Girl.

di manubibi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You Were In A Car Crash... ***
Capitolo 2: *** Living Is Easier With Eyes Closed. ***
Capitolo 3: *** I was dreaming of the past. ***
Capitolo 4: *** Biiiillyyyyy Sheeeears! ***



Capitolo 1
*** You Were In A Car Crash... ***


Disclaimer: Paul, George, John e Ringo purtroppo non sono miei (ç____ç perchéééé

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Era successo tutto così in fretta che le uniche cose che riusciva a ricordare erano il rumore di quella frenata violenta, e l'immagine degli abbaglianti sul tronco dell'albero. Oltre a questo solo vaghe immagini grigiastre e polverose.
Aveva provato svariate volte ad aprire gli occhi, ma ad ogni tentativo il mal di testa lancinante l'aveva fatto desistere, aggiunto ad una nausea fortissima.
All'ennesimo tentativo socchiuse le palpebre, lasciandosi infastidire da qualche raggio bianco. Sentiva un mormorio concitato nelle orecchie, come una eco di quello che era successo mentre era incosciente.
La nausea era sparita, il mal di testa però rimaneva acuto e stordente, aggiunto dal fatto che la benda era troppo stretta alla testa.
Benda?
Oh, fantastico, era in ospedale. Fino a quel punto poteva arrivarci con l'intuito, ma era comunque così rintronato da sentire subito il bisogno di tornare nel buio.

La prima cosa che sentì prima di aprire gli occhi fu il tocco di una piuma che lo solleticava al collo. E subito dopo qualcosa di appuntito che gli si infilzava nel polso.
Con un gemito aprì lentamente gli occhi, ma vide solo tanti capelli marroni. Essendo incapace di articolare suoni di senso compiuto si accontentò di manifestare il proprio disappunto con un mugolio.
-Oh, buongiorno-, disse una voce femminile, arrochita dal sonno, e subito dopo sentì che i capelli sul collo se n'erano andati.
Provò ad aprire gli occhi e ci riuscì dopo un lento sbattere di ciglia.
-Mr. McCartney-, continuò la voce, con una pausa divertita. -Si sente meglio?
Gli sembrava una domanda così scontata, idiota e banale che non trovò altra risposta da dare che una occhiataccia.
-Certo che no. Domanda stupida. Ha fame?-, chiese di nuovo la voce femminile, ora più fredda.
Paul capì che doveva rispondere, ma sentiva la bocca così impastata che fu piuttosto difficoltoso parlare.
-Uhm, si-, rispose aprendo completamente gli occhi.
Vide l'infermiera, che gli stava controllando una bendatura al gomito.
