La Tomba delle Nazioni

di Daxn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Da Liegi Capitale a Genova ***
Capitolo 2: *** 2- Sulla Strada da Genova a Sonora ***



Capitolo 1
*** 1- Da Liegi Capitale a Genova ***


Il cigolio incessante e il ronzio persistente dei macchinari echeggiavano fra le pareti d' acciaio e ceramica bianco-giallastra, traversando l' aria riscaldata dal calore corporeo di decine di persone stipate in piedi nel compartimento passeggeri del veicolo. Alcuni passeggeri si guardavano attorno, innervositi dal mero pensiero di un malfunzionamento nel sistema del loro mezzo di trasporto, altri chiacchieravano a bassa voce con un loro compagno di viaggio, mentre altri ancora si lasciavano scappare borbottii di lagnanza poco comprensibili nel rumoreggiare generale.

E poi c' era Saverio Glabro – uomo poco più che quarantenne e di aspetto assolutamente contrario al suo cognome, considerati i suoi folti capelli castani con tracce di grigio ai lati, e la foresta di peli che si poteva intravedere dall'apertura della camicia e quelli presenti sia sul suo polso sia, assai più radamente, sul dorso delle sue tozze mani – il quale aveva occupato un angolo abbastanza appartato della cabina, vicino alla porta scorrevole che portava al gabinetto et estintore, la cui utilità era, almeno in quel contesto, quantomeno dubbia. Il posto ideale, dunque, per permettetegli di informarsi meglio sulla sua futura destinazione e rimuginare sul quella passata.

<> Saverio bisbigliava, mentre rileggeva velocemente e in silenzio la coincisa lista, scritta su una pagina d' agenda malamente strappata e più volte piegata su sé stessa, di località in cui era andato, le spese sostenute e le persone da incontrate e da incontrare. <>

Ripetutosi il piano per l' ennesima volta, Saverio piegò in quattro il foglio e lo rimise all'interno della tasca destra dei suoi pantaloni marrone fango, prima di voltarsi a dare le spalle all'estintore ed invece osservare il gruppo di persone viaggianti con lui. Egli vedeva principalmente uomini alquanto al di là con gli anni, tutti vestiti con abiti scuri per non dare troppo nell'occhio fra le grandi folle della Linea Alternativa da cui stavano tornando; ma nel mare di abiti neri e grigi riusciva a scorgere un paio di donne alquanto alte in tenuta grigioverde appoggiate alla piastra di ceramica di sotto di uno dei quattro interfoni, ed un giovane indossante pantaloni verde fosforescente una giacca leggera di colore arancione e con l cerniera verde semiaperta a rivelare una maglia raffigurante personaggi variopinti di fattezze vagamente equine, presumibilmente provenienti da una serie d' animazione ignota a Saverio, ma non abbastanza da non fargli inarcare un sopracciglio.

<> disse Saverio, toccando la spalla al ragazzo sgargiante. <>

Il giovane alzò gli occhi al tettuccio e si lasciò scappare un mugolio.

<> disse alquanto scocciato, la sua voce segnalante un' età non superiore ai due decenni grazie all' occasionale squittio da giocattolo per cani.  <>

<< Giovanotto, le Linee Alternative non sono casa tua o la tua cittadina, non puoi viaggiarle conciato come sei ora pe->> Saverio dichiarò col l' indice destro alzato, prima di essere interrotto da un sospiro assai profondo e dalla sua voce leggermente stridente

<

Saverio fece un respiro profondo ed espirò, resistendo alla tentazione di rifilare al ragazzo uno schiaffo per la sua insolenza.

