Girl. di manubibi (/viewuser.php?uid=2858)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You Were In A Car Crash... ***
Capitolo 2: *** Living Is Easier With Eyes Closed. ***
Capitolo 3: *** I was dreaming of the past. ***
Capitolo 4: *** Biiiillyyyyy Sheeeears! ***
Capitolo 1 *** You Were In A Car Crash... ***
Disclaimer: Paul, George, John e
Ringo purtroppo non sono miei (ç____ç
perchéééé 3) e
ovviamente questo aborto è nato solo da una mente malata e
ormai del tutto deviata. Mi spiace.
---
Era successo tutto così in
fretta che le uniche cose che
riusciva a ricordare erano il rumore di quella frenata violenta, e
l'immagine
degli abbaglianti sul tronco dell'albero. Oltre a questo solo vaghe
immagini
grigiastre e polverose.
Aveva provato svariate volte ad aprire gli occhi, ma ad ogni tentativo
il mal
di testa lancinante l'aveva fatto desistere, aggiunto ad una nausea
fortissima.
All'ennesimo tentativo socchiuse le palpebre, lasciandosi infastidire
da
qualche raggio bianco. Sentiva un mormorio concitato nelle orecchie,
come una
eco di quello che era successo mentre era incosciente.
La nausea era sparita, il mal di testa però rimaneva acuto e
stordente,
aggiunto dal fatto che la benda era troppo stretta alla testa.
Benda?
Oh, fantastico, era in ospedale. Fino a quel punto poteva arrivarci con
l'intuito, ma era comunque così rintronato da sentire subito
il bisogno di
tornare nel buio.
La prima cosa che sentì prima di aprire gli occhi fu il
tocco di una piuma che
lo solleticava al collo. E subito dopo qualcosa di appuntito che gli si
infilzava nel polso.
Con un gemito aprì lentamente gli occhi, ma vide solo tanti
capelli marroni.
Essendo incapace di articolare suoni di senso compiuto si
accontentò di
manifestare il proprio disappunto con un mugolio.
-Oh, buongiorno-, disse una voce femminile, arrochita dal sonno, e
subito dopo
sentì che i capelli sul collo se n'erano andati.
Provò ad aprire gli occhi e ci riuscì dopo un
lento sbattere di ciglia.
-Mr. McCartney-, continuò la voce, con una pausa divertita.
-Si sente meglio?
Gli sembrava una domanda così scontata, idiota e banale che
non trovò altra
risposta da dare che una occhiataccia.
-Certo che no. Domanda stupida. Ha fame?-, chiese di nuovo la voce
femminile,
ora più fredda.
Paul capì che doveva rispondere, ma sentiva la bocca
così impastata che fu
piuttosto difficoltoso parlare.
-Uhm, si-, rispose aprendo completamente gli occhi.
Vide l'infermiera, che gli stava controllando una bendatura al gomito.
Non era molto bravo a descrivere le persone, ma se avesse dovuto farlo
avrebbe
detto che non era né bellissima né brutta. Occhi
grigi, o verdi, o entrambe le
cose, non avrebbe saputo dirlo; I capelli erano di media lunghezza,
mossi,
castani e chiari. Sul viso c'erano molte imperfezioni, delle rughe
causate
dallo stress, occhiaie, ma nel complesso era carina.
-Arrivo subito con qualcosa da mettere sotto i denti. Oh, e ci sono
visite-,
aggiunse lei, di nuovo in tono divertito.
Il ragazzo non fece in tempo ad annuire che una voce familiare
miagolò:
-Paul! Cazzo, ci hai fatto prendere un colpo!
Girò la testa, e gli ci vollero un paio di secondi per
realizzare che quello
era John.
-Oh, che bello vedere le vostre brutte facce-, borbottò,
memore del litigio che
avevano avuto prima che si ritrovasse di colpo in un lettino.
-Anche per noi. Ci hai fatto passare un paio di bruttissimi giorni,
sai?-,
rispose George.
-Eh si...stavamo già cercando un sosia per rimpiazzarti!-,
aggiunse John con un
sorriso non del tutto sincero. Si vedeva che tutti e tre avevano
passato almeno
un paio di nottate in bianco e che erano maledettamente sollevati di
vedere
finalmente che stava bene, più o meno.
