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di Utrem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un errore ***
Capitolo 2: *** Buone menzogne ***
Capitolo 3: *** Buone intenzioni ***
Capitolo 4: *** Spropositati effetti (alle buone intenzioni) ***
Capitolo 5: *** Un brusco risveglio ***
Capitolo 6: *** Resurrezione ***



Capitolo 1
*** Un errore ***


“Ehi!”
Non c'era nessun altro.
Marie serrò la testa fra le spalle, come in un conato di vomito, mentre le labbra secche le pungevano la lingua e i denti.
“Ehi!”
Tutto ciò che toccava era il sudore della sua pelle, il tintinnio dei suoi nervi, il fetore di quel posto maledetto.
“Puoi pure alzarti in piedi.”
Si coprì la bocca con una mano, mentre gli occhi correvano dal cielo, al muro, al suolo, alle sue ginocchia tremanti, alla testa di quel ragazzo biondo che la guardava dall'alto al basso.
Si alzò e le si irrigidirono le spalle dal terrore. Non poté evitarlo, e questo le spezzò la linea della bocca e le corruppe il viso.
Avrebbe dovuto essere migliore... avrebbe dovuto stare attenta e accorgersene prima... avrebbe dovuto dirlo a Hank... ma come avrebbe potuto?
“Perché sei venuta qui?”
Una domanda posta con così tanta innocenza e così tanto candore, che Marie spalancò gli occhi e le parve di trovare un sostegno in un'impresa tanto difficile, tanto faticosa qual era stata la sua.
“Io... io... io ho... sbagliato” pensò ad alta voce, in un balbettio arido.
Il ragazzo annuì, sornione, le braccia distese sui fianchi.
“Sì. Hai sbagliato. Adesso puoi andartene, se vuoi.”
Marie si stupì di nuovo. Per quanto si sforzasse, le sfuggiva il senso di quelle parole.
Si sapeva in pericolo. In estremo pericolo. Quindi?
Scosse piano la testa, con le sopracciglia inarcate e la bocca aperta, attendendo un'eventuale  spiegazione.
Lui era fermo. Immobile. Non si udiva il suo respiro.
Marie lo imitò. In più, scrutava l'orizzonte, sfiorava il cellulare scarico attraverso la tasca e non si poneva le infinite domande che le intasavano le membra stanche, perché, nel suo intimo, lei una risposta già l'aveva: era il panico a procrastinare costantemente ogni cosa si  risolvesse di fare.
Tuttavia, ad un tratto, qualcosa lo sconfisse.
Forse il fastidio del sole che le rifulgeva sulla punta del naso, o il disgusto e la vergogna di avere quello sguardo fisso sulla sua figura, stremata e impotente.
Fatto sta che Marie fece un passo indietro.
Nello stesso istante, il ragazzo estrasse la pistola con naturalezza e premette il grilletto.
La pallottola rapidissima le perforò la testa prima che potesse realizzare l'accaduto.
Cadde sulle ginocchia con gli occhi spalancati, ma completamente ciechi, e batté pesantemente la nuca sull'asfalto nero.
Todd sbirciò quello che aveva fatto e distolse subito lo sguardo, rimettendo la pistola nella giacca.

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Capitolo 2
*** Buone menzogne ***


UN GIORNO PRIMA...
Neppure la familiarità ed il sollievo di sentir girare la chiave di casa nella serratura fu sufficiente ai coniugi Schrader quella sera per alleggerire il macigno di tristezza che gravava su di loro.
Faticavano persino a ricordarsi che quella a cui avevano partecipato era una festa di compleanno.
In auto, nessuno dei due aveva scambiato parola: ciascuno s'era sepolto nel proprio sedile, a contemplare ipotesi e problemi, e quindi eventuali teorie e soluzioni.
Ma se Hank s'era concentrato maggiormente sulle dirette conseguenze degli eventi cui aveva assistito e partecipato, le elucubrazioni di Marie si erano spinte molto oltre, così tanto da raggiungere un punto di non ritorno. Ne aveva preso piena consapevolezza solo nel momento in cui era scesa dall'auto, ed era finalmente pronta a comunicare tutto al marito.
“Hank...” iniziò pallidamente, la mano sulle labbra serrate che le solleticava le narici del naso.
“Cosa?” indagò subito lui, per deformazione professionale ma anche per via di tutta l'ansia trattenuta quella sera.
“Io penso... io credo che Walt abbia mentito” Marie affermò infine.
“...cosa?” Hank ripeté, con tono molto meno autoritario e molto più curioso.
“Perché... se consideri tutto quello che è successo nell'arco di un anno, scoprirai che Walt non è stato esattamente onesto con nessuno di noi. Voglio dire... la faccenda del cancro si poteva anche perdonare, si può anche mettere da parte, ma la marijuana? La marijuana che gli aveva venduto Pinkman? Voglio dire, Pinkman! Lo conosciamo bene, adesso, né? E la storia del gioco d'azzardo? Oddio, quella! Intendo dire, so benissimo che è vera, altrimenti non sarebbe stati in grado di pagare il tuo trattamento, eppure... quella di stasera, quella, Hank, a me sembrava una bugia. Un pacchettino finito, ben confezionato. Non si è soffermato troppo sui dettagli e ha calcato la mano sulle prove effettive di ciò che aveva detto: tipico atteggiamento del bugiardo! E hai visto Skyler? Hai visto la sua faccia quando è uscita di lì? Ci sono cose che non sappiamo, Hank. Gliel'ho letto negli occhi. Aveva paura, era stanca, era così stanca che voleva...” e qui Marie si fermò per un momentaneo scoppio di pianto, a cui Hank cercò di sopperire con la sua vicinanza “Negli ultimi tempi, per quanto uno può tenere a lui, bisogna dire che Walt è stato tutt'altro che un santo. Perciò mi pare possibile, mi pare possibile pensare che lui abbia nascosto la verità di nuovo, costretto da lei a rompere il silenzio. Voglio dire, nemmeno un anno fa aveva fatto richiesta di divorzio: magari adesso è scoppiato di nuovo qualcosa. In conclusione, il punto è che sembra conveniente, molto conveniente, che lui scarichi la colpa su mia sorella dopo una cosa del genere!”
Durante il suo discorso, Marie non aveva mai staccato gli occhi dalla faccia del marito, che si era prodigata in molte e diverse espressioni: quella conclusiva esprimeva impazienza, incredulità e un po' d'indignazione, il che la punse parecchio, al punto che sgusciò via dalla sua stretta.
“Dimmi che non è così!”
“Dico che tu non vedi le cose chiaramente, Marie. Vuoi bene a tua sorella e per questo sei disposta a pensare qualsiasi cosa!”
“Qualsiasi cosa?! Sei incredibile! Cos'ho mai detto-”
“Sono d'accordo sul fatto che Walt ultimamente sia stato uno stronzo e non il migliore marito del mondo, ma di qui a dire che per un anno ci ha raccontato delle balle-”
“Non balle, Hank! Questa, balla! Questa! Io ritengo, io credo fermamente, che sia stato lui ad avere tradito Skyler, ad avere combinato casini su casini nel loro matrimonio e che adesso, messo all'angolo, abbia fatto la bella pensata di raccontare una balla colossale!”
“Ma che... cazzo Marie, stiamo parlando di Walter White qui! Un padre di famiglia che da un momento all'altro si è ritrovato con un cazzo di cancro ai polmoni! Ti rendi conto dell'effetto che una cosa del genere ha su una famiglia?! Delle conseguenze?! Come... fammi il favore di pensarci, e poi ripetimi che tua sorella è così pura da non aver avuto anche lei un momento di caduta dopo un anno simile!”
“Il suicidio, Hank! Mia sorella ha tentato il suicidio, e tu lo chiami un momento di caduta! Vergognati!” Marie urlò, puntandogli il dito contro.
“Marie-”
“Vergognati, Hank! VERGOGNATI!”
Dopo quest'improperio, Marie marciò in cucina, si gettò sulla sedia più lontana dal marito e si curvò in un pianto silenzioso mentre Hank era rimasto lì, a ballare da un piede all'altro senza mai decidersi a raggiungerla.
Una volta trascorso il tempo utile a elaborare un modo convincente di argomentare la sua opinione, si sedette di fronte a lei con rigore e prendendole le mani in segno di penitenza, disse:
“Senti... lo so, ho sbagliato espressione, ma tu sai, spero che tu sappia che quello che ho visto stasera ha scioccato me tanto quanto te. Però io capisco..." s'interruppe per chinare piano la testa e incrociare così il suo sguardo "Devi cercare di capire che... a volte si fanno degli errori, degli errori difficili, ma che questi errori vanno sempre visti in relazione alla persona che li ha commessi. Noi conosciamo Walter e conosciamo Skyler, e proprio per questo sappiamo che loro non farebbero mai certe cose senza che ci sia una forte causa dietro. Prova a metterti nei panni di lei per un attimo... tutto quello che ha attraversato quest'anno... capirai che le cose tornano, che è comprensibile e che è nostro compito aiutarli al massimo delle nostre possibilità. Così, da adesso, per qualche tempo, mentre saranno occupati a risistemare le loro vite e tentare di riparare alle sfighe in cui sono inciampati, noi ci prenderemo cura dei bambini e cercheremo di offrire loro quell'ambiente che adesso i genitori non sono grado di procurare.”
Marie scosse debolmente la testa, le sopracciglia profondamente aggrottate. Poi sussurrò, tirando rumorosamente su col naso:
“Ha tentato di suicidarsi-”
“Lo so, lo so...” Hank la interruppe subito, per evitare che piangesse di nuovo.
“Per Ted Beneke...?! Voglio dire..., come-”
“Andiamo a letto, Marie." il suo tono non ammetteva più obiezioni: fece scivolare le mani fino a lambirle gli avambracci, come per invitarla ad alzarsi.
Marie obbedì, barcollando: allora lui le prese un gomito e l'accompagnò, in silenzio, sino al letto. Una volta che si furono coricati, le cinse la vita e cominciò a baciarla, carezzarla e vezzeggiarla, nel modo meno invasivo possibile per non essere irrispettoso, con la speranza che cessasse di tremare. Marie accettava, sperando che il suo calore l'avrebbe stordita a sufficienza da farle dimenticare quello che era successo, senza però rispondere.
Tuttavia Hank era stanco e, gradualmente, smise di confortarla. Dopo diverse ore s'addormentò, ancora girato verso la moglie, che invece sospirò tutta la notte.
Così la mattina, nell'attimo in cui si svegliò da un flebile assopimento, decise che quel giorno non sarebbe andata al lavoro: avrebbe seguito Walter.
Tale risoluzione la fece volteggiare più e più volte sotto le lenzuola, pensierosa. Si fermò solo dopo che ebbe percepito un cambio nel ritmo del russare del marito: aveva bisogno che dormisse perché potesse concentrarsi e non perdersi neppure la più piccola conseguenza.
Così, in mezz'ora strutturò il piano in un modo che la sua mente potesse plaudire: avrebbe detto a Hank che, visti i trascorsi del giorno prima, avrebbe preferito prendersi un giorno di riposo. Se lui si fosse mostrato contrario, dichiarando che il lavoro l'avrebbe distratta e quindi insistendo perché ci andasse, lei si sarebbe giustificata affermando di voler chiamare Dave per un incontro straordinario. Hank era sempre felice quando contattava Dave: non avrebbe mai detto di no.
Non appena lo avesse visto allontanarsi, avrebbe preparato opportunamente il camuffamento: si sarebbe legata i capelli, e quindi indossato un cappellino porpora per coprirli; avrebbe spostato la visiera sugli occhi in modo da fare ombra sui lineamenti; avrebbe indossato un cappotto imbottito che celasse la sua corporatura. Così sistemata, avrebbe raggiunto casa White in un'auto che né Walt né Skyler sapevano le appartenesse. In verità non era sua, ma di Hank: si trattava di un'attempatissima DeSoto che aveva ereditato da suo padre. Il motore non era esattamente in condizioni ottime, ma neppure deprecabili: chiaramente non gli aveva mai concesso di usarla per via dell'orribile aspetto, che avrebbe compromesso il giudizio degli altri sul loro gusto estetico.
Raggiunta la destinazione, si sarebbe nascosta dietro la siepe e aspettato pazientemente che Walt varcasse la soglia di casa. In verità l'attesa era l'unico punto debole del piano: non aveva la minima idea di come avrebbe tollerato di starsene lì ferma per una, due ore o più. Le due uniche idee che le erano sovvenute per passare il tempo non erano né sensate, né efficaci, quindi tanto valeva aspettare e basta: tanto prima o poi di lì sarebbe uscito – ormai ne era convintissima – e quando l'avrebbe fatto, lei si sarebbe messa il volante e l'avrebbe inseguito, anche se a una certa velocità e a una certa distanza per non farsi scoprire.
Non le piaceva mentire a Hank, ma, vista la testardaggine che aveva manifestato ieri sera riguardo alla faccenda, informarlo delle sue intenzioni avrebbe ucciso il piano: quindi, conveniva che agisse da sola.


