Viaggio nel tempo di LizardQueen96 (/viewuser.php?uid=943928)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La soluzione ***
Capitolo 2: *** Cambio di programma ***
Capitolo 3: *** Sbarco su Vegeta-sei ***
Capitolo 4: *** Appuntamenti ***
Capitolo 5: *** L'allenamento ***
Capitolo 1 *** La soluzione ***
*Ci
tengo a precisare che questa storia è ambientata in
Dragon Ball GT, precisamente dopo lo scontro con Baby. Tuttavia sono
state
alterate alcune componenti, in modo particolare
l’età dei personaggi.
Vegeta-sei sarebbe esploso infatti all’epoca in cui Vegeta
era soltanto un
bambino, e Pan all’inizio del GT dovrebbe avere
all’incirca 14 anni. Ho
cambiato l’età dei personaggi per far combaciare
le vicende che leggerete nel
caso in cui decidiate di seguirmi :)
(Goku,
ovviamente, non è mai tornato bambino.)
_______________________________________________________________________
Una
dannata festa. Un’altra. Non ci si sarebbe mai abituato a
quel ridicolo pianeta
…In modo particolare sarebbe rimasto per lui eternamente un
arcano mistero sapere
cosa diavolo avessero sempre da festeggiare quegli stupidi terrestri.
Nervosamente
si rigirò la testa sul cuscino. Non era decisamente
dell’umore adatto per
sorbirsi tutto quel fracasso. In realtà era piuttosto raro
che il suo umore
fosse adatto a qualcosa di diverso dagli allenamenti o dai pasti
quotidiani, ma
quel giorno il Principe dei Saiyan era afflitto in modo particolare,
per un motivo
che lui stesso non era in grado di spiegare.
Eppure
forse non era poi così difficile immaginare il nome da dare
a quell’assurdo
senso di incompletezza e di vuoto che gli albergava
nell’animo. Il solito,
dannato nome che non faceva altro che martellare nella sua mente ogni
qual
volta essa si ritrovasse a bruciare d’ira.
Kakaroth…
Uscito
vittorioso da un nuovo scontro. Un nuovo scenario
dell’universo lo aveva visto
trionfare, in una sua nuova splendente trasformazione.
Se
ai
tempi dello scontro con Cell, o a quelli dello scontro con Majin Bu
quella
misera, stramaledetta terza classe era stata solo di un passo davanti a
lui
questa volta gli aveva letteralmente fatto mangiare la polvere.
Quel
lurido
dannato bastardo era riuscito a trasformarsi in un Super Saiyan di
quarto
livello, rendendolo nuovamente la sua stupida, insignificante, mediocre
ombra. Quasi
come se avesse voluto mettere in evidenza la propria
superiorità, coronare
nuovamente, in maniera definitiva questa volta il proprio ruolo, ormai
indiscusso, di “Numero Uno”.
E
cos’avrebbe dovuto fare a questo punto il cinico, malvagio,
orgoglioso principe
Vegeta? Starsene seduto con le mani in mano, a strafogarsi delle
prelibatezze
della sua eccentrica suocera mentre quella massa di plebe inutile che
costituiva quella che era ormai diventata la sua assurda compagnia si
divertiva
a festeggiare per un motivo che eternamente gli sarebbe rimasto oscuro?
Una
nullità. Un’inutile deplorevole
nullità. Ecco come si sentiva.
Aveva
creduto di essercisi abituato. Di aver accantonato l’odio e
ogni desiderio di
vendetta, accettando il ruolo che il mondo gli aveva destinato.
Si
era
abituato ad avere una vita normale. Aveva visto crescere i suoi figli,
era
cresciuto insieme a loro. Li aveva visti trasformarsi, perdere
gradualmente la
loro innocenza infantile, vivere i problemi dell’adolescenza.
Aveva
amato sua moglie, l’aveva vista invecchiare al suo fianco.
Aveva vissuto
accanto alla sua famiglia, voltando definitivamente le spalle a tutto
ciò che
era stato.
Aveva
tradito inesorabilmente tutto il trascorso della propria vita, tutto
ciò che lo
aveva forgiato per essere il Vegeta che tutti avevano imparato a
conoscere e
temere. L’orgoglioso principe dei Saiyan. Colui che con un
solo sguardo gelido
era in grado di incutere il terrore più nero.
Non
era certo del fatto che ciò che ne era stato del vecchio,
autentico Vegeta
fosse stato un bene. Il Principe non ne era mai stato convinto fino in
fondo,
ma del resto, non aveva avuto molte occasioni per preoccuparsene
troppo. Il suo
cambiamento era avvenuto in maniera graduale, e aveva travolto e
coinvolto ogni
infinitesimale parte del suo essere, senza che tuttavia lui fosse
perfettamente
consapevole di ciò che gli stava accadendo.
Ma
in
qualsiasi caso il vecchio Vegeta non avrebbe accettato di rimanere
segregato a
lungo in uno squallido, solitario scomparto della sua mente. Coglieva
ogni
buona occasione per sgattaiolare fuori dal dimenticatoio e
scombussolare la sua
vita, diventata a discapito di ogni possibile immaginazione pacifica e
tranquilla. A scombussolare i suoi pensieri, facendogli desiderare
ardentemente
di tornare ad essere ciò che era stato, ciò che
mai in fondo avrebbe smesso di
essere. Vegeta, spargitore di sangue, principe di tutti i Saiyan.
Ma
i
tempi in cui avrebbe fatto tremare il cuore a chiunque erano
miseramente volati
via, questo, che lo accettasse o meno, era inesorabilmente un dato di
fatto.
Tutti
coloro che aveva intorno avevano preso a considerarlo uno del gruppo.
Uno di
loro.
E
lui
non si era ribellato. Nonostante avesse, all’insaputa di
tutti, continuato
disperatamente a tentare di dimostrare a se stesso, al mondo intero
quanto
questa convinzione fosse stupida e priva di fondamenta concrete.
A
volte si sentiva scoppiare dentro quella situazione.
Quasi
gli pareva di urlare dentro una stanza piena di gente senza che nessuno
riuscisse a sentirlo.
Neppure
Bulma era mai stata capace di capire. L’aveva amato, aveva
accettato ogni singola
parte del suo essere, ogni sua iniziativa, ogni sua scelta, giusta o
sbagliata
che fosse.
Ma
non
si era mai cimentata nell’ardua missione di scavare nei
profondi abissi del suo
oscuro cuore per riuscire a comprendere cosa si celasse nel suo animo
perennemente tormentato. Non era stata in grado di farlo. Non ne era
stata
capace neppure lei, l’unica donna sulla faccia
dell’universo che mai avesse
osato offrirgli il suo amore.
Si
sentiva solo. Nonostante l’affetto costante della sua
famiglia. Nonostante
l’incosciente, immotivata fiducia dei suoi amici.
Terribilmente solo. Solo come
era sempre stato. Solo com’era dal giorno in cui il destino
gli aveva strappato
dalle mani il suo futuro …
Avrebbe
dovuto essere un grande re. Questo era il destino già
scritto per ogni principe
dei Saiyan. Essere
un grande sovrano,
temuto a stimato, un grande distruttore di pianeti e di stelle, il
potenziale
padrone dell’universo intero. Il fantomatico, mitico Super
Saiyan.
Ma
paradossalmente il destino avverso, suo eterno e unico compagno
d’avventure,
non aveva permesso che ciò si avverasse. Anzi, a dire il
vero non aveva avuto
la premura di riservargli nulla di buono. Lo aveva catapultato lontano
da ogni
brama di potere, sotto le grinfie di un mostro che aveva osato renderlo
suo
schiavo.
E
la
sua schiavitù non aveva conosciuto la fine neppure dopo la
sconfitta del potente
e malvagio tiranno. Da allora era stata la perpetua ossessione a
renderlo
schiavo, a fargli perdere completamente il lume della ragione.
A
condurlo senza meta in un baratro inesorabile.
Fino
a
quando non si era arreso per lo meno. Fino a quando lui, il grande
principe
Vegeta, non aveva chinato la testa di fronte alla propria sconfitta.
Fino a
quando non aveva gettato la spugna, accettando la propria triste
condizione
senza riscatto di eterno secondo.
E
si
era rassegnato definitivamente a quello che evidentemente era il suo
destino.
Fingere
di vivere, continuare ad attendere. Attendere un riscatto che non
sarebbe mai
arrivato.
::::::::::::::::::::::::::::::::
“Vegeta!!!!!
Tesoro scendi, i nostri invitati stanno arrivando, non vorrai farti
trovare in
pigiama spero!!”
Il
principe dei Saiyan rispose emettendo un grugnito. La voce stridula
della
moglie lo aveva ridestato dai propri pensieri catapultandolo nuovamente
nella
monotona realtà che gli era quotidiana.
E
quella mattina gli pareva ancora più fastidiosa del solito.
Si
infilò in fretta la battle suit per evitare di essere
nuovamente richiamato
dalla moglie. Ma non avrebbe festeggiato. Non avrebbe finto che tutto
ciò che
di sciocco e inutile gli stava intorno gli si addicesse. Non quella
mattina per
lo meno.
Il
suo
atroce stato di frustrazione si sarebbe mitigato soltanto attraverso
uno
spossante allenamento. Che lo spronasse a sentirsi nuovamente il
migliore, il
numero uno.
Era
il
grande principe dei Saiyan. Avrebbe raggiunto presto il livello del suo
infimo
sottoposto. Qualsiasi vertice avesse raggiunto Kakaroth il principe
Vegeta non
sarebbe stato da meno. Sapeva perfettamente di avere tutte le carte in
regola
per poterlo nuovamente guardare dall’alto, com’era
stato la prima volta che si
erano incontrati. E a quel punto avrebbe raccolto i frammenti del suo
orgoglio
di guerriero, del suo onore di principe per poterne assemblare i pezzi
alla
perfezione e tornare finalmente ad essere ciò che era.
Meccanicamente
si infilò gli stivali e i guanti bianchi e, ormai pronto per
la giornata di
allenamento, si fermò ad osservare la propria immagine
riflessa nello specchio.
Un
uomo devastato. Ecco ciò che si era mostrato ai suoi occhi.
Dal
suo sguardo accigliato trasparivano unicamente glaciale indifferenza e
profondo
disprezzo per ogni cosa che gli si trovasse intorno.
Solo
chi si fosse soffermato più a fondo avrebbe potuto scorgere
nei suoi profondi e
impenetrabili occhi di pece la sofferenza che vi si celava. La
sofferenza di un
uomo che, per tutta la durata della sua vita era stato percosso da
mille ferite,
fisiche ed emotive, a partire da quando era soltanto un misero
moccioso.
Non
gli era mai stato concesso il calore di un abbraccio, la spensieratezza
di un
gioco, l’allegria di una vita senza pensieri e
responsabilità. La vita lo aveva
forgiato per essere ciò che era diventato fin troppo presto.
Troppo prima di
essere pronto a rinunciare alla serenità che gli spettava di
diritto per
dedicarsi ai doveri che si addicono ad un guerriero mercenario. Ad una
schiavitù destinata a durare fin troppo a lungo.
Il
principe inspirò profondamente e distolse lo sguardo dalla
propria immagine
riflessa. Si ritrovò a pensare che, senza ombra di dubbio,
se il suo pianeta
non fosse stato miseramente ridotto in un ammasso informe di polvere
cosmica il
suo destino sarebbe stato ben diverso. Mai e poi mai sarebbe stato
costretto a
rinunciare a se stesso per rendersi conforme ad una realtà
di cui non aveva mai
fatto parte fino in fondo. Di certo quel senso di frustrazione non
avrebbe mai
avuto ragion d’essere nel suo cuore.
Ad
occhi chiusi varcò lentamente la soglia della propria camera
da letto e prese a
scendere le scale.
“Vegeta
ti avevo chiesto di prepararti, perché hai messo la battle
suit? Non avrai
intenzione di allenarti anche oggi spero!!”
“E
invece è proprio così. Non ho nessuna voglia di
partecipare a questa stupida
festa. Non smetterò mai di chiedermi cos’abbiate
sempre da festeggiare voi
terrestri.”
Freddamente,
senza distogliere lo sguardo dal vuoto tentò di percorrere
senza essere
ulteriormente disturbato il breve tragitto che lo separava dalla
Gravity Room.
Ma,
come del resto era nelle sue aspettative, la moglie lo fermò
afferrandolo per
una mano.
“Non
se ne parla nemmeno Vegeta. Avevi promesso di partecipare alla mia
festa,
perciò adesso fila subito in camera da letto e vestiti
decentemente. Dopodiché
scendi di nuovo qui e dammi una mano con i preparativi. A breve
arriveranno
tutti gli invitati, e non voglio certo rischiare di farmi cogliere
impreparata!”
Bulma
si scosse vanitosamente i capelli, pienamente convinta che la
risolutezza con
la quale aveva espressamente formulato il proprio ordine sortisse nel
marito
l’effetto desiderato, com’era ormai diventata
consuetudine da un paio di anni a
quella parte.
L’obbedienza.
Certo,
Vegeta avrebbe sbraitato un po’, come gli era solito del
resto. In fondo era
pur sempre il principe dei Saiyan, no? Ma alla fine tutto sarebbe
filato come
era lei a volere che fosse.
Di
certo non sarebbe rimasta ferma sulle proprie ferree convinzioni se
avesse
notato il notevole mutamento di espressione che si era fatto largo sul
viso del
marito.
Il
Principe infatti digrignava i denti e stringeva i pugni, in preda
all’ira e
alla frustrazione. Le vene pulsavano frementi sulle sue tempie, il
volto era
divenuto paonazzo. Inesorabilmente stava per esplodere. E non si
sarebbe
trattenuto.
“TACI
STUPIDA DONNA!! Non sei nelle condizioni di incutermi timore,
né tantomeno di
impartirmi ordini sono stato chiaro?! Non parteciperò a
questa tua stupida
festa, e ciò che decido di fare della mia giornata non sono
affari che ti
riguardano. E adesso levati dalle palle e lascami passare. Devo andare
ad
allenarmi.”
Donna…
Erano
anni che Vegeta non si rivolgeva a lei con quell’appellativo
che tanto in
passato l’aveva fatta infuriare. Credeva addirittura di aver
rimosso dalla
mente l’essere malvagio e scorbutico che Vegeta era stato
durante i primi tempi
della loro convivenza.
Così
allibita e addolorata lasciò gradualmente la presa sulla
mano del marito, il
quale, senza minimamente degnarla di uno sguardo che lasciasse
trasparire anche
soltanto il minimo accenno di un qualsiasi sentimento,
affinché potesse sperare
che si fosse trattato unicamente di un equivoco, si
allontanò da lei, e
lentamente com’era arrivato si diresse verso
l’uscio di casa richiudendosi la
porta alle spalle.
Profondamente
scossa la turchina si abbandonò sul freddo pavimento
dell’ingresso, lasciando
scorrere lungo le rosee gote tante lacrime salate, senza preoccuparsi
del fatto
che presto il mascara avrebbe formato un tutt’uno col suo
viso incipriato.
Continuava
a chiedersi senza riuscire a darsi una risposta soddisfacente cosa
potesse
essere successo al suo Vegeta. Quali fossero i tormenti che avevano
preso a
intasargli nuovamente il cuore e l’anima, tanto da renderlo
incredibilmente
simile al mostro sanguinario al quale senza un apparente motivo aveva
offerto
tutto ciò che era in suo possesso.
“Perché
Vegeta? Perché? Cosa può esserti successo amore
mio?”
Le
lacrime bruciavano calde sopra le sue guance. Ma ciò non le
impedì di alzarsi
comunque e di smettere di piangere. Asciugandosi velocemente il viso la
turchina si alzò dal pavimento e si diresse in cucina per
ultimare gli ultimi
preparativi e accogliere i propri ospiti in maniera decorosa.
Non
avrebbe permesso che quella giornata andasse a rotoli. La sua festa
sarebbe
stata perfetta, esattamente come era nelle sue aspettative. Con o senza
la
presenza di quello stupido scimmione dal cuore di pietra.
::::::::::::::::::::::::::
In
breve tutti gli invitati arrivarono alla Capsule Corporation, e la
rimpatriata ebbe
finalmente inizio.
L’allegria
del gruppo era più che mai contagiosa e palpabile.
L’intero enorme giardino
della Capsule Corporation brulicava di gente giubilante, che si godeva
a pieno
la spensieratezza del meritato periodo di pace in seguito
all’incubo vissuto a
causa di Baby.
Gli
adulti
conversavano piacevolmente mentre i ragazzi, contenti di essersi
nuovamente
ritrovati in un’occasione diversa da una catastrofe cosmica,
si scambiavano
allegramente il resoconto delle proprie imprese sentimentali.
I
piatti e i bicchieri erano vuoti, le copiose quantità di
alcool ingurgitato
cominciavano a dare il loro effetto, movimentando piacevolmente quella
che di
per sé era già stata una festicciola riuscita
alla perfezione.
Paradossalmente
l’unico componente della combriccola a non condividere quella
comune allegria
pareva essere proprio Bulma.
Quel
dannato scimmione, quelle sue glaciali parole, non facevano altro che
ripercorrere la sua mente ad ogni istante che la donna passava
inconsciamente
ad attendere che quel maledetto portellone si aprisse, permettendole di
intravedere la figura dell’uomo che tanto amava con il volto
sereno,
riappacificato con se stesso e con il mondo.
Ma
lui
non si era presentato alla fine. Neppure per il buffet. E lei credette
di
conoscere perfettamente il motivo che lo aveva spinto a comportarsi in
quel
modo assurdo.
Goku.
O meglio, il Super Saiyan di Quarto Livello. Probabilmente Vegeta
viveva uno
dei suoi soliti, ricorrenti complessi di inferiorità. E se
le cose stavano
davvero così per lei non ci sarebbe stato molto da fare.
Avrebbe solo dovuto
attendere che sbollentasse, da solo, lontano da ogni forma di
pressione. E il
giorno in cui quel momento fosse finalmente arrivato lo avrebbe
nuovamente accolto
tra le sue braccia, come ogni volta, perdonandogli istantaneamente
tutto ciò
che in preda alla rabbia avesse detto.
Sperava
soltanto che questo caso non fosse diverso dagli altri. E che quel
momento si
decidesse ad arrivare al più presto.
Tra
questi pensieri Bulma Briefs osservava senza troppo interesse uno
spiedino che
teneva tra le dita da ore ormai.
“Mamma
che cosa c’è?”
La
voce squillante della figlia la riscosse dai suoi tristi pensieri
riportandola
bruscamente alla realtà. Quell’interruzione
improvvisa l’aveva spaventata,
infastidita quasi. Poiché avrebbe preferito di gran lunga
che la sua tensione
emotiva non fosse così evidente.
Non
riusciva
a sopportare l’idea che gli altri la considerassero fragile e
vulnerabile
vedendola in quello stato. Semplicemente perché lei per
tutta la durata della
sua vita aveva dato continue prove concrete di essere esattamente il
contrario
di ciò.
Tuttavia
allo sguardo carico di apprensione della figlia non poté
fare a meno di
rispondere con un sorriso malinconico.
“Oh
mamma è per papà? Davvero ti aspettavi che
avrebbe partecipato? Sai
perfettamente quanto detesti queste cose!!”
Bulma
sorrise nuovamente, cercando di convincere se stessa del fatto che la
figlia avesse
ragione. Sperò con tutto il cuore di avere male interpretato
la piccola
sfuriata del marito, sperò vivamente che quella piccola
scenata fosse stata
dettata unicamente dal nervosismo, dall’impulso, e che non vi
fosse sotto nulla
di grave per cui valesse la pena continuare a preoccuparsi.
In
fondo perché mai l’aveva presa così
male poi? Conosceva perfettamente
l’individuo con il quale aveva a che fare, ed era consapevole
di quello che
sarebbe stato l’evolversi delle cose fin dal momento in cui
aveva scelto di
ospitarlo in casa propria. E quando si era resa conto di ciò
che la legava a
lui conosceva alla perfezione tutti i rischi ai quali sarebbe andata
incontro.
E
aveva deciso di rischiare.
Non
lo
aveva fatto per tutta la durata della sua vita del resto, nel bene e
nel male?
Credeva
di essercisi abituata. Aveva sempre creduto di poter far fronte a
tutto. Perché
era sempre stata una donna forte, Bulma.
Ma
non
poteva mentire spudoratamente persino a se stessa.
Vero,
ci aveva fatto l’abitudine a Vegeta e a tutti i suoi
difettacci in un lasso di
tempo considerevolmente breve. Ma ci aveva fatto anche
l’abitudine da molto
tempo a quella parte ormai, a considerarlo diverso. A considerare morto
definitivamente il crudele soldato mercenario che aveva spezzato senza
neppure
il minimo accenno di pietà o di risentimento innumerevoli
vite innocenti, il
sadico bastardo che l’aveva abbandonata al proprio destino
mentre portava in
grembo il suo stesso primogenito.
Credeva
che fosse cambiato, anzi si era abituata ormai ad esserne certa, a
considerarlo
come un dato di fatto. Ma evidentemente si era sbagliata.
I
mostri non si redimono.
“Non
ha neppure toccato cibo... Bra, tesoro che ne diresti di portargli
qualcosa da
mangiare?
La
giovane sorrise di fronte alla tenera apprensione della madre.
“Ma
certo mamma.” Pronunciate appena percettibilmente queste
parole le si avvicinò
e le stampò un tenero bacio su una guancia nel tentativo di
sollevarle il
morale, per poi dirigersi a passo spedito verso il buffet.
Dopo
aver riempito un intero vassoio con ingenti quantità di cibo
si avviò verso la
Gravity Room, sperando vivamente di trovarvi un principe dei Saiyan che
non
fosse di umore pessimo.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
L’allenamento
era ormai nel pieno del proprio corso, e lo aveva coinvolto a tal punto
da
renderlo quasi dimentico di tutto ciò che avveniva intorno a
lui, di tutto ciò
che lo aveva reso intrattabile fino a qualche ora prima. Cominciava a
rilassarsi. Sentiva gradualmente distendersi i muscoli, regolarizzarsi
il
battito cardiaco, allontanarsi quel senso di frustrazione, rabbia e
nervosismo
che lo avevano tenuto prigioniero fino a poco tempo prima. Il suo cuore
colmo
d’ira aveva cominciato finalmente a sbollentare grazie ad un
allenamento strenuo
e spossante, dimostratosi il suo unico possibile amico nei momenti bui
della
sua triste e tormentata esistenza.
Improvvisamente
tuttavia il Principe dei Saiyan fu nuovamente catapultato nella
realtà
quotidiana che tanto aveva preso a detestare nel momento in cui un
anonimo,
dannato seccatore aveva deciso di interromperlo aprendo il portellone
della
Gravity Room, e causando la conseguente reimpostazione della
gravità normale.
Riconobbe
in breve la piccola aura dell’anonima seccatrice che,
chissà per quale
misterioso motivo, aveva deciso di raggiungerlo fin lì per
importunarlo. Così
senza neppure voltarsi a guardarla le parlò con fredda
risolutezza, sperando di
invogliarla a lasciare il più presto possibile il proprio
rifugio, qualsiasi
fosse il motivo per il quale avesse deciso di recarvisi.
“Beh,
che vuoi mocciosa? Sai perfettamente che non voglio essere disturbato
quando
sono qui, perciò fai in fretta a girare i tacchi e lasciami
allenare in santa
pace una buona volta.”
La
piccola Briefs digrignò rabbiosamente i denti, assumendo
un’espressione che la
rese molto simile a suo padre.
E
probabilmente
era questo il suo peggior difetto in assoluto. Essere la piccola
fotocopia
turchina del principe dei Saiyan, avendo ereditato
l’adorabile caratterino di
suo padre. Fu questo il motivo primordiale che la spinse a non
trattenersi.
L’impulsività che unicamente la sua
eredità di Principessa dei Saiyan potesse
avergli conferito.
Bra
sbatté rabbiosamente il vassoio che reggeva tra le mani
sulla superficie piana
che ospitava i comandi della stanza gravitazionale del padre, senza
minimamente
preoccuparsi del dispendio di lavoro che sarebbe toccato a lei e sua
madre nel
caso in cui uno di quegli stupidi marchingegni si fosse rotto.
“Tsk.
Siamo di cattivo umore oggi eh papà? Beh sappi che non me ne
importa niente.
Non è un buon motivo per cui prendersela con il mondo
intero, e in modo
particolare con chi si preoccupa di portarti qualcosa da mangiare. Beh
sai che
ti dico? Restatene pure qui a corroderti l’anima, io giro i
tacchi come mi hai
gentilmente consigliato, e me ne torno tra coloro che sanno
divertirsi.”
La
giovane turchina si scosse i capelli con leggiadria e lentamente si
accinse a
varcare nuovamente la soglia della Gravity Room. Appena in tempo per
sentire
distintamente i malcelati borbottii del padre.
“Questa
poi…”
La
piccola Bra avrebbe voluto restar lì. Avrebbe voluto sentire
il proseguo di
quelle parole, delle quali non era stata in grado di capire il senso.
Cosa
stava a significare “Questa
poi”? A
cosa stava facendo riferimento suo
padre con quelle parole?
Ma
nonostante
la morbosa curiosità la fanciulla non diede segni di
ripensamenti. Risoluta e
indispettita com’era partita aveva continuato il proprio
tragitto di ritorno,
senza mostrare il proprio impellente desiderio di restare ancora
lì a
cancellare dal cuore i propri dubbi parlando con suo padre.
Con
uno sguardo pieno di dubbiosa inquietudine Bra si richiuse il
portellone dietro
le spalle, e le parve quasi di sentirsi pesare addosso la rabbiosa
reazione di
suo padre.
“Non
ha nemmeno diciotto anni, e già persino quella sciocca
mocciosa mi mette i
piedi in testa. Se il mio pianeta non fosse andato in mille pezzi le
cose sarebbero
state diverse, ne sono sicuro.”
Avrebbe
preferito non sentire nulla. Avrebbe di gran lunga preferito vivere col
dubbio
anziché avvertire distintamente
quell’insopportabile fitta di dolore
all’altezza del petto che quelle dannate parole, cariche
d’ira e di
risentimento, gli avevano causato.
Ogni
singola parola di quel discorso parve scolpirsi indelebilmente sulle
pareti del
suo giovane cuore, nel momento esatto in cui era stata pronunciata. Di
certo
non avrebbe potuto dimenticare ciò che aveva appena
origliato da dietro quella
porta.
La
piccola Bra, nonostante la propria ben nota indolenza nei confronti del
mondo ebbe
prima di ogni altro la ferrea, improvvisa consapevolezza di
ciò che da tempo
avrebbe dovuto essere chiaro agli occhi di tutti.
Suo
padre non era felice.
Non
era felice accanto a loro.
Probabilmente
non lo era mai stato. Probabilmente continuava a stramaledire dentro di
sé il
momento in cui aveva messo piede su quel pianeta. Cos’altro
avrebbe dovuto
pensare in fondo la piccola Briefs di fronte alla concreta certezza del
fatto
che suo padre si fosse addirittura ritrovato a rimuginare sul suo
lontano
passato, a desiderare che le cose fossero andate diversamente?
