con le mani guantate.
Fu come se una scarica elettrica avesse attraversato il corpo di Alyssa. La ragazza schiuse le labbra e le affondò con più forza in quelle del compagno; le sue braccia cinsero il collo del servo tirandolo più vicino a sé in un abbraccio che non avrebbe mai voluto sciogliere.
Così la bocca di un demone e quella di un Apostolo toccato dalla benedizione divina si unirono.


***


Il sole splendeva alto nel cielo, picchiando sulle mura della magione Hellsing.
Rory, Christ, Alyssa e Joshua erano radunati fuori nell’immenso giardino, con le loro armi strette in pugno. Joshua aveva con sé due sai ninja, delle particolari spade corte, con tre lame sottile distanziate tra loro e dal manico nero e d’argento.
«Questo posto è perfetto per poterci allenare» affermò Christ. «Siete pronte, ragazze?»
«Direi di sì, ma questo dipende da cosa vuoi insegnarci» ribatté Rory. «Per esempio, sarebbe una bella idea sapere come evocare quelle ali d’angelo a nostro piacimento. In battaglia sarebbero molto utili!»
«Vero» concordò Alyssa. «Basta pensare a come abbiamo sbaragliato quei Ghoul!»
«Be’, allora iniziamo da questo, che ne dici, Josh?» chiese Christ.
Joshua annuì. «È molto più semplice di quanto si possa pensare. Devi concentrarti, immaginare di avere come delle braccia chiuse dietro la schiena ed esprimere il volere di distenderle. Dopodiché le puoi controllare come se fossero delle tue parti del corpo, solo che a differenza delle braccia non sono fatte di muscoli, e quindi non possono mai sfinirsi. Una volta che le fai sbattere e ti sollevi in volo continuano a sbattere da sole, finché non ordini loro di chiudersi. Facciamogli vedere, Christ».
La vampira annuì con vigore, quindi lei ed il ragazzo chiusero gli occhi. Lentamente, Rory ed Alyssa videro distendersi da dietro la loro schiena le immense ed imponenti ali corvine. A quel punto i due riaprirono gli occhi.
«Vedete? È abbastanza semplice» disse Christ.
«Non capisco» mormorò Rory. «Perché voi due avete le ali nere, mentre io e Alyssa, quando ci sono comparse, le avevamo bianche?»
«Sinceramente non lo so» rispose Christ. «So solo che le ho nere da sempre, credo…»
«Non è possibile» intervenne Joshua. «Sicuramente dovevano essere bianche, proprio come me.»
«Avevi le ali bianche, Joshua?» domandò Alyssa.
«Prima sì…»
«Prima di che cosa?»
«Gli Apostoli, di per sé, hanno le ali d’angelo, bianche» spiegò Joshua. «Se essi rinnegano la loro natura di entità benefiche e vengono toccati dal Male, le loro ali da bianche diventano nere. È il marchio del peccato commesso».
«Ma io non ho commesso nessun peccato!» protestò Christ.
«Detto in parole più semplici, un Apostolo di per sé deve stare dalla parte della Luce, ma questa non è una condizione vincolante, un Apostolo può passare dalla parte del Buio, e se ciò accade, le sue ali diventano nere» replicò Joshua. «È questo quello che volevo dire».
«Quindi voi due sareste passati dalla parte del Male?» domandò Rory.
«Ehi! Non ci pensare nemmeno! Io non sono cattiva!» protestò Christ.
«Christ, non intendevo dire questo…»
«Non è così semplice come sembra» ribatté Joshua. «Le ali di un Apostolo diventano nere se questo viene corrotto, quando viene perennemente contagiato da emozioni negative quali rabbia, odio, rancore, o persegue un obiettivo malvagio, come nel mio precedente caso».
«Che cos’hai fatto?»
Joshua s’incupì. «Sono stato dalla parte di quello che allora non sapevo fosse uno dei demoni più perfidi ed infidi del mondo. Mi ha convinto a passare dalla sua parte e a perseguire il suo malvagio scopo, che io credevo fosse per il bene del mondo. In questo modo ho fatto del male a mia sorella maggiore e ai suoi amici, e a non so quanta altra gente. Poi sono tornato sulla retta via, ma come punizione per i miei peccati, le mie ali sono diventate nere».
«Sai che gran punizione!» esclamò Christ. «Per me non è affatto male! Il nero è molto più figo del bianco, non trovate?»
Joshua, Rory ed Alyssa scoppiarono a ridere.
«Ma allora come mai io ho le ali nere?» chiese Christ. «Non ho mai fatto niente di male!»
«Che tu sappia» disse Joshua, scrutandola con tanto d’occhi. «Anch’io quando ero dalla parte di Aion ero convinto di essere dalla parte del Bene, e invece avevo venduto la mia anima al Male. Tu sei certa di essere nel giusto?»
«Aion?» Rory, all’udire quel nome, impallidì e fu attraversata da un senso di sconvolgimento che rischiò di farla barcollare. «Chi è Aion?»
«È il perfido demone con cui mi ero schierato» rispose Joshua.
«Scusa?» fece Christ, certa di non aver sentito bene. «Hai detto proprio Aion?»
«Sì, perché?»
«Joshua, tu… ti stai assolutamente sbagliando. Aion non è un demone… è un umano, ed è anche una brava persona…»
Joshua la guardò come se avesse appena detto una bestemmia. Lo sguardo di Rory e Alyssa scorse da quello di Joshua a Christ, interrogativo.
«Christa Darion» Joshua pronunciò fra i denti il nome completo dell’amica. «Che cosa accidenti stai dicendo!? Aion una brava persona!? Aion un umano!? Sei fuori di testa!?»
«No che non lo sono!» sbottò Christ. «Non osare parlare ancora di lui in questo modo! Lui non è malvagio, è buono e generoso! Mi ha riportata in vita e mi è sta
to accanto per tutto il tempo che ho sofferto per la morte di Rory! Per poi scoprire che non è morta!» «Che cosa!?» Joshua era sbalordito. «Christ, no… lui ti sta usando esattamente come ha fatto con me! Sembra buono e generoso, ma è tutto un trucco! Ti sta manipolando e usando per i suoi scopi malvagi!»
«STA’ ZITTO!» urlò Christ, menando un colpo di spada diretto contro Joshua.
«Christ!»
Rory scattò in avanti e incrociò la lama di Excalibur con quella della spada nera di Christ, Clarent, la spada che Mordred usò per uccidere suo padre Artù, parando il colpo.
«Christ, ma sei impazzita!? Che cavolo ti prende!? Calmati!» gridò Alyssa.
«Non osare mai più rivolgerti in quel modo al mio Aion, Joshua!» esplose Christ. «Tu non lo conosci, non sai niente di lui!»
Christ ritrasse Clarent e la rinfoderò, mentre le sue ali sparivano dalla sua schiena. «Io me ne torno nella mia stanza. Lasciatemi da sola!» Girò i tacchi e si allontanò in tutta fretta.
«Christ, no! Aspetta!» urlò Rory.
«Lasciala andare» le disse freddo Joshua.
«Col cavolo, Joshua! Fuori dai piedi!»
Rory scansò il ragazzo Alyssa e corse dietro all’amica, ormai lontana.
«Per mille salamandre in salamoia! Ma che cosa diamine le è preso!?» esclamò Alyssa.
«Siamo nei guai» disse Joshua. «Guai seri. Dobbiamo avvisare la direttrice Integra!»
«Ragazzi!»
Joshua e Alyssa si voltarono e videro Seras correre loro incontro.
«Seras, che c’è? Cos’è successo?» domandò Alyssa.
«Io… Joshua, mi dispiace tantissimo… ho cercato di fermarlo, ma…»
«Ma di che stai parlando!?» esclamò Joshua. «Seras, che cos’è successo?»
«Azmaria» disse Seras, chinando lo sguardo.
«Azmaria cosa? Che le è successo? Sta male?»
«Rapita» Seras non osò nemmeno alzare lo sguardo. «Azmaria è stata rapita».
«COSA!?» gridarono Alyssa e Joshua all’unisono.
«Ero con lei, e all’improvviso qualcuno mi ha colpito e mi ha messa fuorigioco, poi ha catturato Azmaria e l’ha portata via con sé… non ho potuto fare nulla… mi dispiace, mi dispiace così tanto…» balbettò Seras con voce rotta.
«Chi è stato? Chi è stato a rapirla? L’hai visto?» domandò Alyssa.
«Era un uomo vestito di nero, con gli occhi gialli… sembrava… fatto di oscurità e tenebra» Seras rabbrividì, e quel brivido di paura raggiunse anche Alyssa e Joshua lungo le loro schiene.


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Capitolo 14
*** Sii mia ***


Azmaria aprì piano gli occhi e sollevò lo sguardo.
Si trovava sdraiata per terra in un’immensa stanza, con al centro un trono di pietra grigia, e alla destra del trono vi erano sei cilindri trasparenti.
La ragazzina si accorse con orrore che all’interno di uno di essi c’era…
«Rosette!» trasalì Azmaria.
Era proprio lei, la sua carissima amica, ma era fredda e distante, le palpebre chiuse, sembrava più morta che viva!
«È tornata in sé, mio signore» ridacchiò una voce maschile.
Azmaria si sollevò in piedi e volse la sua attenzione verso il trono. Su di esso era seduto qualcuno che lei però non riusciva a distinguere, perché era nascosto dalle tenebre. Intravedeva solo due occhi rossi e sottili, privi di pupilla, ed una lunga veste nera.
Azmaria deglutì, intimorita, e la voce maschile di prima ridacchiò.
Alla sinistra del trono, Azmaria riconobbe l’essere che aveva tramortito Seras con una nera falce, per poi gettarle della sabbia nera sugli occhi, facendola svenire. Un uomo alto dalla pelle color cenere, i capelli disordinati e neri come l’ebano, il viso allungato, le braccia e le gambe lunghe, vestito con una lunga veste nera, gli occhi grandi e gialli, l’unica cosa in lui che non fosse nera.

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«Dormicchiato bene, piccolo Apostolo?» la schernì Pitch Black con una risatina.
Azmaria indietreggiò appena, fissandolo con gli occhi sbarrati.
«Hai paura, vero? Fai molto bene, ragazzina, non sai cosa ti aspetta». L’Uomo Nero rise di gusto nel vedere la giovane ammantata dalla paura, la sua era una risata assurdamente monopolizzatrice, che inchiodò Azmaria al suolo come un enorme martello.
«Smettila di disturbare la signorina, servo della malora» sbottò una voce maschile, profonda e cavernosa, che non fece altro che aumentare il livello di terrore di Azmaria. Sembrava provenire da quegli occhi rossi come il sangue. Pitch smise di ridere.
Poi gli occhi color della brace si posarono su Azmaria. Nonostante l’oscurità, la ragazzina percepì che quegli occhi le stavano sorridendo, di un sorriso che forse avrebbe voluto essere rassicurante, ma che in realtà era un ghigno malefico. Rabbrividì.
«Benvenuta, Azmaria Hendric» disse la creatura dagli occhi rossi nascosta nell’oscurità. «Ti stavo aspettando, giovane Apostolo dal canto miracoloso».
«Chi sei?» domandò Azmaria, la voce incrinata dalla paura.
«Ho molti nomi, ma sappi che per te sono un amico, e non intendo affatto farti alcun male».
«Mente, non dargli retta!» gridò una voce maschile. «Scappa, Azmaria!»
La ragazzina si voltò nella direzione da cui proveniva quella voce, e li vide: Chrono e Satella, le braccia saldamente incatenate alla parete, feriti e con gli abiti stracciati.
«Chrono! Satella!» Azmaria corse verso di loro e li abbracciò forte, piangendo e singhiozzando.
«Guarda, guarda» fece Pitch, con un ghigno. «Che adorabile riconciliazione…»
«Mi sono sempre piaciute le scenette commoventi» ridacchiò il Signore Oscuro.
Azmaria sciolse l’abbraccio e guardò i suoi amici con le lacrime che le rigavano il volto. «Pensavo di non rivedervi mai più… pensavo che foste morti…»
«Siamo duri a morire, lo sai» ironizzò Satella con un debole sorriso. «Azmaria, Joshua sta bene? È al sicuro?»
«Sì, sì, tranquilla, è all’Hellsing, dove mi trovavo io un attimo prima!»
«Azmaria, devi assolutamente scappare da qui» la avvisò Chrono. «Altrimenti ti faranno esattamente quello che hanno fatto a Rosette!»
«Tempo scaduto» disse il Signore Oscuro. «È tempo di salutare i tuoi amichetti, giovane Apostolo, perché questa è l’ultima volta che li vedi».
«No!» gridò Chrono. «Azmaria, attenta!»
Ma prima che Azmaria potesse minimamente reagire, dal nulla sbucarono degli stalloni neri come la notte, scheletrici e dagli occhi gialli, che accerchiarono la ragazzina e la costrinsero a retrocedere al centro della sala, lontano da Chrono e Satella.

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Azmaria strillò di paura.
«Non toccatela!» urlò Satella, divincolandosi. «Lasciatela stare!»
Pitch scoppiò in una fredda risata, mentre gli incubi purosangue dilatavano le narici fiutando la paura di Azmaria e le si avvicinavano. L’Apostolo continuò a indietreggiare, cercando di mettere più distanza possibile tra lei e quelle creature ripugnanti, e così facendo si ritrovò a dare le spalle al trono, ai piedi dell’Oscuro Signore.
«Fa’ dei begli incubi, mio piccolo e ingenuo Apostolo» ridacchiò l’essere oscuro.
Dall’oscurità del trono si protese una mano dalle dita affusolate, priva di unghie e vagamente umana, nera come la più nera delle notti, rivestita dalla manica lunga e pendente di una tunica nero inchiostro.
La mano sfiorò la schiena di Azmaria e poi si ritrasse, con una risata agghiacciante.
Azmaria inarcò la schiena sgranando gli occhi, mentre una paralisi innaturale si diffondeva dalla schiena lungo tutto il suo corpo.
La ragazzina distese le braccia lungo i fianchi, unì le gambe e serrò palpebre e labbra, poi non si mosse più, mentre la sua pelle assumeva un inquietante pallore cadaverico.
Un lampo di luce violacea ed Azmaria svanì, per poi ricomparire all’interno di uno dei cilindri di vetro vuoti, accanto a Rosette.
L’urlo strozzato di Chrono e Satella si unì alla risata agghiacciante del perfido Signore Oscuro, e quel suono maledetto risuonò a lungo in tutto il Castello Oscuro.


***


Alucard sgranò gli occhi, mentre uno sgradevole senso di inquietudine si impadroniva di lui.
Era successo qualcosa, qualcosa di terribile. L’aveva percepito anche un’altra volta, quando Chrono era scomparso dalla circolazione.
Chrono.
Dov’era finito quella testa calda di un demone? Possibile che non potesse girare lo sguardo senza che suo fratello si cacciasse nei guai, assieme a quella ragazzina di Rosette?
Non avrebbe mai permesso che gli accadesse nulla di male. Chrono era l’unico residuo della sua famiglia che gli fosse mai rimasto.
Famiglia. Da quanti millenni non aveva più usato quella parola per descrivere lui e Chrono. Da quanti millenni aveva cercato con tutte le sue forze di dimenticare i suoi genitori.
«Alucard? Stai bene?»
Il Conte non si voltò, ma, come ogni volta che sentiva la sua voce, non poté impedirsi di sentirsi più leggero, più… felice. Subito quei cupi pensieri svanirono dalla sua mente, quasi non ci fossero mai stati. Rory aveva davvero un potere molto strano su di lui.
«Guarda che se ti azzardi a rispondermi con “Dovresti essere a letto” ti tolgo il saluto!» sbottò Rory.
Alucard rise e si voltò verso la ragazza, sfiorandole la guancia in una delicata carezza.
Rory arrossì di botto, ma sul suo viso era dipinta un’espressione beata.

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«Che cosa ci fai tutta sola in terrazzo, piccola preda?» domandò Alucard con un ghigno.
«Nulla di particolare… ehi! Come mi hai chiamata!?» Rory gli lanciò un’occhiataccia, scatenando l’ilarità del vampiro. «Stai bene, Alu?»
«Perché mi fai questa domanda?»
«Sei parecchio… distante, in questi ultimi giorni. C’è qualcosa che ti turba, vero?»
«Se anche fosse?». Alucard le accarezzò i capelli, pensieroso.
«Dimmi che cos’hai» lo invitò Rory.
«E se non volessi rivelartelo?» Alucard percorse il profilo del suo collo e del suo volto con le dita. Rory avvertì un fremito di eccitazione.
«Se non me lo dici sei cattivo, e anche tanto» borbottò Rory, mettendo il broncio.
«Così mi offendo». Alucard ridacchiò, ma poi fece un respiro profondo. «Temo per mio fratello minore, Rory. È in mano a dei cani rognosi, e se gli succede qualcosa, non me lo perdonerei mai».
«Hai un fratello?» domandò Rory, incredula.
«Sarebbe meglio dire fratellastro…»
«Non lo sapevo… non me l’avevi mai detto…»
«Non ti serviva saperlo». Alucard la fissò dritto nelle iridi color dell’oceano. «Perlomeno finora».
«Come si chiama?»
«Chrono». Alucard chinò lo sguardo, quasi si fosse perso in ricordi dolorosi. «Avevo solo dodici anni quando mia madre venne sedotta da Kallister, un demone, e lei rimase incinta di Chrono. Cercò di nasconderlo in tutti i modi, ma invano. Mio padre, Vlad II, la scoprì, e la fece arrestare per adulterio. Ma mia madre riuscì a fuggire, aiutata dalle serve e da me. Si rifugiò in una capanna nel bosco dove vivevano dei contadini, e lì diede alla luce Chrono, per poi morire».
Rory lo fissò con gli occhi sgranati, toccata dal dolore e dalla tristezza che quella storia le aveva suscitato. «Mi dispiace…» mormorò. «So che cosa si prova…»
Il vampiro non disse una parola, ma la strinse a sé, cingendole la schiena con le braccia.
Rory affondò le mani nella sua camicia e si avvinghiò di più al suo petto, desiderando con tutta sé stessa che quell’abbraccio in cui era stretta non finisse mai.
Lui c’era. Lui c’era sempre stato, non l’aveva mai abbandonata, l’aveva sempre amata, prima come una figlia, e adesso, lo percepiva chiaramente, come l’amore della sua vita. E in quell’istante che i loro corpi erano abbracciati, sentiva che era suo, e che lo sarebbe stato per sempre. Da quando l’aveva presa con sé, Rory aveva deciso che sarebbe appartenuta a lui e a nessun altro. Solo quando era con lui, quando le rivolgeva quei suoi sorrisi sghembi, quello sguardo profondo e ammaliante, quando sentiva la sua risata ironica eppure così adorabile, quando la chiamava con quella voce angelica eppure così tentatrice, solo quando si ritrovava tra le sue braccia, Rory si sentiva al sicuro, si sentiva davvero al sicuro, sentiva di aver trovato il suo posto nel mondo.
Alucard posò le labbra sul suo capo, inspirando il profumo dei suoi capelli.
Non ci riusciva. Non riusciva a starle lontano, non riusciva a reprimere il desiderio di averla, non riusciva a sopportare di stare lontano dal suo calore, dal suo viso sorridente, dalle sue guance rosse come ciliegie, dalla scintilla del suo sguardo quando capiva che la stava prendendo in giro…
Gli aveva preso il cuore. Un cuore avido e ormai privo di battito, certo, eppure era stata in grado di rubarglielo lo stesso. E adesso lui voleva quello di lei. Puro e pulsante.
La mano guantata del vampiro si allacciò ai capelli corvini di Rory in una sensuale carezza, scostandoli appena per scoprire il collo candido.
«Alu? Cosa stai…?»
Il vampiro si chinò, per depositare un sottilissimo bacio sulla vena pulsante. La ragazza si irrigidì quando le braccia del ragazzo si chiusero possessivamente attorno alla sua vita, scaricandole addosso una cascata di brividi.
«Alu…!»
Le iridi rosso sangue dell’uomo si accesero di una sfumatura infuocata quando catturarono quelle color del cielo di Rory, la bocca si distese in un sogghigno.
La presa sulla vita della giovane si intensificò, tanto da schiacciare i loro corpi l’uno con l’altro.
Il sangue cominciò furiosamente a correre nelle vene di Rory, accendendo una bollente scintilla negli occhi assetati del vampiro che, sorridendo, appoggiò la fronte contro quella della ragazza.
«Stai forse cercando di provocarmi?» ridacchiò tra i denti, accarezzandole la schiena con lenti ghirigori.
Le dita fredde si insinuarono sotto il bordo del maglione, sollevandolo appena.
«Ti mostrerò un mondo totalmente nuovo, Rory» bisbigliò il vampiro, pronunciando il suo nome con un’enfasi suadente.
«Alucard… io… io non…»
«Sii mia, Rory». La voce del vampiro si fece più profonda, mentre le mani scivolavano sulla pelle nuda della schiena sinuosa della ragazza. Poi premette le labbra contro quelle della ragazza.
Rory, quasi senza riflettere, si lasciò annegare in quel vortice di emozioni e sensazioni che la invase; schiuse le labbra e catturò con esse quelle di lui quasi con un’urgenza violenta, inspirò l’aroma del compagno e gli cinse il collo con le braccia.
Poi, dopo un’eternità, le loro bocche si separarono, riluttanti.
Alucard percorse il profilo del suo collo con le labbra, inspirando a fondo l’odore soave della pelle.
«Hai un profumo delizioso, piccola».
Il cuore della ragazza cominciò a galoppare, rinchiuso nella gabbia formata dalle sue costole. Il sangue sembrava essersi trasformato in lava, ed il respiro non era altro che un fievole rantolo.
Una parte della ragazza desiderava disperatamente fuggire, un’altra la tratteneva dal respingere l’abbraccio dell’uomo.
«Hai paura? Essere qui con me, tutta sola...» Alucard percorse la linea del collo di Rory, salendo fino all’orecchio.
«No…» Le parole morirono sulla bocca della giovane, che si sentiva fremere d’eccitazione sotto al leggerissimo tocco delle labbra del vampiro che le baciavano la pelle.
«Lì dove regna il silenzio, è il tuo corpo a parlarmi» soffiò Alucard al suo orecchio, per poi riprendere a baciarle il collo, compiendo stavolta il percorso all’indietro.
«Alucard...»
«Il tuo sangue canta per me, scorre nelle tue vene come la meravigliosa voce di una sirena».
Il vampiro le afferrò il mento sollevandolo, di modo che i loro sguardi si intrecciassero ancora una volta e lui potesse stregarle l’anima.
«Non ho mai sentito melodia più bella, Rory».
La giovane non disse nulla, avvicinò il proprio a volto e chiuse le labbra su quelle fredde, eppure morbide e irresistibili, del vampiro.
Mentre l’amore incatenava con suadente passione i due innamorati, una creatura oscura dagli occhi rossi e malefici li osservava, attraverso uno specchio di cristallo, e nell’oscurità ghignava perfido.


