Un'altra vita

di Seekerofdreams_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Un'altra vita

 

 

 

Il paesaggio scorre alla mia destra incurante dei miei pensieri, dei miei sogni e della mia destinazione. E' sempre lo stesso, gli stessi alberi, le stesse case dai tetti rossi ormai familiari. Non cambiano, sembrano quasi in attesa che qualcuno li riconosca mentre in un battito di ciglia si viaggia sui binari della solita stazione. Giro la testa fino a quando non li vedo sparire e riporto l'attenzione su case e alberi nuovi. Mi piace viaggiare in treno, perdermi nei miei pensieri guardando fuori dal finestrino, pensando ad una vita immaginaria, fantasticando sull'ultimo personaggio famoso che ha catturato la mia attenzione e ascoltando musica; mi fa sentire viva e felice. Può sembrare strano, forse è vero, ma alcune volte le cose sembrano strane solo perché non sono state vissute in prima persona. Tutti dovrebbero provare a prendere un treno, magari senza destinazione, infilare le cuffie e volare di fantasia, vedere fin dove la propria mente potrebbe arrivare, inventando storie, scenari e battute e una volta ottenuto il risultato desiderato ricominciare ancora una volta, cambiando posto e personaggi. La mente umana è un vasto campo di idee sempre pronte a spingere per uscire fuori e non tutti si rendono conto della sua potenzialità, di quello che effettivamente l'immaginazione può fare. Ci ritroviamo circondati di oggetti, di strumenti, di macchinari, ma anche di serie televisive, film, libri e vestiti e non ci fermiamo mai a pensare che dietro tutto questo c'è l'ingegno e la creatività di qualcuno che ha combattuto e creduto nelle proprie idee per poter offrire qualcosa al futuro: un comfort, un privilegio, un sogno.

Sospiro e stringo a me lo zaino nero mentre un uomo si lascia cadere nel sedile accanto al mio, sorrido educata e sospiro. Osservo le altre persone cercare un posto a sedere e spero con tutto il cuore che la bambina che continua a piangere disperatamente non si sieda nei posti al di là del corridoio, paralleli ai miei. C'è solo un posto libero e così sua madre, per mia fortuna, passa avanti ad ispezionare i sedili successivi lasciandolo in balia di qualcun altro. Mi perdo a guardare il sedile vuoto senza una reale motivazione, lo schienale ha un taglio che lascia scoperto il rivestimento inferiore e mi ritrovo a storcere il naso quando un corpo mi copre la visuale non permettendomi di continuare a studiare l'oggetto. Un ragazzo è in piedi nel corridoio, mi dà le spalle, ha una giacca di pelle e un paio di jeans anonimi. Si tende per depositare una valigia dall'aspetto pesante nei ripiani appositi posti sopra i sedili, la sistema prima di lasciarsi cadere nel posto vuoto. Continuo ad osservarlo e solo quando incrocio il suo sguardo confuso mi schiarisco la voce e mi giro di scatto. “Che figuraccia!” Non riesco proprio a mantenere un profilo anonimo – o almeno normale – quando sono in giro, in un modo o nell'altro riesco a dare agli altri l'occasione di pensare che io sia strana. Picchietto il piede a terra e mi massaggio con una mano il ginocchio destro che inizia a far male dopo un'ora fermo nella stessa posizione. Allungo le gambe cercando di non infastidire la donna di fronte per poi frugare nella tasca interna dello zaino e recuperare le cuffiette. Cerco di slegare i nodi e ancora una volta mi chiedo come sia possibile che diventino sempre un ammasso confuso di fili. Scuoto la testa e le collego al cellulare sfogliando svogliatamente il lettore musicale, facendo così partire una canzone a caso. Ed Sheeran, beh, poteva andarmi molto peggio! Un giorno di questi dovrò seriamente cancellare le canzoni inserite da mio fratello, non sono proprio un tipo da musica house o techno. Mio fratello; sospiro osservando l'ora sullo schermo, mancano due ore di viaggio e lo rivedrò. Ho fatto questo viaggio così tante volte nell'ultimo anno che ho quasi perso il conto e se penso che lui si è trasferito quattro anni fa quasi mi sembra surreale. I primi anni era solito tornare molte volte a casa, ogni vacanza era una scusa buona per farsi qualche ora di treno, andando avanti però le cose sono cambiate, ci siamo visti sempre meno, complici la mia scuola e i suoi studi. E' stato strano vivere separati dopo aver condiviso tutto per quasi vent'anni, abbiamo preso strade diverse, conosciuto persone e amici nuovi e anche se abbiamo cercato di mantenerci partecipi della vita dell'altro è risultato piuttosto complicato.

Sospiro cambiando canzone e senza volerlo il mio sguardo si posa ancora sul ragazzo di prima. Il suo viso mi è familiare, ha dei capelli non troppo corti, qualche ciocca castana gli ricade libera davanti agli occhi e faccio una smorfia quando mi rendo conto di non riuscirne a notare il colore. Ancora una volta, quasi attratto, sposta lo sguardo verso di me. Mi guarda attento, scostando poco dopo i capelli dal viso mostrandomi così due occhi castani intensi. Mi lascio sfuggire un sorriso che ricambia passivamente, come se non avesse alcun motivo per essere felice. Mi chiedo quale potrebbe essere la sua storia, ma mi costringo a non farmi carico dei problemi delle altre persone. Torno a concentrarmi sul paesaggio alla mia destra e qualche secondo dopo, cullata dalla musica, mi addormento.

 

Mi sento scuotere animatamente un paio di volte e quando apro gli occhi mi accorgo della frenesia del vagone. Si stanno tutti preparando a scendere, il treno è già fermo e sono l'unica ancora seduta. Mi guardo attorno cercando di capire chi mi ha svegliata, ma sembrano tutti indaffarati nel piccolo corridoio, l'unico sguardo che incontro è quello del ragazzo misterioso. Quando la nostra carrozza è libera mi faccio forza per recuperare la valigia e metto lo zaino in spalla. Controllo di aver preso tutto e mi preparo a scendere. Mi accodo alla fila e inizio a guardare fuori dal treno, ansiosa di incrociare lo sguardo di mio fratello. Quando è il mio turno di scendere, ringrazio un signore gentile che mi aiuta con la valigia e mi stampo un bel sorriso addosso allontanandomi di poco dal binario per avere una visuale migliore. Respiro l'aria della città che mi ospiterà per i prossimi anni e improvvisamente sento nostalgia di casa. Mi mancherà la mia quotidianità, ma mi faccio forza e quando mi sento richiamare, quella sensazione sembra già essersi volatizzata.

“Anne! Sono qui!”

Mi giro verso destra e sorrido osservando mio fratello farsi spazio tra la folla. E' un bel ragazzo, più alto di me di quasi dieci centimetri, i capelli castani identici ai miei, fatta eccezione per le mie sfumature ramate, e due occhi azzurri da far invidia al cielo. Ricordo ancora quando da ragazzina la maggior parte di quelle che pensavo mie amiche si auto-invitavano a casa mia solo per passare del tempo con lui. Lo invidiavo all'inizio, è sempre stato popolare, ma poi mi sono resa conto che è sempre stato mio fratello prima di tutto il resto e che da lui avrei potuto prendere ispirazione.

“Chris!” Sventolo una mano in sua direzione e mi lascio cullare dalle sue braccia quando finalmente mi raggiunge.

“Che bello averti qui!” Dice accarezzandomi i capelli.

Mi stacco dal nostro abbraccio e lo guardo meglio, ci sorridiamo e anche un estraneo si renderebbe conto del nostro legame di parentela: le lentiggini sul naso, la forma del viso, il taglio degli occhi.

“La mia sorellina è diventata grande!” Esclama sorridendo e aprendo le braccia. Scoppio a ridere e quando afferra la mia valigia mi guarda orgoglioso. Poi controlla l'orologio e si guarda attorno “Chi cerchi?” Chiedo curiosa.

“Un mio amico è arrivato con il tuo stesso treno, ma ero troppo impegnato a cercare te e l'ho perso di vista.” Dice preoccupato.

“Oh, non puoi chiamarlo? Forse è uscito dalla stazione!”

Si affretta a prendere il cellulare mentre io mi guardo attorno, senza sapere realmente chi cercare. La maggior parte delle persone scese con me dal treno ha già preso la strada verso l'uscita, ma c'è ancora qualcuno in piattaforma.

“Dove sei? Si, si ho capito. Arriviamo!” Sento dire da mio fratello. Chiude la chiamata e mi sorride indicandomi la strada verso l'uscita. Ci incamminiamo sorridendo verso le scale mobili e una volta immersi nel centro della stazione mi lascio sfuggire una risata.

“Fa sempre lo stesso effetto!” Dico entusiasta mentre osservo lo spazio davanti a me. Ricordo ancora la prima volta che sono arrivata con mamma e papà, mi era sembrato di trovarmi in una città dentro la città vera. La stazione è piena di negozi e ristoranti, nel mio paese natale è ben lontana da essere così viva.

“Ty!” Esclama mio fratello allegro. Mi lancia un sorriso prima di avanzare a passo spedito verso un bar. Lo seguo con lo sguardo e lo vedo abbracciare forte qualcuno. Quando si staccano, tra le braccia di mio fratello, riconosco il ragazzo del treno.

Deglutisco quando Chris mi fa cenno di avanzare. Arrossisco spostando una ciocca di capelli dietro le orecchie e mi stampo un sorriso in viso.

“Ciao!” Annuncio fermandomi a pochi passi da loro, cercando appoggio alla maniglia del mio trolley.

“Ty, lei è mia sorella Anne. Anne, lui è Tyler il mio amico e coinquilino.” Dice entusiasta mio fratello, presentandoci. La mia bocca deve essersi aperta in un'espressione di sorpresa.

Allungo la mano, incontrando la sua calda e grande.

“Piacere!” Dico in un tono talmente basso che mi sembra di averlo detto solo mentalmente.

Guardo mio fratello e lui sembra non fare caso al mio turbamento. Nelle mie visite precedenti non ho mai avuto l'occasione di conoscerlo, ogni volta era via per problemi famigliari e ricordo di aver pensato che non volesse incontrarmi.

“Com'è andato il viaggio?”

Con mia grande sorpresa a rispondere è proprio lui: “Il mio bene, lei ha dormito tutto il tempo.”

Antipatico. Lo guardo sbuffando e mio fratello scoppia a ridere “Eravate seduti vicini? Non l'hai riconosciuto dalle foto?” Mi chiede sorpreso.

“Mi sembrava di averlo già visto, però non ricordavo dove.” Ammetto sincera. Pensandoci bene avrei potuto riconoscerlo da qualche foto postata su Facebook, ma data la scarsa presenza di mio fratello sui social potevo basarmi su ben poche prove.

“In effetti con i capelli in questo modo sembri un altro, ho fatto fatica io a riconoscerti!” Lo prende in giro, ma come nel treno, anche ora mi sembra che i suoi occhi siano vuoti. Accenna un sorriso di circostanza, poi li vedo scambiarsi uno sguardo comprensivo e mi chiedo quale sia il loro segreto.

“Quindi, presumo che per i prossimi giorni saremo tutti una grande famiglia, almeno fino a quando Anne non troverà un alloggio tutto suo!” Annuncia mio fratello mentre ci invita a seguirlo fuori, verso la sua auto. L'idea di dover vivere in casa con Chris non mi dispiace, ma già da casa ero titubante all'idea dei suoi coinquilini. Non conosco nemmeno Matthew, in quanto ultimo arrivato di casa, ma lui non mi turba quanto Tyler. Mi concedo qualche secondo per osservarlo mentre prende posto nel sedile anteriore, accanto a mio fratello, e quando sposto lo sguardo, incrocio il suo nello specchietto. Benvenuta a Manchester Anne Wilson.  


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Nda.
Ciao a tutti, come state?
Per chi mi conosce già ben ritrovati in questo nuovo viaggio all'insegna di sogni e amore. Per voi che vi imbattete in un mio scritto per la prima volta: Benvenuti!
Chi mi conosce sa che avevo in mente questa storia da molto tempo, per un motivo o per un altro non l'ho mai iniziata veramente e mi sembra quasi surreale trovarmi qui ora, a pubblicare il primo capitolo. Ovviamente è introduttivo, serve per dare una panoramica della nostra protagonista Anne e della sua nuova vita, salvo imprevisti il prossimo capitolo dovrebbe arrivare già da domani. Mi auguro che vi abbia incuriositi, se vi va, lasciatemi un commento.
A presto,
Serena.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Il senso della vita è quello di trovare il vostro dono. Lo scopo della vita è quello di regalarlo.
(Pablo Picasso)

 

*

 

 

Poggio la valigia nella stanza di mio fratello e lascio cadere lo zaino a terra. Mi guardo attorno dirigendomi verso la piccola finestra per respirare un po' d'aria fresca. Durante le visite con i nostri genitori, data la mancanza di spazio, raramente siamo rimasti a dormire qui. La maggior parte delle volte siamo stati in albergo. Ora invece c'è un piccolo letto pieghevole in un lato, accanto alla scrivania bianca, che sarà il mio letto fino a quando non troverò una vera e propria sistemazione.

“Ehi scriciolo, vuoi mangiare qualcosa?”

Chris tiene una mano sulla porta per tenerla aperta e mi sorride “No, grazie. Penso che mi stenderò un po' sul letto per riposare prima”, dico sorridendogli. Lui annuisce prima di lasciarmi ancora una volta sola. Sistemo le lenzuola sul letto e metto la federa al cuscino prima di stendermi a pancia in giù e chiudere gli occhi per qualche secondo. I prossimi giorni saranno impegnativi, tra il test d'ingresso, la ricerca della casa e l'ambientarmi. A sedici anni non vedi l'ora di partire, andare lontano da casa e vivere da solo, ma poi il tempo passa, arriva davvero quel giorno e ti rendi conto che saresti rimasto volentieri un altro paio di anni ad ascoltare i rimproveri dei tuoi genitori. Apro gli occhi fissando il muro bianco senza realmente vederlo. Recupero il cellulare dalla tasca dei jeans e controllo le varie notizie sui social. Passo così quindici minuti interi a spulciare un profilo di moda, la mia più grande passione. Se penso alle materie che dovrò studiare alla scuola d'arte, l'eccitazione si fa sentire. Fin da piccola ho sempre amato disegnare abiti sui quaderni di scuola e quando giocavo con le bambole chiedevo sempre alla mamma qualche vestito vecchio da poter strappare e utilizzare nuovamente per creare qualcosa di diverso. Ho imparato a cucire a dodici anni e il mio primo bozzetto l'ho realizzato due anni più tardi.

Mi metto seduta e tiro fuori dallo zaino il mio portamonete. Un foglio, piegato e un po' rovinato, è il ricordo più caro che ho legato a questo sogno di diventare una stilista di successo.

Torno ad allungarmi dopo averlo riposto con cura, vorrei passare del tempo con mio fratello, ma allo stesso tempo non voglio essere di troppo per la sua solita vita, così mi costringo a chiudere gli occhi per riposare.

Non so per quanto tempo dormo, mi sembrano passate ore quando: “Annette?” mi sento chiamare. Con gli occhi ancora chiusi, cerco di colpire Chris con il braccio. “Non mi chiamare così!”

Lo sento ridere di gusto e mi unisco a lui ricordando le mie scenate da prima donna ogni volta che qualcuno si permetteva di chiamarmi in quel modo.

“Non ti è mai piaciuto”, mi fa notare.

“Il mio nome è Anne, sei tu che a scuola hai messo in giro quella stupida voce! Dovrei picchiarti adesso!”

Incrocio le braccia al petto, ora del tutto sveglia, mentre lui continua a ridere e prendermi in giro. Scuoto la testa rassegnata e mi lascio stringere dal suo abbraccio. Rimaniamo sul lettino in silenzio, non so a cosa sta pensando, non so se è felice di condividere la sua nuova vita con la sua sorellina più piccola, ma in qualche modo io sono serena all'idea di averlo con me. Forse è sbagliato, non è giusto far affidamento su altre persone, ma è il mio fratellone. Tante volte, con i miei genitori, ho fatto la dura, facendo finta di non essere spaventata del trasferimento, in realtà avere Chris con me mi fa avere meno paura del futuro.

“Hai dormito tutto il pomeriggio, che ne dici di mangiare qualcosa? Io avevo intenzione di uscire con Matthew, ti va di venire con noi?” chiede.

“Matthew? C'è anche lui?”

“Si, quando è rientrato dormivi già!”

Annuisco e rifletto sulla sua proposta. Mi piacerebbe uscire con lui, ma in realtà oggi non ho concluso niente per quanto riguarda lo studio e domani mattina voglio svegliarmi presto, ho solo un'altra settimana di tempo per prepararmi adeguatamente.

“Io resto qui, studio qualcosa. Domani mi aspetta una giornata intensa, prima trovo una sistemazione e prima finisco di scocciarti!”

“Stai zitta! Lo sai che puoi restare qui quanto vuoi, per me non è un problema” dice serio.

“Grazie fratellone!”.

Ci alziamo entrambi e raggiungiamo la piccola cucina di casa. C'è un tavolo di legno chiaro attaccato al muro, con quattro sedie. Un piano cottura e un frigorifero alla destra della porta, il lavello accanto alla porta-finestra che dà su un balcone di pochi metri quadrati. Le pareti sono di un tenue giallo ocra e la parete accanto agli infissi è ricoperta di mattoncini rossi. Nonostante sia piccola l'ho sempre amata, mi ricorda le cucine in stile americano dei telefilm e, se potessi, la porterei con me nella mia futura sistemazione. Seduto a tavola c'è un ragazzino dal viso infantile e della montatura degli occhiali più grande del dovuto. Mi sorride allegramente, rivelando un apparecchio per i denti.

“Ciao! Tu devi essere Anne, io sono Matthew” dice tendendomi una mano. La afferro ricambiando il sorriso e stranamente sento uno strano senso di familiarità nel corpo.

Mi siedo accanto a lui mentre Chris finisce di preparare la cena. Guardo verso il corridoio e mi chiedo se Tyler si unirà a noi.

“Sei emozionata?”

Alzo lo sguardo su Matthew e noto i suoi occhi verdi fissi su di me. Mi schiarisco la voce mentre sento Chris nascondere una risata con un colpo di tosse.

“Un po'” ammetto sincera. “Tu cosa studi?”

“Matematica” risponde e io annuisco dandomi mentalmente della stupida. Che altro poteva studiare? Ha la faccia di chi passa molto tempo sui libri e il restante in un mondo tutto suo.

“Sono al secondo anno” continua poi aggiustandosi gli occhiali sul naso. “La tua scuola è vicino allo studio in cui faccio lo stage, anche se c'è Chris, se hai bisogno di qualcosa puoi chiedere tranquillamente!”

Gli sorrido grata: “Grazie!”

Chris poggia a tavola i nostri piatti e Matthew si alza pronto per lasciare la stanza.

“Buona cena!”

“Non mangi con noi?” chiedo e lui scuote la testa “Già fatto, ora vado a fare una doccia. Tuo fratello insiste per uscire” borbotta e Chris ride guardandolo andare via.

“E' simpatico” dico iniziando a mangiare. La carne è più buona di quello che mi aspettavo e osservo orgogliosa mio fratello. Quando eravamo piccoli non era bravo nemmeno a preparare un uovo!

“Si, è un bravo ragazzo. Particolare, ma è divertente quando si lascia andare”.

“Quanti anni ha? Non portarlo sulla cattiva strada” dico divertita.

Sorride anche lui “Guarda che ha un anno meno di me eh! Sembra un bambino, ma non lo è, tranquilla!”

“Sul serio? Ma è piccolo!” dico incredula.

Scoppia a ridere riempiendo i nostri bicchieri d'acqua. “Scommetto che cambieresti qualcosa del suo stile!”

“Mi sembra esagerato spaventarlo già il primo giorno” dico unendomi alla sua risata. Ci guardiamo complici per poi tornare a mangiare. Rimaniamo in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri, ma entrambi felici di trovarci insieme.

“Hai sentito mamma e papà?”

Annuisce. “Si, ci ho parlato prima. Ti salutano, ho detto che li avresti richiamati dopo cena”.

“D'accordo, sistemo qui e li chiamo” dico alzandomi per sparecchiare la tavola.

Mi aiuta e mentre io lavo, lui sistema tutto. Ci spintoniamo ogni tanto, schizzandoci l'acqua e sorridendo come facevamo a casa durante le cene di famiglia. La luce del sole filtra dal balcone e mi giro a osservare il cielo sorridente.

Un'ora dopo mi ritrovo china sui libri. Il tavolo della cucina è coperto da fogli, bozzetti e fax-simili del test d'ingresso. Ho chiamato i miei dopo che Chris e Matthew sono usciti, ho raccontato della giornata badando bene a mantenere un tono di voce basso – Tyler dovrebbe essere ancora nella sua stanza – mi sono sembrati un po' allarmati, o forse si sentono soltanto soli. Mi rendo conto di star stringendo tra le labbra il tappo della penna, così passo il dorso della mano sulla bocca e mi concentro a studiare cultura generale. Il test non dovrebbe spaventarmi così tanto, eppure è un possibile scoglio davanti ai miei sogni. Non ho controllato le iscrizioni di quest'anno, ma so di certo che solo cento persone saranno ammesse, venticinque per ogni classe: moda, fotografia, design degli interni e oreficeria.

Non mi va di pensare ad un'altra strada da intraprendere in caso di fallimento, credo nelle mie potenzialità e poi, mi sembra di non essere brava a fare altro se non disegnare abiti. Mi vedo già proiettata in una stanza a studiare i vari tipi di stoffa, o in un'altra a vedere realizzati i miei disegni. Chissà quante altre persone stanno facendo questi miei stessi pensieri però. Ce ne saranno tanti bravi come me o anche di più, ma non ho intenzione di arrendermi. Sorrido infondendomi coraggio da sola.

“E' interessante la parete?”

Mi giro di scatto facendo cadere la penna sul tavolo. Tyler è fermo sulla porta e mi guarda con un sopracciglio alzato. Devo essermi incantata a guardare il muro, persa fra i miei pensieri, così tossisco imbarazzata.

“Pensavo” dico scrollando le spalle.

“Ti dispiace se preparo qualcosa da mangiare?”

Scuoto la testa, buttando poi un'occhiata all'orologio: sono le dieci di sera. Non è un po' tardi per mangiare?

“Mi sposto in camera, così puoi mangiare tranquillo” dico alzandomi e raccattando le mie cose.

“Se vuoi puoi restare, fammi solo un po' di spazio da un lato!”

Il suo tono sembra sempre così svogliato anche quando vuole sembrare carino. Evito di farmi domande, nonostante la mia curiosità, e impilo i fogli e i libri da una parte. Mi siedo nel lato corto del tavolo in modo da lasciargli l'altro lato del tutto libero e provo a leggere qualcosa per evitare di disturbarlo. Armeggia tra i fornelli e il frigorifero in silenzio. Sistema un bicchiere e un piatto su una piccola tovaglietta di fronte a me e poco dopo si siede sospirando. Non parliamo, rimaniamo incastrati in un silenzio imbarazzante. Leggo e rileggo per l'ennesima volta la stessa frase mentre lui mangia a testa bassa. Sono tentata più volte di alzarmi per andare via, ma non mi sembra mai il momento giusto. Sbircio un'altra volta dalla sua parte e mi sembra così vuoto. Scrollo le spalle e torno a leggere.

Si alza per lavare e mettere in ordine, ed è lui a lasciare per primo la stanza: “Buonanotte!”.

“'Notte” dico di rimando rilasciano aria che non sapevo di star trattenendo. Continuo a fare esercizi per mezz'ora, poi decido di ritirarmi in camera anche io. Mi preparo per la notte, vado in bagno e pettino i capelli lunghi fissando il mio riflesso allo specchio. Esco agitata di poterlo incontrare di nuovo, ma in pochi passi sono al sicuro in camera. Vorrei aspettare Chris sveglia così accendo il piccolo televisore che ha in camera, ma basta poco per prendere sonno ancora una volta.

 

*

 

Quando mi sveglio, Chris sta russando nel suo letto a pancia in giù. Rido stiracchiandomi i muscoli e controllo il cellulare. Scrivo un tweet di buongiorno e sbircio curiosa le novità. Sono le otto, così mi concedo una mezz'ora di svago prima di iniziare la giornata. Mi giro e rigiro nel letto cercando una posizione comoda per leggere dal cellulare, ma finisco per sbuffare e rimanere a fissare il soffitto facendomi mentalmente una lista delle cose da fare oggi.

Come prima cosa dovrei controllare il tempo, le tende sono chiuse, ma sembra che anche oggi sia una bella giornata. Potrei uscire alla ricerca di qualche annuncio per una stanza, per poi fermarmi a studiare da qualche parte, o tornare qui. Dovrei chiedere a Chris, ma mi dispiace svegliarlo, così decido di prepararmi da sola. Recupero un cambio di biancheria pulita dalla valigia, dei jeans, una camicetta e dei calzini dello stesso colore e mi reco in bagno, per fare una doccia. La casa sembra avvolta nel silenzio, cerco di fare in fretta e di fare meno rumore possibile. Quando esco, mi rendo conto di non aver pensato all'accappatoio. Mi do della stupida e cerco di ricordarmi qual è quello di mio fratello. Alla fine prendo il mio asciugamano del viso e lo passo per il corpo, prendendone poi un altro, di colore blu, per avvolgerci i capelli. Mi vesto in fretta, mentre il vapore caldo della doccia mi fa quasi sudare. Chiudo i bottoni della camicia e recupero i panni sporchi e il pigiama per portarli in camera. Apro la porta ritrovandomi Metthew davanti con il pugno alzato, segno che stava per bussare.

“Scusa Anne!” dice mortificato.

“Buongiorno!” rispondo allegra. “Tranquillo, ho finito”.

Osserva l'asciugamano intorno ai miei capelli e sorride.

“Sai che quello è di Tyler, vero?”

Porto la mano di scatto alla testa e balbetto qualcosa di indefinito.

Mi guarda accennando un sorriso “Non è successo niente, dai! E' in cucina comunque” dice, per poi superarmi e rinchiudersi in bagno. Lo guardo sparire dietro la porta e mi copro il viso con le mani prima di schiarirmi la voce e dirigermi verso la cucina. Come annunciato da Matt, Tyler è seduto a tavola.

“Io... pensavo fosse di Chris!” annuncio rimanendo alla porta.

Alza lo sguardo verso di me, mi osserva, notando poco dopo il suo asciugamano tra i miei capelli. Per un attimo sul suo viso mi sembra di notare un'espressione di disagio, poi semplicemente scuote la testa “Non fa niente, ne prenderò un altro”, dice.

Annuisco, indugiando qualche secondo sul posto, prima di andare in camera. Chris dorme ancora così friziono bene i capelli, cercando di eliminare quanta più acqua possibile e li intreccio evitando di asciugarli. Rimango in camera nonostante lo stomaco brontoli per la fame. Preparo lo zaino con i libri e decido di svegliare Chris per informarlo che sto uscendo.

