Viaggio nel tempo

di LizardQueen96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La soluzione ***
Capitolo 2: *** Cambio di programma ***
Capitolo 3: *** Sbarco su Vegeta-sei ***
Capitolo 4: *** Appuntamenti ***
Capitolo 5: *** L'allenamento ***



Capitolo 1
*** La soluzione ***


*Ci tengo a precisare che questa storia è ambientata in Dragon Ball GT, precisamente dopo lo scontro con Baby. Tuttavia sono state alterate alcune componenti, in modo particolare l’età dei personaggi. Vegeta-sei sarebbe esploso infatti all’epoca in cui Vegeta era soltanto un bambino, e Pan all’inizio del GT dovrebbe avere all’incirca 14 anni. Ho cambiato l’età dei personaggi per far combaciare le vicende che leggerete nel caso in cui decidiate di seguirmi :)

(Goku, ovviamente, non è mai tornato bambino.)

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Una dannata festa. Un’altra. Non ci si sarebbe mai abituato a quel ridicolo pianeta …In modo particolare sarebbe rimasto per lui eternamente un arcano mistero sapere cosa diavolo avessero sempre da festeggiare quegli stupidi terrestri.

Nervosamente si rigirò la testa sul cuscino. Non era decisamente dell’umore adatto per sorbirsi tutto quel fracasso. In realtà era piuttosto raro che il suo umore fosse adatto a qualcosa di diverso dagli allenamenti o dai pasti quotidiani, ma quel giorno il Principe dei Saiyan era afflitto in modo particolare, per un motivo che lui stesso non era in grado di spiegare.

Eppure forse non era poi così difficile immaginare il nome da dare a quell’assurdo senso di incompletezza e di vuoto che gli albergava nell’animo. Il solito, dannato nome che non faceva altro che martellare nella sua mente ogni qual volta essa si ritrovasse a bruciare d’ira.

Kakaroth…

Uscito vittorioso da un nuovo scontro. Un nuovo scenario dell’universo lo aveva visto trionfare, in una sua nuova splendente trasformazione.

Se ai tempi dello scontro con Cell, o a quelli dello scontro con Majin Bu quella misera, stramaledetta terza classe era stata solo di un passo davanti a lui questa volta gli aveva letteralmente fatto mangiare la polvere.

Quel lurido dannato bastardo era riuscito a trasformarsi in un Super Saiyan di quarto livello, rendendolo nuovamente la sua stupida, insignificante, mediocre ombra. Quasi come se avesse voluto mettere in evidenza la propria superiorità, coronare nuovamente, in maniera definitiva questa volta il proprio ruolo, ormai indiscusso, di “Numero Uno”.

E cos’avrebbe dovuto fare a questo punto il cinico, malvagio, orgoglioso principe Vegeta? Starsene seduto con le mani in mano, a strafogarsi delle prelibatezze della sua eccentrica suocera mentre quella massa di plebe inutile che costituiva quella che era ormai diventata la sua assurda compagnia si divertiva a festeggiare per un motivo che eternamente gli sarebbe rimasto oscuro?

Una nullità. Un’inutile deplorevole nullità. Ecco come si sentiva.

Aveva creduto di essercisi abituato. Di aver accantonato l’odio e ogni desiderio di vendetta, accettando il ruolo che il mondo gli aveva destinato.

Si era abituato ad avere una vita normale. Aveva visto crescere i suoi figli, era cresciuto insieme a loro. Li aveva visti trasformarsi, perdere gradualmente la loro innocenza infantile, vivere i problemi dell’adolescenza.

Aveva amato sua moglie, l’aveva vista invecchiare al suo fianco. Aveva vissuto accanto alla sua famiglia, voltando definitivamente le spalle a tutto ciò che era stato.

Aveva tradito inesorabilmente tutto il trascorso della propria vita, tutto ciò che lo aveva forgiato per essere il Vegeta che tutti avevano imparato a conoscere e temere. L’orgoglioso principe dei Saiyan. Colui che con un solo sguardo gelido era in grado di incutere il terrore più nero.

Non era certo del fatto che ciò che ne era stato del vecchio, autentico Vegeta fosse stato un bene. Il Principe non ne era mai stato convinto fino in fondo, ma del resto, non aveva avuto molte occasioni per preoccuparsene troppo. Il suo cambiamento era avvenuto in maniera graduale, e aveva travolto e coinvolto ogni infinitesimale parte del suo essere, senza che tuttavia lui fosse perfettamente consapevole di ciò che gli stava accadendo.

Ma in qualsiasi caso il vecchio Vegeta non avrebbe accettato di rimanere segregato a lungo in uno squallido, solitario scomparto della sua mente. Coglieva ogni buona occasione per sgattaiolare fuori dal dimenticatoio e scombussolare la sua vita, diventata a discapito di ogni possibile immaginazione pacifica e tranquilla. A scombussolare i suoi pensieri, facendogli desiderare ardentemente di tornare ad essere ciò che era stato, ciò che mai in fondo avrebbe smesso di essere. Vegeta, spargitore di sangue, principe di tutti i Saiyan.

Ma i tempi in cui avrebbe fatto tremare il cuore a chiunque erano miseramente volati via, questo, che lo accettasse o meno, era inesorabilmente un dato di fatto.

Tutti coloro che aveva intorno avevano preso a considerarlo uno del gruppo. Uno di loro.

E lui non si era ribellato. Nonostante avesse, all’insaputa di tutti, continuato disperatamente a tentare di dimostrare a se stesso, al mondo intero quanto questa convinzione fosse stupida e priva di fondamenta concrete.

A volte si sentiva scoppiare dentro quella situazione.

Quasi gli pareva di urlare dentro una stanza piena di gente senza che nessuno riuscisse a sentirlo.

Neppure Bulma era mai stata capace di capire. L’aveva amato, aveva accettato ogni singola parte del suo essere, ogni sua iniziativa, ogni sua scelta, giusta o sbagliata che fosse.

Ma non si era mai cimentata nell’ardua missione di scavare nei profondi abissi del suo oscuro cuore per riuscire a comprendere cosa si celasse nel suo animo perennemente tormentato. Non era stata in grado di farlo. Non ne era stata capace neppure lei, l’unica donna sulla faccia dell’universo che mai avesse osato offrirgli il suo amore.

Si sentiva solo. Nonostante l’affetto costante della sua famiglia. Nonostante l’incosciente, immotivata fiducia dei suoi amici. Terribilmente solo. Solo come era sempre stato. Solo com’era dal giorno in cui il destino gli aveva strappato dalle mani il suo futuro …

Avrebbe dovuto essere un grande re. Questo era il destino già scritto per ogni principe dei Saiyan.  Essere un grande sovrano, temuto a stimato, un grande distruttore di pianeti e di stelle, il potenziale padrone dell’universo intero. Il fantomatico, mitico Super Saiyan.

Ma paradossalmente il destino avverso, suo eterno e unico compagno d’avventure, non aveva permesso che ciò si avverasse. Anzi, a dire il vero non aveva avuto la premura di riservargli nulla di buono. Lo aveva catapultato lontano da ogni brama di potere, sotto le grinfie di un mostro che aveva osato renderlo suo schiavo.

E la sua schiavitù non aveva conosciuto la fine neppure dopo la sconfitta del potente e malvagio tiranno. Da allora era stata la perpetua ossessione a renderlo schiavo, a fargli perdere completamente il lume della ragione.

A condurlo senza meta in un baratro inesorabile.

Fino a quando non si era arreso per lo meno. Fino a quando lui, il grande principe Vegeta, non aveva chinato la testa di fronte alla propria sconfitta. Fino a quando non aveva gettato la spugna, accettando la propria triste condizione senza riscatto di eterno secondo.

E si era rassegnato definitivamente a quello che evidentemente era il suo destino.

Fingere di vivere, continuare ad attendere. Attendere un riscatto che non sarebbe mai arrivato.

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“Vegeta!!!!! Tesoro scendi, i nostri invitati stanno arrivando, non vorrai farti trovare in pigiama spero!!”

Il principe dei Saiyan rispose emettendo un grugnito. La voce stridula della moglie lo aveva ridestato dai propri pensieri catapultandolo nuovamente nella monotona realtà che gli era quotidiana.

E quella mattina gli pareva ancora più fastidiosa del solito.

Si infilò in fretta la battle suit per evitare di essere nuovamente richiamato dalla moglie. Ma non avrebbe festeggiato. Non avrebbe finto che tutto ciò che di sciocco e inutile gli stava intorno gli si addicesse. Non quella mattina per lo meno.

Il suo atroce stato di frustrazione si sarebbe mitigato soltanto attraverso uno spossante allenamento. Che lo spronasse a sentirsi nuovamente il migliore, il numero uno.

Era il grande principe dei Saiyan. Avrebbe raggiunto presto il livello del suo infimo sottoposto. Qualsiasi vertice avesse raggiunto Kakaroth il principe Vegeta non sarebbe stato da meno. Sapeva perfettamente di avere tutte le carte in regola per poterlo nuovamente guardare dall’alto, com’era stato la prima volta che si erano incontrati. E a quel punto avrebbe raccolto i frammenti del suo orgoglio di guerriero, del suo onore di principe per poterne assemblare i pezzi alla perfezione e tornare finalmente ad essere ciò che era.

Meccanicamente si infilò gli stivali e i guanti bianchi e, ormai pronto per la giornata di allenamento, si fermò ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio.

Un uomo devastato. Ecco ciò che si era mostrato ai suoi occhi.

Dal suo sguardo accigliato trasparivano unicamente glaciale indifferenza e profondo disprezzo per ogni cosa che gli si trovasse intorno.

Solo chi si fosse soffermato più a fondo avrebbe potuto scorgere nei suoi profondi e impenetrabili occhi di pece la sofferenza che vi si celava. La sofferenza di un uomo che, per tutta la durata della sua vita era stato percosso da mille ferite, fisiche ed emotive, a partire da quando era soltanto un misero moccioso.

Non gli era mai stato concesso il calore di un abbraccio, la spensieratezza di un gioco, l’allegria di una vita senza pensieri e responsabilità. La vita lo aveva forgiato per essere ciò che era diventato fin troppo presto. Troppo prima di essere pronto a rinunciare alla serenità che gli spettava di diritto per dedicarsi ai doveri che si addicono ad un guerriero mercenario. Ad una schiavitù destinata a durare fin troppo a lungo.

Il principe inspirò profondamente e distolse lo sguardo dalla propria immagine riflessa. Si ritrovò a pensare che, senza ombra di dubbio, se il suo pianeta non fosse stato miseramente ridotto in un ammasso informe di polvere cosmica il suo destino sarebbe stato ben diverso. Mai e poi mai sarebbe stato costretto a rinunciare a se stesso per rendersi conforme ad una realtà di cui non aveva mai fatto parte fino in fondo. Di certo quel senso di frustrazione non avrebbe mai avuto ragion d’essere nel suo cuore.

Ad occhi chiusi varcò lentamente la soglia della propria camera da letto e prese a scendere le scale.

“Vegeta ti avevo chiesto di prepararti, perché hai messo la battle suit? Non avrai intenzione di allenarti anche oggi spero!!”

“E invece è proprio così. Non ho nessuna voglia di partecipare a questa stupida festa. Non smetterò mai di chiedermi cos’abbiate sempre da festeggiare voi terrestri.”

Freddamente, senza distogliere lo sguardo dal vuoto tentò di percorrere senza essere ulteriormente disturbato il breve tragitto che lo separava dalla Gravity Room.

Ma, come del resto era nelle sue aspettative, la moglie lo fermò afferrandolo per una mano.

“Non se ne parla nemmeno Vegeta. Avevi promesso di partecipare alla mia festa, perciò adesso fila subito in camera da letto e vestiti decentemente. Dopodiché scendi di nuovo qui e dammi una mano con i preparativi. A breve arriveranno tutti gli invitati, e non voglio certo rischiare di farmi cogliere impreparata!”

Bulma si scosse vanitosamente i capelli, pienamente convinta che la risolutezza con la quale aveva espressamente formulato il proprio ordine sortisse nel marito l’effetto desiderato, com’era ormai diventata consuetudine da un paio di anni a quella parte.

L’obbedienza.

Certo, Vegeta avrebbe sbraitato un po’, come gli era solito del resto. In fondo era pur sempre il principe dei Saiyan, no? Ma alla fine tutto sarebbe filato come era lei a volere che fosse.

Di certo non sarebbe rimasta ferma sulle proprie ferree convinzioni se avesse notato il notevole mutamento di espressione che si era fatto largo sul viso del marito.

Il Principe infatti digrignava i denti e stringeva i pugni, in preda all’ira e alla frustrazione. Le vene pulsavano frementi sulle sue tempie, il volto era divenuto paonazzo. Inesorabilmente stava per esplodere. E non si sarebbe trattenuto.

“TACI STUPIDA DONNA!! Non sei nelle condizioni di incutermi timore, né tantomeno di impartirmi ordini sono stato chiaro?! Non parteciperò a questa tua stupida festa, e ciò che decido di fare della mia giornata non sono affari che ti riguardano. E adesso levati dalle palle e lascami passare. Devo andare ad allenarmi.”

Donna…

Erano anni che Vegeta non si rivolgeva a lei con quell’appellativo che tanto in passato l’aveva fatta infuriare. Credeva addirittura di aver rimosso dalla mente l’essere malvagio e scorbutico che Vegeta era stato durante i primi tempi della loro convivenza.

Così allibita e addolorata lasciò gradualmente la presa sulla mano del marito, il quale, senza minimamente degnarla di uno sguardo che lasciasse trasparire anche soltanto il minimo accenno di un qualsiasi sentimento, affinché potesse sperare che si fosse trattato unicamente di un equivoco, si allontanò da lei, e lentamente com’era arrivato si diresse verso l’uscio di casa richiudendosi la porta alle spalle.

Profondamente scossa la turchina si abbandonò sul freddo pavimento dell’ingresso, lasciando scorrere lungo le rosee gote tante lacrime salate, senza preoccuparsi del fatto che presto il mascara avrebbe formato un tutt’uno col suo viso incipriato.

Continuava a chiedersi senza riuscire a darsi una risposta soddisfacente cosa potesse essere successo al suo Vegeta. Quali fossero i tormenti che avevano preso a intasargli nuovamente il cuore e l’anima, tanto da renderlo incredibilmente simile al mostro sanguinario al quale senza un apparente motivo aveva offerto tutto ciò che era in suo possesso.

“Perché Vegeta? Perché? Cosa può esserti successo amore mio?”

Le lacrime bruciavano calde sopra le sue guance. Ma ciò non le impedì di alzarsi comunque e di smettere di piangere. Asciugandosi velocemente il viso la turchina si alzò dal pavimento e si diresse in cucina per ultimare gli ultimi preparativi e accogliere i propri ospiti in maniera decorosa.

Non avrebbe permesso che quella giornata andasse a rotoli. La sua festa sarebbe stata perfetta, esattamente come era nelle sue aspettative. Con o senza la presenza di quello stupido scimmione dal cuore di pietra.

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In breve tutti gli invitati arrivarono alla Capsule Corporation, e la rimpatriata ebbe finalmente inizio.

L’allegria del gruppo era più che mai contagiosa e palpabile. L’intero enorme giardino della Capsule Corporation brulicava di gente giubilante, che si godeva a pieno la spensieratezza del meritato periodo di pace in seguito all’incubo vissuto a causa di Baby.

Gli adulti conversavano piacevolmente mentre i ragazzi, contenti di essersi nuovamente ritrovati in un’occasione diversa da una catastrofe cosmica, si scambiavano allegramente il resoconto delle proprie imprese sentimentali.

I piatti e i bicchieri erano vuoti, le copiose quantità di alcool ingurgitato cominciavano a dare il loro effetto, movimentando piacevolmente quella che di per sé era già stata una festicciola riuscita alla perfezione.

Paradossalmente l’unico componente della combriccola a non condividere quella comune allegria pareva essere proprio Bulma.

Quel dannato scimmione, quelle sue glaciali parole, non facevano altro che ripercorrere la sua mente ad ogni istante che la donna passava inconsciamente ad attendere che quel maledetto portellone si aprisse, permettendole di intravedere la figura dell’uomo che tanto amava con il volto sereno, riappacificato con se stesso e con il mondo.

Ma lui non si era presentato alla fine. Neppure per il buffet. E lei credette di conoscere perfettamente il motivo che lo aveva spinto a comportarsi in quel modo assurdo.

Goku. O meglio, il Super Saiyan di Quarto Livello. Probabilmente Vegeta viveva uno dei suoi soliti, ricorrenti complessi di inferiorità. E se le cose stavano davvero così per lei non ci sarebbe stato molto da fare. Avrebbe solo dovuto attendere che sbollentasse, da solo, lontano da ogni forma di pressione. E il giorno in cui quel momento fosse finalmente arrivato lo avrebbe nuovamente accolto tra le sue braccia, come ogni volta, perdonandogli istantaneamente tutto ciò che in preda alla rabbia avesse detto.

Sperava soltanto che questo caso non fosse diverso dagli altri. E che quel momento si decidesse ad arrivare al più presto.

Tra questi pensieri Bulma Briefs osservava senza troppo interesse uno spiedino che teneva tra le dita da ore ormai.

“Mamma che cosa c’è?”

La voce squillante della figlia la riscosse dai suoi tristi pensieri riportandola bruscamente alla realtà. Quell’interruzione improvvisa l’aveva spaventata, infastidita quasi. Poiché avrebbe preferito di gran lunga che la sua tensione emotiva non fosse così evidente.

Non riusciva a sopportare l’idea che gli altri la considerassero fragile e vulnerabile vedendola in quello stato. Semplicemente perché lei per tutta la durata della sua vita aveva dato continue prove concrete di essere esattamente il contrario di ciò.

Tuttavia allo sguardo carico di apprensione della figlia non poté fare a meno di rispondere con un sorriso malinconico.

“Oh mamma è per papà? Davvero ti aspettavi che avrebbe partecipato? Sai perfettamente quanto detesti queste cose!!”

Bulma sorrise nuovamente, cercando di convincere se stessa del fatto che la figlia avesse ragione. Sperò con tutto il cuore di avere male interpretato la piccola sfuriata del marito, sperò vivamente che quella piccola scenata fosse stata dettata unicamente dal nervosismo, dall’impulso, e che non vi fosse sotto nulla di grave per cui valesse la pena continuare a preoccuparsi.

In fondo perché mai l’aveva presa così male poi? Conosceva perfettamente l’individuo con il quale aveva a che fare, ed era consapevole di quello che sarebbe stato l’evolversi delle cose fin dal momento in cui aveva scelto di ospitarlo in casa propria. E quando si era resa conto di ciò che la legava a lui conosceva alla perfezione tutti i rischi ai quali sarebbe andata incontro.

E aveva deciso di rischiare.

Non lo aveva fatto per tutta la durata della sua vita del resto, nel bene e nel male?

Credeva di essercisi abituata. Aveva sempre creduto di poter far fronte a tutto. Perché era sempre stata una donna forte, Bulma.

Ma non poteva mentire spudoratamente persino a se stessa.

Vero, ci aveva fatto l’abitudine a Vegeta e a tutti i suoi difettacci in un lasso di tempo considerevolmente breve. Ma ci aveva fatto anche l’abitudine da molto tempo a quella parte ormai, a considerarlo diverso. A considerare morto definitivamente il crudele soldato mercenario che aveva spezzato senza neppure il minimo accenno di pietà o di risentimento innumerevoli vite innocenti, il sadico bastardo che l’aveva abbandonata al proprio destino mentre portava in grembo il suo stesso primogenito.

Credeva che fosse cambiato, anzi si era abituata ormai ad esserne certa, a considerarlo come un dato di fatto. Ma evidentemente si era sbagliata.

I mostri non si redimono.

“Non ha neppure toccato cibo... Bra, tesoro che ne diresti di portargli qualcosa da mangiare?

La giovane sorrise di fronte alla tenera apprensione della madre.

“Ma certo mamma.” Pronunciate appena percettibilmente queste parole le si avvicinò e le stampò un tenero bacio su una guancia nel tentativo di sollevarle il morale, per poi dirigersi a passo spedito verso il buffet.

Dopo aver riempito un intero vassoio con ingenti quantità di cibo si avviò verso la Gravity Room, sperando vivamente di trovarvi un principe dei Saiyan che non fosse di umore pessimo.

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L’allenamento era ormai nel pieno del proprio corso, e lo aveva coinvolto a tal punto da renderlo quasi dimentico di tutto ciò che avveniva intorno a lui, di tutto ciò che lo aveva reso intrattabile fino a qualche ora prima. Cominciava a rilassarsi. Sentiva gradualmente distendersi i muscoli, regolarizzarsi il battito cardiaco, allontanarsi quel senso di frustrazione, rabbia e nervosismo che lo avevano tenuto prigioniero fino a poco tempo prima. Il suo cuore colmo d’ira aveva cominciato finalmente a sbollentare grazie ad un allenamento strenuo e spossante, dimostratosi il suo unico possibile amico nei momenti bui della sua triste e tormentata esistenza.

Improvvisamente tuttavia il Principe dei Saiyan fu nuovamente catapultato nella realtà quotidiana che tanto aveva preso a detestare nel momento in cui un anonimo, dannato seccatore aveva deciso di interromperlo aprendo il portellone della Gravity Room, e causando la conseguente reimpostazione della gravità normale.

Riconobbe in breve la piccola aura dell’anonima seccatrice che, chissà per quale misterioso motivo, aveva deciso di raggiungerlo fin lì per importunarlo. Così senza neppure voltarsi a guardarla le parlò con fredda risolutezza, sperando di invogliarla a lasciare il più presto possibile il proprio rifugio, qualsiasi fosse il motivo per il quale avesse deciso di recarvisi.

“Beh, che vuoi mocciosa? Sai perfettamente che non voglio essere disturbato quando sono qui, perciò fai in fretta a girare i tacchi e lasciami allenare in santa pace una buona volta.”

La piccola Briefs digrignò rabbiosamente i denti, assumendo un’espressione che la rese molto simile a suo padre.

E probabilmente era questo il suo peggior difetto in assoluto. Essere la piccola fotocopia turchina del principe dei Saiyan, avendo ereditato l’adorabile caratterino di suo padre. Fu questo il motivo primordiale che la spinse a non trattenersi. L’impulsività che unicamente la sua eredità di Principessa dei Saiyan potesse avergli conferito.

Bra sbatté rabbiosamente il vassoio che reggeva tra le mani sulla superficie piana che ospitava i comandi della stanza gravitazionale del padre, senza minimamente preoccuparsi del dispendio di lavoro che sarebbe toccato a lei e sua madre nel caso in cui uno di quegli stupidi marchingegni si fosse rotto.

“Tsk. Siamo di cattivo umore oggi eh papà? Beh sappi che non me ne importa niente. Non è un buon motivo per cui prendersela con il mondo intero, e in modo particolare con chi si preoccupa di portarti qualcosa da mangiare. Beh sai che ti dico? Restatene pure qui a corroderti l’anima, io giro i tacchi come mi hai gentilmente consigliato, e me ne torno tra coloro che sanno divertirsi.”

La giovane turchina si scosse i capelli con leggiadria e lentamente si accinse a varcare nuovamente la soglia della Gravity Room. Appena in tempo per sentire distintamente i malcelati borbottii del padre.

“Questa poi…”

La piccola Bra avrebbe voluto restar lì. Avrebbe voluto sentire il proseguo di quelle parole, delle quali non era stata in grado di capire il senso. Cosa stava a significare “Questa poi”? A cosa stava facendo riferimento suo padre con quelle parole?

Ma nonostante la morbosa curiosità la fanciulla non diede segni di ripensamenti. Risoluta e indispettita com’era partita aveva continuato il proprio tragitto di ritorno, senza mostrare il proprio impellente desiderio di restare ancora lì a cancellare dal cuore i propri dubbi parlando con suo padre.

Con uno sguardo pieno di dubbiosa inquietudine Bra si richiuse il portellone dietro le spalle, e le parve quasi di sentirsi pesare addosso la rabbiosa reazione di suo padre.

“Non ha nemmeno diciotto anni, e già persino quella sciocca mocciosa mi mette i piedi in testa. Se il mio pianeta non fosse andato in mille pezzi le cose sarebbero state diverse, ne sono sicuro.”

Avrebbe preferito non sentire nulla. Avrebbe di gran lunga preferito vivere col dubbio anziché avvertire distintamente quell’insopportabile fitta di dolore all’altezza del petto che quelle dannate parole, cariche d’ira e di risentimento, gli avevano causato.

Ogni singola parola di quel discorso parve scolpirsi indelebilmente sulle pareti del suo giovane cuore, nel momento esatto in cui era stata pronunciata. Di certo non avrebbe potuto dimenticare ciò che aveva appena origliato da dietro quella porta.

La piccola Bra, nonostante la propria ben nota indolenza nei confronti del mondo ebbe prima di ogni altro la ferrea, improvvisa consapevolezza di ciò che da tempo avrebbe dovuto essere chiaro agli occhi di tutti.

Suo padre non era felice.

Non era felice accanto a loro.

Probabilmente non lo era mai stato. Probabilmente continuava a stramaledire dentro di sé il momento in cui aveva messo piede su quel pianeta. Cos’altro avrebbe dovuto pensare in fondo la piccola Briefs di fronte alla concreta certezza del fatto che suo padre si fosse addirittura ritrovato a rimuginare sul suo lontano passato, a desiderare che le cose fossero andate diversamente?

Non riusciva a crederci. Ed effettivamente non ci avrebbe creduto neppure per un momento se a testimoniare non fossero state le sue stesse orecchie.  Non avrebbe mai immaginato infatti che suo padre avesse desiderato per se stesso che il suo destino fosse diverso rispetto a ciò che era stato.

