Caos

di Toms98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - cinque strade differenti ***
Capitolo 2: *** Special Operative Squad ***
Capitolo 3: *** Duro addestramento ***
Capitolo 4: *** Segreti di Stato ***
Capitolo 5: *** Il Deserto dei Demoni ***
Capitolo 6: *** Femme Fatale ***
Capitolo 7: *** Death Made in China (pt. 1) ***
Capitolo 8: *** Death Made in China (pt.2) ***
Capitolo 9: *** A volte ritornano ***
Capitolo 10: *** Prime della classe ***
Capitolo 11: *** Ultimi della lista ***
Capitolo 12: *** EPILOGO - Una via solitaria ***



Capitolo 1
*** PROLOGO - cinque strade differenti ***


PROLOGO- Cinque strade differenti
Periferia di Torino
Marco scorreva il dito fra le pagine del libro di Filosofia, assaporando coi suoi occhi marroni i pensieri di Talete e frammenti dei testi di Anassimandro. Da quando aveva iniziato il terzo anno dello Scientifico quella materia in particolare lo aveva affascinato sin da subito, forse perché spesso i pensatori avevano idee così simili alle sue, forse perché la sua professoressa sapeva far amare la sua materia, o forse più semplicemente perché la filosofia era un po’ una tradizione di famiglia. Stava leggendo proprio ora la visione ciclica sulla nascita delle cose di Empedocle, quando una figura alle sue spalle si avvicinò. << Non vorrei disturbare il signor genio incompreso, ma sono arrivati gli zii dall’America >> disse sua madre, facendogli alzare la testa dal libro di scatto. Un enorme sorriso attraversò la sua bocca in un battibaleno, quando capì ciò che gli aveva detto sua madre. Corse in bagno, passò freneticamente il pettine fra i suoi capelli marroni, poi tornò in camera, scelse i vestiti migliori e li indossò. Scese le scale a grande velocità e si fiondò in sala. Al tavolo si erano già sedute Lucia, sua sorella, Antonio, suo padre, ma soprattutto l’anima della giornata, l’esempio da seguire in tutti i modi: suo zio Achille, appena tornato dall’America, con la moglie Elizabeth. Achille Rossi, fratello di suo padre, era da sempre stato per Marco una luce in fondo alla galleria. Di professione era, in teoria, un direttore di banca, ma lui preferiva presentarsi come filosofo neoantico. Certo, le sue teorie non erano famose, però spesso si erano rivelate molto fondate. Era grazie a lui che Marco si era convinto ad andare allo scientifico, e il ragazzo sapeva che ogni volta che tornava a Torino gli regalava qualche apparecchio di innovata tecnologia, poi parlavano dei pensieri filosofici e infine si godevano in sacrosanto silenzio la partita della Juventus. Quella sera non fu diversa: sorrisi, abbracci, Elizabeth che si lamentava di come la cucina a New York non fosse buona come qui, battute, discussioni, e fu così che si arrivò al momento tanto atteso da tutta la famiglia. Achille si alzò, bevve un po’ di vino, si schiarì la voce e cominciò: << Come sapete, molti filosofi, tra cui Empedocle, pensano che l’archè, il principio di tutte le cose, sia nella combinazione di acqua, fuoco, terra e aria. Ebbene, allora anche noi saremmo fatti di queste cose. Ma siccome siamo esseri di intelletto, se fossimo formati da questi quattro elementi, non potremmo sfruttare la nostra intelligenza per modificarli? Secondo me si può. >> Marco e suo padre si guardarono straniti. Si sapeva che spesso le teorie di suo zio erano al limite della pazzia, ma questa era ben oltre. Controllare gli elementi non era minimamente nelle più rosee aspettative del genere umano. << Lo so che credete che sia pazzo >> continuò il filosofo << ma pensateci un attimo. Gente che sente la pioggia annusando l’aria, uomini e donne che improvvisamente prendono fuoco. Tutto ciò è la dimostrazione del potenziale umano >>. << Quindi, secondo te, solo perché delle persone bruciano senza motivo l’uomo può sparare sfere di fuoco? Non sono argomentazioni valide. >> ribatté Marco. << Punto uno, io non ho mai parlato di sfere di fuoco, punto due... >> Achille respirò un attimo << ...ho qualcosa che lo prova. >>
Kiyomizudera, Kyoto
Il gran maestro si aggirava fra le stanze del tempio per cercarla, ma lei era più furba. Sapeva bene dove il maestro la avrebbe cercata e quanto tempo ci avrebbe messo a trovarla, sempre se ci fosse riuscito. Non appena il suo insegnante passò oltre il suo nascondiglio e svoltò l’angolo, con il massimo silenzio si diresse verso la sala da pranzo, dove lo avrebbe atteso al suo ritorno. Jeshi Yamamoto, bionda, occhi azzurri, sedici anni non ancora compiti, amava e odiava allo stesso tempo il suo addestramento. Lo riteneva troppo rigido e monotono, così fra un allenamento e l’altro scappava e si rifugiava da qualche parte nell'imponente struttura, poi metteva le cuffie nelle orecchie e ascoltava musica. Stava per farlo anche quella volta, quando sentì dietro di lei la voce del gran maestro, che le diceva con voce burbera e serena al tempo stesso: << Jeshi, non dovresti essere qui, ma in camera tua a meditare, allenarti o altro. E di certo non dovresti avere quel coso. >> e porse la mano per ricevere il dispositivo. Jeshi arrotolò le cuffie e lo appoggiò delicatamente sulla mano del maestro. << Però non è giusto. >> ribatté la ragazza << Non violo mai la regola del silenzio, se no non avrei preso le cuffie. >>
<< Non è una questione di silenzio o no, ma di concentrazione. Più ti concentrerai, meno durerà l’addestramento. >>
<< Maestro, non so come ha fatto a sopportare lei questi insegnamenti senza infrangere le regole >> disse la giovane, mentre i due si avviarono verso la sala da pranzo.
<< Non ho mai detto che non le infrangessi >>
<< Allora perché io non posso infrangerle >>
<< Anch’io ero giovane, anch’io ero annoiato da questa vita, anch’io infrangevo le regole, ma ogni volta il mio gran maestro mi rimproverava e mi faceva capire che sbagliavo. Dovresti concentrarti anche tu, visto che... >>
<< Visto che? >> Jeshi finse di non avere la più pallida idea di cosa stesse per dirle, ma in cuor suo sperava fosse quella risposta. << Visto che >> continuò il vecchio << il Consiglio degli Anziani ha fissato la data del tua esame finale per diventare una Kunochi >>
Jeshi trattenne a sento un grido di gioia. Era il suo sogno, fin da quando ancora bambina era stata adottata dal gran maestro a seguito dell’omicidio-suicidio dei suoi genitori. Ringraziò il vecchio e si diresse in camera sua per allenarsi.
Guymon, Oklahoma
Una goccia cadde dal soffitto. Shawn non se ne accorse. Era troppo preso da quello che aveva fatto. Rosso. L’unico colore che vedeva. L’unico colore che avevano le pareti e il pavimento. Anche lui era rosso; grondava rosso sin dai capelli corvini. La lama, la katana, che teneva ancora in mano cadde a terra. I suoi occhi scuri erano fissi alla scena che gli si delineava davanti. Per terra, che ancora perdeva sangue, c’era il corpo senza vita e senza testa di Warren Withman, alcolista, burbero e malvagio nell’animo, sposato con moglie e due figli. Il maggiore, che aveva trent’anni, era Shawn. Le orecchie di Shawn lo destarono da quello stato di shock. Dalla cucina, la madre continuava a piangere, appoggiata ai piedi del frigorifero. La faccia piena di sgraffi e di lividi, l’occhio destro nero, la mano bruciata da poco. I vestiti, laceri, le coprivano le ferite peggiori. A lato, un coltello e una tanica di benzina che perdeva ancora il liquido. Dall’altra parte, una scatola di fiammiferi, caduti per terra. In braccio, la signora Withman teneva la figlia, Sonya, di poco più di dieci anni. La piccola era molto meglio vestita e sembrava perfetta, se non per la testolina, adagiata in modo non naturale sulla spalla. I segni dello scarpone che la aveva colpita le erano ancora impressi sulla guancia delicata. Shawn si abbandonò allo shock. La spada che teneva in mano, appartenente alla collezione di suo padre, gli cadde di mano e colpì una bottiglia di vodka, ancora in mano a colui che era, e ora non è più. Cercò di rimettere insieme i pezzi, di ragionare. Impossibile. La televisione era ancora accesa. L’unica cosa che si muoveva in quella stanza. Shawn era ancora sotto shock, ma qualcosa lo spinse a muoversi. Conosceva i suoi vicini, degli impiccioni senza capo né coda. Sentendo le grida di quella casa, avranno già chiamato la polizia. E lui sarebbe stato incolpato. Corse in bagno, cercò di pulire il sangue. Una voce gli ronzò nella testa, mentre lavava via il sangue dalle mani. “Non sei diverso da lui!” diceva “Sei malvagio!”. Shawn prese tutto quello che poteva. Vestiti, soldi e poco altro. Il resto lo avrebbe preso durante la fuga. Non riuscì a cambiarsi i vestiti, quindi si mise addosso una felpa e corse verso l’uscita secondaria con uno zaino in spalla. Passò per la cucina. Si avvicinò alla madre. Provò a sfiorarla, ma lei sembrava non accorgersi di lui. Canticchiava singhiozzando una dolce ninna nanna al suo angioletto. << Addio mamma >> disse fra i denti << Spero che tu possa essere felice >>. Uscì di corsa dalla casa. Il giardino era, per sua fortuna, invisibile dalla casa affianco. Il retro della casa dava su un torrente. Era la sua salvezza. Doveva solo nuotare fino al Beaver, quindi seguirlo fino a Oklahoma City, a quel punto poteva scendere a sud verso il Texas, proseguire a est verso l’Arkansas o, se fosse stato fortunato, prendere un treno e raggiungere New York o Miami. Si tuffò. L’acqua era gelida, ma non gli importò. Sentiva come se quell’acqua gli lavasse via le sue colpe. Appoggiò le sue scarpe da tennis sul fondo del fiume e avanzò seguendo la corrente. Le sirene della polizia risuonarono in lontanza.
San Pietroburgo
Igor Romanoff colpì l’avversario con un diretto sinistro. La protezione del suo avversario non resse. Indietreggiò un paio di metri e finì alle corde. Il Gigante Biondo, così era chiamato Igor nel giro dei tifosi di pugilato, sorrise beffardo dall’alto dei suoi due metri. Iniziò quindi una serie continua di montanti, ganci e diretti. I guantoni blu colpivano a gran velocità il suo avversario. Dopo una serie di colpi, si fermò a far respirare il suo avversario. Poi, mentre l’avversario preparava un diretto, lo colpì alla mascella con un uppercut. Dieci secondi dopo Ivan era, di nuovo, il campione mondiale dei pesi massimi. Sorrise, con tutto lo stadio casalingo che inneggiava il suo nome. Il Gigante Biondo, non solo alto ma anche enorme, scese dal palco e fu avvicinato dal presidente russo, che si congratulò con lui. Mentre entrava negli spogliatoi, un cronista americano che aveva seguito il match disse che non era ancora nato un Rocky ma era nato un Ivan Drago. Un uomo in giacca e cravatta lì affianco sorrise e si diresse verso lo spogliatoio. Igor lo aspettava affranto su una panca. << Complimenti IR/7 >> disse il russo, parandosi davanti a lui con austerità << Vedo che i nuovi test sono andati bene. Le dosi sono state aumentate. A breve dovremmo essere in grado di passare alla fase due. >> Igor sbuffò mentre l’uomo usciva dalla porta di servizio. Non lo aveva scelto lui il su destino, ma era stato costretto dalle circostanze. Deformò con un pugno l’armadietto lì vicino e si allontanò verso la porta principale. Entrò quindi nella limousine. Si sedette sui sedili e provò a riposare. Una voce lo disturbò mentre socchiudeva gli occhi. << Salve signor Romanoff >> disse una donna con forte accento russo << Il mio nome e il mio ruolo dovranno rimanere segreti. Se ti può tornare utile chiamami Boulevard. E sono qui per proporti un accordo. >> Igor aggrottò la fronte.
Manhattan, NY
<< Oramai è giunta la mia ora >> disse fissando la telecamera Alfred Wald << Un genio ha sempre una vita tormentata, un destino segnato. Mostrare al mondo un barlume di speranza, per poi essere distrutto dall’uomo stesso. Questo è il male supremo di questo mondo. Loro potevano agire, se solo avessero voluto. Ma la diagnosi è arrivata tardi, troppo tardi dicevano. Tumore al cervello. Incurabile, se non con l’asportazione di quella parte di cervello. E io avrei accettato, se non fosse che è una pratica illegale ovunque su questo pianeta. Ma ciò non mi fermerà. E non solo. Io non sarò morto. Io sarò tutto. Grazie a questo meccanismo. >> e così dicendo mostrò la specie di casco che aveva al lato della testa << Con questo, sarò in grado di non morire e di continuare ad usare il mio cervello anche se infettato ancora dal male. Spero che chi vedrà questo filmato, possa capire le motivazioni che mi hanno spinto a questo folle volo, ma... >> Non riuscì a finire la frase che fu colpito da una fitta. Ultimamente erano molto più frequenti. Alfred impallidì. Non doveva succedere. Il meccanismo doveva salvarlo. Cadde a terra esanime. gli occhi gli si chiusero e morì. Dieci secondi e riaprì gli occhi. << A scoppiò ritardato, ma funziona bene. >> disse rialzandosi da terra. Spense la telecamera. Ora era il Frankenstein di se stesso, ma non aveva nessuna intenzione di uccidere il suo creatore. Indossò un esoscheletro rinforzato e uscì
<< Alfred Wald è morto. Il Rinato è sorto. >> disse uscendo da casa.
San Pietroburgo
Boulevard accennò leggermente da sotto l’uniforme rubata. Igor rispose abbassando lo sguardo. Si superarono senza considerarsi, come prevedevano i piani. Igor, scortato da due poliziotti, stava attraversando il corridoio verso quella odiosa sala che avrebbe visto per l’ultima volta. Arrivato alla porta, le guardie lo fecero entrare. Il professore che lo aveva trasformato in una cavia da laboratorio era lì, con in mano l’ultima fiala di quell’odioso siero che lo rendeva una massa incontrollata di muscoli. Il dottore lo fece sdraiare lentamente sulla sedia, quindi gli iniettò il composto. Igor strinse i denti mentre il prodotto faceva dolorosamente effetto. Il professore si era appartato nel frattempo con l’uomo in giacca e cravatta, al cui fianco stava, fingendosi un'inesperta stagista, Boulevard.  Il dolore era passato, ma Igor continuava ad essere contratto. Il professore si avvicinò e lo tranquillizzò. In quel momento il piano si attuò. Igor scattò contro il dottore e gli ruppe il collo con un colpo secco. Da dietro, l’uomo in giacca e cravatta estrasse rapidamente una pistola, ma Buolevard fu più rapida di lui e lo freddò in un instante. Igor si affiancò a lei, prese la pistola che gli porgeva la donna e spalancò la porta. Le guardie erano a terra, morte, mentre davanti un giovane li stava aspettando, anche lui armato. << Ce ne avete messo! >> disse poi mentre correvano verso l’uscita. Buolevard rispose parlando della difficoltà di far stare zitta quella stupida stagista. Erano a qualche metro dall’uscita, quando si parò contro loro un cospicuo gruppo di soldati armati di mitra. Igor aprì di scatto una porta e vi entrò con Buolevard, mentre Tracker, quello era il nome in codice del giovane, riuscì a malapena a ripararsi dietro un mobile, rimanendo però ferito alla gamba. << Andate, ve li tengo occupati >> disse sganciando una granata. I due corsero verso l’uscita secondaria, fortunatamente quei pochi soldati che incontrarono non furono un problema, e si ritrovarono in men che non si dica fuori. Lì Headchief, un altro dell’organizzazione terrorista di Buolevard, li aspettava travestito da generale in una jeep parcheggiata lì fuori. Riuscirono a fuggire dal piccolo appartamento senza problemi. << E Tracker? >> chiese Headchief. << E’ rimasto indietro >> rispose Buolevard, poi si rivolse a Igor e disse << Come ben saprai, siamo un'organizzazione terrorista mondiale che impedisce che vengano fatti esperimenti sull’uomo. Tu sei il caso più eclatante, quindi prima fuggiremo dalla Russia, prima saremo salvi e potrai raccontare cosa ti hanno reso. Fino a quel momento non farne parola con nessuno. Capito? >> Igor annuì lentamente, per lui non era un problema, era sempre stato un tipo taciturno, anche prima, credeva, ma ormai i ricordi di quando era ancora giovane e normale erano annebbiati. Pensava sempre se fossero stati loro a cancellargli i ricordi o lui stesso, ormai arresosi al non poter più essere il bambino dolce e gracile che era prima, a cancellarli gradualmente. Era assorto in quei pensieri quando Headchief alla guida della macchina imprecò. Boulevard scrutò oltre il sedile davanti al suo e si morse il labbro. C’era un posto di blocco della polizia. Incredibile, pensò Igor, dopo essersi salvato dal laboratorio ora doveva ricominciare da zero per uno stupido posto di blocco. Poi, ragionando, capì che non  doveva preoccuparsi. Solo i piani alti sapevano del progetto IR/7, quindi non erano lì per lui. D’altro canto, i terroristi della Human Gene agivano nell’anonimato, quindi erano semplicemente il più famoso pugile del momento, una donna, forse la sua nuova fiamma, e il loro autista. La copertura reggeva bene, anche perché era noto a tutti che Igor adorava le jeep e la vita semplice. Quando i poliziotti li fermarono, i tre rimasero tranquilli e sorridenti. Igor non poté fare a meno di stupirsi della bravura a fingere di Boulevard. Dopo aver restituito i documenti, l’ufficiale che li aveva fermati li invitò a proseguire. Dopo aver ringraziato, i tre si allontanarono.
<< Preparatevi a scappare >> disse Headchief. Igor lo guardò stranito e fece per chiedere informazioni, ma Boulevard lo precedette: << Credo che sia troppo tardi, ormai. >> disse la donna << Tracker ci ha traditi! Verremo arrestati. >>
Non fecero più di duecento metri che un elicottero sbucò dal cielo notturno, puntandogli un faro luminoso addosso. Nel giro di qualche minuto decine di truppe di forze speciali sbucarono dai lati della strada, puntando i fucili contro l’auto. Headchief frenò di botto, alzò le mani e fece cenno agli altri due dietro di fare altrettanto. << Guardate il lato positivo >> disse, mentre i soldati si avvicinavano ad armi alzate  << Sono delle forze internazionali. >>
Oklahoma City, Oklahoma
Shawn entrò nel negozio con nonchalance. Era il secondo negozio che visitava da quando era scappato, e nel primo per poco non veniva scoperto. Qui non doveva commettere lo stesso errore. Entrò e si diresse verso gli scaffali degli alimentari. Prese un paio di snack, qualche bottiglia d’acqua e si diresse verso l’uscita. Si fermò poco prima di svoltare l’angolo. Dalla vetrina si vedeva una volante parcheggiata, mentre un poliziotto stava entrando. Salutò la commessa del negozio, si avvicinò al bancone e cominciò a parlare: << Signora, stiamo indagando su un omicidio, ne avrà sentito parlare. >>
<< Certamente >> rispose la donna << Quel giovane che ha ucciso il padre e la sorella, e per il quale la madre è finita all’ospedale sotto shock >> Shawn strinse i denti. Quel burbero ubriaco aveva ucciso sua sorella e ora tutti pensavano fosse colpa sua.
<< Proprio quello signora >> rispose l’uomo << abbiamo una foto dell’omicida, sa dirmi se lo ha visto da queste parti? >> Shawn impallidì, e si preparò alla fuga.
<< No, mi dispiace >> la risposta della commessa lo lasciò spiazzato. Solo allora capì che molto probabilmente avevano la sua patente e quindi la foto, sfasata di qualche anno, non lo rappresentava esattamente. Si rasserenò vedendo l’uomo uscire e risalire in auto. Corse a rimettere tutto a posto e cercò una porta di servizio. La trovò e uscì dal retro. Si ritrovò in un vicolo deserto. si tirò su il cappuccio della felpa e sbucò in strada, proprio mentre un’auto stava passando. Cadde a terra dolorante, ma per sua fortuna non si era rotto niente. Il guidatore scese velocemente dall’auto. << Come sta signore? >> chiese preoccupato. Istintivamente Shawn si voltò per rispondere, ma davanti a lui si parò il poliziotto che aveva incontrato all’interno. Sulle prime, l’uomo non riconobbe in lui l’omicida, poi se ne rese conto e puntò in faccia la pistola. << Shawn Withman, per la legge dello stato di Oklahoma la dichiaro in arresto. Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio. >> disse il poliziotto, mentre metteva le manette ai polsi di Shawn.
Kiyomizudera, Kyoto
Jeshi era preoccupata, mentre cercava il suo maestro. Questa improvvisa assenza era completamente ingiustificata, di solito non perdeva mai una lezione. Si avviò verso il magazzino, nella speranza di trovarlo lì a scegliere un tipo diverso di allenamento. Arrivò alla porta, e vide che il cappello che portava sempre era lì  su un tavolo. Stava per esordire con una frase del tutto poco rispettosa, quando sentì all’interno delle grida. << Vi prego, farò tutto quello che volete, ma non toccate la piccola >> era la voce del suo maestro che implorava pietà. Jeshi aprì leggermente la porta per vedere meglio la situazione. Un uomo puntava una pistola alla testa del vecchio, mentre altri due lo tenevano fermo e un terzo lo osservava da dietro. << Forse non ci siamo intesi, allora. Io non voglio te, io voglio la ragazza >> disse l’uomo minaccioso
<< Mai! >> rispose duro il maestro << Non seguirà mai le vostre folli idee! >>
<< Hai ragione. Di sua spontanea volontà, non ci ubbidirà mai. Però so come convincerla. >> l’uomo si avvicinò all’orecchio e sussurrò ad alta voce << Sai che ci sta guardando? >> poi si tolse e fece cenno all’uomo dietro. Questi prese una lancia e con forza la conficcò nella gola del vecchio. Jeshi urlò ed entrò spalancando la porta. Gli uomini che tenevano fermo il suo maestro imbracciarono i fucili e li puntarono verso lei, ma il loro capo li fermò. << Ma guarda! >> disse << La piccola Jeshi Yamamoto. Non ci posso credere! Quanto sei cresciuta! >>
<< Perché lo hai fatto? >> urlò piangente Jeshi, china sul vecchio maestro.
<< Io non ho fatto niente, la colpa è tutta tua. >> disse l’uomo
Jeshi stava per controbattere, quando osservò bene l’assassino. Aveva dei guanti. Poi osservò bene la lancia che aveva inconsciamente afferrato. Era la sua. E visto che lei era l’unica che lo aveva toccato a mani nude l’asta, sarebbero state trovate solo le sue impronte. Troppo tardi. << Cosa volete da me? >> chiese la ragazza.
<< Te. La tua bravura è quello che ci serve. Ah, non sai quanto ci sei mancata! >>
<< Chi sei, come fai a conoscermi? >>
<< E’ così che rispondi al tuo adorato zio? Sapevo che quella puttana di tua madre ti avrebbe mandato in un qualche posto dimenticato da Dio, ma non credevo che dopo aver ucciso i tuoi genitori tu me li ricordasti così tanto! >> Esclamò infine l’uomo. Jeshi passò dallo sbigottimento alla rabbia in pochi istanti. Afferrò la lancia, la sfilò dal cadavere e la lanciò con tutta la forza verso l’uomo, che la schivò agilmente.
<< E’ proprio di questo che parlavo. Sei una ragazza tosta, mia cara! Comunque ora ti pongo davanti ad una scelta. O ci segui e, a fino addestramento, potrai provare ad uccidermi, o uscire, essere arrestata dalla polizia ed essere giustiziata a morte. E qui non siamo in America, qui ti fucilano per questo >> disse l’uomo sorridendo << A te la scelta. >>
Jeshi rimase lì impietrita. Avrebbe voluto seguire il malvagio, per poter vendicare sua madre, suo padre e il suo maestro. Ma sapeva che quest’ultimo non avrebbe mai accettato un tale comportamento. Decisa, colpì alla pancia uno di quelli con il fucile, glielo sfilò e lo puntò verso quell’altro che aveva il fucile, poi indietreggiò fino alla porta. << Jeshi, cara, sei sicura che la tua vita vale più della mia? >>
<< No >> poi indicò il corpo << Ma la sua vita valeva più di qualunque altra. >> detto questo gettò il fucile e uscì. La polizia era lì ad aspettarla. La intimarono di fermarsi e lei lo fece, alzando le mani. Sorrise, sentendo di aver fatto la cosa giusta.
Periferia di Torino
In un edificio vecchio e abbandonato, quello che pensi di trovare sono i segni del vandalismo o del tempo. Marco invece vide qualcosa di più strano. Al centro della sala, attaccato a terra, era presente una specie di lancia corta. Achille indicò la lancia e cominciò a parlare di come lo avesse trovato. Marco ne rimase affascinato. Era del tutto incredibile. Sul bordone era incisa una strana formula in greco antico. Achille la tradusse sommariamente: << Solo un puro di cuore potrà gestirne il potere >> disse
<< Toh che strano, mi sa tanto di cliché >> controbattè Marco, avvicinandosi. Anche il resto della famiglia, per la prima volta, prese in giro Achille. Marco, nel frattempo, si era avvicinato alla lancia e, incuriosito, la stava osservando nei minimi dettagli.
<< Cosa succederebbe se la sfiorassi? >> chiede il giovane
<< Non ne ho la più pallida idea. >> rispose il filosofo << Ma io non proverei >>
<< Io sì >> rispose il giovane, e detto questo prese la lancia con una mano e la alzò al cielo. Per pochi secondi non accade nulla, poi un esplosione invase l’aria. Immediatamente Marco si ritrovò nell’occhio di un ciclone che stava distruggendo tutto intorno a lui. Provò a staccarsi dal bordone, ma la mano sembrava bloccata, così come tutto il corpo. Cadde in una specie di trance. Vedeva tutto. Disastri naturali, prodotti in tutto il mondo. Era forse colpa sua? Era quel maledetto bordone ad aver fatto tutto questo? Un brivido gli avrebbe potuto attraversare il corpo, sennonché era ormai della stessa consistenza del marmo. Provò a concentrare le sue vedute. Riuscì a focalizzarsi su quello che stava accadendo affianco a lui. La sua famiglia era fortunatamente al salvo. Una squadra speciale stava entrando nell’edificio abbandonato per fermarlo. Allora riaprì a forza gli occhi. Un uomo armato gli urlò, attraverso la tromba d’aria che lo avvolgeva: << Getta l’arma >>
<< Mi dispiace, ma non posso. Sembra essersi attaccato. >> rispose il giovane, e sentì l’uomo, a circa cinque metri da lui, parlare ad un suo compagno, ma non riuscì a capire niente di quello che dicevano. Poi quello che gli aveva già urlato disse << Ok, questo potrebbe farti un po’ male, ma dovrebbe fermare il potere del bordone >> poi gli spararono un potente narcotizzante. Marco svenne, ma sentì la tromba d’aria infrangersi.
Sede della ARMED, USA
Il colonnello Donald McRonald si avviò verso la sala principale. Le si avvicinò Lauren, la giovane stagista che gli avevano affidato, con in mano una cartella. << Signore, abbiamo fermato altri quattro individui che rientrano nei parametri. Tre stanno per essere giustiziati, mentre uno è definito morto. Possiamo unirli alla squadra >> disse
<< Mi pare ovvio, anche se sarà difficile tenerli uniti >> disse il colonnello
<< Signore, non siamo in Avengers, loro non si odiano, andranno più d’accordo di quanto pensa >> Lauren era fatta così, non riusciva a rimanere formale per più di dieci minuti. Subito si scusò per la caduta di stile. Il colonnello sorrise sotto i suoi baffi autoritari, poi tornò serio e osservò Wald rintanato in una cella.
<< La domanda è un’altra, signore >> disse la rossa trentenne << Accetteranno di unirsi a noi? >>
<< Ne sono certo. All’inizio ci odieranno, odieranno il mondo, odieranno chiunque dovranno difendere. Poi capiranno che è nel loro destino, dobbiamo solo aiutarli. >>
<< Signore >> aggiunse infine Lauren << Forse corre troppo >>
<< Perché? >>
<< Dovremmo prima fare di modo che non odino quello che sono diventati >>
 

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Capitolo 2
*** Special Operative Squad ***


CAPITOLO 1- Special Operative Squad
Sede della ARMED, USA (Celle di contenimento)
Quando Marco si risvegliò, si ritrovò in una grande camera bianca. L’unico arredamento era costituito da sei letti, su cui uno era sdraiato lui, uno più separato dagli altri e un altro molto più robusto, i restanti identici. << Bell’atmosfera, ma dove sono? >> si chiese a bassa voce il ragazzo. Deciso a capirlo fece un giro della stanza. Era un quadrato grande più o meno dieci metri di lato. Continuando il suo giro osservò che la porta, l’unica della stanza, era fatta in modo che si potesse aprire solo dall’esterno, mentre negli angoli erano presenti delle telecamere e le luci provenivano da fari molto luminosi posti sul soffitto. Una prigione. Di lusso, sì, ma pur sempre una prigione. Non c’erano altre parole per descrivere quella stanza. Finito il tour della sua nuova camera, puntò a guardare come era ridotto lui. Cercò il suo cellulare, ma a quanto pare glielo avevano requisito. Notò però che non aveva una divisa da carcerato, il che voleva dire che non sarebbe rimasto lì per molto. Finito anche il controllo del suo corpo, trovando solo qualche cicatrice sul volto, si ritrovò senza niente da fare. Provò a tornare a dormire, ma invano. Si cominciò a chiedere dove fosse, quanto tempo fosse passato da quando lo avevano narcotizzato, se i suoi genitori sapessero che era finito lì. La noia piano piano prese il sopravvento e, dopo una serie di sbuffi, si accucciò nel suo letto e si addormentò. Si svegliò quando sentì un rumore di serratura che si apriva. Sperò che fosse qualcuno a portarlo fuori dai suoi genitori. Quella che entrò fu invece una bionda asiatica, più o meno della sua età, con una tuta parzialmente aderente.
<< Cos’è, qui ci mandano le bellezze a dirti che puoi uscire >> disse in italiano. Jeshi, invece, non capì. Ma sapeva che era in America e quindi provò ad esprimersi con quel poco di inglese che le avevano insegnato al tempio.
<< Salve... Io mi chiamo Jeshi Yamamoto, e tu? >> frase semplice, quasi banale, ma efficace. Giacché Marco rispose all’istante nella stessa lingua: << Ciao, mi chiamo Marco Rossi. Volevo sapere se qui mandavano sempre delle ragazze belle come te a parlare ai prigionieri. >> Jeshi si rallegrò a sapere che il suo interlocutore sapeva l’inglese, ma il suo secondo commento la rese stranita. Anche lui era lì nella stessa condizione? Cosa aveva fatto per stare lì? La curiosità prese il sopravvento.
<< Ehm, no, penso che io e te siamo nella stessa condizione tu cosa hai fatto di male per finire qui? >> chiese diretta la ragazza.
<< Io ho toccato un bastone e ho provocato un disastro mondiale, piuttosto tu cosa hai toccato per finire qui? >> rispose il ragazzo
<< Io ho toccato un bastone... >>
<< Anche tu? Perfetto, sembra che dovunque siamo noi sia illegale toccare bastoni magici! >>
<< ...di una lancia conficcata in un cadavere >>
Marco la guardò sbigottito. Non sembrava avere la faccia dell’assassina, ma se era lì era per un qualche motivo. << Quindi... >> continuò il ragazzo << Chi hai ucciso per finire qui? >>
<< Tecnicamente, ho ucciso il mio maestro al tempio. Ma in realtà sono stata incastrato da mio zio, un mafioso cinese, affinché mi unissi a lui. >>
<< Anche io sono qui per colpa di mio zio! >> disse il ragazzo.
<< Malvagio mafioso? >> chiese Jeshi.
<< Fantasmagorico filosofo >> disse Marco, e vedendo la faccia di Jeshi dubbiosa aggiunse << Pensava che il corpo umano potesse controllare gli elementi. E aveva ragione, solo che la sua argomentazione principale risiedeva in una specie di lancia magica che a quanto pare se veniva toccata provocava disastri su scala mondiale. Hai presente la storia della farfalla? >>
<< Sì, so cosa vuol dire. >> rispose la ragazza, poi si guardò intorno e chiese << Qui cosa si fa per passare il tempo? >>
<< Finora io ho dormito, ma ora siamo in due e possiamo fare altro... >> disse suadente. Jeshi lo guardò alzando le sopraciglia, poi disse: << Certo, possiamo parlare come buoni amici. >>
<< Non siamo amici. >>
<< Lo diventeremo a breve! >> disse stizzita Jeshi. Una vocina nel cervello di Marco disse “Ci dispiace, sei stato friendzonato. Ritenta la prossima volta.”, ma lui negava quei pensieri.
Jeshi si rese conto solo allora che era distrutta per il lungo viaggio a cui era stata sottoposta. Chiese quindi a Marco dove poteva dormire. Lui si voltò, ci pensò un attimo, poi prese uno dei letti identici al suo e lo attaccò al proprio, poi indicò quello aggiuntò. Jeshi girò gli occhi, poi si diresse verso il letto più distante e vi si sdraiò. Si addormentò per qualche ora. Quando si svegliò, tirò un pugno a Marco, che stava provando a spiarla dal bordo del letto, si mise a sedere ed iniziò a parlare con il ragazzo. << Senti, so che può sembrare stupido, ma dal tuo cognome sembri italiano. Di dove sei? >> chiese.
<< Torino, conosci la città? >> controbatté il ragazzo. << No >> disse la ragazza << Ma conosco Milano. Sai, la città degli EMA 2015 >>
Marco strabuzzò gli occhi << Scusa?! Come fai a saperlo? Nel tempio non è vietato ascoltare la musica? >>
<< Non se hai gli auricolari >> ridacchiò la ragazza. Poi ripensò ai bei tempi con il maestro. << Invece tu? >> disse il ragazzo, riportandola alla realtà. << Io...? >> chiese lei. << Da dove vieni? >> completò il giovane. << Dal Kiyomizudera di Kyoto >> e alla faccia del ragazzo, che non sapeva per niente cosa fosse, aggiunse << Un tempio molto famoso. >>
Marco scuosse le spalle quando la serratura si riaprì. Questa volta entrò un gigante alto due metri e biondo. Marco si avvicinò. << Salve amico! >> esordì << Allora saltiamo alle presentazioni, io sono Marco e lei è Jessy. >>
<< Jeshi, mi chiamo Jeshi >> lo corresse la ragazza. Il ragazzo sbuffò e continuò rivolto al gigante: << Ok, siamo Marco e Tizia-nata-in-un-tempio. Tu invece? >>. Silenzio. Il gigante li guardava come se avessero parlato arabo. Marco discusse un po’ con l’uomo, spesso arrabbiandosi, ma non ottenne niente. Poi l’uomo intuì forse di cosa parlavano, e puntando con il suo dito il petto, balbettò: << I...I...Igor >>. Marco si lasciò andare ad un sospiro di liberazione. Non ne poteva più di ripetere le stesse domande a quello stupido ammasso di muscoli. << Oh, finalmente! >> disse << Ora, senza metterci un giorno, sai spiegarci perché sei qui? >>
<< I...Igor >> disse con più convinzione.
<< Sì, ok, abbiamo capito, però mi serviva sapere cosa ti è successo, buon uomo >>
<< I...Igor >> disse con ancora più convinzione l’uomo.
<< Ok, ho capito, ti chiami Igor. Ma ora, porca puttana, vuoi dirmi che cazzo ti è successo per finire qui? >> A quel punto Marco era veramente arrabbiato.
<< Igor... Romanoff >> disse quindi il gigante. Jeshi dovette fare appello a tutta la sua forza per impedire a Marco di menare quello, anche se sapeva che probabilmente avrebbe subito lui i danni maggiori. Dopo dieci secondi di respiri lenti e controllati, Marco continuò: << Ok. Ti chiami Igor Romanoff. Vuoi dirci perché sei qui? >> e, mentre quello stava per parlare, continuò << E possibilmente che la risposta non sia Igor Romanoff >>. Igor si zittì. Fu allora che Jeshi superò Marco e si mise di fronte al gigante, si scaldò la voce e disse: << Privet Igor'. Chto s toboy sluchilos' byt' zdes'? >> Marco alzò le braccia al cielo, ancora attonito da quello che era successo. Poi guardò la ragazza e l’unica cosa che riuscì a dire fu: << Ma che cazzo...?! >>
<< Genio >> disse lei << In quanti posti le persone si chiamano Romanoff? >>
<< Russia, Bulgaria, Bielorussia, Moldavia e Ucraina. >> rispose il ragazzo. La ragazza stava per rispondere, ma fu interrotta dal russo che iniziò a parlare. Finito il breve discorso, riportò la storia così come l’aveva sentita. Marco, soddisfatto, chiese alla ragazza di tradurre tutto quello che diceva.
<< Mi scuso per prima, ma non potevo sapere che eri russo. Comunque volevo ringraziarti per la tua presenza e dirti che ti puoi benissimo divertire con noi. Comunque propongo di darci dei soprannomi. Se ti va bene, tu puoi essere Frankenstein... >> fu interrotto da Jeshi. << Non per dire, ma Frankenstein è il professore, non il mostro. Il mostro non ha nome. >>
<< Scusa signorina io-sono-stata-allevata-in-un-tempio. >> ribatté il giovane << Lei è Babelfish... >>
<< Cos’è Babelfish? >> chiese la ragazza.
<< Oh, guarda, sembra che la signorina che sa tutto non sappia una cosa. Mai sentito parlare di “Guida galattica per gli autostoppisti”? >>
<< No, mi dispiace >> disse Jeshi, e il ragazzo si vantò: << Io sì, e non sono vissuto in tempio! >> Jeshi sbuffò mentre il ragazzo finiva il discorso << Io infine sono Quello-figo. >>
<< E’ preferibile Quello-stupido >> disse la ragazza dopo aver tradotto per il russo.
<< La vuoi piantare! Sei insopportabile, penso che ti soprannominerò Bisbetica! >>
<< Ah, perché tu ti credi chi sa che simpatico? >>
<< Per tua informazione ero il più simpatico nella mia scuola! >>
<< Ah certo, fammi indovinare, distruggevi i banchi mentre fingevate di studiare per prendervi una nota? E’ questo il divertimento per voi italiani, o no? >>. Gli animi dei due cominciarono a scaldarsi e i due finirono per urlarsi addosso.
<< Scusa?! Non capisco questo stereotipo. E poi a me risulta che studiare con degli altri esseri umani aiuti molto di più di vivere in una società! Mai sentita questa parola? S-O-C-I-E-T-A’! >>
<< La conosco! E tu la conosci la parola vaffanculo? V-A-F-F-A-N-C-U-L-O! >>
<< Ci vado volentieri, basta che non mi segui! >>
<< Bene! Me ne vado! >> concluse la ragazza dirigendosi verso il suo letto.
<< Voglio vedere dove vai! >> rispose il ragazzo. Quando la ragazza fu sul suo letto, però, Marco si rese conto di aver bloccato la sua unica fonte di divertimento. Si rivolse quindi a una telecamera nell’angolo: << Volete mandarmi qualcuno che non sia russo o facilmente suscettibile? >> Fu allora che la porta alle sue spalle si aprì.
Dalla porta era appena entrato un uomo, giovane, sulla trentina, con i capelli corvini. Fu seguito dal sospiro di liberazione di Marco e da un “ Dobro pozhalovat' ” borbottato da Igor. Come prima fu Marco a presentarsi e a presentare gli altri compagni di cella, spiegando brevemente perché secondo loro erano lì. Poi fu il turno del giovane. << Mi chiamo Shawn Withman >> esordì << e vengo dall’Oklahoma. Visto che tutti siete stati onesti, sono qui perché ho decapitato mio padre con una katana dopo che aveva ucciso mia sorella e bruciato un braccio a mia madre. >>
<< Ah, capisco... >> disse Marco allontanandosi lentamente da Marco. Igor nel frattempo aveva chiesto a Jeshi dove poteva sdraiarsi e lei gli aveva indicato il letto più robusto. Ora il russo stava passando il tempo ruotando i pollici. Shwan e Marco, nel frattempo, avevano discusso a lungo sulla reazione del ragazzo. << Devi capirmi, di tutti noi tu sei il solo che ha ucciso qualcuno con l’intenzione di ucciderlo. A qualcuno può fare paura! >> disse Marco, ma poi i due si compresero e, dopo che Shawn ebbe giurato di non aver intenzione di uccidere altri esseri umani, il più giovane guidò l’altro verso i letti. Si misero a discutere un po’, ma non avevano molti argomenti in comune. << Qui tutti abbiamo un soprannome. >> disse Marco << Ne vuoi uno anche tu? >> chiese infine. << Non è giusto, io non ho potuto sceglierlo. >> urlò dal suo letto Jeshi, ma Marco finse di non averla ascoltata, quindi guardò interrogativo Shawn, che rispose: << Credo che Shadowhunter sia adatto a come mi sento. >>. Poi aggiunse: << Scusate, ma se siamo qui non può essere per quello che abbiamo fatto! La giapponese poteva benissimo essere giustiziata nella sua nazione, il russo poteva prendere l’ergastolo e tu potevi tornare dalla tua famiglia. Tutti noi qui non abbiamo senso! >>
Jeshi, Marco e Igor si guardarono, dopo che la ragazza ebbe tradotto per il russo. Dopo minuti di silenzio, Jeshi cominciò: << Effettivamente, sembra strano che siamo tutti qui... >>. Marco stava per aggiungere qualcosa, quando per la quarta volta la porta si aprì. << Buongiorno, e benve... >> le parole si ruppero in gola a Marco, quando vide entrare un uomo, di circa quaranta o cinquanta anni, con metà testa, compreso un occhio, sostituita da un apparecchio metallico. << Ciao... Ecco, come dire, io sono... Marco, tu? >> chiese titubante il ragazzo. << Io ero il professor Alfred Wald, ora non sono più. >> La voce dell’uomo si fece sempre più enigmatica. Shawn strabuzzò gli occhi. << Alfred Wald?! >> disse << Il famoso fisico?! Sapevo che aveva avuto un tumore al cervello e credevo fosse morto. Le posso dire che ho ammirato i suoi lavori sull’energia dell’antimateria? >>
Wald lo osservò malvagiamente, poi si allontanò verso i letti. << Qui non siamo molto normali. >> sussurrò Marco alle orecchie di Jeshi e Shawn. << Cosa pretendi da uno che ha scoperto un tumore al cervello, dopo che lo ha utilizzato per anni al servizio degli altri, e sapere che nessuno lo può aiutare? >> rispose la ragazza.
<< Rassegnazione, affronto fino all’ultimo della malattia. Tutto fuorché quel coso! >> ribatté Marco.
<< Il professore era sempre stato un visionario. >> disse Shawn << Probabilmente avrà inventato una macchina per distruggere il tumore e sostituire la parte di cervello danneggiata >>
<< Ok, ma allora perché è qui? >> chiese Jeshi. Nessuno seppe rispondere.
Dopo qualche ora i cinque erano divisi. Alfred stava ritto in piedi, muovendo il suo occhio bionico come una fotocamera. Il russo invece stava sdraiato per terra e faceva degli addominali. Jeshi dormiva, ancora colpita dal jet lag, mentre Shawn e Marco confabulavano fra di loro. Quando Jeshi fu reattiva si unì a loro. << Trovato una risposta? >> chiese. I due negarono. A quel punto la serratura annunciò un nuovo arrivo. << Fa che sia una figa assurda... fa che sia una figa assurda... fa che sia una figa assurda >> ripeté Marco, incrociando le dita, mentre la porta si apriva.
La figura della rossa e sorridente stagista Lauren si stagliò nella stanza. Marco esultò da dietro la schiena di Shawn, mentre Jeshi gli pestò con forza il piede. << Benvenuti alla ARMED, signori. >> disse la stagista << Io sono Lauren Julie Heart, e sono lieta di annunciarvi che il direttore McRonald vi sta aspettando nella sala centrale. Se volete seguirmi. >>
 