“Mmh...” si lamenta.

“Chri, io esco, ok? Ci vediamo più tardi!”

Sbatte le palpebre assonnato cercando di mettermi a fuoco: “Dove vai?”, chiede.

“Faccio un giro per cercare casa e mi fermo a studiare da qualche parte, stai tranquillo, mi ricordo gli autobus per andare e tornare dal centro”.

Annuisce, sembra un po' preoccupato ma alla fine cede.

“Fai attenzione e chiamami se hai bisogno di qualcosa!”

“Lo farò, ci vediamo a pranzo” dico sistemando lo zaino. Guardo il mio riflesso allo specchio e sospirando esco. Saluto Matthew e Tyler in cucina e mi chiudo la porta alle spalle senza dare il tempo al primo di fare domande.

L'aria è abbastanza calda, sistemo gli occhiali da sole sul naso e cerco di fare mente locale per andare a prendere l'autobus che mi porterà in centro. L'appartamento di mio fratello non è molto distante dalla zona universitaria, ma la mia scuola è piuttosto centrale così provo ad iniziare a cercare da quella parte. Non sono molto sicura di riuscire a trovare qualcosa di economico lì, ma tentar non nuoce. Mi guardo attorno contando le fermate fino a quando riconosco il nome della via. Mi preparo a scendere e una volta fuori prima di ogni altra cosa, vado a fare colazione. Osservo la zona, seduta ad un tavolino fuori dal bar. La facciata della scuola è in stile barocco, distinguendosi così dal resto della zona. Accanto alla porta un lungo poster descrive i corsi di studi. Nonostante l'ora, c'è un bel via vai di persone e dopo aver pagato la colazione mi dirigo agitata verso l'interno. Non mi è possibile visitare le aule, così mi limito a camminare nell'atrio osservando la bacheca all'ingresso in cerca di annunci. Ce ne sono alcuni interessanti; le camere, dalle foto, sembrano nuove, ma i prezzi rispetto alla zona in cui si trova l'appartamento di Chris, sono esorbitanti. Prendo comunque qualche numero, faccio delle foto agli annunci e mi giro a guardare quella che spero sarà la mia scuola per i prossimi tre anni. I pavimenti sono bianchi e lucidi, il corrimano della scalinata è di un nero brillante. Appese alle pareti varie opere realizzate dagli studenti della scuola e una vetrina, accanto alla porta che indica la segreteria, raccoglie tutti i premi vinti negli anni, certificati e copertine di riviste importanti. Sorrido osservando alcuni studenti uscire, mi accodo a loro e inizio a chiamare diversi numeri per fissare appuntamenti e visitare le camere.

La prima che chiamo, dalla voce, mi sembra piuttosto scocciata. Cerco di mantenere la calma, ma “Non cerchiamo alunni del primo anno” dice scontrosa e così, senza pensarci su, le chiudo il telefono in faccia. Butto l'annuncio in un secchio e passo a chiamare il secondo.

“Si?”

“Buongiorno, la chiamo perché ho trovato un annuncio per una camera”, dico velocemente.

“Oh, ciao! Dovrei fare un giro a togliere gli annunci, abbiamo già affittato la camera” ribatte dispiaciuta. Sospiro ringraziandola comunque e chiudo la chiamata. Vado avanti così per un bel po', scoraggiata e stanca. Sembra che tutte le case siano occupate. Mi rendo conto di essere arrivata tardi, ma fino alla fine ero indecisa se provare ad entrare in questa scuola a Manchester o provare la scuola di moda a Londra. Quando finalmente riesco ad ottenere un appuntamento, mi sembra di essere ringiovanita di cinque anni.

“Se sei nei paraggi puoi venire anche ora”, dice la ragazza e io mi faccio spiegare come raggiungere esattamente la sua via. Mi incammino guardandomi attorno, cerco di studiare il percorso per poi farlo al ritorno e dopo circa quindici minuti a piedi mi ritrovo davanti ad un palazzo piuttosto vecchio. Faccio una smorfia e suono al citofono indicato, quando mi aprono spingo il portone verde e mi faccio coraggio. L'ingresso è un po' angusto, salgo le scale fino al terzo piano e mi pento già di aver accettato di visitarla. Non potrei mai abitare in questo posto!

“Ciao, tu devi essere Anne! Io sono Geordie, lei è Vinny”. Ad accogliermi due ragazze più alte di me. Mi fanno cenno di seguirle dentro casa e io rabbrividisco. L'interno mi provoca lo stesso effetto freddo e nauseante, mi sembra quasi impossibile che a viverci siano due studentesse di una scuola di arte.

“La casa è un po' buia” dico senza riuscire a trattenermi. Si scambiano uno sguardo eloquente prima di aprire la porta della camera in affitto. C'è una finestra che dà su un'altra costruzione più alta, che impedisce l'entrata dei raggi del sole e io mi sento soffocare. Non vedo nemmeno il resto, cinque minuti dopo sono nuovamente per strada senza nessun annuncio tra le mani.

Torno verso la scuola e compro un biglietto per l'autobus che mi riporterà a casa. Non c'è posto, così rimango in piedi, stanca e un po' demoralizzata. Quando scendo alla fermata, decido di proseguire verso il campus dell'Università. Vorrei aver scelto una facoltà tipo Economia, come Chris o addirittura Matematica. Almeno da queste parti gli affitti sono abbordabili ed hai perfino l'opportunità di guadagnarti una camera negli alloggi studenteschi. Cammino nel giardino, osservando studenti girovagare e chiacchierare. Qualcuno è seduto a studiare sotto un albero, altri seduti su panche di legno riparate dal sole. Ne trovo una libera e decido di fermarmi a ripassare. Mi guardo attorno sentendomi leggermente fuori posto, mi chiedo se ci si possa abituare mai alla frenesia e al chiacchiericcio di tutta questa gente. Da quello che mi ha raccontato Chris le università private non sono sempre viste di buon occhio, così tiro fuori i libri in fretta, nascondendo il titolo del libro: “Scuola d'arte: Volume di preparazione al test d'ingresso”.

Sembra che nessuno faccia caso a me, devono essere tutti abituati a vedere facce nuove, così mi immergo nel ripasso della classificazione dei colori.

Mi cronometro nella compilazione di un test di prova e mi compiaccio di aver guadagnato qualche minuto rispetto alla prova precedente. Alzo la testa dai libri quando il cellulare mi avverte dell'arrivo di un messaggio: “Dove sei?”.

Guardo l'orologio e mi affretto a sistemare tutto nella borsa, non mi sono resa conto del tempo trascorso ed è arrivata ora di pranzo. Avvio la chiamata verso mio fratello e: “Arrivo!”.

Esco dal campus e affrettando il passo non mi ci vogliono più di dieci minuti per arrivare a casa. Il portone d'ingresso è aperto così salgo le scale di corsa e suono all'interno numero otto. Sposto il peso sulla gamba sinistra in attesa e intanto sento un trambusto provenire dall'appartamento di fronte. La porta è aperta e una ragazza bionda sembra indaffarata a spostare scatoloni. Alza lo sguardo, forse sentendosi osservata, e mi rivolge un sorriso solare. Lascia tutto e viene verso di me sul pianerottolo.

“Ciao!” dico sorridendo.

“Ciao a te! Abiti qui? Mi sono appena trasferita in questo appartamento e conoscere i vicini era la seconda cosa che volevo fare oggi!”

Sorrido coinvolta dal suo entusiasmo. “In realtà è l'appartamento di mio fratello, io sono qui per qualche giorno. Sto cercando una sistemazione definitiva”.

Il suo viso sembra illuminarsi, torna dentro casa dicendomi di aspettare. “Dove sono?” la sento chiedere. Sbircio dalla porta d'ingresso e poco dopo torna porgendomi un foglio.

“Bé, io cerco una coinquilina!” annuncia divertita. Sposto lo sguardo da lei al foglio e sorrido: “Cercasi ragazza (studentessa) per condividere appartamento. Primo anno, amante degli animali e, aspetto fondamentale, pulita!”.

Sotto un numero di telefono per i contatti. Mi sembra quasi di tornare a respirare, tendo la mano verso di lei presentandomi e lei, con un gran sorriso ricambia la stretta.

“Io sono Caitlin! Vuoi fare un giro adesso?”, chiede e sto per ribattere quando la porta dell'appartamento alle mie spalle si apre: “Scusa Anne, stavo rischiando di bruciare tutto!”.

Mio fratello parla a velocità supersonica e io scoppio a ridere davanti alla faccia divertita di Caitlin e quella da pesce lesso di mio fratello quando la nota.

“Lei è?” chiede rivolto verso di me.

“Ehm, la tua nuova vicina di casa e la mia futura coinquilina molto probabilmente!”.

“Oh, non sapevo nemmeno fosse in affitto” dice indicando l'interno nove.

“E' dei miei nonni”, ci spiega lei. “Vai a mangiare, tanto io sono dentro a sistemare. Quando vuoi venire a dare un'occhiata ti basta suonare!”

Annuisco ringraziandola e quando mi chiudo la porta alle spalle sorrido. Raggiungo la cucina e mi butto sulle spalle di Chris: “So che non mi volevi tra le scatole, ma giuro che farò la brava!”.

Sorride afferrandomi le gambe divertito per poi poggiarmi giù.

“Non sei mai stata brava, ma sono contento di averti qui, te l'ho già detto!” dice abbracciandomi. Annuisco chiudendo gli occhi e lasciandomi stringere, sono contenta anche io di non allontanarmi da lui e da questa casa.

 

 

____________________________________________

Nda.

Buonasera! Eccomi con l'aggiornamento, era previsto per ieri, ma non sono riuscita a pubblicarlo. Siamo solo all'inizio, ma già abbiamo fatto la conoscenza di quasi tutti i personaggi più importanti. So che avete poche cose su cui basarvi, ma fin'ora chi vi ha colpito di più? L'esuberante Caitlin, il misterioso Tyler, lo strano Matthew o il dolce Chris?

Fatemi sapere cosa ne pensate e a prestissimo,

Serena.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


La vita è un’enorme tela: rovescia su di essa tutti i colori che puoi.
(Danny Kaye)

 

*

 

L'appartamento è poco più grande di quello di Chris. Ci sono due stanze da letto invece di tre, ma in compenso c'è un ampio salone luminoso. I corridoi sono pieni di scatoloni di Caitlin, alcuni sono già sistemati e i mobili sono pieni di piatti e bicchieri: “L'ho detto ai miei nonni di toglierli, ma non mi hanno dato ascolto!”.

“Tranquilla, non sono un problema, anzi rendono l'ambiente più caldo” dico sincera guardandomi attorno. Non sembra l'appartamento di alcune studentesse, sembra casa a tutti gli effetti. La cucina è piccola, ma più larga rispetto a quella dei ragazzi. Trattengo uno sbuffo quando noto che non ci sono i mattoncini rossi e passo una mano sulle piastrelle chiare. Dovrò abituarmi a vivere qui, sarà la mia casa almeno per un anno. Il tavolo è scuro, come le sedie abbinate, ma dalla finestra entra molta luce così non ci faccio caso. Immagino una bella tovaglia colorata con la tavola imbandita e mi lascio sfuggire un sorriso, più tranquilla. Una porta divide la zona giorno da quella notte. Seguo Caitlin guardandomi attorno. C'è un piccolo corridoio con tre porte, due alla mia destra e una sulla sinistra.

“Queste sono le due stanze, mentre l'altro è il bagno!” dice indicando le diverse porte. Apre la più vicina a noi rivelando una camera piuttosto grande, il vento fresco proveniente dalla finestra aperta mi fa rabbrividire. Sorrido guardando il letto attaccato al muro, l'armadio a parete e la scrivania alla destra della porta. L'arredamento è completamente bianco, come bianchi sono i muri della stanza.

“Questa, se vuoi, potrà essere camera tua. Possiamo anche chiamare qualcuno per pittarla in modo diverso se non ti piace tutto questo bianco!”

“Oh no, la riempirò con le mie cose, non ti preoccupare” dico guardandomi attorno. “Andiamo avanti?”

Lei annuisce e ci chiudiamo la porta alle spalle prima di dirigerci verso il bagno. Si estende in lunghezza, le piastrelle sono di un tenue azzurro pastello e i sanitari di un bianco candido. C'è una vasca da bagno e mentalmente pregusto già serate rilassanti.

“Questo potrebbe essere tuo del tutto, io ho il bagno in camera, ma qualche volta ti ruberò la vasca!” dice ridendo mentre io continuo a guardarmi attorno incredula. Non abbiamo ancora concordato il prezzo e l'idea di non potermi permettere tutto questo fa più male del previsto. Continuiamo il giro e sorpassiamo camera sua: “Quando è sistemata te la farò vedere, ora è un disastro!”.

Sorrido divertita dalla sua espressione buffa e la seguo verso una porta che non avevo notato prima, è accanto a quella del salotto e dentro ci sono un lavello, una lavatrice e uno stendibiancheria.

“Anche da qui si può uscire sul balcone, nelle giornate di sole possiamo stendere la biancheria fuori, ma dubito che Manchester ci regalerà altre giornate come queste! Due giorni senza pioggia, ce la farà pagare cara!” dice osservando il cielo. Rido alla sua battuta e la seguo sul balcone. Questo si estende lungo il lato destro, coprendo la porta-finestra del salotto, fino ad una griglia di legno che funge da divisore con il balcone della casa accanto. Cerco di far mente locale, dal balcone della cucina di mio fratello non ho mai visto questo separé. Nonostante l'orientamento non sia il mio forte, mi guardo attorno cercando di riconoscere la visuale dall'altra casa.

“La cucina è dall'altro lato, questo balcone non è collegato all'appartamento di mio fratello?” chiedo pensierosa.

“Certo che si! I miei nonni mi raccontano che prima era un unico appartamento, ci venivo da piccola e ricordo ben poco, ma su questo piano ci siamo solo noi! Non hanno un salotto da quella parte?”

Nego con la testa continuando a guardare la struttura di legno. La griglia è a maglie larghe, ma dall'altro lato un lungo telo copre la visuale. Secondo i miei calcoli quella dovrebbe essere la stanza di Tyler. Caitlin rientra in casa e io resto per qualche secondo a fissare il vuoto, per un attimo mi sembra di sentire un sospiro dall'altra parte.

“Anne! Non vieni?”

“Arrivo!” dico stampandomi un sorriso in volto, rientrando poi in salotto.

 

*

 

“Quindi ti piace...” dice Chris stravaccato sul letto.

Mi giro verso di lui, stesa sul mio lettino, e annuisco. Ho parlato a mia madre dell'appartamento e mi è sembrata entusiasta come me, ma vuole il parere di Chris prima di concludere l'accordo.

“Possiamo andarci anche adesso se non hai da fare!” dico ansiosa.

“Te l'ho già detto Anne, non essere precipitosa. In affari è meglio prendersi qualche giorno in più per decidere e poi, tu non devi studiare? Forza, che tra cinque giorni hai il test!”

Sbuffo alzando gli occhi al cielo per il suo comportamento da calcolatore e prendo il libro dallo zaino. Sfoglio svogliatamente qualche pagina mentre lui canticchia una canzone.

“Vuoi aiutarmi a studiare?” chiedo e lui alza le mani in segno di resa.

“No, grazie!”

Scende dal letto scompigliandomi i capelli prima di uscire, si chiude la porta alle spalle, ma lo sento urlare comunque: “Matt, ti va una partita alla play?”.

Uomini.

Leggo qualche pagina, ma le palpebre mi sembrano più pesanti del solito così distolgo lo sguardo. L'asciugamano di Tyler è ancora sul cesto dei panni sporchi, dove l'ho lasciato questa mattina, così mi alzo e lo prendo dirigendomi poi verso lo stanzino addetto a lavanderia. Prendo una bacinella e la riempio d'acqua, vi immergo l'asciugamano e recupero da un piccolo contenitore il detersivo per il bucato a mano dove spicca l'etichetta con il nome di mio fratello. Lo lascio in ammollo, mi lavo le mani e raggiungo la cucina. Sento le urla di Chris e Matt provenire dalla stanza di quest'ultimo e scuotendo la testa esco a prendere un po' d'aria. Come avevo previsto il balcone si affaccia sul lato confinante a quello dell'altra casa, dando così ragione ai miei pensieri sulla stanza di Tyler.

Guardo Manchester dall'alto. C'è una bella visuale del campus universitario e si sentono i rumori dell'autostrada nelle vicinanze. L'ho sempre vista come una città troppo industriale e spenta per i miei gusti creativi eppure sento di essere nel posto giusto per realizzarmi.

La serata procede a grandi linee come la precedente, ma questa volta Matthew cena con noi. Mi intrattengono con i racconti della giornata, chiacchierano di qualche partita di calcio e io mi alzo ben presto per lavare i piatti.

“Uscite anche questa sera?”

“Lui ha un esame domani mattina, già l'ho trattenuto troppo!” dice ridendo Chris mentre Matt annuisce “Per fortuna è nel pomeriggio!”.

Accenno un sorriso felice. Mi sembra che Chris abbia trovato un buon amico e che Matthew si sia ambientato facilmente in casa, spero sarà lo stesso per me. Caitlin è esuberante, ma sembra una ragazza con la testa sulle spalle e simpatica al punto giusto. Non ho ancora detto a mio fratello che lei studia letteratura inglese, non ho intenzione di sentire i suoi sproloqui su quanto le materie umanistiche siano più semplici di quelle scientifiche, in realtà quel mondo lo affascina più di quanto dice. Lui è sempre stato un tipo testardo, si era deciso a voler studiare economia e lo sta facendo, più a rilento del previsto, ma senza nessuna intenzione di smettere. Chissà qual è il suo segreto nascosto, quella facoltà che gli piacerebbe intraprendere, ma che per paura lascia chiusa in un cassetto immaginario. Quando eravamo bambini adoravo il suo modo di spiegarmi le cose. Se non conoscevo qualcosa a scuola tornavo a casa e la prima cosa che facevo era interrogarlo sull'argomento, mi sono sempre chiesta come riuscisse a conoscere tutte le risposte. Potrebbe essere un grande insegnante, vorrei parlarne con lui, ma un po' mi spaventa conoscere le sue motivazioni. La mia retta scolastica, essendo una scuola privata, è ben più alta di quella di Chris e non vorrei infrangere i suoi sogni per realizzare i miei. La mia famiglia non è povera, ma non siamo nemmeno i proprietari di una multinazionale. Ce la caviamo, con mamma che lavora come segretaria in un ufficio e papà che fa l'operaio in fabbrica. Lavori modesti e umili. Alcune volte tendevano a privarci di cose futili, ma crescendo ho capito che lo facevano per mettere da parte qualche soldino e permettersi i nostri studi.

“Anne? Ci sei?”

La voce di Chris mi riscuote, spaventata lascio cadere un bicchiere nel lavello e ringrazio che non si sia rotto. Mio fratello mi è subito accanto, “Stai bene?” chiede.

“Si, scusate. Mi ero distratta”. Mi giustifico.

“Non fa niente, io vado in camera a guardare un film. Vuoi guardarlo con me o resti a studiare qui?”

Finisco di sciacquare tutto e chiudo l'acqua. Mi asciugo le mani con lo strofinaccio e osservo l'orologio a parete. Mancano venti minuti alle dieci.

“Resto a studiare un po' qui” dico. Annuisce sospettoso, mi guarda cercando di capire a cosa stavo pensando prima, ma gli rivolgo un sorriso sincero e sembra bastargli per questa sera. Lo seguo in camera afferrando per l'ennesima volta i fogli che contengono esempi del test e li riporto in cucina. Matt si è rinchiuso in camera sua così mi sistemo sul lato corto del tavolo, dando le spalle alla porta, come ieri sera. Picchietto la matita sul tavolo e seguo il ritmo con la gamba destra. Sono agitata. Prima di preparare la cena ho raccolto l'asciugamano di Tyler, ormai asciutto, e l'ho appeso alla maniglia della porta della sua stanza. L'ultima volta che ho controllato, non c'era.

Alterno lo sguardo tra l'orologio e il tavolo e quando sento dei passi avvicinarmi mi precipito a scrivere qualcosa sul foglio. Faccio finta di prestare attenzione a quanto scritto mentre sento i suoi occhi osservarmi. Rimane sulla porta per qualche minuto per poi superarmi e aprire la dispensa, recuperando dal suo ripiano dei legumi in scatola. Sistema la sua tovaglietta con cura sul tavolo senza guardarmi, versando poi in una ciotola il contenuto della sua cena. Cammina avanti e indietro, aprendo ripetutamente la porta del frigorifero. Cerco di non sbuffare, ma quando la chiude prepotentemente finisco per alzare lo sguardo e incontrare il suo serio. Sembra soddisfatto di avermi dato fastidio, ma non sorride, nemmeno un accenno piccolo. Vorrei dire qualcosa di pungente, ma è lui a prendere parola: “Potevo lavarlo da solo l'asciugamano”.

Ancora una volta il suo tono è piatto e non riesco a capire se è arrabbiato oppure no. Mi do della stupida per essermi preoccupata di fargli un favore e incrocio le braccia al petto.

“Non succederà più, tranquillo. Tra qualche giorno me ne vado così puoi lavarti da solo tutti gli asciugamani che vuoi come facevi prima!”

Mi rendo conto di aver parlato con un tono eccessivo, ma ormai è fatta e non sono mai stata brava a rimangiarmi le cose dette. Con mia grande sorpresa sul suo viso appare un sorriso divertito.

“Acida!” borbotta.

“A-? Puah!”. Cretino era meglio quando stavi zitto.

Lo ignoro tornando a rispondere a qualche domanda, ma all'improvviso la mina della matita si spezza facendomi sobbalzare spaventata. Lo sento ridere, alzo lo sguardo pronta ad affrontarlo con qualcosa di pungente, ma per un secondo i suoi occhi mi sembrano sereni. Resto immobile per qualche secondi prima di rilasciare la tensione e scoppiare a ridere con lui.

“Che succede?”

Chris arriva in cucina guardandoci increduli. Sposta lo sguardo da me a Tyler, come in una partita di tennis, ma non sembra entusiasta. Fa qualche passo verso l'altro ragazzo, tende le mani in avanti, sembra quasi volersi tenere pronto ad ogni eventualità. Smetto di ridere senza capire, guardo le lacrime iniziare a fuoriuscire dagli occhi di Tyler, lente e silenziose, e in poco tempo le risate cessano. Stringe i pugni con forza, le unghie conficcate nella pelle.

“Ty, ehi!” dice mio fratello. “Ci sono io, va tutto bene. Perché non vai a stenderti? Qui pulisco io.”

Il tono è calmo, delicato quasi. Gli accarezza un braccio con la stessa premura, come se avesse paura di farlo esplodere. Li guardo incapace di dire, o fare, qualcosa.

“Grazie” borbotta in risposta l'altro, per poi uscire dalla cucina senza degnarmi di uno sguardo.

Rimango a fissare il punto in cui è sparito incredula, ripercorro mentalmente quanto è successo e non riesco a capire dove ho sbagliato. Ben presto mi rendo conto di non essere a conoscenza della sua storia e di non avere tutti gli elementi per arrivare ad una conclusione.

“Annette? Mi dici cosa hai fatto?”

Mi giro verso mio fratello, si è seduto intorno al tavolo e si passa stanco una mano sul viso. Non lo rimprovero per avermi chiamato con quel diminutivo che odio, ma la sua domanda mi urta.

“Cos'ho fatto? Io proprio niente!” dico agitata. “Stavamo avendo un battibecco, poi mi si è spezzata la punta della matita e siamo scoppiati a ridere, non mi sembra di aver fatto qualcosa di male!”

Lui scuote la testa tendendo un braccio verso di me, fino a chiudere la sua mano sulla mia: “Ti chiedo scusa da parte sua se sei scossa. Ty è... mmh, lascia stare, solo scusa”.

Vorrei insistere con lui, chiedergli di finire il discorso, di andare avanti e rispondere a tutte le domande che in soli due giorni si sono formate nella mia testa, ma mi blocco. Sembra realmente preoccupato, non ricordo di averlo visto così tante altre volte. Fatte eccezione per quando, tre anni fa, la mamma è stata male, è sempre lui a risollevare gli animi in famiglia quando c'è qualche problema da risolvere.

“Non devi chiedermi scusa, non fa niente”. Mento.

Alza lo sguardo alle mie spalle e mi volto anche io per sorridere a Matthew. L'orologio segna le dieci e mezza passate eppure sembriamo tutti svegli come se fosse mezzogiorno.

“Che ne dici di fare quattro passi fuori?” dice Matt impacciato. Lo guardo accorgendomi di non avere altra scelta se non quella di accettare. Osservo i loro volti e annuisco “D'accordo”.

Infilo le scarpe da ginnastica e cambio maglietta, non so dove siamo diretti, ma cerco di dare una parvenza civile anche ai miei capelli. Tiro fuori dalla valigia una borsa nera e trasferisco dallo zaino le cose essenziali. Rubo il deodorante a Chris, infilo la giacca di pelle ed esco. Matt mi aspetta davanti alla porta d'ingresso, ha un pantalone vecchio stampo e una semplice felpa dell'università e le mie mani prudono. Qualche giorno entro di soppiatto in camera sua e rivolto il suo armadio!

In compenso il suo sorriso è confortante, lascio un bacio sulla guancia di Chris e mi appresto a seguirlo fuori dal palazzo.

Ci ritroviamo in strada l'uno accanto all'altro. Istintivamente sposto lo sguardo verso l'alto alla ricerca del balcone di casa. La parte di Caitlin è accesa, l'altra no.

“Quando ti sistemerai di là?” chiede calciando un sassolino.

“Domani molto probabilmente darò conferma, sempre se Chris deciderà se è passato abbastanza tempo” dico sorridendo. Lui ride con me facendomi poi cenno di sedermi su una panchina. Mi guardo attorno, siamo all'inizio di un parco e altri studenti, come noi, passeggiano e chiacchierano allegramente.

“Dopo vedremo cosa dirà lei, quando posso entrare in casa. Dopo il test, in attesa dei risultati, tornerò a casa per finire di preparare tutte le mie cose, sono venuta qui con una misera valigia!” dico continuando a rispondere alla sua domanda.

“Quando usciranno? I risultati intendo!”

“Oh, non saprei. La settimana dopo? I corsi iniziano dieci giorni più tardi, quindi immagino che il limite massimo sia quello”.

“Non parlarmi di limiti ti prego!” dice aggiustandosi gli occhiali. “Non parliamo di matematica e basta!”

Ha un viso molto espressivo ed è divertente vederlo inscenare il dolore, mentre tiene una mano sul petto e l'altra sul viso in modo teatrale. Si unisce alla mia risata dopo che una coppia ci supera guardandoci male. Imboccano il viale che li porterà al centro del parco e noi li salutiamo con la mano prima di scoppiare a ridere ancora una volta.

“Dovresti essere a studiare e invece sei qui a distrarre me” dico mortificata.

Lui scuote la testa e si appoggia con entrambe le mani allo schienale della panchina. Fissa il cielo e sorride “Non è un problema, imparerai anche tu che il giorno prima dell'esame è meglio rilassarsi!”.