Non
riusciva a crederci. Ed effettivamente non ci avrebbe creduto neppure
per un
momento se a testimoniare non fossero state le sue stesse orecchie. Non avrebbe mai immaginato
infatti che suo
padre avesse desiderato per se stesso che il suo destino fosse diverso
rispetto
a ciò che era stato.
Si
sentì triste. Incontenibilmente triste. Ebbe la voglia
incolmabile di
sprofondare in un baratro infinito senza possibilità di
risalita, poiché
qualsiasi cosa avrebbe preferito la piccola Bra ad un colpo del genere
dritto
al cuore.
La
risolutezza che l’aveva caratterizzata e resa spavalda fino a
qualche istante
prima era del tutto svanita. Così a passo lento, trascinando
a stento un piede
dopo l’altro fece malinconicamente ritorno in giardino, dove,
riuniti intorno
al buffet si trovavano ancora tutti gli altri invitati.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Hey
principessina come mai sei così silenziosa?”
Sentenziò bonariamente Goten.
Bra
lo
guardò dritto negli occhi. Lo sguardo della giovane
trapelava tristezza
incontenibile, una malinconia che di certo non gli era abituale. Ma
aveva
bisogno di sfogarsi, e il più giovane della famiglia Son era
di certo il
miglior confidente che si potesse desiderare. L’avrebbe
capita e consolata,
sarebbe stato una buona spalla su cui piangere.
In
modo particolare dal momento in cui tra loro era nata, quasi del tutto
spontaneamente, un’amicizia genuina e sincera.
Così tante lacrime cominciarono
a sgorgare dai suoi grandi occhi turchini, scorrendole lente lungo le
gote
rosee.
Il
giovane Goten, rimasto spiazzato di fronte a quella reazione del tutto
inaspettata da parte di una ragazza orgogliosa e cocciuta come Bra non
riuscì a
trovare parole per regalarle la consolazione necessaria a lenire quel
dolore di
cui non conosceva l’origine, così con sguardo
carico d’apprensione le cinse i
fianchi con le mani e la strinse contro il proprio petto marmoreo. Le
avrebbe
dato il conforto di cui aveva bisogno, sarebbe stato lo sfogo di cui
necessitava.
Questo
ed altro per la sua piccola, arrogante amica del cuore.
“Oh
Goten!”
La
ragazza si accoccolò con maggiore forza al petto del giovane
mezzosangue, e
cominciò a singhiozzare senza ritegno, cercando conforto tra
le sue braccia,
rifugiandosi nel suo profumo di buono.
Tentando
invano di levare via dal proprio giovane volto quelle stramaledette
lacrime
amare decise di dare libero sfogo ai propri tormenti, nella speranza
che fosse
utile a farla sentire meglio.
“Mio
padre… E’ soltanto un mostro. Mi ha trattata male
senza motivo, e mentre andavo
via gli ho persino sentito dire che le cose sarebbero state sicuramente
migliori se il suo pianeta non fosse esploso… Te ne rendi
conto Goten? Questo
significa che non è felice di essere qui sulla Terra insieme
a noi! Che avrebbe
preferito essere altrove, a continuare a fare tutto ciò che
di deplorevole ha
sempre fatto! Non gliene importa nulla di noi capisci?”
Dopo
aver pronunciato queste parole sentì il dolore
all’altezza del petto farsi
ancora più fitto e insopportabile. Incurante ormai del
trucco che macchiava per
intero la candida pelle del suo viso continuò a piangere sul
petto di Goten, il
quale per tranquillizzarla aveva preso ad accarezzarle fraternamente i
capelli.
“Andiamo
Bra, non è il caso che tu te la prenda tanto… Tuo
padre non è mai stato un tipo
molto sensibile, e questo immagino che tu lo sappia molto meglio di me.
Magari
oggi è semplicemente più di cattivo umore del
solito e non voleva essere
interrotto durante l’allenamento!! Cerca di perdonarlo, e non
piangere… Tuo
padre non è un mostro, non lo è più da
tempo ormai.”
Le
sorrise teneramente, asciugandole delicatamente con le dita le lacrime
che le
inumidivano il viso. Ma la piccola Bra non sembrò molto
confortata da quelle
parole. Abbassò tristemente lo sguardo.
“Lo
so
bene com’è fatto mio padre Goten. Come del resto
so che prima di adesso non lo
avevo mai sentito desiderare un ritorno al proprio passato.
Io… Non potevo
immaginare che fosse così infelice.”
Bra
si
staccò da quel caldo abbraccio per poi passarsi un braccio
sugli occhi umidi.
“Andiamo
a mangiare qualcosa Goten. Ho voglia di non pensare più a
ciò che è successo.”
Così,
preso a braccetto il giovane mezzosangue si diresse malinconicamente
verso il
buffet.
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Hai
visto? E’ esattamente come ti dicevo. Immaginavo che ci fosse
qualcosa che non
andava, Goku.”
Bulma
cedette nuovamente alla disperazione lasciandosi scivolare
sull’erba umida del
prato con il viso coperto da entrambe le mani. Non aveva potuto fare a
meno di
sentire le parole della figlia. Il pianto della figlia. E
ciò non aveva sortito
altro effetto se non quello di incrementare la sua inquietudine.
Cominciò a
singhiozzare convulsamente, in preda alla più incontenibile
tristezza. Non
avrebbe avuto motivo di fingere un’ostentata
tranquillità d’animo in quel
momento, poiché si trovavano da soli, lei e la persona
migliore sulla faccia
dell’universo, lei e la persona che meglio di ogni altra
avrebbe potuto
aiutarla a risolvere gli enigmi che rendevano impenetrabile il cuore
del suo
amato principe dei Saiyan. Poiché era praticamente
l’unica persona esistente
sulla faccia della Terra ad essergli tanto simile e allo stesso tempo
tanto
diversa.
Il
suo
amico di sempre, il suo Son Goku. Colui che le avrebbe gentilmente
offerto la
consolazione di cui aveva bisogno, che per nulla al mondo le avrebbe
negato un
abbraccio e la rassicurazione che sarebbe servita a tranquillizzare il
suo
cuore.
E
infatti Son Goku era lì, pronto a sorreggerla nei suoi
momenti di debolezza,
come era stato dal primo momento in cui si erano incontrati, come
avrebbe continuato
ad essere per sempre. La sua ancora di salvataggio non
l’avrebbe abbandonata
neppure quella volta, quel piccolo, strano, generoso moccioso sarebbe
rimasto
lì, dov’era sempre stato ogni volta che ne aveva
avuto bisogno. Accanto a lei.
Le
si
sedette infatti accanto, cingendole le spalle con un braccio, donandole
la
sensazione di calore e benessere che unicamente sarebbe stata in grado
di darle
la forza necessaria per non abbattersi più di quanto non
avesse già fatto.
“Non
è
da te cedere così passivamente alla tristezza Bulma. Non
disperarti, sono certo
che sia una cosa passeggera. In fondo sappiamo tutti che Vegeta ormai
è ben
lontano dall’essere ciò che era appena
è arrivato qui… Non può essere tornato
quello di prima senza avere neppure un motivo valido. Stai tranquilla
amica
mia, si risolverà tutto.”
La
turchina alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello dolce e
comprensivo di
Goku. Non avrebbe mai trovato le parole adeguate per ringraziarlo della
sua
presenza. Per ringraziarlo di tutto.
Eppure
non riuscì comunque a calmare lo stato di tensione che le si
era creato in
fondo al cuore. Avrebbe tanto voluto credere alle belle parole di Son
Goku, ma
il suo sesto senso femminile le suggeriva che questa volta le cose non
sarebbero state facili.
“Oh
Goku,
non hai idea di quanto mi piacerebbe crederti… Ma proprio
non riesco a capire.
Cosa può essergli successo? Perché mai proprio
adesso, dopo tanto tempo si
ritrova a rimpiangere il suo passato?”
Lo
sguardo di Goku divenne ad un tratto serio e assorto. Il Saiyan parve
riflettere su una possibile risposta da fornire alle domande di Bulma.
Che
erano in fondo domande alle quali neppure lui era in grado di dare una
risposta
adeguata e attendibile.
Cosa
poteva mai aver sconvolto Vegeta a tal punto da fargli congetturare
simili
pensieri? Beh, non ne aveva la più pallida idea.
Aveva
avuto l’illusione che si fosse perfettamente integrato in
mezzo a loro, tanto
da essere diventato ormai uno del gruppo. Perché in fondo
era come se ci fosse
sempre stato. Era diventato un suo alleato prima ancora di smettere di
essere
un suo nemico, aveva combattuto al suo fianco tutte le più
strenue e difficili
battaglie che la Terra si fosse ritrovata a fronteggiare. Ma
effettivamente quella
non era stata altro che una sciocca, effimera illusione, troppo
surreale per
essere anche solo lontanamente considerata vera.
Perché
Vegeta probabilmente uno di loro non lo era mai stato. E loro avrebbero
dovuto
capirlo fin dall’inizio. Avrebbero dovuto saperlo da sempre.
Che
era
rimasto sulla Terra unicamente perché non aveva nessun altro
posto in cui
andare. Perché nessun altro al mondo si sarebbe mai sognato
di offrirgli
fiducia, amicizia, ospitalità.
Perché
in fondo, alternative per lui non ce n’erano state.
Era
un
guerriero senza più un obiettivo.
Era
un
Principe senza regno.
Un
clandestino, senza una meta e senza una casa.
Era
stato lui stesso a fare in modo che fosse trasferito sulla Terra
insieme a
tutti gli altri, prima dell’esplosione di Nameck. E
lì il principe dei Saiyan
era rimasto, senza ribellarsi al destino che gli era stato imposto. Era
rimasto
lì ad attendere per anni la vendetta di distruzione che non
gli sarebbe mai
stata concessa.
Aveva
per anni cercato di mantenere salda la propria integrità
morale, la propria
indole Saiyan, facendo gratuitamente sfoggio della propria innata
malvagità.
Ma
alla fine aveva ceduto. Il grande Principe dei Saiyan si era lasciato
sopraffare da quella vita, da quelle abitudini che mai tuttavia avrebbe
potuto
far proprie fino in fondo.
E
ogni
qualvolta si sentiva scoppiare in quell’angusta prigione di
sottomissione a
delle regole che mai gli sarebbero appartenute il vecchio, autentico
Vegeta si
ribellava, uscendo fuori dai profondi meandri del cuore del principe
per
rivendicare la propria presenza, la propria repressa
identità.
Una
mancanza, un disperato bisogno di tornare ad essere se stesso, un
disperato
bisogno di fuga da una realtà che, monotona, si ripeteva in
un susseguirsi
infinito. Una rivendicazione, una vendetta ad un angusto e avverso
destino.
Era
certamente questo il motivo a spingere il principe dei Saiyan a
rimpiangere il
proprio lontano, stramaledetto passato percosso dal sangue e dal
dolore.
Improvvisamente
per Goku fu tutto chiaro.
“Ho
la
soluzione Bulma.”
“Cosa?
Spiegati meglio Goku, non ti seguo.”
“Se
il
problema di Vegeta si trova nel passato è evidente che anche
la soluzione ad
esso si trova nel passato. Se uno di noi partisse con la tua macchina
del tempo
sarebbe più facile risalire alla sua origine e trovare una
soluzione.”
“Cosa?
Ma ti sei ammattito Goku? E’ assolutamente fuori discussione!
Non è mai un bene
alterare il corso degli eventi, lo sai perfettamente! Rischiamo di
mandare a
rotoli tutto l’evolversi della storia, te ne rendi conto? E
pensa un po’ che
disastro sarebbe se, per un motivo o per un altro le cose non andassero
come
devono andare. Non sarebbe soltanto Vegeta a rimanerne coinvolto, ma
anche
tutti noialtri!!”
“Si
Bulma, so perfettamente cosa comporta effettuare un viaggio nel tempo.
Ma
purtroppo non abbiamo molte altre soluzioni. E’ evidente che
Vegeta non stia
bene, e che il suo malessere derivi da tutto ciò che ha
passato.” Goku volse lo
sguardo verso Bulma, che palesemente lasciava trasparire dagli occhi la
propria
intima preoccupazione.
“Pensaci.
E’ l’unico modo che abbiamo per
aiutarlo…”
Bulma
si fermò a riflettere sulle parole di Goku. Era evidente che
avesse ragione. Ma
correre il rischio di mettere a repentaglio tutto ciò che
avevano costruito con
fatica, l’esito di tutti i loro sforzi per estinguere i mali
che avevano
coraggiosamente combattuto, e persino l’esistenza dei loro
figli le parve
oltremodo irragionevole e assurdo.
D’altro
canto tuttavia quali danni avrebbe mai apportato
quell’ipotetico viaggio alla
loro attuale esistenza, qualsiasi cosa fosse accaduta?
Praticamente
nessuno.
Perciò
forse valeva la pena di tentare. Valeva la pena di rischiare nuovamente
per
lui, per il suo Vegeta. Lo aveva sempre fatto del resto,
perché mai smettere
proprio nel momento in cui lui più che mai aveva bisogno del
suo aiuto? In
fondo ciò che più di ogni altra cosa desiderava
al mondo era di vederlo sereno,
appagato, felice. E avrebbe tentato il tutto e per tutto
affinché quel
desiderio si avverasse al più presto.
“Va
bene Goku, che sia. Chi credi che sarebbe opportuno far partire? Potrei
andarci
io!”
“No
Bulma, non credo che sia una buona idea. Sarebbe piuttosto difficoltoso
per te
farti passare per una Saiyan, senza contare il fatto che quel pianeta
è un
posto pericoloso… E’ necessario che a partire sia
qualcuno che può facilmente
essere scambiato per un Saiyan purosangue e che allo stesso tempo sia
perfettamente in grado di far fronte alle possibili
difficoltà … Faremo partire
Goten e Trunks, che ne dici?”
“Mmm…
Si Goku, forse hai ragione tu. Trunks e Goten sono sicuramente i
più adatti a
svolgere questa missione.”
La
turchina sorrise, finalmente rincuorata da quel piccolo barlume di
speranza. E
Goku non poté far altro che esserne profondamente felice.
“Beh
allora cosa stiamo aspettando? Andiamo subito ad avvisarli!”
Goku
aiutò Bulma ad alzarsi dall’erba profumata sulla
quale stava ancora
appollaiata, e insieme si diressero verso il buffet per annunciare ai
due
ragazzi la grande decisione.
::::::::::::::::::::::::::::::::::
Angolo
dell’Autrice:
Ciao
a
tutti! Se siete arrivati fin quaggiù è evidente
che abbiate letto per intero il
primo capitolo di questa mia Long Fic, e non posso far altro che
ringraziarvi
di cuore. Che dire, spero che vi piaccia e che decidiate di proseguire
la
lettura dei prossimi capitoli! Mi raccomando, mi auguro di sentir
presto il
vostro parere. Naturalmente si accettano critiche costruttive. Un bacio
:*
|
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Capitolo 2 *** Cambio di programma ***
Bulma
e Son Goku si allontanarono con passo spedito da
quello che fino a qualche istante prima era stato il loro nascondiglio,
estremamente entusiasti all’idea della proposta della quale,
a breve, avrebbero
reso partecipi Goten e Trunks.
Si
avvicinarono quindi al buffet, dove ancora si trovavano
a discutere animatamente tutti i più giovani della
combriccola.
“Goten,
Trunks. Io e Bulma avremmo urgente bisogno di
parlare con voi. Potreste seguirci un momento in casa?”
I
due giovani si scambiarono uno sguardo interrogativo.
Trovarono che quella situazione fosse alquanto inquietante oltre che
assolutamente inusuale e bizzarra. Entrambi si ritrovarono quasi
inconsciamente
a scavare repentinamente nei più profondi abissi della
propria memoria per
individuare l’eventuale colpa della quale si fossero
macchiati per giustificare
quell’assurda richiesta di colloquio.
A
dir la verità tuttavia i loro timori erano palesemente
infondati.
Non c’era infatti alcuna traccia di rimprovero negli sguardi
dei rispettivi
genitori, che potessero lasciar trapelare qualche traccia di
risentimento o
rabbia nei loro confronti. Anzi, pareva al contrario che Bulma e Goku
fossero
di buonumore, e che fosse una buona notizia quella che avevano in serbo
per loro.
In seguito a queste constatazioni quindi lo sbigottimento iniziale
cedette il
posto nel cuore dei due giovani ad un sentimento di pura ed impellente
curiosità.
“Ehm…
Va bene!”
I
due ragazzi si allontanarono quindi al seguito di Bulma e
Goku, che li condussero in casa per esternare loro i progetti dei quali
erano
stati inconsapevolmente resi protagonisti.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Era
splendido. Semplicemente splendido. Ad ogni passo, ad
ogni movimento, ad ogni sorriso, ad ogni sguardo.
Si
allontanava con leggiadria, borbottando sommessamente
con Goten. Si allontanava lento, inconsapevole della propria bellezza,
inconsapevole dell’aumentare vertiginoso del battito del
cuore che le provocava
ad ogni minima, insignificante azione.
E
guardandolo allontanarsi nella sua innata, straordinaria
bellezza non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un
sospiro sconsolato.
Perché
mai e poi mai quella bellezza le sarebbe
appartenuta.
Mai
sarebbe stato concesso alle sue mani di scorrere lungo
i muscoli scolpiti di quel suo splendido corpo statuario, mai le
sarebbe stato
concesso di affondare le dita in quei meravigliosi capelli color
glicine, mai
le sue orecchie avrebbero ascoltato dolci parole d’amore
fuoriuscire da quelle
sue labbra invitanti. Neppure una volta quegli occhi color del cielo le
avrebbero rivolto uno sguardo diverso da quello che si regala ad un
buon amico,
e mai si sarebbe inebriata del suo profumo di maschio perdendosi fra le
sue
braccia possenti.
Non
sarebbe mai accaduto, perché Trunks l’aveva
rifiutata.
L’aveva rifiutata senza neppure rendersi conto di averlo
fatto. Aveva rifiutato
l’amore che lei non aveva ancora neppure avuto il coraggio di
offrirgli, senza
capacitarsi della ferita che aveva inflitto al suo giovane cuore
innamorato,
senza accorgersi della sofferenza che, a partire da quel maledetto
giorno, il
suo falso sorriso celava ogni volta che si ritrovava davanti quel
meraviglioso,
dannato volto.
“Quanto
vorrei che ci fosse Marron…”
Quelle
stupide, dannate parole continuavano a tormentare il
suo povero cuore già ridotto in frantumi.
Erano
soli in quell’occasione, come raramente era capitato loro di
trovarsi. Soli nell’oscurità
di una splendida notte stellata. Soli di fronte
all’infinità di un manto nero
adorno di astri splendenti, gli occhi fissi sul cielo, i corpi
investiti da una
brezza leggera.
Non
era mai stata un’amante delle svenevolezze, Pan. Ma
quell’occasione era
diversa. Avvertiva distintamente agitarsi nello stomaco
quell’inconfondibile
sfarfallio, sentiva avvampare le guance ad ogni momento che quegli
splendidi
occhi di mare passavano a soffermarsi su di lei, le sentiva quasi
bruciare ai
lati per il prolungato sorriso che per ore non si era deciso ad
abbandonarla.
Ma soprattutto, più di ogni altra cosa, sentiva che quel
giorno sarebbe stato
decisivo. Perché proprio quel giorno avrebbe tirato fuori il
coraggio
necessario a liberarsi del peso che la opprimeva ormai da tanto, troppo
tempo. Gli
avrebbe rivelato ogni cosa, lì, sotto la luce di quelle
lontane, splendenti
stelle, lì, in mezzo al volteggiare delle lucciole, sotto le
fronde di un
grande salice.
Non
smetteva di fissarlo per evitare di perdersi anche un solo istante
della sua
bellezza. Lo guardava nell’illusione di poter immagazzinare
eternamente nella
memoria ogni singolo dettaglio di quel momento magico,
affinché fosse per
sempre scolpito lungo le pareti del suo cuore. Lo stesso cuore che
aveva
sentito frantumarsi nel momento esatto in cui Trunks, il suo Trunks
aveva
proferito quelle maledette parole, che nulla avrebbe mai potuto
cancellare.
“Quanto
vorrei che ci fosse Marron...”
La
piccola Pan trattenne a stento le copiose lacrime che
minacciavano di fuoriuscire dai suoi grandi occhi color ebano. Non
avrebbe
ceduto alla propria incontenibile tristezza lì, davanti a
tutti. Avrebbe
aspettato di far ritorno a casa, di chiudersi nella sua stanza,
l’unico,
infinitesimale angolo di mondo in cui potesse fare a meno di non essere
se
stessa, e piangere, piangere fino allo sfinimento, fino a quando tutto
intorno
a lei non fosse diventato buio.
“Va
tutto bene Pan?”
Quelle
parole la ridestarono all’improvviso, quasi
spaventandola. Da qualche tempo era diventata consuetudine per lei
estraniarsi
dal mondo, crogiolarsi nella prigione inesorabile della propria
sofferenza, e,
dimentica di ogni cosa che le stesse intorno, lasciar scorrere ogni
avvenimento
che stesse al di fuori del piccolo mondo che aveva creato intorno a se
stessa,
facendoselo scivolare addosso. Quasi le parve che quelle parole fossero
giunte
da un altro pianeta per quanto era persa tra i propri pensieri, per
quanto le
fossero sembrate distanti.
La
fanciulla si voltò istantaneamente nella direzione dalla
quale aveva sentito provenire quella voce amica e familiare.
Ub.
Gli
rivolse il sorriso malinconico che ormai per abitudine
soleva offrire a chiunque le parlasse, ma non poté in ogni
caso non sentire in
fondo al cuore un piccolo barlume di felicità.
La
tenera apprensione che Ub continuava a riservarle
incondizionatamente le faceva piacere. Perché Ub era una
delle poche, forse
addirittura l’unica persona che avesse intorno ad essersi
dimostrata veramente
sua amica.
Ed
era per via delle persone come lui che non si sentiva
ancora di mandare tutta la sua vita allo scatafascio, che tentava
ancora,
giorno dopo giorno di cavare il meglio da ogni singola esperienza, che
non
aveva ancora perso la speranza di essere felice e il coraggio di aprire
nuovamente all’amore la porta del proprio cuore.
Il
malinconico sorriso che lui le rivolse in risposta,
carico di tristezza mista a comprensione e rassegnazione mise
improvvisamente
Pan di fronte alla consapevolezza del fatto che Ub provasse qualcosa
per lei. Qualcosa
che andava ben oltre l’amicizia che, praticamente da sempre
li teneva uniti.
E
si ritrovò a pensare che fra tutti i sentimenti umani
l’amore fosse di certo il più terribile.
Amava
alla perdizione una persona che neppure era stata in
grado di accorgersi del suo amore. Ed era amata a sua volta da una
persona che
non avrebbe mai ricambiato.
Ub,
il suo dolce, generoso, amico del cuore.
Innamorarsi
di lui sarebbe stata effettivamente la
soluzione migliore ad ogni suo problema. Perché Ub
c’era sempre stato. E sempre
avrebbe continuato ad esserci, senza ombra di dubbio. Avrebbe
continuato a
proteggerla, a farle da spalla, e mai, per nessuna ragione al mondo le
avrebbe
arrecato una sofferenza.
Sorrise
tristemente alla consapevolezza dell’assurdità di
tale constatazione.
Era
decisamente troppo giù di corda anche solo per tenere
minimamente in considerazione l’assurda
eventualità di cominciare a pensare ad
un altro ragazzo, e soprattutto l’assurda
eventualità che quel ragazzo potesse
essere proprio Ub. Come avrebbe mai potuto il fraterno rapporto che li
legava
da anni, anche in un remoto futuro, trasformarsi in qualcosa di diverso?
Al
cuor non si comanda….
E
questo la piccola Pan lo aveva imparato a proprie spese.
“Oh
nulla Ub. Sono solo un po’ stanca, tutto qui. Credo di
non aver dormito bene stanotte.”
Pan
rivolse al ragazzo il sorriso più dolce che
riuscì a
cavare dal cuore. Per quanto non lo ricambiasse, non gli avrebbe mai
causato
un’atroce sofferenza, come Trunks aveva avuto la premura di
fare con lei.
Perché
lei aveva un cuore, a differenza di qualcuno. Un
cuore ridotto in mille pezzi ma pur sempre presente. E ancora pronto,
nonostante tutto, a continuare a battere.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Che
cosa??? No non se ne parla nemmeno!!!”
I
due giovani sbraitarono quasi all’unisono, e, senza
neppure effettuare il minimo tentativo di mascherare i sentimenti che
quell’assurda proposta gli aveva scatenato
nell’animo, tenevano gli occhi
carichi di tacite suppliche fissi sui genitori, nella speranza che
ciò servisse
a far desistere entrambi da quell’assurdo proponimento che si
erano messi in
testa di portare a termine.
Piagnucolavano
in maniera del tutto infantile, spremendosi
le meningi nel tentativo di riuscire a trovare argomentazioni valide,
nel minor
tempo possibile, per poter uscire indenni da quell’assurda
situazione.
“Ma
perché no figliolo? Sono certo che vi divertirete un
mondo tu e Trunks a girovagare per lo spazio in cerca di nuove
avventure!!”
“Stai
scherzando spero! Cosa ci trovi di divertente nel
girovagare per la galassia rischiando la vita ad ogni momento che
passa? E poi,
cosa dovrei raccontare alla mia ragazza? A questo non ci hai pensato,
non è
vero??”
“Ehm…
Beh effettivamente no, non ci avevo pensato …
Eheheheh.”
Goku
si grattò la nuca ridacchiando.
Il
suo piano si era dimostrato perfetto fin dal primo
istante in cui l’aveva formulato, eppure non aveva tenuto
presente la più ovvia
delle eventualità. Ovvero, che Goten e Trunks potessero non
essere d’accordo.
Del
resto, chi mai si sarebbe dimostrato entusiasta
all’idea di sbarcare su un pianeta di scimmioni sanguinari,
per di più con una
percentuale fin troppo alta di probabilità di non concludere
un accidente?
Probabilmente
nessuno che avesse tutte le rotelle a posto.
E di certo non Goten e Trunks.
Eh
già. Avevano fatto un tremendo errore di calcolo, lui e
Bulma.
Bulma
sbuffò sonoramente, profondamente infastidita dalla
cocciutaggine di quei due sciocchi perdigiorno.
Ma
ugualmente, nonostante tutto lo sdegno celato
all’interno del cuore della turchina, la donna era
perfettamente consapevole
del fatto che non ci fosse molto da fare a quel punto.
L’unica cosa della quale
Bulma fosse certa in quel momento, era il fatto che quei due avrebbero
pagato a
caro prezzo la propria indolenza. E l’avrebbero fatto molto
presto.
Goku
al contrario non sembrò risentire molto di quel
rifiuto. Congedò bonariamente i due ragazzi che
abbandonarono a capo chino,
carichi di sensi di colpa, la sala da pranzo di casa Briefs, lasciando
i due
adulti da soli ad effettuare le proprie congetture.
“Abbiamo
un problema temo…”
“A
quanto pare…”
“Non
possiamo certo mandarceli a forza! Ma dobbiamo
assolutamente trovare un’altra soluzione, Goku.