UN'ORA PRIMA...
Il piano di Marie sarebbe partito immediatamente, se la ricerca delle chiavi di quella maledettissima auto non le avessero fatto sprecare quindici preziosissimi minuti. Hank aveva sempre la strana ed inspiegabile mania di nascondere le cose nei posti più impensabili.
Tuttavia, era riuscita comunque a partire e ad arrivare in un tempo accettabile, nonostante un po' di traffico presente nella zona del centro.
Scesa dall'auto, Marie congiunse la visiera del cappellino con la punta del naso e si diresse di corsa verso la siepe. Sospirò. Era stata fortunata: l'auto di Walt era ancora parcheggiata lì davanti. 
Adesso iniziava l'attesa. Non erano neppure passati cinque minuti, che le era scappato uno sbuffo. Doveva fare qualcosa al più presto o si sarebbe accasciata a terra. Così decise di approfittare di quel tempo per studiare la fattura del suo cappellino. Era comodo e di un bel colore vivace che non sbiadiva, ma si sfilacciava troppo facilmente. Tirò un filo con l'unghia, contemplandolo con puro disprezzo: non gliel'avevano assolutamente venduto a un prezzo da persone oneste. La commessa perlopiù era stata terribile nei suoi confronti, non rispondendo nemmeno a una delle sue domande.
“Cioè, è il suo lavoro! Mi chiedo davvero che senso abbia che i boss diano sfoggio d'avere tante pretese quando poi è lampante che prendono la prima che si sbottona un po' la camicetta! Io chiedo solo due, DUE informazioni su un prodotto esposto-”.
La vista di Walt uscire di casa col telefono in mano fece subito cessare ogni suo pensiero.
Ora toccava davvero a lei.
Intrecciò le gambe e alzò il capo, cercando di sporgere il più possibile l'orecchio.
“... no, no, no! Lascia che ti raggiunga! No... ho detto che... non... Jesse, non la ucciderà, lo sai... è indispensabile per la nostra operazione e Mike non è uomo da dimenticarlo, sono sicuro che non c'è da preoccuparsi... adesso smettila... basta... sono in macchina, sto arrivando!”
Gli occhi di Marie triplicarono il diametro.
Era partito.
Aveva svoltato a sinistra.
Partito.
Un formicolio spaventoso s'impossessò di lei.
Aveva ragione e se ne pentiva amaramente.
Non riusciva a credere alla sua miracolosa intuizione.
A un tratto però s'accorse d'una cosa: Skyler non era in casa: la sua auto non c'era.
Skyler. La piscina. Skyler era in pericolo.
Walt aveva parlato al femminile e in casa non c'era.
A Marie mancava il fiato. Si rialzò brancolando, la testa un peso immane. Una mano, mossa da una forza irrefrenabile, le fece impugnare il cellulare e premere alla cieca il tasto di chiamata, gli occhi sfuocati che fissavano il posto dove poco prima era parcheggiata l'auto di Walt.
Ma era scarico. Non poteva chiamarlo.
Un'altra forza irrefrenabile le fece afferrare il cappellino e sbatterlo violentemente a terra.
Quella notizia le avevo infuso una terrificante responsabilità e lei lo sapeva.
S'era parlato d'omicidio: doveva sapere dov'era, chi era, chi erano.
Cercare una cabina telefonica sarebbe stato inutile, visto che non ce n'erano nel raggio di un chilometro e perlopiù le avrebbe fatto perdere del tempo.
Doveva seguirlo.
Frastornata e, paradossalmente, incurante d'ogni cosa – dell'atteggiamento, della segretezza, del cappellino rimasto a terra, vicino alla siepe ritornò in macchina e svoltò a sinistra.
'Ucciderà', 'ucciderà', 'ucciderà'...
Le rimbalzava sul petto, quella parola; la scuoteva, le divaricava le labbra, le palpebre, i polsi frementi. Ogni tanto le saltava sulla lingua, e allora con disgusto la sputava, come si fa con una cosa troppo amara, ma più spesso le si incastrava nel timpano, e al contatto con esso quest'ultimo si opponeva, ostruiva il passaggio, ma, inevitabilmente, sempre, la inchiodava sul sedile, ingombrante ed irrigidita.
Walter – ...Walter? –   stava accelerando sempre di più, così, suo malgrado, le toccò fare lo stesso, nella speranza che i polpastrelli sudati non le facessero scivolare le dita e fare stupidaggini.
Si stava dirigendo verso una zona residenziale. Marie ispezionava furiosa la strada alla ricerca di un'auto della polizia, un'ambulanza, una cabina telefonica, un'anima che passasse da quelle parti, ma non c'era nessuno.
Nessuno.
A un tratto Walt posteggiò, nel bel mezzo di un lungo viale ed entrò in una villetta ricoperta da un telone verde e giallo.
Marie abbassò le mani dal volante e precipitò nel vero sconforto. Si sarebbe aspettata un posto nascosto, sconosciuto e ombroso, mentre invece era un altro quartiere, certo un po' fuori mano rispetto a dove abitava lui, ma perfettamente noto e perlopiù alla luce del sole.
Guardando meglio, notò che la casa in cui era entrato era una di quelle sottoposte a lavori di disinfestazione e che quel telone ospitava appunto il marchio dell'azienda. 
Aveva mal di testa. Non stava affatto bene. Avrebbe voluto che Skyler comparisse nel sedile accanto al suo, cosicché la potesse abbracciare e rassicurare mentre Hank si mobilitava per arrestare suo marito, ma sfortunatamente le cose non erano andate così.
Respirò più e più volte, reggendosi la fronte imperlata delle lacrime sbagliate.
Non pensava più, ormai, non rifletteva più. L'unica azione che le pareva opportuna, l'unica sensata, era correre alla sede della DEA, in centro. S'afferrò la gola rovente, nel tentativo di calmarsi e rimettersi alla guida. Non c'era tempo, ma lei non riusciva. L'ansia le soffocava i polmoni e le schiacciava gli occhi. Si sarebbe schiantata da qualche parte. Non c'era tempo. Non c'era tempo.
Dopo meno di un minuto – o così le pareva – , riaccese lo sguardo e l'attenzione, per cautela. 
A primo acchito tutto sembrò deserto, ma poi...
… una figura distante.
Si stava rapidamente avvicinando, nella sua direzione.
Marie si gettò a capofitto fuori dalla macchina, per poco non inciampò, corse a perdifiato verso il primo rifugio che le si era palesato davanti e si bloccò lì. Non aveva né il fiato né la forza di proseguire. Cadde in ginocchio sul posto, fissando il terreno e sognando di scavare la buca della salvezza, dove seppellire sé e quel traboccante dolore.

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Capitolo 3
*** Buone intenzioni ***