Si sentì triste. Incontenibilmente triste. Ebbe la voglia incolmabile di sprofondare in un baratro infinito senza possibilità di risalita, poiché qualsiasi cosa avrebbe preferito la piccola Bra ad un colpo del genere dritto al cuore.

La risolutezza che l’aveva caratterizzata e resa spavalda fino a qualche istante prima era del tutto svanita. Così a passo lento, trascinando a stento un piede dopo l’altro fece malinconicamente ritorno in giardino, dove, riuniti intorno al buffet si trovavano ancora tutti gli altri invitati.

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“Hey principessina come mai sei così silenziosa?” Sentenziò bonariamente Goten.

Bra lo guardò dritto negli occhi. Lo sguardo della giovane trapelava tristezza incontenibile, una malinconia che di certo non gli era abituale. Ma aveva bisogno di sfogarsi, e il più giovane della famiglia Son era di certo il miglior confidente che si potesse desiderare. L’avrebbe capita e consolata, sarebbe stato una buona spalla su cui piangere.

In modo particolare dal momento in cui tra loro era nata, quasi del tutto spontaneamente, un’amicizia genuina e sincera. Così tante lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi grandi occhi turchini, scorrendole lente lungo le gote rosee.

Il giovane Goten, rimasto spiazzato di fronte a quella reazione del tutto inaspettata da parte di una ragazza orgogliosa e cocciuta come Bra non riuscì a trovare parole per regalarle la consolazione necessaria a lenire quel dolore di cui non conosceva l’origine, così con sguardo carico d’apprensione le cinse i fianchi con le mani e la strinse contro il proprio petto marmoreo. Le avrebbe dato il conforto di cui aveva bisogno, sarebbe stato lo sfogo di cui necessitava.

Questo ed altro per la sua piccola, arrogante amica del cuore.

“Oh Goten!”

La ragazza si accoccolò con maggiore forza al petto del giovane mezzosangue, e cominciò a singhiozzare senza ritegno, cercando conforto tra le sue braccia, rifugiandosi nel suo profumo di buono.

Tentando invano di levare via dal proprio giovane volto quelle stramaledette lacrime amare decise di dare libero sfogo ai propri tormenti, nella speranza che fosse utile a farla sentire meglio.

“Mio padre… E’ soltanto un mostro. Mi ha trattata male senza motivo, e mentre andavo via gli ho persino sentito dire che le cose sarebbero state sicuramente migliori se il suo pianeta non fosse esploso… Te ne rendi conto Goten? Questo significa che non è felice di essere qui sulla Terra insieme a noi! Che avrebbe preferito essere altrove, a continuare a fare tutto ciò che di deplorevole ha sempre fatto! Non gliene importa nulla di noi capisci?”

Dopo aver pronunciato queste parole sentì il dolore all’altezza del petto farsi ancora più fitto e insopportabile. Incurante ormai del trucco che macchiava per intero la candida pelle del suo viso continuò a piangere sul petto di Goten, il quale per tranquillizzarla aveva preso ad accarezzarle fraternamente i capelli.

“Andiamo Bra, non è il caso che tu te la prenda tanto… Tuo padre non è mai stato un tipo molto sensibile, e questo immagino che tu lo sappia molto meglio di me. Magari oggi è semplicemente più di cattivo umore del solito e non voleva essere interrotto durante l’allenamento!! Cerca di perdonarlo, e non piangere… Tuo padre non è un mostro, non lo è più da tempo ormai.”

Le sorrise teneramente, asciugandole delicatamente con le dita le lacrime che le inumidivano il viso. Ma la piccola Bra non sembrò molto confortata da quelle parole. Abbassò tristemente lo sguardo.

“Lo so bene com’è fatto mio padre Goten. Come del resto so che prima di adesso non lo avevo mai sentito desiderare un ritorno al proprio passato. Io… Non potevo immaginare che fosse così infelice.”

Bra si staccò da quel caldo abbraccio per poi passarsi un braccio sugli occhi umidi.

“Andiamo a mangiare qualcosa Goten. Ho voglia di non pensare più a ciò che è successo.”

Così, preso a braccetto il giovane mezzosangue si diresse malinconicamente verso il buffet.

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“Hai visto? E’ esattamente come ti dicevo. Immaginavo che ci fosse qualcosa che non andava, Goku.”

Bulma cedette nuovamente alla disperazione lasciandosi scivolare sull’erba umida del prato con il viso coperto da entrambe le mani. Non aveva potuto fare a meno di sentire le parole della figlia. Il pianto della figlia. E ciò non aveva sortito altro effetto se non quello di incrementare la sua inquietudine. Cominciò a singhiozzare convulsamente, in preda alla più incontenibile tristezza. Non avrebbe avuto motivo di fingere un’ostentata tranquillità d’animo in quel momento, poiché si trovavano da soli, lei e la persona migliore sulla faccia dell’universo, lei e la persona che meglio di ogni altra avrebbe potuto aiutarla a risolvere gli enigmi che rendevano impenetrabile il cuore del suo amato principe dei Saiyan. Poiché era praticamente l’unica persona esistente sulla faccia della Terra ad essergli tanto simile e allo stesso tempo tanto diversa.

Il suo amico di sempre, il suo Son Goku. Colui che le avrebbe gentilmente offerto la consolazione di cui aveva bisogno, che per nulla al mondo le avrebbe negato un abbraccio e la rassicurazione che sarebbe servita a tranquillizzare il suo cuore.

E infatti Son Goku era lì, pronto a sorreggerla nei suoi momenti di debolezza, come era stato dal primo momento in cui si erano incontrati, come avrebbe continuato ad essere per sempre. La sua ancora di salvataggio non l’avrebbe abbandonata neppure quella volta, quel piccolo, strano, generoso moccioso sarebbe rimasto lì, dov’era sempre stato ogni volta che ne aveva avuto bisogno. Accanto a lei.

Le si sedette infatti accanto, cingendole le spalle con un braccio, donandole la sensazione di calore e benessere che unicamente sarebbe stata in grado di darle la forza necessaria per non abbattersi più di quanto non avesse già fatto.

“Non è da te cedere così passivamente alla tristezza Bulma. Non disperarti, sono certo che sia una cosa passeggera. In fondo sappiamo tutti che Vegeta ormai è ben lontano dall’essere ciò che era appena è arrivato qui… Non può essere tornato quello di prima senza avere neppure un motivo valido. Stai tranquilla amica mia, si risolverà tutto.”

La turchina alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello dolce e comprensivo di Goku. Non avrebbe mai trovato le parole adeguate per ringraziarlo della sua presenza. Per ringraziarlo di tutto.

Eppure non riuscì comunque a calmare lo stato di tensione che le si era creato in fondo al cuore. Avrebbe tanto voluto credere alle belle parole di Son Goku, ma il suo sesto senso femminile le suggeriva che questa volta le cose non sarebbero state facili.

“Oh Goku, non hai idea di quanto mi piacerebbe crederti… Ma proprio non riesco a capire. Cosa può essergli successo? Perché mai proprio adesso, dopo tanto tempo si ritrova a rimpiangere il suo passato?”

Lo sguardo di Goku divenne ad un tratto serio e assorto. Il Saiyan parve riflettere su una possibile risposta da fornire alle domande di Bulma.

Che erano in fondo domande alle quali neppure lui era in grado di dare una risposta adeguata e attendibile.

Cosa poteva mai aver sconvolto Vegeta a tal punto da fargli congetturare simili pensieri? Beh, non ne aveva la più pallida idea.

Aveva avuto l’illusione che si fosse perfettamente integrato in mezzo a loro, tanto da essere diventato ormai uno del gruppo. Perché in fondo era come se ci fosse sempre stato. Era diventato un suo alleato prima ancora di smettere di essere un suo nemico, aveva combattuto al suo fianco tutte le più strenue e difficili battaglie che la Terra si fosse ritrovata a fronteggiare. Ma effettivamente quella non era stata altro che una sciocca, effimera illusione, troppo surreale per essere anche solo lontanamente considerata vera.

Perché Vegeta probabilmente uno di loro non lo era mai stato. E loro avrebbero dovuto capirlo fin dall’inizio. Avrebbero dovuto saperlo da sempre.

Che era rimasto sulla Terra unicamente perché non aveva nessun altro posto in cui andare. Perché nessun altro al mondo si sarebbe mai sognato di offrirgli fiducia, amicizia, ospitalità.

Perché in fondo, alternative per lui non ce n’erano state.

Era un guerriero senza più un obiettivo.

Era un Principe senza regno.

Un clandestino, senza una meta e senza una casa.

Era stato lui stesso a fare in modo che fosse trasferito sulla Terra insieme a tutti gli altri, prima dell’esplosione di Nameck. E lì il principe dei Saiyan era rimasto, senza ribellarsi al destino che gli era stato imposto. Era rimasto lì ad attendere per anni la vendetta di distruzione che non gli sarebbe mai stata concessa.

Aveva per anni cercato di mantenere salda la propria integrità morale, la propria indole Saiyan, facendo gratuitamente sfoggio della propria innata malvagità.

Ma alla fine aveva ceduto. Il grande Principe dei Saiyan si era lasciato sopraffare da quella vita, da quelle abitudini che mai tuttavia avrebbe potuto far proprie fino in fondo.

E ogni qualvolta si sentiva scoppiare in quell’angusta prigione di sottomissione a delle regole che mai gli sarebbero appartenute il vecchio, autentico Vegeta si ribellava, uscendo fuori dai profondi meandri del cuore del principe per rivendicare la propria presenza, la propria repressa identità.

Una mancanza, un disperato bisogno di tornare ad essere se stesso, un disperato bisogno di fuga da una realtà che, monotona, si ripeteva in un susseguirsi infinito. Una rivendicazione, una vendetta ad un angusto e avverso destino.

Era certamente questo il motivo a spingere il principe dei Saiyan a rimpiangere il proprio lontano, stramaledetto passato percosso dal sangue e dal dolore.

                                    Improvvisamente per Goku fu tutto chiaro.

“Ho la soluzione Bulma.”

“Cosa? Spiegati meglio Goku, non ti seguo.”

“Se il problema di Vegeta si trova nel passato è evidente che anche la soluzione ad esso si trova nel passato. Se uno di noi partisse con la tua macchina del tempo sarebbe più facile risalire alla sua origine e trovare una soluzione.”

“Cosa? Ma ti sei ammattito Goku? E’ assolutamente fuori discussione! Non è mai un bene alterare il corso degli eventi, lo sai perfettamente! Rischiamo di mandare a rotoli tutto l’evolversi della storia, te ne rendi conto? E pensa un po’ che disastro sarebbe se, per un motivo o per un altro le cose non andassero come devono andare. Non sarebbe soltanto Vegeta a rimanerne coinvolto, ma anche tutti noialtri!!”

“Si Bulma, so perfettamente cosa comporta effettuare un viaggio nel tempo. Ma purtroppo non abbiamo molte altre soluzioni. E’ evidente che Vegeta non stia bene, e che il suo malessere derivi da tutto ciò che ha passato.” Goku volse lo sguardo verso Bulma, che palesemente lasciava trasparire dagli occhi la propria intima preoccupazione.

“Pensaci. E’ l’unico modo che abbiamo per aiutarlo…”

Bulma si fermò a riflettere sulle parole di Goku. Era evidente che avesse ragione. Ma correre il rischio di mettere a repentaglio tutto ciò che avevano costruito con fatica, l’esito di tutti i loro sforzi per estinguere i mali che avevano coraggiosamente combattuto, e persino l’esistenza dei loro figli le parve oltremodo irragionevole e assurdo.

D’altro canto tuttavia quali danni avrebbe mai apportato quell’ipotetico viaggio alla loro attuale esistenza, qualsiasi cosa fosse accaduta?

Praticamente nessuno.

Perciò forse valeva la pena di tentare. Valeva la pena di rischiare nuovamente per lui, per il suo Vegeta. Lo aveva sempre fatto del resto, perché mai smettere proprio nel momento in cui lui più che mai aveva bisogno del suo aiuto? In fondo ciò che più di ogni altra cosa desiderava al mondo era di vederlo sereno, appagato, felice. E avrebbe tentato il tutto e per tutto affinché quel desiderio si avverasse al più presto.

“Va bene Goku, che sia. Chi credi che sarebbe opportuno far partire? Potrei andarci io!”

“No Bulma, non credo che sia una buona idea. Sarebbe piuttosto difficoltoso per te farti passare per una Saiyan, senza contare il fatto che quel pianeta è un posto pericoloso… E’ necessario che a partire sia qualcuno che può facilmente essere scambiato per un Saiyan purosangue e che allo stesso tempo sia perfettamente in grado di far fronte alle possibili difficoltà … Faremo partire Goten e Trunks, che ne dici?”

“Mmm… Si Goku, forse hai ragione tu. Trunks e Goten sono sicuramente i più adatti a svolgere questa missione.”

La turchina sorrise, finalmente rincuorata da quel piccolo barlume di speranza. E Goku non poté far altro che esserne profondamente felice.

“Beh allora cosa stiamo aspettando? Andiamo subito ad avvisarli!”

Goku aiutò Bulma ad alzarsi dall’erba profumata sulla quale stava ancora appollaiata, e insieme si diressero verso il buffet per annunciare ai due ragazzi la grande decisione.

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Angolo dell’Autrice:

Ciao a tutti! Se siete arrivati fin quaggiù è evidente che abbiate letto per intero il primo capitolo di questa mia Long Fic, e non posso far altro che ringraziarvi di cuore. Che dire, spero che vi piaccia e che decidiate di proseguire la lettura dei prossimi capitoli! Mi raccomando, mi auguro di sentir presto il vostro parere. Naturalmente si accettano critiche costruttive. Un bacio :*

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Capitolo 2
*** Cambio di programma ***


Bulma e Son Goku si allontanarono con passo spedito da quello che fino a qualche istante prima era stato il loro nascondiglio, estremamente entusiasti all’idea della proposta della quale, a breve, avrebbero reso partecipi Goten e Trunks.

Si avvicinarono quindi al buffet, dove ancora si trovavano a discutere animatamente tutti i più giovani della combriccola.

“Goten, Trunks. Io e Bulma avremmo urgente bisogno di parlare con voi. Potreste seguirci un momento in casa?”

I due giovani si scambiarono uno sguardo interrogativo. Trovarono che quella situazione fosse alquanto inquietante oltre che assolutamente inusuale e bizzarra. Entrambi si ritrovarono quasi inconsciamente a scavare repentinamente nei più profondi abissi della propria memoria per individuare l’eventuale colpa della quale si fossero macchiati per giustificare quell’assurda richiesta di colloquio.

A dir la verità tuttavia i loro timori erano palesemente infondati. Non c’era infatti alcuna traccia di rimprovero negli sguardi dei rispettivi genitori, che potessero lasciar trapelare qualche traccia di risentimento o rabbia nei loro confronti. Anzi, pareva al contrario che Bulma e Goku fossero di buonumore, e che fosse una buona notizia quella che avevano in serbo per loro. In seguito a queste constatazioni quindi lo sbigottimento iniziale cedette il posto nel cuore dei due giovani ad un sentimento di pura ed impellente curiosità.

“Ehm… Va bene!”

I due ragazzi si allontanarono quindi al seguito di Bulma e Goku, che li condussero in casa per esternare loro i progetti dei quali erano stati inconsapevolmente resi protagonisti.

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Era splendido. Semplicemente splendido. Ad ogni passo, ad ogni movimento, ad ogni sorriso, ad ogni sguardo.

Si allontanava con leggiadria, borbottando sommessamente con Goten. Si allontanava lento, inconsapevole della propria bellezza, inconsapevole dell’aumentare vertiginoso del battito del cuore che le provocava ad ogni minima, insignificante azione.

E guardandolo allontanarsi nella sua innata, straordinaria bellezza non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sospiro sconsolato.

Perché mai e poi mai quella bellezza le sarebbe appartenuta.

Mai sarebbe stato concesso alle sue mani di scorrere lungo i muscoli scolpiti di quel suo splendido corpo statuario, mai le sarebbe stato concesso di affondare le dita in quei meravigliosi capelli color glicine, mai le sue orecchie avrebbero ascoltato dolci parole d’amore fuoriuscire da quelle sue labbra invitanti. Neppure una volta quegli occhi color del cielo le avrebbero rivolto uno sguardo diverso da quello che si regala ad un buon amico, e mai si sarebbe inebriata del suo profumo di maschio perdendosi fra le sue braccia possenti.

Non sarebbe mai accaduto, perché Trunks l’aveva rifiutata. L’aveva rifiutata senza neppure rendersi conto di averlo fatto. Aveva rifiutato l’amore che lei non aveva ancora neppure avuto il coraggio di offrirgli, senza capacitarsi della ferita che aveva inflitto al suo giovane cuore innamorato, senza accorgersi della sofferenza che, a partire da quel maledetto giorno, il suo falso sorriso celava ogni volta che si ritrovava davanti quel meraviglioso, dannato volto.

“Quanto vorrei che ci fosse Marron…”

Quelle stupide, dannate parole continuavano a tormentare il suo povero cuore già ridotto in frantumi.  

 

Erano soli in quell’occasione, come raramente era capitato loro di trovarsi. Soli nell’oscurità di una splendida notte stellata. Soli di fronte all’infinità di un manto nero adorno di astri splendenti, gli occhi fissi sul cielo, i corpi investiti da una brezza leggera.

Non era mai stata un’amante delle svenevolezze, Pan. Ma quell’occasione era diversa. Avvertiva distintamente agitarsi nello stomaco quell’inconfondibile sfarfallio, sentiva avvampare le guance ad ogni momento che quegli splendidi occhi di mare passavano a soffermarsi su di lei, le sentiva quasi bruciare ai lati per il prolungato sorriso che per ore non si era deciso ad abbandonarla. Ma soprattutto, più di ogni altra cosa, sentiva che quel giorno sarebbe stato decisivo. Perché proprio quel giorno avrebbe tirato fuori il coraggio necessario a liberarsi del peso che la opprimeva ormai da tanto, troppo tempo. Gli avrebbe rivelato ogni cosa, lì, sotto la luce di quelle lontane, splendenti stelle, lì, in mezzo al volteggiare delle lucciole, sotto le fronde di un grande salice.

Non smetteva di fissarlo per evitare di perdersi anche un solo istante della sua bellezza. Lo guardava nell’illusione di poter immagazzinare eternamente nella memoria ogni singolo dettaglio di quel momento magico, affinché fosse per sempre scolpito lungo le pareti del suo cuore. Lo stesso cuore che aveva sentito frantumarsi nel momento esatto in cui Trunks, il suo Trunks aveva proferito quelle maledette parole, che nulla avrebbe mai potuto cancellare.

“Quanto vorrei che ci fosse Marron...”

La piccola Pan trattenne a stento le copiose lacrime che minacciavano di fuoriuscire dai suoi grandi occhi color ebano. Non avrebbe ceduto alla propria incontenibile tristezza lì, davanti a tutti. Avrebbe aspettato di far ritorno a casa, di chiudersi nella sua stanza, l’unico, infinitesimale angolo di mondo in cui potesse fare a meno di non essere se stessa, e piangere, piangere fino allo sfinimento, fino a quando tutto intorno a lei non fosse diventato buio.

“Va tutto bene Pan?”

Quelle parole la ridestarono all’improvviso, quasi spaventandola. Da qualche tempo era diventata consuetudine per lei estraniarsi dal mondo, crogiolarsi nella prigione inesorabile della propria sofferenza, e, dimentica di ogni cosa che le stesse intorno, lasciar scorrere ogni avvenimento che stesse al di fuori del piccolo mondo che aveva creato intorno a se stessa, facendoselo scivolare addosso. Quasi le parve che quelle parole fossero giunte da un altro pianeta per quanto era persa tra i propri pensieri, per quanto le fossero sembrate distanti.

La fanciulla si voltò istantaneamente nella direzione dalla quale aveva sentito provenire quella voce amica e familiare.

Ub.

Gli rivolse il sorriso malinconico che ormai per abitudine soleva offrire a chiunque le parlasse, ma non poté in ogni caso non sentire in fondo al cuore un piccolo barlume di felicità.

La tenera apprensione che Ub continuava a riservarle incondizionatamente le faceva piacere. Perché Ub era una delle poche, forse addirittura l’unica persona che avesse intorno ad essersi dimostrata veramente sua amica.

Ed era per via delle persone come lui che non si sentiva ancora di mandare tutta la sua vita allo scatafascio, che tentava ancora, giorno dopo giorno di cavare il meglio da ogni singola esperienza, che non aveva ancora perso la speranza di essere felice e il coraggio di aprire nuovamente all’amore la porta del proprio cuore.

Il malinconico sorriso che lui le rivolse in risposta, carico di tristezza mista a comprensione e rassegnazione mise improvvisamente Pan di fronte alla consapevolezza del fatto che Ub provasse qualcosa per lei. Qualcosa che andava ben oltre l’amicizia che, praticamente da sempre li teneva uniti.

E si ritrovò a pensare che fra tutti i sentimenti umani l’amore fosse di certo il più terribile.

Amava alla perdizione una persona che neppure era stata in grado di accorgersi del suo amore. Ed era amata a sua volta da una persona che non avrebbe mai ricambiato.

Ub, il suo dolce, generoso, amico del cuore.

Innamorarsi di lui sarebbe stata effettivamente la soluzione migliore ad ogni suo problema. Perché Ub c’era sempre stato. E sempre avrebbe continuato ad esserci, senza ombra di dubbio. Avrebbe continuato a proteggerla, a farle da spalla, e mai, per nessuna ragione al mondo le avrebbe arrecato una sofferenza.

Sorrise tristemente alla consapevolezza dell’assurdità di tale constatazione.

Era decisamente troppo giù di corda anche solo per tenere minimamente in considerazione l’assurda eventualità di cominciare a pensare ad un altro ragazzo, e soprattutto l’assurda eventualità che quel ragazzo potesse essere proprio Ub. Come avrebbe mai potuto il fraterno rapporto che li legava da anni, anche in un remoto futuro, trasformarsi in qualcosa di diverso?

Al cuor non si comanda….

E questo la piccola Pan lo aveva imparato a proprie spese.

“Oh nulla Ub. Sono solo un po’ stanca, tutto qui. Credo di non aver dormito bene stanotte.”

Pan rivolse al ragazzo il sorriso più dolce che riuscì a cavare dal cuore. Per quanto non lo ricambiasse, non gli avrebbe mai causato un’atroce sofferenza, come Trunks aveva avuto la premura di fare con lei.

Perché lei aveva un cuore, a differenza di qualcuno. Un cuore ridotto in mille pezzi ma pur sempre presente. E ancora pronto, nonostante tutto, a continuare a battere.

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“Che cosa??? No non se ne parla nemmeno!!!”

I due giovani sbraitarono quasi all’unisono, e, senza neppure effettuare il minimo tentativo di mascherare i sentimenti che quell’assurda proposta gli aveva scatenato nell’animo, tenevano gli occhi carichi di tacite suppliche fissi sui genitori, nella speranza che ciò servisse a far desistere entrambi da quell’assurdo proponimento che si erano messi in testa di portare a termine.

Piagnucolavano in maniera del tutto infantile, spremendosi le meningi nel tentativo di riuscire a trovare argomentazioni valide, nel minor tempo possibile, per poter uscire indenni da quell’assurda situazione.

“Ma perché no figliolo? Sono certo che vi divertirete un mondo tu e Trunks a girovagare per lo spazio in cerca di nuove avventure!!”

“Stai scherzando spero! Cosa ci trovi di divertente nel girovagare per la galassia rischiando la vita ad ogni momento che passa? E poi, cosa dovrei raccontare alla mia ragazza? A questo non ci hai pensato, non è vero??”

“Ehm… Beh effettivamente no, non ci avevo pensato … Eheheheh.”

Goku si grattò la nuca ridacchiando.

Il suo piano si era dimostrato perfetto fin dal primo istante in cui l’aveva formulato, eppure non aveva tenuto presente la più ovvia delle eventualità. Ovvero, che Goten e Trunks potessero non essere d’accordo.

Del resto, chi mai si sarebbe dimostrato entusiasta all’idea di sbarcare su un pianeta di scimmioni sanguinari, per di più con una percentuale fin troppo alta di probabilità di non concludere un accidente?

Probabilmente nessuno che avesse tutte le rotelle a posto. E di certo non Goten e Trunks.

Eh già. Avevano fatto un tremendo errore di calcolo, lui e Bulma.

Bulma sbuffò sonoramente, profondamente infastidita dalla cocciutaggine di quei due sciocchi perdigiorno.

Ma ugualmente, nonostante tutto lo sdegno celato all’interno del cuore della turchina, la donna era perfettamente consapevole del fatto che non ci fosse molto da fare a quel punto. L’unica cosa della quale Bulma fosse certa in quel momento, era il fatto che quei due avrebbero pagato a caro prezzo la propria indolenza. E l’avrebbero fatto molto presto.

Goku al contrario non sembrò risentire molto di quel rifiuto. Congedò bonariamente i due ragazzi che abbandonarono a capo chino, carichi di sensi di colpa, la sala da pranzo di casa Briefs, lasciando i due adulti da soli ad effettuare le proprie congetture.

 

“Abbiamo un problema temo…”

“A quanto pare…”

“Non possiamo certo mandarceli a forza! Ma dobbiamo assolutamente trovare un’altra soluzione, Goku. Poiché di certo non possiamo neppure permetterci di mandare al diavolo il nostro piano per colpa di questi due dongiovanni! Che ne diresti se fossimo io e te a partire? Potrei tranquillamente farmi passare per una Saiyan costruendo un apposito travestimento, e nel caso in cui dovessi trovarmi in difficoltà ci saresti tu a difendermi, non è vero?”

