La storia mai raccontata di Sylvia Jones

di gattina04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Nuovi arrivi e addio normalità ***
Capitolo 2: *** 2. Dalla tua parte ***
Capitolo 3: *** 3. L'incubo del protagonista ***
Capitolo 4: *** 4. Ciò per cui ne è valsa la pena ***
Capitolo 5: *** 5. Quello che accadde ***
Capitolo 6: *** 6. Segreti e alleanze ***
Capitolo 7: *** 7. Primi passi ***
Capitolo 8: *** 8. Operazione di ricerca ***
Capitolo 9: *** 9. Voglio essere sincera con te ***
Capitolo 10: *** 10. Dove sei Swan? ***
Capitolo 11: *** 11. Risveglio turbolento ***
Capitolo 12: *** 12. Ciò che ci ha sempre legato ***
Capitolo 13: *** 13. Solo due parole: formaggio grigliato ***
Capitolo 14: *** 14. La vera storia di Sylvia Jones ***
Capitolo 15: *** 15. Operazione cigno ***
Capitolo 16: *** 16. Basta solo avere speranza ***
Capitolo 17: *** 17. Lasciare la strada nuova per la vecchia ***
Capitolo 18: *** 18. Insostenibile realtà ***
Capitolo 19: *** 19. Il prezzo della salvezza ***
Capitolo 20: *** 20. Operazione cigno nero ***
Capitolo 21: *** 21. Frammenti d’azione ***
Capitolo 22: *** 22. Di nuovo insieme ***
Capitolo 23: *** 23. Addio Sylvia ***
Capitolo 24: *** 24. Una madre ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Nuovi arrivi e addio normalità ***



Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Finalmente sono tornata! Avrei voluto scrivere qualcosa prima, ma tra l'università, la tesi e tutto non ho avuto un attimo di tregua. Però adesso sono qui e ho una nuova storia per voi. Ho avuto questa idea per la testa per giorni e ho deciso di metterla per scritto; spero che vi piaccia... non so ancora come si evolverà tutta la questione, ho dei punti fermi ma per il resto la trama potebbe variare 
molto.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se l'idea vi piace!
Un abbraccio,
Sara


1. Nuovi arrivi e addio normalità
 
Normale. Sembrava quasi impossibile che a Storybrooke potesse esserci un momento simile. Tra battaglie, magie e sortilegi, portali, sempre nuovi nemici, avere un momento di normalità sembrava quasi impossibile.
Eppure ci ero riuscita: avevo appena detto a Killian di amarlo, senza nessuna pressione, senza nessun pericolo incombente. Eravamo solo io e lui di fronte alla tavola calda di Granny, una giovane e normale coppia che si scambiava un dolce bacio e per giunta nello stesso luogo in cui avevo finalmente ceduto e mi ero lasciata andare per la prima volta.
«Andiamo a casa?», sussurrai quando mi rimise a terra. Alzai timidamente gli occhi verso di lui facendogli capire quanto desiderassi un po’ di intimità, un agognato momento di privacy solo per noi. «A casa nostra».
«A casa nostra?», domandò facendomi palesemente notare l’esultanza sul suo volto.
«In fondo è la casa che tu hai scelto per noi, anche se fino adesso non ci hai mai abitato».
«Swan, mi stai forse dicendo che vuoi iniziare la nostra convivenza?».
«Già», confermai sorridendo e posandogli un dolce bacio sulla guancia. «Proprio adesso».
Ci incamminammo mano nella mano, le dita intrecciate come a sancire la nostra indissolubile unione. Passai il pollice lungo il dorso della sua mano, soffermandomi ad accarezzare i contorni di quegli anelli che ormai conoscevo bene. Era incredibile quanto un gesto così semplice fosse potuto mancarmi. Non era niente di particolare, ci tenevamo solo per mano, eppure stringere le sue dita tra le mie non mi era mai sembrato così importante.
«Anche tu mi sei mancata tanto Swan». Era riuscito a capire i miei pensieri senza che io avessi aperto bocca.
«Non voglio più stare senza di te», sussurrai in un tono che era appena udibile. «Ti ho già perso troppe volte, non ti lascerò più andare».
«Beh è davvero un sollievo, perché da ora in poi ho tutta l’intenzione di restare per sempre con te. Sarò come la tua ombra tesoro, ti darò il tormento».
«Bene». Sorrisi di più e mi strinsi di più contro la sua spalla. Continuammo a camminare in silenzio, riuscendo a comunicare anche senza pronunciare una parola. Doveva essere normale quando c’era di mezzo il Vero Amore.
Vero Amore: mi sembrava ancora così strano, come in un sogno fantastico; invece era tutto reale. Non avevo mai creduto di poter essere così fortunata da poter avere quello che in quel momento avevo ottenuto. Io che ero sempre stata un’orfana, sola senza mai nessuno su cui poter contare ad eccezione di me stessa, adesso mi ritrovavo ad essere la persona più amata che ci fosse al mondo e non solo da Killian ma anche dalla mia famiglia. Senza contare il fatto che ero completamente e perdutamente innamorata.
All’improvviso sentii Hook fermarsi accanto a me e fu solo quando alzai la testa che notai che in effetti eravamo proprio di fronte a casa nostra. Ero talmente persa nella mia bolla di felicità che non mi ero accorta di niente.
«Eccoci qua tesoro». Mi passò l’uncino sulla guancia rivolgendomi un meraviglioso sorriso.
«Sei pronto? Il nostro futuro sta per cominciare».
«Beh io lo sono sempre stato e tu sei pronta?».
«Sì». Mi avvicinai di più a lui e lo baciai dolcemente. Non ero mai stata più pronta di così. Non avevo più paura, non ce l’avevo più da molto tempo. Il terrore di perderlo e il dolore per averlo perso realmente mi avevano fatto capire come tutte i miei dubbi e le mie perplessità fossero in realtà delle stupidaggini.
«Ti amo», sussurrai staccandomi dalle sue labbra e incatenando il mio sguardo al suo.
«Dio Swan! Potrei davvero abituarmi a sentirtelo dire così spesso». Il mio sorriso si allargò ancora di più, mentre con l’uncino mi schiacciava contro il suo petto, le nostre mani sempre unite.
«Ti amo», ripetei baciandogli la punta del naso. Adesso mi sembrava davvero facile pronunciare quelle due paroline, con lui era diventata la cosa più naturale del mondo. Con il mio pirata non avevo bisogno di armature, perché sapevo che non avrebbe mai potuto ferirmi; mi fidavo ciecamente di lui, e non avevo bisogno di fingere o di innalzare i miei soliti muri, anche perché lui riusciva sempre a buttarli tutti giù.
«Lo sai cosa mi ha detto Zeus, prima di rimandarmi qui?», mi domandò facendosi improvvisamente serio.
«No cosa?».
Alzò la mia mano, sempre intrecciata alla sua, per poterla portare vicino al suo viso per depositarvi un piccolo bacio. «Mi ha detto che era ora di rimandarmi al posto in cui appartengo. Io ti appartengo Emma». A quelle parole il mio cuore perse un colpo, per poi iniziare a battere più veloce. Nelle sue iridi chiare potevo leggere la profonda verità di ciò che aveva appena affermato e tutte le implicazioni che comportava. Non ci sarebbe mai stato nessuno che mi avrebbe amato quanto Killian Jones ed io non avrei mai amato nessun altro così tanto.
«Noi ci apparteniamo», affermai. Lasciai andare le sue dita per poterlo abbracciare ed allacciarmi al suo collo; le mie labbra trovarono subito le sue dando vita ad un bacio appassionato. Le nostre lingue si cercarono e si intrecciarono, inebriandomi con il suo sapore eccezionale. Sembrava che la mia bocca fosse nata solo per poter riuscire a baciare Killian Jones in quel modo. Il suo uncino mi spinse di più contro di lui, facendo aderire i nostri corpi: anche un solo millimetro di distacco sembrava intollerabile. Con la mano mi sciolse la coda, passando le dita tra le ciocche, mentre le mie erano già scivolate sotto la sua giacca, esplorando quel corpo meraviglioso.
Ci staccammo solo un secondo per poter riprendere fiato, la fronte appoggiata su quella dell’altro. Quello era il nostro gesto, il modo in cui solamente guardandoci riuscivamo a comunicare e a capirci. E fu così anche in quel momento: sapevo perfettamente cosa stavano dicendo i suoi occhi, colmi di emozione. “Ti voglio”.
Fu come se tutto il tempo in cui eravamo stati separati si fosse palesato in quell’istante. L’Oscurità, Camelot, l’Oltretomba non ci avevano dato un attimo di tregua. Non potevamo più aspettare, non potevamo rimandare oltre: finalmente eravamo insieme in un attimo tranquillo, io ero me stessa, lui era vivo e ce l’avevamo fatta. Avevamo affrontato tutto insieme e insieme avremmo affrontato ogni altra difficoltà che avrebbe potuto intralciare la nostra felicità.
 
Un rumore fastidioso venne a disturbare il mio sonno. Cercai di ricacciarlo in un angolo della mente anche perché non riuscivo a  capire di cosa si trattasse. Non volevo svegliarmi, non del tutto almeno, non dopo quello che era successo durante la notte. L’immagini di quella sera tornarono prepotenti ad invadere i miei pensieri, facendo accelerare il battito del mio cuore. I baci, le carezze, la sua mano su di me, il suo corpo, lui dentro di me, l’amore che permeava ogni singolo respiro.
Quel maledetto rumore continuava, ma io non avevo né la forza né la voglia di aprire gli occhi per capire di cosa si trattasse. Cercai di concentrarmi invece sugli altri tre sensi che mi restavano. Avevo le labbra gonfie e sentivo ancora il suo sapore sulla lingua: un misto di rhum e sale, un gusto meraviglioso, così come il suo odore che ormai avvolgeva completamente anche il mio corpo. E poi c’era il calore, l’incredibile torpore del suo corpo nudo a contatto con il mio. Killian stava dormendo completamente appoggiato a me, stringendomi nel suo forte abbraccio. Cercai di ricordare in che posizione ci fossimo addormentati, ma non rammentavo esattamente quando la stanchezza aveva preso il sopravvento. Ricordavo di aver pensato che ero troppo eccitata ed emozionata per riuscire a dormire, invece mi ero sbagliata.
Non ero abituata a dormire abbracciata ad un uomo; non era proprio da me far parte di quelle coppiette che non riescono a staccarsi neanche la notte. Sicuramente quella era stata una magnifica eccezione: l’aver creduto di aver perso l’altro per sempre, aveva fatto vacillare ogni nostra difesa. Killian non doveva star comodissimo in quella posizione, con il moncone sulla mia pancia, l’altro braccio chissà dove e il viso appoggiato sulla mia spalla e affondato nei miei capelli. Eppure la necessità di stringermi, di non lasciarmi neanche per un secondo, aveva preso il sopravvento.
Il rumore fastidioso sembrò cessare ed io sospirai di sollievo per il semplice fatto di non dover preoccuparmi più di quello, qualunque cosa fosse. Mi concentrai sul respiro di Killian per riuscire a riprendere sonno; era lento e regolare, un ritmo che facilmente mi avrebbe riportato nel mondo dei sogni, anche se già tutta quella situazione mi sembrava un miraggio. Hook dormiva profondamente, riuscivo a sentire il suo corpo alzarsi e abbassarsi leggermente e il suo respiro mi solleticava la pelle.
“Probabilmente il paradiso deve essere qualcosa di molto simile a questo”, mi ritrovai a pensare. Ma quello di sicuro non era il paradiso, perché quel maledetto rumore tornò a farsi sentire, con la stessa intensità di prima, come a ricordarmi che non avrei potuto ignorarlo per sempre.
“Beh staremo a vedere”. Cercai di cambiare posizione, in un tentativo di distrarmi da quell’insistente suono. Al mio movimento Killian iniziò a svegliarsi, mugolando una leggera ed inutile protesta. Mi rigirai e lui allargò le braccia per far si che potessi mettermi sul fianco opposto in modo da riuscire ad appoggiare la testa vicino alla sua.
«Che diavolo è?», sussurrò accorgendosi solo in quel momento del rumore.
«Non lo so. Continua a dormire». Per tutta risposta sentii le sua bocca sopra la mia, il mio labbro tra i suoi denti.
«Ormai mi hai svegliato». Fu solo allora che mi concessi di aprire gli occhi; la luce filtrava dalla finestra chiusa e il suo viso, illuminato da alcuni raggi di sole, era ad un centimetro dal mio. Nei suoi occhi riuscivo a leggere esattamente tutto quello che stavo provando io.
Il rumore cessò di nuovo e io ne approfittai per baciarlo. Come avremo fatto a lasciare quella stanza per tornare alla vita “normale” di Storybrooke?
Mi portai sopra di lui intensificando il bacio. In quel momento un suono diverso e più breve interruppe le nostre effusioni.
Killian si tirò più su appoggiandosi alla testiera del letto, per quanto glielo permettesse il mio peso. «Credo che sia il tuo telefono Swan». Spalancai la bocca, folgorata da quella semplice affermazione. Certo che era il mio telefono! Come avevo fatto a non riconoscerlo? Beh evidentemente ero totalmente presa da altro.
«È nei miei pantaloni», ricordai. Il problema era capire da che parte della stanza fossero finiti. Perché adesso che mi serviva il mio cellulare non si rimetteva a squillare?
«Penso di averli lanciati dietro la porta». Indicò l’uscio che era accostato per metà. Mi alzai per andare a controllare, tirandomi dietro il lenzuolo per coprirmi.
«Beh non c’è bisogno che tu ti copra tesoro, io assisto allo spettacolo volentieri». Scossi la testa e mi accucciai dietro la porta. In effetti i miei pantaloni erano lì e il mio cellulare era nella tasca.
C’erano una diecina di chiamate perse: un paio di Regina, un paio di Henry, tre di mio padre e una di mia madre che però risalivano tutte alla sera prima. Neanche per un solo istante mi ero accorta dello squillo del telefono, e nemmeno Hook. Eravamo presi da ben altro.
Le altre due erano di nuovo dei miei genitori ma risalivano a quella mattina. Trasalii vedendo che erano quasi le nove, non credevo di aver dormito così tanto. In più c’era un messaggio di mia madre; il suono più corto, evidentemente.
Emma, lo so che sei con Killian ma è da ieri sera che ti cerchiamo. Mr. Hyde è a Storybrooke e con lui molti altri abitanti della Terra delle storie mai raccontate. Vieni da Granny appena leggi il messaggio.
«Merda», inveii alzandomi e tornando verso il letto.
«Che succede?».
«Succede che siamo a Storybrooke». E che ovviamente la normalità non era destinata a durare a lungo in quella cittadina.
Gli lanciai il telefono, in modo che potesse leggere il messaggio di mia madre, mentre io iniziavo a cercare la mia biancheria che Killian aveva fatto volare chissà dove. Forse avrei fatto prima a rinunciare alla mia ricerca e a prendere qualcosa di pulito dall’armadio.
«Maledizione». Lo sentii alzarsi per andare a cercare i suoi vestiti. «Mi sa che il momento tranquillo è finito».
«Impara a vivere la tua vita in mezzo alle crisi, o finirai per non viverla per niente», lo citai. «Adesso sbrigati è già tardi».
 
Non molto tempo dopo arrivammo da Granny. Nel locale c’era un gran via vai di gente, volti che non avevo mai visto e che probabilmente appartenevano ai nuovi abitanti di Storybrooke. I miei genitori si dovevano già essere dati da fare, per mia fortuna. Tenendo Killian per mano, entrai nel locale e mi feci largo verso un tavolo dove avevo visto mia madre.
«Mamma», la salutai. «Scusa il ritardo».
«Oh Emma, Hook! Finalmente ce l’avete fatta».
«Che cosa sta succedendo?».
«Mr. Hyde è arrivato in città, l’hanno incontrato ieri Regina ed Henry, ha detto loro che ha fatto un patto con Gold e che in cambio di non so cosa adesso Storybrooke è sua».
«Quali sono le sue intenzioni?», chiese Killian al mio posto.
«Non lo sappiamo. Però ha portato con sé molte persone le cui storie non sono mai state raccontate. Adesso sono qui e non sappiamo niente di loro». Mia madre scosse la testa preoccupata e rassegnata.
«E cosa ci fa tutta questa gente da Granny?», domandai guardandomi intorno.
«Beh abbiamo deciso di fare una specie di censimento. Non sappiamo chi sono queste persone, ma il Dottor Jekyll ci ha detto che, il suo alter ego non è molto benvoluto. Stiamo tentando di capire se possiamo fidarci di loro. Molta è gente comune, che ha sempre vissuto nella Terra delle storie mai raccontate, non deve essere per forza schierata con Hyde. Adesso si ritrovano in una città completamente nuova e sono spaesati, stiamo cercando di dare una mano».
Sembravano essersela cavata bene anche senza di me. Avevano già un piano di attacco, o almeno così sembrava. «Dobbiamo capire cosa ha in mente Hyde», sospirai entrando in modalità sceriffo. «Di certo Storybrooke non è sua e non lo sarà mai, poi ci occuperemo anche di Gold».
«Quel maledetto coccodrillo trova sempre il modo per creare problemi». Sospirai e gli accarezzai il dorso della mano con il pollice. Dovevamo metterci a lavoro, ma non ce l’avrei fatta senza un caffè.
Killian sembrò leggermi nel pensiero. «Vado a farmi dare due tazze di caffè dalla nonna».
«Grazie». Mi avvicinai a lui e lo baciai dolcemente. Nonostante tutto le immagini di quella notte tornarono nuovamente più vivide che mai nella mia mente. Mi sentivo ancora il suo odore addosso, percepivo la vicinanza del suo corpo, il sapore della sua bocca e non era assolutamente un bene visto che avrei dovuto concentrarmi su ben altro.
Continuai a lasciare piccoli baci sulle sue labbra senza neanche accorgermi dello scorrere del tempo.
«Bene Swan», disse infine staccandosi da me e dandomi un bacio sulla fronte. «Adesso lasciami andare». Quando mi voltai notai che mia madre ci stava guardando sorridendo ed io mi sentii avvampare. Non era da me dare spettacolo così, tutte quelle effusioni in pubblico avevano spiazzato anche me stessa.
Mi sedetti di fronte a lei guardandomi intorno e cercando in vano un appiglio per cambiare argomento.
«Non volevo disturbarvi», disse lei prima che potessi aprire bocca.
«Hai fatto bene, invece. Dobbiamo risolvere questa ennesima crisi».
«Ehi». Appoggiò la mano sulla mia e punto lo sguardo su di me. «Sono così felice per te, non sai quanto».
«Grazie», balbettai appena.
«È questo che ho sempre voluto per te. Il Vero Amore».
«Si nota così tanto?». Mi ritrovai a sorridere, lanciando uno sguardo per individuare Killian al bancone.
«Oh tesoro si nota eccome. È una fortuna che Regina ed Henry si stiano occupando del censimento e che tuo padre sia con Neal in questo momento. Era molto contrariato del fatto che tu e Hook eravate spariti ieri sera. Gli dirò che siete arrivati stamattina presto».
«Beh grazie, anche se non credo che debba avere nulla da ridire. Non sono certo una bambina». Proprio in quel momento Killian tornò portando due tazze di caffè fumane. Era incredibile quante cose riuscisse a fare con una sola mano. Perché nella mia testa quel pensiero suonava come estremamente malizioso?
«Ecco tesoro». Mi passò la tazza e restò in piedi accanto al nostro tavolo, fissando le persone che si affannavano nel locale. Solo allora notai Regina ed Henry, immersi in dei grandi registri, seduti ad un altro tavolo davanti al quale si era radunata una fila di gente.
Regina quasi percependo il mio sguardo alzò la testa e mi vide. Abbozzai un sorriso mentre lei mi lanciò un’occhiata che sembrava voler dire “Era l’ora che arrivassi Swan”. Henry invece non mi notò e continuò a scrivere qualcosa su un grosso libro, qualcosa che probabilmente gli aveva detto l’uomo in piedi davanti a lui.
«Quanti sono più o meno?», domandò Hook rivolto a Mary Margaret.
«Non lo sappiamo, ma un bel po’ direi. Sbucano da tutte le parti. Per fortuna abbiamo rimandato molta gente a Camelot o adesso non sapremo dove sistemarli».
«Dov’è il Dottor Jekyll? Forse lui potrà darci una mano», suggerii.
«Lo sta già facendo. Sta cercando la sua gente per portarli tutti qui. Tra poco tornerà con altre persone. Nel frattempo Henry mi ha detto di darti questo. È il libro con la storia di Hyde, lo ha preso a New York, forse può esserci utile». Mi porse quel grosso volume e iniziai a sfogliarlo lentamente sorseggiando il mio caffè. Killian spiava le immagini da sopra la mia testa; gli avrei consigliato di prendere una sedia, ma sembrava non essercene neanche una libera e anche noi eravamo relegati in un piccolo tavolo per due.
Quando il campanello della porta d’ingresso suonò, annunciando l’entrata di nuovi clienti, ci voltammo tutti e tre per osservare chi fosse entrato. Il dottore aveva appena varcato la soglia seguito da un piccolo gruppo di persone e si era diretto verso il tavolo di Henry. Decisamente Storybrooke sembrava cavarsela bene anche senza di me, la loro Salvatrice/sceriffo.
Lo seguii con lo sguardo, cercando di intuire cosa stesse dicendo a Regina, quando sentii il rumore di qualcosa infrangersi a terra proprio accanto a me. Mi voltai di scatto notando la tazza di Killian in frantumi accanto ai suoi piedi, il caffè che si stava spargendo a formare una macchia, la sua mano aperta a mezz’aria.
«Killian che succede?». Mi alzai per verificare che stesse bene e per capire cosa fosse successo. Il suo sguardo era puntato verso la porta, stava fissando una donna. Aveva all’incirca una cinquantina d’anni e doveva essere l’ultima entrata con il gruppo del dottore. Anche lei stava guardando nella nostra direzione ma aveva l’aria perplessa, doveva aver percepito il rumore e sicuramente notava lo sguardo di Killian, ma non sembrava capirci molto più di me.
«Killian la conosci?», domandai. Lui non sembrò neanche sentirmi, aveva sempre la bocca aperta, l’espressione sconvolta. «Hook?». Appoggiai la mano sulla sua, ancora sollevata a mezz’aria ma non sembrò notarlo. «Amore?».
Forse fu quella parola a farlo tornare alla realtà. Era la prima volta che lo chiamavo in quel modo, almeno in pubblico.
«Devo prendere una boccata d’aria». Senza lasciarmi il tempo di replicare uscì di corsa dal locale. Lo seguii con lo sguardo, voltandomi verso mia madre che sembrava perplessa quanto me.
«Vai», annuì, lasciando che lo seguissi fuori. Lo trovai appoggiato ad uno dei tavolini, con lo sguardo rivolto a terra, mentre cercava di riprendere fiato.
«Killian?», mi avvicinai a lui, accucciandomi al suo fianco. «Che succede? Conosci quella donna?».
«Non lo so», sospirò dopo un secondo. «No anzi, credo di no. Assomiglia molto a qualcuno che conoscevo, ma quella persona non può essere lei. Sono solo rimasto sconvolto dalla somiglianza».
«Va tutto bene adesso?».
«Sì. Dammi solo un momento per riprendermi». Si alzò ed incrociò il mio sguardo. «È evidente che non ho pensato lucidamente, solo che per un attimo ho davvero creduto… beh non ho pensato che è proprio impossibile». Non riuscivo a seguire il suo discorso completamente, stavo per chiedergli spiegazioni ma proprio in quel momento fummo interrotti. La donna che aveva tanto sconvolto Killian era in piedi accanto a noi e ci guardava preoccupata. Ebbi come l’impressione che avesse qualcosa di famigliare ma non capii cosa. Era castana, occhi chiari, molto chiari, tra il verde e l’azzurro, una corporatura esile, alta più o meno quanto me.
«Scusate va tutto bene?», ci domandò. «Non ho potuto fare a meno di notare che mi guardavate con una tale espressione… per caso ci conosciamo?».
«No e mi scuso, per il mio comportamento», rispose Killian prima che potessi farlo io. «Mi avete ricordato una persona a cui non pensavo da molto tempo. Sono stato solo preso alla sprovvista».
«Oh sono desolata di avervi sconvolto. Sembra il sentimento prevalente di questa nuova terra». Sembrava così gentile; forse mia madre aveva ragione: le persone che erano finite a Storybrooke probabilmente erano vittime dei piani di Hyde.
Proprio in quel momento un’altra donna uscì dal locale, cercando evidentemente la sua amica. «Sylvia tocca a noi». La donna sentendosi chiamare si voltò, facendo un cenno di assenso alla sua compagna. Tuttavia nello stesso istante in cui aveva pronunciato il suo nome, avevo sentito Killian irrigidirsi. Mi voltai per osservare la sua espressione e notai che era di nuovo sconvolto, lo sguardo più scuro che mai; sembrava di nuovo respirare a fatica.
«Scusate devo andare», ci disse la donna facendo per tornare dentro.
Le lasciò giusto il tempo di finire la frase. «Vi chiamate Sylvia?».
«Sì perché?». Non sapevo più chi guardare, non ci stavo capendo più nulla. Avrei voluto rassicurare Killian ma non sapevo neanche da cosa fosse turbato. Chi diavolo era quella donna?
«E per caso un tempo siete stata Sylvia Jones?». Sentendo il suo cognome associato al nome di quella donna, mi voltai di scatto per osservare meglio quella sconosciuta di fronte a noi. Vidi che anche la sua espressione era cambiata: adesso scrutava Hook con fare circospetto.
«Nessuno mi chiama più così da molto tempo. Chi siete?».
«Sono tuo figlio».

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Capitolo 2
*** 2. Dalla tua parte ***


2. Dalla tua parte
 
«Sono tuo figlio». Per un attimo pensai di aver sentito male, tuttavia Killian aveva pronunciato esattamente quelle tre parole e il suo tono non lasciava posto a fraintendimenti.
D’altro canto anche la donna di fronte a noi, sembrava sorpresa e sconvolta quanto me. Probabilmente quelle erano proprio le ultime parole che si era aspettata di sentire. Forse, nonostante tutto, Killian si era sbagliato? Come faceva una madre a non riconoscere il proprio figlio?
Cercai di ricordare cosa mi avesse detto Hook su sua madre; non molto a dir la verità. Mi aveva solo raccontato che era morta quando lui era piccolo, senza specificare nessun particolare, e cambiando subito argomento. Beh se non lo vedeva da quando era bambino era probabile che non l’avesse potuto riconoscere.
Sylvia scrutò Killian studiandolo da cima a fondo, quasi non credesse che la persona che aveva di fronte agli occhi fosse reale.
«Killian?», sussurrò infine.
«Già». Di nuovo mi ritrovai a non saper chi guardare, mi sentivo quasi di troppo in tutta quella strana situazione.
«Ma come è possibile?», domandò. «Dopo tutti questi secoli…».
«Questa domanda forse dovrei farla io». Il tono di Killian era duro, suonava quasi rabbioso. Mi voltai per afferrargli la mano e poterlo scrutare meglio. I suoi occhi scintillavano di rabbia; sembrava ferito, furioso, oltre che incredulo. Pensavo che avrebbe reagito diversamente, che sarebbe stato felice di ritrovare parte della sua famiglia, un po’ come lo era stato con Liam nell’Oltretomba, invece sembrava esattamente il contrario.
«Oh mio Dio Killian! Non posso crederci». Sylvia fece un passo in avanti tendendo le mani, la voce piene di commozione, gli occhi lucidi, sulle labbra le si disegnò un enorme sorriso.
«Non ti avvicinare». Killian si ritrasse prima che lei potesse avvicinarsi anche solo di mezzo centimetro. «Non osare toccarmi».
«Oh tesoro, capisco che tu possa essere sconvolto, ma lascia che ti spieghi». Il suo sorriso diminuì, ma non scomparve del tutto. Probabilmente si doveva essere aspettata un iniziale rifiuto.
«NO!». Il suo fu un urlo di rabbia. Lasciò andare la mia mano per poter puntare il dito contro di lei. «Tu non hai nessun diritto di spiegare».
«Killian lo so che sei arrabbiato ma se adesso mi ascolti…».
«Tu eri morta!», gridò sovrastando la sua voce. «Beh forse è opportuno dire che io ti credevo morta!».
«Lo so Killian ma lasciami il tempo di spiegare, giuro che dopo…».
«Dopo cosa? Dopo sarà tutto risolto?».
«Non credo che basterà tesoro, ma sarebbe un inizio».
«Non provare a chiamarmi tesoro. Te l’ho detto, non hai il diritto di spiegarti, ed io non ho nessuna intenzione di starti ad ascoltare».
«Ti prego non fare così», lo supplicò. Il sorriso ormai si era completamente spento di fronte a quella sua reazione.
«Io non ti ascolterò e lo sai perché? Hai perso il tuo diritto alle spiegazioni quando hai deciso di abbandonare me e Liam e di lasciarci da soli a crescere senza di te».
«Io non volevo», proruppe scoppiando in lacrime.
«Le tue lacrime non mi incantano Sylvia». Marcò l’ultima parola, in un evidente tentativo di ferirla ancora di più. «Tu potrai avere anche il mio stesso sangue, ma per quel che mi riguarda mia madre è morta quando avevo quattro anni. Tu non sei più mia madre». Se ne andò, scappando da quella situazione, il passo spedito, quasi di corsa, la mano stretta in un pugno. Restai per un attimo perplessa a guardare la donna di fronte a me; stava piangendo, pallida e tremante sembrava ancora più esile e di una fragilità disarmante. La felicità che aveva provato nel ritrovare suo figlio era stata del tutto spazzata via dalle parole che le aveva rivolto, frasi che non lasciavano intravedere nessun punto di contatto.
Mi ridestai dai miei pensieri e decisi che non avevo tempo di restare a fissare quella donna; dovevo rincorrere Killian e assicurarmi che stesse bene. Non riuscivo a capire il perché della sua totale opposizione e mi ritrovai a pensare che forse si trattava solo di una prima reazione ad una notizia tanto sconvolgente; probabilmente ripensandoci con calma avrebbe capito di aver esagerato e avrebbe accettato di sentire cosa avesse da dire sua madre. Come poteva prendere una decisione equa se non aveva anche la sua versione dei fatti?
Corsi velocemente verso il porto intuendo che si sarebbe diretto da quella parte; infatti lo trovai che stava guardando il mare, la mano ancora stretta in un pugno.
«Killian stai bene?».
Sussultò sentendo la mia voce e si volto lentamente. «Che razza di domanda è? Come posso stare bene?». Il suo sguardo era ancora scuro, l’aria sconvolta; pensai di non averlo mai visto così turbato.
«Hai ragione, la mia è stata una domanda stupida». Mi avvicinai a lui e gli presi la mano costringendo ad aprirla e ad intrecciare le dita alle mie.
«Io non ci posso credere!», proruppe. «Dio! Io non ci posso credere».
«Lo so, dopo tutto questo tempo ritrovare tua madre…».
«No Swan», mi interruppe bruscamente. «Quella donna non è più mia madre, non lo è stata per più di due secoli, non lo è adesso e non lo sarà mai». Mi morsi le labbra cercando le parole per riuscire a fargli capire che forse stava assumendo una posizione un po’ troppo estrema.
«Killian forse è solo che adesso sei ancora troppo scosso, forse dovresti prenderti un po’ di tempo per calmarti e poi ripensarci a mente fredda, con più lucidità».
Si staccò dalla mia mano e mi guardò come se non capisse il senso delle mie parole. «Che diavolo stai dicendo? Io non ho bisogno di ripensarci a mente fredda».
«Killian credo che dovresti ascoltare ciò che tua madre ha da dire».
«No!», gridò. «Io non la ascolterò, non hai sentito cosa le ho detto? Lei non ha il diritto alle spiegazioni».
«Tutti hanno il diritto alle spiegazioni», ribattei a mezza voce.
«Non una madre che ha abbandonato i suoi figli».
Cercai di cambiare approccio facendogli capire il mio punto di vista. «Prima di conoscere i miei genitori, prima di capire chi fossi veramente, avrei dato la mia stessa vita per avere delle spiegazioni, per capire il motivo per cui mi avevano abbandonata».
Il suo sguardo sembrò addolcirsi, ma durò solo un istante, subito dopo ricomparve l’espressione dura. «Emma è diverso. Io non ho mai creduto che mi avesse abbandonato, ho sempre pensato che non avesse potuto crescermi perché non c’era più, non perché non mi voleva più».
«Non puoi saperlo, forse non è così».
«Se avesse voluto avrebbe trovato il modo per tornare dai suoi figli, qualunque sia stata la ragione iniziale della sua colossale menzogna avrebbe trovato il modo per tornare».
«Però se non la ascolti come potrai sapere se non ci ha provato?».
«Dio Emma!», urlò. «Io non la starò ad ascoltare, non voglio le sue spiegazioni. Vorrei non averla mai incontrata oggi, vorrei non aver scoperto di aver creduto per secoli ad una fottuta bugia».
«Sei solo furioso e ti capisco, ma…».
«No tu non capisci Emma. Dio! Sei impossibile quando fai così». Si voltò per darmi le spalle e si portò la mano a massaggiarsi le tempie.
«Lo so che adesso non riesci a capire il mio punto di vista, ma non dico che devi perdonarla. Non so cosa è successo tra voi…».
«Ecco!». Si voltò di scatto puntandomi il dito contro. «Questo è il punto. Tu non sai niente, non puoi dirmi cosa dovrei provare o come mi dovrei comportare, non conosci niente di questa storia. Non puoi pretendere di capire cose di cui non hai mai sentito parlare».
«Sei tu che non me ne hai mai parlato», mi scappò. Non avrei voluto dirlo; sapevo che non mi aveva detto niente perché non se la sentiva. Qualunque cosa fosse successa non doveva essere stata piacevole, già il fatto di perdere la madre a quattro anni parlava per sé.
Fece un profondo respiro per cercare di calmarsi. «Hai ragione, io non te l’ho mai raccontato, fammene pure una colpa se vuoi; ma se non te ne ho parlato avrò sicuramente avuto le mie ragioni».
«Lo so. Scusa non avrei dovuto dirlo». Tentai di avvicinarmi e prendergli la mano e ma lui scivolò via.
«Emma ti chiedo solo una cosa: quando eri all’orfanotrofio e ti chiedevi chi fossero i tuoi genitori avresti preferito sapere che non ti avevano cresciuta perché erano morti o perché avevano scelto di abbandonarti e di non cercarti più?».
Non risposi e il mio silenzio parlò per me. Era ovvio che lui si sentisse tradito, aveva creduto per secoli in qualcosa che in realtà si era rivelato una bugia. Quell’incontro doveva aver cambiato radicalmente il modo in cui lui vedeva il suo passato, qualunque cosa fosse accaduta all’epoca.
«Adesso ti prego vai via, lasciami da solo. Ho solo bisogno di stare da solo». Avrei protestato ma il suo sguardo mi fece desistere. Così mi voltai e tornai lentamente verso il centro di Storybrooke.
Avevamo appena litigato, me ne rendevo conto, e per buona parte era stata colpa mia. La notte appena trascorsa sembrava lontana anni luce. Avrei voluto tanto sapere tutta la verità su quella strana storia, la verità di Killian, quella di Sylvia, avere un quadro generale della situazione. Invece non sapevo niente, non ci capivo niente e avevo in testa solo mille domande.
Forse aver passato ventotto anni della mia vita a cercare risposte sui miei genitori, mi rendeva impossibile capire perché lui non volesse fare altrettanto. Mi andava bene la rabbia, il non volerla perdonare, l’avevo provato anche io quando avevo scoperto cosa i miei avessero fatto a Lily e a Malefica, però tagliarla fuori senza nemmeno ascoltarla mi sembrava stupido. Ripensai alla faccenda di Lily quando non avevo voluto perdonare mia madre, neanche io volevo ascoltarla, però era diverso perché lei mi aveva già raccontato la storia dal suo punto di vista.
Senza neanche accorgermene mi ritrovai di fronte a Granny. Entrai come un automa, e trovai il locale più vuoto rispetto a come l’avevo lasciato. Regina ed Henry avevano interrotto il censimento ed ora erano con il dottore, mia madre e altre due persone attorno ad un tavolo. Solo dopo uno sguardo più attento notai che al centro era seduta Sylvia, un bicchiere d’acqua tra le mani tremanti, gli occhi lucidi, l’espressione stravolta.
«Emma». Regina mi venne incontro non appena mi vide. «È davvero la madre di Hook?».
Annuii stancamente non sapendo cosa altro aggiungere. Dovevo ammettere che non sapevo molto più di loro.
«Dove è Hook adesso?», continuò.
«Penso sia sulla sua nave. Voleva stare da solo. È sconvolto, pensava fosse morta, non la vedeva da quando aveva quattro anni».
«Immagino che chiunque lo sarebbe al suo posto».
«Voi siete la fidanzata di Killian?». Sylvia aveva posato il bicchiere e mi stava fissando. Doveva aver cercato di seguire la conversazione tra me e Regina.
«Sì. Sono Emma». Mi avvicinai a lei e le allungai la mano. «Piacere di conoscervi».
«Oh ti prego diamoci del tu, non ho mai sopportato tutta questa formalità». La sua voce uscì un po’ incrinata e si affretto ad asciugarsi le lacrime dagli occhi.
«Mi dispiace per prima». Non so perché mi stessi scusando, ma provavo una sorta di empatia per quella donna e vederla così mi faceva pena. Non sembrava una persona capace di abbandonare i propri figli.
«E per cosa dovresti dispiacerti?».
«Killian è solo…». Non sapevo come continuare. “È solo sconvolto adesso, ma poi sono sicura che cambierà idea?”. Ne ero davvero così sicura? Come aveva detto lui non sapevo niente. Potevo aver ragione e poteva trattarsi di una rabbia momentanea, ma Killian era testardo, proprio come me. E se così dicendo avessi alimentato solo false speranze?
Fu lei a togliermi dall’impiccio. «Killian ha ragione. Mi merito tutta la sua rabbia».
«Potrà essere arrabbiato ma non credo che lei non abbia il diritto di spiegarsi». Era più forte di me, non riuscivo ad essere d’accordo con lui su quel punto. Capivo fin troppo bene il senso di abbandono e forse era proprio il mio lato da bambina sperduta che mi faceva agire in quel modo.
«Sei molto gentile». Posò una mano sulla mia, che avevo lasciato appoggiata sul tavolo. «Killian ti ha raccontato cosa…». Si interruppe non sapendo come continuare, ma io intuii il senso della frase.
«Cosa è successo? Come credeva che sua madre fosse morta? No, non ha voluto, penso non se la sia mai sentita». Ripensai alla discussione avuta poco prima e sentii un groppo in gola; forse avevo un po’ esagerato, forse lo avevamo fatto entrambi.
«Beh immagino che sia così, non è una bella storia». Non aggiunse altro, sapendo che non era suo compito raccontarmi quella vicenda e io, d’altro canto, non domandai oltre perché non era da lei che dovevo conoscere la verità, prima spettava a Killian raccontarmi la sua versione dei fatti.
«Sylvia». Fu la donna seduta accanto a lei a parlare, la stessa che era venuta a chiamarla. Aveva un braccio intorno alle sue spalle in un vano tentativo di consolarla. «Ti va se adesso andiamo? Il dottor Jekyll ci mostrerà il nostro temporaneo accampamento». Sylvia annuì e si alzò lentamente.
Lasciai che uscissero accompagnate dal dottore, in modo da poter parlare da sola con gli altri. Vedevo dallo sguardo di Regina che voleva chiedermi altro.
«Emma credi che possiamo fidarci?».
«Penso di sì, non credo che si aspettasse di incontrare suo figlio qui».
«Già probabilmente no», convenne. «Ma il tempismo è pazzesco».
«Dopo secoli…», intervenne mia madre incredula. «Penso che credesse che nessuno fosse ancora vivo».
«Ecco. Questa è la cosa strana. Come è possibile che lei sia ancora viva? Dovrebbe essere già morta da un pezzo». Regina aveva ragione: non avrebbe dovuto essere ancora viva. Non ci avevo pensato perché a volte tendevo a dimenticarmi che Killian avesse secoli più di me. Lui era stato sull’Isola che non c’è, ma lei? Come era riuscita a non invecchiare?
«Beh questa sarà sicuramente un’ottima domanda da rivolgerle quando si sarà calmata». In quel momento non avremmo ottenuto nulla, i diretti interessati, gli unici due che sapevano tutto, non erano presenti e a noi non restava altro che un elenco di domande.
«Secondo voi», intervenne Henry, «Hyde sa chi è? Intendo lo sapeva ancor prima di portarla qui? Jekyll ha detto di non saperlo, ma Hyde può averglielo tenuto nascosto».
«Altra ottima domanda ragazzino».
«Se lo sapeva», constatò Regina, «può averla portata qui di proposito. Deve aver capito chi fosse Hook quando eravate prigionieri e questo potrebbe far parte del suo piano per minarci dall’interno. Beh sono contenta che il pirata non abbia dato relazione a quella donna, se è stata capace di abbandonarlo chissà cos’altro potrà fare».
«Non credo sia così», replicai risentita. «Non penso che lei sia al corrente dei piani di Hyde, se i suoi piani sono effettivamente questi».
«Comunque sia a quanto pare Hyde vuole Storybrooke e vuole Storybrooke senza gli eroi, i protagonisti delle storie. Se questo è opera di Hyde, come ho tutto il sospetto che sia, è un attacco volto ad indebolirti».
«Indebolire me?». Alzai un sopracciglio mostrandomi scettica.
«Oh andiamo Swan, non ragioni se si tratta del pirata. Colpire lui è come colpire te».
Stavo per protestare, ma Henry intervenne al mio posto. «In ogni modo, non credo che sia strano. Sono persone le cui storie non sono mai state raccontate, probabilmente sono entrati a far parte della vita di tutti voi senza neanche accorgervene. Penso che più scopriremo chi sono e più capiremo che sono coinvolti con tutti noi». La saggezza di Henry certe volte mi disarmava, ormai sembrava essere il migliore a gestire le crisi.
«Hai ragione Henry. Adesso non ci resta che cominciare le nostre ricerche. Dobbiamo sbrigarci prima che Hyde metta in atto il suo piano qualunque esso sia. D’altronde per ora le sue sono solo minacce, possiamo capire cosa ha in mente, fermarlo e rispedirlo da dove è venuto». Regina si avviò verso la porta, seguita da Henry. Avevano perfettamente ragione, non dovevamo perdere tempo e metterci subito a lavoro.
Feci per seguirli ma mia madre mi fermò. «Emma, aspetta». Mi fece voltare e mi prese le mani tra le sue. «Dov’è Hook? Perché non sei con lui?».
«È sulla nave, credo. Voleva stare solo».
«Cosa è successo dopo che se ne è andato?». Come diavolo aveva fatto a capire che era successo qualcosa tra me e lui?
«Niente», tergiversai. «È solo sconvolto e arrabbiato. È normale».
«Certo che è normale. Ma ti conosco Emma e non mi stai guardando negli occhi, cosa non mi stai dicendo?».
Alzai lo sguardo e le lanciai un’occhiata colpevole. «Abbiamo discusso, ho provato a spiegargli che forse stava reagendo eccessivamente, che forse a mente fredda ci avrebbe ripensato, almeno riguardo alla storia di non voler sentire le ragioni di Sylvia. Ma non mi ha dato ascolto».
Mia madre sospirò e mi trascino verso un tavolo costringendomi a mettermi a sedere davanti a lei. «Ascolta Emma, io lo so perché tu vorresti che Hook ascoltasse sua madre. So che in parte è colpa mia perché io ti ho abbandonata».
«Tu non volevi abbandonarmi», protestai prendendole la mano.
«Lo so, ma lasciami finire. Tu forse hai ragione, probabilmente è così. Killian dovrebbe ascoltare quello che Sylvia ha da dire per riuscire a capire cosa è successo veramente».
«Esatto». Mi fulminò con lo sguardo e io mi rimisi in silenzio.
«Forse parlarle sarebbe la cosa migliore, ma Emma tu non sai cosa è successo, lo sa lui, lo sa lei ma non tu. Se dici che lui non può giudicare in maniera razionale se non conosce anche la versione di sua madre, perché tu puoi esprimere il tuo giudizio non conoscendo neanche i fatti?».
«Io…», balbettai, ma in effetti aveva completamente ragione e io non sapevo cosa risponderle.
«Senti Emma. So che tu pensi di capire ciò che sta passando Killian ma non è così. Non sai cosa significa perdere un genitore da bambini. Francamente se mia madre comparisse qui all’improvviso, penso che reagirei come Hook, neanche io vorrei parlarle. Né io né te sappiamo come è stato il loro rapporto, ma credimi la morte di un genitore non è mai facile a qualunque età, figurati per un bambino di quattro anni. Puoi riuscire ad immaginare come si sia sentito tradito capendo che non era vero?».
Le sue parole mi travolsero come un fiume in piena. Quello che mi stava dicendo aveva perfettamente senso, ma io ero stata così cieca da non vederlo. Mi ero impuntata e avevo perso di vista la cosa fondamentale: Killian. «Pensi che io abbia sbagliato?». Nonostante fosse una domanda sapevo che la risposta era affermativa.
«Penso che forse tu abbia ragione, che forse parlandone potrebbero saltare fuori tante verità. Però non sempre dire le cose come stanno è la cosa migliore. Oggi Hook ha scoperto che per tutta la vita ha creduto ad una bugia, ha scoperto che sua madre non è morta ma lo ha abbandonato. Non pensi che il dolore provato quando era piccolo sia saltato di nuovo tutto fuori oggi? Non pensi che forse avrebbe soltanto voluto che tu fossi dalla sua parte?».
Senti un groppo in gola, le lacrime pungere per uscire. Certo che l’avrebbe voluto! Invece si doveva essere sentito tradito anche da me. Che razza di fidanzata ero? Dovevo restare con lui, lasciarlo sfogare, consolarlo e invece mi ci ero schierata contro. Cosa mi era saltato in mente? Avrei avuto tutto il tempo per farlo ragionare, perché non avevo capito che in quel momento era troppo per lui? Dovevo semplicemente fargli comprendere che io ero lì per lui, che sarei sempre stata lì, esattamente come lui lo era per me e invece avevo fallito anche in quello. Killian l’aveva fatto quando avevo litigato con i miei genitori, mi aveva lasciato sfogare, mi aveva fatto fare come volevo, appoggiandomi, e solo dopo mi aveva fatta ragionare. Perché non ero riuscita a fare altrettanto?
«Perché non vai da lui adesso? Sono sicura che ha ancora bisogno di te». Mi passò una mano sulla spalla e mi rivolse un sorriso incoraggiante.
«Grazie».
«È questo il compito di un genitore, farti capire quando stai sbagliando». Le rivolsi un mezzo sorriso e mi alzai, andando di corsa verso la Jolly Roger. Non ero certa di trovarlo lì ma dove altro sarebbe potuto andare?
Quando arrivai alla nave salii sul ponte, conoscendola ormai alla perfezione. Non c’era nessuno ma provai lo stesso a chiamarlo. «Killian?». Nessuna risposta.
Immaginai che fosse nella sua cabina, così scesi sotto coperta, incrociando le dita e sperando che il mio intuito non si sbagliasse.
Quando entrai nella cabina del capitano, rimasi per un attimo spiazzata. Era tutto sottosopra: libri e fogli erano sparsi per terra, insieme ad una serie indistinta di oggetti e di vestiti; il tavolo era rovesciato e c’erano delle schegge di legno lì intorno, il letto era disfatto con le coperte sotto sopra. E lì, seduto per terra, con la schiena appoggiata a una parete, il braccio sopra un ginocchio e la mano a coprirsi il volto, c’era Killian. Vederlo così mi fece sentire ancora più in colpa.
«Killian», sussurrai. Mi feci largo tra la confusione e mi accucciai accanto a lui.
«Mi dispiace per prima», bisbigliò in un tono appena udibile. Era lui a scusarsi? Il mio magone sarebbe diventato presto un pallone da calcio!
«No invece, avevi ragione. Sono io che devo scusarmi. Tu non hai fatto niente di male, tutto quello che mi hai detto è vero. Non ho nessun diritto di intromettermi nelle tue decisioni».
«Certo che puoi intrometterti nelle mie decisioni». Il suo tono era esasperato.
«Mi sono espressa male, quello che intendo dire è che non dovevo farti pressioni, avrei dovuto sostenerti, avrei dovuto consolarti. Invece ho solo pensato a quello che avrei provato io, ma non so cosa è successo e quindi non posso capire».
«Vorrei davvero raccontarti», ammise, «non vorrei avere segreti con te; ma proprio non ce la faccio Emma, è una storia che non ho mai raccontato a nessuno».
«Non importa e va bene così. So che quando sarai pronto lo farai, fino ad allora io sarò dalla tua parte, sempre». Gli passai le dita tra i capelli e lasciai che assorbisse il significato delle mie parole.
«Se non vuoi ascoltare tua madre», continuai, «per me va bene. Faremo tutto quello che vuoi e soltanto ciò che ti sentirai di fare».
«Perché questo cambiamento Swan?».
«Perché ti amo e avrei dovuto essere dalla tua parte fin da subito, anche se posso non essere del tutto d’accordo. Avrei dovuto pensare a te ed invece non l’ho fatto».
«Se qui adesso». Le sue labbra si curvarono in su per un secondo, un tempo davvero troppo breve. Aveva ancora la mano sugli occhi in modo da nascondere la sua espressione. Solo allora mi accorsi che aveva le nocche rosse, la pelle piena di tagli e probabilmente anche piena di schegge.
«Oh Killian». Presi la sua mano tra le mie e lo costrinsi a farmela vedere.
«Non è niente», minimizzò. «Avevo solo bisogno di sfogarmi».
«E così hai deciso di distruggere la tua cabina?», scherzai. «Adesso ci penso io». Usai la magia per togliere le schegge e rimarginare tutti quei piccoli taglietti.
«Ecco qua, come nuova». Solo allora alzai lo sguardo sul suo viso. Aveva la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi, l’espressione indecifrabile.
«Ehi». Gli accarezzai la guancia e fu il mio tocco a far apparire il mio oceano personale. E fu precisamente in quell’istante che capii quanto fossi stata insensibile. Il suo sguardo non era solo triste, era ferito.
«Oh Killian», sospirai abbracciandolo. Lui si lasciò trascinare dal mio abbraccio, in modo tale da appoggiare la testa sulla mia spalla.
«Odio sentirmi così per lei», sospirò con il viso tra i miei capelli. «Sono furioso ma sono anche…».
«Va tutto bene amore», lo interruppi. Lasciai che appoggiasse la testa sulle mie gambe ed iniziai ad accarezzargli i capelli, lasciando che fosse il mio gesto a calmarlo. Lui chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi sotto il mio tocco.
«Lo sai qual è la cosa peggiore?», disse dopo un po’. Rimasi in silenzio sapendo che non si aspettava una mia risposta ma che avrebbe continuato da solo. «La cosa peggiore è che io amavo mia madre. Quando è morta è stato orribile, però ho sempre pensato a lei come la madre migliore del mondo. Ho sempre pensato che lei non avrebbe mai voluto lasciarci orfani, avrebbe voluto crescere me e Liam ma non aveva potuto. E invece adesso me la ritrovo davanti viva e vegeta ed io la odio per questo».
«Perché ti ha mentito e ha scelto di andarsene?».
«Anche. Io la consideravo la madre migliore del mondo, la parte buona della mia famiglia, invece non è stata migliore di mio padre».
«Lo sai vero che tendi ad idolatrare un po’ troppo gli altri membri della tua famiglia? Prima con Liam, pensavi che fosse impeccabile e invece non lo era poi così tanto. Killian nessuno è perfetto, hai mai pensato che forse la parte migliore della tua famiglia sei proprio tu?».
Fece un mezzo sorriso. «Lo dici solo perché sei innamorata di me».
Gli passai un dito lungo la guancia, risalendo poi verso il suo orecchio. «Può darsi, però tu sei cambiato; come vedi tutti fanno scelte sbagliate ma non significa che le tue siano state le peggiori. C’è sempre un modo per redimesi e tu l’hai trovato».
«Ed è per questo che non voglio le sue spiegazioni», concluse.
«Per cosa?», gli domandai non capendo a cosa si riferisse.
«Non voglio le sue spiegazioni perché non voglio perdonarla per aver rovinato gli unici ricordi che avevo di lei. Ed Emma il ricordo di mia madre è sempre stato una delle cose più preziose che avessi». Beh detto così non suonava neanche tanto assurdo: non voleva ascoltarla perché quello che gli aveva fatto era troppo per riuscire a perdonarla, e sapeva che forse ascoltando le parole di Sylvia la sua determinazione avrebbe potuto vacillare.
Rimasi in silenzio continuando ad accarezzarlo, la sua testa sempre sulle mie ginocchia, le mie dita che passavano dolcemente tra i suoi capelli, sopra le sue palpebre, sulle sue labbra. Quello era il miglior modo che avessi per farmi perdonare.
«Devi andare adesso?», mi chiese dopo un po’. «Dagli altri, per Hyde? Devo venire anche io?».
«No. Gli altri se la caveranno, tu hai più bisogno di me. Possiamo fare tutto ciò che vuoi».
«Allora non ti dispiace se rimaniamo così un altro po’?».
«No va benissimo».
«Emma», sospirò aprendo gli occhi e inchiodandomi al suo sguardo. «Grazie per essere tornata».
Sorrisi e non risposi, iniziando di nuovo a coccolarlo e a dargli ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

 
Angolo dell'autrice:
Buongiorno a tutti! Sono riuscita a rispettare la mia tabella di marcia e ad aggiornare oggi!
Vorrei ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha inserito la mia storia nelle varie categorie e anche chi solamente la sta leggendo silenziosamente.
Spero che anche questo secondo capitolo vi piaccia, se volete fatemi sapere cosa ne pensate!
Un abbraccio e alla prossima
Sara

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Capitolo 3
*** 3. L'incubo del protagonista ***


3. L’incubo del protagonista
 
Un bambino è seduto per terra, piange non sa cosa fare. Vorrebbe uscire, vorrebbe andare a cercare aiuto, ma lei gli ha detto di non allontanarsi. Non deve mai più uscire da solo, per nessuna ragione. Vorrebbe che qualcuno tornasse a casa, che qualcuno sentisse il suo pianto, vorrebbe che lei si svegliasse. Ma niente di tutto questo sta per succedere, lei è ancora per terra, esattamente nella stessa posizione di quando è caduta; per quanto lui possa chiamarla forte lei non sembra svegliarsi.
«Mamma! Mamma!».
Non l’ha mai vista così, non l’hai mai sentita così fredda, così distante nonostante sia esattamente lì accanto. Lei non lo tratta mai così, risponde sempre quando lui la chiama.
«Mamma! Mamma!», continua il suo inutile appello. Ma sembra tutto superfluo, come in un terribile incubo. Vorrebbe svegliarsi, o vorrebbe che suo fratello saltasse fuori facendogli capire che è tutto uno scherzo, che l’ha fatto solo per spaventarlo. Accetterebbe di essere preso in giro da lui, di essere chiamato fifone, tutto pur di far cessare quel momento. Però la sua mamma non lo terrorizzerebbe mai in quella maniera.
Guarda di nuovo la porta man non può andare via, deve obbedire, non può lasciarla sola, ma perché allora ha come la netta impressione che lei stia lasciando solo lui? Torna a guardarla, non riuscendo più a distogliere lo sguardo da quella figura tanto famigliare. Ormai ha capito, non può fare nulla, può soltanto restare lì ed aspettare.
Si stringe le ginocchia con le braccia e cerca di prendere aria mentre i singhiozzi lo stanno mandando in apnea. Adesso non riesce più a chiamarla, non riesce più neanche a parlare. È seduto accanto al suo corpo e aspetta anche se non sa bene che cosa. Aspetta che qualcuno torni, che qualcuno lo porti via da lì, che qualcuno faccia svegliare la sua mamma.
Il tempo sembra essersi fermato: i secondi sembrano minuti, i minuti ore, le ore anni. Il sole continua a fare il suo percorso ma in quella casa tutto rimane immutato: resta solo un bambino che piange accanto al corpo privo di vita della madre. Nessuno può più fare niente, nessuno può aiutarla e nessuno può più neanche aiutare lui. È troppo tardi anche per quello.
 
Mi svegliai di soprassalto con il cuore che batteva all’impazzata. Ero sudato e avevo il respiro ansante. Il sogno era stato talmente vivido che quasi mi sembrava di essere stato catapultato di nuovo lì.
Tentai di prendere aria e di focalizzarmi sul presente, sulla quella che era la realtà. Ero nella mia camera, nella nostra camera, mia e di Emma, quella della nostra nuova casa. Era notte fonda e la mia Swan dormiva serenamente accanto a me, il suo sonno era profondo e il suo respiro sembrava tranquillo. Cercai di concentrarmi su quello in modo da poter regolarizzare anche il mio.
Mi misi a sedere e affondai la faccia nella mano. Non ero certo che sarebbe successo, ma col senno di poi sembrava inevitabile che gli incubi tornassero. Ci avevo messo così tanto a scacciarli e ora dopo secoli bastava ritrovarmela lì per riportare tutto a galla. Odiavo sentirmi così vulnerabile, un bersaglio facile, debole.
Era stato un incubo diverso, non era stato come quelli che facevo da bambino, quelli che mi facevano svegliare nel cuore della notte urlando, che costringevano Liam o mio padre a restare con me fino a che non mi fossi riaddormentato; quelli il cui contenuto non avevo mai raccontato a nessuno, ma sarebbe rimasto un peso che avrei portato con me nella tomba.
Era stato come un ricordo, un ricordo orribile, una scena che avevo seppellito per secoli. Avevo cercato di cancellarla dalla mia memoria fin da subito e invece era incredibile come dopo decine di anni riuscissi a ricordare anche i minimi particolari. Ricordavo che c’era qualcosa che perdeva, il rumore di gocce che cadevano, il sapore salato delle lacrime, il suo odore che andava svanendo, il suo corpo ogni secondo più freddo.
Scossi la testa per cercare di scacciare via quelle immagini. L’avevo fatto per secoli, uno stupido sogno non bastava certo ad abbattere tutte le mie difese. Ero troppo abituato a nascondere quella ferita, potevo farlo anche in quel momento. Potevo fingere che lei non esistesse. O meglio volevo fingere che lei non esistesse ma riuscirci non era poi così facile.
Sapevo con certezza che non si sarebbe arresa così, ma anche io ero una testa dura. Avevo rimosso quel capitolo della mia vita e l’avevo nascosto dove non c’era più bisogno di andarlo a cercare. Lei non sarebbe riuscita a dissotterrare tutti quei demoni che avevo faticosamente sepolto. Non mi importava cosa potesse dire o fare, una cosa era certa: io non l’avrei ascoltata. Di sicuro non dopo che con la sua sola presenza aveva mandato in frantumi gli unici ricordi felici della mia infanzia, i momenti prima della sua morte, prima che la tessera iniziale crollasse e causasse un effetto domino.
Ancora una volta scossi la testa per mandare via anche quei pensieri. Dovevo concentrarmi su altro per riuscire a calmarmi, ma non era affatto facile; era già stato un traguardo riuscire ad addormentarmi! Quel maledetto incubo mi aveva svegliato nel cuore della notte, e se l’ora della sveglia sopra il comodino era esatta, mi aveva concesso solo due ore di sonno.
Quando ero piccolo, e miei incubi mi svegliavano, di solito mi rifugiavo nel letto di Liam, oppure lui veniva nel mio. Ma non ero più un bambino; avevo più di due secoli alle spalle. Potevo e dovevo riuscire a calmarmi da solo. Tuttavia, il mio cuore batteva sempre all’impazzata, anche se avevo regolarizzato i respiri, sembrava volesse uscirmi fuori dal petto. Chiusi gli occhi ma le immagini del sogno, della realtà, tornarono vivide come non mai.
“Bene non le bastava togliermi i miei ricordi felici, doveva anche togliermi il sonno!”.
Mi voltai a guardare Emma, distesa accanto a me, forse concentrandomi su di lei sarei riuscito a ritrovare la calma. Era distesa su un fianco, in posizione fetale, con le coperte strette avvolte tutte intorno. Mi ero accorto più volte che aveva il vizio di rubare le coperte, avrei dovuto già farglielo notare con qualche frecciatina.
Mi voltai di più verso di lei, e le scostai una ciocca di capelli che le era caduta sugli occhi. Adoravo guardarla dormire; fin da subito, fin da quando eravamo andati sull’Isola che non c’è, avevo capito che quello era uno dei rari momenti in cui tutte le sue difese crollavano. Anche se mi piacevano i suoi muri e soprattutto mi piaceva riuscire ad abbatterli, quando era addormentata restava solamente Emma, la mia dolce e piccola Swan.
Sentii il mio cuore rallentare e tornare a battere regolarmente mentre cercavo di concentrarmi sul mio cigno. Mi distesi di nuovo e chiusi gli occhi, continuando a pensare ad Emma, al suo sorriso, all’effetto calmante che inevitabilmente aveva su di me. Quando era tornata a cercarmi sulla nave era riuscita a fare ciò che non avevo ottenuto con la distruzione della mia povera cabina. Mi aveva tranquillizzato nonostante tutto, mi aveva consolato pur non sapendo quasi niente.
«Ehi». All’improvviso la sua voce arrivò distinta vicina al mio orecchio e appena aprii gli occhi mi ritrovai perso nel suo immenso prato verde. Nonostante l’oscurità, sulla sua fronte riuscivo a scorgere una piccola ruga di preoccupazione.
«Scusa non volevo svegliarti».
«Non importa, ho sentito la tua mano accarezzarmi. Perché sei sveglio?».
«Ho fatto solo un brutto sogno», minimizzai.
«Mm». Mi passò le dita tra i capelli studiando la mia espressione. «Non riesci più a riaddormentarti?».
«No. Però guardarti dormire mi ha aiutato a calmarmi un po’, forse adesso riuscirò a riprendere sonno».
«Ti va di parlarne?». Feci una smorfia e non dovetti aggiungere altro perché lei capisse.
«O forse ti va di non parlarne?», aggiunse sfoderando uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
«Che cosa intendi Swan?». Studiai la sua espressione, passandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio per poterla osservare meglio.
«Beh io conosco un metodo infallibile per riuscire a distrarti. Sono sicura che dimenticherai il tuo incubo in un batter d’occhio». Il suo tono aveva un che di malizioso
«Ah sì? Sono curioso, sembri molto sicura di te. Forse dovremo provare».
«D’accordo». In un istante si mise a cavalcioni sopra di me e mi baciò con passione. Beh sicuramente aveva ragione: quello era un ottimo modo per distrarmi.
Intrecciai la mia lingua alla sua, gustando il suo sapore e stringendola di più contro il mio petto; le sue mani stavano già vagando esperte lungo il mio corpo, verso i miei pantaloni. Una cosa fu subito certa: la mia mente si dimenticò di tutto; riuscivo solo a pensare al corpo di Emma avvinghiato a me, ai suoi baci, alla sua esuberante passione.
Con un colpo di reni riuscii a ribaltare la situazione, portandomi sopra di lei. Mi soffermai ad ammirarla con i capelli sparsi sul cuscino, lo sguardo acceso e l’accenno di un sorriso sulle labbra. Anche se aveva indosso solo una vecchia e larga maglietta era più sexy che mai.
«D’accordo, avevi ragione», affermai. «Il tuo metodo è davvero infallibile». Mi rituffai sulle sue labbra, lasciando che nella mia mente restasse solo una parola: Emma.
 
La mattina dopo lasciai che Emma andasse dagli altri per aiutarli in chissà quali ricerche. Inventai una scusa per poter rimanere da solo, e nonostante le sue proteste alla fine riuscii a convincerla. Ero più calmo rispetto al giorno prima, ma ancora fermamente deciso a tagliare fuori dalla mia vita mia madre senza ascoltare quello che aveva da dire. Se da una parte non volevo le sue spiegazioni, dall’altra però avrei ascoltato volentieri quelle di qualcun altro. Hyde mi doveva molto più che delle semplici spiegazioni. Dovevo sapere se c’era lui dietro a tutto quello che stava accadendo. Lui sapeva di mia madre? Sapeva fin da subito chi ero io e chi era lei? Era per questo che l’aveva portata a Storybrooke? Dovevo assolutamente avere delle risposte.
Sapevo che se avessi rivelato ad Emma le mie intenzioni di andare a cercare Hyde e di costringerlo a parlare con le buone o con le cattive, lei avrebbe cercato di fermarmi; probabilmente ci sarebbe anche riuscita. Non avevo uno straccio di piano, non sapevo dove era, come l’avrei costretto a parlare o cosa avrei fatto dopo. Insomma non sapevo nulla, ma ero certo che né potevo starmene con le mani in mano né potevo rimanere tranquillo a sfogliare libri con loro. Dovevo agire, che fosse una mossa stupida o meno.
Per prima cosa decisi di tentare al negozio di Gold. Non ce lo vedevo proprio Hyde ad andare tranquillamente in giro per Storybrooke come se nulla fosse. Se davvero il coccodrillo gli aveva lasciato la città era probabile che si trovasse in quello che probabilmente era il suo nuovo negozio, oltre ad essere il luogo con il più alto numero di oggetti magici non ben identificati, un requisito da non sottovalutare. Mi chiesi dove fosse Tremotino, se fosse tornato anche lui in città e se fosse finalmente riuscito a risvegliare Belle. Hyde doveva avergli dato informazioni importanti se Gold aveva deciso di regalargli Storybrooke senza protestare. Mi chiesi come avrebbe reagito Belle una volta scoperto tutto quanto, se mai il coccodrillo avesse deciso di rivelarle la verità.
Lasciai perdere Tremotino, non avevo tempo di concentrarmi su di lui; avevo già fin troppi grattacapi per lasciarmi coinvolgere dal caos che il Signore Oscuro lasciava ogni volta dietro di sé.
Arrivai di fronte al negozio di Gold. Il cartello diceva che il locale era chiuso, ma non fu difficile entrare. Bastò un colpo ben assestato alla maniglia col mio uncino che la porta si aprì cigolando. L’interno era buio, sembrava che non ci fosse nessuno e che fosse rimasto chiuso da un bel po’. Richiusi con attenzione la porta dietro di me; ci mancava solo che qualcuno notasse qualche irregolarità e mandasse lo sceriffo a controllare. Ero sicuro che Emma non l’avrebbe presa bene.
«Hyde!», chiamai. La mia voce rimbombò nella stanza, che poi piombò di nuovo nel più totale silenzio. Potevo essermi sbagliato e aver fatto un buco nell’acqua ma avevo come il presentimento che se c’era un posto dove potessi trovarlo, era proprio quello.
«Hyde! Fatti vedere, so che sei qui». La mia voce suonò più sicura di quanto fossi in realtà.
Per una volta, però, la fortuna sembrò girare dalla mia parte. Una figura si mosse nell’ombra, rilevando il volto di Hyde con il suo sguardo agghiacciante.
«Ma guarda», sospirò calmo con tono freddo e calcolatore. «Sei proprio l’ultima persona che mi aspettavo di vedere».
«Beh anche tu sei proprio l’ultima persona con cui mi aspettavo di aver bisogno di parlare», ribattei con il mio miglior atteggiamento sprezzante. Non era certo un tipo come lui a farmi  paura.
«Immagino che tu sia qui per Sylvia».
«Tu sapevi chi era? Lo hai sempre saputo?». Non misi tempo in mezzo e feci subito la domanda fondamentale.
«Sì e no. Vedi al contrario di ciò che pensate tu e i tuoi amici io voglio solo un mondo in cui le storie perse possano realizzarsi. E la sua sicuramente è una storia andata persa molto ma molto tempo fa».
«Non provare ad usare i tuoi giri di parole con me. Rispondimi: lo sapevi? Quando mi hai incontrato la prima volta mi hai subito ricollegato a lei?». Ero solo una pedina nel suo stupido piano?
«E se anche fosse? Che cosa cambierebbe adesso? Lei è qui, tu l’hai vista e ormai sai la verità. Lei non è morta come pensavi, giusto?».
Aveva perfettamente ragione, non avrebbe fatto la differenza visto che ormai avevo scoperto la sua enorme bugia. Allora perché volevo così disperatamente saperlo?
«Rispondimi», replicai in un sussurro. Non avrebbe cambiato nulla o forse avrebbe cambiato quello che provavo io. Volevo solo sapere se era lui a tirare i fili di quella assurda situazione.
«Non lo sapevo con certezza; si da il caso che mentre ti stavo strangolando abbia notato una leggera somiglianza. Dovrei forse ringraziare Jekyll per questo, non sono un tipo socievole al contrario del mio alterego. Se non fosse stato per lui non avrei saputo neanche che faccia avesse tua madre».
«E così l’hai portata qui di proposito», fremetti di rabbia.
«Oh no. Voi tendete proprio a non capire. Voglio spiegarti una cosa Capitan Uncino: le storie perse meritano di essere raccontate proprio come le vostre grandi avventure. Io sono solo responsabile di averle portate qua, in una cittadina dove tutto è possibile. Quindi quando affermi che io ho portato qua Sylvia di proposito per indebolirti, beh ti sbagli. Io l’ho portata qui perché lei è fondamentale come tutti gli altri che sono arrivati dal mio mondo».
Non riuscivo a seguire il suo discorso, non riuscivo a capire quale fosse il suo piano e cosa c’entrasse mia madre. Forse stava solo cercando di raggirarmi con le parole o forse ero semplicemente io che non riuscivo a capire quello che per lui era una cosa ovvia.
Hyde continuò a parlare nonostante le mie perplessità. «Voglio farti una domanda, credi che tua madre sia l’unica che abbia avuto a che fare con i canonici presunti eroi? Certo che no. Ogni nuovo abitante di Storybrooke si è visto scivolare via la possibilità di essere un eroe con la “e” maiuscola, il protagonista indiscusso di una storia. Ma solo perché la sua storia non è mai stata raccontata non significa che non sia stato un protagonista o altrettanto importante come Biancaneve, il Principe Azzurro o la Regina Cattiva».
«Cosa stai cercando di dirmi? Che mia madre è importante? Che l’hai portata qui per questo?».
«Sylvia è importantissima, non sai quanto. E sì possiamo affermare che l’ho portata qui con la speranza che voi insulsi protagonisti riusciste a capire come senza personaggi di contorno o storie perse voi non sareste diventati nessuno. Credi davvero che Biancaneve sarebbe riuscita a sconfiggere la Regina Cattiva e a riconquistare il regno senza un popolo a sostenerla? Hai mai pensato a quante storie perse e mai raccontate possono celarsi dietro ai sostenitori della vostra eroina? Oppure pensi che il Principe avrebbe mai rintracciato Cenerentola senza il duro lavoro dei servi di corte? Non crederai davvero che sia andato a far calzare la scarpetta di cristallo a tutte le giovani del paese da solo!».
Lo guardai senza parlare cercando di assorbire le sue parole. Quante altre sorprese dovevamo aspettarci? Dalle sue frasi sembrava che ogni nuovo arrivato fosse lì per diventare finalmente protagonista, ma la gente che avevo visto da Granny non mi era sembrata avere la stessa intenzione.
«Voglio farti un’ultima domanda?», proseguì. «Credi che saresti mai diventato Hook se non avessi creduto veramente alla morte di tua madre? Saresti diventato lo stesso oppure la morte di Sylvia è stata fondamentale per renderti quello che sei?». Certo che era stata fondamentale! Se era stato così facile cedere all’oscurità era stato anche per ciò che era successo in passato.
Il mio ringhio di rabbia fu l’unica risposta che ottenne.
«Immaginavo. Ora scusami ma credo che tu debba andartene, non ho più niente da dirti».
«Non riuscirai nei tuoi piani», fremetti.
«Davvero? E quali sarebbero i miei piani?». Il suo tono era beffardo, si stava prendendo gioco di me, ma non potevo neanche dargli tutti i torti. Non avevamo niente in mano contro di lui, avevamo solo mille domande. Era lui che aveva il coltello dalla parte del manico.
«Credo che dovresti portare un messaggio ai tuoi amici. Non potete fare nulla, siete con le spalle al muro e sai perché? Non potete attaccarmi perché non sto facendo niente. Sono solo arrivato qui e ho rivendicato quello che il Signore Oscuro mi ha accordato; io voglio solo dare importanza a persone finora sconosciute, voglio dare un finale diverso alle molte storie perse che nessuno ha mai raccontato. Voi eroi non mi attaccherete ingiustamente visto che ancora non ho fatto niente e credimi non sarò certo io a fare la prima mossa e a togliermi il vantaggio di avervi tutti con le spalle al muro. E adesso credo che tu debba proprio andare». Mi indicò la porta ed io non potetti fare altro che obbedire ed uscire.
Aveva perfettamente ragione: avevamo le mani legate fino a che lui non avesse rivelato i suoi piani. Era vero che in quel momento non stava facendo niente, ma le sue parole non lasciavano forse intendere che c’era qualcosa di più sotto?
Quel che aveva detto sulle storie mai raccontate doveva farci riflettere tutti. Avrei dovuto chiedere ad Henry se avesse scoperto qualcosa con il censimento. Ma era probabile che molte persone non avessero rivelato completamente la loro identità. Mia madre avrebbe mai ammesso di essere Sylvia Jones se io non l’avessi riconosciuta? Probabilmente no e probabilmente si faceva chiamare anche in un altro modo.
Forse Hyde aveva ragione, voleva solo dare spazio a nuovi protagonisti, ma bisognava chiedersi se anche tutti gli “amici” di Hyde volevano la stessa cosa. Ero sicuro che mia madre avrebbe portato la nostra storia nella tomba se non mi avesse incontrato, avevo potuto leggerglielo negli occhi. Sicuramente la vergogna per il suo gesto avrebbe contribuito a mantenere il suo segreto.
Scossi la testa, scacciando quei pensieri. Se avessi continuato per quella strada sarei arrivato a considerarla meno colpevole di quanto fosse in realtà. Probabilmente se le circostanze fossero state diverse, se non mi avesse lasciato in quel modo, avrei ascoltato le sue spiegazioni; ma quello che era successo era stato davvero troppo, troppo soprattutto per un bambino di quattro anni.
Dovetti scuotere la testa più forte per riuscire a scacciare quei nuovi pensieri. Avrei voluto tanto riuscire a mettere un freno alla mia mente almeno per un attimo. Cercai di concentrarmi sui miei passi ma era difficile non avendo una direzione precisa; non avevo idea di cosa fare, come potevo sapere dove andare? Sarei potuto andare da Emma, ma ero davvero pronto ad affrontare gli inevitabili sguardi colmi di domande da parte di tutti gli altri? Potevo tornare alla Jolly Roger e affrontare la devastazione della mia cabina? No, neanche quella sembrava una soluzione. Potevo andare a casa, ma una volta lì sarei stato di nuovo solo con i miei pensieri. Andare al porto ad osservare l’oceano avrebbe causato lo stesso problema. Potevo andare a bere da Granny ma c’era il rischio che incontrassi mia madre: era più che probabile che fosse lì per cercarmi, visto che era proprio là che mi aveva incontrato.
Bere! Rhum! Forse quella era una parte della soluzione. Mi fermai di colpo e tirai fuori la mia fidata fiaschetta. L’ondeggiai e constatai che per fortuna era piena.
“Alla salute mia vecchia e fedele amica”. Bevvi un’abbondante sorsata e il liquore mi bruciò la gola in una sensazione più che famigliare. Ubriacarmi non sembrava un’idea così malvagia, a parte il fatto che forse avrei potuto perdere il controllo e fare qualcosa di stupido. Forse potevo barricarmi in casa e bere fino a che non fossi stato abbastanza sbronzo da addormentarmi; Emma si sarebbe infastidita ma ero sicuro che avrebbe capito. Poi una volta passata la sbornia avrei aiutato lei e gli altri in qualsiasi cosa stessero facendo. Era solo uno stupido modo di rimandare l’inevitabile, ma ero stanco di dover fare sempre le scelte giuste. Si trattava solo di una sbronza, non era niente di trascendentale.
Rimisi a posto la fiaschetta, ormai consapevole della mia prossima mossa, e fu solo in quel momento che mi accorsi dove mi ero fermato. Non mi ero neanche accorto di essermi allontanato tanto dal centro di Storybrooke e di essere arrivato al limitare della radura, quella dove un tempo c’era l’accampamento di re Artù; la stessa radura che adesso ospitava i nuovi arrivati. E proprio lì fuori da una tenda di fortuna c’era lei. Era mai possibile che anche inconsciamente il mio corpo mi tradisse in quel modo!
Sylvia era lì in piedi e stava stendendo dei panni. Era un gesto che le avevo visto fare centinaia di volte e fu come se non fosse passato neanche un giorno, da quando io mi mettevo seduto a guardarla svolgere le faccende di casa. Era più vecchia di quando ero bambino, aveva delle rughe sotto gli occhi, ma sembrava che avesse solo una trentina di anni in più rispetto alla giovane donna dei miei ricordi. Non erano certo stati quei leggeri cambiamenti ad impedirmi di riconoscerla. La cosa strana era che sembrava invecchiata esattamente come me, sembravamo ancora madre e figlio nonostante tutto, non come Emma e Mary Margaret che invece sembravano coetanee.
Comunque a parte quegli anni in più, era esattamente la stessa; aveva la stessa acconciatura, i capelli raccolti una treccia ordinata, gli stessi occhi, lo stesso portamento. Era assurdo come potessi ricordarla così bene nonostante avessi avuto solo quattro anni.
Sbuffai e feci per voltarmi, quando sfortunatamente lei alzò gli occhi, quasi sentendosi osservata, e mi vide.
«Killian», mi chiamò. «Killian ti prego aspetta». Mi ero già voltato ma mi sembrava stupido mettermi a correre per evitarla; mi avrebbe solo fatto sembrare più colpevole. Non ero io quello che sarebbe dovuto scappare, e se l’avessi fatto avrebbe confermato ciò che in realtà non era: io non ero assolutamente andato a cercarla, ero solo maledettamente sfortunato.
«Oh Killian sei venuto! Non posso credere che tu sia qui».
«No ti sbagli». Mi voltai di scatto e me la ritrovai davanti a meno di un metro di distanza. «Non sono venuto a cercarti, sono solo così sfortunato da essere capitato qua per caso».
«Non importa, voglio solo parlare».
«Te l’ho detto, sono io che non voglio parlare con te Sylvia». Vederla trasalire sentendosi chiamare con il suo nome da me era solo una magra consolazione.
«Lo so non vuoi ascoltare le mie spiegazioni e va bene. Non cercherò scusanti per il mio comportamento, voglio solo che sia tu a parlare con me».
«E cosa dovrei dirti? Mi sembra che ieri mi sia già espresso chiaramente». Feci per voltarmi e andarmene, mi ero già trattenuto fin troppo, ma lei fece un passo in avanti e mi afferrò. Solo che al posto della mia mano si ritrovò tra le dita il mio uncino. Capii dalla sua espressione che fino ad allora quel particolare doveva esserle sfuggito.
«Come non lo sai?», la pungolai. «Adesso sono il famoso Capitan Uncino, non dirmi che non ne hai mai sentito parlare».
«Io… non sapevo che fossi tu. Mi dispiace per la tua mano». Fu quella la goccia che fece traboccare il vaso.
«Ti dispiace per la mia mano?», scattai liberandomi dalla sua stretta. «Non è di certo per quella che dovresti dispiacerti».
«Sì lo so, mi sono espressa male».
«Vuoi che io ti parli? E va bene. Vuoi sapere una cosa? Tu non sai niente! Non sai un accidente di me, di chi sono diventato, di cosa è successo dopo che te ne sei andata. Tu arrivi qui e pretendi di potermi spiegare le tue ragioni, ma lo sai un’altra cosa? Non mi interessano».
«D’accordo…». Non le diedi neanche il tempo di parlare, ormai ero esploso e non mi sarei certo fermato. Mi sentivo come una bomba e lei aveva appena acceso la miccia.
«Non mi interessano perché come ho già detto tu non sai minimamente cosa abbiamo passato io e Liam. Lo sapevi che ho avuto gli incubi per anni dopo la tua morte? Mi svegliavo ogni notte urlando, ogni notte con in testa una sola immagine. Avevo quattro anni e ho passato ore accanto al tuo cadavere, hai la minima idea del trauma che ho subito?». La sua espressione divenne una maschera di dolore proprio ad indicare che avevo colpito nel segno. Ma quello non bastò a fermarmi.
«Lo sapevi che nostro padre dopo la tua morte ha iniziato a bere e a giocare? Era così ubriaco da indebitarsi fino al collo ed essere costretto a scappare dalla legge. Lo sapevi che ha venduto me e Liam come schiavi su una nave per riuscire a scappare?».
La sua espressione si tramutò da dolore in sorpresa, poi in rabbia e poi di nuovo in dolore. «Vostro padre vi ha venduti?».
«Sì ci ha abbandonati esattamente come te. Liam è stata la mia sola famiglia, lui si è preso cura di me, lui si è sempre preso cura di me. Abbiamo lavorato come schiavi fino a che non siamo riusciti ad arruolarci nella marina e poi lui è morto. Ci sono tante altre cose che tu non sai, altre sofferenze, ma quelle sono venute dopo».
«Killian io non ne avevo idea».
«Appunto tu non ne avevi idea ed io non voglio le tue spiegazioni perché non voglio perdonarti. Devo complimentarmi con te Sylvia sei stata fondamentale nella mia vita e lo sai perché? Perché la tua morte è stata la causa di tutto, se tu non ci avessi lasciato niente di tutto quello che ti ho appena raccontato sarebbe successo. Quindi scusami se preferivo sapere che eri morta, e che non avresti potuto fare nulla per i tuoi figli, piuttosto di sapere che avresti potuto fare qualcosa e invece sei stata parte integrante di tutte le sofferenze della mia infanzia e della mia giovinezza».
Feci un passo indietro fremendo di rabbia e me ne andai senza mai voltarmi indietro. Non volevo vedere la sua espressione, ne concederle di farle vedere la mia.
Finalmente capivo in pieno le parole di Hyde. Sylvia era stata fondamentale, non aveva fatto nulla ma allo stesso tempo era stata la causa di tutto. La sua sola assenza era bastata a rendermi quel che ero: il protagonista di una delle tante favole del libro di Henry, ma a quale prezzo? Ed ecco ciò di cui Hyde non si rendeva conto: essere gli eroi delle favole significava pagare il prezzo più grande. Tutta quella sofferenza, quella continua lotta tra bene e male, valeva davvero la pena? Essere i protagonisti era davvero così importante? Purtroppo non ne ero più così sicuro.

 
Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti ecco un altro capitolo! Ed ecco qui un piccolo pezzo di ciò che è successo tra Killian e sua madre. Piano piano si iniziano a scoprire piccole verità che forse cominciano a spiegare anche l’eccessiva reazione di Hook.
Vorrei ringraziare come sempre chi recensisce o semplicemente legge la mia storia! Grazie mille di cuore!
Fino ad ora sono riuscita ad aggiornare ogni domenica, spero di riuscirci anche la prossima settimana nonostante mi aspettino giorni piuttosto intensi.
Un abbraccio e a presto!
 
Sara
 

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Capitolo 4
*** 4. Ciò per cui ne è valsa la pena ***


4. Ciò per cui ne è valsa la pena
 
Emma
Tamburellai con le dita sulla scrivania cercando con quel gesto di prendere una decisione. Da una parte avevo alcuni libri che Henry mi aveva detto di controllare diligentemente; dall’altra invece c’erano le chiavi del mio fidato maggiolino giallo. In realtà sapevo benissimo cosa avrei voluto fare, ma ciò che mi frenava era quello che in realtà avrei dovuto fare. Volere e dovere sembravano non coincidere.
Sospirai rumorosamente e continuai a picchiettare le dita sul tavolo, non riuscendo a prendere una decisione. Sapevo cosa sarebbe stato giusto nei confronti di Killian, ma ero anche lo sceriffo e come tale avevo dei compiti da assolvere.
Ripensai ad Hook cercando di capire quale fosse la scelta migliore. La sera prima ero tornata a casa, preoccupata per non averlo sentito tutto il giorno, e l’avevo trovato completamente ubriaco. Mi ero morsa le labbra per non protestare di fronte a quel suo comportamento infantile, anche perché probabilmente non si sarebbe ricordato una sola parola. Così l’avevo faticosamente trascinato a letto - sapeva essere molto impegnativo da sbronzo - e mi ero presa del tempo per calmarmi. Il suo comportamento puerile mi aveva infastidita, però quella mattina si era straordinariamente alzato prima di me e l’avevo trovato a parlare con Henry, che era venuto a fare colazione da noi. Non so come, ma in meno di cinque minuti mio figlio era riuscito a coinvolgerlo nelle nostre ricerche e se ne erano andati via insieme, diretti verso la biblioteca. Quello era bastato per placarmi del tutto e per poter classificare la sbronza della sera prima come un piccolo incidente che probabilmente non si sarebbe ripetuto.
Tutto quello però non mi era certo di aiuto nel prendere una decisione: dovevo o no andare a parlare con Sylvia? Cercai di esaminare i pro ed i contro: da una parte non sarei dovuta andare per essere solidale con Hook; gli avevo detto che sarei stata dalla sua parte e quello significava tagliare i contatti con sua madre come aveva fatto lui, almeno fino a quando non avesse cambiato idea. Dall’altra però bisognava tenere conto che ero pur sempre lo sceriffo e che c’erano diverse domande a cui Sylvia doveva rispondere e doveva farlo anche al più presto. Avevo temporeggiato per un giorno, ma non potevo più aspettare e in più ci si metteva anche la mia dannata curiosità. Avevo troppe domande sul passato di Hook, alle quali sapevo che solo lui doveva rispondermi, ma ne avevo altrettante a cui poteva rispondere anche lei. Tutto era partito dal fatto che avevo sentito una forte empatia con Sylvia fin dall’inizio: era la madre di Killian e forse era l’unica persona che potesse vederlo con i miei stessi occhi. Anche se l’aveva abbandonato sentivo che l’aveva amato profondamente, proprio come l’amavo io e che adesso che l’aveva rivisto quell’amore era rinato come se non fosse passato neanche un giorno.
«Emma mi hai sentito?». La voce di mio padre mi riportò alla realtà. Alzai lo sguardo dalla scrivania e lo trovai intento ad osservarmi con un’espressione preoccupata.
«No scusa papà, ero sovrappensiero e non ti stavo ascoltando».
«Stavo dicendo che non devi per forza andarci tu, posso andare io a parlare con la madre di Hook. Perché non vai ad aiutare gli altri?».
«Non lo so», risposi francamente. «Penso solo che sia una cosa che dovrei fare io; però non vorrei che Killian la prendesse peggio di quel che è».
«Sono sicuro che capirà le tue ragioni».
«Io non credo, non è molto ragionevole sull’argomento “Sylvia”». Mimai le virgolette con le dita e sospirai di nuovo. Avrei potuto anche dire che non era molto in sé ultimamente, ma probabilmente stava solo assecondando un lato di lui che conoscevo relativamente poco: quello da pirata.
«Beh puoi criticarlo per questo? Chi non lo sarebbe?». Era davvero strano sentire mio padre difendere Hook, non mi ero ancora abituata all’idea che fossero diventati veri amici.
«Senti facciamo così», mi propose. «Perché non andiamo insieme a parlare con lei? Se una volta arrivati non te la dovessi sentire, posso sempre andare da solo».
«D’accordo», accettai. «Ma il problema non è il non farcela, sono davvero curiosa di parlare con lei. Vorrei solo che Killian non lo considerasse una sorta di tradimento nei suoi confronti».
«Beh anche se non lo capisse, gli passerà e se ne farà una ragione. E poi non dovresti preoccuparti così tanto, sa benissimo quello che provi per lui»
«Sì forse hai ragione», chiusi il discorso e mi alzai. Afferrai le chiavi del maggiolino e gliele lanciai; non avevo alcuna voglia di guidare, preferivo perdermi nei miei pensieri. Ed infatti fu così: con lo sguardo rivolto al finestrino e la mente altrove, mi ritrovai fin troppo presto all’accampamento provvisorio dove avrei potuto rintracciare Sylvia. Jekyll ci aveva detto quale fosse la sua tenda e quindi sapevamo già dove dirigerci senza perdere tempo per chiedere informazioni.
Sospirando scesi di macchina, seguita da mio padre e mi diressi verso una tenda dalla posizione centrale. C’erano molte persone che stavano girando per l’accampamento, e che guardavano con sospetto sia noi che il mio povero maggiolino giallo. Lasciandomi scivolare i loro sguardi addosso arrivai al limitare della tenda e mi fermai facendo un altro sospiro. Non sapevo se Killian si sarebbe arrabbiato o meno, ma sapevo che avrei dovuto dirglielo quella sera e sperai che almeno cercasse di capire il mio punto di vista.
Non esitando oltre entrai pronunciando un flebile «È permesso?». All’interno della tenda ritrovai la donna che aveva aiutato Sylvia da Granny, a quanto pareva dovevano essere molto amiche.
«Sylvia penso che tu abbia visite», disse lanciandoci uno sguardo sospettoso. Nella tenda non filtrava molta luce e miei occhi si stavano abituando lentamente alla penombra; per questo non notai subito una figura seduta su una brandina nel alto più oscuro. Invece Sylvia sembrò notarci all’istante: si alzò di scatto e mi parve che sul suo volto si dipingesse un dolce sorriso.
«Emma… ». Mi guardò da capo a piedi non credendo di trovarmi effettivamente davanti a lei. «Prego accomodatevi», aggiunse notando mio padre. Ci indicò un tavolo con quattro sedie che si trovava proprio al centro della tenda.
«Piacere sono David, il padre di Emma». Mio padre fece un passo in avanti allungandole la mano per potersi presentare in modo adeguato.
«Tuo padre?». Guardò prima me poi lui, non riuscendo a ricollegare quelle parole al nostro aspetto. Era esattamente la reazione sconcertata che tutti avevano dopo una presentazione del genere.
«Sì, è una lunga storia», tagliai corto, andandomi a sedere.
«Mary per favore potresti lasciarci soli, se non ti dispiace». Si rivolse all’altra donna che stava ancora assistendo alla scena con sospetto, squadrando sia me che David da capo a piedi. Mary guardò intensamente Sylvia e poi dopo uno sguardo di conferma di quest’ultima, annuì ed uscì.
«Siete molto amiche», commentai mentre anche gli altri due si sedevano.
«Sì, ci conosciamo da tanto tempo, è come una figlia per me, ed io sono come la madre per lei. È molto protettiva nei miei confronti». Quella rivelazione mi lasciò un attimo perplessa: non mi era sembrato che tra di loro ci fosse una grande differenza di età.
«Sì lo so», aggiunse notando la mia confusione. «Penso che sia la stessa cosa che si può dire di te e di tuo padre». Lanciò uno sguardo a David che annuì impercettibilmente e poi prosegui. «Anche se non sembra, l’ho vista nascere e mi sono presa cura di lei dopo che sua madre è morta. Come avrete notato il tempo per me sembra scorrere un po’ diversamente». Già visto che mi ritrovavo un fidanzato con più di due secoli quella era una delle poche certezze che avevo.
«Perché siete qui?», aggiunse visto che era calato il silenzio.
«Vorremmo farti qualche domanda se non ti dispiace», risposi prima che potesse farlo mio padre.
«Certo, è il minimo che possa fare».
«Bene». Le feci un sorriso incoraggiante e iniziai con le mie domande. «Beh a dir la verità la prima è proprio legata al fattore temporale. So che Killian è stato sull’Isola che non c’è dove il tempo scorre diversamente, ma tu?».
«Se devo essere sincera non so bene come sia possibile, io sono praticamente rimasta sempre nella Terra delle storie mai raccontate, ho visto la gente invecchiare e morire mentre io rimanevo la stessa». Quello sì che era strano, mi ero aspettata un qualche sortilegio, un incantesimo del sonno o cose del genere. Invece sembrava che neanche lei sapesse il motivo della sua longevità.
«Sei sempre rimasta così?», chiesi dubbiosa. Non che pensassi che non fosse sincera, ma doveva pur esserci un motivo, un qualche fattore scatenante.
«Più o meno».
«In che senso più o meno?», approfondì mio padre.
«Beh in realtà i primi anni sono trascorsi normalmente, poi ad un certo punto è come se avessi smesso di invecchiare».
«E non sai il motivo?». Se non era dovuto al luogo, se era una cosa che accadeva solo a lei, doveva pur avere una qualche ipotesi anche se non lo sapeva con certezza.
«No, ho sempre pensato che fosse una specie di punizione».
«Una specie di punizione?», ripetei.
«Sì per aver abbandonato i miei figli», rispose abbassando lo sguardo e assumendo un’espressione contrita.
«Sylvia io non posso ascoltare ciò che…», la interruppi prima che potesse continuare. «Devo farlo per Killian».
«Emma so che non ti è possibile ascoltare la mia versione dei fatti, ma lasciami solo dire che non volevo abbandonarli, che mi sono pentita fin da subito ma che era troppo tardi per tornare indietro. Non posso spiegarti perché la consideri la mia eterna punizione, almeno non senza aggiungere cose che potrebbero metterti una posizione difficile, ma è così. Credimi è già abbastanza orribile vivere una vita intera con il rimorso per il mio gesto, viverne una infinita è in assoluto la condanna peggiore».
«Quindi da un momento all’altro non siete più invecchiata?», fece il punto della situazione David, ancora piuttosto incredulo.
«Già. In realtà prima di venire qui sono stata molto male. Ho pensato che finalmente avrei lasciato questo mondo, ma poi proprio il giorno prima del nostro arrivo qui, mi sono svegliata ed ero di nuovo in forma, come se non fosse successo niente». Quello sì che era strano, forse ancora più del non invecchiare.
Lanciai uno sguardo a mio padre che annuì impercettibilmente. Visto che non avremmo avuto risposte su quell’argomento era meglio passare ad un’altra domanda. «Conosci Hyde? Sapevi del suo piano di portarvi qui?». Anche se conoscevo già le risposte, preferivo avere la sua conferma.
«Conosco il dottor Jekyll da molto tempo, ma non Hyde e no non sapevo del suo piano. Trovarmi qui è stato del tutto inaspettato così come trovarci Killian».
«Pensi che lui sapesse chi eri in realtà? Perché portarti qui altrimenti?».
«Io non lo so. Non ho mai usato il mio vero cognome, nessuno sapeva chi fossi in realtà. Ho tenuto il mio passato ben nascosto, non c’era bisogno di sbandierarlo ai quattro venti. Quindi non so se abbia capito chi ero. Jekyll mi ha detto che Killian è stato trasportato nel mio mondo, e che Hyde l’ha tenuto prigioniero, ma non saprei dire se abbia ricollegato me a lui». Sicuramente quella chiacchierata non stava risolvendo i mille dubbi che avevamo, anzi Sylvia sembrava averne altrettanti. Tuttavia stava confermando quello che avevo capito fin da subito: Sylvia era una donna sincera e di buon cuore. Ora più che mai non riuscivo proprio a vederla come una madre che può abbandonare i propri figli, la vedevo solo come una donna tormentata da quel gesto. Riuscivo a scorgere il rimorso in ogni linea del suo volto.
Rimasi in silenzio meditando sulla domanda successiva: se non sapeva rispondere a quelle probabilmente era anche inutile continuare. Anche mio padre sembrava pensieroso almeno quanto me, presumibilmente stavamo arrivando alle stesse conclusioni.
Mentre stavo riflettendo se andarmene o meno, il mio sguardo venne intercettato da quello di Sylvia e per un attimo mi mancò il fiato. I suoi occhi erano così simili a quelli di Killian, erano forse un po’ più chiari, di una tonalità leggermente diversa, la forma appena più allungata, ma avevano esattamente la stessa espressione. Lo stesso modo di incantarmi e di farmi perdere la testa, la stessa vivacità. Era incredibile come non avessi notato quella estrema somiglianza fino ad allora.
«Che c’è?», mi domandò visto che continuavo a fissarla imbambolata.
«Gli occhi», balbettai. «Sono uguali ai suoi».
«Sì, lo so». Un osservatore attento avrebbe potuto notare quella somiglianza, ed Hyde doveva essere un osservatore molto attento. Almeno avevo ottenuto una risposta: anche se non sapeva chi era Sylvia, se aveva avuto la possibilità di guardare entrambi negli occhi, avrebbe di sicuro sospettato una qualche parentela.
«Credo che possa bastare», intervenne mio padre. «Vero Emma?».
Annuii e feci per alzarmi ma lei mi trattenne prendendomi la mano. «Prima che andiate però vorrei scusarmi per ieri».
«Per ieri?», ripetei cadendo dalle nuvole.
«Mi dispiace molto per quello che è successo con Killian, quello che mi ha detto ha perfettamente senso. Lui ha ragione su tutto e capisco perché non voglia ascoltarmi». Quello che le ha detto? Di cosa diavolo stava parlando? A quanto pareva Killian era andato da lei.
Cercai di mascherare la mia perplessità: non volevo che capisse che non sapevo a cosa si riferisse, che sapesse che Killian mi nascondeva le cose. Perché evidentemente doveva essere così, forse era proprio per questo che si era ubriacato. I dubbi lasciarono ben presto il posto alla rabbia: quella sera avrebbe dovuto darmi molte spiegazioni. Ed io che avevo pensato di essere quella che agiva alle sue spalle! Tutte le titubanze di prima sarebbero passate in un secondo se avessi anche solo immaginato che cosa aveva fatto il giorno prima. All’inizio mi aveva detto che non voleva parlare con sua madre, e quindi per solidarietà neanche io avrei dovuto parlarle, e poi era andato direttamente da lei.
«Emma», mi ridestò dalla mia furia interiore, «potresti dirgli che capisco e che non mi intrometterò più se è questo che desidera».
«Certo», balbettai.
«Non immaginavo che avesse sofferto così tanto», continuò, «non avevo idea di cosa avesse fatto Brennan….». Gli aveva parlato del fatto che il padre li aveva venduti? Non ci stavo capendo più nulla.
«Era un bambino così dolce», sospirò ed io non potei che sorridere pensando al mio pirata da piccolo. Lasciai da parte la rabbia, almeno per un po’, in modo da poter ascoltare il suo racconto. «Era così bello e buono. Mi seguiva dappertutto; Liam lo prendeva in giro per il fatto che fosse sempre tra le mie gambe, ma a Killian non importava: sapeva che il fratello lo adorava. Infatti Liam diceva sempre che era l’unico che aveva il diritto di prendere in giro il suo fratellino, non mi stupisce che sia stato lui a fargli da genitore. Erano così legati e Killian era così legato a me. Io non avrei voluto traumatizzarlo, non volevo rovinarlo». I suoi occhi si fecero lucidi ed io istintivamente le afferrai una mano.
«Tu non l’hai rovinato», affermai. «Killian è l’uomo migliore di cui ci possa innamorare».
«Tu credi? Vorrei davvero conoscere l’uomo che è diventato, ma almeno stavolta lascerò a lui la scelta».
Le sue parole erano così sincere che mi ritrovai a parlare di Hook senza neanche accorgermene. «Lui è speciale per me; nonostante sia un pirata, con me è stato sempre onesto, mi è stato vicino nei momenti peggiori riuscendo sempre a rassicurarmi. Non sono una persona che si lascia facilmente amare, ma lui non si è mai arreso e mi ha completamente conquistata. È spiritoso, è coraggioso, è altruista, non ha esitato un secondo a sacrificarsi per me, è sincero…». Beh almeno lo era stato fino a un paio di giorni prima.
«Lo ami tanto», disse accennando un sorriso e non era una domanda.
«Già». Arrossii osservando con la coda dell’occhio mio padre, che aveva ascoltato quella mia sviolinata cercando di rimanere impassibile.
«Grazie per quello che mi hai appena detto e grazie per il fatto di stare al suo fianco. Sono contenta che abbia qualcuno come te». Il mio cuore batté più forte a quelle parole: nonostante tutto avere la sua approvazione era importante, fondamentale. Le rivolsi un enorme sorriso e mi preparai ad uscire. Le sue parole mi avevano fatto ricordare che anche se ero arrabbiata con Killian sul momento, lui restava comunque il mio Vero Amore e la persona che meglio mi capiva al mondo e quindi io avrei dovuto cercare di capire lui.
Hook era e sarebbe sempre stato l’altra metà di me in qualunque circostanza, così come rimaneva il suo adorato bambino anche dopo secoli di separazione.
 