Poiché di certo non possiamo neppure
permetterci di mandare al diavolo il nostro piano per colpa di questi
due
dongiovanni! Che ne diresti se fossimo io e te a partire? Potrei
tranquillamente farmi passare per una Saiyan costruendo un apposito
travestimento, e nel caso in cui dovessi trovarmi in
difficoltà ci saresti tu a
difendermi, non è vero?”
La
turchina rivolse a Goku i propri occhioni di zaffiro
carichi di dolcezza, nel tentativo di convincere l’amico che
quella fosse la
soluzione più adeguata.
Non
poteva assolutamente permettere che quel piano
fallisse. Ci avrebbe messo la sua stessa anima affinché
andasse a buon fine,
perché ne valeva della felicità del suo adorato
Vegeta. In qualsiasi tentativo,
funzionale o fallimentare che fosse, si sarebbe cimentata pur di avere
anche la
minima possibilità di veder splendere sul viso del suo
Principe quel sorriso
sereno che mai a nessuno era stato concesso di vedergli addosso.
“Va
bene Bulma. In fondo non abbiamo molte altre
alternative.”
Sul
volto della turchina fiorì un sorriso carico di pura
felicità. Carico di speranza nella buona riuscita di quel
piano in cui avrebbe
messo tutto il cuore, tutta l’anima e tutto ciò di
cui disponeva. Tuttavia la
loro conversazione venne repentinamente interrotta
dall’ingresso di un terzo
spettatore.
“Ehm…
Non ho potuto fare a meno di ascoltare il vostro
discorso, e se posso avrei un’altra alternativa da
proporvi.”
Il
giovane Gohan entrò lentamente nella stanza, dove Goku e
Bulma lo osservavano con sguardo carico di curiosità.
Lo
sguardo del giovane, estremamente serio lasciava
trasparire attraverso i grandi occhi neri una intima e profonda, quanto
inspiegabile preoccupazione.
“Che
ne direste se al posto di Goten e Trunks facessimo
partire le due ragazze?”
Goku
e Bulma, a sentir proferire una simile assurdità,
sbiancarono in volto e spalancarono gli occhi increduli nel giro di un
istante.
“Che
cosa? Gohan starai scherzando spero!! Come puoi
credere che Pan e Bra possano affrontare una missione del genere con
tutti i
pericoli che ne conseguono? Sarebbe un’assurdità
affidargli un simile
incarico!!”
“Sai
figliolo, credo che Bulma abbia ragione. Le ragazze
sono troppo deboli per poter far fronte alle difficoltà che
incontrerebbero una
volta arrivate lì… Ma toglimi una
curiosità. Cosa ti fa credere che mandarci
Pan e Bra potrebbe essere la soluzione migliore?”
“Beh
in realtà non sono sicuro che questa sia
effettivamente la soluzione… Ma Pan è molto forte
papà, lo sai anche tu, e sarebbe
perfettamente in grado di far fronte agli eventuali pericoli. Pensa
soltanto
che il male peggiore in cui si possano imbattere è
Freezer… E lui non era poi
tutta questa potenza.”
“Mmm…
Effettivamente non era poi molto forte…”
Rifletté
Goku, massaggiandosi il mento con le dita.
“Ma
dimentichi, figliolo, che quando ho sconfitto Freezer
io ero già un Super Saiyan, mentre Pan non lo è
ancora!!”
“Beh,
se le facessimo allenare? Entrambe hanno grandi
capacità, scommetto che potrebbero conseguire buoni
risultati!!”
Bulma,
che dal suo cantuccio aveva ascoltato stizzita e
sdegnata tutta la conversazione interruppe repentinamente il dialogo
che si
stava tenendo tra padre e figlio, indispettita e sconcertata
dall’estrema
incoscienza delle congetture dei due Saiyan.
“Gohan,
ma si può sapere perché mai ti preme tanto far
partire Pan e Bra? Io non ho alcuna intenzione di mandare le bambine
allo
sbaraglio!! E’ troppo rischioso, levatelo dalla
testa!”
Gohan
sembrò rabbuiarsi a sentir proferire quelle parole.
Con lo sguardo tristemente abbassato verso il pavimento si
voltò di spalle, e
si diresse malinconicamente verso la finestra, appoggiandosi al
davanzale.
“Se
devo essere sincero, sono preoccupato per Pan. E’
triste, immotivata, spenta… E non riesco a spiegarmene la
ragione. Sembra che
viva fuori dal mondo, non parla con nessuno, quasi non esce di casa!!
Ha perso
completamente la sua grinta, la sua allegria, il suo spirito
avventuriero, la
sua voglia di mettersi continuamente in gioco, la sua
competitività… Vorrei
solo fornirgli un diversivo, una distrazione, un motivo per cui tornare
ad
essere la bambina allegra di sempre. Vorrei aiutarla a superare questo
brutto
momento, qualsiasi sia la causa di esso… E ho pensato che
questa fosse
l’occasione perfetta. Ma se non siete d’accordo non
se ne farà nulla.”
Bulma,
a sentire le parole di Gohan sentì stringersi il
cuore, e si pentì immediatamente delle parole sgarbate che
gli aveva
precedentemente rivolto.
Cominciò
quindi a riflettere sul fatto che probabilmente
quella soluzione non fosse poi così assurda. In fondo anche
Gohan era un guerriero
di alto livello, ed era ovvio che fosse perfettamente consapevole di
ciò che
diceva. Ciò che era certo più di ogni altra cosa,
inoltre, era che mai e poi
mai Gohan si sarebbe sognato di mettere a repentaglio la vita delle due
ragazzine.
“Ehm…
Aspetta Gohan. Non pensavo che ci fossero sotto delle
motivazioni del genere… Beh magari Goku può
assumersi il compito di allenarle a
dovere!! Saprà rendersi conto del momento in cui saranno
pronte per partire
senza correre alcun rischio… Dico bene? In fondo,
pensandoci, è molto meglio
che siano Pan e Bra a partire. Le ragazze hanno più giudizio
dei maschi, si sa,
Goten e Trunks avrebbero combinato soltanto guai!!!”
Affermò
Bulma nel tentativo di autoconvincere se stessa più
che i due Saiyan di ciò che stava dicendo.
Quello
a non sembrare troppo convinto era tuttavia Son
Goku.
Aveva
certamente ragione Gohan. Suo figlio aveva senza
ombra di dubbio tutte le ragioni del mondo. Ma sarebbe davvero stata
un’azione
saggia far partire per lo spazio due ragazze che, per quanto forti, non
avevano
mai avuto occasione di trovarsi di fronte al pericolo completamente da
sole?
Son
Goku non avrebbe permesso che la sua piccola Pan si
trovasse in pericolo. E neppure avrebbe permesso che fosse Bra a farlo.
Tra
questi pensieri si pose due dita sulla fronte e
scomparve, lasciando Bulma e Son Gohan in preda allo sbigottimento
più totale.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Salve
re Kaioh! Mi scusi se la disturbo, ma avrei urgente
bisogno della sua consulenza!”
L’anziano
re Kaioh ebbe appena il tempo di sobbalzare
all’indietro per lo spavento prima di riconoscere
l’inconfondibile voce del
giovane ospite che si era preso la premura di giungere da tanto lontano
per
causargli un infarto.
“BRUTTO
IDIOTA TI SEMBRA IL MODO DI PRESENTARTI A CASA DI
UN ESSERE SUPERIORE??”
Goku
prese a grattarsi la nuca in quel gesto infantile che
tanto gli era abituale.
“Eheheheh,
le chiedo perdono re Kaioh, ma purtroppo non ho
molto tempo per i convenevoli. Ho qualcosa da chiederle con una certa
urgenza…”
Goku
espose quindi in breve la situazione, e in modo
particolare l’idea di far partire Pan e Bra, esternando i
motivi e le
preoccupazioni che avevano spinto Gohan a formulare tale proponimento.
“Sei
matto Goku? Come hai potuto anche solo lontanamente
tenere in considerazione un’ipotesi del genere? Sai
perfettamente quanto sia
pericoloso Freezer. Dimentichi che c’è mancato un
pelo che tu stesso ci
lasciassi le penne? E tu eri in grado di trasformarti in Super
Saiyan!!”
Goku
prese a massaggiarsi il mento, assorto più che mai nel
soppesare le parole che l’anziano re Kaioh aveva appena
pronunciato.
“Mmm,
tecnicamente non è esatto re Kaioh. Stavo per
lasciarci le penne è vero, ma a causa
dell’imminente esplosione di Nameck, non
a causa di Freezer! Mi creda, Pan è molto forte, se la
allenassi a dovere
potrebbe anche trasformarsi in Super Saiyan!! E anche Bra non
è da meno… E’ pur
sempre la figlia del principe Vegeta!!”
“Ammesso
che fosse come dici tu, non hai tenuto in
considerazione il fatto che i Saiyan stessi, ancor prima di Freezer
potrebbero
rivelarsi dei nemici per loro?”
“Si,
ci ho pensato… Ma non credo che abbiamo motivi validi
per cui preoccuparci. I Saiyan saranno anche stati dei guerrieri
spietati e
senza scrupoli, ma che motivi avrebbero avuto per farsi del male tra di
loro?
Sotto questo punto di vista non credo che le ragazze corrano un grande
pericolo… L’importante è che passino
inosservate e che nessuno si accorga del
fatto che sono Saiyan soltanto per metà! Lei che ne pensa?
E’ un rischio troppo
grande?”
“Mmm…
Beh devo ammettere che non ne ho la più pallida idea,
figliolo. Sicuramente affrontare questa missione non sarà
una passeggiata per
loro, e di pericoli ne incontreranno parecchi. Potrebbero cavarsela,
come del
resto potrebbero anche fare una brutta fine. Non me la sento di
prendere
posizione su questa faccenda, cerca di capirmi Goku. Ti chiedo solo di
riflettere prima di prendere una qualsiasi decisione e di soppesare
ogni
possibile eventualità.”
Goku
si fermò a riflettere, rielaborando razionalmente
tutto ciò che gli era stato detto.
Re
Kaioh, come del resto era nelle sue previsioni, non gli
era stato di grande aiuto. Anzi, col suo ben noto pessimismo era stato
unicamente in grado di far aumentare vertiginosamente la
quantità di dubbi che
gli si agitavano nell’anima.
Per
prendere una decisione adeguata avrebbe avuto bisogno piuttosto
del consiglio di qualcuno che potesse fornirgli delle certezze
concrete.
Ritenne
che ci fosse un’unica persona sulla faccia della
Terra che potesse offrirgli delle delucidazioni utili in tal senso.
“La
ringrazio infinitamente re Kaioh. Arrivederla.”
E
postosi nuovamente due dita sulla fronte scomparve
velocemente com’era arrivato.
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“Salve
Baba!”
L’immenso
giardino che circondava la piccola residenza
della maga era completamente solitario, ed il Saiyan non fu in grado di
scorgervi anima viva.
Cominciò
quindi a guardarsi intorno, e quasi gli parve di
essere tornato ai tempi dell’infanzia. Poiché ebbe
l’illusione che da allora non
fosse cambiato nulla. Rammentò con indicibile nostalgia i
momenti
indimenticabili che aveva trascorso in quei luoghi quando era soltanto
un
bambino.
Eppure,
nonostante sembrasse che pochi istanti lo
separassero dalle fantastiche esperienze che aveva vissuto
lì, tantissime cose
erano successe da quando, abbandonata la solitudine delle montagne,
aveva
intrapreso il proprio viaggio avventuriero alla ricerca delle sfere del
drago
insieme alla sua inseparabile Bulma.
A
partire da allora aveva imparato tutto ciò che sapeva,
aveva avuto modo di scoprire le proprie misteriose origini, aveva avuto
l’opportunità di conoscere un mondo sconfinato al
di fuori di quel piccolo
pianeta azzurro, di confrontarsi con un universo immenso, di conoscere
i propri
limiti, di superarli.
Era
soltanto un moccioso pieno di curiosità e di voglia di
fare l’ultima volta che era stato lì. E adesso che
ci era ritornato era una
persona diversa. Era invecchiato, carico di esperienza. Era diventato
padre e
nonno, ma soprattutto, un guerriero completo. Un guerriero completo che
mai
tuttavia avrebbe smesso di imparare.
Sorrise.
Ma
fu interrotto nei propri nostalgici ricordi e nei propri
pensieri nel momento in cui comparve alle sue spalle la vecchia
sibilla.
“Son
Goku? Quanto tempo! Qual buon vento ti porta?”
Il
Saiyan si voltò, inspiegabilmente sorpreso da
quell’interruzione. Quasi aveva dimenticato il motivo per cui
con tanta fretta
si era recato fin lì, ma la visione dell’anziana
signora lo aveva bruscamente
riportato alla realtà. Sorrise nuovamente, ma si decise a
non perdere tempo in
inutili convenevoli.
“Sono
qui perché avrei bisogno della tua consulenza!
Purtroppo però non ho i soldi per pagarti, perciò
naturalmente affronterò uno
dopo l’altro i cinque guerrieri al tuo servizio.”
“Sei
matto? Quale guerriero con un po’ di sale in zucca
avrebbe voglia di battersi con te? Dovrò offrirti gratis la
mia consulenza!”
Affermò stizzita la vecchia signora, incrociando le braccia
al petto.
Son
Goku non riuscì a trattenere il divertimento misto ad
un piccolo impeto di entusiasmo. Ridacchiò sommessamente, ma
deciso a non
perdere tempo espose in breve i motivi che lo avevano spinto a recarsi
fin
laggiù.
“Oh,
non so come ringraziarti! Beh ecco, mi piacerebbe che
mi mostrassi all’interno della tua sfera cosa succederebbe se
facessi partire a
bordo della macchina del tempo mia nipote e la figlia di Bulma alla
volta di
Vegeta-sei!”
L’anziana
maga parve sorpresa ad una simile richiesta. Ed il
suo sguardo divenne cupo nel proferire la propria risposta.
“Mi
dispiace Son Goku, ma la mia sfera non può mostrarti
ciò che succederebbe nel passato se alterassimo il corso
degli eventi.”
“Dannazione,
questa proprio non ci voleva…” Disse Goku
massaggiandosi la nuca con preoccupazione.
“Che
cosa volevi sapere in particolare? Sono pur sempre una
sibilla, e forse grazie ai miei poteri potrei aiutarti
comunque.”
Un
piccolo barlume di ottimismo si riaccese sul volto del
Saiyan, il quale cominciò a parlare speranzoso.
“Vorrei
sapere unicamente se affrontando questo viaggio le
due ragazze corrono il rischio di lasciarci la pelle.”
La
Sibilla rivolse a Goku uno sguardo serio e carico di
preoccupazione. Dopodiché gli voltò le spalle e
cominciò a meditare ad occhi
chiusi.
Dopo
cinque minuti trascorsi in silenzio la vecchia Sibilla
fu pronta per dare il proprio oracolo.
“Non
moriranno, se è questo che vuoi sapere. Purtroppo non sono
in grado di dirti
altro.”
Goku
non riuscì a trattenere l’entusiasmo a sentire
quelle
parole.
“Ti
ringrazio infinitamente Baba. Prometto che un giorno
verrò a pagarti tutte le consulenze gratuite che mi hai
offerto!”
“Mpf.”
“Beh
allora arrivederci e grazie ancora!!”
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“Rieccomi
qui!!”
“Hei
Goku ma dove ti eri cacciato?”
“Sono
stato a chiedere consiglio a re Kaioh e a Baba.”
Gohan
e Bulma si scambiarono uno sguardo entusiasta a
quella notizia, ed impazienti di ricevere il resoconto di
ciò che era stato
detto a Goku dai due si accomodarono sul divano con il volto
sorridente.
“Ottima
idea!! E cosa ti hanno detto?”
“Beh,
re Kaioh non mi è stato di grande aiuto, ma Baba,
grazie ai suoi poteri è stata in grado di prevedere che le
due ragazze non
corrono il rischio di morire.”
“Bene!!
Non potevamo ricevere una notizia migliore di
questa!!!”
“Allora
andiamo ad avvisare anche loro?”
Bulma
incrociò le braccia sul petto, infastidita al
pensiero della precedente reazione di Goten e Trunks alla loro proposta.
“Andiamo
ad avvisarle. Ma giuro che se anche loro dovessero
rifiutarsi di partire non sarò più responsabile
delle mie azioni!!”
La
turchina serrò i pugni, visibilmente irritata. Ma i due
Saiyan non riuscirono tuttavia a non trovare ugualmente buffa la sua
sfuriata.
Non
riuscirono a fare a meno di sentirsi sereni e
rincuorati all’idea di aver finalmente trovato una
sistemazione adeguata per
dare contemporaneamente una soluzione a tutti i problemi che si erano
venuti a
creare in un lasso di tempo tanto breve. Vegeta sarebbe tornato sereno,
la
piccola Pan avrebbe ritrovato se stessa e la propria voglia di vivere.
Nulla
sarebbe andato storto questa volta. Nulla sarebbe
andato diversamente da come era giusto che fosse.
Così
Gohan e Goku scoppiarono a ridere all’unisono, e in
breve anche Bulma prese a far compagnia a quell’allegra
risata liberatoria.
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Le
due ragazze si guardarono stranite.
Era
a dir poco assurda la proposta che era stata fatta
loro, ma forse effettivamente era proprio ciò che ci voleva.
Esattamente ciò di
cui entrambe avevano un estremo bisogno.
Vivevano
dei dissidi molto contrastanti, Bra e Pan. Ma in
fondo il loro stato d’animo non era poi tanto diverso.
La
piccola Pan sentì di aver bisogno di un cambiamento. Di
un qualcosa che la spronasse a sentirsi nuovamente se stessa, la
nipotina di
Son Goku, la piccola Saiyan attaccabrighe e piena di grinta, piena di
spirito
avventuriero, piena di coraggio.
Sentì
scoppiare dentro il suo cuore l’impellente bisogno di
sentirsi felice, di ricominciare a vivere. E di trovare una nuova
ragione per
farlo, soprattutto.
Sentì
di avere il bisogno di scacciare dalla mente e dal
cuore quei due grandi occhi di cielo che di colpo erano stati in grado
di farle
dimenticare di tutto il mondo che le stava intorno. E forse, dopotutto,
il
destino era stato benevolo a concederle una chance.
La
piccola Bra sentì invece riscaldarsi il cuore della
tenue luce di un barlume di speranza. La speranza di riveder sorridere
suo
padre, di saperlo felice al loro fianco.
Di
ripercorrere il suo atroce passato, trovare in esso la
fonte di tanto malessere e sradicare all’origine il motivo di
tanta sofferenza.
Avrebbe affrontato qualsiasi rischio per conseguire questo risultato.
Si
sarebbe armata di coraggio e volontà, avrebbe persino
cominciato ad allenarsi
duramente qualora fosse stato necessario. E avrebbe dato il meglio di
se
stessa. Avrebbe portato avanti con orgoglio la propria
identità di principessa
dei Saiyan.
Le
ragazze, entrambe immerse tra i propri contrastanti
pensieri si scambiarono nuovamente uno sguardo. Uno sguardo che non
lasciava
ormai trasparire tuttavia sorpresa o sdegno. Al contrario, parve invece
che le
due piccole Saiyan avessero compreso al volo l’una i
sentimenti dell’altra,
senza neppure il bisogno di aprire la bocca.
Perciò
non ebbero bisogno di consultarsi. Né Goku e Bulma
ebbero bisogno di un consenso da parte loro.
Il
consenso che avevano tacitamente concesso trapelava
palesemente attraverso i loro occhi limpidi e determinati, carichi di
grinta e
volontà.
“Per
noi va bene. Possiamo prepararci per la partenza.”
Goku
e Bulma si scambiarono uno sguardo carico di
soddisfazione, entrambi consapevoli del fatto che l’idea di
Gohan era stata a
dir poco geniale.
Perché
le due ragazze parevano serie e determinate, pronte
ad affrontare qualsiasi difficoltà, profondamente motivate
da una ragione
oscura, che né Bulma né Goku erano in grado di
spiegare.
Ma
non era importante in fondo. La sicurezza e la forza di
spirito espresse dagli sguardi delle due ragazze risultavano
più che
sufficienti a colmare i dubbi eventuali che potessero farsi largo nelle
menti
dei due adulti.
Tuttavia
sarebbe stato saggio in ogni caso esporre in
maniera chiara alle due ragazze quali fossero i rischi ai quali avevano
accettato di andare incontro, e in modo particolare avvertirle del
fatto che
avrebbero dovuto seguire uno strenuo allenamento prima che la loro
avventura
avesse realmente inizio.
“Non
così in fretta ragazze.”
Lo
sguardo di Goku passò velocemente dall’entusiasmo
che si
era impadronito di lui fino a qualche istante prima ad una
serietà che non gli
era abituale se non in situazioni di estrema emergenza. Posò
quindi i propri
occhi neri sulle due giovani, ispezionandole con aria assorta e
corrucciata.
“Immagino
che sappiate che il pianeta sul quale sbarcherete
è un posto pericoloso, perciò è bene
che siate ben preparate a qualsiasi
eventualità prima di intraprendere questo viaggio. Occorre
che vi alleniate
duramente affinché siate in grado di tener testa ai nemici
che incontrerete
lungo il tragitto, e di questo mi occuperò io stesso nei
prossimi giorni.”
Goku
si spinse ancora di qualche passo in direzione delle
due ragazze, senza tuttavia staccare loro gli occhi di dosso.
“Tuttavia
non dovete dimenticare il motivo primordiale per
cui state intraprendendo questa missione… Il vostro
obiettivo primario è Vegeta
naturalmente. Cercate di avvicinarvi a lui per quanto vi è
possibile, almeno
fin quando non riuscirete a capire cos’è che lo
turba. Una volta che lo avrete
scoperto potrete agire come meglio credete per aiutarlo … Ma
categoricamente
nessuno deve venire a scoprire la vostra vera identità. Le
cose potrebbero
prendere una brutta piega in questo caso… Sono stato
chiaro?”
Le
due ragazze si scambiarono uno sguardo di assenso.
“Cominciamo
subito con gli allenamenti, Goku.”
La
piccola Bra pareva mossa da una determinazione che mai
in maniera tanto viva si era manifestata nella sua persona. Sua madre
quasi
stentò a riconoscerla.
L’aveva
vista crescere, la sua bambina, le era rimasta
accanto ogni singolo istante della sua vita. E mai per tutta la durata
della sua
giovane esistenza la principessina dei Saiyan aveva desiderato con
tanto ardore
avere a che fare con gli allenamenti.
Ed
effettivamente la piccola Bra detestava combattere. Questo
era un dato di fatto alquanto risaputo. Combattere era qualcosa che non
aveva
mai fatto, qualcosa di cui mai le era importato qualcosa. La sola idea
di avere
lo smalto delle unghie ammaccato, i capelli fuori posto, ed il rischio
costante
che i muscoli delle braccia e delle gambe le si ingrossassero al punto
di
renderla simile ad un uomo le causavano l’emicrania.
Ma
quel caso era sporadico e del tutto particolare. La
giovane principessa avrebbe fatto qualsiasi cosa che fosse in suo
potere per
suo padre, per il grande Principe dei Saiyan. Avrebbe compiuto
l’impossibile,
avrebbe concentrato ed impiegato al massimo tutte le proprie
potenzialità nel
tentativo di aiutarlo a conseguire ciò che lo avrebbe reso
un uomo felice.
Son
Goku dal suo canto, piacevolmente sorpreso dalla forza
di volontà delle due ragazze, non aspettò che
quella richiesta gli fosse posta
un’altra volta.
Sorrise
soddisfatto, ed estremamente curioso di capacitarsi
egli stesso delle effettive capacità delle due ragazzine si
tele-trasportò
insieme a loro in una sconfinata area desolata, adatta
all’allenamento che presto
vi si sarebbe tenuto.
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L’allenamento
affrontato dalle due ragazze fu duro e
faticoso, ma allo stesso tempo estremamente producente. Per lo meno per
la
piccola Pan, che ebbe modo di dimostrare al nonno la portata del
proprio
miglioramento sul campo di battaglia.
Goku
ebbe occasione di sentirsi estremamente orgoglioso
della sua piccola Saiyan. Perché non poté fare a
meno di riconoscere se stesso
nella sua grinta, nella sua voglia estrema di superare i propri limiti.
Era
migliorata tantissimo la sua bambina, dall’ultima volta
in cui aveva avuto modo di testare le sue capacità. Era
migliorata tantissimo
in un lasso di tempo estremamente breve, con una rapidità
che neppure lui
stesso, nei suoi strenui e costanti allenamenti, era mai stato in grado
di
raggiungere. Perché Pan era la piccola copia di suo padre.
Un talento senza
eguali. Ma carica di quella determinazione e di quell’amore
per il
combattimento che non erano mai appartenuti a Gohan. Perché
la piccola li aveva
ereditati dal nonno, senza ombra di dubbio.
Tuttavia
lo stesso non si poteva dire di Bra. Per quanto la
fanciulla si sforzasse di riuscire alla perfezione in ciò
che stava facendo,
per quanto ce la mettesse tutta, i risultati che riusciva a conseguire
erano
piuttosto scarsi.
Era
un dato di fatto evidente che la giovane non si fosse
mai dedicata con costanza agli allenamenti, ad eccezione di qualche
raro caso
sporadico.
E
di certo, tentare di rendere la principessa dei Saiyan un
guerriero che fosse per lo meno al livello di Pan sarebbe stata una
missione
alquanto ardua.
A
meno che, naturalmente Son Goku non avesse preso la
rischiosa decisione di utilizzare nei suoi riguardi un metodo
più drastico. Un
metodo che soltanto con una mente cocciuta e orgogliosa avrebbe potuto
sortire
dei risultati utili.
“Così
non va bene, Bra. Sei lenta e prevedibile, avrei
potuto farti fuori un milione di volte se lo avessi voluto.”
Son
Goku squadrò la ragazzina con aria severa, piazzandosi
nuovamente in posizione di combattimento a qualche centimetro da lei,
nonostante lei già ansimasse copiosamente per i numerosi e
fallimentari sforzi
compiuti.
“Mi
dispiace Goku … Ma credo di non essere proprio tagliata
per il combattimento.”
“Eh?
Guarda un po’ cosa mi tocca sentire… La figlia del
principe Vegeta, il più forte di tutti i Saiyan non sarebbe
tagliata per il
combattimento? Mpf. Sono
contento del
fatto che tuo padre non sia qui, altrimenti sono sicuro che si
vergognerebbe
atrocemente di te e del tuo pessimo metodo di combattimento.”
La
piccola Bra digrignò ferocemente i denti e strinse i
pugni in preda alla rabbia più totale. Non si sarebbe mai
sognata di sentir
proferire parole tanto dure proprio da una persona come Son Goku, che
aveva da
sempre dimostrato di essere, ed effettivamente era sempre stato
svenevolmente
buono, ed estremamente comprensivo.
Avrebbe
potuto ignorarlo, far finta di nulla. Eppure quelle
parole facevano male. Le causavano un’atroce fitta
all’altezza del cuore.
Perché la principessa era perfettamente consapevole della
cruda realtà che esse
trasmettevano. Sapeva perfettamente quanto quelle dure parole fossero
vere.
“Tornatene
a casa Bra. Questa missione è troppo rischiosa
per essere affidata ad una ragazzina capricciosa e viziata. Oltre a non
essere
una presenza utile potresti costituire un intralcio per Pan. E di
intralci non
ne abbiamo proprio bisogno. Ma stai pure tranquilla, troveremo qualcun
altro che
possa sostituirti.”