La turchina rivolse a Goku i propri occhioni di zaffiro carichi di dolcezza, nel tentativo di convincere l’amico che quella fosse la soluzione più adeguata.

Non poteva assolutamente permettere che quel piano fallisse. Ci avrebbe messo la sua stessa anima affinché andasse a buon fine, perché ne valeva della felicità del suo adorato Vegeta. In qualsiasi tentativo, funzionale o fallimentare che fosse, si sarebbe cimentata pur di avere anche la minima possibilità di veder splendere sul viso del suo Principe quel sorriso sereno che mai a nessuno era stato concesso di vedergli addosso.

“Va bene Bulma. In fondo non abbiamo molte altre alternative.”

Sul volto della turchina fiorì un sorriso carico di pura felicità. Carico di speranza nella buona riuscita di quel piano in cui avrebbe messo tutto il cuore, tutta l’anima e tutto ciò di cui disponeva. Tuttavia la loro conversazione venne repentinamente interrotta dall’ingresso di un terzo spettatore.

“Ehm… Non ho potuto fare a meno di ascoltare il vostro discorso, e se posso avrei un’altra alternativa da proporvi.”

Il giovane Gohan entrò lentamente nella stanza, dove Goku e Bulma lo osservavano con sguardo carico di curiosità.

Lo sguardo del giovane, estremamente serio lasciava trasparire attraverso i grandi occhi neri una intima e profonda, quanto inspiegabile preoccupazione.

“Che ne direste se al posto di Goten e Trunks facessimo partire le due ragazze?”

Goku e Bulma, a sentir proferire una simile assurdità, sbiancarono in volto e spalancarono gli occhi increduli nel giro di un istante.

“Che cosa? Gohan starai scherzando spero!! Come puoi credere che Pan e Bra possano affrontare una missione del genere con tutti i pericoli che ne conseguono? Sarebbe un’assurdità affidargli un simile incarico!!”

“Sai figliolo, credo che Bulma abbia ragione. Le ragazze sono troppo deboli per poter far fronte alle difficoltà che incontrerebbero una volta arrivate lì… Ma toglimi una curiosità. Cosa ti fa credere che mandarci Pan e Bra potrebbe essere la soluzione migliore?”

“Beh in realtà non sono sicuro che questa sia effettivamente la soluzione… Ma Pan è molto forte papà, lo sai anche tu, e sarebbe perfettamente in grado di far fronte agli eventuali pericoli. Pensa soltanto che il male peggiore in cui si possano imbattere è Freezer… E lui non era poi tutta questa potenza.”

“Mmm… Effettivamente non era poi molto forte…” Rifletté Goku, massaggiandosi il mento con le dita.

“Ma dimentichi, figliolo, che quando ho sconfitto Freezer io ero già un Super Saiyan, mentre Pan non lo è ancora!!”

“Beh, se le facessimo allenare? Entrambe hanno grandi capacità, scommetto che potrebbero conseguire buoni risultati!!”

Bulma, che dal suo cantuccio aveva ascoltato stizzita e sdegnata tutta la conversazione interruppe repentinamente il dialogo che si stava tenendo tra padre e figlio, indispettita e sconcertata dall’estrema incoscienza delle congetture dei due Saiyan.

“Gohan, ma si può sapere perché mai ti preme tanto far partire Pan e Bra? Io non ho alcuna intenzione di mandare le bambine allo sbaraglio!! E’ troppo rischioso, levatelo dalla testa!”

Gohan sembrò rabbuiarsi a sentir proferire quelle parole. Con lo sguardo tristemente abbassato verso il pavimento si voltò di spalle, e si diresse malinconicamente verso la finestra, appoggiandosi al davanzale.

“Se devo essere sincero, sono preoccupato per Pan. E’ triste, immotivata, spenta… E non riesco a spiegarmene la ragione. Sembra che viva fuori dal mondo, non parla con nessuno, quasi non esce di casa!! Ha perso completamente la sua grinta, la sua allegria, il suo spirito avventuriero, la sua voglia di mettersi continuamente in gioco, la sua competitività… Vorrei solo fornirgli un diversivo, una distrazione, un motivo per cui tornare ad essere la bambina allegra di sempre. Vorrei aiutarla a superare questo brutto momento, qualsiasi sia la causa di esso… E ho pensato che questa fosse l’occasione perfetta. Ma se non siete d’accordo non se ne farà nulla.”

Bulma, a sentire le parole di Gohan sentì stringersi il cuore, e si pentì immediatamente delle parole sgarbate che gli aveva precedentemente rivolto.

Cominciò quindi a riflettere sul fatto che probabilmente quella soluzione non fosse poi così assurda. In fondo anche Gohan era un guerriero di alto livello, ed era ovvio che fosse perfettamente consapevole di ciò che diceva. Ciò che era certo più di ogni altra cosa, inoltre, era che mai e poi mai Gohan si sarebbe sognato di mettere a repentaglio la vita delle due ragazzine.

“Ehm… Aspetta Gohan. Non pensavo che ci fossero sotto delle motivazioni del genere… Beh magari Goku può assumersi il compito di allenarle a dovere!! Saprà rendersi conto del momento in cui saranno pronte per partire senza correre alcun rischio… Dico bene? In fondo, pensandoci, è molto meglio che siano Pan e Bra a partire. Le ragazze hanno più giudizio dei maschi, si sa, Goten e Trunks avrebbero combinato soltanto guai!!!”

Affermò Bulma nel tentativo di autoconvincere se stessa più che i due Saiyan di ciò che stava dicendo.

Quello a non sembrare troppo convinto era tuttavia Son Goku.

Aveva certamente ragione Gohan. Suo figlio aveva senza ombra di dubbio tutte le ragioni del mondo. Ma sarebbe davvero stata un’azione saggia far partire per lo spazio due ragazze che, per quanto forti, non avevano mai avuto occasione di trovarsi di fronte al pericolo completamente da sole?

Son Goku non avrebbe permesso che la sua piccola Pan si trovasse in pericolo. E neppure avrebbe permesso che fosse Bra a farlo.

Tra questi pensieri si pose due dita sulla fronte e scomparve, lasciando Bulma e Son Gohan in preda allo sbigottimento più totale.

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“Salve re Kaioh! Mi scusi se la disturbo, ma avrei urgente bisogno della sua consulenza!”

L’anziano re Kaioh ebbe appena il tempo di sobbalzare all’indietro per lo spavento prima di riconoscere l’inconfondibile voce del giovane ospite che si era preso la premura di giungere da tanto lontano per causargli un infarto.

“BRUTTO IDIOTA TI SEMBRA IL MODO DI PRESENTARTI A CASA DI UN ESSERE SUPERIORE??”

Goku prese a grattarsi la nuca in quel gesto infantile che tanto gli era abituale.

“Eheheheh, le chiedo perdono re Kaioh, ma purtroppo non ho molto tempo per i convenevoli. Ho qualcosa da chiederle con una certa urgenza…”

Goku espose quindi in breve la situazione, e in modo particolare l’idea di far partire Pan e Bra, esternando i motivi e le preoccupazioni che avevano spinto Gohan a formulare tale proponimento.

“Sei matto Goku? Come hai potuto anche solo lontanamente tenere in considerazione un’ipotesi del genere? Sai perfettamente quanto sia pericoloso Freezer. Dimentichi che c’è mancato un pelo che tu stesso ci lasciassi le penne? E tu eri in grado di trasformarti in Super Saiyan!!”

Goku prese a massaggiarsi il mento, assorto più che mai nel soppesare le parole che l’anziano re Kaioh aveva appena pronunciato.

“Mmm, tecnicamente non è esatto re Kaioh. Stavo per lasciarci le penne è vero, ma a causa dell’imminente esplosione di Nameck, non a causa di Freezer! Mi creda, Pan è molto forte, se la allenassi a dovere potrebbe anche trasformarsi in Super Saiyan!! E anche Bra non è da meno… E’ pur sempre la figlia del principe Vegeta!!”

“Ammesso che fosse come dici tu, non hai tenuto in considerazione il fatto che i Saiyan stessi, ancor prima di Freezer potrebbero rivelarsi dei nemici per loro?”

“Si, ci ho pensato… Ma non credo che abbiamo motivi validi per cui preoccuparci. I Saiyan saranno anche stati dei guerrieri spietati e senza scrupoli, ma che motivi avrebbero avuto per farsi del male tra di loro? Sotto questo punto di vista non credo che le ragazze corrano un grande pericolo… L’importante è che passino inosservate e che nessuno si accorga del fatto che sono Saiyan soltanto per metà! Lei che ne pensa? E’ un rischio troppo grande?”

“Mmm… Beh devo ammettere che non ne ho la più pallida idea, figliolo. Sicuramente affrontare questa missione non sarà una passeggiata per loro, e di pericoli ne incontreranno parecchi. Potrebbero cavarsela, come del resto potrebbero anche fare una brutta fine. Non me la sento di prendere posizione su questa faccenda, cerca di capirmi Goku. Ti chiedo solo di riflettere prima di prendere una qualsiasi decisione e di soppesare ogni possibile eventualità.”

Goku si fermò a riflettere, rielaborando razionalmente tutto ciò che gli era stato detto.

Re Kaioh, come del resto era nelle sue previsioni, non gli era stato di grande aiuto. Anzi, col suo ben noto pessimismo era stato unicamente in grado di far aumentare vertiginosamente la quantità di dubbi che gli si agitavano nell’anima.

Per prendere una decisione adeguata avrebbe avuto bisogno piuttosto del consiglio di qualcuno che potesse fornirgli delle certezze concrete.

Ritenne che ci fosse un’unica persona sulla faccia della Terra che potesse offrirgli delle delucidazioni utili in tal senso.

“La ringrazio infinitamente re Kaioh. Arrivederla.”

E postosi nuovamente due dita sulla fronte scomparve velocemente com’era arrivato.

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“Salve Baba!”

L’immenso giardino che circondava la piccola residenza della maga era completamente solitario, ed il Saiyan non fu in grado di scorgervi anima viva.

Cominciò quindi a guardarsi intorno, e quasi gli parve di essere tornato ai tempi dell’infanzia. Poiché ebbe l’illusione che da allora non fosse cambiato nulla. Rammentò con indicibile nostalgia i momenti indimenticabili che aveva trascorso in quei luoghi quando era soltanto un bambino.

Eppure, nonostante sembrasse che pochi istanti lo separassero dalle fantastiche esperienze che aveva vissuto lì, tantissime cose erano successe da quando, abbandonata la solitudine delle montagne, aveva intrapreso il proprio viaggio avventuriero alla ricerca delle sfere del drago insieme alla sua inseparabile Bulma.

A partire da allora aveva imparato tutto ciò che sapeva, aveva avuto modo di scoprire le proprie misteriose origini, aveva avuto l’opportunità di conoscere un mondo sconfinato al di fuori di quel piccolo pianeta azzurro, di confrontarsi con un universo immenso, di conoscere i propri limiti, di superarli.

Era soltanto un moccioso pieno di curiosità e di voglia di fare l’ultima volta che era stato lì. E adesso che ci era ritornato era una persona diversa. Era invecchiato, carico di esperienza. Era diventato padre e nonno, ma soprattutto, un guerriero completo. Un guerriero completo che mai tuttavia avrebbe smesso di imparare.

Sorrise.

Ma fu interrotto nei propri nostalgici ricordi e nei propri pensieri nel momento in cui comparve alle sue spalle la vecchia sibilla.

“Son Goku? Quanto tempo! Qual buon vento ti porta?”

Il Saiyan si voltò, inspiegabilmente sorpreso da quell’interruzione. Quasi aveva dimenticato il motivo per cui con tanta fretta si era recato fin lì, ma la visione dell’anziana signora lo aveva bruscamente riportato alla realtà. Sorrise nuovamente, ma si decise a non perdere tempo in inutili convenevoli.

“Sono qui perché avrei bisogno della tua consulenza! Purtroppo però non ho i soldi per pagarti, perciò naturalmente affronterò uno dopo l’altro i cinque guerrieri al tuo servizio.”

“Sei matto? Quale guerriero con un po’ di sale in zucca avrebbe voglia di battersi con te? Dovrò offrirti gratis la mia consulenza!” Affermò stizzita la vecchia signora, incrociando le braccia al petto.

Son Goku non riuscì a trattenere il divertimento misto ad un piccolo impeto di entusiasmo. Ridacchiò sommessamente, ma deciso a non perdere tempo espose in breve i motivi che lo avevano spinto a recarsi fin laggiù.

“Oh, non so come ringraziarti! Beh ecco, mi piacerebbe che mi mostrassi all’interno della tua sfera cosa succederebbe se facessi partire a bordo della macchina del tempo mia nipote e la figlia di Bulma alla volta di Vegeta-sei!”

L’anziana maga parve sorpresa ad una simile richiesta. Ed il suo sguardo divenne cupo nel proferire la propria risposta.

“Mi dispiace Son Goku, ma la mia sfera non può mostrarti ciò che succederebbe nel passato se alterassimo il corso degli eventi.”

“Dannazione, questa proprio non ci voleva…” Disse Goku massaggiandosi la nuca con preoccupazione.

“Che cosa volevi sapere in particolare? Sono pur sempre una sibilla, e forse grazie ai miei poteri potrei aiutarti comunque.”

Un piccolo barlume di ottimismo si riaccese sul volto del Saiyan, il quale cominciò a parlare speranzoso.

“Vorrei sapere unicamente se affrontando questo viaggio le due ragazze corrono il rischio di lasciarci la pelle.”

La Sibilla rivolse a Goku uno sguardo serio e carico di preoccupazione. Dopodiché gli voltò le spalle e cominciò a meditare ad occhi chiusi.

Dopo cinque minuti trascorsi in silenzio la vecchia Sibilla fu pronta per dare il proprio oracolo.

“Non moriranno, se è questo che vuoi sapere. Purtroppo non sono in grado di dirti altro.”

Goku non riuscì a trattenere l’entusiasmo a sentire quelle parole.

“Ti ringrazio infinitamente Baba. Prometto che un giorno verrò a pagarti tutte le consulenze gratuite che mi hai offerto!”

“Mpf.”

“Beh allora arrivederci e grazie ancora!!”

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“Rieccomi qui!!”

“Hei Goku ma dove ti eri cacciato?”

“Sono stato a chiedere consiglio a re Kaioh e a Baba.”

Gohan e Bulma si scambiarono uno sguardo entusiasta a quella notizia, ed impazienti di ricevere il resoconto di ciò che era stato detto a Goku dai due si accomodarono sul divano con il volto sorridente.

“Ottima idea!! E cosa ti hanno detto?”

“Beh, re Kaioh non mi è stato di grande aiuto, ma Baba, grazie ai suoi poteri è stata in grado di prevedere che le due ragazze non corrono il rischio di morire.”

“Bene!! Non potevamo ricevere una notizia migliore di questa!!!”

“Allora andiamo ad avvisare anche loro?”

Bulma incrociò le braccia sul petto, infastidita al pensiero della precedente reazione di Goten e Trunks alla loro proposta.

“Andiamo ad avvisarle. Ma giuro che se anche loro dovessero rifiutarsi di partire non sarò più responsabile delle mie azioni!!”

La turchina serrò i pugni, visibilmente irritata. Ma i due Saiyan non riuscirono tuttavia a non trovare ugualmente buffa la sua sfuriata.

Non riuscirono a fare a meno di sentirsi sereni e rincuorati all’idea di aver finalmente trovato una sistemazione adeguata per dare contemporaneamente una soluzione a tutti i problemi che si erano venuti a creare in un lasso di tempo tanto breve. Vegeta sarebbe tornato sereno, la piccola Pan avrebbe ritrovato se stessa e la propria voglia di vivere.

Nulla sarebbe andato storto questa volta. Nulla sarebbe andato diversamente da come era giusto che fosse.

Così Gohan e Goku scoppiarono a ridere all’unisono, e in breve anche Bulma prese a far compagnia a quell’allegra risata liberatoria.

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Le due ragazze si guardarono stranite.

Era a dir poco assurda la proposta che era stata fatta loro, ma forse effettivamente era proprio ciò che ci voleva. Esattamente ciò di cui entrambe avevano un estremo bisogno.

Vivevano dei dissidi molto contrastanti, Bra e Pan. Ma in fondo il loro stato d’animo non era poi tanto diverso.

La piccola Pan sentì di aver bisogno di un cambiamento. Di un qualcosa che la spronasse a sentirsi nuovamente se stessa, la nipotina di Son Goku, la piccola Saiyan attaccabrighe e piena di grinta, piena di spirito avventuriero, piena di coraggio.

Sentì scoppiare dentro il suo cuore l’impellente bisogno di sentirsi felice, di ricominciare a vivere. E di trovare una nuova ragione per farlo, soprattutto.

Sentì di avere il bisogno di scacciare dalla mente e dal cuore quei due grandi occhi di cielo che di colpo erano stati in grado di farle dimenticare di tutto il mondo che le stava intorno. E forse, dopotutto, il destino era stato benevolo a concederle una chance.

La piccola Bra sentì invece riscaldarsi il cuore della tenue luce di un barlume di speranza. La speranza di riveder sorridere suo padre, di saperlo felice al loro fianco.

Di ripercorrere il suo atroce passato, trovare in esso la fonte di tanto malessere e sradicare all’origine il motivo di tanta sofferenza. Avrebbe affrontato qualsiasi rischio per conseguire questo risultato. Si sarebbe armata di coraggio e volontà, avrebbe persino cominciato ad allenarsi duramente qualora fosse stato necessario. E avrebbe dato il meglio di se stessa. Avrebbe portato avanti con orgoglio la propria identità di principessa dei Saiyan.

Le ragazze, entrambe immerse tra i propri contrastanti pensieri si scambiarono nuovamente uno sguardo. Uno sguardo che non lasciava ormai trasparire tuttavia sorpresa o sdegno. Al contrario, parve invece che le due piccole Saiyan avessero compreso al volo l’una i sentimenti dell’altra, senza neppure il bisogno di aprire la bocca.

Perciò non ebbero bisogno di consultarsi. Né Goku e Bulma ebbero bisogno di un consenso da parte loro.

Il consenso che avevano tacitamente concesso trapelava palesemente attraverso i loro occhi limpidi e determinati, carichi di grinta e volontà.

                     “Per noi va bene. Possiamo prepararci per la partenza.”

Goku e Bulma si scambiarono uno sguardo carico di soddisfazione, entrambi consapevoli del fatto che l’idea di Gohan era stata a dir poco geniale.

Perché le due ragazze parevano serie e determinate, pronte ad affrontare qualsiasi difficoltà, profondamente motivate da una ragione oscura, che né Bulma né Goku erano in grado di spiegare.

Ma non era importante in fondo. La sicurezza e la forza di spirito espresse dagli sguardi delle due ragazze risultavano più che sufficienti a colmare i dubbi eventuali che potessero farsi largo nelle menti dei due adulti.

Tuttavia sarebbe stato saggio in ogni caso esporre in maniera chiara alle due ragazze quali fossero i rischi ai quali avevano accettato di andare incontro, e in modo particolare avvertirle del fatto che avrebbero dovuto seguire uno strenuo allenamento prima che la loro avventura avesse realmente inizio.

“Non così in fretta ragazze.”

Lo sguardo di Goku passò velocemente dall’entusiasmo che si era impadronito di lui fino a qualche istante prima ad una serietà che non gli era abituale se non in situazioni di estrema emergenza. Posò quindi i propri occhi neri sulle due giovani, ispezionandole con aria assorta e corrucciata.

“Immagino che sappiate che il pianeta sul quale sbarcherete è un posto pericoloso, perciò è bene che siate ben preparate a qualsiasi eventualità prima di intraprendere questo viaggio. Occorre che vi alleniate duramente affinché siate in grado di tener testa ai nemici che incontrerete lungo il tragitto, e di questo mi occuperò io stesso nei prossimi giorni.”

Goku si spinse ancora di qualche passo in direzione delle due ragazze, senza tuttavia staccare loro gli occhi di dosso.

“Tuttavia non dovete dimenticare il motivo primordiale per cui state intraprendendo questa missione… Il vostro obiettivo primario è Vegeta naturalmente. Cercate di avvicinarvi a lui per quanto vi è possibile, almeno fin quando non riuscirete a capire cos’è che lo turba. Una volta che lo avrete scoperto potrete agire come meglio credete per aiutarlo … Ma categoricamente nessuno deve venire a scoprire la vostra vera identità. Le cose potrebbero prendere una brutta piega in questo caso… Sono stato chiaro?”

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo di assenso.

“Cominciamo subito con gli allenamenti, Goku.”

La piccola Bra pareva mossa da una determinazione che mai in maniera tanto viva si era manifestata nella sua persona. Sua madre quasi stentò a riconoscerla.

L’aveva vista crescere, la sua bambina, le era rimasta accanto ogni singolo istante della sua vita. E mai per tutta la durata della sua giovane esistenza la principessina dei Saiyan aveva desiderato con tanto ardore avere a che fare con gli allenamenti.

Ed effettivamente la piccola Bra detestava combattere. Questo era un dato di fatto alquanto risaputo. Combattere era qualcosa che non aveva mai fatto, qualcosa di cui mai le era importato qualcosa. La sola idea di avere lo smalto delle unghie ammaccato, i capelli fuori posto, ed il rischio costante che i muscoli delle braccia e delle gambe le si ingrossassero al punto di renderla simile ad un uomo le causavano l’emicrania.

Ma quel caso era sporadico e del tutto particolare. La giovane principessa avrebbe fatto qualsiasi cosa che fosse in suo potere per suo padre, per il grande Principe dei Saiyan. Avrebbe compiuto l’impossibile, avrebbe concentrato ed impiegato al massimo tutte le proprie potenzialità nel tentativo di aiutarlo a conseguire ciò che lo avrebbe reso un uomo felice.

Son Goku dal suo canto, piacevolmente sorpreso dalla forza di volontà delle due ragazze, non aspettò che quella richiesta gli fosse posta un’altra volta.

Sorrise soddisfatto, ed estremamente curioso di capacitarsi egli stesso delle effettive capacità delle due ragazzine si tele-trasportò insieme a loro in una sconfinata area desolata, adatta all’allenamento che presto vi si sarebbe tenuto.

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L’allenamento affrontato dalle due ragazze fu duro e faticoso, ma allo stesso tempo estremamente producente. Per lo meno per la piccola Pan, che ebbe modo di dimostrare al nonno la portata del proprio miglioramento sul campo di battaglia.

Goku ebbe occasione di sentirsi estremamente orgoglioso della sua piccola Saiyan. Perché non poté fare a meno di riconoscere se stesso nella sua grinta, nella sua voglia estrema di superare i propri limiti.

Era migliorata tantissimo la sua bambina, dall’ultima volta in cui aveva avuto modo di testare le sue capacità. Era migliorata tantissimo in un lasso di tempo estremamente breve, con una rapidità che neppure lui stesso, nei suoi strenui e costanti allenamenti, era mai stato in grado di raggiungere. Perché Pan era la piccola copia di suo padre. Un talento senza eguali. Ma carica di quella determinazione e di quell’amore per il combattimento che non erano mai appartenuti a Gohan. Perché la piccola li aveva ereditati dal nonno, senza ombra di dubbio.

Tuttavia lo stesso non si poteva dire di Bra. Per quanto la fanciulla si sforzasse di riuscire alla perfezione in ciò che stava facendo, per quanto ce la mettesse tutta, i risultati che riusciva a conseguire erano piuttosto scarsi.

Era un dato di fatto evidente che la giovane non si fosse mai dedicata con costanza agli allenamenti, ad eccezione di qualche raro caso sporadico.

E di certo, tentare di rendere la principessa dei Saiyan un guerriero che fosse per lo meno al livello di Pan sarebbe stata una missione alquanto ardua.

A meno che, naturalmente Son Goku non avesse preso la rischiosa decisione di utilizzare nei suoi riguardi un metodo più drastico. Un metodo che soltanto con una mente cocciuta e orgogliosa avrebbe potuto sortire dei risultati utili.

“Così non va bene, Bra. Sei lenta e prevedibile, avrei potuto farti fuori un milione di volte se lo avessi voluto.”

Son Goku squadrò la ragazzina con aria severa, piazzandosi nuovamente in posizione di combattimento a qualche centimetro da lei, nonostante lei già ansimasse copiosamente per i numerosi e fallimentari sforzi compiuti.

“Mi dispiace Goku … Ma credo di non essere proprio tagliata per il combattimento.”

“Eh? Guarda un po’ cosa mi tocca sentire… La figlia del principe Vegeta, il più forte di tutti i Saiyan non sarebbe tagliata per il combattimento? Mpf.  Sono contento del fatto che tuo padre non sia qui, altrimenti sono sicuro che si vergognerebbe atrocemente di te e del tuo pessimo metodo di combattimento.”

La piccola Bra digrignò ferocemente i denti e strinse i pugni in preda alla rabbia più totale. Non si sarebbe mai sognata di sentir proferire parole tanto dure proprio da una persona come Son Goku, che aveva da sempre dimostrato di essere, ed effettivamente era sempre stato svenevolmente buono, ed estremamente comprensivo.

Avrebbe potuto ignorarlo, far finta di nulla. Eppure quelle parole facevano male. Le causavano un’atroce fitta all’altezza del cuore. Perché la principessa era perfettamente consapevole della cruda realtà che esse trasmettevano. Sapeva perfettamente quanto quelle dure parole fossero vere.

“Tornatene a casa Bra. Questa missione è troppo rischiosa per essere affidata ad una ragazzina capricciosa e viziata. Oltre a non essere una presenza utile potresti costituire un intralcio per Pan. E di intralci non ne abbiamo proprio bisogno. Ma stai pure tranquilla, troveremo qualcun altro che possa sostituirti.”

