The Wilde Case

di Leonhard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CLIC, BANG! ***
Capitolo 2: *** Una volpe vestita da donna ***
Capitolo 3: *** La tana della volpe ***
Capitolo 4: *** Le orecchie del coniglio ***
Capitolo 5: *** Il caso Wilde ***
Capitolo 6: *** Un agnello per la volpe ***
Capitolo 7: *** Mi fido di te ***
Capitolo 8: *** Un pezzo della scacchiera ***
Capitolo 9: *** Nascondino ***
Capitolo 10: *** Il mio Nick? ***



Capitolo 1
*** CLIC, BANG! ***


Prologo. CLIC, BANG!


Era un predatore, le avevano detto, e per di più una volpe: quanto ti aspetti che durerà questa situazione atipica? Effettivamente, a ripensarci, quella situazione aveva avuto un qualcosa di miracoloso.

A Zootropolis chiunque può essere quello che voleva.

Quella città, quell’enorme metropoli, aveva sempre avuto la nomea di città in cui vigeva la libertà assoluta, quindi non aveva trovato niente di illogico quando aveva deciso che sarebbe andata a vivere lì per inseguire il suo sogno di essere una poliziotta.

Non si era fermata quando i suoi genitori le avevano detto che una coniglietta come lei non poteva non rimanere a Bunnybureau a vendere carote, come la sua famiglia aveva sempre fatto. Davanti a quella frase, così densa di ansia e preoccupazione tipica dei conigli, aveva riscoperto anche la ristrettezza mentale propria dei conigli ed una borsa di aggeggi per l’autodifesa di dubbio gusto a provarlo.

Se i suoi genitori l’avessero vista in quel momento, sinceramente non sapeva se avrebbero cercato di fermarla o l’avrebbero esortata a compiere il suo lavoro fino in fondo. Era per quello che il repellente per volpi non aveva mai lasciato la sua fondina fino a quella mattina, no?

E non era forse per quello che stava stringendo quella pistola?

E non era sempre per quel motivo che aveva il collo di Nick nel mirino, il dito teso sul grilletto che già scricchiolava ansioso di sparare?

Non poteva quasi credere che stava per sparare ad una volpe che l’ultima volta che l’aveva vista le aveva offerto una confezione di ciambelle. Le sue preferite, per la precisione, quelle con la glassa alla nocciola che solo la pasticceria dall’altra parte della città faceva. E costavano anche! Guardava il suo collega come terzo punto tra lei e la canna dell’arma.

Per un punto passano infinite rette, ma per due…per non parlare di tre punti: lì poi non ti puoi sbagliare…

Per l’attimo precedente allo spasmo del dito pensò che con Zootropolis aveva un rapporto di scambio: la città le aveva regalato la possibilità di diventare la punta di diamante del distretto di polizia e lei aveva ricambiato il favore donandole la prima volpe poliziotto. Un dono per un miracolo e di questo si era sempre sentita orgogliosa.

Nick si volse nella sua direzione; gli occhi sbarrati e iniettati di sangue, gli artigli tesi e le zanne scoperte e lucide di sangue in un animalesco ringhio. Judy vide sé stessa, la sua figura esile e minuta specchiarsi negli occhi, le sue orecchie abbassate a evidenziare quanto poco volentieri stesse per fare quello che stava per fare.

Alla contrazione del dito seguì il sordo CLIC del grilletto, poi l’arma diede uno scossone all’indietro e la gettò a terra. La volpe davanti a lei proruppe con un guaito e rotolò a terra; rimase immobile salvo per il ventre, che si alzava e si abbassava rapidamente, aritmicamente. Judy si mise in piedi in un attimo e lasciò cadere la pistola nel fango bagnato, indecisa su cosa in quel momento la disgustasse di più.

Quell’arma, il gesto o lei stessa?

Con pochi balzi si gettò accanto a Nick, incurante del fango che le sporcava la pelliccia e che, sapeva, ci avrebbe messo il suo a toglierlo una volta seccato. Prese la testa della volpe tra le zampe e lo guardò con occhi lacrimanti.

“Nick…” sussurrò. L’animale le restituì uno sguardo vago, prima di tornare a ringhiare piano per farle capire che cosa le avrebbe volentieri fatto se il suo corpo gli avesse risposto anche solo per uno o due secondi. “Mi dispiace…”.

La risposta fu un piccolo guaito e subito dopo gli occhi di Nick, assieme alla piccola luce che sempre era stata presente nelle sue verdi iridi, si spensero.



NOTA DELL’AUTORE:

Ossequi ossequiosi a tutti quanti. Visto che a Zootropolis chiunque può essere quello che vuole, anche io adesso tenterò di essere uno che scrive una fic su questo fandom.

Do il benvenuto a tutti coloro che mi leggono per la prima volta ed il ben ritrovato a chi magari mi conosce già. Ho voluto cimentarmi in questa storia: spero che possa piacervi quello che scrivo al punto da aspettare ansiosamente quello che scriverò.

Altro non mi resta da dire se non alla prossima.

Stay Tuned

Leonhard

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Capitolo 2
*** Una volpe vestita da donna ***


1. Una volpe vestita da donna


Se all’agente Judy Hopps avessero raccontato nel dettaglio quello che sarebbe successo di lì a cinque giorni, probabilmente avrebbe fulminato il suo interlocutore con gli occhi, mentre tamburellava il pavimento con la zampa come ogni volta che si irritava. Sparare al suo collega? Al suo amico?

A Nick Wilde? Quello stesso Nick Wilde che le stava porgendo una scatola che avrebbe riconosciuto tra mille? Nah, non poteva essere.

“E queste?” chiese, aprendo la scatola e rifacendosi gli occhi.

“Non è pensabile che ad un coniglio non piacciano” replicò con il suo solito sorrisetto. La confezione era una semplice scatola di cartone arancione con motivi marroncini a forma di carote e nocciole: al suo interno, sapientemente confezionate in un letto di carta, vi erano sei grosse ciambelle affogate in quella che aveva tutta l’aria e l’odore di glassa alla nocciola. Il naso di Judy fremette e le vennero quasi le lacrime agli occhi quando, dopo il primo morso, sentì per tutta la bocca l’aroma della carota di cui era intrisa la ciambella.

“È in momenti come questo che sono veramente contenta di averti come partner” disse, masticando lentamente il boccone.

“Ah questo si che mi fa sentire speciale…” commentò Nick, con una risatina. Scosse la mano in cenno di rifiuto quando la coniglietta porse nella sua direzione la confezione di dolci. “Le nocciole mi fanno cadere il pelo”.

“Ah ah, simpatico” commentò lei, posandole sulla sua scrivania. “Vorrà dire che me le mangerò tutte, divertendomi ad immaginare una volpe pelata”.

“Ti piacerebbe…”.

“Senti, ma dove le hai prese?” chiese, cacciandosi in bocca l’ultimo pezzo di dolce. “Non ho mai visto queste ciambelle in giro”.

“Perché non sai dove andare” rispose lui. “Io conosco tutti in Zootropolis e tutta Zootropolis”.

“Allora puoi dirmi dove le hai prese” osservò lei.

“Non se ne parla nemmeno” replicò Nick. “Se perdessi questo potere su di te mi faresti spostare in archivio o peggio ancora alla reception, a procurare le ciambelle a Clawhauser e dilapidarmi così lo stipendio”. Judy rise.

“Lo sai che non lo farei mai” disse. “

Lo so” annuì lui. “Per questo non ti dirò dove le ho prese: chiamala un’assicurazione…”.

“Potrei interrogarti” osservò lei, sorridendo furbescamente. “Conosco qualche tecnica di tortura speciale, come il solletico o le unghie sulla lavagna…”.

“Potrei chiamarti tenera in risposta” replicò lui. “E andare a dire a tutti per la centrale che sei la cosa più tenera che abbia mai visto”.

“Smettila…” borbottò lei, arrossendo.

“A quanto pare ho vinto io” ghignò Nick. Si allungò sulla scrivania per strofinarle amichevolmente la testa, facendole sballottare le orecchie in tutte le direzioni. “Coniglietta ottusa…”.

“Ok, tieniti i tuoi segreti” sbottò la coniglietta, fingendosi offesa a morte. “Ma sappi che tanto scoprirò il nome della pasticceria”.

“…se è una pasticceria” aggiunse la volpe, voltandosi nuovamente sul suo computer.

“Ehi! Così non vale!” esclamò Judy, battendo la zampa a terra. La discussione venne interrotta da tre colpi sulla porta. All’invito si affacciò Clawhauser.

“Hai appena interrotto un’importantissima indagine” informò Nick, appoggiandosi allo schienale della sedia, con il suo ghigno divertito ad informare che stava per dire una scemenza delle sue. “L’agente Hopps era molto interessata ad un traffico clandestino di ciambelle illegalmente buone che…”.

“Wilde, c’è una persona alla reception che vuole parlare con te” disse. Il fatto che avesse sorvolato su un accoppiamento così ravvicinato delle parole ‘ciambella’ e ‘buone’ non fece presagire nulla di buono ai due. La volpe abbandonò il sorriso per lasciar spazio ad un’espressione incuriosita.

“Con me?” ripeté. “Se ha delle denuncie da fare, c’è l’ufficio apposta…”.

“No: ha chiesto espressamente di te” puntualizzò il ghepardo, tornando nel personaggio e facendo guizzare furtivo gli occhi per l’ufficio, alla ricerca del corpo del reato fonte di quel delizioso profumo alla nocciola. Nick aggrottò le sopracciglia, incuriosito. Abbandonò la sedia e spinse il collega fuori dall’ufficio.

“Hai idea di quanto può essere pericoloso un coniglio arrabbiato?” osservò, quando Clawhouser oppose resistenza, gli occhi fissi sulla scatola rosa. “Gli artigli, i denti, gli occhi da pazza…non te lo auguro, fidati”.

“NIIIICK!” squittì Judy, intuendo che stesse parlando di lei. La porta si chiuse, lasciandola sola. La coniglietta si volse verso la scatola: nessun nome o indirizzo, etichetta o anche solo un adesivo con scritto ‘grazie della scelta’. La sola cosa che tradiva il contenuto di quella confezione era il profumo: la glassa spandeva un odore di nocciola, che ben si sposava con il delicato aroma alla carota, in un sapiente mix delicato e deciso allo stesso tempo.

La curiosità vinse e si sporse dalla porta; vedeva tutta la hall dal suo ufficio: la gente che entrava ed usciva, la saletta per le deposizioni delle denuncie, Francine che giocherellava con il cappello mentre sorvegliava il piano superiore, Nick in disparte che parlava con…una volpe!

Una volpe vestita da donna.

Nick aveva sul muso un sorriso. Non il suo solito sorriso però: aveva QUEL sorriso, quello che normalmente era riservato a lei, quello che lei, nel segreto della sua camera aveva definito SUO sorriso, dandosi della coniglietta ottusa subito dopo. L’altra volpe ricambiava con un sorriso altrettanto bello, altrettanto sciolto e dannatamente normale. L’orecchio scattò dritto malgrado si ripetesse che non erano fatti suoi.

“Ho bisogno del tuo aiuto, Nick” diceva la volpe. Aveva una voce femminile che la costrinse a drizzare anche l’altro orecchio. Il poliziotto fece sparire il sorriso, assumendo un’aria corrucciata.

“Non so, Vixen…” disse. “Dovresti fare formale denuncia per una cosa come questa…”.

“Non voglio che se ne occupi un poliziotto qualsiasi” replicò lei, poggiando una zampa sulla sua. “Voglio che sia tu ad occupartene. Ti prego…in memoria dei tempi passati…”.

In memoria dei tempi passati. Judy captò solo il verso di assenso del suo collega, poi chiuse la porta di scattò, appoggiandosi contro di essa per cercare di calmare quella strana sensazione di stizza che sentiva crescerle dentro. In memoria dei tempi passati.

Si sedette nuovamente alla sua scrivania in tempo per vedere le due volpi entrare nell’ufficio. Quella Vixen, dovette riconoscere, era veramente un bell’esemplare: occhi grandi e verdissimi, pelliccia fulva, morbida e lucida, muscolatura aggraziata ed un’espressione gentile.

“Oh…” disse, alla vista di Judy. “Non pensavo lavorassi in coppia…con un coniglio”.

“Una coniglietta, per la precisione” puntualizzò Nick, sorridente. “Lei è l’agente Hopps, mio fedelissimo ed amatissimo collega”. Judy rivolse un timido e stentato sorriso in direzione dei due. Vixen aprì la bocca, ma proprio in quel momento, il telefono dell’ufficio squillò.

“Agente Hopps, nel mio ufficio” muggì la voce bassa ed annoiata di Bogo. La coniglietta, maledicendo con tutta sé stessa il tempismo del suo superiore, salutò i due e si diresse nell’ufficio al secondo piano.


Tornò in centrale a pomeriggio inoltrato: non era stato difficile l’inseguimento che aveva fatto durante l’incarico assegnatole da Bogo, quanto farsi dare gli estremi per la salatissima multa da un flemmatico Flash, la cui esasperante lentezza non aveva sicuramente giovato al suo umore già seriamente compromessa dall’incontro con una certa volpe fulva dentro l’ufficio suo e di Nick.

Presentò rapporto e si cambiò per uscire. Fuori dalla centrale scorse appoggiato ad un palo della luce Nick Wilde; era in abiti borghesi, parlava al telefono e guardava l’orologio come se stesse pianificando qualcosa. Judy prese un bel respiro e, facendo comparire il suo solito sorriso allegro, si avvicinò al collega. Lui chiuse la chiamata con un sospiro.

“Ehi, Nick!” salutò. Lui si volse verso di lei.

“Ehi, carotina!” esclamò lui sorridendo. “Che fine hai fatto?”.

“Ho dovuto fare una multa a Flash” informò lei, provocando una risata da parte della volpe. “Senti…chi era quella volpe di stamattina?”.

“Ah parli di Vixen?” replicò lui. “Volpacchiotta adorabile, non credi?”. In quella arrivò il taxi chiamato da Nick. Judy sentì la tentazione di fermarlo finché non le avesse raccontato tutto, ma stette in silenzio.

In memoria dei tempi passati.

“Beh…ci vediamo domani?” chiese. La volpe si volse a guardarla e le sorrise QUEL sorriso. Il SUO sorriso.

“Se non fai indigestione di ciambelle volentieri” replicò. Mosse la zampa salutandola e svanì dentro il taxi, che partì.

(Domani mi dovrà delle spiegazioni) decise, avviandosi verso la stazione.

Quel domani ci avrebbe messo una settimana ad arrivare.

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Capitolo 3
*** La tana della volpe ***


2. La tana della volpe

Zampettava nervosamente mentre aspettava l’ascensore e guardava il telefono stretto nella zampa, come se tutta quella situazione fosse imputabile a lui. Sullo schermo, il nome di Nick Wilde ed il suo numero lampeggiavano, mentre una vocetta professionale le diceva che il numero chiamato era momentaneamente irraggiungibile, come lo era stato negli ultimi due giorni.