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Capitolo 15
*** Dolore ***


Christ, seduta sul parapetto dell’immenso terrazzo dell’Organizzazione Hellsing, stringeva le ginocchia contro il proprio petto, mentre le lacrime le annebbiavano e le scendevano inesorabili lungo le guance.
Basta! Non voleva più restare lì, in quel dannato posto, sotto lo stesso tetto di quel bastardo assassino di Alucard! Voleva prenderlo, voleva colpirlo, voleva farlo soffrire! Voleva fargli provare una minima parte del dolore che aveva provato quando l’aveva uccisa, quando aveva creduto di aver perso Rory per non essere riuscita a proteggerla come si deve!
Se avesse potuto avrebbe preso a pugni Joshua… non si doveva permettere di parlare in quel modo di Aion! Che assurdità andava blaterando! Joshua non sapeva un bel niente di Aion.
Un rumore di passi in avvicinamento risuonò alle sue spalle, ma Christ lo ignorò, affondando la testa tra le ginocchia, immobile, singhiozzando.
«Ohi…»
Christ alzò la testa e si voltò di scatto, tentando di asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. «Subaru…»
Il vampiro la scrutò impassibile con i suoi occhi di corniola. «Che cos’hai?»
«Niente…» mormorò Christ. «Non sono affari tuoi…»
Subaru non rispose, si avvicinò e si sedette accanto a lei sul parapetto, scrutando il cielo tempestato di stelle scintillanti. Christ lo imitò, facendo un respiro profondo.
«È vero, non sono affari miei… infatti non ho intenzione di chiederti perché piangi, né perché sei venuta qui da sola…» disse Subaru.
«Allora perché sei qui?» domandò Christ.
«Perché posso stare dove mi pare e piace».
«Okay» sbuffò Christ, irritata. «Allora io me ne vado!»
E così dicendo la vampira si alzò, gli voltò le spalle e fece per andarsene.
«Sei davvero masochista» le arrivò da dietro la voce di Subaru.
Christ si girò. «Perché?»
Subaru si alzò in piedi. «Mi prendi per stupido? È evidente che stai male».
«E allora? Sono affari miei! Non sono cose che ti devono interessare…»
Lui le si avvicinò, arrivando ad un centimetro di distanza da lei. «Perché fai così? Perché vuoi fare il mio stesso errore? Perché vuoi trasformarti in una creatura repressa e violenta come me?»
«Smettila di insultarti e disprezzarti, tu non c’entri niente! Io sono così, okay? E poi sono già una creatura violenta…»
Subaru le puntò addosso gli occhi rossi, quasi non riuscisse a credere alle proprie orecchie. «Tu? Tu che sei riuscita a leggermi nell’anima, pensi davvero di essere così?»
Christ non riuscì ad articolare parola. Si perse in quello sguardo profondo incastonato in quel volto dai lineamenti bellissimi ed immortali.
«No, tu non potresti mai essere così abietta. Sei delicata come le rose in primavera» sussurrò Subaru.
«Tu non mi conosci, non puoi sapere come sono…» mormorò Christ.
«Ah, no?». Subaru alzò un sopracciglio. «Io lo so invece. So che non staresti qui un minuto di più, se non fosse per la tua amica, Rory…»
«Perché ti interessa tanto come sto?»
«Non sono affari tuoi…» sbuffò il vampiro.
«Sì che lo sono invece!» sbottò la vampira.
«Sei sempre così testarda?». Il tono con cui Subaru pronunciò quelle parole sembrava sottintendere un’accusa.
Christ annuì, sfacciata.
Il vampiro scosse la testa. «Sei diversa da qualunque altra ragazza, umana o vampira, abbia mai conosciuto…»
«Dovrei prenderlo come un complimento?»
«È semplicemente la verità…»
«Grazie» mormorò Christ. Era la cosa più carina che le avessero mai detto.
«Dai buona mostra di te» disse Subaru, lentamente. «Ma scommetto che soffri molto più di quanto dimostri».
Christ chinò lo sguardo. «È vero… ma io odio far vedere agli altri che sto male…»
«Tanto che ne possono sapere loro?» sbottò Subaru, più a sé stesso che a lei. «Cosa ne vogliono sapere di quello che significa soffrire? Guardare impotenti mentre i propri cari sono in pericolo e non poter fare nulla per aiutarli? Che ne vogliono sapere, gli altri?»
Christ sbuffò. «Non ne sapranno mai niente… del dolore… perdere una persona cara è niente, dal perderle tutte…»
«Hai perso qualcuno anche tu, vero?»
«Qualcuno!?» esclamò Christ. «Ho perso tutta la mia famiglia… il mio intero villaggio… mi resta solo Rory, ormai… e credevo di aver perduto per sempre anche lei…» Al solo pensiero, le lacrime ricominciavano a rigarle le guance, copiose.
Subaru le prese il mento con le dita e lo sollevò, guardandola intensamente.
«Non si può descrivere un dolore così…» singhiozzò Christ.
«Né lo si può capire» ribatté Subaru. «Se non lo si è mai provato… e fidati, io posso capirlo…»
«Lo so» mormorò Christ. «Tu hai perso tua madre, la persona più importante della tua vita… so che puoi capirmi… almeno tu…»
«Fa un male bestia non sfogarsi…». Subaru la strinse a sé, accarezzandole i capelli.
Senza riflettere, Christ gli cinse la schiena con le braccia. «Grazie… ma ormai il pianto è il mio sfogo…»
«Invece… la rabbia è il mio…»
Christ alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi. «Me ne sono accorta, signor Scorbutico…»
Subaru imprecò fra i denti, e Christ scoppiò a ridere.
«La tua faccia è stata fantastica!» esclamò Christ, tra le risate.
«Sei… bellissima…» mormorò Subaru, quasi con fatica. «Quando ridi…». Le sfiorò la guancia col dorso della mano, in una carezza delicata.
Christ avvertì il fiato profumato del vampiro sul proprio viso; lentamente lui le si avvicinò, e premette le labbra sulle sue. Christ chiuse gli occhi e dischiuse le labbra, abbandonandosi a lui.
Il tempo sembrava essersi fermato, per intrappolarli eternamente in quell’istante.
“Christ, cosa stai facendo!? Fermati! Pensa ad Aion!” le disse una parte di lei.
Ad un tratto riuscì a pensare lucidamente e si ritrasse, rossa come un peperone.
Subaru sembrò non averci fatto caso; catturò una ciocca dei suoi capelli color della luna, accarezzandola con innaturale delicatezza, come se stesse toccando qualcosa di molto raro e prezioso.
Christ abbassò lo sguardo.
«Perdonami». Subaru lasciò andare la ciocca, mesto.
«Non… fa… niente…» balbettò Christ, sempre più rossa.
«Non avevo alcun diritto.»
«Ti ho detto che non fa niente, quindi smettila…»
Subaru si voltò, dandole le spalle. «Ti lascio sola. Non… non ti importunerò più…»
«Peccato… la tua compagnia… non mi dispiace… anche quando… sei irritante…» balbettò Christ.
A quelle parole, Subaru si voltò, abbozzando un sorriso che lasciò Christ senza fiato. «Mi fa… bene… parlare con te…»
«Fa bene anche a me» mormorò Christ. «Sei più simpatico di quanto dai a vedere…»
«Odio mostrarmi simpatico… non voglio che le persone mi si affezionino…»
«Peccato». Christ lo fissò intensamente.
«Non è peccato rifuggire alla sofferenza» obiettò Subaru. «Per questo non voglio amici… potrei perderli e soffrirne la mancanza. E non voglio che accada…»
«Questo non è rifuggire la sofferenza» replicò Christ. «Questa è paura…»
Subaru la fulminò con lo sguardo, ma la ragazza non si lasciò intimorire.
«Fifone!». Christ gli fece una linguaccia.
«Stupida ragazzina…» imprecò il vampiro.
«Stupida impertinente, vorrai dire!» lo corresse Christ ridendo.
«Mocciosa presuntuosa, bambina cattiva e ragazzina arrogante!»
«Ed ecco il solito Subaru scontroso… IO NON SONO UNA BAMBINA!!!»
«Invece sì» sghignazzò Subaru.
«Invece no!»
«Sì!»
«No!»
«Ohhh sì!»
«No, no e no!»
Subaru scoppiò a ridere, una risata calda e gioiosa, che gli illuminava l’affascinante viso immortale. Christ trattenne il fiato perdendosi in quella magnifica visione.
«Antipatico» borbottò.
Subaru le schioccò un bacio sulle labbra e poi si allontanò. «Ci vediamo…» sussurrò, sparendo alla sua vista.
«Ciao…» mormorò Christ, il cuore in subbuglio. Rimase per un po’, lì, ferma, chiedendosi se tutto quello che era appena successo non fosse stato frutto della sua immaginazione.
Fu allora che qualcuno la abbracciò da dietro. «Come sta la mia deliziosa spia?»
«Aion!» trasalì Christ.
«Ciao, piccola.»
«Ciao… mi hai spaventata! Sai quanto odio quando mi arrivi alle spalle!»
«Oh, suvvia, non fare così». Aion la prese per un braccio e la fece girare, stringendosela al petto. «Chi era quel ragazzino con cui ti ho intravista un attimo fa?»
Christ impallidì. «Un vampiro… che lavora qui…»
«Non mi piace, ti sta troppo vicino» sogghignò Aion, ma non sembrava furioso. «Sai che sono geloso, tu sei solo mia, piccola…». E le mordicchiò l’orecchio.
«Ah… lo so… come mai sei qui?»
«Passavo solamente a trovarti, mia bellissima» rispose Aion. «Domani conti di continuare ad allenare i tuoi amici Apostoli?»
«Sì… e a proposito di questo…». Christ gli raccontò di Joshua e ciò che il ragazzo aveva detto nei suoi confronti.
Aion non parve affatto turbato. «Joshua è stato plagiato da chi la pensava diversamente da me… devi capire che non è facile far capire quanto sia importante per l’universo il nostro scopo. Ma non temere, lo aiuteremo a tornare sulla retta via, come le tue amiche. Prima però dovrai finire di insegnare Rory e Alyssa. Porta loro e Joshua all’Hyde Park per completare il loro addestramento.»
«Okay, va bene.»
«Brava, piccola» disse l’uomo, cominciando a baciarle la spalla. Al contatto delle labbra sulla sua pelle Christ sentì un brivido salirle lungo la schiena, e non era un brivido di piacere, ma di ribrezzo, e non ne capiva il motivo. Poi Aion mise una mano sulla spalla della giacca e la tirò in giù, lasciandole la spalla scoperta. Christ lo fermò, allontanandosi di botto.
Aion la fissò, divertito. «Cos’hai, piccola? Non ti piace qui? Preferisci che andiamo nella tua stanza?»
«No…» balbettò Christ. «È solo che… non ho voglia… e poi potrebbero vederci… e gli altri mi staranno cercando… devo andare…».
E così dicendo se ne andò, lasciando Aion da solo sulla terrazza, che la fissava attraverso le lenti degli occhiali con un’espressione indecifrabile.


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Capitolo 16
*** Aion ***


L’Hyde Park era uno spazio ampio, immenso, rotondeggiante e verdeggiante. E a quell’ora della notte, completamente privo di turisti e visitatori. Un luogo perfetto per esercitarsi.
Quel luogo aveva sempre affascinato Rory, soprattutto perché lì accanto c’erano i Giardini di Kensington, dove si trovava la famosissima statua di bronzo del suo eroe, Peter Pan.
Dopo l’allenamento, alla faccia di tutti, si sarebbe insinuata nei Giardini e le avrebbe dato un’occhiata. Ne aveva solamente sentito parlare dai racconti di Alucard e di Lady Integra, ma non aveva mai avuto l’occasione di poterla vedere veramente dal vivo.
Quel giorno con loro era venuta anche Seras, a sentire lei perché si annoiava spesso ed era molto curiosa ad assistere agli allenamenti, ma quando aveva affermato ciò era diventata rossa, balbettava e lanciava mezze occhiate a Joshua, che arrossiva e balbettava a sua volta, accettando la sua venuta a nome di tutti. Che accidenti stavano macchinando quei due?
Rory aveva chiesto anche ad Alucard di venire, sebbene, non poteva negarlo, gliel’avesse chiesto anche lei balbettando e arrossendo. Si ricordava ancora i baci e le carezze di quella notte, e adesso la imbarazzava parecchio trovarsi al cospetto del vampiro.
Alucard non aveva ridacchiato come al solito o dato una risposta ambigua sorridendo maliziosamente, le aveva solamente risposto, con un tono freddo e distaccato: “Ci sarò. Non immediatamente, ma ci sarò”. Dopodiché era sparito attraverso il muro, come perso nei propri pensieri, senza neppure salutarla.
Rory ci era rimasta di stucco. Ma che cosa gli era preso? Non l’aveva mai trattata così.
Se doveva essere del tutto sincera con sé stessa, aveva voluto invitarlo perché sperava in un’occasione in cui rimanessero da soli… e potessero parlare di quello che era successo. Ammesso che Rory ne avesse avuto il coraggio. Al solo pensiero la bocca le si seccava.
Nella sua testa quella notte la scena si ripeteva avanti e indietro, e le sensazioni erano quasi vivide; la mano fredda di lui che le sfiorava la schiena, il tocco delle labbra, la forza con cui le cingeva i fianchi...
Quasi non riusciva a crederci. Aveva baciato Alucard. Anzi, era Alucard che aveva baciato lei, e per la seconda volta di fila. Questa volta, però, vi era qualcosa di più; lei quel bacio l’aveva ricambiato con tutta sé stessa.
Ma ora che succedeva? Stavano insieme? Per la miseria! Lei non sapeva un accidente di rapporti sentimentali! L’unico sentimento che avesse mai provato per qualcuno era per il Conte Dracula!
“Oh cavolo…”. Arrossì di botto.
Be’, alla fine l’aveva ammesso anche con sé stessa. Era innamorata di Alucard.
Totalmente, incondizionatamente innamorata di lui.
Ma lui, lui che cosa provava per lei? Anche lui l’amava? Dopotutto l’aveva baciata, no? Mica l’aveva fatto così per scherzo? O invece sì? Magari quella volta aveva baciato lei, ma magari un’altra notte aveva baciato Seras, o forse addirittura Lady Integra… e poi l’aveva trattata in quel modo… forse lei era andata male? Porca miseria… magari avrebbe dovuto tenere il naso dall’altra parte e tenere la lingua più in fuori…
«Accipicchia, come si sta bene qui fuori!» esclamò Seras, tutta frizzante. «C’è un venticello davvero piacevole!»
Rory sentì un groppo in gola. Se Alucard fosse stato lì, sicuramente avrebbe detto che quella era una notte bellissima, con una luna meravigliosa. E lei si sarebbe trovata subito d’accordo.
Lanciò un’occhiata ai suoi compagni: oltre a lei e Seras vi erano Joshua e Christ. Alyssa non c’era, era rimasta all’Hellsing assieme a Sebastian, Subaru e… Alucard. Rory non poté pensare il suo nome senza che il suo stomaco si contorcesse sgradevolmente.
Tra Joshua e Christ si avvertiva una certa tensione: si tenevano a distanza di sicurezza e non si parlavano propriamente in modo diretto.
«Rory, come sicuramente ricorderai dall’ultimo incontro, ti abbiamo spiegato come fare per poter evocare le ali» esordì Joshua.
Rory annuì.
«Bene, allora è il momento che provi a mettere in pratica quello che ti abbiamo detto» affermò Christ.
Rory annuì ancora, quindi chiuse gli occhi e si concentrò. Immaginò le ali, così come le aveva visto il giorno che le erano comparse quella notte. Immaginò di essere uccello e di spiegare le proprie ali.
Attese per un tempo che le parve infinito, poi si decise ad aprire gli occhi e voltò la testa dietro di sé. Trattenne a stento un gridolino di gioia. Le sue candide ali angeliche erano lì, più grandi e belle che mai!
«Brava, Rory!» si complimentò Seras.
«Ottimo lavoro» le sorrise Christ. Poi lanciò un’occhiataccia a Joshua, che era rimasto zitto.
«Sì, non male» commentò il ragazzo. «Ma ci hai messo molto tempo, devi esercitarti di più. Ora prova a farle sparire».
«Va bene». Rory chiuse gli occhi e si concentrò. Di nuovo immaginò di essere un uccello, stavolta però che piegava le proprie ali e le chiudeva. Dopo un po’ riaprì di nuovo gli occhi, e le ali erano sparite nel nulla.
«Molto meglio» commentò Joshua. «Ci hai messo meno di prima. Come ho detto, devi esercitarti di più. Riprova».
Ma prima che Rory potesse minimamente reagire, la terra iniziò a tremare, ed un forte vento iniziò a soffiare, facendo vorticare i capelli dei quattro ragazzi.
«Aaah! Ma che cosa diamine succede!» urlò Seras, cercando di smorzare il rumore del vento con la voce.
«Non… lo… so!» le urlò in risposta Christ, tentando di ripararsi con le braccia.
Fu allora che Rory avvertì una strana sensazione: era come se una sorta di potentissima vibrazione si fosse diffusa nell’aria, scuotendo l’ambiente intorno.
Joshua trasalì. «È qui!» gridò, visibilmente sconvolto. «Lui è qui!»
Rory sollevò lo sguardo, e attraverso i capelli che le arrivavano sulla faccia, scorse un’aquila testabianca volare a bassa quota.
«Ma che cosa…»
L’aquila planò e andò a posarsi sul braccio destro di un uomo, il quale si voltò e fissò Rory, dritto negli occhi. Una morsa gelida artigliò il petto della ragazza, cavandole il respiro.

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Era un uomo alto e slanciato, avrà avuto più o meno ventotto, massimo trent’anni. La pelle era liscia e abbronzata, i capelli biondo platino, lunghi e raccolti in una coda, gli occhi erano grandi e a mandarlo, dalle iridi violacee, e portava un paio di occhiali. Indossava un lungo abito di un bianco candido con una mantella, e sul suo braccio stava appollaiata l’aquila, che aveva gli occhi rossi e fin troppo intelligenti per un comune volatile.
L’uomo sorrise a Rory, un sorriso così caldo e aperto, così maledettamente sincero e credibile… la giovane ne ebbe orrore.
All’apparire dell’uomo, il vento e il terremoto cessarono come d’incanto. E finalmente Rory capì che quella vibrazione che aveva avvertito proveniva da quell’uomo.
E questo significava solo una cosa.
«È un demone!» sentì gridare Seras, dando voce ai suoi pensieri.
L’uomo non staccava gli occhi di dosso a Rory, ma quando udì la vampira parlare si voltò verso di essa. A quel punto, parlò.
«Chi? Io?». Aveva una bella voce, profonda e calda. «Che immagine banale. Io sono l’Alfa e l’Omega. Il principio e la fine».
Joshua fece un verso sprezzante. «Aion» ringhiò.


