Vita

di Kiara_g
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Sono un'esperta di headcanons impossibili.

Per quanto mi sforzi le mie idee sono destinate a scontrarsi immancabilmente con quelle dell'autore dell'opera di turno.

Questo però non basta a scoraggiarmi.

Sarò sempre e comunque spinta a esplorare l'infinito spettro delle possibilità, per quanto si allontanino dal canon.

Questa fanfiction è una di quelle possibilità. Leggetela per quella che è: la mia umile e personalissima versione dei fatti.

 

 

1.

La battaglia era giunta al termine. Loro, i soldati dell’esercito di Pars, erano riusciti a scongiurare l’avanzata del nemico sul suolo dell’alleata Lusitania. Dopo i primi attimi di incredulità, l’entusiasmo contagiò rapidamente le truppe, sfogandosi in grida esultanti e orgogliose che tuttavia contrastavano con il cielo plumbeo che sovrastava il campo.

Non tutti però furono travolti dall’onda di sollievo che la vittoria portò con sé: re Arslan, in sella al suo destriero e con la spada insanguinata ancora stretta nella mano, si guardava attorno senza sosta. L’ansia e la preoccupazione sfiguravano i gentili lineamenti del suo volto, mentre il suo sguardo vagava da un capo all’altro del campo di battaglia.

“Estelle!”, chiamò dando voce a tutta la sua angoscia. Tuttavia non ricevette risposta, se non le grida festanti dell’esercito che invocavano il suo nome.

“Estelle!”

Di nuovo nulla più che il clamore delle truppe. Arslan si spostò di qualche metro e riprese a scrutare la folla di soldati che lo circondavano, senza riuscire a scorgere nient’altro che baldanzose lance e lunghe bandiere che danzavano a mezz’aria.

“Dannazione”, imprecò a denti stretti serrando con forza le dita attorno all’elsa della spada.

All’improvviso nella massa compatta delle truppe si aprì un varco. Il re si voltò di scatto e una scintilla di speranza accese i suoi occhi blu. A farsi strada tra i soldati non fu però Estelle, ma Elam. Lo sguardo di Arslan si adombrò appena, incoraggiato dal sorriso che l’amico aveva dipinto sul volto.

“Vostra Maestà!”, esordì avvicinandosi. “Sua Maestà la regina si trova ora all’accampamento. È stata ferita, ma le tempestive cure le assicureranno una completa guarigione!”, disse tutto d’un fiato. Il volto di Arslan riprese la consueta luminosità. Ringraziò Elam e infilata la spada nel fodero si lanciò al galoppo verso l’accampamento centrale.

Non appena scostò il telo posto all’ingresso della tenda, fu accolto dagli sguardi rassicuranti di Daryun, Narsus e Alfreed, che tuttavia non riuscirono a lenire la fitta al cuore che gli provocò la vista dell’armatura dorata di Estelle abbandonata pochi metri più in là ancora sporca di sangue.

“Cos’è successo? Dov'è?”, chiese subito guardandosi attorno.

Si fece avanti un uomo di bassa statura, con barba e capelli grigi, sulla cui veste bianca spiccavano inconfondibili macchie rosse.

“Vostra Maestà”, disse esibendosi in un profondo inchino. “Sono un medico del villaggio vicino e sono stato chiamato per la circostanza di emergenza in cui è stata tragicamente coinvolta la vostra regina. Sua Maestà è stata ferita con un colpo di spada alla spalla e al braccio sinistro. Fortunatamente ciò non avrà conseguenze permanenti. Ora Sua Maestà non è più in pericolo e sta riposando.”

Arslan ascoltò in silenzio e solo con le ultime due rassicuranti frasi si rese conto di aver trattenuto il respiro. Sorrise e ringraziò l’uomo, rivolgendosi poi a Daryun per sapere chi avesse aiutato Estelle ad allontanarsi dallo scontro.

“Tuttavia”, riprese inaspettatamente l’uomo, “in un ambiente come questo le ferite potrebbero venire in contatto con materiali contaminati e dar luogo ad un’infezione e… in queste circostanze non possiedo alcun espediente per far fronte a questa evenienza”, concluse in un imbarazzato sussurro.

“A ciò posso porre rimedio io”, s’intromise ad un tratto Narsus. Si avvicinò ai sacchi di stoffa ordinatamente sistemati infondo alla tenda. Ne aprì uno e ne estrasse una manciata di polvere violacea. Daryun e Arslan lo guardarono con curiosità, ma Alfreed, non appena riconobbe il medicamento dal tipico colore, sussultò inspiegabilmente.

“Cosa intendi?”, chiese il sovrano.

“La radice da cui si ricava questa polvere ha la capacità di prevenire infezioni e allo stesso tempo di mitigare il dolore. Posso prepararne un infuso e Sua Maestà avrà subito sollievo”, spiegò accennando ad un inchino. Arslan sorrise e si avvicinò al Pittore di Corte.

“Te ne sarei infinitamente grato, Narsus.”

“No!”, esclamò Alfreed lanciandosi contro lo stratega e facendogli rovesciare la polvere viola. Sulla giovane donna convergerono gli sguardi allibiti del re e dei suoi collaboratori.