La coniglietta la prima volta che era uscita con un partner diverso dal suo aveva imputato la sua assenza alla sveglia rotta, poi ad un colpo di freddo quando non l’aveva visto arrivare il giorno successivo. Aveva provato a chiamarlo una volta, due volte, decine di volte, ma la voce registrata della Cheetahphone le aveva ripetuto talmente tante volte che il numero di Nick era irraggiungibile che era sorto in lei il desiderio di arrestarla.

Arrestare una voce registrata: beh questo era troppo persino per lei.

L’ascensore arrivò al pianterreno e se non fosse stato per il campanello che accompagnò il cigolare delle porte che si aprivano, Judy avrebbe continuato beatamente a guardare con occhi corrucciati il piccolo schermo del telefono. Durante la salita ebbe modo di riflettere: era strano che Nick non rispondesse al telefono. O meglio, era normale che tenesse il telefono privato spento o che se lo dimenticasse in giro, ma il numero della centrale, quello per le emergenze doveva essere sempre attivo e lui aveva l’obbligo di rispondere immediatamente.

A meno che non fosse in servizio.

(Possibile che stia lavorando ad un caso?) pensò Judy, scuotendo la testa subito dopo. (No, impossibile che stia lavorando senza che io lo sappia). Subito dopo però si chiese il motivo.

Perché avrebbe dovuto saperlo? Certo, loro due erano partner ma non c’era scritto da nessuna parte che dovevano sempre lavorare in coppia, né che dovessero sempre sapere gli spostamenti dell’altro: se lei avesse deciso di andare a casa per qualche giorno, non era tenuta ad informare Nick. L’avrebbe fatto, certo, ma per scelta personale: se lui aveva deciso di fare altrimenti lei non poteva nulla.

Quella consapevolezza portò con sé un’altra domanda: perché lei si preoccupava in quel modo? Perché si sentiva in dovere non solo di bombardarlo di telefonate ma addirittura di andare a vedere se fosse in casa? La cosa era completamente illogica, senza senso e, stringendo il grimaldello che conservava nella tasca, anche con risvolti non proprio legali. Sapeva quello che stava facendo ed anche quello che probabilmente avrebbe fatto, ma le sfuggiva il motivo per cui lo stesse facendo. Un motivo che fosse LOGICO.

Davanti alla porta dell’appartamento di Nick prese un bel respiro e pigiò il campanello; l’interno venne invaso dal suono pieno del citofono e si perse nell’aria, spegnendosi e lasciando posto a quello stesso silenzio che regnava il secondo prima del suono. Nessun passo, nessun fruscio, nessun tonfo del frigo, nulla di nulla. Pigiò ancora il pulsante, accompagnando il suono da tre colpi forti al legno della porta. Quando il silenzio ribadì la sua sovranità all’interno della stanza, Judy sospirò.

(Agente Hopps, questa è un’effrazione bella e buona) pensò, cavando di tasca il sottile grimaldello. (Finirò all’inferno dei conigli…anzi peggio: mi beccherò una sospensione più che meritata…). La serratura oppose resistenza per qualche secondo, poi il cilindro cedette e si mosse, lasciando che la porta si aprisse con un piccolo cigolio.

Nella tua prossima vita, carotina, potresti diventare una scassinatrice provetta: poteva quasi sentire la voce di Nick nelle orecchie prenderla in giro, arrivando anche ad indovinare una nota stupita nella frase. A varcare la soglia sentì un sordo nervosismo, quasi come se stesse entrando nella

tana della volpe

sala archivi del commissariato, talmente caotica che serviva una bussola per orientarsi. Si mosse con circospezione e, quando entrò nel salotto, per qualche istante confuse il disordine per segni di lotta: il divano era invaso da cuscini, il pavimento pieno di fogli e cartellette, mentre sul tavolo giacevano i resti di un pasto frettoloso. Il lavandino traboccava di piatti e bicchieri sporchi ed intravide il letto ancora da rifare. Sospirò scuotendo la testa.

“Nick, accidenti…” borbottò. “Ti serve proprio una ragazza…”. Studiò attentamente l’appartamento, ogni segno, ogni angolo, ogni bicchiere di yogurt al mirtillo abbandonato che trovò. Arrivò persino ad aprire il frigorifero che, meraviglia delle meraviglie, era pieno di confezioni di mirtilli.

Accese il tv, ma l’ultimo canale che Nick aveva guardato era stato quello del notiziario; nel lettore DVD trovò ‘Il viaggio di Arlopardo’. Judy sospirò, ma decise di soprassedere sul fatto che possedeva un film che doveva ancora uscire dalle sale cinematografiche. Adocchiò Sherfox Holmes, Percy Catson, una raccolta di episodi del Commissario Montalduck e, per un breve istante, contemplò l’idea di intascarsi Scoprendo Otterster (*): insomma, ci lavorava Seal Connery e lei ADORAVA Seal Connery.

Rimise a posto i film e gettò un’ultima rapida occhiata all’appartamento prima di concludere che non c’era nulla di sospetto in quel posto, solo un estremo disordine.

“Adesso che ti becco, Nick…” borbottò, indispettita per l’insuccesso. Pochi minuti e fu nuovamente nell’ascensore: tamburellava nervosamente contro il pavimento della cabina, senza riuscire a non pensare che dietro quella scomparsa ci fosse quella volpe, Vixen. Prima del suo arrivo, Nick era la solita sorridente, sprezzante, ironica volpe astuta. Era il Nick che la guardava sempre con quel sorrisetto di sufficienza, il Nick che si rivolgeva a lei con la sua odiosa ironia, ma che si faceva mille complessi quando si rendeva conto di star esagerando, il Nick che le aveva portato quelle ciambelle nascoste nel suo ufficio, auspicabilmente lontano dal fiuto di Clawhauser.

Era Nick, il suo partner, il suo migliore amico, la volpe a cui una coniglietta come lei avrebbe affidato la vita. Era il suo Nick.


“Mi dispiace agente Hopps” disse Clawhauser, sinceramente dispiaciuto. “L’agente Wilde non si è più fatto vivo in centrale. Avrà sicuramente telefonato al capitano Bogo, ma in questo momento è fuori per un intervento”. Judy sospirò stizzita e si chiuse nel suo ufficio, ringraziando il ghepardo per informazioni che non le aveva dato. Si sedette sulla sua scrivania e cercò di lavorare, ma l’assenza di Nick la obbligava a lavorare in un silenzio a cui lei non era abituata.

Si perse nel ricordo del ticchettio della tastiera del computer sulla scrivania dietro di lei, che giaceva spento ed inutilizzato, del cigolare della sedia quando si stirava, ogni volta accompagnato da uno sbadiglio.

Ehi carotina; io vado a prendermi un caffè, che ti porto?

Si volse quando la sua testa le ricordo quella domanda quotidiana che sanciva l’inizio di una quindicina di minuti di chiacchiere futili, allegre prese in giro e giocosi musi lunghi. La vista di quella poltrona, immobile e desolatamente vuota, la costrinse ad afferrare il telefono e comporre nuovamente il numero di Nick. Nel piccolo altoparlante dell’apparecchio regnò il silenzio per qualche secondo, in cui lei si preparò psicologicamente a sentire di nuovo quell’odiosissima voce registrata.

Uno squillo.

Drizzò le orecchie e rimase in attesa, afferrando convulsamente il bordo della scrivania. Aveva i nervi a fior di pelle, come se l’esito di quella telefonata avesse il potere di decidere delle sorti della sua vita.

Due squilli.

Strinse le zampe attorno al telefono e prese un respiro profondo. Al terzo squillo, la chiamata venne presa e la prima cosa che Judy sentì fu un forte fruscio di statico, con una voce in sottofondo.

“Carotina?” chiamò Nick dall’altra parte dell’altoparlante.

“Nick” chiamò. “Ma dove sei? Sono due giorni che non ti vede nessuno!”. Era arrabbiata, ma anche preoccupata, in ansia. La chiamata era molto disturbata e la risposta le giunse frammentaria.

“Non…detto…lavoro…campo…galleria” elencò la voce della volpe dall’altra parte.

“Lavoro?” ripeté la coniglietta. “Stai lavorando? Perché non me l’hai detto?”.

“Detto…solo…cop…mento” rispose lui. Judy scosse la testa.

“Non ti sento Nick” disse, con sincera drammaticità. “Il segnale è disturbato. Dove sei?”.

“Ind…quartiere…non…” confessò il telefono. Lo statico improvvisamente diminuì, lasciandosi scappare una frase completa, finalmente con un senso.

“Non cercarmi, Judy”. Seguì un forte scoppio, lo statico tornò ad assordarla, poi la chiamata cadde ed il segnale batté ritmicamente il suo timpano, facendole notare che stava parlando da sola. Non cercarmi. L’aveva detto per davvero. Non cercarmi.

Judy.

Alla coniglietta sfuggì il telefono dalla zampa e proclamò sua con un tonfo una piccola porzione di scrivania, mentre lei guardava davanti a sé, attonita, come se il cervello avesse scollegato il resto del corpo per cercare di metabolizzare il fatto che

mi ha chiamata Judy

il suo partner le avesse realmente detto quelle parole. Non cercarmi. Quando rinvenne dall’apatia in cui si era cacciata, afferrò il telefono ed uscì dall’ufficio, con una luce nuova negli occhi: evidentemente, pensò, non aveva ancora ben capito quanto potevano essere testardi i conigli.

Non cercarmi



(*) i titoli originali sono: Il viaggio di Arlo, Sherlock Holmes, Percy Jackson, il Commissario Montalbano e Scoprendo Forrester

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Capitolo 4
*** Le orecchie del coniglio ***


3. Le orecchie del coniglio

Non era stato molto difficile per Nick rivolgersi ad un amico che aveva un amico che conosceva un tale il cui fratello era sposato con la cugina di un geco di nome Lizzie: più o meno era così, si era dovuta far spiegare chi era questo tipo tre volte prima di decidere che le bastava la sua parola. Questa lucertola apparentemente aveva le zampe in pasta con tutti i rivenditori ed i tecnici informatici della città, quindi per lei non era stato un problema fornire la volpe di un accesso secondario e completamente invisibile ad ogni computer della città. Nick le aveva assicurato di non averlo mai fatto, ma si sa: il sorriso di una volpe, specialmente quella volpe, non sempre lasciava ad intendere cose per cui la voce non sarebbe stata sufficiente.

Pensando che l’inferno per i conigli fosse sempre più vicino, Judy digitò la password dell’archivio informatico della centrale e, in un batter d’occhio, si ritrovò ad esaminare un elenco di tutte le telecamere di sorveglianza della città, distribuite in ordine alfabetico di tutte le vie.

Selezionò la telecamera del condominio accanto a quello di Nick e rimase a guardare la volpe scendere dal taxi. Lo vide allungare tre banconote al tassista e scuotere la zampa per rifiutare il resto, appoggiarsi alla portiera dell’auto e scambiare quattro chiacchiere, sorridendo come se lo conoscesse.

(Beh, quante volte mi ha detto che conosce tutta la città?) pensò, forse cercando inconsciamente una scusa per giustificare il suo sollievo nel vederlo, anche solo su una registrazione di due giorni prima. Lo guardò salutare nuovamente il tassista e seguire l’auto sfrecciare via, probabilmente verso un altro cliente. Si stirò le zampe e si avviò verso il portone del condominio, allentandosi la cravatta con un gesto stanco.

Portò avanti la registrazione finché non lo vide uscire nuovamente dal condominio, vestito con la sua divisa da poliziotto. Si lustrò il polsino e fece per chiamare un taxi, ma volse un’occhiata incuriosita verso la tasca dei pantaloni; il suo sorrisetto fu oltremodo evidente, anche senza il sonoro.

(“Sarà la coniglietta ottusa che mi chiama”) disse la voce di Nick nella sua testa. Lei non se la prendeva nemmeno un po’, sapeva che il suo chiamarla coniglietta ottusa era scherzoso, in qualche modo li legavano ogni volta di più. Portò il telefono all’orecchio e l’espressione si fece seria, le orecchie si drizzarono e si guardò intorno, come a cercare qualcuno. fece per leggere il labiale, ma proprio in quel momento diede le spalle alla telecamera.

“No, no, NO!” esclamò Judy picchiando le zampe contro la scrivania. “Girati di qua!”.

Inquadrò il taxi che accostò alla strada, accanto ad un Nick che chiudeva la chiamata con un’espressione corrucciata sul viso, per poi perderne le tracce qualche minuto dopo.


Tundratown. Era una zona che rievocava memorie e ricordi, legati ad una limousine ed alla sua penna a forma di carota appesa alla sua cintura proprio accanto alla fondina con lo spray. Rimase a guardare la neve perenne artificiale per qualche secondo, concedendosi ai ricordi ma senza dimenticare il motivo per cui era lì. Tundratown era una zona presidiata, una zona in cui il ZPD era solo la legge apparente: lì la legge apparteneva a qualcun altro, qualcuno con cui fortunatamente aveva un rapporto particolare al punto da invitarla per un caffè a casa sua.

“Serviti pure figliola” invitò il piccolo mr.Big facendo roteare leggermente una tazzina candida. “È caffè italiano: me lo spedisce uno di famiglia”. Si prese qualche secondo per annusare l’aroma che usciva dalla piccola tazza e commentarlo con un sospiro soddisfatto. “Ogni volta che lo annuso mi torna in mente la mia terra, sai? Dovresti andarci, ti piacerebbe”.

“Senta, mr.Big…” disse Judy, cercando di maneggiare la tazzina, straordinariamente piccola persino per le sue zampe. Il toporagno singhiozzò per attirare la sua attenzione.

“Ti prego, figliola” soffiò affabile. “Chiamami padrino: tu sei della famiglia. Non permetto che il tuo lavoro ti distacchi da noi”. Era vero: il boss si era accordato con lei e addirittura con il capitano Bogo, consegnando loro i ‘piccionotti’ che sgarravano le sue regole anziché freddarli. La coniglietta sorrise e riuscì a versarsi in bocca quelle che per lei furono tre gocce di caffè.

“Va bene…padrino” accordò. “Ho bisogno di qualche informazione su una volpe”.

“Una volpe?” chiese lui spostando la tazzina di lato. Venne prontamente raccolta da un vassoio delle dimensioni di una moneta incastrata negli artigli di un grosso orso bianco. “Il tuo compagno sta facendo il cascamorto?”. Lei scosse la testa con un sorrisetto.

“No: si tratta di un’altra volpe” puntualizzò. “Una femmina di nome Vixen”. Il toporagno si grattò il mento, pensieroso.

“La conosco” disse infine. “Ho fatto affari con lei non molto tempo fa; è una zita molto acuta”.

“La conosce?” esclamò lei d’impeto. “La prego, può dirmi dove si trova? Temo che il mio compagno abbia bisogno di me”. Raccontò a mr.Big ciò che era accaduto in quei tre giorni passati, rinnovando la richiesta di aiuto.

