NoHeroes

di GreenWind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caffè NoHero ***
Capitolo 2: *** Esperienze ***
Capitolo 3: *** Troppo, troppo, troppo ***



Capitolo 1
*** Caffè NoHero ***



-Caffè NoHero-



 
 
Poteva benissimo dire no davanti al prete, poteva guardarmi negli occhi e pronunciarlo; per me non ci sarebbe stata differenza. Certo, non presentarsi in chiesa e non avvertire con una telefonata è stato un vero atto di strafottenza. Ma siamo umani, tutti sbagliamo. Mio padre non la pensa così, perché farsi rimborsare un pranzo di nozze, le bomboniere e tutto il resto non è cosa facile, e lui non ha mai voglia di discutere. Eppure oggi era infuriato, premeva i tasti della calcolatrice con un'insolita stizza, che mi ha fatto sorridere. Di tanto in tanto la moglie gli mollava qualche gomitata nel ventre e lo fulminava con due occhi grandi così, perché per lei il vero dramma sta nella sua "bambina". Che non si preoccupi, perché io non me ne faccio un problema. Claudio ha preso la sua decisione, e questa non mi ha toccato. Guarda, sono io la più forte, sono io che non ho sofferto! Che sciocco uomo che stavo per sposare! Sciocco, evanescente come questa nuvoletta di fumo che esce dalla mia bocca. Tiro di nuovo e socchiudo gli occhi nell'incontrare la nicotina. Potrei morire fumando. Se fumo non devo parlare. E poi la sigaretta è così elegante tra le mie dita. Io sono così forte, superiore, quando fumo.
"Catia, c'è Nicola al telefono", un vocino distrae i miei pensieri.
Prendo la sigaretta tra i polpastrelli e la lascio cadere per terra. La schiaccio con la punta della scarpa e la spingo giù dal balcone. Un metro e non la vedo più, inghiottita prima da un camion e poi da un’automobile gialla. Strofinio le braccia gelate ed entro in casa.  Sara fa una smorfia annoiata e scuote la mano che, chissà da quanto tempo, regge il telefono. Mi chiedo come faccia a non stancarsi mai di essere stufa. Mia sorella ha sempre qualcosa da dire, in fatto di uomini soprattutto; zia Lucia dice che è per questo che non si sposerà mai. Prendo il telefono e ricado sul letto, mentre lei lascia la camera sbuffando. Probabilmente avrebbe preferito che me ne fossi andata da casa.
"Pronto, Nicola?", inizio fissando il soffitto e battendo sul pavimento un ispirato ritmo con le gambe.
"Catia, vai al Caffè NoHero. Ci vediamo lì tra mezz'ora", risponde lui tutto d’un fiato, chiudendo subito la telefonata e senza lasciarmi il tempo di metabolizzare le parole.
Indispettita dal suo comportamento, mi sollevo dal letto ed incontro il mio riflesso nello specchio. Non mi dice niente questo viso. Neanche i vestiti sono belli come la prima volta che li ho comprati, sono così incolori, oggi. Dovrei cambiarmi, ma non lo ritengo necessario, non ne ho voglia. Per strada la gente, se vuole, si ferma per vedere la sposa, non un pesce come me.