Sede della ARMED, USA (Sala centrale)
I cinque, guidati dalla rossa, si diressero verso la sala, accessibile da una porta automatica, dove un uomo, in divisa da ufficiale del governo, con lunghi baffi marroni come i capelli, li stava aspettando seduto a capotavola di un enorme tavolo bianco. Dietro di lui, uno screensaver con il simbolo della ARMED ruotava ad intervalli regolari. Le sedie, sei in tutto oltre a quella su cui era seduto il colonnello, erano poltroncine girevoli nere. Una fotocopiatrice da azienda era appoggiata a un gran classificatore su cui era anche appoggiato un fascicolatore. Dalla parte opposta erano presenti delle finestre che davano su una radura disabitata, sorvegliata da militari armati di tutto punto a protezione di una recinzione di filo spinato alta circa tre metri e mezzo. Lì era presente un tavolino su cui era posta una piantina di fiori leggermente avvizzita. I cinque furono invitati a sedersi. In ogni postazione erano presenti un fascicolo chiuso catalogato come top secret, un bicchiere pieno d’acqua, un blocchetto e una penna. A centro della tavola era presente una caraffa filtrante piena d’acqua con qualche cubetto di ghiaccio. Quando tutti furono seduti, Shawn, Jeshi e Marco a sinistra, Lauren, Igor e Alfred a destra, il colonnello iniziò: << Buongiorno signori. Io sono Donald McRonald e... >>
<< Parente di McDonald? >> disse Marco e fu seguito a ruota da Lauren << Glielo dico anch’io che i suoi genitori gli dovevano volere veramente male per chiamarlo così, ma non mi crede! >>
<< ...E vi do il benvenuto alla ARMED >> disse con un leggero tono di comando << Vi dirò in breve che cosa siamo. Quando finì la seconda guerra mondiale e cominciarono i disaccordi con Mosca, l’America formò all’oscuro di tutto il mondo un’agenzia il cui compito era di difendere la Nazione debellando eventuali minacce. Con la dissoluzione dell’URSS, i fondi per lo sviluppo furono ridotti se non a zero a uno. Poi, dopo le Torri Gemelle, il governo ci rese di nuovo i fondi e ce li raddoppiò, con l’obiettivo di fondare una squadra per fermare il terrorista che aveva fatto tutto ciò. Inutile spiegare l’operazione Neptune Spear >>
<< Mah! >> disse Jeshi << Inutile mica tanto, non so cosa sia. >>
<< Quella in cui fu ucciso Osama Bin Laden. Se non hai capito guarda Zero Dark Thirty >> rispose Marco.
<< Esattamente quella. Comunque, inutile spiegare anche quale agenzia segreta si occupò di scegliere la squadra. Dopo di quello, però, il presidente Obama voleva di più da noi, anche visto ciò che era successo ai partecipanti della missione, quindi ci chiese di formare una squadra più potente. Per tre anni si addestrarono uomini per questo scopo, ma da quando sono presidente non lo faccio più. Io non cerco esperti soldati, cerco persone le cui capacità vanno, per un motivo o per un altro, oltre il limite umano. Per questo voi siete qui. Sono qui per proporvi di unirvi a formare una squadra speciale che possa difendere l’America, la Nato stessa e, per estensione, la Terra intera. Ora, unirsi comporta molte difficoltà. Primo, le vostre identità dovranno rimanere assolutamente segrete. Qualsiasi persona con cui siete attualmente a conoscenza all’esterno riceveranno informazioni diverse sulla vostra sorte. Tutte però saranno accomunate da una cosa, la vostra presunta morte. Per questo motivo non potrete più avere contatti con queste persone. Inoltre, nel caso conosciate persone durante la missione con cui avrete delle relazioni dovrete allontanarle. Posso capire che per animali sociali quali siamo noi è difficile, ma non ci sono del tutto vietate le relazioni con altre persone. A breve giungerà dal governo una lista di persone che sarebbero disposte, secondo precisi parametri, a firmare un accordo di massima riservatezza. >> si interruppe vedendo che Marco aveva una mano alzata. Lo invitò con un cenno del capo a parlare. << Come fate a sapere chi firmerà o meno? >>
<< Grazie al sistema di controllo dei dispositivi multimediali in possesso al governo sul suolo nazionale >>
<< Allora se esiste la Macchina, perché al governo serviamo noi? >>
<< Non è esattamente come in Person of Interest >> si intromise Lauren << Questa macchina non prevede, vede solo. Il lavoro di un intero palazzo di spie in un modesto seminterrato. >>
<< Grazie, Lauren >> disse il colonnello << Seconda difficoltà >> continuò aiutandosi con le dita << Dovrete sottoporvi ad un lungo e duro allenamento, che porterà a rendervi più consapevoli di quello che sapete fare. Prima che facciate la vostra scelta, sappiate che se deciderete di non unirvi a noi verrete lasciati nell’esatta situazione in cui vi abbiamo prelevati che, a malincuore, per molti di voi è il patibolo. >> Jeshi, Igor e Shawn capirono che era rivolto a loro e acconsentirono lentamente. << Signore, ma la Russia non aveva fatto una moratoria per la pena capitale? >> chiese Lauren. << Hanno fatto un’esplicita richiesta all’Unione Europea per compiere questa esecuzione per “alto tradimento” e quella ha accettato. Qualcuno che sa il russo glielo traduca. >> concluse indicando il gigante.
Ci furono cinque minuti buoni di silenzio. Poi Shawn si schiarì la voce e cominciò a parlare: << L’unica rimasta viva della mia famiglia, credo, è mia madre. E penso che più lontano le sto meglio può essere per lei, per aiutarla a dimenticare quello che è successo. Perciò io accetto. >> Dopo di lui ci fu Jeshi, che nei brevi minuti di silenzio aveva scritto un breve riassunto di quanto detto per Igor, che disse: << Beh, da quando i miei genitori erano stati uccisi, la mia unica famiglia è stata il tempio, e so che, se dovessi scegliere fra la morte onorevole e il combattere per difendere i più deboli, il mio maestro mi avrebbe consigliato di combattere. Quindi io ci sto. >>
Poi fu il turno fu Igor che disse: << Da, ya prinimayu >> che fu tradotto da Jeshi con un << Sì, accetto >>. Poi fu il turno di Alfred: << Nella mia piena e corta vita, ho sempre cercato di fare in modo che l’uomo possa vedere un barlume di conoscenza, poi quando ne ho avuto bisogno loro non sapevano rispondermi. L’uomo è stupido, non ho intenzione di perdere quel poco di intelligenza per colpa di un pazzo che uccide la gente o di una guerra mondiale. Consideratemi parte della squadra. >>
Fu allora il turno di Marco, che esordì: << Io non ho ucciso né visto uccidere nessuno. Non rischio di morire per un motivo o per un altro. Io a casa ho una sorella, un padre e una madre che mi aspettano. Mi dispiace, ma preferisco andare con loro piuttosto che rimanere qui >>
A quelle parole il colonnello lo guardò, sospirò chiudendo gli occhi e disse: << E’ giusto che tu sappia che alla tua famiglia è stato detto che tutto ciò che ti è successo è stato una grande fatalità del caso, e non è collegata al bordone. Prima che entrassimo li abbiamo convinti che era una missione di recupero. Se ti interessa, per motivi di sicurezza mondiale, i tuoi funerali si sono tenuti ieri. Mi dispiace, ero contro questa scelta, ma ce l’hanno imposta dall’alto. >>
<< Cioè, mi stai dicendo che non posso tornare dalla mia famiglia, perché pensano sia morto e l’unica soluzione è unirmi ad un gruppo formato da una ninja bionda, uno che ha ucciso il padre decapitandolo, uno scienziato pazzo e la versione umana di Hulk? Alla faccia del potete scegliere! >>
<< Lo so come ti senti, ma la domanda è: ti unirai a noi? >>
<< Perché dovrei? Non sono come loro! Cosa ho di così importante da costringermi qui? >>
<< Al volo >> disse il colonnello, e lanciò l’acqua nel suo bicchiere verso il ragazzo. D’istinto Marco si protesse con le mani nell’attesa che il gavettone lo colpisse. Ciò non accadde. Spostò leggermente le mani da davanti. Dopo le facce visibilmente shockate dei suoi compagni vide fluttuare, davanti a lui, la massa d’acqua che gli avevano tirato. Ne rimase spaventato. In quell’istante l’acqua cadde e finì sul tavolo, bagnando leggermente il suo fascicolo. << Questa cosa è impossibile senza un generatore di antienergia >> esclamò Alfred, completamente rinsavito dalla pazzia iniziale.
<< Un coso di cosa? >> chiese Marco, un po’ perché non sapeva di cosa stesse parlando, un po’ perché in generale aveva perso la percezione di ciò che gli accadeva attorno. Il colonnello prese un telecomando e premette un tasto. Lo schermo alle sue spalle mutò e si vide la scena di una telecamera. L’inquadratura era centrata sulla lancia che Marco aveva impugnato, attorno alla quale giravano interessati molti scienziati in tute antiradiazioni. Gli occhi di Alfred e Marco si illuminarono. Alfred boccheggiò per un po’, poi disse: << Chi a costruito quello? >>
<< Non lo sappiamo, ma la datazione al radiocarbonio lo data al 3000 a.C. >>
<< E’ impossibile >> disse il professore. Poi ragionò un po’ e continuò: << A meno che non sia stato scoperto per caso, ritenuto mistico, rinchiuso in un qualche tempio sperduto e giunto fino a noi. >>
<< Questo non spiega perché so far volare l’acqua! >> esclamò alquanto irato Marco.
<< Deve averti trasformato in una specie di “batteria umana” per l’antienergia. >> rispose Alfred. Marco guardò tutti poi se ne andò. Jeshi lo seguì.
<< Pensi che fuggire ti aiuterà? >> disse la ragazza.
<< Io non volevo tutto questo >> disse Marco alzando il dito << Io vivevo una vita normale, poi quel deficiente di mio zio ha trovato quella lancia e io l’ho toccata. Ci sono finito dentro e ora non posso più uscirne. No, penso che non aiuterà! >>
<< Marco... >>
<< Marco niente! >> gridò il ragazzo. Poi fece per andarsene. Jeshi lo fermò per una manica. Marco si voltò. I loro sguardi si fermarono l’uno sull’altro per un bel po’. Poi Jeshi si morse il labbro e disse: << Spesso siamo costretti a fare scelte che non vogliamo fare. In quei momenti, bisogna sempre scegliere quello che è più giusto per gli altri. >>
<< Tu l’hai fatta, una scelta del genere?! Eh!? Tu hai passato tutta la vita in un tempio, cosa nei sai di scelte difficili. >> Jeshi abbassò lo sguardo. << Tutti pensano che i bambini siano mandati al tempio quando hanno due o tre mesi >> sussurrò Jeshi col capo chino << Ma i miei genitori mi hanno mandato al tempio quando avevo sei anni. In pratica dovevo abbandonare i miei genitori e vivere la mia vita isolata dal resto del mondo. Credevo a quel punto che l’unica alternativa fosse seguirli anche se sapevo che mi avrebbero ucciso come hanno fatto con loro. Ho scelto di abbandonarli, perché sapevo che se fossi sopravvissuta avrei salvato la cosa che amavano di più al mondo. Sì, io ho fatto una scelta del genere. Ho scelto di sacrificare la mia vita per il bene degli altri. Penso sempre che i miei genitori siano morti con il sorriso pensando che ero al sicuro. >>
Marco si lasciò convincere. << Ormai la mia vita è a rotoli >> disse tornando al tavolo << Non ho più niente da vivere, quindi credo di non aver altra scelta. Contate su di me. >> Il colonnello fece uscire un breve sorriso, mentre Shawn, Igor e Alfred davano il bentornato in squadra al giovane. << Ora però dobbiamo finire con i soprannomi. Alfred, ti va bene Prof? >> disse il giovane.
<< Beh, sì, può andare, credo >> rispose spiazzato l’uomo.
<< Lei, colonnello, sarà Signore, e il che mi pare più che giusto. Infine Lauren sarà... Non ne ho la più pallida idea >>
<< Potrebbe andare bene Rossa? >> chiese la ragazza << Perché quelli troppo complessi non mi stanno simpatici. >>
<< Per me i soprannomi vanno bene, basta che cambi il tuo! >> esclamò Jeshi. Marco ne discusse per un po’, poi solo contro tutti fu costretto a cambiare e optò per Magic. << Perfetto, ora tutti noi abbiamo un nome di battaglia, ma il nostro gruppo ne ha uno? >> chiese Shawn.
<< Effettivamente >> disse Donald << Questo progetto non ha un nome in codice ben preciso, anche perché eravamo troppo impegnati a cercavi per trovare un nome >>
<< Fate fare a me allora. >> disse Shawn. Si mise quindi a scrivere sul blocco appunti mentre il colonnello illustrava la struttura dell’edificio. Finì non appena sullo schermo apparivano le disposizioni degli alloggi. << Ho trovato! Che ne dite se ci chiamiamo SOS, Special Operative Squad? >>
<< Sembra stupido >> disse Marco << Mi piace! >>
<< Anche a me. Sembra adeguato, sintetico e preciso >> disse Lauren.
<< Perfetto, ora abbiamo anche un nome! >> disse stizzito dall’interruzione McRonald, poi si ricompose << Ora vi illustrerò i vostri alloggi, dopo di che sarete congedati. Ci ritroveremo qui domani mattina per iniziare il vostro addestramento. Ma ora, Marco, a te va la stanza 7, troverai tutti i tuoi oggetti personali in quella stanza. Jeshi, tu prendi la 8, questa qui >> disse indicando un quadrato sulla mappa << che è vicina al Magazzino armi bianche. Igor, per te c’è la 11, quella più grande con la palestra incorporata. Alfred, a lei affido la 9, ha un buon impianto di areazione nel caso voglia fare qualche esperimento e non tutto vada come previsto. Infine Shawn, ti resta per esclusione la 10. Bene, qui abbiamo finito. Potete andare, ci rivedremo domani alle 8 in punto. >>
Quando tutti furono andati, Lauren si avvicinò al colonnello. << Signore, non mi sembra andata poi così tanto male. >>
<< Perfettamente. Niente intoppi e nessun altro problema, per ora. Non so quanto passerà prima che abbiano nostalgia della loro vecchia vita. Il tuo compito ora è farli sentire a proprio agio, come se non fosse successo niente. Lo so che anche per te è stato difficile ambientarti, ma... >>
<< Capisco quello che vuol dire, signore. Farò come ha detto. Arrivederci. >> si allontanò sorridente verso la sua stanza, la 12, mentre la porta scorrevole della stanza centrale si aprì in un fruscio.

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Capitolo 3
*** Duro addestramento ***


CAPITOLO 2- Duro addestramento
Sede della ARMED, USA (Alloggi personali, stanza 10)
Shawn si svegliò gridando. Guardò la sveglia che segnava ancora le 3 di notte. Sconsolato provò a rigirarsi, ma si ritrovò aggrovigliato nelle coperte reduci dagli incubi precedenti. Era la prima volta che poteva dormire veramente da quando aveva abbandonato la sua vita e non era riuscito a chiudere occhio per più di un’ora. Lo tormentava sempre la solita scena, lui che tornava a casa sua, trovava suo padre che si riattaccava la testa e lo decapitava di nuovo. Ma mentre gli tagliava la testa si trasformava in sua madre, e gli schizzi di sangue sulla parete scrivevano a lettere cubitali: << Non sei diverso da lui! >>. Poi la scena cambiava: si ritrovava nella sala centrale, con tutti i sui compagni attorno, tutti che gli puntavano una pistola. Poi il colonnello lo arrestava. Quando gli chiedeva i motivi di quel gesto, Donald rispondeva: << Perché ci hai uccisi, Shawn. Non ricordi? >> e allora tutti i suoi compagni diventavano scheletri e crollavano ai suoi piedi. Poi cambiava nuovamente scena. Si ritrovava su un lungo ponte, davanti a lui c’era una katana, quella katana. Una voce lo invitava a scegliere se prendere la lama o scappare. Poi la sua ombra si ingigantiva, diventava mostruosa, enorme, un essere diverso e senziente. L’ombra lo fissava e gli chiedeva: << Chi credi che sia quello vero? Io o tu? >> e lo attaccava. Era a quel punto che Shawn si svegliava.
Era la quarta volta che succedeva e mancavano ancora cinque ore a quando sarebbero stati tutti svegli. Optò quindi per rimanere sveglio, nella speranza di trovare come passare il tempo. Qualcuno bussò alla sua porta e lui si alzò per aprire. Aveva paura di essere ancora in un sogno e rimase titubante per qualche secondo. Per sua fortuna, colei che gli si parò innanzi fu una semisveglia Lauren con una tuta da ginnastica rosa e nera, che lo fissava con occhietti malvagi. << Come mai sveglia a quest’ora? >> chiese il giovane. La ragazza lo guardò ancora più malvagiamente, bofonchiando << Ho il sonno leggero, strillone dei miei stivali! >> ed entrò nella stanza. Poi prese dall’armadio una tuta da addestramento e la porse all’uomo, che la guardò stranito. << Che c’è? >> rispose la donna << Pensi che ti permetta di rovinarmi il sonno senza conseguenze? Visto che tu sei tanto sveglio, vieni a fare un bel po’ di jogging intorno alla recinzione! >>Shawn capì che la domanda non necessitava di risposta vedendo la ragazza uscire e avviarsi verso l’uscita. La seguì mentre si metteva la felpa.
Sede della ARMED, USA (Cortile esterno)
Lauren passò al ragazzo una lampada frontale e se ne mise una in testa a sua volta, quindi dopo un veloce riscaldamento si avviò in una corsetta a ritmo sostenuto. Il ragazzo la affiancò dopo che fu anche lui pronto a partire. Passarono, facendo il giro dell’imponente struttura, più o meno un’ora. Arrivarono esattamente dietro l’entrata quando una potente sirena suonò nell’aria. Lauren si fermò. << Uff, pensavo non arrivasse più >> disse mentre spegneva la sua torcia e si appiattiva contro il muro, facendo cenno al ragazzo di fare lo stesso. Sulle torri di controllo stava avvenendo il cambio della guardia, così, mentre i soldati erano distratti, Lauren si fiondò in una piccola apertura nella rete. Seguita da Shawn, corse nella notte il più lontano possibile dal campo, poi si fermò dietro una grande roccia. Si sedette, e invitò il ragazzo a fare lo stesso.
<< Ora >> esordì la ragazza << Cosa ti tiene sveglio tutta la notte? >>. Dopo che Shawn ebbe illustrato i suoi incubi, la ragazza fece un bel respiro poi iniziò a parlare: << Sai, anch’io sono stata in un certo senso costretta a questo lavoro. >> disse Lauren << Una notte ero in un locale per festeggiare la mia laurea con i miei amici. Mi si avvicinò un uomo della mia età o poco più vecchio e ci provava. Io ero ubriaca, normalmente mi sarei defilata, ma quella volta ressi il gioco e, beh, ecco, me ne innamorai. Ci mettemmo insieme il giorno dopo. Era il ragazzo perfetto, il principe azzurro che tutte vorrebbero. Poi un giorno decisi di fargli una sorpresa. Abitavamo a New York, la sua casa era lungo un vicolo. Quando arrivai a svoltare l’angolo, vidi che aveva in mano una mitraglietta e la stava puntando contro il gelataio del quartiere. Attorno a lui c’erano altri tre uomini, uno di loro, ho scoperto dopo essere suo padre, lo stava intimando di pagare. Niente da aggiungere. Lo hanno ucciso, e ovviamente ho preso la decisione di raccontare quello che avevo visto alla polizia. Da lì è stato l’inferno, non potevo uscire di casa, non avevo più una vita. Ciascuno dei miei amici veniva perquisito per vedermi e per non più di un’ora al giorno. Una vita di merda, anche perché tutti mi avevano abbandonata per paura di finirci in mezzo. Stavo pensando di filmare la mia testimonianza e di suicidarmi, poi mi cadde l’occhio su un foglio. Era un volantino che avevano dato a una delle mie guardie. Era per entrare a far parte di un progetto governativo. Quando la guardia tornò, gli chiesi se per caso accettavano anche impieghi di ufficio. Mi disse che cercavano anche stagisti, io ero laureata in quello e avevo tutti i requisiti per farlo. Inviai il curriculum, ma mi rifiutarono. Seppi della notizia mentre uscivo dall’aula di tribunale, dove il mio ex, suo padre e gli altri mafiosi furono arrestati. Sulle prime ero neutra a quella notizia, perché alla fine ero tornata alla vita di prima. Poi però... >> Lauren si morse le labbra. Era da anni ormai che non ricordava più quel momento, per quanto non fossero stati scioccanti i precedenti, e come ogni volta aveva un colpo al cuore pensandoci. Shawn, sempre lì affianco, era indeciso se fare qualcosa o aspettare. Non fece in tempo e decidersi che lei proseguì << Una sera stavo tornando a casa. Ero appena stata da una mia amica. Stavo per andare a letto, quando qualcuno suonò alla porta. Andai ad aprire... davanti alla porta, sul tappetino, c’era la testa della mia amica, sanguinante, messa in modo che mi guardasse dritta negli occhi. Ho chiuso la porta e ho provato a chiamare la polizia. Al telefono però ha risposto un sicario del boss. Ho provato a fuggire, ma me lo sono trovato davanti. Mi misi a piangere mentre mi costringeva a inginocchiarmi. Ho chiuso gli occhi e ho sentito lo sparo, ma io ero ancora viva. Mi sono voltata di scatto, e ho visto il commissario McRonald con in mano la pistola che si sincerava delle mie condizioni e il mio sicario morto poco lontano. Da quel giorno è diventato come un padre per me, e tramite il programma protezione testimoni ero riuscita a farmi affidare alla sua custodia. L’ho visto migliaia di volte all’opera, poi ho visto quando le forze dell’esercito gli chiesero di unirsi a loro, poi l’ho visto diventare capitano, poi maggiore e poi colonnello. Un giorno tornò a casa accompagnato da un altro poliziotto. Mi disse che doveva trasferirsi e che la mia custodia passava ora nelle mani del nuovo commissario. >> la ragazza si fermò a sospirare. << E allora... come hai fatto a ritrovarlo qui? >> chiese Shawn. La ragazza continuò il suo discorso. << Ero troppo legata a Donald, così ho rubato una moto e l’ho seguito. Quando mi hanno fermato al posto di blocco per entrare qui non sapevo cosa dire, ero abbattuta. Poi hanno fatto una telefonata alle guardie del posto di blocco. Mi hanno fatta passare salutandomi e dandomi il benvenuto. Mi ricordo ancora cosa disse McRonald quando mi vide all’entrata: “Questa è l’ultima volta che ti salvo, stagista neoassunta”. All’inizio il lavoro mi entusiasmava, ma piano piano avevo nostalgia di casa. Un giorno scoprì questa apertura e organizzai la mia fuga. Il giorno prescelto ho fatto esattamente come abbiamo fatto noi oggi. Ero arrivata a questo sasso poi ho capito che stavo sbagliando. Sai cosa mi ha convinto? >>
<< No, cosa? >> chiese Shawn, ma Lauren non rispose. Indicò semplicemente il cielo dove stava sorgendo il sole. Shawn rimase a bocca aperta.
Sede della ARMED, USA (Ufficio del direttore)
Donald riordinò la sua scrivania. Qualcuno bussò alla sua porta, e senza attendere risposta entrò dentro Lauren con una tazza. << Buongiorno signore. Le ho portato la colazione. >> il colonnello non rispose e indicò in piccolo buco della scrivania, fatto apposta per tenere le tazze. Cosa che aveva espressamente richiesto, visto che il disordine costante sulla sua scrivania gli faceva rischiare ogni volta di rovesciare il suo caffè amaro su qualche protocollo di fondamentale importanza. Lauren la appoggiò con estrema attenzione, poi si allontanò verso la porta. << Aspetta >> disse Donald mentre metteva l’ultima pratica nel cassetto. << Mi hanno riferito che più o meno due ore fa eri all’esterno... >>
<< Jogging mattutino, lo faccio sempre >> rispose lei.
<< ...della recinzione >> terminò lui.
<< Anche quello lo facevo sempre. Comunque non mi sembra un reato! >>
<< Ne abbiamo già parlato. La recinzione serve a non far entrare nemici e a non fare uscire informazioni. È molto importante che tu obbedisca la prossima volta che ti dò un ordine. >> disse rassicurante Donald.
<< Ma è quello che stavo facendo. Ero con Shawn. Era un’ottima opportunità per convincerlo a non preoccuparsi, ma due ordini diretti erano in conflitto di interesse. Quindi ho lanciato una moneta >>
<< Scommetto dieci dollari che era truccata. >> disse Donald, poi prese la tazza << Comunque non vedo l’ora di iniziare ad addestrarli, mi sembrano una buona squadra. >> prese un sorso dalla tazza, poi sputò il contenuto per terra ed urlò: << Merda! Questo non è caffè! È dello schifosissimo...>>
Sede della ARMED, USA (Sala mensa)
<< Tè verde! >> gridò Jeshi, facendo sobbalzare l’appisolato Marco lì affianco, che borbottò qualcosa e tornò a dormire sul suo braccio. << Avevo chiesto del cazzo di tè verde, non del caffè, e per giunta amaro! >> continuò sempre gridando la ragazza. Era seduta ad un tavolo della mensa, con a destra Marco e di fronte a loro Alfred e Igor. Shawn era appena entrato quando la ragazza strillò di nuovo. << Cosa è successo? >> chiese il ragazzo.
<< La fine del mondo! Qualcuno ha dato del caffè alla ninja. >> disse Marco, ormai sveglio a causa degli urli. Shawn si sedette a capotavola. << Come mai in ritardo? >> chiese Alfred.
<< Avevo fatto jogging e quindi mi sono fatto una bella doccia, poi sono crollato sul letto per un’ora... minimo >> rispose.
<< Beato te, io non ho dormito fino alle sei e tre quarti. Indovina quando era la sveglia? Esatto, sette in punto. >> disse Marco << Ho dormito solo un quarto d’ora, e certo mi sembra che non serva una sveglia a grida per svegliarmi! >> e guardò male la ragazza al suo fianco. << Che c’è? >> disse Jeshi << Io avevo chiesto del tè verde, non era difficile. Possibile che nella struttura più segreta del governo non esista del tè verde! >> In quel momento entrò nel mensa Lauren, che si avvicinò rapidamente al tavolo dei cinque. << Scusate, e scusa soprattutto a te Jeshi, ma Don mi ha mandato qui a prendere il suo caffè >>
<< Scusa, ma chi sarebbe questo Don >> chiese Marco, mentre Jeshi faceva lo scambio di tazze. << Beh, non sembra ovvio. >> disse Lauren << Don è Donald. >>
Sede della ARMED, USA (Sala degli addestramenti)
<< E’ incredibile! >> disse Marco, stupefatto come tutti gli altri.
<< Impensabile! >> aggiunse Jeshi.
<< Impossibile! >> continuò Shawn.
<< Improbabile! >> avanzò Alfred.
<< Oh. >> disse Igor.
I cinque erano da almeno dieci minuti fermi su quel tabellone dove erano indicate con foto e brevi informazioni tutte le reclute della ARMED. << Dai ragazzi, è una cosa normale che le reclute abbiano un soprannome. Uno che si chiama Donald che soprannome deve prendere?! >> commentò Lauren, che più indietro sbuffava per l’attesa. << Sì, ma questo qui >> disse Alfred indicando una delle reclute << Si chiama Maximilian “Bonesbreaker” Thomson. Non poteva fare qualcosa così anche Donald, Don non si può proprio sentire! >>
<< Non preoccupatevi. Non utilizzo più quel soprannome da anni. >> disse il colonnello da dietro loro. Si voltarono di scatto. L’uomo aveva sei cartelle, contenenti dei fascicoli. << Prima di iniziare l’addestramento signori dobbiamo sbrigare qualche formalità: per vostra fortuna abbiamo già scelto i vostri soprannomi, o meglio li ha scelti Marco. E vedo che a tutti vanno bene, quindi questa formalità sarà attaccare le vostre foto al muro. Dopodiché tutti voi vi dirigerete verso la postazione a voi assegnata. Ah, e fate i complimenti alla nuova recluta, che si è aggiunta a noi stamattina: Lauren Julie “La rossa” Heart >>
<< Cosa?! E io cosa c’entro ora? >> disse indignata la giovane. << Lauren inizierà dalla Zona Lingue >> proseguì Donald incurante delle proteste della stagista << Igor starà in Palestra, mentre tutti gli altri andranno alla Zona Armi da fuoco. Ci ritroviamo qui fra due ore. >>
Una volta che furono divisi nelle varie zone della sala il colonnello diede il via ad un enorme cronometro. << Beh ragazzi, vedo che abbiamo beccato bene! Iniziamo a sparare >> disse Shawn, avvicinandosi ad un bancone dove erano presenti varie armi, di tutte le fattezze e specie, tutte da distanza << Chi inizia? >> aggiunse. Alfred li guardò tutti, prese un paio di quelle armi, un cacciavite e si mise in un angolo ad armeggiare. << Allora inizio io, va bene >> disse Jeshi, e prese un arco. Marco e Shawn la guardarono e si misero a ridere. << Cosa c’è di così divertente? >> chiese stizzita la ragazza. << Niente signorina Everdeen, proceda pure >> disse Shawn ridacchiando. La ragazza prese tre frecce, quindi incoccò l’arco, mentre Marco chiedeva perché ci fosse un arco fra le armi da fuoco. Prese la sagoma ben tre volte nel cuore, senza mai sbagliare. << Addestramento! >> disse la ragazza. I due ragazzi si guardarono, poi il sedicenne prese un AK-47 e il trentenne prese uno shotgun. Quindi imbracciarono i loro fucili e mirarono. Shawn colpì ben dieci volte il torso del bersaglio, lasciandolo con piccoli brandelli di carta bruciata. Marco invece puntò dal basso e tagliò esattamente a metà il corpo a partire dall’inguine fino alla testa. I due giovani si voltarono, si misero i fucili in spalla, si guardarono, poi osservarono dritto negli occhi Jeshi e dissero: << Far Cry 4, stronzetta! >>. Stavano discutendo riguardo a chi di loro fosse stato il migliore quando Alfred si alzò dal suo angolo, con una strana arma in mano. Si diresse verso il suo bersaglio, poi appoggiò la pesante arma al bordo, alzò quello che doveva essere un mirino, poi appoggiò la testa alla sua arma, mirò al centro del suo bersaglio, poi sparò. Il proiettile colpì esattamente il centro del cuore, ma non lo passò, rimase solo attaccato al pezzo di cartone. Allora Alfred premette un tasto alla base del fucile. Il proiettile esplose in un onda d’urto che attirò l’attenzione e lo stupore di tutti quanti nella stanza. Alfred afferrò a due mani il fucile, lo appoggiò al tavolo, ci attaccò un’etichetta con su scritto DW01, poi alzò lo sguardo, si guardò un po’ intorno e disse semplicemente: << Scienza. >> poi tornò ad avvitare qualche vite e bofonchiò un “giovani” di rammarico.
Igor era l’unico che si era girato per caso. Sinceramente, non gliene fregava niente se gli altri avevano armi ultrapotenti, visto che sarebbe stato in grado di distruggerle semplicemente prendendole in mano. Si era girato solo perché aveva distrutto il quinto sacco e stava prendendo il sesto. Allora aveva visto l’esplosione e aveva semplicemente alzato il sopracciglio destro, per poi agganciare il sacco e continuare a tirare pugni. Donald era un po’ che lo guardava. Aveva letto sul suo fascicolo che aveva ricevuto un incremento della corporatura e della resistenza a seguito di esperimenti condotti sul suo corpo, ma quello che stava vedendo sembrava solo un semplice palestrato, quindi si avvicinò e si mise a parlare: << Igor, cosa ti succede? Non dovresti distruggere i mattoni con i pollici? Ah, è vero >> disse fra sé e sé << Questo non capisce! >> poi urlò e dalla postazione armi da fuoco Marco rispose: << Babelfish sta arrivando >> spingendo Jeshi verso il capo. Quando la ragazza fu vicina, il colonnello ricominciò a parlare: << Igor, so che di solito non ci si impegna mai al massimo negli addestramenti, ma mi serve che voi lo facciate, quindi inizia a picchiare duro >>. Finito il breve ammonimento Donald si allontanò e congedò Jeshi. Igor fece due bei respiri, poi tirò indietro il pugno e colpì il sacco. Crollò a terra al primo colpo, poi continuò a demolire sacchi su sacchi a ritmo enorme, a velocità che eguagliavano le armi da fuoco.
Dopo poco che Igor aveva iniziato a colpire a quel ritmo, Lauren buttò in aria i libri di lingue straniere che aveva davanti e imprecò. Da quando Marco, Shawn e Jeshi avevano iniziato la loro stupida gara di mira non riusciva più a sentire quello che il suo istruttore le stava dicendo, poi quando alla sfida si era aggiunto il professore decise di passare agli esercizi scritti, ma adesso il rumore era assordante e impediva di concentrarsi quel tanto che bastava per riuscire a capire almeno una parola a frase. Decise allora di passare alla fase di studio indipendente e, con un paio di cuffie, cominciò ad ascoltare discorsi di politici di tutto il mondo sottotitolati. Funzionò anche se non al meglio. Almeno resse per il resto dell’addestramento.
Erano finite le due ore, quindi Don richiamò tutti quanti al centro, poi guardò l’orologio e disse: << Bene reclute, sono le dieci in punto, quindi voi avete due ore per continuare ad allenarvi in modo autonomo, poi ci ritroviamo tutti in aula mensa a pranzo. Per quanto riguarda il pomeriggio, avete campo libero e, visto che è il vostro vero primo giorno, vi consiglio di unirvi a Lauren per osservare la struttura. >>
I sei si divisero quindi in vari gruppi, Marco si gettò verso le armi da fuoco, mentre Jeshi andò alla palestra, dotata anche di armi bianche, e puntò dritta verso la sua arma preferita, la lancia. Igor, invece, consapevole di non conoscere per niente la lingua, si diresse verso quella zona. Alfred si diresse anche lui verso quella postazione, visto il suo enorme amore verso le lingue africane. Shawn invece si voleva dirigere di nuovo verso la palestra, invitando gentilmente Lauren a seguirlo, ma la ragazza fu fermata da Donald, il quale doveva parlarle. << Lauren, non serve che ti spieghi che è meglio evitare rapporti troppo profondi con le persone qui dentro, vero? >> disse l’uomo, mentre la giovane annuiva e voltandosi rifiutava altrettanto gentilmente l’offerta del giovane per dirigersi verso l’area armi da fuoco.
<< Ah, vedo che c’è qualcun altro con la mia voglia di combattere qui! >> disse Jeshi quando Shawn si avvicinò alla postazione << Iniziamo con un po’ di autodifesa a mani nude o proviamo qualche lama? >>
<< Penso che possiamo benissimo iniziare dall’autodifesa >> rispose il ragazzo.
<< Bene allora. Partiamo quando vuoi >> disse Jeshi. Si scambiarono un paio di colpi, prima lentamente e via via crescendo di potenza, poi si riposarono un attimo, nel quale Jeshi gli insegnò la respirazione migliore per recuperare energie velocemente. Quando giunsero alle lame, Shawn finse continuamente di non vedere le katana, evitando di avere ricordi di quel giorno. Optò per una sciabola corta e uno scudo, dopodiché riprese il combattimento.
Nel frattempo Marco stava insegnando a Lauren a impugnare un mitra, ma la ragazza aveva molta paura e dopo che ebbe premuto il grilletto, un po’ per il terrore un po’ per il rinculo, cominciò a ruotare su se stessa non controllando l’arma. Marco si gettò a terra, Igor capovolse un tavolo che funse da riparo anche a Donald e Alfred ed infine Shawn ruotò su se stesso, afferrò Jeshi e protesse loro usando il suo scudo da allenamento. << Scusate >> disse Lauren quando riuscì a riprendere il controllo. Marco si gettò sul suo braccio e le strappò l’arma. << Mi sa che è meglio partire con qualcos’altro >> disse visibilmente arrabbiato, poi prese una pistola e gliela mise in mano, ne prese una più o meno grande uguale e le insegnò come si sparava. << Allora, se guardi la tv, tutti sparano con due mani quando hanno una pistola, questo perché di solito per loro la gente scappa. Ma quelli a cui dovrai sparare non vorranno scappare, vorranno ucciderti, quindi tu usa solo una mano. Gira leggermente il braccio in modo che la pistola sia orizzontale e che il mirino sia in linea con il tuo occhio sinistro. Poi tendi il braccio, ma fai in modo che non sia né troppo rilassato né troppo teso. Quando spari, fregatene di prenderlo per ucciderlo o meno, l’importante è che non possa più spararti. Capito? >> poi guardò la ragazza, che aveva seguito alla lettera i suoi insegnamenti e stava per sparare, e le raccomandò di non spaventarsi. Lei fece un bel respiro poi sparò un colpo che sfiorò leggermente il manichino, poi si rallegrò e, spronata da Marco, continuò a sparare, cambiando arma e anche usando due pistole contemporaneamente.
<< Ora puoi smetterla di proteggermi >> disse Jeshi, e il trentenne si rialzò tenendo sempre lo scudo alzato. << Scusa, ma era per sicurezza. Quella lì non riesce a maneggiare un’arma neanche se è fissata a terra >> rispose il ragazzo.
<< Oh, non scusarti, era solo così per dire >> disse la giovane << E comunque sembra averci preso la mano >>
<< Già, ma io questo lo tengo. Non si sa mai! >>
<< Piuttosto, è il momento di affrontare i rimorsi che hai con il passato. Forza! >> disse prendendo le due katane che c’erano nella sala. Poi ne lanciò una a quell’altro e sfilò la sua. << Ricorda sempre, non ricordare niente >> disse, poi si mise in posizione di attacco, scostò i capelli con un movimento della testa e attese la reazione del ragazzo. Shawn stava fermo, con il fodero in mano. In un attimo rivide tutta la scena e gettò la spada a terra inorridito. Poi ricordò quello che gli aveva detto all’alba, seduti dietro una roccia, Lauren. Bene o male lei aveva avuto McRonald, ma era rimasta perché pensava fosse il modo giusto per lasciarsi il passato alle spalle. E così avrebbe fatto anche lui. Riprese la lama, la sfilò dapprima lentamente, poi con un movimento secco e netto, ne saggiò il peso, quindi la impugnò con entrambe le mani e assunse una posizione frontale, più difensiva rispetto a quella di Jeshi. Iniziò per prima Jeshi, menando fendenti. Come da addestramento, lei doveva mirare alle gambe per fermare l’avversario ed eventualmente interrogarlo; Shawn d’altro canto aveva assunto un atteggiamento più da mordi e fuggi: non appena vedeva un secondo di scarto fra i fendenti della ragazza si intrometteva con un affondo al petto. Lui, addestrato dai film americani e dai videocorsi su YouTube, puntava invece ai colpi mortali. Ovviamente, però, Shawn attaccava una volta ogni tre possibili e con una grinta “inferiore a quella di un bradipo, e anche di molto” come stava dicendo Marco, mentre discuteva con Lauren in una pausa dal loro addestramento. Il sedicenne prese un fucile di precisione e lo diede in mano a Lauren, poi le spiegò come doveva tenerlo, come mirare e come sparare. Anche se spaventata, la ragazza ci prese gusto e iniziò un’agguerrita sfida di precisione con il ragazzo. Purtroppo per Marco, l’allieva aveva battuto il maestro e lei continuò ad umiliarlo finché non arrivarono alla fine dell’addestramento mattutino.
Sede della ARMED, USA (Sala mensa)
<< Chi è il perdente?! Chi è il perdente?! TU!! Hai perso, hai perso >> continuava a gridare estasiata Lauren, mentre Marco sbuffava a non finire. Per la verità anche gli altri stavano annoiandosi, dopo aver partecipato attivamente, tranne Igor che non capiva niente o molto più probabilmente gliene fregava ancora meno, poi il primo a smettere fu Alfred, seguito quindi da Shawn. Ormai anche Jeshi, che in certi momenti lo sfotteva con più foga di Lauren, aveva smesso di trovarci gusto e stava giocherellando con il coltello. Quando il colonnello Donald arrivò al tavolo, lanciò un’occhiata alla ragazza e le fece cenno di stare zitta, poi si schiarì la voce e disse: << Perfetto, come vi dicevo adesso avrete del tempo libero, che vi consiglio di impiegare per osservare l’edificio, e per invito intendo impongo molto caldamente. Qualche obiezione? >>
<< Sì, non avevamo già visto le planimetrie? >> chiese Jeshi, appoggiata da Shawn e Marco.
<< Perché, qualcuno le ha seguite? >> rispose ironicamente Donald. Marco alzò le mani ed espresse la sua volontà di non proseguire oltre. Così, mentre mangiavano non intrattennero altre discussioni, se non qualche piccolo scambio di frasi fra Shawn e Jeshi e Marco che parlava in un orecchio con Alfred e i due che si scambiavano un gesto di intesa. Quando ebbero finito si alzarono,andarono nelle loro camere e nel giro di dieci minuti erano nei corridoi della sede per il loro tour.
Sede della ARMED, USA (Ala Est, Corridoio 9)
Lauren stava illustrando tutte le cose interessanti della zona, dedicata principalmente agli archivi e ad altre mansioni da ufficio, che stavano visitando, così come aveva fatto con gli otto corridoi precedenti, e come aveva fatto con quelli dell’ala Ovest, e come aveva fatto anche con la zona centrale, dove stavano le stanze dei i cinque al suo seguito, annoiati più che mai. Shawn era davanti con Jeshi, subito dietro la stagista, poi Igor e Alfred, che stavano confabulando mettendo in pratica ciò che aveva imparato il russo di inglese, e a chiudere la fila c’era Marco, intento a prendere appunti su qualcosa. I due in prima fila stavano parlottando quando Lauren si intromise. << Ti dispiace se te lo rubo un momento? Penso che sia una cosa molto interessante per lui. >> disse, e senza attendere la risposta lo prese per un braccio e lo buttò al suo fianco. Rimasta così da sola, la giovane lasciò passare tutti gli altri e si mise in ultima fila assieme a Marco. << Oh, come mai si scrive qui?! >> chiese la ragazza. Marco alzò lo sguardo, mosse la penna davanti ai propri occhi come per fare dei brevi calcoli, poi guardò la ragazza e scrisse annuendo altre frasi sul foglio, poi guardò la giovane e le disse: << Di solito dormi molto la notte? >>
<< Beh, non sono una dormigliona ma neanche una mattiniera. Perché? >> rispose la ragazza un po’ titubante. Il ragazzo ricominciò a scrivere sul suo foglio, poi prese il suo cellulare e lo porse alla ragazza, che lo guardò stranito e disse: << Ah, proviamo ad essere romantici? Non mi sembra il modo migliore. >>
<< No, non è quello. >> disse Marco a bassa voce << Vai nella cartella della musica, c’è una playlist, si chiama Be Asleep, se hai un paio di cuffie usa pure le tue, in caso contrario dimmelo che te le presto io. >>
<< Quindi? Cosa devo farmene? >> disse lei con sguardo interrogativo.
<< Stanotte, quando vai a letto, attiva la playlist e riposa, poi alle quattro suonerà una sveglia sul telefono... >>
<< Cosa ti fa credere che ti farò entrare in camera mia! >>
<< Se mi facessi finire! Dicevo, c’è una sveglia alle quattro. Tu alzati, vestiti e prendi una qualche arma, decidi tu, se ti posso consigliare prendi un arco o roba simile. Poi alle quattro e mezza passo a prenderti. >>
<< E dove mi porti, mio cavaliere? >> lo canzonò la ragazza.
<< Dobbiamo infiltrarci nell’archivio dei dipendenti. >>
<< Scusa!? Dammi un buon motivo per farlo. >> disse quasi indignata la giovane.
<< Con che arma Shawn ha decapitato suo padre? >> iniziò ad interrogarla lui.
<< Con una katana, perché? >> continuò interrogativa la ragazza, quasi spaventata dalle divagazioni del ragazzo, che le sembrava quasi pazzo. Nonostante tutto lui continuò: << Che partita c’era quando arrivò mio zio a casa? >>
<< Aspetta, questa la so... eh... ehm... Torino - Juventus? >>
<< Per la verità sarebbe Juventus - Torino... comunque sì >> disse sbrigativo il giovane, poi continuò: << Quanti erano i terroristi che hanno aiutato Igor a fuggire? >>
<< Tre: la donna, quello che li ha traditi e quello che guidava. >>
<< In che parte del cervello ha il tumore Wald? >>
<< Destra, anche se l’occhio bionico è a sinistra perché in realtà copre tutta la testa, ma a destra è impiantato sottopelle per affrontare il tumore. O roba simile, non ho capito molto dalla sua spiegazione. >>
<< Ok ora trovami la risposta a queste due: dove si è laureata Lauren? Come mai Donald è finito in questo buco dimenticato da tutto il resto del mondo? >>
<< Beh... ecco... io... penso... ehm... >> disse titubante la ragazza, che non si ricordava se lo aveva mai sentito dire o meno. Il ragazzo la guardò con uno sguardo che significava una sola cosa: bisognava saperlo. E siccome sembrava che i due non fossero intenzionati a parlarne, l’unico modo era raggiungere i fascicoli. << Sei sicuro che ce la faremo? >> chiese la ragazza mentre attraversavano l’ultimo pezzo del corridoio.
<< Ovvio, dirigo io l’operazione! >> disse, poi aprì la porta per le scale e fece passare la ragazza.

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Capitolo 4
*** Segreti di Stato ***


