Morte di un imprenditore di rossella0806 (/viewuser.php?uid=773369)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lista di nozze ***
Capitolo 2: *** Il parcheggio in doppia fila ***
Capitolo 3: *** Il cestino della spazzatura ***
Capitolo 4: *** La segretaria civetta ***
Capitolo 5: *** Agnese Rampi: una simpatica vecchietta? ***
Capitolo 6: *** La musicista e lo sbruffone ***
Capitolo 7: *** La macchina del gelato ***
Capitolo 8: *** L'orco di Pollicino ***
Capitolo 9: *** L'incidente di sci ***
Capitolo 10: *** La donna con il geco ***
Capitolo 11: *** Il serbatoio dell'acqua ***
Capitolo 12: *** Destra o sinistra? ***
Capitolo 13: *** Un romantico invito ***
Capitolo 14: *** Lasagne e rivelazioni ***
Capitolo 15: *** Un poliziotto k.o. ***
Capitolo 16: *** L'ultimo saluto ***
Capitolo 17: *** Il lato romantico di un poliziotto ***
Capitolo 18: *** L'arpia dal cuore di pietra ***
Capitolo 19: *** Finalmente la verità ***
Capitolo 20: *** Proposta indecente ... in macchina ***
Capitolo 1 *** Lista di nozze ***
Lunedì 10 Novembre,
ore 00.00, Torino, Fabbrica delle Ceramiche "Appiani Uzia"
Era stato
un ottobre molto mite, con temperature, sostenevano gli esperti della
meteorologia, al di sopra delle medie stagionali.
Ciò
aveva permesso ai torinesi di godersi il tepore del sole, passeggiando
nei parchi con il solo riparo di una giacca o di un maglione non troppo
pesante, attardandosi sulle panchine o sui ponti che galleggiavano
sopra il Po, andando a lavorare con un sorriso e tornando a casa
soddisfatti per quel tempo così magnanimo.
Tuttavia,
l’epoca dell’estate prolungata, come
l’avevano definita i colonnelli dell’Aeronautica,
impettiti e professionali davanti alla cartina dell’Italia,
si poteva considerare ormai agli sgoccioli: la ricorrenza di
Ognissanti, infatti, oltre ad aver portato con sé fiumane di
persone tra le tombe di defunti di cui, solitamente, si sarebbero
dimenticati per il resto dell’anno, maree di lumini e
vagonate di fiori finti, aveva riversato sulla città un
vento gelido, le cui raffiche erano talmente potenti da fare quasi
invidia alla bora triestina.
Tristi
mucchi di foglie accartocciate rimbalzavano da un lato
all’altro dei marciapiedi, come in un folle ping pong senza
sosta; le fronde nodose degli olmi e dei frassini oscillavano
pericolosamente, piegandosi come in una danza macabra.
La
stretta strada che conduceva alla fabbrica era illuminata da due soli
lampioni, poiché il terzo si era guastato per
chissà quale motivo.
Ai
lati del lungo sentiero, nella periferia più estrema e meno
accogliente, si propagavano distese di erba secca, alte mezzo metro e
bisognose di una bella e abbondante innaffiata.
L’insegna
della fabbrica “Ceramiche Appiani Uzia” era
insolitamente accesa: la costruzione, un lungo parallelepipedo bianco
con le finestre nere, si stagliava diritta e fiera nel cielo povero di
stelle.
Improvvisamente,
un lieve, breve sussulto fece capolino in mezzo a quel silenzio,
seguito da un grido soffocato, un crescendo di voci, un rumore, poi
più niente.
Il
sipario della morte era calato, avvolgendo ogni suo personaggio che vi
era rimasto impigliato.
Ore 8.15, commissariato
“L’Aquila”, Torino
Mezzo
commissariato era decimato dai vari malanni di stagione: influenza,
tosse, raffreddore, insomma, in confronto la pioggia di cavallette
biblica si sarebbe rivelata una comoda passeggiata tra le vie del
centro cittadino.
In
quei giorni, il tempo era stato davvero inclemente, freddo ed uggioso:
ormai, seppure con qualche brontolio di disappunto, ci si era abituati
alle temperature autunnali, ai maglioni, ai cappotti e ai calzettoni
pesanti, ma, al vento freddo proveniente da est, a quello ancora i
torinesi non avevano fatto il callo.
I
corridoi della stazione di Polizia risultavano così meno
caotici del solito, mentre un uomo sulla trentina, alto come una
pertica, i capelli ricci e rossi in contrasto con gli occhi petrolio e
il naso aquilino, barcollò fino a una porta bianca, alla
quale si ritrovò a bussare con un paio di colpi di nocche.
L’ispettore
Francesco Ghirodelli si affacciò alla soglia
dell’ufficio del suo superiore, il commissario Alessandro
Terenzi.
-E’
permesso?-
-Vieni
pure- lo accolse l’altro, intento a battere sulla tastiera
del computer, mentre la voce del nuovo arrivato, nasale e distorta,
anticipava il suo ingresso, seguito da un rumoroso starnuto.
-Ghirodelli,
per favore, stammi lontano! Questo non è più un
commissariato, è un lazzaretto! Bini e Di Biase sono a casa
con la febbre a quaranta, Rossetti è più le volte
che tossisce di quelle che respira, adesso anche tu stai covando
qualcosa?!-
-Ma
no, commissario, è solo un semplice raffreddore. Sa, tra il
riscaldamento interno e il freddo che c’è fuori,
è facile beccarsi qualcosa-
-Basta
che non mi stai troppo vicino: se mi ammalo anch’ io e tu sei
conciato così, chi ci viene a sostituire? Il questore?-
L’ispettore
sorrise, strofinandosi il naso arrossato con un fazzoletto di carta, un
naso simile a quello degli attori degli anni Trenta, divertito ad
immaginarsi la dottoressa Del Fiore al posto loro.
-Dai,
a parte gli scherzi, cosa volevi?-
-Purtroppo,
non porto buone notizie. Hanno ammazzato Giorgio Appiani Uzia
… -
Terenzi,
la solita barba incolta, s’interessò subito a
quella rivelazione: socchiuse gli occhi scuri e arricciò le
labbra, cercando di trovare, in mezzo ai cassetti della memoria,
qualche appiglio che gli confidasse chi fosse la vittima.
-Dovrei
conoscerlo?- si arrese poco dopo, scuotendo il capo.
-Ma
era il noto imprenditore, quello della fabbrica di ceramiche Appiani
Uzia! Non mi dica che non lo conosce? Mezza Torino quando si sposa va a
fare la lista di nozze lì!-
Il
commissario sbuffò e alzò lo sguardo al cielo,
quindi si drizzò in piedi e fece il giro della scrivania,
ponendosi di fronte al sottoposto, le braccia conserte.
-E
invece ti dico che non lo conosco! E poi, nessuno di noi due
è sposato, quindi come fai ad essere così
informato?-
-Beh,
è per via di mia sorella. L’anno prossimo si sposa
… e la lista di nozze la vuole fare a tutti i costi da loro,
nel negozio che hanno in centro!-
-Ah,
non lo sapevo, congratulazioni!- si rabbonì Terenzi,
regalando una pacca affettuosa sulla spalla sinistra
dell’ispettore, che ringraziò imbarazzato.
-Comunque,
tornando a noi, chi ci ha avvisato del ritrovamento del cadavere?-
-Carlo
Della Robbia, il braccio destro di Appiani-
-E
si sa già come l’hanno ucciso?-
Ghirodelli
scosse la testa, il volto desolato:
-Da
quello che ho capito, dovrebbe essere stato colpito al capo, ma Della
Robbia era talmente scosso che non è stato molto chiaro
sulle condizioni in cui è stato rinvenuto il corpo-
-Testimoni?-
-Quanti
ne vuole … ovvero, nessuno-
-Hai
già avvisato il medico legale?-
-Sì,
commissario, e ho mandato Rossi sul posto -
-Bene,
andiamo anche noi-
L’uomo
recuperò il cappotto in finta pelle e uscì con
l’ispettore, la porta dell’ufficio accostata.
Venti
minuti più tardi, Terenzi e Ghirodelli arrivarono sul luogo
del delitto, un paio di macchine parcheggiate nel piazzale e la
camionetta della Scientifica già pronta per compiere i primi
rilievi .
Tirandosi
su il bavero del cappotto, il commissario salutò con un
cenno del capo un uomo sulla cinquantina, alto e dalla corporatura
massiccia, con una voglia a forma di fragola sulla mano destra, i folti
capelli castani striati di grigio.
-Buongiorno,
dottore-
L’uomo,
in piedi davanti al cofano di un' Alfa Romeo rossa, si girò,
sorridendo stancamente:
-Direi
che non è un ottimo buongiorno, commissario, almeno per quel
poveretto. Sono appena arrivato, anzi, la mia cara e vecchia automobile
rischiava di lasciarmi a piedi, quindi non ho ancora avuto modo di
visionare il cadavere. Vogliamo vederlo insieme?-
-Visto
che ci tocca … - cercò di ironizzare l'altro,
notando la scarsa voglia di fare conversazione del dottore.
Terenzi
e l’ispettore seguirono Bertani, il medico legale,
all’interno della fabbrica, un’immensa costruzione
degli anni Cinquanta, bianchissima e con la grossa insegna in ferro
battuto “Ceramiche Appiani Uzia” scritta a
ghirigori, sovrastante il tetto piatto di ghisa.
I
tre percorsero un lungo corridoio, le pareti tinte di un giallo limone
e adornate da stampe raffiguranti opere di Dalì ed Andy
Warhol, fermandosi alla quarta porta a destra, attirati dagli agenti
della Scientifica che stavano fotografando la stanza, ampia e luminosa,
i muri decorati da quadri di paesaggi naturalistici.
Però,
constatò il commissario, il proprietario aveva una passione
per l'arte ... alternativa.
Agguantarono
un paio di calzari e dei guanti bianchi che un agente gli stava
passando, quindi si prepararono a varcare la soglia.
Subito,
il loro sguardo cadde sulla lunga libreria stracolma di volumi, proprio
dietro un’elegante poltrona castagna in ecopelle, su cui si
abbandonava mestamente il corpo di Giorgio Appiani Uzia.
La
vittima era seduta alla scrivania di vetro, immobile e con la testa
rivolta a sinistra appoggiata al tavolo, le braccia cascanti lungo i
fianchi.
Doveva
essere un bell’uomo, pensò Terenzi, e anche
particolarmente elegante, almeno dal taglio della giacca.
Era
completamente pelato, ma si vedeva che era alto ed atletico, intuizione
dettata dall’ampiezza delle spalle.
Un
rivolo di sangue gli aveva macchiato il colletto della camicia, per il
resto risultava impeccabile.
Il
medico legale si avvicinò al corpo e, appoggiando sul
pavimento di grandi piastrelle grigie rettangolari la borsa da lavoro,
si acquattò di fianco al cadavere.
Lo
toccò con mani esperte, spostandolo con delicatezza, dopo
che, una giovane agente della Scientifica che stava fotografando la
stanza, gli diede il via libera.
-A
prima vista, direi che l’hanno colpito con qualcosa di non
molto pesante, come un fermacarte o un posacenere-
Terenzi
e Ghirodelli si guardarono intorno, concentrandosi sugli oggetti che
meglio avrebbero rappresentato l’arma del delitto.
-Da
una prima occhiata, dottore, direi che qui in giro non vedo nulla di
simile- constatò pensieroso il commissario, convinto che
l’assassino non sarebbe stato così stupido da
lasciare sul luogo del misfatto la prova regina che avrebbe potuto
incastrarlo senza troppa difficoltà.
-Pensa
che potrebbero aver inscenato una colluttazione?- continuò,
indicando con un cenno del capo Appiani Uzia.
-Voglio
dire, da come doveva essere piazzato la vittima, mi sembra strano che
non abbia opposto un minimo di resistenza al suo assassino …
- gli fece notare il poliziotto, mentre Bertani esaminava le unghie del
cadavere.
-Questo
ancora non glielo posso dire, mi faccia fare l’autopsia, poi
confermerò o smentirò quello che le ho appena
detto-
-A
che ora dovrebbe risalire la morte?-
-E’
freddo e anche particolarmente rigido, quindi direi da almeno una
decina di ore. Più o meno, ovviamente-
-Secondo
lei il corpo è stato trasportato o l’hanno ucciso
qui?-
-No,
non credo lo abbiano spostato: è posizionato troppo bene,
non so se mi spiego … - azzardò il medico legale,
alzandosi.
-Ho
capito. Per quando potrebbe fare l’esame autoptico?-
-Posso
dargli un’occhiata già oggi pomeriggio, ma prima
di domani mattina non riescirò a cominciare sul serio-
-D’accordo.
Grazie, dottore, la chiamerò domani nel primo pomeriggio-
-Va
bene, commissario. Arrivederci-
Terenzi
e l’ispettore si accomiatarono da Bertani e dagli agenti
della Scientifica, apprestandosi ad uscire dall’ufficio, ma
subito vennero bloccati da un giovane poliziotto, magro e con i capelli
corti castani.
-Oh,
Rossi, allora?- lo salutò il primo, dandogli una pacca sulla
spalla destra.
-Commissario,
sono arrivato un’ora fa, ma purtroppo non ho trovato nessuno
che possa aver visto o sentito qualcosa. Questa è una zona
di periferia, destinata ai capannoni industriali. Le abitazioni
più vicine sono a mezzo chilometro di distanza, tutto il
resto è area per i podisti amatoriali …
- puntualizzò concentrato l’agente
scelto.
-Mi
sono accorto anch'io che non è propriamente il posto ideale
per reclutare testimoni, ma sembra essere piuttosto il luogo ideale per
commettere un omicidio. Altre cose?- domandò con una punta
di amarezza, grattandosi la barba incolta.
-Di
là ci sarebbe Carlo Della Robbia, è lui che ha
trovato il corpo-
-Ti
ha già detto qualcosa?- gli chiese il superiore,
incamminandosi dietro il giovane.
-E’
molto sconvolto: ha solo confermato che ha trovato il corpo questa
mattina, alle sette e mezza, quando è entrato in fabbrica.
Toccava a lui aprire, oggi, per questo è arrivato
così presto. Di qua, commissario-
Terenzi,
Ghirodelli e Rossi scesero una scala con i gradini in pietra e si
ritrovano in quella che aveva tutta l’aria di essere una sala
mensa: in una grande stanza color avorio, tre lunghi tavoli ricoperti
di tela cerata colorata occupavano la parte centrale del locale, mentre
sulla parete nord, dalla parte opposta dell’ingresso, erano
stati collocati due distributori di bevande.
-Ecco,
è lui- gli fece cenno l’agente, indicando un uomo
sui sessant’anni, abbandonato su una sedia di ferro, i
capelli non molto folti biondo scuro e gli occhi chiari acquosi,
intento a sorseggiare un bicchiere d’acqua, la bottiglia sul
tavolo davanti a sé.
Il
commissario e l’ispettore gli si avvicinarono, mentre
l’altro poliziotto rimase in disparte a pochi passi dal
gruppetto.
Poi,
recuperarono due sedie e vi si accomodarono.
-Signor
Della Robbia, buongiorno, sono il commissario Terenzi: insieme al mio
vice, l'ispettore Ghirodelli, mi occuperò
dell’indagine. Potrei farle qualche domanda?-
L’uomo
alzò la testa, visibilmente sconvolto e, il volto pallido,
annuì comprensivo, stringendo le mani dei poliziotti.
-Lo
so che è un momento difficile, ma è importante
cominciare ad indagare fin da adesso, mi capisce?-
L’uomo
fece di sì con la testa un’altra volta, lo sguardo
concentrato sul bicchiere mezzo vuoto.
-Mi
hanno detto che è stato lei a trovare il signor Appiani Uzia
... -
-E’
così, ma ho già detto tutto al vostro collega,
poco fa … - la voce era un sibilo, mentre accennava a Rossi,
davanti a lui.
-Questo
lo sappiamo, ma anche noi abbiamo la necessità di porle
delle domande. Ascolti, ha toccato qualcosa quando è entrato
nella stanza?-
-No,
nulla- si rassegnò a rispondere Della Robbia.
-Era
normale che il signor Appiani arrivasse in fabbrica così
presto? Mi risulta che, oggi, toccasse a lei aprire. Per quale motivo?-
-Sì,
di solito alle sette e mezza era già in ufficio: gli piaceva
occuparsi di ogni cosa, era fatto così, povero Giorgio.
Venerdì pomeriggio, però, mi chiese se avrei
potuto arrivare prima, stamattina, per aprire al suo posto. Ma non mi
domandi il motivo, perché non me lo ha detto
… -
Terenzi
rivolse uno sguardo d’intesa all’ispettore, come a
voler dire che quello avrebbe potuto rivelarsi un indizio molto
importante, un punto di partenza per cominciare a far luce sul caso.
-Era
solito fermarsi a dormire qui in fabbrica?-
-No,
che io sappia non è mai successo, ma perché me lo
sta chiedendo?-
Carlo
Della Robbia si risvegliò dall’apatia in cui era
precipitato, interessato a quella domanda di cui non trovava un senso.
-E’
molto probabile che la morte risali a questa notte, che
l’abbiano ucciso proprio qui, nel suo ufficio-
L’uomo
si mise le mani nei capelli, ritornando ad abbassare lo sguardo.
-Giorgio
ed io eravamo amici, oltre che soci. Questa mattina ci saremmo dovuti
incontrare con un gruppo di francesi interessati a comprare un cospicuo
numero delle nostre ceramiche: era un affare molto importante, che ci
avrebbe assicurato grande visibilità ma, purtroppo, non
è andata così … -
-Conosceva
bene il signor Appiani?-
-Lavoravo
con lui da venticinque anni, praticamente è stato Giorgio ad
insegnarmi tutto quello che so: è stato il mio maestro, il
mio consigliere, un grande amico e ... adesso non
c’è più –
-Vuole
fare una pausa?-
Della
Robbia scosse la testa, versandosi poi dell’altra acqua.
-Dove
si trovava questa notte?-
-A
casa mia, dormivo: c’è mia moglie che lo
può confermare- si irrigidì il braccio destro,
sistemandosi meglio sulla sedia.
-Che
ruolo ricopre nell’azienda, signor Della Robbia?-
-Sono
il vice direttore della fabbrica da dodici anni-
Altro
elemento interessante, rifletté il commissario.
-Quando
ha visto per l’ultima volta la vittima?-
L’uomo
si passò una mano sulla bocca, poi sospirò
stancamente.
-Gliel’ho
detto, è stato venerdì sera, intorno alle sette,
o era dopo, non mi ricordo, quando mi chiese di arrivare prima,
stamattina. Ci eravamo fermati fino a tardi per definire gli ultimi
preparativi per l’incontro con i francesi. Poi, l'ho lasciato
come al solito, normalmente. Non avrei mai pensato che potesse
succedergli una cosa così brutta ... -
-A
questo proposito, ha idea di cosa sia successo? Voglio dire, il signor
Appiani aveva dei nemici, aveva dei conti in sospeso con qualcuno?-
L’interrogato
fissò per qualche secondo il bicchiere mezzo vuoto,
dopodiché guardò smarrito Terenzi.
-No,
commissario, non lo so. Qui tutti gli eravamo affezionati e la
concorrenza da queste parti praticamente non esiste: non sono molte le
aziende come la nostra, il settore non è particolarmente
ghiotto per il mercato, per cui non riesco a capire chi possa aver
fatto questo e, soprattutto, perché! -
-Quando
è entrato nella fabbrica, questa mattina, ha visto qualcosa
di inusuale, di diverso dal solito?-
L’altro
deglutì e rimase in silenzio per qualche secondo, quindi
rispose:
-Solo
io e Giorgio avevamo le chiavi: prima, però, non le ho
nemmeno usate, perché il portone d’ingresso era
aperto. Ho subito pensato che Giorgio fosse già arrivato,
che avesse cambiato idea, così sono andato direttamente in
ufficio da lui: la porta era aperta e…
l’ho visto- l’uomo trangugiò un altro
sorso d’acqua, fece un sospiro profondo,
d’incoraggiamento, poi continuò lentamente,
incredulo:
-Era
riverso sulla scrivania, immobile. Ho capito che c’era
qualcosa che non andava, così mi sono avvicinato,
l’ho chiamato, ma lui non mi rispondeva … -
-Ha
toccato il corpo, quindi?- domandò incalzante Terenzi,
lievemente irritato e intuendo già la risposta, sebbene poco
prima gli avesse assicurato di non aver toccato nulla.
-Sì,
per vedere se era ancora vivo-
-Ha
notato se mancava qualche oggetto, un posacenere o un fermacarte, per
esempio?-
-Giorgio
non fumava e, a dir la verità, non ci ho fatto caso. Sono
subito uscito dalla stanza per cercare aiuto, ma i primi operai ancora
non erano arrivati, così vi ho chiamato perché
veniste … -
Il
poliziotti osservò per qualche secondo il viso magro e
spigoloso dell’uomo, una faccia rassicurante e a modo suo
anche dai bei lineamenti.
-Il
signor Appiani era sposato?-
-Sì
... cioè, lui e Clelia si erano separati cinque anni fa, ma
i loro rapporti sono sempre rimasti buoni. Si vedevano di
frequente, per questo avevano mantenuto una relazione il più
normale possibile. E poi, la loro ra stata una separazione consensuale,
molto civile -
-Si
stavano forse riavvicinando?- s’informò
interessato il commissario, incrociando lo sguardo con quello di
Ghirodelli.
-Non
credo, Giorgio non parlava volentieri di questa cosa: sono convinto
che, in cuor suo, non si fosse completamente rassegnato, infatti, non
aveva trovato nessun’altra donna. Capitava che si vedessero
perché Clelia è a capo di una piccola ditta di
abiti da sposa e, ancora quando stavano insieme, Giorgio le aveva fatto
creare l’esposizione a fianco dei laboratori delle ceramiche,
nella dependance qui dietro-
-A
che ora apre il negozio?-
-Alle
nove, ma in questi giorni non l’ho vista, credo sia un
po’ influenzata-
-Dovremo
avvisarla di quello che è successo: mi può dare
l’indirizzo?-
-Lo
posso fare io. Sa, sarei già andato a trovarla oggi
pomeriggio, per quella faccenda dei francesi che volevano vedere anche
il suo laboratorio, però, se vuole, le do ugualmente il
numero di telefono e l’indirizzo. Se aspetta un attimo,
glielo scrivo sul mio biglietto da visita-
L’uomo
tirò fuori dalla tasca interna della giacca una Montblanc
nera e un rettangolo di carta plastificata, su cui cominciò
a scarabocchiare delle cifre.
-Tenga-
-Grazie,
per me basta così, signor Della Robbia. La faccio
accompagnare nell’ufficio della vittima, così
può controllare che non manchi nulla-
-No,
commissario, la prego- lo interruppe agitato -le faccio un inventario,
qualsiasi cosa, ma non mi chieda di entrare lì dentro, non
reggerei un’altra volta alla vista del povero Giorgio-
-D’accordo-
acconsentì l’altro –ma dovrà
compilarmi un elenco degli oggetti e delle carte del signor Appiani,
entro oggi, se riesce. Se si dovesse accorgere della mancanza di
qualcosa, me lo faccia sapere immediatamente-
-Non
mancherò -
Terenzi
si alzò dalla sedia e appoggiò una mano sulla
spalla di Carlo Della Robbia, che sorrise mestamente.
-Vuole
che la faccia riaccompagnare a casa?-
-Non
si preoccupi, ho l’auto qui fuori-
-Si
tenga a disposizione, allora, potrei avere ancora bisogno di lei-
-Certamente,
commissario-
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Capitolo 2 *** Il parcheggio in doppia fila ***
Ore
16.00, abitazione di Clelia Camoletti, Torino
Quel giorno, al negozio
di abiti da sposa, la vedova Appiani non si era vista:
l’aveva chiamata per darle la terribile notizia lo stesso
Carlo Della Robbia, così Terenzi, facendo un passo indietro,
le aveva telefonato per chiederle se avrebbe potuto riceverlo nel
pomeriggio.
L’appartamento
della donna si trovava nella zona bene della città, a cinque
minuti dal centro.
Il commissario aveva
parcheggiato la macchina in una viuzza lontana, approfittando del
flebile sole e del fatto di essere in anticipo per fare una camminata
che gli sgranchisse gambe e pensieri.
Il cappotto color
cammello abbottonato fino al collo e una sciarpa blu notte avvolta
attorno al viso puntellato di barba, si ritrovò a passare
davanti a negozi di cui neppure si ricordava l’esistenza, a
vecchi bar con le scritte ormai in piena decadenza, costeggiando nuovi
locali, gli sconosciuti ristopub,
che si stavano riproducendo come funghi nel sottobosco, le insegne
degne dei colori dell’abito di Arlecchino.
Ma, la cosa che
più lo stupì, che lo convinse a fermarsi, fu
quella che aveva tutta l’aria di essere una vera e propria
distesa di automobili piazzate in doppia fila, un paradiso per i
colleghi della municipale.
Il suo senso del dovere
lo sfiorò per una manciata di secondi, spingendolo ad
avvisare i vigili urbani della ghiottoneria di cui era testimone;
tuttavia, lasciò perdere, proseguendo di buona lena per non
arrivare in ritardo all’appuntamento, le mani infreddolite
subissate nelle tasche.
Alle sedici spaccate, il
poliziotto citofonò al quinto ed ultimo piano
dell’interno A di un palazzo signorile, che si presentava ai
visitatori con la curiosa forma della prua di una nave, la facciata
color granito disseminata da una miriade di finestrelle con le imposte
verdi.
Quando, con l'ascensore dalle pareti in vetro, raggiunse l’attico, trovò la porta già accostata.
-Permesso… -
L’uomo entrò con cautela, ritrovandosi in un salotto degno
di un principe, il parquet ricoperto di tappeti persiani e un immenso
arazzo raffigurante un cesto di frutta e fiori a pochi metri davanti a
lui.
La porta finestra che
dava sulla terrazza occupava un’intera parete, proprio dietro
il primo dei due divani color panna.
Terenzi si
avvicinò e guardò fuori, attirato dalla
calda luce del tramonto che si spargeva, come fasci colorati, al di
là delle lunghe vetrate: l’uomo, le mani in tasca,
non si stupì più di tanto del fatto che riuscisse
a scorgere molto bene la mole Antonelliana e quasi tutta Torino, data
l’incantevole posizione dell’appartamento.
Constatò che,
quella che si vedeva parecchi metri sotto di lui, non era la strada che
aveva percorso pochi attimi prima, ma una delle tante vie che si
snodavano dal retro del palazzo.
Dovette distogliere lo
sguardo, poiché un riverbero di sole più
accecante dei precedenti gli aveva annebbiato la vista, nello stesso
istante in cui le fronde degli alberi avevano ripreso a muoversi al
ritmo del vento, quel vento freddo e padrone del tempo.
-Commissario- il
poliziotto si voltò in direzione della voce che lo stava
chiamando, una voce gentile e roca.
-Buona sera, signora- la
donna gli si avvicinò cautamente e gli strinse la mano: era
tiepida e liscia, mentre quella dell’uomo era fredda e grande.
-Mi scusi se
l’ho fatta aspettare, ma ero andata a riposare e, quando lei
ha citofonato, mi ero appena alzata-
Terenzi
abbozzò un sorriso di circostanza e, subito,
replicò cordialmente:
-Spero di non averla
disturbata: avevo capito che sarei potuto venire a quest’ora
… -
-Infatti, la colpa
è mia, lei ha capito benissimo. Sa, dopo pranzo ho preso un
leggero sedativo che mi ha fatto addormentare. Ma prego, si accomodi-
La signora Clelia
Camoletti, ora vedova Appiani, era una donna dai lineamenti e dal
portamento fieri.
Non doveva avere
più di cinquantacinque anni, i capelli raccolti in uno
chignon leggermente scompigliato da due ciocche che pendevano dietro le
orecchie, il viso senza un’ombra di rughe, arricchito da una
bocca sottile lievemente dipinta.
Il poliziotto
incrociò gli occhi verdi della padrona di casa,
considerandoli vacui ed assonnati.
-Prima di cominciare,
signora, vorrei comunicarle le mie condoglianze per la perdita del suo
ex marito ... -
-Grazie, commissario.
Anch’io vorrei dirle una cosa: nonostante fossimo separati da
ormai cinque anni, sono sinceramente addolorata per ciò che
gli è accaduto- il tono della donna era pacato e ruvido,
tuttavia suonava sincero.
-Non
c’è bisogno che si giustifichi, signora: quello
che prova o provava per il signor Appiani riguardava solamente voi.
L’importante è che lei mi risponda con
onestà alle domande che le sto per porgere, o
che non venga a sapere che la vostra passata relazione abbia
qualcosa a che fare con le indagini … -
Clelia annuì,
le mani incrociate sulla gonna del completo color pervinca.
-So che è
stato Carlo a trovarlo. Mi ha detto che questa mattina lo avete
interrogato … -
-Sì, infatti-
Terenzi si schiarì la gola, quindi continuò:
-A questo proposito,
com’erano i rapporti tra il signor Della Robbia e il suo ex
marito? –
-Ottimi-
replicò senza il minimo dubbio.
-Carlo era il suo braccio destro, lavorava in fabbrica con lui da
venticinque anni e, da dodici, era diventato vice direttore della
fabbrica- spiegò con tono pacato la vedova, passandosi una
mano tra i capelli ribelli.
-Lei, perciò, lo conosce molto bene?-
-Fino a
quando siamo stati sposati, ci frequentavamo spesso: Carlo è
un uomo di piacevole compagnia, così come la moglie. Negli
ultimi anni, però, come può ben immaginare, non
siamo più usciti insieme… -
-Capitava che suo marito
si fermasse a dormire in ufficio?-
-No, per lo meno fino a
quando siamo stati sposati, non è mai accaduto. Vede, era
molto abitudinario, andava al lavoro presto e, spesso,
rientrava tardi, ma ha sempre dormito a casa. Me lo ha chiesto
perché lo avete trovato in fabbrica, vero?-
-Sì- ammise
l'uomo -era morto da una decina di ore-
-E si sa già
come è successo?-
-No, non ancora-
spiegò con sincerità l’altro -il medico
legale comincerà a fare l’autopsia solamente
domani-
-Capisco- la donna
distolse lo sguardo per un secondo, concentrandosi sulla notte che
ormai era calata al di là della finestra.
-Non fraintenda la mia
domanda, signora, ma … dov’ era questa notte?-
La vedova riprese a
guardare Terenzi, sorridendo mestamente:
-Qui a casa. Ero da
sola, non può confermarlo nessuno, se è questo
quello che vuole sapere … -
-Non ho motivo per non
crederle- l’uomo rimase in silenzio per una manciata di
secondi, come a voler testare la sicurezza e
l’onestà della Camoletti, la quale rimase
impassibile e in attesa di proseguire.
-Che tipo di persone
frequentava il suo ex marito? Voglio dire, ha mai avuto dei problemi,
di qualsiasi tipo, con qualcuno?-
-Che io sappia no. Tutti
i suoi amici erano e, credo lo siano ancora, persone assolutamente
normali, per lo più gente del nostro ambiente. Lui ci sapeva
fare con tutti, era molto espansivo ed estroverso: non l’ho
mai visto litigare con nessuno ... -
-E per quanto riguarda
la parte amministrativa dell’azienda? Nel passato, ci sono
stati debiti o carenze nel bilancio?-
-Se si riferisce a
problemi economici, non ne ho mai saputo nulla: il mio ex marito era
molto riservato a tal proposito. L'unica cosa che le posso dire,
commissario, è che non mi ha mai fatto mancare nulla, anzi.
Vede, quando ci siamo sposati, io avevo appena vent’anni, lui
invece era già un uomo maturo, con un'esperienza lavorativa
e di vita già consolidata.
I miei genitori erano
imprenditori di un certo livello, frequentavano la Torino bene e
capitava, assai di frequente, che i miei futuri suoceri venissero a
farci visita nella nostra casa, perciò lui ed io ci
incontravamo spesso. Fu mio padre a decidere il nostro matrimonio,
credo lo considerasse una sorta di affare: la famiglia del mio ex
marito era di sangue nobile, discendevano da un ramo collaterale di
alcuni conti piemontesi e, può ben immaginare, quanto
potesse essere motivo di orgoglio imparentarsi con persone
così altolocate … -
Clelia Camoletti si
fermò per un istante, mentre un lieve sorriso comparve sulle
sue labbra.
-Dopo altrettanti anni
di matrimonio, capii che avevo sacrificato non tanto la mia vita per
lui, quanto il mio amore e la mia dignità. Il mio ex marito
amava circondarsi di belle donne e, un giorno, mi arrivò a
casa una lettera anonima in cui era scritto in modo inequivocabile che
lui mi tradiva. Da allora, non ho più voluto saperne nulla
di lui. E’ per questo che ci siamo separati, non sopportavo
di essere stata presa in giro per così tanto tempo-
Terenzi
annuì, le mani incrociate sulle ginocchia.
-La vostra,
perciò, non è stata una separazione consenziente?-
-Oh no, non fraintenda
le mie parole, commissario. Forse mi sono spiegata male, ma la causa di
separazione è stata voluta da entrambi. Eravamo stanchi di
una relazione di facciata, in cui ormai nessuno di noi due era libero
di comportarsi come meglio voleva-
-So che il signor
Appiani le ha allestito il suo negozio proprio vicino alla fabbrica ...
- cambiò discorso il poliziotto, scongiurando ulteriori
motivi di tensione.
-Sì, infatti.
All’inizio, volevo venderlo, perché non mi andava
di continuare a vederlo, ma vede, commissario, quel negozio
è tutto quello che ho, rappresenta la mia indipendenza. In
ogni senso-
-L’ atelier
è intestato a lei?-
La donna annuì, seria e fiera.
-Se vuole avere notizie
sulle mie finanze, la fermo subito dicendole che non ho mai avuto alcun
problema economico: le vendite sono sempre state in positivo e, per
fortuna, le clienti non mi mancano. Nonostante la separazione, siamo
stati costretti a mantenere un certo contegno davanti agli altri, anche
se, tra di noi, le cose non sono certo cambiate. Anzi, le
dirò di più: dato che non siamo riusciti a
completare le pratiche di divorzio, qualsiasi sarà
l’eredità che mi spetta, non avrò
alcuna remora a tirarmi indietro, a rinunciarvi: da lui, non voglio
più niente-
Il poliziotto
alzò il sopracciglio sinistro e replicò con un
lieve sorriso:
-Scusi la franchezza,
signora, ma da ciò che ho potuto capire, lei non ama
pronunciare il nome del suo ex marito-
-E’
così. Lo detestavo per come mi ha trattata in questi anni,
però, in cuor mio, credo che ne fossi ancora innamorata. Il
nostro è stato sempre un rapporto di amore e d'odio, almeno
da parte mia-
-Ritornando alle
indagini, lei non ha idea del perché suo marito sia morto,
di chi possa aver compiuto un tale gesto?-
-No- ammise l'altra
-come le ho detto, i nostri rapporti erano molto limitati. Tuttavia,
pensandoci, c’è una cosa che dovrei dirle ... -
continuò la vedova, arricciando le labbra.
-Nell’ultima
settimana, ho accompagnato un paio di clienti in fabbrica, per stilare
la lista di nozze. Ecco, in una di queste occasioni, ho incontrato il
mio ex marito e, beh, non so come spiegare, ma l’ho visto
molto teso, diverso dal solito. E’ da qualche giorno che non
vado all’atelier, perché sono stata influenzata,
però, le posso assicurare che, fino a pochi giorni fa, ho
notato un cambiamento in lui-
-In che senso?-
s’interessò Terenzi, passandosi una mano sulla
barba incolta.
-Quando ci incontravamo,
lui mi salutava con gentilezza, mentre, ultimamente, la sua cortesia si
era trasformata in… irrequietezza, sì,
irrequietezza. Sfuggiva il mio sguardo, non sorrideva ... era diverso-
-E’ troppo
sperare che lei sappia per quale motivo si comportasse
così?- continuò speranzoso l’uomo, il
cui entusiasmo venne subito smorzato dal cenno di diniego della donna.
-Non ho le prove di
quello che le sto dicendo, commissario, però credo che, per
certe cose, conoscevo ancora abbastanza bene il mio ex marito: sapevo
interpretare i suoi stati d’animo e, in
quest’ultimo periodo, le ripeto, non era affatto tranquillo-
Il poliziotto
annuì serio e pensieroso.
-Oh, mi scusi, sono
stata una maleducata a non offrirle nulla da bere! Sandra, la mia
domestica, oggi ha il giorno di riposo e, questo mal di testa, mi ha
fatto scordare le buone maniere!- esclamò addolorata la
padrona di casa, scuotendo il capo desolata e alzandosi dal divano.
-Non si preoccupi, sto
bene così, grazie- la fermò prontamente
l’uomo, attendendo che la donna ritornasse a sedersi.
-Un’ultima
domanda: lei e il signor Appiani avete figli?-
-Sì, Anita e
Gabriele, però non abitano qui a Torino: mia figlia lavora a
Padova e mio figlio a Milano. Anzi, adesso che mi ci fa pensare, non li
ho ancora avvisati della morte del padre … -
-Vorrei far loro delle
domande, sa, di pura circostanza. Mi farebbe un favore, signora, se
potessero venire in commissariato a breve … -
-Certamente-
annuì convinta, mentre il poliziotto si alzò
e strinse la mano di Clelia Camoletti.
-Per me può
bastare così. Si tenga a disposizione e, appena
saprò qualcosa in più su come è morto
il suo ex marito, glielo farò sapere. Ah, ovviamente, se
quello che mi ha detto sul comportamento anomalo della vittima venisse
confermato anche da altri, dovrà venire in commissariato a
formalizzare la testimonianza ... -
La vedova
acconsentì senza indugi.
-Grazie, commissario, mi
ha fatto bene parlare con lei. Venga, l’accompagno
… -
Quando arrivarono alla
porta, l’uomo si accomiatò sorridendo:
-Le lascio il mio
biglietto da visita, nel caso le venisse in mente qualcosa …
-
Salutò ancora
una volta ed uscì.
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Capitolo 3 *** Il cestino della spazzatura ***
LUNEDI'
10 NOVEMBRE, ORE 17. 15, COMMISSARIATO
“L’AQUILA”, TORINO
Quando
Terenzi rientrò in commissariato, trovò ad
aspettarlo Ghirodelli, che subito lo seguì in ufficio per
informarlo delle ultime novità e per sapere se ve
n’erano di nuove.
Il
sottoposto, braccia conserte e sguardo concentrato, attese che
l’altro poliziotto sistemasse il cappotto e la sciarpa
sull’attaccapanni, per cominciare finalmente a parlare.
-Allora,
come è andata la perquisizione? La vedova mi ha raccontato
delle cose molto interessanti- lo anticipò il superiore,
sedendosi sul bordo della scrivania e invitando l’ispettore
ad accomodarsi sulla sedia, di fronte a lui.
-Di
che tipo?-
-Per
prima cosa, che è stata lei a spingere per la separazione,
cinque anni fa, sebbene entrambi fossero d’accordo. Il marito
aveva il vizio di tradirla e, lei, venuta a sapere delle scappatelle da
una lettera anonima, ha deciso di troncare definitivamente il
matrimonio-
-Chi
aveva spedito la lettera?-
-Non
lo so: non se l’è mai chiesto. E comunque, quello
che a noi interessa, è che la vittima, nell’ultima
settimana, si è comportata in modo strano, sfuggente. Salutava a fatica la
ex moglie, quasi non le rivolgeva la parola. Atteggiamento che, a
sentire la vedova, era del tutto insolito. Ah, la coppia aveva due
figli, Anita e Gabriele. La ragazza lavora a Padova e il fratello a
Milano: la madre ha detto che ce li manderà il prima
possibile, così potremo interrogarli. Cosa ne pensi?-
Ghirodelli
aprì le braccia e, travolto da quella raffica di
informazioni, assunse un’espressione poco convincente:
-Dall’interrogatorio
con gli eredi potrebbe saltar fuori qualcosa di interessante, anche se,
con il fatto che abitano lontano, non so quanto ci siano utili
… per quanto riguarda la vedova, questa storia che, negli
ultimi tempi, Appiani si comportava in maniera diversa dal solito, beh,
potrebbe essere frutto della sua immaginazione. Voglio dire,
può anche darsi che, il giorno in cui si sono incontrati,
lui non stesse molto bene, che semplicemente avesse mal di testa, mal
di stomaco … Carlo Della Robbia, ad esempio, non ha fatto
menzione di tutto questo-
Terenzi
annuì convinto: in effetti, l’ispettore non aveva
torto, il suo ragionamento filava ed era plausibile.
-Benissimo,
ti ringrazio per l’incoraggiamento e per avermi aperto gli
occhi- lo punzecchiò con una pacca amichevole sul braccio
sinistro, quindi gli domandò che novità avesse
sui sopralluoghi cominciati quella mattina.
Il
questore, infatti, aveva firmato i due mandati necessari per
perlustrare l’ufficio e l’abitazione di Giorgio
Appiani Uzia, luoghi fondamentali per conoscere di più le
abitudini della vittima.
-In
ufficio non abbiamo trovato nulla di interessante: dopo che
è andata via la Scientifica, Rossi ed io siamo ritornati sul
posto, praticamente invano, perché non è saltato
fuori niente. Inoltre, dall’elenco che ci ha compilato Carlo
Della Robbia non risulta manchi neppure una puntina da disegno!-
puntualizzò Ghirodelli, porgendo al suo interlocutore un
foglio bianco piegato in quattro.
-Ha
controllato bene?- insistette Terenzi, scorrendo la lista.
-Sì,
direi che possiamo essere sicuri di ciò che ci ha detto.
Conosceva molto bene Appiani, lavoravano fianco a fianco praticamente
ogni giorno e, le assicuro, che era talmente preoccupato di dover
affrontare una nuova perquisizione nell’ufficio in cui
è stato ucciso il suo amico, che ha svolto un lavoro
meticolosissimo!- ridacchiò l’ispettore.
-Tuttavia-
riprese serio - in casa della vittima abbiamo ritrovato il libretto
delle entrate e delle uscite della fabbrica. Era in un cassetto dello
scrittoio in soggiorno, direi per nulla nascosto, dal momento che non
era chiuso a chiave … -
-Scusa,
hai detto che l’avete trovato in casa e non
nell’ufficio?- ripeté Terenzi, credendo di aver
compreso male, le gambe a penzoloni e i piedi puntati a terra.
-Esattamente-
-Ma
non ti sembra strano? Voglio dire, se riguardava i conti della
fabbrica, avrebbe dovuto tenerlo lì! Perché
portarlo a casa?-
Ghirodelli
tirò fuori dalla tasca interna della giacca blu una busta
trasparente per trattenere le eventuali impronte digitali, la
indicò al commissario e poi continuò:
-E’
quello che ho pensato anch’io. Quello che mi ha stupito,
infatti, oltre all’ordine maniacale dell'appartamento,
è stato proprio il libretto: c’è
chiaramente scritto che all’azienda manca
un’ingente somma di denaro, una somma pari a trecentomila
euro tondi tondi-
-Trecentomila?!
Ne sei proprio sicuro? Il signor Della Robbia non ci ha detto nulla-
rifletté sorpreso Terenzi.
-Anch’io
sono rimasto sconcertato, commissario, ma guardi lei con i suoi occhi-
Il
poliziotto recuperò un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni,
aprì la busta sigillata e prese a sfogliare il libretto:
effettivamente, l’ispettore aveva ragione, le entrate della
fabbrica difettavano di trecentomila euro.
-Convoca
immediatamente il Della Robbia, fallo venire qui, però non
dirgli nulla di quello che abbiamo scoperto- decise alla fine il
superiore, rinfilando il nuovo indizio nell’apposita custodia
e porgendola nuovamente a Ghirodelli.
-Lo
mando alla Scientifica, per sapere se ci sono delle impronte digitali
diverse da quelle della vittima. A proposito, posso far rientrare Rossi
e gli altri ragazzi? Sono ancora nell’appartamento di Appiani-
-Certo,
se non hanno trovato nient’altro, digli di rientrare-
Un’ora
più tardi, poco dopo le sei e mezza, l’ispettore
fece entrare il braccio destro del magnate delle ceramiche torinesi.
L’uomo,
un lungo giubbotto aperto su una giacca blu a quadretti e dei pantaloni
di velluto nero, aveva un’aria particolarmente tesa, in
contrasto con la luminosità che emanavano i suoi capelli
biondi.
Il
commissario lo squadrò per qualche secondo e, dopo essersi
scusato per l'orario, lo invitò a prendere posto,
mentre Ghirodelli si sedeva di fianco al superiore, in attesa di
battere a computer l’interrogatorio:
-Buona
sera, signor Della Robbia. Prego, si accomodi- ripeté il
sottoposto, notando che il nuovo venuto non accennava a muoversi.
-C’era
qualcosa che non andava nell’elenco che vi ho fatto avere?-
domandò subito dubbioso, la voce poco più che un
sussurro.