A
questo punto la rabbia celata nel cuore di Bra esplose
senza ritegno. La giovane mezzosangue si fece liberamente guidare
dall’incontenibile rabbia che si era fatta largo in ogni sua
singola cellula,
espellendola dal proprio corpo sotto forma di una splendente aura
azzurra, che
nel giro di qualche istante aveva avvolto completamente il suo corpo
minuto.
In
preda ad una ormai incontrollabile ed incontenibile ira,
la principessa dai capelli turchini si scaglio a velocità
fulminea contro il
corpo di Goku, e prese ad attaccarlo ininterrottamente, assestando di
volta in
volta colpi non eccessivamente potenti, ma ben calibrati e precisi.
E
Son Goku non poté che provare in fondo al cuore una
profonda soddisfazione.
Avrebbe
potuto respingerla. Avrebbe potuto strattonarla
lontano nel giro di qualche istante. Avrebbe potuto renderla
inoffensiva con un
solo colpo di risposta. Ma aveva volontariamente deciso di non farlo.
Poiché
aveva finalmente trovato il modo di raggiungere
l’obiettivo che si era prefissato fin dal momento in cui
l’allenamento aveva
avuto inizio.
Conoscere
le potenzialità delle due giovani guerriere.
Non
aveva voluto credere che Bra non avesse alcun tipo di
attitudine alla lotta. E aveva avuto ragione a non crederlo nemmeno per
un
singolo istante. Perché aveva avuto ragione alla fine. Bra
era un portento. Un
piccolo uragano fuori allenamento, ma pronto in ogni caso a scatenarsi
al
momento opportuno. Un forte guerriero all’occorrenza. Un
guerriero
straordinario, esattamente come suo padre.
La
giovane interruppe la propria forsennata, rabbiosa
vendetta solo nel momento in cui sentì echeggiare attorno a
sé la fragorosa
risata del nonno di Pan. E non poté fare a meno di entrare
in un assurdo stato
confusionale.
Perché
non era assolutamente in grado di capire cosa
potesse spingere quello “sciocco babbeo”, come suo
padre soleva definirlo, a
ridere senza contegno in un momento come quello.
Così
Bra cominciò ad attendere. Attendere che le venisse
data una spiegazione, una spiegazione al maltrattamento subito, a
quella
stupida, inspiegabile risata.
In
qualche istante Goku riemerse dalle rocce contro le
quali era stato catapultato, e, quasi come se gli attacchi subiti non
gli
avessero sortito altro che il solletico, prese a spolverarsi i vestiti.
“Ti
chiedo scusa per tutto quello che ho detto Bra. Sappi
che non pensavo assolutamente nulla di tutto ciò. Volevo
soltanto dimostrare
sia a me stesso che a te, che non è assolutamente vero che
non hai talento nel
combattimento. E soprattutto volevo aiutarti a trovare dentro te stessa
una
motivazione valida per cui combattere, per cui dare tutta te stessa.
Sei molto
forte, Bra. Spero che tu te ne sia resa conto dopo questa
dimostrazione.”
Sorrise
paternamente ed accarezzò con delicatezza la testa
della giovane turchina.
“Sapete
ragazze? Credo che voi due non abbiate bisogno di
ulteriori allenamenti. Siete già pronte per partire alla
volta di Vegeta-sei.”
Le
due giovani si scambiarono uno sguardo carico di
entusiasmo, e non potendo trattenere la felicità
cominciarono ad esultare,
ricevendo in cambio da parte dell’adulto unicamente uno
sguardo carico di
tenerezza.
“Che
ne direste di correre alla Capsule Corporation per
ultimare i preparativi alla partenza?”
“SI!!!!”
Le
ragazze esultarono in coro, e posate le proprie piccole
mani sulle spalle del guerriero Saiyan si ritrovarono in un batter di
ciglia
nuovamente nel luogo dal quale erano partite.
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“Mmm,
bene, direi che non questo ci siamo. Bra hai finito
di preparare i bagagli?”
“Non
ancora Pan. Che ne dici, è meglio portare due paia di tacchi
oppure uno soltanto? E poi gentilmente, potresti portare
l’asciugacapelli? Io
porterò la piastra e il make-up!!”
La
corvina guardò l’amica con gli occhi carichi di
sorpresa.
“I
t-tacchi? Scusami tanto Bra, ma quando credi che avremo
occasione di indossare qualcosa di diverso da una battle-suit? Dai,
leva dalla
valigia tutte quelle paillettes!! Se ti venisse la brillante idea di
indossare
roba del genere su quel pianeta di scimmioni ci sgamerebbero
subito!!”
“Uffa
Pan, sei proprio un maschiaccio!! Pianeta di
scimmioni o meno, io non posso fare a meno di pensare a coltivare al
meglio la
mia straordinaria bellezza in ogni istante della mia vita!”
“Mpf.”
Pan
si voltò contrariata dalla parte opposta. Sarebbe
eternamente rimasto un mistero per la sua giovane mente scoprire se ci
fosse
qualcosa di sbagliato in lei o nel resto del mondo femminile.
Detestava
le svenevolezze, le scemenze ed ogni forma di
perdita di tempo. Per il semplice fatto che le considerava cose
estremamente
superficiali. Roba da oche.
Preferiva
di gran lunga la praticità di un paio di leggins
al fastidio di una minigonna abbinata a scomodissimi tacchi. Era fin
troppo
affezionata alla sua bandana arancione per pensare di buttarla via
sostituendola con uno stupido cerchietto adorno di fiori di stoffa.
Ma
soprattutto non si era mai paragonata al resto del
mondo. Mai si era sentita strana. E mai prima di allora si era posta la
problematica di essere sbagliata. Eppure, se fosse stata diversa almeno
un po’,
forse Trunks, il suo adorato Trunks, avrebbe trovato in fondo al
proprio cuore
un motivo per cui guardarla con occhi diversi…
Sospirò.
Di certo quello non sarebbe stato il momento
opportuno per perdersi fra quei pensieri. Era in procinto di
intraprendere una
straordinaria avventura che le avrebbe liberato la mente da ogni triste
pensiero del genere. Si sarebbe divertita, avrebbe ritrovato tutto
ciò che di
se stessa le era parso di aver perso, e sarebbe ritornata a vivere,
come la Pan
si sempre. Allegra, coraggiosa e vivace. Maschiaccio forse. Ma
speciale.
Chi
mai avesse scelto di amarla l’avrebbe accettata per
com’era, e lei non avrebbe dovuto preoccuparsi di rendersi
diversa.
Ebbe
per la prima volta, dopo tanto tempo, la
consapevolezza, o forse la ferrea speranza che al mondo, nascosto da
qualche
parte, ci fosse anche il suo principe azzurro.
Un
principe azzurro che già, da qualche parte
dell’universo
la stava attendendo per offrirle il suo amore.
Sorrise
tra sé fra questi ottimistici pensieri, che da
tempo ormai avevano preso a non sfiorarle più neppure la
mente. Sorrise
ammirando la natura fuori dalla finestra, al pensiero che non fosse mai
troppo
tardi per tornare ad essere felici.
:::::::::::::::::::::::::::
“Scusate
l’interruzione ragazze. Ho appena finito di
ultimare i macchinari. Grazie al cielo la macchina del tempo che Cell
ha
utilizzato per arrivare fin qui non era ridotta troppo male,
così ho avuto modo
di procurarvi anche altre cose che potrebbero esservi utili.”
La
scienziata tirò fuori dalla tasca destra del proprio
grembiule da lavoro un contenitore di capsule, e cominciò ad
enunciarne il
contenuto alle due giovani.
“Prendete
nota ragazze. Le capsule sono numerate, perciò
non dovreste avere difficoltà a riconoscerle
all’occorrenza. All’interno della
numero 1 troverete un appartamento. Le dimensioni sono un po’
modeste, ma è
stata pensata affinché sia facile per voi piazzarla in un
luogo desolato e fuori
dalla portata di occhi indiscreti! Tuttavia naturalmente ho provveduto
personalmente a fornirla di ogni comfort necessario. Avrete una camera
da letto
e un bagno ciascuno, così non dovrete litigare!! Mentre
invece la cucina e il
salotto saranno in comune. Ho installato inoltre una piccola Gravity
Room, nel
caso in cui decidiate di allenarvi.
La
capsula numero 2 contiene una quantità considerevole di
battle-suit, nel caso in cui qualcuna si rovinasse o fosse a lavare.
Sono
costituite di un materiale resistente, e le ho disegnate io stessa
secondo una
descrizione dettagliata che Vegeta stesso mi ha fornito tempo fa sul
vestiario
femminile Saiyan. C’è da ringraziare il cielo che
talvolta mi vengano simili
curiosità!
La
capsula numero tre contiene invece una quantità di cibo
tale da sfamare un esercito per almeno un anno. Non abbiamo idea di che
cosa
mangino quegli scimmioni, e non voglio certo correre il rischio che
siate
costrette a mangiare carne di alieno!!
E
infine nell’ultima capsula, la numero 4,
c’è un
travestimento costruito appositamente per te, Bra. Pan ha i capelli
neri e la
coda, perciò non ha alcuna difficoltà ad essere
facilmente scambiata per una
Saiyan purosangue, ma tu hai necessariamente bisogno di un
travestimento coi
fiocchi. Dentro questa capsula troverai una parrucca e una pratica
mutandina
con la coda incorporata. Geniale vero?”
Le
due ragazze si scambiarono uno sguardo interrogativo.
Bra pareva preoccupata e inorridita allo stesso tempo, mentre invece
Pan
tratteneva a stento le risate alla malsana immaginazione di Bra, che
per tutta
la durata della loro permanenza su Vegeta-sei avrebbe dovuto indossare
lo
stesso paio di mutande.
Bra
dal suo canto, profondamente stizzita da un tale errore
di calcolo da parte della madre, colse al volo l’occasione
per evidenziare il
problema, con la dolcezza che da sempre la caratterizzava.
“Già
mamma, geniale. Perché secondo i tuoi calcoli dovrei
passare tutto quel tempo SENZA CAMBIARMI LA BIANCHERIA INTIMA,
giusto?”
“C-cosa?
Oh giusto, non ci avevo pensato… Hai ragione
tesoro, apporterò subito una modifica.”
Bulma
ridacchiò piuttosto imbarazzata. Tuttavia il suo
volto tornò repentinamente ad essere serio nel rammentare
ulteriori
delucidazioni da fornire alle due ragazze.
“Un’ultima
cosa. Ho installato a bordo della navicella uno
speciale macchinario, in grado di collegare due diverse dimensioni
temporali.
Così potremmo comunicare facilmente, e voi avrete la
possibilità di aggiornarci
in tempo reale di ciò che sta succedendo laggiù.
Inoltre, una volta arrivate a
destinazione ricordatevi di richiudere la macchina del tempo in questa
capsula
vuota. Se qualcuno la vedesse in giro sarebbero guai seri per
voi.”
“Ti
ringrazio Bulma, hai pensato proprio a tutto!”
Affermò
Pan, incapace di contenere la propria felicità e la propria
impellente voglia
di intraprendere quell’avventurosa missione.
“Di
nulla, piccola. Sono io a dover ringraziare voi per
aver accettato questo incarico. Beh credo di avervi detto tutto
ciò che
dovevate sapere. Occupatevi degli ultimi preparativi e badate a non
dimenticare
nulla che possa servirvi! La partenza è prevista per domani
mattina.”
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Angolo
autrice: Rieccomi con il secondo capitolo di questa
Long Fic. Alla fine a partire non saranno Goten e Trunks, ma Pan e
Bra… Sorpresi?
Come se la caveranno le due ragazze in questa missione? Spero di avervi
incuriosito almeno un po’ con questo secondo capitolo, e che
i tanti taciti
lettori vogliano lasciarmi un’opinione!! Ringrazio comunque
anche solo chi
legge e chi segue!! Un bacio :*
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Capitolo 3 *** Sbarco su Vegeta-sei ***
“Si
parte!!! Arriviamo,
Vegeta-sei!!!”
Pan
cominciò a palesare il
proprio entusiasmo per l’imminente, avventurosa partenza, e
suo padre non poté
fare a meno di sentirsi riempire pian piano il cuore di tenerezza alla
splendida visione del radioso sorriso della figlia.
Certo,
era perfettamente consapevole
del fatto che sarebbe stato stupido pensare che la sua bambina avesse
potuto
avere una totale ripresa tanto celere dalla propria inspiegabile
tristezza. E
Gohan di certo, stupido non lo era affatto. Ma vederle nuovamente
riflessa
negli occhi la luce di quell’inconfondibile, vivace allegria,
che caratterizzava
il suo paffuto viso di bambina fin da quando era piccola non
poté far altro che
spingerlo a sorridere inconsciamente a propria volta, a credere nel
piccolo
barlume di speranza che quella partenza inaspettata e improvvisa aveva
aperto,
in diversa misura, davanti a tutti loro.
Sapeva
fin dall’inizio che
quella sarebbe stata la soluzione migliore. Sapeva quanto fosse stata
un’idea
geniale quella che aveva avuto. Ma nonostante l’entusiasmo,
la razionalità dei
propri progetti, la speranza di poter riconoscere nuovamente la bambina
allegra
che aveva imparato ad identificare in Pan, sentiva bruciare dentro il
cuore il
peso opprimente di un atroce macigno.
Qualsiasi
cosa fosse successa
alle due bambine si sarebbe sentito il primo responsabile. Si sarebbe
sentito il
responsabile di ogni cosa. Di ogni pericolo, di ogni sofferenza, di
ogni intimo
timore che avesse potuto assalire anche per un solo istante, i loro
cuori. Avrebbe
vissuto tutte le giornate che lo separavano dal giorno fatidico del
loro ritorno
a casa con l’anima in pena, avrebbe trascorso con il cuore
colmo di ansia ogni
momento passato lontano dalla sua dolce, piccola Pan.
La
serenità gli sarebbe stata
nuovamente concessa solo col calore di un suo abbraccio, solo nel
momento in
cui avrebbe potuto stringere nuovamente contro il proprio petto il viso
roseo
del suo piccolo angelo, quando quella pericolosa avventura fosse finita
per
sempre.
Sperò
per lo meno che non
fossero vane le aspettative che nutriva, insieme a tutti gli altri, per
quell’impresa.
Sperò che la missione che tutti insieme avevano ingegnato
con tanto impegno,
mossi dalla più viva speranza, desse delle soddisfazioni a
coloro che avevano
impiegato un tale dispendio di sogni e di energie.
Sperò
vivamente che la sua
bambina potesse trovare tutto ciò di cui avesse bisogno per
accantonare
definitivamente le ombre che avevano preso a pesarle sul cuore.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Bene
ragazze, siete sicure di
non aver dimenticato nulla che possa servirvi?”
“Certamente,
Bulma non
preoccuparti. E’ tutto sotto controllo!!”
Esclamò entusiasta Pan, carica di
allegria.
Pareva
che in un batter di
ciglia fosse tornata ad essere la bambina di sempre. La bambina che la
sua
famiglia aveva avuto lo sciocco ed infondato timore di non rivedere mai
più. E
quel repentino quanto inaspettato cambiamento ebbe l’effetto
immediato di generare
nel cuore dei presenti un profondo senso di fiducia nella buona
riuscita di
quella pericolosa missione.
Chiunque
pareva a prima vista
tranquillo, fiducioso, rincuorato. Rincuorato dalla visione della
grinta e
dell’energia che visibilmente traboccava dai volti sicuri
delle due giovani
guerriere.
L’unico
componente del gruppo
a palesare la propria preoccupazione era Bulma.
Infatti,
nonostante il fatto
che Goku e Gohan l’avessero ampiamente tranquillizzata a
proposito dei pericoli
nei quali le due giovani avrebbero potuto imbattersi e soprattutto a
proposito
della loro straordinaria qualità di guerriere, la turchina
non riusciva ad
affrontare quella partenza con la stessa leggerezza d’animo
di tutti gli altri.
Nutriva in fondo il cuore il timore atroce che potesse capitare
qualcosa di
terribile, a discapito delle ottimistiche previsioni effettuate dalla
vecchia
Baba.
“Ho
un’ultima cosa di cui
parlarvi, ragazze. Vegeta-sei è scomparso esattamente 32
anni fa, all’epoca in
cui Vegeta aveva circa 18 anni. *
Perciò credo
che sia sufficiente per voi giungere lì un anno prima della
presunta
esplosione, ovvero 33 anni fa. La navicella, come potete vedere,
è apparentemente
molto simile a quella utilizzata abitualmente dai Saiyan,
perciò ovunque
atterriate non dovrebbero esserci problemi. Probabilmente ci starete un
po’
strette ma non ho potuto fare diversamente. E’ già
stata un’impresa non
indifferente riadattare la macchina del tempo per renderla simile ad
una
qualsiasi altra navicella!!
Come
stavo dicendo, la
distanza temporale che dovrete percorrere è notevole,
perciò impiegherete circa
un mese per arrivare a destinazione.”
“UN
MESE INTERO?! Come sarebbe
a dire?!”
Bra
strabuzzò gli occhi,
visibilmente esasperata a quella nefasta notizia.
Come
avrebbe trascorso un
intero mese su una navicella spaziale in compagnia di Pan? Si sarebbe
certamente annoiata a morte. Senza considerare ovviamente il fatto che
sarebbe
stata sprovvista di qualsiasi cosa che, nella diversa circostanza della
sua
allegra quotidianità, avrebbe potuto costituire per lei un
trastullo.
E
in più, come se tutto ciò
non fosse bastato, non le sarebbe stato concesso neppure lo spazio
vitale per
starsene per fatti suoi, con la compagnia unica delle sue riviste di
gossip e
del suo cellulare.
“E’
per papà, tutto questo è
soltanto per papà. La sua felicità vale molto di
più di uno stupido
sacrificio.”
“Mpf.
Cerca di non lamentarti
troppo, carina. Purtroppo ne convengo, non sono stata in grado di
diminuire
ulteriormente il tempo necessario per effettuare il viaggio. Ma ho
posto un
rimedio a questa mia piccola mancanza. Potrete trascorrere il tempo del
viaggio
allenandovi per i combattimenti che dovrete affrontare una volta
arrivate nella
piccola palestra che ho costruito appositamente per voi! Pensate un
po’, nella
minima quantità di spazio che ho avuto a disposizione sono
riuscita persino ad
installarvi dentro una piccola Gravity Room. Senza considerare
naturalmente il
fatto che avrete la possibilità di discutere al meglio sulle
modalità e sullo
svolgimento del vostro piano, e soprattutto che avrete a disposizione
tutto il
tempo necessario per indossare i vostri travestimenti e calarvi nei
panni dei
vostri nuovi personaggi! Dico bene?”
“Perfetto.
Mi toccherà discutere
tutto il tempo con quella zucca vuota di Bra, e come se non bastasse
dovrò
addirittura allenarla. Ma in fondo forse ne vale la pena, forse
servirà a
qualcosa. Forse riuscirò a dimenticarti definitivamente dopo
tutto questo,
Trunks.”
“Bene, credo di
avervi detto tutto ciò che
dovevate sapere. Buon viaggio ragazze, e abbiate giudizio. In bocca al
lupo.”
::::::::::::::::::::::::::::
Chiusosi
il portellone alle
loro spalle, le ragazze si guardarono intorno stranite.
Dal
momento in cui era stata
fatta loro la proposta di intraprendere quella missione, le loro
giovani menti
non avevano abbandonato quel pensiero neppure per un singolo istante.
Eppure,
solo trovarsi a bordo di quella navicella, solo sentirsi addosso
l’inconfondibile
adrenalina dell’avventura, del pericolo, servì a
rendere le due ragazze
seriamente consapevoli del fatto che l’avventura fosse
cominciata per davvero.
Entrambe
poterono avvertire
quasi nello stesso istante un tremito percorrere la schiena in tutta la
sua
lunghezza.
Entusiasmo,
terrore,
irrequietezza, impazienza, inquietudine.
Contrastanti
erano i
sentimenti che si agitavano nei loro giovani animi confusi, senza che
le due
ragazze fossero tuttavia in grado di scegliere quale tra questi
sentimenti
prevalesse sull’altro.
Erano
sicuramente felici,
comunque. Felici di trovarsi lì dov’erano.
L’ambiente
nel quale si trovavano
era molto più ampio rispetto a quanto non apparisse
dall’esterno, ma ugualmente
gli spazi erano alquanto limitati rispetto alle ordinarie
necessità di due
adolescenti.
Contro
la parete opposta
rispetto alla loro posizione erano situati i comandi della navicella,
mentre
alle due estremità della vettura si trovavano
rispettivamente la palestra, un
bagno e una piccola cucina. Infine, esattamente al centro del piccolo
ambiente
erano posizionati due letti.
Alle
due ragazze parve
ottimisticamente che ogni cosa fosse perfetta e che, soprattutto, il
tutto
rispondesse perfettamente ad ogni tipo di necessità.
Nonostante il pessimismo
iniziale, dunque, le due ragazze si ritrovarono all’inizio
dell’avventura
pronte ad affrontare ogni tipo di avversità con la migliore
disposizione
d’animo che si possa immaginare.
“Bene,
direi che è tutto
pronto. Preparati al decollo, Pan.”
Così,
dopo aver indossato le
ampie tute spaziali, le due ragazze presero posto sugli appositi sedili
posti
di fronte ai comandi di pilotaggio e, allacciate le cinture di
sicurezza,
furono definitivamente pronte alla partenza.
“Reggiti
forte Pan. Stiamo per
decollare.”
La
giovane Bra, abile quanto
la madre in fatto di tecnologia, azionò velocemente la
navicella, digitando con
aria esperta ed assorta sul tabellone dati e simboli apparentemente
insignificanti, cosicché nel giro di qualche istante la
macchina del tempo fu
pronta per alzarsi dal suolo, dando finalmente inizio a quel viaggio
tanto
atteso.
:::::::::::::::::::::::::
“Bene,
direi che abbiamo
superato la turbolenza iniziale. Possiamo slacciare le cinture di
sicurezza, mettere
via queste stupide tute spaziali e cominciare a rilassarci.”
Pronunciate
queste parole Bra
abbandonò repentinamente la propria postazione e si
liberò dell’ingombrante
tenuta spaziale.
“Ma
come, te ne vai? Non
dovresti stare attenta ai comandi?” Domandò Pan,
in un misto di confusione e
timore.
Per
tutta risposta Bra
ridacchiò.
“No
Pan, non è necessario.
Dimentichi che non ci troviamo nello spazio, bensì in
un’altra dimensione. Prova
un po’ a guardare fuori attraverso i vetri. Non
c’è alcun ostacolo di fronte a
noi.”
Pan,
slacciate a propria volta
le cinture di sicurezza si diresse con curiosità verso una
delle ampie vetrate
poste ai due lati esterni della navicella.
E
ciò che si mostrò ai suoi
occhi la lasciò di stucco. Poiché era come se la
navicella sulla quale si
trovavano stesse attraversando il vuoto. Intorno a loro regnava infatti
la più
totale oscurità, e, come aveva detto Bra, nessun ostacolo si
opponeva al loro
avanzare nel nulla, quell’immensa infinità non
offriva alcun diversivo per
contrastare la totale supremazia di quelle opprimenti, desolate
tenebre. Nessun
astro faceva dono del proprio bagliore per rendere adorna di luce
quella notte
sconfinata, nessun corpo celeste, nessuna forma di vita faceva sfoggio
della
propria presenza di fronte agli occhi attoniti della giovane corvina.
Poiché
intorno a loro regnava il nulla.
Pan
si sentì inspiegabilmente
stordita, impaurita. Per la prima volta, da quando aveva permesso che
la sua
giovane mente fosse intasata completamente dal pensiero di quella
missione, si
capacitava realmente dello stato di cose nel quale era venuta
improvvisamente a
trovarsi.
Era
sola, completamente sola.
Sola come non lo era mai stata in tutta la sua vita. Qualsiasi pericolo
si
fosse scagliato contro di lei, qualsiasi terribile nemico avesse
attentato alla
sua vita, il nonno Goku non ci sarebbe stato. Trunks e Ub non ci
sarebbero
stati. Il suo adorato papà non sarebbe accorso a salvarla.
Avrebbe
dovuto affrontare le
avversità con l’ausilio unico delle proprie forze,
sulle proprie potenzialità e
su null’altro avrebbe potuto contare.
Quell’avventura, nella sua interezza,
avrebbe costituito una prova, una dura prova. Una
prova dall’esito sconosciuto, un esame
difficile.
Ma
la piccola Pan sentiva come
mai le era successo prima di allora, che il momento fosse arrivato.
Era
finalmente arrivato il
glorioso momento di dar prova a se stessa e a tutti coloro che le
volevano bene
della portata dei propri miglioramenti, della propria incredibile forza
di
volontà, del fatto soprattutto che da quel momento in avanti
avrebbe potuto
cavarsela da sola, in ogni circostanza. Del fatto che Pan Son non fosse
più
soltanto una bambina.
Perché
Pan era una donna ormai,
a tutti gli effetti. E soprattutto, era diventata un forte guerriero.
Un
guerriero capace di
affrontare da solo le proprie battaglie e di vincerle, un guerriero
capace di
farsi strada a testa alta tra le più atroci
difficoltà.
Una
donna capace di
accantonare un amore impossibile, un amore non ricambiato come fosse
carta
straccia, e andare avanti.
Una
donna capace di vivere nel
mondo, di superare le delusioni e di trovare una nuova ragione per la
quale
essere felice.
Tutte
queste idee che avevano
preso improvvisamente ad agitarsi nell’animo della giovane
avevano causato un
atroce sconvolgimento nella sua mente confusa.
La
piccola Pan si sentì
strana. Poiché quei pensieri avevano sortito su di lei un
effetto contrastante.
L’avevano terrorizzata, ma inspiegabilmente eccitata al tempo
stesso. L’avevano
riempita di quell’adrenalina che si fa largo nel corpo di
ogni guerriero Saiyan
percorrendone le membra per intero nel momento in cui si trova di
fronte ad un’avventura
pericolosa, ad un nuovo nemico.
E
capacitandosi di questi
pensieri si sentì improvvisamente, inspiegabilmente felice.
Sorridendo tra sé
si liberò con calma dall’ingombro della tuta
spaziale, e si adagiò comodamente
sul letto che le era stato destinato accanto a Bra, che vi si era
già
accomodata a partire dal momento in cui Pan aveva cominciato ad
occuparsi delle
proprie congetture mentali.
“Bra?”
“Mh?”
“So
perfettamente che prima di
adesso non siamo abbiamo mai provato molta simpatia l’una nei
confronti
dell’altra … Ma dal momento in cui abbiamo una
quotidianità da trascorrere
insieme, mi chiedevo se non potessimo fare uno sforzo per cercare di
andare d’accordo
e … beh … essere amiche.”
Bra
sorrise.
“Certamente,
mi sembra
un’ottima idea. Dovremo imparare a convivere per un periodo
di tempo abbastanza
lungo, e se fossimo in conflitto tra noi le cose potrebbero rivelarsi
più
difficili del previsto. Inoltre penso che sarebbe una noia mortale
trascorrere
tutto questo tempo senza poter parlare di nulla. Perciò, a
partire da questo
momento puoi considerarmi una tua amica.”