Killian
Sbuffai chiudendo l’ennesimo libro. Forse l’idea di aiutare Henry nelle sue ricerche non era stata poi un granché. Starmene immerso in quei libri polverosi come un topo di biblioteca non faceva per me e di sicuro non mi aiutava a non pensare. Nonostante il martellante mal di testa che la sbronza mi aveva lasciato la mia mente continuava a tornare alle parole di Hyde e all’incontro con mia madre. Più volevo non pensarci, più invece quei pensieri sembravano tormentarmi.
«Ancora niente?». Alzai lo sguardo e notai che Henry mi stava fissando. Accanto a lui Regina invece non sembrava essersi accorta della mia battaglia interiore.
«No niente», risposi con un tono che mi uscì più brusco di quanto avessi voluto, tanto che Regina alzò gli occhi su di me per un secondo distogliendo l’attenzione dal suo libro.
«Lo so che questo lavoro non fa per te», continuò Henry gentilmente. «Ma dobbiamo trovare un filo conduttore, capire qual sarà la prima mossa di Hyde, solo così potremmo scoprire il suo vero piano».
«Lui non farà la prima mossa», replicai senza pensarci. Mi accorsi solo dopo di aver detto troppo. Non avevo rivelato a nessuno di aver parlato con Hyde e di certo non volevo dirlo a loro prima di dirlo ad Emma. Non mi piaceva nasconderle le cose e sapevo anche che era irritata per il mio comportamento, ma quella mattina non ce l’avevo fatta ad affrontarla, non dopo la sbronza che avevo preso, non con la testa che mi martellava dolorosamente. Sapevo che quella sera avrei dovuto parlarle e avrei voluto farlo senza prima dover affrontare gli altri.
Ma come sospettavo avevo detto troppo. «E tu come fai a saperlo?». Regina Mills aveva definitivamente abbandonato il suo libro per studiarmi con attenzione.
«Beh è solo un’ipotesi», azzardai.
«E cosa te lo fa pensare?», intervenne Henry.
«Non so». Cercai di trovare una risposta che potesse suonare convincente. «Io non farei la prima mossa se fossi in lui». Regina mi fissò con uno sguardo ancora più indagatore soppesando le mie parole. Non sembrava affatto convinta.
«Non mi incanti pirata», intervenne una voce alla mia destra. Mi voltai di scatto e mi ritrovai puntato addosso pure lo sguardo di Zelena; mi ero completamente dimenticato che c’era anche lei.
«Punto primo», continuò, «tu sei troppo impulsivo, la pazienza non è il tuo forte. Non credo che tu saresti in grado di aspettare. Punto secondo, hai detto “se fossi in lui” come se sapessi quali fossero le sue intenzioni, quando noi non sappiamo assolutamente quale sia il suo piano, anzi è proprio quello che cerchiamo di scoprire. Ci stai nascondendo qualcosa?». Colpito e affondato. Cercai un’ulteriore scusa a cui aggrapparmi, ma non trovandone punte non mi restò altro che confessare.
«Sono andato a parlare con Hyde ieri», dissi in un tono appena udibile.
La reazione fu esattamente quella che mi ero aspettato. «Cosa?», gridarono Regina e Zelena scattando in piedi; Henry si limitò a spalancare la bocca in segno di sorpresa.
«Sì…», balbettai non sapendo cosa altro aggiungere né come giustificarmi.
«Perché diavolo non ce l’hai detto subito?», proruppe Regina. «Ti piace farci perdere tempo?»
«La mamma lo sa?». Quel ragazzino mi sorprendeva ogni volta, come al solito aveva capito tutto.
«No ed è per questo che non ho detto niente. Volevo parlarne prima con Emma».
«Beh adesso Emma non c’è pirata», intervenne Zelena. «Vuoi dirci spontaneamente cosa diavolo è successo con Hyde ieri o vuoi che ti costringa a dirmelo con la forza?».
«Va bene, vi dirò tutto». Sospirai e iniziai a raccontare del breve incontro con Hyde. Dissi loro a grandi linee ciò che mi aveva detto: che voleva cambiare i soliti protagonisti, dare importanza alle storie perse, a tutti quei personaggi che avevano contribuito a farci diventare importanti e che non si sarebbe mai sognato di togliersi da quella posizione di vantaggio in cui noi eravamo con le spalle al muro.
«Ha ragione», convenne infine Zelena. «Se lui non agisce noi non possiamo contrattaccare».
«Sì però potremmo sempre cercare di convivere pacificamente con lui e i nuovi arrivati», azzardò Henry.
«Non credo che sia così semplice tesoro», intervenne Regina, «hai sentito cosa ha detto Hook: vuole che i personaggi delle storie mai raccontate diventino protagonisti, non credo che voglia solo abitare in una cittadina come Storybrooke».
«Beh se fosse solo questo, non vedo che problema ci sia», sbuffai. «Se vuole essere protagonista che lo sia, non sa quel che comporta». Ero stato troppo diretto, ma era da quando avevo parlato con lui che l’idea che non valesse la pena essere degli eroi mi tormentava. Ognuno di noi era un protagonista ma quanto dolore aveva dovuto sopportare?
«Perché dici una cosa del genere?». Henry si alzò e venne a sedersi accanto a me.
«Non sono più sicuro che ne valga la pena», mormorai. Conoscevo fin troppo bene quel ragazzino e sapevo che non sarebbe mai stato d’accordo con me. Lui che aveva fatto di tutto per essere un eroe non avrebbe mai capito quel mio pessimismo.
«Non sono d’accordo», ribatté come volevasi dimostrare. «Essere un eroe è importante».
«Lo so che tu non riesci a capirmi, ma è da quando ho parlato con Hyde che non riesco a togliermelo dalla testa. Mi continuo a domandare se non sarebbe stata meglio una vita normale, in secondo piano, senza tutti i continui drammi che comporta essere l’eroe».
«Quali drammi?».
«Beh non solo io, pensa a Mary Margaret che è stata costretta ad abbandonare sua figlia, non potendola crescere, a tua madre che stata orfana per la maggior parte della sua vita, che ha sempre perso tutti, a Regina». Alzai lo sguardo su di lei e notai i suoi occhi che mi fissavano pensierosi. «Soprattutto a Regina». Sapevo che Robin era morto a causa mia, anche se non ero stato io ad ucciderlo, era morto perché aveva cercato di salvarmi, e sapevo benissimo che non era lui quello che avrebbe dovuto andarsene.
«Sì ognuno di voi ha sofferto», replicò infervorandosi, «ma non posso credere che tu non capisca! Non c’entra niente l’essere protagonista, ognuno è il protagonista della propria storia». Si alzò di scatto in un tentativo di calmarsi; non l’avevo mai visto perdere la pazienza per così poco.
Regina si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, in un gesto che tentava di calmarlo e rassicurarlo. Si fermò davanti a me e mi fissò dritto negli occhi. Zelena osservava la scena in silenzio dall’altra parte della stanza.
«Ne è valsa la pena», disse solamente continuando a guardarmi negli occhi. Sbattei le palpebre perplesso: proprio lei che aveva sofferto più di tutti diceva che ne era valsa la pena? Sembrò capire i miei dubbi e allora si decise a spiegarsi.
«Per me è valsa la pena di affrontare tutto ciò che ho passato ogni singolo istante. Capisco il tuo punto di vista, e mentirei se ti dicessi che non ci ho mai pensato. Però non è l’essere protagonista che ha portato tutto il dolore che tutti noi abbiamo provato, sono le scelte che facciamo che condizionano la nostra vita. Tu pensi che forse avere una vita in seconda linea possa evitarti di soffrire ancora, ma non è così».
Fece un profondo respiro e i suoi occhi si fecero improvvisamente tristi. «Quando Robin è morto, sapevo che avrei dovuto riaffrontare di nuovo tutto il dolore che avevo già provato con la morte di Daniel. Tuttavia non cambierei la mia vita con una mediocre, magari monotona e normale e lo sai perché? Perché tutto quello che ho passato mi ha fatto diventare la persona che sono oggi».
«Lo so però…», la interruppi ma lei mi fece cenno di tacere.
«Hook quello che voglio dire è che tutti soffriamo, chi più e chi meno, ma ci sono anche momenti felici. Ogni minuto felice che ho passato con Robin mi fa capire che ne è valsa la pena, e mi sorprende che tu non lo capisca. Davvero rinunceresti ad Emma? Perché ciò che sei diventato, le scelte che hai fatto, ti hanno portato qui oggi. Sei sicuro che preferiresti non aver sofferto e non dover provare più un dolore simile? Non avresti il cuore di Emma se non fosse stato per il tuo passato e per la persona che questo passato ti ha fatto diventare». Le sue parole mi colpirono come un fulmine a ciel sereno. Era ovvio che avesse ragione, ero stato solo troppo preso ad autocommiserarmi per rendermene conto.
«Io…». Abbassai lo sguardo non sapendo come continuare.
«Hai capito adesso?», mi chiese Henry. «Hyde non ha ragione, le storie perse potranno non essere mai state raccontate ma chi le ha vissute è sicuramente un protagonista. Potrà volerle dare importanza, ma ognuno di noi è l’interprete della sua storia». Aveva perfettamente senso ed ero stato alquanto stupido a non arrivarci da solo. Nonostante avessi più di due secoli doveva farmelo capire un adolescente!
«Sì ragazzino, mi dispiace di non averlo capito subito».
«Beh credevo che fossi un pirata un po’ più intelligente», intervenne Zelena. «Pure il ragazzino ci è arrivato prima di te». Non potei ribattere, sapendo che mi meritavo in pieno la sua frecciatina.
Le parole di Regina mi avevano fatto comprendere quanto mi sbagliavo. Tutto quello che avevo vissuto, che fosse dovuto o meno all’essere protagonista, ne era valso la pena, ne sarebbe sempre valso la pena. Un solo nome doveva bastare per farmi capire che era così, che sarebbe sempre stato così, a prescindere da ciò che sarebbe potuto succedere. Un nome, quattro lettere: Emma.
 
Più tardi quella sera, la stavo aspettando sul divano di casa nostra – “nostra” suonava proprio bene – quando lei finalmente rientrò dopo una lunga giornata da sceriffo. Appena aprì la porta e mi vide, mi fulminò con lo sguardo, segno evidente che la mia sbronza doveva averla infastidita più di quanto pensassi.
«Ah sei qui», mormorò stizzita. «Penso proprio che noi dobbiamo parlare». Per un attimo sospettai che Regina o Henry le avessero già raccontato tutto, ma scartai l’ipotesi. Mi avevano promesso di non farlo a patto che avessi parlato con Emma quella sera, cosa che già volevo fare.
«Penso anch’io. In effetti volevo proprio dirti la stessa cosa». Le feci uno dei miei sorrisi migliori per cercare di rabbonirla, ma non ottenni l’effetto desiderato. Il suo sguardo si fece più truce e deciso. Si tolse la giacca e si mise a sedere accanto a me.
«Avanti Killian devi dirmi qualcosa?», proruppe con un tono sarcastico. Che sapesse davvero già tutto? A parte Regina, Henry e Zelena chi sapeva di Hyde? Nessuno a parte Hyde stesso.
«Beh in effetti…». Mi interruppe prima che potessi finire la frase.
«Anzi no aspetta. Prima ti devo dire una cosa io: sono stata a parlare con tua madre oggi, e lo so che non avresti voluto, ma io sono lo sceriffo e devo fare il mio lavoro. Sono stata ore a pensare se era meglio andare o no e mandare invece mio padre. Sono andata là con un tremendo senso di colpa, mi sembrava quasi di tradirti e poi sai cosa ho scoperto? Che tu sei andato da lei ieri!». Aveva parlato quasi senza riprendere fiato, tenendo le braccia strette intorno al corpo forse in un tentativo di mantenere la calma. Almeno avevo capito come mai era arrabbiata: non si trattava di Hyde ma di Sylvia. Le avevo tenuto nascoste davvero troppe cose e anche se non ero contento che fosse andata da mia madre, non potevo lamentarmi. Lei era stata sincera fin da subito ed io dovevo fare altrettanto.
«Ieri sono andato a parlare con Hyde», buttai lì. A quel punto tanto valeva scoprire tutte le carte.
«Tu cosa?», quasi urlò scattando in piedi. Quella sembrava essere la reazione tipica alla mia affermazione.
«Sì, mi dispiace di non avertene parlato, ma sapevo che non mi avresti mai lasciato andare se te l’avessi detto». Le presi la mano e la feci di nuovo sedere. Lei si divincolò e fece scivolare le sue dita via dalle mie, facendomi capire quanto fosse arrabbiata con me.
«Ti dispiace? Dio Killian ti dispiace?», mormorò. Era così sconvolta e furiosa che non riusciva a mettere insieme una frase completa.
«Sì e se mi lascerai finire ti spiegherò tutto». Sembrò voler ribattere ma poi mi lasciò proseguire. «Mi dispiace di non avertene parlato, ti assicuro che volevo farlo subito dopo essere stato da lui. Non è stato nulla di trascendentale, abbiamo solo parlato civilmente e non è che abbia scoperto granché. In poche parole vuole dare importanza alle storie perse, togliendoci quello che è il ruolo di protagonisti. Solo che le sue parole mi hanno fatto riflettere parecchio e senza volerlo sono finito all’accampamento di mia madre. Sylvia mi ha visto, immagino che il resto te l’abbia più o meno detto lei».
«Più o meno», rispose a mezza voce.
«Sono stato stupido», continuai. «Mi sono ubriacato e mi dispiace averlo fatto, ma continuavo a pensare a tutte le sofferenze che l’essere protagonista aveva comportato e non riuscivo a capire. Ma oggi Regina mi ha aperto gli occhi: non c’entra nulla l’essere stato protagonista o meno, sono le scelte che ho fatto, che tutti abbiamo fatto, che hanno portato a quello che siamo oggi, ma non è questa la cosa più importante». Le presi di nuovo la mano nella mia e la fissai dritto negli occhi.
«Non capisco Killian, sono un po’ troppe informazioni tutte insieme. Dovrai spiegarmi per filo e per segno tutto se vuoi farmi passare l’arrabbiatura».
Non l’ascoltai e proseguii nel mio discorso. «La cosa più importante che ho capito, che Regina mi ha aiutato a capire, è che non ha importanza tutto il dolore che ho provato in passato, affronterei di nuovo tutto se questo significasse avere te. Rivivrei tutto da capo per poter amare te». I suoi occhi si spalancarono e si riempirono di emozione sentendo le mie parole e la sua espressione passo dalla rabbia e frustrazione ad un dolce e sorpreso sorriso.
«Dio Killian non puoi fare così!», sospirò alla fine rivolgendomi uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
«Così come?», sorrisi anch’io.
«Ero arrabbiata con te per via di tua madre, per via di Hyde e poi tu arrivi e mi dici una cosa del genere ed io… io mi sciolgo». Sembrava frustrata dal fatto che non fosse riuscita a restare arrabbiata con me abbastanza a lungo.
«Ti sciogli?», la provocai. «Non è facile farti sciogliere».
«Beh certo, ma non puoi dirmi che patiresti di nuovo le pene dell’inferno pur di avere me senza aspettarti che io cada inevitabilmente ai tuoi piedi».
«Ti amo Emma», dissi soltanto, accarezzandole il dorso della mano con il pollice.
«Ti amo anch’io».
«Beh credimi Swan queste quattro parole valgono a ripagarmi di tutto quello che è stato in passato». Mi sorrise di nuovo ed io ne approfittai per baciarla; ero stato uno stupido cieco e finalmente me ne accorgevo.
«Killian», sospirò ad un centimetro dalle mie labbra. «Rifarei tutto anche io, per avere questo momento». Incrociai il suo sguardo colmo di emozione e non potei far altro che baciarla di nuovo. Il sapore delle sue labbra, l’amore che riuscivamo a trasmetterci solo con quel semplice gesto: dovevo capirlo subito che per quello ne sarebbe sempre valsa la pena.
«Adesso però», intervenne staccandosi da me, «devi raccontarmi per filo e per segno quello che è successo in questi due giorni, non mi piace che ci siano segreti tra noi». Sentendo quelle parole la mia mente prese subito un’ulteriore decisione. Non mi piaceva mentirle e tanto meno nasconderle le cose; non mi era piaciuto per nulla doverlo fare sulla questione di Hyde. Se non riuscivo ad essere sincero con lei con chi altri avrei potuto esserlo? Con lei potevo essere me stesso, potevo dirle tutto, dovevo riuscire a dirle tutto.
«Hai ragione», affermai. «Neanche a me piace che ci siano segreti tra noi. È per questo che penso che debba prima raccontarti un’altra storia».
«Che storia?».
La guardai dritta negli occhi e sospirai. «La storia di come è morta mia madre».

 
Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Incredibilmente ce l'ho fatta, anche se sono stata super impegnata!
Ho pensato di strutturare questo capitolo da due punti di vista differenti, visto che volevo raccontare le vicende di entrambe i protagonisti. Spero che vi piaccia e se volete fatemi sapere cosa ne pensate. Sono aperta a idee e suggerimenti!
Come sempre ringrazio tutti quelli che leggono la mia storia.
Un abbraccio e alla prossima settimana!

Sara 

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Capitolo 5
*** 5. Quello che accadde ***


5. Quello che accadde
 
Scalciai violentemente un sassolino facendolo rimbalzare a parecchi metri di distanza. Ero arrabbiato, anzi furioso con Liam. Era stata tutta colpa sua ed io ne avevo pagato le conseguenze. Era stato lui a combinare quel guaio al porto e poi aveva dato tutta la colpa a me. Alla fine papà si era arrabbiato talmente tanto che per punizione mi aveva impedito di andare in barca con loro. Io non vedo l’ora di uscire in mare con lui, l’avevo aspettato così tanto.
Ricacciai indietro le lacrime cercando in tutti i modi di non piangere. Se mi avesse visto Liam avrebbe detto che ero un frignone ed anche se non era lì non volevo dargli quella soddisfazione. Nonostante fossi molto legato a mio fratello certi giorni era davvero insopportabile, e quello era sicuramente uno di quei giorni. Papà aveva creduto a lui perché era il fratello maggiore, non mi aveva neanche ascoltato; la parola di Liam gli era bastata. La mamma non avrebbe mai fatto uno sbaglio simile, lei l’avrebbe capito subito.
Affrettai il passo: volevo solo andare dalla mamma e farmi coccolare da lei. Lei avrebbe rimproverato Liam una volta tornato a casa e avrebbe trovato una soluzione. La mamma sapeva sempre cosa fare.
Arrivai alla porta di casa, continuando a scalciare sassolini da una parte all’altra della strada. Mi alzai sulle punte per riuscire ad afferrare la maniglia e ad aprire l’uscio. Entrai in cucina strascicando i piedi con la certezza che avrei trovato la mamma lì, ma lei non c’era.
«Mamma?», la chiamai. «Mammina dove sei?». Ero di nuovo sull’orlo delle lacrime; non mi ero aspettato di non trovarla a casa. Io volevo che fosse lì, lei doveva essere lì per me.
«Mamma?», piagnucolai. Poco dopo, tuttavia, sentii dei passi provenire dalle camere e subito dopo la mamma comparve nella stanza.
«Killian?». La sua espressione era di puro terrore. Perché era spaventata? Aveva forse paura di me?
«Che cosa ci fai qui?». Si chinò per abbracciarmi ed io non resistetti più e scoppiai a piangere.
«È stato Liam… è tutta colpa sua», dissi tra i singhiozzi.
«Tesoro calmati». Mi prese in braccio e mi fece sedere sul tavolo della cucina. «Perché non ti asciughi i tuoi meravigliosi occhioni e mi racconti cosa è successo?».
Tentai di fare come mi aveva detto, ma i singhiozzi continuavano comunque a interrompere le mie parole. «Io e Liam stavamo giocando… prima di salire sulla nave… Liam ha rotto delle casse… sono cascate in mare… erano importanti… papà si è arrabbiato e… Liam ha dato la colpa a me… allora papà mi ha rimandato…. a casa… io volevo tanto andare in barca con lui e…».
«Tuo padre ti ha rimandato a casa da solo?», mi interruppe prima che potessi continuare.
«Mi ha detto… che non sarei andato con lui sulla nave, così io ho preso e sono tornato a casa».
«Killian!». La sua voce divenne dura e mi venne ancora di più da piangere. Perché si arrabbiava anche lei con me?
«Quante volte ti ho detto che non devi andare in giro da solo? È pericoloso».
«Io volevo solo tornare da te», mugugnai.
«Killian saresti dovuto rimanere con Liam o con tuo padre. Sono sicura che avrebbe trovato qualcuno che ti riportasse a casa. Sei troppo piccolo per girare per la città da solo! Potevi perderti…».
«Conosco la strada dal porto», borbottai.
«Killian non importa, girano tante brutte persone. Ti ho detto mille volte che non devi andare in giro da solo».
«Perché ti arrabbi con me anche tu? Io credevo che mi avresti capito, che mi avresti difeso». Le lacrime cominciarono di nuovo ad offuscarmi gli occhi e i singhiozzi  ad impedirmi di respirare.
«Non mi sto arrabbiando con te Killian». Mi rivolse il suo sguardo dolce cercando di calmarmi.
«Invece sì».
«No, mi spaventa solo l’idea che tu possa andare in giro da solo. Tu non vuoi terrorizzarmi, vero? Killian mi devi promettere che non uscirai più da solo per nessuna ragione. Le città di porto sono pericolose non puoi allontanarti senza qualcuno che ti accompagni. Ti prego promettimi che non lo farai più, giurami che non te andrai mai più in giro da solo per nessun motivo».
«Te lo prometto», risposi strusciandomi gli occhi con le mani.
«Promessa solenne, croce sul cuore?». Mi rivolse un ampio sorriso, richiamando anche il mio.
«Promessa solenne, croce sul cuore». Feci il segno con la mano per sancire il nostro accordo.
«Bene. Per quanto riguarda Liam… stasera… diremo la verità a papà, lo rimprovererò per il suo errore e vedrai che tuo fratello ti chiederà scusa, ne sono sicura». La sua voce tremò un po’ nel dire quelle parole, ma quelle frasi riuscirono comunque a calmarmi. Le gettai le braccia al collo, nascondendo il viso nei suoi capelli e inspirando il suo odore; mi accarezzò la testa ed io pensai che sarei voluto rimanere così per sempre.
«Oh Killian». La sua voce pronunciò il mio nome con una nota disperata ed io non potei che abbracciarla ancora più forte, cercando di confortare anche lei con il mio gesto.
«Oh mio piccolo Killian». Mi staccò dalla sua spalla per potermi sfiorare una guancia e guardarmi negli occhi. Solo in quel momento notai due lacrime che le rigavano le guance.
«Perché piangi mammina?», le domandai confuso. Non volevo che la mia mamma piangesse, non volevo che stesse male, che fosse triste. Nessuno avrebbe dovuto farle del male, io non l’avrei mai permesso.
Sbatté le palpebre e sembrò riprendere il controllo di sé. «Oh non è niente tesoro». Si passò una mano sulla faccia per spazzare via quell’improvvisa tristezza. «Mi hai solo spaventato terribilmente tornando a casa da solo».
«Non lo farò più mamma», ribadii. «Non volevo farti piangere. Mi perdoni?».
«Certo che ti perdono. Adesso basta con tutte queste lacrime, d’accordo?». Mi rivolse il suo sorriso migliore ed io non potei che fare altrettanto. Mi fece scendere dal tavolo e mi rimise a terra accucciandosi accanto a me.
«Senti vuoi che ti accompagni da Hanna, così potete passare la giornata insieme», mi propose. «Sono sicura che sarà contenta di vederti».
Mi accigliai. Io non volevo andare a giocare con Hanna: era una bambina, non le piaceva fare la guerra o giocare ai pirati, o qualsiasi altra cosa da maschi, era una noia mortale. «Io non voglio. Voglio stare con te».
«Beh lo so tesoro, ma io devo sbrigare tutte le faccende di casa. Non posso giocare con te Killian».
«Io posso aiutarti».
«Certo lo so bene, ma ti annoieresti». Sembrava quasi che non volesse stare con me.
«Non mi vuoi qui?», domandai rattristandomi. Quel giorno era davvero orribile se nemmeno la mia mamma mi voleva tra i piedi.
Sospirò pesantemente e passò un secondo prima che mi rispondesse. «No Killian che cosa ti viene in mente. Volevo solo cercare di risollevare un po’ la tua giornata, seguirmi per tutto il giorno non è il massimo».
«A me piace». Le lanciai un’occhiata implorante, mentre le mie labbra ricominciavano a tremare.
«D’accordo. Basta lacrime». Mi mise un dito sul labbro e poi mi toccò la punta del naso. Io ridacchiai e mi sporsi per darle un bacio sulla guancia.
«Allora seguimi mio piccolo aiutante». Passai il resto della mattinata ad osservare ed aiutare la mamma a fare il bucato in giardino. Mi bagnai tutto e mi sporcai con la schiuma; la mamma mi sorrideva e mi guardava con una tale intensità da farmi dimenticare la mancata gita in barca e persino l’ingiustizia di papà e di Liam.
«Adesso vai a cambiarti», mi disse poco prima di pranzo. «Così dopo mangiamo». Feci come mi aveva detto e quando tornai la trovai seduta al tavolo della cucina con la testa tra le mani.
«Stai male mammina?». Sussultò sentendo la mia voce e si affrettò a passarsi una mano sul viso, cercando di ricomporre la sua espressione.
«No Killian. Ho solo affettato delle cipolle». Lasciò che mi arrampicassi sulla sedia e mi sedessi accanto a lei; mi mise un piatto davanti e mi scompigliò i capelli, rassicurandomi con quel gesto.
«Ho sete», dissi allungandomi a prendere l’unico bicchiere che c’era sul tavolo.
«NO!». Il suo grido mi fece sussultare, spaventandomi per quella reazione esagerata. La guardai perplesso restando con la mano a mezz’aria.
«Cioè», si corresse, «volevo dire che questo è mio Killian. Ti prendo subito un altro bicchiere con l’acqua». Si alzò e andò a prendere un secondo bicchiere che riempì d’acqua fino all’orlo. Tornò al tavolo e me lo passò per poi sedersi di nuovo accanto a me.
Io lo bevvi con avidità e poi iniziai a mangiare. Quando alzai lo sguardo notai che la mamma non stava pranzando, ma che stava invece guardando me.
«Non mangi mammina?».
«No, ora no. Non ho fame adesso». Così dicendo prese il suo bicchiere e lo bevve tutto di un fiato. Si alzò di nuovo per andarlo a sciacquare nel secchio dell’acqua e rimetterlo poi al suo posto nella dispensa. Io continuai ad abbuffarmi, non credevo di essere così affamato; ma d’altronde le cose che preparava la mamma erano sempre buonissime.
Ciò che accadde dopo, successe molto in fretta. Io avevo appena finito di mangiare quando la mamma iniziò a sparecchiare; non aveva detto una parola per tutto il pranzo e aveva continuato a fissarmi facendomi sentire al centro del suo mondo. Essere così importante per lei mi faceva sentire al settimo cielo.
Proprio mentre stava portando via il mio piatto, sul volto le si disegnò un espressione di dolore e in meno di un secondo cadde a terra. L’infrangersi del piatto sul pavimento mi fece sobbalzare sulla sedia. Mi alzai di scatto per correre da lei gridando il suo nome.
La mamma era a terra e sembrava non riuscire a muoversi.
«Mamma! Mamma», la chiamai ma non mi rispose. Mi accucciai accanto a lei e provai a scuoterla mentre una profondo terrore si impossessava del mio corpo e le lacrime cominciavano di nuovo a riempirmi gli occhi.
«Mamma! Mammina!». Ma non sembrava sentirmi, non si muoveva neanche di un millimetro. Cercai di girarla in modo da poterla distendere a pancia in su, ma il suo corpo pesava troppo per me.
«Mamma rispondimi! Mi stai spaventando!». Cercai di riprendere aria, mentre i singhiozzi sempre più frequenti mi impedivano di respirare. Continuai la mia preghiera e miei tentativi inutilmente; lei sembrava come pietrificata: gli occhi chiusi, le labbra serrate, il corpo sempre più pesante.
Guardai la porta pensando di andare a cercare aiuto. Andando in strada qualcuno mi avrebbe sentito, ma la mamma mi aveva proibito di allontanarmi da solo; io l’avevo promesso, croce sul cuore, e non potevo disubbidire. Non potevo uscire da solo per nessuna ragione, ma lei era ancora a terra priva di sensi ed io non sapevo che fare. Volevo solo che si svegliasse, che qualcuno entrasse dalla porta e facesse magicamente rinvenire la mia mamma.
«Mammina…». In un istante mi ero ritrovato in mezzo ad un incubo; in quel momento non mi importava più nulla se ero arrabbiato con Liam: volevo mio fratello, volevo che papà tornasse a casa. Non sapevo cosa fare: continuavo a piangere, chiamando disperatamente la mamma, ma lei sembrava sempre più immobile, sempre più fredda. Non potevo uscire e non potevo né volevo lasciarla sola, potevo solo aspettare e sperare che qualcuno tornasse presto a casa. Aspettare era la soluzione, ma non sembrava quella giusta; lei era sempre lì e sembrava non cambiare niente a parte il passare dei minuti.
Il tempo sembrò diventare infinito, i miei singhiozzi erano l’unico rumore nella casa, intervallato dalla mia voce che periodicamente tentava ancora di svegliarla. La luce iniziò a cambiare, ma la mamma era ancora lì immobile ed io avevo cominciato a tremare oltre che a piangere a dirotto. Presto il sole tramontò ma non era cambiato niente. Ciò che sembrava cambiare era il dolore e la paura sempre più profonda che mi stringeva il petto.
Dopo quella che parve un’attesa interminabile sentii delle voci e dei passi che si avvicinavano. Alzai lo sguardo dalla mamma e lo puntai alla porta, respirando affannosamente. Con la mano stringevo quella della mia mammina che era diventata talmente fredda da sembrare un pezzo di ghiaccio.
L’uscio si aprì e il primo ad entrare fu papà, stava parlando con il suo amico John; non si voltò subito, ma appena girò la testa e vide la scena che gli si parava davanti, il suo viso si trasformò in una maschera di terrore.
«Sylvia!», gridò correndo ad inginocchiarsi accanto a noi.
«Mamma!». Anche Liam era appena entrato in casa e guardava la scena con occhi pieni di panico.
«John vai a chiamare un dottore». Si voltò appena, mentre cercava di sollevare la mamma, io continuavo a piangere, affannandomi per riuscire a respirare.
«Killian che diavolo è successo?». Mi prese per un braccio, stringendomi fino a farmi male e guardandomi con una tale furia da riuscire a farmi tremare ancora di più. Cercai di parlare, ma le parole non volevano uscire, non riuscivo a trovare la mia voce, sentivo solo le lacrime scendermi lungo le guance e i singhiozzi spezzarmi il respiro. Dovette percepire il mio enorme shock e distolse subito lo sguardo per andare di nuovo a cercare di svegliare la mamma.
«Sylvia ti prego rispondimi».
«Mamma!». Liam era al mio fianco, anche lui piangeva disperato e cercava di scuoterla.
Sulla porta comparvero improvvisamente molti uomini; erano arrivati di corsa e uno di loro aveva una valigetta.
La mia attenzione fu però di nuovo distratta dalla mamma. Nonostante tutte quelle persone intorno non sembrava che fosse cambiato niente. Speravo che fosse un brutto incubo, non potevo credere che stesse accadendo davvero. Io avrei voluto parlare, avrei voluto dire quello che era successo, quello che sapevo ma non riuscivo a pronunciare una sola parola.
«Liam ti prego, porta via tuo fratello». Sentii a malapena mi padre che pronunciava quelle parole.
«Vieni Killian». Qualcuno mi prese per le spalle cercando di farmi alzare, ma io non volevo lasciare la mamma, non prima di sapere se…
«Killian ti prego». Fu la supplica di Liam a farmi cedere: lui che non piangeva mai, in quel momento aveva il viso rigato dalle lacrime. Dovevo obbedire, se anche lui era sconvolto, non potevo peggiorare le cose.
Mi accorsi a malapena che mi stava portando in giardino e che mi faceva sedere vicino al catino dell’acqua. La mia mente era annebbiata, non voleva mettere a fuoco quello che stava succedendo, così come la mia vista faticava a distinguere i contorni del nostro famigliare cortile.
Liam tirò su con il naso, cercando di calmarsi, cercando di comportarsi da fratello maggiore, in modo da darmi il buon esempio, da farmi imitare il suo atteggiamento.
Mi passò le dita tra i capelli, in un gesto che la mamma faceva sempre e quello non fece altro che far aumentare i miei singhiozzi.
«Ora ci cambiamo Killian d’accordo?». Non capii il senso di quella frase, ma d’altra parte sentivo la testa pulsare e non riuscivo a capacitarmi di ciò che stava accadendo. Lo vidi andare a prendere dei vestiti stesi, quelli stessi vestiti che avevo lavato con la mamma quella mattina. Sembrava passata una vita da quando io e Liam avevamo litigato. In quel momento non mi importava più se mi aveva dato la colpa; non ero più arrabbiato con lui, tutto aveva assunto un’altra prospettiva. Solo la mamma aveva importanza, l’importante era solo che lei si svegliasse.
I miei gemiti divennero incredibilmente più forti, anche se mi sembrava impossibile. Quando Liam tornò da me, mi accarezzò la guancia, asciugandomi le lacrime, ma i miei lamenti continuarono ad aumentare di intensità.
«Ti pregò Killian», mi supplicò piangendo anche lui. «Smettila di fare quel verso, ti prego. Io ti aiuto, ma tu devi aiutare me. Non ce la faccio sennò». Vederlo così disperato mi fece recuperare un briciolo di razionalità, facendomi almeno smettere di gemere forte. Continuai a piangere ma più silenziosamente.
«Grazie», sospirò vedendo che gli avevo dato ascolto. «Ora ti aiuto a toglierti i pantaloni». Solo allora mi accorsi che avevo i pantaloni bagnati; non mi ero neanche accorto di essermi fatto la pipì addosso. Liam di solito non avrebbe esitato un istante per prendermi in giro, invece non disse nulla e mi aiutò a pulirmi e a cambiarmi.
«Dammi la mano», mi disse dopo. Aveva sempre gli occhi pieni di lacrime, ma il fare qualcosa di concreto lo aiutava a non pensare a quello che stava succedendo in casa. Neanche io volevo pensarci e cercai di concentrarmi su i suoi movimenti in un tentativo di distrarmi. Gli allungai la mano e notai che era sporca di sangue. Lui ci versò sopra dell’acqua, scoprendo un lungo taglio sul palmo. Dovevo essermi tagliato con le schegge del piatto sparse sul pavimento, ma non mi ero accorto neanche di quello; era come se non riuscissi più a sentire il mio corpo. Mi sentivo intorpidito, anche per l’essere stato rannicchiato sul pavimento per ore, ma il dolore che provavo dentro il cuore, superava qualsiasi dolore fisico.
«È caduta», gracchiai, stentando a riconoscere la mia voce, «all’improvviso e non si più rialzata…». Le mie parole si spezzarono ed entrambi singhiozzammo.
«Ho cercato di… l’ho chiamata… mi aveva vietato di allontanarmi da solo…». Liam mi fissò negli occhi e sembrò leggervi tutto il mio dolore e la mia paura ed io non potei che ritrovare nei suoi la stessa paura e lo stesso dolore.
«È colpa mia…». Erano solo tre parole ma faticai a metterle insieme.
«No, non è colpa tua Killian». Questa volta fu la voce di papà a rispondermi. Era appena uscito in giardino e doveva aver sentito la mia versione dei fatti. Anche se era ormai buio potei notare la devastazione nel suo sguardo. Sembrava invecchiato di dieci anni in soli dieci minuti.
Si avvicinò a noi e si inginocchiò prendendoci entrambi per mano. Non dovette aggiungere altro, gli bastò scuotere la testa per farci capire. I singhiozzi che avevo cercato di trattenere per Liam, tornarono a scuotermi, ma questa volta anche Liam si unì al mio pianto disperato. Papà lasciò che ci sfogassimo, abbracciandoci forte, piangendo anche lui disperatamente.
Mentre mi tuffavo tra le sue braccia lo sentii mormorare «Non è colpa tua Killian, non avresti potuto fare nulla, ci aveva già lasciati non appena è caduta per terra».
 
Sospirai cercando di riprendere il controllo delle mie emozioni. Raccontare quella storia mi aveva catapultato di nuovo lì. Erano passati secoli, ma ricordavo tutto come se non fosse passato neanche un giorno. Emma mi fissava con gli occhi lucidi, la mano stretta nella mia. Mi concentrai sulle nostre dita intrecciate per riuscire ad andare avanti.
«Quella notte io e Liam restammo abbracciati nello stesso letto. Né io né lui riuscimmo a dormire, penso che nemmeno mio padre riuscì a chiudere occhio. Rivedemmo nostra madre al funerale, nella bara. Era bella come sempre, sembrava quasi che dormisse». Ripensai alle mie parole e mi corressi amaramente. «Forse dormiva davvero». Con il senno di poi non avevo la certezza che fosse effettivamente morta, probabilmente non era mai morta davvero, visto che era alquanto difficile tornare dall’Oltretomba. Ripensando a quegli eventi a posteriori vedevo tutto con un’altra prospettiva e una domanda continuava a tormentarmi. Lei sapeva cosa stava per succedere? Solo lei poteva darmi una risposta, ma non ero ancora pronto per sentirla, non ero sicuro neanche se lo sarei mai stato.
Alzai lo sguardo e incrociai l’immensità di quello di Emma che mi scrutava senza dire una parola. Era rimasta in silenzio senza mai interrompermi, dandomi la possibilità di raccontare quella storia secondo i miei tempi. E anche in quel momento non disse niente, capendo che non avevo ancora finito, ma limitandosi a darmi il suo sostegno attraverso un semplice sguardo.
«Dopo, quasi subito, arrivarono gli incubi», proseguii. «Mi svegliavo di notte urlando, molto spesso piangendo o tremando. Non riuscivo a calmarmi da solo, dovevano venire mio padre o Liam. All’inizio mio padre mi portava a letto con lui, spesso si univa anche Liam, ma in quella stanza era anche peggio, c’erano ricordi di nostra madre ovunque. Anche stare in quella casa era diventato insopportabile; fu per questo che insieme a mio padre iniziammo a viaggiare e a girare sulle navi mercantili». Feci un sospiro e mi preparai ad affrontare l’argomento che più mi tormentava.
«Il più delle volte quando mi svegliavo urlando, Liam sgattaiolava nel mio letto e mi abbracciava fino a che non mi calmavo. Mi diceva che andava tutto bene e che c’era lui con me e che non mi avrebbe mai lasciato. Spesso non riuscivo a riaddormentarmi se lui se ne andava, così la mattina mio padre ci ritrovava nello stesso letto. Entrambi mi chiedevano di raccontare loro i miei sogni, ma non ce la facevo, non l’ho mai raccontati a nessuno». “Fino ad oggi”, le comunicai con un semplice sguardo. Sentivo che con Emma avrei potuto parlare di tutto e volevo davvero riuscire a condividere con lei quel peso.
«Quanto sono durati gli incubi?», mi chiese, passandomi le dita tra i capelli. Era la prima domanda che mi faceva, ma non mi sorprese il fatto che non mi avesse posto la domanda fondamentale. Voleva che fossi io spontaneamente a decidere se, come e quando dirle quel segreto.
«Un bel po’. All’inizio erano tutte le notti, tanto che Liam decise di dormire direttamente con me, sperando che così non mi svegliassi più a metà nottata. Ovviamente non funzionò. Poi non lo so, col tempo iniziarono a diminuire; erano più rari, ma sempre intensi. Credimi scacciarli è stato piuttosto difficile, ci sono riuscito definitivamente poco dopo l’abbandono di nostro padre. Lo sai cosa riuscì a farmi smettere? La consapevolezza che Liam si stesse facendo in quattro per prendersi cura di noi, di me soprattutto. Lui aveva passato le mie stesse sofferenze e nonostante ciò cercava di essere maturo per entrambi. Io non volevo essere un’ulteriore peso per lui».
Emma abbassò lo sguardo, riflettendo sulle mie parole. Quando incrociò di nuovo i miei occhi, vi lessi una nuova consapevolezza.
«Quando ho conosciuto Liam», disse, «non capivo come potessi idealizzarlo tanto. Non capivo perché tu lo considerassi il tuo eroe; ma adesso lo so».
«Era il mio mito», sorrisi. «Non era solo perché era tutta la mia famiglia, perché era l’unico che si fosse sempre preso cura di me. Il modo in cui aveva affrontato tutto, la morte della mamma, l’abbandono di nostro padre, lavorare come schiavi, occuparsi di un fratellino problematico come me… Emma lui è stato costretto a crescere in un lampo e la forza che ha avuto per sostenere tutto, io…».
«Lo so». La guardai negli occhi e capii che non avevo bisogno di aggiungere altro. «Adesso capisco perché riponevi in lui una fiducia cieca e mi dispiace di aver pensato male di Liam per quasi tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme nell’Oltretomba». Mi rivolse un sorriso e anche le mie labbra si curvarono all’insù.
«L’unica consolazione è che almeno anche lui pensava male di me», aggiunse.
«Sì ma si è ricreduto alla fine», ribattei.
«Anche io, come vedi».
Rimasi per un attimo in silenzio e poi ricominciai a parlare. «Non ho mai raccontato a Liam, o a mio padre, che cosa sognassi veramente perché non volevo leggere nei loro occhi la verità. Dissi loro che sognavo il corpo della mamma privo di sensi sul pavimento, che sognavo ancora quel terribile ed interminabile pomeriggio, che nell’incubo rimanevo da solo senza più nessuno accanto. Non erano bugie, erano solo mezze verità. Continuavo a vedere il corpo inerte di mia madre, a rivivere quel pomeriggio e alla fine rimanevo da solo; ma ciò che mi faceva urlare e svegliare nel cuore della notte era altro. In tutti gli incubi alla fine c’erano mio padre e Liam, e certe volte anche il corpo trasfigurato di mia madre, che mi dicevano che era solo colpa mia, che quello che era successo era stato solo a causa mia e per questo non volevano più avere niente a che fare con me. La consapevolezza di quelle parole mi schiacciava ogni volta». Il mio tono era calato a tal punto che pronunciai le ultime parole in maniera appena udibile. Era la prima volta che lo dicevo ad alta voce e conoscendo Emma sapevo anche quale sarebbe stata la sua replica.
«Ma non è stata colpa tua». Esattamente le parole che mi aspettavo.
«Sì adesso lo so, ma non sono riuscito a capirlo fin da subito. Ero talmente spaventato dall’idea che quelle parole fossero vere, che non avevo il coraggio di raccontarlo a nessuno per paura che sia Liam che mio padre confermassero quell’affermazione, anche solamente con uno sguardo. Ero terrorizzato dal fatto che il mio incubo si potesse realizzare e che sarei rimasto da solo con la consapevolezza di aver causato la morte di mia madre. Penso che Liam l’avesse intuito ed era per questo che ogni notte mi ripeteva all’infinito che lui era lì con me e che ci sarebbe sempre stato qualunque cosa fosse successa. Tuttavia io continuavo a pensare che se le avessi disubbidito, che se fossi andato a cercare qualcuno, lei si sarebbe salvata; invece ero rimasto lì ed era morta per colpa mia. Potevo fare qualcosa ed invece non avevo fatto nulla».
Emma non disse niente, ma semplicemente si alzò per sedermisi in braccio. Lasciò che io la circondasi con le braccia per stringerla a me e affondò la testa nella mia spalla. Non aveva detto nulla, ma con quel piccolo gesto aveva fatto più di mille parole. Lei mi capiva e non mi giudicava ed io gli ero grato per questo.
«Solo crescendo capii che mi sbagliavo, che mia madre non si sarebbe salvata comunque, che io non avrei potuto fare niente. Però ho vissuto per anni con il terrore e la consapevolezza che fosse tutta colpa mia e non riuscivo a perdonarmi. Adesso capisci perché non voglio sentire le sue spiegazioni? Lei sapeva che saremmo rimasti da soli tutto il giorno; quindi sa anche a che cosa ho dovuto assistere. Non so come sia potuta sopravvivere, ma non ha importanza come. Importa solo che se ne sia fregata di ciò che ci era successo, e alla fine io mi sono sentito in colpa per niente». Tacqui e iniziai invece ad accarezzarle il fianco con l’uncino. Non avevo altro da aggiungere, avevo detto tutto e lei adesso sapeva la verità.
Mi passo la mano tra i capelli, arricciandosi una ciocca al dito. «Perché non glielo dici?», sussurrò. «Perché non le dici che ti sei sentito in colpa per la sua morte?».
«Che cosa cambierebbe se glielo dicessi?».
«Beh almeno capirebbe il tuo rifiuto». Mi baciò il collo, con l’intento di rabbonirmi prima di andare avanti con il suo discorso. «Mi ha detto di dirti che non si intrometterà più nella tua vita se tu non vorrai; vorrebbe conoscere l’uomo che sei diventato ma lascerà a te la scelta».
«Dirle che mi sono sentito in colpa per la sua morte, non cambierà le cose. Anzi la farà solo stare peggio».
Si alzò leggermente per riuscire a guardarmi negli occhi. «Non mi dire! Non eri tu quello che voleva ferirla?». Aveva ragione, ma ricordare quei momenti mi aveva anche fatto rammentare quanto l’avessi amata, quanto effettivamente ancora l’amassi. Feci una smorfia e non risposi alla sua provocazione.
«So che sei il tipo di persona che ama appassionatamente e che ama per sempre. Lei è tua madre e nonostante tutto è normale che tu ti senta contrastato. Vorresti odiarla Killian lo vedo, ma non ci riesci e dall’altra parte hai paura di aprirti con lei perché ti ha ferito in modo indelebile una volta e non vuoi che lo rifaccia».
«Cos’è? Hai seguito un corso di psicologia Swan?», tentai di scherzare.
«No, ma dirle la verità potrebbe essere l’inizio di un possibile riavvicinamento tra voi. È per questo che non vuoi dirgliela, perché il tuo cuore non sopporterebbe di essere ferito un’altra volta da lei».
Sapevo che aveva ragione anche se faticavo ad ammetterlo. Volevo negarla con tutto ma stesso ma quella era la verità. «Devo sembrarti patetico», mormorai.   
 «No, per niente». Si accoccolò di nuovo sulla mia spalla ed iniziò a baciarmi il collo lentamente e dolcemente. «Mi piacciono i tuoi muri Killian», sussurrò tra un bacio e l’altro. «E mi piace riuscire a buttarli giù». Sorrisi a quella affermazione: era sempre stato il contrario, invece in quel momento le parti si erano invertite.
Lasciai che mi coccolasse per un po’, lasciando piccoli baci dalla spalla all’orecchio, sulla guancia, sulle palpebre, mentre io continuavo ad accarezzarla. Era calato il silenzio tra noi, ma non ci erano mai servite troppe parole per riuscire a comunicare e a capirci. E poi ormai avevo detto praticamente tutto su quella storia. Lentamente la mia bocca incontrò la sua, per dare vita a una serie di dolci ma anche appassionati baci; le nostre lingue si cercarono e si intrecciarono ed io la strinsi di più, poggiandole la mano sul sedere e scostandole i capelli con l’uncino. Le sue dita intanto continuavano ad accarezzarmi una guancia e a stringermi una spalla.
All’improvviso, mentre le sue labbra stavano risalendo lentamente dal mio mento per arrivare di nuovo alla mia bocca, il mio stomaco brontolò. Fu un suono lento e profondo, che non poteva certo passare inosservato.
«Mm». Si fermò ad un centimetro dal mio viso, gli occhi incatenati nei miei, il suo respiro a solleticarmi la pelle. «Ed io che pensavo che avessi un altro tipo di fame».
«Beh le ho entrambe», mi giustificai. Il mio stomaco non poteva scegliere momento peggiore per ricordarmi che ero affamato.
«Bene allora». Con mio grande disappunto scivolò via dalle mie braccia e si alzò limitandosi a prendermi per mano. «Ti preparerò qualcosa da mangiare, mio bel capitano».
Mi fece alzare e mi tirò verso la cucina. «Tu intanto hai altre storie da raccontare. Sbaglio o dovevamo parlare di Hyde?».
«D’accordo», mugugnai.
«E dopo», aggiunse sorridendomi, «vedrò di riuscire a soddisfare anche l’altra tua fame». Sorrisi anch’io e senza più indugiare la seguii in cucina iniziando quel nuovo racconto.

 
Angolo dell’autrice:
Buongiorno a tutti e buona domenica! Ecco a voi un capitolo bello peso… Devo dire che è stato piuttosto difficile scrivere questa parte, non tanto per il contenuto ma su come riuscire a renderla a parole. Mi sono chiesta se dovevo fare dei flashback, o raccontarlo in terza persona, o se fare narrare tutto dal Killian adulto. Alla fine è uscito fuori questo… cosa ne pensate?
Inoltre credo di avervi lasciato qualche indizio per intuire anche qualcosa sulla versione di Sylvia? O forse sono io che scrivendo la storia mi immagino le cose prima del tempo…
Comunque, anche se mi ripeto ogni volta, vorrei ringraziare tutti coloro che stanno leggendo e recensendo. Mi date la spinta per andare avanti e leggere i vostri commenti mi aiuta a trovare sempre nuove idee.
Un abbraccio e alla prossima settimana!
Sara
 

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Capitolo 6
*** 6. Segreti e alleanze ***


6. Segreti e alleanze
 
Continuavo a sorseggiare il mio tè con lo sguardo perso nel vuoto. La visita di Emma mi aveva sorpreso e mi aveva anche lasciato una sorta di inquietudine. Era naturale che loro avessero molte domande da pormi, ma non avevo pensato che potessero credere che fossi in combutta con Hyde. Proprio io che ero rimasta scioccata dal ritrovare mio figlio ancora vivo in quella strana cittadina! Era diventato un uomo grande, forte e bello e probabilmente non sarei riuscita neanche a riconoscerlo se lui non avesse riconosciuto me. Ero davvero una madre terribile.
Rivederlo, anche se così cresciuto, aveva riportato a galla tutto ciò che tentavo di tenere nascosto da secoli. Avrei voluto abbracciarlo e non lasciarlo più andare, stringerlo a me come facevo quando era piccolo; ma la sua rabbia era del tutto comprensibile. Sapevo benissimo che l’avevo ferito, sapevo a cosa l’avevo costretto ad assistere ed era naturale che mi accusasse di tutto il dolore che la mia presunta morte aveva causato. Non avevo idea che Brennan avesse venduto i nostri figli, non potevo neanche immaginare una cosa del genere. Killian aveva anche ragione sul fatto che non conoscevo niente della sua vita, della loro vita, dopo la mia dipartita. Lui aveva ragione su tutto e l’unica cosa che potevo fare era lasciargli la scelta di volermi dare o meno una seconda possibilità. Se avevo convissuto per secoli con il rimorso per il mio gesto, potevo anche accettare il fatto di aver rovinato per sempre il rapporto con mio figlio, tanto da impedirmi di rimediare ai miei errori.
«Perché non me ne hai mai parlato?». Alzai lo sguardo e trovai Mary seduta di fronte a me, che mi guardava con aria preoccupata. Non l’avevo neanche sentita arrivare; da quanto tempo era lì? Forse mi stava studiando già da un bel po’.
«Non è una bella storia», sospirai. «È una parte di me che tengo sepolta da sempre».
«Sylvia tu sei come una madre per me, avresti potuto confidarti, puoi farlo tuttora». Appoggiò la mano sulla mia e mi guardò con uno sguardo pieno d’affetto.
«Non te ne ho parlato, perché mi vergognavo», mi giustificai. «Non volevo che tu mi giudicassi in maniera sbagliata».
«Io non ti avrei mai giudicato, lo sai. È passato tanto tempo, tu non sei più quella persona. Sei stata la madre che non ho avuto».
«Sì ma questo non toglie il fatto che ho abbandonato i miei figli. Li ho lasciati in un modo atroce, ho fatto credere loro di essere morta».
Sembrò riflettere sulle mie parole, cercando in qualche modo un appiglio per giustificare il mio gesto. Ma non c’erano attenuanti per quello che avevo fatto. Nonostante tutto ero colpevole ed era giusto che mi sentissi tale.
«Poi però ti sei pentita», esordì infine.
«Sì, fin dal primo istante; ma era già troppo tardi per tornare indietro».
«Perché non mi racconti cosa è successo veramente?». Sapevo che me l’avrebbe chiesto, ma avevo giurato a me stessa, nel momento in cui avevo rivisto Killian, che doveva essere lui l’unico, o almeno il primo, a cui avrei rivelato la mia storia.
«Mary non è che non mi voglia confidare con te, ma non l’ho mai raccontato a nessuno e se qualcuno deve sapere la verità quello è mio figlio. Se non vorrà ascoltarmi vorrà dire che la mia storia morirà con me… quando un giorno forse il mio corpo si deciderà a morire».
«Non ti capisco», sbottò.
«Lo so che non capisci». Questa volta fui io ad appoggiare la mano sulla sua. «Ma ti prego non forzarmi, non chiedermelo più. È una storia che riguarda me e Killian».
«D’accordo, non te lo chiederò più», acconsentì. «Tuttavia tuo figlio mi sembra un po’ arrogante e presuntuoso. Non capisco che cosa gli costi ascoltare sua madre, in fin dei conti».
«Tu la pensi così perché non hai vissuto ciò che ha vissuto lui. Se fossi nella sua stessa situazione forse capiresti. Anch’io in fondo comprendo le sue ragioni».
«Perché tu sei troppo buona», proruppe.
«No, se lo fossi avrei fatto la scelta giusta tanto tempo fa». Non replicò ed assunse un’aria pensierosa. Forse stava riflettendo su ciò che le avevo appena detto, ma con Mary non si poteva mai sapere. Era così esuberante che spesso faticavo a seguire il filo dei suoi pensieri.
«Non li hai mai dimenticati», affermò dopo un po’.
«I miei figli?», domandai cercando di seguire il suo discorso. Annuì leggermente per conferma. «No, non li ho mai dimenticati. Ho pensato a loro ogni giorno della mia lunghissima vita».
«Il disegno», sussurrò. «È stato lui a farlo?». Sapevo benissimo a cosa si riferisse: ad un piccolo foglio che tenevo nel cassetto del mio comodino e che per fortuna ero riuscita a portare con me dalla Terre delle storie mai raccontate.
«No è stato Liam, l’altro mio figlio, il maggiore».
«E anche quello stupido bracciale che hai sempre al polso». Abbassai lo sguardo per osservare il braccialetto e contemporaneamente lo sfiorai con il pollice.
«Sono le uniche cose che mi sono rimaste dei miei figli», sospirai. «Le uniche cose che pensavo mi fossero rimaste del mio passato».
«È per questo che ti sei arrabbiata quando ho provato a toccare quel disegno o il tuo bracciale?». Era capitato che lei curiosasse tra le mie cose, soprattutto quando era una bambina ed io, in effetti, non ero stata molto paziente in quelle situazioni.
«Sì», confermai. «Credo che siano gli oggetti che loro hanno messo per me nella mia bara. Erano le sole cose che ho trovato quando mi sono risvegliata». Sospirai e poi senza neanche accorgermene mi ritrovai a parlare di quei dettagli inutili. «Il disegno l’ha fatto Liam quando suo fratello era piccolo. Mi ricordo che ogni volta che allattavo Killian o lo tenevo in braccio, lui mi studiava senza distogliere lo sguardo neanche per un secondo; poi un giorno mi disse che aveva una cosa per me e mi mostrò il disegno: il mio ritratto con Killian in braccio. Non è perfetto, è fatto da un bambino, ma l’ho adorato fin da subito. Lo incorniciai e lo misi nella mia camera. Aveva un significato particolare per me e per Liam, e penso che sia proprio per questo che ha voluto lasciarmelo…». La mia voce si spense ripensando al mio piccolo bambino, che ormai non avrei più potuto riabbracciare.
«E il bracciale?». Non me lo chiese per soddisfare la sua curiosità, ma perché sapeva che le avrei  parlato anche di quello. Erano le uniche cose che mi sentivo libera di confidarle.
«Quello me l’ha dato Killian. Definirlo un braccialetto è un po’ azzardato, è solo un cordoncino, sembra che sia un oggetto senza valore, invece non lo scambierei per tutto l’oro del mondo. Me l’ha regalato per il mio compleanno, avrà avuto due anni e mezzo, forse tre; mi fece promettere che non l’avrei mai più tolto, perché per lui rappresentava una sorta di legame tra noi. Io glielo giurai a patto che lui tenesse con se una piccola monetina bucata, una sorta di portafortuna che avevo avuto da mia madre. Chissà se ce l’ha ancora…».
«Per me ce l’ha», affermò.
Sorrisi. «Ma come prima lo accusi e adesso ammetti che potrebbe aver tenuto una cosa che lo collega a me?».
«Io non l’ho mai accusato di non essere legato a te. Era fin troppo sconvolto quando ti ha visto e il suo comportamento mi fa credere che lui tenga a te più di quanto voglia ammettere. Non reagirebbe così se tu gli fossi indifferente». Aveva ragione e lo sapevo: Killian si comportava così perché mi aveva amato profondamente, ma quello era ormai il passato, prima che rovinassi tutto.
«Forse hai ragione ma ciò non toglie che io gli abbia spezzato il cuore».
«Sono le persone che più amiamo che finiscono per  ferirci più profondamente». Aveva perfettamente ragione e non restava più altro da aggiungere.
«E dopo questa tua perla filosofica, penso che sia meglio che vada a parlare con Jekyll». Mi alzai e senza lasciarle il tempo di ribattere uscii dalla tenda. Mary, d’altro canto, sembrò capire la mia esigenza di chiudere lì quell’argomento almeno per il momento. Mi lasciò andare senza dire una parola e non mi seguì. Sapevo benissimo che comunque non avrebbe lasciato cadere lì la questione e che anche se non mi avrebbe più chiesto nulla direttamente, aveva altri modi indiretti per indurre ad aprirmi. Mi conosceva fin troppo bene e sapeva leggermi come un libro aperto.
Accantonai il pensiero di Mary, e andai a cercare Jekyll. Non impiegai molto, visto che lo trovai appena fuori dall’accampamento. Era seduto su una grossa pietra e aveva lo sguardo puntato verso la mia direzione.
«Mi chiedevo quanto tempo avrei dovuto ancora aspettare», mi disse appena fui abbastanza vicina da sentirlo. «Sapevo che prima o poi saresti venuta a cercarmi».
«Emma e suo padre sono venuti a parlarmi prima», lo informai.
«Lo so, li ho incontrati mentre stavano tornando alla loro strana carrozza gialla. Questo mondo è davvero particolare, mi sembra sempre più meraviglioso».
Non avevo tempo da perdere per parlare delle stranezze che c’erano in quella Storybrooke, avevamo ben altro di cui discutere. «Jekyll, sono seriamente preoccupata. Emma pensava che io potessi essere in qualche modo in combutta con Hyde, o comunque che lui sapesse chi ero».
«Beh penso che sia naturale per loro avere dei sospetti, soprattutto dopo il modo in cui Hyde lì ha trattati nella nostra terra».
«Sì lo so», risposi spazientita, «ma questo certo non mi aiuta; già la situazione con mio figlio è difficile, senza aggiungerci anche ulteriori sospetti».
«Ho detto loro ciò che sapevo», mi rispose paziente. «E cioè che non avevo la minima idea che Hook fosse tuo figlio».
«Non lo chiamare così», borbottai. «Il suo nome è Killian». Per tutti era Capitano Uncino, ma non per me; anche se l’avevo scoperto solo da poco, lui per me non lo sarebbe mai stato. Era per questo che Emma mi piaceva così tanto: mi aveva fatto capire che, anche per lei, Killian era molto più di quel suo ridicolo sopranome.
«D’accordo, Killian. Ma francamente Sylvia io non ho potuto dare molte altre spiegazioni, anche se ci conosciamo più di quanto diamo a vedere, non sei mai stata una persona molto aperta».
«Ed è per questo che ci intendiamo bene noi due, abbiamo entrambi dei segreti che preferiamo tenere per noi. Sbaglio o non ti ho mai chiesto niente del tuo alter-ego? Nulla di più di quello che tu hai voluto dirmi, e tu hai fatto lo stesso con me».
«Certo, ci sono cose che non è facile esternare».
«Soprattutto quando pensi che siano ormai sepolte per sempre. Ho creduto per anni che non ci fosse più nessuno della mia famiglia ancora in vita».
«Che cosa volevi chiedermi precisamente Sylvia?», mi domandò dopo un secondo senza più giri di parole. Sapevo che avrebbe compreso subito le mie intenzioni.
«Aiutami a capire qual è il piano di Hyde, aiutami a sconfiggerlo una volta per tutte. Non è quello che hai sempre voluto?».
«Sei per caso impazzita?», mi domandò alzandosi di scatto. «Che cosa ti salta in mente adesso?».
«No, non sono impazzita. Questa è l’unica cosa che possa fare».
«Come sarebbe che questa è l’unica cosa che tu possa fare?». Iniziò a camminare con impazienza avanti e indietro portandosi una mano a massaggiarsi l’attaccatura del naso.
«Sì. Non ho altro modo per redimermi», sussurrai. Lui mi guardò sbalordito per un secondo cercando di afferrare il senso delle mie parole.
«Sylvia…», tentò di farmi ragionare, ma io lo fermai prima che ci riuscisse davvero.
«Senti, mio figlio mi odia, non vuole parlarmi e non posso dargli tutti i torti. L’unico modo che ho per fargli capire che mi dispiace, che tengo a lui, che ho sempre tenuto a lui, è aiutare lui e tutti i suoi amici a sconfiggere Hyde. Jekyll sappiamo bene, io e te, quanto lui possa essere terribile. Sono anni che tenti di liberartene, aiutami a farlo una volta per tutte».
«Sylvia lo sai che sconfiggere definitivamente il mio alter-ego è quello che voglio da sempre, ma non hai idea di cosa sia capace di fare».
«Io no, ma tu sì, è per questo che ti sto chiedendo aiuto. Chi meglio di te può capire che cosa ha in mente, e poi devo forse ricordarti che sei stato tu a crearlo? Devi fare tutto quello che è in tuo dovere per fermarlo». Sapevo che facendo pressioni dal punto di vista morale l’avrei fatto cedere; in fondo, lo conoscevo meglio di quanto lui stesso volesse ammettere.
«Anche se volessi aiutarti, cosa ti fa credere che noi due insieme potremmo sconfiggerlo? Credo che avremmo più possibilità se cooperassimo con gli altri».
«Sì lo so, ma Killian non mi permetterà di aiutarli», ammisi riconoscendo che aveva ragione.
«Sei proprio sicura che non lo farebbe?».
«Non ne ho la certezza, ma in questo momento vuole che mi intrometta il meno possibile nella sua vita. Credi che sarebbe davvero felice di collaborare con me?».
«Non lo so, Sylvia. È da pazzi! Come credi di poterlo battere? Ti farai solo ammazzare».
Sospirai e gli afferrai la mano per poterlo guardare negli occhi. «Se così sarà, vorrà dire che morirò nel tentativo di sconfiggere il nemico di mio figlio».
«Mio Dio è da pazzi!», ripeté portandosi l’altra mano alla fronte.
«Lo so che hai paura», continuai sapendo di aver quasi vinto. «Ma ti prego, aiutami».
«D’accordo», cedette infine. «Ma ad una condizione».
«Tutto ciò che vuoi», esultai.
«Ti aiuterò, cercherò di capire le mosse di Hyde, troveremo un modo per eliminarlo dalla mia, dalle nostre vite, per sempre, ma tutto ciò che scopriremo non lo terremo per noi, ti posso solo concedere un vantaggio».
«Un vantaggio?».
«Sì, un giorno, al massimo due. Intendo che tutto ciò che scopriremo, io lo dirò a David, Regina, Emma insomma agli altri, solo ti concederò un giorno di vantaggio. Non posso tenere le nostre scoperte, se davvero ci saranno, riservate. Sconfiggere Hyde è la priorità, che sia tu o loro a farlo».
«D’accordo», accettai. Era il compromesso migliore che sarei mai riuscita a strappargli. «Solo non dire agli altri che sono coinvolta in questa storia. Non voglio che lo sappiano».
«Va bene», rispose perplesso, «ma se non glielo dirai come farà tuo figlio a capire che lo stai facendo e che lo stai facendo proprio per lui?».
«Lo capirà», replicai certa. «Alla fine lo capirà».
«Sei una brava persona Sylvia, sono certo che alla fine lo comprenderà davvero». Mi passò una mano sulla spalla per confortarmi. Gli feci un debole sorriso, sapendo che lui ci credeva davvero; solo che in quel momento ero io che non mi sentivo proprio così. Il rimorso, l’inquietudine sepolte nel mio cuore per secoli erano di nuovo tornate a tormentarmi.
«Grazie». Lo baciai sulla guancia. «Penso che ormai sia tardi per metterci a lavoro, ma domani dovrai metterti ancora una volta nei panni di Hyde». Feci per allontanarmi  ma lui mi trattenne afferrandomi una mano.
«Sylvia, volevo anche dirti che il nostro segreto è al sicuro».
«Cosa?». Sbattei le palpebre non capendo a cosa si riferisse.
«Non ho detto agli altri quello che c’è stato tra noi. Ho solo detto loro che ti conoscevo, come la maggior parte delle persone della Terra delle storie mai raccontate, che eravamo amici».
«Grazie». Sapevo quanto gli fosse costato nascondere quel dettaglio, e gli ero davvero grata.
«Sylvia, se sapessero che noi due…». Arrossì e iniziò a balbettare, in un atteggiamento tipico di lui. «Sì insomma se scoprissero quello che c’è stato… beh loro non capirebbero… penserebbero che Hyde… che tu e lui…».
Gli afferrai entrambi le mani e gli sorrisi. «Penserebbero che li ho mentito e che sono in combutta con Hyde? Che io e lui ci conosciamo davvero, anche se io non l’ho mai incontrato e sono sempre stata con la sua controparte buona? Sì lo so».
«Beh se lo scoprono non si fideranno più neanche di me. Sapranno che ho mentito loro, ma non potevo permettere che credessero in un tuo coinvolgimento».
«Tu mi difendi sempre», sussurrai commossa.
«Sempre».
«Grazie», dissi di nuovo. «A domani». Gli diedi un altro bacio sulla guancia e mi incamminai dandogli le spalle.
«Sylvia!», mi richiamò dopo un paio di metri. Mi voltai di nuovo e aspettai che continuasse. «Lo so che te l’ho già detto, ma non lo sapevo. Non avevo la minima idea che lui fosse tuo figlio, non avevo neanche il minimo sospetto. Se l’avessi anche solo ipotizzato, sarei venuto a parlartene immediatamente, lo sai vero?».
«Sì lo so». Ero certa della sua sincerità e non avevo mai avuto dubbi su quello.
«A domani Sylvia», concluse lasciandomi andare. Mi incamminai per tornare in quella che era diventata la mia “casa” in quella strana cittadina. A pochi metri dalla tenda, però, mi fermai; non avevo voglia di affrontare Mary di nuovo. Per quanto bene le volessi, avevo bisogno di un attimo di tranquillità e di solitudine, e lei era un po’ troppo vivace per concedermi la giusta atmosfera.
Mi incamminai allora verso il centro della città, cercando di esplorare quel nuovo mondo. In fondo non ero uscita molto da quando ero arrivata e molte cose mi sembravano ancora molto assurde. A partire da quelle strane carrozze che sembravano funzionare con la magia, alle persone che parlavano da sole con degli strani oggetti attaccati all’orecchio, alle strane insegne dei negozi, che iniziavano ad accendersi magicamente ora che il sole stava tramontando. Certamente se non avessi avuto tanti pensieri per la testa sarei stata emozionata di visitare quella Storybrooke, di scoprire tutti quelle particolarità, quei segreti. Ma il costante pensiero di Killian non mi permetteva di concentrarmi su altro.
Senza neanche accorgermene arrivai a quella specie di moderna osteria, là dove avevo visto Killian per la prima volta, là dove tutte le mie certezze si erano sciolte come neve al sole. Scrutai con estrema attenzione l’interno del locale dalla vetrina, quasi pensassi di trovarlo lì intento a bere o a parlare con i suoi amici. C’era molta gente ma di lui non c’era ombra, né di Emma. Sospirai delusa quasi mi fossi diretta davvero lì con l’intento di vederlo; forse non l’avevo pensato ma il mio inconscio aveva agito per me. Killian era riuscito a trovarmi inconsciamente il giorno prima, io invece non ero riuscita a fare lo stesso. Come se avessi avuto bisogno di altre prove della mia incapacità di essere una buona madre!
Scacciai quei pensieri, anche perché se l’avessi veramente trovato non avrei potuto fare altro che guardarlo da uno stupido vetro. Gli avevo promesso di non intromettermi, e presentarmi lì davanti a lui, anche se poteva sembrare una casualità, non era proprio un buon inizio.
Comunque visto che lui non c’era, mi decisi ad entrare. Forse tra persone che non conoscevo avrei trovato quella tranquillità di cui avevo bisogno. Tuttavia, non appena mi feci strada verso il bancone un ragazzino mi si parò davanti. Era lo stesso ragazzino che stava aiutando la donna mora, quella che mi sembrava si chiamasse Regina, a fare il censimento il primo giorno, quello che mi aveva soccorso quando mi ero sentita male alla scoperta di Killian.
«Ciao!», mi salutò. «Cercavi mia madre?». Lo guardai per un attimo perplessa non capendo a che persona si riferisse. A quella Regina? Perché avrei dovuta cercarla?
«Tua madre?», ripetei incerta.
«Sì scusa», sembrò accorgersi del suo errore. «Emma». Lo guardai sbalordita: non mi ero proprio aspettata che Emma avesse un figlio. Non avrei mai ricollegato quel ragazzino a lei.
«No sono qui per ca…». Mi bloccai a metà parola, per la sconvolgente ipotesi che mi era saltata in mente. Emma era la fidanzata di Killian e se quello era suo figlio, poteva essere anche mio nipote? Non ci somigliava molto, ma potevo essere certa che non mi avessero nascosto l’esistenza di un nipote?
Mi accorsi di essere rimasta a bocca aperta per un tempo piuttosto lungo e che adesso era lui a fissarmi perplesso.
«Tu…», cercai di articolare una frase, «tu sei… sei mio…?».
Per fortuna sembrò capire al volo ciò che intendessi. «Oh no! No, no, no! Killian non è mio padre».
Ripresi fiato, sentendomi in un certo senso sollevata; non avrei voluto scoprire di essermi persa anche qualcos’altro oltre all’intera vita di mio figlio.
«Credo di essermi espresso male», continuò. «Scusami avrei dovuto specificare».
«Non fa niente». Ci avvicinammo insieme al bancone e lui si sedette su uno sgabello accanto a me. «Quindi Emma è tua madre?». Ero ancora sorpresa per quello, pensavo che fosse il figlio della bruna, ero quasi certa di aver visto un atteggiamento materno tra i due.
«Sì, beh Emma è la mia madre biologica, mi ha avuto quando aveva diciotto anni in prigione, dopo  che mio padre, che tra l’altro era anche il figlio del signore Oscuro, l’aveva lasciata affinché lei spezzasse il sortilegio. Beh a dire la verità l’ex fidanzata di Hook era mia nonna…»,
Lo guardai ancora più stupita per quel fiume di parole. «Eh?».
«Sì è una lunga storia», ammise. «Ed è anche piuttosto complicata».
Cercai di riprendermi e di trovare qualcosa da dire a quel vivace ragazzino. «Comunque non cercavo tua madre, stavo solo facendo un giro».
«Speravi di trovare tuo figlio?». Era piuttosto perspicace, nonostante la sua giovane età.
«Non proprio», risposi.
«Non glielo dirò, se è questo che ti preoccupa».
Lo guardai stupita, pensando che forse non ero poi così brava a nascondere i miei sentimenti.
«Hook è testardo», proseguì, «ma sono sicuro che prima o poi vi chiarirete. Gli eroi trovano sempre un modo per trionfare».
«Non credo di rientrare nella categoria degli eroi», risposi amaramente.
«Questo non lo so, ma so che Killian lo è».
«Lo conosci bene?», mi ritrovai a domandargli. Sembrava che tutti conoscessero mio figlio meglio di me.
«Abbastanza». In quel momento fummo interrotti dalla anziana signora che doveva essere la proprietaria del locale.
«Henry, sei da solo?», gli domandò.
«No, sto aspettando mia madre». Mi raddrizzai di scatto, apprendendo che Emma stava per arrivare. Di sicuro non avrei dovuto farmi trovare lì a parlare con suo figlio.
«E lei, vuole ordinare qualcosa?», si rivolse a me, osservandomi con discrezione.
«No grazie». Si allontanò ed io mi alzai. «Forse è meglio che Emma non mi trovi qui a parlare con te».
Lui mi guardò per un secondo studiando le mie parole, per poi finalmente arrivare a comprendere le mie frasi. «No, non è Emma che sta arrivando».
«Eh?». Sembrava che io e lui non ci riuscissimo mai a capire alla prima.
«Sta arrivando Regina, la mia madre adottiva», mi spiegò.
«Quella donna con i capelli neri?». La mia descrizione poteva rappresentare chiunque. «Quella che stava facendo il censimento?».
«Esatto», confermò. Almeno avevo ricollegato un volto ad un nome. «Lei è la mia madre adottiva. Emma non se la sentiva di crescermi quando sono nato, così ha cercato di darmi un’opportunità migliore. Beh il destino ha voluto che fossi adottato proprio dalla matrigna di mia nonna, quella che ha costretto Emma a crescere senza sapere chi fosse la sua famiglia. Solo quando sono andata a cercarla qualche anno fa, lei ha scoperto la verità».
Capì dalla mia espressione che mi ero persa un’altra volta. «Sì anche questa è una storia piuttosto lunga e complicata».
«Comunque», mi ripresi, «è davvero il caso che io vada. Sarà meglio che torni alla mia tenda. Mi ha fatto piacere parlare con te».
«D’accordo». Feci per voltarmi ma lui mi richiamò.
«Aspetta, credo che questo potrebbe esserti utile». Aprì il suo zaino e mi porse un grosso libro. «Dentro ci sono tutte le nostre storie, alcune riguardano Killian, potresti leggerle».
Lo guardai stupita, non sapendo bene cosa rispondere. Mi aveva lasciato letteralmente senza parole.
«Immagino che tu non sappia molto di lui, potresti iniziare a conoscerlo da questo». Mi sentii subito estremamente grata a quel ragazzino, esattamente come mi ero sentita dopo aver conosciuto Emma. Ora riuscivo a vedere la somiglianza tra loro.
«Sei sicuro?», sussurrai.
«Sì certo. A me non serve, ormai io lo conosco a memoria».
Esitai pensando a quello che avrebbe detto Killian se lo avesse saputo, ma ancora una volta lui intuì i miei pensieri.
«Non glielo dirò, mi inventerò una scusa e poi me lo renderai non appena l’avrei letto».
Gli sorrisi grata, non potendo far altro che accettare. «Grazie». L’idea di poter conoscere il passato di mio figlio mi entusiasmava, non pensavo che avrei potuto apprenderlo attraverso un libro. Uscii dal locale, tenendo quel grosso volume tra le mani e  non sapendo bene dove andare. Avrei voluto iniziare a leggere quel libro subito, però non avevo voglia di tornare da Mary. Tuttavia era sempre meglio che restare da sola a girare per quella cittadina di sera. Non sapevo che abitanti ci fossero a Storybrooke e sicuramente con Hyde a piede libero era più saggio tornarmene in un luogo sicuro. Era troppo rischioso cercare un luogo appartato in cui poter leggere tranquillamente.
Stavo cercando di ritrovare la strada per ritornare all’accampamento, quando sentii delle voci. Ero finita in un vicolo buio, un posto sicuramente poco raccomandabile da frequentare la sera da sola. Ebbi l’impulso di nascondermi dietro un ampio cassone di metallo, in modo da poter osservare chi stesse arrivando ma senza essere vista, ed inconsciamente strinsi il libro più forte contro il petto.
«Oh finalmente! Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo ad arrivare». Vidi un uomo, ma anche se non l’avevo mai visto prima ebbi la certezza che fosse Hyde. Quel portamento, quel modo di parlare non mi lasciavano alcun dubbio.
«Credimi non è stato affatto un viaggio facile». Era la voce di una donna, ma non riuscivo a vederla, era nel punto più buio del vicolo e riuscivo a stento a scorgerne il profilo.
«Beh ti stavo aspettando. Non sopportavo più questa attesa, è l’ora che noi due ci aiutiamo a vicenda».
«Oh  Hyde ti conviene non usare questo tono con me, devo forse ricordarti con chi stai parlando». Pronunciando quelle parole fece un passo in avanti fermandosi in un punto più illuminato. Mi mancò il fiato e sbattei le palpebre più volte non credendo a quello che avevo davanti. Era sicuramente Regina, la madre di Henry: gli stessi occhi, gli stessi capelli, solamente indossava un abito che non sembrava rispecchiare lo stile di quel mondo moderno.
«Certo che lo so Vostra Maestà, ma sono sicuro che riusciremo a trovare un accordo soddisfacente per entrambe le parti».
«Ah davvero?». Il suo tono era sarcastico.
«Io posso darti quello che hai sempre voluto», rispose Hyde con tono calmo, come se avesse preparato quel discorso da tempo.
«E se anche fosse, tu cosa vorresti in cambio?».
«Assolutamente niente, sarà sufficiente che tu ottenga la tua vittoria perché io ottenga la mia».
Regina sembrò studiare le parole del suo interlocutore. «Penso che dovremmo discuterne più approfonditamente».
«Prego, accomodati pure in quello che per adesso è la mia umile dimora». Hyde le fece un gesto con la mano, invitandola ad entrare in quella che doveva essere la porta sul retro dell’edificio.
«Con molto piacere». Si mosse con fluidità nel suo vestito lungo, e insieme sparirono chiudendosi la porta alle spalle. Restai un secondo nel mio nascondiglio ancora sconcertata da quello che avevo visto. Che quella fosse Regina ne ero sicura: anche se vestita diversamente era la stessa donna che avevo trovato nel locale con il ragazzino il primo giorno. L’atro sicuramente era Hyde, visto che era stata proprio lei a chiamarlo per nome.
Ma se Regina doveva incontrarsi con suo figlio, cosa ci faceva lì con Hyde? E soprattutto dai loro discorsi sembrava che fossero in combutta. Che cosa poteva offrire quel mostro a Regina, tanto da indurla a fare il doppio gioco?
Ero appena venuta a conoscenza di quello che poteva rappresentare un vantaggio per sconfiggere Hyde. Tuttavia adesso mi trovavo in una situazione ancora più difficile. Avrei dovuto dire quello che avevo visto ad Emma? Se le avessi rivelato la verità, l'avrei aiutati ma mi sarei tolta il vantaggio che avevo appena conquistato. E poi si poneva un altro problema: anche se avessi raccontato tutto mi avrebbero davvero creduto? Regina era una di loro, sarebbe stato facile per loro pensare che fossi io la bugiarda. In fondo per una donna capace di abbandonare i suoi figli facendosi credere morta, che cosa era una piccola menzogna come quella?
Comunque una cosa era chiara: Hyde non aveva intenzione di realizzare i suoi piani da solo e stava cercando l’aiuto di Regina, e lei, che accettasse o meno, non era quella che diceva di essere. Avrei dovuto tastare il terreno e cercare di capire chi fosse realmente. Stranamente quella mattina mi ero alzata credendo di aver perso tutto e invece in quel momento mi ritrovavo ad avere per le mani un libro, che mi avrebbe aiutato a conoscere mio figlio, ed una pista, che avrebbe potuto aiutarmi a riconquistare tutto quello che avevo rovinato nella mia lunga vita. Avevo un punto di partenza che mi avrebbe permesso di riconquistare la fiducia di mio figlio.

 
Angolo dell’autrice:
Buongiorno a tutti e come ogni domenica ecco un nuovo capitolo! Ho avuto una specie di blocco per scrivere questa parte. L’ho praticamente buttato giù quasi tutto all’ultimo momento.
Comunque per questa settimana ho deciso di mettere un attimo in pausa Emma e Killian, e di dedicarmi invece a Sylvia per far conoscere e capire meglio il suo personaggio.
Ed ecco che alla fine vi ho fatto una piccola sorpresa: ecco a voi la Evil Queen! Penso che l’abbiate capito… Beh all’inizio non avevo pensato di inserirla nel racconto, ma non avevo ancora le idee chiare sullo sviluppo della storia. Invece adesso tutto ha più senso ed ho davvero bisogno della Regina Cattiva!
Vi ringrazio come sempre! Un abbraccio e alla prossima settimana!
 
Sara

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Capitolo 7
*** 7. Primi passi ***


7. Primi passi
 
Ancora mezza addormentata mi rigirai nel letto, cercando a tentoni il corpo caldo di Killian, ma al suo posto non trovai altro che il materasso vuoto. Con molta fatica riuscii ad aprire gli occhi quel tanto che bastava per poter guardare l’orologio sul comodino. Erano le sette e mezzo passate ed evidentemente Killian aveva imparato a spegnere la sveglia da solo. La luce filtrava dalle finestre aperte, ma il mio sonno doveva essere stato talmente pesante da non essermi accorta di niente.
Mi alzai controvoglia, stropicciandomi gli occhi con le mani. Avevo sperato di poter restare un altro po’ a letto con Killian, ma avevo dovuto fare i conti con il suo lato mattiniero. Mi sarei dovuta abituare a quello, anche se conoscendolo non avrebbe avuto tutta questa voglia di alzarsi se avesse saputo le mie reali intenzioni.
Scesi in cucina continuando a sbadigliare, ma mi fermai sull’ultimo gradino della scala per ammirare la scena che avevo davanti: il mio bel pirata era ai fornelli. Indossava un ridicolo grembiule da cucina, ma riusciva ad essere tremendamente sexy anche con quello addosso. Non avevo la minima idea di cosa stesse cucinando, eppure sembrava cavarsela piuttosto bene anche con un uncino al posto della mano.
Ebbi subito l’irrefrenabile impulso di correre da lui e baciarlo; in effetti, da quando era ritornato dall’Oltretomba avevo spesso quel genere di impulsi e faticavo a tenere i miei ormoni sotto controllo. Beh se fosse rimasto a letto quella mattina ne avrei sicuramente approfittato per un po’ di coccole tra le sue braccia, tuttavia anche quello che avevo davanti non era uno spettacolo niente male.
«Buongiorno, mio bel Capitano». Senza più esitare corsi in cucina e mi avventai sul mio pirata, dandogli giusto il tempo di voltarsi verso di me. Lo baciai con passione, saltandogli praticamente addosso, e ficcandogli subito la lingua in bocca. Feci aderire il mio corpo al suo e gli passai le mani tra i capelli, facendogli intuire cosa si era perso non restando a letto. Ero certa che riuscisse a sentire perfettamente tutte le mie forme attraverso la sottile maglia del pigiama, ed ero sicura che così anche lui avrebbe presto perso il controllo, proprio come l’avevo già perso io.
Con mia grande sorpresa, però, sentii le sue labbra staccarsi dalle mie e il suo uncino allontanarmi delicatamente. Lo guardai perplessa non capendo il perché del suo rifiuto, ma lui alzò la mano ridacchiando, indicandomi un punto dietro la mia schiena. Mi voltai di scatto per poter vedere, proprio lì di fronte a noi, seduto al tavolo della cucina, Henry che ci stava guardando con un espressione sia divertita che imbarazzata.
«Henry», sussurrai mentre le mie guance avvampavano e la mia mente realizzava ciò che era appena successo. Ero appena saltata addosso al mio uomo davanti a mio figlio adolescente!
«Buongiorno mamma», mi rispose trattenendo una risata.
«Cosa ci fai lì?», balbettai.
«Beh grazie, anche io sono contento di vederti».
Arrossii di più entrando completamente nel pallone. «No, cioè… da quanto tempo sei lì?».
«Dal tempo necessario per aver visto un po’ troppo, Hook mi stava preparando la colazione…».
«Prima che tu mi saltassi addosso, tesoro», intervenne lui ridacchiando. «Comunque anch’io sono contento di vederti». Gli tirai una gomitata, mentre Henry scoppiava a ridere ed io mi sentivo sempre più in imbarazzo. Se Regina avesse saputo quello che era appena successo mi avrebbe ucciso: non era certo un comportamento da madre; non stavo dando affatto il buon esempio a nostro figlio. Cavolo era lui quello che avrebbe dovuto avere gli ormoni in subbuglio, non io.
«Io…». Puntai lo sguardo verso i miei piedi e solo allora mi ricordai che avevo indosso soltanto la maglia del pigiama, che riusciva a malapena ad arrivarmi sotto il sedere. Sotto a quella non avevo niente, e quindi ero praticamente mezza nuda davanti a mio figlio.
«Io vado a vestirmi», dissi tutto di un fiato uscendo di corsa dalla stanza. Li sentii ridere mentre io sarei voluta sprofondare e non dover più tornare da loro.
Una volta di sopra optai per una bella doccia fredda ed impiegai più tempo di quanto fosse necessario per vestirmi e truccarmi. Era stupido, ma speravo che Henry fosse già uscito per andare a scuola quando io fossi riscesa.
Purtroppo quando tornai in cucina lo trovai ancora lì seduto al tavolo accanto a Killian, che stava facendo tranquillamente colazione, come se la scena di prima facesse parte della routine quotidiana.
Presi una tazza e la riempii di caffè e poi mi sedetti davanti a loro senza dire una parola. Sentivo lo sguardo di entrambi addosso, ma io ero ancora un po’ troppo imbarazzata per mostrare la mia solita spavalderia. Non avrei più criticato mio padre e mia madre per certe scene a cui io ed Henry avevamo assistito, io avevo appena fatto peggio.
«Ti ho preparato i pancake Swan», mi disse Killian spingendo un piatto verso di me.
«Grazie», alzai la testa per rivolgergli un dolce sorriso. Era stato un gesto molto carino quello di alzarsi per prepararmi la colazione. La convivenza con il mio pirata per il momento sembrava alquanto perfetta.
«Sono buonissimi», intervenne Henry, «non credevo che sapessi cucinare così bene».
«Quando vivi con una ciurma di soli uomini in mezzo al mare aperto, impari a fare tante cose». Pensai che io conoscevo solo una minima parte delle sue qualità. Chissà quante doti nascoste dovevo ancora scoprire!
«Sono davvero deliziosi», confermai addentandone uno. Dopo il primo morso mi accorsi di aver incredibilmente fame e così mi affrettai a divorare tutta la colazione che Killian mi aveva preparato. Almeno avventandomi sul cibo, dimenticai la mia imbarazzante scena.
«Adesso sì», sospirai sazia, appoggiandomi una mano sulla pancia. «Avevo proprio fame stamattina».
«Già me ne sono accorto», concordò Killian. Riuscii a percepire il doppio senso in ogni singola parola. Alzai la testa di scatto e lo fulminai con lo sguardo.
«Sarà meglio che vada», intervenne Henry. «Comunque se cucinerai tu invece della mamma, tornerò spesso a mangiare».
«Ah grazie tante», replicai sarcastica.
«Beh i suoi pancake sono più buoni dei tuoi». Alzò le mani come se quella fosse una cosa ovvia.
«Comunque Henry», ripresi lasciando cadere il discorso, «di sopra c’è una camera che ti aspetta, lo sai che questa adesso è anche casa tua».
«Certo ragazzino, tua madre ha ragione».
«Sì lo so, ma per ora preferisco stare vicino alla mamma, non è un momento facile per lei; preferisco non lasciarla troppo sola. E poi mamma, dopo quello che ho visto stamattina, è il caso che ti lasci un altro po’ di tempo per abituarti a questa nuova situazione». Così dicendo prese lo zaino ed uscì lasciandomi senza parole, mentre potevo benissimo cogliere l’espressione divertita sul volto di Killian.
«Non una parola», lo minacciai. Alzò la mano e l’uncino in segno di resa, ma la sua espressione restava comunque esplicativa.
«Sono lieta che tu ti diverta», replicai incrociando le braccia al petto.
«Oh andiamo non è certo colpa mia. Io non ho fatto nulla». Non potendo dargli torto restai in silenzio e ricominciai a sorseggiare il mio caffè.
«Comunque grazie», continuò.
«Per cosa?». Lo studiai da sopra la tazza, non capendo se fosse sincero o se stesse ancora prendendomi in giro.
«Per avermi distratto stamattina, ho gradito molto la tua scenetta e non solo per il fatto che mi sei saltata addosso. Mi hai fatto dimenticare del resto per un po’».
«Non c’è di che». Gli rivolsi un ampio sorriso, mentre le farfalle tornavano ad invadere il mio stomaco. Era incredibile come Killian riuscisse ancora ad emozionarmi con una semplice frase.
Stavo sorseggiando l’ultimo goccio di caffè quando Hook parlò di nuovo, cambiando radicalmente argomento. «Emma ti va di accompagnarmi da mia madre stamattina?». Per poco non mi strozzai; il caffè mi andò di traverso ed iniziai ad annaspare in cerca di aria. Lui mi fu subito accanto, ma io faticavo a respirare, tossendo sempre più forte.
«Tieni bevi». Mi porse un bicchiere d’acqua ed io cercai di bere e di riprendere a respirare regolarmente. Avevo le lacrime agli occhi e la vista appannata.
La sua proposta mi aveva completamente spiazzato, era l’ultima cosa che mi sarei aspettata che mi chiedesse. Avevo così tante domande da fargli che non sapevo da quale cominciare: voleva andare da Sylvia per sentire la sua versione? Cosa era cambiato rispetto al giorno prima? Voleva darle la possibilità di spiegarsi in modo da appianare le cose tra loro? E soprattutto era davvero possibile sistemare le cose tra loro? E ce ne erano molte altre…
«Perché?», riuscii finalmente a dire. Quell’unica parola esprimeva la mia più completa confusione.
«Non lo so in realtà. Non sono ancora pronto per sentire la sua versione, se è questo che ti stai chiedendo, ma rivivere con te ciò che è successo… ho bisogno di vederla. Non so neanche bene cosa dirle, ma sento che è una cosa che devo fare». Era evidente che aveva una gran confusione in testa. Il suo cuore, il suo amore filiale, stava lottando contro la sua ragione e la sua parte razionale. La ferita che aveva subito gli impediva di seguire il proprio cuore e il proprio istinto; se da una parte avrebbe voluto tentare di ricostruire il rapporto con sua madre, la prima donna che aveva amato, dall’altra non voleva essere ferito di nuovo come lo era stato in passato.
«Certo che ti accompagno», risposi infine posando la mia mano sul suo uncino. «Fammi solo avvertire mio padre e ci andiamo subito».
 
Poco tempo dopo stavamo entrando nella tenda di Sylvia solo per scoprire che lei non c’era. L’unica persona ad essere lì era la sua amica Mary.
«Se cercate Sylvia è con il dottor Jekyll, è uscita molto presto», ci disse. «Se volete posso andare a vedere se sono nella tenda del dottore».
«Grazie sarebbe molto gentile da parte tua», risposi visto che Killian restava in silenzio. Lanciandoci un ultima occhiata ci lasciò da soli per andare a svolgere il suo compito. Da come ci aveva guardato era evidente che vedesse in Killian e in me una sorta di minaccia; d’altro canto Hook l’aveva guardata appena. Quando gli avevo raccontato ciò che mi aveva detto sua madre, gli avevo anche accennato al fatto che Mary fosse una specie di figlia adottiva per Sylvia. Volevo prepararlo a tutto ciò che avrebbe potuto sconvolgerlo, ma lui non aveva battuto ciglio, come se il fatto che sua madre avesse abbandonato i suoi veri figli ma si fosse presa cura di una bambina del tutto estranea fosse una cosa del tutto naturale.
«Ehi». Mi avvicinai a lui e gli presi la mano.
«Forse venire qui non è stata una buona idea», sospirò.
«Ci stai ripensando?».
«Sì, cioè no. Non lo so nemmeno io».
«Andrà tutto bene vedrai». Così dicendo mi staccai da lui e mi guardai intorno in quella tenda che stava diventando velocemente molto famigliare. Ebbi un sussulto improvviso quando osservai la brandina al lato della tenda. Nascosto sotto il cuscino, ma ancora del tutto visibile c’era un volume che era impossibile non riconoscere: il libro di Henry. Cosa ci facesse lì e come mai ce l’avesse Sylvia furono le prime domande che mi saltarono alla mente. Poi riflettendoci per qualche istante, immaginai che probabilmente era stato proprio Henry a darglielo; sicuramente se non l’avesse trovato avrebbe dato di matto, invece non aveva detto una parola. Quel ragazzino era estremamente furbo e mi sentii immediatamente piena di orgoglio per mio figlio. Stava aiutando Hook all’insaputa di tutti e ciò mi rendeva immensamente felice e fiera.
Guardai Killian che non si era accorto di niente e che non mi stava neanche guardando, perso com’era a giocherellare con i suoi anelli e il suo uncino per ingannare l’attesa. Approfittai della sua distrazione e con un colpo di magia, tirai più su le coperte in modo da nascondere il libro da sguardi indiscreti. Quello evidentemente era un segreto tra Henry e Sylvia ed io avrei fatto come se non avessi visto niente.
«Mi dispiace», disse Mary rientrando poco dopo, «non l’ho trovata».
«Oh non fa niente», risposi riavvicinandomi a Killian.
«Già», proruppe quest’ultimo, «non dirle nemmeno che siamo passati».
L’espressione di Mary cambiò repentinamente sentendo quelle parole. «Beh non credo che dovresti trattare tua madre in questo modo».
Anche il volto di Killian si accese. «E tu chi saresti per dirmi come dovrei trattare mia madre?».
«Io la conosco molto bene e lei non merita certo un simile trattamento».
«Se tu la conoscessi veramente bene non la difenderesti». La rabbia era palpabile dalle sue parole. Lo afferrai per l’uncino cercando di trattenerlo, ma era evidente che fosse più geloso di quanto mi avesse voluto far credere.
«Beh ha commesso un errore, ma è una persona buona e merita una seconda possibilità». Anche Mary si stava scaldando ed ebbi come l’impressione che se non ci fossi stata io la situazione sarebbe degenerata.
«Non mi dire un errore!». Killian mi strattonò per liberarsi ma io non lo lasciai andare. «Credi che abbandonare i propri figli possa essere considerato un misero errore? Sei solo fortunata perché non ha abbandonato anche te, ma non è detta l’ultima parola forse c’è ancora tempo per questo».
La sua frecciatina andò a segno. «Oh avevo ragione!», proruppe alzando ancora di più la voce. «Sei proprio un arrogante, Sylvia si sta struggendo per te, invece non merita di certo un figlio sbruffone come te».
«Basta!», urlai prima che Hook potesse replicare. «Calmiamoci tutti quanti!». Killian sembrò voler protestare, ma il mio sguardo deciso lo fece desistere. Mary mi guardò furibonda incrociando le braccia al petto, ma non aggiunse altro.
«Credo che qui siano volate parole un po’ troppo grosse e che tutti e due abbiate detto cose che non pensate».
«Ah io non di certo», replicò Killian, beccandosi una mia occhiataccia.
«Neanche io». Mi sembrava di avere a che fare con due bambini; probabilmente due bambini sarebbero stati più ragionevoli e diplomatici. Era evidente che entrambi fossero gelosi l’uno dell’altra, ma non era scannandosi tra di loro che avrebbero risolto le cose.
Visto che non potevo vantare nessun ascendente su Mary, mi rivolsi a Killian squadrandolo con sguardo deciso. «Chiedile scusa per quello che le hai detto».
Lui mi guardò come se mi fossi bevuta il cervello. «Neanche per sogno, andiamocene Swan». Così dicendo si liberò dalla mia presa e uscì a passo veloce dalla tenda.
Io sospirai e mi rivolsi a Mary prima di seguirlo. «Per favore di’ a Sylvia che siamo passati». Non aspettai la sua risposta ma corsi dietro a Killian che era già quasi arrivato al maggiolino.
«Bene», dissi quando fui a pochi metri da lui. «È evidente come il rapporto tra Sylvia e Mary non ti dia per nulla fastidio».
Lui mi lanciò uno sguardo torvo. «Non sono stato io a cominciare».
«Ne sei davvero sicuro?». Sospirai cercando di calmarmi e ricordando le parole di mia madre: dovevo stare dalla sua parte. «D’accordo ammettiamo che abbia iniziato lei, ciò non toglie che ti sei comportato come un bambino. Non avresti dovuto risponderle e scendere al suo livello; così facendo le hai appena dimostrato che aveva perfettamente ragione».
Killian non replicò ma emise un semplice ringhio. Si girò per aprire la portiera e mettere definitivamente fine alla questione. Proprio in quel momento percepii dei movimenti in mezzo alla foresta, poco distanti dall’auto; istintivamente mi mossi in quella direzione. Era davvero strano che qualcuno si trovasse in mezzo al bosco, almeno che non ci stesse spiando o non si stesse nascondendo. Con la mano tastai la fondina che portavo alla cintura ed estrassi la pistola.
«Swan dove stai andando?». Sentii i suoi passi seguirmi, ma lasciai perdere Killian e mi concentrai sui rumori e sui movimenti tra gli alberi.
Qualche metro dopo il rumore di una risata mi giunse chiaro alle orecchie, seguita da una voce che ormai era diventata famigliare.
«Dai mai è ridicolo!», stava dicendo Sylvia ridendo. «Come hai potuto pensarlo?». Rimisi a posto la pistola, confortata dal fatto di essere riuscita a trovare la madre di Killian e di non aver fatto un viaggio a vuoto.
«Beh non prendermi in giro, sei stata tu a chiedermelo». Era di sicuro la voce di Jekyll; certamente Mary si era limitata a cercarli nella tenda di lui, senza prendersi la briga di tentare altrove.
Pochi passi dopo riuscii a scorgerli in una piccola radura in mezzo al bosco, del tutto nascosta dall’accampamento. Sylvia stava ridendo con una mano davanti alla bocca mentre l’altra era appoggiata sulla spalla di Jekyll; lui era arrossito ma adesso stava ridendo anche lui. La prima cosa che notai fu la loro confidenza. Sembravano essere molto intimi.
Intimi era la parola esatta per descriverli. Era solo una impressione, ma sembravano conoscersi molto bene e non solo come due semplici amici; c’era qualcosa nei loro sguardi che mi fece subito pensare che ci fosse di più. Sia lui che Sylvia però ci avevano detto di essere solamente amici, Jekyll non aveva rivelato nessuna conoscenza particolare nei confronti dell’alta; la conosceva come il resto dei nuovi abitanti di Storybrooke. Che ci avesse mentito? E se sì perché?
Non ebbi tempo di rimuginare su quelle domande perché sentii le dita di Killian intrecciarsi alle mie, alla ricerca sia di conforto che di coraggio. Anche lui stava osservando sua madre e il dottore, ma non capii se avesse anche intravisto  quello che avevo visto io.
Mentre spostavo il peso da un piede all’altro, un ramo scricchiolò sotto le mie scarpe attirando l’attenzione dei due su di noi. Entrambi si scostarono e guardarono nella nostra direzione. Lo sguardo di Sylvia si illuminò vedendoci, mentre Jekyll si affrettò a nascondere qualcosa nella giacca, qualcosa che purtroppo non riuscii a distinguere.
«Ciao», dissi facendo un passo avanti e trascinandomi dietro Killian. «Eravamo venuti a cercarti, credevamo di aver fatto un viaggio a vuoto».
Il suo sguardo si illuminò ancora di più. «Oh sono contenta che mi abbiate trovato lo stesso».
«Volevamo parlarti», continuai. «Vero Killian?».
«Sì», mugugnò in un tono appena udibile.
«Oh certo». Si rivolse a Jekyll appoggiando inconsciamente la mano sulla sua. «Henry potresti lasciarci soli?».
«Certo. A più tardi». Lo studiai mentre andava via, cercando di intuire qualcosa dalla sua espressione. Presto però dovetti lasciare perdere le mie supposizioni e riportare l’attenzione sugli altri due.
Ci sedemmo su una specie di panchina naturale proprio di fronte a lei, dove prima era seduto il dottore ed io aspettai che uno dei due iniziasse a parlare. Killian cercava in tutti i modi di non guardarla, mentre con la mano stringeva le mie dita sempre più forte; invece Sylvia non gli staccava gli occhi di dosso.
«Ho appena litigato con tua figlia», disse Killian dopo un tempo infinitamente lungo. Non era esattamente quello che avrebbe dovuto dirle, anche se ancora non sapevo bene di cosa si trattasse.
«Mary non è mia figlia Killian», rispose gentilmente.
«Forse è fortunata a non esserlo». Strinsi la sua mano per fargli intuire il mio disappunto.
Sylvia per fortuna sembrò più ragionevole e non raccolse le frecciate del figlio. «So che Mary può avere un carattere un po’ impulsivo alle volte. Mi scuso per quello che può averti detto».
«D’accordo». Rimase di nuovo in silenzio, forse riflettendo su cosa dire o su come iniziare.
Fu Sylvia a toglierlo dall’imbarazzo. «Perché sei qui Killian?».
Rispose alla sua domanda con un’altra domanda. «Lo sapevi? Quel giorno tu lo sapevi?». Per la prima volta trovò il coraggio di alzare lo sguardo e guardarla negli occhi.
Sylvia non ebbe bisogno di delucidazioni. «Sì lo sapevo».
«E l’hai fatto lo stesso». Il suo tono non era interrogativo.
«Killian io…». Lui la interruppe prima che potesse continuare.
«Io ho bisogno di tempo. Non sono pronto per sentire ciò che hai da dirmi; credimi da una parte vorrei sapere la verità ma non credo di essere pronto per ascoltarla. Tu sei mia madre e anche se lo vorrei con tutto me stesso, non posso fare finta che tu non esista quando invece so che sei viva e vegeta».
«Lo capisco».
«Aspetta, lasciami finire. Tu non hai idea di come sia stato per me e per Liam affrontare la tua morte. I primi tempi non avrei desiderato altro che vederti e sapere che eri viva; ma poi mi sono rassegnato al fatto che eri morta e che non c’eri più. Così sono passati tanti anni e poi,  da quando ti ho rivista, ho continuato a pensare che saresti potuta esserci per noi, ma hai scelto il contrario. Hai deciso di non esserci ed io non riesco a passare sopra a questa cosa».
«Quello che ho fatto è stata un’azione orribile», intervenne lei. «Con il mio gesto ho perso tutto e lo so Killian. So che le cose non potranno mai più tornare come prima e per questo non ti chiedo di perdonarmi. Vorrei solo conoscerti di nuovo, se me ne darai la possibilità».
Hook sembrò riflettere sulle parole della madre, ponderando bene la risposta da darle. Alla fine quando parlò il suo tono era appena udibile. «Emma aveva ragione quando mi ha detto che forse stavo reagendo in modo esagerato e che dovevo calmarmi prima di prendere decisioni affrettate. Beh avevi ragione Swan». Mi guardò ed io gli rivolsi un ampio sorriso.
«Posso provarci», continuò riportando lo sguardo su Sylvia, «ma ho bisogno che ci andiamo piano, molto piano. Per gradi».
Il viso di Sylvia si illuminò sorpreso da quelle parole. In effetti ero piuttosto sorpresa anch’io: non mi ero aspettata che quella chiacchierata assumesse quella piega. Non dopo la litigata con Mary.
«D’accordo», acconsentì lei. «Andremo pianissimo Killian, te lo prometto. Posso solo chiederti cosa ti ha fatto cambiare idea?».
«Emma», rispose semplicemente.
«Io?». Lo guardai stupita: cosa avevo mai fatto per indurlo a quel cambiamento? Mi sembrava di aver smesso di fargli pressioni.
«Sì, ieri sera mi ha detto che ho paura di aprirmi con te perché mi hai ferito in modo indelebile e non voglio che tu lo rifaccia. Beh è così, però non posso ignorare quello che sei stata per me. Devo capire chi sei veramente prima di decidere di tagliarti fuori o meno dalla mia vita; sono stanco di piangermi addosso e di avere paura, ma ho bisogno che tu sia completamente sincera con me, non dovrai forzarmi e dovrai stare alle mie regole. Non voglio che tu mi racconti nulla per ora te l’ho già detto. Io non posso fare di più».
«Certo Killian, è già tantissimo. Io non ci speravo neanche».
«Lo so che posso sembrarti lunatico. Ho una tale confusione in testa: da una parte sono arrabbiato con te, sono furioso, e sono deluso e ferito e continuo a pensare al fatto che mi hai abbandonato quando io volevo solo te. Poi però penso a quando ero piccolo, a prima… a come ti volevo bene e a quello che credevo fosse un rapporto speciale. Ho una continua battaglia interiore tra cuore e ragione. Non so chi vincerà, ma so che non può esserci nessun vincitore se non provo a capire chi sei veramente».
«Era un rapporto speciale Killian, lo era anche per me e mi dispiace di averlo rovinato irreparabilmente. Però ricominciamo da capo d’accordo? Stavolta sarò impeccabile te lo prometto». Gli allungò la mano per poter sancire quel loro patto, mentre io facevo del mio meglio per risultare invisibile, sentendomi di troppo tra loro.
Lui lasciò andare le mie dita e strinse titubante la mano della madre. Proprio mentre la stava per lasciare andare, la presa di Killian si fece più stretta, girando la mano di Sylvia con il palmo verso il basso. Il suo sguardo era puntato sul polso della madre e sul suo volto era apparsa un’espressione di stupore. Sembrava fissare incredulo il semplice cordoncino che Sylvia teneva legato al polso.
«L’hai tenuto?», balbettò sorpreso.
«Certo, non l’ho mai tolto Killian. Era importante per me».
«Io… te l’avevo messo… tu…». Non riusciva ad articolare una frase ed io mi ero ormai persa. Potevo solo ascoltare i loro discorsi e sperare che si degnassero di spiegarmi.
«Aspetta». Sylvia si liberò delicatamente dalla presa del figlio e si sporse lateralmente, per prendere quella che doveva essere la sua borsa. Dopo avervi cercato dentro per qualche secondo, tirò fuori un pezzo di carta, che sembrava avere molti anni, e lo porse a Killian. Mi avvicinai di più a lui per poter osservare meglio quel foglio. Era un disegno fatto da un bambino, sembravano una donna con il figlio.
«Liam…», sussurrò Hook senza parole.
«Questo è un disegno che Liam ha fatto per me quando era piccolo. Siamo io e Killian», mi spiegò Sylvia notando la mia espressione perplessa. «Ed il bracciale invece è un regalo di Killian. Solo le uniche due cose che ho sempre avuto dei miei figli. Le ho sempre tenute con me, non è passato un giorno senza che io non avessi vicino le uniche parti che mi erano rimaste di voi».
Vidi Killian boccheggiare a quell’affermazione, ancora incredulo di quello che aveva davanti. Il gesto di Sylvia mi ricordò tanto il mio pirata: Killian aveva portato al collo l’anello di Liam come ricordo del fratello per moltissimi anni prima di darlo a me. Entrambi tendevano a tenere con loro oggetti che potessero creare un legame con le persone che avevano perduto. Erano più simili di quanto immaginassero.
«E tu Killian?», domandò Sylvia riprendendo il disegno che lui le stava porgendo. «E tu l’hai tenuta?». Io mi ero persa di nuovo, ma Hook sembrò capire. Senza dire una parola, smontò la sua appendice e fece una lieve pressione con la punta dell’uncino sulla base del supporto. Dopo lo appoggiò a terra e rigirò il supporto sul suo palmo: quando rimise il braccio a posto, potei vedere che sulla sua mano luccicava una piccola moneta bucata.
«È sempre stata con me», disse puntando lo sguardo sulla madre. Il voltò di Sylvia sbiancò vedendo quel piccolo oggetto e poi i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Dopo reagì di impulso. «Oh Killian». Si alzò di scatto per gettare le braccia al collo del figlio, estremamente commossa dal significato a me sconosciuto di quel gesto. Killian si irrigidì e strinse la mano a pugno sia per non fare cadere la monetina, sia per quel gesto inaspettato; rimase del tutto immobile non ricambiando il suo abbraccio, mentre lei iniziava a baciargli una guancia.
«Il mio bambino… non sai quanto mi sei mancato». Immaginai che Sylvia avesse voluto abbracciarlo e baciarlo fin dal primo istante, ma che si era sempre trattenuta per evitare di peggiorare la situazione. Killian d’altro canto era diventato una statua, completamente spiazzato da quel gesto.
«È troppo», disse infine per indurla a staccarsi. «È troppo ti prego». Sylvia si allontanò di scatto a quelle parole, accorgendosi solo in quel momento di quello che aveva fatto.
«Mi dispiace», disse ricomponendosi, mentre Killian rimetteva la moneta al suo posto nella montatura dell’uncino. «Mi sono lasciata trascinare, non succederà più almeno che tu non voglia».
«D’accordo. Forse è meglio se andiamo Emma». Mi lanciò uno sguardo per indurmi ad alzarmi; io annuii leggermente e mi rimisi in piedi mentre lui faceva lo stesso.
«Solo una cosa Emma», mi trattenne Sylvia. «Ieri sera ho visto tuo figlio». Ecco ciò che confermava le mie ipotesi.
«Sì lo immaginavo», dissi senza riflettere, sorprendendo Sylvia e ricevendo un’occhiata perplessa da parte di Killian.
«Me lo ha solo accennato per messaggio», mi corressi.
«È un ragazzino molto sveglio», continuò. «Doveva cenare con… Regina?». Terminò la frase con tono interrogativo.
«Sì è la madre adottiva, ed è una lunga storia».
«Sì me l’ha detto. Mi chiedevo…. tu ti fidi di questa Regina?». La guardai perplessa non capendo il perché della sua domanda, ma poi mi ricordai che forse lei poteva conoscere solo la Regina Cattiva. Probabilmente aveva sentito parlare di lei e non aveva idea del radicale cambiamento che Regina aveva affrontato.
«Oh sì ciecamente», risposi. «Forse tu pensi che lei sia ancora la Regina Cattiva, ma non è più quella persona. Non lo è più da molto tempo, è cambiata radicalmente ed è una delle persone di cui mi fido di più».
«Ne sei sicura?». Il suo tono era ancora titubante e sospettoso.
«Gli affiderei la mia vita, mi ha aiutato più volte. Non permetterei a mio figlio di frequentarla se la considerassi pericolosa. È assurdo dopo ciò che c’è stato tra noi, ma la considero la mia migliore amica. Ma perché me lo chiedi?».
«Niente… io conoscevo la storia della Regina Cattiva, ma non sapevo che fosse cambiata. ho preferito domandartelo… non vorrei che tuo figlio fosse in pericolo». La sua voce tremò a quelle parole, come se non fosse completamente sincera. Ma probabilmente era solo imbarazzata per avermelo chiesto, non sapendo il rapporto stretto che c’era tra me e Regina.
«Lei è a posto non ti preoccupare. Vero Killian?».
«Sì Regina è okay», rispose sinteticamente. «Andiamo?». Mi rivolse uno sguardo implorante: evidentemente per quel giorno aveva dato anche troppo.
«Certo!», risposi stringendo la sua mano. «A presto Sylvia». Lei ci guardò andare via con un sorriso commosso stampato in faccia, mentre Killian mi tirava in modo tale da tornare al maggiolino il più in fretta possibile. Beh potevo anche concederglielo. Quella giornata aveva completamente stravolto le mie aspettative, ma finalmente Killian era tornato sé stesso e stava cercando di affrontare quell’assurda situazione.