“Qual è il problema, Alfreed?”, chiese Daryun non riuscendo, o non volendo nascondere una nota di disappunto. La giovane si morse il labbro tradendo un certo disagio.

“Alfreed?”, incalzò Narsus alzando un sopracciglio, più infastidito che incredulo per il fatto che qualcosa gli stesse chiaramente sfuggendo.

“N-Non possiamo usare questa radice. Non farebbe altro che del male a Sua Maestà”, rispose vagamente, sperando ingenuamente che la spiegazione fosse sufficiente.

“Di cosa stai parlando?”, le chiese Arslan percettibilmente spazientito. Alfreed inspirò profondamente e abbassò lo sguardo.

“D-D’accordo…”, cominciò esitante. “Questa… questa radice può provocare… un aborto e…”, disse con un filo di voce. Narsus sbarrò gli occhi, Daryun continuò a fissarla immobile, Arslan sentì che il suo cuore mancò un battito, mentre nella loro mente si faceva strada un’unica, innegabile verità.

“Sua Maestà aspetta un bambino.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Alfreed aveva accettato subito: trovava sempre un po’ di tempo per allenarsi. Se poi era la regina in persona a chiederlo, non poteva rifiutare! Fu così che si ritrovò nella piazzetta interna del Palazzo a battersi contro la temeraria lama di Estelle. Era conosciuta come il miglior cavaliere di Lusitania e riusciva a distinguersi più che dignitosamente anche nell’esercito di Pars. Era precisa, decisa, inarrestabile, ma non quel giorno. Estelle appariva stranamente stanca, distratta e i suoi colpi perdevano via via forza sotto gli attacchi di Alfreed. L’ennesima sferzata ben assestata e la spada della regina schizzò via roteando per poi schiantarsi sul selciato. Questa volta la fitta al ventre fu tanto forte da obbligarla ad accasciarsi a terra.
“Vostra Maestà!”
Alfreed si precipitò a soccorrere la sovrana, aiutandola a rialzarsi e facendola sedere sul bordo della fontana centrale.
“Non è niente. Solo un po’ di nausea”, tentò di rassicurala Estelle, premendosi una mano sul ventre. “Ho avuto solo un momento di debolezza”, ammise. Alfreed la squadrò dubbiosa.
“Non dovreste sottovalutare il vostro malessere. Ho notato che negli ultimi tempi non siete stata bene”, le fece notare. “È meglio far venire il dottore…”
“No!”, esclamò Estelle afferrandole il braccio. Alfreed si bloccò e la fissò alzando un sopracciglio.
“Non ne ho bisogno…”, disse sbrigativa la sovrana.
“Lasciate almeno che esprima una sua opinione in merito.”
“Non ne ho bisogno”, insistette, dondolando impercettibilmente avanti e indietro. “Non c’è molto da esprimere sulla mia… condizione. Posso solo aspettare”, mormorò tenendo lo sguardo basso e ticchettando nervosamente con le dita il bordo della vasca. Sul volto di Alfreed si dipinse un’espressione indecifrabile mentre nella sua mente si insinuava irrimediabilmente il dubbio. Si inginocchiò di fronte alla regina e in un gesto che poco aveva di sudditanza le prese le mani.
“Sei incinta?”, le chiese, non curandosi di rispettare il protocollo che imponeva la rigida distanza tra sovrano e suddito. La sua, tuttavia, aveva tutta l’aria di essere un’affermazione più che una domanda. Estelle attese qualche attimo, ma i suoi occhi ambrati non potevano mentire; annuì lentamente e il suo volto tradì un certo imbarazzo. Alfreed invece sorrise e le strinse di nuovo le mani.
“È una notizia meravigliosa!”, disse. “Sono sicura che re Arslan sarà al sommo della gioia.”
“Non deve saperlo”, la interruppe bruscamente Estelle, perdendo ogni traccia di insicurezza. Alfreed la fissò allibita.
“Ma…”
“Tra due giorni partiremo per la Lusitania. Se lo sapesse certamente mi impedirebbe di partecipare alla campagna”, spiegò alzandosi.
“Ma questo è naturale!”, esclamò Alfreed. “Una guerra metterebbe in serio pericolo voi e il bambino!”
“Shhh!”, la zittì la sovrana portandosi un dito alla bocca. “Non parlarne mai più. Dimentica questa conversazione. Nessuno deve saperlo.”
“Maestà…”, tentò di ribattere la giovane.
“No. È la mia amata terra e non sopporterei di essere incapace di proteggerla”, disse avviandosi lungo il portico.
Alfreed la seguì con lo sguardo, accettando con fatica che non avrebbe potuto fare altro che obbedire a Sua Maestà.
 