DIECI MINUTI PRIMA...
Odiava avere fretta, poiché quando aveva fretta ragionava male e nonostante ciò doveva sforzarsi di non tralasciare nulla in modo che fosse tutto in regola.
Infatti, sceso dall'auto, Walter zoppicò verso la casa coperta senza guardarsi attorno. Solo a metà percorso si rese conto della sua negligenza e rimediò con due occhiate repentine, che gli fecero torcere il collo. 
Fu una fortuna, perché con la coda dell'occhio vide una macchina. Tuttavia, si permise di rifletterci su solo dopo essere uscito dal suo raggio visivo.
Una macchina sgangherata, vecchia e anonima, col muso rivolto verso lo stesso verso in cui aveva viaggiato lui.
Fatte tutte queste considerazioni, v'era un'unica opzione plausibile: polizia.
Il giudizio di Walt si rovesciò. Capovolto. Era partito con la ferma e generosa intenzione di salvare Lydia, una donna scaltrissima che sicuramente avrebbe fatto un ottimo lavoro nel gestire i loro affari, ed era stato veementemente contraddetto. Chi avrebbe potuto immaginarlo?
Non c'era più la possibilità di discuterne: Lydia doveva morire.
Walter fece il suo ingresso nella stanza. La canna di Mike le lambiva la testa, mentre Jesse si strofinava impetuosamente le guance, tutto intento a fissarla. Non appena s'accorse del suo arrivo, gli si gettò addosso, indicandola e prendendo a farfugliare:
“Signor White, deve dire qualcosa! Signor White, noi non possiamo... su, glielo dica che noi non vogliamo questo! Glielo dica! Signor White...”
Walter diede mostra di non badare assolutamente a Jesse, mantenendo lo sguardo perpendicolare a sé. Sapeva che lo avrebbe scandalizzato e in cuor suo se ne rammaricava, ma era anche ben cosciente del fatto che non c'era più scelta.
“C'è un'auto parcheggiata qui fuori” disse semplicemente, con estrema gravità. Al che Mike non aveva più bisogno d'ulteriori prove e fu sul punto di premere il grilletto, ma in una parte remota di lui gli rimordeva ancora la coscienza e scoprì il desiderio di sentirla ancora parlare, per vedere che cosa aveva da dire in merito.
“Io non ne so proprio nulla” si scagionò debolmente lei, ripristinando un po' di compostezza “Non vedo proprio perché avrei dovuto fare una cosa del genere. Mike...”
Jesse era ammutolito da uno sproporzionato conflitto interiore. Non le credeva molto, ma si sarebbe veramente consegnato agli sbirri pur di vederla uccisa lì, in quell'istante.
Walter, al contrario, era sorpreso da tanta reticenza. Se prima avevano effettivamente potuto solo ipotizzare un suo tradimento, adesso non c'era più alcun dubbio. 
“Se fossero davvero gli sbirri, dovrebbero farsi vedere, no? Voglio dire... sanno che siamo chiusi qua dentro... irromperebbero qui e-”
“Una spia” lo interruppe Mike autoritario “Si può solo trattare di una spia. Se la polizia ci avesse rintracciati con sicurezza, non si sarebbe preoccupata di fare tanto silenzio durante l'inseguimento. Eri un uomo solo, Walter. Armato certo, ma un uomo solo. Nessuno impediva loro di fare una bella retata e ingabbiarci tutti”
“Ok! Quindi Lydia non c'entra in tutta questa faccenda e puoi lasciarla andare!” Jesse esclamò,  incredibilmente sollevato.
“E chi mi dice che non l'abbia mandata lei, la spia?” obiettò Mike, rafforzando con un brontolio la presa sull'arma “Lydia...”
“Nulla. Niente. Non ne so nulla” ripeté ancora la donna, scrutando il pavimento.
Allora Mike cercò consiglio nell'espressione di Walter. Questi era sornione, anche se risoluto. Dovette parlare perché diventasse nota la sua opinione:
“Ci sono troppi elementi e troppo poche persone coinvolte. L'unica ipotetica responsabile per questo è Lydia. Di conseguenza, non mi sento più sicuro a fidarmi di lei, e non dovresti più esserlo neppure tu.”
Jesse boccheggiava dal terrore. 
“No... per favore! Signor White...”
“Todd, perché non vai a dare un'occhiata fuori?” domandò Mike, casualmente.
“Certamente” rispose questo, dimostrando il possesso dell'arma con una lieve pacca sulla tasca. Varcò la soglia circospetto e silenzioso, nel marasma generale.
“Il tuo piano è fallito” Mike avvertì: stavolta non si sarebbe tirato indietro.
Lydia percepì il cappio stringersi attorno al collo. Il suo ultimo atto di volontà fu sperare che quella spia li rovinasse tutti.
“NO-”
Mike sparò un colpo.
Il suo capo precipitò inerte sul petto. 
Jesse sussultò, ma non esplose: l'orrore lo aveva sferzato troppo brutalmente, inaspettatamente, anche se aveva supplicato un'ora intera. Prese a massaggiarsi convulsamente il braccio, i peli che gli pungevano il palmo, lo sguardo incantato sulla scena, quello che ne era rimasto. Si convinse che era giusto così, sì. Sì, era giusto così, sì...
Dal canto suo, Walter non aveva battuto ciglio. Non era stato altro che onesto con Mike, facendo a lui, a sé e a Jesse un enorme favore. Avrebbero reperito un altro collaboratore ugualmente competente ma più docile, più manovrabile: non sarebbe stato facile, ovvio, ma, con il dovuto impegno, certamente possibile, anche in tempi non esageratamente lunghi. D'altronde, così come era esistito un Gale, sarà esistita anche una sua controparte “diplomatica”.
Mike glissò su ogni commento, ogni osservazione gli venisse istintivo far presente. S'era fidato di Lydia fin quando ne era stato in grado: ormai erano settimane che il rispetto non era più reciproco e che minacciava di scoprire tutti pur di garantire la propria sicurezza. Non c'era proprio più niente da dire.
Prese in mano il cellulare e chiamò uno dei suoi ragazzi.
“Steve, ho bisogno di te e Vinny qui adesso. Il posto lo conoscete. Sì, nel deserto. Con cura. A posto”
Nello stesso istante, Todd rientrò dalla porta sul retro.
Walter e Mike si voltarono immediatamente; Jesse non reagì affatto al suo arrivo. 
“Ehi... ho preso la spia” annunciò, con voce piatta.
“Bene!” esclamò Mike a voce alta, pur non apparendo minimamente soddisfatto “Dov'è?”
“Io... me ne sono occupato” spiegò Todd, reso lievemente scettico dal suo tono.
Un altro omicidio. 
Jesse era rassegnato. Si mordeva le unghie e non guardava in faccia nessuno.  
Walter sospirò, serio. Per quanto l'idea di due morti in così poco tempo fosse abbastanza angosciosa, a impensierirlo di più era tutta l'attenzione che quei due decessi avrebbero attirato su di sé. Questa volta, sbarazzarsi dei cadaveri non sarebbe bastato a sviare i sospetti della polizia.
“Ah? Perché?” Mike si stava contrariando.
“Perché sapeva tutto. Stava per ripartire e andare a spiattellare tutto” rispose il ragazzo senza ombra di dubbio.
“Ah. Dov'è?” ripeté l'ex-poliziotto, non ancora del tutto persuaso della necessità del gesto ma decisamente indifferente al fatto.
“Qui...”
Mike seguì Todd nell'altra stanza. Walter fece lo stesso, impregnato in un profondo disappunto, quando la luce irradiò la stanza e il pallore.
Vide due occhi come due cocci di vetro, una bocca storta, dei denti digrignati, la rigidità inconsueta di un corpo, l'incongruenza di dei piedi.
Per la prima volta.
Per la prima volta Walter vide la morte.
Una morte che era per la prima volta propriamente morte, perché si era sostituita a così tanta vita, a veri anni di vita, di parole e di voce, di litigi, opinioni, giudizi, pettegolezzi, complimenti, insulti, di vista, di gesti, comportamenti, abitudini, paesaggi, posti, case e persino di odore, di profumi, sapori, gusti, puzze e incidenti. Una lunga vita vera, che lui sapeva enumerare, descrivere, raccontare perché era anche la sua, la sua vita. La vita di Walter White.
Così i suoi polmoni si riempivano del gelo della morte.
Ma non lo ammetteva, non ancora. Non poteva.
Guardò meglio i lineamenti e le proporzioni, studiò, riesaminò l'intera mattinata passo per passo, punto per punto, precauzione per precauzione: non ci trovò fallo. Skyler non aveva chiamato nessuno, l'auto non era la sua. Poteva aver confessato durante la notte? Possibile, sì, ma improbabile. Avrebbe sentito. C'era qualcosa, qualcosa che non quadrava... ma non era dipeso da lui. Non era dipeso neppure da Hank, che non avrebbe mai messo in pericolo la moglie, o da Todd, che non la conosceva. Com'era possibile? Non era possibile. Eppure era possibile... possibile? Era stato possibile. Era successo. Era accaduto.  
Deglutì: l'aria si sciolse e liberò i polmoni dal ghiaccio. Impugnava ancora la sua vita e il suo calore, sì: dimoravano in lui.
Lo ammise.
Marie giaceva per terra con un foro nella testa. 


