Morte di un imprenditore

di rossella0806
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lista di nozze ***
Capitolo 2: *** Il parcheggio in doppia fila ***
Capitolo 3: *** Il cestino della spazzatura ***
Capitolo 4: *** La segretaria civetta ***
Capitolo 5: *** Agnese Rampi: una simpatica vecchietta? ***
Capitolo 6: *** La musicista e lo sbruffone ***
Capitolo 7: *** La macchina del gelato ***
Capitolo 8: *** L'orco di Pollicino ***
Capitolo 9: *** L'incidente di sci ***
Capitolo 10: *** La donna con il geco ***
Capitolo 11: *** Il serbatoio dell'acqua ***
Capitolo 12: *** Destra o sinistra? ***
Capitolo 13: *** Un romantico invito ***
Capitolo 14: *** Lasagne e rivelazioni ***
Capitolo 15: *** Un poliziotto k.o. ***
Capitolo 16: *** L'ultimo saluto ***
Capitolo 17: *** Il lato romantico di un poliziotto ***
Capitolo 18: *** L'arpia dal cuore di pietra ***
Capitolo 19: *** Finalmente la verità ***
Capitolo 20: *** Proposta indecente ... in macchina ***



Capitolo 1
*** Lista di nozze ***


Lunedì 10 Novembre, ore 00.00, Torino, Fabbrica delle Ceramiche "Appiani Uzia"



Era stato un ottobre molto mite, con temperature, sostenevano gli esperti della meteorologia, al di sopra delle medie stagionali.
Ciò aveva permesso ai torinesi di godersi il tepore del sole, passeggiando nei parchi con il solo riparo di una giacca o di un maglione non troppo pesante, attardandosi sulle panchine o sui ponti che galleggiavano sopra il Po, andando a lavorare con un sorriso e tornando a casa soddisfatti per quel tempo così magnanimo.
Tuttavia, l’epoca dell’estate prolungata, come l’avevano definita i colonnelli dell’Aeronautica, impettiti e professionali davanti alla cartina dell’Italia, si poteva considerare ormai agli sgoccioli: la ricorrenza di Ognissanti, infatti, oltre ad aver portato con sé fiumane di persone tra le tombe di defunti di cui, solitamente, si sarebbero dimenticati per il resto dell’anno, maree di lumini e vagonate di fiori finti, aveva riversato sulla città un vento gelido, le cui raffiche erano talmente potenti da fare quasi invidia alla bora triestina.
Tristi mucchi di foglie accartocciate rimbalzavano da un lato all’altro dei marciapiedi, come in un folle ping pong senza sosta; le fronde nodose degli olmi e dei frassini oscillavano pericolosamente, piegandosi come in una danza macabra.
La stretta strada che conduceva alla fabbrica era illuminata da due soli lampioni, poiché il terzo si era guastato per chissà quale motivo.
Ai lati del lungo sentiero, nella periferia più estrema e meno accogliente, si propagavano distese di erba secca, alte mezzo metro e bisognose di una bella e abbondante innaffiata.
L’insegna della fabbrica “Ceramiche Appiani Uzia” era insolitamente accesa: la costruzione, un lungo parallelepipedo bianco con le finestre nere, si stagliava diritta e fiera nel cielo povero di stelle.
Improvvisamente, un lieve, breve sussulto fece capolino in mezzo a quel silenzio, seguito da un grido soffocato, un crescendo di voci, un rumore, poi più niente.
Il sipario della morte era calato, avvolgendo ogni suo personaggio che vi era rimasto impigliato.




Ore 8.15, commissariato “L’Aquila”, Torino


Mezzo commissariato era decimato dai vari malanni di stagione: influenza, tosse, raffreddore, insomma, in confronto la pioggia di cavallette biblica si sarebbe rivelata una comoda passeggiata tra le vie del centro cittadino.
In quei giorni, il tempo era stato davvero inclemente, freddo ed uggioso: ormai, seppure con qualche brontolio di disappunto, ci si era abituati alle temperature autunnali, ai maglioni, ai cappotti e ai calzettoni pesanti, ma, al vento freddo proveniente da est, a quello ancora i torinesi non avevano fatto il callo.
I corridoi della stazione di Polizia risultavano così meno caotici del solito, mentre un uomo sulla trentina, alto come una pertica, i capelli ricci e rossi in contrasto con gli occhi petrolio e il naso aquilino, barcollò fino a una porta bianca, alla quale si ritrovò a bussare con un paio di colpi di nocche.
L’ispettore Francesco Ghirodelli si affacciò alla soglia dell’ufficio del suo superiore, il commissario Alessandro Terenzi.
-E’ permesso?-
-Vieni pure- lo accolse l’altro, intento a battere sulla tastiera del computer, mentre la voce del nuovo arrivato, nasale e distorta, anticipava il suo ingresso, seguito da un rumoroso starnuto.
-Ghirodelli, per favore, stammi lontano! Questo non è più un commissariato, è un lazzaretto! Bini e Di Biase sono a casa con la febbre a quaranta, Rossetti è più le volte che tossisce di quelle che respira, adesso anche tu stai covando qualcosa?!-
-Ma no, commissario, è solo un semplice raffreddore. Sa, tra il riscaldamento interno e il freddo che c’è fuori, è facile beccarsi qualcosa-
-Basta che non mi stai troppo vicino: se mi ammalo anch’ io e tu sei conciato così, chi ci viene a sostituire? Il questore?-
L’ispettore sorrise, strofinandosi il naso arrossato con un fazzoletto di carta, un naso simile a quello degli attori degli anni Trenta, divertito ad immaginarsi la dottoressa Del Fiore al posto loro.
-Dai, a parte gli scherzi, cosa volevi?-
-Purtroppo, non porto buone notizie. Hanno ammazzato Giorgio Appiani Uzia … -
Terenzi, la solita barba incolta, s’interessò subito a quella rivelazione: socchiuse gli occhi scuri e arricciò le labbra, cercando di trovare, in mezzo ai cassetti della memoria, qualche appiglio che gli confidasse chi fosse la vittima.
-Dovrei conoscerlo?- si arrese poco dopo, scuotendo il capo.
-Ma era il noto imprenditore, quello della fabbrica di ceramiche Appiani Uzia! Non mi dica che non lo conosce? Mezza Torino quando si sposa va a fare la lista di nozze lì!-
Il commissario sbuffò e alzò lo sguardo al cielo, quindi si drizzò in piedi e fece il giro della scrivania, ponendosi di fronte al sottoposto, le braccia conserte.
-E invece ti dico che non lo conosco! E poi, nessuno di noi due è sposato, quindi come fai ad essere così informato?-
-Beh, è per via di mia sorella. L’anno prossimo si sposa … e la lista di nozze la vuole fare a tutti i costi da loro, nel negozio che hanno in centro!-
-Ah, non lo sapevo, congratulazioni!- si rabbonì Terenzi, regalando una pacca affettuosa sulla spalla sinistra dell’ispettore, che ringraziò imbarazzato.
-Comunque, tornando a noi, chi ci ha avvisato del ritrovamento del cadavere?-
-Carlo Della Robbia, il braccio destro di Appiani-
-E si sa già come l’hanno ucciso?-
Ghirodelli scosse la testa, il volto desolato:
-Da quello che ho capito, dovrebbe essere stato colpito al capo, ma Della Robbia era talmente scosso che non è stato molto chiaro sulle condizioni in cui è stato rinvenuto il corpo-
-Testimoni?-
-Quanti ne vuole … ovvero, nessuno-
-Hai già avvisato il medico legale?-
-Sì, commissario, e ho mandato Rossi sul posto -
-Bene, andiamo anche noi-
L’uomo recuperò il cappotto in finta pelle e uscì con l’ispettore, la porta dell’ufficio accostata.



Venti minuti più tardi, Terenzi e Ghirodelli arrivarono sul luogo del delitto, un paio di macchine parcheggiate nel piazzale e la camionetta della Scientifica già pronta per compiere i primi rilievi .
Tirandosi su il bavero del cappotto, il commissario salutò con un cenno del capo un uomo sulla cinquantina, alto e dalla corporatura massiccia, con una voglia a forma di fragola sulla mano destra, i folti capelli castani striati di grigio.
-Buongiorno, dottore-
L’uomo, in piedi davanti al cofano di un' Alfa Romeo rossa, si girò, sorridendo stancamente:
-Direi che non è un ottimo buongiorno, commissario, almeno per quel poveretto. Sono appena arrivato, anzi, la mia cara e vecchia automobile rischiava di lasciarmi a piedi, quindi non ho ancora avuto modo di visionare il cadavere. Vogliamo vederlo insieme?-
-Visto che ci tocca … - cercò di ironizzare l'altro, notando la scarsa voglia di fare conversazione del dottore.
Terenzi e l’ispettore seguirono Bertani, il medico legale, all’interno della fabbrica, un’immensa costruzione degli anni Cinquanta, bianchissima e con la grossa insegna in ferro battuto “Ceramiche Appiani Uzia” scritta a ghirigori, sovrastante il tetto piatto di ghisa.
I tre percorsero un lungo corridoio, le pareti tinte di un giallo limone e adornate da stampe raffiguranti opere di Dalì ed Andy Warhol, fermandosi alla quarta porta a destra, attirati dagli agenti della Scientifica che stavano fotografando la stanza, ampia e luminosa, i muri decorati da quadri di paesaggi naturalistici.
Però, constatò il commissario, il proprietario aveva una passione per l'arte ... alternativa.
Agguantarono un paio di calzari e dei guanti bianchi che un agente gli stava passando, quindi si prepararono a varcare la soglia.
Subito, il loro sguardo cadde sulla lunga libreria stracolma di volumi, proprio dietro un’elegante poltrona castagna in ecopelle, su cui si abbandonava mestamente il corpo di Giorgio Appiani Uzia.
La vittima era seduta alla scrivania di vetro, immobile e con la testa rivolta a sinistra appoggiata al tavolo, le braccia cascanti lungo i fianchi.
Doveva essere un bell’uomo, pensò Terenzi, e anche particolarmente elegante, almeno dal taglio della giacca.
Era completamente pelato, ma si vedeva che era alto ed atletico, intuizione dettata dall’ampiezza delle spalle.
Un rivolo di sangue gli aveva macchiato il colletto della camicia, per il resto risultava impeccabile.
Il medico legale si avvicinò al corpo e, appoggiando sul pavimento di grandi piastrelle grigie rettangolari la borsa da lavoro, si acquattò di fianco al cadavere.
Lo toccò con mani esperte, spostandolo con delicatezza, dopo che, una giovane agente della Scientifica che stava fotografando la stanza, gli diede il via libera.
-A prima vista, direi che l’hanno colpito con qualcosa di non molto pesante, come un fermacarte o un posacenere-
Terenzi e Ghirodelli si guardarono intorno, concentrandosi sugli oggetti che meglio avrebbero rappresentato l’arma del delitto.
-Da una prima occhiata, dottore, direi che qui in giro non vedo nulla di simile- constatò pensieroso il commissario, convinto che l’assassino non sarebbe stato così stupido da lasciare sul luogo del misfatto la prova regina che avrebbe potuto incastrarlo senza troppa difficoltà.
-Pensa che potrebbero aver inscenato una colluttazione?- continuò, indicando con un cenno del capo Appiani Uzia.
-Voglio dire, da come doveva essere piazzato la vittima, mi sembra strano che non abbia opposto un minimo di resistenza al suo assassino … - gli fece notare il poliziotto, mentre Bertani esaminava le unghie del cadavere.
-Questo ancora non glielo posso dire, mi faccia fare l’autopsia, poi confermerò o smentirò quello che le ho appena detto-
-A che ora dovrebbe risalire la morte?-
-E’ freddo e anche particolarmente rigido, quindi direi da almeno una decina di ore. Più o meno, ovviamente-
-Secondo lei il corpo è stato trasportato o l’hanno ucciso qui?-
-No, non credo lo abbiano spostato: è posizionato troppo bene, non so se mi spiego … - azzardò il medico legale, alzandosi.
-Ho capito. Per quando potrebbe fare l’esame autoptico?-
-Posso dargli un’occhiata già oggi pomeriggio, ma prima di domani mattina non riescirò a cominciare sul serio-
-D’accordo. Grazie, dottore, la chiamerò domani nel primo pomeriggio-
-Va bene, commissario. Arrivederci-
Terenzi e l’ispettore si accomiatarono da Bertani e dagli agenti della Scientifica, apprestandosi ad uscire dall’ufficio, ma subito vennero bloccati da un giovane poliziotto, magro e con i capelli corti castani.
-Oh, Rossi, allora?- lo salutò il primo, dandogli una pacca sulla spalla destra.
-Commissario, sono arrivato un’ora fa, ma purtroppo non ho trovato nessuno che possa aver visto o sentito qualcosa. Questa è una zona di periferia, destinata ai capannoni industriali. Le abitazioni più vicine sono a mezzo chilometro di distanza, tutto il resto è area per i podisti amatoriali … -  puntualizzò concentrato l’agente scelto.
-Mi sono accorto anch'io che non è propriamente il posto ideale per reclutare testimoni, ma sembra essere piuttosto il luogo ideale per commettere un omicidio. Altre cose?- domandò con una punta di amarezza, grattandosi la barba incolta.
-Di là ci sarebbe Carlo Della Robbia, è lui che ha trovato il corpo-
-Ti ha già detto qualcosa?- gli chiese il superiore, incamminandosi dietro il giovane.
-E’ molto sconvolto: ha solo confermato che ha trovato il corpo questa mattina, alle sette e mezza, quando è entrato in fabbrica. Toccava a lui aprire, oggi, per questo è arrivato così presto. Di qua, commissario-
Terenzi, Ghirodelli e Rossi scesero una scala con i gradini in pietra e si ritrovano in quella che aveva tutta l’aria di essere una sala mensa: in una grande stanza color avorio, tre lunghi tavoli ricoperti di tela cerata colorata occupavano la parte centrale del locale, mentre sulla parete nord, dalla parte opposta dell’ingresso, erano stati collocati due distributori di bevande.
-Ecco, è lui- gli fece cenno l’agente, indicando un uomo sui sessant’anni, abbandonato su una sedia di ferro, i capelli non molto folti biondo scuro e gli occhi chiari acquosi, intento a sorseggiare un bicchiere d’acqua, la bottiglia sul tavolo davanti a sé.
Il commissario e l’ispettore gli si avvicinarono, mentre l’altro poliziotto rimase in disparte a pochi passi dal gruppetto.
Poi, recuperarono due sedie e vi si accomodarono.
-Signor Della Robbia, buongiorno, sono il commissario Terenzi: insieme al mio vice, l'ispettore Ghirodelli, mi occuperò dell’indagine. Potrei farle qualche domanda?-
L’uomo alzò la testa, visibilmente sconvolto e, il volto pallido, annuì comprensivo, stringendo le mani dei poliziotti.
-Lo so che è un momento difficile, ma è importante cominciare ad indagare fin da adesso, mi capisce?-
L’uomo fece di sì con la testa un’altra volta, lo sguardo concentrato sul bicchiere mezzo vuoto.
-Mi hanno detto che è stato lei a trovare il signor Appiani Uzia ... -
-E’ così, ma ho già detto tutto al vostro collega, poco fa … - la voce era un sibilo, mentre accennava a Rossi, davanti a lui.
-Questo lo sappiamo, ma anche noi abbiamo la necessità di porle delle domande. Ascolti, ha toccato qualcosa quando è entrato nella stanza?-
-No, nulla- si rassegnò a rispondere Della Robbia.
-Era normale che il signor Appiani arrivasse in fabbrica così presto? Mi risulta che, oggi, toccasse a lei aprire. Per quale motivo?-
-Sì, di solito alle sette e mezza era già in ufficio: gli piaceva occuparsi di ogni cosa, era fatto così, povero Giorgio. Venerdì pomeriggio, però, mi chiese se avrei potuto arrivare prima, stamattina, per aprire al suo posto. Ma non mi domandi il motivo, perché non me lo ha detto …  -
Terenzi rivolse uno sguardo d’intesa all’ispettore, come a voler dire che quello avrebbe potuto rivelarsi un indizio molto importante, un punto di partenza per cominciare a far luce sul caso.
-Era solito fermarsi a dormire qui in fabbrica?-
-No, che io sappia non è mai successo, ma perché me lo sta chiedendo?-
Carlo Della Robbia si risvegliò dall’apatia in cui era precipitato, interessato a quella domanda di cui non trovava un senso.
-E’ molto probabile che la morte risali a questa notte, che l’abbiano ucciso proprio qui, nel suo ufficio-
L’uomo si mise le mani nei capelli, ritornando ad abbassare lo sguardo.
-Giorgio ed io eravamo amici, oltre che soci. Questa mattina ci saremmo dovuti incontrare con un gruppo di francesi interessati a comprare un cospicuo numero delle nostre ceramiche: era un affare molto importante, che ci avrebbe assicurato grande visibilità ma, purtroppo, non è andata così … -
-Conosceva bene il signor Appiani?-
-Lavoravo con lui da venticinque anni, praticamente è stato Giorgio ad insegnarmi tutto quello che so: è stato il mio maestro, il mio consigliere, un grande amico e ... adesso non c’è più –
-Vuole fare una pausa?-
Della Robbia scosse la testa, versandosi poi dell’altra acqua.
-Dove si trovava questa notte?-
-A casa mia, dormivo: c’è mia moglie che lo può confermare- si irrigidì il braccio destro, sistemandosi meglio sulla sedia.
-Che ruolo ricopre nell’azienda, signor Della Robbia?-
-Sono il vice direttore della fabbrica da dodici anni-
Altro elemento interessante, rifletté il commissario.
-Quando ha visto per l’ultima volta la vittima?-
L’uomo si passò una mano sulla bocca, poi sospirò stancamente.
-Gliel’ho detto, è stato venerdì sera, intorno alle sette, o era dopo, non mi ricordo, quando mi chiese di arrivare prima, stamattina. Ci eravamo fermati fino a tardi per definire gli ultimi preparativi per l’incontro con i francesi. Poi, l'ho lasciato come al solito, normalmente. Non avrei mai pensato che potesse succedergli una cosa così brutta ... -
-A questo proposito, ha idea di cosa sia successo? Voglio dire, il signor Appiani aveva dei nemici, aveva dei conti in sospeso con qualcuno?-
L’interrogato fissò per qualche secondo il bicchiere mezzo vuoto, dopodiché guardò smarrito Terenzi.
-No, commissario, non lo so. Qui tutti gli eravamo affezionati e la concorrenza da queste parti praticamente non esiste: non sono molte le aziende come la nostra, il settore non è particolarmente ghiotto per il mercato, per cui non riesco a capire chi possa aver fatto questo e, soprattutto, perché! -
-Quando è entrato nella fabbrica, questa mattina, ha visto qualcosa di inusuale, di diverso dal solito?-
L’altro deglutì e rimase in silenzio per qualche secondo, quindi rispose:
-Solo io e Giorgio avevamo le chiavi: prima, però, non le ho nemmeno usate, perché il portone d’ingresso era aperto. Ho subito pensato che Giorgio fosse già arrivato, che avesse cambiato idea, così sono andato direttamente in ufficio da lui: la porta era aperta e…  l’ho visto- l’uomo trangugiò un altro sorso d’acqua, fece un sospiro profondo, d’incoraggiamento, poi continuò lentamente, incredulo:
-Era riverso sulla scrivania, immobile. Ho capito che c’era qualcosa che non andava, così mi sono avvicinato, l’ho chiamato, ma lui non mi rispondeva … -
-Ha toccato il corpo, quindi?- domandò incalzante Terenzi, lievemente irritato e intuendo già la risposta, sebbene poco prima gli avesse assicurato di non aver toccato nulla.
-Sì, per vedere se era ancora vivo-
-Ha notato se mancava qualche oggetto, un posacenere o un fermacarte, per esempio?-
-Giorgio non fumava e, a dir la verità, non ci ho fatto caso. Sono subito uscito dalla stanza per cercare aiuto, ma i primi operai ancora non erano arrivati, così vi ho chiamato perché veniste … -
Il poliziotti osservò per qualche secondo il viso magro e spigoloso dell’uomo, una faccia rassicurante e a modo suo anche dai bei lineamenti.
-Il signor Appiani era sposato?-
-Sì ... cioè, lui e Clelia si erano separati cinque anni fa, ma i loro rapporti sono sempre rimasti  buoni. Si vedevano di frequente, per questo avevano mantenuto una relazione il più normale possibile. E poi, la loro ra stata una separazione consensuale, molto civile -
-Si stavano forse riavvicinando?- s’informò interessato il commissario, incrociando lo sguardo con quello di Ghirodelli.
-Non credo, Giorgio non parlava volentieri di questa cosa: sono convinto che, in cuor suo, non si fosse completamente rassegnato, infatti, non aveva trovato nessun’altra donna. Capitava che si vedessero perché Clelia è a capo di una piccola ditta di abiti da sposa e, ancora quando stavano insieme, Giorgio le aveva fatto creare l’esposizione a fianco dei laboratori delle ceramiche, nella dependance qui dietro-
-A che ora apre il negozio?-
-Alle nove, ma in questi giorni non l’ho vista, credo sia un po’ influenzata-
-Dovremo avvisarla di quello che è successo: mi può dare l’indirizzo?-
-Lo posso fare io. Sa, sarei già andato a trovarla oggi pomeriggio, per quella faccenda dei francesi che volevano vedere anche il suo laboratorio, però, se vuole, le do ugualmente il numero di telefono e l’indirizzo. Se aspetta un attimo, glielo scrivo sul mio biglietto da visita-
L’uomo tirò fuori dalla tasca interna della giacca una Montblanc nera e un rettangolo di carta plastificata, su cui cominciò a scarabocchiare delle cifre.
-Tenga-
-Grazie, per me basta così, signor Della Robbia. La faccio accompagnare nell’ufficio della vittima, così può controllare che non manchi nulla-
-No, commissario, la prego- lo interruppe agitato -le faccio un inventario, qualsiasi cosa, ma non mi chieda di entrare lì dentro, non reggerei un’altra volta alla vista del povero Giorgio-
-D’accordo- acconsentì l’altro –ma dovrà compilarmi un elenco degli oggetti e delle carte del signor Appiani, entro oggi, se riesce. Se si dovesse accorgere della mancanza di qualcosa, me lo faccia sapere immediatamente-
-Non mancherò -
Terenzi si alzò dalla sedia e appoggiò una mano sulla spalla di Carlo Della Robbia, che sorrise mestamente.
-Vuole che la faccia riaccompagnare a casa?-
-Non si preoccupi, ho l’auto qui fuori-
-Si tenga a disposizione, allora, potrei avere ancora bisogno di lei-
-Certamente, commissario-

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Capitolo 2
*** Il parcheggio in doppia fila ***




Ore 16.00, abitazione di Clelia Camoletti, Torino



Quel giorno, al negozio di abiti da sposa, la vedova Appiani non si era vista: l’aveva chiamata per darle la terribile notizia lo stesso Carlo Della Robbia, così Terenzi, facendo un passo indietro, le aveva telefonato per chiederle se avrebbe potuto riceverlo nel pomeriggio.
L’appartamento della donna si trovava nella zona bene della città, a cinque minuti dal centro.
Il commissario aveva parcheggiato la macchina in una viuzza lontana, approfittando del flebile sole e del fatto di essere in anticipo per fare una camminata che gli sgranchisse gambe e pensieri.
Il cappotto color cammello abbottonato fino al collo e una sciarpa blu notte avvolta attorno al viso puntellato di barba, si ritrovò a passare davanti a negozi di cui neppure si ricordava l’esistenza, a vecchi bar con le scritte ormai in piena decadenza, costeggiando nuovi locali, gli sconosciuti ristopub, che si stavano riproducendo come funghi nel sottobosco, le insegne degne dei colori dell’abito di Arlecchino.
Ma, la cosa che più lo stupì, che lo convinse a fermarsi, fu quella che aveva tutta l’aria di essere una vera e propria distesa di automobili piazzate in doppia fila, un paradiso per i colleghi della municipale.
Il suo senso del dovere lo sfiorò per una manciata di secondi, spingendolo ad avvisare i vigili urbani della ghiottoneria di cui era testimone; tuttavia, lasciò perdere, proseguendo di buona lena per non arrivare in ritardo all’appuntamento, le mani infreddolite subissate nelle tasche.
Alle sedici spaccate, il poliziotto citofonò al quinto ed ultimo piano dell’interno A di un palazzo signorile, che si presentava ai visitatori con la curiosa forma della prua di una nave, la facciata color granito disseminata da una miriade di finestrelle con le imposte verdi.
Quando, con l'ascensore dalle pareti in vetro, raggiunse l’attico, trovò la porta già accostata.
-Permesso… -
L’uomo entrò con cautela, ritrovandosi in un salotto degno di un principe, il parquet ricoperto di tappeti persiani e un immenso arazzo raffigurante un cesto di frutta e fiori a pochi metri davanti a lui.
La porta finestra che dava sulla terrazza occupava un’intera parete, proprio dietro il primo dei due divani color panna.
Terenzi si avvicinò e guardò fuori, attirato dalla calda luce del tramonto che si spargeva, come fasci colorati, al di là delle lunghe vetrate: l’uomo, le mani in tasca, non si stupì più di tanto del fatto che riuscisse a scorgere molto bene la mole Antonelliana e quasi tutta Torino, data l’incantevole posizione dell’appartamento.
Constatò che, quella che si vedeva parecchi metri sotto di lui, non era la strada che aveva percorso pochi attimi prima, ma una delle tante vie che si snodavano dal retro del palazzo.
Dovette distogliere lo sguardo, poiché un riverbero di sole più accecante dei precedenti gli aveva annebbiato la vista, nello stesso istante in cui le fronde degli alberi avevano ripreso a muoversi al ritmo del vento, quel vento freddo e padrone del tempo.
-Commissario- il poliziotto si voltò in direzione della voce che lo stava chiamando, una voce gentile e roca.
-Buona sera, signora- la donna gli si avvicinò cautamente e gli strinse la mano: era tiepida e liscia, mentre quella dell’uomo era fredda e grande.
-Mi scusi se l’ho fatta aspettare, ma ero andata a riposare e, quando lei ha citofonato, mi ero appena alzata-
Terenzi abbozzò un sorriso di circostanza e, subito, replicò cordialmente:
-Spero di non averla disturbata: avevo capito che sarei potuto venire a quest’ora … -
-Infatti, la colpa è mia, lei ha capito benissimo. Sa, dopo pranzo ho preso un leggero sedativo che mi ha fatto addormentare. Ma prego, si accomodi-
La signora Clelia Camoletti, ora vedova Appiani, era una donna dai lineamenti e dal portamento fieri.
Non doveva avere più di cinquantacinque anni, i capelli raccolti in uno chignon leggermente scompigliato da due ciocche che pendevano dietro le orecchie, il viso senza un’ombra di rughe, arricchito da una bocca sottile lievemente dipinta.
Il poliziotto incrociò gli occhi verdi della padrona di casa, considerandoli vacui ed assonnati.
-Prima di cominciare, signora, vorrei comunicarle le mie condoglianze per la perdita del suo ex marito ... -
-Grazie, commissario. Anch’io vorrei dirle una cosa: nonostante fossimo separati da ormai cinque anni, sono sinceramente addolorata per ciò che gli è accaduto- il tono della donna era pacato e ruvido, tuttavia suonava sincero.
-Non c’è bisogno che si giustifichi, signora: quello che prova o provava per il signor Appiani riguardava solamente voi. L’importante è che lei mi risponda con onestà alle domande che le sto per porgere, o che non venga a sapere che la vostra passata relazione abbia qualcosa a che fare con le indagini …  -
Clelia annuì, le mani incrociate sulla gonna del completo color pervinca.
-So che è stato Carlo a trovarlo. Mi ha detto che questa mattina lo avete interrogato … -
-Sì, infatti- Terenzi si schiarì la gola, quindi continuò:
-A questo proposito, com’erano i rapporti tra il signor Della Robbia e il suo ex marito? –
-Ottimi- replicò senza il minimo dubbio.
-Carlo era il suo braccio destro, lavorava in fabbrica con lui da venticinque anni e, da dodici, era diventato vice direttore della fabbrica- spiegò con tono pacato la vedova, passandosi una mano tra i capelli ribelli.
-Lei, perciò, lo conosce molto bene?-
-Fino a quando siamo stati sposati, ci frequentavamo spesso: Carlo è un uomo di piacevole compagnia, così come la moglie. Negli ultimi anni, però, come può ben immaginare, non siamo più usciti insieme… -
-Capitava che suo marito si fermasse a dormire in ufficio?-
-No, per lo meno fino a quando siamo stati sposati, non è mai accaduto. Vede, era molto abitudinario, andava al lavoro presto e, spesso, rientrava tardi, ma ha sempre dormito a casa. Me lo ha chiesto perché lo avete trovato in fabbrica, vero?-
-Sì- ammise l'uomo -era morto da una decina di ore-
-E si sa già come è successo?-
-No, non ancora- spiegò con sincerità l’altro -il medico legale comincerà a fare l’autopsia solamente domani-
-Capisco- la donna distolse lo sguardo per un secondo, concentrandosi sulla notte che ormai era calata al di là della finestra.
-Non fraintenda la mia domanda, signora, ma … dov’ era questa notte?-
La vedova riprese a guardare Terenzi, sorridendo mestamente:
-Qui a casa. Ero da sola, non può confermarlo nessuno, se è questo quello che vuole sapere … -
-Non ho motivo per non crederle- l’uomo rimase in silenzio per una manciata di secondi, come a voler testare la sicurezza e l’onestà della Camoletti, la quale rimase impassibile e in attesa di proseguire.
-Che tipo di persone frequentava il suo ex marito? Voglio dire, ha mai avuto dei problemi, di qualsiasi tipo, con qualcuno?-
-Che io sappia no. Tutti i suoi amici erano e, credo lo siano ancora, persone assolutamente normali, per lo più gente del nostro ambiente. Lui ci sapeva fare con tutti, era molto espansivo ed estroverso: non l’ho mai visto litigare con nessuno ... -
-E per quanto riguarda la parte amministrativa dell’azienda? Nel passato, ci sono stati debiti o carenze nel bilancio?-
-Se si riferisce a problemi economici, non ne ho mai saputo nulla: il mio ex marito era molto riservato a tal proposito. L'unica cosa che le posso dire, commissario, è che non mi ha mai fatto mancare nulla, anzi. Vede, quando ci siamo sposati, io avevo appena vent’anni, lui invece era già un uomo maturo, con un'esperienza lavorativa e di vita già consolidata.
I miei genitori erano imprenditori di un certo livello, frequentavano la Torino bene e capitava, assai di frequente, che i miei futuri suoceri venissero a farci visita nella nostra casa, perciò lui ed io ci incontravamo spesso. Fu mio padre a decidere il nostro matrimonio, credo lo considerasse una sorta di affare: la famiglia del mio ex marito era di sangue nobile, discendevano da un ramo collaterale di alcuni conti piemontesi e, può ben immaginare, quanto potesse essere motivo di orgoglio imparentarsi con persone così altolocate … -
Clelia Camoletti si fermò per un istante, mentre un lieve sorriso comparve sulle sue labbra.
-Dopo altrettanti anni di matrimonio, capii che avevo sacrificato non tanto la mia vita per lui, quanto il mio amore e la mia dignità. Il mio ex marito amava circondarsi di belle donne e, un giorno, mi arrivò a casa una lettera anonima in cui era scritto in modo inequivocabile che lui mi tradiva. Da allora, non ho più voluto saperne nulla di lui. E’ per questo che ci siamo separati, non sopportavo di essere stata presa in giro per così tanto tempo-
Terenzi annuì, le mani incrociate sulle ginocchia.
-La vostra, perciò, non è stata una separazione consenziente?-
-Oh no, non fraintenda le mie parole, commissario. Forse mi sono spiegata male, ma la causa di separazione è stata voluta da entrambi. Eravamo stanchi di una relazione di facciata, in cui ormai nessuno di noi due era libero di comportarsi come meglio voleva-
-So che il signor Appiani le ha allestito il suo negozio proprio vicino alla fabbrica ... - cambiò discorso il poliziotto, scongiurando ulteriori motivi di tensione.
-Sì, infatti. All’inizio, volevo venderlo, perché non mi andava di continuare a vederlo, ma vede, commissario, quel negozio è tutto quello che ho, rappresenta la mia indipendenza. In ogni senso-
-L’ atelier è intestato a lei?-
La donna annuì, seria e fiera.

-Se vuole avere notizie sulle mie finanze, la fermo subito dicendole che non ho mai avuto alcun problema economico: le vendite sono sempre state in positivo e, per fortuna, le clienti non mi mancano. Nonostante la separazione, siamo stati costretti a mantenere un certo contegno davanti agli altri, anche se, tra di noi, le cose non sono certo cambiate. Anzi, le dirò di più: dato che non siamo riusciti a completare le pratiche di divorzio, qualsiasi sarà l’eredità che mi spetta, non avrò alcuna remora a tirarmi indietro, a rinunciarvi: da lui, non voglio più niente-
Il poliziotto alzò il sopracciglio sinistro e replicò con un lieve sorriso:
-Scusi la franchezza, signora, ma da ciò che ho potuto capire, lei non ama pronunciare il nome del suo ex marito-
-E’ così. Lo detestavo per come mi ha trattata in questi anni, però, in cuor mio, credo che ne fossi ancora innamorata. Il nostro è stato sempre un rapporto di amore e d'odio, almeno da parte mia-
-Ritornando alle indagini, lei non ha idea del perché suo marito sia morto, di chi possa aver compiuto un tale gesto?-
-No- ammise l'altra -come le ho detto, i nostri rapporti erano molto limitati. Tuttavia, pensandoci, c’è una cosa che dovrei dirle ... - continuò la vedova, arricciando le labbra.
-Nell’ultima settimana, ho accompagnato un paio di clienti in fabbrica, per stilare la lista di nozze. Ecco, in una di queste occasioni, ho incontrato il mio ex marito e, beh, non so come spiegare, ma l’ho visto molto teso, diverso dal solito. E’ da qualche giorno che non vado all’atelier, perché sono stata influenzata, però, le posso assicurare che, fino a pochi giorni fa, ho notato un cambiamento in lui-
-In che senso?- s’interessò Terenzi, passandosi una mano sulla barba incolta.
-Quando ci incontravamo, lui mi salutava con gentilezza, mentre, ultimamente, la sua cortesia si era trasformata in… irrequietezza, sì, irrequietezza. Sfuggiva il mio sguardo, non sorrideva ... era diverso-
-E’ troppo sperare che lei sappia per quale motivo si comportasse così?- continuò speranzoso l’uomo, il cui entusiasmo venne subito smorzato dal cenno di diniego della donna.
-Non ho le prove di quello che le sto dicendo, commissario, però credo che, per certe cose, conoscevo ancora abbastanza bene il mio ex marito: sapevo interpretare i suoi stati d’animo e, in quest’ultimo periodo, le ripeto, non era affatto tranquillo-
Il poliziotto annuì serio e pensieroso.
-Oh, mi scusi, sono stata una maleducata a non offrirle nulla da bere! Sandra, la mia domestica, oggi ha il giorno di riposo e, questo mal di testa, mi ha fatto scordare le buone maniere!- esclamò addolorata la padrona di casa, scuotendo il capo desolata e alzandosi dal divano.
-Non si preoccupi, sto bene così, grazie- la fermò prontamente l’uomo, attendendo che la donna ritornasse a sedersi.
-Un’ultima domanda: lei e il signor Appiani avete figli?-
-Sì, Anita e Gabriele, però non abitano qui a Torino: mia figlia lavora a Padova e mio figlio a Milano. Anzi, adesso che mi ci fa pensare, non li ho ancora avvisati della morte del padre … -
-Vorrei far loro delle domande, sa, di pura circostanza. Mi farebbe un favore, signora, se potessero venire in commissariato a breve … -
-Certamente- annuì convinta, mentre il poliziotto si alzò e strinse la mano di Clelia Camoletti.
-Per me può bastare così. Si tenga a disposizione e, appena saprò qualcosa in più su come è morto il suo ex marito, glielo farò sapere. Ah, ovviamente, se quello che mi ha detto sul comportamento anomalo della vittima venisse confermato anche da altri, dovrà venire in commissariato a formalizzare la testimonianza ... -
La vedova acconsentì senza indugi.
-Grazie, commissario, mi ha fatto bene parlare con lei. Venga, l’accompagno … -
Quando arrivarono alla porta, l’uomo si accomiatò sorridendo:
-Le lascio il mio biglietto da visita, nel caso le venisse in mente qualcosa … -
Salutò ancora una volta ed uscì.

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Capitolo 3
*** Il cestino della spazzatura ***



LUNEDI' 10 NOVEMBRE, ORE 17. 15, COMMISSARIATO “L’AQUILA”, TORINO


Quando Terenzi rientrò in commissariato, trovò ad aspettarlo Ghirodelli, che subito lo seguì in ufficio per informarlo delle ultime novità e per sapere se ve n’erano di nuove.
Il sottoposto, braccia conserte e sguardo concentrato, attese che l’altro poliziotto sistemasse il cappotto e la sciarpa sull’attaccapanni, per cominciare finalmente a parlare.
-Allora, come è andata la perquisizione? La vedova mi ha raccontato delle cose molto interessanti- lo anticipò il superiore, sedendosi sul bordo della scrivania e invitando l’ispettore ad accomodarsi sulla sedia, di fronte a lui.
-Di che tipo?-
-Per prima cosa, che è stata lei a spingere per la separazione, cinque anni fa, sebbene entrambi fossero d’accordo. Il marito aveva il vizio di tradirla e, lei, venuta a sapere delle scappatelle da una lettera anonima, ha deciso di troncare definitivamente il matrimonio-
-Chi aveva spedito la lettera?-
-Non lo so: non se l’è mai chiesto. E comunque, quello che a noi interessa, è che la vittima, nell’ultima settimana, si è comportata in modo strano, sfuggente. Salutava a fatica la ex moglie, quasi non le rivolgeva la parola. Atteggiamento che, a sentire la vedova, era del tutto insolito. Ah, la coppia aveva due figli, Anita e Gabriele. La ragazza lavora a Padova e il fratello a Milano: la madre ha detto che ce li manderà il prima possibile, così potremo interrogarli. Cosa ne pensi?-
Ghirodelli aprì le braccia e, travolto da quella raffica di informazioni, assunse un’espressione poco convincente:
-Dall’interrogatorio con gli eredi potrebbe saltar fuori qualcosa di interessante, anche se, con il fatto che abitano lontano, non so quanto ci siano utili … per quanto riguarda la vedova, questa storia che, negli ultimi tempi, Appiani si comportava in maniera diversa dal solito, beh, potrebbe essere frutto della sua immaginazione. Voglio dire, può anche darsi che, il giorno in cui si sono incontrati, lui non stesse molto bene, che semplicemente avesse mal di testa, mal di stomaco … Carlo Della Robbia, ad esempio, non ha fatto menzione di tutto questo-
Terenzi annuì convinto: in effetti, l’ispettore non aveva torto, il suo ragionamento filava ed era plausibile.
-Benissimo, ti ringrazio per l’incoraggiamento e per avermi aperto gli occhi- lo punzecchiò con una pacca amichevole sul braccio sinistro, quindi gli domandò che novità avesse sui sopralluoghi cominciati quella mattina.
Il questore, infatti, aveva firmato i due mandati necessari per perlustrare l’ufficio e l’abitazione di Giorgio Appiani Uzia, luoghi fondamentali per conoscere di più le abitudini della vittima.
-In ufficio non abbiamo trovato nulla di interessante: dopo che è andata via la Scientifica, Rossi ed io siamo ritornati sul posto, praticamente invano, perché non è saltato fuori niente. Inoltre, dall’elenco che ci ha compilato Carlo Della Robbia non risulta manchi neppure una puntina da disegno!- puntualizzò Ghirodelli, porgendo al suo interlocutore un foglio bianco piegato in quattro.
-Ha controllato bene?- insistette Terenzi, scorrendo la lista.
-Sì, direi che possiamo essere sicuri di ciò che ci ha detto. Conosceva molto bene Appiani, lavoravano fianco a fianco praticamente ogni giorno e, le assicuro, che era talmente preoccupato di dover affrontare una nuova perquisizione nell’ufficio in cui è stato ucciso il suo amico, che ha svolto un lavoro meticolosissimo!- ridacchiò l’ispettore.
-Tuttavia- riprese serio - in casa della vittima abbiamo ritrovato il libretto delle entrate e delle uscite della fabbrica. Era in un cassetto dello scrittoio in soggiorno, direi per nulla nascosto, dal momento che non era chiuso a chiave … -
-Scusa, hai detto che l’avete trovato in casa e non nell’ufficio?- ripeté Terenzi, credendo di aver compreso male, le gambe a penzoloni e i piedi puntati a terra.
-Esattamente-
-Ma non ti sembra strano? Voglio dire, se riguardava i conti della fabbrica, avrebbe dovuto tenerlo lì! Perché portarlo a casa?-
Ghirodelli tirò fuori dalla tasca interna della giacca blu una busta trasparente per trattenere le eventuali impronte digitali, la indicò al commissario e poi continuò:
-E’ quello che ho pensato anch’io. Quello che mi ha stupito, infatti, oltre all’ordine maniacale dell'appartamento, è stato proprio il libretto: c’è chiaramente scritto che all’azienda manca un’ingente somma di denaro, una somma pari a trecentomila euro tondi tondi-
-Trecentomila?! Ne sei proprio sicuro? Il signor Della Robbia non ci ha detto nulla- rifletté sorpreso Terenzi.
-Anch’io sono rimasto sconcertato, commissario, ma guardi lei con i suoi occhi-
Il poliziotto recuperò un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, aprì la busta sigillata e prese a sfogliare il libretto: effettivamente, l’ispettore aveva ragione, le entrate della fabbrica difettavano di trecentomila euro.
-Convoca immediatamente il Della Robbia, fallo venire qui, però non dirgli nulla di quello che abbiamo scoperto- decise alla fine il superiore, rinfilando il nuovo indizio nell’apposita custodia e porgendola nuovamente a Ghirodelli.
-Lo mando alla Scientifica, per sapere se ci sono delle impronte digitali diverse da quelle della vittima. A proposito, posso far rientrare Rossi e gli altri ragazzi? Sono ancora nell’appartamento di Appiani-
-Certo, se non hanno trovato nient’altro, digli di rientrare-