“Mh, non credo. Sono più il tipo da studio pazzo dell'ultimo momento”.

“Tutti sono un po' così prima di iniziare l'Università!”

Non ribatto, imito la sua posizione e guardo il cielo anche io. Il sole è tramontato già da un paio di ore e io rimpiango l'inizio della bella stagione dove a quest'ora si potevano ancora notare i residui del tramonto. Ci sono pochissime stelle, o perlomeno poche sono quelle che riesco a notare. Restiamo così per minuti che sembrano ore. Una piccola brezza mi fa chiudere gli occhi e rilassare, vorrei chiedere a Matthew qualcosa della vita di Tyler, ma sono sicura che non sa molte più cose di me così preferisco non rovinare la nostra tranquillità.

Torniamo a casa mezz'ora dopo. C'è un silenzio piatto, sposto lo sguardo verso la porta chiusa della stanza di Ty e poi mi volto a salutare Matt: “Grazie per la passeggiata, buonanotte”.

“Grazie a te per la compagnia, è stato bello stare in silenzio con te” dice sorridendo. “Buonanotte Anne, ci vediamo domani!”

 

*

 

I giorni si susseguono veloci tra lo studio, le passeggiate silenziose con Matt e le chiacchierate con Chris. Ora, a quarantotto ore dal test, mi ritrovo con la mente piena di informazioni. Da due giorni, dopo un'attenta valutazione di Chris, ho firmato il contratto con i nonni di Caitlin. L'affitto è più basso di quello che immaginavo e loro sono stati più che felici di sapere che la loro nipotina preferita avesse trovato una “giovincella graziosa” come me con cui condividere la casa. Mi sono sistemata definitivamente solo ieri, dopo che la mia coinquilina mi ha dato il via libera, ma non ho ancora sistemato nulla. La valigia è aperta ai piedi del letto e ho rubato le lenzuola dalla stanza di Chris, appuntando di doverle comprare. Fisso il muro davanti a me ripetendo mentalmente i passaggi per disegnare un modellino di gonna-pantalone. Dopo il quiz di cultura generale, saremo chiamati a disegnare su carta un modello di abbigliamento che può variare da un misero pantalone ad un più elaborato abito da sposa. Per ognuno di questi vanno rispettate determinate regole. Faccio uno schizzo per ogni possibile abito, cercando di prepararmi anche ad una eventuale richiesta di improvvisazione. La creatività non mi è mai mancata, ma la stanchezza inizia a farsi sentire. Un leggero picchiettare alla porta mi fa spostare l'attenzione.

“Avanti!” dico sfinita.

Caitlin mi sorride dalla porta con una tazza di caffè tra le mani, “Ho pensato ne avessi bisogno” dice appoggiandola sulla scrivania.

“Oh, grazie!”

Mi alzo per abbracciarla di scatto e lei ricambia entusiasta stringendomi. Ho scoperto che ama bere il caffè, amaro, all'italiana, odia il caffè inglese perché: “E' solo acqua An! Quando diventerai famosa e lavorerai a Milano mi penserai!”

“Come sta andando? Non ne capisco niente, ma posso darti una mano se vuoi” dice sorridendo.

“Procede abbastanza bene, stavo finendo i modellini su carta, ma sono stanca. Non vedo l'ora di farlo così mi tolgo il pensiero!”

Lei ride sedendosi sul letto “Sei solo all'inizio, vorrei dirti che poi gli esami diventeranno più semplici da affrontare, ma no. Mi dispiace!”.

“Grazie tante, sei di aiuto!” dico scherzando.

“Dai, è solo un test d'ingresso, andrà bene”.

Faccio una smorfia, è solo un test d'ingresso, ma è a sbarramento e rischio di non entrare. Tengo questi pensieri per me e lei finisce per rimanere sul letto, ad ascoltarmi ripetere dettagliatamente le differenza tra il prendere le misure ad un uomo e prenderle ad una donna.

Continuiamo così per svariati minuti, poi chiudo tutto e mi alzo sgranchendomi le gambe indolenzite.

“Che fai stasera?” chiede alzandosi dal letto.

“Credo che rimarrò sul divano a guardare la tv o probabilmente mi addormenterò, i miei occhi chiedono pietà! Tu?”

“Mi vedo con alcuni ragazzi della mia facoltà, niente di che! Vado a prepararmi allora, sono già in ritardo!” dice ridendo prima di uscire dalla stanza. Scuoto la testa e mando un messaggio a Chris: “Che fate di bello?”.

Non ho parlato, né visto Tyler da quella famosa sera. Ogni volta che sono di là, lui sembra scomparso e mio fratello sembra intenzionato a non toccare l'argomento. Mi chiudo la porta della camera alle spalle e raggiungo la cucina per prepararmi una tazza di latte e cereali. Faccio ancora un po' fatica a ricordarmi l'ordine delle cose, così apro tre cassetti prima di trovare un cucchiaio. Sbuffo e cammino, facendo attenzione a non far cadere nulla, verso il balcone del salotto. Le stelle sembrano più numerose del solito e per una sera il cielo lo guardo da qui, aspettando la risposta ad un messaggio e un piccolo segno di vita dall'altro lato del balcone.

 

__________________________________________________________

Nda.

Ed anche il terzo capitolo è online!

Ringrazio chi ha letto, votato o commentato la storia e anche le persone che hanno iniziato a leggerla in silenzio. Conoscere i vostri pensieri e pareri mi aiuta a migliorarmi e mi sprona ad andare avanti, quindi se avete consigli o critiche fatevi avanti!

Per il prossimo capitolo ci sarà da aspettare qualche giorno, intanto vi lascio con una piccola domanda: secondo voi, Tyler cosa nasconde?

A presto,

Serena.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Ci sono volte in cui vivere la vita è come entrare a mani tese in un cespuglio spinoso di fiori. Dopo ti senti tremendamente graffiato ma pieno di luce.
(Fabrizio Caramagna)

 

*

 

“Penna? C'è! Foglio d'iscrizione? Anche!”

Controllo di aver preso tutto l'occorrente e sistemo la tracolla blu sulle spalle. Osservo il mio riflesso allo specchio posto accanto all'ingresso per valutare se cambiarmi o meno. Liscio la camicia bianca e sistemo i capelli prima di controllare l'ora e decidermi di stare abbastanza bene ed uscire. Caitlin è andata via un'ora fa da casa, dopo avermi augurato buona fortuna per il test si è preoccupata di lasciarmi la colazione pronta sul tavolo con un biglietto di incoraggiamento. Il fatidico giorno è davvero arrivato! Alcune volte un evento sembra più lontano di quel che realmente è, lo aspettiamo con ansia per poi vederlo sfumare in un paio di ore davanti ai nostri occhi. Mi chiudo la porta di casa alle spalle e faccio qualche passo per suonare il campanello della porta accanto. Tengo le mani strette attorno alla borsa, in attesa. Sento dei rumori provenire dall'appartamento, poi Chris mi sorride dall'altra parte: “Buongiorno sorellina, pronta?”.

Mi faccio abbracciare da lui, rilasso le spalle e lascio uscire un po' di tensione.

“Ho paura!” confesso.

“Non devi averne, io so chi sei e sei la migliore!” dice scostandosi per guardarmi negli occhi. Ha le mani ferme sulle mie spalle e un sorriso d'incoraggiamento sulle labbra. Annuisco cercando di fidarmi di lui come sempre e ripeto a me stessa che posso farcela.

“Aspettami in centro dopo, mangiamo qualcosa fuori, che ne pensi?”

“Va bene. Non so come andrà, ma in qualsiasi caso avrò bisogno di cibo!” dico sorridendo.

“Ovviamente!” Ride. “Matt dorme ancora, ma ieri sera mi ha detto di augurarti buona fortuna!” continua poi e il mio sorriso si fa più grande. Lo saluto in fretta per non fare ritardo e automaticamente, prima che la porta si chiuda, butto uno sguardo furtivo all'interno. Lo stomaco si chiude all'improvviso, ma non indago oltre, attribuisco il fastidio all'agitazione.

Scendo le scale di corsa ed esco dal palazzo dirigendomi alla fermata dell'autobus. Le cuffie nelle orecchie risuonano la playlist delle mie canzoni preferite, facendomi compagnia. Mi guardo attorno per tutto il viaggio, studiando i volti degli altri passeggeri, cercando di capire se tra di loro si nasconde qualcuno che sta vivendo la mia stessa situazione. Picchietto il piede a terra nervosa, per distrarmi mi concentro sul modo di vestire delle altre persone. Lo faccio da quando ero bambina: osservo e ricreo. Mi piace provare ad immaginare come un semplice vestito con un taglio diverso, una scarpa diversa, potrebbe essere molto più interessante. Per me è sempre stato un bel gioco e un po' ammetto di aver paura di farne un lavoro, nonostante sia la cosa che più amo fare al mondo. L'abitudine può diventare un mostro pericoloso se non troviamo il tempo di ricordarci perché abbiamo scelto una determinata strada. Quando l'autobus si ferma, scendo in fretta, accodandomi poco dopo alla fila di persone davanti all'ingresso. Mi alzo sulle punte cercando di capire cosa succede all'inizio della fila. Sulla porta della scuola sono affissi dei fogli, un po' alla volta si avvicinano per dare un'occhiata e poi entrare. Aspetto pazientemente il mio turno e quando sono abbastanza vicina per leggere osservo attentamente, alla ricerca del mio nome. Per fortuna sono in ordine alfabetico così impiego meno del previsto a trovarlo, seguo con il dito la riga fino a conoscere il numero dell'aula in cui sosterrò l'esame. Non so con che criterio ci abbiano divisi, ma quando entro la mia unica preoccupazione è dove trovare l'aula. Mi avvio lungo un corridoio osservando la numerazione delle classi, fino a quando, nelle vicinanze delle scale, dei cartelli mi suggeriscono che l'aula che sto cercando si trova al terzo piano. Salgo in fretta, facendo attenzione a non scontrarmi con le persone che scendono. Tanti ragazzi parlano a gruppetti, qualcuno sembra essersi appena conosciuto, altri devono essere amici da una vita dal modo in cui si abbracciano. Dopo qualche altro giro riesco a trovare l'aula. C'è un uomo sulla porta che sta chiamando ad uno ad uno le persone della lista, tiro fuori i documenti da consegnare e aspetto in attesa di sentire il mio nome. Quando mi indica il posto dove sedermi mi avvio agitata. Sorrido al ragazzo entrato prima di me, tiro giù la sedia di legno chiaro e mi accomodo, come indicato, due posti dopo di lui. L'aula è enorme e dalle finestre filtra la luce solare. I banchi sono bianchi e stranamente puliti. Tiro fuori la penna, l'appoggio sul banco e strofino i palmi delle mani sulle ginocchia, nervosa. Davanti ad ognuno di noi c'è un foglio rivolto verso il basso, quando tutti sono al proprio posto ci danno il via per girarlo e iniziare il test. Leggo in fretta le prime domande rispondendo a quelle che so con certezza e rimandando quelle in dubbio. Il mondo attorno a me sembra scomparso e quando rialzo la testa dal foglio devo sbattere le palpebre più volte per mettere a fuoco quello che mi circonda.

“Quando avete finito consegnate i fogli in silenzio, dopodiché in gruppi da sette verrete chiamati per la prova d'ammissione pratica!” spiega una professoressa dall'aria seriosa. Annuisco per poi tornare a concentrarmi. Ho sempre odiato consegnare un compito per prima, così una volta arrivata alla fine ripasso da capo le risposte date in attesa che qualcuno si alzi. Torno sulle domande su cui ho qualche dubbio, ma so che se continuerò a leggerle finirò per cambiare anche le risposte giuste. “Scusa, posso uscire?”

Sposto lo sguardo verso l'alto sul ragazzo seduto due posti più in là che, con il foglio in mano, aspetta che io mi alzi per uscire dalla fila. Annuisco facendogli spazio e lo seguo fino a quando appoggia il test sulla scrivania. Prende un bel respiro e dopo un ultimo sguardo mi alzo anche io. Vedo altri imitarci, ma cerco di sbrigarmi per essere nel primo gruppo dei sette per poi appoggiarmi al muro in attesa.

“Com'è andata?” chiedo ad una ragazza.

Si gira a guardarmi curiosa, mi studia per qualche secondo, poi mi sorride.

“Spero bene! Ho risposto a tutto quello che sapevo, alcune le ho lasciate bianche, ma tutto sommato è andata bene. A te?”

Mantengo un tono di voce basso mentre rispondo quasi allo stesso modo. Altri ragazzi ci raggiungono e lo stesso uomo che prima ci ha fatto entrare in aula, ora ci fa uscire. Insieme a me e Vivian, come scopro chiamarsi quando lasciamo il nostro nominativo, ci sono due ragazze e tre ragazzi. Ci accompagnano in un laboratorio e ci lasciano sedere, ben distanziati tra noi, dietro tavoli quadrati e grandi. In totale sono ventiquattro, disposti in tre file. Per ogni postazione una macchina da cucire. Vivian si sistema davanti a me e mi sorride prima di voltarsi e prestare attenzione all'insegnante.

“Benvenuti a tutti! Io sono il Professor Martin e lui e Leen, il nostro modello. Su ogni postazione potete trovare un foglio carta modello, un metro e una squadra da sarta, la macchina da cucire per oggi non servirà. Tutti voi avete fatto domanda per il corso di moda e quello che vi chiediamo di realizzare oggi è un modellino su carta di un gilet da uomo. Potete servirvi di Leen per le misurazioni reali per poi trascrivere sul blocco, misure e bozzetti. Siete in tanti come avete visto, l'esercizio è tra i più semplici e avete a disposizione quindici minuti, a partire da...” dice osservando l'orologio sul polso. “Adesso!”

Guardo gli altri muoversi immediatamente verso il ragazzo, io sistemo la carta modello sul tavolo, piegandola a metà, per poi aspettare il mio turno e prendere le misure. Prendo quelle del torace andando a riportarle subito ad un angolo del foglio. Continuando poi con la larghezza delle spalle, la lunghezza fino al punto vita e la lunghezza totale del gilet. Quando finisco torno alla mia postazione e impugno la squadra. Calcolo la taglia iniziano a misurare il giro collo, la lunghezza delle spalle. Unisco con la matita i diversi punti, calcolo il riporto della stoffa sotto le ascelle e sistemo la lunghezza totale. A mano libera rifinisco il tutto per poi passare a disegnare il dietro. Giro la squadra nel verso adeguato continuando a riportare le misure giuste. Sento vociferare, ma non me ne curo e cerco di portare a termine tutto nel minor tempo possibile. Non è la prima volta che disegno un modellino di questo genere, ma la mano trema ugualmente per l'agitazione. Rilascio la tensione scrollando le spalle e firmo il foglio nell'angolo in basso velocemente prima di sentire uno “Stop!” autoritario.

Un rumore di matite a contatto con il legno dei tavoli risuona nella stanza. Qualcuno sorride, altri si lamentano insoddisfatti.

“Bene, grazie a tutti! Potete andare, passando lasciate i bozzetti sulla cattedra. Come sapete i risultati usciranno la prossima settimana, buona fortuna e beh, con qualcuno di voi sono sicuro ci rivedremo a lezione!” dice sorridente. Ringrazio educatamente, recuperando poi la tracolla da terra. Impilo anche il mio lavoro sugli altri e mi dirigo fuori a passo svelto. Saluto Vivian con la mano e mi precipito giù dalle scale per uscire. Non riesco a trattenere un sorriso felice, sono totalmente persa nei miei pensieri e quasi cado quando un flash mi acceca. Mi copro gli occhi con la mano e quando riesco a focalizzare la persona davanti a me, alzo un sopracciglio confusa.

“Scusa se ti ho spaventata! Avevi un sorriso così luminoso, io sono Grant!” dice un ragazzo castano. Tra le mani nivee stringe una macchina fotografica professionale. Il suo sorriso allegro e gli occhi verdi accesi mi fanno rilassare. Stringo la mano che mi sta porgendo presentandomi a mia volta.

“Che bel nome!” dice subito.

“Ehm, grazie!” ribatto imbarazzata. Lui ride ancora, scattando poi un'altra foto a caso.

“Sei qui per il test a quale corso?” chiede curioso non lasciandomi l'opportunità di svincolarmi e andare.

“Moda, ho appena finito. Tu per fotografia immagino!”

Annuisce entusiasta. “Esatto! Ora devo andare, ci vedremo da queste parti!” dice sorridendo e sembra così sicuro di se stesso che finisco per crederci anche io alla buona riuscita di questo test.

Lo saluto con la mano per poi allontanarmi scuotendo la testa. La gente è strana!

Mando un messaggio a Chris avvisandolo di aver finito prima del previsto, è ancora presto e il sole continua a splendere in cielo nonostante le temperature siano sempre fresche. Leggo la risposta di mio fratello e cerco sul navigatore del telefono la piazza in cui mi ha dato appuntamento. Mi avvio mantenendo il sorriso sul volto. Mi concedo di guardare le vetrine dei negozi, butto uno sguardo ai ristoranti lungo la via e osservo le persone camminare a testa bassa e i bambini ridere. Regalo un sorriso a tutti anche quando qualcuno mi guarda in malo modo, da quando sorridere per strada è diventato sintomo di pazzia? Continuo a camminare e quando mi ritrovo nelle vicinanze della piazzetta sposto lo sguardo alla ricerca di mio fratello.

“Anne! Anne!”

Mi sento chiamare così mi giro verso destra. Matt è in piedi su una panchina di marmo chiaro, sventola una mano per farsi vedere mentre Chris e Tyler sono seduti tranquilli. Rallento il passo stringendo la presa sulla mia borsa, poi mi stampo un sorriso in viso e ricambio il saluto. Mi avvicino stringendo subito mio fratello in un abbraccio, Matt si unisce a noi scherzando e scoppiamo a ridere. Quando mi scosto incrocio lo sguardo di Tyler. Mi guarda attento, il suo viso sembra sempre apatico eppure per un secondo quel sorriso, appena accennato, lo vedo.

“Allora, dicci tutto! Com'è andata?” chiede Chris alzandosi e iniziando ad entrare in una tavola calda. Lo seguiamo tutti e tre mentre racconto a grandi linee quello che è successo.

“Mi hanno chiesto di fare un bozzetto, penso sia andata bene. Devo aspettare una settimana per i risultati, mi hanno dato il sito e un codice di accesso per controllare!”

“Un giorno rifarai il guardaroba di Matt, per favore!” dice Chris scoppiando a ridere.

“Ehi! Smettetela, ho un mio stile!” borbotta il diretto interessato.

“Uno stile un po' strano, ma sempre il tuo!” risponde Ty sorprendendoci tutti. Matt passa le mani sulle bretelle e gli sorride senza rispondere oltre. Ordiniamo qualcosa da mangiare, optando per carne e patate. Quando metto in bocca il primo boccone non riesco a trattenere un verso di approvazione, la carne è morbida e gustosa. Un retrogusto di limone mi lascia addosso una sensazione agrodolce che mi fa rabbrividire. Gli altri non sembrano essersene accorti, continuano a chiacchierare tranquillamente tra loro. Cerco di seguire il discorso, ma ben presto mi perdo nei miei pensieri quando mi accorgo che stanno parlando di derivate e funzioni matematiche. Alzo gli occhi al cielo e solo ora mi rendo conto di non sapere cosa studia Tyler. Alzo lo sguardo verso di lui, è seduto davanti a me, ma non mi guarda, è concentrato sul cibo. Anche lui sembra non prestare attenzione ai discorsi degli altri due, ma in realtà non l'ho mai visto attento in qualche conversazione. Non posso evitare di ammettere a me stessa che ho voglia di scoprire cosa si nasconde sotto il suo sguardo smarrito eppure una sensazione, forse il famoso sesto senso, mi dice che di tempo dovrà passarne parecchio prima di capirci qualcosa.

“Anne? Ci stai ascoltando?”

Mi volto di scatto verso Chris stralunata: “Scusate!”.

“Sei sempre distratta ultimamente, si può sapere cos'hai?”

“Niente! Va tutto bene, davvero. Stavo solo ripensando ad oggi!” Mento.

Mio fratello sospira, le ciglia aggrottate segno che non si è bevuto la mia scusa, ma lascio correre e ricomincio a mangiare.

“Quindi? Di cosa stavate parlando?” chiedo.

Chris scuote la testa prima di borbottare qualcosa a tono basso, riesco a cogliere soltanto uno “...stralunati!”. Faccio finta di niente e presto attenzione alle parole di Matthew.

“Stavo chiedendo a Chris quando devi andare via, possiamo organizzare qualcosa tutti insieme! Tipo una cena, o andare al cinema!” dice entusiasta. “Ti va? Puoi dirlo anche alla tua coinquilina così ci conosciamo meglio tutti!”

Annuisco. Mi sembra davvero un'ottima idea, possiamo passare una bella serata tutti insieme, ne sono sicura. Potrei anche cogliere l'occasione di uscire per fare qualche modifica al look di Matthew!

“Ne parlerò anche a Caitlin, per me comunque va benissimo” dico facendomi coinvolgere dalla sua allegria. Mi sorride sincero, iniziando poi ad elencare tutte le possibili cose da fare. Sto quasi per rispondere che io a bowling non ci ho mai giocato quando mi sento richiamare da una voce sconosciuta: “Anne!”.

Mi giro insieme ai ragazzi spostando lo sguardo tra i vari tavoli. In piedi, pochi metri lontano dai noi, Grant sventola una mano in segno di saluto. Lo guardo sorpresa prima di alzare timidamente la mano.

“Chi è?” chiede subito Chris.

“L'ho conosciuto oggi, dopo il test!” ribatto senza aggiungere che un po' mi fa paura. Sarà perché io non sono così aperta con gli altri, ma quando vedo qualcuno così estroverso mi faccio mille domande. Grant sorride tornando a sedersi composto insieme ad altre persone, la sua famiglia immagino, e io mi rigiro alzando le spalle.

“C'è gente strana in giro!” commenta mio fratello.

“Ha fatto il test per fotografia, non credo sia una cattiva persona, ma ha dei modi un po' particolari di fare amicizia... o almeno penso sia questo il suo intento!”

“Tu stai attenta lo stesso”. Freddo e diretto l'intervento di Tyler ci fa ammutolire tutti.

“So badare a me stessa” dico piccata. Non riesco a trattenermi dal rispondere alterata, ma mi mordo il labbro subito dopo quando Chris mi guarda in malo modo.

“Fa un po' come ti pare!” continua facendo l'indifferente. Sistema il tovagliolo di stoffa sul tavolo, controlla l'ora sul cellulare e poi si alza. “Io devo andare”.

“Resta ancora qualche minuto, dai Ty! Prendiamo qualcos'altro!” dice Chris cercando di convincerlo.

“Non ho più fame, grazie!” dice rivolto a mio fratello. “Tu prendi un dolce, magari contrasta quell'acidità che ti ritrovi!”

Ci metto qualche secondo per capire che si sta riferendo a me. Devo avere il viso in fiamme perché Matt appoggia una mano sul mio braccio per non farmi alzare. Non riesco a formulare una frase di senso compiuto e finisco per prendere la borsa ai miei piedi, tirare fuori qualche banconota e passarle mio fratello.

“Tolgo il disturbo io, non ti preoccupare. Vado a cercare Caitlin, ci sentiamo dopo!” dico alternando lo sguardo tra Chris e Matt.

“Ragazzi, non fate così! Siamo in un ristorante...” prova a dire Chris, ma non riesco a sentire la parte finale del discorso perché mi avvio verso l'uscita. Alzo la mano verso Grant quando passo accanto al suo tavolo e dal suo sguardo incerto capisco che ha assistito alla scenata. Mi chiudo la porta del locale alle spalle e torno a respirare. Sento le lacrime risalire agli occhi per l'agitazione, ma mi costringo a respirare e darmi una regolata. Oggi è una bella giornata e non me la farò rovinare da un tipo qualunque!

Tiro fuori il telefono dalla borsa mentre imbocco una stradina secondaria, e cerco in rubrica il numero della mia coinquilina. Mi guardo attorno aspettando una sua risposta. Non sono mai stata in questa parte della città, così cerco di prendere qualche punto di riferimento tipo il negozio di fiori con l'insegna verde, o il pub con le bandiere irlandesi fuori.

“Ehi Anne!”

“Ciao coinquilina! Che fai?”

“Sono in biblioteca a studiare per dopodomani! Ci ho messo tempo a rispondere perché sono dovuta uscire! Tu?” chiede.

“Ho pranzato con mio fratello e i suoi coinquilini, ma ora sono andata via! Volevo fare un giro con te, ma hai da fare immagino!”

“Scusami, ma io devo ancora sostenere il test, beata te che hai finito oggi! Sono qui con altri ragazzi che ho conosciuto e ci stiamo confrontando”.

“Capisco, tranquilla! Ci vediamo più tardi allora!” dico prima di chiudere la chiamata e avviarmi alla fermata dell'autobus. Il telefono vibra facendomi notare la presenza di un messaggio di mio fratello. Vuole sapere come sto e dove sono, gli dico solo che sto bene senza rivelare che sto tornando a casa. Seguo passivamente il solito percorso con il bus, non è molto pieno a quest'ora così riesco a trovare un posto dove sedermi accanto al finestrino. Conto le fermate fino ad intravedere il piccolo parco del mio quartiere. Prenoto la fermata avvicinandomi alle porte centrali e mi accodo agli altri passeggeri per scendere. Il giardino sembra pieno di persone, tanti hanno una coperta stesa a terra. Dei bambini giocano, così decido di approfittare della bella giornata anche io. Torno a casa per poggiare la tracolla e apro tutti gli armadi alla ricerca di qualcosa da poter usare come coperta da poggiare sull'erba. Ne trovo una rossa non troppo pesante e opto per prendere quella. La metto in borsa insieme a un blocco da disegno e ad alcune matite colorate. Controllo di avere le cuffie per la musica e chiudo la porta della mia stanza. Passando in corridoio recupero una bottiglia d'acqua dal ripostiglio che funge da dispensa. Non è una stanza enorme, ma c'è uno scaffale a testa per la spesa, uno a destra e uno a sinistra. Il mio è quello a sinistra, non è molto pieno, ci sono cibi in scatola e cose per la casa, mentre dall'altro lato Caitlin sembra aver fatto spesa per un esercito intero. Ha scorte di qualsiasi tipo, da dentifrici a tovaglioli di carta, tonno in scatola e legumi. Infilo la bottiglia nella borsa e mi dirigo verso la porta d'ingresso. Prende le chiavi di casa, a cui dovrò comprare un portachiavi per riconoscerle nella borsa, e esco.