-Ah, che begli amici...-, esclamò Paul con una finta aria
offesa messa su alla
bell'e meglio.
-Seriamente, siamo così felici di avere il nostro
sopravvalutato bassista!-,
esordì la voce profonda e un pò infantile di
Ringo.
Paul lo fulminò, come il suo ego ferito non poteva fare a
meno di ordinargli,
poi rispose:
-Ah beh, se parliamo di musicisti sopravvalutati...Comunque, ragazzi,
da quanto
tempo sono qui?
-Hai preso una gran brutta botta. Seriamente, temevamo il peggio-,
intervenne
George, e la voce gli tremò per un istante. -Comunque sei
qui da una settimana
e mezza.
-Due settimane?!-, sbraitò Paul agitandosi sul letto. -Ma
dobbiamo registrare
Sergent...
-Si calmi-, intervenne l'infermiera bloccandolo per le spalle. -Le ho
portato
il pranzo-, aggiunse rivolgendosi poi ai visitatori con uno sguardo
significativo. Smammare.
-Siamo di troppo-, commentò scocciato John.
-Veniamo a trovarti domani, Paul-, promise Ringo.
-E signorina-, aggiunse John, -veda di non farsi mettere le mani
addosso da
lui...dopo ben una settimana e mezza di astinenza sarebbe capa...
-John!-, lo ammonì Paul.
Scalpicciando svogliatamente i tre ragazzi uscirono dalla stanza,
lasciando
Paul e la ragazza soli, in un silenzio anche piuttosto imbarazzante.
Paul si sentì a disagio:
era troppo abituato, volente o
nolente, ad avere attorno un sacco di persone.
-Come ti chiami?-, chiese alla schiena dell'infermiera.
-Daisy-, disse lei senza guardarlo, ma si limitò a
sistemargli le coperte.
-Piacere, sono Paul-, ci riprovò lui.
-Lo so. Non ha fame?-, rispose lei indocandogli il piatto che gli aveva
portato.
Il ragazzo guardò sconsolato il suo piatto. In quel momento
ci sarebbe voluto
George, tanto buttava giù qualsiasi cosa.
Cominciò a mangiare lentamente, e la
ragazza se ne andò per il resto della giornata.
La mattina dopo lo svegliarono un colpo di luce improvviso e un
"buongiorno" poco convinto.
-Umpf. Non ne sono sicuro-, borbottò lui stropicciandosi gli
occhi, e Daisy non
rispose. Paul non disse altro, era la prima volta dopo tanto tempo che
qualcuno
lo trattava con completo disinteresse. Cercò di trovarci il
lato positivo:
nonostante il fatto che adorava stare al centro dell'attenzione forse
gli
serviva ridimensionare il proprio ego.
Rimase in silenzio immerso nei suoi pensieri, finché non
sentì che le coperte
si spostavano.
-Che c'è?-, protestò con una smorfia di dolore
mentre Daisy gli sollevava la
testa.
-Devo cambiarle le bende-, spiegò lei mostrandogli un lungo
rotolo di garza.
-Oh...va bene-, mugugnò lui.
-La ferita alla testa si è quasi rimarginata del tutto-,
osservò lei
mettendogli la benda nuova, -si levi la maglia.
Paul, perplesso, obbedì e notò con stupore tutte
le cicatrici e tagli che gli
percorrevano l'addome.
-Cosa...
-I vetri dell'auto-, disse lei asciutta, mentre gli esaminava le
medicazioni,
tastandole delicatamente con i polpastrelli.
A quel contatto Paul rabbrividì e tese gli addominali, a
disagio.
-Tutto bene-, constatò lei ridandogli la camicia. -Torni a
dormire-, aggiunse
uscendo dalla stanza, e Paul si riaccomodò riposando un
pò, prima che un
"Ciao Paul!" urlatogli nelle orecchie lo facesse sobbalzare.
-Ciao-, borbottò irritato coprendosi l'orecchio. -Fatemi
uscire di qui, vi
prego-, supplicò come un bimbo che vuole la mamma,
all'indirizzo di George.
-Ma come, vuoi uscire? Oh-, cominciò John assumendo un'aria
sbeffeggiatrice,
-l'infermiera ti ha dato il due di picche, vero?