Non era molto bravo a descrivere le persone, ma se avesse dovuto farlo avrebbe detto che non era né bellissima né brutta. Occhi grigi, o verdi, o entrambe le cose, non avrebbe saputo dirlo; I capelli erano di media lunghezza, mossi, castani e chiari. Sul viso c'erano molte imperfezioni, delle rughe causate dallo stress, occhiaie, ma nel complesso era carina.
-Arrivo subito con qualcosa da mettere sotto i denti. Oh, e ci sono visite-, aggiunse lei, di nuovo in tono divertito.
Il ragazzo non fece in tempo ad annuire che una voce familiare miagolò:
-Paul! Cazzo, ci hai fatto prendere un colpo!
Girò la testa, e gli ci vollero un paio di secondi per realizzare che quello era John.
-Oh, che bello vedere le vostre brutte facce-, borbottò, memore del litigio che avevano avuto prima che si ritrovasse di colpo in un lettino.
-Anche per noi. Ci hai fatto passare un paio di bruttissimi giorni, sai?-, rispose George.
-Eh si...stavamo già cercando un sosia per rimpiazzarti!-, aggiunse John con un sorriso non del tutto sincero. Si vedeva che tutti e tre avevano passato almeno un paio di nottate in bianco e che erano maledettamente sollevati di vedere finalmente che stava bene, più o meno.
-Ah, che begli amici...-, esclamò Paul con una finta aria offesa messa su alla bell'e meglio.
-Seriamente, siamo così felici di avere il nostro sopravvalutato bassista!-, esordì la voce profonda e un pò infantile di Ringo.
Paul lo fulminò, come il suo ego ferito non poteva fare a meno di ordinargli, poi rispose:
-Ah beh, se parliamo di musicisti sopravvalutati...Comunque, ragazzi, da quanto tempo sono qui?
-Hai preso una gran brutta botta. Seriamente, temevamo il peggio-, intervenne George, e la voce gli tremò per un istante. -Comunque sei qui da una settimana e mezza.
-Due settimane?!-, sbraitò Paul agitandosi sul letto. -Ma dobbiamo registrare Sergent...
-Si calmi-, intervenne l'infermiera bloccandolo per le spalle. -Le ho portato il pranzo-, aggiunse rivolgendosi poi ai visitatori con uno sguardo significativo. Smammare.
-Siamo di troppo-, commentò scocciato John.
-Veniamo a trovarti domani, Paul-, promise Ringo.
-E signorina-, aggiunse John, -veda di non farsi mettere le mani addosso da lui...dopo ben una settimana e mezza di astinenza sarebbe capa...
-John!-, lo ammonì Paul.
Scalpicciando svogliatamente i tre ragazzi uscirono dalla stanza, lasciando Paul e la ragazza soli, in un silenzio anche piuttosto imbarazzante.