CINQUE MINUTI DOPO...
Mike era sconcertato.
Aveva le braccia aperte ad angolo, gli occhi sbarrati e gli incisivi prominenti.
Gli era bastato soltanto scorgere il corpo perché, con suo enorme rammarico, montasse in lui una furia inaudita.
Si scagliò a corpo morto su Todd, afferrandolo con mani malferme e sollevandolo da terra, sibilando parole che non avrebbe mai voluto né dire né sentire:
"Questa, QUESTA ti sembrava una spia?! Lo vuoi sapere tu chi è, chi è QUESTA?! QUESTA... questa è la moglie dell'ASAC Hank Schrader e TU gli hai appena fornito una pista ininterrotta che arriva subito a noi, senza interruzioni! TU hai appena messo al rogo miliardi di dollari e gettato in galera centinaia di persone, e tutto perché non sai riconoscere una cazzo di spia! Mi spieghi come cazzo ragioni, porca puttana?! Ma almeno te ne rendi conto?! Ti rendi conto della cazzo di stronzata che hai fatto?! Te ne rendi conto, porco-"
"Mike"
Fu un sussurro. Neppure Walt seppe bene perché lo proferì. Forse perché si stava tenendo ferma la testa con le dita e le sue urla ne acuivano il dolore intrinseco ed insopportabile...
Fatto sta che Mike si girò di scatto, rilasciando pesantemente Todd nel processo, e gli puntò un offensivo dito contro. Rielaborò per qualche secondo, le labbra già spinte in avanti, e poi parlò:
"Tu... non hai riconosciuto l'auto di tua cognata?"
Vuota.
La testa di Walt era vuota.
Svuotata delle risposte logiche che avrebbe potuto dare, delle spiegazioni che avrebbe potuto fornire, delle soluzioni che avrebbe potuto proporre.
Così si limitò a scuoterla, con delicatezza, non solo in segno di diniego ma anche nella speranza di generare uno stimolo, una spinta e far ripartire tutto come prima, senza intoppi e possibilmente in fretta.
Non sortiva risultato.
Nulla da fare.
Aveva perso. 
Aveva subito la sua prima e ultima sconfitta.
Le lacrime cominciarono a rimbalzargli copiose sulle guance.
Mike, nonostante fosse inferocito dalla sua ritrosia, non poté reagire. Anzi, decise di farsi contagiare dal suo atteggiamento, interpretandolo come rifiuto. Rimase fermo sul posto, gli occhi fissi sull' "oggetto" di discussione, iniziando a respirare rumorosamente, incessantemente, mentre Todd cercava pigramente un nuovo approccio per scusarsi.
Nessuno prestava attenzione a Jesse. Effettivamente lui, lacerato com'era, voleva nascondersi. Andarsene, fuggire senza voltarsi mai. Ma l'avrebbero trovato, era inutile illudersi. L'avrebbero trovato... prima, però, doveva mettere le cose in chiaro.
"Tu hai appena ucciso... la moglie di tuo cognato. La moglie di tuo cognato. Ok? Ok. La tua famiglia è andata. Non riuscirai mai più a guardare in faccia tua moglie o i tuoi figli. Ok. Ma sai una cosa? Tu la farai franca. Eh, già. Tu sei speciale. Escogiterai qualcosa e te la caverai. Io, invece, sai che fine farò io? Primo sospettato. Io sarò il primo sospettato di quest'omicidio, perché quel bastardo di tuo cognato penserà subito a me, non appena lo verrà a sapere. Non ci vedrà più: darà la caccia a me, solo e soltanto a me, il socio di Heisenberg che apparentemente ha una passione per sua moglie. Non darà retta a nessuno, non si fermerà di fronte a niente pur di avermi!"
"Jesse, non-"
"NO! È così, cazzo! È così! Brutto pezzo di merda che non sei altro! È così e stai zitto! Devi stare assolutamente zitto! E tu..." si rivolse infiammato a Todd "Stronzo... spero proprio che il figlio di puttana ti acciuffi e ti faccia marcire in galera per la vita!"
Sbraitava, urlava, istigato dall'umidità degli occhi che non cessava e gli ricordava che era impotente, che era morto, che non aveva futuro.
"I miei ragazzi stanno arrivando" Mike segnalò ad un tratto, recuperata parzialmente la sicurezza nella voce "Faremo prelevare anche lei. Sparirà, insieme a Lydia"
"No!" Walt si oppose, la mascella contratta e le sopracciglia quasi unite, ma la voce ancora rauca di fragilità.
"Hai altre proposte, Walter?" Mike ribatté, con risolutezza ma senza l'usuale ironia.
Altre proposte: e normalmente avrebbe cominciato a scervellarsi, a ingegnarsi impegnando ogni meandro della sua conoscenza e ogni briciola della sua intelligenza per superare la prova di sopravvivenza. Ovviamente, così non fu.
... finché un guizzo, che prima se ne era stato in disparte, gli si palesò, esplodendo e invadendogli la testa per intero.
Fu così rapido che non riuscì a focalizzarlo: agì subito come gli dettava, senza ragionare.
"Non è necessario. Sentite, ascoltatemi: noi possiamo, potremmo effettivamente far ricadere la colpa su qualcun altro"
"E su chi?"
"Su... Marie Schrader."
Mike aprì la bocca, Jesse rialzò immediatamente il capo, gli occhi sgranati dallo stupore, mentre Todd assentì tranquillamente, come compiaciuto.
Spiarono tutti il corpo nei momenti che seguirono, omertosi, come in attesa di una torsione, uno spasmo di protesta.
"Marie ha sempre sofferto di problemi psicologici abbastanza gravi. Il peso della recente situazione familiare e lavorativa le ha dato alla testa. Quest'oggi era rimasta a casa, da sola. Suo marito è un poliziotto: di conseguenza, non è strana l'idea che lei possieda un'arma e sappia come usarla. In tal modo si spiegherebbe il colpo preciso, nella nuca. Se riportiamo il corpo nei pressi dello stagno vicino alla loro casa, nessuno si sorprenderà se non ci saranno tracce di sangue. Todd, tu indossi dei guanti: basterà che tu adesso le faccia toccare la pistola per far imprimere le impronte digitali necessarie a confermare il sospettato suicidio. Prendi anche le chiavi della macchina: la useremo per portarla a destinazione e poi faremo il pieno, per non destare sospetti. Tutto questo... sarà duro da accettare, ma credibile... per Hank e tutti gli altri."
Non appena ebbe concluso, Todd sfilò l'arma dalla tasca e la fece scivolare con delicatezza fra le dita sottili e rigide della donna. 
Mike si mise una mano sugli occhi. Non riusciva neppure a concepire quanto orrore l'avrebbe preso se si fosse trattato di una sua parente. Fu la conferma decisiva che la lucidità di quell'uomo era la cosa più spaventosa a cui avesse mai assistito in vita sua - e ne aveva viste tante, di cose spaventose. Veramente, veramente tante.
"Walter... è la moglie di tuo cognato..." disse semplicemente, lo sguardo vacuo.
"E CONTINUATE A RIPETERLO!" Walter sbraitò d'un tratto, facendo sobbalzare tutti tranne Todd, perennemente quiescente "Ancora, ancora e ancora! Ma sì, avanti così! Pensi che non lo sappia! Pensi che io non abbia... Dio!"
Jesse si mise una mano sul petto, nel tentativo di frenare il galoppo del cuore. Ormai da un anno aveva l'impressione che, ogniqualvolta toccasse il fondo, ci fosse subito qualcuno pronto a scavare ancora più in basso e imporgli di raggiungere il nuovo obiettivo.
"L'unico motivo... per cui sono disposto a fare qualcosa del genere... è per proteggerti... Jesse" proseguì singhiozzando, patetico, mentre la vista gli si appannava da dietro le lenti.
Il sentire il suo nome riaccese nel ragazzo quel poco di reattività sufficiente a fargli rizzare la testa e ragionare su ciò che aveva sentito.
Gli credeva? 
Lo scrutò con gli occhi socchiusi, ancora offuscati.
La sua espressione trasmetteva puro dolore: null'altro. 
Anche se lui puro non era.
Così come non lo era lui.
Si sarebbe salvato dalla morte adesso, sì, certo, forse anche dalla prigione, ma non dall'inferno. Il vero inferno, quello che attende chi, avendo peccato tutta la vita, si accinge a oltrepassare il guado. Un giorno ci sarebbe andato e vi avrebbe trovato tutti quelli che lo circondavano.
Jesse aveva sempre vissuto in vista di un futuro, un futuro migliore, che un tempo avrebbe voluto vivere con Jane e adesso con Andrea e il piccolo Brock.
Ma come, esattamente?
Come avrebbe mai potuto pretendere di vivere assassino tra gli innocenti, bugiardo fra gli onesti, malato fra i sani? 
In quelle stanze, la luce rifletteva solo gli occhi della donna che giaceva a terra.

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Capitolo 4
*** Spropositati effetti (alle buone intenzioni) ***


QUATTRO ORE DOPO...
"Il numero selezionato non è al momento raggiungibile".
Così intonava l'inflessibile voce della segreteria telefonica di Lydia Rodarte-Quayle.
Così s'ingrossava il grumo di saliva nella gola di Hank Schrader.
"È andata" rincarò l'agente Gomez, con un aperto tono di compatimento.
"Porca puttana..." Hank rovesciò il capo sulla scrivania e batté una forte testata.
"Avranno sicuramente distrutto tutto. Non vale nemmeno la pena di provare... e che cazzo... brutti figli di troia..."
"Hank..." lo ammonì Steve, il quale ben sapeva che dagli improperi dell'amico raramente nasceva qualcosa di buono "Guarda il lato positivo: adesso abbiamo la certezza del fatto che coprisse l'operazione di qualcuno."
"No, Gomez, cazzo! No! Non abbiamo niente! Niente di niente... e continueremo a non avere nulla finché neppure tu ti convinci che Heisenberg è ancora in circolazione! Testa di cazzo che non sei altro..."
"Calma, Hank. Quello che si sa di per certo è che la sua ricetta ha attraversato i mari e che la sua crew è ancora attiva, nonostante la morte di Fring. Ora, quello che non è comprensibile è se ci sia effettivamente ancora un Heisenberg dietro a tutto questo, oppure si tratti solo delle biforcazioni della sua organizzazione."
"No, no, è lui... lo so che è lui... non appena trovo una traccia, un indizio, BAM! Fa sparire tutto come un fottuto prestigiatore... ascolta: voglio che le indagini seguitino almeno fino a stasera. Cercate di scoprire il più possibile su Lydia Rodarte-Quayle e di accedere a tutto ciò che è stato suo. Mi raccomando, massima attenzione: se vi impegnerete e avrete davvero culo, riuscirete a mettere mano su qualcosa. Nel frattempo, io mi preoccuperò di riassemblare da casa i vari pezzi dell'indagine"
"Come? Te ne vai?" Gomez era sorpreso. Non era normale da parte sua abbandonare il dipartimento così presto.
"Anche se rimanessi qui, non cambierebbe nulla. Vi informerò da casa su eventuali nuovi aggiornamenti. Mi raccomando: non alzare il sedere dalla sedia finché non hai in pugno qualcosa di buono"
Ciò detto, Hank lasciò l'ufficio con un diavolo per capello, innervosito, come di consueto, anche dalla lentezza della sua camminata.
La fretta era dovuta alla morte apparente di un altro cellulare: quello di Marie.
Ogni volta che aveva provato a chiamarla, aveva sentito rispondergli la stessa, medesima voce sibilante ripetere sempre le stesse, ineluttabili parole strascicate.
"Il numero selezionato non è al momento raggiungibile".
Quanto odiava quella frase. 
Quanto odiò sé stesso quando salì in macchina e, toccandosi casualmente il polso, sentì l'accelerazione della frequenza dei battiti. 
Marie stava bene. Probabilmente Dave aveva allungato la seduta, date le sue condizioni, e così aveva ancora il cellulare spento...
Era inutile.
Sentiva il rumore del fiato caldo ricadergli sul petto viscido di sudore e non poteva fermarlo.
Se solo si fosse ricordata di accendere il cellulare, solo per un attimo, e controllare le chiamate... solo per un secondo... un secondo, per fermare il tremito delle braccia torturate che maneggiavano pericolosamente il volante, per asciugare gli occhi coperti d'angoscia, perché la paura si disciogliesse in un cucchiaiata di sciroppo amaro, in modo che potesse così buttarla giù tutta in un colpo e poi dimenticarsene... per favore...
Marie non rispondeva.
Lo schermo del cellulare taceva, omertoso.
I nervi di Hank s'erano aguzzati tanto da forargli la pelle.
Accelerò, sfiorò il limite di velocità e, dopo una ventina di minuti di singhiozzo, bestemmie ed ingiurie variate e discordanti che partivano dai semafori e arrivavano a Heisenberg, raggiunse casa.
Suonò il campanello.
Iniziò ad aspettare.
E aspettò.
Aspettò così tanto, che arrivò a distinguere le sfumature di colore della maniglia della porta di casa.
Marie non rispondeva.
A malincuore dovette impugnare le chiavi e aprire la porta di persona.
Una volta entrato, notò che le luci erano accese. Da fuori non se n'era potuto accorgere perché le tende erano tirate.
Marie era in casa. Nevrotica com'era, non si sarebbe mai scordata di spegnere le luci.
Il sollievo lo inebriò. 
Posò tutti i bagagli che aveva in mano e che si era dimenticato di posare e rimise le chiavi in tasca.
Si aspettava di sentire la sua voce da un momento all'altro, spiegargli compiutamente perché non aveva potuto rispondere.
Ma nessuno lo venne ad accogliere.
"Marie?"
Non era in cucina o nel terrazzo.
"Marie?!"
Non era in camera da letto o in bagno.
"MARIE!" 
Non era nello studio o nel garage.
Spiò dei fanali e riconfermò così la teoria iniziale: Marie era in casa. Difficilmente si sarebbe avventurata nel vicinato senza la macchina -  e, comunque, non in quel giorno.
Eppure era sparita. 
L'auto era ancora più omertosa del cellulare. Hank la trafisse con più ipotesi, ma non notò nulla di strano.
Rimaneva solo il giardino... ma perché lasciare la luce accesa nell'ingresso, allora? Lei non l'avrebbe mai fatto...
Con un macigno sul capo, superò la soglia della porta sul retro e iniziò a scendere la scala.
Si sollevò, la mano malferma che implorava pietà, e cadde col piede buono sul primo gradino.
Il fruscio dei pantaloni contro la caviglia non lo aveva mai irritato così tanto.
Se con la sola forza di volontà avesse potuto, catapultarsi giù...
Fortunatamente, la fatica gli impedì di pensare e rimuginare ulteriormente.
Un'eternità era trascorsa, con i denti stretti e tutti i muscoli rigorosamente contratti, quando vide l'ultimo scalino.
Dopo essersi voltato per fulminare un'ultima volta quello che era stato né più né meno un baraccone infernale, guardò nuovamente avanti.
"Marie!"
Era sfiatato, il petto schiacciato, le labbra secchissime, ma la ricerca non era finita. Nessuna interruzione.
Zoppicò in giro, l'erba che scricchiolava sotto i suoi passi pesanti, quando avvistò del viola.
Un tessuto, un tessuto soffice.
Si avvicinò.
Era uno scialle viola ed era per terra.
Umido, insudiciato, sporco. 
Gli si incrociarono gli occhi.
"MARIE!"
Partì un terremoto.
Hank arrancava, senza più un viso o un'anima, urlando e sussurrando, balbettando e schiarendosi la voce, freddo, incolore, finché non s'imbatté nello stagno.
Una figura era adagiata sulla riva, rivolta verso l'altra sponda.