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Capitolo 17
*** Verità ***


«Ciao Joshua, è tanto che non ci si vede» disse placido Aion, rivolgendosi al ragazzo come se fosse un vecchio amico che non vedeva da chissà quanto tempo.
Joshua era come pietrificato alla sua vista, teneva i pugni serrati e lo sguardo assottigliato.
Seras guardava i due che si fissavano, uno in cagnesco, l’altro benevolmente.
«Chi sei?» domandò la vampira, in tono autoritario.

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L’uomo sorrise. «Permettetemi di presentarmi. Il mio nome è Aion».
Joshua tese le braccia e i suoi sai ninja gli comparvero in mano; li strinse in pugno e scattò in avanti, dritto contro Aion, mentre le nere ali corvine gli esplodevano sulla schiena.
«Joshua, non farlo!» sentì gridare Christ.
Ma Joshua non la ascoltò, e scagliò in avanti con forza le lame dei sai, con tutta l’intenzione di conficcarle nella carne di Aion.
Il demone non sembrava impaurito e neppure agitato. Tese la mano e cinse entrambi i polsi di Joshua, torcendoglieli dolorosamente. Il ragazzo gemette.
«Joshua!!!» strillò Seras.
Aion ridacchiò, posò una mano sul ventre dell’Apostolo e da essa scaturì un raggio d’energia che scagliò via il ragazzo con una violenza inaudita. Il giovane volò all’indietro a cinque metri e poi cadde rumorosamente a terra, con un gemito acuto.
Seras urlò di nuovo il suo nome e corse subito da lui, aiutandolo a rialzarsi.
Rory e Christ avevano fissato la scena con gli occhi sgranati, incapaci di reagire.
«Joshua, sei troppo impulsivo». Alucard fuoriuscì dal terreno poco per volta e poi atterrò in piedi, la mantella rossa e i capelli neri che svolazzavano al vento e gli occhi rosso sangue che brillavano attraverso gli occhiali dalle lenti gialle.

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Rory trattenne il fiato.
«Alucard» lo accolse Aion con un sorriso benevolo.
«Salve Aion» rispose Alucard, freddo e distaccato. «Cosa ci fai qui?»
«Che peccato…» borbottò Aion. «Non mi aspettavo lanci di fiori, ma almeno un saluto caloroso…»
«Be’, l’educazione è alquanto diminuita nel corso dei secoli. Ciononostante cosa ci fai qui?»
Rory guardò Alucard per delle risposte… quei due si conoscevano? Come? Perché? Cosa aveva omesso di dirle il Re dei Vampiri per tutto quel tempo?
«Vedo che alla fine la mia deliziosa spia ha acconsentito a portarvi dove le avevo espressamente detto…» ridacchiò Aion, lanciando un’occhiata a Christ. «Vero, piccola?»
Tutti si voltarono a guardare Christ, allibiti, Alucard con uno sguardo indecifrabile.
«Tu hai fatto cosa!?» esclamò Joshua.
«Io… io… Joshua, Rory, voi non capite! Lui ci può aiutare!» gridò Christ, gli occhi lucidi.
Rory era scandalizzata. «Christ! È un demone! Perché un demone dovrebbe aiutarci!? In che modo!? Perché!? Ma ti sei impazzita!?»
«Ma lui non è cattivo… lui mi ha salvata e mi è stato accanto quando non c’era nessuno!»
«È un demone!» urlò Rory. «Ti ha sicuramente solo usata per i suoi scopi malvagi!»
«Anche Sebastian è un demone!» ribatté Christ. «Eppure non parli di lui allo stesso modo! E parli di sfruttamento… che cos’ha fatto Alucard con te? La stessa identica cosa! Ti ha mentito, sempre! È STATO LUI AD UCCIDERE ME E TUTTO IL NOSTRO VILLAGGIO!»
Quelle parole presero Rory talmente di sorpresa che non riuscì nemmeno ad articolare una parola. Rimase inebetita a fissare Christ.
«No, non è vero» sussurrò Rory. «Io l’ho visto, non… non può essere stato lui».
«La notte in cui tutto accadde, io ero lì» raccontò il vampiro, con voce pacata. «Raggiunsi il villaggio quando quel demone ormai l’aveva quasi raso al suolo e ormai tutti gli abitanti erano stati trucidati. Solo due bambine erano ancora vive. Assistetti impotente alla morte di Christ, ma riuscii a trarre in salvo Rory e a portarla con me all’Hellsing. Più di ogni altra cosa al mondo avrei voluto uccidere quel lurido demonio, ma purtroppo egli riuscì a sfuggirmi». Fece una pausa, poi si rivolse a Christ. «No, ragazzina. Io non sono il responsabile della tua morte, né della distruzione del tuo villaggio. L’unica colpa che ho mai avuto è che sono stato incapace di impedire tutto questo».
Christ deglutì a fatica, toccata dal dolore che quelle parole le avevano suscitato. Lo guardò dritto negli occhi, e poté vedere con assoluta certezza che ciò che diceva era vero. Non mentiva.
«Aion! Lui… sta dicendo la verità, non è così!?» esclamò Christ.
Aion rise. «Finalmente, dopo un po’ di tempo, ci sei arrivata, mia piccola deliziosa spia… dovevo dirti qualcosa, perché tu ti intrufolassi all’Hellsing e conducessi da me i tuoi cari fratelli Apostoli…»
Christ per poco non barcollò per lo sconvolgimento. «Mi hai mentito… mi hai usata come mezzo per i tuoi scopi, mi hai usata come giocattolo per… per… soddisfare il tuo lurido schifoso appetito sessuale!!!»
«Piccola, è nella mia natura» disse Aion, dolcemente. «Ma ti amo lo stesso… ci amiamo lo stesso! Dopotutto mi sono divertito con te… hai una pelle davvero morbida…». E si leccò le labbra.
«Potrei vomitare per tanto entusiasmo» fu il gelido commento di Alucard.
«Tu… tu sei un mostro schifoso!» sbraitò Rory, senza riuscire a trattenersi.
Aion rivolse lo sguardo verso di lei, e Rory si sentì gelare. «Ah, tu sei Rory Drakon. Vedo che sei diventata una bella ragazza».
«Detto da te, questo è un insulto, mostro» replicò freddamente Rory.

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«Che caratterino» ridacchiò Aion. «È un peccato che tu la pensi così… saresti stata un’aiutante valida…»
«Ringrazia che il tuo è solo un lurido pensiero» sogghignò Alucard, ma non c’era divertimento nel tono della sua voce, bensì una nota di minaccia bella e buona.
Aion lo ignorò, e si voltò verso Christ. «Io ti amo, piccola! Insieme possiamo fare grandi cose! Ti ho riportata in vita e ti ho cresciuta amorevolmente! Sono davvero un mostro, se ho fatto tutte queste cose e se ti offro un posto glorioso al mio fianco?»
«Mi hai mentito!!!» strillò Christ. «E a che pro!? Solo per arrivare ai miei amici, agli altri Apostoli!»
«Be’, questo è vero» concesse Aion. «Ma io ti ho anche amato, come nessuno dei tuoi presunti amici ha mai fatto».
«Amore!?» Alucard scoppiò a ridere, un’orribile risata senza gioia molto simile al latrato di un cane. «Tu osi chiamare amore il desiderio e il godimento che secerne da un rapporto sessuale con una donna, essere infimo dalla testa bacata!?»
«Non sono l’unico ad avere simili pretese» replicò Aion, asciutto.
«Ma certo, che sciocco» ridacchiò il vampiro. «Tutti i rifiuti di questo mondo sono esattamente come te».
«Anche tu, a quanto ne so…» sogghignò il demone.
«Attento a come parli, o ti ammazzo».
«E tu sta’ attento ai tuoi desideri, mio vecchio amico». Aion voltò la testa in direzione di Rory. «Solo dopo potrai giudicarmi…»
Alucard ammutolì.
«Sei senza parole?» lo schernì Aion.
«Diciamo che ti ascolto, ma attento a quel che dici.»
«Dunque… hai desiderato e avuto una ragazzina mortale… tu, un mostro immortale, una creatura della notte, una macchina per uccidere, l’essere più tenebroso che esista…» disse il demone, dolcemente. «Ora per te esiste soltanto Rory Drakon… ma dimmi, hai dimenticato i sentimenti che provavi per tua moglie Mirena? E per Mina Harker? E per la regina Elisabetta II?» Aion ridacchiò. «Eh sì, la lussuria è uno dei sette peccati capitali… ma il tuo è amore, vero? Una parola sempre di moda…»
Alucard non rispose. Ascoltava e fissava Aion in perfetto silenzio, il volto sembrava una maschera, innaturale e illuminata dal fuoco dei suoi occhi.

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“Mirena. Mina Harker. Elisabetta II.”
Quei nomi risuonavano nella testa di Rory incessantemente. Ma questo lo sapeva già di per sé, era palese che Alucard avesse avuto altre donne prima di… non sapeva se adesso poteva definirsi una sua donna, ora. Non sapeva ancora bene cosa provasse lui per lei.
«Cosa dirai alla tua amata Rory, adesso?» sogghignò Aion.
Alucard sospirò, combattuto, ed Aion scoppiò a ridere senza ritegno.
«Lascia in pace il mio Signore, brutto mostro!» sbottò Seras, ancora abbracciata a Joshua.
«Oh, ma per favore» rise Aion. «Non credi che il Conte, il Re Immortale, possa cavarsela?»
«Stronzo!!!» gli urlò contro Christ.
«Oh, che paroloni… sono delle cattive compagnie, piccola, se ti insegnano certe cose. Ma posso capirlo… non hanno la classe di noi demoni.»
«Almeno loro hanno avuto la decenza di dirmi la verità! Soprattutto Alucard!»
«Non ho richiesto aiuto di nessun tipo» disse Alucard, zittendo Christ con un’occhiata fulminante, poi si rivolse ad Aion. «Diciamo solo che non era il momento migliore di parlare di tutto ciò, e fidati, Aion, che continuare a stuzzicarmi non ti porterà nulla di buono… in ogni caso, dimmi, dove si trova mio fratello?»
«Ma davvero, amico mio, ti importa ancora lui… dopo averlo dimenticato e nascosto a tutti, senza averlo quasi mai contattato, dopo il tempo passato al mio fianco… e ancora vorresti provare a salvarlo? Dopo tutto questo tempo?». Aion sembrava educatamente colpito.
«Che mi piaccia o meno, è mio fratello, nel bene e nel male… e non hai risposto alla mia domanda.»
«Oh, non intendo farlo. In un certo senso ho bisogno di Chrono, e anche di te… perciò ti propongo un patto, succhiasangue…»
«Ti ascolto, Aion» concesse Alucard.
«Io ti conduco da Chrono. Ma tu fai la tua parte nel mio piano, quella che avresti voluto fare molti anni fa. Una volta realizzato questo, potrete andarvene insieme» sorrise Aion, benevolmente.
Alucard rise sgangheratamente. «Non ti smentisci mai… dopo tutti questi anni persegui ancora il tuo folle obiettivo, arrogante pezzente?»
«Assolutamente sì» rispose Aion. «È un piano perfetto, con un obiettivo nobile e giusto… appannaggio di tutti quelli della mia specie, ovviamente! Ma mi sono sempre mancati i mezzi… fino ad oggi». La bocca del demone si distese in un ghigno ripugnante. «Con i vostri talenti, riuscirò nella mia impresa».
«Hai fatto male i tuoi conti!» s’inalberò Christ. «Noi non ti aiuteremo mai!»
«Oh, sì che lo farete». Aion si materializzò di fronte a Christ. «Volenti o nolenti, mia bellissima». E le accarezzò dolcemente la guancia.
«NON TI AZZARDARE A TOCCARMI!!!» urlò la vampira con tutto il fiato che aveva in gola, ritraendosi e sferrandogli un violentissimo calcio che centrò il demone in pieno alla mascella.

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Aion barcollò all’indietro, sputando sangue.
Christ sogghignò, soddisfatta.

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D’istinto Rory sguainò Excalibur e si portò dinnanzi ad Aion, puntandogli contro la lama della spada. «Lascia stare la mia amica, verme schifoso!»
«Preferisci forse che passi a te, Rory Drakon?» sogghignò Aion con un sorriso famelico, gli occhiali che scintillavano. All’improvviso Rory sentì una specie di irrigidimento espandersi in tutto il corpo, impedendole ogni singolo movimento.
«Se solo ti azzardi a sfiorarla desidererai di non essere mai nato…» sibilò Alucard, più minaccioso che mai.
Senza badargli, Aion si avvicinò a Rory e le sollevò il mento con le dita. «È difficile scegliere tra te e Christ… molto difficile…»
Di scatto Alucard gli si materializzò di fianco, la nera pistola Jackall premuta sulla tempia destra del demone. «Toglile le tue manacce di dosso…». La voce del vampiro era diventata qualcosa di più simile ad un tuono, e si espandeva per tutta l’aria, paralizzando i cuori dei ragazzi lì intorno.
«Oh, interessante, so che hai dato dei nomi alle tue pistole… è paranoia?». Mentre Aion parlava, la sua mano stava scendendo, incessante, lungo il collo di Rory.
E la rabbia di Alucard esplose.


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Capitolo 18
*** Luke ***


«NON LA TOCCARE, BASTARDO SCHIFOSO!!!» ruggì Alucard, così forte da far tremare la terra. Tolse la sicura e sparò il proiettile, lesto e letale.
La pallottola di acciaio tredici millimetri trafisse la tempia di Aion e la squarciò, spillando sangue; il demone cadde a terra lungo disteso.
Fu allora che Rory riuscì a muoversi e corse subito da Alucard.
All’improvviso si sentì una risata sottile, di gola, pervadere l’aria. Proveniva dal cadavere di Aion.
«Ma che diavolo…!?» fece Seras.
Il corpo di Aion fu scosso dalle convulsioni. Poi la draculina guardò meglio e si accorse che non erano convulsioni, ma risate.
Aion stava ridendo. Sguaiatamente.
Poi, con un guizzo, il demone si rimise in piedi, come se non fosse mai stato colpito.
«Bel colpo, Alucard» si complimentò Aion, avanzando verso di lui. «Peccato che tu non sia all’altezza di competere con me».
«Mi permetto di dissentire, Aion» sogghignò Alucard, avanzando a sua volta verso l’avversario.
Rory, Christ, Seras e Joshua trattennero il fiato.
«Mi chiedo che fine abbia fatto colui che assieme a me voleva far scendere il Paradiso in terra, colui che credeva che fosse necessario compiere azioni concrete per poter attirare l’attenzione dell’ipocrita che si limita ad osservare il mondo senza fare nulla, lassù nel cielo» disse Aion, lanciando un’occhiata di disprezzo verso il cielo.
«Non c’è nessuno, né ipocriti né altri. Esiste solo il qui e ora, nient’altro di più. Paradiso? Inferno?». Alucard scoppiò in una risata psicopatica. «Non esiste niente di tutto ciò. L’unica cosa che ha un minimo di valore è ciò che viene costruito con le proprie mani, e il percorso fatto per ottenerlo.»
«Quanto spreco di potenziale… ti ostini a lottare per un mondo corrotto e depravato, sei sceso a patti con gli umani, le creature più meschine che abbiano mai popolato questa Terra!»
«Per quanto possano essere più meschini dei rifiuti come te, gli umani sono le creature che possiedono la più grande forza di volontà esistente, capaci di affrontare la vecchiaia e la morte. Sono stato umano anch’io, ma come la maggior parte di loro, sono stato debole e ho preferito trasformarmi in un mostro piuttosto che accogliere la morte come sarebbe convenuto. È vero, non sono poi così diverso da te, cane rognoso, anche io sono un dannato come te. Ma il destino ha voluto darmi una seconda possibilità, ed in fondo non è stato poi così crudele» disse Alucard. «I mostri esistono, ma ognuno di noi può scegliere cosa essere, anche dei Freak come noi, in questa vita o nell’altra siamo comunque liberi».
Ormai erano ad un metro di distanza l’uno dall’altro, si sorpassarono e si voltarono le spalle.
«Allora io ti distruggerò» affermò Aion. «Senza te tra i piedi, la tua graziosa Rory e gli altri Apostoli saranno nelle mie mani».
«Davvero?» sogghignò Alucard.

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Calò il silenzio, rotto solo dal respiro costante di Rory, Seras, Christ e Joshua. L’aria tutto intorno si poteva tagliare con un coltello.
Aion aprì i palmi delle palmi e nei rispettivi pugni gli comparvero quelle che sembravano due grosse lame. Ma Rory guardò meglio, e si rese conto che non lo erano. Erano troppo tozze e dalla superficie poco lucida, per di più nera come la pece.
Erano corna.
Corna da demone.
Aion lanciò un urlo di sfida e si lanciò contro Alucard tenendo in avanti le braccia, la punta ricurva e appuntita di entrambe le corna puntata in direzione di Alucard.
Il vampiro non si fece prendere di sorpresa ed estrasse Casull, la pistola d’argento, tentando di parare il colpo col dorso di metallo dell’arma.
Ma Aion schivò di striscio la pistola e conficcò le corna dritte nelle costole del vampiro, spillando sangue.
Alucard emise un grido strozzato, facendo trasalire Rory.
Il Conte puntò la pistola sulla fronte di Aion e sparò, scagliandolo via. Aion cadde a terra, supino, sguazzando in una pozza di sangue.

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Alucard estrasse le corna conficcate nelle costole versando altro liquido color rubino, ma senza emettere un gemito.
Poi fu come se un’enorme calamita stesse attraendo con forza le corna; Alucard le lasciò andare e quelle vennero afferrate nuovamente da Aion, di nuovo in piedi.
Questo scomparve all’improvviso e poi si materializzò alle spalle di Alucard, con una risatina lo trafisse alla schiena trapassando la carne con le punte acuminate delle corna, fino a farle sporgere al di fuori petto.
Alucard inarcò la schiena. «Che cosa…» rantolò.
Aion scoppiò a ridere senza ritegno, affondando di più le corna nella carne.
«Alucard!» urlò Rory.
Il vampiro fece uno scatto in avanti e si liberò con un gesto, schizzando sangue, fece un balzo all’indietro, sollevandosi in aria quasi a testa in giù, estrasse Casull e Jackall e cominciò a sparare a ripetizione, colpendo Aion in tutto il corpo e versando torrenti di sangue nero.

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Il demone ululò di dolore, poi Alucard mirò alle corna e gliele spezzo in due con un proiettile a testa; gli scagliò contro e gli sferrò un violento calcio allo stomaco.
Aion barcollò all’indietro e subito dopo Alucard lo colpì un pugno dritto in piena faccia; si sentì l’orrido rumore delle nocche contro la carne e l’osso che si piegava e si spezzava.
Aion fu costretto in ginocchio. «Bastardo…» imprecò, sputando sangue.
Alucard scoppiò a ridere, folle, poi gli puntò Jackall alla fronte.


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«Sei sconfitto, lurido rifiuto» sibilò Alucard.
«Cosa vuoi fare? Uccidermi?» lo schernì Aion. «Non ne hai il fegato».
«Ma davvero?» ghignò il vampiro, togliendo la sicura.
«Fa’ pure se vuoi. Ma in questo modo non riuscirai mai a scoprire dove si trovano tuo fratello e la sua compagna Maria di Magdala».
Joshua sgranò gli occhi. «Rosette!». Si schierò di fianco ad Alucard, puntando la lama di uno dei sai alla gola del demone. «Dov’è mia sorella!? Che cosa le hai fatto!?»
«Non c’è bisogno che tu lo scopra ora, mio caro Joshua» sogghignò Aion, portandosi fuori dalla portata della pistola e del sai e rialzandosi lentamente in piedi. «Perché adesso la raggiungerai. Tu verrai con me!»
«JOSHUA, ATTENTO!!!» strillò Seras.
Aion si tuffò su di lui, ma Seras placcò il demone da dietro.
Alucard premette il grilletto di Jackall e sparò, colpendo Aion in mezzo agli occhi. Rory lo balzò in avanti e infilzò Excalibur nel fianco di Aion, per poi estrarla con forza, spillando sangue.
Aion cacciò una specie di ruggito di puro dolore.
«MALEDETTI!!!» sbraitò, fuori di sé. «ME NE VADO, MA SAPPIATE CHE NON FINISCE QUI!!! IL SIGNORE OSCURO VI PRENDERÀ E VI DISTRUGGERÀ TUTTI!!!»
E poi il demone svanì in un lampo di luce.
Rory ansimò, piantando Excalibur a terra e appoggiandosi ad essa.
Alucard le si avvicinò. «Stai bene, piccola?»
Rory annuì. «È morto?»
Alucard scosse la testa. «Si è teletrasportato via» ringhiò. «Bastardo… io lo ammazzo…»
«Alu, calmati…»
«Non mi calmo!» sbraitò il vampiro. «Quel verme ti ha messo le mani addosso!»
«Non è successo niente, per favore, calmati» lo supplicò Rory.
«Tanto se lo rincontriamo, Alucard, ti giuro che lo ammazzo io per prima» sibilò Christ.
«Joshua, stai bene?» domandò Seras.
«Sì. Per un pelo, mi hai salvato». Joshua le sorrise e Seras avvampò, imbarazzata.
«Se avete finito, piccioncini, possiamo anche tornare all’Hellsing e fare rapporto alla direttrice Integra» borbottò Alucard, schifato.
«A chi hai detto piccioncini!?» sbottò Joshua, e Seras diventò più rossa della sua tuta.
Rory e Christ ridacchiarono.
«Torniamo all’Hellsing, ragazzi» disse Alucard.