 
Angolo dell'autrice:
Buona domenica a tutti! Eccomi di nuovo qua!
Oggi non mi dilungherò un granché, visto che questo è solo un capitolo di passaggio, in attesa dei prossimi un po' più succulenti!
Vi ringrazio come sempre per leggere e recensire! Mi fa sempre tanto piacere sentire i vostri commenti!
Alla prossima settimana, un abbraccio

Sara
PS. Visto che me l'avete detto in più d'uno, lo confermo: seguo The Vampire Diaries e sì involontariamente Sylvia mi ricorda la madre di Stefan e Damon.

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Capitolo 8
*** 8. Operazione di ricerca ***


8. Operazione di ricerca
 
Quella mattina per evitare la figuraccia del giorno precedente scesi in cucina solamente dopo essermi preparata di tutto punto. Tuttavia, per mia sfortuna, trovai ad aspettarmi solo Killian, che stava facendo colazione tutto solo.
«Ma come? Niente spettacolino stamattina?», mi disse osservandomi entrare nella stanza.
«Smettila di prendermi in giro», lo minacciai, «o non vedrai questo spettacolo per molto tempo». Indicai il mio corpo con le mani facendogli capire cosa intendessi.
«Io non credo proprio». Lasciai perdere e andai a versarmi una tazza di caffè. Un secondo dopo sentii il corpo caldo di Killian abbracciarmi da dietro, le sue labbra che scendevano lungo il mio collo lasciando una scia di baci roventi.
«Che peccato», sussurrò vicino al mio orecchio. «Stamani avevo proprio voglia di vedere la mia Swan senza inibizioni». Appoggiai la tazza sul ripiano e mi girai verso di lui, rimanendo così incastrata tra le sue braccia e il bancone, a pochi centimetri dalle sue labbra. Incatenai i miei occhi ai suoi, perdendomi in quel profondo oceano, e gli passai le dita tra i capelli.
«Ti ho già detto quanto sono fiera di te per come ti sei comportato ieri con tua madre?».
«Sì, tesoro. Me lo hai anche dimostrato più volte».
«Bene». Lo baciai dolcemente chiudendo gli occhi e lasciandomi completamente andare alle sue labbra. Ci scambiammo una serie di baci dolci e lenti, godendo di quel momento di intimità. Per noi che eravamo abituati a non avere un attimo di privacy, trovarci soli in una casa tutta nostra sembrava un sogno.
Intrecciai la mano alla sua, mentre con l’altra afferrai il suo uncino. Gli mordicchiai un labbro e gli rivolsi un dolce sorriso mentre lui continuava a fissarmi con il suo sguardo penetrante.
«Lo sai che questo genere di comportamento non è affatto da te mia piccola Swan?».
«Sì lo so». Negli ultimi tempi ero davvero un po’ troppo sdolcinata e mi rendevo conto che non mi ero mai comportata così con nessuno. L’essere perdutamente innamorata di Killian aveva fatto venir fuori la parte più nascosta di me.
«Mi piace questa Emma così dolce e affettuosa». Mi baciò di nuovo, premendomi di più contro il bancone. Proprio in quel momento il campanello suonò, interrompendoci nel bel mezzo delle nostre effusioni.
«Lo vedi», sussurrai scostandolo dolcemente. «Ho fatto bene a vestirmi prima di scendere». Andai ad aprire aspettandomi di trovare Henry, anche se probabilmente doveva essere già in ritardo per la scuola. Invece quando aprii la porta mi ritrovai davanti Regina, stretta nel suo solito tailleur firmato. Entrò con passo deciso non facendo caso al mio sguardo piuttosto perplesso.
«Bene, sei già pronta. Oggi ho bisogno di te». Si avviò in cucina come se fosse stata casa sua.
«Buongiorno anche a te Regina». Chiusi la porta e mi affrettai a seguirla sempre più confusa e disorientata.
«Sì certo buongiorno. Hook!». Killian le fece un segno col capo, lanciandomi un’occhiata interrogativa.
«Che cosa ci fai qui Regina?», le domandai squadrandola da capo a piedi.
«Stanotte non riuscivo a dormire ed ho avuto un’illuminazione». Si voltò verso di me e mi guardò assumendo un’espressione seria. «Forse ci stiamo concentrando sulla persona sbagliata».
«Che cosa intendi dire?».
«Noi fino adesso ci siamo preoccupati solo di Hyde, dimenticando chi è la causa di tutto questo».
Improvvisamente capii dove volesse andare a parare. «Gold».
«Non può essere sparito nel nulla e non credo che abbia deciso di restare in un altro mondo, con Belle incinta e sotto l’incantesimo del sonno».
«Tu credi che sia qui da qualche parte?».
«È quello che mi devi aiutare a scoprire».
«Non è dal coccodrillo starsene buono nell’ombra», intervenne Killian.
«Beh ma, forse pirata, potrebbe star tramando qualcosa o potrebbe sapere quali sono le reali intenzioni di Hyde. Se non lo troviamo non lo scopriremo mai».
Riflettei un attimo sulle sue parole prima di parlare. «Credo che tu abbia ragione». Regina mi rivolse un’espressione che stava ad indicare “certo che ho ragione”.
«Killian», continuai, «vai alla centrale da mio padre e insieme andate a parlare con il padre di Belle, guardate se riuscite ad ottenere qualche informazione da lui. Io e Regina intanto seguiremo un’altra strada».
«D’accordo Swan». Si avvicinò per darmi un leggero bacio sulla guancia e poi uscì dalla porta di servizio.
«Bene qual è il piano?», mi chiese appoggiandosi al tavolo.
«Beh non dovresti dirmelo tu?», ribattei. «Sei tu che sei arrivata qui come una furia stamattina, pensavo che avessi già le idee chiare».
«Secondo te sarei venuta da te se l’avessi avute? Sbaglio o non eri una cacciatrice di taglie? Il tuo compito era trovare le persone».
«D’accordo», sospirai. «Possiamo trovare un piano mentre faccio colazione? Vuoi del caffè?». Non rispose ma mi rivolse un cenno di assenso. Si sedette al tavolo e io, dopo aver riempito un’altra tazza di caffè, mi accomodai davanti a lei prendendo la colazione che il mio pirata mi aveva preparato. Killian mi stava sicuramente viziando.
«Bene», dissi prima di iniziare a mangiare, «credo che dovremo lasciar perdere qualsiasi espediente magico. È Gold e se non vuole essere trovato di sicuro si sarà protetto contro qualsiasi incantesimo di localizzazione».
«Infatti. Se bastasse un po’ di magia probabilmente sarebbe una trappola».
«Dovremo cercare di capire dove possa nascondersi, se davvero è rimasto a Storybrooke».
«Il negozio e anche casa sua sono esclusi, visto che adesso sembrano essere proprietà di Hyde e dubito che quest’ultimo sia una persona in grado di convivere con Tremotino».
«Già, negozio escluso», confermai a bocca piena.
«Ci sarebbe il cottage dove è rimasto nascosto con Ursula e Crudelia».
«Io lo escluderei», ribattei. «È troppo scontato, chi non vuole farsi trovare raramente usa i soliti nascondigli».
«Beh forse è proprio per questo che potrebbe essere lì», replicò.
«D’accordo lasciamolo in sospeso. Ci sono altri luoghi a Storybrooke dove potrebbe starsene indisturbato senza essere visto da nessuno? Magari qualche posto particolare, pieno di magia…». Mentre  parlavo mi apparve davanti agli occhi il luogo che rispecchiava perfettamente la mia descrizione. Anche Regina sembrava essere arrivata alla mia stessa conclusione.
«La casa dell’Autore», dicemmo contemporaneamente.
«Può darsi che sia un buco nell’acqua», continuai, «ma se c’è un posto dal quale inizierei a cercare è proprio quello».
«Direi di non perdere altro tempo a questo punto». Trangugiai la mia colazione mentre Regina beveva il suo caffè e poi salimmo sul mio indistruttibile maggiolino giallo.
Poco tempo dopo parcheggiai in un punto strategico dietro quell’enorme casa, in modo che la mia macchina fosse completamente nascosta. Se Gold era lì dovevamo contare sull’effetto sorpresa.
In realtà la casa sembrava completamente abbandonata, niente faceva presagire che qualcuno vi stesse abitando in quel momento. Era esattamente come l’ultima volta in cui ci ero entrata; ovviamente quello doveva essere l’effetto desiderato da chiunque volesse nascondersi lì dentro.
«Credi che sia protetta da qualche incantesimo?», domandai a Regina.
«Non lo so», mi rispose incerta. «Ma penso che lo scopriremo presto». Ci avvicinammo con passo furtivo alla porta di ingresso e, visto che la pistola non mi sarebbe servita a granché, mi preparai ad usare la mia magia al minimo segnale.
Ci fermammo davanti alla porta, ma non accadde nulla. Le ipotesi erano tre: o era effettivamente disabitata, o Gold non ci aveva viste, cosa improbabile conoscendolo, oppure l’incantesimo di protezione si trovava oltre la porta.
«Sei pronta?», consultai Regina preparandomi ad aprire. L’altra annuì per conferma. Quando appoggiai la mano sul pomello e lo girai, l’uscio non fece resistenza e si aprì cigolando. All’interno tutto era buio e sembrava davvero che lì non ci fosse nessuno.
Regina entrò prima di me, ma ancora una volta non accadde niente. Entrai anche io ed abbassai le mani delusa quando mi osservai attorno. Era tutto esattamente come lo ricordavo, non c’era niente di diverso e purtroppo non c’era neanche nessuno.
«Eppure ero sicura che potesse essere qui», sussurrai frustrata.
«Già», confermò Regina. «Forse stiamo solo perdendo tempo e Gold non è nemmeno in questo mondo».
«Io non penso che la tua intuizione sia sbagliata», replicai. «Credo davvero che Tremotino si nasconda da qualche parte qui a Storybrooke ed ho come il presentimento che non stia combinando niente di buono».
«Come al solito no?», sorrise amaramente.
«Il fatto che abbia lasciato Storybrooke ad Hyde non mi convince. Gold non farebbe mai un accordo simile, almeno di non trarne lui il maggior vantaggio».
«E credi che le informazioni che Hyde gli ha fornito, non siano un vantaggio sufficiente, giusto? Beh la penso esattamente nella stessa maniera».
«Comunque», conclusi, «sarà meglio controllare tutta la casa. Magari salterà fuori qualcosa di utile». Ispezionammo tutte le stanze, ma come era prevedibile non trovammo nulla. Per ultimo entrammo nella sala segreta che aveva trovato Henry, quella con tutti quei libri bianchi; era l’ultima possibilità ma anche in quel caso non avemmo fortuna.
«Niente», sospirai. «Solo un enorme buco nell’acqua».
«Già». Regina assunse un’aria pensierosa iniziando a guardarsi attorno. Anch’io osservai quella enorme sala, così identica a quella dove avevamo trovato il libro con la storia di Ade nell’Oltretomba. Mi chiesi se esistessero dei libri sulle storie mai raccontate, ma probabilmente se si trattava di storie perse nessun Autore si era mai preso la briga di scriverle.
«Beh forse dovremmo andare a controllare anche il cottage, come avevamo ipotizzato», propose Regina con un tono piuttosto sconsolato. «Anche se con il passere del tempo la mia idea mi sembra sempre più ridicola».
«Sì forse hai ragione». Ci avviammo verso la porta, quando un piccolo particolare attirò la mia attenzione. Era un dettaglio insignificante, ma una cacciatrice di taglie come me sapeva che anche il più piccolo particolare poteva essere fondamentale.
«Aspetta». Mi avviai verso uno scaffale pieno di quelli che, a quanto sapevamo, dovevano essere libri non ancora scritti. Regina mi osservò non capendo, ma senza aggiungere una parola mi seguì e si fermò accanto a me.
«Vedi», le feci notare, «questo libro è spostato». Non era in linea con gli altri, ma sporgeva in fuori per pochi millimetri. Poteva sembrare una stupidaggine, ma in un luogo come quello, dove regnava l’assoluta simmetria e precisione, anche quel piccolo particolare assumeva una sfumatura diversa.
Estrassi il libro e mi avvicinai al tavolo più vicino. Se davvero si trattava di un libro intonso, non aveva senso che fosse spostato. Poteva essere una semplice coincidenza, ma sentivo che non era così. Ed infatti appena lo aprii i colori vividi di una raffigurazione mi balzarono agli occhi. Accanto ad esse la scrittura regolare tipica della penna dell’Autore raccontava la storia di quella immagine.
«Credevo che questi libri fossero tutti bianchi?», disse Regina, sfiorando il bordo con un dito.
«Anche io». Mi immersi nella lettura e appena capii a chi appartenesse quella storia ebbi un sussulto.
«È la storia di Hyde», sussurrai mentre anche Regina arrivava a quella conclusione, leggendo le frasi che avevamo davanti.
«Credevo che il libro del Dottor Jekyll e Mister Hyde fosse rimasto a New York», dissi. «Pensi che Henry l’abbia preso e nascosto qua?».
Regina mi guardò scuotendo la testa. «No i libri che ha trovato a New York sono rimasti là. Ne sono certa. Henry non ha niente a che fare con questa storia».
«E allora chi diavolo lo ha messo là?». Continuai a sfogliarlo incredula, osservando le raffigurazioni che accompagnavano la storia di quei due personaggi.
«Non chi diavolo lo ha messo, ma chi diavolo li ha messi?». Mi voltai verso Regina, che non era più accanto a me ma era tornata alla libreria. Teneva in mano un altro libro, anch’esso completamente scritto; per terra un altro era aperto e anch’esso aveva riportata una qualche storia.
Andai da lei e l’aiutai a portare quanti più libri potevamo sopra il tavolo.
«Credi che qui troveremo delle risposte?», le chiesi quando la vidi diligentemente sedersi davanti al primo ed iniziare a leggere.
Alzò la testa e mi lanciò uno sguardo divertito. «Che cosa credi che ti risponderebbe Henry?».
«Lo so», protestai sedendomi. «Ma mi conosci, sono più un tipo a cui piace l’azione». Afferrai anch’io un libro e solo allora notai che lei aveva preso quello che riguardava Hyde e Jekyll. Sperai che potesse trovare qualcosa di utile.
Cominciammo a sfogliare quei volumi enormi e scoprimmo fin da subito che tutti riportavano le storie dei nuovi abitanti di Storybrooke. C’erano la storia di Simbad il marinaio, Aladin, Jafar, il Conte di Montecristo e di molti altri, tutte persone avevamo registrato col censimento. Erano molti libri, ed era davvero difficile che qualcuno fosse riuscito a portarli tutti lì e a disperderli con così tanti altri.
All’improvviso ebbi un’intuizione. «Credo che nessuno li abbia messi qui». Regina alzò lo sguardo e mi fissò scettica aspettando che continuassi. «Insomma ciò voglio dire è che il libro di Henry ha qualcosa di magico, non è un normale libro e neanche questi. In più Henry è l’Autore, ma non è stato lui a scrivere queste vicende; cioè ce lo avrebbe detto, non credi? Secondo me le storie sono apparse quando i personaggi sono arrivati a Storybrooke. Pensaci avrebbe un senso».
«Qui non sono più storie perdute», sussurrò confermandomi che aveva capito.
«Esatto, adesso anche loro hanno la possibilità di raccontare la loro storia». Passammo il resto della mattinata a leggere libri su libri, scoprendo sempre più nuovi personaggi. Mi chiesi se avrei trovato anche la storia di Sylvia. Era probabile che ci fosse anche lei e in quel caso cosa avrei dovuto fare? Non avrei dovuto leggerla quello era sicuro, ma dovevo lasciare che lo facesse Regina? Non mi sembrava giusto nemmeno quello.
Scacciai quei pensieri andando a prendere il pranzo da Granny. Nel frattempo ricevetti un messaggio di Killian che mi diceva che lui e mio padre non avevano avuto la nostra stessa fortuna. Il loro era stato davvero un buco nell’acqua.
Sorrisi leggendo il suo sms, pensando che il mio pirata ultracentenario aveva fatto passi in avanti con la tecnologia. Gli risposi rimanendo sul vago e dicendogli che invece io e Regina sembravamo aver trovato una pista. Che ci portasse da qualche parte era ancora da vedere.
Quando tornai trovai Regina che sfogliava uno dei tanti libri con un’espressione seria.
«Trovato qualcosa?», le chiesi passandole il sacchetto con il suo pranzo.
«Non ci avevo fatto caso prima, ma rileggendo la storia di Jekyll ed Hyde, penso di aver capito cosa voglia».
«Chi Hyde?», le chiesi addentando il mio panino.
«Già». Trasse un profondo respiro prima di continuare. «Vuole vendetta».
La guardai cercando di assimilare ciò che mi stava dicendo. «Vendetta nei confronti di chi?».
«Del dottor Jekyll, credo che dia la colpa a lui se è diventato quello che è». Chiuse il libro e mi fissò con uno sguardo serio ma anche triste.
«Cosa te lo fa credere?». Ancora non capivo come fosse arrivata a quella conclusione.
«Emma ricorda: cattivi non si nasce ma ci si diventa». Per evitare di continuare iniziò a mangiare, ma io sapevo che c’era di più sotto; anche se non aveva parlato in prima persona, sapevo che lei stava pensando alla sua parte di oscurità.
«Regina», afferrai la sua mano da sopra il tavolo, «Hyde non è come te, lui è la “Regina Cattiva” di Jekyll». Mimai le virgolette con le dita. «Qui non c’entra il possedere una parte di oscurità, lui è tutto ciò che c’era di oscuro nel suo alter-ego».
«Non è così semplice Emma», ribatté. «Quando ho distrutto la Regina Cattiva io ho distrutto una parte di me, ma, per quanto possa sentirmi libera adesso, devo riconoscere che non sarei quella che sono se lei non fosse stata una parte di me». Capivo ciò che voleva dire, era sempre il solito discorso: l’esperienze che tutti noi avevamo vissuto nel bene o nel male, nella luce o nell’oscurità, ci avevano fatto diventare le persone che eravamo in quel momento.
«Quindi tornando ad Hyde», tagliai corto, capendo che lei non voleva continuare a parlare di sé, «pensi che voglia vendicarsi di Jekyll?».
«Sì, leggendo la storia si capisce che fu il dottore a far sì che la parte oscura prendesse forma, fu lui ad alterare un equilibrio naturale. Se ci pensi ogni persona ha dentro di sé una parte buona e una parte più oscura, è quanto prevale l’una sull’altra che ci rende eroi o cattivi».
«È per questo che sei preoccupata», intuii, «perché pensi che avendo distrutto la tua parte oscura tu abbia alterato un equilibrio naturale».
«Non lo so», rispose sbocconcellando il suo panino con le dita. «So solo che non potevo più continuare a combattere costantemente per far prevalere la mia parte buona, però ho dovuto eliminare una parte di me. È difficile da spiegare Emma».
«Ho capito», le rivolsi un sorriso e cambiai definitivamente argomento. «Quindi credi che dovremo proteggere Jekyll?».
«Non lo so, ma ho come il presentimento che se Hyde farà qualcosa sarà a discapito della sua controparte».
Annuii e tornai a mangiare il mio panino. Finimmo di pranzare in silenzio e poi ci rimettemmo a sfogliare quei nuovi libri, sperando di trovare qualcosa di più. Ogni nuova pagina che sfogliavo mi faceva tremare: da una parte temevo di leggere scritto il nome di Sylvia e dall’altra non aspettavo altro che trovare la sua storia. Ad ogni nuovo racconto che trovavo imperversava una lotta tra il mio cuore e il mio cervello.
«Emma guarda». Dopo un silenzio che sembrava essere durato ore, nelle quali nessuna delle due aveva trovato niente di interessante, Regina aveva parlato ed il suo tono non lasciava presagire niente di buono.
Alzai lo sguardo e fissai ciò che mi stava indicando. Nel libro che stava leggendo, proprio sotto le sue dita c’erano i segni di alcune pagine strappate.
«Mancano delle pagine, solo in questo punto».
«Di chi è la storia? Si capisce?». Regina tornò a leggere l’ultima pagina prima delle strappo e poi alzò lo sguardo verso di me. Avevo già capito ancor prima che parlasse.
«Indovina un po’? Della cara mammina di Hook». Mi alzai dalla sedia e andai al suo fianco per poter osservare meglio il libro, o per meglio dire lo strappo.
«Credi che sia stata lei?», mi chiese.
«No, ne dubito. Non credo sappia dell’esistenza di questo libro».
«Allora chi diavolo può essere interessato alla storia di Sylvia?». Nel sentire la sua domanda ebbi un flash: Sylvia che rideva appoggiando la mano sulla spalla di Jekyll, quella complicità e quell’intimità che avevo colto. Se Regina aveva ragione sul fatto che Hyde volesse vendicarsi del dottore, non c’erano dubbi su chi fosse in possesso delle pagine mancanti.
«Hyde», sussurrai.
«Hyde? Che cosa c’entra lui adesso? Credevo che tu avessi appurato che non c’era nessun collegamento tra loro due?».
«Infatti non c’è, ma c’è con Jekyll».
«Swan spiegati meglio». Mi rimisi a sedere sospirando e mi preparai a rivelarle i miei sospetti.
«Ieri quando sono andata con Killian da lei, l’abbiamo trovata in mezzo al bosco con il dottore. Non so dirti con precisione cosa stessero facendo, ma ho avuto la sensazione che fossero intimi, molto di più che due semplici amici o conoscenti».
«Non è quello che ci ha detto Jekyll. Tu credi che ci abbia mentito?».
«Non ne sono sicura, ma il modo in cui lui la guardava, il modo in cui lei gli parlava… io non lo so Regina può darsi che mi sia immaginata tutto, ma credo che Jekyll sia innamorato di Sylvia e che lei lo ricambi».
«Beh ovviamente Jekyll dovrà spiegarci molte cose, a partire dal perché ci ha mentito».
«Credo che l’abbia fatto per lei, per non peggiorare la sua situazione ulteriormente», ipotizzai. «Ma comunque se è davvero così non è da escludere che Hyde voglia vendicarsi di Jekyll sfruttando Sylvia».
«Ed è probabile che in quelle pagine ci sia la sua arma segreta. Emma tu non sai proprio nulla della sua storia?».
«No e neanche Killian, ma è evidente che non possiamo più continuare a non conoscerla».
«Beh forse quel testardo di un pirata cambierà idea dopo che gli avrai raccontato ciò che abbiamo scoperto». Poteva avere ragione, ma non era sicuramente un bene forzare Killian ad ascoltare una storia che non era pronto a sentire.
«In quel che resta della storia non c’è scritto niente di interessante?», indagai per cercare di capire di cosa si trattasse.
«No è solo all’inizio. C’è giusto l’introduzione». Osservò la pagina rileggendola velocemente. «Niente di particolare, solo verso la fine cita un certo Zoso… il nome non mi è nuovo...».
Mi bloccai paralizzata sentendo quello che mi aveva detto. «Zoso?». La mia voce uscì strozzata e il mio cuore iniziò ad accelerare mentre il mio cervello calcolava tutte le possibili implicazioni.
«Sì sai chi è?».
«Era il Signore Oscuro, il predecessore di Tremotino». Anche Regina rimase a bocca aperta paralizzata da quella notizia.
«Cosa…?». Cercò di parlare ma era ancora troppo scioccata. «Il Signore Oscuro?».
«Già! Pensavamo che potesse avere qualcosa a che fare con Hyde e invece è molto peggio!». Se Sylvia era implicata con il Signore Oscuro, potevamo solo immaginare cosa potesse realmente significare.
«Tu pensi che sia stato Gold a strapparle?».
«No, penso ancora che sia stato Hyde, ma credo che il segreto che Sylvia nasconde sia più oscuro di quanto pensassimo». Inevitabilmente il mio pensiero andò subito a Killian: non solo tutta la sua vita era stata dettata dalla presenza del Signore Oscuro ma forse perfino la sua infanzia, anche se da un’Oscuro diverso.
«Sono un sacco di novità», sospirò Regina.
«Devo parlare con Killian», dissi alzandomi. Non avevo la minima idea di come comunicargli quello che avevamo scoperto né come avrebbe reagito, ma dovevo assolutamente dirgli tutto il prima possibile.
«Facciamo così, torniamo a casa tua. Tu parli con Hook e poi ci troviamo tutti al loft dei tuoi per comunicare anche agli altri quello che abbiamo scoperto. Così mentre farai ragionare il pirata, io andrò a prendere Zelena ed Henry».
«D’accordo», acconsentii dato che era l’unica cosa da fare. Non avevamo molte alternative.
Una volta a casa scesi dal maggiolino e salutai Regina che andò verso la sua auto. Sperai di trovare Killian ad aspettarmi, ma entrando nell’appartamento lo trovai vuoto. Decisi di chiamarlo, in modo da farlo tornare lì il prima possibile.
«Pronto Emma?», mi rispose dopo un paio di squilli.
«Sì tesoro. Dove sei? Ho bisogno di parlarti urgentemente».
«Arrivo». Dal suo tono sembrava quasi gli avessi fatto un favore, dovunque si trovasse. Avevo notato che aveva evitato di rispondere alla mia domanda, ma avevo ben altro di cui preoccuparmi.
«Ti aspetto a casa nostra allora».
«D’accordo».
«Ti amo». Non so perché lo dissi proprio in quel momento; forse perché sapevo che stavo per costringerlo a riaprire una ferita non ancora rimarginata. Era troppo presto e lo sapevo, ma non potevamo aspettare oltre: Sylvia doveva raccontarci tutto.
«Ti amo anch’io Swan». Riagganciò, probabilmente non accorgendosi della tensione nella mia voce.
Proprio in quel momento suonarono alla porta. Andai ad aprire chiedendomi chi diavolo mai potesse essere in quel maledetto momento; avevo già troppi grattacapi per la testa. Con mia grande sorpresa ritrovai Regina con un pacchetto tra le mani.
«Regina», le chiesi titubante, «non dovevi andare da Henry e Zelena?».
Sul suo volto passò un’espressione perplessa, ma fu solo un secondo, un guizzo impercettibile del sue labbra, tanto che pensai di essermelo immaginato. «Si certo, però mi ero dimenticata di darti una cosa». Mi porse il pacchetto che aveva tra le mani ed io lo presi titubante.
«Cos’è?», domandai studiando l’involucro.
«Una torta di mele». La guardai un po’ perplessa e un po’ stupita e lei si affrettò a spiegarmi. «Ultimamente dopo ciò che è successo… sì insomma con Robin… non è un bel periodo. Cucinare mi aiuta, ma probabilmente ho un po’ esagerato. Henry mi ha detto che si trasformerà in una mela vivente se mangerà un’altra crostata».
«Strano non mi ha detto nulla». Però aveva accennato al fatto che Regina fosse abbastanza depressa.
«Probabilmente non te l’ha detto per proteggermi. Sai come è fatto? Comunque ho deciso di portartene una».
«Perché non me l’hai data stamattina?», le sorrisi. «Potevo farci colazione!».
«La tua golosità supera ogni limite Swan», mi punzecchiò. «Comunque me ne ero scordata, per questo te la sto dando adesso».
All’improvviso sentii la necessità di non restare sola nell’attesa di Killian. In quell’enorme casa, senza nessuno, avrei potuto rimuginare e non volevo assolutamente pensare a quello che sarebbe accaduto da lì a poco. A partire da come dirlo a Killian fino al segreto di Sylvia o a come Hook avrebbe reagito. Era un duro colpo da affrontare per lui, ed ero proprio a doverglielo dare.
«Hook non è ancora tornato», dissi. «L’ho appena chiamato. Ti va di restare finché non arriva? Magari ci mangiamo un pezzo di torta».
Il suo volto si illuminò alle mie parole e per un istante assunse un’espressione che non riuscii a decifrare. Sembrava inaspettata gioia, ma c’era qualcosa di diverso, qualcosa di strano. Era come se vedessi una parte di Regina che avevo sempre visto poco.
Lasciai perdere e mi diressi in cucina lasciando che lei mi seguisse. Presi due piatti, due forchette, un coltello e due calici.
«Vino?», le chiesi.
«Volentieri». Ne feci apparire una bottiglia sfruttando i vantaggi di possedere poteri magici. Lasciai che lei lo aprisse mentre io tagliavo la torta. Aveva davvero un aspetto invitante.
«Sai mi fa un po’ paura questa tua ossessione per le mele», scherzai mentre le porgevo il suo piatto.
«Dovresti saperlo le vecchie abitudini sono dure a morire», ribadì tendendomi il calice.
«Beh almeno potresti provare a cambiare frutta».
«La prossima volta proverò con le albicocche Swan, d’accordo?», ribatté stizzita.
Le sorrisi e alzai il mio bicchiere. «Direi di brindare a tutto ciò che abbiamo scoperto oggi. Non abbiamo trovato Gold, ma sono emersi particolari piuttosto interessanti».
«Giusto stavo per dire la stessa cosa». Il suo tono mi sembrò calcolato, ma probabilmente era solo una mia impressione. Bevvi un sorso di vino mentre lei faceva lo stesso.
«Adesso però voglio un tuo giudizio sulla torta», mi disse appoggiando il suo piatto ancora intatto sul bancone.
«D’accordo». Tagliai un pezzetto di crostata con la forchetta e me lo portai alle labbra. Annusai l’odore che sprigionava, così dolce e acido allo stesso tempo.
«Ha un odore fantastico», dissi tenendola sulle spine mentre mi guardava impaziente. Avrei dovuto accorgermi che era troppo impaziente.
Addentai la torta e capii subito che c’era qualcosa che non andava. Con quel primo morso sentii le forze abbandonarmi, il mio corpo farsi pesante e le mie palpebre chiudersi, tutto in meno di un secondo. Fu tutto molto rapido ma fui certa di scorgere un’espressione di trionfo sul volto di Regina prima che cascassi in terra completamente addormentata.

 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti! Beh spero che questo capitolo molto SwanQueen vi sia piaciuto.
Ci sono molte novità e molti colpi di scena in una sola volta, come il fatto, forse un po’ scontato, di Hyde che vuole vendicarsi di Jekyll, ma soprattutto la sorpresa del legame tra Sylvia e Zoso, ex Signore Oscuro.
E poi BUM! Se vi chiedevate che fine aveva fatto la Evil Queen ecco a voi la risposta. Spero che la storia non risulti banale, con la torta di mele e tutto il resto, ma avevo bisogno che succedesse una cosa del genere, e andando avanti capirete perché.
Vi ringrazio come sempre e vi do appuntamento alla prossima settimana!
Un abbraccio,
Sara
 

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Capitolo 9
*** 9. Voglio essere sincera con te ***


9. Voglio essere sincera con te
 
Camminavo avanti e indietro senza riuscire a fermarmi. Avevo troppi pensieri che mi frullavano in testa e sapevo che dovevo prendere una decisione al più presto. Ma la mia scelta poteva essere sola una: Killian mi aveva concesso una possibilità e non potevo sprecarla. Mi aveva chiesto di essere sincera e da quando se ne era andato il mio cervello non faceva altro che ricordarmi che gli stavo nascondendo ancora un bel po’ di cose. A partire dal semplice libro di Henry, alla mia storia con Jekyll e ai miei sospetti su Regina.
Guardai il foglietto che stringevo tra le mani e mi decisi ad affrontare la situazione. Avevo rimuginato per tutta la notte e tutta la mattina, ma era arrivato il momento di agire.
Non sapendo come contattare Killian avevo chiesto aiuto a Jekyll, ma lui era solo riuscito a darmi l’indirizzo dei genitori di Emma. Quasi certamente una volta lì, loro avrebbero saputo come rintracciare mio figlio. Dovevo ancora abituarmi a quel mondo e soprattutto a quella nuova situazione con Killian. Probabilmente avrei dovuto chiedergli come e quando potevamo vederci; fosse dipeso da me avrei passato tutto il giorno con lui, tuttavia dovevamo andare per gradi e sicuramente non era pronto ad avermi costantemente appiccicata.
Controllai ancora una volta l’indirizzo sul foglietto prima di entrare nel palazzo che avevo di fronte. Fortunatamente non era stato molto difficile muovermi in quella strana cittadina e avevo trovato la casa senza troppi intoppi. Una volta salite le scale mi fermai proprio davanti alla porta.
Feci un profondo respiro, ma non mi azzardai a bussare e cercai invece di riordinare le idee. Prima di tutto avrei detto a Killian del libro del ragazzino; era la cosa più semplice ed anche la meno grave. L’avevo finito di leggere e l’avevo portato con me, nella speranza di restituirlo al legittimo proprietario. Dopo avrei dovuto assolutamente confessare di me e Jekyll; non sapevo cosa aspettarmi da Killian, ma ero piuttosto sicura che si sarebbe arrabbiato per averglielo nascosto, soprattutto perché sia io che Jekyll avevamo mentito al riguardo; era proprio per quello che volevo dirglielo al più presto, prima che saltasse fuori in qualche altro modo. Ero in una posizione molto difficile, in un equilibrio precario, sarebbe bastato un nonnulla per farmi definitivamente perdere mio figlio. Per questo dovevo assolutamente spiegargli tutto in prima persona, proprio per fargli vedere che ce la stavo mettendo tutta per far funzionare le cose.
E poi c’era la faccenda di Regina. Anche quella era una questione importante, ma ancora più difficile da trattare. Dovevo assolutamente raccontar loro ciò che avevo visto; anche se all’inizio non l’avevo fatto per aver un qualche vantaggio su Hyde, adesso le cose erano un po’ cambiate. Non dovevo per forza sconfiggere Hyde per farmi rivalere agli occhi di Killian, visto che lui mi stava dando una possibilità che non avevo neanche sperato di avere. Certo sconfiggere Hyde era sempre la mia priorità, soprattutto quando pensavo a Jekyll e alla causa della nostra separazione. Sapevo che finché il suo alter-ego fosse stato presente, per noi non ci sarebbe mai stata nessuna possibilità. L’avevo capito quando Henry me l’aveva detto all’epoca e lo capivo tuttora, ma comunque mi spezzava il cuore.
Lasciai perdere Hyde e Jekyll, sentendo una fitta al petto, e tornai a pensare a Regina. Dal libro del figlio di Emma avevo capito chi lei fosse realmente, ma a detta delle parole di Emma stessa lei era cambiata e non era più quella persona. Era stato quello a confondermi, se mi avesse dato un minimo di conferma a quello che avevo visto, una qualche perplessità, non avrei esitato a raccontare tutto. Emma però era stata così accalorata nel difenderla, che accusarla in quel modo mi era sembrato rischioso, soprattutto nei confronti del debole equilibrio che si era stabilito con Killian. Tuttavia ripensandoci con calma avevo capito che dovevo raccontare loro anche quello, almeno magari avrebbero avuto una spiegazione plausibile o avrebbero cominciato a guardarsi le spalle.
Feci un altro respiro profondo e senza esitare oltre mi decisi a bussare. Pochi secondi dopo sentii dei passi provenire dall’interno della casa e successivamente la porta si spalancò.
«Sylvia, giusto?». Era venuta ad aprirmi una donna mora con i capelli corti che teneva in braccio un bambino; l’avevo già vista quando avevo incontrato Killian la prima volta ed immaginai che fosse la madre di Emma.
«Sì buon pomeriggio. Non vorrei disturbarvi ma il dottor Jekyll mi ha dato il vostro indirizzo».
«Entra pure ti prego, e dammi del tu». Mi fece accomodare in un piccolo ma accogliente appartamento. Andò a sistemare il bambino in una culla al lato della stanza, mentre io rimasi in piedi non sapendo bene come comportarmi.
«Immagino che tu sia la madre di Emma», dissi per rompere il ghiaccio.
«Sì, scusami non mi sono neanche presentata: sono Mary Margaret la madre di Emma e questo è mio figlio Neal».
«È un bel bambino», dichiarai non sapendo bene cosa dire.
«Grazie. Ma prego accomodati». Tornò da me e mi fece sedere al tavolo, mentre lei prendeva posto davanti a me. «Allora come posso esserti utile?».
«Ti sembrerà strano, ma sai dove posso trovare Killian? Avrei bisogno di parlargli».
«Oh, è solo per questo? Allora gli telefono subito». Estrasse dalla tasca un piccolo oggetto rettangolare, di cui non capivo bene la funzione; non avevo capito bene neanche cosa stesse per fare. Cosa significava “telefono”?
Dovette percepire il mio sguardo confuso perché si affrettò a spiegarmi. «Sì giusto; con questo congegno posso parlare con Hook a distanza, così lo farò venire subito qua, se per te va bene».
«Oh sì va benissimo!». La guardai affascinata mentre lei si affaccendava con quel marchingegno e poi se lo portava all’orecchio. Mi chiesi se avrei potuto averne uno anche io, avrei tanto voluto poter parlare così facilmente con mio figlio.
«Sì Killian», disse all’improvviso. «Scusami se ti disturbo ma c’è qui tua madre». Restò in silenzio per un secondo e poi continuò. «Sì, dice che vuole parlarti. Il dottor Jekyll le ha dato il nostro indirizzo non conoscendo quello tuo e di Emma». Restò di nuovo zitta e mi osservò, probabilmente ascoltando quello che lui aveva da dire.
«Sì certo, te la passo». Mi sorrise e mi allungò quello strano oggetto. «Vuole parlare con te», aggiunse sottovoce.
Presi quel congegno con mano tremante e me lo portai all’orecchio, non sapendo bene cosa fare.
«Killian?», chiesi sentendomi una stupida a parlare ad un oggetto e non ad una persona.
La voce di mio figlio però mi arrivò chiara all’orecchio. «Sì mam…». Si interruppe ma io ne capii il motivo: non era ancora pronto a chiamarmi di nuovo “mamma” come se nulla fosse.
«Sì sono io», si corresse. «Mary Margaret mi ha detto che mi cercavi».
«Sì, ho davvero bisogno di parlare con te Killian. Lo so che dobbiamo andare per gradi e che non devo forzarti; ma tu mi hai detto che devo essere completamente sincera ed è quello che voglio fare. Per questo ho davvero bisogno di vederti…».
«Ho capito, ma non puoi aspettare? Vorrei che Emma fosse presente…». Avrei potuto aspettare, ma il bisogno di vedere e soprattutto di stare accanto a mio figlio prevalse sul resto.
«No, ti prego vorrei parlartene subito».
«Va bene». Tacque un attimo e poi riprese. «Non rirguarda… vero?».
«No, no», mi affrettai a rispondere, intuendo a cosa si riferisse. «Riguarda altro, però vorrei davvero non avere più segreti con te».
«Okay, puoi aspettarmi lì? Arrivo fra cinque minuti».
«Si certo». Non mi rispose e la sua voce cessò velocemente così come era arrivata. Restituii quell’aggeggio a Mary Margaret e le comunicai che lui sarebbe arrivato di lì a poco.
Non dovemmo aspettare molto, giusto il tempo di qualche convenevole su come mi trovassi lì e su Storybrooke, prima che Killian bussasse alla porta. Mary Margaret andò ad aprire ed il mio cuore scoppio di gioia vedendo la figura di mio figlio, esattamente come succedeva ad ogni incontro. Sembrava impossibile ma lo trovavo ogni volta più bello; era diventato così grande e sembrava essere divenuto l’uomo che avevo sperato diventasse.
«Ciao», esordii alzandomi con l’istinto di andare ad abbracciarlo. Capii subito che era una mossa troppo affrettata e perciò rimasi in piedi a guardarlo come una sciocca.
«Ciao». Si passò la mano sulla testa, in evidente imbarazzo. Fece un passo verso di me, schiarendosi la voce. «Allora volevi parlarmi?».
Feci per parlare ma fui interrotta da Mary Margaret. «Sarà meglio che vi lasci soli, vado a fare una passeggiata con Neal». Non avrei voluto cacciarla da casa sua, ma stavo per affrontare argomenti piuttosto delicati e avremo avuto bisogno di un po’ di intimità.
Stavo per ringraziarla, ma Killian parlò di getto prima di me «No». Mi guardò titubante per un secondo e poi lanciò uno sguardo implorante a Mary Margaret. «No ti prego rimani». In quel momento compresi perché avrebbe voluto Emma con sé: non aveva il coraggio di affrontarmi da solo. Non sapevo se era soltanto spaventato all’idea di rimanere solo con me o se ancora non se la sentiva proprio. Era talmente riluttante all’idea di rimanere da solo nella stessa stanza con me che aveva perfino chiesto a sua “suocera” di rimanere.
«Beh non credo che dovrei», rispose lei presa alla sprovvista. «Penso che siano questioni private». Mi guardò con sguardo costernato, non sapendo come altro replicare.
«Mia madre può benissimo dire ciò che ha da dire anche di fronte a te», ribatté prima ancora che potessi intervenire. «Non è vero, madre?». Aveva rimarcato il tono dell’ultima parola, come a farmi capire che non avevo scelta.
«Sì certo», fui costretta a dire. «Puoi rimanere». Ci sedemmo tutti al tavolo e non potei non notare che Killian prendeva posto accanto a Mary Margaret e non accanto a me; l’unico lato positivo era che così ce l’avevo davanti e potevo studiare senza problemi le sue reazioni.
«Bene», iniziai prendendo un profondo respiro. «Voglio essere del tutto sincera con te Killian e ci sono delle cose che avrei dovuto dirti fin da subito, ma non l’ho fatto. Adesso sono qui per rimediare». Mi guardò con un espressione cupa, ma non disse nulla, lasciandomi continuare.
«Prima di tutto quando ho conosciuto Henry, il figlio di Emma, lui mi ha dato questo». Mi chinai per prendere la borsa che avevo diligentemente appoggiato ai piedi del tavolo. Estrassi il libro, con una certa difficoltà, visto che avevo faticato un bel po’ per ficcarcelo dentro, e lo appoggiai sul tavolo.
«Quel ragazzino è più furbo di quanto pensassi», proruppe Killian vedendo il libro.
«Me lo ha dato affinché potessi conoscerti, anche solo un minimo», lo giustificai.
«Lo hai letto?». I suoi occhi mi scrutarono cauti. Capivo che non sapeva cosa aspettarsi da me, e vedere la sua incertezza nei miei confronti faceva più male di quanto avessi creduto.
«Sì l’ho letto. Volevo sapere chi eri diventato».
«Ed è solo per questo che mi hai fatto venire?». Mi guardò scocciato ma in un certo senso anche sollevato. Sarebbe piaciuto anche a me avere soltanto quel segreto.
«No. Beh questo era il meno a dir la verità». Lo vidi sospirare e appoggiare la mano sul tavolo. Aveva tanti anelli, che probabilmente dovevano essere un ricordo della sua vita da pirata. Mi chiesi se mi avrebbe mai raccontato la storia che stava dietro a ciascuno di loro; ma forse non erano neanche delle storie così belle.
«Potresti rendere tu il libro ad Henry?», tergiversai nella speranza di trovare il coraggio di confessargli di Jekyll.
«Sì ci penserò io», intervenne Mary Margaret.
«Bene». Presi un altro respiro tentando di trovare le parole. «Beh Killian io non so bene come dirtelo… però devo confidarti che ho mentito, non a te direttamente ma ad Emma».
Anche se cercava di essere impassibile lo vidi impallidire alla mia confessione. Tentava di sembrare tranquillo, ma la sua mano iniziò a tamburellare agitata sul tavolo. Tutto il suo nervosismo traspariva da quel semplice gesto. Avrei voluto afferrarla per rassicurarlo, ma non ero nella condizione di farlo: ero proprio io a renderlo nervoso.
E poi all’improvviso, come se anche lei avesse avuto la mia stessa intenzione, Mary Margaret posò la mano su quella di Killian, fermando il movimento delle sue dita. Lui sembrò sorpreso da quel gesto, ma poi quasi istintivamente la strinse cercando conforto in quella stretta. Cercando conforto da me e non in me, stringendo la mano della suocera invece che quella di sua madre. Faceva più male di quanto avessi creduto.
«Continua», disse.
Ricacciai il groppo che mi era salito in gola e mi preparai alla mia confessione. «Non è vero quello che ho detto su me e Jekyll. Non siamo semplici amici e conoscenti».
Mary Margaret spalancò la bocca e intervenne ancor prima di rendersene conto. «Ma anche Jekyll ha detto che…».
«Ha mentito anche lui», la fermai. «Ma vi prego non accusatelo, lui lo ha fatto per me, solo ed esclusivamente per me. Voleva proteggermi».
«Proteggerti?». Era stata di nuovo lei a parlare; Killian invece sembrava come pietrificato. Mi osservava in silenzio non riuscendo ad esprimere una sola parola.
«Sì non voleva che mi accusaste di essere in combutta con Hyde. Perché Killian te lo giuro, non è così! Io non lo conosco nemmeno». Lo guardai supplicante, allungando una mano sul tavolo verso di lui. Volevo fargli capire che io non c’entravo nulla, almeno con quel mostro.
«Ma conosci Jekyll», disse in un sussurro, «e non come ci avevi raccontato».
«No, tra me ed Henry, voglio dire Jekyll, c’è stato di più». Lo osservai attentamente in modo tale da poter capire la sua reazione. La sua espressione, però, rimase impassibile, proprio per non farmi comprendere a cosa stesse pensando.
«Hai una storia con Jekyll?», mi chiese in un tono appena udibile. I suoi occhi si posarono su di me e mi scrutarono attentamente. Mi concentrai su quel profondo oceano per trovare la forza di raccontargli tutto.
«È più complicato di così. Comunque non più, non adesso».
«Però c’è stata?».
«Sì, lascia che ti racconti ti prego». Mi allungai di più e gli afferrai il braccio con l’uncino che aveva posato sul tavolo accanto alla mano; la mano che era rimasta stretta a quella di Mary Margaret.
Si ritrasse impedendomi di tenerlo anche solo per quella sua protesi, ma mi incitò a continuare. «Vai avanti».
«D’accordo. Quando ho conosciuto Jekyll, lui aveva già iniziato i suoi studi da un po’; sentiva che c’era una parte di lui che lo tormentava, quella di Hyde. Aveva trovato il modo per farla uscire, ma si era talmente spaventato e pentito di ciò che aveva fatto, che aveva deciso di prendersi una pausa dai suoi esperimenti. Fu allora che lo conobbi, ma capii subito che lui era più simile a me di chiunque avessi mai incontrato nella Terra delle storie mai raccontate. Diventammo subito amici e poi fu semplice iniziare a provare qualcosa di molto più profondo. Ci incontravamo di nascosto, nessuno sapeva di noi ed era meglio cosi; sapevamo entrambi che l’altro nascondeva segreti che non avrebbe mai potuto raccontare, ma ci andava bene. C’era come un tacito accordo tra noi. Quello che ti ho appena detto su lui ed Hyde, Jekyll me l’ha raccontato solo dopo molto tempo, quando ormai avevamo capito che non potevamo più continuare a vederci. Comunque Jekyll non aveva la minima idea che io avessi dei figli, non sapeva nulla di te, di Liam o del fatto che fossi stata sposata. In certi momenti avrei voluto davvero parlarne con lui, ma mi vergognavo per ciò che avevo fatto, come mi vergogno tuttora, e non volevo che lui mi giudicasse male, anche se in fondo sapevo che non l’avrebbe fatto».
«E poi è finita?». Non riuscii a decifrare il suo tono, non sembrava arrabbiato né rattristato. Il non capire a cosa stesse pensando mi rendeva ancora più irrequieta.
«Sì poi è finita». Iniziai a tamburellare con i piedi sul pavimento, cercando di mantenere una parvenza di calma, almeno di fronte a lui.
«Perché?». Temevo quella domanda ma ero certa che lui me l’avrebbe posta.
«Perché non potevamo più continuare a vederci, era diventato troppo pericoloso». Sentii le lacrime tentare di uscire, ma le ricacciai indietro cercando di essere forte. Come se il ripensare a quella storia non mi facesse star male ogni volta.
«Pericoloso per chi?».
«Per me. Abbiamo smesso di vederci perché continuare la nostra storia avrebbe messo in pericolo la mia vita. Hyde stava prendendo sempre più il sopravvento ed Henry aveva paura che se il suo alter-ego avesse scoperto di me, avrebbe potuto farmi del male o usarmi solo per ferire o ricattare lui». Restai in silenzio e chiusi gli occhi cercando di ricacciare indietro le immagini del nostro ultimo doloroso incontro nella Terra delle storie mai raccontate.
 
Sentivo la sua mano accarezzarmi dolcemente la schiena; disegnava dei piccoli cerchi sulla mia pelle, un gesto semplice ma che trovavo molto dolce.
Nessuno dei due aveva il coraggio di parlare, di dire ad alta voce quello che stava per succedere, perché nessuno dei due aveva la forza per iniziare quella terribile conversazione. Sapevamo entrambi che appena avessimo pronunciato quelle parole, la decisione inevitabile da prendere ci avrebbe separato.
Voltai la testa per osservarlo, disteso accanto a me nel letto, con gli occhi fissi sul mio corpo, ma la mente altrove. Il suo sguardo triste sembrava perforarmi la pelle e probabilmente anch’io avevo la stessa espressione. Sentivo che il mio cuore stava per essere spezzato. Si era già rotto molte volte e sicuramente non sarebbe stato peggio di ciò che avevo già vissuto, ma faceva male lo stesso. Henry era stato l’unico a donarmi un po’ di pace e di serenità, l’unico con cui avessi pensato di poter essere di nuovo felice; ma il destino sembrava avercela con me. Non solo mi aveva donato una vita interminabile, ma anche una vita in cui ero destinata a perdere tutte le persone che amavo.
«Sylvia». Quando parlò la sua voce era un sussurro. «Non possiamo più continuare, lo sai vero?».
Mi tirai su a sedere, coprendomi con il lenzuolo, per poter essere faccia a faccia. Aveva chiuso gli occhi ed appoggiato la testa alla testiera del letto.
«Sì lo so». Non riuscii a resistere e sentii una lacrima rigarmi una guancia. Dovette capire dal mio tono che avevo iniziato a piangere, perché aprì gli occhi e puntò lo sguardo su di me.
«Ehi». Posò la mano sulla mia guancia e mi asciugò le lacrime con il pollice. «Lo sai che non ho altra scelta, che non è quello che voglio».
Appoggiai il viso sulla sua mano, cercando di arginare il mio pianto. «Sì lo so, ma fa male lo stesso». Faceva un male terribile.
«Già». Mi rivolse un debole sorriso, cercando di confortarmi. «Non volevo farti soffrire così».
«Non è colpa tua», ribattei. Quella era una certezza: non era colpa sua ma di Hyde. Anche se lui insisteva col fatto che fossero la stessa persona, io sapevo che non era vero. Lui era il timido dottore, un po’ impacciato, di cui mi ero innamorata e non il mostro che adesso ci costringeva a separarci.
«Mi dispiace tanto Sylvia, ma è necessario». Anche la sua voce era incrinata.
Intrecciai la mia mano alla sua ed abbassai lo sguardo sulle nostre dita unite, per non dover più sostenere quei suoi occhi carichi di dolore.
«Se lui scoprisse di te, se capisse quanto tu sei importante per me, saresti in pericolo ed io non me lo perdonerei mai. Dobbiamo fermarci adesso, quando ancora tu sei al sicuro».
«Lo so che vuoi solo proteggermi Henry, ma chi proteggerà te da lui?». Trovai di nuovo il coraggio di alzare la testa ed incrociare il suo sguardo. Aveva gli occhi lucidi dietro agli occhiali.
«Io sarò al sicuro se tu lo sarai, io e lui siamo ancora la stessa persona. Non può farmi del male».
«Ti amo così tanto», sussurrai sapendo che non avrei avuto più la possibilità di dirglielo.
«Ti amo anch’io». Si avvicinò per baciarmi ed io mi persi nelle sue labbra. Per quanto volessi concentrarmi su di lui, per imprimermi nella testa il ricordo della sua bocca sulla mia, non potevo non ricordare che quello poteva e doveva essere il nostro ultimo bacio.
Appoggiò la fronte sulla mia e mi incatenò al suo sguardo. «Non deve essere per forza un addio. Ti prometto che troverò un modo per separarmi da Hyde e quando l’avrò trovato ed io non sarò più legato a lui, ce ne andremo, scapperemo insieme e ci lasceremo alle spalle tutto il resto. D’accordo?».
Annuii non avendo la forza di parlare, ma fu lui a continuare. «Ti prometto che tornerò da te Sylvia, quando non sarà più un pericolo, quando avrò risolto questo caos che sono stato io stesso a creare… tornerò sempre da te, te lo giuro».
«Io ti aspetterò Henry, te lo prometto. Ti aspetterò sempre». Sbattei le ciglia per riuscire ad inquadrare al meglio il suo volto. Cercai di imprimermi nella mente quel nostro ultimo momento di intimità; non sapevamo se ne avremmo avuti altri e anche se fossimo riusciti ad averli, sarebbe comunque passato molto tempo, troppo tempo.
 
Fu la mano di Mary Margaret sulla mia, a riportarmi alla realtà. Non mi ero accorta di aver cominciato a piangere, ma sentivo le lacrime scorrermi lungo le guance. Alzai lo sguardo su Killian per osservare la sua reazione a quel mio sfogo; mi guardava con un espressione seria ma per la prima volta dopo tanto tempo notai che non riusciva più a distogliere lo sguardo da me.
«Lo ami ancora?», mi domandò anche se dalla mia reazione doveva essere chiaro.
«Sì».
«E lui ama te?». Annuii per confermare. Ero certa anche di quello; glielo avevo letto negli occhi quando ci eravamo rivisti a Storybrooke.
«E allora perché adesso non…?». Lasciò la frase in sospeso ma io ne capii il senso.
«È complicato. È vero, Jekyll è riuscito a separarsi da Hyde, ma lui è qui ed è ancora un pericolo». Annuì ma non domandò più niente.
«Posso chiederti una cosa», intervenne Mary Margaret, «non vorrei intromettermi, ma come ha fatto Jekyll ad evitare che Hyde sapesse di te?».
«Beh penso che sia stato molto difficile per lui. Però all’inizio era Henry a predominare sulla sua controparte; quando Hyde cominciò a prendere il sopravvento, quando assunse il guardiano per controllarlo, capimmo che era troppo pericoloso continuare. Jekyll non poteva più venire da me, sfidando il guardiano e mettendo a repentaglio anche la sua incolumità oltre alla mia».
«Allora perché quando siamo arrivati nel vostro mondo, Jekyll ci ha chiesto di portarlo via con noi? Visto che era riuscito a separarsi da Hyde perché non ci ha chiesto di portare via anche te?». Era stato Killian a parlare, come a voler saggiare i sentimenti di Henry nei miei confronti. Forse la sua era semplice curiosità, ma io volli sperare che stesse invece tentando di proteggermi da una possibile delusione amorosa.
«Jekyll me l’ha confessato», li informai. «Lo ha fatto solo perché credeva che io fossi morta. Avevo già detto ad Emma che prima di arrivare a Storybrooke ero stata molto male, tanto da pensare che fosse giunta la mia ora. Mary lo aveva informato, anche se Jekyll non era potuto venire al mio capezzale; penso che lei gliel’avesse detto perché, anche se Mary non sapeva di noi, aveva intuito qualcosa. Sembrava non ci fossero più speranze per me, lui mi credeva già morta quando vi ha chiesto di portarlo con voi; sperava che in un altro mondo il dolore che provava per la mia scomparsa, sarebbe diminuito. Quando mi ha trovata a Storybrooke non poteva credere ai suoi occhi». Non dissi loro che avevo fatto promettere ad Henry che qualunque cosa fosse successa, a me o a lui, l’altro avrebbe dovuto andare avanti. Soprattutto lui che non aveva vissuto quanto me.
Killian abbassò lo sguardo e rimase zitto, forse rimuginando su tutto quello che gli avevo appena raccontato. Lo osservai aspettando che fosse lui a dire qualcosa, ma dopo un po’ fui io ad interrompere il silenzio.
«Cosa ne pensi Killian?». Non avevo bisogno della sua approvazione, ma mi occoreva di sapere che a lui andava bene, che anche se non lo ammetteva, era contento se mi ero innamorata di nuovo.
«Di cosa?», mi domandò perplesso.
«Di me e Jekyll? Ti prego dimmi quello che ti passa per la testa».
«Non so cosa ti aspetti che ti dica». Mi rabbuiai sentendo quelle parole.
«Non in quel senso», si corresse notando la mia espressione. «Voglio dire, non credo che ti debba dare la mia approvazione. Sei libera di amare chi vuoi, non mi aspettavo di certo che fossi rimasta fedele a mio padre tutto questo tempo, lui di certo non se lo meritava».
«Davvero?». Sulla faccia mi si dipinse un enorme sorriso, quasi a scacciare le lacrime di poco prima.
«Sì». Mi guardò dritto negli occhi e assunse un’espressione che riconobbi all’istante. Era la stessa che da bambino aveva quando era indeciso se dirmi o meno qualcosa. Fui lieta che almeno un aspetto di lui non fosse cambiato e che potessi sfruttare il mio istinto materno anche se in una sola occasione.
«Puoi dirmi tutto lo sai», lo incoraggiai.
Si morse il labbro ancora indeciso se dirmi o meno ciò a cui stava pensando; però alla fine parlò. «Sono contento che tu me l’abbia detto, anche se non l’hai fatto subito e hai mentito. Apprezzo che adesso tu sia stata sincera». Il mio cuore si riempì di emozione e di gioia sentendo quelle parole. Era solo l’inizio, ma era un piccolo passo in avanti.
«E mi dispiace per ciò che è successo con Hyde, ma sono contento che, quando tutta questa storia sarà finita e Hyde non sarà più un problema, tu posso avere qualcuno che ti renda felice». Pronunciò le ultime parole in un tono appena udibile, ma fu allora che riconobbi il mio piccolo dolce e sensibile Killian. Nonostante tutto aveva ancora quel carattere meraviglioso che amavo con tutto il cuore.
«Grazie».
«Bene», cercò di cambiare argomento. «Hai finito con le confessioni?». Purtroppo restava ancora la questione di Regina.
«In realtà no, c’è un’altra cosa di cui vorrei parlarti». Proprio in quel momento una musica si liberò dal giacca di Killian; sembrava provenire dalla sua tasca. Lui, senza scomporsi, tirò fuori un oggetto molto simile a quello che Mary Margaret aveva usato per comunicare con lui.
«Scusate», disse e si alzò per andare verso un lato della stanza.
«Pronto Emma?», parlò a quell’aggeggio. Probabilmente Emma dall’altra parte lo stava usando come aveva fatto stamattina sua madre. Killian ascoltò in silenzio, dandoci le spalle. Io osservavo ogni sua mossa, mentre sentivo lo sguardo di Mary Margaret che mi scrutava con discrezione.
«Arrivo», disse poi. Il tono in cui pronunciò quella parola sembrò pieno di sollievo. Probabilmente Emma gli aveva chiesto di raggiungerlo e lui non aveva esitato ad accettare. Sapevo che per lui era ancora difficile passare del tempo con me, soprattutto senza Emma, però speravo davvero che ascoltasse anche quella mia ultima confessione. Era importante che li mettessi in guardia su Regina.
«Ti amo anch’io Swan», disse infine prima di tornare da noi.
«Mi dispiace ma devo andare via», annunciò. «Devo andare da Emma, è urgente».
«Killian io devo ancora dirti una cosa», protestai.
«Mi dispiace ma adesso non posso. Credo che per oggi le confessioni siano state abbastanza, me ne parlerai la prossima volta».
«Ma…». Feci per ribattere ma lui mi interruppe.
«Ti prego devo andare». Il suo sguardo era implorante ed io non ebbi il cuore di replicare ancora.
«Va bene». Andò via, salutandoci frettolosamente, e lasciandoci da sole. Io avevo sperato davvero di poter rivelare ciò che sapevo su Regina; non avevo iniziato da quell’argomento perché sapevo che probabilmente non mi avrebbe creduto, visto tutto quello che mi avevano detto su di lei.
Per un attimo ipotizzai di dirlo alla madre di Emma; in fondo dal libro di storie avevo saputo che era Biancaneve e chi meglio di lei poteva conoscere la Regina Cattiva? Ma poi pensai che, se Emma aveva cambiato idea sul suo conto, probabilmente l’aveva fatto anche sua madre.
Forse però confessarlo a lei era meglio che tenere ancora quel segreto.
Feci per parlare ma lei mi precedette. «Mi dispiace molto per la tua storia con Jekyll. So cosa significa non poter stare con la persona che si ama».
Colsi la palla al balzo. «Parli della Regina Cattiva?».
«Beh sì e non solo. Sai siamo più simili di quanto tu possa immaginare». Avrei dovuto continuare con la storia di Regina, ma la sua affermazione mi aveva incuriosito.
«In che senso?», le domandai scrutandola.
«Anche io ho abbandonato mia figlia; in realtà sono stata costretta a farlo ma ho come la sensazione che lo sia stata anche tu».
Rimasi un attimo spiazzata. Come era riuscita a capirlo, scambiando con me solo due parole? «Cosa te lo fa pensare?», le domandai non riuscendo a resistere.
«Perché guardi Killian esattamente come io guardavo Emma: così piena d’amore e così mortificata per ciò che è accaduto. Non smetti di fissarlo per un secondo, come se non credessi possibile il fatto che sia finalmente davanti ai tuoi occhi, però dall’altra parte ti rendi conto che non riesci a riconoscerlo, che orami è già grande e che hai perso tutto e nessuno potrà mai restituirti quello che è già stato». Non sapevo se parlava di sé oppure di me, ma era esattamente ciò che provavo.
«Emma ha capito e mi ha perdonato, vedrai che quando sarà pronto lo farà anche Killian».
«Grazie». Non sapevo come ma, nonostante non mi conoscesse affatto, aveva detto proprio quello che avevo bisogno di sentire.
Feci un profondo respiro e tornai a riflettere sulla questione “Regina”. Sentivo una profonda connessione con Mary Margaret, dopo quello che mi aveva appena detto, e sentivo anche di potermi fidare di lei. Potevo raccontarle ciò che avevo visto e contare sulla sua discrezione.
«Senti, anche se Killian non c’è vorrei rivelarti una cosa».
Lei mi guardò perplessa ma mi incoraggiò a continuare. «Dimmi pure».
Proprio quando stavo per aprire bocca la porta di casa si spalancò e il padre di Emma entrò seguito dal ragazzino, una donna con un neonato e anche Regina.
«David». Mary Margaret si alzò in piedi e andò verso il marito. «Che succede?».
«Emma e Regina hanno scoperto qualcosa di importante», disse.
«Sì esatto», intervenne Regina che non appena notò la mia presenza si zittì e mi osservò con aria ostile. Anche gli altri sembrarono accorgersi solo allora della mia presenza.
«Oh mi hai riportato il libro», intervenne il ragazzino, notando il suo libro sul tavolo. «Spero ti sia stato di aiuto».
«Sì grazie». Studiai Regina che non mi toglieva gli occhi di dosso, scrutandomi con un’aria torva. Ricambiai il suo sguardo con la stessa ostilità. Non mi faceva paura, ed io sapevo più cose sul suo conto di quanto potesse immaginare.
«Sylvia volevi dirmi qualcosa?», intervenne Mary Margaret, mentre gli altri si accomodavano in salotto e Regina continuava a fissarmi.
«Non importa, ne parleremo un’altra volta». Non potevo confessare ora davanti alla diretta interessata. «Sarà meglio che vada». Ripresi la borsa, ormai vuota, e feci per avviarmi alla porta.
«Io credo invece che sia meglio che tu rimanga qua», intervenne Regina. Oltre al fatto di avermi dato del tu direttamente, un evidente gesto di scortesia, il suo tono era saccente.
«Emma sta parlando con Hook», continuò, «arriveranno tra poco. Credo che avremo molto di cui discutere quando saranno qui».
Mary Margaret guardò Regina e poi me facendomi cenno di aspettare. «D’accordo», disse, «intanto preparo del tè per tutti». Tornai al mio posto rimuginando su cosa mai potesse volere Regina da me; beh di sicuro anche  io avevo qualche informazione compromettente che potevo usare a mio vantaggio.
Non passò molto tempo che qualcuno bussò alla porta. David andò ad aprire, impaziente per l’arrivo della figlia, ma dietro l’uscio comparve soltanto Killian. La sua espressione era indecifrabile.
«Emma è qui?», domandò in tono preoccupato.
«No, non doveva essere con te?», rispose David confuso.
«Come pirata!», intervenne Regina. «Non dovevi andare da Emma, a casa vostra e parlare? Abbiamo deciso di aspettare proprio perché lei avesse il tempo di spiegarti le novità».
«Infatti», rispose Killian spazientito. «Mi ha chiamato dicendomi di andare a casa perché voleva parlarmi, ma quando sono arrivato non c’era nessuno. Ho provato a chiamarla ma non mi risponde. L’ho cercata da Granny, lungo tutta la strada da casa nostra a qui ma niente. Speravo fosse venuta direttamente qui».
«Come non c’era?». Regina sembrò cadere dalle nuvole. Era davvero una brava attrice.
«Killian che sta succedendo?», intervenne Mary Margaret preoccupata.
Killian sbiancò e nel suo sguardo vidi comparire la paura. «Credo che sia successo qualcosa ad Emma».


 
Angolo dell’autrice:
Buondì a tutti! Per favore non arrabbiatevi con me, ma ho messo in standby la storia di Emma, e ho fatto un piccolo passo indietro, per mostrarvi ciò che è successo mentre Emma e Regina facevano le loro ricerche.
Anche se il destino della nostra eroina resta ancora ignoto, ho svelato ciò che è accaduto tra Sylvia e Jekyll. Siccome la loro storia è nata spontanea mentre scrivevo qualche settimana fa, questo capitolo in origine doveva essere diverso, più incentrato su Sylvia e Mary Margaret, ma in realtà mi piace molto il cambiamento che ne è uscito fuori.
Ringrazio come sempre chi legge la mia storia e chi recensisce; inoltre vi comunico che, visto che fra pochi giorni finalmente parto per il mare, dovrei pubblicare il decimo capitolo giovedì prossimo e non domenica. Un piccolo regalo in anticipo visto che poi vi lascerò senza per un paio di settimane.
Un abbraccio e a prestissimo!
 
Sara
 

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Capitolo 10
*** 10. Dove sei Swan? ***


10. Dove sei Swan?
 
«Credo che sia successo qualcosa ad Emma». Pronunciai quelle parole sentendo la paura crescere ad ogni istante. Non avevo la certezza di quello che avevo appena affermato, ma sapevo che era così, nel profondo sentivo che Emma era in pericolo; non poteva esserci altra spiegazione.
A quell’affermazione nella stanza crebbe il panico e, come conseguenza, iniziarono a parlare tutti insieme tempestandomi di domande, con troppe domande a cui non sapevo rispondere.
«Calmiamoci un attimo», intervenne Regina. «Com’è possibile che sia successo qualcosa ad Emma? Hook l’ho lasciata a casa vostra ad aspettare te. Non è passata neanche un’ora, non giungiamo a conclusioni affrettate».
«Io non giungo a conclusioni affrettate», ruggii. «Emma mi ha chiesto di vederci, sono andato da lei e quando sono arrivato non c’era, ho provato a chiamarla e non risponde. Ti sembra che siano conclusioni affrettate? Non è un comportamento da lei». La casa vuota, lei che doveva essere lì ad aspettarmi, invece era tutto intatto come l’avevamo lasciato quella mattina. La mia Swan non si comportava così.
«Beh pirata, quello che mia sorella vuole dire è che magari ci stiamo preoccupando per niente», intervenne Zelena. La fulminai con lo sguardo; non avevo tempo di mettermi a discutere con loro. Io sentivo che le era successo qualcosa, non mi importava che mi credessero o meno, dovevamo intervenire.
«So che le è accaduto qualcosa, io lo so e basta», protestai. Non era una spiegazione sensata ma era così: noi eravamo uniti in un modo che non potevano comprendere. Non condividevamo lo stesso cuore come i suoi genitori, ma le nostre anime erano altrettanto collegate.
«E cosa pensi che le sia successo?», intervenne Mary Margaret, la voce carica d’ansia. Almeno lei era preoccupata quanto me.
«Se lo sapessi, non sarei di certo qui», risposi brusco. Non volevo essere scortese con lei, non dopo come mi aveva sostenuto quel pomeriggio, ma avevo troppa paura per riuscire ad essere anche gentile.
«Dovreste chiederlo a Regina», parlò mia madre. Ci voltammo tutti a guardarla; non mi ero neanche accorto che fosse ancora lì. Era rimasta in disparte per tutto il tempo ed era la prima volta che interveniva.
«Cosa? Che diavolo c’entro io?», ribatté la diretta interessata. «Ho appena detto di averla lasciata sana e salva, in attesa del pirata. Non sono certo la sua baby-sitter!».
«Non è la verità», replicò puntando lo sguardo su di lei. «Io so chi siete realmente, Vostra Altezza».
Vidi Regina infervorarsi, mentre Mary Margaret allungava una mano per trattenerla. «Ma davvero? Allora perché non dici a tuo figlio chi è realmente la sua cara mammina?». Vidi gli occhi di tutti spostarsi da Regina a me, da me a mia madre e poi di nuovo su Regina.
«Vi ho vista, io so che mentite», continuò Sylvia.
«Cosa? Davvero vuoi giocare a questo gioco? Perché non sarò io a perdere». Non capivo il senso delle loro frasi, ma il loro litigio non era certo quello che ci serviva. Non dovevamo perdere tempo, presto sarebbe scesa la notte e sarebbe stato ancora più difficile rintracciare Emma.
«Calmatevi tutte e due», intervenne David prima che potessi farlo io, «non credo che questo ci aiuterà a capire che fine ha fatto Emma».
«Oh invece sì», continuò Regina. Conoscendola sapevo che, una volta punta nell’orgoglio, non si sarebbe fermata tanto facilmente. «La tua cara mammina Hook ci ha mentito su molte cose, perché non cominciamo dalla sua tresca con Jekyll?».
Mi voltai verso di lei e la fulminai con lo sguardo. «Lo sapevo già», dissi irritato. «Me lo ha confessato questo pomeriggio. Quindi almeno che entrambe non sappiate qualcosa che spieghi la scomparsa di Emma, vi prego di chiudere il becco tutte e due».
Sperare che mi ascoltassero e mi obbedissero era evidentemente chiedere troppo. Iniziarono a parlare contemporaneamente gridando l’una contro l’altra.
«Si è incontrata con Hyde».
«È invischiata con il Signore Oscuro».
«Cosa?», fu la reazione di tutti, mentre io rimasi pietrificato sentendo le parole pronunciate da Regina. Il Signore Oscuro? Era quello il motivo del – non riuscivo neanche a pensarlo –, era quella la causa di tutto? Avrei dovuto sapere che l’oscurità era sempre in mezzo. C’era mai stato un momento della mia vita che non fosse stato dettato dal Signore Oscuro? Anche se Regina non aveva detto nulla di specifico, sentivo che mi aveva appena rivelato quello che non ero pronto ad ascoltare.
Lasciai perdere le mie supposizioni e tornai al presente; dovevo concentrarmi solo sulla mia Swan, dovevo affrontare un problema alla volta. Nella casa era in atto il caos più totale; avevano ricominciato a parlare uno sull’altro e non era di certo quello il modo per trovare Emma.
«Basta!», gridai sovrastando tutti. Calò il silenzio e sei paia di occhi si voltarono a guardarmi.
«Hook ha ragione», mi aiutò Henry, «non scopriremo cosa è accaduto alla mamma urlando l’uno contro l’altro».
«Adesso ditemi tutto ciò che sapete e che potrebbe esserci utile con Emma». Mi voltai verso mia madre in modo che fosse la prima a parlare. Non ero pronto ad affrontare le rivelazione di Regina su Sylvia e il Signore Oscuro, soprattutto in assenza Emma.
Tutti si girarono a guardarla e così lei iniziò a raccontare. «L’ho vista l’altra sera, quando Henry mi ha dato il libro, lei si è incontrata con Hyde».
«Cosa? Ma è assurdo!», protestò Regina. La fulminai con lo sguardo e poi tornai a fissare mia madre in modo che continuasse.
«Era questo Killian ciò che volevo dirti prima, volevo metterti in guardia, ma tu non me ne hai dato il tempo. Regina non è chi dice di essere, sta facendo il doppio gioco; io l’ho vista, ho sentito cosa si sono detti…».
«Ma la sentite!», proruppe di nuovo Regina. «Tutto questo non ha senso! Mi sta accusando di essere in combutta con Hyde quando invece sto facendo di tutto per contrastarlo».
«Mia sorella ha ragione», intervenne Zelena a darle manforte.
«Sylvia», si interpose Mary Margaret, «perché non ci racconti per filo e per segno ciò che hai visto? Può darsi che non fosse Regina e che tu ti sia sbagliata?».
«No, era lei ne sono sicura», rispose senza distogliere lo sguardo da me. «Era sera, ma sono certa che fosse lei. Era vestita in maniera strana, non con gli abiti che usate in questo mondo. Hyde le ha detto che la stava aspettando, l’ha chiamata “Vostra Altezza” e ha detto che potevano aiutarsi a vicenda, che lui poteva farle avere quello che aveva sempre voluto».
«Scusate un attimo», si intromise di nuovo Zelena. «Mi sembra chiaro che ci sta sfuggendo un particolare. Questa donna ci ha detto di non conoscere Hyde e allora come fa a sostenere che Regina stesse proprio parlando con lui?».
«Lei lo ha chiamato per nome», si difese. Spostai il mio sguardo su Regina che era sbiancata sentendo quella confessione. Si era appoggiata alla poltrona dietro di lei e si era messa a sedere.
«Mamma! Ti senti male?», si preoccupò subito Henry.
«Come era vestita?», chiese in un tono appena udibile.
«Cosa?». Mia madre sembrò perplessa, ma poi rispose. «Come la Regina Cattiva nel libro di fiabe».
«Non ero io», disse Regina con lo sguardo basso. Quando alzò gli occhi pronunciò le parole chiave per risolvere quell’intricata matassa. «Era la Regina Cattiva».
«Cosa?», proruppe Mary Margaret. «Non è possibile, vi siete separate e tu l’hai distrutta».
«Hyde ha detto che l’oscurità non è facile da sconfiggere; era a questo che si riferiva. Non c’è altra spiegazione, almeno che lei non stia mentendo. Non ero io ma il mio alter-ego».
Improvvisamente tutte le tessere del puzzle tornarono al loro posto. Se la Regina Cattiva era in circolazione ed era in combutta con Hyde, ciò spiegava anche le parole di quest’ultimo: non sarebbe stato lui a fare il primo passo, ma la sua compare. Per la Regina Cattiva poteva essere fin troppo facile avvicinarsi ad Emma indisturbata, magari fingendosi la sua controparte buona; Emma non avrebbe neanche sospettato del pericolo. Era ovvio che la Regina Cattiva era la responsabile della scomparsa del mio cigno. Ero certo che la mia Swan, ignara di tutto, non aveva neanche creduto di doversi difendere; se solo avesse saputo, se solo avesse sospettato…
All’improvviso sentii la rabbia crescere ed esplodere senza possibilità di contenerla. «Perchè?», urlai contro mia madre. «Perché diavolo non ce l’hai detto subito?». Mi fissò sconcertata dalla mia reazione non sapendo cosa replicare, ma io non aspettavo una sua risposta.
«Certo, so che tu sei abituata a mantenere i segreti, ma era importante! Ora Emma è scomparsa ed è là fuori in balia della Regina Cattiva e di Hyde! Se l’avessimo saputo potevamo fermarli, potevamo impedirlo. Lei sarebbe stata attenta, si sarebbe difesa e l’avrebbe spuntata. Invece no, accidenti a te e ai tuoi maledetti segreti! Ti avevo chiesto di essere sincera e dovevi esserlo fin da subito, visto che stiamo tutti dalla stessa parte! Giuro che se succede qualcosa ad Emma, tu sei morta per me. Capito? Morta. Prega che non le sia successo nulla, prega che stia bene…».
«Hook». Mary Margaret mi mise una mano sul braccio nel tentativo di fermarmi e mi guardò con aria severa. Sylvia intanto aveva iniziato a piangere, ma non poteva importarmene di meno. Emma era la mia priorità e dopo quello che era emerso, era tornata ad essere la mia unica priorità.
«Regina cosa dicevi prima riguardo al Signore Oscuro?», chiese David per cambiare argomento e smorzare la tensione che io stesso avevo creato con la mia scenata.
«Non ha importanza in questo momento», rispose Mary Margaret, salvandomi da un altro discorso che non ero pronto a sentire. «David, Sylvia è rimasta tutto il tempo con me. È ovvio che non c’entra con la sua scomparsa. Adesso dobbiamo capire dov’è Emma e cosa vuole la Regina Cattiva da lei».
«Vendetta», disse Regina. «Vuole vendetta».
La fissammo aspettando che si spiegasse. Lei prese un profondo respiro, cercando di trovare le parole. «Beh non è difficile capire perché ce l’abbia con Emma, devo farvi un elenco completo? Robin è morto, ed anche se non è colpa di Emma direttamente, è stata lei a portarci nell’Oltretomba per salvare Hook e a far sì che Ade lo uccidesse. Per non parlare del fatto che io ho perso di nuovo l’amore della mia vita, mentre lei ha miracolosamente riavuto il suo pirata sano e salvo. E anche prima è stata lei a riportare Marion cioè Zelena in questo tempo, è stata lei a spezzare il sortilegio e a togliermi tutto quello che avevo ottenuto lanciandolo. Per non parlare del fatto che è tua figlia e quindi distruggere lei significa distruggere la persona che odia di più, Biancaneve». In effetti i motivi per avercela con Emma ce ne aveva eccome e questo mi fece ancora di più preoccupare per la sua incolumità. Dovevamo trovarla al più presto.
Anche David giunse alla mia stessa conclusione. «Dobbiamo andare subito a cercarla».
«Possiamo provare con una pozione di localizzazione», suggerì Regina. «Nella mia cripta dovrebbe essercene rimasta un po’, però ci serve qualcosa di Emma».
«Dovremo avere un piano se la Regina ci attacca», continuò Mary Margaret.
«Non ci serve un piano», ribattei. «Non dobbiamo perdere altro tempo, dobbiamo trovarla prima che scenda la notte».
«Per una volta sono d’accordo con il pirata», concordò Zelena. «Non ho certo paura di lei».
«Già», si accodò Regina. «Dobbiamo trovare Emma, prima che l’altra me le faccia del male».
«Per questo non ci serve una pozione di localizzazione», intervenne Henry. «Ha il GPS sul cellulare. L’avete usato per trovare me e Violet, se la mamma ha il telefono con sé possiamo fare lo stesso».
«A casa non c’era. Quando ho provato a chiamarla non rispondeva nessuno», dissi. Tirai fuori il mio congegno e provai di nuovo a contattarla. Ancora una volta squillò a vuoto. «Niente».
«Ecco fatto», disse Henry maneggiando sul suo telefono. «Il suo cellulare è acceso, possiamo partire e raggiungere il punto dove si trova».
«D’accordo», intervenne David. «Se non dovesse essere lì, useremo la pozione».
«Può darsi che non sia così facile», continuò Regina. «Purtroppo la nostra avversaria sa usare bene la magia».
«Per questo sarà meglio muoversi», sbraitai impaziente.
«Aspettate», ci fermò Zelena. «Io non porto mia figlia in una battaglia tra streghe». Proprio ora doveva cominciare ad avere un istinto materno?
«Non guardare me», protestò Mary Margaret, quando Regina si voltò verso di lei. «È mia figlia, io non resto a casa». Maledizione! Nessuno sarebbe voluto restare lì, ma noi non potevamo più perdere altro tempo.
«Resto io con i bambini se volete», intervenne mia madre. Tutti si voltarono a fissarla.
«Io non lascio mia figlia con questa donna. Non mi fido di lei».
«Neanche io», concordò Regina. Non potevo dar loro torto.
Per fortuna intervenne Mary Margaret. «Invece io mi fido di lei. Dobbiamo cercare Emma e non possiamo perdere altro tempo. Zelena ti garantisco che Sylvia non farà del male a tua figlia».
«Sì certo lo giuro», aggiunse la diretta interessata. «Resterò qui e aspetterò il vostro ritorno».
Zelena la guardò scettica, ma alla fine si lasciò convincere e le passò la bambina. «D’accordo».
«Muoviamoci», farfugliai. Lasciai passare Henry in modo tale che ci indicasse la giusta direzione. Era iniziato a piovere, anzi a diluviare, e in meno di un minuto mi ritrovai bagnato fradicio. Anche gli altri con l’ombrello non sembravano messi meglio. Ci si era messa anche la pioggia a rallentarci, oltre al fatto che ci restavano solo poche ore di luce. Sapevo che col buio sarebbe stato ancora più difficile rintracciare Emma, ma io non mi sarei fermato; anche se fossi dovuto stare fuori tutta la notte, non mi sarei arreso fino a che non l’avessi tenuta di nuovo stretta tra le braccia.
Nonostante la mia determinazione, col passare dei minuti sentivo crescere l’ansia e la paura. Sapevo che Emma era forte, ma non era preparata ad uno scontro; non si aspettava di doversi difendere da Regina stessa. Se colta di sorpresa poteva riuscire lo stesso a battere la sua avversaria? Purtroppo il fatto che fosse scomparsa sembrava rispondere negativamente alla mia domanda. Avevo un brutto presentimento e non riuscivo a togliermelo dalla testa. Non osavo immaginare cosa poteva esserle capitato, non avevo avuto così paura da quando l’Oscurità si era impossessata di lei.
Cercai di scacciare quei pensieri e cercai di convincermi che Emma stava bene; doveva assolutamente stare bene. Dopo tutto quello che avevamo passato non sarebbe bastata una semplice Regina Cattiva per rovinare tutto. Non l’avrei mai permesso: avrei lottato con tutte le mie forze e non mi sarei arreso di fronte a nulla. Lei era il mio lieto fine e avrei combattuto con le unghie e con l’uncino per difenderlo.
Quel marchingegno sul telefono di Henry continuò a guidarci fuori da Storybrooke, in direzione del bosco. Ci cominciammo ad addentrare nella foresta che circondava la città; la pioggia era sempre incessante ma la vegetazione riusciva in parte a ripararci. Tuttavia, il terreno era diventato fangoso ed era impossibile correre in mezzo al bosco, evitando radici e rami e per di più stando attenti a non scivolare. In più anche la luce che filtrava tra gli alberi era poca e la notte sembrava dover scendere da un momento all’altro.
«Ci siamo quasi», ci avvertì Henry.
«Dove diavolo siamo?», si domandò Regina, che ormai aveva completamente infangato le sue scarpe col tacco. Almeno il karma era dalla mia parte: probabilmente poco prima mi aveva svelato il grande segreto di mia madre, quindi poteva benissimo dire addio alle sue scarpe firmate.
Scacciai quei pensieri e tornai a concentrarmi su Emma.
«Allora? Dov’è?», chiesi impaziente. Henry si fermò di colpo e iniziò a guardarsi intorno.
«Il segnale dice che è qui». Osservai attentamente la vegetazione che ci circondava, ma non c’era traccia di Emma. Lì c’erano solo alberi e nient’altro.
«Maledizione», inveì David. Si era chinato per raccogliere qualcosa da terra e quando si rialzò riuscii ad intravedere il telefono di Emma nella sua mano.
«Diavolo!». Tirai un pugno all’albero più vicino a me, ferendomi le nocche. Era stato un buco nell’acqua e non avevamo fatto altro che perdere tempo prezioso.
«Aspettate», disse Mary Margaret, «che senso avrebbe portarla nel bosco? Credete che lei stia scappando?».
«Se stesse scappando perché non provare ad avvertirci?», le fece notare Regina. «E poi ricordati che può usare la magia, scappare di corsa da lei non sarebbe la scelta più logica».
«E allora dove la sta portando?», ribatté l’altra.
Fu Henry a rispondere. «C’è solo un posto in mezzo alla foresta che potrebbe interessare la Regina Cattiva: il pozzo dei desideri».
«Se non mi sbaglio non è molto distante», intervenne David.
«Allora muoviamoci». Ricominciammo a correre, per quanto il terreno e la pioggia ce lo permettessero, e poco dopo arrivammo nella radura che circondava il pozzo.
La vidi appena alzai lo sguardo: il suo corpo era riverso a terra, proprio davanti alla struttura di pietra, una chiazza di pelle rossa in mezzo a quel tetro paesaggio.
«Emma!», gridai. Corsi verso di lei, non pensando più ad altro se non a soccorrere il mio dolce cigno, e mi inginocchiai accanto a lei. Era distesa su un fianco col braccio in una posizione innaturale sotto la testa, i capelli completamente infangati, gli occhi chiusi mentre le labbra erano leggermente dischiuse; era talmente immobile da sembrare…
Scacciai quel pensiero e la presi tra le braccia, stringendola a me. Era fradicia, non solo i suoi capelli ma anche i suoi vestiti erano del tutto inzuppati. A parte l’essere completamente bagnata, non c’era sangue intorno a lei o sul suo corpo, non sembrava ferita. Sostenendola con l’uncino, riuscii ad afferrare e a stringere il suo polso con la mano. Tirai un sospiro di sollievo sentendo il suo battito, anche se era tremendamente debole.
«Emma tesoro». David accanto a me fece per avvicinarsi al suo corpo per togliermela dalle braccia. Gli lanciai un’occhiata di fuoco che gli fece capire che era meglio desistere e lasciare che fossi io a tenere Emma.
Anche gli altri ci avevano raggiunti e ci avevamo accerchiato senza che io me ne fossi reso conto. Regina stringeva Henry tentando di calmarlo, mentre Mary Margaret si era inginocchiata proprio di fronte a me.
«Come sta?», mi domandò quest’ultima.
«Il cuore batte ancora, ma è debole», risposi.
«Cosa le è successo?», chiese Henry.
«Non lo so, ma sarà meglio portarla a casa il prima possibile», rispose Regina.
Strinsi più forte Emma tra le braccia e la sollevai, facendole adagiare la testa sul mio petto. David sembrò intenzionato ad aiutarmi a sostenerla, ma il mio sguardo parve ricordargli l’avvertimento di poco prima. Avevo soltanto bisogno di stringerla forte e di non lasciarla più andare. Sarebbe stata bene lo sapevo, ma in quel momento non potevo permettere che nessuno le si avvicinasse.
Feci per incamminarmi, ma Zelena mi precedette.
«Forse è meglio se prendiamo la scorciatoia pirata». Un secondo dopo stavamo svanendo in una nube di fumo verde, per poi riapparire nel salotto di casa nostra.
Adagiai attentamente Emma sul divano, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte con l’uncino. Era così immobile e così pallida, ma riusciva ad essere tremendamente bella anche in quello stato.
«Starai bene tesoro, te lo prometto». Le presi la mano stringendola forte nella mia, sperando in una qualche sua reazione, ma le sue dita rimasero inerti nelle mie.
«Hook spostati», mi ordinò Regina. «Se vuoi che possa guarirla, devi farti da parte». Obbedii solo perché lei poteva curarla con la magia, ma tenni ancora strette le sue dita.
Regina la osservò per un momento con aria pensierosa e dopo passò la mano sopra il suo corpo. In teoria Emma si sarebbe dovuta riprendere, ma in pratica non accadde nulla. La mia Swan non si mosse di un millimetro, rimanendo priva di sensi.
«Ma che diavolo…?». Tentò di nuovo, mentre noi la osservavamo in trepidante attesa, ma ancora una volta non successe niente. Il mio cervello si rifiutava di credere che stesse succedendo davvero; non avevo neanche il coraggio di formulare quell’idea.
«Lascia provare me». Zelena si avvicinò e prese il posto della sorella. Pure lei compì lo stesso gesto con gli stessi risultati. Si accigliò per la sua sconfitta, ma invece di riprovare mi strappò il braccio di Emma dalla mano, per poterle sentire il polso. Si chinò ad osservarla ed io sperai con tutto il cuore che per una volta la Strega Perfida potesse trovare la soluzione ai nostri problemi, anziché essere lei a causarli.
«So perché non funziona», disse infine mentre la guardavamo tutti con il fiato sospeso. «È sotto l’incantesimo del sonno». Tirai un sospiro di sollievo sentendo quelle parole: non era niente di irreparabile e per una volta ero proprio io la soluzione. Avrei solo dovuto baciarla per riuscire a svegliarla e per poter di nuovo vedere i suoi bellissimi occhi scrutarmi fino in fondo all’anima.
Anche gli altri erano giunti alle mie stesse conclusioni e l’atmosfera sembrò alleggerirsi di colpo.
«Beh cosa aspetti Hook», mi pressò David. Era la prima volta che mi incoraggiava a baciare sua figlia. Zelena si alzò ed io mi riportai nella posizione di poco prima. Mi sollevai in ginocchio e accarezzandole una guancia mi chinai a baciarla.
«Aspetta!». Henry mi fermò ad un centimetro dalle sue labbra. Mi voltai a guardarlo con un’espressione dubbiosa stampata in faccia. Anche gli altri si voltarono nella sua direzione, condividendo le mie stesse perplessità.
«Non vi sembra un po’ strano tutto questo?», si affrettò a spiegarsi. «Voglio dire, che senso ha maledirla con l’incantesimo del sonno se sappiamo tutti benissimo che Hook può spezzarlo senza problemi?». In effetti, il ragazzino non aveva tutti i torti; non era dalla Regina Cattiva commettere errori del genere.
«E poi c’è dell’altro», continuò. «Non credete che sia stato tutto troppo facile? Per riuscire a trovare la mamma non abbiamo dovuto né combattere, né superare un qualche incantesimo. Non ha senso! Perché rapirla, usare l’incantesimo del sonno, se poi ritrovarla è stato così facile? C’è qualcosa che non quadra». Dovetti riconoscere una seconda volta che aveva ragione. Nonostante la mia incessante preoccupazione, salvare Emma era stato molto semplice e veloce, troppo semplice e veloce.
«Hai perfettamente ragione Henry», intervenne Mary Margaret. «Non ha senso».
«Tutta la faccenda dell’incantesimo del sonno non ha senso!», ribadì Regina. «Ormai è appurato che quel tipo di incantesimo è del tutto inutile in presenza del Vero Amore. Non l’avrei usato per vendicarmi neanche se avessi ancora la parte cattiva dentro di me».
Osservai Emma, distesa immobile sul divano, e ripensai alle loro parole. La mia Swan era pallida, sporca e bagnata, bellissima anche in quelle condizioni, le labbra più invitanti che mai che chiedevano solo di essere baciate. E se il trucco fosse stato proprio quello? Se svegliare Emma fosse stata una parte del gioco contorto della Regina Cattiva? E se il mio bacio invece di salvarla l’avesse condannata?
«Credete che possa essere diverso stavolta?», chiesi prendendo coraggio. «Voglio dire e se salvarla e svegliarla facesse parte del piano della Regina Cattiva? E se il bacio non avesse l’effetto desiderato?».
«Per quanto la tua ipotesi possa sembrare plausibile», mi rispose Zelena, «quel tipo di incantesimo non è facile da modificare e per quanto mi costi ammetterlo ci sono davvero poche cose che il bacio del Vero Amore non possa risolvere».
«E se stavolta fosse diverso?», domandò David esprimendo i miei dubbi. Ero passato dal non voler aspettare neanche un secondo per risvegliare Emma, al temere ciò che sarebbe successo con il mio bacio.
«Ve lo garantisco», continuò Zelena. «Non sarà il bacio del Vero Amore a condannarla. Ho studiato bene quel tipo di incantesimo e non sono riuscita a modificarlo. Non credo che Regina ci riuscirebbe, senza offesa sorellina». Regina le fece un gesto di noncuranza con la mano.
«Ma…», cercò di parlare Mary Margaret.
«Fidatevi di me», la interruppe Zelena. «Lo so che è difficile, ma vi prego fidatevi di me». Era difficile, ma sapevo che una strega come lei difficilmente si sbagliava su quelle cose.
«D’accordo», fece il punto della situazione Henry. «Ma se possiamo svegliare la mamma senza problemi perché addormentarla? Perché è stato tutto così semplice?».
Quella rimaneva ancora la domanda fondamentale, era stato davvero troppo facile trovarla; talmente facile che avrei potuto cercarla da solo con l’aiuto di quel marchingegno di Henry. Invece eravamo andati tutti aspettandoci il peggio.
Solo dopo che ebbi formulato quel pensiero, capii che avevo appena trovato la risposta.
«Siamo tutti qui», dissi in un tono appena udibile.
«Cosa?». L’attenzione si spostò di nuovo su di me.
«Siamo tutti qui, quando invece non sarebbe stato necessario. E se fosse un depistaggio?».
Improvvisamente tutti sembrarono giungere alle mie stesse conclusioni.
«Credi che sia un diversivo?», mi domandò Mary Margaret.
«Cos’altro se no? È un modo per tenerci impegnati».
«Aspetta un attimo», domandò David, «ma un diversivo per cosa?».
«Per Hyde», rispose Regina al mio posto. Capii subito che aveva ragione, ricollegando il tutto alle parole di mia madre.
«Se ciò che mia madre ha detto è vero», dissi, «la Regina Cattiva ed Hyde sono in combutta. Quindi se noi siamo tutti qui, lui può agire indisturbato. Bisogna capire solo cosa diavolo vuole».
«Questo lo so io», rispose Regina. «È quello che ho scoperto con Emma oggi. Hyde vuole vendicarsi di Jekyll».
«Quindi il dottore è in pericolo?», scattò David.
«No, non lui», lo corresse Regina. «Sylvia». Fu come ricevere un pugno nello stomaco: la consapevolezza della verità nelle parole di Regina mi colpì lasciandomi senza fiato. Qual era il modo migliore di vendicarsi se non attaccare la persona amata dal proprio nemico? L’avevo fatto io con il coccodrillo, colpendo Belle per ferire lui, perché Hyde non avrebbe dovuto fare altrettanto?
Improvvisamente sentii di nuovo la paura crescere dentro di me. Per quanto detestassi ammetterlo, per quanto volessi rimanere indifferente a quella notizia, lei era pur sempre mia madre e non potevo permettere che le capitasse qualcosa.
Mi tornarono alla mente le parole dure che le avevo rivolto poco prima. E se quelle fossero state le ultime parole che avessi potuto dirle? Se non avessi avuto più la possibilità di rimediare? Non le pensavo davvero quelle cose orribili che le avevo detto, ero arrabbiato e terrorizzato per Emma ed avevo finito per prendermela con lei solo perché non c’era nessun altro su cui sfogare la mia rabbia.
Ero stato così testardo, non avevo voluto ascoltarla; e se non avessi avuto più la possibilità di conoscere la verità? E se lei non avesse più potuto conoscere quello che provavo realmente? C’erano troppe domande e troppe questioni in sospeso tra noi.
Le mie riflessioni non dovevano essere durate più di un secondo, il tempo di assimilare la notizia, o forse anche gli altri si erano presi il tempo per riflettere su quella novità.
«Un momento se Sylvia è in pericolo…». Mary Margaret sbiancò e non riuscii a completare la frase.
«Robin!». Zelena pronunciò solo quella parola prima di sparire in una nube di fumo verde.
«Neal!». David e Mary Margaret si guardarono per poi lanciare uno sguardo preoccupato verso Emma.
Regina afferrò il braccio dell’amica per tranquillizzarla. «Vi ci porto io. Hook, tu ed Henry svegliate Emma e raggiungeteci il prima possibile». Per quanto volessi ribattere, sapevo che non avevo altra scelta. Volevo svegliare la mia Emma e allo stesso tempo assicurarmi che mia madre stesse bene, ma le due cose non erano compatibili.
«Killian», mi disse Mary Margaret, notando la mia espressione. «Faremo il possibile, lo sai vero? Tu sbrigati e salva la nostra bambina».
Feci giusto in tempo ad annuire prima che scomparissero in una nube di fumo.
«Coraggio, sbrighiamoci», mi spronò Henry.
Tornai a voltarmi verso la mia dolce Swan, immobile e del tutto ignara di quello che stava accadendo. Le scostai una ciocca di capelli bagnati dalla fronte e senza più esitare posai le labbra sulle sue.