-No,
andava tutto benissimo. Ma si sieda, la prego-
-Allora
avete scoperto chi ha ucciso Giorgio?-
-No,
non ancora. Vede, l’abbiamo convocata perché i
miei colleghi hanno trovato qualcosa di molto interessante a casa della
vittima: a tal riguardo, credo proprio che lei saprà
illuminarci- s'intromise Terenzi.
Sempre
più teso, Della Robbia si arrese a ciò gli era
stato ordinato, prendendo posizione sulla sedia davanti alla scrivania.
Appoggiò
il cappotto marrone sulle ginocchia, quindi attese gli sviluppi di
quella conversazione che, si capiva chiaramente, lo stava mettendo in
agitazione.
-Farò
tutto il possibile per aiutarvi, ma quello che sapevo, commissario, ve
l’ho già detto-
-Per
prima cosa si rilassi: non la vedo molto tranquillo. Vuole che le
faccia portare un bicchiere d’acqua?-
-No,
grazie- si affrettò a smentire con la mano destra.
-Allora,
se per lei va bene, comincerei … -
-Sì,
certo-
Terenzi
si protese in avanti e, le braccia conserte appoggiate sulla scrivania,
spiegò:
-Questo
pomeriggio, i miei uomini hanno ritrovato il libretto delle
entrate e delle uscite della fabbrica in casa della vittima.
Sa perché lo teneva nel suo appartamento, invece che in
ufficio?-
L’interrogato
deglutì meccanicamente, abbassò per un attimo lo
sguardo, gli occhi azzurri acquosi ed impauriti, quindi scosse la testa.
-Mi
vuol far credere che, dopo tutto quello che ci ha raccontato
stamattina, di quanto il signor Appiani si fidasse di lei, di quanto il
suo ruolo nell’azienda fosse fondamentale, non sapesse che il
libretto non era in fabbrica ma a casa del suo amico?-
Il
poliziotto alzò volutamente il tono di voce, indicando a
Ghirodelli, con un cenno della testa, di proseguire
nell’interrogatorio.
-Siamo
venuti a conoscenza di una cosa a cui lei non ha accennato, questa
mattina. Sembra infatti che il bilancio dell’azienda
difettasse di trecentomila euro, una cifra più che
ragguardevole. Perché non ce lo ha detto?-
Della
Robbia guardò perplesso l’ispettore, quindi
Terenzi: abbassò ancora una volta lo sguardo sulla
scrivania, poi sulle proprie mani, infine esclamò:
-Glielo
giuro, commissario! Io non c’entro nulla con tutta questa
storia! Non ne sapevo niente! Il debito che dovevo saldare era di soli
cinquantamila euro! Giorgio lo sapeva,
gliel’assicuro!-
I
poliziotti fissarono stupiti l’uomo di fronte a loro e,
contemporaneamente, ribatterono:
-Scusi,
che cosa ha detto? Che oltre a tutti questi soldi, l’azienda
era in credito di altri cinquantamila euro?!-
-Sì,
anzi, non lo so se i cinquantamila che dovevo dare a Giorgio rientrano
nella somma che manca, però, vi assicuro che, per quanta
riguarda il mio debito, lui ne era al corrente! Me lo aveva concesso
proprio lui, perché … sì, insomma,
perché io … -
L’interrogato
s’interruppe improvvisamente, chinando per
l’ennesima volta lo sguardo.
-Perché
lei cosa, signor Della Robbia?!- lo incitò Terenzi,
grattandosi nervosamente il mento.
-Siamo
qui per aiutarla: se ci tiene nascoste delle cose, qualunque cosa, noi
non potremmo fare nulla. Lo capisce?- rincarò la dose
l’ispettore.
-Io
avevo il vizio del gioco d’azzardo, ma è da oltre
un anno che ho smesso!- riuscì a confessare
l’uomo, passandosi le mani sul volto imberbe.
-Era
stato Giorgio a farmi uscire da quel brutto giro di scommesse: in sei
mesi, mi sono rovinato la vita, perdendo quasi tutti i miei risparmi.
Sono riuscito a dare di tasca mia duecentomila euro ai creditori, ma
purtroppo, gli altri cinquanta ho dovuto farmeli prestare da
lui, da Giorgio. Non potevo dire a mia moglie che avevo perso tutti
quei soldi, così Giorgio ha deciso di aiutarmi. Avrei dovuto
restituirglieli entro fine anno, se non fosse …
morto -
Nella
testa di Terenzi cominciò a ronzare una miriade di
pensieri, un vortice incessante che assomigliava a un nugolo di mosche
fastidiosissime, che gli stavano procurando una terribile confusione.
-Ricapitoliamo
un attimo, signor Della Robbia. Lei mi ha appena comunicato che doveva
restituire al defunto cinquantamila euro, perché era stato
proprio lui, più di un anno fa, a toglierlo dal giro del
gioco d’azzardo. Fino a qui è esatto?-
-Sì,
è così. Anzi, se devo dirle la verità,
quando mi ha contattato il suo collega, ho creduto che avevate scoperto
proprio questo, invece … -
-Invece
niente! Lei adesso mi farà i nomi dei suoi compagni
d’avventura, tutti!- sbottò il commissario,
battendo una mano sul tavolo.
-Non
voglio che ne salti nemmeno mezzo! La farò tenere
d’occhio da uno dei miei agenti, non vorrei che le accadesse
qualcosa di spiacevole, s’intende... - continuò,
cercando di spaventarlo affinché non si scordasse neppure
una virgola.
L’uomo
si agitò sulla sedia, poi, con voce bassa e un rivolo di
sudore che gli colava dalla fronte, chiese:
-Cosa
intende dire?-
-Voglio
dire che non vorrei che lei si dimenticasse di dirmi qualche nome dei
suoi ex creditori e, così facendo, quelli potessero
vendicarsi con lei per aver parlato … -
-Ma
… io non li vedo da oltre un anno, commissario, non so dove
trovarli! E poi, ho già saldato il mio conto!-
-Sì,
anche questo è vero. Tuttavia, dal momento in cui
parlerà, ne aprirà un altro, ancora
più grande. Stia, tranquillo, non si deve preoccupare,
perchè è tutto sotto controllo: lei continui a
fare la sua vita di sempre, al resto penseremo noi. Ah, ovviamente
entro fine anno, come da accordi pattuiti tra lei e il signor Appiani,
dovrà saldare il suo debito con la società. Siamo
intesi, signor Della Robbia?-
-Certo,
glielo prometto- farfugliò agitato l’uomo,
sbattendo gli occhi acquosi.
-Un’ultima
cosa, ha fatto partecipe qualcun altro della sua situazione economica?-
Carlo
Della Robbia diventò ancora più pallido e
tremante, quindi scosse la testa:
-Nessuno,
solo Giorgio lo sapeva-
-Nemmeno
la vedova Appiani?-
-Clelia?
No, nemmeno lei-
-Può
essere che il defunto l’abbia comunicato a qualcuno senza che
glielo dicesse?-
-No,
di questo ne sono certo! Giorgio era una persona molto fidata, non
andava in giro a spifferare i problemi degli altri!-
-Senta,
nell’appartamento del signor Appiani abbiamo trovato una
cassaforte con qualche centinaia di euro e il passaporto, ma
nell’ufficio no. Sa se ne avesse una?-
-Fino
a un paio di anni fa sì, poi l’ha fatta murare,
perché sosteneva che togliesse spazio ai quadri e alla
libreria. Però, posso dirle dove teneva le carte
più importanti-
-Dove?-
incalzò Terenzi, la voce dura.
-Beh,
è molto buffo, anche se le assicuro che è la
verità-
Il
viso dell’interrogato prese finalmente a distendersi e,
sogghignando, continuò a spiegare:
-Se
Giorgio teneva davvero a qualcosa, lo riponeva nel cestino della
spazzatura, quello che aveva nel suo ufficio personale. Lì
era sicuro che nessuno lo avrebbe ripescato, perché il
cestino serve proprio per buttare via le cose meno importanti, mentre
lui faceva esattamente il contrario!- raccontò
divertito l’uomo, gli occhi acquosi, fino a poco prima
irrequieti, ora di nuovo languidi.
Il
commissario fissò il suo sguardo incredulo in quello di
Carlo Della Robbia, poi in quello di Ghirodelli, che stava scrivendo a
computer il verbale.
-Ne
è proprio sicuro? – insistette
l’ispettore, dopo aver ricevuto un cenno d’assenso
da parte del superiore.
L’uomo
guardò con aria innocente i due poliziotti, quindi riprese:
-Certo
che ne sono sicuro! So quello che vi sto raccontando e, vi assicuro
ancora una volta, che è la verità!
Sarò anche un giocatore d’azzardo, però
non sono un bugiardo! Anzi, soprattutto non lo sono verso i miei
più cari amici, per questo mi dovete credere!-
-Va
bene, per il momento le voglio credere- gli concesse Terenzi, che poi
proseguì:
-A parte lei, chi altri sapeva che Appiani era solito fare
così? Non è mai capitato che si
sbagliasse e buttasse per davvero i documenti? O che, magari,
l’inserviente delle pulizie svuotasse il cestino della
spazzatura?-
-Mi
scusi, non mi sono espresso bene- puntualizzò Della Robbia,
abbozzando un sorriso e scuotendo il capo.
-Giorgio non teneva quel cestino esposto agli occhi di tutti,
perché una volta gli era successo proprio come ha detto lei:
delle carte importanti erano sparite dalla sua scrivania, dopo che la
donna delle pulizie le aveva buttate. Così, da quel giorno,
Giorgio decise di mettere due raccoglitori della carta nel suo ufficio:
uno, per così dire, vero, che utilizzava per i rifiuti, e
l’altro in cui nascondeva i suoi documenti più
preziosi-
-Non
rischiava che qualcuno, passando di lì, avrebbe potuto
leggere le carte?- continuò l'ispettore.
-Giorgio
era molto prudente: scriveva i suoi messaggi utilizzando
l’inchiostro simpatico-
-L’inchiostro
simpatico?!- s'intromise il commissario, l'espressione stupita.
-Sì,
con l’inchiostro simpatico-
-Ma
non era più semplice procurarsi un altro nascondiglio? Ad
esempio, non aveva dei faldoni, dei raccoglitori in cui tenere i
documenti ufficiali? A lungo andare, immagino che il cestino non
potesse contenere tutti quei fogli!-
-Infatti,
per certe carte, faceva proprio come ha detto lei. I contratti, ad
esempio, se li portava sempre a casa. L’inchiostro simpatico
serviva solo per nascondere i suoi appunti personali, le sue
impressioni su affari o questioni di lavoro che lo avevano
particolarmente colpito-
Terenzi
guardò ancora una volta Ghirodelli, che domandò:
-Questa
volta è sicuro di averci detto tutto?-
-Sì,
non ho altro da nascondere-
-Va
bene, signor Della Robbia, può andare- lo
accomiatò il commissario, alzandosi dalla poltrona.
-Due
nostri agenti la riaccompagneranno a casa: dica loro i nomi dei suoi
strozzini, gli indirizzi, se li sa, il covo della banda …
insomma, tutto, mi raccomando. Uno degli agenti rimarrà di
guardia sotto il suo appartamento. Ah, un'ultima cosa- fece finta di
essersi dimenticato -Clelia Camoletti ci ha confessato che, nell'ultimo
periodo, diciamo nell'ultima settimana, la vittima si comportava in
modo strano, che salutava a malapena. Conferma quanto ci ha riferito la
vedova?-
L'interrogato, già in piedi, il cappotto tra le mani, scosse
la testa:
-Per quanto mi riguarda, non ho trovato alcun cambiamento in Giorgio.
Beh, a parte il fatto che, venerdì sera, mi abbia chiesto di
aprire io la fabbrica, quest'oggi, per il resto le assicuro che era
normale, forse leggermente pensieroso per via del contratto che avremmo
dovuto firmare con i francesi ... -
-Va bene, ci è stato molto utile. Arrivederci-
I poliziotti gli strinsero la mano, poi l’ispettore
accompagnò fuori l’uomo.
Dopo
aver dato disposizioni a Matteucci e Cavani di scortare
l’imprenditore, il sottoposto rientrò
nell’ufficio del commissario, che lo stava attendendo in
piedi, le braccia conserte.
-Che
ne pensi?- lo interpellò pensieroso Terenzi, passandosi una
mano sulla barba incolta.
-Non
abbiamo trovato nessun cestino nell’ufficio, o meglio,
c’era solo quello della carta straccia, ma dentro, non
c’erano fogli bianchi-
-E
in casa?-
-Nemmeno-
-Quelle
carte non possono essere sparite: ho paura che siano finite in mani
sbagliate-
-Crede
che Giorgio Appiani sia stato ucciso per questo?-
-Non
lo so, ispettore, non lo so- sospirò dubbioso.
-E
poi, rimane ancora da scoprire il motivo del debito da trecentomila
euro- precisò Ghirodelli, un ciuffo di capelli rossi sulla
fronte.
-Siamo
in alto mare. E la reticenza di Della Robbia ci ha fatto perdere tempo
prezioso! Sei sicuro che, prima del nostro arrivo alla fabbrica, questa
mattina, nessuno sia entrato nell’ufficio della vittima?-
-Lo
escludo- confermò categoricamente il sottoposto, facendo
presente che il giudice aveva fatto mettere appena possibile i sigilli
alla struttura.
-Inoltre,
Rossi mi ha assicurato di non aver mai perso di vista
l’entrata. Oltre a Carlo Della Robbia, nessuno è
entrato: alle sette e mezza i dipendenti non erano ancora arrivati-
-Certo, lo so, ma il portone d'ingresso era aperto, quando il braccio
destro della vittima è entrato in azienda! Ce lo ha detto
proprio lui, ti ricordi?-
Il sottoposto gli rispose che se ne rammentava, ma che non vi erano
segni di effrazione, quindi, eventualità assai remota ma
possibile, poteva essere che, la sera di venerdì, Giorgio
Appiani Uzia si fosse dimenticato di chiudere a chiave, la testa persa
in chissà quali pensieri.
-L'allarme, comunque, era inserito. Senta, vuole che vada a
ricontrollare in fabbrica?-
-Sì,
ma non stasera. Sono le sette meno un quarto e possiamo permetterci di
aspettare fino a domani mattina. Portati Rossi, per le otto vi voglio
in azienda a controllare ogni angolo-
L’ispettore
annuì e, con un sorriso, s’informò se
doveva fare altro.
-Per
domani mattina convoca la segretaria del defunto: chiedile se
può venire per le undici. Ah, appena apre la banca,
controlla il conto corrente della vittima: voglio sapere le entrate, le
uscite, le transazioni finanziarie, i prelievi …
praticamente tutto!-
-Mi
ci vorranno sei mani e il doppio delle ore che abbiamo in una giornata
… - si lamentò comicamente Ghirodelli.
-Scusa,
hai ragione: lo so che ultimamente pretendo troppo da te, ma questo
posto è diventato un lazzaretto, metà degli
agenti sono influenzati e … mi affido nelle tue
mani, come sempre- si arrese con un sorriso Terenzi.
-Vai
pure a riposarti, ci riaggiorniamo in mattinata-
-D’accordo,
commissario. Buona serata-
|
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Capitolo 4 *** La segretaria civetta ***
Martedì
11 novembre, ore 9.30, commissariato
“L’Aquila”
Terenzi
aveva appena parlato con il questore, la dottoressa Del Fiore, per
richiedere l’autorizzazione a procedere contro il gruppo di
strozzini che Matteucci e Cavani avevano arrestato nella notte, e per
mettere sotto scorta il malcapitato Della Robbia.
Il
commissario non aveva ancora ricevuto notizie da parte di Ghirodelli
che, dopo il sopralluogo alla fabbrica, era andato dritto di filato
alla banca.
La
secondo perlustrazione nell’ufficio della vittima non aveva
prodotto alcun risultato: del cestino e delle carte non c’era
nemmeno l’ombra.
Non ci sono molte piste da
seguire, rifletté il poliziotto,
sorseggiando il terzo caffè della mattinata.
Carlo Della Robbia mi
sembra un povero diavolo, l’ho visto realmente colpito da
quello che è successo all’amico. E poi, ha svelato
il particolare del cestino, che avrebbe potuto tenere per
sé, se avesse avuto qualcosa da nascondere:
pensandoci, può averlo fatto di proposito, certo,
ma nelle condizioni in cui si trova, non credo sia così
stupido da dettar legge.
E
il luogo del delitto? Assai insolito: mi farebbe pensare ad un omicidio
legato agli affari, tanto più che nessuno sa che fine
abbiano fatto i trecento mila euro che mancano dal fatturato
dell’azienda: la fabbrica non è particolarmente
grande, eppure, per un’azienda del genere, un ammacco di
queste dimensioni potrebbe tranquillamente rappresentare il primo passo
verso il fallimento.
Inoltre,
e se scopriamo questo risolviamo anche il caso, che ci faceva Giorgio
Appiani nel pieno della notte nel suo ufficio? Aveva un appuntamento?
Chi aspettava? L’assassino? O semplicemente soffriva
d’insonnia?
Il
poliziotto decise di ritornare al distributore delle bevande, questa
volta per prendersi una cioccolata: la bevve lentamente, continuando a
rimuginare sul caso, insensibile al retrogusto di bruciato che si
diffondeva nel palato.
Una
volta in ufficio, il telefono squillò e, subito, vi si
avventò come farebbe un bambino con il salvagente in mare
aperto.
-Sì?
Terenzi ... -
-Commissario, sono appena uscito
dalla banca. Eccì!-
lo salutò lo starnuto dell’ispettore, vivido come
non mai dall’altro capo del telefono.
-Ancora
con questo raffreddore, Ghirodelli?! Ma non ti sei preso qualcosa?-
farfugliò contrariato il superiore, cambiando orecchio.
-Per l’esattezza una
tisana calda ieri sera e due aspirine questa mattina. Però,
fino adesso, non ho visto molti risultati … -
-Bravo,
ma cerca di non ammalarti seriamente, ti prego: sotto organico come
siamo, mi sei ancora più prezioso e, lo sai, non saprei
proprio con chi sostituirti!-
-Grazie, commissario. Comunque,
ritornando al caso, è stata un’impresa riuscire a
controllare il conto corrente del defunto. Il direttore della banca non
c’era quando sono arrivato, l’hanno dovuto
rintracciare per avere l’autorizzazione, ma alla fine ce
l’ho fatta. Giorgio Appiani non aveva il conto in rosso,
tutt’altro. Però, risulta un movimento sospetto,
un bonifico di centocinquantamila euro versato in due rate,
l’ultima appena
una settimana fa. L’intestatario è una certa
Agnese Rampi-
-Molto
interessante. La somma equivale esattamente alla metà del
debito che ha l’azienda- rifletté ad alta voce il
superiore, appuntando le notizie fresche di giornata sul solito block
notes.
-Questa Agnese Rampi è una cliente della banca, per caso?-
-Per caso, le devo dire di no-
-Uhm…
sempre belle notizie. Senti, per che ora hai convocato la segretaria?-
cercò di sdrammatizzare il superiore, facendo una giravolta
sulla poltrona.
-Per le undici-
-Bene,
speriamo che almeno lei sappia indirizzarci sulla buona strada. Ah, chi
c’è con Della Robbia?-
-Rossi-
-D’accordo.
Allora ti aspetto in ufficio. A dopo-
-Sarò lì
tra poco- l’ispettore starnutì di
nuovo e chiuse la telefonata.
Alle
undici e dieci, la segretaria del defunto Giorgio Appiani Uzia fece il
suo ingresso nell’ufficio di Terenzi tutta trafelata.
Doveva
avere poco più di trent’anni, ed era di altezza
media: dal giubbotto rosso aperto, si intuiva che era vestita in modo
sportivo, scarpe da tennis e i capelli castani raccolti in una coda.
-Buon
giorno, signorina Pellini- l’uomo si alzò dalla
sedia per stringerle la mano.
-Buon
giorno, commissario. Mi scusi tanto per il ritardo, ma il motorino non
voleva partire! Ho dovuto prendere l’autobus. Mi scusi
ancora- la ragazza si aggiustò i capelli, un sorriso
imbarazzato sul faccino.
Quindi,
appoggiò la borsa e il cappotto sulla sedia, prendendo posto
a sua volta.
-Posso?-
chiede una volta fatto, dimenticandosi delle buone maniere.
-Sì,
certo, si accomodi anche lei- stette al gioco il poliziotto, non
nascondendo una smorfia di disappunto.
-Allora,
per prima cosa la ringrazio per essere venuta- continuò, le
mani giunte sulla scrivania.
-Dovere,
commissario. Il signor Giorgio era così buono, una
così brava persona, davvero non so come abbiano potuto
ucciderlo!-
-Come
mai chiama la vittima con il suo nome di battesimo?-
s'informò interessato il poliziotto, recuperando un taccuino
dalla marea di documenti sulla scrivania.
-Oh,
una cosa tra di noi- si schernì la giovane, facendo un gesto
d’insufficienza con la mano destra.
-Voglio
dire, tra il povero signor Giorgio e me. Deve sapere, commissario, che
quando mi ha assunta, è stato lui stesso ad invitarmi
calorosamente a chiamarlo per nome, sempre dandogli del lei,
ovviamente. E io sa che cosa ho pensato? Beh, ho trovato la cosa
davvero buffa: insomma, da che mondo è mondo una segretaria
chiama il suo datore di lavoro rivolgendosi con appellativi come signore, dottore,
invece lui ha voluto che lo chiamassi con il suo nome! Un vero
gentiluomo, mi creda!-
Terenzi
non riuscì a trattenere un sorrisetto: che ragazza estroversa e dalla
lingua lunga.
-Dove
si trovava la notte in cui è stato ucciso?-
-A
casa del mio fidanzato, in via Buonarroti 32. Si chiama Andrea
Piacentini ... Se volete controllare, potrà confermarvelo.
Anzi, le scrivo subito il numero dietro il mio biglietto da visita-
rispose prontamente, sottolineando le parole con un gesto evocativo del
dito indice.
-Lo
faremo, non si preoccupi- annuì convinto, dopo che la donna
gli porse le cifre scarabocchiate.
-Senta, da quanto tempo lavorava per il signor Appiani?-
-Tredici
mesi. Ho risposto ad un annuncio sul giornale: sa, la segretaria di
prima stava per andare in pensione, così mi presentai per
sostituirla. E’ stato fatto tutto in piena regola, eh, con
un regolare concorso. Io non sono una che viene raccomandata-
-Capisco-
acconsentì con una punta d’irritazione il
poliziotto: non aveva insinuato nulla, perchè partiva in
quarta con delle congetture senza capo né coda?
-E si trova bene in fabbrica?-
-Oh,
sì, commissario. Il signor Giorgio e il signor Della Robbia
erano, cioè il signor Della Robbia c’è
ancora per fortuna, due persone squisite, davvero umane e
cordialissime! Anche gli operai, per quel poco che li conosco,
è gente molto perbene, educata: deve sapere che siamo tutti
una grande famiglia! Anzi, non ho proprio nulla di cui lamentarmi!- la
donna accavallò le gambe, un cenno di assenso con la testa.
-Dopo
quello che è successo resterà lì?-
-Certo-
si meravigliò la giovane, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo -se non mi cacciano, è mia
intenzione rimanere-
-Sa
chi prenderà il posto di Giorgio Appiani?-
-No,
non ufficialmente. Però, penso che la scelta del consiglio
d’amministrazione ricadrà sul signor Della Robbia.
O magari sui suoi figli, chi lo sa … -
-Da
chi è formato il consiglio d’amministrazione?-
incalzò il poliziotto, prendendo appunti sul block notes.
-Dal
signor Della Robbia e da altri azionisti. Non ricordo i nomi, ma se
vuole le faccio pervenire la lista completa-
-Grazie,
molto gentile. Senta, lei è a conoscenza del fatto che le
entrate della fabbrica difettassero di trecentomila euro?-
Il
viso di Sabrina Pellini si aprì in una smorfia di stupore:
-Cosa?!
Un debito di trecentomila euro?! O santo cielo, no, non lo sapevo, mi
sembrava non ci fossero problemi in azienda! Della parte amministrativa
si occupava direttamente il signor Giorgio, anzi, gli dava una mano
anche il signor Della Robbia, ma non ne ho mai saputo niente. Sa, io svolgevo altre mansioni- scrollò le spalle, impensierita da
quella notizia.
-Ovvero?-
-Beh,
ad esempio fissare e disdire gli appuntamenti del signor Giorgio-
cominciò ad enumerare in modo compìto -intrattenere gli
ospiti quando venivano a comprare direttamente in fabbrica, tenere la
corrispondenza, catalogare le bollette della luce e i vari documenti
… cose di questo genere-
-Mi
scusi, signorina, a proposito di documenti, lei sa dove la vittima era
solita custodirli?-
-Ci
sono i vari raccoglitori nel suo ufficio, faldoni destinati a
collezionare fatture su fatture! Non li avete trovati?-
-Sì,
questo lo sappiamo già. Ma io intendevo altri posti, meno
scontati ... -
-Mah,
non saprei- ed ecco che accavallò l’altra gamba.
Poi,
si portò una mano al mento, concentrata sulla risposta da
dare.
-In
realtà, i documenti ufficiali il signor Giorgio li portava
sempre a casa-
-E
in fabbrica? Non esiste una cassaforte?-
-No,
che io sappia no- dovette ammettere a malincuore la ragazza.
Almeno su una cosa, Della
Robbia è stato sincero, rifletté il
poliziotto.
-Sapeva dell’esistenza di un secondo cestino della spazzatura
dove il signor Appiani custodiva delle carte?-
-Un
cestino della spazzatura?! No, veramente no- replicò
divertita.
-Un
cestino serve per buttare le cose, non per conservarle! E poi, cosa
c’entra con i documenti?-
La
giovane sbatté un paio di volte le lunghe ciglia,
probabilmente finte, in attesa di avere maggiori delucidazioni.
-Sì,
in effetti dovrebbe essere così, ma il signor Della Robbia
ci ha riferito questa abitudine che la
vittima aveva
adottato già da qualche tempo. Per questo, pensavo che lei,
in qualità di segretaria personale, ne sapesse qualcosa in
più ... -
-No, mi dispiace, ma proprio non posso esserle d’aiuto- si
arrese, aprendo la borsetta per recuperare un fazzoletto di carta.
-D’accordo- si affrettò a continuare Terenzi,
ossessionato che anche i germi dell’interrogata si
propagassero nell’ufficio.
-Senta, lei ha idea se qualcuno minacciasse la vittima? Magari, il
signor Appiani, aveva avuto delle discussioni, degli screzi con
qualcuno, nell’ultimo periodo?-
-Che io sappia no- controbatté categoricamente.
-Il signor Giorgio era una persona tanto cara e buona, che proprio non
saprei chi possa aver voluto la sua morte. Per quanto mi riguarda, io
non l’ho mai sentito litigare con nessuno-
-Però, ci risulta che ultimamente fosse nervoso …
-
-Guardi, fino a venerdì scorso l’ho visto
normale, proprio come al solito. L’unica cosa che posso dirle,
è che, nella pausa pranzo, capitava che il signor Giorgio si
fermasse a parlare con me, sa due chiacchiere in confidenza, sul tempo, i film da andare a vedere al cinema, i libri da leggere ...
invece, la scorsa settimana, l’ha fatto solo un paio di
volte. Tutto qui, commissario-
Ho capito, si arreseTerenzi, da
questa ragazzetta non ricaverò nulla d’interessante.
-Un’ultima cosa, signorina: conosce Agnese Rampi?
L’ha mai sentita nominare?-
-Agnese Rampi?- la donna prese a giocherellare con il ciondolo a forma
di cuore della collana, lo sguardo concentrato su un punto indefinito
della scrivania.
-Uhm no, non l’ho mai sentita nominare. Di certo, non era una
cliente della fabbrica, altrimenti l’avrei saputo. Ha provato
a chiedere al signor Della Robbia?-
Oh per
carità, adesso vuole anche rubarmi il mestiere!
-Ovvio. Comunque va bene così- il poliziotto si
alzò dalla poltrona girevole, invitando la ragazza a fare
altrettanto.
-Per me può bastare. Si tenga a disposizione, signorina.
Venga, l’accompagno-
-Grazie, molto gentile- lo salutò civettuola, stringendogli
mollemente la mano.
E, finalmente, uscì di scena.
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Capitolo 5 *** Agnese Rampi: una simpatica vecchietta? ***
Quando un quarto d'ora più tardi, Ghirodelli
entrò trafelato in ufficio, il commissario lo stava
attendendo a braccia conserte, in piedi davanti alla finestra, dove
aveva visto scendere di corsa l'ispettore dalla volante.
-Mi scusi per il ritardo, ma ho avuto un contrattempo!-
-Cos'è, tu e la Pellini vi siete fatti scrivere il copione
dallo stesso autore da quattro soldi?-
-Lo so, cioè, mi perdoni. Sono rimasto bloccato in corso
Regina, a causa di un tamponamento. Ho chiamato la municipale,
che ha impiegato una vita per arrivare e ... eccì!-
Terenzi si girò nella direzione del sottoposto: aveva
un'espressione contrita, come se stesse pensando se credere o meno alla
motivazione propinatagli dall'uomo.
Alla fine, abbozzò un sorriso e, facendogli cenno di
sedersi, gli disse:
-Mi hai lasciato da solo con quella pazza! Adesso capisco
perché Appiani l'ha voluta come segretaria!-
Ghirodelli si accomodò, lasciandosi andare ad un sospiro
soddisfatto.
-Cosa intende dire?-
-Voglio dire che Sabrina Pellini non ha un briciolo di intelligenza, ma
per quanto riguarda l'aspetto fisico ... beh, quello è tutto
un altro discorso. Ah, c'è il suo alibi da controllare, per la
notte dell'omicidio: mi ha riferito che si trovava a casa del
fidanzato, un certo Andrea Piacentini. Abita in via Buonarroti 32 ...
lascio a te il compito di verificare- spiegò il commissario,
lanciandogli il biglietto da visita su cui la donna aveva appuntato
numero di telefono ed indirizzo dell'uomo.
-E se la segretaria fosse stata l'amante della vittima? Insomma, ha
appena detto che è un tipo piacevole ...-
-Più che piacevole, la definirei provocante-
puntualizzò il superiore, passandosi la mano sinistra sulla
barba incolta e facendo un paio di giri sulla poltrona.
-Comunque la voglia definire, la descrizione corrisponderebbe alla
debolezza che le ha confidato la vedova: lei ha chiesto il divorzio a
causa delle continue scappatelle del marito ... la convince come
ipotesi?-
-Uhm, no, non credo- rispose pensieroso, fissando un punto indefinito
del soffitto.
-E poi, almeno per il momento, la Pellini non aveva movente per far
fuori il datore di lavoro. Anzi, ti dirò di più:
da quello che ho intuito, Appiani mi dava l'impressione di essere un
appassionato per le belle cose, non tanto in senso strettamente
estetico, quanto credo curasse di più l'aspetto interiore
delle persone ... ti ricordi i quadri di Dalì e di Wahrol
alle pareti che conducono al suo ufficio? Ecco, sono l'esempio perfetto
per quello che sto cercando di dirti!- puntualizzò,
sorridendo soddisfatto e tornando a guardare negli occhi Ghirodelli.
L'ispettore annuì, non troppo convinto delle astruse
spiegazioni di Terenzi.
-Comunque, tornando per un attimo all'apparenza, nell'ufficio
della vittima non abbiamo trovato nessun cestino-
-Sì, purtroppo me lo ricordo. Però, abbiamo
l'indizio che ci ha fornito il direttore della banca, il bonifico
intestato a questa misteriosa Agnese Rampi ... a proposito, la
segretaria non sembra conoscerla-
Il commissario si rimise seduto composto, e unì i palmi
delle mani come a voler riflettere con maggiore intensità.
-Abbiamo notizie dei tabulati telefonici della vittima?-
domandò subito dopo.
-Stiamo ancora lavorando sull'analisi delle celle che la notte tra il
9 e il 10 novembre, tra le undici e diciamo l'una, le due, hanno
agganciato la zona in cui si trova la fabbrica di ceramiche. Poi,
confronteremo i dati con i numeri dei conoscenti di Appiani, per vedere
se l'incrocio dà qualche risultato ...- spiegò
con accuratezza Ghirodelli, dopo essersi soffiato il naso.
-Va bene, però muoviamoci a tirare giù questo
elenco. Ah, sto aspettando la telefonata di Bertani: ieri mattina, se
ti ricordi, mi aveva promesso che avrebbe cominciato già da
oggi l'autopsia-
-E per la donna del bonifico? Che facciamo?- s'informò
l'ispettore.
-Proporrei di aspettare che una manna insperata cada dal cielo ... che
domande sono? Diamoci una mossa, no? Portami un elenco telefonico, per
favore- lo punzecchiò il superiore, frustrato dal fatto che
non si riusciva a fare alcun passo in avanti con l’indagine.
-Ma non possiamo eseguire una breve ricerca sui nostri database?-
azzardò l'altro, aggrottando le sopracciglia e arricciando
la bocca sottile in una smorfia che esprimeva tutto il suo disappunto.
-Ho già provato: per prima cosa- cominciò ad
enumerare Terenzi con aria compìta -Agnese Rampi
non risulta essere schedata. In secondo luogo, per completare la
fortuna che ultimamente circola in questo commissariato,
nonché lazzaretto per gli influenzati come te, proprio
mentre stavo avviando l'altra ricerca, è venuto a farci
visita un virus che ha bloccato l'intero sistema informatico!
Comunque, non preoccuparti: il tecnico dovrebbe arrivare a momenti-
-Ah ...- riuscì solamente a dire Ghirodelli, allargando le
braccia in un segno di resa.
-Se la mette su questo piano, allora sarà mia premura
alzarmi immediatamente e andare a cercare la cara, vecchia rubrica del
telefono!-
Mezzo minuto più tardi, l'uomo rientrò vittorioso
in ufficio:
-L’ho trovata! Agnese Rampi abita qui a Torino, in via Nizza
180!-
-Ottimo lavoro, ispettore! Andiamo a sentire cos’ha da dirci!-
Il superiore si alzò di scatto dalla poltrona e
agguantò il giubbotto di pelle dall'attaccapanni.
-Eccì!-
riprese a starnutire l'altro.
-Guido io, è meglio- lo guardò torvo il
commissario -non vorrei che per colpa di uno dei tuoi starnuti non
arrivassimo a destinazione!-
-Non sia così tragico, capo! Eccì!"
I due erano già sulla soglia della porta, quando il telefono
dell’ufficio prese a squillare.
Terenzi tornò indietro e, rivolgendosi a Ghirodelli, gli
comunicò di aspettare un attimo.
-Sì ..?-
-Commissario, la disturbo?-
Dall'altro filo del telefono, una voce di donna lo salutò
con cortesia.
-Signora Camoletti, è lei?-
-Sono io. Grazie per aver usato il mio nome da nubile ...
l’ho chiamata per dirle che oggi pomeriggio, verso le cinque,
i miei figli potrebbero venire da lei. Sempre che per lei non sia un
problema-
-No, certo che no. Come si sente?- assecondò interessato
l'uomo, la testa abbassata su dei documenti sparsi sulla scrivania.
Si punzecchiò la barba incolta, in attesa della risposta.
-Bene. E' gentile a chiedermelo ... -
-Si figuri. Adesso mi scusi, ma devo andare. Appena ci sono
novità, la terrò informata ... -
-D'accordo, commissario. Arrivederci-
-A presto, signora-
Il poliziotto riattaccò la cornetta e, facendo qualche passo
in direzione dell'ispettore, gli annunciò:
-Oggi pomeriggio alle diciassette, verranno i figli della coppia-
-Speriamo che ci sappiano dire qualcosa in più-
azzardò fiducioso il sottoposto, soffiandosi il naso per
l'ennesima volta.
-E che Agnese Rampi ci sveli il mistero del bonifico ... - concluse,
dopo un sonoro starnuto.
-Già, speriamo. Ma adesso andiamo a sentirla-
La casa in cui risiedeva la donna dei centocinquantamila euro si
trovava dalle parti del Lingotto.
Il portone era aperto, nonostante il vento freddo, e una ragazza di
colore era intenta a pulire le scale di marmo ingiallito.
-Ci scusi, possiamo passare?-
-Sì, prego, io finisco dopo. Attenzione ai primi gradini, sono
bagnati-
I due uomini abbozzarono un sorriso di ringraziamento e, facendo
attenzione a non rovesciare il secchio colmo d'acqua e a non lasciare
troppe impronte sul pavimento bagnato, si avviarono su per le scale,
ancora intonse dalla pulizia mattutina.
Dalla targhetta sul citofono all'esterno, infatti, Agnese Rampi
risultava abitare al terzo piano, interno B.
Quando arrivarono a destinazione, Terenzi suonò il
campanello un paio di volte.
-Speriamo che ci sia ... - commentò innocentemente
Ghirodelli, guardandosi intorno.
-Basta con tutto questo entusiasmo, ispettore!- lo redarguì
con un'occhiataccia l'altro, ammettendo subito dopo:
-Almeno l’abbiamo trovata: se
non dovesse essere in casa,
possiamo sempre rintracciarla-
Dopo un minuto o due, quando ormai il commissario aveva riprovato a
strimpellare, persino a bussare come se dovesse buttar giù
la porta, e convinto che davvero non ci fosse nessuno,
l'usciò si aprì leggermente, con un rumore
stidulo di almeno una decina di mandate.
E che è?
Questo appartamento è peggio di una cassaforte!
si ritrovò a pensare il superiore, estraendo prontamente le
mani dalle tasche dei jeans.
Una donna sugli ottant’anni, con indosso probabilmente un
maglione giallo, il massiccio pannello a dividerli, domandò
in tono acido:
-Chi siete?-
-Buongiorno, signora, polizia. Sono il commissario Terenzi, piacere, e
questo è l’ispettore Ghirodelli-
I due uomini le mostrarono il distintivo, accompagnando il gesto con un
ampio sorriso di cortesia.
-Della polizia? Non ho fatto niente, quindi perché dovrei
credervi? E poi, che ne so se siete dei veri poliziotti o dei
truffatori?-
-Signora ... - tentò di farla ragionare il sottoposto,
prevedendo uno scoppio d'ira da parte del superiore, che detestava
attendere inutilmente.
–La vede questa stella e questo timbro? Vuol dire che i
nostri distintivi sono autentici. Se
ci fa entrare, vorremmo
parlarle di Giorgio Appiani-
-Di Giorgio?- cercò di capire se aveva udito bene,
azzardandosi persino ad aprire un filino di più la porta, il
suo solido scudo.
-Non mi fido, non ci credo che siete dei poliziotti- si convinse alla
fine, ritornando a guardarli in cagnesco.
-Glielo ha appena detto anche il mio collega, signora-
proseguì Terenzi, sospirando rumorosamente, gli occhi al
soffitto mezzo scrostato.
-Se non crede a noi, allora chiami in commissariato! Le confermeranno
quello che le stiamo dicendo da cinque minuti!-
La donna arricciò le labbra carnose, ricoperte da una vaga
peluria scura.
-Come si chiamerebbe questo commissariato?-
-“L’Aquila”.
Si trova in via Generali 10. Allora, adesso ci crede?-
-No- continuò imperterrita, squadrandoli dalla testa ai
piedi.
-Anzi, perché volete parlarmi?-
-Sul suo conto corrente, risulta che lei avrebbe fatto un
bonifico di centocinquantamila euro
al signor Appiani. Siamo qui
per sapere il motivo, signora-
-Che
cosa?! Io gli avrei dato tutti quei soldi?! Ma sta scherzando? Con la
pensione che mi passano quegli infami dello Stato, nemmeno in altri
ottantadue anni di vita riuscirò ad avere una somma del
genere!-
Terenzi
e Ghirodelli si lanciarono un'occhiata che esprimeva tutta la loro
incertezza: stavano sudando freddo, e non sapevano più che
pesci pigliare.
-Ma lei è la signora Agnese Rampi, vero?-
azzardò il superiore.
-No,
io sono la madre di Agnese- rispose orgogliosa la vecchietta.
Il
commissario e l'ispettore si guardarono nuovamente.
-Ah
... e sua figlia dov’è? E' in casa?-
continuò il sottoposto.
-No,
è al lavoro-
-Potrebbe
darci un suo recapito?-
Ci vogliono le tenaglie
per farla parlare, signora mia?! avrebbe voluto chiederle
Terenzi.
-No- rispose secca e decisa l'altra.
-Senta
signora, visto che non ci fa entrare, le lascio il mio biglietto da
visita, ma la prego: appena torna sua figlia, le dica che siamo
passati. E' molto urgente, d’accordo?-
La
donna annuì, poco convinta dalla supplica dell'uomo.
-Uhm,
va bene, glielo dirò-
-Grazie,
mi raccomando però, deve dirglielo entro oggi. Ha capito? E'
davvero molto importante-
-Giovanotto,
non sono rimbambita! Se le ho detto che glielo dirò, glielo
dirò!-
Fa che non sbatta la
porta, fa che non sbatta la porta!
-Un’ultima cosa, signora: lei consoce il signor Appiani,
vero? Prima l’ha chiamato Giorgio ... -
-Non
bene, in realtà- sembrò sciogliersi la donna -so
solo che è un amico di Agnese, e basta. Ora devo andare, mi
avete già fatto perdere un sacco di tempo con le vostre
chiacchiere inutili: ho spento il sugo e va a finire che mi si attacca.
Arrivederci-
La
gentile vecchietta sbatté la porta in modo assai elegante,
scrutando ancora una volta i due loschi figuri.
-Però,
simpatica la nonnetta- esclamò ironico Ghirodelli.
-Non
commentare, è meglio-
I
due uomini ridiscesero le scale, l'idea fissa in testa che la madre di
Agnese Rampi le comunicasse che la stavano cercando.
La ragazza di colore era ancora lì, intenta a spazzare la
prima rampa.
-Arrivederci-
la salutarono il commissario e l'ispettore.
-Arrivederci-
rispose lei, e riprese a canticchiare sottovoce.
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Capitolo 6 *** La musicista e lo sbruffone ***
Martedì
11 novembre, ore 12.55, commissariato “L’Aquila”
Appena
svoltarono l’angolo, Terenzi sbuffò rumorosamente:
-Uffa, ci risiamo! Ci mancavano solo loro a rovinare questa
giornata!”
Il commissario, imbacuccato nel giubbotto di pelle e con la sciarpa
avvolta a mo’ di burqa, era al volante della sua Panda
gialla, con cui lui e l’ispettore stavano tornando
dall’infelice quanto inutile colloquio con la madre di Agnese
Rampi.
-Che succede?- cercò di capire Ghirodelli, che aveva
trascorso la mezz’ora di strada a starnutire e a soffiarsi il
naso, ormai privo di forze.
-Quel branco di avvoltoi ci sta aspettando proprio
davanti l’entrata del commissariato!-
spiegò con tono cospiratorio il superiore, accostandosi al
marciapiede, a un centinaio di metri dal nemico.
Infatti, un malefico gruppo di giornalisti assetati di ultime
novità, stava professionalmente piantonando
l’ingresso della stazione di Polizia: Terenzi, il pomeriggio precedente, dopo che finì di interrogare la vedova, fu
catapultato dal questore -tramite una telefonata assai eloquente-
nell’arena, ovvero nella sala stampa della questura, dove
venne costretto a rispondere alle innumerevoli domande delle iene
sull’omicidio Appiani.
Commissario, ha idea di
chi possa aver voluto la morte del noto imprenditore? Come è
stato ucciso? Chi ha rinvenuto il cadavere? Dottore, avete
già delle piste da seguire? Crede sia stato un delitto a
sfondo passionale? O magari è da imputare alla concorrenza?
E chi prenderà le redini dell’azienda?
Terenzi uscì da lì con un terribile mal di testa,
per questo non aveva alcuna intenzione di ripetere la parte del capro
espiatorio in quell’assurdo, quanto prematuro, assalto
mediatico.
Per quale accidenti di motivo i giornalisti non riuscivano a capire che
lui non voleva parlare per il semplice fatto che non aveva ancora uno
straccio di indizio su cui indagare?!
Quando ne avrebbe trovati, di indizi, sarebbero stati i primi a
saperlo, ma dannazione, per il momento che lo lasciassero in pace!
Certo, la dottoressa Del Fiore era di tutt’altro avviso, e
non aveva perso tempo a farglielo presente:
“Le forze
dell’ordine non possono permettersi di fare brutte figure,
deve trasmettere sicurezza, commissario, per il buon nome
dell’istituzione che rappresentiamo!”
gli aveva seraficamente fatto notare la donna, una quarantenne alta e
minuta, i capelli biondi svolazzanti e gli occhi azzurri nascosti
dietro un paio di occhiali da miope.
E perché non far emergere anche l’apparenza del
super poliziotto? avrebbe volentieri aggiunto lui, dell’eroe
che sa già tutto, dell’uomo con la vista a raggi X
che, appena avvista da lontano un cadavere, è già
in grado di stabilire motivo, ora del decesso e persino
l’assassino?
-Cosa facciamo?- biascicò Ghirodelli, riportandolo al
presente, elegantemente spalmato sul sedile del passeggero.