D' improvviso, il ronzio dei rumori s'intensificò, mentre il cigolio si trasformava in un monotono lamento meccanico e dal soffitto una serie di luci di luci rosse puntiformi s' illuminò, creando il messaggio “In Prossimità della Destinazioone: Genova. Sbarco Imminente, per favore, Stare Lontano dalle Pareti” prima e “En Route Vers Notre Destination, le Débarquement est Imminent, il Vous est Demandé de Rester Éloigné des Murs” poi, in seguito ripetuti da una voce maschile computerizzata . Saverio, come tutti i passeggeri. si spostò celermente via dai muri ricoperti di ceramica e si infilò all' interno d' un pertugio, per errore sbattendo il suo gomito destro sulla la testa del ragazzo di prima, il quale sibilò di dolore, ed infilando il ginocchio destro fra le cosce d' un uomo che la fortuna non stava certo favorendo, visto che oltre al ginocchio di Saverio si era ritrovato con le braccia avvinghiate dentro il nodo gordiano delle braccia altrui.

Neanche un minuto dopo l' annuncio  il ronzio si tramutò in un fortissimo fischio e, subito dopo uno scossone che fece traballare tutto ciò che era all' interno della cabina, la ceramica brillò intensamente d' una luce blue per pochi secondi, prima di tornare lentamente al suo colore originario, mentre il fischio svanì completamente, lasciando dietro solo il cigolio.

Le luci sul soffitto cangiarono il loro colore in verde, oltre che a cambiare disposizione, creando quindi un nuovo messaggio, ovverosia “Siamo Arrivati a destinazione. State Lontani dai Muri, Uscite con Calma. Grazie per aver viaggiato con noi!” poi seguito dal suo equivalente francese. Dopo pochi secondi, il boccaporto rilasciò un gran sbuffo di vapore, prima di cominciare ad alzarsi a velocità pari a quella di un bradipo gravido, rivelando la pista d'asfalto, male illuminata da poche striminzite luci al neon installare ai lati e dalla luce solare proveniente dall'entrata della caverna. Oltre a rivelare ciò, l' apertura del boccaporto fece entrare una forte corrente d' aria fresca, una talmente fredda che quasi spinse Saverio a tremare e a respirare a pieni polmoni ad intervalli alterni, prima di decidere definitivamente di godersi l'aria nuova.

<< Niente di meglio che l' aria della mia Linea Temporale dopo un lungo viaggio dentro una di queste navette tagliamtempo, >> bisbigliò, poco prima di odorare il puzzo di gomma bruciata ed olio per motori proveniente dai lati. <

I passeggeri cominciarono a scendere quattro a quattro dal veicolo, prima di avviarsi verso il lato sinistro del veicolo al fine di prelevare i loro bagagli dall'apposito compartimento. Saverio s' affrettò a recuperare la sua valigia, poco più di una scatola di cartone foderata col feltro e chiusa con fibbie da cintura alquanto usurate, e s'avviò spedito al di fuori della caverna col suo bagaglio in mano.

<> sussurrò fra sé e sé, mentre egli si infilava le mani in tasca al fine di afferrare la sua carta d' identità e la sua chiavetta elettronica con tutti i documenti necessari. <>

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Sceso alla stazione della metro di Piazza Corvetto, Saverio s'incamminò lentamente su per la scalinata semideserta che portava alla piazza rotonda, ove, assieme vecchi autobus alimentati a metano che giravano pigramente, auto di fattura molto recente (o quantomeno ne davano l'aspetto) con il tubo di scarico gocciolante d'acqua percorrevano le strade sotto lo sguardo vigile di una bronzea stata equestre, dei condomini coperti da una corazza di impalcature di cantieri, e deile palazzine rimesse a nuovo con facciate dipinte a colori vivaci e adornate da statue e fregi di fattura a prima vista discutibile. Sopra tutto ciò il cielo minacciava la pioggia attraverso nubi di colore plumbeo mosse da un pigro vento.

Dopo essersi fermato brevemente sull'ultimo scalino della scalinata per valutare la situazione, egli si mise di buona lena a camminare verso la sua destinazione finale, vale a dire gli uffici la sezione genovese della sua agenzia, la Crono-Ita, locati all'interno di un palazzo rosso-bianco con base in bugnato e piani superiori presentanti solo l' occasionale nicchia statuaria negli spazi fra le finestre. Saverio, essendo davanti alla lunga lista di campanelli e relative targhette del palazzo, suonò il citofono distrattamente.