Ripercorro la strada all'indietro, infilando già le cuffie nelle orecchie. Imbocco l'inizio del viale in discesa che mi porterà al giardino, gli alberi altri creano una specie di soffitto alla strada fino alla fine. Guardo la distesa verde aprirsi davanti a me e ringrazio mentalmente che ci sia questo spazio naturale in mezzo al caos della città, può sembrare banale, ma per me è importante avere un contatto con la natura. Cerco uno spazio libero dove posizionarmi e stendo la coperta prima di allungarmi. Prima di tirare fuori il blocco da disegno, sistemo la borsa sotto la testa e mi stendo in posizione supina, concedendomi di guardare il cielo azzurro e rilassarmi. Prende un respiro di aria fresca, le voci dei bambini che giocano a rincorrersi mi arriva chiara e distinta. Li seguo con gli occhi e viene da ridere anche a me quando li vedo sfidarsi sull'altalena. Ci sono diversi giochi, tutti occupati e molti di loro sono in attesa del loro turno sullo scivolo più bello. Una bambina cade, alcuni ridono, ma altri si avvicinano a tenderle una mano. Mi fermo a guardarli e mi rendo conto di quante cose potrebbe insegnare un bambino ad un adulto. Ognuno ha una sua storia alle spalle, ma tendiamo a dimenticare troppe volte che un semplice gesto d'aiuto potrebbe cambiare la vita di un altro proprio come qualcuno ha fatto con noi. Se esiste una flebile scintilla di luce, le tenebre non possono vincere.

Chiudo nuovamente gli occhi e uno strano senso di pace mi pervade il corpo. Mi sento rilassata, per un momento dimentico il test, la scuola di moda, di dover tornare a casa. Ci sono solo io e il vento fresco che soffia tra gli alberi regalando a tutti un brivido piacevole. Prima di rischiare di addormentarmi, mi giro a pancia in giù e tiro fuori il blocco e le matite. Sfoglio le pagine occupate dai diversi modellini e ne cerco una vuota. Inizio a tracciare leggermente i contorni della modella su cui disegnerò l'abito che ho in mente. Non mi concentro sui particolari del viso, traccio invece i contorni di una camicetta, uno scollo a v, le maniche lunghe che terminano leggermente a palloncino. Proseguo disegnando i contorni di una gonna a pantalone che parte dalla vita fin sopra il ginocchio. Una cintura sottile e nera a dividere il vestito. Con l'aiuto dei colori disegno dei pois rossi e blu di piccole dimensioni, dando poi con il grigio le sfumature d'ombra giuste alle pieghe dovute al movimento delle gambe. Rifinisco i contorni, disegno i capelli fin sopra le spalle alla modella, un paio di scarpe blu con il cinturino rosso e osservo il risultato finale. Con il colore nero continuo a marcare alcuni dettagli e alla fine mi ritengo piuttosto soddisfatta del risultato. Su un nuovo foglio, ripropongo lo stesso modello cambiando qualche particolare, trasformo la gonna-pantalone in una gonna a pieghe. Mantengo la lunghezza, coloro quasi tutto di rosso, senza schiacciare troppo in modo che la tonalità sia più leggera. Metto in evidenza, con il bianco, due strisce orizzontali sull'orlo della gonna e alla fine delle maniche. Mentre la punta del colore lascia traccia del suo passaggio, muovo i piedi a ritmo di musica. Disegnare mi ha sempre fatto vivere con il sorriso sulle labbra ed è questo il punto di tutto, trovare quella attività che ci concede un briciolo di libertà dal mondo esterno. Continuo a disegnare ancora per un'ora, mi fermo ogni tanto per bere acqua e osservare i passanti. Quando decido di sistemare tutto e tornare a casa, lo faccio solo perché lo stomaco brontola ed ho fame. È tardo pomeriggio, risalgo la strada verso casa, ripromettendomi di tornare presto. Passeggio tranquilla, mentre un profumo delicato di dolci appena sfornati invade l'aria. Mi guardo attorno, non ci sono pasticcerie da queste parti, forse qualcuno in casa ha sfornato una torta. Lo stomaco brontola ancora e mi costringo ad accelerare il passo. Rientro nel condominio e prendo l'ascensore fino al mio piano. Quando apro le porte, un piccolo pacco davanti alla porta attira la mia attenzione. È una scatola bianca, con sopra un biglietto piegato in malo modo. Quando lo prendo non so se ridere, o arrabbiarmi. “Per Miss acidità”, c'è scritto in una grafia disordinata. “Alla fine il dolce non l'hai mangiato!”.

Quando apro la scatola un pezzo di crostata alla marmellata scura, probabilmente alla ciliegia, è poggiato in un piattino. Lo stringo tra le mani, guardando verso la porta dall'altro lato del pianerottolo. Sorrido istintivamente, prima di entrare in casa. È silenziosa, segno che sono sola, così entro in salotto. Poggio la borsa sul divano, recupero un pezzo di carta dal blocco da disegno e scarabocchio qualche frase. Sorrido uscendo sul balcone, cerco qualcosa per tenere fermo il foglio di carta e recupero una pietra levigata in uno dei vasi di fiori portati dai nonni di Caitlin. Il balcone non è circondato da una ringhiera in ferro, ma da un muretto che mi arriva poco più su della vita. Poggio il foglio sulle mattonelle rossicce che ricoprono la parte superiore e mi allungo per posizionarlo dal lato della camera di Ty, poggio la pietra e sorrido divertita immaginando una sua possibile reazione a quello che ho scritto: “Per la prossima volta, io amo le marmellate chiare!”.

________________________________________________________

Nda.

Buon pomeriggio dolcezze! Eccoci qui con il quarto capitolo di questa storia, come vi sembra fino ad ora? Spero vi stia incuriosendo almeno un pochino. In questo capitolo Anne ha finalmente fatto il test di ingresso e conosciamo subito un nuovo personaggio: Grant! Che mi dite di lui? Siete curiose di sapere come si evolverà il loro rapporto?

Anne per il momento non se ne cura, è un po' impegnata a rispondere acidamente al povero Ty!

Spero vi sia piaciuto, vi ringrazio per aver letto, fatemi sapere il vostro pensiero. Sia positivo che negativo, ovviamente!

A presto,

Serena.

 

P.S. Spero mi aiuterete a condividere la storia per farla conoscere su Twitter, potete usare l'hashtag #UnAltraVitaAty (Dove l'aty finale è per Anne e Tyler) ! Grazie di cuore a tutti!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***



 

Non sappiamo quali saranno i giorni che cambieranno la nostra vita. Probabilmente è meglio così.
(Stephen King)

 

*

 

Alla fine il test d'ingresso l'ho superato brillantemente. Ero a casa mia, tra le mura che mi hanno visto crescere quando è arrivata l'email dalla scuola. Mi sono precipitata verso il computer fisso, nella vecchia stanza di Chris, e ho digitato nel sito apposito il mio codice. I venticinque nomi della classe di arte erano colorati di rosso, mentre i restanti in grigio. La felicità di vedermi tra i primi dieci non sono riuscita a contenerla. Ho urlato così forte che mio padre è corso dal salotto in preda al panico, per poi vedermi piangere di gioia e abbracciarmi forte, orgoglioso. Abbiamo riunito tutta la famiglia presente e abbiamo festeggiato come si deve a casa, anche se mamma ha pianto per buoni venti minuti. Ho chiamato Chris, Matt e Caitlin e ci siamo ripromessi di uscire per festeggiare insieme una volta rientrata a Manchester. Ed ora eccomi qui, con un top rosso, un paio di jeans stretti, delle zeppe ai piedi e un ciuffo ribelle, davanti ad un locale. Sono arrivata un paio di ore fa, ho incontrato mio fratello alla stazione e insieme siamo tornati a casa. Mi sono fatta una doccia e preparata in fretta dato che gli altri ci stavano già aspettando in giro.

“Quindi che programmi abbiamo?” chiedo voltandomi verso Chris prima di scendere dall'auto.

“Stiamo un po' qui, poi vedremo! È un pub carino, ti divertirai, fidati!” dice sorridendomi. Annuisco e scendo, per poi seguirlo all'interno del locale. Mi guardo attorno e sorrido, mio fratello mi conosce perfettamente. Le luci sono soffuse e l'arredamento è completamente di legno scuro. Una band emergente suona su una piccola pedana allietando la serata. Noto subito il tavolo all'angolo, dove sono seduti Catilin, Matt e Tyler. È uno dei più ampi, una panca è attaccata al muro mentre due sedie ricoprono la parte scoperta. Mi avvicino seguendo Chris e mentalmente mi chiedo come dovrò comportarmi con Tyler. Non l'ho più visto dal giorno del test, non abbiamo parlato della crostata e non ho ricevuto nessun biglietto in risposta al mio. Non posso però negare di averlo pensato durante la mia lontananza. Non ne ho parlato a nessuno, ma di sera non facevo altro che pensare al fatto di non averlo salutato prima di partire. In fondo lui era stato carino a mandarmi il dolce, no?

“Eccola la nostra piccola stilista!”

Matt si alza in piedi scostando Chris per abbracciarmi. Sorrido lasciandomi stringere, felice di rivederlo. Quando si scosta noto il suo abbigliamento, ha un jeans stretto che non gli ho mai visto addosso e una camicia dalla fantasia strana che tutto sommato non disturba.

“Però! Vedo che qualcuno ha cambiato armadio!” lo prendo in giro. Mi sorride strizzandomi l'occhio per poi lasciarmi salutare Caitlin. Stringo la mia coinquilina e ci dondoliamo a destra e sinistra per qualche secondo, non pensavo mi sarebbe mancata già così tanto.

Mi stacco da lei e sorrido verso Tyler, accanto a lui c'è un posto libero, così mi lascio scivolare sulla panca di legno e mi avvicino lasciandogli un bacio delicato sulla guancia: “Ciao Ty!”.

Non sono mai stata così vicina a lui, né fisicamente, né con questo tono informale. Mi guarda stupito prima di sorridere a testa bassa.

“Ciao lemonade!” dice con tono scherzoso e, anche se vorrei davvero tirargli un pugno in faccia per il soprannome, mi limito ad alzare gli occhi al cielo.

“Ehi! Perché se io ti chiamo Annette dai di matto e con il suo soprannome, che è più brutto aggiungerei, alzi solo gli occhi al cielo?”

Chris mi guarda con un sopracciglio alzato, il gomito sul tavolo e un dito puntato verso Tyler. Scrollo le spalle e mi verso un po' di coca-cola dalla lattina di Caitlin e ne sorseggio un po' senza rispondere. Lo vedo sbuffare per poi riportare l'attenzione sulla band. Poco dopo ordiniamo qualcosa da bere anche per me e lui. Matt e Tyler ordinano un'altra birra a testa e per un po' rimaniamo in silenzio ad ascoltare musica. Quando la canzone volge al termine riportiamo l'attenzione tutti al centro del tavolo e scoppiamo a ridere.

“Però, la canzone ci ha stregati tutti!” commenta Caitlin.

“Sono davvero bravi!” esclama Matt in risposta annuendo.

“Oh andiamo, non sono questo granché!” dice Ty al mio fianco. Mi giro verso di lui con un'espressione scocciata, odio quando le persone sembrano indifferenti a tutto e si credono meglio di tutti.

“Scommetto che tu sapresti fare di meglio!” dico piccata.

“Certo!” risponde a tono voltandosi a guardarmi.

“Ovviamente!” dico sarcastica alzando le mani in segno di resa. “Come ho potuto anche solo dubitarne!” continuo.

“Anne! Guarda che Ty è all'ultimo anno di conservatorio!” mi avvisa Chris.

“Oh” sussurro colta alla sprovvista. “Sul serio?” chiedo girandomi verso di lui.

“Si, ed è anche molto bravo!” conferma mio fratello.

Guardo stupita in direzione di Tyler e mi mordo la lingua prima di biascicare qualche scusa. Dal canto suo non sembra colpito dal mio commento. A pensarci bene avrei potuto capirlo prima, ha l'aria misteriosa e sofferente di un cantautore.

“Che strumenti studi?” chiedo sinceramente curiosa.

“So suonare il pianoforte, la chitarra e il sax, ma mi sto laureando in violino” dice dopo qualche attimo di esitazione.

“Violino?”

Non posso evitare di usare il mio tono derisorio. Il violino non me l'aspettavo proprio!

“Già, proprio il violino! Cos'è troppo femminile e dolce per me? Guarda che quella aspra sei tu!” risponde a tono.

“Puah! Tu non mi sembri di sicuro una ciambella!”

Matthew si alza puntando le mani verso di noi: “Calma, fate un bel respiro e godiamoci questa serata! Lo so che potete farcela!”. Lo guardo con la risposta già pronta sulla punta della lingua, poi osservo la sua espressione e mi mordo le labbra. Sbuffo e annuisco.

“Scusate! Ha ragione Matt, siamo qui per divertirci e lo faremo!”

Evito di girarmi a guardare Tyler, cerco con tutta me stessa di concentrarmi sul gruppo che sta suonando, ma quando tutti sembrano distratti, mi giro. Osservo la barba incolta, ma non troppo lunga, il naso dritto e proporzionato. I capelli ricadono sugli occhi indisciplinati, dovrebbe tagliarli e dar luce al viso, ma qualcosa mi dice che non sarebbe disposto a farlo e di sicuro non accetterebbe un consiglio da me. All'improvviso si gira e mi guarda. Se è stupito di avermi beccata a guardarlo, non lo da a vedere. Mantiene lo sguardo, senza spostarlo, fisso nel mio. Stranamente non mi sento a disagio, non sento il bisogno di distogliere lo sguardo e scappare, al contrario, ho voglia di continuare a guardarlo negli occhi. Questa sera sono più scuri, non sono ancora riuscita a capire la loro tonalità. Sono verdi o marroni?

Interrompe tutto girandosi verso il palco, un piccolo sorriso nasce sulle sue labbra, ma si affretta a nasconderlo sorseggiando dal suo bicchiere. Si asciuga la schiuma in eccesso e mi costringo a spostare lo sguardo per non sembrare una maniaca.

“Quindi quando inizi ufficialmente le lezioni?” chiede Matt.

“La settimana prossima, non vedo l'ora!” dico eccitata mentre butto un'occhiata a mio fratello che ride con Caitlin. Si sorridono complici e non posso non dare una gomitata a Matthew, indicandoli con la testa. Lui scrolla le spalle.

“Lo sai com'è tuo fratello!” dice ridendo.

“No, veramente non mi sono mai interessata alle sue scappatelle!” ribatto.

“Ah beh, io lo conosco da poco se vogliamo, ma si è fatto conoscere subito...”

“Mi dispiace per te!” dico in modo plateale e lui ride insieme a me.

Rimango in silenzio per qualche minuto, ascoltando le battute idiote di Chris per mettersi in mostra. La mia coinquilina lo guarda come se non ci fosse ragazzo più bello e mi preparo a dover affrontare un bel discorso con mio fratello. Dopo poco mi alzo per andare in bagno, vedo Tyler seguirmi con lo sguardo per qualche metro e sorrido imbarazzata. Cammino tra i tavoli a passo spedito fino ad entrare nel bagno. C'è un piccolo spazio comune con un lavandino, poi due porte: una per gli uomini e una per le donne. Mi chiudo dentro, guardandomi attorno, e cerco di sbrigarmi. Non ho mai amato i bagni nei locali o peggio ancora negli autogrill. Non so mai chi potrebbe esserci stato e dopo sento sempre un formicolio strano, di disagio. Mi risistemo ed esco per lavarmi le mani. C'è già qualcuno però e io strabuzzo gli occhi quando riconosco il volto allo specchio.

“Mi stai seguendo per caso?” chiedo d'istinto.

Il ragazzo si gira, sfoderando un sorriso sincero: “Beccato!”.

“Grant non ti sembra di esagerare? Mi fai un po' paura!”

Lui ride spontaneamente. È un bel ragazzo, non si può negare, ma ritrovarmelo sempre in giro mi inquieta leggermente. Porta un jeans semplice e scuro con sopra una camicia blu notte attillata. La sistema e mi cede il posto al lavandino, appoggiandosi, a braccia conserte, contro il muro. Lascio scorrere l'acqua sulle mie mani e respiro agitata.

“Non devi andare?” dico innervosita dal suo comportamento.

“Ok, ok! Scusa! Abbiamo cominciato con il piede sbagliato, ma ti giuro non ti sto seguendo! Non mi permetterei mai di fare una cosa del genere, devi credermi!” dice poggiando una mano sul petto. Sembra sincero e gli concedo il beneficio del dubbio, imitando la sua posizione precedente con le braccia incrociate.

“Com'è andato il test?” chiede.

“Qualcosa mi dice che tu già lo sappia, ma comunque bene, l'ho passato!” rispondo accennando un sospiro. “A te?”

Si apre in un bel sorriso anche lui e annuisce. “Bene anche a me. Sono rientrato per un pelo, ma va bene così!”

“Presumo ci vedremo spesso allora!” dico alzando gli occhi al cielo.

“Può essere!” ribatte scherzoso. La porta che si apre ci fa sobbalzare. Faccio qualche passo indietro quando incrocio gli occhi di Tyler, per aumentare la distanza tra me e Grant, senza un reale motivo. Ci guarda per qualche secondo, poi si rintana nel bagno maschile.

Rilascio l'aria, che stupidamente stavo trattenendo, e indico la porta d'uscita. “Io, meglio che vada...”.

“È il tuo ragazzo?” sussurra piano Grant e io mi affretto a negare con la testa.

“No! Certo che no, è un amico di mio fratello!”

“Mmh, ok!” dice titubante.

Ty esce dal cubicolo dirigendosi verso il lavandino. Si frappone tra noi e apre l'acqua. Lo spazio è ristretto, così Grant scoppia a ridere: “Messaggio ricevuto! Vado, a presto Anne!”.

Lo saluto con una mano e lo vedo uscire dal bagno tranquillamente. Sposto la mia attenzione sul ragazzo al mio fianco e non so se aspettarlo o andare via.

Chiude l'acqua e prima di asciugarsi con della carta mi schizza un po' d'acqua in viso.

Lo guardo sorpresa. “Quindi sai anche divertirti?” chiedo.

“Mmh!” dice alzando gli occhi al cielo. “Cos'è che mangi a colazione per essere così acida?”

“Crostate alla marmellata scura, è questo l'effetto! Con la marmellata chiara sono più dolce!” dico divertita e lui, con mia grande sorpresa, scoppia a ridere. Osservo i suoi occhi ridursi ad una fessura e il suono della sua risata mi colpisce positivamente. Sorrido teneramente e prima di uscire dal bagno, mi giro a guardarlo.

“Dovresti ridere di più Ty!” dico sincera. Lui sembra ricomporsi, passa una mano tra i capelli per poi sospirare. “Già!”

Lo lascio lì mentre ripercorro la strada indietro verso il nostro tavolo. Chris è a bordo pista ad osservare Caitlin ballare, così mi accomodo accanto a Matt. Mi sorride porgendomi il suo piatto di patatine fritte e ne afferro una.

“Grazie!”

Mi ritrovo a guardare dalla parte dov'è situato il bagno e distolgo lo sguardo solo quando vedo Tyler camminare verso di noi. Mi muovo a disagio sul posto e Matt scuote la testa divertito.

“Ti interessa Ty?” chiede a bruciapelo.

“Cosa? No!” dico con un tono di voce più alto del normale. “Uno, lo conosco da troppo poco tempo e due... è troppo complicato come ragazzo quindi no, non mi piace!”

Riesco a finire il discorso, ma Matt non può rispondermi perché il diretto interessato riprende il suo posto alla mia sinistra. Penso che il discorso sia finito qui e invece il mio nuovo amico non è dello stesso parere.

“I motivi che mi hai dato non bastano ad avvalere la tesi sai? C'è sempre tempo per conoscere una persona e poi, qualcosa mi dice che non sei una a cui piacciono i ragazzi facili!” dice tranquillo. Lo guardo allarmata, il cuore sembra esplodermi in petto. È pazzo!

“Giusto Ty?” chiede attirando l'attenzione del mio vicino.

Sbatto le palpebre più volte, alternando lo sguardo da uno all'altro.

“Di cosa stavate parlando?”

“Del ragazzo che ad Anne non può piacere!” dice mimando delle virgolette. “Quel suo compagno di corso... ha detto che lo conosce da poco e sembra troppo complicato, per questo non può interessarsi a lui!” spiega, mentendo.

L'istinto primordiale di fuggire, mi fa tendere in avanti. Ho le mani aggrappate sul tavolo, stringo così forte che fanno quasi male. Non voglio sentire cos'ha da dire! Dovrò torturare Matt in qualche modo.

“Chi? Quel Grant? Non dirmi che ti piace quello lì!” dice con un certo disprezzo nella voce.

La voglia di fuggire si trasforma presto in fastidio. Rilascio la presa sul legno e alzo un sopracciglio girandomi a guardarlo. “Anche se fosse?”

“Mah! Son gusti!” continua tornando a sorseggiare dal suo bicchiere.

Matt ride al mio fianco, cercando di nascondere tutto con un colpo di tosse quando fulmino con lo sguardo anche lui.

“Sentiamo, come avresti intenzione di conquistarlo?”

Questa conversazione sta prendendo una piega sbagliata. Non ho intenzione di parlare di queste cose con loro, non mi piace nemmeno Grant! Ignoro la domanda alzandomi e raggiungo mio fratello a bordo pista, lasciando Ty a scuotere la testa e Matt a ridere. Poggio una mano sulla spalla di Chris e mi lascio abbracciare da lui.

“Ehi sorellina!” dice sorridente prima di riportare la sua attenzione su Caitlin.

“Quindi ti interessa la mia coinquilina?” chiedo seguendo il suo sguardo.

“Beh, diciamo che questa settimana che tu sei stata via, ho dimenticato spesso di comprare il sale quando andavo a fare la spesa!”

Sorride e io mi unisco a lui dopo avergli dato una gomitata giocosa allo stomaco. Caitlin sta battendo le mani a ritmo della canzone e dopo avermi notata si fa vicino a noi e ci invita a fare lo stesso.

“Dai Anne, vieni con me!” dice trascinandomi al centro, nella mischia di persone. Alzo le mani in aria seguendo il suo esempio e inizio a saltare seguendo il ritmo, mentre dagli amplificatori una musica rock riempie il locale. Caitlin urla al mio fianco e io la seguo facendomi coinvolgere da lei, sposto lo sguardo verso Chris e lui sorride osservandoci. Matt è in piedi al suo fianco con le nostre borse in una mano, ma non riesco a guardare meglio perché qualcuno ci spintona da dietro sballottandoci più avanti. La mia coinquilina mi guarda scoppiando a ridere e io mi unisco a lei. “Dovremmo andare ad un concerto insieme!” dice allegra. Non so se ha bevuto qualche bicchiere di troppo o se è semplicemente così, quel che so è che mi piace come persona. Un'altra spinta proveniente dal fondo ci fa sbattere contro le persone davanti.

“Nemmeno se fossimo in uno stadio!” borbotto. Cerco di rimettermi in sesto, forse dovremmo uscire dalla bolgia e raggiungere i ragazzi. Non credo di voler finire schiacciata da persone che non sanno essere civili e divertirsi!

“Stai tranquilla Anne, in questo pub alcune volte lo fanno, tra un po' le persone davanti risponderanno!” dice divertita. Sono l'unica a cui non piacciono queste cose? Perché non mi avvertono mai? Imbranata come sono finirò per terra schiacciata da tutti.

Senza preavviso, mi sento spintonare indietro. È arrivata la mia ora, ne sono sicura. Chiudo gli occhi fino a quando non vado a sbattere contro qualcuno. Sento due mani stringere sui miei fianchi e apro gli occhi di scatto per poi voltarmi velocemente e schiaffeggiare la persona dietro di me.

“Porca put... dovevo aspettarmelo da te!”

Ty si regge il viso con una smorfia mentre io mi copro la bocca colpevole. Chris è accanto a Caitlin mentre Matt è poco più in là. Ci guardano tutti, in attesa di qualcosa, ma non so cosa si aspettano che faccia. Devono essersi fatti largo tra la folla per proteggerci dall'urto e io senza pensarci gli ho tirato uno schiaffo. Sono sempre la solita impulsiva che non si ferma a riflettere su niente. Potevo almeno girarmi a controllare! Faccio qualche passo indietro, mortificata, per poi farmi largo tra la gente alla ricerca di un po' d'aria. Siamo più di quelli che il locale potrebbe contenere e quando esco fuori, per trovare un posto più tranquillo, devo allontanarmi parecchio. Mi siedo sul gradino di un'abitazione, sono ancora visibile alle persone, ma la confusione è minore. Rabbrividisco infreddolita, sono sudata, la cosa più intelligente da fare sarebbe rientrare, ma le mie gambe non collaborano. Faccio qualche bel respiro profondo per rilassarmi e, poggiando la testa sul legno della porta, chiudo gli occhi.

“Sei un disastro, lo sai?” sento dire. Apro gli occhi e la prima cosa che vedo è una giacca di pelle marrone che non mi appartiene. La afferro e mi alzo in piedi fronteggiando il proprietario.

“Mi dispiace tanto.”

Scuote la testa mentre mi infilo la giacca per poi passarmi la mia borsa. Sento il calore diffondersi quasi subito per tutto il corpo e un profumo dolce mi fa sospirare.

“Sul serio, grazie per la giacca e per avermi impedito di cadere e farmi male lì dentro!” dico sincera guardandolo. Ha le mani in tasca, lo sguardo divertito e i segni delle mie dita sul viso.

“Almeno siamo sicuri che sapresti difenderti in caso di aggressione!” sorride e io mi unisco a lui. Stringo i lembi della giacca per ripararmi di più, per poi puntare lo sguardo a terra.

“Mi ritengo fortunata stasera!” ammetto lanciando lontano un piccolo sassolino.

“Ah si?”

Annuisco. “Ti ho sentito ridere per ben due volte!” dico alzando lo sguardo divertita. “Pensavo tu fossi tutto musi lunghi e brutte battute!”

Alza gli occhi al cielo per poi sbuffare. “Non posso dire la stessa cosa io però!” dice serio. “Tu acida eri e acida sei rimasta!”

“Ah! Sei un cretino!” dico indispettita. Io volevo essere carina e lui mi risponde così?

“Forza lemonade, ti riporto a casa!” ribatte invece lui, tranquillo, incamminandosi.

“Io con te non vengo da nessuna parte, vado da Chris o torno a casa da sola!” borbotto superandolo e avviandomi verso la strada che mi porterà alla fermata dell'autobus. Aumento il passo, non riesco a vederlo, ma sento i suoi passi dietro di me.

“Ti puoi fermare?”

“No!”

Fa una piccola corsa fino a raggiungermi e io evito di guardarlo in faccia.

“Ti ho detto che posso tornare a casa da sola!” protesto.

“Non ne dubito, io ero qui per la mia giacca.”

Mi fermo di scatto, guardandolo negli occhi e cerco di toglierla in fretta. Si incastra con un filo del mio top e sbuffo guardando in alto. Ogni volta che voglio fare la dura deve succedermi qualcosa che mi fa perdere di credibilità!

“Dai, stavo scherzando... rimettiti quella giacca, senza strapparmela possibilmente! Ho detto a Chris che ti avrei portata a casa, forza!” risponde lui afferrandomi un polso e trascinandomi verso una strada secondaria.

“La fermata dell'autobus è da quella parte. Lasciami andare Tyler!” insisto, facendo forza.