Tiro un sospiro e mi precipito al piano terra. È come entrare nell'inferno. Il fermento che agita i miei parenti, i conoscenti e gli sconosciuti accorsi dall'estero per il mio matrimonio è qualcosa di catastrofico. Tutta questa agitazione entusiasma i bambini, che avranno qualcosa su cui indagare per il resto della settimana, ma gli adulti non sono della stessa opinione. Mio padre è ancora incollato al tavolo del soggiorno, intento a combattere con la calcolatrice, e mia madre si dà al pianto con le zie, che indossano ancora il vestito della festa e di tanto in tanto tamponano gli occhi per evitare che le lacrime mettano a repentaglio il trucco. Dovrei prendere il cappotto, ma il bar è a due passi da qui ed Alfonso accende i riscaldamenti anche con quindici gradi all'aperto. Lascio la desolazione dietro le mie spalle e mi tuffo tra la folla.
La strada è affollata e la gente sembra non temere i borbottii del cielo, pronto anche lui a piangere sulla nostra cittadina. Che siano usciti tutti dalle loro case per prendermi in giro? I loro sorrisi e le risate echeggianti per i vicoli vogliono ricordarmi che a me tutto questo è estraneo. Io sono in perfetta sintonia con il cielo grigio, mentre loro hanno raggiunto le più alte vette dell'appagamento interiore. Ecco perché quando passo alcune vecchiette mi fissano stralunate; io e la mia aura ci distinguiamo dalla massa. Tanto a me tutto è estraneo e non posso più lasciar correre i pensieri, perché sono arrivata al Caffè.
Sulla porta vedo Nicola, seduto al solito posto. Entro ed affogo nell’umidiccio calore del locale. Da dietro il bancone, Alfonso mi sorride mestamente, con uno sguardo pieno di compassione, servendo un cliente. A quanto pare le notizie corrono. Ma cos'altro c'è da aspettarsi da un paese di appena tre mila abitanti? Ricambio con un cenno della mano e raggiungo Nicola.
Lui solleva la testa sorpreso e scosta il suo libro, uno dei tanti che porta sempre con sé.
"Sei già qui?", chiede senza aspettarsi una risposta.
Io mi siedo di fronte a lui e poggio i gomiti sul tavolino. Noto subito che è nervoso; solo quando lo è si stropiccia le maniche della maglia e comincia a tirarle su e giù per il braccio. Conosco troppo il mio amico e non solo perché buona parte della nostra vita ci ha visti crescere insieme, ma perché, in fondo, abbiamo parecchie cose in comune. La sua agitazione presto mi contagia, così sospiro nell'accogliere Alfonso e la cioccolata sul vassoio, che regge. Lui sa che non prendo altro e me la serve sempre con una fragola candita. Mentre mescolo il liquido bollente con il cucchiaino, squadro Nicola con cipiglio.
Bravo ragazzo, ottima istruzione, impiegato in una casa editrice emergente; Nicola mi appare piatto e senza forma in questo momento. Davvero ama tanto la letteratura come dimostra? Non è che i libri sempre al suo seguito, in realtà, gli rechino soltanto noia? Stupida cosa, ma mi rendo conto che, alla fin fine, non conosco tutto di lui.
"Allora, ti decidi a parlare?", lo incito a spezzare il silenzio, sorseggiando la cioccolata e regalandogli la fragola, come sempre.