 

Paul si sentì a disagio: era troppo abituato, volente o nolente, ad avere attorno un sacco di persone.
-Come ti chiami?-, chiese alla schiena dell'infermiera.
-Daisy-, disse lei senza guardarlo, ma si limitò a sistemargli le coperte.
-Piacere, sono Paul-, ci riprovò lui.
-Lo so. Non ha fame?-, rispose lei indocandogli il piatto che gli aveva portato.
Il ragazzo guardò sconsolato il suo piatto. In quel momento ci sarebbe voluto George, tanto buttava giù qualsiasi cosa. Cominciò a mangiare lentamente, e la ragazza se ne andò per il resto della giornata.

La mattina dopo lo svegliarono un colpo di luce improvviso e un "buongiorno" poco convinto.
-Umpf. Non ne sono sicuro-, borbottò lui stropicciandosi gli occhi, e Daisy non rispose. Paul non disse altro, era la prima volta dopo tanto tempo che qualcuno lo trattava con completo disinteresse. Cercò di trovarci il lato positivo: nonostante il fatto che adorava stare al centro dell'attenzione forse gli serviva ridimensionare il proprio ego.
Rimase in silenzio immerso nei suoi pensieri, finché non sentì che le coperte si spostavano.
-Che c'è?-, protestò con una smorfia di dolore mentre Daisy gli sollevava la testa.
-Devo cambiarle le bende-, spiegò lei mostrandogli un lungo rotolo di garza.
-Oh...va bene-, mugugnò lui.
-La ferita alla testa si è quasi rimarginata del tutto-, osservò lei mettendogli la benda nuova, -si levi la maglia.
Paul, perplesso, obbedì e notò con stupore tutte le cicatrici e tagli che gli percorrevano l'addome.
-Cosa...
-I vetri dell'auto-, disse lei asciutta, mentre gli esaminava le medicazioni, tastandole delicatamente con i polpastrelli.
A quel contatto Paul rabbrividì e tese gli addominali, a disagio.
-Tutto bene-, constatò lei ridandogli la camicia. -Torni a dormire-, aggiunse uscendo dalla stanza, e Paul si riaccomodò riposando un pò, prima che un "Ciao Paul!" urlatogli nelle orecchie lo facesse sobbalzare.
-Ciao-, borbottò irritato coprendosi l'orecchio. -Fatemi uscire di qui, vi prego-, supplicò come un bimbo che vuole la mamma, all'indirizzo di George.
-Ma come, vuoi uscire? Oh-, cominciò John assumendo un'aria sbeffeggiatrice, -l'infermiera ti ha dato il due di picche, vero?
-No, non mi interessa l'infermiera-, ribatté, -io non sbavo su qualsiasi cosa che si muove, John. E' che sono qui da due settimane, due!, e voi state lavorando senza di me! E' inammissibile!-, aggiunse irritato.
-Certo, ci manca la tua dittatura-, commentò Ringo.
-E comunque, fossi in te, con la signorina...-, insistette John.
-Si chiama Daisy. Beh, non mi interessa, se vuoi provaci tu...ma credo che sia frigida, comunque-, rispose Paul rabbuiandosi. In effetti tutta quell'indifferenza nei suoi confronti non poteva avere un lato positivo.
-Paul, essere nei Beatles non dovrebbe farti pensare che tutto il globo sia ai tuoi piedi-, osservò saggiamente George.
-Permesso-, disse la familiare voce di Daisy, che si fece largo con espressione buia e che ci mise due minuti a sgombrare la stanza.
In silenzio gli tolse le coperte e lo fece sedere.
-Che c'è?-, ripeté lui.
-Deve fare il bagno-, rispose.
Lo accompagnò fino alla stanza con la doccia.
-Ehm...posso fare da solo-, disse lui.
-Lo so-, disse lei guardandolo di sbieco. -Ma anche in caso contrario non sarebbe un problema. Tanto sono frigida-, aggiunse nel tono più acido che poté, e poi chiuse la porta.
Paul ebbe un gran tuffo spiacevole al petto, si sentì in colpa ma tacque mentre faceva la doccia. Forse di lei avrebbe avuto effettivamente bisogno, dato che rischiò di cadere una decina di volte.
-Scusa-, le disse mentre lei gli asciugava i capelli.
Lei si fermò per qualche secondo sorridendo brevemente.
-Sa, stanno girando delle voci ultimamente-, disse lei dopo un pò.
-Cioè?-, chiese lui.
-Dicono che lei è morto nell'incidente-, rispose la ragazza con un ghigno divertito.
Paul rimase attonito per qualche momento, poi scrollò le spalle e commentò:
-Bene, altra pubblicità.

[Si, dai Muse ai Beatles. Capita. Almeno ho cambiato un pò obiettivo xD chiaramente sto prendendo in giro la leggenda del Paul Is Dead, non c'è nemmeno bisogno di dirlo...non ho ancora completato la storia, ma non credo usciranno più di altri due o tre capitoli...Non penso di aggiornare presto, comunque cercherò di finirla il più presto possibile =)]

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Capitolo 2
*** Living Is Easier With Eyes Closed. ***