-No, non mi interessa l'infermiera-, ribatté, -io
non sbavo su qualsiasi
cosa che si muove, John. E' che sono qui da due settimane, due!, e voi
state
lavorando senza di me! E' inammissibile!-, aggiunse irritato.
-Certo, ci manca la tua dittatura-, commentò Ringo.
-E comunque, fossi in te, con la signorina...-, insistette John.
-Si chiama Daisy. Beh, non mi interessa, se vuoi provaci tu...ma credo
che sia
frigida, comunque-, rispose Paul rabbuiandosi. In effetti tutta
quell'indifferenza nei suoi confronti non poteva
avere un lato positivo.
-Paul, essere nei Beatles non dovrebbe farti pensare che tutto il globo
sia ai
tuoi piedi-, osservò saggiamente George.
-Permesso-, disse la familiare voce di Daisy, che si fece largo con
espressione
buia e che ci mise due minuti a sgombrare la stanza.
In silenzio gli tolse le coperte e lo fece sedere.
-Che c'è?-, ripeté lui.
-Deve fare il bagno-, rispose.
Lo accompagnò fino alla stanza con la doccia.
-Ehm...posso fare da solo-, disse lui.
-Lo so-, disse lei guardandolo di sbieco. -Ma anche in caso contrario
non
sarebbe un problema. Tanto sono frigida-, aggiunse
nel tono più acido
che poté, e poi chiuse la porta.
Paul ebbe un gran tuffo spiacevole al petto, si sentì in
colpa ma tacque mentre
faceva la doccia. Forse di lei avrebbe avuto effettivamente bisogno,
dato che
rischiò di cadere una decina di volte.
-Scusa-, le disse mentre lei gli asciugava i capelli.
Lei si fermò per qualche secondo sorridendo brevemente.
-Sa, stanno girando delle voci ultimamente-, disse lei dopo un
pò.
-Cioè?-, chiese lui.
-Dicono che lei è morto nell'incidente-, rispose la ragazza
con un ghigno
divertito.
Paul rimase attonito per qualche momento, poi scrollò le
spalle e commentò:
-Bene, altra pubblicità.
[Si, dai Muse ai Beatles. Capita.
Almeno ho cambiato un pò obiettivo xD chiaramente sto
prendendo in giro la leggenda del Paul Is Dead, non c'è
nemmeno bisogno di dirlo...non ho ancora completato la storia, ma non
credo usciranno più di altri due o tre capitoli...Non penso
di aggiornare presto, comunque cercherò di finirla il
più presto possibile =)]
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Capitolo 2 *** Living Is Easier With Eyes Closed. ***
Daisy lavorava come al solito, nei giorni seguenti tutto
andò come da
copione, ormai ogni azione era diventata una routine. Paul cominciava
ad abituarcisi, anche se in un paio di giorni sarebbe uscito
dall’ospedale. Ormai era come nuovo, e quei giorni di degenza
in più
erano solo una precauzione formale.
Stavano chiacchierando come
sempre, e commentavano il telegiornale che riportava insistentemente la
tesi della sostituzione di Paul nei Beatles con un sosia.
-Se è vero mi deve una percentuale-, commentò il
ragazzo mostrando davvero poco interesse.
Prima
che Daisy potesse bofonchiare qualcosa si congelò
all’improvviso,
sentendo una voce provenire dal fondo del corridoio, sbiancò
del tutto
e cominciò a tremare visibilmente, fino a far cadere la
tazza che
teneva in mano, senza per altro accorgersene.
-Dov’è?-, abbaiò furiosa e aggressiva
la voce maschile di un uomo.
-Signore, chi sta cercando?-, provò educatamente una voce
femminile, ma non ottenne risposta.
Daisy
rimase immobile dov’era, fissando la porta come se sapesse
cosa sarebbe
successo, senza però reagire. Paul non capiva la situazione,
si sollevò
sui gomiti.
Dopo qualche secondo sentirono dei passi decisi
avvicinarsi sempre di più, Daisy indietreggiò
terrorizzata finché non
vide la fonte di tutto quel fracasso.