CINQUE ORE DOPO...
L'acqua della piscina, ripulita e filtrata dalla luce del sole pomeridiano, era davvero il palcoscenico di un magnifico spettacolo. 
Decisamente migliore rispetto a quello che aveva ospitato la sera prima.
Skyler lo riconosceva, da spettatrice e da attrice ritirata, senza orgoglio e senza invidia.
Tante sigarette avevano assistito e assistevano insieme a lei alla placidità soave, al dolce ristagnare, tanto etereo da sembrare frutto d'una grazia, d'una qualche benedizione. 
Ma non toccava lei, quella benedizione. Nessuna indulgenza: solo, forse, l'amaro sollievo d'aver salvato le coscienze dei due figli dalla contaminazione. 
In effetti Holly dormiva nella sua cameretta, nella culla, lontana dal fumo e dal mondo, mentre Junior quella mattina, appena udito l'accenno al trasferimento obbligato, aveva imposto che avrebbe trascorso la giornata con Louis, senza farsi vedere sino a notte tarda. Skyler non aveva avuto le forze, né il coraggio, di ribellarsi: aveva così tacitamente acconsentito ad ancora un giorno, un giorno solo di quell'agonia, d'averli vicini a lui, giusto per ribadire a sé stessa quanto necessarie fossero state la sua sceneggiata e la sua decisione.
Ogni tanto si chiedeva con ragione perché Marie non si fosse ancora fatta viva per venire a raccogliere la sua torturata e disgraziata prole, ma, dopo un po' di pensieri, finiva sempre per addurre qualche scusa più o meno illogica, per il gusto di proseguire con la contemplazione di quell'acqua lucente e vivificante.
Pendeva, Skyler, gli arti che molleggiavano sui bracciali della sedia, i lineamenti che puntavano al retro della nuca, senza mai esimersi dal guardare: le pareva di cogliere così nella luce nella piscina l'illusione della felicità della vita, stretta e costretta dalle fauci degli istinti innati e forti e inoppugnabili. 
Come agire, dunque?
Sottostare, sottostare, sottostare agli istinti, nel timore e nella paura di perdere anche l'amaro sollievo di quell'illusione, di perderla dilaniata e divorata dalla loro fame che giusto questo po' risparmiava.
E d'un tratto il campanello tuonò, o così le parve.
Skyler sussultò. Non poteva essere Walt: lui aveva le chiavi.
La bambina scoppiò a piangere.
"Skyler, per favore, aprimi" 
Riconobbe la voce di Hank. 
Il trillo tuonò di nuovo per un poco, incontrastato.
Ancora stordita, scattò in piedi e s'avviò scalpitando verso l'ingresso, facendosi scivolare furiosamente il putrido addosso.
Gli aprì la porta con gesto frenetico, ma lui non entrò.
La scrutò invece con uno sguardo rosso di follia, le mani che si massaggiavano convulsamente i fianchi, una reggeva una valigia. Digrignati i denti e spremuti gli occhi per farsi forza, mormorò con voce sofferta:
"Skyler Marie è morta"
Sbarrò gli occhi.
Aveva osato e il putrido le era stato risputato violentemente addosso. Tutta la cospargeva, e dagli orifizi la tentava, la lordava, la uccideva.
"Co? Hank... co?" esclamò con mezze parole, la fronte schiacciata dallo shock, mentre un torpore inquietante minacciava d'annichilirla.
"Non so che è successo sembra suicidio, non sono sicuro" rantolò lui, mordendosi la lingua, le palpebre che occludevano gli occhi gonfi.
"Suicidio? C-cosa? Marie...come?!" Skyler s'era alzata sulle punte dall'orrore, mentre il fiato iniziava a mancarle e le gambe a cedere. Hank le porse le sue braccia come sostegno, mentre le stringeva le mani, non meno allucinato di prima ma poco più consapevole.
"Io non lo so... io l'ho trovata lì, già così, non ho potuto... M-Marie era a terra vicino al laghetto con una p-p-pistola vicino e un buco i-i-i-n testa... non c'era p-p-più nulla da fare, era f-fredda... Gomez e la squadra hanno recintato la casa per i vari esami, sai... le cose che si fanno... io non sono v-voluto rimanere non ho voluto indagare, non ho alcun posto dove andare ...se non a casa vostra, se non... qui, perché non posso andare da mia madre, non posso allontanarmi... qui dentro ho le mie cose non vi darò fastidio, me ne starò per conto mio finché sarà necessario... verrà fatta luce sulla questione Skyler, lo prometto-"
"AAAAAAAAAAAAAAAAAH!"
Finito il discorso e anche il contagio dell'allucinazione, Skyler urlò, d'un urlo sviscerante, rauco, continuo, che le spaccò il petto e la fece rovinare a terra senza coscienza, senza ritegno: così noncurante aveva aperto il valico al putridume temuto. Sua figlia le faceva eco per empatia, la culla come una barca alla deriva nel mare inquinato qual era la sua cameretta, nascondiglio del "riciclo" e del sangue raggrumato. Il cognato la reggeva per le mani, incitandola a sollevarsi, ad alzarsi, a sedersi, ma l'allarme non intendeva cessare finché non sarebbe cessato il pericolo nascosto che segnalava. 
Dovette così provare a tirarla su di peso, a forza, e trascinarla in piedi, mentre la faccia si allungava, si inumidiva, scoppiava e poi tramontava tramite le rughe che scendevano: a quel punto la disperazione cominciò a confrontarsi vocalmente e lo strazio divenne carne e ossa.
"No, no! LASCIAMI MORIRE! LASCIAMI MORIRE QUI! BASTA! LASCIAMI!"
"Skyler, ti prego!"
"VOGLIO MORIRE ANCH'IO! ANCH'IO VOGLIO MORIRE!"
"Non dire queste cose, ti scongiuro..."
"NO! È tutta colpa mia! Sono stata io, Hank, è COLPA MIA! Ti rendi conto?! Ho ucciso mia sorella! Ho ucciso MIA SORELLA, io! Con tutto quello che... oddio..." gli sussurrò con voce vibrante, come in una confidenza, strattonandosi verso il pavimento.
"Tu non hai fatto niente! Non può essere colpa tua! Skyler..." convinto e traboccante di compassione, Hank voleva redimerla: non la tirava più, le teneva soltanto gentilmente le punte delle dita, mentre lei lo pregava con occhi d'un ceruleo vuoto e si svincolava come poteva.
"Sì, invece, sì! Oh sì... SONO STATA IO! IO! Oh Gesù, non ci posso credere... non mi libererò mai più da tutto questo!"
"No, no! Skyler, smettila!"
"Sono davvero io... ahahah, IO! IO, la povera vittima! Pretendevo di SALVARCI, ma io, io ho contribuito, ho rovinato tutto, TUTTO... altro che vittima... io sono il peggiore... pezzo di letame... la degna moglie... FACCIO SCHIFO! SCHIFO! SCHIFO! SCHIFO! SCHIFOOO! "
"SKYLER!" la rimproverò Hank, che, innervosito e alterato dal delirio crescente, aumentò bruscamente la presa, senza più tirare in attesa di un suo contributo volontario ad alzarsi.
"SONO RESPONSABILE! SONO LA RESPONSABILE! È  COLPA MIA, MIA! COSA HO FATTO! Oh mi dispiace... mi dispiace tanto... cosa è successo... che ne sarà dei miei figli, dei miei bambini! Che ne sarà di noi, Hank! CHE NE SARÀ DI NOI!"
"Skyler, alzati, per favore..."
"NO! SONO UN VERME! L'HO UCCISA IO! HO UCCISO MARIE! IO! IO! IO! ECCOLE, LE MIE COLPE! HO UCCISO MIA SORELLA!"
"Ti supplico, Skyler, ti prego, sta' zitta ed ALZATIIIIIIIIIIIII!!!"
Skyler si alzò, terrorizzata dal repentino cambio di registro, indolente e cieca, senza guardarlo, tenendosi il petto martoriato.
"VA' DA TUA FIGLIA, ADESSO!!!" le ordinò Hank, che aveva perso l'allucinazione ma non la follia nello sguardo e nella voce.
"Mia figlia non merita me..."
"Ho detto VA' DA LEI! SUBITO!"
"IO-"
"SkyLEEER!" Hank gridò ancora, con una veemenza da deformazione professionale che normalmente avrebbe saputo contenere: in realtà, a motivare il mancato freno agli istinti c'era qualcosa di perfettamente ragionato: tenere la bambina in braccio l'avrebbe costretta a calmarsi.
Ferita ma ancora risoluta a credere nella sua colpevolezza, Skyler obbedì e andò a raccogliere Holly.
Dal canto suo, Hank provò ad avvicinarsi al tavolo della cucina, barcollando come affetto da una labirintite. Stava sopraggiungendo un nuovo attacco di panico: il terzo  in poco meno di un'ora. Afferrò con due mani lo schienale d'una sedia, poco prima che lo sfregare delle gambe di questa col pavimento gli facesse realizzare che era troppo leggera per lui e che avrebbe dovuto invece sfruttare il tavolo: nel brusco cambiamento di appoggi però le dita scivolarono ed Hank precipitò in ginocchio, aggrappato quasi con le unghie al bordo del tavolo. Il colpo alla gamba malridotta lo fece sussultare, ma trattenendo il fiato cercò ancora di ripristinare l'equilibrio strisciando in avanti i gomiti sul tavolo e poi tentando di far leva su di essi per tornare in piedi: tuttavia, lo sbilanciamento delle forze fece sì che il tavolo gli si ribaltasse sulla testa, facendolo cadere, il legno che gli sfrigolava sulla punta del naso e gli martellava la nuca.
Era l'ultima goccia.
'Non piangere al telefono: sanno chi sei' piangendo, prima di chiamare la DEA.
'Non piangere di fronte a Gomie: ti conosce' piangendo, mentre aspettava la DEA.
'Non piangere di fronte a Skyler: peggiorerai le cose' piangendo, nel tragitto verso casa White.
'Non piangere, non piangere: farai impazzire la bambina' mentre saldava i palmi della mano al pavimento, la testa che bruciava a contatto col legno del tavolo, il sudore che impersersava fino a tappargli le orecchie ed il fiato che più respirava , più perdeva. 
'Ti devi alzare'
Ce la mise tutta: torse ginocchi e gomiti, iniziò a curvare la schiena e contrasse gli addominali, ma la testa pesante lo fece abbattere, il tavolo che colpì nuovamente il punto più largo del suo addome.
'ALZATI!'
Nuovo tentativo: sollevò il tavolo con successo, gambe all'aria, e volle rovesciarlo accanto a sé, così da liberarsi dall'intralcio. L'udire i passi di Skyler gli instillò però ansia da prestazione e, terminato il fiato, si dovette rassegnare a ricevere l'ennesimo colpo sulla nuca.
Al che, Hank non poté più nulla.
Era a terra, era vedovo ed era debole: scoppiò in un furioso pianto liberatorio, lasciando che gli interrogativi tremendi lo assalissero e lo rendessero consapevole.
Skyler, placata dall'assopimento di Holly, riscoprì l'instabilità non appena vide il cognato singhiozzante sotterrato sotto il tavolo. 
 "Oh mio Dio! Hank, stai bene? Cos'hai?" esclamò, rimettendo a posto il tavolo.
"Mi dispiace, Skyler..."
"Per cosa?!"
"Lei, M-Marie mi aveva chiesto di starle vicino ieri... non l'ho ascoltata. Lei sarebbe dovuta andare da Dave oggi... mi aveva detto che sarebbe andata da Dave, non avrei mai immaginato che potesse... Gesù Cristo, ma come, come ho potuto... io pensavo che, insomma, sapevo che era turbata ma che lei... pensavo che potesse e invece... aveva bisogno di me e io l'ho lasciata, per egoismo... per il caso, Skyler! Per IL CASO! Il mio caso, quel cazzo di caso maledetto! Mi sta facendo perdere... tutto quello che ho..." 
Skyler non aveva il coraggio di guardarlo, o di farsi guardare: aveva la testa ruotata verso la finestra e le labbra distanziate e gonfie, che celavano la lingua intorpidita.
"Che cosa faccio io adesso?"
La domanda nel sussurro fu sfibrata dall'apatia, ma Hank non si stava rivolgendo a Skyler, come mai avrebbe fatto in quei momenti. Era solo un monito, una presa di posizione.
"Che cosa faccio io adesso? Mia moglie si è suicidata... come faccio a...?"
La riformulazione fece dissipare l'apatia e Skyler si sentì ribollire di saggezza. Saggezza costretta dagli angoli della bocca tremanti, ma pur sempre saggezza.
"Pensa a Junior e Holly."
Sentirsi rispondere così urtò quel poco orgoglio che Hank stringeva ancora. 
Si sentì costretto ad alzarsi e abbracciare la cognata nel modo più normale di cui era capace in quella situazione. Poi si ritirò nella camera degli ospiti, a guisa di ultimo sopravvissuto, senza più considerarla.
Bastò quello perché Skyler comprendesse che, in quelle circostanze, doveva ancora aspettare Walt.
Il suo fumo tossico e nero risultato dell'attesa s'insinuò anche nella cameretta di Holly, mentre il cognato solo cercava l'amore nella rinuncia allo stesso, come gli era stato suggerito.