Un’ora più tardi, poco dopo le sei e mezza, l’ispettore fece entrare il braccio destro del magnate delle ceramiche torinesi.
L’uomo, un lungo giubbotto aperto su una giacca blu a quadretti e dei pantaloni di velluto nero, aveva un’aria particolarmente tesa, in contrasto con la luminosità che emanavano i suoi capelli biondi.
Il commissario lo squadrò per qualche secondo e, dopo essersi scusato per l'orario, lo invitò a prendere posto, mentre Ghirodelli si sedeva di fianco al superiore, in attesa di battere a computer l’interrogatorio:
-Buona sera, signor Della Robbia. Prego, si accomodi- ripeté il sottoposto, notando che il nuovo venuto non accennava a muoversi.
-C’era qualcosa che non andava nell’elenco che vi ho fatto avere?- domandò subito dubbioso, la voce poco più che un sussurro.
-No, andava tutto benissimo. Ma si sieda, la prego-
-Allora avete scoperto chi ha ucciso Giorgio?-
-No, non ancora. Vede, l’abbiamo convocata perché i miei colleghi hanno trovato qualcosa di molto interessante a casa della vittima: a tal riguardo, credo proprio che lei saprà illuminarci- s'intromise Terenzi.
Sempre più teso, Della Robbia si arrese a ciò gli era stato ordinato, prendendo posizione sulla sedia davanti alla scrivania.
Appoggiò il cappotto marrone sulle ginocchia, quindi attese gli sviluppi di quella conversazione che, si capiva chiaramente, lo stava mettendo in agitazione.
-Farò tutto il possibile per aiutarvi, ma quello che sapevo, commissario, ve l’ho già detto-
-Per prima cosa si rilassi: non la vedo molto tranquillo. Vuole che le faccia portare un bicchiere d’acqua?-
-No, grazie- si affrettò a smentire con la mano destra.
-Allora, se per lei va bene, comincerei … -
-Sì, certo-
Terenzi si protese in avanti e, le braccia conserte appoggiate sulla scrivania, spiegò:
-Questo pomeriggio, i miei uomini hanno ritrovato il libretto delle entrate e delle uscite della fabbrica in casa della vittima. Sa perché lo teneva nel suo appartamento, invece che in ufficio?-
L’interrogato deglutì meccanicamente, abbassò per un attimo lo sguardo, gli occhi azzurri acquosi ed impauriti, quindi scosse la testa.
-Mi vuol far credere che, dopo tutto quello che ci ha raccontato stamattina, di quanto il signor Appiani si fidasse di lei, di quanto il suo ruolo nell’azienda fosse fondamentale, non sapesse che il libretto non era in fabbrica ma a casa del suo amico?-
Il poliziotto alzò volutamente il tono di voce, indicando a Ghirodelli, con un cenno della testa, di proseguire nell’interrogatorio.
-Siamo venuti a conoscenza di una cosa a cui lei non ha accennato, questa mattina. Sembra infatti che il bilancio dell’azienda difettasse di trecentomila euro, una cifra più che ragguardevole. Perché non ce lo ha detto?-
Della Robbia guardò perplesso l’ispettore, quindi Terenzi: abbassò ancora una volta lo sguardo sulla scrivania, poi sulle proprie mani, infine esclamò:
-Glielo giuro, commissario! Io non c’entro nulla con tutta questa storia! Non ne sapevo niente! Il debito che dovevo saldare era di soli cinquantamila euro! Giorgio lo sapeva, gliel’assicuro!-
I poliziotti fissarono stupiti l’uomo di fronte a loro e, contemporaneamente, ribatterono:
-Scusi, che cosa ha detto? Che oltre a tutti questi soldi, l’azienda era in credito di altri cinquantamila euro?!-
-Sì, anzi, non lo so se i cinquantamila che dovevo dare a Giorgio rientrano nella somma che manca, però, vi assicuro che, per quanta riguarda il mio debito, lui ne era al corrente! Me lo aveva concesso proprio lui, perché … sì, insomma, perché io … -
L’interrogato s’interruppe improvvisamente, chinando per l’ennesima volta lo sguardo.
-Perché lei cosa, signor Della Robbia?!- lo incitò Terenzi, grattandosi nervosamente il mento.
-Siamo qui per aiutarla: se ci tiene nascoste delle cose, qualunque cosa, noi non potremmo fare nulla. Lo capisce?- rincarò la dose l’ispettore.
-Io avevo il vizio del gioco d’azzardo, ma è da oltre un anno che ho smesso!- riuscì a confessare l’uomo, passandosi le mani sul volto imberbe.
-Era stato Giorgio a farmi uscire da quel brutto giro di scommesse: in sei mesi, mi sono rovinato la vita, perdendo quasi tutti i miei risparmi. Sono riuscito a dare di tasca mia duecentomila euro ai creditori, ma purtroppo, gli altri cinquanta ho dovuto farmeli  prestare da lui, da Giorgio. Non potevo dire a mia moglie che avevo perso tutti quei soldi, così Giorgio ha deciso di aiutarmi. Avrei dovuto restituirglieli entro fine anno, se non fosse  … morto -
Nella testa di Terenzi cominciò  a ronzare una miriade di pensieri, un vortice incessante che assomigliava a un nugolo di mosche fastidiosissime, che gli stavano procurando una terribile confusione.
-Ricapitoliamo un attimo, signor Della Robbia. Lei mi ha appena comunicato che doveva restituire al defunto cinquantamila euro, perché era stato proprio lui, più di un anno fa, a toglierlo dal giro del gioco d’azzardo. Fino a qui è esatto?-
-Sì, è così. Anzi, se devo dirle la verità, quando mi ha contattato il suo collega, ho creduto che avevate scoperto proprio questo, invece … -
-Invece niente! Lei adesso mi farà i nomi dei suoi compagni d’avventura, tutti!- sbottò il commissario, battendo una mano sul tavolo.
-Non voglio che ne salti nemmeno mezzo! La farò tenere d’occhio da uno dei miei agenti, non vorrei che le accadesse qualcosa di spiacevole, s’intende... - continuò, cercando di spaventarlo affinché non si scordasse neppure una virgola.
L’uomo si agitò sulla sedia, poi, con voce bassa e un rivolo di sudore che gli colava dalla fronte, chiese:
-Cosa intende dire?-
-Voglio dire che non vorrei che lei si dimenticasse di dirmi qualche nome dei suoi ex creditori e, così facendo, quelli potessero vendicarsi con lei per aver parlato … -
-Ma … io non li vedo da oltre un anno, commissario, non so dove trovarli! E poi, ho già saldato il mio conto!-
-Sì, anche questo è vero. Tuttavia, dal momento in cui parlerà, ne aprirà un altro, ancora più grande. Stia, tranquillo, non si deve preoccupare, perchè è tutto sotto controllo: lei continui a fare la sua vita di sempre, al resto penseremo noi. Ah, ovviamente entro fine anno, come da accordi pattuiti tra lei e il signor Appiani, dovrà saldare il suo debito con la società. Siamo intesi, signor Della Robbia?-
-Certo, glielo prometto- farfugliò agitato l’uomo, sbattendo gli occhi acquosi.
-Un’ultima cosa, ha fatto partecipe qualcun altro della sua situazione economica?-
Carlo Della Robbia diventò ancora più pallido e tremante, quindi scosse la testa:
-Nessuno, solo Giorgio lo sapeva-
-Nemmeno la vedova Appiani?-
-Clelia? No, nemmeno lei-
-Può essere che il defunto l’abbia comunicato a qualcuno senza che glielo dicesse?-
-No, di questo ne sono certo! Giorgio era una persona molto fidata, non andava in giro a spifferare i problemi degli altri!-
-Senta, nell’appartamento del signor Appiani abbiamo trovato una cassaforte con qualche centinaia di euro e il passaporto, ma nell’ufficio no. Sa se ne avesse una?-
-Fino a un paio di anni fa sì, poi l’ha fatta murare, perché sosteneva che togliesse spazio ai quadri e alla libreria. Però, posso dirle dove teneva le carte più importanti-
-Dove?- incalzò Terenzi, la voce dura.
-Beh, è molto buffo, anche se le assicuro che è la verità-
Il viso dell’interrogato prese finalmente a distendersi e, sogghignando, continuò a spiegare:
-Se Giorgio teneva davvero a qualcosa, lo riponeva nel cestino della spazzatura, quello che aveva nel suo ufficio personale. Lì era sicuro che nessuno lo avrebbe ripescato, perché il cestino serve proprio per buttare via le cose meno importanti, mentre lui faceva esattamente il contrario!- raccontò divertito l’uomo, gli occhi acquosi, fino a poco prima irrequieti, ora di nuovo languidi.
Il commissario fissò il suo sguardo incredulo in quello di Carlo Della Robbia, poi in quello di Ghirodelli, che stava scrivendo a computer il verbale.
-Ne è proprio sicuro? – insistette l’ispettore, dopo aver ricevuto un cenno d’assenso da parte del superiore.
L’uomo guardò con aria innocente i due poliziotti, quindi riprese:
-Certo che ne sono sicuro! So quello che vi sto raccontando e, vi assicuro ancora una volta, che è la verità! Sarò anche un giocatore d’azzardo, però non sono un bugiardo! Anzi, soprattutto non lo sono verso i miei più cari amici, per questo mi dovete credere!-
-Va bene, per il momento le voglio credere- gli concesse Terenzi, che poi proseguì:
-A parte lei, chi altri sapeva che Appiani era solito fare così? Non è mai capitato che si sbagliasse e buttasse per davvero i documenti? O che, magari, l’inserviente delle pulizie svuotasse il cestino della spazzatura?-

-Mi scusi, non mi sono espresso bene- puntualizzò Della Robbia, abbozzando un sorriso e scuotendo il capo.
-Giorgio non teneva quel cestino esposto agli occhi di tutti, perché una volta gli era successo proprio come ha detto lei: delle carte importanti erano sparite dalla sua scrivania, dopo che la donna delle pulizie le aveva buttate. Così, da quel giorno, Giorgio decise di mettere due raccoglitori della carta nel suo ufficio: uno, per così dire, vero, che utilizzava per i rifiuti, e l’altro in cui nascondeva i suoi documenti più preziosi-

-Non rischiava che qualcuno, passando di lì, avrebbe potuto leggere le carte?- continuò l'ispettore.
-Giorgio era molto prudente: scriveva i suoi messaggi utilizzando l’inchiostro simpatico-
-L’inchiostro simpatico?!- s'intromise il commissario, l'espressione stupita.
-Sì, con l’inchiostro simpatico-
-Ma non era più semplice procurarsi un altro nascondiglio? Ad esempio, non aveva dei faldoni, dei raccoglitori in cui tenere i documenti ufficiali? A lungo andare, immagino che il cestino non potesse contenere tutti quei fogli!-
-Infatti, per certe carte, faceva proprio come ha detto lei. I contratti, ad esempio, se li portava sempre a casa. L’inchiostro simpatico serviva solo per nascondere i suoi appunti personali, le sue impressioni su affari o questioni di lavoro che lo avevano particolarmente colpito-
Terenzi guardò ancora una volta Ghirodelli, che domandò:
-Questa volta è sicuro di averci detto tutto?-
-Sì, non ho altro da nascondere-
-Va bene, signor Della Robbia, può andare- lo accomiatò il commissario, alzandosi dalla poltrona.
-Due nostri agenti la riaccompagneranno a casa: dica loro i nomi dei suoi strozzini, gli indirizzi, se li sa, il covo della banda … insomma, tutto, mi raccomando. Uno degli agenti rimarrà di guardia sotto il suo appartamento. Ah, un'ultima cosa- fece finta di essersi dimenticato -Clelia Camoletti ci ha confessato che, nell'ultimo periodo, diciamo nell'ultima settimana, la vittima si comportava in modo strano, che salutava a malapena. Conferma quanto ci ha riferito la vedova?-
L'interrogato, già in piedi, il cappotto tra le mani, scosse la testa:
-Per quanto mi riguarda, non ho trovato alcun cambiamento in Giorgio. Beh, a parte il fatto che, venerdì sera, mi abbia chiesto di aprire io la fabbrica, quest'oggi, per il resto le assicuro che era normale, forse leggermente pensieroso per via del contratto che avremmo dovuto firmare con i francesi ... -
-Va bene, ci è stato molto utile. Arrivederci-
I poliziotti gli strinsero la mano, poi l’ispettore accompagnò fuori l’uomo.

Dopo aver dato disposizioni a Matteucci e Cavani di scortare l’imprenditore, il sottoposto rientrò nell’ufficio del commissario, che lo stava attendendo in piedi, le braccia conserte.
-Che ne pensi?- lo interpellò pensieroso Terenzi, passandosi una mano sulla barba incolta.
-Non abbiamo trovato nessun cestino nell’ufficio, o meglio, c’era solo quello della carta straccia, ma dentro, non c’erano fogli bianchi-
-E in casa?-
-Nemmeno-
-Quelle carte non possono essere sparite: ho paura che siano finite in mani sbagliate-
-Crede che Giorgio Appiani sia stato ucciso per questo?-
-Non lo so, ispettore, non lo so- sospirò dubbioso.
-E poi, rimane ancora da scoprire il motivo del debito da trecentomila euro- precisò Ghirodelli, un ciuffo di capelli rossi sulla fronte.
-Siamo in alto mare. E la reticenza di Della Robbia ci ha fatto perdere tempo prezioso! Sei sicuro che, prima del nostro arrivo alla fabbrica, questa mattina, nessuno sia entrato nell’ufficio della vittima?-
-Lo escludo- confermò categoricamente il sottoposto, facendo presente che il giudice aveva fatto mettere appena possibile i sigilli alla struttura.
-Inoltre, Rossi mi ha assicurato di non aver mai perso di vista l’entrata. Oltre a Carlo Della Robbia, nessuno è entrato: alle sette e mezza i dipendenti non erano ancora arrivati-
-Certo, lo so, ma il portone d'ingresso era aperto, quando il braccio destro della vittima è entrato in azienda! Ce lo ha detto proprio lui, ti ricordi?-
Il sottoposto gli rispose che se ne rammentava, ma che non vi erano segni di effrazione, quindi, eventualità assai remota ma possibile, poteva essere che, la sera di venerdì, Giorgio Appiani Uzia si fosse dimenticato di chiudere a chiave, la testa persa in chissà quali pensieri.
-L'allarme, comunque, era inserito. Senta, vuole che vada a ricontrollare in fabbrica?- 

-Sì, ma non stasera. Sono le sette meno un quarto e possiamo permetterci di aspettare fino a domani mattina. Portati Rossi, per le otto vi voglio in azienda a controllare ogni angolo-
L’ispettore annuì e, con un sorriso, s’informò se doveva fare altro.
-Per domani mattina convoca la segretaria del defunto: chiedile se può venire per le undici. Ah, appena apre la banca, controlla il conto corrente della vittima: voglio sapere le entrate, le uscite, le transazioni finanziarie, i prelievi … praticamente tutto!-
-Mi ci vorranno sei mani e il doppio delle ore che abbiamo in una giornata … - si lamentò comicamente Ghirodelli.
-Scusa, hai ragione: lo so che ultimamente pretendo troppo da te, ma questo posto è diventato un lazzaretto, metà degli agenti sono influenzati e …  mi affido nelle tue mani, come sempre- si arrese con un sorriso Terenzi.
-Vai pure a riposarti, ci riaggiorniamo in mattinata-
-D’accordo, commissario. Buona serata-

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Capitolo 4
*** La segretaria civetta ***


Martedì 11 novembre, ore 9.30, commissariato “L’Aquila”

Terenzi aveva appena parlato con il questore, la dottoressa Del Fiore, per richiedere l’autorizzazione a procedere contro il gruppo di strozzini che Matteucci e Cavani avevano arrestato nella notte, e per mettere sotto scorta il malcapitato Della Robbia.
Il commissario non aveva ancora ricevuto notizie da parte di Ghirodelli che, dopo il sopralluogo alla fabbrica, era andato dritto di filato alla banca.
La secondo perlustrazione nell’ufficio della vittima non aveva prodotto alcun risultato: del cestino e delle carte non c’era nemmeno l’ombra.
Non ci sono molte piste da seguire, rifletté il poliziotto, sorseggiando il terzo caffè della mattinata.
Carlo Della Robbia mi sembra un povero diavolo, l’ho visto realmente colpito da quello che è successo all’amico. E poi, ha svelato il particolare del cestino, che avrebbe potuto tenere per sé, se avesse avuto qualcosa da nascondere: pensandoci, può averlo fatto di proposito, certo, ma nelle condizioni in cui si trova, non credo sia così stupido da dettar legge.

E il luogo del delitto? Assai insolito: mi farebbe pensare ad un omicidio legato agli affari, tanto più che nessuno sa che fine abbiano fatto i trecento mila euro che mancano dal fatturato dell’azienda: la fabbrica non è particolarmente grande, eppure, per un’azienda del genere, un ammacco di queste dimensioni potrebbe tranquillamente rappresentare il primo passo verso il fallimento.
Inoltre, e se scopriamo questo risolviamo anche il caso, che ci faceva Giorgio Appiani nel pieno della notte nel suo ufficio? Aveva un appuntamento? Chi aspettava? L’assassino? O semplicemente soffriva d’insonnia?
Il poliziotto decise di ritornare al distributore delle bevande, questa volta per prendersi una cioccolata: la bevve lentamente, continuando a rimuginare sul caso, insensibile al retrogusto di bruciato che si diffondeva nel palato.
Una volta in ufficio, il telefono squillò e, subito, vi si avventò come farebbe un bambino con il salvagente in mare aperto.
-Sì? Terenzi ... -
-Commissario, sono appena uscito dalla banca. Eccì!- lo salutò lo starnuto dell’ispettore, vivido come non mai dall’altro capo del telefono.
-Ancora con questo raffreddore, Ghirodelli?! Ma non ti sei preso qualcosa?- farfugliò contrariato il superiore, cambiando orecchio.
-Per l’esattezza una tisana calda ieri sera e due aspirine questa mattina. Però, fino adesso, non ho visto molti risultati … -
-Bravo, ma cerca di non ammalarti seriamente, ti prego: sotto organico come siamo, mi sei ancora più prezioso e, lo sai, non saprei proprio con chi sostituirti!-
-Grazie, commissario. Comunque, ritornando al caso, è stata un’impresa riuscire a controllare il conto corrente del defunto. Il direttore della banca non c’era quando sono arrivato, l’hanno dovuto rintracciare per avere l’autorizzazione, ma alla fine ce l’ho fatta. Giorgio Appiani non aveva il conto in rosso, tutt’altro. Però, risulta un movimento sospetto, un bonifico di centocinquantamila euro versato in due rate, l’ultima appena una settimana fa. L’intestatario è una certa Agnese Rampi-
-Molto interessante. La somma equivale esattamente alla metà del debito che ha l’azienda- rifletté ad alta voce il superiore, appuntando le notizie fresche di giornata sul solito block notes.
-Questa Agnese Rampi è una cliente della banca, per caso?-

-Per caso, le devo dire di no-
-Uhm… sempre belle notizie. Senti, per che ora hai convocato la segretaria?- cercò di sdrammatizzare il superiore, facendo una giravolta sulla poltrona.
-Per le undici-
-Bene, speriamo che almeno lei sappia indirizzarci sulla buona strada. Ah, chi c’è con Della Robbia?-
-Rossi-
-D’accordo. Allora ti aspetto in ufficio. A dopo-
-Sarò lì tra poco- l’ispettore starnutì di nuovo e chiuse la telefonata.


Alle undici e dieci, la segretaria del defunto Giorgio Appiani Uzia fece il suo ingresso nell’ufficio di Terenzi tutta trafelata.
Doveva avere poco più di trent’anni, ed era di altezza media: dal giubbotto rosso aperto, si intuiva che era vestita in modo sportivo, scarpe da tennis e i capelli castani raccolti in una coda.
-Buon giorno, signorina Pellini- l’uomo si alzò dalla sedia per stringerle la mano.
-Buon giorno, commissario. Mi scusi tanto per il ritardo, ma il motorino non voleva partire! Ho dovuto prendere l’autobus. Mi scusi ancora- la ragazza si aggiustò i capelli, un sorriso imbarazzato sul faccino.
Quindi, appoggiò la borsa e il cappotto sulla sedia, prendendo posto a sua volta.
-Posso?- chiede una volta fatto, dimenticandosi delle buone maniere.
-Sì, certo, si accomodi anche lei- stette al gioco il poliziotto, non nascondendo una smorfia di disappunto.
-Allora, per prima cosa la ringrazio per essere venuta- continuò, le mani giunte sulla scrivania.
-Dovere, commissario. Il signor Giorgio era così buono, una così brava persona, davvero non so come abbiano potuto ucciderlo!-
-Come mai chiama la vittima con il suo nome di battesimo?- s'informò interessato il poliziotto, recuperando un taccuino dalla marea di documenti sulla scrivania.
-Oh, una cosa tra di noi- si schernì la giovane, facendo un gesto d’insufficienza con la mano destra.
-Voglio dire, tra il povero signor Giorgio e me. Deve sapere, commissario, che quando mi ha assunta, è stato lui stesso ad invitarmi calorosamente a chiamarlo per nome, sempre dandogli del lei, ovviamente. E io sa che cosa ho pensato? Beh, ho trovato la cosa davvero buffa: insomma, da che mondo è mondo una segretaria chiama il suo datore di lavoro rivolgendosi con appellativi come signore, dottore, invece lui ha voluto che lo chiamassi con il suo nome! Un vero gentiluomo, mi creda!-
Terenzi non riuscì a trattenere un sorrisetto: che ragazza estroversa e dalla lingua lunga.
-Dove si trovava la notte in cui è stato ucciso?-
-A casa del mio fidanzato, in via Buonarroti 32. Si chiama Andrea Piacentini ... Se volete controllare, potrà confermarvelo. Anzi, le scrivo subito il numero dietro il mio biglietto da visita- rispose prontamente, sottolineando le parole con un gesto evocativo del dito indice.
-Lo faremo, non si preoccupi- annuì convinto, dopo che la donna gli porse le cifre scarabocchiate.
-Senta, da quanto tempo lavorava per il signor Appiani?-

-Tredici mesi. Ho risposto ad un annuncio sul giornale: sa, la segretaria di prima stava per andare in pensione, così mi presentai per sostituirla. E’ stato fatto tutto in piena regola, eh, con un regolare concorso. Io non sono una che viene raccomandata-
-Capisco- acconsentì con una punta d’irritazione il poliziotto: non aveva insinuato nulla, perchè partiva in quarta con delle congetture senza capo né coda?
-E si trova bene in fabbrica?-

-Oh, sì, commissario. Il signor Giorgio e il signor Della Robbia erano, cioè il signor Della Robbia c’è ancora per fortuna, due persone squisite, davvero umane e cordialissime! Anche gli operai, per quel poco che li conosco, è gente molto perbene, educata: deve sapere che siamo tutti una grande famiglia! Anzi, non ho proprio nulla di cui lamentarmi!- la donna accavallò le gambe, un cenno di assenso con la testa.
-Dopo quello che è successo resterà lì?-
-Certo- si meravigliò la giovane, come se fosse la cosa più ovvia del mondo -se non mi cacciano, è mia intenzione rimanere-
-Sa chi prenderà il posto di Giorgio Appiani?-
-No, non ufficialmente. Però, penso che la scelta del consiglio d’amministrazione ricadrà sul signor Della Robbia. O magari sui suoi figli, chi lo sa … -
-Da chi è formato il consiglio d’amministrazione?- incalzò il poliziotto, prendendo appunti sul block notes.
-Dal signor Della Robbia e da altri azionisti. Non ricordo i nomi, ma se vuole le faccio pervenire la lista completa-
-Grazie, molto gentile. Senta, lei è a conoscenza del fatto che le entrate della fabbrica difettassero di trecentomila euro?-
Il viso di Sabrina Pellini si aprì in una smorfia di stupore:
-Cosa?! Un debito di trecentomila euro?! O santo cielo, no, non lo sapevo, mi sembrava non ci fossero problemi in azienda! Della parte amministrativa si occupava direttamente il signor Giorgio, anzi, gli dava una mano anche il signor Della Robbia, ma non ne ho mai saputo niente. Sa, io svolgevo altre mansioni- scrollò le spalle, impensierita da quella notizia.
-Ovvero?-
-Beh, ad esempio fissare e disdire gli appuntamenti del signor Giorgio- cominciò ad enumerare in modo compìto -intrattenere gli ospiti quando venivano a comprare direttamente in fabbrica, tenere la corrispondenza, catalogare le bollette della luce e i vari documenti … cose di questo genere-
-Mi scusi, signorina, a proposito di documenti, lei sa dove la vittima era solita custodirli?-
-Ci sono i vari raccoglitori nel suo ufficio, faldoni destinati a collezionare fatture su fatture! Non li avete trovati?-
-Sì, questo lo sappiamo già. Ma io intendevo altri posti, meno scontati ... -
-Mah, non saprei- ed ecco che accavallò l’altra gamba.
Poi, si portò una mano al mento, concentrata sulla risposta da dare.
-In realtà, i documenti ufficiali il signor Giorgio li portava sempre a casa-
-E in fabbrica? Non esiste una cassaforte?-
-No, che io sappia no- dovette ammettere a malincuore la ragazza.
Almeno su una cosa, Della Robbia è stato sincero, rifletté il poliziotto.
-Sapeva dell’esistenza di un secondo cestino della spazzatura dove il signor Appiani custodiva delle carte?-

-Un cestino della spazzatura?! No, veramente no- replicò divertita.
-Un cestino serve per buttare le cose, non per conservarle! E poi, cosa c’entra con i documenti?-
La giovane sbatté un paio di volte le lunghe ciglia, probabilmente finte, in attesa di avere maggiori delucidazioni.
-Sì, in effetti dovrebbe essere così, ma il signor Della Robbia ci ha riferito questa abitudine che
la vittima aveva adottato già da qualche tempo. Per questo, pensavo che lei, in qualità di segretaria personale, ne sapesse qualcosa in più ... -
-No, mi dispiace, ma proprio non posso esserle d’aiuto- si arrese, aprendo la borsetta per recuperare un fazzoletto di carta.
-D’accordo- si affrettò a continuare Terenzi, ossessionato che anche i germi dell’interrogata si propagassero nell’ufficio.
-Senta, lei ha idea se qualcuno minacciasse la vittima? Magari, il signor Appiani, aveva avuto delle discussioni, degli screzi con qualcuno, nell’ultimo periodo?-
-Che io sappia no- controbatté categoricamente.
-Il signor Giorgio era una persona tanto cara e buona, che proprio non saprei chi possa aver voluto la sua morte. Per quanto mi riguarda, io non l’ho mai sentito litigare con nessuno-
-Però, ci risulta che ultimamente fosse nervoso … -
-Guardi, fino a venerdì scorso l’ho visto normale, proprio come al solito. L’unica cosa che posso dirle, è che, nella pausa pranzo, capitava che il signor Giorgio si fermasse a parlare con me, sa due chiacchiere in confidenza, sul tempo, i film da andare a vedere al cinema, i libri da leggere ... invece, la scorsa settimana, l’ha fatto solo un paio di volte. Tutto qui, commissario-
Ho capito, si arreseTerenzi, da questa ragazzetta non ricaverò nulla d’interessante.
-Un’ultima cosa, signorina: conosce Agnese Rampi? L’ha mai sentita nominare?-
-Agnese Rampi?- la donna prese a giocherellare con il ciondolo a forma di cuore della collana, lo sguardo concentrato su un punto indefinito della scrivania.
-Uhm no, non l’ho mai sentita nominare. Di certo, non era una cliente della fabbrica, altrimenti l’avrei saputo. Ha provato a chiedere al signor Della Robbia?-
Oh per carità, adesso vuole anche rubarmi il mestiere!
-Ovvio. Comunque va bene così- il poliziotto si alzò dalla poltrona girevole, invitando la ragazza a fare altrettanto.
-Per me può bastare. Si tenga a disposizione, signorina. Venga, l’accompagno-
-Grazie, molto gentile- lo salutò civettuola, stringendogli mollemente la mano.
E, finalmente, uscì di scena.

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Capitolo 5
*** Agnese Rampi: una simpatica vecchietta? ***



Quando un quarto d'ora più tardi, Ghirodelli entrò trafelato in ufficio, il commissario lo stava attendendo a braccia conserte, in piedi davanti alla finestra, dove aveva visto scendere di corsa l'ispettore dalla volante.
-Mi scusi per il ritardo, ma ho avuto un contrattempo!-
-Cos'è, tu e la Pellini vi siete fatti scrivere il copione dallo stesso autore da quattro soldi?-
-Lo so, cioè, mi perdoni. Sono rimasto bloccato in corso Regina, a causa di un tamponamento. Ho chiamato la municipale, che ha impiegato una vita per arrivare e ... eccì!-
Terenzi si girò nella direzione del sottoposto: aveva un'espressione contrita, come se stesse pensando se credere o meno alla motivazione propinatagli dall'uomo.
Alla fine, abbozzò un sorriso e, facendogli cenno di sedersi, gli disse:
-Mi hai lasciato da solo con quella pazza! Adesso capisco perché Appiani l'ha voluta come segretaria!-
Ghirodelli si accomodò, lasciandosi andare ad un sospiro soddisfatto.
-Cosa intende dire?-
-Voglio dire che Sabrina Pellini non ha un briciolo di intelligenza, ma per quanto riguarda l'aspetto fisico ... beh, quello è tutto un altro discorso. Ah, c'è il suo alibi da controllare, per la notte dell'omicidio: mi ha riferito che si trovava a casa del fidanzato, un certo Andrea Piacentini. Abita in via Buonarroti 32 ... lascio a te il compito di verificare- spiegò il commissario, lanciandogli il biglietto da visita su cui la donna aveva appuntato numero di telefono ed indirizzo dell'uomo.
-E se la segretaria fosse stata l'amante della vittima? Insomma, ha appena detto che è un tipo piacevole ...-
-Più che piacevole, la definirei provocante- puntualizzò il superiore, passandosi la mano sinistra sulla barba incolta e facendo un paio di giri sulla poltrona.
-Comunque la voglia definire, la descrizione corrisponderebbe alla debolezza che le ha confidato la vedova: lei ha chiesto il divorzio a causa delle continue scappatelle del marito ... la convince come ipotesi?-
-Uhm, no, non credo- rispose pensieroso, fissando un punto indefinito del soffitto.
-E poi, almeno per il momento, la Pellini non aveva movente per far fuori il datore di lavoro. Anzi, ti dirò di più: da quello che ho intuito, Appiani mi dava l'impressione di essere un appassionato per le belle cose, non tanto in senso strettamente estetico, quanto credo curasse di più l'aspetto interiore delle persone ... ti ricordi i quadri di Dalì e di Wahrol alle pareti che conducono al suo ufficio? Ecco, sono l'esempio perfetto per quello che sto cercando di dirti!- puntualizzò, sorridendo soddisfatto e tornando a guardare negli occhi Ghirodelli.
L'ispettore annuì, non troppo convinto delle astruse spiegazioni di Terenzi.
-Comunque, tornando per un attimo all'apparenza, nell'ufficio della vittima non abbiamo trovato nessun cestino-
-Sì, purtroppo me lo ricordo. Però, abbiamo l'indizio che ci ha fornito il direttore della banca, il bonifico intestato a questa misteriosa Agnese Rampi ... a proposito, la segretaria non sembra conoscerla-
Il commissario si rimise seduto composto, e unì i palmi delle mani come a voler riflettere con maggiore intensità.
-Abbiamo notizie dei tabulati telefonici della vittima?- domandò subito dopo.
-Stiamo ancora lavorando sull'analisi delle celle che la notte tra il 9 e il 10 novembre, tra le undici e diciamo l'una, le due, hanno agganciato la zona in cui si trova la fabbrica di ceramiche. Poi, confronteremo i dati con i numeri dei conoscenti di Appiani, per vedere se l'incrocio dà qualche risultato ...- spiegò con accuratezza Ghirodelli, dopo essersi soffiato il naso.
-Va bene, però muoviamoci a tirare giù questo elenco. Ah, sto aspettando la telefonata di Bertani: ieri mattina, se ti ricordi, mi aveva promesso che avrebbe cominciato già da oggi l'autopsia-
-E per la donna del bonifico? Che facciamo?- s'informò l'ispettore.
-Proporrei di aspettare che una manna insperata cada dal cielo ... che domande sono? Diamoci una mossa, no? Portami un elenco telefonico, per favore- lo punzecchiò il superiore, frustrato dal fatto che non si riusciva a fare alcun passo in avanti con l’indagine.
-Ma non possiamo eseguire una breve ricerca sui nostri database?- azzardò l'altro, aggrottando le sopracciglia e arricciando la bocca sottile in una smorfia che esprimeva tutto il suo disappunto.
-Ho già provato: per prima cosa- cominciò ad enumerare Terenzi con aria compìta -Agnese Rampi non risulta essere schedata. In secondo luogo, per completare la fortuna che ultimamente circola in questo commissariato, nonché lazzaretto per gli influenzati come te, proprio mentre stavo avviando l'altra ricerca, è venuto a farci visita un virus che ha bloccato l'intero sistema informatico! Comunque, non preoccuparti: il tecnico dovrebbe arrivare a momenti-
-Ah ...- riuscì solamente a dire Ghirodelli, allargando le braccia in un segno di resa.
-Se la mette su questo piano, allora sarà mia premura alzarmi immediatamente e andare a cercare la cara, vecchia rubrica del telefono!-
Mezzo minuto più tardi, l'uomo rientrò vittorioso in ufficio:
-L’ho trovata! Agnese Rampi abita qui a Torino, in via Nizza 180!-
-Ottimo lavoro, ispettore! Andiamo a sentire cos’ha da dirci!-
Il superiore si alzò di scatto dalla poltrona e agguantò il giubbotto di pelle dall'attaccapanni.
-Eccì!- riprese a starnutire l'altro.
-Guido io, è meglio- lo guardò torvo il commissario -non vorrei che per colpa di uno dei tuoi starnuti non arrivassimo a destinazione!-
-Non sia così tragico, capo! Eccì!"
I due erano già sulla soglia della porta, quando il telefono dell’ufficio prese a squillare.
Terenzi tornò indietro e, rivolgendosi a Ghirodelli, gli comunicò di aspettare un attimo.
-Sì ..?-
-Commissario, la disturbo?-
Dall'altro filo del telefono, una voce di donna lo salutò con cortesia.
-Signora Camoletti, è lei?-
-Sono io. Grazie per aver usato il mio nome da nubile ... l’ho chiamata per dirle che oggi pomeriggio, verso le cinque, i miei figli potrebbero venire da lei. Sempre che per lei non sia un problema-
-No, certo che no. Come si sente?- assecondò interessato l'uomo, la testa abbassata su dei documenti sparsi sulla scrivania.
Si punzecchiò la barba incolta, in attesa della risposta.
-Bene. E' gentile a chiedermelo ... -
-Si figuri. Adesso mi scusi, ma devo andare. Appena ci sono novità, la terrò informata ... -
-D'accordo, commissario. Arrivederci-
-A presto, signora-
Il poliziotto riattaccò la cornetta e, facendo qualche passo in direzione dell'ispettore, gli annunciò:
-Oggi pomeriggio alle diciassette, verranno i figli della coppia-
-Speriamo che ci sappiano dire qualcosa in più- azzardò fiducioso il sottoposto, soffiandosi il naso per l'ennesima volta.
-E che Agnese Rampi ci sveli il mistero del bonifico ... - concluse, dopo un sonoro starnuto.
-Già, speriamo. Ma adesso andiamo a sentirla-


La casa in cui risiedeva la donna dei centocinquantamila euro si trovava dalle parti del Lingotto.
Il portone era aperto, nonostante il vento freddo, e una ragazza di colore era intenta a pulire le scale di marmo ingiallito.
-Ci scusi, possiamo passare?-
-Sì, prego, io finisco dopo. Attenzione ai primi gradini, sono bagnati-
I due uomini abbozzarono un sorriso di ringraziamento e, facendo attenzione a non rovesciare il secchio colmo d'acqua e a non lasciare troppe impronte sul pavimento bagnato, si avviarono su per le scale, ancora intonse dalla pulizia mattutina.
Dalla targhetta sul citofono all'esterno, infatti, Agnese Rampi risultava abitare al terzo piano, interno B.
Quando arrivarono a destinazione, Terenzi suonò il campanello un paio di volte.
-Speriamo che ci sia ... - commentò innocentemente Ghirodelli, guardandosi intorno.
-Basta con tutto questo entusiasmo, ispettore!- lo redarguì con un'occhiataccia l'altro, ammettendo subito dopo:
-Almeno l’abbiamo trovata:
se non dovesse essere in casa, possiamo sempre rintracciarla-
Dopo un minuto o due, quando ormai il commissario aveva riprovato a strimpellare, persino a bussare come se dovesse buttar giù la porta, e convinto che davvero non ci fosse nessuno, l'usciò si aprì leggermente, con un rumore stidulo di almeno una decina di mandate.
E che è? Questo appartamento è peggio di una cassaforte! si ritrovò a pensare il superiore, estraendo prontamente le mani dalle tasche dei jeans.
Una donna sugli ottant’anni, con indosso probabilmente un maglione giallo, il massiccio pannello a dividerli,
domandò in tono acido:
-Chi siete?-
-Buongiorno, signora, polizia. Sono il commissario Terenzi, piacere, e questo è l’ispettore Ghirodelli-
I due uomini le mostrarono il distintivo, accompagnando il gesto con un ampio sorriso di cortesia.
-Della polizia? Non ho fatto niente, quindi perché dovrei credervi? E poi, che ne so se siete dei veri poliziotti o dei truffatori?-
-Signora ... - tentò di farla ragionare il sottoposto, prevedendo uno scoppio d'ira da parte del superiore, che detestava attendere inutilmente.
–La vede questa stella e questo timbro? Vuol dire che i nostri distintivi sono autentici.
Se ci fa entrare, vorremmo parlarle di Giorgio Appiani-
-Di Giorgio?- cercò di capire se aveva udito bene, azzardandosi persino ad aprire un filino di più la porta, il suo solido scudo.
-Non mi fido, non ci credo che siete dei poliziotti- si convinse alla fine, ritornando a guardarli in cagnesco.
-Glielo ha appena detto anche il mio collega, signora- proseguì Terenzi, sospirando rumorosamente, gli occhi al soffitto mezzo scrostato.
-Se non crede a noi, allora chiami in commissariato! Le confermeranno quello che le stiamo dicendo da cinque minuti!-
La donna arricciò le labbra carnose, ricoperte da una vaga peluria scura.
-Come si chiamerebbe questo commissariato?-
-“L’Aquila”. Si trova in via Generali 10. Allora, adesso ci crede?-
-No- continuò imperterrita, squadrandoli dalla testa ai piedi.
-Anzi, perché volete parlarmi?-
-Sul suo conto corrente, risulta che lei avrebbe fatto un bonifico di centocinquantamila euro
al signor Appiani. Siamo qui per sapere il motivo, signora-
-Che cosa?! Io gli avrei dato tutti quei soldi?! Ma sta scherzando? Con la pensione che mi passano quegli infami dello Stato, nemmeno in altri ottantadue anni di vita riuscirò ad avere una somma del genere!-
Terenzi e Ghirodelli si lanciarono un'occhiata che esprimeva tutta la loro incertezza: stavano sudando freddo, e non sapevano più che pesci pigliare.
-Ma lei è la signora Agnese Rampi, vero?- azzardò il superiore.

-No, io sono la madre di Agnese- rispose orgogliosa la vecchietta.
Il commissario e l'ispettore si guardarono nuovamente.
-Ah ... e sua figlia dov’è? E' in casa?- continuò il sottoposto.
-No, è al lavoro-
-Potrebbe darci un suo recapito?-
Ci vogliono le tenaglie per farla parlare, signora mia?! avrebbe voluto chiederle Terenzi.
-No- rispose secca e decisa l'altra.

-Senta signora, visto che non ci fa entrare, le lascio il mio biglietto da visita, ma la prego: appena torna sua figlia, le dica che siamo passati. E' molto urgente, d’accordo?-
La donna annuì, poco convinta dalla supplica dell'uomo.
-Uhm, va bene, glielo dirò-
-Grazie, mi raccomando però, deve dirglielo entro oggi. Ha capito? E' davvero molto importante-
-Giovanotto, non sono rimbambita! Se le ho detto che glielo dirò, glielo dirò!-
Fa che non sbatta la porta, fa che non sbatta la porta!
-Un’ultima cosa, signora: lei consoce il signor Appiani, vero? Prima l’ha chiamato Giorgio ... -

-Non bene, in realtà- sembrò sciogliersi la donna -so solo che è un amico di Agnese, e basta. Ora devo andare, mi avete già fatto perdere un sacco di tempo con le vostre chiacchiere inutili: ho spento il sugo e va a finire che mi si attacca. Arrivederci-
La gentile vecchietta sbatté la porta in modo assai elegante, scrutando ancora una volta i due loschi figuri.
-Però, simpatica la nonnetta- esclamò ironico Ghirodelli.
-Non commentare, è meglio-
I due uomini ridiscesero le scale, l'idea fissa in testa che la madre di Agnese Rampi le comunicasse che la stavano cercando.
La ragazza di colore era ancora lì, intenta a spazzare la prima rampa.

-Arrivederci- la salutarono il commissario e l'ispettore.
-Arrivederci- rispose lei, e riprese a canticchiare sottovoce.






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Capitolo 6
*** La musicista e lo sbruffone ***


Martedì 11 novembre, ore 12.55, commissariato “L’Aquila”


Appena svoltarono l’angolo, Terenzi sbuffò rumorosamente:
-Uffa, ci risiamo! Ci mancavano solo loro a rovinare questa giornata!”
Il commissario, imbacuccato nel giubbotto di pelle e con la sciarpa avvolta a mo’ di burqa, era al volante della sua Panda gialla, con cui lui e l’ispettore stavano tornando dall’infelice quanto inutile colloquio con la madre di Agnese Rampi.
-Che succede?- cercò di capire Ghirodelli, che aveva trascorso la mezz’ora di strada a starnutire e a soffiarsi il naso, ormai privo di forze.
-Quel branco di avvoltoi ci sta aspettando proprio davanti l’entrata del commissariato!- spiegò con tono cospiratorio il superiore, accostandosi al marciapiede, a un centinaio di metri dal nemico.
Infatti, un malefico gruppo di giornalisti assetati di ultime novità, stava professionalmente piantonando l’ingresso della stazione di Polizia: Terenzi, il pomeriggio precedente, dopo che finì di interrogare la vedova, fu catapultato dal questore -tramite una telefonata assai eloquente- nell’arena, ovvero nella sala stampa della questura, dove venne costretto a rispondere alle innumerevoli domande delle iene sull’omicidio Appiani.
Commissario, ha idea di chi possa aver voluto la morte del noto imprenditore? Come è stato ucciso? Chi ha rinvenuto il cadavere? Dottore, avete già delle piste da seguire? Crede sia stato un delitto a sfondo passionale? O magari è da imputare alla concorrenza? E chi prenderà le redini dell’azienda?
Terenzi uscì da lì con un terribile mal di testa, per questo non aveva alcuna intenzione di ripetere la parte del capro espiatorio in quell’assurdo, quanto prematuro, assalto mediatico.
Per quale accidenti di motivo i giornalisti non riuscivano a capire che lui non voleva parlare per il semplice fatto che non aveva ancora uno straccio di indizio su cui indagare?!
Quando ne avrebbe trovati, di indizi, sarebbero stati i primi a saperlo, ma dannazione, per il momento che lo lasciassero in pace!  
Certo, la dottoressa Del Fiore era di tutt’altro avviso, e non aveva perso tempo a farglielo presente:
“Le forze dell’ordine non possono permettersi di fare brutte figure, deve trasmettere sicurezza, commissario, per il buon nome dell’istituzione che rappresentiamo!” gli aveva seraficamente fatto notare la donna, una quarantenne alta e minuta, i capelli biondi svolazzanti e gli occhi azzurri nascosti dietro un paio di occhiali da miope.
E perché non far emergere anche l’apparenza del super poliziotto? avrebbe volentieri aggiunto lui, dell’eroe che sa già tutto, dell’uomo con la vista a raggi X che, appena avvista da lontano un cadavere, è già in grado di stabilire motivo, ora del decesso e persino l’assassino?
-Cosa facciamo?- biascicò Ghirodelli, riportandolo al presente, elegantemente spalmato sul sedile del passeggero.
-Passiamo da dietro e parcheggiamo la macchina nel posteggio del supermercato-
Terenzi non attese neppure un cenno di assenso da parte del sottoposto e, rimettendo in moto, si avviò a passo di Miss Marple –la sua tartaruga di terra- verso la strada parallela, fiero della sua astuzia.