Pan
sorrise rincuorata a
sentir pronunciare quelle parole, perché erano giunte alle
sue orecchie
tranquille, serene, dolci. Quel breve discorso, pronunciato con tale
dolcezza da
una persona come Bra le era apparso assolutamente inusuale,
inaspettato.
E
la giovane corvina, a
partire da quel momento, ebbe modo di riconsiderare e ribaltare il
proprio precedente
affrettato, aspro giudizio a proposito della turchina che,
incontrastato, era
sempre rimasto riposto in fondo al suo cuore.
Fin
da quando era una bambina
aveva avuto l’abitudine di considerare Bra come
tutt’altro che una persona
anche solo lontanamente interessante.
L’amica,
o la presunta tale,
era sempre apparsa ai suoi occhi come null’altro che una
bisbetica, antipatica,
stupida oca, come un essere che mai, per nessuna ragione al mondo
avrebbe
potuto avere qualcosa a che fare con lei. Né tantomeno Pan
avrebbe voluto
averla tra i piedi, in nessuna circostanza. Erano sempre state fin
troppo
diverse, loro.
Eppure,
per quanto Pan non si
fosse mai posta la problematica di essere strana rispetto al resto del
mondo,
per quanto non le fosse mai capitato di avere problemi di autostima,
provava un
inspiegabile senso di inferiorità nello starle accanto.
Provava quasi la
sensazione di trovarsi in presenza di un essere soprannaturale,
inarrivabile
quasi.
Perché
Bra, per quanto ai suoi
occhi potesse essere apparsa sciocca e insopportabile, era
semplicemente splendida.
Lo era sempre stata. Del resto, come avrebbero potuto le cose essere
diverse?
Era una principessa in fondo. Molto particolare, con ben poco di
principesco
probabilmente, ma pur sempre una principessa.
Non
lo avrebbe mai confessato
a nessuno al di fuori di se stessa, ma aveva sempre provato
un’irreprimibile forma
di invidia nei suoi confronti. Invidiava la sua innata
capacità di suscitare
l’ammirazione generale, la sua bella presenza, la sua
straordinaria, naturale
dote di riuscire a star sempre al centro dell’attenzione, il
successo
indiscusso che, in ogni ambito, riusciva sempre a riscuotere.
Lei,
al confronto, altro non
era che una misera, insignificante, figura.
Pan
Son era semplicemente una
secchiona, bruttina e un po’ maschiaccio, con una potenza e
un’ingordigia tali
da spaventare anche il più coraggioso dei ragazzi che avesse
deciso di
invitarla al cinema.
Null’altro.
La
giovane corvina era
perfettamente consapevole di questo stato di cose. Per questo motivo
non poteva
affermare di essere mai stata completamente soddisfatta del proprio
personaggio. Né mai era stata fin troppo contenta di
ciò che col tempo,
passivamente, si era ritrovata a diventare.
Essere
primogenita, nonché
unica figlia di Son Gohan e di Videl era una grossa
responsabilità. Una
responsabilità di cui Pan non aveva mai avuto troppa voglia
di farsi carico.
Poiché
lei sentiva di essere
venuta al mondo per qualcosa di diverso rispetto a quanto la sua
famiglia, per
abitudine, soleva aspettarsi da lei. Sentiva di essere nata per vivere
l’avventura,
per sentirsi inebriare dell’adrenalina del combattimento, per
cimentarsi in esperienze
nuove e sfrenate.
Aveva
sempre pensato, con ogni
cognizione di causa, che la sua vita non facesse per lei.
Poiché si sentiva
quasi come se fosse stata vittima di un’ineluttabile
prigionia. Si sentiva come
rinchiusa in una gabbia monotona e desolata, in una prigione in cui
aveva
cominciato a sentirsi troppo stretta.
Nessuno
si era mai cimentato
nella missione di starle accanto tanto da capire quanto si sentisse
frustrata.
Era Pan Son, ma nessuno l’aveva mai
riconosciuta come tale. Era sempre
stata ‘la nipotina di Mister Satan’ per i compagni
di scuola, ‘la figlia di Son
Gohan’ per tutti gli insegnanti delle scuole più
prestigiose, ‘la nipotina di
Goku’ per gli amici di famiglia. L’ombra
insignificante di personaggi ben più
importanti e interessanti di lei. Poiché in fondo lei non
era mai stata altro che
una mocciosa bisbetica e isterica, piagnucolosa e capricciosa.
Non
sarebbe mai stata come Son
Goku, né come Son Gohan. Non avrebbe mai eguagliato le
straordinarie doti di
guerriero del nonno, pur avendone ereditato una parte, non avrebbe mai
raggiunto la preparazione del padre, pur essendo sempre riuscita ad
ottenere
dei buoni risultati nel corso degli studi. Non avrebbe mai raggiunto la
popolarità del nonno Satan, mai avrebbe riscosso tra la
gente tanta
ammirazione.
Poiché
lei, in fondo, era
null’altro che un’insignificante mediocre. La
piccola Pan continuava a ripetere
a se stessa che fosse proprio questo il primordiale motivo per cui
tutti gli
amici che aveva intorno, nonostante le fossero molto affezionati, non
l’avessero mai presa sul serio.
E
se Bra era diversa era certamente
migliore di lei, sotto ogni punto di vista.
Impeccabile
in ogni attimo
della sua vita, i suoi capelli erano morbidi e ordinati anche in mezzo
alle
tempeste, portava abiti griffati e alla moda, abbinati naturalmente
agli
accessori più svariati e costosi, indossava con incredibile
leggiadria borse e
scarpe diverse ogni giorno, e aveva un meraviglioso corpo da modella. E nonostante fosse
altezzosa, snob e
antipatica praticamente tutti i ragazzi della scuola le erano sempre
morti
dietro. Senza che lei li avesse mai degnati di uno sguardo,
naturalmente.
Somigliava
più ad una divinità
che ad una semplice ragazzina di 17 anni. E beh, in fondo forse un
po’ speciale
lo era davvero. Era figlia di quei due matti di Vegeta e Bulma in
fondo, e quel
che è peggio, era la copia esatta di suo padre. Una
principessa spocchiosa e
insopportabile.
E
lei, ancora una volta, non
era null’altro che una squallida ombra al suo fianco. Era
nulla di più che una
misera terza classe, secchiona e maschiaccio.
E
se Pan praticamente da
sempre si era ostinata a credere che la straordinaria bellezza di Bra
altro non
fosse che l’involucro di una testa vuota, il vano, splendido
involucro di una
semplice oca, in quel preciso istante, osservando attentamente i grandi
occhi
di zaffiro della turchina, non poté far altro che
capacitarsi della superba
intelligenza che traspariva da quello sguardo un po’ truce.
Somigliava a
Vegeta, incredibilmente. E proprio a partire da questo dato di fatto,
oca non
poteva esserlo affatto.
“Cosa
ti prende Pan? Sai,
praticamente tutti sono preoccupatissimi per te. Nessuno ha la
più pallida idea
di cosa possa esserti successo per renderti così
giù di corda.”
“C-cosa?
Oh, nulla Bra! Mi
dispiace che tutti si siano preoccupati per me, ma credimi questa
preoccupazione generale è assolutamente eccessiva e
infondata!! Sono solo un
po’ stanca perché negli ultimi tempi ho dovuto
sostenere molti esami a scuola,
e beh, questa vacanza rilassante è proprio cascata a
pennello!! Eheheh!!!”
Pan,
in uno di quei gesti che
tanto la rendevano tanto simile a suo nonno e a suo zio Goten si
grattò la nuca
ridacchiando, in preda al più totale imbarazzo. E a vederla
in quello stato Bra
alzò involontariamente un sopracciglio e si
lasciò sfuggire una risata
sommessa.
“Stai
mentendo Pan. Lo so
perché somigli incredibilmente a tuo zio Goten. E’
per via di un ragazzo, non è
vero?”
Pan
abbassò tristemente lo
sguardo verso il basso senza rispondere, per evitare così
gli occhi indagatori
della turchina.
“Scusami
per essere stata
indiscreta, Pan. Di certo non sei costretta a parlarne con me se non ti
va.”
Pan
sembrò incerta sulla
risposta da dare. Ma in seguito ad una veloce analisi sulla situazione
si
ritrovò a constatare che sfogarsi per la prima volta nella
sua vita non avrebbe
potuto farle altro che bene.
“Si,
si tratta di un ragazzo,
Bra. Sai, non ne ho mai parlato con nessuno prima di adesso
… Beh, in realtà
non c’è molto da dire, a me piace lui e a lui
piace un’altra … Tipico.”
“Posso
chiederti chi è?”
Pan
arrossì violentemente a
quella richiesta assolutamente indiscreta. Non avrebbe potuto rivelarle
il suo
nome. Sarebbe stato troppo imbarazzante parlare di lui proprio con sua
sorella.
“Ehm,
sarebbe meglio di no
Bra, non lo conosci neanche!”
Pan,
quasi inconsciamente si
portò la mano alla nuca, ripetendo nuovamente il gesto
abituale che fino a
qualche attimo prima aveva smascherato le proprie menzogne.
E
Bra a questo punto non fu in
grado di trattenere le risate.
“Si
tratta di Trunks, giusto?”
Pan
strabuzzò gli occhi
incredula. Poiché incredulità e sbigottimento
furono gli unici sentimenti
possibili per lei in quell’istante. La ragazzina non
riuscì a spiegarsi in
tempi decenti come avesse potuto Bra, che peraltro non ne sapeva
assolutamente nulla
di lei fino a qualche istante prima, calarsi in maniera così
perfetta e
profonda nella sua psicologia e riuscire a cavare in tempi tanto brevi
delle
informazioni così riservate.
Bra
non era semplicemente
tutt’altro che un’oca, diversamente da quanto
poteva apparire attraverso
un’analisi superficiale dei suoi abituali comportamenti.
Paradossalmente si era
rivelata una delle persone più astute che Pan avesse mai
incontrato in tutta la
sua vita.
La
mancata risposta di Pan
alla domanda che le era stata appena posta pose Bra di fronte alla
ferrea
consapevolezza di aver colto nel segno. In fondo come avrebbe potuto
non capire
un dato di fatto tanto chiaro? Non era certo una sciocca, lei. Non
avrebbe potuto
non accorgersi degli sguardi carichi di malcelata malinconia che la
giovane
corvina rivolgeva praticamente ininterrottamente al fratello in
occasione della
rimpatriata, non avrebbe potuto fraintendere una dimostrazione
d’amore tanto
palese. Eh già, nulla poteva sfuggire ai suoi attenti e
vigili occhi di
zaffiro.
“Mi
dispiace molto, Pan … Ma
che vuoi farci? Nulla va mai per come avremmo sperato noi. Ma non
disperare. E’
sciocco farlo alla nostra età, non credi? E poi, sono sicura
che l’occasione ti
si presenterà davanti quando meno te lo aspetti. Succede
sempre così. Sei una
bella ragazza, e se cominciassi a truccarti un po’ e a curare
maggiormente il
tuo aspetto sono pronta a giurare che un sacco di ragazzi ti farebbero
la
corte!!”
Pan
si voltò infastidita dalla
parte opposta. Detestava profondamente che fosse toccato quel tasto
dolente. Poiché
sapeva quanto Bra avesse ragione. Era perfettamente consapevole di
quanto
quelle fastidiose parole fossero vere.
“Ti
ringrazio infinitamente
per i tuoi preziosi consigli, Bra. Ma credo di poterne fare a meno,
almeno per
il momento.”
La
giovane si sdraiò sul letto
su di un fianco, voltando le spalle alla turchina.
“Scusami
Pan, il mio non
voleva affatto essere un insulto. Il contrario piuttosto. Comunque se
non ti va
possiamo smettere di parlarne. Abbiamo molte altre cose di cui
discutere del
resto.”
“Già,
la missione. Parlando di
queste sciocchezze me ne ero addirittura dimenticata. Dannato
Trunks.”
“Già.
Come sarebbe opportuno
comportarsi secondo te una volta arrivate lì? Un
po’ come farebbe Vegeta?”
“Mmm
… Suppongo di si. E in
questo non dovrei avere molte difficoltà.”
“Credi
che sia utile allenarsi
prima dello sbarco?”
“Allenarsi
sarebbe sicuramente
molto utile, ma a dir la verità non è che ne
abbia molta voglia, Pan. In fondo
quando arriveremo mancherà ancora un anno intero
all’esplosione del pianeta,
avremmo tutto il tempo necessario per allenarci una volta arrivate
lì, no?”
“Forse
hai ragione tu. Anche
io non ho molta voglia di allenarmi ad essere sincera. In fondo
è un po’ come
se fossimo in vacanza, no?”
“Piuttosto
singolare come
vacanza. Non credo che quell’assurdo pianeta sia mai stato
una rinomata meta
turistica.”
Le
due ragazze si guardarono e
scoppiarono a ridere all’unisono.
:::::::::::::::::::::::::::
Il
tempo del viaggio trascorse
più velocemente di quanto le ragazze avessero potuto
immaginare in una
pessimistica previsione. Le giornate sbarrate sul loro calendario di
viaggio si
erano moltiplicate in maniera incredibilmente veloce, quasi senza che
le
ragazze se fossero accorte.
Avevano
avuto modo di
approfondire il loro rapporto, Bra e Pan, e avevano scoperto di andare
d’accordo, molto di più di quanto non fosse nelle
loro iniziali aspettative. Incredibilmente
avevano scoperto di avere molte cose in comune, di essere
incredibilmente
simili sotto molti punti di vista.
E
ciò non poté esser altro che
un incentivo in più a rendere ottimistiche le previsioni per
quel loro bizzarro
soggiorno.
“E’
meglio cominciare a
prepararsi Pan. Rimetti a posto le tue cose, mancano soltanto 24 ore
all’atterraggio.”
“Wow,
finalmente, sono
emozionatissima!!!” Pan cominciò allegramente a
correre per la navicella nella
più entusiasta e forsennata ricerca della propria vita.
Radunati velocemente
tutti gli effetti personali all’interno del proprio bagaglio,
tirò fuori
dall’armadio i travestimenti che avrebbero dovuto indossare.
Pan
dispiegò le tute da
combattimento che Bulma si era premurata di confezionare appositamente
per
loro, e per la prima volta ebbe curiosità di osservarle.
La
parte superiore della tuta
era costituita da una salda corazza, mentre la parte inferiore da un
semplice
tessuto resistente ed elasticizzato. La divisa in sé era
molto simile a quella
abitualmente utilizzata da Vegeta stesso durante i combattimenti, ma la
differenza sostanziale era costituita dal colore. Le tute che Bulma
aveva
confezionato per loro erano infatti di colore verde.
In
base alle spiegazioni che
la turchina aveva preventivamente fornito loro, il colore blu era
riservato
esclusivamente alla nobiltà, mentre le classi subalterne
avrebbero dovuto
utilizzare un colore che contraddistinguesse la loro differente
condizione
sociale.
La
distinzione tra il
vestiario maschile e quello femminile Saiyan era costituito unicamente
da un
lungo strascico, il quale aveva origine dalla corazza superiore.
Infine, a
rendere l’armatura completa c’erano i guanti e gli
stivali, entrambi bianchi,
perfettamente identici a quelli utilizzati da Vegeta.
Pan
pensò entusiasticamente
che quell’uniforme fosse a dir poco meravigliosa.
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Guarda
Bra, non è
splendida??”
La
corvina, elettrizzata come
non mai, si liberò velocemente dall’ingombro dei
propri vestiti, restando in
biancheria intima. In maniera altrettanto celere indossò
quindi la propria
tenuta Saiyan, per poi correre a specchiarsi.
“Wooow,
sembro proprio un
guerriero Saiyan!! Sarà un’impresa smascherarci
per quegli scimmioni!!”
“Mpf,
se penso che dovrò
passare un anno intero su quel pianeta con queste porcherie addosso mi
sento
svenire!”
La
piccola Bra indossò
stizzita la parrucca e la coda artificiale che sua madre aveva avuto la
premura
e la genialità di prepararle.
“DANNAZIONE!!”
“Mh?
Che ti prende Bra?”
“Non
abbiamo pensato alla cosa
fondamentale! Dobbiamo inventarci dei nomi Saiyan!! Ci sgamerebbero
subito se
gli rivelassimo i nostri veri nomi!!!”
“Hum?
E quale potrebbe essere
secondo te un nome Saiyan?”
“Beh,
se tuo nonno si chiama
Kakaroth e mio padre si chiama Vegeta è ovvio che i nomi
Saiyan si ispirino
alle piante o alla vegetazione. Dunque direi...”
“Mmm,
Cipolla e Zucchina, che
ne dici?”
“Ma
che razza di idiozia è mai
questa? No, mi rifiuto categoricamente di farmi chiamare Zucchina!!”
“Beh,
allora sono spiacente,
ma non ho altre idee…” Affermò infine
Pan, in preda alla più totale confusione.
“Meglio
non pensarci. Stiamo
per atterrare e se tutto va bene non dovremmo incontrare nessuno
scocciatore
che voglia sapere il nostro nome. Allacciati la cintura di sicurezza
Pan. Tra
dieci minuti esatti atterreremo sul suolo di Vegeta-sei.”
Pan
ebbe un sussulto.
Nuovamente le sensazioni che aveva provato il giorno della partenza si
erano
fatte largo nella sua anima, e un misto di eccitazione e paura fece
aumentare
vertiginosamente i battiti del suo cuore. Meccanicamente, quasi
tremando, si
allacciò le cinture, aspettando impazientemente che quella
dannata attesa
avesse fine.
“Perfetto,
eccoci arrivate.”
Entrambe
le ragazze si
liberarono dall’impaccio delle cinture e furono pronte a
scendere dalla
navicella.
Aperto
il portellone e
ritrasformata velocemente la navicella in una capsula, ebbero
finalmente modo
di placare la grandiosa curiosità che le aveva accompagnate
per tutta la durata
del loro viaggio.
E
ciò che si mostrò ai loro
giovani occhi le lasciò attonite e senza fiato.
Un
cielo, inaspettatamente
rosso, ospitava ben due astri simili al Sole, mentre della luna invece
non
c’era alcuna traccia.
La
città, o presunta tale che
fosse, non aveva nulla di simile alle grandi metropoli terrestri. E
neppure al
più piccolo e insignificante dei borghi. Al contrario,
guardandosi intorno si
aveva l’impressione di trovarsi in un villaggio abitato da
barbari.
Intorno
alle due giovani
regnava la più tetra desolazione. Il terreno non era
asfaltato in nessun punto,
gli edifici, rudi e austeri, risultavano sparsi e apparentemente
costruiti
senza alcun criterio, le abitazioni erano più simili a
grotte che a normali
alloggi, nessun elemento artistico smorzava quella rigidità
inquietante che
rendeva inconfondibile quell’ambiente tetro.
Un’unica
costruzione spiccava
rispetto alle altre per la propria incredibile imponenza. Essa, dal
peculiare
stile duro e austero, era situata sul punto più alto del
terreno circostante.
Costituita interamente in pietra, pareva molto più simile ad
un enorme masso,
tanto alto da dare l’impressione di voler squarciare il rosso
manto del cielo.
Con
ogni probabilità doveva
trattarsi della reggia.
Non
sarebbe stato facile
raggiungere Vegeta, certo. Ma per lo meno sapere dove andare a cercarlo
costituiva per le due ragazze un piccolo sollievo nel profondo mare di
inquietudine nel quale si sentivano di sprofondare.
Infine,
persino la bizzarra
vegetazione che adornava quell’orrido ambiente
servì a completare un quadro che
di per sé non era troppo entusiasmante.
Piante
dalle forme e dai
colori più svariati facevano capolino da ogni dove, fornendo
un nascondiglio a
forme di vita animale parecchio strane.
Alieni
in divisa e Saiyan
dalle fantasiose capigliature percorrevano freneticamente quelle vie,
piccole
navicelle spaziali dalla forma sferica atterravano e decollavano in un
susseguirsi ininterrotto e infinito, rendendo per la prima volta
partecipi le
due giovani Saiyan della caotica quotidianità di una
città di quel pianeta, tanto
sconosciuto eppure al contempo familiare, che ben trentatré
anni prima rispetto
alla loro epoca era stato ridotto in macerie da un unico, ben assestato
colpo.
Uomini
e donne dagli sguardi
truci passavano loro accanto con aria indifferente, senza minimamente
crucciarsi o anche semplicemente curarsi della loro presenza.
A
questa constatazione
entrambe tirarono un sospiro di sollievo.
Sarebbe
stata un’impresa ardua
portare a termine quella missione, ma per lo meno il primo dei tanti
obiettivi
era stato portato a termine. Riuscire perfettamente nella
mimetizzazione.
:::::::::::::::::::::::::::::::
Paura.
Sconsolazione.
Solitudine. Voglia di mandare tutto allo scatafascio e correre
nuovamente a
casa, come mocciose piagnucolose.
Era
questo ciò che provavano
entrambe.
Parve
infatti a tutte e due
che il coraggio, la grinta e la forza di volontà fossero
loro venute a mancare
nel momento in cui più di ogni altro ne avevano bisogno. Nel
momento esatto in
cui erano venute a contatto con quella realtà tanto cruda,
tanto fredda.
Tanto
diversa rispetto a tutto
ciò che per loro era sempre stata consuetudine.
Tuttavia
entrambe decisero di
resistere. Entrambe avrebbero opposto tutte le proprie forze a
quell’incontenibile terrore, avrebbero portato a termine
quella missione.
Avrebbero dimostrato che potevano farcela, da sole.
Pan
si sentì improvvisamente
stringere una mano da una presa stretta e decisa.
“Anche
io ho paura Pan. Ma non
perdiamoci d’animo. Non prima di averci provato per lo meno.
Andiamo a cercare
un posto isolato dove posizionare la capsula casa. Dopodiché
cercheremo di
architettare un piano per arrivare a mio padre il prima
possibile.”
Pan
le rispose con un sorriso
di assenso, carico della determinazione che le era parso di aver perso
definitivamente.
Cominciarono
quindi a
gironzolare senza una meta precisa per quella strana città,
nella disperata
ricerca di un posto opportuno alla loro permanenza.
“Guarda
Bra, che ne diresti
della cavità dietro quella roccia? E’ isolata e
poco visibile, non dovremmo
avere problemi.”
“Mmm.”
Bra
si affacciò con sguardo
indagatore all’ingresso della grotta, e poté
constatare con grande sollievo che
fosse profonda abbastanza da non palesare la presenza della capsula
dall’esterno.
“Direi
che è perfetto.
Posizioniamola qui.”
“Bene.
Dici che sarebbe
opportuno andare a fare un giro?”
“Certamente
Pan. Cerchiamo di
osservare i loro comportamenti e di imitarli al meglio. Siamo
intesi?”
“Certo.
Andiamo.”
Le
due ragazze si
incamminarono con passo spedito, perdendosi fra quella moltitudine di
persone
ed effettuando uno sforzo immane per mantenere immutata sul proprio
volto
un’espressione che fosse sufficientemente
“rabbiosa”.
Tuttavia
non ebbero modo di
allontanarsi di molto rispetto al loro punto di partenza.
Due
giovani sconosciuti
infatti avevano deciso di opporsi al loro girovagare senza meta
piazzandosi di
fronte a loro.
“Salve,
ragazze. Posso
chiedervi dove state andando?”
Il
primo dei due giovani, con
aria arrogante si era avvicinato pericolosamente alla giovane Bra,
sfiorandole
il mento con le dita. Aveva profondi occhi neri e una folta chioma
ribelle che
gli ricadeva sulle spalle percorrendo la schiena in tutta la sua
lunghezza. Un
bel ragazzo. Un bel ragazzo con qualcosa di familiare.
Ma
Bra non ebbe tempo né
voglia di pensarci in quel momento.
La
turchina, in preda al
terrore, in un unico scatto d’ira allontanò con
disprezzo dal proprio viso
quelle mani sconosciute che sconsideratamente avevano osato sfiorarla.
E
si sentì pesare addosso una
grande responsabilità. Il dovere di comportarsi in maniera
opportuna per non
essere smascherata fin dal primo momento.
“Si
da il caso che siamo molto
impegnate. Perciò vedi di far presto a levarti di
torno.”
Con
la freddezza glaciale che la
giovane, fortuitamente in questo caso, aveva ereditato dal padre,
scansandosi
dal ragazzo con lenta indifferenza fece per proseguire il proprio
cammino,
quando la sua voce la interruppe nuovamente nei suoi intenti.
“Andiamo,
non fare
l’antipatica. Io e il mio amico volevamo soltanto invitare te
e quell’altra
ragazza a fare un giro e divertirci un po’. Mi chiamo Radish.
E lui è Nappa.”
Alle
spalle di Radish si
delineò una figura mastodontica, che fece sussultare di
spavento il cuore delle
due ragazze.
Nappa
era molto più alto
rispetto a Radish. Aveva pochi capelli in testa e due minuscoli baffi
ai lati
della bocca, il corpaccione grosso e muscoloso e gli occhi piccoli.
‘Incredibilmente
brutto. ’ Pensò
Pan.
“Come
ho già detto siamo
impegnate. Siete pregati di non continuare a scocciare.
Intesi?”
Bra
aveva parlato con
risolutezza, in un misto tra stizza e impazienza. Il suo primordiale
obiettivo
di quel momento sarebbe stato senz’altro quello di
allontanare il più
velocemente possibile quei due scocciatori, poiché la loro
opprimente presenza
cominciava a trasmetterle ansia e inquietudine. Tuttavia si
sentì improvvisamente
stringere forte una mano.
“Bra,
guarda!! Laggiù c’è tuo
padre!!”
Il
sussurro appena
percettibile di Pan fece perdere un battito alla giovane turchina, la
quale,
appresa quella succosa informazione prese a guardarsi intorno quasi
impercettibilmente, alla ricerca della giovane figura paterna.
Ad
un tratto lo vide. Molto più
basso, molto meno muscoloso, eppure mai e poi mai avrebbe potuto non
riconoscerlo. Stava nella sua posizione abituale,
l’espressione crucciata,
indifferente e un po’ truce, in piedi contro una parete
rocciosa, le braccia
incrociate contro il petto, un piede appoggiato contro la parete alle
sue
spalle.
Avevano
avuto un colpo di
fortuna. Un colpo di fortuna incredibile e insperato. E di certo non
avrebbero
potuto lasciarsi sfuggire una così fortuita circostanza.
“Abbiamo
cambiato idea. In
fondo non abbiamo un granché di interessante da fare.
Veniamo con voi.”
Nappa
fece sfoggio di un
sorriso maligno, molto più simile a un ghigno. Si
avvicinò a Pan con lenta
risolutezza e si fermò una volta giunto di fronte alla
piccola Saiyan.
“Mi
fa piacere, dolcezza. Come
ti chiami?”
“Pa-pa-pan!”
Sussurrò tremante
la ragazza.
“Pan?
Mmm che strano nome…”
Rifletté l’energumeno massaggiandosi il mento.
Pan
ebbe il tempo di perdere
un altro battito, ma fortunatamente l’attenzione del giovane
si era già
spostata altrove.
“Non
vi si è mai viste da
queste parti. Eravate in missione per caso?”