-Passiamo da dietro e parcheggiamo la macchina nel posteggio del
supermercato-
Terenzi non attese neppure un cenno di assenso da parte del sottoposto
e, rimettendo in moto, si avviò a passo di Miss Marple
–la sua tartaruga di terra- verso la strada parallela, fiero
della sua astuzia.
-Dottore, mi scusi, ci sarebbero delle comunicazioni per lei
… -
L’agente scelto Sandra Finotti uscì dalla
guardiola e si mise sull’attenti: Terenzi la
osservò con fare impensierito, e le disse di mettersi comoda.
-Il tecnico che ha chiamato è andato via una ventina di
minuti fa: è riuscito ad aggiustare l’intero
sistema informatico, però mi ha detto di riferirle che ha
modificato l’antivirus e le modalità di
aggiornamento del software. Inoltre, l’ha cercata il
commissario Berardi, della stazione competente di via Cavour, per
comunicarle che gli strozzini di Della Robbia, arrestati la notte
scorsa, hanno deciso di collaborare: pertanto, ci vorrà la
verbalizzazione ufficiale del teste. Infine, il medico legale, il
dottor Bertani, desidera essere richiamato al più presto-
La venticinquenne, una brunetta dalla voce stridula, si
fermò di colpo: chiuse la boccuccia e, le braccia ben tirate
lungo i fianchi, attese la replica del superiore.
Terenzi la guardò interdetto: perché i giovani
poliziotti, si domandò rassegnato, agli esordi della propria
carriera, si comportano tutti come dei burattini messi in piedi da una
catena di montaggio?
Chissà se
anch’io ero così? E’ passato tanto di
quel tempo …
L’uomo si passò una mano sulla barba incolta,
percependo che il mal di testa della sera precedente sarebbe presto
tornato a fargli compagnia.
-Va bene, la ringrazio Finotti- tagliò corto, dirigendosi
nel suo ufficio, alle calcagna l’ispettore, che subito si
fiondò sul distributore automatico di bevande, assetato di
un curativo quanto surrogato thè al limone.
Dopo la brutta figura fatta a casa di Agnese Rampi, Terenzi attendeva
con trepidazione di parlare con Anita e Gabriele, i figli del defunto,
per sapere qualcosa di più sul padre e, magari, anche sulla
misteriosa donna del bonifico.
Nell’attesa, per darsi la giusta carica, dopo aver gustato il
super tramezzino di Maurizio –il proprietario del bar della
via di fronte, nonché suo ex collaboratore*- il poliziotto
si ricordò di telefonare al dottor Bertani, il medico legale
che si occupava dell’ormai cadavere di Giorgio Appiani Uzia.
Erano quasi le due, e il telefono suonava a vuoto: possibile che non ci
fosse nessuno? Al decimo squillo, finalmente, la voce roca e bassa
dell’anatomo patologo salutò il poliziotto.
-Dottor Bertani, sono Terenzi-
-Commissario, buon pomeriggio. Ho iniziato due ore fa con
l’autopsia del nostro amico … -
-Qualche indiscrezione?-
-Dai primi esami che ho fatto, ho trovato nel sangue una dose piuttosto
massiccia di bromazepam, o Lexotan, come preferisce chiamarlo. Fa parte
delle benzodiazepine, una classe di farmaci utilizzati, tra
l’altro, come antidepressivi che, se impiegati in modo
sbagliato, possono portare a perdita di coscienza, depressione
respiratoria e cardiaca e, addirittura, alla morte. Viene venduto sotto
forma di capsule, compresse, gocce, tuttavia,
sull’avambraccio destro della vittima, proprio nella piega
del gomito, ho trovato un minuscolo foro, simile a quello provocato da
una recente venipuntura -
-Mi sta dicendo che è stato drogato?-
-In apparenza no, o meglio, è stato stordito con le
benzodiazepine … - sbuffò Bertani, non
raccapezzandosi –il Lexotan è già
sufficientemente potente, inoltre la sua formulazione richiede solo
dosi orali, non endovenose. Per cui, dal momento che gli esami
tossicologici sono ancora in corso, di più non so dirle-
-Questo genere di medicinale si trova facilmente in commercio?-
s’informò interessato il commissario,
scarabocchiando sul taccuino il nome del farmaco.
-Direi di sì, a patto che uno lo conosca e sappia come
usarlo. Ah, prima che me lo chieda, serve l’impegnativa del
medico per poterlo acquistare-
-A che ora risale l’ora della morte?-
-Dallo svuotamento gastrico, direi tra le ventidue e le ventiquattro
della notte tra il 9 e il 10 scorso-
-E il sangue trovato sul colletto? Appartiene ad Appiani?-
-Esatto. Trauma cranico: probabilmente il colpo è stato inferto quando la
vittima era ancora semicosciente. L’hanno colpito due volte,
ma in modo differente. Questo mi spinge ad azzardare che ad uccidere il
signor Appiani siano state due persone distinte… -
-Ne è sicuro?!- incalzò strabiliato il
poliziotto, massaggiandosi il mento e poggiando la cornetta
sull’altro orecchio.
-Devo ancora completare l’autopsia, però sono
praticamente certo che la pressione dei colpi sia diversa: uno
è stato assestato con maggior forza e, inoltre, chi ha dato
il colpo più violento, quello mortale per intenderci, era
sicuramente più alto della prima persona-
-Come fa a stabilirlo?-
-Per l’angolazione dei colpi: è visivamente
differente-
-Crede che uno dei due assassini fosse un uomo?-
-Può darsi. O era un uomo, oppure una donna particolarmente
alta … questo tocca a lei scoprirlo, mi dispiace-
Terenzi continuò ad appuntarsi quelle fondamentali
rivelazioni sul block notes, quindi domandò pensieroso:
-Quando potrà farmi avere il referto?-
-Credo e spero per domani sera. Se passa da me, cercherò di
prepararglielo per le sette, sette e mezza-
-D’accordo. La ringrazio molto, dottore-
-Dovere. Buona giornata-
Terenzi convocò immediatamente Ghirodelli per metterlo al
corrente delle ultime novità.
-Dobbiamo risentire al più presto Carlo Della Robbia, non
solo per la faccenda degli strozzini, ma anche per la storia dei due
assassini. Era la persona più vicina alla vittima, in tutti
i sensi: amico, collaboratore, braccio destro, Appiani si è
persino fatto carico dei debiti dell’uomo!-
ricominciò a riflettere il superiore, mentre
l’ispettore, seduto sulla sedia all’altro capo
della scrivania, ascoltava a braccia conserte.
-Ha ragione, forse lui potrà rivelarci ancora dei
particolari importanti. Ah, per quanto riguarda l’alibi della
Pellini, il fidanzato, Andrea Piacentini, ha confermato: la notte del
delitto erano insieme, la segretaria ha dormito nel suo appartamento.
Se ne è andata solo al mattino, per recarsi in fabbrica-
-Molto bene. Per il momento, non abbiamo elementi per credere che abbia
mentito, ma non possiamo neppure escluderla completamente dalla lista
dei sospettati. Invece, per quanto riguarda l’elenco degli
azionisti, farò al più presto una verifica di
nomi, carriere, vita privata e lavorativa … insomma, tutto
quanto li riguarda- si appuntò sul solito taccuino,
mordicchiandosi il labbro inferiore.
-Posso occuparmene io- si propose il sottoposto, allungando una mano
per recuperare il foglietto.
-Non adesso, ispettore. Passami il termine, ma sei davvero uno
straccio. Ti serve una lunga notte di riposo, così potrai
ritornare come nuovo-
Terenzi si alzò dalla poltrona imbottita, aspettando che
anche l’altro lo imitasse.
-Ma ... non si deve preoccupare per me! Mi sento molto meglio,
davvero!- ribatté Ghirodelli.
-Caro il mio Pinocchio, non cadrò nella tua trappola! Non
è un consiglio, quello che ti ho dato, è un
ordine e, come tale, devi obbedire!- cominciò ad alterarsi
il superiore, sinceramente preoccupato.
Ma l’ispettore era un osso duro, doveva ammetterlo:
perciò, dopo una sorta di tregua, il commissario fu
costretto a cedere, incaricandolo di telefonare alle farmacie della
città per sapere se, di recente, qualcuna ha venduto il
Lexotan.
-Lo consideri già fatto, capo!- si alzò
finalmente il sottoposto, lasciando la stanza con il foglietto dei
compiti in mano.
ORE
16,50
Mancavano dieci minuti all’arrivo di Anita e Gabriele
Appiani, così Terenzi uscì dall’ufficio
per prendersi un caffè.
Speriamo che quella
pazza della madre di Agnese Rampi dica alla figlia di chiamarmi,
così da avere dei chiarimenti sul bonifico fatto alla
vittima.
Mentre aspettava che il bicchierino si riempisse, si guardò
intorno: effettivamente,
in centrale siamo un po’ sotto organico. Tra Bini e Di Biase
a casa con la febbre, a cui si è aggiunto anche Rossetti con
una bella bronchite, Matteucci di guardia a Carlo Della Robbia, qui
siamo rimasti davvero in pochi: per fortuna che almeno Rossi e le due
nuove agenti resistono.
Terenzi gettò il bicchiere nel cestino, e si
avviò verso l’ufficio di Ghirodelli.
-Allora, testone,
come procede la ricerca?-
-Ancora nulla, commissario- rispose con un sorriso, la cornetta a
mezz’aria.
-Ho già chiamato dieci farmacie, ma nessuna di queste ha
venduto il nostro farmaco-
-Continua, prima o poi troverai qualcosa. Vado ad aspettare i figli
della vittima-
-Ha bisogno di me per battere il verbale?-
-No, chiamo la Maffei ad aiutarmi-
Il superiore lo salutò con un cenno del capo, e
ritornò in ufficio.
Si era appena seduto dietro la scrivania, quando
sentì bussare:
-Avanti!-
-Commissario, sono arrivati Anita e Gabriele Appiani- lo
informò con professionalità l’agente
scelto Arianna Maffei, capelli neri a caschetto ed occhi verdi.
Due giovani sui trent’anni, estremamente somiglianti,
entrarono nella stanza: lei era oggettivamente molto bella, il viso e
il portamento fieri come quelli della madre, mentre i lunghi capelli
ricci erano stati raccolti da un fermaglio; il ragazzo, invece, era
alto ed atletico, anche lui con i capelli ricci castani e gli occhi
color ambra.
-Buonasera. Prego, accomodatevi-
Terenzi strinse loro la mano, invitandoli a prendere posto.
-Grazie per essere venuti così presto-
I due annuirono, i volti assorti e contriti.
-Prima di iniziare, permettetemi di farvi le condoglianze per la morte
di vostro padre-
-Nostra madre ce lo ha detto questa mattina: ci ha praticamente buttato
giù dal letto, talmente era presto- intervenne Gabriele, il
meno amareggiato tra i due.
-Dobbiamo ancora assimilare la notizia ma, almeno per quanto mi
riguarda, non posso dire che mi dispiaccia particolarmente-
continuò asciutto.
Anita lanciò un’occhiata di traverso al fratello,
riprendendolo senza farsi troppi scrupoli:
-Gabriele, per favore, smettila!-
-E’ vero! Non vedo perché dobbiamo nasconderlo,
visto che anche tu lo pensi!- ribatté sulla difensiva
l’altro, facendo spallucce e sogghignando.
-Potete spiegarmi il motivo per il quale parlate così male
di vostro padre?- cercò di comprendere il commissario, le
mani congiunte sulla scrivania, mentre la Maffucci registrava
l’interrogatorio al computer.
-Nostra madre ha sofferto molto per lui: l’ha tradita, si
è preso gioco di lei, cambiando donna come si cambiano delle
scarpe ormai vecchie! Anche con noi, non è mai stato un
santo. Anzi, era un despota, un uomo che voleva che tutti facessero e
pensassero come lui. Se provavi a contrastarlo, era finita: nel
migliore dei casi, ti portava il broncio per qualche giorno, ma non
desisteva mai dai suoi propositi, mai-
-Intuisco che faceva così anche con voi … -
punzecchiò Terenzi.
-Soprattutto con noi. Ci trovava gusto-
-Commissario, non dia ascolto a quello che dice mio fratello,
è solamente molto scosso- cercò di difenderlo la
sorella, guardando il ragazzo, per poi spiegare:
-E’ vero, ha fatto soffrire per molto tempo nostra madre.
Però, da quando si sono separati cinque anni fa, il nostro
rapporto con lui era cambiato, avevamo ripreso a volergli bene, proprio
come una volta-
Anita scoppiò a piangere, coprendosi il viso con le mani.
-Signorina, vuole un bicchiere d’acqua?- le offrì
il poliziotto, con fare comprensivo.
-Sì, per favore-
Terenzi fa un cenno alla Maffucci, che uscì
dall’ufficio per ritornare poco dopo.
-Ecco a lei- le disse l’agente, appoggiando il bicchiere
sulla scrivania.
-Grazie- riprese la ragazza, dopo aver bevuto qualche sorso.
-Avete un’idea di chi possa aver ucciso vostro padre? Un
movente?-
-No- risposero in coro i due giovani, prima Gabriele, subito seguito
dalla sorella.
Il poliziotto tralasciò volutamente di raccontare il
particolare fondamentale che, ad uccidere l’uomo, erano state
due persone distinte.
-Quando lo avete visto l’ultima volta? So da vostra madre che
non abitate a Torino-
-Infatti. Siamo venuti in città lo scorso fine settimana-
confermò il ragazzo.
-Abbiamo pranzato da lui. Fosse stato per me, avrei incontrato solo
nostra madre, ma è stata Anita ad insistere-
-E lo avete sentito dopo quel giorno?-
I due scossero la testa, convinti.
-Commissario, si sa già come è morto?-
domandò la ragazza, la voce tremante.
-Gli hanno somministrato una forte dose di antidepressivo, e poi lo
hanno colpito. Ma non ha sentito nulla, signorina, perché
era già svenuto … -
-Oddio- la giovane ricominciò a piangere:
recuperò un fazzoletto di carta dalla borsa e si
soffiò il naso.
-Se vuole facciamo una pausa- suggerì Terenzi, ma Anita lo
rassicurò, dicendogli che non era necessario.
-Sapevate che l’azienda di vostro padre ha un debito di
trecentomila euro?-
-Trecentomila euro?! E’ impossibile, papà non ce
ne ha mai parlato!- esclamò stupita, mentre il fratello
sogghignava.
-Eppure è così, signorina. E’ sicura
che non ve ne abbia mai parlato o, perlomeno, accennato?-
-No, commissario, ne sono certa-
-Anche lei, signor Appiani?-
-Sì, anche io- rispose con una nota beffarda, sospirando
annoiato.
-Conoscete Agnese Rampi?-
-Sarà stata una delle sue amanti- commentò
sorridendo Gabriele, facendo spallucce.
-Smettila!- gli intimò arrabbiata la sorella, lanciandogli
l’ennesima occhiataccia.
-Si attenga a rispondere alle domande che le vengono poste. La conosce
oppure no, signor Appiani?-
-Mi scusi, dicevo così per dire. Comunque no, non la
conosco- perdurò con il medesimo tono provocatorio.
-La notte in cui è stato ucciso vostro padre, dove vi
trovavate?- incalzò con sguardo crucciato il poliziotto.
-Io ero nel mio appartamento a Milano. Da solo- si affrettò
a precisare il ragazzo.
-E lei, signorina?-
-Ero … a Padova: condivido un piccolo appartamento con una
mia collega del conservatorio. Si chiama Paola Pedretti: se vuole
contattarla, glielo potrà confermare anche adesso-
Il commissario si fece dettare il numero di telefono e
l’indirizzo della donna, quindi li accomiatò.
-Un’ultima cosa: per quanto resterete in città?-
-Appena ci sarà il funerale, tornerò
immediatamente a Milano- rispose senza esitazione Gabriele.
-Io, invece, starò qui a fare compagnia a mia madre ancora
per qualche giorno, almeno per una settimana, credo … -
-Bene, allora se avrò ancora bisogno di voi,
saprò dove contattarvi. Prego, vi accompagno … -
Anita e il fratello si alzarono dalle sedie.
-Quando potremo fare il funerale, commissario?-
-Penso tra un paio di giorni, signorina. Domani il medico legale
finirà l’autopsia, poi spetterà a voi e
a vostra madre decidere-
-Grazie, è stato molto gentile- lo salutò la
ragazza, stringendogli con riconoscenza la mano.
E, così, uscirono dall’ufficio.
NOTA
DELL'AUTRICE
Ciao
a tutti, cari miei lettori!! Grazie di cuore per essere in tantissimi a
seguire questa nuova indagine del commissario Terenzi!
Sono
davvero felice di avervi al mio fianco!
Volevo
ricordare brevemente chi è Maurizio, il quarantenne barman
"con la barba di qualche giorno e gli occhi azzurri", che sa fare il
miglior cappuccino della città, come recita la sua maglietta!
E'
apparso nella precedente storia, "Omicidio in Steelstrasse
n°41", ex poliziotto sottocopertura che, durante un'operazione
contro dei trafficanti d'arte, venne ferito ad una gamba e
sparò dei colpi contro due banditi, uccidendoli.
Da
quell'episodio, la decisione di cambiare radicalmente vita.
Detto
questo, vi lascio, perché mi accorgo che questo è
stato un capitolo lunghissimo!
Un
abbraccio e mille grazie!
|
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Capitolo 7 *** La macchina del gelato ***
Martedì
11 novembre, ore 20.00, commissariato "L'Aquila", Torino
Terenzi
salutò quei quattro gatti che erano rimasti in
commissariato, salì in macchina –parcheggiata
all’ora di pranzo nel posteggio del supermercato, per
sfuggire all’orda assetata di giornalisti- e si diresse
sicuro ma stanco dalle parti del Valentino.
Gli era sempre piaciuto guidare: i movimenti lisci e silenziosi del
volante, le curve accarezzate con dolcezza dalle ruote della sua Panda,
i pedali efficienti che si alternavano, come in una sinfonia, in un
crescendo di accelerazioni e frenate … insomma, condurre
un’automobile aveva il potere di rilassarlo.
Anche se, appena rispuntavano le calde giornate primaverili,
l’atletico commissario subito ne riapprofittava per compiere
qualche lungo giro in bicicletta: infatti, non amava particolarmente
camminare, si piegava a quell’evenienza solo se obbligato.
Dopo un’abbondante mezz’ora, finalmente il
poliziotto parcheggiò davanti ad un edificio signorile, i
muri color giallo limone.
Aprì la portiera e si tirò su il bavero del
cappotto, mentre un leggero brivido causato dal vento, si insinuava nel
colletto della camicia, lungo il collo lasciato nudo.
Solo in quel momento, infatti, si rese conto che, nella fretta, aveva
dimenticato la sciarpa nel suo ufficio, appollaiata
sull’attaccapanni: scrollò le spalle e scosse
impercettibilmente il capo, convincendosi che l’avrebbe
recuperata l’indomani.
Lanciò un’occhiata verso l’alto, per
controllare se riusciva a scorgere la luce dell’appartamento
al secondo piano, ma le persiane chiuse non lo aiutarono ad
individuarla.
Molti degli appartamenti erano occupati da uffici, come testimoniavano
le innumerevoli insegne che avevano preso posto vicino al citofono:
l’uomo suonò in corrispondenza del cognome di uno
dei pochi inquilini del palazzo, le mani sepolte nelle tasche dei
pantaloni di velluto, per resistere al freddo novembrino.
Dopo una manciata di secondi, una voce allegra gli rispose:
-Sì?-
-Sono io, Alessandro-
-Vieni!-
Il poliziotto sgusciò nel portone, appena aperto con un clic metallico,
quindi salì le scale di marmo fino al secondo piano.
La porta di legno massiccio sulla destra era socchiusa, come per
invitarlo ad entrare.
E Terenzi, affamato e stanco come si sentiva, non si fece ripetere
l’invito una seconda volta.
-Uhm, che buon profumino!- esclamò, entrando deciso.
Si tolse il cappotto, lo appese all’ormai famigliare
attaccapanni, e si avviò a passi felpati in
cucina: una ragazza molto carina, dai capelli castani stretti in una
coda e gli occhi color ambra, si voltò non appena
avvertì la presenza dell’uomo alle sue spalle, un
grembiule bianco e rosso sopra i pantaloni blu della tuta.
-Ecco qui il mio commissario preferito! Per fortuna mi hai
avvisato che avresti ritardato, altrimenti non ti avrei perdonato
… -
Ginevra Morini, la fidanzata di Terenzi dall'aprile dell'anno
precedente, lo accolse con un sorriso, scostandosi una ciocca ribelle
dalla fronte.
-Ciao- lui la salutò sfiorandole le labbra, felice di
rivederla.
-Scusami se sono in versione casalinga disperata, ma se vuoi mangiare
bene, devo mettermi ai fornelli: sto preparando una cosa che di certo
ti piacerà!-
La giovane ritornò a voltarsi, riprendendo a spadellare, a
mettere e a togliere coperchi, a mescolare e ad assaggiare il contenuto
di tutte e quattro le pentole.
-Ne sono certo: dal profumo è sicuramente del pesce!- la
punzecchiò, pizzicandole con tenerezza un fianco.
-Sei il solito guastafeste! Almeno potevi far finta di non sapere cosa
fosse: uffa, hai il fiuto per qualsiasi cosa, e mi rovini sempre ogni
sorpresa!-
-Sarà deformazione professionale, la mia … -
cercò di farla ragionare, facendo spallucce ed assumendo
un’espressione fintamente angelicata.
-Ti posso aiutare?- continuò l’uomo, indicando con
un indice il tavolo di cristallo non ancora apparecchiato.
-No no, per carità, non vorrei che mi mettessi a fuoco la
cucina: dopo i reperti archeologici, questo è il mio regno
… -
Ginevra spense due dei quattro fornelli, lisciandosi il grembiule con
aria soddisfatta.
-Guarda che io sono bravissimo a cucinare! Non ti ricordi di quello
sformato di patate che ti ho fatto qualche settimana fa?-
-Eccome se me ne ricordo: quelle patate erano talmente dure, che tra un
po’ mi rompevo i denti!- rispose sorridendo, voltandosi verso
il poliziotto e cingendogli le ampie spalle.
-Come sei complicata! Secondo te, come ho vissuto tutti questi anni da
single se non cucinandomi da solo?-
-Ah non lo so, e non voglio nemmeno saperlo!- si arrese la
ragazza, baciandogli una guancia.
-Ho già apparecchiato di là in sala: scegli pure
tu il vino. Sai che non me ne intendo molto … -
-Già, tu preferisci quegli intrugli che assomigliano a del
vino, ma che sono dei surrogati che andrebbero banditi dal mercato
mondiale!-
-Scemo … comunque, dal momento che so che i miei surrogati non ti
piacciono, ho comprato apposta un paio di bottiglie: sono lì
dentro, terzo ripiano … -
Ginevra indicò il carrello portavivande sotto la finestra
della cucina, tornando a concentrarsi sulle restanti due pentole che
ancora borbottavano sul fuoco.
-A proposito, non ho avuto tempo di passare a comprarti qualcosa- si
scusò l’uomo, abbassando lo sguardo: si sentiva in
colpa, perché ogni volta che la fidanzata lo invitava a
pranzo o a cena, lui non si recava mai a casa sua a mani vuote, anzi,
la viziava con graziosissime e colorate piante, con scatole di
cioccolatini, con un libro, con il DVD dell’ultimo film che,
tempo prima, avevano visto al cinema … insomma, una chicca
per ogni occasione.
-Oggi è stata una giornata molto lunga e faticosa. Sono
venuto direttamente qui, senza neppure passare da casa …
anzi, spero che Miss Marple sia finalmente piombata nel lungo sonno del
letargo, perchè non le ho lasciato nemmeno mezzo cespo di
lattuga! Quest’anno, proprio non ne vuole sapere del letargo
… - concluse impensierito, riferendosi alla tartaruga di
terra, che la sua vicina di casa, una vecchina un po’
eccentrica, gli aveva appioppato quattro anni prima.
–Ahi! Mi è schizzato il sugo!-
piagnucolò la ragazza, arretrando di qualche passo.
Restò in bilico per una pugno di secondi, le ciabattine rosa
confetto rimaste intrappolate nel tappeto giallo.
-Attenta a non bruciarti-
Terenzi armeggiò sapientemente con il cavatappi, lanciandole
un’occhiata a metà tra il divertito e il
preoccupato.
-Prima o poi, dovrò decidermi a cambiarlo … -
commentò pensierosa, spegnendo anche gli ultimi fornelli.
–Ma come cavolo funziona ‘sta affare?! E’
duro come uno dei tuoi fossili!-
-Non cominciare ad offendere! E’ lì da una vita:
quello che mi avevi regalato, non lo trovo più!-
-Vorrai forse dire che lo hai buttato ... -
Lei sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
-E poi, di solito il vino lo porti tu, caro mio. Usa un po’
più di forza, no?-
-Oh, finalmente!- esclamò il poliziotto, ormai al terzo
tentativo, rosso in viso per lo sforzo.
Nel frattempo, la fidanzata aveva decretato che potevano spostarsi
nella sala degli ospiti, per gustarsi la cenetta romantica.
-Basta lamentarsi: qui è tutto pronto! Portalo pure in
tavola-
Ginevra accennò alla bottiglia di vino bianco che
l’uomo aveva scelto e stappato, quindi si avviò
nella sala da pranzo, reggendo trionfalmente una capiente ciotola con
il primo piatto.
Il commissario la seguì come un fedele cagnolino.
Quando arrivò in soggiorno, rimase piacevolmente stupito
dall’accuratezza che lo accolse: oltre ai soliti due divani
color panna e all’omologa poltrona con il puff davanti, la
fornitissima libreria che occupava due pareti color pesca, e la TV da
quaranta pollici spalmata su uno dei muri, la sua attenzione venne
catturata dal tavolo quadrangolare, avvolto da una graziosa tovaglia
crema, i tovaglioli e i piatti abbinati, i bicchieri di cristallo e, al
centro, una candela rossa ancora da accendere.
-A cosa devo tutta questa eleganza?- riuscì finalmente a
domandare l’uomo, regalandole un’occhiata di
ammirazione.
-Se non ti piace, puoi sempre mangiare in cucina … - lo
redarguì imbronciata Ginevra, le mani sui fianchi.
-No, io sono contento. E’ solo che, beh, forse è
perché è da tanto che non vengo a mangiare e
… -
-Non dirmi che sono riuscita a metterti in imbarazzo?! Tu,
l’intrepido commissario Terenzi, che non si arrende davanti a
niente e a nessuno, si stupisce per così poco?-
La ragazza scosse divertita la testa e, sorridendogli, gli si
avvicinò:
-Infatti è per questo che ho apparecchiato con tutti i
crismi. Era da tanto che non ci ritagliavamo un po’ di tempo
solo per noi, e volevo farti una sorpresa … -
Ginevra lo baciò con lentezza sulla bocca, accarezzandogli
la nuca e poi la schiena.
Quindi si staccò, in attesa che il poliziotto dicesse
qualcosa.
-D-dove li tieni i fiammiferi?- balbettò, rinfrancato da
quella dimostrazione di amore.
-Sono nel secondo cassetto della credenza … -
L’archeologa indicò un minuscolo armadietto, le
cui dimensioni non rispettavano per nulla l’idea comune di
credenza, tuttavia si diresse obbediente verso di esso.
-Mentre tu accendi la candela, comincio a servire la pasta!-
esclamò lei, riempiendo i piatti con la calamarata al sugo
di pesce.
-Sediamoci, altrimenti si raffredda … -
-Hai fatto anche il secondo?- chiese Terenzi, accomodandosi di fronte
alla ragazza, pregustando le prelibatezze della sua cucina.
-Certo che sì: sformato di alici, pomodori e patate!-
-Uhm, che bontà! Ogni volta che vengo qui mi vizi!-
-Cosa ci vuoi fare? Lo faccio per il tuo bene. Facciamo un brindisi?-
L’uomo annuì con un mezzo sorriso, riconoscendo la
verità di quelle sante parole: subito, versò da
bere a entrambi.
-A noi due!-
-A noi due!- gli fece eco Ginevra, incrociando il proprio braccio a
quello del fidanzato.
-Bene, allora buon appetito-
Avevano appena addentato la seconda forchettata di pasta, quando il
cellulare di Terenzi cominciò a vibrare e a squillare, nel
cappotto avvinghiato sull'attaccapanni, a pochi metri da loro.
L'uomo lanciò un'occhiata angosciata prima alla ragazza, e
poi al telefonino imboscato.
Di solito, appena usciva dal commissariato, non lo teneva mai addosso o
nelle immediate vicinanze, neppure nella tasca interna della giacca o
in quella dei pantaloni, perché voleva sentirsi libero di
non dipendere da quell’aggeggio, importantissimo in
un'infinità di occasioni, non voleva e non poteva negarlo,
ma spesso si rivelava peggio di una patata bollente.
Tuttavia, in virtù del disastroso colloquio con la madre di
Agnese Rampi, appena quella mattina, il poliziotto aspettava con una
punta di ansia di ricevere la telefonata della donna.
-Uhm, chi sarà a quest’ora?! Non puoi proprio
stare tranquillo, eh?!- lo rimbrottò la ragazza, masticando
nervosamente.
-Scusami, Gin, spero che non sia niente di importante- cercò
di minimizzare l’uomo, non giungendo a conclusioni affrettate.
-Tra l’altro, non so neppure a chi appartenga questo numero
… - commentò fiducioso, leggendo le cifre sul
display.
-Ci metto poco, davvero. Pronto?-
Il poliziotto si alzò per galanteria dal tavolo, rimanendo
in piedi a pochi passi dalla sedia imbottita.
-Commissario Terenzi?-
lo apostrofò una voce di donna che lui non aveva mai
sentito.
-Sì, sono io. Lei chi è?-
-Buonasera, mi scusi per
l’orario, spero di non averla disturbata-
-No, non si preoccupi, signora … ?-
-Sono Agnese Rampi. Mia
madre mi ha detto che oggi è venuto a cercarmi: ho appena
finito il mio turno in ospedale, faccio l’infermiera. Quando
sono tornata a casa, ho saputo che voleva parlarmi di Giorgio Appiani
... è per quello che gli è accaduto, vero?-
-Sì, diciamo che è stata
un’impresa convincere sua madre che il mio collega ed io non
eravamo dei truffatori. Comunque, non si preoccupi, volevo farle delle
semplici domande di routine: è una faccenda un po’
delicata, non so se le ha già accennato qualcosa sua
madre…-
-No, in
realtà mi ha avvisato per telefono, e adesso è
già andata a letto. Anzi, mi scuso per come immagino si sia
comportata: fa sempre così con le persone che non conosce.
Sa, è un po’ diffidente …
-
-Certo, capisco-
Un po’
diffidente? pensò retoricamente Terenzi, ma se sembrava una iena!
-Quando vorrebbe parlarmi?-
-Se non è un problema per lei, domani sarebbe
l’ideale-
-Va bene, il mio turno
inizia alle due. Se vengo lì per mezzogiorno, può
andare?-
-Perfetto, grazie per la sua disponibilità. Allora, ci
vediamo domani alle dodici. Buona serata, signora Rampi-
-Anche a lei.
Arrivederci, commissario-
Terenzi appoggiò il cellulare sulla smilza credenza dietro
di lui, quindi ritornò a sedersi, affamato.
-Scusami, ma era una questione di lavoro: una testimone molto
importante che ho necessità di sentire al più
presto … -
Ginevra aveva finito di mangiare la sua porzione di pasta, e stava
attendendo delucidazioni da parte del fidanzato, le braccia conserte.
-Anche la mia pasta è una questione molto importante: si
sarà raffreddata … -
-Non fare così, la mangerò tutta anche se dovesse
essere fredda- il poliziotto baciò la mano della ragazza,
sapendo che, nonostante le mezze scenate, in realtà la
ragazza ammirava e aveva un immenso rispetto per il lavoro che lui
svolgeva.
-Bravo, così mi piaci. Che caso stai seguendo?-
s’informò gongolante, già a conoscenza
della risposta.
-Quello sull’omicidio del re delle ceramiche torinesi,
Giorgio Appiani Uzia. Non dirmi che, in questi due giorni, non hai
ancora vista un servizio del Tg?-
-Già, ho sentito ... poverino. A che punto siete con le
indagini?-
-Praticamente è come se non avessimo ancora cominciato-
commentò tristemente Terenzi, addentando anche
l’ultima forchettata.
-E poi?-
-E poi cosa, Gin? Lo sai che non voglio e non posso raccontarti nulla
delle indagini ancora in corso!-
-Hai ragione … scusa-
Il silenziò calò sui due piccioncini, ma non
durò a lungo, perché la giovane si
alzò dalla tavola e andò ad accendere il
televisore ultrapiatto.
-Che fai?- domandò con una punta di allarmismo
l’uomo, intuendo dove lei volesse andare a parare,
inducendolo a parlare.
-Nulla … mi è venuta un’improvvisa
voglia di vedere il telegiornale regionale. Ma ci metterò un
minuto, guardo solo i titoli-
Terenzi si impose di non replicare: tuttavia, quando il volume
raggiunse un livello troppo alto da sopportare, il poliziotto le
urlò di abbassare.
-Come, scusa? Non riesco a sentirti … - lo guardò
stupita, sedendosi sul bracciolo di uno dei divani.
-Spegni, e ti racconterò tutto!- finse di arrendersi
l’uomo.
La ragazza lo accontentò prontamente, ritornando al proprio
posto.
-Allora? Che novità ci sono?-
Il commissario abbozzò un sorriso: scosse il capo, stupito
che lei ci cascasse sempre.
-Sai, non credo sia una buona idea … - tagliò
corto, soddisfatto che il teatrino lo stesse salvando da
quell’interrogatorio fuori luogo.
-Ancora con questa scenetta? Io ci casco sempre, è vero, ma
tu sei davvero perfido!-
-Ormai dovresti conoscermi … - continuò a
punzecchiarla, alzandosi per consolarla.
Ma, appena lui si abbassò per abbracciarla, la fidanzata ne
approfittò per vendicarsi.
-No! Dai, per favore, sai che odio il solletico! Ahah, no, smettila,
Gin, per favore!-
Dopo un’altra manciata di pizzicotti e una buona dose di
gridolini, finalmente smise.
Entrambi con il fiatone, Terenzi si accasciò al proprio
posto, la camicia bianca stropicciata.
-Sei terribile, davvero … -
-Beh, prima ho cercato di farti ragionare. Ma tu non mi hai voluto
ascoltare … - replicò la fidanzata, facendo
spallucce con aria ingenua.
-A sentire il suo collaboratore e la segretaria,
l’imprenditore era un vero angioletto, mentre la vedova e il
figlio non sono esattamente dello stesso parere –
cominciò a spiegare il poliziotto, sentendosi in colpa come
un sacerdote che rompe il segreto confessionale.
-E la donna con cui hai parlato adesso? Cosa c’entra?-
-Da quello che mi ha detto la madre questa mattina, sembra che il morto
fosse un amico della figlia. Ah, tra l’altro, non credeva che
io e Ghirodelli fossimo dei veri poliziotti, dovevi vederla! Le abbiamo
parlato fuori dalla porta, perché non
c’è stato verso di convincerla a farci entrare!-
continuò l’uomo, sorseggiando il vino bianco, che
subito lo rese più loquace.
-E’ una vecchietta apparentemente innocua, ma con un
caratterino tutto pepe!-
-Finalmente qualcuno in grado di tenerti testa … -
Il poliziotto fece di finta di non aver sentito, zittendosi
all’istante.
-E allora? Non c’è altro?-
-Ah, scusami, non mi ero accorta che eri diventata il nuovo questore! O
forse, preferisci che ti chiami Pubblico Ministero?-
-Molto divertente … - Ginevra azzardò ad alzarsi
nuovamente, ma subito Terenzi la bloccò con una presa salda
sulle braccia.
-Sembra che abbia versato una somma considerevole sul conto corrente
del defunto. Per questo ho bisogno di interrogarla-
-Interessante. E se fosse proprio lei l’assassina? Magari lui
non voleva ridarle i soldi- commentò pensierosa, arricciando
le labbra.
-Non penso, anche se mi chiedo come faccia un’infermiera come
lei è ad avere tutti quei soldi-
-Di quanto si tratta?-
-Bè, parecchio denaro … -
Ginevra, ferma sulle sue ginocchia, era pronta per fargli sputare fino
all’ultimo rospo ma, il commissario, notando
l’espressione per nulla angelica sul volto della fidanzata,
continuò nel resoconto:
-Centocinquantamila euro, però adesso basta!- la fece alzare lui,
solleticandole i fianchi.
Aveva avuto almeno il buon senso di non raccontarle nulla circa le
ultime rivelazioni del dottor Bertani, e nemmeno del passato da
giocatore d'azzardo di Della Robbia, per non rischiare di agevolare gli
assassini con una fuga di notizie inopportuna.
-Ma non farne parola con nessuno, Gin, sono ancora in corso le
indagini! Hai capito?!-
-Sì, non preoccuparti, sarò muta come…
-
-Come una tomba egizia! Lo so, lo so, dici sempre così!-
-Ma poi è vero, scusa, sto zitta sul serio. Cambiando
discorso, così non rompi più, bravo che hai
mangiato tutto! Adesso vado a prendere lo sformato-
-Aspetta, ti porto di là i piatti-
Il poliziotto sfiorò le mani della ragazza, che sorrise
soddisfatta.
-Senti- esordì Ginevra, una volta in cucina, tirando fuori
dal forno spento lo sformato di alici, pomodori e patate.
-E se fosse stato il figlio?-
-Oh, smettila, Gin! Quando fai così, mi verrebbe voglia di
non dirti più nulla! Lui non era nemmeno qui quando
è successo, lavora…-
-Sì, lo so, lavora a Milano. Si vede che non sai molto sul
gossip, è uno dei migliori partiti della città.
Anzi, dalle foto che ho visto sui giornali e dai servizi al Tg, deve
essere anche un gran bel ragazzo!-
-Lo è- cominciò a spazientirsi lui, mollando i
piatti nel lavandino -ma se cominci a punzecchiarmi, allora
sarò costretto a dirti che anche la sorella è
molto bella!-
-Ma smettila! Andiamo a finire di mangiare, che è meglio.
Ah, lascia un posticino per il dolce-
Ginevra lo spinse verso la sala da pranzo, invitandolo senza troppe
smancerie a portare con sé il secondo.
-Hai fatto anche quello?!-
-Sì, caro mio! Una collega del museo ha comprato la
macchina del gelato e … -
-Con questo freddo?!- piagnucolò il commissario, appoggiando
la teglia sul tavolo.
-E allora? Noi lo facciamo sciogliere per bene! Insomma, questa mia
collega l’ha comprata, su consiglio della cugina, e mi ha
detto che funziona benissimo, così me la sono fatta
prestare!-
-Mi vengono i brividi al solo pensiero!-
-Ma scusa, non eri tu quello che amava il freddo e odiava il caldo? Me
lo hai detto la prima volta che ci siamo incontrati, sul treno per
Grosseto! Già non te lo ricordi?*-
-Sì, però il gelato è buono da
mangiare d’estate e … massì, dai, come
l’hai fatto? Male che vada mi ammalo come metà del
commissariato … -
-Pistacchio e fiordilatte! Ah, a parte ho comprato la salsa al
cioccolato. Che ne dici, ti può
piacere?!-
-Ottima scelta. Vuoi vedere che è la volta buona che
ingrasso un po’?!-
-Non ci sperare, più ti abbuffi e più diventi
magro-
-Per forza, con tutto quello che mi prepari ogni volta che vengo a cena
da te!-
I due si fronteggiarono ancora per una manciata di secondi, quindi
scoppiarono in una fragorosa risata.
Poi, ritornarono a sedersi, soddisfatti per come la serata stava
proseguendo.
* si riferisce alla prima indagine del commissario, "Mistero a doppia indagine", pubblicata in questa sezione! |
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Capitolo 8 *** L'orco di Pollicino ***
Mercoledì
12 novembre, ore 9.00, commissariato
“L’Aquila”, Torino
Il
tempo continuava ad essere uggioso, tipicamente invernale: il freddo e
il vento persistevano, anche se quella mattina era uscito un timido
sole.
Terenzi
arrivò un po’ più tardi del solito,
perché si era addormentato a casa di Ginevra: avevano
concluso la serata guardando uno dei DVD che lui le aveva regalato le
volte precedenti e, tra un commento e l’altro, tra un
bicchiere di vino bianco e il successivo, i due piccioncini finirono
per addormentarsi sul divano.
Così,
quando intorno alle due il commissario riaprì gli occhi,
appesantiti dalla nebbia del sonno profondo, si tirò su come
se fosse atterrato su un letto di spine.
Nel
buio del salotto, l’uomo percepì il corpo
dell’archeologa, affettuosamente disteso sull’altro
divano, ricoperto da una coperta a quadri scozzese, che evidentemente
aveva recuperato dopo che lui si era addormentato.
E,
solo in quel momento, si accorse che anche lui aveva una sorta di
lenzuolo a coprirgli le spalle.
Sorrise,
pensando a quell’ennesima dimostrazione d’amore
della compagna, quindi si riaddormentò, convincendosi quanto
fosse fortunato ad avere una fidanzata come lei, premurosa,
intelligente e bellissima.
Fecero
colazione insieme, alle sette e mezza, poi Ginevra scappò al
Museo Egizio, strappando al poliziotto l’ennesimo bacio.
Infine,
toccò a Terenzi dileguarsi, che corse con la sua Panda fino
a casa, per controllare come stesse Miss Marple, la tartaruga di terra:
finalmente, la testuggine si era decisa ad andare in letargo,
così non dovette neppure rifornirla di lattuga e altre
prelibatezze vegetariane, nascosta nella soffice terra che il
proprietario le aveva preparato già il mese prima.
Adesso,
il commissario stava sistemando le innumerevoli carte e documenti
ordinatamente impilati sulla scrivania, in maniera quasi maniacale:
rilesse per l'ennesima volta le deposizioni di Della Robbia sul
ritrovamento del cadavere, quelle di Clelia Camoletti, della signorina
Pellini e di Anita e Gabriele Appiani, non riuscendo a raccapezzarsi su
come sbrogliare quella matassa che erano le indagini.
Poi, recuperò il taccuino e cominciò a
sfogliarlo, ricordandosi all’istante delle innumerevoli
questioni che aveva ancora in sospeso.
In
primis, doveva recuperare la maggior parte delle informazioni possibili
sugli azionari della fabbrica di ceramiche, quindi avrebbe dovuto
chiamare Sabrina Pellini, la segretaria dell’imprenditore,
che gli aveva promesso l’elenco del consiglio; quindi,
avrebbe provato a richiamare il commissario Berardi, nonostante il
pomeriggio precedente avesse tempestato il suo diretto almeno per una
mezza dozzina di volte, non riuscendo mai a mettersi in contatto con
lui; infine, in tarda serata, si sarebbe recato dal dottor Bertani,
l’anatomo patologo, per ritirare la relazione
sull’autopsia del magnate delle ceramiche.
Guardò
l’orologio: aveva ancora tre ore prima
dell’interrogatorio con Agnese Rampi, la misteriosa donna dei
centocinquantamila euro, esattamente metà della cifra di cui
la fabbrica difettava.
L’uomo
sbuffò, arricciando le labbra in modo pensieroso: gli venne
mente una canzone di Cocciante, Margherita, le cui parole recitavano
più o meno così: “quante cose devo fare, prima che
venga domani!”.
Ma
prima di darsi per sconfitto e avere il tempo di commiserarsi, il
pensiero corse a Ghirodelli, il suo fedele braccio destro.
Il
pomeriggio precedente, dopo il colloquio con Anita e Gabriele Appiani,
lo aveva poco educatamente obbligato a tornare a casa: infatti,
l’ispettore era uno straccio, continuava a starnutire e a
soffiarsi il naso, che era ormai arrossato e spelacchiato
all’inverosimile.
In
più, la ricerca che gli aveva lasciato da effettuare sul
farmaco che il medico legale aveva trovato nel sangue della vittima,
aveva dato esito negativo: sembrava che a Torino, nell’ultima
settimana, nessuna persona avesse comprato quella benzodiazepina,
perlomeno nessuna che potesse ricondursi alla vittima.
Quella
mattina, non lo aveva ancora visto: da una parte della sua coscienza,
sperava che il collega fosse rimasto a casa, in modo da potersi
riposare.
Tuttavia,
una vocina nella sua testa, per intenderci quella del diavoletto dei
film, gli ripeteva che senza il suo supporto, il suo aiuto, le indagini
rischiavano di stagnare per chissà ancora quanto tempo ad un
punto morto.
Così,
lasciò perdere la fila di carte e documenti già
perfettamente ordinata, e andò a sedersi sulla scrivania,
una gamba ben piantata a terra e l’altra a penzoloni.
Acchiappò
la cornetta del telefono, e compose il diretto dell’ufficio
di Ghirodelli.
Che strano,
pensò, ancora
lo stesso rumore di ieri …
Provò
a comporre anche il numero della guardiola, ma la linea continuava a
risultare imprendibile.
Sbuffò
contrariato, riprovando a chiamare l’ispettore.
