Europei 2016: quando il calcio diventa guerra

di Generale Capo di Urano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Francia-Romania (2-1) ***
Capitolo 2: *** Austria-Ungheria (0-2) ***
Capitolo 3: *** Belgio-Italia (0-2) ***
Capitolo 4: *** Germania-Polonia (0-0) ***
Capitolo 5: *** Italia-Spagna (2-0) ***



Capitolo 1
*** Francia-Romania (2-1) ***


Francia Romania


*Francia - venerdì 10 giugno, ore 21 (fuso orario francese)*
Francis non era solito mostrarsi come un ultrà assatanato, di quelli che ad ogni minima mossa saltano in piedi ed urlano come se non ci fosse un domani, di quelli che durante le partite importanti tappezzano la casa con i colori della propria squadra e che strombettano con le vuvuzela persino a casa propria, ma c’erano sempre quelle occasioni in cui anche lui perdeva la sua naturale eleganza e si lasciava andare ad un tifo scatenato - sempre e solo, però, se era a casa da solo.
Per questo durante quelle partite tendeva a chiudersi in casa e a non rispondere a niente e nessuno, proprio come quel giorno; giusto per non doversi giustificare per eccessive dimostrazioni di gaudio o di disperazione, dipendeva dai casi.
Nel caso specifico, neppure lui sapeva come sentirsi. Se chiunque fosse riuscito ad entrare nel suo salotto, se lo sarebbe ritrovato seduto sul divano, con una bandiera rovesciata malamente su di uno dei braccioli e gli occhi sgranati, a pochi centimetri dal televisore. Avrebbe continuato a mangiarsi le unghie, se non le avesse già finite –aveva preso, infatti, a mordicchiare un angolo del suo vessillo (non era vilipendio alla bandiera? Neppure se ne stava rendendo conto in realtà).
Quell’ 1-1 in bella vista nell’angolo in alto a sinistra lo innervosiva terribilmente. Lui non poteva perdere, non poteva! Certo che la squadra non sembrava impegnarsi davvero per far sì che ciò non accadesse…
Ad un certo punto sgranò gli occhi ancor più di prima e si avvicinò talmente tanto allo schermo da far sembrare che ci volesse cadere dentro. Un uomo, un solo uomo l’avrebbe salvato.
«Payet… VAI, PAYET!»


*Romania - venerdì 10 giugno, ore 22 (fuso orario rumeno)*
Trattenere le urla era davvero un’impresa, ma le minacce di Petar di tappargli la bocca con lo scotch e di legarlo al divano fino alla mattina successiva erano state abbastanza convincenti.
Mihai aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro, mentre teneva gli occhi incollati alla TV e stringeva le dita attorno alla coscia destra del bulgaro, il quale si tratteneva dall’allontanarlo solo perché riconosceva il nervosismo e l’emozione che sentiva il compagno. La sua non era una di quelle squadre su cui si scommette, di quelle che spiccano sempre tra i più forti e su cui si pongono le speranze per le migliori finali, ma quel giorno parevano davvero carichi e pronti a farsi valere sull’intera Europa.
Quel pareggio non faceva che eccitarlo ancora di più –stavano tenendo testa alla Francia, per Diana!
I francesi non parevano cavarsela particolarmente in quell’occasione, e già sognava un gol che non avrebbero potuto evitare, che avrebbe ribaltato le sorti della partita. Poi accadde, ma non come se l’aspettava.
Vide un giocatore in maglia blu sollevare il piede, e tutto gli apparve a rallentatore; sentì le braccia di Bulgaria stringerlo, quasi cercasse di fargli forza. «No…no…»
Payet calciò.
«NOOOOO!!»
Nicolae sobbalzò nel suo lettino, svegliato di colpo dalle urla del fratello che provenivano dal salotto.
 
 