Daisy lavorava come al solito, nei giorni seguenti tutto andò come da copione, ormai ogni azione era diventata una routine. Paul cominciava ad abituarcisi, anche se in un paio di giorni sarebbe uscito dall’ospedale. Ormai era come nuovo, e quei giorni di degenza in più erano solo una precauzione formale.
Stavano chiacchierando come sempre, e commentavano il telegiornale che riportava insistentemente la tesi della sostituzione di Paul nei Beatles con un sosia.
-Se è vero mi deve una percentuale-, commentò il ragazzo mostrando davvero poco interesse.
Prima che Daisy potesse bofonchiare qualcosa si congelò all’improvviso, sentendo una voce provenire dal fondo del corridoio, sbiancò del tutto e cominciò a tremare visibilmente, fino a far cadere la tazza che teneva in mano, senza per altro accorgersene.
-Dov’è?-, abbaiò furiosa e aggressiva la voce maschile di un uomo.
-Signore, chi sta cercando?-, provò educatamente una voce femminile, ma non ottenne risposta.
Daisy rimase immobile dov’era, fissando la porta come se sapesse cosa sarebbe successo, senza però reagire. Paul non capiva la situazione, si sollevò sui gomiti.
Dopo qualche secondo sentirono dei passi decisi avvicinarsi sempre di più, Daisy indietreggiò terrorizzata finché non vide la fonte di tutto quel fracasso.
Sulla porta era apparsa la figura tozza e rude di un uomo, presumibilmente quarantenne, quasi calvo e con la figura trasfigurata dalla rabbia e dall’ebbrezza causata dalla bottiglia di whisky che stringeva nel pugno. Con un guizzo degli occhi cercò e individuò la figura di Daisy, ignorando completamente l’esistenza di Paul, che lo fissava ancora stordito.
-Puttana!-, sbraitò l’uomo. –Sgualdrina ingrata-, aggiunse avvicinandosi a grandi passi all’infermiera.
-No!-, strillò lei quando si sentì afferrare per i polsi e sbattere contro il muro. –Lou! Ti prego…-, cominciò, ma lui non la lasciò nemmeno finire, sbattendola più forte contro i mattoni.
-Ingrata, piccola stronza-, urlò inondandola dell’odore di alcol, sottolineando con uno schiaffo che la mandò a terra rovinosamente. Stava per urlarle qualcos’altro e forse per spezzarle una gamba, ma arrivò prima un pugno diretto al naso. Bastò a stenderlo.
Paul si ritrovò col pugno per aria, con l’adrenalina che pompava nelle vene, il viso livido e gli occhi infuocati. Ansimò a lungo prima di riprendere il controllo, ed assestò un calcio in pieno ventre all’essere che rantolava a terra, ancora in preda allo stordimento.
Daisy era a terra, apparentemente priva di sensi, con un grosso livido sulla guancia. Paul si chinò per prestarle soccorso, ma lei lo bloccò di colpo fissandolo negli occhi con quel velo insensibile che aveva imparato ad indossare per coprire i propri sentimenti col resto del mondo.
-Daisy…-, cominciò lui aiutandola ad alzarsi.
-Torna nel tuo lettino-, gracchiò lei.
-No, posso…
-Paul. Torna-nel-tuo-lettino-, ripeté lei fulminandolo.
-Cazzo, hai bisogno di aiuto!-, protestò lui alzando la voce.
-Ragazzo, non ho bisogno né di te né di qualcun altro. Ora fammi un favore e torna su quel dannato coso-, tagliò corto lei, prendendo uno straccio bagnato e appoggiandoselo alla guancia con una smorfia di dolore.
-Certo che hai bisogno di qualcuno! Se non ci fossi stato io quel tizio ti avrebbe…ma chi era? Che…-, rispose Paul ammutolendo per la rabbia e lo shock.
Daisy lo fissò e decise che aveva ragione. L’aveva aiutata e meritava di sapere.
-E’ mio padre.
Paul spalancò gli occhi e impallidì come il lenzuolo che strinse convulsamente.
-Che…cosa?
La ragazza guardò il corpo riverso a terra con un misto di terrore e rassegnazione. Cominciò a camminare attorno alla stanza come faceva sempre quando era nervosa.
-Lui è mio padre-, sbottò. Non aggiunse altro. Non gli spiegò il motivo di tanto odio di quell'uomo nei suoi confronti, non si sarebbe mai sbottonata sul suo passato con il cosiddetto padre.
Paul boccheggiò senza riuscire ad emettere suoni. Quella realtà, qualsiasi fosse, era troppo distante da lui per comprenderla. Non capiva come fosse possibile trattare così una figlia, non lo concepiva. Eppure l'aveva visto coi suoi occhi e non riusciva a non provare empatia per quella ragazza fragile che tentava ancora disperatamente di dimostrarsi una donna forte. E libera.

Ma, lo capì da solo, non si sarebbe mai permessa lei stessa di essere libera, e questo lo intristì ulteriormente.