Arslan spalancò la tenda. Estelle giaceva su un improvvisato letto coperto da un telo bianco. Attorno solo qualche cassa di legno e lembi di stoffa stracciata abbandonati a terra. Attirata dal tintinnio dell’armatura si voltò, non senza piegare le labbra in una smorfia di dolore. Vedendo il marito, accennò ad un sorriso e con fatica riuscì a mettersi seduta. I lunghi capelli biondi, legati da un nastro nero, ricadevano su una spalla, mentre sull’altra, da sotto la veste blu, s’intravedevano strette bende bianche dalle striature rossastre.
“Abbiamo vinto, vero?”, chiese con una nota d’orgoglio. Arslan non le rispose. Il suo volto era statico, contratto, gli occhi velati dalla disapprovazione.
“Dal tuo sguardo non si direbbe…”, osservò Estelle. “Ma non puoi ingannarmi, le grida degli uomini si sentono fin qui”, aggiunse sicura di sé, sventolando in aria una mano. Arslan incrociò lo sguardo della regina e rendendosi conto di non sapere esattamente che dire o cosa fare, cercò una risposta nei suoi occhi ambrati. Decise di agire d’impulso e le si avvicinò per sedersi sul bordo del letto. Estelle seguì ogni suo movimento rifiutandosi di abbandonare il suo sorrisetto. Per qualche secondo rimasero immobili, a guardarsi negli occhi. All’improvviso, senza dire una parola Arslan sollevò lentamente una mano per poi posarla con delicatezza sul ventre della moglie.
Estelle trasalì. Il sorriso che aveva dipinto sulle labbra sbiadì all’istante e il suo corpo, d’un tratto insensibile al dolore alla spalla, s’irrigidì. Il volto di Arslan, prima dall’espressione indecifrabile, ora trasmetteva tutto il suo disappunto e i suoi occhi erano adombrati da un velo di tristezza e rabbia insieme. Non servì nulla di più.
“Chi te l’ha detto?”, sussurrò Estelle sciogliendo il soffocante silenzio calato nella tenda. “È stata Alfreed, vero?”, continuò non avendo ricevuto risposta. “Dannazione. Le avevo ordinato di non farne parola con nessuno…”
“Cosa può esserci di più importante Estelle?”, la interruppe Arslan, insolitamente teso. “Come hai anche solo potuto pensare di non dirmelo?!”, esclamò tutto d’un fiato. I lineamenti di Estelle, zittita dall’inaspettato sfogo del marito, s’irrigidirono ancor di più, mentre nel suo petto si addensavano rabbia e nervosismo.
“Io amo la mia terra Arslan. Amo la mia gente”, rispose tradendo la sua irritazione. “Se te l’avessi detto non mi avresti nemmeno fatta uscire dal Palazzo! Non negarlo!”
“Non lo nego affatto! Saresti stata al sicuro. Non sei in grado di combattere e quelle ferite ne sono la prova! Sei stata un’incosciente!”, la rimproverò.
“Voler proteggere la propria patria non è incoscienza!”, ribatté Estelle decisa. “E poi queste ferite non sono nulla. Guariranno…”, concluse con finta noncuranza sistemandosi meglio sullo schienale. Gli occhi di Arslan si infiammarono di rabbia.
“Come puoi non rendertene conto? Hai messo in pericolo la vita di mio figlio!”, tuonò afferrandola per le braccia. Estelle lo fulminò con lo sguardo.
“So quali sono i miei limiti. Non sono un mostro, dimentichi che è anche mio figlio”, esclamò sporgendosi in avanti.
“Quale madre sarebbe disposta a sacrificare così il suo bambino?!”
Le parole gli uscirono dalla bocca prima che se ne rendesse conto. Le labbra di Estelle furono percorse da un tremito e i suoi occhi si velarono di lacrime. Arslan indietreggiò, consapevole di averla ferita più di quanto avesse fatto la spada nemica, tuttavia non disse altro.
“Vattene. Lasciami sola”, mormorò Estelle con lo sguardo basso, mentre una lacrima le colava sul volto. Dopo un attimo di esitazione Arslan si alzò facendo scricchiolare l’armatura e si diresse verso l’uscita.
“Partirai per Ecbatana questa notte stessa”, le disse dandole le spalle. Scostò la tenda e la lasciò sola.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


chapter 3 ita

 

3.

Il carro aveva lasciato l’accampamento poco prima di mezzanotte. Arslan lo aveva accompagnato con lo sguardo fino a vederlo inghiottito dalle tenebre. Chiuse gli occhi e sospirò. Tentò di liberare la mente, rilassato dalla leggera brezza che gli accarezzava il volto e dallo scoppiettio del fuoco acceso tra le tende del campo. Le sua quiete però non durò più di qualche minuto: all’improvviso un fruscio alle sue spalle gli fece impugnare d’istinto l’elsa della spada. Si voltò di scatto e quando Daryun apparve dall’ombra il suo corpo fu percorso da un brivido di sollievo.

“Vostra Maestà”, esordì inchinandosi. “La squadra di ricognizione è appena rientrata. Non è stato notato alcun movimento sospetto”, riferì.

“Bene”, commentò Arslan. “Se è tutto, sei libero di andare a riposare”, gli disse dandogli di nuovo le spalle, lasciando che il suo sguardo si perdesse nella buia foresta che si estendeva al di là dell’accampamento.

Daryun abbassò lievemente il capo e fece per andarsene, ma il nodo alla gola che lo aveva tormentato per tutto il giorno, non gli concesse di fare nemmeno un passo.

