Let's meet the...

di Everian Every
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Creepy.mov ***
Capitolo 2: *** When an Every Falls ***
Capitolo 3: *** Livello Essenziale ***
Capitolo 4: *** Progetto Nemesi ***



Capitolo 1
*** Creepy.mov ***


Guardo fuori in giardino. È una giornata di sole. Il prato sembra giocare insieme al vento, frusciando allegro sino al limitare del boschetto. Guardo i lunghi alberi che si chiudono, poco distanti, davanti alla mia finestra. Appena pochi metri più in là dalla mia dimora, il bosco inizia, brusco, a crescere fermando il terreno come un gigante che impedisce il cammino con tante gambi dure e ruvide. Erano pini, le aveva spiegato suo nonno una volta, quelli che vedeva. Era la grande pineta che faceva da limitare tra il regno delle sette principesse e le Bad Lands. Gli alberi crescevano per miglia dal loro piccolo villaggio di confine fino a collegarsi alla grande Everfree Forest.
Mio nonno mi dice sempre di non andare nella pineta. Lì si nascondevano tutti gli incubi dei bambini e che non doveva andarci, mi aveva detto. Ovviamente io gli do ascolto tanto quanto darei retta ad sasso. Quindi tutti i giorni vado con i miei amici in mezzo a quegli alberi giganteschi e muti, nel silenzio innaturale della pineta. Una volta ci siamo spinti così lontano che per tornare a casa abbiamo dovuto chiedere informazioni ad uno strano signore con uno strano sorriso sempre in volto e gli occhi sbarrati come se non avesse le palpebre mancanti. Era tanto buffo, quando ci aveva visti si era rannicchiato contro un albero, stringendo tra le zampe bianche come la neve, macchiate qui e là con macchie stinte di pomodoro, un coltello dalla lama smussata e spezzata. Quel coso aveva perduto perfino il filo, tanto doveva essere vecchio, ed era coperto di ruggine.
Noi eravamo una decina. Jhona, Blue Whirl, Whisper, Amy Bell, Roselyn Moe, io, Guardian, Derreck Kogan, Nina Milligrass e Suzie Vlear. Lo abbiamo guardato per un attimo, non capivamo mica cosa gli stava prendendo. Io avrò avuto si e no sette anni. Ora ne ho ben dieci, sapete? Mamma dice che sono grande, ormai! Però ancora mi prega, come il nonno e la nonna, di non tornare più nella pineta.
Insomma, dicevo, ci eravamo allontanati troppo e non trovavamo più la strada di casa, così abbiamo chiesto a questo signore come tornare indietro. Lui si mise a mormorare parole senza senso, sul fatto che avremmo dovuto andare via, che non dovevamo stare lì, che dovevamo tornare indietro. Ripeteva continuamente la parola "paura no, paura no!" ed ogni volta che lo faceva, la testa scattava verso sinistra per poi tornare dritta. Noi iniziavamo ad essere un po' inquieti, almeno, io lo ero. Derreck si atteggiava come se lui non provasse paura. Al contrario Blue Whirl, il più fifone del gruppo, si era nascosto direttamente dietro le ali di mia cugina, Amy. Lei aveva sbuffato e io non ero riuscita a non pensare a quanto fosse buffa quando alzava gli occhi al cielo perché qualcuno la usava come scudo. Lei era il capo, più o meno. Cioè, in realtà noi seguivamo sempre Jhona e Guardian, che erano i più fighi di tutti.
Mi chiedo come stiano... Sono partiti non appena compiuti i quattordici anni per non so quale cosa. Ho sentito parlare mia mamma con i loro genitori e li ho sentiti dire che erano andati in guerra. Cosa sia la guerra non lo so, ma spero si stiano divertendo.
Comunque! Dicevo, ripeteva quelle cose e noi ci stavamo anche stancando. Allora Amy si è spazientita. Lei è una vera dura, lo è sempre stata. Ha due anni più di me, e tra poco partirà anche lei come gli altri due. La vedo sempre più triste però... Magari le mancano i bei vecchi tempi. Non appena ha provato a toccarlo, lui ha cacciato un urlo che ci ha terrorizzati. Roselyn, la più piccola (aveva cinque anni allora, mi pare...) si fatta avanti preoccupata. Aveva un cuore d'oro, lo ha sempre avuto, la cara Rose. Gli chiese se stesse bene, ma l'altro non fece altro che dirci di andarcene, indicando una direzione con lo zoccolo. Jhona sembrava sospettoso e ci disse di andarcene. Nina e Whisper protestarono, non volevano abbandonare quel poveretto lì. Avevano un anno di differenza rispetto a Jhona e Guardian, ed erano i miei idoli. Due fratelli che si sostenevano sempre, li ammiravo molto. Comunque, Jhona rifiutò di restare e se ne andò. Io e gli altri ci ritrovammo costretti a seguirlo per evitare che ci abbandonasse. Perfino Amy, che non permetterebbe mai a nessuno di darle ordine, lo seguì. Effettivamente, Jhona era l'unico che lei ascoltasse, anche se non capisco perché.
Uscimmo dalla pineta che era notte fonda. I nostri genitori erano preoccupatissimi e ci sgridarono, ma ricordo che quel giorno fu memorabile. Ci eravamo davvero divertiti da matti, si!
Ora ci ripenso e mi viene un po' di tristezza. Magone, lo chiama mia mamma, e quando gliene parlo lei mi sorride con gli occhi un po' strani, come se stesse piangendo senza lacrime, e mi arruffa i capelli. E mi fa ridere e poi mi cucina tante cose buone! Poi però lei deve lavorare e io resto sola di nuovo. E penso di nuovo a quei giorni. Quando Jhona e Guardian erano qui. Quando Amy sorrideva ancora. Quando una cosa strana chiamata "cancro" non aveva portato via per un viaggio non ho mai capito dove mio papà. Quando tutti i miei amici erano ancora qui. Ora restavamo io, mia cugina Amy e Blue.
Amy passava quasi tutto il suo tempo con la nonna. Erano entrambe unicorni e la loro nonnina le doveva insegnare qualcosa, ma quando chiedo cosa o se posso assistere tutti mi dicono di non preoccuparmi di quelle faccende. Come sono strani gli adulti. Mi rimane solo Blue con cui giocare, visto che il nonno era partito anche lui per la capitale giusto qualche giorno prima. Aveva indossato la sua vecchia uniforme "da colonnello", come aveva detto la mamma, e se n'era andato su un grande carro coperto del tutto da freddo metallo verde e tirato da una decina di grandi signori vestiti con strani abiti di metallo scintillante. Mi manca il nonno. Mi mancano le sue storie e stare sulle sua groppa grande e che non si stanca mai. Mi mancano i suoi rimproveri seguiti da una strofinata di capelli con lo zoccolo gigante e duro come un sasso.
Decido che è il momento di reagire. Voglio potermi divertire di nuovo, accidenti! Magari, se convincesse anche Amy, riuscirei a farla sorridere di nuovo. Corro giù per le scale di corsa e non saluto nemmeno la mamma che sta lavando i piatti in cucina. Esco in strada. La nostra è una casa grande, a tre piani, un po' lontana dal villaggio. Correndo mi ci vogliono almeno dieci minuti per arrivarci. Sento mamma dire che devo essere a casa per cena e le grido di sì, poi mi fiondo verso la piazza cittadina. Oh, come sono felice, solo il pensiero di fare un altra gita nella pineta con la mia cuginona e il mio migliore amico mi eccita tantissimo! Sento il vento che mi carezza il pelo color nocciola e mi viene una voglia matta di ridere.
Il sole batte forte, ma sta già iniziando a calare. Potremo stare fuori solo per un paio d'ore, ma a me basta. E anche Blue sembra felice della proposta. È da quando suo fratello Derrek, di un anno più grande di me, era partito per andare a studiare lontano che non lo vedo così raggiante. Mi sorride dalla porta e mi chiede di aspettare, deve chiedere a suo padre. Ovviamente non dirà nulla di dove vogliamo andare, altrimenti ci caccerebbero subito in camera e niente gita. Torna ancor più raggiante poco dopo e non deve nemmeno dirmi che gli hanno dato il permesso. Lo capisco dal suo sorriso. Corriamo verso la casa di mia nonna. Non è molto grande. In realtà, la casa in cui abito io era dei miei nonni, ma poi loro ce la diedero quando nacqui io e loro si fecero costruire un cottage nel villaggio, più piccolo. Insomma, io dopotutto ho sette fratelli e sorelle, ora dispersi per tutta Equinia! Eravamo tanti, accidenti!
Ci viene ad aprire Amy e quando le faccio la proposta lei esita. Per un attimo ho paura che dica di no, ha un'espressione così indecisa in faccia... Oh, ti prego... Si! Ha accettato! Adesso sono davvero felice! Lei da un grido alla nonna per dirle che starà fuori per un po', poi partiamo al galoppo verso la pineta. Ci mettiamo un soffio, anche se il villaggio è a abbastanza lontano, più a valle del bosco che invece si inerpica su per le pendici delle montagne giganti. Il bosco ci accoglie come sempre, con il suo aroma inconfondibile di umidità e resina. Inspiro a pieni polmoni, occhi chiusi ed espressione soddisfatta sul musetto fino a riempirmi il petto. Che buona l'aria della pineta.
Blue propone di tornare alla vecchia casa coperta di scritte che avevamo trovato qualche anno prima durante una spedizione. Era una casa stranissima, a due piani, col tetto spiovente e una cappa per camino che sbuffava nuvolette grigiastre sempre, pur non essendo collegata a nessun camino dentro l'edificio. Ma la parte più buffa era che qualcuno si doveva essere divertito a ricoprire tutto quanto, sia all'interno che all'esterno dell'edificio, con la scritta "exit".
Amy sbuffa e dice che non è una grande idea. La casa è troppo lontana. Storco la bocca dispiaciuta. Un tempo, mio cugina si sarebbe fiondata all'avventura di quello strano posto. Ora invece stava a farsi problemi per la distanza, come se le importasse di non cacciarsi nei guai. Poi però lei sorride con aria furba e spalanca le ali color cobalto, facendo lampeggiare gli occhi. Dice che il capanno per le provviste è molto meglio, perché ci si può arrampicare e perché ci sono le gallerie da esplorare sottoterra. Blue ed io sgraniamo gli occhi e poi gridiamo eccitati. Il silos è la parte che io preferisco. Fa una paura tremenda, soprattutto quando entri nella botola che sta dentro il grande cilindro di pietra. Quando c'era tutto il gruppo facevamo a gara a chi ci stava dentro per più tempo. Jhona e Guardian uscivano per ultimi, insieme e solo perché ormai era troppo tardi. Una volta io giuro che ci ho visto qualcosa. Come un grande essere bipede che correva per i cunicoli. Però poi lo persi di vista e non ne seppi più nulla. Tutti mi diedero della svitata e poi però ridemmo.
Decidiamo che l'idea di Amy è ottima e ci mettiamo a correre, facendo a gara per vedere chi arriva prima. Sappiamo tutte le strade come se fossero parte del villaggio, ormai. Corriamo e corriamo. Io inizio ad essere stanca, però! Non mi pare che la strada fosse così lunga. Chiedo una pausa e Blue mi prende in giro, ma Amy lo zittisce. Sembra preoccupata. Si guarda intorno come se non si ritrovasse più nella foresta, come se non avesse più punti di riferimento. Per un attimo penso che ci stia prendendo in giro, ma poi, alzando lo sguardo, mi rendo conto che il grande sasso a forma di fungo non c'è. Eppure giurerei di averlo visto poco più indietro, non dovremmo averlo superato. Blue si accorge che qualcosa non va e inizia ad agitarsi. Amy prova a volare, ma dice che dall'alto sembriamo vicinissimi al villaggio. Ci incamminiamo nella direzione che ci ha indicato.
In lontananza, tra gli alberi, scorgo la figura di una puledra vestita con un abito strana. Ha una mascherina bianca che gli copre la bocca ed è bellissima. Scorgo il luccichio di quelle che credo siano forbici sporgere da una tasca. Dico agli altri di fermarsi, ma la ragazza ci vede e scappa subito sparendo nel sottobosco. Continuiamo a camminare.
Io inizio ad avere paura però...
 
