Alastor - La Leggenda!

di telesette
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un bambino maledetto ***
Capitolo 3: *** Lupi nella notte ***
Capitolo 4: *** Una luce nella palude ***
Capitolo 5: *** Rufus Scrimgeour ***
Capitolo 6: *** L'arrivo a Hogwarts ***
Capitolo 7: *** Un bambino senza paura ***
Capitolo 8: *** L'eredità dei Moody ***
Capitolo 9: *** Oltre la Vendetta ***
Capitolo 10: *** Il nuovo Auror ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A Tina, con affetto...

Alastor - La Leggenda!

Città di Glasgow, Scozia - autunno del 1945



Le pioggie incessanti, nonostante il sibilare del vento gelido e il fragore del mare in tempesta, le cui onde si frangevano sugli scogli come i denti di uno sciacallo affamato, erano sovrastate dal suono delle campane atte ad avvertire i cittadini del pericolo in arrivo. Le forze dell'aviazione tedesca, dirigendo verso il cuore della popolazione inerme, si preparavano a sganciare l'ennesimo bombardamento. Dalla cima della torre campanaria, mentre nugoli di donne e bambini terrorizzati cercavano scampo nella fuga, il sagrestano suonava energicamente con tutta la forza consentitagli dalle sue povere braccia. Il poverino tuttavia non ebbe il tempo di chiudere gli occhi né di farsi il segno della croce, quando il lampo accecante dell'ogiva innescata lo fece esplodere assieme al mucchio di pietre e di sassi che si riversarono sulla strada sottostante.
Ovunque era il caos!
Coloro che riuscivano a rientrare nelle proprie case, cercando disperatamente di rifugiarsi dentro umide e buie cantine, avevano forse una possibilità di scamparla... ma i corpi delle vittime, orrendamente mutilati dalle esplosioni, erano altresì sparsi in gran numero sulle strade adiacenti.
In mezzo a tutto questo orrore, fuggendo dalla loro abitazione ormai distrutta, il vecchio Stirling Moody e sua moglie cercavano di far perdere le loro tracce nella brughiera vicina. Grazie ad una serie di incantesimi protettivi, il vecchio auror poteva infatti destreggiarsi agilmente nell'intrico insidioso dei pantani e delle pozze di sabbie mobili altrimenti letali per chiunque altro. Tuttavia la donna, rallentata com'era dal fardello che stringeva forte tra le braccia, a stento riusciva a tenere il passo del marito.

- Tara!

Stirling si fermò di scatto, non appena la moglie crollò in ginocchio sfinita, e subito si accinse a farle scudo con il suo stesso corpo.
Le bombe naziste esplosero a poca distanza da loro, sollevando enormi quantità di terra e di fango putrido e disgustoso, ciononostante ne uscirono tutti e due miracolosamente illesi. Tara osservò amorevolmente il bambino avvolto nelle vesti sporche e strappate, suo figlio, e in cuor suo ringraziò il Signore per aver vegliato su di loro ancora una volta. Il piccolo scoppiò a piangere, più che altro per la fame, ma non vi era certo il tempo per allattarlo in quella situazione.

- Non piangere, Alastor - lo rimproverò bruscamente suo padre. - Diamine, sei un maschietto, devi essere coraggioso!
- Tesoro - mormorò appena la donna. - Ce la faremo ad attraversare le paludi, prima di notte?
- Ma certo - rispose subito l'altro, cercando di sembrare il più possibile convincente. - Dobbiamo muoverci amore, ma ce la faremo, non temere!

Lei annuì fiduciosa, rialzandosi subito in piedi, ed entrambi ripresero a correre.
Non avevano percorso che pochi metri più avanti quando, come ombre inquietanti, alcune sinistre figure emersero all'improvviso dalle fredde nebbie della brughiera.
I Moody si guardarono attorno, preoccupati di non avere scampo, giacché i sinistri figuri li avevano praticamente circondati. Un uomo alto completamente vestito di nero si scostò appena dagli altri e, scostando all'indietro il cappuccio che gli copriva buona parte del volto, rivelò la sua identità ai due coniugi in fuga.

- Non può essere - mormorò Stirling, sentendosi raggelare il sangue nelle vene, una volta compreso chiaramente "chi" si trovava davanti. - Gellert... Grindelwald ?!?
- Moody - soffiò l'altro, muovendo appena le labbra.
- Era questo il "bene superiore" di cui parlavi - ringhiò Stirling con rabbia. - Per la vostra sete di potere, per il desiderio smisurato di controllo sugli altri, tu e quelli della tua razza avete contribuito a questo immane genocìdio... Assassino!
- Spesso il sangue è necessario - rispose l'altro, con voce calma e con una tranquillità sorprendente. - Le uniche leggi che governano l'universo sono quelle dello scambio e dell'equilibrio: milioni di vite babbane, sacrificate sull'altare, per ristabilire l'equilibrio di centinaia di maghi innocenti e altrettante streghe bruciate vive nel corso della storia; il sangue di cui parli non è meno prezioso di tutto quello che è già stato versato ingiustamente... Non sono un assassino, Moody, sono la spada che da sempre risiede nelle mani della giustizia!
- Per questo hai appoggiato Hitler nella sua follìa - incalzò Stirling. - Hai condiviso i piani e i sogni deliranti di un pazzo, per conseguire la vendetta che volevi, ed entrambi i mondi sono precipitati nel caos e nella distruzione generati dall'odio!
- Ma noi possiamo porre fine a tutto questo, Moody - esclamò dunque Grindelwald, traendo fuori la propria mano guantata da sotto il mantello. - Non esisterà paura nel nuovo ordine, perché i maghi staranno al posto che gli spetta, così come i babbani staranno al loro... Dobbiamo solo unire le nostre forze ed assestare il colpo definitivo!

Stirling Moody guardò con evidente disprezzo la mano che Grindelwald gli stava offrendo, ripensando a tutto ciò che aveva visto e sofferto negli anni del conflitto, e fu così che mise mano alla propria bacchetta per tener fede al suo giuramento di auror.

- Tu marcirai ad Azkaban - strillò. - Una volta là dentro, ti assicuro che avrai modo di meditare su tutto ciò che hai fatto!
- Andiamo Moody, non essere ridicolo - incalzò Grindelwald serissimo. - Dimentica i vaneggiamenti del ministero, dammi la mano e suggelliamo l'inizio di una nuova grande era per tutto il Mondo della Magia!
- MAI !!!

Purtroppo quell'urlo coraggioso fu l'ultima parola che Stirling Moody ebbe modo di pronunciare nella sua vita.
Nessuno dei seguaci di Grindelwald ebbe modo di vedere con chiarezza "chi" dei due avesse effettivamente colpito per primo. L'unica cosa certa erano i corpi a terra dei due coniugi Moody, entrambi caduti con le rispettive bacchette strette coraggiosamente nelle mani rigide, e Grindelwald in piedi con l'estremità luccicante della sua preziosa bacchetta che gli aveva garantito la vittoria ancora una volta.
A rompere quel breve silenzio di morte, tuttavia, il pianto di un piccolo bambino innocente risvegliò l'attenzione di tutti i presenti.
Grindelwald osservò il volto del bambino, chiazzato di lacrime e fango, e per un attimo pensò di sollevarlo da tutte le sofferenze. Fece per sollevare la bacchetta, puntandogliela proprio contro la testa, quando qualcosa lo distolse dal suo proposito. Il piccolo Alastor, infatti, aveva appena smesso di piangere e, allungando la manina verso l'assassino dei suoi genitori, strinse le dita a pugno lungo l'estremità della bacchetta di Sambuco.
Grindelwald ammutolì.
Era solo un bambino, un minuscolo bambino orfano, ma i suoi occhi erano lo specchio di una eccezionale forza interiore che il mago non ricordava di aver mai visto prima in nessun adulto.

- Signore - esclamarono i suoi adepti, vedendolo riporre la bacchetta sotto al mantello.
- Andiamocene - rispose. - Ho già preso delle vite che mi ostacolavano, quella di di Stirling Moody e di sua moglie, non ho motivo di prendere anche quella del loro bambino!
- Ma...
- Se il suo destino è scritto, morirà - concluse l'uomo, squadrando gli altri con i suoi occhi freddi e taglienti come lame di coltello. - Se però dovesse sopravvivere, in quel caso, vedo con chiarezza che la maledizione lo accompagnerà passo passo!

Detto questo, Grindelwald se ne andò.

***

Le ore trascorsero lente e, con l'arrivo dell'imbrunire, la fine del piccolo sembrava ormai certa.
Fortunatamente per lui però, da che le truppe aeree naziste avevano abbandonato la zona, un anziano e robusto pastore che abitava vicino fu richiamato dai suoi vagìti. L'uomo era stanco, col volto segnato dalle difficoltà e dagli stenti, ma il suo sguardo forte e sincero la diceva lunga sulla nobiltà del suo animo. Costui si assicurò che le sue pecore fossero ben legate e, avvicinandosi cautamente ai due cadaveri stesi faccia in giù nel fango della brughiera, si accostò al bambino che sporgeva le braccine fuori dalle vesti nelle quali era avvolto.
Non era sicuro rimanere lì a bivaccare per la notte, dato che le belve sarebbero di lì a poco sopraggiunte per ripulire le carcasse, così il pastore dovette decidersi in fretta sul da farsi.
Mosso a compassione per quel povero bambino sfortunato, si chinò ad avvolgerlo con la propria giacca perché non sentisse freddo e, così facendo, vide il medaglione che i suoi gli avevano cucito sulle vesti alla nascita.

- Ma guarda - esclamò, leggendo il nome e il cognome elegantemente riportati sull'oggetto. - Alastor Moody... Bel nome!

Il piccolo sentiva sempre più i morsi della fame, il pastore tirò dunque fuori una vecchia fiaschetta vuota dalla propria bisaccia e, dopo averla riempita con un po' di latte di pecora, si accinse a nutrire il piccolo il quale succhiò avidamente.

- Avevi proprio fame, eh - osservò. - Beh, piccolo Alastor, temo proprio che dovrai accontentarti di questo vecchio brontolone del sottoscritto... Non posso certo lasciarti qui al freddo, dannazione, fai il bravo che ti porto a casa con me!

Alastor sbadigliò, chiaramente ormai in procinto di addormentarsi, ma le sue dita rimasero come "incollate" alla fiaschetta. Il pastore non riuscì a togliergliela, neppure con gli strattoni, e sorridendo immaginò che il piccolo avesse già scelto con chiarezza il suo primo regalo.


( continua )...