*Italia – venerdì 10 giugno, ore 21 (fuso orario italiano)*
Probabilmente molti si sarebbero chiesti perché quei due stessero guardando una partita che non li interessava direttamente, ma nessuno poteva tenere i due italiani lontani dal televisore se si parlava di calcio. E poi, sinceramente, non era del tutto vero che non li riguardava: dopotutto, dando per scontato che fossero passati, una delle due squadre sarebbe potuta finire anche contro di loro.
Ricordando certe esperienze, non restava che sperare che fosse la Romania.
Romano era talmente concentrato sulla partita che non si prendeva neanche la briga di scansare il fratellino che gli stringeva il braccio, mentre saltellava irrequieto sul divano.
Sembrava andare tutto per il meglio, finché una voce non li fece raggelare. “La Francia oggi sta giocando male, non se la sta cavando per nulla bene…”
Entrambi si bloccarono sul divano, due paia di occhi sgranati in espressioni a dir poco inorridite. «No…» gemette Veneziano, portandosi le mani al volto mentre il maggiore le stringeva da tutt’altra parte, sibilando imprecazioni tra i denti.
I campioni della gufata, ecco cos’erano. E accadde.
Un calciatore in maglia blu, la porta, il calcio. I boati dei tifosi francesi. E i due italiani che si accasciavano sul divano. «Mamma mia…»
Feliciano strinse le dita attorno alla cornetta del telefono; una voce rotta gli rispose dall’altro capo. «Pronto?»
«Mi dispiace, Mihai…»
«E-eh?»
«Mi dispiace… perdonaci.»








Angolo ultrà
I telecronisti italiani sono dei gufatori!
E niente, probablimente dovrei aggiungere qualcosa di intelligente ma mentre pubblico ciò l'Italia ha vinto quindi ho solo una cosa da dire: POO PO PO PO PO POO POOOOO, POO PO PO PO PO POO POOOOO *salta sul divano*
ALLA FACCIA VOSTRA, BELGI! Ok la pianto.

 
 

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Capitolo 2
*** Austria-Ungheria (0-2) ***


Austria Ungheria

*Austria – martedì 14 giugno, ore 18 (fuso orario austriaco)*
Era cominciato tutto per il meglio.
Già entro il primo minuto l’Austria pareva essersi imposta sugli avversari, decisa a non farsi surclassare. Il palo di Alaba sembrava preannunciare novanta minuti di dominio assoluto, e Roderich rimase per qualche minuto rilassato sul divano, le mani poggiate sulle ginocchia e nessuna vena di preoccupazione a velargli il volto perfettamente calmo e composto.
Finse di non sentire le unghie feroci della moglie artigliargli la coscia sinistra in un’automatica reazione nervosa, mentre la donna teneva gli occhi incollati al televisore con sguardo inquieto.
Quel clima però non durò più di dieci minuti; più tardi Roderich avrebbe detto a se stesso che quegli Europei sarebbero passati alla storia come “la rivolta delle Nazionali senza speranza”, oppure “come fu che le squadre più gettonate impararono ad abbassare la cresta”.
Presto la squadra magiara dimostrò che poteva benissimo tenere testa ai rivali, mostrando che, sebbene non avessero dei singoli con particolari abilità, riuscivano comunque a giocare in maniera incredibile.
Elizaveta aveva perso quell’iniziale aria seccata e aveva cominciato a fare il tifo –decisamente esagerato, l’avrebbe definito Austria, ma l’ungherese non era tipa da starsene buona e calma davanti a una tale partita.
Incitava i propri giocatori e ogni tanto si lasciava andare ad espressioni anche piuttosto colorite, “come un vero uomo!” avrebbe detto Prussia. Dal canto suo, il marito rimase seduto, limitandosi a qualche sbuffo appena accennato e a lampi di speranza che però si spegnevano in poco tempo.
 Alla fine del primo tempo, ancora nulla. Roderich si permise di appoggiarsi con la schiena sul divano, accompagnato da un sospiro lieve, mentre la moglie si girava verso di lui con un enorme sorriso stampato in volto. «Stanno giocando bene, no?»
Aveva i capelli scompigliati e le guance rosse per l’emozione; le spostò delicatamente una ciocca dietro l’orecchio, con un sorriso debole. «Sì, è stato un po’… inaspettato.»
Il secondo tempo iniziò, così come l’agitazione e le preghiere. L’Austria sembrava essersi ripresa e il suo rappresentante ricominciò a nutrire qualche speranza, ma anch’essa durò poco. A soli diciassette minuti dall’inizio del tempo, ecco che l’Ungheria si portò in vantaggio e la donna scattò in piedi, con un urlo di gioia.
Il compagno si prese il volto tra le mani, ignorato da Elizaveta che non staccò gli occhi dal televisore neanche un istante, mordendosi le mani per evitare di strillare troppo.
Roderich rischiò sul serio di lasciarsi andare ad espressioni ben poco eleganti quando Dragovic venne espulso, ma in qualche modo riuscì a trattenersi e la partita andò avanti tra altri e bassi, l’Austria ridotta ad avere un giocatore in meno nel campo.
All’87’, ogni speranza che poteva essere rimasta crollò con il secondo gol della squadra magiara. Quella volta Ungheria non provò neanche a trattenersi e lanciò urla di giubilo che si sentirono probabilmente per l’intera via –con sommo disappunto degli austriaci che la abitavano e che con molta probabilità avevano assistito a loro volta a quella rete che li aveva sconfitti.
Più nulla di interessante da lì in avanti –nessuno aveva la fortuna dei francesi e dei loro gol salvatori al novantesimo.
L’uomo rimase seduto sul divano, strofinandosi le palpebre chiuse al di sotto degli occhiali; la moglie lo fissò a metà tra il gioioso e il preoccupato. «Tranquillo, vi rifarete la prossima volta!»
«Eh? Ma sì, tranquilla.» non avrebbe mai osato mostrarsi abbattuto per una sciocca partita, ma Elizaveta era perfettamente in grado di rendersi conto di ciò che provava il marito; sorrise, con fare quasi malizioso.
«Allora non ti dispiacerà festeggiare con me, vero?»
Roderich sollevò lo sguardo, stupito. «Che intendi dir- Veta, aspetta, Veta!»
Per un paio di secondi non vide più nulla, riuscendo solo a sentire un forte botto e un gran dolore alla testa dopo che la donna aveva fatto cadere all’indietro il divano nel saltargli addosso con un impeto decisamente troppo energico.