Lui accenna un magro sorriso, intinge la fragola nella cioccolata e la butta giù in un attimo.
"Odio quando fumi, lo sai. Il tuo solito profumo svanisce, e ti fa male", sospira rassegnato, vedendomi accendere l'ennesima sigaretta.
Io per ripicca gli soffio il fumo in volto e lui si volta disgustato. Cielo, che bell'amico che ho! I suoi moralismi e questi occhi neri non mi fanno mai trovare sensate repliche.
"Ma sono tanto elegante quando fumo!", rido portando i capelli dietro le orecchie, "Guarda come mi sta bene tra le dita".
Sventolo la sigaretta davanti ai suoi occhi e lui, più nervoso che mai, prende la mia mano e l'abbassa sul tavolino, stringendola.
Lo fisso sorpresa. Non è mai stato tanto serio con me, non ci è mai riuscito, e quest’inaspettato cambiamento mi fa scoppiare in una sonora risata. Oggi il mondo deve essersi alzato col piede sinistro.
"Ti amo", sussurra a denti stretti, strapazzando la mia mano, la sola a cui prestino attenzione i suoi occhi.
La risata mi muore in gola. Schiaccio la sigaretta nel posacenere e porto la sua mano alla mia bocca, per darle un lieve bacio sulle nocche. Nicola solleva lo sguardo ed accarezza il mio mento con i polpastrelli, mentre il suo petto esala un sospiro trattenuto.
È proprio un bambino.
Quattro anni fa io ero innamorata persa di lui. Lo divoravo con gli occhi e, quando restavo sola, cercavo di ricordare ogni particolare del suo viso: le sopracciglia folte, il neo accanto all'orecchio destro, quella chiara cicatrice sulla tempia. Avrei fatto follie per lui, ma, caratterialmente timida e riservata, mi sono convinta del suo disinteresse per me. Pensavo che la nostra amicizia sarebbe andata in frantumi se lui, rifiutatami, avesse trovato difficoltà nel parlarmi, se si fosse sentito a disagio e avesse messo in discussione ogni mio sorriso, ogni abbraccio. La verità, forse, anzi no, sicuramente, è che mi mancava il coraggio. Ma mi sono sbagliata; anche lui sa fingere bene. Non avrei mai neanche immaginato che potesse amarmi.
"La mia felicità nel non vedere Claudio... entrare in chiesa", continua sorridendomi amorevolmente, "Ho sempre temuto di non essere abbastanza per te, Catia".
E come glielo dico che, ora, non sento né caldo né freddo nel sentire queste parole? Sono una larva inerme, rinchiusa nella sua inconsistente contingenza, separata da tutto e da tutti. Certo che ha avuto un gran coraggio a dichiararsi il giorno stesso delle mie fallite nozze! E sì che accarezza le mie guance con dolcezza, quella infinita dolcezza che un tempo potevo solo immaginare e che adesso sa di anonimo.
"Allora, sono ricambiato?", chiede illuminato, sicuro di una risposta positiva.
Non me la sento di dire un no, non ne ho la forza. Deve essere colpa del Caffè e del suo fastidioso profumo di spezie.
Quattro anni fa lo avrei baciato all'istante, gettandogli le braccia al collo dalla contentezza. Ma oggi non provo niente per lui, e, forse, gli dirò di no, domani.
 