Balzò
giù dalla scrivania con l’agilità di un
felino, e si diresse ad ampie falcate nel corridoio.
Salutò
sbrigativamente un paio di agenti intenti a bere il primo
caffè della giornata, quindi bussò con impazienza
alla porta dell’ispettore.
Una
voce nasale lo invitò ad entrare: segretamente
esultò, perché il collega, per sua fortuna, non
era rimasto a casa.
-Buongiorno,
commissario … eccì!-
Terenzi
si sentì in colpa, a vederlo così conciato:
-Proprio
non vuoi startene a riposare al calduccio, eh? Guarda che non ti
conviene fare l’eroe!-
-Ma
quale eroe ed eroe, capo!- ribatté, scuotendo la testa
desolato, la voce nasale.
-Non
posso starmene a casa: c’è un’intera
squadra di operai che da ieri mattina ci allieta con
un’armonia di cazzuole, scale, montanti e il resto dei loro
attrezzi infernali! Il tetto del condominio si è avallato
per colpa delle piogge degli ultimi giorni, così ci siamo
beccati la manutenzione straordinaria! Adesso capisce che, se proprio
devo scegliere, preferisco il suono armonioso delle sirene delle nostre
pantere?-
-Ah
… - riuscì solamente a commentare il superiore.
In
effetti, anche lui avrebbe optato per la stessa soluzione.
-Non
credo che sia venuto qui per ascoltare le mie lamentele, non
è così? Che succede?-
Il
commissario annuì un paio di volte, quindi, in piedi davanti
all’ispettore, gli spiegò:
-Credo
che il telefono del mio ufficio non funzioni … -
-Ma
come? Ancora?!-
-Eh,
a quanto pare sì … -
L’apparecchio
in questione, infatti, aveva smesso di funzionare già
l’anno passato, durante un’altra indagine assai
delicata che aveva visto coinvolta l’intera squadra de
“L’Aquila”,
quella sul caso italo tedesco di Rebecca Dünnerz e Sebastian
Perrez.
-Sai
ieri mattina quando siamo tornati da casa della Rampi, e la nuova
agente ci ha fermato per farmi il resoconto di cosa era successo in
nostra assenza? Ecco, se ti ricordi, avrei dovuto contattare anche
Berardi, per mettermi d’accordo con lui per andare ad
assistere agli interrogatori degli strozzini di Della Robbia-
Terenzi
sospirò per riprendere fiato, quindi proseguì:
-E
io ho provato a chiamarlo un sacco di volte, ma non sono mai
riuscito a prendere la linea. Questa mattina, per togliermi ogni
dubbio, ho provato a comporre il tuo di numero, senza risultato
… -
-Così
è giunto all’ovvia conclusione che il suo
apparecchio non funzioni. Ha provato con il numero della guardiola?-
L’altro
annuì.
-Se
intanto vuole provare a contattare Berardi dal mio ufficio, io intanto
vado di là dalla Maffei e le dico di far venire qui il
tecnico … -
-Va
bene, ti ringrazio. Recupero un attimo il numero del commissariato e
torno subito-
Il
superiore uscì con un cenno del capo, riflettendo che, negli
ultimi giorni, tra gli agenti in malattia, il sistema informatico che
non funzionava, l’omicidio di Appiani più una
mezza dozzina di altre denunce, la buona sorte proprio non voleva
essergli amica.
-Ciao
Franco, sono Terenzi … -
-Oh, Alessà, come stai?-
La voce di un cinquantenne dalla forte cadenza napoletana gli
trapassò il timpano.
Era
da un paio di anni che non aveva più avuto il piacere di
collaborare con il suo pari Berardi, ma il commissario ancora si
ricordava i modi spicci e diretti dell’uomo.
Era
subentrato ad una collega, una tra le donne più belle ed
affascinanti che Terenzi avesse mai visto, che aveva chiesto il
trasferimento in Calabria, dopo aver vinto un concorso per il ruolo di
magistrato in quelle terre dalle mille sfaccettature.
Franco
Berardi, invece, era felicemente sposato con una torinese doc, aveva
tre figli –di cui due gemelli- e sembrava l’orco di
Pollicino, data la sua stazza poco ingombrante.
-Bene,
grazie. Ho provato a chiamarti ieri pomeriggio, ma ho scoperto solo
stamattina che il mio telefono non funziona. Allora, dimmi pure: gli
uomini che abbiamo arrestato cosa dicono? Sono disposti a collaborare?-
-Beh, la faccenda è
assai complicata, compare … ma nutro buone speranze che il
guaglione voglia mettere la testa apposto, cantando tutto quello che
sa. Tu li hai già visti? Sai che faccia hanno, che tipi sono?-
-No,
li hanno arrestati alcuni dei miei ragazzi due notti fa. Il questore,
la dottoressa Del Fiore, ha ritenuto opportuno che il caso passasse
sotto la tua competenza … -
-Ah, saggia donna, e bella assai.
Comunque, si tratta di tre uomini e due donne, tutti imparentati tra di
loro. Le due pupe sono di origine romena, o qualcosa del genere, e sono
sorelle, che hanno sposato due dei tre uomini, che invece sono
fratelli, mentre il terzo è il padre dei guaglioni
… insomma, una cosa fatta in famiglia, spero di essermi
spiegato bene-
-Sì,
diciamo di sì. Vai pure avanti, Franco-
-Come ti dissi
all’inizio della nostra amichevole conversazione, il
più giovane dei due fratelli, un guaglioncello di poco
più di vent’anni, sembra essersi convinto a
collaborare. Dice che studia, che è un bravo guaglione, che
ama viaggiare, e che non sapeva gli intrallazzi dell’allegra
famigliola. Pare sincero, Alessà. Però, prima di
continuare con gli interrogatori, vorrei che tu li vedessi. Da quello
che mi ha spiegato la questora, sei giunto a loro grazie al caso
Appiani, giusto?-
-Esatto.
Come già saprai, la mia squadra ed io stiamo indagando sul
suo omicidio: il collaboratore della vittima, Carlo Della Robbia, fino
a un anno fa ha avuto a che fare con questi strozzini. Poi, grazie
all’intervento salvifico ed economico
dell’imprenditore assassinato, l’uomo ha potuto
risanare il debito che aveva con questa gente. Noi lo abbiamo scoperto
per caso, convocando il Della Robbia per chiedergli spiegazioni su una
somma considerevole di denaro mancante dal fondo della fabbrica e ...
ma ti racconto meglio di persona. A proposito, Della Robbia lo hai
già convocato?-
-Sì, per questo
pomeriggio alle quattro. La Del Fiore ha revocato la scorta
già da ieri pomeriggio. Noi qui abbiamo copia della denuncia
che ha fatto da te, ma ovviamente, come puoi ben intuire, serve che ci
sia un confronto tra lui e gli strozzini. Tu che fai? Vieni a tenere
compagnia all’allegra combriccola?-
-Certo,
non vedo l’ora- sdrammatizzò Terenzi.
-Oh
benissimo! Allora puntuale, Alessà, ci vediamo alle quattro.
A più tardi-
NOTA
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti, e buonissima Pasqua, cari lettori!
Scusate,
lo so che ai recensori avevo promesso che in questo capitolo avremo
fatto la conoscenza di Agnese Rampi, ma mi sono accorta che sarebbe
venuto troppo lungo, perciò aspettatevi un aggiornamento a
metà settimana, con l'interrogatorio della misteriosa donna!
Vi
ringrazio per il supporto!
A
presto!
|
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Capitolo 9 *** L'incidente di sci ***
Ore 12
-Commissario, è arrivata Agnese Rampi- dichiarò
l’agente scelto Arianna Maffei, i capelli corti e castani
tagliati a caschetto, gli occhi acquosi da cerbiatta.
-Bene, la faccia entrare-
Una donna sui cinquant’anni, a suo modo elegante in un
completo griglio informale, i capelli neri e gli occhi chiari, fece il
suo ingresso nell’ufficio.
Solo in quel momento, il poliziotto si rese conto che non aveva mai
cercato di darle un volto, come spesso faceva prima di convocare i
testimoni: era una sorta di giochetto che lo divertiva e lo
intrigava, un pò come il famoso Indovina chi.
L'uomo scrutò di sottecchi il suo volto: appariva titubante,
ma anche sicura di sé. Forse, per il semplice fatto che non
aveva nulla da nascondere …
-Buongiorno-
-Buongiorno, signora Rampi. Prego, si accomodi-
Terenzi si alzò dalla poltrona e le strinse la mano, quindi
la invitò a prendere posto, mentre l’agente si
posizionava dietro il computer per scrivere il verbale: Ghirodelli,
infatti, non c'era, perché si era finalmente deciso a farsi
visitare da un medico.
-Grazie- la donna appoggiò la borsetta color senape sulle
ginocchia, e si guardò intorno spaurita.
-Non le farò perdere molto tempo, ho bisogno solo di sapere
un paio di cose-
Il commissario si mise comodo, cercando di mantenere una debita
distanza con l’interrogata, in modo da non metterla in
ulteriore agitazione.
Voleva che fosse il più sincera possibile: sperava che fosse
l'anello mancante della catena, la persona giusta in grado di rivelare
la vera personalità della vittima.
-Dunque, per prima cosa, come ho avuto modo di capire dalla nostra
telefonata di ieri sera, è già al corrente della
morte di Giorgio Appiani Uzia … -
-Sì- commentò amareggiata, abbassando lo sguardo
per una manciata di secondi.
Quando lo risollevò, gli occhi chiari sembravano trattenere
più di una lacrima.
-Ho sentito la terribile notizia al telegiornale. Mi dispiace molto per
quello che è successo: io e Giorgio ci conoscevamo da un
paio di anni. Lui è … era una persona gentile e
premurosa con tutti-
-Come vi siete conosciuti?-
-In ospedale: due inverni fa si era rotto la gamba e la caviglia
sinistre andando a sciare, così l’hanno ricoverato
alle Molinette, nel reparto di Ortopedia e Traumatologia, dove
tutt'ora lavoro. Dopo che è stato dimesso, abbiamo
continuato a vederci … -
Sembrava imbarazzata, quasi timida, alla stregua di una ragazzina alla
sua prima cotta adolescenziale.
-Vi frequentavate? Intendo dire se stavate insieme ... -
Il commissario era visibilmente interessato: socchiuse gli occhi scuri
e attese la risposta della donna, che aveva ripreso ad essere nervosa.
-Sì e no. Diciamo che per un periodo siamo usciti insieme,
ma non ufficialmente. Sa, entrambi eravamo separati, anzi, allora mi ero
separata da poco più di un anno, e non ero molto sicura di
quello che stavamo facendo. Ma Giorgio ha avuto molta pazienza con me,
assecondava i miei ritmi e le mie esigenze. Si figuri che, quando ho
perso la casa dove abitavo fino a poco tempo fa, si è
offerto di trovarmene una. Lui era molto generoso, davvero …
-
La voce, fino a quel momento flautata, le
s’incrinò per un istante.
Sembra profondamente
addolorata …
-Quanto tempo fa ha perso la sua abitazione? E, se posso permettermi,
qual è stato il motivo?-
Agnese Rampi abbassò lo sguardo, in disagio per ben altro
motivo.
-Come le ho appena detto, mi sono separata ormai tre anni e mezzo fa.
Mio marito mi ha lasciata per una donna molto più giovane,
una cubana. Da allora, dopo i primi attimi di smarrimento e di
delusione, ho cercato di concentrarmi esclusivamente sul lavoro e sul
mio unico figlio. Ma, tra una causa e l’altra, ho
perso quasi tutti i miei risparmi, e ho dovuto
persino ipotecare l’appartamento. Era intestato a mio nome,
però non ho
mai avuto la forza di venderlo …
solamente adesso il giudice mi ha finalmente riconosciuto il danno
subito-
-E’ per questo che abita da sua madre?-
L’altra annuì, precisando che erano sei mesi
ormai, e che la madre, in un gesto di estrema generosità,
aveva deciso di intestarle l’appartamento, l’unico
suo bene materiale: per questo Terenzi aveva potuto rintracciare il
numero di telefono della signora, altrimenti, a quell'ora, stava ancora
navigando in alto mare.
-E suo figlio? Vive con voi?-
-Oh no, Francesco studia a Padova. E’ al terzo anno di
biologia-
Che strana coincidenza
… il ragazzo studia nella stessa città in cui
Anita Appiani frequenta il conservatorio.
Ma non era
più semplice scegliere qualcosa vicino a casa?!
-Ha mai conosciuto i figli della vittima?-
-Giorgio insisteva tanto per farmeli incontrare, ma la
verità è che, da quello che mi raccontava, avevo
intuito perfettamente che tra loro e il padre non c’era un
bel rapporto. Per questo non ho voluto complicare ulteriormente la
situazione … -
Molto saggio da parte
sua …
-Tornando al presente, signora, nella nostra breve telefonata di ieri
sera e anche poco fa, mi ha detto che lavora come infermiera,
giusto?-
-Sì, è così, nel reparto di Ortopedia
e Traumatologia delle Molinette-
-Quindi, suppongo che lei conosca le benzodiazepine e, nello specifico,
il bromazepam, o Lexotan, se vogliamo usare il nome commerciale
… - domandò innocentemente il poliziotto,
sfogliando il taccuino su cui aveva annotato il nome del farmaco.
-Sì, viene usato principalmente come potente sedativo e
tranquillante, ma anche nei pazienti che soffrono di certe patologie:
ad esempio, è un coadiuvante nelle forme di epilessia
… insomma, malattie abbastanza complesse-
Terenzi si portò il pollice e l'indice al naso, annuendo con
finto disinteresse.
Attese un'altra manciata di secondi, quindi pronunciò la
frase che riteneva l'effetto sorpresa, curioso di valutare la reazione
sul volto dell'amante del re delle ceramiche.
-Gliel’ho domandato perché il medico legale ha
trovato nel sangue del signor Appiani una dose piuttosto elevata
proprio di questo medicinale. Per caso, la vittima ne faceva uso
regolare?-
-No! Assolutamente no!- s’irrigidì la donna.
-Cioè, non che io sappia. Posso dirle con sicurezza che, sia
quando è stato ricoverato da noi, sia nel periodo in cui ci
siamo frequentati, non mi ha mai detto nulla a riguardo-
-Dove si trovava la notte in cui è stato ucciso?-
-A casa di mia madre: come le ho detto prima, è da qualche
tempo che abito con lei. Glielo può confermare-
-Ha idea di chi possa aver ucciso il signor Appiani? Sa se aveva avuto
delle discussioni con qualcuno, se era preoccupato per qualcosa? O,
magari, era a conoscenza di qualche suo problema finanziario?-
La donna scosse la testa, convinta.
-No, purtroppo non so chi possa aver voluto la sua morte. Giorgio non
aveva nemici, né tantomeno aveva problemi economici. Era
sempre disponibile con tutti, gioviale e, al solo pensiero di quello
che gli è successo, mi dispiace davvero tanto. Non meritava
la fine che ha fatto … non se lo meritava-
Il commissario annuì convinto: lanciò un'occhiata
all'agente Maffei, per controllare che stesse verbalizzando, poi
ritornò a concentrarsi sull'interrogata.
-Quando ha visto o sentito per l’ultima volta il signor
Appiani?-
-Siamo usciti a cena una decina di giorni fa. Io l’ho
chiamato il giorno prima che lui … prima che lui,
insomma … -
Di nuovo, la voce flautata della donna s’incrinò,
e fu costretta ad abbassare lo sguardo.
Terenzi le offrì un bicchiere di acqua, ma lei
rifiutò con cortesia.
-Scusi se mi permetto, ma immagino non guadagni molto. Da quello che mi
ha detto poco fa, ha perso molti dei suoi soldi nelle cause intentate
contro suo marito. In questi anni, è riuscita a mettere dei
risparmi da parte?-
-Perché me lo chiede? E' vero, non navigo nell'oro, ma ho
comunque del denaro per qualsiasi evenienza, come tutti del
resto- s’irrigidì lei, per la seconda volta
dall'inizio dell'amichevole chiacchierata.
Cercò di tranquillizzarsi, nonostante le dita che
avvolgevano i manici della borsetta vibrassero nervosamente.
-Come le ho accennato, sono riuscita ad ottenere un cospicuo
risarcimento di tutte le spese processuali, oltre ad aver tolto
l’ipoteca al mio appartamento. Anzi, dopo Natale, finalmente
potrò tornarci-
La donna
si lasciò andare ad un sorriso,
per la prima volta rilassata.
Il poliziotto, invece, ne approfittò per sferrarle il colpo
finale, e vedere come avrebbe reagito: era a proprio agio, in quel
momento, quindi, con ogni probabilità, se era davvero
sincera, si sarebbe meravigliata a udire le parole che avrebbe
pronunciato.
Meravigliata, certo, ma non troppo …
-Vede, sul conto corrente della vittima, abbiamo scoperto un bonifico
di centocinquantamila euro fatto da lei, un paio di mesi fa, e il cui
beneficiario sarebbe stato proprio il signor Appiani. Mi può
spiegare il motivo di questa donazione così generosa?-
La donna si mise a ridere, frastornata da quella che sentiva essere un'
accusa:
-Guardi che ci dev’essere un errore! Io non ho tutti quei
soldi! Il massimo del risarcimento che ho ottenuto sono stati
venticinque mila euro, spese processuali incluse! E poi, le assicuro
che non ho mai fatto un bonifico a Giorgio, mai! Può andare
a controllare in banca, se non ci crede!-
Il commissario volle stare al gioco, quindi si stupì e fece
finta di assecondare il suo stupore.
-Mi sta dicendo che non è stata lei a versare quella somma
di denaro al defunto?-
-Certo che no! Glielo ripeto, non ho e non ho mai avuto tutti quei
soldi! Anzi, le dirò di più, Giorgio non me li ha
neppure mai chiesti!-
Terenzi si abbandonò sullo schienale della poltrona,
accarezzandosi la barba incolta.
-Verificheremo oggi stesso il suo conto corrente, signora Rampi. I suoi
risparmi sono depositati presso la Banca di credito piemontese,
giusto?- continuò l’uomo, sfogliando il taccuino
su cui aveva appuntato il nome della banca che gli aveva comunicato
Ghirodelli, dopo il sopralluogo nella filiale in cui custodiva il conto
Appiani.
-Esattamente. Si trova in via … -
-Sì, grazie, lo sappiamo, signora. Comunque, se quello che
dice è la verità, come mi auguro sia, allora chi
può avere usato il suo nome per fare l’accredito?
Mi può dare qualche suggerimento?-
-Non lo so, davvero. Io di certo non sono stata- continuò
allarmata la donna, stringendo convulsamente la tracolla della borsetta
color senape.
-Forse il suo ex marito è venuto a conoscenza della sua
relazione con la vittima?-
-No, lo escludo! Lui è a Cuba da oltre tre anni. Non abbiamo
più alcun contatto, se non tramite i nostri avvocati! Io non
ho nemici, glielo giuro, non so chi possa aver finto di utilizzare il
mio conto concorrente!-
L'uomo tentò di farla ragionare; si sporse leggermente in
avanti, appoggiò le dita sul bordo della scrivania e, con il
tono più conciliante che riuscisse a trovare,
commentò ad alta voce:
-Però, signora Rampi, capisce bene che, chiunque abbia eseguito
il bonifico, ha dovuto presentarsi in banca con una delega firmata da
lei. Per la legge sulla privacy, non è pensabile che una
persona che non sia l'intestatario di qualsiasi conto corrente possa
recarsi tranquillamente nella filiale in cui ha depositato i propri
risparmi, decidere di beneficiare qualcuno, in questo caso il signor
Appiani, della considerevole somma di centocinquantamila euro, e uscire
indisturbata senza essere fermata da nessuna guardia della sicurezza!
Non lo trova un po’ strano, tutto questo?-
La donna scosse energicamente la testa, ripetendo che non sapeva come
spiegarlo, ma che lei non c’entrava nulla, lo poteva giurare
e stragiurare.
Il commissario sprofondò nello schienale della poltrona,
sospirando.
C'era qualcosa che non andava, in tutta quella storia, un particolare
-per nulla irrilevante- che non riusciva ancora a definire.
Perché continuare a mentire? Forse per coprire l'omicidio di
Appiani, o di mezzo c'era un altro movente? Chi e per quale motivo si
era fatto passare per Agnese Rampi, ammettendo che la donna sostenesse
la verità?
-Un’ultima domanda, signora: sapeva che la fabbrica di
ceramiche era in difetto di trecentomila euro? Esattamente la
metà della cifra che lei, o qualcuno di cui ancora non
sappiamo l’identità, ha destinato alla vittima
… -
L'interrogata scosse con decisione la testa, aggrottando con stupore le
sopracciglia: se sta mentendo,
è davvero un'ottima attrice.
-No, Giorgio non mi aveva mai detto nulla del genere-
Il poliziotto la fissò ancora per qualche secondo, in attesa
di cogliere qualsiasi sfumatura fallace nello sguardo, quindi, deluso
per la mancanza di segnali, sollevò il mento e si
alzò a sua volta.
-D’accordo, allora se non è in grado di dirmi
altro, può andare. Ma si tenga a diposizione per eventuali
chiarimenti. Agente, per favore, rilegga la deposizione e la faccia
firmare. Io l'aspetto, così poi accompagno la signora-
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Capitolo 10 *** La donna con il geco ***
Ore
13,15 Commissariato “L’Aquila”, Torino
Mezz’ora dopo la fine dell’interrogatorio con
Agnese Rampi, Ghirodelli fece il suo ingresso
trionfale nell’ufficio del superiore: in una mano
reggeva una busta di plastica con il simbolo della
farmacia,
due serpenti attorcigliati ad un bastone alato, mentre sull'altro
braccio pendeva un cappotto marrone.
-Oh, eccolo qua il nostro Lazzaro! Allora, ispettore, che ti ha detto
il medico? Il tuo raffreddore è recuperabile?-
Terenzi stava battendo a computer dei documenti di casi minori che
dovevano archiviare nel più breve tempo
possibile: aveva lo stomaco che reclamava vendetta, ma aveva deciso di
placare il desiderio di cibo aspettando il sottoposto.
-Se escludiamo il fatto che la dottoressa avesse un diavolo per capello,
che ho dovuto rimanere tre ore in coda, che per poco non venivo
aggredito da due vecchiette che mi hanno insultato credendo che avessi
loro fregato il posto, non mi posso lamentare. Comunque, ho dovuto
cedere a farmi prescrivere un antibiotico, ma non credo che lo
prenderò: mi sono già imbottito di aspirine in
questi giorni, che non mi hanno fatto assolutamente nulla. Sa cosa mi
sono deciso di fare, invece, quando sono uscito
dall’ambulatorio? Sono andato in una specie di farmacia erboristeria! Lì
sì che si ragiona: mi hanno dato uno strano infuso da
prendere due volte al giorno e, in tutta sincerità,
è la mia ultima speranza –
Ghirodelli si fece cadere sulla sedia di fronte al commissario,
spossato e ormai privo di fiducia.
-Su, forza, ispettore. Non dirmi che ti arrendi per così
poco? Ho tante novità da raccontarti, quindi, mettiti comodo
che poi andiamo da Maurizio e ci mangiamo uno dei suoi super
tramezzini!-
Terenzi salvò le modifiche apportate ai documenti che stava
visionando, quindi dedicò la sua attenzione al collega.
-Allora, come è andata con Agnese Rampi?-
-Abbastanza male- esordì il superiore, sbuffando.
-Mi ha giurato e spergiurato che non è stata lei a fare il
bonifico alla vittima, e che non ha la minima idea di chi
l’abbia fatto al posto suo-
-Ma come?! E se sta mentendo? Ci vuole una delega, una sua firma per
poter prelevare o effettuare qualsiasi transazione finanziaria, questo
non può negarlo!-
L’ispettore, la solita voce nasale, si alterò per
quell’incongruenza del racconto, ma subito si
acquietò, stroncato dal primo starnuto della serie.
-Salute … sai, non credo che menta, perlomeno è
un’ottima attrice: è un’infermiera, ed
è stato grazie al suo lavoro che ha conosciuto la vittima,
due anni fa. Appiani era caduto sciando, si era rotto gamba e
caviglia, così l’hanno ricoverato in Ortopedia e
Traumatologia, alle Molinette e … bam, la freccia di
Cupido ha colpito ancora!-
Il commissario gli spiegò anche della difficile situazione
sentimentale ed economica della donna, del fatto che da sei mesi
abitasse con la madre, la quale le aveva intestato
l’appartamento in via Nizza, della coincidenza per la quale
sia suo figlio Francesco che Anita studiassero a Padova.
–Insomma- concluse Terenzi -per farla breve, non
penso che abbia centocinquantamila euro da sperperare. Anche se, tutto
è possibile … -
-E della benzodiazepina che è stata ritrovata nel sangue di
Appiani? Cosa le ha detto?-
-Ha negato che l’uomo ne facesse uso abituale:
però ha confermato che viene impiegato come
potente sedativo
e tranquillante e,
soprattutto, che è utilizzato per curare certe patologie,
quali l’epilessia … -
-Bertani non le ha ancora fatto avere il referto completo
dell’autopsia? Magari scopriamo che era epilettico-
-Uhm, può essere. Comunque, passo da lui più
tardi, verso le sette e mezza-
Terenzi si mise comodo e, molleggiando sulla poltrona girevole, si
protese in avanti con aria cospiratoria:
-Ascolta, ho bisogno che tu faccia una verifica del conto corrente
della Rampi: controlla la somma depositata, se ultimamente ci sono
stati dei bonifici, a parte quello in favore della vittima,
naturalmente, se ha ricevuto del denaro o se lo ha spostato in qualche
altra filiale … ogni cosa, anche la meno importante potrebbe
aiutarci a capire questo mistero. A proposito, ti ricordi il nome della
banca e l’indirizzo?-
-Certo. Banca di Credito piemontese, in via Malfatti 12-
-Ottima memoria. Ah, mentre non c’eri … -
-Scusi se la interrompo, ma non ci conviene chiedere
l’autorizzazione alla Del Fiore per acquisire i filmati delle
telecamere della banca? Magari, riusciamo a risalire alla persona che
si è fatta passare per Agnese Rampi, o, meglio ancora, la
smascheriamo una volta per tutte e, forse, risolviamo anche il caso-
Terenzi sbattè la mano sinistra sulla scrivania, in una
manifestazione di puro entusiasmo.
-Ispettore, tu ed io siamo telepatici! E’ la stessa cosa che
ho fatto in tua assenza! Il questore ci fa l’onore di darci
la sua autorizzazione, pensa un pò che gran regalo!-
Poi, il commissario si oscurò per un istante:
-Peccato che i tabulati telefonici abbiano dato esito negativo.
Maffucci mi ha portato il controllo incrociato delle celle telefoniche
che hanno agganciato la zona, la notte dell’omicidio, tra il
9 e il 10 scorsi, ma sembra che nessuna persona si sia avvicinata alla
fabbrica per l’intera notte. L’unico numero
confermato, infatti, è quello di Appiani … -
-Chi lo ha ucciso ha fatto un lavoro pulito ... -
-Già, davvero con i fiocchi … ma
adesso, ci siamo meritati una pausa. Non dimenticare che alle quattro
ci aspetta Franco Berardi, e con lui non si scherza-
L’ispettore abbozzò un sorriso: si ricordava
molto bene del commissario della stazione di via Cavour, un
omaccione alto due metri, con una barba fitta e nera e gli occhi grigi
… insomma, l’orco di Pollicino, come veniva
amichevolmente apostrofato.
I due si alzarono e, gli stomaci brontolanti per la contentezza,
ciondolarono fino al bar di Maurizio.
Mezz’ora più tardi, l’appetito appagato
e la pancia piena, Terenzi prese posto in ufficio.
Erano appena le due e cinque, manca ancora un po’
all’incontro con gli strozzini.
Una volta tornato in commissariato, il poliziotto aveva avvisato Della
Robbia che lui e Ghirodelli sarebbero passati a recuperarlo per
accompagnarlo alla centrale in cui erano sotto custodia cautelare
l’allegra famigliola di delinquenti.
Ma, prima di uscire di nuovo, l’uomo doveva contattare la
segretaria della vittima, la graziosa quanto farfallina Sabrina
Pellini, per domandarle la lista degli azionari della fabbrica.
Al quinto squillo, finalmente il cellulare della donna prese vita:
-Proonto?-
-Ehm … signorina Pellini?- domandò titubante
l’altro, avvertendo la voce impegnata
dell’interlocutrice.
-Sì, sono io.
Ma è forse il commissario con cui ho parlato
l’altro giorno?-
Però, che
memoria …
-Infatti, buon pomeriggio, sono Terenzi. La disturbo, ha un minuto da
dedicarmi?-
-Oh ma certo, tutto il
tempo che vuole! Mi scusi se ho il fiatone, ma mi tengo in allenamento
facendo cyclette … sa, al lavoro non si vede nessuno, il
signor Della Robbia mi ha detto che avrei potuto rimanere a casa per
qualche giorno, fino a quando tutta questa storia non sarà
finita-
-Capisco … quindi, la fabbrica è momentaneamente
chiusa?-
-Già,
decisioni dall’alto, sembra da parte della vedova-
-Mi dispiace … senta, le ruberò poco
tempo. L’ho chiamata perché sto aspettando la
lista sui consiglieri d’amministrazione che mi aveva promesso
quando è venuta qui, due giorni fa … non so se si
ricorda-
-Ah sì, ha
ragione. Scusi tanto, ma me ne sono completamente dimenticata! Se
vuole, oggi pomeriggio chiamo il signor Della Robbia per chiedergli
l’autorizzazione a passare un attimo in ufficio e
… -
-No, non si preoccupi- si spense Terenzi.
-Lo chiederò
direttamente a lui. Grazie lo stesso, signorina, arrivederci-
Attaccò la cornetta senza aspettare la replica della Pellini.
L’abitazione di Carlo Della Robbia era una villetta singola
alla periferia della città: nella stessa strada, un camion
dei traslochi era fermo davanti alla casa vicino, intento a trasportare
-attraverso un braccio meccanico- un grosso armadio sul balcone al
secondo piano.
Terenzi posteggiò vicino all’ingresso della
villetta, fece scendere Ghirodelli e si avviarono insieme verso
l’ingresso.
Suonarono al videocitofono e, dopo un paio di secondi, il cancello
automatico in ferro battuto spalancò le sue alte porte.
I due uomini si ritrovarono in un ampio spiazzo erboso, il cui centro
era formato da un rettangolo di mattonelle sopra cui era parcheggiata
un’Audi blu scuro.
Il braccio destro di Appiani andò loro incontro: indossava
un pullover giallo canarino e un paio di pantaloni di velluto a coste,
in tinta con delle calzature che non si capiva se fossero scarpe o
pantofole.
Commissario e ispettore salutarono cordialmente l’uomo,
quindi Della Robbia li invitò ad entrare: infatti, mancava
ancora più di un’ora al faccia a faccia con gli
strozzini.
-Prego, accomodiamoci in cucina-
Terenzi e Ghirodelli lo seguirono annuendo, affascinati da quella bella
abitazione.
Attraversarono un lungo corridoio con il soffitto ad arco, le pareti
color pesca, fino a quando si ritrovarono in un’ampia stanza
dai toni del giallo e del verde, con un grosso tavolo di rovere nel
mezzo e un divano crema appoggiato alla parete di fianco alla porta.
Il padrone di casa si fermò e li invitò a
prendere posto sulle eleganti e massicce sedie.
-Vi posso offrire un caffè?-
I poliziotti declinarono cortesemente, quindi gli dissero di mettersi
tranquillo, in modo da potergli spiegare che cosa lo avrebbe aspettato
di lì a breve.
-Dunque, signor Della Robbia, come già sa, i miei uomini
hanno arrestato gli strozzini con cui, fino a un anno fa, aveva un
ingente debito. Sono anche venuto a conoscenza che la scorta le
è stata revocata e, ovviamente, sono molto felice per lei-
Il viso magro e spigoloso dell’uomo si illuminò in
un sorriso, gli occhi chiari acquosi quasi si riempirono di lacrime.
Oh no, adesso gli viene
da piangere, pensò con terrore Terenzi.
-Grazie, commissario, grazie davvero. Lo so, forse mi sono
meritato tutta questa paura, ma sapesse che incubo sono stati questi
due giorni: al minimo rumore balzavo in piedi, mia moglie e le mie
figlie non riuscivano nemmeno ad aprire una finestra, talmente erano
terrorizzate! Invece, adesso, è tutto finito!-
-Non posso darle torto. Se a suo tempo avesse denunciato queste
persone, probabilmente non sarebbe mai arrivato a questa situazione, e
nemmeno il signor Appiani avrebbe dovuto prestarle i cinquantamila euro-
Il commissario si rese conto di aver infierito gratuitamente, ma voleva
vedere la reazione dell’interlocutore, che non
tardò ad arrivare.
-Ha ragione, ha perfettamente ragione, ma come le ho detto durante il
nostro primo incontro, a dicembre risarcirò gli eredi di
Giorgio fino all’ultimo centesimo, glielo devo-
L’uomo si bloccò per un istante: chiuse la bocca
ed abbassò lo sguardo, indeciso se proseguire.
-A proposito, il denaro che ho perso, che loro mi hanno
rubato, crede si potrà recuperare?-
Terenzi e Ghirodelli si guardarono.
-Non deve chiederlo a me. Quando oggi incontrerà il
commissario Berardi, il collega che sta seguendo il caso,
potrà fargli tutte le domande che ritiene necessarie-
Carlo Della Robbia annuì.
-E di Giorgio? Avete scoperto qualcosa? Avete idea di chi
l’abbia ucciso?-
-No, non ancora. Gli hanno somministrato una forte dose di sedativo, il
Lexotan, e poi lo hanno colpito alla testa. Da quanto dice il medico
legale, sembra che gli assassini fossero in due … -
-Due?! Due persone avrebbero fatto del male a Giorgio? Ma
perché?!-
L’imprenditore si asciugò i palmi delle mani sugli
eleganti pantaloni, incredulo.
-Non lo sappiamo ancora, signor Della Robbia. Quello che,
però, ci stiamo chiedendo in questi giorni, è
come sia possibile che lei, che era il suo più stretto
collaboratore, non ci sappia dire nulla di più di quello che
già ci ha raccontato ... -
L’altro scosse il capo, affranto di non riuscire ad essere
utile.
-No, commissario, glielo giuro. Giorgio era una persona generosa con
tutti, non aveva nemici, e non riesco a spiegarmi nemmeno il debito
della fabbrica di trecentomila euro: lui non me ne ha mai parlato, ma
le posso assicurare che l’azienda era solida, è
solida, lo garantisco senza problemi…-
Terenzi schioccò la lingua e sospirò forte.
-Ispettore, ha qualche domanda da fare, prima di recarci dal
commissario Berardi per il confronto?-
Quello era il segnale che i due poliziotti avevano concordato per
chiedere informazioni sui nominativi che formavano il consiglio
d’amministrazione.
-Signor Della Robbia, potrebbe fornirci una copia dei membri del
consiglio d’amministrazione della fabbrica?-
-Ah sì, certamente. Se mi aspettate un minuto, vado nel mio
studio a stamparvi l’elenco: ce l’ho salvato sul
mio portatile … -
Il commissario e Ghirodelli attesero pazientemente, tenendo
d’occhio il grande orologio in stile Country che campeggiava
su di una parete della cucina: erano le tre e dieci.
-Eccomi, ispettore, potete tenerlo … -
Il foglio che gli porse il braccio destro della vittima metteva per
iscritto il curriculum vitae di quattro persone, due donne e due uomini.
Lui e il superiore scorsero velocemente i dati anagrafici e la
professione degli interessati: Elena Natti, 34 anni, residente a
Torino, imprenditrice nel tessile; Filomena Razzi, 48 anni, residente a
Torino, avvocato; Alberto Solomone, 51 anni, residente a Moncalieri,
imprenditore edile; Giacomo Enna, 54 anni, residente a Venaria,
promoter per una ditta di cosmetici.
-Da quanto possiamo leggere, signor Della Robbia, praticamente nessuno
dei membri del consiglio ha a che fare con il vostro mondo …
in base a quali criteri li avete scelti?-
-Oh beh … tutti e quattro fanno parte del consiglio da
parecchi anni: a parte la signora Natti che è con noi da
cinque anni e ha sostituito Anna Degli Esposti che si è
trasferita in Germania, gli altri tre sono con noi da
vent’anni, ormai. E’ stato Giorgio a sceglierli: la
fabbrica aveva aperto da appena cinque stagioni e, fino a quel
momento, eravamo solo lui ed io a farci carico di ogni cosa.
Poi, quando siamo riusciti a far decollare l’azienda, abbiamo
deciso che era necessario avere dei soci. Tutti i membri del consiglio
erano diretti conoscenti di Giorgio e, vi posso assicurare, che sono
professionisti competenti e molto apprezzati nel loro campo-
-Come sono ripartite le quote azionarie?- proseguì
l’ispettore.
-Giorgio deteneva il 50%, io il 30% e il restante 20% è
equiparato tra i quattro soci-
-Quindi, il 50% della vittima passerà di diritto alla moglie
e ai figli?-
-Sì, di fatto sì, anche se, un paio di anni fa,
prima che Gabriele, il primogenito di Giorgio e Clelia si trasferisse a
Milano, suo padre ha cercato di intestargli la metà delle
sue quote, per incentivarlo a rimanere in città e a far
parte del direttivo dell’azienda. Ma, purtroppo, Gabriele non
ha accettato … o meglio, ha lavorato con noi per un mese,
perché poi ha lasciato perdere tutto. E’ sempre
stato un ragazzo un po’ ribelle, libero da qualsiasi schema
… mi domando se vorrà questa
responsabilità sulle spalle -
-Pensa che, anche questa volta, non accetterà?-
Della Robbia scosse la testa e arricciò le labbra.
-Non saprei, le dico solo quello che è successo:
può anche darsi che abbia cambiato idea-
-Chi prenderà il posto del signor Appiani?-
s’intromise Terenzi.
-In questi giorni la fabbrica è chiusa, almeno fino al
giorno del funerale. A proposito, si sa già quando
sarà?-
-Più tardi avremo il referto del medico legale e, se non ci
saranno complicanze, potremo dare il nulla osta per la cerimonia. Ma
vada avanti, per favore, abbiamo ancora cinque minuti prima di andare
… -
-Cosa stavamo dicendo? Ah, sì, di chi lo
sostituirà. Verrebbe naturale che prendessi io il suo posto-
spiegò con naturalezza, facendo spallucce.
-Però, Giorgio ha anche due figli: tra l’altro,
come vi ho appena detto, Gabriele ha lavorato con noi per un certo
periodo, e può essere che voglia continuare la tradizione di
famiglia-
Il commissario si grattò con noncuranza una tempia,
lanciò un’occhiata di traverso
all’ispettore, quindi domandò:
-Lei conosce Agnese Rampi?-
-So che Giorgio qualche tempo fa frequentava una donna di nome Agnese:
era l’infermiera del reparto dove era stato ricoverato quando
si era fatto male andando a sciare, ma il cognome non lo so-
Sembra sincero
…
-Sul conto corrente della vittima risulta che questa signora Rampi
abbia fatto un bonifico di centocinquantamila euro al signor Appiani,
esattamente la metà del debito che ha l’azienda.
Le risulta?-
Della Robbia sbarrò gli occhi chiari ed acquosi.
-No, non lo sapevo. Avrò visto Agnese quattro o cinque
volte, anzi, forse anche meno, e non mi ha mai dato
l’impressione di essere tanto ricca-
Infatti, apparentemente,
non lo è, rifletté Terenzi.
-Va bene, direi che possiamo avviarci-
Il poliziotto abbozzò un sorriso
d’incoraggiamento, quindi attese che l’uomo
recuperasse il cappotto e si avviarono verso l’uscita.
-Da oggi è di nuovo un uomo libero, signor Della Robbia.
Quegli uomini non le daranno più fastidio, ma adesso
l’aspetta una prova di coraggio: come
l’avrà già informata il mio collega che
adesso ha in custodia i cinque strozzini, oggi dovrà
partecipare al riconoscimento della banda e, una volta istituito il
processo, sarà molto probabile che dovrà
testimoniare contro di loro-
-Lo farò- si arrese l’altro, allacciandosi il
giubbotto.
Erano già con i piedi sulla soglia, quando
l’imprenditore ebbe come un fremito:
-Commissario, mi è venuta in mente una cosa … -
Gli occhi languidi dell’uomo si fecero improvvisamente seri.
-Mi dica … -
-Lei mi ha appena detto che avete arrestato cinque strozzini, giusto?-
-Sì, abbiamo seguito i nomi che ci ha dato l’altro
giorno, quando è venuto in commissariato per la faccenda dei
trecentomila euro-
Cos’altro ci
ha nascosto? si preoccupò Terenzi, incrociando
lo sguardo con quello di Ghirodelli.
-Mi è appena venuta in mente una cosa: stavo pensando a
Clelia e, per associazione di idee, mi sono ricordato che il capo della
bisca qualche volta veniva con una donna. Penso fosse la fidanzata o
l’amante … perché, in
realtà, lui è vedovo-
-Signor Della Robbia, i miei uomini hanno arrestato anche due donne.
Può essere che, tra queste, vi sia anche la persona di cui
sta parlando, sebbene, mi sembra di aver capito, che siano le consorti
dei figli del boss- tentò di farlo ragionare.
-Ma non credo … come le ho detto, veniva assai raramente. In
due anni, l’avrò vista tre o quattro volte, e le
mogli dei figli le conosco abbastanza bene, perchè c'erano
praticamente ogni sera che andavo alla bisca … -
-Capisco … - sbuffò il commissario, cercando di
non alterarsi.
Ed ecco che Ghirodelli intervenne per placare gli animi.
-E’ in grado di descrivercela?-
-S-sì, sì, certo. Era una donna molto bella, con
i capelli rossi e mossi, gli occhi azzurri. Non credo fosse italiana,
perché il capo la chiamava Svetlana, però parlava
abbastanza bene la nostra lingua, solo con un leggero accento
dell’Est Europa-
-Segni particolari?-
L’interrogato, sempre in piedi sulla porta,
strizzò gli occhi per cercare di ricordare.
-Aveva un tatuaggio sulla spalla di destra … o forse di
sinistra: era una specie di geco. Mi è rimasto impresso
perché era molto vistoso, ma non le so dire altro, ispettore-
Trenzi si accarezzò la barba incolta: guardò
l’orologio da polso che segnava le tre e venticinque, quindi
si avviò fuori.
-Andiamo, altrimenti rischiamo di arrivare in ritardo-
Poi, quando tutti e tre erano già sul vialetto,
proseguì, cercando di controllare il tono astioso:
-Mi dispiace dirglielo, signor Della Robbia, ma la sua riacquistata
libertà per il momento finisce qui. Se durante il
riconoscimento non dovesse identificare questa Svetlana, fino a quando
non la troveremo, è opportuno che continui ad essere
sorvegliato. La prego solo di una cortesia: si faccia venire in mente
prima le cose, anche se mi auguro vivamente che non ci sia
un’altra volta! Abbiamo altri casi da risolvere, in primis
quello del suo amico Appiani, e non possiamo permetterci mancanze di
questo genere!-
L’imprenditore abbassò lo sguardo, demoralizzato
per il rimprovero.
-Ha ragione, commissario, mi scusi-
I tre ripresero a marciare e ben presto s'infilarono in macchina, il
vento freddo a far loro compagnia.
NOTA
DELL'AUTRICE:
Buongiorno a tutti,
carissimi lettori!
Piccola
curiosità che ho scoperto sul simbolo della farmacia, e che
mi piacerebbe condividere con voi: il bastone alato su cui si
attorcigliano i due serpenti si chiama caudaceo, ed era il simbolo di
Ermes, il messaggero degli dei, che esibiva il bastone dell'Equilibrio
per far cessare le liti tra gli dei.
I farmacisti lo hanno
adottato come proprio simbolo per i due serpenti, a raffigurare il
veleno e la cura, mentre lo stesso farmacista sarebbe il bastone, alato
poiché si eleva sopra le due parti, conoscitore di causa e
rimedio delle malattie.
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Capitolo 11 *** Il serbatoio dell'acqua ***
Mercoledì 12
novembre, ore 17,05
Terenzi e Ghirodelli stavano tornando in commissariato dopo il
confronto tra Carlo Della Robbia e la famigliola di strozzini, all'attivo sul
proprio curriculum una sfilza di precedenti penali per
furto, ricettazione, riciclo di denaro sporco e circonvenzione
d’incapace.
I poliziotti non avevano alcun dubbio che la dea bendata non li avrebbe
aiutati neppure in quell’occasione, per cui dovettero
ammettere, nemmeno troppo a malincuore, che non avevano avuto torto.
Infatti, le due donne arrestate con i rispettivi mariti e il suocero,
non si chiamavano Svetlana, nemmeno di secondo nome, e non avevano
nulla a che spartire con la misteriosa donna dal tatuaggio a forma di
geco: niente capelli rossi, niente segni particolari, solo una di loro
aveva gli occhi chiari, come da descrizione fornita dal braccio destro
di Appiani.