 
Angolo dell’autrice:
Beh buon giovedì a tutti! Domani parto, ma prima di andarmene in vacanza per un paio di settimane vi lascio questo capitolo.
Finalmente è stato svelato ciò che è accaduto ad Emma e i nostri eroi sono riusciti a salvarla. Adesso però è Sylvia ad essere in pericolo.
Ringrazio come sempre chi legge e chi recensisce. Mi date tante idee per poter arricchire la mia storia!
Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo verso la fine di agosto, altrimenti andrò direttamente alla prima domenica di settembre.
Buone vacanze, per chi come me parte o è già in ferie, o comunque buon agosto!
Alla prossima, un abbraccio
Sara

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Capitolo 11
*** 11. Risveglio turbolento ***


11. Risveglio turbolento
 
Era tutto stranamente silenzioso, mi sentivo persa mentre stavo vagando senza una meta ben precisa. Nulla aveva più senso, non c’era niente che riuscisse a risvegliare in me alcuna emozione. Era come se tutto fosse cessato e non riuscissi più a ricordare per cosa lottare. Lottare: avrei dovuto davvero continuare a farlo?
Seguitavo a vagare per corridoi oscuri, in un silenzio inquietante, senza sapere per quanto tempo avrei dovuto continuare a camminare. Sentivo che non dovevo fermarmi ma non rammentavo più il motivo. C’era qualcosa o qualcuno di cui mi sarei dovuta assolutamente ricordare, ma nella mia mente riuscivo a rievocare a stento il mio nome.
Ero così confusa e disorientata; mi sentivo svuotata. Avevo come l’impressione che mi mancasse qualcosa, una parte di me, ma era troppo faticoso tentare di dare anche solo un nome a quella sensazione. Eppure nonostante la stanchezza mentale, sapevo che dovevo continuare a muovermi. Non potevo restare ferma in un punto, se lo avessi fatto mi sarei persa per sempre.
E poi all’improvviso percepii un cambiamento. Sentii qualcosa, una specie di torpore provenire dalle mie dita. Era solo una sensazione, ma non avrei mai più potuto farne a meno. Era qualcosa che avevo già provato ma non riuscivo a focalizzare né quando né dove.
Quella sensazione si spostò sulla mia guancia per poi fermarsi sulle mie labbra. Fu come essere trasportata di nuovo a casa, fu come riprendere a respirare. Ed in effetti ripresi davvero a respirare, anche se non mi ero accorta di aver trattenuto il fiato.
Nello stesso istante in cui i miei polmoni cominciarono a riempirsi, i miei sensi sembrarono risvegliarsi. Il sapore salato sulle mie labbra, il calore intorno a me, quell’odore inconfondibile, mi fecero capire che avevo appena trovato ciò che stavo cercando: il mio Killian, l’unica persona che non avrei mai smesso di cercare. Come avevo potuto scordare la sensazione meravigliosa delle sue labbra sulle mie?
Per confermare quello che già avevo compreso, appena aprii gli occhi un fascio di energia si liberò intorno a noi e io mi ritrovai immersa nel mio oceano personale. «Ehi». La sua voce era roca, le sue labbra curvate in un sorriso e il suo sguardo era pieno di amore.
«Ehi», sorrisi emozionata. «Grazie». Era stupido ringraziarlo proprio in quel momento, ma non potevo fare altro.
«Per cosa Swan?».
«Per avermi salvata». Ero sempre stata capace di salvarmi da sola, nessuno l’aveva mai fatto tranne lui.
«Lo farò sempre», confermò. Mi aiutò a mettermi a sedere ed io automaticamente appoggiai la fronte sulla sua, chiudendo gli occhi, non riuscendo più a staccarmi da lui; lo avevo afferrato per il collo della giacca, in modo che non potesse allontanarsi neanche di un millimetro. La sensazione di poco prima di aver perso qualcosa aveva appena trovato un senso: era la sua assenza che mi aveva fatto sentire come svuotata. Non potevo provare più nessuna emozione senza il mio Killian.
«Mamma, come stai?». Solo sentendo la sua voce mi accorsi che nella stanza c’era anche Henry e solo allora riuscii a mettere a fuoco dove mi trovavo. Ero sul divano nel salotto di casa, ma non ricordavo come ci ero arrivata.
«Henry!». Lasciai Killian con una mano e mi sporsi per abbracciarlo.
Fu solo quando strinsi mio figlio che notai la differenza tra i nostri corpi. Lui era caldo e quasi del tutto asciutto, mentre io ero completamente bagnata. Osservai di nuovo Killian e notai che anche lui era fradicio come me e forse per questo non mi ero accorta di nulla; con i capelli bagnati che gli ricadevano disordinatamente sulla fronte era ancora più bello.
Vedendo il mio sguardo confuso appoggiò la sua mano sulla mia, che continuava a tenerlo per il bavero della giacca; era un’azione semplice ma che riuscì subito a tranquillizzarmi.
«Va tutto bene Swan, sei al sicuro adesso». Mi spostò una ciocca di capelli con l’uncino, con il gesto dolce e familiare che mi faceva impazzire ogni volta.
«Cosa è successo?», domandai perplessa.
«Tu cosa ricordi?», mi chiese invece di rispondere. Mi sforzai di mettere a fuoco ciò che ricordavo, ma era difficile. Avevo una gran confusione in testa e non capivo più cosa fosse stato un sogno e cosa realtà.
«Io e Regina siamo tornate qui», dissi corrugando la fronte per lo sforzo di mettere insieme i pezzi di quel complicato puzzle. «Lei è tornata con una crostata di mele, abbiamo parlato e poi io l’ho mangiata e dopo…». Solo in quel momento realizzai quello che era realmente accaduto: ero stata vittima dell’incantesimo del sonno. Come avevo fatto a non capirlo?
«Ma perché?», balbettai. «Regina…».
«Non era Regina amore», mi tranquillizzò Killian. «Era la Regina Cattiva».
«Ma certo, era così ovvio. C’era qualcosa di strano in lei, ma non capivo cosa… era logico che non fosse lei, avrei dovuto immaginarlo». Come avevo potuto anche solo pensare che Regina mi avesse fatto una cosa del genere? Il mio superpotere stava davvero cominciando a fare cilecca.
«Non potevi immaginarlo mamma». Henry stava rientrando nella stanza – non mi ero neanche accorta che fosse uscito – e mi stava porgendo un asciugamano. Killian lo prese al mio posto ed iniziò a tamponarmi i capelli con gesti rapidi.
«Dobbiamo sbrigarci Swan», mi disse, passandomi delicatamente l’asciugamano sul viso.
«Perché? Che succede?». Ancora conoscevo solo la mia versione dei fatti e non riuscivo a comprendere cosa stesse accadendo. Solo in quel momento un particolare mi risaltò agli occhi: dove erano i miei genitori? E Regina?
«Cosa è successo?», domandai senza dargli il tempo di rispondere a quello che gli avevo già chiesto. «Dove sono tutti? Dove mi ha portato la Regina Cattiva e come avete fatto a trovarmi?».
«Calma Swan, una cosa per volta». Mi tolse la giacca di pelle ed iniziò a strusciare l’asciugamano lungo le mie braccia, tirandomi su le maniche. «Dio sei gelata!». Non mi ero accorta di esserlo, ma non era importante al momento; volevo delle risposte.
Dovette percepire il mio sguardo infastidito perché si affrettò a spiegarmi. «Quando sono arrivato a casa, dopo che mi avevi chiamato, non ti ho trovata; ti ho telefonato ma non mi rispondevi. Quindi sono tornato dai tuoi, ma non eri neanche lì; così ho capito che ti era successo qualcosa. Poi mia madre ci ha detto di aver visto Regina parlare con Hyde e tutto è stato chiaro. Siamo andati tutti a cercarti, io, Henry, Zelena, Regina e i tuoi genitori, e poi per fortuna con quel congegno sul telefono di tuo figlio siamo riusciti a trovarti al pozzo dei desideri. Ti abbiamo portato subito qui…».
«Dove sono gli altri?». Non lo lasciai finire e gli porsi di nuovo una domanda che gli avevo già fatto.
«Se mi lasci parlare Swan te lo dico». Annuii e lasciai che continuasse. «Era tutto molto strano Emma, tutto troppo facile. Henry ci ha fatto notare che non aveva senso maledirti con l’incantesimo del sonno se poi io avrei potuto romperlo facilmente. Abbiamo capito che era un diversivo per tenerci tutti occupati».
«Per Hyde», dissi prima che potesse farlo lui. Ripensai a quello che aveva detto, al fatto che Hyde e la Regina Cattiva si erano incontrati e che sua madre li aveva visti. Un momento… «Cosa ci faceva Sylvia a casa dei miei?».
«Era lì per vedere me, mi ha parlato della sua storia con Jekyll». Ciò significava che avevo avuto ragione fin da subito e che i miei sospetti erano  fondati. Mi tornarono alla mente le novità che io e Regina avevamo scoperto e il motivo per cui avevo chiesto a Killian di vederci.
«Io e Regina abbiamo scoperto alcune cose su di lei», iniziai. Non sapevo neanche come fare a rivelargli la connessione tra sua madre e Zoso.
«Lo so», mi sorprese. «Regina mi ha accennato, ma adesso Swan ti prego non abbiamo tempo». Solo in quel momento mi accorsi dell’impazienza nei suoi occhi, del movimento frenetico delle sue dita nel tentativo di asciugarmi, del suo corpo pronto a scattare. E fu allora che capii di cosa si trattava: il diversivo per Hyde riguardava Jekyll e di conseguenza Sylvia.
«Tua madre», pronunciai quelle parole in un sussurro.
«Non lo so. Era rimasta con i bambini a casa dei tuoi, gli altri sono già là, ma io dovevo svegliarti». I suoi occhi si fecero immensamente tristi e colmi di preoccupazione. Lo scudo con cui aveva tentato di respingere sua madre era finalmente crollato per fare uscire il mio Killian, l’uomo forte e coraggioso ma anche capace di amare con tutto sé stesso. Un uomo tremendamente preoccupato per sua madre.
«Andiamo». Mi affrettai ad alzarmi, mentre vidi Henry rientrare nella stanza. Il mio istinto materno era proprio peggiorato se non riuscivo ad accorgermi neanche dell’assenza di mio figlio! Era la seconda volta che ci lasciava da soli e poi rientrava come se nulla fosse.
«Tenete», disse porgendoci due giacche asciutte. Eravamo entrambi bagnati, ma era meglio di niente visto che non avevamo il tempo di cambiarci.
«Grazie», dissi infilandomela. «Adesso vi porto subito al loft». Cercai di concentrarmi e di visualizzare la casa dei miei genitori; sicuramente il teletrasportarci lì ci avrebbe risparmiato del tempo prezioso. Invece, come per metterci i bastoni tra le ruote, sentii le gambe molli e la stanza iniziò a girare davanti ai miei occhi.
«Ehi Swan». Killian mi sostenne prontamente prendendomi tra le braccia mentre Henry mi afferrò dall'altro lato. Mi appoggiai a Hook cercando di riprendere l'equilibrio e quando riaprii gli occhi notai, con sollievo, che il mondo intorno a me si era di nuovo fermato.
«Sto bene», li tranquillizzai, «devo essere ancora un po' scombussolata per via dell'incantesimo del sonno». Henry mi guardò perplesso, ma non aggiunse niente, decidendo di credere alle mie parole. Killian invece era come al solito molto più ansioso quando si trattava della mia salute.
«Emma sei sicura?». Riuscivo a leggere nei suoi occhi la preoccupazione per me scontrarsi con quella per sua madre.
«Sicurissima», risposi accarezzandogli una guancia e puntando il mio sguardo dritto nel suo. «Credo solo che non riuscirò a teletrasportarci tutti al loft, mi dispiace».
«Non importa tesoro, prenderemo il maggiolino». Incrociò il mio sguardo mortificato e mi rivolse un sorriso di incoraggiamento, anche se carico di tensione. Intrecciò le sue dita alle mie e lasciò che Henry ci precedesse fuori dalla porta.
Anche se non ero riuscita ad usare la magia, riuscii comunque a guidare senza problemi. Così spingendo al massimo il maggiolino, e non curandomi dei limiti di velocità – visto che ero io lo sceriffo nessuno mi avrebbe fatto la multa – arrivammo presto a casa dei miei genitori.
Killian scese rapidamente dall’auto e, dopo avermi lanciato uno sguardo per assicurarsi che stessi bene, mi precedette su per le scale, lasciando che fosse Henry a controllare la mia incolumità. Anche se non aveva detto una parola, avevo percepito il suo sguardo preoccupato fisso su di me per tutto il tragitto; non mi aveva perso di vista un secondo. Quando entrambi erano così protettivi erano davvero esasperanti: alla fin fine avevo avuto solo un piccolo mancamento, e poteva essere del tutto comprensibile visti gli avvenimenti delle ultime ore.
Alzando gli occhi al cielo per le attenzioni di mio figlio mi affrettai a seguire Hook su per le scale. Quando entrammo in casa dei miei genitori, quello che trovammo fu il caos più totale: la casa era completamente sottosopra, come se qualcuno avesse lottato per difendersi.
«Cosa è successo?», domandai guardandomi intorno.
«Emma!». Mia madre mi travolse abbracciandomi e stringendomi così forte da rendermi difficoltoso respirare.
«Emma tesoro per fortuna stai bene». Mio padre si avvicinò tenendo in braccio Neal e mi passò una mano tra i capelli emettendo un sospiro di sollievo. Mi ero completamente dimenticata che avevano temuto per la mia incolumità fino a poco tempo prima e che l’ultima volta che mi avevano visto io ero sotto un sortilegio.
«Dov’è mia madre?», domandò Killian, evidentemente innervosito per quella perdita di tempo. Tutti tacquero e puntarono lo sguardo a terra, non riuscendo a formulare una risposta.
«Cosa è successo?», ripetei. Non ne potevo proprio più di conoscere sempre metà storia.
Per fortuna fu Zelena a rispondermi, scendendo dal piano di sopra e tenendo in braccio la sua bambina. «Quando sono arrivata era già tutto così, non c’era nessuno ad eccezione dei bambini che piangevano da soli sul letto nell’altra stanza. Per fortuna stanno entrambi bene, erano solo spaventati».
«Cosa diavolo vuol dire che non c’era nessuno?», chiese Killian sgomento.
«Esattamente quello che ho detto pirata. Di Sylvia non c’era neanche l’ombra».
«Quando siamo arrivati noi», continuò Regina a confermare la versione della sorella, «c’era solo Zelena coi bambini, oltre a questo caos».
«E perché diavolo non avete fatto niente?», esplose. «Maledizione che cosa state aspettando?». Mi avvicinai a lui cercando di prendergli la mano per riuscire a calmarlo, o come minimo a confortarlo.
«Beh è ovvio che abbiamo fatto qualcosa», rispose stizzita Regina. «L’abbiamo subito cercata qua intorno, ma non l’abbiamo trovata; e nel caso non te ne fossi accorto fuori ormai è buio. Mi pare ovvio che non possiamo continuarla a cercare alla cieca, logicamente abbiamo aspettato il vostro arrivo».
«Logicamente?». Le parole gli uscirono come un ruggito.
«Killian», lo fermai prima che potesse aggiungere altro. Era evidente e comprensibile che fosse fuori di sé, ma in quel momento doveva calmarsi per riuscire a ragionare lucidamente. Con un semplice gesto, gli presi il viso tra le mani e lo costrinsi ad incrociare il mio sguardo. «La troveremo».
Riuscii a leggere nei suoi occhi azzurri non solo la rabbia, ma anche la paura. Si stava arrabbiando con Regina perché non voleva dare a vedere quanto fosse preoccupato. La mia espressione decisa riuscì però a trattenerlo e mi permise di prendere in mano la situazione.
«Dove l’avete cercata? C’è qualche indizio qua nel loft? C’è qualcosa o qualcuno che potrebbe aiutarci?». Nel giro di cinque minuti venimmo a sapere che nessuno nelle vicinanze aveva visto o sentito niente e che a parte la gran confusione in casa non c’era assolutamente nessun indizio; niente che ci potesse dire dove potesse essere Sylvia o ricollegare la sua sparizione ad Hyde, anche se era ovvio che si trattasse di lui. Sylvia sembrava sparita nel nulla, con l’unica testimonianza di due bambini ancora incapaci di parlare.
Tutta quella situazione però mi lasciava alquanto perplessa. Perché maledirmi con l’incantesimo del sonno per poter rapire Sylvia, quando sarebbe stato piuttosto facile farlo quando lei era all’accampamento senza nessuno di noi? Perché mettere in atto tutta quella messa in scena? In più la Regina Cattiva non era certo il tipo di persona pronta a collaborare così facilmente; potevo essere nel suo mirino, ma sapevo che con me non si sarebbe limitata a così poco, soprattutto con Killian in circolazione.
Il mio incantesimo del sonno, quello che avevo appena subito, non aveva senso. Tuttavia non potevo esporre anche quegli ulteriori dubbi, c’erano davvero troppe domande irrisolte senza aggiungervi anche quelle. Visto che per il momento non sembrava essermi successo niente di strano, avrei trovato una risposta in seguito.
Mi ridestai dai miei pensieri sentendo la voce alterata di Killian. «Basta io vado da Hyde», sentenziò dirigendosi verso la porta. Era già tanto che fosse riuscito a rimanere in quella casa per cinque minuti prima di tentare la fuga.
«E cosa credi di poter fare, pirata?», puntualizzò Zelena. Per quanto non avessi apprezzato il tono che aveva usato, non potevo darle torto.
«Killian pensaci, non puoi piombare lì e basta», cercai di farlo ragionare. «Hai già rischiato una volta con lui».
«Beh cos’altro dovrei fare? Se si trattasse di qualcuno della vostra famiglia non perdereste di certo tempo». La sua era un’affermazione cattiva, soprattutto sapendo che per me lui era parte della mia famiglia, ma sapevo che non pensava davvero quelle cose. Lui capiva che non stavamo traccheggiando, ma il pensiero di sua madre nelle mani di Hyde doveva dargli il tormento.
«Ascoltami», tentai di nuovo. «Credi che Hyde ti consegnerà tua madre come se nulla fosse? Credi forse che la tenga in bella mostra al negozio di Gold? Senza considerare il fatto che stiamo solo ipotizzando che sia stato lui».
«E chi altro potrebbe essere stato?», ribatté come se fosse una cosa ovvia. «Lui vuole vendicarsi di Jekyll, il dottore e mia madre hanno dei trascorsi, quindi quale bersaglio migliore di lei?».
«Sì questo lo so, però non è l’unico di cui dobbiamo preoccuparci». Avevo ancora addosso gli effetti della presenza della Regina Cattiva a Storybrooke e non potevamo sottovalutarla.
«Oh andiamo Swan», mi lesse nel pensiero, «che cosa potrebbe volere la Regina Cattiva da mia madre?».
«Qui sono d’accordo con il pirata», conformò Regina.
«Io non mi riferivo solo a lei», sospirai esprimendo anche l’altro mio timore. «Il Signore Oscuro». Non mi ero dimenticata il collegamento tra Sylvia e Zoso; anche se Zoso non era più vivo, Gold poteva benissimo essere invischiato in quella storia. D’altronde non era una novità che la vita di Killian fosse sempre stata influenzata dalla presenza di un Signore Oscuro.
Killian sembrò riflettere sulla mia affermazione ed io approfittai per proporgli la mia idea. «Killian ormai è tardi, è buio, non sarebbe facile cercarla senza avere neanche un punto di partenza. Dobbiamo organizzarci».
Lui mi lanciò uno sguardo torvo, ma mi lasciò continuare, riconoscendo in quel modo che avevo ragione. «Facciamo così, faremo dei turni di appostamento davanti al negozio di Gold, da subito, così potremo notare se c’è qualche movimento sospetto e casomai domattina troveremo l’occasione per controllarlo anche all’interno. Papà potresti cominciare tu?». Mi voltai verso di lui che annuì leggermente.
Mi girai dall’altra parte per rivolgermi a Regina. «Ti è rimasta ancora un po’ di pozione di localizzazione?».
«Sì, dovrebbe essere nella mia cripta sempre che l’altra me non ci abbia messo le mani sopra».
«Credi che possa essere pericoloso andare lì?». Volevo trovare Sylvia, ma non volevo mettere nessuno in pericolo. Non avrei fatto lo stesso errore due volte, come con Robin.
«Non credo, potrei andarla a prendere e nel frattempo costatare se le mie difese sono sempre intatte».
«Ed io potrei aiutarti a proteggere la cripta dalle intrusioni della Regina Cattiva», propose Zelena.
«D’accordo tu e Zelena andrete alla cripta. Intanto io e Killian andremo da Jekyll, se c’è qualcuno che può aiutarci a capire dove Hyde potrebbe aver portato Sylvia, quello è di sicuro il dottore».
«Non ci ha aiutato molto fino ad ora, perché pensi che adesso sarebbe diverso?», obbiettò Hook.
«Perché adesso è molto più motivato di prima. Non credo che vorrebbe permettere al suo alter ego, o a chiunque altro, di far del male a Sylvia». Avremo dato al dottore il massimo stimolo possibile. «Mamma invece tu rimarrai qui con i bambini, d’accordo?». Annuì per confermare.
«Ed io continuerò a cercare ogni minimo indizio che il rapitore, e quindi quasi sicuramente Hyde, possa aver lasciato qua dentro o da qualsiasi altra parte», concluse Henry.
«D’accordo», borbottò Killian. «Ma muoviamoci Swan». Intrecciai le mie dita alle sue e senza aspettare altro lo seguii fuori casa verso il mio maggiolino.
Durante il tragitto in auto non pronunciò una parola. Non mi guardava e aveva invece lo sguardo rivolto verso il finestrino, con il mento appoggiato sulla mano. Sapevo che era contrariato, preoccupato e arrabbiato, ma non riuscendo a scorgere la sua espressione non potevo capire con esattezza a cosa stesse pensando.
«Starà bene vedrai». Appoggiai la mano sulla sua coscia, tenendo il volante con l’altra. Eravamo quasi arrivati e presto lungo la strada sarebbero comparse le luci dell’accampamento.
«Tu credi?». Il suo tono era appena udibile.
«Certo, la troveremo e la porteremo in salvo». Non rispose e cercò di credere alle mie parole.
«Le ho detto delle cose orribili», mi confessò dopo un secondo.
«Quando?».
«Prima, quando non riuscivamo a trovarti. Lei aveva visto la Regina incontrarsi con Hyde e non ci aveva detto niente; in realtà credo che lei volesse dirmelo, ma non ha fatto a tempo. Comunque io ero terrorizzato all’idea che ti fosse successo qualcosa ed ero arrabbiato, così ho scaricato la colpa su di lei».
«Che cosa le hai detto?». Proprio in quel momento parcheggiai di fronte all’accampamento e così ebbi la possibilità di voltarmi per guardarlo negli occhi. Visto che era sempre girato verso il finestrino, gli presi il viso tra le mani e l’obbligai ad incontrare il mio sguardo.
«Le ho detto che se ti fosse successo qualcosa lei sarebbe stata come morta per me».
«Killian…». Voleva essere un rimprovero ma mi uscii più come un lamento. «Perché?».
«Emma devi capire che posso accettare di tutto tranne che ti accada qualcosa, non riesco neanche a pensarlo. Io non posso vivere senza di te Swan, non posso perderti di nuovo, e la possibilità che tu potessi essere in pericolo, o ferita, o peggio, mi ha mandato fuori di testa». Lo capivo perfettamente: ci eravamo già detti addio una volta ed era stato terribile. Era stato perdere una parte di me stessa; probabilmente se Killian fosse stato in pericolo anch’io avrei dato in escandescenze. In fondo l’avevo trasformato nel Signore Oscuro e avevo trascinato tutti nell’Oltretomba pur di salvarlo.
«Sono sicura che Sylvia ha capito che non pensavi davvero quelle cose».
«Tu credi? E se fossero le ultime parole che le ho potuto rivolgere?».
«Non sarà così», lo rassicurai. «La troveremo e tu ti scuserai».
«Non pensavo che potesse accadere, stavo cominciando solo ora ad aprirmi alla possibilità di poter avere di nuovo un rapporto con mia madre… l’idea che potrei perderla un’altra volta mi destabilizza».
Gli rivolsi un dolce sorriso e gli accarezzai la guancia. «È normale Killian, è pur sempre tua madre, per quanto tu possa avercela con lei».
«L’ho capito solo adesso, ma non voglio perderla sapendo che lei crede che non me ne importi nulla di lei». Si passò la mano tra i capelli in un gesto esasperato. «Oddio è proprio un discorso senza senso».
«No, ho capito». Lo baciai dolcemente per riuscire ad infondergli una parte della mia positività. Ero sicura che saremo riusciti a trovare Sylvia sana e salva e lo doveva credere anche lui.
«Coraggio adesso andiamo a parlare con Jekyll». Scendemmo di macchina e ci avviamo verso l’alloggio del dottore, mano nella mano.
Quando entrammo nella sua tenda, lo trovammo seduto ad un tavolo con la testa sommersa da una pila di fogli. Stava studiando qualcosa alla luce fioca di una lampada, poggiata in bilico sul tavolo ingombro di carte.
Quando ci sentì entrare alzò il viso da ciò che stava leggendo e ci guardò perplesso, sbattendo le palpebre e risistemandosi gli occhiali sul naso. «Buonasera, a cosa devo l’onore?».
Sospirai non sapendo da che parte iniziare. Anche Killian sembrava in imbarazzo; in fondo aveva scoperto da poco che Jekyll poteva essere considerato una sorta di suo “patrigno”, l’imbarazzo era naturale. Dovette percepire i nostri sguardi tesi e carichi di preoccupazione.
«Che cosa è successo?», domandò allarmato.
«Si tratta di mia madre», rispose Hook prima che potessi farlo io.
«Sylvia?». Si alzò di scatto e i suoi occhi si riempirono di paura.
«È scomparsa, pensiamo che Hyde possa averla rapita», mi affrettai a spiegargli.
Non ci domandò se ne fossimo certi, era evidente come la cosa potesse sembrargli plausibile.
«Dio!», sospirò. «Ero riuscito ad evitare tutto questo fino ad ora, come è potuto accadere?».
«Ci hanno teso un’imboscata», gli spiegai. «Eravamo tutti altrove e lei è rimasta sola». Era troppo lungo spiegargli del mio incantesimo del sonno e della Regina Cattiva. In un secondo tempo avremo potuto raccontargli tutto per filo e per segno, ma in quel momento dovevamo sbrigarci.
«Non mi riferivo a quello», ribatté.
«Mia madre mi ha detto di voi, che vi siete lasciati perché tu volevi che lei fosse al sicuro». Jekyll guardò Hook stupito, probabilmente non aspettandosi quella rivelazione. Era la prima volta che si parlavano apertamente da quando erano tornati dalla Terra delle storie mai raccontate e da quando Jekyll aveva scoperto il suo legame di parentela con Sylvia.
«Te l’ha detto? Ti ha raccontato tutto?». Il suo tono era incredulo, ma anche commosso; se la situazione fosse stata diversa avrebbe gioito per il fatto di poter finalmente essere corretto con il figlio della donna di cui era innamorato, ma la paura in quel momento oscurò la sua allegria.
«Sì», rispose Hook con un tono cupo. «Ed è per questo che siamo qui. Devi aiutarci a trovarla, ti prego aiutaci a salvarla».
«Certo, io farei di tutto per salvarla», disse di getto. Poi però sembrò riflettere su le sue parole. «Purtroppo non so proprio come potrei aiutarvi. Contro Hyde sono fisicamente impotente». Si passò una mano nei capelli, e iniziò a camminare in su e in giù per la stanza, in un evidente segno di ansia e preoccupazione. «Non so neanche come ha fatto a scoprire di noi! Credevo che non lo sapesse».
«Penso che scoprirlo sia stato piuttosto facile», ammisi. «Io stessa avevo dei sospetti su voi due, ancor prima che Sylvia raccontasse tutto».
«Avrei dovuto evitare ogni contatto anche qui, è solo colpa mia». Si passò una mano sul viso, in un gesto disperato. «È colpa mia se adesso è in pericolo. Sono stato così debole da non riuscire a starle ancora lontano».
«Non è colpa tua», sussurrò Killian sorprendendomi. Non credevo che avrebbe accettato la storia con Jekyll con tanta maturità. «Hyde l’avrebbe scoperto comunque, mi chiedo se ci sia qualcosa che alla fine non sappia».
«Comunque adesso devi dirci tutto», tirai le fila del discorso. «Di Hyde, perché vuole usare Sylvia per vendicarsi di te? Sai dove potrebbe nasconderla, cosa potrebbe farle? In fondo tu sai come ragiona».
«Vi aspettate tutti che io possa capire Hyde meglio di voi, anche Sylvia. Ma non è così, io non so cosa gli passa per la testa; posso capire le sue motivazioni ma non so dirvi cosa potrebbe avere intenzione di fare».
«Beh allora ti prego inizia da quelle». Era pur sempre meglio di niente.
«Sono stato io a crearlo, ho racchiuso tutto il male che sentivo dentro di me e gli ho dato una forma umana. È stato un errore, ha tentato fin da subito di sopraffarmi, ma soprattutto quello che ho creato è un abominio. Hyde mi odia perché non può fare altro, è solo malvagità ed io l’ho condannato ad essere solo quello per sempre. Dopo ho pensato che non avendolo più dentro di me sarei riuscito a liberarmi di lui, per stare con Sylvia, ma evidente che non è così facile». Ancora una volta eravamo tornati al punto cruciale: cattivi non si nasce ma ci si diventa; ma per Hyde era diverso, era nato cattivo senza possibilità di redenzione o miglioramento. Era forzato ad essere sempre così ed era stato Jekyll a condannarlo.
«Quindi mia madre è solo un modo per ferire te», concluse Killian. «Questo già lo sapevamo». Riuscivo a scorgere l’impazienza nella sua voce; stavamo perdendo momenti preziosi, ogni minuto che passava era un minuto in più in cui Sylvia si trovava in pericolo.
«Purtroppo è così, però conosco Hyde abbastanza da sapere che non si limiterà solo a ferirmi. Penso che userà Sylvia per ricattarmi. Vuole vendicarsi di me è vero, ma credo che questo non sia solo il suo unico fine».
«In che senso?». Finora eravamo riusciti ad intuire il senso di vendetta del suo alter-ego, ma evidentemente c’era sotto dell’altro.
«Prima di vendicarsi credo che abbia bisogno di me. In questi giorni ho ristudiato tutti gli appunti con cui ho realizzato la pozione per separare i nostri corpi e ho fatto delle scoperte molto interessanti».
«Che scoperte?». Con quelle semplici parole aveva attirato la nostra più completa attenzione.
«Ho trovato la risposta che cercavo da sempre e l’ho trovata nella vostra cittadina. Se l’avessi saputo prima… era questo che mi teneva nascosto».
«Smettila con queste frasi sibilline», proruppe Killian. «Parla chiaro e fallo alla svelta».
«Ho scoperto che c’è un pugnale, un pugnale pieno di Oscurità; ma non è questo l’importante. Rivedendo i miei appunti ho capito che posso modificare la mia pozione e lo posso fare in vari modi. Posso invertirne gli effetti, ed è proprio questo che Hyde non vuole».
«Ma perché mai dovresti tornare a condividere il corpo con lui?», proruppi.
«Aspetta», mi fermò. «Ho scoperto anche un’altra cosa ed è quello che stavo studiando poco fa. Credo che con i giusti calcoli riuscirei a creare una pozione che mi permetta di rinchiudere Hyde nel posto che gli spetta per sempre».
Dovette percepire i nostri sguardi alquanto perplessi in quanto continuò. «Cerco di spiegarmi: è qui che entra in gioco il pugnale».
«Il pugnale del Signore Oscuro?», domandò Hook anche se era evidente che si trattasse di quello.
«Sì. Posso creare una pozione con cui intingerne la punta, che mi permetta di rinchiuderlo nel pugnale per sempre. Basterà pugnalarlo con quello perché alla fine si ritrovi bloccato nell’arma».
«Ma è fantastico», esultai. «Hai appena trovato il modo per sconfiggerlo per sempre».
«Già, devo ancora fare dei calcoli ma sono piuttosto sicuro. Comunque credo che non sappia che ho trovato effettivamente un modo per eliminarlo, ma sono certo che pensi che io possa trovarlo continuando i miei studi. È per questo che ha preso Sylvia».
«Scusami mi stai dicendo che Hyde ha paura di te?», domandò scettico Killian. In effetti messa così sembrava un’affermazione piuttosto ridicola.
«Non di me, ma delle mie scoperte. Della possibilità che gli tolga la libertà o peggio».
«E allora perché diavolo non ti uccide e basta?», proruppe. «Senza offesa, ma io l’avrei già fatto».
«Perché non può, o almeno lo credo. Facciamo sempre parte della stessa persona; non sappiamo cosa accadrebbe se lui mi uccidesse o se io uccidessi lui».
«Ed è per questo che l’unico modo che abbiamo per batterlo è intrappolarlo per sempre nel pugnale del Signore Oscuro», conclusi.
«Esatto. Se Sylvia mi avesse detto fin da subito dell’esistenza di quel pugnale e non solo una volta arrivati qui a Storybrooke, non saremmo a questo punto».
Vidi Killian sbiancare a quell’affermazione: era ovvio riguardasse quello che avevo scoperto su Sylvia e Zoso, ma al momento non c’era tempo anche per quel problema. C’erano davvero troppi dubbi e troppe domande per risolverle tutte insieme. Dovevamo procedere un passo alla volta.
Jekyll non si accorse del turbamento sul volto del mio pirata, così mentre lui continuava a parlare io ne approfittai per stringere forte la sua mano. «È per impedirmi di fare qualsiasi cosa a riguardo che ha preso Sylvia. In questo momento penso che la stia tenendo in ostaggio come promemoria di ciò che devo fare, o meglio non devo fare, ma se dovesse scoprire quello che già so, non esiterebbe a mettere a repentaglio la sua vita».
«Perché non ci hai detto subito quello che avevi scoperto?», sbottò Killian con un tono piuttosto astioso.
«L’avrei fatto, adesso l’avrei fatto. Ma volevo essere certo delle mie affermazioni, e ho trovato conferma a molte mie domande solo questo pomeriggio».
«Ancora mi chiedo perché non prendere direttamente te come ostaggio», osservai. «Senza offesa».
«Per vendetta Swan, solo per vendetta. Sa che non c’è modo migliore per costringerlo a collaborare che ricattandolo con Sylvia. Se avesse preso direttamente lui come ostaggio avrebbe avuto molti più problemi, oltre al fatto che così può vederlo temere di perdere la persona che ama». Il tono di Killian era cinico ma capii che aveva ragione. Beh almeno per il momento sapevamo che la vita di Sylvia non era del tutto in pericolo. Non l’avrebbe uccisa, sarebbe stato come darsi la zappa sui piedi. Senza Sylvia, Jekyll non avrebbe avuto più nessun motivo per temerlo e lui non avrebbe avuto più nessun arma contro il dottore.
Mentre Killian e Jekyll discutevano sulla possibilità che Hyde si facesse vivo o su dove avesse potuto portare Sylvia, io mi estraniai un attimo, camminando lentamente nella tenda. C’era un’affermazione del dottore che mi aveva colpito: Hyde non poteva uccidere Jekyll e probabilmente valeva anche il contrario. L’immagine di Regina che stritolava il cuore della Regina Cattiva era ancora vivida nella mia mente; forse era proprio per questo che quest’ultima non era morta. Non c’era modo di eliminarla se non intrappolarla. E anche intrappolarla sarebbe stato un bel problema: dovevamo usare il pugnale e non sapevamo dove si trovasse Gold; in secondo luogo Tremotino non sarebbe stato così condiscendente da lasciarcelo usare. Forse con la promessa di ulteriore Oscurità… ci sarebbe proprio servita l’influenza che Belle aveva su quell’uomo. Peccato che fosse ancora nel mondo dei sogni, senza molte possibilità di risveglio.
Improvvisamente sentii una fitta al petto, così forte da impedirmi di respirare. Annaspai in cerca di aria, la vista mi si appannò e sentii le gambe molli. Mi dovetti reggere ad un mobile lì attorno per evitare di crollare. La testa iniziò a girarmi e per un attimo pensai che sarei inevitabilmente svenuta e sarei caduta a terra con un tonfo. Poi, così come era arrivata, la fitta passò, la stanza smise di girare e io ritrovai stabilità. L’unico residuo fu l’inevitabile spossatezza; mi sentii tremendamente stanca, come se mi avessero risucchiato buona parte dell’energie.
Quando riuscii di nuovo ad alzare lo sguardo, notai che gli altri due non si erano accorti di nulla. Probabilmente era stato solo un attimo e loro erano troppo presi dalla loro discussione. “Per fortuna”, pensai. Killian era già tremendamente preoccupato per sua madre, era davvero troppo aggiungerci anche la preoccupazione nei confronti. Ero una donna forte, potevo benissimo far finta di niente e lasciarlo tranquillo.
«Emma? Allora Emma cosa ne pensi?». Sentendomi chiamare cercai di concentrarmi sul mio pirata. Doveva avermi detto qualcosa ma mi ero persa parte del discorso.
«Scusami cosa?», domandai scuotendo la testa e tornando faticosamente da loro. Cosa avrei dato per distendermi su un bel letto comodo!
«Cosa credi che sia meglio fare?», ripeté. «Ormai è buio pesto, per quanto vorrei poter agire non sappiamo da che parte cercare mia madre. Non risolveremo nulla questa notte». Leggevo il tormento nei suoi occhi: per quanto gli costasse ammetterlo, non avevamo nessuna pista e tentare di trovarla al buio era davvero un’assurdità.
«Credo che tu abbia ragione, purtroppo», ammisi. «Sarà meglio tornare dagli altri e aggiornarli su quello che abbiamo scoperto. Domattina possiamo ricominciare le ricerche; se Regina ha trovato la pozione di localizzazione sarà più facile capire dove si trova. E poi penseremo ad un piano per tirarla fuori da lì». Sarebbe stata controllata e non sarebbe stato facile portarla in salvo.
«Vorrei venire con voi, se non vi dispiace», intervenne il dottore. «Posso continuare a mettere a punto la pozione contro Hyde, ma devo sapere che Sylvia è al sicuro e che non le è successo niente».
«Certo», sussurrai. Lo capivo benissimo ed era un sentimento del tutto normale.
«Jekyll», intervenne Killian di un tratto più cupo, mettendomi un braccio intorno alla vita. «Io non ho niente di mia madre, niente che le appartenga veramente. Tu avresti qualcosa di suo? Qualsiasi cosa, non vorrei doverlo andare a chiedere a quella Mary». A quelle parole mi rammentai che per la pozione di localizzazione ci sarebbe servito qualcosa di Sylvia; per fortuna c’era Killian a ricordarselo. In quel momento mi sembrava che quell’improvvisa assenza di energia stesse risucchiando anche le mie capacità mentali.
«Certo. Datemi un secondo». Si allontanò per andare a cercare nella tasca di una giacca.
Mi appoggiai di più al corpo di Killian, cercando di sostenermi e di sembrare più energica di quanto in realtà fossi. Posai la testa sulla sua spalla chiudendo gli occhi solo per un secondo.
«Tutto bene Swan?», sussurrò vicino al mio orecchio.
Mi ridestai subito. «Sì certo, è stata solo una giornata davvero molto lunga».
Il ritorno di Jekyll mi evitò di aggiungere altro. «Ecco a voi, questo me l’ha dato Sylvia, è suo». Ci porse un fazzoletto ricamato e diligentemente ripiegato.
«Grazie», dissi prendendolo. «Potresti anche avvisare Mary di ciò che è successo. Sono sicura che in questo momento sia molto preoccupata per la sua amica». Sapevo che Killian non gliel’avrebbe mai chiesto, ma mi ero ricordata di lei quando l’aveva nominata e non mi sembrava giusto lasciarla all’oscuro.
«Puoi decidere tu cosa dirle di voi e di Hyde», aggiunse Killian. «Non che siano fatti suoi».
«Certo lo farò. Ci vediamo domattina». Così dicendo lo salutammo, uscendo con la testa carica di informazioni e novità, ma ancora senza dei veri risultati concreti.
Anche se Sylvia era ostaggio di Hyde adesso avevamo un piano e una possibile arma. C’era ancora molto da delineare ma era sicuramente un passo in avanti, un passo in meno che mancava alla fine di Hyde, ed anche della Regina Cattiva, un passo in meno al ritorno di una sorta di “normalità”.

 
Angolo dell’autrice:
E finalmente sono tornata e ce l’ho fatta! Avrei davvero voluto pubblicare la settimana scorsa, ma avevo scritto solo le prime due pagine e quindi a malincuore ho dovuto posticipare. Per farmi perdonare però questo capitolo mi è venuto decisamente più lungo.
Premetto che questa parte l’ho praticamente scritta a spezzoni, non è stato una cosa per niente facile arrivare alla fine del capitolo. Spero che alla fine ne sia venuto fuori qualcosa di decente e che in parte abbia risolto alcuni dubbi che avevo lasciato in sospeso, oltre ovviamente averne creati degli altri.
Vi ringrazio come sempre e vi do appuntamento alla prossima settimana!
Un abbraccio,
Sara
 

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Capitolo 12
*** 12. Ciò che ci ha sempre legato ***


12. Ciò che ci ha sempre legato
 
Sentivo un dolore lancinante alla testa; una fitta che di sicuro mi avrebbe causato una terribile emicrania. Sbattei le palpebre cercando di mettere a fuoco ciò che avevo intorno, ma era tutto così buio che riuscivo a stento a distinguere il mio profilo nelle tenebre.
Cercai di dare un senso a quell’oscurità, tentando anche di riordinare le idee, quando improvvisamente mi ricordai ciò che era realmente accaduto. Hyde era venuto a cercarmi e per quanto io avessi lottato per difendermi ero solo riuscita a mettere i bambini al sicuro. L’ultima cosa che ricordavo era che avevo sbattuto la testa perdendo i sensi; l’ultima immagine che ero riuscita a scorgere era stata la figura di Hyde che troneggiava su di me con un sorriso beffardo.
Mi toccai la testa nel punto dolorante e riuscii a percepire una sostanza viscosa; dovevo aver perso un po’ di sangue, ma in quel momento sembrava che l’emorragia si fosse arrestata. Probabilmente avevo solo i capelli sporchi di sangue rappreso e tutto considerato poteva decisamente andarmi peggio.
Cercai di alzarmi e nonostante l’oscurità tentai di capire a tastoni dove diavolo mi trovassi. Mossi alcuni passi, ma era tremendamente difficile visto che la vista risultava completamente inutile. Il non poter distinguere nemmeno dove stessi mettendo i piedi rendeva tutto più complicato, facendomi dubitare anche della mia stessa stabilità.
Stendendo le braccia davanti a me, dopo una serie di passi incerti, riuscii a percepire qualcosa e ad afferrarlo con la mano. Avevo pensato che si trattasse di una parete, ma quando tastai meglio capii che si trattava di una sbarra, una grossa e possente sbarra di ferro che partiva da terra e probabilmente arrivava al soffitto. Ero quindi in una cella?
«È inutile che ti affanni non uscirai di lì». Una voce mi fece sobbalzare, facendomi morire di paura. Il mio cuore accelerò talmente tanto che probabilmente con un altro scherzo del genere sarei morta di infarto, ancor prima di scoprire dove mi trovassi.
«Chi c’è?». Mi girai nella direzione in cui mi sembrava provenisse la voce, ma non riuscii a scorgere nulla. Come poteva un’altra persona capire cosa stessi facendo se io non riuscivo neanche a distinguere la sua presenza?
Non ricevendo risposta tentai di nuovo. «Chi sei?». Non che mi aspettassi una replica, ma almeno potevo dire di averci provato.
Restai immobile nel buio non sapendo più cosa a fare. Se lui, chiunque fosse, poteva vedermi ed io non potevo vedere lui, avrebbe potuto anche attaccarmi con facilità. Ero in trappola più di quanto avessi creduto; un solo gesto sbagliato e sarebbe potuto finire tutto.
Tuttavia non ebbi il tempo di ragionare sulla mia mossa successiva, perché un bagliore in lontananza iniziò a rischiarare l’intero ambiente. Quella luce sembrava farsi sempre più forte, o forse solamente più vicino; solo quando l’oscurità iniziò pian piano a diradarsi, capii che si trattava di alcune persone che si stavano avvicinando con delle torce in mano; e solo quando il bagliore fu sufficiente per poter distinguere ciò che mi circondava notai che mi trovavo in una specie di grotta, quasi sicuramente sotterranea, in cui grazie ad una serie di sbarre di ferro era stata ricavata una cella. Lì seduto su una sedia con i piedi appoggiati ad una parete c’era il guardiano, lo schiavetto personale di Hyde. Era stato lui a parlare e per questo non avevo riconosciuto subito la voce.
Lasciai perdere quell’essere che francamente mi aveva sempre intimorito e mi concentrai sulle persone che avevano portato quella luminosità improvvisa.
Quando mi voltai verso di loro erano già abbastanza vicini da poterli distinguere nitidamente: erano Hyde e quella che avevo scoperto essere la Regina Cattiva. Aveva di nuovo addosso quegli abiti strani e osservandola meglio capii subito quanto mi fossi sbagliata la prima volta. Avevo visto Regina solo in poche occasioni, ma il suo sguardo per quanto ostile era completamente diverso da quello del suo alter-ego.
«Ah vedo che ti sei svegliata», mi disse Hyde, fermandosi ad una certa distanza da me, per poi rivolgersi al guardiano. «Non ti avevo detto di avvertirmi quando avesse ripreso conoscenza?».
«È appena rinvenuta», si giustificò l’altro.
«Bene, allora penso che la tua presenza qui non sia più richiesta. Ho bisogno che tu vada per me a vedere come il dottore ha preso la scomparsa della sua amata».
«Devo riferirgli qualche messaggio?».
«No, non ancora almeno, sarà lui a venire da me quando sarà pronto a contrattare».
Con un leggero inchino il guardiano si allontanò, lasciandomi sola con i nuovi arrivati.
«Credo che un po’ più di luce non guasterebbe». Era stata la Regina Cattiva a parlare; da quando era arrivata si era solo limitata a guardarsi attorno senza dire una parola. Avevo notato il suo sguardo annoiato per tutto lo scambio di battute tra Hyde e il suo galoppino.
La Regina non aspettò che l’altro rispondesse e con uno schiocco delle dita fece apparire una serie di grosse torce sospese a mezz’aria, che illuminarono meglio l’ambiente.
Come avevo già intuito mi trovavo in una grotta, ma con quella nuova luce notai che definirla grotta sembrava decisamente approssimativo. Era una caverna gigantesca, o forse più caverne messe insieme; la mia cella era stata ricavata usando solamente un lato più ristretto. Il resto dell’antro sembrava immenso, non riuscivo neanche a distinguerne il soffitto.
«Molto meglio». Schioccando di nuovo le dita fece apparire due comode poltrone, dove lei prese immediatamente posto.
«Bene, se hai finito vorrei parlare con la nostra ospite».
«Si da il caso che io non abbia niente da dirti», ribattei incrociando le braccia davanti al petto. Anche se temevo Hyde, non volevo di certo che lui percepisse la mia paura.
«Oh ma guarda che coraggio, non avrei mai detto che fossi il tipo del dottore».
«Di sicuro non potrei essere attratta dal suo lato oscuro», ribattei piccata. Avevo come la netta sensazione che non mi avrebbero uccisa, se quello era il loro fine potevano averlo già fatto. Tanto valeva rendere ad Hyde le cose complesse.
«Davvero un bel caratterino», sorrise accomodandosi accanto alla sua compare. «Regina potresti…». Lasciò la frase in sospeso, segno evidente che l’altra sapeva a cosa si riferiva. Tuttavia la Regina non fece altro che rivolgergli un’occhiata di sdegno.
«Per favore, Vostra Altezza», sospirò esasperato.
«Così va meglio». Regina fece un altro gesto della mano e un istante dopo le sbarre della mia cella erano sparite e davanti a me era apparsa un’altra poltrona.
«Prego accomodati, non si dica che tratti con sgarbo i miei prigionieri». Mi guardai intorno cercando di capire quale fosse l’inganno. Quella finta cortesia poteva illudere gli altri ma non me; Jekyll mi aveva parlato della sua oscurità e non c’era da aspettarsi nulla di buono.
D’altra parte, era evidente che con loro due lì non sarei mai riuscita a scappare; avevano la magia dalla loro, oltre a considerare il fatto che conoscevano il luogo in cui ci trovavamo. Molto probabilmente se fossi fuggita sarei andata nella direzione sbagliata finendo in un vicolo cieco. Non potevo scappare, ma non potevo neanche sedermi di fronte ad Hyde come se nulla fosse.
«Preferisco rimanere in piedi», risposi risoluta.
«Come vuoi, possiamo conversare amabilmente anche così».
«Raramente definirei chiacchierare con te una conversazione amabile».
«Però», commentò l’altra, «la signora qui ha la lingua tagliente. Mi piace».
«Sta zitta», ringhiò. «Scommetto che la nostra Sylvia terrà a freno la sua bella lingua una volta che avrà ascoltato quello che ho da dire».
Non risposi ma lo guardai con astio. Non avevo la minima idea di cosa volesse parlarmi, ma quasi sicuramente doveva essere legato a Jekyll. Era lui l’unico fattore in comune tra noi, oltre al fatto che era colpa di Hyde se noi due eravamo stati costretti ad allontanarci.
«Prima di iniziare, voglio farti una domanda e gradirei una risposta: sai perché sei qui?».
Riflettei bene prima di parlare. «Per Jekyll, per vendicarti di lui».
«Vero, ma non del tutto. Ho bisogno che Jekyll si comporti in un certo modo e tu… diciamo che sei lo stimolo adatto per spronarlo a fare ciò che voglio».
«E cosa vorresti?». Lo chiesi non aspettandomi una risposta. Fu una vera sorpresa riceverne una.
«Vedi il dottore è molto bravo nei suoi esperimenti, ma temo che sotto lo stimolo dei suoi nuovi amici potrebbe andare un po’ troppo oltre nel tentativo di eliminarmi. Invece io ho bisogno di altro».
«Pensi che tenendo in ostaggio me, Jekyll farà tutto ciò che vorrai». Non era una domanda, sapevo che era così. Usando me, Hyde avrebbe costretto Henry a fare tutto ciò che desiderava.
«Esatto. Il pensiero di non metterti in pericolo e di salvarti lo farà collaborare con me, fino a quando non avrò più bisogno di lui». Le sue ultime parole mi fecero riflettere: c’era sotto dell’altro. Non facevo parte del suo piano solamente io, lui stava cercando o facendo qualcosa e voleva che Jekyll non gli mettesse i bastoni tra le ruote.
«Attento a quel che dici», lo rimproverò l’altra. «Con quella boccaccia che ti ritrovi, finirai per comprometterci».
«Tranquilla, possiamo anche parlare chiaro visto che presto tu la controllerai come un burattino. Sai benissimo che ci basta il suo cuore per ricattare quel bamboccio del dottore». Non capivo cosa avessero intenzioni di farmi, ma sentii un brivido salirmi lungo la schiena. Di sicuro non avevano buone intenzioni.
«Mi piace il tuo coraggio Sylvia, e per questo voglio essere sincero con te. Ho intenzioni di staccarmi completamente dal tuo amato dottore. Nonostante tutto siamo ancora legati ed io voglio assolutamente disfarmi di lui». L’unica cosa che mi era chiara era che voleva uccidere Jekyll, quindi se ancora non l’aveva fatto c’era solamente un motivo: non poteva.
«Quindi io ti servo solo per tenere Jekyll buono finché tu non riuscirai ad ucciderlo?».
Hyde scoppiò a ridere, in quella che doveva essere una risata di ammirazione. «Davvero molto in gamba, ora capisco perché il dottore si sia innamorato di te».
Non risposi e restai in silenzio, non sapendo più che cosa ribattere. Non avevo molta scelta, erano loro ad avere il coltello dalla parte del manico ed io non potevo che restarmene lì ad ascoltare.
«Oh non fare quella faccia, mia cara», intervenne la Regina. «Se farai la brava forse riuscirai a rivedere anche il tuo adorato figlioccio; non abbiamo motivo per avercela con te e se non ci darai problemi, quando sarà tutto finito ti lasceremo andare».
Le lanciai uno sguardo di fuoco che valeva più di mille parole.
«Oh andiamo», continuò. «Non dovrebbe essere una novità per te scegliere di abbandonare le persone che ami per salvare te stessa». Rimasi paralizzata da quelle parole; la mia bocca si spalancò e non riuscii a mascherare il mio stupore. Loro sapevano, sapevano tutto.
«Sorpresa?», mi domandò Hyde conoscendo già la risposta. «È incredibile cosa tu possa trovare in una piccola cittadina come Storybrooke, persino un libro con dentro storie mai raccontate».
Continuai a fissarli, sentendomi il cuore in gola. Avevo molti scheletri nel mio armadio e non era certo una cosa positiva che loro fossero a conoscenza di buona parte di essi.
«Non mi credi? Guarda tu stessa». Estrasse dall’interno della giacca un pacco di fogli ripiegati che lanciò nella mia direzione, facendoli cadere a qualche metro da me. Mi avvicinai titubante, continuando a guardarli con circospezione, e raccolsi quelle che sembravano le pagine di un libro. Ed era effettivamente di quelle che si trattava: sembravano pagine appartenenti al libro del ragazzino, quello stesso volume che mi aveva aiutato a conoscere, anche se solo in parte, il passato di Killian. Eppure quando l’avevo sfogliato non mi era sembrato che avesse nessuno strappo.
Fu quando lessi le parole stampate su quella carta che ebbi la certezza che non si trattasse dello stesso volume. Quella che raccontavano non era una storia qualunque, era la mia storia, il mio più profondo segreto, quello che credevo di essere l’unica a conoscere. Lì era riportato in bella calligrafia tutto ciò che era successo con Zoso parecchi secoli prima.
«Dove le hai trovate?», chiesi ad Hyde.
«Quindi è vero?», non mi rispose. «Chi avrebbe mai creduto che una donna come te fosse capace di una cosa simile». Non mi piaceva essere accusata in quel modo, soprattutto da lui, ma non potevo dargli torto. Era la mia più grande colpa e la mia più grande umiliazione.
«Chi te l’ha date? Chi le ha scritte?».
«Non ne ho la minima idea, ma a quanto pare oramai non sei più l’unica che conosce la verità sul tuo passato. È davvero strano, sai? Nonostante la tua intimità con il dottore, sono io che conosco il tuo più oscuro segreto».
«E con questo cosa pensi di ottenere? Diglielo pure. A lui, a Killian, a tutti. Non mi importa più, è da secoli che porto il peso di questo segreto sulle spalle, non farai altro che liberarmi».
«Davvero? Non ti importa che tuo figlio lo sappia? Che sappia quanto sua madre sia stata egoista? Così egoista da stringere un accordo con il Signore Oscuro».
«Non so cosa ci sia scritto con precisione in queste pagine, ma tu non conosci tutta la storia. Potrò aver stretto un accordo con il Signore Oscuro, ma non saprai mai la battaglia interiore che mi ha portato a fare quella scelta».
«Scusami se intervengo», si intromise Regina, «ma la tua suona tanto come una giustificazione per aver scelto la strada più facile».
«Che cosa dovevo fare?», proruppi alzando la voce. «Qualsiasi cosa avessi fatto avrei perso comunque». Sentii le lacrime di rabbia premere per uscire; non erano certo due esempi di virtù e non erano nella posizione di criticare le mie scelte. Loro avevano sicuramente fatto errori peggiori, eppure erano riusciti a farmi sentire inadeguata, a farmi tornare alla mente tutto il rimorso per la mia decisione. E forse era proprio questo che volevano: ferirmi e vedermi crollare. Come se non avessi pianto per giorni per quello che avevo fatto!
«È una gatta con le unghie ben affilate», commentò lei. «Non che non approvi la tua scelta mia cara».
«Capisci di aver sbagliato tutto quando anche la Regina Cattiva avrebbe preso esattamente la tua stessa decisione», commentai sarcastica. L’espressione di Regina passò dal divertimento alla collera più profonda.
«Sai il destino è davvero buffo», intervenne Hyde, cercando di alleggerire i toni di quella discussione. Di sicuro non voleva che Regina si arrabbiasse quel tanto da perdere il controllo ed uccidermi, così da rovinare tutti i suoi piani. «Tu conoscevi Zoso e hai stretto un accordo con lui, e guarda caso sei finita per innamorarti di Jekyll. Ed io, il suo alter-ego, conosco invece Tremotino, l’attuale Signore Oscuro, ed anche io ho stretto un accordo con lui, a mio vantaggio naturalmente. Non so se noti l’ilarità».
«I rapporti che ho avuto con Zoso appartengono al passato, non sono più quella persona. L’aver commesso un errore così grande mi ha cambiata, forse è proprio per questo che io e Jekyll ci siamo trovati. Sono state le scelte che ho fatto a portarmi da lui». Non credevo nel destino, non ci avevo creduto né quando la mia vita continuava imperterrita nonostante la mia età, né quando avevo ritrovato Killian; credevo soltanto che l’esperienze cambiassero le persone e che le scelte fatte da ognuno portassero come conseguenza tutto quello che accadeva dopo.
«Affermazione interessante la tua». Si alzò e si avvicinò a me; nonostante avessi l’impulso irrefrenabile di indietreggiare, rimasi ferma dov’ero con lo sguardo fiero puntato su di lui. Mi passò un dito sulla guancia, facendomi salire un brivido lungo la schiena, e poi riprese le pagine che tenevo ancora in mano.
«È incredibile cosa si scopra studiando le storie altrui». Si allontanò di un passo per potermi squadrare meglio. «Tu affermi che le tue scelte hanno influito su quella che sei adesso, non so se tu abbia mai riflettuto su ciò che questo a comportato sugli altri». Certo che ci avevo pensato, il pensiero di ciò che Killian e Liam avevano vissuto dopo il mio abbandono, mi aveva tormentato da quando l’avevo scoperto.
«Voglio rivelarti una cosa», continuò. «Non so se sei già arrivata alla stessa conclusione anche da sola, tuttavia voglio farti riflettere sulla questione. Ti sei resa conto di essere stata solo una pedina del Signore Oscuro? Accettando il suo accordo non hai fatto altro che fare il suo gioco».
«Cosa intendi?». Non ero sicura di dove volessi andare a parare, ma la cosa non mi piaceva.
«Oh pensi davvero che fosse interessato ad una semplice madre di famiglia come te?». No, non l’avevo mai creduto, ma mi ero sempre rifiutata di pensarci. L’altra ipotesi era addirittura peggiore.
«Non sono così stupida», dissi con un filo di voce, sapendo che presto lui avrebbe espresso tutte le mie più profonde paure. Quelle che non avevo ammesso neanche con me stessa.
«Bene, allora è evidente che il Signore Oscuro fosse interessato ad un altro membro della tua famiglia. Diciamo un bambino, che crescendo senza madre, sarebbe finito per diventare un pirata capace di pestare i piedi ad un codardo che avrebbe presto scoperto il fascino del potere».
Feci un profondo respiro, rifiutandomi di pensare come sia io che Killian avessimo potuto essere delle semplici pedine in mano del Signore Oscuro. Chiusi gli occhi e ricacciai indietro le lacrime che tentavano di uscire.
«Cosa vuoi da me?», domandai riaprendoli e fissandolo con uno sguardo truce. «Perché mi fai questo?».
«Io non faccio nulla mia cara, se non dire le cose come stanno. Hai fatto tutto da sola».
«Che senso ha questa conversazione?», continuai. «Vi servo come ostaggio per Jekyll, bene sia. Non ho altra scelta! Ma evidentemente la vostra malvagità non ha limiti, vi divertite a torturarmi con le parole, visto che vi servo tutta intera. Sapete benissimo di riuscire a ferirmi in questo modo, forse è il vostro modo perverso di vendicarvi. Bene spero che alla fine, alla resa dei conti, voi possiate marcire all’inferno».
«Davvero commovente». La Regina Cattiva si alzò e si avvicinò a noi. «Credi davvero che noi siamo nella posizione di farti del male solo a parole? Povera illusa».
La guardai con odio, non curandomi più della possibilità che potesse attaccarmi. Mi avevano già umiliata abbastanza, una ferita fisica sarebbe stato un diversivo nemmeno tanto sgradito. Potevano ridurmi in fin di vita se volevano, era pur sempre meglio che torturarmi in quel modo usando il mio passato.
«Sono stata davvero stupida da scambiare Regina per la Regina Cattiva, devo essere stata proprio una sciocca per non accorgermi dell’evidente caduta di stile».
«Brutta insolente», ringhiò.
Ma io non avevo ancora finito. «Siete davvero patetici, tutti e due. I miei errori potranno tormentarmi per sempre, potranno aver reso Killian Hook, ma almeno hanno portato l’amore nelle nostre vite. Invece per quanto vi riguarda, nessuno potrà mai amarvi veramente, neanche usando la magia». Accadde tutto in un secondo: Hyde mi rivolse una smorfia, mentre la Regina Cattiva si avventò su di me, le mani dirette verso il mio petto.
Non capii cosa successe, seppi soltanto che il secondo dopo aver toccato il mio corpo la donna era a terra.
«Ma che diavolo…?». Si rialzò e mi guardò con ferocia. «Adesso basta giocare, riderai meno quando starò stritolando il tuo cuore». Si avventò di nuovo su di me e questa volta potei prestare più attenzione ai suoi movimenti. Vidi la sua mano penetrare dentro il mio petto, la sentii arrivare quasi al mio cuore e poi la vidi ritirarla come se fosse stata fulminata.
«Cosa diavolo sta facendo?». Questa volta si rivolse ad Hyde rivolgendogli un’espressione rabbiosa. «Avevi detto che non aveva la magia».
«Infatti». Il suo fu solo un sussurro che rese più reale l’espressione tesa e circospetta che gli si dipinse in volto.
«E allora perché diavolo non riesco a strapparle il cuore?».
«È molto più complicato di così mia cara». Una voce proveniente alle nostre spalle ci fece voltare, cogliendoci tutti alla sprovvista.
All’inizio non riuscii a scorgere niente, ma poi una figura si fece avanti e potei distinguerne meglio i tratti. Anche se non l’avevo mai incontrato prima capii subito di chi si trattasse, il libro di favole mi era stato d’aiuto in quel senso: Tremotino.
«Gold», sospirò Hyde. «Ci mancavi solo tu. Mi sembrava che non avessimo più niente da dirci, io ho rispettato la mia parte dell’accordo, tu rispetta la tua e lascia stare i miei affari».
«Oh mio caro stavo solo tentando di dare una mano, credo che a volte entrambi tendiate a dimenticare che conosco la magia molto più di voi. Regina hai forse dimenticato chi è stato ad insegnarti tutto?».
Ma la Regina non sembrava affatto interessata alla presenza di Tremotino, mi stava ancora guardando con odio, cercando di capire che cosa poco prima non avesse funzionato. In effetti non l’avevo compreso neanche io: perché non era riuscita a farmi del male, a strapparmi il cuore come aveva già fatto con centinaia di persone?
«Non funzioneraaà», cantilenò il Signore Oscuro.
«E tu che ne sai?». Distolse lo sguardo da me e lo puntò verso il nuovo arrivato.
«Si dà il caso che sono il successore di Zoso, chi meglio di me può conoscere i suoi trucchetti?».
«Visto che ormai sei qui, perché non ti decidi a spiegarti meglio?». Hyde gli fece cenno di accomodarsi, ma lui rimase dov’era. «Siamo tutti dalla stessa parte, giusto?».
«Il Signore Oscuro non è dalla parte di nessuno, Hyde, dovresti saperlo. Lui persegue soltanto i suoi interessi». Anche Regina rimase in piedi, ma continuò a fissarlo aspettando una sua spiegazione. Io, d’altra parte, non sapevo che fare. Mi sembrava che con l’arrivo del Signore Oscuro le cose non potessero far altro che peggiorare.
«Tralascerò sulla tua mancanza di buone maniere Regina, e sarò così magnanimo da spiegarvi perché la qui presente Sylvia è una persona alquanto speciale». Io speciale? Beh sicuramente non mi sentivo così. Non sapevo usare la magia e a parte la mia inspiegabile longevità non avevo sicuramente niente di particolare. Ma forse si riferiva proprio a quella?
«Ci sia arrivata mia cara?». Ci misi un secondo per capire che si stava rivolgendo proprio a me. «Ti sei mai domandata come hai fatto a vivere senza problemi per oltre due secoli?». Me l’ero chiesta centinaia di volte, pensavo che fosse la mia maledizione. Forse lui aveva la risposta? Forse era ancora una volta opera del Signore Oscuro?
«Zoso?», domandai titubante.
«Centro», esultò con tono deciso.
«Zoso l’avrebbe resa immortale? Per questo non riesco a strapparle il cuore?», intervenne la Regina. «Oh andiamo non ci vuole di certo una conoscenza tanto approfondita della magia per sapere che questo è impossibile».
«Infatti non si tratta di questo», ribatté. «Cara potresti essere così gentile da spiegarci come sei arrivata ad avere il tuo aspetto attuale? Mi spiego meglio: quando è che hai smesso di invecchiare? Sei mai stata sul punto di morire durante la tua lunga vita?». Come mai sembrava già conoscere la risposte a quelle domande? Forse stando al suo gioco avrei scoperto la verità.
«È successo nella Terra delle storie mai raccontate», dissi in un sussurro. «Non me ne sono resa conto subito, ma dopo un po’ ho notato che il mio corpo non cambiava più con lo scorrere del tempo». Tutti invecchiavano tranne me, era stato strano scoprirlo.
«E immagino che tu abbia rischiato di morire poco prima di arrivare a Storybrooke, giusto?». Come diavolo faceva a saperlo e cosa c’entrava quello con Zoso e sull’impossibilità che Regina mi facesse del male?
«Sì, esatto».
«E sei stata meglio all’improvviso giusto? Da un momento all’altro». Annuii per confermare.
«Tremotino vuoi parlare chiaro», proruppe Regina. «Cosa c’entra tutto questo? Perché diavolo non le posso strappare il cuore?».
«Calma mia cara. Voglio raccontarvi una storia, forse noterete le analogie. C’è un bambino, abbandonato dai genitori che cresce ed entra in marina; poi diventa un pirata, va sull’Isola che non c’è, dove il tempo scorre diversamente, e non invecchia. Resta lì per vendicarsi del suo coccodrillo, passano decenni, ci sono sortilegi, ben ventotto anni congelati, poi il pirata arriva a Storybrooke, dove tra tutte le avventure che ha affrontato alla fine viene ucciso e portato nell’Oltretomba, esattamente poche settimane fa. Ma la sua amata non si arrende, è la Salvatrice e alla fine quasi per miracolo a quel pirata viene restituita la vita, proprio il giorno prima di incontrare te, Hyde. Esattamente lo stesso giorno in cui Sylvia nella tua terra, si risvegliava dopo una prognosi di morte quasi certa». Lo fissai sbalordita cercando di metabolizzare ciò che stava suggerendo.
Hyde scoppiò in una fragorosa risata. «Vuoi dire che per tutto questo tempo lei è stata legata a suo figlio senza neanche saperlo?».
«Esatto». Li guardai non riuscendo ad afferrare quello che risultava ormai ovvio. La mia vita era collegata a quella di Killian? Come era possibile?
«Regina non puoi strappare il cuore di Sylvia, e lo sai perché? Non potrai mai ucciderla perché non è lei a controllare la sua vita. Zoso ha avuto l’incredibile senso dell’umorismo da creare un incantesimo che ha legato Sylvia alla persona che amava di più in quel momento. Potrai anche ridurla in fin di vita, ma finché il pirata sarà vivo, lei continuerà a respirare». Cercai di riprendere fiato, metabolizzando tutte quelle informazioni. Io e Killian avevamo sempre avuto un legame, la mia vita e la sua erano collegate ed io me ne accorgevo solo in quel momento. Finché il mio bambino avesse vissuto, io non avrei potuto abbandonare quel mondo. Che ironia della sorte, era davvero la mia punizione personale.
«Lo sapeva vero?», domandai amaramente. «Sapeva che avrei cambiato idea e che avrei solo voluto lasciare questo mondo per sempre. Era parte del prezzo che ho dovuto pagare per la mia scelta?».
«Sì, una mente contorta direi».
«Come quella di ogni Signore Oscuro», affermai.
«Beh questo complica le cose», intervenne Hyde. «Non possiamo controllarla a quanto pare».
«Avrei davvero voluto averla come un burattino tra le mie mani», concordò Regina.
«Comunque può restare qui e servire al nostro scopo; Jekyll non sa di certo che non possiamo torcerle un capello. E al massimo ci occuperemo di quel pirata per tenere buoni entrambi. È un po’ troppo arrogante per i miei gusti, sarebbe un piacere dargli una bella lezione». Rabbrividì al pensiero che facessero del male a Killian: potevano farmi di tutto, ma dovevano lasciare stare mio figlio.
«Lui lo sa», bluffai. «Sapevo che voleva parlarmi di qualcosa, mi ha detto che Emma aveva fatto delle scoperte. Sono sicura che riguardassero questo, e sono anche sicura che avranno già trovato un modo per proteggerlo».
«Bel tentativo mia cara», si complimentò Hyde, «ma ho le mie fonti. So che stai mentendo». Feci una smorfia riconoscendo che il mio tentativo era piuttosto misero.
«Per ora mi sei utile qua, rinchiusa tra queste quattro mura», affermò sorridendo.
«Beh è davvero un peccato», replicò Tremotino, «che per i miei piani invece mi sia più utile fuori». Fu un attimo: un istante prima ero in piedi in quella grotta e il secondo dopo mi ritrovai in mezzo al bosco, accanto al Signore Oscuro mentre una nuvola di fumo si dissolveva intorno a noi.
La luce abbagliante del sole mi accecò come ad impedirmi di vedere l’assurdità di ciò che era appena successo. Tremotino mi aveva appena aiutata ad evadere?
«Perché l’hai fatto?», domandai stupefatta, quando fui in grado di distinguere la figura in piedi accanto a me.
«Un grazie sarebbe gradito», evitò di rispondermi.
«Grazie», replicai subito. «Ma perché? Cosa vuoi da me? Conosco abbastanza bene il Signore Oscuro da sapere che non fa mia nulla per niente. Cosa vuoi in cambio?».
«Capisco la tua diffidenza mia cara, ma per il momento non voglio nulla da te».
«E allora perché mi hai liberata?».
«Perché Hyde non è stato del tutto corretto con me, mi ha, come dire, messo in una posizione difficile. Ti basti sapere che ti ho liberata per irritarlo e per fargli capire che non si scherza con il Signore Oscuro».
«Ed io cosa c’entro?». Non mi era sfuggito il suo “per il momento”, detto poco prima.
«Sei un caso interessante, e per adesso mi sei più utile fuori che prigioniera di quel mostro».
«Non mi fido di te», replicai. «Non farò mai nessun accordo con te. Ho già commesso quel genere di errore».
«Lo so, ma adesso, che tu lo voglia o meno, sei in debito con me».
«Io non sono in…».
Mi zittì prima che potessi continuare. «Sono sicuro che nonostante tutto sarai tu a venirmi a cercare la prossima volta».
«Neanche morta, non sono più la stupida donna capace di fidarsi di uno come te».
«Staremo a vedere», mi liquidò con un gesto della mano. «Per il momento ricorda che mi devi un favore». Per quanto detestassi ammetterlo, sapevo che aveva ragione: non sarei mai riuscita a scappare da sola. Se ero libera, lo dovevo esclusivamente a lui.
«I tuoi amici saranno qui tra poco. A presto mia cara». E così dicendo svanì in una nuvola di fumo, lasciandomi da sola in mezzo alla vegetazione.

 
Angolo dell’autrice:
Buongiorno a tutti! Vi prego di non avercela con me, so che ho messo un bel po’ di carne al fuoco con questo capitolo e so che ho parlato del segreto di Sylvia senza in realtà dire nulla! Ho lasciato solo alcune allusioni che, lo so, non hanno spiegato un bel niente! Però vi prometto che tra due capitoli sarà tutto chiaro, lo giuro!
Comunque date il bel tornato a Tremotino, che per una volta sembra aver fatto qualcosa di utile. Cosa avrà in mente? Ci sarà dell’altro sotto?
Vi ringrazio come sempre, sia chi legge che chi recensisce, e vi do appuntamento alla prossima settimana.
Un abbraccio,
Sara
 

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Capitolo 13
*** 13. Solo due parole: formaggio grigliato ***


13. Solo due parole: formaggio grigliato
 
Guardavo fuori dalla finestra aspettando l’arrivo degli altri. Ci eravamo dati appuntamento a casa mia per quella mattina, con lo scopo di usare la pozione di localizzazione e poter così rintracciare Sylvia. Il piano era di trovare il luogo dove veniva tenuta prigioniera e di intervenire solo in un secondo momento.
Killian era rientrato da poco, dopo che era rimasto fuori tutta la notte con mio padre a controllare il negozio di Gold. Quando lui mi aveva proposto, la sera prima, di andare a casa per riposarmi un po’, io non me l’ero fatto ripetere due volte. Probabilmente si era stupito del mio pronto consenso, non ero il tipo che accettava volentieri di restare esclusa da qualche missione. Però mi sentivo davvero uno schifo e non volevo che lui si preoccupasse. Non che la notte mi avesse fatto stare meglio, anzi se era possibile mi sentivo sempre peggio.
Non ero riuscita a chiudere occhio e continuavo a sentirmi sempre più stanca, come se tutte le mie forze fossero pian piano risucchiate via dal mio corpo; in più ero piuttosto sicura che mi fosse salita anche la febbre. Quell’improvvisa debolezza mi preoccupava parecchio: sapevo che non si trattava di una semplice influenza, era qualcosa che non riuscivo a spiegare e guarda caso era cominciata subito dopo essermi risvegliata dall’incantesimo del sonno. Ero certa che né Henry né i miei genitori si fossero sentiti così dopo aver spezzato il sortilegio.
A complicare il quadro c’era il fatto che, nonostante desiderassi confessare tutto a Killian, non potevo mettergli addosso quell’ulteriore preoccupazione, non finché non avessimo ritrovato Sylvia. Se da una parte non desideravo altro che lui si prendesse cura di me, come faceva sempre quando stavo male, dall’altra sapevo che non poteva occuparsi completamente di sua madre con il costante pensiero del mio stato di salute. Se quel mio malessere improvviso era collegato all’incantesimo del sonno, sapevo che non sarebbe passato come se nulla fosse e che non poteva altro che andare a peggiorare. Non potevo dare a Killian ulteriori motivi per cui preoccuparsi.
Tuttavia avevo davvero bisogno di parlarne con qualcuno, non potevo tenere quel segreto per me. Cercai di vagliare le opzioni che avevo, ma tutte mi sembravano fuori luogo. Dirlo ai miei era fuori discussione, mi avrebbero messa subito a letto, confinata in casa, destando così i sospetti di Hook; era impossibile che mi lasciassero fare di testa mia, facendomi fare finta di nulla. Henry era troppo piccolo e anche se sapevo che forse era l’unico che potesse avere qualche sospetto, non potevo sommergerlo con una responsabilità così grande. Visto che tenere tutto per me mi sembrava stupido, era ovvio che l’unica soluzione fosse parlare con Regina. Ed era proprio per lei che ero appostata lì davanti alla finestra.
«Ehi». Due braccia forti mi avvolsero stringendomi in un caldo abbraccio. Sospirai e mi appoggiai contro il petto di Killian, posando la testa sulla sua spalla.
«Che ci fai qui?», mi chiese, le labbra ad un centimetro dal mio orecchio.
«Che ci fai tu qui, non dovresti cercare di riposare almeno un po’?».
«Non credo che riuscirei a dormire comunque».
«Neanche io». Chiusi gli occhi e lasciai che mi coccolasse almeno per un po’. Sarebbe stato facile raccontargli tutto, dirgli che stavo lottando con tutta me stessa per sembrare la solita, ma che in realtà faticavo a stare in piedi; sarebbe stato facile, ma poi avrei scaricato tutto il peso su di lui, e le sue spalle erano già cariche di numerosi problemi per potercene aggiungere altri.
Mentre le sue braccia mi stringevano forte, le sue labbra lasciarono una scia di baci lungo il mio collo. Avrei potuto passare ore accoccolata sul suo petto, era quello di cui avevo bisogno e anche quello che occorreva a lui. La sua bocca sulla mia pelle riusciva a calmarmi e allo stesso tempo a farmi fremere di desiderio.
«Sei calda», sussurrò sulla mia gola.
«Sei solo tu che sei freddo», replicai sperando che mi credesse. Non indagò oltre e riprese il suo peregrino percorso sulla mia pelle
Mi baciò un orecchio, succhiandomi il lobo e con l’uncino mi sollevò leggermente la maglia. Sebbene fossi abituata al contatto col metallo freddo, il mio corpo reagì con un tremito improvviso. Evidentemente la differenza di temperatura era maggiore del normale.
«Tutto bene?». Nella sua voce si distingueva già una nota di preoccupazione.
«Sì tutto bene». Girai leggermente la testa per rivolgergli un ampio sorriso e per poterlo così baciare. Sperai che il contatto delle mie labbra sulle sue fosse una distrazione più che sufficiente. Per fortuna a salvarmi nel mio tentativo di sviare l’argomento, oltre al mio patetico bacio, intervenne il suono del campanello.
«Vado ad aprire», sussurrò, continuando però a baciarmi. Non lo lasciai andare ma proseguii ad assaporare le sue labbra. Era incredibile come riuscissero a sapere di rhum e sale a qualsiasi ora del giorno o della notte.
Il campanello suonò di nuovo, costringendoci a staccarci. «Sarà meglio che vada, prima che Regina decida di buttare giù la porta». Si allontanò per andare ad aprire ed io ritornai nel mio stato catatonico di fronte alla finestra.
Come aveva ipotizzato Hook, si trattava proprio di Regina, con Henry al seguito; nonostante volessimo entrambe che lui restasse a casa, alla fine quel ragazzino era riuscito a fare di testa sua. Beh dovevo riconoscere che era proprio mio figlio.
Visto che stavamo aspettando Jekyll, che doveva arrivare nel giro di qualche minuto, capii che quello era sicuramente il momento migliore per parlare con Regina senza destare troppi sospetti.
«Regina potresti venire con me un minuto?», le chiesi scrutandola a fondo e sperando che accogliesse al volo la mia richiesta.
«Sì certo», mi rispose sorpresa. Killian mi lanciò uno sguardo perplesso e allo stesso tempo preoccupato, ma io lo rassicurai con un sorriso e mimando un “tutto bene” con le labbra.
La portai in camera e chiusi la porta in modo che la nostra conversazione non venisse ascoltata.
«Allora cosa c’è di così importante?». Mi guardò disorientata poggiandosi le mani sui fianchi.
«C’è qualcosa che non va», confessai sedendomi sul letto.
«Dove?».
«In me», risposi titubante.
«Beh ho sempre pensato che tu avessi qualche rotella fuori posto, ma non capisco perché te ne faccia un problema proprio adesso». Mi sentivo già uno schifo senza che ci si mettesse di mezzo il suo senso dell’umorismo.
«Non scherzare, ti prego», la supplicai. «Non so cosa mi prende». Dovette notare la mia nota di panico, perché la sua espressione mutò all’istante e si venne a sedere sul letto accanto a me.
«Che succede Emma?».
«Non lo so, ma mi sento uno schifo». Feci un respiro profondo per riuscire a fare un discorso di senso compiuto. «È cominciato dopo che mi sono risvegliata dall’incantesimo del sonno. Non subito, infatti ho pensato che fossi solo scombussolata, ma poi ieri sera ho avuto una fitta tremenda, non riuscivo neanche a respirare, e dopo ho cominciato a sentirmi stanca e debole. Ed è sempre peggio, ho cercato di dormire, ma adesso credo di avere anche la febbre e continuo a sentire come se tutta l’energia mi fosse risucchiata via lentamente. Non so cosa fare Regina; ho provato ad usare la magia per guarirmi, ma non ci riesco. Sono troppo debole e…».
«Calma». Mi posò una mano sulla mia cercando di tranquillizzarmi; le mie parole erano state un fiume in piena.
«Cosa ti senti di preciso?».
«Te l’ho detto mi sento debole e stanca, fatico anche per fare le cose più semplici». Era difficile da spiegare, ma non mi ero mai sentita più a terra di così.
«Credi che sia colpa del sortilegio?», mi domandò dopo qualche secondo.
«Non è una semplice influenza», replicai. «Lo sai che non sono un tipo che si spaventa facilmente».
«Va bene, è evidente che la cosa è molto grave per averti spaventato così, ma farsi prendere dal panico non è la soluzione».
«Beh certo, ma non è altrettanto facile mantenere la calma quando stai facendo uno sforzo enorme per dissimulare».
«Hook non lo sa?».
Le lanciai uno sguardo esasperato. «Regina andiamo! Secondo te, con tutto quello che sta passando in questo momento, posso dirgli anche questo?».
«Questo spiega perché stamattina hai esagerato col trucco».
Le lanciai un’occhiataccia, facendole capire che proprio non era il momento di scherzare. «Ero uno straccio, molto più pallida del solito. Cosa avrei dovuto fare se non mascherarlo al massimo?».
Scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. «D’accordo, guardiamo se con la mia magia posso fare qualcosa». Si concentrò, posando entrambe le mani sulle mie. Il fatto che non sentissi niente di diverso, non era certo una cosa positiva.
«Meglio?», mi domandò titubante.
«No?». La mia risposta suonò più come una domanda. «Maledizione! Che diavolo mi succede?».
«Se è collegato all’incantesimo del sonno, vuol dire che è opera della Regina Cattiva. Forse è proprio per questo che è stato così facile trovarti e svegliarti».
«Te lo ripeto: non vedo altra spiegazione Regina, non è un semplice malessere ed ho un brutto presentimento. Mi conosci, non avrei detto niente se non fosse importante».
«Già ed è proprio questa la cosa che mi spaventa di più». Proprio in quel momento sentimmo suonare il campanello, segno evidente che anche il dottore era arrivato.
«Andiamo», dissi alzandomi, «dobbiamo tornare dagli altri».
«Emma». Mi afferrò per il braccio impedendomi di uscire e mi fisso con uno sguardo serio. «Che cosa hai intenzione di fare?».
«Niente, assolutamente niente. Farò come se andasse tutto bene. Ora andremo giù e cercheremo Sylvia e quando l’avremo trovata penseremo a me».
«Sei forse impazzita? Non puoi venire a cercare la madre del tuo fidanzato in queste condizioni».
«Regina». Questa volta fui io a osservarla con uno sguardo serio. «Ti ho confessato tutto perché sapevo che non mi avresti fermato. L’ho detto a te e a nessun altro perché sapevo che saresti stata l’unica che mi avrebbe lasciato fare di testa mia».
«Beh fare di testa tua non mi sembra un gran piano Swan. Non puoi andare giù ed avventurarti in questa missione come se nulla fosse. E se mi crolli all’improvviso?».
«Non crollerò», ribattei decisa. Non ero certa al cento per cento di farcela, ma avevo una grande forza di volontà. Potevo sopportare molto più dolore di quanto tutti credessero: avevo passato di peggio nella mia vita, potevo aspettare a sentirmi male almeno per un altro giorno.
«Emma…». Era esasperata.
«Non crollerò te lo giuro», ripetei. «Ti prego Regina, non costringermi a dirglielo. Se gli dico che voglio rimanere qui, capirà che c’è qualcosa che non va. Non voglio che si preoccupi anche per me. E se dovessi proprio sentirmi male, troverò un diversivo».
Mi guardò riflettendo e, alla fine, emise un lungo sospiro. «Una parola».
«Cosa?».
«Una parola, ci serve una parola chiave, di sicurezza. Se la pronuncerai capirò che stai troppo male per proseguire e che stai per cedere. Così potrò portarti via di lì, che il tuo pirata sia d’accordo o meno».
«Grazie». Le rivolsi un sorriso grato ed iniziai a riflettere su quale vocabolo potesse fare al caso nostro. «Formaggio grigliato», dissi infine.
«Formaggio grigliato?». Assunse un’espressione scettica.
«Formaggio grigliato», ripetei sicura precedendola al piano di sotto.
«E che formaggio grigliato sia Swan», sospirò esasperata.
Giù nel salotto trovammo ad attenderci oltre a Jekyll, Henry e Killian anche mia madre.
«Mamma che ci fai qui?», le domandai mentre Hook mi metteva una mano intorno alla vita, forse per assicurarsi che fosse davvero tutto a posto. La mia chiacchierata con Regina non era certo passata inosservata come avevo sperato.
«Ho accompagnato Jekyll», mi rispose come se fosse ovvio. «Ho dato il cambio a tuo padre e poi mi ero stancata di stare a guardare. Voglio dare una mano anch’io per ritrovare Sylvia».
«Grazie Mary Margaret, lo apprezzo molto». Killian mi accarezzo un fianco, ma questa volta percepii l’impazienza nel suo gesto.
«Allora sbrighiamoci», disse Regina al mio posto. Estrasse dalla tasca una fialetta e la stappò. Killian nel frattempo aveva tirato fuori il fazzoletto di Sylvia e glielo stava porgendo. Quando versò il liquido sul tessuto, l’oggetto prese vita e iniziò a svolazzare tentando di uscire dalla porta.
«Seguiamolo». Aprimmo la porta e scendemmo i gradini inseguendo speranzosi quel pezzo di stoffa. Il fazzoletto iniziò a fluttuare in direzione della città.
«Credo che dovremmo seguirlo in auto», suggerì mia madre.
«Prendiamo la mia», intervenne Regina. «Jekyll e Mary Margaret seguiteci con l’altra». Dentro di me la ringraziai per quella proposta; proprio non me la sentivo di mettermi al volante.
Stipati nella lussuosa auto del sindaco, arrivammo nel centro di Storybrooke. Il fazzoletto continuava a svolazzare nell’aria seguendo una direzione ben precisa e non accennava minimamente a fermarsi. Parcheggiamo le auto di fronte al locale di Granny e decidemmo di proseguire a piedi.
«Sta andando verso la biblioteca», sussurrò Killian, porgendomi l’uncino perché l’afferrassi. Nonostante preferissi proseguire da sola, piuttosto che seguire il suo passo, afferrai lo stretto metallo senza farmelo ripetere due volte. Dentro di me cercavo solo di concentrarmi su altro che non fosse la mia inspiegabile debolezza. Sentivo le gambe molli, ma sapevo di poter resistere a molto peggio. Lo sguardo di Regina fisso su di me era in qualche modo un ulteriore incoraggiamento e allo stesso tempo era alquanto confortante sapere che lei era a conoscenza di tutto.
All’improvviso, però, quasi all’ingresso della biblioteca, il fazzoletto cambiò direzione, lasciandoci completamente spiazzati. Cominciò a tornare indietro per la strada che avevamo appena percorso, allontanandosi da dove solo un attimo prima ci stava guidando.
«Ma che diavolo succede?», chiese Killian.
«Non ne ho idea», rispose Regina.
«L’incantesimo sembra comunque funzionare», intervenne mia madre. «Continuiamo a seguirlo». Stavolta quel pezzo di tessuto ci guidò verso le vie che portavano alla periferia di Storybrooke, in vicinanza del bosco. Fu quando iniziò ad addentrarsi nel folto della vegetazione che tutti iniziammo a preoccuparci.
Lasciai andare l’uncino di Killian in modo che lui potesse precedermi e mi concentrai invece su dove mettere i piedi. Da quel momento non solo dovevo sforzarmi di correre dietro ad un pezzo di stoffa, ma avrei dovuto anche scansare radici e rami. Davvero fantastico!
Regina dovette percepire il mio disagio, perché lasciò che gli altri la sorpassassero per poter restare al mio fianco.
«Tutto bene?», mi domandò preoccupata.
Alzai gli occhi al cielo, anche se le ero grata per il suo interesse. «Sì ce la faccio».
Non rispose e continuò a camminare davanti a me, lanciandomi costantemente una serie di occhiate piuttosto esplicative; per fortuna gli altri erano troppo intenti nel seguire il tragitto per far caso a noi.
Camminammo per circa cinque minuti prima che il fazzoletto iniziasse lentamente a planare per poi atterrare in mezzo ad un gruppo di foglie secche sparse a terra. Là in piedi, con l’espressione confusa e disorientata, c’era Sylvia,.
Ci fu un generale sospiro di sollievo, anche se tutte le nostre missioni sembravano risolversi fin troppo facilmente; nessuno di noi si era aspettato di trovarla libera e quanto pareva già in salvo. Come era riuscita a scappare da sola? Era stata davvero prigioniera di Hyde? Credevamo di doverla salvare ed invece, a quanto pareva, si era già salvata da sola.
«Sylvia». Jekyll le corse incontro. «Per fortuna stai bene». Inaspettatamente la baciò con passione. Era chiaro che ormai non aveva più senso starle lontano, non quando tutti conoscevano i loro rapporti, non quando entrambi volevano esattamente il contrario. Sylvia fu sorpresa da quel gesto, ma lo ricambiò calorosamente.
Mentre gli altri distoglievano lo sguardo, io mi avvicinai a Killian, sfiorandogli la mano con le dita.
«Vai Killian», lo incoraggiai con un tono di voce che potesse udire solo lui. «Vai amore».
Quando Sylvia si staccò da Jekyll, il suo sguardo cercò subito Killian e si fermò su di lui. Dalla sua espressione si capiva che era in trepidante attesa di un gesto del figlio e che allo stesso tempo non desiderava altro che la possibilità di fare la prima mossa.
Killian mosse qualche passo verso di lei e poi sorprendendola l’abbracciò.
«Mamma», sussurrò tra i suoi capelli. «Sono così contento che tu stia bene». Sylvia lo circondò con le braccia, stringendolo finalmente come desiderava. Da sopra la sua spalla puntò lo sguardo su di me, rivolgendomi un’espressione riconoscente. Le risposi con un sorriso e lasciai che loro due si godessero quel momento di ricongiungimento.
Quando si staccarono, Killian la guardò a fondo assicurandosi che stesse bene. Avevo avuto quello sguardo addosso molte volte e molto probabilmente me l’avrebbe rivolto presto, una volta scoperto il mio malessere.
«Sei ferita?», le chiese notando i capelli e gli abiti leggermente sporchi di quello che sembrava essere sangue.
«Sto bene Killian», lo rassicurò. «Adesso sto benissimo». Gli rivolse un ampio sorriso facendogli capire che in quel momento le importava poco della sua salute fisica, soprattutto quando lui la guardava di nuovo in quel modo. Ero sicura che la stesse guardando con la stessa espressione di quando era piccolo.
«Mi dispiace per quello che ti ho detto, sono stato cattivo ed inopportuno», si scusò lui. Sapevo che non aspettava altro che la possibilità di poterlo fare. La paura di perderla un’altra volta, gli aveva permesso di comprendere i propri errori.
«Non importa Killian, eri solo preoccupato per Emma. Lo capisco».
«No», ribatté. «Non avrei dovuto comunque. Ti voglio bene mamma». Pronunciò le ultime quattro parole in un sussurro, ma gli occhi di Sylvia si spalancarono riempiendosi di lacrime di gioia.
«Ti voglio bene anch’io Killian». Questa volta fu lei ad abbracciare di nuovo il figlio.
«Beh visto che la missione di salvataggio è stata più facile del previsto», intervenne Regina, «credo proprio che sia opportuno rimandare le spiegazioni ed i convenevoli a quando saremo in un luogo più tranquillo».
«Sì andiamo a casa», acconsentii grata. Mi sembrava incredibile ma ce l’avevamo fatta: eravamo riusciti a trovare Sylvia ed io avevo mascherato il mio malore quel tanto che bastava per alleggerire un po’ la tensione sulle spalle di Killian.
«Se permettete…». Con un semplice gesto Regina ci riportò nella nostra casa ed io sospirai di sollievo scorgendo intorno a me le confortevoli pareti del salotto. Avremo recuperato le auto più tardi, ma in quel momento avevo proprio bisogno di sedermi, sentivo le ginocchia molli e le gambe tremanti.
Senza farmi notare mi accomodai sul divano facendo un profondo respiro e chiudendo gli occhi.
«Mamma?». La voce di Henry e il contatto caldo con la sua mano mi riportarono alla realtà. Gli rivolsi uno sguardo rassicurante, ma evidentemente lui riusciva a capirmi molto più di quanto desse a vedere. La sua espressione si accigliò e continuò a fissarmi con aria truce; se aveva già dei sospetti, avevano sicuramente trovato la loro conferma perché continuò a studiarmi con aria preoccupata.
«Emma?». Anche Killian mi aveva notato e venne subito ad inginocchiarsi davanti a me. Mi posò la mano sulla guancia, osservando attentamente il mio viso. Odiavo quell’espressione preoccupata che si disegnava sui loro volti; solo che questa volta non era affatto ingiustificata e la cosa mi terrorizzava ancora di più.
«Sylvia», dissi alzandomi, lottando contro il mio stesso corpo, «forse sarà meglio che ti tolga quei vestiti sporchi, credo di avere qualcosa che ti possa andar bene. Così quando ti sarai cambiata potrai raccontarci per filo e per segno ciò che è successo». Regina mi fulminò con lo sguardo; evidentemente aveva sperato in una mia fulminea confessione. Tuttavia c’erano ancora un paio di faccende da chiarire prima di lanciare l’allarme rosso sul mio stato di salute; proprio per questo, non curandomi di lei, mi diressi verso le scale.
«D’accordo, grazie». Sylvia, dopo un attimo di perplessità, lasciò andare la mano di Jekyll, che nel frattempo si stava accertando anche lui della sua incolumità, e mi seguì al piano di sopra. Trovai un paio di pantaloni e un golf che probabilmente le sarebbero andati bene e lasciai che si chiudesse nel bagno antistante la camera, mentre io mi sedetti sul letto lasciandomi cadere all’indietro.
«Sono contenta che anche tu stia bene Emma», mi disse attraverso la porta chiusa, «e ti sono grata per quello che hai fatto con Killian. Non mi avrebbe dato un’altra possibilità se non fosse stato per te».
«Io non ho fatto nulla», risposi cercando di concentrarmi sul suono della sua voce, piuttosto che su quanto fossi stanca.
«Sì invece, anche se non te ne rendi conto».
«Sarebbe tornato da te comunque», ribattei. «Killian non è il tipo di persona che dimentica facilmente; questo non vale solo per chi gli ha fatto un torto, è una persona che ama per sempre. Non ha dimenticato ciò che tu eri per lui».
Non rispose ma sentii invece l’acqua cominciare a scorrere. Chiusi gli occhi: forse potevo concedermi un riposino di cinque minuti.
Poco dopo la voce di Sylvia mi ridestò, riportandomi alla realtà. «Questi abiti sono strani». Era davanti a me con indosso i miei vestiti, che anche se le stavano leggermente grandi, mettevano in risalto il suo corpo esile.
«È la prima volta che indossi dei pantaloni, vero?», le domandai sorridendo. Continuava a fissarsi le gambe con un’aria preoccupata.
«Si nota tanto?».
«Ci farai l’abitudine», la rassicurai alzandomi per tornare al piano di sotto. Era proprio giunto il momento delle spiegazioni. Una volta tornate in salotto, mi accoccolai sul divano accanto a Killian poggiando la testa sulla sua spalla, mentre Sylvia si sedette su una sedia davanti a noi. Jekyll fu subito al suo fianco, riprendendole la mano. Anche tutti gli altri avevano già preso posto.
«Allora Sylvia», le domandò mia madre, «cosa è successo di preciso?».
«Beh è stato Hyde», iniziò. «Mi dispiace per la confusione nel tuo appartamento, ma ho tentato inutilmente di difendermi. Non so bene cosa sia accaduto dopo, ma mi sono risvegliata in una grotta gigantesca. C’era il guardiano e poi sono arrivati anche Hyde e la Regina Cattiva».
«E come sei riuscita a scappare?». Jekyll strinse più forte la sua mano e lei gli rivolse un dolce sorriso. Erano carini, ed ero contenta che anche lei avesse qualcuno d’amare e che la ricambiasse.
«Beh questa è la cosa più strana a dire la verità».
«Strana?». Era stato Killian a parlare.
«Sì, è stato Tremotino a salvarmi».
«Cosa?». Fu un grido di sorpresa generale.
«Già, però è così. È stato lui a portarmi fuori dalla grotta e fuori dalle grinfie di Hyde; non so perché l’ha fatto, forse per vendicarsi di Hyde stesso, ma so che non sarei riuscita ad evadere senza il suo intervento».
«Aspetta un attimo», intervenne Regina, «forse è per questo che la pozione di localizzazione si è comportata in quel modo bizzarro. Comunque sarà meglio andare per filo e per segno; raccontaci esattamente ciò che è successo».
Sylvia annuì ed iniziò a parlare. Ci raccontò del piano di Hyde, del fatto che voleva eliminare Jekyll e che per il momento non poteva farlo, che lei era stata presa in ostaggio per essere la garanzia che il dottore non facesse di testa sua. Era la “merce” per ricattarlo.
La sua voce si affievolì quando arrivò alla parte legata ai suoi oscuri trascorsi.
«Conoscevano la verità, la verità sul mio passato», disse puntando lo sguardo a terra. «Avevano delle pagine, delle pagine di un libro come quello che mi hai dato tu». Alzò gli occhi su Henry per poi spostarli su Killian. L’avevo sentito irrigidirsi leggermente e la sua presa sul mio fianco si era fatta più salda.
«Le pagine strappate», notò Regina. «Avevamo ragione a pensare che l’avesse prese lui».
«Non credevo che ci fosse un libro con scritta la mia storia», proseguì Sylvia.
«Non lo immaginavamo neanche noi, ma i libri funzionano in maniera strana», le spiego Henry. «Nonostante che io sia l’Autore, finiscono sempre per sorprendermi».
«Comunque, Hyde e la Regina Cattiva hanno iniziato a torturarmi a parole, hanno insinuato cose che avrei preferito non sentire. Alla fine mi sono arrabbiata e ho fatto perdere il controllo alla Regina; così lei ha tentato di strapparmi il cuore».
«Cosa?». Di nuovo fu un grido generale e restammo tutti ad osservarla in trepidante attesa.
«Non ci è riuscita», si affrettò a chiarire alzando le mani in un gesto di difesa. «Ed è a questo punto che è arrivato Tremotino. Ci ha dato delle spiegazioni ed ho finalmente scoperto perché sono ancora in vita».
La sua espressione si addolcì di nuovo, rivolgendo un enorme sorriso al figlio. Cercai di rimanere concentrata, nonostante sentissi le palpebre sempre più pesanti. Quello era uno dei chiarimenti che avremmo voluto ricevere fin dall’inizio; non potevo cedere ora, proprio quando una buona parte di misteri stava per essere svelata.
«La Regina non è riuscita neanche a toccare il mio cuore, e questo perché non sono stata io a controllare la mia stessa vita da quando me ne sono andata». Prese un enorme respiro e il suo sguardo si fece più intenso. «Killian credo che tu debba sapere che io ho fatto un accordo con Zoso, il Signore Oscuro, molto tempo fa»..
Anche Killian sospirò. «Non lo sapevo con certezza, ma lo immaginavo».
«Ti spiegherò tutto, ma sarà meglio andare per gradi. Quello che ho scoperto poche ore fa è che Zoso ha legato la mia vita alla persona che ho sempre amato con tutta me stessa». Non aggiunse altro e continuò a guardare il figlio con immensa emozione.
Killian sbatté le palpebre, stentando a credere a quello che lei gli stava suggerendo. «A me?».
«A te», confermò. «Per questo non sono invecchiata più, perché tu hai smesso di invecchiare».
«Ed è per questo che eri in fin di vita prima di arrivare qui», concluse mia madre, «perché Killian era nell’Oltretomba».
«Già». Quella sì che era una svolta interessante e se fossi stata nel pieno delle forze avrei potuto fare tutti i collegamenti del caso, ma in quel momento la mia testa si rifiutava di collaborare.
«Finché vivrai, Killian, vivrò anch’io», concluse. «È la mia punizione e la mia più grande consolazione allo stesso tempo».
«Io…». Hook balbettò cercando di trovare le parole giuste. «Io non so cosa dire».
«Non dire niente», intervenne lei. «Lascia che ti spieghi cosa è successo veramente tanti secoli fa, che lo spieghi a tutti voi. Lasciami esporre la mia versione dei fatti. Ti prego non voglio più tenere questo segreto, lascia che me lo tolga dalle spalle». Se il suo tono non fosse stato abbastanza persuasivo, la sua espressione avrebbe convinto chiunque. Lo stava praticamente supplicando a cuore aperto.
Killian mi strinse forte a sé spingendomi ancora di più contro il suo fianco. Per quanto temesse quelle spiegazioni, ormai era giunto il momento di riceverle; non poteva più rimandare.
«D’accordo», acconsentì. «Ti ascolto».
Sylvia emise un profondo respiro e si preparò a raccontare per la prima volta la sua storia.
Fu mentre le parole di Sylvia fluivano libere, rivelandoci tutta la verità, che accadde: i miei occhi si fecero sempre più pesanti e, per quanto desiderassi rimanere sveglia e ascoltare finalmente la verità, non riuscii più a lottare contro il mio corpo. Con la testa appoggiata contro la spalla di Killian, lasciai che il mio corpo si arrendesse.
In quella posizione era impossibile che lui riuscisse a scorgere il mio volto e gli altri erano troppo concentrati sulle parole di Sylvia per far caso a me. Lasciai che i miei occhi si chiudessero e sentii un torpore stranamente confortante, invadermi. Non avevo più la forza di muovere un muscolo e desideravo soltanto che quella spossatezza cessasse una volta per tutte. Il torpore sembrava fare proprio al caso mio.
Alla fine, il momento che avevo aspettato e temuto dalla sera precedente era arrivato: stavo definitivamente crollando, senza più possibilità di ripresa. Non mi ero mai arresa in vita mia di fronte a niente, ma in quel momento non avevo la minima forza per lottare. Il mio corpo era stato praticamente annientato ed il bello era che non sapevo neanche da cosa.
Con un ultimo sforzo tentai di articolare delle parole, di riuscire a farle salire alle labbra. Pronunciandole Regina avrebbe capito, lei avrebbe capito tutto. “Formaggio grigliato”.
Ma era davvero troppo faticoso trasformare quei pensieri in suoni e perciò rimasero come delle semplici parole nella mia mente.