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Capitolo 2
*** Un bambino maledetto ***


Gli anni successivi la fine della guerra, mentre la Scozia lentamente iniziava a dar segni di ripresa, il giovane Alastor trascorse buona parte dell'infanzia assieme al pastore che lo aveva allevato e cresciuto come un figlio. Nessuno a Glasgow conosceva le origini del piccolo, né tantomeno suo padre adottivo, e di conseguenza nessuno poteva anche solo lontanamente immaginare gli strani ed inspiegabili fenomeni che i suoi poteri latenti andavano manifestandosi man mano che egli cresceva.
Degli unici due oggetti che Alastor teneva con sé sin dall'infanzia, il medaglione con sopra inciso il nome della sua famiglia e la fiaschetta donatagli dal buon pastore, solo uno gli era assai misterioso ed incomprensibile. 
Sul retro del medaglione infatti, oltre al cognome dei suoi veri genitori, vi era incisa una strana dicitura in latino: 
Magicae virtute, in Auror virtutem, duos mund protegit... Detta frase suonava più o meno come: "il potere magico, nella forza degli Auror, protegge due mondi"...
Ma chi o cosa erano gli Auror?
E se il mondo era uno ed uno soltanto, come logica insegnava all'uomo, perché mai la frase parlava di "due" mondi da proteggere?
Domande senza risposta, proprio come il suo passato senza memoria, e per quanto si scervellasse vi era abbastanza per uscirne fuori completamente pazzo. Dentro di sé Alastor sentiva, capiva, di essere in qualche modo "diverso" dagli altri. La natura dei suoi poteri, peraltro a lui ancora incomprensibili, lo faceva sentire un estraneo nel mondo che conosceva. Fin da piccolissimo, vedendo come le persone si mettevano a bisbigliare ogniqualvolta accadeva qualcosa di insolito in sua presenza, Alastor preferiva chiudersi in solitudine. Molti parlavano di lui come di un emissario del maligno, un'anima dannata, nonostante fosse un bambino tranquillissimo ed inoffensivo. Solo in compagnia del suo tutore, che tanto aveva fatto per lui, il piccolo si sentiva veramente accettato e benvoluto.   
Il vecchio pastore, in gioventù, era stato uno studioso e fervente cattolico praticante. Ma la morte della moglie e dei suoi familiari, uccisi senza pietà dalle crudeli stragi di una guerra insensata, aveva quasi completamente estinto la fede dal suo cuore. Da lui, Alastor aveva appreso molte nozioni utili su: storia, matematica, latino, geografia, composizione dei minerali, scienza delle erbe e perfino alcuni cenni di astronomia... Per questo, a otto anni, era già un bambino molto bene istruito per la sua età.
Il buon vecchio McRoy ( così si chiamava il pastore ) prese molto sul serio il suo ruolo di tutore. Sotto la sua ala protettrice, Alastor ebbe infatti modo di crescere sano e robusto. Quando ebbe compiuto dieci anni, facendo alcuni sacrifici per sostenere la retta, McRoy trovò anche modo di mandarlo alla scuola del paese così da completare la sua istruzione ed assicurargli dunque un futuro una volta cresciuto. Sfortunatamente però, dopo neanche due settimane, il maestro venne a scusarsi con l'anziano tutore di Alastor dicendo che, per il quieto vivere della comunità, il bambino non poteva assolutamente stare in mezzo alla "gente normale".

- Sono spiacente - disse il maestro. - Non voglio mettere in dubbio l'intelligenza e la capacità di apprendimento del ragazzo ma, in qualità di docente, non posso ignorare che... Insomma, come dire... E' evidente che tuo figlio soffre di qualche disturbo!
- Il ragazzo è sanissimo - obiettò il pastore tranquillo. - Lo conosco da anni e, da che ne ho memoria, non l'ho mai visto malato neppure una volta!
- Andiamo, sai benissimo a cosa mi riferisco!
- A dire la verità, no!
- Basta scherzare, McRoy - il maestro era visibilmente alterato. - Ogni volta che tuo figlio viene a scuola, in paese accadono sempre cose strane: i carretti si bloccano, le bestie si muovono a testa in giù, i vetri si spaccano senza motivo e il cibo destinato ai bambini si trasforma in fango...
- Pensavo fosse sterco di cavallo, quello che date loro alla mensa - osservò il vecchio con una smorfia.
- Ascolta bene, McRoy - tagliò corto il maestro spazientito. - Se hai fegato di tenerti in casa un abominio come quello, sono affari tuoi... Ma da ora in avanti, farai meglio a tenerlo lontano dal paese, mi sono spiegato?

Ciò detto, il maestro gli voltò le spalle e se ne andò.
Alastor, che pure aveva origliato ogni parola di nascosto, si avvicinò al vecchio il quale lo carezzò affettuosamente sulla testa.
McRoy sorrise ma, colto da un qualche malore, cominciò improvvisamente a tossire e si accasciò in ginocchio davanti alla porta di casa. Il bambino lo aiutò a mettersi a letto, passandogli diverse pezze umide sulla fronte, cercando di fargli calare la febbre. Purtroppo il povero McRoy era stanco, malato, e il suo vecchio generoso cuore stava lentamente ma inesorabilmente cessando di battere. Alastor rimase alzato tutta la notte a vegliarlo, senza mai dare segni di stanchezza, desiderando la sua guarigione più di qualsiasi altra cosa.

- Ti prego, o Signore - mormorò, affidando le sue preghiere all'Onnipotente. - Ti prego, ti prego... Ho solo lui al mondo, ti prego!
- Lascia stare, figliolo - esalò il vecchio, malgrado le sue condizioni gli permettevano appena di respirare. - Lui... Lui non ascolta... Ha troppo... troppo da fare!
- Nonno, devi guarire - lo esortò dunque Alastor, stringendogli le fredde dita ossute.

Il vecchio lo guardò amaramente.
Quel bambino doveva essere proprio nato sotto una stella sfortunata, i suoi occhi erano l'immagine della forza ma anche di una profonda sofferenza. Avrebbe voluto ancora educarlo, guidarlo, consigliarlo... Ma ormai sentiva che la sua vita era giunta al termine e, anche se gli piangeva il cuore al pensiero di lasciarlo solo, non poteva resistere al nero richiamo della morte.

- Comportati sempre... bene - disse. - Usa quello che... che ti ho insegnato... Usalo a fin di bene, per... per aiutare, per essere buono... e giusto... Guardati dai... dai malvagi, guardati sempre... da loro!

Alastor annuì.

- Bravo... Bravo il mio ragazzo, tu... Ah!

Il vecchio ebbe un moto di convulsioni, sbarrando gli occhi e reclinando il capo all'indietro sul cuscino, dopodiché rimase immobile con lo sguardo vitreo e fisso in quello di Alastor.
Il vecchio era morto.
Anche lui, come i suoi genitori, lo aveva lasciato solo. In un mondo freddo e crudele, senza nessuno in grado di aiutarlo, Alastor si ritrovava ora a piangere sul corpo dell'unica persona che era stata capace di dargli amore ed affetto. Il suo dolore era talmente grande che, incapace di controllarli, i suoi poteri latenti fecero scoppiare alcuni vasi e soprammobili; la credenza nella cucina si squarciò a metà, così che piatti e tazzine andarono a sparpagliarsi in volo per tutta la casa, e l'acqua nel pozzo si riversò tutta sul pavimento come un piccolo fiume in piena.
Alastor si ritrovò dunque ancora una volta con il suo strano medaglione tra le mani, senza però averlo tirato fuori dalla tasca, ma il dolore e la rabbia insieme lo fecero infuriare al punto che afferrò un martello e prese a menare violenti colpi sull'oggetto. Quando del medaglione non rimase altro che un cumulo di poltiglia, le lettere ormai illeggibili, il bambino tornò finalmente a calmarsi. Il flusso di energia magica si interruppe, lasciando ogni cosa inanimata al suo stato consueto, e la casa ripiombò in un silenzio totale.

- Non è vero che sono un mostro - singhiozzò Alastor, pensando alle parole di scherno dei bambini in paese, e più volte tornò a ripeterselo mentalmente nel tentativo di convincersene. - Non è vero, non e vero... Non è vero!

Ma anche ripetendolo cento o mille volte, dal momento che tutti gli avrebbero sempre rinfacciato la natura dei suoi strani poteri come opera del diavolo, il bambino non riusciva a togliersi dalla mente il duro suono di quella parola... Mostro!  

continua )...

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Capitolo 3
*** Lupi nella notte ***


Le stagioni si susseguirono rapidamente.
L'estate portò la fine della scuola e, nonostante il lavoro nei campi al fianco dei genitori, i bambini di Glasgow avevano comunque modo di divertirsi e di trascorrere giornate serene e piacevoli. L'estate cedette il posto all'autunno, l'autunno all'inverno, e con i venti rigidi e freddi il clima si guastò talmente che tutte le abitazioni ( già gravemente provate dai bombardamenti ) cominciarono a risentire delle crepe e delle fessure che andavano ad allargarsi su ogni parete.
La sopravvivenza degli abitanti era legata ad un fuoco regolarmente acceso nel camino. Chi non si poteva permettere la torba, o anche solo un po' di legna da ardere, era costretto a scaldarsi con coperte e vecchi cappotti sdruciti sopra gli abiti. Molti adulti cadevano ammalati, in preda alla febbre e agli stenti, cosicché spesso erano i bambini che si avventuravano nella brughiera in cerca di qualcosa con cui scaldarsi.
Anche la piccola Eithne, una graziosa giovinetta sugli undici anni figlia di poveri contadini, stava raccogliendo quanti più ramoscelli secchi poteva, in compagnia dei suoi due fratelli Bryce e Brodey. La notte stava calando velocemente e, arrancando per via del peso che recava sottobraccio, la bambina faceva molta fatica per tenere il passo. Ad un certo punto infatti inciampò e, dopo essersi rialzata, si accorse di essere sola.

- Bryce - chiamò. - Bryce... Brodey, dove siete ?!?

Ma l'unico suono che le giunse in risposta fu l'eco della sua stessa voce, immersa in quel fitto velo di nebbia che non lasciava intravedere nulla a meno di un passo, e subito realizzò con orrore che non aveva neppure idea di come fare per trovare la via di casa.
Era ovvio che i fratelli, correndo avanti e lasciandola indietro come da loro consueta abitudine, non si erano accorti di nulla e certo erano troppo lontani per sentire i suoi richiami. Oltre a questo, Eithne era consapevole che la brughiera di notte era scenario delle uniche creature vigili e attente dei dintorni... ossìa i lupi.
Come a conferma delle sue paure, un lugubre ululato ruppe il silenzio e riecheggiò nella zona come un gelido canto di morte.
Eithne lasciò cadere la legna e scattò in piedi, col cuore che pareva schizzarle fuori dal petto per la paura, e subito provò a correre nella nebbia senza neppure vedere. L'istinto di conservazione, misto al pensiero di quelle belve perennemente bramose di carne fresca, le fece schizzare nel corpo adrenalina sufficiente per correre a più non posso tra la vegetazione e la sterpaglia che cresceva fino all'altezza delle ginocchia. Più volte incappò negli odiosi rametti, graffiandosi dolorosamente le mani e la faccia, ma non poteva fare altro che stringere i denti e muoversi praticamente alla cieca.
Con gli occhi quasi completamente chiusi e i tagli che le bruciavano sulla pelle, Eithne recitò tutte le preghiere che conosceva, sperando di scorgere almeno una luce o un segno che le permettesse di ritrovare la direzione del villaggio. La sua vita era appesa a quella debole speranza, debole per non dire inesistente, eppure desiderava crederci a tutti i costi.
D'un tratto, ansimando selvaggiamente dietro le sue spalle, la grossa e scura sagoma di una bestia affamata incominciò a puntarla e ad inseguirla con tutta la velocità delle sue quattro zampe robuste. Eithne gridò, cercando invano di forzare le proprie gambe oltre il limite, e in men che non si dica l'animale si lanciò su di lei con un balzo, le fauci spalancate e pronte ad azzannare, quasi intendesse staccarle la testa con un unico morso...