-Dottore, mi scusi, ci sarebbero delle comunicazioni per lei … -
L’agente scelto Sandra Finotti uscì dalla guardiola e si mise sull’attenti: Terenzi la osservò con fare impensierito, e le disse di mettersi comoda.
-Il tecnico che ha chiamato è andato via una ventina di minuti fa: è riuscito ad aggiustare l’intero sistema informatico, però mi ha detto di riferirle che ha modificato l’antivirus e le modalità di aggiornamento del software. Inoltre, l’ha cercata il commissario Berardi, della stazione competente di via Cavour, per comunicarle che gli strozzini di Della Robbia, arrestati la notte scorsa, hanno deciso di collaborare: pertanto, ci vorrà la verbalizzazione ufficiale del teste. Infine, il medico legale, il dottor Bertani, desidera essere richiamato al più presto-
La venticinquenne, una brunetta dalla voce stridula, si fermò di colpo: chiuse la boccuccia e, le braccia ben tirate lungo i fianchi, attese la replica del superiore.
Terenzi la guardò interdetto: perché i giovani poliziotti, si domandò rassegnato, agli esordi della propria carriera, si comportano tutti come dei burattini messi in piedi da una catena di montaggio?
Chissà se anch’io ero così? E’ passato tanto di quel tempo
L’uomo si passò una mano sulla barba incolta, percependo che il mal di testa della sera precedente sarebbe presto tornato a fargli compagnia.
-Va bene, la ringrazio Finotti- tagliò corto, dirigendosi nel suo ufficio, alle calcagna l’ispettore, che subito si fiondò sul distributore automatico di bevande, assetato di un curativo quanto surrogato thè al limone.  
 
Dopo la brutta figura fatta a casa di Agnese Rampi, Terenzi attendeva con trepidazione di parlare con Anita e Gabriele, i figli del defunto, per sapere qualcosa di più sul padre e, magari, anche sulla misteriosa donna del bonifico.
Nell’attesa, per darsi la giusta carica, dopo aver gustato il super tramezzino di Maurizio –il proprietario del bar della via di fronte, nonché suo ex collaboratore*- il poliziotto si ricordò di telefonare al dottor Bertani, il medico legale che si occupava dell’ormai cadavere di Giorgio Appiani Uzia.
Erano quasi le due, e il telefono suonava a vuoto: possibile che non ci fosse nessuno? Al decimo squillo, finalmente, la voce roca e bassa dell’anatomo patologo salutò il poliziotto.
-Dottor Bertani, sono Terenzi-
-Commissario, buon pomeriggio. Ho iniziato due ore fa con l’autopsia del nostro amico … -
-Qualche indiscrezione?-
-Dai primi esami che ho fatto, ho trovato nel sangue una dose piuttosto massiccia di bromazepam, o Lexotan, come preferisce chiamarlo. Fa parte delle benzodiazepine, una classe di farmaci utilizzati, tra l’altro, come antidepressivi che, se impiegati in modo sbagliato, possono portare a perdita di coscienza, depressione respiratoria e cardiaca e, addirittura, alla morte. Viene venduto sotto forma di capsule, compresse, gocce, tuttavia, sull’avambraccio destro della vittima, proprio nella piega del gomito, ho trovato un minuscolo foro, simile a quello provocato da una recente venipuntura -
-Mi sta dicendo che è stato drogato?-
-In apparenza no, o meglio, è stato stordito con le benzodiazepine … - sbuffò Bertani, non raccapezzandosi –il Lexotan è già sufficientemente potente, inoltre la sua formulazione richiede solo dosi orali, non endovenose. Per cui, dal momento che gli esami tossicologici sono ancora in corso, di più non so dirle-
-Questo genere di medicinale si trova facilmente in commercio?- s’informò interessato il commissario, scarabocchiando sul taccuino il nome del farmaco.
-Direi di sì, a patto che uno lo conosca e sappia come usarlo. Ah, prima che me lo chieda, serve l’impegnativa del medico per poterlo acquistare-
-A che ora risale l’ora della morte?-
-Dallo svuotamento gastrico, direi tra le ventidue e le ventiquattro della notte tra il 9 e il 10 scorso-
-E il sangue trovato sul colletto? Appartiene ad Appiani?-
-Esatto. Trauma cranico: probabilmente il colpo è stato inferto quando la vittima era ancora semicosciente. L’hanno colpito due volte, ma in modo differente. Questo mi spinge ad azzardare che ad uccidere il signor Appiani siano state due persone distinte… -
-Ne è sicuro?!- incalzò strabiliato il poliziotto, massaggiandosi il mento e poggiando la cornetta sull’altro orecchio.
-Devo ancora completare l’autopsia, però sono praticamente certo che la pressione dei colpi sia diversa: uno è stato assestato con maggior forza e, inoltre, chi ha dato il colpo più violento, quello mortale per intenderci, era sicuramente più alto della prima persona-
-Come fa a stabilirlo?-
-Per l’angolazione dei colpi: è visivamente differente-
-Crede che uno dei due assassini fosse un uomo?-
-Può darsi. O era un uomo, oppure una donna particolarmente alta … questo tocca a lei scoprirlo, mi dispiace-
Terenzi continuò ad appuntarsi quelle fondamentali rivelazioni sul block notes, quindi domandò pensieroso:
-Quando potrà farmi avere il referto?-
-Credo e spero per domani sera. Se passa da me, cercherò di prepararglielo per le sette, sette e mezza-
-D’accordo. La ringrazio molto, dottore-
-Dovere. Buona giornata-


Terenzi convocò immediatamente Ghirodelli per metterlo al corrente delle ultime novità.
-Dobbiamo risentire al più presto Carlo Della Robbia, non solo per la faccenda degli strozzini, ma anche per la storia dei due assassini. Era la persona più vicina alla vittima, in tutti i sensi: amico, collaboratore, braccio destro, Appiani si è persino fatto carico dei debiti dell’uomo!- ricominciò a riflettere il superiore, mentre l’ispettore, seduto sulla sedia all’altro capo della scrivania, ascoltava a braccia conserte.
-Ha ragione, forse lui potrà rivelarci ancora dei particolari importanti. Ah, per quanto riguarda l’alibi della Pellini, il fidanzato, Andrea Piacentini, ha confermato: la notte del delitto erano insieme, la segretaria ha dormito nel suo appartamento. Se ne è andata solo al mattino, per recarsi in fabbrica-
-Molto bene. Per il momento, non abbiamo elementi per credere che abbia mentito, ma non possiamo neppure escluderla completamente dalla lista dei sospettati. Invece, per quanto riguarda l’elenco degli azionisti, farò al più presto una verifica di nomi, carriere, vita privata e lavorativa … insomma, tutto quanto li riguarda- si appuntò sul solito taccuino, mordicchiandosi il labbro inferiore.
-Posso occuparmene io- si propose il sottoposto, allungando una mano per recuperare il foglietto.
-Non adesso, ispettore. Passami il termine, ma sei davvero uno straccio. Ti serve una lunga notte di riposo, così potrai ritornare come nuovo-
Terenzi si alzò dalla poltrona imbottita, aspettando che anche l’altro lo imitasse.
-Ma ... non si deve preoccupare per me! Mi sento molto meglio, davvero!- ribatté Ghirodelli.
-Caro il mio Pinocchio, non cadrò nella tua trappola! Non è un consiglio, quello che ti ho dato, è un ordine e, come tale, devi obbedire!- cominciò ad alterarsi il superiore, sinceramente preoccupato.
Ma l’ispettore era un osso duro, doveva ammetterlo: perciò, dopo una sorta di tregua, il commissario fu costretto a cedere, incaricandolo di telefonare alle farmacie della città per sapere se, di recente, qualcuna ha venduto il Lexotan.
-Lo consideri già fatto, capo!- si alzò finalmente il sottoposto, lasciando la stanza con il foglietto dei compiti in mano.



ORE 16,50

Mancavano dieci minuti all’arrivo di Anita e Gabriele Appiani, così Terenzi uscì dall’ufficio per prendersi un caffè.
Speriamo che quella pazza della madre di Agnese Rampi dica alla figlia di chiamarmi, così da avere dei chiarimenti sul bonifico fatto alla vittima.
Mentre aspettava che il bicchierino si riempisse, si guardò intorno: effettivamente, in centrale siamo un po’ sotto organico. Tra Bini e Di Biase a casa con la febbre, a cui si è aggiunto anche Rossetti con una bella bronchite, Matteucci di guardia a Carlo Della Robbia, qui siamo rimasti davvero in pochi: per fortuna che almeno Rossi e le due nuove agenti resistono.
Terenzi gettò il bicchiere nel cestino, e si avviò verso l’ufficio di Ghirodelli.
-Allora,
testone, come procede la ricerca?-
-Ancora nulla, commissario- rispose con un sorriso, la cornetta a mezz’aria.
-Ho già chiamato dieci farmacie, ma nessuna di queste ha venduto il nostro farmaco-
-Continua, prima o poi troverai qualcosa. Vado ad aspettare i figli della vittima-
-Ha bisogno di me per battere il verbale?-
-No, chiamo la Maffei ad aiutarmi-
Il superiore lo salutò con un cenno del capo, e ritornò in ufficio.
Si era appena seduto dietro la scrivania, quando sentì bussare:
-Avanti!-
-Commissario, sono arrivati Anita e Gabriele Appiani- lo informò con professionalità l’agente scelto Arianna Maffei, capelli neri a caschetto ed occhi verdi.
Due giovani sui trent’anni, estremamente somiglianti, entrarono nella stanza: lei era oggettivamente molto bella, il viso e il portamento fieri come quelli della madre, mentre i lunghi capelli ricci erano stati raccolti da un fermaglio; il ragazzo, invece, era alto ed atletico, anche lui con i capelli ricci castani e gli occhi color ambra.
-Buonasera. Prego, accomodatevi-
Terenzi strinse loro la mano, invitandoli a prendere posto.
-Grazie per essere venuti così presto-
I due annuirono, i volti assorti e contriti.
-Prima di iniziare, permettetemi di farvi le condoglianze per la morte di vostro padre-
-Nostra madre ce lo ha detto questa mattina: ci ha praticamente buttato giù dal letto, talmente era presto- intervenne Gabriele, il meno amareggiato tra i due.
-Dobbiamo ancora assimilare la notizia ma, almeno per quanto mi riguarda, non posso dire che mi dispiaccia particolarmente- continuò asciutto.
Anita lanciò un’occhiata di traverso al fratello, riprendendolo senza farsi troppi scrupoli:
-Gabriele, per favore, smettila!-
-E’ vero! Non vedo perché dobbiamo nasconderlo, visto che anche tu lo pensi!- ribatté sulla difensiva l’altro, facendo spallucce e sogghignando.
-Potete spiegarmi il motivo per il quale parlate così male di vostro padre?- cercò di comprendere il commissario, le mani congiunte sulla scrivania, mentre la Maffucci registrava l’interrogatorio al computer.
-Nostra madre ha sofferto molto per lui: l’ha tradita, si è preso gioco di lei, cambiando donna come si cambiano delle scarpe ormai vecchie! Anche con noi, non è mai stato un santo. Anzi, era un despota, un uomo che voleva che tutti facessero e pensassero come lui. Se provavi a contrastarlo, era finita: nel migliore dei casi, ti portava il broncio per qualche giorno, ma non desisteva mai dai suoi propositi, mai-
-Intuisco che faceva così anche con voi … - punzecchiò Terenzi.
-Soprattutto con noi. Ci trovava gusto-
-Commissario, non dia ascolto a quello che dice mio fratello, è solamente molto scosso- cercò di difenderlo la sorella, guardando il ragazzo, per poi spiegare:
-E’ vero, ha fatto soffrire per molto tempo nostra madre. Però, da quando si sono separati cinque anni fa, il nostro rapporto con lui era cambiato, avevamo ripreso a volergli bene, proprio come una volta-
Anita scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani.
-Signorina, vuole un bicchiere d’acqua?- le offrì il poliziotto, con fare comprensivo.
-Sì, per favore-
Terenzi fa un cenno alla Maffucci, che uscì dall’ufficio per ritornare poco dopo.
-Ecco a lei- le disse l’agente, appoggiando il bicchiere sulla scrivania.
-Grazie- riprese la ragazza, dopo aver bevuto qualche sorso.
-Avete un’idea di chi possa aver ucciso vostro padre? Un movente?-
-No- risposero in coro i due giovani, prima Gabriele, subito seguito dalla sorella.
Il poliziotto tralasciò volutamente di raccontare il particolare fondamentale che, ad uccidere l’uomo, erano state due persone distinte.
-Quando lo avete visto l’ultima volta? So da vostra madre che non abitate a Torino-
-Infatti. Siamo venuti in città lo scorso fine settimana- confermò il ragazzo.
-Abbiamo pranzato da lui. Fosse stato per me, avrei incontrato solo nostra madre, ma è stata Anita ad insistere-
-E lo avete sentito dopo quel giorno?-
I due scossero la testa, convinti.
-Commissario, si sa già come è morto?- domandò la ragazza, la voce tremante.
-Gli hanno somministrato una forte dose di antidepressivo, e poi lo hanno colpito. Ma non ha sentito nulla, signorina, perché era già svenuto … -
-Oddio- la giovane ricominciò a piangere: recuperò un fazzoletto di carta dalla borsa e si soffiò il naso.
-Se vuole facciamo una pausa- suggerì Terenzi, ma Anita lo rassicurò, dicendogli che non era necessario.
-Sapevate che l’azienda di vostro padre ha un debito di trecentomila euro?-
-Trecentomila euro?! E’ impossibile, papà non ce ne ha mai parlato!- esclamò stupita, mentre il fratello sogghignava.
-Eppure è così, signorina. E’ sicura che non ve ne abbia mai parlato o, perlomeno, accennato?-
-No, commissario, ne sono certa-
-Anche lei, signor Appiani?-
-Sì, anche io- rispose con una nota beffarda, sospirando annoiato.
-Conoscete Agnese Rampi?-
-Sarà stata una delle sue amanti- commentò sorridendo Gabriele, facendo spallucce.
-Smettila!- gli intimò arrabbiata la sorella, lanciandogli l’ennesima occhiataccia.
-Si attenga a rispondere alle domande che le vengono poste. La conosce oppure no, signor Appiani?-
-Mi scusi, dicevo così per dire. Comunque no, non la conosco- perdurò con il medesimo tono provocatorio.
-La notte in cui è stato ucciso vostro padre, dove vi trovavate?- incalzò con sguardo crucciato il poliziotto.
-Io ero nel mio appartamento a Milano. Da solo- si affrettò a precisare il ragazzo.
-E lei, signorina?-
-Ero … a Padova: condivido un piccolo appartamento con una mia collega del conservatorio. Si chiama Paola Pedretti: se vuole contattarla, glielo potrà confermare anche adesso-
Il commissario si fece dettare il numero di telefono e l’indirizzo della donna, quindi li accomiatò.
-Un’ultima cosa: per quanto resterete in città?-
-Appena ci sarà il funerale, tornerò immediatamente a Milano- rispose senza esitazione Gabriele.
-Io, invece, starò qui a fare compagnia a mia madre ancora per qualche giorno, almeno per una settimana, credo … -
-Bene, allora se avrò ancora bisogno di voi, saprò dove contattarvi. Prego, vi accompagno … -
Anita e il fratello si alzarono dalle sedie.
-Quando potremo fare il funerale, commissario?-
-Penso tra un paio di giorni, signorina. Domani il medico legale finirà l’autopsia, poi spetterà a voi e a vostra madre decidere-
-Grazie, è stato molto gentile- lo salutò la ragazza, stringendogli con riconoscenza la mano.
E, così, uscirono dall’ufficio.



NOTA DELL'AUTRICE

Ciao a tutti, cari miei lettori!! Grazie di cuore per essere in tantissimi a seguire questa nuova indagine del commissario Terenzi!
Sono davvero felice di avervi al mio fianco!
Volevo ricordare brevemente chi è Maurizio, il quarantenne barman "con la barba di qualche giorno e gli occhi azzurri", che sa fare il miglior cappuccino della città, come recita la sua maglietta!
E' apparso nella precedente storia, "Omicidio in Steelstrasse n°41", ex poliziotto sottocopertura che, durante un'operazione contro dei trafficanti d'arte, venne ferito ad una gamba e sparò dei colpi contro due banditi, uccidendoli.
Da quell'episodio, la decisione di cambiare radicalmente vita.
Detto questo, vi lascio, perché mi accorgo che questo è stato un capitolo lunghissimo!
Un abbraccio e mille grazie!

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Capitolo 7
*** La macchina del gelato ***


Martedì 11 novembre, ore 20.00, commissariato "L'Aquila", Torino



Terenzi salutò quei quattro gatti che erano rimasti in commissariato, salì in macchina –parcheggiata all’ora di pranzo nel posteggio del supermercato, per sfuggire all’orda assetata di giornalisti- e si diresse sicuro ma stanco dalle parti del Valentino.
Gli era sempre piaciuto guidare: i movimenti lisci e silenziosi del volante, le curve accarezzate con dolcezza dalle ruote della sua Panda, i pedali efficienti che si alternavano, come in una sinfonia, in un crescendo di accelerazioni e frenate … insomma, condurre un’automobile aveva il potere di rilassarlo.
Anche se, appena rispuntavano le calde giornate primaverili, l’atletico commissario subito ne riapprofittava per compiere qualche lungo giro in bicicletta: infatti, non amava particolarmente camminare, si piegava a quell’evenienza solo se obbligato.
Dopo un’abbondante mezz’ora, finalmente il poliziotto parcheggiò davanti ad un edificio signorile, i muri color giallo limone.
Aprì la portiera e si tirò su il bavero del cappotto, mentre un leggero brivido causato dal vento, si insinuava nel colletto della camicia, lungo il collo lasciato nudo.
Solo in quel momento, infatti, si rese conto che, nella fretta, aveva dimenticato la sciarpa nel suo ufficio, appollaiata sull’attaccapanni: scrollò le spalle e scosse impercettibilmente il capo, convincendosi che l’avrebbe recuperata l’indomani.
Lanciò un’occhiata verso l’alto, per controllare se riusciva a scorgere la luce dell’appartamento al secondo piano, ma le persiane chiuse non lo aiutarono ad individuarla.
Molti degli appartamenti erano occupati da uffici, come testimoniavano le innumerevoli insegne che avevano preso posto vicino al citofono: l’uomo suonò in corrispondenza del cognome di uno dei pochi inquilini del palazzo, le mani sepolte nelle tasche dei pantaloni di velluto, per resistere al freddo novembrino.
Dopo una manciata di secondi, una voce allegra gli rispose:
-Sì?-
-Sono io, Alessandro-
-Vieni!-
Il poliziotto sgusciò nel portone, appena aperto con un clic metallico, quindi salì le scale di marmo fino al secondo piano.
La porta di legno massiccio sulla destra era socchiusa, come per invitarlo ad entrare.
E Terenzi, affamato e stanco come si sentiva, non si fece ripetere l’invito una seconda volta.
-Uhm, che buon profumino!- esclamò, entrando deciso.
Si tolse il cappotto, lo appese all’ormai famigliare attaccapanni, e si avviò a passi felpati in cucina: una ragazza molto carina, dai capelli castani stretti in una coda e gli occhi color ambra, si voltò non appena avvertì la presenza dell’uomo alle sue spalle, un grembiule bianco e rosso sopra i pantaloni blu della tuta.
-Ecco qui il mio commissario preferito! Per fortuna mi hai avvisato che avresti ritardato, altrimenti non ti avrei perdonato … -
Ginevra Morini, la fidanzata di Terenzi dall'aprile dell'anno precedente, lo accolse con un sorriso, scostandosi una ciocca ribelle dalla fronte.
-Ciao- lui la salutò sfiorandole le labbra, felice di rivederla.
-Scusami se sono in versione casalinga disperata, ma se vuoi mangiare bene, devo mettermi ai fornelli: sto preparando una cosa che di certo ti piacerà!-
La giovane ritornò a voltarsi, riprendendo a spadellare, a mettere e a togliere coperchi, a mescolare e ad assaggiare il contenuto di tutte e quattro le pentole.
-Ne sono certo: dal profumo è sicuramente del pesce!- la punzecchiò, pizzicandole con tenerezza un fianco.
-Sei il solito guastafeste! Almeno potevi far finta di non sapere cosa fosse: uffa, hai il fiuto per qualsiasi cosa, e mi rovini sempre ogni sorpresa!-
-Sarà deformazione professionale, la mia … - cercò di farla ragionare, facendo spallucce ed assumendo un’espressione fintamente angelicata.
-Ti posso aiutare?- continuò l’uomo, indicando con un indice il tavolo di cristallo non ancora apparecchiato.
-No no, per carità, non vorrei che mi mettessi a fuoco la cucina: dopo i reperti archeologici, questo è il mio regno … -
Ginevra spense due dei quattro fornelli, lisciandosi il grembiule con aria soddisfatta.
-Guarda che io sono bravissimo a cucinare! Non ti ricordi di quello sformato di patate che ti ho fatto qualche settimana fa?-
-Eccome se me ne ricordo: quelle patate erano talmente dure, che tra un po’ mi rompevo i denti!- rispose sorridendo, voltandosi verso il poliziotto e cingendogli le ampie spalle.
-Come sei complicata! Secondo te, come ho vissuto tutti questi anni da single se non cucinandomi da solo?-
-Ah non lo so, e non voglio nemmeno saperlo!- si arrese la ragazza, baciandogli una guancia.
-Ho già apparecchiato di là in sala: scegli pure tu il vino. Sai che non me ne intendo molto … -
-Già, tu preferisci quegli intrugli che assomigliano a del vino, ma che sono dei surrogati che andrebbero banditi dal mercato mondiale!-
-Scemo … comunque, dal momento che so che i miei surrogati non ti piacciono, ho comprato apposta un paio di bottiglie: sono lì dentro, terzo ripiano … -
Ginevra indicò il carrello portavivande sotto la finestra della cucina, tornando a concentrarsi sulle restanti due pentole che ancora borbottavano sul fuoco.
-A proposito, non ho avuto tempo di passare a comprarti qualcosa- si scusò l’uomo, abbassando lo sguardo: si sentiva in colpa, perché ogni volta che la fidanzata lo invitava a pranzo o a cena, lui non si recava mai a casa sua a mani vuote, anzi, la viziava con graziosissime e colorate piante, con scatole di cioccolatini, con un libro, con il DVD dell’ultimo film che, tempo prima, avevano visto al cinema … insomma, una chicca per ogni occasione.
-Oggi è stata una giornata molto lunga e faticosa. Sono venuto direttamente qui, senza neppure passare da casa … anzi, spero che Miss Marple sia finalmente piombata nel lungo sonno del letargo, perchè non le ho lasciato nemmeno mezzo cespo di lattuga! Quest’anno, proprio non ne vuole sapere del letargo … - concluse impensierito, riferendosi alla tartaruga di terra, che la sua vicina di casa, una vecchina un po’ eccentrica, gli aveva appioppato quattro anni prima.
–Ahi! Mi è schizzato il sugo!- piagnucolò la ragazza, arretrando di qualche passo.
Restò in bilico per una pugno di secondi, le ciabattine rosa confetto rimaste intrappolate nel tappeto giallo.
-Attenta a non bruciarti-
Terenzi armeggiò sapientemente con il cavatappi, lanciandole un’occhiata a metà tra il divertito e il preoccupato.
-Prima o poi, dovrò decidermi a cambiarlo … - commentò pensierosa, spegnendo anche gli ultimi fornelli.
–Ma come cavolo funziona ‘sta affare?! E’ duro come uno dei tuoi fossili!-
-Non cominciare ad offendere! E’ lì da una vita: quello che mi avevi regalato, non lo trovo più!-
-Vorrai forse dire che lo hai buttato ... -
Lei sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
-E poi, di solito il vino lo porti tu, caro mio. Usa un po’ più di forza, no?-
-Oh, finalmente!- esclamò il poliziotto, ormai al terzo tentativo, rosso in viso per lo sforzo.
Nel frattempo, la fidanzata aveva decretato che potevano spostarsi nella sala degli ospiti, per gustarsi la cenetta romantica.
-Basta lamentarsi: qui è tutto pronto! Portalo pure in tavola-
Ginevra accennò alla bottiglia di vino bianco che l’uomo aveva scelto e stappato, quindi si avviò nella sala da pranzo, reggendo trionfalmente una capiente ciotola con il primo piatto.
Il commissario la seguì come un fedele cagnolino.
Quando arrivò in soggiorno, rimase piacevolmente stupito dall’accuratezza che lo accolse: oltre ai soliti due divani color panna e all’omologa poltrona con il puff davanti, la fornitissima libreria che occupava due pareti color pesca, e la TV da quaranta pollici spalmata su uno dei muri, la sua attenzione venne catturata dal tavolo quadrangolare, avvolto da una graziosa tovaglia crema, i tovaglioli e i piatti abbinati, i bicchieri di cristallo e, al centro, una candela rossa ancora da accendere.
-A cosa devo tutta questa eleganza?- riuscì finalmente a domandare l’uomo, regalandole un’occhiata di ammirazione.
-Se non ti piace, puoi sempre mangiare in cucina … - lo redarguì imbronciata Ginevra, le mani sui fianchi.
-No, io sono contento. E’ solo che, beh, forse è perché è da tanto che non vengo a mangiare e … -
-Non dirmi che sono riuscita a metterti in imbarazzo?! Tu, l’intrepido commissario Terenzi, che non si arrende davanti a niente e a nessuno, si stupisce per così poco?-
La ragazza scosse divertita la testa e, sorridendogli, gli si avvicinò:
-Infatti è per questo che ho apparecchiato con tutti i crismi. Era da tanto che non ci ritagliavamo un po’ di tempo solo per noi, e volevo farti una sorpresa … -
Ginevra lo baciò con lentezza sulla bocca, accarezzandogli la nuca e poi la schiena.
Quindi si staccò, in attesa che il poliziotto dicesse qualcosa.
-D-dove li tieni i fiammiferi?- balbettò, rinfrancato da quella dimostrazione di amore.
-Sono nel secondo cassetto della credenza … -
L’archeologa indicò un minuscolo armadietto, le cui dimensioni non rispettavano per nulla l’idea comune di credenza, tuttavia si diresse obbediente verso di esso.
-Mentre tu accendi la candela, comincio a servire la pasta!- esclamò lei, riempiendo i piatti con la calamarata al sugo di pesce.
-Sediamoci, altrimenti si raffredda … -
-Hai fatto anche il secondo?- chiese Terenzi, accomodandosi di fronte alla ragazza, pregustando le prelibatezze della sua cucina.
-Certo che sì: sformato di alici, pomodori e patate!-
-Uhm, che bontà! Ogni volta che vengo qui mi vizi!-
-Cosa ci vuoi fare? Lo faccio per il tuo bene. Facciamo un brindisi?-
L’uomo annuì con un mezzo sorriso, riconoscendo la verità di quelle sante parole: subito, versò da bere a entrambi.
-A noi due!-
-A noi due!- gli fece eco Ginevra, incrociando il proprio braccio a quello del fidanzato.
-Bene, allora buon appetito-
Avevano appena addentato la seconda forchettata di pasta, quando il cellulare di Terenzi cominciò a vibrare e a squillare, nel cappotto avvinghiato sull'attaccapanni, a pochi metri da loro.
L'uomo lanciò un'occhiata angosciata prima alla ragazza, e poi al telefonino imboscato.
Di solito, appena usciva dal commissariato, non lo teneva mai addosso o nelle immediate vicinanze, neppure nella tasca interna della giacca o in quella dei pantaloni, perché voleva sentirsi libero di non dipendere da quell’aggeggio, importantissimo in un'infinità di occasioni, non voleva e non poteva negarlo, ma spesso si rivelava peggio di una patata bollente.
Tuttavia, in virtù del disastroso colloquio con la madre di Agnese Rampi, appena quella mattina, il poliziotto aspettava con una punta di ansia di ricevere la telefonata della donna.
-Uhm, chi sarà a quest’ora?! Non puoi proprio stare tranquillo, eh?!- lo rimbrottò la ragazza, masticando nervosamente.
-Scusami, Gin, spero che non sia niente di importante- cercò di minimizzare l’uomo, non giungendo a conclusioni affrettate.
-Tra l’altro, non so neppure a chi appartenga questo numero … - commentò fiducioso, leggendo le cifre sul display.
-Ci metto poco, davvero. Pronto?-
Il poliziotto si alzò per galanteria dal tavolo, rimanendo in piedi a pochi passi dalla sedia imbottita.
-Commissario Terenzi?- lo apostrofò una voce di donna che lui non aveva mai sentito.
-Sì, sono io. Lei chi è?-
-Buonasera, mi scusi per l’orario, spero di non averla disturbata-
-No, non si preoccupi, signora … ?-
-Sono Agnese Rampi. Mia madre mi ha detto che oggi è venuto a cercarmi: ho appena finito il mio turno in ospedale, faccio l’infermiera. Quando sono tornata a casa, ho saputo che voleva parlarmi di Giorgio Appiani ... è per quello che gli è accaduto, vero?-
-Sì, diciamo che è stata un’impresa convincere sua madre che il mio collega ed io non eravamo dei truffatori. Comunque, non si preoccupi, volevo farle delle semplici domande di routine: è una faccenda un po’ delicata, non so se le ha già accennato qualcosa sua madre…-
-No, in realtà mi ha avvisato per telefono, e adesso è già andata a letto. Anzi, mi scuso per come immagino si sia comportata: fa sempre così con le persone che non conosce. Sa, è un po’ diffidente … -
-Certo, capisco-
Un po’ diffidente? pensò retoricamente Terenzi, ma se sembrava una iena!
-Quando vorrebbe parlarmi?-
-Se non è un problema per lei, domani sarebbe l’ideale-
-Va bene, il mio turno inizia alle due. Se vengo lì per mezzogiorno, può andare?-
-Perfetto, grazie per la sua disponibilità. Allora, ci vediamo domani alle dodici. Buona serata, signora Rampi-
-Anche a lei. Arrivederci, commissario-
Terenzi appoggiò il cellulare sulla smilza credenza dietro di lui, quindi ritornò a sedersi, affamato.
-Scusami, ma era una questione di lavoro: una testimone molto importante che ho necessità di sentire al più presto … -
Ginevra aveva finito di mangiare la sua porzione di pasta, e stava attendendo delucidazioni da parte del fidanzato, le braccia conserte.
-Anche la mia pasta è una questione molto importante: si sarà raffreddata … -
-Non fare così, la mangerò tutta anche se dovesse essere fredda- il poliziotto baciò la mano della ragazza, sapendo che, nonostante le mezze scenate, in realtà la ragazza ammirava e aveva un immenso rispetto per il lavoro che lui svolgeva.
-Bravo, così mi piaci. Che caso stai seguendo?- s’informò gongolante, già a conoscenza della risposta.
-Quello sull’omicidio del re delle ceramiche torinesi, Giorgio Appiani Uzia. Non dirmi che, in questi due giorni, non hai ancora vista un servizio del Tg?-
-Già, ho sentito ... poverino. A che punto siete con le indagini?-
-Praticamente è come se non avessimo ancora cominciato- commentò tristemente Terenzi, addentando anche l’ultima forchettata.
-E poi?-
-E poi cosa, Gin? Lo sai che non voglio e non posso raccontarti nulla delle indagini ancora in corso!-
-Hai ragione … scusa-
Il silenziò calò sui due piccioncini, ma non durò a lungo, perché la giovane si alzò dalla tavola e andò ad accendere il televisore ultrapiatto.
-Che fai?- domandò con una punta di allarmismo l’uomo, intuendo dove lei volesse andare a parare, inducendolo a parlare.
-Nulla … mi è venuta un’improvvisa voglia di vedere il telegiornale regionale. Ma ci metterò un minuto, guardo solo i titoli-
Terenzi si impose di non replicare: tuttavia, quando il volume raggiunse un livello troppo alto da sopportare, il poliziotto le urlò di abbassare.
-Come, scusa? Non riesco a sentirti … - lo guardò stupita, sedendosi sul bracciolo di uno dei divani.
-Spegni, e ti racconterò tutto!- finse di arrendersi l’uomo.
La ragazza lo accontentò prontamente, ritornando al proprio posto.
-Allora? Che novità ci sono?-
Il commissario abbozzò un sorriso: scosse il capo, stupito che lei ci cascasse sempre.
-Sai, non credo sia una buona idea … - tagliò corto, soddisfatto che il teatrino lo stesse salvando da quell’interrogatorio fuori luogo.
-Ancora con questa scenetta? Io ci casco sempre, è vero, ma tu sei davvero perfido!-
-Ormai dovresti conoscermi … - continuò a punzecchiarla, alzandosi per consolarla.
Ma, appena lui si abbassò per abbracciarla, la fidanzata ne approfittò per vendicarsi.
-No! Dai, per favore, sai che odio il solletico! Ahah, no, smettila, Gin, per favore!-
Dopo un’altra manciata di pizzicotti e una buona dose di gridolini, finalmente smise.
Entrambi con il fiatone, Terenzi si accasciò al proprio posto, la camicia bianca stropicciata.
-Sei terribile, davvero … -
-Beh, prima ho cercato di farti ragionare. Ma tu non mi hai voluto ascoltare … - replicò la fidanzata, facendo spallucce con aria ingenua.
-A sentire il suo collaboratore e la segretaria, l’imprenditore era un vero angioletto, mentre la vedova e il figlio non sono esattamente dello stesso parere – cominciò a spiegare il poliziotto, sentendosi in colpa come un sacerdote che rompe il segreto confessionale.
-E la donna con cui hai parlato adesso? Cosa c’entra?-
-Da quello che mi ha detto la madre questa mattina, sembra che il morto fosse un amico della figlia. Ah, tra l’altro, non credeva che io e Ghirodelli fossimo dei veri poliziotti, dovevi vederla! Le abbiamo parlato fuori dalla porta, perché non c’è stato verso di convincerla a farci entrare!- continuò l’uomo, sorseggiando il vino bianco, che subito lo rese più loquace.
-E’ una vecchietta apparentemente innocua, ma con un caratterino tutto pepe!-
-Finalmente qualcuno in grado di tenerti testa … -
Il poliziotto fece di finta di non aver sentito, zittendosi all’istante.
-E allora? Non c’è altro?-
-Ah, scusami, non mi ero accorta che eri diventata il nuovo questore! O forse, preferisci che ti chiami Pubblico Ministero?-
-Molto divertente … - Ginevra azzardò ad alzarsi nuovamente, ma subito Terenzi la bloccò con una presa salda sulle braccia.
-Sembra che abbia versato una somma considerevole sul conto corrente del defunto. Per questo ho bisogno di interrogarla-
-Interessante. E se fosse proprio lei l’assassina? Magari lui non voleva ridarle i soldi- commentò pensierosa, arricciando le labbra.
-Non penso, anche se mi chiedo come faccia un’infermiera come lei è ad avere tutti quei soldi-
-Di quanto si tratta?-
-Bè, parecchio denaro … -
Ginevra, ferma sulle sue ginocchia, era pronta per fargli sputare fino all’ultimo rospo ma, il commissario, notando l’espressione per nulla angelica sul volto della fidanzata, continuò nel resoconto:
-Centocinquantamila euro, però adesso basta!- la fece alzare lui, solleticandole i fianchi.
Aveva avuto almeno il buon senso di non raccontarle nulla circa le ultime rivelazioni del dottor Bertani, e nemmeno del passato da giocatore d'azzardo di Della Robbia, per non rischiare di agevolare gli assassini con una fuga di notizie inopportuna.
-Ma non farne parola con nessuno, Gin, sono ancora in corso le indagini! Hai capito?!-
-Sì, non preoccuparti, sarò muta come… -
-Come una tomba egizia! Lo so, lo so, dici sempre così!-
-Ma poi è vero, scusa, sto zitta sul serio. Cambiando discorso, così non rompi più, bravo che hai mangiato tutto! Adesso vado a prendere lo sformato-
-Aspetta, ti porto di là i piatti-
Il poliziotto sfiorò le mani della ragazza, che sorrise soddisfatta.
-Senti- esordì Ginevra, una volta in cucina, tirando fuori dal forno spento lo sformato di alici, pomodori e patate.
-E se fosse stato il figlio?-
-Oh, smettila, Gin! Quando fai così, mi verrebbe voglia di non dirti più nulla! Lui non era nemmeno qui quando è successo, lavora…-
-Sì, lo so, lavora a Milano. Si vede che non sai molto sul gossip, è uno dei migliori partiti della città. Anzi, dalle foto che ho visto sui giornali e dai servizi al Tg, deve essere anche un gran bel ragazzo!-
-Lo è- cominciò a spazientirsi lui, mollando i piatti nel lavandino -ma se cominci a punzecchiarmi, allora sarò costretto a dirti che anche la sorella è molto bella!-
-Ma smettila! Andiamo a finire di mangiare, che è meglio. Ah, lascia un posticino per il dolce-
Ginevra lo spinse verso la sala da pranzo, invitandolo senza troppe smancerie a portare con sé il secondo.
-Hai fatto anche quello?!-
-Sì, caro mio! Una collega del museo ha comprato la macchina del gelato e … -
-Con questo freddo?!- piagnucolò il commissario, appoggiando la teglia sul tavolo.
-E allora? Noi lo facciamo sciogliere per bene! Insomma, questa mia collega l’ha comprata, su consiglio della cugina, e mi ha detto che funziona benissimo, così me la sono fatta prestare!-
-Mi vengono i brividi al solo pensiero!-
-Ma scusa, non eri tu quello che amava il freddo e odiava il caldo? Me lo hai detto la prima volta che ci siamo incontrati, sul treno per Grosseto! Già non te lo ricordi?*-
-Sì, però il gelato è buono da mangiare d’estate e … massì, dai, come l’hai fatto? Male che vada mi ammalo come metà del commissariato … -
-Pistacchio e fiordilatte! Ah, a parte ho comprato la salsa al cioccolato. Che ne dici, ti può piacere?!-     
-Ottima scelta. Vuoi vedere che è la volta buona che ingrasso un po’?!-
-Non ci sperare, più ti abbuffi e più diventi magro-
-Per forza, con tutto quello che mi prepari ogni volta che vengo a cena da te!-
I due si fronteggiarono ancora per una manciata di secondi, quindi scoppiarono in una fragorosa risata.
Poi, ritornarono a sedersi, soddisfatti per come la serata stava proseguendo.
* si riferisce alla prima indagine del commissario, "Mistero a doppia indagine", pubblicata in questa sezione!

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Capitolo 8
*** L'orco di Pollicino ***




Mercoledì 12 novembre, ore 9.00, commissariato “L’Aquila”, Torino


Il tempo continuava ad essere uggioso, tipicamente invernale: il freddo e il vento persistevano, anche se quella mattina era uscito un timido sole.
Terenzi arrivò un po’ più tardi del solito, perché si era addormentato a casa di Ginevra: avevano concluso la serata guardando uno dei DVD che lui le aveva regalato le volte precedenti e, tra un commento e l’altro, tra un bicchiere di vino bianco e il successivo, i due piccioncini finirono per addormentarsi sul divano.
Così, quando intorno alle due il commissario riaprì gli occhi, appesantiti dalla nebbia del sonno profondo, si tirò su come se fosse atterrato su un letto di spine.
Nel buio del salotto, l’uomo percepì il corpo dell’archeologa, affettuosamente disteso sull’altro divano, ricoperto da una coperta a quadri scozzese, che evidentemente aveva recuperato dopo che lui si era addormentato.
E, solo in quel momento, si accorse che anche lui aveva una sorta di lenzuolo a coprirgli le spalle.
Sorrise, pensando a quell’ennesima dimostrazione d’amore della compagna, quindi si riaddormentò, convincendosi quanto fosse fortunato ad avere una fidanzata come lei, premurosa, intelligente e bellissima.
Fecero colazione insieme, alle sette e mezza, poi Ginevra scappò al Museo Egizio, strappando al poliziotto l’ennesimo bacio.
Infine, toccò a Terenzi dileguarsi, che corse con la sua Panda fino a casa, per controllare come stesse Miss Marple, la tartaruga di terra: finalmente, la testuggine si era decisa ad andare in letargo, così non dovette neppure rifornirla di lattuga e altre prelibatezze vegetariane, nascosta nella soffice terra che il proprietario le aveva preparato già il mese prima.
Adesso, il commissario stava sistemando le innumerevoli carte e documenti ordinatamente impilati sulla scrivania, in maniera quasi maniacale: rilesse per l'ennesima volta le deposizioni di Della Robbia sul ritrovamento del cadavere, quelle di Clelia Camoletti, della signorina Pellini e di Anita e Gabriele Appiani, non riuscendo a raccapezzarsi su come sbrogliare quella matassa che erano le indagini.
Poi, recuperò il taccuino e cominciò a sfogliarlo, ricordandosi all’istante delle innumerevoli questioni che aveva ancora in sospeso.