CAPITOLO 3- Segreti di Stato
Sede della ARMED, USA (Stanza 8)
Jeshi buttò l’occhio sulla radiosveglia della sua camera, visto che non ne poteva della stupida musica di Marco, ma siccome si sentiva stanca quelle stupide melodie facevano il loro dovere. Quando ebbe messo a fuoco l’orario vide che segnava già le quattro. Preoccupata si alzò di scatto dal letto e si stava chiedendo come mai non fosse suonata la sveglia del cellulare di Marco quando quello fece un gran rumore, ancora più fastidioso delle altre canzoni. Jeshi si alzò, si mise la divisa da allenamento che aveva dal primo giorno che era arrivata lì, poi si mise un paio di scarponcini e lentamente aprì la porta. Si diresse quindi al magazzino delle armi bianche, prese dei kunai, piccoli pugnali da lancio, e quindi una katana e una piccola cerbottana. Ritornò quindi alla sua camera e lì attese che Marco passasse a prenderla. Il ragazzo arrivò puntuale e bussò alla porta. Quando la ragazza fu uscita, lui la guardò e inarcò le sopracciglia. << Scusami, ma io avevo chiesto un arco, mi sembra. >> disse il giovane.
<< Beh, io ho optato per questo set: la katana, adatta a tagliare i metalli sottili; la cerbottana, per disattivare meglio gli allarmi; e infine questi pugnali da lancio, utili per scassare le serrature. Come pensavi di usare l’arco?! >>
<< Mah... penso per colpire le guardie. Io ho preso questa pistola. >> e prese in mano una specie di pistola a tamburo che aveva in una fondina a lato. Jeshi lo guardò preoccupata e arrabbiata << Colpire le guardie!? Cosa cazzo ti ha fatto pensare che uccideremo delle persone che lavorano con noi e ci proteggono?! >>
<< Cogliona, questa è una pistola narcotizzante. Me l’ha modificata Alfred. Quello lì non è solo un gran genio, è anche un inventore niente male. >> disse il ragazzo saggiandone il peso e controllandone il mirino. Jeshi rientrò comunque titubante sull’utilizzo dell’arco nel deposito, poi prese dei proiettili per cerbottana narcotizzanti e rimise i kunai al loro posto. Quindi tornò al corridoio, dove oltre a Marco era arrivato anche Igor. << Perché c’è anche lui? >> chiese la giovane. << Beh, mi serviva qualcuno con forza bruta, nel caso... >> rispose il ragazzo, mentre si metteva un paio di occhiali scuri che avevano tanto l’aria di visori notturni. << Quindi siamo in tre? >> continuò Jeshi, e la risposta venne da una voce gracchiante sulla spalla di Marco: << Beh, se contate anche me, il vostro terzo occhio, siamo in quattro >>. A parlare era Alfred, da una piccola ricetrasmittente a forma di una banalissima spilla appuntata sul vestito del ragazzo. Anche Igor aveva qualche gadget, ovvero un paio di guanti rinforzati che miglioravano notevolmente la sua capacità di deformare metalli e un piccolo computer grande poco meno di uno smartphone con un dizionario di inglese incorporato. Marco passò poi a dare anche gadget alla ragazza, ovvero un paio di guanti con ventose, una corda con carrucola e una specie di piccolo orologio da polso. << Ora che abbiamo tutti i nostri piccoli regali è il momento di andare >> disse Marco premendo un tasto sui suoi occhiali.
Sede della ARMED, USA (Ala Est, Corridoio 7, Sala archivi)
Seguendo le indicazioni del suoi occhiali arrivarono in breve al corridoio degli archivi. Purtroppo per loro però la porta era sorvegliata da una decina di guardie. << Beh, vedo che le informazioni sono mooolto top secret. >> disse Jeshi << Cosa pensi di fare, ora? >>
<< Boh, penso che li colpirò tutti con la pistola >> disse Marco, ma dalla spilla Alfred disse: << Non lo farei. Se colpisci tutti a viso aperto potrebbero scoprirti. Se li colpisci uno alla volta e ti nascondi subito dopo ti cercheranno e ovviamente penseranno siate dei terroristi, quindi lo sai... >>
<< Fuoco a vista >> disse Igor con un inglese non proprio giusto. << Quindi? >> chiese Marco << Ora che si fa? >>
<< Fai fare a me. Questa è parte dell’addestramento che ho fatto. >> disse Jeshi, poi appoggiò la spada a terra e si diresse sensuale verso quella porta. << Oh, scusate, mi sa che mi sono persa. C’è qualche buon uomo che può accompagnarmi a prendere un bicchier d’acqua? >> disse la ragazza alle guardie sfoggiando un sorriso a metà fra l’indifesa e la sensuale. Il risultato fu ovvio. Le fu subito ordinato di tornare in camera. << Com’è possibile?! Perché non mi hanno aiutato?! Dove ho sbagliato?! >> sussurrò agli altri quando svoltò nell’angolo dove erano nascosti. << Beh >> disse saccente Marco << Punto uno: hai sedici anni, e non so in Giappone, ma qui oltre i vent’anni provarci con te è un reato penale. Punto due: loro sembrano molto ligi alle regole e al dovere, anche coniugale, e visto che qui si scelgono le ragazze con i computer credo che siano tutti sposati o quasi. Punto tre: per quanto siano tolleranti, gli americani preferiscono le americane, e difficilmente gli piaceranno le asiatiche. Punto quattro, e non offenderti: non sei esattamente il simbolo della femme fatale sexy. >>
<< Mi stai dicendo >> disse aggressiva la ragazza puntandogli contro un dito << che non sono bella? >>
<< No! >> disse il giovane << Se potessi andrei a letto con te anche ora, lo farei senza chiedere altro. MA non sei bella sexy, sei bella pura. Ecco... se posso usare una metafora un po’ forzata... tu non sei una pornostar, sei una modella; bella ma in modo diverso >>. Jeshi gli stava per menare un ceffone quando si ricordò che non dovevano fare rumore. Erano quindi rimasti lì fermi per capire come fare. Marco, usando i suoi occhiali, stava cercando di trovare un’entrata secondaria per la stanza. Ad un certo punto si alzò, osservò attentamente sopra la sua testa, seguendo forse una mappa interattiva sui suoi occhiali, poi guardò Jeshi e chiese: << Quanto pesi? >> Jeshi lo guardò dubbiosa. << Perché è importante? >> chiese la giovane.
Igor afferrò la grata, e con la forza dei suoi guanti la scardinò e aprì un ingresso per la ragazza. << Ripetimi, perché devo entrare io attraverso i condotti dell’aria? >> chiese Jeshi mentre si attaccava la corda alla carrucola nella sua cintura. << Non hai vagamente notato che cento te non farebbero un Igor? E per quanto mi riguarda, sono quello meglio armato qui, l’unico che può difenderci nel caso di fuga. >> disse Marco mentre toccava dei tasti sui suoi occhiali, poi aggiunse con tono sarcastico << Ah giusto, tu sei una ninja, quindi muoviti e entra >>. Igor aiutò la ragazza a salire e quando lei fu dentro il condotto premette un tasto sul suo orologio, e apparve quello che sembrava un navigatore. Segui la strada che era indicata poi, raggiunta la grata da cui doveva scendere, la rimosse attenta a non fare rumore. A quel punto tirò due volte la corda a cui era attaccata, un segnale per Igor e Marco che stava per scendere. A quel punto si calò fino a metà altezza e tirò nuovamente la corda per far fermare gli altri due e iniziò a dondolare da un lato all’altro della sala, fino a giungere ad una parete a cui attaccarsi con i suoi guanti. Si spostò lì vicino, dove c’era una piccola stazione dell’allarme e usando un piccolo cacciavite elettronico nel suo orologio la svitò, dopo di che tagliò un filo e tolse l’allarme alla sala, poi scese e si diresse verso dei cassetti, cercando i fascicoli. Quando li trovò, tirò tre volte la corda e fu fatta risalire nel condotto.
Sede della ARMED, USA (Zona Centrale, Corridoio 1)
<< Allora? >> chiese Alfred dalla ricetrasmittente mentre i tre correvano verso la zona centrale. << Li ho presi! >> disse Jeshi mentre imboccavano il corridoio su cui si affacciavano le loro camere. Una volta arrivati si fermarono a riposare, poi i due accompagnarono Igor in camera. << Grazie per il tuo aiuto >> disse Marco << Come potremmo sdebitarci? >>
<< Per ora non serve niente a me. Dirò più tardi a voi >> rispose il russo osservando il suo dizionario, poi rientrò in camera sua, mentre i due entravano nella camera di Alfred. << Bene ragazzi, avete ottenuto quello che cercavate? >> chiese il professore, mentre l’occhio bionico si muoveva avanti e indietro. << Certo, però prof la smetta con quell’occhio, è inquietante. Comunque, se possiamo ricambiare il favore... >> rispose la giovane un filo disgustata. Il professore coprì l’occhio e disse: << Scusate, ma a quest’ora il computer di solito compie i test di efficienza. Comunque, io lo faccio solo per gentilezza, ma se proprio volete ricambiare il favore... >> e continuò tirando fuori un paio di progetti << Donald non approverebbe, ma mi serve testare questi progetti. Molti sono per me, ma alcuni sono per gli altri componenti della squadra. Voi potreste provare i vostri >>
<< Mi sembra un’ottima idea. Beh, quelli di oggi mi sembrano utilissimi, no... >> disse Marco
<< Anche i miei erano utili, se riuscissi a potenziare l’orologio sarebbe perfetto. >> aggiunse Jeshi, poi i due salutarono l’uomo e tornarono verso le loro camere. Mentre Jeshi stava entrando, notò che Marco, invece di entrare, la stava osservando. << Beh, che c’è? >> disse Jeshi.
<< Non sei un po’ curiosa? >> chiese il ragazzo scuotendo i fascicoli; la ragazza rispose con un breve sorriso, poi lo fece entrare in camera.
Sede della ARMED, USA (Stanza 8)
<< Allora, benvenuto ufficialmente nella mia nuova “casa”, in un certo senso. >> disse Jeshi, mentre accendeva qualche luce in modo da leggere meglio i fascicoli, poi si girò di scatto verso il giovane e disse: << Prendi il colonnello o la stagista? >>
<< Stagista! Mi sembra molto più interessante >> disse Marco.
<< Perfetto. Dieci minuti per leggere i fascicoli, poi sommiamo quello che sappiamo, d’accordo? >> chiese la ragazza, e alla risposta positiva del ragazzo iniziarono a leggere. Dopo circa un quarto d’ora, i due iniziarono a parlare. Il primo ad esporre il resoconto fu Marco: << Beh, allora, riassumendo: Lauren Julie Heart, nata in Texas, suo padre ebbe problemi con la legge quando lei aveva sette anni, così la madre divorziò e andò a vivere a New York. Lì Lauren frequentò liceo e università, concludendo il tutto con una laurea. Fin qui tutto normale, sennonché la sera dopo aver preso la laurea andò a festeggiare in un night club. Lì conobbe quello che poi divenne il suo ragazzo, il quale si scoprì dopo appartenente ad un clan mafioso. Venne affidata al programma protezione testimoni, poi fa arrestare il padre del suo ex, il boss, e torna alla vita normale. Purtroppo i sicari del boss la trovano, uccidono una sua amica e provano a giustiziarla, però qui entra in gioco... Donald, all’epoca poliziotto del NYPD, che la salva. Viene riaffidata al programma protezione testimoni e in particolare a McRonald. Passano quattro anni, poi lui viene trasferito per l’esercito ad una struttura segreta, penso la ARMED, e lei lo insegue in moto, costringendolo a chiamarla come stagista. Sembra ci sia un bel rapporto fra loro. >> concluse Marco.
<< Non ci metterei così la mano sul fuoco. >> rispose la ragazza, poi si schiarì la voce e iniziò << Donald McRonald, nato a New York da padre scozzese. Quest’ultimo viene chiamato come capo delle guardie del Presidente degli Stati Uniti e tiene questo ruolo finché un infarto non lo stronca a sessantatré anni, ma non è molto importante. La madre invece diventa un’importante avvocatessa. Donald entra nella polizia, quindi inizia la sua gavetta e ad un bar conosce una certa Sarah, la proprietaria, con cui un anno dopo si sposa. Guarda se è venuto bene in questa foto! >> disse, poi mostrò una foto allegata al fascicolo, leggermente bruciata agli angoli, che mostrava una ragazza in abito da sposa e Donald con un’uniforme da parata.
<< Bah, se lo vuoi sposare fai pure. >> disse sarcastico il ragazzo.
<< Non sto dicendo questo, sto solo dicendo che gli sta bene. >> controbatté Jeshi << E poi se dovessi sposarmi con qualcuno sceglierei un qualche attore di Hollywood >>. Marco la guardò stupito, poi aggiunse: << Allora sei normale! Pensavo al tempio ti insegnassero a non provare emozioni. >>
<< Dai smettila >> disse la ragazza, poi continuò il suo racconto << Comunque, nel fascicolo c’è un foglio che riguarda la moglie, ma è stato parzialmente bruciato ed è illeggibile. Tre anni dopo questo foglio, Donald compie un’azione di salvataggio di un ostaggio nell’ambito di un attacco mafioso, penso sia un giro di parole per dire che ha salvato Lauren, ed entra nel programma testimoni. Continua così a lavorare nella Polizia, poi passa a una mansione di transizione per l’Esercito e dopo sette anni di onorato servizio nella Polizia va in pensione, ma in realtà noi sappiamo che passa completamente all’Esercito e viene trasferito al comando della ARMED. Fine. >> concluse la ragazza. Marco annuì, poi disse: << Questo che ci dice? >>
<< A parte il fatto che sono stati un po’ tutti costretti come noi? >> chiese la ragazza
<< Che c’è qualcosa fra loro. >> disse il ragazzo, poi vedendo Jeshi dubbiosa continuò << Dopo essere sposato con sua moglie difficilmente te ne vai in esilio forzato e volontario senza portarti dietro la famiglia, non credi? >>
<< Già, potrebbe essere... >> meditò la giovane.
<< Quindi bisogna capire che cosa c’è sotto >> disse il ragazzo, sicuro delle proprie idee. Jeshi rimase un po’ a pensare, poi espresse le sue perplessità: << Quando scopriranno che gli abbiamo rubato i fascicoli, non potremo più toccarne alcuno. Per di più non possiamo chiederglielo. Quindi, qual è la mossa? >>
<< Ragiona! In questi fascicoli sono nominate tre persone. Noi sappiamo quasi tutto di due, cerchiamo informazioni sulla terza. >>
<< Dovremmo riorganizzarci però... Il colpo sarà più difficile. Ci servirà qualcuno armato di capacità razionali, agilità e amicizia con uno di loro... Ci serve... >> disse Jeshi pensierosa
<< ... Shawn. >> concluse Marco. Dopo alcuni minuti in cui discussero del più e del meno Marco tornò in stanza per dormire un po’, ma esattamente cinque minuti dopo che si fu sdraiato sul letto la guardia di turno lo chiamò a colazione.
Sede della ARMED, USA (Sala mensa)
Marco, Jeshi, Alfred e Igor erano visibilmente assonnati quando entrarono nella sala, così tanto che ci misero un po’ a capire che stava per arrivare un importante generale per vedere i progressi, seppur minimi, della nuova squadra. Nessuno se ne preoccupò molto, solo Donald era un po’ curioso di sapere chi era, ma l’incontro era prefissato per le dieci, quindi ben due ore più tardi. Aveva deciso, convinto da Lauren, di passare la colazione assieme al resto della squadra e non chiuso nel suo deprimente ufficio. Fu appunto lì che accadde tutto.
Nel giro di tre, quattro minuti da quando avevano finito la colazione, si sentivano guardie gridare, alcuni stagisti fuggire, soldati che, armati di tutto punto, stavano atterriti. In breve tempo, entrò nella mensa un soldato con una divisa, che disse: << Salve signori, il generale vuole vedervi >>. Mentre i sette si preoccupavano di quello che stava succedendo, atterriti dalla reazione degli impiegati del luogo, Donald cominciò a dire, leggermente emozionato: << Avete visto la scorta del generale? Ecco, quella è la fantomatica Legione Distruttori, famosa per non lasciare cadaveri, solo brandelli. Sapevo che il loro generale era andato in pensione, ma non so chi sia ora. Devo chiederli un autografo. Lauren, vai nel mio ufficio a prendere il libro degli autografi. >>. Mentre la ragazza si alzava dal tavolo e correva a prendere il libro, Marco borbottò sottovoce agli altri: << Se si mette a urlare come una groupie giuro che me ne vado! >>. Non appena la stagista fu tornata, il soldato che la stava aspettando fece segno agli altri che, armati di esplosivi, bazooka e molotov fino ai denti, si disposero a formare un corridoio, poi uno di loro urlò: << Il Generale Bonesbraeker >>. Mentre i sette seduti al tavolo erano tutti stupiti e increduli che potesse essere proprio quel Bonesbraeker, dalla porta entrò nel corridoio umano un uomo, alto almeno quanto Donald, con i capelli neri gellati e il mento leggermente appuntito. Portava un corto pizzetto che in un certo modo risaltava il suo viso, dove due occhi stretti spiccavano. Tutti avrebbero potuto dire che, di quella squadra, era il più gentile, ma tutti, soprattutto Donald, sapevano che Maximilian Thomson era una mente sadica, che appena ti conosceva sviluppava già trenta modi per ucciderti e farlo sembrare un incidente. Se non fosse al servizio del governo, la CIA lo avrebbe già ucciso perché pericoloso. Quando fu davanti al colonnello, si sistemò la cravatta che gli prudeva, poi si rivolse a McRonald e disse: << Don, vedo che ti sei già preparato per l’autografo. Molto gentile. >>
Sede della ARMED, USA (Ufficio del Direttore)
<< Allora >> disse Donald mentre chiudeva la porta dopo che i due furono entrati << Posso offrirti qualcosa? >>
<< Sei sempre un casinista, Don >> disse Maximilian mentre, mani in tasca, si aggirava per la stanza, poi prese una cartella che sporgeva dal tavolo e la gettò sulla sedia da ufficio. << La vuoi smettere, era perfetta lì dove era, non dovevi spostarla! >> esclamò secco Donald, ma lui si appoggiò al tavolo e iniziò a giocherellare con una biro, poi disse: << Dunque, è con quelli che hai intenzione di formare la squadra? >>
<< Non mi sembrano male. >> rispose il colonnello. Maximilian lo squadrò, poi passò a prendere una cartella lì vicino, la aprì, cominciò a sfogliarla e disse: << Dunque, vediamo, abbiamo due minorenni, ah questi non possono impugnare un’arma da fuoco, non bene. Poi abbiamo un assassino, mh, se riceverà un’arma potrebbe uccidere chiunque. Inoltre abbiamo un professore che potrebbe impazzire da un momento all’altro e un gigante che è già fuggito da una struttura governativa. Ah, e poi abbiamo Lauren, la ragazza bella e stupida che potrebbe farti da ombra per quanto ti sta attaccata. >> lo guardò storto per un po’, mentre Donald, in visibile preoccupazione, stava per controbattere, quando Maximilian lo precedette: << Penso, e tu lo sai, che questa squadra sarà arrabbiata con il sistema, in lotta con il mondo e in perenne fuorilegge. Complimenti, quello che ci serviva. >>
<< Credevi che non avrei saputo scegliere? >> disse il colonnello  << La metà di loro sa fare cose impossibili, mentre l’altra metà è al limite delle capacità umane. >>
<< Sono d’accordo su tutti loro, ma devo chiederti una cosa. >> si avvicinò, scostandosi dal tavolo, e arrivò esattamente a un palmo da Donald e continuò << Quanto sei sicuro di loro? Non pensiamo a quello che sono? Saranno in grado di combattere? Non intendo dire che rispondano agli ordini, di soldati come quelli ce ne sono anche troppi, io, e il resto dei generali che stanno appoggiando il progetto, vogliamo che siano pieni di valori, non quelli che ti insegnano al capo di addestramento, veri valori, saper scegliere cosa è buono o cosa no. >>
<< Spiegami, e se questa scelta fosse contro l’America, li lascereste fare? Siamo uomini, quindi peccatori, e Dio sa che esiste il perdono. Se loro penseranno di avere in mano le scelte che fa Dio, non credi che potrebbero punirci per i nostri peccati? Non voglio una squadra di esagitati! >> rispose secco Donald, ma Maximilian stava ridacchiando isterico mentre si allontanava dall’uomo. << A quelli che vogliono la squadra non frega niente di come si comporteranno, devono PENSARE di essere loro a scegliere. Cerca di indottrinarli per bene, Don, vogliamo che si schierino sempre dalla parte giusta, capisci? >> poi lo guardò fisso negli occhi e aggiunse: << Don, Don, Don... Perché continui a vivere nel passato, saranno tredici anni, non serve a niente rifiutare tutto e tutti. Quella volta cosa ti dissi, quando ti vidi? “Ricordati sempre da che parte devi stare” ecco cosa ti ho detto, e tu lo hai fatto. >> e si voltò verso la finestra a guardare il panorama, quando Donald controbatté: << È anche vero che ho iniziato una crociata di sangue >>. Maximilian continuò però a fissare la finestra, poi abbassò lo sguardo e disse: << Non che non servisse. Però guardati! Eri un semplice commissario di polizia e ora il destino del mondo è nelle tue mani. Qui, quello più pericoloso per i piani alti sei tu. >> Donald rimase un po’ a pensare poi disse: << Di’ ai tuoi capi che la squadra sarà la migliore che avranno, precisa al dettaglio >>. Maximilian si voltò soddisfatto, poi si accese una sigaretta e ne offrì una al colonnello, che la rifiutò. Dopo un paio di tiri, sbuffò una nuvoletta di fumo e disse: << Okay Don, poche storie, mi serve la tua squadra pronta entro un mese. Dopo quello che è successo a Parigi il governo vuol dare un colpo di reni e affrontare i terroristi. Non lo faremo fare alla tua squadra, logico, ci serve solo un lavoretto... >> McRonald lo guardò come se fosse impazzito, poi aggiunse: << Mi fai la predica che la squadra non è adatta perché ci sono due ragazzi, due psicopatici, un ribelle e Lauren, poi mi dici che la prima missione è un omicidio! Dammi due buoni motivi per cui dovrei accettare. >> Il generale si avvicinò a Donald, sempre fumando, gli soffiò in faccia, facendolo tossire, poi disse secco e deciso, enumerando con le dita: << Primo: sono un tuo superiore e perciò mi devi ubbidire senza se e senza ma, e tu ne hai già usati troppi. Secondo: non ho mai parlato che dovrà essere la tua squadra a ucciderli, perché si, non sto parlando di una sola persona, stiamo puntando ad un’intera cellula jhadista stanziata in Giordania. Ora te lo ripeto un’altra volta, saranno pronti da qui a un mese? >> Donald abbassò lo sguardo, poi disse: << Sì, ma sappi che se anche solo uno di loro spargerà del sangue, suo o di altri, potete considerarmi fuori dal progetto. >> Maximilian sorrise soddisfatto, poi si diresse verso la porta, mettendosi a posto la giacca. Stava per aprire quando disse: << Ah, quasi dimenticavo, Don. Ricordati sempre che hai fatto così anche tu all’epoca. >>
<< All’epoca >> ringhiò fra i denti Donald << Io ero coinvolto personalmente. >>
<< Cerca di non fare il bis! >> rispose il generale già nel corridoio.
Sede della ARMED, USA (Sala degli addestramenti)
Erano ancora lì. Jeshi pensava di essere in un qualche modo impazzita, ma il piano che Marco aveva estrapolato era perfetto nei minimi dettagli, quindi si era attesa alle disposizioni, chiare e semplici. “Devi essere carina con Shawn” le aveva detto Marco “A Lauren gli piace, quindi sfrutteremo la gelosia che prova nei tuoi confronti”. Con questa scusa del dover essere carino e con la richiesta di Donald di aumentare gli addestramenti, Jeshi era ormai da quattro settimane impegnata a lavorarsi Shawn, ma almeno quel giorno sarebbe stato l’ultimo. Doveva solo recitare al meglio delle sue capacità. Fu proprio mentre Shawn stava riponendo gli attrezzi che avevano usato per allenarsi che iniziò la prima parte del piano, o come la chiamava Marco “Ouverture”. Si schiarì la voce e poi disse: << Ehi Shawn, non è che ti andrebbe di fare un giro, devi partecipare ad una cosa. >> Il ragazzo sulle prime, insospettito che la ragazza si fosse presa una cotta adolescenziale per lui, finse di essere stanco, ma Jeshi fu più abile e usando la frase magica “Sei il fratello maggiore che non ho mai avuto” riuscì a convincere il ragazzo a seguirla. Arrivarono davanti alla camera dove dormiva Shawn, così la ragazza gli consigliò di entrare a mettersi qualcosa di più adatto. Mentre il ragazzo si cambiava, prese il telefono e chiamò, come da accordi, Marco: << Ohi, tutto a posto, io ho fatto >>
<< Jeshi, quante volte te lo devo ripetere che devi dire “L’Ouverture è finita, procedete con il Primo Atto” >> rispose stizzito Marco.
<< E va bene. L’Ouverture è finita, procedete con il Primo Atto. Sei contento ora? >>
<< Sì, grazie mille >> e buttò giù. Finita quella telefonata, Jeshi aspettò ancora un po’ che arrivasse Shawn, quindi lo portò un po’ in giro.
Sede della ARMED, USA (Zona Centrale, Corridoio 1)
In quello stesso istante Alfred aveva iniziato la sua parte di piano. Per essere quasi un cinquantenne aveva ancora molta forza, e il suo principale scopo nell’elaborato piano era far sfociare in una follia omicida indotta Lauren. Il metodo era semplice e, per l’occasione, si era fatto aiutare da Igor, che doveva interpretare un ruolo quasi impossibile per lui, quello del pettegolo. I due erano ad un passo dalla camera di Lauren in attesa che la ragazza uscisse. Sentirono qualcuno armeggiare alla maniglia e si prepararono.
<< Ti ricordi quello che devi dire? >> chiese Alfred, che ottenne come risposta un breve cenno di capo. I due iniziarono a discutere con quelle che sembravano innocue chiacchiere di corridoio. Casualmente, passarono dalla porta di Lauren, proprio quando lei aveva aperto e, altrettanto casualmente, mentre stavano parlando di un ragazzo e una ragazza che si erano baciati nella struttura.
<< Scusate se mi intrometto, ma potrei sapere di chi state parlando? >> chiese Lauren, la cui curiosità era talmente grande da poterla muovere contro la sua volontà.
<< Certo! Stiamo parlando di Shawn e Jeshi. >> disse Alfred << Non sembrano carini insieme? >>
<< Mah! Per me la differenza di età è troppo grande >> continuò Igor.
<< Ahh... Interessante... E quand’è che si sono baciati? >> ormai un leggero sentore di rabbia traspariva dalle parole della ragazza.
<< Beh, se non ricordo male, li ho visti baciarsi anche poco fa, nell’atrio. >> disse Igor.
<< Io li ho visti che passeggiavano per l’Ala Ovest giusto qualche istante fa. Sai com’è, l’occhio bionico. >> Disse Alfred, ma quella spiegazione non fu recepita dalla giovane che era già scattata furiosa e con il sangue agli occhi per trovare il ragazzo.
Sede della ARMED, USA (Stanza 711)
Ragazzo che era ora entrato in una stanza con Jeshi, dove ad aspettarli c’era Marco, che stava imbandendo una tavola con patatine di ogni genere mentre un piccolo robottino ideato dal professore stava mettendo uno striscione di auguri da un lato all’altro della sala. << Cosa significa tutto questo? >> chiese Shawn non appena fu arrivato. Jeshi si voltò e rispose semplicemente: << Scusa, ma avevamo paura che se te lo avessimo detto tu avresti potuto dirglielo. Stiamo organizzando una festa a sorpresa per Lauren. >>
<< Già, e se tutto va bene Igor e Alfred dovrebbero arrivare a... >> disse Marco, ma fu interrotto dall’entrata dei due, pronti a partecipare.
<< Ci siamo, ragazzi, spegnete le luci. Ora che ci penso è la mia prima festa a sorpresa, che emozione! >> Disse Jeshi, fingendo stupidità. Sapeva che il modo migliore per far capire che non c’è niente sotto era far finta di essere talmente stupidi da non riuscire a formulare un piano decente. << Perfetto >> disse Marco << Ora manca solo... >>. Gli altri lo guardarono straniti, poi si ricompose e spiegò: << Pensavo che avrebbe fatto come hanno fatto loro >>.
In quel momento, con la furia di una tigre, entrò nella buia stanza Lauren, che per fortuna non era passata dalla mensa a prendere un coltello, e disse: <>
<< Sorpresa! >> urlarono in coro tutti, Igor escluso, che alzò semplicemente le mani fingendosi eccitato, interrompendo così la furia di Lauren che scoppiò a ridere. Jeshi e Marco si scambiarono uno sguardo di intesa, così mentre la ragazza si avvicinava a Shawn, il ragazzo offrì da bere alla festeggiata: << Propongo un brindisi. >> Disse, alzando il suo bicchiere << A Lauren Julie Heart, la migliore stagista e, beh, la più bella, che sia mai esistita. >>
<< Grazie mille a tutti. >> Disse la ragazza, mentre un po’ tutti a turno stavano congratulandosi, poi si guardò un po’ intorno e chiese: << Ma, voi, come sapete che oggi è il mio compleanno? >>
<< Oh è molto semplice >> disse Marco e dopo aver sorseggiato un po’ di aranciata dalla cannuccia concluse << Lo abbiamo letto nel tuo fascicolo >>. In quello stesso istante Jeshi, con una morsa imparata in anni di addestramento, afferrò il collo di Shawn e lo costrinse ad inginocchiarsi; Alfred premette un tasto e il robottino, che
stava ora trasportando bicchieri come un cameriere, lasciò cadere il vassoio e si divise in quattro parti che si diressero in volo verso Lauren; Marco spinse Lauren verso il muro in modo che le manette volanti si attaccassero; Igor invece non fece niente, se non spostarsi sulla porta per evitare di far entrare qualcuno.
<< Lauren, non serve che gridi, se non vuoi che Jeshi paralizzi Shawn, permanentemente. Sappi che abbiamo letto i fascicoli tuoi e di Donald, e ci servono spiegazioni. >> disse Marco, mentre la ragazza convinta dalla minaccia si stava tranquillizzando. Lauren, evitando di urlare, disse: << Lasciatemi andare. Cosa volete sapere, i nomi delle persone che mi hanno minacciato? Oppure volete che vi dica se c’è qualcosa fra noi due? Sappiate che la risposta è no! Io l’ho sempre visto come un padre! >>
<< Ci serve solo una piccola informazione. Cosa è successo alla moglie di Donald? >> Lauren li guardò stranita, come se avessero detto una cosa incredibile, poi trovò il coraggio per parlare e disse: << Ma siete sicuri che Don abbia una moglie? >>
Sede della ARMED, USA (Ufficio del presidente)
I sei stavano ora marciando a velocità della luce verso l’ufficio di colui che sapeva tutto di loro, ma non voleva far sapere niente di sé. Lungo la strada era stato accertato, nell’ordine: che Lauren non aveva raccontato la sua storia perché non ci aveva pensato, che minacciare di paralisi permanente un uomo solo per sapere della moglie di Don non è moralmente corretto, che la presa di Jeshi non poteva realmente paralizzare Shawn, che Donald era un “bastardo con i controcazzi” e altri coloriti epiteti pronunciati da Marco, che a Igor non importava niente, che il trucco della festa di compleanno era perfetto, che quando sarebbero stati nella prima missione i piani li avrebbe fatti Marco, che tutti volevano almeno uno dei gadget di Alfred per la prima missione, che ancora non sapevano quando fosse la prima missione.
Entrarono praticamente sfondando la porta mentre Donald stava bevendo il caffè tanto da fargli andare di traverso l’ultimo sorso. Marco, in prima fila, stava per parlare quando Donald gli fece cenno di aspettare e diede due colpi di tosse. Marco si gettò quindi sulla sedia da ufficio di fronte alla scrivania e disse: << Noi due abbiamo bisogno di parlare un attimo. >>
<< Noi sette, soprattutto io >> disse particolarmente irata Lauren, trattenuta a stento da Shawn su un lato, con l’indice da Igor sull’altro. Donald passò con uno sguardo ad uno ad uno tutti i presenti, poi fece un bel respiro e disse: << Toc toc! Chi è? Prego Marco, come stai? O, salve anche a voi ragazzi, vi posso offrire qualcosa? Ma prego, accomodatevi, Marco, siediti pure ed esprimi quello che mi devi dire. Ragazzi, vi hanno insegnato l’educazione? >>
<< E a te hanno insegnato la lealtà? >> disse Marco e spiegò quello che avevano fatto nei giorni precedenti, concluso il discorso, infine, chiese << Perché non ci hai parlato di tua moglie? >>
Donald tirò fuori un coltello da sotto il banco e lo puntò alla gola di Marco, poi lo lanciò dalla parte opposta della sala e si scusò. << Penso che ora abbiate delle buone ragioni per sapere quello che volete >> disse, scioccato per il suo gesto come tutti gli altri. Stava per iniziare il suo discorso quando lo schermo dietro di lui si accese ed apparve il volto appuntito del Generale Thomson, che esordì con: << Puoi sempre parlarne la prossima volta, ora abbiamo da fare. Vi sto affidando la vostra prima missione. Sto arrivando, ci vediamo al Pantheon. Ci sono domande? >> Marco alzò lesto la mano e, senza avere il permesso, chiese: << Cos’è il Pantheon? >>. Maximilian si coprì con la mano gli occhi e disse: << Marco, sii sincero, stavi pensando ad una ragazza mentre spiegavano la planimetria dell’edificio. Il Pantheon è il deposito della base. Lì avrete tutto quello che vi serve per la vostra missione. Ah dimenticavo! >> aggiunse, accendendosi una sigaretta << Gli esplosivi sono miei. >>

Angolo dell'autore
Beh... salve! Scusate se mi intrometto nella storia, di solito non lo faccio, ma ora mi serviva per ringraziare un paio di persone. Per primi vorrei ringraziare la mia squadra di amici che mi aiutano, in particolare Antea, che riesce a vedere un errore di ortografia ad un miglio di distanza. Poi vorrei ringraziare xX_Shadow_Xx per le belle recensioni che ha fatto, ti prometto che non rimarrai delusa/o (?). Infine vorrei ringraziare tutti voi lettori per come seguite le mie storie. Grazie mille a tutti!

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Capitolo 5
*** Il Deserto dei Demoni ***


CAPITOLO 4- Il Deserto dei Demoni
Sede della ARMED, USA (Pantheon)
<< Dove sono i giubbotti antiproiettile? >> gridò Marco da un lato dell’enorme sala sormontata da una gigantesca cupola apribile per permettere il passaggio di velivoli. << Mi sa che sono qui! >> disse Shawn, che stava prendendo una katana, come gli aveva consigliato da Jeshi, mentre Igor stava raccattando un po’ di roba e mettendola in uno zaino. Lauren invece, emozionata come una bambina al circo, stava saltellando da una zona all’altra della sala prendendo tutte le cose che sembravano più fighe, per poi rimetterle a posto quando ne trovava di migliori. << Signori >> disse Donald, entrando da una porta di servizio seguito da Alfred, coperto da un mantello che nascondeva tutto il corpo, << Vi presento Prof >>. Alfred  si tolse quindi il mantello, rivelando una fine armatura di acciaio e titanio con rifiniture in oro che copriva il suo busto e da cui dipartivano dei sistemi di pistoni e cavi che si spandevano su tutti gli arti, fino a giungere a un paio di guanti tecnologici sopra e degli scarponi metallici con suola leggermente rialzata. << Cavoli! >> disse Marco << Se quella è l’armatura, non oso pensare ai gadget! >>. Infatti furono la cosa che venne dopo: il robot che aveva bloccato poco prima Lauren stava portando avanti un carrello su cui giacevano vari oggetti. Il primo che spiccava era una versione migliorata della pistola narcotizzante di Marco, che ora poteva sparare quattro tipi diversi di proiettili, ovvero narcotizzanti, esplosivi, microspie e accecanti. Subito dopo che il ragazzo l’ebbe preso, Igor prese i suoi guanti, ai quali era stato aggiunto un sistema per permettere ai pugni di essere molto più distruttivi; Jeshi, che nel frattempo aveva già preso il suo orologio multiuso, stava ora controllando la miriade di nuove funzionalità introdotte da Alfred. Quando venne il turno di Shawn e Lauren, il professore mostrò al primo uno zaino dotato di varie fondine per vari tipi di armi che aveva anche un braccio aggiuntivo meccanico e mobile come una coda dotato di spara fumogeni, mentre alla seconda diede una serie di oggetti di make-up che in realtà erano pericolose armi. Una volta finito, Alfred fu ringraziato da tutti, mentre Marco disse ridacchiando: << Non mi aspettavo questa bravura da lei, Q. >> Alfred allora, anche lui ridacchiando, rispose: << La prego di riconsegnare intatto l'equipaggiamento al termine della missione >>. [*]
In quel preciso istante si aprì lentamente la cupola e un enorme jet a decollo verticale atterrò in mezzo alla sala. Una volta aperto il portellone, Maximilian scese e osservò la squadra che si preparava a imbarcare la roba sul jet. << Benvenuti signori. Questo è il migliore modello di jet a decollo verticale, ed è mio se non si fosse capito. Il suo nome sarebbe JFK 486921, ma io lo preferisco chiamare Expolosion 711. Marco >> disse Maximilian, rivolgendosi al ragazzo << siamo passati dall’area 51, ti abbiamo preso un regalino >> e gli lanciò la lancia. Marco la guardò cadere al suo lato, poi fu un po’ titubante. << Non ti accadrà niente >> disse Alfred << Il primo contatto provoca una specie di alterazione chimico-fisica del tuo organismo che ha prodotto un sacco di effetti collaterali, ma ora dovrebbe essere passato. >> Marco afferrò l’asta e come previsto non accadde niente, così saltò sul jet e invitò tutti gli altri a fare lo stesso.
Spazio aereo internazionale
Nessuno su quell’aereo sembrava aver tempo per respirare. Marco era al minibar a sgolarsi ettolitri di Coca Cola, anche se la caffeina era l’ultima cosa che gli serviva. Jeshi e Shawn stavano allenandosi al corpo a corpo, ma era ormai diventato una gara di corsa visto che Jeshi aveva disarmato Shawn che, contando sulla prestanza fisica, si era voltato e aveva cominciato a correre. Jeshi, per dimostrargli di essere anche più veloce di lui, aveva deciso di inseguirlo e ora entrambi stavano correndo in giro per tutta la zona passeggeri del jet. Alfred stava andando in paranoia per il fatto che si era dimenticato a terra le sue ricetrasmittenti e aveva completamente distrutto un computer per ricostruirle. Ora stava armeggiando con un groviglio di cavi dalle dimensioni impressionanti. Igor, che fino a quel momento si era dimostrato calmo e pacifico, ora stava allenandosi con le lattine usate da Marco, tirandole in aria e colpendole al volo con una tale forza da deformarle. Nella sala di comando, Donald stava trasmettendo una lista infinita di dati, percentuali, statistiche e relazioni a una base governativa, mentre Lauren, formalmente secondo pilota, stava giocando con foga ad un gioco con le cuffie nelle orecchie e i piedi sul volante. L’unico per cui il tempo non passava era Maximilian, che era ormai stufo dei rumori della squadra nella sala alle sue spalle e del completo menefreghismo dei due “dirigenti” della squadra, se così si potevano chiamare quei due al suo fianco. Fu dopo un’ora di viaggio che decise di prendere veramente il controllo della situazione, ad iniziare da Don e Lauren. Per il primo gli staccò il collegamento radio e quello, un po’ arrabbiandosi, gli urlò contro qualcosa sull’importanza di tenere informata la base, ma lui non si interessò minimamente a quello che diceva. Per la seconda aveva bisogno di qualcosa di meglio. << A cosa giochi? >> chiese apparentemente ingenuo lui, dopo averla scossa << Oh, si chiama Grabatron, è un gioco in cui guidi una nave aliena e devi raggiungere il presidente >> rispose lei, togliendosi le cuffie. L’uomo la invitò a passarglielo per vedere com’era e, non appena lo ebbe afferrato, aprì un finestrino di emergenza e lo buttò fuori. Lauren andò su tutte le furie, così tanto da spaventare anche il temerario Donald, ma l’insensibile Maximilian rimase indifferente. << Sai quanto valeva quel cellulare?! >> disse lei con gli occhi infuocati, ma lui pronto rispose: << Non so quanto valesse prima, ma a giudicare da come l’ho buttato e dalla zona che stiamo sorvolando non vale più molto. Soldi spesi male, piccola. >>
Detto ciò diede a Lauren e Don il compito di gestire l’aereo fino a quando lui non fosse tornato, poi si diresse verso il resto del gruppo. Prima di entrare, però, prese un candelotto di dinamite e andò verso loro. << Scusate, ma mi risulta di non essere pagato per essere la vostra babysitter >> disse entrando, ma come era ovvio nessuno lo ascoltò. Fu allora che alzò il tono di voce e urlò: << Posso avere la vostra attenzione?! >> disse. I cinque cominciarono a stare zitti e si sedettero, così il generale continuò il discorso << Dicevo, ci sono due modi per convincere un persona a fare una cosa... >> fu interrotto da Jeshi che chiese: << Chi sta guidando se lei è qui? >>
<< Ci stanno pensando Don e La rossa, tornando a noi... >>
<< Vuole proprio male al suo aereo, se lo ha lasciato a Lauren >> disse Marco, seguito dalle risate di tutti. Mentre smettevano di ridere, Maximilian si accese una sigaretta e tirò fuori il candelotto. Tutti smisero perfino di respirare. << Allora, stavamo dicendo: ci sono due modi per convincere una persona a fare una cosa. Il primo è farle capire a parole che quella cosa è giusta. >> detto ciò avvicinò la miccia alla sigaretta e quella prese fuoco << La seconda è obbligarli con il terrore. Io non sono bravo con le parole, o almeno non come con gli esplosivi. Ora se voi non fiaterete per i prossimi sessanta secondi spegnerò la miccia, altrimenti, beh, ci potete arrivare da soli... >>. Mentre tutti erano attanagliati dal terrore, Marco fu l’unico a ridere, poi disse: << Seh, non ti credo neanche se mi paghi che ci farai saltare tutti in aria >>
<< Tu credi? >> disse Maximilian, guardandolo con la faccia più seria che si potesse vedere. Marco passò dal sorriso coraggioso, all’espressione preoccupata fino alla smorfia terrorizzata e nel giro di pochi secondi si allontanò e si sedette vicino agli altri. Non appena anche l’aria smise di muoversi, Maximilian si schiarì la voce e, con la fiamma a metà della miccia, disse: << Perfetto, vedo che ci siamo compresi a pieno. Ora tornerò di là. Se dovrò tornare qui, e sperate con debba, sappiate che non spegnerò la miccia. Manca sì e no mezzora, saprete stare in silenzio, vero? >> detto ciò lanciò il candelotto in mezzo a loro e tornò in cabina di pilotaggio. Non appena ebbe varcato la soglia, Marco prese un bel respiro e poi disse: << Devo ammettere, ridergli in faccia non è stata una buona scelta >>
<< Già, meno male che questo candelotto è falso >> disse Jeshi.
<< Guarda che è vero veramente. Sono io che, capito che lui sarebbe anche arrivato a farci esplodere, ho preso il controllo della fiamma, rallentandola, fermandola e ora dissolvendola >> e mentre lo diceva il candelotto si spense. Dietro, Shawn fece un respiro di sollievo e si mise a sedere nei i sedili laterali, così come Alfred e Igor. Solo Marco e Jeshi erano ancora in piedi, e si diressero verso il minibar. Marco prese un paio di bevande, due bicchieri e una manciata di ghiaccio. Creò così due cocktail e ne offrì uno alla ragazza. << Qual è il tuo sogno nel cassetto? >> chiese Marco
<< Beh... >> Jeshi era un po’ titubante << Forse... le persone della mia età di solito vanno in discoteca, ma per ovvi motivi io non potevo. Penso che mi piacerebbe andarci, solo per provare. E il tuo? >>
<< Beh, a me piacerebbe poter salvare il mondo >> disse Marco, ma quando la ragazza lo guardò stranita, lui si mise e ridere e aggiunse: << Nah, stavo scherzando. Il mio sogno è di incontrare la mia anima gemella. So che è banale, ma almeno è fattibile >>. Finirono i drink e si diressero anche loro verso i posti a sedere. Dopo circa venti minuti Maximilian annunciò alla radio che stavano per atterrare e pregò i suoi passeggeri di allacciarsi le cinture.
Giordania, qualche chilometro da Irbid
<< Ok, c’è molto caldo >> disse Marco appena sceso dal jet. << Siamo nel pieno del deserto, cosa ti aspettavi?! >> disse ironica Lauren. Una volta a terra, si diressero verso una duna coperta da un cespuglio secco. Maximilian indicò quindi un piccolo nugolo di case qualche metro più sotto. << Lì si trova il nostro obiettivo >> disse Maximilian << Si tratta di una cellula terrorista legata allo Stato Islamico. Noi dobbiamo entrare nel complesso, rubare dei piani e tornare qui. Quindi dovrete appoggiare la squadra che si occuperà di fermare la cellula. Arriverà fra meno di un’ora ed entrerà sia se voi siete fuori sia se siete ancora dentro. >>
<< Beh, non mi sembra un problema se entreranno anche se ci siamo noi, no? >> disse Jeshi. Maximilian fece un bel respiro, poi aggiunse: << Sono la Legione Distruttori, hanno il compito di far saltare il complesso, vedete di essere fuori quando premeranno il bottone; anche prima, se possibile. >>
Mentre diceva quello, un elicottero si fermò sul complesso, da cui scesero degli uomini che ingaggiarono con i terroristi un’aspra sparatoria. << Scusa se mi intrometto, ma che cazzo ci fanno qui? Non dovevano arrivare dopo? >> chiese Jeshi
<< Non lo so, ma non mi piace >> disse Donald, poi un terrorista colpì l’elicottero, che cadde sugli stessi uomini. Morti. Coloro che dovevano salvarli erano morti. E a breve lo sarebbero stati anche loro, pensava Marco.
<< Ok >> disse Alfred << Abbiamo un grosso problema. Qual è il piano B? >>
<< Non c’è un piano B >> disse Donald, poi vedendo Maximilian abbassare gli occhi gli chiese << Vero? >>
<< Il piano B non ti piacerà >> disse Maximilian, alzando le spalle. Donald lo guardò male, poi si arrese al fatto che, bene o male, quello era il loro compito. << Allora, in caso la squadra avesse fallito, era previsto che voi la appoggiaste, attaccando frontalmente il complesso. >> spiegò Maximilian << La squadra non c’è più, quindi dovrete entrare, prendere i piani e uccidere tutti. Avete idea di come fare? >>
<< Io ho un piano, ed è bello forte. Quindi è un pianoforte >> disse Marco, mentre Jeshi gli tirava un pugno nella pancia. << Scusa >> disse la ragazza << Ma a me le battute di merda fanno questo effetto >>. Marco, che era caduto dolorante in ginocchio, si alzò e la squadrò, poi disse: << Ok, allora, il piano è questo. >> poi mise gli altri a cerchio e aggiunse: << Allora, ci dividiamo in tre gruppi, anche perché di ricetrasmittenti ne abbiamo solo tre per colpa di qualcuno >> disse, enfatizzando il “qualcuno” rivolto a Alfred, che bofonchiò qualcosa come “non è colpa mia”, ma il ragazzo non lo ascoltò e continuò: << Il primo avrà come capo Babelfish e sarà composto da lei, Frankenstein e Prof. Il vostro compito sarà di entrare, prelevare i piani e, appena li avrete, attaccare dall’interno. Distruggete comunicazioni, armi, sistemi di difesa, tutto quello che può creare dei problemi. Il secondo gruppo è capitanato da Don e comprende lui e Bonesbraeker. Voi dovrete aspettare e coprire la nostra fuga, se necessario. Intervenite solo se ve lo chiediamo, va bene? >> senza neanche aspettare la risposta, il ragazzo illustrò l’ultimo gruppo << Sarà composto da me come capo, e formato da me, La Rossa e Shadowhunter. Appena il primo gruppo avrà i piani, attaccheremo e cercheremo di riunirci. Obiezioni? >> e, visto che nessuno aveva espresso nessun problema, si diressero verso il jet, presero la loro roba e si avvicinarono al complesso.
Quando furono pronti, Marco fece cenno a Jeshi che poteva partire.
Complesso terrorista, Lato Nord
Jeshi guidò il suo terzetto attraverso le guardie di sicurezza. Rasente al muro, era arrivata alla porta principale, blindata e di ferro. << Bloccata >> sussurrò a Igor, che si avvicinò e caricò un pugno. Fu fermato da Alfred che utilizzò uno dei suoi guanti per fondere il metallo della porta e aprirla dall’interno. Jeshi fu quindi la prima ad entrare, tendendo l’arco e guardando tutti gli angoli, seguita da Alfred, con una mappa sul suo bracciale, e Igor chiudi fila a evitare eventuali sorprese. << Destra, sinistra, prima porta a destra, sinistra, destra e in fondo >> disse Alfred, ma fu subito zittito dalla ragazza. Aveva sentito dei passi nella loro direzione. Incoccò la freccia e puntò a un punto dietro l’angolo. Nel giro di qualche istante un uomo sbucò dall’angolo e, prima che potesse alzare il suo fucile, fu colpito alla gola dal preciso colpo di Jeshi. La ragazza fece procedere Alfred e seguì quello che Marco le aveva detto durante l’addestramento. Perquisì il cadavere, prese delle munizioni, poi cercò la ricetrasmittente. Purtroppo gracchiò qualcosa che nessuno capì, ma a giudicare dall’insistenza della voce cercavano il morto, e in meno di trenta secondi sarebbero arrivati lì. Dovevano sbrigarsi.
Quando arrivarono alla prima porta, sentirono dei passi dall’altra parte. Stop. Igor si dispose vicino all’apertura, Jeshi dalla parte opposta e Alfred dietro di lei. La porta si aprì e una squadra di cinque uomini entrò nel corridoio. Igor, protetto dalla scarsa illuminazione del luogo, attese che tutti lo avessero superato per prendere da dietro l’ultimo della fila e rompergli il collo. Mentre gli altri quattro si voltarono, Jeshi e Alfred uscirono dal loro nascondiglio, dietro la semiaperta porta, e mentre la ragazza colpiva uno di loro al petto, Alfred lanciò una bomba accecante e stordì i rimanenti. Igor prese uno di loro e incominciò a pestarlo come un sacco da allenamento, mentre Alfred legò due alla gola con un cavo e lo strinse fino a strozzarli. Dai due cadaveri usciva un rivolo di sangue dal collo di ciascuno. Quando fu certo della loro morte lasciò il cavo e passò al terzo uomo, quello che Igor stava torturando. Jeshi andò da lui e gli spiegò a gesti cosa voleva, ma ricevuto uno sputo in faccia conficcò un pugnale in bocca all’uomo e proseguì verso l’obiettivo. Una volta arrivati alla scrivania, Igor scassinò i cassetti e cercò i piani mentre Jeshi e Alfred uccidevano ad uno ad uno tutti quelli che si avvicinavano, nascondendone accuratamente i cadaveri prima che passasse un altro terrorista. << Trovati >> borbottò Igor sventolando dei fogli. Jeshi comunicò la riuscita del piano al resto della squadra, poi passò a dirigere la squadra verso le stazioni radio.
Complesso terrorista, Zona Centrale
<< Hanno fatto. >> disse Marco, appostato dietro un barile. Lauren e Shawn, anche loro nascosti, risposero con un leggero cenno della testa. << Quando partiamo? >> chiese Shawn, ma Marco era troppo impegnato ad analizzare la scena. Anni e anni passati fra Call of Duty e Counter Strike gli avevano insegnato che il modo migliore per approcciarsi ad una sparatoria era studiare attentamente la situazione in relazione alle proprie armi. Avevano preso due fucili d’assalto e una pistola per Lauren, inoltre Marco aveva il “bordone del destino”, così aveva soprannominato la sua lancia, mentre Shawn aveva una katana, senza dimenticare la “quadripistola” di Marco, il terzo braccio di Shawn e i gadget di Lauren.
<< Ok, facciamo così. >> disse Marco << Io e Shawn avanziamo verso quell’edificio, mentre Lauren prende questo fucile e inizia ad uccidere tutti quanti. Attenta al rinculo, è molto forte. >> Shawn chiese perché Marco avesse lasciato la sua arma, ma lui non lo ascoltò, preparandosi a partire. << Siete pronti? >> chiese impugnando il bordone. << Certamente >> rispose Lauren, caricando il fucile. I due ragazzi scavalcarono le casse vicine al barile e iniziarono l’attacco.
In quel momento c’erano in tutto due cecchini appostati sullo spiazzo fra i tre edifici che formavano il complesso. Furono loro i primi a vederli. Subito gridarono qualcosa ai loro compagni in basso, quindi caricarono i loro fucili e puntarono i due. Shawn si riparò dietro una capanna di argilla, mentre Marco deformò l’aria per deviare i proiettili e si gettò dietro un furgone nero. Gli altri terroristi colpirono in breve successione con mitragliatrici e fucili di vario genere. A giudicare dal rumore, c’era anche un lanciafiamme, pensava Marco. Decise quindi di partire da quest’ultimo. L’uomo, un robusto tipo con un enorme zaino sulla schiena, aveva un lanciafiamme fatta a mano, costruito con lo scheletro di un canne mozze, degli accendini sulla punta e dei tubi che portavano ad una bombola di gas, messa nello zaino. Fu il primo ad avvicinarsi ai due, visto che gli altri erano visibilmente preoccupati dopo aver visto Marco deviare i proiettili. Si ritrovò faccia a faccia con il sedicenne.
<< Ehi là, fa caldino qui. >> ridacchiò Marco, ma l’uomo non capì e lo fissò da dietro il suo casco da moto. Premette il grilletto.
La vampata di calore si avventò su Marco, il quale però non fece una piega e fermò con la mano le fiamme, poi le fece sparire e fissò in faccia il terrorista. << Hai mai sentito parlare del ritorno di fiamma? >> disse il ragazzo. L’uomo indietreggiò, il ragazzo guardò il suo bordone. << Sai che ti dico, visto che non hai capito niente te lo mostro >> detto questo sfruttò il suo bordone per lanciare una sfera di fuoco. Dalla prospettiva di Lauren, la mossa di Marco sembrava una pazzia, ed effettivamente lo era. Un’esplosione, dovuta al calore, al gas nello zaino e alla benzina del furgone, investì i due uomini. Marco, in un attimo di ragione, capì di aver fatto una cavolata e subito dopo aver lanciato la sfera di fuoco riuscì ad alzare un muro di aria compressa per proteggersi dall’esplosione.
Quando il fumo nero si diradò Marco era stato sbalzato a tre metri di distanza, mentre il terrorista era a brandelli sulla parete dell’edificio da cui Alfred stava dirottando tutti i segnali radio. Gli altri terroristi, forse incitati dal vedere che alla fine non erano immortali, stavano mirando sul ragazzo inerme. Coperto però da Lauren e Shawn, riuscì brevemente a riprendere il fiato. Mentre si rialzava e deviava un paio di proiettili, Marco si riavvicinò a Shawn. Erano così concentrati dai terroristi da non essersi minimamente accorti del kamikaze dietro di loro. Shawn con la coda dell’occhio vide l’uomo che correva verso di loro, si girò e in una mossa lo tagliò in due con la katana.
Il sangue scorreva. Qualcosa negli occhi di Shawn brillò. Un ricordo forse, un’immagine. Un terrorista gli sparò un colpo dietro il collo con una pistola. Un lampo. Shawn si voltò e divise in due il proiettile, quindi si avventò con una velocità assurda verso quello che gli aveva sparato e lo decapitò con un colpo. Senza neanche far capire a nessuno cosa stesse accadendo si avventò su tutti gli altri con incredibile rapidità. Un attimo prima era tutti in piedi, un attimo dopo tutti a terra, morti decapitati.
Shawn era in mezzo al piazzale di sabbia battuta, la katana in una mano, nell’altra il fucile. Lauren si avvicinò a Marco, visibilmente stupefatta. << Allora, spiegami come cavolo ha fatto ad andare così veloce >> chiese sorridendo Lauren. Shawn si voltò e li fissò. Strinse più forte la sua lama. << Lauren... >> sussurrò Marco << Allontanati >>
<< Ma che... >> disse la ragazza, vedendo il ragazzo preoccupato. Shawn si avventò su di loro. << Scappa! >> gridò Marco, dopo di che spostò l’aria per frenare Shawn. Purtroppo non bastò, vista anche la sua velocità. Si avventò come una belva sul sedicenne. Vista l’impossibilità di fermarlo, Marco non aveva altre soluzioni che provare a far svenire Shawn, sempre se aveva a che fare con l’uomo che conosceva. Sfruttando il bordone, Marco deviò un paio di fendenti della katana, ma al primo affondo che diede la sua difesa barcollò. Il ragazzo indietreggiò un paio di passi, ma si accorse di avere una ferita sulla pancia profonda un paio di millimetri. Perdeva sangue. E molto, per di più. Shawn non gli diede un istante di pausa, tornando ad attaccarlo. Fendente, fendente, affondo, montante. Colpi mortali, e tutti in rapida e inumana successione, tutti per fortuna parati dalla punta dell’arma. L’ultimo colpo aveva sbilanciato Shawn, e Marco ne approfittò per colpire il polso dell’uomo. La katana cadde a terra, ma l’assassino afferrò con una mano il collo del giovane.
Marco fu lanciato con forza a terra, dove rimase inerme. Shawn lo avrebbe ucciso se non fosse stato per Lauren, che stava gridando nel tentativo di distrarre l’uomo. La sua idea riuscì, sebbene si limitasse solo a quello. Notando che Shawn, ripresa la katana, si stava dirigendo verso di lei, istintivamente impugnò il fucile e mirò alle gambe del ragazzo. Sparò cinque colpi, tutti a segno, ma quando vide la gamba dell’uomo rimase senza fiato. Niente sangue. Neppure la minima goccia scendeva dalla gamba ferita. Un brivido attraversò il cervello della giovane. Aveva visto molti film, alcuni anche di supereroi, e sapeva che quello voleva dire una sola cosa.
Rigenerazione. Fattore rigenerante. Pelle d’acciaio. Invincibilità. Tutti modi diversi per indicare quel superpotere per cui anche svuotando un caricatore di un mitra in faccia al fortunato possessore del potere, questi non avrà la benché minima reazione fisica e psicologica.
La cosa positiva era però che per curarsi le ferite Shawn doveva rallentare. Un minimo vantaggio per Lauren. Sparò un altro paio di colpi verso l’uomo, ma l’arma si inceppò. << Non ora ti prego! >> sussurrò tra i denti Lauren, mentre cercava di sbloccarla. Shawn era ad un passo dalla ragazza, quando Marco, dopo essersi ripreso dal colpo, corse verso di lui e lo afferrò da dietro. Si aggrappò all’uomo, poi usò il bordone per tenere fermo il collo di Shawn. Per istinto gettò a terra la lama e si voltò per sbilanciare Marco, ma lui era ben agganciato e non cadde, permettendo così a Lauren di sfuggire alla furia dell’uomo. Purtroppo però il fucile era ancora bloccato, quindi lo lasciò andare, ormai inutile, e si accucciò dietro un muro, ripetendosi di restare tranquilla.
<< Niente panico! >> si disse, mentre Shawn provava ad afferrare Marco. Ci riuscì e lo lanciò a tre metri di distanza. Mentre atterrava, il bordone e la quadripistola caddero fuori dalla sua portata. Puntò a recuperare il bordone rotolando di lato, ma Shawn lo raggiunse, lo inchiodò a terra e lo colpì in faccia. << Cazzo ti prende! >> urlò il ragazzo, con il naso sanguinate per il pugno, parato malamente. Shawn stava per caricare un nuovo colpo, quando Marco decise che se qualcuno doveva morire non sarebbe stato lui. Sfruttò il suo potere per evocare una sfera di fuoco e colpì il ragazzo.
<< Vuoi ballare? >> chiese Marco, sputando del sangue, poi riprese il bordone, mentre Shawn, spente le fiamme sulla schiena, lo puntava aggressivo a un paio di metri di distanza. L’uomo emise un grido disumano, poi indietreggiò caricandosi per attaccare il ragazzo. << Lo prendo per un sì >> rispose Marco, poi convogliò l’energia nel bordone ed evocò una sfera di fuoco che colpì in pieno Shawn. Questi, nonostante bruciasse come un tizzone di legna sul fuoco, si lanciò su di lui. Marco Passò in breve rassegna i modi per fermarlo. Capì allora che gli mancava qualcosa. In un frammento di secondo ricordò che lui poteva controllare fuoco, acqua e aria. Cosa mancava? Terra. I quattro elementi alchemici. Stese il bordone e fece salire un muro di pietre, che parve fermare l’uomo. Il muro non avrebbe retto molto, anche perché i pugni e i calci di Shawn erano potentissimi e cominciavano ad apparire le prime crepe. Lauren, che nella mente di Marco doveva essere già scappata verso l’Esplosion, aver chiamato i due ufficiali e permesso il recupero sicuro di tutti membri della squadra per poi trovare un modo per fermare Shawn, era rimasta accucciata dietro il muro, ripetendosi che sarebbe andato tutto bene e osservando da dietro la schiena di Marco. In quel momento però capì che andando avanti di questo passo sarebbero morti. Fu allora che le venne in mente l’addestramento. Afferrò la quadripistola, impostò i proiettili narcotizzanti e mirò a un punto del muro in procinto di cadere. Non appena il frammento cadde, mostrando il fianco di Shawn, con una precisione di pochi esseri umani riuscì a colpire il ragazzo. Il siero fece effetto quasi istantaneamente, visto che lui cadde a terra. Mentre si avvicinava e Marco faceva crollare il muro, Lauren notò che da una porta stavano uscendo gli altri tre membri della squadra. Arrivarono anche Donald e Bonesbreacker, i quali erano stati avvisati da Jeshi non appena era uscita dall’edificio. Mentre Marco e Lauren spiegavano quello che era successo, Don mise delle manette a Shawn e lo caricò su un jet dei terroristi. Maximilian prese il controllo di quel jet e decollò. << Dove lo portano? >> chiese Alfred, mentre Jeshi curava le ferite di Marco. << Lo rinchiudiamo nelle celle di contenimento, come da protocollo. >> rispose Donald << Poi se ritornerà in piene facoltà lo interrogheremo e lo sottoporremo a sedute di psicoanalisi. >>
Spazio aereo internazionale
Nessuno fiatava. Erano decollati da poco, ma nessuno sembrava voler parlare. Lauren odiava questo stallo. Più di tutti quanti voleva poter parlare, parlare di quello che era successo. Odiava tenersi tutto dentro. E forse l’unico che l’avrebbe capita, in quel momento, per quanto fosse cattivo, era il diretto Maximilian, ma ahimè stava portando in cella l’uomo che fino a poco tempo fa credeva essere il migliore al mondo. Sperava con tutto il suo cuore che non fosse stato in sé quando si era scagliato con rabbia animalesca contro i due amici. Non riusciva a pensare cosa sarebbe successo se...
Lauren scostò quei pensieri dalla testa, quindi decise che c’era una sola soluzione per rallegrare l’animo suo e del resto della squadra. Si alzò e andò verso la cabina di pilotaggio. Donald, nonostante fosse abituato a vedere impazzire soldati vicino a lui, era comunque visibilmente stravolto. << Ehi >> iniziò lei << Siamo abbastanza alti, se vuoi puoi andare a prenderti qualcosa da bere. Ti serve. >> Se c’era una cosa che Lauren sapeva fare bene era convincere le persone a fare quello che voleva lei. Donald attivò il pilota automatico, quindi si diresse verso il minibar a cercare qualche residuo che Marco non avesse già finito all’andata. Non appena uscì, la rossa stagista si fiondò sui comandi, di cui aveva una conoscenza base, e deviò la traiettoria. Poi bloccò la porta e prese il microfono per gli altoparlanti interni. << Si avvisano i signori passeggeri che a breve faremo scalo a Praga. >> disse la ragazza, dopo di che udì le grida di isteria di Marco che la intimava a lasciare il comando a qualcuno di competente.
Praga, Repubblica ceca (Duplex)
Lauren fu la prima a entrare. Per fortuna, c’era ancora un negozio aperto, quindi erano riusciti a recuperare dei vestiti adatti all’occasione. Lauren aveva scelto un vestito lungo fino al ginocchio, bianco e oro, abbinato ad un paio di tacchi. Jeshi aveva scelto un vestito più lungo e nero, ma le scarpe erano le stesse. Marco aveva optato per la più classica camicia con un paio di pantaloni, poi trovò una cravatta rossa e la acquistò minacciando di andarci nudo se l’avessero fermato. Alfred, ritenendo troppo da giovani andare in discoteca a festeggiare il primo successo della squadra, aveva preso un frak ed era andato all’opera, coprendo il suo occhio bionico con un cappello. Igor, il quale non apprezzava molto relazionarsi con le persone, aveva anche lui optato per un vestito elegante e aveva seguito il suo forse unico amico all’opera. Donald era stato convinto con la forza a seguire i ragazzi, ma aveva tenuto il suo vestito a giacca perché non aveva intenzione di restare molto.
L’obbiettivo dei tre più giovani fu subito chiaro. Si diressero verso il bar, presero dei drink e li bevvero chiacchierando del più e del meno. Donald, che nel frattempo si era fermato sulla porta, era stato avvicinato da un gruppo di ragazze e una di loro, leggermente ubriaca, lo invitò ad offrirle qualcosa da bere. Mentre l’uomo si avvicinava malvolentieri ad un’altra zona del bar, Lauren lanciò un urlò di approvazione verso il capo e Marco applaudì platealmente. Dopo essersi fatti una grossa risata, Lauren adocchiò un ragazzo carino e decise che era il momento di andare in pista. Jeshi, su richiesta della giovane, la accompagnò e le due lasciarono solo Marco al bar.
<< Scusa, mi fai qualcosa da bere? >> chiese in ceco una mora a fianco a lui, addossata al bancone. Aveva dei misteriosi occhi verdi, e il ragazzo pensava fosse anche molto ben fornita. Mentre il barman preparava il drink, Marco ringraziò il cielo di aver chiesto a Jeshi di insegnargli una lingua a caso e che la lingua prescelta fosse il ceco. << Ehi, bella serata vero? >> chiese lui, fissando la ragazza. Lei sorrise e rispose: << Già, non potrebbe andare meglio! >>
<< Io credo di sì. >> rispose il ragazzo, poi buttò sul bancone una banconota.
<< Grazie. >> disse quasi stupita la ragazza, dopo di che bevve un sorso del suo drink
<< Come ti chiami? >> le chiese Marco.
<< Angelique >> disse lei, sorridendo << E tu? >>
<< Marco >> disse lui. Se c’era una cosa che gli avevano insegnato i racconti del suo amico, era che qualsiasi ragazza straniera adora i ragazzi italiani. << Ti hanno mai detto che sei bella come un angelo? >> aggiunse lui.
<< Un miliardo di volte! >> disse lei, un po’ stufata dall’ennesimo complimento banale, ma comunque attratta dal giovane.
<< Beh, si sbagliano! >> continuò lui, poi attese quattro secondi per sgomentare la ragazza e aggiunse << Sei molto meglio di un angelo! >>
<< Davvero? >> disse lei compiaciuta. Una semplice parola, ma che Marco aveva ben compreso. Centro perfetto.
<< Sì. Scusa la domanda, ma sei francese? >> chiese lui.
<< Per metà, mia madre è francese. >> rispose lei << E tu italiano vero? >>
<< Al cento per cento >> rispose lui, guardandola intrigato. La ragazza si guardò un po’ intorno, poi storse la bocca e sorseggiò. << Senti, qui non si sente niente. Se ti va possiamo continuare il discorso fuori. >> disse lei. Nel giro di dieci secondi avevano attraversato una marea di folla ed erano fuori.
NOTE E CITAZIONI:
[*] La battuta di Marco riguarda l'agente Q, quello che fornisce i gadget a James Bond; la risposta di Alfred, d'altronde, è la frase che l'agente ripete in ogni film della saga come monito a 007