 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica! Come ogni settimana eccomi qua.
In questo capitolo sono tornata un passo indietro per farvi vedere cosa hanno fatto i nostri eroi mentre Sylvia era prigioniera di Hyde. Nel frattempo Emma sta sempre peggio, anche se tenta di dissimulare… Vi prego non odiatemi per questo finale.
Come vi avevo già anticipato nel prossimo capitolo ci sarà finalmente tutta la verità sul passato di Sylvia e sul suo accordo con Zoso; presto sarà tutto chiaro e tutti i pezzi del puzzle torneranno al loro posto, ve lo prometto.
Vorrei ringraziare, come sempre, chi legge le mie storie e un grazie particolare va anche a chi recensisce: i vostri commenti mi sono molto di aiuto quando sono bloccata e non so più cosa inventarmi per mandare avanti la storia.
Un bacione e alla prossima settimana (che sarà anche la domenica di OUAT! Evviva!)
Sara
 

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Capitolo 14
*** 14. La vera storia di Sylvia Jones ***


14. La vera storia di Sylvia Jones
 
Sylvia, molti anni fa
Il dottore davanti a me trasse un profondo respiro e si accasciò di più sulla poltrona. Mi puntò lo sguardo addosso ancor prima di parlare, ma io sapevo già cosa voleva dirmi. Non era il primo che affrontavo e avevo già visto quello sguardo molte volte, forse troppe.
«Devo darvi una brutta notizia», iniziò. «Io non so proprio in che modo aiutarvi, non ho mai visto niente del genere».
«Lo immaginavo», sospirai alzandomi, «vi ringrazio comunque della vostra disponibilità». Vidi il suo sguardo costernato e mi sforzai di rivolgergli un debole sorriso. In cuor mio volevo solo lasciare lo studio più velocemente possibile.
Una volta in strada, all’aria aperta, cercai di pensare con più calma e lucidità. Non credevo di poter risolvere qualcosa con quella visita, ma in qualche modo avevo finito per sperarci. Non capivo come potessi ancora riuscire a sperare, dopo tutte le volte in cui l’avevo visto accadere, dopo aver osservato tutti i miei fratelli e le mie sorelle passarci prima di me.
Cominciava con delle macchie sulla pelle, comparse all’improvviso, all’apparenza del tutto innocue, per poi peggiore sempre più, fino a renderti incapace di camminare o semplicemente di stare in piedi; e alla fine non restava più alcuna possibilità, non c’era via di scampo, nessuna guarigione improvvisa, solo lo spengersi lento di una vita.
Quando da bambina ero stata l’unica a non ammalarmi di tutti i miei fratelli, i miei genitori l’avevano considerata una benedizione; ma evidentemente mi ci era voluto solamente molto più tempo per mostrare i primi sintomi. Il mio spavento quando avevo visto le prime macchie sul mio fianco, qualche settimana prima, mi aveva fatto cadere, rovesciando completamente il secchio con l’acqua calda. Brennan era stato costretto a riempirmelo di nuovo, anche se per fortuna ero riuscita a farlo passare come un semplice gesto di sbadataggine.
Nascondergli le macchie e le varie visite mediche dei giorni successivi era stato più difficile, ma volevo tentarle tutte prima di dirgli la verità. Lui non conosceva la storia della mia famiglia e non era preparato al caos che avrebbe portato quella mia rivelazione. Questa era la giustificazione che davo a me stessa per il mio silenzio; ma in realtà non avevo il coraggio di dirglielo: sapevo che lui mi avrebbe aiutato e sostenuto, ma non volevo vedere il dolore nei suoi occhi e soprattutto in quello dei miei figli. Non affrontare con loro l’argomento era una cosa stupida, visto anche che non avevo più molto tempo da perdere, ma non ci riuscivo. Proprio quando avevo avuto tutto, la mia famiglia, i miei figli, un marito non perfetto ma comunque migliore di tanti altri, una certa stabilità, questo tutto mi veniva strappato dalle mani; o meglio, io venivo strappata via dalla mia vita.
Nessun medico era riuscito a risolvere niente quando ero piccola e nessun medico sarebbe riuscito a risolvere qualcosa adesso: dovevo farmene una ragione. Facile a dirsi ma non altrettanto a farsi. Sapevo che la scienza e la medicina non avrebbero avuto la soluzione perché il problema era di tutt’altro tipo. Il signore e la signora Lewis erano stati maledetti, erano stati condannati ad assistere alla morte di tutti i loro figli; quando io ero risultata immune avevano creduto che il sortilegio fosse stato spezzato. Non avevano esitato, una volta cresciuta abbastanza, nel darmi in sposa ad un uomo che avrebbe potuto portarmi lontano; invece alla fine la magia mi aveva trovata lo stesso. Era incredibile come le colpe dei genitori finissero per ricadere sempre sui figli.
«Mammina!». Una voce dolce e famigliare mi richiamò alla realtà. Senza che me ne accorgessi, avevo percorso le strade della cittadina fino al porto, dove probabilmente avrei trovato Brennan coi bambini. Infatti notai subito la testolina mora di Killian correre trafelata nella mia direzione. Quando mi fu davanti si sporse per farsi prendere in braccio e potermi così abbracciare e dare un bacio sulla guancia.
«Sei venuta a trovarci?», mi chiese stringendosi contro di me, felice per il solo fatto di vedermi. Come potevo dar loro quella notizia, soprattutto darla a lui? Come potevo lasciare il mio bambino?
«Beh passavo di qui e volevo farvi una sorpresa», mentii.
«Mamma». Liam mi era venuto incontro più lentamente. «Papà è sulla barca vuoi che lo chiami?».
«No tesoro non importa, avrà da fare». Gli scompigliai i capelli con una mano, sorreggendo Killian con l’altra.
«Lo sai che papà ci ha promesso che tra due giorni ci porterà in barca?», disse lui contro il mio collo. «Ha detto che posso andare anch’io».
«Se non farai il fifone nanerottolo, altrimenti papà non ti ci porterà più». Killian si alzò leggermente per rivolgere una linguaccia al fratello ed io lasciai che se la vedessero da soli. Tra loro era sempre così, si punzecchiavano ma erano più uniti che mai.
«Stavi andando a casa mamma?», mi domandò Liam, cambiando argomento.
«Sì, sono stata al mercato e poi sono passata di qui, sulla strada del ritorno». Mentire a loro era molto più facile che farlo con Brennan.
«Beh allora veniamo con te, non c’è più molto da fare e credo che il mammone, lì sulla tua spalla, sia d’accordo». Sentii Killian sbuffare, soffiando tra i miei capelli, ma non rispose alla provocazione del fratello.
«Va bene, vai solo ad avvisare tuo padre». Pochi minuti dopo stavo camminando mano nella mano con i miei figli: da un lato Liam, dall’altro Killian. Se mi fossi permessa di pensare che presto non sarebbe più stato possibile, sarei caduta a pezzi. Per questo cercai di concentrarmi sulle chiacchiere allegre e spensierate dei miei bambini; erano così contenti di uscire in barca col padre che non riuscivano a restare un secondo in silenzio, interrompendosi a vicenda.
Quando fummo quasi dietro casa nostra, notammo che, nel campetto lì vicino, si era radunato un gruppo di ragazzini a giocare. Sapevo senza che me lo chiedessero che desideravano unirsi a loro.
«Andate», li precedetti, «ma non allontanatevi e Liam stai attento a tuo fratello». Liam si sporse a darmi un bacio e poi corse da loro senza neanche aspettare il fratello, che rimase accanto a me dondolandosi sui talloni.
«E tu non vai?». Mi accucciai accanto a Killian e lo squadrai sorridendo.
«Sono il più piccolo e non mi considerano mai», sussurrò tenendo lo sguardo basso.
«E tu dimostra loro che, se anche sei il più piccolo, sei meglio di molti altri. Fa vedere loro chi è il mio bambino». Alle mie parole alzò la testa e mi rivolse un sorriso. Mi dette un bacio sulla guancia e poi raggiunse il fratello.
«Avete proprio dei bei bambini». Una voce alle mie spalle mi fece voltare di scatto cogliendomi alla sprovvista. Un’anziana signora, vestita di stracci, mi stava fissando con tenerezza. Aveva i capelli bianchi e l’unica cosa che la distingueva da una semplice stracciona era il grosso anello che aveva al dito, un anello raffigurante un leone e un serpente.
«Grazie», le dissi.
«Sono davvero adorabili. Quanti anni hanno?».
«Quattro e quasi otto», risposi automaticamente. Qualcosa in quella donna mi mise subito a mio agio, nonostante i suoi abiti rovinati. Quel modo di vestire sembrava più una scelta di stile che una vera e propria esigenza.
«Soprattutto il più piccolo, è così carino e da quel che ho visto è anche molto dolce; si vede che vi è molto affezionato. Come è che l’avete chiamato?».
«Killian», dissi sorridendo. «Killian e Liam». Mi avvicinai a lei e alzai lo sguardo per osservare i miei figli giocare spensierati. Quanto tempo avevo ancora prima di dover rovinare la loro serenità?
«Killian è proprio un bel nome», proseguì la donna. «Sono sicura che sarà destinato a grandi cose, che entrambi saranno destinati a grandi cose. Quando saranno adulti vi renderanno orgogliosa, vedrete».
La verità di quelle parole mi colpì come uno schiaffo: l’impossibilità di vedere crescere i miei figli, di vederli grandi e sposati, con le loro famiglie, mi lasciò senza respiro. Avrei perso tutto e non potevo farci niente. Ero la vittima e allo stesso tempo la loro stessa carnefice.
Improvvisamente tutto lo stress accumulato in quei giorni si trasformò in un fiume di lacrime. Non riuscii più a trattenermi, a mantenere la mia corazza, e scoppiai a piangere. Corsi via per evitare che Killian e Liam mi vedessero e mi fermai di fronte alla porta di casa.
Mi accucciai con la testa sulle ginocchia e lasciai che il mio pianto si sfogasse senza più freni. I singhiozzi quasi mi impedivano di respirare, ma avevo davvero bisogno di quello sfogo.
Una mano rugosa mi accarezzò i capelli. «Scusatemi cara, non volevo turbarvi». Alzai la testa e notai che l’anziana signora mi aveva seguito e che mi stava osservando con tenera preoccupazione.
«Scusatemi se ho detto qualcosa che vi ha scosso», continuò.
«Non è colpa vostra», tentai di risponderle, asciugandomi gli occhi con la mano. «Ho solo accumulato un bel po’ di preoccupazioni, e sono scoppiata per una semplice frase. Siete voi semmai che dovete scusare me». Tirai su col naso e cercai di regolarizzare i miei respiri.
«Non preoccupatevi cara, anzi se avete voglia di confidarvi con qualcuno, io sono disponibile». Non risposi e la guardai riflettendo. C’era qualcosa in lei che mi induceva a fidarmi, ma io non ero certo il tipo di persona capace di sbandierare i propri segreti ai quattro venti.
«Capisco, sono stata indiscreta», dedusse dal mio silenzio.
«Vi va di entrare?», le domandai alzandomi e sorprendendo anche me stessa. «Io abito proprio qui, magari potrei offrirvi una tazza di tè».
Cinque minuti dopo ero seduta al tavolo della mia cucina con quella signora, stringendo una tazza fumante tra le mani.
«Non mi sono neanche presentata», mi disse guardandomi dolcemente, «mi chiamo Ethel».
«Sylvia», le rispose abbozzando un debole sorriso. «Dovete davvero scusarmi per prima, mi trovo in una situazione difficile e non so come affrontare tutto».
«Parlate cara, potete fidarvi di me. Non dirò niente a nessuno». Il buon senso mi intimava di tacere, ma una parte di me voleva davvero alleggerirsi da quel peso. Magari quell’anziana signora avrebbe potuto darmi qualche consiglio, la sua esperienza forse mi avrebbe aiutato a gestire la situazione con Brennan e con i bambini.
«Vedete molto tempo fa i miei genitori furono maledetti da un potente stregone; non ho mai saputo la causa di quell’odio, ma la vendetta di quell’uomo fu terribile. Infatti, come punizione per le loro azioni, i miei genitori furono costretti ad assistere alla morte di tutti i loro figli. I miei fratelli e le mie sorelle cominciarono ad ammalarsi inspiegabilmente uno dopo l’altro; tutti i medici a cui i miei genitori si rivolsero non riuscirono a capire di cosa si trattasse e così a poco a poco si spensero tutti, tutti tranne me». Feci un respiro profondo e continuai.
«Io ero la più piccola e fui l’unica a non ammalarsi. I miei genitori non potettero credere a quella dimenticanza, a quella inaspettata benedizione, così non appena ebbi l’età giusta per maritarmi, mi dettero in sposa ad un uomo non ricco ma che mi avrebbe portato lontano da loro».
«Vostro marito, il padre dei bambini?».
«Sì esatto. Devo ritenermi molto fortunata perché Brennan è un brav’uomo e mi ama, come io amo lui. Nonostante il nostro sia stato un matrimonio combinato, ci siamo innamorati ed insieme siamo molto felici».
«Allora cara, cos’è che vi turba?». Appoggiò la mano sulla mia e mi studiò a fondo.
«Il primo sintomo della malattia dei miei fratelli fu la comparsa di strane macchie sulla pelle, da un giorno all’altro, delle venature rosse e violacee, capaci di cambiare posizione nel giro di poche ore». Mi arrotolai la manica del vestito per mostrarle la parte interna del braccio. Là in bella mostra c’era una macchia color porpora.
«Ieri l’avevo sulla spalla», le rivelai. La sua espressione passò dalla sorpresa alla costernazione.
«Oh mia cara, mi dispiace molto per voi. Ora capisco come le parole che vi ho rivolto poco fa possono avervi turbata. Vostro marito lo sa?». Aveva colto subito il punto fondamentale.
«No», sospirai. «Ho sperato che qualche dottore potesse fare ciò che altri suoi colleghi non erano riusciti a fare con la mia famiglia. Ma nessuno ha saputo aiutarmi e adesso penso proprio di non poter rimandare oltre il momento delle spiegazioni. Nascondere questo segreto a mio marito sta diventando sempre più difficile, per non parlare del fatto che tra poco la malattia progredirà impedendomi di dissimulare».
Ethel trasse un profondo sospiro e chiuse gli occhi, riflettendo sulle mie parole. Anche in quel modo, riuscivo a leggere la compassione dipinta sul suo volto.
«Non so come riuscire a dargli questa notizia», sospirai. «A lui e soprattutto ai bambini».
Continuò a tenere gli occhi chiusi e si portò le dita al mento. Quando finalmente lì riaprì mi fissò con uno sguardo deciso. «Non è ancora detta l’ultima parola mia cara».
«Cosa intendete dire?», domandai titubante.
«La vostra malattia è causata dalla magia, è naturale che un semplice medico non riesca ad aiutarvi. Ma so che esiste un uomo che pratica una delle forme più potenti di magia, forse lui potrebbe guarirvi».
Il mio cuore accelerò a quella notizia. Quella donna conosceva una persona in grado di aiutarmi? Era stata davvero una benedizione l’averla incontrata, forse, alla fin fine, il destino voleva proprio che io sopravvivessi.
«Dite sul serio?», le domandai afferrandole le mani. «Voi lo conoscete? Pensate che lui possa guarirmi davvero?».
«Io non lo conosco personalmente, ma so come contattarlo. Però vi avverto mia cara, il tipo di magia praticato da quest’uomo è di quello più pericoloso».
«Che intendete dire?».
«Avete mai sentito parlare del Signore Oscuro?». Scossi la testa per negare. «Beh è di lui che stiamo parlando, il più potente mago che pratica la magia nera. Capite adesso di cosa sto parlando mia cara?». Deglutii rumorosamente sentendo le mie speranze andare in frantumi: sapevo bene cosa faceva la magia nera, era la stessa che mi aveva ridotto in quelle condizioni.
«Fate così». Mi prese la mano e la strinse. «Valutate bene se è il caso di ricorrere o meno a questa possibilità».
«È la mia unica possibilità per sopravvivere, ma il prezzo di quel tipo di magia… non credo di poter ricorrere ad essa».
«Lo so, ed è per questo che credo che voi dobbiate rifletterci con calma. Se doveste decidere di tentare, sappiate che vi basterà pronunciare il nome di Zoso tre volte e lui comparirà davanti a voi. Adesso devo lasciarvi, spero di esservi stata d’aiuto». Si alzò e accarezzandomi leggermente la testa si diresse verso la porta e uscì.
 
Mi fermai in piedi in mezzo alla cucina, traendo un grosso respiro. Dopo aver riflettuto tutta la notte e tutto il giorno ero giunta ad una conclusione: non avevo scelta, non l’avevo mai avuta, quella era la mia unica possibilità per sopravvivere. Non potevo non tentare, non solo per salvare me stessa, ma soprattutto per la mia famiglia. Dovevo accertarmi di aver vagliato tutte le strade possibili prima di arrendermi ad una morte inevitabile.
Dopo aver fatto avanti e indietro per la casa per tutto il giorno, rosa dall’incertezza, alla fine non mi era rimasto più molto tempo. Presto Brennan e i bambini sarebbero tornati ed io dovevo sbrigarmi.
Trassi un altro profondo respiro e pronunciai quelle fatidiche parole. «Zoso, Zoso, Zoso».
Un attimo dopo comparve di fronte a me una figura incappucciata; il suo aspetto mi fece correre un brivido lungo la schiena e la sua voce mi fece trasalire. «Mi avete invocato?».
«Sì», balbettai. «Siete voi il Signore Oscuro?». Non avevo bisogno della sua conferma, ma non sapevo bene da che parte cominciare. Forse le presentazioni erano un buon punto di partenza.
«Sì, sono io».
«Beh piacere di conoscervi. Mi chiamo Sylvia e avrei bisogno del vostro aiuto».
«Fatemi indovinare», proseguì al mio posto. «Voi siete gravemente malata, probabilmente per via di una magia, e volete che vi salvi?».
Sgranai gli occhi sbalordita. «Esatto, voi come fate a saperlo?».
«Sono il Signore Oscuro, so sempre dove posso fare un accordo conveniente».
«Potete salvarmi?», azzardai. Dovevo procedere con cautela, mi stavo avventurando su un sentiero pericoloso.
«Sì posso, ma ogni cura, soprattutto magica, ha sempre un prezzo». Sapevo che avrebbe voluto qualcosa in cambio: c’era sempre un costo da pagare per quel genere di incantesimo. Almeno quella non era stata una sorpresa.
«Quale?», domandai. Sperai che non si trattasse di soldi visto che non possedevamo molto; mi augurai che per un così potente mago il denaro non avesse alcuna importanza.
«Quello che vi chiedo non sono soldi», parve leggermi nel pensiero. «Per avere la cura dovrete abbandonare questa terra e andarvene per sempre». Assimilai le sue parole cercando di comprenderne bene il senso.
«D’accordo», risposi, «una volta guarita io e la mia famiglia partiremo, andremo da un’altra parte».
«No, temo che non mi abbiate compreso. Voi, solo voi, dovrete andarvene, dovrete lasciare la vostra famiglia, i vostri figli, e promettermi che non cercherete di contattarli mai più».
«Cosa?», scattai infervorandomi. «Penso che non mi abbiate capito: è proprio per questo che vi sto chiedendo una cura! Per non dover lasciare orfani i miei figli, per non lasciare la mia famiglia. E adesso voi mi chiedete in cambio di abbandonarla? A che pro se posso chiedere? Che vantaggio otterrete separandomi da loro?».
«È necessario che sia così, non può andare diversamente. Ciò che otterrò io non vi deve interessare». Le sue parole non avevano senso, così come la sua richiesta era del tutto assurda.
«Io…», balbettai.
«Ascoltate», mi interruppe. «Io vi posso guarire, posso spezzare la maledizione che ha fatto morire tutti i vostri fratelli, ma in cambio voi dovrete bere questa pozione». Dal nulla fece apparire una piccola boccettina contenente un liquido scuro. «Questa vi farà cadere in uno stato di morte apparente; la vostra famiglia vi crederà morta e quando vi sveglierete io non esiterò a guarirvi e a mandarvi in una terra lontana dove potrete ricominciare una nuova vita».
«Non voglio una nuova vita se non posso avere con me la mia famiglia», risposi adirata. Non mi importava più se avevo davanti il più potente mago del mondo. La sua richiesta era assurda; era solo un uomo cattivo che si divertiva nel veder soffrire le povere persone comuni. Come era possibile altrimenti che mi chiedesse di fare una cosa del genere? Lui non ci avrebbe guadagnato nulla, ad eccezione di un lugubre spettacolo per la sua mente malata.
«Quello che vi chiedo non è poi così sconvolgente, la vostra famiglia finirà per perdervi comunque. Io vi sto risparmiando l’agonia di farvi vedere dai vostri famigliari sul letto di morte, vi sto dando la possibilità di una nuova vita e la possibilità di risparmiare a dei bambini innocenti la vista della loro madre sofferente. Vi ripeto, vi perderanno comunque, qualsiasi sia la vostra scelta».
«Siete un mostro a chiedermi una cosa del genere. Quale madre potrebbe abbandonare i propri figli?».
«Una madre che altrimenti finirà per lasciarli orfani comunque». Era vero, ma era altrettanto inaccettabile.
«Facciamo così, avrete tempo fino a domani. Tra ventiquattro ore tornerò qua e capirò solamente osservando la casa qual è stata la vostra decisione. Se dall’esterno vedrò il trambusto di una famiglia in lutto, capirò che avete accettato l’accordo; se invece vedrò la tranquillità di una famigliola felice, saprò come riprendermi la pozione e non mi rivedrete mai più. Non vi concederò un’altra possibilità, una volta presa la vostra decisione non potrete più cambiare idea».
Non dissi niente e lo guardai sentendomi sul punto di scoppiare a piangere.
«Sta a voi decidere se accettare o meno l’accordo Sylvia. È solo una vostra scelta». Così dicendo sparì in una nube di fumo, mentre io mi accasciavo sul pavimento e scoppiavo a piangere.
 
Killian, oggi
Le parole di mia madre mi avevano lasciato basito. Ero sorpreso, ma non più arrabbiato, non come lo ero stato all’inizio. Aveva scelto di salvarsi piuttosto che morire, chi al suo posto non avrebbe fatto lo stesso? Su una cosa avevo avuto ragione fin da subito: sapevo che sentendo la sua versione dei fatti il mio rancore sarebbe svanito. L’avevo già perdonata, ma sentire come in realtà non avesse voluto abbandonarmi l’aveva ulteriormente riabilitata ai miei occhi.
«Killian», continuò fissandomi intensamente, «devi sapere che, dopo che Zoso se ne fu andato, non feci altro che pensare alla sua proposta. Io sarei morta comunque per voi, vi avrei lasciato orfani lo stesso, che lo avessi voluto o meno. Non accettai con la motivazione che mi avrebbe concesso di vivere, sapevo che non sarebbe stata più la vita che volevo, non con il pensiero di avervi lasciati; di certo credevo che vostro padre si sarebbe occupato di voi, non immaginavo tutto ciò che invece è in realtà accaduto. Però ciò che mi fece accettare quell’accordo, fu il fatto che una mia morte rapida e improvvisa vi avrebbe risparmiato giorni di sofferenze. Avevo assistito tutti i miei fratelli sul letto di morte e non volevo che anche voi, soprattutto tu, mi vedessi soffrire in quel modo. Fu quando mi ritrovai nella Terra delle storie mai raccontate che capii il mio sbaglio: non vi avevo concesso la possibilità di dirmi addio, non vi avevo preparati a vivere senza di me e me ne sono pentita. Ho capito che sarebbe stato meglio morire, avendovi vicini, piuttosto che stare tutta la vita lontana da voi. Perdonami per questo». Si asciugò le lacrime e trasse un profondo respiro. Io invece ero come pietrificato: avevo lo sguardo puntato dritto nei suoi occhi, così sofferenti e così simili ai miei, ed era come se in quella stanza fossimo rimasti solo io e lei. Gli altri non c’erano più: c’erano solo una madre e un figlio che finalmente si dicevano la verità.
«Quando decisi di accettare», proseguì, «avevo previsto di bere la pozione una volta rimasta sola. Tu però tornasti a casa e capii che non sarei più riuscita ad allontanarti. Doverlo fare davanti a te mi spezzò il cuore, ma se Zoso fosse tornato… mi aveva dato un ultimatum, non avrei avuto una seconda possibilità». Annuii, capendo che non aveva avuto molta scelta. Poteva fingere di morire davanti a me e salvarsi, o morire davvero poco tempo dopo.
«Speravo che la pozione non avesse effetto così immediato, ma mi sbagliavo. Quando mi risvegliai, non so dirti quanto tempo fosse passato, probabilmente qualche giorno, mi ritrovai in una stanza, con addosso i miei abiti più belli, il tuo bracciale al polso e il disegno di Liam tra le mani. Zoso era lì, mi accolse spiegandomi che ero rimasta “addormentata” il tempo necessario affinché la mia famiglia avesse potuto dirmi addio. Non si mostrò sorpreso del fatto che avessi accettato, nonostante la reticenza con cui l’avevo trattato. Gli chiesi se mi aveva già guarito, mi rispose che era tutto pronto per l’incantesimo e che aspettava solo il mio risveglio. Fu probabilmente allora, quando toglieva la maledizione dal mio corpo, che ne approfittò per legare la mia vita alla tua, Killian. E fu in quel momento che capii che lui si era preso gioco di me fin dall’inizio: alla mano aveva lo stesso identico anello che avevo visto indossare all’anziana signora».
«Era lui fin dall’inizio?», chiesi in un sussurro.
«Sì e non mi sorprenderebbe scoprire che fu ancora una volta lui a maledire la mia famiglia. Questo non lo saprò mai, ma da quel giorno ho sempre pensato che sia stato così. Lui si è preso gioco di me e quando me ne sono accorta era comunque troppo tardi per fare qualcosa. In tutti questi anni ho pensato che, forse, se fossi rimasta avrei potuto trovare un modo, invece accettando il suo accordo ho fatto solamente il suo gioco».
«Lui voleva che tu ci lasciassi in modo tragico», notai. «Non voleva che tu morissi avendoci al tuo fianco».
«No, credo che non volesse che vi preparassi a vivere senza di me. Penso che sarai d’accordo con me sul fatto che, se vi avessi detto della mia malattia e vi avessi dato l’opportunità di dirmi addio, le vostre vite sarebbero andate diversamente».
«Avremmo sofferto comunque, ma saremmo stati pronti», ammisi. «Per quanto lo si possa essere in una tale circostanza».
«È stato Hyde a farmelo notare; ho cercato con tutte le mie forze di negarlo quando ti ho rivisto, ma so che è così. Lui voleva che io vi abbandonassi perché solo così tu saresti diventato Capitan Uncino».
«Solo così sarebbe diventato l’uomo capace di spingere Tremotino ad ucciderlo». Era stata Regina a parlare. Sentendo la sua voce, tornai a percepire anche la presenza degli altri intorno a noi. Erano tutti immobili e ammutoliti, Jekyll teneva la mano di mia madre ed Emma era sempre appoggiata alla mia spalla, stretta nel mio abbraccio. Non era proprio da lei quel silenzio e quell’inattività, ma forse stava solo elaborando tutte quelle informazioni. Da quella posizione non riuscivo a scorgerle il viso, ed era un vero peccato perché avevo davvero bisogno del conforto dei suoi stupendi occhi verdi.
«Pensi», continuò Regina, «che lui avesse previsto tutto? Che avesse premeditato ogni sua mossa per far sì che Tremotino potesse prendere il suo posto?». Arricciai le labbra a quella domanda perché conoscevo già la risposta. Odiavo essere stato una pedina nelle mani del Signore Oscuro, ma era evidente che non poteva essere altrimenti.
«Sì», rispose mia madre, «non ne avremo mai la certezza, ma credo che sia così».
«Maledizione». Strinsi la mano a pugno per canalizzare la rabbia. Tutto ciò che io e Liam avevamo affrontato era stato deciso a tavolino da un Signore Oscuro, che si era divertito a giocare con le nostre vite come se fossimo pezzi degli scacchi. Non c’era stato mai niente della mia vita che non fosse stato toccato o contaminato dall’Oscurità.
Fu quando iniziai a fremere e il mio braccio a tremare in preda all’ira che mi accorsi che c’era qualcosa che non andava. Emma non si mosse neanche di un millimetro, la sua mano non cercò la mia, la sua voce non arrivò al mio orecchio per calmarmi. Era sempre addossata contro la mia spalla in una immobilità che all’improvviso mi fece rabbrividire.
«Emma?», la chiamai, scostandole una ciocca di capelli con l’uncino. Quando non ricevetti risposta, tutta la rabbia esplosa dentro di me si trasformò in terrore. «Emma!». Cercai di alzarla dalla mia spalla e solo allora notai che era priva di sensi. Come diavolo avevo fatto a non accorgermi che mi era svenuta addosso? Ero stato talmente preso dalla storia da isolarmi completamente dagli altri e dal mondo esterno, compreso Emma.
«Emma amore rispondimi». Solo in quel momento anche gli altri sembrarono accorgersi della situazione e in meno di un secondo esplose il caos. Mi alzai con cautela, tenendola con la mano, e la distesi lentamente sul divano, mentre gli altri accorrevano iniziando a chiamarla in tono concitato.
«Emma bambina mia?». Mary Margaret.
«Mamma!». Henry. «Mamma rispondimi».
«Fatemi dare un’occhiata». Jekyll.
«Merda! Scostatevi!». Regina si fece largo tra di noi, raggiungendomi al fianco di Emma. «Maledizione Swan!». Io non riuscivo più a parlare, ero pietrificato dalla paura. Emma non dava nessun segno di vita; rimaneva incosciente sul divano, il petto che si alzava e abbassava con una lentezza esorbitante. Vedendola così sentii un brivido risalirmi lungo la schiena; avevo un brutto presentimento, come la sensazione che stessimo ricevendo l’ennesimo colpo devastante. Eravamo di fronte all’ennesima sfida e sentivo che in qualche modo non ne saremmo usciti interi.
«Maledizione», inveì di nuovo Regina. «Se solo mi avesse dato ascolto, accidenti a quella sua testaccia dura».
«Regina che succede?», domandai lanciandole uno sguardo di fuoco. Se lei sapeva qualcosa… Dovetti fare affidamento su tutto il mio autocontrollo per non prenderla a pugni prima che ci rivelasse ciò che sapeva.
«Emma stamattina mi ha detto di stare già male», ci svelò. «Deve essere colpa dell’incantesimo del sonno o qualcosa del genere; era molto preoccupata, mi ha detto che si sentiva come se le stessero risucchiando via l’energia».
«E perché diavolo non me l’ha detto?», scattai alzando la voce. «Perché non è rimasta a casa?». Come se avesse mai potuto accettare di rimanere in disparte! Forse solo in un universo parallelo. Accidenti a lei e al fatto di mettere sé stessa sempre in secondo piano!
«Non c’è bisogno di urlare», sbottò Regina. «Mi pare evidente, mio caro Capitan Eyeliner, che non te l’ha detto per non farti preoccupare ulteriormente, visto che stavamo già cercando la tua cara mammina rapita». Anche se il suo tono era saccente, sapevo che continuare a prendermela con lei non avrebbe portato a nulla. Tutta la mia rabbia si ritrasformò in un immenso terrore quando tornai a fissare il corpo inerte del mio cigno.
«Regina tu non puoi fare qualcosa?», chiese Mary Margaret, che nel frattempo non aveva smesso di accarezzare e chiamare la figlia.
«No, ci ho già provato. Credo che l’unica  soluzione adesso sia portarla di corsa all’ospedale».
«Ma se la magia non può guarirla pensi che la medicina potrà farlo?». Henry aveva espresso le paure di tutti. Ma soprattutto se il suo male era dovuto alla magia ci sarebbe potuta essere una cura che svicolasse da essa? Non lo sapevamo, ma non potevamo più perdere tempo.
«Non lo sappiamo ragazzino, ma è la nostra unica possibilità al momento», risposi avvicinandomi di più ad Emma per prenderla in braccio. «Maledizione Swan! Accidenti alla tua maledetta boccaccia che mi nasconde le cose. Non credere che te la farò passare liscia quando starai bene».
«Per una volta sono d’accordo col pirata», intervenne Regina. «Portiamola all’ospedale e una volta stabilizzata, cercheremo di capire che razza di incantesimo le ha lanciato la Regina Cattiva e troveremo il modo per salvarla». Annuii e, stringendola forte al mio petto, mi alzai in piedi. Emma mugolò leggermente per quel movimento, ma fu un suono talmente leggero che probabilmente fui l’unico a sentirlo. Tenendo stretto mio cigno potei notare che, oltre a respirare a fatica ed essere pallida da far paura, era bollente e con le labbra febbricitanti.
Anche se ero arrabbiato con lei per quel segreto, mi maledissi per non essermi accorto di nulla. Se dovevo prendermela con qualcuno dovevo avercela solo con me stesso. Come avevo fatto a non vedere che stava male? Ce ne erano stati di segnali, dettagli minimi ma che avrebbero dovuto farmi scattare un campanello d’allarme. Invece ero stato talmente preso dalla mia situazione che l’avevo trascurata.
Fu quando assimilai completamente le parole di Regina che il mio cuore si frantumò ulteriormente. Quel suo strano malessere era colpa dell’incantesimo del sonno; era qualcosa che neanche la magia di Regina poteva guarire, qualcosa di più potente. Ed ero stato proprio io a scatenarlo, risvegliandola con il mio bacio. Avrei potuto evitarlo, Henry l’aveva capito, ma io avevo creduto che si trattasse solo di un diversivo per Hyde e mia madre. Invece Emma adesso era priva di sensi tra le mie braccia, mentre lottava tra la vita e la morte, ed io, cioè noi non avevamo la minima idea di come aiutarla.
Sapevo di non dover perdere la speranza in quel momento, perché non potevo esserle d’aiuto se mi fossi lasciato prendere dallo sconforto. Se lei era riuscita a riportarmi indietro dalla morte, venendo a riprendermi nell’Oltretomba, io potevo fare altrettanto. Sarei stato io a salvare lei; per una volta la Salvatrice avrebbe dovuto lasciarsi salvare ed io avrei fatto qualsiasi cosa per riuscirci. Non mi sarei mai arreso, mai per niente al mondo avrei permesso che ci separassero di nuovo.
«Andiamo Regina», dissi facendomi coraggio. «Non perdiamo altro tempo». Dovevamo sbrigarci e quale modo migliore se non materializzarci direttamente lì all’ospedale?
Regina annuì, facendoci svanire in una nube di fumo. 


 
Angolo dell’autrice:
Ed ecco finalmente tutta la verità! E siccome sono una persona cattiva – lo riconosco – in questo capitolo non si è scoperto nulla di nuovo sul malessere di Emma. Lo so che molti di voi speravano di scoprire cosa sta succedendo alla nostra eroina, ma mi dispiace, dovrete aspettare la settimana prossima. Non odiatemi per questo.
Anche se sul fronte Emma non ci sono state novità, almeno per quanto riguarda Sylvia ho scoperto tutti gli altarini. L’idea di Sylvia/Zoso l’ho avuta fin da subito, ma riuscire a mettere per iscritto le mie idee abbastanza confuse su cosa fosse successo è stato molto più difficile. Per fortuna alla fine ci sono riuscita.
Vi ringrazio dell’affetto che mi dimostrate e delle belle parole che mi lasciate. Grazie di cuore! <3
Un abbraccio e alla prossima
Sara
PS non potevo non ricordare che oggi/domani esce OUAT finalmente! Buon OUAT day a tutti!

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Capitolo 15
*** 15. Operazione cigno ***


15. Operazione cigno
 
Ciò che avvenne quando ci materializzammo all’ospedale fu molto caotico. All’ingresso, dei portantini mi aiutarono a depositare Emma su una barella; subito dopo il dottor Whale ci venne incontro correndo.
«Cosa le è successo?», domandò osservandola. Si avvicinò spingendomi indietro per allontanarmi dal lettino. Non reagii solo perché lui era l’unico che potesse fare qualcosa per farla stare meglio.
«Beh non lo sappiamo con certezza», rispose Regina, cercando di riassumere in poche parole quello che sapevamo sul suo malessere. «Crediamo che sia colpa della magia, si è sentita male dopo che è stata risvegliata dall’incantesimo del sonno».
«Se il problema è magico perché diavolo l’avete portata qui?», domandò continuando a studiare Emma aiutato da alcuni infermieri. «Siamo in un ospedale, qui la magia c’entra ben poco».
«Beh vedi di svolgere il tuo lavoro», ribatté acida Regina. «Sbaglio o la tua laurea in medicina è solo opera di un sortilegio? Quindi vedi di fare del tuo meglio altrimenti posso sempre riprendermi ciò che ti ho dato».
«D’accordo». Non aggiungendo altro iniziò a spingere il lettino lungo i corridoi diretto chissà dove, sempre studiando Emma con estrema attenzione. Noi lo seguivamo come degli automi, sperando che ci desse, da un momento all’altro, qualche informazione in più.
«Da quanto tempo è in questo stato?», ci chiese attraversando una porta mentre con una mano le teneva il polso.
«Non lo so, forse un’ora?», azzardai. Chi poteva dire quando avesse realmente perso i sensi? Quanto del racconto di mia madre era riuscita ad ascoltare? E come avevo fatto a non accorgermi di nulla prima?
«E da quanto tempo ha la febbre alta?».
«Non lo so». La mia risposta fu brusca, ma non sopportavo il fatto che Emma mi avesse nascosto una cosa così importante. Sapevo che l’aveva fatto per me, ma così facendo aveva solo peggiorato le cose. Tenendomi all’oscuro per non farmi preoccupare, aveva finito solo per farmi angosciare ancora di più in quel momento.
«Da stamattina credo», intervenne Regina. «Non so quanto ce l’avesse alta, ma stamani pensava di aver la febbre». Le lanciai un’occhiataccia, ma preferii rimandare a dopo la mia sfuriata; al momento era più importante sentire cosa aveva da dirci il dottor Frankenstein.
«Bene», dichiarò quest’ultimo spingendo la barella oltre una porta che dava su un altro lungo corridoio. «Voi aspettate qui. Appena avrò un quadro più preciso della situazione verrò ad informarvi».
«Ma…», feci per ribattere.
«Fatemi lavorare e restate qua. Farò del mio meglio ve lo garantisco». Così dicendo si chiuse la porta alle spalle lasciandoci in quella che era una specie di sala d’attesa. Rimasi in piedi a fissare la soglia per qualche secondo, dopo di che mi voltai per squadrare Regina. D’accordo, visto che dovevamo aspettare avrei avuto il tempo per sfogarmi: avevo molte cose da dirle e la maggior parte non le sarebbe piaciuta.
«Bene Regina», iniziai. «Complimenti! Complimenti davvero, bel lavoro. Come hai potuto reggerle il gioco? Come hai potuto non dire niente e farla venire con noi nonostante le sue condizioni? Sei per caso impazzita?».
«Calma Hook», si difese. «Lo sai benissimo come è fatta Emma. È una testa dura, avrebbe trovato comunque un modo per fare ciò che voleva».
«Sì lo so come è fatta, ma conosco anche te e non sei il tipo di persona che si lascia comandare a bacchetta. Ti sembrava proprio il caso di darle corda?». Da quando prendeva ordini da Emma?
«È evidente che ho sottovalutato la situazione».
Stavo per replicare quando Mary Margaret mi anticipò. «Dovevi dircelo Regina. È mia figlia, avevo tutto il diritto di sapere. È stato da incoscienti lasciarle fare finta di niente, soprattutto visto che tu non sei riuscita a guarirla e non sappiamo cosa diavolo abbia». Scoppiò a piangere sia per la frustrazione, che per la preoccupazione. Mia madre accorse subito ad abbracciarla e confortarla; non mi ero neanche reso conto della sua presenza lì all’ospedale, né di quella di Jekyll.
«Hai ragione», ammise Regina. «Mi dispiace, non avrei dovuto ascoltarla; era molto preoccupata e dovevo basarmi su quello, avrei dovuto impedirle di fare di testa sua».
«Certo che avresti dovuto», ribattei secco.
«Adesso basta», intervenne Henry. «Litigare non ci porterà da nessuna parte. Dobbiamo scoprire cosa le ha fatto la Regina Cattiva, solo così potremo aiutarla».
«Henry ha ragione», concordò Mary Margaret. «Non aiuteremo Emma discutendo tra noi».
«Che cosa proponi di fare ragazzino?», gli chiesi. Certe volte Henry riusciva a sorprendere tutti, sperai che anche questa volta fosse così. Anche perché io non avrei saputo neanche da che parte cominciare.
«Non lo so», rispose sconsolato. «Non ne ho idea». La preoccupazione apparve chiara sul suo volto, un espressione che si poteva scorgere sulla faccia di tutti. Regina andò subito ad abbracciarlo ed io mi sentii estremamente solo senza Emma; era sempre lei la prima che mi sosteneva e che sostenevo a mia volta.
Proprio in quel momento, quasi percependo le mie emozioni, mia madre allungò una mano e mi accarezzò il braccio, in un gesto confortante.
«Andrà tutto bene vedrai», mi disse. «Emma è forte, supererà tutto». Lo sapevo, ma avevo davvero bisogno di sentirmelo dire. Annuii cercando di riflettere su ciò che stava accadendo. Che soluzione potevamo trovare? Come potevamo capire che diavolo di incantesimo le avesse scagliato la Regina Cattiva?
Mentre cercavo di dare ordine ai miei pensieri, David arrivò correndo da uno dei corridoi che avevamo percorso pochi minuti prima. «Mary Margaret!». Biancaneve, al suono della sua voce, si scostò immediatamente dalle braccia di mia madre per buttarsi in quelle del marito.
«Sono venuto appena ho letto il messaggio. Come sta?», ci domando da sopra la sua spalla.
«Non lo sappiamo», risposi. «Non sappiamo un accidente». Battei il pugno contro il muro, facendo tremare la parete e arrossandomi le dita. Alternavo attimi di disperazione ad attimi di rabbia; in quel momento avrei volentieri preso a pugni qualcuno invece di limitarmi ad un semplice muro. La prima della lista restava Regina, ma anche Whale stava guadagnando punti, visto che era sparito senza dirci niente e non era ancora tornato. In realtà, se consideravo tutta la situazione, sapevo che avrei dovuto prendermi a pugni da solo: non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che se Emma era in quello stato era in parte per colpa mia.
Mia madre ancora una volta sembrò intuire le mie idee e, venendo ad abbracciarmi, mi impedì di continuare con i miei pensieri negativi e autodistruttivi.
«Troveremo una soluzione Killian», mi disse fissandomi negli occhi. Era davvero buffo come nella mia vita non fossi destinato ad avere un po’ di tranquillità: se non si trattava di mia madre adesso si trattava di Emma! Era evidente che non potessi averle entrambe.
All’improvviso la porta davanti a noi si riaprì e Whale fece di nuovo il suo ingresso tra noi. Non era stato via molto, ma l’espressione sul suo viso non era niente affatto rassicurante.
«Che succede? Come sta?», gli domandò di getto Mary Margaret.
«Beh come immaginavo, non ho mai visto niente di simile», iniziò. «Si tratta sicuramente di magia, non riesco a trovare un’altra spiegazione per il suo stato». Fino a quel momento non ci diceva niente di nuovo; sperai che arrivasse presto al punto senza bisogno di ricorrere alla violenza.
«Che cosa ha?», chiese David in un sussurro.
«Tecnicamente è in un profondo stato di ipoglicemia e di ipotensione, per non parlare del fatto che ha la febbre alta, difficoltà respiratorie, battito debole e chissà cos’altro».
«Che significa?», reclamai, sentendomi il cuore in gola.
Fu Jekyll a rispondere. «Che ha tutti i parametri vitali sballati, è naturale che sia svenuta e sia rimasta priva di sensi».
«Esatto», concordò Whale. «È davvero un miracolo che non sia ancora entrata in coma. Ma la cosa che mi preoccupa di più è che non accenna nessun miglioramento. È presto per dirlo, ma ho come la netta impressione che il suo corpo rigetti qualsiasi tipo di cura».
«In che senso?». Non capii neanche chi avesse posto la domanda, ero troppo preso da ciò che il dottore aveva appena detto.
«Guardiamo come posso spiegarlo… le ho somministrato una serie di farmaci per bilanciare i vari scompensi che ho rilevato; è naturale che ci voglia del tempo per far sì che essi possano agire, ma ho il presentimento che non saranno efficaci come vorrei. Sembra che ogni singola cellula di Emma abbia deciso di dare forfè e di non svolgere più la sua attività».
«È come se il suo corpo si stesse suicidando», intervenne Jekyll. Rabbrividii a quell’affermazione e sperai che Whale lo contraddicesse. Purtroppo la smentita non arrivò.
«Già. Comunque per adesso è ancora presto per affermarlo. Dobbiamo monitorarla, solo tra qualche ora potrò darvi informazioni più precise e potrò dirvi se la terapia sta avendo effetto».
«Possiamo vederla?», domandò Mary Margaret.
«Non ancora, quando l’avremo sistemata in una stanza verrò a chiamarvi». Non aggiunse altro e sparì di nuovo dietro quella maledetta porta.
Deglutii rumorosamente cercando di riflettere su tutto quello che ci aveva detto. Se associavo le parole “Emma” e “suicidio” potevo sentire benissimo il rumore del mio cuore che andava in frantumi. Non potevo neanche contemplare l’idea che potesse morire; non era tra le opzioni possibili: noi l’avremo salvata, era una certezza.
Eravamo rimasti tutti scioccati e sconvolti dalle parole di Frankenstein; nessuno sapeva più cosa dire. C’era davvero qualcosa che potevamo aggiungere? Le gravi condizioni di Emma ci avevano lasciati tutti senza fiato. Parlare ancora sarebbe stato inutile.
Vidi Henry sbiancare e vacillare osservando quella maledetta porta che ci separava da Emma. Lui, che aveva il cuore del vero credente, che era sempre pieno di speranza, sembrava sul punto di crollare ed io non potevo permetterlo. Nonostante fossi anch’io sull’orlo del baratro, in un equilibrio davvero precario, non potevo permettere che quel ragazzino, il nostro instancabile sostenitore, sprofondasse in quella profonda disperazione e perdesse così la sua innocenza. Chi meglio di me poteva capire cosa stesse provando in quel momento?
Combattendo contro il mio stesso corpo, che sembrava voler cadere a pezzi, mi avvicinai a lui e gli appoggiai una mano sulla spalla. «Allora ragazzino da dove cominciamo? Io la chiamerei operazione cigno». Henry sembrò ridestarsi e mi guardò con uno sguardo disperato. Non dovetti aggiungere altro perché lesse nei miei occhi la mia determinazione. Io non mi sarei mai arreso, noi non ci saremo mai arresi.
«D’accordo», disse dopo un profondo respiro. «Penso che operazione cigno sia un nome perfetto».  
«Ce la faremo Henry», sussurrai. «Dobbiamo farcela».
Mary Margaret tirò su col naso e si avvicinò a noi. «Giusto, dobbiamo mettere la Regina Cattiva con le spalle al muro in modo da scoprire cosa le ha fatto».
«Potrebbe non essere così semplice», constatò Regina.
«Io», intervenne Jekyll, «potrei completare la pozione che ci permetterà di intrappolare lei e Hyde. So che non è molto, non senza il pugnale del Signore Oscuro, ma potrebbe essere sempre una possibile arma».
«Sì», concordai. «Credo che sarebbe la cosa migliore. Nel frattempo noi cercheremo una possibile cura magica, qualche antidoto, qualsiasi cosa». Cercare di mantenere il sangue freddo mi stava richiedendo uno sforzo immane, ma dovevo farlo; se volevo salvare Emma non dovevo perdere la testa.
«Che cosa ti occorre?», gli domandò David.
«Beh alcune cose le ho già, ma avrò bisogno di qualche ingrediente particolare… spero di riuscire a trovarlo anche in questo mondo».
«Probabilmente lo troverai nella mia cripta», gli rivelò Regina. «Chiamo Zelena, lei ti potrà fare entrare». Così qualche minuto dopo Jekyll se ne andava in compagnia della Strega Perfida. Anche se da quel lato potevamo dirci a buon punto, la questione di Emma restava sempre la stessa: lei che lottava tra la vita e la morte e noi ancora senza uno straccio di idea per salvarla.
«Credo che l’uniche possibilità che abbiamo», dichiarò Regina, «siano trovare una cura magica in grado di annullare qualsiasi tipo di incantesimo, oppure capire quale in particolare è stato quello scagliato dalla Regina Cattiva».
«Deve essere qualcosa legato all’incantesimo del sonno, questo è chiaro». Pronunciando quelle parole mi maledissi ancora una volta per essere stato precipitoso e aver voluto risvegliare subito Emma. Evidentemente la garanzia che Zelena ci aveva dato sul fatto che lei sarebbe stata bene, non valeva un accidente. Perché ci eravamo fidati del giudizio Strega Perfida?
«Mi chiedo dove abbia trovato un incantesimo del genere», continuò Regina.
«Hyde deve averla aiutata», intervenne mia madre.
«Beh mi pare ovvio, se avessi saputo fin da subito di questa maledizione, qualunque essa sia, non avrei certo sprecato tempo lanciando quel maledetto sortilegio che ha creato Storybrooke. Biancaneve, ti avrei ucciso una volta per tutte». Si voltò leggermente per guardarla. «Senza offesa». Lei alzò le spalle in un gesto di noncuranza.
«Da quando la Regina Cattiva è diventata così pericolosa?», si domandò Henry. «Non posso credere che sia riuscita a fare una cosa del genere».
«Infatti non c’è riuscita». Una voce alla nostre spalle ci fece trasalire, e ancora di più ci sorprese la donna che aveva pronunciato quelle parole.
«Belle!».
«Nonno ti ha svegliato?». Henry le si avvicinò insieme a tutti gli altri, mentre io me ne rimasi in disparte. Per quanto fossi contento di sapere che era finalmente tornata dal mondo dei sogni, ero decisamente più preoccupato per il significato delle sue parole.
«Diciamo di sì, è una storia lunga».
«Che cosa intendevi dire prima?», le chiesi senza perdere più tempo. Lei si voltò a guardarmi sentendo la mia domanda e mi fissò con uno sguardo rammaricato.
«Intendevo dire che non è colpa della Regina Cattiva se Emma sta male». Si fermò un secondo, deglutendo rumorosamente. «È colpa mia». I suoi occhi erano lucidi e fu solo l’immenso dolore che vi lessi sopra che mi impedì di prendermela anche con lei.
«Come è colpa tua?», le domandò Mary Margaret.
«Forse è meglio se ci sediamo», azzardò.
«Non ho bisogno di sedermi», scattai alzando la voce. «Piuttosto smettila di perdere tempo e dicci tutto quello che sai. Cosa diavolo c’entri con Emma? E cosa diavolo le sta succedendo? Maledizione se tu sai qualcosa devi dircelo senza troppi giri di parole».
«Hook d’accordo, calmati adesso». Alzò le mani in segno di difesa, e si preparò a spiegarci. «Diciamo che non è proprio colpa mia, ma di Tremotino».
«Maledetto coccodrillo», inveii. «C’era da immaginarselo, è sempre sua la colpa là dove succede qualcosa di spiacevole». Come avevo fatto a non pensarci subito?
«Non per difenderlo, non dopo tutto quello che ha fatto, ma stavolta non è neanche del tutto colpa sua. Diciamo che Hyde si è premurato di raccontargli solo una parte della storia, la parte che tornava a suo vantaggio».
«Per favore Belle», intervenne David prima che potessi farlo io, «arriva al punto».
«Certo. Tremotino ha stretto un accordo con Hyde: gli ha lasciato Storybrooke in cambio di alcune informazioni su come riuscire a svegliarmi. Sapeva che il bacio del vero amore non avrebbe funzionato, almeno non il suo, e voleva trovare a tutti costi un modo per risvegliarmi senza l’aiuto di mio padre».
«Questo lo sapevamo già», borbottai.
«Sì ma ciò che non sapete sono le informazioni che Hyde gli ha fornito. Gli ha rivelato che non era necessario che fossi io a ricevere il bacio del vero amore, ma che la forza che scaturiva da un tale atto poteva essere usata anche per svegliare me».
Riflettei sul significato delle sue parole, ma fu Henry il primo a giungere alla conclusione. «Stai dicendo che ti ha svegliato sfruttando il bacio del vero amore che Hook ha dato alla mamma?».
«Proprio così», ammise sospirando.
«Ma è davvero possibile?», domandò Regina. «Se così fosse perché non è stato usato prima? Se la forza del vero amore è trasmissibile perché nessuno l’ha sfruttata?».
«Beh è proprio questo il problema. È possibile, ma le conseguenze sono fatali; Hyde si è guardato bene di dirgli quali conseguenze avrebbe comportato il suo gesto. Così Tremotino ha deciso di sfruttare l’occasione, collaborando con lui e la Regina Cattiva, e adesso è Emma ha pagarne le conseguenze».
«Quali sono queste conseguenze fatali di cui stai parlando?», domandò Mary Margaret.
«Il potere del bacio del vero amore è fatto per riuscire a risvegliare una sola persona alla volta. È contro natura ciò che è successo; io non avrei dovuto svegliarmi, solo Emma era destinata ad essere strappata dall’incantesimo del sonno. Quando Tremotino ha usato il potere del tuo bacio, Hook, per ridestarmi, ha capito che c’era qualcosa che non andava; ha scoperto l’inganno di Hyde ed ha agito per proteggermi, per proteggere me e suo figlio».
«Cosa non ci stai dicendo?», sussurrai volendo e allo stesso temendo la sua risposta.
«Una sola persona può essere risvegliata dal bacio; l’altra si trova bloccata in un punto di non ritorno: non può tornare sotto l’incantesimo del sonno, sapete tutti che è irripetibile, ma allo stesso tempo non può continuare a vivere».
«È destinata a morire». Non riconobbi neanche la mia voce nel pronunciare quelle parole. Era per questo che Emma stava così male, era per questo che il suo corpo si stava pian piano spegnendo.
«No». Mary Margaret iniziò a parlare in preda all’agitazione. «Sono sicura che possiamo fare qualcosa; adesso che abbiamo capito il problema, che sappiamo che non è colpa di nessun incantesimo della Regina Cattiva, sicuramente trovare la soluzione sarà più semplice. Hai detto che Gold ti ha protetto. Può fare lo stesso con Emma, ci deve essere qualcosa che possiamo fare…». David le afferrò la mano per calmarla, anche se pure lui, come tutti noi, era visibilmente scosso.
«Tremotino mi ha protetto solo facendo sì che il bacio avesse effetto su di me e non su di Emma. Credetemi appena ho saputo ciò che era accaduto ho preteso che lui mi lasciasse venire qua a tentare di sistemare le cose, per quanto inutile possa essere il mio supporto adesso. Sono andata a cercarvi al loft ed ho visto uscire David di corsa; allora ho capito che era comunque troppo tardi».
«Non è troppo tardi», gridò Henry. «Dobbiamo avere speranza. Noi siamo gli eroi, troviamo sempre un modo». La disperazione della sua voce, rifletteva perfettamente quello che sentivo.
«Henry ha ragione», concordai. «Noi non ci arrenderemo. Adesso che sappiamo qual è il problema troveremo una soluzione; sappiamo che non dobbiamo più preoccuparci della Regina Cattiva al momento, dobbiamo solo trovare qualcosa che controbilanci gli effetti del bacio, qualcosa che ci permetta di riequilibrare la situazione».
«Se esiste qualcosa del genere io vi aiuterò a trovarla», dichiarò Belle. «È solo colpa mia se Emma rischia la vita».
«Non è colpa tua», intervenne Regina. «È Gold che come al solito crea problemi».
«Questa volta non era davvero consapevole di ciò che faceva».
«Consapevole o meno, il danno l’avrebbe causato comunque», ribattei brusco. «Non avrebbe guardato in faccia nessuno pur di salvarti».
«Forse hai ragione. Però adesso ti prometto che non interferirà e se vuole davvero aver a che fare con suo figlio sarà bene che sia piuttosto collaborativo. Sono io che tengo il coltello dalla parte del manico».
«Spero davvero per te che sia così». Nello stesso istante in cui pronunciai quelle parole, il dottor Whale tornò da noi, lo sguardo meno teso di prima, ma l’espressione sempre contratta.
«Adesso potete andare da lei», ci disse. «È stabile e probabilmente tra un po’ riprenderà conoscenza. Non preoccupatevi se sarà confusa o se faticherà a restare sveglia. È molto forte, ma non possiamo chiedere al suo corpo di fare miracoli».
«Ci riconoscerà?», chiese titubante Mary Margaret.
«Può darsi che sia piuttosto lucida, come che sia molto confusa. Non so ancora bene come il suo corpo stia reagendo. L’importante è che non la facciate affaticare».
«Dove si trova?», domandai non riuscendo più a restarle lontano.
«Stanza 206. Chiedervi di entrare uno alla volta sarebbe del tutto inutile, non è vero?». Sia io che David gli lanciamo un’occhiataccia; Whale scosse il capo, alzò le spalle, sospirò e andò probabilmente a visitare altri pazienti.
«Credo che sia bene dividerci», ci bloccò Regina prima che potessimo fare anche solo un passo. «Penso che non ci sia più tempo da perdere; dobbiamo trovare al più presto una cura per Emma e quindi è necessario iniziare le ricerche il prima possibile».
«Che cosa proponi di fare?», le domandò Mary Margaret.
«Io e Belle potremmo iniziare le ricerche subito. Henry tu vuoi venire con noi?».
«Io voglio vedere la mamma prima», le rispose sicuro. «Non me ne vado senza averla vista».
«D’accordo», suggerì David. «dopo che saremo stati da lei, io, Henry ed Hook vi raggiungeremo. Mary Margaret invece rimarrà con Emma». Annuimmo tutti, concordando pienamente con lui. Sicuramente non sarei voluto restare con le mani in mano; in quel momento il bisogno di vedere Emma e di accertarmi della sua salute, superava di poco quello di andare subito a cercare un modo per salvarla.
«Io posso darvi una mano?», intervenne mia madre, visto che non era stata chiamata in causa. «Posso andare con Regina e Belle, due occhi in più fanno sempre comodo».
«Certo. Grazie mamma», le dissi accarezzandole la mano. Senza aggiungere altro ci separammo: loro diretti verso la biblioteca e noi verso la stanza di Emma.
Al momento di entrare nella camera che Whale ci aveva indicato, credevo di essere preparato a tutto: invece mi sbagliavo. Non ero assolutamente preparato a vedere Emma così, così fragile e debole da frantumare il mio cuore ancora di più.
Emma era sdraiata sul letto, ancora addormentata, ma ciò che più sconvolgeva era la quantità di aghi e di strani macchinari collegati al suo corpo. Aveva dei tubicini nel naso, degli aghi infilati nel braccio destro, uno strano macchinario collegato al suo petto che continuava ad emettere un suono regolare. Se tutto quello non fosse stato abbastanza sconvolgente, ad aggravare il tutto c’era il suo pallore: era così bianca da far paura. Sembrava potesse rompersi e farsi male anche solo guardandola.
Ora capivo a cosa si riferiva il dottore quando aveva detto che il corpo di Emma sembrava rigettare ogni tipo di cura. La sua situazione era peggiorata in modo esponenziale nel giro di quanto? Un’ora forse? Aveva avuto un crollo esorbitante, considerando il fatto che qualche ora prima aveva partecipato alla ricerca di mia madre nel bosco. Se il peggioramento era stato tanto rapido, allora quanto tempo ci rimaneva prima che accadesse l’inevitabile? Dire che avevamo i minuti contati era un eufenismo.
Strinsi la mano a pugno, odiando il coccodrillo con tutto me stesso. Non ero più il tipo vendicativo di un tempo, ma sapevo che, nonostante tutto, sarei ritornato al punto di partenza se… non riuscivo neanche a pensare a quell’ipotesi. Sapevo solo che avrei ucciso Gold con le mie stesse mani, in un modo o nell’altro, e non mi importava se almeno questa volta aveva agito non conoscendo le conseguenze nefaste delle sue azioni.
Avevo fatto queste considerazioni nel giro di un secondo, lo stesso secondo che era occorso ad Henry per entrare nella stanza e vedere sua madre in quelle condizioni. Lo sentii gemere e in un gesto automatico gli appoggiai la mano sulla spalla.
«Starà bene», sussurrai. «Lo sai quanto è forte? Vincerà anche questa volta».
Lui annuì e andò a sedersi sul letto accanto a lei, prendendole la mano tra le sue. Mary Margaret aveva fatto lo stesso, sedendosi su una sedia dall’altra parte. Io e David rimanemmo in piedi, io accanto a Henry e lui in fondo al letto.
Sperai che la mia dolce Swan si risvegliasse presto. Non potevo più aspettare, o meglio non avevo tempo per aspettare, volevo andare a cercare una soluzione, una cura per salvarla. Non mi importava se avessi dovuto sfogliare le pagine di centinaia di libri polverosi, anche quello sarebbe stato meglio di quell’inattività. Tuttavia, non volevo andarmene senza che lei mi vedesse, senza che io potessi rivedere quei bellissimi occhi verdi, e soprattutto senza potervi leggere dentro come ormai solo io sapevo fare e come, da perfetto imbecille, non avevo fatto in quei giorni.
Come per esaudire le mie preghiere, un mugolio sommesso, un suono appena udibile, si levò dalle labbra del mio cigno. Ad ulteriore conferma, le sue ciglia iniziarono a tremare, fino a che, sbattendo le palpebre, non apparve sul suo bellissimo viso il mio prato verde personale.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti!
Ecco a voi! Vi chiedevate cosa fosse successo ad Emma? Ecco la risposta. So che sono stata parecchio tragica già in questo capitolo e non vi garantisco che il prossimo vada a migliorare. Emma sta lottando fra la vita e la morte e tutto per colpa di Rumple che ha voluto svegliare Belle a tutti i costi.
A parte questo piccolo particolare vorrei farvi notare una cosa – attenzione spoiler per chi non avesse visto la prima puntata della sesta stagione: c’ho preso sul fatto che Emma deve morire! E anche nella puntata non dice niente a nessuno. Chissà se a un certo punto comparirà anche la madre di Hook!?
Tornando a noi, ringrazio come sempre chi legge e recensisce. Un grazie particolare va a Persefone3 che mi ha detto che avrebbe voluto una collaborazione tra Henry e Killian: leggendo la tua recensione mi è venuto voglia di scrivere un po’ di più su questa coppia e sono soddisfatta delle minuscole scene che ne sono venute fuori in questo capitolo! Ce ne saranno di più andando avanti ;)
Un bacione e alla prossima settimana!
Sara

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Capitolo 16
*** 16. Basta solo avere speranza ***


16. Basta solo avere speranza
 
Il torpore in cui mi ero trovata fino a poco tempo prima era bello: non sentivo niente, non provavo niente; era come se il mio corpo non esistesse, come se io non esistessi e non avessi nulla di cui preoccuparmi. Invece quello che provavo adesso era decisamente l’opposto.
Per prima cosa c’era il dolore: non avevo neanche un muscolo che non fosse indolenzito, neanche una parte del corpo che non mi desse fastidio; nelle braccia sentivo come delle punture, nel naso c’era qualcosa che mi dava noia e che avrei tanto voluto togliere. Poi c’era la stanchezza: facevo uno sforzo immane anche solo a cercare di pensare lucidamente; non avevo mai faticato così tanto per fare chiarezza nella mia testa. Ed infine c’era il fatto che il mio corpo sembrava del tutto scollegato dalla mia mente. Percepivo il dolore ma non riuscivo a ritrovare neanche un dito per poterlo muovere; se ci fossi riuscita avrei sicuramente fatto qualcosa per alleviare il fastidio al naso e sulle braccia. Mi sarebbe bastato anche solo riuscire ad aprire gli occhi per tentare di capire cosa diavolo mi stesse accadendo. La mia mente non riusciva ad andare oltre al dolore, magari osservandomi attorno avrei capito o ricordato qualcosa.
All’improvviso sentii qualcuno prendermi entrambe le mani; quel piccolo gesto anche se insignificante mi spinse ancora di più a cercare di aprire gli occhi. Volevo disperatamente tornare alla realtà o se non altro volevo che quel dolore smettesse. Non ero sicura che le due cose fossero collegate, ma dovevo almeno provarci.
Sforzandomi con tutta me stessa riuscii a sbattere lievemente le palpebre e, con uno sforzo titanico, alla fine arrivai ad aprire gli occhi. Mettere a fuoco l’ambiente intorno a me fu tutta un’altra storia. La luce era talmente accecante che non riuscii a scorgere nulla se non i contorni di alcune persone chine su di me.
Sentii delle voci, un susseguirsi di timbri diversi l’uno dall’altro. «Mamma».
«Ehi tesoro».
«Bambina mia».
«Ehi bellissima». L’ultima voce fu quella che mi colpì di più: aveva un accento così particolare da risultarmi familiare. Era come se avessi ascoltato quella voce da sempre, come se il suo tono e il suo timbro fossero ciò che avevo sempre voluto sentire.
Lasciai perdere i suoni attorno a me, così come il tentare di mettere a fuoco quelle persone, e mi concentrai su altro. Tenere gli occhi aperti era troppo stancante, ma visto che ero riuscita ad aprirli anche solo per poco, forse sarei riuscita a muovere la mano per togliere qualunque spiacevole cosa ci fosse infilata nel mio naso. Concentrandomi al massimo, riuscii a muovere le dita e poi a spostare la mano destra; per mia fortuna la mano che teneva stretta la mia mi lasciò andare, in modo da non impedire il mio movimento. Il percorso fino al mio viso non fu altrettanto semplice e fu estremamente faticoso. Alla fine riuscii a toccare quello che sembrava un tubicino di plastica che passando sulla mia guancia mi entrava dentro il naso. Tentai di strapparlo via, ma delle dita calde e forti mi bloccarono prima che potessi tirarlo.
«Ferma Swan». Di nuovo quella voce. Mugolai per protesta mentre la mia mano veniva riportata lungo il mio fianco.
«Ti servono per respirare meglio tesoro». Era una voce femminile, più gentile.
La mano calda che aveva riportato la mia al suo posto, mi sfiorò la fronte scostandomi una ciocca di capelli. «Lo so che ti danno fastidio amore, ma ne hai bisogno».
«Presto starai bene, vedrai mamma», disse qualcuno. Mamma fu la parola chiave che mi spinse a combattere contro ciò che stava accadendo al mio corpo. Dentro di me sapevo chi fossero quelle persone, dovevo solo tentare di trovare i loro nomi nella confusione della mia testa. Dovevo assolutamente tornare alla realtà; potevo distinguerla, potevo dissolvere quella nebbia che sembrava avvolgermi, dovevo solo trovare la forza per farlo.
«Henry…», sussurrai dopo quella che mi sembrò un’infinità di tempo. La mia voce era così gracchiante che stentai a riconoscerla. Se il dolore alle corde vocali non fosse stato piuttosto intenso, avrei giurato che era stata un’altra persona a parlare.
«Sì sono io mamma, sono qui». Era lui che mi teneva la mano sinistra, erano le sue dita quelle appoggiate sopra le mie. Con quella consapevolezza aprii nuovamente gli occhi e questa volta riuscii a mettere a fuoco ciò che avevo davanti: Henry seduto sul letto accanto a me e Killian, il mio capitano, accanto a lui.
«Killian», gracchiai.
«Sono qui amore», sussurrò accarezzandomi la fronte.
Girai leggermente la testa per riuscire a scorgere anche i miei genitori dall’altra parte.
«Mamma… papà».
«Bambina mia». Mia madre mi strinse le dita mentre mio padre mi sfiorò una gamba.
«Come ti senti tesoro?», mi domandò quest’ultimo.
«Credo di aver avuto momenti migliori». Cercai di abbozzare un sorriso nonostante il dolore, ma probabilmente ne uscì fuori una smorfia.
«Ho tanta sete», aggiunsi sentendo la gola secca.
«Ti vado a prendere dell’acqua». Nel giro di un minuto mio padre era tornato con un bicchiere d’acqua e mia madre mi aveva aiutato a bere e mi aveva risistemato i cuscini, riempiendomi di premure. Anche se non ero il tipo da lasciarsi coccolare, in quel momento ne avevo davvero bisogno. Cosa poteva esserci di meglio? Non avevo davvero mai avuto una famiglia che si occupasse di me, anche se in effetti non ero mai stata così bisognosa di premure come in quel momento.
«Cosa è successo?», domandai cercando di riordinare le idee.
«Ci hai fatto morire di paura Swan, non lo fare mai più. Non ti azzardare più a nasconderci una cosa del genere». Il suo voleva essere un rimprovero, ma io riuscii a scorgere solo la nota preoccupata della sua voce.
«Hook ha ragione», concordò mio padre. «Avresti dovuto dirci che cosa ti stava accadendo».
«Che cosa mi sta accadendo?», replicai non rispondendo alle loro accuse. Sapevo che mi sentivo uno schifo, ma perché ero in quelle condizioni?
«Gold», mi rispose mia madre sospirando e stringendo la mia mano più forte. «Ha usato il bacio del vero amore che Hook ti ha dato per risvegliare Belle. Il potere del bacio però può essere usato solo su una persona e non su due; Belle è stata svegliata e sta bene, ma tu…». Non ebbe la forza di continuare ed io iniziai ad intuire quello che in realtà avrebbe dovuto aggiungere.
«L’altra persona si trova come bloccata», continuò Henry. «Non può tornare sotto l’incantesimo del sonno…». Neanche lui terminò la frase, ma non ne avevo bisogno per riuscire a capire.
«Sto morendo?». La consapevolezza di quelle parole mi colpì come uno schiaffo. Faceva ancora più male di tutto il dolore che stavo provando fisicamente.
«Troveremo una soluzione Emma», intervenne Killian, lo sguardo più disperato e più deciso che mai. «Non permetterò che ti accada nulla». Per quanto fosse convinto delle sue parole, ebbi la sensazione che non sarebbe servito. Ogni istante il mio corpo si spengeva lentamente; capii subito che, per quanto potessero cercare, era una lotta contro il tempo che non avrebbero mai vinto. Era come se fin dal primo istante del mio malessere, avessi sempre saputo che la storia non poteva terminare diversamente. Non c’era un lieto fine per me, solo la mia fine.
Sentii il terrore crescere esponenzialmente; non avevo mai avuto un attacco di panico, ma probabilmente quello sarebbe stato il momento più adatto per farmene venire uno. Fu solo per la presenza di Henry che riuscii a resistere. Se da una parte volevo disperarmi, sapevo di non poterlo fare di fronte a lui né davanti a nessun altro; avevo visto lo sguardo disperato di Killian, quello identico dei miei genitori e probabilmente anche nei miei occhi adesso si leggeva la stessa disperazione.
«Emma ce la faremo, noi ti salveremo», mi disse mia madre. «Devi avere speranza». Speranza, perché lei riusciva sempre a credere quando io invece non ero mai capace? Avevo una spada di Damocle sul capo, non riuscivo a vedere nessuna alternativa, figuriamoci a sperare!
«Devi fidarti di noi Swan», insisté Killian. Sapevo bene che lui, come gli altri, non si sarebbero mai arresi. Tuttavia non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che, nonostante tutto, non ce l’avrebbero mai fatta.
«Per questo adesso», intervenne mio padre, «io, Hook ed Henry andremo a trovare una cura. Tua madre resterà qui con te». Così dicendo si avvicinò per posarmi un bacio sulla fronte, mentre Henry  mi stringeva un’ultima volta la mano.
Quando Killian si avvicinò per baciarmi fui sopraffatta dall’angoscia. Non sapevo quanto tempo mi restava e quella poteva essere benissimo l’ultima volta che lo vedevo, che lo toccavo. Potevo non avere la possibilità di baciarlo di nuovo, di stringere la sua mano, di perdermi nel mare dei suoi occhi; sarebbe potuto tornare troppo tardi e io non volevo non avere la possibilità di dirgli addio. Ci eravamo già detti addio una volta, non potevo permettere che si allontanasse e che mi lasciasse di nuovo. Era egoistico da parte mia, ma non volevo morire senza che lui mi fosse vicino, non potevo passare gli ultimi minuti della mia vita aspettando che lui tornasse. Anche se fosse riuscito a tornare in tempo, con una possibile cura, non avrei sopportato di separarmi da lui in quel momento; stavo già troppo male per sopportare l’attesa del suo ritorno. Non potevo farlo andar via quando lui era l’unico che avrei voluto con me. Avevo così tante cose da dirgli, così tante cose di cui non avrei più potuto parlare con lui…
Per questo, prima che si allontanasse ne approfittai per afferrare la sua mano, con un gesto così repentino che mi fece gemere di dolore. «Non te ne andare». Non aggiunsi altro perché ero andata in iperventilazione. L’attacco di panico, che avevo tentato di arginare poco prima, tornò ad invadermi triplicato.
Lui si fermò e si voltò a guardarmi con sguardo confuso e addolorato. Sapevo che quello non era un comportamento da me; io non supplicavo e non pregavo, non piangevo facilmente, ma in quell’istante avevo bisogno di lui. Era la prima volta che riconoscevo apertamente di aver bisogno di un’altra persona al mio fianco.
«Ti prego», balbettai freneticamente, «ti prego Killian non te ne andare, resta qui, resta qui con me. Non andare via, ti supplico». Le lacrime iniziarono ad annebbiarmi la vista mentre tentavo inutilmente di regolarizzare il mio respiro.
«Ehi». Killian si chinò su di me, posandomi una mano sulla guancia. «Non ti agitare».
«Resta qui», ripetei cercando di calmarmi.
Lui mi squadrò con uno sguardo colmo di preoccupazione. Era combattuto: sapevo quanto odiava restare in disparte, ma sapevo anche quanto mi amava e quanto stesse soffrendo in quel momento nel vedermi così, nel pensare alla mia morte imminente. Alla fine, però, si voltò verso gli altri sospirando. «Voi ve la caverete anche senza di me?».
«Sì certo, rimani con lei», rispose mio padre. A quelle parole, sentii il mio corpo rilassarsi ed il mio respiro tornare lentamente regolare. Così mentre Henry e mio padre se ne andavano, Killian si sedette sul letto accanto a me, stringendo la mia mano. Mia madre dall’altro lato occupava sempre la solita posizione sulla sedia.
«Sono qui Emma», mi disse Hook sfiorandomi la fronte con l’uncino. «Non vado da nessuna parte, tu  però cerca di non sforzarti».
«Killian ha ragione», intervenne mia madre. «Perché non provi a dormire un po’?». Come potevo spiegarli che, dopo quello che mi avevano detto, avevo paura anche solo a chiudere gli occhi? E se non li avessi più riaperti?
Non ero una persona paurosa, avrei affrontato la morte con coraggio se fosse stata sul campo di battaglia per una ferita improvvisa o cose del genere. Ma in quel modo era completamente tutta un’altra storia. Essere lì distesa su quel letto, impotente, sapendo di essere destinata ad una fine inevitabile, mi stava distruggendo. Non potevo fare niente, non potevo alzare i miei muri perché percepivo le loro espressioni sconsolate e mi sentivo annientata ancora di più. Avrei voluto essere forte e ottimista per loro, ma avevo prima bisogno che qualcuno lo fosse per me.
«Andrà tutto bene Emma, te lo prometto». Killian mi aveva, anche questa volta, letto come un libro aperto. In ogni caso lo conoscevo fin troppo bene: sapevo che era convinto di quelle parole, ma lo era perché l’idea che io potessi morire era per lui inconcepibile. Ciò che faceva più male non era il destino a cui stavo andando incontro, ma ciò che mi sarei lasciata alle spalle: l’avrei distrutto, avrei distrutto tutto e tutti. In fondo, a me restava solo la parte più facile; ci ero passata con Killian, la solitudine, la sua mancanza mi avevano schiacciata. Il supporto della mia famiglia era stato fondamentale, ma questa volta le parti erano invertite.
Chiusi gli occhi per impedire loro di vedere quanto fossi fragile: odiavo sentirmi e mostrarmi così debole. Tuttavia in quel momento di me non restava altro; non avrei avuto la fine gloriosa che spettava a un eroe, ero destinata a quella maledetta versione patetica di me stessa. Una versione che purtroppo sia mia madre che Hook stavano osservando fin troppo bene. Non potevo impedirlo e potevo solo restarmene lì, con la testa affollata di pensieri.
Avevo detto addio a Killian nell’Oltretomba perché sapevo che lui sarebbe riuscito a passare oltre; ma io sarei finita là con ancora delle questioni in sospeso oppure sarei andata in un posto migliore? Non lo sapevo, sapevo soltanto che non ero pronta ad andarmene, a lasciare Storybrooke, i miei genitori, i miei amici, mio figlio, il mio vero amore. Dovevo avere più tempo, non avevo mai pensato che potesse restarmi davvero così poco.
Non avevo mai pensato realmente al futuro, credevo che passo dopo passo sarebbe arrivato da solo. Non avevo mai ponderato su cosa avrei fatto tra cinque o dieci anni. Io e Killian saremmo stati sposati? Avremmo avuto una famiglia tutta nostra? Perché non ne avevamo mai parlato? E perché mi veniva in mente tutto adesso quando ormai non avevo più tempo per fare niente?
Sapevo che chiedermi quelle cose ora era del tutto inutile; avrei fatto meglio a domandarmi che cosa sarebbe successo a Storybrooke senza la Salvatrice, come avrebbero affrontato Hyde e la Regina Cattiva. Ma francamente per una volta volevo essere egoista, volevo smetterla di mettere i problemi di tutti davanti ai miei; in fin dei conti ero io quella che stava per andare all’altro mondo e avevo tutto il diritto di infischiarmene del resto. 
Ero abbastanza lucida da capire che il mio comportamento era alquanto autolesionista: mi stavo praticamente piangendo addosso. Tutta la mia famiglia mi aveva detto che dovevo avere speranza, ma non ci riuscivo. Non era solo il dolore, la stanchezza, il sentire il mio corpo pesante, che mi impedivano di credere; era come se avessi sempre inconsciamente saputo che alla fine sarebbe andata così. Da quando avevo scoperto di essere la Salvatrice non avevo avuto mai un attimo di tregua, solo una serie di nemici uno dietro l’altro. Killian aveva sbagliato: un tempo mi aveva detto che per lui non ci sarebbe mai stato un lieto fine perché era un cattivo; invece era per me che non ce ne sarebbe mai stato uno, perché ero la Salvatrice.
All’improvviso Killian mi sollevò la mano per portarsela alla bocca, per poter lasciare un bacio su ogni nocca. Riaprii faticosamente gli occhi e lo osservai: quello che vidi mi straziò il cuore ancora di più. Sebbene cercasse di restare impassibile, ormai riuscivo a leggere alla perfezione il mare dei suoi occhi. Una volta, quelle che dovevano essere solo poche ore prima, mi aveva detto che avrebbe affrontato di tutto, ma non avrebbe potuto vivere senza di me; le sue parole erano più vivide che mai nella mia mente. Ed io provavo la stessa identica cosa: avrei affrontato la morte senza paura, ma non avrei potuto sostenere il fatto di doverlo lasciare di nuovo.
Avevo bisogno di lui, come lui aveva bisogno di me. Dovevamo avere la nostra intimità, i nostri battibecchi, la nostra vita insieme; invece non avremo avuto nulla. Il tempo che dovevamo trascorrere insieme stava per scadere, e mentre lui aveva già vissuto una vita lunga secoli, io avevo ancora tante, troppe esperienze da fare, senza che avessi mai considerato la possibilità di farle.
Ero arrabbiata, con Gold, con la Regina Cattiva, con Hyde, con il destino, con il mio maledetto ruolo di Salvatrice. Ero così brava a salvare gli altri, ma non altrettanto nel salvare me stessa. Ero disperata perché non vedevo via d’uscita, perché sapevo che non ce ne sarebbe stata alcuna o che comunque la soluzione non sarebbe arrivata in tempo. Era solo una sensazione, un presentimento, ma sapevo di aver ragione. E poi avevo il cuore a pezzi perché sapevo di aver finalmente trovato qualcuno a cui non avrei saputo rinunciare. Non contava il fatto che ci fossimo già passati, faceva male comunque. Ogni addio che ci eravamo detti era più straziante del precedente, rompeva i nostri cuori in frammenti sempre più piccoli.
La cosa che però mi atterriva di più era il doverlo ferire così. Mia madre e mio padre potevano farsi forza a vicenda, Henry aveva Regina, ma Killian? Aveva ritrovato sua madre, ma sarebbe bastato a non rituffarlo in un baratro infernale? Aveva già sofferto troppo, non sopportavo l’idea di procurargli ancora più dolore.
«Mamma», dissi all’improvviso rompendo il silenzio. Girai faticosamente la testa verso di lei per poterla guardare negli occhi.
«Dimmi tesoro». Mi passò una mano tra i capelli, avvicinandosi di più a me. Cercava di sorridermi nonostante gli occhi lucidi.
«Potresti lasciarci un po’ da soli?», le domandai gracchiando. Sapevo che non avrebbe voluto allontanarsi da me, ma la fissai così intensamente da farle capire che quello era il mio unico desiderio.
«D’accordo», acconsentì alzandosi. «Se mi cercate sono alla nursery». Se ne andò, con il passo pesante e le spalle tese, lasciandoci soli immersi nel silenzio, ad eccezione del ronzio dei vari macchinari.
Killian sospirò profondamente, intrecciando le dita con le mie, in una presa sempre più stretta. «Eccoci qua Emma, adesso siamo soli. Che cosa c’è tesoro?».
«Abbracciami Killian», sussurrai. «Distenditi accanto a me e tienimi stretta». Era una richiesta stupida, ma era quello di cui avevo bisogno in quel momento. Il contatto fisico con la sua mano non era abbastanza.
Il suo sguardo si addolcì, anche se riuscivo comunque a scorgervi un velo di tristezza. «Tesoro, non esiterei ad abbracciarti, ma hai davvero troppi fili collegati al tuo corpo. Potrei staccarli e non voglio peggiorare ulteriormente la tua situazione».
«Lascia stare i fili e abbracciami», insistetti.
«Emma…», fece per protestare ma lo interruppi.
«Ne ho bisogno». Era una frase a cui non poteva replicare.
«Va bene, hai vinto. Ce la fai a farmi un po’ di posto». Con estrema fatica riuscii a spostarmi un po’ di lato in modo che lui si potesse stendere accanto a me e che io mi potessi rifugiare nel suo caldo abbraccio.
«Contenta adesso?», sussurrò tra i miei capelli. Annuii fiaccamente e respirai il suo odore. Cercai di imprimere ogni sensazione nella mia mente: il calore del suo corpo, così forte e possente, il suo odore particolare, l’accenno di barba che mi sfiorava la pelle, il suo uncino freddo che mi stringeva.
«Baciami Killian», sospirai non desiderando altro che poter sentire il suo sapore, le sue labbra sulle mie. Lui si limitò a lasciare un piccolo bacio sulla mia fronte, coccolandomi tra le sue braccia.
«Non così», protestai. «Baciami come sai fare tu, baciami fino a farmi dimenticare tutto, persino il mio nome».
«Emma…». Il suo tono era un misto tra un rimprovero e un gemito di piacere. «Non dovresti affaticarti. Perché non provi a dormire un po’ con me qui vicino?».
«Non voglio dormire», ribattei debolmente.
«Beh lo so, ma devi riposare. Non voglio farti stancare ancora di più».
«Baciami Killian», protestai di nuovo. «Questa tua reticenza è l’unica cosa che mi sta facendo affaticare adesso. Ti prego baciami e fa che sia un bacio come si deve».
«Sei sempre la solita testa dura», sospirò arrendendosi.
«Sono impossibile ma mi ami per questo». Non avevo bisogno di nessuna conferma per sapere che anche lui ricordava quelle parole.
Facendo molta attenzione, Killian mi sollevò leggermente la testa e mi tolse i tubicini dell’ossigeno che avevo nel naso. Se non fossi stata distratta dal suo profondo sguardo avrei gioito per quella liberazione. Lentamente avvicinò la sua bocca alle mia e mi baciò dolcemente; il suo sapore meraviglioso mi pervase mentre rispondevo al bacio, così come la morbidezza delle sue labbra. Con estrema delicatezza la sua lingua si insinuò nella mia bocca, dando vita a qualcosa di più profondo, più intenso.
Non era il solito bacio; sapevamo entrambi che aveva un significato diverso. Era un gesto disperato di due amanti costretti a lasciarsi troppo presto, era una atto di due innamorati separati dal destino. Era un bacio di addio, ma allo stesso tempo una supplica a non lasciarsi più.
Quando alla fine si staccò dalle mie labbra, aveva fatto esattamente quello che gli avevo chiesto: mi aveva fatto dimenticare tutto il resto ad eccezione di noi.
«Hai altre richieste Swan?».
«Non al momento», risposi accomodandomi sul suo petto e appoggiando la testa sulla sua spalla. Lui aggiustò il braccio sotto la mia vita per stringermi meglio e con la mano, per mia sfortuna, risistemò al suo posto i tubicini per l’ossigeno.
Restammo così per un po’ in silenzio, stringendoci l’uno all’altro. Era tutto quello di cui avevamo bisogno.
«Ho paura», dissi in un sussurro.
«Anche io Emma. Vorrei davvero dirti che non ho paura, ma non è così».
«Fa male morire Killian?».
«Tu non morirai piccola», ribatté all’istante.
«Tu rispondimi e basta, okay?».
«Non più di tanto, penso che la parte peggiore è ciò che ti lasci alle spalle. Ma Emma tu devi avere fiducia in noi, devi avere speranza. Starai bene».
«Dici che starò bene perché ci credi davvero o perché deve essere così?».
Lo sentii deglutire rumorosamente prima di rispondermi. «Emma non riesco neanche ad immaginare la possibilità che tu… maledizione non riesco neanche a dirlo. Non puoi farmi questo, d’accordo? Tu devi lottare, devi farlo per me, e devi avere speranza e credere che ce la farai».
«Posso anche crederlo», replicai sussurrando, «ma questo non significa che non stia accadendo».
Non rispose perché sapeva che avevo ragione, così come capiva che non sarebbe riuscito a convincermi. In fondo era il mio corpo quello che si stava spegnendo, chi meglio di me avrebbe saputo in cosa credere?
«Avrei voluto sposarti», mormorai all’improvviso senza neanche rendermene conto.
«Lo pensi sul serio? O lo dici solo perché credi di non avere più tempo?».
«Sul serio». Non ci avevo mai riflettuto veramente, ma sapevo che era così. Se me l’avesse domandato ero certa che avrei detto di sì senza nessuna esitazione.
«Dio Swan!», esclamò sbuffando tra i miei capelli. «Se avessi saputo che la pensavi in questo modo, te l’avrei già chiesto da tempo. Avevo optato per la convivenza solo per adattarmi di più al tuo mondo e al tuo intricato modo di pensare. Non sai quante volte ci ho riflettuto sopra».
«Chiedimelo adesso», replicai cercando di alzare la testa leggermente per riuscire ad incrociare meglio il suo sguardo. Il mio tentativo fu del tutto vano perché una fitta di dolore mi fermò ancora prima che potessi spostare il capo di qualche centimetro.
«Cosa? No, assolutamente no!». La sua reazione fu repentina, ma non mi sentii rifiutata perché sapevo che dietro alla sua risposta ci doveva essere un motivo più che valido.
«Perché no?».
«Anche se non lo fai perché stai per…». Deglutì non riuscendo a pronunciare quella parola. «Insomma hai capito, comunque non voglio domandartelo adesso; non voglio che il tuo sì sia una risposta dettata dalla disperazione del momento, voglio che sia sincero».
«Ma lo sarebbe». Più che sincero.
«No Emma. Tu meriti la migliore delle proposte; devono esserci fiori, deve esserci il tramonto, la musica giusta, l’atmosfera, io che mi inginocchio davanti a te e tu che mi guardi come se fossi la cosa più preziosa che tu abbia mai avuto, io che ti infilo l’anello al dito e…».
«Vedo che ci hai pensato parecchio», ridacchiai. La mia risata si trasformò in un colpo di tosse che mi impedì di respirare regolarmente.
«Lo vedi?», continuò accarezzandomi anche quando ebbi superato il mio attacco. «Non sarebbe perfetto adesso, tu invece meriti la perfezione». Aveva ragione, ma era difficile ammetterlo sapendo che lo scenario che aveva descritto non si sarebbe mai realizzato. Non ci saremmo sposati, non avremo avuto dei figli, nessun “per sempre felici e contenti”.
«Dimmi a cosa stai pensando?», sussurrò dopo un po’ vicino al mio orecchio.
«Avresti voluto dei figli?», non so perché lo dissi. Non avrebbe cambiato nulla saperlo, se non darmi un ulteriore dispiacere.
«Da te?», mi domandò stupito. Annuii leggermente.
«Sì li vorrei Emma». Avevo notato il suo tempo presente. «E tu?».
«Sì», singhiozzai. All’improvviso mi ritrovai sull’orlo delle lacrime. Il mio corpo, oltre ad essere completamente sfinito e dolorante, era diventato una giostra di emozioni. Rabbia, dolore, tristezza, così mescolate che alla fine mi avevano fatto scoppiare a piangere.
«Ehi amore». Killian mi fece incrociare il suo sguardo asciugandomi la guancia con la mano.
«Non riesco a sopportarlo», gemetti. «È troppo difficile Killian, non voglio…  non è giusto, ci eravamo appena ritrovati, dovevamo avere tempo…. fa così male ed io non riesco a gestirlo».
«E allora credi Emma! Abbi fiducia in me, nella tua famiglia, fidati di noi. Troveremo una soluzione, devi solo avere speranza. Devi crederci Emma, credere che andrà tutto bene, che si sistemerà tutto, che avremo il nostro lieto fine; fallo per me, per la tua famiglia e per te stessa». Il suo discorso era stato così accorato che aveva parlato mangiandosi le parole. Voleva che credessi, che sperassi, per me ma anche per lui, perché noi eravamo un tutt’uno, nessuno dei due esisteva senza l’altro. Annientare me equivaleva ad annientare lui.
Non tentò di perorare la sua causa aggiungendo altre inutili parole; lasciò semplicemente che mi calmassi, limitandosi ad asciugare le mie lacrime. Parlare tra di noi non era mai servito, ci capivamo benissimo anche restando in silenzio. I miei muri con lui erano crollati ad uno ad  uno e in quel momento non ne avevo proprio più; gli avevo appena mostrato la parte più fragile e spaventata di me. Mi conosceva così bene: conosceva la mia parte romantica e sognatrice, la mia parte puerile e scherzosa, il mio lato forte e combattivo, quello estremamente testardo e competitivo. Adesso aveva visto anche la bambina sola e fragile che ero un tempo, una creatura così bisognosa di affetto che non mi capacitavo di come potesse rappresentarmi.
Lui che mi conosceva a trecentosessantacinque gradi mi chiedeva di avere speranza e forse era l’unica cosa che potessi fare per evitare di morire dentro prima ancora che lo facesse il mio corpo fuori. Era sempre stato un problema per me credere, ma questa volta era Killian che mi stava chiedendo di avere fiducia in lui e nella mia famiglia e, per un verso, questo cambiava tutto. E anche se non potevo sperare per me, sapevo di poterlo fare per lui.
«Credo che dovresti andare a chiamare la mamma», dissi infine con voce strozzata. «Penso di aver davvero bisogno di uno dei suoi discorsi sulla speranza».
Lui mi lanciò un sorriso e mi baciò sulla fronte, in un gesto protettivo. «D’accordo vado subito».
Anche se non volevo che se ne andasse, lo lasciai alzare abbandonando il conforto delle sue braccia calde.
Prima di uscire dalla porta si voltò a guardarmi assumendo un’espressione colma di emozione. I suoi occhi erano così chiari da potercisi specchiare dentro, la sua espressione così intensa da far nascere in me un mare di emozioni.
«Ti amo Emma lo sai vero? Ti amo più di quanto abbia mai amato qualcuno».
«Anch’io ti amo Killian», ripetei, «ti amo più di quanto abbia mai amato qualcuno».