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Capitolo 5
*** Un brusco risveglio ***


Lo stallo in cui era entrata la casa coperta dal telone fu interrotto dal mormorio nella tasca di Mike.
Questi non rispose subito, cosicché tutti s'allertassero, poi picchiettò il pulsante con la punta del dito:
"Fatto" asserì Steve, cavernoso.
"Bene. Siete ancora dallo sfasciacarrozze?" 
"No, ci stiamo muovendo."
"Tutto pulito?"
"Pulito, Mike. Pulito."
"Molto bene. Mi raccomando, vi voglio il più lontano possibile da lì."
"Tranquillo."
"Lo spero" e buttò giù, reprimendo un sospiro ma con la testa ben diritta. Fece sdrucciolare nuovamente il cellulare nella tasca e s'avvicinò fra gli astanti a quello con cui urgeva parlare.
Le labbra di Walt erano parallele alle sue rughe, ma la palpebra era pesante: lo sguardo cadeva spesso, lontano, celando occhi lucidi e pupille dilatate.
Tuttavia, l'abilità di Mike gli consentì di carpirlo senza apparente sforzo, ammansirlo e trattenerlo il tempo dovuto a fare la sua comunicazione:
"Ho appena affidato ai miei ragazzi un lavoro molto delicato, quasi senza alcun preavviso. È necessario che ognuno di noi contribuisca a pagarli sull'unghia non appena tornano, così da evitare ogni tipo di brutte sorprese."
Si fermò, in modo che le sue parole venissero digerite, poi:
"Ho il tuo permesso, Walter?"
Adesso lo sguardo era fisso. Aspirò nel naso tutta l'aria che aveva in corpo, riacquistando il suo profilo rigido e spigoloso. Protese il petto in avanti, allineando le mani ai fianchi. Fece un piccolo, felpato passo in avanti, stringendo lentamente i pugni; socchiuse la bocca, nascondendo la punta della lingua per sottolineare il profilo dei denti. Rimase in stasi per qualche secondo, mentre Mike ignorava ogni sussulto, anche il più stoico, e disse:
"Sì"
Mike fece sporgere le labbra e abbassò le sopracciglia in segno d'approvazione. 
"Bene"
Allora si girò alla ricerca del ragazzo, la cui presenza era diventata impercettibile.
"Jesse? Tu che mi dici?"
D'un tratto, così come un cane randagio dopo un lungo digiuno s'avventa sul cibo profferto da un'anima buona, allo stesso modo Jesse udito il richiamo scattò via dal suo angolo e affrontò tutti a muso duro gesticolando:
"Io non spenderò un cazzo di cent finché non vedrò questo coglione sparito dalla faccia della Terra!"
"Ehi!" la reazione di Todd fu immediata e particolarmente veemente "Ammetto d'aver fatto una cazzata-"
"Una cazzata! Sentitelo!"
"-ma è la prima e l'ultima volta! Anche se non partecipo direttamente alla manifattura della metanfematina, non sono meno utile di nessuno di voi qua in giro! Sono disposto a fare qualsiasi tipo di sporco lavoro e non mi tiro mai indietro, vi do copertura e vi tengo il gioco! Soprattutto adesso che Lydia è morta il numero conta ed io, grazie alle mie conoscenze, vi posso procurare tutte le materie prime che volete! Seriamente!"
Seppure fosse molto concitato, l'espressione facciale di Todd in quel momento non si differenziava molto da quella solita, se non per gli occhi leggermente più aperti. Anche nel parlare mantenne una dizione perfetta e non biascicò, né incespicò su una singola parola. Tutto ciò contribuì ad aumentare il disgusto di Jesse, che aveva ridacchiato durante tutto il suo discorso per sminuirlo e trovò in questo il nuovo stimolo per lanciarsi nuovamente:
"E noi dovremmo credere a queste stronzate? Inventati qualcosa di meglio, idiota! Vuole solo salvarsi la pelle perché capisce che è inutile!"
"Conoscenze?" Walter ripeté, mostrandosi interessato ma non curioso.
"Mio zio e altri. Non hanno conoscenze specifiche riguardo allo spaccio, ma si sanno gestire e potrebbero darvi un grande aiuto, traendone profitto senza che voi li dobbiate pagare. Se volete, posso contattarli e farveli incontrare."
Non ci voleva l'esperienza di Mike per capire di che pasta fossero queste fantomatiche 'conoscenze' di Todd, e questi in particolare era molto combattuto riguardo all'accettare l'invito. Infatti, da qualsiasi lato si osservasse la proposta, rimaneva comunque una bella gatta da pelare. Avrebbe dovuto tenere occhi e orecchie suoi e dei suoi ragazzi bene aperti attorno a quella gente, più di quanto non lo avesse mai fatto; ma certamente era qualcosa più auspicabile di essere costretti a rinunciare a tutti quei soldi guadagnati per garantire un futuro alla piccola Kaylee. 
In Walter la luce della decisione s'era accesa già da un pezzo, e per fortuna, vide, coincideva con la sua. 
"D'accordo" Mike assentì, forzandosi a ignorare lo sconcerto di Jesse, che subito sbottò:
"D'accordo?! Ma che cazzo?! Cioè, voi siete disposti a fidarvi di un decerebrato che nel dubbio sparerebbe anche a un neonato e lasciare anche che delle persone random, persone random che non conosciamo vengano a sapere tutto? Non capite che questa è tutta una messinscena per mettercelo in culo?! Io non sono d'accordo, non collaborerò e se davvero voi ci volete stare, io me ne vado e con i miei soldi!"
Scosse la testa un'ultima volta, incredulo, per poi dire un'ultima volta:
"Io me la svigno!" e corse in garage, a prendere una borsa dove mettere tutte le mazzette.
"Non credo proprio!" in un lampo, Walt lo raggiunse, gli strappò la borsa di mano e la buttò in un angolo. Lì gli altri non li potevano più sentire.
"Non abbiamo appena fatto i salti mortali per mimare un suicidio convincente perché tu te ne vada allo sbaraglio chissà dove!"
"Appunto, è convincente: la DEA non mi verrà a cercare! Mi dica allora un motivo per cui non dovrei andarmene! Todd e i suoi amici la possono aiutare nel laboratorio, Mike negli affari! Che cosa ci faccio io ancora qui?!"
"Dannazione! Ma appunto perché è convincente puoi rimanere e continuare a contribuire a e profittare di ciò che abbiamo costruito insieme, mattone dopo mattone, sforzo dopo sforzo, in tutto questo tempo! Io e te insieme abbiamo creato una formula, un mercato! Ci siamo costruiti un'identità e abbiamo spopolato ovunque! Abbiamo più clienti di quanti non avremmo mai potuto sperare di avere, solo un anno fa, e saresti comunque disposto a buttar via tutto questo? Davvero non riconosci il tuo ruolo in questo percorso? Senza le tue capacità, come potremmo essere in grado di garantire la purezza e la qualità della metanfetamina sempre e comunque, in tutte le circostanze? Ogni volta che qualcuno pensa a KFC, non s' immagina forse un secchio di ali di pollo fritte con su sopra Harland Sanders? Vedi qualche differenza da come i clienti visualizzano il nostro prodotto? Ancora non ti rendi conto che sei indispensabile in quest'operazione, Jesse? Non credi ch'io sappia chi sono queste persone?! Credi che non mi tocchi il fatto che Todd abbia appena ucciso mia cognata, senza rimorsi...  e che abbia mostrato il suo... cadavere con... soddisfazione, oh, mi disgusta dirlo! Tuttavia so anche che, e Mike potrà supportarmi in questa mia affermazione, che noi saremo in grado di controllarli e far sì che non intraprendano certe corsi d'azione senza la nostra stretta supervisione. Ti assicuro, Jesse, che se mai dovesse succedere di nuovo qualcosa di simile per mano sua, mi occuperò di ucciderlo io, personalmente."
Dopo che ebbe finito di parlare, Walter riprese velocemente fiato, senza però rilassare la mascella. Tarchiava ogni movimento delle iridi di Jesse, anche il più rapido, alla furiosa ricerca del suo punto di rottura. 
La resistenza che lui oppose fu coraggiosa: per qualche momento custodì l'atteggiamento di sfida, tenne alta la punta del naso mentre esibiva chiaro il diniego. Lo fece per orgoglio e per affetto ed era sicuro: ma furono gli occhi di Walt a ricordargli presto che non c'era per lui orgoglio o affetto che non fosse legato allo spaccio della metanfetamina. Persino la donna che amava: infatti l'aveva conosciuta ad un incontro fra ex tossici in riabilitazione, con l'intenzione di venderle i cristalli.
Tutto ciò che gli era capitato negli ultimi anni, di bello e di brutto, era collegato a quel mondo e valeva la pena tollerare l'uno, pur di non perdere l'altro.
Così il diniego si trasformò in assenso, seppur col capo chino, e semplicemente disse, con le braccia stese in segno di resa:
"Resterò. E pagherò."
Walt assentì con prudenza, come a rimarcare che fosse la cosa più giusta e naturale da fare. 
Jesse gli porse la mano aperta, l'emotività che continuava a trapelare, e veloce Walt la strinse, suggellando il gesto premendone il dorso con quella libera. Poi abbracciò il ragazzo con onesto calore, che lui accettò e ricambiò, senza però eguagliarlo.
"Paga e vai a casa" gli suggerì, con voce calda e tranquilla "Prenditi un po' di riposo. Cercherò d'arrangiarmi da solo, per oggi."
Allontanatisi, i due rientrarono nella stanza, dove assistettero a un Todd che non sembrava essersi accorto della loro assenza e un Mike proteso verso la porta, che lì zittì esclamando:
"Sì, sì, risparmiatemi tutti i vostri piccoli segreti: i ragazzi sono arrivati. È il momento delle mance"
Jesse strinse i denti. Contò rapidamente le mazzette, le ammucchiò da una parte ed inforcò il volante per scivolare via.