“Vuoi stare un po' zitta Anne? Mamma mia, quanto parli! La mia macchina è da quella parte, ora fai la brava e cammina da sola perché non ho intenzione di trascinarti per tutta la strada... pesi!” dice risoluto fermandosi in mezzo alla strada. Lo guardo sconvolta, per poi osservare il mio corpo.

“Io non peso!”

Quanto è stronzo! Chi si crede di essere? Guarda un po' se devono capitare tutti a me i tipi strani. Lui non risponde e io cammino a qualche passo di distanza in silenzio. Arriviamo in un parcheggio sotterraneo e lo seguo tra le tante macchine. Qualche luce non è accesa così da rendere l'atmosfera più tetra di quella che è, ho visto troppi film e troppe serie tv spaventose! Il rumore di una portiera chiusa con troppa veemenza mi fa spaventare e istintivamente cerco il contatto fisico con Ty, affondando le unghie sulla sua spalla.

“Per fortuna che potevi tornare a casa da sola!” borbotta.

Lo guardo triste e ritraggo la mano. “Scusa!” dico a tono basso.

In prossimità della sua auto si ferma a guardarmi. “Ehi?” dice avvicinandosi a me e alzandomi il viso con le mani. “Stavo scherzando, non volevo offenderti!” continua sincero e io scoppio a ridere fragorosamente.

“Dovevi vedere la tua faccia!”

“Ma che... Ah, sali in macchina forza, prima che ti lascio qui sotto! Io che mi preoccupo anche, pff!” dice sconvolto e io faccio del mio meglio per trattenere le risate. Salgo sulla sua auto e lo stesso profumo della giacca mi invade immediatamente. Continua a scuotere la testa mentre io mi lascio attrarre dai pendenti attaccati al suo specchio. Ci sono una croce di legno scuro, un anello da donna e un ciuccio da bambina.

“Hai una figlia?” chiedo facendolo dondolare. Lui sospira prima di bloccarmi la mano infastidito.

“No.”

“Una moglie?”

“No.”

Usciamo dal parcheggio scoperto e mi guardo attorno, finalmente le luci della città mi rasserenano, facendomi respirare tranquilla.

“Scusa se sono scoppiata a riderti in faccia, avevo avuto paura davvero, era un po' di tensione e la tua faccia era veramente buffa!” dico voltandomi a guardarlo. Distoglie per qualche secondo lo sguardo dalla strada per posarlo su di me e alza un angolo della bocca.

“Ti stai scusando spesso stasera!” dice serio e io scrollo le spalle. Effettivamente!

Lo osservo concentrato, mentre cerco una posizione comoda. I sedili sono riscaldati e, complici il silenzio tra noi e il calore, finisco per addormentarmi senza alcuno sforzo. Quando riapro gli occhi sono ancora in macchina, ma non sono in movimento. Mi guardo attorno e riconosco il nostro condominio. Di Ty non c'è traccia, non posso crederci! Mi ha lasciata qui! Scendo dall'auto e mi stringo nella giacca, dovrei andare a casa e lasciargli l'auto qui così domani mattina non la ritrova. Il problema è che sono troppo buona, cerco il cellulare nella borsa e digito velocemente il numero di Chris. È l'una, il che vuol dire che mi ha lasciata in macchina almeno per mezz'ora.

“Ben svegliata!”

Mi giro di soprassalto, portandomi la mano al petto e blocco il cellulare.

“Dov'eri finito?”

Ty fa il giro dell'auto e mi raggiunge, stringe con una mano un'agenda chiusa e con l'altra mi indica una panchina poco distante, che non avevo notato.

“Stavo scrivendo un po' di musica, ti avrei svegliata tra un po'!” dice chiudendo l'auto a chiave. Annuisco e sospiro rilasciando la tensione. Ci incamminiamo verso casa, l'uno accanto all'altra. Mi stringo nel suo giacchetto di pelle e mi ritrovo a pensare che non voglio restituirlo per questa sera, così decido di far finta di niente.

“Scrivi solo musica o anche il testo di una canzone?” chiedo curiosa mentre siamo in ascensore.

Lui sembra stupito dal mio interessamento, ma risponde tranquillo: “Entrambi”.

“È complicato?”

Nega con la testa, guardando le porte chiuse dell'ascensore. È stretto questo posto, ci entreranno al massimo tre persone e il cigolio che si sente mentre saliamo, non mi fa rilassare.

“Dipende” risponde Ty. “Alcune volte scrivere una canzone ti viene di getto, altre trovare una musica adatta è più complicato!”

“Non ci ho mai provato, ma ho sempre sognato di saperlo fare. Mi affascina l'idea di riuscire a dire tanto in poche parole!” ammetto sincera, tirando un sospiro di sollievo quando le porte si aprono sul nostro piano. Mi fa uscire per prima e io sorrido cercando le chiavi nella mia borsa. Non sono sicura di voler finire questa serata, per la prima volta stiamo parlando di qualcosa di serio eppure un'altra parte di me, mi dice di andare via e finire in bellezza prima che a lui venga in mente una battuta stupida da fare.

“Puoi sempre provarci, non costa nulla!” dice avvicinandosi al suo appartamento.

“Chi lo sa, forse un giorno!” ribatto sorridendo. Restiamo in silenzio, provo a cercare qualcosa da dire nella mia testa, ma non ci riesco affatto. Così mi limito ad abbassare la testa e aprire la porta di casa.

“Grazie per avermi accompagnata!” dico voltandomi prima di entrare. Annuisce senza dire altro e io ne approfitto per varcare la soglia.

“Anne?” mi richiama.

Fa che non vuole indietro la giacca, fa che non vuole indietro la giacca!

“Mh?” rispondo stringendo una mano sull'indumento.

“Buonanotte!” dice divertito prima di chiudersi la porta alle spalle. Buonanotte anche a te Ty.

 

 

_________________________________________________________

Nda.

Buon pomeriggio! Questo capitolo è frutto del caldo, se non vi è piaciuto è colpa sua! A parte gli scherzi, cosa ne pensate? Piano piano iniziano a delinearsi i tratti dei nostri personaggi e Ty ed Anne interagiscono un po' di più tra loro.

Vi chiedo gentilmente di aiutarmi a far conoscere la storia, potete condividerla sui social e usare anche l'hashtag #UnaltravitaAty se vi va!

Grazie di cuore a tutti,

Serena.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


 

Noi pretendiamo che la vita debba avere un senso: ma la vita ha precisamente il senso che noi stessi siamo disposti ad attribuirle.”
(Hermann Hesse)

 

*

 

Mi affretto ad occupare un posto in seconda fila facendo attenzione a trovare una postazione comoda per seguire la lezione e osservare, senza rischiare un torcicollo, lo schermo del videoproiettore. Il posto accanto al mio è libero, così appoggio lo zaino e ne estraggo quaderno e penne da appoggiare sul banco. Il giorno di inizio corsi è finalmente arrivato e mi preparo ad affrontare le prime ore di “Tecnica della colorazione”. La professoressa, che si sta accomodando dietro la lunga cattedra di mogano, sembra avere poco più di cinquant'anni. Una gonna nera e una camicia bianca stirata a puntino le donano un'aria professionale e seria. La osservo mentre sistema quelli che sembrano degli appunti e il computer. L'aula è piena ormai, oltre a me e i miei compagni entrati quest'anno dev'esserci qualcuno dei corsi avanzati, da uno sguardo veloce, ho potuto notare che siamo decisamente più di venticinque e questo non mi fa ben sperare sulla facilità dell'esame. C'è un leggero brusio che va a scemare piano piano solo quando la professoressa si alza in piedi schiarendosi la voce.

“Buongiorno a tutti e benvenuti alla vostra prima lezione del corso di moda!” annuncia sorridente. La sua voce è decisa, piena e un po' confortante. “Nel primo semestre vi sembrerà tutto nuovo e spettacolare, ma per ogni cosa dovrete impegnarvi quotidianamente. Nella mia materia tratteremo insieme le varie tonalità dei colori, il modo opportuno di accostarli e, durante le ore di laboratorio, come applicare sui diversi programmi di colorazione quello che studieremo teoricamente”.

Parla stringendo e rigirando tra le mani una penna. Continua, quasi meccanicamente, ad elencare i testi che useremo, il materiale da comprare. Appunto tutto. Chissà quante volte ha ripetuto questo stesso discorso davanti ad altre persone! È quasi triste pensare alla routine di alcuni lavori, certo, in questo caso gli alunni cambiano ogni anno - alcuni almeno! - però non deve essere semplice ritrovare sempre uno stimolo nuovo per ricominciare a parlare degli stessi argomenti.

“Inizieremo da una infarinatura storica per poi raggiungere piano piano le nuove tecnologie”.

Torna a sedersi mentre in classe regna un silenzio paradossalmente assordante. È qualcosa che mi affascina e allo stesso tempo spaventa. Come ci si può sentire pieni di rumori nel silenzio e, al contrario, quasi vuoti in mezzo a tante persone? La mente umana è così complessa e affascinante da far paura, è forse questo il motivo per cui ho scelto l'arte come scopo nella vita. Qualsiasi essa sia, l'arte ti dona quel briciolo in più di felicità, ogni giorno. Scuoto la testa ritornando a concentrarmi sulla lezione e appunto quello che la professoressa ci sta spiegando. Per oggi il videoproiettore resta spento mentre lei, appoggiata alla cattedra, ci spiega da cosa ricavavano i colori nell'antichità.

“Le sostanze usate per tingere le stoffe erano totalmente naturali, ricavate da piante o insetti. Sul libro di testo che acquisterete, troverete nel primo capitolo vari esempi di piante e il colore ad esse associate. Ad esempio, per citarne uno, dal guado, per chi non lo sapesse una pianta erbacea, si ricavava l'azzurro!”

Seguo affascinata le sue parole, il suo modo di comunicare con noi, cercando di scrivere più nozioni possibili. Quando il suono della campana ci avverte della fine della lezione, non mi sembrano passate due ore. Controllo l'orario prima di lasciare l'aula e raggiungo a piedi l'altro lato dell'edificio per seguire “Disegno di accessori”. Il professore è già seduto alla cattedra e questa volta l'impressione è ben diversa. É un uomo anziano, un po' panciuto. Sembra scostante e freddo. Mi sistemo in una delle file centrali e cerco quasi di nascondermi alla sua vista. Quando inizia a parlare mi basta poco per capire che questo, quasi per certo, sarà il corso peggiore del semestre.

Non dice buongiorno, inizia a parlare di quello che faremo. Ci avvisa che ci preparerà alla preparazione dell'esame finale che consiste nella realizzazione di un accessorio: borsa, scarpe, bracciali; per poi partire immediatamente a spiegare modelli, lasciandoci un po' spiazzati. Parla, parla tanto. Mi guardo attorno e osservo i volti sconcertati degli altri e un po' mi consola sapere che non sono l'unica a non aver capito metà delle cose che ha detto. Scrivo passivamente, senza realmente cogliere il senso delle parole, mi toccherà rileggere tutto a casa e colmare le lacune sul libro. Spero solo sia scritto meglio!

Guardo i banchi al mio fianco vuoti per poi spostare lo sguardo dall'altro lato, dove un gruppo di cinque persone sta chiacchierando sottovoce. Avrò qualche malattia che mi fluttua attorno e non lascia avvicinare gli altri. Se ci fosse stato Ty mi avrebbe detto che è tutta colpa della mia acidità! Mi ritrovo a fermarmi dallo scrivere, colpita dal mio pensare a lui e maledico la mia stessa mente. Avevo un fidanzato, se così si può chiamare a quindici anni, un ragazzetto tutto pelle e ossa, non piaceva a nessuno, ma a me faceva impazzire. Lo pensavo giorno e notte, notte e giorno, mentre facevo i compiti, a scuola, a casa, ovunque. Scoprii mesi più tardi che rideva di me con i suoi amici alle mie spalle. Mi ripromisi di non voler pensare costantemente ad un uomo per il resto della mia vita; di dedicarmi alla carriera. Non mi piace pensare a Tyler senza motivo. Mi incuriosisce come persona, sono curiosa per natura e voglio sapere i dettagli della sua vita per mettere a posto tutti i pezzi e dare un senso al suo modo di comportarsi, ma allo stesso tempo mi sento a disagio a pensarlo. Riporto l'attenzione al professore, cercando di riprendere il filo del discorso, ma ormai è troppo tardi. Non ci capisco più niente.

Alla fine della lezione mi dirigo a grandi passi verso la caffetteria all'interno della scuola. È al primo piano, non è molto grande, ma sembra ben fornita. Prendo una bottiglietta d'acqua e dopo aver pagato esco e mi fermo a sorseggiarne quasi metà. La ripongo poi in borsa e controllo il foglio con l'orario, per oggi ho finito, domani sarà una giornata decisamente più intensa. Mi decido ad uscire e fare un giro per i dintorni. Recupero i titoli dei libri di testo per andare ad ordinarli e mi incammino verso la libreria indicatami dalla segreteria. Sta per piovere così mi affretto a ripararmi all'interno e inizio a girare tra gli scaffali. Ci metto poco a trovare il reparto moda, lo scaffale è pieno di libri su grandi stilisti, abiti da sposa, ma anche libri su come muoversi alle prime armi. Non so bene dove cercare i titoli per colorazione e accessori, forse è meglio chiedere a qualcuno.

La libreria è composta da varie stanze e un piccolo giardino dov'è possibile leggere. La sezione moda è davanti a quella dedicata ai concorsi scolastici per gli insegnanti e accanto a fotografia. Distolgo l'attenzione dai manuali per tornare all'ingresso e chiedere informazioni, ma sono costretta a fermarmi quasi subito. Mi viene quasi da ridere, Grant è a pochi passi da me con un paio di occhiali da vista sul naso e la macchina fotografica appesa al collo, è concentrato su un libro enorme di cui non riesco a leggere il titolo. Non mi ha vista. Mi avvicino di soppiatto a lui e mi fingo interessata al libro.

“Dovrebbe acquistarlo, non può mica leggerlo tutto qui!” dico con tono serioso.

Si volta spaventato. Gli bastano pochi secondi per mettere a fuoco la situazione e quando mi riconosce scoppia a ridere.

“Shh!” qualcuno protesta e io mi trattengo dal ridere.

“Mi stavi seguendo tu questa volta?” chiede a bassa voce. Grant è esile, ha una vita minuta che potrei stringere tra le braccia due volte abbracciandolo. Così è esagerato, forse, ma è magro e dà l'impressione di uno che mangia, mangia, mangia e non ingrassa mai. Mi fa cenno di salire i pochi gradini per uscire in giardino e io lo seguo sorridendo. C'è un grosso albero dai fiori viola di cui non conosco il nome, scaffali coperti pieni di libri lungo i lati perimetrali e delle panche di legno al centro. Le persone sono l'una accanto all'altra senza fiatare, le teste perse tra le pagine di un libro.

“Vedi, non sono l'unico a leggere libri qui dentro senza comprarli!” sussurra Grant e io non posso che dargli ragione, dovrò provarci anche io qualche volta!

“Che ci fai qui?” chiedo stupidamente e lui alza gli occhi al cielo.

“Domanda sciocca, rettifico!” ribatto scrollando le spalle, imbarazzata.

“Tranquilla, come si dice: meglio conoscersi da subito che dopo sposati!”

Lo guardo stralunata, questo ragazzo è strano sul serio! Osserva il mio viso per poi scoppiare a ridere beccandosi, ancora una volta, sguardi indignati e rimproveri verbali. Mi prende per mano in tutta tranquillità, trascinandomi fuori. Potrei far scivolare via la mano, fermarlo, eppure mi lascio coinvolgere e rido insieme a lui.

Una volta fuori mi rendo conto di non aver chiesto informazioni sui libri, così lo faccio presente anche a lui.

“Perché li compri qui? In una di queste traverse c'è una libreria che li vende usati, non sono male e costano la metà! Io stavo solo confrontando le edizioni.”

“Non sono pratica del posto!” dico giustificandomi. Lui sorride e, sempre tenendo stretta la mia mano, si incammina dalla parte opposta al ristorante dove ho pranzato con Chris, Matt e Tyler. Mi guardo attorno studiando la strada per memorizzare punti di riferimento. Stranamente non mi sento a disagio nel camminare così con un ragazzo. Non ho paura del sesso opposto, non soffro di quel genere di malattia, ma non mi capita spesso di avere questo tipo di contatto. Sono più una dal “non oltrepassare il mio spazio vitale, grazie!”. Eppure, non so perché, Grant mi piace, nonostante la sua stranezza. Mi piace come un possibile amico, si intende.

“Allora, com'è andato il primo giorno?” chiedo per fare conversazione.

“Bene dai, devo tornare tra un'ora e mezza per la prossima lezione, a te?”

“Mh, io ho finito per oggi. Tutto sommato bene anche a me, devo inquadrare ancora il tutto!” ammetto sincera. Lui annuisce d'accordo con le mie parole.

“Eccoci, devo ordinare due testi anche io” dice indicando una libreria dall'insegna verde. Entriamo e subito mi rendo conto che è, di certo, il posto perfetto per comprare i testi universitari! Gli studenti sono riconoscibili, zaini pieni, cartelle da disegno e aria perennemente stanca e stressata. Seguo Grant tra gli scaffali, sembra essere esperto del posto, in pochi secondi siamo davanti alla sezione di mio interesse.

“Fammi leggere i titoli così ti aiuto a cercare. Vediamo se sono qui, altrimenti li ordiniamo di là!”

Recupero il foglio e lo passo a lui mentre inizio a leggere i titoli ordinati, per autore, sullo scaffale.

“Questo dovrebbe essere uno!” dico recuperandolo. La copertina è leggermente rovinata, ma all'interno sembra perfetto. Controllo che le pagine siano intatte, sembra tutto in ordine così lo tengo stretto tra le mani. È l'ultima copia, non si sa mai!

“L'altro non c'è...” dice Grant osservando attentamente. Ricontrollo anche io, ma con scarsi risultati.

Ci incamminiamo verso la postazione computer, dove una donna dai modi bruschi sta prendendo nota. Odio le persone che non hanno voglia di far il proprio lavoro! Sei lì, ti pagano per farlo, sforzati di sorridere almeno!

La fila avanza lentamente. Sposto il peso da un piede all'altro, sbuffando di tanto in tanto. Grant fischietta una canzone al mio fianco. Sembra tranquillo, controlla l'orologio qualche volta.

“Hai già controllato per i tuoi libri?”

“Mh, si. Sono venuto qui appena finita la seconda lezione, dovevo ordinarli, ma c'era una fila più lunga di questa! È sempre così all'inizio dei corsi!” spiega.

“Come sai tutte queste cose?” chiedo stupita. Il suo volto, per qualche secondo, sembra incupirsi. Accenna poi un piccolo sorriso e sembra perdersi tra i suoi pensieri.

“Quanti anni pensi che io abbia?” chiede cogliendomi totalmente alla sprovvista.

Balbetto per qualche secondo. Ragionandoci su, se mi ha fatto questa domanda non può avere la mia età.

“Non so, 26?” chiedo.

“24!” ribatte fingendosi piccato. “Non invecchiarmi!”

Sorrido con lui. Vorrei fargli domande sul perché, a ventiquattro anni, è al primo anno, ma mi rendo conto che non sono fatti miei e se vorrà ne parlerà lui.

“Dai, te lo leggo in faccia che vuoi sapere!” dice. Beccata! Sorrido e scrollo le spalle. “Se ti va” ribatto.

Lui sorride e imita il mio gesto con le spalle. Stringe tra le mani la macchina fotografica, la guarda come se fosse il suo oggetto più caro. Quando sposta lo sguardo su di me, ha una luce diversa negli occhi e la sua voce risuona decisa: “Non importa quanti anni tu abbia, non è mai tardi per fare quello che ti piace!”.

 

Una volta fuori, dopo aver ordinato sia il mio libro che quelli di Grant, mi ritrovo a conoscerlo meglio. Aveva iniziato un'altra facoltà che gli piaceva si, ma non gli dava soddisfazione, voglia di imparare e andare avanti, così ha abbandonato tutto e si è dedicato alla sua più grande passione: la fotografia.

“È stato impegnativo all'inizio, ma sono contento delle mie scelte. Ho deciso di provare quest'anno ad entrare in una scuola d'arte perché avevo bisogno di credibilità per farmi spazio nel mio ambito lavorativo. Ho fatto tutto con le mie forze e si, sono un po' orgoglioso di me!” dice sorridendomi.

Ho sempre ammirato le persone come lui, quelle pronte al cambiamento. Ho avuto la fortuna di riuscire a seguire la mia passione fin da subito, ma tanta gente non può, o non ci riesce, e si ritrova a vivere giorni vuoti. Alcune situazioni possono stare strette, ma sembrano più sicure dell'ignoto. Si ha bisogno di un grande coraggio per decidere di cambiare.

Gli sorrido per poi guardare in alto, verso il cielo.

“Sta per piovere!”

“Sta sempre per piovere a Manchester!”

Sorrido trovandomi d'accordo con lui e mi stringo nella giacca a vento che indosso. Il mio stomaco brontola affamato e mi copro immediatamente il ventre con la mano, facendolo ridere. Non so se andare a casa o pranzare fuori con lui. Chris non è a casa e anche Caitlin è all'università. Il loro orario del Lunedì è più corposo del mio. Sto per chiederlo a Grant quando un gruppo di ragazzi si riversa correndo per la strada. “Il three-notes, il three-notes!” urlano. Li guardo curiosa, si dirigono tutti verso una stradina e io mi giro confusa verso Grant. Lui sorride, sembra sapere esattamente quello di cui stanno parlando.

“Cosa sta succedendo?” chiedo.

“Ogni tanto i ragazzi del conservatorio scendono in piazza per sfidarsi tra loro. Ogni volta cambia il numero di note che possono utilizzare nella composizione, questa volta sono tre e, ovviamente, meno note si possono utilizzare, più la difficoltà aumenta! Forza andiamo!” dice prendendo nuovamente la mia mano. Aumenta il passo e per stargli dietro devo far ricorso a tutto il mio fiato. Sono sicura che arriverò con un polmone in meno a destinazione! C'è tanta gente riversata tra le strada e Grant mi spiega che è un evento attesissimo in zona.

Ci facciamo largo tra la folla per raggiungere un posto con la visuale migliore e mano a mano che ci avviciniamo la mia ansia sale.

“Ad esibirsi sono solo gli studenti più meritevoli, di solito sono cinque!”

Annuisco e inizio a guardarmi attorno. La gente è radunata in cerchio attorno a quattro sgabelli, sopra ognuno di questi è seduto uno studente. Non ci metto tanto a riconoscere un volto familiare. Sento un vuoto nel petto, poi l'agitazione crescere. Devo farmi spazio e trovare un posto che mi permetta di vedere perfettamente. Trascino Grant in un angolo, in modo da stare alla sinistra di Ty. Non voglio che mi veda, voglio godermi il suo viso nel suo habitat naturale e aggiungere un tassello al grande puzzle che è diventato per me.

“Ehi, quello non è il tuo amico?”

“Shh!”

“Oh, siamo qui per spiarlo?”

“'Sta zitto Grant!”

“Pff, non sei divertente!”

Incrocia le braccia e fa finta di essersi offeso, forse si aspetta che io mi avvicini, ma non mi conosce ancora bene. D'altra parte, qualcuno mi chiama lemonade, no?

Ad iniziare a suonare è una ragazza dai capelli vaporosi e rossi, ha un viso simpatico, gli occhiali neri e grandi ad incorniciarle il viso. Muove le mani concentrata sul flauto traverso, mentre la musica risuona in piazza attraverso il microfono. Per qualche minuto la ascolto, ma ben presto la mia attenzione si sposta su Tyler. Sta sistemando un pedale vicino al suo sgabello, indossa un jeans strappato sulle ginocchia, una camicia bianca e il cravattino nero slacciato sul davanti. Quando si mette seduto afferra un violino elettrico dalla custodia. È diverso dai violini tradizionali, non ne ho mai visto uno così. Non ha la cassa di legno, soltanto il contorno a disegnarne la forma. È rosso, così come l'archetto che ora ha diligentemente impugnato. Dà un'ultima occhiata al leggìo, poi la ragazza con il flauto termina la sua melodia e lui fa scorrere l'archetto sulle corde. La melodia che ne viene fuori è pacata e dolce, troppo lenta, ma non ho il tempo di pensarlo che lo vedo alzarsi, capovolgere lo sgabello e utilizzare il rumore prodotto dal legno contro l'asfalto per schiacciare il pedale e trasformare la melodia da dolce a decisa e aggressiva, un soft rock entusiasmante. La piazza esplode in un applauso mentre lui continua ad eseguire il brano senza scomporsi. Gli occhi chiusi per la concentrazione. Quando il suono rallenta e il silenzio d'attesa invade la piazza colgo l'occasione per motivarlo come altri avevano fatto per la ragazza prima.

“Andiamo Ty! Cos'è questa dolcezza!” urlo e quando i suoi occhi mi cercano tra la folla, per poi trovarmi, un sorriso spunta sul suo viso e all'improvviso ci siamo solo noi due. Quello che suona dopo, egoisticamente, lo tengo tutto per me. Non so perché, ma sento il bisogno di far mia quella melodia. Gli occhi colmi di lacrime d'emozione. La musica volge al termine e il ragazzo accanto a lui inizia a suonare con il suo basso, ma non lo ascolto poi molto. Sorrido verso Tyler e lui mi guarda, facendo un piccolo cenno con la testa.

“Però! Non me l'avevi detto che era così bravo!” sussurra Grant al mio orecchio. Vorrei rispondere che non lo sapevo nemmeno io e invece resto in silenzio. Improvvisamente tutta questa gente mi dà fastidio, vorrei parlare con Ty, chiedergli della sua musica e sentirlo suonare ancora e ancora. Continuiamo a guardarci, a studiarci e quando Grant, al mio fianco mi annuncia di dover andare a lezione, mi limito a salutarlo con una mano.

“Ci vediamo domani!” dice lui. Non sembra arrabbiato e io spero vivamente che non lo sia.

Quando tutti hanno finito di suonare, senza rendermene conto mi ritrovo in seconda fila. Non so come si svolgono questi eventi, così resto in attesa di qualcosa. Un tuono rompe il silenzio. Due ragazze cercano di parlare da un microfono, ma la pioggia arriva imperterrita sulle nostre teste. Sembra essere scoppiato il caos, tutti iniziano a correre al contrario di me che mi affretto a raggiungere Ty e aiutarlo con il violino per non rovinare gli strumenti. Non diciamo una parola, lavoriamo velocemente. Raccolgo il pedale e lo sistemo nella custodia. La giacca è ormai zuppa, ma non importa. È Ty questa volta a stringermi la mano e trascinarmi al riparo e la sensazione che provo è del tutto diversa da quella provata con Grant. Sento scorrere nelle vene quella agitazione bella, entusiasmante, che provi prima di un grande evento, quella che ti rende così viva da far quasi male. Raggiungiamo i portici, già pieni di gente che come noi vuole un riparo dall'acqua, e cerchiamo di trovare un posticino. Siamo al limite, sul piccolo gradino che separa la strada dall'inizio della pavimentazione e non c'è posto per due persone. Ty sistema le custodie al riparo poi, inaspettatamente, mi trascina verso di lui in un abbraccio. I nostri vestiti sono bagnati, rabbrividisco stringendomi un po' di più verso di lui quando un vento freddo mi scuote i capelli bagnati. La presa sui miei fianchi si rafforza costringendomi ad alzare lo sguardo.