<> Una voce di donna avanti con gli anni e apparentemente seccata. <>

<< Marisa, ringrazia il cielo che ero io, altrimenti erano guai grossi per te..>> Disse, massaggiandosi la fronte e lasciandosi scappare un sospiro esasperato, nel mentre che il suddetto citofono rilasciava un lieve scoppiettio.

<< Pensi che la cosa m'importi qualcosa ormai? >> Rispose Marisa, poco prima che la porta si sbloccasse con un rumore secco di metallo. <>

Egli scosse la testa, spingendo il pesante portone blindato foderato con legno d'acero per accedere al relativamente spoglio ingresso del palazzo e, di conseguenza, alla scalinata in cemento pitto di bianco dinanzi a lui e all'arrugginito ascensore a gabbia, probabilmente mai pesantemente rimaneggiato fin dalla sua installazione quasi un secolo e mezzo prima.

Dato un breve sguardo all'opzione più rischiosa ma più comoda sulla carta, Saverio si accinse a salire su per decine su decine di gradini, fino a giungere al piano desiderato, segnalato da un pavimento in linoleum ancora profumante di cera e da una titanica porta scorrevole in vetro verde smerigliato e cornice in metallo decorata a volute e spirali: tale porta presentava una maniglia a forma di cariatide in abiti contadinella e la scritta, in caratteri cubitali e atti a sembrare usciti fuori da un manoscritto Seicentesco, dichiarante “Agenzia di Collocamento, Smistamento e Sopralluogo Temporale Crono-Ita. Sezione Genova e Metropoli.”

<< Decorazioni esagerate per una porta, ma, d'altra parte, questo è quello che va per la maggiore di questi tempi...>> sussurrò con un ghigno minuscolo una volta afferrata  la testa della cariatide, prima di spingere verso sinistra ed entrare nell'ufficio, odorante di caffè e inchiostro e minimamente silenzioso.

<< Giornata lenta, eh?>> Commentò Saverio, nel mentre che girava la testa verso la postazione di Marisa, la quale era ingobbita su una tastiera mentre digitava un qualche documento.

<> rispose lei con tono di chiara seccatura, mentre alzava la testa per rivelare la sua gobba a malapena nascosta dalla giacchetta rosa-nera che stava indossando, mentre la sua faccia, incorniciata da  aspersi crespi capelli grigio-bianchi, era rugosa come un lenzuolo mal stirato ricoperta di nere voglie. <>

Saverio rise mentre si copriva la bocca con la sua mano destra – usando la sinistra al per invece appoggiarsi al paravento in pioppo.

<> Saverio battè il tacco sul pavimento, dinanzi al suo vuoto di memoria. <>

<> Marisa disse in maniera monotona. <>

<> Le rispose Saverio mentre s'incamminava verso la stanza di Johanna poco più avanti. Marisa rispose con uno sbuffo sdegnato, prima di tornare alla sua posizione precedente da serva gobba.

L'ufficio di Johanna, nascosto da una porta bianca con maniglia semi-arrugginita, era – causa pile di documenti impilati gli uni sugli altri contro le pareti e arrivanti quasi fino al soffitto –  poco più d'uno stanzino, in cui gli unici suppellettili erano un vecchio tavolo con superficie di plastica un tempo bianca, spigoli arrotondati a gambe di metallo sinuose e lisce, così come andava di moda tre-quattro decenni prima, ed una sedia dello stesso stile.

L'occupante abituale, dal canto suo, probabilmente manteneva quell'arredamento per nostalgia, in quanto era una donna da poco uscita dalla gioventù, di bassa statura; la pelle sua color cipolla soffritta troppo a lungo visibile solo dalle mani a causa della camicia a maniche lunghe verde e gialla che aveva indosso; il suo volto coperto da lunghi e radi capelli neri.

<> Saverio marciò con passi lenti e pesanti verso il tavolo di Johanna, la quale non sembrò scomporsi minimamente. <>

Johanna rimase con la testa nascosta dietro due pile di fogli.