Camminiamo per ore. Il cielo è di un nero agghiacciante. Sembra che voglia piombarci addosso e che solo i fitti aghi di pino che lasciano appena intravedere la volta possano sorreggerlo, anche se non per molto. Camminiamo da ore e io sono stanca, ho freddo, fame e ho anche paura. Blue sta tremando. Il vento che prima ci faceva ridere di gioia ora ci fa congelare.
La paura diventa frustrazione e la frustrazione rabbia.
Grido contro Amy che ci ha mentito. Aveva detto che eravamo vicini al villaggio, quasi al limitare del bosco! Mi ha mentito! Lei si arrabbia e ribatte che non è vero, ma io non le do retta. Mi volto e mi allontano verso un'altra direzione. Non la voglio seguire più. Lei mi grida di fermarmi, adesso si scusa pure, ma io non la ascolto. La sento avvicinarsi e allora corro, corro a più non posso, anche se so che mi raggiungerà. Lei sa volare, dopotutto.
Però ora sento qualcosa di strano. Non mi ha presa. E non la sento più. Mi fermo e mi volto smarrita. Dove... Dove sono finiti Amy e Blue. Non aveva corso che per due minuti, con loro che le andavano dietro, avrebbero... avrebbero dovuto essere ancora lì... Che... Grido una volta. Non è divertente. Glielo dico, NON È DIVERTENTE! USCITE! EDDAI, USCITE! Perché non escono? Perché non uscite? Ragazzi...

Sono sola nel bosco e cammino da non so quanto. L'alba non arriva, anzi... Sembra solo più lontana ogni attimo che passa. Finalmente sento qualcosa. È un fruscio. Viene da dietro quel cespuglio... ora mi avvicino. Magari sono loro. Spero di sì. Ti prego, fa che siano...
Scosto il cespuglio. Mi blocco inorridita. Ho così male al petto e alla pancia che non riesco né a piangere, né a vomitare. Davanti a me sta Amy. Ha la... La...
I suoi occhi vitrei mi guardano, mentre a qualche metro di distanza, in una pozza di liquido nero che non voglio sapere cosa sia, ancora freme una sua zampa. Un'altra spunta da sotto il cespuglio e io salto all'indietro quando la vedo. Per un istante ho abbassato lo sguardo. E mentre ho gli occhi bassi, in quel solo secondo, la sensazione di essere osservata mi colpisce come un calcio dritto in faccia. Alzo la testa, incapace di gridare anche se vorrei sgolarmi dal dolore. E lo vedo... Lo vedo... O miei dei, lui mi sta... Mi sta fissando... Non ha occhi, ma mi fissa...
Mi volto e corro, mentre quella cosa sta ancora ferma. Ma la sento, sento che vuole seguirmi, braccarmi! È un mostro, è... Alto, vestito di nero, sta su due zampe e altre due gli pendono lungo i fianchi, lunghe fino a terra. Lunghi tentacoli viscidi gli escono dalla schiena. E la testa... Ovale, bianca come la luna piena, terrificante.
Corro a perdifiato fino a giungere in vista di casa mia. Finalmente il bosco mi permette di uscire. Arrivo davanti alla porta e busso, ma è già aperta. Non ci penso due volte ed entro, chiudendo in fretta il catenaccio. Faccio di corsa le scale e mi chiudo in soffitta. Mia madre non c'è, probabilmente è fuori a cercarmi preoccupata. Ma io devo stare qui o quella cosa mi... Finalmente riesco a piangere, mentre la tensione mi abbandona e la sofferenza subentra. Poggio la testa sulla porta. O dei, che cosa è successo? Che cosa ho fatto? Il nonno aveva ragione, quel bosco era...
Mi blocco. Sbarro gli occhi. Lentamente alzo la testa. La sensazione è di nuovo lì. Vorrei fuggire, ma ho sbarrato la porta, non posso. Mi volto lentamente e lo vedo. Non so come sia entrato. Forse magia. Fatto sta che è lì, immobile. E mi fissa. E mi vuole. Chiudo gli occhi urlando con tutto il fiato che ho, mentre quello si avvicina senza nemmeno muovere le zampe...
 
Apro gli occhi. Sono in soffitta. Perché sono in soffitta? Che è successo? Mi massaggio la testa. Mi fa male, devo aver preso una botta. Poi lo vedo. Sta ritto sulle zampe, altissimo, e mi fissa senza occhi. Mi torna tutto in mente e faccio per urlare. Fuori è ancora buio e nessuno a parte io e il mostro si trova in casa o nei dintorni. Lui però si agita. Sembra preoccupato. Alza lentamente le zampe anteriori e si porta le lunghe propaggini degli zoccoli, sottili e affilate come artigli, sul viso, come a farmi segno di stare zitta.
Mi zittisco. Non sembra cattivo, ma mi fa una paura innaturale. Solo guardarlo mi fa venire voglia di morire per non doverlo vedere più. Lui mi fa dei gesti con i tentacoli e con le mani, muovendosi molto lentamente. Penso che non sia in grado di fare gesti più rapidi di così. Sembra volermi calmare. Smetto di urlare e lo guardo intimorita. Se lo assecondo magari non mi farà nulla.
Lui sembra felice della mia reazione e cerca di mettersi seduto, tenendo però le zampe posteriori ritte, così da doversi piegare a novanta gradi per poggiarsi a terra.
 
"Chi sei?" gli chiedo.
 
Non risponde. Fa dei segni con la punta di un tentacolo sul pavimento impolverato. Disegna l'immagine stilizzata di sé stesso e di altre strane creature. Mi pare di riconoscere la sagoma scura che avevo visto nelle gallerie sotto il silo tra quelle disegnate. Tutte sembrano terrorizzate. Vicino al gruppo di figure disegna una macchia informe con due puntini in mezzo come fossero occhi. Quei puntini mi ipnotizzano subito. La macchia che, se l'avessi disegnata io o chiunque altro mi sarebbe parso solo una macchia, appunto, mi fa sentire a disagio più del grande mostro che l'ha fatta. Mi mette in allarme.

"Tu e... i tuoi amici... Siete spaventati da quella macchia?" chiedo.
 
Annuisce con forza. Sembra sempre più soddisfatto.

"Cos'è?" continuo.
 
Lui riprende a disegnare. Fa molte figure. Prima sé stesso che fa paura a un puledrino come me. Poi la scena dopo rappresenta il piccolo impaurito e la macchia che appare e spaventa il mostro. La scena dopo mostra la macchia e il puledrino, ma nessuna traccia del mostro.
 
"È... qualcosa che attacca te e i tuoi amici quando fate... paura a qualcuno?" tento di indovinare.
 
Lui annuisce di nuovo, visibilmente soddisfatto.
 
"Cioè... è un mostro che uccide chi fa paura?"
 
Annuisce ancora.
Il mostro non mi fa più paura. Mi fa pena.
Mi vengono due domande da fargli.
 
"Hai paura di me?" inizio con la prima.
 
Annuisce dopo un attimo di indecisione. Deglutisco. Ora la seconda.
 
"Cos'è quell'ombra dietro di te?"
 
...
..
.
 
Angolo di ME:
 
Bene! Una storia su di ME! Finalmente!
Come dite? Di che sto parlando? Ma non è ovvio?
Oh, ho capito, voi avete sempre pensato che con "angolo di ME" si intendesse quella parte delle storie in cui Every parlava, vero? Spiacente di darvi la delusione. Ma ME sono io, ME! Potremmo dire che sono... la dark side di Every.
Oh, via non fate quelle facce. Non siete felici di conoscermi?
Beh, spero che la piccola storia vi sia piaciuta. Magari un giorno si parlerà più profusamente di ME... eheheh...
Ora vado, mi spaventate molto, e io odio avere paura.
Ma prima due domande:
Avete capito cosa sono?
E soprattutto...
Sapete dirmi cos'è quell'ombra dietro di voi?

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Capitolo 2
*** When an Every Falls ***


Il team Every.
Era un gruppo eterogeneo di esseri per lo più umanoidi. C'era chi sosteneva che fossero tutti provenienti da universi paralleli, chi invece credeva che fossero semplicemente eroi che si erano riuniti in un unica squadra coordinata. In realtà non erano né l'uno né l'altro. Come diceva il nome, dopotutto, loro erano Every. Le quarantasette altre persone che erano nate dai viaggi temporali del da tempo scomparso Every, l'originale. Ognuno proveniva da una Realtà differente, che si generava quando un viaggio temporale veniva compiuto. Ad ogni salto nel tempo, il flusso del tempo si spezzava in due, creando due Realtà differenti, una delle quali, inevitabilmente, finiva rasa al suolo totalmente. Nella maggior parte dei casi questo era impercettibile, visto che le due Realtà esistevano senza mai toccarsi in alcun modo. Per quarantasette volte, tuttavia, l'Every della Realtà morente, perendo, rinacque nella Realtà primaria. L'originale lì trovò tutti e diede loro una casa e uno scopo. Ma poi Every Zero, l'originale, il più normale di tutti, colui che aveva dalla propria parte gli Entes, sparì nel nulla, senza lasciare traccia, lasciando gli altri senza una guida.
Nessuno seppe mai quello che accadde dopo, ma pare che Nerverian, detto Never, uno dei più giovani del gruppo, impazzì dal dolore e trucidò a tradimento molti dei suoi compagni. Si pensa che gli unici superstiti alla sua furia omicida siano Everian, che era come un fratello per Never, e Murano "Murmure", il mentore del giovane crononauta, nonché amico più fidato dell'originale.
In realtà, altre quattro sopravvissero.
 