- Stà giù !!!

Prima ancora di capire cosa stesse realmente succedendo, Eithne sentì un violento fruscìo di foglie tra gli alberi, seguito come da un tonfo di due corpi atti a scontrarsi l'uno con l'altro.
Quando riaprì gli occhi, malgrado fosse buio, riuscì a scorgere un giovane robusto che stava disperatamente lottando a mani nude contro il lupo. Altri lupi sopraggiunsero sul luogo, circondando la scena ma senza portare aiuto al compagno ( il quale, evidentemente, doveva essere il capobranco! ), ed Eithne rimase raggelata dalla paura, con tutti quei freddi occhi luccicanti puntati contro di lei e contro il suo inaspettato soccorritore.
Malgrado fosse poco più di un bambino, Alastor era fortunatamente dotato di una corporatura solida e robusta, l'ampio torace era infatti un fascio di muscoli, indurito com'era da anni di lavoro e dallo spaccare legna a colpi d'ascia. Purtroppo per lui, però, l'animale era comunque un lupo di grossa stazza e con una dentatura in grado forse di spezzare piccoli tronchi a morsi. Entrambi stavano ingaggiando una lotta furibonda, guidati solamente dal rispettivo istinto di sopravvivenza, ma nessuno pareva intenzionato a cedere la propria vita all'altro così facilmente.
Il lupo ringhiò di rabbia, le zampe anteriori strette saldamente dalle mani quasi altrettanto forti di Alastor, e continuava a raspare il terreno con le zampe posteriori e a mordere l'aria ad un centimetro dalla faccia del ragazzo. Per nulla intimorito dalle armi naturali dell'avversario, Alastor reagì con violenza, strappando a morsi alcuni ciuffi di pelliccia poco sopra la gola dell'animale. Il lupo guaì, non appena i denti di Alastor gli incisero la pelle e la carne viva sotto la pelliccia, ma di riflesso liberò una zampa e con un colpo d'artiglio giunse malauguratamente al bersaglio.
Alastor rotolò rapidamente sul fianco, coprendosi con la mano il caldo rivolo di sangue che gli colava lungo il volto, e così facendo scoprì che l'animale gli aveva letteralmente asportato via con l'unghia un grosso frammento di naso.

- Aaaahhhh !!!

L'urlo terrorizzato di Eithne riportò l'attenzione di Alastor al combattimento. Anche il lupo aveva accusato il danno, seppur in modo assai lieve rispetto al ragazzo, ed era offeso ed incollerito dalla sua insospettabile resistenza. Avendolo morso quasi sotto la guancia, serrando per quanto possibile gli incisivi, Alastor era riuscito a procurargli un taglio evidente che gli provocava dolore nell'aprire e chiudere la mandibola. L'animale emise un sinistro ràntolo gutturale, fissando l'altro attraverso due bianche fessure luccicanti nel buio, allorché Alastor capì che il prossimo attacco sarebbe stato anche l'ultimo.
Muovendo a tentoni la mano per terra, le sue dita incontrarono per caso qualcosa di legnoso ed appuntito ( dato il pericolo imminente, il ramo era levitato a lui per effetto di una sollecitazione magica del tutto istintiva... ma questo Alastor non poteva certo saperlo! ) e, malgrado il dolore lancinante della ferita al volto, Alastor strinse i denti ed aspettò pazientemente la sua unica occasione per colpire.
L'animale balzò avanti, deciso a squartargli il petto a furia di zampate, ma, non appena si ritrovò a mezz'aria, Alastor allungò il braccio e gli impiantò il ramo acuminato proprio in mezzo alle costole. Gli occhi del lupo rotearono vorticosamente nelle orbite, una volta che il legno affondò in profondità nelle carni, ed era già morto quando il sangue colò fuori dalla ferita andando a bagnare la mano ferma e decisa del ragazzo.
Alastor aveva sconfitto il capobranco.
Sorpresi dall'esito dello scontro, gli altri lupi si diedero alla fuga e scomparvero nel fitto della boscaglia. Alastor tirò il fiato, ansimando per via delle varie ferite, eppure si preoccupò di controllare che la ragazza stesse bene.

- Sei ferita?

Purtroppo Eithne era chiaramente scioccata e confusa, come dimostravano i suoi occhi sbarrati e l'espressione assente, così che Alastor dovette scuoterla per le spalle più volte per riportarla alla realtà.
Eithne pianse e, stringendosi al suo salvatore con tutta la forza che aveva in corpo, pianse calde lacrime di riconoscenza.

- Va bene, calmati adesso - mormorò Alastor, carezzandole la nuca in modo rassicurante. - E' finita, è tutto finito... sono andati via!

La ragazzina si accorse della sua grave ferita al naso, solo quando questi recuperò la lanterna che aveva lasciato cadere nel fango e la sollevò all'altezza del volto. Subito si sentì tremendamente in colpa verso quel ragazzo coraggioso, non sapendo cosa fare o dire per ringraziarlo del suo gesto, ma Alastor non si aspettava né desiderava ricevere alcunché da lei. Ai suoi occhi, infatti, Eithne era solo "una di Glasgow"... le stesse persone, cioé, che lo accusavano di essere un mostro e un abominio vivente.
Se aveva deciso di salvarla, era solo per dimostrare a sé stesso che si sbagliavano.

- Mi dispiace - esalò appena Eithne. - Mi dispiace tanto, io...
- Non importa, lascia stare - tagliò corto Alastor, tamponando per quanto possibile la ferita con dei grossi pezzi di stoffa. - Piuttosto, sai come tornare a casa?

Eithne scosse il capo.
Non aveva la minima idea di dove si trovavano, né da che parte era il villaggio, e anche se lo avesse saputo mai e poi mai si sarebbe messa in cammino da sola dopo una simile esperienza.

- Va bene, ho capito, ti accompagno io!
- Do... Dove?
- A casa tua, no - osservò Alastor infastidito. - Non avrai mica intenzione di restare qui tutta la notte!

Rabbrividendo al solo pensiero, Eithne schizzò in piedi e si guardò intorno temendo di vedere altri lupi.

- Rilassati, anche loro hanno interesse di portare a casa la pelle - spiegò, alludendo al cadavere del lupo che giaceva immobile ai loro piedi. - Torneranno solo quando non sentiranno più il nostro odore nelle vicinanze!
- Spe... Speriamo - pregò Eithne, facendosi lesta il segno della croce.
- A proposito, io mi chiamo Alastor - sorrise poi lui, tendendole la mano. - E tu?

Eithne lo fissò attentamente.
Malgrado i lineamenti duri e spigolosi, resi ancor più inquietanti dai tagli e dalla stoffa intrisa di sangue avvolta attorno alla faccia, gli occhi del ragazzino erano neri e lucenti come due gemme. Aveva uno sguardo duro ma anche molto intenso, capace di esprimere forza e sensibilità allo stesso tempo, e fu allora che Eithne si scoprì piacevolmente attratta dalla luce buona negli occhi di colui che le aveva appena salvato la vita.

- Eithne - rispose lei, stringendogli goffamente la mano.
- Bel nome - disse lui sincero. - Non aver paura, Eithne... Fidati di me, d'accordo?

Eithne annuì.  

continua )...

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Capitolo 4
*** Una luce nella palude ***


Quando in paese si sparse la voce che il figlio adottivo del defunto McRoy era riuscito ad abbattere nientemeno che un lupo, nonostante fosse poco più di un marmocchio, le chiacchiere di sospetto ed irritazione si trasformarono in mormorii colmi di puro terrore. Qualcuno sparse in giro la voce che il ragazzino doveva essere "posseduto" da qualche spirito maligno e, dall'alto della sua ferrea logica ecclesiastica, l'anziano ed intransigente parroco di Glasgow arrivò persino a sostenere che Lucifero in persona stava intessendo le sue trame attraverso il corpo e la mente di quel moccioso deviato.

- McRoy era un folle - sentenziò il parroco dai lunghi capelli argentati, folti e disordinati come quelli di un pazzo allucinato. - Guardatevi da Satana, miei adorati figlioli: colui che cammina in mezzo a noi, col volto insospettabile dell'innocenza, attende solo l'occasione di placare la sua sete di sangue... La Bestia è qui, vicinissima, e persino gli animali avvertono il mortale pericolo che essa rappresenta!

In tutto quel delirio generale, solamente Eithne pareva immune alle farneticazioni di quel prete invasato.
Alastor le aveva salvato la vita, rischiando la propria, e lei non aveva dubbi sul suo buon cuore e sulla generosità del suo animo. Malgrado i genitori fossero soliti prenderla a sberle, ogni volta che la scoprivano a frequentarlo contro la loro volontà, Eithne non poteva né intendeva rinnegare in alcun modo la sua riconoscenza verso Alastor o il forte sentimento di amicizia che la legava a lui.
Dal canto suo, Alastor era invece assai turbato. Ogni volta che Eithne presentava un livido nuovo, o segni di percosse evidenti sulle braccia e sulle guance, si sentiva colpevole come se a colpirla fosse stato lui stesso. Più volte le aveva detto di lasciarlo perdere, di dimenticarsi della sua esistenza, e di vivere come tutta la gente del suo paese. Ma Eithne non voleva proprio saperne.
Per mesi e mesi avevano continuato a vedersi di nascosto, trascorrendo assieme quelli che per Alastor sarebbero poi rimasti come i momenti più belli e meravigliosi della sua vita, ma non potevano illudersi che ciò durasse per sempre.
Era la sera dell'undicesimo compleanno di Alastor, quando tutto il paese si radunò nella piazza di Glasgow per ascoltare ciò che il fanatico reverendo aveva da dire loro.

- Ricacceremo quell'essere nell'inferno da cui proviene - esordì il vecchio, sollevando in alto la sua piccola croce di legno come se fosse un pugnale. - Non permetteremo a Satana di contaminare quello che Dio ci ha donato... La Bestia deve morire, con l'acqua e con il FUOCO !!!