“Mi dispiace piccola” sospirò lui. “Ma i termini dell’accordo che ho stretto con lei sono fin troppo chiari. Non ha più dato problemi, quindi io non posso denunciarla…e a quanto ho capito, nemmeno tu hai prove certe che sia effettivamente implicata in quello che è successo a Wilde”. Judy fece per obiettare, ma chiuse la bocca.

“Ha ragione…” mormorò.

“Mi fornì una lista di tutti i trafficanti che lavoravano senza permesso nella mia zona” raccontò. “In cambio, mi chiese un posto dove vivere, specificando di non rivelare a nessuno dove fosse. Mi dispiace bambina, ma i patti per me sono sacri e non lo romperò se non mi da un valido motivo per farlo”.

“Ma Nick!” esclamò lei. “Nick non è un valido motivo?”.

“Come ho già detto” replicò lui paziente. “Non ci sono prove che Wilde sia coinvolto per colpa sua. E poi, a lui l’ho perdonato, non l’ho adottato: accetto le sue visite solo in tua compagnia e questo lo sa anche lui. Mi dispiace bambina: so che per te è importante, ma per me non lo è abbastanza da rompere un patto”.

Seguirono attimi di silenzio. Judy non poteva biasimarlo né poteva fare troppo la voce grossa: era della famiglia, certo, ma questo non la autorizzava a campare pretese in quel modo, specialmente con una fonte importante per tutto il dipartimento come mr.Big.

“Va bene, padrino” disse infine. “A quanto pare sono al punto di partenza”.

“Ma una cosa voglio dirtela” replicò il toporagno, senza muoversi dalla sedia. “Questa città è unica; gli animali si sono evoluti e adesso convivono pacificamente, prede e predatori. Tu sei stata in grado di confermare questa promiscuità e ci tengo a dirti che noi tutti siamo molto orgogliosi di come la madrina di mia nipote ha saputo mettere le cose a posto.

“Ma non dimenticarti gli istinti bambina; quelli sono sempre nascosti e ci vuole un attimo perché tornino a galla. Il tuo compagno è una volpe: mi ha truffato, ma l’ho perdonato e non so che tipo sia diventato lavorando con te…ma tu sei un coniglio e la cosa colpisce la gente. Fai quello che un coniglio sa fare meglio, bambina: addrizza le orecchie e ascolta”.


Addrizza le orecchie e ascolta. Per lei era una frase priva di senso, ma sapeva che doveva esserci qualcosa sotto. Ascoltare. Non riusciva a togliersi dalla testa il sospetto che mr.Big avesse voluto suggerirle qualcosa che non poteva dirle chiaramente; non poteva non essere un messaggio in lingua mafiosa.

Tornando al clima mite del settore 1 non poté non sentire una profonda nostalgia di Nick e della sua abilità nel leggere tra le righe, nello scovare sapientemente la pecca in ogni frase, in ogni accordo, in ogni brillante piano con cui fin troppo spesso entravano in contatto. Le mancava e non poteva farci nulla, nemmeno sul senso di smarrimento che la prese quando non seppe rispondere alla domanda che prese a rimbalzare nel suo cervello.

Ti mancano le sue doti o la sua coda?

Sospirò, sentendosi esausta: il rapporto l’avrebbe stilato il giorno dopo, in quel momento aveva un serio bisogno di dormire. Cambiò il treno e raggiunse casa sua, dove si addormentò senza nemmeno sentire cosa si stessero urlando i vicini dall’altra parte del muro.

Il mattino seguente si recò al lavoro con sentimenti contrastanti: l’assenza di qualsiasi indizio su dove potesse essere Nick la demoralizzava e spronava allo stesso tempo. Ma le faceva anche sorgere delle domande, quelle stese domande che aveva così ostinatamente ignorato; continuò a farlo, concentrandosi nuovamente sulle parole di mr.Big. Entrò in centrale con un’espressione corrucciata, che gli occhi di Clawhauser non mancarono di notare.

“Buongiorno, agente Hopps” salutò con il solito sorrisone. “Novità da Wilde?”.

“Nulla…” borbottò lei, saltando agilmente sul bancone dell’accoglienza. “Ho cercato tracce per tutto il giorno ieri, ma non ho trovato niente che possa…”. Si bloccò, drizzando le orecchie e voltandosi verso il suo ufficio.

La porta era socchiusa.

Il cervello di Judy ingranò la quinta: lei chiudeva sempre la porta dell’ufficio quando usciva e le bastò ricordarsi quante volte aveva rimproverato il suo partner di fare altrettanto.

Hai qualcosa da nascondere, Carotina?

Si fiondò sulla porta e l’aprì con una spallata. La prima cosa che vide dietro la porta fu una folta coda fulva, subito dopo la camicetta azzurra. La volpe si volse verso di lei e Judy rimase paralizzata sulla porta.

Davanti a lei c’era Vixen.

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Capitolo 5
*** Il caso Wilde ***


4. Il caso Wilde

Le due si guardarono con occhi sorpresi, ma se lo stupore negli occhi di Judy venne rimpiazzato dal fastidio, quello di Vixen lasciò il posto ed un’espressione di malcelata tenerezza, quasi una sottile malizia nel constatare che era da sola in una stanza con una coniglietta. Quello sguardo disse tutto e niente e Judy non poté non sentire un brivido freddo lungo la schiena, tantomeno ignorarlo.

“Salve coniglietta” disse la volpe, appoggiandosi alla scrivania di Nick con quel sorriso sornione. Era bizzarro come quell’espressione che la stava facendo imbestialire fosse la stessa che aveva il suo collega quando la guardava in quel modo in cui non poteva fare a meno di sorridergli. “Judy…Hippity, no?”.

“Hopps…” ringhiò lei, incrociando le braccia. La infastidiva la sua presenza, la sua voce, il fatto che avesse sbagliato il suo cognome. “Agente Hopps”.

“Ah Hopps” si corresse lei. “Chiedo scusa”.

“Posso fare nulla per lei?” chiese, tamburellando istintivamente sul pavimento. Vixen rimase soprappensiero per qualche secondo, poi scosse la testa.

“Ero venuta per parlare con Nick, ma a quanto pare è impegnato” disse. Nick: la irritava persino che da quelle zanne uscisse il nome del suo partner. “Forse tu sai dirmi dove posso trovarlo”.

“Credevo che fossi venuta a dirlo tu a me” osservò Judy. “È sparito subito dopo aver parlato con te tre giorni fa”.

“Oh” replicò la volpe, lisciandosi la coda: dal gesto distratto capì che era una sorta di tic, una cosa che faceva senza pensare. “Bizzarro…”.

“Dov’è?” chiese, senza mezzi termini. Vixen le lanciò un’occhiata incuriosita, poi scosse la testa.

“Sono venuta qui per cercarlo” fece notare. “Perché dovrei sapere dov’è?”.

“Perché tre giorni fa sei venuta qui e avete parlato” ripeté lei. “Ed il giorno dopo è scomparso: al telefono non risponde, l’appartamento è vuoto e la pista che ho seguito non mi ha portato da nessuna parte”. L’espressione incuriosita non lasciò gli occhi della volpe, che fece irritare ancor di più la coniglietta.

“Aspetta, fammi capire…” osservò infine. “Il tuo collega manca da tre giorni ed in questo lasso di tempo gli hai telefonato, hai indagato per trovarlo e sei andata nel suo appartamento? Avete aperto un caso sulla sua scomparsa?”.

“Eh…naturalmente” mentì lei. Vixen sorrise.

“Sì certo” commentò. “Il caso è nella tua testa al massimo”.

“Senti tu…!” ringhiò la coniglietta, infuriandosi.

“No, adesso rispondi ad una domanda per favore” interruppe lei, calma: sembrava che la sua stizza non la toccasse minimamente, come se nessuna volpe la avesse avvertita della pericolosità di un coniglio arrabbiato.

“Sentiamo…” ringhiò lei. Vixen si lisciò nuovamente la coda.

“Perché prendi Nick così a cuore?” chiese. “Insomma, è una volpe adulta: è perfettamente in grado di badare a sé stessa. Senza contare che è una volpe, la nemica naturale per eccellenza dei conigli. Per un tuo nemico naturale ti preoccupi al punto da seguire un caso che non esiste ed andare a curiosare nel suo appartamento, che senza un mandato è una violazione della privacy bella e buona”.

Altra cosa che la fece andare in bestia era che le sue parole erano vere e quella volpe aveva ragione; magari si stava preoccupando troppo, magari aveva deciso di staccare per qualche giorno. Non sarebbe nemmeno stato così assurdo: una volta non le aveva detto che erano anni che non vedeva sua madre? Le lampeggiarono nella testa tre o quattro validi motivi che giustificavano la sua assenza ed il suo rifiuto di parlarle ma quella volpe, quella Vixen, non doveva avere ragione: non su quel punto.

“Nick non è mio nemico naturale” sbottò. Il picchiettare sul pavimento era diventato velocissimo. “È un eccellente poliziotto, un valido compagno ed un grande amico. Non conto più le volte in cui ci siamo coperti l’uno con l’altra e se non fosse per lui adesso mi ritroverei a casa dei miei a vendere carote.

Ok, Judy: ora fermati

“E non t’immagini nemmeno tutte le volte che mi fa ridere anche quando non ne ho nessuna voglia, quanti capricci mi soddisfi, quante volte capisce quello di cui ho bisogno come nemmeno un coniglio sarebbe in grado di fare; è una presenza importante nella mia vita ed è in grado di farmi felice come nessun altro.

Carotina!

“E per la cronaca; Hippity Hopps è un nomignolo che non mi piace per niente, ma che solo lui può usare, chiaro?”.

Prese fiato nel silenzio, concentrandosi per non ripensare a ciò che aveva appena detto; Vixen la stava guardando con un’espressione stupita, senza parole, con la bocca mezza aperta. Si riscosse e scoppiò in una risata divertita.

“Sei divertente sai?” commentò, ridendo. La coda si agitava fendendo l’aria ed una zampa era andata a coprire la sua risata, che non era sarcastica e nemmeno derisoria, ma solo divertita. “Adesso capisco cosa ci ha trovato in te…”.

“Adesso” ringhiò Judy, continuando ostinatamente a non pensare al suo sfogo. “Dimmi dov’è”.

“Cara, io no lo so” rispose lei, tornando a darsi un contegno ma senza far sparire quel sorriso divertito dal muso. “L’ho sentito ieri in mattinata: non ha voluto dirmi dove fosse, ma mi ha detto di star facendo il suo dovere”.

“Il suo dovere?” ripeté la coniglietta, perplessa. “Sta seguendo un caso quindi…”.

“Non saltare a conclusioni affrettate” interruppe Vixen, scuotendo la testa. “Non sta facendo il suo dovere come poliziotto, ma come volpe”.

“E questo che vorrebbe significare?” commentò la poliziotta, senza capire. La volpe ridacchiò e passò oltre, scompigliandole le orecchie con una zampa.

“Ah io non lo so” disse, avviandosi verso la porta. “È il tuo innamorato, mica il mio”.

“Non è il mio…” esclamò Judy, sistemandosi le orecchie.

“Sì, sì certo” glissò lei, agitando la zampa in aria. “Beh, io ero venuta per vedere Nick ma se non c’è non ho motivo per restare, dico bene? Salutamelo quando lo vedi”. Prima che Judy potesse urlarle di non toccare mai più la sua testa, la volpe era scomparsa dall’ufficio.

Le sue parole, rimaste sopite nella sua testa, tornarono a rimbombarle nelle orecchie e la stizza lasciò il posto all’imbarazzo. Che aveva detto? Si coprì il muso con le orecchie, nascondendo il rossore alla stanza vuota. Aveva detto la verità certo, ma una verità che non aveva confessato nemmeno al proprio cuscino: era esplosa con quelle parole e per giunta davanti ad una sconosciuta, una sconosciuta la cui presenza in quel posto ed in quel momento proprio non riusciva a convincerla; non poteva essere un caso e lei non era disposta a credere che quella Vixen non sapesse dove fosse finito Nick.

Perché prendi Nick così a cuore?

L’avrebbe arrestata più che volentieri, ma su una cosa aveva avuto ragione. Si era intrufolata nell’appartamento di Nick senza un mandato: quello andava ben oltre ogni sua paura, era una cosa peggiore dell’inferno dei conigli, peggiore di una sospensione. Era una cosa che meritava una denuncia e la sua estromissione dal corpo di polizia.

(Nick…mi stai facendo rischiare il posto…) pensò. Ma nonostante ciò sapeva quello che c’era da fare: lei era Judy Hopps, la poliziotta più testarda della ZPD, preoccupata a morte per il suo compagno, per il suo amico, per

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

Nick Wilde.


“Mai sentito parlare di licenza, agente Hopps?” borbottò il capitano Bogo, lanciandole un’occhiata distratta da sopra il suo quotidiano. “O di ferie? Ti farebbero bene, ora che ci penso…”.

“Capitano, qui c’è qualcosa che non va” insistette Judy; quella sedia le stava stretta e lei si vedeva costretta a far ricordo a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a saltare sulla scrivania del suo capo. “In centrale di presenta questa Vixen, che chiede di parlare con Nick ed il giorno dopo, senza preavviso, chiede delle ferie e non si fa sentire per tre giorni?”.

“Si chiamano vacanze, Hopps” ripeté Bogo. “Se dovesse segnalare tutti i suoi spostamenti non sarebbero vacanze, no?”. Judy prese un bel respiro, ben sapendo a cosa avrebbe portato la richiesta che stava per fare.

“Richiedo un mandato di perquisizione dell’appartamento di Nick” disse. Con un sospiro, il capitano ripiegò il giornale e le lanciò il suo solito sguardo accigliato.

“Io non posso aprire il caso perché sei preoccupata per il tuo amico” muggì, scocciato. “E anche se fosse, nessuno ne ha denunciato la scomparsa”.

“La denuncio io” replicò la coniglietta, ostinata. “Non esiste che Nick se ne vada senza dirmi nulla”.

“Dammi almeno tre validi motivi per cui dovrei aprire questo caso Wilde che a sentirti sembra andarne della vita dell’intera città” ringhiò.

“Perché presento formale denuncia di scomparsa” rispose immediatamente lei. “Perché ho come l’impressione che questa Vixen sia venuta da me stamattina per sfidare l’intero distretto di polizia e perché sarò io a svolgere le indagini senza scomodare nessun altro”.

“Posso far finta che vadano bene” assentì Bogo. “Ma solo per un mandato di perquisizione dell’appartamento di Wilde. Hai dimostrato un eccellente fiuto nel caso degli Ululatori Notturni, ma non credere di essere il miglior agente della città, Hopps: Wilde ha richiesto le ferie e per quel che mi riguarda questa tua scenata è solo eccessiva apprensione per il primo partner che tu abbia mai avuto. Se perquisire il suo appartamento ti farà stare tranquilla fai pure, ma sappi che non troverai assolutamente nulla”.

“Va bene così” assentì lei, uscendo dall’ufficio. “Grazie signore”.