L'alta e secca figura nera avanzò, strascicando il mantello di piume bluastre d'inchiostro sul terreno tutto ciottoli e buche. Ad ogni passo, ansava dal becco nascosto sotto il mantello di piume che formava con le due paia d'ali avvolte tutt'intorno al corpo. Così conciato, con il capo piegato sul petto e le ali che lo avvolgevano del tutto, non lasciava intendere adeguatamente la sua magrezza. Sembrava una macchia d'inchiostro. Guardandolo sotto il cappuccio di piume era possibile appena intravedere le due sfere bianche come lune d'autunno che gli facevano da occhi, avvolti nel nero più impenetrabile della notte eterna che si portava appresso. Dalle piume che si trascinava dietro come lo strascico di un lungo e sontuoso abito pareva dipanarsi un'ombra immensa che abbracciava tutto ciò che si lasciava alle spalle, incupendo tutto con la sua aura marcia e deleteria. Una lunga coda sottile, simile a quella di un ratto, terminante con un folto piumaggio proprio in punta, strusciava sul terreno, sbandando come un pigro serpente troppo vecchio per muoversi con maggior convinzione.
Superò un albero, sfiorandolo appena con un lungo artiglio nero che aveva fatto spuntare da sotto l'ala. Il solo spostamento d'aria della falce che aveva al posto del dito bastò a far marcire e crollare in una cascata di poltiglia scura l'intero tronco.
Avanzava, e una scia di piume fluttuava alle sue spalle, segnando irrimediabilmente il cammino che aveva già percorso e infettato con il suo potere corrosivo. Avanzava e ansimava, come un vecchio con l'asma, inerme, debole, ferito nel corpo che non poteva più riparare e nell'orgoglio. Doveva trovare un riparo, in fretta. Ma quel posto era aperto, dannatamente privo di grotte, anfratti, niente! Era una stupida collina che saliva sino a congiungersi con una montagna su cui stava abbarbicato un castello e una città bianchi ed oro, scintillanti perfino in mezzo al temporale che lui stava causando. Emise un fischio senza aprire il becco e riprese la marcia.
Si fermò di nuovo, dopo una ventina di metri. Aveva udito qualcosa di insolito. Diverso da tutti gli esseri piccoli e deboli che abitavano quelle terre. Un alicorno? No, ne restavano pochi e di certo non ce n'erano nei paraggi. Sombra? Quel povero idiota che lui aveva manovrato con piacere a suo discapito era rinchiuso nelle lande ghiacciate a nord. Forse un demone del tartaro a cui aveva conferito poteri tempo prima? Nemmeno, avrebbe sentito puzza di limone (stranamente, il tartaro era pervaso da quell'odore pungente).
Spostò la visuale, girando il busto sul bacino di trecentosessanta gradi senza spostare le gambe. Sentì la colonna vertebrale spezzarsi. Tornò alla posizione naturale e riparò il danno senza problemi. Rimpiangeva la sua forma originale, in cui nessun movimento gli era impossibile e non c'erano ossa che potessero spezzarsi.
Spostò di nuovo il corpo verso i piedi della collina, stavolta girandosi del tutto. Niente. Eppure lo sentiva. Si girò di nuovo e restò interdetto. Davanti a lui, in cima al pendio, ad una ventina di metri dalla sua posizione, stava seduto un ragazzo di non più di vent'anni, alto, palestrato, con indosso una canotta bianca, dei pantaloni beige che gli arrivavano fin sotto le ginocchia, troppo larghi, tenuti su da una cintura di pelle nera. Portava poi delle scarpe eleganti e lucide, con due fibbie diverse a testa appuntate sui lacci. Sorrideva, giocherellando con una mano con un paio di sottili occhiali da sole. Teneva i capelli lunghi spettinati simili alle fiamme di un incendio, castani chiaro, perfettamente in tinta con la carnagione bronzea, mentre gli occhi, simili a pozze d'acqua di notte, erano di un verde scurissimo tanto che iride e pupilla erano difficilmente distinguibili.
"Finalmente ti ho trovato, maledettissimo!" disse il giovane Nitran "Nitro" Every, alzandosi e salutando il cupo signore come se fossero amici di vecchia data.
"Oh, è un piacere, messere. Quale onore porta a sprecare il tempo di vossignoria nella ricerca di un povero vecchio come me?" chiese mellifluo l'essere, abbozzando a fatica un inchino, facendo scricchiolare le ossa di tutto il corpo decrepito. La sua voce sembrava provenire da dietro una maschera. Era aspirata e profonda, debole e tetra, affaticata come se ne avesse poca per aver gridato troppo durante il giorno. Grosse gocce d'acqua iniziarono a precipitare come siluri dal cielo terso di nubi. Ora l'ombra del mostro non riusciva ad avanzare. Sembrava quasi che la presenza del giovane la costringesse a retrocedere.
"Sai, ti ho cercato. A lungo." disse il ragazzo, prendendo ad avanzare lentamente ed altrettanto lentamente scrocchiandosi le dita con un sorrisetto cattivo sotto gli occhi malevoli abbaglianti di insita rabbia repressa a fatica.
"Si? E per quale motivo, se posso chiedere?" rispose mellifluo l'altro, indietreggiando altrettanto piano, piegando il busto di lato in modo innaturale, come un uccello che studia il vermiciattolo che si sta accingendo a divorare, piegando di lato la testa.
Il ragazzo si fermò di scatto, sorpreso. Poi sorrise. Il sorriso si allargò fino a diventare quasi maniacale. Lasciò cadere all'indietro il capo e iniziò a ridere sguaiatamente, chiudendosi gli occhi con due dita, mentre un tuono squarciava l'aria proprio sopra di lui, illuminandolo insieme alla collina.
L'essere fu scosso da un fremito, piegandosi in avanti come se fosse in procinto di scattare all'indietro per mettersi in salvo. Ad un tratto il ragazzo sparì con un leggere suono come dell'innesco di un accendino.
"Lo sai perfettamente perché." disse Nitro con voce stentatamente controllata, apparendo dietro al corvo con la gamba sollevata dietro di sé. L'essere fece appena in tempo a voltarsi di novanta gradi che un calcio lo scagliò contro la cima della collina.
"Ti farò piangere il tuo sporco sangue nero, maledetto!" gridò il giovane, mentre il metalli argentato che aveva ricoperto la sua gamba svaniva nel nulla. Si mise a camminare verso il polverone in cui era sparito l'essere di ombre, creando altro metallo con cui ricoprì gli avambracci. Dalla nube saettò qualcosa di nero e piccolo. Sgranò gli occhi e parò il colpo con una mano, trovandosi tra le dita una piuma di quel blu scurissimo, quasi nero, che apparteneva alla creatura. La piuma si illuminò per poi esplodere, facendolo ribaltare per diversi metri prima che potesse arrestare la caduta piantando una mano nel terreno.
"Non giocare con me, moccioso. Ho poca pazienza e non ho voglia di giocare con te!" strepitò la voce dell'essere, ad un tratto più acuta e stridente.
"Giocare? Io non gioco... Sono qui per vendetta... Elphrin." ringhiò Nitro, ricoprendo anche braccia e spalle con il metallo, insieme alle gambe. Sbatté tra loro i pugni ed avanzò verso il corvo che si ergeva ora in tutti i suoi tre metri e mezzo di altezza. L'essere lo aspettò, facendo irrigidire il piumaggio che luccicò al passare di un'altra saetta.
"Questo è per tutti i miei compagni morti a causa tua!" gridò Nitro, sparendo e riapparendo di fronte al mostro, colpendolo alla spalla. Le piume fungevano da corazza, erano praticamente impenetrabili ad un attacco fisico come quello. Ma anche il metallo del ragazzo era praticamente indistruttibile, oltre che perfettamente riflettente rispetto a tutte le forme di energia. Il colpo lo avrebbe sentito anche con l'armatura. Soprattutto visto che i due si stavano muovendo alla velocità della luce. Con quella rapidità le gocce di pioggia sembravano immobili, ferme a mezz'aria.
Il corvo schivò ondeggiando in avanti, per poi spostarsi con rapidità all'indietro, schivando un calcio del giovane. Il ragazzo si voltò furibondo, iniziando ad emettere fumo bianco dagli occhi e delle braccia.
"Non pensare di poter evitare lo scontro per sempre!" gridò, tirando una raffica di colpi che l'altro schivò spostandosi verso le pendici della collina. Restava zitto, mentre gli attacchi dell'altro non gli davano tregua. Sgusciò di lato per evitare un doppio calcio del ragazzo, che fracassò il terreno. Senza dargli tregua, Nitro emerse dalla polvere come una saetta e sferrò un pugno che andò a vuoto, si girò, cercando di colpirlo con una spazzata del braccio, ma Elphrin indietreggiò come se stesse fluttuando, seppur fosse ancorato a terra. Nitro scattò in avanti sfruttando lo slancio della spazzata e tirò un pugno, poi un altro, sbilanciandosi in avanti. Mise le mani a terra e compì un giro a testa in giù con le braccia tese, ma Elphrin schivò anche quella mossa.
Il corvo guardava il giovane attaccarlo senza sosta. Non poteva perdere tempo con quello scontro. Aveva voglia di andare a distruggere qualche mondo. Oltretutto, se avesse attirato troppo l'attenzione, Nero lo avrebbe rintracciato, e lui non voleva che ciò accadesse. Schivò ogni attacco del ragazzo, finché si muoveva a quella velocità non aveva problemi ad evitarne i pugni e i calci. Nitro gli si lanciò di nuovo contro, caricando il pugno frontalmente, Elphrin fece per schivare, ma ad un tratto quello svanì nel nulla, lasciandolo sbigottito. Aspettò un attimo, poi una forte pressione dietro la testa lo fece sollevare da terra, mandandolo a sbattere a terra parecchi metri più a valle. Ora si trovava circa a metà dalle collina. Si girò sulla schiena, incuriosito, solo per vedersi piombare sullo stomaco i piedi uniti dell'umanoide. Il colpo fracassò la parete della collina, mandando il corvo e il suo aggressore sotto terra, in una grotta un tempo usata dai cani stana diamanti, ora disabitata per l'antica apparizione dell'Omino di mai che li aveva sterminati.
La grotta era umida e buia, ma la presenza di Nitro sembrava rischiarare e al tempo stesso scurire l'ambiente. Elphrin si mise in piedi a fatica, ma non riuscì a drizzarsi che una ginocchiata gli fracassò il cranio sotto le ali. Un altro colpo apparentemente proveniente dal nulla gli frantumò un ginocchio, facendolo piegare su una gamba. Poi si susseguirono un terzo, un quarto, un quinto colpo, finché Nitro non gli apparve davanti ed Elphrin illuminò gli occhi vitrei di una debole luce viola. Il pugno del ragazzo frantumò le piume delle sue ali come fossero di vetro, mandandole letteralmente in frantumi che, cadendo a terra, sprofondavano nel suolo come fossero minerali pesantissimi. Nitro restò interdetto, poi sorrise.
"Cos'è, vuoi dirmi che le piume del grande Elphrin, lo scudo più impenetrabile di tutto ciò che esiste, si è appena rotto?"
"Presta attenzione, piccolo uccellino arrabbiato: non si è rotto. Ti ha intrappolato."
Il sorriso sulle labbra del ragazzo svanì di botto, lasciando il posto ad un'espressione terrorizzata. Provò a togliere la mano dall'ala rotta, ma niente, era incastrata. Le piume che circondavano il corpo di Elphrin si illuminarono di colpo, emettendo un fischio acutissimo che coprì l'imprecazione del ragazzo. Poi ci fu una detonazione, e l'intera grotta crollò al suolo, portandosi dietro una buona parte della collina.
Quando il polverone si fu diradato (grazie ai poteri di Elphrin, perché altrimenti, visto che si stava ancora muovendo alla velocità della luce, ci avrebbe messo secoli a posarsi del tutto) il corvo studiò l'ambiente. Non era rimasto quasi nulla del promontorio. I boschetti che si aprivano a qualche centinaio di metri di distanza lungo il versante della collina su cui si trovavano erano svaniti insieme alla collina stessa. Una buca grande quanto un villaggio si apriva sulla fiancata del mucchietto di terra. Nitro si rialzò dolorante. Aveva ricoperto tutto il corpo di metallo solare prima che l'esplosione lo travolgesse. Sogghignò frustrato.
"Non potresti smettere... di prendermi in giro?" sibilò, camminando a passo controllato verso il corvo, che lo fissò con gli occhi bianchi e lattiginosi. L'altro, le cui ali si erano riformate prima ancora che l'esplosione spazzasse via la collina, piegò la testa di lato ed emise un fischio come di qualcuno senza un dente che sospira.
"Spiegati meglio, piccolo mio. Che intendi con prenderti in giro?"
"Oh, ma ti prego! Già è snervante combattere con un Ens. Mai una volta che combattano davvero! Giocate sempre voialtri, sottovalutate tutto! E tu più degli altri, arrogante e pomposo come sei! Combattimi da uomo a uomo! Oppure devo credere che hai paura!?" esclamò allargando le braccia l'altro.
Elphrin rimuginò un attimo. Non poteva combattere. Non lì. Non in quel momento.
"Dimenticatelo. Perché combattere quando giocare è più che sufficiente a tenere buoni tutti voi vermiciattoli? Tra l'altro è sempre divertente dare alle persone l'idea di combattere alla pari e poi, lentamente, sopraffarli, poco a poco, pianamente, gustandosi nel frattempo i loro pensieri che si fanno via via più angosciati, terrorizzati, morenti!"
Nitro ringhiò infuriato e scattò, colpendo il corvo al petto. Ma stavolta Elphrin non schivò, né incassò. Stavolta parò con l'ala, rinforzando le piume.
"Ti diverti, eh? Come ti sei divertito a far impazzire uno di noi Every perché uccidesse tutti gli altri, vero? Parli di questo, VERO?! DI COME CI HAI LASCIATI SBUDELLARE L'UN L'ALTRO, VERO?! RISPONDI!" gridò il ragazzo tirando un pugno ad ogni fine frase. Elphrin parò tutti i colpi e sull'ultimo si chinò in avanti con uno scatto che fece tentennare di sorpresa l'avversario. Lo fissò negli occhi ed emise un flebile sibilo divertito.
"No, parlo di quella troietta di tua madre!" disse divertito.
Nitro sgranò gli occhi e colpì ancora, con più forza, aumentando la velocità di dieci volte superiore a quella della luce, gridando furibondo. Dalle nocche chiuse partì una fiammata del suo fuoco particolare. Il fuoco del sole nero, una fiamma che non brucia, né raffredda. Non illumina, né favorisce le tenebre. Una fiamma che divora tutto, luce, buio, materia... Distruggendo qualsiasi cosa, perfino le piume impenetrabili del corvo.