[Eccomi di nuovo con un altro pezzettino xD e ancora non so come continuarla né tantomeno come finirla. Si, sto un pò sperimentando, scrivendo di getto...
Allora, rispondo xD
WhereIsMyMind: Ciao caVa *___* grazie mille di aver letto la mia orribile ficcina <3 comunque è vero, sono tutte operazioni nostalgiche...non ci possiamo proprio fare a meno xD uffi, dobbiamo metterci d'accordo per QUELLA scena *ç* devo farmi venire in mente idee...(Dom e Matt Dom e Matt Dom e Matt!! Pensa pensa pensa manuuuu >.<)
PrinzexKikka:
1) Scussha ç.ç non lo fasshio più amoVeeee
2) Grassie teso *____________* <33 tivube anch'ioooo
(si si, faccio sempre così XD)
Marty_Youchi: Ovvio che non ci credo u.u scemi come Paul non ce ne sono...dove altro lo trovi un bassista mancino con evidenti problemi mentali e un talento fuori dal comune? u.u  Comunque...oddio O.O cioè, il fatto è che non so se cicciano o non cicciano, è il dubbio amletico degli ultimi mesi "Paul e Daisy o non Paul e Daisy?" XD comunque adesso ho paura, seriamente O.O'']

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Capitolo 3
*** I was dreaming of the past. ***


Daisy, ancora tremante, uscì dalla stanza senza dire altro mentre altre infermiere accorrevano, lasciando che Paul raccontasse l’accaduto. Una di loro si voltò verso le altre e commentò:

-Adesso abbiamo capito perché è sempre così introversa…-, aggiunse l’inevitabile “poverina”.

Paul non disse niente, tornò a stendersi sul lettino cominciando a sentire una forte emicrania, e lanciò uno sguardo di disgusto al corpo stordito per terra.

-Chiama la polizia-, sentì dire ad una delle infermiere.

Lei non si fece vedere per i giorni seguenti e la sostituiva un’altra infermiera, decisamente più gentile e affabile di lei. Ma Paul le chiedeva tutte le mattine quando sarebbe tornata. Voleva capirla, voleva solo conoscere la sua storia, era curioso pur sapendo che non lo riguardava.

-Torna domani, o almeno questo ha detto-, rispose l’infermiera, cominciando a mostrare un’aria scocciata.

Il giorno dopo, come promesso, fu svegliato da un viso familiare, e anche se non ne ricevette uno le indirizzò un sorriso cortese.

-Mi chiedo perché sei ancora qui. Hai un’ottima cera, dovresti essere stato mandato a casa giorni fa!-, commentò lei per tutta risposta.

-Hanno provato a farmi alzare, ma mi si sono riaperte tutte le suture-, spiegò lui facendo spallucce. –E per giunta sono svenuto.

Daisy non batté ciglio e continuò con le sue faccende di routine, mantenendo il silenzio gelido nella stanza, finché Paul non si scosse.

-Come mai?-, le chiese.

-Come mai cosa?-, ribatté lei in tono freddo.

-Perché sei stata via tutto questo tempo?

-Non sono affari tuoi-, tagliò corto la ragazza, piantandogli davanti la colazione.

-Beh, se non ci fossi stato io quello ti avrebbe fatto molto più male, quindi direi che merito di sapere qualcosa-, insistette lui, pur sapendo di essere un po’ sleale.

Lei lo fissò con odio, si morse il labbro ma non rispose.

Paul aspettò qualche minuto, poi decise di cambiare discorso.

-C’è un pianoforte qui?

Daisy alzò un sopracciglio.

-Certo, abbiamo un’intera orchestra in ospedale.

-Neanche una chitarra?-, riprovò lui supplicante. –Per favore, ho bisogno di suonare qualcosa!

Lei ci pensò su e fece un mezzo sorriso.

-Qui davanti c’è un negozio di strumenti, ma non credo di esserti utile.

Paul rifletté.

Nel bel mezzo della notte, a sentire le note profonde di un pianoforte a coda, chiunque si seccherebbe. Daisy fu la prima ad entrare nel piccolo negozio, appoggiandosi allo stipite e osservando.

Paul era completamente assorto in una melodia dissonante, assolutamente improvvisata. Con la coda dell’occhio notò che c’erano visite, e le dita cominciarono ad accarezzare i tasti tessendo un motivo questa volta familiare. Caldo, solare, come tante delle sue composizioni. La cosa più evidente era che gli brillavano gli occhi, a suonare per qualcuno: egocentrico di carattere. Ma ad un ragazzo che faceva l’amore con la musica non si poteva obiettare niente.