Allarmatissima dal tono minaccioso del prete, ma ancor più dai forconi levati verso l'alto e dalle grida di esaltazione della folla, Eithne sgattaiolò fuori dalla finestra della sua cameretta per avvertire Alastor del pericolo. Non ci voleva certo un mago per capire che, armati di torce e forconi, tutti i cittadini di Glasgow intendevano marciare verso la vecchia casa di McRoy per linciare e bruciare vivo Alastor.
Quando Alastor sentì bussare alla porta, e si ritrovò davanti Eithne trafelata, non aveva ancora ascoltato le parole della ragazzina che già in lontananza si intravedeva benissimo il bagliore delle fiaccole accese e la folla che gridava al "diavolo da sterminare".

- Dobbiamo scappare, Alastor - gemette Eithne. - Vogliono ucciderti, il paese è letteralmente impazzito!
- Eithne, ascolta - la interruppe Alastor preoccupato, cingendola per le braccia. - Hai fatto benissimo ad avvertirmi ma, se ci trovano assieme, potrebbero voler uccidere anche te!
- Che cosa facciamo allora?
- Tu devi correre subito a casa, passando per il sentiero nascosto che ti ho mostrato, mentre io cercherò di far perdere le mie tracce nella brughiera... Se sarò fortunato, potrò nascondermi in uno dei carretti che percorrono la strada principale verso Edimburgo!
- Io vengo con te - obiettò Eithne decisa.
- Non se ne parla nemmeno - ribatté brusco Alastor. - Non posso proteggerti questa volta, è troppo pericoloso!

Per tutta risposta, Eithne baciò Alastor sulle labbra e lo strinse forte a sé, abbracciandolo con tutta la forza che aveva. Il ragazzo ebbe un attimo di smarrimento, incapace di respingerla o di cacciarla via in malo modo. Per come era messa la situazione, la sicurezza di Eithne era incerta quasi quanto la sua: se i suoi genitori erano soliti picchiarla, perché "amica" di un emissario del demonio, difficilmente si sarebbero fatti scrupoli ad ucciderla. Il fanatismo dell'essere umano, alimentato dalla paura e dalla superstizione, trasforma le persone al punto da non riconoscere più i loro stessi simili. Alastor rammentava le storie che il vecchio McRoy gli aveva raccontato tempo fa, su una specie di Tribunale Speciale delle autorità ecclesiastiche, e di come certi cosiddetti "inquisitori" usavano infliggere torture disumane a uomini e donne accusati di stregoneria... Finanche arderli vivi sul rogo, in modo da rendere il loro trapasso più doloroso possibile.
Alastor fu scosso da un violento brivido gelido lungo la schiena.
Il pensiero che quella folla inferocita potesse fare del male ad Eithne, che pure non c'entrava niente in tutta quella storia, era assolutamente inaccettabile. Se lei in quel momento stava correndo un pericolo terribile, solo per aiutarlo, ora più che mai era suo dovere proteggerla.

- Va bene - sussurrò, passando nervosamente la mano tra i lunghi capelli soffici di lei. - Andiamo adesso, non dobbiamo farci trovare assolutamente!

***

Poco dopo, mentre i due ragazzi si inoltravano nel fitto intrico della brughiera avvolta dall'oscurità, il folle parroco diede ordine al suo seguito di incendiare la casa. Le fiamme che si levarono verso l'alto erano visibili da molto lontano, tanto che Alastor ed Eithne si accinsero ad affrettare il passo. Sfortunatamente per loro però, a scanso di ogni dubbio, il prete diede ordine di perlustrare ogni angolo dei dintorni nell'eventualità che il "diabolico" ragazzino fosse riuscito a sfuggire al fuoco purificatore.
Pieni di terrore, i cuori che battevano sempre più all'impazzata, Alastor ed Eithne si inoltrarono nel punto ove il terreno fangoso rendeva assai più difficile l'inseguimento. Il problema era che, come tutti ben sapevano, il bacino acquitrinoso di Grimpen non era altro che un gigantesco pantano pieno zeppo di sabbie mobili. Mettere un piede in fallo, specie in quelle condizioni di scarsa visibilità, significava morte certa. Alastor raccomando ad Eithne prudenza, tenendole la mano e facendo strada ad ogni passo in cerca di appoggio solido e sicuro sotto i piedi. Insieme percorsero quasi mezzo chilometro, ben cinque volte la lunghezza di un campo da gioco, angosciati dall'idea di sprofondare con gli occhi e la bocca in mezzo a quella viscida melma che già arrivava loro fino alle caviglie. Di lì a poco però, la stanchezza ebbe la meglio sulla paura e Alastor fece l'errore di incespicare sullo strato muschioso di una roccia che affiorava dal fango.
Un errore che si rivelò fatale!
Eithne gridò quando, sentendo sgusciare via la mano di Alastor dalla propria, entrambi si ritrovarono immersi nel fango fino al busto. Subito fecero per rialzarsi ma, avendo tutto terreno molle attorno a loro, si resero conto che stavano lentamente affondando nella palude.
Alastor pregò Eithne di mantenere la calma spiegandole che, lasciandosi prendere dall'ansia e dalla paura, avrebbero solo ottenuto di sprofondare più in fretta. D'istinto provò ad annaspare con le dita nel fango, in cerca di un sasso o di una qualunque superficie solida da usare come appiglio, ma non c'era niente a parte la sensazione di umido ed il fetore nauseabondo che quasi rischiava di far perdere i sensi ad entrambi. Eithne pianse, pianse disperata, chiamando Alastor tra i singhiozzi e implorando il suo aiuto.
Alastor ruggì di rabbia, con tutti i capelli mossi nonostante non ci fosse un filo di vento, ed il fango cominciò lentamente a solidificarsi a contatto della sua mano mentre cercava di raggiungerla. Eithne non ebbe modo di accorgersi di niente perché, sfinita com'era dalla fuga e dalla fatica, aveva perso i sensi prima ancora che Alastor potesse sfiorarla. Anche Alastor era provato, incapace di controllare i propri poteri per uscire da quella tremenda situazione, e per un attimo ebbe l'impulso di chiudere gli occhi e non sentire più niente.
Per fortuna però, gettando all'improvviso una fortissima luce bianca sulla palude, due mani robuste afferrarono sia lui che Eithne strappandoli da quella trappola naturale a base di fango.

- Tutto bene, ragazzo?

Alastor riuscì appena a scorgere due sagome umane, entrambe con addosso dei lunghi mantelli dai colori sgargianti, e che nelle mani reggevano qualcosa di sottile e luminoso allo stesso tempo. Non ebbe però modo di rispondere perché, privo di forze com'era, scivolò nel buio dell'incoscienza tra le braccia del misterioso soccorritore. 

continua )...

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Capitolo 5
*** Rufus Scrimgeour ***


Rufus Scrimgeour stava osservando il giovane Alastor già da diversi minuti ormai.
Nonostante quel ragazzino e la sua amica babbana fossero stati tratti in salvo dagli Auror, in uno stato tale che sembravano più vivi che morti, quel piccolo maghetto aveva una capacità di recupero sorprendente. Stando ai rapporti dei due Auror mandati in soccorso, il giovane Alastor Moody aveva sprigionato istintivamente una luce magica del terzo livello ( in base alla scala di Flamell ), ed aveva anche solidificato non meno di tre metri cubi di melma ad una velocità impensabile, anche per un mago adulto.
Il ragazzo era già stato posto ad un controllo specifico, come previsto dal decreto ministeriale nei casi in cui avveniva il "recupero" di maghi adolescenti dal mondo dei babbani, ma non aveva fornito alcuna risposta alle domande dei medici del San Mungo. Oltretutto, avendo vissuto ben dieci anni senza conoscere la magia in condizioni di stenti e miseria, la sua mente rifiutava di accettare la realtà. Scrimgeour era stato incaricato di esaminare i dati del ragazzo, valutando se fosse il caso o meno di incaricare le autorità didattiche di Hogwarts per il suo affido, ma era già convinto che Moody gli avrebbe dato non poche grane cui pensare.
Oltre a ciò, cosa ancora più fastidiosa, quel moccioso rifiutava ostinatamente di bere da che aveva ripreso i sensi. Erano almeno sedici ore che non assimilava più alcun liquido in corpo, tuttavia qualunque bicchiere gli veniva offerto rimaneva pieno e intatto.

- Tu sei Alastor Moody - esclamò Scrimgeour atono. - Figlio di Stirling Moody e sua moglie, entrambi deceduti a Glasgow nel 1945...
- No!

Scrimgeour aggrottò le sopracciglia.

- Sei stato adottato da un babbano, tale Andrew McRoy, anch'esso deceduto per cause naturali in data 11 ottobre 1956... E' esatto?

Nessuna risposta.
Alastor persisteva nel suo atteggiamento, come se la verità su di lui e su tutto il mondo magico non fosse altro che una colossale bugia, e non vedeva l'ora che quel vecchio rachitico la smettesse di blaterare e gli dicesse invece della sua amica Eithne e delle condizioni in cui versava. Sfortunatamente però Scrimgeour era un uomo indurito dagli anni e non molto comprensivo, i bambini non gli ispiravano tenerezza alcuna, ed era abituato a trattare con lo stesso tono freddo e insensibile degli uffici ministeriali cui era solito recarsi spesso.

- Mettiamo le cose in chiaro, ragazzino - esordì gelido. - Sono state aggirate innumerevoli norme legali e burocratiche per te, senza contare il patto di "non interferenza" con i babbani modificato ed aggiornato alla fine dell'ultima guerra, e questo tuo atteggiamento di strafottenza non aiuta certo la tua posizione!
- Ma di che sciocchezze va cianciando - ribatté Alastor seccato. - Lei è solo un vecchio pallone gonfiato... Chi crede di spaventare?
- COME HAI DETTO ?!?

Le vene sul collo di Scrimgeour, ora rosse e gonfie per la rabbia, sembravano sul punto di esplodere. La sua mano si sollevò per istinto, come a voler punire il ragazzo della sua totale mancanza di rispetto, ma l'improvviso bussare alla porta dell'ufficio lo bloccò di scatto col palmo della mano teso e levato verso l'alto.

- Avanti - brontolò, passandosi una mano all'indietro sui capelli e cercando il più possibile di ricomporsi.
- Signore - fece un Auror, fermo e immobile sulla soglia. - Il professor Albus Silente vuole sapere se ci sono complicazioni per ottenere l'affido del ragazzo e la sua immediata iscrizione a Hogwarts?
- A quanto pare, Silente è piuttosto duro di comprendonio - osservò Scrimgeour, squadrando il povero malcapitato con un'occhiata tale da raggelargli il sangue nelle vene. - Avevo ben detto a lui, e alla segretaria del Ministro, che la normale procedura...
- Confido che sedici ore siano più che sufficienti, per trattenere un ragazzino di appena undici anni nel vostro ufficio!