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti!
Beh non so da che parte iniziare, se non con il dire che questo è un capitolo abbastanza triste. All’inizio avevo pensato di incentrarlo dal punto di vista di Killian; ma alla fine avevo già esplorato le emozioni di Killian, anche se solo in parte. Per questo ho preferito lasciar spazio a Emma e a quello che avrebbe potuto provare conoscendo il suo inevitabile (?) destino. So di averla presa piuttosto sul tragico, con una Swan decisamente abbattuta e senza speranza, ma d’altronde penso che sia comprensibile reagire così anche per una come lei.
Dal prossimo capitolo ci saranno ovviamente risvolti importanti e interessanti scoperte sul destino della nostra Swan.
Grazie sempre a tutti quanti. Questa storia sta andando avanti soprattutto grazie a voi, che recensendo o semplicemente leggendo, mi spronate a continuare.
Un bacione! Alla prossima settimana
Sara  
 

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Capitolo 17
*** 17. Lasciare la strada nuova per la vecchia ***


17. Lasciare la strada nuova per la vecchia
 
Mentre sfogliavo le pagine di quei pesanti libri, non riuscivo a togliermi dalla testa l’espressione che avevo visto dipinta sul volto di mio figlio. Killian era devastato; avevo visto come, la possibilità che Emma potesse morire, fosse per lui un’idea inconcepibile. Avevo capito, soltanto osservandolo, che niente sarebbe servito se quella nefanda possibilità si fosse avverata. Non sarei bastata io per riuscire a sostenerlo, non sarei stata abbastanza. Mi ero resa conto in quel momento che non avrei rappresentato una ragione sufficiente per impedirgli di sprofondare nel baratro.
Da quello che avevo letto sul famigerato Hook e da quello che mi aveva detto lui stesso, potevo immaginare senza problemi che quel baratro non sarebbe stato tanto una sua possibile distruzione, quanto un ritorno all’oscurità. Avrebbe voluto vendetta e molto probabilmente questa voglia di rivalsa avrebbe portato alla sua fine.
Stare chiusa in quella biblioteca a sfogliare libri mi sembrava una perdita di tempo; non avrei aiutato Killian restando lì, né tantomeno Emma, non c’era tempo a sufficienza per percorrere quel genere di strada. Ci occorreva un piano più diretto, più rapido, qualcosa che ci permettesse di vincere quella corsa contro il tempo. Sfortunatamente sapevo che una soluzione rapida poteva non essere altrettanto corretta; spesso per affrontare situazioni così drammatiche, erano necessarie azioni altrettanto drammatiche.  Purtroppo non ero sicura che gli eroi avrebbero avuto il cuore di compierle.
Quando Tremotino mi aveva liberato dalle grinfie di Hyde, aveva detto una frase che continuava a ronzarmi nella mente. Proprio non riuscivo a togliermi dalla testa le sue parole. “Sono sicuro che nonostante tutto sarai tu a venirmi a cercare la prossima volta”. Quell’allusione continuava ad assillarmi, intontendomi di domande. Lui sapeva già cosa sarebbe successo ad Emma? Era per questo che mi aveva liberato da Hyde? Per vendicarsi di lui, visto che l’aveva in qualche modo ingannato? A quanto avevo capito Hyde aveva omesso le complicazioni che l’usare il bacio del vero amore di un altro avrebbe comportato e Tremotino non sembrava di certo il tipo capace di passare sopra a un’omissione del genere.
Belle, l’amata del Signore Oscuro, aveva detto che Tremotino non sapeva come salvare Emma. Era la verità? Lui non poteva fare niente o era solo uno dei suoi tanti perfidi giochetti? Perché lanciarmi quella allusione altrimenti?
Con un profondo sospiro richiusi il libro che avevo davanti. Il tonfo sordo delle pagine fece raddrizzare la testa delle mie compagne. Regina mi fissava ancora con un accenno di diffidenza, mentre Belle sembrava molto più benevola nei miei confronti.
«Qui non c’è niente», sbuffai.
«Beh dobbiamo continuare a cercare, non possiamo arrenderci». Nonostante l’aria impassibile, riuscii a percepire il turbamento nel tono di Regina. Emma mi aveva detto che Regina era la sua migliore amica, non avevo capito fino a quel momento quanto il sentimento fosse reciproco. Dietro quella sua aria da dura, così difficile da scalfire, era sconvolta quanto noi.
«Regina ha ragione», concordò Belle, «deve esserci qualcosa». Poteva anche essere vero, poteva davvero esistere un libro che facesse al caso nostro in quel mare di volumi, ma non ero sicura che saremo riusciti a trovarlo in tempo. E nel nostro caso il tempismo era diventato l’elemento fondamentale.
Sebbene loro non fossero disposte a rischiare compromettendosi completamente, io invece potevo farlo. La vita mi aveva dato un’altra occasione con Killian e non l’avrei sprecata; se c’era una possibilità di salvare Emma io l’avrei trovata, anche se avesse significato chiedere aiuto all’ultima persona a cui avrei voluto rivolgermi. Tuttavia, avevo imparato dai miei errori, non ero più la giovane e sciocca donna talmente disperata da accettare quel genere di accordo. Avrei gestito la situazione diversamente e l’avrei fatto per Emma. Era stato grazie a lei che avevo ricostruito il rapporto con mio figlio, in un certo senso glielo dovevo.
Mi alzai scostando la sedia rumorosamente, attirando di nuovo l’attenzione delle altre due, che nel frattempo erano tornate a spulciare i loro libri. «Credo che Jekyll abbia qualche volume che possa fare al caso nostro», mentii. «Lo ha sicuramente usato per creare la pozione che lo ha separato da Jekyll».
«Pensi che sia nella sua tenda?», mi chiese Regina, con una punta di scetticismo.
«Può darsi. Credo che farei meglio ad andare a controllare». Sperai con tutto il cuore che mi lasciassero andare e che non insistessero oltre, smascherando così le mie bugie.
«Va bene», acconsentì Regina. «Henry mi ha appena mandato un messaggio. Lui e David stanno arrivando, continueremo a cercare con loro sui libri che abbiamo al momento, finché non tornerai. Tu sbrigati però».
«Certo». Così dicendo uscii dalla biblioteca in fretta, prima che lei potesse cambiare idea. Camminai incerta nel centro di Storybrooke fino a raggiungere una stradina laterale, una via dove ero sicura di non essere vista. Non sapevo se quel mio ridicolo tentativo avrebbe avuto un esito positivo; non sapevo dove poter contattare il Signore Oscuro e sicuramente non avrei potuto chiedere a Belle come trovarlo. Non volendo svelare il mio piano, non potevo fidarmi di lei e in più forse, essendo ai ferri corti con Tremotino, non mi sarebbe stata neanche d’aiuto.
L’unica alternativa che mi restava era fare ciò che avevo fatto molti secoli prima. Dovevo solo sperare che funzionasse così come era stato con Zoso.
Chiusi gli occhi e feci un profondo respiro, preparandomi a credere con tutta me stessa. «Tremotino, Tremotino, Tremotino».
«Sapevo che mi avresti cercato». La sua voce mi arrivò all’orecchie ancor prima che riaprissi gli occhi. Lo stesso uomo che mi aveva salvata poche ore prima – mi sembrava invece passata un’eternità – mi stava osservando con un’espressione impassibile ed indecifrabile.
«Credo che dovremo andare in un posto più adatto per parlare». Senza aspettare il mio consenso ci fece sparire in una nuvola di fumo, per poi farci materializzare in un ampio salotto. Non sapevo dove fossi, ma il Signore Oscuro sembrava completamente a suo agio in quell’ambiente, tanto che si avvicinò ad una poltrona e si sedette comodamente.
«Sapevi che sarebbe successo», l’accusai rimanendo in piedi. «Sapevi che la vita di Emma sarebbe stata in pericolo».
«Beh diciamo che avevo appena scoperto le conseguenze delle mie azioni».
«Belle dice che non puoi aiutare Emma come hai fatto con lei», continuai.
«È vero». La sua espressione era sempre indecifrabile, anche se mi scrutava con attenzione.
«Non ti credo», ribattei. «Tu puoi fare qualcosa, soltanto non vuoi aiutarci».
«Ti sbagli, stavolta ho davvero le mani legate. Se potessi fare qualcosa da solo, non esiterei a farlo». Quel “da solo” attirò tutta la mia attenzione. Cosa significava?
«Perché dovrei credere che vorresti salvare Emma?», domandai dopo qualche secondo di silenzio. «Conosco il modo di pensare del Signore Oscuro».
«Credi che Belle mi rivolgerebbe ancora la parola se sapesse che l’ho lasciata morire? Credi che mi permetterebbe di vedere mio figlio?». Quindi non l’avrebbe fatto per Emma ma solo per sé stesso, tipico.
«Ma dimmi piuttosto», continuò, «perché mi hai invocato visto che metti in dubbio le mie buone intenzioni?».
«Sono qui per fare un accordo, per salvare la vita di Emma».
«Sapevo che in fondo le persone non cambiano, ma cosa ti fa pensare che offrendomi un accordo potrei salvarle la vita? Ti ho già detto che ho le mani legate».
Riflettei un po’ prima di rispondere. «Hai detto che non puoi fare niente da solo…».
«Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo a capirlo».
«Questo significa che esiste un modo per salvarla prima che sia troppo tardi?», domandai esultando.
«Diciamo che potrebbe esserci una soluzione. Ma il prezzo da pagare è davvero alto».
«Basta con i giochi di parole», scattai. «Dimmi cosa vuoi o cosa devo fare. Non mi tirerò indietro».
«Bene vedo che sei una donna che non vuole perdere tempo. Che ne dici di accomodarti così possiamo comodamente discuterne nel dettaglio?». Non mi andava di sedere con il Signore Oscuro, come se fossimo stati grandi amici, ma d’altra parte non avevo molta scelta. Senza esitare mi sedetti su una poltrona proprio di fronte a lui, in modo da poterlo scrutare negli occhi.
«Come ti ho già detto», iniziò, «la mia magia da sola non è sufficiente per salvare Emma. Il bacio del vero amore racchiude dentro di sé una potenza inaudita, capace di spezzare qualsiasi sortilegio; purtroppo come abbiamo appena scoperto questa magia è a senso unico, riservata solo agli amanti che compiono quel gesto. Come sai è possibile sfruttare il bacio del vero amore altrui ma le conseguenze sono assai poco piacevoli, questo Hyde me l’aveva tenuto nascosto».
«Vieni al punto», sbottai. «Non mi stai dicendo niente di nuovo al momento».
«Abbi pazienza», mi rimproverò.
«Se avessi tempo da perdere potrei anche sopportare i tuoi irritanti discorsi», ribattei stizzita.
«Touché. Arrivo al dunque allora. Quello che volevo farti capire è che l’incantesimo è troppo potente, al di sopra delle mie possibilità, non posso ricreare ciò che solo il bacio del vero amore può fare, così come non servirebbe a niente un’altro bacio da parte di Hook. È unico, ed è destinato ad una persona sola».
«Mi stai dicendo che quindi Emma è destinata a morire? Non staremo qui a parlarne se ci fosse una soluzione».
«Aspetta, io sto dicendo che una persona è destinata a morire per controbilanciare il caos che io stesso ho creato. Il fatto che in questo momento quella persona sia Emma, è solo una coincidenza che però può essere cambiata. Anche se è lei la persona che è destinata a morire adesso, non è detto che sarà veramente lei ad andarsene».
Riflettei sulle sue parole e lui non aggiunse altro per far sì che potessi arrivare alla conclusione da sola. Se un’altra persona poteva morire al posto di Emma perché non scegliere direttamente Hyde o la Regina Cattiva? Chi meglio di loro poteva essere il candidato? Avevano creato solo problemi avrebbe fatto comodo sbarazzarci di almeno uno dei due.
Tuttavia forse loro, essendo la parte oscura di Jekyll e di Regina, non potevano morire; allora perché mi stava dicendo quelle cose? Chi voleva che uccidessi per salvare Emma?
All’improvviso la soluzione mi apparve chiara davanti agli occhi. Fino a quel momento avevo sbagliato prospettiva: non si trattava di dover scegliere chi far morire per salvarla, ma semplicemente chi fosse disposto a morire per ridarle la vita che meritava. Ed io ero disposta a farlo.
«Puoi sostituire me con lei? Puoi prenderti la mia vita al posto della sua?».
«Ero certo che ci saresti arrivata». Era per questo che era sicuro che sarei andato a cercarlo, perché ero disposta a tutto, persino a sacrificare me stessa.
«Ma sei certo di riuscirci?», domandai ricordandomi un punto fondamentale. «La mia vita è collegata a quella di Killian, non posso morire finché lui resta in vita».
«Questo è un punto che posso modificare».
«In che senso? Non puoi semplicemente fare lo stesso incantesimo su Emma per salvarle la vita?».
«Non è così facile. Solo una persona può restare legata ad Hook, ma posso far sì che quella persona non sia più tu ma lei. Lascia che ti spieghi il mio piano: posso ricreare l’incantesimo del mio predecessore, svincolare la tua vita da quella di tuo figlio e collegarci quella di Emma. A questo punto lei sarà salva, finché il pirata vivrà. Come ti ho già detto, però, la magia ha sempre un prezzo, quindi qualcuno dovrà pagare per il mio errore; non permetterò che sia Belle, questo lo sai, non farò niente se tu non accetterai».
«Mi stai dicendo quindi che se legassi la vita di Emma a Killian, sarebbe inevitabilmente la tua amata a morire? Mi stai chiedendo di essere la vittima sacrificale per poter salvare entrambe? Altrimenti anche se ne avessi la possibilità non faresti nulla per evitare di perdere ulteriormente tua moglie e tuo figlio?».
«Diciamo di sì, anche se ti sfugge il fatto che dovrei compiere la magia per riuscire a scollegarti da Hook prima di poter salvare Emma. Ti lascio il tempo per pensarci, torno tra cinque minuti». Così dicendo si alzò ed uscì dalla stanza.
Sospirai a fondo, sapendo che in realtà non avevo molta scelta. Non mi sarebbero serviti cinque minuti, io avevo già deciso; avevo già preso la mia decisione quando avevo lasciato la biblioteca per andare a cercarlo.
Avevo vissuto molti anni, secoli addirittura, sperando più volte di invecchiare e di morire come le persone normali, sperando di poter mettere così fine alle mie sofferenze. Il rimorso per il mio gesto era un’agonia troppo straziante da sopportare per un’intera vita, figuriamoci per una lunga come la mia.
Poi, prima con Jekyll e dopo quando avevo ritrovato Killian, la possibilità di avere altri giorni con loro, altre occasioni per essere felici, mi era sembrato un sogno. Jekyll prima mi aveva dato un po’ di pace e tranquillità e poi Killian aveva messo fine ai miei tormenti.
Tuttavia l’idea di dover morire adesso non mi spaventava. Non avrei scelto la strada più facile per me questa volta, non sarei stata egoista. In effetti, avevo avuto molto più tempo di quello che in realtà mi spettava; avevo in un certo senso ottenuto il perdono di mio figlio ed era l’unica cosa che avevo sempre voluto.
Emma era stata la prima a vedermi come una madre sopraffatta dal senso di colpa; io e lei avevamo sempre avuto una sorta di empatia. Era per merito suo se Killian mi aveva dato una possibilità, era grazie a lei se si era aperto con me e mi aveva mostrato l’uomo meraviglioso che era diventato. In un certo senso glielo dovevo: non potevo non salvarla dopo che lei aveva salvato me, riuscendo a farmi recuperare il rapporto con mio figlio.
Poi c’era Killian, l’avevo appena ritrovato ma sapevo che non l’avrei perso con il mio sacrificio. Sarebbe invece stato il contrario: se non avessi fatto niente, se avessi lasciato le cose così come stavano in quel momento, allora l’avrei perso per sempre. Avevo visto il dolore nei suoi occhi, sapevo che poteva dire addio a me ma non a lei, non all’amore della sua vita. Lui avrebbe capito, avrebbe compreso subito che in fin dei conti mi sarei sacrificata per lui. Non è forse questo il compito dei genitori, quello di sacrificarsi per il bene dei figli? Lui sarebbe stato felice e a me non serviva sapere altro.
E infine c’era Jekyll. Lui mi avrebbe detto di non farlo, che avremo trovato un’altra soluzione; per quanto avrei voluto crederlo, sapevo che non c’erano altre scelte, o almeno nessuna soluzione che potesse arrivare in tempo. L’amavo e lui amava me, ma non eravamo mai stati destinati a stare insieme, forse in un’altra vita ci saremmo ritrovati. Jekyll avrebbe sofferto, ma era più forte di quanto credesse, sarebbe riuscito a tirare avanti e forse la mia morte gli avrebbe permesso di continuare la sua vita fino a trovare qualcosa di migliore. Dovevo credere che fosse così, perché nonostante l’amore profondo che nutrivo per lui, questo non sarebbe bastato a farmi cambiare idea.
Mi passai una mano sulla guancia, accorgendomi solo in quel momento che era bagnata. Avevo iniziato a piangere senza neanche rendermene conto. Non piangevo per la mia inevitabile fine, ma perché, in un certo senso, quello era l’unico modo che avevo per riuscire a far pace con me stessa, per riuscire a perdonare i miei stessi errori. Finalmente avrei ritrovato la pace che cercavo da quando mi ero risvegliata lontano dalla mia famiglia.
«Hai preso la tua decisione?». La voce del Signore Oscuro mi fece alzare la testa di scatto; era appoggiato allo stipite della porta e mi stava fissando.
«L’avevo già presa ancor prima che tu te ne andassi», risposi asciugandomi le ultime lacrime. «Lo farò».
«Bene». Si avvicinò e riprese il suo posto in poltrona. «Ci sono ancora un po’ di dettagli di cui dobbiamo discutere».
«Che dettagli?».
«Ho bisogno che tu faccia un’altra cosa per poter salvare Emma. Le dovrai dare questa». Schioccando le dita fece apparire nella mano una piccola fialetta che mi fece rabbrividire. «La riconosci?».
Ero talmente scioccata che all’inizio non riuscii a parlare. Era ovvio che riconoscessi la pozione che mi aveva strappato per sempre alla mia famiglia; era stata per quella che Killian era rimasto traumatizzato, era stata quella a farmi cadere in uno stato di morte apparente. Che cosa diavolo voleva farci adesso?
«Prendo il tuo silenzio come un sì», si rispose da solo visto che io continuavo a tacere.
«Cosa vuoi che ci faccia con quella? Quell’intruglio porta solo guai».
«Hai ragione, ma è necessario. Mettiamola così, io non voglio solo rimediare ai miei errori, voglio che Hyde la paghi per il suo gesto».
«E questo che cosa c’entra con quella boccetta e con l’intera faccenda di Emma?».
«So che Jekyll ha realizzato una pozione capace di intrappolare Hyde e la Regina Cattiva. Ma vi serve questo per farlo». Appoggiò la fialetta sul tavolino accanto a lui e con una nuvola di fumo fece apparire il suo pugnale.
«Devo credere che mi lascerai utilizzare il tuo prezioso pugnale, l’unica cosa che ti può controllare, se userò di nuovo quella maledetta pozione?».
«Oh andiamo non essere sciocca! C’è molto di più sotto». Non risposi e incrociai le braccia al petto lasciando così che lui continuasse.
«Il tuo caro dottore potrà aver realizzato quella pozione credendo di poter intrappolare il suo alter ego, ma non è lui quello in grado di farlo. Per sconfiggere tanta oscurità ci vuole solo un Salvatore, o meglio una Salvatrice».
«Emma», sussurrai.
«Proprio così».
«Se farai come ti dico, non solo le salverò la vita ma collaborerò con lei per sconfiggere Hyde e la Regina Cattiva».
«E perché mai dovresti farlo?». Conoscevo fin troppo bene i Signori Oscuri e dietro c’era sempre un motivo nascosto.
«Ne ho molte ragioni, per quanto tu possa dubitarne», ammise sorprendendomi. Non mi ero aspettata che mi svelasse le sue carte. «Prima di tutto Hyde si è preso gioco di me e deve capire che non si può scherzare col Signore Oscuro; secondo, questa è la mia città e me la voglio riprendere. Terzo e cosa più importante, questo forse mi riabiliterà agli occhi di Belle e mi concederà almeno una possibilità con mio figlio. Infine voglio dimostrare a mia moglie che posso usare il mio potere anche a fin di bene per aiutare gli eroi; non sempre il potere è una cosa negativa».
«E in tutto questo che cosa c’entra la pozione che è su quel tavolino?». Non capivo il nesso tra le due cose.
«Beh è ovvio. Ci serve per l’effetto sorpresa». Lo guardai ancora più perplessa sbattendo gli occhi. Perché non riuscivo a cogliere quello che per lui sembrava palese?
«D’accordo mia cara», continuò. «Cercherò di essere più preciso. Hai mai pensato a come ha fatto Hyde a scoprire di te e Jekyll? Hai mai capito come ha fatto a trovarti quando ti ha rapito o come faceva a sapere più cose sul tuo conto di quante tu stessa potessi immaginare?».
Non avevo avuto il tempo di rifletterci, però le sue domande avevano un certo significato. Emma aveva detto che si era accorta del rapporto intimo tra me e Jekyll, ma lo aveva fatto perché era stata a stretto contatto con noi. Come aveva fatto Hyde a saperlo?
«Non ne ho idea», sussurrai.
«Spie», disse semplicemente. «O meglio una spia, una soltanto. Qualcuno così vicino a te da conoscerti molto a fondo».
«Chi?». Non capivo proprio a chi potesse riferirsi, non pensavo di avere altri nemici oltre ad Hyde.
«La tua amica o figlioccia, come tu voglia chiamarla, Mary».
«No! È impossibile», scattai. «Mary non mi farebbe mai una cosa del genere».
«Ne sei proprio sicura? A volte la gelosia tende a farci fare le cose più impensate». All’improvviso mi tornarono alla mente dei particolari che prima mi erano sembrati insignificanti. Lei che cercava di scoprire tutto sul mio passato, lei che accusava Killian, delle sue piccole allusioni a cui non avevo dato peso, dei comportamenti sospetti. L’avevo più volte trovata intenta ad osservarmi lì a Storybrooke, quasi a spiarmi. Lei di certo sapeva di me e Jekyll, anche se non glielo avevo mai detto apertamente, e anche delle mie intenzioni di parlare con Killian al loft, il giorno del mio rapimento. Mi sentii immensamente sciocca per non averlo capito prima.
«D’accordo», ammisi non volendo riconoscere a pieno la mia stupidità. «Mettiamo che tu abbia ragione; ancora una volta non capisco cosa c’entri con la pozione».
«Tutti devono pensare che Emma sia morta, di aver sconfitto la Salvatrice. Hyde e la Regina devono sentirsi sicuri e vittoriosi, nessuno deve sospettare di nulla. Solo tu ed io sapremo la verità e così una volta salvata la vita di Emma, potremo sconfiggerli».
«Quindi non vuoi che sia io a berla, ma vuoi che la dia ad Emma! No!». Quella era davvero una richiesta inconcepibile. Far credere a tutti di non essere riusciti a salvarla, compreso Killian. Vederla morire, anche solo per finta, l’avrebbe distrutto; crederlo anche solo per poco l’avrebbe annientato. Non potevo fargli questo, non di nuovo.
«Perché non possiamo far credere ad Hyde e alla Regina che Emma sia morta anche senza l’ausilio della pozione?».
«Perché la sua famiglia non riuscirebbe a fingere come si deve, potrebbero nascere dei sospetti e il nostro piano verrebbe smascherato. Andiamo Sylvia ti facevo una donna più intelligente». Aveva ragione, lo sapevo, ma doveva esserci un altro modo per sfruttare l’effetto sorpresa. Non potevo fare a mio figlio una cosa del genere.
«Potremo dirlo solo a Killian, farò in modo che lui collabori», azzardai.
«Capirebbero subito che c’è sotto qualcosa se non lo vedranno devastato. Sylvia, il pirata ce la farà, la ritroverà poi. So che non vuoi che soffra ma è in evitabile».
«E allora quale sarebbe il tuo piano così ben architettato?», domandai infine.
«Tu adesso andrai in ospedale e darai la pozione ad Emma. Sembrerà morta solo per un paio di ore, il tempo sufficiente affinché la sua famiglia ci creda e che ci permetterà di agire comodamente. Inoltre, lì in ospedale dovrai prendere la collana con l’anello che Emma porta sempre con sé, un dono di tuo figlio; io poi mi occuperò di recuperare il suo corpo in tempo. Così poi potrò scollegarti da Hook, collegarci la vita di Emma, grazie all’anello che tu avrai diligentemente recuperato, e far sì che sia tu a morire al suo posto. Se seguirai alla lettera le mie indicazioni, potrò controllare meglio l’incantesimo: riuscirò a concederti il tempo di vedere Hyde sconfitto e di salutare la tua famiglia come si deve prima di spegnerti completamente. Potrai dare a tuo figlio l’addio che non gli hai concesso in passato. Allora che ne dici: accetti?».
Assimilai a pieno le sue parole, cercando di afferrare tutti i punti più importanti; in effetti quello era davvero un piano ben congegnato. «Sì», sospirai infine, non essendoci altra soluzione. Quello era anche il migliore accordo che lui potesse offrirmi.
«Bene allora», disse alzandosi. «Credo che tu debba prendere questa ed entrare subito in azione». Mi passò la boccettina e aspettò che io la prendessi. Quando le mie dita toccarono la fiala sentii un brivido corrermi lungo la schiena; mi sembrava di essere tornata indietro di diversi secoli tutta di un colpo.
«Bene, adesso è l’ora che tu vada». Appena terminata la frase, una nuvola di fumo mi avvolse: un momento prima ero in un salotto con il Signore Oscuro e quello dopo invece mi ritrovai da sola davanti all’ingresso dell’ospedale.
Senza farmi notare entrai dentro l’edificio e mi diressi verso il luogo dove avevano portato Emma. Passare inosservata mi riusciva piuttosto bene e per fortuna ricordavo il numero della stanza che il dottore aveva indicato a Killian e agli altri.
Non sapevo come avrei fatto a darle la pozione; Mary Margaret non l’avrebbe lasciata da sola un secondo e il mio non era certo un gesto che potessi compiere di fronte a lei con nonchalance.
Mi odiavo per quello che stavo per fare, per il fatto che stavo per ferire Killian di nuovo come in passato, se non peggio. Ma Tremotino aveva ragione: se Emma era l’unica in grado di sconfiggere Hyde dovevamo sfruttare l’effetto sorpresa; senza contare il fatto che quella era l’unica possibilità che il Signore Oscuro ci avrebbe concesso per usare il suo pugnale.
Sapevo che il cuore di Killian si sarebbe rotto in mille pezzi, capivo che la nostra messa in scena l’avrebbe ferito come non mai, ma forse alla fine avrebbe compreso, alla fine forse mi avrebbe perdonata. Si trattava solo di aspettare poco tempo e poi Emma avrebbe fatto la sua comparsa e il suo cuore sarebbe ripartito. Sarebbe stato di nuovo felice con Emma al suo fianco e questa volta il loro sarebbe stato davvero un “per sempre”. Non avrebbero più temuto di perdersi l’un l’altro, le loro vite sarebbero state collegate ed era il regalo più prezioso che li potessi fare.
Dopo aver bussato lievemente, aprii la porta della stanza aspettandomi di trovare Biancaneve. La presenza di Killian al capezzale di Emma mi lasciò un attimo interdetta.
«Mamma? Che ci fai qui?». Era seduto sul letto accanto ad Emma e le stava accarezzando la fronte con l’uncino. Mary Margaret era seduta dall’altro lato e teneva la mano della figlia. Emma nel mezzo era più pallida che mai, aveva delle profonde occhiaie e sembrava sfinita. Osservandola più attentamente notai che aveva gli occhi rossi, segno del fatto che probabilmente aveva pianto.
«Beh sono passata da Jekyll», improvvisai rammentando la mia precedente bugia, «per vedere se aveva dei libri utili. Purtroppo non l’ho trovato, forse ha già finito la sua pozione… allora sono venuta qui, volevo vedere come stavi Emma».
«Non un granché, grazie Sylvia». La sua voce era un leggero sussurro.
«Killian non pensavo di trovarti ancora qua», dissi avvicinandomi al letto. Sapevo quanto mio figlio smaniasse per trovare una cura, non credevo se ne sarebbe rimasto in disparte.
«Gli ho chiesto io di rimanere», intervenne Emma accigliandosi.
«Bene…». Mi sistemai ai piedi del letto, cercando una possibile scusa per fare uscire entrambi dalla stanza. In quel momento notai sopra una pila di vestiti vicino al comodino, la collana che Tremotino mi aveva detto di prendere. Era sicuramente quella, una lunga catena in cui era infilato un anello. Per un attimo pensai di averlo già visto da qualche parte, ma lasciai perdere concentrandomi su altro.
Sebbene recuperare la collana si dimostrasse più semplice del previsto, non ce l’avrei comunque fatta a portare a termine l’altro mio compito; non l’avrebbero mai lasciata sola. Qualunque cosa potessi inventarmi, anche solo di lontanamente credibile, non avrebbe impedito ad uno dei due di rimanere con lei.
Probabilmente qualcuno dovette ascoltare le mie preghiere, perché in quel momento un aiuto sembrò quasi arrivarmi dal cielo. Il dottore, quello che aveva curato Emma poco prima, entrò nella stanza bussando leggermente e tenendo in mano una cartellina.
«Bene Emma sei sveglia. Come ti senti?», le chiese.
«Hai la domanda di riserva?», gli rispose cercando di accennare un sorriso.
«Lo immaginavo». Fece un profondo sospiro prima di rivolgersi a Biancaneve. «Mary Margaret nel mio ufficio ho i risultati delle ultime analisi, potresti venire un momento?».
«Quello che le devi dire puoi dirlo anche davanti a me», iniziò Emma sforzandosi di rispondere a tono. «Non sono una bambina».
«Emma devo ancora guardarle io stesso. Tranquilla, dopo che ne avrò parlato con tua madre non esiterò ad informarti». Lei fece una smorfia, ma non protestò oltre. Mary Margaret invece si alzò per seguire il dottore.
Fu in quel momento che notai l’espressione contrariata di Killian. Non voleva rimanere all’oscuro sulle condizioni di salute di Emma; il fatto che lui non fosse stato neanche considerato lo infastidiva. D’altro canto non voleva neanche lasciarla da sola.
Presi la palla al balzo. «Perché non vai anche tu? Resto io con lei».
«Io…». Killian guardò prima me, poi il dottore che si limitò ad alzare le spalle e poi Emma.
«Sono solo cinque minuti», proseguii. Emma annuì debolmente per dargli il consenso e lui si affrettò ad alzarsi per seguire il dottore.
«Grazie», sussurrò passandomi accanto.
Quando furono usciti e la porta si fu richiusa mi affrettai ad andare al fianco di Emma.
«Emma tesoro, non abbiamo molto tempo, dobbiamo sbrigarci».
«Cosa?». Mi guardò perplessa non capendo le mie parole.
«So che adesso non capisci, ma ho davvero bisogno che tu mi dia fiducia».
«Che succede Sylvia?». Solo in quel momento notai come il pronunciare ogni parola le costasse uno sforzo immane. Ero davvero arrivata giusto in tempo.
«Non posso spigarti tutto adesso, dopo saprai tutto te lo prometto. Ma ora dovrai fare esattamente ciò che ti dirò. Mi stai seguendo Emma?». Annuì debolmente, mostrandomi comunque uno sguardo confuso.
«Adesso», continuai avendo  la sua completa attenzione, «dovrai bere questa pozione». Tirai fuori la fiala e gliela mostrai.
«Cos’è?».
«Non posso dirtelo perché non c’è tempo, potrebbero tornare da un momento all’altro. Ma devi credere in me Emma, ti prego. Tesoro ti fiderai di me?».
Emma osservò prima la boccettina e poi fissandomi negli occhi rispose. «Sì».
«Grazie», sussurrai sollevata. Stappai la fiala con le mani tremanti e gliela avvicinai alle labbra. «Adesso bevi cara». L’aiutai a bere la pozione, assicurandomi che non ne rimanesse neanche una goccia. Dopo di che richiusi la boccettina, nascondendola di nuovo in tasca, e con un gesto rapido afferrai la collana con l’anello, facendola sparire tra i miei vestiti.
«Che mi succede?», mi domandò spaventata dopo un secondo. Sapevo che la pozione aveva cominciato a fare effetto subito, addirittura molto più velocemente della mia; probabilmente si sentiva bruciare dentro come mi ero sentita bruciare io.
«Sylvia… cosa…». Il suo appello era panico puro così come il suo sguardo.
«Starai bene tesoro, te lo prometto. Starai benissimo». Sentii le lacrime pungermi gli occhi per uscire, ma in quel momento dovevo essere forte per lei.
«Sylvia», ripeté un’altra volta prima di chiudere gli occhi sopraffatta dall’effetto della pozione.
«Vivrai Emma, non preoccuparti». Le mie parole furono coperte dal rumore dei macchinari collegati al suo corpo che cominciarono a suonare annunciando la sua presunta morte.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti!
Se lo scorso capitolo era stato alquanto triste, questo invece è pieno di novità e anche di azione. Sylvia prende in mano la situazione e trova il modo per salvare la vita di Emma. So che alla fine la soluzione non è delle migliori, sarà lei a morire, e per farlo dovrà comunque collaborare con Tremotino. Tuttavia mi è sembrato giusto così. Sylvia prima di tutto è una madre e l’unica cosa che vuole è la felicità del figlio; farà di tutto per concedergliela persino sacrificare sé stessa. Non è che l’amore per Jekyll non sia abbastanza, solo che questa volta ha scelto suo figlio invece della propria felicità. Mi sembrava doverosa una scelta del genere.
Come sempre vi ringrazio di leggere la mia storia. Spero che vi stia ancora appassionando come all’inizio.
Un bacione e alla prossima settimana!
Sara
 

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Capitolo 18
*** 18. Insostenibile realtà ***


18. Insostenibile realtà
 
Camminai lentamente dietro Mary Margaret ed il dottore, anche se con la mente ero rimasto ancora in camera insieme ad Emma. Non era stato tanto il suo aspetto a colpirmi, quanto il fatto che per la prima volta si fosse mostrata completamente senza difese. Nonostante avessi fatto crollare tutti i suoi muri, rimaneva spesso un velo a coprire le sue più profonde emozioni; anche se intuivo quasi sempre cosa si celava sotto, non significava che non ci fosse. Invece poco prima si era mostrata completamente nuda: era così spaventata, così disperata, era tornata ad essere la bambina atterrita che doveva essere stata molti anni prima. Vedendola così riuscire a farle trovare la forza per sperare era stata davvero un’impresa ardua, soprattutto quando dovevo riuscirci per primo io stesso.
Il fatto che il dottor Frankenstein volesse parlare con noi, o meglio con Mary Margaret, in privato non prometteva niente di buono. Anche se aveva promesso di rivelarle tutto in seguito, ero certo che avrebbe omesso dei particolari che era meglio per lei non ascoltare, almeno per il momento. Temevo le sue notizie almeno quanto le desideravo conoscere.
Quando giungemmo nel suo studio mi chiusi la porta alle spalle e aspettai in piedi accanto a Mary Margaret che lui ci rivelasse le novità.
«Come temevo la situazione di Emma non sta affatto migliorando», iniziò. «Per quanto adesso possa essere cosciente e lucida, il suo corpo sembra non rispondere come speravo alle cure. Se non fosse continuamente monitorata e senza i farmaci a cui la sto sottoponendo, non credo che sarebbe ancora viva». Rabbrividii a quelle parole, ma non mi ero aspettato niente di diverso. Nessuno aveva mai creduto che lui potesse salvarla, la sua salvezza non era mai dipesa dalla medicina, bensì dalla magia. A lui spettava soltanto il compito di farla sopravvivere per il tempo necessario a trovare la soluzione; bastava che la mantenesse in vita fino a quando Henry e gli altri non sarebbero tornati vincitori con la cura.
«Quanto tempo le rimane Whale?», domandò Mary Margaret in un sussurro. «Se continui a fare ciò che stai facendo, quanto può sopravvivere ancora?».
Whale sospirò, abbassando le spalle. «Un giorno non di più». Quello era davvero poco tempo, visto che non avevamo la benché minima idea di come poterla salvare. Sperai con tutto il cuore che gli altri avessero fatto già qualche passo in avanti e che le loro ricerche stessero dando qualche risultato.
«E non puoi fare di più?», ringhiai.
«Ci sto provando, credimi. Purtroppo non credo di poter fare di meglio».
«È per questo che ci hai portato qui?», continuò Mary Margaret la voce incrinata dal pianto. «Per dirci che se non ci sbrighiamo non c’è più speranza?».
«Non volevo dirlo davanti a lei, la situazione è già abbastanza grave di per sé senza contare il carico emotivo di una notizia del genere».
All’improvviso nel corridoio, al di fuori della porta, esplose un certo frastuono. Frankenstein corse fuori dalla stanza precipitandosi a vedere cosa diavolo fosse successo. Noi lo seguimmo come due automi, ormai fin troppo abituati ad essere colti di sorpresa da qualche imprevisto.
«Dottor Whale! Dottor Whale la prego venga subito». Un’infermiera stava chiamando a gran voce il dottore, attirandolo lungo il corridoio che avevamo percorso pochi minuti prima. Soltanto quando ci avvicinammo di più a lei, iniziammo a sentire uno strano rumore, come dei “bip” anomali che dovevano provenire da macchinari simili a quelli a cui era collegata Emma. Solo quando fui a una decina di metri dalla sua stanza capii che in realtà quei rumori provenivano proprio dalla sua camera.
«Emma!», gridai iniziando a correre più forte. Whale, davanti a me, entrò nella stanza accorrendo subito vicino al letto, io invece mi paralizzai sulla porta. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla mia dolce Swan, inerme sul letto, circondata da paramedici, ma così insolitamente immobile, i palmi delle mani rivolti verso l’alto in una posizione del tutto innaturale.
«No, no, no, no, no, no!». Iniziai a ripetere quella parola come un mantra cercando di avvicinarmi a lei, nonostante gli infermieri. Fui bloccato da qualcuno ma me ne liberai, cercando in tutti i modi di raggiungere il mio cigno.
Fu allora che sentii la voce del dottor Whale, autoritaria come non l’avevo mai udita. «Fuori! Buttatelo fuori di qui». Il mio corpo reagì lasciandosi trascinare indietro, come se volesse in qualche modo obbedire a quell’ordine; il mio sguardo e la mia mente però erano ancora là, sul corpo inerme della mia Emma.
«Non sei morta, non sei morta», mi ritrovai a sussurrare a me stesso, prima che mi sbattessero la porta in faccia. Iniziai a tremare senza neanche accorgermene, lo sguardo puntato su quel pezzo di legno che mi impediva di vedere la mia Swan. Il mio cervello non riusciva a reagire e l’unica cosa a cui potevo pensare era che doveva per forza trattarsi di un falso allarme; Whale l’avrebbe salvata, in fondo ci aveva promesso un giorno, ce lo doveva.
All’improvviso delle dita afferrarono le mie cercando di farmi voltare. Fu solo quando scorsi dei profondi occhi uguali ai miei che capii che si trattava di mia madre. Vedendola squadrarmi piena di preoccupazione, mi ricordai che lei era con Emma fino a pochi attimi prima. Cosa le era accaduto? Cosa era cambiato da quando io e Mary Margaret avevamo lasciato la stanza?
«Cosa diavolo è successo?», le domandai forse con un po’ troppa enfasi. Non volevo rifarmela con mia madre, ma c’era lei con Emma prima che la situazione degenerasse ed io dovevo assolutamente capire cosa diavolo le fosse accaduto.
«Non lo so Killian», mi rispose adombrandosi.
«Come non lo sai?», ringhiai, senza neanche darle il tempo di continuare. «C’eri tu con lei, quando l’ho lasciata lei stava bene. Cosa lei hai fatto?». Non avevo l'intenzione di accusarla, ma ero troppo sconvolto; dentro di me sapevo che lei non poteva averle fatto niente, ma in quel momento ero accecato dalla rabbia. Ero arrabbiato non con mia madre, ma più con me stesso per averla lasciata.
«Non le ho fatto niente Killian», rispose in un sussurro, abbassando lo sguardo. «Io le stavo parlando quando all’improvviso ha perso conoscenza e quelle strane macchine hanno iniziato a suonare». Quando rialzò lo sguardo, potei scorgere nei suoi occhi una strana espressione: forse si trattava di compassione? Ero così patetico che anche mia madre avrebbe presto cominciato a trattarmi con condiscendenza; ma non mi importava. Sapevo qual’era la mia priorità, Emma lo era, e non mi interessava se ciò mi faceva risultare uno stupido uomo così innamorato da non pensare o volere altro.
«Killian», sussurrò accarezzandomi la guancia con l’altra mano cercando di placarmi. «Bambino mio, andrà tutto bene, te lo prometto. Emma starà bene vedrai». Il suo tono era così carico di certezza che per un attimo dissolse tutte le mie inquietudini. Tuttavia lei non era nessuno, non era un medico, né una strega e non era nemmeno in possesso di una cura; le sue parole, per quanto potessero suonare convincenti, valevano meno di zero. Non era nessuno per dirmi che Emma si sarebbe salvata, era solo una madre che tentava di consolare il figlio strappando promesse che neanche poteva mantenere.
«Emma è forte, starà bene». La voce di Mary Margaret scossa dai singhiozzi mi fece voltare. Era accanto a me e la sua espressione era una copia della mia. La disperazione, la necessità di sperare, erano così palesi nei suoi profondi occhi, ormai completamente arrossati. Se io stavo rischiando di perdere l’amore della mia vita, lei stava rischiando di perdere sua figlia: era lo stesso dolore anche se si trattava di un amore diverso.
Tornai a fissare la porta, notando che l’immenso frastuono di quando eravamo arrivati si era trasformato in un inquietante silenzio. L’uscio era ancora chiuso, Frankenstein e gli infermieri erano ancora dentro e noi restavamo ad aspettare come degli stupidi senza poter far nulla. L’impossibilità di aiutare Emma, l’inutilità della mia posizione, fecero crescere la collera dentro di me. Non ero arrabbiato con Emma perché mi aveva impedito di andarmene, anzi tutt’altro; era riuscita in questo modo a mostrarmi anche l’ultima parte di lei. Non avrei mai biasimato la sua disperata richiesta perché sapevo che forse avrei fatto altrettanto a posizioni invertite. Era più il sentirmi inutile che mi faceva arrabbiare: ce l’avevo con me stesso perché ogni istante mi sembrava di perdere del tempo prezioso. Ogni secondo che passava era un secondo in meno che avevamo, ed io li stavo sprecando solo per fissare sconsolato e atterrito quella inutile porta.
Proprio quando pensavo di dover entrare con la forza per riuscire a strappare qualche informazione, l’uscio si spalancò e il dottor Whale uscì con espressione da mettere i brividi. Sentii la gola seccarsi mentre il mio cervello realizzava ciò che stava accadendo.
«Mi dispiace», disse a conferma, come se il suo volto non fosse stato più che sufficiente. Ci fu un urlo strozzato ai margini della mia mente, ma non ci feci caso perché mi stavo sforzando di realizzare ciò che era appena avvenuto. L’unica cosa che non avrei mai potuto sopportare era proprio quella che era appena accaduta.
«No!», gridai non riconoscendo neanche la mia voce. «Non è vero». Strappai le dita da quelle di mia madre e spinsi il dottore da un lato in modo da entrare nella stanza, frapponendomi tra gli infermieri che stavano uscendo.
Corsi al lato del suo letto, con l’unico pensiero che fosse impossibile, che si trattasse solo di uno scherzo di cattivo gusto. Invece lei era lì indifesa, pallida come non l’avevo mai vista, gli occhi chiusi, il suo corpo immobile, la sua posizione del tutto innaturale.
«No Emma». Doveva esserci un’altra spiegazione, un’altra soluzione, un’altra possibilità. Quella non poteva essere la realtà.
«Emma ti prego rispondimi tesoro». La presi tra le braccia, sperando stupidamente in una sua minima reazione. L’abbracciai stringendola a me e passandole la mano sulla guancia. Il suo corpo era del tutto inerme, le sue braccia mi ricadevano addosso prive di vita. La strinsi più forte avvicinando il mio viso al suo.
«Emma piccola». Le scostai una ciocca di capelli dalla fronte, un gesto che avevo compiuto ormai milioni di volte. Osservai le sue palpebre e le sue folte ciglia e continuai a sperare che da un momento all’altro schiudesse gli occhi. Bastava un minimo movimento, un piccolo tremito, un qualcosa che mi dicesse che mi stavo sbagliando, che quella non era la verità. Avrei dato di tutto per vedere quei suoi meravigliosi occhioni verdi squadrarmi con una qualsiasi espressione.
«Ti prego Emma». Appoggiai le mie labbra sulle sue in un ultimo disperato tentativo. Le avevo già dato un bacio del Vero Amore, in fondo quella situazione era tutta colpa di quel primo bacio, forse un secondo dettato dalla mia profonda disperazione avrebbe riequilibrato le cose.
Ma come volevasi dimostrare, non accade assolutamente niente e quando staccai la mia bocca dalla sua ciò che restava era soltanto il suo corpo senza vita tra le mie braccia.
«Non puoi farmi questo Swan», gemetti. «Non puoi». Non puoi distruggermi ed annientarmi in questo modo. Non poteva essere accaduto nuovamente: non potevamo essere costretti di nuovo a lasciarci, senza nessuna possibilità di futuro; non potevo aver perso tutto di nuovo per colpa del coccodrillo.
Eppure quella era la verità; per quanto potessi negare l’evidenza niente cambiava la situazione. Ero tornato ad essere lo stupido uomo innamorato che stringe tra le braccia il corpo senza vita della sua amata; ero solo un uomo disperato che tenta in tutti i modi di restare a galla quando ogni cosa sta tentando di portarlo a fondo. Il problema principale era che l’unica cosa che mi avrebbe permesso di riemergere era sapere che c’era un’altra possibilità, che c’era ancora speranza. Purtroppo il corpo inerme di Emma era la prova che ormai ogni speranza era morta e sepolta. Potevo solo sperare che lei si trovasse in un posto migliore adesso, mentre io sicuramente ero appena stato catapultato all’inferno.
Le accarezzai di nuovo la guancia, adagiandola sui cuscini. Passai l’uncino tra i suoi capelli, pensando alle centinaia di volte in cui avevo compiuto quel medesimo gesto; era un movimento così automatico che ormai non ci facevo più caso. Quando era stata la prima volta che l’avevo fatto? Forse sull’Isola che non c’è? O a New York? O nel nostro viaggio nel tempo? E soprattutto quando era stato l’ultima volta che l’avevo fatto? Non riuscivo a ricordarlo; in quel momento non riuscivo a rammentare neanche quale fosse stata l’ultima cosa che le avevo detto pochi minuti prima. E lei cosa mi aveva detto? Perché era successo proprio quando mi ero allontanato per un secondo? Non sarei mai dovuto andare col dottore. Adesso capivo perché non aveva voluto lasciarmi andare, perché il solo pensiero di non essere stato lì con lei, anche se ero a pochi metri di distanza, adesso mi distruggeva.
«Emma…», gemetti, accarezzandole la guancia con il pollice. «Mi dispiace. Non ho mantenuto la mia promessa». Non ero riuscito a salvarla; le avevo detto di sperare, che ce l’avrei fatta ed invece non ero stato capace di sottrarla alla morte. Non avevo mantenuto la mia parola; lei mi aveva salvato in passato innumerevoli volte, ma io non ero stato capace di fare altrettanto.
«Mi dispiace», mormorai ancora non riuscendo a staccarmi, non riuscendo a smettere di accarezzarla. Ero completamente sotto shock e non mi rendevo neanche conto di star coccolando o di star parlando ad un corpo senza vita. L’unica cosa che riuscivo a comprendere era che se mi fossi allontanato mi sarei frantumato in mille pezzi. L’unica ragione che mi avrebbe impedito di crollare era quella che usavo sempre, quella che avevo usato anche con Milah. La voglia di vendetta era stata l’unica realtà che mi aveva permesso di andare avanti quando il coccodrillo si era portato via una parte del mio cuore oltre alla mia mano. Anche se non volevo commettere gli stessi errori del passato, anche se Emma non avrebbe voluto, non vedevo altra via d’uscita. Non volevo rivivere quello che avevo già vissuto, però sapevo che non conoscevo altro modo per reagire. Ed era per questo che non volevo lasciarla, perché restare lì significava che non ero ancora ricaduto nel baratro.
«Killian». Una voce si fece strada ai margini del mio mondo. «Killian ti prego».
All’improvviso due mani si posarono sul mio braccio, tirandomelo indietro e costringendomi così a staccare le dita dalla sua guancia. Non mi girai a guardare chi mi stesse prepotentemente allontanando dal mio cigno, ma restai a guardare la mia dolce Swan, bella anche senza vita.
«Killian tesoro, vieni via». C’era solo un’altra persona che poteva chiamarmi così oltre ad Emma: mia madre. La sua presenza mi fece notare come l’aver ritrovato lei avesse comportato la perdita del mio vero amore; non che le due cose fossero collegate, ma in quel momento mi sembrava come se il destino si stesse prendendo gioco di me. Non avevo chiesto di avere mia madre indietro, in fondo la credevo morta da tempo e non ne avrei sentito la mancanza, avrei preferito rimanere un orfano piuttosto che perdere Emma.
«Killian», continuò prendendomi per le spalle. «Non puoi fare niente per lei adesso, lasciala andare». Scossi la testa negando ciò che mi aveva appena chiesto di fare. Non avrei mai potuto lasciarla andare, era impossibile.
«Killian ti prego», insistette ancora. «Non serve più a nulla restare qui».
«Serve a me», gemetti stentando a riconoscere la mia voce.
La sentii sospirare e poi posarmi la mano sotto il mento in modo da farmi voltare. Incrociai il suo sguardo, trovandolo più deciso di quanto mi fossi aspettato. Nonostante i miei occhi fossero simili ai suoi, le nostre iridi non potevano essere così diverse come in quel momento: le mie piene di disperazione, le sue estremamente calme, le mie svuotate di ogni certezza, le sue talmente sicure da sembrare anche troppo fredde e distaccate; le mie che non riuscivano ad allontanarsi dal corpo di Emma, le sue che non riuscivano ad allontanarsi da me.
«Killian, bambino mio, so che fa male, ma dobbiamo andare di là. Devi lasciarla adesso». Mi accorsi in quel momento che la mia mano era tornata a stringere il braccio della mia Swan. Per quanto detestassi l’idea di abbandonare quella stanza, mi ritrovai inspiegabilmente ad obbedire a mia madre. Senza capirne il perché, visto che il mio cuore – ne avevo ancora uno? – mi diceva di rimanere là, mi alzai e segui mia madre fuori da quella maledetta stanza, lontano dalla persona che amavo più della mia stessa vita.
«Non è giusto», mormorai una volta fuori dalla porta. Senza aspettare nessuna replica tirai un pugno al muro con tutta la forza che avevo. Il dolore alla mano fu un piacevole diversivo rispetto al vuoto che avevo al posto del cuore. Mia madre mi bloccò subito il braccio, impedendomi di rifarlo di nuovo; probabilmente se non mi avesse trattenuto avrei potuto distruggere l’intero ospedale.
«Non doveva finire così», ringhiai. «Ci aveva promesso un giorno. Whale ci aveva dato un giorno». Ai margini del mio campo visivo scorsi il dottore che stava parlando con alcuni infermieri. Reagii impulsivamente spingendo via mia madre e caracollando verso di lui. Lo afferrai per il colletto e lo scaraventai contro il muro, stringendo il suo camice nel mio pugno.
«Avevi detto che avevamo più tempo», ruggii. «Dovevi darci più tempo».
«Hook… calmati», tentò di giustificarsi. «Non è sempre possibile prevedere una cosa del genere».
«Dovevi solo farla resistere ancora un po’». Lo scaraventai ancora contro il muro facendolo gemere di dolore. Sapevo che lui non era il vero colpevole, ma era il primo della lista che mi fosse capitato sottomano.
«Killian che stai facendo?». Mia madre mi si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla. «Lascialo andare». Senza rendermene neanche conto, allentai la presa che avevo su di lui e feci un passo indietro, in modo tale che il dottore potesse riprendere fiato.
 «Dovevamo avere un altro giorno per riuscire a salvarla, per trovare la soluzione. Non doveva finire così, dovevo riuscire a salvarla», ripetei voltandomi verso Sylvia.  Lei mi accarezzò la guancia, scrutandomi con il suo sguardo preoccupato.
 “Devo riuscire ancora a salvarla. Non posso pensare che sia finita così”, pensai. Non diedi voce a quell’idea, sapevo che era ridicolo oltre che impossibile. Non potevamo certo inscenare una nuova missione verso l’Oltretomba, non dopo ciò che era successo con la prima; forse lei non sarebbe neanche stata lì. Eppure non riuscivo a concepire come in un istante fosse potuto terminare tutto.
«Tesoro non potevi fare niente», mi disse accarezzandomi.
«Non è vero, potevo fare di più. Forse se…».
«No», mi interruppe. «Killian non potevi fare niente di più per lei».
«Non è giusto», ribadii di nuovo.
Mia madre mi abbracciò stringendomi forte e facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla. «Andrà tutto bene Killian. Starai bene, ne sono sicura».
«Io potrò anche sopravvivere», sussurrai, «ma lei non ci sarà più». Iniziai a piangere non riuscendo a fermarmi; ero riuscito a non esplodere davanti al suo corpo, ma adesso non riuscivo più a tenermi tutto dentro. Sfogarmi non mi avrebbe fatto stare meglio, come invece si sarebbe potuto pensare, non era un dolore che poteva scemare con delle semplici lacrime. Tuttavia piangere era davvero l’unica cosa che in quel momento mi sentivo di fare, in alternativa alla mia rabbia distruttiva; in più per una volta avevo anche una persona con cui sfogarmi. Forse la presenza di mia madre mi avrebbe evitato di ricadere nel baratro dell’oscurità; forse sarebbe stata lei a fare la differenza. Non lo sapevo, però capivo che dovevo farlo per Emma. Ero cambiato tanto per lei, non potevo buttare tutto all’aria perché lei non c’era più, anche se era certamente il dolore più grande che avessi provato in tutta la mia lunga vita.
Senza neanche rendermene conto mi ritrovai seduto a terra, con la schiena appoggiata alla parete, la testa sulle ginocchia. Mia madre si era accucciata accanto a me, mi stava passando le dita nei capelli. Io non riuscivo più a muovermi da quella posizione; sebbene avessi lentamente smesso di piangere, non avevo ancora la forza per alzare la testa e affrontare il mondo circostante. Restarmene rannicchiato lì era, per un certo senso, davvero confortante. Era un modo come un altro per non affrontare l’immediata realtà.
«Mi dispiace Killian», sussurrò continuando ad accarezzarmi. «Mi dispiace tanto».
«Non mi serve la tua compassione», risposi bruscamente. Sapevo che lei non lo faceva di proposito, che era solo un vano tentativo per consolarmi, e che quindi non avrei dovuto trattarla in quel modo; tuttavia era un istinto più forte di me.
«Non è compassione», ribatté. «So quanto fa male».
«No, non lo sai. Non sai cosa c’è tra me ed Emma, non sai niente di noi. Non mi conosci abbastanza per capire quanto lei sia importante per me. Inoltre, francamente non credo che tu abbia mai provato lo stesso né con mio padre né con Jekyll né con nessun altro». Era una cosa cattiva da dire, però non riuscivo a sfogarmi in altro modo.
«Va bene Killian», acconsentì facendo un profondo respiro. «Vuoi ferirmi, e mi sta bene. Capisco che è il dolore a farti agire in questo modo; so che in questo momento non pensi davvero quello che dici». Non risposi, e lasciai perdere. Non era facile prendermela con lei quando era così accondiscendente, non mi aveva neanche fatto notare che avevo continuato ad usare il tempo presente.
«So che non mi credi adesso», continuò, «ma sarai felice di nuovo Killian, supererai tutto. Avrai il tuo lieto fine».
Mi alzai di scatto non volendo più ascoltare le sue parole. Non volevo piangermi addosso, ma trovavo piuttosto difficile pensare a una mia futura felicità, non proprio quando avevo appena perso tutto. Fu in quel momento, quando alzai la testa di scatto tirandomi in piedi, che li vidi arrivare: David, Regina ed Henry seguiti da Belle; qualcuno doveva averli avvisati. Vedendo le loro espressioni mi ricordai che quello non era solo il mio dolore: c’erano due genitori che avevano appena perso una figlia, ritrovata da troppo poco tempo, c’era un ragazzino che aveva perso una madre ed io sapevo bene cosa significava. Contava poco il fatto che ne avesse un’altra, perdere un genitore restava comunque un’esperienza terribile.
Le lacrime di Henry, la devastazione ed il dolore sul volto di David e Mary Margaret mi fecero venir voglia di scappare. Mai come in quel momento mi parve evidente quanto in realtà non facessi parte della loro famiglia; loro erano uniti, si sostenevano a vicenda ma era sempre stata Emma ad unirmi a loro. Se non fosse stato per lei, loro avrebbero continuato a considerarmi un semplice pirata. Mi apparve palese la differenza tra noi: loro potevano contare sulla loro famiglia, mentre la mia famiglia era Emma e in quel momento era stata completamente spazzata via.
«Hook… mi dispiace tanto». Belle mi si era avvicinata e mi aveva toccato un braccio, ridestandomi dai miei pensieri. Guardandola non potei evitare di pensare che Emma era morta al suo posto, per salvare lei c’era andato di mezzo il mio cigno.
«Lasciami stare», le dissi scostandomi dalla sua presa. «Devo andarmene da qui».
«Killian!». Sentii mia madre inseguirmi e corrermi dietro. Non mi fermai, neanche quando percepii lo sguardo di Henry fisso su di me. Avrei dovuto pensare a lui, ma stentavo anche a badare a me stesso.
«Killian dove stai andando?». Mi afferrò il braccio fermandomi e riuscendo a farmi voltare.
«Mamma ti prego ho bisogno di stare da solo. Lasciami andare». Non sapevo neanche dove sarei fuggito, ma ero certo di non poter più rimanere là.
«Ma…», fece per ribattere, ma la fermai con un gesto della mano.
«Ti prego, lasciami andare; non posso restare ancora qui». Non so cosa la convinse, se le mie parole o il mio tono che non ammetteva repliche; fatto sta che lasciò andare il mio braccio.
«Promettimi che non farai niente di stupido o di impulsivo», mi supplicò.
«Cosa vuoi che faccia?», dissi alzando le spalle. «Ho soltanto bisogno di starmene da solo».
«Promettimelo», insistette scrutandomi attentamente. Probabilmente sarebbe riuscita a capire una mia eventuale bugia, ma per una volta non nascondevo niente sotto. Le avevo detto la verità: volevo soltanto restare da solo con i miei pensieri; in fondo dovevo pensare ad un piano prima di poter passare all’azione. Non avrei lasciato perdere, qualcuno l’avrebbe pagata cara: era una certezza.
«Te lo prometto mamma». Mi girai e mi allontanai da lei e da quel maledetto ospedale. Ogni passo sembrava portarmi sempre più lontano dal mio stesso cuore, ma restare là sarebbe stata una tortura ben peggiore.
Camminai per un po’ per le vie di Storybrooke ma ogni angolo mi ricordava lei. C’era Granny dove ci eravamo scambiati il nostro primo vero bacio, dove mi aveva confessato di aver paura di perdermi, dove mi aveva detto che mi amava senza nessun’altra pressione. Lì davanti c’era il suo maledetto maggiolino giallo, dove avevamo vissuto tanti momenti e tante avventure. C’erano la piazza e le vie principali dove mi aveva detto di amarmi per la prima volta, prima di venire risucchiata dall’Oscurità, e dove me l’aveva ripetuto come Signora Oscura. C’era la centrale di polizia, dove ci eravamo baciati tante volte, e qualche volta avevamo anche litigato; c’era il ristorante del nostro primo appuntamento, il loft dei suoi genitori. E poi c’era la Jolly Roger, la mia nave, ma anche un’imbarcazione piena di una valanga di ricordi. Non c’era posto dove non riuscissi ad immaginarla, dove il suo volto non mi comparisse davanti agli occhi.
Senza rendermene conto mi ritrovai a camminare verso quella che era diventata casa nostra, anche se da poco. Anche se era un luogo più recente, non voleva dire che non fosse altrettanto pieno di ricordi, anzi forse quelli erano i più vividi di tutti.
Appena varcai la soglia, fui invaso dall’immagine della mia dolce Swan. I ricordi della sera in cui ci eravamo ricongiunti, subito dopo essere tornati dalla Terra delle storie mai raccontate e da New York, mi tornarono alla mente come se fossero accaduti solo poche ore prima. Emma che mi stringeva e che mi abbracciava, le sue labbra così calde che cercavano senza sosta le mie; la perfezione del suo corpo, la sua reazione quando la mia bocca aveva passato in esplorazione ogni centimetro della sua pelle. Noi due che facevamo l’amore e che non riuscivamo a staccarci neanche per un secondo, Emma che mi sussurrava di amarmi mentre mi muovevo dentro di lei, io che le dicevo altrettanto.
Mentre salivo i gradini e mi avvicinavo a quella che era la nostra camera, i ricordi si fecero più prepotenti: il sorriso che mi aveva rivolto la mattina appena sveglia, quella fossetta sotto il mento che compariva quando rideva, la ruga di preoccupazione che le si disegnava sulla fronte quando pensava a qualcosa che aveva paura di rivelarmi. Il suono della sua voce quando pronunciava il mio nome, la prima volta che l’aveva fatto per necessità a New York e quando invece mi aveva chiamato così perché lo voleva davvero. I suoi meravigliosi occhi verdi che all’inizio erano solcati da un velo capace di coprire tutti i suoi sentimenti ma che alla fine io avevo imparato a conoscere e a leggere come un libro aperto. Ormai riuscivo ad interpretare con un semplice sguardo ogni sua espressione, dalla più preoccupata alla più felice; intuivo quando mi nascondeva qualcosa e capivo solamente osservandola quando fosse il caso di insistere o meno.
Aprii la porta di camera ricordando il suono della sua risata cristallina, quella che mi rivolgeva quando aveva voglia di giocare e di scherzare con me, quella che mi faceva letteralmente impazzire. Appoggiata sul letto c’era la sua giacca di pelle rossa, non mi rammentavo neanche quando l’avesse lasciata là o per quale motivo non l’avesse riposta nell’armadio. L’afferrai e, con quella stretta nel pugno, mi accasciai ai piedi del letto, ficcandovi la faccia dentro. Inspirai il suo odore, un profumo così inebriante da farmi perdere la testa; sulla pelle il suo profumo era ancora più intenso di quanto riuscissi ad immaginare. Solamente tenendo in mano quel ridicolo pezzo di stoffa, mi sembrò di stringerla ancora tra le braccia e di averla così vicino da riuscire a ficcare il viso nei suoi meravigliosi capelli.
La prima volta che l’avevo vista nella foresta incantata indossava proprio quella giacca; mi era sembrato un indumento strano, ma anche con quella addosso avevo trovato la mia Swan bella fin da subito, oltre che forte e combattiva. Era per questo che avevo deciso di conquistarla all’inizio, fino a quando non avevo capito che in realtà era stata lei a conquistare me, rendendomi completamente suo.
Emma aveva definito la sua giacca di pelle come “la sua armatura”, un’armatura che io ero riuscito a toglierle sia metaforicamente che letteralmente parlando. Quando l’avevo lasciata andare nell’Oltretomba le avevo fatto promettere di non indossare di nuovo quel suo pesante scudo e lei l’aveva fatto, mostrandosi fragile e vulnerabile per la mia perdita. Era mio dovere adesso fare altrettanto, solo che nel mio caso la mia armatura non era altro che oscurità. Volevo vendetta, lo sapevo e sapevo anche che non mi sarei arreso fino a che non l’avessi trovata. Hyde, la Regina Cattiva, il coccodrillo: dovevano pagarla tutti quanti per quello che le avevano fatto, per aver spezzato la sua giovane vita così presto.
La domanda principale restava una sola: sarei riuscito a vendicarmi comportandomi in qualche modo da eroe? Non volevo ripercorrere gli errori del passato, ma d’altro canto non potevo lasciar perdere. Avrei sconfitto tutti quanti e non mi sarei fermato fino a che tutti e tre non avessero pagato per le loro azioni, solo dovevo trovare il modo per farlo senza compromettere di nuovo me stesso. Non era proprio quello che Emma avrebbe voluto, ma sapevo che anche lei non sarebbe rimasta con le mani in mano a parti invertite. L’unica differenza era che lei, che era così profondamente buona, la Salvatrice, avrebbe trovato il modo di sconfiggere i cattivi mantenendo la sua purezza. Come avrei fatto io a salvare la mia anima senza la mia Salvatrice?
Dei passi lungo le scale mi fecero ridestare dai miei pensieri. Alzai la testa dalla sua giacca, stringendola più forte al petto, e puntai lo sguardo verso la porta. Non volevo che nessuno invadesse il mio spazio, lo spazio mio e di Emma, ed ero pronto a cacciare in malo modo chiunque si trattasse.
Quando però vidi chi era venuto ad invadere la mia intimità, i miei propositi si sbriciolarono completamente. Era davvero l’ultima persona che mi sarei aspettato di vedere e anche l’unica che non avrei mai cacciato via.
Mi scrutò per un secondo vedendomi lì seduto per terra ai piedi del letto e poi venne a sedersi accanto a me, appoggiando la schiena al materasso come avevo fatto io.
«Sa della mamma?», disse in un tono di voce appena udibile. Annuii e gli passai la giacca, lasciando che Henry la stringesse e l’annusasse, come avevo fatto io fino a quel momento.
«Che ci fai qui?», domandai, buttando indietro la testa e chiudendo gli occhi. «Non dovresti essere con Regina?».
«Diciamo che sono scappato, un po’ come te. Non volevo restare con gli altri, non volevo stare con nessuno».
«Ed io sarei nessuno?», cercai di sorridere, fallendo miseramente.
«Tu non sei come gli altri, tu lo sai…». Non finì la frase, ma capii a cosa si riferisse. Sapevo cosa stava provando, quale fosse il dolore che lo stesse straziando, lo stesso dolore che provavo io. Gli posai un braccio sulle spalle e gli feci appoggiare la testa sulla mia spalla. Non aggiunsi altro perché sapevo che non c’erano parole che potessero consolare nessuno dei due.
«Non è giusto», sussurrò dopo un po’. Non era per niente giusto. «Non doveva finire così».
«Non abbiamo avuto abbastanza tempo». Era un modo carino per dire che eravamo stati troppo lenti. Dovevo cercare di censurarmi, non potevo dare voce a tutti i pensieri che mi affollavano la testa, almeno non davanti ad Henry.
«Sono così arrabbiato», mormorò stringendo i pugni.
«Lo so ragazzino, lo so. Sto tentando in tutte le maniere di non agire di impulso, altrimenti inizierei a spaccare tutto ciò che ho intorno senza riuscire a fermarmi».
«La mamma non lo vorrebbe», mi fece notare.
«Già, probabilmente Emma non mi direbbe niente ma mi guarderebbe con quel suo sguardo contrariato che vale più di mille parole». Riuscivo perfino a vedere la sua espressione accigliata come se fosse stata proprio davanti a me. Il fatto che mi trattenessi non significava che però non ribollissi di rabbia: non potevo pensare al fatto che non l’avrei più vista, non le avrei più parlato, non l’avrei più toccata né baciata. Avevo tutto, lei era il mio tutto, e all’improvviso quel tutto mi era stato strappato via.
«Killian…», mi chiamò dopo un’altro momento di silenzio. «Promettimi che la pagheranno, promettimi che chi le ha fatto questo non la passerà liscia».
«Henry la vendetta non è la soluzione». Era davvero un ipocrita a parlare in quel modo, ma non volevo che il desiderio di rivalsa distruggesse Henry per sempre; era un passo che portava troppo vicino all’oscurità ed io non potevo permettere che lui si rovinasse.
«Davvero?», rise amaramente. «Dimmi che gliela farai passare liscia? Dimmi che non hai già pensato ad un modo per fargliela pagare a tutti quanti?». Colpito ed affondato.
«Sì certo che gliela farò pagare. Ma sarò io a farlo, non tu. Tu non dovresti pensare ad una cosa del genere».
«Basta che alla fine tutti paghino per avercela portata via».
«La pagheranno te lo prometto». Era una promessa che avrei mantenuto anche a costo della vita.
«Ed io ti aiuterò, anche se non vuoi». Era testardo esattamente come sua madre.
«Henry…», iniziai ma lui mi fermò.
«Non ti sto chiedendo il permesso Hook, io lo farò comunque che tu voglia coinvolgermi o meno. Non puoi chiedermi di restare in disparte, come io non posso chiederti di fare altrettanto. Emma era la mia mamma, tu lo sai cosa significa perdere la propria madre».
Lo sapevo e capivo il perché di tanta testardaggine. Non si sarebbe arreso ed io non gli avrei più chiesto di farlo; non ero nella posizione di impormi, né avrei potuto dissuaderlo in nessun modo. In fondo capivo esattamente le sue motivazioni ed ero completamente d’accordo con lui.
«La chiamiamo operazione vendetta?», gli domandai alla fine.
«Pensavo più operazione cigno nero, sai per mascherare un minimo le nostre reali intenzioni».
«Che operazione cigno nero sia». Sospirai e, con il braccio sempre appoggiato sulla spalla di Henry, mi preparai a mettermi all’opera. «Che la battaglia abbia inizio».


 
Angolo dell’autrice:
Buongiorno a tutti e buona domenica!
Come già vi aspettavate, o almeno credo, questo capitolo non è dei più allegri, anzi tutt’altro. So che rispetto allo scorso, dove avevo davvero messo tanta carne al fuoco, quello di oggi è un capitolo dove non accade un granché, però volevo davvero esplorare i sentimenti di Killian nel perdere il Vero Amore, o almeno nel credere di averlo perso. So che è triste – ho pianto mentre lo scrivevo – ma mi farò riscattare nelle prossime settimane con molti più momenti allegri ;)
Come sempre ringrazio chi legge silenziosamente e chi recensisce. Le recensioni stanno diventando più numerose e mi fa davvero piacere confrontarmi con le vostre opinioni.
Un bacione e alla prossima settimana!
Sara

 

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Capitolo 19
*** 19. Il prezzo della salvezza ***


19. Il prezzo della salvezza
 
«Non è affatto divertente», dico mentre cerco in tutti i modi di infilare e chiudere la mia giacca di pelle rossa. Killian mi guarda: è seduto sul letto e si sta mordendo le labbra per cercare di non ridere.
«Sì che lo è Swan», replica, «almeno finché continuerai con la tua ossessione di non poter uscire senza quella addosso».
«Beh non è un’ossessione. L’ho sempre portata nei momenti importanti e questo è un momento importante».
«Su tesoro, in fondo stiamo solo andando a comprare un nuovo aggeggio con le ruote».
«Primo», ribatto, «non è un aggeggio con le ruote, si chiama auto; so che sai il nome, mi vuoi solo punzecchiare fingendo di non saperlo».
«Colpito». Mi rivolge un sorriso meraviglioso, più che sufficiente a guadagnarsi il mio perdono.
«Secondo, il maggiolino è stato un elemento fondamentale nella mia vita, è stato la mia costante, in un certo senso. Non posso credere che dopo tutti questi anni abbia deciso di dare forfè».
«Amore, lo abbiamo messo in garage proprio perché tu non vuoi liberartene. So quanto ci tieni a quel marchingegno giallo, ma ha affrontato davvero tante battaglie, si può dire che se ne è andato con onore. Tuttavia dopo la sua dipartita, noi ci troviamo senza un’auto. Ci serve Swan».
«E chi la guiderà? Tu?». Gli lancio uno sguardo scettico per poi proseguire. «Io no di certo in queste condizioni».
«Sì lo so», mi risponde pazientemente, come se stesse parlando ad una bambina di tre anni. «Però presto la pagnotta uscirà dal forno e tu potrai riprendere a guidare e allora avrai bisogno di un aggeggio con le ruote».
«Come puoi parlare di pagnotta e di forno?», gli domando inorridita. Poteva usare mille altre metafore più volgari, ma che mi avrebbero sconvolta di meno.
«Perché ci riporta all’argomento principale: quella giacca non ti entrerà Swan, non col pancione».
Mi acciglio e gli punto un dito contro, lasciando perdere la giacca almeno per il momento. «Questo», dico, indicandomi il pancione, «è solo colpa tua».
«Beh tecnicamente, bisogna essere in due. E poi più di otto mesi fa tu eri del tutto consenziente». Ha ragione e non so come altro ribattere, ma non voglio certo dargliela vinta. L’unica cosa che mi resta da fare è usare il mio asso nella manica.
«Sono gigantesca», piagnucolo, andandomi a sedere sul letto accanto a lui. «Mi sento una mongolfiera, una grossa e grassa mongolfiera».
Mi squadra attentamente e poi sorride. «Mmm è vero, tra poco non passerai più dalla porta».
«Hook!», ribatto fingendomi offesa. So che ha capito il mio gioco: mi sta solo prendendo in giro.
«Scherzo amore», risponde accarezzandomi una guancia. «Sei solo incinta, e per me resti bellissima comunque». Mi bacia dolcemente, mentre la sua mano si posa sul mio ventre, proprio là dove sta crescendo nostro figlio.
«Lo dici solo perché sei innamorato di me», aggiungo senza allontanarmi dalle sue labbra.
«Può darsi». Sorride, poggiando di nuovo le labbra sulle mie.
«E perché sto portando in grembo tuo figlio», continuo. «È tuo dovere dirlo».
«D’accordo». Mi da un altro bacio, portandomi con l’uncino una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«E poi dovresti saperlo, non bisogna mai contraddire una donna incinta», concludo.
«E va bene, hai vinto Emma. Che ne dici se ci portiamo dietro la tua giacca di pelle rossa, così anche se non l’avrai indosso sarà con te comunque?».
«Grazie». Gli rivolgo un ampio sorriso e questa volta sono io a baciarlo.
 
L’immagini nella mia mente erano così nitide e così reali che quasi mi rattristai quando capii che si trattava solamente di un sogno. Un bellissimo e meraviglioso sogno, da cui non avrei più voluto svegliarmi.
Purtroppo i miei sensi pian piano si ridestarono, iniziando a farmi percepire la realtà intorno a me. Ero in un letto caldo e morbido e mi sentivo incredibilmente bene. Mi sembrava di non essermi mai sentita così bene in tutta la mia vita; era come se mi stessi svegliando dopo un sonno rigeneratore. Mi sentivo piena di energie, pronta a scattare e ad affrontare di petto qualsiasi problema – vale a dire mostro – ci fosse a Storybrooke.
Mi stiracchiai iniziando ad aprire gli occhi, preparandomi ad affrontare una giornata intensa, con tutta la vitalità possibile.
«Emma tesoro…». Proprio quando mi mossi qualcuno mi prese la mano, stringendomela forte. Aprii gli occhi sorpresa di non essere da sola, o al massimo con Killian, e mi ritrovai di fronte due occhi identici a quelli del mio pirata, solo su un volto femminile.
«Sylvia!», esclamai, sbattendo le palpebre. Solo osservando il volto di mia “suocera”, ricordai quello che era accaduto nelle ultime ore: il bacio del vero amore rubato da Gold, l’impossibilità di svegliare dal sortilegio due persone, il dolore, l’energie che mi venivano pian piano rubate, il mio destino che sembrava inevitabile ed infine Sylvia che mi faceva bere una strana pozione.
«Che cosa è successo?». Mi guardai intorno notando che mi trovavo in una camera che non conoscevo, arredata in uno stile antico e pomposo che poco si addiceva alle abitazioni di Storybrooke. «Dove mi trovo?».
«Sei al sicuro, tranquilla», mi rispose rivolgendomi un sorriso rassicurante. «Tu piuttosto come ti senti?».
«Sto bene». Pronunciai quelle parole senza neanche farci caso; solo dopo averle udite realizzai quello che realmente significavano. Io stavo bene, ero in piena forma, al massimo dell’energie: non sapevo come, ma sentivo che la morte non incombeva più su di me. Ero salva e, qualunque cosa fosse successo, ero in qualche modo guarita; avevo di nuovo un futuro davanti e non solo poche ore. Il sollievo per quella notizia fu così opprimente che mi portai una mano al petto e sul mio volto si disegnò un sorriso ebete. Era successo quello che non riuscivo neanche a sperare: mi avevano salvata.
«Te l’avevo detto che avrebbe funzionato. Mantengo sempre la parola data». Quella voce mi fece voltare di scatto. In un angolo della stanza, proprio dalla parte opposta a dove si trovava Sylvia, c’era lui, la causa di tutto: Gold.
«Tu?». Gli puntai un dito contro in maniera ostile. «Che diavolo ci fai qui?».
«Calma Emma». Sylvia mi mise una mano sulla spalla. «Lui è dalla nostra parte adesso».
«Cosa?». Mi voltai di nuovo verso di lei per guardarla con aria sconvolta. «È colpa sua se stavo per morire».
«Lo so», mi rispose lei prendendomi una mano tra le sue. «Ma la situazione è un po’ cambiata, non saresti qui a parlare con me se lui non mi avesse aiutato».
«Aiutato? Gold non aiuta nessuno a meno che non ne tragga vantaggio».
«Cara calmati. Ci sono molte cose che devo raccontarti e che devo spiegarti. Presto saprai tutto e capirai».
«Sì signorina Swan», intervenne Tremotino. «Perché non ti vesti, così potremo parlare di tutto con calma di là?». Lo fissai ostile ancora una volta prima di limitarmi ad annuire silenziosamente.
 
Pochi minuti dopo scesi in quello che era un ampio salotto in stile antico. Non avevo ancora capito dove diavolo mi trovassi, indossavo degli abiti che non erano i miei e non sapevo più cosa pensare di Sylvia e di Gold. Sicuramente io non mi fidavo di lui e non ero certa che avrei cambiato la mia posizione semplicemente ascoltando le loro parole.
Trovai gli altri due seduti, intenti a parlottare a bassa voce, in un atteggiamento un po’ troppo confidenziale per i miei gusti. Non mi piaceva per niente il fatto che Sylvia fosse di nuovo in confidenza con il Signore Oscuro; con il suo passato non volevo che commettesse un ulteriore sbaglio che avrebbe sicuramente finito per ferire Hook.
«Bene», dissi prendendo posto su un ampio divano di fronte a loro. «Credo che sia giunto il momento delle spiegazioni. Chi di vuoi due vuole avere l’onore?».
«Emma cara», iniziò Sylvia, «c’è talmente tanto di cui parlare e non so bene da che parte iniziare».
«Beh perché non cominci dal motivo per cui lui è qui», le consigliai, rivolgendo uno sguardo ostile a Gold.
«Capisco la tua ostilità», rispose lui. «A mia discolpa posso dire che non ero a conoscenza del fatto che sfruttando il bacio del vero amore del pirata, avrei in qualche modo messo a repentaglio la tua vita».
«Come se questo potesse cambiare le cose», ribattei brusca.
«Ma ciò che è successo le cambia», intervenne Sylvia. «Credo di dover cominciare dall’inizio: tu stavi male, eri all’ospedale ed io sapevo che non c’era più tempo da perdere. Se non fossi intervenuta prontamente, tu non mi staresti guardando dubbiosa in questo momento. So che non era ciò che avrei dovuto fare, ma l’unica soluzione mi è sembrata chiedere aiuto al Signore Oscuro. Emma non avevamo più tempo, ed io non potevo lasciarti morire, non potevo permettere che Killian ti perdesse definitivamente».
«C’è sempre un’altra possibilità». Doveva esistere una strada che non coinvolgesse Gold.
«No, non c’era se volevo riuscire a salvarti. Emma, Tremotino mi ha aiutato a scollegare la mia vita da quella di Killian per poterci collegare la tua». Non capii subito il senso delle sue parole, ma ciò che disse dopo cambiò radicalmente ogni sentimento che provavo nei suoi confronti. «Emma adesso tu e Killian siete uniti, finché lui vivrà tu vivrai, esattamente come ho fatto io in tutti questi anni».
La mia bocca si spalancò per la sorpresa e il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. La paura di perderlo, la possibilità per uno dei due di dover vivere senza l’altro, era stata in un colpo spazzata via. La morte non ci avrebbe più separato, non ci sarebbero più stati addii tra noi perché era fisicamente impossibile. Saremo stati insieme per sempre; anche se separati avrei sempre saputo che lui era vivo perché lo sarei stata anch’io. Era un tale sollievo, una liberazione da molte delle mie paure e il migliore regalo che chiunque potesse farci.
«Era così semplice?», domandai cercando di mettere da parte la mia commozione e di pensare lucidamente. «Bastava solo questo per salvarmi?».
L’espressione cupa di Sylvia fu una risposta più che sufficiente.
«Qual è il prezzo stavolta?», chiesi a Gold. «Cosa hai voluto in cambio?».
«Per quanto possa sembrarti strano, io non volevo davvero che tu morissi».
«Perché?». Non me la dava a bere, non credevo più nella sua bontà. Ci aveva traditi troppe volte.
«Perché se ti avessi lasciato morire, pur avendo la possibilità di salvarti, avrei perso Belle e mio figlio per sempre. E in più ho bisogno del tuo aiuto per sconfiggere Hyde e la Regina Cattiva; mi trovo fastidiosamente inefficace nei loro confronti».
Le sue motivazioni potevano anche reggere, ma avevo letto nello sguardo di Sylvia che c’era qualcosa di altrettanto terribile sotto. «Sylvia», chiesi di nuovo, «qual è il prezzo?».
«Una vita per una vita, Emma. Qualcuno doveva morire per ripristinare l’equilibrio del bacio del vero amore».
«Chi?». Cosa non mi stavano dicendo? Chi era la vittima sacrificale? Chi avevano ucciso per salvarmi?
Non ricevetti risposta, ma osservando l’espressione di Sylvia capii ciò che stava tentando di nascondermi. Teneva lo sguardo basso, si attorcigliava una ciocca di capelli tra le dita, aveva un’aria triste ma anche serena, come non l’avevo mai vista prima. Sembrava che stesse finalmente riuscendo ad essere in pace con sé stessa.
Non c’era stato nessuno da sacrificare, soltanto qualcuno che amava il proprio figlio più della propria vita, letteralmente.
«No!». Mi alzai in piedi di scatto, rifiutando ciò che stava accadendo. «No! Non puoi farlo, non te lo permetterò».
«Emma». Il suo sguardo si addolcì e fissandomi profondamente negli occhi mi rivolse un ampio sorriso. «L’ho già fatto, non puoi farmi cambiare idea ormai».
«No! Tu non…». Ero talmente sgomenta da non riuscire ad articolare una frase. «Non puoi, io… non voglio».
«Ma non è una decisione che spetta a te tesoro».
Visto che lei si rifiutava di ascoltarmi, mi voltai verso Gold. «Ferma tutto, inverti ogni cosa». Mi voltai di nuovo verso di lei. «Tu non morirai per salvarmi».
Sylvia fece un profondo respiro e si alzò lentamente, venendomi vicino. Mi prese le mani tra le sue e mi scrutò con i suoi profondi occhi così simili a quelli del mio pirata. «Emma lascia che io faccia questo per te, lascia che non sia egoista, che io ti doni la vita che meriti di avere».
«Ma non è giusto», mormorai tentando di respingere il magone che mi stava salendo alla gola. «Tu hai appena ritrovato tuo figlio…».
«E tu hai appena iniziato a formare una famiglia con lui», ribatté decisa. «Emma, non puoi scegliere stavolta. È così che deve andare, con te che vivi ed io che dopo tutti questi secoli potrò finalmente riposare in pace. Perché Emma è questo quello che farò, è quello che mi serviva per riuscire a farmi perdonare da Killian e soprattutto per riuscire a perdonare me stessa».
«Killian ti ha già perdonata», tentai inutilmente.
«Emma, Killian non può vivere senza di te. Lui non ha bisogno di me, non più adesso. Non è più un bambino spaventato, è un uomo e ha bisogno di avere accanto la donna che ama e non sua madre. Lascia che stavolta io gli doni l’unica cosa di cui ha bisogno, lascia che dia la mia vita al posto della tua, mia cara, perché lui vuole solo te».
«Deve esserci un’altra soluzione», gemetti.
«Non c’è, e va bene così, è giusto così Emma». Era il suo modo per riscattare sé stessa, lo capivo ma era al contempo inconcepibile.
«Non saprò mai come ringraziarti», mormorai non riuscendo più a trattenere le lacrime. L’abbracciai in un gesto colmo di commozione e gratitudine.
Quella forte e coraggiosa donna stava dando la sua vita per salvare la mia, e soprattutto per concedere al figlio la felicità che si meritava. Qualunque azione avesse compiuto in passato era stata completamente riscattata con quel gesto così altruista e colmo di amore. Sapevo che non avrei mai potuto farle cambiare idea, e forse non era più nemmeno possibile intervenire. Non avrei aggiunto altro e avrei accettato l’immenso dono che mi stava facendo. Mi stava concedendo un futuro, ciò che credevo di non poter più avere. Non ero più solo io la Salvatrice, Sylvia era diventata la mia salvatrice e come tale mi stava aiutando a realizzare il mio lieto fine.
«Quanto…», domandai quando riuscii a staccarmi da lei, «quanto tempo ti resta?».
Fu Gold a rispondermi. «Il tempo necessario a vedere Hyde sconfitto e a poter dire addio alla sua famiglia. Stavolta posso controllare meglio questo tipo di magia».
«Avrò il tempo di spiegare tutto a Killian e di dirgli addio», aggiunse lei accarezzandomi una spalla.
Killian avrebbe perso di nuovo sua madre, ma stavolta sarebbe stato diverso. Ci sarebbe arrivato preparato, ci sarei stata io al suo fianco. Poteva affrontarlo, non avrei visto la devastazione nei suoi occhi, quella che avevo scorto quando ero in fin di vita su un letto di ospedale. Sylvia aveva ragione, lui non aveva più bisogno di sua madre, non come aveva bisogno di me; ed io di lui.
«Dov’è a proposito?», domandai notando solo allora quella fondamentale mancanza. «Dov’è Killian? Dov’è la mia famiglia?». Perché non c’era nessuno lì? Quella domanda mi rammentò che non sapevo ancora con precisione dove mi trovassi, ma la mia ubicazione passava in secondo piano in confronto all’assenza di tutti gli altri.
«Ecco a tal proposito devo confessarti una cosa e sono sicura che non ti piacerà». Lo sguardo di Sylvia si fece incredibilmente triste, facendomi pensare al peggio. Mi sedetti di nuovo sul divano aspettando la sua confessione e lei fece altrettanto accomodandosi accanto a me e stringendomi le mani tra le sue.
«Diciamo che questa è stata l’unica richiesta che Tremotino mi ha imposto per riuscire a salvarti». Sembrava più una conclusione che l’inizio di un discorso, evidentemente non sapeva da che parte cominciare. Lanciai uno sguardo di fuoco a Gold, sapendo che quando c’era lui di mezzo non c’era da aspettarsi niente di buono.
«Ricordi la pozione che ti ho fatto bere?», mi domandò Sylvia, attirando di nuovo la mia attenzione.
«Sì, quando ero all’ospedale giusto?». I ricordi erano nebulosi, ma rammentavo Sylvia preoccupata che mi faceva frettolosamente bere da una fiala dicendomi di fidarmi di lei.
«Già, è la stessa pozione che ho bevuto io tanti secoli fa». Non aggiunse altro e lasciò che arrivassi alla conclusione da sola. Cercai di rammentare la sua storia, ma ero talmente stanca quando l’aveva raccontata che avevo perso metà discorsi.
Dovette capire la mia confusione dal mio sguardo perché si affrettò a darmi qualche informazione in più. «La stessa che ha fatto credere alla mia famiglia che fossi morta».
Spalancai la bocca riuscendo finalmente a comprendere quello che mi stava suggerendo. «Non mi stai dicendo che in questo momento credono che io…».
Gold mi interruppe prima che potessi finire. «Era necessario Emma, per quanto provi una certa soddisfazione nel vedere il cuore di quel pirata infrangersi, stavolta era davvero fondamentale». Mi alzai di scatto mentre Sylvia gli rivolgeva uno sguardo ostile.
«Non mi starete dicendo», iniziai alzando la voce, «che in questo istante Killian e la mia famiglia credono che io sia morta? Come diavolo vi è saltato in mente!». Ero più che furiosa, non riuscivo neanche a pensare a quello che la mia famiglia fosse costretta a provare per lo stupido giochetto di Gold.
«Era necessario», ripeté, «se vogliamo sconfiggere Hyde».
«Necessario un corno!», inveii. «Mio figlio, tuo nipote, crede di aver perso sua madre. Un dolore del genere era necessario? Per non parlare dei miei genitori e di Killian». Mi voltai di scatto verso Sylvia, che era rimasta silenziosamente seduta al suo posto. «Come hai potuto fargli una cosa del genere? Non avevi appena detto che ha bisogno di me e che perdermi l’avrebbe distrutto? Come hai potuto fargli credere che io sia morta?».
«Non è stato facile Emma, non è stato facile nemmeno per me. Avrei fatto di tutto per evitarlo…».
«Beh evidentemente non ci sei riuscita». Era incredibile come potessi essere allo stesso tempo tremendamente arrabbiata con quella donna ed esserle profondamente grata.
«Ascolta», intervenne Gold. «L’unico modo di sconfiggere Hyde e la Regina Cattiva è che tu li rinchiuda nel mio pugnale, grazie alla pozione realizzata da Jekyll. Solo la Salvatrice, può farlo, se no sarei già intervenuto per conto mio. Purtroppo per noi, abbiamo delle spie che riferiscono ad Hyde ogni nostro passo».
«Delle spie?».
«Mary», sussurrò Sylvia rattristandosi ancora di più. Beh non mi era mai rimasta un granché simpatica. Feci un cenno di assenso lasciando che Tremotino continuasse.
«Devono sentirsi sicuri, devono credere di averti sconfitto, solo così tu potrai sfruttare l’effetto sorpresa. Capisci che non era fattibile mettere la tua famiglia a conoscenza del nostro piano. Non ti lascerei mai usare il mio pugnale senza avere la certezza di riuscita. Senza un effetto sorpresa potrebbe cadere nelle mani sbagliate e non credo che tu voglia combattere contro di me più di quanto ti ostini di già a fare».
Potevo capire: in effetti aveva detto cose sensate; ma il modo in cui la cosa era stata realizzata mi metteva i brividi. Far credere a tutti che fossi morta li avrebbe devastati, li stava già devastando.
Ero arrabbiata per quella decisione che non spettava a lui. Sicuramente avremmo potuto trovare un altro modo, ma lui aveva voluto fare di testa sua e aveva distrutto più cuori di quanti ne a era riuscito a salvare. Si trattava di una cosa temporanea, presto avrebbero saputo, ma il loro dolore era reale anche se solo momentaneo. Era una ferita che si sarebbe rimarginata, ma rimaneva pur sempre una ferita.
«Ho bisogno di stare un attimo da sola», dissi avviandomi di nuovo verso la camera. Se non volevo prendere a pugni Gold dovevo avere un momento per calmarmi.
Quando fui di nuovo nella stanza in cui mi ero risvegliata, mi sedetti sul letto guardandomi le mani. Con quel loro gesto avevano distrutto tutte le persone che amavo: avevano reso Henry un orfano, avevano costretto i miei genitori a perdere una figlia e poi c’era Killian. Chi meglio di me poteva sapere cosa significava perdere l’amore della propria vita? Quando l’avevo lasciato nell’Oltretomba ne ero uscita devastata, nonostante l’amore della mia famiglia. Lui come doveva sentirsi adesso, visto che sua madre era parte integrante della mia finta dipartita?
Io stavo finalmente bene, ero salva, questo dovevo riconoscerlo, e presto loro avrebbero scoperto tutto, avrebbero esultato di gioia. Ma la felicità che avrebbero provato scoprendo la verità, avrebbe potuto cancellare il dolore che avevano provato prima? No, non l’avrebbe fatto. Io ero stata così felice di rivedere Killian, dopo il funerale di Robin, ma ciò non aveva cancellato il dolore che avevo provato, anzi aveva solo rafforzato la paura di poterlo perdere.
Mi mancavano terribilmente, sia Killian che la mia famiglia, soprattutto ora che sapevo che stavano soffrendo per colpa mia. Avevo un insensato bisogno di vederli, anche solo da lontano, per poter capire quanto male avessi inferto loro anche se involontariamente.
Al lato del letto c’era un enorme specchiera antica. Se io avevo recuperato le forze, doveva averlo fatto anche la mia magia; potevo almeno fare una prova. Mi alzai e mi misi di fronte allo specchio, concentrandomi su Killian. Anche se avrei dovuto pensare prima a mio figlio o ai miei genitori, era lui quello che avevo più urgenza di osservare. Non potevo dimenticare gli sguardi che mi aveva rivolto in ospedale, erano inequivocabili.
Mentre mi concentravo su di lui, nello specchio iniziò ad apparire un’immagine. Killian era nella nostra camera, seduto ai piedi del letto; forse avrei dovuto dire “erano”, visto che Henry era accanto a lui. Stringevano la mia giacca di pelle e parlottavano tra loro. Non potevo sentire ciò che dicevano, ma riuscivo a cogliere le loro espressioni.
Gli occhi di Killian erano cerchiati da profonde occhiaie ed erano molto più scuri del solito; aveva la mascella contratta e l’espressione indurita. Non sembrava minimamente il mio dolce e tenero Killian: era arrabbiato e così ferito da nascondere il proprio dolore dietro la maschera di pirata sprezzante. Lo conoscevo fin troppo bene e sapevo che stava pensando solo ad un modo per vendicarsi di chi mi aveva strappata da lui.
Accanto Henry aveva invece gli occhi rossi, ma l’espressione non era poi così diversa. Il mio bambino dolce e buono non c’era più, c’era solo un ragazzino profondamente ferito e arrabbiato. Ero stata ferita e arrabbiata per buona parte della mia vita, sapevo riconoscere bene quelle stesse emozioni. Sentii ribollire ancora di più la rabbia dentro di me: avevano tolto l’innocenza a mio figlio. Non volevo che lui provasse quei sentimenti, soprattutto se erano dovuti ad una stupida pantomima.
Una voce all’improvviso mi fece sobbalzare. «Credo che tu rivoglia questo». Sylvia era in piedi dietro di me e teneva in mano la catena con l’anello di Liam. La presi senza guardarla e senza neanche domandarle perché mai ce l’avesse lei; me la rimisi al collo, là dove sarebbe dovuta sempre stare ed iniziai a giocherellare inconsciamente con l’anello.
«Mentirgli, guardandolo negli occhi, è stata in assoluto la punizione peggiore che potessi avere». Stava anche lei guardando all’interno dello specchio e sembrava sforzarsi per trovare le parole giuste.
«Non avresti dovuto ferirlo in questo modo», sussurrai. «È la cosa peggiore che tu potessi fargli adesso, a lui e a tutta la mia famiglia».
«Lo so credimi. Avrei voluto confessargli tutto fin dal primo istante. Quando l’ho allontanato dal tuo corpo e l’ho consolato… Emma tutto ciò che avevo provato in passato è tornato a galla. Mi sono sentita disintegrata, ma se volevo salvarti non potevo fare altro. Mi sono sentita allo stesso tempo capace di salvarlo da tutto quel dolore, ma anche la sua stessa carnefice».
«Sylvia io ti sono grata per avermi salvato e per il sacrificio che sei disposta a fare, però non riesco a passare sopra a questo fatto. Guarda lo sguardo di mio figlio, non l’ho mai visto così. Io sono stata una ragazzina sperduta, non volevo che lo diventasse anche lui, non volevo che perdesse l’innocenza che lo contraddistingue. Invece adesso sembra così arrabbiato e determinato, talmente sopraffatto dal dolore dal voler vendetta a tutti i costi, come Killian».
«Emma lo capisco», replicò toccandomi una spalla. «Ma se non l’avessi fatto tu saresti morta veramente».
«Davvero Sylvia? Fai di nuovo questo discorso? Non hai imparato niente dalla tua storia? Io avrei avuto più tempo, anche se poco, avrei potuto dirgli addio, essere con lui, anzi con loro, fino alla fine. Forse sarebbe successo comunque o forse Henry avrebbe capito da solo che la rabbia non è la giusta strada per affrontare il dolore. Non che non apprezzi il fatto di essere ancora viva, ma avrei preferito morire piuttosto che distruggere tutti così, facendo crescere mio figlio troppo in fretta».
«Forse è vero, ma dimentichi una cosa. La tua storia è completamente diversa dalla mia. Tu sconfiggerai Hyde e poi tornerai da loro; ridarai loro la vita, la felicità, la speranza e anche l’innocenza. Tu riabbraccerai i tuoi genitori, tuo figlio e Killian e darai loro l’unica cosa di cui hanno bisogno, quella di riaverti con loro. So che non avresti mai voluto ferirli, ma mentre io e Tremotino siamo stati gli artefici del loro dolore, tu sarai quella che li farà piangere di felicità».
Era vero, ma anche se sarebbero stati felici, in quel momento stavano vivendo le pene dell’inferno. «Non voglio che soffrano», sussurrai.
«Allora sbrighiamoci», continuò. «Sbrighiamoci a sconfiggere Hyde, così potranno sapere la verità il prima possibile. Mettiamoci al lavoro così potremo ridurre il tempo delle loro sofferenze. Che ne dici? Sei pronta a tornare di là con me?».
Non avevo molta scelta: la ferita era già stata inferta, era inutile piangere sul latte versato. L’unica cosa che restava da fare era quella di mettersi all’opera per tentare di arginare i danni. «D’accordo andiamo». Con un gesto della mano, lasciai che lo specchio tornasse ad essere una semplice superficie riflettente e mi avviai di nuovo verso la sala, con Sylvia al seguito.
Quando arrivai nel salotto fui sorpresa di non trovare Tremotino da solo. Accanto a lui era seduto Jekyll che sembrava attendere imbarazzato l’arrivo mio e di Sylvia.
«Lui sa tutto», mi anticipò lei. «Ci aiuterà a sconfiggere Hyde».
«Io non dirò una parola Emma», si affrettò aggiungere Jekyll. Non era assolutamente quello ciò che mi preoccupava; non ero certa che mi stesse bene che il dottore sapesse della mia finta morte mentre tutta la mia famiglia ne era all’oscuro.
Gold sembrò cogliere i miei pensieri. «Ci serve la pozione che ha creato per intrappolare Hyde e la Regina Cattiva nel pugnale. Doveva per forza venire a conoscenza dei nostri piani». Osservai attentamente il dottore e mi chiesi se fosse veramente a conoscenza di tutto, compreso il sacrificio di Sylvia. Il suo volto non sembrava turbato: se avesse saputo della futura dipartita della sua amata, qualcosa sarebbe trapelato dalla sua espressione. Guardai Sylvia, studiando anche lei attentamente: lo guardava con profonda commozione e dal suo modo di fissarlo fui certa che non gli avesse detto nulla. Jekyll non sapeva che lei si era condannata a morte per salvarmi, almeno non lo sapeva ancora. Sylvia doveva aver taciuto per non turbarlo, ma ancora una volta si trattava di bugie e segreti. Cominciavo ad esserne stanca; per quanto fossero dettati dall’amore, non mi sembrava più l’approccio giusto.
Di sicuro il coinvolgimento di Tremotino non migliorava la situazione, anzi. Non mi fidavo di lui, a prescindere dal fatto che avesse appena contribuito a salvarmi la vita, almeno per il momento; continuavo ad aspettarmi un suo colpo di coda finale.
«Perdona il mio scetticismo Gold», notai interrompendo il silenzio che si era creato, «ma non sei proprio il tipo che sbandiera i propri piani ai quattro venti; e non sei neanche il tipo che collabora e ci aiuta. Sei sempre tu che ci metti i bastoni tra le ruote».
«Neanche a me piace questo frangente», rispose alle mie accuse. «Credo che saremo in due a doverci adattare».
Sospirai e mi lasciai cadere pesantemente su una poltrona. «Allora quale sarebbe il tuo grandioso piano?», domandai fissandolo. «Sono già stanca di questa situazione, perché non iniziamo ad agire per poter mettere al più presto la parola fine a questa strana alleanza?».
«Lieto di accontentarti mia cara», mi rispose Tremotino, portandosi al centro della stanza mentre Sylvia si accomodava accanto a Jekyll.
«Per prima cosa», iniziò, «Sylvia tu tornerai all’accampamento e parlerai con Mary. Le racconterai della morte di Emma, del fatto che sei preoccupata per tuo figlio e che Jekyll ha messo appunto una pozione capace di sconfiggere Hyde una volta per tutte».
«Perché mai dovrebbe rivelargli una cosa del genere?», sbottai sentendo l’ultima affermazione.
«Aspetta e ascolta. Sappiamo che Mary collabora con Hyde e da brava e fedele cagnolina andrà a raccontargli tutto ciò che Sylvia le dice. Così conoscendo Hyde e conoscendo la Regina Cattiva non esiteranno ad appropriarsi di ciò che potrebbe distruggerli. Setacceranno il laboratorio di Jekyll e noi gli lasceremo credere di avere trovato la vera pozione; non capiranno mai che è esattamente ciò che vogliamo. Prenderanno una falsa pozione, la distruggeranno e si sentiranno sicuri». Fece una pausa puntando lo sguardo sul dottore. «Tutto chiaro?».
«Sì», farfugliò lui, iniziando a cercare qualcosa nella tasca della giacca. «Questa è la pozione vera», disse estraendo una boccettina. Invece di allungarla al Signore Oscuro, si voltò verso di me e me la passò. «Credo più giusto che sia Emma a tenerla, in fondo sarà lei a doverla usare».
«Sono d’accordo», sorrisi stringendo la fiala, lieta della piega che stavano prendendo gli eventi. «Niente da ridire, vero Gold?».
Fece una smorfia impercettibile, ma poi acconsentì. «D’accordo, andiamo avanti. Una volta che Hyde avrà messo a soqquadro il tuo laboratorio, dovrai andare dagli eroi e dovrai dir loro ciò che è successo, cioè che Hyde ha rubato l’unica vostra possibilità di riuscita. Dirai anche che però sei riuscito a mettere appunto un’arma che potrà stordire sia lui che la Regina, in modo tale da catturarli ed imprigionarli».
«Che arma?», domandammo contemporaneamente io e il dottore.
«Di questo non dovrete preoccuparvi, sarà una semplice arma che potrebbe metterlo al tappeto, sarò io a procurartela».
«Se esiste un’arma del genere perché non usare quella e basta?», chiesi dando voce ai miei dubbi.
«Non essere così ingenua. Se non fermiamo Hyde e la Regina Cattiva definitivamente, troveranno sempre un modo per liberarsi e per causare ulteriori problemi».
«Non ti credo», insistetti. «Vuoi intrappolarli nel pugnale solo per aumentare la tua oscurità?». Era la domanda che mi frullava in testa fin dall’inizio e finalmente ero riuscita a tirarla fuori.
«Potrai pensarla così e non credermi capace di una buona azione per una volta. Fatto sta che Hyde e la Regina sono un abominio, non sarebbero mai dovuti esistere. L’unico modo per far sì che non causino più altri guai è intrappolarli nel pugnale, il fatto che questo incrementerà l’oscurità in esso racchiusa è una questione del tutto irrilevante. Il mio pugnale è forgiato con l’essenza di tutti i Signori Oscuri, credi possa davvero cambiare qualcosa aggiungendoci quei due loschi personaggi?».
«D’accordo», ammisi. «Allora perché Jekyll dovrebbe dire dell’arma ad Hook e alla mia famiglia?».
«Perché a questo punto gliela consegnerà, e noi non dovremo aspettare altro che il pirata faccia la sua mossa. Hyde si aspetterà una controffensiva ma crederà che nessuno sia più in grado di fermarlo questa volta».
«Vuoi mandare Killian come esca?», domandò Sylvia prima che potessi farlo io.
«Non come esca mia cara. Sappiamo tutti quanti che Hook non se ne starà buono con le mani in mano, soprattutto non dopo la presunta morte di Emma. Sebbene il pirata incolpi me, sa altrettanto bene che Hyde e la Regina  sono ugualmente responsabili; lo conosco da molto tempo ed inizierà la sua vendetta da chi ha a portata di mano».
«E quindi?», sbottai. «Lo manderai all’attacco senza pensarci due volte? Senza nessuna protezione se non con una stupida arma in grado di stendere Hyde?».
«No, è qui che interverremo noi. Seguiremo il tuo amato pirata e al momento opportuno farai la tua comparsa e sfruttando l’effetto sorpresa salverai la situazione come ogni buona Salvatrice che si rispetti». Il fatto che avrei seguito Killian e che sarei intervenuta prima che le cose potessero sfuggirgli di mano, riuscii a calmarmi leggermente. Dovevo riconoscere nuovamente che era un buon piano, sempre che Gold non tirasse fuori il suo solito tiro mancino.
«Bene», dissi alzandomi. «Credo che sia giunto il tempo di mettersi a lavoro. Voglio chiudere la questione più in fretta possibile». Prima mettevo fine ad Hyde e prima avrei riabbracciato i miei genitori, Henry e Killian svelandoli la verità. Era questo l’importante: rivelare loro la verità prima che le bugie potessero distruggerli completamente.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti!
Ecco a voi il risveglio di Emma. Sicuramente è un capitolo meno triste del precedente… Ho voluto aggiungere la parte del sogno all’inizio sia per farmi perdonare per la tristezza di queste ultime settimane, sia perché avevo molta voglia di un leggero e dolce momento CapitainSwan.
Ormai il piano ha preso forma, per lo meno per quanto riguarda quello di Emma e Tremotino. Il mio Jekyll resta comunque buono come l’avevo pensato e immaginato all’inizio, visto che questa storia è iniziata prima della sesta stagione e non avevo assolutamente idea del colpo di scena che gli autori hanno creato per Hyde e Jekyll.
Vi ringrazio, come ogni volta, di leggere e recensire. Siete un grande supporto e mi date una marea di idee.
Un bacione e a domenica prossima (che è anche il mio compleanno)!
Sara
 

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Capitolo 20
*** 20. Operazione cigno nero ***


20. Operazione cigno nero
 
Le dita di Emma disegnano un’intricata trama sulla mia schiena, mentre le mie labbra sono intente ad esplorare ogni centimetro del suo collo. Risalgo lentamente seguendo la linea della mandibola fino ad arrivare alla sua bocca. Mi fermo un attimo prima di coinvolgere anche le sue labbra in quel lento e sensuale movimento; lascio che i miei occhi si perdano nei suoi e che siano più esplicativi di mille parole. Lei mi sorride, con uno dei suoi sorrisi meravigliosi; è così magnifico perché è solo per me e per nessun altro.
Lascio che la mia bocca si posi sulla sua, assaporando il suo gusto tutto particolare. Le sue labbra si schiudono sotto le mie e permettono così alla mia lingua di andare a cercare la sua. Inizia una danza frenetica fatta di corpi, di braccia, di mani, di labbra, di lingue. C’è passione tra noi, ma c’è anche amore puro.
Non potremo essere più vicini di così e non solo fisicamente. Sento di aver raggiunto il suo centro, l’ultimo strato dentro il quale si trova racchiusa la vera Emma Swan. Quando mi guarda così, quando mi bacia senza limiti, sento finalmente di aver eliminato ogni possibile armatura che la sua ostinata testolina continua a mettermi davanti. Mi piacciono i suoi muri e riuscire a buttarli giù mi fa letteralmente impazzire.
Sono dentro di lei, la mia mano è sul suo corpo e la mia bocca è fin troppo impegnata a perdersi nella sua. Lei mi accarezza, si muove seguendo il mio ritmo, le sue gambe sono strette al mio bacino.
«Ti amo», sussurra sulle mie labbra. Il mio cuore parte a mille e mi sento in paradiso.
«Ti amo», rispondo prima di iniziare una nuova serie di baci. E poi mi perdo: non ci sono più solo io, non c’è più solo lei. Non siamo più solo io e lei, ma noi, sempre e per sempre.
 