In primis, doveva recuperare la maggior parte delle informazioni possibili sugli azionari della fabbrica di ceramiche, quindi avrebbe dovuto chiamare Sabrina Pellini, la segretaria dell’imprenditore, che gli aveva promesso l’elenco del consiglio; quindi, avrebbe provato a richiamare il commissario Berardi, nonostante il pomeriggio precedente avesse tempestato il suo diretto almeno per una mezza dozzina di volte, non riuscendo mai a mettersi in contatto con lui; infine, in tarda serata, si sarebbe recato dal dottor Bertani, l’anatomo patologo, per ritirare la relazione sull’autopsia del magnate delle ceramiche.
Guardò l’orologio: aveva ancora tre ore prima dell’interrogatorio con Agnese Rampi, la misteriosa donna dei centocinquantamila euro, esattamente metà della cifra di cui la fabbrica difettava.
L’uomo sbuffò, arricciando le labbra in modo pensieroso: gli venne mente una canzone di Cocciante, Margherita, le cui parole recitavano più o meno così: “quante cose devo fare, prima che venga domani!”.
Ma prima di darsi per sconfitto e avere il tempo di commiserarsi, il pensiero corse a Ghirodelli, il suo fedele braccio destro.
Il pomeriggio precedente, dopo il colloquio con Anita e Gabriele Appiani, lo aveva poco educatamente obbligato a tornare a casa: infatti, l’ispettore era uno straccio, continuava a starnutire e a soffiarsi il naso, che era ormai arrossato e spelacchiato all’inverosimile.
In più, la ricerca che gli aveva lasciato da effettuare sul farmaco che il medico legale aveva trovato nel sangue della vittima, aveva dato esito negativo: sembrava che a Torino, nell’ultima settimana, nessuna persona avesse comprato quella benzodiazepina, perlomeno nessuna che potesse ricondursi alla vittima.
Quella mattina, non lo aveva ancora visto: da una parte della sua coscienza, sperava che il collega fosse rimasto a casa, in modo da potersi riposare.
Tuttavia, una vocina nella sua testa, per intenderci quella del diavoletto dei film, gli ripeteva che senza il suo supporto, il suo aiuto, le indagini rischiavano di stagnare per chissà ancora quanto tempo ad un punto morto.
Così, lasciò perdere la fila di carte e documenti già perfettamente ordinata, e andò a sedersi sulla scrivania, una gamba ben piantata a terra e l’altra a penzoloni.
Acchiappò la cornetta del telefono, e compose il diretto dell’ufficio di Ghirodelli.
Che strano, pensò, ancora lo stesso rumore di ieri
Provò a comporre anche il numero della guardiola, ma la linea continuava a risultare imprendibile.
Sbuffò contrariato, riprovando a chiamare l’ispettore.
Balzò giù dalla scrivania con l’agilità di un felino, e si diresse ad ampie falcate nel corridoio.
Salutò sbrigativamente un paio di agenti intenti a bere il primo caffè della giornata, quindi bussò con impazienza alla porta dell’ispettore.
Una voce nasale lo invitò ad entrare: segretamente esultò, perché il collega, per sua fortuna, non era rimasto a casa.
-Buongiorno, commissario … eccì!-
Terenzi si sentì in colpa, a vederlo così conciato:
-Proprio non vuoi startene a riposare al calduccio, eh? Guarda che non ti conviene fare l’eroe!-
-Ma quale eroe ed eroe, capo!- ribatté, scuotendo la testa desolato, la voce nasale.
-Non posso starmene a casa: c’è un’intera squadra di operai che da ieri mattina ci allieta con un’armonia di cazzuole, scale, montanti e il resto dei loro attrezzi infernali! Il tetto del condominio si è avallato per colpa delle piogge degli ultimi giorni, così ci siamo beccati la manutenzione straordinaria! Adesso capisce che, se proprio devo scegliere, preferisco il suono armonioso delle sirene delle nostre pantere?-
-Ah … - riuscì solamente a commentare il superiore.
In effetti, anche lui avrebbe optato per la stessa soluzione.
-Non credo che sia venuto qui per ascoltare le mie lamentele, non è così? Che succede?-
Il commissario annuì un paio di volte, quindi, in piedi davanti all’ispettore, gli spiegò:
-Credo che il telefono del mio ufficio non funzioni … -
-Ma come? Ancora?!-
-Eh, a quanto pare sì … -
L’apparecchio in questione, infatti, aveva smesso di funzionare già l’anno passato, durante un’altra indagine assai delicata che aveva visto coinvolta l’intera squadra de “L’Aquila”, quella sul caso italo tedesco di Rebecca Dünnerz e Sebastian Perrez.
-Sai ieri mattina quando siamo tornati da casa della Rampi, e la nuova agente ci ha fermato per farmi il resoconto di cosa era successo in nostra assenza? Ecco, se ti ricordi, avrei dovuto contattare anche Berardi, per mettermi d’accordo con lui per andare ad assistere agli interrogatori degli strozzini di Della Robbia-
Terenzi sospirò per riprendere fiato, quindi proseguì:
-E io ho provato a chiamarlo un sacco di volte, ma non sono mai riuscito a prendere la linea. Questa mattina, per togliermi ogni dubbio, ho provato a comporre il tuo di numero, senza risultato … -
-Così è giunto all’ovvia conclusione che il suo apparecchio non funzioni. Ha provato con il numero della guardiola?-
L’altro annuì.
-Se intanto vuole provare a contattare Berardi dal mio ufficio, io intanto vado di là dalla Maffei e le dico di far venire qui il tecnico … -
-Va bene, ti ringrazio. Recupero un attimo il numero del commissariato e torno subito-
Il superiore uscì con un cenno del capo, riflettendo che, negli ultimi giorni, tra gli agenti in malattia, il sistema informatico che non funzionava, l’omicidio di Appiani più una mezza dozzina di altre denunce, la buona sorte proprio non voleva essergli amica.



-Ciao Franco, sono Terenzi … -
-Oh, Alessà, come stai?-
La voce di un cinquantenne dalla forte cadenza napoletana gli trapassò il timpano.

Era da un paio di anni che non aveva più avuto il piacere di collaborare con il suo pari Berardi, ma il commissario ancora si ricordava i modi spicci e diretti dell’uomo.
Era subentrato ad una collega, una tra le donne più belle ed affascinanti che Terenzi avesse mai visto, che aveva chiesto il trasferimento in Calabria, dopo aver vinto un concorso per il ruolo di magistrato in quelle terre dalle mille sfaccettature.
Franco Berardi, invece, era felicemente sposato con una torinese doc, aveva tre figli –di cui due gemelli- e sembrava l’orco di Pollicino, data la sua stazza poco ingombrante.
-Bene, grazie. Ho provato a chiamarti ieri pomeriggio, ma ho scoperto solo stamattina che il mio telefono non funziona. Allora, dimmi pure: gli uomini che abbiamo arrestato cosa dicono? Sono disposti a collaborare?-
-Beh, la faccenda è assai complicata, compare … ma nutro buone speranze che il guaglione voglia mettere la testa apposto, cantando tutto quello che sa. Tu li hai già visti? Sai che faccia hanno, che tipi sono?-
-No, li hanno arrestati alcuni dei miei ragazzi due notti fa. Il questore, la dottoressa Del Fiore, ha ritenuto opportuno che il caso passasse sotto la tua competenza … -
-Ah, saggia donna, e bella assai. Comunque, si tratta di tre uomini e due donne, tutti imparentati tra di loro. Le due pupe sono di origine romena, o qualcosa del genere, e sono sorelle, che hanno sposato due dei tre uomini, che invece sono fratelli, mentre il terzo è il padre dei guaglioni … insomma, una cosa fatta in famiglia, spero di essermi spiegato bene-
-Sì, diciamo di sì. Vai pure avanti, Franco-
-Come ti dissi all’inizio della nostra amichevole conversazione, il più giovane dei due fratelli, un guaglioncello di poco più di vent’anni, sembra essersi convinto a collaborare. Dice che studia, che è un bravo guaglione, che ama viaggiare, e che non sapeva gli intrallazzi dell’allegra famigliola. Pare sincero, Alessà. Però, prima di continuare con gli interrogatori, vorrei che tu li vedessi. Da quello che mi ha spiegato la questora, sei giunto a loro grazie al caso Appiani, giusto?-
-Esatto. Come già saprai, la mia squadra ed io stiamo indagando sul suo omicidio: il collaboratore della vittima, Carlo Della Robbia, fino a un anno fa ha avuto a che fare con questi strozzini. Poi, grazie all’intervento salvifico ed economico dell’imprenditore assassinato, l’uomo ha potuto risanare il debito che aveva con questa gente. Noi lo abbiamo scoperto per caso, convocando il Della Robbia per chiedergli spiegazioni su una somma considerevole di denaro mancante dal fondo della fabbrica e ... ma ti racconto meglio di persona. A proposito, Della Robbia lo hai già convocato?- 
-Sì, per questo pomeriggio alle quattro. La Del Fiore ha revocato la scorta già da ieri pomeriggio. Noi qui abbiamo copia della denuncia che ha fatto da te, ma ovviamente, come puoi ben intuire, serve che ci sia un confronto tra lui e gli strozzini. Tu che fai? Vieni a tenere compagnia all’allegra combriccola?-
-Certo, non vedo l’ora- sdrammatizzò Terenzi.
-Oh benissimo! Allora puntuale, Alessà, ci vediamo alle quattro. A più tardi-



NOTA DELL'AUTRICE:

Ciao a tutti, e buonissima Pasqua, cari lettori!
Scusate, lo so che ai recensori avevo promesso che in questo capitolo avremo fatto la conoscenza di Agnese Rampi, ma mi sono accorta che sarebbe venuto troppo lungo, perciò aspettatevi un aggiornamento a metà settimana, con l'interrogatorio della misteriosa donna!
Vi ringrazio per il supporto!
A presto!

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Capitolo 9
*** L'incidente di sci ***




Ore 12


-Commissario, è arrivata Agnese Rampi- dichiarò l’agente scelto Arianna Maffei, i capelli corti e castani tagliati a caschetto, gli occhi acquosi da cerbiatta.
-Bene, la faccia entrare-
Una donna sui cinquant’anni, a suo modo elegante in un completo griglio informale, i capelli neri e gli occhi chiari, fece il suo ingresso nell’ufficio.
Solo in quel momento, il poliziotto si rese conto che non aveva mai cercato di darle un volto, come spesso faceva prima di convocare i testimoni: era una sorta di giochetto che lo divertiva e lo intrigava, un pò come il famoso Indovina chi.
L'uomo scrutò di sottecchi il suo volto: appariva titubante, ma anche sicura di sé. Forse, per il semplice fatto che non aveva nulla da nascondere …
-Buongiorno-
-Buongiorno, signora Rampi. Prego, si accomodi-
Terenzi si alzò dalla poltrona e le strinse la mano, quindi la invitò a prendere posto, mentre l’agente si posizionava dietro il computer per scrivere il verbale: Ghirodelli, infatti, non c'era, perché si era finalmente deciso a farsi visitare da un medico.
-Grazie- la donna appoggiò la borsetta color senape sulle ginocchia, e si guardò intorno spaurita.
-Non le farò perdere molto tempo, ho bisogno solo di sapere un paio di cose-
Il commissario si mise comodo, cercando di mantenere una debita distanza con l’interrogata, in modo da non metterla in ulteriore agitazione.
Voleva che fosse il più sincera possibile: sperava che fosse l'anello mancante della catena, la persona giusta in grado di rivelare la vera personalità della vittima.
-Dunque, per prima cosa, come ho avuto modo di capire dalla nostra telefonata di ieri sera, è già al corrente della morte di Giorgio Appiani Uzia … -
-Sì- commentò amareggiata, abbassando lo sguardo per una manciata di secondi.
Quando lo risollevò, gli occhi chiari sembravano trattenere più di una lacrima.
-Ho sentito la terribile notizia al telegiornale. Mi dispiace molto per quello che è successo: io e Giorgio ci conoscevamo da un paio di anni. Lui è … era una persona gentile e premurosa con tutti-
-Come vi siete conosciuti?-
-In ospedale: due inverni fa si era rotto la gamba e la caviglia sinistre andando a sciare, così l’hanno ricoverato alle Molinette, nel reparto di Ortopedia e Traumatologia, dove tutt'ora lavoro. Dopo che è stato dimesso, abbiamo continuato a vederci … -
Sembrava imbarazzata, quasi timida, alla stregua di una ragazzina alla sua prima cotta adolescenziale.
-Vi frequentavate? Intendo dire se stavate insieme ... -
Il commissario era visibilmente interessato: socchiuse gli occhi scuri e attese la risposta della donna, che aveva ripreso ad essere nervosa.
-Sì e no. Diciamo che per un periodo siamo usciti insieme, ma non ufficialmente. Sa, entrambi eravamo separati, anzi, allora mi ero separata da poco più di un anno, e non ero molto sicura di quello che stavamo facendo. Ma Giorgio ha avuto molta pazienza con me, assecondava i miei ritmi e le mie esigenze. Si figuri che, quando ho perso la casa dove abitavo fino a poco tempo fa, si è offerto di trovarmene una. Lui era molto generoso, davvero … -
La voce, fino a quel momento flautata, le s’incrinò per un istante.
Sembra profondamente addolorata …
-Quanto tempo fa ha perso la sua abitazione? E, se posso permettermi, qual è stato il motivo?-
Agnese Rampi abbassò lo sguardo, in disagio per ben altro motivo.
-Come le ho appena detto, mi sono separata ormai tre anni e mezzo fa. Mio marito mi ha lasciata per una donna molto più giovane, una cubana. Da allora, dopo i primi attimi di smarrimento e di delusione, ho cercato di concentrarmi esclusivamente sul lavoro e sul mio unico figlio. Ma, tra una causa e l’altra,
ho perso quasi tutti i miei risparmi, e ho dovuto persino ipotecare l’appartamento. Era intestato a mio nome, però non ho mai avuto la forza di venderlo … solamente adesso il giudice mi ha finalmente riconosciuto il danno subito-
-E’ per questo che abita da sua madre?-
L’altra annuì, precisando che erano sei mesi ormai, e che la madre, in un gesto di estrema generosità, aveva deciso di intestarle l’appartamento, l’unico suo bene materiale: per questo Terenzi aveva potuto rintracciare il numero di telefono della signora, altrimenti, a quell'ora, stava ancora navigando in alto mare.
-E suo figlio? Vive con voi?-
-Oh no, Francesco studia a Padova. E’ al terzo anno di biologia-
Che strana coincidenza … il ragazzo studia nella stessa città in cui Anita Appiani frequenta il conservatorio.
Ma non era più semplice scegliere qualcosa vicino a casa?!
-Ha mai conosciuto i figli della vittima?-
-Giorgio insisteva tanto per farmeli incontrare, ma la verità è che, da quello che mi raccontava, avevo intuito perfettamente che tra loro e il padre non c’era un bel rapporto. Per questo non ho voluto complicare ulteriormente la situazione … -
Molto saggio da parte sua
-Tornando al presente, signora, nella nostra breve telefonata di ieri sera e anche poco fa, mi ha detto che lavora come infermiera, giusto?-
-Sì, è così, nel reparto di Ortopedia e Traumatologia delle Molinette-
-Quindi, suppongo che lei conosca le benzodiazepine e, nello specifico, il bromazepam, o Lexotan, se vogliamo usare il nome commerciale … - domandò innocentemente il poliziotto, sfogliando il taccuino su cui aveva annotato il nome del farmaco.
-Sì, viene usato principalmente come potente sedativo e tranquillante, ma anche nei pazienti che soffrono di certe patologie: ad esempio, è un coadiuvante nelle forme di epilessia … insomma, malattie abbastanza complesse-
Terenzi si portò il pollice e l'indice al naso, annuendo con finto disinteresse.
Attese un'altra manciata di secondi, quindi pronunciò la frase che riteneva l'effetto sorpresa, curioso di valutare la reazione sul volto dell'amante del re delle ceramiche.
-Gliel’ho domandato perché il medico legale ha trovato nel sangue del signor Appiani una dose piuttosto elevata proprio di questo medicinale. Per caso, la vittima ne faceva uso regolare?-
-No! Assolutamente no!- s’irrigidì la donna.
-Cioè, non che io sappia. Posso dirle con sicurezza che, sia quando è stato ricoverato da noi, sia nel periodo in cui ci siamo frequentati, non mi ha mai detto nulla a riguardo-
-Dove si trovava la notte in cui è stato ucciso?-
-A casa di mia madre: come le ho detto prima, è da qualche tempo che abito con lei. Glielo può confermare-
-Ha idea di chi possa aver ucciso il signor Appiani? Sa se aveva avuto delle discussioni con qualcuno, se era preoccupato per qualcosa? O, magari, era a conoscenza di qualche suo problema finanziario?-
La donna scosse la testa, convinta.
-No, purtroppo non so chi possa aver voluto la sua morte. Giorgio non aveva nemici, né tantomeno aveva problemi economici. Era sempre disponibile con tutti, gioviale e, al solo pensiero di quello che gli è successo, mi dispiace davvero tanto. Non meritava la fine che ha fatto … non se lo meritava-
Il commissario annuì convinto: lanciò un'occhiata all'agente Maffei, per controllare che stesse verbalizzando, poi ritornò a concentrarsi sull'interrogata.
-Quando ha visto o sentito per l’ultima volta il signor Appiani?-
-Siamo usciti a cena una decina di giorni fa. Io l’ho chiamato il giorno prima che lui …  prima che lui, insomma … -
Di nuovo, la voce flautata della donna s’incrinò, e fu costretta ad abbassare lo sguardo.
Terenzi le offrì un bicchiere di acqua, ma lei rifiutò con cortesia.
-Scusi se mi permetto, ma immagino non guadagni molto. Da quello che mi ha detto poco fa, ha perso molti dei suoi soldi nelle cause intentate contro suo marito. In questi anni, è riuscita a mettere dei risparmi da parte?-
-Perché me lo chiede? E' vero, non navigo nell'oro, ma ho comunque del denaro per qualsiasi evenienza, come tutti del resto- s’irrigidì lei, per la seconda volta dall'inizio dell'amichevole chiacchierata.
Cercò di tranquillizzarsi, nonostante le dita che avvolgevano i manici della borsetta vibrassero nervosamente.
-Come le ho accennato, sono riuscita ad ottenere un cospicuo risarcimento di tutte le spese processuali, oltre ad aver tolto l’ipoteca al mio appartamento. Anzi, dopo Natale, finalmente potrò tornarci-
La donna
si lasciò andare ad un sorriso, per la prima volta rilassata.
Il poliziotto, invece, ne approfittò per sferrarle il colpo finale, e vedere come avrebbe reagito: era a proprio agio, in quel momento, quindi, con ogni probabilità, se era davvero sincera, si sarebbe meravigliata a udire le parole che avrebbe pronunciato.
Meravigliata, certo, ma non troppo …
-Vede, sul conto corrente della vittima, abbiamo scoperto un bonifico di centocinquantamila euro fatto da lei, un paio di mesi fa, e il cui beneficiario sarebbe stato proprio il signor Appiani. Mi può spiegare il motivo di questa donazione così generosa?-
La donna si mise a ridere, frastornata da quella che sentiva essere un' accusa:
-Guardi che ci dev’essere un errore! Io non ho tutti quei soldi! Il massimo del risarcimento che ho ottenuto sono stati venticinque mila euro, spese processuali incluse! E poi, le assicuro che non ho mai fatto un bonifico a Giorgio, mai! Può andare a controllare in banca, se non ci crede!-
Il commissario volle stare al gioco, quindi si stupì e fece finta di assecondare il suo stupore.
-Mi sta dicendo che non è stata lei a versare quella somma di denaro al defunto?-
-Certo che no! Glielo ripeto, non ho e non ho mai avuto tutti quei soldi! Anzi, le dirò di più, Giorgio non me li ha neppure mai chiesti!-
Terenzi si abbandonò sullo schienale della poltrona, accarezzandosi la barba incolta.
-Verificheremo oggi stesso il suo conto corrente, signora Rampi. I suoi risparmi sono depositati presso la Banca di credito piemontese, giusto?- continuò l’uomo, sfogliando il taccuino su cui aveva appuntato il nome della banca che gli aveva comunicato Ghirodelli, dopo il sopralluogo nella filiale in cui custodiva il conto Appiani.
-Esattamente. Si trova in via … -
-Sì, grazie, lo sappiamo, signora. Comunque, se quello che dice è la verità, come mi auguro sia, allora chi può avere usato il suo nome per fare l’accredito? Mi può dare qualche suggerimento?-
-Non lo so, davvero. Io di certo non sono stata- continuò allarmata la donna, stringendo convulsamente la tracolla della borsetta color senape.
-Forse il suo ex marito è venuto a conoscenza della sua relazione con la vittima?-
-No, lo escludo! Lui è a Cuba da oltre tre anni. Non abbiamo più alcun contatto, se non tramite i nostri avvocati! Io non ho nemici, glielo giuro, non so chi possa aver finto di utilizzare il mio conto concorrente!-
L'uomo tentò di farla ragionare; si sporse leggermente in avanti, appoggiò le dita sul bordo della scrivania e, con il tono più conciliante che riuscisse a trovare, commentò ad alta voce:
-Però, signora Rampi, capisce bene che, chiunque abbia eseguito il bonifico, ha dovuto presentarsi in banca con una delega firmata da lei. Per la legge sulla privacy, non è pensabile che una persona che non sia l'intestatario di qualsiasi conto corrente possa recarsi tranquillamente nella filiale in cui ha depositato i propri risparmi, decidere di beneficiare qualcuno, in questo caso il signor Appiani, della considerevole somma di centocinquantamila euro, e uscire indisturbata senza essere fermata da nessuna guardia della sicurezza! Non lo trova un po’ strano, tutto questo?-
La donna scosse energicamente la testa, ripetendo che non sapeva come spiegarlo, ma che lei non c’entrava nulla, lo poteva giurare e stragiurare.
Il commissario sprofondò nello schienale della poltrona, sospirando.
C'era qualcosa che non andava, in tutta quella storia, un particolare -per nulla irrilevante- che non riusciva ancora a definire.
Perché continuare a mentire? Forse per coprire l'omicidio di Appiani, o di mezzo c'era un altro movente? Chi e per quale motivo si era fatto passare per Agnese Rampi, ammettendo che la donna sostenesse la verità?
-Un’ultima domanda, signora: sapeva che la fabbrica di ceramiche era in difetto di trecentomila euro? Esattamente la metà della cifra che lei, o qualcuno di cui ancora non sappiamo l’identità, ha destinato alla vittima … -
L'interrogata scosse con decisione la testa, aggrottando con stupore le sopracciglia: se sta mentendo, è davvero un'ottima attrice.
-No, Giorgio non mi aveva mai detto nulla del genere-
Il poliziotto la fissò ancora per qualche secondo, in attesa di cogliere qualsiasi sfumatura fallace nello sguardo, quindi, deluso per la mancanza di segnali, sollevò il mento e si alzò a sua volta.
-D’accordo, allora se non è in grado di dirmi altro, può andare. Ma si tenga a diposizione per eventuali chiarimenti. Agente, per favore, rilegga la deposizione e la faccia firmare. Io l'aspetto, così poi accompagno la signora-


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Capitolo 10
*** La donna con il geco ***




Ore 13,15 Commissariato “L’Aquila”, Torino

Mezz’ora dopo la fine dell’interrogatorio con Agnese Rampi, Ghirodelli fece il suo ingresso trionfale nell’ufficio del superiore: in una mano reggeva una busta di plastica con il simbolo
della farmacia, due serpenti attorcigliati ad un bastone alato, mentre sull'altro braccio pendeva un cappotto marrone.
-Oh, eccolo qua il nostro Lazzaro! Allora, ispettore, che ti ha detto il medico? Il tuo raffreddore è recuperabile?-
Terenzi stava battendo a computer dei documenti di casi minori che dovevano archiviare nel più breve
tempo possibile: aveva lo stomaco che reclamava vendetta, ma aveva deciso di placare il desiderio di cibo aspettando il sottoposto.
-Se escludiamo il fatto che la dottoressa avesse un diavolo per capello, che ho dovuto rimanere tre ore in coda, che per poco non venivo aggredito da due vecchiette che mi hanno insultato credendo che avessi loro fregato il posto, non mi posso lamentare. Comunque, ho dovuto cedere a farmi prescrivere un antibiotico, ma non credo che lo prenderò: mi sono già imbottito di aspirine in questi giorni, che non mi hanno fatto assolutamente nulla. Sa cosa mi sono deciso di fare, invece, quando sono uscito dall’ambulatorio? Sono andato in una specie di farmacia erboristeria! Lì sì che si ragiona: mi hanno dato uno strano infuso da prendere due volte al giorno e, in tutta sincerità, è la mia ultima speranza –
Ghirodelli si fece cadere sulla sedia di fronte al commissario, spossato e ormai privo di fiducia.
-Su, forza, ispettore. Non dirmi che ti arrendi per così poco? Ho tante novità da raccontarti, quindi, mettiti comodo che poi andiamo da Maurizio e ci mangiamo uno dei suoi super tramezzini!-
Terenzi salvò le modifiche apportate ai documenti che stava visionando, quindi dedicò la sua attenzione al collega.
-Allora, come è andata con Agnese Rampi?-
-Abbastanza male- esordì il superiore, sbuffando.
-Mi ha giurato e spergiurato che non è stata lei a fare il bonifico alla vittima, e che non ha la minima idea di chi l’abbia fatto al posto suo-
-Ma come?! E se sta mentendo? Ci vuole una delega, una sua firma per poter prelevare o effettuare qualsiasi transazione finanziaria, questo non può negarlo!-
L’ispettore, la solita voce nasale, si alterò per quell’incongruenza del racconto, ma subito si acquietò, stroncato dal primo starnuto della serie.
-Salute … sai, non credo che menta, perlomeno è un’ottima attrice: è un’infermiera, ed è stato grazie al suo lavoro che ha conosciuto la vittima, due anni fa. Appiani era caduto sciando, si era rotto gamba e caviglia, così l’hanno ricoverato in Ortopedia e Traumatologia, alle Molinette e … bam, la freccia di Cupido ha colpito ancora!-
Il commissario gli spiegò anche della difficile situazione sentimentale ed economica della donna, del fatto che da sei mesi abitasse con la madre, la quale le aveva intestato l’appartamento in via Nizza, della coincidenza per la quale sia suo figlio Francesco che Anita studiassero a Padova.
–Insomma- concluse Terenzi  -per farla breve, non penso che abbia centocinquantamila euro da sperperare. Anche se, tutto è possibile … -
-E della benzodiazepina che è stata ritrovata nel sangue di Appiani? Cosa le ha detto?-
-Ha negato che l’uomo ne facesse uso abituale: però ha confermato che viene impiegato come potente sedativo
e tranquillante e, soprattutto, che è utilizzato per curare certe patologie, quali l’epilessia … -
-Bertani non le ha ancora fatto avere il referto completo dell’autopsia? Magari scopriamo che era epilettico-
-Uhm, può essere. Comunque, passo da lui più tardi, verso le sette e mezza-
Terenzi si mise comodo e, molleggiando sulla poltrona girevole, si protese in avanti con aria cospiratoria:
-Ascolta, ho bisogno che tu faccia una verifica del conto corrente della Rampi: controlla la somma depositata, se ultimamente ci sono stati dei bonifici, a parte quello in favore della vittima, naturalmente, se ha ricevuto del denaro o se lo ha spostato in qualche altra filiale … ogni cosa, anche la meno importante potrebbe aiutarci a capire questo mistero. A proposito, ti ricordi il nome della banca e l’indirizzo?-
-Certo. Banca di Credito piemontese, in via Malfatti 12-
-Ottima memoria. Ah, mentre non c’eri  … -
-Scusi se la interrompo, ma non ci conviene chiedere l’autorizzazione alla Del Fiore per acquisire i filmati delle telecamere della banca? Magari, riusciamo a risalire alla persona che si è fatta passare per Agnese Rampi, o, meglio ancora, la smascheriamo una volta per tutte e, forse, risolviamo anche il caso-
Terenzi sbattè la mano sinistra sulla scrivania, in una manifestazione di puro entusiasmo.
-Ispettore, tu ed io siamo telepatici! E’ la stessa cosa che ho fatto in tua assenza! Il questore ci fa l’onore di darci la sua autorizzazione, pensa un pò che gran regalo!-
Poi, il commissario si oscurò per un istante:
-Peccato che i tabulati telefonici abbiano dato esito negativo. Maffucci mi ha portato il controllo incrociato delle celle telefoniche che hanno agganciato la zona, la notte dell’omicidio, tra il 9 e il 10 scorsi, ma sembra che nessuna persona si sia avvicinata alla fabbrica per l’intera notte. L’unico numero confermato, infatti, è quello di Appiani … -
-Chi lo ha ucciso ha fatto un lavoro pulito ... -
-Già, davvero con i fiocchi …  ma adesso, ci siamo meritati una pausa. Non dimenticare che alle quattro ci aspetta Franco Berardi, e con lui non si scherza-
L’ispettore abbozzò un sorriso: si ricordava molto bene del commissario della stazione di via Cavour, un omaccione alto due metri, con una barba fitta e nera e gli occhi grigi … insomma, l’orco di Pollicino, come veniva amichevolmente apostrofato.
I due si alzarono e, gli stomaci brontolanti per la contentezza, ciondolarono fino al bar di Maurizio.
 

Mezz’ora più tardi, l’appetito appagato e la pancia piena, Terenzi prese posto in ufficio.
Erano appena le due e cinque, manca ancora un po’ all’incontro con gli strozzini.
Una volta tornato in commissariato, il poliziotto aveva avvisato Della Robbia che lui e Ghirodelli sarebbero passati a recuperarlo per accompagnarlo alla centrale in cui erano sotto custodia cautelare l’allegra famigliola di delinquenti.
Ma, prima di uscire di nuovo, l’uomo doveva contattare la segretaria della vittima, la graziosa quanto farfallina Sabrina Pellini, per domandarle la lista degli azionari della fabbrica.
Al quinto squillo, finalmente il cellulare della donna prese vita:
-Proonto?-
-Ehm … signorina Pellini?- domandò titubante l’altro, avvertendo la voce impegnata dell’interlocutrice.
-Sì, sono io. Ma è forse il commissario con cui ho parlato l’altro giorno?-
Però, che memoria …
-Infatti, buon pomeriggio, sono Terenzi. La disturbo, ha un minuto da dedicarmi?-
-Oh ma certo, tutto il tempo che vuole! Mi scusi se ho il fiatone, ma mi tengo in allenamento facendo cyclette … sa, al lavoro non si vede nessuno, il signor Della Robbia mi ha detto che avrei potuto rimanere a casa per qualche giorno, fino a quando tutta questa storia non sarà finita-
-Capisco … quindi, la fabbrica è momentaneamente chiusa?-
-Già, decisioni dall’alto, sembra da parte della vedova-
-Mi dispiace …  senta, le ruberò poco tempo. L’ho chiamata perché sto aspettando la lista sui consiglieri d’amministrazione che mi aveva promesso quando è venuta qui, due giorni fa … non so se si ricorda-
-Ah sì, ha ragione. Scusi tanto, ma me ne sono completamente dimenticata! Se vuole, oggi pomeriggio chiamo il signor Della Robbia per chiedergli l’autorizzazione a passare un attimo in ufficio e … -
-No, non si preoccupi- si spense Terenzi.
-Lo chiederò direttamente a lui. Grazie lo stesso, signorina, arrivederci-
Attaccò la cornetta senza aspettare la replica della Pellini.


L’abitazione di Carlo Della Robbia era una villetta singola alla periferia della città: nella stessa strada, un camion dei traslochi era fermo davanti alla casa vicino, intento a trasportare -attraverso un braccio meccanico- un grosso armadio sul balcone al secondo piano.
Terenzi posteggiò vicino all’ingresso della villetta, fece scendere Ghirodelli e si avviarono insieme verso l’ingresso.
Suonarono al videocitofono e, dopo un paio di secondi, il cancello automatico in ferro battuto spalancò le sue alte porte.
I due uomini si ritrovarono in un ampio spiazzo erboso, il cui centro era formato da un rettangolo di mattonelle sopra cui era parcheggiata un’Audi blu scuro.
Il braccio destro di Appiani andò loro incontro: indossava un pullover giallo canarino e un paio di pantaloni di velluto a coste, in tinta con delle calzature che non si capiva se fossero scarpe o pantofole.
Commissario e ispettore salutarono cordialmente l’uomo, quindi Della Robbia li invitò ad entrare: infatti, mancava ancora più di un’ora al faccia a faccia con gli strozzini. 
-Prego, accomodiamoci in cucina-
Terenzi e Ghirodelli lo seguirono annuendo, affascinati da quella bella abitazione.
Attraversarono un lungo corridoio con il soffitto ad arco, le pareti color pesca, fino a quando si ritrovarono in un’ampia stanza dai toni del giallo e del verde, con un grosso tavolo di rovere nel mezzo e un divano crema appoggiato alla parete di fianco alla porta.
Il padrone di casa si fermò e li invitò a prendere posto sulle eleganti e massicce sedie.
-Vi posso offrire un caffè?-
I poliziotti declinarono cortesemente, quindi gli dissero di mettersi tranquillo, in modo da potergli spiegare che cosa lo avrebbe aspettato di lì a breve.
-Dunque, signor Della Robbia, come già sa, i miei uomini hanno arrestato gli strozzini con cui, fino a un anno fa, aveva un ingente debito. Sono anche venuto a conoscenza che la scorta le è stata revocata e, ovviamente, sono molto felice per lei-
Il viso magro e spigoloso dell’uomo si illuminò in un sorriso, gli occhi chiari acquosi quasi si riempirono di lacrime.
Oh no, adesso gli viene da piangere, pensò con terrore Terenzi.
-Grazie, commissario, grazie davvero. Lo so, forse mi sono meritato tutta questa paura, ma sapesse che incubo sono stati questi due giorni: al minimo rumore balzavo in piedi, mia moglie e le mie figlie non riuscivano nemmeno ad aprire una finestra, talmente erano terrorizzate! Invece, adesso, è tutto finito!-
-Non posso darle torto. Se a suo tempo avesse denunciato queste persone, probabilmente non sarebbe mai arrivato a questa situazione, e nemmeno il signor Appiani avrebbe dovuto prestarle i cinquantamila euro-
Il commissario si rese conto di aver infierito gratuitamente, ma voleva vedere la reazione dell’interlocutore, che non tardò ad arrivare.
-Ha ragione, ha perfettamente ragione, ma come le ho detto durante il nostro primo incontro, a dicembre risarcirò gli eredi di Giorgio fino all’ultimo centesimo, glielo devo-
L’uomo si bloccò per un istante: chiuse la bocca ed abbassò lo sguardo, indeciso se proseguire.
-A proposito, il denaro che ho perso, che loro mi hanno rubato, crede si potrà recuperare?-
Terenzi e Ghirodelli si guardarono.
-Non deve chiederlo a me. Quando oggi incontrerà il commissario Berardi, il collega che sta seguendo il caso, potrà fargli tutte le domande che ritiene necessarie-
Carlo Della Robbia annuì.
-E di Giorgio? Avete scoperto qualcosa? Avete idea di chi l’abbia ucciso?-
-No, non ancora. Gli hanno somministrato una forte dose di sedativo, il Lexotan, e poi lo hanno colpito alla testa. Da quanto dice il medico legale, sembra che gli assassini fossero in due …  -
-Due?! Due persone avrebbero fatto del male a Giorgio? Ma perché?!-
L’imprenditore si asciugò i palmi delle mani sugli eleganti pantaloni, incredulo.
-Non lo sappiamo ancora, signor Della Robbia. Quello che, però, ci stiamo chiedendo in questi giorni, è come sia possibile che lei, che era il suo più stretto collaboratore, non ci sappia dire nulla di più di quello che già ci ha raccontato ... -
L’altro scosse il capo, affranto di non riuscire ad essere utile.
-No, commissario, glielo giuro. Giorgio era una persona generosa con tutti, non aveva nemici, e non riesco a spiegarmi nemmeno il debito della fabbrica di trecentomila euro: lui non me ne ha mai parlato, ma le posso assicurare che l’azienda era solida, è solida, lo garantisco senza problemi…-
Terenzi schioccò la lingua e sospirò forte.
-Ispettore, ha qualche domanda da fare, prima di recarci dal commissario Berardi per il confronto?-
Quello era il segnale che i due poliziotti avevano concordato per chiedere informazioni sui nominativi che formavano il consiglio d’amministrazione.
-Signor Della Robbia, potrebbe fornirci una copia dei membri del consiglio d’amministrazione della fabbrica?-
-Ah sì, certamente. Se mi aspettate un minuto, vado nel mio studio a stamparvi l’elenco: ce l’ho salvato sul mio portatile … -
Il commissario e Ghirodelli attesero pazientemente, tenendo d’occhio il grande orologio in stile Country che campeggiava su di una parete della cucina: erano le tre e dieci.
-Eccomi, ispettore, potete tenerlo … -
Il foglio che gli porse il braccio destro della vittima metteva per iscritto il curriculum vitae di quattro persone, due donne e due uomini.
Lui e il superiore scorsero velocemente i dati anagrafici e la professione degli interessati: Elena Natti, 34 anni, residente a Torino, imprenditrice nel tessile; Filomena Razzi, 48 anni, residente a Torino, avvocato; Alberto Solomone, 51 anni, residente a Moncalieri, imprenditore edile; Giacomo Enna, 54 anni, residente a Venaria, promoter per una ditta di cosmetici.
-Da quanto possiamo leggere, signor Della Robbia, praticamente nessuno dei membri del consiglio ha a che fare con il vostro mondo … in base a quali criteri li avete scelti?-
-Oh beh … tutti e quattro fanno parte del consiglio da parecchi anni: a parte la signora Natti che è con noi da cinque anni e ha sostituito Anna Degli Esposti che si è trasferita in Germania, gli altri tre sono con noi da vent’anni, ormai. E’ stato Giorgio a sceglierli: la fabbrica aveva aperto da appena cinque stagioni e, fino a quel momento, eravamo solo lui ed io a farci carico di ogni cosa. Poi, quando siamo riusciti a far decollare l’azienda, abbiamo deciso che era necessario avere dei soci. Tutti i membri del consiglio erano diretti conoscenti di Giorgio e, vi posso assicurare, che sono professionisti competenti e molto apprezzati nel loro campo-
-Come sono ripartite le quote azionarie?- proseguì l’ispettore.
-Giorgio deteneva il 50%, io il 30% e il restante 20% è equiparato tra i quattro soci-
-Quindi, il 50% della vittima passerà di diritto alla moglie e ai figli?-
-Sì, di fatto sì, anche se, un paio di anni fa, prima che Gabriele, il primogenito di Giorgio e Clelia si trasferisse a Milano, suo padre ha cercato di intestargli la metà delle sue quote, per incentivarlo a rimanere in città e a far parte del direttivo dell’azienda. Ma, purtroppo, Gabriele non ha accettato … o meglio, ha lavorato con noi per un mese, perché poi ha lasciato perdere tutto. E’ sempre stato un ragazzo un po’ ribelle, libero da qualsiasi schema … mi domando se vorrà questa responsabilità sulle spalle -
-Pensa che, anche questa volta, non accetterà?-
Della Robbia scosse la testa e arricciò le labbra.
-Non saprei, le dico solo quello che è successo: può anche darsi che abbia cambiato idea-
-Chi prenderà il posto del signor Appiani?- s’intromise Terenzi.
-In questi giorni la fabbrica è chiusa, almeno fino al giorno del funerale. A proposito, si sa già quando sarà?-
-Più tardi avremo il referto del medico legale e, se non ci saranno complicanze, potremo dare il nulla osta per la cerimonia. Ma vada avanti, per favore, abbiamo ancora cinque minuti prima di andare … -
-Cosa stavamo dicendo? Ah, sì, di chi lo sostituirà. Verrebbe naturale che prendessi io il suo posto- spiegò con naturalezza, facendo spallucce. 
-Però, Giorgio ha anche due figli: tra l’altro, come vi ho appena detto, Gabriele ha lavorato con noi per un certo periodo, e può essere che voglia continuare la tradizione di famiglia-
Il commissario si grattò con noncuranza una tempia, lanciò un’occhiata di traverso all’ispettore, quindi domandò:
-Lei conosce Agnese Rampi?-
-So che Giorgio qualche tempo fa frequentava una donna di nome Agnese: era l’infermiera del reparto dove era stato ricoverato quando si era fatto male andando a sciare, ma il cognome non lo so-
Sembra sincero
-Sul conto corrente della vittima risulta che questa signora Rampi abbia fatto un bonifico di centocinquantamila euro al signor Appiani, esattamente la metà del debito che ha l’azienda. Le risulta?-
Della Robbia sbarrò gli occhi chiari ed acquosi.
-No, non lo sapevo. Avrò visto Agnese quattro o cinque volte, anzi, forse anche meno, e non mi ha mai dato l’impressione di essere tanto ricca-
Infatti, apparentemente, non lo è, rifletté Terenzi.
-Va bene, direi che possiamo avviarci-
Il poliziotto abbozzò un sorriso d’incoraggiamento, quindi attese che l’uomo recuperasse il cappotto e si avviarono verso l’uscita.
-Da oggi è di nuovo un uomo libero, signor Della Robbia. Quegli uomini non le daranno più fastidio, ma adesso l’aspetta una prova di coraggio: come l’avrà già informata il mio collega che adesso ha in custodia i cinque strozzini, oggi dovrà partecipare al riconoscimento della banda e, una volta istituito il processo, sarà molto probabile che dovrà testimoniare contro di loro-
-Lo farò- si arrese l’altro, allacciandosi il giubbotto.
Erano già con i piedi sulla soglia, quando l’imprenditore ebbe come un fremito:
-Commissario, mi è venuta in mente una cosa … -
Gli occhi languidi dell’uomo si fecero improvvisamente seri.
-Mi dica … -
-Lei mi ha appena detto che avete arrestato cinque strozzini, giusto?-
-Sì, abbiamo seguito i nomi che ci ha dato l’altro giorno, quando è venuto in commissariato per la faccenda dei trecentomila euro-
Cos’altro ci ha nascosto? si preoccupò Terenzi, incrociando lo sguardo con quello di Ghirodelli.
-Mi è appena venuta in mente una cosa: stavo pensando a Clelia e, per associazione di idee, mi sono ricordato che il capo della bisca qualche volta veniva con una donna. Penso fosse la fidanzata o l’amante … perché, in realtà, lui è vedovo-
-Signor Della Robbia, i miei uomini hanno arrestato anche due donne. Può essere che, tra queste, vi sia anche la persona di cui sta parlando, sebbene, mi sembra di aver capito, che siano le consorti dei figli del boss- tentò di farlo ragionare.
-Ma non credo … come le ho detto, veniva assai raramente. In due anni, l’avrò vista tre o quattro volte, e le mogli dei figli le conosco abbastanza bene, perchè c'erano praticamente ogni sera che andavo alla bisca … -
-Capisco … - sbuffò il commissario, cercando di non alterarsi.
Ed ecco che Ghirodelli intervenne per placare gli animi.
-E’ in grado di descrivercela?-
-S-sì, sì, certo. Era una donna molto bella, con i capelli rossi e mossi, gli occhi azzurri. Non credo fosse italiana, perché il capo la chiamava Svetlana, però parlava abbastanza bene la nostra lingua, solo con un leggero accento dell’Est Europa-
-Segni particolari?-
L’interrogato, sempre in piedi sulla porta, strizzò gli occhi per cercare di ricordare.
-Aveva un tatuaggio sulla spalla di destra … o forse di sinistra: era una specie di geco. Mi è rimasto impresso perché era molto vistoso, ma non le so dire altro, ispettore-
Trenzi si accarezzò la barba incolta: guardò l’orologio da polso che segnava le tre e venticinque, quindi si avviò fuori.
-Andiamo, altrimenti rischiamo di arrivare in ritardo-
Poi, quando tutti e tre erano già sul vialetto, proseguì, cercando di controllare il tono astioso:
-Mi dispiace dirglielo, signor Della Robbia, ma la sua riacquistata libertà per il momento finisce qui. Se durante il riconoscimento non dovesse identificare questa Svetlana, fino a quando non la troveremo, è opportuno che continui ad essere sorvegliato. La prego solo di una cortesia: si faccia venire in mente prima le cose, anche se mi auguro vivamente che non ci sia un’altra volta! Abbiamo altri casi da risolvere, in primis quello del suo amico Appiani, e non possiamo permetterci mancanze di questo genere!-
L’imprenditore abbassò lo sguardo, demoralizzato per il rimprovero.
-Ha ragione, commissario, mi scusi-
I tre ripresero a marciare e ben presto s'infilarono in macchina, il vento freddo a far loro compagnia.


NOTA DELL'AUTRICE:

Buongiorno a tutti, carissimi lettori!
Piccola curiosità che ho scoperto sul simbolo della farmacia, e che mi piacerebbe condividere con voi: il bastone alato su cui si attorcigliano i due serpenti si chiama caudaceo, ed era il simbolo di Ermes, il messaggero degli dei, che esibiva il bastone dell'Equilibrio per far cessare le liti tra gli dei.
I farmacisti lo hanno adottato come proprio simbolo per i due serpenti, a raffigurare il veleno e la cura, mentre lo stesso farmacista sarebbe il bastone, alato poiché si eleva sopra le due parti, conoscitore di causa e rimedio delle malattie.