A questo punto la rabbia celata nel cuore di Bra esplose senza ritegno. La giovane mezzosangue si fece liberamente guidare dall’incontenibile rabbia che si era fatta largo in ogni sua singola cellula, espellendola dal proprio corpo sotto forma di una splendente aura azzurra, che nel giro di qualche istante aveva avvolto completamente il suo corpo minuto.

In preda ad una ormai incontrollabile ed incontenibile ira, la principessa dai capelli turchini si scaglio a velocità fulminea contro il corpo di Goku, e prese ad attaccarlo ininterrottamente, assestando di volta in volta colpi non eccessivamente potenti, ma ben calibrati e precisi.

E Son Goku non poté che provare in fondo al cuore una profonda soddisfazione.

Avrebbe potuto respingerla. Avrebbe potuto strattonarla lontano nel giro di qualche istante. Avrebbe potuto renderla inoffensiva con un solo colpo di risposta. Ma aveva volontariamente deciso di non farlo.

Poiché aveva finalmente trovato il modo di raggiungere l’obiettivo che si era prefissato fin dal momento in cui l’allenamento aveva avuto inizio.

Conoscere le potenzialità delle due giovani guerriere.

Non aveva voluto credere che Bra non avesse alcun tipo di attitudine alla lotta. E aveva avuto ragione a non crederlo nemmeno per un singolo istante. Perché aveva avuto ragione alla fine. Bra era un portento. Un piccolo uragano fuori allenamento, ma pronto in ogni caso a scatenarsi al momento opportuno. Un forte guerriero all’occorrenza. Un guerriero straordinario, esattamente come suo padre.

La giovane interruppe la propria forsennata, rabbiosa vendetta solo nel momento in cui sentì echeggiare attorno a sé la fragorosa risata del nonno di Pan. E non poté fare a meno di entrare in un assurdo stato confusionale.

Perché non era assolutamente in grado di capire cosa potesse spingere quello “sciocco babbeo”, come suo padre soleva definirlo, a ridere senza contegno in un momento come quello.

Così Bra cominciò ad attendere. Attendere che le venisse data una spiegazione, una spiegazione al maltrattamento subito, a quella stupida, inspiegabile risata.

In qualche istante Goku riemerse dalle rocce contro le quali era stato catapultato, e, quasi come se gli attacchi subiti non gli avessero sortito altro che il solletico, prese a spolverarsi i vestiti.

“Ti chiedo scusa per tutto quello che ho detto Bra. Sappi che non pensavo assolutamente nulla di tutto ciò. Volevo soltanto dimostrare sia a me stesso che a te, che non è assolutamente vero che non hai talento nel combattimento. E soprattutto volevo aiutarti a trovare dentro te stessa una motivazione valida per cui combattere, per cui dare tutta te stessa. Sei molto forte, Bra. Spero che tu te ne sia resa conto dopo questa dimostrazione.”

Sorrise paternamente ed accarezzò con delicatezza la testa della giovane turchina.

“Sapete ragazze? Credo che voi due non abbiate bisogno di ulteriori allenamenti. Siete già pronte per partire alla volta di Vegeta-sei.”

Le due giovani si scambiarono uno sguardo carico di entusiasmo, e non potendo trattenere la felicità cominciarono ad esultare, ricevendo in cambio da parte dell’adulto unicamente uno sguardo carico di tenerezza.

“Che ne direste di correre alla Capsule Corporation per ultimare i preparativi alla partenza?”

“SI!!!!”

Le ragazze esultarono in coro, e posate le proprie piccole mani sulle spalle del guerriero Saiyan si ritrovarono in un batter di ciglia nuovamente nel luogo dal quale erano partite.

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“Mmm, bene, direi che non questo ci siamo. Bra hai finito di preparare i bagagli?”

“Non ancora Pan. Che ne dici, è meglio portare due paia di tacchi oppure uno soltanto? E poi gentilmente, potresti portare l’asciugacapelli? Io porterò la piastra e il make-up!!”

La corvina guardò l’amica con gli occhi carichi di sorpresa.

“I t-tacchi? Scusami tanto Bra, ma quando credi che avremo occasione di indossare qualcosa di diverso da una battle-suit? Dai, leva dalla valigia tutte quelle paillettes!! Se ti venisse la brillante idea di indossare roba del genere su quel pianeta di scimmioni ci sgamerebbero subito!!”

“Uffa Pan, sei proprio un maschiaccio!! Pianeta di scimmioni o meno, io non posso fare a meno di pensare a coltivare al meglio la mia straordinaria bellezza in ogni istante della mia vita!”

“Mpf.”

Pan si voltò contrariata dalla parte opposta. Sarebbe eternamente rimasto un mistero per la sua giovane mente scoprire se ci fosse qualcosa di sbagliato in lei o nel resto del mondo femminile.

Detestava le svenevolezze, le scemenze ed ogni forma di perdita di tempo. Per il semplice fatto che le considerava cose estremamente superficiali. Roba da oche.

Preferiva di gran lunga la praticità di un paio di leggins al fastidio di una minigonna abbinata a scomodissimi tacchi. Era fin troppo affezionata alla sua bandana arancione per pensare di buttarla via sostituendola con uno stupido cerchietto adorno di fiori di stoffa.

Ma soprattutto non si era mai paragonata al resto del mondo. Mai si era sentita strana. E mai prima di allora si era posta la problematica di essere sbagliata. Eppure, se fosse stata diversa almeno un po’, forse Trunks, il suo adorato Trunks, avrebbe trovato in fondo al proprio cuore un motivo per cui guardarla con occhi diversi…

Sospirò. Di certo quello non sarebbe stato il momento opportuno per perdersi fra quei pensieri. Era in procinto di intraprendere una straordinaria avventura che le avrebbe liberato la mente da ogni triste pensiero del genere. Si sarebbe divertita, avrebbe ritrovato tutto ciò che di se stessa le era parso di aver perso, e sarebbe ritornata a vivere, come la Pan si sempre. Allegra, coraggiosa e vivace. Maschiaccio forse. Ma speciale.

Chi mai avesse scelto di amarla l’avrebbe accettata per com’era, e lei non avrebbe dovuto preoccuparsi di rendersi diversa.

Ebbe per la prima volta, dopo tanto tempo, la consapevolezza, o forse la ferrea speranza che al mondo, nascosto da qualche parte, ci fosse anche il suo principe azzurro.

Un principe azzurro che già, da qualche parte dell’universo la stava attendendo per offrirle il suo amore.

Sorrise tra sé fra questi ottimistici pensieri, che da tempo ormai avevano preso a non sfiorarle più neppure la mente. Sorrise ammirando la natura fuori dalla finestra, al pensiero che non fosse mai troppo tardi per tornare ad essere felici.

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“Scusate l’interruzione ragazze. Ho appena finito di ultimare i macchinari. Grazie al cielo la macchina del tempo che Cell ha utilizzato per arrivare fin qui non era ridotta troppo male, così ho avuto modo di procurarvi anche altre cose che potrebbero esservi utili.”

La scienziata tirò fuori dalla tasca destra del proprio grembiule da lavoro un contenitore di capsule, e cominciò ad enunciarne il contenuto alle due giovani.

“Prendete nota ragazze. Le capsule sono numerate, perciò non dovreste avere difficoltà a riconoscerle all’occorrenza. All’interno della numero 1 troverete un appartamento. Le dimensioni sono un po’ modeste, ma è stata pensata affinché sia facile per voi piazzarla in un luogo desolato e fuori dalla portata di occhi indiscreti! Tuttavia naturalmente ho provveduto personalmente a fornirla di ogni comfort necessario. Avrete una camera da letto e un bagno ciascuno, così non dovrete litigare!! Mentre invece la cucina e il salotto saranno in comune. Ho installato inoltre una piccola Gravity Room, nel caso in cui decidiate di allenarvi.

La capsula numero 2 contiene una quantità considerevole di battle-suit, nel caso in cui qualcuna si rovinasse o fosse a lavare. Sono costituite di un materiale resistente, e le ho disegnate io stessa secondo una descrizione dettagliata che Vegeta stesso mi ha fornito tempo fa sul vestiario femminile Saiyan. C’è da ringraziare il cielo che talvolta mi vengano simili curiosità!

La capsula numero tre contiene invece una quantità di cibo tale da sfamare un esercito per almeno un anno. Non abbiamo idea di che cosa mangino quegli scimmioni, e non voglio certo correre il rischio che siate costrette a mangiare carne di alieno!!

E infine nell’ultima capsula, la numero 4, c’è un travestimento costruito appositamente per te, Bra. Pan ha i capelli neri e la coda, perciò non ha alcuna difficoltà ad essere facilmente scambiata per una Saiyan purosangue, ma tu hai necessariamente bisogno di un travestimento coi fiocchi. Dentro questa capsula troverai una parrucca e una pratica mutandina con la coda incorporata. Geniale vero?”

Le due ragazze si scambiarono uno sguardo interrogativo. Bra pareva preoccupata e inorridita allo stesso tempo, mentre invece Pan tratteneva a stento le risate alla malsana immaginazione di Bra, che per tutta la durata della loro permanenza su Vegeta-sei avrebbe dovuto indossare lo stesso paio di mutande.

Bra dal suo canto, profondamente stizzita da un tale errore di calcolo da parte della madre, colse al volo l’occasione per evidenziare il problema, con la dolcezza che da sempre la caratterizzava.

“Già mamma, geniale. Perché secondo i tuoi calcoli dovrei passare tutto quel tempo SENZA CAMBIARMI LA BIANCHERIA INTIMA, giusto?”

“C-cosa? Oh giusto, non ci avevo pensato… Hai ragione tesoro, apporterò subito una modifica.”

Bulma ridacchiò piuttosto imbarazzata. Tuttavia il suo volto tornò repentinamente ad essere serio nel rammentare ulteriori delucidazioni da fornire alle due ragazze.

“Un’ultima cosa. Ho installato a bordo della navicella uno speciale macchinario, in grado di collegare due diverse dimensioni temporali. Così potremmo comunicare facilmente, e voi avrete la possibilità di aggiornarci in tempo reale di ciò che sta succedendo laggiù. Inoltre, una volta arrivate a destinazione ricordatevi di richiudere la macchina del tempo in questa capsula vuota. Se qualcuno la vedesse in giro sarebbero guai seri per voi.”

“Ti ringrazio Bulma, hai pensato proprio a tutto!” Affermò Pan, incapace di contenere la propria felicità e la propria impellente voglia di intraprendere quell’avventurosa missione.

“Di nulla, piccola. Sono io a dover ringraziare voi per aver accettato questo incarico. Beh credo di avervi detto tutto ciò che dovevate sapere. Occupatevi degli ultimi preparativi e badate a non dimenticare nulla che possa servirvi! La partenza è prevista per domani mattina.”

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Angolo autrice: Rieccomi con il secondo capitolo di questa Long Fic. Alla fine a partire non saranno Goten e Trunks, ma Pan e Bra… Sorpresi? Come se la caveranno le due ragazze in questa missione? Spero di avervi incuriosito almeno un po’ con questo secondo capitolo, e che i tanti taciti lettori vogliano lasciarmi un’opinione!! Ringrazio comunque anche solo chi legge e chi segue!! Un bacio  :*

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Capitolo 3
*** Sbarco su Vegeta-sei ***


“Si parte!!! Arriviamo, Vegeta-sei!!!”

Pan cominciò a palesare il proprio entusiasmo per l’imminente, avventurosa partenza, e suo padre non poté fare a meno di sentirsi riempire pian piano il cuore di tenerezza alla splendida visione del radioso sorriso della figlia.

Certo, era perfettamente consapevole del fatto che sarebbe stato stupido pensare che la sua bambina avesse potuto avere una totale ripresa tanto celere dalla propria inspiegabile tristezza. E Gohan di certo, stupido non lo era affatto. Ma vederle nuovamente riflessa negli occhi la luce di quell’inconfondibile, vivace allegria, che caratterizzava il suo paffuto viso di bambina fin da quando era piccola non poté far altro che spingerlo a sorridere inconsciamente a propria volta, a credere nel piccolo barlume di speranza che quella partenza inaspettata e improvvisa aveva aperto, in diversa misura, davanti a tutti loro.

Sapeva fin dall’inizio che quella sarebbe stata la soluzione migliore. Sapeva quanto fosse stata un’idea geniale quella che aveva avuto. Ma nonostante l’entusiasmo, la razionalità dei propri progetti, la speranza di poter riconoscere nuovamente la bambina allegra che aveva imparato ad identificare in Pan, sentiva bruciare dentro il cuore il peso opprimente di un atroce macigno.

Qualsiasi cosa fosse successa alle due bambine si sarebbe sentito il primo responsabile. Si sarebbe sentito il responsabile di ogni cosa. Di ogni pericolo, di ogni sofferenza, di ogni intimo timore che avesse potuto assalire anche per un solo istante, i loro cuori. Avrebbe vissuto tutte le giornate che lo separavano dal giorno fatidico del loro ritorno a casa con l’anima in pena, avrebbe trascorso con il cuore colmo di ansia ogni momento passato lontano dalla sua dolce, piccola Pan.

La serenità gli sarebbe stata nuovamente concessa solo col calore di un suo abbraccio, solo nel momento in cui avrebbe potuto stringere nuovamente contro il proprio petto il viso roseo del suo piccolo angelo, quando quella pericolosa avventura fosse finita per sempre.

Sperò per lo meno che non fossero vane le aspettative che nutriva, insieme a tutti gli altri, per quell’impresa. Sperò che la missione che tutti insieme avevano ingegnato con tanto impegno, mossi dalla più viva speranza, desse delle soddisfazioni a coloro che avevano impiegato un tale dispendio di sogni e di energie.

Sperò vivamente che la sua bambina potesse trovare tutto ciò di cui avesse bisogno per accantonare definitivamente le ombre che avevano preso a pesarle sul cuore.

::::::::::::::::::::::::::::::::::::

“Bene ragazze, siete sicure di non aver dimenticato nulla che possa servirvi?”

“Certamente, Bulma non preoccuparti. E’ tutto sotto controllo!!” Esclamò entusiasta Pan, carica di allegria.

Pareva che in un batter di ciglia fosse tornata ad essere la bambina di sempre. La bambina che la sua famiglia aveva avuto lo sciocco ed infondato timore di non rivedere mai più. E quel repentino quanto inaspettato cambiamento ebbe l’effetto immediato di generare nel cuore dei presenti un profondo senso di fiducia nella buona riuscita di quella pericolosa missione.

Chiunque pareva a prima vista tranquillo, fiducioso, rincuorato. Rincuorato dalla visione della grinta e dell’energia che visibilmente traboccava dai volti sicuri delle due giovani guerriere.

L’unico componente del gruppo a palesare la propria preoccupazione era Bulma.

Infatti, nonostante il fatto che Goku e Gohan l’avessero ampiamente tranquillizzata a proposito dei pericoli nei quali le due giovani avrebbero potuto imbattersi e soprattutto a proposito della loro straordinaria qualità di guerriere, la turchina non riusciva ad affrontare quella partenza con la stessa leggerezza d’animo di tutti gli altri. Nutriva in fondo il cuore il timore atroce che potesse capitare qualcosa di terribile, a discapito delle ottimistiche previsioni effettuate dalla vecchia Baba.

“Ho un’ultima cosa di cui parlarvi, ragazze. Vegeta-sei è scomparso esattamente 32 anni fa, all’epoca in cui Vegeta aveva circa 18 anni. * Perciò credo che sia sufficiente per voi giungere lì un anno prima della presunta esplosione, ovvero 33 anni fa. La navicella, come potete vedere, è apparentemente molto simile a quella utilizzata abitualmente dai Saiyan, perciò ovunque atterriate non dovrebbero esserci problemi. Probabilmente ci starete un po’ strette ma non ho potuto fare diversamente. E’ già stata un’impresa non indifferente riadattare la macchina del tempo per renderla simile ad una qualsiasi altra navicella!!

Come stavo dicendo, la distanza temporale che dovrete percorrere è notevole, perciò impiegherete circa un mese per arrivare a destinazione.”

“UN MESE INTERO?! Come sarebbe a dire?!”

Bra strabuzzò gli occhi, visibilmente esasperata a quella nefasta notizia.

Come avrebbe trascorso un intero mese su una navicella spaziale in compagnia di Pan? Si sarebbe certamente annoiata a morte. Senza considerare ovviamente il fatto che sarebbe stata sprovvista di qualsiasi cosa che, nella diversa circostanza della sua allegra quotidianità, avrebbe potuto costituire per lei un trastullo.

E in più, come se tutto ciò non fosse bastato, non le sarebbe stato concesso neppure lo spazio vitale per starsene per fatti suoi, con la compagnia unica delle sue riviste di gossip e del suo cellulare.

“E’ per papà, tutto questo è soltanto per papà. La sua felicità vale molto di più di uno stupido sacrificio.”

“Mpf. Cerca di non lamentarti troppo, carina. Purtroppo ne convengo, non sono stata in grado di diminuire ulteriormente il tempo necessario per effettuare il viaggio. Ma ho posto un rimedio a questa mia piccola mancanza. Potrete trascorrere il tempo del viaggio allenandovi per i combattimenti che dovrete affrontare una volta arrivate nella piccola palestra che ho costruito appositamente per voi! Pensate un po’, nella minima quantità di spazio che ho avuto a disposizione sono riuscita persino ad installarvi dentro una piccola Gravity Room. Senza considerare naturalmente il fatto che avrete la possibilità di discutere al meglio sulle modalità e sullo svolgimento del vostro piano, e soprattutto che avrete a disposizione tutto il tempo necessario per indossare i vostri travestimenti e calarvi nei panni dei vostri nuovi personaggi! Dico bene?”

Perfetto. Mi toccherà discutere tutto il tempo con quella zucca vuota di Bra, e come se non bastasse dovrò addirittura allenarla. Ma in fondo forse ne vale la pena, forse servirà a qualcosa. Forse riuscirò a dimenticarti definitivamente dopo tutto questo, Trunks.”

 “Bene, credo di avervi detto tutto ciò che dovevate sapere. Buon viaggio ragazze, e abbiate giudizio. In bocca al lupo.”

::::::::::::::::::::::::::::

Chiusosi il portellone alle loro spalle, le ragazze si guardarono intorno stranite.

Dal momento in cui era stata fatta loro la proposta di intraprendere quella missione, le loro giovani menti non avevano abbandonato quel pensiero neppure per un singolo istante. Eppure, solo trovarsi a bordo di quella navicella, solo sentirsi addosso l’inconfondibile adrenalina dell’avventura, del pericolo, servì a rendere le due ragazze seriamente consapevoli del fatto che l’avventura fosse cominciata per davvero.

Entrambe poterono avvertire quasi nello stesso istante un tremito percorrere la schiena in tutta la sua lunghezza.

Entusiasmo, terrore, irrequietezza, impazienza, inquietudine.

Contrastanti erano i sentimenti che si agitavano nei loro giovani animi confusi, senza che le due ragazze fossero tuttavia in grado di scegliere quale tra questi sentimenti prevalesse sull’altro.

Erano sicuramente felici, comunque. Felici di trovarsi lì dov’erano.

 

L’ambiente nel quale si trovavano era molto più ampio rispetto a quanto non apparisse dall’esterno, ma ugualmente gli spazi erano alquanto limitati rispetto alle ordinarie necessità di due adolescenti.

Contro la parete opposta rispetto alla loro posizione erano situati i comandi della navicella, mentre alle due estremità della vettura si trovavano rispettivamente la palestra, un bagno e una piccola cucina. Infine, esattamente al centro del piccolo ambiente erano posizionati due letti.

Alle due ragazze parve ottimisticamente che ogni cosa fosse perfetta e che, soprattutto, il tutto rispondesse perfettamente ad ogni tipo di necessità. Nonostante il pessimismo iniziale, dunque, le due ragazze si ritrovarono all’inizio dell’avventura pronte ad affrontare ogni tipo di avversità con la migliore disposizione d’animo che si possa immaginare.

“Bene, direi che è tutto pronto. Preparati al decollo, Pan.”

Così, dopo aver indossato le ampie tute spaziali, le due ragazze presero posto sugli appositi sedili posti di fronte ai comandi di pilotaggio e, allacciate le cinture di sicurezza, furono definitivamente pronte alla partenza.

“Reggiti forte Pan. Stiamo per decollare.”

La giovane Bra, abile quanto la madre in fatto di tecnologia, azionò velocemente la navicella, digitando con aria esperta ed assorta sul tabellone dati e simboli apparentemente insignificanti, cosicché nel giro di qualche istante la macchina del tempo fu pronta per alzarsi dal suolo, dando finalmente inizio a quel viaggio tanto atteso.

:::::::::::::::::::::::::

“Bene, direi che abbiamo superato la turbolenza iniziale. Possiamo slacciare le cinture di sicurezza, mettere via queste stupide tute spaziali e cominciare a rilassarci.”

Pronunciate queste parole Bra abbandonò repentinamente la propria postazione e si liberò dell’ingombrante tenuta spaziale.

“Ma come, te ne vai? Non dovresti stare attenta ai comandi?” Domandò Pan, in un misto di confusione e timore.

Per tutta risposta Bra ridacchiò.

“No Pan, non è necessario. Dimentichi che non ci troviamo nello spazio, bensì in un’altra dimensione. Prova un po’ a guardare fuori attraverso i vetri. Non c’è alcun ostacolo di fronte a noi.”

Pan, slacciate a propria volta le cinture di sicurezza si diresse con curiosità verso una delle ampie vetrate poste ai due lati esterni della navicella.

E ciò che si mostrò ai suoi occhi la lasciò di stucco. Poiché era come se la navicella sulla quale si trovavano stesse attraversando il vuoto. Intorno a loro regnava infatti la più totale oscurità, e, come aveva detto Bra, nessun ostacolo si opponeva al loro avanzare nel nulla, quell’immensa infinità non offriva alcun diversivo per contrastare la totale supremazia di quelle opprimenti, desolate tenebre. Nessun astro faceva dono del proprio bagliore per rendere adorna di luce quella notte sconfinata, nessun corpo celeste, nessuna forma di vita faceva sfoggio della propria presenza di fronte agli occhi attoniti della giovane corvina. Poiché intorno a loro regnava il nulla.

Pan si sentì inspiegabilmente stordita, impaurita. Per la prima volta, da quando aveva permesso che la sua giovane mente fosse intasata completamente dal pensiero di quella missione, si capacitava realmente dello stato di cose nel quale era venuta improvvisamente a trovarsi.

Era sola, completamente sola. Sola come non lo era mai stata in tutta la sua vita. Qualsiasi pericolo si fosse scagliato contro di lei, qualsiasi terribile nemico avesse attentato alla sua vita, il nonno Goku non ci sarebbe stato. Trunks e Ub non ci sarebbero stati. Il suo adorato papà non sarebbe accorso a salvarla.

Avrebbe dovuto affrontare le avversità con l’ausilio unico delle proprie forze, sulle proprie potenzialità e su null’altro avrebbe potuto contare. Quell’avventura, nella sua interezza, avrebbe costituito una prova, una dura prova.  Una prova dall’esito sconosciuto, un esame difficile.

Ma la piccola Pan sentiva come mai le era successo prima di allora, che il momento fosse arrivato.

Era finalmente arrivato il glorioso momento di dar prova a se stessa e a tutti coloro che le volevano bene della portata dei propri miglioramenti, della propria incredibile forza di volontà, del fatto soprattutto che da quel momento in avanti avrebbe potuto cavarsela da sola, in ogni circostanza. Del fatto che Pan Son non fosse più soltanto una bambina.

Perché Pan era una donna ormai, a tutti gli effetti. E soprattutto, era diventata un forte guerriero.

Un guerriero capace di affrontare da solo le proprie battaglie e di vincerle, un guerriero capace di farsi strada a testa alta tra le più atroci difficoltà.

Una donna capace di accantonare un amore impossibile, un amore non ricambiato come fosse carta straccia, e andare avanti.

Una donna capace di vivere nel mondo, di superare le delusioni e di trovare una nuova ragione per la quale essere felice.

Tutte queste idee che avevano preso improvvisamente ad agitarsi nell’animo della giovane avevano causato un atroce sconvolgimento nella sua mente confusa.

La piccola Pan si sentì strana. Poiché quei pensieri avevano sortito su di lei un effetto contrastante. L’avevano terrorizzata, ma inspiegabilmente eccitata al tempo stesso. L’avevano riempita di quell’adrenalina che si fa largo nel corpo di ogni guerriero Saiyan percorrendone le membra per intero nel momento in cui si trova di fronte ad un’avventura pericolosa, ad un nuovo nemico.

E capacitandosi di questi pensieri si sentì improvvisamente, inspiegabilmente felice. Sorridendo tra sé si liberò con calma dall’ingombro della tuta spaziale, e si adagiò comodamente sul letto che le era stato destinato accanto a Bra, che vi si era già accomodata a partire dal momento in cui Pan aveva cominciato ad occuparsi delle proprie congetture mentali.

“Bra?”

“Mh?”

“So perfettamente che prima di adesso non siamo abbiamo mai provato molta simpatia l’una nei confronti dell’altra … Ma dal momento in cui abbiamo una quotidianità da trascorrere insieme, mi chiedevo se non potessimo fare uno sforzo per cercare di andare d’accordo e … beh … essere amiche.”

Bra sorrise.

“Certamente, mi sembra un’ottima idea. Dovremo imparare a convivere per un periodo di tempo abbastanza lungo, e se fossimo in conflitto tra noi le cose potrebbero rivelarsi più difficili del previsto. Inoltre penso che sarebbe una noia mortale trascorrere tutto questo tempo senza poter parlare di nulla. Perciò, a partire da questo momento puoi considerarmi una tua amica.”