 





 

Nota dell’autrice

Salve! E’ la prima volta che pubblico nella sezione nonsense, ma non ho potuto resistere. Questa che avete letto è una delle storie che ho intenzione di pubblicare in questa raccolta. Sarà una raccolta su anti-eroi. Bizzarra come cosa, ma spero di riuscire a portarla a termine. Che dire?, ringrazio tutti coloro che si sono soffermati per leggere questa storia e spero vi sia piaciuta. Non è niente di che, ma mi ha fatto piacere pubblicarla :)
A presto :)

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Capitolo 2
*** Esperienze ***


-Esperienze-
 

 



Eccola qui, la temuta miss. Kramer. Eccola comodamente seduta sul suo divanetto, tanto vecchio che puzza di cantina. Cosa sta mai facendo? Ah, sì: fissa un punto nel vuoto, e non un punto qualsiasi, no, un punto preciso. Peccato che lei stessa non sappia cosa sia questo punto, perché è talmente assorta in esso che le è sorto il dubbio che sia un punto, e sta cominciando a considerarlo qualcosa di più. Sola, nel suo piccolo attico sovrastante l'altrettanto piccola casa che sboccia ai margini della cittadina, l'ex-insegnante non sa cosa fare. Io non so cosa fare. Ex-insegnante. Bah! La verità è che io non ho mai insegnato. Per insegnare a quel branco di alunni, che ogni santa mattina affollano la tua aula, devi pur sapere qualcosa; la logica vuole che chi insegni trasmetta un sapere che, a suo tempo, ha fatto proprio con l'esperienza. Già, ecco cosa mi manca, cosa non ho mai posseduto: l'esperienza. Io, per ben quarantacinque anni, ho preso in giro i miei alunni, ho preso in giro me. E mi ritrovo in quest'attico dalle mura ammuffite a fissare un punto, che non è un punto, ma qualcosa di più.
Silenzio. Troppo silenzio. Se non fosse per il mio ormai incostante respiro, si potrebbe a ragione affermare che tutto in questa stanza è inanimato. Anch'io mi sento vuota. Raggiunta la mia età dovrei apprezzare la quiete, la tranquillità della vita isolata e privilegiata della campagna. Eppure non è così; questo silenzio mi è terribile. Forse sono abituata al chiasso dei ragazzi, forse è perché quest'atmosfera è diventata mia compagna negli ultimi cinque mesi dalle mie dimissioni, forse... ma niente è certezza.
Un cigolio rompe il silenzio.
"Miss. Kramer?".
Mi sollevo lentamente, aguzzando la vista nella direzione della voce. Da dietro la porta sbuca una testa grossa e nera. Faccio un altro sforzo per mettere a fuoco. Ma dove diavolo ho lasciato gli occhiali da vista?! Ah, è Richard Thompson, un mio alunno, ex-alunno del quinto anno!
"Cosa sei venuto a fare, Richard? Cosa hai fatto ad Hanna per farla desistere dalla sua postazione di guardia al piano terra", sorrido lievemente, rilassando i muscoli sullo schienale della poltrona.
"Le ho offerto delle caramelle", ride di gusto chiudendo la porta dietro le sue spalle, "Ma non le dica niente, è un segreto".
"L'hai tentata sul suo punto debole, Richard. Tremendamente scorretto!", dico indicandogli la sedia di fronte a me, "Perché non stai studiando, eh? Vogliamo superare finalmente gli esami?".
Lui sospira, alzando le spalle, tirando fuori della tasca un pacchetto di caramelle, che mi offre con cortesia, ed io rifiuto.
"Non sarà un problema! Quest'anno supererò gli esami senza problemi., andrà tutto liscio come l’olio. Dopotutto ho anche l'esperienza dell'anno scorso, sono anche migliorato nelle materie, quindi la fortuna è con me!", risponde gaio, portando una caramella alla bocca e cominciando a succhiarla golosamente.
"Buon per te", annuisco, "Speriamo che vada tutto bene, allora".
Richard scuote energicamente la testa su e giù, per poi ingoiare la caramella e rimpiazzarla subito con un'altra gialla e bella tonda. Di nuovo il silenzio prende il sopravvento sulle anime, e cala, ridestando l'oscurità dell'attico. Richard porta lo sguardo da un angolo all'altro della stanza, soffermandolo infine su quel capriccioso punto, che non è un punto, ma qualcosa di più. Noto che lo fissa con interesse, con curiosità. Probabilmente si starà chiedendo cosa mai esso sia, perché i suoi bordi siano così indefiniti, perché non sia ciò che sembra. Niente è come sembra. Io me ne sono resa conto troppo tardi; se avessi acquisito questa consapevolezza a suo tempo, forse, non mi avrebbe pesato tanto. Strana la vita: quella che è una lieve piuma di passaggio per alcuni può diventare un macigno d'insensatezza per altri.