Di nuovo davanti a quella porta, ma la sua apprensione si era ingigantita nelle ultime ventiquattr’ore. Entrò nell’appartamento e fece nuovamente vagare lo sguardo nel disordine che regnava sovrano.

(Non esiste che Nick mi tenga all’oscuro di una vacanza) pensò, frugando nuovamente tra le sue cose. (Ed è fuori dal mondo che mi escluda da un’indagine).

Non sta facendo il suo dovere come poliziotto, ma come volpe.

Passò la mattinata a cercare indizi nell’appartamento del compagno fino all’ora di pranzo, quando il sospetto di aver preso un granchio si era talmente insinuato nella sua testa da ritenerlo quasi vero. Si abbandonò su una sedia con un sospiro sconfortato: forse il capitano Bogo aveva ragione, forse la sua era un’eccessiva preoccupazione per un amico.

Ma perché così tanta apprensione? E perché così tanto astio nei confronti di Vixen? Sorseggiò il succo di frutta trafugato dalla dispensa di Nick ed arricciò il naso.

“Ci va del ghiaccio” borbottò, aprendo il freezer. Prese la ghiacciaia dalla griglia, prima di adocchiare una scatoletta azzurra e coperta da cristalli gelidi; la prima reazione fu aggrottare le sopracciglia, ma quando la girò la ghiacciaia le sfuggì di mano. Cadde con un tonfo secco, spargendo cubetti rotti di ghiaccio per tutto il pavimento, ma lei nemmeno se ne rese conto: si riscoprì fisicamente incapace di distogliere gli occhi dalla piccola targhetta attaccata alla scatola, mentre nella sua testa apparivano altri interrogativi.

Campione siero: non mangiare

La prese e la scosse delicatamente: la scatoletta rimase muta, vuota esattamente come appariva, eloquente come solo una scatoletta con una targa del genere poteva essere.

Nick aveva conservato il campione del siero di Bellwether. Ed era sparito.

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Capitolo 6
*** Un agnello per la volpe ***


5. Un agnello per la volpe

La prigione era soffocante, con quelle sue spesse mura grigie e la luce del sole che passava attraverso finestre con le sbarre: persino il cortile, un piccolo spiazzo di terra battuta, era sormontato da un grossa griglia ed anche lì la luce disegnava indesiderati motivi d’ombra a terra, creando un mondo in grado di imprigionare anche la luce e chiudere fuori la serenità e persino il calore che era in grado di portare.

Dalla piccola finestra della cella poteva vedere solo la porzione di cielo che il grosso muro di cinta non arrivava a coprire, ma anche così trovava assurdo che per colpa di quel muro in cemento il tramonto per lei arrivasse almeno tre ore prima del normale. Dallo spioncino della porta, invece, poteva godere della vista di un lungo corridoio disseminato ordinatamente di porte tutte identiche, dentro le quali criminali incalliti ed incorreggibili come era stata etichettata lei scontavano la propria pena.

Bellwether era stata assegnata nella stessa cella di un tasso con cui non poteva dire di aver legato particolarmente: la sola cosa che li accomunava era la squadra da cui erano state incastrate.

Lei era stata il battesimo di Judy Hopps, la sua compagna quello di Nick Wilde.

Erano affiatati in squadra: ottimi agenti, compagni, mente e braccia intercambiabili a seconda della situazione. Li aveva sottovalutati e quello era il risultato che aveva ottenuto, ad un salto di pecora di distanza.

Dawn Bellwether aspettava.

Erano ormai mesi che lo faceva, ma non le pesava aspettare: era una pecora paziente. Non le pesava il materasso duro e scomodo, le vessazioni degli detenuti predatori, le prese in giro dei secondini, quella disgustosa zuppa di broccoli del giovedì. Nulla di tutto quello le pesava.

La faceva imbestialire, certo, ma di notte, sdraiata sul suo letto circondata dal silenzio, stava a fissare la luce della luna che s’infiltrava attraverso le sbarre della cella ed illuminava il pavimento verde, donando alla stanza una luminescenza quasi ultraterrena. L’aveva fissata per ore, per giorni, ripensando al motivo per cui era seduta su un davanzale sbarrato e non sullo scranno del sindaco di Zootropolis.

Ed infine, proprio quando era quasi arrivata ad ammettere il suo errore, era successo qualcosa. Qualcosa che le aveva fatto sbarrare gli occhi, fissandoli su un particolare irrilevante del grigio e morto panorama che guardava ma che non vedeva.

Davanti ai suoi occhi vedeva quel qualcosa nascere, crescere e radicarsi in lei, mettendo nuovamente in moto il cervello e spingendolo al massimo finché non aveva constatato che tutto quello che doveva fare era aspettare. Erano sorti nella sua testa quei due momenti, quei due particolari nel suo piano degli Ululatori Notturni.

Aspettare

Doveva portare pazienza ed aspettare, ma al contempo si era portata avanti con silenziosa solerzia ed inconfessata passione finché non era arrivata a sapere a memoria il cosa ed il dove.

Quel pomeriggio, il secondino che picchiò il manganello contro le sbarre della sua prigione le disse anche il quando.

“Ehi, pecora” sbottò con voce dura. “Hai visite. Mani contro il muro”.

La sua compagna di stanza era impegnata nella sua attività riabilitativa e ne avrebbe avuto per tre ore: Bellwether stava approfittando di quel momento per far riposare la schiena sul suo materasso, meno scomodo di quello su cui dormiva, ma scattò ugualmente in piedi ed appoggiò gli zoccoli superiori contro il muro, lasciando che la guardia glieli pinzasse con un paio di grosse manette.

Si lasciò accompagnare fuori in silenzio, ascoltando i fischi provenienti dalle altre celle ed i galeotti che la chiamavano ‘Beehl’. I primi giorni li aveva folgorati con gli occhi, ma dopo un po’ si era risparmiata quella pena: era in galera e lì poco importava chi fosse stata o che posizione avesse ricoperto. In galera, aveva scoperto, non c’era un ero, un sarei stato, un ho fatto, ma solo il presente che le diceva che non era diversa da un qualunque ladruncolo che avrebbe passato la notte in guardina o da un pluriomicida destinato a guardare la luce del sole a strisce per il resto della sua vita.

Nel giro di pochi minuti, il suo quando si palesò davanti ai suoi occhi e trattenne a stento un sorrisetto compiaciuto nel vedere attraverso il vetro l’agente Hopps stringere in maniera convulsa un bicchiere di carta con la più soddisfacente espressione affranta che potesse sperare. La tristezza su quel muso si volatilizzò quando Bellwether si sedette sulla sedia oltre il tavolo.

Solo un tavolo a frapporsi tra lei e la sua carceriera: era un occasione ghiotta, ma non sarebbe riuscita nemmeno a saltare: lei non aveva che la sua giacca da detenuta, le zampe ammanettate e due guardie dall’altra parte della sala, troppo lontane per sentire ma a portata di pistole stordenti.

“Bene bene” disse, lasciando libero il suo ghigno soddisfatto. “Agente Hopps; spero ti stia godendo la fama che ti ho regalato”. La coniglietta non rispose; l’espressione affranta che aveva illuminato la giornata a Bellwether aveva lasciato il posto ad un paio di occhi fermi, ad una espressione professionale talmente finta che poteva quasi percepire cosa stessero nascondendo. Fece scivolare sul tavolo due foto: ritraevano una giovane volpe fulva, chiaramente femmina.

“La conosci?” chiese semplicemente.

“Mai vista in vita mia” fu la risposta. “Io per questi animali sono una preda: se posso, me ne tengo alla larga”.

“Non sei una preda” replicò lei. “Lo saresti stata se non ti avessimo fermata”. La pecora sorrise ed incrociò le zampe come poté.

“Beh, con le volpi non ho avuto molti contatti nella mia vita” disse. “Non dovrebbe essere di competenza del tuo amichetto? Cos’è, aspetta fuori? State giocando a poliziotto buono e poliziotto cattivo?”. Ci fu un sussulto e qualcosa nell’espressione di Judy si ruppe per quell’istante necessario a spiegarle la situazione.

“È impegnato” rispose lei. “Siamo solo io e te qui”.

“Sembra il suo tipo” osservò lei: era crudeltà immotivata, inutile per entrambe, ma che male c’era a divertirsi un po’?

Il gioco lo stava portando lei e Hopps non se ne stava nemmeno rendendo conto.

“Parlami del siero” disse lei, glissando completamente l’argomento.

“Il siero?” replicò lei. “L’avete confiscato quando mi avete messo le manette, coniglietta: se ci fosse ancora una produzione di siero in città, io sarei l’ultimo animale a saperlo”. Judy sospirò scocciata e ritirò le foto. Quando fece per alzarsi, Bellwether fece scattare la sua trappola. “Ma potrei sapere a chi chiedere”.

L’aria si gelò: la pecora si godette la sensazione di importanza che sicuramente aveva acquisito agli occhi di Judy guardandosi gli zoccoli e lustrandoli contro la divisa con sguardo innocente, canticchiando un motivetto senza senso a bocca chiusa.

“Di che stai parlando?” chiese infine la coniglietta.

“Chi lo sa?” sogghignò lei, tornando con lo sguardo sui suoi occhi. “Magari possiamo trovare un accordo…”.

“Un accordo, eh?” ringhiò Judy. “Che cosa vuoi?”.

“La cauzione pagata” fu la risposta. “Fammi uscire ed io ti dirò quello che so”.

“Pensi sul serio che cederò ad un ricatto simile?”.

“Non è un ricatto: vedi, tu hai bisogno di me e, per quanto poco mi piaccia la cosa, io ho bisogno di te. Tu hai bisogno di una pista, io di una cauzione pagata: vedi, non è un ricatto

sono solo affari, dolcezza

ma un favore reciproco. Allora, ci stai o no?” punzecchiò lei, mostrandole il suo sogghigno. L’espressione avrebbe parlato a Judy, certo, ma ormai l’aveva in pugno e poco importava quello che avrebbe intuito.

(Nick dovrà darmi una valida spiegazione) pensò inferocita, rientrando nella cella con la ricevuta della cauzione stretta nel pugno: aveva appena speso i suoi risparmi per scarcerare quella che probabilmente era la pecora più pericolosa di tutta Zootropolis, il che stava a significare che il salotto dell’appartamento nuovo avrebbe dovuto aspettare ancora prima di vederla entrare con quel fantastico televisore nella Zoony da trentacinque pollici. Si sedette nuovamente sulla sedia davanti a Bellwether e le sventolò sotto il naso la ricevuta pagata.

“Ecco fatto: sei libera” disse. “Adesso parla”.

“Sai, non credevo l’avresti fatto” osservò lei, sorridendo. “Sei proprio affezionata a quella volpe; se non ti conoscessi, potrei azzardare qualcosa di più della semplice amicizia”.

“Beh, non mi conosci” sbottò lei. “Allora?”.

“Poco dopo la tua breve dimissione dal corpo di polizia si è presentata da me una volpe” confessò lei. “Un muso veramente intelligente ed un paio di occhi svegli, se posso dire la mia; ha parlato di un accordo, di diventare soci in affari per la produzione e la diffusione del siero ed io ho accettato. Se il siero è ancora in giro, se ne sta occupando il mio socio in affari”.

“Un socio in affari?” ripeté Judy, inorridita. “Quindi il siero…viene ancora prodotto?”.

“Beh, io non lo so” replicò innocente la pecora. “Io sono in galera…ancora per poco, ma sono qui: come potevo gestire la cosa?”.

“Una volpe hai detto?” chiese. Bellwether annuì una conferma che a Judy non serviva. Anzi, non era nemmeno una conferma, ma un’occasione che lei l’avrebbe presa al volo. Si volse ed uscì dalla prigione senza più degnare la pecora di un’occhiata.



“Hai pagato la cauzione di Bellwether?” chiese il capitano Bogo, tentando con scarsi successi di mantenere la calma: la voce era bassa e vibrante di una tale rabbia che Judy si sentì in dovere di abbassare le orecchie e farsi ancora più piccola sulla sedia. Lui sembrava invece farsi sempre più grosso, sempre più furente. “Hai una vaga idea di quello che hai fatto?”.

“Ho raccolto informazioni…per il caso Wilde?” azzardò la coniglietta, ben sapendo che non se la sarebbe cavata così a buon mercato.

“Hai liberato Bellwether” muggì il capitano, talmente forte da far vibrare il vetro della porta. Subito dopo sospirò, abbassando la voce. “Ascolta Hopps, in qualche modo posso anche capire la tua apprensione per Wilde ma ciò non toglie che per questo tuo attaccamento hai reso legale la scarcerazione di quella pecora”.

“Capitano, io devo trovare Nick” ribatté Judy. “Non è per me, ma per lui: ho la sensazione che…”.

“I casi non si aprono sulle sensazioni, Hopps!” muggì nuovamente lui. Ritrovò la calma in pochi minuti, poi parlò nuovamente. “Mi sono arrivate le registrazioni del carcere e le ho analizzate: l’unica cosa che ha attirato la mia attenzione è il pericolo del siero degli Ululatori Notturni e su quello verterà il caso Wilde”. Judy drizzò le orecchie, sinceramente felice di quelle parole.

“Fantastico capitano!” esclamò. “Mi metto subito all’opera e…”.

"Questo è un caso che preferirei non affidare a te, agente Hopps" puntualizzò lui, serio. La coniglietta fu lesta a trasformare il suo sorriso in un’espressione confusa.

"Perchè?" chiese, smarrita.

"Perchè ne sei coinvolta” fu la risposta, lapidaria e secca come uno schiaffo. “Il caso Wilde potrebbe richiedere soluzioni che tu non saresti in grado di attuare...".

“Ma cosa sta dicendo, capitano?” mormorò lei. “Nick è un agente di polizia!”.

“Bellwether ha parlato di un socio nella produzione del siero: un socio volpe” replicò Bogo: sembrava oltre la calma, quasi paziente. “Se questo socio dovesse essere Wilde, provvederò personalmente ad espellerlo dal corpo di polizia”.

“Non può essere lui” sentenziò Judy. “E perché no?” chiese il capitano. Già: perché no? “L’assunzione di un socio da parte di Bellwether risale a quando hai rassegnato le dimissioni, quindi prima che Wilde prendesse anche solo in considerazione l’idea di entrare a far parte della polizia: se viene fuori che è solo andato in vacanza ovviamente non succederà nulla, ma in caso contrario…”.

“Ho un sospettato, capitano” disse Judy, quasi ricordandolo a sé stessa. “Sto indagando su questa Vixen…”.

“Hopps…” borbottò Bogo. “Mi sta sorgendo il sospetto che tutto questo caso è nato perché tu sei gelosa”.

“Ge-gelosa?!” esclamò lei, tamburellando istintivamente la zampa a terra e deglutendo secco. “Sono solo…preoccupata, capitano: il mio partner è sparito e voglio sapere perché”.

“Beh, se questa Vixen è sospettata fai tutte le indagini che vuoi” disse lui, sfogliando dossier all’interno di un grosso archivio. “Presentati all’armeria: si tratta del siero degli Ululatori Notturni e voglio che tu sia equipaggiata con un iniettore per la cura”.