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Capitolo 11
*** Il serbatoio dell'acqua ***




Mercoledì 12 novembre, ore 17,05


Terenzi e Ghirodelli stavano tornando in commissariato dopo il confronto tra Carlo Della Robbia e la famigliola di strozzini, all'attivo sul proprio curriculum una sfilza di precedenti penali per furto, ricettazione, riciclo di denaro sporco e circonvenzione d’incapace.
I poliziotti non avevano alcun dubbio che la dea bendata non li avrebbe aiutati neppure in quell’occasione, per cui dovettero ammettere, nemmeno troppo a malincuore, che non avevano avuto torto.
Infatti, le due donne arrestate con i rispettivi mariti e il suocero, non si chiamavano Svetlana, nemmeno di secondo nome, e non avevano nulla a che spartire con la misteriosa donna dal tatuaggio a forma di geco: niente capelli rossi, niente segni particolari, solo una di loro aveva gli occhi chiari, come da descrizione fornita dal braccio destro di Appiani.
Franco Berardi accolse i tre malcapitati stritolandogli le mani, una sgargiante camicia rosa shocking e un cravattino a pois difficili da non notare.
I due colleghi avevano avuto l'impressione di presenziare ad una cena di rimpatriata tra amici di vecchia data:
Uè, guaglioni, come state? Tutto apposto? Forza, venite di là, che intanto che ci godiamo lo spettacolo vi offro anche un buon caffè napoletano, preparato con santa Moka!
E giù pacche dall’alto dei suoi due metri, contornate da una sonora risata da cui spiccava un molare d’oro, poi una spulciatina alla barba fitta e nera, mentre gli occhi grigi s’illuminavano come quelli dei bambini.  
Sembra in soggezione, eh? Siete sicuri che non c’entri nulla con la morte di quel poveraccio? Poveraccio per modo di dire, s’intende: da quello che dicono giornali e tiggì, la vittima era ricca assai, e si sa, pecunia non olet. Che ne pensi, Alessà? E tu, Francè?
Il malcapitato testimone, infatti, guardava terrorizzato l’orco di Pollicino, ma almeno aveva fatto il proprio dovere.
Il riconoscimento aveva dato esito positivo, per cui, almeno fino all’avvio del processo, i cinque strozzini sarebbero rimasti al fresco per un bel po’, avvocati permettendo.
Dopo aver salutato Franco Berardi, aver bevuto due caffè a testa, aver lasciato Della Robbia sotto la rassicurante custodia del poliziotto, in attesa di iniziare i turni di sorveglianza -sempre che la Del Fiore avesse dato il nullaosta- 
sottoposto e superiore si trovavano a cinquecento metri dalla stazione di Polizia, quando avvertirono dei crepitii farsi largo nel motore dell’automobile di servizio, subito seguiti da una densa colonna di fumo biancastro.
-Che roba è? Uno dei tuoi starnuti?- cercò di sdrammatizzare Terenzi, mentre rallentava e accostava a fianco del primo marciapiede libero.
-Mi dispiace deluderla, ma non è opera mia … - lo raggelò Ghirodelli, guardandolo storto.
-Scusa, ispettore, è che ho un brutto presentimento-
Detto fatto: mezzo secondo dopo, infatti, la macchina si fermò di colpo, abbandonandoli al loro destino.
-Ma porca di una miseria!- si arrabbiò il commissario, battendo le mani sul volante.
-Che cosa abbiamo fatto per meritarci questa sfortuna?! Prima il sistema informatico che va in tilt, poi il telefono del mio ufficio che decide di scioperare, adesso anche questa ci si mette?!-
I due scesero e si avvicinarono alla parte anteriore dell'auto.
-Lasci fare a me … -
Ghirodelli sollevò il cofano, lo bloccò con l’apposita asticella, quindi infilò la testa: con occhio esperto, senza nemmeno dover toccare quegli aggeggi infernali che formavano il motore, si riaffacciò serio, sentenziando con aria lugubre che "è partito il serbatoio dell’acqua".
Terenzi alzò gli occhi al cielo e, le mani sui fianchi, gonfiò le guance come per farle scoppiare.
-Va bene, stiamo calmi. La lasciamo parcheggiata qui, andiamo in commissariato a recuperare una tanica con dell’acqua, e poi torniamo qui. Che ne dici? Si può fare?-
-Se vuole posso andare io … è inutile che andiamo in due-
-Ma no, vado io … anzi, ho un’idea migliore. Dal momento che ho visto che la tacca della benzina è quasi sullo zero, ne approfitto per andare a fare rifornimento: l’acqua la posso riempire lì, ritorno con la macchina a fare il pieno, e infine ti raggiungo in commissariato, così facciamo il punto della situazione. Va bene per te andare a piedi?-
L’altro annuì, non dopo aver insistito un altro paio di volte che non gli costava nulla andare e tornare con la tanica, ma il capo fu irremovibile.
 
 


Venti minuti più tardi, Terenzi aveva appena fatto in tempo a salire in auto, che il cielo si rovesciò sulla sua testa, elargendo un tremendo quanto inaspettato temporale.
I tergicristalli, impostati alla massima velocità, sembravano quasi fare il solletico ai vetri, e lo scroscio costante e violento della pioggia lo assordava e quasi gli impediva di vedere la strada.
Ci voleva anche questo, constatò il poliziotto, una volta sceso dall’auto di servizio.
Non aveva con sé un ombrello, quindi, il bavero del cappotto alzato sulla testa, attraversò il più velocemente possibile i cinquanta metri che lo separavano dal traguardo, rappresentato dall’ingresso salvifico della centrale.
-Ghirodelli!- il superiore si affacciò alla guardiola –vieni da me-
L’ispettore stava dando delle indicazioni all’agente scelto Sandra Finotti, di turno nello sgabbiotto, quindi, dopo un'occhiata d'intesa con la venticinquenne, lo seguì senza fiatare.
Una volta dentro la tana di Terenzi, il collega non riuscì a trattenersi oltre:
-Commissario, è completamente bagnato!-
-Ma dai? Non me n’ero accorto! Quando mi sono infilato in macchina per tornare, ha cominciato a tuonare come se non piovesse da secoli. Non mi chiedere se avevo l’ombrello, perché è ovvio che non ce lo avevo. Ti dirò di più: ho dovuto parcheggiare qua dietro, perché nel cortile è pieno di volanti! Mi sono preso una bella lavata … -
Una volta che si fu sfogato, il sottoposto arricciò le labbra e sospirò: ormai conosceva fin troppo bene il suo capo, per non sapere che era il tipico esempio del can che abbaia non morde.
Aspettò in silenzio una manciata di secondi, le mani dietro la schiena, fino a quando uno starnuto traditore non ruppe l’atmosfera, per nulla piacevole, che si era creata.
-Oh per favore, ancora non ti è passato?-
Terenzi aveva appeso il giubbotto e la giacca bagnati all’attaccapanni, quindi tentò di asciugarsi i capelli con un paio di fazzoletti di carta che aveva recuperato dalla tasca dei pantaloni.
-Non posso ancora gridare al miracolo, ma è migliorato! Sa quell’infuso dell’erboristeria di cui le ho parlato questa mattina? Beh, sembra che funzioni: fino adesso è solo il secondo starnuto che faccio!-
L’ispettore assunse un’aria compiaciuta, orgoglioso dei propri miglioramenti.
-Uhm, buon per te. Devo togliermi questa camicia, altrimenti mi ammalo peggio di te … -
Il commissario cominciò a sbottonarsi la camicia azzurro tenue ma, al secondo bottone, si bloccò di colpo.
-Meglio che lo faccio dopo. Allora, organizziamoci un attimo … - fissò per un istante l’orologio bianco appeso alla parete di fronte, che segnava le sei meno dieci.
-Mancano quasi due ore al mio appuntamento con il dottor Bertani. Nel frattempo, cerchiamo di capire qualcosa di più su questa misteriosa Svetlana. Ah, già che ci sono, chiamerò la Del Fiore per chiederle di ripristinare la scorta a Della Robbia, fino a quando non riusciremo ad arrestare la donna…  ho promesso a Franco che l’avrei contattata io-
-Ho già provveduto a tutto, commissario-
Terenzi lo interrogò con lo sguardo, aggrottò le sopracciglia, quindi domandò cosa intendesse per tutto, dal momento che era rimasto fuori meno di mezz’ora.
-Voglio dire che ho cercato nel database e ho anche telefonato al questore. Indovini un pó? Svetlana è schedata e la dottoressa ha accordato la scorta per l’imprenditore. Ma solo di notte, perché siamo ancora a corto di organico … -
Il superiore si congratulò con lui, quindi attese che il collega gli esponesse le ultime novità.
Ghirodelli aprì la tasca interna della giacca blu e recuperò la scheda con la foto e i dati della fuggitiva e, solo allora, si sedettero.
-Si chiama Katiuscia Ivanovna Zacharova, nata a Minsk, in Bielorussia, il 21 maggio 1985. E’ arrivata in Italia sei anni fa, ufficialmente per studiare Beni Culturali a Milano, poi il permesso di soggiorno le è scaduto, e non si sa per quale motivo non l’ha mai rinnovato. Nel 2010 e nel 2012 l’hanno espulsa dal nostro Paese per clandestinità ed istigazione alla prostituzione, provvedimento mai messo in atto per le amicizie influenti della donna, che l'hanno allontanata per un pó dall'Italia. Si sono perse le sue tracce fino all’aprile scorso, quando è stata fermata per guida senza patente e falsificazione di documenti: adesso, infatti, si fa chiamare Svetlana Brekoska e, sembra che al momento del rimpatrio, sia riuscita ad evitare il rientro a Minsk grazie ad un pool di avvocati incaricati proprio dal nostro Moretti, il capo degli strozzini, che le ha pagato una lauta cauzione-
Terenzi gonfiò le guance e si grattò distrattamente la nuca.
-Ottimo lavoro, ispettore. Trasmettiamo l’informazione anche a Berardi, così che la sua squadra possa aiutarci nelle ricerche-
-In realtà, il questore è stato molto chiaro su questo punto: la competenza territoriale è del commissariato di via Cavour, quindi non dobbiamo più immischiarci … -
-E per la scorta di Della Robbia? Anche quella non è di nostra competenza?- ruggì infreddolito l’altro, ben sapendo la retoricità della domanda.
-No, di lui abbiamo l’esclusiva- tentò di sdrammatizzare il collega, proseguendo a spiegare il punto di vista del questore.
-Dal momento che è uno dei possibili sospettati dell’omicidio Appiani, siamo noi a doverlo tenere d’occhio-
Il commissario sbuffò contrariato, farfugliando improperi contro la buona sorte e la Del Fiore, quindi accomiatò l’ispettore, che tornò a dedicarsi all’agente scelto Finotti.
Una volta che Ghirodelli uscì, Terenzi si tolse la camicia e la mise ad asciugare sul termosifone, dietro la scrivania: speriamo che non entri nessuno, pensò con una punta d’imbarazzo, altrimenti più che un commissariato sembrerebbe un locale di spogliarellisti.
Finì di fare bucato e si risedette stanco ed infreddolito sulla sua fedele poltrona girevole, mentre si accorse, solo in quel momento, del resoconto di Rossi riguardo l’acquisizione delle telecamere di videosorveglianza, esposto in bellavista sulla scrivania: scorse affranto il fascicolo, sbirciando con false speranze alla pagina dedicata alla notte dell’omicidio, tra il 9 e il 10 novembre, ma nessuna presenza umana aveva osato varcare la soglia della fabbrica di ceramiche.
In fondo, sul margine destro, il vice ispettore aveva appuntato un proprio commento personale: vagliare la possibilità che l’assassino, o gli assassini, si siano introdotti sul luogo del delitto dall’ingresso posteriore della costruzione, sprovvisto di telecamere di videosorveglianza.
Il commissario lanciò il plico su uno dei faldoni davanti a sé, sotterrando l’ennesimo pensiero negativo della giornata.



Alle diciannove e quaranta, il poliziotto era davanti al padiglione dell’anatomia patologica.
Non pioveva più a vagonate come poche ore prima, tuttavia, dal cielo ormai scuro, si riversava una noiosa quanto tenue pioggerellina.
Si sistemò meglio la sciarpa attorno al collo, soddisfatto che camicia e giacca si fossero asciugate quasi completamente, mentre il giubbotto che aveva indosso era ancora umidiccio attorno al bavero e alle maniche.
Suonò alla porta sul retro, quindi attese il clic del portone automatico, e sgusciò all’interno della struttura per nulla accogliente.
Rabbrividì, non sapendo se per il freddo o per il luogo, illuminato come il palcoscenico di un concerto rock.
Attraversò il lungo corridoio di mattonelle e pareti bianchissime, quindi si fermò davanti ad una porta sulla sinistra, completamente spalancata, come per invitarlo ad entrare.
Bussò un paio di volte, sbirciando la stanza arredata.
Sul muro di fronte a lui faceva capolino una scrivania di fine Ottocento, su cui era stato appoggiato un computer portatile che, dalla luce fastidiosa che emanava, sembrava essere acceso; di fianco, vicino ad una stretta finestra dalle imposte grigie, svettava una pianta dall’aspetto rigoglioso, a metà tra un cactus e una palma; infine, ad occupare le rimanenti tre pareti, vi era una ricca libreria ad U, letteralmente strapiena di volumi di medicina.
Terenzi si guardò intorno, riflettendo che era quasi un anno che lavorava con Bertani, e che si trovava bene a confrontarsi con lui sui pochi, per fortuna, casi di morti sospette.
In quel mentre, la figura rassicurante e professionale del dottore gli andò incontro: il medico legale, un cinquantenne alto e dalla corporatura massiccia, con una voglia a forma di fragola sulla mano destra e i folti capelli castani striati di grigio, lo salutò con una veloce stretta di mano, sorridendo stancamente.
-E’ stata una giornata molto impegnativa, commissario … -
-Anche per me … allora, mi dica … -
L’altro gli disse di attendere qualche secondo, fino a quando tornò con il resoconto dell’autopsia di Giorgio Appiani Uzia.
-Mancano ancora gli esami tossicologici al completo: ci vuole un’altra settimana, ma per il resto c’è tutto-
-Posso dire alla vedova di procedere con la cerimonia funebre?- domandò il poliziotto, mettendosi sotto il braccio il prezioso incartamento.
-Per me non c’è alcun problema, do il mio nulla osta. Ah, si ricorda che le avevo detto che gli assassini erano probabilmente in due? Bene, uno di essi è mancino: l’angolazione del colpo mortale, quello inferto alla nuca della vittima, suggerisce che è stato sferrato da una persona che utilizza abitualmente la mano sinistra-
-Conferma ancora che potrebbe essere stata una donna ad averlo ucciso?-
L’altro annuì, rivendicando la parità di genere e aggiungendo che, purtroppo, non era riuscito a venire a capo del misterioso foro sull’avambraccio destro, a livello della piega del gomito.
-S’informi se, magari, la vittima non sia stato sottoposto ad un semplice esame del sangue, nei giorni immediatamente precedenti la morte … altre spiegazioni, purtroppo, non me ne vengono-
Notando la stanchezza sul volto del medico, Terenzi lo ringraziò e gli strinse la mano, accomiatandosi con un sorriso pensieroso.

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Capitolo 12
*** Destra o sinistra? ***



Giovedì 13 novembre, ore 9.00, commissariato “L’Aquila”, Torino


La sera prima, dopo che aveva recuperato il referto dell'autopsia di Appiani, Terenzi era tornato di filato a casa, si era fatto una doccia lunga un secolo - non senza qualche senso di colpa per la cascata di acqua utilizzata- poi, l'accappatoio ancora indosso, aveva dato un'occhiata alla tana di Miss Marple, sommersa sotto un bel cumulo di terra in un angolino dello studio.
Quindi, si era precipitato a telefonare a Ginevra, mettendola al corrente delle disavventure che gli erano capitate: lei, ovviamente, ne aveva approfittato per cercare di carpirgli qualche informazione sul caso dell'imprenditore assassinato e, quando il commissario aveva minacciato di riattaccarle, l'archeologa lo aveva preceduto, sbuffando contrita.
"Ma, insomma, non ha mai sentito parlare di rivelazione del segreto professionale?"
Sorseggiando dell'insipidissimo té tiepido, nonostante i tre cucchiaini di zucchero, stravaccato comodamente sul letto, dopo mezz'ora la ragazza lo aveva richiamato, scusandosi per il comportamento infantile.
E così, tra bacini e bacetti inviati tramite la cornetta del telefono, tra risatine di sottofondo e gli starnuti che cominciarono ad affondare il morale del poliziotto, l'uomo si addormentò, la tazza dimenticata sul comodino.


Il giorno dopo anche Di Biase era tornato al lavoro: ormai, la squadra era quasi al gran completo, mancavano solo Bini e Rossetti, che aveva ceduto proprio quella mattina.

Finalmente ci stiamo ricomponendo, rifletté compiaciuto Terenzi, dopo aver accolto come una manna dal cielo il rientro del brigadiere.
Adesso, però, era lui che cominciava a starnutire, così si trascinò fino alle macchinette a prendere un tè caldo al limone, sperando che servisse a qualcosa.
Quando aveva finito di trangugiarlo, più schifato che mai, Ghirodelli uscì dal suo ufficio, e gli si avvicinò allegramente.
-Buon giorno, commissario!-
-Buon giorno … - grugnì l’altro, giocherellando con lo zucchero sul fondo del bicchiere.
-Cos’è quella brodaglia?-
-Del misero tè al limone … -
L’ispettore drizzò le antenne: in sette anni di collaborazione non lo aveva mai visto bere altro che caffè macchiato o cioccolata.
-Non si sente bene?-
-Credo di essere un po’ raffreddato. Sai, dopo la lavata che ho preso ieri-
-Di certo non può dare la colpa a me, perché oggi sto molto meglio! Quell’intruglio dell’erboristeria è davvero miracoloso, l’ho preso anche prima di dormire. Anzi, se vuole, le do il nome-
-Uhm, magari dopo. Adesso pensiamo al lavoro-
Buttò nel cestino il bicchiere e si avviarono nel suo ufficio.
Terenzi lanciò un'occhiata affranta al computer acceso su cui doveva ultimare certe ricerche, quindi scostò le tendine bianche della finestra, in modo da far entrare un po’ di luce: sebbene avesse smesso di piovere, il cielo minacciava tempesta.
Poi, prese posto sulla poltrona girevole, invitando anche il sottoposto ad accomodarsi.
Gli spiegò brevemente la conversazione con il dottor Bertani, la sera precedente, mostrando il referto del medico legale:
" Dall'esame necroscopico effettuato sul corpo di Appiani Uzia Giorgio, nato a Milano il 21 luglio 1950, la causa del decesso, avvenuto
la notte tra il 9 e il 10 novembre a.c., presumibilmente tra le ore 23 e le ore 01.00, si può ricondurre ad un trauma cranico che ha provocato una vasta emorragia subaracnoidea, esito di una profonda ferita a livello occipitale, probabilmente sferrata da un corpo contundente non rinvenuto sul luogo del delitto.
Inoltre, nel sangue della vittima, sono state ritrovate massicce dosi di metaboliti riconducibili a bromazepam (cinque volte superiore il limite consentito dall’AIFA, l'Agenzia Italiana del Farmaco): con tutta probabilità, tale benzodiazepina è stata utilizzata per drogare l’Appiani Uzia prima di ucciderlo.
Dall'angolazione dei due colpi sferrati, è probabile che ad aver commesso il delitto siano state due persone distinte: lo proverebbero infatti le duplici ferite a livello della nuca, di cui una sola è quella che ha determinato il decesso dell'Appiani.
Inoltre, data la scarsità degli elementi probatori, non è stato possibile risalire alla causa del foro sull’avambraccio destro, a livello della piega del gomito.

In attesa del completamento dell' esito degli esami tossicologici"

-Nulla di diverso da ciò che già non sapevamo… - constatò amareggiato l’ispettore, restituendo il foglio stampato.
-Già… ma era giusto per renderti al corrente. Dovremo indagare sull'evenienza che Appiani si sia sottoposto ad un banale esame del sangue: l'idea è di Bertani -
Il commissario si lasciò cadere sulla poltrona, reclinando la testa e appoggiando meglio la schiena.
-Lo scopriremo, non si preoccupi-
-A proposito, questa notte come è andata la guardia a Della Robbia? La Maffei e Rossi hanno segnalato qualcosa di sospetto?-
L’altro scosse il capo, spiegando che non era accaduto nulla.
In quel mentre, il telefono squillò.
-Terenzi… -
-Ue’, Alessà, come stai? Sono Franco!-
-Ah, ciao Franco!-
il commissario calcò con enfasi sul nome, facendo intuire a Ghirodelli con chi stava parlando.
-Ho delle novità da comunicarti sul caso degli strozzini: che hai due minuti da dedicarmi?-
-Sì, certo, dimmi tutto-
-Il guaglione ha parlato, il più giovane dei due fratelli. A sentire lui, sembra che il padre avesse un’amica, chiamiamola così, con cui si divertiva a trascorrere un po’ di tempo. E indovina come si chiama la pupa? Indovina? Svetlana Vattelapesca, mo’ il cognome non lo ricordo, ma è lo stesso che mi hai comunicato tu ieri.
Comunque, il compito della donna sembra che fosse quello di adescare pezzi grossi che sperperavano stipendio, piccole eredità e gioielli alla bisca: una volta che i pesci cadevano nella rete, lei ci giocava insieme, per così dire, insomma si prostituiva, per poi ripulirli ben bene fino all’ultimo centesimo! Capisci, Alessà, alla guagliona, appena la troviamo, la sbattiamo a fare compagnia al resto dell’allegra combriccola!
-
Terenzi cambiò orecchio: non capiva perchè il collega dovesse sempre urlare come se avesse a che fare con un sordo.
-Ho capito, Franco. Ma, ascolta, il ragazzo vi ha anche detto dove abita questa Svetlana?-
-Più o meno, sai come vanno queste cose. Il padre la portava raramente al covo, e cercava di non frequentarla in presenza della prole. Però, da quello che il guaglione ha confessato, una volta ha sentito l’integerrimo genitore parlare al telefono con la donna, dicendole di aspettarlo al parco della Pellerina. Mo’, non mi chiedere dove caspita si trova sto’ parco perché nun lo saccio, ma i miei ragazzi, torinesi doc, cominceranno le ricerche già oggi pomeriggio-
Terenzi sussultò sulla sedia, appuntandosi subito dopo il nome sul solito taccuino aperto sulla scrivania.
-Va bene, grazie per avermi informato. Ah, Franco, la Del Fiore non vuole che ci occupiamo del caso, ma, se tu me lo permetti, almeno in via ufficiosa mi piacerebbe darti una mano. Sai, ho ancora l’assassino di Appiani a piede libero, e non vorrei che c’entrasse anche questa Svetlana capitata tra cielo e terra proprio adesso-
-Ma certo, Alessà, che domande fai? Mi ricordo del nostro amico Della Robbia, quel poveretto mezzo impaurito che ieri si scrutava attorno come un topo in mezzo ai gatti. E mi ricordo pure del debito che la vittima gli aveva saldato. Quindi, hai la mia parola di partenopeo, Alessà, la bella questora non saprà nulla del nostro patto! Gli appostamenti inizieranno alle tre: se vuoi mandare anche qualcuno dei tuoi, avvisami. Ora devo scappare, a presto-
Il commissario riattaccò con il timpano stordito dalla voce squillante del collega, quindi spiegò le ultime novità a Ghirodelli.
-Fammi un favore, ispettore. Organizza una macchina con due agenti: Di Biase, che è fresco di rientro, e la Finotti, così impara come si conducono gli appostamenti. Digli di trovarsi pronti per le due e mezza: appena torno, chiamerò Berardi per comunicargli che già da oggi saremo dei loro. Nel frattempo, vado dalla vedova per confermarle il nullaosta per l'organizzazione dei funerali-
Si alzò dalla poltrona, strinse una spalla del sottoposto e, con il giubbotto indosso, uscì dall’ufficio.


Come la prima volta che si era recato da Clelia Camoletti, il giorno del ritrovamento del cadavere dell’ex marito, il poliziotto fu costretto a parcheggiare in una viuzza laterale, lontano dal palazzo in cui abitava la donna.
Questa volta, però, non c’era neppure uno sputo di sole ad invogliarlo a fare due passi, per cui si rassegnò a ciondolare pigramente lungo i marciapiedi, in quella zona fitta all’inverosimile di vecchi bar decadenti, alternati ad allegri quanto sconosciuti locali di ultima generazione.
Una ventina di minuti più tardi, intorno alle dieci e trenta, il poliziotto citofonò al quinto ed ultimo piano dell’interno A di un palazzo signorile, dalla curiosa forma della prua di una nave.
La facciata color granito disseminata da una miriade di finestrelle con le imposte verdi era sempre lì ad aspettarlo.
-Chi è?-
Terenzi, sovrappensiero e con i brividi di freddo - o di febbre?- a percorrergli la schiena, non si mise davanti all’occhio elettronico della videocamera, impedendo alla donna di riconoscerlo all'istante.
Clelia Camoletti, la voce delicata, ripeté la domanda.
-Sono il commissario Terenzi, signora. Posso salire?-
-Sì, un attimo che le apro-
Sgusciò all’interno del palazzo nello stesso momento in cui gli scappò uno starnuto, il quarto della mattinata.
Non aveva voglia di percorrere a piedi quei cinque piani fino all’attico, quindi premette il bottone dell’ascensore dalle pareti trasparenti, in attesa che si liberasse.
In quel mentre, dei passi risuonarono nell’androne: l’uomo si voltò e venne accolto dal breve sorriso di una quarantenne, i capelli castani tagliati corti e gli occhi scuri.
Era vestita con una tuta, e portava un borsone da palestra.
Dopo una manciata di secondi, finalmente l’ascensore spalancò le sue porte, lasciando passare una coppia di anziani coniugi.
Solo a quel punto il commissario e l’atleta salirono sul parallelepipedo meccanico.
-Buongiorno… - lo salutò la donna, squadrandolo senza ritegno.
-Buongiorno…  a che piano?-
-Al quarto, grazie-
Quando vide Terenzi prenotare il tasto al quinto piano, la morettina si animò.
-Va da Clelia, vero?-
-Eh sì-
Terenzi avrebbe aggiunto che, a quel piano, c’era solo l’appartamento della vedova, ma rimase in silenzio, non volendo sembrare scortese.
-Poverina, anche se era separata da Giorgio da qualche anno, mi fa una gran pena. Lui era così gentile, un vero galantuomo e un ottimo vicino di casa … -
Scosse il capo e abbassò lo sguardo, per risollevarlo subito dopo nella direzione dell’uomo.
-Li conosce bene?-
-Abbastanza. Quando mi sono sposata, è stata Clelia che mi ha confezionato l’abito nuziale-
La quarantenne si lanciò in un’espressione di puro sconforto, mentre il poliziotto tentava di non fissarla con gli occhi sgranati per l’ostentata leggerezza della mogliettina.
-Oh che peccato… sono già arrivata- sentenziò a malincuore.
Uscì quasi con lentezza, strusciandosi contro una manica del cappotto color cammello di Terenzi, ovviamente dopo avergli lanciato un’altra occhiatina maliziosa.
-Arrivederci- lo salutò, sorridendo sfacciatamente.
Lui agitò di sfuggita una mano, poi l’ascensore si richiuse e riprese a salire.


-Permesso… -
Questa volta, la vedova Appiani era dietro la porta ad attenderlo: sfoggiava la solita mise elegante dell’altra volta, quella mattina composta da giacca e pantaloni grigio chiaro, una blusa bianca che spuntava dal colletto.
Aveva lo sguardo incupito e triste, i capelli biondi perfettamente pettinati.
-Venga, commissario … -
L’uomo le strinse la mano, poi si accomodò, ritrovandosi nello stesso salotto ricercatissimo e degno di un principe di tre giorni prima, il parquet ricoperto di tappeti persiani e un immenso arazzo raffigurante un cesto di frutta e fiori a pochi metri da lui.
La porta finestra che dava sulla terrazza occupava un’intera parete, proprio dietro il primo dei due divani color panna, e le tende, bianche e soffici, erano appena accostate.
-Mi scusi, ma non ho molto tempo. I miei figli sono usciti, mentre Sandra, la mia domestica, è andata a fare la spesa, e io stavo per raggiungere l’atelier: sa, è ormai da molti giorni che manco e voglio controllare come procede il lavoro-
La donna lo invitò a prendere posto sul divano.
-Non le ruberò molto tempo. Volevo farle un paio di domande e comunicarle che, appena lei e i suoi figli vorrete, potrete organizzare il funerale del suo ex marito-
Clelia Camoletti, le mani incrociate sulle ginocchia, sospirò e annuì brevemente.
-Grazie… a proposito, vuole bere qualcosa?-
-No, non si preoccupi. Andrei subito al dunque, se non le dispiace-
-Certo, mi dica-
-Lei conosce Agnese Rampi?-
I begli occhi chiari della signora si velarono di irritazione.
-Chi è? Una delle amanti del mio ex marito?-
-Non la definirei così: era una sua amica, l’infermiera che ha conosciuto quando si è rotto il ginocchio e la caviglia andando a sciare, due anni fa. Immagino che lei ne fosse a conoscenza. O sbaglio?-
-Sì- confermò distrattamente -me lo ricordo vagamente. Lo vedevo venire in fabbrica con le stampelle. Ma, mi scusi, cosa c’entra tutto questo?-
-Dal libretto delle entrate dell’azienda sembra che il suo ex marito avesse contratto un debito di trecentomila euro, e che questa signora Rampi abbia versato esattamente la metà della somma che manca alla fabbrica.
Per caso, il signor Appiani le aveva accennato qualcosa?-
-No, non ne sapevo nulla. I miei figli mi hanno detto che lo ha chiesto anche a loro, quando li ha interrogati, ma non ne so nulla … nemmeno Carlo mi ha mai raccontato niente a tale proposito e, se non l'ha fatto lui, non riesco a credere che sia la verità-
-Infatti non lo sapeva. Anzi, sembra che nessuno ne sappia nulla … non lo trova strano?-
La donna distolse per un attimo lo sguardo, irritata da quella sottile insinuazione.
-Senta, commissario, gliel’ho già detto durante il nostro primo incontro. Mi sono separata cinque anni fa e, da allora, con il mio ex marito ho avuto solamente rapporti di lavoro, nulla di più-
Terenzi annuì poco convinto, quindi proseguì.
-Che fine farà la fabbrica? Nella precedente chiacchierata, se non ricordo male, mi disse che non voleva i soldi del signor Appiani-
-E’ così, infatti: se fosse per me, la venderei senza alcuna remora, ma prima è giusto che mi consulti con Gabriele e Anita. E’ un loro diritto decidere sull'eredità del padre-
-Sarebbe favorevole che il signor Della Robbia diventasse il nuovo presidente?-
-Certo, perché no? E’ una persona fidata e un bravo imprenditore. Se i miei figli acconsentirebbero, non esiterei a cedergli il nostro 50%-
Terenzi si grattò distrattamente la nuca e, con la voce il più naturale possibile, domandò:
-Un’ultima cosa: dall’autopsia risulta che il suo ex marito sia stato stordito con una massiccia dose di Lexotan, un potente ansiolitico. Sa se ne faceva uso regolare?-
-Sì, a volte lo prendeva perché soffriva di attacchi di panico-
Finalmente qualcosa di interessante: chi lo ha ucciso conosceva molto bene le sue abitudini.
-Sempre dall’autopsia, è emerso che a colpire il suo ex marito siano state due persone, una di queste probabilmente era mancina. Conosce qualche persona che ha questa caratteristica?-
Clelia Camoletti ci rifletté un attimo, poi scosse la testa
-No, non mi pare. Anzi, ne sono certa. Prima che mi chieda se uso la mano destra o sinistra, le posso far vedere che sono destrimane-
Si alzò e andò verso l’elegante scrittoio dietro di loro: aprì un cassetto e prelevò un biglietto da visita del suo atelier, una penna e ritornò a sedersi.
Quindi, firmò con la mano destra.
-Non c'era bisogno: mi ricordavo che aveva firmato la deposizione utilizzando la destra. Comunque va bene, per me è tutto, signora, la lascio andare a lavorare-
Il poliziotto si alzò ed abbozzò un sorriso.
-Se mi aspetta un attimo, scendo con lei-
La donna si allontanò per qualche secondo, si recò in un’altra stanza e tornò poco dopo con un grazioso impermeabile nero.
-Pioveva adesso che è venuto?-
-No, ha smesso, ma se fossi in lei un ombrello lo porterei: non c’è nemmeno un po’ di sole-
-Allora vado a prenderlo. Torno subito-
Rientrò nella stessa stanza, per poi ripresentarsi perfettamente agghindata.
-Ecco, sono pronta, possiamo andare-
Terenzi aspettò che la padrona di casa aprisse la porta, quindi sul pianerottolo le domandò se volesse prendere le scale o l’ascensore.
-Preferisco andare a piedi-
La vedova chiuse a chiave la porta, si sistemò l’impermeabile e, con un sorriso, cominciò a scendere i gradini in simil granito.


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Capitolo 13
*** Un romantico invito ***




Era quasi mezzogiorno: il commissario guidava pensieroso la sua Panda, mentre brividi di freddo continuavano a scuotergli le spalle.
In giro il traffico si presentava al rallentatore e il sole faceva fatica a spuntare dalle nubi che innaffiavano generosamente il cielo.
Appena uscito dall'elegante appartamento di Clelia Camoletti, le aveva chiesto se era a conoscenza dell'evenienza che il marito si fosse sottoposto ad un esame del sangue, i giorni immediatamente precedenti il suo omicidio, ma la donna, dopo averlo guardato con aria imperturbabile e vagamente sconcertata, gli rispose che non ne sapeva nulla.
Così, Terenzi era risalito in macchina con la testa sommersa di dubbi ed interrogativi: " Che fine ha fatto il misterioso cestino della spazzatura di cui ci ha parlato Della Robbia? Non abbiamo trovato alcun documento misterioso riconducibile ad Appiani, né nel suo ufficio e neppure nel suo appartamento... e l'incomprensibile bonifico intestatato alla vittima ad opera di Agnese Rampi? Lei, nonostante le apparenze, nega di aver beneficiato l'uomo dei centocinquantamila euro..."
Mentre era fermo all'ennesimo semaforo rosso, il poliziotto compose velocemente il numero del diretto di Ghirodelli e, le cuffie alle orecchie, s'informò se qualcuno dei colleghi si fosse già recato a verificare la veridicità della testimonianza dell'infermiera.
-No commissario, non abbiamo avuto tempo. Se vuole, faccio un salto in banca e controllo personalmente il conto della donna: so bene dove si trova via Malfatti ...-
-
Sarà meglio che vi diate una mossa, ispettore! Continuiamo a rimanere senza alcuna prova concreta ... ah, a proposito, la vedova mi ha confessato che il marito, anni fa, soffriva di crisi di panico, ma nessuno degli interrogati ne ha fatto menzione. Il dottor Bertani e la stessa Rampi, però, ci hanno confermato che il farmaco trovato nel sangue della vittima può essere utilizzato anche per trattare tali patologie. E se fosse davvero così, vuol dire che l'assassino, o gli assassini, conoscevano molto bene Appiani, tanto da drogarlo con il suo stesso medicinale ... -
Terenzi ingranò la prima e ripartì, lo stomaco che cominciava a brontolare per la fame.
-Vede che non siamo proprio in alto mare, capo? Anzi, il cerchio dei sospettati si potrebbe addirittura restringere al gruppo dei famigliari e degli amici più intimi ... -
-E' quello che stiamo facendo da quando stiamo indagando, solo che i risultati si fanno attendere. Comunque, hai detto alla Finotti e a Di Biase di farsi trovare pronti per le due e mezza?-
L'altro lo rassicurò, dicendogli che sia il brigadiere che l'agente scelto avevano assicurato la loro presenza ad affiancare i colleghi della centrale di via Cavour.
-Tra un quarto d'ora sarò di ritorno. Tu comincia ad andare in banca: appena arrivo, rintraccerò Franco e gli farò sapere che agli appostamenti parteciperanno anche due dei nostri-
-Mi scusi se mi permetto, ma questa storia dei pedinamenti mi sembra, almeno attualmente, un tantino esagerata. Il più giovane degli strozzini non sa neppure dove abita l'amante del padre, perlomeno non ce lo ha ancora confessato. L'area adiacente al parco della Pellerina si estende per una mezza dozzina di chilometri, commissario, come pretendiamo di rintracciarla senza avere uno straccio di indirizzo, uno spunto valido da cui partire?-
Terenzi sbuffò nel microfono degli auricolari, mentre tentava di superare un macinino che, secoli prima, doveva assomigliare ad una frizzante Cinquecento rosa cipria.
-Hai ragione ed è la stessa cosa che penso anch'io, ma non possiamo permetterci di rimanere con le mani in mano ancora per molto ... lo sai, ispettore, quindi non mi fare domande scomode a cui non possiamo dare risposte razionali-
E così si salutarono mestamente, con la promessa che Ghirodelli si sarebbe precipitato in via Malfatti per verificare il conto corrente di Agnese Rampi.
Nel frattempo, la Panda stava arrancando su uno dei numerosi ponti che galleggiavano sul fiume Po, piazza san Carlo che s'intravedeva a qualche centinaio di metri di distanza.

 

Il commissario fece il suo ingresso per nulla trionfale nel suo ufficio: era al suo ottavo starnuto da quando era uscito da casa, quella mattina, e i brividi di freddo non tendevano a diminuire.
Si lasciò cadere stancamente sulla poltrona girevole, senza neppure togliersi il cappotto color cammello.
Quindi, appuntò sul solito taccuino adagiato sulla scrivania le cose che avrebbe dovuto ricordarsi di fare quel giorno: avvisare Berardi, telefonare a Della Robbia per informarlo sulle ultime e vaghe novità su Svetlana e chiedergli se era a conoscenza di un banale prelievo ematico a cui il suo amico si era sottoposto qualche giorno prima della morte, rileggere i verbali degli interrogati ... insomma, una lunga ed infinita lista che già gli stava facendo passare l'appetito.
Il poliziotto stava componendo il numero del braccio destro di Giorgio Appiani, quando il cellulare nella tasca destra del cappotto prese a vibrare e a suonare.

-Ciao, Ginevra ... come stai?-
L'uomo si mise comodo, tentando di reprimere l'ennesimo starnuto.
-Io bene, e tu? Ti disturbo?-
-Lasciamo perdere la mia salute. Comunque no, non disturbi. Dimmi tutto-
-Ma sei raffreddato?-
-Un po’, ma non è niente. Allora?-
-Non penserai di cavartela così. Hai già preso qualcosa? C’è un infuso di erbe miracoloso: ho ancora un paio di bustine a casa e … -
Terenzi si grattò innervosito il collo e la fronte, reprimendo un moto di stizza.
-C’è già Ghirodelli che mi vuole propinare una cosa del genere, Gin, per cui ti prego, anzi, ti supplico di dimenticarti del mio raffreddore! Parliamo di te, piuttosto, per cosa mi hai chiamato?-

L'archeologa mugugnò con finto disinteresse, per poi spiegare con un tono di voce tra il preoccupato e l'imbronciato:
-Volevo andare al cinema questa sera, ma se sei conciato così, non vorrei che peggiorassi: faremo un'altra volta, non preoccuparti, amore-

-Guarda che non sono moribondo! Te l'ho già detto ieri sera:
mi sono bagnato perché ero senza ombrello, e adesso starnutisco un po’, cosa vuoi che sia? Possiamo andare al cinema, davvero! Passo a prenderti alle ... eccì!-
-Oh, amore, lascia stare! Al cinema andiamo quando guarisci! Se vieni da me, però, ti preparo qualcosa di caldo e ti faccio provare quell’infuso che ti ho detto prima! Accetti, mio bel commissario?-
Il poliziotto, incredulo, si ritrovò a dire di sì senza nemmeno accorgersene: doveva stare davvero male per accconsentire a quell'invito che gli appariva più come una trappola che un romantico appuntamento con la sua dolce metà.
Forse sono soltanto stanco e ho bisogno di essere un pò coccolato ...
-Va bene, mi arrendo. Per le otto sarò lì da te: se ho un contrattempo, ti chiamo appeno riesco a liberarmi-
-D’accordo. A stasera, bacio!-
-A stasera, Gin-
Sono tornati in voga i rimedi della nonna e io non lo sapevo, rifletté Terenzi, tutti che sono fissati con questi intrugli, mah.
E, in un lampo di coraggio e senso del dovere nonostante l'influenza che, ormai, era quasi certo stava covando, si convinse con entusiasmo ad andare di persona da Della Robbia.
Si affacciò all'ufficio del vice ispettore, per avvisarlo che sarebbe di nuovo uscito.
-Rossi, io esco, vado da Carlo Della Robbia. Se mi cerca qualcuno, dì che entro un’ora sarò di ritorno. Se invece chiama Ghirodelli, contattarmi subito, ok?-

-Certamente, commissario, a dopo-



Il camion dei traslochi era ancora davanti alla casa vicina.
Questa volta, per non rischiare come il giorno precedente, Terenzi si era preventivamente munito di un ombrello, tanto più che il cielo si stava ridipingendo di fosche nuvole e il vento aveva ripreso a soffiare subdolamente.
L'uomo attraversò la strada, citofonò e si avviò sul sentiero di terra battuta, nello stesso istante in cui l'agente scelto Arianna Maffei gli venne ad aprire l'imponente portone.
-Buon giorno, Maffei, com'è la situazione? Tutto sotto controllo?- 
-Sì, commissario, Turchi ed io non abbiamo notato nulla di diverso dal solito. Venga, se vuole parlare con il signor Della Robbia è su in camera da letto: non si sente molto bene oggi, è a riposare dalle dieci-
-Che cos'ha?- s'informò preoccupato Terenzi, sospettando l'ennesima mezza verità che l'imprenditore aveva raccontato a tutti loro.
-Mal di testa-
-Uhm. Dov’è la stanza?-
-La accompagno-
I due salirono le scale a chiocciola e si ritrovano in un corridoio con il pavimento di parquet, tre stanze a sinistra e tre stanze a destra.
Però, anche i piani alti sono degni di una reggia ...
-Ecco, la stanza è l’ultima porta a destra-
-Grazie, agente-
Il poliziotto attese che la ragazza ridiscese, poi bussò leggermente allo stipite davanti a lui.
-Chi è?- domandò una voce flebile, ancora di più attutita dal pesante telaio che li divideva.
-Posso entrare? Sono Terenzi-
-Oh commissario, è lei! Venga-
L’uomo era sdraiato sul letto a baldacchino, i capelli biondi brizzolati scompigliati.
Si alzò, le finestre chiuse e le tapparelle abbassate, accese l'interruttore della luce, quindi si avvicinò al nuovo arrivato.