“Ciao...” sussurra. Il suo tono è stranamente dolce, non l'ho mai sentito rivolgersi a qualcuno così e un po' mi destabilizza. Il suo volto, però, sembra tormentato, come se volesse farsi vedere per com'è davvero, ma qualcosa gli impedisce di tirare giù quella maschera che si è imposto di portare. Gli sorrido, sperando che la pioggia continui a scorrere ancora per po', dandomi così la possibilità di viverlo in modo diverso.

“Ciao a te!”

Ci guardiamo in silenzio, mentre attorno a noi le persone parlano a gran voce. I più audaci affrontano il temporale per tornare a casa, lasciando così posto per altre persone. Non so se dovermi spostare o meno, decido di restare esattamente dove sono, senza curarmi di quello che lui potrebbe pensare.

“Sei stato bravissimo!” dico dopo qualche minuto. Fa un cenno di ringraziamento con la testa, dev'essere abituato a ricevere complimenti per la sua musica.

“Sono più bravo io o i ragazzi dell'altra sera al locale?” chiede, meglio dire sussurra, al mio orecchio.

“Beh, vediamo, ci devo pensare! Il cantante era anche carino dai...” dico giocosa, ignorando i brividi lungo la schiena, e lui scuote la testa facendomi solletico sui fianchi.

“E io che pensavo che oggi ti fossi svegliata con una buona dose di zucchero nel sangue!”

Continua a farmi ridere, le persone accanto a noi ci guardano teneramente e io arrossisco più volte. Ai loro occhi ci presentiamo come una coppia di fidanzati, ne sono certa. Vorrei dire che ci conosciamo da circa un mese, che la maggior parte delle volte ci insultiamo e battibecchiamo, ma non sono affari loro. La pioggia inizia a rallentare, non è più scrosciante, ma leggera. L'aria ha quell'odore tipico di giornate di pioggia, tutto è tornato regolare. I rumori della città hanno preso nuovamente il sopravvento sul rumore della natura e come per magia l'incanto sembra essere sparito. Faccio qualche passo indietro, staccandomi dal suo corpo imbarazzata. Sul suo viso sembra essere tornata la stessa espressione di sempre. Recupera le custodie da terra mentre io mi avvolgo con le braccia per sentire meno freddo. Non so che fare, non so se lui deve tornare a casa o meno. Mi guardo attorno cercando di ricordare la strada fatta con Grant per andare a prendere l'autobus. Vorrei dire qualcosa di sensato, ma la mia bocca è secca e la mia mente vuota.

“Mh...” dice richiamando la mia attenzione. Lo guardo e il suo viso sembra combattuto. Sospira, quasi come se volesse riordinare i suoi pensieri, per poi tendermi la mano libera.

“Ti va di andare a mangiare qualcosa insieme?” chiede con tono quasi spaventato.

Alterno lo sguardo dal suo viso alla sua mano, stringo le spalle e poi annuisco. Lentamente faccio incontrare la mia mano con la sua. Eccola qui, di nuovo quella sensazione di ansia. Mi mordo il labbro inferiore sentendo poco dopo il sapore del sangue in bocca. Mi maledico mentalmente e mi costringo a respirare a pieni polmoni.

“Dove vuoi andare?” chiede fortificando la presa sulla mia mano.

“Per me va bene anche un fast food!”

“Giusto, tu non sei una ragazza da insalata!” dice sorridendo e io, stranamente, non me la prendo.

“Mi piace mangiare, tutto qua!” dico scrollando le spalle. Ci fermiamo al semaforo, aspettando di poter attraversare.

“Anche a me piace mangiare, un giorno vorrei fare un tour culinario per il mondo. Cucina preferita?” chiede guardandomi.

“Ah, che domande sono? Non lo so, qualsiasi cosa sia buono al mio palato?” ribatto facendolo ridere. La pioggia deve fargli bene!

Raggiungiamo l'altro lato della strada, dei raggi di sole sembrano essersi insinuati tra le nuvole rischiarando, piano piano, il cielo grigio. Ci mettiamo in fila alle casse per ordinare, ma Ty mi invita a cercare un posto dove sederci vista la grande affluenza di persone. Annuisco e mi separo da lui portando con me anche le sue borse. Faccio un giro tra i tavoli di legno chiaro, fino a trovarne uno libero. Poggio il violino sulla sedia che spetterà a Ty per occupare il posto e mi metto seduta davanti ad esso. Controllo il cellulare. Mando un messaggio veloce a Chris informandolo che sono ancora fuori, ma non gli dico che sono con Ty, è qualcosa che voglio tenere per me.

Un quarto d'ora dopo, quando Tyler viene a sedersi con i nostri vassoi, il mio stomaco sembra rinascere.

“Non ci speravo più!” dico afferrando il mio pranzo. Si siede alzando gli occhi al cielo e io gli faccio una linguaccia giocosa.

“Quanto ti devo?” chiedo indicando il panino.

Alza un sopracciglio e ignora la mia domanda iniziando a mangiare. Accenno un sorriso e affondo i denti nel pane morbido. So che non è il cibo più salutare al mondo, ma il contrasto del pomodoro freddo con la carne calda mi fa sempre impazzire. Assaporo lentamente ogni boccone muovendo la testa a ritmo con la musica proveniente dalla radio.

“Com'è andata oggi?” chiede all'improvviso. Rimango stupita dal suo interessamento e mi lancio a raccontargli di entrambe le lezioni. Dal professore di accessori che sembra essere appena uscito da un film del dopo guerra alla bellezza del corso di colorazione. Resta ad ascoltarmi mentre agito le mani, rido, dimentico le parole o semplicemente enfatizzo una frase. So che mi sta osservando, forse studiando e spero sul serio di aver superato l'esame.

“Tu invece? Ti aspettavi di essere scelto per la sfida di oggi?” chiedo ansiosa di ascoltarlo parlare.

“È la seconda volta che partecipo, l'anno scorso sono arrivato secondo, oggi avevo buone probabilità di vincere, ma non lo sapremo mai!”

“Sei stato veramente bravissimo, mi farai ascoltare altro, vero? Mi sento un po' ignorante, ma non conoscevo nemmeno il violino elettrico!” dico storcendo la bocca.

“Ti è piaciuto sul serio?”

“Certo!” dico alzando la voce. “Pensi che ti dico le cose tanto per dirle?”

“No, no... per carità non ti arrabbiare!” ribatte nascondendo un sorriso giocoso.

L'atmosfera è rilassata e serena, ci stiamo godendo un pranzo come se fossimo amici di vecchia data. Finisco di mangiare prima di lui e, per evitare di fissarlo, prendo a guardare fuori dalla finestra alla nostra sinistra. Osservo le persone passeggiare tranquille. Ho sempre amato l'atmosfera di un luogo dopo la pioggia, si respira quella strana calma prima di tornare a vivere realmente. È come se durante la tempesta il mondo ci dicesse di lasciare quello che stiamo facendo e tornare a casa, per riposare, per poi riprendere tutto una volta tornato il sole.

“Ti piace la pioggia?” chiede all'improvviso.

Lo guardo riflettendo sulla sua domanda. “Si. Mi piace la pioggia, mi piace il sole, il vento e perfino la neve, anche se l'ho vista poche volte. Credo mi piaccia il tempo in generale!” rispondo rubando un sorso della sua bevanda.

“Ma è tè al limone! Dai Ty, è alla pesca il più buono, lo sanno tutti!” protesto.

“Hai fatto tutto tu! Potevi bere la tua di bevanda!”

“L'ho finita!” dico scuotendo il mio bicchiere di carta per comprovare quanto detto.

“Comunque è meglio al limone... strano non ti piaccia!” dice tirando un sorso con la cannuccia.

“Ah ah ah, molto divertente!” ribatto incrociando le braccia, per poi guardarlo con un sopracciglio inarcato.

“Scherzavo lemonade, dai fammi un sorriso!”

“No!”

“Se ti compro un cioccolatino?”

“Le caramelle gommose?”

“Vada per le caramelle gommose!” risponde esasperato e io batto le mani allegra.

“Grazie!”

“Sembri una bambina!” dice esasperato. “Per tornare al discorso di prima, tu non sei di quelle che a seconda del clima decidono se la giornata sarà bella o brutta?”

Nego con la testa. “No! Ho sempre pensato che non sia il clima a fare una bella giornata. Sono le emozioni che provi a rendere il tempo che trascorri importante”. Ad esempio oggi, pioveva, eppure quei minuti trascorsi sotto i portici li custodirò sempre nel cuore. Non lo dico ad alta voce, ma gli sorrido guardando prima fuori poi in basso, imbarazzata.

“Potrebbe essere una bella frase per una canzone!” commenta lui.

“Scrivi anche testi?”

Annuisce e io lo guardo affascinata. “Ho sempre invidiato chi scrive musica, o libri. La capacità di trasmettere emozioni non è una cosa che hanno tutti! È qualcosa di magico ritrovarsi nelle parole di altre persone. Personalmente, mi fa sentire meno sola al mondo!”

“Hai ragione. È per questo che faccio musica, mi dona tanto, mi ha aiutato e continua ad aiutarmi sempre. Voglio essere in grado di ricambiare il favore e donare queste sensazioni ad altre persone”.

“Come nascono le tue canzoni?” chiedo sinceramente incuriosita.

“Non è per tutte la stessa cosa. Nascono da emozioni forti però, da qualcosa che fa scattare la famosa scintilla sotto pelle” dice abbozzando un sorriso.

“Oh, quindi non posso chiederti di scrivermi una canzone?” dico sporgendo il labbro inferiore in fuori. Lui ridacchia divertito e scrolla le spalle.

“Chi lo sa!”

Beh, sempre meglio di un no, giusto?



___________________________________________________
Nda.

Eccomi qui con un nuovo capitolo!

Come state? Come procedono le vostre vacanze estive? Le mie bene dai! Sono stata impegnata nelle ultime settimane e non sono riuscita a scrivere prima. Tra viaggi, la laurea di mia sorella (Auguri a te dottoressa del mio cuore!) e il rivedere persone importanti non ho avuto molto tempo per scrivere. In compenso il capitolo è un po' più lungo del solito, spero la storia vi stia incuriosendo e piacendo. Mi raccomando fatemi sapere, potete trovarmi sia su twitter che su facebook con il nome seekerofdreams_ , a me fa piacere avere un riscontro (sia positivo che negativo, tutto serve per crescere e migliorare!). Se vi va potete utilizzare anche l'hashtag #UnaltravitaAty !

Vi abbraccio tutti, non vedo l'ora di leggervi!

Serena.

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


 

 

La vita è breve. Perdona in fretta, bacia lentamente, ama davvero, ridi sempre di gusto e non pentirti mai di qualsiasi cosa ti abbia fatto sorridere, oppure piangere.”
(Sergio Bambarén)

 

 

 

Il profumo dei ciclamini mi solletica le narici quando esco sul balcone. Ammiro la città svegliarsi con me, il sole splende già in cielo e le prime urla dei bambini che corrono per strada andando a scuola mi fanno sorridere. Mi piace questa zona, sembra un piccolo paese nella grande confusione della città. C'è tutto, dal supermercato all'edicola, da una chiesa a un cinema. Il campus sembra stonare, ma tutto sommato non è male svegliarsi e raggiungere a piedi un'aula studio. Se dovessi studiare in quelle della mia scuola dovrei svegliarmi mezz'ora prima del solito anche la Domenica, ma dormire mi piace e per il momento nessuno sospetta che io sia una studentessa di un'università privata. Non vado a studiare con Caitlin proprio per evitare persone che potrebbe conoscere e di conseguenza la fatidica domanda: “Tu cosa studi?”. Non mi vergogno di quello che faccio, anzi, semmai il contrario, ma tante persone non sono ben predisposte verso di noi e non ho voglia di spezzare l'equilibrio che ho creato. La mia quotidianità mi piace, le cose che posso controllare mi piace controllarle fino in fondo, già c'è Ty a mettere ansia. È la parte imprevedibile delle mie giornate, ma forse quella che aspetto con più trepidazione. Sorrido tornando in casa per fare colazione. Prendo la tazza con i gufi dal mobile accanto al frigorifero e la riempio di latte e cereali per poi tornare in salotto e sedermi a gambe incrociate sul divano. La prima settimana di lezioni è giunta a termine e oggi finalmente posso godermi un po' di meritato riposo. Per questi mesi, fino a Dicembre, devo seguire tre corsi. A quelli del primo giorno si è aggiunto il corso di Storia del Costume. È prettamente teorico e l'esame sarà orale. Non c'è molto da fare se non studiare. Non è male come corso, ci preparano sulla storia e l'evoluzione della moda negli anni, ma non sono mai stata una fan delle materie teoriche. Mi piace toccare le cose con mano, metterle in pratica. Ricordo quando eravamo piccoli e Chris mi riprendeva per questo. “Senza teoria non puoi mettere in pratica un bel niente!” ripeteva sempre. Ha ragione, certo, ma non fa differenza, non mi piace lo stesso. Uno starnuto dall'altra parte del muro mi fa sobbalzare dallo spavento. Fisso la parete indecisa su cosa fare. Dopo il pomeriggio passato sotto la pioggia Ty si è beccato una bella influenza, di solito sono io quella cagionevole, ma questa volta sono riuscita a cavarmela a sue spese. Ha avuto la febbre ma adesso sta meglio, o così mi ha riferito Chris, non ero ben accetta a quanto pare! Ancora un altro starnuto. Mi metto in ginocchio sul divano e busso alla parete. Rimango in attesa, ma non succede niente. Busso ancora una volta, con più forza fino a quando ottengo una risposta flebile dall'altro lato. Sorrido stringendo tra le mani la tazza di cereali per poi infilare le pantofole e raggiungere il balcone.

Mi sporgo oltre la griglia di separazione e provo a chiamarlo. La finestra sembra chiusa, così sbuffo e mi tiro indietro.

“Tyler?”

Sento dei movimenti dall'altra parte, un lamento poi il telo nero appoggiato sul legno viene tirato giù. Mi copro la bocca con le mani per non ridacchiare davanti al suo naso arrossato e ai suoi occhi gonfi.

“Buongiorno!” dico sorridendo.

“Mh, 'giorno” risponde spossato. Indossa una canotta e un pantaloncino da calcio azzurro dalla cui tasca fuoriesce un pacchetto di fazzoletti di carta. Ne stringe uno tra le mani, lo osservo tirare su con il naso e rilasciare un po' d'aria dopo aver respirato.

“Ti trovo bene” dico ridendo. Lui mi fulmina con lo sguardo, ma la sua faccia è talmente buffa e divertente che non posso evitare di scoppiare a ridere.

“Non sei divertente, lo sai?” chiede con tono nasale. Porto un cucchiaio di cereali alla bocca, prima che diventino morbidi, e continuo a guardarlo attraverso i rombi della griglia in legno.

“Hai preso qualcosa?”

“Tuo fratello mi ha costretto! La febbre non c'è più, ma questo raffreddore mi ammazza!”

“Oh andiamo, perché voi uomini quando state male fate tutti così?” dico alzando gli occhi al cielo. Lui mi imita e scuote la testa.

“Se sei qui per insultarmi torno in camera” borbotta.

“Andiamo, volevo solo sapere come stavi visto che mi hai vietato di entrare in casa tua. Mi stupisco che tu sia qui in realtà!”

“Non volevo sentire i tuoi commenti pungenti e le tue prese in giro sul fatto che io sono malato mentre tu no!”

“Ah, sciocco! Ti avrei preparato il brodo di pollo, nei film americani sembra essere miracoloso” dico scrollando le spalle e nascondendo un sorriso. Faccio l'indifferente per non dargliela vinta, ma ha ragione. L'avrei preso in giro tantissimo.

“Tu mi avresti preparato il brodo di pollo? Pft! Non ci credo nemmeno se lo vedo.”

“Guarda che non sembri molto convincente con quella voce lì eh! Sei buffo!” dico e lui scuote la testa, ma riesco ad intravedere un sorriso. Tossisce ancora e, istintivamente, faccio un passo in avanti. Non ho modo di passare dall'altro lato così rilasso le spalle e torno al mio posto. Deve essersi accorto dei miei movimenti però. Si avvicina al separé e dopo aver armeggiato qualche secondo vicino ai cardini, lo sposta da un lato, appoggiandolo contro il muro. Osservo il balcone per intero e faccio un passo avanti fino a raggiungerlo. Alzo la mano verso la sua fronte e appoggio il palmo in modo da sentire la sua temperatura. È pallido e i suoi occhi risaltano ancora di più mentre mi guarda. Ritraggo la mano in fretta. La punta delle dita era fredda, ma ormai è bollente.

“Hai ancora la febbre, rientra in casa.” dico preoccupata. Gli occhi sono ricoperti da una patina lucida che li fa brillare, è quasi doloroso mantenere il contatto con il suo sguardo. Non deve essere abituato alle premure, sembra quasi voglia mandarmi via, ma non lo fa. Forse è la febbre a parlare per lui quando mi invita ad entrare in camera. Mi guardo indietro, verso casa, verso la tazza ormai abbandonata sulla sedia, poi faccio qualche passo in avanti. Le pareti della stanza sono completamente ricoperte da spartiti, poster di gruppi dai nomi sconosciuti e foto di tramonti. Si intravede, in alcuni spazi, la pittura blu scuro. È come se fosse sempre notte qui dentro. Sulla destra un letto ad una piazza e mezza è attaccato al muro. Il piumone, rigorosamente scuro, è appallottolato ai piedi del materasso. Ty si stende sospirando, a pancia in giù. Poggia una guancia sul cuscino e respira a fatica. Per fortuna la casa è vuota, Matt e Chris sono fuori con Caitlin a studiare. Apro la porta e percorro la strada verso il bagno a grandi passi. Recupero una bacinella e cerco tra le cose di Chris un pezzo di stoffa da poter poggiare sulla fronte di Tyler. Faccio attenzione, ripercorrendo la strada inversa, a non far cadere niente. Bagno la pezzetta nell'acqua fredda per poi strizzarla.

“Ty?” dico invitandolo a girarsi. Si lamenta con gli occhi chiusi, ma mi ascolta così riesco a poggiare il tessuto sulla sua fronte. Faccio scrocchiare le dita delle mani, agitata. Non so come comportarmi, dove sedermi. Mi guardo attorno e raccolgo dei vestiti lasciati a terra. Li appoggio sulla scrivania piena di libri e fogli e trascino la sedia girevole accanto a letto. Mi siedo facendo attenzione a non far cadere gli strumenti musicali appoggiati al muro e bagno nuovamente la stoffa per mantenere la fronte fresca. Sembra essersi addormentato profondamente. Ripeto più volte la stessa operazione e tra un cambio e un altro mi dondolo sulla sedia. Gli sfioro la fronte e questa volta sembra più fresco, così mi alzo e approfitto del suo dormire per osservare meglio. È una stanza piuttosto grande, dal modo in cui sono alternati i colori scuri è come se lui volesse dare una parvenza di freddo agli occhi di chi guarda esternamente. È come quando sei triste e ti devi vestire: una maglietta gialla la scarti a prescindere. Passo le dita sulle note di uno spartito sbiadito posto sulla parete perpendicolare al letto, provo a leggere la musica, ma non è mai stato il mio forte. A tredici anni mia madre provò a farmi suonare la chitarra, inutile dire che fu un fiasco. Amavo troppo le mie unghie lunghe per sacrificarle ogni volta. Tornando indietro penso che ci proverei a imparare a suonare uno strumento. Faccio vagare lo sguardo oltre l'armadio aperto, stranamente ordinato, per poggiarlo su piccolo mobile nero che funge da libreria. Leggo i vari titoli, ci sono romanzi di avventura, gialli e thriller. Come sei prevedibile Ty! Rido da sola, mentre mi siedo a gambe incrociate e sfilo uno dei volumi più grandi per poi riporlo a posto. Continuo a leggere inclinando la testa da un lato.

“Oh!” dico estraendone un altro. Harry Potter e l'Ordine della Fenice. Ora si che ragioniamo! Appoggio la schiena contro il letto e sfoglio le pagine del mio romanzo preferito della saga e leggo diverse parti sottovoce. Non so quanto tempo lascio passare, mi faccio prendere dal libro come se non l'avessi mai letto.

“Ehi?” Un borbottio, poi un colpo di tosse. Sposto lo sguardo verso l'alto e Ty mi osserva seduto a metà busto con la mano premuta in fronte.

“Come ti senti?” chiedo alzandomi e riponendo il libro.

“Puoi continuare a leggerlo.”

“L'avrò letto cinquanta volte, tranquillo!” dico sorridendo. Mi siedo ai piedi del letto, mantenendo una certa distanza, un po' a disagio. Lui sembra tranquillo, ricade con la schiena indietro e controlla l'ora sulla sveglia a forma di chitarra appoggiata sul comodino.

“Sono passate quasi due ore! Com'è possibile?” dico alzandomi di scatto.

“Passa il tempo quando ci si diverte, eh?”

Ci sorridiamo complici. Si nota subito che la febbre si è abbassata, sembra meno assonnato e spossato.

“Devo riprendere le medicine” dice tornando seduto. “L'offerta del brodo di pollo è sempre valida?”

“Vuoi sul serio il brodo di pollo? È presto!” chiedo alzando un sopracciglio.

“Lo so, ma devo mangiare per prendere l'antibiotico!”

Scrolla le spalle guardandomi con aspettativa. Sostengo il suo sguardo per qualche secondo, alla fine sbuffo e mi do da fare.

“Il pollo non ce l'ho. Ti accontenterai di un buonissimo riso in bianco alle undici del mattino!” dico avviandomi verso il balcone. “Scommetto che dovrò aspettare come minimo mezzogiorno per mangiare!” Lo sento ridacchiare alle mie spalle e già mi pento di essermi preoccupata per lui. La tazza di cereali è ormai immangiabile, la poltiglia che si è creata mi fa venire mal di stomaco e sono costretta a buttarlo via. Cerco di muovermi a cucinare per non dargliela vinta, ma i tempi di cottura non sono miei amici. Quando si ha fretta sembra che qualcuno voglia ricordarti di fare le cose con calma. Rischio di bruciarmi tre volte contro il manico della pentola, di solito non sono così imbranata, ma evidentemente Tyler, dall'altra parte del muro, sta pregando per farmi fare tardi.

Alla fine varco la soglia della sua stanza, con un vassoio di riso condito con olio e parmigiano, a mezzogiorno spaccato. É seduto con un cuscino dietro la schiena, il joystick in mano e la televisione accesa. Mette in pausa il gioco e mi sorride sornione.

“Ti preferivo dormiente!” dico sbuffando e poggiando il vassoio sul suo comodino.

“Niente aeroplanino?” dice sporgendo il labbro inferiore in fuori prima di tossire nuovamente. “Scherzo, grazie per aver cucinato.”

Sposto il peso sulla gamba destra, incrociando le mani. “Io vado allora, se hai bisogno chiama, o bussa. Sono in salotto a guardare un film.”

Indietreggio mentre lui inizia a mangiare, assottiglia gli occhi prima di farsi aria con la mano libera.

“Brucia!” Si lamenta e io nascondo un piccolo sorriso. Lo vedo soffiare sul riso come un bambino piccolo e mi lascio intenerire dalla scena avvicinandomi.

“Lascialo raffreddare un po' sulla scrivania!” dico premurosa e lui distoglie lo sguardo immediatamente. Che succede ora?

“Stai piangendo?” chiedo osservando i suoi occhi. Scuote la testa dando la colpa al raffreddore, ma non me la bevo.

“Mh, grazie per esserti presa cura di me, ma sto meglio. Vorrei riposare.”

Mi sta gentilmente cacciando via e vorrei prenderlo a parole, ma qualcosa nell'espressione del suo viso mi suggerisce di non farlo. Annuisco semplicemente e senza aggiungere altro torno a casa. Non rimetto a posto il separé in legno e non chiudo nemmeno la porta del balcone, semplicemente mi allungo sul divano, sistemo i cuscini sotto la testa e resto a guardare il soffitto. Siamo vicini nonostante un muro a dividerci. Non sento più i suoni della play station, in compenso lo sento tossire più volte. Sono tentata di andare a controllare, ma qualcosa mi frena. Accendo il televisore sintonizzandolo su un canale di sport e preparo qualcosa da mangiare anche per me.

Mantengo il volume basso, forse in attesa di essere chiamata, ma non succede niente. Finisco di mangiare l'insalata e cambio canale. Inizio a guardare un film, ma non capisco molto. Le palpebre si appesantiscono ogni secondo di più, batto le palpebre per svegliarmi, ma il sonno ha la meglio e finisco per addormentarmi.

 

Ho sempre detestato i sogni in cui mi sento prigioniera di me stessa. Alcune volte mi capita di fare da spettatrice, di essere impotente come se il sogno non fosse mio e tendo ad agitarmi e a svegliarmi spaventata. Quando apro gli occhi ho già dimenticato le dinamiche, ma la sensazione di disagio mi rimane attanagliata addosso. Passo una mano sul viso per calmarmi e mi alzo riportando in cucina i piatti sporchi. Mi affretto a lavarli e respiro a pieni polmoni mentre li sistemo. Vado in bagno, mi sciacquo il viso con l'acqua fredda e mi schiaffeggio le guance per svegliarmi.

“Lemonade?”

Sobbalzo spaventata prima di uscire dal bagno e raggiungere il salotto. Tyler è in piedi vicino al balcone. Deve essersi fatto una doccia perché ha un'aria decisamente migliore rispetto a prima. Il naso è sempre rosso, ma non sembra più tanto indebolito.

“Ehi!” dico sorridendo. “Va meglio?”

“Si, decisamente. Niente febbre e questa volta per davvero!”

Mi siedo sul divano facendogli segno di seguirmi. Non se lo fa ripetere due volte e si lascia cadere al mio fianco. Lo guardo sorridendo mentre si appropria del telecomando del televisore e fa un giro tra i canali della tv a pagamento che i nonni di Caitlin hanno istallato.

“Il bello di avere dei nonni ricchi!” borbotta fermandosi su un film appena iniziato.

“O il bello di vivere con una persona che ha i nonni ricchi!”

“Giusto.”

Ci sorridiamo ancora una volta complici prima di riportare l'attenzione allo schermo. Rimaniamo seduti in silenzio, leggermente distanti uno dall'altro, mentre si susseguono immagini di una città di notte.

“Mi dispiace per prima.”

Non mi guarda mentre lo dice. “Tranquillo!”

Vorrei sapere, soffocarlo di domande, ma odio quando gli altri lo fanno con me, così resto zitta.