Elphrin scattò all'indietro, ma la vampata si propagò come una gigantesca colonna di dieci metri di diametro che si erse per diversi kilometri in cielo, squarciando le nubi e impattando con un fulmine sospeso a mezz'aria. Nitro si fece avanti in mezzo al fuoco di colore nero e bianco che gli si diradava intorno e lo seguiva come un fedele segugio, corrodendo meglio di un acido tutto ciò che toccava. Il ragazzo raggiunse Elphrin, le cui piume ricrescevano così in fretta che nemmeno le fiamme parevano averle scalfite. L'essere cercò di parare il pugno successivo, ma non riuscì a fare altro che piegarsi sotto l'attacco nemico, crollando in ginocchio, un colpo dopo l'altro, mentre la sua risata e la sua voce pronunciante nefandezze si perdevano nell'ululare di rabbia di Nitro. Alla fine, quando il ragazzo si fu calmato, la conca era più profonda di almeno duecento metri e non c'era più pioggia nell'arco di un kilometro. Ansimava, tenendo i pugni serrati, mentre dagli occhi seguitava ad uscire quel fumo bianco.
"Non azzardarti... a parlare... di mia madre." disse con voce terrificante.
Il corvo, ridotto ad un cumulo cencioso sotto i suoi piedi, ridacchiò, debolmente.
"B-bravo. Se potessi provare dolore, ora sarei già morto per la sola sofferenza fisica. Sono fiero di te, figlio mio." mugghiò, ricevendo un calcio infuocato in volto. Il piede del ragazzo, a contatto con il piumaggio dell'essere, emise un'altra vampata che salì al cielo, investendo lo stesso utilizzatore del fuoco del sole nero. Ma tanto lui era immune al fuoco o a qualsiasi altro elemento naturale esistente. Ringhiò di nuovo.
"Non dire mai più quella parola rivolta a me. Non..." disse, ma il corvo lo interruppe.
"FIGLIO!" gridò, tacitandolo. Nitro fece per gridare e colpire di nuovo, ma il corpo del corvo si dissolse in una nube di piccoli corvi di fumo che si riunificarono dietro al ragazzo a velocità troppo elevata perfino per lui, ricostruendo il corpo di Elphrin. Da sotto le ali uscirono le mani artigliate del mostro che afferrarono le spalle metalliche del ragazzo, tagliando lo stesso metallo indistruttibile come fosse burro. "Mio..." seguitò con tono quasi di scherno l'essere.
Nitro si voltò di scatto gridando con una rabbia così grande che chiunque avesse udito quell'urlo avrebbe di certo sentito il bisogno di gridare a sua volta. Cercò di colpire il corvo, ma questi si era già smaterializzato.
"Mi hai convinto. Giocherò con te, figlio mio." disse Elphrin, apparendo a dieci metri di distanza. Le ali ebbero un fremito e le piume si irrigidirono, rizzandosi come pelo felino. Poi iniziarono a cadere, dissolvendosi in fumo che a sua volta svaniva nel nulla dopo pochi secondi. Le ali svanirono e lasciarono scoperto il corpo del corvo. Era completamente umano, letteralmente scheletrico, tanto che la pelle era tirata sulle ossa come se non fosse abbastanza da coprire l'intero corpo. Le gambe terminavano con piedi plantigradi con due grossi artigli simili a zoccoli allungati e affilati sulla parte anteriore e un artiglio d'aquila più corto sul tallone. Le mani avevano tre artigli a testa, neri, artigli che costituivano per intero le dita, flessibili abbastanza da potersi piegare come dita vere. Il collo era lungo  e sormontato da una testa obliqua su cui spiccavano gli occhi bianchissimi e sporgenti, perfettamente rotondi e inespressivi. Il becco ricordava tanto quello di un ibis, lungo e curvo in maniera insolita. Becco e artigli erano nero pece, mentre la carnagione era verde scurissimo e viscido. Indossava una corta tunica sul bacino, lasciando scoperto tutto il busto e buona parte delle gambe. Aveva bracciali e gambali, mentre sulle spalle poggiava un ricco e pesante collare d'oro che copriva quasi del tutto il petto. Il collo era adornato da un collare in argento molto spesso. La lunga coda sbatté a terra, mentre si scrocchiava le ossa con piacere, fremendo. Si fermò di scattò. Nitro aspettò indeciso. Poi l'altro spalancò il becco, emettendo un suono indescrivibile. Era certa solo una cosa: quel suono era quanto di più orribile, terrificante e doloroso che si potesse udire. Sentirlo poteva portare alla morte istantanea, se non al coma o al suicidio. Certamente la follia era assicurata, di quelle follie che rendono cupi, silenziosi, persi, privi della voglia di vivere. Ma Nitro era abituato a quel dolore. Lo sentiva tutti i giorni, grazie all'addestramento di Nero e alla sua discendenza. Dopotutto, era figlio di Elphrin stesso, anche se ammetterlo non gli era facile.
Il corpo del corvo si rimpicciolì, diventando alto non più di un metro e ottanta. Squame di una corazza viola scuro apparvero intorno al suo organismo, fino a coprirlo del tutto. Anche la coda era corazzata. Con un gesto secco, tese la mano i cui artigli erano stati rivestiti da più piccole scaglie viola che gli permettevano ancora di piegarli normalmente. Tra le dita gli apparve una lancia argentata da cavallerizzo, dalla punta ben letale e manico corto, protetto dalla stessa lancia. Strinse l'arma e la sollevò, poggiandosela sulla spalla. Ora sembrava quasi umano, se non fosse stato per la coda e il becco, unica parte visibile da sotto l'elmo che copriva anche gli occhi. Le fessure della visiera erano infatti poste in modo che un umano potesse vedere. Ma Elphrin aveva gli occhi ai lati della testa, quindi erano nascosti dalle tempie dell'elmo.
"La tua forma da battaglia... credevo che non l'avrei mai vista..." mormorò Nitro, ondeggiando davanti all'energia incredibile che l'altro stava iniziando ad emettere involontariamente.
"Ora possiamo iniziare a giocare, ti va? Ma non facciamo sul serio. Almeno... io non lo farò." disse la voce del corvo. Il fatto che quando parlasse non aprisse il becco era inquietante. La voce sembrava provenire dalla mente stessa degli ascoltatori. L'essere non aspettò. Si chinò leggermente e scattò, svanendo alla vista del giovane. Raggiunge una velocità di miliardi di volte più alta di quella della luce e gli apparve davanti così in fretta che nemmeno un teletrasporto sarebbe stato tanto rapido. Alzò la lancia e colpì con il fusto dell'arma lo stomaco del giovane, lanciandolo contro la parete della conca. Lo fece volare via così velocemente che perforò la parete e atterrò nel meleto poco distante dal villaggio in costruzione di Ponyville in meno di un milionesimo di secondo, frantumando il terreno, creando una sagoma perfettamente identica a lui. Sprofondò per un kilometro, prima di rendersi conto di avere tutte le ossa rotte. Sbatté le palpebre ed aprì la bocca, ma il dolore era troppo intenso per poter parlare. Gli serviva un power up. Strinse i denti e si ricoprì le ossa di metallo, raddrizzandole. Faceva male, ma almeno serviva allo scopo. Si iniziava a rendere conto dell'errore commesso. Lui era un dio, vero. Per la precisione era l'incarnazione di un sole nero, il corpo astrale dall'energia più grande di tutte. Con la sua seconda trasformazione poteva diventare un vero e proprio dio, ma anche nella sua prima forma era abbastanza forte. Eppure Elphrin sembrava così più forte che nulla sarebbe servito a batterlo. E non stava nemmeno usando i suoi poteri, ma solo quelli dell'armatura che, in un certo senso, lo limitava.
Si fece forza, mentre i poteri di guarigione rallentati dall'energia dell'Ens riparavano i danni, e si lanciò fuori dalla conca. Emerse e si trovò di fronte il corvo, che lo aspettava a braccia conserte appollaiato sulla lancia conficcata a terra.
"Salve." disse il corvo, senza dargli tempo di reagire, per poi afferrare la punta del manico con le mani, girare su sé stesso e colpire in volto Nitro con un calcio che lo fece schiantare contro il fienile. Il ragazzo si massaggiò la testa, ma Elphrin non aveva certo finito. Gli apparve davanti e lo colpì con la lancia con un fendente ascendente, facendolo sollevare in una frazione di millisecondo nell'atmosfera. Nitro sgranò gli occhi quando il nemico gli apparve davanti. Il corvo si mosse così rapidamente che per un istante parve essersi sdoppiato in diversi cloni, circondandolo. Poi le immagini svanirono, lasciando solo l'originale, che gli dava le spalle. Una serie di fitte lancinanti lo pervase, mentre iniziava a subire gli attacchi iniziati qualche secondo prima. Il mostro si voltò, mentre lui iniziava a precipitare, gli si lanciò contro e lo colpì con un pugno, facendolo schiantare sui resti del fienile di nuovo in una frazione di tempo infinitesimale.
Nitro strinse i denti. Se il corvo avesse usato il suo potere da Ens, lo avrebbe già ucciso. Invece non lo faceva, e lasciava che la sua immortalità lo tenesse in vita per fargli più male possibile. Si mise carponi, sputando un grumo di metallo solare liquido, il suo sangue.
Cercò di alzarsi, mentre la sua velocità calava. E mentre calava, la pioggia riprendeva a cadere, bagnandogli la schiena di ferro solare. Elphrin gli atterrò alle spalle. Piantò la lancia nel terreno e vi si poggiò copra con un piede, restando in equilibrio a braccia conserte, attendendo la risposta dell'avversario.
"Ti arrendi? Ho vinto io?" chiese con la sua solita fastidiosa voce strusciante.
"Forse potrei... aver sottovalutato l-la cos... la cosa..." borbottò il ragazzo, reggendosi a malapena in piedi. Barcollò un attimo. "Ma non mi fermerò... non finché non mi sarò... vendicato per... tutto... tutto quello che mi ha f-fatto..."
Il corvo piegò di lato la testa. "Vuoi continuare? Non fraintendermi, mi piacerebbe spezzarti le ossa qualche altra volta prima di ucciderti del tutto e divorarti come feci con quella sgualdrina di tua madre. Ma mi meraviglio che tu voglia andare avanti. Non ci sono già state abbastanza vittime?"
Nitro storse la bocca sul commento sulla madre. Ma si voltò di scatto a sentire le ultime parole del padre. "Che intendi?" chiese preoccupato.
Il corvo emise un soffio che avrebbe dovuto essere una risata divertita. Poi indicò col becco due corpi equini sommersi da un cumulo di travi.
"No... Non è... Non è successo davvero..." balbettò il ragazzo, che si avvicinò dapprima titubante, poi di corsa ai due cadaveri, cercando di salvarli anche se era troppo tardi.
"Ops, ops, ops, che hai fatto mai? Ti sei lasciato colpire da me e sei finito qui, buttando la casa di questi due poveri imbecilli sulle loro teste inutili, fracassandogliele? SI!" lo schernì il corvo, balzando giù dalla lancia e afferrandola con un gesto fluido, poggiandola sulla spalla corazzata.
"Tu... tu hai mirato qui, quando mi hai colpito, non è vero? Sapevi che sarebbe successo... Lo sapevi... potevi colpirmi e mandarmi ovunque, ma hai voluto uccidere queste due povere creature... Lo hai... Lo hai..."  mormorava Nitro, incapace di fare alcunché.
"In realtà si, l'ho fatto. Ma non solo! Senti un po' qua, sbruffoncello! Dopo che ti ho buttato come spazzatura quale sei su questi idioti, il tetto è crollato in parte, uccidendo il marito. Poi ti ho fatto fare un altro bel voletto e lì hai travolto la moglie, spaccandole la testa di cazzo che si ritrovava! Non è bellissimo?! Ma sai qual è la cosa buffa? Che stavano festeggiando il primo anno di vita della loro figlia minore! E i tre fratellini che sono là dietro a fissarci terrorizzati saranno la mia torta dopo che avrò mangiato te i loro genitori!" strepitò il corvo, volteggiando su sé stesso.
Nitro ammutolì e alzò lo sguardo sui tre puledrini che li stavano guardando scioccati. Una lacrima gli rigò il volto. Sorrise, pensando all'ironia della sorte. Lui era partito cercando di vendicare la morte dei suoi amici morti a causa di Elphrin e aveva finito col causare altre morti.
"Perdonatemi. Vi prego, perdonatemi, piccoli." mormorò trattenendo il pianto, alzandosi. Si voltò verso il corvo che piegò di lato la testa.
"Quindi non ti arrendi proprio, ah? Allora vorrà dire che..."
"Taci."
"Cos..."
"Taci. Per favore. Hai gettato abbastanza fango su di me con la tua voce, per oggi."
Elphrin rise divertito, facendo roteare la lancia.
"Che vuoi fare, scricciolo? Trasformarti in divinità? Ho ucciso dei più forti di te e li ho divorati usando meno potere di quanto ne abbia usato fin'ora. Fatti ammazzare. Tutto sarebbe più facile."
Nitro alzò una mano.
"Sunflower..." mormorò, mentre una sfera di energia rossa gli si formava sul palmo, crescendo fino a diventare grande quanto l'intero fienile. Poi fu percorsa da un'intensa ragnatela di luce bianca; una volta spenta la luce, il globo si era diviso in centinaia di sfere delle dimensioni di una palla da demolizione che fluttuavano sopra la fattoria. "Field."
Elphrin emise un verso strozzato. "La tua tecnica finale. Chiunque tocchi quelle sfere verrebbe annientato. Blocca poteri di rigenerazione, poteri di immunità... una tecnica così sembra disperata, visto che anche tu rischi di essere danneggiato a morte."
Nitro sorrise.
"È proprio ciò che voglio." disse.
Sparì, lasciando Elphrin sconcertato, per poi riapparirgli alle spalle e afferrarlo da sotto le braccia, stringendolo forte. Il corvo si dimenò.
"Che vuoi fare?! Che vuoi fare?!" strepitò con voce stridula. Si dimenava, ma Nitro lo tenne ben stretto.
"Addio, padre..." mormorò, scagliandosi contro tutte le sfere rosse. L'energia venne assorbita dai loro corpi. Non vi fu esplosione. Semplicemente svanirono lasciando solo una traccia di terreno carbonizzato tutt'intorno.
Nero guardò la scena, mentre sentiva che Elphrin si stava riformando da qualche parte. Nemmeno un attacco così poteva ferirlo. Si avvicinò alla finestra che aveva aperto per osservare le ultime fasi dello scontro e toccò la superficie acquosa che si increspò. Riusciva a rintracciare il corvo solo quando ormai era troppo tardi. Cancellò le memorie di tutti coloro che avevano assistito ad uno qualsiasi degli eventi di quel giorno, compresi i tre orfanelli. Famiglia Apple, che nome azzeccato. Infine ricostruì il fienile e la collina. Non poté far tornare in vita i due coniugi per le leggi del loro mondo e la cosa gli dispiacque. Ma non troppo. Darsi troppa pena per qualcosa, qualsiasi cosa... lo trovava controproducente...