Sulla porta era apparsa la
figura tozza e rude di un uomo, presumibilmente quarantenne, quasi
calvo e con la figura trasfigurata dalla rabbia e
dall’ebbrezza causata
dalla bottiglia di whisky che stringeva nel pugno. Con un guizzo degli
occhi cercò e individuò la figura di Daisy,
ignorando completamente
l’esistenza di Paul, che lo fissava ancora stordito.
-Puttana!-, sbraitò l’uomo. –Sgualdrina
ingrata-, aggiunse avvicinandosi a grandi passi
all’infermiera.
-No!-,
strillò lei quando si sentì afferrare per i polsi
e sbattere contro il
muro. –Lou! Ti prego…-, cominciò, ma
lui non la lasciò nemmeno finire,
sbattendola più forte contro i mattoni.
-Ingrata, piccola stronza-,
urlò inondandola dell’odore di alcol,
sottolineando con uno schiaffo
che la mandò a terra rovinosamente. Stava per urlarle
qualcos’altro e
forse per spezzarle una gamba, ma arrivò prima un pugno
diretto al
naso. Bastò a stenderlo.
Paul si ritrovò col pugno per aria, con
l’adrenalina che pompava nelle vene, il viso livido e gli
occhi
infuocati. Ansimò a lungo prima di riprendere il controllo,
ed assestò
un calcio in pieno ventre all’essere che rantolava a terra,
ancora in
preda allo stordimento.
Daisy era a terra, apparentemente priva di
sensi, con un grosso livido sulla guancia. Paul si chinò per
prestarle
soccorso, ma lei lo bloccò di colpo fissandolo negli occhi
con quel
velo insensibile che aveva imparato ad indossare per coprire i propri
sentimenti col resto del mondo.
-Daisy…-, cominciò lui aiutandola ad alzarsi.
-Torna nel tuo lettino-, gracchiò lei.
-No, posso…
-Paul. Torna-nel-tuo-lettino-, ripeté lei fulminandolo.
-Cazzo, hai bisogno di aiuto!-, protestò lui alzando la voce.
-Ragazzo,
non ho bisogno né di te né di qualcun altro. Ora
fammi un favore e
torna su quel dannato coso-, tagliò corto lei, prendendo uno
straccio
bagnato e appoggiandoselo alla guancia con una smorfia di dolore.
-Certo
che hai bisogno di qualcuno! Se non ci fossi stato io quel tizio ti
avrebbe…ma chi era? Che…-, rispose Paul
ammutolendo per la rabbia e lo
shock.
Daisy lo fissò e decise che aveva ragione. L’aveva
aiutata e meritava di sapere.
-E’ mio padre.
Paul spalancò gli occhi e impallidì come il
lenzuolo che strinse convulsamente.
-Che…cosa?
La
ragazza guardò il corpo riverso a terra con un misto di
terrore e
rassegnazione. Cominciò a camminare attorno alla stanza come
faceva
sempre quando era nervosa.
-Lui è mio padre-, sbottò. Non aggiunse
altro. Non gli spiegò il motivo di tanto odio di quell'uomo
nei suoi confronti, non si sarebbe mai
sbottonata sul suo passato con il cosiddetto padre.
Paul boccheggiò
senza riuscire ad emettere suoni. Quella realtà, qualsiasi
fosse, era
troppo distante da lui per comprenderla. Non capiva come fosse
possibile trattare così una figlia, non lo concepiva. Eppure
l'aveva
visto coi suoi occhi e non riusciva a non provare empatia per quella
ragazza fragile che tentava ancora disperatamente di dimostrarsi una
donna forte. E libera.
Ma, lo capì da solo, non si sarebbe mai permessa lei stessa
di essere libera, e questo lo intristì ulteriormente.
[Eccomi di nuovo con un altro pezzettino xD e ancora non so come
continuarla né tantomeno come finirla. Si, sto un
pò sperimentando, scrivendo di getto...