***


Un potente ruggito di collera risuonò nella sala del trono, tramortendo quasi Aion, prostrato a terra con la fronte premuta sul pavimento, ancora sanguinante per le ferite.
«RAZZA DI INCAPACE!» tuonò il Signore Oscuro. «TI SEI FATTO BATTERE COME UN IDIOTA!»
Una morsa invisibile agguantò il corpo di Aion, stritolandolo tra le sue spire. Un flebile rantolio gli uscì dalla bocca, mentre il dolore lo dilaniava schiacciandolo con una forza sovrumana. Il demone non riusciva quasi più a respirare.
E poi tutto cessò. Aion si risollevò in piedi, barcollando.
«Sparisci dalla mia vista, inutile verme strisciante» sibilarono gli occhi rossi nell’oscurità.
Aion si inchinò appena e uscì dalla stanza, zoppicando e ansimando.
«Sono terribilmente mortificato per quest’ennesima sconfitta, oh mio potente Signore» disse l’altro uomo che si trovava un attimo prima di fianco ad Aion e aveva osservato in silenzio la sua tortura senza trasalire né intervenire.
Era un uomo apparentemente sulla trentina, basso, tarchiato e grassottello, dai corti capelli biondi e gli occhi gialli. Portava un paio di occhiali tondi ed era vestito con un completo bianco elegante, un paio di guanti ed una cravatta nera.

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«Risparmiati questo falso e patetico rammarico, Maggiore» sibilò il Signore Oscuro. «Hai preparato gli Heartless?»
«Sì, mio Signore, sono pronti» disse il Maggiore. «Al crepuscolo, attaccheremo il Vaticano».
«Lascia pure divertire il Paladino Andersen per un po’» ridacchiò il Signore Oscuro. «Poi neutralizzalo e catturalo. Bada bene, ci serve vivo, non dimenticarlo».
Il Maggiore annuì, sogghignando perfido, mostrando i denti bianchi e splendenti.


***


La Lady di ferro finì di ascoltare il rapporto di Alucard in un silenzio composto.
«Credo che questa faccenda sia molto più grande di quanto ci aspettassimo» dichiarò Integra, mentre accendeva una sigaretta e tirava una boccata. «Questo Signore Oscuro che ha menzionato Aion… per caso lo conosci?»
«No» rispose Alucard. «Ma immagino sia un rifiuto parecchio potente e parecchio rispettato, ma anche un bel po’ arrogante, considerato come si fa chiamare».
«Sicuramente se ha preso sotto il suo servizio individui potenti come Aion o l’Uomo Nero, avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile per liberare gli altri Apostoli». Integra fece un segno a qualcuno nascosto nell’ombra, che avanzò finché la luce della luna non illuminò i suoi lineamenti.
Era un ragazzo di circa diciott’anni, dalla carnagione chiara, occhi castani e capelli folti color corteccia d’albero. Indossava un ampio cappello color crema da cowboy, un gilet nero, una camicia bianca con le maniche tirate su lungo il gomito, jeans strappati e stivali in pelle da equitazione con degli speroni.

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«Luke Ramon» esordì Alucard.
«Gabba Gabba Hey, Ally! Come stai?» esclamò il ragazzo, facendo un gran sorrisone smagliante al vampiro, che lo osservava come se fosse sul punto di vomitare.
«Padrona» sospirò Alucard, alzando gli occhi al cielo. «Potresti gentilmente spiegarmi perché
«Luke è uno dei nostri migliori agenti, Alucard, lo sai bene» disse Integra. «Ti sarà molto utile in questa missione».
«Avevo espressamente riferito che più volte è stato molto d’intralcio nelle varie missioni» sbuffò Alucard. «Ma ogni tuo desiderio è un ordine, mia padrona».
«Ehi, Ally! Guarda che io sono qui, eh!» protestò Luke. «Ti pare questo il modo di salutare un vecchio amico!?»
«Dipende chi chiami Ally, sciocco ragazzo» sbuffò Alucard. «Non iniziare cose di cui potresti pentirti. Poi amici è un parolone. Al massimo conoscenti…»
«Anch’io ti voglio bene, Ally» borbottò Luke.
«Chiamami ancora così e io ti…»
«Piantatela, per Dio!» sbottò Integra. «Mi aspetto che collaboriate ed eseguiate correttamente i miei ordini senza alcuna distinzione, sono stata sufficientemente chiara?»
«Certo, mia padrona» sospirò riluttante Alucard, inchinandosi rispettosamente.
«Signorsì, signora!» esclamò Luke, scattando sull’attenti.


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Capitolo 19
*** Da soli ***


L’indomani mattina Alucard, assieme a Rory, presentò Luke agli altri.
«No, scusate, non ho capito molto bene… voi due sarete amici di vecchia data?» domandò Christ, confusa, fissando Alucard e Luke.
«Eccome!» esclamò Luke, dando un’amichevole gomitata ad Alucard, che aveva un volto a metà tra il disgustato e lo scocciato. «Ne abbiamo passate così tante insieme, che ho smesso di contarle! Tu te lo ricordi, Ally, quante volte mi hai salvato la vita?»
«Io mi domanderei piuttosto perché te l’ho salvata, in quelle occasioni» sbuffò Alucard. «E smettila di chiamarmi con quel nomignolo indegno».
«Ma dai! È carino!» protestò Luke. «E poi scusa, perché Rory può chiamarti “Alu” ed io no?»
«“Alu” e “Ally” non sono la medesima cosa, moccioso, e comunque può farlo per una serie di motivi che non devo spiegare proprio a te».
Rory, Seras, Alyssa e Christ si coprirono la bocca con le mani, sforzandosi di non scoppiare a ridere a crepapelle, Joshua si morse le labbra e Sebastian sogghignò. Subaru, invece, sembrava visibilmente scocciato più di quanto lo fosse Alucard.
«Ehi! Non sono un moccioso! Eddai Ally, non far così! Ci divertiremo un mondo, vedrai, proprio come ai vecchi tempi!» continuò Luke, sempre più allegro e sorridente. «Ti ricordi come ci chiamavamo, all’epoca?»
Alucard diventò più pallido del normale. «Ti prego, non dirlo, non di fronte a loro!»
«Il Dinamico Duo!»
Alucard bestemmiò fra i denti, mentre Christ e Alyssa si piegavano in due dalle risate, reggendosi la pancia.
Rory invece continuò a coprirsi la bocca, nel vano tentativo di dominare l’attacco di ridarella assurdo. «Il Dinamico Duo?»
«Nananananà Ally! Nananananà Ally! Ally! Ally… eddai su! Batman e Robin…» esclamò Luke.
«Vi prego, non ascoltate» sospirò Alucard. Rory non l’aveva mai visto così imbarazzato, era troppo esilarante.
«Ma se ti piaceva!» protestò Luke. «Io mi ricordo quando, in missione, dicevi “Presto, Luke! Alla Alu-Mobile!”».
«Che vergogna…»
A quel punto tutti quanti risero di gusto, tranne Subaru, che si beccò una gomitata da Christ per questo.
«Quando avrete finito di ridere come delle iene in calore, avvisatemi» sbuffò Alucard, girando i tacchi e allontanandosi.
«Ally! Eddai, ma non ti sarai mica offeso? Era per scherzare! Dai torna qui!» lo richiamò Luke, ma il vampiro non diede segno di averlo nemmeno sentito.
«Alu!» Rory gli corse dietro, lasciando indietro gli altri, un po’ basiti.
«Accidenti, però, con lui non si può mai ridere un po’!» sbuffò Joshua.
«E vabbé, dai, Josh, è fatto così, cercate di capirlo» fece Seras.
«Siete solo dei mocciosi, non dovevate permettervi di offendere così il nobile Alucard!» sbottò Subaru.
«Oh, andiamo, Suba! Non l’abbiamo offeso, l’abbiamo solo preso un po’ in giro, così, per scherzare! E che pizza!» sbottò Christ.
«E adesso dove saranno andati quei due?» chiese Sebastian.
«Non preoccuparti per loro, Seby» gli sussurrò Alyssa. «Lasciamoli un po’ da soli».
La bocca di Sebastian si distese in un sorriso furbesco.


***


«Alu! Aspettami… dai, su, Alu!»
Rory aveva il fiatone mentre correva dietro ad Alucard che si stava dirigendo nei sotterranei, dove era stato rinchiuso e sopito per venti anni, fin quando Integra non lo aveva risvegliato nel 1989 col proprio sangue.
«Cavolo!» sbottò Rory, non appena si ritrovarono insieme soli nel sotterraneo. «Grazie mille per avermi aspettato, eh! Perché sei venuto nel tuo sotterraneo?»
«È pieno giorno, vorrei andare a dormire. Ho sonno» sbuffò Alucard.
«Uff, potevi aspettarmi un attimo però!»
«Impara a correre…» Alucard entrò e fece per chiuderle in faccia la porta dello stanzino.
«Ehi!!!» Rory fece un balzo in avanti e la bloccò, insediandosi nella stanza. «Ma non ti sarai mica offeso perché abbiamo riso di quello che ci ha detto Luke su di te? Era per scherzare!!!»
«Pff, certo…» sbuffò il Conte.
«Oh, insomma!» sbottò Rory. «Possibile che non si può mai scherzare e ridere con te, Vlad l’Impalatore!»
Alucard ridacchiò.
«E adesso perché ridi!?» esclamò Rory.
«È che… il nome che mi hai dato è semplicemente ridicolo… è come se qualcuno chiamasse te Rory la Mortale» rise il vampiro.
«Ma che scemenze dici…» fece la ragazza. «Non era uno degli appellativi che ti hanno dato?»
Alucard s’incupì. «Non ho mai detto che mi piacesse…»
Rory lo fissò, cauta. «No?»
«Lo dicono come se fosse una cosa meschina… io invece volevo solo giocare all’impiccato» sogghignò il Conte, mostrando i canini lucenti.
«Ma…. Ma… Alu!!!» Rory gli diede un pugno sul petto, stizzita.
Alucard le bloccò il polso con le mano, senza smettere di ridacchiare.
«Sei proprio fuori di testa» sbuffò Rory.
«Forse sì, forse no, chi può dirlo…» disse Alucard, con un sorriso ambiguo.
«Io!»
«Nah, se fossi davvero fuori di testa saresti già scappata…». Gli occhi del vampiro si accesero di rosso. «E io ti avrei raggiunto lo stesso…»
«Scherzi? Scappare da te?» Rory era incredula.
«Be’, è quello che tutti i mortali con un po’ di cervello farebbero…»
«Già, fai un bell’effetto, eh?» lo prese in giro la giovane.
«Dipende. Se stai dicendo che sono inquietante, l’ho sempre saputo. Se stai dicendo che sono bello…». Sorrise malizioso. «…Non posso darti torto neanche su quello».
Le guance di Rory diventarono rosse come due peperoni.
Alucard sogghignò e le si avvicinò al un centimetro dal suo viso, si inginocchiò di fronte a lei, arrivando alla sua altezza, e le cinse le spalle con le mani.

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«Perché sei arrossita?» le chiese con un sorrisetto.
«Be’… diciamo che… che… pensavo entrambe le cose… che sei inquietante e… e bello… eh?...» balbettò Rory.
Alucard rise. «E non hai paura di come potrei ferirti o rapirti?»
«No». Rory lo guardò, seria. «Non lo faresti mai».
«Questo è vero…» annuì Alucard.
«Non potrei mai avere paura di te» affermò Rory.
«Dovresti… ma perché invece non lo fai?»
«Non ci riesco. Perché io provo qualcosa per te» rivelò la giovane, distogliendo gli occhi dallo sguardo di rubino dell’altro; sapeva benissimo che in esso avrebbe solo trovato derisione ed indifferenza.
Alucard le prese il mento tra il pollice e l’indice e la costrinse a guardarlo. Sul suo volto era disegnato un sorriso dolcissimo, che Rory non gli aveva mai visto.
«Credevo di essere l’unico…» mormorò il vampiro, chinandosi e baciandole il lato del collo e la gola.
Quando le labbra di Alucard le toccarono la pelle la fecero rabbrividire. Erano gelide, ma il loro tocco sembrava brucarle la pelle e aumentare nettamente la sua temperatura corporea, lasciandola senza fiato.
«C-Cioè?» riuscì ad articolare.
«Non avrei mai immaginato che ci saresti riuscita…». Parlava così vicino alla sua gola da toccarla con le labbra ad ogni parola. «Ma mi hai fatto innamorare».
«Davvero?». Dire che Rory era stupefatta era poco.
«Davvero davvero» sogghignò Alucard. Si avvicinò tanto che i loro nasi si sfiorarono, e posò una mano sulla guancia di Rory.
«Alucard?»
Il vampiro sentì il suo stomaco stringersi ed il suo cuore fare una capriola. Com’era possibile che si sentisse così solo perché Rory lo aveva chiamato per nome?
Le loro labbra ora erano ad un soffio le une dalle altre e lui non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle perle azzurre. Non ragionava più, le domande erano scomparse dalla sua mente e i suoi pensieri erano stati scambiati con le sensazioni che provava in quel momento.
Rory si sporse in avanti, dischiuse le labbra e le affondò in quelle del vampiro, che le cinse il corpo con le braccia e la trascinò giù con sé, mollando un calcio alla porta che si chiuse con un colpo secco.

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Alucard si ritrovò seduto sull’imponente trono dal lunghissimo schienale che si trovava nel sotterraneo. Rory era sopra di lui, con le gambe in mezzo alla sua, le loro labbra che si muovevano all’unisono cercando l’una quell’altro, le braccia del vampiro stringevano la vita della ragazza con una smania possessiva e lei gli cingeva il collo alla stessa maniera.
Alucard stava perdendo il controllo, ne era consapevole, ma non riusciva a fermarsi comunque. I mugugni soffocati di Rory, il suo soave profumo e il calore della sua pelle lo facevano andare su di giri come mai gli era capitato prima.
Rory non riusciva a crederci, eppure quel bacio era vero ed Alucard era lì con lei. Era il più bello che si fossero mai dati, perché non sembrava voler finire mai, subito era seguito da un altro, trasformandosi in qualcosa di intenso e passionale.
Dopo un po’ fu costretta a ritrarsi, ansimando, tentando di riprendere fiato e di placare solo per un attimo la bollente eccitazione che le fremeva in corpo. Alucard la osservava sorridendo sghembo.
«Lo trovi divertente?» si stizzì la ragazza.
L’uomo rise e si avvicinò a lei quel tanto che bastava per sussurrarle suadente in un orecchio. «Perché? Cosa vorresti che facessi?»
«Lo sai benissimo, idiota». Rory gli afferrò il viso con le mani e riprese a cercare avida le sue labbra con le proprie.
Alucard rispose con una foga tale che la afferrò di peso e la spinse all’interno della sua tomba scoperta, mentre quel turbine di baci riprendeva ad incatenare le loro bocche congiunte.
L’uomo si stancò quasi subito di quella situazione, così appoggiò i palmi delle mani ai lati della testa della ragazza e Rory allora infilò le mani tra i folti e morbidi capelli corvini di Alucard.
Il vampiro sembrava incapace di rimanere fermo e in poco tempo le sue mani scivolarono sui bottoni della maglia di lana bianco candido della ragazza. La ragazza spalancò gli occhi, e quell’attimo di esitazione venne sfruttato dal compagno per sfilarle via la maglia.
«Non si può dire che tu non sia cresciuta in questi sedici anni» ridacchiò Alucard, e Rory non poté fare a meno di dargli una sonora spinta che non lo smosse di un millimetro.
«Oh… ma sta’ zitto» sbottò, e ricominciò a baciarlo. Quasi con violenza affondò le mani nella camicia bianca di Alucard strappando i bottoni e sfilando la mantella rossa. La giovane rimase senza fiato davanti dai muscoli scultorei del petto, dal ventre tonico e dalle spalle definite.
«Come siamo impazienti». Alucard rise di nuovo e la baciò di nuovo, quasi con urgenza; le sue mani si presero la licenza di poter toccare ogni centimetro di pelle disponibile della ragazza. «Eppure qui manca qualcosa…»
La ragazza non dovette aspettare molto per capire che intendeva dire il vampiro, perché il “clic” prodotto dalla chiusura del suo reggiseno di pizzo nero che si apriva fu una risposta piuttosto esaustiva.
Rory si coprì d’istinto con le braccia e distolse lo sguardo. Quel suo atteggiamento sembrò provocare l’ilarità dell’uomo.
«Che fai, sciocca? Non ti devi vergognare, sei bellissima».
«Ma per favore, Alu, non mi prendere in giro! Sembro un facocero e poi sono piatta come una tavoletta!» obiettò la ragazza.
«A me non importa…»
«Ma non posso essere bella…» mugugnò la giovane.
«Sì che lo sei, invece…»
«Veramente?»
«Certo che sì, ragazzina sciocca, incantevole e ipersensibile…» sussurrò Alucard, baciandole la spalla salendo lungo il collo.
L’uomo fece appena in tempo a finire di compiere quell’azione che la porta si spalancò e Joshua entrò solo con la testa. «Ragazzi, dove venire assolutamente, all’entrata dell’Hellsing c’è… OH SANTA MADRE TERESA DI CALCUTTA VERGINE DI SANTA GERUSALEMME!!!»
Ci fu un momento di stallo dove nessuno dei tre riuscì a fare nulla e solo lo strillo acuto di Rory riuscì a far smuovere la situazione.
La ragazza abbracciò istintivamente il vampiro sopra di lei, tentando di coprirsi, mentre Joshua la guardava scioccato. «Ma che diavolo state fa…»
«SPARISCI SUBITO DA QUI, STUPIDO FOTTUTO!!!» abbaiò Alucard, e la voce che gli uscì fu qualcosa di molto simile ad un tuono e ad un ruggito messi insieme, gli occhi erano due fiamme ardenti e sembravano pronti a schizzare fuori dalle orbite per incenerire il giovane Apostolo.
Una morsa gelida di terrore indicibile artigliò il cuore di Joshua, facendolo tremare da capo a piedi. Senza neanche emettere un suono il ragazzo si voltò di scatto e corse via accorgendosi con orrore che i suoi pantaloni erano irrimediabilmente bagnati.
La porta si richiuse con un tonfo e il colorito di Rory raggiunse una tonalità di rosso che mai si sarebbe immaginata.
La ragazza allontanò velocemente il suo corpo da quello del vampiro, buttandosi nella tomba in modo da dargli le spalle.
«Dove eravamo rimasti?» chiese noncurante il vampiro.
«A nulla. Io adesso mi rivesto. È stata l’esperienza più imbarazzante della mia vita» ribatté Rory con la testa affondata nel cuscino.
«Così vuoi provare a scappare...»
Le parole di Alucard arrivarono alle sue orecchie come un sussurro gelido e la ragazza seppe con certezza che lui stesse sorridendo con quel suo modo sghembo e adorabile.
Non fece in tempo a rispondergli però, che il Conte cominciò a mordicchiarle piano l’incavo del collo e a infiltrare le mani sotto il suo torace per poi abbracciarla.
«Non cercherò di trattenermi questa volta, e non ti lascerò andare via, piccola preda...»
L’ennesimo brivido di piacere attraversò la schiena di Rory…


***


Joshua si allontanò di corsa tenendosi la testa tra le mani, mentre il suo viso, inevitabilmente, si arrossava.
«L-Loro erano...» L’Apostolo scosse la testa, cercando di cancellare l’immagine appena vista, ma questa ritornava ogni volta. In breve tempo lo sfortunato ragazzo si ritrovò a borbottare da solo, nel tentativo di sfogare quell’imbarazzo mutato in rabbia.
«Com’è possibile che li lasciamo soli una mezz’ora e loro... e Rory era...»
Il ricordo dei due seminudi tornò ad infestare il suo cervello, e per un istante gli baluginò nello sguardo un’immagine di lui e Seras, abbracciati allo stesso modo.
“Joshua!” si richiamò nella sua testa. Esasperato dai suoi pensieri si mise a dare testate alla parete del corridoio, sperando così di poter dimenticare.
«Joshua, sei tu? Che stai facendo?»
La voce dolce e preoccupata di Seras lo fece avvampare di brutto e il ragazzo si sbrigò ad appoggiarsi al muro con noncuranza, sorridendo come meglio poté, anche se sentiva chiaramente le guance calde come due carboni ardenti.
«Oh… ciao Seras. Non stavo facendo niente. Come mai sei qui?»
«Be’, ti abbiamo mandato a chiamare Rory e il mio Signore e ci hai messo praticamente mezz’ora, così mi sono preoccupata e sono venuta anch’io… ti senti bene?»
«S-Sì, sto benissimo!»
«E allora? Dove sono Rory e Alucard?» domandò Seras. «Perché non sono con te?»
«Ehm… ecco… loro sono…»
“Dio santo e adesso che le dico!?” pensò Joshua, disperato.
«Josh, sei sicuro di stare bene?» chiese ancora Seras, preoccupata. «Rory ed Alucard sono lì dentro, vero?»
«Be’, sì, ma…»
«E allora perché non li hai chiamati! Dobbiamo sbrigarci!»
Seras si diresse verso la porta senza esitazione.
«Seras, no…» gemette Joshua. «Non aprire quella porta!»
La vampira sembrò non averlo neanche sentito, sbatté il pugno sulla porta e bussò per tre volte.
«CHI DIAMINE È!?» si sentì la voce di Alucard tuonare dall’altra parte.
«M-Mio Signore, sono io, Seras!» balbettò la draculina, folgorata dal tono alterato del Conte. «Rory è con voi?»
«Sì!» rispose la voce della ragazza, stranamente più acuta del normale.
«Dovete venire all’istante, c’è… c’è qualcuno all’ingresso della magione, che dovete assolutamente vedere, abbiamo chiamato persino Lady Integra!»
«Okay, Seras, dacci un minuto ed arriviamo!» si sentì rispondere la voce di Rory.
«Col cazzo» protestò la voce di Alucard. «Chi se ne importa, andate senza di noi!»
«Sta’ zitto, cretino!!!» sbottò Rory. «Cinque minuti ed arriviamo, Seras! Cinque minuti!»
«O… Okay» balbettò Seras, più confusa che mai.
Joshua si teneva incessantemente le mani nei capelli come se volesse strapparseli, mentre il suo viso sembrava non voler abbandonare la sfumatura pomodoro.
Passarono cinque minuti e finalmente la porta si aprì, e Rory ed Alucard apparvero sulla soglia. La prima aveva le guance più rosse del vestito di Alucard, il quale sembrava non desiderare altro che ammazzare qualcuno a mani nude.
“Grazie a Dio stavolta sono vestiti” pensò Joshua.
«Che cosa è successo di così importante, per Dio!?» sbottò Alucard.
«Venite, presto!»
Seras si allontanò in tutta fretta, seguita da Alucard, Rory e Joshua, che cercava in tutti i modi di non incrociare lo sguardo del vampiro e della ragazza.