Per fortuna quel dannato sole stava tramontando.
Walt svoltò per l'ultima volta, verificando meticolosamente che non vi fossero altri movimenti oltre al suo in giro.
Avanzò piano, un occhio fisso sulla strada spianata, l'altro sullo specchietto retrovisore. Non erano sensi di colpa, si persuase. Era molto probabile  che tutto fosse andato per il meglio: l'aumentata attenzione era la naturale conseguenza della mancanza di totale sicurezza.
Ma così chino e concentrato sul vedere era allucinato dal rossore impetuoso del cielo, che gli rimbalzava un momento sì e l'altro no sulla faccia, senza tregua...
Approssimatosi a casa, vide con chiarezza parcheggiate l'auto di Hank e una volante della DEA.
Per la sua salvaguardia, Walter parcheggiò qualche metro indietro rispetto ad entrambe. Ebbe persino la mezza idea di fare una manovra per mettersi col muso rivolto verso la strada, ma la ritirò subito. Fermatosi definitivamente, si sganciò dalla cintura di sicurezza e poggiò entrambi i piedi a terra. 
Tentò di spiare qualcosa dalle finestre, ma le tende le coprivano interamente. 
Allora si alzò, uscì e richiuse la portiera.
Di nuovo il suo sguardo rimbalzò sulle due auto.
Odiava non essere sicuro. Avrebbero potuto essere lì da dieci minuti come da tre ore. 
Sentiva distintamente persone che parlavano, ma non riusciva a carpire nessuna parola: c'era troppa confusione. Riconobbe le voci di Skyler, Junior e Steve Gomez. Erano tutti molto esagitati.
Rivolse ancora uno sguardo al cielo, che era un unico tizzone ardente, ricordandosi che finché quella era casa sua e c'era Junior, nulla sarebbe potuto degenerare oltre un determinato limite.
Suonò.
"Skyler, sono io"
Lo scalpiccio di piedi gli suggerì che stava correndo ad aprire.
Finiti i giri della chiave, Walt vide sua moglie inebetita davanti a lui.
Aveva ciuffi di capelli umidicci stagliati in tutte in direzioni, gli occhi secchi ed esausti, la punta del naso ritirata e la linea dei denti digrignati appena visibile fra le labbra. Era cadaverica, aveva il fiatone ed ebbe appena la forza di mormorare: "Walt..."
La lucidità di Walter si spezzò.
D'un tratto, fingere divenne inutile.
"Tesoro! Ma che è successo?!" esclamò, prendendole la braccia dalla parte del palmo.
Lei non rispose, ma gli si accasciò letteralmente addosso, poggiandogli la fronte sul cuore.
Preoccupato, Walter la respinse subito, per vedere nuovamente la sua faccia sconvolta:
"Skyler? Ti senti bene? Penso che tu stia male... è meglio che tu ti sieda! Siediti e io ti faccio qualcosa- non so, una camomilla? Una cioccolata? Qualcosa di caldo e tu mi racconti con calma quello che è successo, ok? Skyler, perché non mi rispondi... ti prego, dimmi qualcosa Skyler, altrimenti come faccio a sapere che cosa ti è successo? SKYLER!"
Ma la consorte non rispondeva mai: scuoteva soltanto la testa, al tocco era febbricitante e non riusciva a tenere gli occhi aperti. 
Alla fine si convinse a riportarla vicina a sé, e lei si fece trascinare, come un burattino.
Erano ancora sulla soglia di casa, ma nessuno dei due voleva muoversi.
Rimasero soli ed abbracciati, finché un'altra figura non fece la sua timida comparsa.
"Steve" Walt lo chiamò, con più di un groppo in gola "Perché sei qui?"
"Hank mi ha chiamato, qualche ora fa. Ha trovato Marie morta, in giardino, vicino a una pistola. Sembra... suicidio..."
L'agente era in un bagno di sudore; indossava la divisa e parlava in modo affettato, come se avesse di fronte uno sconosciuto. Guardandogli gli occhi, Walt intuì che l'incredulità era più dovuta alla tragedia in sé che a un sospetto relativo all'ultima frase e nonostante questo, non si sentì affatto rassicurato.
Dopo pochi attimi di silenzio, si udì uno rauco rumore di rigurgito, al che Gomez, assicuratosi del fatto che Skyler fosse finalmente in buone mani, si congedò di corsa in bagno, senza nemmeno scusarsi. Dalla voce, Walt capì inequivocabilmente che era Hank.
"Io... non riesco a..." Walt farfugliò, interrotto dal petto che gli si alzò furiosamente e da Skyler che ficcò più profondamente il viso nella sua camicia "Da quant'è che vomita? Non sarebbe meglio che andasse all'ospedale? Vado a chiamare il 911! Tu amore, per favore, siediti... e aspetta..."
Così si slacciò finalmente dall'abbraccio con Skyler, che non lo lasciava pensare. Precipitatosi in cucina, vide la sua piccola Holly dormire teneramente in mezzo al disordine. Si stava avventando sulla cornetta, quando...
"PAPA'!"
Improvvisamente, Junior gli saltò addosso disperato, in un fiume di lacrime. Un corpicino che gli tremava fra le mani e non sapeva reggersi da solo.
"Meno male che sei qui, papà... io... non so cosa sta succedendo... dicono che s'è uccisa zia Marie, io... non capisco! Com'è potuto accadere?! E perché? Perché?! Sto cercando di capire, ma non riesco a capire... perché lei? Perché zia Marie? Perché?"
Perché?
Allora Walter ammise a sé stesso che era stato lui a permettere la metastasi del suo cancro, e che questa s'era conclusa in una metamorfosi che lo aveva sostituito a lui stesso.
Alzò la testa da quella di Junior e singhiozzò.
Adesso era sveglio. Il vero lui, Walter. E il cancro dormiva.
Strabuzzò gli occhi, che si inumidivano per l'angoscia di tutte le odiose reminiscenze.
Strinse convulsamente le braccia attorno al figlio, gli chiuse le gambe fra le ginocchia e aprì per intero la bocca, la saliva che scendeva giù dal labbro tremante.
Tutto era così opprimente che dormire era allettante: ma non riusciva più a riprendere sonno.
Così, insonne e vigile, accarezzò quella guancia bagnata ed esalò fiato in quell'orecchio, prima vuoto, poi pieno e nasale:
"Mi dispiace"
Non chiudeva la bocca. Nonostante tutto, non voleva stare zitto.
"Mi dispiace, figliolo. Non sai quanto mi dispiac-eh..." terminò in un inevitabile singulto, senza lacrime, ma colmo lo stesso "Mi dispiace."
"Anche a me..." mormorò il ragazzo "Anche a me..."
"Oh cielo... mi dispiace tanto" non riusciva a fermarsi. Strinse i denti. Doveva fermarsi. Doveva.
"Mi dispiace tanto... per tutto quello... che ho causato..."
"Papà..."
"Mi dispiace... per quello... che vi ho fatto..." si fermò per deglutire "Quest'anno..."
"Papà, ma cosa dici?"
"Mi dispiace..." riprese fiato "Mi dispiace... ci sono tante di quelle cose che non sai..."
Vide la confusione negli occhi di Junior e si sentì quasi libero. Dopo tutto quel tempo...
... quando improvvisamente riapparve Skyler, che aveva riacquistato un po' di colorito e disse sinceramente a Junior:
"Tuo padre parla delle cose che fa quando non è a casa."
Walter piegò la testa da un lato, la bocca ancora aperta, anelando disperatamente a quel momento e sul punto di dichiararsi, quando:
"Ha ripreso a giocare d'azzardo e non riesce a contenersi"  asserì di punto in bianco Skyler, che s'era fisicamente interposta fra padre e figlio.
Poi afferrò con rabbia un polso del marito, soffiando fra i denti con tono ferino:
"Non adesso."
Detto ciò, non riuscì più a dissimulare energia, e il dolore le conferì di nuovo quell'aria terribilmente sofferta che aveva contribuito al risveglio.
Perciò Walt si permise un'ultima volta di dire, col cuore in mano:
"Mi dispiace"
Lei però era tornata ad essere troppo stremata per ascoltarlo: non rispose, e lasciò che la riunisse col figlio in un unico, tormentato abbraccio.