Pan sorrise rincuorata a sentir pronunciare quelle parole, perché erano giunte alle sue orecchie tranquille, serene, dolci. Quel breve discorso, pronunciato con tale dolcezza da una persona come Bra le era apparso assolutamente inusuale, inaspettato.

E la giovane corvina, a partire da quel momento, ebbe modo di riconsiderare e ribaltare il proprio precedente affrettato, aspro giudizio a proposito della turchina che, incontrastato, era sempre rimasto riposto in fondo al suo cuore.

Fin da quando era una bambina aveva avuto l’abitudine di considerare Bra come tutt’altro che una persona anche solo lontanamente interessante.

L’amica, o la presunta tale, era sempre apparsa ai suoi occhi come null’altro che una bisbetica, antipatica, stupida oca, come un essere che mai, per nessuna ragione al mondo avrebbe potuto avere qualcosa a che fare con lei. Né tantomeno Pan avrebbe voluto averla tra i piedi, in nessuna circostanza. Erano sempre state fin troppo diverse, loro.

Eppure, per quanto Pan non si fosse mai posta la problematica di essere strana rispetto al resto del mondo, per quanto non le fosse mai capitato di avere problemi di autostima, provava un inspiegabile senso di inferiorità nello starle accanto. Provava quasi la sensazione di trovarsi in presenza di un essere soprannaturale, inarrivabile quasi.

Perché Bra, per quanto ai suoi occhi potesse essere apparsa sciocca e insopportabile, era semplicemente splendida. Lo era sempre stata. Del resto, come avrebbero potuto le cose essere diverse? Era una principessa in fondo. Molto particolare, con ben poco di principesco probabilmente, ma pur sempre una principessa.

Non lo avrebbe mai confessato a nessuno al di fuori di se stessa, ma aveva sempre provato un’irreprimibile forma di invidia nei suoi confronti. Invidiava la sua innata capacità di suscitare l’ammirazione generale, la sua bella presenza, la sua straordinaria, naturale dote di riuscire a star sempre al centro dell’attenzione, il successo indiscusso che, in ogni ambito, riusciva sempre a riscuotere.

Lei, al confronto, altro non era che una misera, insignificante, figura.  

Pan Son era semplicemente una secchiona, bruttina e un po’ maschiaccio, con una potenza e un’ingordigia tali da spaventare anche il più coraggioso dei ragazzi che avesse deciso di invitarla al cinema.

Null’altro.

La giovane corvina era perfettamente consapevole di questo stato di cose. Per questo motivo non poteva affermare di essere mai stata completamente soddisfatta del proprio personaggio. Né mai era stata fin troppo contenta di ciò che col tempo, passivamente, si era ritrovata a diventare.

Essere primogenita, nonché unica figlia di Son Gohan e di Videl era una grossa responsabilità. Una responsabilità di cui Pan non aveva mai avuto troppa voglia di farsi carico.

 

Poiché lei sentiva di essere venuta al mondo per qualcosa di diverso rispetto a quanto la sua famiglia, per abitudine, soleva aspettarsi da lei. Sentiva di essere nata per vivere l’avventura, per sentirsi inebriare dell’adrenalina del combattimento, per cimentarsi in esperienze nuove e sfrenate.

Aveva sempre pensato, con ogni cognizione di causa, che la sua vita non facesse per lei. Poiché si sentiva quasi come se fosse stata vittima di un’ineluttabile prigionia. Si sentiva come rinchiusa in una gabbia monotona e desolata, in una prigione in cui aveva cominciato a sentirsi troppo stretta.

Nessuno si era mai cimentato nella missione di starle accanto tanto da capire quanto si sentisse frustrata. Era Pan Son, ma nessuno l’aveva mai riconosciuta come tale. Era sempre stata ‘la nipotina di Mister Satan’ per i compagni di scuola, ‘la figlia di Son Gohan’ per tutti gli insegnanti delle scuole più prestigiose, ‘la nipotina di Goku’ per gli amici di famiglia. L’ombra insignificante di personaggi ben più importanti e interessanti di lei. Poiché in fondo lei non era mai stata altro che una mocciosa bisbetica e isterica, piagnucolosa e capricciosa.

Non sarebbe mai stata come Son Goku, né come Son Gohan. Non avrebbe mai eguagliato le straordinarie doti di guerriero del nonno, pur avendone ereditato una parte, non avrebbe mai raggiunto la preparazione del padre, pur essendo sempre riuscita ad ottenere dei buoni risultati nel corso degli studi. Non avrebbe mai raggiunto la popolarità del nonno Satan, mai avrebbe riscosso tra la gente tanta ammirazione.

Poiché lei, in fondo, era null’altro che un’insignificante mediocre. La piccola Pan continuava a ripetere a se stessa che fosse proprio questo il primordiale motivo per cui tutti gli amici che aveva intorno, nonostante le fossero molto affezionati, non l’avessero mai presa sul serio.

E se Bra era diversa era certamente migliore di lei, sotto ogni punto di vista.

Impeccabile in ogni attimo della sua vita, i suoi capelli erano morbidi e ordinati anche in mezzo alle tempeste, portava abiti griffati e alla moda, abbinati naturalmente agli accessori più svariati e costosi, indossava con incredibile leggiadria borse e scarpe diverse ogni giorno, e aveva un meraviglioso corpo da modella.  E nonostante fosse altezzosa, snob e antipatica praticamente tutti i ragazzi della scuola le erano sempre morti dietro. Senza che lei li avesse mai degnati di uno sguardo, naturalmente.

Somigliava più ad una divinità che ad una semplice ragazzina di 17 anni. E beh, in fondo forse un po’ speciale lo era davvero. Era figlia di quei due matti di Vegeta e Bulma in fondo, e quel che è peggio, era la copia esatta di suo padre. Una principessa spocchiosa e insopportabile.

E lei, ancora una volta, non era null’altro che una squallida ombra al suo fianco. Era nulla di più che una misera terza classe, secchiona e maschiaccio.

E se Pan praticamente da sempre si era ostinata a credere che la straordinaria bellezza di Bra altro non fosse che l’involucro di una testa vuota, il vano, splendido involucro di una semplice oca, in quel preciso istante, osservando attentamente i grandi occhi di zaffiro della turchina, non poté far altro che capacitarsi della superba intelligenza che traspariva da quello sguardo un po’ truce. Somigliava a Vegeta, incredibilmente. E proprio a partire da questo dato di fatto, oca non poteva esserlo affatto.

“Cosa ti prende Pan? Sai, praticamente tutti sono preoccupatissimi per te. Nessuno ha la più pallida idea di cosa possa esserti successo per renderti così giù di corda.”

“C-cosa? Oh, nulla Bra! Mi dispiace che tutti si siano preoccupati per me, ma credimi questa preoccupazione generale è assolutamente eccessiva e infondata!! Sono solo un po’ stanca perché negli ultimi tempi ho dovuto sostenere molti esami a scuola, e beh, questa vacanza rilassante è proprio cascata a pennello!! Eheheh!!!”

Pan, in uno di quei gesti che tanto la rendevano tanto simile a suo nonno e a suo zio Goten si grattò la nuca ridacchiando, in preda al più totale imbarazzo. E a vederla in quello stato Bra alzò involontariamente un sopracciglio e si lasciò sfuggire una risata sommessa.

“Stai mentendo Pan. Lo so perché somigli incredibilmente a tuo zio Goten. E’ per via di un ragazzo, non è vero?”

Pan abbassò tristemente lo sguardo verso il basso senza rispondere, per evitare così gli occhi indagatori della turchina.

“Scusami per essere stata indiscreta, Pan. Di certo non sei costretta a parlarne con me se non ti va.”

Pan sembrò incerta sulla risposta da dare. Ma in seguito ad una veloce analisi sulla situazione si ritrovò a constatare che sfogarsi per la prima volta nella sua vita non avrebbe potuto farle altro che bene.

“Si, si tratta di un ragazzo, Bra. Sai, non ne ho mai parlato con nessuno prima di adesso … Beh, in realtà non c’è molto da dire, a me piace lui e a lui piace un’altra … Tipico.”

“Posso chiederti chi è?”

Pan arrossì violentemente a quella richiesta assolutamente indiscreta. Non avrebbe potuto rivelarle il suo nome. Sarebbe stato troppo imbarazzante parlare di lui proprio con sua sorella.

“Ehm, sarebbe meglio di no Bra, non lo conosci neanche!”

Pan, quasi inconsciamente si portò la mano alla nuca, ripetendo nuovamente il gesto abituale che fino a qualche attimo prima aveva smascherato le proprie menzogne.

E Bra a questo punto non fu in grado di trattenere le risate.

“Si tratta di Trunks, giusto?”

Pan strabuzzò gli occhi incredula. Poiché incredulità e sbigottimento furono gli unici sentimenti possibili per lei in quell’istante. La ragazzina non riuscì a spiegarsi in tempi decenti come avesse potuto Bra, che peraltro non ne sapeva assolutamente nulla di lei fino a qualche istante prima, calarsi in maniera così perfetta e profonda nella sua psicologia e riuscire a cavare in tempi tanto brevi delle informazioni così riservate.

Bra non era semplicemente tutt’altro che un’oca, diversamente da quanto poteva apparire attraverso un’analisi superficiale dei suoi abituali comportamenti. Paradossalmente si era rivelata una delle persone più astute che Pan avesse mai incontrato in tutta la sua vita.

La mancata risposta di Pan alla domanda che le era stata appena posta pose Bra di fronte alla ferrea consapevolezza di aver colto nel segno. In fondo come avrebbe potuto non capire un dato di fatto tanto chiaro? Non era certo una sciocca, lei. Non avrebbe potuto non accorgersi degli sguardi carichi di malcelata malinconia che la giovane corvina rivolgeva praticamente ininterrottamente al fratello in occasione della rimpatriata, non avrebbe potuto fraintendere una dimostrazione d’amore tanto palese. Eh già, nulla poteva sfuggire ai suoi attenti e vigili occhi di zaffiro.

“Mi dispiace molto, Pan … Ma che vuoi farci? Nulla va mai per come avremmo sperato noi. Ma non disperare. E’ sciocco farlo alla nostra età, non credi? E poi, sono sicura che l’occasione ti si presenterà davanti quando meno te lo aspetti. Succede sempre così. Sei una bella ragazza, e se cominciassi a truccarti un po’ e a curare maggiormente il tuo aspetto sono pronta a giurare che un sacco di ragazzi ti farebbero la corte!!”

Pan si voltò infastidita dalla parte opposta. Detestava profondamente che fosse toccato quel tasto dolente. Poiché sapeva quanto Bra avesse ragione. Era perfettamente consapevole di quanto quelle fastidiose parole fossero vere.

“Ti ringrazio infinitamente per i tuoi preziosi consigli, Bra. Ma credo di poterne fare a meno, almeno per il momento.”

La giovane si sdraiò sul letto su di un fianco, voltando le spalle alla turchina.

“Scusami Pan, il mio non voleva affatto essere un insulto. Il contrario piuttosto. Comunque se non ti va possiamo smettere di parlarne. Abbiamo molte altre cose di cui discutere del resto.”

 

“Già, la missione. Parlando di queste sciocchezze me ne ero addirittura dimenticata. Dannato Trunks.”

 

“Già. Come sarebbe opportuno comportarsi secondo te una volta arrivate lì? Un po’ come farebbe Vegeta?”

“Mmm … Suppongo di si. E in questo non dovrei avere molte difficoltà.”

“Credi che sia utile allenarsi prima dello sbarco?”

“Allenarsi sarebbe sicuramente molto utile, ma a dir la verità non è che ne abbia molta voglia, Pan. In fondo quando arriveremo mancherà ancora un anno intero all’esplosione del pianeta, avremmo tutto il tempo necessario per allenarci una volta arrivate lì, no?”

“Forse hai ragione tu. Anche io non ho molta voglia di allenarmi ad essere sincera. In fondo è un po’ come se fossimo in vacanza, no?”

“Piuttosto singolare come vacanza. Non credo che quell’assurdo pianeta sia mai stato una rinomata meta turistica.”

Le due ragazze si guardarono e scoppiarono a ridere all’unisono.

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Il tempo del viaggio trascorse più velocemente di quanto le ragazze avessero potuto immaginare in una pessimistica previsione. Le giornate sbarrate sul loro calendario di viaggio si erano moltiplicate in maniera incredibilmente veloce, quasi senza che le ragazze se fossero accorte.

Avevano avuto modo di approfondire il loro rapporto, Bra e Pan, e avevano scoperto di andare d’accordo, molto di più di quanto non fosse nelle loro iniziali aspettative. Incredibilmente avevano scoperto di avere molte cose in comune, di essere incredibilmente simili sotto molti punti di vista.

E ciò non poté esser altro che un incentivo in più a rendere ottimistiche le previsioni per quel loro bizzarro soggiorno.

 

“E’ meglio cominciare a prepararsi Pan. Rimetti a posto le tue cose, mancano soltanto 24 ore all’atterraggio.”

“Wow, finalmente, sono emozionatissima!!!” Pan cominciò allegramente a correre per la navicella nella più entusiasta e forsennata ricerca della propria vita. Radunati velocemente tutti gli effetti personali all’interno del proprio bagaglio, tirò fuori dall’armadio i travestimenti che avrebbero dovuto indossare.

Pan dispiegò le tute da combattimento che Bulma si era premurata di confezionare appositamente per loro, e per la prima volta ebbe curiosità di osservarle.

La parte superiore della tuta era costituita da una salda corazza, mentre la parte inferiore da un semplice tessuto resistente ed elasticizzato. La divisa in sé era molto simile a quella abitualmente utilizzata da Vegeta stesso durante i combattimenti, ma la differenza sostanziale era costituita dal colore. Le tute che Bulma aveva confezionato per loro erano infatti di colore verde.

In base alle spiegazioni che la turchina aveva preventivamente fornito loro, il colore blu era riservato esclusivamente alla nobiltà, mentre le classi subalterne avrebbero dovuto utilizzare un colore che contraddistinguesse la loro differente condizione sociale.

La distinzione tra il vestiario maschile e quello femminile Saiyan era costituito unicamente da un lungo strascico, il quale aveva origine dalla corazza superiore. Infine, a rendere l’armatura completa c’erano i guanti e gli stivali, entrambi bianchi, perfettamente identici a quelli utilizzati da Vegeta.

Pan pensò entusiasticamente che quell’uniforme fosse a dir poco meravigliosa.

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“Guarda Bra, non è splendida??”

La corvina, elettrizzata come non mai, si liberò velocemente dall’ingombro dei propri vestiti, restando in biancheria intima. In maniera altrettanto celere indossò quindi la propria tenuta Saiyan, per poi correre a specchiarsi.

“Wooow, sembro proprio un guerriero Saiyan!! Sarà un’impresa smascherarci per quegli scimmioni!!”

“Mpf, se penso che dovrò passare un anno intero su quel pianeta con queste porcherie addosso mi sento svenire!”

La piccola Bra indossò stizzita la parrucca e la coda artificiale che sua madre aveva avuto la premura e la genialità di prepararle.

“DANNAZIONE!!”

“Mh? Che ti prende Bra?”

“Non abbiamo pensato alla cosa fondamentale! Dobbiamo inventarci dei nomi Saiyan!! Ci sgamerebbero subito se gli rivelassimo i nostri veri nomi!!!”

“Hum? E quale potrebbe essere secondo te un nome Saiyan?”

“Beh, se tuo nonno si chiama Kakaroth e mio padre si chiama Vegeta è ovvio che i nomi Saiyan si ispirino alle piante o alla vegetazione. Dunque direi...”

“Mmm, Cipolla e Zucchina, che ne dici?”

“Ma che razza di idiozia è mai questa? No, mi rifiuto categoricamente di farmi chiamare Zucchina!!”

“Beh, allora sono spiacente, ma non ho altre idee…” Affermò infine Pan, in preda alla più totale confusione.

“Meglio non pensarci. Stiamo per atterrare e se tutto va bene non dovremmo incontrare nessuno scocciatore che voglia sapere il nostro nome. Allacciati la cintura di sicurezza Pan. Tra dieci minuti esatti atterreremo sul suolo di Vegeta-sei.”

 

Pan ebbe un sussulto. Nuovamente le sensazioni che aveva provato il giorno della partenza si erano fatte largo nella sua anima, e un misto di eccitazione e paura fece aumentare vertiginosamente i battiti del suo cuore. Meccanicamente, quasi tremando, si allacciò le cinture, aspettando impazientemente che quella dannata attesa avesse fine.

“Perfetto, eccoci arrivate.”

Entrambe le ragazze si liberarono dall’impaccio delle cinture e furono pronte a scendere dalla navicella.

Aperto il portellone e ritrasformata velocemente la navicella in una capsula, ebbero finalmente modo di placare la grandiosa curiosità che le aveva accompagnate per tutta la durata del loro viaggio.

E ciò che si mostrò ai loro giovani occhi le lasciò attonite e senza fiato.

Un cielo, inaspettatamente rosso, ospitava ben due astri simili al Sole, mentre della luna invece non c’era alcuna traccia.

La città, o presunta tale che fosse, non aveva nulla di simile alle grandi metropoli terrestri. E neppure al più piccolo e insignificante dei borghi. Al contrario, guardandosi intorno si aveva l’impressione di trovarsi in un villaggio abitato da barbari.

Intorno alle due giovani regnava la più tetra desolazione. Il terreno non era asfaltato in nessun punto, gli edifici, rudi e austeri, risultavano sparsi e apparentemente costruiti senza alcun criterio, le abitazioni erano più simili a grotte che a normali alloggi, nessun elemento artistico smorzava quella rigidità inquietante che rendeva inconfondibile quell’ambiente tetro.

Un’unica costruzione spiccava rispetto alle altre per la propria incredibile imponenza. Essa, dal peculiare stile duro e austero, era situata sul punto più alto del terreno circostante. Costituita interamente in pietra, pareva molto più simile ad un enorme masso, tanto alto da dare l’impressione di voler squarciare il rosso manto del cielo.

Con ogni probabilità doveva trattarsi della reggia.

Non sarebbe stato facile raggiungere Vegeta, certo. Ma per lo meno sapere dove andare a cercarlo costituiva per le due ragazze un piccolo sollievo nel profondo mare di inquietudine nel quale si sentivano di sprofondare.

Infine, persino la bizzarra vegetazione che adornava quell’orrido ambiente servì a completare un quadro che di per sé non era troppo entusiasmante.

Piante dalle forme e dai colori più svariati facevano capolino da ogni dove, fornendo un nascondiglio a forme di vita animale parecchio strane.

Alieni in divisa e Saiyan dalle fantasiose capigliature percorrevano freneticamente quelle vie, piccole navicelle spaziali dalla forma sferica atterravano e decollavano in un susseguirsi ininterrotto e infinito, rendendo per la prima volta partecipi le due giovani Saiyan della caotica quotidianità di una città di quel pianeta, tanto sconosciuto eppure al contempo familiare, che ben trentatré anni prima rispetto alla loro epoca era stato ridotto in macerie da un unico, ben assestato colpo.

Uomini e donne dagli sguardi truci passavano loro accanto con aria indifferente, senza minimamente crucciarsi o anche semplicemente curarsi della loro presenza.

A questa constatazione entrambe tirarono un sospiro di sollievo.

Sarebbe stata un’impresa ardua portare a termine quella missione, ma per lo meno il primo dei tanti obiettivi era stato portato a termine. Riuscire perfettamente nella mimetizzazione.

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Paura. Sconsolazione. Solitudine. Voglia di mandare tutto allo scatafascio e correre nuovamente a casa, come mocciose piagnucolose.

Era questo ciò che provavano entrambe.

Parve infatti a tutte e due che il coraggio, la grinta e la forza di volontà fossero loro venute a mancare nel momento in cui più di ogni altro ne avevano bisogno. Nel momento esatto in cui erano venute a contatto con quella realtà tanto cruda, tanto fredda.

Tanto diversa rispetto a tutto ciò che per loro era sempre stata consuetudine.

Tuttavia entrambe decisero di resistere. Entrambe avrebbero opposto tutte le proprie forze a quell’incontenibile terrore, avrebbero portato a termine quella missione. Avrebbero dimostrato che potevano farcela, da sole.

Pan si sentì improvvisamente stringere una mano da una presa stretta e decisa.

“Anche io ho paura Pan. Ma non perdiamoci d’animo. Non prima di averci provato per lo meno. Andiamo a cercare un posto isolato dove posizionare la capsula casa. Dopodiché cercheremo di architettare un piano per arrivare a mio padre il prima possibile.”

Pan le rispose con un sorriso di assenso, carico della determinazione che le era parso di aver perso definitivamente.

Cominciarono quindi a gironzolare senza una meta precisa per quella strana città, nella disperata ricerca di un posto opportuno alla loro permanenza.

“Guarda Bra, che ne diresti della cavità dietro quella roccia? E’ isolata e poco visibile, non dovremmo avere problemi.”

“Mmm.”

Bra si affacciò con sguardo indagatore all’ingresso della grotta, e poté constatare con grande sollievo che fosse profonda abbastanza da non palesare la presenza della capsula dall’esterno.

“Direi che è perfetto. Posizioniamola qui.”

“Bene. Dici che sarebbe opportuno andare a fare un giro?”

“Certamente Pan. Cerchiamo di osservare i loro comportamenti e di imitarli al meglio. Siamo intesi?”

“Certo. Andiamo.”

Le due ragazze si incamminarono con passo spedito, perdendosi fra quella moltitudine di persone ed effettuando uno sforzo immane per mantenere immutata sul proprio volto un’espressione che fosse sufficientemente “rabbiosa”.

Tuttavia non ebbero modo di allontanarsi di molto rispetto al loro punto di partenza.

Due giovani sconosciuti infatti avevano deciso di opporsi al loro girovagare senza meta piazzandosi di fronte a loro.

“Salve, ragazze. Posso chiedervi dove state andando?”

Il primo dei due giovani, con aria arrogante si era avvicinato pericolosamente alla giovane Bra, sfiorandole il mento con le dita. Aveva profondi occhi neri e una folta chioma ribelle che gli ricadeva sulle spalle percorrendo la schiena in tutta la sua lunghezza. Un bel ragazzo. Un bel ragazzo con qualcosa di familiare.

Ma Bra non ebbe tempo né voglia di pensarci in quel momento.

La turchina, in preda al terrore, in un unico scatto d’ira allontanò con disprezzo dal proprio viso quelle mani sconosciute che sconsideratamente avevano osato sfiorarla.

E si sentì pesare addosso una grande responsabilità. Il dovere di comportarsi in maniera opportuna per non essere smascherata fin dal primo momento.

“Si da il caso che siamo molto impegnate. Perciò vedi di far presto a levarti di torno.”

Con la freddezza glaciale che la giovane, fortuitamente in questo caso, aveva ereditato dal padre, scansandosi dal ragazzo con lenta indifferenza fece per proseguire il proprio cammino, quando la sua voce la interruppe nuovamente nei suoi intenti.

“Andiamo, non fare l’antipatica. Io e il mio amico volevamo soltanto invitare te e quell’altra ragazza a fare un giro e divertirci un po’. Mi chiamo Radish. E lui è Nappa.”

Alle spalle di Radish si delineò una figura mastodontica, che fece sussultare di spavento il cuore delle due ragazze. 

Nappa era molto più alto rispetto a Radish. Aveva pochi capelli in testa e due minuscoli baffi ai lati della bocca, il corpaccione grosso e muscoloso e gli occhi piccoli.

‘Incredibilmente brutto. ’ Pensò Pan.

“Come ho già detto siamo impegnate. Siete pregati di non continuare a scocciare. Intesi?”

Bra aveva parlato con risolutezza, in un misto tra stizza e impazienza. Il suo primordiale obiettivo di quel momento sarebbe stato senz’altro quello di allontanare il più velocemente possibile quei due scocciatori, poiché la loro opprimente presenza cominciava a trasmetterle ansia e inquietudine. Tuttavia si sentì improvvisamente stringere forte una mano.

 

“Bra, guarda!! Laggiù c’è tuo padre!!”

 

Il sussurro appena percettibile di Pan fece perdere un battito alla giovane turchina, la quale, appresa quella succosa informazione prese a guardarsi intorno quasi impercettibilmente, alla ricerca della giovane figura paterna.

Ad un tratto lo vide. Molto più basso, molto meno muscoloso, eppure mai e poi mai avrebbe potuto non riconoscerlo. Stava nella sua posizione abituale, l’espressione crucciata, indifferente e un po’ truce, in piedi contro una parete rocciosa, le braccia incrociate contro il petto, un piede appoggiato contro la parete alle sue spalle.

 

Avevano avuto un colpo di fortuna. Un colpo di fortuna incredibile e insperato. E di certo non avrebbero potuto lasciarsi sfuggire una così fortuita circostanza.

“Abbiamo cambiato idea. In fondo non abbiamo un granché di interessante da fare. Veniamo con voi.”

Nappa fece sfoggio di un sorriso maligno, molto più simile a un ghigno. Si avvicinò a Pan con lenta risolutezza e si fermò una volta giunto di fronte alla piccola Saiyan.

“Mi fa piacere, dolcezza. Come ti chiami?”

“Pa-pa-pan!” Sussurrò tremante la ragazza.

“Pan? Mmm che strano nome…” Rifletté l’energumeno massaggiandosi il mento.

Pan ebbe il tempo di perdere un altro battito, ma fortunatamente l’attenzione del giovane si era già spostata altrove.

“Non vi si è mai viste da queste parti. Eravate in missione per caso?”