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Capitolo 6
*** Femme Fatale ***


CAPITOLO 5- Femme Fatale
Praga, Repubblica ceca (Hotel)
Marco si svegliò in un groviglio di coperte con un po’ mal di testa. La prima cosa che notò era che Angelique se ne era andata, la seconda era una lettera da parte della ragazza dove lo ringraziava per la nottata. Si stiracchiò, andò in bagno e si buttò un po’ di acqua in faccia per essere presentabile. Aveva infatti ricevuto un messaggio da Jeshi, più o meno un’ora dopo che lui era uscito dalla discoteca, dove la ragazza lo informava che Donald aveva deciso di restare a dormire in un hotel, cosa che al ragazzo andava più che bene. Il punto di ritrovo era la camera di Donald, la 305, alle 9 in punto. Marco buttò un occhio sull’orologio. Mancava ancora mezz’ora. Si vestì in tutta calma ed uscì dalla stanza.
Fu costretto a sorreggere al volo Lauren in preda a pesanti postumi. Jeshi era dall’altra parte, ma l’imprevedibilità nei movimenti della rossa e le poche ore di sonno, quattro in totale, non ne facevano una solida colonna di appoggio. Sorreggendola in due, arrivarono in fretta alla camera prefissata.
Nella camera erano già arrivati Igor e Alfred, più Maximilian giunto lì il prima possibile. Donald attese che tutti fossero dentro, poi squadrò Lauren, scosse la testa e iniziò: << Perfetto. Abbiamo due problemi, allora. Vogliamo iniziare con un problema della squadra o con uno del mondo? >>
<< Squadra. È successo qualcosa a Shawn? >> chiese Jeshi, aiutando l’amica a sedersi. << Purtroppo il problema non riguarda Shawn. >> rispose Don << Lui è sotto sedativi, e rimarrà così finché non saremo sicuri che riuscirà a controllarsi. Il problema riguarda il bordone di Marco. >> il ragazzo guardò stupito l’uomo, ma a prendere la parola fu Bonesbraeker. << Stavo parcheggiando il jet affianco all’Explosion, quando ho visto un luce proveniente dall’interno. Sono entrato e il bordone brillava di luce propria. Poi c’è stata un’esplosione e quello che ne è uscito fuori è questo >> disse il generale passandogli un lancia lunga due terzi della precedente, ma notevolmente diversa. Le intarsiature non erano più presenti, sostituite da sottili filamenti d’oro. E ora aveva anche una punta complessa, composta da una gemma viola, colorata come se all’interno ci fosse del liquido, da cui partivano due lame gemelle leggermente ricurve, una più grande dell’altra come a formare una chela di granchio. Marco la afferrò e la luce della gemma aumentò l’intensità. Alfred si avvicinò al ragazzo e osservò l’asta. << Sembra che l’arma abbia cambiato la sua struttura chimica, è... >> disse dopo un breve sguardo, ma fu interrotto da Marco che disse: << Strano, ma è proprio come la immaginavo >> Alfred pensò un po’ poi aggiunse: << L’arma deve aver stabilito un legame con te talmente grande che un tuo forte sbalzo emotivo ha dato l’impulso alla lancia di modificarsi secondo le tue esigenze. >> Marco guardò Alfred come se avesse parlato in aramaico, poi fu Bonesbraeker a prendere la parola: << Bene. Ora, hai fatto qualcosa di emozionante ieri alle due? >>
<< Sì >> rispose secco Marco.
<< Bene, e vuoi dirci cosa è successo? >> chiese un po’ stranito Don.
<< No, violerei la privacy. >> disse vago Marco, cercando di trattenere un sorrisetto.
<< Scusa, privacy di chi?! C’eri solo tu in camera tua ieri! >> esclamò Jeshi.
<< Questo lo dici tu! >> rispose con un sorrisetto ironico il ragazzo.
<< Tu cosa?! >> esclamò Jeshi. Donald nel frattempo lo guardò arrabbiato e gli urlò in faccia: << Ti rendi conto di quante regole hai infranto?! A parte il fatto che come minimo alla tua età dovrebbe essere vietato, ma queste sono mie considerazioni, da uomo a uomo, in quanto tuo superiore dovevi avvisarmi e chiedermi il permesso. Bonesbraeker dì qualcosa anche tu! >> Maximilian stava guardando qualcosa in un computer. Senza alzare lo sguardo disse: << Hai ciucciato il biscotto? >>. Marco, stupito come gli altri dalla domanda, rispose titubante con un sì. Maximilian si voltò, esclamando: << Allora qual è il problema! >>
Dopo quella piccola parentesi, il generale passò ad illustrare la loro nuova missione, aiutandosi con il portatile, su cui c’era la foto di un uomo. << Questo è Alexander Stess, magnate delle armi bulgaro. Le nostre fonti ci dicono che sta per vendere armi chimiche sia ai separatisti ucraini sia al governo di Kiev. Accuse su accuse e partirà la terza guerra mondiale, il campo d’affari perfetto per un magnate delle armi. Noi dobbiamo fermare la spedizione e arrestare il magnate. Per farlo ci introdurremo nella sua villa dove si sta tenendo la festa di compleanno di sua figlia, la quale era il capo delle sue spie. La ragazza si chiama Angelique Stess, anche se usa spesso il nome Angelique de la Croix >> detto ciò mostro una foto della ragazza. Marco fu sul punto di svenire e si appoggiò sul suo bastone per sorreggersi. << Tutto bene? >> chiese Don. Marco fece cenno di sì, dicendo di aver avuto un leggero calo di zuccheri. Maximilian continuò ad introdurre dettagli sulle attività di padre e figlia. Omicidi, rapine, attentati in ogni parte del mondo. Dove erano presenti armi, lì era più probabile che ci fosse lo zampino dei due. << Il nostro obiettivo è stabilire un contatto con la ragazza, per poi giungere a suo padre e fermare la spedizione. E qui sorge il problema: nel nostro piano originale era previsto che tre di voi foste impegnati in questa missione, ma purtroppo l’appoggio di Lauren è da escludere. >> disse secco Don. << Non è vero, riesco ad essere utile! >> esclamò la ragazza, poi ebbe un sussulto e vomitò in un vaso da fiori. << Stavo dicendo, l’unica soluzione è che solo due di voi partecipino alla missione. Quei due sono... >> Marco sperava e pregava di non essere lui. Già avrebbe combinato troppi casini se avesse detto di essere andato a letto con la spia che dovevano arrestare, figuriamoci se poi faceva parte della missione! << ...Marco e Jeshi, che si infiltreranno nella villa come invitati. Sappiate che la festa è aperta a amici e amici di amici, ed è in maschera. >> Marco finse entusiasmo, ma il suo cervello stava elaborando una lista di bestemmie da far impallidire uno scaricatore di porto, e anche in lingue diverse. Completò la sua lista, e si sentì soddisfatto solo quando salì sull’Explosion.
Villa Stess, Bulgaria
<< Ricordamelo, perché ho lasciato scegliere a te i vestiti? >> chiese Marco, che avrebbe preferito una maschera. << Beh, non ti piace il vestito di Loki? È perfetto con la tua nuova arma >> rispose Jeshi, vestita da Ino. [*] Di per sé, pensava Marco, era perfetto, ma vista la situazione era il peggior travestimento che potesse avere.
<> prese coraggio Marco, mentre si avvicinavano ad una camera da ballo. << Parla pure! >> rispose Jeshi. Marco fece un bel respiro, poi disse: << Ecco, ti ricordi quando ci hanno insegnato le varie frasi di problemi? Ecco ti ricordi come ci si comporta in caso di “Agente tizio è compromesso”? Ecco, sono compromesso! >> disse Marco, fingendo un sorriso di felicità. << Tu cosa?! >> esclamò la ragazza molto arrabbiata. Marco spiegò quello che era successo e di come aveva conosciuto Angelique, e dopo che il ragazzo fu stato gentilmente ricoperto da una cascata di negativi epiteti, Jeshi prese un bel respiro e disse: << Allora facciamo così, tu girovaghi per le stanze dove non ci sono gli invitati alla ricerca di informazioni, mentre io intercetto Angelique e provo ad estorcerle informazioni. Se ti rivedo a questo piano giuro che ti ammazzo! >> detto ciò portò il ragazzo fuori dalla sala e lo accompagnò fino alla tromba delle scale. Dopodiché tornò nella sala da ballo. Marco salì sconsolato le scale pensando alle conseguenze della sua azione.
Jeshi nel frattempo aveva trovato un ragazzo che ci provava con lei, e sfruttando il suo addestramento lo utilizzò come aggancio. << Angie, ti volevo presentare una mia amica >> disse l’uomo più muscoli che cervello << Si chiama Jessy, se non sbaglio >> aggiunse, poi fu richiamato da alcuni suoi amici e lasciò da sole le due ragazze. << Beh, piacere di conoscerti, Jessy >> disse la ragazza, allungando la mano e sfoderando un sorriso splendente. << Per la verità il mio nome è Jeshi, ma lui lo sbaglia sempre >> disse fingendo di essere da molto amica del ragazzo che le aveva presentate. << Oh, lui non sapeva scrivere il mio nome quando ci siamo conosciuti. Piuttosto, ti va qualcosa da bere? >> chiese gentile la ragazza. A Jeshi pareva impossibile che una ragazza di tale gentilezza fosse un’assassina di calibro internazionale, ma accettò comunque l’offerta della giovane. << Dove vai? >> chiese la mora, vedendo che Jeshi si dirigeva verso il banco degli analcolici << So io dove devo andare a prendere da bere. Tu resta qui e goditi la festa, torno subito. >> e detto ciò se ne andò verso un’uscita secondaria. Jeshi restò lì ad aspettarla, ben sapendo che se la ragazza fosse scappata sarebbe stata fermata dal resto della squadra.
Marco stava girovagando per le stanze. L’unica cosa che aveva trovato fino ad ora era una sala con delle casse di birra nascoste sotto i peluche, i quali a meno che non fossero stati pieni di tritolo non erano armi. Camminò per un altro po’ finché una voce dietro di lui non attirò la sua attenzione. La voce, femminile, stava parlando a dietro di lui, ma a giudicare da quello che diceva non lo aveva ancora visto. << Ehi tu! >> disse la voce alle sue spalle << Perché sei a questo piano? La festa è di sotto! >>. Marco si voltò con un senso di deja vu esclamando: << Oh, mi scuso stavo solo cercando... il... bagno... >> la voce gli si strozzò in gola quando capì chi era l’interlocutore. Marco non aveva disponibile uno specchio per vedere la sua faccia, ma gli bastava vedere lo stupore sulla faccia di Angelique per farsene un’idea.
<< Beh... Cosa ci fai tu qui? >> chiese lievemente imbarazzata la ragazza. << Ho letto che c’era una festa e ho detto “Perché no! Magari trovo qualcuno che conosco” e guarda un po’ chi incontro >> disse Marco con voce imbarazzata. << Ma pensa un po’ i casi della vita... >> disse la ragazza. Dopo due interminabili ed imbarazzanti minuti di silenzio i due dissero, quasi all’unisono: << Ok, dobbiamo parlare! >>.
<< Prima le signore >> disse Marco, per evitare di dover raccontare tutta la verità. << Oh, cedo il diritto >> disse lei in risposta. << Va bene, ma fammi tu le domande che ti interessano >> rispose lui. << Come hai fatto ad arrivare qui se ieri eri a Praga? >> domandò lei. << Potrei farti la stessa domanda >> attaccò lui.
<< Non stai rispondendo. >> affermò lei.
<< Chiedo il cambio domanda! >> esclamò lui.
<< Ok, chi sei allora? >>
Marco fece un bel respiro, quindi incominciò: << Mi chiamo Marco Rossi, sono italiano, ho sedici anni >> poi, vedendo che la ragazza non ne era soddisfatta, sbuffò e si arrese << Sono un agente speciale, componente della Special Operative Squad, una squadra segreta della ARMED, e sono qui per arrestarti. >>. Angelique estrasse dal suo costume una pistola, mentre Marco le puntò la sua lancia. << Vuoi fermarmi con un pezzo di ferro? >> disse lei.
<< Potresti stupirti di cosa sa fare questo pezzo di ferro! >> continuò lui.
<< Credo che sia il suo turno di domande. >> aggiunse lei.
<< Beh, ne ho tre. La prima è perché diavolo indossi un vestito da principessa a sedici anni. >>
<< Mi ha obbligato mio padre, dice che sono ancora una bambina e devo comportarmi come tale >>
<< Sì, ma quel vestito è palesemente comprato ad un sexy-shop >> commentò, puntando la lama verso il vestito.
<< Dettagli, è stata l’unica libertà che ho avuto. Continua con le domande. >> disse mantenendo la pistola puntata.
<< Chi sei l’ho potuto scoprire a modo mio, voglio sapere perché lo fai. >>
<< Non penserai che ti darò questa informazione, vista la situazione >>
<< Bene, passiamo alla prossima. Cosa pensavi di ottenere andando a letto con me? Informazioni? Beh ti sbagli! >> esclamò lui.
<< E cosa  ti fa pensare che io volessi informazioni da te! Non sapevo neanche chi fossi! >>
<< Non mi inganni ragazza, tu sapevi chi ero >> disse, mantenendo lo stallo fra i due.
<< E come se la tua stramaledetta squadra è segreta! >> disse lei con una punta di irritazione.
<< Mh, effettivamente non ci avevo pensato. Penso di essermi sbagliato. >> disse sollevando le spalle.
<< Io sono andata con te solo perché avevo giurato che sarei stata una notte con il primo che ci provava. Pura coincidenza e fortuna, per te. >>
<< Scusa e perché avresti dovuto farlo? >> domandò lui.
<< Mio padre crede che io sia ancora una bambina, te l’ho già detto, quindi per vendicarmi di questa stramaledetta festa ho deciso che avrei perso la verginità con il primo che capitava. Visto che già sai chi sono, portai immaginare che ho rubato un jet per arrivare a Praga >>
<< Eri vergine!? >> esclamò Marco, aprendo le braccia e smettendo di puntare l’arma sulla ragazza, che fece altrettanto. << Scusa!? È veramente così importante?! >> esclamò stupita la ragazza, agitando in aria la pistola. << Quasi fondamentale! >> esclamò lui. << Oh, scusa mister “Bella-serata-vero”. Credi veramente che se non fosse stato per me saresti riuscito a farcela? >>
<< Ok, ti concedo il fatto che fossi un po’ sottotono, sai com’è, ero carente di allenamento. Il dopo non ti è dispiaciuto molto. >> disse alzando le sopraciglia. La ragazza ridacchiò, e il ragazzo le si avvicinò nel tentativo di riappacificarsi. Si ritrovò con la pistola sul naso. << Non pensare che la tua prestanza fisica possa scusare il fatto che TU stessi tentando di usarmi per ottenere informazioni. >> Marco provò a prendere a difendersi con la sua arma, ma lei spinse la pistola contro la sua fronte per fargli capire di non farlo. << Ok, posso assicurarti che neanche io ero a conoscenza di chi fossi prima di oggi. >> disse il ragazzo, deglutendo preoccupato.
<< Non ti credo >> disse lei. Marco le fece gentilmente notare che lui le aveva creduto, ma lei non voleva storie, dopo qualche minuto di discussione disse: << Senti, non me ne frega un cazzo di quello che pensi. Ma ragiona, se io fossi qui per estorcerti informazioni perché starei qui a girovagare e a lasciare quella deficiente di Jeshi a parlarti >> finita la frase si morse la lingua, poiché aveva rivelato quello che di buono era rimasto del piano. Inaspettatamente lei smise di puntargli la pistola in faccia. << Ora si spiega tutto! La maledetta puttana giapponese è con te! >> esclamò esasperata.
<< Beh, effettivamente a questo non avevo pensato. L’hai già conosciuta? >>
<< Sì, me l’ha presentata quel deficiente del mio ragazzo. >>
<< Sei fidanzata?! >>
<< Sì, ma non preoccuparti è solo una copertura >>
<< Sei fidanzata e lesbica?! >>
<< No, intendo dire che è il mio ragazzo per mio padre. In realtà sei il primo con cui sono andata un passo oltre. >>
<< Beh lo vedo come un onore. Comunque mi dispiace ma devo arrestarti e interrogarti finché non mi dirai come arrestare tuo padre. >>
<< Punto uno: non credere che mi lascerò arrestare da te. Punto due: se volete arrestare mio padre io posso aiutarvi >> disse lei. Marco stava per obiettare, ma fu contattato da Jeshi con la ricetrasmittente. << Desidera?! >> chiese lui. << Senti, non so dove tu sia, ma dobbiamo trovarci all’esterno. >> disse la ragazza. Marco chiese ulteriori spiegazioni, e lei gli disse: << Problemi con Angelique. È quasi mezzora che non la vedo, facciamo un po’ di casino, sta arrivando anche Don con l’Explosion. >> Marco guardò Angelique, poi chiuse la conversazione e disse: << Abbiamo due opzioni: o ti consegno in modo spontaneo o... >>
<< O...? >>
Garage della Villa, Bulgaria
Marco saltò sul sedile passeggeri, mentre Angelique cercava freneticamente le chiavi nella borsetta di emergenza che le aveva dato il padre. << Sbrigati, o faremo tardi! >> gridò dall’auto il ragazzo. << Arrivo! >> esclamò lei aprendo la portiera della coupé del padre. Mentre Marco, prendendo la chiave del garage automatico che gli stava passando Angelique, premeva i bottoni a caso cercando di aprire la porta, la ragazza mise in moto la macchina. Non appena la porta si fu sollevata abbastanza i due sgasarono fuori. << Ok, questa macchina ha un radar. Attivalo e cerca dove si trova il vostro maledetto jet. >> disse lei ruggendo oltre il rombo del motore. Marco guardò il monitor del navigatore, poi premette i tasti giusti e attivò la funzione radar. << Credo che abbiamo un problema. >> disse il ragazzo, indicando un puntino sul monitor << Stando a questo coso dovrebbe essere dietro di noi, ma non vedo niente >>
<< Beh, non può sbagliare quello. Al massimo sbagli te! >> disse lei derapando verso una strada sterrata. Marco prese però il suo bordone e lanciò un getto d’acqua verso un punto non ben precisato dietro di loro. L’acqua proseguì dritta nell’aria per un bel po’, poi a più o meno cinquanta metri di altezza deviò, come se seguisse una forma. << Merda! >> imprecò Marco << Nessuno sbagliava, purtroppo. Alfred deve aver installato un dispositivo per rendere l’aereo invisibile. >>
<< Cosa cazzo hai appena fatto?! >> disse Angelique guardando preoccupata il bordone di Marco e il cristallo, che ora brillava di blu turchino. << Ah, giusto, mi ero dimenticato di avvisarti che ho qualche... potere particolare. >> Angelique lo tormentò di domande, e lui gli spiegò tutta la storia. << Scusa, ma tu quando pensavi di dirmelo?! >> concluse lei.
<< Fino a dieci minuti fa dovevi essere arrestata, perché avrei dovuto parlartene?! >> rispose lui. Rimasero un po’ in silenzio, con Marco che osservava la sua arma pensando di aver trovato una nuova particolarità del bordone. Il jet nel frattempo smise di essere invisibile e la ragazza si infilò in una strada della cittadina in modo che non potesse seguirli. << Ora però voglio sapere un po’ di te? Come mai una come te è diventata un’assassina? >> disse lui, sfoderando il suo sorrisetto da persona che non si curava di rischiare la vita. << Beh... diciamo che sono stata un po’ obbligata. >> disse lei, sfoderando la sua versione di quel sorriso << Mio padre voleva che io facessi parte del suo business. All’inizio vomitavo alla vista del sangue, poi mi ci sono abituata. Non dico che mi piaccia, però... >>
<< Oh, ti capisco, all’inizio anch’io non apprezzavo questi poteri... Ma ho un’altra domanda: perché vuoi tradire tuo padre? Sarà pure malvagio, ma non mi sembrano buoni motivi per volerlo veder marcire in prigione! >> disse lui, ma la ragazza parve non volerlo ascoltare.
Bar Stess, Bulgaria
Arrivarono davanti ad uno squallido bar. Angelique tirò il freno a mano e parcheggiò davanti alla porta. << Tuo padre lavora qui? >> chiese Marco. << No. >> rispose lei << Quando deve fare delle spedizioni, lui le fa partire sempre da qui. È pieno dei suoi scagnozzi, quindi abbiamo due strade per fermare la spedizione. O entriamo senza farci sentire o uccidiamo tutti e tutte. Scegli tu, e ti prego scegli bene >>
<< Scelgo “uccidiamo tutti”, ok? >> chiese lui, e lei sorrise. << Pensa un po’ la faccia che faranno quando vedranno una principessa e Loki attaccarli! >> disse lei entrando e sfilando dal costume una coppia di pistole.
Chiunque li avesse visti in quel momento li avrebbe sicuramente scambiati per una coppia di personaggi usciti da un film di azione. I primi due che incontrarono furono freddati con un colpo di pistola a testa prima che potessero respirare. << Ehi! Lasciane qualcuno anche a me! >> esclamò il ragazzo, salvo poi accorgersi che dalle scale che davano al seminterrato stavano salendo tre scagnozzi, che aprirono il fuoco. I due furono costretti a ripararsi nei vani delle porte, con Angelique che faceva fuoco di copertura. Marco invece caricò i proiettili esplosivi della quadripistola, quindi allungò il braccio e, in una posa da film western, saprò un colpo. L’onda d’urto fece esplodere i vetri. << Ka-boom >> commentò Marco. << Non vale, Loki non usa pistole! >> esclamò la giovane. << Perché?! Una principessa uccide le persone così freddamente? >> chiese ironico lui, poi si avvicinò e contò i morti. << Uno... Due... Tre! Tre a Due. Stai perdendo. >> disse lui, sorridendo. Uno degli scagnozzi però si mosse e puntò la pistola a Marco, il quale gli dava le spalle, ma Angelique fu più veloce di lui e lo freddò come aveva fatto con i due precedenti. << Mi sa che il risultato sia invertito, caro il mio Loki. >> disse lei, sorridendo compiaciuta. Marco la guardò in cagnesco. << E’ una sfida? >> chiese il ragazzo. La ragazza non rispose, ma ricambiò alzando il sopracciglio destro.
<< Tredici! >> urlò Angelique, sparando un colpo dritto allo stomaco dello scagnozzo. << Dodici e tredici! >> la seguì Marco trafiggendo con la punta del suo bordone due uomini. Continuarono così finche tutta l’area non fu libera. << Io ne ho fatti diciassette. Quanti tu? >> chiese lui. << Diciotto! >> esclamò fiera lei. << Impossibile! >> ribatté lui, dopo di che sfilò i caricatori dalle pistole della ragazza, poi contò ad alta voce. << In tutto ti sono rimasti  sette proiettili nei caricatori. Ora essendo i caricatori da sei tu hai sparato al massimo diciassette proiettili, ricaricando entrambe le pistole una volta. Ciò significa diciassette morti! >> fece notare il ragazzo, rimettendo i caricatori nelle armi e restituendole alla legittima proprietaria. In quel momento uscì da una porta un uomo con un caffè in mano. Sbiancò non appena vide i due. Angelique gli saprò a bruciapelo, sporcandosi la faccia con qualche goccia di sangue. << Per di qua  >> disse la ragazza, mostrando una porta insonorizzata che dava ad uno scantinato. << Forza! Cosa fai lì impalato?! >> gridò lei vedendo il ragazzo fermo immobile. << Te lo hanno mai detto che con quelle gocce di sangue sei bellissima? >> chiese lui sorridendo. Lei rispose al sorriso, poi si scostò i capelli dalla faccia e disse: << Grazie, ma non pensare che questo ti faccia vincere. >>
<< Io ci ho provato. Comunque devi ammettere che è originale! >> rispose lui, avvicinandosi al lungo corridoio. << Per la verità me lo ha detto già un’altra persona, ma lui non conta, l’ho ucciso. >> rispose lei aprendo la porta. << Yuppe... >> aggiunse Marco preoccupato. << Perché tuo padre ha un ufficio insonorizzato nello scantinato di un bar? >> chiese il ragazzo, mentre percorrevano a grandi passi il corridoio. << Odia quando i suoi sottoposti strillano, così si è fatto insonorizzare tutto il corridoio di accesso. “Tanto, cosa può succedermi!”. Povero illuso bastardo! >> spiegò lei, con un tono di vendetta. << Ok, ti chiederei perche ce l’hai tanto con lui, ma eviterò visto che non vuoi rispondere. >> aggiunse lui. La ragazza arrivò fino ad una porta, poi gli passò una delle sue pistole ed entrarono.
L’uomo alla scrivania, pur essendo il padre di Angelique, non aveva praticamente niente in comune con la figlia. Era seduto sulla sua poltrona e fumava un sigaro. Si stupì quando vide entrare la figlia accompagnata da uno sconosciuto forse più del vedere due pistole puntate su di lui. << Angie, ma che...?! >> disse l’uomo, poggiando il sigaro. << Oggi è il giorno in cui pagherai per i tuoi reati! Marco, procedi. >> disse la ragazza. Marco spiegò all’uomo, seguendo il protocollo ARMED, che l’uomo era in arresto per aver tentato di provocare danni a livello mondiale. L’uomo sorrise sarcastico, quindi sfilò da sotto il tavolo una pistola e la puntò sul ragazzo, che preso alla sprovvista non sparò. << Bene, vedo che dovremo trovare un accordo! >> disse l’uomo << Chi sei? Come conosci mia figlia? E chi è questa ARMED per cui tu lavori? >>
<< Sono Ma... >> Marco titubò un po’ nel dire il suo nome, poi il suo egocentrismo prese il sopravvento << Sono Magic, agente speciale della Special Operative Squad, e sappi che se mi ucciderai ci sono ancora un sacco di agenti pronto a sostituirmi. Ah, in più sono anche colui che si è scopato tua figlia >>. L’uomo al tavolo provò a controbattere, ma la ragazza lo fermò dicendo: << Non è lui l’importante, era solo un modo per non commettere lo stesso errore di mamma >>
<< Tua madre tradì tutti noi... >> rispose l’uomo deglutendo a fatica.
<< Mamma ti ha tradito per salvarmi! E tu l’hai uccisa come un cane, sperando che io potessi sostituirla senza problemi. >> urlò la ragazza piangendo.
<< Angie... Stai calma... >> disse Marco sottovoce.
<< Stai zitto! >> gli gridò lei, poi tornò a rivolgersi in lacrime al padre << Ti odio! Ma c’è una cosa che ho imparato da te e che sono pronta a riutilizzare. Com’è che dici sempre... >> il pianto ora era diventato una risata isterica << Un’anima per un’anima! Quella di mamma sarà pagata con la tua! >> detto ciò caricò la pistola e la puntò al padre. << Figliola mia, come è difficile essere tuo padre. Ricordati che io per te ci sono sempre stato. Abbassa quell’arma. >> disse lui in tono pacato, ma visto che la ragazza continuava a puntare << Sono sempre stato un padre protettivo, ti ho protetto dagli errori di tua madre. Mi dispiace solo che tu li abbia commessi. Ma non preoccuparti, non è un problema che non possiamo risolvere. Ho un metodo collaudato! >> detto ciò spostò l’arma verso la figlia e sparò un colpo dritto al cuore.
Un frazione di secondo, poi un tonfo, uno sparo e più nulla. << Marco! >> gridò la ragazza, con la pistola ancora fumante. Nell’istante in cui la pistola si era spostata da lui alla ragazza, Marco si era tuffato per coprirla. Aveva usato il potere del bordone per rallentare il proiettile, ma non aveva avuto abbastanza tempo. Ora giaceva a terra, sanguinante. << Ti prego, non voglio avere un’altra morte sulle spalle >> disse la ragazza sottovoce, china sul ragazzo.
<< Se ti interessa, penso di rischiare la morte. >> disse il ragazzo, dolorante e supino, ma comunque vivo, mentre la ragazza sospirò liberata. Si sdraiò affianco a lui, mettendosi faccia a faccia contro di lui. << Mi spieghi che cazzo ti è preso? >> disse la ragazza, ridendo leggermente. << Beh, sto sanguinando a seguito di un colpo di pistola nella pancia... >> iniziò a spiegare lui, ma lei gli tirò un colpo sulla spalla e lui le disse quello che voleva sentire. << Sono un agente speciale. No, meglio, sono un supereroe. E il mio compito è proteggere la gente. Sono contento che tu ce l’abbia fatta. >> poi aggiunse << Oh, Angie, fa tanto freddo... >>.
<< Smettila di dire cazzate, stai benissimo >> disse lei mettendosi su un fianco. << Ok, lo ammetto è un bluff. Però che ne dici per una volta di invertire le parti. Ora la principessa bacia il principe e lo salva. >> detto ciò si distese a braccia conserte e chiuse gli occhi. La ragazza obbiettò qualcosa, ma alla fine sorrise e gli diede un bacio sulla guancia, poi passò a provare a togliere il proiettile dall’addome del ragazzo. << Ci riesci? >> chiese il ragazzo. << Sì, non preoccuparti, sei riuscito a frenarlo, in qualche modo, ed ora è più o meno in superficie. >> disse mettendosi a cavalcioni sul ragazzo per riuscire a rimuovere il piombo. << Devo... Solo... Rimuovere... >> aggiunse la ragazza armeggiando sotto il costume del ragazzo.
<< S.O.S., mani in alto! >> gridò Jeshi entrando nella stanza. Passò velocemente lo sguardo prima a Alexander Stess caduto sulla scrivania con un foro in testa, poi alla coppia di ragazzi, notando la strana posizione della ragazza. << Non è come sembra! >> disse Marco a sua discolpa.
Villa Stess, Bulgaria
<< Il tuo atto di insubordinazione è intollerabile! >> urlò secco Donald, camminando di fronte ai due agenti mandati in missione. Marco, con una fascia all’addome, stava in piedi, ma leggermente piegato in avanti a causa dei crampi alla pancia, mentre al suo fianco Jeshi stava perfettamente dritta. << Signore. >> provò a parlare Jeshi, ma Donald la zittì bruscamente, poi continuò: << Non solo non ci hai avvisato della tua compromissione, ma ti sei anche alleato con una persona che dovrebbe pagare per i suoi crimini, il tutto senza avvisarci. E non pensare che tu >> disse puntando il dito verso Jeshi << sia esonerata. Cosa pensavi di fare prendendo il controllo della missione, eh? Meritereste di non fare più parte della squadra! >>
<< Esagerato! >> disse Maximilian, seduto dietro di lui, dopo di che si alzò e si diresse verso i due giovani. << Perché lo hai fatto? >> chiese a Jeshi. << Non ero ancora stata addestrata su come comportarmi in queste situazioni, quindi ho seguito l’istinto signore! >> rispose lei, senza guardarlo in faccia, ma solo dritto davanti a sè. Il generale sorrise, poi passò a Marco e fece la stessa domanda. << Non ho riferito perché avevo paura di essere escluso dalla missione, poi me ne sono pentito, signore! >> disse Marco, poi aggiunse << In seguito per un fortuito caso io e l’obbiettivo ci siamo incontrati e ho agito d’istinto, signore. >> Maximilian sorrise di nuovo quindi prese la parola: << Da quello che vedo, Babelfish non era addestrata per questo imprevisto, quindi è completamente incolpevole. Per quanto riguarda Magic, invece, posso affermare con certezza che il suo è un atto di insubordinazione, ma che avendo comunque portato a termine la missione lo estrometto momentaneamente dalla squadra per una settimana. >>
<< Ma è il periodo esatto di convalescenza! Deve già stare fuori quei giorni, questa non è una punizione! >> protestò Donald a braccia aperte.
<< E quello che hanno commesso non si può considerare un reato! Quindi smettila di piagnucolare. >> disse Maximilian e vedendo il colonnello pronto a protestare aggiunse: << Sono un tuo superiore, ho ragione io! >>
<< Ti odio! >> disse fra i denti l’uomo. << Oh, non offenderti ma lo sapevo già! >> rispose il generale andandosene. Donald sbuffò, poi lasciò andare i ragazzi. << Un’ultima cosa >> chiese Marco << Dove porterete Angelique? >>
<< Pensavamo di consegnarla alle autorità, ma visto che era una ragazzina in preda a smanie omicide del padre e con la morte della madre sulle spalle, e visto anche che ha salvato un mio agente imbecille, abbiamo deciso di concederle la libertà. Vuoi andare ad annunciarglielo? >>
Marco non se lo fece ripetere due volte. Uscì dalla villa, dove Bonesbraeker stava ordinando di caricare l’Explosion, e si diresse verso la ragazza, raccontandole tutto. << Quindi è un addio? >> chiese lei. << Addio?! Dai! Nella nostra società non esiste più l’addio, a meno che uno non vada in Tibet. Io ho un cellulare, potremmo scambiarci i numeri, aggiungerci su Facebook e poi... >> Marco fece un bel sospiro. Prima che Donald gli facesse la ramanzina, Maximilian gli aveva parlato delle condizioni di Shawn, dicendo: << Ah, come ci servirebbe uno come lui! >>. Ora il generale lo guardava fisso, come a fargli capire quello che voleva chiedesse. << Sai... Uno dei nostri è impazzito nell’ultima missione >> disse Marco << Quindi ci sarebbe un posto libero in squadra. Se vuoi... >>
<< No, mi dispiace, ma non ho superpoteri. >> rispose lei.
<< Beh, non tutti hanno superpoteri, e poi tu sei un’esperta combattente, che fa di te qualcosa di super. >> aggiunse lui. Lei ci pensò un po’ su, poi disse: << Mi dispiace, ma voglio rimettere in piedi la mia vita in modo normale. >>
<< Come vuoi. >> concluse il ragazzo. Donald salì sul jet e gridò al ragazzo di fare altrettanto. Dopo aver salutato la ragazza, il giovane balzò dentro la rampa di accesso. Una trentina di secondi dopo il portellone si chiuse e il jet decollò, sferzando il viso della giovane a terra. Angelique si morse il labbro. D’altronde, lei non era come loro, era normale, perché doveva essere importante; però le dispiaceva un po’ dover dire addio a Marco. In quel momento il suo cellulare vibrò per un messaggio, che recitava:
Non puoi immaginare quante cose interessanti si possano trovare sui fascicoli delle persone. Di tutto e di più, anche numeri di telefono ;)
Marco.
La ragazza sorrise, poi guardò il jet allontanarsi verso l’orizzonte.
Sede della ARMED, USA (Celle di contenimento)
Shawn poteva apparire all’apparenza un morto a cui qualcuno aveva lasciato aperti gli occhi. In realtà era vivo, ma da quando si era risvegliato dai sedativi aveva assunto quella posa, seduto con le mani sulle ginocchia, e non l’aveva più lasciata. Da fuori, le guardie avevano prima titubanti provato a portargli cibo, poi preoccupate gli avevano impianto dei rilevatori per monitorare il cervello.
Era infatti lì che avveniva tutto il problema. Shawn continuava costantemente a vivere in un’allucinazione sonora e visiva, che riproduceva i suoi incubi notturni. Li ripeteva tutti in ordine, tranne l’unico che nelle sue notti insonni lo tormentava costantemente. Fu allora che iniziò. << Chi credi che sia vero? Io o tu? >> disse nuovamente la sua mostruosa ombra. Shawn afferrò però la katana davanti a lui pronto ad attaccare il mostro. << Chi sei? >> urlò nel sogno l’uomo. << Quello a cui tu hai usurpato l’essenza. >> rispose il mostro, mostrandosi ragionevole e pacato. << Esci dal mio corpo. >> urlò il ragazzo. << No, esci tu dal mio >> gridò il mostro rabbioso. << Non ho intenzione di ripetertelo di nuovo. Chi sei? >> la tensione fra i due era alta, e il sottile filo fra discussione e lotta molto sottile. << Come?! Non ricordi. >>
In quel momento partì nella testa di Shawn quello che a prima vista non era una visione. Con un certo senso di deja vu visse la scena. Un bambino scendeva dall’autobus, correndo a casa. Era il suo primo giorno di scuola, e ne era rimasto entusiasmato. La mamma lo accolse a braccia aperte. << Oggi ho imparato a contare fino a cinque! >> disse entusiasmato il bimbo, provando a ripetere quello che aveva imparato con l’aiuto delle dita, ma non riusciva a ricordarsi cosa c’era dopo il tre. << Allora vai in camera a studiare! >> scherzò la madre scompigliandoli i capelli. Il ragazzetto corse in camera sua, pronto a stupire la mamma alla cena. Dopo un’ora arrivò il padre, ubriaco come al solito. Il piccolo si accucciò ai piedi del letto, fissando la porta. Il padre urlò qualcosa di incomprensibile, poi fu seguito dalla madre. Quelle urla il bimbo le conosceva benissimo. Significava che papà stava aiutando mamma a capire come si doveva comportare, ma mamma si faceva sempre male in quelle occasioni. Un colpo tuonò dalla camera a fianco, come se qualcuno stesse distruggendo angurie con le mani. Il bambino chiuse gli occhi e contò.
Uno...
Due..
Tre...
Quattro...
Cinque...
Cinque colpi, e dopo solo i mugugni di qualcuno, come un animale indifeso e ferito che sta per morire.  Il bimbo si mise a piangere. Fu scosso solo da un rumore dietro di sé. << Chi sei? >> chiese il ragazzino. L’interlocutore, visibilmente spaesato, era una specie di essere umanoide, tutto nero e senza faccia, fatta eccezione per gli occhi, rossi, e qualche tatuaggio dello stesso colore, forse magico, sul suo corpo. Non portava vestiti, eccezion fatta per uno straccio nero che gli si avvolgeva in vita. Non ottenendo risposta, il bimbo continuò a chiedere: << Sei per caso il mostro sotto il letto? >>. L’essere fu sul punto di rispondere, quando dalla camera a fianco ripresero i colpi. << Il mostro qui è qualcun altro. >> disse l’umanoide, con una voce tetra e da oltretomba. Il bambino abbassò lo sguardo, poi chiese timidamente: << Vorresti essere mio amico? >>. L’essere sembrò ancora spaesato, ma fece un leggero cenno con la testa. << Io mi chiamo Shawn Withman, e tu? >> chiese il bimbo, alzandosi in piedi e porgendoli la mano. Arrivava sì e no alla metà dell’essere, che allungò anche lui, un po’ dubbioso, la mano verso il ragazzo rispondendo: << Il mio nome è Aracnus, e sì, voglio essere tuo amico. >>

NOTE E CITAZIONI:
[*] Loki è il principale cattivo del film "The Avengers", noto per avere uno scettro del tutto simile alla nuova forma della lancia di Marco; Ino invece è un personaggio del manga (e ovviamente anche dell'anime) di Naruto, con la particolarità di avere i capelli biondi e gli occhi azzurri come Jeshi.