*Austria – martedì 14 giugno, ore 20 circa (fuso orario austriaco)*
«Complimenti, signorina Ungheria! È stata una partita splen- che è successo?»
Veneziano aveva spalancato vivacemente la porta senza neanche bussare, piombando all’interno del salotto dell’austriaco con un sorrisone allegro e beato.
Si ritrovò davanti agli occhi un Roderich decisamente seccato, con una mano alzata a tenere un sacchetto di ghiaccio fermo sulla testa. «Non ti ho insegnato a bussare, Italia?»
«S-sì, mi dispiace…»
«Oh, Ita caro, qual buon vento ti porta?»
L’italiano sorrise all’ungherese appena entrata nella stanza. «Signorina Ungheria! Dobbiamo festeggiare!» Le mostrò la bottiglia di vino che aveva portato, facendo alzare un sopracciglio al povero austriaco e sorridere la magiara che non perse tempo e accettò l’invito del ragazzo.
«Bevi anche tu, Roderich?»
«Ma, Veta, aspetta…»
Un lampo malizioso negli occhi della moglie gli fece capire che loro due avrebbero festeggiato più tardi.







Angolino austroungarico
LA MIA OTP AAAAAAAAAAHHHHHHH--
E niente, non potevo far soffrire troppo il povero Roddi :') ma neanche dargli troppa soddisfazione(?) E-uhrm, sento che molte partite finiranno così. Il calcio dà molte soddisfazioni *pedoluna*

Norberto: no seriamente, curati. Hai dei problemi.

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Capitolo 3
*** Belgio-Italia (0-2) ***


BelgioItalia


*Belgio – lunedì 13 giugno, ore 21 (fuso orario belga)*
Erano tra le favorite, dicevano. Avrebbero sicuramente vinto, dicevano.
Da un iniziale stato di euforia e un energico tifo che avrebbe fatto intimidire chiunque, Manon era passata ad una fase di crisi nervosa e isterismo acuto che si manifestava stringendo convulsamente tra le dita l’orlo della bandiera belga e gemendo imprecazioni contro la terribile difesa italiana.
Dal canto loro, Michel e Abel tenevano d’occhio la sorella con fare preoccupato, l’uno cercando di trovare un modo per rassicurarla e l’altro già pronto ad uscire di casa per andare a prendere un certo Romano e trascinarglielo davanti di peso per costringerlo a consolarla.
Per almeno un’ora la povera ragazza era rimasta in quello stato, tra le lievi speranze che si presentavano ogni volta che i suoi giocatori riuscivano anche solo ad avvicinarsi alla porta avversaria e i colpi al cuore di ogni tiro degli avversari. Dal 32’ in poi non aveva fatto alto che supplicare per quel gol che li avrebbe fatti almeno pareggiare, ma a nulla parevano servire le sue preghiere.
Al 92’, il colpo di grazia. Trattenne il fiato, mentre Lussemburgo la raggiungeva quasi temesse di vederla svenire da un momento all’altro; sentì che le stringeva l’avambraccio, chiamandola allarmato.
Rimase lì ferma davanti al televisore, con lo sguardo basso e nelle orecchie le grida esultanti dei tifosi italiani.