Con la coda dell'occhio lo vedo passarsi una mano sul viso, stanco. Ho la mente totalmente vuota, vorrei dire qualcosa, ma tutti gli argomenti che mi passano per la testa mi sembrano banali. Vestiti? Non credo sia disposto a guardare canali di moda insieme a me. Di automobili ne capisco meno che zero.

“Sport preferito?” chiedo buttandomi su un argomento che conosco abbastanza bene.

“Sono prevedibile se dico calcio?”

“Abbastanza!” dico ridendo.

“Il tuo?”

“Mh, bella domanda. Sono abituata al calcio a causa di Chris e papà, ma mi piace molto seguire la scherma. L'ho praticata per un paio di anni quando ero piccola!” dico sorridendo ripensando alla prima volta che ho tenuto tra le mani un fioretto. Amavo la sensazione di grandezza che mi dava fendere l'aria con la lama.

“Come mai hai smesso?”

“Ho iniziato ad appassionarmi al disegno e alla moda. Sono diventati fondamentali e ho abbandonato la scherma. Avrei potuto continuare, ma decisi di smettere” dico scrollando le spalle.

“Te ne sei pentita?”

“Sei curioso oggi!”

“Scusa, se non ti va di rispondere fai finta di niente.”

“Una confessione per una confessione!” dico allungando la mano verso di lui. La studia, non sono sicura voglia accettare il compromesso, ma dopo qualche minuto la stringe. “D'accordo. Quindi, ti sei pentita di qualcosa nella tua vita?”

“Dunque inizio io! Mh, no non credo. Non fino ad ora. Mi manca fare scherma, ma creare abiti è quello che voglio fare nella vita!” dico sorridendo. Penso alla domanda da fargli, a cosa vorrei sapere di lui e ne approfitto per provare a sciogliere i mille dubbi che mi attanagliano la testa.

“Invece qual è il tuo segreto?” chiedo mettendomi seduta a gambe incrociate, in modo da osservare il suo profilo. Guarda la televisione con uno sguardo perso, sospira e si bagna le labbra rosse. Non riesco ad osservare il suo viso per intero, ma la posizione del suo corpo è completamente rigida e ferma.

“Due anni fa mia figlia e sua madre sono morte durante il parto.”

Il sorriso sulle mie labbra si spegne all'istante. Il mio cervello ha bisogno di qualche minuto per elaborare la sua frase.

“Cosa?”

Non so cosa dire. Ho immaginato i più disparati scenari pensando alle sue stranezze, ma mai avrei pensato ad una cosa simile. All'improvviso mi sento a disagio, vorrei scappare, tornare indietro a pochi minuti fa, quando non sapevo ancora niente.

“Non farmelo ripetere.”

“Tra tutto quello che potevi rivelarmi perché hai scelto proprio questo?” chiedo piccata. Mi sento quasi arrabbiata con lui, vorrei piangere perché non è possibile che queste cose accadano veramente.

“Non lo so, forse pensavo di potertelo confidare, ma lascia stare. Devo essermi sbagliato!” Si alza prendendo un respiro profondo. Chiude gli occhi per qualche secondo. I suoi attimi di tentennamento mi permettono di scendere dal divano e raggiungerlo a piedi scalzi. Mi dà le spalle, ma lo abbraccio lo stesso. Poggio la testa tra le sue scapole e scoppio a piangere. Lo sento irrigidirsi, non so perché le lacrime scendono copiose dai miei occhi ma non riesco a trattenerle. Stringo la maglietta, all'altezza del suo petto, e poco dopo una delle sue mani copre le mie.

“Perché stai piangendo così?” La sua voce è roca, non so se è ancora il raffreddore o se sta piangendo anche lui.

“Non lo so. Mi dispiace Ty, mi dispiace così tanto!”

“Non devi piangere per me Anne.”

Vorrei chiedergli altro, ma non oso nemmeno immaginare il dolore che può portarsi dietro ogni giorno. Tiro su con il naso, ma non mi allontano da lui. Come sotto la pioggia, il calore del suo corpo mi dona conforto.

“Scusa, io... non mi aspettavo di sentire questo prima” dico prendendo a respirare normalmente.

“Non penso nessuno si aspetti di sentire niente di simile, né di vivere tutto questo in prima persona” ribatte. Il suo petto si alza e si abbassa a ritmo irregolare e io lo seguo, ancora ancorata a lui. Lo stringo più forte. Mi prende le mani allontanandole dal suo petto per voltarsi e guardarmi in faccia.

“Mi prometti una cosa?” chiede scostandomi i capelli dal viso. Annuisco in attesa.

“Continua a fare l'acida con me, a rispondermi a tono. Tutti mi trattano come se fossi fatto di vetro da un anno a questa parte.”

Asciugo le ultime lacrime e annuisco, sperando che i miei occhi non lascino trapelare le mie emozioni. “È successo un anno fa?”

Tocca a lui annuire questa volta. “Io... mi racconterai la tua storia?” chiedo titubante.

“Lo farò, ma non oggi” dice sottolineando il tutto con uno starnuto. Non posso trattenere una risata, cerco di nasconderla con un colpo di tosse, ma lui si unisce a me. Sembra più leggero adesso, come se condividere con me la sua storia lo avesse tranquillizzato. Mi sento in un certo senso onorata dal fatto che abbia voluto dirmelo, ma dall'altra mi rendo conto che è qualcosa di talmente grande da sembrare insormontabile per una ragazzina come me.

“Torno di là prima che arrivino gli altri. Risistemo il separé, ma non lo chiudo. Sarà il nostro piccolo segreto!” dice sorridendomi.

“D'accordo” ribatto incapace di dire altro.

“Ah, Anne?” Mi richiama prima di spostare la griglia di legno.

“Dimmi!” chiedo affacciandomi sul balcone.

“Hai la maglia al rovescio.”

Abbasso lo sguardo per controllare ed effettivamente ha ragione. Sono stata tutta la mattina con lui con la maglia al rovescio!

“Perché non me l'hai detto prima?” Sbraito mentre lui chiude il passaggio sorridendomi al di là del separé.

“Forse è meglio che sigilli tutto! Potrei venire ad attentare alla tua vita!” dico puntandogli un dito contro. Ride e tossisce.

“Questa Anne va bene, non quella musona. Ti conviene ridere o ti verranno le rughe!” Mi prende in giro e so che è solo un modo per sdrammatizzare la situazione, ma non posso far finta di non sapere. Non doveva dirmelo se voleva questo. Ho bisogno di uscire, di non pensare.

“Vai a casa Tyler o ti tornerà la febbre!” dico fingendomi piccata e lui sembra crederci. Mi saluta con un flebile sorriso prima di entrare nella sua stanza e chiudersi la porta finestra alle spalle. Rientro in casa anche io e mi sfilo la maglia. Mi viene da piangere, non riesco a trattenere quello che provo dentro. Mi tolgo anche i pantaloncini per infilare una tuta e un paio di scarpe da ginnastica. Prendo una felpa e la infilo sulla canotta bianca. Ho bisogno di uscire, di correre e lasciarmi per qualche minuto tutto dietro. Recupero dal cassetto della scrivania le mie cuffie e imposto la riproduzione casuale sul cellulare infilandolo nella tasca della felpa insieme alle chiavi di casa. Non porto nient'altro con me. Mi chiudo la porta dietro prima di avere un ripensamento. Cerco di non fermarmi per non pensare. Scendo le scale di corsa. Mi preoccupo del respiro, mi concentro sul mantenere un andamento che non mi sfinisca e inizio a macinare centimetri sull'asfalto. Corro fuggendo dai miei pensieri. Ripenso a tutti i comportamenti di Tyler e da strani ora mi sembrano normali, o perlomeno comprensibili. Dovremmo smetterla, noi uomini, di pensare di conoscere tutto e tutti. Una persona si comporta in un determinato modo per un motivo preciso che non sempre ci è dato sapere.

 

 

__________________________________________________

Nda.

Ed arrivato anche questo fatidico capitolo. All'inizio avevo pensato di far confessare tutto a Tyler più avanti, ma mentre scrivevo sapevo che doveva andare così. Spero vi sia piaciuto il capitolo e spero vi piaccia la storia, fatemi saper quello che vi passa per la testa! Sia in positivo che in negativo. Potete contattarmi su twitter o su facebook, vi basterà cercare “seekerofdreams_” o anche usare l'hashtag della storia #UnAltraVitaAty!
Grazie di cuore a tutti,

Serena.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.”

William Shakespeare

 

*

 

L'aria fuoriesce dalle mie labbra per l'ennesima volta. Controllo l'orologio e poggio la testa sulla mano facendo finta di ascoltare le parole del professore. Fuori piove e il rumore della pioggia mi fa sbadigliare ancora di più. Mi rilassa, fin da piccola nei giorni di temporale, amavo rimanere sotto le coperte con un buon libro tra le mani. Il libro ora c'è, ma non è invitante come un buon romanzo. Scrivo qualche appunto per inerzia, non sono in grado di collegare il cervello in questo momento. Sto ascoltando passivamente la lezione da un'ora e so già che me ne pentirò quando, a casa, mi accorgerò di non aver capito nulla.
“Per oggi abbiamo finito, potete andare.” Questa volta presto attenzione, alzandomi in fretta. Recupero la borsa facendoci cadere distrattamente i libri dentro e mi avvio verso l'uscita. Scendo le scale fino al piano terra e raggiungo il distributore posto nell'atrio. Faccio cadere qualche moneta al suo interno e ne tiro fuori un pacchetto di cracker da sgranocchiare in attesa. È diventata un po' una routine, finire le mie lezioni e aspettare Grant per andare a pranzare insieme. I giorni sembrano susseguirsi tra loro, quasi rincorrersi, e a me sembra di essere senza fiato già all'inizio della giornata. Ho un senso di inquietudine addosso che non riesco a togliere da quando Tyler ha deciso di condividere con me parte della sua storia. L'ho evitato. Mi sento una bambina ad averlo fatto, ma non riesco a guardarlo senza scoppiare a piangere e, di certo, lui non ha bisogno delle mie crisi emotive che non hanno senso di esistere. Così ho rifiutato tutti gli inviti a cena di mio fratello e sono rimasta chiusa in camera a studiare. Ho evitato per giorni il salotto, ma ho lasciato la porta finestra aperta ogni pomeriggio. Non sono mai stata in grado di controllare le mie emozioni, mi faccio coinvolgere dalla vita degli altri come se vivessi ogni situazione sulla mia pelle così ho imparato a tenermi a debita distanza dai sentimenti. Sistemo la tracolla sulle spalle e fisso la scalinata in attesa che Grant faccia la sua apparizione.

“Buh!”

Salto spaventata prima di voltarmi verso la porta d'ingresso e lo colpisco sul braccio. È tutto bagnato e sembra un pulcino.

“Da dove sei arrivato?”

“Eravamo fuori a fotografare foglie e la pioggia ci ha beccati in pieno!” dice sorridendo. Saluta un paio di persone prima di circondarmi le spalle con un braccio contro la mia volontà.

“Non mi bagnare!” dico provando ad allontanarmi, ma lui mi conduce fuori. Si sistema lo zaino nero sulla schiena e recuperiamo l'ombrello prima di scendere le scale e dirigerci verso la mensa.

“Io oggi non ho concluso niente!” ammetto sincera. Lui mi guarda con un sopracciglio alzato e io scuote le spalle.

“Si può sapere cosa ti turba?”

Manchester sembra dormire oggi, le strade non sono affollate come al solito e i rumori sono solo sottofondo e non melodia principale. Osservo qualche turista cinese scattare foto a qualsiasi particolare balzi loro all'occhio senza curarsi della pioggia e tiro una leggera gomitata a Grant per attirare la sua attenzione. Segue il mio sguardo e alza gli occhi al cielo.

“Secondo me così tolgono il valore all'essenza stessa di una fotografia!” dice allarmato e io lo lascio parlare. “Fotografiamo qualcosa in particolare perché abbiamo paura di dimenticarci di un momento, o di un oggetto. In quel modo loro ridicolizzano questo concetto!”

"Ridicolizziamo un sacco di cose nella nostra vita."

Mi guarda pensieroso prima di annuire. Vorrei parlare con qualcuno di quello che sento dentro, ma mi sembrano tutti le persone sbagliate. Con mio fratello non posso assolutamente parlare, mi guarderebbe storto e mi chiederebbe il perché del mio comportamento; Grant è fuori discussione, non posso parlare con qualcuno di estraneo a Tyler di argomenti così delicati; Matthew e Caitlin non hanno niente di sbagliato, eppure non riesco a parlare con loro.
Dovresti parlare con Ty! Si, si lo so.

“Hai cambiato argomento prima, ma sai che puoi parlare con me se c'è qualcosa che ti turba!”

Grant finisce la frase mentre ci mettiamo in fila per mangiare e io ringrazio di essere in mezzo alla gente, così da potermi limitare ad un sorriso. “Non ti preoccupare, è tutto ok!”

Tutto ok.
Penso sia la bugia più grossa che ripetiamo costantemente durante le nostre giornate. Va tutto bene. Non va mai tutto realmente bene dentro di noi. Certo, ci sono problemi seri e problemi sciocchi, ma in un modo o nell'altro nella nostra testa si scavalcano pensieri su pensieri. Ci alziamo volenterosi di affrontare la giornata come meglio crediamo, positivamente, ma ci ritroviamo a fare i conti con il condividere il nostro tempo con le persone che ci circondano. Ecco, vi è mai capitato di svegliarvi con la voglia di marmellata (chiara ovviamente!) e scoprire che vostro fratello, due secondi prima, aveva ripulito l'intero vasetto? Beh, a me si. La vita non dipende mai totalmente da noi, dobbiamo imparare a convivere con gli altri, ma dopo tanti anni non ci è ancora chiaro il meccanismo. Se vuoi rispetto, impara a rispettare per primo. È facile puntare il dito, dire questo non mi piace, ma a mettere in pratica un principio ci vuole ben più che semplici parole.
Prendo il vassoio e aspetto che mi riempiano il piatto prima di seguire Grant fino ad un tavolo libero. Mi lascio cadere a peso morto sulla sedia e sospiro svogliata. Sento lo sguardo del mio amico addosso, ma non lo ricambio. Metto in bocca un pezzo di carne, ma è talmente dura che vorrei non averlo mai fatto. Mastico a fatica e mi butto sul contorno di patate.

“Quindi, non hai fatto niente, ma sembri morta. Quando hai fatto qualcosa come sei?” dice sarcastico, ma io alzo gli occhi al cielo.

“Ah-ah-ah bella battuta.”

Fredda, acida, distaccata. Mi mordo il labbro inferiore e sospirando alzo gli occhi verso di lui.

“Scusami, sul serio. Non so cosa mi è preso!” Mento, ma lo faccio perché non saprei proprio cosa dire. Sembra crederci e mangia tranquillo la sua porzione di spinaci.

“Allora, la settimana prossima avremo un seminario insieme, hai letto sul sito?” chiede entusiasta e io annuisco. Un seminario sui software grafici di due ore.

“Sono felice di poterlo seguire con te, almeno ci annoieremo insieme!”

“Ma no! Vedrai che sarà divertente!”

Sembra veramente felice e io non me la sento di precisare che si tratterà di un'ora e mezza di teoria e solo mezz'ora di divertimento al computer. Scrollo le spalle e sbuccio una mela. Il mio stomaco brontola e mi riprometto di cenare come si deve. La mensa è riservata agli studenti della mia scuola e ospiterà al massimo quattrocento posti. Non è molto chiara, ma l'impianto di illuminazione gli dona la giusta luce. Gli altri sembrano tutti spenti e assenti, mi chiedo se da fuori sembriamo così vuoti anche noi. Dovremmo essere allegri, spensierati. Siamo in una scuola d'arte!

“Tutta vita oggi eh!”

“Piano piano diventerà tutto più eccentrico, ne sono certo! Ricordo che una volta, due anni fa, i ragazzi di questa scuola organizzarono una giornata dedicata all'arte in tutta la città. In ogni vicolo c'era qualcosa di particolare. L'anno scorso invece una sfilata stratosferica! Non vedo l'ora di sapere cosa faranno quest'anno!”

Il suo sguardo è luminoso e acceso, dovremmo essere tutti come lui. Mi faccio coinvolgere dal suo entusiasmo e gli rivelo che vorrei poter fare entrambe le cose.

“Beh, proponilo sul forum universitario, anche in forma anonima se non vuoi dare troppo nell'occhio!”

“Ah, non sono capace ad organizzare niente.”

“Tu lancia l'idea, anche a me piacerebbe vivere in prima persona l'esperienza della giornata dell'arte in città! Sai quante foto potrei esporre!”

Sta già viaggiando con la fantasia, lo posso vedere dai suoi occhi e mi riprometto di fare un giro sul forum degli studenti. Finiamo di pranzare e prima di uscire depositiamo i vassoi negli appositi raccoglitori. Grant cammina al mio fianco con le mani in tasca mentre io osservo la punta delle mie scarpe bianche senza parlare. Ha smesso di piovere e l'aria che si respira è pungente e fresca.

“Ho visto Tyler ieri sera sai?”

Mi giro di scatto verso di lui e un sorriso divertito compare sul suo viso. “Potevi dirmelo prima che bastava il suo nome per attirare la tua attenzione!” Mi prende in giro e io gli schiaffeggio il braccio.

“Non è vero, sono solo sorpresa!” Cerco di giustificarmi e lui ride ancora.

“Eravamo nello stesso pub, c'era anche tuo fratello, ma non mi ha riconosciuto.”

Non sapevo fossero usciti, ma in realtà non ho dato modo loro di rendermi partecipe dei progetti per la serata. Guardo Grant aspettando altro e lo seguo verso la stazione degli autobus.

“C'era anche una ragazza, ma non l'ho mai vista ad essere sincero, o almeno non mi ricordo chi è!”

“Beh può essere chiunque!”

“Certo, ma tranquilla, non era attaccata al tuo Ty. Giusto per informarti!”

“Perché pensi che io debba essere informata sulla sua vita privata? È il coinquilino di mio fratello, stop.” Il mio tono di voce è più alto di un'ottava e Grant sorride furbo.

“Ah! Sai cosa amo delle storie d'amore? Tutti lo sanno che i due si piacciono tranne i diretti interessati!”

“Grant, smettila di dire stronzate!”

“Appunto. Senti non ti dico mica di sposartelo, ma secondo me potresti uscirci, sembra interessato a te!”

Lo dice con una naturalezza talmente sconvolgente che, per un secondo, finisco per crederci anche io.

“Tu non sai niente.” Ed è vero, non sa niente di Tyler e non conosce a fondo me. Non sa che cerco di mantenere le distanze dai sentimenti per evitare delusioni e per non distrarmi troppo dalla moda. Mi sono sempre chiesta se arriva, nella vita, un momento in cui ti penti delle scelte che hai fatto. Invidiamo sempre gli altri, la nostra vita ci sta sempre stretta, ma quello che gli altri danno a vedere è davvero reale? È davvero così bella la loro vita?

“Non so niente, hai ragione. Scusami!” dice mortificato. Mi rendo conto di essere stata cattiva nei suoi confronti. Cercava solo di fare l'amico e io l'ho tagliato fuori.

“Senti, perché non vieni a casa mia? Studiamo lì o guardiamo un film, se ti va.” Cerco di rimediare e sul suo viso si apre un enorme sorriso. Mi abbraccia di slancio e lo trascino a comprare un biglietto prima che passi l'autobus. Faccio il viaggio verso casa con una delle sue cuffiette all'orecchio. Sono dalla parte del finestrino e osservo la città scorrerci accanto.

“Quando diventerai una stilista di successo fai togliere tutti i calzini di spugna dal mercato, per favore!” dice scuotendo la testa. Mi giro ad osservare un uomo sulla cinquantina con un paio di sandali marroni e gli immancabili calzettoni addosso.

“Sarà tedesco!”

“Non mi interessa, tu prometti quello che ti ho chiesto!” dice fingendosi sconvolto.

“Va bene! Promesso!” ribatto portando una mano sul cuore. Sembra soddisfatto e torna a dedicarsi alla musica, tenendo il tempo con il piede destro. Quando siamo in prossimità della fermata gli faccio cenno di alzarsi e raggiungere le porte. Prenoto la fermata e in pochi secondi l'aria fresca ci colpisce in viso. È diventata così familiare questa strada che potrei percorrerla ad occhi chiusi, ma dimentico che per Grant è la prima volta. Lo vedo guardarsi attorno e sembra affascinato anche lui dal piccolo parco.

“Un giorno ti ci porto, ma sta per piovere un'altra volta e non mi sembra il caso!” dico trascinandolo verso il mio condominio.

Solo quando chiudo le porte dell'ascensore mi rendo conto di quello che stiamo facendo. Sto portando un ragazzo a casa mia, con mio fratello che potrebbe fraintendere a due passi. Mi do mentalmente della stupida e spero che Chris rimanga all'università fino a sera tarda.

“Eccoci!” dico un po' in imbarazzo.

Grant mi segue dentro l'appartamento senza smettere di guardarsi attorno. Sento rumori in cucina, segno che Caitlin è a casa e sbuffo arrivando da lei.

“Ehi! Hai mangiato? Io stavo cuc...oh, ciao! Io sono Caitlin!” dice così in fretta che ora ho mal di testa. Grant afferra prontamente la sua mano e le sorride gentile.

“Noi, ehm, abbiamo mangiato. Andiamo... a studiare, si!” dico balbettando senza una reale motivazione. Lei annuisce, ma posso leggere dalla sua espressione le mille domande che le attanagliano la testa. Faccio strada a Grant scuotendo la testa.

“Eccoci qui!” dico un po' imbarazzata aprendo le braccia per mostrare la mia camera. Grant si sofferma sui disegni di abiti lungo le pareti e sorride.

“C'è un sacco di bianco e nero in questa stanza, ti facevo una tipa da colori!”

Scrollo le spalle e osservo la stanza a mia volta. Effettivamente ha ragione, mi sono dedicata a tutt'altro e non ho finito di sistemarla. Sembra una stanza qualsiasi, impersonale.

“Lo sono, dovrei comprare qualcosa per finire di prepararla.”

“Beh, mancano delle fotografie colorate. Potrei conoscere un buon fotografo!”

“Ah si? Come si chiama?” Lo prendo in giro e lui mi regala un sorriso. L'imbarazzo si volatilizza e mi tranquillizzo piano piano. Non provo niente nei suoi confronti, èun bel ragazzo, ma non sento quello scombussolamento interno che si dovrebbe provare in presenza di una persona che ti piace.

“Non ricordo di preciso.” Ride e io mi unisco a lui prima di sedermi sul letto.

“Allora, vuoi studiare o guardare un film?”

“Me lo stai chiedendo sul serio?” dice inarcando un sopracciglio. Scoppio a ridere e torno in piedi in meno di due secondi. Prendo un maglioncino caldo, lo infilo e trascino Grant in salotto.

“Caty, ti va di guardare un film con noi?” chiedo affacciandomi in cucina. È seduta al piccolo tavolo quadrato, il computer acceso e un piatto freddo davanti.

“Tranquilli, tra poco esco per una lezione!”

Sospira e io faccio una smorfia dispiaciuta. Scrolla le spalle e torna a prestare attenzione al suo cibo, già so che quando resteremo sole mi tartasserà di domande. Resto qualche secondo immobile sulla porta per poi raggiungere il salotto. La porta del balcone è aperta, ma dall'esterno arriva un venticello freddo. Sono combattuta se chiuderla o no, tentenno qualche minuto, poi mi lascio distrarre da Grant.

“Cosa ti va di guardare?”

È allungato sul divano con gli occhi chiusi e sembra in estasi.

“Che ti prende?”

“Voglio questo divano! Vi prego regalatemelo!”

Piagnucola quasi e io non posso far altro che scoppiare a ridere di gusto. Ha un'espressione buffissima, gli occhi chiusi e un sorriso giocoso.

“Tu non hai un divano?”

“No!” Piagnucola riaprendo gli occhi per poi sedersi composto e lasciarmi spazio per sedermi.

Accendo il televisore sedendomi sul lato opposto del divano. Mi appoggio sul bracciolo e cambio canale alla ricerca di qualcosa da guardare.

“Questi sono i film che possiamo vedere, quale ti ispira?” chiedo mostrando i vari titoli sullo schermo. Mi ruba il telecomando e spulcia avanti e indietro fino a fermarsi su una nuova commedia americana. Non è il genere di film che prediligo, ho un umorismo sottile e sono poche le commedie che mi fanno realmente ridere, ma lascio correre e mi preparo a guardarlo.

“Posso trasferirmi qui?” chiede Grant mentre il film inizia. Lo schermo piatto del televisore piace da matti anche a me e mi rendo conto di essere stata fortunata a trovare questa sistemazione. Poteva andarmi molto peggio!

“Spiacente, le stanza sono tutte occupate!” Tira fuori la lingua e incrocia le braccia indispettito. Minaccio di toglierli il cuscino comodo da dietro la schiena e lui urla.

“No! Stai ferma!”

“Quanto sei teatrale ragazzo! Sei sicuro di non voler fare l'attore?” dico osservando il suo viso. Non ho mai visto una persona più espressiva di lui, a tratti sembra un cartone animato.

“Veramente no, ma se mi regali questo cuscino potrei pensarci!”

Alzo gli occhi al cielo e mi concentro sulla trama della storia. Non è niente di nuovo, è qualcosa di visto e rivisto, ma Grant ride al mio fianco e non posso negare che un sorriso sfugge anche a me in alcune scene. Caitlin ci saluta a metà film e io sono sulla buona strada per addormentarmi. Mi allungo rilassandomi, combatto per non far chiudere le palpebre, ma ad un certo punto cedo. Cinque minuti, poi mi sveglio.
Sogno un paese in cui non sono mai stata. Ha tanti piccoli vicoli e le strade sono realizzate con sampietrini. Cammino alla ricerca di un qualcosa che non riesco a ricordare. Le persone sembrano non conoscermi, mi osservano e io cerco di mantenere un basso profilo. Risalgo una strada verso un locale costruito interamente in pietra che contiene una cartolibreria. Entro come se lo conoscessi e giro per gli scaffali tranquilla.

“Anne?” Mi sento chiamare, ma chi mi cerca? Io non conosco nessuno qui.

“Anne?” Qualcuno mi scuote e ci metto un po' per realizzare che è tutto reale. Apro gli occhi a fatica e Grant, a pochi metri da me, mi scuote per farmi svegliare. Mi lamento, girandomi e stiracchiando i muscoli. Sento le palpebre ancora pesanti, ma so di non potermi addormentare nuovamente.

“Scusa!” dico mettendomi seduta.

“Non ti preoccupare, ti ho lasciata dormire e io mi sono goduto il tuo divano e la tua televisione!” risponde ridendo e io gli sorrido. “Hai fatto bene!”

“Ora però devo andare, mi ero dimenticato del mio turno per le pulizie settimanali della casa!”

Sospira scocciato e infila la giacca di jeans. Mi alzo per recuperare il suo zaino dalla camera e colgo l'occasione per fare prima un salto in bagno.