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Capitolo 7
*** Death Made in China (pt. 1) ***


CAPITOLO 6- Death Made in China
Spazio aereo internazionale
Jeshi era sonnambula. Questa era l’unica spiegazione che si era dato Alfred per risolvere il mistero delle bottiglie vuote. Lei era l’unica che beveva tè verde sull’aereo, quindi non poteva che essere lei. Ma c’era qualcosa che ancora non quadrava. Forse l’esatta disposizione delle bottiglie nel cestino, non buttate a caso, ma disposte a strati. Forse i rumori di lancio che si sentivano, ma la completa assenza di cocci o schegge nella sala principale. O forse semplicemente il fatto che Jeshi era ogni sera al suo fianco per scoprire chi facesse quel rumore. Quindi era costretto a ricominciare da capo.
Alfred vagò nuovamente per la stanza in cerca di indizi. Sembrava che ogni volta lui fosse ad un passo dallo scoprire il colpevole, il caso mutasse le dinamiche dei fatti e gli impedisse di capire chi fosse. Dopo dieci minuti passati a far nulla o poco più si diede dell’imbecille e cercò di ricordarsi di non essere un detective ma un professore. Si diresse quindi alla cucina assieme agli altri. Dopo aver esposto le sue considerazioni e scoperte, Alfred si sedette e iniziò a mangiare. << Quindi >> esordì Bonesbraeker, con il suo solito vestito a giacca sbottonato << Siamo giunti alla conclusione che non sappiamo chi sia a rompere i coglioni ogni stramaledetta notte e che tu, Prof, sei il peggior detective della storia >>
<< Fine come al solito! >> fece notare Don sorseggiando il caffè, mentre Marco e Lauren si scambiarono un’occhiata. Mentre mangiavano, il generale fu contattato sul suo telefono. Finita la telefonata si diresse verso la cabina di pilotaggio e deviò la rotta verso il nuovo obiettivo.
<< Allora, il nostro compito è semplicissimo. Dobbiamo recuperare per il governo una valigetta, andata perduta anni fa. Non sappiamo dove si trovi, ma recentemente un segnale speciale, captabile solo dai nostri recettori, ci ha portato a questo video. >> disse McRonald, premendo un tasto sul computer. Un filmato partì, mostrando un biondo, in tenuta da FBI sporca di fango, con una ferita sanguinante sulla tempia. << A tutti coloro che mi stanno ascoltando, spero di non aver sbagliato la data. Questo è un messaggio postdatato, fatto per attivarsi il 24 giugno 2015. Se la data è sbagliata, anche di solo un giorno, interrompete qui la registrazione e attendete quel giorno o incazzatevi se è già passato. >> l’uomo tossì, poi continuò << Se state ascoltando questo video nel momento giusto, io dovrei essere già morto da un bel po’, così come l’agente RedFox, e la mia copertura sarà saltata da tempo. Credo che quel pazzo sia ancora alla ricerca dell’agente BlueKoi, quindi anche per lui i giorni potrebbero essere allo scadere. La valigetta però è al sicuro, protetta e nascosta. Nel video è criptato un codice satellitare per conoscere l’esatta posizione attuale della valigetta. Fate in modo che nessuno possa arrivare prima di voi, soprattutto lui. Mandate la migliore squadra che avete. Fate presto! >>. L’esortazione conclusiva lasciò tutti stupiti. Erano dunque loro i migliori di tutti, o semplicemente i più adatti. << Domande? >> chiese pacato Don. Il primo fu Marco: << Quindi stiamo recuperando una valigetta? >>
<< Sì, Marco. Questo lo avevamo già detto. >> disse McRonald.
La seconda domanda venne da Lauren: << Quello non è il leggendario agente WhiteTiger, vero? >>. I suoi occhi mostravano vivida ammirazione per quell’uomo, e anche un po’ di attrazione. Purtroppo era morto in missione, due giorni dopo aver registrato il messaggio. Il colonnello annuì stancato dalle domande inutili. Bonesbraeker lo fissava da quando aveva interrotto la riproduzione del video. C’era qualcosa che non andava, quindi gli fece cenno mentre i ragazzi preparavano l’attrezzatura. << E il secondo pezzo? >> chiese l’uomo, aggiustandosi la cravatta nervosamente.
<< Secondo pezzo? >> rispose Donald.
<< Da quando ci è arrivato, due anni fa, tutti sapevamo della seconda parte >>
<< L’avete visto tutto. Pensavo fossimo d’accordo che dovevamo aspettare oggi >>
<< Mai spoilerato il finale di un film? E’ lo stesso principio >> fece notare Thomson alzando il sopracciglio. Don cercò di capire dove volesse arrivare, ma era in mezzo all’oscurità più totale. Maximilian dovette sussurrargli la verità all’orecchio e per poco lui non stramazzò a terra.
Foresta di pietra, Cina
<< Pronti per una nuova missione, S.O.S.? >> chiese energetico Marco, pronto a scendere di nuovo sul campo per una missione. << Non così veloce, Rambo. Tu sei ancora in convalescenza. >> fece notare Maximilian << Il tuo posto sarà preso da Lauren. Il leader temporaneo è Jeshi. Tu dovrai rimanere qui al coordinamento missione con me e Donald. >>
Marco protestò, come ovvio: non aveva voglia di stare sull’Explosion, né tanto meno con i due superiori noiosi e sempre a un passo dal baciarsi. Tralasciò l’ultimo dettaglio, poi si rassegnò ed andò ad una postazione piena di monitor e roba simile, mentre la squadra si apprestava a scendere. Il loro compito era di pattugliare la zona nell’attesa che qualcuno decrittasse il codice, ma nessuno al mondo pareva in grado di farlo. Nelle ore di attesa, Maximilian scoprì che già altri Paesi avevano ricevuto una copia del video, e che quindi migliaia di malavitosi stavano cercando di decodificare il file, ma tutti invano. Marco era rimasto dentro e si occupò quindi di dare una mano ai suoi colleghi decrittatori della CIA. << Allora! >> iniziò la videoconferenza il giovane << Sono l’agente Magic, squadra S.O.S., della ARMED. Siamo stati inviati sul luogo per recuperare la valigetta. Qualche idea su come decrittare il codice? >>
<< Credo di no. WhiteTiger ha usato una chiave di risoluzione semplice, ma non siamo ancora riusciti a trovarla. Come pensi dovremmo muoverci? >> chiese un uomo in camice bianco con degli occhiali da vista. Marco pensò un attimo, poi mise in attesa i colleghi e cominciò a lavorare nel suo stile. Prese tutte le informazioni che conosceva su WhiteTiger, su RedFox e su BlueKoi, le sommò assieme e cercò di individuare una possibile informazione comune. Niente, tranne una cosa singolare: RedFox e BlueKoi erano cugini e giapponesi, ma sembrava non fossero riconosciuti come agenti americani. Probabilmente informatori locali. Ma perché una missione in Giappone doveva finire in Cina? Marco si scervellò finché non lo capì. Fu un lampo di genio, ottenuto leggendo brevemente un resoconto del famoso agente. “Adoro il Giappone” aveva scritto. E cosa fa uno che adora il Giappone? Nasconde un importante segreto in un codice in giapponese!
<< Babelfish, rientra alla base! >> disse alla ricetrasmittente, dopo aver capito il segreto. Jeshi rientrò nel giro di dieci minuti. << Credo che sia giapponese! >> disse entusiasta Marco, mentre armeggiava con il codice.
<< Lo sai che in Giappone si usano gli ideogrammi vero? >> chiese la ragazza sarcastica.
<< Traduci in ideogrammi lettera per lettera il codice >> chiese Marco porgendole un foglio e una penna. La ragazza li prese, titubante, e iniziò a tradurre. Quando ebbe finito porse il foglio a Marco. << Cosa ci vedi? >> chiese lui.
<< Niente di particolare >> rispose lei.
<< Uniscile in sillabe! >> ordinò lui. Lei lo fece sbuffando. Odiava prendere ordini.
<< Continuo a non vedere niente >> disse lei spazientita. Marco però aveva la bocca aperta. Quello che la ragazza aveva visto erano semplici segni che per lei formavano una lettera, come per noi A o B, ma per uno che come Marco ne sapeva meno di zero quei simboli sembravano numeri contornati da buffe cornici orientalizzanti. Coordinate nascoste in un sistema in codice molto originale. << E’... >> provò a dire Jeshi, visibilmente stupita.
<< Un fanatico del Giappone! >> concluse Marco.
<< Un genio! >> precisò la ragazza.
<< Sì, ma anche un fanatico del Giappone. >> disse il ragazzo mentre andava a comunicare i suoi risultati ai “geni” del governo. La giovane uscì invece dal jet e prese la sua squadra. Avevano una coppia di coordinate, quindi ora potevano partire. << Andiamo! Dista almeno dieci chilometri da qui, quindi prima partiamo prima arriviamo! >> disse lei, incamminandosi verso le montagne. Lauren fu l’unica a non seguirla subito. La fissava con le braccia incrociate, e con uno sguardo da chi ha appena ascoltato una stupidità. << Credi veramente che ci arriveremo a piedi? >> chiese Lauren, costringendo Jeshi a fermarsi.
<< Sì?! >> rispose lei con un sottile tono ironico.
<< Forse è meglio se prendiamo un veicolo! >> fece notare lei.
<< Beh, in fondo ha ragione. >> fece notare Alferd. Lauren si girò e corse a prendere una jeep nel piccolo garage del jet. Quando tornò, caricarono tutto sul veicolo e partirono.
Explosion 711
Marco cercava costantemente informazioni sulla vera identità di BlueKoi e RedFox, ma senza risultati. Sembrava che si mascherasse con forza la loro vera identità per proteggerli da qualcosa, o meglio qualcuno. Dietro, i due militari stavano discutendo. Marco riuscì a capire che Maximilian voleva fargli vedere qualcosa, ma Donald si opponeva con forza; visto che la sua curiosità era troppa e che non aveva trovato niente, chiese se quello che volevano fargli vedere era inerente alla valigetta. << Certo, ma non posso proprio dirti assolutamente nulla di nulla, neanche se me lo chiedi con forza. >> disse Bonesbraeker, aumentando volontariamente la volontà di Marco di saperne di più.
<< Vi avverto, hackererò il computer se non mi direte subito cosa non devo o devo vedere! >> minacciò il ragazzo.
<< Sai >> disse Donald, fissando malamente il collega << Ti odio quando usi la psicologia inversa! >>. Maximilian sorrise beffardo e fece partire la seconda parte del video. << Oh... Mio... Santissimo... Dio... >> disse Marco, alla fine del filmato << Ditemi che... >>
<< E’ tutto vero. >> disse Maximilian, avvicinandosi << Devi capire che lui aveva i suoi motivi, ma la valigetta era molto più importante. Ci ha sempre insegnato così, all’addestramento >>
<< Era il vostro istruttore! Oh merda, il karma deve essersi proprio fumato una canna! >> disse Marco, con gli occhi spalancati e la mascella cadente. Stava per comunicare quello che aveva saputo a Jeshi, ma il colonello lo fermò. << Loro non devono sapere niente, soprattutto lei. Mi raccomando! >> aggiunse, prima di andarsene verso la sua postazione.
Foresta di pietra, Cina
<< Giù! >> gridò Alfred, mentre dietro di lui Jeshi si rannicchiava coperta da un barile e, più in là, Lauren si nascondeva dietro una costruzione lì nelle vicinanze assieme a Igor. L’ennesima comitiva di turisti passò, a bordo di un vecchio autobus malandato, identico ai due precedenti. << Qualcuno ha voglia di spiegarmi chi cazzo nasconde una cosa segreta in un’attrazione turistica? >> chiese Lauren, uscendo lentamente dal suo nascondiglio.
<< Il miglior nascondiglio è sotto gli occhi di tutti! >> fece notare Jeshi, mentre controllava la strada che dovevano ancora percorrere. Avevano abbandonato la jeep trenta metri prima, dopo aver rischiato di farsi scoprire da una guardia di sicurezza. Avevano quindi optato per proseguire a piedi per gli ultimi due - trecento metri, ma così facendo avevano diminuito di molto la loro velocità. Stando a quanto riferito da Marco, molte associazioni criminali di tutto il mondo avevano abbandonato le ricerche, tranne la mafia giapponese e un paio di gruppi terroristici sudamericani. E siccome le coordinate erano cifrate in giapponese, era probabile che i nipponici arrivassero da un momento all’altro. Per sicurezza, tramite i satelliti il gruppetto sul jet stava analizzando qualsiasi comunicazione tra i nipponici. << Ancora niente, ma sembra che qualcuno abbia avuto un indizio. >> disse alla ricetrasmittente il ragazzo al computer. << Che tipo di indizio? >> chiese la ragazza, proseguendo a grandi falcate verso l’ubicazione della valigetta. << Non è specificato, ma ritengo che stiano per scoprire il codice. E non è un buon segno... >> concluse la comunicazione Marco. Jeshi strinse i denti e corse ancora più velocemente, arrivando fino alla base di un “albero” di pietra. << Le coordinate segnano l’esatto centro di questa formazione. Qualcuno deve scalarla. >> disse la ragazza guardando attentamente il suo orologio modificato. << Posso farlo io! >> si offrì Lauren, estraendo dalla borsetta uno dei “trucchi” creati da Alfred. << Posso usare questo rampino per salire >> disse agitando un finto mascara. Alfred annuì, dopo di che diede delle istruzioni aggiuntive alla giovane su come utilizzarlo e la lasciò partire.
L’arpione si agganciò bene alla roccia, e dopo aver teso il filo un paio di volte Lauren partì. << Sali velocemente! >> gridò da sotto Jeshi, quando l’altra ragazza fu a metà. << Fosse facile l’avrei già fatto! >> strillò dall’alto, continuando a salire. La corda continuava a restare ben tesa, ma era sempre più difficile salire verso la cima. << Wow, qui comincia ad essere altino >> disse un po’ tremante Lauren. << Non è il momento di avere le vertigini! >> disse Donald dalla trasmittente. Quando riuscì ad arrivare a malapena sulla vetta, i nervi di tutta la squadra erano a fior di pelle.
<< Trovata! >> disse la stagista, sventolando una ventiquattrore nera. In quel momento, mentre tutti esultavano, un colpo di proiettile andò dritto verso la ragazza, ma la mancò e colpì in pieno la valigetta ammaccandola. << Mafia giapponese! >> esclamò Alfred. Igor non attese ordini e si scagliò su un manipolo di criminali appena scesi da un SUV nero. Lauren si acquattò per coprirsi ed estrasse lentamente il fucile di precisione che si era presa dietro. Jeshi estrasse una lancia componibile e si protesse per ricomporla. Alfred sfruttò la tecnologia della sua tuta, soprattutto i guanti E.M.P., per stordirne il più grande numero possibile. << Ritiratevi! Prendete la valigetta e ritiratevi, è un ordine! >> gridò alla ricetrasmittente Bonesbraeker. Coperta dalla roccia verticale, Lauren scese lentamente con la valigetta in una mano e il fucile nell’altra, poi corse a perdifiato verso la loro jeep, spalleggiata da Jeshi e protetta da Igor ed Alfred. Le due ragazze sentivano i proiettili schizzate attorno a loro e conficcarsi nelle pietre della foresta, ma continuavano a correre. Jeshi scappava preoccupata, sapendo bene cosa, o meglio chi, la stava inseguendo. Perché, benché la mafia giapponese non avesse un capoclan conosciuto, lei sapeva bene chi comandava: Sahiko Yamamoto, fratello di sua madre. Assassino di tutti coloro che la amavano e la proteggevano. Colui da cui era sempre fuggita, e continuava a farlo anche ora. Saltò al posto di guida, con a fianco Alfred, dietro Igor e Lauren, con quest’ultima che caricava il caricatore del fucile mentre sgommando scappavano.
Explosion 711
<< Al volo! >> gridò a Marco Jeshi salendo sul jet. Il ragazzo l’afferrò con facilità, quindi tornò alla sua postazione e osservò l’esterno, per vedere chi li stava inseguendo. In cabina di pilotaggio, il Generale Thomson e il Colonnello McRonald stavano facendo decollare il velivolo, mentre un gruppo di mafiosi si avvicinava armato fino ai denti di pistole e mitra. Il jet partì e volò il più in alto possibile. Marco attivò il dispositivo di invisibilità. << Scampato, per ora! >> esclamò Marco, con uno sbuffo liberatorio, mentre il resto della squadra si gettò sui sedili laterali, riposandosi.
<< Ce l’abbiamo fatta, vero? >> chiese Lauren un paio di minuti dopo. << Credo di sì >> rispose Jeshi, chiudendo leggermente gli occhi. Lo faceva per riposarsi, certo, ma chiudendo gli occhi non poteva che vedere la sua immagine. Suo zio, l’assassino, la causa della sua sofferenza. Non si era arreso per sedici anni pur di attaccare il tempio e cercare di convincerla a seguirlo. Probabilmente, se voleva la valigetta per curiosità, non li avrebbe seguiti; ma se per lui era importante, allora avrebbe raso al suolo tutta la Cina per prenderla. In quel caso, loro erano in grosso pericolo.
Erano ormai usciti dalla zona radar cinese, e stavano proseguendo verso Est, pronti a tornare alla base dopo settimane passate a bordo del jet, con solo sporadiche pause per fare rifornimento. Stavano finalmente per rimettere piede saldamente a terra.
Mentre Jeshi, e in genere tutti pensavano così, l’Explosion 711 fu attaccato. Due missili colpirono la calotta superiore, non danneggiando fortunatamente i motori. Il dispositivo di invisibilità era praticamente inutile quindi Marco lo disattivò. << Come hanno fatto a vederci! >> gridò Maximilian, uscendo di corsa dalla cabina << Non dovremmo essere schermati dai radar deboli?! >>
<< Sì, ma credo che loro abbiano dei visori termici! >> disse Marco, afferrando il suo bordone. Il generale lo fermò, quindi aprì il portellone e prese da una cassa lì affianco il bazooka. << Questo è per avermi graffiato il jet! >> disse, colpendo con un colpo preciso il primo aereo che li inseguiva. << Questo è per avermi disturbato mentre mi riposavo! >> aggiunse, colpendo il secondo. << E questo è per aver tentato di uccidermi! >> concluse, sparando un colpo al nulla.
<< Perché l’hai fatto?! >> chiese Donald, appena uscito da dove si trovava.
<< Avevo ancora delle motivazioni >> rispose chiaramente Bonesbraeker. Don sorrise piegando la testa. C’era qualcosa nella pazzia di quell’uomo che gli piaceva, ma non sapeva dire cosa. Rialzò gli occhi appena in tempo. << Giù! >> disse afferrando per la giacca il collega e gettandolo a terra, salvandolo quindi da due colpi di pistola provenienti da uno dei due scagnozzi in divisa aerea entrati furtivamente all’interno del velivolo. L’altro aveva un fucile a pompa con cui sparò un po’ di colpi di copertura, ma mentre la squadra si riparava Marco creò una barriera attorno ai due istruttori. I due continuarono comunque a sparare, mirando però al ragazzo. “Vogliono ucciderci tutti, quindi ovviamente partiranno da me, perché sono l’unico che può proteggere gli altri. Quindi se li attacco subito dovrei essere a posto!” ragionò Marco, quindi si avventò sui due senza pensarci un attimo. Jeshi e Lauren lo coprirono rispettivamente con frecce e proiettili. Mentre il ragazzo correva verso i due, un terzo entrò nel jet aggrappato al portellone e lo colpì con un calcio. Marco cadde a terra, disorientato, ma invece di ucciderlo come volevano gli altri due, il neo entrato indicò la valigetta che, nella furia, il ragazzo aveva lasciato alla postazione PC. Presa coperto dagli uomini, il loro capo gli fece cenno di smettere di sparare. << Scusate se vi disturbo, ma devo prendere solo una cosa >> disse l’uomo beffardo, togliendosi la maschera. << Tu! >> disse Jeshi uscendo dal suo nascondiglio con l’arco puntato.
<< Nipote cara! Come te la passi? >> fece l’uomo, sorridendo.
<< Sei ancora vivo, ho detto tutto >> fece lei, mirando alla testa.
<< Non mi colpirai mai! Non hai coraggio! >> la sbeffeggiò lui. Lei si morse il labbro. Vero! Lei non lo avrebbe mai colpito, ma non per codardia, ma per il semplice fatto che se anche lei lo avesse ucciso, dopo gli scagnozzi la avrebbero colpita di conseguenza e la sua vendetta sarebbe stata vana. Inoltre avrebbero comunque preso la valigetta. Quindi delle due era meglio lasciarlo andare e inseguirlo. Abbassò l’arco, fiduciosa che non l’avrebbe uccisa. Difatti l’uomo sorrise e si buttò all’indietro seguito dagli altri due. Quando se ne furono andati, la ragazza si gettò su Marco e chiese: << Stai bene? >>.
<< Cazzo, tuo zio è bravo con i calci! >>
<< Ha la valigetta! >>
<< Beh, allora prenditi la tua squadra e inseguilo! Io non credo di poter venire, ma posso sempre aiutarvi! >>. Detto ciò si alzò e si diresse verso la sua postazione. Nel frattempo, il resto della squadra si avvicinò ai due. << Tutto bene? >> chiese Alfred
<< Certo! >> rispose il ragazzo, inserendo dei codici di programmazione nel computer. Vedendo che lo scienziato era interessato, spiegò quello che faceva: << Quando sono finito a terra ho capito che avremmo perso la valigetta, così ho preso furtivamente una microspia dalla pistola e gliel’ho incastrata addosso. Ora sto tracciando la sua posizione. >>
Kiyomizudera, Kyoto
<< Sei sicura di voler partire? >> chiese Marco alla giovane. Jeshi annuì col capo chino, poi prese una arco e scese dal portellone del jet. Il ragazzo salutò tutti i suoi compagni, dopo la botta in testa i superiori avevano deciso di tenerlo lontano dalla mischia ancora un po’. Chiuse il portellone e tornò alla sua postazione, da dove controllava tutta la zona tramite dei droni con funzione di telecamera.
Jeshi era ferma. Se qualcuno avesse dovuto descrivere quello che stava facendo in quel momento, il massimo che avrebbe detto sarebbe stato “lei sta”. Sta ferma. Sta ferma lì a pensare, col capo chino. Erano passati quasi due mesi da quando se ne era andata per sempre da quel luogo, e tornarci le faceva male dentro. Il suo maestro era stato ucciso lì, ma soprattutto ora era il covo di un assassino di fama mondiale. Di un assassino che aveva ucciso i suoi genitori. Di un assassino che era implicato anche nella morte di uno dei più bravi agenti del mondo. Di un assassino che rispondeva all’identità di suo zio. Una lacrima le solcò lentamente il viso. La asciugò con rabbia, quindi incoccò l’arco e si diresse verso una cava nella roccia.
Il tempio, costruito nell’epoca dei samurai, non doveva in teoria avere un passaggio segreto di fuga, considerata disonorevole dai guerrieri feudali, ma quel luogo era una copertura per i ninja, che in quell’epoca erano molto diffusi e molto ben nascosti. Ora vi si nascondevano gli eredi delle spie giapponesi o i malavitosi. In fondo, non molto differentemente da come era stato, da come era e da come sarebbe sempre stato, nel bene o nel male. Questo era.
Jeshi avanzò all’interno del corridoio di pietra, seguita da Alfred, Lauren e Igor. Il secondo della fila attivò una torcia potentissima, mentre dietro Jeshi sentiva il rumore della pistola di Lauren che la ragazza stava caricando. Mano a mano che si avvicinava al tempio, non sentiva più niente. Perse il suono dei passi di Igor sulla roccia, perse gli sbuffi di Lauren, perse il discorso sui templi di Alfred, perse il leggero ronzio della ricetrasmittente, perse il picchiettare delle gocce di condensa del soffitto. Rimase solo lei, il suo respiro, e il battito del suo cuore. Sapeva la strada a menadito, pur avendola fatta solo una volta.
Jeshi fu ridestata dalla sua stasi psicologica solo quando Marco disse che i quattro erano arrivati. Lo sapeva già, certo, ma sentire la sua voce la tranquillizzò. Prese una scala nascosta dietro un paio di spuntoni di roccia, la appoggiò ad una parete e si issò, piolo dopo piolo. Arrivò ad un piccolo spiazzo scavato nella roccia, dove era presente incastonata nella parete una piccola porta, alta si e no un metro e larga altrettanto. La aprì lentamente, cercando di osservare l’eventuale presenza di altri esseri umani. Come pensava, nessuno aveva ancora scoperto quella porticina, nascosta dietro i sacchi finti di grano. Ne spostò un paio e entrò.
<< Siamo nel magazzino, qui non c’è nessuno >> disse Jeshi alla ricetrasmittente. << Bene, penso che Sahiko sia nella sala principale. E non abbandonerà mai la valigetta, quindi sarà anche lei nella sala principale. >>
<< Ci dirigiamo lì >> disse lei completamente apatica. Era una cosa che le avevano insegnato nel suo addestramento, virtù che aveva perso nell’ultimo periodo. Uscì lentamente dalla stanza, controllando ogni singolo angolo. << Ci sono due scagnozzi di tuo zio sul corridoio, dopo il varco. Consiglio un atterramento di Igor e Lauren >> disse Marco, mentre silenziosamente Jeshi faceva cenno ai due scelti di avanzare. Si disposero sui lati dell’apertura, Lauren sulla destra e Igor dall’altra parte. La ragazza uccise la sua guardia con un coltello nella giugulare, facendo schizzare il sangue ovunque, mentre Igor ruppe di netto l’osso del collo dell’altro uomo. Mentre i due spostavano i corpi, Jeshi controllò il corridoio con l’arco, osservando ogni singolo movimento.
Sbagliava. Lo sapeva. Il suo addestramento le aveva insegnato ad essere di più. Per questo la ARMED la aveva salvata e scelta. Perché era più di un semplice agente segreto di una qualche agenzia filo americana. Chiuse gli occhi e si concentrò.
Regolare il respiro, fatto. Rilassare i muscoli, fatto. Concentrare la mente, Fatto.
Ascoltò i rumori intorno a sé. Percepiva il respiro dei propri compagni. Riuscì a farsi un’immagine mentale della loro posizione. Poi passò oltre, ascoltò più profondamente. Sentì il rumore, sottile e leggero, della microspia drone di Marco. Poi sentì i passi felpati di un gruppo di soldati, e il cigolare lento di una telecamera di sorveglianza. “Cazzo” gridò mentalmente, aprendo gli occhi, poi scoccò una freccia dritta all’obiettivo. Poi passò a colpire il primo del gruppetto di soldati, appena sbucato fuori da un angolo col fucile già puntato.
Dopo il primo, gli altri furono più attenti ad esporsi. Lauren coprì la fuga della squadra verso un riparo. Ma Jeshi stava lì, immobile. Con l’arco puntato, pronta a colpire.
Un’arma letale pronta a scattare. Quello per cui era stata addestrata. Uccise con un dardo nell’occhio uno dei soldati, quello sfortunato che aveva fatto capolino dall’angolo per controllare la situazione. Lei rimase lì, ricaricando velocemente l’arco, nonostante Lauren la spronasse a ripararsi. Uno di quei soldati provò a fare fuoco di protezione, ma con una precisione inumana la ragazza colpì la bocca del suo fucile, facendone esplodere la canna.
Jeshi chiuse di nuovo gli occhi e si concentrò. Sembrava che ne fossero rimasti solo tre. Riaprì gli occhi, poi sfilò una granata dalla cintura di Lauren e la lanciò contro il muro. L’esplosione uccise tutti i soldati rimasti, lei lo sapeva, quindi avanzò sicura e apatica verso i tre cadaveri. Sfilò da uno di loro un coltello, quindi lo squartò e con il sangue scrisse un paio di ideogrammi, quindi proseguì come se nulla fosse successo.
<< Scusa se te lo chiedo, ma perché scrivere sul muro in questo momento critico? >> le chiese Alfred, indicando il muro. Dapprima la ragazza non rispose, poi indicò una telecamera posta a riprendere esattamente la scritta rossa sul muro. << È un avvertimento. >> disse lei.
<< E cosa significa? >> chiese sempre curioso Alfred.
<< Sei il prossimo >> disse lei, spostandosi una ciocca di capelli da davanti gli occhi privi di emozione.
Da lì la strada era nettamente più semplice. Nessun uomo armato aveva più provato a fermarli. Non per paura, ma per ordini del loro capo. Lei lo sapeva. Non le piaceva, ma purtroppo doveva continuare.
Erano arrivati finalmente davanti alla porta della sala principale. La sua vecchia sala degli allenamenti. In una situazione normale, se fosse stata una persona normale, avrebbe pianto, ma lì non era normale né la situazione né tantomeno lei. Stava per aprire la porta quando rifletté un attimo.
Sapeva benissimo che era lei. L’aveva vista nei monitor, ma dopo quei sei uomini non aveva mandato nessuno. E lui non aveva certo paura. Voleva che entrasse nella stanza, ma prima voleva metterla alla prova. Era una trappola. Voleva che lei entrasse. O meglio, voleva che tutti loro entrassero, forse per ucciderli. Ma ora non poteva più scappare. Ci era cascata, lo aveva sottovalutato, purtroppo non poteva fare altro. O forse no...
Era l’unica possibilità che aveva. Un rischio, ma doveva correrlo. L’apatia l’aveva aiutata a combattere, ma le aveva fatto dimenticare un piccolo particolare, ovvero che c’erano anche gli altri. Decisa che fosse l’unica possibilità, cominciò a dare ordini: << Ok, prima di entrare mi serve un breve controllo della sala. Marco, non possiamo usare il drone, quindi sfruttiamo Alfred. >> poi, mentre usava il suo orologio come una mappa, aggiunse << Vai al piano di sopra, segui la strada che ti sto inviando, poi osserva la stanza, dimmi tutto quello che vedi. Lauren, tu invece segui questa strada, ti porterà ad una zona da cui puoi agilmente mirare a tutti nella stanza, confido nella tua mira infallibile. Igor, tu invece devi puntare a fare da palo per l’Explosion, quindi sali al soffitto. Marco, voi... >>
<< Ci avviciniamo e atterriamo pur rimanendo invisibili >> disse lui << Ma tu? >>
<< Io entro >> disse Jeshi.
I tre si diressero ciascuno da una parte diversa. Quando nessuno poté più vederla, compreso il drone di Marco, che il ragazzo aveva richiamato, lei entrò, disattivando le comunicazioni con il resto della squadra.
<< Prendetela! >> fu la prima cosa che disse Sahiko quando riconobbe la nipote.
<< Fai pure, tanto ho vinto io >> disse lei, mentre degli scagnozzi le legavano le mani con una fune.
<< E dimmi, cosa avresti ottenuto dall’essere qui, senza i tuoi amichetti? >>
<< Che nessuno è morto! Sapevo benissimo che il tuo obiettivo era ucciderci con il cecchino al piano di sopra, visto che sapevi della nostra entrata >> disse indicando con un cenno di testa un’ombra su un soppalco dietro la sedia dove si trovava suo zio.
<< Complimenti, come sapevi che c’era un cecchino? >>
<< Me lo aspettavo! >>
<< Beh >> disse l’uomo, versandosi un bicchiere di Scotch << Io avevo previsto che avresti mandato i tuoi sul soffitto, per questo ho mandato un gruppo di uomini a ucciderli >>
<< Ma non avevi previsto che ci fosse stato anche il jet, vero? >>
<< No, ti devo fare i miei complimenti! Oramai i miei uomini saranno tutti morti e i tuoi fuggiti, ma sentirsi così traditi da te non se lo sarebbero aspettati. >> Sahiko si avvicinò alla ragazza, poi le sussurrò all’orecchio. << Non deve essere molto bello mentre qualcuno ti salva sacrificandosi, vero? >>
<< Già... >> disse lei.
Explosion 711
Marco tirò un pugno contro la parete di acciaio dell’aereo. Dietro Lauren si mordeva nervosamente le unghie rannicchiata su una sedia. Alfred era seduto ad un tavolo assieme a Donald a bere un caffè. Maximilian era appoggiato al muro con la schiena, e con lo sguardo fisso su tutti i membri della squadra. Marco sfogò la rabbia ancora un paio di volte, poi si diresse verso Igor, che osservava il paesaggio.
<< Dovunque sia, non permetterò che a Jeshi sia fatto del male >> disse Marco. “Merda, è vero che questo deficiente non ci risponderà mai” aggiunse mentalmente il ragazzo.
<< Non preoccuparti... La troveremo... >> disse calmo e tranquillo Igor, mentre il ragazzo lo guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
<< Costi quel che costi, la troveremo! >> concluse il gigante russo.

Angolo dell'Autore
ah, quindi è ancora vivo?
Ebbene sì, sono di nuovo qui. In questi ultimi mesi sono stato ultra-impegnato e quindi ho potuto scrivere poco, ma ora con l'estate sono sicuro di riuscire a finire la storia, anche perché siamo ormai giunti al giro di boa (abbiamo superato la metà della storia) e stiamo per scoprire tutti i segreti che sono rimasti, e altri ancora in arrivo.
Ne approfitto per ringraziare Antea e Leo, che mi hanno aiutato ad uscire da un blocco dello scrittore non proprio piccolo, e ovviamente anche tutti voi che leggete, sopratutto xX_Shadow_Xx, che ormai è presenza fissa, sperando di non deludere le vostre aspettative.
E se proprio vi piace la storia, l'idea, un qualche generico personaggio o anche solo una frase e/o volete darmi una mano a migliorare, ricordiamo che non esiste ancora una tassa sulle recensioni.
Grazie mille a tutti!

 

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Capitolo 8
*** Death Made in China (pt.2) ***