-Mi hanno detto che non si sente molto bene, non la disturberò a lungo-
-No, non si preoccupi. Prego, si sieda sulla poltrona. Ci sono novità?-
-Sì- rispose asciutto, sistemandosi la piega dei pantaloni.
-Probabilmente abbiamo scoperto la zona in cui abita Svetlana, il più giovane dei ragazzi ha parlato ... -

-Federico? Per fortuna, sapevo che lui era diverso da tutti gli altri. Allora, dove si trova?-
-Vicino al parco della Pellerina. Lei può dirci qualche cosa di più? Ha mai sentito qualcosa che possa servire a rintracciarla?-
Il braccio destro di Appiani si riaccomodò sul baldacchino e si prese i capelli tra le mani, scuotendo sconsolato il capo.
-Mi dispiace davvero, ma non so come aiutarla-

-Immaginavo. Deduco che non le sia venuto in mente qualche altro elemento che potrebbe aiutarci nelle indagini, è così?-
-Purtroppo no, commissario. Io, quella donna, l’ho vista poche volte, gliel'ho detto ... -
-Ha mai cercato di sedurla?-
Carlo Della Robbia si massaggió le tempie, in un gesto che aveva l'intenzione di alleviare la tensione che aveva accumulato in quegli ultimi giorni: sapere di essere di nuovo sorvegliato da agenti in borghese a causa di una stupida leggerezza accaduta un paio di anni prima, lo faceva sentire un inetto, un uomo incapace di badare a se stesso e alla sua famiglia, tanto più che il suo migliore amico non solo gli aveva saldato i debiti, ma adesso era seppellito prematuramente chissà per colpa di quale pazzo.
-No, questo mai. Però con certi uomini, soprattutto stranieri, pezzi grossi intendo, aveva un comportamento un po’ provocante, anzi parecchio provocante-
-E’ quello che ci ha detto anche il più giovane della banda-
-E per quanto riguarda Giorgio?-
-Lei sapeva che il suo amico soffriva di attacchi di panico?-
-Sì, me ne aveva parlato qualche volta, ma non ho mai assistito di persona a nessuna crisi-
Terenzi si sistemò meglio contro lo schienale, per poi riprendere:
-E’ probabile che chi l’abbia ucciso era a conoscenza di questa sua abitudine e che abbia modificato la dose che il signor Appiani assumeva in tali occasioni. Ha qualche idea in proposito? Sa chi lo conoscesse così bene da sapere che aveva questi disturbi?-
-Praticamente tutti: io, la sua ex moglie, i suoi figli, la segretaria, i soci, forse anche quella donna che ha fatto il bonifico ... Giorgio non aveva vergogna a parlarne davanti agli altri-
Il poliziotto represse l'mpazienza che provava nel trovarsi davanti quel ricco imprenditore ormai divenuto ombra del vecchio uomo d'affari: avrebbe voluto prenderlo per le spalle ricurve e scuoterlo per risvegliarlo dal letargo. Ma lasciò perdere, cambiando argomento e facendogli presente che non avevano ancora trovato alcuna traccia del misterioso cestino della spazzatura, costude dei documenti più segreti della vittima.
Tuttavia, anche su questo punto, Della Robbia non sapeva davvero come e cosa rispondere.
-Un'ultima cosa: il signor Appiani era stato sottoposto ad un esame del sangue nei giorni precedenti il suo decesso?-
-Sì, su questo non ho alcun dubbio, commissario. Avrebbe dovuto andare a ritirarlo questa settimana ... almeno è quello che mi aveva detto-
Terenzi sentì il cuore accelerare i battiti, mentre un vago sentimento di sconfitta si fece largo all'altezza della bocca dello stomaco: e così, si disse, niente fantomatiche iniezioni di chissà quale sostanza, niente risvolti misteriosi, nessuna causa ambigua ... -
-Direi che allora non c’è più bisogno che mi fermi, la lascio riposare. Grazie, signor Della Robbia, se ci sono novità gliele comunicherò quanto prima-
I due si alzarono e si strinsero la mano, poi il poliziotto uscì dalla stanza, non senza una punta di delusione, mentre la luce del minuscolo lampadario si rispensero.








Nota dell'autrice:

Ciao a tutti, cari miei lettori! Come state?
Ho dovuto dividere questo capitolo perché davvero troppo lungo, quindi, molto molto probabilmente, tra mercoledì e giovedì pubblicherò la seconda parte! Tenetevi pronti!
Nel frattempo, vi ringrazio tantissimo per il vostro fondamentale supporto in questo cammino tortuoso ma bellissimo!!
A presto e un abbraccio!

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Capitolo 14
*** Lasagne e rivelazioni ***


Di ritorno in commissariato, si scatenò un nuovo temporale: questa volta non mi freghi, pensò con aria di rivincita il poliziotto, sono al riparo e ho persino l’ombrello.
Aveva accostato in prossimità di via Pisacane, dopo l'ennesimo scroscio che rischiava di subissarlo, e ne aveva approfittato per telefonare a Franco Berardi per avvisarlo che, insieme ai suoi agenti a sorvegliare la zona del parco della Pellerina, avrebbe mandato anche la Finotti e Di Biase: gli rispose una voce di donna particolarmente infantile, che gli comunicò che il collega era ancora in riunione, per cui lasciò detto di farlo richiamare appena si fosse liberato.
Quando entrò in ufficio era già l’una e mezza, ma sembrava fosse piena notte: Terenzi infilò l’ombrello nell'apposito cilindro di metallo adagiato su una parete, appoggiò il cappotto color cammello sul divanetto ed accese l’interruttore della luce.
Scostò le tende lattescenti della striminzita finestra e diede un’occhiata al traffico sottostante, sbirciando i puntini rappresentati dalla moltitudine di persone che si affrettavano ad andare in mille diverse direzioni.
La sua attenzione venne catturata da un gruppetto di operai intenti a riparare un paio di tombini proprio di fronte al bar di Maurizio, protetti da una tettoia di ghisa che li impediva di bagnarsi con quelle gocce spesse e fitte che si riversavano dal cielo: il tempo proprio non ha intenzione di migliorare, constatò con una punta di amarezza, solo il vento si è placato.
Riaccostò le tendine ed uscì in corridoio per andare a cercare l’ispettore, che però non era ancora tornato dal giro di perlustrazione alla banca in cui Agnese Rampi aveva depositato i suoi risparmi: l’agente in guardiola, un giovane che sembrava la fotocopia di Ghirodelli –stessi capelli rossi, stesso naso aquilino da attore degli anni Trenta e stessi occhi penetranti neri come la pece- gli disse che nessuno lo aveva cercato mentre era a parlare con il signor Della Robbia, quindi tornò mestamente in ufficio, starnutendo un paio di volte giusto per non perdere il ritmo.
Si stravaccò sulla poltrona girevole, controllando se ci fosse qualche carta da firmare: fu felice che non vi fosse ombra di alcun documento arretrato, perché davvero non aveva nessuna voglia di concentrarsi per più di un minuto di fila sullo stesso argomento.
Chiuse un attimo gli occhi, incrociando le mani in grembo: lo preoccupò il rendersi conto che non aveva affatto fame, nonostante a quell’ora, di solito, sarebbe stato in grado di mangiare tutto ciò che gli fosse passato davanti.
Per ingannare il tempo in attesa del rientro dell’ispettore, il poliziotto rovistò nelle tasche alla ricerca del biglietto su cui aveva scarabocchiato il nome della clinica dove Giorgio Appiani Uzia si era sottoposto agli esami del sangue: stava uscendo dall’abitazione di Carlo Della Robbia, quando ritornò indietro per chiedergli se sapesse dove l’amico era solito andare per eseguire gli esami di routine e, guarda a caso, l’imprenditore e la vittima si rivolgevano allo stesso centro esclusivo a pochi passi dal centro città.
Adesso, il poliziotto aveva già la cornetta in mano, quando la sua coscienza di commissario lo indusse a richiedere l’autorizzazione alla dottoressa Del Fiore: forse è inutile perdere tempo a visionare il referto, ma era pur sempre meglio non tralasciare nulla.
La voce del magistrato era particolarmente squillante, tanto che per un nanosecondo Terenzi si chiese se avesse composto il numero giusto.
-Ah, è lei commissario. Si è deciso a chiamarmi per riferirmi delle novità, spero ... -
L’uomo si schiarì la voce, trattenendo l’ennesimo starnuto, e la mise al corrente delle informazioni riguardanti il referto autoptico eseguito dal dottor Bertani, del colloquio con Clelia Camoletti e con Della Robbia, per poi finalmente andare al motivo della telefonata.
-D’accordo, se crede che possa servire per risolvere le indagini ha la mia autorizzazione. Però, in tutta sincerità, non mi sembra stiate facendo dei grandi passi avanti: i resoconti che mi ha fatto pervenire nei giorni scorsi mostrano numerose lacune e punti interrogativi. Non crede anche lei?-
Per fortuna che non gli aveva detto nulla della sua grandiosa idea di mandare la Finotti e Di Biase insieme al gruppo di Berardi, altrimenti la sospensione non me la negava nessuno.
-E per quanto riguarda Agnese Rampi? Avete verificato la veridicità del suo interrogatorio?-
Quella donna aveva davvero intenzione di non lasciargliene passare nemmeno mezza, ma lui non avrebbe demorso tanto facilmente.
Era un altro punto dolente, rifletté, su cui non era ancora in grado di farle alcun resoconto, ma almeno non avrebbe dovuto mentire.
-Sto aspettando che l’ispettore Ghirodelli rientri in commissariato: questa mattina è andato personalmente alla Banca di Credito Piemontese, in via Malfatti n° 12, dove la donna ha depositato il conto corrente. Le farò sapere al più presto, dottoressa, nel caso vi siano delle notizie-
La Del Fiore riattaccò reprimendo ulteriori lamentale.
Terenzi era già pronto per cercare in Internet il numero telefonico della clinica privata, quando l’istante dopo chiamò Franco Beradi, felicissimo per la collaborazione con il caro Alessà.



Alle due e dieci Ghirodelli entrò in ufficio.
-Commissario, ho delle novità-
Terenzi gli fece cenno con la mano di accomodarsi: lasciò perdere i documenti che stava leggendo al computer, per concentrarsi interamente sul nuovo arrivato.
-Molto bene, raccontami tutto … -
L'altro si mise seduto ed estrasse l'autorizzazione che gli aveva concesso il direttore della banca per effettuare le opportune verifiche del conto della sospettata.
-Dunque, un paio di settimane fa, il 30 ottobre scorso ci sono state due transizioni molto importanti: la prima riguarda il figlio della donna, Francesco Gucci, lo studente di Biologia che vive a Padova. Il ragazzo si è recato alla filiale per convertire un assegno della madre: parliamo di cinquecentosessantotto euro, una cifra relativamente irrisoria rispetto ai centocinquantamila incriminati. Prima che mi chieda se sono riuscito a risalire alla causale dell'assegno, le anticipo la domanda e le do anche la risposta, ovvero di no. Ma non si preoccupi, rimedierò dopo pranzo con una telefonata alla Rampi-
-E il secondo movimento bancario?- continuò interessato il superiore, facendogli cenno di proseguire.
-Nel pomeriggio dello stesso giorno, una donna ha effettuato il misterioso bonifico in favore dell'azienda di Appiani, ma qui viene il pezzo forte, commissario, ovvero che la descrizione sembrerebbe non corrispondere con le fattezze dell'infermiera ... -
-Con chi ha parlato la Rampi quel 30 ottobre? Si sarà rivolta a qualche impiegato o ha fatto tutto da sola?!!- cercò di controllarsi Terenzi, mentre la poltrona sotto di lui cigolava contrariata.
-Certo che lo ha fatto, capo, ma il direttore della filiale è nuovo: il suo predecessore è andato in pensione circa quattro mesi fa, e il sostituto ha incontrato per la prima volta Agnese Rampi quel pomeriggio. Da allora non l'ha più rivista ... -
-Insomma, per dirla in breve, non abbiamo termini di paragoni. Ma la foto della donna che siamo andati a recuperare? Non è servita per un confronto?-
Ghirodelli scosse la testa, facendo spallucce.
-Non è recentissima e, soprattutto, non è un primo piano: questi due elementi fanno titubare l'uomo nel riconoscerla ufficialmente-
Il commissario si grattò la punta del naso, mentre dalla finestra dietro di lui entrava il rumore costante e fastidioso della pioggia torrenziale.
Congedò l'ispettore, ringraziandolo per il lavoro svolto, dopo averlo messo al corrente del colloquio telefonico con la Del Fiore, che gli aveva accordato il permesso di visionare il referto delle analisi del sangue.



Erano quasi le sei e, per tutto il pomeriggio, non c’erano stati contrattempi.
In compenso, la Finotti e Di Biase non erano riusciti a trovare Katiuscia, o Svetlana come si faceva chiamare adesso, e così l’umore di Terenzi continuò ad essere al di sotto della soglia critica accettabile.
La pioggia persisteva a scendere e non accennava a diminuire: era talmente buio che il commissariato sembrava una vecchia discoteca illuminata a giorno.
Aveva deciso di tornare a casa un po’ prima, per andare a rifornire la dispensa, passare alle Poste a pagare le bollette – su questo punto non era particolarmente sicuro, perché non si ricordava l’orario di chiusura, ma ci avrebbe provato lo stesso- e andare in tintoria a ritirare i due completi che aveva portato da lavare e stirare.
Stava recuperando le chiavi della Panda, quando la porta si aprì ed entrarono Ghirodelli -che aveva supervisionato il tutto-, la Finotti e Di Biase.
-Allora ragazzi? Avete scoperto qualcosa?-
-No, purtroppo. I colleghi di via Cavour sono ancora sul posto, ma hanno avuto pietà di noi e ci hanno rimandato alla base. Comunque abbiamo domandato ai negozianti lì in giro, a un paio di portieri degli stabili lì intorno, ma nessuno sembra che l’abbia mai vista-
L’ispettore si fece avanti con aria abbastanza stravolta, i capelli crespi dall’umidità della pioggia, mentre gli altri due colleghi confermavano con la testa le sue parole.
-Come vi siete organizzati con i turni di sorveglianza?-
-Domani mattina alle sette l’agente Finotti ed io andiamo a dare il cambio ai colleghi della notte, poi vedremo-
Terenzi mugugnò poco convinto e Ghirodelli ne approfittò per fare un azzardo:
-Commissario, lo so che gliel’ho già fatto presente questa mattina, ma è una zona vastissima quella che dobbiamo sorvegliare: vi abitano centinaia di persone, come facciamo a trovarla se non abbiamo nemmeno un vago indizio da cui partire?-
-Dobbiamo trovarla, prima o poi ce la faremo- tagliò corto il superiore, starnutendo ed aprendo la porta.
-Ora devo andare, ci riaggiorniamo domani mattina. Buona serata a tutti-
L’uomo recuperò il cappotto e l’ombrello, strinse una spalla dell’ispettore, quindi sorrise agli altri due presenti e uscì dall’ufficio.



Alle otto e dieci, parcheggiò la macchina nei pressi del parco del Valentino.
Come aveva inconsciamente previsto, Terenzi non era riuscito a svolgere tutti i lavoretti da perfetto casalingo che si era ripromesso di fare: al supermercato aveva temuto di rimanere schiacciato nella bolgia di impiegati e donne in carriera che, usciti dal lavoro, assalivano gli scaffali come se non mangiassero da anni; le Poste stavano abbassando la saracinesca nello stesso istante in cui lui si era presentato trafelato al cospetto degli addetti alla chiusura; solo la vecchietta della tintoria gli aveva dato un po’ di soddisfazione, porgendogli, con il solito sorriso mezzo sdendato, giacca e pantaloni perfettamente lavati, stirati e custoditi nell’involucro di carta.
Così, per non rischiare di arrivare eccessivamente in ritardo all’appuntamento con Ginevra, era tornato a casa solo il tempo necessario per cambiarsi velocemente ed indossare qualcosa di più comodo, le buste della spesa abbandonate tristemente in mezzo al corridoio.
Adesso, sceso dall'auto, stava per aprire l’ombrello quando gli si ruppe lo scatto: non ci posso credere, questa è una maledizione!
Riaprì imbufalito la portiera, appoggiò velocemente sul sedile anteriore l’ombrello e, con una corsa degna di un atleta in pensione, raggiunse il portone, miracolosamente aperto.
-Ciao!- gli andò incontro l’archeologa, aprendogli la porta con una perfetta mise da cuoca, grembiule a pettorina di un intenso giallo canarino e i capelli castani raccolti in una ordinatissima coda di cavallo.
-Non è proprio giornata, Gin. Questo maledetto raffreddore mi tormenta ogni minuto, la pioggia che non smette un solo attimo, le indagini che sono ad un punto morto, la Posta che mi ha praticamente sbattuto la porta in faccia e, adesso, persino l’ombrello che si è rotto! Se non è una persecuzione questa, allora che cos’è?!-
La ragazza si mise a ridere, gli occhi color ambra che luccicavano dalla gioia di rivederlo.
-Fatti abbracciare, poverino! Togliti il giubbotto, la giacca e la camicia: te le metto ad asciugare sul termosifone … -
L’uomo entrò nell’accogliente ingresso e attraversò il corridoio in direzione del soggiorno: vi era un caldo tepore che gli fece dimenticare per un istante l’arrabbiatura che si era impadronito di lui.
-Va bene. Ascolta, se non è ancora pronto, vado a farmi una doccia. Ce l’hai ancora la tuta che avevo portato qualche tempo fa? -
-Sì certo, dovrebbe essere nel terzo cassetto dell’armadio in camera mia. Se vuoi ti do il mio accappatoio ... -
-Basta che non sia rosa-
-No, è arancione- sbuffò lei, alzando gli occhi al cielo.
Venti minuti più tardi, Terenzi fece il suo ingresso trionfale in cucina.
-Credevo ti avesse risucchiato lo scarico!-
Ginevra aveva apparecchiato in soggiorno in maniera meno elegante dell’altra volta, ma la tovaglia con la stampa a frutti esotici faceva comunque la sua bella figura.
-Scusami, mi sono messo a pensare, sai com'è, intanto che aspettavo almeno dieci minuti prima che arrivasse l’acqua calda ... - puntualizzò, mentre la seguiva in cucina per aiutarla a portare i bicchieri rossi, in tinta con i piatti che erano già in tavola, assieme alle forchette dall’impugnatura gialla.
-Oh, che noia, sei sempre il solito esagerato! Le tubature sono un po’ vecchie, lo sai, ma mica sono dell’età della pietra! Avresti dovuto regolarla prima di entrare: ogni volta te lo dico e tu, puntualmente, ogni volta ti dimentichi!-
-Da adesso cercherò di ricordarmelo-
Le cinse la vita da dietro e le baciò il collo, mentre lei ridacchiava e si voltava per restituirgli il favore sulla bocca.
-Qui è pronto, andiamo a mangiare: ti ho preparato le lasagne verdi-
-Ti ho già detto che mi vizi? Pensa che, mentre ero in macchina, temevo mi avresti cucinato un caldo ed insipido brodino … -
-Ad essere sincera, ci avevo pensato, ma mi sembrava brutto dopo una giornata di lavoro farti trovare solo la minestrina, così all’ultimo ho cambiato idea-
La ragazza gli sorrise ironica, continuando a trafficare con le stoviglie da infilare nella lavastoviglie.
-Però, per quanta riguarda l’infuso miracoloso, non ho cambiato idea, non ti credere. Te l’ho già messo sulla credenza in sala, così dopo cena te lo puoi prendere-
-Pensi proprio a tutto, eh?-
-Lo so, senza di me sei perduto! Adesso che ti sei riscaldato grazie alla mia doccia, portami di là le lasagne, intanto che prendo le bottiglie-
-Agli ordini!-
Quindi lo trascinò in sala da pranzo e lo seguì con la teglia fumante che aveva appena estratto dal forno spento.
Ginevra tagliò due porzioni abbondanti dalla teglia di ceramica, le mise nei piatti e finalmente si accomodarono.
Terenzi assaggiò un boccone, bofonchiando allegramente.
-Buone, le fai sempre ottime. Era da tanto che non le preparavi-
-Lo so, è che avevo perso la ricetta e ho dovuto andare a recuperarla in mezzo alle altre centinaia che ho disseminato in giro per casa-
L’uomo bevve un sorso di vino rosso, riflettendo su quanto quella ragazza fosse disordinata, ma a lui piaceva anche per questo piccolo difetto.
-Come va il lavoro al museo?-
-Al solito. Ultimamente abbiamo un sacco di cose da fare: stiamo organizzando la mostra sugli ultimi reperti che ci sono arrivati dal British Institute, ricordi che te ne avevo parlato l’altra sera per telefono?-
-Sì, sui corredi delle spose dell’Alto Egitto, vero?-
-Esatto: dobbiamo aprire la mostra tra un paio di settimane. Siamo a buon punto, ma ci sono ancora un sacco di cose da preparare. Tu, invece? Non ho più sentito nulla sulla morte di Giorgio Appiani-
-Infatti non c’è molto da dire- tagliò corto, puntando già alla seconda porzione di lasagne.
-Siamo fermi. Purtroppo non abbiamo fatto passi avanti. Ho i nervi a fior di pelle al solo pensiero, per cui ti prego di non tormentarmi con le tue solite domande, Gin-
Lei lo guardò contrariata per qualche secondo, la forchetta a mezz’aria: lo vedeva abbastanza provato, per cui, in un impeto di inaspettata compassione ed amore, decise di lasciar perdere, almeno per quella volta.
-Mi dispiace, Ale, vedrai che presto riuscirete a catturare l’assassino-
Il poliziotto le sorrise riconoscente e approfittò della tranquillità del momento per riempire i piatti con un’altra generosa porzione di pasta.
-Scusa, ma non ho fatto nient’altro: con questa cosa della mostra sono arrivata a casa alle sette ... -
-Figurati, sono sazio così- la rassicurò, trangugiando il secondo bicchiere di rosso.
-Adesso ti preparo un po’ di camomilla, così ci fai sciogliere l’infuso!-
-No, anche la camomilla no, ti prego!-
-Invece sì! Ti assicuro che con la camomilla è tutta un’altra cosa. O magari preferisci il tè?-
Terenzi si stava quasi strozzando nel sentire quella proposta che gli suonava tanto come un’offesa al suo stomaco.
-Per carità, oggi ne ho bevuti già tre in commissariato. Se proprio mi vuoi male, allora preferisco rassegnarmi alla camomilla- si arrese, riempiendole il bicchiere con il vino.
-Va bene. A proposito, sabato siamo stati invitati a cena-
Lei si alzò con i piatti vuoti in mano e scomparve in cucina.
-Da chi?- le urlò dietro, mentre cercava un modo efficace di far sparire la confezione che aveva adocchiato sopra un mobiletto credenza rosso laccato, contenente il malefico infuso che gli voleva appioppare.
Controllò con fare circospetto il posto ideale adatto a nasconderlo: ma, attorno a lui, i due divani color panna e il puff ordinato non erano certo degli angoli ideali in cui occultare il pacchetto incriminato, perché sicuramente Ginevra lo avrebbe trovato appena si fosse seduta.
Magari in uno degli scaffali della libreria? Oppure dietro la TV? ricordandosi l'attimo dopo che lo schermo a quarantadue pollici era assolutamente e maledettamente piatto sulla parete.
-Da Anna, la ragazza che lavora con me dal notaio Marchetti: si è trasferita dalle parti del parco della Pellerina e sabato vuole invitarmi a cena. Non preoccuparti che non ha nulla in contrario che venga anche tu, anzi, le ho parlato talmente tanto di te che non vede l’ora di conoscerti!-
Appena avvertì i passi cadenzati della ragazza, si rese conto di ciò che gli aveva detto, e lasciò perdere all’istante il misero tentativo di furto, piombandole davanti con aria entusiasta.
-Che cosa hai detto?!-
Lei lo guardò arcuando un sopracciglio, la scatola di biscotti al cioccolato tra le mani: si era tolta il grembiule, così adesso si potevano vedere meglio le forme delicate sotto la tuta blu e bianca.
-Che sabato vuole invitarmi a cena perché si è trasferita …?-
Il commissario sorrise di giubilo: quasi avrebbe voluto battere le mani dalla felicità, davvero non poteva credere a un colpo di fortuna così inaspettato e casuale!
-Sei un genio, Gin, tu e la tua amica Anna siete dei geni!-
-Ti senti bene? Non è che hai la febbre?-
L’archeologa gli tastò la fronte e, contemporaneamente, lo spinse verso il divano, insistendo perché si sedesse.
-La donna che stiamo cercando per l'indagine Appiani dovrebbe abitare proprio vicino al parco della Pellerina: magari la tua collega la conosce! Da quanto tempo si è trasferita?-
-Due settimane. Tu lo pensi davvero?-
Una luce emozionante degna di una spia in erba si affacciò nel suo sguardo.
-Non lo so, può darsi. Se i miei uomini non dovessero trovarla, puoi chiederle se è disposta a parlare con me?-
-Certo, glielo dirò-
Poi, con aria cospiratoria, gli si avvicinò e, sussurrandogli ad un orecchio, cercò di raggirarlo candidamente.
-Vuoi che nel frattempo le dica di tenere gli occhi aperti?-
Terenzi le si staccò dopo averle dato un bacio su una guancia:
-Gin, cosa mi hai promesso prima? Per il momento va bene così, ti faccio sapere io se ce ne sarà bisogno-
-Come vuoi- sbuffò, picchiandogli sul petto e annunciando che sarebbe andata a vedere se l’acqua bolliva, pronta a vendicarsi con un'abbondante tazza di camomilla
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Capitolo 15
*** Un poliziotto k.o. ***


Venerdì 14 novembre, ore 10.30

Quella mattina Terenzi non era andato al lavoro: si era alzato con i brividi alla schiena e con una decina di starnuti a fargli compagnia.
Insomma, per farla breve aveva trentotto di febbre, ma a parte l’elevata temperatura si sentiva piuttosto bene.
La prima cosa che aveva fatto, ancora a letto, era stata quella di avvisare Ghirodelli, per dirgli che almeno per i prossimi due giorni non sarebbe andato in commissariato.
-Sono nelle vostre mani, ispettore: continuate ad indagare, e fatemi sapere in qualsiasi momento anche il più piccolo dei cambiamenti. Ah, ho lasciato sulla scrivania, sotto il portapenne con la scritta Australia, il nominativo e il numero di telefono della clinica dove Appiani si è recato per le analisi del sangue: fatti dare un appuntamento per visionare i referti, meglio ancora se te li fai mandare tramite fax. L’autorizzazione della Del Fiore è arrivata ieri sera, la troverai nel primo cassetto a sinistra della scrivania. Hai preso appunti fino a qui?-
-Sì, capo, ho scritto tutto. E per Agnese Rampi? La dobbiamo mettere alle strette o aspettiamo gli sviluppi?-
-No, aspettiamo ancora fino alla prossima settimana: quando torno faremo il punto della situazione e, se necessario, la presseremo come si deve. Però, giusto per non stare con le mani in mano, informati senza destare troppi sospetti sul motivo dell’assegno in favore del figlio. Un’ultima cosa: vi siete organizzati per i turni di sorveglianza con i colleghi di via Cavour? E con quelli per Della Robbia?-
-L’imprenditore è sotto controllo, non si preoccupi: è solo terrorizzato che gli possa accadere qualcosa. Per quanto riguarda le indagini su Svetlana, l’autorizzazione è valida fino a domenica, commissario, poi Berardi dovrà chiedere una prologa al magistrato: d’altronde, tutti ci rendiamo conto che non stiamo facendo alcun passo in avanti-
-Non direi, ispettore: ieri sera sono andato a cena da Ginevra e mi ha detto che una sua ex collega dello studio dove lavorava potrebbe conoscere Svetlana. Si è trasferita da pochi giorni in un appartamento nei pressi del parco della Pellerina, e se abbiamo un briciolo di fortuna, può essere che le due donne si siano incontrate o che quest’Anna sappia indirizzarci nel posto giusto. Facciamo così, se entro quarantotto ore, quando scadrà l’autorizzazione della Del Fiore, non sarete ancora riusciti a trovarla, proveremo a contattare la ragazza per sapere se sa qualcosa. Cosa ne pensi?-
-Mi sembra ragionevole come compromesso, capo, anche se cercare un ago in un pagliaio potrebbe risultare più semplice …-
-Grazie per la fiducia. Eccì ... eccì... ora devo andare. Ci sentiamo più tardi. Buon lavoro-
Il commissario si alzò dal letto e, barcollando come uno zombie dall’alto del suo metro e ottantacinque, una coperta bianca e arancione sulle spalle, andò a sdraiarsi sul divano: nemmeno mezz’ora prima si era bevuto l’ennesimo tè in soli due giorni, aveva preso una compressa effervescente di paracetamolo e adesso cercava di rilassarsi e di non pensare a quell’imprevisto di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Sono anni che non mi ammalo, anni! continuava a ripetersi innervosito, e dovevo diventare uno straccio proprio adesso, proprio in questi giorni che siamo in alto mare! Per fortuna che almeno Ghirodelli si è ripreso, altrimenti senza di lui non saprei davvero cosa e come fare.
Si sistemò meglio la coperta sulle spalle e sprimacciò il cuscino più grande che avesse, in modo da posizionarlo dietro la testa: se l’ispettore avesse accettato la promozione della Del Fiore, la scorsa primavera, a quest’ora non avrei più un valido collaboratore e nemmeno un amico su cui fare affidamento, rifletté con lucidità, mentre distribuiva un paio di saluti qui e là.
Alla fine di un’indagine piuttosto complessa, infatti, relativa al caso Dünnerz-Perrez che affondava le sue radici in Germania, era stato lo stesso Terenzi ad aver fatto leva sulla coscienza del questore per riconoscere i meriti investigativi del collega: la dottoressa aveva deciso di promuovere il buon Ghirodelli a commissario, grazie anche al concorso che il poliziotto aveva ottimamente superato, ma l’avanzamento di carriera avrebbe comportato il trasferimento a Cuneo, città troppo lontana per l'abituale collega, così non se n’era più fatto nulla.
Francesco si merita una promozione: su questo punto Terenzi era assolutamente certo, ed era anche sicuro che, prima o poi, l'ispettore avrebbe trovato la sua strada, sebbene questo significasse perdere un ottimo elemento.
Per distrarsi, accese la TV e cominciò a fare zapping: non c’era niente che andasse incontro ai suoi gusti, solamente una miriade di programmi di cucina di second’ordine, altri di pseudo tribune politiche, passando per trasmissioni in cui il gossip era il re indiscusso e un paio di telefilm di cui aveva già visto la replica della replica… insomma, niente di interessante.
Spense la televisione e, recuperando il telecomando sul tavolino di vetro davanti a lui, accese la radio: rimase così per qualche minuto, gli occhi chiusi, la testa che ondeggiava al ritmo delle note, fino a quando squillò il telefono di casa.
Dove l’ho messo? , reclamò irritato il commissario, ho portato qui il cordless dalla camera appena dieci minuti fa!
Si rimise a sedere e prese a rovistare in mezzo ai cuscini del divano dove, alla fine, lo trovò, tristemente rovesciato sul tappeto blu cobalto.
-Pronto?-
Una voce di donna preoccupatissima lo stava salutando sussurrando:
-Amore ciao, come stai? Ho ricevuto il tuo messaggio: hai preso qualcosa?-
-Ciao Gin, insomma: mi sento tutto rotto, ho già ingoiato un paio di tachipirine, ma per il momento assomiglio più a una delle tue mummie che ad una persona in carne ed ossa ... -
-Poverino, non dire così, vedrai che al calduccio e con un po’ di riposo
prestissimo tornerai come nuovo. Nella pausa pranzo vengo a trovarti, va bene?-
-Grazie, allora ti aspetto. Ma perché parli così piano? Quegli intrugli che mi hai propinato ieri sera hanno fatto male anche a te?-
-Sei il solito sciocco: non posso urlare perché sono nello sgabuzzino. Ho detto che andavo in bagno, solo che di là c’è un casino totale e devo ritornare al più presto! Sono arrivati gli ultimi pezzi dal British Institute e, insieme a quelli del British Museum, dobbiamo ordinarli e cominciare a fare l’inventario, proseguire con l’allestimento della mostra e … beh, lasciamo perdere. Hai bisogno di qualcosa?-
-A parte la tua compagnia, portami un po’ di pane e il caffè: sono stufo di bere dell’annacquato tè verde –
-Oh mi sto sciogliendo: dovresti ammalarti più spesso per essere così romantico!-
-Gin, smettila per favore ... -
-Ma dai, scherzavo, permaloso! Ci vediamo dopo, un bacio-

Terenzi riattaccò con un sorriso e appoggiò l’apparecchio sul tavolino.
Si rimise sdraiato, la musica a basso volume che fuoriusciva dallo stereo e, nel giro di pochi minuti, cadde tra le braccia di Morfeo.



Un’ora più tardi, il bell’addormentato venne svegliato dal cellulare che prese a squillare: ci volle qualche secondo prima che il poliziotto si rendesse pienamente conto di quello che stava accadendo, perché inizialmente era convinto si trattasse dell’ennesima canzone proveniente dalla radio di qualche automobilista imbecille, che non aveva affatto cura del proprio ed altrui udito, ma era un’ipotesi che il suo cervello di nuovo in marcia aveva scartato all’istante, dal momento che era novembre e tutte le finestre erano opportunamente chiuse.
Lesse il nome sul display e, passandosi una mano sul volto, domandò:
-Ghirodelli, ciao. Come vanno le cose?-
-Qui è tutto sotto controllo, non si preoccupi. Lei come sta?-
-Ho dormito un po’, adesso mi sento meglio, ma sono appiccicato al divano da quando ci siamo sentiti questa mattina-
-La proposta di darle un paio di quelle bustine miracolose è ancora valida-
-No, grazie, ispettore, ma me lo ricorderò per un eventuale futuro. Allora, ci sono novità?-
-Sì: l’ho chiamata per dirle che i due strozzini più giovani vogliono collaborare. Ammettono i reati che gli abbiamo contestato, però chiedono il patteggiamento. Berardi ha telefonato dicendo che si è presentato l’avvocato dei ragazzi, una donna che il suo amico Franco ha definito "una guagliona con le palle". Ah, ha insistito per avere il suo numero privato e sono stato costretto a darglielo. Non si arrabbia, vero?-
Terenzi starnutì tre volte di fila, giusto per dimostrare il proprio disappunto, ma lasciò correre: dopotutto, il collega napoletano era stato generoso e disponibile a condividere
con loro le notizie sulle indagini, tanto più che la Del Fiore non aveva dato l’autorizzazione a Terenzi per gli appostamenti alla Pellerina.
-Per così poco: in questo momento ho ben altri problemi, ispettore. Comunque c’era da aspettarselo che i figli avrebbero fatto di tutto pur di uscire dall’hotel a cinque stelle in cui li abbiamo rinchiusi: era solo questione di tempo. Mi auguro che almeno per il padre non si decida per lo stesso trattamento: la sua lista di precedenti è sufficientemente lunga da coprire le spalle anche ai pargoletti. E per quanto riguarda Svetlana? Avete trovato qualche indizio?-
-Purtroppo no. Ho mandato la Finotti e Rossi a fare ancora qualche domanda nella zona del parco, però sembra che nessuna la conosca, o meglio, c’è la fiorista che dice di aver visto un paio di volte una ragazza dai capelli rossi, ma non è sicura che sia lei: la foto segnaletica che le abbiamo mostrato risale a due anni fa, quando aveva un altro taglio di capelli. Adesso, invece, con Della Robbia c’è la Maffei e, nel pomeriggio, andrà a darle il cambio Di Biase. E' tutto sotto controllo ... -
-Ottimo. Se hai delle novità chiamami senza farti problemi, anche sul fisso-
-D’accordo, capo, si riposi-
-Sfortunatamente il tempo non mi manca. Ciao Ghirodelli, grazie-



Ginevra aveva pranzato con Terenzi, poi era ritornata al lavoro, promettendogli che sarebbe ritornata quella sera.
Nel frattempo, il commissario ne aveva approfittato per rifornirsi di un’altra compressa di paracetamolo e per leggere un romanzo di un emergente autore italiano che aveva comprato la settimana precedente: parlava di avventura, di Storia e di spionaggio, il genere di libri che lui adorava e per cui avrebbe dato fondo al suo intero stipendio, se solo qualcun altro lo avesse mantenuto.
Poi, passando a cose più realistiche e a pensieri meno vaneggianti, era passato dal letto al divano con l’abilità di una pallina da tennis, rimbalzando da un lato all’altro del corridoio, indeciso dove rilassarsi per qualche ora: alla fine, aveva deciso di stravaccarsi definitivamente sul sofà e di abbandonarsi ad un'altra dormita.
Si svegliò che erano le cinque e mezza, più arzillo di prima.
Andò in cucina e, lo stomaco che gli brontolava, prese ad aprire ante e cassetti della credenza, per dar sfogo al senso di fame che lo stava quasi opprimendo.
E’ un buon segno, rifletté, tenendo conto che all’una sono riuscito a bermi solo un piatto di brodino annacquato.
Alla fine, mettendo da parte i tristi ricordi del pranzo, optò per prepararsi una cioccolata calda con panna, come premio per la febbre che gli era scesa.
Con la tazza fumante in mano e la coperta sulle spalle, l’uomo guardò fuori dalla finestra: il cielo era ancora plumbeo, le fronde degli alberi si muovevano al ritmo del vento, che aveva preso prontamente il posto della pioggia, ormai esauritasi dalla notte precedente.
Nel vetro riflesso, poteva vedere il proprio volto sporcato dalla barba incolta di due giorni: si passò una mano tra i capelli scuri tagliati corti, felice di evitare di soffermarsi sul colorito malaticcio che sentiva di avere.
Che sfortuna … continuava a ripetersi.
Non che gli dispiacesse concedersi un po’ di tempo solo per lui, però avrebbe voluto scegliere un motivo più piacevole per stare a casa, come usufruire di qualche giorno di ferie arretrate che si era opportunamente messo da parte.
Mi rifarò molto presto, appena arresteremo gli assassini del povero Appiani.
Terenzi finì di bere la cioccolata, lavò con cura la tazza e il cucchiaino, poi decise di andare a fare una capatina nella stanza adibita da studio, dove Miss Marple, la sua tartaruga di terra, era in pieno letargo.
Infatti, la testuggine stava beatamente dormendo, rannicchiata nel carapace: l’uomo le si avvicinò e la osservò sotto il cumulo di scatole di cartone e vecchi stracci che aveva avuto cura di prepararle, da cui spuntavano le zampe e la coda.
Il poliziotto versò un po’ di cibo nella vaschetta, non si sa mai che si dovesse svegliare e le venisse fame, quindi ritornò in cucina, la coperta sulle spalle.
Bevve un sorso d’acqua e alla fine si abbassò ad accendere la TV: trascorse l’ora successiva a godersi un film divertente con un attore che non aveva mai visto, ma che era davvero bravo, tanto da fargli rimpiangere di non essersi sintonizzato prima su quel canale.
Quando il programma finì, erano quasi le sette.
Ginevra dovrebbe essere qui tra poco, constatò, alzandosi e ritornando in cucina, dove diede sfogo alla sua fantasia da chef stellato: preparò il soffritto con olio, aglio e cipolla, poi aprì la bottiglia di passata verace toscana, rovesciò parte del contenuto nella padella, aggiunse mezzo cucchiaino di sale ed uno di zucchero e, in pochi minuti, ecco il sugo caldo e sfrigolante che attendeva solo di tuffarsi nelle penne rigate che stavano già cuocendo nella pentola di fianco.
Ultimo tocco da esperto, il basilico congelato fresco e il gioco era fatto.
Mancava solo da apparecchiare la tavola e da recuperare qualcos’altro di appetibile dal frigorifero: lo aprì e vi rovistò dentro, orgoglioso del vasetto di verdure sottolio e dell’insalata di polpo che aveva comprato due sere prima.  
Una volta sistemato il tutto, Terenzi spense l’acqua della pasta e tornò a sedersi sul divano, con il romanzo dell’esordiente tra le mani.
Mezz’ora più tardi, proprio nell’attimo in cui il gruppo di spie si stava paracadutando da un aereo dell’Esercito degli anni Quaranta, suonò il campanello: il poliziotto si alzò lentamente, elegantissimo nella tuta rossa con cui si era cambiato prima di pranzo, e andò ad accogliere la fidanzata.
-Ciao, Gin- la baciò su una guancia, starnutendo subito dopo.
-Non vorrei contagiarti- aggiunse, invitandola a togliersi il cappotto e la sciarpa.
Lei fece spallucce e, infilando i guanti nelle tasche, andò ad appendere il tutto sull’attaccapanni a muro, di fianco alla porta d’entrata.
Indossava una camicetta bianca con il colletto alto e dei jeans chiari, che la slanciavano sugli stivaletti neri.
I capelli castano chiaro erano raccolti nell’abituale coda di cavallo e gli occhi erano nascosti dietro gli occhiali da miope, che indossava solamente quando era molto stanca.
-Non sarebbe male: ci mettiamo tutti e due qua in quarantena, così posso staccare per qualche giorno dalla preparazione della mostra. Credimi, mi sta facendo impazzire!-
-Sono sicuro che verrà fuori un lavoro bellissimo: non vedo l’ora di vederla-
L’archeologa gli sorrise con dolcezza, dandogli un altro bacetto e ringraziandolo per il supporto morale.
-Ho preparato il sugo, ti va?-
-Hai fatto benissimo, ho una fame! Ti ho portato altre due bustine di quell’infuso che ti ho dato ieri sera- continuò, indicando un sacchettino minuscolo che sventolava orgogliosamente davanti ai loro occhi.
-Oh grazie, non me l'aspettavo ... - si sforzò di mostrarsi entusiasta, desiderando di gettarle al più presto nel cestino della spazzatura.
-Andiamo in cucina, così le metto vicino ai fornelli e mi ricordo di berlo prima di dormire-
Ma lei fu irremovibile, capendo le reali intenzioni dell'uomo.
-Per quello ci sono io, non preoccuparti, Ale. Siediti, io intanto metto a bollire l’acqua-
-L’ho spenta mentre ti aspettavo: è solo da riaccendere … -
I due si diressero in cucina, dove attesero di mangiare.
-Sabato non so se riesco a venire a mangiare dalla tua amica-
-Da Anna, dici?-
Ginevra riaccese l’acqua sotto il fuoco e si risciacquò le mani nel lavello.
-Non è un problema: le ho detto che non stai bene, così abbiamo deciso di rimandare a sabato o a domenica della prossima settimana-
-D'accordo, poi vedremo. Ah, senti, le hai per caso accennato di quella cosa che ti ho detto ieri sera?-
-Di quella pista che state seguendo? Certo che no, mi hai detto di non dirle niente e io l’ho fatto- ribatté quasi risentita, mentre rigirava di tanto in tanto la pasta.
-Questo non è da te! Mi devo forse preoccupare?! Comunque credo che appena tornerò in ufficio, probabilmente dovremo parlarle-
-Come vuoi, basta che tu me lo dica, così posso avvisarla. A proposito, ti sei provato la febbre?-
-Sì, un paio di ore fa: ne avevo trentasette e tre-
-Bene, sei sulla vai di guarigione, allora!-
-Speriamo, non vedo l’ora di tornare al lavoro-
Chiacchierarono ancora per cinque minuti, mentre assaggiavano l’insalata di polpo e le verdurine sottolio spalmate sul pane che lei gli aveva comprato quella mattina, fino a quando non scolarono le penne e, 
con il sugo profumatissimo, le innaffiarono nei piatti.
Terenzi si accomododò meglio sulla sedia, lo stomaco che gli brontolava dalla fame: nonostante tutto, si sentiva felice e, per la prima volta dopo tanto tempo, riuscì a non pensare al lavoro.