La voce bonaria di Silente, con quel pizzico di velata ironìa che lo contraddistingueva, suonò come uno schiaffo personale all'orgoglio del capo degli Auror. Tuttavia Scrimgeour incassò bene la sfrontatezza di quel dannato matusalemme e fece cenno all'Auror lì presente di uscire e chiudere la porta. L'attendente obbedì, mormorando qualche preghiera tra sé, conscio che di lì a poco sarebbe scoppiato un putiferio più che prevedibile.

- Prego, si accomodi - disse Scrimgeour, benché non vi fossero sedie libere presenti nella stanza.

Sotto lo sguardo allibito di Alastor, Silente fece apparire una poltrona dal nulla e vi si sistemò sopra comodamente.

- Sono sicuro che sia al corrente di quante e quali irregolarità il vostro operato...
- Mi rendo conto, mi rendo conto benissimo - rispose Silente tranquillo. - Ma l'anno scolastico è già cominciato e, come lei può ben capire, anch'io non posso venir meno agli obblighi verso tutti gli altri studenti, solo per apporre un timbro di ceralacca su un foglio di pergamena!
- In tal caso, poteva anche risparmiarsi la fatica di venire - obiettò Scrimgeour. - Da quanto ho avuto modo di esaminare, il ragazzo è impregnato di cultura babbana fino al midollo, semplicemente irrecuperabile, pertanto mi vedo costretto a respingere la richiesta e...
- Mi perdoni ma, temo che sia in errore - lo interruppe Silente, traendo fuori dalla veste una lettera sigillata ed indirizzata espressamente al Capo degli Auror. - La richiesta è già stata valutata ed approvata dal Ministero al completo: in calce troverà tutte le firme corrispondenti, come può constatare, il timbro è una pura e semplice formalità che però, nel caso non sia d'accordo, rigetterà la domanda all'attenzione personale dell'Onorevole Wilhelmina Tuft... E ho come l'impressione che sarà tuttaltro che felice di apprendere che l'amministrazione degli Auror si perde in sciocchezze burocratiche!

Il volto di Scrimgeour, dal rossore acceso per via dello screzio avuto con il piccolo Alastor, diventò completamente paonazzo. Il Capo degli Auror stava schiumando rabbia da tutti i pori, costretto suo malgrado ad accettare l'insopportabile sicurezza di quel dannato barbagianni, cosicché non poté far altro che apporre la ceralacca sul documento e siglàre il tutto col suo timbro personale. Ora Albus Silente era ufficialmente il tutore legale di Alastor Moody, fino alla maggiore età di quest'ultimo, con tutto ciò che ne conseguiva.

- La ringrazio molto - sorrise garbatamente il preside di Hogwarts.
- Si porti via quel ragazzino - disse Scrimgeour a denti stretti. - E preghi che non me lo trovi ancora davanti agli occhi, altrimenti...
- Non è da escludere, in effetti - osservò dunque Silente, carezzando appena la fronte di Moody e indugiando sullo sguardo fiero di questi. - Dopotutto è pur sempre figlio di due Auror, buon sangue non mente, qualcosa mi dice che potrebbe addirittura succederle in carica!
- FUORI DI QUI !!!

La voce iraconda di Scrimgeour, nell'attimo in cui Silente e Moody uscirono dal suo ufficio, riecheggiò per tutti i corridoi con effetti devastanti.
Due Auror si strinsero tra loro, terrorizzati; un altro rovesciò il suo succo di zucca in testa ad un collega, con lo stesso effetto di una doccia gelata giù per il collo; altri ancora, distratti dal suono così raccapricciante, urtarono negli spigoli e negli stìpiti delle porte lasciando volare per aria fogli e rotoli di pergamena a non finire...
Silente non poté fare a meno di chiedersi come avrebbe reagito il vecchio Scrimgeour, se le sue previsioni sul conto di Moody si fossero rivelate esatte, e un ampio sorriso gli si disegnò evidente da sotto la folta barba.  

continua )...

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Capitolo 6
*** L'arrivo a Hogwarts ***


Mentre il treno levava candide nuvolette di fumo verso l'alto, spedito verso Hogwarts come una freccia, Silente rimuginava sul giovane Alastor e su come questi ancora si rifiutasse ostinatamente di bere e di toccare cibo.
Sapeva che la sua infanzia nel mondo dei babbani non doveva essere stata delle più semplici e, a giudicare dallo sfregio in volto, segni e cicatrici dovevano aver inciso profondamente tanto nel corpo quanto nell'anima. Alastor dal canto suo, nonostante fosse preoccupato ed ansioso per la sua amica Eithne, esitava nel rivolgere al suo anziano accompagnatore qualsiasi domanda. Era stato introdotto, suo malgrado, in una realtà per ritrovarsi poi d'un tratto catapultato in un'altra. I nomi dei suoi genitori non significavano niente per lui, il termine 
Auror era solo una parola vuota, per giunta gli era impossibile fidarsi di tutta quella gente che insisteva nel ripetergli che la sua vera natura era effettivamente ciò che i babbani definivano un abominio.
Silente si accese la pipa, stando ben attento a fumare verso il finestrino aperto, incerto se rompere il ghiaccio o meno col ragazzino silenzioso seduto di fronte a lui.
Quando più tardi, nel corridoio, la signora del carrello chiese se il piccolo gradiva qualcosa, Alastor rimase zitto. Silente mise delle monete in mano alla donna, agguantando lesto una confezione di cioccorane, e ringraziò garbatamente. Purtroppo neppure i salti del dolciume incantato parevano scuotere il ragazzo, sempre ingrugnito ed insofferente a tutto, e Silente non sapeva davvero più che inventarsi per attaccare bottone.

- Che ne è stato di Eithne? - domandò Alastor con voce calma ma risoluta.

Silente esitò un attimo prima di rispondere, scegliendo bene le parole da usare, e con calma spiegò al giovane Moody la situazione. In quanto babbana, Eithne era stata curata e ricondotta a Glasgow senza incidenti. I ricordi che ella aveva di Alastor, così come quelli di tutti gli abitanti del paese, erano stati cancellati magicamente: Alastor Moody non era mai stato a Glasgow, il vecchio Andrew McRoy era morto senza aver mai avuto alcun figlio adottivo, e la casa era bruciata in seguito di un gigantesco fulmine che si era abbattuto sul tetto incendiando l'intera struttura...

- Nessuno ricorderà più niente - spiegò Silente. - La legge che vige nel mondo magico ci impone di mantenere segreta ai babbani la nostra esistenza, senza eccezioni, non si poteva agire diversamente!

Alastor strinse il pugno nervosamente.

- Lei era mia amica - mormorò.
- Lo so, lo capisco!
- Mi dica la verità - esclamò Alastor. - Dovrò fingere che tutta la mia infanzia non sia mai esistita?

Silente tacque.

- Nessuno ti obbliga a dimenticare, se sono ricordi importanti per te - osservò. - E' anche vero però che, a volte, dimenticare ciò che si perde è il modo più semplice per smettere di stare male!
- Io non voglio dimenticare - sentenziò Moody. - E non voglio neanche essere un mago, non m'interessa, io voglio solo tornare alla mia casa e alla mia vita!
- Alastor, mi rendo conto che per te sia una situazione tuttaltro che semplice: la morte del tuo genitore adottivo, l'addio alla tua amica, e tutto il resto... Il punto è che tutto quello che accade fa parte di un disegno che non ci è dato conoscere prima che sia completo!

Per circa una mezz'ora, nessuno disse nulla.
La mente di Alastor era piena di dubbi e interrogativi e, per quanto la cosa potesse infastidirlo al momento, l'unico in grado di rispondere alle sue domande era seduto davanti a lui.

- Da piccolo, quando venni trovato, il mio nome era inciso sul retro di un medaglione - sussurrò. - Un oggetto strano, con una frase che non ho mai capito, c'era scritto...
- C'era scritto "Magicae virtute, in Auror virtutem, duos mund protegit": è il motto di Peverell, il fondatore, ed è il passo che richiama agli obblighi morali e al senso di responsabilità di ogni Auror!
- Ma esattamente cos'è un Auror?
- Auror è colui che utilizza la magia contro chi la usa per fare del male, i babbani lo definirebbero un Agente Speciale, ed è un mago "vincolato" a proteggere sia il mondo magico che il mondo normale!
- Due mondi, dunque - Moody cominciava finalmente a capire. - Ma perché vige una legge così severa, per tenere nascosta l'esistenza dei maghi al di fuori del mondo magico?
- Per proteggerci dalle reazioni dei babbani - concluse Silente, con una punta di amarezza nella voce, come se il pensiero gli facesse affiorare alla mente vari ricordi spiacevoli. - Nei secoli, prima e dopo che i babbani istituissero la "caccia" ai maghi e alle streghe, si è perpetrato uno dei più immani genocìdi della Storia; da allora, il Ministero della Magia ha decretato che maghi e babbani debbano vivere entro i rispettivi ambienti, al fine di proteggere quante più vite umane possibili dalle imprevedibili conseguenze generate dalla paura e dal fanatismo!

Moody annuì.
In effetti, a pensarci bene, anche i suoi concittadini di Glasgow avrebbero tanto volentieri inteso bruciarlo vivo. Il mondo dei babbani non aveva mai avuto veramente nulla da offrirgli, salvo poche eccezioni, e il mondo magico era l'unico luogo in grado di accettarlo. Silente intuì facilmente il suo disagio, tanto che d'istinto lo accarezzò affettuosamente per la seconda volta, e in quello stesso momento veniva annunciato che il treno era appena giunto a destinazione.
Silente scese dal vagone, subito seguito dal giovane Moody, e proprio non riuscì a trattenere un sorriso dinanzi all'espressione incrèdula del ragazzo. La vista dell'antico castello di Hogwarts in lontananza, dall'altra parte del lago che ne delimitava le sponde, era troppo per un povero ragazzo di Glasgow per nulla abituato a simili meraviglie.

- Da qui, dovremo proseguire con un battello - spiegò Silente. - Essendo il tuo primo anno, per legge, non possiamo ricorrere a... Alastor, mi stai sentendo?

Giunto dinanzi alla riva del lago, rinfrancato dalle miriadi di pesciolini che vi nuotavano e sguazzavano dentro, Alastor trasse fuori dalla propria bisaccia la sua preziosa fiaschetta e la riempì interamente bevendo così a sazietà. Non avrebbe mai immaginato che l'acqua di lago potesse essere tanto dolce e rinfrescante, specie dopo quasi due giorni che non beveva, e per un paio di minuti buoni continuò ad attingere acqua come un cammello prima di mettersi in viaggio nel deserto.