“Ehilà, agente Hopps” salutò Clawhauser, felice come sempre di vederla. Judy si volse verso di lui: agitava la zampa grassoccia nella sua direzione e sorrideva. Ricambiò il sorriso e si avvicinò alla reception, desiderosa di una chiacchierata.

“Ancora nulla su Wilde?” chiese il ghepardo, preoccupato. Lei scosse la testa.

“Non lo so…” rispose. “Tutti pensano che la scomparsa di Nick sia collegata con la produzione del siero…”.

“Ah, brutta storia quella” commentò lui. “Però, hey: li hai fermati una volta e puoi farlo di nuovo”. Lei sorrise e lo salutò, chiudendosi nel suo ufficio. Prese una ciambella dalla confezione che le aveva regalato Nick e la addentò: era l’ultima ed ancora non lo aveva trovato per farsi dire dove le avesse prese.

Gelosa

Possibile? E se il suo astio nei confronti di Vixen fosse stata effettivamente gelosia? Beh, questo voleva dire che la sua preoccupazione, eccessiva a tutti tranne che a lei, non poteva che essere…

Scosse la testa, mandando briciole di pasta alla carota dappertutto: lei gli voleva bene, ma nulla di più. Ed anche se fosse, non avrebbe mai funzionato tra di loro: lei era un coniglio e Nick era

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

una volpe, senza contare la differenza d’età, di dieta, di abitudini. Come poteva anche solo pensare che una cosa del genere potesse funzionare? Stava spaziando e, con una seconda scrollata della testa, tornò concentrata; si cacciò in bocca l’ultimo pezzo di ciambella e corse fuori, nell’armeria.



Rainforest: altro ecosistema, altro clima, altri ricordi. Una pantera inferocita, una funivia, Nick che prendeva le sue difese dopo un giorno intero passato ad ostacolarla e rallentarla nel suo delicato incarico. Ma era lì che l’avevano condotta i tabulati telefonici del suo cellulare. Magari non avrebbe trovato il suo partner, ma sicuramente qualche indizio. Giunse davanti ad un enorme capannone apparentemente abbandonato, ma Judy non aveva dubbi: la triangolazione dei tabulati indicava proprio quel luogo.

E davanti al portone, di guardia, attento nella sua camicia verde e cravatta a righe viola, vi era Nicolas Wilde.

Ebbe appena il tempo di sentire le forze mancarle, poi la volpe si volse verso di lei. I loro occhi s’incrociarono per qualche secondo, poi Nick scattò verso di lei e la placcò; rotolarono dietro un cespuglio fradicio e, nel giro di pochi istanti, Judy si ritrovò nel fango, con il pelo zuppo ed una volpe ringhiante a pochi centimetri dal muso.

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Capitolo 7
*** Mi fido di te ***


6. Mi fido di te

Aveva davanti una fila ordinata di denti aguzzi pericolosamente vicina al muso. Si sentì il naso fremere e colse ogni odore esistente nell’aria: percepì l’odore della pioggia e dell’erba bagnata, del muschio, del cuoio della sua divisa. E l’odore di Nick li sovrastava tutti, facendoli passare in secondo piano.

Era Nick. E le stava ringhiando contro.

Non seppe bene cosa provare in quel momento; l’aveva trovato, ma non sembrava in sé. Per un istante pensò ad una contaminazione del siero, la stessa che la volta precedente avevano così scaltramente evitato, ma l’idea venne smantellata dal fatto stesso che la volpe le stava mostrando i denti anziché usarli. Non le schiodava gli occhi di dosso e lei non poté fare a meno di sentire un profondo senso di preoccupazione, unito a rabbia e gioia contemporaneamente.

Buffo che non sentisse nemmeno una linea della paura che avrebbe dovuto giustamente provare.

“Nick…” mormorò, sfiorandogli una zampa. La reazione della volpe fu fulminea: la prese e, con una rapida mossa, gliela torse dietro la schiena, facendola scattare immediatamente in piedi. Senza dire una parola, la sospinse fuori dal cespuglio, verso lo stabilimento.

“Nick, che stai facendo?” chiese Judy, alzando uno sguardo su di lui. “Mi fai male, lasciami!”. Per tutta risposta, la volpe torse ancora di più la zampa dietro la schiena; lei tacque, chiedendosi improvvisamente se la riconosceva. Possibile che l’avessero davvero infettato con gli Ululatori?

L’interno del capannone era fatiscente e pieno di muffa ed incrostazioni; il tetto a cupola era costellato di crepe gocciolanti e spaccature da cui entrava fitta la pioggia. Nick la condusse verso una scala a chiocciola che scendeva al di sotto di una botola in pietra e, quando si trovò davanti ad una spessa porta metallica, Judy avvertì il pericolo celarsi dietro di essa. Alzò nuovamente il viso verso Nick, ma la sua espressione confusa ed impaurita non trovò niente altro che il muso della volpe rivolto davanti a sé, accigliato e feroce.

“Nick…” ripeté. “Che stai facendo?”. La domanda successiva fu contornata da una sottile linea di ansia e di preoccupazione, ma ancora nessuna traccia della logica, istintiva, giusta paura. “Nick…mi riconosci?”. Non ci fu risposta e nemmeno segno che l’avesse sentita. “Sono io…Judy”.

La volpe, sorda alle sue parole, spalancò la porta: l’interno del seminterrato sembrava un laboratorio. Le pareti erano bianche, asettiche, tavoli ricolmi di alambicchi, provette e fogli fittamente scritti erano posizionati apparentemente alla rinfusa e, in fondo alla sala, vi era una piccola incubatrice attraverso la quale poteva chiaramente vedere una tonalità di blu che riconobbe fin troppo bene.

Curva ad un tavolo, sopra un microscopio, vi era Vixen.

“Lo sapevo!” ringhiò. “Sapevo che eri coinvolta!”. La volpe si volse e la degnò appena di uno sguardo disinteressato, prima di rivolgersi a Nick.

“E lei?” chiese.

“L’ho beccata a curiosare qua fuori” replicò lui. Il tono serio e distaccato che usò costrinse la coniglietta ad alzare lo sguardo su di lui: non era arrabbiato o feroce, quanto piuttosto seccato. “Che ne facciamo? La mettiamo nella gabbia dei campioni?”. Vixen sorrise.

“Beh, direi proprio di sì Nicky” replicò, accarezzandosi la coda.

“E non chiamarmi Nicky” replicò lui. “O potrei cominciare a chiamarti Vivi”.

“Non lo faresti mai, Cola”.

“Mettimi alla prova, Viky…”.

“Ok, me la sono cercata” osservò lei, scuotendo la testa con un sorriso. “Ora vai, Piberius”. Nick ringhiò piano, scherzosamente.

“Ti va bene che tu non hai un secondo nome” borbottò, sospingendo Judy verso una stanza adiacente. La coniglietta non aprì più bocca, avvertendo uno strano peso allo stomaco.

“Tu sei una di loro, vero Vixen?” ringhiò, con voce rotta.

Esiste un ‘loro’ adesso?

Per tutta risposta, la volpe la seguì con lo sguardo ed agitò una zampa, salutandola con espressione pacata: era palesemente padrona della situazione, a differenza di Judy e di tutte quelle emozioni contrastanti che la stavano facendo diventare matta.

La sala accanto era un lungo corridoio pieno di gabbie vuote; si avviarono verso una particolarmente piccola e, quando la porta si chiuse, si volse nuovamente verso di lui, agitata.

“Nick” chiamò. “Nick, sono io: sono Judy! Mi hai portato una confezione di ciambelle alla carota giorni fa! Mi hai promesso di dirmi dov’è la pasticceria che le prepara!”. Niente, come parlare al muro. “Nick, ti prego! Non ci posso credere che non mi riconosci! La penna! Ti ricordi che mi hai registrato quando sono venuta a chiederti scusa? Ti ricordi?”. Ansia, affanno, preoccupazione. E paura.

Finalmente la paura, anche se non era quella giusta: non aveva paura di lui quanto per lui, per quello che gli era successo, per quello che, ormai ne era convinta, Vixen gli aveva fatto. Avrebbe dovuto avere paura per sé stessa, chiedersi perché quelle gabbie erano tutte vuote e cosa le sarebbe successo.

Paura per quello che Nick le avrebbe fatto. O che avrebbe permesso a Vixen di farle.

Venne spinta all’interno di una piccola gabbia metallica ed il braccio immobilizzato tornò a respirare. Si volse in tempo per vedere la zampa rossiccia della volpe chiudere un lucchetto sul chiavistello ed allontanarsi di qualche passo.

“Nick, ti prego…” mormorò affacciandosi attraverso le sbarre, mentre sentiva le lacrime salirle per gli occhi. “Ti supplico; guardami e dimmi che mi riconosci!”.

“Adesso devi stare calma ed in silenzio” replicò lui, con voce ferma. Pochi istanti e fece un sorrisetto. “E per la cronaca, coniglietta ottusa, non ho mai promesso di dirti dove ho preso quelle ciambelle”. La paura si volatilizzò come per magia, lasciando il posto ad un’ondata di sollievo e di gioia che tramutò le sue lacrime, dando loro un gusto più salato e meno amaro. Tese una zampa verso di lui, in cerca di un tocco che non le facesse male, ma lui rimase immobile, fuori dalla sua portata.

“Nick…ma che ci fai qui?” chiese, passandosi il braccio libero sul naso. Lui sorrise.

“Sto lavorando carotina” replicò. “E ti avevo anche detto di non cercarmi”.

“Mi sono preoccupata!” esclamò lei.

“Ah ma che carina…” commentò lui. “Va bene che mi adori, ma questo non è un po’ esagerare?”. La coniglietta rimase muta davanti a quella provocazione; era tornato, anzi era sempre stato lui. Non riusciva a togliersi il sorriso dal muso. “Allora, la faccenda è parecchio grave” disse, abbandonando il sorrisetto.

“Cosa?” mormorò lei.

“Sto lavorando sotto copertura” puntualizzò lui. “Questo laboratorio non è per la produzione del siero degli ululatori, ma non ho ancora capito cosa stanno facendo. Ed ora, grazie a te, devo accelerare le cose”.

“Ero preoccupata!” ripeté Judy, sorpresa che non la capisse.

“Ti avevo espressamente detto di non venirmi a cercare” disse lui, scuotendo la testa. “Hai messo in pericolo il mio lavoro carotina, ed anche le nostre vite; credi che sia facile per me comportarmi di nuovo come un truffatore, come una di quelle volpi che ti costringono a

andare in giro con un repellente per volpi?

controllare costantemente il portafoglio se te le trovi dietro in fila dal gelataio? Devo farlo, non posso fidarmi di nessuno”.

“Di me ti puoi fidare!” esclamò Judy, ritrovandosi a desiderare che quella gabbia sparisse per potergli saltare al collo ed assicurarsi che fosse veramente lui.

“Certo, lo so” annuì lui. “Ma è del commissariato che non posso fidarmi”. Si avvicinò alla gabbia, attento a non alzare troppo la voce. “Sono quasi sicuro che qualcuno nel dipartimento sia coinvolto in questo progetto”.

“Cosa?” mormorò lei; le fremette il naso per la sorpresa ed anche per un pizzico di quella paura sbagliata che tornò a farsi sentire.

Tu hai paura di me?

“Ma ci sono quasi” annuì Nick. “L’ho quasi incastrato, e credo di aver capito chi è”.

“Perché avevi un campione di siero nel freezer?” chiese improvvisamente la coniglietta. Il sorriso fu istantaneamente spazzato via dal muso di Nick, mentre la guardava con gli stessi occhi colpevoli di quando gli aveva snocciolato la sua situazione fiscale.

“Ehm…” mormorò, tamburellando con le dita sulla camicia. “Diciamo che è una storia lunga e parecchio complessa…”.

“Va bene così, Nick” replicò lei con un sorriso. Riuscì a raggiungere la sua zampa e la prese, stringendogliela lievemente. “Mi fido di te”. Le orecchie guizzarono verso l’alto e gli occhi si dilatarono, esprimendo tutto lo stupore che avevano portato il suono di quelle parole già note da tempo. Ridacchiò davanti a quell’espressione. “Nick…ho lasciato che mi prendessi il collo in bocca” fece presente.

“L’hai fatto…” ammise, grattandosi la nuca. Era strano vederlo in quel modo: serio, quasi smarrito, privo della sua solita aria irrispettosa, la sua espressione furba e disinteressata allo stesso tempo con cui squadrava il mondo che lo circondava come se nulla di tutto quello valesse più di una sua fugace occhiata.

“Nick…Vixen è in società con Bellwether” disse. “Prima che noi risolvessimo il caso, l’ha contattata ed è diventata sua socia in affari: adesso gestisce lei la produzione del siero, ma…”. S’interruppe. “…queste cose le sai già”. Lui sospirò e scosse la testa.

“Certo che le so, coniglietta ottusa” disse, sorridendo scaltro. Si chinò sulla gabbia e le scoccò QUELL’occhiata. “Lasciami fare il mio lavoro ed io ti lascerò fare il tuo”. In quella Vixen fece capolino dalla porta; Nick si affrettò a drizzare la schiena ed a voltarsi nella sua direzione.

“È arrivato” disse. Le orecchie di Judy saettarono verso il tetto della gabbia. “Deve aver seguito il coniglio”.

Dieci secondi dopo, Judy sentì le parole di mr.Big rimbombarle nelle orecchie. Bastò per farla riflettere e riconoscere l’ottimo suggerimento del padrino, ma anche che aveva sbagliato su un punto: le orecchie si erano rivelate fondamentali, ma non decisive.

In quel preciso momento capì che ciò che sarebbe stato determinante non era l’udito, ma l’olfatto: mosse il piccolo naso in maniera inconscia, esprimendo la preoccupazione per sé stessa e per il suo compagno alla vista della volpe e quelle poche molecole d’aria che entrarono le fecero finalmente vedere il quadro in modo completo, le regalarono un posto in prima fila per la recita che stava guardando, in cui era anzi riuscita a procurarsi una parte.

Sentì all’interno delle piccole narici un forte odore di chiuso e di chimico, ma con un retrogusto all’uovo, all’aroma di vaniglia e…ma non era granella di zucchero quel retrogusto appena percettibile? Non aveva realmente bisogno di vedere il pelo maculato di chi c’era veramente dietro tutta quella storia, né di sentire quei passi ritmici e marcati contro le piastrelle un tempo asettiche del pavimento, né tantomeno di voltarsi al suono di quella voce che per prima l’aveva salutata il primo giorno di lavoro e mai aveva smesso di farlo. Che diamine, non aveva mai nemmeno variato il saluto. E non lo fece nemmeno in quel momento.

“Ehilà agente Hopps” salutò Clawhauser, avvicinandosi alla gabbia e chinandosi su di lei. L’espressione era soddisfatta, gli occhi pieni di vivacità, ma c’era quella piccola, minuscola luce che mai aveva visto nei suoi occhi, una luce che a Judy ricordava gli occhi dei montoni nella metropolitana e quelli di Bellwether in quei sessanta secondi in cui era stata certa di avere la vittoria in pugno. “Mi fa piacere vedere che hai trovato Wilde”.