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Capitolo 16
*** L'ultimo saluto ***


Lunedì 17 novembre, ore 8.30, Torino, commissariato “L’Aquila”


Dopo tre giorni di malattia, in cui aveva dovuto sopportare gli infusi speziati di Ginevra, le repliche delle repliche trasmesse in TV, l'unica nota positiva era stata rappresentata dalla conclusione della lettura del romanzo rocambolesco su un gruppo di spie francesi della Seconda guerra mondiale, finalmente Terenzi era tornato al lavoro più arzillo che mai.
Adesso la squadra si poteva considerare di nuovo al gran completo: il commissariato aveva di nuovo l’aspetto di una seria e impeccabile stazione di Polizia, e non più di un lazzaretto seicentesco.
Anche il tempo stava migliorando: aveva smesso di piovere già da due giorni, il vento si era notevolmente attenuato e quella mattina era persino spuntato un sole tiepido di fine autunno.
Appena varcata la soglia dell’ufficio, Terenzi si era tracannato il primo caffè delle macchinette dopo quasi una settimana: in dieci anni che lavorava lì, non lo aveva mai trovato più buono e galvanizzante come in quel momento, sebbene una parte del suo cervello gli suggerisse che era sempre la solita brodaglia ma, in quei precisi istanti, la soddisfazione di essere guarito da quella sordida influenza gli faceva apparire le cose sotto una luce diversa. Semplicemente migliore.
Aveva avuto anche, inutile dirlo, un’infinità di tempo per riflettere e, tutte quelle ore trascorse al chiuso in casa, lo avevano indotto a prendere una decisione che quasi lo stordiva: riguardava la sua fidanzata, aveva necessità di parlarle, sospinto da una sorta di bramosia crescente, ma doveva trovare l’occasione adatta.
E quella, decisamente, non lo era.
Perciò, gettato il bicchierino di plastica del caffè, si decise a convocare Ghirodelli e il resto dei colleghi che si stavano occupando delle indagini sul caso Appiani e su quello parallelo degli strozzini.
-Buongiorno, ragazzi. Prego, venite-
Qualche attimo dopo, il superiore indicò le sedie all’altro lato della scrivania di formica e, invitando i presenti ad accomodarsi, prese posto sulla poltrona girevole, la finestra alle spalle, mentre un timidissimo riverbero di sole mattutino cercava di invadere la stanza.
L’uomo fissò per un breve istante l’ispettore, l’aspetto finalmente in buona salute dopo il lungo raffreddore che lo aveva colpito nei giorni precedenti.
Lanciò un’occhiata soddisfatta anche al vice ispettore Rossi – magro, i capelli castani tagliati a spazzola-, il brigadiere Di Biase – con i suoi immancabili capelli scuri arruffati e gli occhi chiari-, le agenti Finotti e Maffei –praticamente gemelle, lo sguardo acquoso da cerbiatta e la chioma mora tagliata a caschetto-, quindi, la voce squillante e perfettamente normale, priva di strascichi febbrili, esordì:
-Vi ho riuniti per fare il punto della situazione sui due casi di cui ci stiamo occupando. L’ispettore Ghirodelli mi ha tenuto costantemente informato in questi giorni di assenza: so da lui che tutti voi state facendo un ottimo lavoro, per questo permettetemi di comunicarvi la mia stima e i miei più sinceri complimenti-
Terenzi scrutò i volti dei presenti: non c’è che dire, sono davvero professionali, non tradiscono un briciolo di emozione, constatò soddisfatto il poliziotto, notando in particolare i volti delle giovani agenti trentenni.
-Purtroppo- riprese il commissario, assumendo una smorfia di disappunto e agitandosi leggermente sulla poltrona –l’ispettore mi ha anche messo al corrente che le indagini ristagnano ad un punto pressoché morto. Per favore, facci un rapido riassunto, Ghirodelli-
Il collega annuì, le sopracciglia rosse aggrottate, quindi si mise sulla punta della sedia e, il busto ruotato in modo da poter vedere in faccia tutti i presenti, cominciò a spiegare più per dovizia di particolari che per reale esigenza.
-Dunque, gli appostamenti al parco della Pellerina non sono stati prorogati: il magistrato, infatti, ha ritenuto inutile la prosecuzione delle indagini in tale direzione. Allo stesso modo, Carlo Della Robbia è, da oggi, sprovvisto di scorta notturna: anche in questo caso, la Del Fiore ha ribadito che non ci sono gli estremi per continuare ad investire tempo e risorse nella protezione dell’imprenditore, a cui la decisione dovrebbe essere stata comunicata già questa mattina. Per quanto riguarda Katiuscia Ivanovna Zacharova, o Svetlana Brekovska come adesso si fa chiamare, in mano abbiamo solo la vaga e per nulla ufficializzata testimonianza della fioraia di Corso Italia, la via parallela al parco della Pellerina: la donna sostiene di aver visto la ricercata tre o quattro volte in un arco di tempo pari ad un mese circa, quando sembrerebbe che la ragazza si recasse con relativa frequenza nel negozio della signora per comprare bulbi e piante da giardino per l’appartamento che aveva appena acquistato-
-Non ha specificato se si trattasse di un attico, una mansarda, un monolocale … ?- lo interruppe Terenzi, grattandosi distrattamente il mento sporcato dalla solita barba incolta.
-Direi che non siamo stati fortunati neppure su questo fronte: la commerciante non si ricorda se abbia mai accennato al tipo di abitazione in cui si stava trasferendo Svetlana. Sono passati quasi tre mesi, commissario, e i clienti vanno e vengono: è già un miracolo che conservi un vago ricordo ... -
L’altro dovette riconoscere la veridicità delle sue affermazioni e gli intimò di continuare, aggiungendo che, se il resto della squadra aveva qualcosa da aggiungere o da precisare, poteva intervenire in qualsiasi momento.
-Venerdì pomeriggio abbiamo contattato Agnese Rampi per chiederle spiegazioni sull’assegno risalente a fine ottobre in favore del figlio: anche da questo punto di vista, purtroppo, non abbiamo ricavato nessuna informazione utile. Sembra, infatti, che il denaro sia servito per pagare la prima rata universitaria dell’anno accademico a Francesco, residente a Padova, dove frequenta il secondo anno di Biologia-
Poi, ammiccando con quel suo modo di fare irriproducibile, il poliziotto fece intuire le sue reali intenzioni al superiore:
-Quando ce lo dirà lei, capo, saremo pronti per convocarla e interrogarla nuovamente sul bonifico destinato ad Appiani. Detto per inciso, gli esami del sangue che abbiamo visionato sono tutti assolutamente nella norma e di routine: ce lo ha confermato anche il dottor Bertani-
Ghirodelli concluse la prima parte del verbale con una smorfia amara, ma subito si riprese.
Sembrava, infatti, fiducioso nel seguire questa pista, quella di pressare la signora Rampi: glielo si leggeva negli occhi neri come la pece, sfavillanti e speranzosi, e nel ticchettio ritmico delle dita sui calzoni di velluto, tipico gesto che utilizzava quando era impaziente.
-Ne parliamo più tardi. Ascolta, abbiamo novità sulla banda degli strozzini? Cosa ha deciso di fare il magistrato?-
-I due figli con le mogli hanno ottenuto gli arresti domiciliari: il magistrato è convinto che non ci sia reiterazione del reato o inquinamento delle prove, in quanto il loro ruolo nella truffa è stato relativamente marginale. Sul padre, però, pendono altre accuse più pesanti: ricettazione di gioielli rubati, riciclo di denaro sporco, circonvenzione d’incapace e molto altro; insomma, non ha propriamente una fedina penale che si possa definire pulita-
-Però c’è la nuova pista della Scientifica: Rossi, me ne vuoi parlare? So dall’ispettore che hai ricevuto tu il fax di Meliconi … - domandò retorico Terenzi.
Lui e l’ispettore si erano scambiati un’occhiata d’intesa, così Ghirodelli ne aveva approfittato per riprendere fiato.
-Sì, commissario- rispose composto il sottoposto, sbattendo le palpebre un paio di volte: era stato preso piacevolmente in contropiede, ma si era ripreso senza dare forfait.
-Il tenente Meliconi ha confermato che non sono stati rinvenuti indizi particolari in casa o nell’ufficio di Giorgio Appiani, a parte una scheggia di oro bianco, probabilmente parte di un ciondolo piuttosto prezioso, riconducibile ad esempio ad un braccialetto o a una collana. Ecco, qui c’è il referto della Scientifica … -
Il vice ispettore aprì la giacca di fustagno grigio tortora ed estrasse un foglio piegato in due, a cui era stata pinzata una fotografia con un frammento irregolare ingrandito in primo piano.
-Sei stato previdente, Rossi, bravo …-
E cominciò a leggere:



A dodici centimetri dal ritrovamento del cadavere di Appiani Uzia Giorgio, coperta da una gamba della scrivania, è stata rinvenuta una scheggia di metallo prezioso, contenente una percentuale pari al 100% di oro bianco, dalle dimensioni di 1 cm x 1 cm. E’ probabile che il suddetto ritrovamento sia un componente di un gioiello o di altro oggetto di valore non pervenuto. Dai rilievi effettuati, non sono rintracciabili impronte digitali o tracce organiche.  


-La solita dose di fortuna … - non riuscì a trattenersi dal pronunciare Terenzi, restituendo al collega il fax, e continuando impensierito:
-Questo nuovo indizio farebbe presupporre che, chi ha perso il ciondolo, possa essere stata una donna, ma nessuno degli interrogati ha fatto menzione di una compagna nella vita di Appiani. A parte ovviamente Agnese Rampi che, da quanto ci ha detto, ultimamente lei e la vittima erano legati solo da una semplice amicizia, non abbiamo altre idee su chi potesse frequentare l’imprenditore. Grazie, Rossi-
L’apostrofato annuì, accennando ad un sorriso, quindi il commissario si fece riconfermare da Ghirodelli se il funerale di Appiani, fissato per quel pomeriggio, fosse alle tre.
-L’ispettore ed io andremo a dare un’occhiata: ne approfitteremo per controllare la presenza di qualche donna di cui fino adesso non sapevamo l’esistenza. Ah, Di Biase, per domani mattina alle nove convoca la signora Rampi. Grazie, potete andare-
Terenzi si alzò dalla poltrona e, ringraziando anche con un cenno del capo i presenti, li congedò.


Ore 15.55

Il funerale era appena finito: vi aveva partecipato la Torino bene, la chiesa era gremita e Terenzi non aveva notato nulla di sospetto o di utile ai fini dell’indagine, complice la bolgia di gente che gli aveva ostruito la visuale per la maggior parte della cerimonia.
Sul sagrato della costruzione barocca, la signora Camoletti e i figli avevano passato quasi tutto il tempo a stringere mani e a baciare qualche conoscente particolarmente stretto.
Di fianco a loro, pallido, i capelli non molto folti e biondo scuro, gli occhi chiari acquosi, Carlo Della Robbia sembrava stordito e affranto ancora più del solito.
Indossava un impermeabile catrame, da cui spuntava una sciarpa a fantasia scozzese e un paio di pantaloni blu scuro.
A qualche metro di distanza, dopo la cerchia dei quattro soci di maggioranza dell’azienda, s’intravedevano il capannello di operai della fabbrica di ceramiche, una dozzina tra donne e uomini vestiti a lutto e con i volti di mezza età increduli, e la testolina di Sabrina Pellini, la trentenne e puerile segretaria del defunto.
Rispetto al loro primo incontro in commissariato, la ragazza era fasciata da un castigato tailleur nero, il giubbotto lungo e marrone fino al ginocchio lasciato aperto.
I poliziotti notarono, in disparte rispetto alla famiglia, anche Agnese Rampi, i capelli neri tagliati corti e gli occhi chiari: non immaginavo avesse il coraggio di presentarsi.
La cinquantenne, copricapo nero e pantaloni di velluto della medesima tonalità, non riusciva proprio di apparirgli come un’assassina, ma Terenzi sapeva fin troppo bene che, la maggior parte delle volte, l’apparenza inganna.
Naturalmente era al corrente che Di Biase l’aveva già contattata per presentarsi il mattino successivo, ed era quasi tentato di avvicinarsi di soppiatto, così, giusto per scambiare due parole informali, quando si sentì chiamare da dietro le spalle.
Lui e Ghirodelli si voltarono, le mani in tasca per il freddo pungente, trovandosi faccia a faccia con il braccio destro della vittima.
-Commissario, ispettore, buona sera. Vi ho intravisti prima, in chiesa, quando siamo usciti-
I due apostrofati ricambiarono il saluto, che non venne accompagnato da una formale ed educata stretta di palmi, quindi Terenzi s’informò sullo stato emotivo dell’uomo.
-Come si sente, signor Della Robbia? Ho saputo della decisione del magistrato … -
Sebbene sapesse che non era affatto colpa sua, il poliziotto non riusciva a non sentirsi in difetto per la revoca della scorta all’uomo.
-Preferirei evitare l’argomento: diciamo che mi aspettavo maggiore protezione da parte vostra, ma voglio sperare che quella donna sia lontana chilometri, che non abbia saputo della mia denuncia e che non la riveda mai più-
L’altro annuì e, cercando di cambiare argomento, gli domandò cosa ne pensasse della cerimonia appena conclusa.
-E’ stata un’ora molto triste per me- confermò, deviando lo sguardo verso l’alto e, a sua volta, infilandosi le mani nel cappotto.
-Fino a quando non ho visto Giorgio lì dentro, voglio dire nella bara, quasi speravo ancora che fosse vivo. Lo so che è stupido da dire, perché sono stato io a ritrovarlo, ma non riesco a crederci … è tutto assurdo ed ingiusto-
-Ha ragione e le prometto, ancora una volta, che faremo chiarezza sull’omicidio del suo amico. Abbia fiducia-
Terenzi gli strinse istintivamente il braccio sinistro, in un impeto di compartecipazione empatica.
-Le rubo solo qualche minuto, poi la faccio riaccompagnare a casa. Volevo chiederle una cosa: mi ricordo che lei, fin dal nostro primo incontro, ha negato la possibilità che la vittima frequentasse una donna, anzi ha ventilato addirittura l’ipotesi che l’uomo fosse ancora segretamente innamorato della moglie, però rifletta un attimo sull’eventualità che nell’ultimo periodo il signor Appiani frequentasse qualcuno-
Della Robbia tornò a concentrarsi sul suo interlocutore:
-Oltre a quella donna di cui mi avete domandato notizie, Agnese Rampi, non so dirle altro. Giorgio era molto preso dal lavoro, dall’affare che dovevamo concludere con i clienti francesi, e di questo aspetto della sua vita privata, dopo la separazione da Clelia, non ne ha mai parlato volentieri-
-D’accordo, non la disturberemo ancora-
I tre si lasciarono con una vaga e stretta di mano formale.
Poi, finalmente, dopo che la folla che gravitava attorno alla vedova e ai figli per far loro le condoglianze se ne andò, i poliziotti poterono avvicinarsi alla signora Camoletti, sempre più bionda e sempre più elegante nel suo completo di Versace griglio perla, su cui si apriva una pelliccia ecologica bianca e nera.
Nonostante la separazione formale, la donna continuava a ricoprire il ruolo di premiere dame, ruolo ipocrita che le calzava a pennello.
Terenzi lanciò un’occhiata in direzione di Anita e Gabriele Appiani: lei era la solita bellissima dea che si ricordava, i lunghi capelli ricci castani raccolti da un fermaglio e gli occhi verdi, a differenziarli da quelli color ambra del fratello.
Entrambi erano vestiti di nero, ma l’uomo non riuscì a non notare un beffeggiante fazzoletto da tasca rosso a pois bianchi.
Il galletto mi sembra meno aizzato, perlomeno rispetto all’altra volta.   
Lo lasciò perdere e si avvicinò ancora di più alla proprietaria dell’atelier di abiti nuziali.
-Buona sera, signora, volevamo rinnovarle le nostre condoglianze- esordì sinceramente, stringendole la mano e facendo lo stesso con i figli.
Anita cercò di abbozzare un sorriso, riuscendole più che altro una smorfia di dolore: si calò gli occhiali da sole sul capo, indossati per nascondere le conseguenze di un pianto recente, ed annuì mestamente.
Gabriele, invece, si limitò a ricambiare il gesto, senza troppa convinzione.
-Grazie, commissario, è stato molto gentile a venire. Avete delle novità?-
-La Scientifica ha ritrovato nell’ufficio del suo ex marito una scheggia di oro bianco, probabilmente parte di un ciondolo. Lei ha idea a chi potesse appartenere?-
Le mostrò la foto del reperto che il tenente Meliconi aveva allegato al fax.
-Sarà stato di una delle sue numerose amanti. E comunque preferirei non parlarne, la prego, almeno per oggi … -
Con la coda dell’occhio, Terenzi notò che il galletto era già pronto per difendere a spada tratta la madre, ma evitò di accettare la provocazione, e continuò:
-Ha ragione, signora, e mi perdoni per la franchezza e la circostanza, ma le devo fare ancora una domanda: lei è a conoscenza della possibilità che il suo ex marito, nell’ultimo periodo, frequentasse qualcuno?-
Gli occhi della donna si abbassarono per un momento, e sbuffò impaziente.
-No, che io sappia no. Qualche giorno fa non mi aveva parlato di una certa Adele? L’avete già scartata dalla rosa dei sospettati?-
-Si chiama Agnese Rampi, però io mi riferivo ad altre conoscenze femminili … -
-Commissario, la vuole smettere di importunare mia madre?!-
Gabriele Appiani non resistette più all’ennesima insinuazione, gridandogli di lasciarla stare, altrimenti non avrebbe esitato a denunciarlo per molestie, abuso d'ufficio e altre accuse simili.
Clelia Camoletti gli disse di stare tranquillo, che era tutto sotto controllo, e tornò a concentrarsi sui poliziotti.
-Lo sa anche lei che il mio ex marito ed io eravamo separati da cinque anni: la sua vita privata non era più una mia esclusiva, anzi, forse non lo è mai stata … -
Terenzi capì che aveva raggiunto il limite, quindi annuì remissivo.
-Certo, la capisco. Mi scusi ancora se le ho fatto questa domanda. Arrivederci-
Lui e l’ispettore le strinsero la mano, facendo lo stesso con la figlia: quando toccò al galletto, il ragazzo esitò un istante prima di ricambiare il gesto, come a sfidare i poliziotti.
Alla fine, però, cedette e, con una smorfia di disgusto, si allontanò.

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Capitolo 17
*** Il lato romantico di un poliziotto ***



Per quel giorno, Terenzi non mise più piede in centrale: lasciò Ghirodelli all’entrata del commissariato e, sgommando sulla sua Panda azzurra, fece marcia indietro.
Abbassò la visiera per proteggersi gli occhi dagli abbacinanti quanto inaspettati raggi del sole al tramonto, ritrovandosi a zigzagare nel traffico sul lungo Po, colmo di autobus, motorini guizzanti come anguille e automobili che credevano di essere sul circuito del Gran Premio di Monza.
Quando c’è bisogno dei colleghi vigili, puoi scommetterci che non ne trovi uno neppure a cercarlo con il lanternino o a pagarlo d’oro!
Già, l’oro: a chi poteva appartenere quella scheggia rinvenuta dalla Scientifica? Era stata davvero una donna ad averla perduta?
In quell’indagine, il poliziotto aveva conosciuto quattro esponenti del gentil sesso: la vedova Clelia Camoletti, la figlia di Appiani, Anita, l’ex compagna ed ormai anche ex amica dell’uomo assassinato, Agnese Rampi, e la svampita segretaria del defunto, Sabrina Pellini.
In realtà, se si contavano anche le due socie di maggioranza della fabbrica, le sospettate salivano a sei e, se proprio voleva fare la parte del genietto in matematica, non poteva escludere Svetlana Brekovska, in quel momento la ricercata Numero Uno, la misteriosa donna dal tatuaggio a forma di geco.
Il suo sesto senso da commissario, infatti, lo induceva a credere che la ragazza bielorussa avrebbe potuto aiutarli anche nella risoluzione del caso dell’imprenditore: non sapeva fornire una spiegazione razionale a questo strano impulso mentale che gli stava vorticando nel cervello, ma era una sensazione che non lo abbandonava da un paio di giorni, da quando era
ancora a commiserarsi a casa, atterrito da quella stramaledetta febbre.   
Non mi rimane che contattare l’amica di Ginevra, rifletté sconsolato,
mentre si stava avviando proprio a casa della fidanzata.
Auspicò di non doversi pentire della scelta che sarà costretto a fare, di lì a breve: temeva, infatti, che le amiche dell'archeologa fossero impiccione alla stregua della sua dolce metà, se non di più, ma ormai non poteva evitare di arrampicarsi sugli specchi, doveva semplicemente tentare il tutto per tutto.
Prima, però, faccio un salto a sentire la fiorista.
Si infilò gli auricolari sempre a portata di mano, arrotolati in una tasca del cappotto color cammello, e compose il numero di Ghirodelli, che era ancora in ufficio a sbrigare delle pratiche arretrate.
Si fece spiegare l’indirizzo esatto in cui si trovava il negozio della donna, l’unica che sembrava avesse avuto a che fare con Svetlana, per poi rigettarsi a capofitto nel traffico di fine pomeriggio.
Erano quasi le cinque e quaranta, infatti, il buio era calato da un pezzo, e Terenzi cominciava ad avvertire un certo languorino, che subito mise a tacere.
Una decina di minuti più tardi, dopo che aveva mentalmente benedetto uno dei folli automobilisti che gli aveva tagliato la strada, passando saggiamente con il rosso a ben due semafori di fila, il poliziotto aprì la porta dell’esercizio, mentre il suono di un campanello avvisava dell’entrata del nuovo cliente.
-Buonasera, avrei necessità di parlare con la proprietaria. E' lei, signora?-
Una donna sui sessant’anni, i capelli grigi tagliati corti, era seduta su di uno sgabello all’altro lato del bancone, intenta a sfogliare una rivista patinata: indossava un’ampia maglia di crinolina turchese su dei pantaloni cinerini, come si poteva intravedere dalle fessure dello scrittoio color noce.
-Sì, sono io- lo salutò cordialmente, sfoggiando un sorriso educato, per poi accomodare la catenina degli occhiali rossi sul collo.
-Sono il commissario Terenzi, molto lieto. I miei uomini sono venuti da lei qualche giorno fa, per rivolgerle delle domande a proposito di una ragazza dai capelli rossi. Si ricorda?-
-Certo, ma ho già detto tutto ai suoi colleghi … -
-Questo lo so, signora. Quello che mi interessa sapere è se lei conferma di averla già vista, se saprebbe riconoscerla ... -
La proprietaria aggrottò le sopracciglia ed assunse un’espressione poco convinta, la stessa che aveva caratterizzato il suo volto dall'inizio della conversazione con l'uomo.
-Beh, non posso dire di conoscerla, però, un paio di mesi fa, è venuta nel mio negozio: me la ricordo abbastanza bene perché aveva dei bellissimi capelli rossi e parlava con un leggero accento dell’Est Europa, qualcosa come russo, credo. Ma non sono sicura che fosse la donna della foto, perché da allora non si è più fatta vedere-
-Capisco. E quante volte è venuta da lei?-
-Almeno tre o quattro volte, di questo sono certa-
-Non le viene in mente nessun altro particolare?- la spronò l’uomo, incrociando le dita sommerse nelle tasche felpate del cappotto.
-Purtroppo no: quello che sapevo l’ho già raccontato ai suoi colleghi … -
Terenzi annuì deluso e si guardò intorno: il negozio era un locale quadrangolare non molto grande, ma dall’aspetto curato e famigliare.
La carta da parati bianca a righe rosa gli trasmetteva un senso di tranquillità, accentuato dalla sapiente miscela cromatica derivante dalla disposizione di fiori e piante, equilibratamente adagiati su delle costruzioni piramidali composte da cubi altrettanto colorati.
Al commissario sembrava di essere in un locale alla moda parigino, traboccante di atmosfera retrò e carico di ricordi nostalgici.
-Va bene. Allora se non sa dirmi altro, ne approfitterei per fare un acquisto: mi prepara un mazzo di rose rosse, per favore?-
-Quante ne vuole?-
La donna si alzò dallo sgabello, felice di potergli essere utile: aggirò con leggiadria il bancone, ritrovandosi vicino al registratore di cassa, dove cominciò ad armeggiare con gli arnesi del mestiere.
Tirò fuori un involucro di plastica trasparente, delle forbici particolarmente grandi ed una sorta di bobina su cui era arrotolato del nastro dorato:
con la coda dell’occhio, non poteva evitare di notare il leggero imbarazzo che trapelava dal nuovo arrivato.
-Non saprei… dieci potrebbero andare?-
-Di solito si regalano dispari, commissario-
-Ah, allora facciamo undici …?-
Lei sorrise compiaciuta e, quando terminò di scegliere i fiori e di incartarli, gli domandò se volesse allegare anche un bigliettino.
-Sì, un biglietto andrà benissimo- farfugliò sempre più paonazzo l'altro.
Ne scelse uno bianco e rettangolare, con la greca gialla: un po’ impacciato, la mano sinistra titubante, scribacchiò semplicemente “A Ginevra, il mio amore”.
Dopo che pagò ed uscì dal negozio, il bottino sotto braccio, si accorse che
. con un tempismo perfetto, aveva ricominciato ad alzarsi il vento: il poliziotto si sistemò meglio il bavero del cappotto e la sciarpa blu notte, per poi scivolare nel freddo della sua automobile.


Ore 18.30

Fatto trenta facciamo trentuno, proferì saggiamente Terenzi, una volta in macchina.
Così, prima di andare a casa di Ginevra, si concesse una capatina in pasticceria, per comprare la crostata di cioccolato e pere, uno dei dolci preferiti della fidanzata.
Mi sento davvero infantile: non ho mai fatto tutte queste smancerie per nessuna … ma d’altronde, come dice il proverbio, c’è sempre una prima volta.
All'improvviso, tutta la dose di coraggio di cui era certo si fosse rifornito, lasciò il posto ad un'amarezza che mai avrebbe pensato di provare: non era pronto per affrontare quel discorso con Ginevra, aveva paura di poter compiere qualche brutta figura, di apparire insicuro e sciocco.
Non posso permettermi di improvvisare, non sarebbe giusto, né per lei, né per me: verrà il momento adatto in cui parlarle, arriverà da sé, senza forzare i tempi.
Si riflesse nello specchietto retrovisore, sistemandosi i capelli scuri tagliati corti, e passandosi una mano tra i peli della barba, incolta ma curatissima.
Quando suonò al citofono, però, nessuno gli rispose: al terzo tentativo, in piedi davanti al portone del palazzo nei pressi del Valentino e con il cielo plumbeo come non lo vedeva da giorni, compose il numero di cellulare della ragazza.
-Pronto?-
-Gin, sono sotto casa. Ma dove sei?-
-Amore scusa, sono qui al museo, ma sono un po’ incasinata: lo sai, no? È per il fatto della mostra. Cavoli, aspetta che mi sta cadendo il telefono. Cosa stavo dicendo? Ah, sì, sono presa dall’allestimento e non penso che finirò prima di mezz’ora. Ma è successo qualcosa?-
-No, niente, volevo semplicemente farti una sorpresa. Allora ti aspetto qui, va bene?-
-E se mi venissi a prendere tra mezz'ora? Mi risparmieresti di aspettare l’autobus- lo supplicò, già sapendo la risposta affermativa che ne sarebbe derivata.
-D’accordo, ci vediamo dopo-


Una volta tornata a casa e passata l’euforia del momento –composta da gridolini, baci e sorrisi di giubilo- Ginevra ripose il mazzo di rose rosse in un vaso di cristallo, sopra uno dei mobili del soggiorno, con la stessa cura riservata ad una reliquia trecentesca.
Sbirciò dalla confezione di cartone la torta cioccolato e pere e, pregustando le due fette di cui già sapeva si sarebbe ingozzata, la adagiò in bellavista al centro del tavolo della cucina.
-Hai avuto proprio un pensiero carino, sai?- rincarò la dose, abbracciandolo per l’ennesima volta.
-Lo so, quando mi vengono queste idee sono a dir poco imbattibile-
Terenzi gongolava come un bambino il giorno del suo compleanno: la forza che, nemmeno un'ora prima, era convinto lo avesse definitivamente abbandonato, era tornata preponderante a tormentarlo in maniera inaspettata e piacevole.
O glielo dici adesso, oppure passerà chissà quanto altro tempo prima che trovi il coraggio per parlarle e chiarirle quello che provi
-Senti, ti va se mangiamo un paio di pizze surgelate? Sono stanchissima e non ho molta voglia di cucinare-
Ginevra che non cucinava era come il Natale senza l’albero addobbato e le luci colorate appese per la città, ovvero un autentico ed inimmaginabile sacrilegio.
-Per me va bene. Altrimenti, se vuoi, ti porto fuori a cena. Anzi, preferisci che cucini qualcosa io?-
Lei si sedette su una delle sedie bianche laccate che accerchiavano il tavolo quadrangolare della cucina, guardandolo con un’espressione mista tra la compassione e la riconoscenza.
-Mi piacerebbe, ma non ce la faccio, e la sola idea di uscire mi fa venire i brividi. E poi il frigo è quasi vuoto: se non avessi finito così tardi, sarei andata a fare la spesa, ma l’allestimento non ci lascia un attimo di tregua. A volte, mi sembra di essere uno di quegli schiavi costretti a trasportare i mattoni d’argilla per costruire le piramidi ... -
Il poliziotto fece spallucce, levando gli occhi al cielo per quei soliti paragoni egiziani, assicurandole che, per una sera, una cena a base di pizza surgelata non le avrebbe di certo rovinato la reputazione di Cuoca Più Brava Che Abbia Mai conosciuto.
Eccetto sua madre, ovviamente.
-A proposito, come stanno i tuoi?- s’informò lei, con un barlume di entusiasmo negli occhi color ambra.
La giovane archeologa, infatti, aveva un ottimo rapporto con i suoceri, due sessantenni che trascorrevano metà dell’anno a viaggiare in località esotiche e del Nord Europa: in quei mesi, ad esempio, si trovavano in Australia, poi avrebbero fatto una capatina in Nuova Zelanda e, infine, per la vigilia di Natale, sarebbero rientrati alla base, in modo da trascorrere un paio di giorni in compagnia dei due figli, Alessandro e Giulia.
-Bene, sono sempre in giro come dei vagabondi. Che dici, metto tavola?- tagliò corto lui, che non condivideva lo stile di vita che, da qualche anno a quella parte, avevano assunto i genitori.
-Vorrei invitarli, appena rientrano: è da tanto che non li vediamo-
-Ne parleremo a tempo debito, Gin. Allora? Apparecchio?-
Quando fa così, è meglio lasciarlo perdere ...
-Certo. Io intanto vado a farmi una doccia-
Una decina di minuti più tardi, Ginevra ritornò in cucina avvolta nell’accappatoio arancione che, solo qualche sera prima, aveva fatto fare la sua bella figura da pagliaccio a Terenzi, il giorno avanti che cadesse a letto, preda dell’influenza.
-Adesso mi sento quasi come nuova!-
Il commissario, nel frattempo, aveva acceso il forno, tirato fuori le pizze dal freezer, e adesso era seduto su di una sedia, intento a sfogliare un giornale di, nemmeno a dubitarne la natura, storia antica.
-Senti, ti ricordi che ti avevo chiesto che mi avrebbe fatto piacere parlare con la tua amica per quel caso che sto seguendo?- esordì con finta noncuranza, gli occhi nocciola fintamente concentrati su un articolo relativo ai Sumeri.
-Non vedevo l’ora che me lo chiedessi! Vuoi che la chiami?-
-Purtroppo, se non fosse così importante, non te lo avrei chiesto. Anzi, adesso che ci penso, è meglio se le parlo io: intanto che si riscalda il forno, passami il telefono ... -
Allungò una mano, convinto della docilità della ragazza.
-Lo so bene che mi consideri solo una ruota di scorta per i tuoi casi, però, dal momento che mi hai regalato fiori e dolce, per questa sera farò finta di niente, nemmeno della tua scarsa fiducia nelle mie doti di telefonista-
-Non volevo dire questo- cercò di farle cambiare idea, baciucchiandola su una guancia.
-Guarda che con me le smancerie non attaccano-
Lo respinse riluttante, un gesto necessario a salvare il suo onore di donna ferita.
-Intanto che metti dentro le pizze, vado a chiamare Anna. Ah, confermo la cena per sabato, va bene?- continuò la ragazza, agguantando il cordless, in carica su un ripiano della mensola.
Il malcapitato si arrese all'evidenza di non poter competere con miss Furbetta, quindi annuì.
-Sì, però dille che mi farebbe un grande favore se riuscisse a venire in commissariato domani, nel primo pomeriggio: verso le quattordici sarebbe perfetto-
-Agli ordini, capo!-
Qualche minuto più tardi, la sedicente e di nuovo allegra segretaria di Terenzi, fece il suo ingresso vittorioso in cucina.
-Fatto! Mi ha detto che domani alle due verrà da te, e che per sabato sera l’invito è ancora valido-
-Brava. A proposito, ai fini della cronaca, cosa le hai detto?- indagò sospettoso, mentre si curvava per verificare la cottura della loro cena.
-Mah, le solite cose, niente di che. Le ho semplicemente detto che stavi seguendo un caso di ricatto e… -
-Non è proprio un caso di ricatto-
-Quello che è, Ale, non fare il pignolo come al solito-
-Uhm, continua ... -
-E che forse lei potrebbe esserti d’aiuto a scovare una pericolosissima latitante… -
-Oh, Gin, ma quanto hai esagerato?!-
-Ho detto la verità, scusa! Insomma, mi fai finire oppure no? Allora, per farla breve, ha accettato e non vede l’ora di parlare con te. Ecco tutto!-
-Non ti credo molto ... - cercò di farle confessare, piantandosi davanti all'archeologa, le mani sui fianchi e l'espressione aggrottata.
-L’importante è che venga, no?-
-L’importante è che mi sappia dire qualcosa in più su questa donna misteriosa. Adesso non pensiamoci più: mangiamo, prima che quelle pizze si brucino-



Martedì 18 novembre, ore 14.00, Torino, commissariato “L’Aquila”


Agnese Rampi, che Di Biase aveva contattato il giorno prima per interrogarla nuovamente, era a letto con l'influenza, circostanza assai sospetta, dal momento che, il pomeriggio precedente, presenziava al funerale di Appiani. In compenso, l’amica di Ginevra si era rivelata puntualissima.
Una giovane poco più che trentenne, i capelli castani mossi fino alle spalle, gli occhiali da vista e un tailleur blu notte, entrò tutta sorridente nell’ufficio di Terenzi.
Ghirodelli si accomodò sulla sedia, dietro la scrivania che ospitava il computer per registrare gli interrogatori.
-Buongiorno, signorina-
-Buongiorno, commissario-
-Prego, si accomodi. Grazie per essere venuta-
-Si immagini. Allora, mi dica, cosa vuole sapere? Ginevra mi ha fatto venire una curiosità, mi ha detto che forse potrei esserle d’aiuto per risolvere un caso internazionale! E’ davvero così?-
Il poliziotto abbassò lo sguardo, reprimendo un desolante scuotimento del capo, quindi, la Bic nera tra le mani, precisò:
-Ginevra è la solita esagerata. La situazione non è esattamente quella che immagino le abbia descritto. Comunque sia, so che si è trasferita da poco nella zona del parco della Pellerina.
Se non vado errato, da un paio di settimane, è corretto?-
-Sì, infatti: per la precisione saranno tre settimane lunedì prossimo-
-Molto bene. E, in questo periodo, da quando si è trasferita, intendo, ha per caso visto o conosciuto una ragazza dell’Est Europa, con i capelli rossi lunghi fino alle spalle e un tatuaggio a forma di geco sulla spalla sinistra?-
Anna si illuminò d’immenso, confermando
con un evidente assenso le parole che avrebbe da lì a poco pronunciato .
-Si tratta di Katiuscia, non ho quasi dubbi! Voglio dire, il tatuaggio non gliel’ho mai visto, però il resto della descrizione coincide! Sa, mi ha aiutato con parte del trasloco, appena arrivata, poi non l’ho più vista-
Terenzi indirizzò un’occhiata speranzosa all’ispettore, indaffarato a battere sui tasti, quindi si accomodò meglio sulla poltrona, smettendo di giocherellare con la Bic.
-Le ha detto lei di chiamarsi Katiuscia?-
-Esatto-
-Ed era straniera?-
-Almeno così mi sembrava: parlava bene la nostra lingua, ma aveva un leggero accento quando pronunciava certe parole, per questo ho pensato fosse straniera- cercò di ricordare con precisione Anna, arricciandosi le labbra.
-Da quello che ho capito abita nel suo stesso palazzo. Me lo conferma?-
-Due piani sopra di me, all’attico: ma non la vedo da due settimane. Mi ha aiutata i primi due, tre giorni con il trasloco, poi è stata via per altrettanto tempo-
-E poi? L'ha rivista ancora?-
-Poi è venuta di nuovo a darmi una mano nel fine settimana, di domenica, dopodiché non ci siamo più incontrate-
-Non l’ha nemmeno incrociata?-
-No- spiegò categorica, con una punta di delusione nella voce.
-E non le ha detto dove sarebbe andata?-
-Purtroppo no, mi dispiace. Come le ho appena detto, in tutto l’ho vista davvero poche volte-
-Avete un portinaio nel vostro palazzo?-
-No-
-Mi può dare l’indirizzo?-
-Certamente: corso Garibaldi 36- gongolò, felice di essere utile.
-Va bene, signorina Anna, mi è stata di grande aiuto-
L’uomo si alzò e le strinse la mano, abbozzando un sorriso di riconoscenza: avrebbe voluto abbracciarla, stritolarla per la riconoscenza. Almeno, avevano una nuova pista da cui ripartire, un posto preciso da sorvegliare.
-E’ stato un piacere, commissario. Ci vediamo sabato a cena, ci conto, eh!-
Gli mosse l'indice davanti agli occhi, come a sottolineare l'importanza di quell'invito, quindi gli strinse entusiasta la mano: dopotutto, era una testimone a tutti gli effetti, chissà mai che il suo nome non sarebbe apparso sui giornali e alla televisione.
-Non vedo l’ora. Venga, l’ispettore ed io l’accompagneremo all’uscita-

 

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Capitolo 18
*** L'arpia dal cuore di pietra ***



Dopo appena due ore, Terenzi aveva ottenuto l'autorizzazione per mettere sotto sorveglianza ventiquattro ore su ventiquattro l'abitazione in corso Garibaldi 36, dove, a quanto sosteneva con piena sicurezza Anna, l'amica di Ginevra,
fino a poche settimane prima aveva vissuto Svetlana.
Il commissario organizzò immediatamente i turni di vigilanza: i primi a compiere quell'ingrato compito furono il vice ispettore Rossi e il brigadiere Di Biase, che accolsero l'incarico con stoica fierezza.
A quel punto, rimaneva da contattare Agnese Rampi, al momento l'unica vaga indiziata per l'omicidio di Giorgio Appiani Uzia: la donna non si era presentata alla convocazione del mattino precedente, adducendo come scusa un'improvvisa influenza.
Se non l'avessi vista il giorno prima al funerale della vittima, probabilmente le avrei creduto senza indugio; però, dopo il ritrovamento della scheggia di oro bianco nell'ufficio dell'imprenditore, tutto si complica ulteriormente. Per non parlare dell'inspiegabile bonifico di centocinquantamila euro che lei continua a giurare di non aver versato all'ex amante: un'infermiera poco più che cinquantenne, divorziata, costretta a vivere con quell'arpia della madre e con un unico figlio che studia lontano da casa, come ha fatto ad ottenere una tale cifra? E, soprattutto, perchè versarla alla vittima? Nessuno degli interrogati sembrava essere a conoscenza delle pessime condizioni economiche in cui versava la fabbrica di ceramiche ... eppure, un motivo ci deve essere.
Stava riflettendo tra sé e sé, la solita Bic nera tra il pollice e l'indice della mano sinistra e la schiena sprofondata nella poltrona: dov'è che aveva sbagliato? Di chi o di che cosa non si era ancora accorto in quella indagine senza fine? Forse, doveva ammetterlo, il caso degli strozzini e, soprattutto, la sparizione di Svetlana, lo avevano costretto a concentrarsi di meno sull'omicidio di Appiani, un errore madornale, che stava rischiando di lasciare a piede libero due assassini: dalla perizia del medico legale, infatti, gli esecutori materiali erano stati più di uno, di cui probabilmente almeno uno era da rintracciare tra i sospetatti del gentil sesso.
Si alzò di scatto, andando a rovistare in uno dei cassetti in cui custodiva le copie degli atti dell'indagine: estrasse una cartelletta blu, la aprì con le dita brucianti dalla curiosità, per poi recuperare ciò che gli interessava, ovvero il referto necroscopico effettuato sul corpo dell'imprenditore. 


L’omicidio di Appiani Uzia Giorgio, nato a Milano il 21 luglio 1950, si può ricondurre ad un trauma cranico che ha provocato vasta emorragia subaracnoidea (esito di profonda ferita a livello occipitale, sferrata da un corpo contundente, di cui non si è trovata traccia), la notte tra il 9 e il 10 novembre a.c., presumibilmente tra le 23 e l’una.
Inoltre, nel sangue della vittima, sono state rinvenute massicce dosi di bromazepam (dieci volte superiore al limite consentito dall’AIFA): con tutta probabilità, tale benzodiazepina è stata utilizzata per drogare l’Appiani Uzia prima di ucciderlo. Possibile che ad aver commesso il delitto siano state due persone distinte: lo proverebbero le due ferite a livello della nuca, di cui una sola è quella che ha determinato il decesso. In attesa di esito esami tossicologici. Non è stato possibile risalire alla causa del foro sull’avambraccio destro, a livello della piega del gomito.