Intanto Nitro si svegliò di soprassalto. Era immerso nel vuoto cosmico. Ma non era il SUO vuoto cosmico. Capì al volo. L'esplosione lo aveva sbalzato via dal suo universo. Probabilmente c'era lo zampino di Nero. Il lato positivo era un nuovo universo da esplorare. Avrebbe potuto iniziare da quel pianeta in cui sentiva la presenza di un gruppo di anime particolarmente potenti...
 

Angolo di ME!

Vi sono mancato? Spero bene... Altrimenti mi offendo!
Scherzi a parte... Doveva essere un'altra storia sul fantastico ME! Invece... Ma vabbé. C'era desiderio di scrivere qualcosa di più violento, più... alla vecchia maniera, insomma! Effetto AMV, probabilmente. Anyway, alla prossima storia, magari sarà su ME, stavolta... Speriamo, mi piacerebbe... Ehm, ma che ora si è fatta! Io devo andaaare, ciaoèstatounpiacere!
(P.s. Elphrinvince!)
 
Ev.

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Capitolo 3
*** Livello Essenziale ***


Dalle "Riflessioni su un mondo" dell'Ens Relboww.
 
Ho studiato lungamente lo sviluppo delle molte civiltà che si sono succedute nel corso degli infiniti miliardi di anni che hanno costituito il lento trascinarsi delle molte vite della Realtà. Ho potuto scorgere nei meandri dei Tremila Mondi, mi sono inerpicato tra le tenebre dell'Assoluto e la luce del Trascendente. Ho guardato dall'alto gli universi che nascevano, vivevano, brillavano, ma infine, inevitabilmente, svanivano, rapidi come lucciole che nascono in sul calar del sole e si spengono ben presto. Spesso ho sentito la mancanza di quel qualcosa che gli umani hanno imparato a chiamare crono, tempo.
Nei miei infiniti viaggi attraverso il multiforme tutto esistente, ho potuto trovare ogni cosa immaginabile, compiacendomi della bellezza di tanti particolarissimi frammenti in cui l'esistenza si manifestava. Tra le varie forme conosciute come "vitali", o esseri viventi, che dir si voglia, né ho trovati di alcuni dotati di capacità davvero straordinarie. È mio desiderio riassumere qui le più importanti tra di loro. Porterò all'attenzione di quei dieci lettori che si prenderanno la briga di spulciare i miei manoscritti, quando il fato da me e dai miei fratelli e sorelle prescritto si compirà e io cadrò nel sonno per causa del corvo, Elphrin, i più potenti e pericolosi di quegli esseri che sono o saranno esistiti, cercando di porre una scala valutativa della loro pericolosità e delle loro capacità.
 