“Ehehehehe,
già!!!” Ridacchiò
Pan massaggiandosi la nuca. Lo sguardo truce che Bra le rivolse in
risposta
tuttavia costrinse Pan ad assumere un atteggiamento più
serio a partire da quel
momento.
“E
su quale pianeta siete
state mandate in missione?”
Le
due ragazze si squadrarono
disorientate, in preda ad un pauroso stato confusionale.
Pan,
prontamente si accinse a
rispondere a quella domanda.
“Ehm,
sul pianeta Ba…
Banana!!”
Bra
squadrò la corvina con
sguardo sconvolto e terrorizzato. Sarebbe stato ovviamente compito suo
riparare
alle sciocchezze tirate fuori da Pan.
“Banana?
Ma che razza di
pianeta è?”
“Non
conosci il pianeta
Banana? Beh, dovresti cercare di documentarti prima di porre domande
simili,
scimmione ignorante!” Bra si voltò dalla parte
opposta con aria indifferente,
sperando vivamente di aver posto fine a quell’imbarazzante
interrogatorio.
“Hum…
Ehm, già adesso che ci
penso mi ricordo perfettamente di un certo pianeta Banana!
Heheheh!!” Radish si
grattò la nuca imbarazzato. E a quel punto Bra non
poté non trovare risposta ai
propri dubbi. Quel ragazzo aveva decisamente qualcosa di familiare.
“Beh
andiamo?”
“Certo,
andiamo!”
Radish,
senza un minimo
accenno di timidezza cinse con un braccio le spalle di Bra, mentre
invece Nappa
si avvicinò a Pan con un ghigno arrogante stampato in faccia.
“Ecco,
lo sapevo. Quello brutto e ciccione è toccato proprio a
me!”
“VEGETA!!!
Guarda, abbiamo
incontrato due belle ragazze! Hanno detto che verranno a divertirsi con
noi!
Che ne dici di unirti al gruppo? Magari strada facendo ne rimorchiamo
un’altra!”
“Mpf.”
Le
ragazze in preda al terrore
videro il principe avvicinarsi lentamente, e decisero di tacito accordo
che
avrebbero sopportato quella tortura. In fondo, aver incontrato Vegeta
soltanto
qualche minuto dopo il loro sbarco sul pianeta era da considerarsi
assolutamente un autentico colpo di fortuna.
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Capitolo 4 *** Appuntamenti ***
La
combriccola, senza un eccessivo entusiasmo, cominciò a
girovagare senza meta percorrendo pigramente le vie circostanti.
“Dove
vi piacerebbe andare, ragazze?” Domandò Radish
senza
troppo interesse.
“Beh,
è da un bel po’ di tempo che siamo lontane per via
della missione, perciò ci piacerebbe fare un semplice giro
per la città. Che ne
dite?” Rispose prontamente Bra con un sorriso.
“Uhm…
Ok.” Il giovane Saiyan dalla folta chioma ribelle
sembrò quasi deluso da quella risposta. Di certo si
aspettava che le due
ragazze avessero in mente qualcosa di diverso. Qualcosa di
più coinvolgente
soprattutto.
Non
aveva smesso tuttavia di cingere in maniera quasi
protettiva le spalle della giovane Bra che dal suo canto trovava quella
situazione tutt’altro che spiacevole.
Era
la piccola Pan a trovarsi seriamente a disagio. Il
medesimo contatto fisico che le era stato prepotentemente imposto
dall’energumeno senza capelli la inorridiva, le faceva
aumentare
vertiginosamente la voglia di scappare il più lontano
possibile ad ogni attimo
che quelle manacce indelicate si soffermavano a sfiorare i suoi capelli
corvini.
La
giovane si era rifugiata in un silenzio alquanto
inusuale per lei, silenzio incentivato dal fatto che Vegeta, a partire
dal
momento in cui si erano stretti la mano, non avesse smesso di fissarla
neppure
per un istante.
E
Nappa doveva certamente essersi accorto di quella
situazione. Squadrava il giovane Principe a propria volta, con timorosa
attenzione.
Aveva
il chiaro obiettivo di scoprire cosa potesse trovarci
Vegeta di tanto interessante in quella semplice ragazzina un
po’ ingenua. E
soprattutto voleva capire se fosse il caso o meno di farsi da parte per
consentire al Principe di lavorarsela ben bene. Così, tanto
per cambiare.
Non
sarebbe stata la prima volta che quel dannato
principino spocchioso gli avrebbe soffiato la ragazza. E neppure
l’ultima
probabilmente. Ma di certo un semplice soldato quale era il giovane
Nappa non
avrebbe potuto permettersi il lusso di contraddire un capriccio del
Principe
dei Saiyan. Ne avrebbe pagato care le conseguenze sulla propria pelle,
e non
era esattamente sicuro che valesse la pena correre il rischio di
incappare in
un’eventualità tanto spiacevole.
Tuttavia,
prima che fosse pronto a intraprendere una
qualunque iniziativa, ci pensò il principe stesso a
offrirgli l’occasione per
dileguarsi.
“Da
dove venite, dunque?” Chiese Vegeta con aria falsamente
indifferente rivolgendosi a Pan.
La
corvina, capacitandosi del fatto che l’attenzione di
Vegeta fosse rivolta a lei si accinse a rispondere con una sicurezza
ostentata,
che di certo in quel momento non le apparteneva affatto.
“Ehm,
noi eravamo in missione. Su un piccolo pianeta
sperduto agli antipodi della galassia.”
Sperò
vivamente che Vegeta non chiedesse ulteriori
delucidazioni. Aveva volutamente omesso il ridicolo nome che aveva
concepito
per quel pianeta immaginario, e si disse che se in maniera del tutto
fortuita
erano riuscite ad ingannare quei due babbei di Nappa e Radish, con
Vegeta
riuscire in quell’intento non sarebbe stato altrettanto
facile.
Fortunatamente
la risposta fornita da Pan sembrò bastare al
giovane Principe che, nel proferire la propria domanda e
nell’ascolto della
risposta che gli era stata rivolta aveva gradualmente preso il posto di
Nappa
accanto alla giovane.
“Uhm,
e quanto tempo ci avete impiegato per l’espugnazione
del pianeta?”
“Ehm…
Un mese!!”
“Un
mese soltanto? Caspita, dovete essere molto
forti…”
“Cosa?
Ah, no non lo siamo affatto, sai quel pianeta era
abitato da… Ehm… Esseri primitivi, dei
moscerini!! E’ stato fin troppo facile …
farli fuori tutti!! Eheheh!!” Pan si grattò
nervosamente la nuca sperando di
uscire quanto prima da quell’imbarazzante conversazione sulla
cui affidabilità
non avrebbe scommesso un soldo.
Ma
grazie al cielo Vegeta non sembrava molto preso
dall’argomento in questione. Pareva piuttosto che quella
fosse stata unicamente
un’occasione come un’altra per cominciare a
interloquire con lei.
Non
smetteva di fissarla con quei suoi occhi grandi e
truci, profondi e neri come il baratro infernale, incredibilmente
belli,
incredibilmente espressivi. La giovane Pan non aveva mai avuto modo
prima di
allora di perdersi in quei due enormi occhi di pece.
Non
aveva mai avuto occasione di trovarsi a contatto con il
Vegeta della sua epoca, né tantomeno di stabilire con lui
una qualsiasi
conversazione. Vegeta del resto non era mai stato un tipo troppo
socievole. E
questo era un dato di fatto alquanto risaputo. Eppure trovandosi
accanto a lui
non poté fare a meno di provare un piccolo accenno di
piacere.
Vegeta
era senz’altro un tipo in gamba. Una persona
speciale. Lo si poteva apprendere solo soffermandosi attentamente sul
suo
sguardo perennemente accigliato, soltanto attraverso di esso era
possibile
capire quanto fosse un tipo brillante e completamente fuori dagli
schemi. Per
lo meno fuori dagli schemi consoni alla piccola Pan. Forse era proprio
per
questo motivo che Vegeta appariva tanto affascinante ai suoi occhi.
Oltre che
naturalmente per via dell’incredibile somiglianza che
c’era innegabilmente tra
lui e il suo amato Trunks.
Ciò
che la corvina non riusciva assolutamente a spiegarsi
era tuttavia la morbosa attenzione che il principe si ostinava a
prestarle. Era
convinta di non avere alcunché di interessante, eppure
Vegeta non smetteva di
fissarla. Che le avesse già smascherate? O che cominciasse a
nutrire dei
fondati sospetti? Il timore causato da questa eventualità
fece inorridire Pan,
che si sentì attraversare da un incontrollabile tremito di
puro terrore.
“Così
siete state via un mese per via di una missione, giusto?
Immagino che abbiate voglia di svagarvi un po’ per scaricare
la tensione… Vieni
con me Pan, facciamo un giro. Ti mostro qualche bel
posticino.”
Detto
ciò con grande risolutezza il principe afferrò la
candida mano della giovane, la quale senza opporre la minima resistenza
si
lasciò trasportare nella direzione imposta da quel contatto
sicuro e indelicato,
così poco gentile e rassicurante.
“P-pan
…” Sussurrò appena percettibilmente Bra
colma di
malcelata preoccupazione, allungando una mano verso l’amica.
“Tranquilla,
va tutto bene. Ci rivediamo più tardi qui.”
“Beh,
a questo punto io me ne vado.” Affermò stizzito
Nappa, senza preoccuparsi di nascondere il proprio disappunto per il
recente
affronto subito.
“Ciao
Nappa.” Rispose beffardo Vegeta, sfoggiando un brutto
ghigno arrogante colmo di derisione.
Pan
ebbe così modo di ricredersi sui propri benevoli
precedenti pensieri sul bel principe. Doveva essere senza dubbio un
bastardo.
Un piccolo bastardo arrogante e presuntuoso, oltre che viziato e
spocchioso. E
se davvero gli fosse balenata in testa l’idea di aver trovato
una povera
ingenua che gli cadesse ai piedi senza accenno di ribellione o di
dissenso, si
era sbagliato di grosso. Lei glielo avrebbe dimostrato, con ogni mezzo.
:::::::::::::::::::::::::::::::::::.
Lo
sdegno di qualche attimo prima perdurò per poco tempo
tuttavia nell’animo della giovane Pan. La sua attenzione si
era infatti ormai
spostata dal Principe per posarsi con curiosità su tutto
ciò che le stava
intorno.
L’ambiente
circostante non era certo da definirsi
sopraffino ed elegante, ma la ragazzina poté comunque
ricredersi della propria
iniziale pessimistica constatazione. Le strade sulle quali Vegeta
l’aveva
indelicatamente condotta brulicavano di giovani Saiyan, i quali in
completa
allegria bazzicavano in gruppo per le varie taverne di cui la
città in cui si
trovavano, o presunta tale che fosse, abbondava.
Donne
Saiyan, aveva constatato con sorpresa Pan, ce ne
erano ben poche. Dovevano senz’altro essere barricate in
casa, come palese
dimostrazione della consuetudine di un pianeta rozzo e troglodita. La
giovane
non poté contenere una smorfia di tacito dissenso a quel
pensiero. Nel caso in
cui il ruolo femminile su quel pianeta fosse stato davvero secondario,
la loro
libertà di azione sarebbe scesa a dismisura.
“Da
dove vieni di preciso? Credo di non averti mai vista da
queste parti.”
Pan
ebbe un sussulto. Perdendosi fra i propri pensieri
aveva quasi dimenticato la presenza di Vegeta, e si ritrovò
repentinamente
carica d’ansia e sovrastata dal pesante macigno della
necessità di soppesare
ogni singola parola pronunciata. Pregò gli dei e il cielo di
non farsi sfuggire
nulla di compromettente.
“Ehm,
io… Non abito esattamente da queste parti, sto un
po’
più in periferia!! Forse è per questo che non ti
è mai capitato di vedermi in
giro, e poi beh… Non sono un tipo che esce molto, di solito
mi alleno vicino
casa con… Con mio padre!!”
“Capisco.”
Il
giovane Principe non era un tipo di molte parole,
esattamente come il Vegeta del futuro. Nonostante fosse stato lui
stesso a
voler rimanere da solo con la corvina, continuava a mantenersi a
distanza da
lei, camminando lento e imbronciato, immerso tra i propri pensieri.
Chiunque
avrebbe potuto giudicarlo a prima vista come un
tipo incredibilmente noioso.
Eppure
c’era qualcosa in lui, qualcosa che alla piccola Pan
non era sfuggito ma che non riusciva comunque ad identificare in una
specifica
caratteristica, che lo rendeva comunque attraente, estremamente
piacevole.
La
sua aria un po’ misteriosa forse, il suo
bell’aspetto,
quegli occhi penetranti e malvagi, quel suo sorriso beffardo ed
enigmatico.
O
semplicemente il fatto che chiunque gli ronzasse intorno
non potesse prescindere dalla consapevolezza che dietro quella malvagia
indifferenza ci fosse qualcosa di molto più profondo, molto
più interessante.
L’unica
cosa che Pan sapesse per certo in quel momento era
tuttavia che il principe non avrebbe più proferito parola.
Perciò sarebbe
toccata a lei l’ardua missione di intraprendere un discorso.
“Ehm,
e tu invece? Dove abiti?”
Vegeta,
sorpreso da quella domanda volse lo sguardo verso
la sua giovane interlocutrice.
Se
gli aveva posto in maniera così naturale una simile
domanda era ovvio che non sapesse di parlare con il Principe dei Saiyan
in
persona. E soprattutto stava a significare che se era rimasta
lì con lui, se si
era lasciata trascinare dove lui le aveva prepotentemente imposto non
era per
garantirsi il suo favore. Né per attirare la sua attenzione.
Quella piccola,
alquanto strana ragazzina si trovava lì per il semplice
piacere di stare con
lui.
Si
soffermò con attenzione sui suoi occhi, e poi sul suo
viso.
I
primi, scuri con qualche venatura di verde smeraldo e
grandi, incredibilmente grandi, lasciavano trasparire una dolcezza e
un’innocenza che gli parve di non aver mai veduto addosso a
nessuno, neppure ad
un bambino.
Il
secondo, paffuto e candido, era privo di qualsiasi
cicatrice o imperfezione. Il colorito niveo di quel bel visino era
smorzato
unicamente dal lieve rossore delle sue gote piene. Il nasino
pronunciato e le
sue due piccole splendide labbra a forma di cuore, di un rosso
innaturale
rendevano perfetto il tutto. I capelli ondulati e un po’
spettinati ricadevano
inermi lungo le piccole spalle, tormentati in continuazione da mani
sottili e graziose.
Le
forme del corpo non erano ancora del tutto definite, ma
rappresentavano comunque un piacere per gli occhi di coloro che vi si
fossero
posati.
Seni
piccoli e rotondi, ventre piatto e fianchi
pronunciati, due splendide gambe sode dalla forma perfetta.
Vegeta
credette di non aver mai veduto nulla di così bello.
E per la prima volta nella sua vita il Principe dei Saiyan si
sentì in
imbarazzo.
“I-io
abito in un’altra zona, abbastanza lontano da qui.
Sarebbe piuttosto noioso spiegartelo nei dettagli.”
Non
le avrebbe confessato che in realtà la sua residenza
era ben visibile da qualsiasi angolo del pianeta. Non le avrebbe
confessato che
casa sua era la Reggia.
Aveva
deciso che quello doveva restare un segreto. Almeno
per il momento.
Poiché
avrebbe voluto che Pan restasse con lui per un
motivo diverso dal suo sangue blu. Perché avrebbe voluto che
qualcuno cominciasse
a trattarlo come una persona normale. Perché cominciava a
piacergli l’idea di
poter essere interessante agli occhi di qualcuno per motivi diversi
dalla sua
identità.
“Sei
nobile, Pan?”
“Mmm?
Io? No, macché! Sono figlia di un soldato di terza classe.
E tu invece?”
Aveva
pronunciato quelle parole senza neppure pensarci. E
si era resa conto del proprio madornale errore solo nel momento in cui
aveva
smesso di pronunciarle. Si morse il labbro con forza rimpiangendo la
propria
stupidità.
Era
stata in grado con una frase, una stupida frase
soltanto, di mandare allo scatafascio tutta la missione che avevano
progettato
con grande impegno.
Eppure
la risposta che il principe le rivolse la fece quasi
sbiancare dalla sorpresa.
“No?
Ehm … Neanche io.”
La
corvina lo guardò incredula. E lo vide sorridere, di un
sorriso sincero, che neppure al Vegeta del futuro aveva mai visto
addosso.
Le
sembrò a prima vista che si fosse addolcito, da un
momento all’altro, senza un motivo preciso. O per lo meno
senza un motivo che
lei riuscisse a comprendere.
E
restarono così per qualche istante, a squadrarsi senza
parlare. L’una sorpresa, piacevolmente, l’altro
enigmaticamente sorridente.
“Beh,
andiamo?”
“Ehm,
si certo!”
Il
giovane principe si fece più vicino a Pan di quanto non
lo fosse stato fino a qualche istante prima e cominciò a
camminarle a fianco.
Le
mostrava con teatralità tutti gli edifici nei quali si
imbattevano, esplicando calorosamente la loro funzione. E Pan ascoltava
rapita,
senza minimamente preoccuparsi di celare il proprio interesse, il
proprio
entusiasmo. Era perfettamente palese che la piccola vedesse per la
prima volta
tutto ciò che le appariva davanti. Ma a Vegeta non
importava. Attribuì la cosa
al fatto che quella ragazzina innocente ed ingenua, con tutte le
probabilità
del mondo avesse passato la maggior parte di ogni propria giornata
barricata in
casa, dedita agli allenamenti, e che quel momento di libertà
fosse sporadico,
inusuale, un’autentica eccezione che aveva avuto la fortuna
di cogliere al volo.
Era
ovvio che quella ragazzina non avesse assolutamente
idea di come andasse il mondo. E sarebbe stata un’impresa fin
troppo facile
farla cascare ai suoi piedi. Sarebbe stato divertente testare la
propria
abilità di seduttore su qualcuno che non conoscesse la sua
identità. Senza
contare il fatto che quella fanciulla fosse senz’altro un
bocconcino molto appetibile.
Il
Principe, rapito da questi malvagi e lussuriosi pensieri
si morse il labbro, quasi inconsciamente.
E
Pan, a sua volta presa da pensieri di natura ben diversa,
non se ne accorse neppure. Nutrendo una fiducia viscerale nel Vegeta
del
presente, non avrebbe mai potuto capacitarsi razionalmente senza una
dimostrazione palese dei malvagi e perversi pensieri che si erano
repentinamente affollati nella mente del suo giovane accompagnatore.
Così
si volse verso di lui e sorrise. Sorrise di uno di
quei sorrisi candidi e buoni che Vegeta non aveva mai visto addosso a
nessuno.
Addosso a nessuno di diverso da lei per lo meno. E per un attimo
sembrò persino
a lui che i suoi proponimenti malvagi fossero crollati improvvisamente
come un
misero castello di sabbia.
Perché
il principe dei Saiyan si era ritrovato spiazzato,
di nuovo. Da quegli enormi occhi limpidi, dalla splendida curva di
quella bocca
a cuore, da quelle gote rosee, da quei capelli ondulati e mossi dal
vento.
Abbassò
lo sguardo indispettito e confuso. Non gli capitava
spesso di provare insicurezza per un proprio recente progetto.
Né gli era mai
capitato di provare nei confronti del resto del genere umano un
sentimento diverso
dalla voglia di prevalere, con ogni mezzo. Non era mai stato legato a
qualcuno
per un motivo diverso dalla malvagia, innata voglia di trarne un
vantaggio
personale, di sfruttare chiunque unicamente per trarne piacere,
giovamento.
E
poco importava di cosa provassero le persone che gli
stavano intorno. L’unica cosa di cui gli importasse davvero
era il suo
benessere. E il suo orgoglio naturalmente. Prevaricare sugli altri era
qualcosa
che aveva sempre fatto senza alcuno scrupolo. Qualcosa che gli era
sempre
venuto quasi naturale.
E
proprio non riusciva a spiegare a se stesso l’assurda
sensazione di colpevolezza che gli derivava
dall’immaginazione della sofferenza
di quella ragazzina sconosciuta. Forse era dovuta al fatto che quel
sorriso
fosse tanto bello e contagioso da non meritare di trasformarsi in
qualcosa di
diverso. Poiché su un viso tanto dolce null’altro
al mondo poteva calzare a
pennello.
“Ci
siamo allontanati molto rispetto al punto di partenza?”
Domandò la giovane spezzando quel silenzio imbarazzante
durato fin troppo a
lungo.
“No…
Perché me lo chiedi?”
“Beh,
perché avevo detto a Bra che ci saremmo riviste
lì, e
dato che si è già fatto buio credo che sia ora di
andare… Mi riaccompagneresti?
Non sono sicura di saperci arrivare da sola!!”
La
piccola si portò una mano alla nuca senza smettere di
sorridere. E Vegeta la trovò adorabile. Nonostante
l’accenno di sdegno e di
fastidio derivatogli dal fatto che quella smorfiosa avesse osato
congedarlo in
maniera tanto spicciola e indecorosa.
Sorrise
tra sé. In fondo Pan non sapeva di avere a che fare
con un Principe. Perciò constatò che tra comuni
mortali, quella fosse una
consuetudine. Una consuetudine che non necessitava di tante inutili
moine.
“Certamente.”
Le
si avvicinò lentamente, con passo elegante, e per la
prima volta da quando avevano cominciato a parlare le concesse un
contatto
fisico.
Il
Principe infatti le aveva cinto le spalle con un
braccio, e Pan si trovò a distanza tanto ravvicinata da lui
da poter respirare
il suo profumo. Un profumo indefinito, ben diverso da ogni essenza che
conosceva, ma incredibilmente buono.
“E’
stata una piacevole casualità incontrarci
quest’oggi,
Pan. Mi chiedevo se non potessimo, domani… Fare qualcosa
insieme.”
Pan
fu entusiasta nel sentir proferire una tale richiesta.
Se il principe non si fosse fatto avanti di propria iniziativa sarebbe
stato
infatti piuttosto difficoltoso, se non del tutto impossibile, riuscire
a
combinare un nuovo incontro che apparisse sufficientemente
“casuale”. E ancor
più arduo sarebbe stato riuscire ad avere sue notizie, nel
caso in cui
l’avessero perso di vista. Così non ci
pensò sue volte ad accettare, con
estrema allegria, quella proposta.
“Certamente,
direi che è una bellissima idea. Potremmo
allenarci insieme domani mattina, che ne dici?”
“A-allenarci?
Uhm…. Ok.”
Vegeta
non riuscì a mascherare sufficientemente la
delusione scaturitagli da quella proposta. Aveva certamente in mente
qualcosa
di diverso e di più coinvolgente, senza considerare
ovviamente il fatto che un
allenamento contro una ragazzina avrebbe potuto essere tutto,
fuorché
producente.
In fondo, nonostante
Pan non lo sapesse, lui era il Principe Vegeta, il più forte
fra tutti i
Saiyan.
E
l’idea della giornata che si prospettava gli dava
già
noia. Ma aveva deciso comunque di non opporsi. Sarebbe stato un
giochetto per
lui imporre un’attività diversa.
Un’attività ben più piacevole. Ed era
quasi certo del fatto che quella
ragazzina non si sarebbe opposta al suo volere.
“Perfetto
allora!” Affermò Pan sorridendo, senza immaginare
minimamente i pensieri dell’altro.
Percorsero
in silenzio la strada che i separava dal loro
punto di arrivo senza staccarsi dal contatto fisico che avevano
stabilito poco
prima.
Nonostante
la consapevolezza di quanto poco ci fosse da
fidarsi di quel “piccolo” Vegeta, Pan si sentiva
inspiegabilmente
straordinariamente al sicuro tra quelle braccia solide e forti. Provava
una
sensazione di estremo benessere nell’inebriarsi di quel
magnifico profumo di
maschio. Tanto che camminò a lungo al suo fianco senza
minimamente accorgersi
del tempo che passava, della distanza percorsa. E quando si ritrovarono
nuovamente al punto di partenza, Pan fu quasi sorpresa di ritrovarsi
così
all’improvviso nuovamente davanti lo scenario di qualche ora
prima.
“Eccoci,
siamo arrivati. Ma la tua amica non c’è ancora se
non sbaglio.”
“Ehm,
no infatti non c’è… Ma non
preoccuparti, vai pure.
Sono certa che sarà qui da un momento all’altro.
Ci vediamo domani esattamente
qui, va bene?”
“Va
bene. Tieniti pronta per le nove in punto.”
“Ehm…
Ok! Ciao allora…”
La
giovane scoccò un sonoro bacio su una guancia del
giovane Saiyan, il quale rimase del tutto imbambolato di fronte a
quell’inaspettata quanto assurda dimostrazione
d’affetto.
La
vide in un attimo divincolarsi dalla sua stretta e
correre via, quasi per cercare un nascondiglio, verso un grande masso.
Nella
sua corsa si era voltata ancora un momento per rivolgergli un sorriso,
mentre
lui era rimasto impietrito, lì, con una mano ferma sulla
gota sulla quale lei
qualche istante prima aveva impresso quel piccolo bacio, poggiando
delicatamente quelle morbide labbra scarlatte.
Nessuna
donna aveva mai osato tanto con lui. Ed era
esattamente la prima volta che qualcuno gli avesse rivolto
un’attenzione così
pura e così dolce.
Nuovamente
il principe si era visto sfumare davanti agli
occhi tutti i propri malvagi propositi. Cominciò a pensare
che quella ragazzina
avesse qualche sorta di effetto particolare su di lui, che lo rendeva
completamente inerme, impotente.
Quando
tuttavia il giovane principe si capacitò del proprio
probabile aspetto da pesce lesso tentò di ricomporsi al
meglio, e, sovrappensiero,
spiccò il volo verso la Reggia.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Bra
non tardò ad arrivare all’appuntamento prefissato.
La
turchina aveva avuto l’accortezza di evitare che Radish la
riaccompagnasse,
così si era presentata lì completamente sola.
“Hei
Pan!! Allora? Come stai? Com’è andata?”
Cominciò a
chiedere Bra, carica d’un’apprensione quasi
materna.
“Tutto
bene Bra. Ma non parliamone qui. Rientriamo in casa,
ok?”
Le
due ragazze ritrovarono, ma non senza fatica, la cavità
dove avevano precedentemente situato la capsula casa. E una volta
sicure di
essere lontane da occhi indiscreti e pericolosi vi si precipitarono
dentro,
impazienti di scambiarsi i particolari di quella loro prima esperienza.
“Ah
che bellezza, finalmente un ambiente che non sia
pauroso e bizzarro!!”
La
piccola Pan si lasciò cadere comodamente sul sofà
del
salotto e cominciò a disfarsi della corazza, dei guanti e
degli stivali. Fu
subito imitata da Bra, la quale, in men che non si dica aveva messo via
parrucca e coda e infilato un pigiama caldo, impaziente di ricevere un
accurato
resoconto dell’accaduto.
“Allora,
Pan? Vuoi raccontarmi o no com’è andata?”
“Beh
Bra è andata bene! Sai, andiamo d’accordo io e tuo
padre! Abbiamo passeggiato per la città e mi ha mostrato
molte cose! All’inizio
era un po’ duro, ma ho avuto l’impressione che alla
fine si sia addirittura
addolcito!