“Vostra Maestà”, disse voltandosi verso il re, “comprendo che per voi questo sia un momento estremamente difficile. Tuttavia vi prego di non permettere alle circostanze di farvi dimenticare che questa notizia dev’essere fonte di immensa gioia per Voi e la Vostra regina.”

Le parole di Daryun, come sempre pregne di sincerità, toccarono la sensibilità del sovrano. L’Eran si inchinò di nuovo e mosse qualche passo verso le tende.

“Quante volte ho immaginato come sarebbe stato questo momento… eppure non avrei mai pensato che sarebbe andata così”, ridacchiò Arslan con una punta di amarezza. Daryun si bloccò.

“Dopo aver ricostruito Pars, promisi a me stesso che avrei ricostruito anche la mia vita e riempito quel vuoto che non ero ancora riuscito a colmare”, disse portandosi una mano al petto. L’Eran si voltò e si concesse qualche istante per osservare la figura del re. Le sue gambe, illuminate dal fuoco che ardeva indisturbato, proiettavano sulla terra ombre tremolanti. Le sue braccia, così decise nel maneggiare la spada in battaglia, sembravano ora deboli e stanche. La sua schiena e le sue spalle, non più quelle di un ragazzino, ma di un uomo fiero e maturo, sembravano perdersi nell’ombra.

“Promisi a me stesso che avrei costruito una famiglia tutta mia, che avrei avuto al mio fianco una persona a cui sarei stato pronto a dedicare la mia vita, che avrei avuto dei figli. Avrei costruito tutto ciò che ho sempre desiderato e non ho mai avuto”, disse sorridendo. “Questo era il mio sogno”, sospirò chiudendo gli occhi.

“È davvero ammirevole Vostra Maestà”, commentò Daryun, infondo non sorpreso dalla confessione del sovrano.

“Questo era il mio sogno”, ripeté Arslan caricando le sue parole di decisione e tristezza allo stesso tempo. “Ma non ho mai chiesto a Estelle se fosse anche il suo.”

Daryun continuò a fissarlo, immobile, incapace di articolare anche una sola parola, tanto gli sembrava inadeguata qualsiasi cosa gli balenasse in mente.

“È estremamente egoista, non credi Daryun?”, chiese il giovane re, voltandosi a guardare per la prima volta l’Eran.

“Vostra Maestà l’egoismo non è parte della vostra natura”, rispose d’istinto, non riuscendogli possibile accostare tale atteggiamento al carattere del suo giovane signore.

“Eppure non ho mai considerato la possibilità che la sua vita fosse già completa così com’era”, continuò il sovrano sospirando. “E che non desiderasse nulla di più.”

“Maestà vi prego, non lasciatevi turbare da pensieri tanto negativi”, lo supplicò Daryun, risultando più apprensivo di quanto volesse dar a vedere.

“Avete invece a parer mio dimostrato l’immenso affetto che vi lega alla regina: siete stato disposto ad attirare su di voi la sua disapprovazione, preferendo la sua incolumità. Mi riesce impossibile definire egoista un tale comportamento”, aggiunse nella speranza di risollevare l’animo al sovrano. Arslan ridacchiò sommessamente.

“In ogni caso”, riprese subito dopo, “potrete conoscere i sentimenti di Sua Maestà solo quando avrete modo di rivederla. Non tormentatevi prima del necessario.”

Arslan sospirò di nuovo e le sue labbra si piegarono in un velato sorriso. Mosse qualche passo e l’Eran riuscì a scorgere con chiarezza i lineamenti del suo volto, ora rischiarati dalla luce del misero falò.

“Perdonami se ti ho coinvolto anche quando avrei dovuto essere capace di cavarmela da solo”, disse Arslan posandogli una mano sulla spalla. “Vedi, per me è facile confidarmi con te perché ho la certezza assoluta che saprai ascoltarmi ed essere sincero. Grazie Daryun.”

Non solo dalle sue parole, ma anche dalla sua voce trasparì quel senso di immensa gratitudine che gli occhi blu del sovrano non smettevano mai di comunicare al Generale Supremo. Il re lasciò la spalla del fedele compagno e si incamminò verso il cuore dell’accampamento.

“Ne sono onorato Vostra Maestà.”

Si voltò indietro, ma Arslan era già sparito oltre le tende. Quel ragazzino debole e indifeso, sfiorato dalla morte sui campi di Atropatene, era riuscito a salvare la sua patria, a conquistarne il trono con il favore del suo popolo. Aveva avuto il coraggio e la determinazione di seguire il suo cuore, invece delle convenzioni. Ed ora sarebbe diventato padre.

Davvero era difficile riconoscerlo, ma chi gli era stato accanto sempre e con devozione sin dal primo giorno, non poteva che guardare con orgoglio al giovane re Arslan di Pars.

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Il carro viaggiava lento, inerpicandosi su sentieri sterrati e dismessi, addentrandosi senza indugio nell’oscurità notturna, guidato dalla luce lunare che silenziosa gli indicava la via. Due cavalieri procedevano al passo in testa al piccolo e improvvisato corteo, aprendo la strada al carro. Lo seguivano altri due soldati a cavallo.