A notte fonda, quando erano state passate in rassegna tutte le più folli riflessioni ed era stata tersa l'ultima lacrima, si ritrovarono tutti attorno al tavolo in giardino.
Nessuno, però, aveva avuto il coraggio di accendere la lampada e, anche abituati gli occhi all'oscurità, distinguevano a fatica i lineamenti l'uno dell'altro.
Apparentemente zitti e fermi, erano posseduti ciascuno dal proprio tic nervoso e fremevano dalla voglia di parlare.
Intanto, la brezza notturna accarezzava i loro profili, increspava la superficie limpida della piscina, muoveva i rami della pianta di mughetto, faceva stormire le siepi e svolazzare la fabbrica scadente del cappellino di Marie, che queste celavano a molti occhi indiscreti a qualche metro di distanza.
Dopo che ciascuno ebbe trascorso un po' di tempo a desiderare le stelle, una voce, che fino a quel momento non s'era fatta sentire, riportò i presenti alla realtà:
"Lascia che i giornali lo sappiano"
Rimasero tutti impietriti.
"Hank! Ma che stai dicendo?!" protestò subito Gomez, cui era diretto l'ordine.
"Già, Hank! Di che stai parlando?!" si aggiunse Skyler, incredula.
"Tu non c'entri, Skyler!" 
"Io non c'entro? È mia SORELLA!"
"Sì, è vero, ma non ti daranno fastidio! Te lo assicuro! Ascoltami-" 
"E come pretendi di poterlo assicurare?! Come se questa famiglia non ne avesse già avute abbastanza! No! I giornali non sapranno proprio niente!"
"E invece sì! È giusto che venga raccontata la verità! E la verità è che... la responsabilità è solo mia..."
"Hank, ti prego, non cominciare..."  
"No, Gomie! Lasciami parlare! Hanno il diritto di sapere..." 
Nessun altro tentò di dissuaderlo.
"Da quando ho cominciato l'indagine su Heisenberg, non ho più posato più un occhio su di lei. Ma non parlo di cenette romantiche, serate fuori, viaggi in posti esotici o stronzate così... non l'ho più guardata. Mi svegliavo tutte le mattine pensando che volevo quella metanfematina blu... volevo prendere quell'uomo, e che avrei fatto di tutto pur di riuscirci. La mia vita è rovinata da allora. Non sono mai più riuscito ad essere felice, davvero felice. Ogni singolo momento in cui non mi occupavo del caso mi sembrava tempo perso... anche quand'ero con lei, io pensavo... al caso. E così la trascuravo, la ignoravo quando parlava delle sue cose, davo per scontato che nonostante il passato, certi problemi si fossero risolti... E poi, le cose sono peggiorate... a partire da quel giorno... in cui avrei dovuto partire di nuovo per El Paso... e invece sono rimasto. Quando ho trovato quel furgone... e ho ricevuto quella telefonata, in cui qualcuno mi diceva che era rimasta ferita, per distrarmi, ho picchiato Pinkman perché sapevo che... fosse stato vero, sarebbe stata anche colpa mia. E poi, dopo la sparatoria con i cugini di Tuco... per me non poter più camminare significava una sola cosa: non sarei più riuscito a lavorare, e quel bastardo di Heisenberg avrebbe continuato a sbrigare tutti i suoi loschi affari. Ero depresso, ero frustrato e quindi ero anche diventato un più grosso pezzo di merda. Avevo oltrepassato ogni limite con lei. Pretendevo che si occupasse solo di me e poi la insultavo perché non sembrava abbastanza... al punto che le era venuta una nuova crisi di cleptomania e piangeva... era peggiorata, di nuovo. Lo psicologo le aveva suggerito di trascorrere qualche mese in cura, così che le si calmassero i nervi... lei diceva che si sarebbe vergognata di fronte ai suoi colleghi e io l'ho incoraggiata a dire no. Già. Poi... mi sono rimesso in gioco, ho ricominciato a indagare di nascosto, finché non m'hanno minacciato di morte. Lei era terrorizzata, ed io ero contento, perché pensavo di aver colpito nel segno. Era vero: pochi giorni dopo, Gus Fring ed Hector Salamanca erano stati fatti saltare in aria. Gloria, gloria, nient'altro che gloria per me: sono stato promosso ad ASAC. Io... ero convinto...  del fatto che lei sarebbe stata contenta. Io ero convinto d'averlo fatto per lei... dopo tutto questo! Passavo ancora meno tempo a casa di prima, perché credevo che ormai per lui la fine fosse vicina... trattando con leggerezza tutto il resto... così, anche ieri sera... io oggi sono andato al lavoro, pensando che lei andasse da Dave, lo psicologo... ecco come ho trattato tua sorella, Skyler. Ecco l'uomo che sono veramente. Per questo la notizia deve essere tutti i giornali e io termino la mia carriera da agente, oggi. Non metterò mai più piede nella sede della DEA. Buona fortuna, Steve. Tu hai sempre meritato quel posto."
Nonostante l'oscurità, il disgusto degli astanti traspirava nitido.
"Non metterai più piede neanche in questa casa" annunciò Skyler, con una calma atroce "Prendi la tua roba e vattene. Adesso."
Nessuno obiettò, ma il silenzioso testimone indirizzò diversamente il suo disgusto.
Come un soldato, Hank si alzò e s'avvio, zoppo e lento, verso la valigia, che non aveva ancora disfatto. Pose segretamente i suoi saluti e i suoi migliori auguri a tutti quelli che sedevano, e di persona ad Holly, che dormiva nella sua culla in cucina. 
La bimba, sentiti i passi pesanti, si svegliò appena in tempo per vederlo attraversare la soglia della porta.

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Capitolo 6
*** Resurrezione ***


Lo scatto della lancetta era diventato faticoso.
I suoni erano tutti dispersi. 
Lo spazio era occupato da una nube di fumo rappresa: aprendo la porta della propria camera, Walt la smembrò, ma subito si ricompose e si fece inalare a pieni polmoni.  
Nel vestirsi di nero alla fine aveva tralasciato il cappello, che quindi giaceva sul letto. 
Richiuse la porta con più leggerezza e si confuse col buio del corridoio. Riemerso alla tiepida luce delle finestre della sala, vide il giornale intitolato a suo cognato sedere intatto sul tavolo, insieme a una tazza di caffé caldo e due posaceneri con sigarette ancora accese.
Trascurò anche questi, per impugnare le chiavi e uscire di casa: ma il fumo non si dissolse attorno a lui. Involto in quella nuvola, s'incamminò verso la sua auto, accompagnato dal lieve tintinnio delle chiavi. Stava badando a scegliere quella giusta, quando vide in essa il riflesso della luce d'un sole orientale e benigno: si ricordò d'una cosa.
Girò il capo a destra e si mosse verso la siepe. 
Aggirata la prima, indagate le foglie, scovò un cappellino, inclinato contro di essa per una tenace brezza di vento.
Era simile al suo, ma era viola.
Rimase fermo: nessuno lo stava guardando; allungò la mano come per prenderlo, ma interruppe il movimento a metà.
Le pattumiere dei vicini formavano un plotone davanti a lui.
Ma la soluzione alla fin fine era ovvia e semplice.
Prese per un lembo minimo il cappellino, si mosse con circospezione fino alla griglia da barbecue, lo poggiò sopra di essa e accese le fiamme.
Il fuoco dissipò la nuvola e sostituì il fumo nero all'accidioso grigio, lo sfrigolio al suono disperso, la trasformazione all'inerzia stagnante. Respirò di nuovo aria pura, mentre il mughetto oscillava soffocando.
Ritornò verso l'auto, le chiavi di nuovo in mano, più sicuro del compianto per il funerale cui stava per partecipare.
Nell'aprire la maniglia, gettò un occhio sul suo orologio, volendo assicurarsi d'arrivare a visitazione già completata: non avrebbe di certo corso il rischio di discutere con qualcuno. Peraltro non c'era neppure il bisogno di controllare Skyler, visto che pochi giorni prima lei stessa gli aveva ingiunto il silenzio.
Partì lento, prese la strada più lunga, si fermò a ogni semaforo giallo e indugiò a ripartire dopo ogni semaforo rosso, parcheggiò in una via senza uscita e fece un chilometro a piedi.
Giunse infine all'agenzia delle pompe funebri, in una strada a senso unico. Aprì la porta e chiese al responsabile dove si stesse svolgendo il funerale. Spense il cellulare, dopo essersi assicurato di non aver ricevuto nuovi messaggi o telefonate, e salì la rampa di scala che lo separava dalla cappella.
Mentre attraversava il corridoio buio che conduceva alla porta della cappella, vide trapelare dai vetri che Skyler stava ascoltando parlare degli amici di Marie con espressione contrita, mentre Junior appariva in disparte, dare la schiena agli altri.
Entrò ed ebbe l'aspra conferma: la visitazione non era ancora terminata. 
"Walt! Walt!"
Sentendosi chiamare, subito si raddrizzò: una donna alta e bionda, che capeggiava un folto gruppo di persone, lo avvicinò e gli strinse con forza i polsi.
"Walt! Hai incontrato Hank? È con te?"
"Annalise! No, non l'ho visto, mi dispiace."
"Ti ha chiamato?"
"No. Non l'ho più sentito da quella sera."
"Stavo pensando che sarebbe venuto o da te, o da Steve... sai se Steve verrà?"
"Mi ha telefonato ieri dicendo che oggi avrebbe avuto un incontro con l'FBI. La situazione è molto complicata, quindi non ha potuto chiedere un permesso."
Annalise spostò lo sguardo e sospirò.
"Mio Dio... mia madre è rimasta a casa, sperando di vederlo tornare... Sono cinque giorni che faccio telefonate, pubblico annunci su Internet e interrogo gli impiegati del mio studio legale, ma nessuno sembra essere in grado di trovarlo! Stanotte sono partita alle due di notte da Boston per Albuquerque e prima di venire ho perlustrato l'intera città, ma sembra essersi dissolto nell'aria. Walt, ti prego, sono a conoscenza della tua condizione e dei tuoi problemi, ma ho bisogno del tuo aiuto. Io e mia madre abbiamo bisogno di te. Ci sono giornali locali scritti da persone che non nominerò che danno adito a delle illazioni intollerabili! Noi dobbiamo ribattere con la verità, e la verità è che in tutto questo è lui la vittima più sofferente!"
"Annalise, hai assolutamente ragione, io... ho fatto del mio meglio e-"
"Gli avvocati che vedi qui con me se ne stanno già occupando: tutto quello che devi fare è testimoniare in suo favore quando verrà il momento. Lo puoi fare, vero, Walt? Perché mi sembrava inopportuno chiederlo a Skyler."
Memore dei trascorsi fra le due donne, Walt notò l'ambiguità dell'ultima frase e, dopo aver guardato con falsa apprensione la moglie, rispose:
"Ma certo, certo, testimonierò. Qualsiasi cosa possa giovare a Hank, la farò."
"Grazie, grazie infinite, Walt. Ho già affittato una casa qui ad Albuquerque, così da poter seguire da vicino i processi. Giuro su Dio che l'unica cosa che voglio in questo momento è che mio fratello stia bene, per quanto possibile, e che torni, cosicché possiamo difenderlo..."
"Lo so. È un momento terribile. Per tutti noi." assentì Walt, gettando di nuovo un occhio su Skyler, certo che avesse orecchiato l'intera conversazione. Annalise se ne accorse subito e s'affrettò a scusarsi:
"Ah, mi dispiace, non vorrei avervi diviso. Sicuramente ha molto bisogno di te..."
"Figurati. La sicurezza di Hank è un'assoluta priorità. Riparliamone più tardi, va bene?"
Congedatosi velocemente da lei, Walt affrontò lo sguardo sprezzante e derisorio di Skyler. Il suo pallore risaltava a causa del nero del suo velo e del suo abito.
"Cosa stai facendo?" gli chiese. 
"Hank va ritrovato, Skyler" asserì Walt, calmo.
"Perché? Se non è qui, vuol dire che non vuole essere qui."
"La responsabilità non è esclusivamente sua solo perché lui lo ha detto" proseguì, a muso duro e senza incertezze.
"Sono d'accordo con te, Walt. Davvero. Ma sai, è così liberatorio sapere che, per una volta, se sto soffrendo non è solo colpa tua, che mi lascio prendere la mano."  
Walt sentì il fumo nero invadergli i polmoni. Gli parve di sentir di nuovo puzza di bruciato, mentre Skyler lo guardava da dietro il velo, inebriata da quel mortale grigio.

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