CAPITOLO 7- Death Made in China (pt.2)
Kiyomizudera, Kyoto
<< Tutto bene lì dentro? >> chiese sarcastico Sahiko alla ragazza, ma lei rimaneva lì, silenziosa. Sperava che gli altri riuscissero a salvarla, come logico, ma sperava anche che si compisse la propria vendetta. L’aveva immaginata nei minimi dettagli da quando era partita dal tempio, e ora era pronta per metterla in atto.
La cella in cui era stata rinchiusa era una piccola stanzetta quadrata di quattro metri di lato, alta su per giù due metri e mezzo. Nella stanza c’era un letto, piccolo, senza lenzuola, su cui era seduta la ragazza. Una piccola finestra dava su un fiumiciattolo, coperto in gran parte dalla grata rugginosa. Le pareti erano bianche e macchiate dall’infiltrazione dell’acqua. Un’enorme porta in ferro la separava dalla libertà, impossibile da forzare.
Non ne aveva molte di possibilità di fuga, ma non si sarebbe arresa comunque. La S.O.S. doveva ancora intervenire per recuperare lei e la valigetta, e anche se il governo avesse ordinato di lasciarla lì a morire, qualsiasi cosa ci fosse nella ventiquattrore era talmente importante da necessitare l’impiego di tutti i crittografi della CIA. Non poteva rimanere in mano a quel malavitoso di merda.
D’altro canto neanche Sahiko l’aveva lasciata morire, anzi, sembrava che provasse in tutti i modi di tenerla in forze. Voleva forse tenerla per farla entrare nel suo esercito?  Voleva usarla come merce di scambio? Non ne aveva idea. Sapeva solo che lui non le avrebbe torto un capello, per un qualche motivo a lei sconosciuto.
<< So cosa stai pensando! >> esclamò l’uomo, vedendola assorta nei suoi pensieri.
<< Dubito... >> aggiunse lei, senza curarsi troppo della conversazione.
<< Ti stai chiedendo perché sei qui, ancora viva e vegeta >> disse lui, mentre la ragazza si mordeva il labbro e annotava mentalmente la possibilità che suo zio potesse leggere nel pensiero. << Non so quali idee tu ti sia fatta, mia cara, ma sono certo di una cosa. Non hai visto il video originale di WitheTiger, o almeno non tutto. >>
<< Fai come vuoi, ma io ho visto quello che mi serviva per fermarti! >>
<< Per qualsiasi persona sulla faccia della Terra quella parte finale era inutile, qualsiasi persona a parte te >> disse lui, cercando di destare la curiosità della giovane << Sai com’è, era indirizzata a te! >>
Explosion 711
<< MERDA! >> urlò con tutto il fiato che aveva in gola Marco. Non ne era sicuro, ma l’interlocutore doveva essere impallidito profondamente. << Mi... mi dispiace agente, ma Shawn... ma Shadowhunter è ancora fermo lì, seduto nella sua cella, come in trance. Secondo me... >>
<< Non mi è utile ad un cazzo il tuo parere, mi serve lui! >> la sua rabbia si poteva percepire in tutto il velivolo.
<< Non possiamo farlo uscire... Mi dispiace... >> rispose l’interlocutore, quindi concluse la chiamata. Marco lanciò il telefono più lontano possibile. Lauren stava cercando in tutti i modi di non piangere, ma le riusciva difficile. Ad ogni missione perdevano sempre qualcuno. << Devo andare io! >> disse Marco, scattando dalla sedia, ma fu prontamente fermato da Maximilian. << Non puoi, sei ancora in convalescenza. >>
<< Ti sembra una motivazione logica per non intervenire?! >> gridò ancora Marco << Noi dobbiamo salvarla, ORA! >>
<< La salveranno loro, tu non puoi muoverti da qui. Mi raccomando! >> disse lui, poi impartì gli ultimi ordini. << Alfred, tu guiderai il gruppo di recupero. Avrai con te Lauren, Igor e Donald. La vostra priorità è la valigetta. Non pensate di anteporre la vita di Jeshi a quella di migliaia di persone. >>
Mentre gli altri annuivano tristemente, Marco si morse il labbro. Odiava la ARMED. Gli avevano fatto perdere la famiglia. Gli avevano fatto perdere la sua migliore amica. Gli avevano fatto perdere la ragazza che amava.
Marco aspettò che il gruppo di recupero si fosse riunito per organizzare l’entrata nel tempio e che Maximilian fosse andato nella cabina di pilotaggio. Poi si alzò, prese il cellulare da terra e fece una telefonata. Il telefono squillò un paio di volte.
<< Pronto >> fece l’interlocutore, ma Marco non rispose. Disse semplicemente: << Ti ricordi che mi devi un favore? Bene, è giunto il momento di riscattarlo >>
<< Dimmi tu dove, Marco >> rispose quello ridacchiando.
Kiyomizudera, Kyoto
Jeshi era lì. Piangeva da ore ormai, dopo che suo zio le aveva fatto vedere il finale del video. Piangeva appoggiata alla grata. Non sarebbero venuti a salvarla, la valigetta era molto più importante. Ma non era quello che la preoccupava. Era il dover vivere con quella merda di suo zio. Ma d’altronde non aveva molte soluzioni.
Li vide. Vide l’acqua incresparsi lentamente, poi vide il jet atterrare. Dal jet uscirono Donald, poi Lauren, poi Igor ed infine Alfred. Dovevano aver affidato la direzione del gruppo a quest’ultimo. Il gruppo si diresse verso l’ingresso secondario. Lei avrebbe voluto urlare per farsi venire a salvare, ma si fermò. Se lo avesse fatto, li avrebbe fatti ammazzare. No, se voleva uscirne doveva sperare che la venissero a salvare.
Oppure doveva fare da sola. Se avesse avvisato la guardia del jet e se fosse riuscita a farla entrare nella sua cella avrebbe avuto una minima possibilità di fuggire.
<< Ehi, tu >> disse all’uomo posto a sua guardia, affacciandoci alle grate della porta blindata << Da quando avete un jet? >>
<< Noi non abbiamo un jet! >> rispose lui, avvicinandosi alla porta.
<< Eppure c’è! >> disse lei.
<< Devo comunicarlo al capo. >>
<< E tu credi che senza vederlo lui ti creda. E’ mio zio, quindi so bene che non ti crederà se gli dici che ti ho detto della presenza di un jet. Forse è meglio se gli dici di averlo visto tu stesso. >>
<< E chi mi dice che non sia una trappola? >>
<< Entra, mettimi le manette poi guarda. >> rispose lei << Non dovrebbe essere difficile, no? >>
La guardia osservò attentamente la ragazza, poi la cella, quindi aprì la porta e le puntò una pistola contro. Lei di tutta risposta pose tranquillamente le mani verso l’uomo, che la ammanettò. Poi si mise in un angolino, facendo cenno all’uomo di affacciarsi alla finestra. << No, non è decisamente nostro. >> disse osservando l’esterno. << Esatto, quello è mio! >> disse lei, poi velocemente passò le manette intorno al collo del malcapitato. Tirò il più forte possibile la catena che univa le due manette, mentre l’uomo si dimenava. Mano a mano che passavano i secondi l’uomo cominciò a dimenarsi sempre di meno, finché un sottile rivolo di sangue non sgorgò lentamente e incessantemente dalla gola della guardia. Solo allora Jeshi lo lasciò, prese la sua pistola e uscì dalla stanza, non dopo essersi tolta le manette. Mentalmente si fece una lista di priorità: doveva per prima cosa recuperare le proprie armi, quindi stabilire un contatto con il resto della squadra, e poi...
E poi uccidere Sahiko.
Sede della ARMED, USA (Celle di contenimento)
Nulla era cambiato, in quella prigione. Ma nella testa di Shawn sì.
<< Cazzo, esci subito dalla mia vita! >> urlò nella visione Shawn. Aracnus lo osservò, poi con la stessa rabbia del ragazzo rispose: << Non sono io che sono entrato nella tua vita, la colpa è tua! >>
<< Smettila, il copro è il mio. Ti ho detto di andartene! >>
<< Dopo tutto quello che ho fatto per te! Andarmene! Andiamo ti ho sempre salvato! >>
<< Hai quasi ucciso i miei amici! >>
<< Questo perché non riuscivo a controllarti! >>
<< ORA BASTA!!! >> il grido del ragazzo risuonò per tutta la stanza mentale.
Solo allora partì un’altra visione. Era sempre di Shawn da piccolo, ma un paio di anni dopo la prima.
<< Ciao mamma >> disse il ragazzo entusiasta alla donna. Lei sorrise dolorante. Il ragazzetto, doveva essere ai primi anni del liceo, andò in camera sua. Lì lo attendeva qualcuno. << Ehi! >> disse lui all’umanoide seduto sul suo letto.
<< Ehi! >> rispose lui << Come è andata? >>
<< Bene, oggi ci hanno insegnato le equazioni. Nulla di complicato. >> rispose il ragazzino appoggiando lo zaino ai bordi del letto. La luce debole filtrava dalle tende nella stanza, dando un’atmosfera rilassante all’unica protezione della sua vita. Aracnus sorrise, poi aggiunse: << Hai già deciso come fare? >>
<< Forse, stasera proverò, ma mi servirà il tuo aiuto. >> disse il ragazzo, poi prese un bel respiro, chiuse gli occhi e disse: << Credi di poter riuscire ad assumere una forma umana? >>
<< No, ma posso benissimo impossessarmi di un impiegato del negozio di armi che hai visto ieri. >> disse il demone. Il giovane sorrise tranquillamente. Il suo piano non poteva fallire. La visione mutò, e passò a qualche ora dopo. Suo padre tornò a casa, e come solito era ubriaco. Shawn prese la pistola dal comodino, la stessa che un impiegato gli aveva lanciato alla finestra poche ore prima, controllato da Aracnus. Il padre litigò con la madre, come al solito, poi la prese di forza e la portò nella camera al piano di sopra. Un colpo di bottiglia che si frantumava sulla parete che separava il malvagio ubriacone dalla coppia demone-Shawn fece capire al ragazzo che era giunto il momento di agire. Caricò la pistola ed uscì dalla sua stanza. Mentre camminava lungo il corridoio, Aracnus andò al suo fianco, allo stesso passo, non un centimetro più avanti, né uno dietro. Arrivato davanti alla porta sentì un grido di dolore che gli diede la forza di avanzare. << Fermo o ti ammazzo stronzo! >> disse deciso il ragazzo puntando la pistola contro l’uomo. Questi fermò la mano con la quale stava per colpire la donna e si voltò.
“Cazzo” pensò il giovane, quando vide che anche il padre aveva estratto una pistola. Il proiettile sparato prima sarebbe stato il vincente. Doveva essere il suo. In una frazione di secondo premette il grilletto. Troppo lento.
Il proiettile si conficcò nella parete, mentre Shawn cadeva inerme sul pavimento. Colpo al cuore. Suo padre aveva una buona mira sebbene ubriaco.
Aracnus rimase lì immobile. “Non può morire! Gli avevo promesso che lo avrei aiutato! Non può succedere! Ho solo una possibilità per salvarlo.” pensò il demone preoccupato. Gli stava a cuore la vita di quel ragazzo, e avrebbe fatto di tutto per aiutarlo. << Shawn >> disse il demone, sicuro di essere visibile solo al ragazzo << Io posso salvarti. Dimmi solo se lo vuoi. >>
Il ragazzo stava perdendo molto sangue dal foro nel torace. Gli restavano pochi secondi, in cui avrebbe emanato pochi ultimi respiri. << Fa... fallo >> rantolò il ragazzo con quel poco di energia che gli era rimasta.
Aracnus entrò nel corpo di Shawn, e con le proprie forze lo trasportò all’aperto, attento ad usare parte della sua energia per mantenere viva la conoscenza del ragazzo. Si diresse in giardino, dove comandò gli arti del ragazzo per tracciare con una tanica di benzina un pentacolo, quindi dispose il ragazzo al suo centro e diede fuoco ad una punta, mentre pronunciava alcune frasi in lingua sconosciuta. Dopo di che accadde qualcosa che nessun umano saprebbe definire.
<< In pratica >> aggiunse Shawn, ancora scettico, quando la visione fu finita << Tu hai sacrificato il tuo corpo per salvarmi. Ti devo i miei ringraziamenti. >>
<< Beh, dopo non sono riuscito a gestire tutto bene, quindi ho perso la possibilità di gestire le mie azioni quando mi liberavo. Rabbia repressa, tua e mia, ci hanno fatto impazzire in Giordania. Mi dispiace. >>
<< E come mai i miei non si ricordarono niente? >>
<< Il tappeto era rosso per il sangue di tua madre, così tanto che il mattino dopo nessuno si accorse di niente. Tua madre pensò di essersi immaginata tutto. Tuo padre era ubriaco, non aveva capito bene quello che era successo. E tu... beh, tu non ti sei mai ricordato niente di quella sera, e con l’andare degli anni hai dimenticato completamente anche me >>. Aracnus fece un gran respiro e si avvicinò al ragazzo. << Ora però devi uscire da qui. Io posso controllarti se tu lo vuoi, e se mi aiuti posso evitare problemi. >> Shawn fece un bel respiro. << Un giorno tu mi proponesti di salvarmi la vita a costo della tua, e nonostante tutto tu hai continuato a farmelo pesare, perché? >>
<< Scusa, ma non era un gran momento. Ero un po’ stressato dagli ultimi avvenimenti e, beh... essere un demone non significa essere insensibile. >>
<< Bene, perché ora non sei un demone. Sei me. >> disse Shawn << E noi due dobbiamo salvarli tutti. >>
Nella realtà, dopo quasi una settimana di stasi, Shawn si mosse e si alzò.
Kiyomizudera, Kyoto
<< Destra! >> disse Alfred, e come se si trattasse di un sol uomo il gruppo svoltò a destra. Donald e Lauren freddarono con una mira impeccabile i tre che si affacciavano al corridoio per impedire loro di passare. << E’ sempre un piacere sparare con lei, capo. >>
<< Non chiamarmi capo! >> disse Donald, cambiando il caricatore della pistola. Igor nel frattempo aveva preso anche lui un’arma da fuoco, ma essendo incapace di utilizzarla la teneva in mano solo per bellezza. O per usarla come clava, anche se questa opzione non lo aggradava.
Mentre i quattro avanzavano verso la zona della valigetta, Jeshi li contattò con la ricetrasmittente: << Salve ragazzi! >>
<< Jeshi, sei riuscita a fuggire? >> chiese Lauren. La ragazza sbuffò per l’ovvietà della stagista, quindi continuò: << Ho recuperato tutta la mia attrezzatura, sto cercando di raggiungere Sahiko. Se troverò la valigetta la lascerò dov’è, e mi aspetto che voi facciate lo stesso con mio zio. A ognuno i suoi affari. >>
<< C’è un problema allora! >> esclamò Marco, tramite un’altra trasmittente.
<< Quale? >> chiese Donald, preoccupato per la sicurezza dei due rimasti sull’Explosion.
<< Beh, che noi non abbiamo un affare da seguire. >> disse il ragazzo.
<< Tu e Bonesbraeker dovete mantenere il controllo sulla missione, no? >>
<< Ah, giusto. Forse dovrei precisare che “noi” non era riferito a me e Bonesbraeker. Lui sta passando il tempo nel garage... legato... >> disse il ragazzo, dopodiché distrusse la ricetrasmittente con un preciso colpo di pistola. Il quartetto senti solo il flebile suono dell’interferenza, mentre Don bestemmiava pesantemente a causa dei suoi due più giovani agenti.
Da una parte l’onore della giapponese e un minimo di risentimento per non essere parte del piano la avevano portata a comportarsi fregandosene del resto della squadra, dall’altra l’ego e la rabbia repressa di Marco avevano fatto in modo che il ragazzo si alleasse con qualcuno e a legare Maximilian pur di combattere per le sue decisioni. Cosa c’era di peggio? Ah già, erano nella casa di un boss della mafia giapponese. “Non proprio la giornata migliore della mia vita”.
Lauren lo stava fissando da un po’, poi chiese << Don, cosa pensi di fare? >>. Donald sbuffò, ma da dietro diede voce ai suoi pensieri Alfred, forse con un linguaggio non proprio accademico: << Che cazzo vuoi fare? Tanto quei due faranno sempre come cazzo gli pare, quindi tanto vale continuare con la missione come se niente fosse. >> detto ciò avvisò di tre scagnozzi che provenivano dal lato destro. Il primo fu ucciso da un colpo dritto tra gli occhi da Lauren, mentre gli altri indietreggiarono subito verso un riparo. Ne uscì fuori una sparatoria che durò una manciata di secondi, in cui i proiettili volavano praticamente solo da una parte, quella dei malavitosi. Lauren e Donald, infatti stavano solo facendo da esca. Dopo un po’ Igor e Alfred, passati da un piccolo corridoio alternativo, si erano ritrovati esattamente alle spalle dei due. Senza pensarci un attimo, Igor ruppe la testa di uno sbattendola contro il muro, mentre Alfred ne trapassò un altro con una lama estraibile della sua armatura.
Da un’altra parte Jeshi era avvinghiata ad una guardia. Con un sottile filo di ferro, aveva provato ad ucciderla senza fare alcun rumore, ma si ritrovò subito dopo a doversi aggrappare all’uomo quando questo aveva incominciato a dimenarsi. << Addio morte silenziosa! >> mormorò la ragazza, mentre da dietro alcuni scagnozzi continuavano ad arrivare nell’area. Con tutte le sue forze Jeshi spostò il corpo a cui era appesa per fare scudo fra lei e i nuovi arrivati. Un paio di pallottole colpirono l’uomo, che cadde a terra. La ragazza si tuffò dietro di lui e continuò ad usarlo come scudo, quindi rispose al fuoco con un paio di frecce. Andarono tutte a segno, come al solito, ma purtroppo erano troppo poche, e due uomini erano rimasti in vita. “Ho solo una possibilità” pensò, quindi afferrò la sua lancia. Si gettò verso i due uomini. il primo si era avvicinato al suo nascondiglio, quindi non fu difficile trafiggerlo da parte a parte. Riprese la lancia dalla schiena del primo e passò al secondo. Questo era più lontano, quindi dovette correre verso di lui scattando a destra e a sinistra per evitare i proiettili. Un ninja. Si stava muovendo come il miglior ninja che lei avesse mai visto. Meglio del suo maestro. Era per questo che era stata addestrata.
Era per questo che era entrata nella squadra.
Era per questo che combatteva.
Era per questo che viveva.
Estrasse con agilità la lancia insanguinata anche dal secondo uomo. Pulì il sangue sulla giacca di uno dei due. Poi alzò lo sguardo. Era nella sala principale, dove ogni giorno uscita dalla sua stanza si incontrava con il suo maestro. Era dove lui ogni giorno le ricordava gli scopi del suo allenamento. Dove era custodita la sua veste da ninja, bianca con i decori neri, e la lancia d’oro, entrambe nella teca recante la targa “A Jeshi Yamamoto, la ragazza col sangue infetto”. Era il soprannome che le dava il suo maestro, perché, stando a quanto diceva lui, aveva dentro il sangue di una vipera. Ma ora, riletta sotto la luce di quello che aveva visto nel video, le pareva il più grande insulto della sua vita. Calciò la vetrina mandandola in mille pezzi, afferrò la lancia e la tuta.
Sede della ARMED, USA (Celle di contenimento)
<< Quante volte ve lo devo dire che sto bene?! >> gridò esausto Shawn, ma l’unica risposta che ottenne fu il leggero rumore dell’obiettivo della telecamera che zoomava su di lui. “Non ti faranno uscire finché non sarà ritornata la S.O.S.” gli comunicò nella sua testa Aracnus. “Grazie” rispose Shawn, abituatosi ormai dopo ore alla voce nella sua testa che lo confortava. Si rimise a sedere dopo aver percorso per la terza volta l’intera lunghezza della stanza. “Non c’è nulla che possiamo fare” disse sconsolato l’uomo nel suo cervello. “Tu forse, ma io posso fare qualcosa. Non ho la massima libertà di movimento, ma posso separarmi dal tuo corpo fino a 5 metri. Posso andare senza farmi vedere nella stanza accanto e capire cosa dicono. Chiudi gli occhi e vedrai quello che vedo io”. Shawn chiuse gli occhi, quindi attese. Il demone si separò dal suo corpo, provocandogli un brivido. Cominciò a vedere tutto da una diversa prospettiva, come se stesse guardando uno schermo di una telecamera. La “telecamera” si spostò ed attraverso la parete. Arrivò in una stanza con tre uomini. << Dovremmo farlo uscire! >> disse uno.
<< Sei matto! Se quello fa come ha fatto in Medio Oriente siamo finiti. >> disse un altro.
<< Abbiamo già provato ad avvisare la squadra? >> chiese il terzo. Il primo strinse le spalle. Il secondo rispose, un po’ titubante: << Effettivamente no! >>
<< Fatelo! >> disse il terzo, mentre armeggiava con gli schermi che mostravano Shawn. Il primo uscì dalla stanza, poi fu seguito dal secondo, con il compito di avvisare il presidente. Rimasto solo il terzo, prese il telefono e chiamò un numero. << Capo, il tizio si è risvegliato, come facciamo ora? >> chiese all’interlocutore. Purtroppo quello parlò a bassissima voce, quindi non si sentiva niente di quello che diceva. << No capo, chiede solo di poter uscire >> disse l’uomo al telefono. “Capo... Deve essere un maggiore dell’esercito...” pensò Shawn. << Capo! >> disse la guardia << E se scoprisse che noi li stiamo usando? >>
Shawn ebbe un sussulto. La debole voce al telefono si era ora trasformata in un grido, ancora incomprensibile, ma trasmetteva quello che l’interlocutore voleva dire: era arrabbiato per la stupidità del suo sottoposto, che si era lasciato scappare quella frase. Shawn capì subito. C’era qualcuno che stava usando la squadra per scopi personali. Gli serviva un nome.
<< Mi scusi, Lord WarFighter! >> disse servizievole il sottoposto. Shawn si alzò. Aveva gli elementi di un puzzle enorme, ma aveva bisogno di altri elementi, di altre persone che lo potessero aiutare. “Aracnus, possiamo uscire da qui?”
“Non ci resta che aspettare” disse il demone.
“Possiamo uscire da qui ORA?” chiese l’uomo. Il demone rientrò nel suo corpo. Shawn riaprì gli occhi e si diresse verso un muro. “Aracnus, in quanti nella S.O.S. possono distruggere una parete con un pugno?”
“Attualmente solo Igor”. Shawn si concentrò e colpì la parete alla massima potenza possibile, aiutato dell’essenza paranormale all’interno del suo corpo. << Ora siamo in due! >> esclamò l’uomo fra le macerie del muro, mentre l’allarme scattava.
Kiyomizudera, Kyoto
<< Ci siamo! >> disse Alfred << Dietro questa porta c’è la valigetta, ma abbiamo un problema >>. Tutta la squadra guardò male il professore, il quale stava osservando con un visore a raggi x. << C’è anche Sahiko. >> disse << Quindi siamo arrivati per primi. Non possiamo rischiare di intervenire. Già Jeshi potrebbe arrabbiarsi e reagire male per come abbiamo organizzato la missione, figuriamoci se ammazziamo suo zio. >>
<< E se lo tenessimo sotto tiro senza colpirlo? >> chiese Lauren. << Non c’è tempo >> disse Donald << Dobbiamo entrare e recuperare la valigetta >>. Tutti erano pronti ad obbedire. Alfred riferì la posizione degli scagnozzi del boss e si appostò vicino alla porta. Al segnale del colonnello entrarono prepotentemente nella stanza.
<< S.O.S. mani in alto! >> gridò McRonald. Come ovvio non obbedirono, così Lauren fu costretta a seccarli il più velocemente possibile.
<< Bella mira! >> disse Sahiko, alzando lentamente le mani ma rimanendo sempre seduto sul suo trono. << Grazie! >> disse Lauren, puntando la sua revolver verso la testa dell’uomo, ma rimanendo ad un paio di metri di distanza. << Mi dispiace solo per i miei cecchini. >>
<< Cecch... cosa? >> chiese la ragazza, ma un proiettile colpì lo spazio in mezzo ai suoi piedi. Dall’alto sbucarono otto uomini, due per ogni lato, armati di fucile di precisione. Lauren alzò le mani e gettò la pistola, seguita dal resto della squadra. << Merda. >> sussurrò Igor.
<< Non così in fretta! >> disse una ragazza in tuta bianca, puntando una lancia d’oro contro l’uomo. << Jeshi?! >> chiese titubante Sahiko. << Ma non mi dire!? Non credevo fossi così intelligente! >> disse lei. Un cecchino colpì la punta della lancia, facendole perdere la presa. << Oh, nipotina, nessuno ti ha insegnato che “cecchino” significa “tizio che può colpirti anche se lontano un chilometro”? >> disse il boss ridendo malefico. Detto ciò indicò alla giovane, che nel frattempo aveva alzato le mani, il resto del gruppo e la invitò ad unirsi a loro.
<< Sapete perché avete perso? >> chiese ironico Sahiko << Perché vi siete sopravvalutati. Non perderò tempo a farvi il monologo del cattivone, sapete, porta sfortuna. Quindi passo al giro di esecuzioni. Iniziamo dalla mia nipotina, tanto ormai non mi è utile a niente. >>
Sahiko si avvicinò alla ragazza e le puntò la revolver di Lauren raccolta da terra. Si avvicinò finché non ebbe la canna della pistola sulla fronte della nipote. Il sudore freddo della giovane cominciò a cadere sul pavimento. << Adieu. >> disse il malavitoso. Quindi premette il grilletto.
Jeshi sorrise. Lo sapeva. I tempi erano stati perfetti. Aveva calcolato tutto nel minimo dettaglio. Sahiko stava impallidendo. << Sai perché pensavi di aver vinto? >> disse lei disarmandolo, mentre i cecchini notarono a loro spese come i fucili non sparassero. << Perché credevi che ci fossimo sopravvalutati, invece siamo stati bravi a fartelo credere. >> concluse lei. “Un bel colpo di scena” pensò la ragazza “ma quanto ci mette ad arrivare?”
Un’esplosione distrusse la parete. Piccoli segni di un incendio si diramarono fra le macerie. << Qualcuno ha chiesto una pizza? Una consegna Amazon prime? No?! Beh, fottesega! >> disse Marco uscendo da una nuvola di fumo, con il bordone in mano e la gemma incastonata che brillava di un azzurro chiaro. << Scusate il ritardo ragazzi, ma ho dovuto aspettare un po’. >> disse accennando un saluto al resto della squadra, che piano piano avevano abbassato le mani, poi si rivolse a Sahiko: << Oh, tu devi essere Sahiko, non abbiamo avuto tempo per le presentazioni ufficiali. Il mio nome è Marco Rossi, ma tu puoi chiamarmi Magic. Anzi non puoi, devi! E questi sono Don, La Rossa, Frankenstein, Prof e Babelfish. Ah, è vero, vi conoscete già. Ma permettimi di presentarti l’ultima persona che ti farà il culo. Signori e signori ecco a voi... >> detto ciò indicò la parete opposta a quella da cui lui era entrato. Attese un paio di secondi, poi si voltò e disse: << Ok, abbiamo un piccolo problema tec... >>. Non riuscì a finire la frase che il muro dietro di lui esplose come era già successo prima. Soddisfatto si voltò, poi finse interdizione: << Sei in ritardo! >>
<< Lo sai che le dive si fanno aspettare. >> disse una voce nel fumo dell’esplosione. << Ma tu sei più di una diva... >> disse Marco, mentre a poco a poco il grigio si diradava mostrando il volto di una ragazza con una pistola in mano.
<< Sei la mia eroina, Angie! >> concluse Marco, allungando da galantuomo la mano ad Angelique Stess, nota anche come Angelique de la Croix, per aiutarla a scendere dal cumulo di macerie.
La squadra finalmente al completo uscì dall’edificio, con Alfred che aveva in mano la valigetta a Jeshi che teneva sotto tiro Sahiko, che avanzava con le mani ben in vista. << Ok, qualcuno liberi Bonesbreaker >> disse Marco in fondo al gruppo con Angie, salvo poi notare che la mano che si era appena appoggiata sulla sua spalla non era della ragazza. << Non ti preoccupare, so fare da solo! >> disse Maximilian, sorpassando il ragazzo sbiancato e dandogli una pacca sulla schiena.
<< Uccidimi >> disse allora Sahiko. Alfred si avvicinò a Jeshi, ma Don e Bonesbreaker fecero cenno a lui e al resto della squadra di stare fermi. Jeshi si morse il labbro. Se fosse successo prima, avrebbe volentieri sparato senza esitare, ma adesso credeva che neanche la morte potesse bastare. << No, zietto, farò di peggio. Ti farò arrestare in un carcere americano. Non in isolamento, ma insieme ad altri detenuti. Chissà, magari trovi qualcuno... >> disse la ragazza, dopo di che spintonò lo spaventato Sahiko verso il generale, il quale lo ammanettò e lo portò via con un jet della polizia giapponese, requisito a due poveri agenti per l’occasione.
Spazio aereo internazionale.
Marco si avvicinò titubante a Angelique. << Ehi... Ehm... Beh... Grazie. >> disse il ragazzo, in un momento di timidezza che non aveva mai avuto. << Beh... Ecco... Cioè... Ero in debito con te, quindi ora siamo pari...? >> rispose lei arrossendo. Marco avrebbe potuto concludere la conversazione dicendo “Sì, siamo pari” ma qualcosa dentro di lui gli impediva di farlo. O meglio, gli suggeriva che c’erano altre parole che doveva dirle, e a sua insaputa anche nella testa della ragazza succedeva la stessa cosa. << Senti... >> iniziò lui, poi fece un bel respiro, prese coraggio e iniziò << Senti, non posso negare che mi sei mancata. Avrei potuto riuscirci da solo, e non è per darti dell’inutile, ma ho comunque chiamato te perché... beh, perché avevo bisogno di te. Non so se quello che ci è successo sia deciso dal destino e sia semplicemente frutto di una serie di enormi coincidenze, ma in ogni caso siamo qui. E io non posso fare a meno di te >>. Angie arrossì ancora di più, mentre lo fissava attraverso una ciocca di capelli che le copriva il viso. << Odio i monologhi, salta al dunque... >> disse lei.
<< Angie? >>
<< Sì >>
<< Ti amo... >>
<< Anch’io ti amo >> disse lei buttando le braccia al suo collo e baciandolo appassionatamente. Quello era il loro momento. Era il momento in cui nessuno sarebbe stato in grado di distoglierli dal loro idillio. Perché c’erano solo loro, loro e il mondo.
Se ne accorse Don, che li stava chiamando da almeno dieci minuti per la riunione della squadra. << Ah, fottetevi! E non prendete alla lettera le mie parole >> disse lui, girandosi e andando verso il centro dell’Explosion, dove la squadra stava seduta davanti ad un monitor, con Jeshi che parlava. << Grazie per avermi aiutato con mio zio... Abbiamo rischiato molto, ma dovevo vendicarmi. >> disse prendendo il telecomando ed accendendo il televisore, poi continuò << Credo sia meglio che voi sappiate tutta la verità. >>
<< Mandate la migliore squadra che avete. Fate presto! >> disse WhiteTiger, concludendo il discorso che avevano già sentito. << Vi do un altro compito se non vi dispiace. Io e RedFox abbiamo una relazione, non c’è da negarlo. Lei è rimasta incinta. A breve avremo una figlia, stando a quanto dicono gli esami. Io sarò già morto quando nascerà, ma lei verrà allevata da RedFox e da suo fratello BlueKoi fino a quando non diventerà troppo pericoloso. A quel punto la lasceranno in un tempio, il Kiyomizudera a Kyoto. Voi dovrete recuperarla appena potete, impedite che il boss mafioso metta le mani su di lei. >> poi fece un bel respiro e continuò << Se non sbaglio dovrebbe avere sedici o diciassette anni quando la preleverete. Fatele vedere questo messaggio. >> sembrava la conclusione, ma l’uomo si aggiustò i vestiti, sorrise e ricominciò.
<< Ciao, piccola. Tu non mi conosci, e forse questo è un bene. Io sono tuo papà. Sì, lo so che credi che tuo padre sia quell’uomo alto che sta sempre vicino a mamma, o stava, dipende dagli avvenimenti. No, quello è solamente suo fratello, come è tuo zio anche quel malvagio essere che ci ha causato grandi problemi. Mi dispiace essermi perso tutti i tuoi compleanni, i tuoi riti giapponesi, ma so che crescerai come la migliore kunochi che abbia mai visto. Ti prego, ricordati che vendicarsi non significa uccidere. La vendetta è molto di più. E’ vedere uno che soffre la vera vendetta. Ma non è di questo che dovrei parlare. Piuttosto sappi che papà ti ha sempre voluto bene e che ti protegge da dove è adesso.
Ti voglio bene, Jeshi >> concluse l’uomo.
<< Ti voglio bene anch’io, papà. >> sussurrò la giovane, abbassando il capo per non far vedere le lacrime che scendevano. Ad uno ad uno, i membri della squadra, anche Marco e Angie, la rincuorarono come poterono. Lei si asciugò le lacrime e sorrise. << Sto bene, grazie >> disse.
Qualche ora dopo erano di nuovo tutti a letto. Dovevano riposare, se volevano rimanere attivi. Ma Jeshi non riusciva a dormire. Si alzò e andò verso la sala centrale. Trovò stranamente Lauren, Marco ed Angie, questi ultimi due abbracciati. Tutti e tre avevano una bottiglia di tè verde in mano. << Oh, capiti a proposito. >> disse Marco, notando la presenza dell’amica << Benvenuta nel club “Persone che hanno troppi problemi per dormire” >>. Lauren lo guardò male e gli disse: << Tu non fai più parte del club da oggi! >>. Marco strinse le spalle e ne approfittò per baciare Angie. Jeshi prese una bottiglia di tè verde e si unì a loro. << Eh, no! >> disse Lauren, rifilandole una bottiglia della bevanda che odiava di più, la Fanta. << Vedi >> disse Marco, notando la faccia dubbiosa della giovane << Qui noi ci struggiamo per le sfighe della vita. Per questo invece di tagliarci come degli adolescenti, ci facciamo ettolitri della bevanda che ci fa più schifo in assoluto. Ironia della sorte, è il tè verde per tutti e tre! >>. Jeshi fece un leggero sorriso, poi stappò la sua Fanta e se la scolò. << Devo ammettere che avete fatto impazzire Alfred. Posso sapere perché le riponete nel cestino con così tanto ordine? >>
<< Perché mi piace l’ordine >> disse sorridendo Lauren.
<< E allora cosa erano i bussi che sentiva Prof? >>
<< Quello ero io che facevo esplodere le bottiglie riducendole in polvere di vetro >> disse Marco. Jeshi si alzò, quindi iniziò un discorso: << Ne abbiamo passate tante insieme. Troppe per una squadra normale. Ma noi non siamo normali, siamo la Special Operative Squad. E per quante ne abbiamo passate, non saranno mai abbastanza. A noi! >>
<< A noi! >> risposero in coro i tre.
Il mattino dopo si sedettero tutti quanti al tavolo per la colazione. Erano tutti lì, felici e contenti. Lauren e Jeshi parlottavano fra di loro riguardo a qualcosa, forse ragazzi. Alfred illustrava a Igor il progetto di un nuovo paio di guanti ancora più forti dei precedenti. Marco era abbracciato a Angie, mentre lei aveva la testa appoggiata alla sua spalla. Don e Max discutevano su rapporti e altre scartoffie. Nulla avrebbe potuto rovinare quel momento.
Il telefonò di Bonesbreaker squillò. Il silenzio calò sulla stanza. Tutti si aspettavano una qualche brutta notizia. Il generale rispose malinconico: << Pronto! >>. L’interlocutore parlò, e la sua faccia passò dalla tristezza al dubbio, dal dubbio alla certezza e dalla certezza alla felicità. Mise in attesa l’uomo al telefono e allontanò il dispositivo dall’orecchio. Detto ciò lo inserì in una fessura del tavolo che permetteva di collegare la chiamata al sistema acustico del jet. << Parla pure! >> disse l’uomo.
<< Ehilà ragazzi! >> disse Shawn, accolto dalle grida di felicità di tutti. << Come te la passi fratello? >> chiese Marco, sorridente come tutti. << Sono successe un bel po’ di cose. >> rispose lui.
<< Anche a noi, ma inizia pure tu. >> disse Alfred.
Il ragazzo fu logorroico. Purtroppo dopo un paio di minuti Jeshi fu contattata al cellulare e dovette uscire dalla stanza. << Ok abbiamo capito! >> disse Maximilian, esausto dalle parole del ragazzo. << Non ho finito... >> rispose lui. La sua voce si fece cupa, ma nessuno se ne accorse, finché non continuò: << Qualcuno sta controllando la ARMED per i fini personali. Non so il suo vero nome, ma conosco il nome in codice... >> tutta la felicità scemò fino a sparire del tutto, dopodiché concluse: << Lord WarFighter! >>. Neanche una mosca volava nella stanza. La prima a parlare fu Angie, sussurrando a Marco: << Lo conosco! >>
<< Parla a tutti allora! >> disse lui.
La ragazza cominciò: << Non so chi sia, ma mio padre teneva un registro degli affari. Tutti gli uomini che facevano affari con lui erano segnati con nomi in codice, così che se mai fosse stato arrestato loro sarebbero rimasti salvi. Io però, visto che mio padre mi voleva al suo fianco ad ogni incontro, conoscevo tutte le loro vere identità, tranne quella di uno che aveva espressamente chiesto di incontrare solo mio padre. Beh, ora sto ripagando come è giusto ognuno, usando il registro, ma purtroppo ho solo il nome in codice di quell’uomo: Lord WordFighter >>
Igor fu il secondo a prendere parola: << Ricordo bene la prima missione. C’erano delle carte sulla scrivania dei terroristi. Una di quelle era un telegramma firmato da Lord WarFighter. >>
<< Abbiamo un problema! >> disse Jeshi, bianca come uno straccio, rientrando nella sala da pranzo << Mi ha contattato Sahiko dalla prigione. Mi ha detto che si è pentito di tutto quello che ha fatto e ha voluto dirmi una cosa. Dopo un paio di ore in cui pensava al senso del video, lo ha contattato quello a cui doveva vendere la valigetta e gli ha detto dove trovarla. Ha detto di stare attenti. Ha anche detto come si fa chiamare: Lord WarFighter. >>
<< Cosa facciamo ora? >> chiese Lauren
<< Beh >> rispose Marco, afferrando il bordone << Lo fermiamo! >>

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Capitolo 9
*** A volte ritornano ***


CAPITOLO 8- A volte ritornano
Spazio aereo internazionale
Marco e Lauren erano gli unici con cui Shawn aveva contatti. Gli altri erano tutti impegnati con altri lavori. Alfred stava analizzando con Donald i vari indizi che avevano, mentre Igor e Jeshi avevano gli occhi incollati su tutte le telecamere della sede in attesa di trovare la spia. Maximilian era al comando del jet, con la sola compagnia di una tazza fumante di caffè. Angie dormiva nel letto di Marco, ancora non abituatasi al jet lag.
<< Tu che hai scoperto? >> chiese Lauren. << Niente. Per ora possiamo solo sperare che nessuno vi dia l’ordine di spararmi a vista. >> rispose Shawn. Marco masticava nervosamente una matita, mentre una grande mappa si allungava lungo tutto il tavolo. << Prima Giordania, poi Repubblica Ceca, poi Cina... sembra aver scelto le nazioni più scollegate tra loro. >> pensò osservando la cartina, mentre Alfred analizzava attentamente i rapporti delle varie missioni passate. Lauren osservava la mappa spremendosi le meningi. In Giordania si potevano facilmente trovare esplosivi e armi da fuoco, il padre di Angie era maestro della corruzione, Sahiko era un mafioso. Sarebbe bastato un traffico di droga e lui avrebbe potuto rappresentare il perfetto boss malavitoso internazionale con tanto di esercito e profitti da multinazionale.
<< Marco... potrebbe essere coinvolto in affari di droga? >> chiese la rossa. << Penso proprio di no, dal momento che ciò non spiegherebbe perché usarci. Deve esserci qualcosa di più. Ciò non nega che abbia anche della droga tra le mani, ma non risolverebbe il problema >> rispose Marco, mentre Igor e Alfred storcevano il naso. << Marco! Lauren! >> disse Alfred, facendo cenno ai due di avvicinarsi << Qualcuno deve aver eliminato dei file, perché non troviamo più il telegramma di cui ha parlato Igor. >>
<< Magari la talpa che ha scoperto Shawn! >> disse Lauren, mentre Marco prendeva il controllo della postazione di accesso. Gli archivi governativi erano la cosa più pericolosa del mondo, e quindi la più sicura, ma lui faceva parte del governo, perciò era avvantaggiato. Uno o due minuti per hackerare il sistema prima che scatti l’allarme. << Posso recuperare parte del file eliminato, ma voi dovete darmi una mano. >> disse premendo freneticamente i tasti della tastiera. Lauren ed Alfred annuirono. << Tu alla mia postazione, devi entrare nel sito del programma nucleare ed installare un virus. Sarà bloccato subito, ma almeno ci farà guadagnare tempo >> disse indicando Alfred, poi passò alla giovane << Tu vai alla postazione principale ed entra nell’elenco dei dipendenti, da lì osserva qual è la talpa ed infiltrati nel suo computer. Dobbiamo avere più informazioni possibili. >>
Mancava circa un minuto di tempo prima dell’attivazione dell’antivirus e i tre erano ultra concentrati sul loro compito. Nel frattempo Donald era andato in cabina di pilotaggio a comunicare le novità a Bonesbreaker.
<< Trovato! >> esclamò Marco. Alfred disattivò subito il virus e corse dal ragazzo. Lauren non aveva trovato ancora il nome della spia, ma abbandonò le ricerche e si unì ai due. Una barra di download si apriva davanti ai loro occhi, ma procedeva molto lentamente. Troppo, per il tempo che avevano a disposizione. Un piccolo timer si aprì in alto a sinistra. Segnava che mancavano meno di 30 secondi. Nella stanza, anche gli altri membri della squadra fissavano attentamente lo schermo. La barra di caricamento era riempita per un terzo quando il timer segnalò che erano rimasti appena venti secondi. Lauren si morse il labbro. A quella velocità non ci sarebbero mai riusciti. << Prova a velocizzare il download! >>
<< Grazie al cazzo, se fosse possibile non pensi che lo avrei già fatto? >> rispose Marco. Igor si avvicinò, osservando attentamente il computer. Mancavano dieci secondi e non avevano ricevuto neanche metà del file. << Merda, di questo passo non ce la faremo mai! >> esclamò Alfred. In quel momento il computer si spense, nello stupore generale. Senza che nessuno potesse dire niente, apparve una schermata nera, con una barra verde che lampeggiava verticalmente in alto a sinistra. << Non è possibile, mancavano ancora dieci secondi. >>
In quel momento la barra si mosse, lasciando dietro di se una scia di lettere, anche loro verdi.
So cosa cercate e posso aiutarvi. Vediamoci poco fuori San Pietroburgo.
Marco subito provò ad intromettersi nella conversazione. Ci riuscì quando una barra rossa, identica a quella verde, apparve sul lato opposto a quella verde, poco sotto la scritta.
Chi sei?
<< Chiunque sia, dobbiamo stare attenti a fidarci del primo che capita, Marco. >> fece notare Alfred, mentre Donald usciva dalla cabina, osservando attentamente la risposta che si stava componendo.
Il mio nome e il mio ruolo dovranno rimanere segreti. Chiedete a Igor Romanoff per avere le prove che sono affidabile.
Tutti si voltarono verso il gigante. C’era qualcosa in quella frase che gli ricordava qualcosa, ma non gli veniva in mente. Si limitò quindi ad alzare le spalle. Marco si voltò e ricominciò a scrivere sulla tastiera.
Lui non si ricorda di te, purtroppo. Vuoi darci altri indizi?
La risposta non tardò ad arrivare.
Non me lo ricordavo così stupido. Ditegli semplicemente che sono viva, lui capirà.
<< Possiamo fidarci! >> esclamò lui senza neanche finire di leggere. Solo una persona aveva usato quella frase prima d’ora, e non serviva finire di leggere per capire chi era dall’altra parte. Il suo angelo custode, la sua salvezza. Non sapeva come si chiamasse, non glielo aveva mai detto, ma ricordava a memoria il suo nome in codice: Boulevard.
<< Abbiamo novità? >> chiese Angelique sbadigliando, non appena entrò nel campo visivo del resto della squadra. << Sì, ci stiamo dirigendo verso San Pietroburgo. Riteniamo che possa esserci qualcosa di collegato a Lord WarFighter >> disse Marco, mentre afferrava saldamente il suo bordone. << C’è solo un piccolo problema! >> disse Alfred, guardando il radar << Stiamo sorvolando la città ora, prima di riuscire ad atterrare passerà almeno un’ora in cui gireremo in tondo per trovare un posto dove atterrare. >>
<< Abbiamo dei paracadute? >> chiese Lauren. Donald pensò un attimo, poi rispose: << Gli ultimi li abbiamo usati nella gara di caduta libera. Ne è rimasto solo uno... >>
<< Gara di... O mio Dio, Don, una fottuta gara di caduta libera. Ci scommetto le palle che è stata un’idea di Marco! >> disse Maximilian, appena entrato nella stanza. McRonald non rispose, ma si limitò ad annuire. << Uno può bastare! >> disse Marco, mentre Lauren si infilava lo zainetto che le avrebbe salvato la vita. << Andremmo prima in tre, poi si uniranno gli altri. >> disse la ragazza. << Tre? >> chiese Angie, mentre Marco apriva il portellone posteriore << Come si fa con un solo paracadute? >>
Lauren e Marco si avvicinarono al bordo. << Lei ha il paracadute, io posso frenare la caduta. >>
<< E il terzo? >> chiese la ragazza avvicinandosi ai due.
<< Dipende... Cos’hai tu? >> chiese Marco, e senza aspettare la risposta spinse la ragazza giù dal bordo.
Tutti lo guardarono stralunati, tranne Lauren. << Chi la salva per prima? >> chiese lei. << Ovviamente io! >> rispose lui. Detto ciò si buttarono a capofitto verso la ragazza.
<< Sono i peggiori agenti che abbia mai avuto! >> esclamò Bonesbreaker, poi chiese: << Dov’è che dobbiamo atterrare? >>
Miami, USA
<< Si sono buttati dall’aereo? >> chiese Shawn, fermandosi dopo la lunga corsa. << Sì, a quanto pare non gliene importa molto se solo uno ha il paracadute >> rispose Jeshi dall’altoparlante. “Mh, penso che mi piaceranno” disse nella sua testa Aracnus. “Oh, li adorerai, sono la squadra più forte di tutto il mondo” rispose mentalmente Shawn. Il demone sembrava quasi ridacchiare nella propria testa. << Dove hai detto che devono trovarsi? >> chiese il ragazzo. Jeshi provò a parlare, ma fu surclassata dalle grida di Maximilian: << E’ inammissibile! Sappiate che io non farò parte di questa missione! >>
<< Cos’ha Bonesbreaker? >> chiese Shawn, ma a quanto sentiva dai rumori della cornetta, il cellulare non era più nelle mani della ragazza. Suoni di lotta uscivano in lontananza dal dispositivo elettronico. << Okay, stammi bene a sentire! >> disse Maximilian, impossessatosi del telefonino << Lauren, Marco e Angie si sono appena paracadutati alle porte di San Pietroburgo. Penso che vogliano fare un’uscita a quattro, quindi manchi tu. Ciò significa che io non posso partecipare alla missione perché devo venirti a prendere. Il caso è chiuso! >>. Più che parlare al povero ragazzo, sembrava che il generale stesse convincendo qualcun altro. << Smettila di comportarti come un bambino! >> lo sgridò Donald.
<< Non è un comportamento da bambino! >> esclamò Maximilian << Questa è una cosa completamente giustificata! Completamente normale! >>
<< Comunque non mi serve il suo passaggio, signore! >> disse stizzito Shawn, cercando di riportare il discorso su quello che dovevano fare. Informarlo sulla missione. << Sarò alle porte di San Pietroburgo in men che non si dica. >>
<< E come pensi di fare? Va’, stai fermo che vengo a prenderti >> disse Maximilian.
<< Lei parcheggi, ci vediamo lì! >>. Detto ciò chiuse la conversazione, poi contattò mentalmente Aracnus. “Dove sei?” chiese il ragazzo chiudendo gli occhi. “Sempre qui, coglione. Dove pensi che vada?” rispose ironico il demone. Shawn si scusò per essere stato stupido, poi chiese “In quanto tempo riesci a fare Miami - San Pietroburgo?”
“Siamo una cosa sola ora, usa il noi!” gli fece notare il demone.
“Okay, in quanto tempo riusciamo a fare Miami - San Pietroburgo?”
“Io ci riesco in dieci secondi, tu penso in dieci millenni” scherzò lo spirito.
“Ti credi simpatico?” chiese ironico il ragazzo “Quando posso partire?“.
“Quando vuoi inizio il countdown” rispose Aracnus.
Shawn aprì gli occhi, scaldò i muscoli delle gambe e partì. “Dieci” sentì nella sua testa, mentre il mare di Miami correva sotto i suoi piedi e le grida spaventate dei bagnanti scivolavano come acqua sul suo corpo.
“Nove”
“Otto”
“Sette”
“Sei”
Periferia di San Pietroburgo, Russia
“Cinque, quattro, tre, due e... uno” concluse la vocina mentale nella testa di Shawn “La ditta Shawn & Aracnus Transports è lieta di annunciare la conclusione della tratta Miami - San Pietroburgo. Vi auguriamo un buon proseguimento del vostro viaggio e vi ringraziamo per aver corso con noi. A presto”
<< Ora tutto sta nel trovarli >> annotò ad alta voce il ragazzo. Vide in lontananza un gruppetto di tre persone. Nessuno di loro sembrava Marco o Lauren, ma decise comunque di avvicinarsi. I tre erano chiaramente dei russi. Uno era accucciato a controllare i dati su di un tablet. Neanche alzò lo sguardo per osservarlo arrivare. Davanti a lui c’erano invece un uomo e una donna. Questa prese parola e si presentò come il capo di quel gruppetto. << Con chi ho il piacere di parlare? >> chiese la donna. << Agente speciale Shadowhunter, Special Operative Squad. Ora posso avere un nome e un titolo? >> chiese l’uomo.
La ragazza sbuffò leggermente, poi disse: << Boulevard, capo della cellula terroristica nota come Human Gene. Questi sono tra gli ultimi agenti che mi sono rimasti: quello lì seduto è Hacker, l’esperto di informatica, mentre questo è Runner, il nostro migliore agente sul campo. >>
Nel frattempo, Shawn vide con la coda dell’occhio Marco e Lauren correre verso di lui inseguiti da una ragazza a lui sconosciuta con la faccia visibilmente arrabbiata. << Ciao Shawn, come va? >> chiese velocemente Marco senza fermarsi, mentre Lauren si limitò a salutarlo mentre scappava. << Fermatevi, l’incontro è qui! >> disse lui, ma visto che quei due, li conosceva bene, erano più cocciuti di un asino, decise di intervenire nel più semplice dei modi. Mentre Angie passava al suo fianco, lui alzò il braccio e la fece cadere a terra. << Ma che cazzo ti prende?! >> esclamò lei.
<< Pardon, ma era l’unico modo per fermarvi, signorina! >> disse lui, aiutandola a rialzarsi.
I due fuggitivi si riavvicinarono il più seriamente possibile al trio della Human Gene. Dopo che ebbe illustrato i nomi dei terroristi, Shawn passò a presentare i membri della squadra: << Qui abbiamo Magic, caposquadra della S.O.S., e La Rossa, stagista della ARMED. Quella lì invece è... >>.
<< La mia ragazza! >> lo interruppe Marco. Angie però si avvicinò ai tre e strinse la mano presentandosi: << Angelique de la Croix, recluta della S.O.S. >>.
<< Strano che tu usi un vero nome invece di uno in codice... >>.
<< Chi ti dice non sia in codice? >>
La donna accennò un leggero sorriso, poi disse fredda e distaccata: << Bene! Quando pensate che arriveranno gli altri? >>.
<< Parcheggiano il jet e arrivano, non si preoccupi. Nel frattempo, sarebbe così gentile da introdurci nel suo quartier generale? >> chiese cordialmente Marco, stirando un po’ i muscoli. Boulevard annuì e li giudò verso un masso che fungeva da chiusura ad una grotta segreta. << Buongiorno capo! >> esclamò subito una giovane ragazza, l’unica oltre al medico presente in quella base. << Vedo che siete a corto di personale. >> fece notare Lauren, speranzosa di poter trovare più risorse umane in quel luogo. << Purtroppo siamo vittime del governo. Ci siamo spinti troppo verso la verità, e questa è la nostra punizione. >> rispose Boulevard. Nelle sue parole si sentiva una nota di nostalgia, nota che faceva trasparire come la ragazza fosse stata completamente o in parte colpevole della caduta del suo gruppo. Come se ne fosse stata la causa.
<< Contatto radio, signora! >> esclamò l’uomo col tablet, mentre lei presentava Junior, la giovane stagista, e il dottore, nome in codice Hospital. << Apri sul primo canale. >> rispose lei. << Parlo con Boulevard? >> chiese la voce di Jeshi dagli altoparlanti della grotta. << Sì, ma parli anche con Magic il magnifico! >> intervenne Marco. Jeshi sbuffò per l’ennesima prova di egocentrismo del ragazzo, poi disse: << Noi arriviamo lì, ma tu devi darci una mano con Bonesbreaker! >>
<< Arrivo subito... Cosa gli è successo? >> chiese preoccupato il ragazzo.
Jeshi ci mise un po’ a rispondere, come per trovare le forze, poi si fece coraggio e disse: << Max... il generale Bonesbreaker... >> un ultimo respiro prima di concludere la frase << ... ha paura della Russia! >>
Detto ciò usò tutta la forza che aveva raccolto per trattenere le risate, mentre nella grotta i suoi compagni della S.O.S., dopo un breve momento di silenzio, scoppiarono a ridere come non mai. Boulevard squadrò i quattro, poi scosse la testa e tornò al lavoro.
Explosion 711
<< Ho detto che non scendo! >> urlava Maximilian << NON SCENDO! >>. Marco era appena arrivato sul posto e quello che vide non gli pareva vero. Al jet erano rimasti solo Maximilian, Donald e ora lui. L’ultima volta che si era trovato solo con loro aveva scoperto la vera identità del padre di Jeshi, cosa doveva aspettarsi adesso? << Smettila di fare il bambino e scendi o vengo a prenderti io! >> disse arrabbiato McRonald, mentre Marco provava invano a trattenere le risate. << Senti, è una malattia riconosciuta ufficialmente, perché devi costringermi? >> chiese il generale.
<< Perché devi essere professionale! Almeno una volta nella tua vita! >> rispose il colonnello.
<< Scusate se vi interrompo, ma quale sarebbe il problema? >> chiese il ragazzo, appoggiandosi al bastone per evitare di cadere dal ridere.
<< Sono bolsenofobico, okay? >> rispose Maximilian. Marco lo guardò stranito. << Scusa, ma... cosa significa bolsenofobico? >> chiese il ragazzo. Donald prese un bel respiro, poi rispose: << Si tratta di un termine che indica chi soffre di bolsenofobia. >>
<< Ovvero?! >> chiese spazientito il ragazzo.
<< Non lo vuoi sapere veramente! >> disse l’uomo, ma vista la continua insistenza del ragazzo, si arrese e affermò: << La bolsenofobia è la paura dei comunisti! >>. Marco trattenne a stento le risate, mentre il generale provava in tutti i modi a legarsi ai sedili dell’aereo. << Scusami, ma se hai paura dei comunisti, perché non hai avuto terrore in Cina? E’ uno stato comunista anche quello! E questo non è più un paese comunista ormai! >> chiese Donald, provando a convincerlo a scendere. << Ma lì non sono mai sceso dall’aereo, qui sono costretto. E poi non venirmi a dire che Putin non è la fotocopia politica di Stalin! Quindi io scelgo di non scendere! >>
<< Per favore! >> continuò McRonald.
<< No! >> disse Maximilian. Il colonnello era al colmo dell’esasperazione nei confronti del superiore, quindi lanciò un ultimatum: << Hai presente il maggiore Johnes? Sì che lo conosci, quel rompiscatole che ci invita costantemente a tutte le feste di compleanno dei figli costringendoci a fare i clown. Se non sbaglio fra una settimana ci dovrebbe essere quello della figlia, tre anni. Quindi ti propongo un accordo: o scendi o non ti copro più con il cambio di turno. >>
<< Non lo faresti mai! >> disse lui.
<< Ne sei sicuro... >>
Base segreta della Human Gene, San Pietroburgo
<< Ti odio! >> sussurrò il generale avvicinandosi al gruppo di persone composto dai terroristi e dai suoi uomini. << Scusa per il ritardo, ma abbiamo avuto dei problemi... con... il motore! >> provò a giustificarsi Donald, mentre Junior ridacchiava. Dopo aver concluso le presentazioni, Boulevard illustrò il piano: << Vi ho contattati perché mi serve il vostro aiuto. Ho saputo che siete alla ricerca di un malvivente internazionale noto come Lord WarFighter. Si da il caso che recentemente abbia intrattenuto contatti con un gruppo di trafficanti di umani per trasportare insieme al loro carico un paio di casse contenenti oggetti di sua proprietà. >>.
<< E quindi perché avete deciso di dircelo? E poi come avete fatto a contattarci? Avete qualche microspia, virus, qualcosa per sapere come controllarci? >> chiese Alfred.
<< No, semplicemente abbiamo seguito a ritroso il percorso di questo fantomatico Lord fino a giungere alla sua corruzione nella ARMED. Da lì abbiamo hackerato i vostri file per trovare un modo per contattarvi. Mentre analizzavamo i vostri profili, abbiamo riconosciuto la foto segnaletica di Igor, quindi abbiamo capito che noi potevamo fidarci di voi e voi di noi. Per il resto, casualmente abbiamo seguito un Trojan che ci ha portato al mainframe del vostro jet. Da lì abbiamo distrutto un paio di firewall e vi abbiamo contattato sfruttando un malware. >> rispose Hacker. La squadra finse di capire quello che aveva detto, poi passarono ad analizzare il piano.
<< Ci divideremo in due squadre da quattro, più una da cinque. Hospital resterà qui a rendere supporto pronto ai feriti. Una squadra sarà composta da Shadowhunter, Hacker, Frankenstein, Don e Prof; la seconda da me, Junior, Bonesbreaker e La Rossa; infine la terza formata da Runner, Magic, Babelfish e Angelique de la Croix. Abbiamo tre obiettivi in tutto. La prima squadra si occuperà di disattivare gli allarmi, la seconda si intrufolerà fra le casse e cercherà quelle del Lord e la terza farà da diversivo. >>
<< Perfetto! Tutti d’accordo? >> chiese Don, mentre la squadra annuiva in coro. Si divisero e salirono su tre jeep, nascoste sotto dei teli mimetici.
Porto di Lomonosov, San Pietroburgo
Don seccò in un colpo solo una guardia, ferma a guardare il cielo, mentre anche il resto della squadra saliva aiutata da Igor sulla centralina. << Hai portato dei cavi? >> chiese Hacker ad Alfred, che in tutta risposta aprì uno dei suoi guanti meccanici e tirò fuori un filo elettrico che attaccò ad una presa messe vicino ad un paio di leve. Una volta attaccata, Hacker connesse il suo tablet al bracciale elettronico. << Ok, mi ricevete? Stiamo disattivando gli allarmi, potete entrare tra tre... due... uno... ora! >>
La squadra di distrazione non entrò subito in azione. Un’importantissima discussione era iniziata poco prima e stava ancora continuando. << Ti dico che ce la faccio io! >> disse Marco a Jeshi. La ragazza scosse violentemente la testa, dicendo: << Non ti credere chissà chi! Sai benissimo che sarò io! >>. Angie da dietro ridacchiava, esprimendo disappunto. << Sapete tutti che la fortuna è dalla mia parte! >> aggiunse. In tutto ciò, Runner, che non aveva capito l’inizio del discorso e a cui non importava nemmeno, continuava a sbuffare. << Ci sbrighiamo? >> chiese con una nota di rabbia l’agente russo. << Solo un momento! >> dissero i tre in coro. Si avvicinarono alla porta. Runner e Angie si misero ai lati mentre Jeshi incoccò una freccia. Marco preparò il bordone e la spaccò generando un’onda d’urto. Nel giro di un paio di secondi tutti e quattro erano entrati, ma la differenza dell’addestramento e dell’atteggiamento si mostrò subito, infatti mentre Runner cercò subito un punto di riparo, il trio della S.O.S. rimase in piedi, protetto dallo scudo di aria compatta di Magic, e cominciò a colpire tutto ciò che si muoveva. << Preso! >> strillò Angelique colpendo con una delle sue due pistole un uomo su un parapetto, che cadde esattamente sopra il cadavere bruciato da una sfera di fuoco del giovane. Un povero scagnozzo non ebbe il tempo di vedere quello che era successo che una freccia gli trapassò l’occhio e si conficcò nel cervello.
<< Non state rispettando il piano! >> fece notare Runner. Marco lo guardò alzando il sopracciglio. << Noi non abbiamo un piano! Noi agiamo e basta! >> specificò il ragazzo, alzando un muro di pietre contro cui andò a sbattere un uomo, che provava a fuggire da morte certa, mentre Angie si avvicinava puntandogli una pistola alla fronte. << Okay, ti spiego brevemente quello che dobbiamo fare ora. Ci serve sapere dove si trova il container di Lord WarFighter! >> disse la ragazza, in russo, accucciandosi vicino all’uomo. Questi rimase come paralizzato per almeno dieci secondi, poi farfugliò qualcosa in russo su una qualche nave in partenza dal terzo molo. << Non è compito nostro scoprire dove si trova la nave! >> puntualizzò Runner << Se avete intenzione di fare come vi pare a me sta bene, ma almeno non mettete a rischio il piano >>.
<< Uff, Runner ti abbiamo già detto che non abbiamo un piano! >> controbatté Jeshi.
<< Cosa pensate di fare adesso? >> chiese l’agente russo. << La nave è al molo tre? Allora noi facciamo casino al molo uno. >> propose Angelique, ricaricando le sue due magnum. La giapponese annuì, mentre Marco impostava la quadripistola su “dardi esplosivi”. << Mi sentite? >> chiese alla ricetrasmittente il ragazzo.
<< Forte e chiaro! >> rispose dall’altra parte Maximilian.
<< Potete intervenire! Il container è al molo tre, noi faremo rumore all’uno. Don, se vuoi unirti a noi sei ben accetto. >> concluse Magic, e a risposta affermativa del colonnello, puntò la pistola al cielo, lasciò partire un colpo che esplose qualche istante dopo e urlò: << Un attimo di attenzione! A tutti i brutti ceffi del molo, scaricatori di porto compresi! Siamo venuti a farvi il culo! Siete pregati di provare ad ucciderci! Se ci riuscirete... >>
Appena ebbero la localizzazione esatta, Junior fu la prima a partire, seguita da Lauren e Boulevard. Max, ancora titubante, le copriva con una pistola. << Allora, come lavorate in America? Cioè seguite i piani o improvvisate? >> chiese Junior, voltando l’angolo. La risposta di Lauren non si fece attendere: << Principalmente improvvisiamo di seguire un piano dettagliato. Anche se questa volta stiamo decisamente improvvisando. >> Maximilian fece una smorfia. A suo parere, significava ammettere di essere inferiori in questo ai comunisti, cosa che lui non avrebbe mai ammesso. << Devo ammettere che non avevo ancora conosciuto un americano spaventato dai russi. >> affermò Boulevard << So che esistete e siete tanti, ma non sapevo foste così patologici! >>
<< Già, neanche io lo pensavo... >> controbatté lui sfoderando un finto sorriso << Eppure guardaci ora! Americani e com... e russi che lavorano fianco a fianco per salvare il resto del mondo. Molto divertente. >>
<< Senti, è troppo chiederti perché ce l’hai così tanto con la nostra Nazione? >>
<< Non ce l’ho con voi, ce l’ho con i comunisti. L’odio per la vostra Nazione è trasversale... >>.
<< Capisco che non ti vada giù la storia di Cuba, magari preferiresti fosse ancora uno stato americano per andarci in vacanza senza essere “derubato da marxisti”, ma cerca di capire che noi russi medi non abbiamo colpa di niente! Quindi evita di tirare fuori Hanoi e Pyongyang e affronta la verità! Non mangiamo veramente i bambini! >> concluse la lunga discussione il capo dei terroristi. Maximilian la prese e la sbatté contro il muro. << Non credere che vi detesti per delle vittorie o delle sconfitte. Sappi che avevo una squadra. Erano i migliori che il mondo potesse avere, la chiamavano Squadra Omega. Sappi che se quella squadra ha perso, è stato per colpa di qualche comunista. Sì, odio i comunisti, ma lo faresti anche tu se sapessi quello che è successo! >> detto ciò la stacco dal muro, fra lo stupore delle due sottoposte, le quali li guardavano come fossero impazziti. << Junior, per sicurezza avresti dovuto puntargli la pistola contro. >> fece notare con calma Boulevard. << La Rossa, per sicurezza avresti dovuto farlo anche tu. >> aggiunse l’uomo. Come se fossero controllate, entrambe le ragazze tirarono fuori la loro arma all’unisono e in perfetta sincronia mirarono al generale. Questi fece un bel respiro, poi afferrò delicatamente la pistola della stagista e la spostò a mirare alla testa della controparte russa. << I giovani! >> sbuffò lui, poi fece notare che erano ormai arrivati.
Si intrufolarono nella nave alla ricerca del misterioso container. Due da una parte, due dall’altra. Le stagiste furono mandate insieme, ma invece di preoccuparsi iniziarono a chiacchierare.
<< Quindi tu sei una stagista? >> chiese la giovane ispezionando una bolla di imbarco di un container.
<< Già! >> rispose Lauren controllandone un’altra lì vicino.
<< E da quanto? Sei mesi? >> continuò a chiedere curiosa la ragazza.
<< Quattro anni... >> concluse La Rossa, mentre Junior tratteneva le risate.
Dopo un paio di ore di ricerca, Lauren trovò un container firmato dal Lord. In men che non si dica, il generale Thomson era arrivato sul posto, seguito dal resto della S.O.S. e Boulevard. Con l’aiuto di Aracnus, Shawn sfondò la serratura principale ed entrò. << Sono... casse! Semplici casse piene di imballaggi! >> fece notare il ragazzo, ma una voce nella sua testolina, la “sua” voce, gli diceva: “Percepisco qualcos’altro. Componenti elettroniche. Chip. O roba simile”. Shawn frugò più in profondità e trovò quello a cui il suo simbionte si riferiva, un paio di circuiti di silicio e oro collegati da una miriade di fili di rame. Marco sparò una ricetrasmittente su ognuna delle quattro casse presenti sul container mentre Alfred cercava di intuire il funzionamento del dispositivo. In quel momento un missile colpì il container.
Shawn fu ovviamente il primo ad alzarsi dall’onda d’urto e, quasi alla cieca, si lanciò contro un uomo che svettava poco fuori dal buco. La seconda ad alzarsi fu Lauren, la più lontana dall’esplosione, che vedendo il ragazzo scagliarsi contro il presunto pericolo, si diresse barcollando verso tutti coloro che invece erano ancora a terra. Marco ed Angie erano svenuti. Un sottile rivolo di sangue usciva dalla tempia della ragazza, mentre il braccio del ragazzo, e forse non solo quello, era livido e visibilmente rotto. Erano i due più vicini all’esplosione. Si avvicinò a controllare il battito della ragazza, forse dei due la messa peggio. Igor dietro si stava alzando, mentre Boulevard non si era ancora messa a sedere che già cercava gli occhi del connazionale. Alfred, Jeshi, Don e Max non si erano ancora alzati, ma muovevano la testa denotando un trauma cranico non troppo serio. << Forza, in piedi! >> continuava a dire la ragazza ai due rimasti a terra. Angelique aveva un battito debolissimo, quello di Marco neanche si sentiva. Il terrore lo assalì tanto che cominciò un massaggio cardiaco sul corpo del ragazzo. << Marco... >> sussurrò Angie, ancora sotto shock mentre provava ad aprire gli occhi. Il ragazzo, alla terza serie di colpi della rossa sul suo torace, rispose tossendo. Dopo neanche una decina di minuti erano tutti in piedi, malandati e doloranti, ad osservare Shawn. L’uomo lì fuori, probabilmente la causa dell’esplosione, li osservava con disprezzo dietro una maschera bianca con intarsi rosso scuro. << Complimenti! >> disse con una voce roca e bassa << Avete quasi rovinato un carico di ottima merce. >>
<< Chi cazzo ti credi di essere, eh? >> chiese Marco, reggendosi ad un lato dello squarcio con una mano cinta al busto. Angie era ora seduta, non riusciva a parlare bene per il colpo, ma stando ad una veloce diagnosi di Hospital, avrebbe riavuto la voce nel giro di qualche ora. Anche il resto della Human Gene, vista la baraonda che avevano sentito, si era precipitata lì ed ora stavano aiutando i feriti più gravi: Angie; Don, che aveva un profondo squarcio sulla gamba destra; e Alfred, al quale l’esplosione aveva danneggiato la parte elettronica e ora rischiava un ictus fulminante se non avesse connesso subito la parte ancora utilizzabile con qualcosa. Quel qualcosa fu, in attesa di arrivare alla CPU dell’Explosion, il tablet di Hacker.
Anche Marco sarebbe dovuto rientrare, ma lui stava lì. Shawn aspettava di capire cosa fare, come reagire all’uomo mascherato, e soprattutto come fermare eventuali pazzie di Marco.
<< Tu devi essere quello che si fa chiamare Magic. Pensa un po’... il mio acerrimo nemico, la mia nemesi, un ragazzino così fragile. >> lo canzonò l’uomo.
<< Sappi che ti sei messo contro una squadra, non contro me. E sappi che se non ci avessi pugnalato alle spalle, non avresti retto neanche un colpo. >>
<< Quello?! Oh, ma era solo un colpo di avvertimento. Mi piacciono le entrate in scena spettacolari. Se non sbaglio... non sono l’unico. >> continuò il malvagio.
<< Chi diamine sei tu? >> chiese Shawn << E sappi che un semplice missile non mi farebbe neanche un graffio. >>
<< Oh, ma lo so, signor Withman >> rispose l’uomo, mentre Shadowhunter trasaliva. “Mantieni la calma” disse Aracnus “Io sono sempre qui, al tuo fianco”. << Conosco a menadito tutte le vostre storie >> continuò l’uomo, mentre Marco si avvicinava usando il bordone come stampella << Tutte le vostre vite, tutte le vostre abilità. Chi sono io? Perché togliervi il piacere di scoprirlo? Io sono il burattinaio, io sono il tessitore, io sono l’inganno, io sono il fautore della vostra caduta. Vuoi un nome? Lord WarFighter. >>
Marco non resse più il gioco psicologico dell’uomo e provò a colpirlo con una sfera di fuoco. Mentre il ragazzo cadeva a terra, non avendo più un appoggio, l’uomo si limitò a premere un tasto sulla sua cintura, che attivò una specie di scudo energetico che fece dissolvere le fiamme. << Prima regola per vincere una guerra: conoscere le armi del proprio avversario e preparare le difese adeguate >> disse l’uomo disattivando lo scudo. Detto ciò, mentre la Human Gene difendeva il resto della squadra dall’arrivo di un gruppo paramilitare, probabilmente coloro che avevano lanciato il missile, si diresse verso il container, mentre Shawn rimaneva immobile. << Hai intenzione di aiutare il tuo amico o di uccidermi? Ti avviso, potrei ucciderlo se  provassi anche solo a sfiorarmi. >>
Shawn avrebbe voluto colpirlo, ma aveva fatto un giuramento: che nessun altro avrebbe sofferto a causa sua. Si avvicinò al ragazzo permettendo all’uomo mascherato di entrare nel container. In quel momento, un elicottero dotato di lanciamissili ancora fumante arrivò con un magnete a prelevare il container. << Adieu, mes amis! >> comunicò il Lord, mentre se ne andava.
<< L’hai lasciato scappare! >> lo rimproverò Marco. << Ho preferito proteggere un amico! >> rispose Shawn, aiutandolo a rialzarsi.
Explosion 711
<< E ora cosa faremo, capo? >> chiese Junior, quasi con le lacrime agli occhi. Boulevard si prese tempo per formulare una risposta e quando fu pronta iniziò: << Voi dovete continuare la nostra missione. So che sarà difficile, ma voi reclutate i migliori e sarete in grado di sopportare ogni problema. Junior, tu devi prendere in mano la squadra e impedire che l’ego di uno sovrasti i valori di tutti gli altri. Io devo andare, ci vediamo. >>
<< Arrivederci, capo. >> disse la giovane, porgendo il saluto militare alla russa, poi si voltò e scese lacrimando dal jet, mentre il suo ormai ex capo veniva fatta entrare in una stanza dove, tramite qualche domanda, avrebbero ufficializzato la sua entrata nella S.O.S.
Mentre Lauren e Shawn facevano decollare il jet, Marco e Angie stavano parlottando fra di loro. << Come stai? >> chiese la ragazza. Lui si limitò ad alzare la maglietta, mostrando un fianco violaceo. << Sai questo cosa significa? >> chiese Marco alla ragazza, che rispose: << Che non potrai fare niente per un bel po’? >>
<< Peggio. Che ho rischiato di morire. >> disse il ragazzo, diventando leggermente più mogio. Sembrava abbattuto, più psicologicamente che fisicamente, tanto che la reazione sensata della ragazza fu di abbracciarlo. << Sai, penso di aver capito chi governa questo mondo. >> disse lui, dopo essersi schiarito la voce. La ragazza chiese chi fosse e lui rispose: << Non i governi, non le multinazionali, non gli eserciti, non il Nuovo Ordine Mondiale, non gli Illuminati, non Lord WarFighter e tantomeno non noi. No, c’è una forza che governa il nostro mondo. Una forza superiore a tutte le altre forze, dalla gravità al magnetismo. Qualcuno la chiama karma, altri destino, altri fato, altri ordine naturale, altri logos. Io lo chiamo Caos, perché è questo che è: un’accozzaglia di avvenimenti che si susseguono in modo del tutto casuale, ma pur mantenendo un ordine che noi semplicemente non comprendiamo. >>.
<< E tutto ciò che significa? >> chiese la ragazza.
<< Il Caos non si può fermare, si può solo prevenire. Io non so cosa ci abbia riservato, ma non ho intenzione... >>.
<< Non ci provare nemmeno. Io non ti lascio da solo! >> si arrabbiò la ragazza.
<< Come pensi che mi senta! Oggi ho rischiato la vita, di perderla, o peggio, di viverla senza di te. Non ho intenzione di rischiare di perderti perché sono stato così egoista da volerti con me sulla strada per l’inferno. >>
<< No, proprio per questo sei egoista, perché vuoi che io torni a casa, mi metta a sedere su una sedia e aspettare il giorno in cui diranno che ti hanno ucciso? E sapere che forse, e dico forse, se fossimo stati insieme non saresti morto?! >> ormai Angelique stava gridando sempre più forte con le lacrime agli occhi << Come pensi che sopporterei questa vita, eh? Come?! COME?! >>
<< Dimenticami! >> gridò più forte di lei Marco. La ragazza si ammutolì, mentre lui cercava di non incrociare lo sguardo con quella che, ormai a breve, non sarebbe stata più nessuno per lui. Rimasero in quello stupido silenzio, dove ognuno teneva nascosti i propri sentimenti, per dieci minuti, finché senza neanche guardarlo Angie si alzò. << Vado a dire a Don di scaricarmi a casa... Addio. >> Marco neanche rispose, non ne aveva la forza. Rimase lì a pensare per almeno un’altra mezzora. Come avrebbe spiegato agli altri che aveva per la prima volta scelto di salvare una vita in cambio della sua sofferenza? O forse Angie aveva ragione, faceva tutto questo perché egoisticamente non riusciva a concepire di vederla morire e quindi preferiva che fosse lei a soffrire? Pensò di alzarsi per cercarla, per vedere se in un qualche modo si poteva evitare un addio così freddo. Ora stava sicuramente facendo un giro di tutti per salutarli. Alfred... Igor... Max... Don... Boulevard... Jeshi... Lauren e Shawn... I due che erano in cabina di pilotaggio... Quindi quelli a cui avrebbe dovuto comunicare la sua partenza, non a Don... Che in quel momento stava reclutando Boulevard... Ma certo! Marco si alzò come un fulmine e si voltò. Troppo tardi, era stato fregato. Ancora una volta Angelique era stata più furba di lui.