Le ruote lignee cozzavano inesorabilmente contro le rocce che affioravano ovunque sulla strada, facendo sobbalzare il carro e le persone a cui offriva riparo.

I continui scossoni erano solo uno dei motivi per cui Estelle non riusciva a trovare pace. Seduta a gambe e braccia incrociate, sospirò per l’ennesima volta, abbandonandosi contro la parete del comune mezzo di trasporto. Nonostante il buio, riusciva a distinguere chiaramente le due figure degli uomini posti a guardia, i quali apparentemente non avevano avuto la stessa reticenza della regina a lasciarsi prendere dal sonno. Un altro scossone e Estelle dovette stringere i denti per la fitta di dolore che le attraversò la spalla, che tuttavia non fu sufficiente a distrarla dai sui pensieri.

 

Arslan non le aveva mai parlato in quel modo. Non era mai stato così severo, nemmeno dopo che aveva tentato di ucciderlo, pensò richiamando alla memoria eventi di anni prima. Oltre che irritarla terribilmente, le parole di Arslan l’avevano turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere. Con una certa irrequietezza, ripercorse tutta la loro conversazione, se così poteva essere definita, prendendo a giocherellare con i suoi lunghi capelli dorati, gesto tanto raro quanto segno di tutto il suo disagio.

Possibile che ciò che aveva fatto avesse deluso Arslan così profondamente? Aveva risposto alla richiesta d’aiuto gridata dalla sua terra, non aveva Arslan fatto lo stesso? Si era precipitata nel campo di battaglia senza pensare ad altro che combattere per il suo popolo, era questo un errore tanto grave? Voleva proteggere le persone che amava, ma non aveva Arslan fatto lo stesso ordinando il suo rientro immediato a Ecbatana?

Estelle si morse un labbro. Come poteva biasimarlo, se il suo agire era stato dettato dagli stessi principi da cui ella stessa si faceva guidare? E come aveva potuto pensare di non coinvolgerlo in un momento tale, così importante, così emozionante, della vita dei un uomo?

Uno scossone la strappò bruscamente dalle sue riflessioni per catapultarla di nuovo nel buio del carro. Il suo sguardo non era più rigido, ma velato da una certa tristezza, mentre vagava pensieroso nell’ombra. Fu solo quando si posò sulle proprie mani che si rese conto di averle fatte scivolare con delicatezza sul suo ventre. Restò a fissarle per qualche minuto, improvvisamente rasserenata dal tiepido calore che le sembrava di percepire.

Per la prima volta Estelle accettò con sincerità e consapevolezza che presto avrebbe dovuto affrontare la sfida più difficile della sua vita, ma le sarebbe bastato sapere di avere Arslan al suo fianco perché paura e insicurezza si sciogliessero come neve al sole.

 

Il carro si fermò bruscamente. Estelle e le due guardie furono scaraventate in avanti. I due uomini si svegliarono di soprassalto e presero a guardarsi attorno con aria confusa. Estelle riuscì a rimettersi seduta, premendo con una mano contro la spalla dolorante. Uno dei due soldati si precipitò al suo fianco, mentre l'altro, sguainata la spada, corse verso l'uscita.

“Attendete qui Vostra Maestà”, esclamò sparendo oltre la tenda. Non passò più di qualche secondo e un lacerante grido squarciò l'aria.

 Estelle s'irrigidì e il soldato saldò la presa attorno al braccio della sovrana, più per terrore che per difesa. Dopo i primi attimi di esitazione, la guardia si alzò e lentamente si diresse verso l'uscita sfilando la spada dal fodero.

“Attendete qui Vostra Maestà”, imitò il compagno con voce tremante. Spalancò la tenda e il suo corpo fu scaraventato all'indietro. Estelle si scansò appena in tempo per non finire schiacciata sotto il cadavere dell'uomo, trafitto da un dardo in pieno petto. La regina si ritrasse di nuovo contro il fondo del carro alla frenetica ricerca della sua spada, che era certa aver fatto riporre con cura tra i bagagli. Riuscì ad impugnarla e un fastidioso crepitio di legno infranto e stoffa strappata la fece voltare di scatto.

All'estremità opposta del carro la attendeva un ghigno la cui ripugnanza era accentuata dai due scurissimi occhi che la fissavano da sotto le folte sopracciglia nere. Dalle sottili labbra dell'uomo, appena visibili oltre la folta e incolta barba, si scatenò una rumorosa risata.

“Bene, bene, bene. Cosa abbiamo qui?”