Franco Berardi accolse i tre malcapitati stritolandogli le
mani, una sgargiante camicia rosa shocking e un cravattino a pois
difficili da non notare.
I due colleghi avevano avuto l'impressione di presenziare ad
una cena di rimpatriata tra amici di vecchia data:
“Uè,
guaglioni, come state? Tutto apposto? Forza, venite di là,
che intanto che ci godiamo lo spettacolo vi offro anche un buon
caffè napoletano, preparato con santa Moka!”
E giù pacche dall’alto dei suoi due metri,
contornate da una sonora risata da cui spiccava un molare
d’oro, poi una spulciatina alla barba fitta e nera, mentre
gli occhi grigi s’illuminavano come quelli dei bambini.
“Sembra in
soggezione, eh? Siete sicuri che non c’entri nulla con la
morte di quel poveraccio? Poveraccio per modo di dire,
s’intende: da quello che dicono giornali e tiggì,
la vittima era ricca assai, e si sa, pecunia non olet. Che ne pensi,
Alessà? E tu, Francè?”
Il malcapitato testimone, infatti, guardava terrorizzato
l’orco di Pollicino, ma almeno aveva fatto il proprio dovere.
Il riconoscimento aveva dato esito positivo, per cui, almeno fino
all’avvio del processo, i cinque strozzini sarebbero rimasti
al fresco per un bel po’, avvocati permettendo.
Dopo aver salutato Franco Berardi, aver bevuto due caffè a
testa, aver lasciato Della Robbia sotto la rassicurante
custodia del poliziotto, in attesa di iniziare i turni di sorveglianza
-sempre che la Del Fiore avesse dato il nullaosta- sottoposto
e superiore si
trovavano a cinquecento metri dalla stazione di Polizia,
quando avvertirono dei crepitii farsi largo nel motore
dell’automobile di servizio, subito seguiti da una densa
colonna di fumo biancastro.
-Che roba è? Uno dei tuoi starnuti?- cercò di
sdrammatizzare Terenzi, mentre rallentava e accostava a fianco del
primo marciapiede libero.
-Mi dispiace deluderla, ma non è opera mia … - lo
raggelò Ghirodelli, guardandolo storto.
-Scusa, ispettore, è che ho un brutto presentimento-
Detto fatto: mezzo secondo dopo, infatti, la macchina si
fermò di colpo, abbandonandoli al loro destino.
-Ma porca di una miseria!- si arrabbiò il commissario,
battendo le mani sul volante.
-Che cosa abbiamo fatto per meritarci questa sfortuna?! Prima il
sistema informatico che va in tilt, poi il telefono del mio ufficio che
decide di scioperare, adesso anche questa ci si mette?!-
I due scesero e si avvicinarono alla parte anteriore dell'auto.
-Lasci fare a me … -
Ghirodelli sollevò il cofano, lo bloccò con
l’apposita asticella, quindi infilò la testa: con
occhio esperto, senza nemmeno dover toccare quegli aggeggi infernali
che formavano il motore, si riaffacciò serio, sentenziando
con aria lugubre che "è
partito il serbatoio dell’acqua".
Terenzi alzò gli occhi al cielo e, le mani sui fianchi,
gonfiò le guance come per farle scoppiare.
-Va bene, stiamo calmi. La lasciamo parcheggiata qui, andiamo in
commissariato a recuperare una tanica con dell’acqua, e poi
torniamo qui. Che ne dici? Si può fare?-
-Se vuole posso andare io … è inutile che andiamo
in due-
-Ma no, vado io … anzi, ho un’idea migliore. Dal
momento che ho visto che la tacca della benzina è quasi
sullo zero, ne approfitto per andare a fare rifornimento:
l’acqua la posso riempire lì, ritorno con la
macchina a fare il pieno, e infine ti raggiungo in commissariato,
così facciamo il punto della situazione. Va bene per te
andare a piedi?-
L’altro annuì, non dopo aver insistito un altro
paio di volte che non gli costava nulla andare e tornare con la tanica,
ma il capo fu irremovibile.
Venti minuti più tardi, Terenzi aveva appena fatto in tempo
a salire in auto, che il cielo si rovesciò sulla sua
testa, elargendo un tremendo quanto inaspettato temporale.
I tergicristalli, impostati alla massima velocità,
sembravano quasi fare il solletico ai vetri, e lo scroscio costante e
violento della pioggia lo assordava e quasi gli impediva di vedere la
strada.
Ci voleva anche questo,
constatò il poliziotto, una volta sceso dall’auto
di servizio.
Non aveva con sé un ombrello, quindi, il bavero del cappotto
alzato sulla testa, attraversò il più velocemente
possibile i cinquanta metri che lo separavano dal traguardo,
rappresentato dall’ingresso salvifico della centrale.
-Ghirodelli!- il superiore si affacciò alla guardiola
–vieni da me-
L’ispettore stava dando delle indicazioni
all’agente scelto Sandra Finotti, di turno nello sgabbiotto,
quindi, dopo un'occhiata d'intesa con la venticinquenne, lo
seguì senza fiatare.
Una volta dentro la tana di Terenzi, il collega non riuscì a
trattenersi oltre:
-Commissario, è completamente bagnato!-
-Ma dai? Non me n’ero accorto! Quando mi sono infilato in
macchina per tornare, ha cominciato a tuonare come se non piovesse da
secoli. Non mi chiedere se avevo l’ombrello,
perché è ovvio che non ce lo avevo. Ti
dirò di più: ho dovuto parcheggiare qua dietro,
perché nel cortile è pieno di volanti! Mi sono
preso una bella lavata … -
Una volta che si fu sfogato, il sottoposto arricciò le
labbra e sospirò: ormai conosceva fin troppo bene il suo
capo, per non sapere che era il tipico esempio del can che abbaia non morde.
Aspettò in silenzio una manciata di secondi, le mani dietro
la schiena, fino a quando uno starnuto traditore non ruppe
l’atmosfera, per nulla piacevole, che si era creata.
-Oh per favore, ancora non ti è passato?-
Terenzi aveva appeso il giubbotto e la giacca bagnati
all’attaccapanni, quindi tentò di asciugarsi i
capelli con un paio di fazzoletti di carta che aveva recuperato dalla
tasca dei pantaloni.
-Non posso ancora gridare al miracolo, ma è migliorato! Sa
quell’infuso dell’erboristeria di cui le ho parlato
questa mattina? Beh, sembra che funzioni: fino adesso è
solo il secondo starnuto che faccio!-
L’ispettore assunse un’aria compiaciuta, orgoglioso
dei propri miglioramenti.
-Uhm, buon per te. Devo togliermi questa camicia, altrimenti mi ammalo
peggio di te … -
Il commissario cominciò a sbottonarsi la camicia azzurro
tenue ma, al secondo bottone, si bloccò di colpo.
-Meglio che lo faccio dopo. Allora, organizziamoci un attimo
… - fissò per un istante l’orologio
bianco appeso alla parete di fronte, che segnava le sei meno dieci.
-Mancano quasi due ore al mio appuntamento con il dottor Bertani. Nel
frattempo, cerchiamo di capire qualcosa di più su questa
misteriosa Svetlana. Ah, già che ci sono,
chiamerò la Del Fiore per chiederle di ripristinare la
scorta a Della Robbia, fino a quando non riusciremo ad arrestare la
donna… ho promesso a Franco che l’avrei
contattata io-
-Ho già provveduto a tutto, commissario-
Terenzi lo interrogò con lo sguardo, aggrottò le
sopracciglia, quindi domandò cosa intendesse per tutto, dal momento
che era rimasto fuori meno di mezz’ora.
-Voglio dire che ho cercato nel database e ho anche telefonato al
questore. Indovini un pó? Svetlana è schedata e
la dottoressa ha accordato la scorta per l’imprenditore. Ma
solo di notte, perché siamo ancora a corto di organico
… -
Il superiore si congratulò con lui, quindi attese che il
collega gli esponesse le ultime novità.
Ghirodelli aprì la tasca interna della giacca blu e
recuperò la scheda con la foto e i dati della fuggitiva e,
solo allora, si sedettero.
-Si chiama Katiuscia Ivanovna Zacharova, nata a Minsk, in Bielorussia,
il 21 maggio 1985. E’ arrivata in Italia sei anni fa,
ufficialmente per studiare Beni Culturali a Milano, poi il permesso di
soggiorno le è scaduto, e non si sa per quale motivo non
l’ha mai rinnovato. Nel 2010 e nel 2012 l’hanno
espulsa dal nostro Paese per clandestinità ed istigazione
alla prostituzione, provvedimento mai messo in atto per le amicizie
influenti della donna, che l'hanno allontanata per un pó dall'Italia. Si sono perse le sue tracce fino
all’aprile scorso, quando è stata fermata per
guida senza patente e falsificazione di documenti: adesso, infatti, si
fa chiamare Svetlana Brekoska e, sembra che al momento del rimpatrio,
sia riuscita ad evitare il rientro a Minsk grazie ad un pool di
avvocati incaricati proprio dal nostro Moretti, il capo degli strozzini, che le ha pagato una lauta cauzione-
Terenzi gonfiò le guance e si grattò
distrattamente la nuca.
-Ottimo lavoro, ispettore. Trasmettiamo l’informazione anche
a Berardi, così che la sua squadra possa aiutarci nelle
ricerche-
-In realtà, il questore è stato molto chiaro su
questo punto: la competenza territoriale è del commissariato
di via Cavour, quindi non dobbiamo più immischiarci
… -
-E per la scorta di Della Robbia? Anche quella non è di
nostra competenza?- ruggì infreddolito l’altro,
ben sapendo la retoricità della domanda.
-No, di lui abbiamo l’esclusiva- tentò di
sdrammatizzare il collega, proseguendo a spiegare il punto di vista del
questore.
-Dal momento che è uno dei possibili sospettati
dell’omicidio Appiani, siamo noi a doverlo tenere
d’occhio-
Il commissario sbuffò contrariato, farfugliando improperi
contro la buona sorte e la Del Fiore, quindi accomiatò
l’ispettore, che tornò a dedicarsi
all’agente scelto Finotti.
Una volta che Ghirodelli uscì, Terenzi si tolse la camicia e
la mise ad asciugare sul termosifone, dietro la scrivania: speriamo che non entri nessuno,
pensò con una punta d’imbarazzo, altrimenti più che un
commissariato sembrerebbe un locale di spogliarellisti.
Finì di fare bucato e si risedette stanco ed infreddolito
sulla sua fedele poltrona girevole, mentre si accorse, solo in quel
momento, del resoconto di Rossi riguardo l’acquisizione delle
telecamere di videosorveglianza, esposto in bellavista sulla scrivania:
scorse affranto il fascicolo, sbirciando con false speranze alla pagina
dedicata alla notte dell’omicidio, tra il 9 e il 10 novembre,
ma nessuna presenza umana aveva osato varcare la soglia della fabbrica
di ceramiche.
In fondo, sul margine destro, il vice ispettore aveva appuntato un
proprio commento personale: vagliare
la possibilità che l’assassino, o gli assassini,
si siano introdotti sul luogo del delitto dall’ingresso
posteriore della costruzione, sprovvisto di telecamere di
videosorveglianza.
Il commissario lanciò il plico su uno dei faldoni davanti a
sé, sotterrando l’ennesimo pensiero negativo della
giornata.
Alle diciannove e quaranta, il poliziotto era davanti al padiglione
dell’anatomia patologica.
Non pioveva più a vagonate come poche ore prima, tuttavia,
dal cielo ormai scuro, si riversava una noiosa quanto tenue
pioggerellina.
Si sistemò meglio la sciarpa attorno al collo, soddisfatto
che camicia e giacca si fossero asciugate quasi completamente, mentre
il giubbotto che aveva indosso era ancora umidiccio attorno al bavero e
alle maniche.
Suonò alla porta sul retro, quindi attese il clic del
portone automatico, e sgusciò all’interno della
struttura per nulla accogliente.
Rabbrividì, non sapendo se per il freddo o per il luogo,
illuminato come il palcoscenico di un concerto rock.
Attraversò il lungo corridoio di mattonelle e pareti
bianchissime, quindi si fermò davanti ad una porta sulla
sinistra, completamente spalancata, come per invitarlo ad entrare.
Bussò un paio di volte, sbirciando la stanza arredata.
Sul muro di fronte a lui faceva capolino una scrivania di fine
Ottocento, su cui era stato appoggiato un computer portatile che, dalla
luce fastidiosa che emanava, sembrava essere acceso; di fianco, vicino
ad una stretta finestra dalle imposte grigie, svettava una pianta
dall’aspetto rigoglioso, a metà tra un cactus e
una palma; infine, ad occupare le rimanenti tre pareti, vi era una
ricca libreria ad U, letteralmente strapiena di volumi di medicina.
Terenzi si guardò intorno, riflettendo che era quasi un anno
che lavorava con Bertani, e che si trovava bene a confrontarsi con lui
sui pochi, per fortuna, casi di morti sospette.
In quel mentre, la figura rassicurante e professionale del dottore gli
andò incontro: il medico legale, un cinquantenne alto e
dalla corporatura massiccia, con una voglia a forma di fragola sulla
mano destra e i folti capelli castani striati di grigio, lo
salutò con una veloce stretta di mano, sorridendo
stancamente.
-E’ stata una giornata molto impegnativa, commissario
… -
-Anche per me … allora,
mi dica … -
L’altro gli disse di attendere qualche secondo, fino a quando
tornò con il resoconto dell’autopsia di Giorgio
Appiani Uzia.
-Mancano ancora gli esami tossicologici al completo: ci vuole
un’altra settimana, ma per il resto c’è
tutto-
-Posso dire alla vedova di procedere con la cerimonia funebre?-
domandò il poliziotto, mettendosi sotto il braccio il
prezioso incartamento.
-Per me non c’è alcun problema, do il mio nulla
osta. Ah, si ricorda che le avevo detto che gli assassini erano
probabilmente in due? Bene, uno di essi è mancino:
l’angolazione del colpo mortale, quello inferto alla nuca
della vittima, suggerisce che è stato sferrato da una
persona che utilizza abitualmente la mano sinistra-
-Conferma ancora che potrebbe essere stata una donna ad averlo ucciso?-
L’altro annuì, rivendicando la parità
di genere e aggiungendo che, purtroppo, non era riuscito a venire a
capo del misterioso foro sull’avambraccio destro, a livello
della piega del gomito.
-S’informi se, magari, la vittima non sia stato sottoposto ad
un semplice esame del sangue, nei giorni immediatamente precedenti la
morte … altre spiegazioni, purtroppo, non me ne vengono-
Notando la stanchezza sul volto del medico, Terenzi lo
ringraziò e gli strinse la mano, accomiatandosi con un
sorriso pensieroso.
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Capitolo 12 *** Destra o sinistra? ***
Giovedì
13 novembre, ore 9.00, commissariato
“L’Aquila”, Torino
La
sera prima, dopo che aveva recuperato il referto dell'autopsia di
Appiani, Terenzi era tornato di filato a casa, si era fatto una doccia
lunga un secolo - non senza qualche senso di colpa per la cascata di
acqua utilizzata- poi, l'accappatoio ancora indosso, aveva dato
un'occhiata alla tana di Miss Marple, sommersa sotto un bel cumulo di
terra in un angolino dello studio.
Quindi, si era precipitato a telefonare a Ginevra, mettendola al
corrente delle disavventure che gli erano capitate: lei, ovviamente, ne
aveva approfittato per cercare di carpirgli qualche informazione sul
caso dell'imprenditore assassinato e, quando il commissario aveva
minacciato di riattaccarle, l'archeologa lo aveva preceduto, sbuffando
contrita.
"Ma, insomma, non ha
mai sentito parlare di rivelazione del segreto professionale?"
Sorseggiando
dell'insipidissimo té tiepido, nonostante i tre cucchiaini
di zucchero, stravaccato comodamente sul letto, dopo mezz'ora la ragazza lo aveva
richiamato, scusandosi per il comportamento infantile.
E così, tra bacini e bacetti inviati tramite la cornetta del
telefono, tra risatine di sottofondo e gli starnuti che cominciarono ad
affondare il morale del poliziotto, l'uomo si addormentò, la
tazza dimenticata sul comodino.
Il giorno dopo anche Di Biase era tornato al lavoro: ormai, la squadra
era quasi al gran completo, mancavano solo Bini e Rossetti, che aveva
ceduto proprio quella mattina.
Finalmente ci stiamo ricomponendo,
rifletté compiaciuto Terenzi, dopo aver accolto come una
manna dal cielo il rientro del brigadiere.
Adesso,
però, era lui che cominciava a starnutire, così
si trascinò fino alle macchinette a prendere un
tè caldo al limone, sperando che servisse a qualcosa.
Quando
aveva finito di trangugiarlo, più schifato che mai,
Ghirodelli uscì dal suo ufficio, e gli si
avvicinò allegramente.
-Buon
giorno, commissario!-
-Buon
giorno … - grugnì l’altro,
giocherellando con lo zucchero sul fondo del bicchiere.
-Cos’è
quella brodaglia?-
-Del
misero tè al limone … -
L’ispettore
drizzò le antenne: in sette anni di collaborazione non lo
aveva mai visto bere altro che caffè macchiato o cioccolata.
-Non
si sente bene?-
-Credo
di essere un po’ raffreddato. Sai, dopo la lavata che ho
preso ieri-
-Di
certo non può dare la colpa a me, perché oggi sto
molto meglio! Quell’intruglio dell’erboristeria
è davvero miracoloso, l’ho preso anche prima di
dormire. Anzi, se vuole, le do il nome-
-Uhm,
magari dopo. Adesso pensiamo al lavoro-
Buttò
nel cestino il bicchiere e si avviarono nel suo ufficio.
Terenzi
lanciò un'occhiata affranta al computer acceso su cui doveva
ultimare certe ricerche, quindi scostò le tendine bianche
della finestra, in modo da far entrare un po’ di luce:
sebbene avesse smesso di piovere, il cielo minacciava tempesta.
Poi,
prese posto sulla poltrona girevole, invitando anche il sottoposto ad
accomodarsi.
Gli
spiegò brevemente la conversazione con il dottor Bertani, la
sera precedente, mostrando il referto del medico legale:
" Dall'esame
necroscopico effettuato sul corpo di Appiani Uzia Giorgio, nato a
Milano il 21 luglio 1950, la causa del decesso, avvenuto
la notte tra il 9 e il 10 novembre a.c., presumibilmente tra le ore 23 e le ore 01.00,
si può ricondurre ad un trauma cranico che ha provocato una
vasta emorragia subaracnoidea, esito di una profonda ferita a livello
occipitale, probabilmente sferrata da un corpo contundente non
rinvenuto sul luogo del delitto.
Inoltre, nel sangue della vittima, sono state ritrovate massicce dosi
di metaboliti riconducibili a bromazepam (cinque volte superiore il
limite consentito dall’AIFA, l'Agenzia Italiana del Farmaco):
con tutta probabilità, tale benzodiazepina è
stata utilizzata per drogare l’Appiani Uzia prima di
ucciderlo.
Dall'angolazione dei due colpi sferrati, è probabile che ad aver commesso
il delitto siano state due persone distinte: lo proverebbero infatti le duplici
ferite a livello della nuca, di cui una sola è quella che ha
determinato il decesso dell'Appiani.
Inoltre, data la scarsità degli elementi probatori, non è stato possibile risalire alla causa del foro
sull’avambraccio destro, a livello della piega del gomito.
In attesa del
completamento dell' esito degli esami tossicologici"
-Nulla di diverso da ciò che già non sapevamo… - constatò amareggiato l’ispettore,
restituendo il foglio stampato.
-Già… ma era giusto per renderti al corrente.
Dovremo indagare sull'evenienza che Appiani si sia sottoposto ad un
banale esame del sangue: l'idea è di Bertani -
Il commissario si lasciò cadere sulla poltrona, reclinando
la testa e appoggiando meglio la schiena.
-Lo scopriremo, non si preoccupi-
-A proposito, questa notte come è andata la guardia a Della
Robbia? La Maffei e Rossi hanno segnalato qualcosa di sospetto?-
L’altro scosse il capo, spiegando che non era accaduto nulla.
In quel mentre, il telefono squillò.
-Terenzi… -
-Ue’,
Alessà, come stai? Sono Franco!-
-Ah, ciao Franco!- il
commissario calcò
con enfasi sul nome, facendo intuire a Ghirodelli con chi stava
parlando.
-Ho delle
novità da comunicarti sul caso degli strozzini: che hai due
minuti da dedicarmi?-
-Sì, certo, dimmi tutto-
-Il guaglione ha
parlato, il più giovane dei due fratelli. A sentire lui,
sembra che il padre avesse un’amica, chiamiamola
così, con cui si divertiva a trascorrere un po’ di
tempo. E indovina come si chiama la pupa? Indovina? Svetlana
Vattelapesca, mo’ il cognome non lo ricordo, ma è
lo stesso che mi hai comunicato tu ieri.
Comunque, il compito della donna sembra che fosse quello di adescare
pezzi grossi che sperperavano stipendio, piccole eredità e
gioielli alla bisca: una volta che i pesci cadevano nella rete, lei ci
giocava insieme, per così dire, insomma si prostituiva, per
poi ripulirli ben bene fino all’ultimo centesimo! Capisci,
Alessà, alla guagliona, appena la troviamo, la sbattiamo a
fare compagnia al resto dell’allegra combriccola!-
Terenzi cambiò orecchio: non capiva perchè il
collega dovesse sempre urlare come se avesse a che fare con un sordo.
-Ho capito, Franco. Ma, ascolta, il ragazzo vi ha anche detto dove
abita questa Svetlana?-
-Più o meno,
sai come vanno queste cose. Il padre la portava raramente al covo, e
cercava di non frequentarla in presenza della prole.
Però, da quello che il guaglione ha confessato, una volta ha
sentito l’integerrimo genitore parlare al telefono con la
donna, dicendole di aspettarlo al parco della Pellerina. Mo’,
non mi chiedere dove caspita si trova sto’ parco
perché nun lo saccio, ma i miei ragazzi, torinesi doc,
cominceranno le ricerche già oggi pomeriggio-
Terenzi sussultò sulla sedia, appuntandosi subito dopo il
nome sul solito taccuino aperto sulla scrivania.
-Va bene, grazie per avermi informato. Ah, Franco, la Del Fiore non
vuole che ci occupiamo del caso, ma, se tu me lo permetti, almeno in via
ufficiosa mi piacerebbe darti una mano. Sai, ho ancora
l’assassino di Appiani a piede libero, e non vorrei che
c’entrasse anche questa Svetlana capitata tra cielo e terra proprio adesso-
-Ma certo,
Alessà, che domande fai? Mi ricordo del nostro amico Della
Robbia, quel poveretto mezzo impaurito che ieri si scrutava attorno
come un topo in mezzo ai gatti. E mi ricordo pure del debito che la
vittima gli aveva saldato. Quindi, hai la mia parola di partenopeo,
Alessà, la bella questora non saprà nulla del
nostro patto! Gli appostamenti inizieranno alle tre: se vuoi mandare
anche qualcuno dei tuoi, avvisami. Ora devo scappare, a presto-
Il commissario riattaccò con il timpano stordito dalla voce
squillante del collega, quindi spiegò le ultime
novità a Ghirodelli.
-Fammi un favore, ispettore. Organizza una macchina con due agenti: Di
Biase, che è fresco di rientro, e la Finotti,
così impara come si conducono gli appostamenti. Digli di
trovarsi pronti per le due e mezza: appena torno, chiamerò
Berardi per comunicargli che già da oggi saremo dei loro.
Nel frattempo, vado dalla vedova per confermarle il nullaosta per l'organizzazione dei funerali-
Si alzò dalla poltrona, strinse una spalla del sottoposto e,
con il giubbotto indosso, uscì dall’ufficio.
Come la prima volta che si era recato da Clelia Camoletti, il giorno
del ritrovamento del cadavere dell’ex marito, il poliziotto
fu costretto a parcheggiare in una viuzza laterale, lontano dal palazzo
in cui abitava la donna.
Questa volta, però, non c’era neppure uno sputo di
sole ad invogliarlo a fare due passi, per cui si rassegnò a
ciondolare pigramente lungo i marciapiedi, in quella zona fitta
all’inverosimile di vecchi bar decadenti, alternati ad
allegri quanto sconosciuti locali di ultima generazione.
Una ventina di minuti più tardi, intorno alle dieci e
trenta, il poliziotto citofonò al quinto ed ultimo piano
dell’interno A di un palazzo signorile, dalla curiosa forma
della prua di una nave.
La facciata color granito disseminata da una miriade di finestrelle con
le imposte verdi era sempre lì ad aspettarlo.
-Chi è?-
Terenzi, sovrappensiero e con i brividi di freddo - o di febbre?- a
percorrergli la schiena, non si mise davanti all’occhio
elettronico della videocamera, impedendo alla donna di riconoscerlo
all'istante.
Clelia Camoletti, la voce delicata, ripeté la domanda.
-Sono il commissario Terenzi, signora. Posso salire?-
-Sì, un
attimo che le apro-
Sgusciò all’interno del palazzo nello stesso
momento in cui gli scappò uno starnuto, il quarto della
mattinata.
Non aveva voglia di percorrere a piedi quei cinque piani fino
all’attico, quindi premette il bottone
dell’ascensore dalle pareti trasparenti, in attesa che si
liberasse.
In quel mentre, dei passi risuonarono nell’androne:
l’uomo si voltò e venne accolto dal breve sorriso
di una quarantenne, i capelli castani tagliati corti e gli occhi scuri.
Era vestita con una tuta, e portava un borsone da palestra.
Dopo una manciata di secondi, finalmente l’ascensore
spalancò le sue porte, lasciando passare una coppia di
anziani coniugi.
Solo a quel punto il commissario e l’atleta salirono sul
parallelepipedo meccanico.
-Buongiorno… - lo salutò la donna, squadrandolo
senza ritegno.
-Buongiorno… a che piano?-
-Al quarto, grazie-
Quando vide Terenzi prenotare il tasto al quinto piano, la morettina si
animò.
-Va da Clelia, vero?-
-Eh sì-
Terenzi avrebbe aggiunto che, a quel piano, c’era solo
l’appartamento della vedova, ma rimase in silenzio, non
volendo sembrare scortese.
-Poverina, anche se era separata da Giorgio da qualche anno, mi fa una
gran pena. Lui era così gentile, un vero galantuomo e un
ottimo vicino di casa … -
Scosse il capo e abbassò lo sguardo, per risollevarlo subito
dopo nella direzione dell’uomo.
-Li conosce bene?-
-Abbastanza. Quando mi sono sposata, è stata
Clelia che mi ha confezionato l’abito nuziale-
La quarantenne si lanciò in un’espressione di puro
sconforto, mentre il poliziotto tentava di non fissarla con gli occhi
sgranati per l’ostentata leggerezza della mogliettina.
-Oh che peccato… sono già arrivata-
sentenziò a malincuore.
Uscì quasi con lentezza, strusciandosi contro una manica del
cappotto color cammello di Terenzi, ovviamente dopo avergli lanciato
un’altra occhiatina maliziosa.
-Arrivederci- lo salutò, sorridendo sfacciatamente.
Lui agitò di sfuggita una mano, poi l’ascensore si
richiuse e riprese a salire.
-Permesso… -
Questa volta, la vedova Appiani era dietro la porta ad attenderlo:
sfoggiava la solita mise
elegante dell’altra volta, quella mattina composta da giacca
e pantaloni grigio chiaro, una blusa bianca che spuntava dal colletto.
Aveva lo sguardo incupito e triste, i capelli biondi perfettamente
pettinati.
-Venga, commissario … -
L’uomo le strinse la mano, poi si accomodò,
ritrovandosi nello stesso salotto ricercatissimo e degno di un principe
di tre giorni prima, il parquet ricoperto di tappeti persiani e un
immenso arazzo raffigurante un cesto di frutta e fiori a pochi metri da
lui.
La porta finestra che dava sulla terrazza occupava un’intera
parete, proprio dietro il primo dei due divani color panna, e le tende,
bianche e soffici, erano appena accostate.
-Mi scusi, ma non ho molto tempo. I miei figli sono usciti, mentre Sandra, la
mia domestica, è andata a fare la spesa, e io stavo per
raggiungere l’atelier: sa, è ormai da molti giorni
che manco e voglio controllare come procede il lavoro-
La donna lo invitò a prendere posto sul divano.
-Non le ruberò molto tempo. Volevo farle un paio di domande
e comunicarle che, appena lei e i suoi figli vorrete, potrete
organizzare il funerale del suo ex marito-
Clelia Camoletti, le mani incrociate sulle ginocchia,
sospirò e annuì brevemente.
-Grazie… a proposito, vuole bere qualcosa?-
-No, non si preoccupi. Andrei subito al dunque, se non le dispiace-
-Certo, mi dica-
-Lei conosce Agnese Rampi?-
I begli occhi chiari della signora si velarono di irritazione.
-Chi è? Una delle amanti del mio ex marito?-
-Non la definirei così: era una sua amica,
l’infermiera che ha conosciuto quando si è rotto
il ginocchio e la caviglia andando a sciare, due anni fa. Immagino che
lei ne fosse a conoscenza. O sbaglio?-
-Sì- confermò distrattamente -me lo ricordo
vagamente. Lo vedevo venire in fabbrica con le stampelle. Ma, mi scusi, cosa
c’entra tutto questo?-
-Dal libretto delle entrate dell’azienda sembra che il suo ex
marito avesse contratto un debito di trecentomila euro, e che questa
signora Rampi abbia versato esattamente la metà della somma
che manca alla fabbrica.
Per caso, il signor Appiani le aveva accennato qualcosa?-
-No, non ne sapevo nulla. I miei figli mi hanno detto che lo
ha chiesto anche a loro, quando li ha interrogati, ma non ne so nulla
… nemmeno Carlo mi ha mai raccontato niente a tale proposito
e, se non l'ha fatto lui, non riesco a credere che sia la
verità-
-Infatti non lo sapeva. Anzi, sembra che nessuno ne sappia nulla
… non lo trova strano?-
La donna distolse per un attimo lo sguardo, irritata da quella sottile insinuazione.
-Senta, commissario, gliel’ho già detto durante il
nostro primo incontro. Mi sono separata cinque anni fa e, da allora,
con il mio ex marito ho avuto solamente rapporti di lavoro, nulla di
più-
Terenzi annuì poco convinto, quindi proseguì.
-Che fine farà la fabbrica? Nella precedente chiacchierata,
se non ricordo male, mi disse che non voleva i soldi del signor Appiani-
-E’ così, infatti: se fosse per me, la venderei
senza alcuna remora, ma prima è giusto che mi consulti con
Gabriele e Anita. E’ un loro diritto decidere
sull'eredità del padre-
-Sarebbe favorevole che il signor Della Robbia diventasse il nuovo
presidente?-
-Certo, perché no? E’ una persona fidata e un
bravo imprenditore. Se i miei figli acconsentirebbero, non esiterei a
cedergli il nostro 50%-
Terenzi si grattò distrattamente la nuca e, con la voce il
più naturale possibile, domandò:
-Un’ultima cosa: dall’autopsia risulta che il suo
ex marito sia stato stordito con una massiccia dose di Lexotan, un
potente ansiolitico. Sa se ne faceva uso regolare?-
-Sì, a volte lo prendeva perché soffriva di
attacchi di panico-
Finalmente qualcosa di
interessante: chi lo ha ucciso conosceva molto bene le sue abitudini.
-Sempre dall’autopsia, è emerso che a colpire il
suo ex marito siano state due persone, una di queste probabilmente era
mancina. Conosce qualche persona che ha questa caratteristica?-
Clelia Camoletti ci rifletté un attimo, poi scosse la testa
-No, non mi pare. Anzi, ne sono certa. Prima che mi chieda se uso la
mano destra o sinistra, le posso far vedere che sono destrimane-
Si alzò e andò verso l’elegante
scrittoio dietro di loro: aprì un cassetto e
prelevò un biglietto da visita del suo atelier, una penna e
ritornò a sedersi.
Quindi, firmò con la mano destra.
-Non c'era bisogno: mi ricordavo che aveva firmato la deposizione
utilizzando la destra. Comunque va bene, per me è tutto,
signora, la lascio andare a lavorare-
Il poliziotto si alzò ed abbozzò un sorriso.
-Se mi aspetta un attimo, scendo con lei-
La donna si allontanò per qualche secondo, si
recò in un’altra stanza e tornò poco
dopo con un grazioso impermeabile nero.
-Pioveva adesso che è venuto?-
-No, ha smesso, ma se fossi in lei un ombrello lo porterei: non
c’è nemmeno un po’ di sole-
-Allora vado a prenderlo. Torno subito-
Rientrò nella stessa stanza, per poi ripresentarsi
perfettamente agghindata.
-Ecco, sono pronta, possiamo andare-
Terenzi aspettò che la padrona di casa aprisse la porta,
quindi sul pianerottolo le domandò se volesse prendere le
scale o l’ascensore.
-Preferisco andare a piedi-
La vedova chiuse a chiave la porta, si sistemò
l’impermeabile e, con un sorriso, cominciò a
scendere i gradini in simil granito.
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Capitolo 13 *** Un romantico invito ***
Era
quasi mezzogiorno: il commissario guidava pensieroso la sua Panda,
mentre brividi di freddo continuavano a scuotergli le spalle.
In giro il traffico si presentava al rallentatore e il sole faceva
fatica a spuntare dalle nubi che innaffiavano generosamente il cielo.
Appena uscito dall'elegante appartamento di Clelia Camoletti, le aveva
chiesto se era a conoscenza dell'evenienza che il marito si fosse
sottoposto ad un esame del sangue, i giorni immediatamente precedenti
il suo omicidio, ma la donna, dopo averlo guardato con aria
imperturbabile e vagamente sconcertata, gli rispose che non ne sapeva
nulla.
Così, Terenzi era risalito in macchina con la testa sommersa
di dubbi ed interrogativi: "
Che fine ha fatto il
misterioso cestino della spazzatura di cui ci ha parlato Della Robbia?
Non abbiamo trovato alcun documento misterioso riconducibile ad
Appiani, né nel suo ufficio e neppure nel suo appartamento... e l'incomprensibile bonifico intestatato alla vittima ad opera di
Agnese Rampi? Lei, nonostante le apparenze, nega di aver beneficiato
l'uomo dei centocinquantamila euro..."
Mentre era fermo all'ennesimo semaforo rosso, il poliziotto compose
velocemente il numero del diretto di Ghirodelli e, le cuffie alle
orecchie, s'informò se qualcuno dei colleghi si fosse già recato a
verificare la veridicità della testimonianza dell'infermiera.
-No commissario, non
abbiamo avuto tempo. Se vuole, faccio un salto in banca e controllo
personalmente il conto della donna: so bene dove si trova via
Malfatti ...-
-Sarà meglio che vi diate una mossa, ispettore!
Continuiamo a rimanere senza alcuna prova concreta ... ah, a proposito,
la vedova mi ha confessato che il marito, anni fa, soffriva di crisi di
panico, ma nessuno degli interrogati ne ha fatto menzione. Il dottor
Bertani e la stessa Rampi, però, ci hanno confermato che il farmaco trovato
nel sangue della vittima può essere utilizzato anche per
trattare tali patologie. E se fosse davvero così, vuol dire
che l'assassino, o gli assassini, conoscevano molto bene Appiani, tanto
da drogarlo con il suo stesso medicinale ... -
Terenzi ingranò la prima e ripartì, lo stomaco
che cominciava a brontolare per la fame.
-Vede che non siamo
proprio in alto mare, capo? Anzi, il cerchio dei sospettati si potrebbe
addirittura restringere al gruppo dei famigliari e degli amici
più intimi ... -
-E' quello che stiamo facendo da quando stiamo indagando, solo che i risultati si fanno attendere. Comunque, hai
detto alla Finotti e a Di Biase di farsi trovare pronti per le due e
mezza?-
L'altro lo rassicurò, dicendogli che sia il brigadiere che
l'agente scelto avevano assicurato la loro presenza ad
affiancare i colleghi della centrale di via Cavour.
-Tra un quarto d'ora sarò di ritorno. Tu comincia ad andare
in banca: appena arrivo, rintraccerò Franco e gli
farò sapere che agli appostamenti parteciperanno anche due
dei nostri-
-Mi scusi se mi
permetto, ma questa storia dei pedinamenti mi sembra, almeno
attualmente, un tantino esagerata. Il più giovane degli
strozzini non sa neppure dove abita l'amante del padre, perlomeno non ce lo ha
ancora confessato. L'area adiacente al parco della Pellerina si estende
per una mezza dozzina di chilometri, commissario, come pretendiamo di
rintracciarla senza avere uno straccio di indirizzo, uno spunto valido da cui partire?-
Terenzi sbuffò nel microfono degli auricolari, mentre
tentava di superare un macinino che, secoli prima, doveva assomigliare
ad una frizzante Cinquecento rosa cipria.
-Hai ragione ed è la stessa cosa che penso anch'io, ma non
possiamo permetterci di rimanere con le mani in mano ancora per molto
... lo sai, ispettore, quindi non mi fare domande scomode a cui non
possiamo dare risposte razionali-
E così si salutarono mestamente, con la promessa che
Ghirodelli si sarebbe precipitato in via Malfatti per verificare il
conto corrente di Agnese Rampi.
Nel frattempo, la Panda stava arrancando su uno dei numerosi ponti che
galleggiavano sul fiume Po, piazza san Carlo che s'intravedeva a
qualche centinaio di metri di distanza.
Il commissario fece il suo ingresso per nulla trionfale nel suo
ufficio: era al suo ottavo starnuto da quando era uscito da casa,
quella mattina, e i brividi di freddo non tendevano a diminuire.
Si lasciò cadere stancamente sulla poltrona girevole, senza
neppure togliersi il cappotto color cammello.
Quindi, appuntò sul solito taccuino adagiato sulla scrivania
le cose che avrebbe dovuto ricordarsi di fare quel giorno: avvisare
Berardi, telefonare a Della Robbia per informarlo sulle ultime e vaghe
novità su Svetlana e chiedergli se era a conoscenza di un
banale prelievo ematico a cui il suo amico si era sottoposto qualche
giorno prima della morte, rileggere i verbali degli interrogati ...
insomma, una lunga ed infinita lista che già gli stava
facendo passare l'appetito.
Il poliziotto stava componendo il numero del braccio destro di Giorgio
Appiani, quando il cellulare nella tasca destra del cappotto prese a
vibrare e a suonare.
-Ciao,
Ginevra ... come stai?-
L'uomo si mise comodo, tentando di reprimere l'ennesimo starnuto.
-Io
bene, e tu? Ti disturbo?-
-Lasciamo
perdere la mia salute. Comunque no, non disturbi. Dimmi tutto-
-Ma
sei raffreddato?-
-Un
po’, ma non è niente. Allora?-
-Non
penserai di cavartela così. Hai già preso
qualcosa? C’è un infuso di erbe miracoloso: ho
ancora un paio di bustine a casa e … -
Terenzi
si grattò innervosito il collo e la fronte, reprimendo un
moto di stizza.
-C’è già Ghirodelli che mi vuole
propinare una cosa del genere, Gin, per cui ti prego, anzi, ti supplico
di dimenticarti del mio raffreddore! Parliamo di te, piuttosto, per
cosa mi hai chiamato?-
L'archeologa
mugugnò con finto disinteresse, per poi spiegare con un tono
di voce tra il preoccupato e l'imbronciato:
-Volevo andare al cinema questa sera, ma se sei conciato
così, non vorrei che peggiorassi: faremo un'altra volta, non
preoccuparti, amore-
-Guarda
che non sono moribondo! Te l'ho già detto ieri sera: mi sono
bagnato perché ero senza ombrello, e adesso
starnutisco un po’, cosa vuoi che sia? Possiamo andare al
cinema, davvero! Passo a prenderti alle ... eccì!-
-Oh,
amore, lascia stare! Al cinema andiamo quando guarisci! Se vieni da me,
però, ti preparo qualcosa di caldo e ti faccio provare
quell’infuso che ti ho detto prima! Accetti, mio bel commissario?-
Il poliziotto, incredulo, si ritrovò a dire di sì
senza nemmeno accorgersene: doveva stare davvero male per accconsentire
a quell'invito che gli appariva più come una trappola che un
romantico appuntamento con la sua dolce metà.
Forse sono soltanto
stanco e ho bisogno di essere un pò coccolato ...
-Va
bene, mi arrendo. Per le otto sarò lì da te: se
ho un contrattempo, ti chiamo appeno riesco a liberarmi-
-D’accordo.
A stasera, bacio!-
-A
stasera, Gin-
Sono tornati in voga i rimedi
della nonna e io non lo sapevo, rifletté
Terenzi, tutti che sono
fissati con questi intrugli, mah.
E, in un lampo di coraggio e senso del dovere nonostante l'influenza
che, ormai, era quasi certo stava covando, si convinse con entusiasmo
ad andare di persona da Della Robbia.
Si
affacciò all'ufficio del vice ispettore, per avvisarlo che
sarebbe di nuovo uscito.
-Rossi, io esco, vado da Carlo Della Robbia. Se mi cerca qualcuno,
dì che entro un’ora sarò di ritorno. Se
invece chiama Ghirodelli, contattarmi subito, ok?-
-Certamente,
commissario, a dopo-
Il
camion dei traslochi era ancora davanti alla casa vicina.
Questa
volta, per non rischiare come il giorno precedente, Terenzi si era
preventivamente munito di un ombrello, tanto più che il
cielo si stava ridipingendo di fosche nuvole e il vento aveva ripreso a
soffiare subdolamente.
L'uomo
attraversò la strada, citofonò e si
avviò sul sentiero di terra battuta, nello stesso istante in
cui l'agente scelto Arianna Maffei gli venne
ad aprire l'imponente portone.
-Buon
giorno, Maffei, com'è la situazione? Tutto sotto
controllo?-
-Sì,
commissario, Turchi ed io non abbiamo notato nulla di diverso dal
solito. Venga, se vuole parlare con il signor Della Robbia è
su in camera da letto: non si sente molto bene oggi, è a
riposare dalle dieci-
-Che
cos'ha?- s'informò preoccupato Terenzi, sospettando
l'ennesima mezza verità che l'imprenditore aveva raccontato
a tutti loro.
-Mal
di testa-
-Uhm.
Dov’è la stanza?-
-La
accompagno-
I
due salirono le scale a chiocciola e si ritrovano in un corridoio con
il pavimento di parquet, tre stanze a sinistra e tre stanze a destra.
Però, anche i
piani alti sono degni di una reggia ...
-Ecco,
la stanza è l’ultima porta a destra-
-Grazie,
agente-
Il
poliziotto attese che la ragazza ridiscese, poi bussò
leggermente allo stipite davanti a lui.
-Chi
è?- domandò una voce flebile, ancora di
più attutita dal pesante telaio che li divideva.
-Posso
entrare? Sono Terenzi-
-Oh
commissario, è lei! Venga-
L’uomo
era sdraiato sul letto a baldacchino, i capelli biondi brizzolati
scompigliati.
Si alzò, le finestre chiuse e le tapparelle abbassate,
accese l'interruttore della luce, quindi si avvicinò al nuovo arrivato.
-Mi
hanno detto che non si sente molto bene, non la disturberò a
lungo-
-No,
non si preoccupi. Prego, si sieda sulla poltrona. Ci sono
novità?-
-Sì-
rispose asciutto, sistemandosi la piega dei pantaloni.
-Probabilmente abbiamo scoperto la zona in cui abita Svetlana, il
più giovane dei ragazzi ha parlato ... -
-Federico?
Per fortuna, sapevo che lui era diverso da tutti gli altri. Allora,
dove si trova?-
-Vicino
al parco della Pellerina. Lei può dirci qualche cosa di
più? Ha mai sentito qualcosa che possa servire a
rintracciarla?-
Il
braccio destro di Appiani si riaccomodò sul baldacchino e si
prese i capelli tra le mani, scuotendo sconsolato il capo.
-Mi dispiace davvero, ma non so come aiutarla-
-Immaginavo.
Deduco che non le sia venuto in mente qualche altro elemento
che potrebbe aiutarci nelle indagini, è così?-
-Purtroppo
no, commissario. Io, quella donna, l’ho vista poche volte,
gliel'ho detto ... -
-Ha
mai cercato di sedurla?-
Carlo
Della Robbia si massaggió le tempie, in un gesto che aveva l'intenzione di alleviare la tensione che aveva accumulato in quegli ultimi giorni: sapere di essere di nuovo sorvegliato da agenti in borghese a causa di una stupida leggerezza accaduta un paio di anni prima, lo faceva sentire un inetto, un uomo incapace di badare a se stesso e alla sua famiglia, tanto più che il suo migliore amico non solo gli aveva saldato i debiti, ma adesso era seppellito prematuramente chissà per colpa di quale pazzo.