*Italia – lunedì 13 giugno, ore 21 (fuso orario italiano)*
Già dall’inizio della partita, Romano si ritrovò in una crisi, incastrato tra il suo insuperabile spirito patriottico e l’amore per la sua bellissima Manon –cosa poteva fare? Certo che voleva che la sua squadra vincesse! Ma come l’avrebbe presa, lei?
Si consolò con il pensiero che dopotutto Belgio era una donna –non che non potesse amare il calcio per questo, ma probabilmente non ne era ossessionata come loro, giusto? Probabilmente era solo un modo per auto-convincersi di poter fare l’ultrà davanti al televisore senza problemi, ma funzionò, grazie anche all’entusiasmo di Veneziano che saltava sul divano con il viso dipinto e armato di vuvuzela azzurra.
Il programma era formidabile: calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, rutto libero!* Aspettate, un dejà vu…
Tutti potevano anche nutrire poche speranze, ma loro credevano ancora nella loro squadra. La speranza è l’ultima a morire, dicono, giusto?
E infatti, dopo mezz’ora, ecco il primo gol di Giaccherini, che li fece saltare in piedi ed esultare come forsennati. Il maggiore alzò un pugno in aria, mentre Feliciano aveva già preso in mano il telefono per rendere partecipe della sua gioia il povero Germania, con urla del tipo “Vinceremo!” “Aspettaci!” e “Quando saremo passati vi faremo il culo come tutte le altre volte!”
Era così fiero del suo fratellino.
I restanti minuti di gioco li avevano passati stringendosi a vicenda, tra incitamenti appena sibilati e grida di disappunto per ogni gol mancato, finché, al 92’,  grazie a Pellè, era successo.
«GOOOOOOOOOOOL!!»
Un unico boato si alzò in tutta Italia, e i due fratelli saltarono in piedi abbracciandosi tra grida di esultanza. Gliel’avevano fatta vedere, a quelli! (O, testuali parole di Romano, “Gli abbiamo fatto un culo così!”) Altro che favoriti!
Si accasciarono sul divano rilassati, con dei sorrisi a trentadue denti dipinti sui volti beati. Veneziano si girò verso il più grande: «Ci avranno sentito fino in Belgio!»
L’espressione di Romano cambiò. «Già… in Belgio…»
 


*Belgio – lunedì 13 giugno, ore 23 circa (fuso orario belga)*
Qualcuno bussò alla porta. «Manon… Manon, sono io!»
La belga sospirò, tirando su col naso e andando di malavoglia ad aprire la porta. «C-che vuoi?»
A Romano si spezzò il cuore nel vederla ridotta in quello stato; si sentì quasi in colpa per tutto l’esultare di poco prima. «Va tutto bene?»
«Certo che va tutto bene, perché non dovrebbe andare bene? È solo una stupida partita di calcio, dopotutto!» La sua voce pareva essersi alzata di un’ottava, mentre lo fissava con gli occhi lucidi e arrossati. L’italiano temette che stesse per avere una crisi isterica da un momento all’altro.
«D-dai, amore…» Fece per entrare in casa a consolarla, ma la ragazza non parve d’accordo. «Non ne voglio parlare, vai via.»
«Ma, Manon-»
«VAI VIA!»
Cercò di chiudergli la porta in faccia, ma Romano la bloccò con un piede, tra gemiti di dolore. «Dai, fammi entrare… ti prometto che non parlerò della partita.»
Manon socchiuse l’uscio e lo tenne d’occhio a metà tra il minaccioso e il depresso. «Non farai commenti su come hanno giocato?»
«Lo giuro.» La belga aprì la porta e il fidanzato sorrise mentre metteva un piede avanti per entrare. «Certo però, che il più divertente era il tizio con quel cespuglio sulla testa!»
Cadde all’indietro, con il naso sanguinante dopo che la ragazza gli aveva sbattuto la porta in faccia.
 