Mi svegliai di soprassalto, sopraffatto da quel sogno fin troppo vivido. Ero nel nostro letto e doveva essere notte fonda; la stanchezza doveva aver preso il sopravvento e dovevo essere finalmente crollato, solo per risvegliarmi più agitato e tormentato di prima. Il sogno era stato così realistico che quasi riuscivo a sentire il calore delle labbra di Emma sulle mie; era stato così intenso che non sapevo più se si trattasse di un semplice sogno o un vero e proprio ricordo di uno dei nostri momenti di passione.
Se non fossi stato al buio, sdraiato sul letto completamente vestito, con gli occhi ancora gonfi, avrei giurato che Emma si trovasse proprio lì accanto a me. Invece vicino a me, sulla parte di letto destinata al mio dolce cigno, c’era solo un ragazzino che, come me, era finalmente crollato anche lui in un sonno agitato.
Io ed Henry avevamo deciso di prenderci una nottata di riposo – se quello poteva davvero essere definito riposo – prima di immergerci completamente nell’operazione cigno nero. Era inutile mettersi all’opera se entrambi non eravamo in grado di ragionare lucidamente. Dovevamo impegnarci al massimo per riuscire ad ottenere la nostra rivincita e una notte di sonno c’era sembrata la cosa migliore per tentare di rimetterci in sesto.
Henry non se l’era sentita di tornare da Regina; probabilmente non voleva né restare da solo né tornare dagli altri e, cosa ancora più strana, desiderava che anch’io non restassi da solo in quell’enorme casa. Voleva stare con me e questo mi spaventava e mi destabilizzava, ma allo stesso tempo mi commuoveva. Se io ed Emma avessimo avuto il nostro lieto fine, Henry sarebbe diventato a tutti gli effetti il mio figliastro; era davvero incredibile come per me lo fosse diventato comunque, così come io sapevo di essere divenuto per lui un po’ di più del semplice fidanzato di sua madre. Io ed Henry eravamo amici, ma non c’era solo questo; l’avevo capito poche ore prima, quando era venuto a cercarmi, scappando da Regina. Per Henry, come lo ero stato per Emma, non ero più Hook, ero Killian ed incredibilmente ero diventato parte integrante della sua famiglia. Henry mi aveva fatto capire che, nonostante quello che era successo, questo non sarebbe cambiato, ed io non avevo davvero parole per poter descrivere il cuore enorme di quel ragazzino.
Lentamente scesi dal letto, lasciando che Henry continuasse a dormire. Presi una coperta, facendo estrema attenzione a non aprire la parte dell’armadio di Emma, e lo coprii in modo tale che non sentisse freddo, visto che come me si era addormentato sopra il piumone.
Scesi di sotto e andai a sedermi in cucina. Non sarei riuscito a riprendere sonno, così come non sarei riuscito ad allontanare il volto di Emma dalla mia mente. Dalla mia postazione osservai il cannocchiale che lei aveva appositamente posizionato per permettermi di guardare il mare e l’orizzonte. Non sarebbero serviti a nulla, né il mare né l’orizzonte; il solo avvicinarmi a quel telescopio avrebbe aperto una voragine di ricordi. D’altro canto qualunque oggetto, qualunque luogo, in quel momento avrebbe fatto altrettanto.
Restai lì, immobile, cercando a tutti i costi di non pensare e fallendo miseramente. Lentamente l’oscurità iniziò a diradarsi e apparvero i primi raggi di sole, mentre io mi concentravo con tutto me stesso per non muovere neanche un muscolo. L’immobilità in qualche modo mi teneva in piedi, perché più tentavo di diventare una vera e propria statua e meno spazio aveva la mia mente per tormentarmi con i ricordi di Emma.
«Cosa fai?». Una voce all’improvviso mi fece sussultare, riscuotendomi dal mio intorpidimento.
«Henry…», mormorai non sapendo bene cosa rispondere e cercando subito di cambiare argomento. «Ti sei già svegliato?»
«Già. Grazie per avermi coperto, tu sei riuscito a dormire un po’?».
«Non molto». Quel poco che avevo dormito, era bastato per mandarmi in paradiso prima e direttamente all’inferno al risveglio. Henry non aggiunse altro ed iniziò ad armeggiare per la cucina, mentre io tornai a concentrarmi su un punto indefinito davanti a me.
«Tieni», mi disse all’improvviso. Mi posò una tazza davanti riempiendola con del latte e aggiungendoci un’abbondante manciata di cereali. Fece lo stesso con un’altra tazza che posò di fronte al suo posto.
Lo guardai perplesso non sapendo come interpretare quel gesto. Non avevo molta fame e in realtà avrei dovuto essere io a preparargli la colazione, non il contrario.
«Qualcosa devi pur mangiare», aggiunse passandomi un cucchiaio. «E poi sono al cioccolato, sono quelli più buoni di tutti».
Guardai la ciotola e poi tornai a guardare lui. «Grazie». Con estrema fatica, cercai di mandare giù quello che Henry mi aveva preparato. Non mangiavo niente da almeno diciotto ore, ma avevo lo stomaco chiuso, la fame era davvero l’ultimo dei miei pensieri. Anche Henry, nonostante il suo atteggiamento iniziale, sembrava mandare giù a fatica quello che si era preparato.
Una volta finito mi alzai per mettere le ciotole nel lavello, mentre Henry saliva velocemente di sopra, per poi tornare con uno dei suoi grossi libri tra le mani.
«Allora», disse sedendosi di nuovo al tavolo. Anch’io feci lo stesso, prendendo posizione davanti a lui. «È l’ora di dare vita all’operazione cigno nero».
«Che cosa avevi in mente?», gli domandai sapendo che era molto più sveglio e furbo rispetto ai ragazzini della sua età. Certe volte tirava fuori delle idee sorprendenti.
«A dire la verità non lo so», rispose fissandomi negli occhi. «Però stanotte non riuscivo a dormire e non volevo pensare alla mamma…». La sua voce si incrinò a quella parola; capivo bene la sensazione: avrei fatto di tutto per smettere almeno per un secondo di pensare ad Emma.
Henry deglutì e poi riprese con voce più ferma. «Ho cercato di pensare ad altro e mi è tornata in mente una storia, una di quelle mai raccontate. Non le avevo dato molta importanza all’inizio, ma mi sono reso conto che avevo trascurato alcuni dettagli fondamentali».
«Spiegati meglio».
«Beh pensavo che il suo personaggio non fosse importante, almeno non così importante in tutta questa storia. Pensavo che fosse del tutto slegato da Hyde e che fosse solamente stata tirata in ballo da tutte le questioni irrisolte di Sylvia…».
«Di chi stiamo parlando?», domandai, temendo di conoscere già la risposta.
«Di Mary, l’amica di tua madre».
Strinsi il pugno e serrai la mascella. «Non mi è mai piaciuta, lo sapevo che non dovevamo fidarci di lei».
«Beh credo che il tuo istinto avesse ragione, peccato che tua madre non abbia avuto lo stesso intuito».
Ancora non capivo perché l’operazione cigno nero avesse a che fare con Mary e con mia madre, ma sapevo che dovevo fidarmi di Henry e che lui mi avrebbe presto spiegato tutto. Lo fissai in silenzio aspettando che mi mettesse a conoscenza di ciò che ancora non sapevo.
«La storia di Mary è parecchio semplice», iniziò. «In realtà non le è successo niente di particolare a parte il fatto che sua madre morì quando era piccola e che Sylvia da allora si occupò di lei. Ciò che invece è importante è la storia di sua madre, la madre biologica. Prima di arrivare nella Terra delle storie mai raccontate proveniva dallo stesso mondo di Jekyll; era sposata ad un ricco medico, che faceva parte di un’associazione che finanziava ricerche scientifiche. Stando alla storia, la madre di Mary fu costretta a scappare e a rifugiarsi letteralmente in un altro mondo, con la bambina appena nata, perché suo marito aveva completamente perso la testa per le sue ricerche. Stavano studiando un possibile vaccino, a quanto ho capito, e il marito aveva tutta l’intenzione di testarlo sulla figlia, nonostante i precedenti tentativi avessero dato risultati davvero pessimi».
«Così la madre è scappata per salvare la vita alla figlia». Era una storia triste, ma non mi dispiaceva per Mary, soprattutto dopo quello che aveva puntualizzato Henry all’inizio. «Comunque questo cosa c’entra con la nostra missione?».
«Aspetta e vedrai. La storia finisce con Mary e sua madre rifugiate nella Terra delle storie mai raccontate. Purtroppo una volta arrivata in quel mondo la madre non ha mai goduto di buona salute e alla fine è morta. Fino a qui non sembrerebbe che ci fosse di niente di particolare, ad eccezione del fatto che Jekyll fu finanziato dalla stessa associazione del padre di Mary. Quando l’ho scoperto ho pensato che si trattasse di una coincidenza, anche perché Jekyll doveva essere anche lui un bambino quando Mary e sua madre sono scappate. Invece riflettendoci sono giunto ad una conclusione diversa».
«E tutto questo ha a che fare con Hyde?», domandai cercando di stare al passo.
«Beh c’è qualcosa che non vi ho raccontato, o meglio non ho fatto a tempo a raccontarvi. Ho visto Mary il giorno che Sylvia è stata rapita». Aveva accuratamente evitato di rammentare la scomparsa di Emma e l’incantesimo del sonno, nonostante fosse accaduto tutto lo stesso giorno: era davvero troppo difficile parlare di lei.
«All’inizio mi è parso strano, ma credevo si trattasse solo di una coincidenza. Però ci sono troppe cose che non tornano».
«Arriva al punto», lo incalzai.
«Ero con Violet, eravamo nella piazza principale. Abbiamo visto Mary che si aggirava vicino al negozio di Gold. L’abbiamo vista passare e avviarsi verso le strade più interne, quelle che portano al retrobottega. Dopo dieci minuti è tornata indietro, si guardava attorno e quindi noi ci siamo avvicinati; pensavamo che stesse esplorando Storybrooke e che si fosse persa. Quando le abbiamo rivolto la parola si è talmente spaventata che le è cascato di mano un sacchetto: lei si è affrettata a raccoglierlo, ma non così velocemente da impedirci di vedere cosa c’era al suo interno. C’era una catena con un ciondolo; niente di particolare fino a questo punto, solo che mi sembrava di aver già visto quella collana da qualche parte. Più ci pensavo e più non mi veniva in mente, poi è successo quel che è successo e ho accantonato la storia di Mary senza darle più importanza. Stanotte però mentre cercavo a tutti i costi di concentrarmi su altro, mi è tornato in mente: so dove avevo già visto quel ciondolo».
«Dove?».
«Al collo di tua madre il giorno che tu l’hai rincontrata qui a Storybrooke».
Sbattei le palpebre cercando di seguire il suo ragionamento. «Che diavolo ci faceva Mary con la collana di mia madre?».
«Esatto. Sicuramente non l’aveva comprata da allora, e non aveva nessun motivo di andarsene a giro con quella nascosta in un sacchetto».
«Quindi?». Quel ragazzino era già giunto alla conclusione, ma a me mancava ancora qualche passaggio.
«Ho una teoria», sentenziò. «Sono certo che Mary sia a conoscenza della storia di sua madre e penso che la sua prematura scomparsa sia in parte dovuta agli esperimenti del marito. Molti anni dopo Mary e Sylvia hanno conosciuto Jekyll, un dottore finanziato dalla stessa associazione che è stata la causa di tutte le disgrazie di Mary».
«Mary lo ha scoperto», continuai io, iniziando a capire dove volesse andare a parare, «e anche se Jekyll non è stato direttamente responsabile di ciò che le è capitato, lo ha considerato alla stregua del suo stesso padre».
«Esatto e credo che sia stato più o meno in queste circostanze e con questi presupposti che lei ha conosciuto Hyde».
«Non deve essere stato un problema per Hyde farsela amica, facendosi passare per una vittima innocente degli esperimenti del dottore». Era stato facile come bere un bicchier d’acqua.
«E convincerla a collaborare con lui per vendicarsi, deve essere stato ancora più semplice», concluse.
«Quindi per te ha collaborato con lui per tutto questo tempo, senza che noi ce ne accorgessimo», conclusi a denti stretti. Eravamo stati proprio degli sciocchi a non rendercene conto.
«Credo di sì», concordò Henry. «Penso che sia andata a spifferare ad Hyde ogni nostra mossa, per questo sapeva dove trovare tua madre, magari la collana è servita proprio per un incantesimo di localizzazione, per questo sapeva della sua storia con Jekyll e chissà cos’altro».
«Se la tua teoria è giusta, vuol dire che Hyde è riuscito a conoscere ogni nostra mossa in anticipo». O almeno tutto ciò che Sylvia aveva raccontato a Mary.
«Credi che dovremmo andare da tua madre ed avvertirla?».
«Oppure», riflettei, «possiamo sfruttare quello che abbiamo appena scoperto a nostro vantaggio. Così potremo capire se abbiamo effettivamente ragione e potremo sfruttarla per dare ad Hyde false informazioni e farlo cadere in una nostra trappola».
Henry ci pensò su per qualche secondo, per poi rivolgermi uno sguardo deciso. «Mi sembra che l’operazione cigno nero inizi a prendere una certa forma».
«Dobbiamo solo decidere cosa far credere ad Hyde». Propri mentre pronunciavo quelle parole, il mio parlofono iniziò a squillare. Non ero abituato a ricevere molte chiamate; di solito era Emma che mi cercava o al massimo io che chiamavo lei. Veder apparire il nome di David fu del tutto inaspettato.
«Pronto?», risposi titubante.
«Hook». Il tono di voce era quasi irriconoscibile, sembrava appartenere ad un uomo distrutto. Probabilmente anche la mia voce doveva suonare allo stesso modo.
«So che non è un momento facile nemmeno per te», iniziò, «ma avrei davvero bisogno che tu venissi qua all’ospedale. È successo una cosa…».
«Che cosa?», domandai senza lasciarlo finire.
«Non vorrei parlarne al telefono. Penso che faresti meglio a venire qua». Non capivo cosa potesse essere successo di così urgente e grave. Il peggio che poteva accadere era già avvenuto: Emma era morta, cosa poteva esserci di peggiore?
«D’accordo», acconsentii controvoglia. Lo feci solo perché sembrava un uomo disperato almeno quanto me.
«Bene ragazzino», dissi rimettendo il parlofono nella tasca. «Credo che dovremo aspettare un po’ per delineare il nostro piano».
«Non abbiamo più fretta ormai», replicò amaramente.
«Già, mettiamo un attimo l’ancora alla nostra operazione e andiamo da tuo nonno. Sembra che abbia proprio bisogno di noi».
 
Quando arrivammo, David ci aspettava davanti all’ingresso. Se la voce mi era sembrata quella di un uomo disperato anche il volto non era da meno. Aveva il viso tirato, delle occhiaie ben visibili e anche lui sembrava tirare avanti a fatica. La morte di Emma ci aveva reso tutti dei gusci vuoti.
«Grazie per essere venuto», mi disse. Tuttavia quando notò Henry la sua espressione mutò di colpo.
«Henry che cosa ci fai qui?», domandò a lui per poi voltarsi verso di me. «Perché è con te? Non dovrebbe essere con Regina? Non avresti dovuto portarlo qua».
«Primo», puntualizzai infastidito, «non mi hai chiesto se ero da solo. Secondo, non mi hai detto che lui non poteva venire».
«E terzo», intervenne Henry, «credo di essere grande abbastanza e anche piuttosto esperto da poter essere coinvolto». David ci guardò male non aspettandosi una risposta così brusca da parte del nipote. Forse pensava che avessi un’influenza negativa su di lui, ma francamente in quel momento non me ne importava nulla. Avevo ben altro di cui preoccuparmi e a cui pensare per poter anche stare dietro alle sue manie da principe Azzurro.
«Va bene, seguitemi», sospirò arrendendosi. Invece di dirigersi verso la zona dell’ospedale che oramai conoscevamo tutti fin troppo bene, ci condusse verso una scala laterale che portava ad un seminterrato. Non ero mai stato in quella parte di edificio e non capivo bene cosa potesse esserci là di così importante.
Aprì una porta e ci fece entrare in una stanza del tutto spoglia, con solo dei grandi tavoli di metallo come arredamento. Se già l’ambiente non mi avesse fatto capire dove David ci aveva condotto, la temperatura fredda sarebbe stato un altro indizio più che sufficiente. Adesso capivo perché avrebbe preferito non far venire Henry con noi: un obitorio non era certo un posto adatto per un ragazzino.
«Che ci facciamo qui?», gli domandai in tono cupo. Se mi aveva portato lì per vedere il corpo di Emma, probabilmente non avrei retto e sarei finito o per crollare o per dare in escandescenze.
«È  successa una cosa», mi rispose. «Però ho bisogno che tu stia calmo Hook».
«Beh tu dimmi cosa ci stai nascondendo e poi deciderò se stare calmo o meno». Riuscivo a stento a controllare le mie emozioni, figuriamoci se potevo farlo per seguire una sua direttiva.
«Dovrai invece», rispose bruscamente, «perché io sono pur sempre lo sceriffo. Ti ho chiamato qui perché ho pensato che fosse giusto così e che tu avresti potuto darmi una mano. Se non sarà così non ci metterò niente a sbatterti dentro».
Avrei voluto rispondergli, ma sarebbe stato solo una perdita di tempo. In più David sembrava provato almeno quanto me, un attacco verbale non avrebbe fatto bene a nessuno dei due.
«Cos’è successo nonno?», domandò Henry per placarci entrambi. «Perché ci hai portato qui?».
«Perché il corpo di Emma è scomparso». Deglutii sentendo quelle parole, mentre nella mia testa si affacciavano tutte le possibili implicazioni collegate a quella nuova affermazione. Se il corpo di Emma non c’era più voleva dire che lei…? Non potevo permettere al mio cuore di sperare, perché altrimenti si sarebbe frantumato di nuovo una volta scoperta la verità. Ma come faceva un corpo senza vita a sparire nel nulla? Era evidente che c’era qualcosa che non andava. Emma poteva essere ancora viva? Ma se davvero fosse stato così perché non era venuta subito da noi?
«Scomparso?», balbettò Henry accanto a me. «Vuol dire che la mamma è…?». Anche lui era arrivato alla mia stessa conclusione.
«Oh no. No!». David si affrettò a correggerlo, accorgendosi solo allora di ciò che la sua frase aveva potuto farci credere. «No, certo che no. Volevo dire che il suo corpo è stato trafugato».
Avrei potuto sentire il mio cuore infrangersi di nuovo se non fossi stato sopraffatto dalla rabbia che quella notizia mi aveva subito procurato.
«Trafugato?», chiesi riuscendo a malapena a controllare il tono di voce. «Chi diavolo può fare una cosa del genere?». Che senso aveva ormai accanirsi su un corpo senza vita, senza lasciare nemmeno la  possibilità alle persone a lei care di darle un ultimo addio?
«Sei sicuro?», domandò Henry in un sussurro. «Come fai a sapere che è stato trafugato e che non sia successo altro?». Sapevo cosa stava pensando, la scomparsa del corpo di Emma aveva riacceso un minimo di speranza in Henry, che ancora faticava a spegnersi.
«Purtroppo sì», rispose David incupendosi. «Questa zona è sotto sorveglianza. C’è un video… per questo ti ho chiamato Hook. Volevo che tu lo vedessi e che mi aiutassi ad agire di conseguenza». Ci guidò verso una porta situata in fondo alla stanza. Dietro di essa si celava un piccolo stanzino, con una di quelle scatole magiche che Emma era solita guardare insieme ad Henry sul divano.
David prese il timone della scatola e ci armeggiò finché sul video non comparve un immagine. Era la stessa stanza dove ci trovavamo prima, solo che sul tavolo c’era un corpo coperto da un lenzuolo. Non avevamo bisogno di chiedere per sapere che si trattava del corpo di Emma.
«Adesso guardate», disse, mandando avanti l’immagine. Poco dopo comparvero sulla scena due figure. Non si vedevano bene, ma dai loro vestiti era talmente facile capire di chi si trattasse. Stoppò l’immagine proprio quando i due soggetti erano stati inquadrati meglio: Hyde aveva sempre quella sua solita espressione indecifrabile, ed i vestiti della Regina Cattiva, erano già una prova più che sufficiente anche senza osservare il suo volto.
«Hyde e la Regina Cattiva?». Henry aveva trovato il coraggio di parlare, mentre io ero troppo furioso per poter dar voce ai miei pensieri.
David sospirò e fece ripartire l’immagine: Hyde si caricava in spalla il corpo di Emma coperto dal lenzuolo – una ciocca di capelli biondi ricadeva sulla schiena di quel mostro proprio a dimostrare che si trattava effettivamente di lei – poi la Regina Cattiva li faceva sparire in una nuvola di fumo.
«Maledizione». Tentai di tirare un pugno al muro ma David mi precedette appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Lo so», disse scrutandomi negli occhi. «Lo so». Feci ricadere il braccio e sospirai profondamente.
Non aveva senso: cos’altro volevano da lei? Non le avevano già tolto tutto? Cosa potevano farsene del suo corpo senza vita? Non avevano nemmeno un briciolo di rispetto, neanche per chi ormai era già morto.
«Perché?», domando Henry in un tono di voce tra il disperato e il furioso. «Perché farle e farci una cosa del genere?».
«Non lo so», rispose David e per la prima volta sentii la rabbia anche nella sua voce.
«Sono dei mostri», intervenni, «non c’è una spiegazione logica».
«Probabilmente è così», concordò David. «Per questo ti ho chiamato Hook, devi aiutarmi a riprendere il corpo di mia figlia. Dobbiamo riprenderci Emma».
«Non avresti dovuto neanche chiedermelo. Non la lascerei mai nelle mani di quell’abomini».
«Già». Non fece a tempo ad aggiungere altro che il suo telefono iniziò a squillare. Sembrava che quel giorno fossimo destinati tutti ad essere interrotti da quei marchingegni moderni.
«Pronto? Sì sono io». David si portò il parlofono all’orecchio e ascoltò ciò che gli stavano dicendo dall’altro capo. La sua espressione si incupì ascoltando via via le parole del suo interlocutore.
«Merda», inveì, «maledizione!». Non l’avevo mai sentito usare quel tono così furioso. Di sicuro doveva essere successo qualcosa di grave, come se già avessimo pochi problemi da risolvere.
«Arriviamo subito», concluse chiudendo la chiamata.
«Cosa è successo?», domandammo io ed Henry contemporaneamente.
«Hyde ha appena attaccato la tenda e quindi il laboratorio di Jekyll. Dobbiamo andare da lui».
 
Il fatto che David avesse un marchingegno con le ruote ci fece sicuramente risparmiare del tempo prezioso; ben presto arrivammo all’accampamento e raggiungemmo la tenda di Jekyll. Là fuori si era radunato un bel gruppo di persone, attirati dalla curiosità di vedere ciò che era accaduto al dottore. David assunse in pieno il suo ruolo di sceriffo, intimando alle persone di calmarsi e di tornare alle rispettive abitazioni.
Io rimasi in disparte con Henry, aspettando che David liberasse la strada per farci entrare nella tenda del dottore. Tuttavia, all’improvviso ebbi come l’impressione di essere osservato; era solo una sensazione, ma era come se qualcuno mi stesse richiamando, intimandomi di voltarmi nella sua direzione.
Mi guardai intorno fino a scovare colei che era responsabile di quella mia strana impressione. Il fatto che fosse una giovane donna coi capelli biondi mi fece battere il cuore all’impazzata; ovviamente la delusione mi colpì in pieno appena notai che i tratti del viso erano completamente diversi da quelli della mia Emma. Eppure avevo come la netta sensazione di averla già incontrata da qualche parte.
“Sarà una delle tante persone portate qui da Hyde”, mi dissi. Eppure lei continuava a fissarmi senza mai distogliere lo sguardo, come se stesse cercando di dirmi qualcosa. La scrutai a mia volta cercando di capire cosa diavolo volesse da me e senza rendermene conto mi persi nel verde dei suoi occhi.
 
«Adoro il colore dei tuoi occhi», sussurra passando le dita tra i miei capelli.
«Ah sì?». Avvicino ancora di più il viso al suo finché i nostri nasi non si incontrano e le nostre fronti si appoggiano l’una sull’altra.
«Sì, è la prima cosa che ho notato quando ti ho conosciuto».
«Davvero?», sorrido, godendomi quei complimenti che Emma non è solita rivolgermi.
«Sì, beh sicuramente non mi aspettavo un Capitan Uncino come te».
«In che senso come me?», la punzecchio, non distogliendo neanche per un secondo i miei occhi dai suoi.
«Beh un pirata tremendamente attraente e con lo sguardo penetrante». Sorride e anche se non se ne accorge arrossisce. Adoro quando fa così, quando il suo lato timido fuoriesce nonostante tutto.
«Bene, devo dire che neanche i tuoi occhi sono niente male Swan». Così verdi e così profondi da potercisi perdere dentro. «Credo che il verde sia diventato il mio colore preferito da quando ti ho conosciuta, oltre al rosso come quello delle tue giacche di pelle». Ride e poi mi bacia, felice per quel nostro piccolo momento di intimità.
 
La forza di quel ricordo mi mozzò il respiro, facendomi annaspare alla ricerca di ossigeno. Gli occhi di quella donna mi avevano inconsciamente rimandato indietro nel tempo, senza un motivo del tutto plausibile. Al mondo c’erano miliardi di donne con gli occhi verdi. Lei non era Emma, lei purtroppo non c’era più, ed io non conoscevo neanche quella donna; eppure quel suo sguardo fisso su di me, mi aveva scatenato un tumulto di emozioni.
Lei continuava a guardarmi non riuscendo a distogliere lo sguardo e adesso anche io non riuscivo più ad abbandonare i suoi occhi. Era come se la conoscessi da sempre anche se in realtà non l’avevo mai incontrata.
«Hook cosa aspetti?». La voce di Henry mi riportò alla realtà. Non era più accanto a me, ma era affacciato dall’ingresso della tenda. Chissà quanto tempo ero rimasto là imbambolato!
«Che stavi guardando?», mi chiese quando finalmente mi decisi ad entrare.
«Niente», liquidai la cosa. «Niente di che credo». In effetti non lo sapevo neanche.
Appena varcai la soglia, notai come ogni cosa all’interno fosse sottosopra. C’erano fogli sparsi per terra, il letto disfatto, dei vetri rotti. Hyde non aveva tralasciato proprio niente.
Il dottore si trovava seduto in un angolo, accanto a lui c’era mia madre che gli teneva una mano. Non mi ero aspettato di trovarla lì, ma probabilmente Jekyll si era talmente spaventato e aveva cercato il conforto dell’unica persona amata. Dovevo ancora abituarmi a vederla con lui.
«Che cosa è successo Jekyll?», stava domandando David.
«Non lo so con precisione. Ero andato alla tenda di Sylvia per avere vostre notizie e quando sono tornato ho trovato tutto così. È davvero una disdetta, ha distrutto tutte le mie cose».
«Sei sicuro che sia stato Hyde?», chiese.
«Chi altro sennò?», intervenne mia madre. Mi chiesi se fosse il caso di dirle di Mary o se fosse più saggio parlarne a quattr’occhi solo io e lei.
«Nessuno ha notato niente di strano mentre tu eri via?», domandò Henry.
«No, non credo. Deve essere stato attento». Sicuramente Hyde non era il tipo da farsi cogliere in flagrante; il video all’obitorio doveva essere stato un’eccezione dovuta ad una mancata conoscenza delle moderne tecnologie.
«Hai notato se manca qualcosa?», continuò David.
«Purtroppo sì. Avevo appena finito di ultimare la pozione che avrebbe potuto rinchiuderlo nel pugnale del Signore Oscuro; ero andato da Sylvia anche per questo. Quando sono tornato ho trovato questo disastro e purtroppo la fiala non c’era più».
«Maledizione», inveii. Perché era stato così stupido da lasciare quella pozione incustodita?
«Killian». Mia madre si alzò e mi venne accanto,  appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Come diavolo ha fatto a sapere della pozione?», chiese David, ma la sua era più una domanda retorica. Mia madre e Jekyll non risposero, mentre io ed Henry ci scambiammo un’occhiata, sapendo benissimo chi aveva potuto mettere una pulce nell’orecchio ad Hyde. Mary doveva essere a conoscenza dei nostri piani ed evidentemente non aveva esitato ad andare a spifferarli al suo amichetto. Dovevo parlare urgentemente con mia madre di quella che credeva essere la sua figlioccia adorata.
«Sei in grado di rifarla?», domandò Henry, passando oltre.
«Dovrei ritrovare tutti gli ingredienti e mi ci vorrà del tempo… dovrei ritrovare anche tutti fogli con i calcoli che avevo fatto…». Il dottore sembrò incespicare, come se non fosse sicuro di poterla ricreare, o addirittura non volesse?
«Beh nessuno ci corre dietro adesso», ribadii a denti stretti.
«Jekyll», intervenne mia madre, «perché non dici loro dell’altra cosa, quella che Hyde non ha preso». Spostammo tutti lo sguardo da mia madre al dottore aspettando che lui ci spiegasse.
«Beh sì», iniziò, «oltre alla pozione sono riuscito a ricreare una specie di arma che ci permetterà di mettere al tappeto Hyde». Tirò fuori dalla giacca uno strano bastone e ce lo mostrò. «L’avevo portato con me per questo non l’ha trovato; non sarà in grado di eliminarlo definitivamente, ma questo bastone potrà metterlo fuori gioco per un po’».
«Perfetto», esultai. Almeno una cosa stava andando per il verso giusto. «È proprio quello che ci serve. Andiamo da lui e catturiamolo; dopo penseremo a come eliminarlo definitivamente».
«Hook ha ragione», intervenne una voce all’improvviso, facendoci voltare verso l’ingresso della tenda. Biancaneve era in piedi sulla soglia, con al fianco Regina e Zelena. «Non abbiamo più tempo da perdere».
«Anch’io sono d’accordo con il pirata», intervenne Regina. «Hyde ha davvero passato il limite. Mettiamo la parola fine a tutta questa faccenda».
«Sei sicuro che il bastone riuscirà a fermarlo?», domandò ancora David al dottore, che per tutta risposta si limitò ad annuire.
«Bene». Mary Margaret si fece avanti prendendo il bastone dalle mani del dottore. Aveva lo sguardo deciso e fiero, ma si vedeva quanto il suo volto fosse devastato dal dolore. «Andiamo a riprenderci mia figlia». La voce le tremò sull’ultima parola e suoi occhi, nonostante facesse di tutto per trattenersi, si riempirono di lacrime. Era ovvio che David prima di chiamarmi avesse avvisato sua moglie e che lei, come me, non riuscisse più ad aspettare. Voleva chiudere la questione una volta per tutte.
«Ci riprenderemo Emma», le disse Regina, mentre David andava ad abbracciarla. «Hyde la pagherà per aver osato profanare il suo corpo». Oh sì: l’avrebbe pagata cara, che gli eroi l’avessero voluto o meno, lui avrebbe fatto sicuramente una brutta fine. Parola di Killian Jones, Capitan Uncino.
«Che cosa?», domandò mia madre all’improvviso. «Che altro ha fatto Hyde?». Mi accarezzò un braccio, fissandomi negli occhi e aspettando una mia spiegazione.
«Ha prelevato il corpo di Emma dall’obitorio», sussurrai, faticando a pronunciare quelle parole.
«No, non è possibile!», replicò di getto, come se credesse la cosa del tutto improbabile. «Non è stato… cioè non può essere vero». Si era corretta in extremis, come se continuando avesse potuto dire qualcosa che non avrebbe dovuto.
«Purtroppo sì», rispose David al mio posto. «Abbiamo un video che testimonia che lui e la Regina Cattiva hanno prelevato il suo corpo». Anche se aveva cercato di usare un tono più freddo possibile, la voce aveva vacillato sulle ultime parole.
«Mio Dio!». Mia madre non aggiunse altro, e assunse un atteggiamento pensieroso.
«Basta», intervenni, «ormai è finito il tempo per restare a pensare o a decidere strategie. Dobbiamo agire, andiamo all’attacco e riprendiamoci quello che è nostro; non li permetterò di portarci via anche l’ultima parte di Emma». Non avrei permesso di toglierci anche l’ultima possibilità per dirle addio.
Gli altri annuirono, concordando con me, e mi seguirono fuori dalla tenda, condividendo il mio stesso stato d’animo.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti (e buon compleanno a me! XD).
E con questo capitolo siamo giunti all’operazione cigno nero. Questa parte della storia, ad eccezione delle miei excursus molto fluff, mi è uscita abbastanza Capitan Cobra e Capitan Charming… non era nei miei piani iniziali, ma mi piacciono molto entrambe queste coppie.
Ma arriviamo ai punti salienti: ancora nessuno dei nostri eroi sa che Emma è viva, anche se… lei in qualche modo si è diciamo palesata? L’avete capito, no?
A sorpresa ho tirato fuori il video dell’obitorio che incolpa Hyde e la Regina Cattiva per la scomparsa del corpo di Emma. Ormai lo sapete, datemi tempo e tutto sarà svelato.
Un GRAZIE enorme a tutti quelli che leggono la mia storia e un GRAZIE ancora più enorme a chi recensisce.
Un bacione e alla prossima settimana!
Sara
 

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Capitolo 21
*** 21. Frammenti d’azione ***


21. Frammenti d’azione
 
Emma
Me ne restai lì impalata con le labbra tremanti. Se fosse dipeso solamente dalla mia volontà, mi sarei fiondata subito tra le sue braccia, baciandolo appassionatamente per fargli dimenticare ogni minimo dolore. Invece ero rimasta là immobile, capace soltanto di guardarlo da lontano, cercando di fargli capire attraverso il mio sguardo tutto ciò che non potevo ancora dirgli.
Non mi ero aspettata che lui mi guardasse, che lui mi vedesse veramente. Eppure c’era stato un momento in cui ero certa che Killian l’avesse sentito, mi avesse sentita, e che avesse capito quanto in realtà fossi vicina. Eravamo più che uniti e ciò mi rendeva sicura al cento per cento del fatto che lui mi avesse percepita. Anche se avevo l’aspetto di un’altra, lui era rimasto incatenato ai miei occhi e non era più riuscito ad abbassare lo sguardo. Sapevo che quello non era abbastanza per fargli intuire la verità, ma era pur sempre qualcosa. Per un momento la devastazione nel suo sguardo era sparita ed era apparso il mio Killian. Mi odiavo per la tortura che gli stavo imponendo ed odiavo Sylvia e Tremotino per avermelo imposto; anche se riconoscevo che non c’era altra scelta e che quella era la nostra migliore possibilità, non riuscivo a convivere con quella decisione. E non si trattava solo di Killian, ma anche dei miei genitori e di Henry, soprattutto di lui.
Rimasi in attesa che Killian, Henry e mio padre uscissero dalla tenda insieme a Jekyll e Sylvia ed inaspettatamente assistetti all’arrivo di mia madre con Regina e Zelena. Non mi ero aspettata che arrivassero anche loro, ma evidentemente la battaglia doveva essere più prossima del previsto. Quello era sia un bene che un male: era positivo perché presto avrei potuto rivelare la mia identità, sbarazzandomi di quell’insulso incantesimo scintillante; era negativo perché temevo troppo per l’incolumità delle persone a me care.
Dovetti fingere di dedicarmi ad altro, per evitare di insospettire Regina e Zelena. Potevo passare inosservata a mio padre ed Henry, ma loro erano piuttosto esperte e attente ai particolari. Nonostante ciò, potei osservare con attenzione mia madre, prima che anche lei sparisse all’interno della tenda di Jekyll.  Aveva lo sguardo fiero, tipico di una donna che tenta a tutti i costi di essere forte e di non crollare, ma io potevo vedere ben oltre quel suo velo di eroina coraggiosa. Mi odiai ancora di più per ciò che le avevo imposto; immaginai come sarebbe stato affrontare la morte di Henry e rabbrividii al solo pensiero.
Una volta che le tre donne furono entrate, mi avvicinai lentamente alla tenda per provare ad origliare la conversazione che si teneva all’interno. Chissà se Jekyll li aveva già detto del bastone e se in quel momento stessero proprio elaborando una sorta di piano. Ero curiosa e poi non mi piaceva per niente restarmene in disparte senza sapere ciò che stava accadendo.
Mi arrischiai iniziando ad avvicinarmi il più possibile; non era rimasto più nessuno là fuori da quando mio padre aveva fatto disperdere la folla e potevo quindi muovermi liberamente. Avanzai ancora di più verso l’entrata, tendendo le orecchie per cercare di carpire qualche voce, quando improvvisamente qualcuno uscì dalla tenda venendomi quasi addosso.
Quando alzai lo sguardo per vedere chi fosse, mi persi nel mio oceano personale rimanendo imbambolata; per mia fortuna anche lui rimase incantato come me. Ci fissammo negli occhi ed entrambi non fummo più capaci di parlare.
“Sono io”, avrei voluto gridargli, ma mi morsi le labbra per impedirmi di farlo. Killian d’altro canto sembrava spaesato: vedeva i miei occhi ma non sapeva come interpretare la cosa. Il suo sguardo era un misto di speranza, desiderio e disperazione.
«E tu chi sei?». Era stata mia madre a parlare che, essendo uscita subito dopo Hook, aveva assistito a tutta la scena. Mentre io ero naufragata negli occhi del mio pirata, tutta la mia famiglia era sbucata fuori, comprese Zelena e Regina che adesso mi guardavano con aria minacciosa. Entrambe avevano una mano sollevata, pronte ad attaccarmi ad una mia minima mossa.
Fortunatamente Sylvia uscì dalla tenda giusto in tempo per salvarmi, prima che la situazione degenerasse. «Em… Emily cosa ci fai qui?». Stava quasi per smascherare la mia identità, ma era riuscita a correggersi in tempo. In teoria non avrei dovuto farmi vedere, almeno non da così vicino; era davvero un bene che mia “suocera” avesse avuto una certa prontezza di spirito.
«Ti cercavo», risposi prontamente. «Mi hanno detto che eri qui». Cercai di camuffare la mia voce, non sapendo se l’incantesimo scintillante avesse modificato o meno anche quella.
«Beh adesso non è proprio il momento migliore», rispose, rimproverandomi con lo sguardo. Mi afferrò per il braccio e mi trascinò a qualche metro di distanza mentre gli altri mi fissavano con sospetto.
«Non avresti dovuto arrivare fin qui», sussurrò, lanciando un’occhiata a Killian che continuava a guardarmi imbambolato. Per fortuna Henry e mia madre attirarono di nuovo la sua attenzione, distraendolo da me.
«Lo so», sussurrai a mia volta. «Non credevo che sareste usciti così presto; volevo sentire cosa vi stavate dicendo, volevo capire quello che sta succedendo».
«Beh Killian e Biancaneve hanno deciso di non perdere più tempo», rispose lanciando rapide occhiate a tutto il gruppo per controllare quanto stessero ascoltando. «Stiamo andando ad attaccare Hyde. Adesso vai via e ritorna a seguirci da lontano».
«D’accordo», risposi sapendo che non mi sarei potuta unire a loro in prima linea. Di solito non mi sarei arresa facilmente, ma quella situazione richiedeva tutto un altro approccio. Per garantire l’incolumità di tutti e per poter sconfiggere Hyde e la Regina Cattiva, dovevo essere cauta e rispettare il piano di Tremotino.
Mi allontanai, lasciando che Sylvia tornasse dagli altri e si unisse alla discussione. Mentre andavo a riprendere il mio posto nell’ombra, accarezzai quella che era la garanzia migliore che potessi avere: la liscia lama del pugnale del Signore Oscuro.
 
Sylvia
Tornando dagli altri lanciai un’occhiata ad Emma che si stava allontanando lentamente. Sapevo che non ce l’avrebbe fatta a restare lontano, per fortuna il suo aspetto non tradiva chi fosse ed ero riuscita a salvare la situazione giusto in tempo.
«Chi era?», mi domandò subito Henry quando mi riunii al gruppo.
«Una donna della Terra delle storie mai raccontate», dissi facendo spallucce. Speravo davvero che potesse bastare come spiegazione.
«Non mi sembra di averla mai vista prima», sussurrò Killian in un tono appena udibile. Stava ancora osservando la direzione in cui si era allontanata. Che avesse potuto percepire qualcosa? Il loro amore era davvero così forte da vincere anche la differenza di aspetto?
«C’è talmente tanta gente», venne in mio aiuto Jekyll.
«Comunque», dissi cambiando argomento, «non dobbiamo più perdere tempo».
«Già», concordò Mary Margaret. «Dobbiamo trovare Hyde e catturarlo. Lui e la Regina Cattiva».
«Beh non ci resta che andare al negozio di Gold», continuò David. «È lì che si nascondono».
«Non credo che siano lì», intervenni. Tremotino mi aveva dato istruzioni molto precise, dicendomi anche dove avrei potuto trovare quei due mostri. E di sicuro non erano al suo negozio; non mi restava altro da fare che guidare gli altri verso il luogo giusto.
«Che cosa intendi dire?». Regina mi studiò sospettosa; non si era mai fidata di me e non credevo certo che avrebbe iniziato in quel momento.
«Beh non credo che si nascondano in un luogo così scoperto e ben visibile dopo ciò che hanno fatto a Jekyll e ad Emma». Una smorfia di dolore si dipinse sul volto di tutti sentendo nominare il suo nome.
«La Regina Cattiva ha dei poteri magici», intervenne Zelena, «sarebbe un gioco da ragazzi per lei lanciare un incantesimo di protezione sul negozio in modo da renderlo inespugnabile».
«E poi», continuò Henry, «Hyde non penserà mai che lo stiamo per attaccare adesso. Per lui abbiamo perso tutte le armi che avremmo potuto utilizzare contro di lui». Avevano ragione entrambi: convincerli a seguirmi sarebbe stato più difficile di quanto pensassi.
«Sylvia», intervenne Mary Margaret avvicinandosi di più a me, «dove pensi che potrebbero essere altrimenti?». Non mi aspettavo che lei mi facesse quella domanda; ancora una volta mi sorpresi della sua enorme capacità di fidarsi. Per lei ero quasi un’estranea eppure mi teneva talmente in considerazione da farmi esporre la mia idea.
«Quando sono stata rapita da Hyde», iniziai prendendo la palla al balzo. «Sono stata tenuta in una specie di grotta sotterranea. Era un luogo oscuro ed enorme; eravamo in delle grotte davvero gigantesche».
«Pensi che potrebbero essere lì?», mi domandò Killian.
«È un luogo ideale per nascondersi. Avete idea di dove potrebbe essere?».
«C’è solo un luogo che corrisponde alla tua descrizione», concluse Henry. «Le grotte sotto la biblioteca». Quel ragazzino era davvero molto sveglio per la sua età: aveva indovinato subito il luogo giusto. Adesso non mi restava altro da fare che incrociare le dita e sperare che trovassero il mio ragionamento convincente.
«Credete davvero che possano essere nascosti lì?». Il tono scettico di Regina fece vacillare tutte le mie più rosee speranze. Di certo ero preparata ad una sua eventuale opposizione; non sarebbe stata lei se avesse seguito subito il mio suggerimento.
«Non lo so Regina», intervenne Mary Margaret. «Il ragionamento di Sylvia però ha un senso».
«Bianca…». Regina fece per parlare ma lei la interruppe con un gesto della mano.
«Non abbiamo tempo per discutere, voglio riavere Emma. Voglio che lei possa riposare in pace». Deglutì cercando di ricacciare indietro le lacrime. «Non abbiamo tempo per usare qualche insulso incantesimo di localizzazione; lo so che un minuto più o un minuto in meno non cambierà certo la situazione, ma non voglio lasciarla nelle mani di quei mostri un secondo di più».
«Certo è ovvio». David le passò un braccio attorno alle spalle, cercando in qualche modo di consolarla, o forse di sostenersi a vicenda.
«Per questo», continuò lei voltandosi verso mio figlio, «Hook tu cosa ne pensi?». Killian alzò la testa di scatto, non aspettandosi di essere chiamato in causa. Anche noi altri eravamo sorpresi almeno quanto lui. «Credi che tua madre potrebbe avere ragione?».
Lo fissai intensamente non sapendo cosa aspettarmi dalla sua risposta. Era pur vero che il nostro rapporto si era in qualche modo riparato, ma si sarebbe fidato abbastanza da schierarsi dalla mia parte contrastando Regina? Mi avrebbe dato ragione oppure anche lui credeva che la mia fosse un’ipotesi assurda?
«Se fossi Hyde», disse dopo un secondo di silenzio, «non me ne starei nel primo posto in cui potrebbero venirmi a cercare, nemmeno se avessi la sicurezza della mia incolumità». Sospirai sollevata che avesse preso le mie parti e che in quel modo potesse convincere anche gli altri.
«Bene lo penso anch’io», concluse Mary Margaret. «Credo che dovremmo andare alla biblioteca». Lanciò uno sguardo a Regina, convincendola a non protestare oltre.
«E va bene», acconsentì quest’ultima. «Non perdiamo altro tempo allora». Annuii e mi preparai ad andare con loro, quando Killian mi appoggiò una mano sulla spalla.
«Credo che tu debba rimanere qua mamma». Lo fissai stupita e allo stesso tempo contrariata, non aspettandomi quell’esclusione.
«Cosa? Non se ne parla neanche». Incrociai le braccia al petto e assunsi un’aria autorevole. Se Emma non voleva essere esclusa, io non ero certo da meno.
«Ti prego mamma», mi supplicò fissandomi negli occhi. «Non voglio che ti accada nulla, non farmi preoccupare anche per te». Non mi ero aspettata una frase simile e per questo sentii la corazza, dentro la quale mi nascondevo, lacerarsi e le lacrime salirmi agli occhi. Se non voleva che mi accadesse qualcosa, cosa avrebbe detto sapendo che le mie ore erano ormai contate?
“Non voglio che ti accada nulla”: erano forse le parole più dolci che potesse dirmi e forse le uniche che potessero convincermi a fare ciò che voleva.
Non mi pentivo di aver sacrificato la mia vita per salvare Emma, ma per la prima volta sentii l’ingiustizia che comunque quel gesto avrebbe comportato. Killian avrebbe perso comunque qualcuno, e anche se la mia morte era più accettabile per lui rispetto a quella di Emma, avrebbe sofferto comunque. Ed io, nonostante avessi finalmente ritrovato mio figlio, avrei perso di nuovo tutto il suo futuro: non solo non l’avevo visto crescere, ma non l’avrei neanche visto diventare padre e formarsi quella famiglia che meritava.
«D’accordo», sussurrai cercando di tenere a freno le mie emozioni. «Farò come vuoi».
«Henry», iniziò Regina. «Forse dovresti…».
«Non ci provare nemmeno mamma», la liquidò prima che potesse finire. Quella semplice affermazione mi fece sorridere, anche solo per un secondo.
«Stai attento Killian», gli dissi prima che fosse troppo tardi.
«Si certo». Mi sfiorò la mano con la sua per poi avvicinarsi a Regina.
«E anche tu Jekyll». Mi avvicinai a lui e lo baciai dolcemente. Presto avrei dovuto dire ad entrambi la verità e non sapevo neanche da che parte iniziare, ma per il momento non era necessario che sapessero. Angosciarli con la mia dipartita non avrebbe fatto altro che distrarli, mettendoli ancora di più in pericolo. Inoltre Tremotino mi aveva garantito che avrei avuto il tempo per dire addio ad entrambi e per la prima volta gli credevo davvero.
 
Biancaneve/Mary Margaret
Non sapevo come, ma sentivo che Sylvia aveva ragione. Non c’era un motivo apparente che mi portasse a scartare l’ipotesi di Regina ed accettare invece quella di Sylvia, eppure dentro di me ero certa che avessimo fatto la scelta giusta. Ed era davvero tutto dire perché in quel momento faticavo davvero a distinguere tra giusto e sbagliato.
La Regina Cattiva ci era riuscita finalmente: mi aveva tolto tutto o, anche se non era tutto, mi aveva tolto mia figlia. Era una vendetta mille, diecimila volte peggiore che se avesse fatto qualcosa a me. Aveva capito che, mentre l’amore tra me e David era puro, perfetto ed indistruttibile, l’amore verso mia figlia era qualcosa che avrebbe potuto distruggere facilmente.
«Ce la faremo». Regina mi si era avvicinata e mi aveva messo una mano sulla spalla, facendomi capire che non era arrabbiata con me per la mia scelta. Un cambiamento del tutto radicale, visto che stavamo per affrontare la sua controparte malvagia. Ma la Regina Cattiva era solo malvagità, la vera Regina aveva scelto che tipo di persona voler diventare.
«Lo so», sospirai. «Andiamo». Vidi Hook avvicinarsi insieme a Jekyll dopo aver salutato Sylvia. Aveva profonde occhiaie e riuscivo a leggere sul suo volto la devastazione che in quel momento stava provando. Io avevo perso una figlia, ma lui aveva perso il suo Vero Amore, il suo futuro, di nuovo.
«Siamo pronti». Quella di Regina non era una domanda ma un’affermazione. Con un gesto della mano ci fece sparire in una nuvola di fumo, per poi riapparire proprio davanti all’ascensore posto all’interno della biblioteca.
Hook si avvicinò per primo per andare ad aprire i cancelli che ci avrebbero permesso di scendere negli abissi di Storybrooke, ma fu rispedito indietro da una sorta di scudo.
«Ma che diavolo…».
Regina e Zelena si avvicinarono contemporaneamente per poter studiare meglio cosa l’avesse respinto. Il solo fatto che ci fosse un qualche tipo di magia ad impedirci di scendere, significava che eravamo nel posto giusto. Tirai un sospiro di sollievo e cercai le dita di David per poterle stringere e poter trovare in lui un qualche tipo di conforto.
«C’è un incantesimo di protezione», concluse infine Regina. «Non sarà un problema spezzarlo, ma dopo averlo fatto sapranno che siamo qui».
«E addio effetto sorpresa», proferì Henry.
«Già, sarà scontro diretto», convenne Zelena.
«Io non mi tiro certo indietro», replicò Hook. Il suo sguardo torvo, faceva capire quanto poco gli importasse che Hyde e la Regina sapessero del nostro arrivo; voleva solo dar loro una lezione ed io ero perfettamente d’accordo con lui.
«Fallo», sussurrai. «Non abbiamo altra scelta».
«D’accordo», acconsentì Regina. «Però credo che non sia opportuno scendere tutti insieme».
«In che senso?», le domandò David. «Hai in mente qualcosa?».
«Credo che io, Bianca, Jekyll e tu dovremmo scendere per primi».
«Non se ne parla neanche. Non scenderò per secondo», protestò Hook.
«Aspetta pirata, lasciami finire. La Regina non ha alcun interesse per te; ha sempre odiato Biancaneve e David, e adesso odia me perché mi sono schierata dalla loro parte. Hyde invece sarà più interessato a Jekyll».
«Vuoi distrarli?», chiese Henry intuendo il piano della madre.
«Esattamente. Probabilmente non crederanno mai che siamo venuti da soli, ma possiamo fungere da diversivo, così voi potrete scendere e recuperare il corpo di Emma».
«Credo che sia il piano migliore». Mi avvicinai ad Hook e gli posai una mano sul braccio. «Ti prego Killian pensa a portare Emma in salvo, poi quando li avremo catturati potrai sfogarti con loro quanto ti pare». Lui sembrò voler protestare, ma alla fine si arrese con un sospiro.
«D’accordo, farò come volete».
«Bene», proseguì Regina. «Manderò un segnale a Zelena per indicarvi quando sarà il momento giusto per scendere».
«Mi terrò pronta sorellina».
«Perfetto». Regina sospirò per poi alzare lo sguardo su Hook. «Pirata ti affido Henry, se dovesse accadergli qualcosa ti riterrò direttamente responsabile; e lo stesso vale per te sorellina».
«Lo proteggerò a costo della vita», le rispose, mentre Zelena si limitò ad annuire.
«Stai attenta mamma». Henry si sporse ad abbracciarla per poi venire a salutare anche noi, mentre Regina e Zelena spezzavano definitivamente l’incantesimo di protezione.
Jekill, David, Regina ed io, i quattro prescelti, salimmo silenziosamente nell’ascensore e dopo qualche secondo cominciammo a scendere con estrema velocità.
Quando arrivammo, l’oscurità ci avvolse impedendoci di vedere nitidamente. Non ci volle però molto prima che delle luci si accendessero davanti a noi e la Regina Cattiva ed Hyde ci comparissero davanti.
«Ma bene cosa abbiamo qui?», disse lei con quel suo tono sprezzante. «Non credevo che avreste avuto il fegato di venirci ad affrontare».
«Beh ti sbagliavi», rispose Regina, «è l’ora di chiudere una volta per tutte la questione tra di noi».
«Ma guarda, dottore», intervenne Hyde, «non pensavo che perfino tu avresti avuto la forza per venirmi a contrastare. Ebbene anche tu vuoi definitivamente chiudere i conti con me?».
«Sì», rispose Jekyll, cercando di assumere un tono di voce più sicuro e coraggioso del solito.
«È ora di finirla Regina», proruppi. «Lo sappiamo benissimo che tutta questa storia è iniziata perché io non ho saputo mantenere un segreto. Non hai già ottenuto la tua vendetta? Cos’altro vuoi ancora?».
La Regina Cattiva mi squadrò fissandomi col suo sguardo malefico. «Sì è vero, vedere l’espressione disperata sul tuo volto è sicuramente molto gratificante».
«Mi hai portato via mia figlia, cos’altro vuoi da lei?». Mi squadrò perplessa, aggrottando le sopracciglia, per poi ricomporsi un istante dopo.
«Niente», rispose. «Adesso che la Salvatrice è morta non potete più fare nulla, non ci sarà più nessuno che vi verrà a salvare».
«Appunto», intervenne David. «Per questo siamo qui: ridateci almeno il corpo di nostra figlia».
«Cosa?», domandarono all’unisono i due mostri.
«Sappiamo che siete stati voi», continuai, «non avete già fatto abbastanza togliendole la vita? Volete toglierci anche la possibilità di darle un ultimo addio?». Sentii le lacrime pungermi gli occhi per uscire, ma facendo un profondo respiro cercai di ricacciarle indietro.
«Cosa?», ripeté di nuovo Hyde. «Ci credete dei mostri fino a tal punto? Noi non abbiamo fatto niente al cadavere di vostra figlia». Quella bugia, quella ostentazione di innocenza mi fece passare ogni limite. Stavano negando l’evidenza e non potevo sopportare oltre
«Basta!», gridai. «O ci ridate il corpo di Emma o dovrete vedervela con tutti noi».
«Beh è davvero un problema», mi rispose la Regina, «visto che non abbiamo minimamente idea di cosa stiate parlando».
«Bene», ribatté Regina, «allora se non vi arrendete con le buone, dovremo passare alle cattive maniere». E così dicendo partimmo tutti e tre all’attacco, io impugnando il bastone, David la pistola e Regina una palla di fuoco, ma non prima di aver fatto partire un avviso luminoso per indicare agli altri di scendere.
 
Emma
Dopo che furono spariti in una nuvola di fumo, non mi ci volle molto per tornare da Sylvia.
«Perché non sei andata con loro?», le domandai avvicinandomi.
«Killian mi ha chiesto di rimanere in disparte. Voleva che fossi al sicuro».
Sorrisi pensando al mio dolce pirata. «È tipico di lui».
«Già, solo che non me l’aspettavo». Anche se lo nascondeva bene, capii che quel gesto l’aveva turbata. Probabilmente non si era aspettata un tale attaccamento proprio quando le restavano poche ore di vita.
«Sylvia», iniziai.
Lei mi fermò con un gesto della mano. «No Emma. So cosa stai per dire ma non lo fare». Annuii, sapendo bene che ormai la sua decisione era presa e che era impossibile da cambiare.
«Allora andiamo anche noi?», mi chiese cambiando argomento.
Non mi ero aspettata neanche per un secondo che lei obbedisse all’ordine di Killian. In questo eravamo molto simili: lui non poteva chiederci di rimanere in disparte, era troppo per noi. «Certo andiamo».
Con gesto della mano ci trasportai davanti all’ingresso della biblioteca; facendo il minimo rumore entrammo, ma fummo costrette a rimanere nascoste dietro uno scaffale vicino all’entrata perché Killian, Zelena ed Henry erano rimasti lì, mentre gli altri erano appena scesi.
«Perché diavolo non vanno tutti insieme?», domandai temendo per l’incolumità dei miei genitori. Da lassù non potevo controllare ciò che avveniva nelle grotte e loro erano appena andati incontro a due mostri completamente malvagi.
«Non ne ho idea», rispose perplessa Sylvia.
Un sussurro alle nostre spalle ci fece voltare di scatto. «Per recuperare il tuo corpo». Gold era apparso dietro di noi: era ovvio che venisse a controllare la situazione e soprattutto il suo pugnale.
«Cosa?», domandai ancora più confusa di prima.
«Aspetta», mormorò Sylvia. «Era per questo che prima dicevano…». Lasciò la frase a metà, assumendo un’espressione sconcertata.
Resistetti all’impulso di alzare la voce per evitare di farci scoprire. «Mi volete spiegare?».
«Beh ho pensato di dare una sorta di input motivazionale al tuo pirata, modificando leggermente il video della sorveglianza dell’ospedale».
«In che senso?», domandai titubante, temendo il peggio.
«Ho fatto credere che fossero stati Hyde e la Regina Cattiva a prelevare il tuo corpo».
«Cosa?», quasi urlai, per fortuna gli altri non parvero sentirmi. Stavano parlottando tra loro e probabilmente stavano attendendo una sorta di segnale.
«Come hai potuto fare una cosa del genere?», proseguii a bassa voce. Non solo aveva fatto credere che fossi morta, ma anche che Hyde e la Regina avessero trafugato il mio cadavere! Killian doveva essere furibondo. Lo conoscevo troppo bene; anche se si stava trattenendo, sapevo che nella sua testa frullava una sola idea. Si sarebbe voluto vendicare e questo l’avrebbe messo ancora di più in pericolo.
«Serviva loro la spinta giusta, per indurli ad agire subito», si giustificò. «Ma non perdiamo più tempo in chiacchiere. Gli altri stanno scendendo adesso». Mi voltai giusto in tempo per vedere Killian chiudere l’ascensore e sparire nelle profondità di Storybrooke.
«Bene». Uscii dal mio nascondiglio e mi avvicinai al montacarichi. «Credo che questo non mi serva più adesso». Con un gesto della mano mi liberai del mio incantesimo scintillante e tornai ad avere il mio aspetto. Sarei stata attenta una volta scesa nelle grotte e avrei agito di soppiatto, ma non ne potevo più di non essere me stessa. E molto probabilmente se stava iniziando una battaglia nessuno avrebbe fatto caso a me.
«Non abbiamo più tempo da perdere», dissi, «andiamo a chiudere questa faccenda».
«Emma», mi fermò Tremotino. Stava guardando la mia mano che era inconsapevolmente scivolata sopra i vestiti nel punto in cui tenevo il pugnale.
«Gold», dissi prima che proseguisse. «So cosa significa essere schiavi del pugnale; ti ho promesso che te l’avrei reso subito, una volta terminato il mio compito. Io mantengo la parola data, perciò non hai niente da temere. Io non lo userò su di te dovresti saperlo».
«Lo so», confermò. «Come Signora Oscura sai bene cosa significhi essere comandati, per questo ho lasciato che tu lo prendessi. Volevo solo dirti di stare attenta, e di far sì che non cada nelle mani sbagliate, non potrei più essere d’aiuto in quel caso». Annuii silenziosamente.
«Perché?», chiesi dopo qualche secondo. «Perché fai tutto questo?».
«Per Belle e per mio figlio», rispose. «Se non l’avessi fatto avrei potuto dire addio per sempre ad entrambi».
«Non è da te». Era stata Sylvia a parlare. «O almeno non è tipico del Signore Oscuro». Già non era proprio da lui.
«Forse avete ragione a dubitare di me, ma se ho cercato per secoli di tornare da Bealfire per modificare la mia scelta, cosa vi fa pensare che non possa aiutarvi solo per non rovinare il rapporto con mio figlio, ancor prima che nasca?». Il suo ragionamento non faceva una piega, però era strano essere aiutate da Tremotino in persona. Lui non faceva certo parte degli eroi, anzi era il primo a creare problemi. Per la prima volta intuii quello che Belle aveva sempre visto in lui; Tremotino non era solo malvagità come Hyde o la Regina Cattiva, lui poteva essere buono solo aveva troppa paura per fare la scelta più difficile. Essere un eroe comportava mille difficoltà e lui nonostante tutto il potere accumulato restava comunque un codardo. Aveva troppa paura di fallire per riuscire a fare la scelta giusta.
Quella era la prima volta che tentava di rimediare ai suoi stessi errori comportandosi, non proprio da eroe, ma almeno in modo corretto. Ovviamente aveva ferito più persone del dovuto, ma ci stava comunque aiutando.
«D’accordo», dissi infine. «Ho un paio di persone da pugnalare al momento». Così dicendo infilai nell’ascensore pronta a riabbracciare i miei cari al più presto.
 
Killian
Quando l’ascensore si aprì davanti a noi, la battaglia stava insorgendo. Regina contro la Regina, coadiuvata da Mary Margaret, Jekyll e David contro Hyde. Feci un cenno della testa a Zelena, lasciando così che lei andasse ad aiutare gli altri.
Non mi piaceva il fatto di essere stato escluso dalla battaglia; con il mio stato d’animo avrei davvero preferito sferrare qualche pugno ad uno dei due mostri. Tuttavia avevo un compito ben più importante: dovevo riprendere il corpo di Emma e portarlo al sicuro. Per il momento era la priorità, poi sarei potuto tornare per spaccare il culo a qualcuno dei cattivi.
«Resta dietro di me», sussurrai ad Henry, cercando di fargli scudo con li mio corpo. Se gli fosse successo qualcosa Emma non me l’avrebbe mai perdonato, oltre al fatto che Regina mi avrebbe stritolato il cuore senza pensarci due volte.
La battaglia infervorava, mentre io ed Henry proseguivamo al lato della grotta in una ricerca disperata del suo corpo. Dovevano averlo nascosto lì da qualche parte, non potevamo aver scatenato tutto quel casino per niente. Avevo come la netta sensazione che fosse lì vicino, ad ogni passo sentivo di avvicinarmi di più a lei.
Per un attimo ripensai alla donna bionda con cui mi ero scontrato fuori dalla tenda del dottore. I suoi occhi erano identici a quelli di Emma, lo stesso colore, la stessa espressione. Però lei era morta, avevo stretto il suo corpo senza vita tra le braccia e non era sensato torturarmi con quei pensieri. Se lei fosse stata davvero viva non ci sarebbe stato un solo motivo valido per non tornare da me. Era ovvio che ero talmente traumatizzato dalla sua morte che avevo iniziato a vedere cose che non c’erano. Quella donna probabilmente aveva gli occhi simili ad Emma ed il mio inconscio me li aveva semplicemente fatti percepire identici ai suoi.
«Dove credi che possa essere?», mi domandò Henry in un sussurro. «Questa caverna è gigantesca».
«Già». Aveva ragione e purtroppo non si riusciva neanche a distinguere bene in lontananza. Se conoscevo bene la Regina Cattiva e il suo stile, il corpo di Emma doveva essere in una sorta di teca, come Biancaneve durante l’incantesimo del sonno; tuttavia non era stato proprio così quando Emma era stata vittima dello stesso sortilegio. Per un attimo iniziai a temere che le mie sensazioni stessero iniziando a prendersi gioco di me e che non avremo ritrovato il suo corpo in quel posto.
«Hai qualche idea su come trovarla ragazzino?». Feci giusto in tempo a finire la frase che una palla infuocata si scagliò contro di noi. Ebbi la prontezza di riflessi di chinarmi e trascinare giù anche Henry, facendogli scudo col mio corpo.
Tentai di guardare se quello fosse stato un colpo destinato a noi, oppure se eravamo noi per puro caso capitati nella sua traiettoria. Non riuscivo a capire chi stesse prevalendo sull’altro; sentivo i rumori della battaglia, ma riuscire a distinguere le figure in movimento, nel buio, in mezzo a colpi di magia, era un’impresa piuttosto difficile.
Se però la battaglia continuava, significava che Biancaneve non era ancora riuscita a mettere al tappeto nessuno con l’arma del dottore. Probabilmente il fatto che la Regina Cattiva avesse la magia dalla sua rappresentava un vantaggio non indifferente; ma anche noi avevamo due streghe a disposizione.
All’improvviso però la mia attenzione si spostò sull’altro mostro. Hyde stava combattendo con Jekyll da solo; David sembrava essere sparito. Era ovvio che il dottore non poteva aver la meglio contro la sua controparte, lui così gracile e l’altro così possente. Ed era altrettanto evidente che Hyde non aspettava altro che la possibilità di finire una volta per tutte il dottore.
Hyde aveva schiacciato a terra Jekyll e lo stava soffocando. Io ero comunque troppo distante per riuscire ad intervenire in tempo per salvarlo, e unirmi alla battaglia avrebbe significato cessare le ricerche di Emma e lasciare Henry scoperto.
All’improvviso però il volto di Hyde fu colpito da una pietra. Voltai la testa per vedere chi diavolo fosse intervenuto così prontamente e per poco non mi venne un colpo. Mia madre era lì, nonostante mi fossi raccomandato di non venire, lei non mi aveva ascoltato ed adesso aveva scatenato ancora di più l’ira di quel mostro.
«Lascialo stare». Riuscii a percepire la sua voce nonostante il frastuono. Agii velocemente e di istinto cercando di evitare quello che sarebbe stato un probabile disastro.
Mi voltai di scatto verso Henry prendendolo per le spalle. «Henry, ti prego stai attento, rimani qui e non muoverti almeno che non sia strettamente necessario».
«Ma…», fece per ribattere ma io stavo già correndo verso mia madre.
Hyde si stava avvicinando come una furia a lei che sembrava addirittura del tutto disarmata. Avvicinandomi vidi sul volto di mia madre un sorriso beffardo, come se volesse davvero che quel mostro la attaccasse. Si era forse bevuta il cervello? Lei non aveva niente con cui difendersi e restava immobile lì aspettandolo e guardandolo con aria di sfida. Probabilmente l’adrenalina e l’idea di salvare Jekyll le avevano completamente fatto perdere la testa.
Dovevo in qualche modo distrarre Hyde attirando la sua attenzione su di me. Prendendo spunto da ciò che aveva fatto mia madre poco prima, afferrai una pietra e gliela tirai addosso, colpendolo sulla schiena.
«Ehi, perché non te la prendi con qualcuno della tua taglia?», gridai. «In fondo noi due abbiamo un conto in sospeso». Hyde si girò e mi guardò furioso; il mio piano ebbe inaspettatamente successo perché iniziò a correre nella mia direzione. Solo allora notai che aveva una spada in mano. Da quando ce l’aveva?
“Bene Hook, ottimo spirito di osservazione”, mi dissi. Quel mostro stava caricando contro di me, con una forza fisica maggiore del normale ed una spada. Io invece avevo dalla mia parte solo un uncino e una discreta velocità.
Fu tutto molto rapido, scansai il suo primo colpo e cercai di colpirlo con un pugno che però andò a vuoto. Mentre lui si voltava verso di me sferrai un altro pugno, ma a sorpresa riuscì a schivarlo. Mi ritrovai la lama della spada ad un centimetro dal petto e prontamente arretrai.
Non mi ero aspettato che oltre ad essere forte fosse anche veloce. Sicuramente quella non era una battaglia ad armi pari; Hyde era molto più forte e non sembrava, nonostante la sua stazza, per niente affaticato.
Proseguimmo così per un po’ mentre entrambi cercavamo di colpirci a vicenda ed entrambi evitavamo i colpi dell’altro. All’improvviso però per scansare l’ennesimo affondo, inciampai cadendo al suolo. Mi ritrovai con le spalle a terra ed Hyde che lentamente si avvicinava incombendo su di me.
«Bene bene», disse puntando la lama in direzione del mio collo. «Sembra che finalmente siamo giunti ad una conclusione».
Arretrai sui gomiti cercando di allontanarmi da lui quel tanto che bastava per potermi rialzare, quando improvvisamente sentii una parete rocciosa alle mie spalle. Ero in trappola senza più possibilità di fuga.
Hyde aveva un sorriso beffardo stampato in volto; probabilmente voleva la mia fine almeno quanto quella del dottore. Cercai di vedere oltre di lui: mia madre e Jekyll sembravano spariti, gli altri erano tutti impegnati a combattere e non prestavano certo caso a noi. La Regina doveva essere un osso duro almeno quanto Hyde.
Lo guardai negli occhi, rivolgendogli un’espressione sprezzante. Non avevo paura di lui e ancor meno avevo paura della morte: ci ero già passato. Avrei presto raggiunto Emma e forse questa era la mia più grande consolazione; sperai soltanto che Henry e mia madre fossero al sicuro.
«Di’ le tue ultime preghiere Hook». Chiusi istintivamente gli occhi nello stesso istante in cui sferrò il colpo. Fu quando non lo sentii arrivare che sbalordito li riaprii e ciò che vidi riuscì a farmi esplodere il cuore nel petto.
Lei era lì, davanti a me; mi stava dando le spalle, ma l’avrei riconosciuta ovunque, non c’era nessun dubbio. Emma, smentendo ogni minima possibilità, era in piedi di fronte a me, viva e pronta a difendermi come sempre. Così come l’avevo vista completamente senza vita, adesso l’osservavo combattiva e vitale, nella sua forma migliore.
«Forse è meglio che sia tu a dire le tue ultime preghiere, Hyde», disse. La sua voce era per me come un bicchiere d’acqua per un assetato; era un coro di campane, un canto di un usignolo, il suono più soave che avessi mai udito. Credevo che non avrei più avuto la possibilità di sentirla, che non avrei più potuto udire il suo tono cristallino da nessuna parte. Invece le sue dolci note mi stavamo facendo esplodere il cuore nel petto.
“Dio se è un sogno”, pensai, “non voglio svegliarmi mai più”.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica a tutti e quindi buon capitolo!
Inizio col dire che non sono molto convinta di questa parte. Ho voluto dividere la scena in tanti punti di vista differenti perché prendendone in considerazione solo uno o due avrei perso vari elementi importanti. Spero per questo che il tutto non sia venuto fuori un po’ troppo slegato e sconclusionato. Ci sono dei capitoli che mi restano più ostici e questo ne è uno.
Spero di aver reso bene la scena della battaglia; mi sento più capace ad esprimere le sensazioni che le azioni di per sé, e perciò ho cercato di ridurre al minimo le scene del combattimento e di aggiungere qualche momento introspettivo in più.
Ringrazio come ogni volta chi legge, chi segue la mia storia e chi recensisce.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un abbraccio e alla prossima settimana!
Sara

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Capitolo 22
*** 22. Di nuovo insieme ***


22. Di nuovo insieme 
 
Era quasi impossibile che Killian riuscisse a restare in disparte, senza intervenire. Sylvia era riuscita a richiamare l’attenzione di Hyde e lo stava attirando proprio nella nostra trappola, quando lui si era intromesso. L’aveva fatto per salvare sua madre che credeva in pericolo; era stato un gesto nobile, considerando che lui era completamente disarmato ad eccezione del suo uncino, ma aveva anche rovinato tutto il nostro piano. Oltre al fatto che era quasi riuscito a farmi morire di paura.
Dopo che Hyde aveva cominciato ad attaccarlo non ero più riuscita ad intervenire, temendo di ferire anche lui col pugnale se mi fossi unita allo scontro. E poi lui era scivolato, finendo in trappola e facendomi perdere altri dieci anni di vita.
Tremotino era andato ad aiutare gli altri con la Regina Cattiva – quella frase suonava ancora strana nella mia testa – io dovevo per il momento occuparmi solo di Hyde e stavo permettendo che Killian ci rimettesse la vita di nuovo. Quasi…
In un secondo mi materializzai tra Hyde e Killian, giusto l’attimo prima che lui sferrasse il colpo. Quel mostro mi guardò sbalordito non credendo ai propri occhi, il braccio che impugnava la spada gli restò alzato a mezz’aria come pietrificato nell’atto di sferrare il colpo. Era rimasto completamente paralizzato ed era esattamente l’effetto che avevo sperato facesse la mia comparsa.
«Forse è meglio che sia tu a dire le tue ultime preghiere, Hyde», dissi. E poi, senza perdere altro tempo, lo pugnalai. Affondai la lama nel suo petto, approfittando della sua momentanea confusione. Avevo pensato che sarebbe stato un po’ come una semplice coltellata, invece quando il pugnale toccò la sua pelle non affondò più e dei fasci di oscurità scaturirono dalla lama per afferrare Hyde. Era la stessa sostanza che mi aveva fatto diventare la Signora Oscura, solo che in quel momento restava legata al pugnale e cercava di trascinare il mostro al suo interno.
Hyde cercò di opporre resistenza ma i lacci di oscurità l’avevano avvolto e lo stavano, centimetro dopo centimetro, risucchiando dentro il pugnale. L’oscurità era troppo forte e per quanto lui potesse cercare di contrastarla non avrebbe mai vinto: era una battaglia persa in partenza. Ed infatti, in un secondo, quando le forze di Hyde vennero meno, un lampo di luce accecante mi fece chiudere gli occhi e quando li riaprii Hyde non c’era più.
Abbassai il braccio con il pugnale, ben sapendo che quella luce improvvisa aveva sicuramente attirato l’attenzione della Regina Cattiva e che non avrei più potuto contare sull’effetto sorpresa con lei, come avevo fatto invece poco prima.
Riuscivo a percepire la presenza di Killian dietro di me, il suo sguardo fisso sulla mia schiena; potevo anche immaginare l’espressione stupita e meravigliata dipinta sul suo volto. Avrei dovuto soltanto girarmi e sarei potuta correre da lui per abbracciarlo, baciarlo, rassicurarlo e per fare sparire dal suo volto ogni sorta di dolore.
Se l’avessi fatto, però, non sarei più riuscita ad allontanarmi. Se mi fossi voltata e l’avessi guardato negli occhi, non avrei più avuto la forza per staccarmi da lui e concludere prontamente il compito che stavo svolgendo. Né io mi sarei riuscita ad allontanare né lui mi avrebbe lasciata andare. Per quanto desiderassi stringermi tra le sue braccia, sapevo che avrei dovuto ancora aspettare. Gli altri restavano in pericolo e dovevo riuscire a salvarli prima di pensare a me stessa.
Fu quasi doloroso sparire in una nuvola di fumo, senza voltarmi neanche per guardarlo negli occhi, ma pensai che presto non l’avrei più lasciato e che comunque lui era ormai al sicuro, sano e salvo.
Mi materializzai a poca distanza dal nucleo principale della battaglia. Lo scontro continuava: evidentemente si doveva essere interrotto solo per un secondo alla vista della luce improvvisa causata dalla scomparsa di Hyde. Il bastone, che doveva servire per mettere al tappeto quei due mostri, era abbandonato per terra spezzato; Zelena era priva di sensi da un lato, ma con molta probabilità non aveva niente di grave. Regina e i miei genitori stavano combattendo con la Regina Cattiva, che indubbiamente si era dimostrata più forte del previsto. Avevano tutti qualche graffio ma nel compenso sembravano stare bene; tirai un sospiro di sollievo almeno per quello.
Erano tutti talmente presi dalla battaglia da non fare caso a me e probabilmente non mi avevano visto neanche vicino ad Hyde; anche se avevano intuito che era appena accaduto qualcosa – il bagliore di luce non poteva essere passato inosservato – nessuno di loro l’avrebbe ricollegato a me. Capivo, però, che pugnalare la Regina non sarebbe stato altrettanto semplice.
«Ho aspettato che tu arrivassi prima di intervenire». La voce di Tremotino alle mie spalle mi fece sobbalzare. «Se la stavano cavando bene e se mi fossi intromesso l’avrei insospettita inutilmente».
«Bene», sussurrai, «adesso non perdiamo più altro tempo».
Fu proprio quando la Regina Cattiva scagliò una palla di fuoco verso mia madre che decisi di intervenire, palesando così la mia presenza. Quasi certamente lei sarebbe riuscita ad evitarla, ma non volevo correre alcun rischio. Fermai la palla respingendola con la magia ed attirando inevitabilmente l’attenzione su di me.
«Cosa diavolo…». La Regina si interruppe a metà frase scorgendo la mia figura. La battaglia cessò di colpo mentre gli sguardi di tutti i presenti si posavano su di me.
«Emma…». Le labbra di mia madre tremarono visibilmente pronunciando il mio nome. Le rivolsi un dolce sorriso e uno sguardo che stava a significare che le avrei spiegato presto tutto quanto.
«Non ci posso credere». La voce della Regina era solo un sussurro. «Credevo di essermi liberata definitivamente di te».
«Non è così facile liberarsi di me», ribattei.
«È impossibile», ripeté come se non potesse credere ai suoi occhi.
«Invece è del tutto possibile», intervenne Tremotino, mostrandosi e posizionandosi accanto a me. Sentii gli sguardi di tutti scrutare attentamente sia lui che me, ma mi limitai a guardare soltanto la Regina Cattiva. Così come con Killian, non avrei concluso il mio compito se mi fossi soffermata su di loro.
«Sei stato tu», lo accusò.
«Può darsi mia cara. Ti avevo avvertito che non avrei fatto più i tuoi interessi se avessero intralciato i miei».
«Quindi adesso sei passato dalla parte dei deboli?». Rise sprezzante, riconquistando quella sicurezza che aveva perso poco prima. «Non ti credevo capace di cadere così in basso Tremotino».
Gold rise. «Mi dispiace contraddirti ma sei tu quella caduta in basso, sappiamo entrambi come finirà questa storia e sicuramente non sarà una fine piacevole almeno per te».
«Ti sbagli a definirci deboli», mi intromisi, «soprattutto visto che io sono la persona che metterà fine alla Regina Cattiva per sempre».
«Beh su questo staremo a vedere». Fece per scomparire ma Tremotino prontamente fece materializzare un paio di manette ai suoi polsi, impedendole di portare a termine la sua azione.
«Credevi davvero che bastasse un trucchetto così semplice? Non ti ho davvero insegnato nulla?».
«Voi non potete uccidermi», rise sprezzante, non potendo più utilizzare nessun tipo di controffensiva se non quella verbale.
«Tecnicamente è vero», risposi, «ma può darsi che ti aspetti una fine ben peggiore. Forse ti è sfuggito un piccolo particolare: Hyde non c’è più ormai, adesso toccherà a te».
Per la prima volta sul volto della Regina si disegnò la paura. Sapeva di essere ormai arrivata al capolinea e di non avere più scampo. «Tu», mi minacciò, «tu sei la Salvatrice, non oserai farlo. Non sarai capace di farmi del male, sei troppo buona per questo».
«Devo forse ricordarti che ho appena fatto la stessa cosa ad Hyde? E poi non ti ucciderò, mi limiterò a confinarti nel posto in cui dovresti stare, senza più nessuna via di scampo». Mi avvicinai lentamente a lei, percependo di nuovo la tensione che cresceva ad ogni mio passo. Tutta l’attenzione era puntata sul mio corpo, tutta la mia famiglia era concentrata su di me e sul gesto che stavo per compiere.
Tirai fuori da sotto i vestiti, dove l’avevo accuratamente riposto poco prima, il pugnale del Signore Oscuro. La Regina impallidì scorgendo quell’oggetto tra le mie mani e subito puntò lo sguardo su Gold.
«Mi hai ingannata e manipolata per tutto questo tempo!».
«Non l’avrei fatto se fossi stata corretta tu stessa. Dovresti saperlo: nessuno può ingannare il Signore Oscuro e credere di farla franca».
La Regina si dimenò cercando di togliersi le manette, mentre io mi avvicinavo a lei. Non riuscendo a liberarsi le mani, indietreggiò ma mio padre prontamente la riprese stringendola per le spalle.
«Fallo Emma», mi disse tenendola ferma. «Fai quello che devi fare». Mi avvicinai ancora di più a lei, annullando la distanza che c’era tra noi. Alzai il pugnale mentre lei mi guardava, non rinunciando anche in quel fatidico momento al suo ghigno malefico. Abbassai il pugnale, ma mi fermai a pochi centimetri dalla sua pelle. Il sorriso sprezzante che le si disegnò sul volto mi fece quasi venire voglia di non essermi fermata. Ma c’era una cosa che dovevo fare: c’era qualcun altro che meritava di compiere quel gesto almeno quanto me.
«Regina…». Mi voltai verso di lei che mi osservava allibita e senza parole. «Credo che dovremmo farlo insieme».
«Cosa?». Era del tutto impreparata a quella mia richiesta e non sapeva come interpretare la cosa.
«Credevi già di averla uccisa una volta, penso che dovresti essere anche tu a mettere fine alla Regina Cattiva per sempre. Tu ed io, insieme». Annuì e si mosse come un automa verso di noi, mettendosi al mio fianco. Lasciai che impugnasse con me il pugnale e lo alzasse sopra la sua metà cattiva, che continuava a guardarci con un misto di terrore e sfacciataggine. Sapevo che non avrebbe cambiato atteggiamento neanche di fronte alla morte; in un certo senso non mi sarei aspettata niente di diverso da lei.
«Pronta?», domandai.
«Lo sono». La sua voce era solo un sussurro, il suo sguardo era posato sulla sua copia.
«Al mio tre. Uno, due e tre». Affondammo il pugnale su di lei e, come era successo poco prima con Hyde, questo si fermò a contatto con la sua pelle, liberando i lacci di oscurità che cominciarono ad avvolgerla. Mio padre si scostò, facendo si che l’oscurità potesse legarla e trascinarla dentro il pugnale; la Regina tentò di opporre resistenza, ma il fatto che avesse le manette rese la sua opposizione molto debole. In un secondo i lacci la risucchiarono e la imprigionarono nel pugnale, liberando una luce accecante.
Quando la luce si spense, sentii la mano di Regina lasciare la presa sul pugnale e vidi il braccio ricaderle pesantemente sul fianco.
«È finita», sospirò come se fosse esausta.
Sorrisi, felice che lei fosse finalmente riuscita a liberarsi della parte malvagia che l’aveva da sempre tormentata. «Sì è finita». In un gesto di slancio l’abbracciai, stringendo quella che ormai era a tutti gli effetti la mia migliore amica.
Anche se goffamente Regina ricambiò il mio abbraccio. «Sono contenta che tu stia bene Emma, niente sarebbe stato più lo stesso senza di te».
Mi staccai sorridendo, toccata dalle sue parole; ma non ebbi il tempo di elaborarle perché due braccia mi si gettarono al collo, stringendomi così tanto da impedirmi quasi di respirare.
«Emma… bambina mia». Le parole erano un misto di suoni e singhiozzi.
«Mamma». L’abbracciai forte, lasciando andare il pugnale che cascò a terra con un suono metallico. Sapevo che Tremotino non avrebbe esitato a riprenderselo, ma non aveva più importanza. Era suo, ed io avevo ben altro a cui pensare.
«Tesoro». Mio padre ci abbracciò, stringendoci entrambe tra le sue braccia e dandomi un bacio sulla testa.
«Papà…», sussurrai felice di poter finalmente riabbracciare la mia famiglia.
Mia madre si scostò leggermente per potermi prendere il viso tra le mani e potermi guardare negli occhi. Aveva le guance rigate dalle lacrime ed un’espressione tale da far venir voglia di piangere anche a me. Quanto male avevo inferto loro? Che dolore terribile doveva essere stato per tutti quanti. Far credere a due genitori di aver perso la figlia per sempre era stata una vera e propria crudeltà.
«Non posso credere che tu sia viva», sussurrò mia madre.
«Pensavamo di non essere riusciti a salvarti», continuò mio padre.
«Mi dispiace tanto. Non avrei voluto arrivare a questo… devo spiegarvi così tante cose».
«C’è tempo», mi fermò  mia madre, «adesso c’è tempo».
«Mi siete mancati tanto». Non erano passati più di due giorni eppure mi sembrava che fosse trascorso un secolo.
«Anche tu, non sai quanto», rispose mio padre. Proprio mentre le sue parole mi arrivarono all’orecchio lo vidi: ecco un altro pezzo fondamentale della mia vita che non vedevo l’ora di riabbracciare. Henry si stava avvicinando e mi stava guardando sull’orlo delle lacrime. Scivolai via dall’abbraccio dei miei genitori per poter andare da lui. Gli corsi incontro nello stesso istante in cui lui si fiondò su di me gettandomi le braccia al collo.
«Mamma», mormorò affondando il viso nella mia spalla.
«Va tutto bene Henry, sono qui adesso».
«Sapevo che ce l’avresti fatta, sapevo che avresti superato tutto». Il mio piccolo ragazzino che non avrebbe mai smesso di credere in me. Mi sembrava ieri che un piccolo nanerottolo era venuto a bussare alla mia porta dicendo di essere mio figlio e trascinandomi in un mondo di avventure che mi aveva permesso di trovare la mia famiglia ed anche l’amore.
«Ti voglio bene Henry», dissi lasciandogli un bacio sulla testa. «Non sai quanto». Mi aveva fatto capire cosa significasse essere madre, cosa volesse dire crescere un’altra persona e farla diventare soprattutto una brava persona, esattamente come era lui. Mi aveva fatto comprendere cosa significasse veramente l’espressione “darei la vita per te” e cosa veramente fosse l’amore. Amavo mio figlio in modo incondizionato, come ogni genitore deve fare; non ero più la ragazzina impaurita che l’aveva abbandonato per dargli un futuro migliore. In qualche modo era stato mio figlio a farmi crescere e maturare, nonostante dovesse solitamente avvenire il contrario.
«Ti voglio bene anch’io mamma», sussurrò stringendomi di più.
E poi, mentre stringevo tra le braccia il mio ragazzino coraggioso, lo vidi; alzando lo sguardo sopra la spalla di Henry, vidi l’altra metà del mio cuore. Mi sembrava quasi impossibile che non l’avessi ancora abbracciato.
Killian era fermo ad una decina di metri di distanza e mi guardava con un’espressione indescrivibile. Sembrava non credere ai propri occhi, pareva che avesse quasi paura di assecondare ciò che la vista gli stava proponendo. Mi guardava con la bocca semiaperta, le braccia abbandonate lungo i fianchi, incerto se venire da me oppure no.
Sentendo il mio corpo tendersi verso Killian, Henry voltò leggermente la testa per vedere cosa, o meglio chi, avesse attirato la mia attenzione.
«Vai da lui mamma», mi disse sciogliendosi dal mio abbraccio. «Credo che abbia proprio bisogno di te adesso». Gli sorrisi scompigliandogli i capelli con la mano e lo lasciai andare per dirigermi finalmente tra le braccia di colui con cui avrei voluto passare il restò dell’eternità.
Hook non si mosse mentre accorciavo la distanza tra di noi; rimase fermo quasi temesse di vedermi scomparire ad un suo minimo movimento. Avvicinandomi potei finalmente ammirare il colore meraviglioso dei suoi occhi, pieni delle miriadi di emozioni che riuscivano a trasmettermi. Potevo leggervi desiderio, speranza, incredulità, felicità e purtroppo anche dolore, tutto insieme; la sua testa sarebbe presto esplosa con tutti quei sentimenti contrastanti.
«Ehi», sussurrai a pochi passi da lui. Non mi rispose ma continuò a scrutarmi con quello sguardo che riusciva sempre a farmi sentire le farfalle nello stomaco.
Annullai del tutto la distanza tra di noi e appoggiai la fronte sulla sua, in quello che era il nostro gesto. Lo sentii sospirare profondamente quando la mia pelle entrò in contatto con la sua, come se per tutto il tempo in cui mi aveva creduto morta avesse smesso anche lui di respirare. Gli posai una mano sulla guancia e a quel mio gesto lui chiuse gli occhi, godendo della sensazione delle mie dita sul suo viso.
«Sei qui». Furono le prime parole che mi rivolse e furono soltanto un sussurro. Annuii leggermente chiudendo gli occhi anch’io, sapendo che non sarebbero servite ulteriori parole. Percepii il suo uncino sfiorarmi il fianco e premermi contro di lui, mentre la sua mano risaliva lentamente per accarezzarmi la guancia fino a perdersi fra i miei capelli. Il mio cuore partì all’impazzata, come se non si fosse ancora abituato alla magnifica sensazione che la vicinanza di Killian comportava. Ogni volta ricominciava ad accelerare come se fosse stata la prima.
Poggiai l’altra mano sul suo petto per riuscire a sentire anche il battito del suo cuore e fu allora che lo notai per la prima volta: i nostri cuori battevano all’unisono. Era completamente coordinati e pulsavano insieme come se lo avessero fatto da sempre. Il legame che avevamo pian piano creato tra di noi era adesso del tutto tangibile grazie alla sintonia dei nostri cuori. Sapevo che avevano iniziato a battere all’unisono perché la mia vita era letteralmente collegata alla sua, ma quel piccolo evento aveva per me un significato molto più profondo. Quello che provavamo l’uno per l’altro era finalmente espresso con i nostri cuori che battevano insieme.
«Eri tu», sussurrò facendomi riaprire gli occhi e riportandomi alla realtà. Sapevo benissimo a cosa si riferisse e sapevo anche che la sua non era una domanda ma una semplice affermazione.
«Sì. Killian mi dispiace…». Mi fermò posandomi un dito sulle labbra. Fu in quell’istante che i suoi occhi si riaprirono lentamente per permettermi di naufragare nel mio oceano personale.
«Non importa, mi basta solo che tu sia qui adesso». Mi passò il pollice sulle labbra, mentre i suoi occhi si posavano anch’essi sulla mia bocca. Non doveva aggiungere altro affinché capissi ciò che stava per fare. Lentamente la sua mano si spostò sul mio mento per alzare il mio viso verso il suo e nello stesso istante in cui chiusi gli occhi sentii le sue labbra premere sulle mie.
Le schiusi quasi automaticamente gettandogli le braccia al collo. Avevo atteso quel momento praticamente da quando mi ero risvegliata. Anche se lui non sapeva ancora tutta la verità, non sapeva del nostro legame ormai inscindibile, quel bacio per me significava che ce l’avevamo fatta, che noi ce l’avremo sempre fatta, insieme. Significava che non dovevo più avere paura perché non avrei più potuto perdere il mio Vero Amore, ed era davvero il regalo migliore che avrei mai potuto avere.
Mentre le nostre labbra si ritrovavano, Killian mi sollevò da terra facendomi girare. Risi sulla sua bocca, reggendomi a lui e strusciando il naso contro il suo, mentre i nostri cuori battevano a mille. Quando mi rimise a terra mi rivolse il suo sorriso migliore, quello che mi faceva letteralmente perdere la testa. Adoravo vederlo felice e sapere che avevo il potere di renderlo tale mi faceva del tutto perdere il controllo.
Mi avventai di nuovo sulle sue labbra, passandogli le dita tra i capelli mentre con l’altra mano cominciai a stringerlo sempre di più. Lasciai che la sua lingua trovasse la mia e che insieme iniziassero la loro frenetica danza; il suo uncino scese lungo la mia schiena, indugiò qualche secondo sul mio sedere per poi scivolare lungo la mia coscia. Me la sollevò portandosela al fianco mentre le nostre labbra continuavano imperterrite a cercarsi e a trovarsi, senza la minima intenzione di staccarsi neanche per un secondo. Passai le mani sul suo corpo per poterlo sentire con tutti i sensi possibili: l’odore, il sapore, il tatto. Anche Killian aveva la stessa intenzione: la sua mano mi accarezzava, mi stringeva, cercava di farsi strada sotto i miei vestiti.
Fu allora che lo sentimmo: un colpo di tosse prima leggero poi sempre più forte. E fu anche in quel momento che entrambi tornammo a percepire il mondo esterno. Era come se all’improvviso la nostra bolla di felicità fosse scoppiata, ricordandoci che non eravamo da soli, ma che anche gli altri erano lì e che quindi stavamo dando spettacolo. Se fossimo stati da soli saremmo finiti senza vestiti nel giro di un minuto.
A malincuore Killian mi lasciò andare, permettendomi di riappoggiare il piede a terra e di potermi staccare da lui di qualche centimetro. Mi sentii avvampare quando notai che tutti ci stavano fissando. Non so come, ma quando mi ero avvicinata a lui, avevo completamente dimenticato il mondo circostante: gli altri erano scomparsi ed eravamo rimasti solo noi. Invece in quel momento me li ritrovai tutti lì intenti a guardarci con le espressioni più disparate: mia madre e Sylvia ci osservavano con dolcezza, mio padre con uno sguardo minaccioso e pieno di disapprovazione – ero certa che fosse stato proprio lui a tossire e a interromperci. Regina aveva un’espressione sgomenta e divertita, così come Zelena e Tremotino; Henry e Jekyll erano piuttosto imbarazzati.
«Scusate», balbettai non sapendo cosa dire. «Credo che ci siamo fatti prendere la mano».
«E detto di un pirata con una mano sola è tutto dire», replicò Regina strappando una risata generale e allentando così la tensione. Approfittai di quella distrazione per intrecciare le dita con quelle del mio capitano e avvicinarmi di più a loro.
«Oh bambina mia». Mia madre mi gettò di nuovo le braccia al collo. Capivo ciò che provava: non avrebbe voluto più lasciarmi andare. Sapevo che si stava sforzando di trattenersi e che se fosse dipeso da lei non si sarebbe staccata un solo secondo da me. Probabilmente era stato uno sforzo enorme anche lasciarmi per permettermi di salutare Henry e Killian.
«Credo che sia giunto il momento delle spiegazioni», si intromise Regina. «Penso che sia tu, Emma, che Gold dobbiate aggiornarci su un bel po’ di cose. D’altronde fino a cinque minuti fa ti credevamo tutti morta».
«Avete ragione, non voglio più avere segreti». Pronunciai la frase in risposta a Regina, ma il mio sguardo era fisso su Killian. Era stato davvero difficile mentirgli, soprattutto sapendo quello che lui stava passando a causa di quelle stesse bugie. I segreti portavano sempre a dei problemi ed io non volevo davvero più averne. Era giunto il momento dell’onestà.
 
Non molto tempo dopo ci ritrovammo tutti riuniti nel salotto di casa mia; avevamo chiamato anche Belle e in quel momento stavano tutti aspettando le spiegazioni mie e di Gold. Sembrava che quella stanza negli ultimi tempi fosse destinata ad essere il luogo delle confessioni.
Ero seduta tra Killian e mia madre e stringevo ancora forte le dita del mio pirata. Sentivo addosso gli occhi di tutti, tranne che di quelle persone che già sapevano la verità. Mi chiesi come avrebbe reagito Killian sapendo del coinvolgimento di sua madre. Forse si sarebbe arrabbiato, ma cosa avrebbe detto o fatto sapendo del suo sacrificio?
«Bene», iniziai scacciando quei pensieri almeno per il momento. «Visto che ci siamo tutti penso che sia l’ora di aggiornarvi su ciò che è realmente accaduto. Mi dispiace molto avervi fatto credere di essere morta, ma non mi hanno lasciato molta scelta». Lanciai uno sguardo a Gold, facendo capire anche agli altri che lui era stato uno dei principali impedimenti.
«Emma non avrebbe voluto», intervenne, «però se non l’avessimo fatto avremo rischiato di fallire».
«Beh comunque», continuai, «non credo di essere la persona giusta per raccontarvi la verità, visto che non ho preso parte all’inizio della storia. Tuttavia, dovete sapere che stavo realmente male, non ho mai finto su questo; pensavo davvero di essere destinata a morire, di non avere più speranze. Quando è successo il peggio, quando mi avete visto “morire”, credevo di esserlo davvero, invece quando mi sono risvegliata stavo bene».
«Così all’improvviso?». Mia madre mi prese la mano libera e la strinse forte.
«Sì, non mi ero mai sentita meglio».
«Come è stato possibile?». Mio padre si rivolse a Gold guardandolo intensamente.
Vidi Sylvia sospirare, sapendo che non avrebbe più potuto tacere. «Non dovresti chiederlo a lui», dissi guardandola. «Vero Sylvia?». In un secondo si ritrovò sette paia di occhi puntati addosso. Jekyll, accanto a lei, le prese la mano per farle coraggio.
«Sì, Emma ha ragione. Non è lei che dovrebbe spiegarvi, sono io». Le dita di Killian intensificarono la stretta, mentre i suoi occhi si stringevano cercando di valutare attentamente ciò che sua madre stava dicendo.
«Quando Emma stava male», continuò prendendo coraggio, «sapevo che non saremo riusciti a trovare una soluzione in tempo a meno che non avessimo domandato aiuto a colui a cui non avrei mai voluto chiedere. Ma non potevo permettere che morisse». Puntò lo sguardo su Killian fissandolo con occhi tristi. «Avevo visto il tuo dolore, non potevo permettere che tu la perdessi».
«Così sei andata da lui?», domandò Hook. Non sapevo giudicare dal suo tono se era arrabbiato o solo sorpreso.
«Sì, volevo che la salvasse. Era stato lui a creare il problema e volevo che vi mettesse rimedio».
«Tu l’hai salvata?». Era stata Belle a parlare, rivolgendosi direttamente a Tremotino.
«Non proprio, però ho fatto ciò che potevo».
«Gold mi ha spiegato la situazione», proseguì Sylvia, «e mi ha detto ciò che dovevo fare per salvarla. Mi ha detto che Emma poteva sconfiggere Hyde e la Regina con il pugnale impregnato con la pozione di Jekyll».
«Ma Hyde l’aveva rubata!», la interruppe Henry.
«No, in realtà», risposi. «Abbiamo solo fatto credere loro di averla rubata».
«Tuttavia Tremotino», continuò Sylvia, «mi ha imposto di fare una cosa, una cosa che vi ha fatto credere che Emma fosse morta veramente, e lo ha fatto credere soprattutto a quei due mostri».
«Le hai dato la pozione che hai usato tu?». Era stato Killian a parlare, ancor prima che sua madre potesse spiegarsi; ricollegando il tutto i suoi occhi si erano fatti in qualche modo più scuri.
«Sì Killian e mi dispiace non sai quanto». Sylvia stava tentando con tutte le sue forze di non piangere.
«Quando mi sono risvegliata», intervenni in suo aiuto, «Gold, Sylvia e Jekyll mi hanno spiegato tutto e mi hanno detto che l’unica occasione che avevamo per sconfiggerli sarebbe stata usando l’effetto sorpresa. Mi hanno detto che voi mi credevate morta e che avevano un piano. Abbiamo fatto credere ad Hyde di avermi uccisa, di aver rubato la vera pozione, di potersi sentire finalmente al sicuro. Poi vi abbiamo seguiti, e sono intervenuta nel momento del bisogno».
«Ma perché non dirci la verità?». Questa volta mia madre aveva chiesto direttamente a Tremotino.
«Non vi avrebbero creduto altrimenti. Hyde e la Regina non sarebbero stati tranquilli se non avessero visto il vostro reale dolore».
«E così hai fatto credere a tutti che Emma fosse morta?», domandò Belle. «Tremotino è orribile».
«Ma era l’unica cosa da fare». Era stato Killian a parlare sorprendendo tutti. Lo guardai meravigliata dal fatto che proprio lui avesse detto una cosa simile.
«Nessuno avrebbe creduto alla sua morte se noi per primi non ne fossimo usciti devastati».
«Si ma avremo potuto fingere», protestò mio padre. «In fondo Hyde e la Regina non l’avrebbero capito».
«Invece sì», ribatté Henry. «Abbiamo saputo di Mary». Si fermò un secondo per guardare Sylvia. «Immagino che lo sappiate anche voi». Non credevo davvero che anche loro fossero riusciti a scoprire di lei.
«Sì, lo so purtroppo». Sylvia abbassò lo sguardo, torcendosi le mani. Si sentiva in qualche modo responsabile per ciò che aveva fatto la sua figlioccia e forse anche un po’ ferita e presa in giro dal fatto di aver riposto il suo amore e la sua fiducia nella persona sbagliata-
«Mary?», intervenne Regina. «Non ci sto capendo più niente, qualcuno vuole spiegarmi?».
«Vedi mamma, io ed Hook abbiamo scoperto che Mary era collegata alla associazione che ha finanziato Jekyll, è per colpa di quell’associazione che è finita nella Terra delle storie mai raccontate. Abbiamo pensato che potesse cercare una sorta di vendetta e che potesse fare da spia ad Hyde. A quanto pare avevamo ragione».
«Avete scoperto tutto questo?». Fissai sbigottita prima Henry poi Killian. «Quando?».
«Stamattina tesoro, prima di scoprire che Hyde e la Regina avevano preso il tuo corpo».
«A proposito di questo», iniziai, «è stata tutta opera di Gold. Ha modificato il video della sorveglianza. L’ho saputo anch’io solo poco fa, non volevo farvi preoccupare di più».
«Dovevo forzarvi ad agire al più presto», si giustificò. «In fondo è servito solo per farvi scoprire prima la verità».
«Okay», intervenne Regina facendo il punto della situazione. «Quindi se ho capito bene, una volta risvegliata Emma, tu hai collaborato al piano di Gold al fine di intrappolare definitivamente Hyde e la Regina Cattiva; praticamente ci avete ingannato un po’ tutti quanti e ci avete usato come delle marionette».
«Beh detta così suona peggio di quel che è stato veramente». Ciò nonostante aveva ragione.
«D’accordo». Mia madre fissò prima me e poi tornò a guardare Gold. «Ma torniamo al discorso principale: come hai fatto a salvarla?».
«Mi avevi detto», intervenne Belle, «che non potevi fare nulla per aiutarla».
Sia io che Gold fissammo Sylvia. Lei sospirò e la sua espressione si fece più triste. C’erano ancora due cose che Killian non sapeva: una l’avrebbe reso immensamente felice ma l’altra l’avrebbe comunque fatto soffrire. Purtroppo non potevamo rimandare oltre, era il momento di sganciare la bomba.
«E difatti non potevo», rispose Gold, «non da solo».
«Come?», domandò di nuovo Hook. «Come ci sei riuscito? Non mi fido di te coccodrillo, ma anche se non so cosa hai fatto di preciso, ti ringrazio comunque. Lei non sarebbe qui se tu non fossi intervenuto». Sapevo che gli era costato molto dire quelle parole al suo acerrimo nemico, eppure l’aveva fatto senza esitazione. Nonostante fosse stato proprio Gold a mettermi in pericolo, Killian era riuscito ad essere superiore e l’aveva ringraziato per aver rimediato al suo errore.
«Killian», sussurrai voltandomi verso di lui per guardarlo negli occhi, «non credo che sia Gold colui che dovresti ringraziare, almeno non del tutto. Senza Sylvia non sarei qui adesso».
Le lanciai un sorriso che lei ricambiò dolcemente e poi prosegui con le mie spiegazioni. «Non solo ha chiesto aiuto a Gold ma ha fatto in modo che io potessi sopravvivere. Sylvia ha scollegato la sua vita alla tua e ha fatto sì che Tremotino ci potesse legare la mia». Lasciai che quel concetto facesse presa nella sua mente. Vidi la consapevolezza di quell’affermazione farsi strada piano piano dentro di lui; la sua espressione riusciva a farmi leggere tutto, ogni minimo cambiamento, ogni minima ripercussione.
«Tu…», sussurrò. «Tu sei legata a me adesso?».
«Per sempre». E in meno di un secondo mi travolse in un bacio appassionato. Ricordavo ciò che avevo provato quando l’avevo appena scoperto; adesso lui stava provando esattamente le stesse cose. Sollievo, felicità, emozione, amore.
«Finché tu vivrai, vivrò anch’io», dissi quando mi lasciò andare. I suoi occhi si fecero più chiari e il suo sorriso si allargò.
«Non saremo più costretti a perderci», affermò come se stentasse ancora a crederci.
«Mai più», sorrisi. Niente più addii per noi.
«Era così semplice?», intervenne mia madre riportandoci alla realtà. «Bastava solo questo?».
Sospirai e il sorriso mi morì sulle labbra. «No, la magia ha sempre un prezzo. Il bacio del vero amore è servito per svegliare sia me che Belle; non è naturale, qualcuno è stato costretto a pagare il prezzo di questa situazione, una vita per una vita».
«Chi?», domandarono tutti insieme.
«Qualcuno che è disposto a sacrificare la propria vita per salvarmi», risposi sentendo le lacrime salirmi agli occhi al solo pensiero di ciò che presto sarebbe avvenuto.
«Chi?», fremette Killian, quasi intuendo la risposta. Lasciai che fosse la diretta interessata a svelare quell’ultima verità.
«Io Killian, sono io».