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Capitolo 20
*** Il settimo Apostolo ***


Seras e Joshua condussero Rory e Alucard fuori, nel giardino dell’immensa magione.
Lady Integra Fairbrook Wingates Hellsing era lì, e con lei vi erano Luke, Sebastian e Alyssa.
Christ e Subaru non c’erano, ma era palese, dal momento che era pieno giorno e loro non potevano esporsi ai raggi solari, a differenza di Alucard e Seras che erano dei Nosferatu.
«Mia padrona, cosa succede?» domandò il Conte.
«Oh per la miseriaccia!» esclamò Rory, quando vide la persona che si trovava dinnanzi e che tutti stavano fissando come se fosse un alieno appena sceso da Marte.
Un uomo di statura alta e massiccia, che raggiungeva l’altezza di Alucard, dalle spalle larghe e il viso squadrato solcato da una sottile barba, con una cicatrice sulla guancia destra. Aveva capelli corti e biondi con una pettinatura a spillo e gli occhi verdi con un paio di occhiali rotondi. Indossava una pesante tonaca grigia, una camicia nera, dei pantaloni grigi, stivali neri e un colletto clericale, con una croce d’argento al collo e un paio di guanti bianchi.

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«Porca cotoletta impanata e petto di pollo grigliato!» esclamò Luke.
«Andersen!?» riuscì infine ad esclamare Integra, tanto era lo stupore dipinto sul suo volto.
Era proprio lui, non c’erano dubbi: Alexander Andersen, Padre Andersen, Paladino Andersen, Baionetta Andersen, Angel Dust Andersen, il sacerdote purificatore di vampiri della Tredicesima Divisione del Vaticano, la Milizia Scelta Iscariota, una potente organizzazione cattolica e fanatica che si occupava della caccia ai mostri, agli eretici e i non-cattolici ed era nemica dell’Organizzazione Hellsing in quanto i suoi membri erano di religione esclusivamente protestante.
«Che cosa ci fai qui, Iscariota?» domandò Sebastian, altero.
«Niente che interessi proprio te, schifoso demone!» gli sputò in risposta Andersen.
C’era qualcosa di strano nel Paladino. I vetri dei suoi occhiali rotondi erano rotti, i vestiti erano stracciati e sporchi di fango e terra, ed ansimava come se avesse appena partecipato ad una maratona.
«Bada alle parole, Paladino, ricordati che qui sei in territorio nemico, privo di una scorta e anche conciato piuttosto male, vedo» replicò Alucard, ridacchiando.
Anche Andersen ridacchiò. «Sai che non mi ci vuole niente per poterti spaccare la faccia, sporco servo di Hellsing!»
«Silenzio!» ringhiò Integra. «Dicci immediatamente cosa fai qui, Iscariota, prima che perda la pazienza! Ti ha mandato Maxwell!?»
«Non pronunciare quel nome con la tua fetida bocca da cagna protestante!» le urlò in faccia Andersen. «Se proprio vuoi saperlo, il mio capo è morto! Tutta la Tredicesima Divisione del Vaticano è stata spazzata via da dei maledettissimi rifiuti bastardi, senza che potessi fare nulla per fermarli! Si rigeneravano, senza che le mie baionette potessero fare qualcosa! Io sono l’unico sopravvissuto… quei miserabili esseri volevano me! ME! Ah, mille volte meglio la morte che passare dalla parte dei mostri, per mille fulmini! Sarei morto molto volentieri assieme ai miei compagni, ma quei bastardi mi volevano vivo! VIVO! E non riuscivo ad ucciderli! Non potuto fare altro che scappare come un lurido coniglio! Ah, ma giuro sul Dio Padre Onnipotente che ritroverò chi li ha mandati ad attaccare la Divisione e lo spedirò a bruciare tra le fiamme dell’Inferno! AMEN!»
I membri dell’Hellsing lo fissarono, scioccati.
«Oh mio Dio…» mormorò Seras.
«L’Iscariota è… caduta?» riassunse Rory. Non poteva credere alle proprie orecchie.
«Come l’Ordine della Maddalena!» trasalì Joshua.
«Non è possibile» esclamò Integra. «Che cosa diavolo è successo?»
«Ci hanno attaccato» insorse Andersen. «Delle creature nere e viscide dagli occhi gialli umanoidi con le antenne da grillo! Hanno attaccato il Vaticano e hanno sterminato tutti gli agenti dell’Iscariota, tranne me!» Andersen sputò per terra. «Ho cercato di colpirli con le mie baionette ma non li ho nemmeno scalfiti! E mentre i miei compagni soccombevano, io non ho potuto fare nulla per aiutarli, sono stato costretto a fuggire come un topo davanti al gatto! È stato allora che ho sentito una furia indicibile crescere in me, ed è stato allora che sono comparse».
Il volto di Andersen si illuminò.
«Che hai visto cosa?» domandò Alyssa.
La ragazza ebbe appena il tempo di finire la frase, che Andersen spalancò le braccia, e sulla sua si spiegarono due ampie ed immense ali piumate nere come un incubo.
«Minchia!» esclamò Luke.
«Parola più intelligente non poteva uscire dalla tua bocca, Luke» commentò Alucard.
«Tante grazie!»
«Noi siamo la spada di Dio. Rappresentiamo il suo giudizio in Terra. Ci è stata affidata la missione di punire i peccatori che si ribellano alla parola di Dio. Siamo stati incaricati di annientarli, finché anche l’ultimo brandello della loro carne sarà distrutto. AMEN!» declamò Andersen.
«Il settimo Apostolo!» esclamarono all’unisono Joshua, Alyssa e Rory.
«Esatto, e se le mie fonti sono giuste, voi tre mocciosi siete gli altri, vero?» sogghignò Andersen. «Anche se mi sembrate un po’ debolucci…»
«Se vieni qui te lo faccio vedere io quanto sono deboluccia, mentecatto di un cattolico!» sbottò Rory acida.
“Oh, merda” pensò Seras, allarmata. Si aspettava che Andersen riducesse Rory a fettine, e invece il prete scoppiò in una risata sguaiata.
«Per Dio, questo sì che è un’Apostolo con i coglioni, per di più anche gnocca!»
«Giù le zampacce, Andersen, lei è mia» sogghignò Alucard, calcando bene l’ultima parola.
Rory avvampò come un peperone e Luke ridacchiò.
«Andersen, piantala di tergiversare e parla! Perché sei qui?» esplose Integra.
«Credevo di essermi già reso ridicolo abbastanza venendo qui che avresti potuto intuirlo!» sibilò Andersen. «Tutti i membri dell’Iscariota sono stati annientati a parte me, perché sono un Apostolo e quei luridi esseri volevano catturarmi, perciò sono scappato e ho volato fino a Londra da Roma dato che i miei fratelli Apostoli erano qui! Ho deciso di prendere il posto che l’Onnipotente mi ha affidato unendomi a loro!»
«Cioè, stai forse cercando di dirci che vuoi unirti a noi dell’Hellsing?» domandò Sebastian, alzando un sopracciglio. «Tu, uno spettabile cattolico, vuoi unirti ad un’organizzazione ammazza-mostri composta da sporchi protestanti?»
«No, lurido demonio» ribatté Andersen. «Io, il settimo Apostolo benedetto da Dio, voglio prendere il mio posto al fianco degli altri miei fratelli da Lui prescelti! Anche se questo significa doversi rotolare nella merda di voi maiali protestanti, io lo farò comunque se è questa la Sua volontà! E la parola di Dio per me è legge, benché la mia anima sia già dannata all’Inferno! Tanto vale andarci in gran stile aggiungendoci anche un bel tradimento di fede religiosa, eh eh eh!»
«Ma questo è pazzo» borbottò Joshua, e Seras ridacchiò.
«Tanto per la cronaca» riprese Andersen, fissando Integra. «Questo non fa di te il mio capo, donna, per me sei e rimarrai per sempre una scrofa protestante circondata dai tuoi maialini, e non mi abbasserò mai a prendere ordini da te!»
«Ci mancherebbe altro…» sbuffò Integra. «Solo, mi viene un dubbio: come faccio a sapere che questa non è altro che una messinscena e che magari sei qui per ordine di Enrico Maxwell, per catturare i tuoi fratelli Apostoli e venderli al Vaticano?»
«Per la Madonna, dovrei mozzarti la lingua seduta stante, troia!» sputò in risposta Andersen. «Come osi solo credermi capace di compiere un atto simile? Di sparare menzogne blasfeme a voi sporchi protestanti, solo per vendere i miei fratelli ai miei superiori? Mi sarei impiccato come Giuda Iscariota piuttosto che venire coinvolto in un piano così subdolo!»
«Sta dicendo la verità, mia padrona, ho letto nella sua mente» tagliò corto Alucard.
«E va bene, Andersen, puoi restare» concesse Integra, altera. «Sei libero di non considerarmi il tuo capo, ma pretendo da te almeno il rispetto che si deve ad un tuo superiore, o giuro sulla regina Elisabetta che per tutto il tempo che starai qui sarai trattato in un modo che neanche una bestia sopporterebbe, psicopatico di un Paladino!»
Integra ansimò, cercando di riprendere fiato, ed Alexander Andersen scoppiò in una risata sguaiata.
«Grandiosa! Sei davvero grandiosa!» sentenziò Andersen. «Affare fatto, Integra Fairbrook Wingates Hellsing! AMEN!»
«Ho la sensazione che ci divertiremo un mondo» rise Alucard, gli occhi rossi che brillavano di una sfumatura infuocata.


***


La notte era l’unica occasione in cui Christ potesse uscire e gironzolare per la Hellsing e nascondersi nel suo nascondiglio prediletto: il terrazzo.
Era contenta che Rory e Alyssa dormissero, non voleva che la vedessero piangere. Odiava mostrarsi debole davanti agli altri. Cercava di mostrarsi forte e audace, ma non faceva altro che mentire a sé stessa: ci era rimasta veramente di schifo quando aveva scoperto ciò che Aion aveva fatto.
Tutte quelle carezze, i baci, le parole dolci che le aveva rivolto in tutti quegli anni…
Menzogne. Tutte menzogne. Le aveva mentito sempre e comunque.
L’aveva riportata in vita e l’aveva cresciuta per poi vampirizzarla, riempiendola di bugie su Alucard, per poi scoprire chiaramente che questo non era l’assassino del suo popolo, anzi era stato mandato per salvarli.
Un pensiero le illuminò la mente. E se Aion l’avesse riportata in vita perché sapeva che era un’Apostolo? Avrebbe avuto senso, dato che poi l’aveva costretta a mentire per entrare nell’Organizzazione Hellsing ed avvicinarsi a Rory ed Alyssa che erano Apostoli come lei, così da poterle catturare.
Le veniva da vomitare. Era sempre stata solo un giocattolo per lui, nulla di più. Al solo pensiero, le lacrime ricominciavano a scendere dagli occhi copiose.
«Di nuovo qui, eh?»
Christ si voltò, asciugandosi le lacrime e cercando di guardare l’alta figura di Subaru con decisione e sicurezza. «Subaru, per favore, è un brutto momento, quindi ti prego, vattene e lasciami in pace, voglio restare da sola!»
Subaru non disse nulla, ma si sedette accanto a lei, la afferrò per un braccio e la strinse a sé. «Puoi piangere se vuoi, non serve che tu finga ora».
La ragazza non si fece pregare ed iniziò a singhiozzare rumorosamente, mentre premeva il viso nel petto del vampiro. «Scusami… sono… sono giorni che non riesco a darmi una calmata…»
«Lo so». Il vampiro affondò una mano nei suoi capelli. «Credimi, lo so. So quanto sia dura da accettare, quanto faccia male sapere che la tua esistenza è stata una menzogna finora…».

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Il braccio sinistro del ragazzo le scivolò intorno al fianco, mentre con l’altra mano le accarezzava i lunghi e morbidi capelli.
Il petto di Subaru era saldo, la sua presa sicura, e Christ finalmente sentì che, con lui accanto, non sarebbe mai più stata sola in balia del dolore. Fece un respiro profondo.
«Stai meglio?» le chiese Subaru.
Christ annuì. Aveva il cuore più leggero, ora. «Grazie… di esserci sempre… tu… non lasciarmi mai… rimani qui con me… ti prego…»
Subaru non disse nulla. Avvicinò il suo volto a quello di lei e di nuovo posò le proprie labbra su quelle di lei.

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Era come se Christ non stesse aspettando altro. Gli cinse il collo con le mani e si abbandonò completamente a lui, al tocco delle sue labbra e al suo odore.
Subaru le cinse i fianchi e la strinse più forte, muovendo le labbra per catturare quelle di lei in un’unione che non avrebbe mai voluto sciogliere.
Finalmente l’una e l’altro avevano trovato l’unica persona al mondo che volevano davvero accanto, che ci sarebbe stata sempre e da cui mai sarebbero stati abbandonati.
Erano simili, finalmente insieme e felici.

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«Che scena commovente».
I due trasalirono e si ritrassero di scatto.
Dinnanzi a loro si stagliava Aion.


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Capitolo 21
*** Arturia ***


«Aion!» esclamò Christ, fissando il demone con gli occhi sgranati.
«Proprio io, mia bellissima» replicò Aion dolcemente. «Mi sorprende di come tu sia caduta in basso… i tuoi gusti sono peggiorati». Il demone lanciò un’occhiata a Subaru.
«Chi cazzo sei tu!?» sbraitò Subaru. «E cosa fai qui!?»
«Non te l’ha detto? Io sono il suo fidanzato» ridacchiò il demone.
«No!!! Non più!!!» urlò Christ.
«Sei tu quel cane che l’ha usata per i suoi scopi, non è così!?» sibilò Subaru.
«È una parola grossa, succhiasangue…»
Le braccia di Subaru circondarono il corpo di Christ e la strinsero, simili ad una catena d’acciaio. «LEI APPARTIENE A ME, A ME E A NESSUN ALTRO, CHIARO!?»

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«Subaru…!»
«Intanto è già stata mia, ma non le è dispiaciuto molto» ghignò Aion.
«Che cazzo vuoi qui!? VATTENE!» gli gridò contro il vampiro.
«Sapete già cosa… o meglio, chi, voglio» fu la placida risposta del demone.
«LEI È MIA, CAPITO!? NON L’AVRAI MAI!»
«Calmati, succhiasangue… non intendevo in quel senso, per il momento. La “tua” Christ è un’Apostolo, come pure altri ragazzi a cui date rifugio qui all’Hellsing. Datemi loro e risparmierò voialtri» disse Aion.
«Scordatelo» ringhiò Subaru.
Aion ridacchiò e fece per avanzare verso i due, ma subito si ritrovò la lama di Excalibur puntata sulla gola.
«Fai un altro passo e sarà l’ultimo!» intimò Rory, truce.
Aion sorrise mellifluo e accarezzò con le dita la lama d’argento. «Questa spada è davvero bellissima, proprio come la sua custode… decisamente la preferisco al lancio di fiori che mi aspettavo».
«Che diavolo vuoi ancora, lurido demonio?» domandò Rory.
«Voi Apostoli, semplice!»
«Perché… siamo così importanti per te?»
«Ho bisogno del vostro potere» rispose Aion. «Voglio solo salvarvi tutti».
«Sei solo un pazzo psicopatico!» urlò Subaru.
Aion rise e mosse una mano; Subaru venne catapultato in aria e scagliato via come se fosse una bambola di pezza, precipitando a terra.
«Subaru!» urlò Christ, correndo da lui.
«Maledetto!» gridò Rory, allontanando la lama dalla gola del demone e menando un fendente contro il demone, ma questo le bloccò il polso prontamente e le torse l’altro braccio bloccandoglielo dietro la schiena, attirandola a sé.
«RORY!» sentì gridare Christ.
«Tu vieni con me» le sussurrò Aion all’orecchio.
«Lasciami!!!» strillò Rory, cercando di dimenarsi, ma la forza che la stringeva era granitica.
«Ti lascerò appena arriveremo, dolcezza…»
«NO!»
Rory vide Christ e Subaru scattare verso lei ed Aion. Fu come se il mondo si stesse muovendo al rallentatore. Poi sentì il terreno mancarle sotto i piedi. E tutto svanì.


***


Rory vide comparire davanti a sé una stanza ampia e rotondeggiante, sulla cui parete centrale si stagliava un inquietante trono di pietra nera nascosto nell’ombra.
Ma quando si rese conto che Aion la teneva ancora bloccata e stretta a sé, la giovane non badò più di tanto al luogo in cui ora si trovava.
«LASCIAMI BASTARDO!!!» gli urlò contro, divincolandosi e cercando di sgusciare via dalla sua presa ferrea, ma invano. Il demone la osservò ridacchiando e avvicinò il proprio volto a quello di lei. «Da qui non puoi scappare, piccolo Apostolo…»
«Aion. Dunque questa volta non hai fallito, vedo» pronunciò una voce maschile, una voce tetra, profonda, cavernosa e risonante. «Lasciala andare, la vedo molto agitata».
Il demone ubbidì e si allontanò riluttante dalla ragazza.
Il primo istinto di Rory fu quello di darsela a gambe, ma poi la curiosità ebbe il sopravvento. Si voltò e vide che sul trono nero era seduto qualcuno. Non riusciva a vederlo, i suoi lineamenti erano seminascosti dall’ombra. Riusciva a distinguere solo due occhi rossi e sottili, privi di palpebre e pupille, che le davano i brividi.
«Avvicinati».
Rory si rese conto che quella voce proveniva da quegli occhi rossi, dalla creatura che si trovava nascosta nell’oscurità. Istintivamente ubbidì, stringendo con forza Excalibur nel palmo chiuso della mano, e avanzò di pochi passi verso il trono.
«Chi sei?» osò domandare Rory, fermandosi e cercando di mostrare una sicurezza che non aveva.
«Sei sicura di volerlo sapere?»
Rory annuì.
«Vieni più vicino».
Rory ubbidì ancora, finché si ritrovò a soli due metri di distanza.