Rimase a guaire per il dolore davanti alla porta per una decina di minuti, finché ad aprire non fu qualcun altro. Abel lo fissava con sguardo glaciale, quasi ad accusarlo per lo stato in cui si trovava la sorella, prima di afferrarlo per le spalle e trascinarlo dentro.
Lo trascinò ai piedi delle scale, spingendolo su in un tacito messaggio: “Ora tu vai su e la consoli.”
Esitò. «Non so, non mi pare abbia voglia di parlare con me… non è che ha le sue cos- ho capito, vado.» Un lampo feroce negli occhi del fiammingo lo convinse a salire le scale e a bussare nuovamente, stavolta alla porta della camera della ragazza. Entrò silenziosamente, trovandola raggomitolata tra le coperte.
«Manon-»
«Vai via.»
Quella volta però l’italiano non ci fece caso, avvicinandosi per poi sdraiarsi accanto a lei e stringerla da dietro. Ci volle un quarto d’ora buono, ma alla fine ella si decise a girarsi verso di lui e riprendere a parargli.
«Allora, ti lasci consolare ora?»
Belgio annuì, sorridendo di nascosto tra le coperte.







*passatemi la citazione, pls--

Angolo patriottico
Cuccioli, loro :') I miei piccolini adorati~ <3
Loro sono l'amore, ma ciò non toglie che VI ABBIAMO FATTO IL CULO, BELGI! ...prima o poi mi passerà lo sclero...davvero.
E siccome Scottie non vuole essere spammata (tanto la tua storia è comunque nella prima pagina quindi MUHAHAHAHAHA- te se ana), mi limito a ringraziare lei e la mia bellissima moglie per le idee :*
Austria-Ungheria anche loro 0-2, dev'essere la maledizione delle mie OTP :D 


 

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Capitolo 4
*** Germania-Polonia (0-0) ***


GermaniaPolonia

*Italia – giovedì 16 giugno, ore 20 circa (fuso orario italiano)*
Romano stava cominciando seriamente a perdere la pazienza.
Durante l’intera giornata Veneziano non aveva fatto altro che piagnucolare, ora buttato malamente sul divano con la faccia affondata in un cuscino, ora camminando avanti e indietro dal salotto alla cucina con fare pensieroso.
«Ne hai ancora per molto?» sbottò alla fine, mentre puntava contro il fratellino il mestolo di legno con cui stava rigirando un impasto preparato per chissà che cosa.
«Fratellone, cosa devo fare?» Feliciano si mise le mani tra i capelli. «Feliks è il mio migliore amico, ma Ludwig è…»
«Ludwig è…?» lo incalzò il maggiore con tono minaccioso.
«… il mio… migliore amico?» concluse il settentrione, ridacchiando nervosamente, ma subito dopo tornò a lamentarsi. «Cosa faccio, cosa faccio?»
Il telefono squillò. Romano pensò bene che mandarlo a rispondere potesse distrarlo, ma non appena il più piccolo riattaccò riprese a lagnarsi più forte di prima. «Che faccio, che faccio?»