 
Angolo dell’autrice:
Buongiorno e buona domenica a tutti!
Ecco a voi la fine – meritata – di Hyde e della Regina Cattiva.
Finalmente tutti hanno scoperto la verità e c’è stato il tanto atteso ricongiungimento.
Per chi di voi temeva qualche colpo di coda da parte di Gold, beh credo che rimarrà deluso, almeno per il momento… poi non si può mai sapere. Ho pensato di riabilitare anche solo un po’ il personaggio di Rumple visto che nella serie ormai sta diventando sempre peggio, e sta scendendo in un baratro senza fondo. Non mi piace come lo stanno facendo diventare, anche per Belle e per il fatto che comunque nella terza stagione era in qualche modo riuscito a redimersi. Ora sembra invece fare chilometri indietro, il povero Bealfire si rigirerà nella tomba! Quindi ho pensato di redimerlo un po’, almeno nella mia storia, e almeno per il momento.
Ancora mille volte grazie a chi legge e recensisce ogni capitolo
Non riuscirò a pubblicare domenica prossima, visto che vado per il weekend ai mercatini di Natale, ma non preoccupatevi ;). Vorrà dire che per una volta aggiornerò di lunedì, in linea con la nuova puntata di OUAT.
Un bacione
Sara
 

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Capitolo 23
*** 23. Addio Sylvia ***


23. Addio Sylvia
 
Killian
«Io Killian, sono io». Quelle parole mi penetrarono come una lama; ogni singola sillaba affondò nella mia carne lasciando ferite invisibili.
Non mi ero aspettato nulla di diverso, l’avevo in qualche modo già capito; lo sguardo di Emma, il suo dire e non dire, l’espressioni sul volto di mia madre, erano stati tutti indizi di grande aiuto. Però affermarlo così apertamente, esprimere il concetto a parole, era una cosa del tutto diversa. Capivo ciò che quella affermazione comportava, ma allo stesso tempo non volevo che quell’idea si imprimesse nella mia mente.
Sentii le dita di Emma stringere di più le mie, mentre mi fissava con sguardo preoccupato. Anche mia madre continuava a guardarmi aspettando che io dicessi o facessi qualcosa, mentre gli altri erano tutti ammutoliti a quella notizia. Vidi Jekyll boccheggiare ed intuii che anche lui era all’oscuro del sacrificio di mia madre.
«Sylvia…», balbettò, «che cosa intendi dire?».
«Esattamente quello che ho detto». Spostò lo sguardo da me a lui, cercando in qualche modo di sembrare coraggiosa, almeno quanto il gesto che stava per compiere. «Mi dispiace tanto».
«Ma non è giusto, non c’è niente che possiamo fare?». Era stata Mary Margaret a parlare. Era una domanda lecita ma anche inutile; lo leggevo sia nello sguardo di Emma che in quello di mia madre.
«No», rispose il coccodrillo. «Non avevamo altra scelta, ho solo potuto concedere a Sylvia il tempo per dire addio alla sua famiglia».
Sentendo quelle parole non resistetti più: mi alzai di scatto e uscii di corsa da quella stanza, da quella casa. Sentii qualcuno chiamarmi, ma avevo assoluto bisogno di un po’ d’aria e di un po’ di solitudine.
Mi sedetti sui gradini davanti alla porta d’ingresso, appoggiando la fronte sulla mano. Dovevo riuscire a pensare e a fare chiarezza in quello che provavo. C’era troppa confusione, troppi sentimenti contrastanti, il mio cuore era un tumulto di emozioni.
Mia madre stava per morire: quello era un dato di fatto. Aveva sacrificato sé stessa per concedere ad Emma la possibilità di vivere. Stava per dare la vita per lei, nel gesto più altruistico che avesse mai compiuto in vita sua.
Avrei mentito se avessi detto che l’aveva fatto per Emma. Chi volevo prendere in giro? Lei l’aveva fatto per me. Aveva capito a chi potevo rinunciare e aveva agito di conseguenza. Non le era importato perdere la possibilità di una vita felice con Jekyll, non le era più importato niente di sé stessa. Se in passato aveva fatto una scelta egoistica, in quel momento e con quel gesto aveva cancellato ogni suo errore. Aveva scelto me e la mia felicità prima di tutto e ne ero consapevole.
Sarei stato un ipocrita se avessi affermato di non aver provato un certo sollievo. Era ovvio che mi dispiacesse, che la morte di mia madre mi facesse comunque male, ma non quanto quello che avevo provato fino a pochi minuti prima, fino a quando non avevo stretto di nuovo Emma tra le braccia. Sylvia non era più parte della mia famiglia da molto, forse troppo tempo, mentre Emma era diventata tutta la mia vita. Era naturale per me preferire l’una al posto dell’altra; evidentemente chiedere entrambe era troppo.
Odiavo essere il tipo d’uomo che si riduce a vivere solo per la sua amata, ma nonostante ciò lo ero. Emma era tutto per me, anche perché non mi era rimasto nessun altro. Per molto tempo mi ero considerato senza famiglia ed erano passati solo pochi giorni da quando mia madre era rientrata nella mia vita. Emma invece era diventata la mia costante, il mio punto di riferimento, la prima persona che avrei voluto vedere al mattino e l’ultima alla sera.
Provavo un’infinità di sentimenti contrastanti. Era ingiusto che mia madre fosse costretta a sacrificarsi per concedermi ciò che in passato non ero mai riuscito ad ottenere; tuttavia allo stesso tempo era, in un contorto e perverso modo, giusto: era la conclusione logica della sua storia, la fine che le avrebbe permesso di riparare a tutti i suoi errori.
Ero arrabbiato con lei perché in un certo senso mi lasciava di nuovo, proprio nel momento in cui avevo pensato di poter recuperare una parte della mia famiglia. Però le ero anche immensamente grato perché mi stava regalando la possibilità di avere un futuro con il mio Vero Amore, una vita con lei che altrimenti non avrei potuto avere. Ero felice per il mio futuro con Emma, per il fatto che non l’avrei più persa, per essere fisicamente collegato a lei; ed ero triste perché non avrei avuto un futuro con mia madre. Non avevo mai pensato di poterla includere nella mia vita, ma adesso che mi veniva strappata via sentivo la mancanza anche di cose che non avevo mai desiderato.
Sentii qualcuno sedersi accanto a me sui gradini e delle dita affusolate affondare nei miei capelli. Non avevo bisogno di alzare la testa per capire chi fosse; c’era solo una persona capace di corrermi dietro e capace di darmi un certo conforto in un momento come quello.
«Mi dispiace tanto Killian», disse sforzandosi di trovare le parole adatte.
«No», la fermai, «Emma non lo fare».
«Ma è la verità», protestò. La sua mano si fermò sulla mia testa, fermando le sue dolci carezze. «Quando l’ho saputo, quando Sylvia e Gold mi hanno detto la verità, non volevo che lo facesse. Lei l’aveva già fatto, ma io non avrei voluto che mi salvasse in quel modo, che sacrificasse la sua vita per me. Io sono la Salvatrice avrei dovuto salvare anche lei, invece è avvenuto il contrario, in un modo del tutto orribile».
«Beh Emma è proprio questo il punto». Alzai la testa dalla mano e fissai un punto indefinito davanti a me. «Io non vorrei che non lo avesse fatto, non potrei mai volere una cosa del genere».
«Ma è tua madre…».
«Ma tu non saresti qui adesso ed io questo non lo potrei sopportare». Mi girai verso di lei e la guardai negli occhi, mentre la consapevolezza di quell’affermazione faceva breccia nel suo cuore.
«Sapeva che lei non mi sarebbe bastata, che avere lei ma non avere te non sarebbe stato sufficiente. Sapeva che l’unica cosa che desideravo veramente era avere un futuro con te; per questo l’ha fatto».
«Ha scelto te, stavolta ha scelto davvero te».
Sospirai chiudendo gli occhi. «Sai non credevo che esistesse una persona che avrebbe scelto la mia felicità al posto della sua. Penso che sia dovuto al fatto di aver vissuto come un pirata senza famiglia per troppo tempo».
«Ne esistono due, se è per questo. Io farei qualsiasi cosa pur di vederti felice». Mi rivolse un dolce sorriso che mi fece sciogliere il cuore. Emma non era il tipo da confessioni romantiche, ma quando ci si cimentava era assolutamente perfetta.
«Ed io per te, lo sai vero?».
Annuì e intrecciò le sue mani alla mia. Rimase in silenzio, forse riflettendo su cosa aggiungere. Non che ci fosse molto altro da dire.
«Sai», mormorò dopo un po’, «sai cosa mi ha detto tua madre per convincermi ad accettare il suo nobile gesto?». Rimasi in silenzio in attesa che continuasse, studiandola attentamente. Emma stava guardando le nostre mani unite insieme; era concentrata sui miei anelli, come se avessero potuto infonderle il coraggio di parlare.
«Mi ha detto», continuò, «qualcosa che credo tu capirai bene. Mi ha confessato che sebbene si sacrificasse per te, questo gesto le serviva per perdonare sé stessa». Capivo ciò che significava: era la parte peggiore di tutte. Sebbene gli altri ti perdonassero, riuscire ad assolvere sé stessi non era la stessa cosa. Riuscire ad ammettere di aver sbagliato in passato e di aver causato tanto dolore mi aveva fatto sentire debole; aver commesso quegli errori era stato un segno di debolezza e non era facile passare sopra ad un fatto del genere. Potevo capire perfettamente come per mia madre fosse del tutto identico. Il rimorso per ciò che aveva fatto, per aver abbandonato i propri figli, doveva averla perseguitata per tutta la sua lunga vita.
«Perdonare sé stessi è la cosa più difficile», ammisi. «Io l’ho perdonata e forse salvando te lei ha potuto finalmente trovare la pace».
«Allora perché non vai dentro e glielo dici? Sono sicura che vorrebbe sapere cosa provi in questo momento».
«Non so bene cosa provo», mormorai.
«Beh lo sai invece, ti fa solo male ammetterlo; ma lei ti sta concedendo la possibilità di dirle addio, quella stessa possibilità che non hai avuto quando eri piccolo. Cosa aspetti ad andare da lei? Sylvia ha bisogno di te adesso».
Non sapevo perché indugiavo, ma sicuramente avevo delle serie difficoltà nell’affrontare la cosa. Non ero un codardo, ma in quel momento mi trovavo del tutto arreso. Capivo che mia madre non desiderava altro che poter parlare con me anche se si trattava di un’ultima volta, ma avevo già affrontato la sua morte ed andare da lei sarebbe stato come rivivere quell’esperienza orribile.
«Non so cosa dirle», confessai. «Non so cosa fare, non so cosa si aspetti da me in questo momento». Era una mezza verità, ma sapevo che Emma mi avrebbe letto come un libro aperto.
«Non sarà come allora Killian», disse. «Sei preparato adesso, lei ti sta dicendo addio e questa volta non ci saranno seconde possibilità, non ci sarà un’altra occasione. Lei aspetta solo te; non credi che voglia passare gli ultimi istanti della sua vita con il proprio figlio? Con colui per cui sta dando letteralmente la vita?». Certo era naturale. Però il mio cuore era stato un po’ troppo lacerato nelle ultime ore e stavo cercando un modo per riuscire ad affrontare anche quel momento. Era come se avessi avuto di nuovo quattro anni e fossi stato nuovamente seduto accanto al corpo inerme di mia madre.
«Ascolta», continuò Emma, tirando su la schiena. «Dammi la mano». La prese tenendola stretta tra le sue e se la posò sul petto. All’inizio non capii cosa intendesse fare, ma poi compresi che voleva che ascoltassi il battito del suo cuore. Mi concentrai chiudendo gli occhi per poter sentire sue le pulsazioni anche da sopra i vestiti; e poi improvvisamente lo sentii, percepii esattamente ciò che voleva io sentissi.
Il suo cuore aveva lo stesso ritmo del mio: era come se fossero coordinati e avessero deciso di battere all’unisono. Sembrava che il mio corpo ed il suo avessero deciso di essere legati ed uniti anche in quello. Ad ogni battito mi sentivo più intimamente legato a lei di prima; i nostri cuori esprimevano esattamente ciò che provavamo l’uno per l’altra.
«Credo che abbiano iniziato quando Gold ha collegato la mia vita alla tua». Era logico che fosse dovuto a quello, al fatto che adesso eravamo uniti per la vita; lei non poteva fisicamente vivere senza di me, e probabilmente anch’io senza di lei. Era una delle meravigliose conseguenze che la morte di mia madre avrebbe comportato; non ci sarebbero più stati addii tra me ed Emma a meno che non lo avessimo voluto noi stessi.
«Tua madre», continuò, «ci ha regalato questo, ci ha permesso di realizzare il nostro futuro e fortificato, per quanto fosse possibile, la nostra unione. Killian l’unica cosa che desideravo, e so che la desideravi anche tu, era non doverti più perdere. Grazie a tua madre adesso non devo più aver paura di questo: non ci perderemo mai ed è in assoluto il regalo migliore che potesse farci».
«Lo so», sussurrai. «Non potrei sognare niente di meglio».
«Allora è giusto che tu adesso vada dentro da lei e le resti al fianco fino all’ultimo, perché questo è ciò che desidera tua madre e, nonostante tutto ciò che è successo tra di voi in passato, adesso tu sei in debito con lei. Glielo devi Killian anche se ti fa male; restare qua fuori non cambierà le cose, la perderai comunque. Per quanto tu possa essere spaventato o triste, lei ha bisogno di te in questo momento, almeno per un’ultima volta».
Aveva ragione: mi stavo comportando come uno stupido; lei lo sapeva e lo aveva fatto capire anche a me. In quel momento non doveva più importarmi di ciò che provavo io, ma solo di ciò che provava mia madre.
«Sono un idiota», affermai alzandomi.
Emma si alzò a sua volta, prendendomi per un braccio. «Solo qualche volta». Mi sfiorò una guancia con un dolce bacio.
«Però sei il mio idiota», sussurrò ad un centimetro dalla mia pelle.
«Sì, tuo per l’eternità». E questa volta lo sarei stato davvero. Alla fine neanche la morte avrebbe più potuto separarci. Era strano pensare che dovevo essere in parte grato a Gold per la realizzazione del nostro più grande desiderio; d’altra parte quel casino era tutta colpa sua, ed era per il suo errore che adesso mia madre ne pagava le conseguenze. Alla fine dei conti ero solo lei quella che dovevo ringraziare e quale modo migliore che restarle accanto fino alla fine?
«Sei pronto a rientrare?». La sua era una domanda, ma sapevo che la risposta era una sola.
«Sì, con te al mio fianco lo sarò sempre». Così dicendo, rientrai in casa mano nella mano con Emma, pronto per affrontare per al seconda volta la morte di mia madre.
 
Sylvia
Entrai in camera tenendo Jekyll per mano. Ero grata ad Emma per avermi concesso con uno sguardo di usufruire della privacy della sua stanza. Mentre Killian era scappato fuori, Jekyll era rimasto sconvolto accanto a me, non credendo alle proprie orecchie. Avevo dovuto scegliere chi affrontare per primo.
Se da una parte sarei voluta correre dietro a Killian, cercando di arginare il tumulto di sentimenti che doveva star provando, dall’altra dovevo sostenere anche la seconda persona che aveva un posto speciale nel mio cuore. Sapendo che Emma avrebbe aiutato Killian a calmarsi, a ragionare e ad affrontare il tutto, mi ero affrettata ad isolarmi con Jekyll, sperando di riuscire a fargli capire ciò che provavo. Dovergli spezzare il cuore in quel modo era terribile, ma doveva capire che non avevo potuto fare altrimenti.
«Che cos’è questa storia Sylvia?», domandò non appena ebbe chiuso la porta alle sue spalle.
Mi sedetti sul letto emettendo un profondo sospiro. Non sapevo da che parte iniziare e non sapevo se lui alla fine avrebbe capito. Il non aver scelto lui, il non aver scelto noi, era un’ulteriore ferita oltre a quella che avrebbe causato la mia morte.
«Mi dispiace Henry, mi dispiace moltissimo». Era la verità, ma non sarebbe stata sufficiente a farmi pentire della mia decisione.
«No, no, no, no». Iniziò a camminare su e giù per la stanza in preda all’agitazione. «È uno scherzo vero?». La sua era ovviamente una domanda retorica, e la mia era un’espressione più che esplicativa.
«Perché non me l’hai detto?», mi chiese con voce tremante. «Perché non mi hai chiesto aiuto? Perché non ti sei confidata con me?».
«Non avevo scelta, Jekyll. Non potevo dirtelo perché tu mi avresti convinta a non farlo ed io non volevo e non potevo essere dissuasa».
«Doveva pur esserci un’altra soluzione. Essere la vittima sacrificale… è assurdo!».
«Non lo è», ribattei. «Prova a metterti nei miei panni, cos’altro avrei potuto fare?».
«Salvare la vita di Emma morendo tu stessa? Andiamo Sylvia, sarebbe sicuramente esistita un’altra soluzione».
«Ma non l’avrei trovata in tempo». Riuscii ad afferrargli le mani, interrompendo quel suo frenetico andirivieni. «Siediti qui accanto a me e lascia che ti spieghi».
Fece come gli avevo detto, ma le parole gli uscirono quasi in automatico. «Hai scelto di morire piuttosto che di stare con me, di credere in noi. Come pensi che dovrei sentirmi? Adesso che avevamo superato tutto, tu hai deciso di non lottare più. Nessuna spiegazione potrà superare il fatto che tu non mi ami abbastanza da scegliere la vita piuttosto che la morte».
Aveva perfettamente ragione, ma io dovevo in qualche modo fargli capire il mio punto di vista. Non era solo per Emma e per Killian che avevo preso quella decisione: era per potermi finalmente sentire in pace con me stessa. Doveva capire che non avevo fatto quella scelta perché non lo amassi, ma perché non sopportavo più di convivere con i miei errori passati. Era stato il gesto che mi avrebbe finalmente permesso di passare oltre.
«Jekyll per tutta la vita, ho rimpianto di essere stata una codarda e di aver abbandonato la mia famiglia all'improvviso piuttosto che affrontare con loro la cosa. Non c’è stato un giorno che non abbia pensato a cosa fosse stato dei miei figli; ho immaginato per anni gli uomini che sarebbero potuti diventare. Non è stato solo il fatto di non vederli crescere a tormentarmi, ma di averli irrimediabilmente devastati. Ho scelto una vita vuota, piuttosto che morire circondata dall’affetto dei miei cari. Poi, dopo decenni di vita tormentata, ho incontrato te e tu sei stato una luce nelle tenebre. Per quanto la nostra storia sia stata difficile e complicata, mi hai reso felice, così tanto da pensare che avrei potuto provare a costruire qualcosa con te».
«Allora perché questa scelta?», mi interruppe.
«Perché nonostante io volessi con tutto il cuore avere un futuro insieme a te, restavo pur sempre un’anima tormentata, che non riusciva a perdonare i propri errori. Quando venendo qui a Storybrooke ho incontrato Killian e ho visto il dolore e l’odio nei suoi occhi, tutto ciò che tu eri riuscito a farmi dimenticare è tornato a galla, confermando le mie peggiori paure. Il fatto che lui abbia dovuto affrontare mille difficoltà, e con lui anche Liam, mi ha ricordato che io ne ero direttamente responsabile».
«Forse ne eri responsabile, ma nessuno ti avrebbe chiesto di morire per farti perdonare. Nessuno chiederebbe tanto».
Scossi la testa cercando le parole giuste. «No, è ovvio che nessuno mi avrebbe chiesto una cosa del genere e non è per questo che lo faccio. Come posso riuscire a spiegarti?». Era davvero un discorso complesso, forse il fatto che lui non avesse figli non l’avrebbe aiutato a capire. «Prima di scappare io avrei fatto di tutto per i miei figli, è un amore diverso ed incondizionato. Averli abbandonati, anche se alla fine sarei morta comunque, mi ha reso una pessima madre e mi ha fatto tradire tutto ciò in cui credevo. Non avevo mai pensato di poter fare una cosa del genere ed invece l’ho fatta. Una madre dovrebbe amare i suoi figli, invece io ho finito per ferirli.
Così quando Emma si è sentita male, ho letto negli occhi di Killian un dolore così devastante che non sono riuscita a sopportarlo. Lui non poteva perdere anche lei ed io non potevo permettere che mio figlio soffrisse in quel modo; è ovvio che rivolgendomi a Tremotino, io non mi aspettassi di dovermi offrire come agnello sacrificale, ma quando lui mi ha detto che l’unica possibilità era che qualcun altro morisse al suo posto, io non ho più avuto scelta. Per quanto io ti possa amare, e credimi ti amo tantissimo, non sarei potuta sopravvivere con la consapevolezza di non aver fatto tutto ciò che potevo per salvarla. Non avrei sopportato di leggere il dolore straziante negli occhi di mio figlio, sapendo che salvando lei e perdendo me lui avrebbe sofferto di meno. E non è solo questo, era il gesto che mi serviva per rimediare a ciò che avevo fatto, ma non perché me lo ha chiesto lui – Killian mi avrebbe perdonato comunque lo so – ma perché così facendo per la prima volta da molto tempo mi sono sentita in pace con me stessa. Prendendo la scelta giusta stavolta mi sono sentita di nuovo la madre amorevole che ero un tempo, mi sono sentita libera». Mi asciugai le lacrime che avevano cominciato a rigarmi le guance ed aspettai che lui assimilasse tutto ciò che gli avevo detto.
«In pratica non avresti potuto amarmi con quel peso sulla coscienza?». La sua era una domanda retorica, ma volevo che lui capisse ogni singolo aspetto di quell’intricata situazione.
«Avrei potuto, ma non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti. Non avresti avuto la vera Sylvia, ma quella divorata dai rimorsi. Per quanto tu mi possa amare e rendere felice, non saresti riuscito a farmi perdonare me stessa». Nessuno ci sarebbe riuscito, neanche Killian in persona.
Jekyll si tolse gli occhiali e si appoggiò una mano sul viso. «Non è giusto», mormorò e dal suo tono seppi che aveva compreso. Non lo accettava ma lo capiva, come sempre.
«Henry», mormorai togliendogli la mano dal volto per poterlo guardare negli occhi. «Io ti amo tantissimo mi devi credere e non avrei mai voluto ferirti in questo modo. Odio tutto questo; non vorrei mai darti un dolore simile, ma l’alternativa non era praticabile. Mi dispiace così tanto; vorrei tanto chiederti di perdonarmi, ma non so se potrai mai farlo».
«Certo che ti perdono Sylvia», replicò sbuffando. «Il tuo è un gesto più che nobile, non c’è nulla che debba farti perdonare». Lo baciai dolcemente lasciando che le nostre lacrime si mischiassero insieme esprimendo tutto il nostro dolore.
«Ti amo», sussurrò sulle mie labbra.
«Ti amo anch’io, per quanto possa valere».
«Vale moltissimo invece». Mi baciò di nuovo, con più passione, sapendo che quelli erano gli ultimi baci che ci scambiavamo. In fondo eravamo abituati a separarci, solo che quella volta sarebbe stato per sempre. Evidentemente non era mai arrivato il momento giusto per noi.
«Non era destino», disse quasi leggendomi nel pensiero. «Non era destino che noi stessimo insieme».
«Già». Mi allontanai di qualche centimetro dal suo viso, solo per poterlo guardare dritto negli occhi e potergli prendere il volto tra le mani.
«Promettimi», mormorai incatenandolo al mio sguardo, «che sarai di nuovo felice, che farai di tutto per esserlo, che approfitterai del fatto di essere finalmente libero per fare ciò che hai sempre desiderato. Promettimi che se ne avrai occasione ti innamorerai di nuovo e che non penserai a me con tristezza, ma che invece sarò un bel ricordo». Dovevo lasciarlo andare ed era una cosa terribile, ma allo stesso tempo necessaria.
Non rispose ma si limitò a fissarmi con sguardo triste. Non avrebbe voluto affermare una cosa del genere, ma io avevo bisogno di sapere che lui sarebbe andato avanti anche senza di me.
«Lo so che non sarà facile», insistetti, «ma voglio che tu viva la tua vita nel migliore dei modi. Ti prego promettimi che lo farai».
«Lo prometto». Le sue parole furono solo un sussurro, ma alleggerirono ulteriormente l’enorme peso che avevo sul cuore. Lo baciai di nuovo, sapendo che quello era il nostro ultimo momento di intimità e che purtroppo si stava per concludere. C’era un’altra persona che dovevo affrontare e che dovevo salutare prima di andarmene.
Mi asciugai il viso con la manica del vestito, tentando in qualche modo di ricompormi, mentre Jekyll iniziò a pulire gli occhiali in un vano tentativo di distrarsi e di calmarsi.
«Sylvia credi», domandò all’improvviso, «che se le nostre storie fossero state diverse ci saremmo incontrati ed innamorati lo stesso? Saremmo vissuti felici e contenti come i normali personaggi delle favole?».
Ci pensai su prima di rispondere. «Forse ci saremmo incontrati lo stesso e ci saremmo amati, ma forse non saremmo stati gli stessi e magari non ci saremmo nemmeno piaciuti. Ma avrei davvero adorato vivere felice e contenta con te».
«Allora grazie».
Lo fissai non capendo perché improvvisamente mi ringraziasse; avrebbe dovuto fare ben altro. «Di cosa?».
«Di avermi dato la possibilità di amarti e di essere stato amato da te. È stato un vero onore». Sentii di nuovo le lacrime pungere per uscire e per tutta risposta lo baciai di nuovo.
«Adesso va», mi disse staccandosi e asciugandomi la guancia con il pollice. «Tuo figlio vorrà parlare con te. Io sarò qui fino alla fine se mi vorrai».
Annuii, cercando di non scoppiare di nuovo a piangere. «Grazie».
Non appena aprii la porta trovai Emma e Killian fermi nel corridoio, lo sguardo puntato sulla soglia che avevo appena aperto.
«Stavamo aspettando, volevamo concedervi tutto il tempo necessario», ci spiegò lei.
«È tutta tua», disse Jekyll a Killian, passandogli una mano sul braccio.
«Grazie». Si voltò verso Emma per darle un bacio sulla guancia. «Ci aspetti di sotto?». Lei annuì e iniziò a scendere le scale insieme a Jekyll, mentre io tornavo in camera seguita da Killian. Non riuscivo ad immaginare cosa avrei potuto fare o dire, o cosa avrebbe detto lui. Mentre con Henry sapevo cosa avrebbe pensato, con mio figlio era tutto un’incognita. Ero solo lieta del fatto che avesse voluto concedermi un momento da sola con lui, senza nessun altro intorno.
Tornai a sedermi sul letto, mentre Killian chiudeva la porta e vi si appoggiava con la schiena. Sospirò profondamente prima di alzare lo sguardo per potermi fissare dritto negli occhi.
«Grazie», sussurrò e i suoi occhi si fecero ancora più chiari del solito. «Grazie davvero».
«Non c’è bisogno che tu mi ringrazi Killian», replicai.
«Invece sì», mi interruppe. «Devo ringraziarti perché quello che hai fatto è in assoluto il gesto più nobile che tu potessi fare».
«Non l’ho fatto per…».
Mi fermò di nuovo, impedendomi di continuare. «Ti prego fammi parlare mamma. So perché lo hai fatto, per me, per Emma, per te; ma qualunque sia la ragione il risultato non cambia. Mi hai appena dato l’unica cosa che desideravo davvero e non ci sono parole per descrivere tutto questo».
Si avvicinò lentamente, venendo a sedersi accanto a me, mentre io non gli staccavo gli occhi di dosso. Fissò un punto indistinto sulla parete e ricominciò a parlare. «Quando ho scoperto che eri ancora viva, ti ho odiato per quello che avevi fatto; non volevo capire e non volevo darti nessuna possibilità. Ma mi sbagliavo, non dico che non avessi le mie ragioni, ma anche tu avevi avuto le tue. Ti ho perdonata per quello che è successo in passato». Appoggiai la mano sulla sua, ma non dissi niente intuendo che non aveva ancora finito.
«Non ti sto ringraziando perché mi sento in dovere di farlo, ma perché questa volta hai scelto me, hai messo la mia felicità prima della tua. Nessuno l’aveva mai fatto».
«Avrei dovuto farlo molto tempo fa», ammisi. «Una madre avrebbe dovuto farlo all’epoca e non solo dopo secoli di esperienza e di rimorsi».
«Non importa, l’hai fatto adesso».
«Killian io non so bene cosa dirti», confessai. «Voglio che tu sappia che mi dispiace per tutto quello che sta succedendo adesso o che è successo in passato. Vorrei solo farti capire che non ho mai smesso di amarti».
«Non c’è bisogno che tu me lo faccia capire, lo so già». Fece un altro respiro e poi continuò. «E dispiace anche a me, vorrei che fosse esistito un altro modo per poter salvare Emma, risparmiando te. Non vorrei perderti di nuovo, adesso che ti ho ritrovata».
«Mi dispiace», ripetei non sapendo cosa dire.
«No», ribatté. «Non devi dispiacerti perché sono io quello in debito con te. Mi hai dato la vita, mi hai amato, hai salvato Emma e con il tuo gesto è come se mi avessi ridato la vita un’altra volta. Mi stai dando un futuro, la possibilità di avere una famiglia con lei, hai fatto in modo che non potessi perderla mai più. Io non so come spiegarti come mi sento». Vidi una lacrima rigargli la guancia, un segno inequivocabile di tutto il suo dolore e la sua gratitudine.
Tirai su con il naso e mi avvicinai per abbracciarlo. Lasciai che appoggiasse la testa sulla mia spalla e lo strinsi forte. «Sei proprio l’uomo che speravo che tu diventassi».
«Ti voglio bene, mamma», sospirò. «Tantissimo».
«Lo so e te ne voglio anch’io». Lo baciai sulla testa, lasciando libero sfogo alle lacrime e rimanendo abbracciata a mio figlio in quel momento di intimo sconforto. Lo cullai tra le mie braccia e anche lui mi strinse e mi abbracciò forte; passai le dita tra i suoi capelli, accarezzandolo amorevolmente, mentre lui mi baciava dolcemente la guancia. Non avevamo bisogno di parlare, avevamo solo bisogno di quel nostro momento di intimità. Tra noi si era finalmente chiarito tutto ed eravamo tornati ad essere la madre e il figlio di un tempo.
«Vorrei tanto che ci fosse una soluzione», sussurrò dopo un po’.
«Lo vorrei anch’io».
«Vorrei che tu potessi vedere la famiglia che potrò costruire con Emma grazie a te».
«Sarà bellissima», sussurrai. Purtroppo non l’avrei mai vista, ma ero certa che sarebbe stata meravigliosa.
«Mi mancherai tanto mammina». Aveva usato il nomignolo di quando era bambino e sapevo che l’aveva fatto di proposito. Era un piccolo e meraviglioso colpo al cuore.
«Mi mancherai anche tu, Killian». Non sapevo come sarebbe stato, ma se avessi potuto avrei sentito la mancanza di lui e di Jekyll ogni istante.
Killian sembrò leggermi nel pensiero. «Devi passare oltre, adesso puoi farlo. Non hai più questioni in sospeso, almeno non con me».
«Neanche con Jekyll se è per questo. Ciò che ho fatto mi ha permesso di ritrovare la pace».
«Allora sarà bello vedrai, andrai in un posto migliore. Ricordati di salutare Liam da parte mia, lui sarà lì». L’idea di poter ritrovare l’altro mio figlio rese la prospettiva della mia imminente fine un po’ meno spaventosa.
«Lo farò». Restammo un altro po’ di tempo abbracciati; ma poi non potemmo più rimandare l’inevitabile. Era giunto il momento e per quanto fossi triste e spaventata, ero anche orgogliosa e soddisfatta di compiere quel gesto.
Scesi al piano di sotto tenendo per mano mio figlio. Erano tutti ad aspettarci nel salotto; feci un profondo respiro fermandomi lì davanti, sotto gli occhi di tutti i presenti.
Biancaneve mi venne subito incontro con gli occhi pieni di lacrime. «Da madre a madre, non so come fare a ringraziarti».
«Non ce n’è bisogno», risposi. Lei mi abbracciò di slancio, cogliendomi del tutto di sorpresa.
«Hai salvato la vita a mia figlia», sussurrò vicino al mio orecchio. «Non lo dimenticherò mai».
Anche David si avvicinò e, quando Mary Margaret mi lasciò andare, mi abbracciò. «Grazie».
«Mi ero sbagliata sul tuo conto, devo riconoscerlo». Anche Regina si era avvicinata e mi aveva posto la mano; la strinsi grata che avesse abbandonato la sua ostilità e avesse riconosciuto i suoi errori nei miei confronti.
«Grazie per aver salvato la mia mamma». Henry si era avvicinato, seguendo Regina e mi stava guardando commosso. «Sei un’eroina, lo sei sempre stata».
«E tu l’hai sempre creduto», risposi cercando di rivolgergli un sorriso. L’abbracciai e gli scompigliai i capelli. Sarebbe stato un nipote acquisito fantastico se ne avessi avuto la possibilità.
Dietro di lui, Emma si fece lentamente avanti. Aveva preso Killian per mano, quando io l’avevo lascato andare per abbracciare Mary Margaret. Fui ancora una volta più certa della mia decisione: non avrei potuto lasciare mio figlio in mani migliori.
«Grazie», sussurrò commossa. «Te l’ho già detto, ma te lo ripeto».
L’abbracciai e la strinsi forte a me. «Oh cara, non avrei potuto immaginare una nuora migliore di te».
«Ti devo la vita», mormorò di nuovo contro la mia spalla.
«No, non mi devi niente. Sono felice di poterti dare la possibilità di vivere la tua vita, come è naturale che sia».
«Non importa ciò che dirai Sylvia, resterò per sempre in debito con te».
«Allora per saldare i conti, promettimi che ti prenderai cura di Killian e che lo amerai come merita».
«Questa sarà una promessa facile da mantenere», disse staccandosi da me. Si asciugò le lacrime con la mano, cercando di mascherare la sua emozione.
«Sarete una bella famiglia», dichiarai rivolta sia a lei che a Killian.
«Lo so», rispose lui riprendendomi per mano.
Tirai su col naso e alzai lo sguardo su Tremotino, che era rimasto in disparte in fondo alla stanza. Jekyll mi raggiunse e mi prese per la vita, stringendomi l’altra mano libera.
«È il momento?», domandai tirando fuori un coraggio che non credevo di avere.
«Ho trattenuto l’incantesimo fino ad ora, quando lo lascerò andare inizierai a sentirti stanca. Non sarà doloroso, sarà come addormentarti».
Annuii confortata dal fatto che non mi avrebbe fatto male ulteriormente. Eravamo già tutti abbastanza a pezzi per sopportare una morte straziante.
«Allora fallo». Fu solo un bisbiglio, ma Tremotino mi sentì ed annuì impercettibilmente.
«Sylvia», mi domandò Emma. «Perché non vai a distenderti sul letto di sopra? Jekyll e Killian verranno con te».
«D’accordo», acconsentii. «Però vieni anche tu». Emma mi sorrise e annuì, forse sollevata dal fatto di poter restare con Killian in un momento così difficile.
Una volta in camera mi sdraiai al centro del letto. Jekyll si distese da una parte accanto a me, in modo tale che potessi appoggiare la testa sulla sua spalla. Killian prese posto dall’altra parte, tenendo sempre la mia mano stretta nella sua, mentre Emma si sedette in fondo, in modo tale da potermi guardare direttamente negli occhi.
«Ti amo Sylvia», sussurrò Jekyll vicino al mio orecchio.
«Ti amo anch’io». Avrei tanto voluto che potesse bastare.
«Andrà tutto bene, mamma». Intrecciai le dita alle sue ed annuii impercettibilmente. Chiusi gli occhi, iniziando improvvisamente a sentirmi stanca. Il Signore Oscuro aveva rispettato il suo accordo. Tuttavia non volevo pensare a ciò che stava per succedere.
«Killian», sussurrai, tenendo gli occhi chiusi. «Ti ricordi quando da piccolo ti raccontavo una storia prima di dormire, per farti addormentare?».
«Sì certo». Sentii il suo uncino scostarmi una ciocca di capelli, portandomela dietro l’orecchio.
«Perché non me ne racconti una tu adesso?».
«Io?».
«Sì, una delle tue avventure. Vorrei aver avuto il tempo per ascoltarle tutte». 
«Va bene mammina». Prese un profondo respiro, decidendo quale storia raccontare e poi iniziò a parlare. «Stavo solcando i sette mari a bordo della Jolly Roger…». Le parole di Killian mi cullarono dolcemente, rendendo pian piano i miei occhi sempre più pesanti e facendomi abbandonare ad un sonno dal quale non mi sarei più svegliata.


 
Angolo dell’autrice:
Fiumi di lacrime già dal titolo. In questo lunedì particolare, il mio capitolo non aiuterà di certo a risollevarsi il morale. Sono a corto di parole, perché non so bene come commentare. Era inevitabile ed è giusto così, ma allo stesso tempo è triste.
Dirvi che ho pianto per tutto il tempo che ho impiegato a scriverlo è inutile: Sylvia è un personaggio che ho creato io stessa e sebbene questo finale l’avessi già deciso da tempo, mi è dispiaciuto lo stesso. Con l’andare avanti nella storia Sylvia è cresciuto come personaggio rispetto a quello che mi ero immaginata e mi ci sono affezionata.
Detto ciò, ringrazio sempre tutti coloro che seguono la mia storia. Purtroppo vi avviso che siamo ormai quasi giunti al termine di questa fanfiction: mancano solo due capitoli, compreso l’epilogo. Quindi ci restano solo due settimane... Alla fine farò tutti i ringraziamenti di dovere.
Un bacione e a domenica!
Sara
 

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Capitolo 24
*** 24. Una madre ***


24. Una madre
 
Il cielo era limpido e terso, non c’era neanche una nuvola ad oscurare quel tetro giorno. Per quanto l’animo di tutti potesse essere triste e il cuore colmo di dolore, quella giornata sembrava invece rispecchiare la pace che Sylvia doveva aver finalmente trovato.
Non era facile né per Killian né per me, che continuavo a vivere grazie al suo sacrificio. Ogni battito del mio cuore, ogni respiro, lo dovevo a lei e non mi capacitavo di non essere riuscita a salvarla. Non mi aveva solo concesso di continuare a vivere, ma mi aveva dato un milione di possibilità. Potevo veder crescere Henry, potevo passare del tempo con i miei genitori, potevo formare la famiglia che volevo con Killian ed un giorno aver dei figli con lui; o molto più probabilmente, visto che eravamo a Storybrooke, potevo continuare ad affrontare pericoli e nemici a testa alta, comportandomi da eroina.
Per quanto Killian potesse dire di stare bene, sapevo che stava soffrendo e il fatto di essere stata io a privarlo di sua madre continuava a tormentarmi. Non potevo farci nulla e non ci sarebbero state alternative; era stata una libera decisione di Sylvia, eppure continuavo a pensare che avrei dovuto fare qualcosa. Qualsiasi cosa pur di evitare un dolore del genere ad Hook, e anche a Jekyll.
Sospirai profondamente e mi preparai a salire a bordo della Jolly Roger. Il tubino nero che avevo indossato non mi aiutava certo nei movimenti, ma, anche se con un certo impaccio, riuscii ad arrivare sul ponte della nave. Mi guardai intorno per cercare il mio amato pirata, finché non lo scorsi appoggiato ad un parapetto a tribordo della Jolly. Stava guardando l’oceano e l’orizzonte, probabilmente per cercare di calmarsi. Ormai lo conoscevo talmente bene da poterlo leggere come un libro aperto: poteva dirmi di essere sereno e di essere felice di aver ritrovato me. Tuttavia la mia presenza non poteva offuscare il fatto che aveva perso sua madre per la seconda volta; era naturale che soffrisse.
Mi avvicinai a lui, sapendo che il rumore dei miei tacchi doveva averlo avvertito della mia presenza. Lo abbracciai da dietro appoggiando la testa sulla sua schiena, riuscendo così a sentire i suoi respiri lenti e regolari.
«Ehi».
«È già ora?», mi domandò senza voltarsi.
«No, sono passata in anticipo, volevo stare un po’ con te». Mi aveva detto che voleva restare da solo, ma quando mai gli avevo dato retta? Alla fine facevo sempre di testa mia, e almeno per quella volta avevo un buon motivo per farlo.
Si scostò in modo da ribaltare le posizioni e poter essere lui a stringermi tra le braccia, intrappolandomi tra il suo petto e la balaustra della nave. Mi strinse nel suo caldo abbraccio, appoggiando la testa sulla mia spalla e tornando a fissare l’oceano. Lasciai che mi cullasse tra le sue braccia, posando a mia volta la guancia sulla sua spalla e lasciando cadere il silenzio tra noi. Non si trattava di un silenzio pesante o forzato, valeva più di mille parole.
Passai le mani lungo la sua schiena, con un movimento lento e circolare. Sentii il suo battito, che era anche il mio, calmarsi e regolarizzarsi grazie a quel mio gesto. Anche se da fuori sembrava impassibile e indistruttibile, sapevo che in realtà era un fascio di nervi. Ed io ero il suo miglior calmante.
Da quando ci eravamo ritrovati, da quando ci eravamo baciati appassionatamente nella grotta, non avevamo più avuto molti momenti di intimità. Non che fosse la situazione giusta per averli, ma Killian mi era mancato tanto ed io ero mancata a lui; stare un po’ da soli, anche solamente a baciarci e a coccolarci era qualcosa che entrambi volevamo. Ne avevamo bisogno.
«Mi manca». Il suo tono era talmente basso che, se non avessi sentito la sua bocca muoversi vicino al mio collo, avrei sicuramente pensato di averlo immaginato.
«Lo so, manca anche a me». Feci risalire la mia mano in modo da passargli le dita tra i capelli. Il suo uncino, invece, mi strinse più forte spingendomi di più verso di lui.
«E mi sei mancata anche tu», aggiunse. «Tanto».
«So anche questo».
«Grazie per essere passata in anticipo, anche se ti avevo detto che non ce n’era bisogno».
Accennai un piccolo sorriso e mi attorcigliai una sua ciocca di capelli intorno al dito, per quanto ne consentisse la lunghezza. «Non sono il tipo che si fa dare ordini».
«Non lo sei mai stata Emma, tu non mi dai mai retta».
«Sono una testa dura».
«Sei impossibile».
«Ma mi ami per questo». Era il nostro scambio di battute, quello che era diventato il nostro ritornello da quando ci eravamo rincontrati nell’Oltretomba.
«Sì ti amo tantissimo». Si staccò da me e dalla mia spalla quel tanto che bastava per potermi guardare negli occhi. I suoi erano due pozze talmente chiare da potercisi riflettere.
«Ti amo tantissimo anche io». Posai le mie labbra sulle sue, gustando il suo sapore, dolce e salato allo stesso tempo. Lui le schiuse quasi in automatico, lasciando che la mia lingua potesse andare a cercare la sua. La sua mano si spostò delicatamente sulla mia schiena, tra i miei capelli, mentre l’uncino scese a sfiorarmi un fianco.
Le nostre labbra iniziarono a danzare insieme, cercandosi e trovandosi, come erano ormai abituate a fare e in un modo in cui non si sarebbero mai stancate di fare. Quando ci baciavamo tutto il resto scompariva: non c’erano più pericoli, problemi, nemici da affrontare. C’eravamo solo io e lui, talmente innamorati da diventare una sola cosa, una sola persona.
Non avevo mai capito cosa significasse amare ed essere amati da qualcuno prima di incontrare Killian. Non che non avessi amato Neal, ma era stato il mio primo amore, eravamo troppo giovani ed entrambi avevamo commesso troppi sbagli. Con Killian invece era del tutto diverso: non era stato un colpo di fulmine, ma qualcosa di lento e ragionato. Ci eravamo conosciuti, avevamo capito chi veramente avevamo di fronte e gradualmente, lentamente almeno per me, eravamo cresciuti insieme innamorandoci e costruendo qualcosa di duraturo. Sapevo che con lui poteva essere per sempre e adesso Sylvia aveva contribuito a rendere quel per sempre ancora più reale.
Lasciai scendere la mano giù lungo la sua schiena, fin sotto la sua giacca di pelle. Accarezzai i suoi muscoli, che conoscevo fin troppo bene, mentre anche la sua mano si spostava delicatamente sotto il mio cappotto sul mio fianco fino alla mia gamba, per poi risalire ancora più lentamente.
Abbandonando per un attimo le sue labbra, aprii gli occhi e lo guardai, il suo naso contro il mio. Fui catapultata nel mio oceano, dove avrei potuto navigare per ore, per secoli interi, senza mai stancarmi. Adoravo gli occhi di Killian, soprattutto quando mi rivolgeva quello sguardo capace di togliermi il respiro.
Involontariamente mi mordicchiai un labbro mentre lui mi concedeva uno dei suoi meravigliosi sorrisi. Eravamo talmente vicini, sia fisicamente che spiritualmente, da non essere più a Storybrooke, da non essere più solo Emma o solo Killian. Il suo respiro era il mio, i nostri cuori battevano insieme, il suo profumo si mescolava col mio creando una fragranza fantastica, la vicinanza dei nostri corpi emanava un confortevole calore.
Killian mi baciò di nuovo, stringendomi sempre di più. Assaporai le sue labbra non riuscendo a capire come potevo far altro nella vita oltre che baciarlo; avrei passato ogni minuto che ci restava con la sua bocca sulla mia, pelle contro pelle, stretta tra nel suo caldo abbraccio. Le nostre lingue continuavano ad incontrarsi, le nostre mani iniziarono a stringersi e a cercarsi sempre di più, mentre l’eccitazione ed il desiderio crescevano in entrambi.
Purtroppo la parte ragionevole di me si riaccese giusto in tempo per farmi notare che non era né il momento né il caso per lasciarmi andare. Per quanto entrambi non desiderassimo altro, avevamo un impegno importante da rispettare; dovevamo rendere onore ad una persona, dirle addio definitivamente, dovevamo dire l’ultimo grazie a colei che aveva reso possibile tutto questo.
«Credo», sussurrai quando le labbra di Killian si spostarono giù lungo il mio collo, «credo che dovremo fermarci».
Hook sospirò sentendo le mie parole e, per quanto controvoglia, fermò la sua scia di baci. Anche la sua mano si fermò adagiandosi sul mio fianco, mentre le sue labbra rimasero a contatto con la mia pelle.
«Già credo anch’io», disse sul mio collo, la voce arrochita dal desiderio. «Ma mi serve un momento». Lasciai che appoggiasse la fronte sulla mia spalla, in modo tale da calmarsi. Pian piano il suo respirò si regolarizzò, mentre la mia mano gli accarezzava dolcemente la schiena.
«Per quanto adori le tue carezze Swan, adesso non sono molto d’aiuto», sussurrò. Sbuffai ma lasciai cadere la mano lungo il fianco, obbedendo per una volta al suo velato ordine.
«Okay», sospirò infine, rialzando finalmente la testa. «Dobbiamo andare?».
«Credo di sì amore». Per quanto cercassimo entrambi di allungare quel momento, non potevamo più temporeggiare. Era giunto il tempo dell’ultimo addio, dell’ultimo saluto, e non potevamo più procrastinare.
«Sei pronto?», gli domandai prendendolo per mano.
«No, ma va bene così». Mi rivolse un dolce sorriso e mi guidò giù dalla sua nave, per andare ad assistere al funerale di sua madre. Per quanto poteva valere, Killian non era l’unico a non essere pronto. Neanche io ero preparata ad affrontare la scomparsa di una donna che, seppure l’avessi conosciuta solo da pochi giorni, mi aveva donato la vita solo come una madre può fare.
 
L’aria fresca mi costrinse a stringermi di più nel cappotto, mentre avanzavo accanto a Killian sul prato del cimitero. Lui, sentendomi rabbrividire, mi strinse più forte a sé, passandomi un braccio intorno alla vita, in un gesto del tutto istintivo.
Avevamo già percorso troppe volte, in troppo poco tempo, quella strada tetra e malinconica. Ed ecco come, dopo la tragedia di Robin, eravamo di nuovo tutti lì ad affrontare un’altra tragedia. Forse Sylvia era meno conosciuta e meno amata lì a Storybrooke, ma il suo gesto era il simbolo del suo gran cuore e gli abitanti di quella strana cittadina non potevano rimanere indifferenti.
La bara di legno era posata sull’erba vicino a quella che era stata la tomba di Killian. Adesso quella lapide non significava più niente, non rappresentava più nessuno; era solo un ricordo di ciò che avevamo affrontato, del fatto che neanche la morte era riuscita a separarci. Tuttavia Killian aveva voluto che sua madre fosse sepolta proprio là, vicino a lui, vicino all’unica parte della sua famiglia che si trovava ancora in questo mondo.
Là davanti si era radunato un piccolo nugolo di persone, tutte in nero, le espressioni contrite. Era questo che odiavo dei funerali: il dolore e la tristezza che permea ogni cosa, ogni persona, anche coloro che non avevano rapporti così stretti con chi se ne è appena andato. Sylvia non avrebbe voluto la tristezza, ma gioia e felicità; almeno il tempo quel giorno sembrava rispecchiare il suo desiderio.
Quando ci avvicinammo, mia madre si staccò dagli altri per venirci incontro.
«Killian, mi dispiace tanto». Lo abbracciò ed io fui lieta di lasciarlo andare per permettergli di ricambiare. Adoravo il fatto che mia madre avesse sempre trattato Killian, da quando avevamo iniziato la nostra storia, non come il pirata che era, ma come l’uomo di cui mi ero innamorata. Era una cosa che mio padre non era riuscito subito a fare, quello di discriminare il passato dalla persona che Killian era in quel momento.
«Grazie Mary Margaret». Quando la lasciò andare potei notare delle lacrime negli occhi di mia madre ed io sapevo per certo che erano sincere. Ciò che Sylvia le aveva regalato era paragonabile a ciò che aveva dato a me e a suo figlio.
Proseguimmo insieme a lei per arrivare dagli altri che, notando il nostro arrivo, si spostarono per lasciarci passare. Jekyll era lì in prima fila, con lo sguardo commosso, e forse era anche l’unica vittima innocente di tutta quella storia. Si era liberato definitivamente di Hyde, ma aveva perso tutto comunque; aveva perso la persona che lo aveva spinto a lottare fino alla fine contro la sua stessa metà.
Inaspettatamente Killian gli si avvicinò per appoggiargli la mano sulla spalla: erano una sorta di figlio e patrigno uniti nello stesso lutto, nella stessa tragedia. Con un cenno del capo lasciò che Jekyll fosse il primo a depositare il suo fiore sulla bara: una lunga e bellissima rosa rossa. Subito dopo Hook vi posò accanto la sua, che nel suo caso era bianca.
“Mia madre adorava le rose”, mi aveva confessato Killian poche ore dopo la sua morte. “Nel giardino di casa aveva coltivato un roseto, mio padre lo sradicò subito dopo la sua scomparsa”.
Dopo che Killian fu tornato al mio fianco, fu il mio turno: mi avvicinai alla bara e vi appoggiai la mia rosa. Era bianca anche questa, ma l’avevo incantata affinché resistesse e non appassisse. Nessuno lo sapeva, ma quel fiore avrebbe resistito e sarebbe stato con lei finché sia io che Killian non l’avremo raggiunta. Era il mio modo per dirle che non l’avrei mai dimenticata.
Tornai da Killian, per permettere anche agli altri di depositare il proprio fiore, e mi asciugai le lacrime con le dita. Nonostante mi fossi ripromessa di essere forte, alla fine, il dolore era uscito comunque.
«Ehi tesoro». Killian catturò con il pollice una lacrima che scorreva lungo la mia guancia. «Va tutto bene Swan». Mi strinse in modo tale che potessi appoggiare la testa sulla sua spalla.
Dio! Non era assolutamente giusto che in un momento del genere fosse lui a consolare me. Sarebbe dovuto essere il contrario; era lui il figlio ed io sarei dovuta essere abbastanza forte da sopportare e sostenere la sofferenza di entrambi.
Fu in quell’istante che la vidi: sbirciando da sopra la spalla di Killian, dietro tutta la gente venuta a dare l’ultimo addio a Sylvia, c’era lei, una diretta responsabile della sua dipartita. Mary se ne stava in piedi in disparte e osservava la scena che le si parava davanti. Era troppo lontana per poter decifrare la sua espressione, ma, qualunque cosa fosse venuta a fare, non doveva essere là.
Sentendo il mio corpo irrigidirsi, Killian voltò la testa per osservare cosa avesse attirato la mia attenzione. Non appena la vide, la sua mano si chiuse a pugno e i suoi muscoli si tesero.
«Che diavolo è venuta a fare qua?», fremette. La rabbia ribolliva dal suo sguardo e capii senza bisogno che aggiungesse altro che sarebbe presto esploso se Mary non se ne fosse andata subito. Una scenata non era assolutamente ciò che serviva per onorare la memoria di Sylvia. Lui doveva vivere quel momento di addio nel migliore dei modi, senza nessuno che potesse peggiorare ancora di più quella giornata. Non potevo permettere che Mary causasse ulteriori danni oltre quelli che già aveva creato.
«Killian, ci penso io». Appoggiai il palmo della mano sulla sua guancia in modo tale che mi guardasse dritto negli occhi e si convincesse che quella era la soluzione migliore. Vidi l’indecisione nel suo sguardo, ma poi la consapevolezza di ciò che stava accadendo lo travolse e lo fece cedere.
«D’accordo». Lasciai un leggero bacio sulle sue labbra e mi allontanai da lui, avviandomi verso Mary. Vidi Regina osservarmi perplessa mentre mi allontanavo, ma poi individuò la persona verso cui mi stavo dirigendo. Le ci volle meno di un secondo per lasciare Henry e venirmi dietro.
«Che cosa ci fa qui?», sussurrò quando raggiunse il mio fianco.
«Penso che sia la domanda da un milioni di dollari», risposi amaramente. «Comunque non può stare qui, non può assolutamente restare». Allungai il passo per raggiungerla più velocemente, in modo che nessun altro si accorgesse della sua presenza, soprattutto Jekyll. Neanche il dottore era benevolo nei suoi confronti.
«Devi andartene», le dissi fermandomi davanti a lei. «Non sei la benvenuta».
Lei mi guardò come se si accorgesse solo in quel momento della mia presenza. «Cosa?».
«Vattene». Il mio tono era ostile, ma ne avevo tutte le ragioni.
«Tu…», mormorò sconvolta. «Tu non hai nessun diritto di cacciarmi».
Stavo per ribattere ma Regina mi precedette. «Non credo che sia questo il luogo più opportuno per discutere». Così dicendo ci fece scomparire in una nuvola di fumo, per poi farci riapparire ai margini del bosco, sicuramente in una zona più lontana dalla cerimonia.
«Ma che diavolo…?», sussurrò Mary sconvolta.
«Tu non eri la benvenuta là, non dopo ciò che hai fatto. Credevi davvero che non avremo scoperto di te ed Hyde?». Ero così furiosa con lei per il fatto di essere venuta a rovinare ulteriormente quel momento e per avermi in quel modo allontanato da Killian e dalla cerimonia.
«Io volevo solo dirle addio». Solo allora notai il suo aspetto: era scompigliata, come se fosse provata dalla situazione, aveva profonde occhiaie, gli occhi rossi e gonfi, le guance solcate da lacrime. La rabbia crebbe ancora dentro di me: lei non poteva arrivare lì e fingersi addolorata, non dopo aver tradito la fiducia che Sylvia aveva riposto in lei.
«Tu sei l’ultima persona che dovrebbe piangere la sua scomparsa. All’inizio ho cercato di essere gentile con te, ma dopo aver scoperto chi sei veramente ho capito che non meriti questa mia cortesia».
Incassò la mia accusa senza fiatare, le spalle dritte in un atteggiamento fiero. «È stata la mia famiglia per tutta la mia vita, non volevo che finisse così, è sempre stata come una madre per me». Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non poteva dirmi che era come una madre; una figlia non l’avrebbe venduta ad Hyde in quel modo, non avrebbe tradito la fiducia incondizionata che le veniva offerta.
Fu un gesto del tutto repentino e dettato dalla rabbia che provavo. Senza neanche accorgermene le sferrai un pugno in pieno volto, facendola inevitabilmente sbalzare all’indietro.
«Emma!». Il tono di Regina era di rimprovero, ma sapevo che non disapprovava del tutto quel mio sfogo. Regina mi si avvicinò, forse pensando di dovermi trattenere ulteriormente, ma ormai avevo sfogato tutta la mia rabbia.
Cercai di muovere le dita con le quali avevo sferrato il pugno; avevo le nocche arrossate e mi faceva incredibilmente male la mano. Non tiravo un pugno da un bel po’, mi ero troppo abituata ad usare la magia nei combattimenti. In realtà non mi ricordavo neanche se avessi mai davvero colpito intenzionalmente qualcuno in quel modo.
Mary, d’altro canto, si era accucciata a terra e aveva portato le mani a coprirsi il naso. Beh sicuramente adesso aveva un motivo più valido per piangere. La vidi asciugarsi il naso con la manica del vestito da quello che con molta probabilità doveva essere sangue. Il mio pugno era stato più che efficace, Killian sarebbe stato fiero di me.
«Non puoi venire qua a dirmi che era come una madre per te», fremetti. «Lei è stata buona, ti ha accudito, ti voleva bene e tu invece sei stata solo capace di cospirare alle sue spalle con Hyde. Ti aveva dato la possibilità di essere come la figlia che non aveva mai avuto e tu l’hai sprecata».
Mary si rialzò, guardandomi intensamente. Questa volta però nel suo sguardo c’era qualcosa di diverso: era rimorso, dolore, forse pentimento. «Forse tu puoi pensarla così», disse con voce nasale. «Puoi credere che non mi importasse di lei, ma non è vero; le volevo bene. Non ho mai voluto che lei morisse, non avrei mai voluto che le accadesse niente di male. È vero ho rivelato ad Hyde alcuni suoi segreti, ma non per colpire lei. È stato per Jekyll».
«Tu sapevi che l’amava, colpire lui sarebbe stato come colpire lei».
«Lo so, credevo che lui non la meritasse, che l’avrebbe solo rovinata, come aveva fatto mio padre con mia madre e con me. Adesso so che ho sbagliato».
«È un po’ troppo tardi non credi?». Anche se sentirla ammettere i suoi errori era un gesto capace di alleviare, anche se di poco, la mia rabbia, non volevo darle soddisfazione.
«Lo so», ammise di nuovo sempre con la voce alterata a causa del mio pugno. «Non ho potuto chiederle scusa, non ho potuto ottenere il suo perdono. Non pensi che sia una condanna più che sufficiente?».
«Se tu glielo avessi detto, se le avessi detto dei tuoi sospetti su Jekyll, lei ti avrebbe ascoltato. Invece l’hai tagliata fuori».
«Lo so», mormorò.
«Non puoi dirle addio adesso», intervenne Regina che fino a quel momento era rimasta in silenzio.
«Devo dirle addio», piagnucolò. Per quanto potessi odiarla ed essere arrabbiata con lei, in quel momento mi face comunque pena. Era rimasta da sola, non aveva più nessuno a cui appoggiarsi e nessuno che l’avrebbe aiutata. Sapevo bene cosa significava essere soli; non avevo capito quanto fosse orribile fino a che non avevo trovato la mia famiglia.
«Non adesso», mormorai. Ero restia a concederle ciò che chiedeva, ma d’altra parte non farlo mi avrebbe solo fatto passare dalla parte del torto.
Regina sembrò capirlo e venne in mio aiuto. «In questo momento suo figlio e il dottore le stanno dicendo addio. Come credi che reagirebbero se tu fossi lì accanto a loro? Hai cospirato alle sue spalle, che tu lo volessi o meno, non puoi chiedere la loro comprensione. Stanno già soffrendo abbastanza senza che tu sia lì a rigirare il dito nella piaga».
«Lo so, ma…».
«Stasera», la interruppi. «Potrai farlo stasera, quando ce ne saremo andati potrai andare da lei. Forse da dove è adesso ascolterà le tue parole e potrà perdonarti. Tu però non lo saprai mai; il rimorso per ciò che le hai fatto sarà una pena più che sufficiente». Così dicendo mi allontanai da Mary, non sopportando più la sua presenza. Volevo solo tornare da Killian e stare al suo fianco, dove sarei dovuta rimanere. Non avrei mai voluto lasciarlo solo in quella terribile giornata.
Regina mi seguì subito, mentre Mary rimase là forse grata per quella concessione che le avevamo fatto e forse anche devastata dalla verità delle mie parole. In qualsiasi caso, il peso delle sue azioni le sarebbe inevitabilmente ricaduto addosso distruggendola dall’interno.
 
Qualche ora dopo ci ritrovammo tutti da Granny; dopo la cerimonia Killian non aveva voluto fare niente che rattristasse l’atmosfera ulteriormente, voleva solo onorare la memoria di sua madre e riunirsi da Granny era sembrata l’idea migliore.
«Due bicchieri di rhum», ordinai sedendomi sullo sgabello accanto a Killian.
«Ormai conosci i miei gusti Swan». Abbozzò mezzo sorriso, passandomi una mano intorno alla vita.
«Come stai?», gli domandai accarezzandogli la guancia.
«Sto bene», rispose fissando un punto indistinto sulla parete di fronte a lui. Lo guardai intensamente non aggiungendo altro, aspettando che mi dicesse la verità.
Sentendo il mio sguardo addosso, non poté fare altro che correggersi. «D’accordo», sbuffo. «Non sto bene, ma è normale no? Comunque non scoppierò a piangere da un momento all’altro».
«Tu non sei il tipo che scoppia a piangere da un momento all’altro. Volevo solo sapere come ti senti Killian. Puoi parlare con me, lo sai tesoro».
«Mi sento uno schifo, okay?». Non poteva essere diversamente. «Ma non tanto perché lei è morta, ma perché mi sembra di aver sprecato un’intera vita senza di lei, senza la possibilità di averla conosciuta davvero. Non so minimamente chi fosse diventata e non aver avuto il tempo per conoscerla nuovamente mi distrugge. E lo stesso vale per lei, non sapeva niente dell’uomo che sono diventato».
«Lei era fiera di te».
«Sì, ma su che basi? Sapeva solo a grandi linee ciò che avevo fatto».
«Lei era tua madre, sarebbe stata fiera di te comunque. Però Sylvia lo era davvero, ha visto l’uomo che sei adesso e non poteva non esserne orgogliosa». Mi rivolse uno sguardo scettico, ma io sapevo benissimo come continuare.
«Killian, l’uomo che sei diventato, l’uomo che amo, non c’è davvero motivo per non esserne orgogliosi. Ogni madre vorrebbe che suo figlio diventasse proprio come te; non come il pirata, non come l’uomo tormentato dall’oscurità, ma colui che non è più il cattivo, ma è diventato un eroe, colui che mette il suo cuore in tutto ciò che fa».
«Sei così completamente innamorata di me da straparlare». La sua espressione non poteva nascondere quel piccolo sorriso che gli era spontaneamente salito alle labbra.
«Forse, o forse dico solo la verità».
Proprio in quel momento la nonna ci servì i nostri drink. Killian bevve il suo tutto di un fiato, riappoggiando rumorosamente il bicchiere sul tavolo.
«Cosa diavolo voleva Mary?», domandò cambiando argomento. Speravo proprio che non me lo chiedesse e che se lo fosse scordato; ma sapevo che le mie speranze erano del tutto vane.
«Voleva dire addio a tua madre», ammisi sospirando.
«Incredibile». Il suo tono era sarcastico e la sua espressione era ostile.
«Le ho tirato un pugno», buttai lì.
«Tu cosa?».
«Sì l’ho colpita, dritta sul naso». Mi guardò incredulo non sapendo più cosa dire o cosa pensare.
«Mi ha fatta arrabbiare», replicai incrociando le braccia al petto.
«E tu le hai tirato un pugno?». Alzò un sopracciglio ed assunse un’espressione divertita.
«Beh mi è scappato. È stata una reazione istintiva, però se l’è meritato».
«Oh non c’è dubbio su questo. Avrei davvero voluto assistere. E poi dici che sono io quello impulsivo!».
«Dovresti essere fiero di me, le ho tirato davvero un bel pugno. L’ho fatta cadere all’indietro e penso che le sia uscito pure il sangue dal naso».
«In questa caso sono davvero molto fiero di te. La mia piccola Swan tirapugni». Il sorriso che gli si disegno sulle labbra servì a ripagarmi di tutto. Ero riuscita con la mia rivelazione a spazzare via l’ombra che la comparsata di Mary aveva causato. Quella giornata non era diventata ancora più tetra e questo era già un gran traguardo.
Proprio in quel momento Belle si avvicinò a noi.
«Killian», disse abbracciandolo, «mi dispiace tanto». Lo baciò sulla guancia, posandogli una mano sul braccio. Se non fossi stata sicura di lui al cento per cento, molto probabilmente vedendo quella scena sarei stata divorata dalla gelosia.
«Ti offrirei da bere tesoro», le disse, «ma nel tuo stato credo che non sia molto indicato».
«Già, penso proprio che passerò».
«Vuoi sederti?», le chiesi indicandole uno sgabello accanto a noi. Lei accettò volentieri e si sedette continuando a tenere la mano sul braccio di Killian.
«Hook non so davvero come scusarmi con te», iniziò.
«E per cosa?».
«Non riesco a non pensare che in fondo Sylvia è morta per colpa mia. È per svegliare me che Tremotino ha causato tutto questo».
«Non è colpa tua Belle», mi precedette Killian. «Non pensarlo nemmeno».
«Ma…».
«Non è colpa tua», ripete fissandola negli occhi.
«Killian ha ragione», intervenni. «Sylvia ha preso la sua decisione spontaneamente».
«Lo so, solo ciò che ha fatto Tremotino è stato…». Lasciò la frase in sospeso non sapendo bene come esprimersi.
«Può sembrare strano ma, per una volta, non ce l’ho neanche con il coccodrillo». Sia io che Belle lo fissammo stupite da quella affermazione.
«Oh andiamo», si affrettò a spiegarsi, «Emma tu non saresti qui se lui non fosse intervenuto».
«Sì ma non sarei stata nemmeno in pericolo se lui non avesse rubato il bacio del Vero Amore».
«Lo so, ma almeno stavolta ha tentato di rimediare ai suoi errori. So quanto può essere difficile fare la scelta giusta».
«Già», mormorò Belle. «Stavolta sono riuscita di nuovo a vedere l’uomo dietro la bestia. Era da tanto tempo che non ci riuscivo più».
«Cosa pensi di fare con lui e con il bambino?», le domandai.
Si portò istintivamente le mani sulla pancia mentre rifletteva sulla risposta. «Ad essere sincera non lo so. Mi ha ferito troppe volte e per ogni passo avanti ne fa cento indietro. Però non posso escluderlo dalla vita di suo figlio; spero che l’amore di questo bambino possa cambiarlo, visto che il mio non è stato sufficiente».
Le passai una mano sulla spalla, capendo cosa poteva provare. Amare un uomo come Gold non era certo facile, né tantomeno doveva essere la decisione di fidarsi di lui per quanto riguardava suo figlio. Ma per Neal, Gold era cambiato; forse Belle aveva davvero ragione a concedergli quella possibilità.
Mentre stavo per continuare la conversazione con Belle, un colpo di tosse attirò la nostra attenzione e quella di tutti i presenti. Era stato Jekyll a richiamarci: era al centro della stanza e reggeva in mano un bicchiere. Aveva l’aspetto tirato, con profonde occhiaie, ma nonostante ciò cercava di mostrarsi forte. Sylvia non avrebbe sicuramente voluto vederlo piangere e lui stava rispettando la sua volontà.
«Vi ringrazio», balbettò imbarazzato. «Vorrei proporre un brindisi… un brindisi per Sylvia».
Prese fiato, cercando le parole adatte per esprimere ciò che provava. «Quando l’ho conosciuta ero una persona diversa, ero solo un dottore invischiato nei suoi esperimenti. Lei mi ha cambiato ed in meglio». Sentii Killian sospirare ed istintivamente gli afferrai la mano, intrecciando le mie dita alle sue.
«Era una donna forte e, per quanto potesse essere tormentata dai suoi fantasmi, mi ha aiutato a liberarmi dei miei. Era dolce e sensibile, ma forte e coraggiosa quando serviva».
«Era una persona altruista», intervenne mia madre, avvicinandosi a Jekyll. «Ed era una madre, una madre amorevole». Guardò Killian nel pronunciare quella frase e lo vidi annuire leggermente. Sapevo che non aveva la forza di parlare, ma quello era ciò che voleva sentir dire.
«Nonostante il suo errore», continuò mia madre, «non ha mai smesso di pensare ai suoi figli. Quando ti guardava Killian era chiaro a tutti quanto ti amasse». Hook annuì di nuovo, ringraziandola con lo sguardo.
«Sylvia», intervenni alzandomi in piedi, «è riuscita a donarmi letteralmente la vita. Non ha esitato neppure sapendo a cosa andava incontro. Avrei davvero voluto poterla conoscere di più, ma da quello che ho visto, non c’è stato assolutamente niente che potesse essere negativo. Forte, leale, coraggiosa, dolce; è stato davvero un onore averla conosciuta».
Killian prese un profondo respiro, assimilando ogni singola parola. «A Sylvia», disse alzando il suo bicchiere, che la nonna doveva aver prontamente riempito.
«A Sylvia», ripetei alzando il mio.
«A Sylvia», ripeterono tutti imitando il nostro gesto. Alla donna che aveva reso possibile il mio futuro e che non avrei mai potuto dimenticare, che nessuno avrebbe più potuto dimenticare.


 
Angolo dell’autrice:
Buona domenica! Oh mio Dio non posso credere di essere arrivata quasi alla fine. Adesso manca solo l’epilogo e poi dovrò chiudere questa storia.
E a proposito di chiusure, penso di aver terminato tutte le questioni in sospeso. Mary è pentita, ma ormai quel che è fatto è fatto ed è rimasta inevitabilmente sola (il pugno di Emma, nato sul momento, è stato una vera soddisfazione), Jekyll affronta il lutto e così anche Killian, e Belle ha deciso che non può escludere Rumple dalla vita di sua figlio. Visto che questa storia è iniziata quando ancora lui aveva qualche speranza, quando ancora non aveva toccato il baratro della sesta stagione, mi sembrava dovuta questa decisione da parte di Belle. In fondo almeno nella mia storia Tremotino ha tentato di rimediare ai suoi errori.
Vi ringrazio come sempre e vi do appuntamento a domenica prossima con l’epilogo. Mi mancherà tanto questa storia, ma ho altre idee in testa per altre fanfiction.
Un bacione
Sara
 

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


Epilogo
 
In un posto migliore
Mi lisciai nervosamente il vestito con le mani; avevo indossato il mio abito migliore ed avevo passato ore a sistemarmi. Ero talmente nervosa che avevo dovuto rifare il mio chignon tre volte prima che ne uscisse qualcosa di decente.
Avevo atteso quel momento fin da quando ero arrivata in quello strano luogo. Da una parte lo temevo e dall’altra lo desideravo con tutta me stessa. Fin da quando avevo saputo che la Real Jewel avrebbe fatto finalmente ritorno a casa, dopo un lungo viaggio e tante avventure, avevo sognato di poter sentire il tanto sperato annuncio. E finalmente era arrivata: la nave stava attraccando e non avevo dubbi sul fatto che Liam fosse lì sopra.
Mi avvicinai di più al molo facendomi strada fra la ressa di gente e riuscire così ad osservare i marinai che si affaccendavano nella nave, tirando ormeggi e gridando ordini. Non avevo più visto Liam da quando era un bambino, eppure ero sicura che l’avrei riconosciuto subito, non avevo alcun subbio su questo. Stavolta ero preparata, non sarebbe successo come con Killian. Tuttavia, come con lui, non sapevo come avrebbe reagito vedendomi. Conoscere la verità, dopo tanti anni e tanta sofferenza, l’avrebbe ferito ma entrambi adesso eravamo in un posto migliore e potevamo finalmente stare insieme, recuperando tutto ciò che avevamo perso.
Allungai il collo cercando di individuarlo tra i vari uomini di bordo. Non era facile, ma il mio cuore mi avrebbe indicato la persona giusta. Anche se non avevo nessuna certezza che si trovasse lì sopra, dentro di me sapevo che non poteva essere altrimenti. Dove altro sarebbe potuto andare il mio forte Liam?
Mi torturai le dita rigirandole tra di loro, in un gesto che doveva in teoria servirmi a smorzare la tensione. Se avessi avuto qualcosa tra le mani probabilmente l’avrei stritolato; non mi ero mai sentita così nervosa ed emozionata allo stesso tempo.
E poi all’improvviso accadde quello che tanto avevo sognato: finalmente lo vidi. Un uomo alto uscì sul ponte della nave, con l’atteggiamento fiero, impartendo ordini ai suoi sottoposti con estrema precisione, come solo un marinaio esperto può fare. Ero certa che si trattasse di lui, il mio cuore era partito in quarta vedendolo e non avevo bisogno di nessun’altra conferma.
Liam guardò verso la banchina, ma c’erano davvero troppe persone e troppa confusione perché lui riuscisse a scorgermi. Il suo sguardo volò su di me senza vedermi realmente. Non sapevo neanche se mi avrebbe riconosciuto, erano passati tanti secoli; eppure Killian era rimasto fulminato dalla mia presenza fin dal primo istante. Avevo il presentimento che anche per Liam sarebbe stato lo stesso.
Dopo aver guardato la folla sulla banchina, Liam si girò per dare un ordine ad un mozzo, per poi dirigersi verso la prua, dove molti uomini stavano lavorando all’attracco della nave e all’allestimento della passerella. Si unì a loro prendendo una fune ed inizando ad armeggiare con quella con estrema maestria.
Io ero paralizzata, nel vero senso della parola. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, gioendo anche solo di poter osservare la sua figura da lontano. Più lo guardavo e più mi accorgevo di quanto fosse bello e forte, esattamente come l’uomo che speravo fosse diventato. Ero così fiera dei miei figli che erano riusciti a crescere nonostante quello che li avevo fatto e questo sentimento mi faceva esplodere il cuore nel petto.
Mi portai una mano agli occhi, asciugandomi una lacrima che mi era sfuggita. Se iniziavo a piangere già in quel momento, cosa avrei fatto quando finalmente gli avrei parlato e l’avrei abbracciato?
Come percependo il mio sguardo su di sé Liam tornò a guardare la gente che affollava la banchina, cercando qualcuno senza neanche sapere chi. Poi finalmente il suo sguardo si posò su di me, riuscendo a scorgermi in mezzo alla folla. Lo vidi sussultare e notai la sorpresa dipingersi sul suo volto, mentre sul mio si disegnò un enorme sorriso. Vidi le sue labbra muoversi, ma ero troppo lontana per riuscire a distinguere le sue parole. Qualunque cosa stesse dicendo non aveva importanza perché il suo sguardo era più che significativo.
Liam lasciò perdere la cima che aveva in mano e si affrettò ad aiutare gli uomini che si occupavano della passerella. Quando la nave fu ferma, senza neanche aspettare che la pedana fosse completamente stabile, saltò giù dirigendosi verso la mia direzione. Avanzai anch’io, sorpassando donne e bambini, cercando in qualche modo di farmi posto per poter finalmente andare a riabbracciare mio figlio.
«Madre…», sussurrò quando fu a meno di un metro da me. «Mamma sei proprio tu?».
«Sì Liam, sono io». Ed un attimo dopo ero tra le sue braccia, piangendo come una bambina. Liam mi sollevò in aria, con estrema facilità mentre io mi sorreggevo alle sue forti e larghe spalle. Quando mi rimise a terra gli accarezzai una guancia, studiando il suo viso con estrema precisione. Aveva un filo di barba, la stessa mascella di Killian, lo sguardo di suo padre; i suoi occhi erano emozionati, brillavano, come se avesse tra le mani il tesoro più prezioso sulla faccia della terra.
«Oh il mio bambino», mormorai facendogli scorrere il pollice sullo zigomo.
«Mamma». Pronunciò il mio nome come se ancora non riuscisse a crederci, nonostante mi trovassi stretta nel suo forte abbraccio. «Dio non è… ti ho cercata nell’Oltretomba, speravo tanto che tu fossi qui, che non fossi stata destinata a trascorrere del tempo in quel luogo orribile».
«È una storia lunga Liam, e sono certa che non ti piacerà».
«Non importa mamma, adesso ti ho ritrovata finalmente».
«Non sai da quanto volevo riabbracciarti mio piccolo Liam». Le lacrime tornarono a rigarmi le guance, offuscandomi la vista e impedendomi di godere a pieno del volto di mio figlio.
Liam mi baciò una guancia e avvicinò la bocca al mio orecchio. «Non piangere mamma, adesso va tutto bene». Sorrisi contro il suo collo, riconoscendo il Liam che avevo crudelmente abbandonato: il difensore di tutti, il mio paladino forte e leale.
«Devo raccontarti tante cose Liam», dissi scostandomi dalla sua spalla. Dovevo confessargli tutto al più presto, solo così potevo sperare di ottenere il suo perdono.
«Lasciami prendere la mia roba e poi sarò tutto tuo, te lo garantisco».
«D’accordo», risposi sciogliendomi controvoglia dal suo abbraccio. «Ho una casa qui…».
«Allora che ne dici se dopo andiamo a casa mamma?». Gli sorrisi annuendo e sperai che potesse ancora considerarla casa anche dopo aver saputo la verità.
 
Liam guardava fuori dalla finestra senza dire una parola, la mascella tesa, il mento appoggiato sulla mano. Avevo appena ammesso tutti i miei peccati, non avevo tralasciato nulla, né Zoso, né la Terra delle storie mai raccontate, né l’incontro con Killian, né il mio sacrificio per Emma.
«Dimmi qualcosa Liam ti prego». Allungai il braccio afferrandogli la gamba. La mano che era appoggiata sul tavolo si strinse a pugno, ma non respinse il mio contatto.
«È per questo che sembri invecchiata, non sei più giovane come ti ricordavo».
«Già, è dovuto al fatto che la mia vita è stata legata a quella di Killian fino a poco tempo fa». Non era proprio ciò di cui mi interessava discutere, ma era sempre un passo in avanti. Almeno mi rivolgeva ancora la parola. Killian era stato molto più drastico nel suo iniziale rifiuto
«Capisco». Dal suo tono sembrava dire tutto il contrario.
«Liam mi dispiace terribilmente per ciò che ho fatto, non avrei mai dovuto…».
«Saresti morta comunque mamma», mi interruppe. «Capisco le tue motivazioni, non sono arrabbiato con te per questo».
«Ah no?». Lo guardai perplessa stupendomi della sua reazione così diversa da quella del fratello.
«No, ma avresti potuto dircelo, dirci che stavi per morire. Capisco Killian, ma a me o almeno a papà. È stato il non saperlo a distruggerci».
«Lo so, l’ho capito. Mi dispiace solo di averlo compreso troppo tardi». Non aggiunse altro e io ne approfittai per continuare. «Sei stato così bravo Liam, hai cresciuto tuo fratello praticamente da solo e l’hai reso in parte l’uomo che è adesso».
«Non sono stato sempre così bravo».
«Lo so», lo fermai. «Quando ero a Storybrooke ho letto la tua storia. Tutti commettiamo degli errori Liam, l’importante è capire i propri sbagli».
«Già». Finalmente voltò la testa per potermi guardare negli occhi. «Non avrei voluto scoprire ciò che hai fatto, ma sono contento che così tu abbia avuto la possibilità di vivere la tua vita e di rincontrare anche Killian. Io e soprattutto lui… insomma noi abbiamo sofferto moltissimo per la tua morte, sono felice che tu sia riuscita ad ottenere il suo perdono. Il gesto che hai fatto per Emma, per lui, ti ha sicuramente assolto ai suoi occhi».
«E tu Liam? Riuscirai mai a perdonarmi?».
Sospirò e il suo sguardo si fece più dolce mentre mi prendeva la mano nella sua. «Non c’è bisogno che tu me lo chieda. Dopo tutto ciò che mi hai raccontato, da quello che riesco a vedere in te adesso, non ho dubbi. So che non sarà facile ricostruire quello che c’era ma voglio provarci. Come hai detto tu, tutti commettono degli errori e non saresti qua adesso se non avessi ampiamente espiato i tuoi peccati. Io ti perdono mamma».
Gli lanciai le braccia al collo, travolgendolo con il mio abbraccio. Il mio cuore partì a mille sentendomi stringere dai suoi possenti muscoli.
Ormai ne ero sicura: quello dove ero arrivata dopo la mia morte era davvero un posto migliore. Era un luogo dove avrei potuto finalmente vivere con mio figlio recuperando il tempo perduto.
 
In un posto migliore molto tempo dopo
Stavo stendendo la pasta sul tavolo della cucina quando dei colpi alla porta mi fecero sussultare. Non mi aspettavo nessuna visita, dato che Liam era ancora in mare e sarebbe rientrato solo giorni dopo. Mi fermai per un secondo pensando forse di essermi immaginata tutto, ma i colpi ripresero facendosi più insistenti.
Che Liam fosse tornato prima e volesse farmi una sorpresa?
Mi sciacquai le mani, asciugandole al grembiule che avevo indosso. Ero completamente sporca di farina e anche la cucina non era messa meglio; non ero mai stata una cuoca precisa e ordinata.
«Arrivo», gridai quando ripresero a bussare. Chiunque fosse non voleva assolutamente demordere.
Mentre mi dirigevo verso la porta di ingresso cercai di rendermi più presentabile. Avevo i capelli legati in maniera disordinata, gli abiti oltre ad essere sporchi di farina non erano dei migliori;  non ero proprio nelle condizioni di ricevere ospiti. Dovetti sospirare e lasciar perdere almeno su quel punto: chiunque fosse venuto a trovarmi mi avrebbe preso così, non avevo né il tempo né la voglia di rimediare. Almeno se fosse stato Liam sapevo che a lui non sarebbe importato affatto.
Aprii la porta, assumendo un’aria scocciata per quella intromissione, ma colui che mi si parò davanti riuscì a farmi dimenticare ogni cosa. Il mio cuore si fermò vedendo l’uomo che sostava sulla soglia, per poi ripartire a mille. Di tutte le persone che mi sarei aspettata di vedere lui era sicuramente l’ultima.
Appena mi vide sul suo volto si disegnò un meraviglioso sorriso, un sorriso che un tempo avevo imparato a conoscere ed amare. Dalle sue labbra sfuggì una sola parola: «Sylvia».
In un attimo mi ritrovai completamente paralizzata: soltanto la sua presenza era riuscita a pietrificarmi esternamente ed infiammarmi invece internamente. Non avevo la minima idea di cosa fare: avrei potuto gettargli le braccia al collo di slancio oppure farlo entrare educatamente, ma nessuna delle due ipotesi mi sembrava la più appropriata.
«Jekyll…», mormorai con il cuore che sembrava volermi uscire dal petto.
«Sono così felice di vederti», sussurrò e sul suo volto il sorriso si allargò ancora di più. Delle piccole rughe gli si andarono a disegnare intorno agli occhi, dietro le lenti degli occhiali, un segno evidente che, nonostante io fossi rimasta la stessa, per lui gli anni erano passati. Non era più lo stesso uomo che avevo lasciato; era leggermente invecchiato, i suoi capelli erano più radi, la sua postura era diversa, sintomo di eventi e avventure che avevano influito su di lui, sul suo carattere oltre che sul suo aspetto. Ciò significava che la sua vita doveva essere andata avanti dopo la mia morte, esattamente come mi aveva promesso, rendendolo l’uomo che adesso avevo di fronte.
«Oh Henry». Il mio corpo si decise finalmente a reagire e in un istante gli lanciai le braccia al collo, affondando la testa sulla sua spalla e scoppiando inevitabilmente a piangere.
«Shh tranquilla», mi consolò stringendomi forte a lui e cullandomi tra le sue braccia.
«Non posso credere che tu sia qui», piagnucolai contro la sua giacca.
«Invece devi crederci». Mi scostò dalla sua spalla in modo tale da riuscire a guardami negli occhi, così che anch’io potessi fare altrettanto. «Sono qui adesso. Devo ammetterlo, senza di te è stata dura Sylvia, ma ho fatto ciò che mi hai chiesto: sono andato avanti. Ma ciò non significa che ti abbia mai dimenticata». Solo con quella dichiarazione era riuscito a farmi cadere nuovamente ai suoi piedi come era già successo nella Terra delle storie mai raccontate ed anche a Storybrooke.
«Poi», continuò approfittando del mio silenzio, «quando anche la mia vita è giunta al termine sono finito qua. Ho capito subito che ti avrei trovata, che dovevi esserci tu in questo strano posto; se questo è il Paradiso non poteva essere altrimenti». Mi asciugò le lacrime con il pollice, rivolgendomi lo stesso sguardo di un tempo. L’amore che avevamo provato in passato si riaccese come se non fosse passato neanche un giorno; lui aveva vissuto la sua vita, aveva fatto nuove esperienze, forse aveva amato di nuovo, eppure eccolo lì davanti a me pronto ad amarmi come il primo giorno.
In quel momento non mi importò più di niente, né del mio aspetto, né di cosa avesse fatto lui, di come avesse fatto a trovarmi. Lui era lì ed era tutto perfetto.
«Lo so che non vale quanto le tue parole, ma neanche io ti ho mai dimenticato Jekyll». L’attimo dopo mi attirò a sé baciandomi dolcemente. Le mie labbra si adattarono alla perfezione alle sue, rammentandomi i meravigliosi momenti che avevamo trascorso insieme. Ci lasciammo andare ad un bacio lento ed appassionato, riscoprendoci e ritrovandoci dopo un’intera vita, inteso in senso letterale almeno per lui.
Quando eravamo entrambi in vita non c’era stata possibilità per noi. Il nostro amore non era bastato a superare le difficoltà, prima con Hyde e poi con il mio sacrificio per Emma. Anche se il nostro amore non era stato capace di vincere le avversità, aveva però fatto un’altra cosa: era sopravvissuto nonostante il tempo. Era paradossale: eravamo entrambi morti, in una specie di Paradiso, eppure i nostri sentimenti erano rimasti vivi ed intatti come il primo giorno.
«Ti amo», sussurrai staccandomi dalle sue labbra.
«Ti amo anch’io», rispose. Studiai la sua espressione con estrema attenzione: nonostante fosse leggermente invecchiato era sempre lo stesso; sapevo che ci sarebbero stati lati del suo carattere che avrei dovuto scoprire, ma alla fine, sotto quella massa di esperienze che aveva fatto senza di me, c’era sempre il dottorino di cui mi ero innamorata. Lo scienziato insicuro, impacciato, dolce, forte, a momenti intrepido e con un desiderio enorme di essere libero: quell’uomo era sempre là.  
«Ho così tante cose da chiederti», sussurrai, accarezzandogli una guancia.
«Beh c’è tempo, adesso c’è tempo», replicò. «Nel frattempo potresti iniziare con il farmi entrare in casa tua». Scoppiai a ridere e prendendolo a braccetto lo feci accomodare in quella piccola casetta che condividevo con Liam.
Aveva ragione, avremo avuto tempo per raccontarci tutto, per le mille domande che mi frullavano in testa e non solo su di lui ma anche su gli altri abitanti di Storybrooke. Avrebbe potuto raccontarmi forse di Killian ed Emma, dirmi se erano felici. Avrei voluto sapere se anche lui lo era stato, se ciò che mi era accaduto aveva cambiato in maniera irreparabile la sua vita. Ma per quello avremo avuto ore, giorni, settimane; avremo avuto finalmente degli anni da poter passare insieme. Dopo tutto quello che ci era successo ci attendeva l’eternità.
Non era mai stato il nostro momento, ma quella realtà stava per cambiare: alla fine non ci sarebbe più stato niente ad impedire la nostra storia. Era straordinariamente giunto il momento per noi, avremo avuto finalmente la priorità. Jekyll l’avrebbe avuta e stavolta non sarei stata io a togliergliela.
Sapevo fin da quando ero arrivata lì di essere, nonostante i miei mille sbagli, finita in una specie di Paradiso. Il fatto di aver ritrovato Liam era stato sicuramente una prova a favore. Fino ad allora, però, non avevo capito quanto il Paradiso potesse essere veramente tale.
 
Storybrooke, decisamente non così tanto tempo dopo
Mi stiracchiai, iniziando ad aprire gli occhi. Ancora immersa nel sonno mi allungai cercando Killian nel letto. Ciò che trovai fu solo la sua parte del materasso vuota e fredda.
Sbattei le palpebre cercando di mettere a fuoco il mondo circostante. Mi ci volle un po’ per capire di essere nella cabina della Jolly Roger. Ero distesa sul letto nella stanza del capitano, ma ciò non spiegava ancora perché lui non fosse lì. Anzi quando eravamo sulla Jolly dovevamo dormire quasi sempre abbracciati per via delle dimensioni della branda.
Mi misi a sedere sul letto, cercando di svegliarmi del tutto e di riuscire a capire almeno che ore fossero. Quando i miei occhi si abituarono all’oscurità, riuscii a scorgere qualcosa sul cuscino accanto a me. Era un cioccolatino, con accanto un biglietto ripiegato.
Lo presi e lessi ciò che Killian vi aveva scritto con la sua bella grafia ordinata.
Un cioccolatino fondente ma dal cuore dolce, proprio come il mio bellissimo cigno.
Mangialo, vestiti e raggiungimi sul ponte della nave. Killian.
Sorrisi come una stupida leggendo le sue parole e mi affrettai a fare come mi aveva chiesto. Mangiai il suo dono, gustando il sapore unico della cioccolata: Killian aveva scelto proprio il mio cioccolatino preferito. Dopo quel momento di golosità, mi alzai e mi vestii infilandomi i pantaloni e una camicetta che avevo appoggiato al lato della cabina. Afferrai le scarpe e me le misi mentre iniziavo a salire verso il ponte. Sull’ultimo gradino mi passai le dita tra i capelli risistemandoli. Mi sentivo come un’adolescente che sta per incontrare il ragazzo che le piace, ma non potevo farci assolutamente niente, non quando Killian si comportava così con me.
Una volta arrivata sul ponte, l’aria pungente mi fece rabbrividire. La prima cosa che notai fu che non ci trovavamo più al porto ma in mezzo all’oceano. Hook non mi aveva detto di voler salpare, sicuramente doveva essere un’altra della sue sorprese. Mi sentivo come una principessa quando lui mi trattava così: mi riempiva di attenzioni a cui io non ero abituata.
Quando poi mi girai per dirigermi verso il timone, dove probabilmente si trovava lui, rimasi completamente senza fiato. Altro che principessa, mi stava trattando da vera e propria regina!
Centinaia di fiori cospargevano il pavimento della Jolly Roger; erano sistemati in decine di vasi in modo tale da formare una sorta di sentiero in mezzo ad essi. Non erano fiori qualunque: erano delle rose rosse e delle margherite, i miei fiori preferiti, mescolati insieme per formare un tappeto bianco e rosso, una distesa bianca punteggiata di rosso. Il profumo che emanavano si mescolava all’odore di salsedine dell’oceano, creando una fragranza fantastica. Era uno spettacolo meraviglioso e anche totalmente inaspettato.
Dopo che ebbi assimilato la sua straordinaria bellezza, almeno quel tanto da riprendermi un po’, fui in grado di notare anche altri piccoli particolari, che in precedenza mi erano sfuggiti. C’era una musica in sottofondo, una dolce musica classica, un assolo di violino; mi sembrava di averlo già sentito anche se non ricordavo dove. Inoltre era l’alba, il sole stava sorgendo striando il cielo di rosa ed arancio, rendendo lo spettacolo ancora più suggestivo. Era tutto assolutamente perfetto.
Fu in quel momento che le parole di Killian mi tornarono alla mente, come se le avesse pronunciate proprio in quell’istante. “No Emma. Tu meriti la migliore delle proposte; devono esserci fiori, deve esserci il tramonto, la musica giusta, l’atmosfera…”.
Il mio cuore partì all’impazzata realizzando ciò che stava accadendo: i fiori, la musica, l’atmosfera, c’era l’alba invece del tramonto. Era tutto estremamente chiaro.
“Tu meriti la perfezione”. Avevo pensato che esagerasse quando l’aveva detto, invece c’era riuscito davvero; lo spettacolo che avevo davanti mi sembrava impossibile. Adesso capivo perché non aveva voluto accettare di sposarmi quando glielo avevo chiesto sul quel letto d’ospedale; non sarebbe stato lo stesso, io non mi sarei sentita in quel modo. Era assolutamente la cosa più romantica che qualcuno avesse fatto per me.
Il mio cuore sembrò volermi uscire fuori dal petto mentre con gambe tremanti mossi i primi passi lungo il sentiero tra i fiori. Cosa avrebbe fatto quando finalmente me lo sarei ritrovata davanti? Mi sarebbe venuto un infarto? Sentivo le farfalle nello stomaco volteggiare come mai prima di allora e con molta probabilità avevo anche un sorriso ebete disegnato in faccia.
Quando infine lo vidi, fermo davanti al timone, fu tutto ancora più perfetto. Era lì, bello come sempre, che mi aspettava; alzò lo sguardo quando sentì i miei passi e i suoi occhi si incatenarono subito ai miei. Il sorriso meraviglioso che mi rivolse sarebbe valso a farmi cadere completamente ai suoi piedi se non fossi già stata interamente e irrimediabilmente in suo potere.
Si fece avanti superando il timone per venirmi incontro, mentre anch’io continuavo ad avvicinarmi con gambe tremanti. Non sapevo cosa dire, ero completamente senza parole. Ero così commossa, emozionata, sorpresa ed innamorata da aver perso completamente la capacità di esprimere una frase di senso compiuto.
«Wow, io…», balbettai in un vano tentativo di esprimere il tumulto di emozioni che sentivo.
«Shh Swan», mi fermò. «Non dire niente». Mosse l’ultimo passo che ci separava e si inginocchiò di fronte a me.
Ancora una volta le sue parole mi risuonarono nelle orecchie come se le avesse pronunciate in quello stesso istante. “Io che mi inginocchio davanti a te e tu che mi guardi come se fossi la cosa più preziosa che tu abbia mai avuto, io che ti infilo l’anello al dito…”.
Tirò fuori dalla tasca una piccola scatolina di velluto e se l’appoggiò sul palmo della mano. Quando tornò a guardarmi, i suoi occhi erano così intensi da farmi mancare l’aria. Se fossi svenuta da un momento all’altro l’unico colpevole sarebbe stato lui che, con quel suo sguardo, mi faceva dimenticare anche come si facesse a respirare.
«Dio Emma!», proruppe. «Quando mi guardi in questo modo mi fai completamente perdere la testa. Avevo preparato un discorso, ma adesso non mi ricordo più niente». Sorrisi ancora di più rendendomi conto che l’effetto che avevamo l’uno sull’altra era reciproco. Non ero solo io quella in preda all’emozioni, lui provava le stesse identiche cose.
«È tutto perfetto», mormorai, afferrandogli l’uncino con la mano.
«Volevo che lo fosse; volevo che fosse speciale». Tentò di riorganizzare le idee in modo tale da dare voce a ciò che gli frullava in testa. «Volevo la perfezione per te perché io non sono perfetto, e lo so, volevo che almeno questo momento lo fosse». Prese un profondo respiro e continuò. «Da quando ti ho incontrata tu mi hai reso un uomo migliore, hai dissipato la mia oscurità, mi hai spinto ad essere ciò che non ero da molto tempo. Ed io d’altra parte sono riuscito ad abbattere tutte le tue difese; ti sei aperta con me e mi hai concesso l’onore di conoscere la donna di cui sono perdutamente innamorato. Una volta ti ho detto che credevo che fossi il mio lieto fine, beh mi sbagliavo: tu non sarai mai una fine per me, semmai tu sei l’inizio di tutto. Ti amo Emma e penso che non riuscirei mai a vivere lontano da te. Per questo, e per mille altre ragioni, Emma Swan vuoi concedermi l’onore di diventare mia moglie?». Con l’uncino aprì la scatolina che teneva nella mano, rivelando uno splendido solitario; era così brillante da accecarmi, peccato che fossi già completamente abbagliata da Killian.
«Sì», risposi sorridendo. «Sì lo voglio». Non ricordavo un momento così felice da molto tempo.
Killian sorrise ancora di più sentendo la mia risposta; il suo sguardo era euforico e anche io mi sentivo così. Euforica ed emozionata, oltre ad avere una tremenda voglia di baciarlo. Senza indugiare oltre Killian tolse l’anello dalla scatolina e aiutandosi con l’uncino me lo mise al dito.
Un attimo dopo era di nuovo in piedi ed io ero stretta tra le sue braccia, il suo viso ad un centimetro dal mio.
«Dio quanto ti amo!», sussurrai, buttandogli le braccia al collo e arruffandogli i capelli con le dita.
«Non sai quanto speravo di sentirtelo dire». Il secondo dopo ci stavamo baciando con passione; le mie labbra trovarono le sue, la sua lingua incontrò la mia e il resto del mondo sarebbe anche potuto esplodere senza che noi ce ne accorgessimo.
Lasciai la sua bocca per baciargli una guancia, poi il naso, le palpebre, ogni centimetro del suo viso. Con la mano accarezzai il suo zigomo, i suoi capelli, il suo orecchio, il suo collo. Killian sorrideva mentre la sua mano si muoveva su e giù lungo il mio fianco, sulla mia schiena, l’uncino che mi spingeva sempre di più contro di lui.
«Killian…». Pronunciai il suo nome come se fosse la cosa più preziosa sulla faccia della terra, ed in effetti per me era proprio così.
«Oh Emma». La sua mano si spostò dal mio fianco, al mio viso, scostandomi una ciocca di capelli dalla guancia. «Vedere la tua espressione in questo momento mi ripaga di tutto».
«Come ci sei riuscito?», domandai naufragando nei suoi occhi. «È tutto così…wow». Non c’erano parole per descriverlo.
«Henry e Regina mi hanno dato una mano», rispose cullandomi tra le sue braccia.
«Henry?».
«Beh devi sapere Swan che prima di farti la proposta, ho chiesto la tua mano a tuo figlio».
«Non avresti dovuto chiederla a mio padre?», replicai ridacchiando. «Una persona all’antica come te dovrebbe rispettare le tradizioni».
«Beh si dà il caso che me ne infischi del permesso di tuo padre, soprattutto sapendo che ho la completa approvazione della figlia. Non dirmi che non mi sposeresti più se lui non approvasse? Non ti facevo una figlia tanto rispettosa».
«Ti sposerei anche se il mondo intero disapprovasse». Ed era la verità; non sapevo come ci ero arrivata, come dalla donna chiusa e riservata fossi diventata una romantica sognatrice, ma era così. Se prima sarei scappata di fronte ad una proposta del genere, mettendo centinaia di chilometri di distanza tra me e lui, adesso non avevo più paura. Con Killian non ne avrei mai più avuta.
«Ed io continuerei a lottare per averti anche contro tutta l’umanità», replicò a sua volta. Mi baciò dolcemente, facendomi perdere il filo del discorso.
Quando le sue labbra si staccarono dalle mie ed io fui abbastanza lucida da ricordare ciò che stavamo dicendo, ripresi la conversazione da dove ci eravamo interrotti. «Insomma dicevi che hai chiesto il permesso a mio figlio…».
«Sì, beh a quanto pare ho ottenuto la sua approvazione. Non volevo che lui fosse contrario, invece è stato felice quando glielo ho detto». Avere l’approvazione di Henry rese quel momento ancora più idilliaco di quanto già non fosse. In fondo mi importava solo di quello: che Henry accettasse Killian come parte integrante delle nostre vite, che capisse che Hook non voleva sostituire suo padre, e che io non sarei più stata la stessa senza di lui.
«Regina ed Henry», continuò, «mi hanno aiutato a portare i fiori sulla Jolly ieri sera quando ti sei addormentata. Il ragazzino ha anche messo una di quelle strane scatole per fare uscire la musica che avevo scelto. Oh Dio Swan ero così nervoso! Avevo paura che ti svegliassi mentre stavamo ancora sistemando tutto, o che ti svegliassi troppo tardi in modo tale da perderti l’alba…».
«Invece è stato tutto perfetto, proprio come me lo avevi descritto».
«Beh anche meglio direi, il modo in cui mi hai guardato, in cui continui a guardarmi, non sarei riuscito ad immaginarlo nemmeno nei miei sogni più idilliaci». Aveva ragione e lo stesso valeva per lo sguardo che lui stava rivolgendo a me.
Continuai ad accarezzargli la guancia, perdendomi nei suoi occhi, fino a che la mia attenzione non fu attratta dall’anello luccicante che adesso spiccava dal mio dito. Era una vera, di oro bianco probabilmente, con incastonato un piccolo diamante. Era semplice e bellissimo, sembrava essere nato apposta per stare sul mio dito; era adatto a me in tutto e per tutto.
«È bellissimo», sussurrai stendendo la mano per osservarlo meglio.
«Era di mia madre». Quella rivelazione mi lasciò senza fiato. Era di Sylvia? Poteva essere davvero così? Se avevo adorato quell’anello fin da subito, adesso non me lo sarei più tolto dal dito per nessuna ragione al mondo.
«Come è possibile?», balbettai incredula.
«Già, non ci credevo neanche io all’inizio. Mia madre lo ha dato a Gold, prima di morire, probabilmente quando ancora non sapevo la verità. Quando il coccodrillo me lo ha portato non potevo credere ai miei occhi: ricordavo benissimo l’anello, l’avevo visto al dito di mia madre un milione di volte».
«Era la vera nuziale di Sylvia?», domandai intuendo la risposta.
«Sì, era l’unica cosa preziosa che possedesse e che le avessero lasciato i miei nonni. Era una specie di dote; mio padre non avrebbe avuto la possibilità di comprarle un anello altrimenti».
«E lo vuoi dare a me?». Il suo gesto mi commuoveva: era uno dei pochi ricordi di sua madre e lui me lo stava donando.
«Lei voleva che lo avessi tu. C’era un biglietto nella scatolina, diceva: “dallo ad Emma quando sarà il momento”, immagino che volesse darlo a te più che a me».
«Credo che volesse darci la sua approvazione», sussurrai.
«O forse voleva semplicemente che lo donassi alla donna a cui appartiene il mio cuore».
«Mi chiedo quanti altri debiti avrò con lei…».
«Beh amore», disse sollevandomi il mento con la mano, «credo che il solo fatto di sapermi felice con te l’abbia ripagata di tutti i suoi sacrifici».
«Lo so». Il più grande desiderio di Sylvia era sapere suo figlio felice, nonostante tutto quello che aveva sofferto in passato. Ed anche io non volevo altro e lei lo sapeva, l’aveva sempre saputo. Sperai che ovunque si trovasse potesse aver trovato la felicità anche lei.
«Allora», sussurrai ad un centimetro dalle sue labbra, «facciamo che tutto questo duri per sempre».
«Penso che il “vissero per sempre felici e contenti” sia un po’ sottovalutato qua a Storybrooke».
«Allora dovremo dimostrare a tutti che si sbagliano».
Il suo sorriso si allargò e di riflesso anche il mio. «Per sempre».
«Per sempre», ripetei. Ed ero certa che sarebbe stato così.


 
Angolo dell’autrice:
Oddio, non posso credere di essere arrivata alla fine. Questa storia è cominciata a giugno e adesso siamo quasi a Natale! Sono felice e triste allo stesso tempo.
Ma andiamo per gradi: avrete sicuramente capito che amo il lieto fine in tutte le sue sfaccettature. Non volevo lasciare che la storia di Sylvia si concludesse in quel modo; il semplice fatto che lei avesse trovato una sorta di pace non mi bastava, volevo darle di più. E con questo epilogo penso di esserci riuscita. Ritrova Liam, poi Jekyll… volevo che tutto fosse perfetto sia per lei che per Emma.
Veniamo quindi all’ultima parte, alla proposta. Forse non vi ricordavate ciò che Killian le aveva detto in tal proposito parecchi capitoli fa, ma ho progettato questo epilogo fin da allora. Killian è sempre stato un uomo di parola ed io ho fatto in modo che lo fosse anche stavolta. Vorrei che una proposta, anche se non così idilliaca come la mia, ci fosse anche nella serie, ma mi sa che dovrò aspettare marzo per saperlo.
E infine arriviamo ai ringraziamenti. Un GRAZIE enorme a tutti quelli che sono arrivati fino a questo punto, che hanno letto silenziosamente, che hanno inserito la mia storia nelle varie raccolte. Grazie davvero a tutti quanti.
Un GRAZIE ancora più enorme va a coloro che hanno recensito, e che con i loro commenti mi hanno dato molti spunti e mi hanno spronato ad andare avanti. Il fatto che alcune di esse siano autrici che adoro, mi ha reso mille volte più euforica. Per questo grazie di cuore Lady Lara, smemorina89, Molly Grey, Chipped Cup, Persefone3, r5silvia, yurohookemma e GiulssD. Spero di non aver dimenticato nessuno.
Quindi siamo giunti ai saluti finali. Spero di riuscire a mettere ordine nella mia testa e nelle mie idee per poter buttar giù una nuova storia al più presto. Nel frattempo vi saluto e spero che questo finale vi abbia soddisfatto.
Un abbraccio enorme ed un bacione
Sara
 

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