La ragazza rimase ad ascoltarlo ostentando indifferenza, aspettando che finisse.

-Ecco-, disse Paul mostrando i polsi.

-Non toccherebbe a me ammanettarti. Ma ti spetta un discorsetto…sai, ho una vita anch’io.

Al poliziotto sbadigliante fuori dalla porta spiegò:

-Aveva bisogno di suonare. Non faceva niente di male.

Il poliziotto scrollò le spalle.

 

Aprì gli occhi e sentì che c’era qualcosa sulle sue gambe, o qualcuno.

-Daisy?-, chiese grattandosi la testa.

Lei si stiracchiò sbadigliando vistosamente, e fece un piccolo sorriso assonnato.

-Buongiorno, Mr. McCartney.

-Che ci fai qui?

Daisy si sistemò la traversina.

-Uhm, dormivo.

-Sei rimasta qui tutta la notte!-, esclamò lui incredulo. Non ne capiva il senso.

-Sì, posso dire di essere rimasta nella stessa stanza del famoso Paul McCartney. Non ero all’obitorio, e non ho subìto avances. Non è una cosa da tutti i giorni.

-E perché adesso ti interesserebbe?-, le chiese lui mettendosi a sedere.

-Perché hai suonato per me-, rispose lei semplicemente.

Non sapeva come, ma per Paul significò qualcosa.

 

-Comunque vuoi dirmi dove sei andata?-, insistette lui.
Daisy rimase in silenzio meditativo per un pò, poi rispose:
-Sono andata da mia madre.

[stavolta ho già scritto qualcosa del prossimo capitoletto XD allora, il rapporto Daisy/Paul si sta delineando e ho capito che NON virerà sul romantico, cosa che a quanto ho capito farà felice un pò tutti u.u comunque potrebbero esserci errori di continuità o incongruenze, questo è dovuto al fatto che, lo ripeto, scrivo di getto e ste cose possono capitare con le riscritture o le distrazioni XD quindi segnalatemele, mi raccomando! E se avete suggerimenti io li accetto MOOOLTO volentieri ^__^ comunque...
Marty_youchy: Fiuuu! Pensavo di ritrovarmi te sotto casa con la mazza ferrata...ma tanto ormai il pericolo è rientrato xDDD Certo che Paul non ha problemi mentali O.o']

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Capitolo 4
*** Biiiillyyyyy Sheeeears! ***


Paul recepì al volo il motivo dell’imbarazzo della ragazza. Se suo padre era un uomo del genere, sua madre doveva essere molto sola, molto infelice e di poca compagnia. Non fece domande, non ne ebbe bisogno perché fu lei a parlarne.

-Volevo vedere se aveva aggredito anche lei. Ma mamma ha detto che non lo vedeva da due mesi. Dall’ultima volta che era andata a tirarlo fuori di prigione-, deglutì. Paul rimase ad ascoltare in silenzio lo sfogo, lungi dal giudicare.

-Da quanto ricordo è sempre stata magra e un po’ pallida…ma niente in confronto ad ora. Sembra…il fantasma di sé stessa. E quando le parlavo mi dava risposte vaghe, non mi guardava mai negli occhi, sembrava continuamente tormentata. Un’anima in pena, ecco. Quando l’ho vista ho capito quanto ho fatto bene ad andarmene. Per me. Ma per lei è stato un inferno ancora peggiore, quando sono scappata mio padre si è concentrato su di lei, le ha dato la colpa della mia fuga, pensava che mi avesse spinto ad andarmene-, continuò incupendosi sempre di più, e alla fine si coprì il viso.

-Non devi sentirti in colpa-, la anticipò Paul. –E poi, perché non l’hai denunciato?

-denunciarlo e subire la pietà e i giudizi degli altri che non sanno niente di me? No, grazie. E poi…e poi rimane il mio papà-, aggiunse abbassando lo sguardo.

Paul era allibito.

-Come fai a chiamarlo ancora così?-, chiese alzando la voce. –Cioè, è inconcepibile!