Angolo dell'Autore
alias colui che non mantiene le promesse
Sì, lo so, avevo detto che avrei finito la storia entro l'estate, ma in ogni caso, e con tre mesi di ritardo, ecco il nuovo capitolo, per il quale ringrazio Mirtillykilljoys, ovvero Antea, e il suo continuo aiuto. Prima di passare ai veloci ringraziamenti volevo darvi qualche notizia sui miei progetti fututri riguardanti questa serie: quello che avete appena letto, per iniziare, è il preludio al finale, che probabilmente dividerò in due capitoli e al quale seguirà forse un breve epilogo, o forse no. Dopodichè passerà un bel po' di tempo prima del mio ritorno sulla storia principale con un nuovo ciclo narrativo (per chi non ha capito... sequel) a causa di altre storie che avevo interrotto per Caos. Ma non mettevi a piangere, schiera di pochi ma buoni (anzi ottimi) fan, perchè usciranno due spinoff. Entrambi saranno ugualmente importanti e entrambi sono strettamente collegati proprio a questo capitolo, ma presetano una sostanziale differenza: uno sarà una raccolta di storie che avrà pubblicazione MOLTO irregolare (anche solo una all'anno) che proseguirà fino alla fine del sequel; l'altro invece condividerà con l'universo di appartenenza pochi personaggi, ma che avrà come particolarità quella di essere una storia interattiva. Di cosa parleranno? Beh... non ve lo dico! Se avete qualche teoria fatemela sapere, vi dirò se ci siete andati vicini o se siete stati originali (il più originale sarà premiato in caso di partecipazione alla storia).
Detto ciò ringrazio tutti voi che avete letto la mia storia fino a qui, in particolare SapphireLynx, che continuate a leggere nonostante i tempi colossali fra un capitolo e l'altro. Spero di non avervi deluso e di non deludervi mai.
Infine vi ricordo che 
se proprio vi piace la storia, l'idea, un qualche generico personaggio o anche solo una frase e/o volete darmi una mano a migliorare, sappiate che recensire una storia allunga la vità del 5% di 5%.
Ci vediamo alla prossima

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Capitolo 10
*** Prime della classe ***


CAPITOLO 9- Prime della classe
Spazio aereo internazionale
<< Ragazzi, >> disse Donald dopo essere uscito dalla stanza, seguito da Maximilian, Boulevard e, a sorpresa di quasi tutti, Angie << Vi presento le nuove reclute della S.O.S. >>. Detto ciò fece avanzare le due ragazze, acclamate da tutta la squadra riunita, eccetto Shawn che stava pilotando. Sommerse dal mare di abbracci, le due neanche riuscivano a parlare. Fra tutte le pacche sulle spalle, Angelique intravide l’unica persona che non era in quella calca. Lo sguardo fisso su di lei, sui suoi occhi. Come se potesse parlare più di mille parole. Marco era lì appoggiato alla parete. Poco a poco il gruppo si diradò, chi andando a festeggiare, chi tornando alla cabina di comando, chi portando moduli. Ma lui era sempre lì. Angelique decise che era giunto il momento di confrontarsi.
Si avvicinò a lui, ma non appena si trovò di fronte al ragazzo, questi se ne andò senza parlare. Si limitò ad un breve sbuffo. Lei lo seguì, e lui sapeva che lo avrebbe fatto. << Pensi di seguirmi per molto? >> chiese lui, senza voltarsi, di fronte alla porta della sua stanza.
<< Volevo vedere dove mi portavi >> rispose lei.
<< Di questo passo, sul patibolo >> disse Marco, poi aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma si trattenne.
<< Fa male! Intendo, tenersi dentro le emozioni. Sono una lama, possono anche ucciderti. >>
<< Una lama può tagliare su tutti e due i lati. Esprimere quello che sento o non farlo determina chi deve soffrire. >>
<< Smettila di fare il filosofo, non ti si addice >> aggiunse lei, appoggiandosi al muro.
<< E cosa mi si addice allora?! >> esclamò lui, voltandosi rabbioso verso di lei << Sapere che se morirai sarà solo colpa mia? Tu non saresti qui se non fosse per me! Qui, a rischiare la vita contro un nemico che non conosciamo e che ha dimostrato di poterci uccidere quando vuole, anche ora. Qui, a sperare ogni secondo che non sia l’ultimo, a sperare che ci sia sempre una via di scampo. Hai ragione, fare il filosofo non mi si addice. Sono molto meglio come assassino! >>
Detto ciò, entrò nella sua camera, provando a chiudere dietro di sé la porta. Il piede della ragazza glielo impedì. Si appoggiò con la spalla allo stipite, incrociò le braccia e lo fissò. Dopo un po’ appoggiò anche la testa allo stipite e disse: << Ti ricordi cosa mi hai detto quando ci siamo incontrati la prima volta? >>
<< Senti non provare a pensare che questo... >> rispose lui, ma fu interrotto dalla dolce voce della ragazza.
<< Tu rispondi e basta! >>
<< Mh, se non ricordo male dissi “Ehi, bella serata vero?” >>
<< E io cosa ho risposto? >>
<< “Già, non potrebbe andare meglio!” mi sembra >>
<< Mi sbagliavo. Fu la serata più bella della mia vita e il meglio venne dopo. >>
<< Se è un complimento alle mie performance ti ringrazio, ma non sono in vena di fare commenti egocentrici. >>
<< Non intendo quello... o almeno non del tutto, ma non importa. Quella sera, io incontrai l’unica persona che in grado di essere gentile con me dopo tanti anni. E se quello che tu chiami Caos esiste veramente, quell’insieme confusionario di cause ed effetti, allora gli devo la vita. E se la può prendere quando vuole, io sono soddisfatta. >>
Marco la guardò per un po’ poi abbassò lo sguardo e commentò: << Io no! >>
<< Allora ti farò un ultima domanda. Quando ci siamo rincontrati a casa mia, io vestita da principessa e tu da Loki, quando ci siamo puntati contro le nostre armi, perché non mi hai colpita? >>
<< Perché? Beh, avrei comunque subito il tuo colpo e non sarei riuscito a fermarlo. E poi mi servivi di più viva che morta! >>
<< Stai cercando scuse. >>
<< Non è vero! >>
<< Dimostralo! >> disse lei. Poi, vedendo che lui non sapeva cosa dire fece per andarsene. Lui la fermò per un braccio, poi rispose: << Hai ragione, mentivo. Non ti ho ucciso perché pensavo a come ti avevo conosciuta. Perché pensavo fosse impossibile che la ragazza in discoteca fosse una spia e un’assassina. Perché non ne avevo il coraggio e sì, perché ti amavo, così come ti amo ora. E sì, esiste quel Caos, quell’insieme confusionario di cause ed effetti, ed è quello che le persone ringraziano quando la vita va male o maledicono quando va bene. Per me, è quel Dio a cui ci si rivolge quando si è nei momenti più brutti e che si ringrazia quando si è in quelli più splendenti. Quello di fronte al quale ci si giura amore eterno. Ora, può succedere che quello che ci sembra eterno poi non si riveli tale. Ma sono certo che non è questo caso. Quindi, di fronte al Caos, tu, Angelique de la Croix, mi giuri eterno amore, finché ci sarà concesso? >> detto ciò, le prese delicatamente la mano, poi avvicinò delicatamente le proprie labbra alle sue.
Explosion 711
<< Agente Boulevard. >> disse Donald davanti al buffet improvvisato da Lauren e Alfred. Lui scambiò con lei uno sguardo enigmatico, che lui contraccambiò con un cenno della testa. La ragazza sembrò rassicurata. << Devo ammettere che questo pranzo non è male >> disse afferrando una tartina e mangiandola. Lauren sorrise, poi sorseggiò un bicchiere di acqua e disse: << Quindi, abbiamo notizie su Lord WarFighter? >>
<< A parte che gli manca originalità nel nome? >> chiese ironico Maximilian, con in mano una tazza di caffè << Per ora niente! Ma stiamo cercando di risalire alla ditta che produce quei componenti. >>
Per ingannare l’attesa, La Rossa si avvicinò a Shawn, che stava giocherellando con un fucile vicino al frigobar. Si mise a sedere sul piccolo elettrodomestico, dondolando i piedi, e cominciò a chiacchierare con il ragazzo: << Come va? >>
<< Hai presente quella vocina insistente che ogni tanto ti rimbomba in testa? >> chiese noncurante della domanda.
<< Sì, perché? >> rispose tranquilla la ragazza.
<< La mia ha anche un nome! >> esclamò lui.
<< E dice qualcosa? >>
<< Parla del più e del meno. >>
<< E di me? Cosa dice? >> chiese infine lei.
“Che dovresti smetterla di flirtare, tanto lui non l’ha capito” disse Aracnus, rimasto silenzioso fino a quel momento.
“Non ci sta provando con me!” ribatté lui “forse...”
<> continuò lei << Le piaccio? >>
<< Preferisce identificarsi come un maschio. >> disse lui, “Ma comunque sì” suggerì di continuare lui.
<< Ma... comunque sì. Dice che gli piaci. >> concluse Shawn.
Lauren calcolò precisamente ogni sua mossa da quel momento. Scostò una ciocca di capelli che copriva parte del suo viso e abbassò di un ottava la voce per poi chiedergli soavemente: << E a te? >>.
“Lascia fare me! Di esattamente quello che ti dico.” ordinò mentalmente Aracnus.
<< In che senso? >> chiese il ragazzo ridendo dolcemente sotto consiglio del demone.
<< Ti piaccio? >> chiese lei ancora più suadente.
“Alt! Ora non possiamo più fingere che non stia filtrando con noi, ma neanche possiamo arrenderci così.” lo fermò prima di poter dire qualsiasi cosa il demone.
“Quindi?! Che si fa?!” pensò il ragazzo.
“Atarassia! Epoché! Sospensione del giudizio! Non far trasparire una risposta accettabile! Resta sul vago! Non rispondere! Non accennare a nessun momento bello passato con lei, non parlare di come ti senti con lei e soprattutto non rispondere!”
<< Beh... è difficile esprimere un parere su di te. Sei una ragazza così piena di sfaccettature, non tutte positive. Quindi, si può dire che nel complesso tu sia una ragazza interessante, e decisamente un ottimo membro di questa squadra. >>
<< Oh... >> disse la ragazza, spiazzata dalla sua risposta << Solo questo? >>
Shawn stava per rispondere, ma fu interrotto da Alfred che annunciò a tutti di avere importanti novità sulla posizione del criminale. Lauren balzò giù dal frigobar e corse verso l’uomo, seguita da Shawn. “Sicuro che abbiamo fatto la mossa giusta?” chiese lui al demone. “E che ne so?! Voi umani siete così complessi e complessati! Da dove vengo io, se si vuole far colpo su una ragazza si fa esplodere una stella in suo onore.” rispose discolpandosi Aracnus. “Ti odio!” disse il ragazzo mentre si riuniva a Marco ed Angie.
<< Da quello che ho scoperto, il cip aveva un sistema di localizzazione che in caso di problemi lo avrebbe riportato alla fabbrica base. Ho triangolato il segnale, è stato oscurato ma sono riuscito a forzare la copertura. Si trova in Islanda, poco lontano da Reykjavik. >> comunicò Alfred.
<< Chi costruirebbe una fabbrica in Islanda?! >> esclamò Marco.
<< Qualcuno che ha degli affari loschi da nascondere. >> disse Jeshi.
<< Per l’esattezza, si tratta della New World Technology Inc., azienda che guarda caso è fra le principali finanziatrici della nostra squadra. >> continuò Alfred. << Quindi è da escludere che questa missione sia approvata dal governo. Quindi dobbiamo essere veloci e silenziosi. >>
<< Non credo che serva spiegarvi quanto sia fondamentale la riuscita di tutto ciò. >> disse Donald prendendo il centro della scena << Se falliamo, sarà probabilmente la fine della squadra, e di tutti noi. Quindi oggi o moriamo o vinciamo. Date tutte le vostre forze per affrontare qualsiasi cosa dovremo affrontare. Buona fortuna! >>
Industrie “New World Technology Inc.”, Islanda
<< Come ci muoviamo, Magic? >> chiese Boulevard, mentre caricava le armi. Marco pensò per un po’, poi cominciò ad impartire ruoli. << Ci dividiamo in due squadre. Io, Babelfish, Don, Boulevard e Ang... Red Rose cercheremo dove si trova Lord WarFighter; Bonesbreaker, La Rossa, Shadowhunter, Prof e Frankenstein invece agirete come diversivo per eventuali guardie. Tutti pronti? >>
A risposta affermativa, i gruppi si separarono ed andarono ciascuno nell’area di azione prestabilita. Il gruppo guidato da Marco si diresse verso una piccola insenatura nella rete che contornava il campo su cui sorgeva la fabbrica, un immenso edificio che somigliava in niente ad un industria, se non per qualche ciminiera, e in tutto ad una reggia monumentale, dal gusto chiaramente barocco. All’entrata svettava su un palo dipinto malamente in striature nere e bianche l’enorme simbolo della compagnia, una fusione delle due maschere teatrali in un’unica faccia, la metà triste di color nero e la metà felice bianca. La prima cosa che ricordò a Jeshi fu il Taijitu [*], la seconda fu la loro missione.
Il gruppo si accorse subito dell’enorme quantità di guardie armate che controllavano la zona. << Sono isolati dal mondo, si occupano di sviluppo tecnologico e nessuno li conosce. Perché tutta questa sorveglianza? Cos’ha da nascondere? >> chiese Marco, analizzando la scena da dietro una cassa.
<< Probabilmente >> disse Alfred alla ricetrasmittente << Vuole farci capire che non scherza. O forse deve nascondere la produzione di... qualsiasi cosa stia producendo. >>
<< Non siamo ancora riusciti a risalire a cosa serva quel pezzo di hardware? >> chiese Don.
<< No, ma il computer sta continuando ad analizzare i file. A breve sapremo a cosa sta lavorando. >>
<< A meno che noi non siamo abbastanza veloci da farcelo dire da lui >> disse Angie, sorridendo non appena notò che Marco la guardava.
<< Pronti alla festa? >> chiese Lauren, e a risposta affermativa dall’altra parte, fece un cenno a Shawn, che sfondò con un pugno la gigantesca porta principale. L’altro gruppo, non appena sentì gli spari dei fucili e le prime grida di dolore delle povere guardie che avevano incontrato la furia del demone, si addentrò sempre di più verso quello che sembrava l’ufficio principale, sicuri di trovarvi il Lord.
Solo Boulevard tentennava ad ogni passo, poi quando furono abbastanza vicini fece fermare il gruppo. << Le guardie si sono tutte addensate sull’altro gruppo! >> disse preoccupata.
<< Oh, fidati, se la sanno cavare anche da soli. Ora andiamo >> disse Marco, voltandosi per ripartire.
<< Non capisci proprio. Quale stupido lascerebbe completamente indifesa la fabbrica spostando le truppe ad attaccare un gruppo di cinque persone quando ha uomini sufficienti per fare entrambe le cose ed avere comunque delle guardie in riposo? >>
<< Tutti gli uomini commettono degli errori, lui non è certo escluso >> osservò Marco.
<< Un errore così stupido?! Ho paura che siamo finiti in una trappola. >>
<< Cosa te lo fa pensare? Dai, sono solo supposizioni senza senso. >>
<< Ehi Magic, qui Prof. Il computer sta quasi finendo di caricare i dati. >>
<< Perfetto! Avvisaci in tempo reale! >> disse Marco. Un rumore lo costrinse a puntare lo sguardo, assieme ai compagni, verso il tetto di quella che appariva come una torre centrale della “reggia”.
<< Okay, ho ricevuto le informazioni >> gracchiò la voce di Alfred attraverso la ricetrasmittente << il software è programmato per fare in modo che ad un determinato comando corrisponda una risposta da parte di alcune componenti fisiche. Ma non è un rapporto uno a uno, è più della serie “io ti dico cosa devi fare, tu sfrutti quello che ti ho dato per farlo”. Oddio, è un’ottima intelligenza artificiale, perfetta in tutti i suoi dettagli. Cazzo, questo significa... >>
<< Droni... >> disse titubante Marco.
<< Esatto! Come fai a saperlo, hai studiato robotica? >>
<< No, semplicemente riesco a vederli con i miei occhi! >> disse Marco, osservando tre enormi piovre metalliche uscire volando dal tetto. Non appena si accorse che due di quelle puntavano a loro, gridò ai suoi compagni di mettersi al riparo. Inutilmente, dal momento che di istinto lo avevano già fatto tutti.
Non appena furono abbastanza vicine, e non appena Marco notò che erano anche leggermente più piccole di quanto aveva pensato, le “piovre” allungarono i loro tentacoli, lunghi quanto un braccio, e cominciarono a sparare proiettili al ritmo di mitragliatrice.
Marco si riparò sempre di più, notando che i droni sparavano esattamente alle loro posizioni. Appuntò mentalmente la probabilità che disponessero di visori termici. << Don, cosa cazzo è quello?! >> chiese la voce di Maximilian.
<< Perché cazzo pensi che io lo sappia?! >>
<< Perché io non lo so! Shawn lo sta affrontando, ma sembra indistruttibile! >>
<< Ma bene! Vuoi darmi qualche altra buona notizia?! >>
<< Smettila di essere sarcastico! Non è il momento! >>
Don voleva controbattere, ma una delle piovre distrusse la cassa dietro la quale era nascosto. In un lampo di riflesso, il colonnello sparò un colpo dritto in quella che lui riteneva fosse la telecamera centrale. Il colpo fece andare in corto il sistema del robot, che cominciò a perdere quota fino ad atterrare vicino a lui. Senza preoccuparsi troppo, cominciò a correre per proteggersi dall’altro drone.
Questo sparò un colpo anche al suo “collega” caduto, ma appena il colpo toccò la superficie del corpo metallico il proiettile svelò un altro drone, più propriamente un microbot, che si mise a riparare i danni del precedente.
Sebbene nel giro di pochi minuti la “piovra” era tornata operativa, Marco aveva visto in quella mossa del suo capo l’unica mossa fino ad ora efficace. << Mirate all’occhio! >> gridò ai propri compagni, per poi comunicarlo anche alla trasmittente.
Lo scontro a fuoco fu arduo. Da una parte Shawn e la sua squadra dovevano gestire sia il drone, con il compito di ucciderli, sia le guardie, con l’obiettivo di sparare sedativi appena Shawn avesse fatto capolino per sparare al drone. D’altro canto, Marco e gli altri erano impegnati con due droni che potevano guarirsi l’un l’altro. Nessuno dei due gruppi era, in quel momento, in grado di affrontare il proprio ostacolo.
<< Marco >> disse Angie da dietro le sue spalle << forse dovremmo... >>
<< Dovremmo cosa? >> chiese il ragazzo dopo che lei si fu interrotta.
<< Niente... solo un’idea stupida. >>
<< Parla! >>
<< E se tu fermassi i loro proiettili? >>
<< Anche se ci riuscissi, non reggerei abbastanza. A giudicare dai colpi sparati, hanno un’infinità di munizioni, e non possiamo sparare dall’altra parte del muro. >>
<< Infatti... >> disse lei malinconica << Ma potremo comunque sfruttarlo per attuare un piano di diversivo. >>
Poi indicò una jeep poco distante. Marco capì al volo quello che voleva fare. Separarli. Separando i due droni, non si sarebbero potuti curare, quindi avrebbero battuto entrambi per poi addentrarsi nella fortezza, sempre che non ce ne fossero altri.
Marco comunicò al resto della S.O.S. il suo piano, poi passò ad attuarlo. Rallentò l’aria fra loro e i robot di        quel minimo che bastava per impedire ai proiettili di essere pericolosi. Purtroppo per lui, i droni, vedendo come questo muro impedisse loro di colpire i propri obiettivi, si innalzarono fino a scavalcarlo.
Furbamente, e scoprendo solo allora di poterlo fare, Marco piegò il muro, in modo da creare una cupola che copriva sia lui sia i suoi compagni. << Muovetevi! >> esclamò, mentre il resto del gruppo provava a far ripartire l’auto.
Ormai era una lotta contro il tempo. Se per il gruppo di Shadowhunter questo stallo stava avendo esiti positivi, per gli altri era una variabile fondamentale per la loro sopravvivenza.
Marco reggeva a stento l’attacco dei droni, nonostante la barriera resistesse ancora con forza agli attacchi. << Angie! >> disse lui, richiamando l’attenzione della ragazza, che si avvicinò. << Non riesco più a tenerli! >> disse, non appena le fu vicino. La pace che la barriera d’aria creava al suo interno rendeva il tutto più paradossale e silenzioso, sicché non avevano bisogno di urlare.
<< Quanto tempo abbiamo ancora? >> disse lei, osservando i mostri metallici.
<< Troppo poco. Angie, io... >> rispose lui.
<< Non pensarci nemmeno! >> lo interruppe lei, quasi leggendogli nel pensiero.
<< Non resisterò ancora a lungo. Angie, mettetevi al riparo. Fra un po’ farò cadere la cupola e poi proverò a colpirli. >>
<< Con che forze? Ormai neanche ti reggi più in piedi! >>
<< Ora stai esagerando! >>
<< No, e lo sai benissimo! >>
Il silenzio successivo fu la conferma dell’inevitabile. Solo un miracolo avrebbe potuto salvare il destino del ragazzo, ma era abbastanza difficile che Dio, sempre se ci fosse stato, lo avrebbe aiutato dopo tutto il sangue che aveva versato. Angie pensò in quel momento a tutto quello che le aveva raccontato. Di quel bastone, di tutte le missioni che lei non aveva visto. Il suo cervello si soffermò su un piccolo ricordo.
Era lui, che le raccontava uno strano aneddoto. A quanto pare, fare sesso con lei aveva dato energia al bastone per modificare la propria struttura chimica, facendolo diventare quello che ora vedeva.
Un lampo di genio passò nella testa della ragazza. Non potevano certo farlo adesso, ma qualcosa poteva ancora salvarlo.
<< Marco... >> disse lei, titubante fuori ma sicura dentro. Sicura che avrebbe salvato il suo ragazzo.
<< Ti ho detto di scappare! >> le urlò in faccia disperato, ma lei di tutta risposta lo baciò appassionatamente, come aveva già fatto altre volte in altre occasioni.
In un qualche arcano modo, il bastone assorbì l’energia del suo gesto e rafforzò la barriera ancora più di quanto fosse stata prima. Soddisfatta del proprio lavoro, la ragazza lasciò le labbra del ragazzo e guardò i droni.
<< Da quando i proiettili rimbalzano contro la calotta? >> chiese sarcastica e indicando le due “piovre”. Marco si voltò in tempo per vederle mentre valutavano nel loro processore interno come uscire da quella situazione.
La loro scelta fu quella di smettere di sparare ed aspettare la caduta di quel muro invalicabile. Due minuti dopo, un unico suono diverso dalle loro voci ruppe il religioso silenzio della cupola protettiva. Un sonoro ma calmo rombo di motore, proveniente dal cofano della jeep.
<< Oh, grazie a Dio! >> si sfogò Don.
<< Chiamami pure Boulevard. >> disse la donna strisciando fuori da sotto la macchina e balzando al volante. << Io sono pronta a partire! >> aggiunse rivolta a Marco.
Lentamente il ragazzo si spostò verso un punto protetto dove ripararsi, mentre la ragazza aspettava solo il momento per partire sgasando.
Angelique corse verso l’amica per salire anche lei, ma fu fermata da Marco.
<< Dove pensi di andare?! >> chiese lui.
<< Assieme a lei! Non penserai di lasciarla da sola, vero? >> rispose lei.
Marco sembrava paralizzato mentre prendeva una decisione. Alla fine le lasciò il braccio, vinto più dal sorriso della propria ragazza che dai ragionamenti della propria mente. Lei corse, balzò al posto del passeggero e caricò le due pistole. << Non preoccuparti! Tornerò tutta intera! >>
Marco attese altri dieci secondi prima di far cadere la cupola. I droni ripresero a sparare, mentre le ragazze partivano verso un punto indeterminato della recinzione. Marco le vide sparire dietro la collinetta.
Poi il disastro cominciò. Uno dei droni fece per inseguire le due, ma si bloccò di colpo, per poi tornare a sparare al gruppo. Marco vide la scena e si morse il labbro.
<< Non vi segue! >> disse Marco alla ricetrasmittente segreta che avevano fra i due.
<< Me ne sono accorta! Merda, come facciamo adesso? >> rispose lei.
<< Voi continuate la missione, noi faremo da diversivo. Non è meglio di quello che avevamo pensato? >>
<< Certo, se non ci attaccano prima! >>
<< Potrebbe esserci un altro drone pronto a colpirvi, stai attenta. >> riuscì appena a finire la frase che uno sparo colpì in modo talmente violento l’angolo dietro il quale era nascosto che lui sobbalzò e perse il controllo della trasmittente, che cadde poco più lontano.
Marco imprecò tra i denti e impiegò una decina di minuti per recuperare l’apparecchio. Quando lo prese, fece appena in tempo per sentire la fine della frase di Boulevard. << ... non ci sono possibilità di riuscita. >>
<< Riuscita in cosa? >> chiese Marco.
<< Emh, niente, stavamo valutando come muoverci. >> rispose frettolosa la sua ragazza.
<< Sì, e io sto passando un ottimo periodo di vacanze! Sii sincera. >>
Un attimo, che per entrambi durò un secolo, passò silenziosamente prima che lei parlasse.
<< Marco. >> iniziò lei << Ci sono momenti in cui pensi alla vita e ti chiedi: “se dovessi morire domani, potrei dire di aver vissuto veramente? Quale sarebbe il mio ultimo rimpianto? Di cosa potrei andare fiero?”. Sai, c’è un mito degli antichi egizi che dice che i faraoni venivano accolti nell’aldilà da Osiride, il quale strappava loro il cuore e lo metteva su una bilancia a due braccia. Sull’altra metteva una piuma, e se il cuore era appesantito dagli errori che avevi commesso, veniva dato in pasto ad un mostro. Marco, io ho commesso un’infinità di errori, ma sono certa che se un giorno mi ritroverò faccia a faccia con Osiride, gli rinfaccerò orgogliosamente tutti i miei errori, e fidati che mi strapperò da sola quel cazzo di cuore. >>
<< Okay, e questo cosa mi sta a significare? >>
<< Devi farmi una promessa. Promettimi che la vita continuerà, promettimi che tutto andrà come se oggi non fosse mai esistito. Promettimelo, okay? >>
<< Ma che diavolo... >>
<< Tu promettilo e basta! >>
<< Te lo prometto! >> disse lui << Ora mi spieghi che cazzo significa? >>
<< Sai qual è la cosa più terribile? >> chiese lei, disinteressandosi completamente di rispondergli << Che la nostra storia è iniziata con una bugia ed è finita con una bugia. Dio, non voglio che succeda questo, Marco. Lascia che le mie ultime parole non siano false, non siano bugiarde, non siano menzogne. Voglio che le mie ultime parole siano la più pura verità della mia anima. E mi dispiace, per tutte le cazzate che ti ho raccontato, mi dispiace per averti mentito così. >>
La ragazza fece un forte respiro mentre Jeshi additò un punto nel cielo. << Marco >> sussurrò la ragazza. << Marco >> gridò allarmata Jeshi, puntando il dito verso una piccola macchia grigia che correva nel cielo. Ma il ragazzo non la ascoltò. Aveva orecchie solo per la sua Angie.
<< Ti amo! >> disse lei. Poi il suono di un enorme esplosione. Poi il silenzio.
E’ buffo come funzioni il corpo umano. In particolare il nostro cuore. E’ in grado di passare da momenti di velocità inaudita, pompando adrenalina in tutto il corpo, a momenti in cui quasi non batte neanche. Tutti, e dico tutti, abbiamo almeno una volta provato queste sensazioni. Ma in pochi possono vantare questo privilegio, se tale si può considerare, di essere passati istantaneamente da una all’altra.
Marco era uno di quelli. La paura, la benzina più potente per la macchina umana, lo aveva attanagliato durante tutta la conversazione con la ragazza, arrivando al massimo del climax con quelle due parole, che ora, col senno di poi, erano dei pugnali, delle spade nel debole cuore di Marco. Quando il suo cervello aveva connesso quello che era successo, l’istinto lo aveva portato ad esporsi per vedere la scena. I droni non lo colpirono, anzi, sembrava che facessero di tutto perché lui potesse ben vedere quello che era successo.
Solo ora, nella sua testa, davanti alla nuvola di fumo densissimo che si levava laggiù, si mettevano a posto tutti i pezzi del puzzle. Le parole di Angie, un addio che non avrebbe potuto riascoltare. Quei piccoli istanti di silenzio, gli istanti in cui la sua ragazza era sull’orlo di piangere. Quella macchia argentea nel cielo, un missile, presumibilmente ad inseguimento termico.
Fu lì che i battiti di Marco crollarono letteralmente. Senza più abbastanza sangue, il ragazzo cadde sulle ginocchia. Piano piano, tutti i rumori sparirono, sia gli spari, sia la ricetrasmittente che gli comunicava che gli altri erano andati in ritirata. Solo quelle parole e il suono successivo risuonavano nella mente del ragazzo.
La sua faccia era più marmorea di una statua greca, e portava le stesse emozioni. Malinconia. Tristezza. Dolore. Per qualcuno che ha perso qualcosa di più importante della guerra. Più importante della patria. Più importante della vita. Nemmeno i grandi maestri della tragedia greca, Eschilo, Sofocle e Euripide, sarebbero stati in grado di spigare con i loro versi quello che provava il cuore di Marco.
I droni non lo consideravano, impegnati a sparare agli altri. La prima che non resse la situazione fu Lauren, che di istinto scappò verso l’uscita e la libertà. Incredibilmente, né le guardie né il loro drone mirarono alla ragazza, e fecero la stessa cosa con Shawn, il quale istintivamente era corso dietro a lei per proteggerla.
<< Ci lasciano fuggire! >> gridò Maximilian alla ricetrasmittente, mentre il resto della squadra si apprestava a tornare all’Explosion 711. Erano ormai rimasti solo Jeshi e Marco, il ragazzo ancora in preda allo shock. I droni avevano smesso di sparare, e ora li osservavano, o così sembrava, dai loro vitrei occhi bionici.
Poi, come delle colombe quando arriva il falco, scapparono non appena il jet atterrò vicino ai due ragazzi. Più e più volte la giapponese lo scossò per farlo alzare, ma alla fine furono costretti a portarlo sull’aereo di peso, senza che lui avesse mai scostato lo sguardo dalla scena.
Explosion 711
Bonesbreaker aveva fatto atterrare il jet poco lontano da Reykjavik. Era quella l’unica cosa che aveva capito Marco. Non ricordava molto, aveva un buco riguardo quello che era successo dopo, beh, l’esplosione. Quando il suo cervello riuscì a riattivarsi vide quello che a prima vista sembrava un quadro.
Da destra a sinistra, il Caos pittore aveva messo tutte le emozioni legate alla tristezza. La rabbia di Donald, che a forza di calci e pugni aveva deformato la porta del minifrigo; la rassegnazione di Maximilian, che sorseggiava con la testa china una tazza di caffè ormai fredda; il negazionismo continuo di Alfred, che controllava con una piccola telecamera se, per puro caso, qualcuno si fosse salvato dal missile; il dolore più puro di Lauren, che piangeva come un fiume in piena; la frustrazione di Shawn, che la teneva abbracciata con forza; lo sconforto di Igor, forse una delle uniche emozioni che aveva mai provato; e infine la mortificazione di Jeshi, che era rimasta al fianco del ragazzo, con una tazza di tè e una mano sulla sua spalla.
E Marco conosceva tutte quelle emozioni, solo che ne portava una in più. Forse anche gli altri la provavano, ma lui era sicuramente quello che la sentiva più sua. Era il senso di colpa. Quel verme intestino che ti porta a sentire colpevole di qualsiasi cosa.
<< Se solo avessi insistito... >> sussurrò lui.
<< Sarebbe successo lo stesso. Anzi, probabilmente, saresti morto anche tu. >> disse cercando di rassicurarlo Jeshi.
<< Forse sarebbe stato meglio. >> disse lui alzandosi, senza evitare però di lasciare uno sguardo pieno di dolore alla ragazza. Dolore, ma anche rabbia. Una vendetta intestina che cresceva sempre di più nel suo corpo.
Dopo qualche ora, quando le emozioni scemarono e la ragione riprese il sopravvento, qualcuno propose di fare una veglia funebre per le due ragazze.
Fu scelto Don per fare il discorso funebre. L’uomo si avvicinò al centro del semicerchio formato dalla S.O.S., fra i due monitor che riportavano due foto delle ragazze.
<< Oggi siamo qui, perché quello che abbiamo combattuto fino ad ora ha vinto. Oggi siamo qui per ricordare... >> si interruppe. Le emozioni gli fermarono la gola. Riuscì a scioglierla solo quando Maximilian, in piedi dietro di lui, gli appoggiò una mano sulla spalla e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Poi tornò al suo posto, solo un passo più avanti rispetto a prima, più vicino al suo amico.
<< Oggi siamo qui per ricordare Angelique e Anastacia, meglio conosciuta come Boulevard, che hanno sacrificato la loro vita al servizio del mondo intero. Due ragazze che non hanno mai avuto paura del rischio che stavano correndo, anche quando quel rischio è costato loro la vita. Di Angie, la storia la sapete tutti. Da piccola ha visto morire la propria madre uccisa dal padre, e nemmeno il tempo di piangerla che è dovuta diventare una spia per quello stesso mostro che le aveva portato sofferenza. E nonostante ciò ha continuato finché non ha avuto l’occasione per vendicarsi. Ha rischiato la sua vita per uccidere suo padre, e poi non contenta è tornata per proteggere l’unico uomo della sua vita. Nessuno glielo aveva mai chiesto, ma lei lo voleva, e quando voleva una cosa nessuno poteva fermarla. Per quanto riguarda Anastacia, tutti sappiamo quello che è successo quando era una terrorista. >> si fermò un attimo, solo per sentire dietro di sé il suo migliore amico che lo invogliava ad proseguire. << Voglio raccontarvi di una cosa che fino ad ora conoscevamo solo in quattro, io, Max e, beh, loro due. Voglio raccontarvi del momento più buio della sua vita. Quello in cui decise che avrebbe affrontato il governo russo e i suoi piani. Il girono in cui il governo venne a prendere suo fratello, ritenendolo idoneo per una serie di esperimenti volti a renderlo più forte di un uomo normale. Gli cancellarono la memoria e lo trasformarono in un mostro, con il cattivo gusto di cambiargli nome, ma non il cognome, e di farlo apparire su tutte le televisioni locali. Fu allora che lei si unì alla Human Gene decisa ad affrontare questa organizzazione. Voglio essere onesto con voi. Ci sono già stati troppi segreti e troppi giri di parole. >>
Altra pausa per prendere forza, mentre dietro il generale annuiva leggermente.
<< Lei si impegnò ad acquistare la fiducia del capo della Human Gene, Headchief, fino a convincerlo a compiere una delle pazzie più grandi del mondo. Introdursi con solo tre agenti in una base governativa. Mi disse, orgogliosa, che quella volta prima di iniziare la missione, Headchief le chiese se fosse stata pronta. Lei gli rispose: “Vero come è vero che il mio nome è Anastacia Romanoff, io salverò mio fratello Anton”. Per la cronaca, visto che il progetto era chiamato Progetto Iridis, nominarono la prima cavia in modo che le iniziali furono le stesse del progetto. Igor. Igor Romanoff. >>
Un’altra pausa, questa volta per controllare le reazioni del gigante russo. Nessuna, come si aspettava.
<< Angelique Stess e Anastacia Romanoff. Due ragazze che sono senza dubbio le migliori di tutti noi, in quanto hanno avuto coraggio che noi mai potremmo neanche pensare di possedere. Esperte combattenti, intelligenti e capaci. Indubbiamente, le migliori della classe. >>
Detto ciò, ringraziò tutti per averlo ascoltato e lasciò l’ipotetico centro del palco. Subito, come due ondate, i presenti si divisero verso i due più colpiti da quei avvenimenti. Si erano strategicamente posti ai due estremi dell’aereo. Dopo ore passate a fingere di ascoltare i discorsi rassicuranti o pacificanti dei loro amici, e quando Maximilian consigliò a tutti di andare a dormire per poter tornare a combattere il giorno dopo in nome delle ragazze, i due si avvicinarono, finalmente liberi dalla propria finta tristezza.
<< Pensi quello che penso io. >> disse Igor.
<< Probabilmente sì >> disse Marco.
<< Non era una domanda. Era un’affermazione >> aggiunse crudo il russo.
I due si guardarono, come se avessero sempre saputo come sarebbe finita.
<< Sai, durante lo scontro ho scoperto che se provo emozioni forti, in un qualche modo aumento il mio potere. >> disse il ragazzo.
<< A me non servono le emozioni, ma mi aiutano. >> ribatté l’altro.
<< E quale provi adesso? >> disse Marco, ben sapendo la risposta.
<< Vendetta! >> rispose Igor.
Marco lo guardò, e in quello scambio di sguardi entrambi furono sicuri di come sarebbe finita quella guerra. O lui o loro. Nessuno li avrebbe più fermati. Marco chinò la testa e sorrise rabbioso, poi disse una semplice frase, che diede inizio all’inferno.
<< Allora, andiamo a vendicarci! >>

NOTE E CITAZIONI:
[*] Il Taijitu è in sostanza il simbolo dello Yin e dello Yang.