Il bandito certamente intendeva terrorizzare la donna che aveva di fronte con il suo atteggiamento beffardo, e senza dubbio non si sarebbe mai aspettato che Estelle, irritata oltremodo da quel suo fare a dir poco grottesco, gli si sarebbe gettata addosso brandendo l'affilata lama al grido di battaglia. L'uomo si ritrasse e ancora confuso sguainò la sciabola che gli pendeva dalla cintura. Schivò il fendente della regina ma per aver inarcato troppo la schiena scivolò fuori dal carro. Estelle lo seguì spada alla mano lasciandosi investire dalla fredda aria notturna. Il bandito, di nuovo in piedi, non fissava più la regina dall'alto della sua arroganza, ma indispettito dalla vanità della sua azione intimidatoria. Per la seconda volta fu Estelle a prendere l'iniziativa e si lanciò all'attacco. Il bandito contrattaccò e i due ingaggiarono una spietata lotta a colpi di spada. Tra un fendente e l'altro, Estelle intravide a terra, privi di vita, tre dei quattro cavalieri della scorta. Accanto ai cadaveri dei soldati parsiani, giacevano altri due uomini, con le sciabole ancora in mano. Poco distante il quarto, disarcionato dal proprio destriero, si stava battendo contro due uomini che dalle povere vesti di pelle animale e dall'aspetto trasandato non potevano che essere compagni del bandito. Il soldato riuscì a ferire a morte il più basso e tozzo, ma quando si gettò contro l'altro, la sua agilità non eguagliò l'efficacia della sua spada: caddero l'uno per mano dell'altro.

Il bandito, accortosi di essere rimasto l'unico superstite tra i suoi, grugnì di rabbia e marciò contro Estelle dando sfogo a tutta la sua brutalità. La regina riuscì a contrastare i primi fendenti, ma la crescente pressione sulla spalla non faceva che tormentarla con atroci dolori. La presa sull'arma si fece più debole, mentre facendo conto ormai sulla sua sola agilità, faticava a schivare i colpi dell'uomo, tentando di ignorare la nausea e lo stordimento. L'affievolirsi dell'energia della regina non passò inosservato al bandito, che direzionò la sua ira in un colpo diretto e deciso, sferzato con violenza contro la lama di Estelle. Le forza abbandonarono la giovane donna. La brutalità del colpo le strappò un grido di dolore scaraventandola contro la parete del carro. Estelle perse la presa sull'elsa e la sua spada schizzò via roteando. Il bandito si avvicinò alla regina accasciata a terra. I bei lineamenti della sovrana erano distorti in una smorfia atroce e i suoi occhi d'ambra puntavano come frecce avvelenate contro l'aggressore. L'uomo riacquistò lo sguardo beffardo con cui aveva creduto di incutere timore alla giovane e scoppiò in una fragorosa risata.

“Davvero hai pensato di poter competere con me? Sono io il re di questi sentieri!”

L'uomo impugnò la spada con entrambe le mani e la sollevò sulla testa, pronto a calarla su Estelle. Lo sguardo disprezzante della regina non fece che incentivare l'intento omicida dell'uomo, che ridendo abbassò le braccia.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4

4.

Il sangue schizzò ovunque. Le macchiò le vesti, il volto e finì addirittura sulla parete del carro. Estelle pensò ad Arslan, a come era stato freddo il loro inconsapevolmente ultimo incontro, al bambino che avrebbe dovuto proteggere e che invece ora sarebbe morto con lei. Le lacrime le inumidirono gli occhi. Fu una frazione di secondo, Estelle cercò di localizzare il dolore della nuova ferita nella vana speranza di riuscire a sopportarlo. Una frazione di secondo, e si rese conto che l'unico dolore che l'attanagliava era la morsa sulla spalla.
Facendosi coraggio, schiuse lentamente le palpebre e benché stordita dallo stupore di essere ancora viva, intravide incombente su di sé il corpo del bandito. La spada dell'uomo scivolò a terra sbattendo sulle rocce del sentiero. Un'altra goccia di sangue colò sul viso di Estelle che tornata relativamente lucida spalancò gli occhi. Si trovò faccia a faccia con la punta acuminata di una spada che fuoriusciva dal petto squarciato del bandito. Sollevò lo sguardo sul suo volto, orrendamente sfigurato in una smorfia di dolore, gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata. La spada si ritrasse e il corpo del bandito si piegò su un fianco accasciandosi a terra. Estelle rimase immobile, incapace di parlare e in quel momento anche pensare si stava rivelando piuttosto complicato. Da dietro il corpo dell'uomo comparve Arslan, con la spada gocciolante di sangue ancora nelle mani. I suoi occhi blu erano scuri di rabbia e disprezzo, minacciosi come non lo erano mai stati. Tuttavia gli fu sufficiente incontrare lo sguardo incredulo di Estelle perché la sua espressione mutasse all'istante. Il suo volto fu attraversato da un lampo di preoccupazione e sollievo allo stesso tempo. Arslan lasciò cadere la spada abbandonandola a terra senza farsi scrupoli e si precipitò dalla moglie.
“Estelle! Stai bene? Ti ha ferita?”, le chiese passandole con le delicatezza una mano sul volto per asciugarle le lacrime che colavano senza sosta impiastricciandosi con il sangue barbaro. Estelle non rispose e continuò a fissarlo non ancora del tutto certa di non avere le allucinazioni
“Estelle...”, la chiamò di nuovo con dolcezza. La regina non fu capace di articolare una risposta ordinata, e le parole che lasciarono le sue labbra non obbedivano ad altra legge se non quella che governava il suo cuore.
“Mi dispiace...”