Allora, rispondo xD
WhereIsMyMind:
Ciao caVa *___* grazie mille di aver letto la mia orribile ficcina
<3 comunque è vero, sono tutte operazioni
nostalgiche...non ci possiamo proprio fare a meno xD uffi, dobbiamo
metterci d'accordo per QUELLA scena *ç* devo farmi venire in
mente idee...(Dom e Matt Dom e Matt Dom e Matt!! Pensa pensa pensa
manuuuu >.<)
PrinzexKikka:
1) Scussha ç.ç non lo fasshio più
amoVeeee
2) Grassie teso *____________* <33 tivube anch'ioooo
(si si, faccio sempre così XD)
Marty_Youchi:
Ovvio che non ci credo u.u scemi come Paul non ce ne sono...dove altro
lo trovi un bassista mancino con evidenti problemi mentali e un talento
fuori dal comune? u.u Comunque...oddio O.O cioè,
il fatto è che non so se cicciano o non cicciano,
è il dubbio amletico degli ultimi mesi "Paul e Daisy o non
Paul e Daisy?" XD comunque adesso ho paura, seriamente O.O'']
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Capitolo 3 *** I was dreaming of the past. ***
Daisy, ancora tremante,
uscì dalla stanza senza dire altro
mentre altre infermiere accorrevano, lasciando che Paul raccontasse
l’accaduto.
Una di loro si voltò verso le altre e commentò:
-Adesso abbiamo capito
perché è sempre così
introversa…-,
aggiunse l’inevitabile “poverina”.
Paul non disse niente,
tornò a stendersi sul lettino
cominciando a sentire una forte emicrania, e lanciò uno
sguardo di disgusto al
corpo stordito per terra.
-Chiama la polizia-, sentì
dire ad una delle infermiere.
Lei non si fece vedere per i giorni
seguenti e la sostituiva
un’altra infermiera, decisamente più gentile e
affabile di lei. Ma Paul le
chiedeva tutte le mattine quando sarebbe tornata. Voleva capirla,
voleva solo
conoscere la sua storia, era curioso pur sapendo che non lo riguardava.
-Torna domani, o almeno questo ha
detto-, rispose
l’infermiera, cominciando a mostrare un’aria
scocciata.
Il giorno dopo, come promesso, fu
svegliato da un viso
familiare, e anche se non ne ricevette uno le indirizzò un
sorriso cortese.
-Mi chiedo perché sei
ancora qui. Hai un’ottima cera,
dovresti essere stato mandato a casa giorni fa!-, commentò
lei per tutta
risposta.
-Hanno provato a farmi alzare, ma mi
si sono riaperte tutte
le suture-, spiegò lui facendo spallucce. –E per
giunta sono svenuto.
Daisy non batté ciglio e
continuò con le sue faccende di
routine, mantenendo il silenzio gelido nella stanza, finché
Paul non si scosse.
-Come mai?-, le chiese.
-Come mai cosa?-, ribatté
lei in tono freddo.
-Perché sei stata via
tutto questo tempo?
-Non sono affari tuoi-,
tagliò corto la ragazza,
piantandogli davanti la colazione.
-Beh, se non ci fossi stato io quello
ti avrebbe fatto molto
più male, quindi direi che merito di sapere qualcosa-,
insistette lui, pur
sapendo di essere un po’ sleale.
Lei lo fissò con odio, si
morse il labbro ma non rispose.
Paul aspettò qualche
minuto, poi decise di cambiare
discorso.
-C’è un
pianoforte qui?
Daisy alzò un sopracciglio.
-Certo, abbiamo un’intera
orchestra in ospedale.
-Neanche una chitarra?-,
riprovò lui supplicante. –Per
favore, ho bisogno di suonare qualcosa!
Lei ci pensò su e fece un
mezzo sorriso.
-Qui davanti c’è
un negozio di strumenti, ma non credo di
esserti utile.
Paul rifletté.
Nel bel mezzo della notte, a sentire
le note profonde di un
pianoforte a coda, chiunque si seccherebbe. Daisy fu la prima ad
entrare nel
piccolo negozio, appoggiandosi allo stipite e osservando.
Paul era completamente assorto in una
melodia dissonante,
assolutamente improvvisata. Con la coda dell’occhio
notò che c’erano visite, e
le dita cominciarono ad accarezzare i tasti tessendo un motivo questa
volta
familiare. Caldo, solare, come tante delle sue composizioni. La cosa
più
evidente era che gli brillavano gli occhi, a suonare per qualcuno:
egocentrico
di carattere. Ma ad un ragazzo che faceva l’amore con la
musica non si poteva
obiettare niente.