- Alastor - mormorò Silente stupito. - Non che tu stia facendo nulla di male, anzi, ma troverai tranquillamente da bere e da mangiare anche a Hogwarts e...
- Senza offesa - replicò seccamente il ragazzo, chiudendo la fiaschetta dopo averla riempita fino all'orlo. - Io non bevo e non mangio nulla che mi venga offerto da estranei, è una questione di principio!
- Ah... Beh sì, suppongo che non vi siano problemi, ma... pensi di procurarti il cibo pescando?
- C'è qualche legge che lo vieta?
- In verità, no - sottolineò Silente. - Ma è mio dovere avvertirti che nessuno studente di Hogwarts è mai stato visto "pescare" in queste acque per oltre cinque secoli, mese più mese meno!
- C'è una foresta, però - osservò Alastor cocciutamente. - Sarà consentito perlomeno procurarsi della selvaggina...
- Non agli studenti, temo - puntualizzò ancora Silente. - L'accesso alla Foresta Proibita è consentito solo agli insegnanti e al Custode delle Chiavi e dei Luoghi di Hogwarts!
- D'accordo, d'accordo - tagliò corto Moody, non avendo alcuna intenzione di mettersi a discutere. - Mi arrangerò in qualche modo, non si preoccupi, in ogni caso non sperate di convincermi ad unirmi alla vostra mensa!

Silente si tolse un attimo gli occhiali a mezzaluna, sfregando piano le lenti con un morbido panno di stoffa, prima di sollevare lo sguardo verso il cielo ed emettere un lungo sospiro.

- Dovevo immaginarlo - mormorò. - Suo padre era uguale: dovettero vietare l'accesso nella Foresta agli studenti, solo per impedirgli di attaccar briga con i centauri quando usciva a procurarsi la colazione! 

continua )...

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Capitolo 7
*** Un bambino senza paura ***


Alastor fu assegnato ai Serpeverde. Il Cappello Parlante ipotizzò fosse la scelta migliore, considerato il caratterino scostante di Moody e il suo intelletto decisamente fuori dal comune.
La cosa veramente strana da spiegare agli insegnanti, vista la naturale diffidenza del ragazzo, fu quella di giustificare fin da subito la sua perenne assenza dalla Sala Grande e specialmente dal refettorio. Non solo Moody non accettava il cibo e le bevande offerte dalla scuola, andando personalmente ogni mattina a riempire la sua fiaschetta in riva al lago e sistemando trappole per topolini e lucertole intorno al castello, ma era freddo e scostante tanto verso i coetanei che verso gli insegnanti allibiti dal suo comportamento.
Una volta Hagrid lo aveva scoperto arrostire piccole prede dietro la sua baracca, scambiandolo per un principio di incendio, e così per sbaglio si ritrovò ad annaffiarlo con una robusta secchiata d'acqua. Quando poi informò Silente dell'accaduto, presentandoglisi davanti con un grosso contorno violaceo intorno all'occhio, il mezzogigante dovette anche spiegare che il ragazzo era sì piccolo ma dotato di pugni solidi come martelli.
L'allora responsabile dell'infermeria, durante una delle visite mediche di controllo, non poté fare a meno di cacciare un urlo isterico quando vide la ragnatela di profonde cicatrici sul corpo e sulle braccia del ragazzo. Si era anche offerta pacatamente di rimettere a posto il suo naso storpiato ma, per tutta risposta, Moody le aveva intimato di lasciar perdere e che il suo naso stava bene così.
Fu anche protagonista di una spiacevole vicenda con l'allora insegnante di pozioni, un vecchio piccolo e grassoccio con occhiali dalle lenti spesse un centimetro. Costui entrò come una furia nell'ufficio di Silente, trascinando il ragazzo per un braccio, lamentando di come questi si fosse permesso, davanti a tutta la scolaresca, di strappargli dalle mani un flacone di polvere denominata Erba del Diavolo, offendendolo e dandogli dell'incendiario e del ciarlatano.

- Ai miei tempi, simili mancanze di rispetto erano punite con l'espulsione - strillò il professore con la sua voce stridula. - Mi aspetto provvedimenti, Silente, e in fretta anche!
- Ma lo sa almeno che cosa contiene questo barattolo, vecchio citrullo? - scattò Alastor rabbiosamente, aprendo il flacone e lasciando cadere una minuscola particella del composto proprio sulla barba di Silente.

L'Erba del Diavolo, fedele al suo nome, esplose con gran fragore rilasciando una gran quantità di fumo denso e puzzolente. Silente e l'insegnante di pozioni tossirono, in preda ai miasmi disgustosi e maleodoranti, mentre Alastor andò ad aprire la finestra per permettere al fumo di diradarsi.

- E' da quando avevo cinque anni che so quanto è pericoloso maneggiare questa roba - spiegò Moody risentito. - E questo imbecille stava per rovesciarne un intero barattolo dentro un calderone con il fuoco acceso... Roba da matti, avrebbe potuto far saltare in aria tutto il castello!
- Piccolo moccioso arrogante e sfacciato - imprecò il professore fuori di sé. - Vuoi forse insegnarmi come si preparano le pozioni ?!?
- Calma adesso - tagliò corto Silente, mettendo tutti e due a tacere. - Viste le ragioni del signor Moody, mi sembra quantomeno opportuno tenere quest'erba fuori dalla portata degli studenti, per motivi di sicurezza!
- Silente...
- Dammi retta, Prometeus, dammi retta... Hai molte altre ricette da insegnare ai tuoi allievi, "questa" può aspettare!

A seguito di questo episodio, circa tre settimane dopo, il consiglio dei docenti reputò necessario che l'insegnante di pozioni fosse mandato in pensione.
Quel 1956, l'anno dell'arrivo di Moody a Hogwarts, fu costellato di tanti piccoli episodi più o meno indimenticabili. Silente era stato nominato da poco preside di Hogwarts e, pur sapendo quanto il suo lavoro si sarebbe rivelato duro e difficile, non avrebbe mai immaginato che il giovane Moody gli avrebbe dato così tanti grattacapi da riempire ben sette anni accademici. Era un ragazzino intelligente e sveglio ad apprendere, senza dubbio, ma aveva una spiccata insofferenza nel riconoscere ed accettare l'autorità altrui: prefetti e insegnanti fallirono, nel tentativo di "costringerlo" a rispettare le regole, e almeno una volta al giorno Silente riceveva lamentele su come il giovane mancasse continuamente di rispetto a qualcuno.
Tuttavia erano ben altri i problemi.
Silente se ne accorse ben presto, quando Tom Riddle si presentò a chiedere per la seconda volta la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure. Ormai non era più il giovane ladruncolo dell'orfanotrofio, capace di spaventarsi per un armadio incendiato, bensì un uomo fatto e dal cuore duro come la pietra. Silente sapeva, conosceva ciò che alimentava la sua sete di ambizione, e non avrebbe mai acconsentito alle sue richieste nemmeno sotto tortura. Quando Voldemort uscì dal suo ufficio, offeso mortalmente per quel rifiuto, forse avrebbe potuto scagliare la sua maledizione su quella cattedra anche senza l'ausilio della bacchetta.
Caso volle che quella sera, mentre percorreva il corridoio verso l'uscita dal castello, Voldemort si imbattesse proprio nel giovane Moody.
Sulle prime non ci badò neanche, e anzi quasi lo oltrepassò senza nemmeno accorgersene, ma quando entrambi si trovarono l'uno di fronte all'altro qualcosa scattò inevitabilmente tra loro. L'aria era piena di tensione, come due poli opposti carichi di elettricità atti a respingersi l'uno con l'altro, ed entrambi avvertirono chiaramente un disprezzo reciproco senza alcun motivo apparente.
Chi mai poteva essere quel ragazzino?
Voldemort non ricordava nessuno in grado di sostenere il suo sguardo senza problemi, ad eccezione di Silente, eppure quel moccioso non tremava e nemmeno dava ad intendere di voler farsi da parte.

- Però, hai del fegato ragazzino - sibilò. - Non hai paura di andartene in giro da solo a quest'ora?
- Buffo - rispose Moody tranquillo. - Stavo per chiedervi esattamente la stessa cosa!

Gli occhi di Voldemort avvamparono di rabbia.
Le rosse fiammelle dentro alle sue pupille rotearono vorticosamente, mentre la mano impugnò la bacchetta sotto il mantello, e d'istinto provò il forte desiderio di ucciderlo proprio in quel medesimo istante. Poteva farlo, poteva usare la morte di quel moccioso arrogante e generare così un altro Horcrux dentro la scuola, ma era pericoloso con Silente nei paraggi. Attimi di profondo silenzio caddero nel corridoio, nessuno dei due proferì parola, e la punta della bacchetta di Voldemort era premuta saldamente contro la fronte di Moody per nulla impressionato.
Voldemort non poteva sapere che il ragazzino di fronte a lui, undici anni prima, aveva lasciato incerto ed esitante persino Gellert Grindelwald. Nonostante l'ombra della morte praticamente addosso, gli occhi di Moody erano calmi e saldi come l'acciaio, proprio come quelli che aveva Silente, e non vi era traccia di paura nel suo sguardo. Era poco più di un bambino, un moccioso senza nemmeno la bacchetta, eppure i suoi occhi bastavano a mettere in confusione colui-che-non-doveva-essere-nominato...
Voldemort si morse il labbro inferiore con disappunto.
Anche un bambino si permetteva di mancargli di rispetto, non solo Silente, tuttavia ucciderlo rischiava di compromettere il corretto svolgimento dei suoi piani.

- Ringrazia il cielo che sei un Serpeverde - mormorò Voldemort, dando poi un'occhiata ai colori dell'uniforme che il ragazzo indossava. - Oggi ti è andata proprio di lusso!

Moody non disse niente. Si limitò ad osservarlo e, non appena lo vide sparire oltre il corridoio, dimenticò l'intera faccenda e proseguì verso il suo dormitorio come se niente fosse. 

continua )...

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Capitolo 8
*** L'eredità dei Moody ***


Durante il suo primo anno scolastico, Alastor fu senza dubbio l'unico studente nella storia di Hogwarts a disprezzare l'uso della bacchetta magica tanto da rifiutarsi di imparare ad usarla.
Probabilmente dipendeva dal fatto che, stando a quanto appreso nei primi giorni del suo arrivo, i suoi genitori avevano perso la vita perché una bacchetta magica era stata usata con l'intento specifico di uccidere. Silente non poteva certo omettere questo "particolare", consegnando al ragazzo l'eredità di famiglia e la bacchetta di suo padre, ma Alastor non digerì affatto bene la cosa. Non appena il preside gli mostrò il pregiato strumento in radica di noce, lunghezza dodici pollici e crine argentato di Leone dei Ghiacci come nucleo, lui la osservò con rabbia ed amaro disgusto rifiutandosi persino di toccarla.
Non era poi così strano, in fin dei conti.
Molta gente, per motivi più o meno analoghi, tende a sviluppare avversione verso strumenti come: pistole, coltelli, corde, lacci di cuoio, accendini, mattoni e altro ancora... Tutta roba che, opportunamente usata, può provocare la morte altrui.
Forse Alastor, in quel momento, preferiva convincersi che "odiare" un semplice oggetto potesse in qualche modo esorcizzare la sua collera ed il profondo senso di frustrazione.
Era ancora troppo giovane e ingenuo per rendersi conto che, in un mondo dove le leggi e le regole umane vengono diametralmente sovvertite dall'uso della magia, vivere senza l'ausilio di una bacchetta costituisce un handicap e non una libera scelta. Sovente preferiva risolvere i problemi affidandosi alla propria forza fisica e a quelle grosse e rudi manacce che iddìo gli aveva impiantato ai polsi. In aggiunta al caratterino che si ritrovava poi, potete facilmente intuire come era solito attaccar briga con gli studenti più smaliziati ed arroganti che adoperavano le bacchette per tormentare i più deboli.
Un giorno, mentre si accingeva ad apporre l'ultimo cristallo al suo puzzle di Democle ( una specie di torre trasparente in miniatura dove più di trecento cristalli di varia forma e lunghezza vanno disposti con pazienza ed equilibrio ), Silente tratteneva il fiato al pensiero di ben venticinque anni di sforzi giunti a termine.
Come la McGranitt bussò alla porta del suo ufficio, provocando quel tanto di vibrazione sufficiente a far crollare tutto, lo sfortunato preside ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi attraverso le lenti a mezzaluna degli occhiali e contemplare la mirìade di cristalli sparsi sul pavimento che, mezzo secondo prima, facevano parte del suo capolavoro di modellismo.