Arslan spalancò gli occhi in un attimo di smarrimento. Certo, sarebbe stato più pronto ad una sfuriata da parte di Estelle, alle sue pretese di essere perfettamente in grado di provvedere a sé stessa, al suo tono deciso. Mai si sarebbe aspettato che la sua regina si lasciasse vedere così affranta e indifesa.
Un tenero sorriso si dipinse sulle labbra del re, mentre Estelle continuava a piangere per motivi che a lei stessa sfuggivano. Arslan fece scivolare con delicatezza le mani sulle spalle e lungo le braccia della giovane. Si sporse in avanti pronto ad abbracciarla, ma un'improvvisa e lacerante fitta al fianco lo fece bloccare di scatto.
“Arslan!”, gridò Estelle sentendo le sue dita stringere innaturalmente le sue braccia. Il re digrignò i denti e a fatica si portò una mano sul fianco. Estelle seguì i suoi movimenti e ciò che videro i suoi occhi la fece sobbalzare inorridita.
Il bandito, schiacciato a terra dal suo stesso corpo morente, aveva raccolto abbastanza forze per sfilare dalla cinta un pugnale e conficcarlo nella carne di Arslan. Sibilando tra gli alberi, una freccia di invidiabile forza e precisione raggiunse la testa dell'uomo, ponendo fine una volta per tutte alla sua vita. Arslan fece appello a tutto il suo coraggio e stringendo i denti si sfilò la lama dal fianco con un colpo secco, mentre Estelle continuava a chiamarlo in preda all'angoscia. Nemmeno l'apparizione di Elam, seguito da Daryun e da un manipolo di soldati servirono a tranquillizzarla. Arslan la guardò sforzandosi di sorriderle.
“Non preoccuparti. Non è molto profondo”, mentì, pur sapendo che Estelle non si sarebbe mai lasciata convincere da così poco.
“Non dire idiozie!”, gli ringhiò contro aggrottando le sopracciglia.
“Vostra Maestà!”
In pochi attimi all'ordine di Daryun i sovrani furono attorniati da militari. Elam invece spedì due di loro all'accampamento per preparare la base ad ogni evenienza e procurarsi rinforzi e medicamenti.
Alcuni soldati concludendo che sarebbe stato troppo rischioso farlo muovere a cavallo, aiutarono Arslan a distendersi a terra, protetto dalle rocce da appena un mantello. Daryun raggiunse la regina, accovacciata accanto al marito.
“Vostra Maestà, state bene? Non è forse il caso che vi scorti all'accampamento?”, le chiese inginocchiandosi al suo fianco.
“No”, lo liquidò lei senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Tutta la sua attenzione era riservata al volto imperlato dal sudore di Arslan.
“Daryun... Riportala subito all'accampamento”, biascicò il sovrano a denti stretti.
“No!”, ribadì Estelle. “Sto bene qui dove sono.”
Arslan sospirò e Daryun sorrise.
“Vostra Maestà”, le disse. “Sua Maestà il Re era preoccupato per voi e ha voluto assicurarsi della vostra incolumità. Non appena ha intuito che eravate in pericolo ha provveduto a farsi raggiungere dai rinforzi.”
“Tuttavia ha preferito non attendere il nostro arrivo”, concluse Elam, smontando da cavallo.
Estelle guardò Arslan indispettita.
“Guarda in che guaio ti sei cacciato! Saresti potuto morire! Dovresti pensare prima di agire!”, gli urlò addosso.
Daryun e Elam si guardarono sconvolti, ma Arslan, ormai abituato a cogliere i sentimenti che Estelle preferiva celare sotto le sue fredde parole, si limitò a sorridere, confortato dalla ritrovata spontaneità della sua regina.

 

Arslan e Estelle furono scortati su un nuovo carro all'accampamento, dove furono medicati dalle mani esperte dei dottori chiamati a raccolta dall'area circostante.
La ferita del re si era effettivamente rivelata non troppo profonda e, dopo una dolorosa ispezione per eliminare ogni possibilità di infezione, fu sufficiente una spessa benda a proteggergli il fianco.
Estelle fu visitata da un'infinita serie di dottori e levatrici, i cui pareri furono raccolti su ordine di Arslan. Le pretese di perfetta salute avanzate da Estelle trovarono solo in parte supporto nelle visite: tutti infatti concordarono sulla relativa buona condizione di madre e figlio, ma raccomandarono alla sovrana di osservare un riposo assoluto per le settimane successive ed evitare ulteriori pericolosi traumi per sé stessa e per il bambino. Un viaggio di diversi giorni, se non settimane, su un carro trascinato su sentieri impervi non rispondeva certo alle contingenti esigenze della regina.

 

Arslan fissava il piccolo focolare che gli ardeva di fronte, seduto su una panchina di legno ricavata da un tronco d’albero. Erano passata due settimane dall’attacco al carro e la ferita al fianco aveva cominciato a guarire.

Aveva avuto diverso tempo per pensare. Aveva accettato che, secondo il parere del dottore, Estelle non era in serio pericolo, ma sapere che sarebbe rimasta nell’accampamento lo preoccupava più di quanto volesse.

Un improvviso fruscio alle sue spalle lo fece girare. Estelle stava proprio dietro di lui, avvolta nel suo mantello blu.