<> disse, il suono di una penna scribacchiante su carta proveniente da dietro i fogli. <>

Saverio alzò gli occhi al cielo e sbuffò mentre tirava fuori il foglietto d'agenda dalla sua tasca, prima di leggere il totale del suo resoconto spese.

<> Disse. <>

<> Johanna rispose seccamente ancora china sui documenti.

<> Saverio commentò, prima di fermarsi a rovistare fra le pile dei fogli al lato destro della stanza. <>

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Capitolo 2
*** 2- Sulla Strada da Genova a Sonora ***


~Dopo essere passato a ritirare il denaro che gli spettava ad un bancomat sotto l'edificio, Saverio prese la decisione di tenersi il denaro appena ottenuto e di non perdere tempo a cambiare le banconote di talleri borgognoni che ancora aveva nel portafoglio, e quindi andare a piedi fino alla sua destinazione, situata a a nord-est rispetto a Piazza Corvetto. Così, fattosi una lunga camminata sul marciapiede di Via Assarotti – via che a causa di recenti eventi era stata allargata e i cui edifici erano stati per la maggior parti ricostruiti seguendo le linee guida dello stile più in voga – e dopo essersi infilato in una viuzza secondaria, una intitolata ad un pioniere minore di nazionalità italo-siriana della tecnologia che permetteva lo spostamento fra linee temporali, Saverio arrivò finalmente alla sua destinazione, una palazzina le cui inferriata verniciate di bianco mostravano vistose tracce di ruggine e squamature significative, con la facciata ridotta a nudo cemento intervallato da intonaco e misere tracce di graffiti commissionati dal Comune, ed un portone in vetro smerigliato con vistose crepe ed una struttura di supporto in ferro ossidato.

Saverio, salito sui due gradini in cemento scheggiato e ricoperti con un un mosaico di ceramica verde ormai mezzo distrutto, voltò il suo sguardo verso il muro alla sua sinistra, ove vide il bronzeo citofono a quattro campanelli ma una sola targhetta leggibile.

<> Lesse Saverio giusto per stare sul sicuro, prima di suonare il campanello. Ciò provocò un forte suono di radio accesa dentro una galleria e causò il rilascio di piccole scintille dal citofono, cosa che fece sobbalzare all'indietro Saverio.

<> Si domandò egli, sbuffando e riprendendo la ben più dignitosa postura originale, nel mentre che il suono di statico veniva sostituito da un ronzio sommesso ed, infine, una voce.

<> La voce era gracchiante, il tono a metà fra il contento e l'esasperato e l'accento era un'unione cacofonica di un accento francese e di uno olandese-tedesco. Saverio si fece scappare un ghigno sardonico, riconoscendo immediatamente la voce.

<> Dichiarò, volgendo gli occhi fissi al piano superiore casomai Aerts si fosse affacciato.

<> Disse con stanca eccitazione il cliente belga, prima che facesse rilasciare al portone un fragoroso scoppio metallico. <>

Saverio scosse le spalle ed entrò, attraversando l'atrio, un rettangolo con le pareti arancioni chiazzate di muffa, tanto spoglio quanto odorante dell'odore di spazzatura lasciata al sole per giorni e medicine scadute, e salendo le scale in cemento e pietra grigia accompagnate da una ringhiera fatta con i resti di cassette di frutta sia di plastica sia di legno, superando pianerottoli con porte blindate sgangherate lasciate aperte su muri di mattoni e cumuli di immondizia ostruenti gli angoli, fino ad arrivare al terzo piano: lì lo aspettavano una porta di metallo verniciata a strisce verticali nere, gialle e rosse e due vasi contenenti due cactus ad un passo dal decesso. Non appena Saverio mise piede sul piano, la porta s'aprì d'improvviso, rivelando così il signor Aerts: un uomo sulla sessantina, con radi capelli grigi e barba sul collo maltenuta, indossante una camicia cammello con pantaloni larghi dello stesso colore e pantofole nere, le sue mani -- raggrinzite e piene di voglie come quelle d'un uomo più anziano di lui – l'una teneva fermamente una canna di bambù chiusa da ambedue estremità da due tappi di plastica rossa e l'altra era molto probabilmente occupata ad usare la maniglia come supporto.