- Ahimé - sospirò tristemente. - Si vede che era proprio destino...
- Professore presto - esortò subito la McGranitt, senza neppure il tempo di avvedersi del danno, tanto era preoccupata da quanto stava accadendo. - Giù nel cortile, il signor Moody sta avendo un increscioso alterco con tre studenti di Corvonero dell'ultimo anno!
- Chissà perché, la cosa non mi sorprende affatto - disse l'altro. - La prego, Minerva, mi faccia strada!

In men che non si dica, a passo deciso, i due insegnanti scesero a rendersi conto di persona della situazione.
Rumble, Mulcimer e O'Toole, tre spilungoni tutti appartenenti alla casa di Corvonero, avevano iniziato a prendersi gioco pesantemente della Tassorosso Emily Booster. Timida ed impacciata di carattere, con il complesso dei brufoli e parecchi chili di sovrappeso, la poverina era scoppiata letteralmente in lacrime alle loro feroci battute. Moody era stato l'unico a prendere le difese della ragazza, visto che tutti non avevano alcuna voglia di compromettersi con tre studenti dell'ultimo anno, e minacciò di suonare quei prepotenti come tamburi se non la smettevano immediatamente con il loro crudele divertimento. Ridendo selvaggiamente, al pensiero di quel moccioso senza bacchetta, Rumble si limitò a tracciare ampi gesti con la bacchetta e a sollevare ed abbassare magicamente il corpo di Moody con tale violenza da togliergli il fiato.
Quando Silente e la McGranitt videro coi loro occhi la scena, Moody era tutto ammaccato e contuso in volto da almeno cinque minuti. Tutti pensavano che, dopo un simile impatto con il terreno, sarebbe rimasto accasciato per il dolore... Invece, abituato com'era a sopportare ben altro genere di percosse, ogni volta Moody si rialzava costringendo Rumble a ripetere l'incantesimo per impedirgli di mettergli le mani addosso. Nell'attimo stesso in cui Silente ordinò a tutti di smetterla, ormai libero di muoversi e di agire come voleva, Moody si avventò su Rumble come una tigre e, sotto gli occhi terrorizzati di Mulcimer e O'Toole, lo investì con una tale scarica di sberle che un paio di denti del malcapitato schizzarono ai piedi della McGranitt.
Silente lanciò un incantesimo Impedimenta, per placare la sua furia vendicativa, e pregò la McGranitt di scortare il ragazzo nel suo ufficio e di informare tempestivamente i genitori degli altri tre sul fatto che la loro condotta inqualificabile richiedeva seri provvedimenti.
Moody e Silente rimasero a fissarsi in silenzio per circa un quarto d'ora.
Evidentemente il giovane non si rendeva conto che, malgrado le sue motivazioni, l'aver aggredito fisicamente degli studenti lo poneva in una situazione estremamente difficile. Di norma sarebbe stato espulso su due piedi, con grande gioia di Scrimgeour che non vedeva l'ora di accoglierlo tra le comode ed accoglienti celle del carcere minorile per giovani maghi irrecuperabili. Tuttavia Silente non era così ottuso da rovinare la vita di un ragazzo per una faccenda del genere.

- Vedi, Alastor - esordì il preside, pulendo accuratamente le lenti degli occhiali con un panno sottile. - Posso capire le tue ragioni, più di quanto tu possa immaginare, ma non per questo posso fingere di ignorare quanto accaduto oggi... Mi spiego?
- Ha avuto quel che si meritava - obiettò Alastor secco. - Da noi è così che trattiamo con gli arroganti, un buon pugno scozzese è meglio di una medicina!
- Non è questo il punto!
- Dovevo forse girare la testa dall'altra parte, e lasciare che tormentassero quella ragazza? Ora quell'idiota si farà un mese almeno di ospedale, così la prossima volta ci penserà due volte!
- E' già uscito dall'infermeria - spiegò Silente. - Lividi, contusioni e denti rotti si guariscono subito, con l'appropriato uso della magia, e non sarà certo un pestaggio a cambiare il carattere di quei tre... Ma non è questo il punto!
- E cosa allora?

Silente pose davanti a sé sulla scrivania la bacchetta di Moody, la stessa bacchetta che questi teneva accuratamente chiusa in un cassetto del suo dormitorio.

- Sa cos'è questa, signor Moody?
- Non m'interessa saperlo - rispose il ragazzo atono.
- E' bene che impari, invece, che l'unico modo che abbiamo per far valere il rispetto e i diritti altrui passa attraverso l'uso corretto di questo strumento - sottolineò Silente. - Non è la bacchetta a fare di un mago un "cattivo mago", è il "cattivo mago" a fare un uso altrettanto cattivo della sua bacchetta!
- Me ne infischio - sbottò Alastor, battendo furiosamente il pugno sulla scrivania. - E' uno strumento da vigliacchi, questa è la verità, e io non sono un vigliacco!
- Neppure i suoi genitori lo erano - puntualizzò Silente. - Il coraggio e la correttezza erano anzi le qualità distintive degli Auror, ai tempi di suo padre, ed io personalmente ritengo che non sarebbe male che questa bacchetta torni a servire un mago altrettanto leale e onesto!

Moody tacque.
Cosa doveva fare?
Mettere da parte certi suoi preconcetti e sforzarsi piuttosto di vedere le cose sotto tuttaltro aspetto?
Nessuno intendeva imporgli niente, Silente meno che mai, e tuttavia si trovava davanti ad una decisione importante. La lucida bacchetta di suo padre, la bacchetta di un Auror, era concepita per difendere la giustizia... Questa era l'eredità più importante dei Moody.
E Alastor sembrava aver finalmente compreso. 

continua )...

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Capitolo 9
*** Oltre la Vendetta ***


Gli anni che seguirono videro Alastor crescere e maturare in modo sorprendente.
Seguendo il consiglio di Silente, mise tutto l'impegno possibile per far sì che ai suoi voti accademici risultasse la media dell'Oltre Ogni Previsione. Dopodiché, dimostratosi il miglior studente in Difesa contro le arti Oscure, poté seriamente pensare di fare domanda presso il Ministero della Magia per diventare un Auror, una volta terminati gli studi.
Molto era cambiato, dal giorno in cui uno scorbutico ragazzino scozzese scendeva in riva al castello per riempire la propria fiaschetta nelle acque del lago.
Ora Alastor era un aitante e robusto diciassettenne di media statura, con occhi severi e intelligenti, la cui cassa toracica ricordava molto quella di un orso. L'unica cosa che beveva adesso era il whisky "doppio malto", dodici falci la bottiglia nello spaccio di Hogsmeade, e aveva imparato ad usare la bacchetta meglio del pugno con cui, da ragazzo, era solito scuotere il tronco per far cadere le mele dall'albero.
Nel tempo si era anche visto ammettere i propri errori e, senza alcun richiamo particolare, imparò spontaneamente a scusarsi in modo sincero. Per esempio, poco dopo quello sgradevole episodio che gli era costato un pugno in faccia, Hagrid si trovò davanti il manesco ragazzino davanti alla porta di casa. Era venuto a chiedergli scusa da solo, senza che nessuno glielo avesse imposto, riconoscendo umilmente di avere sbagliato a cuocere il pranzo nei pressi della sua capanna senza neppure chiedergli il permesso... E ancor più per il modo in cui aveva reagito, quando l'ignaro guardiacaccia gli rovesciò addosso un secchio d'acqua convinto di dover spegnere un incendio. Hagrid sorrise, stringendogli la mano senza rancore, e da quel giorno i due divennero amici per la pelle.
Anche i rapporti con gli studenti, malgrado certi dissapori mai estinti con alcuni Serpeverde noti per certe loro idee sull'ipotetica collocazione dei babbani in appositi campi di sterminio, sembravano essersi ricuciti. Alastor Moody era uno studente serio e, sebbene non molto socievole, nessuno poteva dire nulla circa la sua moralità e la sua correttezza. Aveva uno spiccato senso della giustizia, tale da costringerlo spesso ad andare contro il suo stesso interesse, ed era noto per affrontare a viso aperto le difficoltà senza mai tirarsi indietro.
A tredici anni ebbe il coraggio di denunciare un racket di estorsioni, a danno di studenti terrorizzati dalle minacce, trascinando i responsabili al cospetto dei professori con le prove evidenti della loro colpevolezza. A quindici divenne il prefetto più rigido ed inflessibile di Grifondoro, guadagnandosi l'appellativo di "Morbecco" da parte dei compagni, ed era veramente difficile fargliela in barba. E a diciassette anni, ormai sul punto di diplomarsi, godeva meritatamente del rispetto di tutta Hogwarts.
Un giorno Silente lo mandò a chiamare nel suo ufficio, sostenendo di avere qualcosa di molto importante da comunicargli.
Per anni il preside aveva osservato il comportamento del ragazzo, convincendosi sempre più del fatto che sarebbe potuto diventare un ottimo Auror, ma c'era ancora un dubbio che gli arrovellava la mente. Alastor Moody era senza dubbio un giovane leale e coscienzioso, con princìpi saldi e una volontà di ferro, ma il suo temperamento e il sangue scozzese che gli scorreva nelle vene erano difficili da reprimere. Nel mondo dei maghi, le regole e la disciplina imponevano l'autocontrollo e la cieca obbedienza... E Silente non poteva fare a meno di chiedersi se, messo di fronte ad emozioni troppo forti per lui, Moody sarebbe stato comunque in grado di dominare i propri istinti con la dovuta razionalità.
Doveva metterlo alla prova, prima di stabilire se fosse pronto.

- Voleva vedermi, preside?
- Accomodati Alastor, entra pure!