Innanzitutto, trovo necessario fare una precisazione. All'infuori di speciali creature note con il nome di Superiori, i quali sono esistiti per un breve lasso di tempo in un futuro prossimo (giacché scrivo questo saggio prima che ogni cosa avvenga. Dal passato, insomma, per essere più chiaro), e che hanno dimostrato di non essere classificabili secondo una scala di valori normale, ogni creatura che mai esisterà, anche solo nel pensiero del più piccolo lattante, anche solo per un istante, come una macchia sfocata nella memoria, è raggruppabile sotto una certa fascia di "essenza" che ne sancisce la forza e le capacità generali. Il limite massimo che ogni creatura possa raggiungere è il sessanta per cento del dieci per cento dell'un per cento del potere che un Ens qualsiasi potrebbe raggiungere in zero punto tre centesimi di secondo. Avere un potere pari a questo limite, oltre il quale ogni cosa esistente smetterebbe di esistere, equivale a dire che il soggetto in questione è divenuto onnipotente. Una creatura al sessanta per cento è tanto potente da poter fare tutto, finanche minacciare l'indennità del tutto esistente.
Tuttavia, questa "onnipotenza" non deve trarre in inganno. Creature con un livello essenziale molto inferiore sono catalogabili come onnipotenti. La differenza sta nel grado di potere che ognuno può sprigionare. In base a quanto è potente l'essenza di un essere, si può stabilire se un dio onnipotente sia più o meno forte di un altro. Ma passiamo a studiare le creature più potenti che mai esisteranno.
Per primi, cito le creature in assoluto più potenti di ogni altra esistente, i Mastri.
Sin dal grande principio, l'era senza tempo in cui il tempo stesso e lo spazio conobbero ragione d'esistere, quando nacque la prima cosa esistente da noi Entes, ero certo che avrei avuto modo di vedere altri esseri simili.
I Mastri e le Dominae sono creature che chiunque definirebbe col nomignolo ingiusto di "divinità", limitandone di fatto le capacità. Sarebbe come definire "gatto" una "tigre", o come definire come un piccolo "serrepheth" un mastodontico "mistrale". Queste creature posseggono ogni sorta di potere in una misura tale da non avere rivali. Sono tanto potenti che non necessitano di altro che si un battito di ciglia per far sparire interi universi con ogni cosa in essi contenuta, o crearne di nuovi. Ho scrutato tutti i futuri possibili, ma non vi ho trovato nulla all'infuori di altri Mastri e Dominae che fossero in grado di sconfiggere un Mastro. Solo un Mastro può sconfiggere un altro Mastro, mentre ogni altra creatura non può che piegarsi dinnanzi a loro, per quanto potente essa sia. I Mastri fanno parte della triade di creature che posseggono un livello essenziale superiore al limite massimo. La loro forza è pari all'ottanta per cento del dieci per cento dell'un per cento del potere che un Ens qualsiasi può raggiungere in zero punto tre centesimi di secondo.
Tra le peculiarità dei Mastri, risiede l'assoluta invulnerabilità a qualsiasi cosa esistente. Come detto, solo un Mastro può scontrarsi con un Mastro. Possono uccidere l'inuccidibile e distruggere l'indistruttibile con la stessa facilità con cui si può strappare una foglia secca.
I Mastri solitamente presentano una psiche calma e immobile, priva di desideri e ambizioni, avendo alla loro portata ogni cosa esistente. Per lo più si trovano in uno stato pseudo-dormiente in cui interagiscono con il tutto esistente attraverso una versione di sé stessi molto depotenziata, a livello di una creatura normale, con la capacità di morire, soffrire, et cetera. Le menti dei mastri restano, comunque, facilmente controllabili da noi Entes.
 
Secondi rispetto ai Mastri, ma comunque estremamente pericolosi, sono i Demiurghi, erroneamente conosciuti come Supremi o Signori dell'Infinito, titoli che condividono con noi Entes, che siamo stati nominati in molti modi dalle genti del futuro.
I Demiurghi posseggono ogni potere tranne la creazione ex-novo. Per il resto, il loro potere è pari, nella loro forma finale, a quello dei Mastri, pur restando incapaci di ferirli. Come i Mastri, solo un Demiurgo (o un Mastro) può uccidere un altro Demiurgo.
I Demiurghi posseggono la capacità di contenere il proprio potere, equivalente al settanta-ottanta per cento (per comodità ora dirò solo di un Ens, anche se la formula è sempre quella del dieci per cento dell'un per cento...) del potere di un Ens. Contenendosi possono "retrocedere quattro volte". In questo modo essi si presentano, normalmente, come normali esseri dall'aspetto simile a quello della razza con cui trattano. Con una prima trasformazione, il loro potere aumenta fino al cinquanta, sessanta per cento: entrano in quello che loro stessi definiscono come "modalità Berserker". Una successiva trasformazione li porta ad ottenere ulteriore potere, mutandoli in "Emperor". L'ultima trasformazione, con cui liberano la loro vera forma e tutta la loro essenza, si chiama "Ragnarock" o "Doomsday", anche se ogni civiltà che li ha incontrati, in futuro, li ha nominati con nomi diversi.
I Demiurghi, eccetto che in forma Emperor o Ragnarock, posseggono un'ulteriore limitazione: per quanto letali siano le ferite che infliggono non possono (entro certi limiti di tempo) uccidere le loro vittime, che ottengono una straordinaria resistenza ed un ottimo fattore di rigenerazione che gli permette di sopravvivere. Queste mutazioni durano solo fino a che il Demiurgo sta attaccando, svanendo subito dopo che è cessata l'offesa.
I Demiurghi sono abitualmente degli spietati mercenari al soldo del miglior offerente. Alcuni di essi raggiunsero un potere tale da tramutarsi in Mastri. Un caso è quello di tale Every, Demiurgo privo delle ultime due trasformazioni rimpiazzate dalla forma Enraged, poi evolutasi tramite l'autocontrollo in "Elisium". Nella forma Elisium, il soggetto raggiunse il potere di un Mastro, privandosi poi di ogni potere dopo aver costruito un universo in cui rinchiudere ogni altro Demiurgo e ogni creatura troppo pericolosa per circolare nella Realtà, di universo in universo. Un altro Demiurgo degno di nota è Legione, ma di lui parlerò in seguito.
 
Anime Grandi.
Ne esisteranno solo quindici e saranno le terze creature a superare il limite massimo del sessanta per cento. La più potente anima grande sarà proprio Legione, con un potere superiore a quello perfino dei Mastri, pari all'ottantaquattro per cento. Egli è stato, è e sarà in ogni tempo l'essere più potente in assoluto, ma, come ho detto, mi riserverò di parlarne dopo.
Le altre anime grandi raggiungeranno livelli essenziali non superiori al sessantuno per cento, eccezion fatta per Rising Boss, che arriverà ad avere il sessantasette per cento con metodi poco ortodossi. Ma non voglio predire il futuro, potrei cambiare il fato prestabilito da me e dai miei simili. 
Come i Demiurghi e i Mastri, le anime grandi sono immuni a tutto ciò che non possiede il loro stesso potere, possono distruggere l'indistruttibile e uccidere l'inuccidibile. Il loro potere, ben lontano da quello di Mastri e Demiurghi, è comunque tale da renderli in grado di distruggere, se non contrastati, tutto ciò che esiste con un solo attacco di qualsiasi tipo. Onnipotenti, essi si specializzano nell'uso di alcuni poteri, al contrario di Mastri e Demiurghi che sono abili e perfetti in ogni cosa per natura.
 
Assoluti e Trascendenti;
Così come esistono due universi omonimi, esistono creature di queste due razze. In generale, ogni entità che raggiunga almeno una volta il livello massimo del sessanta per cento, diventando di fatto invincibile se non rispetto alle tre categorie prima elencate e ai propri pari, entra di diritto in una di queste due specie. I ventuno generali delle Rovine che sono stati creati in futuro avranno un simile potere.
 
Dei creatori;
Quelli che di solito sono chiamati divinità dagli esseri esistenti.
Con poteri compresi tra il quaranta e il cinquantanove per cento, sono così potenti da non poter agire senza sconvolgere irrimediabilmente l'ordine universale. Considerati le creature più potenti in assoluto, io li trovo alquanto fasulli. Quanto è forte una persona che non è capace nemmeno di controllare sé stessa? Più che "forza", io questa la chiamo patetica debolezza. Forse i pensieri negativi di Adreus mi hanno contagiato... Ad ogni modo, il loro potere è grande, indubbiamente, ma un Assoluto o Trascendente saprebbe sprigionare un potere miliardi di volte superiore a quello necessario per annichilirli con la stessa facilità con cui un Mastro potrebbe procurarsi una bottiglia di vino pregiato. Una difficoltà nulla, in buona sostanza.
 
Superiori;
Si tratta di creature qualsiasi, appartenenti a qualsiasi altra categoria, che hanno ricevuto il secondo tipo di dono da parte di un Ens. Un Ens può dare due tipologie di doni, infatti. La classica fornisce il potere che permette a chi lo ottiene di raggiungere il potere massimo a cui potrà mai, nella migliore delle ipotesi, raggiungere. Il secondo tipo fornisce un tipo di potere che manovra direttamente l'essenza del soggetto. Chi viene trattato con questo potere (solo un centinaio di casi sono accaduti, per errore da parte dei miei simili, e solo una decina sopravvissero, in futuro) non vede aumentare il proprio potere, bensì acquisisce una nuova capacità, peculiare per ognuno, che lo rende in grado di eliminare chiunque, indipendentemente dal suo livello essenziale. Per farla breve, un Superiore che abbia un livello essenziale del dieci per cento, potrebbe uccidere senza problemi un Demiurgo. Solo i Mastri sembrano immuni a loro.
Due Superiori sono degni di nota. Il primo è Rising boss, di cui abbiamo già parlato. Un'anima grande col potere di un Superiore. Una vera follia, forse uno degli esseri più potenti in assoluto.
Il secondo... o meglio, la seconda è una ragazzina, frutto del progetto Nemesi. Si fa conoscere come ME e pare sia la controparte malvagia di Every. Il suo potere è agghiacciante. Non intendo parlarne qui, ma ME rappresenta la nemesi di ogni cosa esistente. Lei e solo lei rappresenta l'unica eccezione alla regola, l'unica che abbia ucciso un Mastro.
 