Gli esami tossicologici erano arrivati il giorno avanti: l'uomo, prima di morire, non aveva assunto alcuna droga o bevanda alcolica, e il microscopico foro rinvenuto sull'arto superiore era da ricondurre ad un banale prelievo ematico, i cui risultati rispecchiavano la salute di ferro del morto.
Ripensando alle parole del dottor Bertani circa la diversa angolazione dei colpi inferti sulla nuca di Appiani, Terenzi si ricordava anche che l'esperto gli aveva suggerito l'eventualità che, almeno uno degli assassini, fosse una donna, data l'altezza approssimativa da cui era stata assestata la ferita.
E se fosse stato un uomo? Gabriele Appiani sarà alto almeno uno e ottantacinque, mentre Carlo Della Robbia all'incirca un metro e ottanta: sono gli unici due indiziati di sesso maschile, ma le loro stature non coinciderebbero con quella della persona che ha vibrato il colpo... tuttavia, questo non vuol dire che non possano essere stati loro ad aver ucciso l'imprenditore: potrebbero essersi messi in ginocchio, oppure avrebbero potuto piegarsi per raccogliere qualcosa, come la scheggia d'oro bianco, o magari per qualche altro assurdo motivo che ancora ignoriamo, ed ecco spiegata l'altezza riconducibile ad una donna ... Ma non devo dimenticarmi che quell'insopportabile del figlio era a Milano, ed è stato avvisato telefonicamente dalla madre solamente il pomeriggio successivo l'omicidio ...
Richiuse la cartelletta con il referto autoptico, ritornando a spremersi le meningi: perchè drogare la vittima, prima di ucciderla? Certo, l'imprenditore era un uomo dalla corporatura atletica, non si sarebbe lasciato sopraffarre con estrema facilità. Agnese Rampi, essendo un'infermiera, ha ammesso di conoscere il farmaco con cui l'uomo è stato drogato: è l'unica che avrebbe potuto accedere tranquillamente a quella ingente quantità senza rischiare di venire scoperta, l'unica a conoscerne gli effetti collaterali se assunta in dosi elevate. Eppure, quando l'ho interrogata, mi è sembrata sincera ed addolorata ...
Se almeno ci fossero state delle semplicissime telecamere di videosorveglianza! Perchè la zona in cui si ergeva la fabbrica di ceramiche doveva essere così isolata?! Perchè quella notte di quasi dieci giorni prima, nessun cittadino coscienzioso era passato di lì, magari portando a passeggio il proprio amico a quattrozampe?! Perchè nessuna cella telefonica era stata agganciata nel perimetro incriminato e nel lasso di tempo presunto in cui era stato compiuto l'omicidio?!
Terenzi si abbandonò sulla scrivania di formica, le mani a sorreggere la testa: maledisse l'influenza che lo aveva colpito, che gli aveva impedito di venire in ufficio e continuare a lavorare instancabilmente.
Se non mi fossi ammalato, forse avremmo già arrestato gli assassini ... quarantotto ore buttate al vento, perse senza poter fare nulla per recuperarle!
A bloccare quelle inutili recriminazioni e sensi di colpa, ci pensò lo squillo del telefono.
Il commissario fissò l'apparecchio con sguardo vacuo, indeciso se rispondere: poi, al settimo squillo, irritato dal suono acuto, alzò la cornetta.
-Uè, Alessà, come stai? Che fai, ti disturbo?-
-Ciao Franco, figurati. Dimmi pure ... -
Terenzi levò gli occhi al soffitto, passandosi disperato una mano sulla barba incolta: ci voleva anche il collega napoletano a complicargli la giornata e, soprattutto, a spaccargli il timpano con quella voce di almeno tre tonalità più alte rispetto al normale.
-Oh bene. Dunque, ho appena chiamato la questora per un caso che stiamo seguendo, e indovina che mi disse?-
-Beh, non saprei ... -
-Vabbò, dai, te lo dico io! Mi ha riferito che tu e la tua squadra avete scovato il nascondiglio della guagliona! E che forse, dico forse eh, siete sulla buona strada per acciuffarla!-
-Sì, in realtà non è andata proprio così. Qualche giorno fa, i miei ragazzi hanno parlato con una fiorista che ha il negozio nella via parallela al parco della Pellerina: la donna ha confermato che,
il mese scorso, ha servito una ragazza che le assomigliava, ma non è sicura fosse lei-
-E che è? Sarebbe questa la pista?-
s'informò con una punta di delusione l'Orco di Pollicino.
-No, certo che non è questa. Oggi pomeriggio abbiamo ascoltato una testimone, una vicina di casa della ricercata che ha avuto a che fare con la ragazza tre o quattro volte, all'incirca tre settimane fa. Da allora, a sentire la teste, si sono perse le tracce, ma è di fatto certa che la donna nella foto e quella che l'ha aiutata nel trasloco siano la stessa persona. Purtroppo, non abbiamo alcuna pista effettiva da seguire, se non l'indirizzo dell'appartamento in cui sembra che Svetlana abbia vissuto fino al momento della sua scomparsa-
-E lo chiami poco, Alessà?! Sono sicuro che la troverete presto assai, fidati del mio intuito partenopeo! Ah, anche se la bella questora ci ha revocato l'incarico di sorveglianza, conta comunque su di me! Io, gli amici, nel momento del bisogno non li dimentico!-
Terenzi represse una risata: come accidenti parlava quell'uomo? Sembrava sempre di essere stati catapultati in un film melodrammatico! Mancava solo una musichetta strappalacrime e l'atmosfera ricreata era perfetta!
-Certo, Franco, so bene che di te posso fidarmi. Ora scusami ma devo lasciarti: se ho delle novità, te le comunicherò-
-Vabbò, Alessà, stammi bene. Ah, mi occuperò personalmente di mettere alle strette il boss della bisca: vedrai che, in men che non si dica, lo farò parlare, e ci dirà dove si nasconde la sua pupilla. Parola di partenopeo, Alessà!-
Il commissariò riagganciò con un sorriso sulle labbra: almeno il collega era riuscito a risollevargli il morale, infondendogli nuova sicurezza nelle sue capacità investigative.
Per prima cosa, avrebbe contattato personalmente Agnese Rampi, in modo da capire il reale motivo che le aveva impedito di presentarsi all'interrogatorio del mattino precedente: il brigadiere Di Biase le aveva telefonate su suggerimento di Terenzi il giorno stesso del funerale di Appiani, rassicurandola che il colloquio sarebbe stato condotto come un semplice ed informale scambio di battute.
Tuttavia, questo escamotage non completamente falso, non era riuscito a far cambiare idea alla sospettata.
L'uomo decise perciò di contattarla: compose il numero di cellulare dall'apparecchio dell'ufficio, ma gli squilli risuonavano a vuoto.
Riprovò un'altra volta, sempre fino alla voce automatica ed irritante della segreteria che lo avvisava che l'utente da lui chiamato era al momento irraggiungibile, invitandolo a riprovare più tardi.
Sbuffò contrariato: cos'altro avrebbe potuto fare? Si alzò dalla poltrona e si diresse alla finestra.
Il tempo al di là dei vetri era abbastanza invitante da spingerlo ad uscire: non c'era nemmeno un raggio di sole, ma il cielo grigio era calmo, privo di nembi minacciosi.
Scostò le tendine ed aprì quel tanto che bastava gli infissi: l'aria era tuttosommato gradevole, e le raffiche di vente si erano assopite da ore, ormai.
Poi, un pensiero gli attraversò la mente, come un arcobaleno dopo un forte e violento temporale estivo: a dir la verità, l'appiglio a cui voleva aggrapparsi aveva più le fattezze di un incubo ad occhi aperti, ma tanto valeva provare.
Rovistò nei cassetti e guardò in mezzo al taccuino che portava sempre con sè, sperando inconsciamente di non trovare quello che stava cercando.
La buona -o cattiva sorte, dipendeva dai punti di vista- aveva deciso di sorridergli, per cui, dopo un'affannosa caccia al tesoro, finalmente il poliziotto brandì il foglietto su cui aveva appuntato il numero di telefono della madre di Agnese Rampi, la vecchietta ultraottantenne dall'aspetto minuto ed angelicato che, però, aveva il carattere e le intenzioni di un'arpia mitologica.
L'uomo, tremante come una foglia, ritornò sui suoi passi: si abbarbicò alla scrivania e, per infondersi coraggio, cominciò a giocherellare con la sua fedelissima Bic nera.
Lanciò un'occhiata disperata in direzione della porta, nella speranza che qualcuno lo venisse a salvare, ma invano.
Perciò, armatosi di tutto il coraggio che riuscì a scovare nel profondo dell'animo, alzò la cornetta e digitò le dieci cifre che lo separavano dall'abisso infernale.
-Buon pomeriggio, signora. Sono il commissario Terenzi, della stazione "L'Aquila". Si ricorda di me? Ci siamo visti qualche giorno fa ...-
-Ma chi? L'impostore che voleva entrare in casa mia?- commentò acidula la donna, rispondendo al decimo squillo.
-Ehm sì, più o meno. Le avevo lasciato il mio biglietto da visita e le avevo chiesto di dire a sua figlia di richiamarmi il prima possibile ... ricorda?-
-Perché continua a domandarmi se ricordo? Le ho appena detto di sì, che lei è quell'impostore che girava insieme al compare dai capelli rossi! Sono vecchia, lo so, ma non rimbambita! Comunque, cosa vuole?-
Ed ecco che il coraggio tornò a mancargli.
-Avrei di nuovo necessità di parlare con sua figlia Agnese: sarebbe così cortese da passarmela?-
-Non posso. Agnese è stata ricoverata questa mattina ...-
La voce dell'anziana era sempre squillante e sicura di sé, nonostante la notizia che aveva appena comunicato.
-Ah ... e potrei sapere per quale motivo? Voglio dire, la aspettavo ieri per un colloquio informale in commissariato, ma i miei collaboratori mi hanno riferito che ha chiamato per avvisare che era influenzata e non avrebbe potuto raggiungerci-
Terenzi sperava che, parlando come un uomo degli anni Trenta, più o meno la generazione della vecchietta, avrebbe potuto far breccia nel suo cuoricino di pietra.
-Ma se sa già tutto, perchè continua a disturbarmi? Agnese si è beccata una brutta bronchite, per questo non è potuta venire al vostro interrogatorio, altro che colloquio informale! Bene, adesso che mi ha disturbata abbastanza, la lascio. Arrivederci e a mai più a risentirci-
-Aspetti, signora! Mi dica almeno in quale ospedale è stata ricoverata! Pronto? Signora Rampi, mi sente? Signora?-
Nulla da fare: il poliziotto si ritrovò a supplicare a vuoto, sperando che l'arpia, in un impeto di compassione umana, gli stesse facendo uno scherzo.
Invece, si dovette arrendere alla brutale evidenza: la vecchietta aveva per davvero riattaccato.
Guardò sconsolato la cornetta nella sua mano sinistra, come se si trattasse di un pezzo di navicella extraterrestre, quindi la mise a posto senza troppi riguardi.
Perfetto, si disse, se vuole la guerra, che guerra sia! La troverò da solo, senza il suo aiuto! Parola di commissario!
    
 

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Capitolo 19
*** Finalmente la verità ***



Giovedì 20 novembre, ore 16. 40, commissariato “L’Aquila”, Torino


Ghirodelli entrò come una furia nell’ufficio di Terenzi, intento a scrivere un paio di SMS.
-Commissario, e’ tornata! Rossi e Berardi mi hanno appena telefonato per dirmi che Svetlana è entrata nel palazzo di corso Garibaldi 36!-
Il poliziotto si alzò dalla poltrona come un moderno Lazzaro, dimenticandosi del cellulare e delle carte da firmare che aveva accumulato sulla scrivania.
-Oh, molto bene! Una volta ogni tanto siamo fortunati anche noi: in appena due giorni si è rifatta viva! Andiamo!-
Quando arrivarono sul posto, la sirena spenta per non insospettire la ricercata, trovarono i due agenti di turno fuori dalla volante, appoggiati con finta noncuranza alle portiere anteriori di una vecchia Seicento blu.
-Da quanto tempo è arrivata?-
-Sono venti minuti, commissario- gli rispose Berardi, grattandosi distrattamente la nuca ed ammiccando in direzione dell’attico del palazzo davanti a loro.
-Era da sola?-
-Sì- continuò, precisando anche che aveva con sé un paio di valigie.
-Ci sono uscite laterali?-
-No, commissario, sono andato a controllare mentre vi aspettavamo, ma negativo- proseguì questa volta Rossi.
-Allora tu e il brigadiere rimanete qui di guardia, io e l’ispettore saliamo. Tenete gli occhi aperti, mi raccomando, e per qualsiasi necessità teniamoci in contatto con gli auricolari-
Tutti e quattro annuirono e si scambiarono un’occhiata di reciproca fiducia, mentre fiumi di adrenalina invadevano i loro corpi: finalmente, dopo giorni di inattività, finalmente qualche cosa si stava smuovendo, le acque del mar Rosso si erano aperte per lasciarli passare.
E chissà che, con un briciolo di fortuna in più, il sesto senso di Terenzi che non lo aveva abbandonato da qualche giorno a quella parte, non si rivelasse corretto, tanto che la misteriosa donna con il geco tatuato non tornasse utile anche per risolvere l’omicidio di Appiani.
-Andiamo, Ghirodelli-
Nell’androne del palazzo, per fortuna, non incontrarono nessuno: salirono le scale con circospezione, la mano sulla pistola spianata davanti a loro.
Il commissario era quasi convinto che la donna non avrebbe fatto resistenza, ma era meglio munirsi preventivamente, piuttosto che ritrovarsi impreparati e, perciò, rimanere fregati proprio sul più bello.
Quando arrivano all’attico, Terenzi ordinò sottovoce:
-Suona il campanello, ma non dire niente. Appena apre, entriamo con una scusa, d’accordo?-
-Va bene-
L’ispettore fece come gli era stato comandato e, pochi istanti dopo, la porta si aprì con naturalezza.
-Chi siete?- domandò Svetlana, un accento dell’Est Europa ad accarezzare quella voce suadente che li accolse.
Non c'erano dubbi, infatti, che si trattasse di lei: aveva gli stessi capelli lunghi e folti, di quella tonalità rossastra tanto rara e preziosa, gli stessi occhi verdi della foto segnaletica.
Il superiore si fece avanti e, nascondendo l’arma da fuoco dietro la schiena, cominciò a presentarsi.
-Buonasera, signorina, scusi il disturbo. Siamo degli amici della sua vicina di casa, la signorina Anna del piano di sotto: si ricorda, ha traslocato da poche settimane … -
-Ah sì, me lo ricordo. Ma perché avete suonato da me?-
-Vede, non ci risponde: avevamo un appuntamento con lei più di un’ora fa e siamo preoccupati perché non ci apre. Ho dimenticato il cellulare in ufficio e Francesco- spiegò seraficamente, indicando Ghirodelli –ha la batteria esaurita. Vorremmo chiederle di poterla chiamare con il suo telefono, se non le dispiace-
La ragazza li guardò storto per qualche secondo, indecisa se credergli oppure no, poi la Fortuna sembrò guidare la sua risposta affermativa.
Così, non appena aprì la porta, Terenzi e l’ispettore entrarono fulminei e richiusero la porta dietro di loro come ad impedire l’entrata di un cataclisma di enormi dimensioni.
-Ma chi siete?! Cosa state facendo? Io chiamo aiuto, chiamo polizia!-
-Non le conviene signorina Zacharova. O forse, dovrei dire Brekoska, come adesso si fa chiamare?-
-Io non vi conosco, uscite subito da casa mia!-
-Noi sì, però. Sono il commissario Terenzi e questo è il mio collega, l’ispettore Ghirodelli. Mi dispiace dirle che abbiamo arrestato il suo amante, anzi, per l’esattezza l’intera banda di strozzini è stata sgominata: mancava all’appello soltanto lei, ma direi che adesso l’abbiamo trovata e possiamo chiudere il cerchio-
Il poliziotto strinse i polsi della donna dietro la schiena, senza troppi complimenti, facendo un cenno a Ghirodelli che tira fuori le manette.
-Bene, così siamo sicuri che non può scappare. Si sieda-
Svetlana venne accompagnata fino sul divano, dove si accasciò con fare melodrammatico.
-Io non ci credo che avete arrestato Gianni! Voi siete bugiardi-
-Invece mi dispiace deluderla, signorina, ma è così! Ci deve seguire in centrale per chiarire la sua posizione-
-Non verrò da nessuna parte! Mio diritto è avere avvocato!-
-Lo avrà a tempo debito, non si preoccupi. Adesso, però, se non vuole complicare ulteriormente le cose, venga con noi. Glielo sto chiedendo con le buone, se non fosse abbastanza chiaro …-
La donna li sfidò con i suoi intensi occhi smeraldi, l’espressione atterrita e di sfida sul bel volto ovale.
Abbassò lo sguardo come per riflettere ancora qualche secondo, quindi si arrese all’evidenza dei fatti ed acconsentì a seguirli.


Una volta in commissariato, la ragazza si era calmata: non aveva parlato per l’intero tragitto e, dopo essersi divincolata un po’, alla fine si era chiusa in un mutismo praticamente difficile da scalfire.
-E’ inutile che continua a fare scena muta! Anche se lei non parla, abbiamo la testimonianza di diverse persone che le attribuiscono un ruolo di primo piano nella banda: il suo stesso Gianni ce lo ha confessato! Vuole alleggerire la sua posizione oppure no?!-
Svetlana continuava a mantenere gli occhi fissi al pavimento, come certa della falsità dei discorsi che quell’uomo, ronzante attorno a lei come un insetto fastidioso, le stava propinando.
-Non ho niente da dire-
-Su di lei pendono diversi capi d’accusa: estorsione, gioco illegale, esercizio della prostituzione, immigrazione clandestina… -
-No! Io non sono immigrata clandestina, io ho permesso di soggiorno!-
-Una volta, ma adesso non più: da quanto ci risulta, è stata espulsa per ben due volte e tre mesi fa è anche stata fermata per falsificazione di documenti! Vuole per caso negare anche questo?-
La ragazza ritornò a chiudersi nel suo mutismo, senza degnare nemmeno di un’occhiata il foglio che il poliziotto sventolava davanti a lei: Terenzi guardò Ghirodelli che stava scrivendo a computer il verbale, o forse sarebbe stato meglio dire quello che aveva tutta l’aria di essere un monologo del commissario.
-Allora che cos’hai da dire in tua difesa?- passò a darle del tu, per cercare di farla sentire a proprio agio.
-Lo capisci che se non collabori rischierai di passare il resto della tua vita in carcere?! Sei giovane, non puoi desiderare una cosa simile!-
-Mi manderete in Bielorussia?-
-Non lo so ancora: teoricamente sì, visto che sei già stata espulsa, ma farò in modo che non accada, a patto che tu collabori. Se accetterai, ti prometto che parlerò personalmente con il magistrato: hai la mia parola-
-E Gianni? Cos’ha detto di me?-
-Quando gli abbiamo chiesto dove avresti potuto nasconderti, lui ha detto di non saperlo, che però eri stata da lui fino a una settimana fa, fino a quando sei ritornata nel tuo paese. E’ la verità?-
Terenzi aveva appreso quelle informazioni dal suo amico e collega Franco, l’Orco di Pollicino partenopeo, che lo aveva chiamato il giorno prima.
-No! Lui un bugiardo, lui mi ha detto di andare in altro suo appartamento, perché poi saremo fuggiti insieme per un posto lontano! Lui non mi ha protetta!-
-Appena gli abbiamo domandato di te, non ha esitato a dirci questa che tu ritieni una bugia-
-Maledetto bastardo! Allora anch’io dico una cosa di lui! Ha ucciso un uomo!-
Il commissario e l’ispettore si guardarono, levando la testa di scatto e malcelando la curiosità che le loro orecchie bramavano di sentire.
-Cosa stai dicendo? Ti rendi conto delle accuse che stai formulando? Quando è successo? Tu sai chi era quest’uomo?-
-Sì, io so tutto. Si chiamava Giorgio, è morto l’altra domenica, quasi due settimane fa, qui a Torino. Io c’ero, io ho aspettato in macchina- rispose decisa Svetlana, senza alcuna titubanza nella voce suadente e solo in parte isterica.
-Sai anche il cognome della vittima?- Terenzi cominciò a nutrire il terribile presentimento di conoscere già il resto della storia, ma non voleva affrettare i tempi.
-No, so solo che si chiamava Giorgio. Era bell’uomo, alto, con occhiali ma senza capelli, bel sorriso e molto simpatico-
-In che rapporti eri con lui?-
-Io ero sua amica: ci siamo baciati qualche volta, ma lui vero gentiluomo, lui non voleva fare altro. Veniva al club a giocare-
-Giocava? Ne sei sicura?-
-Sì, è venuto per prima volta un anno fa. Era venuto a pagare debito di un amico, poi ha cominciato anche lui e negli ultimi mesi ha iniziato a perdere molti soldi-
-Quanti?- incalzò il commissario, controllando che l’ineccepibile Ghirodelli continuasse a prendere appunti.
-Non so bene, non ricordo con esattezza. Credo duecentomila o trecentomila euro-
-Gianni lo ha ucciso perché non voleva pagare?-
La ragazza rimase in silenzio per pochi secondi, mordendosi le labbra e annuendo.
-Sì, credo di sì-
-E tu sei sempre stata in macchina? Non sei mai scesa?-
-No, faceva freddo quella notte, c’era tanto vento e io non volevo vedere Gianni che uccideva Giorgio. Lui era brava persona, ma non pagava, quindi da una parte giusto che lui morto, almeno diceva Gianni-
-Avevate un appuntamento con lui?-
-Sì, Gianni convinto Giorgio per parlare dei soldi che lui non voleva dare: era convinto che l’avrebbe convinto a restituire tutto denaro perso-
Terenzi andò a sedersi sul bordo della scrivania, e la fissò negli occhi:
-Sei mancina?-
-Cosa vuol dire mancina?- domandò l’altra, innocentemente.
-Con quale mano scrivi? Destra o sinistra?-
-Destra-
-Hai una collana con un ciondolo d’oro e d’argento?-
-Sì, io ho diverse collane, ma tu come fai a saperlo?-
-Ne hai persa qualcuna durante queste settimana?-
-No, nessuna. E poi io preferisco oro ad argento, più prezioso. Ma forse se voi collana ritrovata da Giorgio io so chi può averla persa-
Terenzi e Ghirodelli si guardarono di nuovo: quella giovane era più precisa dei loro archivi digitalizzati, più completa di un elenco telefonico, più utile della Sibilla Cumana.
-Chi è?-
-Una donna: alta, magra, con un bel cappotto nero e con… come si chiama capelli tutti rotondi in testa?-
-Chignon?-
-Eh sì, chignon! Quando io e Gianni arrivati davanti alla fabbrica di Giorgio, lei usciva veloce e scappata su una  macchina molto bella-
-Ti ricordi il modello della macchina?-
-Era blu o nera: era scuro, perché undici di sera, io non ho visto bene. Però era costosa-
-Mi sai dire se era giovane?-
-Non lo so, ho appena detto che era buio. E poi, c’erano solo due lampade, no, come si dice? lampioni, perché uno rotto, ma abbastanza luce da vedere che lei correva disperata: non era vecchia ma nemmeno giovane, però non sono sicura dell’età-
-Quando Gianni ti ha raggiunto in macchina che ore erano?-
-Passato poco tempo, venti minuti, forse meno-
-Aveva con sé un cestino della spazzatura?-
-Un cestino?! No! Che cosa stai dicendo?-
Terenzi scese dal suo angolino e fece il giro della scrivania di formica, andando a sedersi sulla solita poltrona bordeaux.
-La tua posizione non è che si alleggerisca di molto, te ne rendi conto?-
-Ma tu hai detto che se io parlavo non andavo nel mio Paese! Lì io fame e non ho nessuno-
-Sì, è vero, però sei stata complice del tuo amante: avresti potuto venire prima a denunciare, di tua spontanea volontà. Comunque, sei stata precisa e, spero, veritiera nel raccontarmi l’omicidio- le concesse il poliziotto, unendo le mani a triangolo.
-Io però non ho ucciso Giorgio, dillo al magistrato!-
-Ti credo, ma è anche vero che, se la tua versione dei fatti verrà confermata, non hai mosso un dito per fermare l’assassino. Tuttavia, la tua deposizione è stata molto importante: finalmente sappiamo chi l’ha ucciso e, come promesso, ne terrò conto quanto parlerò con il giudice. Ora ti faccio accompagnare: se vuoi, puoi chiamare il tuo avvocato-
Quando la ragazza uscì per essere portata nella cella di sicurezza, Terenzi si avvicinò all’ispettore, che nel frattempo si era alzato dalla sedia dove aveva battuto a macchina.
Spense il registratore e attese che il superiore formulasse i suoi più che leciti dubbi.
-Ho un brutto presentimento, sai? Ho paura che la donna che ha perso il ciondolo e quella che ha visto andare via Svetlana sia la vedova di Appiani-
-Cosa glielo fa pensare?-
-Per prima cosa la macchina: l’ultima volta che sono andata a casa sua, siamo scesi insieme e lei, per andare all’atelier, è salita su una macchina blu scuro, una Mercedes Benz. Poi ci sono anche i particolari dei capelli e dell’impermeabile scuro, che le ho sempre visto indossare, funerale compreso. L’unica cosa che non mi convince, è la possibilità esposta dal dottor Bertani riguardo l’angolazione del colpo inferto alla vittima: secondo il medico legale, è stata una persona mancina, ma quando ha firmato la deposizione in commissariato e qualche giorno dopo le ho chiesto di scrivermi su un biglietto i suoi dati, lei ha usato senza alcuna titubanza la mano destra-
-Potrebbe essere stata una mossa giocata d’anticipo. Quello che mi domando io, capo, è chi ha drogato Appiani? La misteriosa donna che ha perso il ciondolo o l’amante di Svetlana? Perché, in questo caso, i tempi non coinciderebbero con il racconto della ragazza, che sostiene che il suo amante si è assentato meno di venti minuti e gli effetti del bromazepam non si instaurano in così brevi minuti-
Il commissario si passò una mano sulla barba incolta, indeciso a chi e a cosa credere.
-L’unico modo per sapere la verità è convocarla-


Alle sei e mezza, Clelia Camoletti si presentò nell’ufficio di Terenzi con un’aria piuttosto seccata.
Indossava un grazioso cappottino grigio tortora, sotto cui si celava una blusa rosa antico e un paio di pantaloni beige su dei tacchi neri.
-Buonasera, signora, scusi se l’abbiamo fatta chiamare a quest’ora, ma ci sono delle novità-
-Non ho molto tempo, commissario. Mio figlio domani riparte per Milano, e vorrei approfittarne per stare qualche ora con lui. Cos’è successo?-
-Sappiamo chi ha ucciso il suo ex marito-
Il volto della donna si rasserena, non dopo che un lampo di sbigottimento attraversò i suoi occhi verdi.
-Ah, bene. E chi sarebbe?-
-Un uomo, uno strozzino che possiede un club di gioco d’azzardo qui in città. Lo ha ucciso perché non pagava i debiti: le risulta?-
-Non sapevo che giocasse- continuò asciutta, la borsetta firmata stretta sulle ginocchia.
-Si ricorda che, durante il nostro penultimo incontro, le ho detto che uno degli assassini era molto probabilmente una donna?-
-Sì, me lo ricordo. Avete ritrovato anche un ciondolo, se non sbaglio-
-Infatti. Lei è mancina?-
-Non vedo che cosa possa c’entrare con l’omicidio del mio ex marito, tanto più che sa già la risposta-
-Se si riferisce a quella scena a casa sua, in cui ha firmato usando la mano opposta, la prego di rispondermi con assoluta sincerità, signora-
Clelia Camoletti lo sfidò con lo sguardo, lo stesso che aveva visto tante volte negli occhi di Gabriele, il galletto primogenito di Appiani.
-Sono mancina. E allora? Anzi, per meglio dire sono destrimana, non ho alcun problema ad usare l’una o l’altra mano-
-Molto bene, la ringrazio della sua sincerità, perché vede, la donna che ha aggredito il signor Appiani era proprio mancina e, ad essere schietti, credo che quella donna sia lei-
-Ma come si permette?! Queste sono pure illazioni, commissario! Mi stupisco che possa pensare che sia andata in questo modo! Io non l’ho ucciso, non ho fatto niente, niente!-
-Quante automobili possiede?-
-Cosa?!- continuò sbalordita, cercando conforto inutilmente nella persona di Ghirodelli.
-Mi risponda-
-Una, quella che ha visto l’altro giorno quando è venuto a casa mia-
-Senta signora, mi dica la verità. Lo faccia per lei e per i suoi figli. Ci racconti come è andata quella notte. E’ stata lei a versare i centocinquantamila euro sul conto corrente del suo ex marito, vero?-
La donna abbassa lo sguardo, stringe le mani in due pugni, poi sospira.
-Allora? Sto aspettando che prosegua … -
-Sì, sono stata io-
-Perché?-
Qualche istante di silenzio, le mani tremolanti attorno alla borsetta di marca, lo sguardo perso in un punto indefinito del pavimento.
-Nell’ultimo mese ci eravamo riavvicinati. O meglio, era lui che si era riavvicinato a me. All’inizio credevo che mi stesse prendendo in giro, poi ho ceduto, perché continuavo ad essere innamorata di mio marito. Abbiamo ripreso ad uscire, a frequentarci, ma di nascosto, perché io non volevo. Un giorno mi ha detto che la fabbrica aveva un grosso debito, che gli affari non andavano bene: era disperato, mi ha fatto pena, anche se una parte di me diceva di non credergli, che mi stava solo usando. Così, ho fatto quel bonifico con il nome di quella donna, l’ho trovato per caso una sera, sfogliando la sua agenda che aveva lasciato sul tavolo: credevo fosse la sua amante e volevo vendicarmi, farli litigare ... - un lieve sorriso increspò le labbra della donna, ripensando a quei giorni lontani.
-Come ha fatto a farsi passare per Agnese Rampi?-
La malcapitata, nonostante tutte le prove a suo sfavore, era davvero ricoverata in ospedale, a causa di una brutta bronchite.
-Ho trovato un assegno di Francesco, il figlio di quella donna, tra i libri di mia figlia Anita. Per una coincidenza, ho scoperto che entrambi studiavano a Padova, anzi, per essere sinceri, anche Anita, prima di riprendere con il conservatorio, si era dedicata alla Biologia. E’ lì che aveva conosciuto quel ragazzo, che aveva rivisto qualche mese fa. Si erano scambiati dei libri e, per caso, lui aveva dimenticato l’assegno per la prima rata del semestre proprio in quel volume, così ne ho approfittato: con della carta carbone, ho ricopiato la firma su un assegno in bianco e, per eliminare qualsiasi traccia che potesse unire me al mio ex marito, ho deciso di far passare Agnese Rampi come la generosa benefattrice.
Su un sito di social network, ho potuto constatare che entrambe ci assomigliavamo sufficientemente fisicamente, così, grazie all’assegno emesso dalla banca che Francesco aveva lasciato in quel libro, mi sono fatta passare per lei, e la cosa ha funzionato.
Ma non volevo metterla in cattiva luce, commissario, ho fatto tutto questo perché mi vergognavo di far sapere che non avevo smesso di amarlo-
-Poi, cosa è successo, signora?-
-Una decina di giorni fa, mentre lo aspettavo nel suo ufficio, quando la fabbrica era ormai chiusa, ho sentito che parlava nell’altra stanza con qualcuno. Era al telefono, e diceva che tutti quei soldi non li aveva ancora, che era riuscito a racimolare solo la metà della somma, grazie ad una vecchia signora che glieli aveva lasciati in eredità. Quello stupido non si era nemmeno accorto di chi gli aveva fatto il bonifico, a lui interessavano solamente i soldi-
Scosse il capo amareggiata, quindi aprì la borsetta per prelevare un fazzolettino di carta con cui si soffiò il naso.
-E’ stato a quel punto che ho aperto gli occhi, che ho capito di essere stata per l’ennesima volta una stupida, una stupida che era cascata di nuovo nella sua rete di ammaliatore. Ho fatto finta di niente, fino a quella notte di domenica. Lui mi aveva dato appuntamento per cenare insieme e poi mi ha riaccompagnato a casa. Poco dopo sono tornata in fabbrica, perché in quella conversazione che avevo origliato qualche giorno prima, sapevo che quella sera avrebbe dovuto incontrare una persona, probabilmente la stessa con cui aveva parlato al telefono. Alle dieci e mezza sono entrata nel suo ufficio senza difficoltà, perché possedevo le chiavi che gli avevo sottratto facendone una copia: era agitatissimo, stupito del fatto che mi trovassi lì e, come ai vecchi tempi, mi trattò di nuovo male, come una pezza da piedi. Gli ho chiesto spiegazioni sui soldi che avevo versato, sputandogli in faccia tutta la verità, ma lui ha detto che non aveva tempo, che ne avremo riparlato: mi ha messo alla porta e io non ci ho visto più: l’ho colpito forte al collo, con il fermacarte che c’era sul tavolo e me ne sono andata. Però era vivo, perché sentivo che urlava il mio nome, ma io non sono tornata indietro. Non mi interessava più nulla di lui-
-E il bromazepam con cui è stato drogato? Non è stata lei a versarglielo?-
L’altra negò con forza.
-Negli ultimi mesi aveva attacchi di panico, almeno è quello che mi aveva confessato, e aveva cominciato ad assumere quei sedativi. Glieli avevo consigliati io, perché sono gli stessi che uso quando ho i miei soliti attacchi insopportabili di emicrania-
-E il fermacarte che ha utilizzato? Dove lo ha buttato?-
-In un bidone della spazzatura, lungo la strada di ritorno-
-Quando è entrata nell’ufficio, ha visto se c’era un cestino per i rifiuti con dentro dei fogli bianchi?-
-Si riferisce a quella specie di inusuale cassaforte? No, non l’ho visto. Però, qualche giorno prima, sono quasi certa di non averlo notato: anche quando eravamo sposati, aveva quella sciocca abitudine di nascondere le sue impressioni con l’inchiostro simpatico. Sono quasi certa che si sia disfatto di tutto, sia del cestino che dei documenti, perché una delle ultime volte che sono andata da lui, ho visto  che stava distruggendo
dei fogli bianchi nel tritacarte-
Terenzi sospirò e attese qualche istante prima di domandarle:
-Perché quando ha saputo della morte del suo ex marito ha fatto tutta quella sceneggiata? Perché non mi ha subito detto che lei quella notte era lì?-

-Non ho fatto nessuna sceneggiata. Io lo odiavo davvero, commissario, l’ho capito quella notte. E poi, cosa avrei dovuto dirle? Che lo avevo colpito? Non sapevo nemmeno se l’avevo ucciso, anche se quando me ne sono andata era ancora vivo, glielo ripeto-
-Dovrebbe ringraziarlo, sa? E’ merito suo, anche se involontariamente, che lei è ancora viva. Se non l’avesse mandata via quella notte, probabilmente quell’uomo avrebbe ucciso anche lei-
La donna si passò una mano sulla fronte, incredula e, allo stesso tempo, in una sorta di catalessi.
-Mi arresterete?-
-Su di lei pendono l’accusa di aggressione, omissione di soccorso e falsa testimonianza, ma visto che ha la fedina penale pulita, credo che il giudice ne terrà conto. Per il momento, la dovrò trattenere: è suo diritto contattare il suo avvocato-
-Posso almeno avvisare i miei figli?-
L'altro annuì, comprensivo.


Anche questo caso è chiuso, pensò amaramente Terenzi, una volta a casa.
Era stravaccato sul divano, la televisione accesa e Miss Marple sonnolente nel suo letargo.
Appena uscito dal commissariato, era andato da Carlo Della Robbia, per dirgli che finalmente era di nuovo un uomo libero, oltre che per raccontargli l’intera vicenda dell’omicidio dell’amico.
Lui era rimasto molto colpito, non riusciva a credere che l’ex moglie si fosse comportata così, mentendo anche alla Polizia, però si era reso conto che persino l’integerrimo Giorgio Appiani aveva i suoi scheletri nell'armadio: aveva fatto la bella figura di paladino della giustizia per più di un anno, mentre in realtà anche la vittima si era ridotta a giocare e a perdere una somma talmente alta da rischiare di far chiudere la fabbrica di ceramiche e di far perdere il lavoro a tante persone innocenti.
La metà del debito era ancora da saldare, però: entro fine anno, Della Robbia avrebbe versato i cinquantamila euro che gli aveva prestato l’amico, ma ancora mancavano duecentocinquantamila euro all'estinguersi del debito che, il poliziotto era certo, avrebbe rimesso di tasca propria l'amato Gianni di Svetlana.
E le sorti della fabbrica sarebbero dipese anche da quello che avrebbero voluto fare Anita e Gabriele Appiani, se continuare a gestire l'impresa in famiglia oppure passare la mano.
Per il resto della serata, il commissario decise di dimenticare le indagini e di concentrarsi su quel film che era appena cominciato, addormentandosi rilassato come non gli capitava da giorni.


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Capitolo 20
*** Proposta indecente ... in macchina ***




Sabato 22 novembre, ore 18.30

Terenzi era appena uscito dalla questura, dove si era tenuta la conferenza stampa a conclusione del caso sull'omicidio Appiani e, di conseguenza, su quello della banda di strozzini che imperversava in città.
Aveva sopportato stoicamente quelle due ore che lo avevano visto protagonista indiscusso sul ring dei botta e risposta dei giornalisti, il fedele Ghirodelli di fianco a lui.
Il commissario aveva insistito perchè ci fosse anche il resto della squadra che aveva partecipato all'esito favorevole delle indagini: il vice ispettore Rossi, il brigadiere Di Biase, le agenti Finotti e Maffei.
Dalle strette finestre sigillate dell'Aula Magna, in quei rarissimi momenti di tregua, Terenzi ne aveva approfittato per scrutare le grosse e pesanti gocce di pioggia sbattere insistentemente sulle vetrate.
A volte, l'attenzione calava, a causa delle monotone e insistenti domande dei vari rappresentanti della carta stampata, e il poliziotto faceva quasi fatica a concentrarsi nuovamente, complice l'amarezza che quel caso gli aveva lasciato.
Dottor Terenzi, la signora Camoletti otterrà gli arresti domiciliari? Vice questore, quali saranno i reati che le contesterete? Omissione di soccorso? Aggressione?
Mi scusi, ma come vi spiegate la massiccia dose di Lexotan emersa dalle analisi tossicologiche? Quindi una cura per gli attacchi d'ansia di cui soffriva la vittima? Interessante ...
Commissario, rimpatrierete Svetlana? E che cosa ne pensa della versione fornita dalla ragazza? Crede sia attendibile?
Ah, dottore, come si è difeso Gianni Moretti dalle accuse della sua giovane amante?
Ancora una domanda, vice questore, gli eredi dell'imprenditore accetteranno di reggere le redini dell'azienda paterna oppure lasceranno in favore di Carlo Della Robbia?

Terenzi e Ghirodelli risposero con puntigliosità e il più cordialmente possibile: il ritrovamento del ciondolo sulla scena del delitto non era stato reso noto, un modo per tutelare la vedova, che già era stata presa sufficientemente di mira dall'ex marito, così come avevano deciso di non divulgare la notizia della sparizione del cestino nell'ufficio della vittima, quel misterioso contenitore custode dei segreti più reconditi di Appiani.
Dopotutto, Clelia Camoletti era apparsa sincera riguardo la spiegazione che aveva fornito due giorni prima, ovvero sulla certezza che la bizzarra cassaforte dell'assassinato era sparita già da settimane, insieme ai documenti che essa custodiva mediante l'inchiostro simpatico.
L'unica soddisfazione in tutta questa storia, si ritrovò a riflettere Terenzi, è che non mi ero sbagliato nè su Della Robbia e nemmeno su Agnese Rampi.
La donna, infatti, si trovava ancora ricoverata in Pneumologia, per colpa di una complicata bronchite: quell'arpia senza cuore della madre non gli aveva mentito.
All'uscita dalla questura, il poliziotto scrollò le spalle avvolte nel pesante cappotto marrone foderato all'interno e infilò le mani nelle tasche.
Scrutò con malfidenza l'immenso e nerastro cielo sopra di lui, alla ricerca di un minimo segnale che lo avvisasse delle condizioni metereologiche che, prima o poi, si augurava sarebbero migliorate.
Aprì l'ombrello di un rosso tenue, in modo da ripararsi per quei pochi metri che lo dividevano dalla Panda.
Salutò con una pacca su una spalla l'ispettore, ripromettendosi mentalmente che lo avrebbe nuovamente segnalato per una promozione, accomiatandosi con un cenno del capo dal resto della squadra, pronta a disperdersi.
Poi, finalmente, il collo teso e lo stomaco in subbuglio, salì in macchina: accese il motore e sfrecciò fino a casa, in attesa della serata che lo avrebbe aspettato.
 

Ginevra e Terenzi avevano appena concluso una piacevole e divertente serata in compagnia di Anna, l'amica della giovane archeologa, convinta di aver personalmente risolto il caso su cui il commissario stava indagando da mesi e mesi.
Era quasi mezzanotte ed entrambi i piccioncini sbadigliavano che era una meraviglia.
-Per fortuna che domani è domenica e non devo andare al museo ad allestire quella strabenedetta mostra!! Non vedo l'ora che arrivi la prossima settimana, così tutto questo finirà!-
La fuoriserie dell'uomo stava sfrecciando a gran velocità verso il parco del Valentino, nei pressi del quale abitava la fidanzata.
La pioggia cadeva in gocce timide e assotigliate, quasi invisibili: il commissario azionò il tergicristalli al minimo livello, solamente per fare qualcosa.
Era, infatti, piuttosto nervoso: Morfeo stava facendo di tutto per indurlo a desistere, premendo con forza sulle sue palpebre, però non poteva e non voleva cedere.
Accostò con uno stridore di gomme al primo marciapiede libero, facendo sobbalzare Ginevra.
-Ale, ma che ti prende?! Eppure non hai bevuto quasi nulla! Io, invece, ho gradito parecchio quel Moscato che Anna ha aperto con il dolce: era squisito, fresco e pieno di bollicine ... - ricordò sorridendo furbescamente.
Lui deglutì con una punta di imbarazzo, sperando che la ragazza fosse abbastanza sobria da capire quello che le stava per dire.
-Gin, ascolta, devo parlarti-
-Oh no, ti prego, a quest'ora no!-
L'archeologa sottolineò il suo disappunto brandendo un indice a mo' di rimprovero: contemporaneamente, come se non bastasse, cominciò a singhiozzare e a ridere, due tipici segnali che testimoniavano il suo essere irrimediabilmente brilla.
Per farla capitolare, infatti, le bastava mezzo bicchiere in più di un alcolico assolutamente innocuo per il resto del mondo.
-E' una cosa seria, credimi. E' da giorni che ci penso: adesso che ho trovato il coraggio, non puoi fare così!-
La ragazza sbuffò contrariata e fece una faccia ridicola, allo scopo di trattenere il fiato e farsi passare quel fastidiosissimo singhiozzo che la stava sconquassando.
Quando terminò con quella difficile operazione di concetto, annuì soddisfatta, acconsentendo a dar udienza al malcapitato fidanzato.
-E va bene, ti ascolto ... ma ho sonno, almeno saliamo in casa-
Era già pronta con la mano sulla portiera, quando Terenzi la bloccò.
-E' meglio se lo faccio qui ... -
Ginevra strabuzzò gli occhi e sbatté le palpebre un paio di volte: c'era qualcosa che non riusciva a capire in tutto quel discorso assurdo, qualcosa che la sua testolina annebbiata dai bicchieri di vino le impediva di afferrare al volo.
Poi, ecco che la lampadina di Archimede si accese, e la sua espressione di smarrimento si tinse di orrore.
-Non vorrai mica lasciarmi, vero?!-
-Ma no, che stai dicendo?!-
Il commissario scosse divertito il capo, smentendo all'istante l'assurdità che aveva appena sentito.
La tranquillizzò con un bacio ed una carezza su una guancia, quindi prese fiato e cominciò un monologo che, sperava ardentemente, non assomigliasse ad uno sproloquio.
-Noi stiamo insieme da un anno e mezzo, giusto? Ecco, sono convinto che due persone come noi, che arrivano a questo punto, in questo momento, devono darsi del tempo per riflettere sul proprio futuro e decidere quale strada intraprendere. Sai, con il lavoro che faccio è importante sapersi organizzare, capire le priorità, comprendere cosa è bene e cosa è male ... mi stai seguendo fino a qui?-
Lei aprì la bocca come a voler dire qualcosa, ma la richiuse quasi subito, dubbiosa sul da farsi.
-Sai, Ale, ho paura che ti sia risalita la febbre. Forse è meglio se passi la notte da me: conciato così, non vorrei che non arrivassi a casa ... -
-Oh ma insomma, Gin! Mi vuoi sposare, sì o no?!-
Ringraziando mentalmente che la luce dei lampioni e quella sbiadita lunare impedissero di mostrare il rossore imporporargli le guance, Terenzi attese, le palpitazioni a mille, una risposta possibilmente affermativa, si disse, a rischio che le sue coronarie scoppiassero da un momento all'altro.
-Tu mi vuoi sposare? Oh mio Dio, Ale, credo di sì, cioè, non lo so, ma sì, sì, lo voglio, ti voglio sposare, certo che lo voglio!-
La ragazza si dimenticò di tutta la stanchezza che aveva avvertito solamente un attimo prima, e si tuffò tra le braccia dell'amato, stampandogli baci e bacetti su bocca e viso.
Bene, se sapevo che era così semplice, non avrei aspettato fino adesso, e mi sarei risparmiato il mal di stomaco che da stamattina mi sta tenendo compagnia!
Terenzi ricambiò entusiasta la dimostrazione d'affetto dell'archeologa e, insieme, uscirono
dalla Panda, ridendo e abbracciandosi come una moderna statua del Laocoonte: aprirono il portone dello stabile in cui abitava Ginevra, salendo ubriachi d'amore e di gioia le scale, i tacchi di lei che rimbombavano sui gradini.


THE END

FINE

(ALMENO PER IL MOMENTO!!)


NOTA DELL'AUTRICE:


Ciao a tutti, carissimi lettori!
Eccoci arrivati alla fine di questa terza indagine letteraria di Terenzi: cosa ne pensate? Vi è piaciuta la storia? Critiche, riflessioni, pezzi che avreste cambiato? Il coronamento del sogno d'amore tra il commissario e Ginevra è di vostro gradimento?
Insomma, fatemi sapere tutto quello che vi passa per la testa!
Sono curiosissima!
Ringrazio di cuore, di pancia e di mente i miei recensori amatissimi per avermi accompagnata anche in questa avventura!!!
Un grande abbraccio!
A presto!

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