La ragazza rimase ad ascoltarlo
ostentando indifferenza,
aspettando che finisse.
-Ecco-, disse Paul mostrando i polsi.
-Non toccherebbe a me ammanettarti.
Ma ti spetta un
discorsetto…sai, ho una vita anch’io.
Al poliziotto sbadigliante fuori
dalla porta spiegò:
-Aveva bisogno di suonare. Non faceva
niente di male.
Il poliziotto scrollò le
spalle.
Aprì gli occhi e
sentì che c’era qualcosa sulle sue gambe, o
qualcuno.
-Daisy?-, chiese grattandosi la testa.
Lei si stiracchiò
sbadigliando vistosamente, e fece un
piccolo sorriso assonnato.
-Buongiorno, Mr. McCartney.
-Che ci fai qui?
Daisy si sistemò la
traversina.
-Uhm, dormivo.
-Sei rimasta qui tutta la notte!-,
esclamò lui incredulo.
Non ne capiva il senso.
-Sì, posso dire di essere
rimasta nella stessa stanza del
famoso Paul McCartney. Non ero all’obitorio, e non ho
subìto avances. Non è una
cosa da tutti i giorni.
-E perché adesso ti
interesserebbe?-, le chiese lui
mettendosi a sedere.
-Perché hai suonato per
me-, rispose lei semplicemente.
Non sapeva come, ma per Paul
significò qualcosa.
-Comunque vuoi dirmi dove sei
andata?-, insistette lui.
Daisy rimase in silenzio meditativo per un pò, poi rispose:
-Sono andata da mia madre.
[stavolta ho già scritto qualcosa del prossimo capitoletto
XD allora, il rapporto Daisy/Paul si sta delineando e ho capito che NON
virerà sul romantico, cosa che a quanto ho capito
farà felice un pò tutti u.u comunque potrebbero
esserci errori di continuità o incongruenze, questo
è dovuto al fatto che, lo ripeto, scrivo di getto e ste cose
possono capitare con le riscritture o le distrazioni XD quindi
segnalatemele, mi raccomando! E se avete suggerimenti io li accetto
MOOOLTO volentieri ^__^ comunque...
Marty_youchy:
Fiuuu! Pensavo di ritrovarmi te sotto casa con la mazza ferrata...ma
tanto ormai il pericolo è rientrato xDDD Certo che Paul non
ha problemi mentali O.o']
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Capitolo 4 *** Biiiillyyyyy Sheeeears! ***
Paul recepì al volo il
motivo dell’imbarazzo della ragazza.
Se suo padre era un uomo del genere, sua madre doveva essere molto
sola, molto
infelice e di poca compagnia. Non fece domande, non ne ebbe bisogno
perché fu
lei a parlarne.
-Volevo vedere se aveva aggredito
anche lei. Ma mamma ha
detto che non lo vedeva da due mesi. Dall’ultima volta che
era andata a tirarlo
fuori di prigione-, deglutì. Paul rimase ad ascoltare in
silenzio lo sfogo,
lungi dal giudicare.
-Da quanto ricordo è
sempre stata magra e un po’ pallida…ma
niente in confronto ad ora. Sembra…il fantasma di
sé stessa. E quando le
parlavo mi dava risposte vaghe, non mi guardava mai negli occhi,
sembrava
continuamente tormentata. Un’anima in pena, ecco. Quando
l’ho vista ho capito
quanto ho fatto bene ad andarmene. Per me. Ma per lei è
stato un inferno ancora
peggiore, quando sono scappata mio padre si è concentrato su
di lei, le ha dato
la colpa della mia fuga, pensava che mi avesse spinto ad andarmene-,
continuò
incupendosi sempre di più, e alla fine si coprì
il viso.
-Non devi sentirti in colpa-, la
anticipò Paul. –E poi,
perché non l’hai denunciato?
-denunciarlo e subire la
pietà e i giudizi degli altri che
non sanno niente di me? No, grazie. E poi…e poi rimane il
mio papà-, aggiunse
abbassando lo sguardo.
Paul era allibito.
-Come fai a chiamarlo ancora
così?-, chiese alzando la voce.
–Cioè, è inconcepibile!
Daisy lo fissò e il suo
sguardo si indurì.