 

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Capitolo 11
*** Ultimi della lista ***


CAPITOLO 10- Ultimi della lista
Explosion 711
Marco aspettò che il jet sorvolasse nuovamente la zona, mentre tutti dormivano, per compiere la sua vendetta. Igor, che lo seguiva a pochi passi, controllava che nessuno si svegliasse. Jeshi si trovava  in quel momento davanti al minifrigo, come ogni volta in cui era triste, ma questa volta era stata vinta dal sonno e non creava nessun problema per i due. << Credi di riuscirci? >> disse il giovane al russo.
Senza rispondere, l’uomo iniziò ad aprire il blocco del portellone principale dell’aereo, distruggendo a mani nude i meccanismi di metallo. Marco ne approfittò per spostare, con la forza dell’aria, Jeshi fino alla sua camera da letto senza fare  rumore. Quando entrambi ebbero finito, si prepararono a sfondare il portellone e a partire. << Ricorda, appallottolati subito dopo aver ripreso il controllo del tuo corpo >> disse il più giovane. << Okay. >> rispose Igor.
In quel momento però arrivò Don, il quale fissò senza un minimo di stupore i due, per poi abbassare lo sguardo ridacchiando. << Avete intenzione di vendicarvi? >> chiese, assurdamente tranquillo.
<< Sì, e non pensare neanche minimamente di poterci fermare, cazzo! >> disse il ragazzo. Lo sguardo del colonnello si posò distaccatamente su entrambi, poi disse: << Voi due, ho visto i filmati, eravate fra quelli che hanno rubato i file su me e Lauren, giusto? >>
<< Se hai visto i filmati è ovvio che ne sei a conoscenza >> disse Igor.
<< E quindi penso sappiate di mia moglie, giusto? >>
I due annuirono. << Sappiamo anche che i suoi file sono oscurati o bruciati. >> aggiunse Marco << Oh, giusto, non ci serve a niente! >>
<< Era lì >> disse triste il militare.
<< Cosa mi starebbe a significare?! Stiamo giocando agli indovinelli, Don?! Perché non sono in vena, quindi smettila! >> gli gridò contro il ragazzo.
<< Pentagono. Quel giorno. >> disse l’uomo rimarcando il “quel”.
Igor sobbalzò leggermente, mentre Marco rimase stranamente tranquillo. << Wow. Deduco che non fosse né il 10 né il 12 Settembre >>
<< Bingo! >> disse con un sorriso amaro il colonnello.
<< Ma ancora mi sfugge il punto. >> disse Marco.
<< Quale? >>
<< Cosa c’entra? >>
Don si avvicinò ad una sedia e si sedette. << Vedi, prima che accadesse, era lei quella che aveva il più alto grado nell’esercito. Generale Smith lei, poliziotto semplice io. Avevamo due figlie, quel giorno erano andate da lei per la giornata madre-figlia. Inutile dire che quella “giornata” dura da un po’ troppo per me... >> Don abbassò leggermente la testa per nascondere gli occhi lucidi, poi ricominciò << Quando mi diedero la notizia, fu un colpo per me, ma a differenza di altri che si piangono addosso, io mi infuriai. Ne uccisi il più possibile, prima tutti terroristi, poi quelli che erano sospettati di esserlo, poi... beh, poi tutti gli islamici. Avevo intrapreso una crociata senza giustizia, solo io e loro. E fidati, ucciderli mi piaceva, perché ogni anima che strappavo loro, mi sentivo più vicino alla mia famiglia. Quando cominciai a vederle assistere ai miei omicidi, però, ritenni di poter essere diventato pazzo, ma me ne fregai altamente. Sapete come mi sono fermato?! Ovviamente no, quindi ve lo spiegherò. Incontrai l’allora tenente Thomson, che mi fermò e catalizzò la mia rabbia nel lavoro. Fummo arruolati nell’accademia della ARMED, poi io tornai al mio lavoro di poliziotto. Da lì i fascicoli ripartono, quindi non devo spiegarvi niente. Penso che abbiate intuito però la morale della storia. >>
<< Che non dobbiamo vendicarci? >> chiese Marco. Don rise in una maniera terrificante, poi li guardò: << Io accettai di fermarmi quando capì che stavo uccidendo degli innocenti, ma fino a quando uccidevo dei terroristi, oh no, lì non mi sarei mai fermato. Ho accettato questo ruolo perché sono stanco di questi insulsi pezzi di merda che pensano di essere Dio, quindi ho deciso di fargli incontrare quello vero. In conclusione, non sto provando a fermarvi, tutt’altro... >> mentre diceva questo si avvicinò alla postazione di comando. << Vi sto aiutando! >> detto ciò entrò, aprì il portellone esterno e tornò da loro. La mancanza di pressione aveva creato, come si aspettava Marco, un enorme flusso di aria che li assorbì fuori. Maximilian, che in quel momento era arrivato lì, poté solo vedere i due che uscivano come proiettili dall’aereo, e Don, con un sorriso maligno sul volto.
<< Perché l’hai fatto! >> gridò il generale rabbioso.
<< Anche loro meritano vendetta! >> rispose lui, faccia a faccia con l’amico.
Industrie “New World Technology Inc.”, Islanda
Marco e Igor erano due proiettili verticali che si avvicinavano pericolosamente al terreno. Quando furono abbastanza vicini, Marco fermò lui e il compagno, poi si rialzò e fissò ad uno ad uno i soldati, stupiti dalla loro entrata in scena. << Marco mi senti! >> disse la voce di Alfred al loro auricolare.
<< Mi stai rovinando il momento! >> sussurrò tra i denti il ragazzo.
<< Solo perché potrebbe servirti: stiamo arrivando, dieci minuti e faremo da supporto a qualsiasi cosa vogliate fare. E se vuoi chiamare quello stronzo, il suo vero nome è Guillermo Rodriguez! >>
<< Mh, mi serviva proprio! >> disse Marco, poi puntò il suo bordone contro la maschera bianca e nera che svettava sul palo, e con un enorme spuntone di roccia evocato dal terreno la distrusse. Poi gridò con tutta la forza che aveva in corpo: << Guillermooo! So chi sei, vieni fuori se hai coraggio! >>
In tutta risposta i tre droni uscirono dalla fabbrica e i soldati iniziarono a crivellarli di colpi. Marco si limitò ad abbassare il bordone e a creare uno scudo di protezione compattando l’aria. Durò molto più di qualsiasi altro scudo da lui fatto, tanto da far finire le munizioni sia ai droni sia ai soldati. Appena comprese che non erano più in pericolo, Marco spezzò la cupola e guardò sprezzante gli uomini del Lord, terrorizzati da quanto aveva appena fatto il ragazzo, poi abbassò lo sguardo sul suo bordone. La gemma brillava di rosso fuoco e sentì nelle vene una forza mai vista. Prese il bordone e colpì violentemente il terreno con la punta.
Un’enorme cupola sferica di fuoco coprì i due membri della S.O.S., mentre i droni piano piano indietreggiavano. Marco, all’interno della cupola, ebbe un flash di Angie. Ricordò come si era sacrificata, e come lui aveva fallito. Deciso a vendicarla, proseguì con una delle cose più mortali che avesse mai fatto. Alzò con violenza il bordone, e così facendo la cupola di fuoco si espanse a dismisura, bruciando, incenerendo, polverizzando tutto ciò che trovava nel suo cammino. Quando si ritenne soddisfatto, il ragazzo fece svanire il fuoco. Quello che vide al posto della distesa di ghiaccio fu una landa desolata di fango secco, su cui posavano leggeri cumuli di polvere, forse alberi, recinzioni o uomini investiti dal colpo.
Senza che potesse riprendere il fiato, notò che un nuovo gruppo di soldati, una dozzina, stava uscendo dal palazzo di Guillermo, per metà integro e per metà svanito nel vento. Marco era troppo stanco in quel momento per colpirli tutti, ma non se ne preoccupò.
Quella era una vendetta di coppia.
Infatti Igor, appena visto il gruppo di persone, le aggredì violentemente prima che potessero reagire. Prese per la gola i primi due di loro, mentre gli altri provavano a trovare una qualche arma funzionante, e li sollevò talmente in alto che sarebbero soffocati, sennonché a causa della sua immensa forza e dell’indomita rabbia, strinse talmente tanto la presa da far esplodere la giugulare ad entrambi. Rosso di sangue e rabbia, si avvicinò ad un altro di loro e lo colpì con un pugno allo sterno che lo trapassò e arrivò fino al cuore, che strappò fiero dalla sua naturale posizione. A quel puntò uno dei paramilitari prese il proprio fucile e sparò l’unico colpo che aveva.
La sua sfortuna fu che né lo colpì in pieno né lo mancò, ma lo strisciò, facendo provare al gigante un dolore che invece di frenarlo lo stimolava. Si avventò subito sul cecchino mancato e lo gettò a terra con una spallata, poi passò a calciargli e pestargli l’addome finché non gli esplose la milza e, mentre il malcapitato diventava livido e moriva, gli prese il fucile. Che avesse o meno colpi non importava più di tanto al russo, infatti usava l’arma come mazza da baseball, spaccando due o tre teste a furia di bastonate. Arrivato alla settima testa, il fucile si ruppe poco dopo aver compiuto il proprio lavoro, facendo schizzare brandelli di cervello sul suo corpo. Rimasto allora solo un paramilitare Igor gli si avvicinò minaccioso. << Senti, io non ho fatto niente, neanche volevo lavorarci qui. Ti prego, risparmiami! >>
Igor lo fissò intensamente per cinque lunghissimi secondi di terrore, poi si avvicinò, gli appoggiò le mani sulle spalle e lo abbracciò, poi prese la testa fra le enormi mani e ne baciò la fronte. Impietrito da tutto ciò, il soldatino ebbe solo il coraggio di chiedere: << Mi stai risparmiando? >>
Igor sorrise, e l’altro si mise timidamente a ridere. Il russo allora rise ancora più forte, non malvagiamente ma in maniera rilassante. I due finirono a ridere a crepapelle, sebbene la testa dell’ometto fosse salda in quelle mani. Mentre rideva, Igor disse: << Het! >> e poi si rimise a ridere più forte.
Le risate dell’altro iniziarono leggermente a scemare, mentre chiedeva: << Co...cosa significa? >>
Igor lo fissò sorridente: << No! >>. Detto ciò, afferrò la testa con forza e la ruotò innaturalmente di centottanta gradi attorno al collo. Inerme, il corpo cadde a terra.
Mentre Marco si avvicinava a Igor, l’Explosion atterrò dove prima c’era il cancello, facendo scendere dalla sua pancia il resto della S.O.S. armata fino al collo. << Tutto bene? >> chiese titubante Lauren osservando la desolazione che la circondava, mentre Shawn si avvicinò ai due. << Siete stati voi? >> chiese.
<< Sì, pensavi ad altri? >> rispose Marco.
<< No no, so cosa significa la vendetta. Voglio solo capire se siete ancora lucidi. >>
<< Io sono razionalissimo. >>
Shawn lo fissò, poi sbuffò e si allontanò. << Ora però >> aggiunse dando loro le spalle << lasciatevi aiutare. Avete certamente perso sorelle o amori in questa battaglia, ma noi abbiamo perso delle ottime amiche. Combattere al vostro fianco ora sarà un piacere! >>
Jeshi lo spintonò subito, incoccando una freccia e sparandola verso una delle aperture del palazzo. Il dardo volò verso un uomo mascherato, che agilmente lo deviò con uno scudo di energia. Poi, Lord WarFighter alzò un braccio e lo stese verso di loro. In quell’istante, i tre droni uscirono da altre tre aperture, attaccando direttamente la squadra. Marco alzò come se nulla fosse l’ennesimo scudo semisferico, mentre la squadra si preparava.
Lauren caricò il fucile da cecchino, mentre davanti i due ufficiali caricarono le loro pistole, con Maximilian che aveva un sigaro acceso in bocca, poiché stando a quanto diceva gli portava fortuna. Alfred caricò la sua nuova arma, una spara EMP da polso, mentre Jeshi caricò ancora l’arco e Shawn lasciava il controllo del suo corpo a Aracnus. Igor si aggiustava i guanti, mentre Marco roteava lentamente il bordone.
<< Qui si parla di guerra, generale. Come ci muoviamo? >> chiese il giovane a Bonesbreaker, ma lui rispose: << Io combatto con soldati e fucili, non con droni e magie. Quelle sono materie tue. >>
<< Okay... >> disse Marco << Allora. Appena farò calare le difese, Shawn dovrà attirare su di sé il fuoco mentre gli altri dovranno andare all’Explosion e da lì contrattaccare e tenerli impegnati. Tutti, tranne me. Io vado a prenderlo e a dirgliene quattro. >>
<< Vengo con te! >> esclamò Jeshi, e prima che lui potesse ribattere aggiunse: << Se ti avessi impedito di interagire con lei non l’avresti conosciuta, se non avessi sbagliato a gestire la missione in Cina e non mi fossi fatta rapire lei non ci avrebbe mai più rincontrato, e se io mi fossi offerta al suo posto sarebbe qui lei a parlare. In un certo senso, l’ho spinta io nella tomba. >>
Marco credeva troppo forzato quel discorso, ma acconsentì comunque che la ragazza lo seguisse. Prese un momento per concentrarsi e abbassò le difese. Come da copione, Shawn si scagliò su uno dei droni con un enorme balzo, mentre tutti gli altri focalizzarono tutte le loro munizioni a colpire i restanti mentre indietreggiavano. Jeshi, nel frattempo, seguiva velocemente Marco, il quale abbatteva rapidamente qualsiasi ostacolo gli si parasse davanti. Arrivati alla parete distrutta, sfruttò il controllo dell’aria per far proseguire la loro corsa nel cielo, giungendo fino all’apertura da cui poco prima si era dileguato il Lord.
Proseguirono avanti per due stanze, finché non si ritrovarono davanti ad un’enorme porta blindata.
<< Come passiamo? >> chiese la ragazza, ma neanche il tempo di rispondere che Marco fece esplodere le tubature attorno alla porta, aprendo una breccia nel muro e svuotando qualche centinaio di litri d’acqua all’interno. L’acqua ristagnava nella stanza circolare, buia e senza finestre, al centro della quale svettava un trono posto su un alto piedistallo dotato di gradini. Le pareti erano lisce, e sostituite da schermi più o meno per tutto il semicerchio davanti al trono. Solo dopo aver fatto un passo dentro, Jeshi si accorse che la porta stessa era circondata da uno schermo. << Probabilmente non è qui! >> affermò lui dopo aver controllato un po’ attorno con lo sguardo. Nonostante ciò, però, restava in attesa di una qualche mossa, che ovviamente non si fece attendere: gli schermi improvvisamente si illuminarono e mostrarono quello che accadeva all’esterno. Doveva servire probabilmente a spaventarli, ma il momento non fu dei migliori, siccome le immagini mostravano che la S.O.S. era in netto vantaggio. Tempo di capire quello che stavano vedendo, e Shawn, attaccatosi ad uno dei droni, ne danneggiò i circuiti interni fino a farlo cadere. Jeshi si lasciò andare ad un breve momento di gioia, mentre Marco esordì: << Vedi?! Non siamo così pessimi come pensavi. Ora vediamo cosa sai fare tu! >>
Guillermo uscì dal suo nascondiglio dietro al trono e li fissò, per la prima volta senza maschera. << Non nego che mi aspettassi una migliore visuale, ma spaventarvi non è esattamente la funzione a cui sono predisposti. >> disse mentre avanzava con la testa calva e lo sguardo nero penetrante, coronato da occhiaie, verso di loro, poi batté le mani e immediatamente le immagini cambiarono, raffiguravano ora quello che era successo poche ore prima, ma da una visuale molto più vicina. Mostrava esattamente come le due agenti erano state uccise nell’esplosione, con alti dettagli sulla nube di fumo nero che si alzava. Continuando ad avanzare, Lord WarFighter aggiunse: << Destabilizzarvi. Questo era il mio obiettivo. La paura muove le persone, le costringe a fare cose al di là delle proprie capacità, la destabilizzazione le blocca. Non sai quanti uomini valorosi abbiano perso perché erano destabilizzati. >>
Jeshi, provò a colpirlo con una freccia, ma lui attivò il suo scudo di energia e deviò il colpo. << Non ti hanno mai insegnato a lasciar parlare gli adulti, ragazzina? Stavamo dicendo... ah, già, destabilizzare, credo che sia la migliore arma che abbia un uomo per sopravvivere, e io non mi pongo certo limiti nell’utilizzarla. << Ancora una parola e giuro che ti ammazzo! >> ringhiò Marco furente.
<< Davvero? E come pensi  di fare? >>
<< Ti prenderò a calci e pugni finché non cadrai esanime, e se alzerai il tuo scudo, lo sfonderò con le mie stesse mani, anche a costo di rimetterci la vita! Sono venuto qui per vendicarla, e me ne andrò o morto o con la tua testa! >> urlò il ragazzo.
<< Dimostralo! >> lo sfidò l’omicida.
Senza pensarci due volte, Marco si scagliò su di lui con il suo bordone, mentre Jeshi lo seguiva a ruota. Grazie all’impeto, il ragazzo riuscì ad assestare un potente colpo alla pancia dell’uomo, mentre la giapponese gli assestò un non debole pugno sulla fronte. Preso alla sprovvista, l’uomo indietreggiò, solo per contrattaccare, mostrandosi molto abile anche lui nel combattimento corpo a corpo. Pugni, calci, falciate, parate: tutto quello che poteva colpire e fare male veniva usato in quella crudele battaglia.
Marco e Jeshi provavano ogni tanto sferrare qualche colpo dalla distanza, con frecce o palle di fuoco, ma puntualmente lui attivava il suo scudo. << Jeshi, cosa noti? >> chiese Marco mentre proseguivano l’attacco.
<< Si difende con lo scudo solo contro colpi mortali. >> rispose lei << Può significare che abbia una batteria, quindi propongo di fargliela scaricare. Inoltre lo attiva con un pulsante sulla cintura, possiamo puntare a impedirgli di attivarlo! >>
Valutando la situazione, Marco puntò alla seconda opzione. Passò al contrattacco in una frazione di secondi, menando colpi a destra e a manca con in suo bordone. Ad un certo punto però, lasciò aperto uno spiraglio per una scarica di pugni, che lo fecero trasalire e cadere a terra. Vedendo quanto stava accadendo, Jeshi provò ad attaccarlo da dietro, ma fu colpita da un calcio all’ultimo e finì a terra dolorante.
Lord WarFighter si avvicinò a Marco e lo fissò dritto negli occhi. << Ma guardati! >> disse beffardo accucciandosi vicino al giovane, ancora a terra dolorante. << Un così grande talento, sprecato e buttato alle serpi. Tu hai un potere che in una qualsiasi altra epoca storica ti avrebbe fatto considerare un dio sceso in terra, e ti riduci a fare il leccapiedi dei militari? Che spreco inestimabile! Sarà un dispiacere immenso doverti uccidere, ma hai ancora una possibilità! Unisciti a me! A breve, avrò un esercito di questi droni, e potrai dominare il mondo. Potrai aiutarmi con i tuoi immensi poteri, o uccidermi e vendicarla e prendere il mio posto! Cosa decidi quindi, la morte... o il potere eterno? >>
<< Comunque hai commesso un grosso errore! >> bofonchiò il ragazzo.
<< E quale sarebbe, sentiamo? >> rispose beffardo lui.
<< Hai fatto il “monologo del cattivone” >> disse Jeshi, mentre provava a rialzarsi.
Il Lord rise a crepapelle. << E voi credete che sia un errore dirvi quello che penso prima di uccidervi? >>
<< Sì, perché una volta un saggio disse che lui non faceva i monologhi perché portano sfortuna >> disse Marco, poi aggiunse << Perché ti fanno credere di avere tutto sotto controllo, di aver vinto, di dover solo formalizzare la disfatta nemica. Perché si fanno pesanti errori di valutazione e si finisce nelle trappole! >>
<< Tipo?! >> chiese sprezzante Guigliermo.
<< Tipo il fatto che Jeshi ti sta puntando una freccia da dieci minuti! >> disse il ragazzo sorridendo. Per istinto, il Lord si voltò e fece per attivare lo scudo. Ma Jeshi non aveva incoccata nessuna freccia, e non certo sperava che il loro acerrimo nemico attivasse lo scudo, cosa che invece era fondamentale per il piano di Marco. Con un rapido gesto fulmineo che gli aveva insegnato Angie, afferrò il  braccio con cui Lord WarFighter attivava lo scudo e, con un’abile mossa, lo distese e immobilizzò, costringendo l’uomo ad inginocchiarsi. Senza neanche aspettare il segnale, Jeshi, capito il piano del ragazzo, prese il suo bordone da terra e lo usò per colpire il braccio dell’uomo all’altezza del gomito.
Combinando i loro sentimenti di rabbia, il bordone modificò nuovamente forma ed assunse le sembianze di un misto fra una spada e un bastone, con cui la ragazza tagliò di netto l’avambraccio immobilizzato.
Fra le grida di dolore e i fiotti di sangue che uscivano, Guillermo riuscì a fuggire alla presa dei due e a gettarsi in un angolo della stanza, dove attivò lo scudo di energia.
<< Mi dispiace, ma è finita qui! >> disse Marco, afferrando al volo il nuovo bordone. Poté con piacere notare come adesso fosse più adatto al combattimento ravvicinato, e come la precedente gemma fosse ora alla congiunzione fra la lama del bordone e il resto del corpo. Ricordava, sebbene fosse lunga un terzo, la lancia di Jeshi, ma con una punta molto più lunga e simile ad una sciabola.
Dopo questo istante di esitazione, Marco tornò al suo acerrimo nemico. << Arrenditi, e ti promettiamo un regolare processo! >> aggiunse a quanto aveva già detto.
Lord WarFighter rise. La lugubre risata sembrava risuonare in tutte le stanze, mentre ciò accadeva, le immagini sugli schermi cambiarono di nuovo, e mostrarono un gruppo paramilitare, portante bandiera americana, entrare nel complesso. << Abbiamo chiamato rinforzi? >> chiese sottovoce alla ragazza. Lei si limitò a guardarlo stranita, poi gli comunicò che sarebbe uscita a chiedere cosa stesse succedendo al resto della squadra. Marco rimase solo, con la risata di quel folle, che si rese ancora più udibile dopo che ebbe abbassato lo scudo.
<< Credi che sia uno stupido sprovveduto? Certo, non mi aspettavo di perderci un braccio, ma sarà tutto molto meglio! >> disse l’uomo sorridendo nonostante il dolore.
<< Molto meglio cosa? >> chiese Marco.
<< La mia interpretazione! La scenetta che ho preparato! >>
<< Quale scenetta? >>
<< Vedi, il mondo, grazie a voi, conosce il malvagio Lord WarFighter, ma purtroppo per voi, il vostro governo conosce il buono e soprattutto ricco Mr. Rodriguez, con cui ha intrattenuto rapporti al fine di ottenere un sistema di difesa avanzato che risponda ai comandi del Presidente. Purtroppo, quando proposi la mia idea di difesa mondiale, i generali erano diffidenti, ma qualche folle disse che se qualsiasi altra proposta fosse fallita avrebbero accettato la mia. Così, ho fatto in modo che fosse proposto di trasformare la ARMED in una fucina di soldati anormali per proteggere il mondo, e tu sai quanto possa piacere ad un americano se rendi reali dei supereroi. A quel punto, muovendo i fili nell’ombra, vi avrei fatto fare il doppio lavoro: da una parte, tanti piccoli fallimenti per farvi perdere credibilità, dall’altra, i lavori di pulizia di alleati che erano ormai diventati un peso. >>. A quelle parole Marco si morse il labbro. La S.O.S., nata per proteggere il mondo, in realtà stava contribuendone alla fine. << Ma la storia, mio caro, non finisce qui! Quando mi avete attaccato al porto mi avete preso leggermente alla sprovvista. Non sapevo cosa fare, e sapevo che voi burattini avevate scoperto chi era il burattinaio. Poi ho capito che tutto quello che dovevo fare era lasciarvi correre: mentre voi pensavate ad attaccarmi, io ho creato delle finte intercettazioni in cui si diceva che il vostro obiettivo era uccidermi per non avere rivali e poi sfruttare la vostra abilità per effettuare vari attentati in tutto il mondo e prenderne il controllo. La prova? Avevate intrattenuto relazioni con un gruppo di terroristi di fama mondiale, la prova si creava da sola. Dovevo solo far credere che i cattivi foste voi, e ci sono riuscito. Pestare e recidere il braccio di un povero aiutante della patria non è da bravi ragazzi. >>
Marco indietreggiò, consapevole di essere finito in una trappola. Nello stesso istante, la ricetrasmettente emise la voce preoccupata di Don: << Marco, mi ricevi?! >>
Deglutendo a fatica, Marco rispose: << Forte e chiaro! >>
<< Siamo nella merda! Ci sono due caccia sulle nostre tracce e una pattuglia di Roaring Commandos pronta ad ucciderti! Esci subito! >>
<< Jeshi?! Era uscita prima di me! L’avete recuperata? >>
<< Con un mezzo miracolo, ma sì. Ora però devi uscire, subito! >>
Marco afferrò il bordone e sfondò una parete che dava sull’esterno. Si sporse per osservare dove potessero essere i suoi compagni, poi un leggero venticello nella landa desolata tradì i motori dell’invisibile Explosion 711 pochi metri più in là.
Marco tornò dentro e si avvicinò al Lord. Lo prese per la colletta e lo fissò negli occhi beffardi di chi ha appena vinto, poi gli disse: << Non so quanto tu sia ricco, intelligente o potente, ma questa non è più una questione di salvare il mondo. È una lotta fra me e te, e fidati che la prossima volta che ci vedremo sarà la resa dei conti. >>
<< Dovresti farmi paura? >> chiese ridacchiando l’uomo.
Marco lo fece smettere sfasciandogli la mascella con un pugno prima di concludere: << Finché lei non sarà vendicata, finché tu non soffrirai le pene che ho sofferto io, non ci sarà esercito o governo o pianeta in cui tu ti possa rifugiare. E se per qualche motivo tu riuscirai a viaggiare nel tempo, ovunque andrai mi troverai ad aspettarti! Scoprirai che l’universo è davvero molto piccolo se sono arrabbiato con te [*]. >>
Finita la frase, un gruppo di paramilitari, Roaring Commandos stando alle informazioni di Don, irruppe nella stanza e puntò i fucili contro il ragazzo, che lasciò l’uomo e si allontanò con le mani alzate. << Fermo dove sei! >> urlò uno di loro, forse il caposquadra, mentre Marco continuava ad indietreggiare con le spalle verso l’apertura nella parete.
<< Getta quell’arma o sparo! >> minacciò il caposquadra, e vedendo che il ragazzo non ubbidiva a nessuno dei suoi ordini, iniziò a fare fuoco seguito da tutti i suoi compagni. Marco si parò con uno scudo aereo, poi indietreggiò quel tanto che bastava per buttarsi giù dal precipizio.
Atterrò attraverso una botola all’interno del jet, che ripartì come un fulmine verso la base. << Come stai? >> chiese Shawn all’amico, mentre lo informava di quello che era successo. << Distrutto, non riesco quasi più a camminare >> disse Marco, buttandosi a peso morto su una sedia. Chiuse gli occhi, ma non riusciva a dormire, sia per quello che era accaduto, sia per quanto la sedia fosse scomoda.
Stette così per tutto il viaggio.
Sede della ARMED, USA (Alloggi personali, stanza 7)
Marco si svegliò intorno alle 8. O meglio, si alzò dal letto e decise di non poter più fingere di dormire alle 8, perché nonostante il comodissimo letto della sua stanza, i suoi demoni lo tormentavano. Aveva fallito nella sua missione e ora il mondo era in pericolo per colpa sua.
Si mise a sedere sul letto, con la schiena appoggiata alla testata, e per forza dell’abitudine guardò alla sua destra. Il vuoto dove di solito dormiva Angelique lo fece trasalire, ma aveva passato tutta la notte in quello stato, quindi non si stupì più di tanto. Ma ne soffriva, ne soffriva moltissimo.
Si decise ad alzarsi e ad andare nell’ufficio di Don. Lì, tutti quanti erano riuniti nel silenzio più totale. Non appena il ragazzo varcò la porta, tutti lo fissarono, poi tornarono nel loro cupo silenzio.
<< E ora? >> disse Marco rompendo il silenzio. I due ufficiali non sapevano cosa rispondere, ma stando alle informazioni che ormai tutti sapevano, un gruppo dell’esercito stava venendo a prelevare loro due e Lauren per riqualificarli e per arrestare il resto della squadra. Marco vide lo sconforto negli occhi di Don e la rabbia in quelli di Max.
<< Dobbiamo escogitare un piano! >> disse Shawn.
<< Per cosa, per tornare là e fare la stessa fine? >> chiese Alfred.
<< No, almeno per ritardare la fine del mondo. >> rispose lui.
<< Ha ragione >> disse Lauren << Ma attualmente non possiamo fare nulla. >>
<< Già, ma ti ricordo che se ci arrestano, le nostre immunità governative cadono e tutti noi, tranne Marco, siamo affetti da una condanna a morte. >> continuò il giovane.
<< Sì, ma anche se scappiamo non servirà a niente. >> disse Marco << Abbiamo fallito! >>
A quelle parole Max scattò. << Ho già ammesso troppe volte di aver fallito e non lo farò anche oggi! >> disse battendo i pugni sul tavolo, poi si alzò e li fissò tutti.
<< Com’è che vi chiamate? >> chiese.
<< Marco, Lauren, Alf... >> iniziò Jeshi.
<< Intendo come gruppo! >> precisò lui.
<< S.O.S., Special Operative Squad. >> disse Don.
<< E allora comportatevi come tali! Siete una squadra, ragionate come tale. Siete degli operativi, preparate un piano. Siete speciali, porca puttana salvate il mondo anche se nessuno crede in voi! >>
<< Ha ragione! >> disse Marco << Dobbiamo trovare un modo per salvarci. Non riusciremo a fare molto, ma è sempre meglio di essere uccisi! >>
Il telefono di Don squillò. Dopo che ebbe risposto, chiese a Lauren di seguirlo e le illustrò dove avrebbe lavorato in seguito. Dopo poco il cellulare di Max fece lo stesso, ma lui non rispose. << Come avete intenzione di muovervi? >> chiese semplicemente.
Erano passate ore dall’incontro, e il piano era perfetto nei minimi dettagli. Don e Lauren non avevano avuto tempo di sentire il piano, perché ormai le truppe dell’esercito erano arrivate. Tre auto e due camionette erano parcheggiate poco fuori, e decine di soldati con i fucili puntati attendevano l’uscita delle squadra. Un generale a capo dell’operazione prese un megafono e gracchiò: << Al generale Thomson e al colonnello McRonald, siete pregati di ri*nchiudere tutti nelle celle di contenimento, eccezion fatta per la stagista Heart, e di uscire dall’edificio con i vostri averi personali >>
Dopo una mezzora i tre in questione uscirono, Don davanti a tutti. Guardava con estrema attenzione quello che gli stava accadendo attorno. A quel punto, il gruppo di soldati si avvicinò a loro e li scortò fino alle auto, per poi entrare e prelevare i prigionieri. Fu proprio in quel momento che il piano si attuò. Don aveva appena chiuso lo sportello della macchina di Lauren e si stava dirigendo verso la sua, ma all’improvviso il portellone circolare dell’hangar si aprì e uscì un elicottero nero che, appena gli fu possibile, corse via verso Nord. Maximilian si lasciò scappare un piccolo sorriso di orgoglio, che svanì subito quando vide che uno dei soldati aveva un lanciarazzi. Provò a gettarsi su di lui, ma il colpo andò a segno e l’elicottero esplose in mille pezzi metallici.
Don perse l’udito in quell’istante. Non riusciva a sentire l’elicottero che cadeva nella foresta e esplodeva di nuovo, non riusciva a sentire il battere sui finestrini dei pugni di Lauren, che in lacrime non smetteva di gridare “No!”. Non sentiva i soldati e il generale che puntavano il fucile sul suo vecchio amico. Non sentiva quest’ultimo che ammetteva la colpa di quel piano e si lasciava arrestare dallo stesso uomo col lanciarazzi, guardandolo come se lo avesse già conosciuto. Si sentì solo cadere sulle ginocchia, mentre il vento spazzava la radura davanti alla base. Qualcuno lo afferrò per un braccio e lo mise a forza sulla sua auto, che lo portò verso il suo nuovo impiego. Ma che senso aveva avere un nuovo impiego.
Avevano fallito. E nulla poteva salvarli. Erano morti, in un inferno di fuoco e acciaio. Don passò tutto il viaggio fino a Washington con la testa fra mani.
Di quello che era la Special Operative Squad non era rimasto che qualche brandello e un filo di fumo nero.

NOTE:
[*] Citazione di una frase detta dal 12° Dottore a Lady Me, in Face the Raven (episodio 9X10, Doctor Who)

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Capitolo 12
*** EPILOGO - Una via solitaria ***


EPILOGO- Una via solitaria
Casa Bianca, Washington, USA
Il presidente degli Stati Uniti chiamò la sua segretaria. Voleva andare ad una convention sull’ambiente, più per propaganda che per amore della Terra, e chiese di avere la propria scorta personale. Il colonnello Donald McRonald, capo della sicurezza alla Casa Bianca, non si fece attendere e entrò subito nello Studio Ovale. << Voleva, Signore? >>
<< Mi servirebbe la mia scorta, ma non tutta al completo, prenda solo gli elementi che più ritiene adatti! >>
<< Subito, Signore! >>
<< Ah, un’altra cosa. Il signor Rodriguez ha rinviato ancora la presentazione dei prototipi del progetto Pace Army, quindi dica pure ai suoi uomini che non dovranno lavorare questo sabato. >>
<< Riferirò! >> disse Don, poi uscì dalla stanza.
Erano passati sei mesi da quando la S.O.S. era ufficialmente morta e lui dava l’apparenza di aver superato la cosa. Ma sperava, sperava che quella presentazione, di cui ben conosceva gli esiti, non avvenisse mai. Era già stata rinviata molte volte, ma non riusciva mai a capire perché. Chiamò quindi l’unica persona che in quel momento poteva trovar quelle informazioni.
Smith and Jones Lawyers Office, New York, USA
L’avvocato John Smith aveva appena finito di parlare con uno dei suoi più importanti clienti e aveva dichiarato la pausa premio di un’ora. Ergo, tutti gli impiegati che lavoravano per lui avevano diritto a non lavorare per un’ora. Questa cosa piaceva sempre molto alla segretaria neoassunta Lauren Julie Heart. Era tornata a New York dopo molto tempo, ma la aveva lasciata come quanto era partita, caotica e stressante. La pausa premio era in assoluto il momento che preferiva. Proprio dopo che era iniziata la pausa, il cellulare le squillò. Vide il numero e rispose come se fosse in gioco la sua vita.
<< lo avete trovato? >> chiese lei a Don.
<< Cos... Ah, quella cosa! Beh... No... >> rispose lui prima spiazzato poi affranto.
<< Merda, Don! Sappiamo tutti e due che lui era in grado di sopravvivere ad un’esplosione del genere! >>
<< Supponiamo tutti e due così, ma non ne siamo certi. >>
Lauren provò a controbattere, ma siccome il suo mentore aveva ragione, si limitò a domandare perché avesse chiamato. << Volevo chiederti se fra i vostri clienti c’è Lord... Guillermo Rodriguez. >>
<< Sì, perché? >>
<< Riesci a scoprire quali problemi ha nella produzione dei droni? >>
<< Sì, posso provare! >>
Prima di mettere giù, Lauren chiese se avevano notizie di Maximilian. << So solo che è in isolamento nella prigione segreta, ma non so se sta bene o meno. >> rispose lui sconsolato, poi salutò la ragazza e concluse la chiamata. Nel frattempo, Lauren si era diretta verso un computer dell’azienda e stava cercando più informazioni possibili.
Prigione Segreta di Fort Dodge, USA (Cella di isolamento)
Una massa di capelli spettinati e una barba incolta inquadravano il viso stanco e incavato di quello che una volta era il generale Maximilian Thomson. L’uomo fu prelevato da altri due che lo portarono in una stanza per gli interrogatori, passando anche dall’ala femminile. Una delle prigioniere, una giovane di colore, lo fissò dall’inferriata e gli sputò addosso. Senza neanche pulirsi, Maximilian entrò nella stanza e si ritrovò di nuovo di fronte al suo aguzzino.
<< Signor Thomson >> disse l’uomo, poco più alto di lui, ma biondo e con un paio di occhiali da vista che gli davano un’aria da generale nazista.
<< Sempre stronzo Rupert! >> rispose Maximilian.
<< Peccato che lei non abbia ancora capito che sono qui solo per aiutarla! >> disse l’interrogatore alzandosi e voltandogli le spalle, poi continuò << Riteniamo che uno o due dei vostri uomini possano essere sopravvissuti all’esplosione. In più è sparito il JFK 486921 in sua dotazione. Può darci una spiegazione? >>
<< Ve l’ho già detto: l’Explosion è esploso a causa dei colpi presi e dubito che quei due siano resistiti. >>
<< E io le ho già detto che non le credo, quindi farebbe meglio a dirmi tutta la verità. >>
Maximilian stette in silenzio per altre due ore, poi fu torturato e se ne tornò nella sua cella. Ora era quella la sua routine, ma resisteva a denti stretti. Doveva rispettare il piano se voleva che funzionasse, ma iniziava ad esserne stanco. << Marco! >> bofonchiò fra sé e sé << Dove siete finiti! >>
Foresta vicino alla base della ARMED, USA.
Sei mesi prima
Come se avesse acqua nei polmoni, Shawn tossì e riprese a respirare affannosamente fra le macerie dell’elicottero in fiamme. << Cazzo! Non me l’aspettavo! >> disse ad alta voce.
“Sei virtualmente immortale e hai paura?” chiese l’immancabile Aracnus. “No, ero sicuro che non mi avresti ucciso!” rispose mentalmente lui. Il demone rise e rispose: “Male, non dovresti mai fidarti di un servo di Satana”.
I due risero, ma quello che sentì Alfred, sceso dall’Exlposion 711, reso invisibile dal suo congegno, fu solo la risata del giovane. Uno dopo l’altro scesero tutti quanti, ultimo Marco, che aveva partorito il piano della finta fuga in elicottero per proteggere la partenza del jet. << Ha funzionato? >> chiese Marco.
Shawn si alzò e indicò con ampi gesti il relitto dell’elicottero esploso, poi chiese ironico: << Tu dici? >>
Marco si lasciò scappare un sorriso, poi salì su un masso e si mise a parlare alla squadra: << Allora, ora sappiamo che Lord WarFighter vuole costruire un esercito di droni per attaccare e conquistare il mondo. Al di là della banalità del suo piano, ci ha battuto già due volte e la prossima sarà decisiva. In questo momento non siamo in grado di combatterlo, ma possiamo ostacolarlo. Stando a quello che ha scoperto Alfred, le fabbriche per la produzione dei droni sono in Messico, ed è lì che andremo. Attaccheremo gli stabilimenti, fermeremo la produzione, e quando saremo pronti, torneremo qui e lo attaccheremo. Saremo soli per molto tempo, braccati, osteggiati, affrontati. Ma se questa è l’unica strada per salvare il mondo, allora noi la prenderemo! >>
Un urlo di rabbia e voglia di vincere si levò dal gruppo. Salirono sul jet che partì a tutto gas alla volta di Città del Messico.
Industrie “New World Technology Inc.”, Islanda
Ora

Guillermo Rodriguez buttò all’aria l’ennesimo fascicolo sull’ennesimo attacco ad una sua fabbrica. Poi decise di andare alla zona delle celle, dove stavano i prigionieri. Prese la prima chiave e aprì la cella.
<< Ne abbiamo già parlato, lo sai? >> disse al prigioniero << Tu sei un elemento molto valido, e valutando che ti ho salvato la vita potresti darmi una mano a risolvere il mio problema. Ho questo gruppetto di teppistelli che continua a danneggiare le mie produzioni. Per l’amor di Dio, non ho fretta di comandare il mondo, ma sai a lungo andare è snervante. Ora, io ti prometto la libertà, ma tu mi dai una mano ad ucciderli, va bene? >>
La prigioniera si alzò, lo fissò da sotto i suoi capelli castani e disse semplicemente: << No! >>
Lord WarFighter la fissò con rabbia, ma ormai si era arreso. Le afferrò la faccia con una mano e la tenne per le guancie. << Ti ho salvata >> disse << perché avere un ostaggio è sempre utile, ma a volte penso che avrei dovuto lasciarti morire, signorina Stess! >>
Angelique colpì il suo braccio e gli fece perdere la presa sul proprio volto. Guillermo la fissò per un minuto buono, poi si alzò e se ne andò, sbattendo con violenza la porta della cella. Dalla piccola finestrina della prigione, Angie fece capolino con la testa e gli rivolse le sue ultime parole di quella discussione: << Comunque puoi chiamarli con il loro nome, quei “teppistelli”. Sappiamo tutti e due che sono la S.O.S.! >>
Il Lord si fermò. << La S.O.S... >> disse, con una nota di insicurezza << è morta, tanto tempo fa! >>
Poi se ne andò stizzito, per evitare di sentire le beffarde risate della ragazza, ma non appena chiuse la porta, riuscì a sentire solo l’ultimo urlo della ragazza.
<< La S.O.S. non morirà mai! Noi non moriremo mai! >>

Ringraziamenti
Prima dei ringraziamenti veri e propri devo parlarvi delle citazioni di queto capitolo, che apre e chiude con pezzi di canzoni. Il titolo è infatti la translitterazione della prima frase di "Boulevard of Broken Dreams" dei Green Day, mentre il finale è un omaggio a "Make Room!!!!" dei My Chemical Romance. Infine lo studio di avvocati dove lavora Lauren è lo Smith and Jones gestito da John Smith, nome in incognito del Dottore in Doctor Who, e Jessica Jones, personaggio della Marvel che ho apprezzato nella serie omonima su Netflix.
Ora passiamo ai ringraziamenti. In primo luogo ringrazio tutti voi che avete seguito la storia dall'inizio alla fine - anche tu che stai leggendo adesso - chi con più e chi con meno interesse, ma comunque tutti (spero) divertendosi e appassionandosi alla storia e ai personaggi. Una per tutti, ringrazio SapphireLynx, che mi recensisce da quando ancora si chiamava xX_Shadow_Xx, che ha sempre espresso il suo parere sulla mia storia e mi ha aiutato con le sue opinioni a migliorare la trama e le relazioni tra i personaggi. Infine ringrazio chi ancora non ha letto la storia e forse in futuro lo farà, e spero che possa apprezzare la storia come la apprezzo io quando la rileggo.
Sono, insomma, soddisfatto di quanto ho scritto, e spero che qualcosa vi rimanga di questa mia storia.
Infine ringrazio i miei amici, che mi hanno spesso consigliato modifiche da apportare o mi hanno spronato quando (mea culpa) non avevo voglia di scrivere. In particolare ringrazio Antea, la quale è diventata la mia beta anche per poter prendere in giro i miei personaggi e criticare la stupidità di Marco in praticamente tutto quello che fa. Io non la capisco, ma mi adeguo e la ringrazio.
Infine ringrazio tutte quelle altre opere, siano esse canzoni o film o libri o serie tv, che mi hanno in un qualche modo ispirato. Un ultimissimo grazie va infine ai miei prof (wow, sono ridotto veramente male) per avermi insegnato a ragionare con la mia test e per tante piccole informazioni che non ho fatto a meno di inserire nella mia storia (tipo la parte sulla filosofia nel prologo, o altre varie cose sparse nei vari capitoli).
A tutti voi, sia chi ha apprezzato, sia a chi questa storia non piace, mi sento di dire solo una semplice parola:
GRAZIE.
L'avvetura di Caos non è certo finita qui. A breve pubblicherò due spinoff incentrati, in modo diverso, sui personaggi meno "importanti" della storia, per arrivare, quando Caos compirà due anni (uff, certo che ce ne ho messo di tempo), a portarvi il sequel, con il ritorno di tutti i personaggi. Spero che possa piacervi quanto vi è piaciuto questo o addirittura di più.
Ci vediamo presto.
Con affetto
Toms98J

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