Ad
essere sincera è stato un po’ evasivo nel parlare
di sé,
ma credo che dipenda dal fatto che mi ha mentito sulla sua
identità. Non so
proprio perché, ma mi ha detto di non essere nobile.
Comunque abbiamo un
appuntamento per domani. Ci alleneremo insieme.”
“Wow,
è una bellissima notizia!! Hai avuto un’idea
geniale
a non perderlo di vista, col colpo di fortuna che abbiamo avuto ad
incontrarlo
subito!!”
“Eh
già!! E a te invece? Com’è andata la
passeggiata con
quello strano tipo?”
“Radish?
E’ un tipo simpatico, e ha qualcosa di
inspiegabilmente familiare… E’ come se mi
ricordasse tuo nonno Goku e tuo zio
Goten!! Non so proprio spiegarmelo… Pensi che possano essere
parenti in qualche
modo?”
“Mmm…
Mi pare d’aver capito che il nonno Goku avesse un
fratello, ma non ho proprio idea di come si chiamasse… E se
fosse proprio lui?”
“Farò
in modo di scoprirlo quanto prima. Per il momento ho
scoperto qualche chicca interessante sui Saiyan e sulle loro usanze.
Quel
Radish è un tipo che non sa tenere la bocca chiusa neanche
un momento. Domani
te ne parlerò va bene? Così potremo progettare al
meglio la nostra
‘mimetizzazione’. Ma adesso è meglio
andare a letto. Domani ti aspetta una
giornata sfiancante se non mi sbaglio.”
“Già,
hai proprio ragione Bra… Beh allora mi ritiro nella
mia stanza. Buonanotte!!” La corvina stampò un
bacio sulla guancia dell’amica e
lentamente si incamminò verso la propria camera,
profondamente soddisfatta in
cuor proprio dell’andazzo generale di quella frenetica
giornata.
Eppure,
stesa sul letto caldo della propria camera e
illuminata dal tenue bagliore della lampada posta sul comodino, la
piccola Pan
non poté fare a meno di rivolgere gli ultimi pensieri di
quella giornata a
colui che per sempre sarebbe rimasto l’unico principe del suo
cuore.
Pensò
a Trunks, ai suoi grandi occhi color del mare e al
suo sorriso magnetico, che proprio durante quella giornata aveva visto
rivivere
sul volto del suo giovane padre, e si addormentò, sognando
grandi occhi
turchini e magnetici occhi di pece.
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Atterrato
di fronte all’entrata secondaria della Reggia,
ben attento a non fare rumore, il principe si intrufolò
velocemente in casa,
nella viva speranza che la sua ennesima birbonata non fosse miseramente
smascherata dal padre.
Il
Principe Vegeta, nonostante fosse ancora molto giovane,
era sicuramente il più forte e il più coraggioso
di tutti i Saiyan. Nessun
pericolo lo spaventava, nessuno al mondo era in grado di intimidirlo.
Fatta
eccezione per suo padre, il Re.
Di
lui il principe aveva una fifa blu.
Per
questo motivo si ritrovava a camminare in punta di
piedi per le vie secondarie del castello.
Avrebbe
fatto tardi a cena, ancora una volta. E stavolta il
giovane Vegeta non era del tutto sicuro che suo padre si decidesse ad
essere
clemente con lui.
Ritrovatosi
nei pressi della propria camera da letto, il
Principino credette di essere salvo da ogni possibile punizione.
Aveva
il preciso progetto di intrufolarcisi dentro e uscire
nuovamente dopo qualche istante in maniera rumorosa, per farsi sentire.
Avrebbe
finto di essersi addormentato di un sonno tanto profondo da non aver
udito i
ripetuti richiami della schiava che gli annunciava la cena.
Soddisfatto
di questo piano di cui si vedeva già
vittorioso, Vegeta si accinse ad aprire delicatamente l’uscio
della camera,
quando tuttavia fu violentemente interrotto nei suoi intenti da un
vocione che
lo richiamava a gran voce.
“VEGETA!!!
SI PUO’ SAPERE DOVE DIAVOLO TI ERI CACCIATO?!”
“P-p-padre!!!
I-io ero … Ero fuori ad allenarmi!! Mi
dispiace di aver fatto così tardi, ma non mi sono reso conto
del passare del
tempo! Prometto che non capiterà mai
più!”
“E’
MAI POSSIBILE CHE TU NON SIA MAI IN GRADO DI ADEMPIERE
DECENTEMENTE AI TUOI DOVERI DI PRINCIPE? FILA SUBITO A CENA!”
“Ci
vado immediatamente padre!”
Dopo
aver rivolto al padre un sontuoso inchino, il principe
si accinse velocemente a recarsi in sala pranzo dove, con tutte le
probabilità
del mondo, la cerimonia della cena doveva aver già avuto
inizio.
“Cerca
di camminare in maniera più elegante, e vedi di
tener dritte quelle spalle! Sei il Principe dei Saiyan, tienilo bene a
mente!”
“Sissignore!!”
Il
Principino con sguardo austero riprese trionfalmente il
proprio cammino, facendo ogni sforzo immaginabile per soddisfare le
aspettative
di suo padre. Quest’ultimo dal proprio canto, alla vista del
figlio, non riuscì
a trattenere un mezzo sorriso mentre esasperato si passava una mano tra
i bei
capelli rossicci scuotendo la testa.
Qualche
istante dopo anche Sua Maestà seguì il figlio in
sala da pranzo. In fondo il principino quel giorno non aveva fatto fin
troppo
ritardo e non c’era un motivo fondato per essere in collera
con lui.
:::::::::::::::::::::::::::
“Buonasera
madre.” Il Principe, dopo aver fatto il proprio
ingresso in sala, salutò la madre con un profondo inchino.
“Sei
in ritardo Vegeta.”
Il
giovane fissò lo sguardo terrorizzato sulla Regina.
Non
aveva mai avuto gli scatti collerici tipici del
consorte, Rosicheena. Ma i suoi occhi erano glaciali. E confondere il
suo
temperamento apparentemente pacato e indifferente con un barlume di
buon cuore
sarebbe stato un errore madornale.
Proprio
per questi motivi il giovane principe provava forse
un più incontenibile terrore stando di fronte alla Regina
che di fronte al Re.
Perché
di fronte a sua madre, la Regina, non si aveva mai
la benché minima idea di come comportarsi.
“Le
chiedo umilmente scusa madre. Mi perdoni.”
“Mpf.
Siediti a tavola.”
Il
principe, eseguendo con aria remissiva gli ordini
ricevuti dalla madre prese compostamente posto a tavola, e
osservò disgustato
la pietanza che avrebbe dovuto consumare senza proferire verbo.
‘Verdure
lesse. Oh cielo che schifo! Come farò a trangugiare tutta
questa robaccia? ’
“Cos’è
quella faccia schifata? Ti ricordo che in tempo di
guerra non ci sarà nessuno a prepararti sontuosi pranzetti,
perciò è bene che
impari ad arrangiarti. Su, muoviti.”
“Certo
padre, agli ordini.”
Consumata
con fatica l’orrenda cena che gli era stata
propinata il Principe attese che anche i genitori terminassero il
proprio pasto
prima di alzarsi.
E
improvvisamente gli tornarono in mente gli splendidi
occhi limpidi, il fresco sorriso della fanciulla che aveva conosciuto
nel
pomeriggio.
‘E’
rimasta con me senza sapere che sono il Principe. E’ rimasta
con me per nessun
motivo diverso dalla mia compagnia. Non sa nulla di me, eppure
è rimasta. E’
rimasta senza che il suo giudizio nei miei riguardi fosse minimamente
adombrato
da qualsiasi tipo di interesse. ’
Immerso
tra i propri pensieri il giovane principe aveva
preso a giocherellare col cucchiaio e con gli ultimi rimasugli di
minestra che
giacevano in fondo al suo piatto.
Ma
il Re e la Regina non lo richiamarono, a discapito di
ogni possibile immaginazione. Avevano notato entrambi, fin dal
principio, un
atteggiamento strano da parte sua. Sembrava pensieroso, assolutamente
assente.
E un comportamento del genere era assolutamente inusuale rispetto alla
sua
ordinaria sicurezza e spavalderia.
“Padre?”
Il
Re rivolse immediatamente la propria attenzione al
figlio sentendosi richiamare.
“Volevo
avvisarla del fatto che domani mattina non terrò il
mio solito allenamento contro i Saibaiman. Mi allenerò in
maniera diversa in un
altro luogo.”
“C-cosa?
Come sarebbe a dire?”
Il
Principe si aspettava una protesta, un’opposizione, una
richiesta di ulteriori delucidazioni da parte di suo padre. Ma non
aveva alcuna
intenzione di rispondere alle sue domande, né tantomeno
avrebbe accettato il
suo dissenso.
Perciò
non concesse al genitore il tempo di rispondere, e
si inchinò nuovamente di fronte al Re e alla Regina per
potersi congedare da
loro.
“Vi
auguro di passare una buona nottata.”
Detto
questo si alzò, e ben attento alla postura e
all’eleganza si allontanò leggiadramente sotto gli
sguardi attoniti e sconvolti
dei genitori.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
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Capitolo 5 *** L'allenamento ***
“Perche
mai
avrò accettato di allenarmi con quella ragazzina poi?
Sarà talmente debole che
mi annoierò subito…”
Il giovane
Vegeta, sbuffando al pensiero del supplizio che certamente gli sarebbe
toccato sorbirsi
per tutta la durata di quella giornata, indossò in maniera
veloce e meccanica
la propria ordinaria battle-suit blu. Sarebbe stato ben contento di
disfarsi di
quel pesante mantello rosso e di quella stupida corona che suo padre si
ostinava a fargli indossare in ogni circostanza. Pan non sapeva di
avere a che
fare con il Principe dei Saiyan in persona, e in cuor suo Vegeta non
poteva
fare a meno di essere entusiasta della cosa.
Avrebbe avuto
la possibilità di essere se stesso, avrebbe potuto
rilassarsi, liberarsi del
peso opprimente che gli scaturiva dalla propria nobiltà, non
sarebbe stato
costretto a preoccuparsi per il proprio portamento, per il proprio tono
di
voce, per il proprio linguaggio. E soprattutto non gli avrebbe gravato
sul
cuore il tremendo macigno della consapevolezza di ricevere
l’attenzione di
qualcuno unicamente per via della propria identità.
Se c’era
una
cosa della quale il principe fosse certo, quest’ultima era
sicuramente il fatto
che a Pan non importasse un accidente di assicurarsi il favore di Re
Vegeta. Né
le sue mire potevano essere indirizzate a un qualsiasi altro tipo di
privilegio. Se ne sarebbe certamente accorto. Quella ragazzina era
limpida come
l’acqua.
In
realtà,
nonostante la riluttanza iniziale, il principe era perfettamente
consapevole del
motivo che lo aveva spinto ad accettare la strana proposta avanzatagli
da Pan.
Era da molto
tempo a quella parte che il giovane Principe dei Saiyan aveva preso a
considerare noiosi e inadeguati i propri allenamenti quotidiani.
Tanto che si
era ritrovato a proseguirli unicamente per abitudine, per inerzia. E
naturalmente aveva avuto un enorme peso sulla faccenda il fatto che il
principe
non si sarebbe sognato per nulla al mondo di sollevare inutili
questioni con
suo padre, contro il quale non avrebbe avuto la benché
minima possibilità di
uscire vittorioso in un eventuale scontro verbale. Il giovane Vegeta si
rifiutò
persino di immaginare una tanto spiacevole circostanza.
Tuttavia, se
era stato fin troppo bravo a fare in modo che nessuno sino a quel
momento
avesse nutrito il minimo sospetto di quel suo disagio ormai costante,
non gli
era stato possibile ingannare persino se stesso.
A se stesso lo
aveva ammesso ormai da parecchio tempo.
Detestava
quegli stupidi allenamenti. E l’unico risultato che negli
ultimi tempi era
stato in grado di trarre da essi si era rivelata una angosciante,
insopprimibile, abitudinaria noia.
Era da molto
tempo a quella parte che aveva cominciato a desiderare qualcosa di
diverso per
migliorare il proprio metodo di combattimento, sebbene il giovane
principe
avesse già raggiunto risultati oltremodo invidiabili.
Nonostante fosse ancora
molto giovane il principe Vegeta poteva infatti vantare il titolo di
“guerriero
più forte di tutti i Saiyan”.
Eppure suo
padre non sembrava nutrire troppo interesse per la cosa.
E il principe
dal suo canto non aveva smesso, neppure per un istante della sua vita,
di
tentare di renderlo orgoglioso di lui. Era sempre stato obbediente e
rispettoso, dedito agli allenamenti e allo studio, come del resto ad
ogni altra
cosa che suo padre avesse in serbo per lui.
Non lo avrebbe
mai ammesso di fronte a nessuno, ma il giovane Vegeta nutriva un
affetto
viscerale nei confronti del padre. Nulla al mondo gli avrebbe
rifiutato. Nulla
al mondo si sarebbe rifiutato di fare per lui.
Ma non era
esattamente sicuro che per il genitore fosse la stessa cosa.
Il giovane
Vegeta fin da piccolo non aveva smesso neppure un istante di domandarsi
per
quale assurdo motivo suo padre non si fosse mai preso la briga di
allenarlo di
persona. Per tutta la durata della sua giovinezza non aveva smesso di
chiedere
a se stesso neppure per un singolo momento perché mai il Re
avesse sempre
preferito scrollarsi di dosso questa responsabilità
affidandola a quegli
orribili Saibaiman.
Quegli esseri
inetti e disgustosi non gli avevano mai fornito nessun giovamento,
peraltro.
Dacché il giovane principe avesse ricordi, era sempre stato
più forte di loro,
per quanto avessero sempre combattuto in gruppo contro di lui.
E un
allenamento diverso era per l’appunto ciò che gli
serviva. Ciò che bramava da
tanto tempo. E anche se combattere contro una ragazzina non fosse da
considerarsi esattamente l’ideale, costituiva pur sempre una
novità, da lungo
tempo bramata con tacito ardore.
In
realtà lo
aveva divertito non poco la presunzione di quella ragazzina. Certo, era
ovvio
che non avesse idea di trovarsi davanti il glorioso principe dei
Saiyan, il più
forte tra tutti i guerrieri del pianeta.
Ma per una
semplice fanciulla era stato comunque un affronto non indifferente la
pretesa
di essere in grado di tenergli testa.
A partire da
queste considerazioni il principe ebbe la lampante certezza che Pan
fosse
un’autentica inetta.
Era da
considerarsi una mossa da incosciente proporre un allenamento a
qualcuno senza
neppure controllare sullo scouter il suo livello di combattimento.
Tuttavia,
nonostante tutto, sarebbe stato per lui un autentico piacere rivedere
quella
ragazzina.
E che piacevole
sorpresa sarebbe stata per lei capacitarsi della sua straordinaria,
inaspettata
potenza!!
Le sarebbe
caduta ai piedi senza ombra di dubbio. Esattamente com’era
successo ogni volta
che aveva fatto sfoggio delle proprie doti belliche sotto gli occhi di
ragazze
inette e un po’ sciocche.
Il principe
sghignazzò malignamente tra sé immerso tra questi
pensieri.
Ormai pronto
per la giornata di allenamento, e attento a non fare troppa confusione,
il
giovane Vegeta, pettinato e profumato si accinse a scappare
silenziosamente di
casa attraverso la finestra.
Certo, non che
una fuga fosse esattamente l’ideale. Non poter attraversare
il castello avrebbe
comportato il patimento della fame fino all’ora di pranzo, ma
il principe aveva
di gran lunga preferito non fare altrimenti. Incrociare suo padre per
le vie
della Reggia avrebbe significato dover dare spiegazioni che non aveva
alcuna
intenzione di fornire.
Per giunta non
avrebbe potuto soffrire un suo eventuale divieto. Si sarebbe presentato
a
quell’appuntamento ad ogni costo, e al diavolo le conseguenze.
Sorridendo tra
sé, il principino silenziosamente scavalcò dalla
finestra della propria camera,
e in fretta si allontanò dal palazzo reale per evitare che
occhi indiscreti si
soffermassero su di lui, sgamando la sua fuga.
Ormai lontano
da casa spiccò quindi il volo per raggiungere più
velocemente la propria meta,
fermandosi soltanto dopo essersi assicurato di trovarsi esattamente nel
punto
in cui il giorno prima Pan aveva impresso quel piccolo bacio sulla sua
gota.
Istintivamente
si sfiorò la guancia a quel pensiero e sorrise. Sorrise di
uno di quei sorrisi
dolci e insicuri che mai nessuno aveva avuto la capacità di
regalargli o di
vedergli addosso, e continuò a sorridere fra sé,
dimentico del mondo, fino a
quando, abbassando lo sguardo, notò con evidente disappunto
che la ragazza non
si era ancora presentata all’appuntamento.
“Tsk. Le
avevo
chiesto di essere puntuale e non è ancora
arrivata!!” Grr che rabbia…”
Il principe
digrignò i denti e serrò i pugni in una stretta
micidiale. Tuttavia,
capacitandosi del fatto che la rabbia avrebbe avuto come unico
risultato lo
scoppio delle vene sulle sue tempie, decise di mettersi a sedere su un
masso.
I soli erano
già alti in cielo, e lo facevano splendere di rosso vivo. Nonostante non ci fosse
nessuna nube ad adombrare
quella splendida giornata, il caldo non era insopportabile. Una leggera
brezza
soffiava piacevolmente sul corpo del giovane che, quasi dimentico della
propria
attesa, aveva cominciato a rilassarsi di fronte a quella splendida
vista.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Dannazione,
abbiamo appuntamento per le nove, ma come diavolo faccio a scoprire che
ore
sono qui?? Avessi un dannato orologio sintonizzato su questo stupido
pianeta!!!”
La piccola Pan,
in preda all’agitazione più totale
saltò giù dal letto in fretta e furia per
prepararsi alla mattinata d’allenamento che avrebbe trascorso
con Vegeta.
Arruffata
all’inverosimile e di umore inusualmente pessimo, dopo aver
fatto un bagno
veloce e aver consumato in un batter d’occhio
un’abbondante colazione la
giovane si svestì, per poi indossare quasi meccanicamente la
battle-suit del
giorno precedente, immersa più che mai fra i propri
pensieri.
Era stata lei
stessa a proporre un allenamento a Vegeta. Ma la verità era
che non aveva la
più pallida idea di come fosse opportuno comportarsi in una
circostanza simile.
Non immaginava minimamente quale fosse il livello di preparazione che
avrebbe
dovuto aspettarsi dal giovane principe, né tantomeno
conosceva le consuetudini
di allenamento su quel pianeta.
Aveva condotto
ogni allenamento della propria vita sotto la guida vigile e attenta del
nonno
Goku, del suo papà in qualche raro caso sporadico. Ma prima
di allora non le
era mai passata per la mente la curiosità di sapere quale
fosse la differenza
sostanziale tra un allenamento tipicamente terrestre e uno Saiyan. Del
resto,
come mai avrebbe potuto la sua giovane mente immaginare la
necessità di porsi una
simile domanda?
C’era una
cosa
soltanto di cui Pan fosse assolutamente certa in quel momento. Vegeta
era il
Principe dei Saiyan, il più forte tra tutti i Saiyan. Si
sarebbe dimostrato di
gran lunga superiore a lei, nonostante la sua giovane età e
la sua limitata
esperienza, senza ombra di dubbio.
E di
conseguenza, probabilmente, si sarebbe presto annoiato a morte di stare
a
combattere contro un’inetta. Probabilmente non avrebbe
più accettato di
combattere insieme a lei, e la loro presenza lì, tutti i
loro sforzi immani si
sarebbero rivelati assolutamente inutili.
Infatti, che
speranze poteva nutrire di avere anche la benché minima
possibilità di vittoria
contro il malvagio Freezer se non avrebbe avuto chances neppure contro
Vegeta?
Eppure non
avrebbe potuto credere che suo nonno Goku fosse stato incosciente fino
a questo
punto. La ragazzina era perfettamente consapevole del fatto che suo
nonno non
avrebbe mai affidato loro quella missione senza un margine di sicurezza
sulla
sua buona riuscita approssimativamente vicino al 100%.
Per questo
motivo sopra ogni altro la giovane mezzosangue non riusciva a trovare
responsi
convincenti ai propri dubbi.
Pensierosa, si
accinse quindi a varcare silenziosamente l’uscio di casa,
attenta a non
disturbare l’amica che stava ancora dormendo.
Percorso un
breve tragitto, ben presto Pan si trovò quindi al luogo
prefissato per il
proprio incontro con Vegeta. Del principe tuttavia non c’era
traccia, perciò
era evidente che fosse arrivata in anticipo. Tirò un sospiro
di sollievo e
cominciò a guardarsi intorno con circospetta
curiosità.
“Ehm, mi
scusi
signore, saprebbe dirmi che ore sono?” Domandò
timidamente Pan al primo
passante che incrociò per la strada.
“Mnh? Che
razza
di domande mi fai? L’orologio è
lassù.” Detto ciò, lo sconosciuto
Saiyan indicò
con aria scocciata un enorme orologio posto sulla cima di un imponente
edificio.
“Eheheh,
che
sbadata… La ringrazio infinitamente!!”
“Mpf.”
Il Saiyan senza
più degnarla d’uno sguardo si allontanò
repentinamente dalla giovane tornando
alle proprie occupazioni.
Pan,
profondamente infastidita per la propria distrazione squadrò
quindi con
interesse il grande orologio che le era stato indicato, constatando con
intimo
entusiasmo che fosse perfettamente identico a quelli terrestri, e
soprattutto
di essere in perfetto orario.
Le lancette
segnavano infatti le 8:55. Presto Vegeta sarebbe arrivato e insieme
avrebbero
dato inizio al loro primo allenamento.
Nonostante la
propria insicurezza e la quasi totale consapevolezza di essere di gran
lunga
più debole di lui la giovane Pan non poteva fare a meno di
provare in fondo al
cuore un senso di impellente curiosità di misurarsi col
principe. Così prese a
sorridere carica di adrenalina, nell’attesa impaziente che
quel bramato e
temuto allenamento avesse finalmente inizio.
Tra questi
pensieri si adagiò su di un masso nell’attesa che
arrivasse il suo giovane
avversario.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Il giovane
principe riteneva che fosse stato un oltraggio alla sua corona farlo
attendere
appollaiato a quel masso per un quarto d’ora. Così
aveva preso nervosamente a
svolazzare nei dintorni senza una meta né un obiettivo
precisi, fino a quando,
abbassando lo sguardo non la vide.
Piccola e
dolce, stava seduta sul medesimo masso che lui aveva occupato fino a
qualche
minuto prima, abbracciandosi le ginocchia. Aveva i capelli sciolti e un
po’
arruffati, esattamente come il giorno prima. Ma al Principe piaceva
vederla in
quel modo. Bella per via di una naturalezza che solo
l’innocenza può regalare,
e limpida come l’acqua. Sorrise ancora e si accinse a
scendere, piombando
elegantemente proprio di fronte a lei.
Non si
sarebbero allenati per molto tempo quel giorno. Avrebbe imposto
un’attività
diversa, esattamente com’era nei suoi proponimenti del giorno
precedente. Era
quasi certo del fatto che Pan non si sarebbe opposta. E sarebbe stato
estremamente divertente scoprire il lato nascosto di quella tenera
innocenza…
::::::::::::::::::::::::::::::::::
Stava ancora
immersa fra i propri pensieri quando fu improvvisamente interrotta dal
suo
arrivo.
Il giovane
principe le era praticamente comparso davanti senza che lei si rendesse
conto
della sua presenza, quando persino a lei era parso d’aver
dimenticato il motivo
per il quale si trovava lì ad attendere.
Volse lo
sguardo verso di lui, e quasi rimase incantata alla sua vista. Era
splendido a
dir poco. I capelli erano visibilmente arruffati, ma era evidente il
tentativo
andato a male di dar loro una sistemata. Il fresco profumo emanato dal
suo
corpo poteva essere percepito a distanza, e nonostante ciò
era estremamente
piacevole.
Indossava la
battle suit blu che la giovane aveva spesso visto addosso al Vegeta
della sua
epoca, e nonostante il fatto che il suo corpo fosse ben più
minuto e la
muscolatura non ancora ben definita il suo aspetto generale conferiva a
chiunque ci si fosse soffermato un’idea di forza e fermezza.
E il suo
sorriso enigmatico regalava un ultimo tocco di classe a
quell’aspetto di per sé
così perfetto.
Somigliava
incredibilmente a Trunks. E questo dato di fatto non poté
far altro che
renderlo ancora più bello agli occhi sognanti della piccola
Pan.
“C-ciao
Vegeta…”
“Buongiorno,
Pan. Sei pronta per un allenamento sfiancante?” Il giovane
principe enfatizzò
più del dovuto le parole pronunciate, quasi a voler dar loro
un’accezione
ironica.
E La giovane
Pan non riuscì a capire l’atteggiamento del
Principe. Le parve cambiato, da un
momento all’altro. E cominciò a farle quasi paura.
Gli stessi occhi che il
giorno prima le erano sembrati lo specchio di un sorriso sincero, in
quel
momento le parvero lo specchio di un’anima nera, di pensieri
malvagi.
A questa
constatazione Pan provò un sentimento di incontenibile
scoraggiamento, ed ebbe
paura. Rimpianse il fatto di essere da sola, rimpianse per la prima
volta il
fatto di aver accettato di intraprendere quella missione assurda e
impossibile.
“Certo
che sono
pronta.” Rispose tuttavia prontamente, ostentando una
sicurezza che di certo
non le apparteneva.
Il Principe a
sentire quella risposta sghignazzò malignamente. E a quella
vista i dubbi di
Pan trovarono piena conferma. Era ovvio che il principe avesse qualcosa
per la
testa, nonostante Pan non fosse in grado di immaginare esattamente
cosa. Senza
aver la possibilità di riflettere ulteriormente sullo stato
emotivo del
principe, Pan si sentì afferrare indelicatamente per una
mano.
“Allora
andiamo!”
Trascinando al
proprio seguito la giovane, Vegeta la condusse verso uno spazio
sconfinato,
esattamente l’ideale per un allenamento. L’ombra
fornita dalle fronde degli
alberi consentiva loro di non patire il caldo mattutino, e gli spazi
erano
abbastanza ampi per consentire un combattimento senza risparmio.
“Che ne
dici,
ti piace qui? E’ appartato e solitario, e puoi star certa che
nessuno verrà a
disturbarci …”
Vegeta sorrise
maliziosamente, e quello sguardo risultò indecifrabile agli
occhi di Pan. Era
certa che il principe avesse in mente qualcosa di strano, nonostante
non
potesse immaginare con certezza di cosa si trattasse. Era certa che
avesse
subito un mutamento rispetto al giorno precedente, e quel cambiamento
nel suo
comportamento contribuì a preoccuparla non poco. Vegeta le
faceva paura.
Tuttavia la
fanciulla decise di non far troppo caso al comportamento del principe,
e di
fingersi indifferente. Era certa che quella si sarebbe rivelata una
buona arma.
“Direi
che qui
è perfetto. Possiamo cominciare immediatamente per quanto mi
riguarda.”