“Clawhauser…” mormorò la coniglietta, incredula della scena che aveva davanti agli occhi e decidendo a priori che da un momento all’altro si sarebbe svegliata seduta sulla sua scrivania.

Capita di addormentarsi al lavoro, che diamine!

“Che ci fai qui?” chiese Nick. Il tono di voce, che avrebbe dovuto essere sorpreso almeno quanto lo sarebbe stato il suo se si fosse trovata in grado di spiccicare anche solo una parola in più, era calmo e distaccato, come se fosse una cosa assolutamente normale che il ghepardo alla reception del distretto di polizia producesse come secondo lavoro il siero più pericoloso che Zootropolis avesse mai visto. Clawhauser si volse verso di lui e sorrise quello stesso sorriso gentile che aveva visto tutti i giorni.

“La coniglietta stava diventando troppo curiosa” disse. “Così l’ho seguita, ma a quanto pare mi sono preoccupato inutilmente”.

“No” scosse la testa Nick. “Va bene così”.

(Certo, va bene così…) pensò Judy. “Come puoi produrre il siero che ti ha quasi fatto perdere il lavoro?” chiese. “Allearti con Bellwether e con…quella volpe di là…”. Quelle ultime parole le sputò con stizza e disgusto, come se fossero la cosa più disgustosa che potesse avere sulla lingua. Il ghepardo, per tutta risposta, rise.

“Credi che ci sia Vixen a capo di tutto questo?” chiese. Si volse poi verso Nick. “Hai sentito capo? Te l’avevo detto che non sospettava minimamente di te”.

“Già, è vero…” borbottò lui, assolutamente tranquillo. Si volse poi verso Judy, che lo guardava con gli occhioni invasi dal disorientamento. “Carotina, guarda che il socio di Bellwether…sono io”.

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Capitolo 8
*** Un pezzo della scacchiera ***


7. Un pezzo della scacchiera

Al museo di storia naturale, Judy Hopps era stata azzannata al collo da una volpe.

Per finta, certo: era servito ad estorcere ad una certa sgradevole pecorella petulante la confessione che l’avrebbe inchiodata, ma ugualmente lei aveva sentito contro la delicata pelle della gola le zanne di quello che sarebbe diventato

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

l’unico agente con cui avrebbe sempre preteso di lavorare. Non c’entra nulla il suo ripudio dei pregiudizi sulle le volpi, animali con dei sentimenti esattamente come i suoi genitori: sarebbe già bastata la compagnia di un qualsiasi altro predatore, una qualsiasi altra volpe per non farle nemmeno prendere in considerazione l’idea.

Aveva accettato l’idea di farsi azzannare al collo perché il suo finto carnefice sarebbe stato Nicolas Piberius Wilde. Nick l’aveva capito e non aveva più avuto bisogno di sapere se lei si fidasse di lui o no: un coniglio che si lascia deliberatamente azzannare da una volpe

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

o era un coniglio con seri, serissimi problemi oppure un coniglio che sentiva nella volpe con cui aveva a che fare qualcosa che faceva l’occhiolino all’ultraterreno, due parti di un tutto, estensioni di un unico grande corpo che se si fosse rotto avrebbero sentito dolore entrambi.

Lei sapeva che lui non l’avrebbe mai ferita e lui sapeva che da lei non avrebbe mai avuto strane sorprese: era una cosa a cui non avevano mai pensato di dare un nome, ma era nata e cresciuta e si era fatta grande e forte. Un gigantesca fortezza di fiducia e rispetto che lei e Nick sorreggevano e rafforzavano tutti i giorni.

Al suono delle parole della volpe quella fortezza non crollò, ma ebbe un brusco scossone. Davanti alla sua incredulità, condita con una punta di mortificazione, la volpe si volse verso Clawhauser.

“Spiega alla coniglietta ottusa quello che sta succedendo” disse con voce melliflua, appoggiandosi al muro con le braccia incrociate.

“Cosa sta succedendo, Clawhauser?” chiese Judy guardandolo con occhi umidi, a supplicarlo di far scoppiare i petardi con coriandoli, far volare i palloncini e far entrare tutto il commissariato nella stanzetta a prenderla in giro per quello stupido scherzo fino a qualche vita più avanti, in cui magari lei si sarebbe reincarnata in qualcosa di assurdo come un grande animale bipede tutto rosa con la criniera in testa.

“Beh, cosa sta succedendo” commentò lui. “Bellwether ha avuto un grande idea, ma i presenti hanno molto più il pallino per gli affari: hai la minima idea di quello che pagherebbero certe persone per avere il siero? O per non usarlo?”.

“Soldi” commentò Judy, esterrefatta. “Lo fate per soldi”.

“E per quale altro motivo dei predatori produrrebbero un siero che fa impazzire i predatori?” osservò il ghepardo. “Bellwether, quella stupida pecora buona solo nello stomaco, voleva usarlo per liberare la città: noi vogliamo usarlo per arricchirci”.

“Perché?”.

“Stai chiedendo perché?” esclamò il ghepardo. Il sorriso stupido sul muso fece spazio ad un’espressione del tutto nuova, che stonava incredibilmente con l’immagine che Judy si era costruita in tutto quel tempo di lui. “Ma tu lo sai quanto paga la polizia ad un agente il cui unico compito è presidiare la reception? Hai idea di quanti sogni infranti, di quanti giorni passati ad ascoltare gente lamentarsi? Lo sai che sono entrato nel corpo di polizia per diventare un detective? Oh, si”. Si batté un dito contro la tempia. “La stoffa ce l’ho: ho studiato per anni, fatto sacrifici, i miei genitori si sono rotti la schiena a lavorare per aiutarmi a realizzare il mio sogno. Immagina come mi sono sentito quando mi hanno assegnato alla reception: un posto temporaneo, mi hanno detto, e mi hanno dimenticato lì per tre anni, Hopps”. In qualche modo, Judy sentiva di capirlo e non solo; cercò con lo sguardo Nick, ma lo trovò a contemplare il nulla poco sotto il soffitto con occhi persi, in perfetto silenzio.

“Perché non ce l’hai detto?” mormorò la coniglietta.

“E cosa avreste fatto?” sbottò il ghepardo. “Avreste parlato con Bogo? Con il sindaco? Alla fine non sarebbe cambiato nulla: io sono l’addetto alla reception, mi ingozzo per la fame chimica che mi provoca ogni istante passato a quel bancone. Tu lo sai che qualche tempo fa ero il più veloce dell’intera accademia?

“Wilde è entrato in affari con Bellwether ed io l’ho seguito a ruota: dapprima contavo di incastrarlo e farlo finire in prigione così da dimostrare a Bogo che sapevo fare qualcosa che non fosse sorridere come un idiota tutto il giorno ed ingozzarmi di ciambelle, ma poi sei tornata tu e mi avete battuto sul tempo. Sparita Bellwether, le redini sono passate a lui e così sono rimasto al suo fianco”.

“Ah, grazie per i nobili propositi” commentò Nick, sogghignando. Clawhauser si affrettò a correggersi.

“No, capo…intendevo…” balbettò, con la voce tornata umile. “Cioè, non intendo più fare una cosa del genere, naturalmente…”.

“Naturalmente” assentì Nick annuendo.

Mi fido di lui

“Quindi? Che ne facciamo di lei?” chiese il ghepardo, indicando Judy. La volpe lanciò alla gabbia un’occhiata sterile, indifferente: se era una finta, era fatta maledettamente bene, tanto che persino lei percepì con un fremito la trappola scattare, l’immensità del casino in cui si era cacciata.

“Naturalmente diverrà parte dell’operazione” replicò Nick. “Ma tutto a suo tempo; sai Clawhauser, non dubito che tu saresti potuto diventare un agente di tutto rispetto, un signor poliziotto”. Il ghepardo era confuso, ma altrettanto lusingato.

“Signore?” mormorò, mentre si mordicchiava emozionato il labbro inferiore.

“Il tuo stratagemma per incastrarmi era ottimamente studiato, te lo concedo” continuò Nick. “Se le parti fossero state invertite, io avrei fatto lo stesso”.

“È molto lusinghiero da parte vostra” annuì Clawhauser.

Mi fido di lui

Nick infine, finalmente, sorrise; lasciò libero quel ghigno soddisfatto, il ghigno, il suo ghigno, quello stesso ghigno che Judy aveva imparato a temere ogni volta che lo vedeva sul suo muso. Non aggiunse altro: con un movimento fluido ed un senso di deja-vu della coniglietta, alzò la zampa in cui era stretta una piccola penna arancione a forma di carota. Premette il pulsante quasi invisibile a lato della penna ed il suo ghigno divenne più ampio.

-noi vogliamo usarlo per arricchirci-

Clawhauser rimase impietrito, Judy venne invasa da un’ondata di talmente tante emozioni tutte insieme che lì per lì ci si perse e non seppe quale esternare per prima.

“Non hai mai giocato a scacchi, vero Clawhauser?” commentò serafico Nick. “Il pezzo più forte della scacchiera è il cavallo. E lo sai perché? Perché è l’unico pezzo in grado di scavalcare gli altri”. Il ghepardo si volse verso la porta del laboratorio in tempo per veder comparire Vixen sulla soglia: il ghigno sul suo muso era identico a quello di Nick.

“E lo sai qual è la fregatura?” chiese lei, sorridendo. “Che sulla scacchiera, non ce un solo cavallo”. Nella sua zampa comparve uno scintillante distintivo, su cui riluceva in acciaio placcato blu la sigla Feral Bureau of Investigation. La voce di Vixen divenne autoritaria, ferma e professionale. “FBI: Benjamin Clawhauser, sei in arresto”.

Judy assistette a quella che classificò come la scena più appassionante che avesse mai visto: si ritrovò a pensare che se fosse stato un film sarebbe saltata dalla poltrona con un urletto emozionato, disseminando pop-corn e patatine dappertutto.

Gli occhi del ghepardo si fecero larghi, esprimendo il panico che cresceva incontrollato in lui. Cominciò ad iperventilare, ma fu un attacco di pochi secondi. Era accerchiato, ma loro erano volpi. Erano piccole e veloci, ma piccole. E lui era un ghepardo. La soluzione si presentò davanti ai suoi occhi con tale naturalezza che non si soffermò a pensare alle conseguenze: scattò verso Vixen e la atterrò con una panciata prima che lei avesse modo anche solo di ritirare il distintivo.

“Vixen!” esclamò Nick, scattando verso di lei.

“Nick!” chiamò Judy da dentro la gabbia, in estasi. “Oh mio dio, ti adoro!”. La volpe di volse verso di lei con l’urgenza negli occhi.

“Carotina, è il caso che tu resti qui dentro” disse grave. “Sarà brutta, molto brutta…”.



Clawhauser dedicò gli ultimi secondi ai ricordi. Suo padre era un ghepardo di tutto rispetto, alto e muscoloso, capace di scatti e prove di forza che lui aveva sempre e solo potuto ammirare da lontano. Ricordò i muscoli sotto la sua corta e sottile peluria maculata, la sua espressione gentile e la sua voce burbera e determinata come se li avesse visti fino al giorno prima.

La madre aveva una muscolatura più aggraziata, più longilinea e sinuosa, meno prominente di quella del padre ma ugualmente potente. Ricordava, aveva gli occhi gialli perennemente aperti in un’espressione gentile, calda ed amorevole. Il primo giorno di servizio dentro la centrale di polizia di Zootropolis gli aveva stretto il nodo della cravatta e lo aveva congedato con un bacio sulla fronte.

“Il mio gattone macchiato…” aveva commentato, commossa ed orgogliosa di lui. Al tempo la voce stava calando e già presentava i segni di quella debolezza che l’avrebbe portata a spegnersi in una camera d’ospedale per una polmonite, souvenir da una gita al distretto di Tundratown. “Tuo padre sarebbe stato fiero di te…”.

Non ce l’aveva fatta: l’impegno, la costanza, la determinazione che per anni aveva bruciato inestinguibile nei suoi occhi si era inghiottita i suoi genitori ed in cambio gli aveva dato un sedia nella hall della centrale di polizia, con zero possibilità di carriera. La fame chimica portata dallo stress aveva trovato soddisfazione nelle ciambelle, che avevano provveduto a portare le sue possibilità di carriera nell’ordine dei numeri negativi.

Ed ora quello.

Era stato un perenne do ut des la sua vita: aveva dato la sua famiglia per uno squallido, snervante, deprimente bancone della reception, aveva dato il suo corpo scattante e longilineo per placare a colpi di ciambelle bisunte ed ipercaloriche una fame che non esisteva che nella sua testa ed infine il colpo di grazia. Aveva dato il buon nome della sua famiglia e la sua stessa dignità per essere incastrato da una volpe che aveva semplicemente avuto fortuna.

Era infine tornato il momento del do ut des, il momento in cui doveva dare qualcosa di suo per ottenere qualcos’altro. Ma se lui e la vita stavano giocando a poker, era arrivato il momento di portare la partita su un altro livello, renderlo più elettrizzante, più denso ed appassionante. Era il momento del

all-in, cara vita: vediamo cosa offri

tutto per tutto.

E la pallina azzurra rotolò placida nella sua bocca, frantumandosi sotto i suoi denti, sotto la potenza della sua mascella. Si sentì nuovamente forte e scattante e, dopo un’ultima immagine di sé stesso in divisa davanti ad uno specchio, gonfio d’orgoglio e di aspettative, il suo mondo si spense e non ci furono più pensieri.

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Capitolo 9
*** Nascondino ***


8. Nascondino

Vi sono sottili indizi della presenza dei predatori che solo altri predatori possono cogliere: gliel’avevano fatta passare come una leggenda metropolitana ma ricordava che funzionava bene da bambino, quando giocava a nascondino nel cortile sul retro del condominio dove abitava assieme ai suoi amici.

Era sempre stato piuttosto bravo a sentire i piccoli sbuffi dei cuscinetti delle zampe, a notare un ciuffo d’erba con un’angolatura diversa da quello accanto, a percepire un silenzio assolutamente fuori posto. Intuiva che quel senso di osservazione, che in attimi che non erano mai spariti del tutto l’aveva trovato stupefacente a livelli inquietanti, era l’ultimo baluardo di quello che era un tempo ormai antico, che non esisteva più.

E conosceva anche quell’appena percettibile solletico sulla nuca, più precisamente dietro l’orecchio sinistro, che gli diceva con celere urgenza che in quel momento c’era qualcuno che vedeva in lui quello che non era e che non avrebbe mai voluto essere.

I predatori avevano un debole istintivo per il gioco del nascondino: riportava alla luce gli istinti della caccia, una realtà antica come la loro stessa natura. Quanti cuccioli di tigre, leone, lupo, volpe, orso, lontra aveva visto giocare a quel gioco nei cortili della città, tra i ruderi di un cantiere abbandonato, nelle piccole macchie boscose dei parchi e delle zone verdi della città?