Daisy lo fissò e il suo sguardo si indurì.

-Non mi aspetto che tu capisca.

-E non darmi queste risposte! Hai detto che non vuoi la pietà di nessuno…beh, mi spiace dirtelo ma non puoi essere forte come fai vedere! Non puoi pensare di cavartela da sola-, la interruppe lui infervorandosi. Odiava che l’orgoglio portasse a fare cose tanto stupide.

Daisy tacque, si voltò ed uscì dalla stanza, lasciando Paul senza cibo.

John lo accusò di poco tatto, Richard lo guardò col suo sguardo severo mentre George fu l’unico a trovarsi d’accordo con Paul.

-Insomma, non capisco perché giustificare qualcuno che ti fa del male, anche se è tuo padre.

-George, a volte la mente ha dei meccanismi contorti che non si possono comprendere. Non per questo la gente va sgridata!-, ribatté Ringo mentre John annuiva vivacemente.

Paul sospirò. Ammise che forse aveva esagerato, ma dopotutto lui aveva seguito la scena e ne era rimasto troppo turbato per accettare l’atteggiamento di Daisy. Non l’avrebbe accettato da parte di nessuno. E poi si sarebbe aspettato del supporto da parte di John, che odiava tutte le ingiustizie e spesso parlava a sua volta a sproposito pur si smuovere qualcosa nelle persone. Però rimaneva il fatto che innanzitutto la vita di quella ragazza non era affar suo.

-E ricordatelo la prossima volta-, confermò John.

Per il resto passarono il pomeriggio a chiacchierare e a parlare dei loro progetti per il disco seguente.

-Sapete cosa mi piacerebbe fare?-, disse John. –Mi piacerebbe fingere di essere…qualcos’altro, un’altra band, qualcosa di completamente diverso! Non essere un Beatle, ma solo un componente di una band astratta! Capite cosa intendo?

Capivano fin troppo bene. Il successo, i tour, il fatto di essere delle icone: tutte cose bellissime e incredibili per i primi anni. Ma dopo tanto tempo passato in quel meccanismo cominciavano a diventare opprimenti, noiose e addirittura seccanti. Troppe ragazzine urlanti, troppi pettegolezzi, troppo e basta. Mentre Paul in particolare ci sguazzava ancora abbastanza facilmente ma non troppo, per gli altri tre cominciava a diventare eccessivo, e capirono perfettamente perché John sognava di poter fare musica senza il peso di un marchio.

-Allora facciamolo-, disse George asciutto.

-Va bene-, gli fece eco Ringo facendo spallucce.

-Bene! E poi sarebbe perfetto, dato che il disco è diverso dai primi-, aggiunse John.

-Beh…per me va bene-, concluse Paul annuendo. –E so già come si chiamerà-, aggiunse in tono divertito.

-Sarebbe?-, chiese Ringo, impaziente. Odiava questo tipo di uscite.

-Ci stavo pensando da un pò, e sono arrivato a qualcosa tipo “Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band”! Lo sapete che mi sono sempre piaciute quelle bande strumentali che suonano alle marce, no?

Gli altri tre si guardarono e confabularono fra loro. Paul afferrò qualche obiezione da parte di George, ma alla fine lo guardarono e con tre sorrisi smaglianti annuirono.

-E’ un’idea grandiosa, cazzo! Quando ci mettiamo?-, fece John al massimo dell’entusiasmo.

Paul sorrise solare e raggiante, facendosi subito prendere dalla smania della composizione, e qualche nota gli ronzò nella testa. Era proprio un geniaccio, quel ragazzo!


[Ebbene, eccolo...incredibile quanto tenevate a questa storia, e pensare che per me non è altro che una stronzata XD ovviamente ci vorrà ancora mooooolto per scriverne un altro, perché attualmente non ho ispirazione e quando ce l'ho scrivo sui muse, però sono in arrivo un paio di john/paul, se tutto va bene^^ grazie a chi ha letto e commentato All Things Must Pass e le altre fic sui Muse!! ^_____^]

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