"Miss. Kramer, perché ha lasciato la sua professione?".
Mi aspettavo questa domanda, ma non immaginavo che avrebbe fatto tremare il mio vecchio cuore. Io, che ho sempre avuto le parole pronte sulla punta della lingua, non riesco a formulare una frase sensata che risponda a Richard. Cielo, è troppo complicato ridurre il tormento di mesi in una sola, misera frase.
"Richard, non potevi formulare una domanda più complicata per mettere in difficoltà la tua insegnante", sospiro sorridendo mestamente, strapazzando nervosamente l’orlo della mia giacchetta di lana.
Lui inarca le sopracciglia, visibilmente confuso, attendendo una risposta.
"Il modo in cui è accaduto mi è sempre sembrato ridicolo e superficiale; insomma, una cosa di poco conto...ma che ha sconvolto il mio equilibrio. Era venerdì pomeriggio, ed io mi trovavo nell'aula, da sola, tutti voi avevate già lasciato la scuola da un'ora, più o meno. Avevo terminato di correggere le vostre verifiche di geografia. Erano un disastro! Tu, invece, sei riuscito a prendere davvero un bel voto. La cosa mi ha sorpreso molto".
Lui mi rivolge un sorriso birichino.
"Certo, miss. Kramer! Mi son dato da fare per recuperare l'insufficienza", chiarisce battendosi il petto con orgoglio.
"Bravo, continua così. Comunque, mentre mi preparavo per lasciare l'edificio, la mia mano, non so come, né perché, si è fermata sopra il mappamondo che poggia sulla cattedra. Madonna, era così freddo sotto la mia mano calda! Forse avevo la febbre quel giorno, ma non me ne feci un problema. Troppo fredda quella superficie di carta! In un attimo, mi sono resa conto che non mi apparteneva. Sciocca, troppo sciocca, mi son detta. E volevo convincermi che non fosse così, allora ho guardato i vari Paesi sopra disegnati: India, Giappone, Francia; tutti luoghi di cui conosco fiumi, catene montuose, città. Basta, ecco, nient'altro. Non so nient'altro, e quel poco che so non l'ho comprovato con la mia esperienza. Il numero di abitanti a Praga non lo potrò mai sapere con precisione. Il clima in tutte le stagioni, le usanze, i costumi, la gente che abita i Paesi, tutto questo e molto più io non lo conosco. Io insegno senza avere l'esperienza di quel che dico. Ho costruito una professione, una vita su basi estranee alla mia essenza, su fonti che non mi appartengono".
"Vuole dire, che lei non ha mai viaggiato?", chiede Richard approfittando della mia pausa, con ingenuità.
"Esatto, io non ho mai viaggiato. Sono sempre rimasta in questo villaggio, ho vissuto qui tutta la mia vita", confermo volgendo lo sguardo al cielo, che comincia a tingersi d'arancio.
"Miss. Kramer, io non la capisco", scuote la testa, "Questo può dirlo per la geografia, ma lei insegna anche italiano, matematica...insomma, perché abbandonare l'insegnamento solo perché non ha visitato luoghi di cui, però, conosce molto?".
"Vedi, senti tutto a me estraneo. È come se, per tutti questi anni, io abbia insegnato a ragazzi come te delle nozioni che per me non sono mai state verità. Oggi, se apro il dizionario e guardo la prima parola, a caso, che mi capita sotto gli occhi, ebbene, anche se so cosa significa, non saprei darne una corretta definizione, non saprei porre un esempio concreto che possa far capire immediatamente ad uno straniero, per esempio, il vero significato del termine", sospiro stanca, "Non mi aspetto che tu comprenda, ma sappi che l'esperienza fa grandi cose, che bisogna coltivare un sapere che non attinga solo dai libri. Bisogna trovare qualcosa che ci appartenga aldilà della quotidianità, delle convenzioni, degli obblighi".
Riposto il pacchetto di caramelle nella tasca, Richard mi guarda con i suoi occhi piccoli e confusi, in procinto di porre un'altra domanda che non raggiunge il mio orecchio.
"È ora che tu torna a casa. I tuoi ti staranno aspettando per la cena. Salutameli, e salutami anche i tuoi compagni, appena li vedi per strada", lo invito a ritirarsi, "E vedi di superare gli esami".
Si alza, mi stringe la mano, con un lieve cenno del capo, senza parlare, lascia la stanza. Lo sento scendere le scale, sento il cigolio del legno sotto le scarpe. Poi, nulla più.
Un'ombra nera penetra dalla finestra e si sdraia sul pavimento, sul tappeto, ingoia il camino, si culla sulla sedia ora vuota, rinfresca l’aria. Infine, una parte di lei viene risucchiata da quel bizzarro punto, che non è un punto, ma qualcosa di più.
 