*Germania – giovedì 16 giugno, ore 21 (fuso orario tedesco)*
Ludwig si era preso il volto tra le mani ed era rimasto in quella posizione per almeno un quarto d’ora. Veneziano cercava di consolarlo, dicendogli che era lì per sostenerlo, prima che Polonia lo prendesse per un braccio e lo trascinasse nella “sua zona”, cioè la sua parte di divano. «Ehi, tu devi, tipo, fare totalmente il tifo per me, Feli!»
Era da circa una mezzoretta che si erano ritrovati tutti insieme nella casa del tedesco –e per “tutti insieme” s’intende l’intera famiglia germanica, quella italiana (con tanto di San Marino, Seborga e Vaticano che era scappato nella stanza accanto a giocare a carte con Lily) e Polonia, che a sua volta non aveva esitato a portare con sé anche il povero Lituania- su esplicita richiesta di Prussia che ci teneva a mostrare al mondo intero la superiorità crucca.
Intanto il maggiore dei fratelli italiani se ne stava in un angolo a fissare male il suddetto Prussia che si gustava beatamente la torta al cioccolato che lui aveva così amorevolmente preparato per farsi perdonare dalla sua Belgio e che il fratellino l’aveva costretto a portare perché “non possiamo presentarci a mani vuote, Roma!”
L’albino punzecchiava divertito il povero Austria, continuando a lodare la loro squadra e a sostenere che avrebbe dovuto solo guardare e imparare. Roderich fece solo finta di ignorarlo, non degnandolo neanche di uno sguardo –probabilmente non aveva ancora superato la sconfitta dell’Ungheria, ma mai e poi mai gliel’avrebbe data vinta! Gli restava solo che pregare perché la Polonia gli desse una bella stangata.
Svizzera si era già defilato a tenere d’occhio le uniche due persone in quella marmaglia di cui gl’importasse qualcosa, mentre Marino e Lorenzo cercavano di conquistarsi una fetta di torta senza farsi vedere da Romano.
Dal canto suo Toris, schiacciato in un angolo del divano, si disperava tra sé e sé pregando che quei novanta minuti di partita passassero il più in fretta possibile.
Gilbert alzò il volume al massimo per ascoltare l’inno tedesco mentre lo cantava a squarciagola, e neppure Germania poté negare di averlo canticchiato a sua volta, ma con tono di voce decisamente più basso. Feliks non fu certo da meno, deciso a mostrare di non temere per nulla quei maledetti mangia-patate.
Tuttavia, l’entusiasmo e l’energia del maggiore dei fratelli tedeschi durarono poco. Al contrario, ad ogni minuto che passava il polacco si esaltava sempre di più.
Non stava andando bene. Anzi, stava andando benissimo. Tutto dipendeva dai punti di vista.
La Polonia incalzava, era decisa, efficiente; la Germania resisteva, ma tutto il vigore di un tempo pareva passato. Solo una volta si rese pericolosa, rischiando un gol che però fece solo sperare i tifosi tedeschi, che però si presero più di un colpo al cuore quando gli avversari arrivarono molto vicini a segnare.
Veneziano si mordeva le mani, cercando di capire quali fossero i momenti giusti per esultare, per gridare o per sospirare di sollievo; paradossalmente, tra tutti i presenti sembrava il più teso.
Alla fine, si concluse tutto con nulla di fatto. L’espressione contrariata sul volto di Prussia e anche su quella di Ludwig –come dargli torto?- rischiarono seriamente di far scoppiare a ridere Romano, e neppure Austria si risparmiò un sorrisetto soddisfatto nel vedere la delusione dell’albino.
Feliks, al contrario, sembrava essere messo piuttosto bene: era fiero della sua squadra che aveva tenuto testa meravigliosamente ai propri rivali, e non nascondeva la sua soddisfazione mentre si vantava con Lituania e Feliciano, che dal canto suo era sollevato di non aver dovuto scegliere se esultare per la vittoria di uno dei suoi amici o essere triste per la sconfitta dell’altro.
«Siamo stati, tipo, favolosi, non è vero?»
«Beh… perlomeno siamo ancora in vantaggio.» sospirò Gilbert, passando un braccio attorno alle spalle del fratello e riprendendo il suo solito ghigno.




*Ucraina – giovedì 16 giugno, ore 00 circa (fuso orario ucraino)*
«Signorina Ucraina… tutto bene?»
La donna spense il televisore, girandosi verso i due ragazzi che la guardavano preoccupati. Sorrise dolcemente. «Certo, tranquilli. Ma che ci fate in piedi? Credevo foste stanchi.»
«Non volevamo lasciarla da sola…»
Irunya si alzò dal divano. «Oh, siete adorabili!» Si avvicinò ai due, abbracciandoli d’istinto. Dopo un primo momento di stupore, Lettonia ed Estonia si lasciarono avvolgere dalle braccia materne della donna, il primo abbandonando il capo sui suoi seni prosperosi.
«Allora tutto a posto?»
Ucraina annuì e si girò nuovamente verso la TV spenta. «Polonia farà del suo meglio… anche per me.» 







Angolino anti-patate(?)
IO SONO CON TE, POLI! E niente, povero Ita che non sa da che parte stare :') Ma soprattutto povera Ucraina, praticamente è già fuori :( 
Però nel frattempo abbiamo battuto anche la Svezia, ALLA FACCIA TUA BERWALD (<3) e Spain ha fatto il culo a Turchia...Sadiq, che mi combini! Io credevo in te! 

 

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Capitolo 5
*** Italia-Spagna (2-0) ***