Alastor chiuse la porta dietro di sé, rigido ed impettito come sempre, mentre Silente si voltò a scrutarlo con la solita espressione emblematica dipinta in volto.

- Ormai sei diventato grande, questo è il tuo ultimo anno qui a Hogwarts, e presto sarai libero di decidere del tuo futuro!
- Non deluderò le sue aspettative, se è questo che intende, diventerò un Auror come mio padre!
- Tuo padre, già...

Silente si fece pensieroso, rimuginando qualcosa tra sé prima di proseguire.

- Ricordi quanto ti ho detto, circa di lui e di come è stato assassinato?
- Me lo ricordo - fece Moody atono.
- Erano anni difficili: il mondo intero era precipitato nel caos, a seguito di un conflitto mondiale e di uomini affetti da manie di grandezza, tuttavia i tuoi genitori si mantennero integri fino alla fine!
- Mi fa piacere saperlo - ammise Moody, non senza una certa perplessità su dove intendesse arrivare l'altro. - Ma non ho ricordi di loro, e non vedo come...
- Invece un ricordo c'è, uno molto importante, inciso nella mente di un mago che ha avuto modo di vederti tra le braccia di tua madre lo stesso giorno in cui lei e suo marito persero la vita!

Alastor sgranò gli occhi.

- Cosa ?!?
- E' la verità: quell'uomo ha assistito al momento in cui Stirling Moody e sua moglie venivano uccisi lasciando solo il loro unico figlio... E non potrebbe essere altrimenti, visto che è stato proprio lui, Gellert Grindelwald, ad aggiungere quell'omicidio alla sua lunga lista di atrocità!

Moody per un attimo impallidì, il tempo di mettere bene a fuoco ciò che il preside stava cercando di dirgli.
Silente non ci mise molto ad immergere il ricordo di Grindelwald nel Pensatoio, dando così modo al giovane di osservare coi propri occhi il momento in cui suo padre e sua madre perdevano la vita. Una scena breve ma straziante allo stesso tempo, di fronte alla quale Alastor non poté far altro che assistervi impotente: la voce di suo padre, il suo urlo di Auror offeso nell'orgoglio, il lampo accecante delle bacchette che si scontravano tra di loro e poi...
Il resto del ricordo apparve sbiadito. Moody aveva gli occhi troppo lucidi di pianto, per potervi assistere chiaramente, ma le sue orecchie sentirono fin troppo bene come Grindelwald avesse deciso di risparmiare un bambino inerme lasciandolo in balìa di un destino incerto. Quel bambino stava ora osservando, attraverso gli occhi di un giovane adulto, una scena che lo avrebbe accompagnato per sempre e che non avrebbe mai più dimenticato.
Il ricordo terminava lì, lasciando nel cuore di Alastor una fitta di angoscia e profonda amarezza, e solo la mano di Silente sulla sua spalla riportò il giovane alla realtà.

- Mi dispiace, Alastor - mormorò Silente. - Credimi, mi dispiace ma era necessario!
- Quell'uomo - singhiozzò Alastor, sforzandosi nel tentativo di reprimere le lacrime. - Quello che ha ucciso i miei genitori, lui... E' morto, vero?

Silente aggrottò le sopracciglia.
Quello era il momento della verità, una volta imboccata la strada, Moody non avrebbe potuto più tornare indietro: poteva scegliere se dominare il suo desiderio di vendetta, o se invece preferiva applicare la "sua" giustizia uccidendo il responsabile di tutto ciò.

- E' ancora vivo - spiegò Silente. - Grindelwald fu sconfitto ed arrestato alcuni mesi dopo l'omicidio dei tuoi genitori, ed è tuttora  rinchiuso a Nurmengard dove viene tenuto sotto stretta sorveglianza!

Moody registrò ogni singola parola nella sua mente, serrando così forte le dita a pugno che le unghie si conficcarono dentro al palmo facendolo sanguinare. Sapendo dove Grindelwald si trovava, immaginò Silente, Moody avrebbe preso la scopa e sarebbe volato all'inseguimento della propria vendetta, buttando così per sempre la possibilità di diventare un Auror.
Invece lui parve calmarsi subito, sfregandosi quel fitto velo umido che ancora gli bruciava negli occhi, e cambiò subito argomento.

- Ho bisogno di chiederle un favore - esclamò. - Domani dovrò sostenere un colloquio con Scrimgeour in persona, il che significa che mi troverò davanti non poche difficoltà per vedere accolta la mia domanda a diventare un Auror, e se lei potesse mettere qualche parola per iscritto...

Il volto di Silente si illuminò di soddisfazione.
Moody era proprio figlio di suo padre, e non vi era dubbio che sarebbe stato un Auror degno di questo nome.  

continua )...

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Capitolo 10
*** Il nuovo Auror ***


Potete bene immaginarvi con quanta e quale felicità Scrimgeour accolse la lettera di raccomandazioni che Silente inviò, prima al Ministero e dopo sulla sua scrivania, per appoggiare la nomina ad Auror del giovane Moody.
Il severissimo ed intransigente Scrimgeour, masticando sommessamente fiele assieme al peggior travaso di bile mai avuto in vita sua, accartocciò la lettera con su il timbro ed il beneplacito del Ministro e soffocò a stento tutte le peggiori imprecazioni che conosceva. Sapeva infatti di non poter opporre alcun rifiuto a quella nomina: Alastor Moody si era diplomato coi voti più alti, aveva superato tutti i test egregiamente, ed era tra i soggetti più promettenti per ricoprire la carica di servizio attivo. In tempi burrascosi e difficili come quelli, dove i seguaci di Grindelwald rimasti a piede libero persistevano nell'ideale di provocare ad ogni costo un colpo di stato totale, le Forze dell'Ordine del mondo magico dovevano assolutamente schierare in campo tutte le risorse disponibili.
Se fosse dipeso da lui infatti, memore del suo primo incontro ravvicinato con que ragazzo, Alastor Moody non sarebbe MAI diventato un Auror.  

- Dannato Silente - mormorò Scrimgeour furibondo, accartocciando più volte la pergamena nelle mani come sfogarsi. - Quell'uomo ci gode a farsi beffe di me e della mia autorità... Lo fa apposta, per farmi dannare!
- E' permesso?
- Fila via, non voglio vedere nessuno !!!

Non avendo altro sottomano da scagliare, all'infuori di calamaio e inchiostro, Scrimgeour agguantò l'oggetto con rabbia e lo scaraventò all'indirizzo del malcapitato usciere che dovette chinare di scatto la testa per evitarlo.

- Domando scusa, signore - gemette l'uomo timidamente. - Ma... Ma si tratta del nuovo arrivato, il signor...
- Lascia perdere le presentazioni - lo interruppe Moody, scostandolo gentilmente di lato e facendosi avanti. - Io e Scrimgeour ci conosciamo già!

Vedendolo, Scrimgeour non poté far altro che aggrottare le folte sopracciglia e incupirsi in volto ancora di più. Se fosse stato possibile uccidere con lo sguardo, Moody sarebbe certamente morto fulminato.
L'usciere si ritirò di buon'ordine, percependo l'atmosfera "elettrica" tra i due, e si chiuse la porta alle spalle non senza tirare un forte sospiro di sollievo.
Alastor e Scrimgeour si guardarono attentamente negli occhi, proprio come sette anni prima, ma stavolta al posto del ragazzino ribelle c'era un giovane uomo fatto e finito. Scrimgeour riconobbe in lui tutta l'inconfondibile sicurezza del padre, una fiducia enorme in sé stesso e nei propri mezzi, come se niente e nessuno al mondo potesse toccarlo senza scontrarglisi inevitabilmente addosso.

- Sei di nuovo qui, vedo - soffiò Scrimgeour.
- Così sembra - rispose Alastor, sottolineando l'ovvietà.
- E magari ti aspetti anche di uscire da questo ufficio con la tua nomina firmata e controfirmata, giusto?
- Se lei non ha niente in contrario...
- Siediti - fece Scrimgeour, indicandogli la sedia.
- Grazie, ma preferisco di no, stare in piedi fa bene alla circolazione!
- Vedo che non hai perso nulla della tua arroganza, ragazzino!
- Dipende dai punti di vista, signore - osservò Alastor. - Sarei arrogante se le dicessi che, oltre a nutrire nei suoi confronti lo stesso disprezzo che lei da sempre mostra nei miei, trovo che sia tedioso e inutile protrarre per le lunghe questa spiacevole conversazione... Ma dal momento che lei è sempre molto impegnato, e lungi da me l'idea di distoglierla dal suo lavoro, sarà sufficiente il distintivo e la licenza di Auror firmata!
- Scordatelo - ringhiò Scrimgeour. - Piuttosto che sguinzagliare Moody Junior, preferisco avere a che fare con tutti i Gellert Grindelwald del mondo!
- Ne è sicuro?
- Ho avuto a che fare con tuo padre, ragazzo, molte volte - puntualizzò Scrimgeour. - E ti assicuro che, se dipendesse da me, il distintivo di Auror te lo farei appuntare al San Mungo sopra una camicia di forza!
- E' un bene che "non" dipenda da lei, allora - sorrise Alastor ironico. - Almeno finché non si deciderà a firmare quel pezzo di carta, dopo potrà sbraitarmi contro tutto quello che le pare e piace!

Scrimgeour masticò amaro.
Velocemente appose la propria firma in calce a un paio di documenti, mormorando a bassa voce frasi impossibili da ripetere, e gettò con stizza il distintivo di Auror sopra la scrivania.

- Ascoltami bene, Moody, ascoltami molto attentamente: provati anche solo ad emulare tuo padre, a dimostrarti degno della sua testa dura, e parola mia quel distintivo te lo faccio mangiare... Ricordatelo!

Moody allungò la mano per prendere il proprio distintivo, senza scomporsi minimamente, e si limitò a ringraziare Scrimgeour con la compostezza di rito.

- Signore - esclamò rispettoso, scattando rigido sull'attenti. - Le auguro sinceramente, e dal profondo del cuore, di passare una buona giornata!

Era troppo.
Con quell'ultima frecciata sarcastica da parte del nuovo arrivato, gli occhi di Scrimgeour si accesero rossi come il fuoco e questi si mise a ruggire e a sbraitargli contro come un animale infuriato.
Anche dopo che Moody uscì dal suo ufficio, subito seguito dall'urlo belluino di Scrimgeour che riecheggiò perfettamente udìbile in tutto l'edificio, tutti lo videro camminare serio e imperturbabile come se niente fosse.
Tutto sommato, ottenere la licenza era stato più facile del previsto. I documenti parlavano chiaro, Scrimgeour non poteva opporre alcunché alla sua nomina, e Moody aveva tutti i diritti di occupare quello che un tempo era stato il posto di suo padre.
Ora era ufficialmente un Auror, a tutti gli effetti, da qui in poi il futuro gli apparteneva.  

continua )...

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