-No,
questo mai. Però con certi uomini, soprattutto stranieri,
pezzi grossi intendo, aveva un comportamento un po’
provocante, anzi parecchio provocante-
-E’
quello che ci ha detto anche il più giovane della banda-
-E
per quanto riguarda Giorgio?-
-Lei
sapeva che il suo amico soffriva di attacchi di panico?-
-Sì,
me ne aveva parlato qualche volta, ma non ho mai assistito di persona a
nessuna crisi-
Terenzi si sistemò meglio contro lo schienale, per poi
riprendere:
-E’
probabile che chi l’abbia ucciso era a conoscenza di questa
sua abitudine e che abbia modificato la dose che il signor Appiani
assumeva in tali occasioni. Ha qualche idea in proposito? Sa chi lo
conoscesse così bene da sapere che aveva questi disturbi?-
-Praticamente
tutti: io, la sua ex moglie, i suoi figli, la segretaria, i soci, forse
anche quella donna che ha fatto il bonifico ... Giorgio non aveva
vergogna a parlarne davanti agli altri-
Il poliziotto represse l'mpazienza che provava nel trovarsi davanti quel ricco imprenditore ormai divenuto ombra del vecchio uomo d'affari: avrebbe voluto prenderlo per le spalle ricurve e scuoterlo per risvegliarlo dal letargo. Ma lasciò perdere, cambiando argomento e facendogli presente che non avevano ancora trovato alcuna
traccia del misterioso cestino della spazzatura, costude dei documenti
più segreti della vittima.
Tuttavia, anche su questo punto, Della Robbia non sapeva davvero come e cosa
rispondere.
-Un'ultima cosa: il signor Appiani era stato sottoposto ad un esame del
sangue nei giorni precedenti il suo decesso?-
-Sì, su questo non ho alcun dubbio, commissario. Avrebbe
dovuto andare a ritirarlo questa settimana ... almeno è
quello che mi aveva detto-
Terenzi
sentì il cuore accelerare i battiti, mentre un vago
sentimento di sconfitta si fece largo all'altezza della bocca dello
stomaco: e
così, si disse, niente fantomatiche iniezioni di
chissà quale sostanza, niente risvolti misteriosi, nessuna
causa ambigua
... -
-Direi
che allora non c’è più bisogno che mi
fermi, la lascio riposare. Grazie, signor Della Robbia, se ci sono
novità gliele comunicherò quanto prima-
I due si alzarono e si strinsero la mano, poi il poliziotto uscì dalla stanza, non senza una punta di delusione, mentre la luce del minuscolo lampadario si rispensero.
Nota
dell'autrice:
Ciao
a tutti, cari miei lettori! Come state?
Ho
dovuto dividere questo capitolo perché davvero troppo lungo,
quindi, molto molto probabilmente, tra mercoledì e
giovedì pubblicherò la seconda parte! Tenetevi
pronti!
Nel
frattempo, vi ringrazio tantissimo per il vostro fondamentale supporto
in questo cammino tortuoso ma bellissimo!!
A
presto e un abbraccio!
|
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Capitolo 14 *** Lasagne e rivelazioni ***
Di
ritorno in commissariato, si scatenò un nuovo temporale: questa volta non mi freghi,
pensò con aria di rivincita il poliziotto, sono al riparo e ho persino
l’ombrello.
Aveva accostato in prossimità di via Pisacane, dopo
l'ennesimo scroscio che rischiava di subissarlo, e ne aveva
approfittato per telefonare a Franco Berardi per avvisarlo che, insieme
ai suoi agenti a sorvegliare la zona del parco della Pellerina, avrebbe
mandato anche la Finotti e Di Biase: gli rispose una voce di donna
particolarmente infantile, che gli comunicò che il collega
era ancora in riunione, per cui lasciò detto di farlo
richiamare appena si fosse liberato.
Quando entrò in ufficio era già l’una e
mezza, ma sembrava fosse piena notte: Terenzi infilò
l’ombrello nell'apposito cilindro di metallo adagiato su una
parete, appoggiò il cappotto color cammello sul divanetto ed
accese l’interruttore della luce.
Scostò le tende lattescenti della striminzita finestra e diede
un’occhiata al traffico sottostante, sbirciando i
puntini rappresentati dalla moltitudine di persone che si
affrettavano ad andare in mille diverse direzioni.
La sua attenzione venne catturata da un gruppetto di operai intenti a
riparare un paio di tombini proprio di fronte al bar di Maurizio,
protetti da una tettoia di ghisa che li impediva di bagnarsi con quelle
gocce spesse e fitte che si riversavano dal cielo: il tempo proprio non ha
intenzione di migliorare, constatò con una
punta di amarezza, solo
il vento si è placato.
Riaccostò le tendine ed uscì in corridoio per
andare a cercare l’ispettore, che però non era
ancora tornato dal giro di perlustrazione alla banca in cui Agnese
Rampi aveva depositato i suoi risparmi: l’agente in
guardiola, un giovane che sembrava la fotocopia di Ghirodelli
–stessi capelli rossi, stesso naso aquilino da attore degli
anni Trenta e stessi occhi penetranti neri come la pece- gli disse che
nessuno lo aveva cercato mentre era a parlare con il signor Della
Robbia, quindi tornò mestamente in ufficio, starnutendo un
paio di volte giusto per non perdere il ritmo.
Si stravaccò sulla poltrona girevole, controllando se ci
fosse qualche carta da firmare: fu felice che non vi fosse ombra di alcun
documento arretrato, perché davvero non aveva nessuna voglia
di concentrarsi per più di un minuto di fila sullo stesso
argomento.
Chiuse un attimo gli occhi, incrociando le mani in grembo: lo
preoccupò il rendersi conto che non aveva affatto fame,
nonostante a quell’ora, di solito, sarebbe stato in grado di
mangiare tutto ciò che gli fosse passato davanti.
Per ingannare il tempo in attesa del rientro dell’ispettore,
il poliziotto rovistò nelle tasche alla ricerca del
biglietto su cui aveva scarabocchiato il nome della clinica dove
Giorgio Appiani Uzia si era sottoposto agli esami del sangue: stava
uscendo dall’abitazione di Carlo Della Robbia, quando
ritornò indietro per chiedergli se sapesse dove
l’amico era solito andare per eseguire gli esami di routine
e, guarda a caso, l’imprenditore e la vittima si rivolgevano
allo stesso centro esclusivo a pochi passi dal centro città.
Adesso, il poliziotto aveva già la cornetta in mano, quando
la sua coscienza di commissario lo indusse a richiedere
l’autorizzazione alla dottoressa Del Fiore: forse è inutile
perdere tempo a visionare il referto, ma era pur
sempre meglio non tralasciare nulla.
La voce del magistrato era particolarmente squillante, tanto che per un
nanosecondo Terenzi si chiese se avesse composto il numero giusto.
-Ah, è lei
commissario. Si è deciso a chiamarmi per riferirmi delle
novità, spero ... -
L’uomo si schiarì la voce, trattenendo
l’ennesimo starnuto, e la mise al corrente delle informazioni
riguardanti il referto autoptico eseguito dal dottor Bertani, del
colloquio con Clelia Camoletti e con Della Robbia, per poi finalmente
andare al motivo della telefonata.
-D’accordo, se
crede che possa servire per risolvere le indagini ha la mia
autorizzazione. Però, in tutta sincerità, non mi
sembra stiate facendo dei grandi passi avanti: i resoconti che mi ha fatto pervenire nei giorni scorsi
mostrano numerose lacune e punti interrogativi. Non crede anche lei?-
Per fortuna che non gli aveva detto nulla della sua grandiosa idea di mandare la
Finotti e Di Biase insieme al gruppo di Berardi, altrimenti la
sospensione non me la negava nessuno.
-E per quanto riguarda
Agnese Rampi? Avete verificato la veridicità del suo
interrogatorio?-
Quella donna aveva davvero intenzione di non lasciargliene passare
nemmeno mezza, ma lui non avrebbe demorso tanto facilmente.
Era un altro punto dolente, rifletté, su cui non era ancora
in grado di farle alcun resoconto, ma almeno non avrebbe dovuto
mentire.
-Sto aspettando che l’ispettore Ghirodelli rientri in
commissariato: questa mattina è andato personalmente alla
Banca di Credito Piemontese, in via Malfatti n° 12, dove la
donna ha depositato il conto corrente. Le farò sapere al
più presto, dottoressa, nel caso vi siano delle notizie-
La Del Fiore riattaccò reprimendo ulteriori lamentale.
Terenzi era già pronto per cercare in Internet il numero
telefonico della clinica privata, quando l’istante dopo
chiamò Franco Beradi, felicissimo per la collaborazione con
il caro Alessà.
Alle due e dieci Ghirodelli entrò in ufficio.
-Commissario, ho delle novità-
Terenzi gli fece cenno con la mano di accomodarsi: lasciò
perdere i documenti che stava leggendo al computer, per concentrarsi
interamente sul nuovo arrivato.
-Molto bene, raccontami tutto … -
L'altro si mise seduto ed estrasse l'autorizzazione che gli aveva
concesso il direttore della banca per effettuare le opportune verifiche
del conto della sospettata.
-Dunque, un paio di settimane fa, il 30 ottobre scorso ci sono state due transizioni molto
importanti: la prima riguarda il figlio della donna, Francesco Gucci,
lo studente di Biologia che vive a Padova. Il ragazzo si è
recato alla filiale per convertire un assegno della madre: parliamo di
cinquecentosessantotto euro, una cifra relativamente irrisoria rispetto
ai centocinquantamila incriminati. Prima che mi chieda se sono
riuscito a risalire alla causale dell'assegno, le anticipo la domanda e
le do anche la risposta, ovvero di no. Ma non si preoccupi,
rimedierò dopo pranzo con una telefonata alla Rampi-
-E il secondo movimento bancario?- continuò interessato il
superiore, facendogli cenno di proseguire.
-Nel pomeriggio dello stesso giorno, una donna ha effettuato il
misterioso bonifico in favore dell'azienda di Appiani, ma qui viene il
pezzo forte, commissario, ovvero che la descrizione
sembrerebbe non corrispondere con le fattezze dell'infermiera ... -
-Con chi ha parlato la Rampi quel 30 ottobre? Si sarà rivolta a
qualche impiegato o ha fatto tutto da sola?!!- cercò di
controllarsi Terenzi, mentre la poltrona sotto di lui cigolava
contrariata.
-Certo che lo ha fatto, capo, ma il direttore della filiale
è nuovo: il suo predecessore è andato in pensione
circa quattro mesi fa, e il sostituto ha incontrato per la prima volta
Agnese Rampi quel pomeriggio. Da allora non l'ha più rivista
... -
-Insomma, per dirla in breve, non abbiamo termini di paragoni. Ma la
foto della donna che siamo andati a recuperare? Non è
servita per un confronto?-
Ghirodelli scosse la testa, facendo spallucce.
-Non è recentissima e, soprattutto, non è un
primo piano: questi due elementi fanno titubare l'uomo nel riconoscerla
ufficialmente-
Il commissario si grattò la punta del naso, mentre dalla
finestra dietro di lui entrava il rumore costante e fastidioso della
pioggia torrenziale.
Congedò l'ispettore, ringraziandolo per il lavoro svolto,
dopo averlo messo al corrente del colloquio telefonico con la Del
Fiore, che gli aveva accordato il permesso di visionare il referto
delle analisi del sangue.
Erano quasi le sei e, per tutto il pomeriggio, non c’erano
stati contrattempi.
In compenso, la Finotti e Di Biase non erano riusciti a trovare
Katiuscia, o Svetlana come si faceva chiamare adesso, e così
l’umore di Terenzi continuò ad essere al di sotto
della soglia critica accettabile.
La pioggia persisteva a scendere e non accennava a diminuire: era
talmente buio che il commissariato sembrava una vecchia discoteca
illuminata a giorno.
Aveva deciso di tornare a casa un po’ prima, per andare a
rifornire la dispensa, passare alle Poste a pagare le bollette
– su questo punto non era particolarmente sicuro,
perché non si ricordava l’orario di chiusura, ma
ci avrebbe provato lo stesso- e andare in tintoria a ritirare i due
completi che aveva portato da lavare e stirare.
Stava recuperando le chiavi della Panda, quando la porta si
aprì ed entrarono Ghirodelli -che aveva supervisionato il tutto-, la Finotti e Di Biase.
-Allora ragazzi? Avete scoperto qualcosa?-
-No, purtroppo. I colleghi di via Cavour sono ancora sul posto, ma
hanno avuto pietà di noi e ci hanno rimandato alla base.
Comunque abbiamo domandato ai negozianti lì in giro, a un
paio di portieri degli stabili lì intorno, ma nessuno sembra
che l’abbia mai vista-
L’ispettore si fece avanti con aria abbastanza stravolta, i
capelli crespi dall’umidità della pioggia, mentre
gli altri due colleghi confermavano con la testa le sue parole.
-Come vi siete organizzati con i turni di sorveglianza?-
-Domani mattina alle sette l’agente Finotti ed io andiamo a
dare il cambio ai colleghi della notte, poi vedremo-
Terenzi mugugnò poco convinto e Ghirodelli ne
approfittò per fare un azzardo:
-Commissario, lo so che gliel’ho già fatto
presente questa mattina, ma è una zona vastissima quella che
dobbiamo sorvegliare: vi abitano centinaia di persone, come facciamo a
trovarla se non abbiamo nemmeno un vago indizio da cui partire?-
-Dobbiamo trovarla, prima o poi ce la faremo- tagliò corto
il superiore, starnutendo ed aprendo la porta.
-Ora devo andare, ci riaggiorniamo domani mattina. Buona serata a tutti-
L’uomo recuperò il cappotto e
l’ombrello, strinse una spalla dell’ispettore,
quindi sorrise agli altri due presenti e uscì
dall’ufficio.
Alle otto e dieci, parcheggiò la macchina nei pressi del
parco del Valentino.
Come aveva inconsciamente previsto, Terenzi non era riuscito a svolgere
tutti i lavoretti da perfetto casalingo che si era ripromesso di fare:
al supermercato aveva temuto di rimanere schiacciato nella bolgia di
impiegati e donne in carriera che, usciti dal lavoro, assalivano gli
scaffali come se non mangiassero da anni; le Poste stavano abbassando
la saracinesca nello stesso istante in cui lui si era presentato
trafelato al cospetto degli addetti alla chiusura; solo la vecchietta
della tintoria gli aveva dato un po’ di soddisfazione,
porgendogli, con il solito sorriso mezzo sdendato, giacca e pantaloni
perfettamente lavati, stirati e custoditi nell’involucro di
carta.
Così, per non rischiare di arrivare eccessivamente in
ritardo all’appuntamento con Ginevra, era tornato a casa solo
il tempo necessario per cambiarsi velocemente ed indossare qualcosa di
più comodo, le buste della spesa abbandonate tristemente in
mezzo al corridoio.
Adesso, sceso dall'auto, stava per aprire l’ombrello quando
gli si ruppe lo scatto: non
ci posso credere, questa è una maledizione!
Riaprì imbufalito la portiera, appoggiò
velocemente sul sedile anteriore l’ombrello e, con una corsa
degna di un atleta in pensione, raggiunse il portone, miracolosamente
aperto.
-Ciao!- gli andò incontro l’archeologa, aprendogli
la porta con una perfetta mise
da cuoca, grembiule a pettorina di un intenso giallo canarino e i
capelli castani raccolti in una ordinatissima coda di cavallo.
-Non è proprio giornata, Gin. Questo maledetto raffreddore
mi tormenta ogni minuto, la pioggia che non smette un solo attimo, le
indagini che sono ad un punto morto, la Posta che mi ha praticamente
sbattuto la porta in faccia e, adesso, persino l’ombrello che
si è rotto! Se non è una persecuzione questa,
allora che cos’è?!-
La ragazza si mise a ridere, gli occhi color ambra che luccicavano
dalla gioia di rivederlo.
-Fatti abbracciare, poverino! Togliti il giubbotto, la
giacca e la camicia: te le metto ad asciugare sul termosifone
… -
L’uomo entrò nell’accogliente ingresso e
attraversò il corridoio in direzione del soggiorno: vi era
un caldo tepore che gli fece dimenticare per un istante
l’arrabbiatura che si era impadronito di lui.
-Va bene. Ascolta, se non è ancora pronto, vado a farmi una
doccia. Ce l’hai ancora la tuta che avevo portato qualche
tempo fa? -
-Sì certo, dovrebbe essere nel terzo cassetto
dell’armadio in camera mia. Se vuoi ti do il mio accappatoio
... -
-Basta che non sia rosa-
-No, è arancione- sbuffò lei, alzando gli occhi
al cielo.
Venti minuti più tardi, Terenzi fece il suo ingresso
trionfale in cucina.
-Credevo ti avesse risucchiato lo scarico!-
Ginevra aveva apparecchiato in soggiorno in maniera meno elegante
dell’altra volta, ma la tovaglia con la stampa a frutti
esotici faceva comunque la sua bella figura.
-Scusami, mi sono messo a pensare, sai com'è, intanto che
aspettavo almeno dieci minuti prima che arrivasse l’acqua
calda ... - puntualizzò, mentre la seguiva in cucina per
aiutarla a portare i bicchieri rossi, in tinta con i piatti che erano
già in tavola, assieme alle forchette
dall’impugnatura gialla.
-Oh, che noia, sei sempre il solito esagerato! Le tubature sono un
po’ vecchie, lo sai, ma mica sono
dell’età della pietra! Avresti dovuto regolarla
prima di entrare: ogni volta te lo dico e tu, puntualmente, ogni volta ti dimentichi!-
-Da adesso cercherò di ricordarmelo-
Le cinse la vita da dietro e le baciò il collo, mentre lei
ridacchiava e si voltava per restituirgli il favore sulla bocca.
-Qui è pronto, andiamo a mangiare: ti ho preparato le
lasagne verdi-
-Ti ho già detto che mi vizi? Pensa che, mentre ero in
macchina, temevo mi avresti cucinato un caldo ed insipido brodino
… -
-Ad essere sincera, ci avevo pensato, ma mi sembrava brutto dopo una
giornata di lavoro farti trovare solo la minestrina, così
all’ultimo ho cambiato idea-
La ragazza gli sorrise ironica, continuando a trafficare con le
stoviglie da infilare nella lavastoviglie.
-Però, per quanta riguarda l’infuso miracoloso,
non ho cambiato idea, non ti credere. Te l’ho già
messo sulla credenza in sala, così dopo cena te lo puoi
prendere-
-Pensi proprio a tutto, eh?-
-Lo so, senza di me sei perduto! Adesso che ti sei riscaldato grazie
alla mia doccia, portami di là le lasagne, intanto che
prendo le bottiglie-
-Agli ordini!-
Quindi lo trascinò in sala da pranzo e lo seguì
con la teglia fumante che aveva appena estratto dal forno spento.
Ginevra tagliò due porzioni abbondanti dalla teglia di
ceramica, le mise nei piatti e finalmente si accomodarono.
Terenzi assaggiò un boccone, bofonchiando allegramente.
-Buone, le fai sempre ottime. Era da tanto che non le preparavi-
-Lo so, è che avevo perso la ricetta e ho dovuto andare a
recuperarla in mezzo alle altre centinaia che ho disseminato in giro
per casa-
L’uomo bevve un sorso di vino rosso, riflettendo su quanto
quella ragazza fosse disordinata, ma a lui piaceva anche per questo
piccolo difetto.
-Come va il lavoro al museo?-
-Al solito. Ultimamente abbiamo un sacco di cose da fare: stiamo
organizzando la mostra sugli ultimi reperti che ci sono arrivati dal
British Institute, ricordi che te ne avevo parlato l’altra
sera per telefono?-
-Sì, sui corredi delle spose dell’Alto Egitto,
vero?-
-Esatto: dobbiamo aprire la mostra tra un paio di settimane. Siamo a
buon punto, ma ci sono ancora un sacco di cose da preparare. Tu,
invece? Non ho più sentito nulla sulla morte di Giorgio
Appiani-
-Infatti non c’è molto da dire- tagliò
corto, puntando già alla seconda porzione di lasagne.
-Siamo fermi. Purtroppo non abbiamo fatto passi avanti. Ho i nervi a
fior di pelle al solo pensiero, per cui ti prego di non tormentarmi con
le tue solite domande, Gin-
Lei lo guardò contrariata per qualche secondo, la forchetta
a mezz’aria: lo vedeva abbastanza provato, per cui, in un
impeto di inaspettata compassione ed amore, decise di lasciar perdere,
almeno per quella volta.
-Mi dispiace, Ale, vedrai che presto riuscirete a catturare
l’assassino-
Il poliziotto le sorrise riconoscente e approfittò della
tranquillità del momento per riempire i piatti con
un’altra generosa porzione di pasta.
-Scusa, ma non ho fatto nient’altro: con questa cosa della
mostra sono arrivata a casa alle sette ... -
-Figurati, sono sazio così- la rassicurò,
trangugiando il secondo bicchiere di rosso.
-Adesso ti preparo un po’ di camomilla, così ci
fai sciogliere l’infuso!-
-No, anche la camomilla no, ti prego!-
-Invece sì! Ti assicuro che con la camomilla è
tutta un’altra cosa. O magari preferisci il tè?-
Terenzi si stava quasi strozzando nel sentire quella proposta che gli
suonava tanto come un’offesa al suo stomaco.
-Per carità, oggi ne ho bevuti già tre in
commissariato. Se proprio mi vuoi male, allora preferisco rassegnarmi
alla camomilla- si arrese, riempiendole il bicchiere con il vino.
-Va bene. A proposito, sabato siamo stati invitati a cena-
Lei si alzò con i piatti vuoti in mano e scomparve in cucina.
-Da chi?- le urlò dietro, mentre cercava un modo efficace di far sparire la confezione che aveva adocchiato sopra un mobiletto credenza rosso laccato, contenente il
malefico infuso che gli voleva appioppare.
Controllò con fare circospetto il posto ideale adatto a
nasconderlo: ma, attorno a lui, i due divani color panna e il puff
ordinato non erano certo degli angoli ideali in cui occultare il
pacchetto incriminato, perché sicuramente Ginevra lo
avrebbe trovato appena si fosse seduta.
Magari in uno degli
scaffali della libreria? Oppure dietro la TV? ricordandosi
l'attimo dopo che lo schermo a quarantadue pollici era assolutamente e
maledettamente piatto sulla parete.
-Da Anna, la ragazza che lavora con me dal notaio Marchetti: si
è trasferita dalle parti del parco della Pellerina e sabato
vuole invitarmi a cena. Non preoccuparti che non ha nulla in contrario
che venga anche tu, anzi, le ho parlato talmente tanto di te che non
vede l’ora di conoscerti!-
Appena avvertì i passi cadenzati della ragazza, si rese
conto di ciò che gli aveva detto, e lasciò
perdere all’istante il misero tentativo di furto, piombandole
davanti con aria entusiasta.
-Che cosa hai detto?!-
Lei lo guardò arcuando un sopracciglio, la scatola di
biscotti al cioccolato tra le mani: si era tolta il grembiule,
così adesso si potevano vedere meglio le forme delicate
sotto la tuta blu e bianca.
-Che sabato vuole invitarmi a cena perché si è
trasferita …?-
Il commissario sorrise di giubilo: quasi avrebbe voluto battere le mani
dalla felicità, davvero non poteva credere a un colpo di
fortuna così inaspettato e casuale!
-Sei un genio, Gin, tu e la tua amica Anna siete dei geni!-
-Ti senti bene? Non è che hai la febbre?-
L’archeologa gli tastò la fronte e,
contemporaneamente, lo spinse verso il divano, insistendo
perché si sedesse.
-La donna che stiamo cercando per l'indagine Appiani dovrebbe abitare
proprio vicino al parco della Pellerina: magari la tua collega la
conosce! Da quanto tempo si è trasferita?-
-Due settimane. Tu lo pensi davvero?-
Una luce emozionante degna di una spia in erba si affacciò
nel suo sguardo.
-Non lo so, può darsi. Se i miei uomini non dovessero
trovarla, puoi chiederle se è disposta a parlare con me?-
-Certo, glielo dirò-
Poi, con aria cospiratoria, gli si avvicinò e,
sussurrandogli ad un orecchio, cercò di raggirarlo
candidamente.
-Vuoi che nel frattempo le dica di tenere gli occhi aperti?-
Terenzi le si staccò dopo averle dato un bacio su una
guancia:
-Gin, cosa mi hai promesso prima? Per il momento va bene
così, ti faccio sapere io se ce ne sarà bisogno-
-Come vuoi- sbuffò, picchiandogli sul petto e annunciando
che sarebbe andata a vedere se l’acqua bolliva, pronta a
vendicarsi con un'abbondante tazza di camomilla.
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Capitolo 15 *** Un poliziotto k.o. ***
Venerdì
14 novembre, ore 10.30
Quella
mattina Terenzi non era andato al lavoro: si era alzato con i brividi
alla schiena e con una decina di starnuti a fargli compagnia.
Insomma,
per farla breve aveva trentotto di febbre, ma a parte
l’elevata temperatura si sentiva piuttosto bene.
La
prima cosa che aveva fatto, ancora a letto, era stata quella di
avvisare Ghirodelli, per dirgli che almeno per i prossimi due giorni non sarebbe andato in commissariato.
-Sono
nelle vostre mani, ispettore: continuate ad indagare, e fatemi sapere
in qualsiasi momento anche il più piccolo dei cambiamenti.
Ah, ho lasciato sulla scrivania, sotto il portapenne con la scritta Australia, il
nominativo e il numero di telefono della clinica dove Appiani si
è recato per le analisi del sangue: fatti dare un
appuntamento per visionare i referti, meglio ancora se te li fai mandare
tramite fax. L’autorizzazione della Del Fiore è
arrivata ieri sera, la troverai nel primo cassetto a sinistra della
scrivania. Hai preso appunti fino a qui?-
-Sì, capo, ho scritto
tutto. E per Agnese Rampi? La dobbiamo mettere alle strette o
aspettiamo gli sviluppi?-
-No,
aspettiamo ancora fino alla prossima settimana: quando torno faremo il
punto della situazione e, se necessario, la presseremo come si deve.
Però, giusto per non stare con le mani in mano, informati
senza destare troppi sospetti sul motivo dell’assegno in
favore del figlio. Un’ultima cosa: vi siete organizzati per i
turni di sorveglianza con i colleghi di via Cavour? E con quelli per
Della Robbia?-
-L’imprenditore
è sotto controllo, non si preoccupi: è solo
terrorizzato che gli possa accadere qualcosa. Per quanto riguarda le
indagini su Svetlana, l’autorizzazione è valida
fino a domenica, commissario, poi Berardi dovrà chiedere una
prologa al magistrato: d’altronde, tutti ci rendiamo conto
che non stiamo facendo alcun passo in avanti-
-Non
direi, ispettore: ieri sera sono andato a cena da Ginevra e mi ha detto
che una sua ex collega dello studio dove lavorava potrebbe conoscere
Svetlana. Si è trasferita da pochi giorni in un appartamento
nei pressi del parco della Pellerina, e se abbiamo un briciolo di
fortuna, può essere che le due donne si siano incontrate o
che quest’Anna sappia indirizzarci nel posto giusto. Facciamo
così, se entro quarantotto ore, quando scadrà
l’autorizzazione della Del Fiore, non sarete ancora riusciti a
trovarla, proveremo a contattare la ragazza per sapere se sa qualcosa.
Cosa ne pensi?-
-Mi sembra ragionevole come
compromesso, capo, anche se cercare un ago in un pagliaio potrebbe
risultare più semplice …-
-Grazie
per la fiducia. Eccì
... eccì...
ora devo andare. Ci sentiamo più tardi. Buon lavoro-
Il
commissario si alzò dal letto e, barcollando come uno zombie
dall’alto del suo metro e ottantacinque, una coperta bianca e
arancione sulle spalle, andò a sdraiarsi sul divano: nemmeno
mezz’ora prima si era bevuto l’ennesimo
tè in soli due giorni, aveva preso una compressa
effervescente di paracetamolo e adesso cercava di rilassarsi e di non
pensare a quell’imprevisto di cui avrebbe volentieri fatto a
meno.
Sono anni che non mi ammalo,
anni! continuava a ripetersi innervosito, e dovevo diventare uno straccio
proprio adesso, proprio in questi giorni che siamo in alto mare! Per
fortuna che almeno Ghirodelli si è ripreso, altrimenti senza
di lui non saprei davvero cosa e come fare.
Si
sistemò meglio la coperta sulle spalle e
sprimacciò il cuscino più grande che avesse, in
modo da posizionarlo dietro la testa: se l’ispettore avesse
accettato la promozione della Del Fiore, la scorsa primavera, a
quest’ora non avrei più un valido collaboratore e
nemmeno un amico su cui fare affidamento,
rifletté con lucidità, mentre distribuiva un paio
di saluti qui e là.
Alla
fine di un’indagine piuttosto complessa, infatti, relativa al
caso Dünnerz-Perrez che affondava le sue radici in Germania,
era stato lo stesso Terenzi ad aver fatto leva sulla coscienza del
questore per riconoscere i meriti investigativi del collega: la
dottoressa aveva deciso di promuovere il buon Ghirodelli a commissario,
grazie anche al concorso che il poliziotto aveva ottimamente superato,
ma l’avanzamento di carriera avrebbe comportato il
trasferimento a Cuneo, città troppo lontana per l'abituale
collega, così non se n’era più fatto
nulla.
Francesco si merita una
promozione: su questo punto Terenzi era assolutamente
certo, ed era anche sicuro che, prima o poi, l'ispettore avrebbe
trovato la sua strada, sebbene questo significasse perdere un ottimo
elemento.
Per
distrarsi, accese la TV e cominciò a fare zapping: non
c’era niente che andasse incontro ai suoi gusti, solamente
una miriade di programmi di cucina di second’ordine, altri di
pseudo tribune politiche, passando per trasmissioni in cui il gossip
era il re indiscusso e un paio di telefilm di cui aveva già
visto la replica della replica… insomma, niente di
interessante.
Spense
la televisione e, recuperando il telecomando sul tavolino di vetro
davanti a lui, accese la radio: rimase così per qualche
minuto, gli occhi chiusi, la testa che ondeggiava al ritmo delle note,
fino a quando squillò il telefono di casa.
Dove l’ho messo?
, reclamò irritato il commissario, ho portato qui il cordless dalla
camera appena dieci minuti fa!
Si
rimise a sedere e prese a rovistare in mezzo ai cuscini del divano
dove, alla fine, lo trovò, tristemente rovesciato sul
tappeto blu cobalto.
-Pronto?-
Una
voce di donna preoccupatissima lo stava salutando sussurrando:
-Amore ciao, come stai? Ho
ricevuto il tuo messaggio: hai preso qualcosa?-
-Ciao
Gin, insomma: mi sento tutto rotto, ho già ingoiato un paio
di tachipirine, ma per il momento assomiglio più a una delle
tue mummie che ad una persona in carne ed ossa ... -
-Poverino, non dire
così, vedrai che al calduccio e con un po’ di
riposo prestissimo tornerai come nuovo. Nella
pausa pranzo vengo a trovarti, va bene?-
-Grazie,
allora ti aspetto. Ma perché parli così piano?
Quegli intrugli che mi hai propinato ieri sera hanno fatto male anche a
te?-
-Sei il solito sciocco: non posso
urlare perché sono nello sgabuzzino. Ho detto che andavo in
bagno, solo che di là c’è un casino
totale e devo ritornare al più presto! Sono arrivati gli
ultimi pezzi dal British Institute e, insieme a quelli del British
Museum, dobbiamo ordinarli e cominciare a fare l’inventario,
proseguire con l’allestimento della mostra e …
beh, lasciamo perdere. Hai bisogno di qualcosa?-
-A
parte la tua compagnia, portami un po’ di pane e il
caffè: sono stufo di bere dell’annacquato
tè verde –
-Oh mi sto sciogliendo:
dovresti ammalarti più spesso per essere così
romantico!-
-Gin, smettila per favore ... -
-Ma dai, scherzavo,
permaloso! Ci vediamo dopo, un bacio-
Terenzi
riattaccò con un sorriso e appoggiò
l’apparecchio sul tavolino.
Si
rimise sdraiato, la musica a basso volume che fuoriusciva dallo stereo
e, nel giro di pochi minuti, cadde tra le braccia di Morfeo.
Un’ora
più tardi, il bell’addormentato venne svegliato
dal cellulare che prese a squillare: ci volle qualche secondo prima che
il poliziotto si rendesse pienamente conto di quello che stava
accadendo, perché inizialmente era convinto si trattasse
dell’ennesima canzone proveniente dalla radio di qualche
automobilista imbecille, che non aveva affatto cura del proprio ed
altrui udito, ma era un’ipotesi che il suo cervello di nuovo
in marcia aveva scartato all’istante, dal momento che era
novembre e tutte le finestre erano opportunamente chiuse.
Lesse il nome sul display e, passandosi una mano sul volto,
domandò:
-Ghirodelli,
ciao. Come vanno le cose?-
-Qui è tutto sotto
controllo, non si preoccupi. Lei come sta?-
-Ho
dormito un po’, adesso mi sento meglio, ma sono appiccicato
al divano da quando ci siamo sentiti questa mattina-
-La proposta di darle un paio di
quelle bustine miracolose è ancora valida-
-No,
grazie, ispettore, ma me lo ricorderò per un eventuale
futuro. Allora, ci sono novità?-
-Sì: l’ho
chiamata per dirle che i due strozzini più giovani vogliono
collaborare. Ammettono i reati che gli abbiamo contestato,
però chiedono il patteggiamento. Berardi ha telefonato
dicendo che si è presentato l’avvocato dei
ragazzi, una donna che il suo amico Franco ha definito "una guagliona
con le palle". Ah, ha insistito per avere il suo numero privato e sono
stato costretto a darglielo. Non si arrabbia, vero?-
Terenzi
starnutì tre volte di fila, giusto per dimostrare il proprio
disappunto, ma lasciò correre: dopotutto, il collega
napoletano era stato generoso e disponibile a condividere con loro le notizie
sulle indagini, tanto più che la Del Fiore non aveva dato
l’autorizzazione a Terenzi per gli appostamenti alla
Pellerina.
-Per
così poco: in questo momento ho ben altri problemi,
ispettore. Comunque c’era da aspettarselo che i figli
avrebbero fatto di tutto pur di uscire dall’hotel a cinque
stelle in cui li abbiamo rinchiusi: era solo questione di tempo. Mi
auguro che almeno per il padre non si decida per lo stesso trattamento:
la sua lista di precedenti è sufficientemente lunga da
coprire le spalle anche ai pargoletti. E per quanto riguarda Svetlana?
Avete trovato qualche indizio?-
-Purtroppo no. Ho mandato la
Finotti e Rossi a fare ancora qualche domanda nella zona del parco,
però sembra che nessuna la conosca, o meglio,
c’è la fiorista che dice di aver visto un paio di
volte una ragazza dai capelli rossi, ma non è sicura che sia
lei: la foto segnaletica che le abbiamo mostrato risale a due anni fa,
quando aveva un altro taglio di capelli. Adesso, invece, con Della
Robbia c’è la Maffei e, nel pomeriggio,
andrà a darle il cambio Di Biase. E' tutto sotto controllo ... -
-Ottimo.
Se hai delle novità chiamami senza farti problemi, anche sul
fisso-
-D’accordo, capo, si
riposi-
-Sfortunatamente il tempo non mi manca. Ciao Ghirodelli, grazie-
Ginevra
aveva pranzato con Terenzi, poi era ritornata al lavoro, promettendogli
che sarebbe ritornata quella sera.
Nel
frattempo, il commissario ne aveva approfittato per rifornirsi di
un’altra compressa di paracetamolo e per leggere un romanzo
di un emergente autore italiano che aveva comprato la settimana
precedente: parlava di avventura, di Storia e di spionaggio, il genere
di libri che lui adorava e per cui avrebbe dato fondo al suo intero
stipendio, se solo qualcun altro lo avesse mantenuto.
Poi,
passando a cose più realistiche e a pensieri meno
vaneggianti, era passato dal letto al divano con
l’abilità di una pallina da tennis, rimbalzando da
un lato all’altro del corridoio, indeciso dove rilassarsi per
qualche ora: alla fine, aveva deciso di stravaccarsi definitivamente
sul sofà e di abbandonarsi ad un'altra dormita.
Si
svegliò che erano le cinque e mezza, più arzillo
di prima.
Andò
in cucina e, lo stomaco che gli brontolava, prese ad aprire ante e
cassetti della credenza, per dar sfogo al senso di fame che lo stava
quasi opprimendo.
E’ un buon segno,
rifletté, tenendo
conto che all’una sono riuscito a bermi solo un piatto di
brodino annacquato.
Alla
fine, mettendo da parte i tristi ricordi del pranzo, optò
per prepararsi una cioccolata calda con panna, come premio per la
febbre che gli era scesa.
Con
la tazza fumante in mano e la coperta sulle spalle, l’uomo
guardò fuori dalla finestra: il cielo era ancora plumbeo, le
fronde degli alberi si muovevano al ritmo del vento, che aveva preso
prontamente il posto della pioggia, ormai esauritasi dalla notte
precedente.
Nel
vetro riflesso, poteva vedere il proprio volto sporcato dalla barba
incolta di due giorni: si passò una mano tra i capelli scuri
tagliati corti, felice di evitare di soffermarsi sul colorito
malaticcio che sentiva di avere.
Che sfortuna
… continuava a ripetersi.
Non
che gli dispiacesse concedersi un po’ di tempo solo per lui,
però avrebbe voluto scegliere un motivo più
piacevole per stare a casa, come usufruire di qualche giorno di ferie
arretrate che si era opportunamente messo da parte.
Mi rifarò molto
presto, appena arresteremo gli assassini del povero Appiani.
Terenzi
finì di bere la cioccolata, lavò con cura la
tazza e il cucchiaino, poi decise di andare a fare una capatina nella
stanza adibita da studio, dove Miss Marple, la sua tartaruga di terra,
era in pieno letargo.
Infatti,
la testuggine stava beatamente dormendo, rannicchiata nel carapace:
l’uomo le si avvicinò e la osservò
sotto il cumulo di scatole di cartone e vecchi stracci che aveva avuto
cura di prepararle, da cui spuntavano le zampe e la coda.
Il
poliziotto versò un po’ di cibo nella vaschetta, non si sa mai che si dovesse
svegliare e le venisse fame, quindi ritornò in
cucina, la coperta sulle spalle.
Bevve
un sorso d’acqua e alla fine si abbassò ad
accendere la TV: trascorse l’ora successiva a godersi un film
divertente con un attore che non aveva mai visto, ma che era davvero
bravo, tanto da fargli rimpiangere di non essersi sintonizzato prima su
quel canale.
Quando
il programma finì, erano quasi le sette.
Ginevra dovrebbe essere qui tra
poco, constatò, alzandosi e ritornando in
cucina, dove diede sfogo alla sua fantasia da chef stellato:
preparò il soffritto con olio, aglio e cipolla, poi
aprì la bottiglia di passata verace toscana,
rovesciò parte del contenuto nella padella, aggiunse mezzo
cucchiaino di sale ed uno di zucchero e, in pochi minuti, ecco il sugo
caldo e sfrigolante che attendeva solo di tuffarsi nelle penne rigate
che stavano già cuocendo nella pentola di fianco.
Ultimo
tocco da esperto, il basilico congelato fresco e il gioco era fatto.
Mancava
solo da apparecchiare la tavola e da recuperare qualcos’altro
di appetibile dal frigorifero: lo aprì e vi
rovistò dentro, orgoglioso del vasetto di verdure sottolio e
dell’insalata di polpo che aveva comprato due sere prima.
Una
volta sistemato il tutto, Terenzi spense l’acqua della pasta
e tornò a sedersi sul divano, con il romanzo
dell’esordiente tra le mani.
Mezz’ora
più tardi, proprio nell’attimo in cui il gruppo di
spie si stava paracadutando da un aereo dell’Esercito degli
anni Quaranta, suonò il campanello: il poliziotto si
alzò lentamente, elegantissimo nella tuta rossa con cui si
era cambiato prima di pranzo, e andò ad accogliere la
fidanzata.
-Ciao,
Gin- la baciò su una guancia, starnutendo subito dopo.
-Non
vorrei contagiarti- aggiunse, invitandola a togliersi il cappotto e la
sciarpa.
Lei
fece spallucce e, infilando i guanti nelle tasche, andò ad
appendere il tutto sull’attaccapanni a muro, di fianco alla
porta d’entrata.
Indossava
una camicetta bianca con il colletto alto e dei jeans chiari, che la
slanciavano sugli stivaletti neri.
I
capelli castano chiaro erano raccolti nell’abituale coda di
cavallo e gli occhi erano nascosti dietro gli occhiali da miope, che
indossava solamente quando era molto stanca.
-Non
sarebbe male: ci mettiamo tutti e due qua in quarantena,
così posso staccare per qualche giorno dalla preparazione
della mostra. Credimi, mi sta facendo impazzire!-
-Sono
sicuro che verrà fuori un lavoro bellissimo: non vedo
l’ora di vederla-
L’archeologa
gli sorrise con dolcezza, dandogli un altro bacetto e ringraziandolo
per il supporto morale.
-Ho
preparato il sugo, ti va?-
-Hai
fatto benissimo, ho una fame! Ti ho portato altre due bustine di
quell’infuso che ti ho dato ieri sera-
continuò, indicando un sacchettino minuscolo che sventolava
orgogliosamente davanti ai loro occhi.
-Oh
grazie, non me l'aspettavo ... - si sforzò di mostrarsi
entusiasta, desiderando di gettarle al più presto nel
cestino della spazzatura.
-Andiamo
in cucina, così le metto vicino ai fornelli e mi ricordo di
berlo prima di dormire-
Ma lei fu irremovibile, capendo le reali intenzioni dell'uomo.
-Per
quello ci sono io, non preoccuparti, Ale. Siediti, io intanto metto a
bollire l’acqua-
-L’ho
spenta mentre ti aspettavo: è solo da riaccendere
… -
I
due si diressero in cucina, dove attesero di mangiare.
-Sabato
non so se riesco a venire a mangiare dalla tua amica-
-Da
Anna, dici?-
Ginevra
riaccese l’acqua sotto il fuoco e si risciacquò le
mani nel lavello.
-Non
è un problema: le ho detto che non stai bene,
così abbiamo deciso di rimandare a sabato o a domenica della
prossima settimana-
-D'accordo,
poi vedremo. Ah, senti, le hai per caso accennato di quella cosa che ti
ho detto ieri sera?-
-Di
quella pista che state seguendo? Certo che no, mi hai detto di non
dirle niente e io l’ho fatto- ribatté
quasi risentita, mentre rigirava di tanto in tanto la pasta.
-Questo
non è da te! Mi devo forse preoccupare?! Comunque credo che
appena tornerò in ufficio, probabilmente dovremo parlarle-
-Come
vuoi, basta che tu me lo dica, così posso avvisarla. A
proposito, ti sei provato la febbre?-
-Sì,
un paio di ore fa: ne avevo trentasette e tre-
-Bene,
sei sulla vai di guarigione, allora!-
-Speriamo,
non vedo l’ora di tornare al lavoro-
Chiacchierarono
ancora per cinque minuti, mentre assaggiavano l’insalata di
polpo e le verdurine sottolio spalmate sul pane che lei gli aveva
comprato quella mattina, fino a quando non scolarono le penne
e, con il sugo
profumatissimo, le innaffiarono nei piatti.
Terenzi
si accomododò meglio sulla sedia, lo stomaco che gli
brontolava dalla fame: nonostante tutto, si sentiva felice e, per la
prima volta dopo tanto tempo, riuscì a non pensare al lavoro.
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Capitolo 16 *** L'ultimo saluto ***
Lunedì 17
novembre, ore 8.30, Torino, commissariato
“L’Aquila”
Dopo
tre giorni di malattia, in cui aveva dovuto sopportare gli infusi
speziati di Ginevra, le repliche delle repliche trasmesse in TV,
l'unica nota positiva era stata rappresentata dalla conclusione della
lettura del romanzo rocambolesco su un gruppo di spie francesi della
Seconda guerra mondiale, finalmente Terenzi era tornato al lavoro più
arzillo che mai.
Adesso
la squadra si poteva considerare di nuovo al gran completo: il
commissariato aveva di nuovo l’aspetto di una seria e
impeccabile stazione di Polizia, e non più di un lazzaretto
seicentesco.
Anche
il tempo stava migliorando: aveva smesso di piovere già da
due giorni, il vento si era notevolmente attenuato e quella mattina era
persino spuntato un sole tiepido di fine autunno.
Appena
varcata la soglia dell’ufficio, Terenzi si era tracannato il
primo caffè delle macchinette dopo quasi una settimana: in
dieci anni che lavorava lì, non lo aveva mai trovato
più buono e galvanizzante come in quel momento, sebbene una
parte del suo cervello gli suggerisse che era sempre la solita
brodaglia ma, in quei precisi istanti, la soddisfazione di essere
guarito da quella sordida influenza gli faceva apparire le cose sotto
una luce diversa. Semplicemente migliore.
Aveva
avuto anche, inutile dirlo, un’infinità di tempo
per riflettere e, tutte quelle ore trascorse al chiuso in casa, lo
avevano indotto a prendere una decisione che quasi lo stordiva:
riguardava la sua fidanzata, aveva necessità di parlarle,
sospinto da una sorta di bramosia crescente, ma doveva trovare
l’occasione adatta.