“Ehehehehe, già!!!” Ridacchiò Pan massaggiandosi la nuca. Lo sguardo truce che Bra le rivolse in risposta tuttavia costrinse Pan ad assumere un atteggiamento più serio a partire da quel momento.

“E su quale pianeta siete state mandate in missione?”

Le due ragazze si squadrarono disorientate, in preda ad un pauroso stato confusionale.

Pan, prontamente si accinse a rispondere a quella domanda.

“Ehm, sul pianeta Ba… Banana!!”

Bra squadrò la corvina con sguardo sconvolto e terrorizzato. Sarebbe stato ovviamente compito suo riparare alle sciocchezze tirate fuori da Pan.

“Banana? Ma che razza di pianeta è?”

“Non conosci il pianeta Banana? Beh, dovresti cercare di documentarti prima di porre domande simili, scimmione ignorante!” Bra si voltò dalla parte opposta con aria indifferente, sperando vivamente di aver posto fine a quell’imbarazzante interrogatorio.

“Hum… Ehm, già adesso che ci penso mi ricordo perfettamente di un certo pianeta Banana! Heheheh!!” Radish si grattò la nuca imbarazzato. E a quel punto Bra non poté non trovare risposta ai propri dubbi. Quel ragazzo aveva decisamente qualcosa di familiare.

“Beh andiamo?”

“Certo, andiamo!”

Radish, senza un minimo accenno di timidezza cinse con un braccio le spalle di Bra, mentre invece Nappa si avvicinò a Pan con un ghigno arrogante stampato in faccia.

“Ecco, lo sapevo. Quello brutto e ciccione è toccato proprio a me!”

“VEGETA!!! Guarda, abbiamo incontrato due belle ragazze! Hanno detto che verranno a divertirsi con noi! Che ne dici di unirti al gruppo? Magari strada facendo ne rimorchiamo un’altra!”

“Mpf.”

Le ragazze in preda al terrore videro il principe avvicinarsi lentamente, e decisero di tacito accordo che avrebbero sopportato quella tortura. In fondo, aver incontrato Vegeta soltanto qualche minuto dopo il loro sbarco sul pianeta era da considerarsi assolutamente un autentico colpo di fortuna.

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Capitolo 4
*** Appuntamenti ***


La combriccola, senza un eccessivo entusiasmo, cominciò a girovagare senza meta percorrendo pigramente le vie circostanti.

“Dove vi piacerebbe andare, ragazze?” Domandò Radish senza troppo interesse.

“Beh, è da un bel po’ di tempo che siamo lontane per via della missione, perciò ci piacerebbe fare un semplice giro per la città. Che ne dite?” Rispose prontamente Bra con un sorriso.

“Uhm… Ok.” Il giovane Saiyan dalla folta chioma ribelle sembrò quasi deluso da quella risposta. Di certo si aspettava che le due ragazze avessero in mente qualcosa di diverso. Qualcosa di più coinvolgente soprattutto.

Non aveva smesso tuttavia di cingere in maniera quasi protettiva le spalle della giovane Bra che dal suo canto trovava quella situazione tutt’altro che spiacevole.

Era la piccola Pan a trovarsi seriamente a disagio. Il medesimo contatto fisico che le era stato prepotentemente imposto dall’energumeno senza capelli la inorridiva, le faceva aumentare vertiginosamente la voglia di scappare il più lontano possibile ad ogni attimo che quelle manacce indelicate si soffermavano a sfiorare i suoi capelli corvini.

La giovane si era rifugiata in un silenzio alquanto inusuale per lei, silenzio incentivato dal fatto che Vegeta, a partire dal momento in cui si erano stretti la mano, non avesse smesso di fissarla neppure per un istante.

E Nappa doveva certamente essersi accorto di quella situazione. Squadrava il giovane Principe a propria volta, con timorosa attenzione.

Aveva il chiaro obiettivo di scoprire cosa potesse trovarci Vegeta di tanto interessante in quella semplice ragazzina un po’ ingenua. E soprattutto voleva capire se fosse il caso o meno di farsi da parte per consentire al Principe di lavorarsela ben bene. Così, tanto per cambiare.

Non sarebbe stata la prima volta che quel dannato principino spocchioso gli avrebbe soffiato la ragazza. E neppure l’ultima probabilmente. Ma di certo un semplice soldato quale era il giovane Nappa non avrebbe potuto permettersi il lusso di contraddire un capriccio del Principe dei Saiyan. Ne avrebbe pagato care le conseguenze sulla propria pelle, e non era esattamente sicuro che valesse la pena correre il rischio di incappare in un’eventualità tanto spiacevole.

Tuttavia, prima che fosse pronto a intraprendere una qualunque iniziativa, ci pensò il principe stesso a offrirgli l’occasione per dileguarsi.

“Da dove venite, dunque?” Chiese Vegeta con aria falsamente indifferente rivolgendosi a Pan.

La corvina, capacitandosi del fatto che l’attenzione di Vegeta fosse rivolta a lei si accinse a rispondere con una sicurezza ostentata, che di certo in quel momento non le apparteneva affatto.

“Ehm, noi eravamo in missione. Su un piccolo pianeta sperduto agli antipodi della galassia.”

Sperò vivamente che Vegeta non chiedesse ulteriori delucidazioni. Aveva volutamente omesso il ridicolo nome che aveva concepito per quel pianeta immaginario, e si disse che se in maniera del tutto fortuita erano riuscite ad ingannare quei due babbei di Nappa e Radish, con Vegeta riuscire in quell’intento non sarebbe stato altrettanto facile.

Fortunatamente la risposta fornita da Pan sembrò bastare al giovane Principe che, nel proferire la propria domanda e nell’ascolto della risposta che gli era stata rivolta aveva gradualmente preso il posto di Nappa accanto alla giovane.

“Uhm, e quanto tempo ci avete impiegato per l’espugnazione del pianeta?”

“Ehm… Un mese!!”

“Un mese soltanto? Caspita, dovete essere molto forti…”

“Cosa? Ah, no non lo siamo affatto, sai quel pianeta era abitato da… Ehm… Esseri primitivi, dei moscerini!! E’ stato fin troppo facile … farli fuori tutti!! Eheheh!!” Pan si grattò nervosamente la nuca sperando di uscire quanto prima da quell’imbarazzante conversazione sulla cui affidabilità non avrebbe scommesso un soldo.

Ma grazie al cielo Vegeta non sembrava molto preso dall’argomento in questione. Pareva piuttosto che quella fosse stata unicamente un’occasione come un’altra per cominciare a interloquire con lei.

Non smetteva di fissarla con quei suoi occhi grandi e truci, profondi e neri come il baratro infernale, incredibilmente belli, incredibilmente espressivi. La giovane Pan non aveva mai avuto modo prima di allora di perdersi in quei due enormi occhi di pece.

Non aveva mai avuto occasione di trovarsi a contatto con il Vegeta della sua epoca, né tantomeno di stabilire con lui una qualsiasi conversazione. Vegeta del resto non era mai stato un tipo troppo socievole. E questo era un dato di fatto alquanto risaputo. Eppure trovandosi accanto a lui non poté fare a meno di provare un piccolo accenno di piacere.

Vegeta era senz’altro un tipo in gamba. Una persona speciale. Lo si poteva apprendere solo soffermandosi attentamente sul suo sguardo perennemente accigliato, soltanto attraverso di esso era possibile capire quanto fosse un tipo brillante e completamente fuori dagli schemi. Per lo meno fuori dagli schemi consoni alla piccola Pan. Forse era proprio per questo motivo che Vegeta appariva tanto affascinante ai suoi occhi. Oltre che naturalmente per via dell’incredibile somiglianza che c’era innegabilmente tra lui e il suo amato Trunks.

Ciò che la corvina non riusciva assolutamente a spiegarsi era tuttavia la morbosa attenzione che il principe si ostinava a prestarle. Era convinta di non avere alcunché di interessante, eppure Vegeta non smetteva di fissarla. Che le avesse già smascherate? O che cominciasse a nutrire dei fondati sospetti? Il timore causato da questa eventualità fece inorridire Pan, che si sentì attraversare da un incontrollabile tremito di puro terrore.

“Così siete state via un mese per via di una missione, giusto? Immagino che abbiate voglia di svagarvi un po’ per scaricare la tensione… Vieni con me Pan, facciamo un giro. Ti mostro qualche bel posticino.”

Detto ciò con grande risolutezza il principe afferrò la candida mano della giovane, la quale senza opporre la minima resistenza si lasciò trasportare nella direzione imposta da quel contatto sicuro e indelicato, così poco gentile e rassicurante.

“P-pan …” Sussurrò appena percettibilmente Bra colma di malcelata preoccupazione, allungando una mano verso l’amica.

“Tranquilla, va tutto bene. Ci rivediamo più tardi qui.”

“Beh, a questo punto io me ne vado.” Affermò stizzito Nappa, senza preoccuparsi di nascondere il proprio disappunto per il recente affronto subito.

“Ciao Nappa.” Rispose beffardo Vegeta, sfoggiando un brutto ghigno arrogante colmo di derisione.

Pan ebbe così modo di ricredersi sui propri benevoli precedenti pensieri sul bel principe. Doveva essere senza dubbio un bastardo. Un piccolo bastardo arrogante e presuntuoso, oltre che viziato e spocchioso. E se davvero gli fosse balenata in testa l’idea di aver trovato una povera ingenua che gli cadesse ai piedi senza accenno di ribellione o di dissenso, si era sbagliato di grosso. Lei glielo avrebbe dimostrato, con ogni mezzo.

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Lo sdegno di qualche attimo prima perdurò per poco tempo tuttavia nell’animo della giovane Pan. La sua attenzione si era infatti ormai spostata dal Principe per posarsi con curiosità su tutto ciò che le stava intorno.

L’ambiente circostante non era certo da definirsi sopraffino ed elegante, ma la ragazzina poté comunque ricredersi della propria iniziale pessimistica constatazione. Le strade sulle quali Vegeta l’aveva indelicatamente condotta brulicavano di giovani Saiyan, i quali in completa allegria bazzicavano in gruppo per le varie taverne di cui la città in cui si trovavano, o presunta tale che fosse, abbondava.

Donne Saiyan, aveva constatato con sorpresa Pan, ce ne erano ben poche. Dovevano senz’altro essere barricate in casa, come palese dimostrazione della consuetudine di un pianeta rozzo e troglodita. La giovane non poté contenere una smorfia di tacito dissenso a quel pensiero. Nel caso in cui il ruolo femminile su quel pianeta fosse stato davvero secondario, la loro libertà di azione sarebbe scesa a dismisura.

“Da dove vieni di preciso? Credo di non averti mai vista da queste parti.”

Pan ebbe un sussulto. Perdendosi fra i propri pensieri aveva quasi dimenticato la presenza di Vegeta, e si ritrovò repentinamente carica d’ansia e sovrastata dal pesante macigno della necessità di soppesare ogni singola parola pronunciata. Pregò gli dei e il cielo di non farsi sfuggire nulla di compromettente.

“Ehm, io… Non abito esattamente da queste parti, sto un po’ più in periferia!! Forse è per questo che non ti è mai capitato di vedermi in giro, e poi beh… Non sono un tipo che esce molto, di solito mi alleno vicino casa con… Con mio padre!!”

“Capisco.”

Il giovane Principe non era un tipo di molte parole, esattamente come il Vegeta del futuro. Nonostante fosse stato lui stesso a voler rimanere da solo con la corvina, continuava a mantenersi a distanza da lei, camminando lento e imbronciato, immerso tra i propri pensieri.

Chiunque avrebbe potuto giudicarlo a prima vista come un tipo incredibilmente noioso.

Eppure c’era qualcosa in lui, qualcosa che alla piccola Pan non era sfuggito ma che non riusciva comunque ad identificare in una specifica caratteristica, che lo rendeva comunque attraente, estremamente piacevole.

La sua aria un po’ misteriosa forse, il suo bell’aspetto, quegli occhi penetranti e malvagi, quel suo sorriso beffardo ed enigmatico.

O semplicemente il fatto che chiunque gli ronzasse intorno non potesse prescindere dalla consapevolezza che dietro quella malvagia indifferenza ci fosse qualcosa di molto più profondo, molto più interessante.

L’unica cosa che Pan sapesse per certo in quel momento era tuttavia che il principe non avrebbe più proferito parola. Perciò sarebbe toccata a lei l’ardua missione di intraprendere un discorso.

“Ehm, e tu invece? Dove abiti?”

Vegeta, sorpreso da quella domanda volse lo sguardo verso la sua giovane interlocutrice.

Se gli aveva posto in maniera così naturale una simile domanda era ovvio che non sapesse di parlare con il Principe dei Saiyan in persona. E soprattutto stava a significare che se era rimasta lì con lui, se si era lasciata trascinare dove lui le aveva prepotentemente imposto non era per garantirsi il suo favore. Né per attirare la sua attenzione. Quella piccola, alquanto strana ragazzina si trovava lì per il semplice piacere di stare con lui.

Si soffermò con attenzione sui suoi occhi, e poi sul suo viso.

I primi, scuri con qualche venatura di verde smeraldo e grandi, incredibilmente grandi, lasciavano trasparire una dolcezza e un’innocenza che gli parve di non aver mai veduto addosso a nessuno, neppure ad un bambino.

Il secondo, paffuto e candido, era privo di qualsiasi cicatrice o imperfezione. Il colorito niveo di quel bel visino era smorzato unicamente dal lieve rossore delle sue gote piene. Il nasino pronunciato e le sue due piccole splendide labbra a forma di cuore, di un rosso innaturale rendevano perfetto il tutto. I capelli ondulati e un po’ spettinati ricadevano inermi lungo le piccole spalle, tormentati in continuazione da mani sottili e graziose.

Le forme del corpo non erano ancora del tutto definite, ma rappresentavano comunque un piacere per gli occhi di coloro che vi si fossero posati.

Seni piccoli e rotondi, ventre piatto e fianchi pronunciati, due splendide gambe sode dalla forma perfetta.

Vegeta credette di non aver mai veduto nulla di così bello. E per la prima volta nella sua vita il Principe dei Saiyan si sentì in imbarazzo.

“I-io abito in un’altra zona, abbastanza lontano da qui. Sarebbe piuttosto noioso spiegartelo nei dettagli.”

Non le avrebbe confessato che in realtà la sua residenza era ben visibile da qualsiasi angolo del pianeta. Non le avrebbe confessato che casa sua era la Reggia.

Aveva deciso che quello doveva restare un segreto. Almeno per il momento.

Poiché avrebbe voluto che Pan restasse con lui per un motivo diverso dal suo sangue blu. Perché avrebbe voluto che qualcuno cominciasse a trattarlo come una persona normale. Perché cominciava a piacergli l’idea di poter essere interessante agli occhi di qualcuno per motivi diversi dalla sua identità.

“Sei nobile, Pan?”

“Mmm? Io? No, macché! Sono figlia di un soldato di terza classe. E tu invece?”

Aveva pronunciato quelle parole senza neppure pensarci. E si era resa conto del proprio madornale errore solo nel momento in cui aveva smesso di pronunciarle. Si morse il labbro con forza rimpiangendo la propria stupidità.

Era stata in grado con una frase, una stupida frase soltanto, di mandare allo scatafascio tutta la missione che avevano progettato con grande impegno.

Eppure la risposta che il principe le rivolse la fece quasi sbiancare dalla sorpresa.

“No? Ehm … Neanche io.”

La corvina lo guardò incredula. E lo vide sorridere, di un sorriso sincero, che neppure al Vegeta del futuro aveva mai visto addosso.

Le sembrò a prima vista che si fosse addolcito, da un momento all’altro, senza un motivo preciso. O per lo meno senza un motivo che lei riuscisse a comprendere.

E restarono così per qualche istante, a squadrarsi senza parlare. L’una sorpresa, piacevolmente, l’altro enigmaticamente sorridente.

“Beh, andiamo?”

“Ehm, si certo!”

Il giovane principe si fece più vicino a Pan di quanto non lo fosse stato fino a qualche istante prima e cominciò a camminarle a fianco.

Le mostrava con teatralità tutti gli edifici nei quali si imbattevano, esplicando calorosamente la loro funzione. E Pan ascoltava rapita, senza minimamente preoccuparsi di celare il proprio interesse, il proprio entusiasmo. Era perfettamente palese che la piccola vedesse per la prima volta tutto ciò che le appariva davanti. Ma a Vegeta non importava. Attribuì la cosa al fatto che quella ragazzina innocente ed ingenua, con tutte le probabilità del mondo avesse passato la maggior parte di ogni propria giornata barricata in casa, dedita agli allenamenti, e che quel momento di libertà fosse sporadico, inusuale, un’autentica eccezione che aveva avuto la fortuna di cogliere al volo.

Era ovvio che quella ragazzina non avesse assolutamente idea di come andasse il mondo. E sarebbe stata un’impresa fin troppo facile farla cascare ai suoi piedi. Sarebbe stato divertente testare la propria abilità di seduttore su qualcuno che non conoscesse la sua identità. Senza contare il fatto che quella fanciulla fosse senz’altro un bocconcino molto appetibile.

Il Principe, rapito da questi malvagi e lussuriosi pensieri si morse il labbro, quasi inconsciamente.

E Pan, a sua volta presa da pensieri di natura ben diversa, non se ne accorse neppure. Nutrendo una fiducia viscerale nel Vegeta del presente, non avrebbe mai potuto capacitarsi razionalmente senza una dimostrazione palese dei malvagi e perversi pensieri che si erano repentinamente affollati nella mente del suo giovane accompagnatore.

Così si volse verso di lui e sorrise. Sorrise di uno di quei sorrisi candidi e buoni che Vegeta non aveva mai visto addosso a nessuno. Addosso a nessuno di diverso da lei per lo meno. E per un attimo sembrò persino a lui che i suoi proponimenti malvagi fossero crollati improvvisamente come un misero castello di sabbia.

Perché il principe dei Saiyan si era ritrovato spiazzato, di nuovo. Da quegli enormi occhi limpidi, dalla splendida curva di quella bocca a cuore, da quelle gote rosee, da quei capelli ondulati e mossi dal vento.

Abbassò lo sguardo indispettito e confuso. Non gli capitava spesso di provare insicurezza per un proprio recente progetto. Né gli era mai capitato di provare nei confronti del resto del genere umano un sentimento diverso dalla voglia di prevalere, con ogni mezzo. Non era mai stato legato a qualcuno per un motivo diverso dalla malvagia, innata voglia di trarne un vantaggio personale, di sfruttare chiunque unicamente per trarne piacere, giovamento.

E poco importava di cosa provassero le persone che gli stavano intorno. L’unica cosa di cui gli importasse davvero era il suo benessere. E il suo orgoglio naturalmente. Prevaricare sugli altri era qualcosa che aveva sempre fatto senza alcuno scrupolo. Qualcosa che gli era sempre venuto quasi naturale.

E proprio non riusciva a spiegare a se stesso l’assurda sensazione di colpevolezza che gli derivava dall’immaginazione della sofferenza di quella ragazzina sconosciuta. Forse era dovuta al fatto che quel sorriso fosse tanto bello e contagioso da non meritare di trasformarsi in qualcosa di diverso. Poiché su un viso tanto dolce null’altro al mondo poteva calzare a pennello.

“Ci siamo allontanati molto rispetto al punto di partenza?” Domandò la giovane spezzando quel silenzio imbarazzante durato fin troppo a lungo.

“No… Perché me lo chiedi?”

“Beh, perché avevo detto a Bra che ci saremmo riviste lì, e dato che si è già fatto buio credo che sia ora di andare… Mi riaccompagneresti? Non sono sicura di saperci arrivare da sola!!”

La piccola si portò una mano alla nuca senza smettere di sorridere. E Vegeta la trovò adorabile. Nonostante l’accenno di sdegno e di fastidio derivatogli dal fatto che quella smorfiosa avesse osato congedarlo in maniera tanto spicciola e indecorosa.

Sorrise tra sé. In fondo Pan non sapeva di avere a che fare con un Principe. Perciò constatò che tra comuni mortali, quella fosse una consuetudine. Una consuetudine che non necessitava di tante inutili moine.

“Certamente.”

Le si avvicinò lentamente, con passo elegante, e per la prima volta da quando avevano cominciato a parlare le concesse un contatto fisico.

Il Principe infatti le aveva cinto le spalle con un braccio, e Pan si trovò a distanza tanto ravvicinata da lui da poter respirare il suo profumo. Un profumo indefinito, ben diverso da ogni essenza che conosceva, ma incredibilmente buono.

“E’ stata una piacevole casualità incontrarci quest’oggi, Pan. Mi chiedevo se non potessimo, domani… Fare qualcosa insieme.”

Pan fu entusiasta nel sentir proferire una tale richiesta. Se il principe non si fosse fatto avanti di propria iniziativa sarebbe stato infatti piuttosto difficoltoso, se non del tutto impossibile, riuscire a combinare un nuovo incontro che apparisse sufficientemente “casuale”. E ancor più arduo sarebbe stato riuscire ad avere sue notizie, nel caso in cui l’avessero perso di vista. Così non ci pensò sue volte ad accettare, con estrema allegria, quella proposta.

“Certamente, direi che è una bellissima idea. Potremmo allenarci insieme domani mattina, che ne dici?”

“A-allenarci? Uhm…. Ok.”

Vegeta non riuscì a mascherare sufficientemente la delusione scaturitagli da quella proposta. Aveva certamente in mente qualcosa di diverso e di più coinvolgente, senza considerare ovviamente il fatto che un allenamento contro una ragazzina avrebbe potuto essere tutto, fuorché producente.

 In fondo, nonostante Pan non lo sapesse, lui era il Principe Vegeta, il più forte fra tutti i Saiyan.

E l’idea della giornata che si prospettava gli dava già noia. Ma aveva deciso comunque di non opporsi. Sarebbe stato un giochetto per lui imporre un’attività diversa. Un’attività ben più piacevole. Ed era quasi certo del fatto che quella ragazzina non si sarebbe opposta al suo volere.

“Perfetto allora!” Affermò Pan sorridendo, senza immaginare minimamente i pensieri dell’altro.

Percorsero in silenzio la strada che i separava dal loro punto di arrivo senza staccarsi dal contatto fisico che avevano stabilito poco prima.

Nonostante la consapevolezza di quanto poco ci fosse da fidarsi di quel “piccolo” Vegeta, Pan si sentiva inspiegabilmente straordinariamente al sicuro tra quelle braccia solide e forti. Provava una sensazione di estremo benessere nell’inebriarsi di quel magnifico profumo di maschio. Tanto che camminò a lungo al suo fianco senza minimamente accorgersi del tempo che passava, della distanza percorsa. E quando si ritrovarono nuovamente al punto di partenza, Pan fu quasi sorpresa di ritrovarsi così all’improvviso nuovamente davanti lo scenario di qualche ora prima.

“Eccoci, siamo arrivati. Ma la tua amica non c’è ancora se non sbaglio.”

“Ehm, no infatti non c’è… Ma non preoccuparti, vai pure. Sono certa che sarà qui da un momento all’altro. Ci vediamo domani esattamente qui, va bene?”

“Va bene. Tieniti pronta per le nove in punto.”

“Ehm… Ok! Ciao allora…”

La giovane scoccò un sonoro bacio su una guancia del giovane Saiyan, il quale rimase del tutto imbambolato di fronte a quell’inaspettata quanto assurda dimostrazione d’affetto.

La vide in un attimo divincolarsi dalla sua stretta e correre via, quasi per cercare un nascondiglio, verso un grande masso. Nella sua corsa si era voltata ancora un momento per rivolgergli un sorriso, mentre lui era rimasto impietrito, lì, con una mano ferma sulla gota sulla quale lei qualche istante prima aveva impresso quel piccolo bacio, poggiando delicatamente quelle morbide labbra scarlatte.

Nessuna donna aveva mai osato tanto con lui. Ed era esattamente la prima volta che qualcuno gli avesse rivolto un’attenzione così pura e così dolce.

Nuovamente il principe si era visto sfumare davanti agli occhi tutti i propri malvagi propositi. Cominciò a pensare che quella ragazzina avesse qualche sorta di effetto particolare su di lui, che lo rendeva completamente inerme, impotente.

Quando tuttavia il giovane principe si capacitò del proprio probabile aspetto da pesce lesso tentò di ricomporsi al meglio, e, sovrappensiero, spiccò il volo verso la Reggia.

 

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Bra non tardò ad arrivare all’appuntamento prefissato. La turchina aveva avuto l’accortezza di evitare che Radish la riaccompagnasse, così si era presentata lì completamente sola.

“Hei Pan!! Allora? Come stai? Com’è andata?” Cominciò a chiedere Bra, carica d’un’apprensione quasi materna.

“Tutto bene Bra. Ma non parliamone qui. Rientriamo in casa, ok?”

Le due ragazze ritrovarono, ma non senza fatica, la cavità dove avevano precedentemente situato la capsula casa. E una volta sicure di essere lontane da occhi indiscreti e pericolosi vi si precipitarono dentro, impazienti di scambiarsi i particolari di quella loro prima esperienza.

 

“Ah che bellezza, finalmente un ambiente che non sia pauroso e bizzarro!!”

La piccola Pan si lasciò cadere comodamente sul sofà del salotto e cominciò a disfarsi della corazza, dei guanti e degli stivali. Fu subito imitata da Bra, la quale, in men che non si dica aveva messo via parrucca e coda e infilato un pigiama caldo, impaziente di ricevere un accurato resoconto dell’accaduto.

“Allora, Pan? Vuoi raccontarmi o no com’è andata?”

“Beh Bra è andata bene! Sai, andiamo d’accordo io e tuo padre! Abbiamo passeggiato per la città e mi ha mostrato molte cose! All’inizio era un po’ duro, ma ho avuto l’impressione che alla fine si sia addirittura addolcito!