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«Sì, non ci sono dubbi, sei tu quell’Apostolo» disse il Signore Oscuro fissandola dal buio con quegli spietati occhi rossi. «Molto lieto di conoscerti, Arturia Pendragon».
Rory avvertì un fremito. «Come mi hai chiamata?»
«Arturia Pendragon.»
«Perché mi chiami così?»
L’Oscuro Signore rise. «Allora la domanda non è chi sono io, ma chi sei tu».
Rory fissò quegli occhi rossi, confusa. «Io… mi chiamo Rory Drakon, sono l’unica superstite del villaggio in cui sono nata, assieme alla mia amica Christ, e…»
«E sei un’Apostolo» la interruppe il Signore Oscuro. «Ma non certo un’Apostolo qualsiasi».
«Che cosa significa?» chiese Rory. Era straordinariamente facile conversare con quell’essere misterioso e alquanto educato. Il suo istinto, però, le diceva che era tutt’altro che dolce e benevolo.
«Sai almeno che cosa siete voi Apostoli?»
Rory rimase interdetta. Ora che ci rifletteva, nessuno le aveva mai detto esplicitamente la definizione di Apostolo. Sapeva per certo che non erano quegli apostoli, i discepoli scelti da Gesù, soprattutto perché quelli erano dodici e non sette come loro. Ma allora…?
«Non… non lo so esattamente».
L’Oscuro Signore scoppiò a ridere fortemente, paralizzandola sul posto. La sua risata, di gola, risuonò tutto attorno; era un misto tra scherno e cattiveria.
«Voi Apostoli siete un po’ come degli angeli caduti, anche se non del tutto» spiegò il Signore Oscuro. «Non siete stati allontanati dal Paradiso perché avete compiuto dei peccati o vi siete ribellati a Dio. Siete stati spediti sulla Terra dal Paradiso per vivere tra gli umani e diffondere la parola del Signore. Tecnicamente questo è ciò che ti racconterebbero i cari credenti cattolici e protestanti. Che cosa patetica». Il Signore Oscuro fece un verso di disprezzo. «È una gran sciocchezza ovviamente. Siete semplicemente degli angeli terreni reincarnazioni di sette umani che rimasero e ancora rimangono a lungo nella memoria degli esseri umani per la loro gloriosa fama. Siete creature in grado di vedere la Via Astrale, ovvero potete vedere l’anima delle persone, potete guarire le ferite degli altri, usare le vostre ali d’angelo e usare le vostre stigmati, che avete nascoste e impresse sulla pelle, per scacciare il male».
«Reincarnazioni di sette umani?» gli fece eco Rory. «Quindi io sarei stata un’altra persona in una vita precedente?»
«Esatto, dolcezza» rispose Aion. «In un’altra vita, tu eri Arturia Pendragon».
Rory si voltò a guardarlo più confusa che mai. «Chi era… Arturia Pendragon?»
Il nome le era familiare, ma non l’aveva mai sentito prima di quella volta. Pendragon era il cognome di Re Artù di Camelot, o meglio, il suo appellativo, il suo epiteto più diffuso!
«Pensaci bene, giovane Apostolo» disse la voce dell’Oscuro Signore alle sue spalle. «La spada che porti con te non ti suggerisce nulla?»
«L’infallibile Excalibur…» mormorò Aion, posando una mano sull’elsa della spada e sfilandola via dalla mano di Rory con un guizzo repentino.
«Ehi!» protestò Rory. «Ridammela!»
Aion non la ascoltò, rigirò la spada tra le mani con aria di sufficienza. «Non male, non male…»
«Non toccarla!!! Essere immondo!!!» gridò Rory, scattando in avanti e tentando di riappropriarsene.
«La prendo io, Aion» disse il Signore Oscuro.
Aion si portò fuori dalla portata di Rory e si portò al fianco del trono di pietra nera. Con una certa riluttanza, porse la spada alla creatura nascosta nell’ombra. Una mano dalle dita affusolate, priva di unghie e vagamente umana, nera come la più nera delle notti, rivestita dalla manica lunga e pendente di una tunica nero inchiostro, la afferrò.
Rory osservò la scena, agghiacciata.
«Nessuna risposta, Apostolo?» la canzonò l’Oscuro Signore. «Sai almeno a chi appartiene questa spada?»
«A Re Artù, ma…». Rory si bloccò, come se un pensiero improvviso le avesse appena attraversato la mente. «Non è possibile…»
«Cosa?» ridacchiò Aion.
«Non è possibile… Artù era un uomo, non una donna… io non…»
Aion e il Signore Oscuro scoppiarono in una risata sguaiata.
«Che cosa c’è da ridere!?» sbottò, stizzita.
«Temo che la credenza che Artù fosse un uomo… sia del tutto errata!» rispose Aion, dolcemente.
Rory sgranò gli occhi, incapace di credere alle proprie orecchie e al pensiero che l’aveva attraversata pochi istanti prima. «Artù era… una donna?»
«Viveva in tempi molto… arretrati, per così dire…» spiegò Aion. «Che vergogna sarebbe stata, una donna che salisse al trono e guidasse l’esercito, diventando Signora delle Guerre? Nessuno l’avrebbe mai seguita, né accettata come legittima erede al trono di Britannia. Per questo dovette fingersi un uomo e prese il nome di Artù Pendragon».
«E adesso, giovane Apostolo, Arturia è tornata in te» disse l’Oscuro Signore.
Rory, istintivamente, si guardò le mani, come se la risposta a tutte le sue domande si trovasse proprio lì.
Non ricordava un momento in cui si era sentita più incredula e confusa che mai di allora. Artù Pendragon, il leggendario eroe della Britannia, era in realtà un’eroina? Una ragazza, proprio come lei? E lei, Rory… lei era… la sua reincarnazione? Ma era assurdo! Non aveva senso, nessun senso…
“Ma allora perché ho con me Excalibur?”
Excalibur era la spada di Re Artù. Non c’era leggenda sul Ciclo Arturiano che non ne parlasse. Il suo nome significava “in grado di tagliare l’acciaio”.
Per quanto Rory ne sapesse, aveva Excalibur con sé fin da quando erano morti i suoi genitori, dopo che quel maledetto demone li aveva uccisi e aveva dato fuoco all’intero villaggio.
Non era così presuntuosa. Non si sarebbe mai azzardata a sostenere che la sua spada fosse Excalibur, se non l’avesse vista in azione. Rory l’aveva vista dividere a metà la lama di un’altra spada che aveva osato incrociarsi con essa, come se fosse un grissino.
Era stata sua madre a brandirla, finché non l’aveva donata alla figlia.
Sua madre. Una donna. Non poteva affatto essere una coincidenza.
E poi il suo cognome, “Drakon”… quanto poteva essere diverso da Pendragon?
“Drakon”, se veniva pronunciato “Drakòn” invece di “Drekon” com’era, significava “drago” in russo… mentre “Pendragon”, o “Pen Draig”, in celtico significava “testa di drago”.
E il drago era uno dei simboli più famosi di Re Artù, o meglio… della Regina Arturia.
Lei era Arturia Pendragon.
«Io sono Arturia Pendragon» ripeté piano, mentre continuava a guardarsi le mani, perplessa.
«Esattamente, piccola» disse Aion, avanzando lentamente verso di lei.
«Perché sono qui?» domandò Rory, sollevando lo sguardo e fissando dritto negli occhi rosso sangue la creatura nell’oscurità. «Che cosa vuoi da me, da noi Apostoli? Perché siamo così importanti per te? Cos’è che vuoi esattamente, chiunque tu sia? A che cosa ti serviamo?»
Ci fu un istante di silenzio.
«Quanto sei disposta ad andare a fondo, Rosemary Elizabeth Madelyn Willow Drakon… Arturia Pendragon?» fu la domanda che le rivolse il Signore Oscuro.
«Fino alla fine, se serve» rispose Rory, decisa.
Il Signore Oscuro rise. «D’accordo, come vuoi allora. Probabilmente ti farà molto male saperlo, ma da quanto sostieni sei disposta a sopportarlo». Gli occhi color della brace si posarono su Aion. «È tutta tua, Aion». Poi levò una mano.
Rory sentì la testa girare e le palpebre farsi immediatamente pesanti. Avrebbe voluto reagire, ma si sentiva debole, le era venuto sonno all’improvviso.
Barcollò, e sentì le mani di Aion che l’afferravano e la prendevano in braccio.
«Alucard…» fu tutto quello che riuscì a mormorare, prima di sprofondare in un sonno senza sogni, con la risata di Aion che le rimbombava nelle orecchie.


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Capitolo 22
*** Il demone ***


Rory sbatté gli occhi.
Era sdraiata supina, su qualcosa di morbido e caldo. Un letto, non c’erano dubbi.
Si sollevò piano seduta, ma subito sentì la testa girarle e la debolezza assalirla di nuovo. Si appoggiò alla schiena del letto per un istante, e fu allora che abbassò lo sguardo.
I suoi vestiti… Che accidenti stava indossando? Lei odiava gli abiti da sera! Non ne possedeva neanche uno!
Ma in quel momento aveva indosso dei guanti neri lunghi di pizzo nero alle braccia e soprattutto un lungo, prezioso e sontuoso abito ceruleo dalle spalline sottili lungo fino ai piedi, con una lieve scollatura a V. Da dove cavolo era sbucato fuori!?

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Decise di lasciar correre e si guardò intorno, cercando di capire dove si trovava.
Era in una camera da letto quadrata, così immensa che si sarebbe potuta considerare una salone, con una grande finestra da cui filtrava la luce della luna e due sedie di marmo con un tavolino piccolo e rotondo. Rory distesa su un largo ed immenso letto a baldacchino rosa.
Al centro della sala vi era un cilindro di marmo bianco che proiettava un immagine ologrammata di una ragazza molto bella, che poteva avere benissimo la sua stessa età. Aveva i capelli biondo chiaro intrecciati in un alto chignon, indossava un lungo abito ceruleo simile a quello di Rory con sopra un’armatura d’argento e nella mano destra stringeva una spada molto familiare: Excalibur.

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La cosa che più fece rimanere Rory di stucco fu che quella ragazza era uguale a lei: nonostante i capelli fossero biondi e non corvini, aveva la sua stessa espressione, la sua stessa protesi…
«Mi chiedevo se l’ologramma ti sarebbe piaciuto».
Rory si girò e vide Aion che la osservava, le mani affondate nelle tasche del suo completo bianco candido.
«Ben svegliata, Rory Drakon. O forse dovrei chiamarti… Arturia Pendragon». Il demone lanciò un’occhiata all’ologramma, poi a Rory. «Sei magnifica, sia in quest’ologramma, sia con l’abito che indossi ora».
Rory fece un verso di disprezzo.
«Prego, accomodati» la invitò Aion, con un sorriso oscenamente cordiale. «È giunto il momento di fare due chiacchiere».
Aion mosse una mano, e Rory sentì come se una forza invisibile muovesse il suo corpo, costringendola a sedersi su una delle sedie. Cercò subito di rialzarsi, ma era come se il suo sedere fosse incollato al sedile.
Aion sghignazzò. «Sei stata colpita dal raggio d’ipnosi del mio Signore, eppure ti sei ripresa con sorprendente velocità. Solo un corpo in cui si è reincarnato un Apostolo avrebbe potuto tanto».
«Perciò ci siete tu e quel bastardo con gli occhi rossi dietro a tutto questo?» sibilò Rory. «Voi avete annientato l’Ordine della Maddalena e la Tredicesima Divisione Iscariota?»
«Certo che sì, dolcezza».
«Perché?» domandò Rory, trasecolata. «A che scopo?»
«Vedi, piccola, non tutti i mortali condividono appieno la benevolenza che porterebbe il nostro piano di riunire tutti voi Apostoli» spiegò Aion. «Diciamo che c’era una certa categoria di mortali che, volendo, avrebbero potuto intralciarci. Mortali che costituivano l’Ordine della Maddalena e l’Iscariota. Quindi è stata necessaria una – come dire? – operazione di pulizia».
«Avete sterminato centinaia di persone innocenti solo perché avrebbero potuto darvi fastidio nel compiere il vostro schifo di obiettivo!?» ripeté Rory, il volto tra l’attonito e l’adirato. «Siete dei mostri! Non esiste causa che valga le stragi che avete compiuto tu e il tuo padrone!»
«Parole davvero nobili, degne della Signora delle Guerre» commentò Aion. «Oh, ti prego, piccola, non fraintendere, quella della pulizia non è certo stata un’idea mia, mi credi davvero capace di poter suggerire una cosa del genere?». Aion sembrava sinceramente ferito. «Era necessario, tutto qui».
«Cos’è che volete esattamente, tu e il tuo Signore?»
Aion ridacchiò. «Credevo che il caro Joshua vi avesse già spifferato tutto…»
«Ma io voglio sentirlo dire da te».
Aion le lanciò un’occhiata. «E va bene, mi sembra più che giusto. Vogliamo riunire i Sette Apostoli ed usare il vostro potere per far scendere il Paradiso sulla Terra e trasformarlo in Inferno. Vogliamo distruggere questo mondo che tutto corrompe per crearne uno migliore. Vogliamo fare in modo che non ci siano più Inferno e Paradiso».
«Siete solo dei pazzi, voi non potete farlo!»
«Eppure c’è molta gente molto più ragionevole di te che ha accettato di perseguire questo brillante obiettivo». Gli occhi di Aion scintillarono. «Come il tuo amatissimo Alucard e il suo caro fratello, Chrono».
Rory sgranò gli occhi. «Alucard alleato di un bastardo come te!? Mi hai preso per una stupida!? Non ti credo!»
«Credo che tu non sappia molte cose del tuo Alucard, Rory Drakon… ora che il nostro obiettivo è quasi completo, il caro Conte non potrà fare altro che inginocchiarsi a me e divenire ancora una volta mio seguace…»
«Non credo nemmeno a una parola di quello che hai detto! Anche se Alucard fosse stato tuo alleato, ora non lo è più! Lui è diverso, è buono, non è una creatura malvagia! Non si unirà mai a te!»
«Santo cielo, lo ami davvero tanto, allora» sghignazzò Aion.
Rory avvampò. «Cosa ne sai tu?»
«Oh, non ci voleva certo un genio per capirlo» rispose Aion. «Io so sempre tutto ciò che occorre sapere.»
«Che cos’hai fatto a Chrono, Satella ed Azmaria?»
«Se ti stai chiedendo se sono vivi, non devi preoccuparti, piccola, tutti e tre lo sono, anche se non posso garantirti che siano in buona salute» rispose Aion.
«Sei un demonio» ringhiò Rory, sprezzante.
Aion ridacchiò. «Dimmi, Apostolo… è tanto grande il tuo odio per i demoni?»
«Non ha limiti!» scattò Rory. «La vostra unica ragione di vita è l’odio! Il vostro unico credo è la morte! Ed io farò di tutto per annientare quelli come te!»
«Però… tu e Satella Harvenheit vi somigliate più di quanto si possa solo pensare… vista la situazione in cui ti trovi devo dire che hai un bel coraggio… forse sei così intrepida grazie a questa?»
Rory sbatté le palpebre e vide Excalibur stretta nella mano di Aion. Trasalì.
«È la tua spada ciò che ti ha protetto fino ad ora, non è così?». Aion avvicinò il volto all’elsa di Excalibur ed inspirò profondamente. «Mmm… ha un buon profumo…»
«NON TOCCARLA!!! ESSERE ORRIPILANTE!!!» esplose Rory, e questa volta riuscì a scattare in piedi, ma subito si sentì le ossa pesanti; si sorresse ad un bracciolo della sedia.
«Quanta furia…» commentò il demone, mentre la spada, così come era apparsa, svaniva. «Sei in una situazione difficile eppure che sembra che ancora confidi nei tuoi poteri… peccato che questa stanza assorba qualunque tipo di energia benefica sia presente in essa, rendendola inerme. Persino il potere di un Apostolo. Ecco perché sei così provata…»
Il demone allungò una mano verso il suo viso, sfiorandole la guancia con la punta delle dita.
«Non toccarmi!» Rory gli schiaffeggiò con violenza la mano, scostandosela dal volto.
«La draghessa sfodera gli artigli». Un mezzo sorriso arricciò le labbra di Aion, disperdendo sul suo viso una spruzzata di divertimento.
Gli occhi del demone lampeggiarono, e Rory sentì la schiena inarcarsi e raddrizzarsi, costringendola a tenere il petto all’infuori. Cercò di muoversi, ma era come paralizzata.
Aion sogghignò e catturò il mento della ragazza con il palmo della mano in una presa delicata quanto ferrea; con il pollice le sfiorò la guancia.
«Che peccato…» mormorò il demone, avvicinando il proprio volto a quello della ragazza. «Quando i tuoi amichetti verranno a salvarti, sarò costretto a riconsegnarti all’Oscuro Signore perché ti sistemi assieme ai tuoi fratelli Apostoli… uno splendido e prezioso fiore come te merita di essere curato da mani benevole…»
Per tutta risposta, Rory gli sputò dritto in faccia. Aion imprecò, lasciandola andare di botto, e lei cadde di nuovo seduta sulla sedia. Cercò subito di rialzarsi, ma di nuovo le sembrava di essere incollata al sedile.
Aion si passò un braccio sul volto, ridacchiando. «I petali di questo adorabile fiorellino però sanno essere davvero molto velenosi… prima di tornare dagli altri prigionieri per far sì che il mio piano funzioni, mia bella, voglio raccontarti una storia…»
Rory, per quanto sprezzante e altera, istintivamente si fece attenta, mossa dalla curiosità.
Aion cominciò a girare per la stanza, le mani nelle tasche. «Tanto tempo fa, nei boschi della città di Glastonbury viveva un popolo di valorosi cacciatori di creature malefiche…»
Boschi. Popolo. Glastonbury. Cacciatori di creature malefiche.
Rory sentì il sangue gelarsi nelle vene. Possibile che le stesse raccontando la tragedia del suo popolo, della sua famiglia?
Fuoco. Fiamme. Morte. Distruzione. Il demone.
Intorno alla piccola Rosemary imperversava l’incendio, divorando l’intero villaggio, le case, le persone. I guerrieri del villaggio avevano fatto di tutto per contrastare il fuoco e colui che l’aveva creato, invano.

Rory sbatté gli occhi, cercando di scacciare quegli orribili ricordi che la stavano attraversando inesorabili la mente…
Rosemary era inginocchiata, piangente, a terra, accanto al corpo di Christ, una ragazza che un tempo era stata sua amica, ma che ormai non c’era più: lui l’aveva uccisa mentre questa cercava di proteggere Rosemary.
«Essi però furono cancellati facilmente da un singolo demone… contro il quale i loro poteri non ebbero alcun effetto…». Mentre parlava, Aion le dava le spalle.
Lui. Il demone.
Era in piedi, davanti alle fiamme, girato di spalle, le grandi ali membranose spiegate, i lunghi capelli raccolti in una sottile treccia che gli scendevano lungo la schiena, le orecchie grandi e appuntite…

«Solo una ragazzina rimase in vita di quella stirpe… grazie ad un capriccio del demone… fu l’unica a non essere uccisa… perché lei era un’Apostolo, perciò molto preziosa per i piani del demone…»
Aion infine si voltò a guardarla, sogghignando maligno. «Sei cresciuta ora, sei una donna splendida… Rosemary Elizabeth Madelyn Willow Drakon del popolo di Glastonbury!»
All’improvviso il demone si voltò lentamente, e volse lo sguardo verso di lei, ghignando malvagio. Le fiamme illuminarono il suo volto. Un volto che Rosemary non avrebbe mai più dimenticato.
Era il volto di Aion.
Fu come se il sangue le si fosse trasformato in una massa di ghiaccio che le schiacciava il petto fino a soffocarla.
Un urlo strozzato, traboccante di orrore, disperazione e dolore fuoriuscì dalla sua bocca, con una forza tale che sentì la gola farle un male bestia.
L’orrida risata di Aion la trapassò da parte a parte come una pioggia di frecce avvelenate.
«Ah, ma non ti ho detto la parte più bella» sghignazzò il demone. «Il tuo amato Alucard sapeva tutto, sapevo che sono stato io… a uccidere Christ e il tuo popolo e a distruggere il tuo villaggio. E te l’ha tenuto nascosto. Per sedici anni…»
L’urlo di Rory risuonò nell’intera sala senza affievolire di volume.


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Capitolo 23
*** Al salvataggio ***


«CHE COSA!? RORY È STATA RAPITA!? COME!? QUANDO!?» urlò Alucard a Subaru e Christ.
«Aion…» singhiozzò Christ. «È stato Aion…»
Gli occhi di Alucard arsero come fiamme infernali. «Quel bastardo infame… lo impalerò con le mie stesse mani! Dobbiamo andare a salvare Rory!»
«Chi cacchio è questo Aion!?» domandò Luke.
«Un esagitato col pallino della creazione del suo mondo ideale» rispose Alucard, cupamente.
«Aspetta… santo Jimi Hendrix! Mica è quello psicopatico con cui tu eri alleato molti anni or sono!?»
Seras, Christ e Alyssa fissarono Luke a bocca aperta, poi volsero lo sguardo verso Alucard. «Cheeeee!?»
«È accaduto che ero ancora un umano» sospirò Alucard. «Un umano sciocco e pieno di ambizioni, troppo cieco per accorgersi che stavo seguendo un illuso, malvagio e depravato. Ora non ha importanza, dobbiamo andare a salvare Rory, SUBITO. E non ditele niente…»
«Alucard… eri alleato di Aion?» domandò Christ, incredula. «Cos’è che non dobbiamo dirle?»
«Esattamente questo. Non deve saperlo» tagliò corto Alucard.
«Ci stai nascondendo qualcos’altro» dichiarò Alyssa.
«Taci, ragazzina».
«Alucard, io credo che tu debba dirlo, soprattutto a Christ» disse Sebastian. «Non puoi continuare a nasconderlo per l’eternità, sarà molto peggio se lo scopre da sola».
«Fate capire qualcosa anche a noi!?» borbottò Luke.
«Dirmi che cosa!? Di che cosa state parlando!? Non fate come se non ci fossi!» protestò Christ.
Alucard fece un respiro profondo. «Quel demone… Quello che ha ucciso te e ha tentato di fare lo stesso con Rory… Era lui. Era Aion».
Un silenzio tombale pervase l’aria.
Christ sgranò gli occhi dall’orrore di quella rivelazione e vacillò, sorretta da Subaru.
«Mio Dio!!!» esclamò Seras.
«No… non è vero…» mormorò Joshua, più per rassicurare se stesso, che per accusare il Conte.
«È verissimo, moccioso» sibilò Alucard. «E adesso andiamo, prima che quel rifiuto faccia qualcosa di cui potrebbe pentirsi molto amaramente…»
«Lo sapevate!» urlò Subaru, fissando Alucard con un volto tra l’attonito e l’adirato. «Voi l’avete sempre saputo che era quel maiale e non ce lo avete mai detto!»
«Abbassa i toni, ragazzo. Muovetevi piuttosto!» ordinò il Conte agli altri, girando i tacchi.
«BASTARDO!!!»
Tutti ammutolirono, terrificati, fissando Christ, che ansimava in preda alla rabbia.