E
quella, decisamente, non lo era.
Perciò,
gettato il bicchierino di plastica del caffè, si decise a
convocare Ghirodelli e il resto dei colleghi che si stavano occupando
delle indagini sul caso Appiani e su quello parallelo degli strozzini.
-Buongiorno,
ragazzi. Prego, venite-
Qualche attimo dopo, il
superiore indicò le sedie all’altro lato della
scrivania di formica e, invitando i presenti ad accomodarsi, prese
posto sulla poltrona girevole, la finestra alle spalle, mentre un
timidissimo riverbero di sole mattutino cercava di invadere la stanza.
L’uomo
fissò per un breve istante l’ispettore,
l’aspetto finalmente in buona salute dopo il lungo
raffreddore che lo aveva colpito nei giorni precedenti.
Lanciò
un’occhiata soddisfatta anche al vice ispettore Rossi
– magro, i capelli castani tagliati a spazzola-, il
brigadiere Di Biase – con i suoi immancabili capelli scuri
arruffati e gli occhi chiari-, le agenti Finotti e Maffei
–praticamente gemelle, lo sguardo acquoso da cerbiatta e la
chioma mora tagliata a caschetto-, quindi, la voce squillante e
perfettamente normale, priva di strascichi febbrili, esordì:
-Vi
ho riuniti per fare il punto della situazione sui due casi di cui ci
stiamo occupando. L’ispettore Ghirodelli mi ha tenuto
costantemente informato in questi giorni di assenza: so da lui che
tutti voi state facendo un ottimo lavoro, per questo permettetemi di
comunicarvi la mia stima e i miei più sinceri complimenti-
Terenzi
scrutò i volti dei presenti: non c’è che
dire, sono davvero professionali, non tradiscono un briciolo di
emozione, constatò soddisfatto il
poliziotto, notando in particolare i volti delle giovani agenti
trentenni.
-Purtroppo-
riprese il commissario, assumendo una smorfia di disappunto e
agitandosi leggermente sulla poltrona –l’ispettore
mi ha anche messo al corrente che le indagini ristagnano ad un punto
pressoché morto. Per favore, facci un rapido riassunto,
Ghirodelli-
Il
collega annuì, le sopracciglia rosse aggrottate, quindi si
mise sulla punta della sedia e, il busto ruotato in modo da poter
vedere in faccia tutti i presenti, cominciò a spiegare
più per dovizia di particolari che per reale esigenza.
-Dunque,
gli appostamenti al parco della Pellerina non sono stati prorogati: il
magistrato, infatti, ha ritenuto inutile la prosecuzione delle indagini
in tale direzione. Allo stesso modo, Carlo Della Robbia è,
da oggi, sprovvisto di scorta notturna: anche in questo caso, la Del
Fiore ha ribadito che non ci sono gli estremi per continuare ad
investire tempo e risorse nella protezione dell’imprenditore,
a cui la decisione dovrebbe essere stata comunicata già
questa mattina. Per quanto riguarda Katiuscia Ivanovna Zacharova, o
Svetlana Brekovska come adesso si fa chiamare, in mano abbiamo solo la
vaga e per nulla ufficializzata testimonianza della fioraia di Corso
Italia, la via parallela al parco della Pellerina: la donna sostiene di
aver visto la ricercata tre o quattro volte in un arco di tempo pari ad
un mese circa, quando sembrerebbe che la ragazza si recasse con
relativa frequenza nel negozio della signora per comprare bulbi e
piante da giardino per l’appartamento che aveva appena
acquistato-
-Non
ha specificato se si trattasse di un attico, una mansarda, un
monolocale … ?- lo interruppe Terenzi, grattandosi
distrattamente il mento sporcato dalla solita barba incolta.
-Direi
che non siamo stati fortunati neppure su questo fronte: la commerciante
non si ricorda se abbia mai accennato al tipo di abitazione in cui si
stava trasferendo Svetlana. Sono passati quasi tre mesi, commissario, e
i clienti vanno e vengono: è già un miracolo che
conservi un vago ricordo ... -
L’altro
dovette riconoscere la veridicità delle sue affermazioni e
gli intimò di continuare, aggiungendo che, se il resto della
squadra aveva qualcosa da aggiungere o da precisare, poteva intervenire
in qualsiasi momento.
-Venerdì
pomeriggio abbiamo contattato Agnese Rampi per chiederle spiegazioni
sull’assegno risalente a fine ottobre in favore del figlio:
anche da questo punto di vista, purtroppo, non abbiamo ricavato nessuna
informazione utile. Sembra, infatti, che il denaro sia servito per
pagare la prima rata universitaria dell’anno accademico a
Francesco, residente a Padova, dove frequenta il secondo anno di
Biologia-
Poi,
ammiccando con quel suo modo di fare irriproducibile, il poliziotto
fece intuire le sue reali intenzioni al superiore:
-Quando
ce lo dirà lei, capo, saremo pronti per convocarla e
interrogarla nuovamente sul bonifico destinato ad Appiani. Detto per
inciso, gli esami del sangue che abbiamo visionato sono tutti
assolutamente nella norma e di routine: ce lo ha confermato anche il
dottor Bertani-
Ghirodelli
concluse la prima parte del verbale con una smorfia amara, ma subito si
riprese.
Sembrava,
infatti, fiducioso nel seguire questa pista, quella di pressare la
signora Rampi: glielo si leggeva negli occhi neri come la pece,
sfavillanti e speranzosi, e nel ticchettio ritmico delle dita sui
calzoni di velluto, tipico gesto che utilizzava quando era impaziente.
-Ne
parliamo più tardi. Ascolta, abbiamo novità sulla
banda degli strozzini? Cosa ha deciso di fare il magistrato?-
-I
due figli con le mogli hanno ottenuto gli arresti domiciliari: il
magistrato è convinto che non ci sia reiterazione del reato
o inquinamento delle prove, in quanto il loro ruolo nella truffa
è stato relativamente marginale. Sul padre, però,
pendono altre accuse più pesanti: ricettazione di gioielli
rubati, riciclo di denaro sporco, circonvenzione d’incapace e
molto altro; insomma, non ha propriamente una fedina penale che si
possa definire pulita-
-Però
c’è la nuova pista della Scientifica: Rossi, me ne
vuoi parlare? So dall’ispettore che hai ricevuto tu il fax di
Meliconi … - domandò retorico Terenzi.
Lui
e l’ispettore si erano scambiati un’occhiata
d’intesa, così Ghirodelli ne aveva approfittato
per riprendere fiato.
-Sì,
commissario- rispose composto il sottoposto, sbattendo le palpebre un
paio di volte: era stato preso piacevolmente in contropiede, ma si era
ripreso senza dare forfait.
-Il
tenente Meliconi ha confermato che non sono stati rinvenuti indizi
particolari in casa o nell’ufficio di Giorgio Appiani, a
parte una scheggia di oro bianco, probabilmente parte di un ciondolo
piuttosto prezioso, riconducibile ad esempio ad un braccialetto o a una
collana. Ecco, qui c’è il referto della
Scientifica … -
Il
vice ispettore aprì la giacca di fustagno grigio tortora ed
estrasse un foglio piegato in due, a cui era stata pinzata una
fotografia con un frammento irregolare ingrandito in primo piano.
-Sei
stato previdente, Rossi, bravo …-
E cominciò a leggere:
A dodici centimetri dal
ritrovamento del cadavere di Appiani Uzia Giorgio, coperta da una gamba
della scrivania, è stata rinvenuta una scheggia di metallo
prezioso, contenente una percentuale pari al 100% di oro bianco, dalle
dimensioni di 1 cm x 1 cm. E’ probabile che il suddetto
ritrovamento sia un componente di un gioiello o di altro oggetto di
valore non pervenuto. Dai rilievi effettuati, non sono rintracciabili
impronte digitali o tracce organiche.
-La
solita dose di fortuna … - non riuscì a
trattenersi dal pronunciare Terenzi, restituendo al collega il fax, e
continuando impensierito:
-Questo
nuovo indizio farebbe presupporre che, chi ha perso il ciondolo, possa
essere stata una donna, ma nessuno degli interrogati ha fatto menzione
di una compagna nella vita di Appiani. A parte ovviamente Agnese Rampi
che, da quanto ci ha detto, ultimamente lei e la vittima erano legati
solo da una semplice amicizia, non abbiamo altre idee su chi potesse
frequentare l’imprenditore. Grazie, Rossi-
L’apostrofato
annuì, accennando ad un sorriso, quindi il commissario si
fece riconfermare da Ghirodelli se il funerale di Appiani, fissato per
quel pomeriggio, fosse alle tre.
-L’ispettore
ed io andremo a dare un’occhiata: ne approfitteremo per
controllare la presenza di qualche donna di cui fino adesso non
sapevamo l’esistenza. Ah, Di Biase, per domani mattina alle
nove convoca la signora Rampi. Grazie, potete andare-
Terenzi
si alzò dalla poltrona e, ringraziando anche con un cenno
del capo i presenti, li congedò.
Ore
15.55
Il
funerale era appena finito: vi aveva partecipato la Torino bene, la
chiesa era gremita e Terenzi non aveva notato nulla di sospetto o di
utile ai fini dell’indagine, complice la bolgia di gente che
gli aveva ostruito la visuale per la maggior parte della cerimonia.
Sul
sagrato della costruzione barocca, la signora Camoletti e i figli
avevano passato quasi tutto il tempo a stringere mani e a baciare
qualche conoscente particolarmente stretto.
Di
fianco a loro, pallido, i capelli non molto folti e biondo scuro, gli
occhi chiari acquosi, Carlo Della Robbia sembrava stordito e affranto
ancora più del solito.
Indossava
un impermeabile catrame, da cui spuntava una sciarpa a fantasia
scozzese e un paio di pantaloni blu scuro.
A
qualche metro di distanza, dopo la cerchia dei quattro soci di
maggioranza dell’azienda, s’intravedevano il
capannello di operai della fabbrica di ceramiche, una dozzina tra donne
e uomini vestiti a lutto e con i volti di mezza età
increduli, e la testolina di Sabrina Pellini, la trentenne e puerile
segretaria del defunto.
Rispetto
al loro primo incontro in commissariato, la ragazza era fasciata da un
castigato tailleur nero, il giubbotto lungo e marrone fino al ginocchio
lasciato aperto.
I
poliziotti notarono, in disparte rispetto alla famiglia, anche Agnese
Rampi, i capelli neri tagliati corti e gli occhi chiari: non immaginavo avesse il
coraggio di presentarsi.
La
cinquantenne, copricapo nero e pantaloni di velluto della medesima
tonalità, non riusciva proprio di apparirgli come
un’assassina, ma Terenzi sapeva fin troppo bene che, la
maggior parte delle volte, l’apparenza inganna.
Naturalmente
era al corrente che Di Biase l’aveva già
contattata per presentarsi il mattino successivo, ed era quasi tentato
di avvicinarsi di soppiatto, così, giusto per scambiare due
parole informali, quando si sentì chiamare da dietro le
spalle.
Lui
e Ghirodelli si voltarono, le mani in tasca per il freddo pungente,
trovandosi faccia a faccia con il braccio destro della vittima.
-Commissario,
ispettore, buona sera. Vi ho intravisti prima, in chiesa, quando siamo
usciti-
I
due apostrofati ricambiarono il saluto, che non venne accompagnato da
una formale ed educata stretta di palmi, quindi Terenzi
s’informò sullo stato emotivo dell’uomo.
-Come
si sente, signor Della Robbia? Ho saputo della decisione del magistrato
… -
Sebbene
sapesse che non era affatto colpa sua, il poliziotto non riusciva a non
sentirsi in difetto per la revoca della scorta all’uomo.
-Preferirei
evitare l’argomento: diciamo che mi aspettavo maggiore
protezione da parte vostra, ma voglio sperare che quella donna sia
lontana chilometri, che non abbia saputo della mia denuncia e che non
la riveda mai più-
L’altro
annuì e, cercando di cambiare argomento, gli
domandò cosa ne pensasse della cerimonia appena conclusa.
-E’
stata un’ora molto triste per me- confermò,
deviando lo sguardo verso l’alto e, a sua volta, infilandosi
le mani nel cappotto.
-Fino
a quando non ho visto Giorgio lì dentro, voglio dire nella
bara, quasi speravo ancora che fosse vivo. Lo so che è
stupido da dire, perché sono stato io a ritrovarlo, ma non
riesco a crederci … è tutto assurdo ed ingiusto-
-Ha
ragione e le prometto, ancora una volta, che faremo chiarezza
sull’omicidio del suo amico. Abbia fiducia-
Terenzi
gli strinse istintivamente il braccio sinistro, in un impeto di
compartecipazione empatica.
-Le
rubo solo qualche minuto, poi la faccio riaccompagnare a casa. Volevo
chiederle una cosa: mi ricordo che lei, fin dal nostro primo incontro,
ha negato la possibilità che la vittima frequentasse una
donna, anzi ha ventilato addirittura l’ipotesi che
l’uomo fosse ancora segretamente innamorato della moglie,
però rifletta un attimo
sull’eventualità che nell’ultimo periodo
il signor Appiani frequentasse qualcuno-
Della
Robbia tornò a concentrarsi sul suo interlocutore:
-Oltre
a quella donna di cui mi avete domandato notizie, Agnese Rampi, non so
dirle altro. Giorgio era molto preso dal lavoro, dall’affare
che dovevamo concludere con i clienti francesi, e di questo aspetto
della sua vita privata, dopo la separazione da Clelia, non ne ha mai
parlato volentieri-
-D’accordo,
non la disturberemo ancora-
I
tre si lasciarono con una vaga e stretta di mano formale.
Poi,
finalmente, dopo che la folla che gravitava attorno alla vedova e ai
figli per far loro le condoglianze se ne andò, i poliziotti
poterono avvicinarsi alla signora Camoletti, sempre più
bionda e sempre più elegante nel suo completo di Versace
griglio perla, su cui si apriva una pelliccia ecologica bianca e nera.
Nonostante
la separazione formale, la donna continuava a ricoprire il ruolo di premiere dame,
ruolo ipocrita che le calzava a pennello.
Terenzi
lanciò un’occhiata in direzione di Anita e
Gabriele Appiani: lei era la solita bellissima dea che si ricordava, i
lunghi capelli ricci castani raccolti da un fermaglio e gli occhi
verdi, a differenziarli da quelli color ambra del fratello.
Entrambi
erano vestiti di nero, ma l’uomo non riuscì a non
notare un beffeggiante fazzoletto da tasca rosso a pois bianchi.
Il galletto mi sembra meno
aizzato, perlomeno rispetto all’altra volta.
Lo
lasciò perdere e si avvicinò ancora di
più alla proprietaria dell’atelier di abiti
nuziali.
-Buona
sera, signora, volevamo rinnovarle le nostre condoglianze-
esordì sinceramente, stringendole la mano e facendo lo
stesso con i figli.
Anita
cercò di abbozzare un sorriso, riuscendole più
che altro una smorfia di dolore: si calò gli occhiali da
sole sul capo, indossati per nascondere le conseguenze di un pianto
recente, ed annuì mestamente.
Gabriele,
invece, si limitò a ricambiare il gesto, senza troppa
convinzione.
-Grazie,
commissario, è stato molto gentile a venire. Avete delle
novità?-
-La
Scientifica ha ritrovato nell’ufficio del suo ex marito una
scheggia di oro bianco, probabilmente parte di un ciondolo. Lei ha idea
a chi potesse appartenere?-
Le
mostrò la foto del reperto che il tenente Meliconi aveva
allegato al fax.
-Sarà
stato di una delle sue numerose amanti. E comunque preferirei non
parlarne, la prego, almeno per oggi … -
Con
la coda dell’occhio, Terenzi notò che il galletto
era già pronto per difendere a spada tratta la madre, ma
evitò di accettare la provocazione, e continuò:
-Ha
ragione, signora, e mi perdoni per la franchezza e la circostanza, ma
le devo fare ancora una domanda: lei è a conoscenza della
possibilità che il suo ex marito, nell’ultimo
periodo, frequentasse qualcuno?-
Gli
occhi della donna si abbassarono per un momento, e sbuffò
impaziente.
-No,
che io sappia no. Qualche giorno fa non mi aveva parlato di una certa
Adele? L’avete già scartata dalla rosa dei
sospettati?-
-Si
chiama Agnese Rampi, però io mi riferivo ad altre conoscenze
femminili … -
-Commissario,
la vuole smettere di importunare mia madre?!-
Gabriele
Appiani non resistette più all’ennesima
insinuazione, gridandogli di lasciarla stare, altrimenti non avrebbe
esitato a denunciarlo per molestie, abuso d'ufficio e altre accuse
simili.
Clelia
Camoletti gli disse di stare tranquillo, che era tutto sotto controllo,
e tornò a concentrarsi sui poliziotti.
-Lo
sa anche lei che il mio ex marito ed io eravamo separati da cinque
anni: la sua vita privata non era più una mia esclusiva,
anzi, forse non lo è mai stata … -
Terenzi
capì che aveva raggiunto il limite, quindi annuì
remissivo.
-Certo,
la capisco. Mi scusi ancora se le ho fatto questa domanda. Arrivederci-
Lui
e l’ispettore le strinsero la mano, facendo lo stesso con la
figlia: quando toccò al galletto, il ragazzo
esitò un istante prima di ricambiare il gesto, come a
sfidare i poliziotti.
Alla
fine, però, cedette e, con una smorfia di disgusto, si
allontanò.
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Capitolo 17 *** Il lato romantico di un poliziotto ***
Per quel giorno, Terenzi non mise più piede in centrale:
lasciò Ghirodelli all’entrata del commissariato e,
sgommando sulla sua Panda azzurra, fece marcia indietro.
Abbassò la visiera per proteggersi gli occhi dagli
abbacinanti quanto inaspettati raggi del sole al tramonto, ritrovandosi
a zigzagare nel traffico sul lungo Po, colmo di autobus, motorini
guizzanti come anguille e automobili che credevano di essere sul
circuito del Gran Premio di Monza.
Quando
c’è bisogno dei colleghi vigili, puoi scommetterci
che non ne trovi uno neppure a cercarlo con il lanternino o a pagarlo
d’oro!
Già, l’oro: a chi poteva appartenere quella
scheggia rinvenuta dalla Scientifica? Era stata davvero una donna ad
averla perduta?
In quell’indagine, il poliziotto aveva conosciuto quattro
esponenti del gentil sesso: la vedova Clelia Camoletti, la figlia di
Appiani, Anita, l’ex compagna ed ormai anche ex amica
dell’uomo assassinato, Agnese Rampi, e la svampita segretaria
del defunto, Sabrina Pellini.
In realtà, se si contavano anche le due socie di maggioranza
della fabbrica, le sospettate salivano a sei e, se proprio voleva fare
la parte del genietto in matematica, non poteva escludere Svetlana
Brekovska, in quel momento la ricercata Numero Uno, la misteriosa donna
dal tatuaggio a forma di geco.
Il suo sesto senso da commissario, infatti, lo induceva a credere che
la ragazza bielorussa avrebbe potuto aiutarli anche nella risoluzione
del caso dell’imprenditore: non sapeva fornire una
spiegazione razionale a questo strano impulso mentale che gli stava
vorticando nel cervello, ma era una sensazione che non lo abbandonava
da un paio di giorni, da quando era ancora
a commiserarsi a casa, atterrito da quella stramaledetta
febbre.
Non mi rimane che
contattare l’amica di Ginevra,
rifletté sconsolato,
mentre si stava avviando proprio a casa della fidanzata.
Auspicò di non doversi pentire della scelta che
sarà costretto a fare, di lì a breve: temeva,
infatti, che le amiche dell'archeologa fossero impiccione alla stregua
della sua dolce metà, se non di più, ma ormai non
poteva evitare di arrampicarsi sugli specchi, doveva semplicemente
tentare il tutto per tutto.
Prima, però,
faccio un salto a sentire la fiorista.
Si infilò gli auricolari sempre a portata di mano,
arrotolati in una tasca del cappotto color cammello, e compose il
numero di Ghirodelli, che era ancora in ufficio a sbrigare delle
pratiche arretrate.
Si fece spiegare l’indirizzo esatto in cui si trovava il
negozio della donna, l’unica che sembrava avesse avuto a che
fare con Svetlana, per poi rigettarsi a capofitto nel traffico di fine
pomeriggio.
Erano quasi le cinque e quaranta, infatti, il buio era calato da un
pezzo, e Terenzi cominciava ad avvertire un certo languorino, che
subito mise a tacere.
Una decina di minuti più tardi, dopo che aveva mentalmente
benedetto uno dei folli automobilisti che gli aveva tagliato la strada,
passando saggiamente con il rosso a ben due semafori di fila, il
poliziotto aprì la porta dell’esercizio, mentre il
suono di un campanello avvisava dell’entrata del nuovo
cliente.
-Buonasera, avrei necessità di parlare con la proprietaria.
E' lei, signora?-
Una donna sui sessant’anni, i capelli grigi tagliati corti,
era seduta su di uno sgabello all’altro lato del bancone,
intenta a sfogliare una rivista patinata: indossava un’ampia
maglia di crinolina turchese su dei pantaloni cinerini, come si poteva
intravedere dalle fessure dello scrittoio color noce.
-Sì, sono io- lo salutò cordialmente, sfoggiando
un sorriso educato, per poi accomodare la catenina degli occhiali rossi
sul collo.
-Sono il commissario Terenzi, molto lieto. I miei uomini sono venuti da
lei qualche giorno fa, per rivolgerle delle domande a proposito di una
ragazza dai capelli rossi. Si ricorda?-
-Certo, ma ho già detto tutto ai suoi colleghi … -
-Questo lo so, signora. Quello che mi interessa sapere è se
lei conferma di averla già vista, se saprebbe
riconoscerla ... -
La proprietaria aggrottò le sopracciglia ed assunse
un’espressione poco convinta, la stessa che aveva
caratterizzato il suo volto dall'inizio della conversazione con l'uomo.
-Beh, non posso dire di conoscerla, però, un paio di mesi
fa, è venuta nel mio negozio: me la ricordo abbastanza bene
perché aveva dei bellissimi capelli rossi e parlava con un
leggero accento dell’Est Europa, qualcosa come russo, credo.
Ma non sono sicura che fosse la donna della foto, perché da
allora non si è più fatta vedere-
-Capisco. E quante volte è venuta da lei?-
-Almeno tre o quattro volte, di questo sono certa-
-Non le viene in mente nessun altro particolare?- la spronò
l’uomo, incrociando le dita sommerse nelle tasche felpate del
cappotto.
-Purtroppo no: quello che sapevo l’ho già
raccontato ai suoi colleghi … -
Terenzi annuì deluso e si guardò intorno: il
negozio era un locale quadrangolare non molto grande, ma
dall’aspetto curato e famigliare.
La carta da parati bianca a righe rosa gli trasmetteva un senso di
tranquillità, accentuato dalla sapiente miscela cromatica
derivante dalla disposizione di fiori e piante, equilibratamente
adagiati su delle costruzioni piramidali composte da cubi altrettanto
colorati.
Al commissario sembrava di essere in un locale alla moda parigino,
traboccante di atmosfera retrò e carico di ricordi
nostalgici.
-Va bene. Allora se non sa dirmi altro, ne approfitterei per fare un
acquisto: mi prepara un mazzo di rose rosse, per favore?-
-Quante ne vuole?-
La donna si alzò dallo sgabello, felice di potergli essere
utile: aggirò con leggiadria il bancone, ritrovandosi vicino
al registratore di cassa, dove cominciò ad armeggiare con
gli arnesi del mestiere.
Tirò fuori un involucro di plastica trasparente, delle
forbici particolarmente grandi ed una sorta di bobina su cui era
arrotolato del nastro dorato:
con la coda dell’occhio,
non poteva evitare di notare il leggero imbarazzo che trapelava dal
nuovo arrivato.
-Non saprei… dieci potrebbero andare?-
-Di solito si regalano dispari, commissario-
-Ah, allora facciamo undici …?-
Lei sorrise compiaciuta e, quando terminò di scegliere i
fiori e di incartarli, gli domandò se volesse allegare anche
un bigliettino.
-Sì, un biglietto andrà benissimo-
farfugliò sempre più paonazzo l'altro.
Ne scelse uno bianco e rettangolare, con la greca gialla: un
po’ impacciato, la mano sinistra titubante,
scribacchiò semplicemente “A Ginevra, il mio amore”.
Dopo che pagò ed uscì dal negozio, il bottino
sotto braccio, si accorse che.
con un tempismo perfetto,
aveva ricominciato ad alzarsi il vento: il poliziotto si
sistemò meglio il bavero del cappotto e la sciarpa blu
notte, per poi scivolare nel freddo della sua automobile.
Ore
18.30
Fatto trenta facciamo
trentuno, proferì saggiamente Terenzi, una
volta in macchina.
Così, prima di andare a casa di Ginevra, si concesse una
capatina in pasticceria, per comprare la crostata di cioccolato e pere,
uno dei dolci preferiti della fidanzata.
Mi sento davvero
infantile: non ho mai fatto tutte queste smancerie per nessuna
… ma d’altronde, come dice il proverbio,
c’è sempre una prima volta.
All'improvviso,
tutta la dose di coraggio di cui era certo si fosse rifornito,
lasciò il posto ad un'amarezza che mai avrebbe pensato di
provare: non era pronto per affrontare quel discorso con Ginevra, aveva
paura di poter compiere qualche brutta figura, di apparire insicuro e
sciocco.
Non posso permettermi di
improvvisare, non sarebbe giusto, né per lei, né
per me: verrà il momento adatto in cui parlarle,
arriverà da sé, senza forzare i tempi.
Si riflesse nello specchietto retrovisore, sistemandosi i capelli scuri
tagliati corti, e passandosi una mano tra i peli della barba, incolta
ma curatissima.
Quando suonò al citofono, però, nessuno gli
rispose: al terzo tentativo, in piedi davanti al portone del palazzo
nei pressi del Valentino e con il cielo plumbeo come non lo vedeva da
giorni, compose il numero di cellulare della ragazza.
-Pronto?-
-Gin, sono sotto casa. Ma dove sei?-
-Amore scusa, sono qui
al museo, ma sono un po’ incasinata: lo sai, no? È
per il fatto della mostra. Cavoli, aspetta che mi sta cadendo il
telefono. Cosa stavo dicendo? Ah, sì, sono presa
dall’allestimento e non penso che finirò prima di
mezz’ora. Ma è successo qualcosa?-
-No, niente, volevo semplicemente farti una sorpresa. Allora ti aspetto
qui, va bene?-
-E se mi venissi a
prendere tra mezz'ora? Mi risparmieresti di aspettare
l’autobus- lo supplicò,
già sapendo la risposta affermativa che ne sarebbe derivata.
-D’accordo, ci vediamo dopo-
Una volta tornata a casa e passata l’euforia del momento
–composta da gridolini, baci e sorrisi di giubilo- Ginevra
ripose il mazzo di rose rosse in un vaso di cristallo, sopra uno dei
mobili del soggiorno, con la stessa cura riservata ad una reliquia
trecentesca.
Sbirciò dalla confezione di cartone la torta cioccolato e
pere e, pregustando le due fette di cui già sapeva si
sarebbe ingozzata, la adagiò in bellavista al centro del
tavolo della cucina.
-Hai avuto proprio un pensiero carino, sai?- rincarò la
dose, abbracciandolo per l’ennesima volta.
-Lo so, quando mi vengono queste idee sono a dir poco imbattibile-
Terenzi gongolava come un bambino il giorno del suo compleanno: la
forza che, nemmeno un'ora prima, era convinto lo avesse definitivamente
abbandonato, era tornata preponderante a tormentarlo in maniera
inaspettata e piacevole.
O glielo dici
adesso, oppure passerà chissà quanto altro tempo
prima che trovi il coraggio per parlarle e chiarirle quello che provi …
-Senti, ti va se mangiamo un paio di pizze surgelate? Sono stanchissima
e non ho molta voglia di cucinare-
Ginevra che non cucinava era come il Natale senza l’albero
addobbato e le luci colorate appese per la città, ovvero un
autentico ed inimmaginabile sacrilegio.
-Per me va bene. Altrimenti, se vuoi, ti porto fuori a cena. Anzi,
preferisci che cucini qualcosa io?-
Lei si sedette su una delle sedie bianche laccate che accerchiavano il
tavolo quadrangolare della cucina, guardandolo con
un’espressione mista tra la compassione e la riconoscenza.
-Mi piacerebbe, ma non ce la faccio, e la sola idea di uscire mi fa
venire i brividi. E poi il frigo è quasi vuoto: se non
avessi finito così tardi, sarei andata a fare la spesa, ma
l’allestimento non ci lascia un attimo di tregua. A volte, mi
sembra di essere uno di quegli schiavi costretti a trasportare i
mattoni d’argilla per costruire le piramidi ... -
Il poliziotto fece spallucce, levando gli occhi al cielo per quei
soliti paragoni egiziani, assicurandole che, per una sera, una
cena a base di pizza surgelata non le avrebbe di certo rovinato la
reputazione di Cuoca Più Brava Che Abbia Mai conosciuto.
Eccetto sua madre, ovviamente.
-A proposito, come stanno i tuoi?- s’informò lei,
con un barlume di entusiasmo negli occhi color ambra.
La giovane archeologa, infatti, aveva un ottimo rapporto con i suoceri,
due sessantenni che trascorrevano metà dell’anno a
viaggiare in località esotiche e del Nord Europa: in quei
mesi, ad esempio, si trovavano in Australia, poi avrebbero fatto una
capatina in Nuova Zelanda e, infine, per la vigilia di Natale,
sarebbero rientrati alla base, in modo da trascorrere un paio di giorni
in compagnia dei due figli, Alessandro e Giulia.
-Bene, sono sempre in giro come dei vagabondi. Che dici, metto tavola?-
tagliò corto lui, che non condivideva lo stile di vita che,
da qualche anno a quella parte, avevano assunto i genitori.
-Vorrei invitarli, appena rientrano: è da tanto che non li
vediamo-
-Ne parleremo a tempo debito, Gin. Allora? Apparecchio?-
Quando fa
così, è meglio lasciarlo perdere ...
-Certo. Io intanto vado a farmi una doccia-
Una decina di minuti più tardi, Ginevra ritornò
in cucina avvolta nell’accappatoio arancione che, solo
qualche sera prima, aveva fatto fare la sua bella figura da pagliaccio
a Terenzi, il giorno avanti che cadesse a letto, preda
dell’influenza.
-Adesso mi sento quasi come nuova!-
Il commissario, nel frattempo, aveva acceso il forno, tirato fuori le
pizze dal freezer, e adesso era seduto su di una sedia, intento a
sfogliare un giornale di, nemmeno a dubitarne la natura, storia antica.
-Senti, ti ricordi che ti avevo chiesto che mi avrebbe fatto piacere
parlare con la tua amica per quel caso che sto seguendo?-
esordì con finta noncuranza, gli occhi nocciola fintamente
concentrati su un articolo relativo ai Sumeri.
-Non vedevo l’ora che me lo chiedessi! Vuoi che la chiami?-
-Purtroppo, se non fosse così importante, non te lo avrei
chiesto. Anzi, adesso che ci penso, è meglio se le parlo io:
intanto che si riscalda il forno, passami il telefono ... -
Allungò una mano, convinto della docilità della
ragazza.
-Lo so bene che mi consideri solo una ruota di scorta per i tuoi casi,
però, dal momento che mi hai regalato fiori e dolce, per
questa sera farò finta di niente, nemmeno della tua scarsa
fiducia nelle mie doti di telefonista-
-Non volevo dire questo- cercò di farle cambiare idea,
baciucchiandola su una guancia.
-Guarda che con me le smancerie non attaccano-
Lo respinse riluttante, un gesto necessario a salvare il suo onore di
donna ferita.
-Intanto che metti dentro le pizze, vado a chiamare Anna. Ah, confermo
la cena per sabato, va bene?- continuò la ragazza,
agguantando il cordless, in carica su un ripiano della mensola.
Il malcapitato si arrese all'evidenza di non poter competere con miss
Furbetta, quindi annuì.
-Sì, però dille che mi farebbe un grande favore
se riuscisse a venire in commissariato domani, nel primo pomeriggio:
verso le quattordici sarebbe perfetto-
-Agli ordini, capo!-
Qualche minuto più tardi, la sedicente e di nuovo allegra
segretaria di Terenzi, fece il suo ingresso vittorioso in cucina.
-Fatto! Mi ha detto che domani alle due verrà da te, e che
per sabato sera l’invito è ancora valido-
-Brava. A proposito, ai fini della cronaca, cosa le hai detto?-
indagò sospettoso, mentre si curvava per verificare la
cottura della loro cena.
-Mah, le solite cose, niente di che. Le ho semplicemente detto che
stavi seguendo un caso di ricatto e… -
-Non è proprio un caso di ricatto-
-Quello che è, Ale, non fare il pignolo come al solito-
-Uhm, continua ... -
-E che forse lei potrebbe esserti d’aiuto a
scovare una pericolosissima latitante… -
-Oh, Gin, ma quanto hai esagerato?!-
-Ho detto la verità, scusa! Insomma, mi fai finire oppure
no? Allora, per farla breve, ha accettato e non vede
l’ora di parlare con te. Ecco tutto!-
-Non ti credo molto ... - cercò di farle confessare,
piantandosi davanti all'archeologa, le mani sui fianchi e l'espressione
aggrottata.
-L’importante è che venga, no?-
-L’importante è che mi sappia dire qualcosa in
più su questa donna misteriosa. Adesso non pensiamoci
più: mangiamo, prima che quelle pizze si brucino-
Martedì
18 novembre, ore 14.00, Torino, commissariato
“L’Aquila”
Agnese Rampi, che Di Biase aveva contattato il giorno prima per interrogarla nuovamente, era a letto con l'influenza, circostanza assai sospetta, dal momento che, il pomeriggio precedente, presenziava al funerale di Appiani. In compenso, l’amica di Ginevra si era rivelata puntualissima.
Una giovane poco più che trentenne, i capelli castani mossi
fino alle spalle, gli occhiali da vista e un tailleur blu notte,
entrò tutta sorridente nell’ufficio di Terenzi.
Ghirodelli si accomodò sulla sedia, dietro la scrivania che
ospitava il computer per registrare gli interrogatori.
-Buongiorno, signorina-
-Buongiorno, commissario-
-Prego, si accomodi. Grazie per essere venuta-
-Si immagini. Allora, mi dica, cosa vuole sapere? Ginevra mi ha fatto
venire una curiosità, mi ha detto che forse potrei esserle
d’aiuto per risolvere un caso internazionale! E’
davvero così?-
Il poliziotto abbassò lo sguardo, reprimendo un desolante
scuotimento del capo, quindi, la Bic nera tra le mani,
precisò:
-Ginevra è la solita esagerata. La situazione non
è esattamente quella che immagino le abbia descritto.
Comunque sia, so che si è trasferita da poco nella zona del
parco della Pellerina. Se
non vado errato, da
un paio di settimane, è corretto?-
-Sì, infatti: per la precisione saranno tre settimane
lunedì prossimo-
-Molto bene. E, in questo periodo, da quando si è
trasferita, intendo, ha per caso visto o conosciuto una
ragazza dell’Est Europa, con i capelli rossi lunghi
fino alle spalle e un tatuaggio a forma di geco sulla spalla sinistra?-
Anna si illuminò d’immenso, confermando con
un evidente assenso le
parole che avrebbe da lì a poco pronunciato .
-Si tratta di Katiuscia, non ho quasi dubbi! Voglio dire, il tatuaggio
non gliel’ho mai visto, però il resto della
descrizione coincide! Sa, mi ha aiutato con parte del trasloco, appena
arrivata, poi non l’ho più vista-
Terenzi indirizzò un’occhiata speranzosa
all’ispettore, indaffarato a battere sui tasti, quindi si
accomodò meglio sulla poltrona, smettendo di giocherellare
con la Bic.
-Le ha detto lei di chiamarsi Katiuscia?-
-Esatto-
-Ed era straniera?-
-Almeno così mi sembrava: parlava bene la nostra lingua, ma
aveva un leggero accento quando pronunciava certe parole, per questo ho
pensato fosse straniera- cercò di ricordare con precisione
Anna, arricciandosi le labbra.
-Da quello che ho capito abita nel suo stesso palazzo. Me lo conferma?-
-Due piani sopra di me, all’attico: ma non la vedo da due
settimane. Mi ha aiutata i primi due, tre giorni con il trasloco, poi
è stata via per altrettanto tempo-
-E poi? L'ha rivista ancora?-
-Poi è venuta di nuovo a darmi una mano nel fine settimana,
di domenica, dopodiché non ci siamo più
incontrate-
-Non l’ha nemmeno incrociata?-
-No- spiegò categorica, con una punta di delusione nella
voce.
-E non le ha detto dove sarebbe andata?-
-Purtroppo no, mi dispiace. Come le ho appena detto, in tutto
l’ho vista davvero poche volte-
-Avete un portinaio nel vostro palazzo?-
-No-
-Mi può dare l’indirizzo?-
-Certamente: corso Garibaldi 36- gongolò, felice di essere
utile.
-Va bene, signorina Anna, mi è stata di grande aiuto-
L’uomo si alzò e le strinse la mano, abbozzando un
sorriso di riconoscenza: avrebbe voluto abbracciarla, stritolarla per
la riconoscenza. Almeno, avevano una nuova pista da cui ripartire, un
posto preciso da sorvegliare.
-E’ stato un piacere, commissario. Ci vediamo sabato a cena,
ci conto, eh!-
Gli mosse l'indice davanti agli occhi, come a sottolineare l'importanza
di quell'invito, quindi gli strinse entusiasta la mano: dopotutto, era
una testimone a tutti gli effetti, chissà mai che il suo
nome non sarebbe apparso sui giornali e alla televisione.
-Non vedo l’ora. Venga, l’ispettore ed io
l’accompagneremo all’uscita-
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Capitolo 18 *** L'arpia dal cuore di pietra ***
Dopo appena due ore, Terenzi aveva ottenuto l'autorizzazione per
mettere sotto sorveglianza ventiquattro ore su ventiquattro
l'abitazione in corso Garibaldi 36, dove, a quanto sosteneva con piena
sicurezza Anna, l'amica di Ginevra, fino
a poche settimane prima
aveva vissuto Svetlana.
Il commissario organizzò immediatamente i turni di
vigilanza: i primi a compiere quell'ingrato compito furono il
vice ispettore Rossi e il brigadiere Di Biase, che accolsero l'incarico
con stoica fierezza.
A quel punto, rimaneva da contattare Agnese Rampi, al momento l'unica
vaga indiziata per l'omicidio di Giorgio Appiani Uzia: la donna non si
era presentata alla convocazione del mattino precedente, adducendo come
scusa un'improvvisa influenza.
Se non l'avessi vista il
giorno prima al funerale della vittima, probabilmente le avrei creduto
senza indugio; però, dopo il ritrovamento della scheggia di
oro bianco nell'ufficio dell'imprenditore, tutto si complica
ulteriormente. Per non parlare dell'inspiegabile bonifico di
centocinquantamila euro che lei continua a giurare di non aver versato
all'ex amante: un'infermiera poco più che cinquantenne,
divorziata, costretta a vivere con quell'arpia della madre e con un
unico figlio che studia lontano da casa, come ha fatto ad ottenere una
tale cifra? E, soprattutto, perchè versarla alla vittima?
Nessuno degli interrogati sembrava essere a conoscenza delle pessime
condizioni economiche in cui versava la fabbrica di ceramiche ...
eppure, un motivo ci deve essere.
Stava
riflettendo tra sé e sé, la solita Bic nera tra
il pollice e l'indice della mano sinistra e la schiena sprofondata
nella poltrona: dov'è che aveva sbagliato? Di chi o di che
cosa non si era ancora accorto in quella indagine senza fine? Forse,
doveva ammetterlo, il caso degli strozzini e, soprattutto, la
sparizione di Svetlana, lo avevano costretto a concentrarsi di meno
sull'omicidio di Appiani, un errore madornale, che stava rischiando di
lasciare a piede libero due assassini: dalla perizia del medico legale,
infatti, gli esecutori materiali erano stati più di uno, di
cui probabilmente almeno uno era da rintracciare tra i sospetatti del
gentil sesso.
Si alzò di scatto, andando a rovistare in uno dei cassetti
in cui custodiva le copie degli atti dell'indagine: estrasse una
cartelletta blu, la aprì con le dita brucianti dalla
curiosità, per poi recuperare ciò che gli
interessava, ovvero il referto necroscopico effettuato sul corpo
dell'imprenditore.
L’omicidio di Appiani
Uzia Giorgio, nato a Milano il 21 luglio 1950, si può
ricondurre ad un trauma
cranico che ha provocato vasta emorragia subaracnoidea (esito di
profonda ferita
a livello occipitale, sferrata da un corpo contundente, di cui non si
è trovata
traccia), la notte tra il 9 e il 10 novembre a.c., presumibilmente tra
le 23 e
l’una. Inoltre, nel sangue
della vittima, sono state rinvenute massicce dosi di bromazepam (dieci
volte
superiore al limite consentito dall’AIFA): con tutta
probabilità, tale
benzodiazepina è stata utilizzata per drogare
l’Appiani Uzia prima di
ucciderlo.
Possibile che ad aver
commesso il delitto siano state due persone distinte: lo proverebbero
le due
ferite a livello della nuca, di cui una sola è quella che ha
determinato il
decesso. In
attesa di esito
esami tossicologici.
Non è stato possibile
risalire alla causa del foro sull’avambraccio destro, a
livello della piega del
gomito.
Gli
esami tossicologici erano arrivati il giorno avanti: l'uomo, prima di
morire, non aveva assunto alcuna droga o bevanda alcolica, e il
microscopico foro rinvenuto sull'arto superiore era da ricondurre ad un
banale prelievo ematico, i cui risultati rispecchiavano la salute di
ferro del morto.
Ripensando alle parole del dottor Bertani circa la diversa angolazione
dei colpi inferti sulla nuca di Appiani, Terenzi si ricordava anche che
l'esperto gli aveva suggerito l'eventualità che, almeno uno
degli assassini, fosse una donna, data l'altezza approssimativa da cui
era stata assestata la ferita.
E se fosse stato un
uomo? Gabriele Appiani sarà alto almeno uno e ottantacinque,
mentre Carlo Della Robbia all'incirca un metro e ottanta: sono gli
unici due indiziati di sesso maschile, ma le loro stature non
coinciderebbero con quella della persona che ha vibrato il colpo...
tuttavia, questo non vuol dire che non possano essere stati loro ad
aver ucciso l'imprenditore: potrebbero essersi messi in ginocchio,
oppure avrebbero potuto piegarsi per raccogliere qualcosa, come la
scheggia d'oro bianco, o magari per qualche altro assurdo motivo che
ancora ignoriamo, ed ecco spiegata l'altezza riconducibile ad una donna
... Ma non devo dimenticarmi che quell'insopportabile del figlio era a
Milano, ed è stato avvisato telefonicamente dalla madre
solamente il pomeriggio successivo l'omicidio ...
Richiuse la cartelletta con il referto autoptico, ritornando a
spremersi le meningi: perchè
drogare la vittima, prima di ucciderla? Certo, l'imprenditore era un
uomo dalla corporatura atletica, non si sarebbe lasciato sopraffarre
con estrema facilità. Agnese Rampi, essendo un'infermiera,
ha ammesso di conoscere il farmaco con cui l'uomo è stato
drogato: è l'unica che avrebbe potuto accedere
tranquillamente a quella ingente quantità senza rischiare di
venire scoperta, l'unica a conoscerne gli effetti collaterali se
assunta in dosi elevate. Eppure, quando l'ho interrogata, mi
è sembrata sincera ed addolorata ...
Se almeno ci fossero state delle semplicissime telecamere di
videosorveglianza! Perchè la zona in cui si ergeva la
fabbrica di ceramiche doveva essere così isolata?!
Perchè quella notte di quasi dieci giorni prima, nessun
cittadino coscienzioso era passato di lì, magari portando a
passeggio il proprio amico a quattrozampe?! Perchè nessuna
cella telefonica era stata agganciata nel perimetro incriminato e nel
lasso di tempo presunto in cui era stato compiuto l'omicidio?!
Terenzi si abbandonò sulla scrivania di formica, le mani a
sorreggere la testa: maledisse l'influenza che lo aveva colpito, che
gli aveva impedito di venire in ufficio e continuare a lavorare
instancabilmente.
Se non mi fossi
ammalato, forse avremmo già arrestato gli assassini ...
quarantotto ore buttate al vento, perse senza poter fare nulla per
recuperarle!
A bloccare quelle inutili recriminazioni e sensi di colpa, ci
pensò lo squillo del telefono.
Il commissario fissò l'apparecchio con sguardo vacuo,
indeciso se rispondere: poi, al settimo squillo, irritato dal suono
acuto, alzò la cornetta.