Ad essere sincera è stato un po’ evasivo nel parlare di sé, ma credo che dipenda dal fatto che mi ha mentito sulla sua identità. Non so proprio perché, ma mi ha detto di non essere nobile. Comunque abbiamo un appuntamento per domani. Ci alleneremo insieme.”

“Wow, è una bellissima notizia!! Hai avuto un’idea geniale a non perderlo di vista, col colpo di fortuna che abbiamo avuto ad incontrarlo subito!!”

“Eh già!! E a te invece? Com’è andata la passeggiata con quello strano tipo?”

“Radish? E’ un tipo simpatico, e ha qualcosa di inspiegabilmente familiare… E’ come se mi ricordasse tuo nonno Goku e tuo zio Goten!! Non so proprio spiegarmelo… Pensi che possano essere parenti in qualche modo?”

“Mmm… Mi pare d’aver capito che il nonno Goku avesse un fratello, ma non ho proprio idea di come si chiamasse… E se fosse proprio lui?”

“Farò in modo di scoprirlo quanto prima. Per il momento ho scoperto qualche chicca interessante sui Saiyan e sulle loro usanze. Quel Radish è un tipo che non sa tenere la bocca chiusa neanche un momento. Domani te ne parlerò va bene? Così potremo progettare al meglio la nostra ‘mimetizzazione’. Ma adesso è meglio andare a letto. Domani ti aspetta una giornata sfiancante se non mi sbaglio.”

“Già, hai proprio ragione Bra… Beh allora mi ritiro nella mia stanza. Buonanotte!!” La corvina stampò un bacio sulla guancia dell’amica e lentamente si incamminò verso la propria camera, profondamente soddisfatta in cuor proprio dell’andazzo generale di quella frenetica giornata.

Eppure, stesa sul letto caldo della propria camera e illuminata dal tenue bagliore della lampada posta sul comodino, la piccola Pan non poté fare a meno di rivolgere gli ultimi pensieri di quella giornata a colui che per sempre sarebbe rimasto l’unico principe del suo cuore.

Pensò a Trunks, ai suoi grandi occhi color del mare e al suo sorriso magnetico, che proprio durante quella giornata aveva visto rivivere sul volto del suo giovane padre, e si addormentò, sognando grandi occhi turchini e magnetici occhi di pece.

 

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Atterrato di fronte all’entrata secondaria della Reggia, ben attento a non fare rumore, il principe si intrufolò velocemente in casa, nella viva speranza che la sua ennesima birbonata non fosse miseramente smascherata dal padre.

Il Principe Vegeta, nonostante fosse ancora molto giovane, era sicuramente il più forte e il più coraggioso di tutti i Saiyan. Nessun pericolo lo spaventava, nessuno al mondo era in grado di intimidirlo. Fatta eccezione per suo padre, il Re.

Di lui il principe aveva una fifa blu.

Per questo motivo si ritrovava a camminare in punta di piedi per le vie secondarie del castello.

Avrebbe fatto tardi a cena, ancora una volta. E stavolta il giovane Vegeta non era del tutto sicuro che suo padre si decidesse ad essere clemente con lui.

Ritrovatosi nei pressi della propria camera da letto, il Principino credette di essere salvo da ogni possibile punizione.

Aveva il preciso progetto di intrufolarcisi dentro e uscire nuovamente dopo qualche istante in maniera rumorosa, per farsi sentire. Avrebbe finto di essersi addormentato di un sonno tanto profondo da non aver udito i ripetuti richiami della schiava che gli annunciava la cena.

Soddisfatto di questo piano di cui si vedeva già vittorioso, Vegeta si accinse ad aprire delicatamente l’uscio della camera, quando tuttavia fu violentemente interrotto nei suoi intenti da un vocione che lo richiamava a gran voce.

“VEGETA!!! SI PUO’ SAPERE DOVE DIAVOLO TI ERI CACCIATO?!”

“P-p-padre!!! I-io ero … Ero fuori ad allenarmi!! Mi dispiace di aver fatto così tardi, ma non mi sono reso conto del passare del tempo! Prometto che non capiterà mai più!”

“E’ MAI POSSIBILE CHE TU NON SIA MAI IN GRADO DI ADEMPIERE DECENTEMENTE AI TUOI DOVERI DI PRINCIPE? FILA SUBITO A CENA!”

“Ci vado immediatamente padre!”

Dopo aver rivolto al padre un sontuoso inchino, il principe si accinse velocemente a recarsi in sala pranzo dove, con tutte le probabilità del mondo, la cerimonia della cena doveva aver già avuto inizio.

“Cerca di camminare in maniera più elegante, e vedi di tener dritte quelle spalle! Sei il Principe dei Saiyan, tienilo bene a mente!”

“Sissignore!!”

Il Principino con sguardo austero riprese trionfalmente il proprio cammino, facendo ogni sforzo immaginabile per soddisfare le aspettative di suo padre. Quest’ultimo dal proprio canto, alla vista del figlio, non riuscì a trattenere un mezzo sorriso mentre esasperato si passava una mano tra i bei capelli rossicci scuotendo la testa.

Qualche istante dopo anche Sua Maestà seguì il figlio in sala da pranzo. In fondo il principino quel giorno non aveva fatto fin troppo ritardo e non c’era un motivo fondato per essere in collera con lui.

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“Buonasera madre.” Il Principe, dopo aver fatto il proprio ingresso in sala, salutò la madre con un profondo inchino.

“Sei in ritardo Vegeta.”

Il giovane fissò lo sguardo terrorizzato sulla Regina.

Non aveva mai avuto gli scatti collerici tipici del consorte, Rosicheena. Ma i suoi occhi erano glaciali. E confondere il suo temperamento apparentemente pacato e indifferente con un barlume di buon cuore sarebbe stato un errore madornale.

Proprio per questi motivi il giovane principe provava forse un più incontenibile terrore stando di fronte alla Regina che di fronte al Re.

Perché di fronte a sua madre, la Regina, non si aveva mai la benché minima idea di come comportarsi.

“Le chiedo umilmente scusa madre. Mi perdoni.”

“Mpf. Siediti a tavola.”

Il principe, eseguendo con aria remissiva gli ordini ricevuti dalla madre prese compostamente posto a tavola, e osservò disgustato la pietanza che avrebbe dovuto consumare senza proferire verbo.

‘Verdure lesse. Oh cielo che schifo! Come farò a trangugiare tutta questa robaccia? ’

“Cos’è quella faccia schifata? Ti ricordo che in tempo di guerra non ci sarà nessuno a prepararti sontuosi pranzetti, perciò è bene che impari ad arrangiarti. Su, muoviti.”

“Certo padre, agli ordini.”

Consumata con fatica l’orrenda cena che gli era stata propinata il Principe attese che anche i genitori terminassero il proprio pasto prima di alzarsi.

E improvvisamente gli tornarono in mente gli splendidi occhi limpidi, il fresco sorriso della fanciulla che aveva conosciuto nel pomeriggio.

‘E’ rimasta con me senza sapere che sono il Principe. E’ rimasta con me per nessun motivo diverso dalla mia compagnia. Non sa nulla di me, eppure è rimasta. E’ rimasta senza che il suo giudizio nei miei riguardi fosse minimamente adombrato da qualsiasi tipo di interesse. ’

Immerso tra i propri pensieri il giovane principe aveva preso a giocherellare col cucchiaio e con gli ultimi rimasugli di minestra che giacevano in fondo al suo piatto.

Ma il Re e la Regina non lo richiamarono, a discapito di ogni possibile immaginazione. Avevano notato entrambi, fin dal principio, un atteggiamento strano da parte sua. Sembrava pensieroso, assolutamente assente. E un comportamento del genere era assolutamente inusuale rispetto alla sua ordinaria sicurezza e spavalderia.

“Padre?”

Il Re rivolse immediatamente la propria attenzione al figlio sentendosi richiamare.

“Volevo avvisarla del fatto che domani mattina non terrò il mio solito allenamento contro i Saibaiman. Mi allenerò in maniera diversa in un altro luogo.”

“C-cosa? Come sarebbe a dire?”

Il Principe si aspettava una protesta, un’opposizione, una richiesta di ulteriori delucidazioni da parte di suo padre. Ma non aveva alcuna intenzione di rispondere alle sue domande, né tantomeno avrebbe accettato il suo dissenso.

Perciò non concesse al genitore il tempo di rispondere, e si inchinò nuovamente di fronte al Re e alla Regina per potersi congedare da loro.

“Vi auguro di passare una buona nottata.”

Detto questo si alzò, e ben attento alla postura e all’eleganza si allontanò leggiadramente sotto gli sguardi attoniti e sconvolti dei genitori.

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Capitolo 5
*** L'allenamento ***


“Perche mai avrò accettato di allenarmi con quella ragazzina poi? Sarà talmente debole che mi annoierò subito…”

Il giovane Vegeta, sbuffando al pensiero del supplizio che certamente gli sarebbe toccato sorbirsi per tutta la durata di quella giornata, indossò in maniera veloce e meccanica la propria ordinaria battle-suit blu. Sarebbe stato ben contento di disfarsi di quel pesante mantello rosso e di quella stupida corona che suo padre si ostinava a fargli indossare in ogni circostanza. Pan non sapeva di avere a che fare con il Principe dei Saiyan in persona, e in cuor suo Vegeta non poteva fare a meno di essere entusiasta della cosa.

Avrebbe avuto la possibilità di essere se stesso, avrebbe potuto rilassarsi, liberarsi del peso opprimente che gli scaturiva dalla propria nobiltà, non sarebbe stato costretto a preoccuparsi per il proprio portamento, per il proprio tono di voce, per il proprio linguaggio. E soprattutto non gli avrebbe gravato sul cuore il tremendo macigno della consapevolezza di ricevere l’attenzione di qualcuno unicamente per via della propria identità.

Se c’era una cosa della quale il principe fosse certo, quest’ultima era sicuramente il fatto che a Pan non importasse un accidente di assicurarsi il favore di Re Vegeta. Né le sue mire potevano essere indirizzate a un qualsiasi altro tipo di privilegio. Se ne sarebbe certamente accorto. Quella ragazzina era limpida come l’acqua.

In realtà, nonostante la riluttanza iniziale, il principe era perfettamente consapevole del motivo che lo aveva spinto ad accettare la strana proposta avanzatagli da Pan.

Era da molto tempo a quella parte che il giovane Principe dei Saiyan aveva preso a considerare noiosi e inadeguati i propri allenamenti quotidiani.

Tanto che si era ritrovato a proseguirli unicamente per abitudine, per inerzia. E naturalmente aveva avuto un enorme peso sulla faccenda il fatto che il principe non si sarebbe sognato per nulla al mondo di sollevare inutili questioni con suo padre, contro il quale non avrebbe avuto la benché minima possibilità di uscire vittorioso in un eventuale scontro verbale. Il giovane Vegeta si rifiutò persino di immaginare una tanto spiacevole circostanza.  

Tuttavia, se era stato fin troppo bravo a fare in modo che nessuno sino a quel momento avesse nutrito il minimo sospetto di quel suo disagio ormai costante, non gli era stato possibile ingannare persino se stesso.

A se stesso lo aveva ammesso ormai da parecchio tempo.

Detestava quegli stupidi allenamenti. E l’unico risultato che negli ultimi tempi era stato in grado di trarre da essi si era rivelata una angosciante, insopprimibile, abitudinaria noia.

Era da molto tempo a quella parte che aveva cominciato a desiderare qualcosa di diverso per migliorare il proprio metodo di combattimento, sebbene il giovane principe avesse già raggiunto risultati oltremodo invidiabili. Nonostante fosse ancora molto giovane il principe Vegeta poteva infatti vantare il titolo di “guerriero più forte di tutti i Saiyan”.

Eppure suo padre non sembrava nutrire troppo interesse per la cosa.

E il principe dal suo canto non aveva smesso, neppure per un istante della sua vita, di tentare di renderlo orgoglioso di lui. Era sempre stato obbediente e rispettoso, dedito agli allenamenti e allo studio, come del resto ad ogni altra cosa che suo padre avesse in serbo per lui.

Non lo avrebbe mai ammesso di fronte a nessuno, ma il giovane Vegeta nutriva un affetto viscerale nei confronti del padre. Nulla al mondo gli avrebbe rifiutato. Nulla al mondo si sarebbe rifiutato di fare per lui.

Ma non era esattamente sicuro che per il genitore fosse la stessa cosa.

Il giovane Vegeta fin da piccolo non aveva smesso neppure un istante di domandarsi per quale assurdo motivo suo padre non si fosse mai preso la briga di allenarlo di persona. Per tutta la durata della sua giovinezza non aveva smesso di chiedere a se stesso neppure per un singolo momento perché mai il Re avesse sempre preferito scrollarsi di dosso questa responsabilità affidandola a quegli orribili Saibaiman.

Quegli esseri inetti e disgustosi non gli avevano mai fornito nessun giovamento, peraltro. Dacché il giovane principe avesse ricordi, era sempre stato più forte di loro, per quanto avessero sempre combattuto in gruppo contro di lui.

E un allenamento diverso era per l’appunto ciò che gli serviva. Ciò che bramava da tanto tempo. E anche se combattere contro una ragazzina non fosse da considerarsi esattamente l’ideale, costituiva pur sempre una novità, da lungo tempo bramata con tacito ardore.

In realtà lo aveva divertito non poco la presunzione di quella ragazzina. Certo, era ovvio che non avesse idea di trovarsi davanti il glorioso principe dei Saiyan, il più forte tra tutti i guerrieri del pianeta.

Ma per una semplice fanciulla era stato comunque un affronto non indifferente la pretesa di essere in grado di tenergli testa.

A partire da queste considerazioni il principe ebbe la lampante certezza che Pan fosse un’autentica inetta.

Era da considerarsi una mossa da incosciente proporre un allenamento a qualcuno senza neppure controllare sullo scouter il suo livello di combattimento.

Tuttavia, nonostante tutto, sarebbe stato per lui un autentico piacere rivedere quella ragazzina.

E che piacevole sorpresa sarebbe stata per lei capacitarsi della sua straordinaria, inaspettata potenza!!

Le sarebbe caduta ai piedi senza ombra di dubbio. Esattamente com’era successo ogni volta che aveva fatto sfoggio delle proprie doti belliche sotto gli occhi di ragazze inette e un po’ sciocche.

Il principe sghignazzò malignamente tra sé immerso tra questi pensieri.

Ormai pronto per la giornata di allenamento, e attento a non fare troppa confusione, il giovane Vegeta, pettinato e profumato si accinse a scappare silenziosamente di casa attraverso la finestra.

Certo, non che una fuga fosse esattamente l’ideale. Non poter attraversare il castello avrebbe comportato il patimento della fame fino all’ora di pranzo, ma il principe aveva di gran lunga preferito non fare altrimenti. Incrociare suo padre per le vie della Reggia avrebbe significato dover dare spiegazioni che non aveva alcuna intenzione di fornire.

Per giunta non avrebbe potuto soffrire un suo eventuale divieto. Si sarebbe presentato a quell’appuntamento ad ogni costo, e al diavolo le conseguenze.

Sorridendo tra sé, il principino silenziosamente scavalcò dalla finestra della propria camera, e in fretta si allontanò dal palazzo reale per evitare che occhi indiscreti si soffermassero su di lui, sgamando la sua fuga.

Ormai lontano da casa spiccò quindi il volo per raggiungere più velocemente la propria meta, fermandosi soltanto dopo essersi assicurato di trovarsi esattamente nel punto in cui il giorno prima Pan aveva impresso quel piccolo bacio sulla sua gota.

Istintivamente si sfiorò la guancia a quel pensiero e sorrise. Sorrise di uno di quei sorrisi dolci e insicuri che mai nessuno aveva avuto la capacità di regalargli o di vedergli addosso, e continuò a sorridere fra sé, dimentico del mondo, fino a quando, abbassando lo sguardo, notò con evidente disappunto che la ragazza non si era ancora presentata all’appuntamento.

“Tsk. Le avevo chiesto di essere puntuale e non è ancora arrivata!!” Grr che rabbia…”

Il principe digrignò i denti e serrò i pugni in una stretta micidiale. Tuttavia, capacitandosi del fatto che la rabbia avrebbe avuto come unico risultato lo scoppio delle vene sulle sue tempie, decise di mettersi a sedere su un masso.

I soli erano già alti in cielo, e lo facevano splendere di rosso vivo.  Nonostante non ci fosse nessuna nube ad adombrare quella splendida giornata, il caldo non era insopportabile. Una leggera brezza soffiava piacevolmente sul corpo del giovane che, quasi dimentico della propria attesa, aveva cominciato a rilassarsi di fronte a quella splendida vista.

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“Dannazione, abbiamo appuntamento per le nove, ma come diavolo faccio a scoprire che ore sono qui?? Avessi un dannato orologio sintonizzato su questo stupido pianeta!!!”

La piccola Pan, in preda all’agitazione più totale saltò giù dal letto in fretta e furia per prepararsi alla mattinata d’allenamento che avrebbe trascorso con Vegeta.

Arruffata all’inverosimile e di umore inusualmente pessimo, dopo aver fatto un bagno veloce e aver consumato in un batter d’occhio un’abbondante colazione la giovane si svestì, per poi indossare quasi meccanicamente la battle-suit del giorno precedente, immersa più che mai fra i propri pensieri.

Era stata lei stessa a proporre un allenamento a Vegeta. Ma la verità era che non aveva la più pallida idea di come fosse opportuno comportarsi in una circostanza simile. Non immaginava minimamente quale fosse il livello di preparazione che avrebbe dovuto aspettarsi dal giovane principe, né tantomeno conosceva le consuetudini di allenamento su quel pianeta.

Aveva condotto ogni allenamento della propria vita sotto la guida vigile e attenta del nonno Goku, del suo papà in qualche raro caso sporadico. Ma prima di allora non le era mai passata per la mente la curiosità di sapere quale fosse la differenza sostanziale tra un allenamento tipicamente terrestre e uno Saiyan. Del resto, come mai avrebbe potuto la sua giovane mente immaginare la necessità di porsi una simile domanda?

C’era una cosa soltanto di cui Pan fosse assolutamente certa in quel momento. Vegeta era il Principe dei Saiyan, il più forte tra tutti i Saiyan. Si sarebbe dimostrato di gran lunga superiore a lei, nonostante la sua giovane età e la sua limitata esperienza, senza ombra di dubbio.

E di conseguenza, probabilmente, si sarebbe presto annoiato a morte di stare a combattere contro un’inetta. Probabilmente non avrebbe più accettato di combattere insieme a lei, e la loro presenza lì, tutti i loro sforzi immani si sarebbero rivelati assolutamente inutili.

Infatti, che speranze poteva nutrire di avere anche la benché minima possibilità di vittoria contro il malvagio Freezer se non avrebbe avuto chances neppure contro Vegeta?

Eppure non avrebbe potuto credere che suo nonno Goku fosse stato incosciente fino a questo punto. La ragazzina era perfettamente consapevole del fatto che suo nonno non avrebbe mai affidato loro quella missione senza un margine di sicurezza sulla sua buona riuscita approssimativamente vicino al 100%.

Per questo motivo sopra ogni altro la giovane mezzosangue non riusciva a trovare responsi convincenti ai propri dubbi.

Pensierosa, si accinse quindi a varcare silenziosamente l’uscio di casa, attenta a non disturbare l’amica che stava ancora dormendo.

Percorso un breve tragitto, ben presto Pan si trovò quindi al luogo prefissato per il proprio incontro con Vegeta. Del principe tuttavia non c’era traccia, perciò era evidente che fosse arrivata in anticipo. Tirò un sospiro di sollievo e cominciò a guardarsi intorno con circospetta curiosità.

“Ehm, mi scusi signore, saprebbe dirmi che ore sono?” Domandò timidamente Pan al primo passante che incrociò per la strada.

“Mnh? Che razza di domande mi fai? L’orologio è lassù.” Detto ciò, lo sconosciuto Saiyan indicò con aria scocciata un enorme orologio posto sulla cima di un imponente edificio.

“Eheheh, che sbadata… La ringrazio infinitamente!!”

“Mpf.”

Il Saiyan senza più degnarla d’uno sguardo si allontanò repentinamente dalla giovane tornando alle proprie occupazioni.

Pan, profondamente infastidita per la propria distrazione squadrò quindi con interesse il grande orologio che le era stato indicato, constatando con intimo entusiasmo che fosse perfettamente identico a quelli terrestri, e soprattutto di essere in perfetto orario.

Le lancette segnavano infatti le 8:55. Presto Vegeta sarebbe arrivato e insieme avrebbero dato inizio al loro primo allenamento.

Nonostante la propria insicurezza e la quasi totale consapevolezza di essere di gran lunga più debole di lui la giovane Pan non poteva fare a meno di provare in fondo al cuore un senso di impellente curiosità di misurarsi col principe. Così prese a sorridere carica di adrenalina, nell’attesa impaziente che quel bramato e temuto allenamento avesse finalmente inizio.

Tra questi pensieri si adagiò su di un masso nell’attesa che arrivasse il suo giovane avversario.

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Il giovane principe riteneva che fosse stato un oltraggio alla sua corona farlo attendere appollaiato a quel masso per un quarto d’ora. Così aveva preso nervosamente a svolazzare nei dintorni senza una meta né un obiettivo precisi, fino a quando, abbassando lo sguardo non la vide.

Piccola e dolce, stava seduta sul medesimo masso che lui aveva occupato fino a qualche minuto prima, abbracciandosi le ginocchia. Aveva i capelli sciolti e un po’ arruffati, esattamente come il giorno prima. Ma al Principe piaceva vederla in quel modo. Bella per via di una naturalezza che solo l’innocenza può regalare, e limpida come l’acqua. Sorrise ancora e si accinse a scendere, piombando elegantemente proprio di fronte a lei.

Non si sarebbero allenati per molto tempo quel giorno. Avrebbe imposto un’attività diversa, esattamente com’era nei suoi proponimenti del giorno precedente. Era quasi certo del fatto che Pan non si sarebbe opposta. E sarebbe stato estremamente divertente scoprire il lato nascosto di quella tenera innocenza…

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Stava ancora immersa fra i propri pensieri quando fu improvvisamente interrotta dal suo arrivo.

Il giovane principe le era praticamente comparso davanti senza che lei si rendesse conto della sua presenza, quando persino a lei era parso d’aver dimenticato il motivo per il quale si trovava lì ad attendere.

Volse lo sguardo verso di lui, e quasi rimase incantata alla sua vista. Era splendido a dir poco. I capelli erano visibilmente arruffati, ma era evidente il tentativo andato a male di dar loro una sistemata. Il fresco profumo emanato dal suo corpo poteva essere percepito a distanza, e nonostante ciò era estremamente piacevole.

Indossava la battle suit blu che la giovane aveva spesso visto addosso al Vegeta della sua epoca, e nonostante il fatto che il suo corpo fosse ben più minuto e la muscolatura non ancora ben definita il suo aspetto generale conferiva a chiunque ci si fosse soffermato un’idea di forza e fermezza.

E il suo sorriso enigmatico regalava un ultimo tocco di classe a quell’aspetto di per sé così perfetto.

Somigliava incredibilmente a Trunks. E questo dato di fatto non poté far altro che renderlo ancora più bello agli occhi sognanti della piccola Pan.

“C-ciao Vegeta…”

“Buongiorno, Pan. Sei pronta per un allenamento sfiancante?” Il giovane principe enfatizzò più del dovuto le parole pronunciate, quasi a voler dar loro un’accezione ironica.

E La giovane Pan non riuscì a capire l’atteggiamento del Principe. Le parve cambiato, da un momento all’altro. E cominciò a farle quasi paura. Gli stessi occhi che il giorno prima le erano sembrati lo specchio di un sorriso sincero, in quel momento le parvero lo specchio di un’anima nera, di pensieri malvagi.

A questa constatazione Pan provò un sentimento di incontenibile scoraggiamento, ed ebbe paura. Rimpianse il fatto di essere da sola, rimpianse per la prima volta il fatto di aver accettato di intraprendere quella missione assurda e impossibile.

“Certo che sono pronta.” Rispose tuttavia prontamente, ostentando una sicurezza che di certo non le apparteneva.

Il Principe a sentire quella risposta sghignazzò malignamente. E a quella vista i dubbi di Pan trovarono piena conferma. Era ovvio che il principe avesse qualcosa per la testa, nonostante Pan non fosse in grado di immaginare esattamente cosa. Senza aver la possibilità di riflettere ulteriormente sullo stato emotivo del principe, Pan si sentì afferrare indelicatamente per una mano.

“Allora andiamo!”

Trascinando al proprio seguito la giovane, Vegeta la condusse verso uno spazio sconfinato, esattamente l’ideale per un allenamento. L’ombra fornita dalle fronde degli alberi consentiva loro di non patire il caldo mattutino, e gli spazi erano abbastanza ampi per consentire un combattimento senza risparmio.

“Che ne dici, ti piace qui? E’ appartato e solitario, e puoi star certa che nessuno verrà a disturbarci …”

Vegeta sorrise maliziosamente, e quello sguardo risultò indecifrabile agli occhi di Pan. Era certa che il principe avesse in mente qualcosa di strano, nonostante non potesse immaginare con certezza di cosa si trattasse. Era certa che avesse subito un mutamento rispetto al giorno precedente, e quel cambiamento nel suo comportamento contribuì a preoccuparla non poco. Vegeta le faceva paura.

Tuttavia la fanciulla decise di non far troppo caso al comportamento del principe, e di fingersi indifferente. Era certa che quella si sarebbe rivelata una buona arma.

“Direi che qui è perfetto. Possiamo cominciare immediatamente per quanto mi riguarda.”