-Non mi aspetto che tu capisca.
-E non darmi queste risposte! Hai
detto che non vuoi la
pietà di nessuno…beh, mi spiace dirtelo ma non
puoi essere forte come fai
vedere! Non puoi pensare di cavartela da sola-, la interruppe lui
infervorandosi. Odiava che l’orgoglio portasse a fare cose
tanto stupide.
Daisy tacque, si voltò ed
uscì dalla stanza, lasciando Paul
senza cibo.
John lo accusò di poco
tatto, Richard lo guardò col suo
sguardo severo mentre George fu l’unico a trovarsi
d’accordo con Paul.
-Insomma, non capisco
perché giustificare qualcuno che ti fa
del male, anche se è tuo padre.
-George, a volte la mente ha dei
meccanismi contorti che non
si possono comprendere. Non per questo la gente va sgridata!-,
ribatté Ringo
mentre John annuiva vivacemente.
Paul sospirò. Ammise che
forse aveva esagerato, ma dopotutto
lui aveva seguito la scena e ne era rimasto troppo turbato per
accettare
l’atteggiamento di Daisy. Non l’avrebbe accettato
da parte di nessuno. E poi si
sarebbe aspettato del supporto da parte di John, che odiava tutte le
ingiustizie e spesso parlava a sua volta a sproposito pur si smuovere
qualcosa
nelle persone. Però rimaneva il fatto che innanzitutto la
vita di quella
ragazza non era affar suo.
-E ricordatelo la prossima volta-,
confermò John.
Per il resto passarono il pomeriggio
a chiacchierare e a
parlare dei loro progetti per il disco seguente.
-Sapete cosa mi piacerebbe fare?-,
disse John. –Mi
piacerebbe fingere di essere…qualcos’altro,
un’altra band, qualcosa di
completamente diverso! Non essere un Beatle, ma solo un componente di
una band
astratta! Capite cosa intendo?
Capivano fin troppo bene. Il
successo, i tour, il fatto di
essere delle icone: tutte cose bellissime e incredibili per i primi
anni. Ma
dopo tanto tempo passato in quel meccanismo cominciavano a diventare
opprimenti, noiose e addirittura seccanti. Troppe ragazzine urlanti,
troppi
pettegolezzi, troppo e basta. Mentre Paul in particolare ci sguazzava
ancora
abbastanza facilmente ma non troppo, per gli altri tre cominciava a
diventare
eccessivo, e capirono perfettamente perché John sognava di
poter fare musica senza
il peso di un marchio.
-Allora facciamolo-, disse George
asciutto.
-Va bene-, gli fece eco Ringo facendo
spallucce.
-Bene! E poi sarebbe perfetto, dato
che il disco è diverso
dai primi-, aggiunse John.
-Beh…per me va bene-,
concluse Paul annuendo. –E so già come
si chiamerà-, aggiunse in tono divertito.
-Sarebbe?-, chiese Ringo, impaziente.
Odiava questo tipo di
uscite.
-Ci stavo pensando da un pò, e sono arrivato a qualcosa tipo
“Sergeant
Pepper’s Lonely Hearts Club Band”! Lo
sapete che mi sono sempre piaciute
quelle bande strumentali che suonano alle marce, no?
Gli altri tre si guardarono e
confabularono fra loro. Paul
afferrò qualche obiezione da parte di George, ma alla fine
lo guardarono e con
tre sorrisi smaglianti annuirono.
-E’ un’idea
grandiosa, cazzo! Quando ci mettiamo?-, fece
John al massimo dell’entusiasmo.
Paul sorrise solare e raggiante,
facendosi subito prendere
dalla smania della composizione, e qualche nota gli ronzò
nella testa. Era
proprio un geniaccio, quel ragazzo!
[Ebbene, eccolo...incredibile quanto tenevate a questa storia, e
pensare che per me non è altro che una stronzata XD
ovviamente ci vorrà ancora mooooolto per scriverne un altro,
perché attualmente non ho ispirazione e quando ce l'ho
scrivo sui muse, però sono in arrivo un paio di john/paul,
se tutto va bene^^ grazie a chi ha letto e commentato All Things Must
Pass e le altre fic sui Muse!! ^_____^]
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