-Uè,
Alessà, come stai? Che fai, ti disturbo?-
-Ciao Franco, figurati. Dimmi pure ... -
Terenzi levò gli occhi al soffitto, passandosi disperato una
mano sulla barba incolta: ci voleva anche il collega napoletano a
complicargli la giornata e, soprattutto, a spaccargli il timpano con
quella voce di almeno tre tonalità più alte
rispetto al normale.
-Oh bene. Dunque, ho
appena chiamato la questora per un caso che stiamo seguendo, e indovina
che mi disse?-
-Beh, non saprei ... -
-Vabbò, dai,
te lo dico io! Mi ha riferito che tu e la tua squadra avete scovato il
nascondiglio della guagliona! E che forse, dico forse eh, siete sulla
buona strada per acciuffarla!-
-Sì, in realtà non è andata proprio
così. Qualche giorno fa, i miei ragazzi hanno parlato con
una fiorista che ha il negozio nella via parallela al parco della
Pellerina: la donna ha confermato che, il
mese scorso, ha servito
una ragazza che le assomigliava, ma non è sicura fosse lei-
-E che è? Sarebbe questa la pista?-
s'informò con una punta di delusione l'Orco di Pollicino.
-No,
certo che non è questa. Oggi pomeriggio abbiamo ascoltato
una testimone, una vicina di casa della ricercata che ha avuto a che
fare con la ragazza tre o quattro volte, all'incirca tre settimane fa.
Da allora, a sentire la teste, si sono perse le tracce, ma è
di fatto certa che la donna nella foto e quella che l'ha aiutata nel
trasloco siano la stessa persona. Purtroppo, non abbiamo alcuna pista
effettiva da seguire, se non l'indirizzo dell'appartamento in cui
sembra che Svetlana abbia vissuto fino al momento della sua scomparsa-
-E
lo chiami poco, Alessà?! Sono sicuro che la troverete presto
assai, fidati del mio intuito partenopeo! Ah, anche se la bella
questora ci ha revocato l'incarico di sorveglianza, conta comunque su
di me! Io, gli amici, nel momento del bisogno non li dimentico!-
Terenzi
represse una risata: come accidenti parlava quell'uomo? Sembrava sempre
di essere stati catapultati in un film melodrammatico! Mancava solo una
musichetta strappalacrime e l'atmosfera ricreata era perfetta!
-Certo,
Franco, so bene che di te posso fidarmi. Ora scusami ma devo lasciarti:
se ho delle novità, te le comunicherò-
-Vabbò,
Alessà, stammi bene. Ah, mi occuperò
personalmente di mettere alle strette il boss della bisca: vedrai che,
in men che non si dica, lo farò parlare, e ci
dirà dove si nasconde la sua pupilla. Parola di partenopeo,
Alessà!-
Il
commissariò riagganciò con un sorriso sulle
labbra: almeno il collega era riuscito a risollevargli il morale,
infondendogli nuova sicurezza nelle sue capacità
investigative.
Per
prima cosa, avrebbe contattato personalmente Agnese Rampi, in modo da
capire il reale motivo che le aveva impedito di presentarsi
all'interrogatorio del mattino precedente: il brigadiere Di Biase le
aveva telefonate su suggerimento di Terenzi il giorno stesso del
funerale di Appiani, rassicurandola che il colloquio sarebbe stato
condotto come un semplice ed informale scambio di battute.
Tuttavia,
questo escamotage
non
completamente falso, non era riuscito a far cambiare idea alla
sospettata.
L'uomo
decise perciò di contattarla: compose il numero di cellulare
dall'apparecchio dell'ufficio, ma gli squilli risuonavano a vuoto.
Riprovò
un'altra volta, sempre fino alla voce automatica ed irritante della
segreteria che lo avvisava che l'utente da lui chiamato era al momento
irraggiungibile, invitandolo a riprovare più tardi.
Sbuffò
contrariato: cos'altro avrebbe potuto fare? Si alzò dalla
poltrona e si diresse alla finestra.
Il
tempo al di là dei vetri era abbastanza invitante da
spingerlo ad uscire: non c'era nemmeno un raggio di sole, ma il cielo
grigio era calmo, privo di nembi minacciosi.
Scostò
le tendine ed aprì quel tanto che bastava gli infissi:
l'aria era tuttosommato gradevole, e le raffiche di vente si erano
assopite da ore, ormai.
Poi,
un pensiero gli attraversò la mente, come un arcobaleno dopo
un forte e violento temporale estivo: a dir la verità,
l'appiglio a cui voleva aggrapparsi aveva più le fattezze di
un incubo ad occhi aperti, ma tanto valeva provare.
Rovistò
nei cassetti e guardò in mezzo al taccuino che portava
sempre con sè, sperando inconsciamente di non trovare quello
che stava cercando.
La
buona -o cattiva sorte, dipendeva dai punti di vista- aveva deciso di
sorridergli, per cui, dopo un'affannosa caccia al tesoro, finalmente il
poliziotto brandì il foglietto su cui aveva appuntato il
numero di telefono della madre di Agnese Rampi, la vecchietta
ultraottantenne dall'aspetto minuto ed angelicato che, però,
aveva il carattere e le intenzioni di un'arpia mitologica.
L'uomo,
tremante come una foglia, ritornò sui suoi passi: si
abbarbicò alla scrivania e, per infondersi coraggio,
cominciò a giocherellare con la sua fedelissima Bic nera.
Lanciò
un'occhiata disperata in direzione della porta, nella speranza che
qualcuno lo venisse a salvare, ma invano.
Perciò,
armatosi di tutto il coraggio che riuscì a scovare nel
profondo dell'animo, alzò la cornetta e digitò le
dieci cifre che lo separavano dall'abisso infernale.
-Buon
pomeriggio, signora. Sono il commissario Terenzi, della stazione
"L'Aquila". Si ricorda di me? Ci siamo visti qualche giorno fa ...-
-Ma
chi? L'impostore che voleva entrare in casa mia?-
commentò acidula la donna, rispondendo al decimo squillo.
-Ehm
sì, più o meno. Le avevo lasciato il mio
biglietto da visita e le avevo chiesto di dire a sua figlia di
richiamarmi il prima possibile ... ricorda?-
-Perché
continua a domandarmi se ricordo? Le ho appena detto di sì,
che lei è quell'impostore che girava insieme al compare dai
capelli rossi! Sono vecchia, lo so, ma non rimbambita! Comunque, cosa
vuole?-
Ed
ecco che il coraggio tornò a mancargli.
-Avrei
di nuovo necessità di parlare con sua figlia Agnese: sarebbe
così cortese da passarmela?-
-Non
posso. Agnese è stata ricoverata questa mattina ...-
La
voce dell'anziana era sempre squillante e sicura di sé,
nonostante la notizia che aveva appena comunicato.
-Ah
... e potrei sapere per quale motivo? Voglio dire, la aspettavo ieri
per un colloquio informale in commissariato, ma i miei collaboratori mi
hanno riferito che ha chiamato per avvisare che era influenzata e
non avrebbe potuto raggiungerci-
Terenzi
sperava che, parlando come un uomo degli anni Trenta, più o
meno la generazione della vecchietta, avrebbe potuto far breccia nel
suo cuoricino di pietra.
-Ma
se sa già tutto, perchè continua a disturbarmi?
Agnese si è beccata una brutta bronchite, per questo non
è potuta venire al vostro interrogatorio, altro che
colloquio informale! Bene, adesso che mi ha disturbata abbastanza, la
lascio. Arrivederci e a mai più a risentirci-
-Aspetti,
signora! Mi dica almeno in quale ospedale è stata
ricoverata! Pronto? Signora Rampi, mi sente? Signora?-
Nulla
da fare: il poliziotto si ritrovò a supplicare a vuoto,
sperando che l'arpia, in un impeto di compassione umana, gli stesse
facendo uno scherzo.
Invece,
si dovette arrendere alla brutale evidenza: la vecchietta aveva per
davvero riattaccato.
Guardò
sconsolato la cornetta nella sua mano sinistra, come se si trattasse di
un pezzo di navicella extraterrestre, quindi la mise a posto senza
troppi riguardi.
Perfetto, si disse,
se
vuole la guerra, che guerra sia! La troverò da solo, senza
il suo aiuto! Parola di commissario!
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Capitolo 19 *** Finalmente la verità ***
Giovedì 20
novembre, ore 16. 40, commissariato
“L’Aquila”, Torino
Ghirodelli
entrò come una furia nell’ufficio di Terenzi,
intento a scrivere un paio di SMS.
-Commissario,
e’ tornata! Rossi e Berardi mi hanno appena telefonato per
dirmi che Svetlana è entrata nel palazzo di corso Garibaldi
36!-
Il
poliziotto si alzò dalla poltrona come un moderno Lazzaro,
dimenticandosi del cellulare e delle carte da firmare che aveva
accumulato sulla scrivania.
-Oh,
molto bene! Una volta ogni tanto siamo fortunati anche noi: in appena
due giorni si è rifatta viva! Andiamo!-
Quando
arrivarono sul posto, la sirena spenta per non insospettire la
ricercata, trovarono i due agenti di turno fuori dalla volante,
appoggiati con finta noncuranza alle portiere anteriori di una vecchia
Seicento blu.
-Da
quanto tempo è arrivata?-
-Sono
venti minuti, commissario- gli rispose Berardi, grattandosi
distrattamente la nuca ed ammiccando in direzione dell’attico
del palazzo davanti a loro.
-Era
da sola?-
-Sì-
continuò, precisando anche che aveva con sé un
paio di valigie.
-Ci
sono uscite laterali?-
-No,
commissario, sono andato a controllare mentre vi aspettavamo, ma
negativo- proseguì questa volta Rossi.
-Allora
tu e il brigadiere rimanete qui di guardia, io e l’ispettore
saliamo. Tenete gli occhi aperti, mi raccomando, e per qualsiasi
necessità teniamoci in contatto con gli auricolari-
Tutti
e quattro annuirono e si scambiarono un’occhiata di reciproca
fiducia, mentre fiumi di adrenalina invadevano i loro corpi:
finalmente, dopo giorni di inattività, finalmente qualche
cosa si stava smuovendo, le acque del mar Rosso si erano aperte per
lasciarli passare.
E
chissà che, con un briciolo di fortuna in più, il
sesto senso di Terenzi che non lo aveva abbandonato da qualche giorno a
quella parte, non si rivelasse corretto, tanto che la misteriosa donna
con il geco tatuato non tornasse utile anche per risolvere
l’omicidio di Appiani.
-Andiamo,
Ghirodelli-
Nell’androne
del palazzo, per fortuna, non incontrarono nessuno: salirono le scale
con circospezione, la mano sulla pistola spianata davanti a loro.
Il
commissario era quasi convinto che la donna non avrebbe fatto
resistenza, ma era meglio munirsi preventivamente, piuttosto che
ritrovarsi impreparati e, perciò, rimanere fregati proprio
sul più bello.
Quando
arrivano all’attico, Terenzi ordinò sottovoce:
-Suona
il campanello, ma non dire niente. Appena apre, entriamo con una scusa,
d’accordo?-
-Va
bene-
L’ispettore
fece come gli era stato comandato e, pochi istanti dopo, la porta si
aprì con naturalezza.
-Chi
siete?- domandò Svetlana, un accento dell’Est
Europa ad accarezzare quella voce suadente che li accolse.
Non c'erano dubbi, infatti, che si trattasse di lei: aveva gli stessi
capelli lunghi e folti, di quella tonalità rossastra tanto
rara e preziosa, gli stessi occhi verdi della foto segnaletica.
Il
superiore si fece avanti e, nascondendo l’arma da fuoco
dietro la schiena, cominciò a presentarsi.
-Buonasera,
signorina, scusi il disturbo. Siamo degli amici della sua vicina di
casa, la signorina Anna del piano di sotto: si ricorda, ha traslocato
da poche settimane … -
-Ah
sì, me lo ricordo. Ma perché avete suonato da me?-
-Vede,
non ci risponde: avevamo un appuntamento con lei più di
un’ora fa e siamo preoccupati perché non ci apre.
Ho dimenticato il cellulare in ufficio e Francesco- spiegò
seraficamente, indicando Ghirodelli –ha la batteria esaurita.
Vorremmo chiederle di poterla chiamare con il suo telefono, se non le
dispiace-
La
ragazza li guardò storto per qualche secondo, indecisa se
credergli oppure no, poi la Fortuna sembrò guidare la sua
risposta affermativa.
Così,
non appena aprì la porta, Terenzi e l’ispettore
entrarono fulminei e richiusero la porta dietro di loro come ad
impedire l’entrata di un cataclisma di enormi dimensioni.
-Ma
chi siete?! Cosa state facendo? Io chiamo aiuto, chiamo polizia!-
-Non
le conviene signorina Zacharova. O forse, dovrei dire Brekoska, come
adesso si fa chiamare?-
-Io
non vi conosco, uscite subito da casa mia!-
-Noi
sì, però. Sono il commissario Terenzi e questo
è il mio collega, l’ispettore Ghirodelli. Mi
dispiace dirle che abbiamo arrestato il suo amante, anzi, per
l’esattezza l’intera banda di strozzini
è stata sgominata: mancava all’appello soltanto
lei, ma direi che adesso l’abbiamo trovata e possiamo
chiudere il cerchio-
Il
poliziotto strinse i polsi della donna dietro la schiena, senza troppi
complimenti, facendo un cenno a Ghirodelli che tira fuori le manette.
-Bene,
così siamo sicuri che non può scappare. Si sieda-
Svetlana
venne accompagnata fino sul divano, dove si accasciò con
fare melodrammatico.
-Io
non ci credo che avete arrestato Gianni! Voi siete bugiardi-
-Invece
mi dispiace deluderla, signorina, ma è così! Ci
deve seguire in centrale per chiarire la sua posizione-
-Non
verrò da nessuna parte! Mio diritto è avere
avvocato!-
-Lo
avrà a tempo debito, non si preoccupi. Adesso,
però, se non vuole complicare ulteriormente le cose, venga
con noi. Glielo sto chiedendo con le buone, se non fosse abbastanza
chiaro …-
La
donna li sfidò con i suoi intensi occhi smeraldi,
l’espressione atterrita e di sfida sul bel volto ovale.
Abbassò
lo sguardo come per riflettere ancora qualche secondo, quindi si arrese
all’evidenza dei fatti ed acconsentì a seguirli.
Una
volta in commissariato, la ragazza si era calmata: non aveva parlato
per l’intero tragitto e, dopo essersi divincolata un
po’, alla fine si era chiusa in un mutismo praticamente
difficile da scalfire.
-E’
inutile che continua a fare scena muta! Anche se lei non parla, abbiamo
la testimonianza di diverse persone che le attribuiscono un ruolo di
primo piano nella banda: il suo stesso Gianni ce lo ha confessato!
Vuole alleggerire la sua posizione oppure no?!-
Svetlana
continuava a mantenere gli occhi fissi al pavimento, come certa della
falsità dei discorsi che quell’uomo, ronzante
attorno a lei come un insetto fastidioso, le stava propinando.
-Non
ho niente da dire-
-Su
di lei pendono diversi capi d’accusa: estorsione, gioco
illegale, esercizio della prostituzione, immigrazione
clandestina… -
-No!
Io non sono immigrata clandestina, io ho permesso di soggiorno!-
-Una
volta, ma adesso non più: da quanto ci risulta, è
stata espulsa per ben due volte e tre mesi fa è anche stata
fermata per falsificazione di documenti! Vuole per caso negare anche
questo?-
La
ragazza ritornò a chiudersi nel suo mutismo, senza degnare
nemmeno di un’occhiata il foglio che il poliziotto sventolava
davanti a lei: Terenzi guardò Ghirodelli che stava scrivendo
a computer il verbale, o forse sarebbe stato meglio dire quello che
aveva tutta l’aria di essere un monologo del commissario.
-Allora
che cos’hai da dire in tua difesa?- passò a darle
del tu, per cercare di farla sentire a proprio agio.
-Lo
capisci che se non collabori rischierai di passare il resto della tua
vita in carcere?! Sei giovane, non puoi desiderare una cosa simile!-
-Mi
manderete in Bielorussia?-
-Non
lo so ancora: teoricamente sì, visto che sei già
stata espulsa, ma farò in modo che non accada, a patto che
tu collabori. Se accetterai, ti prometto che parlerò
personalmente con il magistrato: hai la mia parola-
-E
Gianni? Cos’ha detto di me?-
-Quando
gli abbiamo chiesto dove avresti potuto nasconderti, lui ha detto di
non saperlo, che però eri stata da lui fino a una settimana
fa, fino a quando sei ritornata nel tuo paese. E’ la
verità?-
Terenzi
aveva appreso quelle informazioni dal suo amico e collega Franco,
l’Orco di Pollicino partenopeo, che lo aveva chiamato il
giorno prima.
-No!
Lui un bugiardo, lui mi ha detto di andare in altro suo appartamento,
perché poi saremo fuggiti insieme per un posto lontano! Lui
non mi ha protetta!-
-Appena
gli abbiamo domandato di te, non ha esitato a dirci questa che tu
ritieni una bugia-
-Maledetto
bastardo! Allora anch’io dico una cosa di lui! Ha ucciso un
uomo!-
Il
commissario e l’ispettore si guardarono, levando la testa di
scatto e malcelando la curiosità che le loro orecchie
bramavano di sentire.
-Cosa
stai dicendo? Ti rendi conto delle accuse che stai formulando? Quando
è successo? Tu sai chi era quest’uomo?-
-Sì,
io so tutto. Si chiamava Giorgio, è morto l’altra
domenica, quasi due settimane fa, qui a Torino. Io c’ero, io
ho aspettato in macchina- rispose decisa Svetlana, senza alcuna
titubanza nella voce suadente e solo in parte isterica.
-Sai
anche il cognome della vittima?- Terenzi cominciò a nutrire
il terribile presentimento di conoscere già il resto della
storia, ma non voleva affrettare i tempi.
-No,
so solo che si chiamava Giorgio. Era bell’uomo, alto, con
occhiali ma senza capelli, bel sorriso e molto simpatico-
-In
che rapporti eri con lui?-
-Io
ero sua amica: ci siamo baciati qualche volta, ma lui vero gentiluomo,
lui non voleva fare altro. Veniva al club a giocare-
-Giocava?
Ne sei sicura?-
-Sì,
è venuto per prima volta un anno fa. Era venuto a pagare
debito di un amico, poi ha cominciato anche lui e negli ultimi mesi ha
iniziato a perdere molti soldi-
-Quanti?-
incalzò il commissario, controllando che
l’ineccepibile Ghirodelli continuasse a prendere appunti.
-Non
so bene, non ricordo con esattezza. Credo duecentomila o trecentomila
euro-
-Gianni
lo ha ucciso perché non voleva pagare?-
La
ragazza rimase in silenzio per pochi secondi, mordendosi le labbra e
annuendo.
-Sì,
credo di sì-
-E
tu sei sempre stata in macchina? Non sei mai scesa?-
-No,
faceva freddo quella notte, c’era tanto vento e io non volevo
vedere Gianni che uccideva Giorgio. Lui era brava persona, ma non
pagava, quindi da una parte giusto che lui morto, almeno diceva Gianni-
-Avevate
un appuntamento con lui?-
-Sì,
Gianni convinto Giorgio per parlare dei soldi che lui non voleva dare:
era convinto che l’avrebbe convinto a restituire tutto denaro
perso-
Terenzi
andò a sedersi sul bordo della scrivania, e la
fissò negli occhi:
-Sei
mancina?-
-Cosa
vuol dire mancina?- domandò l’altra,
innocentemente.
-Con
quale mano scrivi? Destra o sinistra?-
-Destra-
-Hai
una collana con un ciondolo d’oro e d’argento?-
-Sì,
io ho diverse collane, ma tu come fai a saperlo?-
-Ne
hai persa qualcuna durante queste settimana?-
-No,
nessuna. E poi io preferisco oro ad argento, più prezioso.
Ma forse se voi collana ritrovata da Giorgio io so chi può
averla persa-
Terenzi
e Ghirodelli si guardarono di nuovo: quella giovane era più
precisa dei loro archivi digitalizzati, più completa di un
elenco telefonico, più utile della Sibilla Cumana.
-Chi
è?-
-Una
donna: alta, magra, con un bel cappotto nero e con… come si
chiama capelli tutti rotondi in testa?-
-Chignon?-
-Eh
sì, chignon! Quando io e Gianni arrivati davanti alla
fabbrica di Giorgio, lei usciva veloce e scappata su una
macchina molto bella-
-Ti
ricordi il modello della macchina?-
-Era
blu o nera: era scuro, perché undici di sera, io non ho
visto bene. Però era costosa-
-Mi
sai dire se era giovane?-
-Non
lo so, ho appena detto che era buio. E poi, c’erano solo due
lampade, no, come si dice? lampioni, perché uno rotto, ma
abbastanza luce da vedere che lei correva disperata: non era vecchia ma
nemmeno giovane, però non sono sicura
dell’età-
-Quando
Gianni ti ha raggiunto in macchina che ore erano?-
-Passato
poco tempo, venti minuti, forse meno-
-Aveva
con sé un cestino della spazzatura?-
-Un
cestino?! No! Che cosa stai dicendo?-
Terenzi
scese dal suo angolino e fece il giro della scrivania di formica,
andando a sedersi sulla solita poltrona bordeaux.
-La
tua posizione non è che si alleggerisca di molto, te ne
rendi conto?-
-Ma
tu hai detto che se io parlavo non andavo nel mio Paese! Lì
io fame e non ho nessuno-
-Sì,
è vero, però sei stata complice del tuo amante:
avresti potuto venire prima a denunciare, di tua spontanea
volontà. Comunque, sei stata precisa e, spero, veritiera nel
raccontarmi l’omicidio- le concesse il poliziotto, unendo le
mani a triangolo.
-Io
però non ho ucciso Giorgio, dillo al magistrato!-
-Ti
credo, ma è anche vero che, se la tua versione dei fatti
verrà confermata, non hai mosso un dito per fermare
l’assassino. Tuttavia, la tua deposizione è stata
molto importante: finalmente sappiamo chi l’ha ucciso e, come
promesso, ne terrò conto quanto parlerò con il
giudice. Ora ti faccio accompagnare: se vuoi, puoi chiamare il tuo
avvocato-
Quando
la ragazza uscì per essere portata nella cella di sicurezza,
Terenzi si avvicinò all’ispettore, che nel
frattempo si era alzato dalla sedia dove aveva battuto a macchina.
Spense
il registratore e attese che il superiore formulasse i suoi
più che leciti dubbi.
-Ho
un brutto presentimento, sai? Ho paura che la donna che ha perso il
ciondolo e quella che ha visto andare via Svetlana sia la vedova di
Appiani-
-Cosa
glielo fa pensare?-
-Per
prima cosa la macchina: l’ultima volta che sono andata a casa
sua, siamo scesi insieme e lei, per andare all’atelier,
è salita su una macchina blu scuro, una Mercedes Benz. Poi
ci sono anche i particolari dei capelli e dell’impermeabile
scuro, che le ho sempre visto indossare, funerale compreso.
L’unica cosa che non mi convince, è la
possibilità esposta dal dottor Bertani riguardo
l’angolazione del colpo inferto alla vittima: secondo il
medico legale, è stata una persona mancina, ma quando ha
firmato la deposizione in commissariato e qualche giorno dopo le ho
chiesto di scrivermi su un biglietto i suoi dati, lei ha usato senza
alcuna titubanza la mano destra-
-Potrebbe
essere stata una mossa giocata d’anticipo. Quello che mi
domando io, capo, è chi ha drogato Appiani? La misteriosa
donna che ha perso il ciondolo o l’amante di Svetlana?
Perché, in questo caso, i tempi non coinciderebbero con il
racconto della ragazza, che sostiene che il suo amante si è
assentato meno di venti minuti e gli effetti del bromazepam non si
instaurano in così brevi minuti-
Il
commissario si passò una mano sulla barba incolta, indeciso
a chi e a cosa credere.
-L’unico
modo per sapere la verità è convocarla-
Alle
sei e mezza, Clelia Camoletti si presentò
nell’ufficio di Terenzi con un’aria piuttosto
seccata.
Indossava
un grazioso cappottino grigio tortora, sotto cui si celava una blusa
rosa antico e un paio di pantaloni beige su dei tacchi neri.
-Buonasera,
signora, scusi se l’abbiamo fatta chiamare a
quest’ora, ma ci sono delle novità-
-Non
ho molto tempo, commissario. Mio figlio domani riparte per Milano, e
vorrei approfittarne per stare qualche ora con lui.
Cos’è successo?-
-Sappiamo
chi ha ucciso il suo ex marito-
Il
volto della donna si rasserena, non dopo che un lampo di sbigottimento
attraversò i suoi occhi verdi.
-Ah,
bene. E chi sarebbe?-
-Un
uomo, uno strozzino che possiede un club di gioco d’azzardo
qui in città. Lo ha ucciso perché non pagava i
debiti: le risulta?-
-Non
sapevo che giocasse- continuò asciutta, la borsetta firmata
stretta sulle ginocchia.
-Si
ricorda che, durante il nostro penultimo incontro, le ho detto che uno
degli assassini era molto probabilmente una donna?-
-Sì,
me lo ricordo. Avete ritrovato anche un ciondolo, se non sbaglio-
-Infatti.
Lei è mancina?-
-Non
vedo che cosa possa c’entrare con l’omicidio del
mio ex marito, tanto più che sa già la risposta-
-Se
si riferisce a quella scena a casa sua, in cui ha firmato usando la
mano opposta, la prego di rispondermi con assoluta
sincerità, signora-
Clelia
Camoletti lo sfidò con lo sguardo, lo stesso che aveva visto
tante volte negli occhi di Gabriele, il galletto primogenito di Appiani.
-Sono
mancina. E allora? Anzi, per meglio dire sono destrimana, non ho alcun
problema ad usare l’una o l’altra mano-
-Molto
bene, la ringrazio della sua sincerità, perché
vede, la donna che ha aggredito il signor Appiani era proprio mancina
e, ad essere schietti, credo che quella donna sia lei-
-Ma
come si permette?! Queste sono pure illazioni, commissario! Mi stupisco
che possa pensare che sia andata in questo modo! Io non l’ho
ucciso, non ho fatto niente, niente!-
-Quante
automobili possiede?-
-Cosa?!-
continuò sbalordita, cercando conforto inutilmente nella
persona di Ghirodelli.
-Mi
risponda-
-Una,
quella che ha visto l’altro giorno quando è venuto
a casa mia-
-Senta
signora, mi dica la verità. Lo faccia per lei e per i suoi
figli. Ci racconti come è andata quella notte. E’
stata lei a versare i centocinquantamila euro sul conto corrente del
suo ex marito, vero?-
La
donna abbassa lo sguardo, stringe le mani in due pugni, poi sospira.
-Allora?
Sto aspettando che prosegua … -
-Sì, sono
stata io-
-Perché?-
Qualche
istante di silenzio, le mani tremolanti attorno alla borsetta di marca,
lo sguardo perso in un punto indefinito del pavimento.
-Nell’ultimo
mese ci eravamo riavvicinati. O meglio, era lui che si era riavvicinato
a me. All’inizio credevo che mi stesse prendendo in giro, poi
ho ceduto, perché continuavo ad essere innamorata di mio
marito. Abbiamo ripreso ad uscire, a frequentarci, ma di nascosto,
perché io non volevo. Un giorno mi ha detto che la fabbrica
aveva un grosso debito, che gli affari non andavano bene: era
disperato, mi ha fatto pena, anche se una parte di me diceva di non
credergli, che mi stava solo usando. Così, ho fatto quel
bonifico con il nome di quella donna, l’ho trovato per caso
una sera, sfogliando la sua agenda che aveva lasciato sul tavolo:
credevo fosse la sua amante e volevo vendicarmi, farli litigare ... -
un lieve sorriso increspò le labbra della donna, ripensando
a quei giorni lontani.
-Come
ha fatto a farsi passare per Agnese Rampi?-
La
malcapitata, nonostante tutte le prove a suo sfavore, era davvero
ricoverata in ospedale, a causa di una brutta bronchite.
-Ho
trovato un assegno di Francesco, il figlio di quella donna, tra i libri
di mia figlia Anita. Per una coincidenza, ho scoperto che entrambi
studiavano a Padova, anzi, per essere sinceri, anche Anita, prima di
riprendere con il conservatorio, si era dedicata alla Biologia.
E’ lì che aveva conosciuto quel ragazzo, che aveva
rivisto qualche mese fa. Si erano scambiati dei libri e, per caso, lui
aveva dimenticato l’assegno per la prima rata del semestre
proprio in quel volume, così ne ho approfittato: con della
carta carbone, ho ricopiato la firma su un assegno in bianco e, per
eliminare qualsiasi traccia che potesse unire me al mio ex marito, ho
deciso di far passare Agnese Rampi come la generosa benefattrice.
Su
un sito di social network, ho potuto constatare che entrambe ci
assomigliavamo sufficientemente fisicamente, così, grazie
all’assegno emesso dalla banca che Francesco aveva lasciato
in quel libro, mi sono fatta passare per lei, e la cosa ha funzionato.
Ma
non volevo metterla in cattiva luce, commissario, ho fatto tutto questo
perché mi vergognavo di far sapere che non avevo smesso di
amarlo-
-Poi,
cosa è successo, signora?-
-Una
decina di giorni fa, mentre lo aspettavo nel suo ufficio, quando la
fabbrica era ormai chiusa, ho sentito che parlava nell’altra
stanza con qualcuno. Era al telefono, e diceva che tutti quei soldi non
li aveva ancora, che era riuscito a racimolare solo la metà
della somma, grazie ad una vecchia signora che glieli aveva lasciati in
eredità. Quello stupido non si era nemmeno accorto di chi
gli aveva fatto il bonifico, a lui interessavano solamente i soldi-
Scosse
il capo amareggiata, quindi aprì la borsetta per prelevare
un fazzolettino di carta con cui si soffiò il naso.
-E’
stato a quel punto che ho aperto gli occhi, che ho capito di essere
stata per l’ennesima volta una stupida, una stupida che era
cascata di nuovo nella sua rete di ammaliatore. Ho fatto finta di
niente, fino a quella notte di domenica. Lui mi aveva dato appuntamento
per cenare insieme e poi mi ha riaccompagnato a casa. Poco dopo sono
tornata in fabbrica, perché in quella conversazione che
avevo origliato qualche giorno prima, sapevo che quella sera avrebbe
dovuto incontrare una persona, probabilmente la stessa con cui aveva
parlato al telefono. Alle dieci e mezza sono entrata nel suo ufficio
senza difficoltà, perché possedevo le chiavi che
gli avevo sottratto facendone una copia: era agitatissimo, stupito del
fatto che mi trovassi lì e, come ai vecchi tempi, mi
trattò di nuovo male, come una pezza da piedi. Gli ho
chiesto spiegazioni sui soldi che avevo versato, sputandogli in faccia
tutta la verità, ma lui ha detto che non aveva tempo, che ne
avremo riparlato: mi ha messo alla porta e io non ci ho visto
più: l’ho colpito forte al collo, con il
fermacarte che c’era sul tavolo e me ne sono andata.
Però era vivo, perché sentivo che urlava il mio
nome, ma io non sono tornata indietro. Non mi interessava
più nulla di lui-
-E
il bromazepam con cui è stato drogato? Non è
stata lei a versarglielo?-
L’altra
negò con forza.
-Negli
ultimi mesi aveva attacchi di panico, almeno è quello che mi
aveva confessato, e aveva cominciato ad assumere quei sedativi. Glieli
avevo consigliati io, perché sono gli stessi che uso quando
ho i miei soliti attacchi insopportabili di emicrania-
-E
il fermacarte che ha utilizzato? Dove lo ha buttato?-
-In
un bidone della spazzatura, lungo la strada di ritorno-
-Quando
è entrata nell’ufficio, ha visto se
c’era un cestino per i rifiuti con dentro dei fogli bianchi?-
-Si
riferisce a quella specie di inusuale cassaforte? No, non
l’ho visto. Però, qualche giorno prima, sono quasi
certa di non averlo notato: anche quando eravamo sposati, aveva quella
sciocca abitudine di nascondere le sue impressioni con
l’inchiostro simpatico. Sono quasi certa che si sia disfatto
di tutto, sia del cestino che dei documenti, perché una
delle ultime volte che sono andata da lui, ho visto che stava
distruggendo dei fogli
bianchi nel
tritacarte-
Terenzi
sospirò e attese qualche istante prima di domandarle:
-Perché quando ha saputo della morte del suo ex marito ha
fatto tutta quella sceneggiata? Perché non mi ha
subito detto che lei quella notte era lì?-
-Non
ho fatto nessuna sceneggiata. Io lo odiavo davvero, commissario,
l’ho capito quella notte. E poi, cosa avrei dovuto dirle? Che
lo avevo colpito? Non sapevo nemmeno se l’avevo ucciso, anche
se quando me ne sono andata era ancora vivo, glielo ripeto-
-Dovrebbe
ringraziarlo, sa? E’ merito suo, anche se involontariamente,
che lei è ancora viva. Se non l’avesse mandata via
quella notte, probabilmente quell’uomo avrebbe ucciso anche
lei-
La
donna si passò una mano sulla fronte, incredula e, allo
stesso tempo, in una sorta di catalessi.
-Mi
arresterete?-
-Su
di lei pendono l’accusa di aggressione, omissione di soccorso
e falsa testimonianza, ma visto che ha la fedina penale pulita, credo
che il giudice ne terrà conto. Per il momento, la
dovrò trattenere: è suo diritto contattare il suo
avvocato-
-Posso almeno avvisare i miei figli?-
L'altro annuì, comprensivo.
Anche
questo caso è chiuso,
pensò amaramente Terenzi, una volta a casa.
Era
stravaccato sul divano, la televisione accesa e Miss Marple sonnolente
nel suo letargo.
Appena
uscito dal commissariato, era andato da Carlo Della Robbia, per dirgli
che finalmente era di nuovo un uomo libero, oltre che per raccontargli
l’intera vicenda dell’omicidio dell’amico.
Lui
era rimasto molto colpito, non riusciva a credere che l’ex
moglie si fosse comportata così, mentendo anche alla
Polizia, però si era reso conto che persino
l’integerrimo Giorgio Appiani aveva i suoi scheletri
nell'armadio: aveva fatto la bella figura di paladino della giustizia
per più di un anno, mentre in realtà anche la
vittima si era ridotta a giocare e a perdere una somma talmente alta da
rischiare di far chiudere la fabbrica di ceramiche e di far perdere il
lavoro a tante persone innocenti.
La
metà del debito era ancora da saldare, però:
entro fine anno, Della Robbia avrebbe versato i cinquantamila euro che
gli aveva prestato l’amico, ma ancora mancavano
duecentocinquantamila euro all'estinguersi del debito che, il
poliziotto era certo, avrebbe rimesso di tasca propria l'amato Gianni
di Svetlana.
E
le sorti della fabbrica sarebbero dipese anche da quello che avrebbero
voluto fare Anita e Gabriele Appiani, se continuare a gestire l'impresa
in famiglia oppure passare la mano.
Per
il resto della serata, il commissario decise di dimenticare le indagini
e di concentrarsi su quel film che era appena cominciato,
addormentandosi rilassato come non gli capitava da giorni.
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Capitolo 20 *** Proposta indecente ... in macchina ***
Sabato
22 novembre, ore 18.30
Terenzi era appena uscito dalla questura, dove si era tenuta la
conferenza stampa a conclusione del caso sull'omicidio Appiani e, di
conseguenza, su quello della banda di strozzini che imperversava in
città.
Aveva sopportato stoicamente quelle due ore che lo avevano visto
protagonista indiscusso sul ring dei botta e risposta dei giornalisti,
il fedele Ghirodelli di fianco a lui.
Il commissario aveva insistito perchè ci fosse anche il
resto della squadra che aveva partecipato all'esito favorevole delle
indagini: il vice ispettore Rossi, il brigadiere Di Biase, le agenti
Finotti e Maffei.
Dalle strette finestre sigillate dell'Aula Magna, in quei rarissimi
momenti di tregua, Terenzi ne aveva approfittato per scrutare le grosse
e pesanti gocce di pioggia sbattere insistentemente sulle vetrate.
A volte, l'attenzione calava, a causa delle monotone e
insistenti domande dei vari rappresentanti della carta stampata, e il
poliziotto faceva quasi fatica a concentrarsi nuovamente, complice
l'amarezza che quel caso gli aveva lasciato.
Dottor Terenzi, la
signora Camoletti otterrà gli arresti domiciliari? Vice
questore, quali saranno i reati che le contesterete? Omissione di
soccorso? Aggressione?
Mi scusi, ma come vi spiegate la massiccia dose di Lexotan emersa dalle
analisi tossicologiche? Quindi una cura per gli attacchi d'ansia di cui
soffriva la vittima? Interessante ...
Commissario, rimpatrierete Svetlana? E che cosa ne pensa della versione
fornita dalla ragazza? Crede sia attendibile?
Ah, dottore, come si è difeso Gianni Moretti dalle accuse
della sua giovane amante?
Ancora una domanda, vice questore, gli eredi dell'imprenditore
accetteranno di reggere le redini dell'azienda paterna oppure
lasceranno in favore di Carlo Della Robbia?
Terenzi e Ghirodelli risposero con puntigliosità e il
più cordialmente possibile: il ritrovamento del ciondolo
sulla scena del delitto non era stato reso noto, un modo per tutelare
la vedova, che già era stata presa sufficientemente di mira
dall'ex marito, così come avevano deciso di non divulgare la
notizia della sparizione del cestino nell'ufficio della vittima, quel
misterioso contenitore custode dei segreti più reconditi di
Appiani.
Dopotutto, Clelia Camoletti era apparsa sincera riguardo la spiegazione
che aveva fornito due giorni prima, ovvero sulla certezza che
la bizzarra cassaforte dell'assassinato era sparita già da
settimane, insieme ai documenti che essa custodiva mediante
l'inchiostro simpatico.
L'unica soddisfazione in
tutta questa storia, si ritrovò a riflettere
Terenzi, è
che non mi ero sbagliato nè su Della Robbia e nemmeno su
Agnese Rampi.
La donna, infatti, si trovava ancora ricoverata in Pneumologia, per
colpa di una complicata bronchite: quell'arpia senza cuore della madre
non gli aveva mentito.
All'uscita dalla questura, il poliziotto scrollò le spalle
avvolte nel pesante cappotto marrone foderato all'interno e
infilò le mani nelle tasche.
Scrutò con malfidenza l'immenso e nerastro cielo sopra di
lui, alla ricerca di un minimo segnale che lo avvisasse delle
condizioni metereologiche che, prima o poi, si augurava sarebbero
migliorate.
Aprì l'ombrello di un rosso tenue, in modo da ripararsi per
quei pochi metri che lo dividevano dalla Panda.
Salutò con una pacca su una spalla l'ispettore,
ripromettendosi mentalmente che lo avrebbe nuovamente segnalato per una
promozione, accomiatandosi con un cenno del capo dal resto della
squadra, pronta a disperdersi.
Poi, finalmente, il collo teso e lo stomaco in subbuglio,
salì in macchina: accese il motore e sfrecciò
fino a casa, in attesa della serata che lo avrebbe aspettato.
Ginevra e Terenzi avevano appena concluso una piacevole e divertente
serata in compagnia di Anna, l'amica della giovane archeologa, convinta
di aver personalmente risolto il caso su cui il commissario stava
indagando da mesi e mesi.
Era quasi mezzanotte ed entrambi i piccioncini sbadigliavano che era
una meraviglia.
-Per fortuna che domani è domenica e non devo andare al
museo ad allestire quella strabenedetta mostra!! Non vedo l'ora che
arrivi la prossima settimana, così tutto questo
finirà!-
La fuoriserie
dell'uomo stava sfrecciando a gran velocità verso il parco
del Valentino, nei pressi del quale abitava la fidanzata.
La pioggia cadeva in gocce timide e assotigliate, quasi invisibili: il
commissario azionò il tergicristalli al minimo livello,
solamente per fare qualcosa.
Era, infatti, piuttosto nervoso: Morfeo stava facendo di tutto per
indurlo a desistere, premendo con forza sulle sue palpebre,
però non poteva e non voleva cedere.
Accostò con uno stridore di gomme al primo marciapiede
libero, facendo sobbalzare Ginevra.
-Ale, ma che ti prende?! Eppure non hai bevuto quasi nulla! Io, invece,
ho gradito parecchio quel Moscato che Anna ha aperto con il dolce: era
squisito, fresco e pieno di bollicine ... - ricordò
sorridendo furbescamente.
Lui deglutì con una punta di imbarazzo, sperando che la
ragazza fosse abbastanza sobria da capire quello che le stava per dire.
-Gin, ascolta, devo parlarti-
-Oh no, ti prego, a quest'ora no!-
L'archeologa sottolineò il suo disappunto brandendo un
indice a mo' di rimprovero: contemporaneamente, come se non bastasse,
cominciò a singhiozzare e a ridere, due tipici segnali che
testimoniavano il suo essere irrimediabilmente brilla.
Per farla capitolare, infatti, le bastava mezzo bicchiere in
più di un alcolico assolutamente innocuo per il resto del
mondo.
-E' una cosa seria, credimi. E' da giorni che ci penso: adesso che ho
trovato il coraggio, non puoi fare così!-
La ragazza sbuffò contrariata e fece una faccia ridicola,
allo scopo di trattenere il fiato e farsi passare quel fastidiosissimo
singhiozzo che la stava sconquassando.
Quando terminò con quella difficile operazione di concetto,
annuì soddisfatta, acconsentendo a dar udienza al
malcapitato fidanzato.
-E va bene, ti ascolto ... ma ho sonno, almeno saliamo in casa-
Era già pronta con la mano sulla portiera, quando Terenzi la
bloccò.
-E' meglio se lo faccio qui ... -
Ginevra strabuzzò gli occhi e sbatté le palpebre
un paio di volte: c'era qualcosa che non riusciva a capire in tutto
quel discorso assurdo, qualcosa che la sua testolina annebbiata dai
bicchieri di vino le impediva di afferrare al volo.
Poi, ecco che la lampadina di Archimede si accese, e la sua espressione
di smarrimento si tinse di orrore.
-Non vorrai mica lasciarmi, vero?!-
-Ma no, che stai dicendo?!-
Il commissario scosse divertito il capo, smentendo all'istante
l'assurdità che aveva appena sentito.
La tranquillizzò con un bacio ed una carezza su una guancia,
quindi prese fiato e cominciò un monologo che, sperava
ardentemente, non assomigliasse ad uno sproloquio.
-Noi stiamo insieme da un anno e mezzo, giusto? Ecco, sono convinto che
due persone come noi, che arrivano a questo punto, in questo momento,
devono darsi del tempo per riflettere sul proprio futuro e decidere
quale strada intraprendere. Sai, con il lavoro che faccio è
importante sapersi organizzare, capire le priorità,
comprendere cosa è bene e cosa è male ... mi stai
seguendo fino a qui?-
Lei aprì la bocca come a voler dire qualcosa, ma la richiuse
quasi subito, dubbiosa sul da farsi.
-Sai, Ale, ho paura che ti sia risalita la febbre. Forse è
meglio se passi la notte da me: conciato così, non vorrei
che non arrivassi a casa ... -
-Oh ma insomma, Gin! Mi vuoi sposare, sì o no?!-
Ringraziando mentalmente che la luce dei lampioni e quella sbiadita
lunare impedissero di mostrare il rossore imporporargli le guance,
Terenzi attese, le palpitazioni a mille, una risposta possibilmente affermativa,
si disse, a rischio che le sue coronarie scoppiassero da un momento
all'altro.
-Tu mi vuoi sposare? Oh mio Dio, Ale, credo di sì,
cioè, non lo so, ma sì, sì, lo voglio,
ti voglio sposare, certo che lo voglio!-
La ragazza si dimenticò di tutta la stanchezza che aveva
avvertito solamente un attimo prima, e si tuffò tra le
braccia dell'amato, stampandogli baci e bacetti su bocca e viso.
Bene, se sapevo che era
così semplice, non avrei aspettato fino adesso, e mi sarei
risparmiato il mal di stomaco che da stamattina mi sta tenendo
compagnia!
Terenzi ricambiò entusiasta la dimostrazione d'affetto
dell'archeologa e, insieme, uscirono dalla
Panda, ridendo
e abbracciandosi come una moderna statua del Laocoonte: aprirono il
portone dello stabile in cui abitava Ginevra, salendo ubriachi
d'amore e di gioia le scale, i tacchi di lei che rimbombavano sui
gradini.
THE END
FINE
(ALMENO PER IL MOMENTO!!)
NOTA
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti, carissimi lettori!
Eccoci arrivati alla fine di questa terza indagine letteraria di
Terenzi: cosa ne pensate? Vi è piaciuta la storia? Critiche,
riflessioni, pezzi che avreste cambiato? Il coronamento del sogno
d'amore tra il commissario e Ginevra è di vostro gradimento?
Insomma, fatemi sapere tutto quello che vi passa per la testa!
Sono curiosissima!
Ringrazio di cuore, di pancia e di mente i miei recensori amatissimi
per avermi accompagnata anche in questa avventura!!!
Un grande abbraccio!
A presto!
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