Mpf, sembra non aver capito proprio nulla. E non demorde. Beh, accontentiamola. In fondo mi basterà qualche istante per metterla al tappeto.”

“Benissimo. Ti concedo il privilegio di attaccarmi per prima. E approfitto di questo momento per rivelarti che sono molto forte. Perciò ti consiglio di utilizzare fin dall’inizio tutta la tua potenza.”

Pan sghignazzò sommessamente.

“Ti ringrazio per il privilegio concessomi. E approfitto di questo momento per rivelarti che anche io sono molto forte.”

Senza concedere al principe il tempo di rispondere alla sua provocazione, Pan si avventò con straordinaria rapidità sul suo corpo, assestandogli un feroce colpo allo stomaco.

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Era stata rapida come una saetta. Tanto che non aveva avuto il tempo di distinguere i suoi movimenti. Anzi, gli era parso addirittura che da un momento all’altro si fosse dissolta nel nulla. Avrebbe avuto la ferrea certezza che fosse misteriosamente scomparsa sul serio se la manifestazione lampante della sua presenza non lo avesse colto all’improvviso attraverso un lancinante dolore che avvertì all’altezza dell’addome.

Il principe, completamente senza respiro, barcollò per il dolore e per la sorpresa, sputando rivoli di saliva.

Cercò di rimettere in sesto il proprio corpo e i propri pensieri confusi.

E per un momento credette di sognare. Quella ragazzina era stata in grado metterlo in ginocchio con un solo colpo.

Lui, il più forte di tutti i Saiyan era stato ridotto in quello stato pietoso da una ragazzina.

Non è possibile, non può essere vero. Sto sognando, sicuramente. Una ragazzina non può essere tanto forte. E soprattutto, nessuno su questo pianeta è in grado di eguagliare la mia potenza. Dev’essere stata la distrazione. Ero talmente certo che questa ragazzina fosse un’inetta che non ho prestato abbastanza attenzione ai suoi movimenti. Ma alla prossima non mi troverà impreparato.”

“Non male, ragazzina. Devo ammettere che mi aspettavo di molto peggio. Sei forte, complimenti. Ma sappi che sei riuscita a colpirmi soltanto perché ti avevo sottovalutata e non sono stato attento. Preparati al vero scontro, perché stavolta non mi risparmierò.”

“Visto? Non è mai un bene giudicare l’avversario dalle apparenze…”

“Preparati!!!”

Appena pronunciate queste parole il principe effettuò uno slancio in direzione della sua giovane avversaria. Una volta che le fu abbastanza vicino prese ad attaccarla con tutta la potenza e la velocità che aveva in corpo, facendo sfoggio di tutto ciò che aveva imparato in anni di strenui e spossanti allenamenti.

Ma tutti i suoi sforzi erano vani. Pan evitava senza difficoltà anche i suoi colpi migliori, bloccava fermamente i suoi attacchi meglio calibrati, si sottraeva con straordinaria velocità ai suoi tentativi di colpirla.

Tanto che, esaurite in qualche istante tutte le proprie risorse Vegeta si fermò sconvolto e inerme di fronte alla propria avversaria, la quale non si lasciò scappare quell’occasione propizia per stenderlo con un ulteriore colpo allo stomaco.

Il principe, disteso a terra, boccheggiava e ansimava copiosamente sotto gli occhi straniti della giovane Pan.

“Insomma, penso che tu ti sia reso conto che sono abbastanza forte perché tu possa combattere sul serio. Fallo subito perché andando avanti così finirò con l’annoiarmi molto presto!!” affermò innocentemente Pan, completamente incosciente del fatto che Vegeta avesse cominciato già da tempo a fare sul serio.

Il principe tuttavia, come del resto era consuetudine per lui, non si arrese a quell’umiliante sconfitta. Si alzò prontamente in piedi, deciso a proseguire quello scontro e ad uscirne vittorioso ad ogni costo.

“Bene, come vuoi tu. Adesso farò sul serio e non lamentarti se ti farò male…”

A queste parole lo sguardo del principe divenne truce all’inverosimile. Sollevandosi lentamente dal suolo assunse una posizione inequivocabile. Una posizione che Pan conosceva sin troppo bene.

E infatti qualche istante dopo il micidiale colpo di Vegeta fu pronto per essere scagliato contro l’avversaria.

“GARLICK CANNON!!!!” Urlò a gran voce il giovane principe mentre si accingeva a sferrare quell’attacco.

Il Garlick Cannon era sicuramente l’ultima risorsa del giovane Vegeta. In assoluto il suo colpo migliore. Ma la fanciulla non sentiva provenire da esso una carica di energia negativa preoccupante, né l’aura di Vegeta era abbastanza potente da sferrare un attacco che fosse in grado anche semplicemente di farle un graffio.

E in quel momento per Pan fu tutto chiaro. Vegeta non si stava affatto burlando di lei, fingendo un combattimento da dilettanti. Vegeta stava dando il meglio di sé. Da parecchio tempo a quella parte ormai.

La giovane, posta improvvisamente di fronte a tale certezza non riuscì a trattenere un’espressione carica di sorpresa.

‘Vegeta è … Debole. Incredibilmente debole. ’

Non aveva avuto molte occasioni per trovarsi a contatto con il Vegeta della sua epoca. Ma aveva imparato a conoscerlo. E soprattutto, conosceva perfettamente il motivo dell’odio viscerale nutrito dal Principe nei confronti di suo nonno Goku.

Vegeta non aveva mai accettato la propria sconfitta. Non era stato in grado di accettare l’esistenza di un Saiyan che fosse più forte di lui.

E Pan, in quella particolare circostanza, non avrebbe potuto permettersi il lusso di fare in modo che il Principe cominciasse a detestare anche lei.

La giovane corvina considerò che a quella situazione ci fosse un’unica soluzione.

Senza tentare di bloccare in alcun modo l’ultimo colpo sferrato dal principe si lasciò colpire in pieno da esso, e in breve l’energia di quell’attacco la trascinò lontano.

Avrebbe finto la propria sconfitta. E naturalmente avrebbe vivamente sperato di non essere miseramente smascherata da Vegeta.

L’energia del Garlick Cannon la spinse a ridosso di un grosso masso, e Pan ci andò volutamente a sbattere per poi lasciarsi cadere, apparentemente ansimante ed esausta, contro l’erba.

 

‘N-non si muove. Non avrò mica esagerato? ’

Il Principe ansimava per l’eccessiva fatica compiuta. Ma non mancò di avvicinarsi a Pan per accertarsi del suo stato di salute.

“P-pan… Va tutto bene?”

“C-credo di si…”

Pan rialzò il viso da terra facendo leva sulle braccia, e fingendo uno sforzo sovraumano si mise seduta sull’erba e alzò lo sguardo verso Vegeta.

Il suo viso sudato e stanco trapelava inequivocabilmente l’immane sforzo compiuto dal principe durante quel combattimento, ma la corvina notò nei suoi occhi una strana espressione. Di sorpresa, di ammirazione quasi.

“P-pan, io… Credo che tu sia il guerriero più forte che io abbia mai incontrato fin ora.”

“D-dici sul serio?”

Il principe non rispose. Ma Pan poté leggere nei suoi occhi quanto fosse sincero.

Il suo sguardo era incredibilmente serio, ma brillava di luce insolita. La sua malcelata ammirazione era resa manifesta dai suoi occhi sognanti che non smettevano di fissare con estrema sorpresa quelli della fanciulla.

“Vorrei che continuassimo ad allenarci insieme. Ti andrebbe?”

La corvina sorrise con sincero entusiasmo a quella proposta insperata.

“Certamente!! Ne sarei davvero felice!”

A sentire quella risposta il principe non riuscì a trattenere un piccolo impeto di entusiasmo, e sorrise, del sorriso più bello che Pan potesse immaginare di vedergli addosso. Dimenticò quasi la paura causatagli dallo strano atteggiamento che aveva avuto non appena si erano incontrati. Perdendosi nel suo sguardo di quel momento pareva quasi impossibile che in quell’animo potessero albergare pensieri malvagi.

Lo trovò bello, come un dio. E si incantò a guardare il suo sorriso allegro e contagioso, il suo sorriso sincero e buono.

E nonostante Pan in quel momento non lo sapesse ancora, lo avrebbe eternamente conservato nei suoi ricordi con quel meraviglioso sorriso stampato in faccia.

“Allora ci vediamo domani allo stesso posto e alla stessa ora. Si raccomanda puntualità!”

“Certo, farò del mio meglio!” Sorrise Pan passandosi timidamente una mano sulla nuca.

“Beh… Ciao allora.” Il principe abbassò lo sguardo, e con tenera esitazione si avvicinò cautamente alla ragazza. Quando distò da lei soltanto di qualche centimetro, senza distogliere lo sguardo da terra gli posò timidamente un bacio sulla guancia, esattamente come lei aveva fatto il giorno precedente.

Pan arrossì, ma non si sottrasse a quel timido bacio. Lo trovò dolce, inverosimilmente piacevole.

E si sorprese per la straordinaria capacità del principe di riuscire a sconvolgere il suo piccolo cuore aumentandone vertiginosamente i battiti con un semplice, casto bacio.

“A domani, Vegeta.”

Dopo averlo salutato la ragazza corse via prendendo la direzione di casa, senza accorgersi dello sguardo del principe fisso su di lei.

Vegeta la guardò sognante mentre si allontanava, bella come la luna, guardò i suoi capelli corvini muoversi in insieme al vento, guardò le sue piccole mani scuoterli, la vide scomparire.

Rimase tuttavia fermo come un pesce lesso a guardare nel vuoto il riflesso di un immagine che viveva ormai solo nella sua mente, senza riuscire a smettere di sorridere.

Non gliene importava nulla della consapevolezza di avere una faccia da idiota. Si sentiva felice, come non lo era mai stato prima di allora.

Aveva sperato con ardore che quell’allenamento fosse un buon diversivo. Aveva provato un piacere non indifferente a rivedere quella ragazzina. E lei era stata un’autentica rivelazione.

Non sapeva di avere a che fare con un principe, ma era rimasta comunque insieme a lui. E la sua potenza fuori dall’ordinario contribuiva a renderla ancor più speciale.

 

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“Già di ritorno? Credevo che fossi ad allenarti.”

“Infatti è così, padre.”

“E sentiamo, perché mi avresti chiesto colloquio?”

“Ci tenevo ad informarla che non ho più intenzione di tenere i miei soliti allenamenti contro i Saibaiman. D’ora in avanti mi allenerò in maniera diversa, in maniera molto più produttiva ed efficace. Mi auguro che lei non abbia nulla in contrario.”

“C-cosa? Osi chiedermi se ho qualcosa in contrario? NON OSERAI FARE QUALCOSA DI DIVERSO DA CIO’ CHE IO TI ORDINERO’! Sono stato abbastanza chiaro? Ho lasciato correre per la giornata di oggi, ma è stata una sporadica eccezione, cerca di tenerlo a mente. Esigo che tu continui a tenere i tuoi ordinari allenamenti, non accetto repliche a tal proposito.”

“Stavolta non le obbedirò, padre.”

“C-cosa hai detto?”

“Ho detto che non le obbedirò! Non le è mai importato nulla dei miei allenamenti! Ha sempre preferito levarsi di dosso questa responsabilità affidandola a quei disgustosi mostriciattoli!! Ma ci tengo a farle presente che questa situazione non mi sta più bene. L’ho accettata di buon grado finora perché era lei a volerlo, perché credevo che lei sarebbe stato… Orgoglioso di me. Eppure non è servito a niente. Tutti questi anni di allenamenti non sono stati di alcun giovamento per me, e oltretutto lei continua ad essere insofferente nei miei confronti!! Comincerò a fare ciò che ritengo sia meglio per me e per il mio metodo di combattimento. E sono io a non accettare repliche a tal proposito. Arrivederla, padre.”

Con la stessa risoluzione con la quale aveva proferito il proprio proponimento, il Principe aveva abbandonato la sala in cui si trovava il padre, lasciandolo da solo con i propri pensieri.

E fu indicibile la tristezza alla quale il Re si abbandonò.

‘Stupido moccioso… Come hai potuto parlarmi così? Possibile che tu non ti renda conto che non posso allenare qualcuno che è già più forte di me? ’

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Passò il resto della propria giornata appollaiato sul letto della propria camera, scosso da mille pensieri.

Si pentì amaramente della cattiveria e dell’arroganza sfoggiate contro il padre. Ma non poté fare a meno di constatare tra sé e sé che quella sfuriata fosse stata assolutamente necessaria.

In fondo un allenamento più produttivo era ciò che bramava da tanto, troppo tempo ormai. E non avrebbe potuto permettere a suo padre di fargli sfuggire un’occasione tanto propizia di realizzare il proprio progetto.

Si addormentò, di un sonno inquieto e tormentato.

E la mattina seguente il suo umore era inverosimilmente pessimo. Si decise tuttavia a non rinunciare alla propria mattinata d’allenamento insieme a Pan, consapevole del fatto che un combattimento impegnativo e spossante sarebbe stato l’ideale per scacciare definitivamente dall’anima pensieri spiacevoli e indesiderati.

Sbrigatosi in tempi considerevolmente brevi, il Principe decise di non nascondersi nuovamente agli occhi severi del padre, ma di uscire allo scoperto, facendo ogni cosa alla luce del sole.

Nonostante la propria apparente boria, tremava di terrore puro fin dal profondo del cuore. Sperò con ardore di non incrociare il Re per le vie del castello, ma le sue speranze furono vane.

Il Re era fermo lì ad attendere il suo passaggio, e non appena vide arrivare il figlio cominciò a fissarlo. Ma il suo sguardo era ben diverso rispetto a quanto Vegeta si aspettasse. Non vi era traccia di rabbia nei suoi occhi, né di rimprovero.

Pareva paradossalmente triste, carico di risentimento, di inspiegabile malinconia. E al principe strinse il cuore a quella visione.

Lo sentiva pesargli nel petto per via dei sensi di colpa, per via dell’insopportabile frustrazione che vi albergava da troppo tempo. Ma non ebbe il coraggio di proferire neppure una singola parola.

“Vai ad allenarti, Vegeta?”

“S-si… Padre.”

“Spero che questi nuovi allenamenti… Ti soddisfino.”

“La ringrazio infinitamente, padre.”

Privato completamente del coraggio di alzare lo sguardo verso la figura paterna, il principe a capo chino si accinse ad uscire di casa in religioso, colpevole silenzio.

E il Re continuò a guardarlo mentre si allontanava, chiedendosi con ardente curiosità quale potesse essere lo straordinario avvenimento verificatosi nella vita di suo figlio che fosse stato in grado di sconvolgerlo a tal punto.

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“Buongiorno, Vegeta.”

“Ciao. Beh, cominciamo?”

“Si… Certo.”

Pan lo trovò strano, inverosimilmente strano. Constatò con fastidio che Vegeta fosse lunatico, da far paura. Passava con straordinaria velocità da uno stato emotivo ad un altro, e i suoi atteggiamenti risultavano contrastanti nel giro di qualche istante.

Pan non riuscì a spiegarsi il suo strano comportamento. E cominciò a chiedersi con curiosità quale dei tanti “Vegeta” che aveva conosciuto in un lasso di tempo tanto breve fosse da considerarsi quello autentico.

Durante quell’allenamento Pan trattenne di gran lunga la propria forza, permettendo a Vegeta di attaccarla e di colpirla. Ma non mancò neppure di rispondere al proprio avversario con colpi ben calibrati e precisi.

Se il suo intento era quello di farlo migliorare, permettendogli così di avere qualche chances in più contro Freezer, dargliela completamente vinta non sarebbe stato l’ideale.

Ma trovò che Vegeta fosse inspiegabilmente già migliorato. Lo vedeva combattere con focoso ardore, carico di adrenalina, di inspiegabile rabbia forse.

E notò quanto a fondo si stesse impegnando in quel combattimento.

Si lasciò battere nuovamente per evitare di lenire al suo stato emotivo, già evidentemente precario ed al suo prezioso orgoglio.

E quando infine, esausti, si lasciarono cadere insieme sull’erba, Pan non mancò di notare l’espressione del Principe.

Stringeva i pugni in preda alla frustrazione, alla rabbia.

Pan sperò vivamente quella rabbia non fosse da attribuire a qualche proprio inconsapevole atteggiamento sbagliato, così, dopo averlo osservato silenziosamente, carica di timore, per qualche istante non si decise a parlargli.

“Vegeta… Va tutto bene?”

“Tsk. Certo che va tutto bene.”

Pan, zittita in maniera tanto indelicata, si sentì a disagio. Non conosceva abbastanza bene Vegeta per sapere se a quel punto fosse opportuno insistere o meno. Si trovò nel medesimo stato di imbarazzo che gli scaturiva dalla compagnia del Vegeta della sua epoca.

“Beh…  Sappi comunque che puoi parlare di qualsiasi cosa con me, se ti va.”

Pan sapeva quanto Vegeta fosse un ragazzo intelligente. E sapeva quanto quelle parole bastassero a fargli capire ogni cosa

E Vegeta infatti non tardò a capire. Non tardò a capire quanto potesse fidarsi di lei. Trovò che sfogarsi con qualcuno per la prima volta nella sua vita non potesse fargli altro che bene. E trovò soprattutto che Pan fosse sua amica. L’unica amica che il destino gli avesse mai concesso.

Strinse ferocemente i pugni digrignando i denti, e cominciò a parlare per la prima volta nella sua vita, quasi senza rendersene conto, delle proprie angosce.

“Quel castello è una prigione. Bisogna sempre stare attenti a cosa dire, a come dirlo, a cosa è opportuno e cosa non è opportuno fare. E’ una prigione piena di imposizioni e di divieti, un mondo a sé, fatto di formalità e convenzioni, senza un minimo accenno di ... normalità.  A volte mi sento come se portassi addosso una maschera che non posso mai levarmi di dosso. Ricevimenti, allenamenti, colloqui, riunioni! Li detesto! Quella è… Una vita che non fa per me. E a mio padre non importa nulla! Ho sempre fatto tutto ciò che voleva affinché fosse fiero di me, eppure non ha mai dimostrato il benché minimo interesse nei confronti di ciò che vorrei io. Non capirà mai che io non voglio fare il re! E quel che è peggio, nessuno mi ha mai considerato per quello che sono. Mi temono perché sono il più forte, mi rispettano perché sono il Principe. Nient’altro. A nessuno è mai importato realmente qualcosa di me. Ho sempre avuto un sacco di persone intorno, fin troppe. Eppure sono sempre stato completamente solo.”

Tremò incontrollatamente e in un gesto di disperazione si portò le mani alle tempie, senza pensare a nulla.

Quando all’improvviso si capacitò della propria assurda stupidità.

Si era sentito talmente a suo agio con lei da aver completamente dimenticato la propria iniziale bugia sulla propria identità.

Aveva sentito di potersi fidare di lei a tal punto da aver messo a nudo la propria anima.

Aveva sentito a tal punto di poter essere se stesso che si era sfogato con lei per la prima volta nella sua vita, senza nasconderle nulla.

Si sentì un idiota. Un perfetto idiota. Ebbe l’improvviso desiderio di aprire un varco inesorabile nel terreno sottostante e di precipitarvi senza possibilità di salita.

Sgranò gli occhi e diede le spalle alla fanciulla, la quale si limitò a sorridere dolcemente.

“Beh… Sei qui, e sei lontano da tutto ciò che detesti. Non pensarci, e godi di quello che hai. Alla fine andrà tutto per il meglio, ogni cosa andrà esattamente per come sarai tu a volere che vada, ne sono sicura.”

Consapevole del fatto che portare avanti quella sceneggiata fosse oltremodo sciocco oltre che inutile, il Principe si decise a confessare il proprio inganno, mettendo al corrente Pan della propria identità.

“P-pan, io… Ti ho mentito...”

“Non importa. Questo non cambierà nulla tra di noi, Vegeta.”

Vegeta, estremamente sorpreso non riuscì a trovare parole adeguate per esprimersi. Non gli aveva permesso di concludere ciò che stava per dirle, eppure aveva capito ogni cosa.

Il turbinio di emozioni che gli aveva attraversato il cuore era stato eccessivo per potergli concedere di proferire anche una singola, stupidissima parola. Si limitò a guardarla ammirato, per la sua dolcezza, per la sua capacità, in maniera tanto genuina, di essere speciale.

Lesse nei suoi occhi la sincerità che palesemente ne traspariva. Lesse nel suo sorriso sereno tutta la sua dolcezza.

“Ti va di fare un bagno in quel lago laggiù?”

“U-un bagno? Ma ti sei ammattita? No, non se ne parla!”

“Beh, fa’ come vuoi.”

Presa la rincorsa, Pan si diresse a velocità fulminea verso l’acqua limpida del laghetto che poco distava dal luogo del loro allenamento, e arrivata in prossimità della riva vi si lanciò dentro senza neppure levarsi di dosso i vestiti, creando un fragoroso boato.

Sapeva che presto il principe l’avrebbe raggiunta, anche soltanto per sbraitare un po’. E a quel punto avrebbe messo in pratica il proprio diabolico piano.

Il principe effettivamente non tardò molto ad arrivare. Giunto alla riva si fermò, sconvolto dall’improvvisa follia della ragazza.

“Avanti Vegeta, tuffati!!”

“Neanche per sogno.”

Pan ridacchiò, e con un balzo improvviso afferrò il Principe per il polso trascinandolo con sé in acqua.

 

Fradicio all’inverosimile, e con le vene sulle tempie rabbiosamente pulsanti, il principe serrò i pugni in preda ad un incombente attacco isterico.

“BRUTTA… Grrr…. Augurati che non ti raggiunga altrimenti saranno guai seri per te!!”

Pan senza smettere di ridere si godette a pieno la sfuriata più che legittima del principe, e prese a scappare lontano dalle sue grinfie.

Fino a quando anche il Principe non prese gusto a quel gioco infantile, e cominciarono a rincorrersi ridendo in allegria.

Il principe credette di non essere mai stato tanto felice e spensierato in vita sua. E quasi gli parse estranea la propria iniziale disposizione d’animo.

Trovò che quella ragazza fosse un autentico toccasana. La fortuna migliore che la sorte gli avesse mai concesso.

E a tratti si fermava, interrompendo la propria infantile occupazione, come un qualsiasi ebete, per osservarla e sorridere, per la sua bellezza, per la propria fortuna.

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“Allora a domani!!”

“Ciao, Pan.”

Prima di andare via si era voltato un’ultima volta per guardarla, e le aveva rivolto uno dei suoi splendidi sorrisi.

Un sorriso sicuro, enigmatico, eppure allo stesso tempo dolce e un po’ impacciato.

Pan si intimidì per la sua straordinaria bellezza, e rispose al suo saluto in un sussurro, abbassando gli occhi.

“Ciao, Vegeta.”

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“Pan, finalmente!! Oggi ci hai messo più del solito! Beh, allora? Com’è andata?”

“Beh, è soltanto che stamattina le cose hanno preso una piega… Inaspettata!!”

“Cioè? Spiegati meglio!”

“Cioè, sono riuscita a fare in modo che Vegeta si confidasse con me!! Credo che abbia cominciato a nutrire fiducia nei miei confronti. Mi ha anche confessato di essere il Principe!!”

“Dici sul serio? E’ una notizia straordinaria! Stento a credere che sia realmente mio padre…”

“Ti sbagli, Bra. E’ perfettamente il Vegeta che conosciamo noi. L’unica differenza è che è ancora… Innocente! Probabilmente non ha ancora passato tutto ciò che lo ha reso la persona che conosciamo noi, perciò direi che la sua innata malvagità è ancora… Acerba!”

“Comunque sia, cerca di continuare ad andarci d’accordo. Abbiamo seriamente bisogno di questa vostra ‘amicizia’. Domani ho appuntamento con quel tipo, Radish. Vedrò di scoprire anch’io qualcosa di utile.”

“Estorcigli quante più informazioni riesci, Bra. Ogni singolo aiuto può risultarci utile.”

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Il resto della giornata trascorse lento per entrambi. Poiché entrambi si ritrovarono persi l’uno nei pensieri dell’altro.

Vegeta passò quella notte a chiedersi se realmente la propria identità non avrebbe influito sul rapporto che si era magicamente venuto a creare tra lui e quella strana ragazza, e in modo particolare sull’opinione che lei si era precedentemente creata di lui.

E Pan passò quella medesima notte a pensare a Vegeta, inconsapevole di essere tra i suoi pensieri allo stesso modo.

Pensò con tenerezza alla sua necessità di passare una vita spensierata e allegra, al suo smodato bisogno di affetto, di comprensione, di svago. Pensò con felicità al fatto che fosse riuscito ad aprirsi a lei, ripensò sognante al modo in cui lui aveva cominciato a guardarla, a sorriderle. Sentì di volergli bene, di un affetto nuovo. Sentì per la prima volta di non considerarlo più come un inarrivabile tipo misterioso e strano, ma come un ragazzo solo, solo e un po’ triste.

Si addormentò sorridendo, impaziente di passare insieme a lui nuove giornate di allenamenti, di giochi e di confidenze.

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Angolo dell’autrice: Ciao!! Sono in estremo ritardo (di nuovo), ma vi prego di perdonarmi! Qualche volta l’ispirazione viene a mancare, ma ecco che finalmente anche questo capitolo è pronto!! Stavolta ho scelto di pubblicarne più di uno insieme, per rimediare al mio ritardo! (I capitoli pubblicati oggi sono il n.3, il n.4 e il n.5) Spero che vi piacciano e che vogliate lasciare una recensione. Ringrazio comunque nuovamente tutti coloro che seguono la storia, la tengono d’occhio, la recensiscono o anche semplicemente la leggono! Un grazie di cuore a tutti! :**

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