‘Mpf, sembra non aver capito proprio nulla. E
non demorde. Beh, accontentiamola. In fondo mi basterà
qualche istante per
metterla al tappeto.”
“Benissimo.
Ti
concedo il privilegio di attaccarmi per prima. E approfitto di questo
momento
per rivelarti che sono molto forte. Perciò ti consiglio di
utilizzare fin
dall’inizio tutta la tua potenza.”
Pan
sghignazzò
sommessamente.
“Ti
ringrazio
per il privilegio concessomi. E approfitto di questo momento per
rivelarti che
anche io sono molto forte.”
Senza concedere
al principe il tempo di rispondere alla sua provocazione, Pan si
avventò con
straordinaria rapidità sul suo corpo, assestandogli un
feroce colpo allo
stomaco.
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Era stata
rapida come una saetta. Tanto che non aveva avuto il tempo di
distinguere i
suoi movimenti. Anzi, gli era parso addirittura che da un momento
all’altro si
fosse dissolta nel nulla. Avrebbe avuto la ferrea certezza che fosse
misteriosamente scomparsa sul serio se la manifestazione lampante della
sua
presenza non lo avesse colto all’improvviso attraverso un
lancinante dolore che
avvertì all’altezza dell’addome.
Il principe,
completamente senza respiro, barcollò per il dolore e per la
sorpresa, sputando
rivoli di saliva.
Cercò di
rimettere in sesto il proprio corpo e i propri pensieri confusi.
E per un
momento credette di sognare. Quella ragazzina era stata in grado
metterlo in
ginocchio con un solo colpo.
Lui, il
più
forte di tutti i Saiyan era stato ridotto in quello stato pietoso da
una
ragazzina.
‘Non è possibile, non può
essere vero. Sto
sognando, sicuramente. Una ragazzina non può essere tanto
forte. E soprattutto,
nessuno su questo pianeta è in grado di eguagliare la mia
potenza. Dev’essere
stata la distrazione. Ero talmente certo che questa ragazzina fosse
un’inetta
che non ho prestato abbastanza attenzione ai suoi movimenti. Ma alla
prossima
non mi troverà impreparato.”
“Non
male,
ragazzina. Devo ammettere che mi aspettavo di molto peggio. Sei forte,
complimenti. Ma sappi che sei riuscita a colpirmi soltanto
perché ti avevo
sottovalutata e non sono stato attento. Preparati al vero scontro,
perché
stavolta non mi risparmierò.”
“Visto?
Non è
mai un bene giudicare l’avversario dalle
apparenze…”
“Preparati!!!”
Appena
pronunciate queste parole il principe effettuò uno slancio
in direzione della
sua giovane avversaria. Una volta che le fu abbastanza vicino prese ad
attaccarla con tutta la potenza e la velocità che aveva in
corpo, facendo
sfoggio di tutto ciò che aveva imparato in anni di strenui e
spossanti
allenamenti.
Ma tutti i suoi
sforzi erano vani. Pan evitava senza difficoltà anche i suoi
colpi migliori,
bloccava fermamente i suoi attacchi meglio calibrati, si sottraeva con
straordinaria velocità ai suoi tentativi di colpirla.
Tanto che,
esaurite in qualche istante tutte le proprie risorse Vegeta si
fermò sconvolto
e inerme di fronte alla propria avversaria, la quale non si
lasciò scappare
quell’occasione propizia per stenderlo con un ulteriore colpo
allo stomaco.
Il principe,
disteso a terra, boccheggiava e ansimava copiosamente sotto gli occhi
straniti
della giovane Pan.
“Insomma,
penso
che tu ti sia reso conto che sono abbastanza forte perché tu
possa combattere
sul serio. Fallo subito perché andando avanti
così finirò con l’annoiarmi molto
presto!!” affermò innocentemente Pan,
completamente incosciente del fatto che
Vegeta avesse cominciato già da tempo a fare sul serio.
Il principe
tuttavia, come del resto era consuetudine per lui, non si arrese a
quell’umiliante sconfitta. Si alzò prontamente in
piedi, deciso a proseguire
quello scontro e ad uscirne vittorioso ad ogni costo.
“Bene,
come
vuoi tu. Adesso farò sul serio e non lamentarti se ti
farò male…”
A queste parole
lo sguardo del principe divenne truce all’inverosimile.
Sollevandosi lentamente
dal suolo assunse una posizione inequivocabile. Una posizione che Pan
conosceva
sin troppo bene.
E infatti
qualche istante dopo il micidiale colpo di Vegeta fu pronto per essere
scagliato contro l’avversaria.
“GARLICK
CANNON!!!!” Urlò a gran voce il giovane principe
mentre si accingeva a sferrare
quell’attacco.
Il Garlick
Cannon era sicuramente l’ultima risorsa del giovane Vegeta.
In assoluto il suo
colpo migliore. Ma la fanciulla non sentiva provenire da esso una
carica di
energia negativa preoccupante, né l’aura di Vegeta
era abbastanza potente da
sferrare un attacco che fosse in grado anche semplicemente di farle un
graffio.
E in quel
momento per Pan fu tutto chiaro. Vegeta non si stava affatto burlando
di lei,
fingendo un combattimento da dilettanti. Vegeta stava dando il meglio
di sé. Da
parecchio tempo a quella parte ormai.
La giovane,
posta improvvisamente di fronte a tale certezza non riuscì a
trattenere
un’espressione carica di sorpresa.
‘Vegeta
è … Debole. Incredibilmente
debole. ’
Non aveva avuto
molte occasioni per trovarsi a contatto con il Vegeta della sua epoca.
Ma aveva
imparato a conoscerlo. E soprattutto, conosceva perfettamente il motivo
dell’odio viscerale nutrito dal Principe nei confronti di suo
nonno Goku.
Vegeta non
aveva mai accettato la propria sconfitta. Non era stato in grado di
accettare
l’esistenza di un Saiyan che fosse più forte di
lui.
E Pan, in quella
particolare circostanza, non avrebbe potuto permettersi il lusso di
fare in
modo che il Principe cominciasse a detestare anche lei.
La giovane
corvina considerò che a quella situazione ci fosse
un’unica soluzione.
Senza tentare
di bloccare in alcun modo l’ultimo colpo sferrato dal
principe si lasciò
colpire in pieno da esso, e in breve l’energia di
quell’attacco la trascinò
lontano.
Avrebbe finto
la propria sconfitta. E naturalmente avrebbe vivamente sperato di non
essere
miseramente smascherata da Vegeta.
L’energia
del
Garlick Cannon la spinse a ridosso di un grosso masso, e Pan ci
andò
volutamente a sbattere per poi lasciarsi cadere, apparentemente
ansimante ed
esausta, contro l’erba.
‘N-non si
muove. Non avrò mica
esagerato? ’
Il Principe
ansimava per l’eccessiva fatica compiuta. Ma non
mancò di avvicinarsi a Pan per
accertarsi del suo stato di salute.
“P-pan…
Va
tutto bene?”
“C-credo
di
si…”
Pan
rialzò il
viso da terra facendo leva sulle braccia, e fingendo uno sforzo
sovraumano si
mise seduta sull’erba e alzò lo sguardo verso
Vegeta.
Il suo viso
sudato e stanco trapelava inequivocabilmente l’immane sforzo
compiuto dal
principe durante quel combattimento, ma la corvina notò nei
suoi occhi una
strana espressione. Di sorpresa, di ammirazione quasi.
“P-pan,
io…
Credo che tu sia il guerriero più forte che io abbia mai
incontrato fin ora.”
“D-dici
sul
serio?”
Il principe non
rispose. Ma Pan poté leggere nei suoi occhi quanto fosse
sincero.
Il suo sguardo
era incredibilmente serio, ma brillava di luce insolita. La sua
malcelata
ammirazione era resa manifesta dai suoi occhi sognanti che non
smettevano di
fissare con estrema sorpresa quelli della fanciulla.
“Vorrei
che
continuassimo ad allenarci insieme. Ti andrebbe?”
La corvina
sorrise con sincero entusiasmo a quella proposta insperata.
“Certamente!!
Ne sarei davvero felice!”
A sentire
quella risposta il principe non riuscì a trattenere un
piccolo impeto di
entusiasmo, e sorrise, del sorriso più bello che Pan potesse
immaginare di
vedergli addosso. Dimenticò quasi la paura causatagli dallo
strano
atteggiamento che aveva avuto non appena si erano incontrati.
Perdendosi nel
suo sguardo di quel momento pareva quasi impossibile che in
quell’animo
potessero albergare pensieri malvagi.
Lo trovò
bello,
come un dio. E si incantò a guardare il suo sorriso allegro
e contagioso, il
suo sorriso sincero e buono.
E nonostante
Pan in quel momento non lo sapesse ancora, lo avrebbe eternamente
conservato
nei suoi ricordi con quel meraviglioso sorriso stampato in faccia.
“Allora
ci
vediamo domani allo stesso posto e alla stessa ora. Si raccomanda
puntualità!”
“Certo,
farò
del mio meglio!” Sorrise Pan passandosi timidamente una mano
sulla nuca.
“Beh…
Ciao
allora.” Il principe abbassò lo sguardo, e con
tenera esitazione si avvicinò
cautamente alla ragazza. Quando distò da lei soltanto di
qualche centimetro,
senza distogliere lo sguardo da terra gli posò timidamente
un bacio sulla
guancia, esattamente come lei aveva fatto il giorno precedente.
Pan
arrossì, ma
non si sottrasse a quel timido bacio. Lo trovò dolce,
inverosimilmente
piacevole.
E si sorprese
per la straordinaria capacità del principe di riuscire a
sconvolgere il suo
piccolo cuore aumentandone vertiginosamente i battiti con un semplice,
casto
bacio.
“A
domani,
Vegeta.”
Dopo averlo
salutato la ragazza corse via prendendo la direzione di casa, senza
accorgersi
dello sguardo del principe fisso su di lei.
Vegeta la
guardò sognante mentre si allontanava, bella come la luna,
guardò i suoi
capelli corvini muoversi in insieme al vento, guardò le sue
piccole mani
scuoterli, la vide scomparire.
Rimase tuttavia
fermo come un pesce lesso a guardare nel vuoto il riflesso di un
immagine che
viveva ormai solo nella sua mente, senza riuscire a smettere di
sorridere.
Non gliene
importava nulla della consapevolezza di avere una faccia da idiota. Si
sentiva
felice, come non lo era mai stato prima di allora.
Aveva sperato con
ardore che quell’allenamento fosse un buon diversivo. Aveva
provato un piacere
non indifferente a rivedere quella ragazzina. E lei era stata
un’autentica
rivelazione.
Non sapeva di
avere a che fare con un principe, ma era rimasta comunque insieme a
lui. E la
sua potenza fuori dall’ordinario contribuiva a renderla ancor
più speciale.
::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Già
di
ritorno? Credevo che fossi ad allenarti.”
“Infatti
è
così, padre.”
“E
sentiamo,
perché mi avresti chiesto colloquio?”
“Ci
tenevo ad
informarla che non ho più intenzione di tenere i miei soliti
allenamenti contro
i Saibaiman. D’ora in avanti mi allenerò in
maniera diversa, in maniera molto
più produttiva ed efficace. Mi auguro che lei non abbia
nulla in contrario.”
“C-cosa?
Osi
chiedermi se ho qualcosa in contrario? NON OSERAI FARE QUALCOSA DI
DIVERSO DA
CIO’ CHE IO TI ORDINERO’! Sono stato abbastanza
chiaro? Ho lasciato correre per
la giornata di oggi, ma è stata una sporadica eccezione,
cerca di tenerlo a
mente. Esigo che tu continui a tenere i tuoi ordinari allenamenti, non
accetto
repliche a tal proposito.”
“Stavolta
non
le obbedirò, padre.”
“C-cosa
hai
detto?”
“Ho detto
che
non le obbedirò! Non le è mai importato nulla dei
miei allenamenti! Ha sempre
preferito levarsi di dosso questa responsabilità affidandola
a quei disgustosi
mostriciattoli!! Ma ci tengo a farle presente che questa situazione non
mi sta
più bene. L’ho accettata di buon grado finora
perché era lei a volerlo, perché
credevo che lei sarebbe stato… Orgoglioso di me. Eppure non
è servito a niente.
Tutti questi anni di allenamenti non sono stati di alcun giovamento per
me, e
oltretutto lei continua ad essere insofferente nei miei confronti!!
Comincerò a
fare ciò che ritengo sia meglio per me e per il mio metodo
di combattimento. E
sono io a non accettare repliche a tal proposito. Arrivederla,
padre.”
Con la stessa
risoluzione con la quale aveva proferito il proprio proponimento, il
Principe
aveva abbandonato la sala in cui si trovava il padre, lasciandolo da
solo con i
propri pensieri.
E fu indicibile
la tristezza alla quale il Re si abbandonò.
‘Stupido
moccioso… Come hai potuto
parlarmi così? Possibile che tu non ti renda conto che non
posso allenare
qualcuno che è già più forte di me?
’
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Passò il
resto
della propria giornata appollaiato sul letto della propria camera,
scosso da
mille pensieri.
Si pentì
amaramente della cattiveria e dell’arroganza sfoggiate contro
il padre. Ma non
poté fare a meno di constatare tra sé e
sé che quella sfuriata fosse stata
assolutamente necessaria.
In fondo un
allenamento più produttivo era ciò che bramava da
tanto, troppo tempo ormai. E
non avrebbe potuto permettere a suo padre di fargli sfuggire
un’occasione tanto
propizia di realizzare il proprio progetto.
Si
addormentò,
di un sonno inquieto e tormentato.
E la mattina
seguente il suo umore era inverosimilmente pessimo. Si decise tuttavia
a non
rinunciare alla propria mattinata d’allenamento insieme a
Pan, consapevole del
fatto che un combattimento impegnativo e spossante sarebbe stato
l’ideale per
scacciare definitivamente dall’anima pensieri spiacevoli e
indesiderati.
Sbrigatosi in
tempi considerevolmente brevi, il Principe decise di non nascondersi
nuovamente
agli occhi severi del padre, ma di uscire allo scoperto, facendo ogni
cosa alla
luce del sole.
Nonostante la
propria apparente boria, tremava di terrore puro fin dal profondo del
cuore.
Sperò con ardore di non incrociare il Re per le vie del
castello, ma le sue
speranze furono vane.
Il Re era fermo
lì ad attendere il suo passaggio, e non appena vide arrivare
il figlio cominciò
a fissarlo. Ma il suo sguardo era ben diverso rispetto a quanto Vegeta
si
aspettasse. Non vi era traccia di rabbia nei suoi occhi, né
di rimprovero.
Pareva
paradossalmente triste, carico di risentimento, di inspiegabile
malinconia. E
al principe strinse il cuore a quella visione.
Lo sentiva
pesargli nel petto per via dei sensi di colpa, per via
dell’insopportabile
frustrazione che vi albergava da troppo tempo. Ma non ebbe il coraggio
di
proferire neppure una singola parola.
“Vai ad
allenarti, Vegeta?”
“S-si…
Padre.”
“Spero
che
questi nuovi allenamenti… Ti soddisfino.”
“La
ringrazio
infinitamente, padre.”
Privato
completamente del coraggio di alzare lo sguardo verso la figura
paterna, il
principe a capo chino si accinse ad uscire di casa in religioso,
colpevole silenzio.
E il Re
continuò a guardarlo mentre si allontanava, chiedendosi con
ardente curiosità
quale potesse essere lo straordinario avvenimento verificatosi nella
vita di
suo figlio che fosse stato in grado di sconvolgerlo a tal punto.
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Buongiorno,
Vegeta.”
“Ciao.
Beh,
cominciamo?”
“Si…
Certo.”
Pan lo
trovò
strano, inverosimilmente strano. Constatò con fastidio che
Vegeta fosse
lunatico, da far paura. Passava con straordinaria velocità
da uno stato emotivo
ad un altro, e i suoi atteggiamenti risultavano contrastanti nel giro
di
qualche istante.
Pan non
riuscì
a spiegarsi il suo strano comportamento. E cominciò a
chiedersi con curiosità
quale dei tanti “Vegeta” che aveva conosciuto in un
lasso di tempo tanto breve
fosse da considerarsi quello autentico.
Durante
quell’allenamento Pan trattenne di gran lunga la propria
forza, permettendo a
Vegeta di attaccarla e di colpirla. Ma non mancò neppure di
rispondere al
proprio avversario con colpi ben calibrati e precisi.
Se il suo
intento era quello di farlo migliorare, permettendogli così
di avere qualche
chances in più contro Freezer, dargliela completamente vinta
non sarebbe stato
l’ideale.
Ma trovò
che
Vegeta fosse inspiegabilmente già migliorato. Lo vedeva
combattere con focoso
ardore, carico di adrenalina, di inspiegabile rabbia forse.
E notò
quanto a
fondo si stesse impegnando in quel combattimento.
Si
lasciò
battere nuovamente per evitare di lenire al suo stato emotivo,
già
evidentemente precario ed al suo prezioso orgoglio.
E quando infine,
esausti, si lasciarono cadere insieme sull’erba, Pan non
mancò di notare
l’espressione del Principe.
Stringeva i pugni
in preda alla frustrazione, alla rabbia.
Pan
sperò
vivamente quella rabbia non fosse da attribuire a qualche proprio
inconsapevole
atteggiamento sbagliato, così, dopo averlo osservato
silenziosamente, carica di
timore, per qualche istante non si decise a parlargli.
“Vegeta…
Va
tutto bene?”
“Tsk.
Certo che
va tutto bene.”
Pan, zittita in
maniera tanto indelicata, si sentì a disagio. Non conosceva
abbastanza bene
Vegeta per sapere se a quel punto fosse opportuno insistere o meno. Si
trovò
nel medesimo stato di imbarazzo che gli scaturiva dalla compagnia del
Vegeta
della sua epoca.
“Beh… Sappi comunque che puoi
parlare di qualsiasi
cosa con me, se ti va.”
Pan sapeva
quanto Vegeta fosse un ragazzo intelligente. E sapeva quanto quelle
parole
bastassero a fargli capire ogni cosa
E Vegeta
infatti non tardò a capire. Non tardò a capire
quanto potesse fidarsi di lei.
Trovò che sfogarsi con qualcuno per la prima volta nella sua
vita non potesse
fargli altro che bene. E trovò soprattutto che Pan fosse sua
amica. L’unica amica che
il destino gli
avesse mai concesso.
Strinse
ferocemente i pugni digrignando i denti, e cominciò a
parlare per la prima
volta nella sua vita, quasi senza rendersene conto, delle proprie
angosce.
“Quel
castello
è una prigione. Bisogna sempre stare attenti a cosa dire, a
come dirlo, a cosa
è opportuno e cosa non è opportuno fare.
E’ una prigione piena di imposizioni e
di divieti, un mondo a sé, fatto di formalità e
convenzioni, senza un minimo
accenno di ... normalità.
A volte mi
sento come se portassi addosso una maschera che non posso mai levarmi
di dosso.
Ricevimenti, allenamenti, colloqui, riunioni! Li detesto! Quella
è… Una vita
che non fa per me. E a mio padre non importa nulla! Ho sempre fatto
tutto ciò
che voleva affinché fosse fiero di me, eppure non ha mai
dimostrato il benché
minimo interesse nei confronti di ciò che vorrei io. Non
capirà mai che io non
voglio fare il re! E quel che è peggio, nessuno mi ha mai
considerato per
quello che sono. Mi temono perché sono il più
forte, mi rispettano perché sono
il Principe. Nient’altro. A nessuno è mai
importato realmente qualcosa di me.
Ho sempre avuto un sacco di persone intorno, fin troppe. Eppure sono
sempre
stato completamente solo.”
Tremò
incontrollatamente e in un gesto di disperazione si portò le
mani alle tempie,
senza pensare a nulla.
Quando
all’improvviso si capacitò della propria assurda
stupidità.
Si era sentito
talmente a suo agio con lei da aver completamente dimenticato la
propria
iniziale bugia sulla propria identità.
Aveva sentito
di potersi fidare di lei a tal punto da aver messo a nudo la propria
anima.
Aveva sentito a
tal punto di poter essere se stesso che si era sfogato con lei per la
prima
volta nella sua vita, senza nasconderle nulla.
Si sentì
un
idiota. Un perfetto idiota. Ebbe l’improvviso desiderio di
aprire un varco
inesorabile nel terreno sottostante e di precipitarvi senza
possibilità di
salita.
Sgranò
gli
occhi e diede le spalle alla fanciulla, la quale si limitò a
sorridere dolcemente.
“Beh…
Sei qui,
e sei lontano da tutto ciò che detesti. Non pensarci, e godi
di quello che hai.
Alla fine andrà tutto per il meglio, ogni cosa
andrà esattamente per come sarai
tu a volere che vada, ne sono sicura.”
Consapevole del
fatto che portare avanti quella sceneggiata fosse oltremodo sciocco
oltre che
inutile, il Principe si decise a confessare il proprio inganno,
mettendo al
corrente Pan della propria identità.
“P-pan,
io… Ti
ho mentito...”
“Non
importa.
Questo non cambierà nulla tra di noi, Vegeta.”
Vegeta,
estremamente sorpreso non riuscì a trovare parole adeguate
per esprimersi. Non
gli aveva permesso di concludere ciò che stava per dirle,
eppure aveva capito
ogni cosa.
Il turbinio di
emozioni che gli aveva attraversato il cuore era stato eccessivo per
potergli
concedere di proferire anche una singola, stupidissima parola. Si
limitò a
guardarla ammirato, per la sua dolcezza, per la sua
capacità, in maniera tanto
genuina, di essere speciale.
Lesse nei suoi
occhi la sincerità che palesemente ne traspariva. Lesse nel
suo sorriso sereno
tutta la sua dolcezza.
“Ti va di
fare
un bagno in quel lago laggiù?”
“U-un
bagno? Ma
ti sei ammattita? No, non se ne parla!”
“Beh,
fa’ come
vuoi.”
Presa la
rincorsa, Pan si diresse a velocità fulminea verso
l’acqua limpida del laghetto
che poco distava dal luogo del loro allenamento, e arrivata in
prossimità della
riva vi si lanciò dentro senza neppure levarsi di dosso i
vestiti, creando un
fragoroso boato.
Sapeva che
presto il principe l’avrebbe raggiunta, anche soltanto per
sbraitare un po’. E
a quel punto avrebbe messo in pratica il proprio diabolico piano.
Il principe
effettivamente non tardò molto ad arrivare. Giunto alla riva
si fermò,
sconvolto dall’improvvisa follia della ragazza.
“Avanti
Vegeta,
tuffati!!”
“Neanche
per
sogno.”
Pan
ridacchiò,
e con un balzo improvviso afferrò il Principe per il polso
trascinandolo con sé
in acqua.
Fradicio
all’inverosimile, e con le vene sulle tempie rabbiosamente
pulsanti, il
principe serrò i pugni in preda ad un incombente attacco
isterico.
“BRUTTA…
Grrr….
Augurati che non ti raggiunga altrimenti saranno guai seri per
te!!”
Pan senza
smettere di ridere si godette a pieno la sfuriata più che
legittima del
principe, e prese a scappare lontano dalle sue grinfie.
Fino a quando
anche il Principe non prese gusto a quel gioco infantile, e
cominciarono a
rincorrersi ridendo in allegria.
Il principe
credette di non essere mai stato tanto felice e spensierato in vita
sua. E
quasi gli parse estranea la propria iniziale disposizione
d’animo.
Trovò
che
quella ragazza fosse un autentico toccasana. La fortuna migliore che la
sorte
gli avesse mai concesso.
E a tratti si
fermava, interrompendo la propria infantile occupazione, come un
qualsiasi
ebete, per osservarla e sorridere, per la sua bellezza, per la propria
fortuna.
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“Allora a
domani!!”
“Ciao,
Pan.”
Prima di andare
via si era voltato un’ultima volta per guardarla, e le aveva
rivolto uno dei
suoi splendidi sorrisi.
Un sorriso
sicuro, enigmatico, eppure allo stesso tempo dolce e un po’
impacciato.
Pan si
intimidì
per la sua straordinaria bellezza, e rispose al suo saluto in un
sussurro,
abbassando gli occhi.
“Ciao,
Vegeta.”
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“Pan,
finalmente!! Oggi ci hai messo più del solito! Beh, allora?
Com’è andata?”
“Beh,
è
soltanto che stamattina le cose hanno preso una piega…
Inaspettata!!”
“Cioè?
Spiegati
meglio!”
“Cioè,
sono
riuscita a fare in modo che Vegeta si confidasse con me!! Credo che
abbia
cominciato a nutrire fiducia nei miei confronti. Mi ha anche confessato
di
essere il Principe!!”
“Dici sul
serio? E’ una notizia straordinaria! Stento a credere che sia
realmente mio
padre…”
“Ti
sbagli,
Bra. E’ perfettamente il Vegeta che conosciamo noi.
L’unica differenza è che è
ancora… Innocente! Probabilmente non ha ancora passato tutto
ciò che lo ha reso
la persona che conosciamo noi, perciò direi che la sua
innata malvagità è
ancora… Acerba!”
“Comunque
sia,
cerca di continuare ad andarci d’accordo. Abbiamo seriamente
bisogno di questa
vostra ‘amicizia’. Domani ho appuntamento con quel
tipo, Radish. Vedrò di
scoprire anch’io qualcosa di utile.”
“Estorcigli
quante più informazioni riesci, Bra. Ogni singolo aiuto
può risultarci utile.”
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Il resto della
giornata trascorse lento per entrambi. Poiché entrambi si
ritrovarono persi
l’uno nei pensieri dell’altro.
Vegeta
passò
quella notte a chiedersi se realmente la propria identità
non avrebbe influito
sul rapporto che si era magicamente venuto a creare tra lui e quella
strana
ragazza, e in modo particolare sull’opinione che lei si era
precedentemente
creata di lui.
E Pan
passò
quella medesima notte a pensare a Vegeta, inconsapevole di essere tra i
suoi pensieri
allo stesso modo.
Pensò
con
tenerezza alla sua necessità di passare una vita spensierata
e allegra, al suo
smodato bisogno di affetto, di comprensione, di svago. Pensò
con felicità al
fatto che fosse riuscito ad aprirsi a lei, ripensò sognante
al modo in cui lui
aveva cominciato a guardarla, a sorriderle. Sentì di
volergli bene, di un
affetto nuovo. Sentì per la prima volta di non considerarlo
più come un
inarrivabile tipo misterioso e strano, ma come un ragazzo solo, solo e
un po’
triste.
Si
addormentò
sorridendo, impaziente di passare insieme a lui nuove giornate di
allenamenti, di
giochi e di confidenze.
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Angolo
dell’autrice: Ciao!! Sono in estremo ritardo (di
nuovo), ma vi prego di perdonarmi! Qualche volta
l’ispirazione viene a mancare,
ma ecco che finalmente anche questo capitolo è pronto!!
Stavolta ho scelto di
pubblicarne più di uno insieme, per rimediare al mio
ritardo! (I capitoli
pubblicati oggi sono il n.3, il n.4 e il n.5) Spero che vi piacciano e
che
vogliate lasciare una recensione. Ringrazio comunque nuovamente tutti
coloro
che seguono la storia, la tengono d’occhio, la recensiscono o
anche semplicemente
la leggono! Un grazie di cuore a tutti! :**
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