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«Oh, merda…» mormorò Luke, in dialetto americano.
Alucard si fermò, di spalle. Fremeva di rabbia. «Ringrazia che sei la migliore amica di Rory e che hai ricevuto la protezione della mia padrona, perché, fosse stato per me, ti avrei già impalata e costretta ad una morte lenta e agonizzante. Sei troppo impertinente, superba e impulsiva, senza contare che stavi con il nemico e hai funto da sua spia per tutto questo tempo! Se non fosse stato per te, Rory non sarebbe stata rapita!»
«STAI ZITTO!!!» gli strillò in faccia Christ. «MOSTRO!!! CANE!!! LO SAPEVI!!! SAPEVI CHI ERA IL MIO ASSASSINO E NON ME L’HAI DETTO!!! FORSE NON SEI COSÌ DIVERSO DA AION, FORSE NON SEI COSÌ DIVERSO DA COME TI DIPINGEVA LUI!!!»
«Christ, calmati…» cercò di dire Alyssa, con il fiato mozzo dalla paura.
Alucard si voltò, furioso, fissando Christ con occhi di brace. «Adesso BASTA» intimò.

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«VAI ALL’INFERNO!!!» gli urlò la vampira in risposta.
In un attimo si ritrovò puntata la canna di Jackall sulla fronte.
«Ally, NO!» urlò Luke.
«Coraggio, ripetilo, mocciosa» sibilò Alucard a Christ, pungolandole la fronte con la canna della pistola. Christ lo fissava con gli occhi sbarrati.
«Mio Signore!!!» gridò Seras.
«Ally, fermati, non farlo!!!» Luke afferrò il braccio di Alucard tentando di abbassarglielo a forza.
«Non – chiamarmi – Ally! – Levami – le mani – di dosso!»
Luke per poco non se la fece addosso alla vista dello sguardo assassino che il vampiro gli lanciò, ma nonostante questo non mollò la presa.
«Non costringermi a farti a pezzi, Luke. La-scia-mi.»
«Così puoi ammazzare meglio Christ!? Ti sei del tutto rincoglionito!?»
«Ti faccio a pezzi se solo osi sfiorarla!» urlò Subaru, spingendo via Christ e portandosi al suo posto, la Jackall puntata sulla sua fronte.
«Subaru, no!» gridò la vampira.
«Tremo di paura…» sibilò Alucard, togliendo la sicura.
«Alucard, non farlo!» intervenne Alyssa.
«Dammi una buona ragione…»
«Basta!» gridò Joshua. «Ma non capite!? Stiamo facendo esattamente il gioco di Aion! Lui vuole che ci distruggiamo a vicenda, così non gli possiamo essere di alcun intralcio!»
Quelle parole sembrarono riscuotere Alucard. «Aion… Rory!»
Il Conte ritrasse la pistola e si voltò, cominciando a sparire nel terreno.
«Alucard!» lo chiamò Sebastian.
«Dove cazzo vai!?» gli gridò Christ. «Non sai nemmeno dove l’ha portata!»
«Non mi interessa, quel verme non può nascondersi da me. Lo troverò, ovunque egli sia!»
«Ally, ma sei scemo!?» sbottò Luke. «Vai senza di noi!?»
«Rory è nostra amica, non la lasceremo mai al suo destino!» affermò Seras.
«Rassegnati, noi veniamo con te» puntualizzò Alyssa.
«E se cerchi di fermarci te ne pentirai amaramente!» rincarò la dose Christ.
«Ne sarei tentato…» ghignò Alucard. «Ma potreste farmi comodo come scudi umani…»
«Prego, Alucard, ricordati che io non sono umano» sorrise ironico Sebastian.
«In tal caso ti userei come scudo demoniaco. Ma adesso andiamo, abbiamo perso anche troppo tempo…»
«Hai intenzione di continuare a mentire anche a Rory, quando la salveremo?» sibilò Christ, senza riuscire a trattenersi.
«Se sarà necessario, sì» dichiarò Alucard in tono piatto. «E non tollero che tu faccia qualcosa…»
«Smettetela, per favore!» esclamò Seras. «Litigare non ci servirà, ci renderà solo più deboli!»
«Se nessuno di voi dice niente a Rory, non c’è motivo di litigare» puntualizzò Alucard. «Ora andiamo…»
«Sai almeno da che parte cominciare?» sbottò Christ.
«Visto che sei tanto brava, perché non ce lo dici tu da dove iniziare? Coraggio…»
«Rifletti bene!» esclamò Christ. «Come hai detto tu, sono stata dalla parte del nemico, anche se inconsapevolmente! Io so dove si trova il nascondiglio di Aion e dei suoi seguaci, vi ci posso portare, ed è quello che farò!». Sulla sua schiena comparvero le nere ali piumate. «Sbrighiamoci, non c’è tempo da perdere! Volando arriveremo più in fretta!»
A quelle parole anche Joshua ed Alyssa evocarono le proprie ali d’angelo.
«Bella idea, solo che noialtri non sappiamo volare!» borbottò Luke.
«Prego?». Gli occhi di Alucard si accesero di rosso. In un battito di ciglia, il Conte cambiò forma, trasformandosi in un gigantesco pipistrello dagli occhi rossi e dalle grandi zanne acuminate.
«Cavolo!!!» esclamarono Alyssa, Christ, Seras e Joshua all’unisono.
«Minchia, che figata!» esclamò Luke. «Ecco a voi Bat Alucard!»
«Taci, Luke, o ti stacco la testa» borbottò il pipistrello, muovendo la bocca e parlando con la voce di Alucard.
«È veramente inquietante…» commentò Joshua.
«Davvero mirabolante. Ora tocca a me» disse Sebastian. Il demone chiuse gli occhi e poi li riaprì; le iridi erano diventate di una colorazione rosee e le pupille serpentine erano molto evidenti.

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Poi Sebastian tese i muscoli, e nella sua schiena spuntarono degli strani affari neri, non ben definite. Infine, con uno scatto, uscirono fuori. Erano enormi.
Sebastian aprì le braccia di scatto e le due enormi cose nere sulla schiena seguirono il movimento e si spalacarono. Due ali… non c’erano piume. Era più simili a quelle di un pipistrello.
Due ali nere da demone.
«Wow…» mormorò Alyssa.
«Perfetto» disse Alucard pipistrello, poi lanciò un’occhiata a Seras. «E tu cosa stai aspettando, poliziotta?»
«Cosa?»
Il pipistrello alzò gli occhi al cielo. «Che aspetti a trasformarti anche tu in una pipistrella?»
«Cheeee?» fece Seras. «Io… io posso…?»
«… trasformarti in un pipistrello? Certo che puoi, sciocca ed ingenua ragazza, sei una Nosferatu, anche se sei di un livello ancora pateticamente inferiore puoi farlo, quindi che cosa stai aspettando, un invito ufficiale?»
«M-Ma, mio Signore, non so come si fa» balbettò Seras, imbarazzatissima.
«Immagina di poter modificare il tuo corpo a tuo piacimento nella creatura in questione» rispose Alucard.
Seras ci provò. Chiuse gli occhi, e cercò di immaginare il suo corpo che mutava: i capelli che sparivano, la testa che si rimpiccioliva e le orecchie che crescevano, il suo corpo rimpicciolirsi, le sue braccia munirsi di ali, le gambe mutarsi in zampe…
«Bravissima, Seras! Ce l’hai fatta!» esclamò Joshua, quando la draculina si trasformò infine in un pipistrello molto simile ad Alucard, però di qualche dimensione più piccola e con le ciglia sugli occhi rossi come il sangue.
«Che palle! Perché sono sempre io lo sfigato della situazione?» si lamentò Luke. «Io non ho nessun potere figo con cui spaccare culi, ho solo delle fottute pistole! E per di più non so neppure volare! Che grandissima rottura di palle…»
«Non sai quanto ti sbagli, Luke» mormorò Alucard.
Luke alzò lo sguardo fissando l’amico con sguardo interrogativo, ma il pipistrello non aggiunse altro.
«Mi secca ammettere che nemmeno io sono in grado di volare. Che cosa facciamo?» chiese Subaru.
«Due di noi dovranno portarvi, non c’è altra soluzione» rispose Alyssa.
«A Subaru ci penso io» si offrì subito Christ, arrossendo. «Dopotutto non pesa, no? Perlomeno non per me…»
«Sì, sì, abbiamo capito piccioncini, dai…» sghignazzò Luke.
Christ, arrossendo come un peperone, afferrò Subaru da sotto le spalle, agitò le ali e si sollevò in volo. «Spicciatevi a seguirci!»
A quelle parole, Seras pipistrello, Alyssa, Joshua e Sebastian spalancarono ognuno le proprie ali e la seguirono.
«Okay, a me chi mi po…?»
Ma prima che Luke potesse solo terminare la frase, si sentì all’improvviso senza peso e il terreno mancargli sotto i piedi. Zampe artigliate gli cingevano le braccia e lo tenevano sollevato in aria, quasi fosse privo di peso.
Luke alzò lo sguardo e vide sopra di sé il pipistrello Alucard che lo trasportava.
«Per la barba di Odino, amico!» sbottò. «Mi hai fatto prendere un colpo! Non potevi avvisarmi semplicemente con un “Ti porto io, Luke”?»
«Ragazzo, sei petulante» sbuffò il pipistrello.
«Vabbé. Ally, che volevi dire prima con la frase “Non sai quanti ti sbagli”?»
«Non ti serve saperlo».
Il pipistrello guardò davanti a sé, cercando di seguire con lo sguardo Christ che volava alcuni metri davanti a loro.
“Rory” pensò.
Luke intuì cosa gli passasse per la testa, e tacque.


***


“Rory”.
La voce di Alucard che pronunciava il suo nome le risuonò nella testa, ma Rory non lo sentì. O forse non voleva sentirlo.
Cacciò l’ennesimo urlo disperato, mentre le lacrime le inondavano il viso a fiumi.
«Controllati. Stai piagnucolando come allora» sghignazzò Aion, gustandosi la scena.
«MALEDETTO!!! BASTARDO!!!» urlò lei tra le lacrime, scagliandoglisi contro e prendendolo a pugni con tutto l’odio che aveva. «HAI UCCISO LA MIA FAMIGLIA!!! LA MIA MIGLIORE AMICA!!! IL MIO POPOLO!!! CHE TU SIA MALEDETTO!!! CHE TU SIA MALEDETTO!!!»
Aion rise e le bloccò i polsi con entrambe le mani in una morsa ferrea. «E che cosa farai? Dimmi, mi ucciderai? È questo desiderio di vendetta che ti ha tenuta in vita, no?»
Rory singhiozzò con veemenza, stringendo i pugni con forza, tentando di liberarsi.
«Mi piace la tua espressione disperata. Mi dà i brividi» sghignazzò Aion.
«Io ti ucciderò…» ringhiò Rory, il sangue che ribolliva di odio.
«Davvero? Interessante. E come farai?»
Aion la schiacciò contro la parte del muro con violenza, bloccandole i polsi ai lati della testa.
«LASCIAMI!!!» urlò Rory con tutto il fiato che aveva in gola.
«Rassegnati, non puoi fare nulla, ora sei in mio potere…»
«Bastardo, io ti ammazzo!!! Lasciami andare!!! LASCIAMI!!!» strillò Rory, mentre si dimenava.
«Sta’ ferma, è inutile che opponi resistenza, sono molto più forte, e tu sei sola, mio piccolo Apostolo, nemmeno il tuo amato Alucard ora può salvarti». Aion le si avvicinò, sfiorandole un orecchio con le labbra. «In fondo, quanto puoi contare davvero per lui, se ti ha abbandonata qui e ti ha mentito per tutto questo tempo riguardo a me?»
Fu come se Aion le avesse conficcato un pugnale dritto nello stomaco. Le lacrime le rigavano le guance, incessanti. Non rispose, guardò fisso per terra. Si sentiva quasi stordita.
Aion ridacchiò. «Ti hanno mai detto che sei ancora più bella… quando piangi?»
Rory fece appena in tempo a sollevare lo sguardo che le labbra di Aion erano già sulle sue.
La parte ancora razionale del cervello di Rory cercò di sottrarsi a quel bacio. Mugugnò a più non posso, si divincolò, tentò di muovere le braccia e di sgusciare via da quella presa, ma inutilmente.
Aion avvicinò di più il corpo a quello di lei, premette le labbra con più forza nelle sue, non lasciandola quasi respirare. Era come se il suo bacio le stesse rubando le energie, si sentiva sempre più debole, le gambe la sostenevano a stento.
Poi il demone si allontanò, e Rory ansimò e sputacchiò.
«Che sapore… divino…» commentò Aion, passandosi la lingua sulle labbra.
«Verme… cane…» mormorò Rory, barcollando. «Crepa…»
Il solo articolare una frase le costava fatica. Riusciva a reggersi in piedi a malapena; ad un certo punto cedette e fu costretta ad appoggiarsi al petto del demone, che subito le cinse con forza i fianchi con le mani.
«Povera piccola Rory Drakon» ridacchiò Aion, sussurrandole all’orecchio. «Hai fatto tutto quello che potevi, ma adesso sei rimasta sola, come sempre. Ora niente e nessuno può salvarti…»
Rory sentì la gamba del demone insinuarsi in mezzo alle sue gambe, premendo con forza. Lanciò un gemito acuto, stringendo gli occhi per il dolore.
«Puoi anche pregare il tuo Dio, se vuoi, ma ho la sensazione che non ti ascolterà... non l’ha fatto quando hai perso la tua famiglia, né quando ho ucciso Christ… Lui non ascolta mai nessuno…»
In un attimo le labbra di Aion furono di nuovo sulle sue, mentre le mani delle demone facevano scivolare giù le spalline dell’abito ceruleo.
Rory cercò di opporsi con tutte le sole forze che le rimanevano. Invano.
“Alucard…”


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Capitolo 24
*** Jackson's Beach ***


Quel volo nella notte sembrava stare durando un’eternità. La luna era oscurata dal grigio delle nuvole. Avevano sorvolato praticamente tutta Londra senza fermarsi neppure un istante.
L’orologio sul polso di Luke segnava che ormai era mezzanotte passata.
«Che pizza! Sono stanco!» protestò il ragazzo. «Non mi sento più le braccia! Quanto manca?»
«Saresti tu quello stanco?» sbuffò Alucard pipistrello. «E io che oltre alle tue inutili chiacchiere devo sopportare anche il tuo peso? Dovresti metterti a dieta, mangi troppi hamburger…»
«Smettetela!» sbottò Christ. «È laggiù!»
Luke fissò davanti a sé e vide in lontananza un’ampia spiaggia zeppa di ombrelloni e col mare mosso. Un cartello che si trovava all’ingresso recitava “Jackson’s Beach”.
«Jackson’s Beach?» domandò Alyssa, leggendo il cartello. «Una delle spiagge più frequentate di Londra?»
«Ha senso» rispose Alucard. «A volte il modo migliore per nascondersi dai propri nemici è mettersi in bella mostra».
«Proprio così» confermò Christ.
Atterrarono sulla sabbia, proprio al centro dell’intera spiaggia. Alucard posò a terra a Luke e poi riacquistò il suo aspetto da vampiro, assieme a Seras. Christ posò a terra Subaru e poi, assieme ad Alyssa, Joshua e Sebastian, fece sparire le proprie ali dalla schiena.
«Be’? E adesso che si fa?» domandò Subaru, guardandosi intorno.
«Io non vedo nessun fottuto castello stile Mordor o stile famiglia Addams da queste parti» commentò Luke.
«Già, solo sabbia, sdraio e ombrelloni, bella roba, proprio adatta a dei geni del male» borbottò Joshua.
«RORY!» Seras accostò i palmi delle mani accanto alla bocca per amplificare la voce. «RORY, DOVE SEI! RORY!»
«Zitta, agente!» la fulminò Sebastian. «Così rischi di farci scoprire!»
«Non osare rivolgerti a lei in questo modo!» la difese Joshua.
«Non osare chiamarla “agente” senza il mio permesso» s’intromise Alucard.
«SILENZIATEVI!» esplose Christ. «Così magari riesco a trovare quella maledettissima entrata!»
Una risata sottile, di gola, pervase l’aria. «E così alla fine siete riusciti a giungere fin qui… ben fatto, Darion».
D’istinto tutti si voltarono nella direzione da dove proveniva quella voce, calda, melodiosa, pastosa, così innocente e gradevole all’udito, così bugiarda…
«Chi c’è!?» gridò Joshua, all’oscurità.
«Fatti vedere!» intimò Alyssa.
Dalle tenebre emerse una magra, inquietante ed alta figura che sembrava essere fatta della stessa tenebra dalla quale stava venendo fuori con eleganza sinistra. Aveva un viso allungato, strano ma affascinante, capelli corti e neri lucidi, grandi occhi gialli, denti bianchi e appuntiti, una pelle grigio scuro ammantata d’una veste nera e lunga con una scollatura a V sul petto.

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Pitch Black tese una mano e dal palmo scaturì un raggio di sabbia nera che colpì Alyssa in pieno, facendola svenire.
«Mia signora!» gridò Sebastian, sorreggendola con le braccia prima che cadesse a terra.
L’Uomo Nero rivolse un elegante inchino agli otto amici.
«Chi sei!?» domandò Seras, altera, mentre il suo braccio sinistro mutava, trasformandosi in una massa di materia ombrosa dal colore nero-arancio, vagamente somigliante ad una frusta.

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«L’Uomo Nero, Pitch Black… la vostra nemesi» replicò Pitch con un ghigno.
«Nemesi è un parolone, direi. E hai dimenticato una cosa: se non ci porti da quello schifoso del tuo socio, aggiungerai l’appellativo “Uomo Morto”» sibilò Alucard.
«Aspetta, aspetta! Tu sei Boogymen? Il famoso wrestler?» esclamò Luke tutto elettrizzato. «Minchia, che figata!»
«Chiudi quella bocca, umano» ribatté secco Sebastian, mentre si accertava che le condizioni di Alyssa non fossero gravi. «Tu e il tuo cervello da rimbambito».
«Uffa, Seby, pure tu!» borbottò Luke. «Stavo scherzando! Non sono uno stupido!»
«No, solo un emerito coglione» sbottò Subaru.
«Ehi!»
«Taci» lo zittirono all’unisono Pitch e Alucard guardandosi poi in cagnesco.
«Pitch! Sputa il rospo!» intervenne Christ. «Dov’è Rory?»
«So per certo che è con Aion, ragazzina, ma non so dirti cosa volesse fare…» sogghignò Pitch, e a quelle parole gli occhi di Alucard si accesero come fiamme infernali.
«CHE INTENDI!?»
«Parla, brutto bastardo rognoso, o ti spezzo le ossa ad una ad una» sibilò Subaru.
«Quanta baldanza… se il vostro intento è servirvi ad Aion su un piatto d’argento… prego!» Pitch fece un ampio gesto con la mano e accanto lui apparve un buco nel terreno lungo circa cinque metri. «Ma purtroppo ho l’ordine di non lasciare passare di qui coloro che non sono Apostoli… Il vostro viaggetto termina qui, miei cari…»
«Ah, temo di no, mio caro Uomo Nero» disse Sebastian. «Hai osato fare del male alla mia Alyssa. Credi davvero di passarla liscia così?»
«Mi stai sfidando, demone?» sibilò Black.
«Bene, vedo che il cervello ti funziona a dovere quando si tratta di queste cose» sogghignò il demone.
Pitch ringhiò, e alla sua destra comparve una nuvola di sabbia che si tramutò in un incubo purosangue.
«Alucard». Sebastian si alzò in piedi, prendendo in braccio Alyssa e rivolgendo uno sguardo al vampiro. «Tu va’ avanti. Con questo scellerato me la vedo io. Non posso abbandonare la mia signora…»
“…Esattamente come tu non abbandoneresti mai Rory” finì di dire Sebastian, nella mente di Alucard.
“Vedi di non morire, Michaelis” rispose telepaticamente Alucard. “O te la farò pagare cara”.
Sebastian gli sorrise. “Lo stesso vale per te, Dracula”.
«Coraggio, ragazzi, andiamo». Alucard si gettò nella buca con un gesto, seguito da Seras, Subaru, Christ e Joshua, e tutti e quattro scivolarono lungo un ripido e tortuoso scivolo.