<> Disse, voltando molto lentamente le sue spalle a Saverio e camminando altrettanto lentamente. <>

Saverio espresse il suo rifiuto con un <> ed entrò finalmente nella dimora del signor Aerts, ove fu subito accolto dagli odori già presenti nella tromba delle scale ma moltiplicati per quattro in intensità; dalla vista di un divano bianco-grigio coperto di macchie di colore variabile dal marrone al grigio scuro, bottiglie in plastica d'acqua e di vino extratemporale poco pregiato sparpagliate sul malconcio pavimento in ceramica verde assieme ad incarti dei panini di Pollo-Pot e scatolette di carne in scatola, il tutto sovrastato da un gigantesco dipinto astratto di uno sfondo viola a righe arancioni.

Storcendo il naso e resistendo al desiderio di fare versi sconvenienti, Saverio seguì Eugène svoltando a destra e facendosi accompagnare nel cucinino ricoperto di sporcizia varia e con un frigorifero dall' aspetto così dimesso che, se fosse stato trasformato in un essere umano, si sarebbe suicidato per la depressione.

<> Eugène, dopo aver appoggiato il suo bastone al vicino tavolo in plastica bianca, si sedette su una delle sedie con sedile in plastica gialla intrecciata e base in metallo corroso, accavallando le sue gambe e facendo un gesto di calmo invito con la sua mano destra. Saverio avvicinò a sé una sedia e, dopo essersi assicurato con una fugace occhiata di non sedersi su uno strato di sporcizia o su corde spezzate, si sedette su di essa, utilizzando la mano libera per tirare fuori il foglietto degli appunti presi.

<>

Il volto del suo cliente s'illuminò d'improvviso.

<> Disse Eugène con un fiacco battito di mani.<>

Saverio si schiarì la gola con un falso colpo di tosse e, messo il foglietto dinanzi ai suoi occhi, si piegò in avanti.

<> dichiarò, una sottile vena di sarcasmo pungente corrente sotto le sue parole. <>

Due squilli di tromba, seguiti dalle prime note de "Il Canto dei Valloni" lo interruppero sovrastando le sue parole e spingendo Eugène ad estrarre dalla tasca posteriore dei pantaloni un cellulare inglobato in un bozzolo in gomma rosso-giallo.

<> Disse, tenendo il telefono di fronte a sé, prima di gracchiare una breve frase in quella che Saverio poteva solo supporre essere vallone e, poco dopo, avvicinarsi il telefono all'orecchio: la sua previa espressione rilassata si trasformò mano a mano che il tempo passava – e, presumibilmente, il dialogo andava avanti – con i suoi occhi che si sgranavano e una smorfia di sbigottimento veniva accennata dalla sue labbra. Piegando la sua schiena in avanti e guardando alla sua destra verso il frigo mezzo distrutto e il lavello incrostato, egli finalmente rispose al suo interlocutore con una domanda, sempre detta nella lingua vallona, a cui seguì quello che sembrava un botta e risposta sempre più serrato ed esagitato, per poi calmarsi e arrestarsi tutto d'un colpo,, Eugène che parlava ben più pacatamente e che aveva raddrizzato la sua schiena. Poco dopo, con un gesto di saluto fatto all'aria, egli diede presumibilmente i suoi saluti e chiuse la chiamata con un gracchio ulteriore.

<> Domandò Saverio, poggiando su uno dei suoi ginocchi e piegandosi n avanti, cosa che spinse il suo cliente a tornare alla sua posizione originaria.

<> Disse con un chiaro retrogusto di delusione, prima di alzarsi e di muoversi vero il frigo. <>

Saverio scrutò il volto di Eugène, cercando di comprendere ciò che la sua espressione poteva tradire riguardo la verità, data la situazione.

<> Domandò in tono beffardo, solo per essere risposto in maniera indignata.

<> Rispose. <>

Saverio, non molto convinto ma neanche troppo interessato ad indagare più a fondo, annuì e rialzò la testa.