Infine, parlerò dell'essere più potente in assoluto. Così potente che nulla di ciò che sia mai esistito, che esista o che mai esisterà potrà mai essere paragonato alla sua grandezza. Legione, il primo figlio di Elphrin. Mezzo Demiurgo, mezzo Superiore, mezza anima grande. Il fato vuole che la fine di tutto ciò che esiste verrà il giorno in cui Legione troverà la morte. Quel giorno, senza possibilità di salvezza, tutto si spegnerà e torneremo ad esserci noi Entes, noi che non esistiamo, noi che siamo il mai.
 
Ovviamente non inserito noi Entes nella classifica, questo perché la lista riguardava le creature più forti esistenti. Noi siamo gli unici a non esistere. In ogni caso, non è quantizzabile quello che sappiamo fare. Nemmeno io so bene fin dove possono arrivare i miei poteri. Fatto sta che la più piccola frazione del nostro potere è bastevole a cancellare ogni cosa esistente e per questo dobbiamo limitarci. Almeno, lo faremo in futuro. Prima dovremo creare la Realtà. Prima la Paura dovrà dividersi. Prima dovranno accadere molte cose. Prima, prima del tempo stesso...
 
 
Angolo di ME:

Altro tratto dal diario di Relboww. Con riferimenti gratuiti a Manzoni, shi.
Beh, alla prossima. Magari con un altro documentario. Magari sul Mondo di Mai. Magari su Elphrin. Magari su boh. Pace.
Ev.

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Capitolo 4
*** Progetto Nemesi ***


Il primo abbozzo del progetto Nemesi, o progetto MN, come lo chiamavano gli addetti al suo sviluppo, venne preso in considerazione circa dieci anni prima dello scoppio della guerra tra Entes nell'Everyverse. Era solo un'idea, un'ipotesi ancora da rettificare, da rifinire, tutto doveva ancora decidersi e non erano poche le remore, allora. Non che nel tempo fossero diminuiti i reclami di molti dei componenti del gruppo di ricerca, tra cui io spiccavo.
Ma il progetto MN nacque molto prima, nella mente del capo, l'Every originale. Colui che aveva creato quell'universo col fine di rinchiudervi tutto ciò che rappresentava la fine, la morte, la distruzione.
Era un giorno come ogni altro, una mattina soleggiata e fresca di metà marzo, credo. Every passeggiava per i giardini della rocca in cui avevamo stabilito io, lui e i primi sei OthEry, ovvero gli Every creatisi con i viaggi temporali dell'originale. Io lo accompagnavo, come solitamente era mio uso, lungo i viali alberati. E così immersi nel profumo dei peschi chiacchieravamo del più e del meno. Era una delle cose che preferivo, così rilassante e piacevole, camminavamo su e giù per il labirinto di vialetti discorrendo placidamente di qualsiasi cosa ci capitasse in mente, arrivando anche a perdere ore tra i fiori.
Ma quel giorno di metà marzo lo ricorderò per sempre. Eravamo tornati da quasi una settimana Scesi nei giardino cinti dalle mura del grande palazzo d'ossidiana e quarzo bianco e lo trovai seduto su una delle panchine in marmo grezzo al limitare della via principale, sotto un grande albero di pesco. Teneva il volto semi nascosto tra le mani intrecciate e puntava lo sguardo fosco nel vuoto. Lo salutai e lui si riscosse, abbozzando un sorriso inquieto. Avrei voluto chiedergli cosa lo turbasse, ma preferii lasciare che fosse lui ad iniziare il discorso. Ci mettemmo a camminare e a parlare come nostro solito, ma potevo sentire già solo dalla sua voce malinconica e stentata che qualcosa non andava. Dopo un po' ci riducemmo al silenzio, sia per mancanza di argomenti, sia perché Every non aiutava molto nella conversazione, rispondendo per lo più con monosillabi.
Camminammo in silenzio per qualche minuto, finché Every non sollevò il volto al cielo limpido e mi iniziò a parlare di un'idea che gli frullava in testa da qualche giorno a quella parte. Io ascoltai muto, allibito, la sua proposta delirante. Alla fine lo fermai e lo scrollai per le spalle. Gli chiesi che cosa diavolo gli fosse preso, se si rendeva conto della follia che si era inventato, ma lui mi fissò vacuo e mi chiese di rimando se non fossi certo di essere io ad aver perso la testa. Per un po' ci fissammo, nessuno di noi voleva cedere. Alla fine gli dissi di darsi una regolata e me ne andai infuriato. Forse avrei dovuto parlarne agli altri subito, ma invece non aprii bocca, sperando seriamente che Every capisse da solo quale pazzia fosse. Dopo quel giorno, il capo tornò a comportarsi come sempre. Pensai che avesse rinunciato e potei rilassarmi.
Passarono gli anni, la nostra squadra si ingrandì di nuovi membri. I nostri nemici si fecero più potenti, più pericolosi. Iniziarono gli attacchi di Blaso, che aveva preso a farsi chiamare Omino di mai. Fu allora che Every riprese la sua vecchia idea, credo. Iniziò a sparire nel Mondo di mai, dapprima in rari casi, poi sempre più spesso fino ad andarsene almeno un paio d'ore al giorno, a volte stando via per intere settimane. Per circa due mesi andò avanti così, finché una sera non apparve nella mia stanza con l'aria stravolta. Mi pregò di seguirlo senza fare domande e così feci.
Mi condusse nei sotterranei. Erano tre piani interrati che si estendevano ben oltre il perimetro del castello, creando una sorta di città sotterranea che noi usavamo come archivio e magazzino di tutti i trofei di guerra. Al primo piano incontrammo una decina di OthEry. Il team era ormai diventato ben nutrito, contavamo quarantasette membri, oltre all'originale. Nel gruppo trovai Seraphino, Oblian, Igknight e altri tra i più intelligenti della squadra. Li guardai cercando nei loro occhi una risposta al quesito che tutti ci stavamo ponendo: che stavamo facendo lì sotto a quell'ora di notte? Nessuno seppe dirmi più di quanto non sapessi da me.
Every ci ordinò (non chiese, ordinò, fu decisamente categorico) di seguirlo e noi obbedimmo spinti dalla curiosità. Scendemmo al terzo piano interrato fino ad una porta che nessuno di noi aveva mai visto prima. Il capo ci ordinò di tenere segreto quanto stava per mostrarci e noi accettammo. Io inizia a temere quello che avremmo potuto trovare là dietro. Mi fulminò per un istante l'idea che quell'idiota potesse aver davvero messo in pratica la follia che mi aveva spiegato quel giorno di metà marzo di qualche anno prima. Scacciai quel pensiero, ritenendolo fin troppo perfino per Every. Insomma, era sempre stato un po' eccentrico, più di tutti i suoi alter ego, ma non fino a superare il limite della decenza. Risi della mia troppa ansia. Quanto feci male a proseguire oltre quella porta e a non darmi ascolto.
Every aprì la pesante anta di metallo e ci fece scendere una ripida scala che conduceva ad una caverna sotterranea, umida e buia. Giungemmo in uno spiazzo parecchi metri più in basso. Eravamo avvolti dall'oscurità e nemmeno Brybe, con i suoi poteri che gli permettevano di fendere il buio più tetro, riusciva a vedere alcunché. Io ricordo ancora la sensazione orribile che provai immerso in quel buio, una sensazione che avevo avuto modo di sperimentare solo un'altra volta, visitando un piccolo pezzo dell'Abisso della Paura.
Every ci disse di non muoverci fino al suo ritorno e si inoltrò nella coltre impenetrabile che venne smossa come fosse nebbia. Aspettammo un po', sul chi vive. Il pensiero di essere immersi nell'Abisso iniziava a diventare plausibile nella mia mente. Dopo quelle che mi parvero ore, il capo spuntò dalla foschia, rincuorandomi subito. Ma dietro di lui fece la sua apparizione qualcuno che avrei preferito non vedere. L'occhio sinistro segnato dalla quintessenza viola, il destro completamente invaso dall'oscurità. Il volto giovane e affilato, bellissimo e perfetto con quel sorriso sottile e falsamente gentile che sembrava prenderci in giro, erano inconfondibili. Il signor Nero fece capolino da dietro Every, sovrastandolo con la sua longilinea figura nera, sottile e agghiacciante, più nera del nero più profondo. Il capo ci parlò. Ci descrisse il suo progetto, perché ci aveva portati lì, le motivazioni che lo avevano spinto sino a quel punto, tutto. Tutto tranne il dettaglio più importante, ovvero l'obiettivo finale, quello che voleva creare con quell'esperimento. Spiegò per filo e per segno quello che aveva accennato a me anni prima, quel giorno di metà marzo. Io ascoltai con la bocca spalancata. Non volevo crederci. Provai a protestare, anche altri di noi si misero a dar voce a dubbi e a remore. Era un progetto ambizioso e avrebbe di certo portato a qualcosa di incontrollabile e pericolosissimo. Ma Every fu irremovibile. Mai dimenticherò anche quella volta. Quella fu la prima volta che il capo ci attaccò. Quando io e un paio di OthEry cercammo di imboccare la scalinata per tornare in superficie, per dire addio a quell'insania, lui schioccò le dita e Nero ci sbarrò il passo. Aveva dimensioni normali, quasi due metri di altezza, alto, ma non troppo. Eppure sembrava essere più alto di tutto la grotta, sembrava ridurre ad un microbo perfino il pianeta in cui si eravamo stabiliti, racchiudendo quella grandezza in un corpo umano. Sorrideva, ricordo che sorrideva, ma gli occhi erano coperti dalla tesa del cilindro. Un lieve filo di fumo nerastro gli usciva però dal volto nascosto dal cappello.
Ammutoliti, non potemmo far altro che accettare la richiesta di aiuto di Every e ad incamminarci con lui in quello che sembrava sempre di più un pezzo di Abisso trasportato dal Mondo di mai alla Realtà. Arrivammo ad un edificio sospeso in quell'oscurità innaturale, scortati da Nero. Le pareti erano di pietra e la sola entrata era sbarrata da una porta in acciaio. Every la aprì ed entrammo.
Dentro trovammo il frutto della paranoia del capo.
Il progetto Nemesi.
Si trattava di una macchina che convogliava l'Abisso dentro un altro oggetto reale. L'Abisso, infatti, era una parte di Nero, un essere vivente a metà tra l'esistenza e la non esistenza. Al suo interno, perfino gli oggetti inanimati provavano paura, una paura così grande da smettere di esistere nel giro di qualche anno di atroci torture psicologiche. L'Abisso si nutriva di ogni cosa venisse portata al suo interno e solo la protezione di Nero che lo teneva a bada come un cagnolino permetteva di resistere alla sua forza consumatrice. Immettere un minuscolo frammento di Abisso in qualcosa avrebbe significato distruggere quella cosa.
Nella struttura squadrata, tuttavia, trovammo un laboratorio con, al centro, una stanzetta dalle pareti di vetro spesso trenta centimetri, senza accessi. All'interno della colonna di vetro stava un lettino con legacci in metallo per tenere ferme braccia e gambe di un'eventuale cavia. Quattro arti robotici pendevano dal soffitto, manovrabili dall'esterno per procedere con gli esperimenti. Every ci disse che grazie ad un accordo con Nero, aveva trovato il modo di incanalare l'Abisso dentro un essere vivente. Ricordo bene che io impallidii. Oblian, il più restio tra di noi a collaborare a quell'abominio, gridò il suo dissenso, ricevendo solo uno sguardo spento da parte del capo. Ci ripeté perché lo stava facendo.
Per proteggerci.
A nulla valsero le nostre proteste. Alla fine, ci obbligò a promettere che avremmo mantenuto il segreto, facendoci contrassegnare da un sigillo da Nero, che ci impresse la runa con cui saremmo stati obbligati a mantenere l'accordo ad ogni costo sulla spalla destra. Io lo ottenni sulla sinitra, visto che avevo perso il braccio destro da tempo.
I giorni seguenti furono tra i più difficili della mia vita. Il giorno conducevamo una vita tesa, tra missioni e un segreto che ci dilaniava, di notte dovevamo scendere là sotto ed ultimare i preparativi al laboratorio in vista dell'immissione della cavia sotto le macchine. La paura più grande era non sapere chi di noi sarebbe stato vittima dell'esperimento.
Alla fine, dopo quasi tre settimane di duro lavoro, riuscimmo a raggiungere il risultato tanto ambito da Every. Una notte scendemmo la scalinata più abbattuti che mai e arrivammo all'edificio grigio. Una volta entrati, rimanemmo di sasso. Ricordo ancora la sensazione di disgusto che mi accompagnò durante tutto l'esperimento. Alla macchina era attaccata una bambina. Cristo santo, una bambina! Ancora non ci credo che abbiamo fatto questo ad un essere così innocente.
La ragazzina era addormentata e Nero stava accanto a lei e al tempo stesso fuori dalla gabbia di vetro, per sorvegliare noi. Every non c'era, forse non aveva il coraggio di assistere alla creazione di quella... cosa. Sotto comando del demone, avviammo il procedimento. I bracci meccanici scesero dal soffitto e fecero spuntare aghi sottili dai palmi, conficcandoli due nel cuore e due negli occhi della creaturina. Nero le prese delicatamente la testa tra le mani e le impedì di svegliarsi. Lei si agitò appena, ma al contatto coi guanti bianchi dell'Ens si chetò. La sostanza viola scuro dell'Abisso scese nei bracci meccanici e da lì venne iniettata nel corpo della bimba finché non fu letteralmente strabordante. Dai punti in cui gli aghi avevano iniettato la sostanza nel suo gracile corpo fuoriuscì qualche goccia che le rigò le guancie pallidissime come delle lacrime.
Aspettammo qualche istante, chi con la testa china, troppo carico di vergogna per quello che avevano fatto per sostenere la vista di quello scempio. Non ci volle molto perché fosse più chiaro quanto avessimo sbagliato quella sera. Improvvisamente, il corpo della ragazzina esplose e una nube grigia scurissima invase la colonna di vetro, nascondendo il Nero al suo interno dalla vista. Mi avvicinai incuriosito alla struttura, ma mi ritrassi subito quando vidi due lumi arancioni molto sfocati fissarmi nella nebbia e quella che poteva essere una mano altrettanto sfocata e grigia battere sul vetro. Presi dal panico, attivammo il sistema di sicurezza e la gabbia di vetro fu avvolta da una recinzione di acciaio. Uscimmo di corsa, mentre l'autodistruzione iniziava il conto alla rovescia. Nero era sparito, anche se ricordo benissimo che la sua risata ci accompagnò durante tutta la fuga.
Corremmo su per la scalinata e ci chiudemmo in fretta la porta blindata alle spalle.
Quando ci voltammo, sono sicuro, tutti sentimmo un tuffo al cuore. Davanti a noi stava Nero con in braccio la bimba, illesa e addormentata, intento a cullarla e a sussurrarle con voce melodiosa una dolce ninna nanna. Ci fissò e ci sorrise con espressione di scherno. Lasciò la bimba in una culla apparsa dal nulla e svanì, facendo aleggiare nell'aria solo la frase: "Questo è ora un problema vostro..."
Dopo un po' ci decidemmo a prendere la bimba e a portarla con noi. Vinta la paura, la portammo nel palazzo. In fondo era solo una bambina.
I giorni seguenti furono addirittura sereni, se così si può dire. La piccola era felice di stare con noi, giocava con Sibillian, il più giovane OthEry. Pareva normale. Every non si faceva ancora vivo, però. Nessuno sapeva dove fosse. Per un po' tutto si svolse nella più assoluta normalità. La ragazzina sembrava solo affetta da una grande paura di quasi tutto ciò che vedeva. Si metteva a piangere solo nel guardare la sua ombra e ci volle molta fatica per farla abituare a tutti gli OthEry.
Un giorno Every tornò. Senza nemmeno darci il tempo di parlargli, prese con sé la piccola e la portò nel suo studio. Non uscirono per ore e Nero fece la guardia affinché nessuno entrasse a disturbarli. Maledetto spaventapasseri, verrà il giorno in cui riuscirò a fartela pagare...
Al termine della giornata, Every uscì dalla stanza, ma della ragazzina non c'era traccia.
Nessuno chiese niente, visto che appena io avevo provato a fiatare, Nero mi aveva quasi spezzato una spalla solo poggiandovi sopra un dito.
Ci dimenticammo di tutta la faccenda per un po', fino a quando non si presentò un nemico davvero terribile. Non ricordo il suo nome, ma era davvero devastante. Fu allora che Every mise in pratica il progetto Nemesi.
Durante lo scontro lanciò una sfera metallica che riconobbi subito: era un portale meccanico automatico pre impostato per collegare il luogo in cui veniva usato con uno già stabilito. Il portale si spalancò e ne uscì la ragazzina, timidamente.
Quello che accadde dopo fu... agghiacciante. La piccola fu travolta e massacrata dalla creatura, venne fatta a pezzi senza pietà. Quando ebbe finito, il mostro si pulì le fauci imbrattate di sangue e si avvicinò a noi, lasciandosi alle spalle il cadavere. Ma a quel punto iniziò il pandemonio. La voce infantile della piccola, che non avevo potuto udire fino a quel giorno, parlò, sollevandosi come un fil di fumo dal corpo maciullato. Chiese: "Signore, lei ha paura di questo brutto mostro?" col tono tipico dei bambini curiosi.
Every ci gridò di chiudere gli occhi e di stenderci a terra. Tutti ubbidimmo. Ricordo solo le urla strazianti della creatura. Quando riaprimmo gli occhi, il mostro era sparito, completamente volatilizzato. La ragazzina, illesa, ci fissava sorridendo e ondeggiando nel suo bel vestitino bianco.
 