 








Nota dell'autrice
Ciao! 😊
Ringrazio chiunque si sia fermato a leggere questa nuova storiella!
Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno recensito la prima storia! 😊  
A presto 🌺

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Capitolo 3
*** Troppo, troppo, troppo ***




-Troppo, troppo, troppo-
 
 
 

"Non ti riconosco più. Sarah mi ha chiamato, era preoccupata, e mi ha pregato di parlarti".
Immaginavo che Paul fosse venuto sotto richiesta di Sarah. Siamo amici dai tempi del college, ma adesso che la sua ombra si staglia sulla parete vuota provo solo disgusto.
"Si può sapere che diavolo ti prende?! Perché la tua ragazza piange in continuazione parlando al telefono con Marika? Cosa le hai fatto? Sono giorni che non ti vedo in giro con lei e mi dai da pensare", continua Paul pensieroso, "E smettila di bere! Il whisky ti darà alla testa... se non l’ha già fatto".
Sollevo il naso dal forte odore dell'alcolico e punto gli occhi sul tappeto, bordato dagli sprazzi di luce che penetrano dalla tapparella.  Mi piace l'odore del whisky: è abbastanza forte da intorpidire i miei sensi. E questo voglio: perdere la lucidità, non pensare. Sorrido. Tutto ciò mi ricorda il Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare di Leopardi. Il genio, rivolgendosi al povero Tasso rinchiuso in cella, gli suggerisce alcuni rimedi per far fronte alla noia: sonno, dolore ed oppio. Tutti atti ad intorpidire la coscienza ed il pensiero, nati per distogliere la mente dai problemi di tutti i giorni.
"Io non le ho fatto niente di male", rispondo, "Sto solo cercando di proteggerla".
Lui mi guarda stranito, infila le mani nelle tasche dei pantaloni e tira un sospiro per calmarsi.
"E ti sembra normale che pianga e dica a Marika che tu non l'ami più? Questo dice: non mi ama più e non so perché", poggia i palmi delle mani sul tavolino, contro il muro, "Spiegami".
Poso il bicchiere vuoto per terra, accanto alla bottiglia mezza piena. La luce avvolge il bicchiere e si riflette tenue sul parquet. Essa è troppo debole per destare il mio sguardo stanco e, rassegnato, lo rivolgo al mio amico.
"Va bene, ti spiegherò tutto".
Annuisce serio e tira fuori una sigaretta. Vedo una lucina rossa comparire nell'ombra della stanza ed una nuvoletta di fumo volteggiare poco dopo più in alto, all'altezza della testa del mio amico.
"Anche oggi, come ieri, come due giorni fa e l'altra settimana, le ho detto di non venire a trovarmi. Avverto il suo silenzio preoccupato al telefono, ma non posso agire diversamente. Non posso spiegarle. La verità è che -e non darmi del pazzo- ogni volta che la vedo sento l'impulso di ingoiarla".
Vedo chiaramente che Paul corruga la fronte e permette alle sopracciglia di avvicinarsi, unendosi in un’unica linea sul naso.
"In che senso?".
"È cominciato tutto pian piano. Ci conoscemmo due anni fa, in piena estate. Ci scontrammo sul binario 12 della stazione di Verona. Lei correva per non perdere il treno che l'avrebbe ricondotta a casa, io scendevo; ero di ritorno dal lavoro a Bologna. Cominciammo ad incontrarci prima sulla stazione, poi nella città stessa. Le affinità tra di noi trasformarono l'amicizia, cresciuta col tempo, in amore. Mi innamorai subito di lei. Mi piaceva tanto. Amavo -ed amo- ogni cosa di lei: i suoi capelli trattenuti dietro le orecchie, le mani piccole e sempre gelate, l'abitudine di sedersi poggiando i piedi sul divano. Ogni suo pensiero si è sempre sposato perfettamente con il mio. Sono rimasto sorpreso