Ogni volta li vedeva guardarsi intorno, fiutare l’aria e tendere le orecchie, consapevoli che la loro solitudine era solo apparenza, che assieme a loro c’era un gruppetto di altri animali appostati dietro tubi di cemento, cespugli ed arbusti impegnati in quel suo stesso studio, con la concentrazione al massimo per cogliere la minima distrazione dell’amico che faceva la conta: anche un solo istante andava bene, perché sapevano grazie al loro istinto che non sarebbe loro servito altro.

Erano ormai anni che non giocava più a nascondino: gli amici del cortile erano ormai spariti, ognuno per la propria strada. Chi si era accasato, chi aveva deciso di esplorare il mondo, chi era andato al college ed impiegava più tempo sui libri che tra le sterpaglie, a rievocare momenti che tanto non sarebbero tornati.

Ma ci ripensava ogni giorno: tornava volentieri con la mente a quel tempo e c’era stata una sera, nell’intima solitudine del suo appartamento, che aveva ricordato di come le prede giocassero malvolentieri a quel gioco. Perché le prede lasciavano altri indizi, simili ma diversi: quelle piccole tracce nell’erba e nella polvere, quegli innaturali silenzi e quegli sbuffi di cuscinetti avevano un qualcosa di sconosciuto in più che accendeva nei piccoli predatori una specie di lampadina nella testa, che si rifletteva in una luce sinistra negli occhi.

Era la natura, quell’istintivo brodo primordiale che non poteva essere soppresso.

Ed i sensi diventavano più acuti, i passi erano silenziosi come fantasmi ed alcuni si mettevano addirittura a quattro zampe, drizzavano il pelo, abbassavano le orecchie. L’udito diventava percezione, il fiuto li faceva entrare nella realtà stessa, gli occhi arrivavano quasi a vedere attraverso gli oggetti; il respiro regolare, il battito del cuore rallentato, l’assoluta immobilità dei muscoli che allo stesso tempo la carezza nelle vene di ogni singola goccia di sangue: Nick l’aveva sperimentata, l’aveva vista.

Una grande partita a nascondino, che durava tutta la vita ed a cui bastava un momento sbagliato per trasformarsi da un’eccitante gioco al più tremendo degli incubi.

Nel laboratorio, il silenzio era innaturale. Nick alzò istintivamente una zampa davanti a Vixen, obbligandola a fermarsi.

“Nick?” mormorò, ma lui le fece cenno di tacere.

“Lo senti?” chiese semplicemente.

E lo sentiva, oh se lo sentiva. Entrambi lo sentivano: il sangue pulsare, il cuore battere, il respiro rimestare nei polmoni e prendere ogni volta la via per la bocca. Sentivano il silenzio aleggiare, il debole, impercettibile ronzio dei led che illuminavano i fiori, l’odore della pioggia che, svariati metri sopra di loro, si abbatteva al suolo, i cuscinetti delle zampe, il ciuffo d’erba con un’angolatura diversa da quello accanto.

Il formicolio dietro l’orecchio sinistro.


Vixen imprecò sottovoce.

“Nick…”sussurrò. “È un ghepardo”. Lui le fece nuovamente cenno di tacere.

Deglutì secco e mosse gli occhi in direzione della porta. Percepisci. Entra nella realtà. Guarda attraverso gli oggetti. Quel pensiero gli entrò come una furia nella testa, tanto da farlo rintuzzare leggermente; era come se fosse scritto sulla porta d’ingresso.

Sono una preda.

Nick si volse verso l’angolo del tavolo e, in quello stesso istante, Clawhauser fece capolino. Sentì una scarica di adrenalina ed il corpo s’impietrì sul posto: il grasso ghepardo era a quattro zampe, silenzioso come se non fosse lì, e lo guardava.

Si chiese come diavolo avesse fatto nel museo naturale ad ingannare Bellwether fingendo di essere un predatore in modo così vergognosamente finto. Clawhauser s’immobilizzò per qualche secondo, poi mosse qualche passo nella sua direzione; i movimenti erano ipnotici e la testa ferma, come se fosse sospesa in aria, la bocca semiaperta a mostrare quei lunghi canini che non aveva mai veramente notato. Ciò che tuttavia gli fece gelare il sangue furono gli occhi, fermi su di lui, in un espressione indecifrabile. Due pozzi pieni di nulla non lo lasciavano nemmeno per un istante. Nel miscuglio di percezioni che sentiva avvertì Vixen irrigidirsi.

“Non pensarci nemmeno” sussurrò lentamente, attento a non fare movimenti bruschi. “Se quello scatta siamo molto morti”.

“E allora che pensi di fare?” replicò lei. “Chiamare i rinforzi con la telepatia?”. La sua voce era bassa e ferma, lucida e padrona della situazione. Nick rispose estraendo dal taschino il suo jolly; la piccola biglia blu riluceva nella sua zampa e roteò piano, quasi non vedesse l’ora di entrare in azione. Se così fosse stato, sarebbe stata l’unica.

“Tu chiami i rinforzi” disse, prima di chiudere il pugno attorno alla pallina. Clawhauser scattò verso di loro, con una rapidità innaturale per la sua stazza. Vixen estrasse la pistola e sparò un colpo verso il ghepardo. Sulla piastrella comparve un foro e l’assordante scoppio che saturò l’aria spaventò l’animale, che deviò sapientemente dietro un tavolo di provette e becker.

“Bisogna pensare a qualcosa in fretta” disse la volpe, voltandosi. “L’ho spaventato, ma…”. La frase le morì in gola: gocce azzurre di

sangue…

siero macchiavano il candore delle piastrelle e la pelliccia del poliziotto, scoperta poco sopra il colletto della divisa. La cravatta toccava terra e la coda era alta, puntata verso il soffitto.

Nick Wilde era a quattro zampe e respirava con la bocca aperta, con quello stesso sguardo vuoto che aveva visto negli occhi del ghepardo.



Judy stava trafficando con il lucchetto della gabbia da qualche minuto quando sentì lo sparo nella stanza accanto. Le orecchie si drizzarono di colpo e lei sussultò all’improvviso boato, come se non avesse mai sentito prima quel rumore. Senza che lei potesse far nulla, la sua testa si riempì delle immagini di Nick, del suono della sua voce, dell’odore della sua pelliccia.

(No, Nick…) pensò. “Resisti, ti prego…”. Il passepartout s’incastrò finalmente nella serratura del lucchetto e, con un piccolo ticchettio la sicura scattò e l’anello andò fuori sede. Judy con zampe tremanti gettò a terra il lucchetto ed aprì la gabbia con una spallata, precipitandosi nella stanza accanto.

La scena che vide oltre la porta le fecero sentire da qualche parte la mancanza della piccola, sicura gabbia. Vixen era premuta in un angolo, immobile ma fredda, che scrutava attraverso il mirino della pistola quello ciò che stava succedendo nel laboratorio.

C’era rumore di zuffa, vetri che s’infrangevano al suolo e guaiti e latrati e fischi. Clawhauser aveva i vestiti strappati e sanguinolenti e gli scatti che faceva erano fortemente rallentati dagli anni di ciambelle con cui aveva banchettato. Sentiva il dolore sparso per il corpo ed ogni tanto fioriva da qualche parte, accompagnato da un rumore di strappi. Erano definizioni che lui non collegava, non capiva: intuiva solo il

sangue…

dolore e che quella piccola creatura scattante che saettava sopra e sotto il suo corpo ne era la causa.

Judy rimase impietrita a guardare la scena. Gli occhi dei due predatori erano inespressivi malgrado la pessima situazione in cui si trovavano. Per la prima volta dopo tanto tempo, Judy si ritrovò a tremare e la paura infine la raggiunse, ghermendole le viscere.

“Io starei ferma, agente Hopps” disse Vixen; la voce era ferma e lucida, la pistola immobile e puntata sui due, il dito sul grilletto ed il cane che scricchiolava, spostandosi verso l’alto in modo quasi impercettibile.

“Che stai facendo?” chiese la coniglietta indecisa su quale scena la terrorizzasse di più.

“Ci sono due predatori che stanno lottando” disse, facendo notare l’ovvio. “Tu sei in pericolo, indipendentemente da chi sopravvivrà”.

“Nick non mi farebbe mai del male!” esclamò. La volpe osò spostare gli occhi su di lei.

“Quello non è Nick, coniglietta” replicò. “Quella è una volpe, la tua nemica naturale”.

Judy si volse verso di loro in tempo per vedere Clawhauser addentare Nick per una zampa e scaraventarlo lontano da lui; con un guaito selvatico, la volpe rimbalzò contro la parete e cadde in piedi, barcollando leggermente. Il ghepardo si acquattò pronto a scattare, ma il dito di Vixen si flesse.

Ci fu un secondo boato e sulla zampa del felino sbocciò un liquido fiore rosso. Clawhauser fischiò e cadde a terra, scoprendo il collo all’immediato contrattacco di Nick. Nell’aria risuonò uno schiocco, qualche rantolo ed infine un gorgoglio liquido; le zampe del ghepardo si fermarono e la coda si afflosciò teatralmente a terra, immobile. La testa della volpe, fermamente ancorata alla gola dell’animale diede qualche guizzante scrollone, poi si separò dalla pelliccia maculata e chiazzata di rosso

sangue…!

Nick fiutò l’aria e si volse nella loro direzione. Nella sua direzione; Judy scoprì il suo corpo, mosso di propria volontà, contro il muro, con il naso tremante ed il panico negli occhi che tentava con ogni mezzo di uscire. Si sentiva una preda, si sentiva braccata e chiusa in un angolo; il suo corpo tremava tutto tranne le braccia tese verso la volpe, che stringevano la pistola caricata con il vaccino. Se avesse sbagliato…

Il tempo si dilatò, perdendo importanza e fissandosi sui tre secondi più lunghi della sua vita. Si perse negli occhi fermi e sterili del suo compagno e decise che quella sarebbe stata l’ultima visione di un orrido incubo.

Fletté il dito.

CLIC





BANG!

e…





…morte!



NOTA DELL’AUTORE:

Signori e signore, è il comandante che vi parla. Dopo una corsa agli aggiornamenti assolutamente non da me (fidatevi) siamo arrivati alla fine; ebbene sì, il prossimo aggiornamento sarà l’ultimo. Ok, già vi vedo armati di forconi, occhiatacce e pessime intenzioni e posso anche capire dal parte vostra l’obiezione corale “ma Bellwether???”.

Bene ragazzi, sapete che vi adoro tutti e proprio per questo vi rimando al prossimo aggiornamento, in cui spiegherò ogni cosa. Per il momento vi saluto, ci leggiamo al prossimo capitolo.

Stay Tuned

Leonhard

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Capitolo 10
*** Il mio Nick? ***


9. Il mio Nick?

Da quando era entrata nel corpo di polizia si era scoperta in qualche modo dipendente dal caffè. Miscela leggera ovviamente: non era del tutto sicura che i conigli potessero berlo, dall’alto dei suoi oltre duecento battiti medi al minuto.

Ascoltando la macchinetta ronzare non riuscì a stabilire se quello che sentiva fosse preoccupazione, terrore, sconforto oppure un abile miscuglio delle tre, una particolare formula alchemica che mal si sposava con l’idea che si era fatta una buona parte di Zootropolis di Judy Hopps. Al segnale della macchinetta, prelevò dalla vaschetta il suo bicchiere di latte caldo e si arrampicò sulle sedie della zona ristoro senza particolare convinzione. Il latte, perché qualunque altra bevanda selezionabile dalla macchinetta sarebbe stata deleteria per la sua ansia, che le faceva galoppare il cuore ed allo stesso tempo la faceva sentire così mogia e triste.

Il sole entrava attraverso la finestra del corridoio congiungendosi timidamente alla luce fredda dei led che illuminava l’ambiente, come se anche lui capisse la drammaticità della situazione e fosse restio a mostrare tutta la brillantezza dei suoi raggi. Attorno a lei, un viavai contenuto di persone e medici ed infermieri accompagnato da un cicaleccio di voci e versi e guaiti ed uggiolii. In lontananza, lo squillo insistente di un telefono rimaneva inascoltato. Alzò gli occhi verso il corridoio:quella curva ad angolo che portava alla camera di Nick le faceva venir voglia di urlare con quanto fiato aveva in gola.

Di frustrazione, per non essere stata in grado di fare nulla che non fosse tremare e sparargli nel collo quella siringa di vaccino; di preoccupazione, per le condizioni in cui versava il compagno quando era arrivato in quel luogo; di rabbia, per averci messo fin troppo tempo ad aprire uno stupido lucchetto.

E di terrore; terrore per quegli occhi che aveva visto sul muso di Nick quando aveva premuto il grilletto. Terrore per quello che aveva letto in quegli occhi. Terrore per quello che non aveva letto in quegli occhi.

Niente

Sentì una paura nuova salire, una paura provata solo una volta in tutta la sua vita ma in qualche modo diversa, diversa da quella che aveva visto Gideon Gray quando l’aveva marchiata con quei tre graffi nascosti dalla sottile, fitta peluria del muso. Era quella: quella, ma diversa.

Diversa perché da un bulletto prepotente come Gideon Gray una cosa come quella poteva anche aspettarsela; diversa perché era una cucciola e la paura di allora, così acerba e nuova e strana, era stata naturalmente amplificata; diversa perché, oltre a tre graffi sul muso, Gideon Gray non poteva farle.

Ma quella volta non era stato Gideon Gray, ma Nick Wilde; quella volta la paura si era palesata come vecchia amica, un sentimento già provato ma nuovo ogni volta; quella volta, se avesse sbagliato, Nick Wilde non si sarebbe limitato a tre graffi sul muso.

In quei due giorni passati nell’ospedale si era ripetuta talmente tante volte che quello che aveva visto non era Nick da aver perso il conto. E ci credeva, sapeva che non era stato Nick a rivolgerle quello sguardo insondabile, ma

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

un’altra volpe, feroce, sconosciuta, con il pelo arruffato, la divisa stracciata ed il muso sporco di sangue. Decisamente, quella volpe non poteva essere Nick. Il suo Nick. Saltò giù dalla sedia e, gettato il bicchiere verso il cestino, si diresse con passo spedito verso la stanza del collega.

(Il mio Nick?) pensò, prendendo coscienza dei suoi pensieri. (E da quando? Da quando è il MIO Nick?). Quel pensiero, quella frase dai risvolti così poco professionali e molto sentimentali la fece rallentare; glissò istintivamente dall’argomento, riconoscendo che semmai il diretto interessato l’avesse mai scoperto non ci sarebbe stato limite alle frecciatine giocose e prese in giro di cui sarebbe stata oggetto.

Dietro alla porta chiusa della camera di Nick sentì un sommesso ed indistinto brusio. Le punte orecchie si drizzarono verso il soffitto in una frazione di secondo e, quando riconobbe la voce strascicata ed esausta della volpe, irruppe nella stanza con una spallata.