<>

<> Eugène disse scrollando le spalle. Saverio si massaggiò il mento irsuto, prima di tornare a leggere il foglio.

<>

Eugène si piegò in avanti, massaggiandosi il mento e mormorando per circa un minuto, prima di emettere un responso.

<> Esclamò Eugène, tendendo la mano destra verso Saverio mentre con la sinistra rovistava nella sua tasca equivalente. <>

Saverio scosse la testa in segno di conferma, gli strinse la mano, poi prese le banconote dalle sue mani e se le infilò in tasca con un unico fluidissimo gesto.

<> Disse mentre lascia l'appartamento a passo lento, prima di accelerare il passo per uscire dallo stabile fatiscente.

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Una volta fuori dalla palazzina in cui abitava il signor Aerts, Saverio si era diretto a cambiare i suoi talleri alla filiale vicina a casa sua di una grande banca, poi s'era incamminato verso casa sua, un appartamento non troppo lontano dal centro di Genova, contenuto all'interno di una palazzo costruito al posto di una succursale di una catena di accessori tecnologici un tempo famosa e rispettata: tale palazzo coperto in un tripudio di statue, sia contenute dentro delle nicchie sia usate come cariatidi e atlanti, ma tutti agghindiate negli stili più diversi d'ogni tempo e universo alternativo conosciuto; piani a muro dipinto a marmo alternati a lastricature in pietre policrome; ed infine balconi con tende sostenute da bronzi di forma arborea.

Aperto con le chiavi il portone in bronzo e legno figurante una breve storia di Genova, Saverio entrò nell'atrio pavimentato in marmo grigio e con le pareti in rosso pompeiano ricoperte con arazzi intessuti ad arabesco nei colori più svariati. Le scale in granito erano accompagnate al lato sinistro da una ringhiera con sostegni a spirale e al lato destro da pareti grigio-lavanda, intervallate a ciascun piano da una riproduzione a fresco in scala maggiorata di un dipinto quattro-cinquecentesco o uno effettivamente barocco.

Dopo cinque rampe di scale, Saverio una riproduzione in affresco della "Giuditta con la Testa di Oleoferne" apparirgli dinanzi agli occhi, segno che era giunto al suo piano. Senza pensarci su, prese il suo mazzo di chiavi, selezionò ed infilò la chiave della porta blindata nella serratura, per poi girare a sinistra facendola schioccare con forza. Fatto ciò, Saverio s'appoggio al gigantesco pomo in ottone e spinse, entrando finalmente nel suo appartamento.

Passato attraverso lo stretto e scarno corridoio, Saverio arrivò nel suo salotto-cucina, si sdraiò sull'infeltrito divano color verde foglia con bordi del colore della castagna, e levò un profondo sospiro, mentre fissava il soffitto scamorza e gli stucchi botanici bianchi ai bordi. Il suo breve riposo fu subito interrotto da un assordante raglio d'asino, cosa che lo fece balzare in piedi e correre verso il tavolo in legno scintillante di lacca al fine di afferrare il cellulare che giaceva sul tavolo, afferrandolo con la mano ed urlandogli <> prima di metterlo all'orecchio.

<> Saverio domandò preoccupato, solo per sentirsi rispondere da un fastidioso gracidio.

<> Marisa parlò una volta smesso di ridere, cosa che spinse Saverio a storcere il naso in preda all' irritazione.

<>

<> Marisa disse sempre ridacchiando. <>

Saverio si coprì il volto con una mano, grugnendo infastidito.

<> Disse. <>

<> Marisa dichiarò. <>

<> Disse lui con un sospiro esasperato.

<> Dichiarò Marisa con una voce quasi disinteressata, al livello che Saverio se la stava figurando mentre si guardava le unghie. <>

<> Saverio rispose, lasciando dietro di sé silenzio per pochi secondi, prima di continuare. <>

<> Continuò Marisa. <>

Egli sospirò un'altra volta, prima di avviarsi verso il frigorifero con ante in finto mogano intagliato a stemma nobiliare.

<>

 

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