ItaliaSpagna

*Spagna – lunedì 27 giugno, ore 18 (fuso orario spagnolo)*
Non era tranquillo, Spagna, quella sera.
Avrebbe dovuto esserlo? Certo, erano i campioni d’Europa, non avevano motivo di temere gli avversari; infatti non era quello l’oggetto della preoccupazione di Spagna. Voleva vincere, ovvio –amava vincere, e la partita contro Turchia l’aveva dimostrato piuttosto bene- ma temeva la reazione che un certo italiano di sua conoscenza avrebbe avuto dopo.
Si massaggiò lo stomaco nel punto in cui, quattro anni prima, Romano gli aveva dato una di quelle testate che non si scordano facilmente; e la fronte, dove si era beccato una fiera capocciata alla Aldo Baglio subito dopo essersi ripreso da quell’altra e aver avuto l’ardire di commentare con un sereno “ma è solo una partita, mi pequeño!”
Per sicurezza, non aveva osato telefonare alla sua amabile ex-colonia neanche per augurargli un semplice “che vinca il migliore!”- anche se, sinceramente parlando, anche a lui una cosa simile sarebbe sembrata una presa in giro bella e buona.
Nonostante i dubbi e i timori, non aveva intenzione di guardarsi quella partita in perenne stato di ansia. Doveva godersela! Ed ecco, nel suo salotto, pronto il televisore acceso con l’inno spagnolo a tutto volume, la bandiera appesa fuori dalla finestra come durante le feste nazionali e una bottiglia di birra gentilmente offerta dal caro Gilbert –il vino, purtroppo, l’aveva esaurito completamente dopo i festeggiamenti per la sconfitta del povero Sadiq.
 Durante la partita, in ogni caso, ebbe modo di preoccuparsi di ben altro. Com’era possibile che quella sera stessero giocando così bene?
L’Italia era sicura, era grintosa, quasi quanto il suo allenatore che pareva pronto a far crollare l’intero stadio. Due volte si vide già in svantaggio, l’una salvata dalla miracolosa parata di De Gea e l’altra per un tremendo palo- finché, al 33’, il gol di Chiellini lo fece ringhiare di frustrazione. 1-0 per l’Italia, ma era solo l’inizio… no?
Tante, troppe volte il cuore gli saltò in gola, la squadra italiana sempre più vicina alla seconda rete; gli pareva quasi di sentire le urla e le imprecazioni di Romano ad ogni punto perso, ma anche lui non stava troppo bene. L’Italia incalzava, e sebbene durante gli ultimi minuti paresse cedere pian piano, i suoi giocatori non riuscivano a segnare. Le incredibili parate del portiere avversario gli fecero mettere le mani tra i capelli, e alla fine della partita ancora non era riuscito a fare un punto. Non gli restava che pregare per il tempo di recupero e per la benedizione francese (erano loro, quelli dei gol all’ultimo!): ebbene, questa arrivò. Ma non per lui.
Crollò senza forze sul divano, le mani a coprirgli il volto e la testa ciondolante oltre lo schienale. Non era possibile, era solo un sogno.
Non era tranquillo, Spagna, quella sera. In quel momento, però, lo era per un motivo completamente diverso da quello di due ore prima.
E già sentiva la voce derisoria di Romano sfotterlo a vita.