da questa complementarità, ho creduto di aver trovato la ragazza perfetta. Con il nostro primo anniversario di fidanzamento le proposi di passare l'estate con me, nella mia casa al mare. Era tutto meraviglioso, lei era meravigliosa. Mi sono perso dietro di lei, dietro la sua infinita dolcezza. Allora accadde. Pensavo sempre a lei, desideravo passare il tempo solo con lei. Anche a lavoro, anche alle conferenze con vari clienti, cominciavo a fissare il vuoto e le immagini di lei si succedevano ballando nell’aria, talvolta sostituivano i diagrammi sul proiettore. Per le strade, ogni cosa, anche la più stupida, come una commessa che pulisce la vetrina di un negozio, mi portava alla mente Sarah. La vedevo spolverare l’ampio tavolino di casa sua, porvi sopra un vassoio di cioccolatini e sorridermi invitandomi a sedermi vicino a lei. Temetti di essere impazzito. Te ne parlai, ricordi?: mi dicesti che i miei sentimenti erano più che normali se ero innamorato e che mi sarei dovuto preoccupare del contrario. Per un po' di tempo mi convinsi delle tue parole e mi legai ancor di più a lei. Non sarebbe mai dovuto accadere. Capii che l'amore che provavo era troppo profondo, troppo, troppo profondo e mi spaccava dentro. Mentre mi beavo delle sue dolci attenzioni, dei suoi abbracci, delle suoi baci, sentivo crescere in me il folle desiderio che diventasse parte della mia essenza. Doveva diventar parte del mio corpo, eterna, parte di me, che avvertivo un vuoto incolmabile. E come avrei potuto far ciò? Come posso far ciò? Devo ingoiarla; lei deve scendermi giù per la gola e piantare radici nel mio cuore. Lei, con la sua delicata vita, le sue braccia, i suoi lisci capelli... Solo in questo modo i nostri corpi potranno fondersi ed essere un tutt'uno. Solo così potrò sentirla totalmente mia".
Paul si lascia cadere sul tappeto, si siede con la schiena contro il tavolo ed allunga le gambe. Poggia le mani sul basso ventre ed intreccia le dita.
"Martin, ti rendi conto di quello che hai detto?", chiede fissandomi impassibile, "È un'assurdità. Non puoi far una cosa del genere".
"Lo so", gli sorrido amaramente, "È per questo che Sarah non deve più vedermi".
Sentiamo dei passi provenire dalle scale del condominio. Paul spegne la sigaretta nel posacenere e mi lancia un'occhiata curiosa.
"Aspettavi qualcuno?".
Ma io non rispondo. Annuisco in silenzio e mi accarezzo le guance, incontrando la barba di due giorni che le rende ruvide al tatto.
Ha le chiavi di questa casa, sono stato io a dargliele. Sarah.
I passi si fermano. Scorgo un’ombra sottile penetrare nello spiraglio tra il pavimento e l'orlo della porta. Essa ha un leggero tremito, si calma, ed io sento la chiave entrare a fatica nella toppa. Riprendo il bicchiere e mi verso dell'altro whisky, mentre sul viso di Paul si dipinge un terrore contenuto.
Se entra la ingoio, non potrò fermarmi. Le dimostrerò tutto il mio amore.
 
 








 

Nota dell’autrice

Salve! :)
Ringrazio tutti coloro che si saranno soffermati per leggere questa brevissima storiella. Spero vi sia piaciuta.
Non datemi della pazza. L’idea mi è venuta a motivo di un pensiero che a volte ha sfiorato la mia mente e che durante una lezione a scuola è stato come confermato da una frase. La frase: il corpo è per gli amanti contemporaneamente ciò che li unisce e ciò che li divide.
Bene, ringrazio infinitamente e di cuore i cari scrittori che hanno recensito le mie precedenti storie! 🌺
A presto :)

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