I giorni seguenti, io e gli altri che avevamo partecipato alla creazione del Progetto Nemesi fummo convocati da Every. Ci spiegò che la ragazzina era diventata la loro nuova arma finale.
Ci spiegò finalmente tutti i dettagli del progetto MK.
Il progetto MK, o progetto Nemesi, prevedeva la creazione di qualcosa che funzionasse come "cura" ad ogni possibile "malattia". In sostanza, si trattava di creare qualcosa che potesse sconfiggere qualsiasi minaccia. Il ragionamento di Every prendeva in considerazione l'aumento esponenziale di poteri dei loro nemici. Secondo lui, era necessario costruire un'arma che potesse sconfiggere qualsiasi nemico, a prescindere dalla sua forza.
E quello era il risultato raggiunto.
Congiungendo l'energia dei Superiori donata da Nero alla materia dell'Abisso, avevano creato qualcosa di indistruttibile e immortale, ovvero la ragazzina. Ma i suoi poteri non si limitavano a questo. Essendo pervasa dall'Abisso, poteva controllare le proprie emozioni e decidere di cosa avere paura e in che misura. Ma la sua forza risiedeva nell'ultima sua capacità: qualsiasi cosa incontrasse sulla sua strada, se quella cosa (animata o meno che fosse) faceva paura ad almeno una creatura esistente in tutta la Realtà, allora la piccola acquisiva automaticamente tutti i poteri e le capacità necessarie ad eliminare quella cosa al cento per cento, senza possibilità di sopravvivenza per la vittima. Per questo si chiamava Nemesi, perché rappresentava il nemico invincibile di tutto. Era in grado di sconfiggere tutto ciò che esistesse, perché le bastava decidere di aver paura di qualcosa per distruggerlo.
Ben presto, divenne incontrollabile. Dopo lo scoppio della guerra degli Entes, si rivoltò contro di noi, c'è chi dice controllata da un OthEry, addirittura. Ci massacrò tutti finché, con l'aiuto di un ragazzo adepto di Nero, non riuscimmo a rinchiuderla in una foresta su un pianeta abitato da equini colorati. Ma so che è riuscita a liberarsi.
Quella creatura... quell'arma spietata... si considera come il lato oscuro di Every, perché è nata proprio dalla paranoia del nostro originale, e ci odia per quello in cui l'abbiamo trasformata. E come darle torto del resto? Il problema è che lei può letteralmente sconfiggere chiunque, indipendentemente da chi esso sia. Solo gli Entes non sono influenzati dalla sua capacità, ma questo è ovvio... Loro non esistono.
Ora si fa chiamare ME. Non so per cosa stia. Forse Monster Enemy, similmente a MK, che significava Monster Killer. Ma penso che nessuno lo saprà mai.
Bisogna trovarla, sigillarla di nuovo. Se cadesse nelle mani sbagliate... Sarebbe la fine. Un potere così grande e irripetibile potrebbe causare la fine di tutto ciò che esite.
 
Murano "Murmure" Every;
Progetto Nemesi;
 
Angolo di ME:
Io pensavo a "Mieti Every". Suona bene, no?
Aaanyway.
:3
Eddai, non ho delle belle origini, pure io? E poi... in fin dei conti, non so nemmeno perché odio tanto Every. Insomma, mi ha tramutata in un essere praticamente invincibile, dovrei essergli grata, no? No, perché ucciderlo mi piace più come alternativa, piuttosto che farmelo amico.
Spero di rivedervi, bocconcini...
Attenti a chi fate paura. Potrebbe chiamare me...

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