***


Sebastian posò il corpo inerme di Alyssa a terra, quindi fissò il suo avversario dritto negli occhi.
«Ciò che hai fatto è stato davvero deplorevole: hai osato fare del male alla mia signora. La sua vita appartiene a me, ed io non gradisco che venga toccato ciò che è mio di diritto. Mi dispiace, ma non posso lasciarti continuare a vivere, Black».
«Che paura… mi dispiace per te, mio caro, ma io sono uno spirito, non puoi uccidermi» disse Pitch.
«Oh, davvero?» Sebastian sorrise. «Sai, ho incontrato molti come te che hanno detto una cosa del genere… e be’, ora non posso garantire che siano ancora vivi, dopo che gli rimosso qualche arto…»
«Invece, tutti quelli che incontro io, scappano come bambini di fronte alle loro peggiori paure». Pitch sogghignò e accarezzò il dorso dell’incubo purosangue, che si agitava e ansimava dilatando le narici in direzione di Sebastian. «Calma, bellezza mia… mmm, a quanto pare Onyx sembra molto ansiosa di assaggiare i tuoi timori più profondi, Sebastian Michaelis…»
«Creature forti e astute, gli incubi purosangue» commentò Sebastian con una smorfia. «Tuttavia, niente affatto tra le mie preferite. I gatti sono molto meglio».
«S-Seby…» Alyssa era rinvenuta, e protendeva la mano verso di lui.
Sebastian si inginocchiò accanto a lei e le prese la mano. «Stai bene, Alyssa?»
«S-Sì…» Alyssa si sollevò seduta e gli si strinse al petto. «Coraggio, facciamo a pezzi questo bastardo…»
«Prego?» Sebastian ridacchiò. «Sono io quello che deve battersi con lui. Sono un diavolo di maggiordomo, dopotutto.»
«Non ti lascio lottare da solo! È anche la mia battaglia, Seby!»
«Ed io non ti lascio mettere la tua vita in pericolo». Sebastian le prese il mento con le dita. «Se fossi stata Ciel Phantomhive, ti avrei lasciato fare, mi sarei divertito e fatto quattro risate. Ma tu sei Alyssa Phantomhive. E non permetterò che ti accada nulla di male».
«Se è per questo nemmeno io permetterò che accada qualcosa a te!» sbottò Alyssa.
«Davvero?» A Sebastian brillarono gli occhi di rosa.
Alyssa si rese conto di aver detto una parola di troppo. Arrossì imbarazzata e chinò lo sguardo.
«Sì, davvero» bofonchiò Alyssa, per poi sentire le labbra del demone posarsi di nuovo sulle sue e il turbine di emozioni annegarla di nuovo in un vortice di passione. Poi le loro bocche si separarono.
«Non combatterai senza di me, Sebastian Michaelis» dichiarò Alyssa, sbottonandosi il primo bottone della sua camicetta, lasciando scoperto il collo: sul lato destro della gola vi era impresso in nero il simbolo del loro contratto, che subito s’illuminò di una luce azzurrina. «Questo è un ordine».
«Sì, mia signora». Sebastian addentò un lembo del guanto della mano sinistra e lo sfilò con un rapido gesto.

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«Oh, ma che cosa dolce! Non ho mai visto due innamorati così teneri!» commentò Pitch, in tono derisorio. «Immagino che vi farà piacere cadere insieme in battaglia…»
Alyssa si guardò intorno e vide che adesso l’Uomo Nero era in sella all’incubo purosangue chiamato Onyx, e che attorno ad essi era letteralmente apparso un intero esercito di neri cavalli scheletrici.
«Sono veramenti osceni questi cosi…» commentò la ragazza. Chiuse gli occhi, si concentrò, e sulla sua schiena comparvero le grandi e candide ali d’angelo. Poi estrasse dalla tasca la sua pistola.
Sebastian sollevò il braccio, mettendo in evidenza il simbolo del contratto sul dorso della mano sinistra. Gli occhi color rubino avevano acquisito una sfumatura rosea.

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«Insieme?» Alyssa fissò dritto negli occhi l’uomo che amava.
«Insieme» ripeté Sebastian, ricambiando lo sguardo con altrettanto sentimento. Sulla sua schiena apparvero le nere ali da pipistrello demoniache.
E si scagliarono insieme contro l’Uomo Nero e i suoi incubi.


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Capitolo 25
*** Verità dal passato ***


«MA COME SI FA A FERMARE QUESTO AFFAREEEEEEEEEEEEEEE!!!!» urlò Seras mentre, assieme a Joshua, Christ, Subaru, Luke e Alucard, scendeva lungo un tortuoso e ripido scivolo nero che non accennava a voler smettere di scendere giù e sempre più giù, nell’oscurità.
Poi finalmente, lo scivolo finì, e i sei amici vennero scagliati in aria, per poi precipitare a terra. Alucard si librò nell’aria come un trapezista e vi indugiò troppo a lungo, e atterrò con troppa leggerezza e Christ fece una capriola in aria e atterrò a ginocchia piegate per attutire la caduta, assieme a Subaru.
Luke, invece, atterrò per terra di faccia, in malo modo, vomitando alcune parolacce molto creative, in inglese e in dialetto americano, massaggiandosi il viso.
Joshua fece un volo di metri e cadde malamente di schiena, ma non fece nemmeno in tempo a rialzarsi che Seras finì sopra di lui, prona. Le loro labbra si toccarono senza che nessuno dei due potesse impedirlo: entrambi sgranarono gli occhi, rossi come un peperone.
Seras si staccò quasi subito, rimanendo però prona sopra Joshua, che la fissava dritto negli occhi.
I poveretti avevano l’espressione di due che avevano ricevuto un brutto colpo e ancora non riuscivano a capire cosa stesse succedendo.
Luke e Christ sghignazzarono senza ritegno, gustandosi la scena.
«Un po’ più vicini, piccioncini!» fischiò Luke.
«Piantala, idiota!» sibilò Subaru, tirandogli un pugno sul braccio che avrebbe steso un bufalo.
«Ahia! Ma sei scemo!?» protestò Luke, massaggiandosi la parte dolorante.
«Subaru! Sei cattivo! Non farlo più!» esclamò Christ, lanciandogli un’occhiataccia.
«Ahia! Porco mondo! Me l’hai praticamente rotto questo braccio!»
«Chiudi il becco, o perlomeno soffri in silenzio, ci farai scoprire!» lo fulminò Alucard, poi si voltò verso Seras e Joshua. «E voi due... allontanatevi subito l’uno dall’altro se non volete farmi diventare diabetico!»
«S-Sì, mio Signore» balbettò Seras, togliendosi da sopra di Joshua, il quale si alzò in piedi, entrambi i visi dei due giovani erano scarlatti, pareva che stessero per morire dall’imbarazzo.
«Dove siamo finiti?» domandò Subaru.
«Questo dev’essere il salone centrale che porta nelle varie stanze» disse Christ.
Si trovavano in una sala immensa, però priva di qualsiasi oggetto decorativo, completamente nera, che dava su un corridoio largo e molto lungo che sembrava non avere fine.
«Mi sembra un film horror» commentò Luke.
«Effettivamente i mostri non mancano» rise Alucard.
«Spero tanto che Alyssa e Sebastian stiano bene» mormorò Seras.
«Stai scherzando? Quei due sono guerrieri! Nervi d’acciaio! Anime di platino! Così tosti tosti da non sentire niente! Boogymen se la farà sotto dalla paura!» esclamò Luke.
«Adesso che cosa facciamo?» domandò Joshua.
«L’idea non mi piace, ma penso che dovremo dividerci» disse Alucard. «Alcuni di noi cercheranno Rory, altri mio fratello e la Strega dei Gioielli, altri gli Apostoli rimanenti».
«Va bene. Allora io vado a cercare mia sorella!» esclamò Joshua, sguainando i sai ninja.
«Allora vengo con te» disse Seras, fissandolo seria.
I due si scambiarono un sorriso dolce.
Luke ridacchiò. «Io potrei andare con i piccioncini e guardarli mentre si mettono a limo… ehm, cioè, andrei con loro per controllare che non facciano cose disdicevoli…»
«No, tu andrai da solo, e cercherai Satella e mio fratello» disse Alucard.
«Ehi! Perché proprio io?»
«Perché, ragazzino stupido, logorroico e petulante, per quanto io detesti oltre ogni dire doverlo ammettere… io… mi fido di te».
Luke strabuzzò gli occhi. «Ripeti un po’…»
«Oltre ad essere incredibilmente stupido sei anche sordo, ragazzo?» sbottò il vampiro. «Io mi fido di te. Sei l’unico amico sincero che abbia mai avuto in entrambe le mie vite. Walter mi ha tradito, Chrono è stato lontano per troppo tempo e tutti gli altri agenti della Hellsing sono intimoriti da me. Per quanto io detesti a morte la tua insopportabile allegria, la tua lingua troppo lunga, la tua incredibile stupidità e i tuoi indegni gusti musicali con cui mi bacchetti sempre, tu sei il mio migliore amico, Luke Ramon».
Luke ci rimase di stucco. «Chi sei tu? Che ne hai fatto di Vlad III?»
«Hai intenzione di continuare a guardarmi con quella faccia da pesce lesso finché non ti entra in testa che ti sto aprendo il mio cuore ora come ora, in questa situazione disperata? Ti ho dato molto materiale con cui rinfacciarmi per l’eternità…»
«Awww, Ally!» Luke abbracciò il vampiro, con grande stupore di tutti, singhiozzando commosso. «Anche io ti considero il mio migliore amico... Sei il mio fratellone! Mi ricordo che in missione ti prendevi cura di me! Ti voglio bene fratellone!»
Christ fischiò, e Alucard allontanò il ragazzo con un gesto brusco.
«Poche smancerie. Io non ho detto nulla di quello che avete sentito, sono stato abbastanza chiaro?»
«Sì certo» sghignazzò Joshua.
Luke si asciugò gli occhi e recuperò il suo solito sorriso scaltro. «D’accordo, fratellone, troverò il tuo… fratellone e l’altra tizia, Patella…»
«Satella» lo corresse Seras.
«Vabbé, come si chiama!»
«Io e Subaru andremo a stanare quel bastardo infame del capo di questi esaltati, mentre tu, Christ, andrai a cercare Rory» disse Alucard.
«Cosa!?» Christ era stupita. «Io… vuoi che vada io a salvare Rory!?»
«Te la sto affidando con tutto me stesso. Trovala e portala in salvo, mentre io e Subaru ci occupiamo del capo di Aion. E se necessario, anche di quest’ultimo… gliela farò pagare cara per avermi portato via Rory…»
«Aion è mio» sibilò Subaru. «Ha bisogno di imparare a non sottovalutare quelli come me e a non osare mai più fare una cosa del genere alla mia ragazza!»
«Che palle, così mi fate rosicare!» protestò Luke. «Anch’io lo voglio fare a fettine! È veramente uno stronzo!»
«Ragazzi!» sbottò Seras. «Capiamo benissimo che tutti lo vorrebbero accoppare perché è un bastardo, ma non possiamo farlo tutti, quindi suggerirei di seguire il piano del mio Signore e di dividerci! Poi al massimo il primo che lo becca lo disintegra!»
«Per una volta hai proposto qualcosa di intelligente, poliziotta» disse Alucard. «E adesso andiamo».
E tutti si divisero proseguendo ognuno per la loro strada, nel corridoio oscuro.


***


Luke era nervoso. Nervosissimo. Nervosissimissimo.
“Dividerci”!? “Dovremo dividerci”!?
Un’idea più cretina Alucard non poteva tirarla fuori. Sarà pure stato il voivoda di Valacchia e via discorrendo, ma in quanto ad idee geniali faceva invidia ad un ermellino!
Okay, vabbé, quella battuta non aveva senso, ma gli sembrava l’unico modo decente per distrarsi.
Quel corridoio sembrava tutto uguale, Luke aveva una fifa assurda di perdersi, ma non poteva certo ritirarsi e tornare indietro. Nossignore! Il suo fratellone Alucard contava su di lui per salvare Chrono e Satella! Awwww, quanto era stato tenero con lui il Puccioso King! Faceva tanto il duro ma aveva un cuore d’oro con gli amici!
Okay, adesso però Luke doveva seriamente concentrarsi sul suo compito. Ma dove andare?
Aveva fatto pochi passi, che gli sembrò di intravedere delle persone attraverso l’uscio di una stanza priva con l’uscio con delle sbarre. D’istinto, Luke decise di entrarvi.
C’era solo un problema: la porta era chiusa con un lucchetto. Pfff, bazzecole.
Estrasse un coltello dalla cintura ed inserì la lama nella fessura del lucchetto, compiendo complicati giri. Dopo qualche minuto si udì un “clic” e il lucchetto si aprì.
Luke esultò mentalmente ed entrò nella stanza. Ma quando vi entrò, si rese subito conto che non era una stanza. Era una prigione, piena zeppa di celle dalle porte e dalle finestre sbarrate.
Le celle erano tutte vuote, tranne una, nella quale erano prigionieri un ragazzo e una ragazza.
Senza esitazione, Luke si diresse verso di loro. «Ehi!»
Luke riconobbe subito il ragazzo, dato che l’aveva già incontrato. Era Chrono, il fratellastro demone di Alucard. E l’altra ragazza, dedusse, doveva essere Satella.
Luke rimase a bocca aperta quando la vide. Era… era… cavolo, era terribilmente bella, con quei lunghi capelli rossi che le scendevano fino ad un sedere a mandolino, quel seno prosperoso e quel bellissimo paio di gambe che…
«Luke! Sei tu!» gridò Chrono, sorpreso e lieto insieme, distraendo Luke da quella beata meditazione.
Il ragazzo decise di fare finta di nulla, rosso d’imbarazzo. «Gabba Gabba Hey, amico! Da quanto tempo che non ci si vede! Mi sembra chiaro che tu e la tua ragazza avete bisogno di una mano ad uscire da questo buco di cella o sbaglio?»
«Hai scoperto l’America, ragazzino!» sbottò Satella. «E comunque io non sono la sua ragazza, e poi ce l’ho un nome! Mi chiamo Satella Harvenheit!»
“Bellissima, ma scontrosa” pensò Luke, con un sorriso smagliante.
«Okay, okay, dolcezza, non ti scaldare!» Il ragazzo alzò le mani in segno di resa. «Ed io non mi chiamo, ragazzino, sai? Sono Luke, Luke Ramon, e sono venuto qui per aiutarvi».
«Per caso conosci questo tizio, Chrono?» domandò Satella.
«È un carissimo amico… Luke, grazie al cielo sei qui! Credi di poter riuscire a liberarci?»
«Amico! Stai parlando con lo scassinatore migliore del West! Come credi che abbia fatto ad entrare, qui, se non avessi scassinato la porta d’entrata?» Luke gli fece l’occhiolino. «Dammi qualche minuto e sarete fuori!»
«Oh, peccato che tu non ce l’abbia, qualche minuto» disse una voce.
L’istinto di Luke ebbe il sopravvento. Prima ancora di capire cosa stesse succedendo, il ragazzo aveva estratto la pistola e l’aveva puntata nella direzione da cui proveniva la voce.
Un ragazzo sogghignante dai capelli verdi e gli occhi ambrati.

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«Dune!» gridarono all’unisono Satella e Chrono.
«Bene. A quanto pare non vi siete scordati di me, miei cari» ridacchiò Dune.
«Chi diavolo saresti!?» esclamò Luke, direzionando la canna pistola verso la fronte del ragazzo. «Vedi di parlare alla svelta o ti brucio le cervella!»
«Oh, come ti scaldi in fretta, piccolo alieno» rise Dune. «Il mio nome è Dune, comunque, l’hanno anche detto i tuoi amichetti che stavi cercando di liberare».
«Ma che razza di nome è, Dune!?» sbottò Luke. «Vabbé, te la faccio breve, amico, togliti dalle palle e non intralciarmi, ho una pistola con proiettili anti-demone e non ho paura di usarla per farti sparire quel fottuto sorriso da deficiente da quella faccia di culo che ti ritrovi!»
Dune lo guardò, divertito. «Un testa calda arrogante e presuntuosa, proprio come tutti quelli della tua specie, eh? Se prima avevo dubbi su chi fossi, adesso non ne ho più, piccolo alieno.»
«Alieno a chi!? Ma guardati allo specchio, razza di moccioso! Tu hai i capelli verdi!»
«Oh, capisco» disse Dune, con un ghigno. «Tu non sai chi sei, vero?»
Luke abbassò la pistola, confuso da quelle parole. «Che intendi? Certo che lo so! Mi chiamo Luke Ramon!»
«È quello che senti… o è quello che ti ha detto Alucard il No Life King?» chiese Dune con un sorriso ambiguo.
«La vuoi piantare con queste domande ambigue!?» sbottò Luke, risollevando la pistola. «Se devi dirmi qualcosa dillo una buona volta, dannazione!»
«Se vuoi che parli, rispondi a questa domanda, Luke Ramon: chi sei tu? Da dove provieni?»
Luke ammutolì. Era questo il problema: non lo sapeva. Era cresciuto a Parigi, in un orfanotrofio, da che aveva memoria.
Non era mai stato il ragazzo più grosso o il più forte. Era sopravvissuto in tutti quegli anni d’inferno usando il cervello. Era il buffone dell’orfanotrofio, il giullare di corte, perché aveva imparato che se scherzavi e fingevi di non avere paura, di solito non le prendevi. Perfino i teppisti peggiori ti sopportavano, ti volevano attorno per farsi due risate. E poi l’umorismo era un buon sistema per nascondere il dolore.
Non sapeva nulla dei suoi genitori, né del suo passato. Nessuno aveva mai voluto adottarlo, tutti avevano sempre preferito gli altri ragazzi a lui, come se avesse sempre e solo qualcosa di sbagliato.
Non ricordava neppure il suo vero nome.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno, aveva afferrato il messaggio: non era desiderato. E così era fuggito, e si era unito alla banda di mercenari Wild Geese. Lì aveva conosciuto Pip Bernadotte, forse l’amico più caro che avesse mai avuto, prima di Alucard.
Era stato Pip a dargli il suo nome, Luke Ramon. Era un grande fan dei Ramones, dei Motörhead, dei Sex Pistols e dei Black Sabbath, e gli aveva trasmesso quella passione. Luke ne andava semplicemente pazzo di quella musica. Era il caos dentro l’ordine; un’armonia di note energiche che si sposavano alla perfezione insieme.
«Non lo sai, vero?» lo stuzzicò Dune, notando che il ragazzo non rispondeva.
«Perché, tu sì?» domandò Luke, con aria di sfida.
«Lascia che ti racconti una storia…» disse Dune con aria solenne, iniziando a camminare avanti e indietro, seguito da Luke con lo sguardo. «Tanto tempo fa esisteva un pianeta, un pianeta simile alla Terra ma distante da essa di alcuni miliardi di anni, abituato da potenti e immense creature: i Saiyan».
Luke, all’udire quel nome, avvertì uno strano fremito, come se l’avesse già sentito da qualche parte, ma non ricordasse esattamente dove.
«Essi erano simili agli esseri umani terrestri, fatta eccezione per varie caratteristiche; possedevano una coda di scimmia, i capelli sempre di colore nero e avevano abilità straordinarie. Erano in gradi di trasformarsi in potentissimi guerrieri dalla chioma dorata e dagli occhi color del cielo: i Super Saiyan».
Luke ascoltava, rapito, quella storia, chiedendosi però dove l’altro volesse andare a parare.
«Ma… il pianeta dei Saiyan venne attaccato e trasformato in un immenso deserto da un singolo demone, contro il quale essi non poterono nulla. E per buona misura, lui li sterminò tutti. O almeno così, credeva…»
Gli occhi color ambra di Dune si posarono in quelli castani di Luke.
«Uno dei più potenti guerrieri Saiyan, Golden Kronos, si era innamorato di un’umana terrestre. Non molto tempo dopo lo sterminio dei Saiyan e la distruzione del pianeta, la donna morì dando alla luce il primogenito di Golden Kronos: Golden Zeus».
Il ragazzo si interruppe, gustandosi l’espressione orripilata e scioccata di Luke.
«Tu…» balbettò il giovane, assolutamente incredulo. «Stai cercando di dirmi che io… che tu… che io sono…»
«Esatto» disse Dune, con un ghigno feroce. «Tu sei Golden Zeus, unico figlio primogenito di Golden Kronos. Tu sei l’ultimo mezzosangue della razza dei Saiyan».
Un silenzio tombale calò nella prigione.


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