*Italia – lunedì 27 giugno, ore 18 (fuso orario italiano)*
 Non erano tranquilli, i due fratelli, quella sera.
Anzi, per dirla tutta, era da più di una settimana che stavano in ansia, in quello stato a metà tra il timore e l’ardente desiderio di sconfiggere quegli spagnoli una volta per tutte.
“Vendetta!”, gridavano gli occhi di Romano, incollati al televisore. E “vendetta!” gridavano anche le mani nervose del solitamente così tranquillo Veneziano, che stringeva una bottiglia gelata di birra tra le mani e appoggiava i gomiti sulle gambe tremanti, tanto da risultare egli stesso un piccolo terremoto; Lettonia sarebbe stato fiero di lui. E il maggiore non osava lamentarsene, trovandosi egli stesso in uno stato simile.
Avevano cercato di rilassarsi, prendendo vari respiri profondi e rassicurandosi con parole che parevano essere messe lì per mera consolazione – “Quest’anno siamo carichi”, “Conte li ha preparati”, “Contro l’Irlanda abbiamo fatto giocare le riserve apposta”- ma, in quel momento, erano tornati allo stesso stato di ansia con il quale avevano accolto la notizia che agli ottavi sarebbero stati contro la Spagna.
Feliciano cantò l’inno con la mano destra al petto, quasi fosse un gesto scaramantico, imitato poi dal fratello.
La partita iniziò e Romano preparò le bestemmie. Non gli servirono a molto, però: l’Italia giocava bene, si difendeva alla grande e più di una volta andò molto vicina a segnare. Il Nord e il Sud, attaccati allo schermo, alternavano momenti di religioso silenzio a grida forsennate, spesso illuse da giocate che parevano bellissime ma che poi venivano rovinate da gol falliti- e da imprecazioni colorite del maggiore dei due, anche se un paio di volte persino Veneziano sibilò un paio di parole ben poco carine.
Trattennero il fiato quando Chiellini segnò il primo gol della serata, salvo poi saltare in piedi ed esultare per almeno mezzo minuto. Non si erano montati la testa, però: con un solo gol di vantaggio era sempre possibile per gli avversari rimontare.
Il primo tempo si concluse così, con l’Italia in vantaggio e la speranza accesa negli animi. Il secondo tempo fu pieno di urla, momenti di puro terrore alternati a momenti di illusa speranza; avevano bisogno di quella seconda rete, ma fallirono troppe volte e il Meridione pareva sul punto di avere una crisi nervosa.
“Vendetta, vendetta” gridavano intanto gli sguardi accesi dei due.
Buffon si dimostrò un muro insormontabile e Feliciano si ripromise di dedicargli una statua non appena quello strazio fosse finito. Mancavano solo i quattro minuti di recupero, e ai fratelli non restava altro che pregare che non succedesse nulla; qualcosa successe, invece.
Il Nord trattene il fiato. Romano sgranò gli occhi. Videro la palla volare verso Pellè, e da lì dritta nella rete.
Un istante di silenzio.
Poi un boato si alzò dal salotto di quella casetta di Roma, unendosi all’unico, fortissimo urlo che unì tutta l’Italia.
Un grido di giubilo, seguito da varie altre espressioni di gioia, di sollievo e di esaltazione.
«Abbiamo vinto!»
«Spagnoli, a casa
«Favoriti di ’sta minchia
Romano e Veneziano saltellavano sul posto, abbracciati, le urla che si ripromettevano di arrivare fino alla Spagna per puro dispetto.
E il maggiore dei due non si risparmiò quella soddisfazione, quando telefonò a casa di Antonio per il semplice gusto di rinfacciargli l’esito di quella partita. E non se la prese quando l’iberico riattaccò in un moto di stizza –aveva solo rimandato l’umiliazione, perché l’italiano non aveva alcuna intenzione di togliersi la soddisfazione di ridergli in faccia.
«Adesso tocca a quel crucco!»
«Gli faremo il culo, fratellone!»
Romano passò un braccio attorno alle spalle del fratellino, stringendolo a sé con un’espressione fiera dipinta sul volto.




 
 
Meanwhile, in South America…

*Cile – lunedì 27 giugno, ore 14 circa (fuso orario cileno)*
Colombia sorrise, spostandosi una ciocca di capelli bruni dietro l’orecchio. «È stata una bella partita, vero?»
Cile chiuse il portatile, sorridendo. In qualche modo erano riusciti a seguire l’intero match via Internet, e parevano pure soddisfatti del risultato.
«Quanto vorrei vedere la faccia di Spagna in questo momento!» Javier si lasciò sfuggire un ghigno in direzione del ragazzo dai capelli chiari, in piedi in un angolo della stanza con un’espressione cupa sul volto. «L’Italia si è proprio presa la sua vendetta… al contrario di qualcuno. Oh! qualcosa non va, Jorge?»
Argentina ringhiò. «Vedi di chiudere il becco.»
«Oh, ma non devi prendertela, amico mio! Vi rifarete la prossima volta, dico bene, Isabel?»
«Trattienimi.» La ragazza si girò di scatto verso l’argentino, che pareva sul punto di esplodere: «Trattienimi o lo ammazzo!»
Colombia ebbe il suo bel daffare a tenere fermo Jorge, mentre Cile se la rideva, seduto tranquillamente sulla sua sedia senza la minima intenzione di fuggire.








Angolino sclerato. Ma tanto. Ma tanto.
No, non sono morta :3 Neppure dopo questa super-iper-mega-partitonaH-- VI ABBIAMO APERTO IL CULO, SPAGNOLI! MUHAHAHAHAHA*soffoca*
Sono una persona felicia~ ma non dobbiamo fermarci, ora tocca alla Germania! *partono i cori da stadio GerIta* ...ehm.
(erano partiti anche i cori da stadio Spamano, ma mi perdonarete se non riesco a scriverci. Voglio dire, non ho problemi a leggerne generalmente, ma non riesco a scriverci -3- ci ho provato e, ehm, lasciamo perdere.)
Comunque, per quell'ultima parte, si riferisce al fatto che quest'anno si è tenuta anche la Coppa America, per il centenario di...qualcosa(?) e come l'anno scorso l'Argentina è stata sconfitta in finale dal Cile ai calci di rigore.
E nulla, mi avete già sopportato abbastanza, moi moi! <3 

 

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