“Cosa ci fai qui? Non dovresti riposare?”, Arslan le chiese, calibrando il tono per non farlo sembrare autoritario.

“Beh, anche tu dovresti riposare. Quella ferita non è ancora guerita del tutto,” rispose lei sedendoglisi accanto. 

“Giusto,” Arslan commentò ridacchiando. Rimasero in silenzio per alcuni minuti, godendo del tepore che diffondeva il piccolo falò.

“Mi dispiace non avertelo detto,” Estelle disse rompendo il silenzio. Arslan aspettò qualche secondo prima di rispondere.

“Lo so. E so quanto ci tenessi a prendere parte a questa campagna,” disse. Calò di nuovo il silenzio. L’unico suono che animava la notte era lo scricchiolio del fuoco. Arslan ricordò la conversazione che aveva avuto con Daryun. C’erano molte cose che avrebbe voluto chiedere ad Estelle, eppure, scelse la più inaspettata di tutte.

“Estelle… Sei felice?” le chiese guardandola.

La domanda era piuttosto semplice, ma la giovane donna sentì il battito del suo cuore accelerare. Estelle lo fissò e gli occhi le si riempirono di lacrime.

“Non lo so…” rispose francamente. “E mi sento una persona orribile per questo…”

Arslan odiava vederla così distrutta. Si avvicinò e la strinse a sé. Estelle pianse contro la sua spalla. Non importava se dava l’impressione di essere indifesa, l’unica cosa di cui aveva bisogno era sfogare tutta la sua angoscia.

Arslan le accarezzò dolcemente i capelli finché non smise di piangere. Sciolse l’abbraccio e con la mano asciugò le lacrime sul suo volto. Estelle riprese il suo aspetto usuale.

“Quando ho scoperto di essere incinta tutto ciò a cui potevo pensare era a come nasconderlo,” disse piano. “Non ero nemmeno spaventata. Mi dava solo fastidio. Penso che non volessi accettare cosa stava succedendo… come può una come me essere una buona madre?”

“Nessuno sa come essere un buon genitore. Credo che potremo impararlo solo dall’esperienza. Ho così tanta paura di rovinare tutto…” le confessò Arslan, sperando che questo l’avrebbe fatta sentire meglio. In qualche modo funzionò dato che la regina perse ogni traccia di tristezza.

“Stai scherzando?”, domandò alzando un sopracciglio. “Sei sempre così dolce e gentile con tutti. Naturalmente sarai un buon padre!”

“Non sono sicuro che essere gentile faccia di te un buon padre,” affermò lui tornando a guardare il fuoco.

“Forse no, ma di certo hai più possibilità di quante ne abbia io,” Estelle disse. Arslan sorrise.

“Sai, penso che finché staremo insieme avremo le stesse possibilità!” esclamò felice prendendole le mani. Estelle sospirò e lo guardò sorridendo.

“Mi chiedo dove tu riesca a trovare tutto questo ottimismo ogni volta…” commentò facendo ridere Arslan.

“Almeno finalmente ti ho fatta sorridere,” le disse guardandola. I suoi lineamenti ripresero quel loro andamento delicato. Sollevò una mano e le accarezzò delicatamente la guancia.

“Anche se penso ancora che tu abbia agito sconsideratamente, spero tu capisca che il mero pensiero che possa accaderti qualcosa di male mi fa andare fuori di testa,” le disse guardandola. Estelle sorrise dolcemente. Prese la mano di Arslan e la spostò dal suo volto al suo ventre.

“Ti prometto che starò più attenta allora...”

Il fuoco si stava indebolendo e una leggera brezza aveva cominciato a soffiare. Alcune guardie oltre le tende stavano pattugliando l’area facendo scricchiolare le loro armature.

“Sarà meglio che andiamo ora. Sta diventando freddo,” Arslan disse aiutando Estelle ad alzarsi.

“Credi che sarà un maschio o una femmina?” le chiese dal nulla. Estelle lo guardò, senza parole.

“Sarà un maschio ovviamente! E lo allenerò per renderlo il miglior cavaliere della storia!” esclamò lei dirigendosi verso le tende.

Arslan sospirò e la seguì ridendo.



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Così, tre mesi dopo, con la risoluzione della campagna militare a favore delle forze alleate di Pars e Lusitania, quando l'esercito trionfante rientrò a Ecbatana, Estelle dovette rinunciare all'armatura, troppo stretta per le sue addolcite forme. Inutile dire la costernazione con cui la notizia fu accolta a Corte, tra lo stupore e l'euforia generale.
La regina fu obbligata a non allontanarsi dal Palazzo, se non accompagnata, e fu sottoposta ad una serie di divieti che come lei stessa più volte tenne a precisare, la facevano sentire in prigione.
Il Principe Navid di Pars, figlio primogenito di Re Arslan, un bambino dai folti capelli biondi e dagli occhi blu in perfetta salute, nacque quattro mesi dopo.
Al colmo della gioia, il sovrano dichiarò tre giorni di festa in tutto il regno.

Ringrazio di cuore chi ha trovato il tempo di leggere questa fanfiction :)
Spero sia piaciuta, in caso contrario critiche costruttive e suggerimenti saranno ben accetti!
Kiara

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