Nick era cosciente, gli occhi ancora leggermente spenti ma vivi ed espressivi. Faceva da sorgente ad una coppia di piccoli tubi collegati a delle flebo siglate in modo comprensibile solo ai dottori. Poco lontano dal suo letto, vi era Vixen; spogliata del camice da laboratorio, indossava un abito scuro con una camicia bianca ed una cravatta nera. Il pelo fulvo si sposava stranamente bene con il colletto della giacca nera e la coda aggiungeva un tocco ai pantaloni della stessa tinta.

“Capisco…” stava dicendo Nick, con voce leggermente affranta, guardandola frugarsi nella tasca interna della giacca.



Quando Nick aprì gli occhi la prima cosa che fece fu richiuderli immediatamente, abbagliato da tutto quel bianco che lo circondava: soffitto, mura, pavimento, lenzuola, tutto bianco. Per qualche istante fu colto dal sospetto che anche il suo pelo fosse diventato bianco. Mosse debolmente la coda, che fece capolino dalle zampe posteriori e colorò tutto quel doloroso candore. Volse gli occhi e scorse Vixen seduta sulla sedia accanto al suo letto. La chiamò, schiarendosi la gola subito dopo. La volpe al suo fianco alzò lo sguardo dal suo telefono e gli sorrise.

“Ciao Nick” salutò, con un tono chiaramente sollevato. Gli porse un bicchiere d’acqua. “Come ti senti?”.

“Rotto…” biascicò, con la voce fattasi meno cavernicola. Vixen annuì.

“Beh lo sei…” osservò. “Hai una zampa fratturata e qualche costola rotta. Cosa ricordi?”.

“Un laboratorio…” mormorò lui, passandosi una zampa sul muso. Rimase in silenzio quei pochi secondi necessari a Vixen per cercare intuire quanto ricordasse di quel seminterrato, di quella missione a cui gli aveva chiesto supporto in nome del loro rapporto troppo a lungo trascurato. La volpe allungò la zampa e strinse quella di Nick, cercando di infondergli sicurezza, calma, quella solidità che credette di veder vacillare pericolosamente dentro di lui.

“Nick…” chiamò Vixen.

“...e basta” concluse lui. Lei non rispose: si avvicinò a lui e gli accarezzò la testa, soffermandosi dietro le orecchie. Forse, pensò è meglio così. “Che è successo?”.

“Abbiamo messo Clawhauser fuori gioco” rispose lei. “Adesso è

sotto un lago ghiacciato di Tundratown

in prognosi riservata, ma quando uscirà l'FBI procederà con l'arresto: per un bel po' non ne sentirete più parlare”. Seguì qualche attimo di silenzio imbarazzato: nessuno dei due sapeva veramente cosa dire. Era veramente troppo tempo che la volpe non lo vedeva.

“Sai, quella tua collega…Hopps” disse, cercando di focalizzare la sua attenzione su qualcos’altro. Nick le rivolse la sua attenzione. “Sta bene, non preoccuparti: gli infermieri dicono che non ti ha lasciato solo un istante”. Nick sforzò un sogghignò sul volto stanco.

“Nemmeno una doccia?” chiese.

“Abbiamo raccolto dei campioni del siero” disse Vixen, dopo un attimo di silenzio. “Il laboratorio dell’FBI sta già lavorando non solo sull’antidoto ma anche sul vaccino: in un paio di giorni sarà fatto esplodere nell’aria: renderemo inoffensivi gli ululatori notturni. Ottimo lavoro, Nick”. Lui prese un respiro.

“Lo sai che con me solo il meglio” commentò. “Sono o non sono il migliore?”.

“Si, si...” assentì lei, paziente. “Come sempre: il migliore di tutti in tutto”.

“Sbaglierò, ma percepisco del sarcasmo...”.

“Tu dici?”.

“Ehi, sono convalescente!”. Mise un muso fin troppo esagerato per essere vero. “Non senti l'odore di ospedale?”.

“Sono venuta tre volte a controllare che stessi bene in questi due giorni: ormai non lo sento nemmeno più...”. Attimo di silenzio.

“Beh comunque abbiamo vinto, no?” borbottò Nick, sconfitto. Accorgendosi di essere privo della sua risposta pronta si volse verso le flebo. “Ma che è sta roba? Non credo che mi stia facendo bene...”.

“Nick...io adesso devo rientrare...”. La volpe si volse verso lo sguardo affranto della poliziotta e sospirò sconsolato.

“Immagino che nulla cambierà, eh?” osservò. “Capisco...”. Vixen si stava frugando nella tasca interna della giacca: nel suo immaginario, era dove gli agenti segreti tenevano il distintivo, degli occhiali da sole rigorosamente fighi oppure una pistola munita di silenziatore.

L'immaginario di una certa coniglietta ottusa, invece, doveva essere ristretta solo a quell'ultimo elemento: spalancò la porta con impeto e, veloce come una scheggia, si lanciò su Nick. Si aggrappò dolorosamente alle costole incrinate e scoccò a Vixen un'occhiata che, secondo il suo metro, doveva essere minacciosa o almeno intimidatoria.

“Stai lontano da Nick!” proruppe. “Non lo ucciderai senza passare sul mio cadavere!”. Lui si lasciò scappare un guaito e fece per sollevarla da sé.

“Le costole, le costole!” piagnucolò. Judy si volse verso di lui, con il panico negli occhi,

“Ah! Scusa!” esclamò, zampettando e colpendo con un calcio la gamba ingessata. Altro guaito.

“Ma mi vuoi dare il colpo di grazia?” sbottò Nick. “Scendi!”. La coniglietta saltò giù dal letto e si mise tra il suo collega e Vixen.

“Non gli torcerai nemmeno un pelo” decise. Davanti a quella scena, la volpe esplose in una risata talmente forte da farla sussultare.

“Nick...”chiamò, tra una risata e l'altra. “Credo sia convinta che ti voglia sparare”.

“Potresti anche farlo, Vicky...” rantolò lui. Si volse poi verso Judy, impegnata a spostare uno sguardo disorientato su entrambi. “Carotina, mio coraggioso ed impavido cavaliere, ti presento mia sorella Vixen”.

Fu con un esponenziale crescendo di imbarazzo che Judy ascoltò il racconto delle due volpi su quello che era successo dietro le quinte: la scomparsa di Nick, il siero in freezer, gli affari con Bellwether, tutto era servito affinché l'FBI entrasse in possesso di un campione del siero degli ululatori. Vixen la informò dell'amnesia del collega e lei colse il messaggio velato.

Clawhauser era in terapia intensiva e sarebbe deceduto durante la notte per le ferite riportate durante il suo raptus. O per avvelenamento di qualche sostanza con cui era 'accidentalmente' entrato in contatto: andava bene qualunque cosa, purché Nick non venisse a conoscenza di quello che era successo la sotto.

Di quello che aveva fatto la sotto.



“Perché non mi hai detto che era tua sorella?” chiese Judy quella sera, arrabbiata con il partner. Nick volse verso di lei un'occhiata divertita.

“Tu mica me l'hai chiesto” fece presente lui. “Bastava che chiedessi: ehi Nick, mio dolcissimo ed adoratissimo eroe, ma quella volpe era tua sorella?”.

“Dolcissimo? Adoratissimo?” esclamò lei. “Mi hai fatto preoccupare a morte!”.

“Ah...” mormorò, con divertita espressione dolorante. “Le costole...”.

“Piantala, idiota!”. Judy gli prese una zampa tra le sue, mentre calde lacrime minacciavano di straripare dagli occhi ametista. “Non farlo mai più...”. La voce era tremula, lo sguardo affranto; Nick perse all'istante la voglia di prenderla in giro.

“Carotina?” chiamò. Lei rispose con un singulto.

“Se ti azzardi a rifare una cosa così...” mormorò. S'interruppe, cercando il termine adatto. “...cosi folle da solo...non ti guarderò più in faccia!”. L'aria sembrò svuotarsi di ossigeno; Nick non aveva mai trovato così difficile respirare.

“Guarda che...” mormorò, senza nessuna sicurezza nelle sue parole. “Non ero solo: avevo il supporto dell'FBI. Io sono un agente di un altro livello, cara mia”. Unì le zampe a formare una pistola e puntò gli indici sul viso lacrimante di Judy. “Io sono Owl...James Owl”. Le strappò una risatina, che quasi stonava in mezzo a tutte quelle lacrime non piante.

“Va bene, agente speciale” assentì la coniglietta, asciugandosi il muso. “Ma non farlo mai più...”. Non riuscirei a sopportare l'ufficio senza di te. Quel pensiero se lo tenne per sé, ripromettendosi di analizzarlo ed interrogare sé stessa in seguito.

“Comunque qui si va oltre l'essere emotivi” osservò Nick, con il suo sorriso. “Adesso sfioriamo la paranoia, lo sai?”. Lei lo guardò torva per qualche secondo, poi tirò su con il naso.

“Promettimelo!” pretese. “Una cosa del genere può mettere a rischio il tuo lavoro”.

“Ma dai!” sbottò lui, agitando con noncuranza una mano. “Non possono licenziarmi: io sono Owl...James Owl!”.



“Wilde, sei licenziato”. Il tono calmo ed annoiato di Bogo, la settimana successiva, ebbe il potere di aggiungere ulteriore ghiaccio alla doccia fredda che portarono quelle parole. Judy balbettò parole senza senso, mentre Nick ebbe un attimo di buio.

“Ma signore...” mormorò. “Non può...cioè...io sono Owl...James Owl!”.

“Molto interessante...” commentò il capitano, con il medesimo tono. “Ma lei, James Owl, ha agito in modo indipendente dalla centrale di polizia, ha messo in pericolo la vita dell'agente Hopps, ha partecipato ad un'operazione federale senza autorizzazione e con il suo ricovero mi ha fatto compilare delle scartoffie in più. Senza contare che adesso dovrò trovarmi un nuovo addetto alla reception, visto che Clawhauser è deceduto in seguito alle ferite che la SUA OPERAZIONE gli ha procurato”.

“Signore, non può licenziarlo!” esclamò. “Ha debellato definitivamente la minaccia degli ululatori! Lei...non può!”.

“Oh si che posso” ribattè Bogo. “E lo sto facendo; Wilde, consegna il distintivo”. La volpe guardò il capitano per qualche secondo, cercando qualche traccia nei suoi occhi che indicasse uno scherzo, una bugia, un inizio di ripensamento, anche solo una sottile insicurezza a cui potersi aggrappare: non c'era nulla più di un'incrollabile determinazione ad accompagnare l'ordine, perché quello era un ordine, unita al bruciante rimprovero delle sue azioni. Nick sospirò e si staccò il distintivo dalla cintura.

“Se licenzia lui...” mormorò Judy piano. “Rassegnerò le dimissioni”. I due volsero uno sguardo stupito verso di lei ma proprio quando Nick fece per chiederle se fosse improvvisamente impazzita, il telefono sulla scrivania di Bogo squillò.

“Dipartimento ZPD” rispose il capitano, con voce professionale. Dall'altoparlante della cornetta giunse un frusciante brusio metallico: qualunque cosa volesse dire tradotto, l'espressione di Bogo cambiò. “Che cosa?” sbottò, lanciando un'occhiata a Nick, poi a Judy, poi nuovamente a Nick.

Dawn Bellwether

Quell'unica parola, quell'unico nome risuonò chiaro e pulito, come se fosse un segno, come se fosse una cosa che tutti in quella stanza dovevano sapere. Bogo rimase in silenzio per qualche secondo, poi formulò un deciso e professionale 'sissignore' e riappese la cornetta.

“Wilde, sei reintegrato nel corpo di polizia a partire da due secondi fa” disse. “Prendi quel distintivo, muoviti!”. La volpe obbedì, smarrita, mentre Judy faceva vagare uno sguardo confuso tra lui ed il capitano.

“Signore...?” mormorò.

“Silenzio, Hopps” sbottò lui. “Abbiamo un emergenza. Stando agli ultimi rapporti, il...”.

“Pensa che sarebbe troppo chiedere qualche informazione concreta?” chiese Nick, sollevato nel sentire nuovamente lo scatto del distintivo alla cintura.

“Vi basti pensare che la persona con cui ho appena parlato non ama essere contraddetta” sbottò lui.

“Cosa c'entra Bellwether in tutto questo?” chiese Judy. Bogo le scoccò un'occhiataccia, ai suoi occhi rea dell'ennesima interruzione.

“Ironico che sia proprio tu a chiedermelo, Hopps...” ringhiò. “Allora, se non vi dispiace vi assegnerei degli incarichi...”. Scrutò il silenzio di entrambi per qualche secondo, poi parlò nuovamente.

“Voi siete gli ultimi arrivati in questa centrale, ma vi siete distinti molto in fretta e con ottimi risultati. Mi hanno chiesto in dotazione i miei agenti migliori: spero per voi che non mi facciate perdere il muso. Prenderete parte ad una squadra di agenti scelti per fronteggiare la minaccia Bellwether; gli altri due membri sono in viaggio per Zootropolis: il ritrovo sarà in questo ufficio”. Judy e Nick erano senza parole.

“Beh...” balbettò infine la volpe. “Passare da essere licenziato al migliore della stazione nel giro di cinque minuti merita una menzione nel curriculum...”.

“I migliori agenti della stazione?” squittì Judy. Il naso le vibrava di eccitazione e le zampe rullavano sul pavimento. “Davvero?”.

“I migliori della città” puntualizzò Bogo. “O almeno questo mi hanno chiesto: vedete di far finta di esserlo”.

“Si ricorda il libro sulle massime, capitano?” borbottò Nick, contrariato.

“Potete andare” sbottò il capitano, ignorando l'osservazione.

“Chi saranno i nostri compagni?” chiese Judy, incapace di frenare la curiosità. Bogo indirizzò loro uno sguardo strano: era scocciato, annoiato, ma c'era anche qualcos'altro. Per un breve, brevissimo istante, Nick ebbe il sospetto che il loro capitano li stesse guardando come se sapesse che non li avrebbe rivisti mai più.

“L'agente segreto Jack Savage” rispose con voce atona. “E Alopex la duecento”.



NOTA DELL’AUTORE:

Bene ragazzi: a quanto pare siamo arrivati alla fine. Non voglio passare per falso modesto, ma sono sinceramente colpito dal successo che questa fic ha avuto; era un’idea senza particolari pretese, venuta in un momento di tranquillità ma il vostro interessamento, le recensioni positive e costruttive ed il numero delle visualizzazioni salito ogni volta con una rapidità mai vista prima mi ci ha fatto applicare seriamente.

So di aver lasciato molti punti oscuri e molte domande aperte, ma prima che mi mangiate di traverso lasciate che io vi ringrazi per tutto l’entusiasmo che mi avete dimostrato per questa storia.

Prossimamente online il seguito, I QUATTRO CAVALLI, che spero verrà accolto con lo stesso entusiasmo dimostrato per THE WILDE CASE. Come sempre, tenterò di utilizzare tutto il mio impegno per dare il meglio.

E come sempre, alla prossima, Stay Tuned

Leonhard

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