“Alla fine non abbiamo studiato per niente!” dico lavandomi le mani. Apro la porta e torno in salotto recuperando anche l'ombrello.

“Sarà per la prossima volta, ora è meglio che vada o i miei due coinquilini faranno storie e non ho voglia di sentirli parlare!”

“Sono così cattivi?”

“No, uno è un po' svampito e abita in un mondo tutto suo, l'altro è un rompiscatole patentato. Io faccio il mio, per il resto sto rintanato nella mia stanza!” Parla mantenendo un tono piatto e sconsolato.

“Perché non cambi casa, magari una stanza la trovi anche adesso!”

Storce il naso e scrolla le spalle. “La maggior parte del tempo li vedo poco, per ora va bene così.”

Annuisco e lui sospira prima di sorridere. “Beh, allora vado! Ci vediamo domani Anne, buona serata!”

Si abbassa a baciarmi una guancia e io sorrido stringendolo in un mezzo abbraccio. Lo accompagno alla porta e mi scompiglia i capelli prima di uscire.

“Oh! C'è un sacchetto!”

Sposto lo sguardo verso il pavimento di marmo e sull'uscio, accanto al tappeto, c'è un piccolo sacchetto bianco. “Lemonade.” Lo stomaco si stringe e sembra dolermi perfino il cuore. 
Lo prendo tra le mani e prima di aprirlo aspetto che Grant sia entrato nell'ascensore. Sorrido sventolando una mano, fremendo dalla curiosità. Lo apro e una busta di caramelle gommose alla frutta mi coglie di sorpresa. Tiro fuori un biglietto bianco scarabocchiato e mentre lo leggo, dopo aver bloccato la porta in modo che non si chiuda, mi siedo a terra.

Anche se mi eviti questa te la dovevo.”

Apro le caramelle mangiandone una all'arancia e fisso il legno scuro dell'appartamento di fronte. Porto le ginocchia al petto poggiando il mento su di esse e ne mangio un'altra. Mi rigiro il pacchetto tra le mani indecisa su cosa fare. Dovrei ringraziarlo, ma ho paura di vederlo. Eppure il biglietto sembra quasi una supplica, come se volesse dirmi: “Ehi, ti sei dimenticata di me?”.
Mi alzo e liscio la stoffa dei miei pantaloni prima di fare qualche passo e attraversare il corridoio. Fisso la porta aperta del mio appartamento e quella chiusa dell'altro. Tentenno con la mano a mezz'aria pronta a suonare il campanello, ma alla fine la lascio cadere sul fianco e torno in casa sbattendo la porta alle mie spalle. Poggio la schiena contro il legno e sobbalzo quando sento un rumore fragoroso provenire dal salotto. Mi precipito nella stanza e rimango pietrificata sull'uscio.

“Che ci fai qui?” chiedo sorpresa. Lui apre le braccia e scrolla le spalle prima di sedersi nel posto occupato poco prima da Grant.

“Com'è che si dice? Se la montagna non va a Maometto...”

“...è Maometto ad andare alla montagna.”

 

_________________________________________

Nda.

Hello!
Come state? Eccoci con un nuovo capitolo d'inizio Settembre. Che dire, un capitolo con un finale movimentato! Non trovate anche voi che Tyler sia un dolcetto alla crema? A parte gli scherzi (sono tanto Grant in alcune situazioni!) che ne pensate del capitolo? Mi piacerebbe veramente avere un vostro parere, quindi, se avete qualche secondo scrivetemi un commentino o un messaggio privato o un tweet usando #UnaltravitaAty io vi leggo e vi aspetto!
Un abbraccio a tutti,
Serena.

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


 

 

“Le cose migliori e più belle della vita non possono essere nè viste nè toccate.
Devono essere sentite con il cuore.”
Helen Keller

 

*

 

Lascio che l'aria fresca, proveniente dalla porta finestra lasciata aperta, mi accarezzi il viso. Tyler mi guarda in attesa, seduto sul divano con la sua aria compiaciuta. Dev'essere felice di avermi teso una trappola e di vedermi in difficoltà. Mi sento costretta come un topo in gabbia a dover parlare con lui. Non ho mai amato i discorsi troppo seri, qualcuno la chiama immaturità, io penso che sia difesa personale. Scendere a patti con i propri pensieri spaventa tutti. È facile suggerire agli altri di seguire il proprio cuore o quale sia la mossa giusta da fare, ma nessuno è così critico quando si parla di se stesso. Raccolgo i capelli in una crocchia e mi faccio aria con una rivista di Caitlin abbandonata sul tavolo. Sento caldo, forse più di quello che in realtà percepirei in una situazione di calma. Faccio qualche passo avanti e indietro nella stanza, senza fiatare e aspetto che sia lui a parlare per primo, ma non dà segno di voler iniziare una discussione. I suoi occhi mi seguono attenti, in attesa di un mio segno, di una mia parola.
Sbuffo, cercando di regolarizzare il respiro prima di voltarmi verso di lui e lo vedo strofinare le mani nervosamente sui jeans. Fa presa sulle ginocchia per alzarsi, indietreggio di riflesso e lui scuote la testa per poi indicare la porta finestra e dirigersi verso di essa sconfitto.
Chiudo gli occhi prima di intimarlo a stare fermo. Mi dà le spalle, ma lo vedo rilassarsi.
“Non vuoi che me ne vada però non vuoi parlarmi.”
Il suo tono di voce è giocoso, ma il tremolio della voce lo tradisce. Prendo il pacchetto di caramelle abbandonato sul tavolo e lo apro prima di fare qualche passo verso di lui e offrigliene una. Mi guarda circospetto, poi scuote la testa sorridendo e ne afferra una.
“Certo che sei strana!”
“Non sei il primo che me lo dice.”
Prendo una caramella anche io, nonostante il dolore ai denti, e lascio che il sapore dolciastro di fragola invada il mio palato. Il problema delle caramelle gommose è proprio il non sapere come resistere. Una tira l'altra e in una manciata di minuti ci si ritrova già a metà pacchetto. Mi impongo di darmi una regolata e seguo Tyler verso la sua stanza quando mi invita a sentirlo suonare. Non sembra intenzionato a parlare della sua vita e da un lato mi sento sollevata. Dall'altra parte, una piccola zona del mio cervello freme per sapere. A scuola, di solito, mi ritrovavo in classi piene di ragazzi e crescendo insieme a loro e agli amici di mio fratello, piano piano ho imparato a capire i loro ragionamenti. “Le ragazze sono strane.” Lo ripetevano spesso e da un lato, alcune volte, li capisco. Siamo perennemente indecise; vogliamo sapere una cosa, ma allo stesso tempo non ne vogliamo sentire parlare. Forse è questa la grande bellezza di essere una donna, la straordinaria imprevedibilità con il quale affrontiamo una giornata.
“Vedo gli ingranaggi del tuo cervello muoversi, a cosa stai pensando?”
Presto attenzione a quello che mi ha chiesto, ma rimango a fissarlo. È in piedi, accanto alla scrivania. La coscia destra, muscolosa, messa in risalto dalla posizione. Ha una gamba appoggiata alla sedia mentre strimpella le corde del violino per accordarlo. Non sembra un tipo da palestra e nella sua stanza non è visibile nessun attrezzo, eppure ha un corpo tonico e proporzionato. Il petto grande quel tanto che basta per contenermi in un abbraccio.
“Fai sport?”
Mi guarda inarcando un sopracciglio. “Non a livello agonistico. Corro qualche volta, nell'ultimo periodo ho trascurato un po' questo aspetto, ma conto di ricominciare presto.”
Annuisco e mi siedo in attesa di ascoltarlo. Porto le gambe al petto e poggio il mento sulle ginocchia. Le mani di Tyler sfiorano con delicatezza lo strumento, sembra un momento così intimo che sento la necessità di spostare lo sguardo altrove. Una musica malinconica invade la stanza risuonando tra le pareti. Va trasformandosi nota dopo nota, diventando travolgente ed energica. Chiudo gli occhi lasciandomi pervadere dal senso di benessere che la melodia mi regala. Suona su una base musicale di altri strumenti, riconosco il suono della batteria, una chitarra. Dà dei colpetti al violino producendo un suono sordo per poi dare due stoccate con l'archetto e ricominciare quello che sembra un ritornello.
Apro gli occhi osservando il suo volto concentrato e per la prima volta da quando l'ho conosciuto, mi sforzo di osservarlo davvero. Le ciglia lunghe gli sfiorano gli zigomi alti e quando accenna un sorriso, un'adorabile fossetta fa capolino sulla guancia sinistra.
La musica si interrompe inaspettatamente e mi ritrovo a guardare mio fratello, fermo sulla porta della stanza di Ty, con un sopracciglio inarcato. Non ho sentito nessuno bussare, troppo coinvolta dalla musica.
“Ehm. Tu che ci fai qui?” chiede con tono indagatore. Sbatto più volte le palpebre colta alla sprovvista e sorrido nervosa. Che ci faccio qui? Bella domanda!
“Voleva sentire un mio pezzo per sincerarsi delle mie capacità, sai com'è fatta tua sorella!”
Vorrei strozzarlo. Lo guardo già pronta per rispondergli piccata, ma senza farsi notare mi fa l'occhiolino e invece di dire qualcosa di acido, finisco per arrossire. Tossisco mettendomi in piedi e mantengo il suo gioco, Chris non sa che ho sentito suonare Tyler in una giornata di pioggia e mi ritrovo improvvisamente a chiedermi perché sto tenendo nascosta una cosa simile a mio fratello. Non c'è niente di male, eppure ho come l'impressione che non capirebbe.
“Beh, non è male.” Scrollo le spalle raggiungendo Chris e lascio un bacio sulla sua guancia. Mi circonda la vita con un braccio trascinandomi in un mezzo abbraccio, scoppiando a ridere.
“Sei un caso disperato Annette, Ty è bravissimo!”
Si beh, l'avevo capito da sola, grazie. Mi limito ad annuire con sufficienza e lo seguo in cucina voltandomi, di nascosto, per sorridere a Tyler. Accenna un sorriso in risposta prima di riportare l'attenzione sul suo strumento.
“Ti direi di rimanere a cena, ma esco con Matt e un paio di amici. Ti va di unirti a noi?”
Mi appoggio con la schiena al frigorifero e nego con la testa. “No, grazie. Verrei solo per stare con Matt, ma dovrei subirmi anche i tuoi amici cerebrolesi quindi non se ne fa niente.”
“E dai! Non sono così male come pensi!”
“No, ovviamente. Tutto fumo e niente arrosto. A me piace la carne, dovresti saperlo fratellone!”
Alza gli occhi al cielo e sistema il ciuffo di capelli biondi con una mano. L'accenno di barba gli dona un'aria vissuta. Sembra un uomo in carriera, più grande dell'età che ha. Nell'ultimo periodo è cresciuto così tanto da non sembrarmi vero. Deve aver preso lui tutta l'altezza perché mi supera di almeno quindici centimetri, le sue gambe sono toniche e allenate, mentre le mie potrebbero decisamente andare meglio.
“Che c'è? Perché mi fissi?”
“Tzè, perché a me è toccato il seno piccolo e la fame e a te il sedere bello e la forza di volontà?”
Scoppia a ridere circondandomi il collo con le braccia per scompigliarmi i capelli. Gli intimo di lasciarmi andare, alzando il tono di voce, ma lui insiste risucchiandomi in un abbraccio fraterno. Mi lascio coccolare da lui prima che la sua presa diventi sempre più forte.
“Non respiro!” Lo sento ridere così stringo tra le mani una porzione di pelle dai suoi fianchi e quando si allontana con un urlo alzo le braccia vittoriosa.
“Non cambi mai.”
“Ed è una cosa bella?”
“Assolutamente si.” Mi guarda compiaciuto e io faccio una faccia buffa.
Lascio che si prepari per la serata, vorrei salutare Matt, ma a quanto pare è ancora in aula studio. Mi accompagna alla porta e dopo un secondo di esitazione mi rendo conto di non avere le chiavi con me. Balbetto qualcosa di inspiegabile, indicando la porta della stanza di Tyler.
“Devo averle lasciate lì!” dico scansandolo e cercando di formulare una scusa.
Busso forte, agitata. “Avanti.”
“Ehm, dunque. Le chiavi di casa, devo averle lasciate da qualche parte.” Chris è alla mie spalle, così ne approfitto per cercare aiuto con lo sguardo. Ty si alza dal letto, a piedi scalzi, e raggiunge la scrivania sventolando il mio mazzo di chiavi come se niente fosse. Mi lascio andare ad un sospiro di sollievo e le stringo tra le mani.
“Vado allora, si... ciao.”
Do una pacca sulla spalla a Chris e lui mi sorride prima di chiudere la porta del suo appartamento. Una volta sul pianerottolo mi schiaffeggio da sola. C'è mancato poco! Faccio scattare la serratura e una volta in casa mi avvio verso il balcone. Mi assicuro che mio fratello non sia più in camera di Ty e mi affaccio nella stanza. È appoggiato, a braccia conserte, allo stipite della porta finestra. Mi rilasso chiudendo gli occhi e scoppio a ridere.
“Grazie!”
“Fidati, l'ho fatto più per la mia incolumità.”
“Perché fai una cosa bella e la devi rovinare parlando?”
Alzo gli occhi al cielo e lui mi imita spingendomi verso la parte del balcone che spetta al mio appartamento. “Intanto non parlare ad alta voce e poi, che ne dici di mangiare con me questa sera?”
Guardo il suo viso sorpresa dalla sua richiesta. Deve leggere l'insicurezza sul mio viso, perché alza le mani in segno di resa.
“Giuro di non avere cattive intenzioni. So che hai detto di non voler uscire, ma hai specificato di non volerlo fare con gli amici di Chris. Tra parentesi, sono antipatici anche a me!”
“Beh, almeno su questo siamo d'accordo. E dove vorresti andare?”
Accenna un sorriso e sposta la mano destra a sfiorarsi la spalla opposta. Accarezza quella porzione di pelle come se fosse vitale e mi guarda negli occhi, prima di serrare le palpebre.
“Alcune volte capita di dover perdere tutto per imparare ad apprezzare quello che abbiamo. Piano piano sto riuscendo ad andare avanti, ma da solo non ce l'avrei mai fatta. Io...”, tossisce prima di riprendere a parlare. “Sto frequentando un gruppo di recupero, degli incontri con uno specialista... so che non ti va di parlarne, ma dovrai solo ascoltare poi possiamo andare a mangiare.”
Sembra in difficoltà mentre parla e non riesco nemmeno ad immaginare quanto gli sia costato chiedermi di accompagnarlo, ma perché vuole portare proprio me?
“Chris non lo sa?” Nega in risposta e io mi ritrovo ad accettare l'invito quasi inconsciamente. Mi regala un sorriso dolce, prima di sfiorarmi i capelli con la mano sinistra e darmi appuntamento tra mezz'ora.
“Cosa diremo a mio fratello?”
“Usciremo esattamente due minuto dopo di loro.”


**

“Di sicuro non potresti fare il ladro di professione!”
“E infatti non ne ho la minima intenzione!”
Mi guardo attorno mentre lasciamo il condominio, spaventata all'idea di essere visti da Chris. Non mi preoccupa farmi vedere con Tyler, non stiamo facendo niente di male, ma ho mentito poche volte a mio fratello e nemmeno una è andata a finire bene. Affretto il passo e affianco Ty. Camminiamo lungo la strada in silenzio, lui sembra in imbarazzo e io sono un fascio di nervi. La strada è illuminata dai lampioni e dalle flebili luci provenienti dalle palazzine intorno a noi. Non so cosa aspettarmi e non mi piace non sapere. Giriamo a destra, raggiungendo una piazza dalle modeste dimensioni. Ci lasciamo alle spalle la scalinata imponente di una Chiesa ed entriamo in una porta che non avrei mai notato in una passeggiata normale. È di un legno vecchio e scorticato, entrando passo un dito sulle schegge rischiando di tagliarmi. Il pavimento è di marmo e le pareti sono piene di manifesti affissi uno sull'altro su gruppi di recupero di vario genere; serate di discussione; incontri con specialisti. Ci sono due porte e un lungo corridoio da cui si intravedono almeno altre cinque stanze. Tyler saluta una donna seduta dietro il vetro di una segreteria. Ride con lei, ma non capisco cosa stanno dicendo, la mia attenzione viene catturata da una delle porte. È semi chiusa e questo mi permette di intravedere un uomo tremare. Sembra scosso da brividi di freddo continui. È esile, la giacca che indossa dev'essere di almeno due taglie in più rispetto alla sua, sembra malato e instabile. Un altro uomo, più paffuto e vestito diligentemente oscura la mia visuale, incrocia il mio sguardo e dopo qualche secondo si appresta a chiudere la porta. Sento improvvisamente freddo anche io e vorrei non aver seguito Tyler in questo posto.
“Ehi? Tutto bene?” Sobbalzo spaventata quando una mano mi sfiora una spalla. Un ragazzo mi guarda con aria preoccupata. Ha ancora la mano sulla mia spalla, sono sicura che se stringesse un po' riuscirebbe a rompermi le ossa. Il suo fisico è possente e la maglia nera che indossa mette in risalto il frutto di allenamenti duri. Ha dei capelli castano chiaro e la barba incornicia il suo viso donandogli un'aria vissuta. I suoi occhi, al contrario, stonano con il suo fisico. Non sono né marroni, né verdi. Sono una sfumatura di entrambi talmente tanto particolari da diventare ipnotici. Abbasso le spalle e coglie al volo le mie intenzioni perché ritira la mano, parandola poi tra di noi. “Io sono Ed, tu sei?”
“Lei è Anne.”
A rispondere è Tyler. Mi raggiunge affiancandomi e appoggiando una mano alla base della mia schiena. Alzo lo sguardo verso di lui e mi sembra rilassato e a suo agio. “È una mia amica, l'ho portata con me, ad ascoltare.”
“Lei era d'accordo?” Ride osservandomi e mi ritrovo a rannicchiarmi, la presa di Ty si fortifica sulla mia schiena lasciandomi poi una carezza. Ed si allontana dopo aver alzato le sopracciglia e io torno a respirare.
“Dove le hai lasciate le tue battutine acide?” Ty mi guarda aprendo le braccia e io sbuffo.
“Le riservo solo a te, contento?” Improvviso un sorriso e lui alza gli occhi al cielo.
“Scusa.” Guardo in direzione del corridoio, dove Ed è scomparso e scuoto la testa. “Non sono riuscita a rispondere, il suo sguardo mette soggezione!”
“Oh, tranquilla. Lo so bene, ma è un grande amico.”
“Ah, voi due siete amici?” chiedo sarcastica.
Annuisce facendomi strada proprio verso il corridoio. Non posso credere alle sue parole. Non sembrano due persone che potrebbero anche lontanamente andare d'accordo.
“Se lo dici tu.”
“In realtà mi ricorda te.”
Spalanco gli occhi guardandolo, in cerca di una spiegazione che non arriva. Sorride sornione entrando poi in una stanza. Sembra l'aula di una scuola. Le finestre lungo tutta la parete, una lavagna e una cattedra. L'unica differenza è la disposizione dei banchi in cerchio. Alcuni sono già occupati. Seguo Tyler verso il banco, si accomoda e mi fa segno di prendere una sedia tra quelle affiancate al muro e di sedermi accanto a lui, ma di qualche centimetro dietro rispetto al banco.
“I banchi sono per le persone che parlano. Chi accompagna può sedersi accanto a noi, ma leggermente indietro, in modo che chi gestisce la serata sappia esattamente a chi rivolgersi.”
Lo ascolto attentamente e faccio come dice. Posiziono la sedia in modo da non intralciare né lui, né chi si siederà nel banco accanto. C'è chi parla sotto voce, chi con un tono più alto. Le luci sono troppo chiare e donano un'aria fredda alla stanza. Sento uno strano senso di inquietudine addosso, stringo forte il manico della borsa e picchietto il piede a terra, in attesa. Alzo gli occhi quando un uomo sulla trentina fa il suo ingresso in aula. Cammina deciso verso il centro del cerchio, con i suoi capelli quasi completamente rasati, le spalle dritte e una penna tra le mani. Cerco di studiare il suo viso, è costernato di nei sulla parte destra mentre sul lato sinistro ne appaiono ben pochi. Quando si ferma, si zittiscono tutti. Ci sono altri accompagnatori nella stanza e cerco di capire il loro stato d'animo, ma non ne traggo beneficio. Sembrano tutti nelle mie condizioni, agitati e spaesati. Sposto lo sguardo e Ed, dall'altra parte esatta del cerchio, mi sorride.
“Potresti smetterla di incoraggiarlo?”
“Io non sto facendo niente!” Guardo Ty stralunata, ma lui scuote semplicemente la testa riportando la sua attenzione sull'uomo che ha iniziato a parlare.
“Bentornati ai volti conosciuti e benvenuti a voi che siete qui per la prima volta. Qualcuno è qui come accompagnatore, come sostegno forse, mentre altri sono arrivati fin qui dopo un duro percorso. Mi è stato chiesto di spiegare in grandi linee cosa facciamo qui. Si, lo so John, ti annoiano questi discorsi, ma devi restare seduto!” dice rivolgendosi ad un ragazzo in procinto di alzarsi.
“Oh andiamo, lo sappiamo tutti cosa facciamo qui, non c'è bisogno di ripeterlo.”
L'uomo al centro sospira, sembra abituato a vivere situazioni del genere. Sposta il peso sul piede destro e torna a parlare mentre gira piano su se stesso in modo da avere contatto visivo con tutti i presenti.
“Siamo qui perché più o meno tutti in questa stanza abbiamo perso una persona cara. È la seconda seduta del secondo ciclo di incontri. Non mandiamo in frantumi tutto quello che abbiamo imparato, tutto quello che siamo riusciti ad affrontare insieme. Il gruppo è diviso in tre fasi da sette sedute l'una, la prima fase, quella che voi avete già affrontato, è paradossalmente la più facile di tutte. Siete arrivati qui in cerca di aiuto per affrontare il vostro lutto e noi ve l'abbiamo dato. Avete trovato realtà come la vostra, forse peggiori, ma siamo andati avanti. Che il tempo aggiusta le cose, in parte è vero, in parte è una grandissima balla. Il dolore non diminuisce, forse aumenta. C'è un momento in cui inizierete a dimenticare il volto, la voce, delle persone che avete perso e allora si che soffrirete, cercherete di afferrare quel briciolo di ricordo rimasto e combatterete contro voi stessi per trattenerlo.”
“E allora che ci stiamo a fare qui?” È sempre John a parlare, la sua domanda mi sembra lecita e mi giro incuriosita verso il centro del cerchio.
“Siamo qui per imparare a conviverci. Il dolore, come qualsiasi altra emozione, va vissuto pienamente.”
“Cazzate!”
“Pensi che sei il solo a soffrire in questa stanza? Chaterine ha perso suo figlio in un incidente stradale, Liv suo padre, Aria la sua famiglia in un incendio. Perché dovresti essere tu a soffrire più di tutti?”
John chiude gli occhi e il suo viso giovane sembra così stanco. Sembra più piccolo di me, la barba è appena accennata e la pelle è perfettamente liscia. Mi appunto di dover chiedere la sua storia a Tyler, ma non devo aspettare molto per ottenere una risposta ai miei dubbi.
“Sua madre era una prostituta e l'hanno ammazzata.” Tyler parla con un tono basso e crudo.
“Oh.” Non so come si risponde in queste circostanze così mi limito a restare in silenzio.
“Hai ragione Dylan, mi dispiace, oggi è l'anniversario della sua morte e mi sono lasciato sopraffare.”
L'uomo al centro, Dylan, si sposta verso John e appoggia una mano sulla sua. “Noi siamo qui per te.” Il suo modo di parlare è così intenso che sento gli occhi pizzicare. Riempio d'aria le guance e cerco di trattenere le lacrime per non fare la figura di una ragazzina emotivamente instabile.
“Bene, la scorsa settimana abbiamo sentito l'evolversi delle storie di metà dei presenti, oggi tocca ai rimanenti. Elen, Ian, Vincent, Marie, Ed e Tyler. Chi vuole cominciare?”
Sento il cuore rimbombare nel petto, strofino le mani e mi rendo conto di star sudando come se dovessi parlare io al posto loro. C'è silenzio nella stanza, ma Dylan non sembra farci caso. Guarda fiducioso tutti, mantenendo il sorriso sulle labbra. Quella che scopro essere Marie si fa avanti, raccontando di come la sua estate sia andata meglio di quello che aveva previsto. Dylan fa un breve riassunto della sua storia, spiegandoci che ha perso suo marito due anni fa a causa di una malattia rara. “Dopo due anni sono riuscita a indossare un colore diverso dal nero o dal blu. Può sembrare una sciocchezza, ma per me significa tanto.” dice lei indicando la maglia rossa che indossa.
“Ti sta benissimo Marie, sei bellissima.” Quell'uomo sembra avere le parole giuste da dire a tutti, mi chiedo se la sua sia esperienza lavorativa o se ha imparato in prima persona. Le storie si susseguono, è bastato che Marie iniziasse. Vincent è il più grande tra i presenti, ha sessantadue anni e ha perso sua moglie durante un'operazione di routine sette anni fa. “Ero così arrabbiato, ho mandato avanti la causa contro l'ospedale per così tanto tempo da non essermi reso conto di aver abbandonato la mia famiglia e di non aver dato riposo a mia moglie. Per Natale voglio organizzare una cena e conoscere i miei nipotini.” I suoi occhi si riempiono di lacrime, ma dura poco. Tira su con il naso e sorride.
“Questa seconda fase di sedute con voi voglio sfruttarle per imparare a perdonare.”
“Lo faremo. Giusto?” Dylan invita gli altri a rispondere e annuisco anche io di riflesso. Ty si gira a guardarmi e allunga una mano a sfiorarmi il ginocchio. Si schiarisce la voce richiamando l'attenzione di tutti e il mio cuore perde distintamente un battito.
Nessuno parla, ancora una volta il silenzio avvolge la stanza e sento di poter vomitare da un momento all'altro.
“Quando ti senti pronto Tyler. Per chi è qui per la prima volta, Ty un anno fa ha perso la sua compagna durante il parto e poche ore dopo nemmeno sua figlia ce l'ha fatta.” Questa volta Dylan parla con cautela, come se avesse paura di rompere l'equilibrio del ragazzo al mio fianco.
“Ehm, tornare nella mia città natale è stato come fare mille passi indietro.” Inizia a parlare fissando un punto indistinto davanti a lui. “Affrontare un lutto stando lontani è, in qualche modo, più facile. Nessuno ti conosce, nessuno sa la tua storia. Non ci sono persone che ti giudicano se stai ridendo con tua madre mentre fai la spesa. Aylin e io non stavamo insieme, eravamo amici fin da bambini e lei era perdutamente innamorata di me...” Prende un bel respiro e abbassa lo sguardo. “Lo scoprii dopo esserci andato a letto insieme. Era successo, non so nemmeno perché. La sua famiglia è religiosa e una volta scoperto della gravidanza ci imposero di sposarci. Mi sentivo così in gabbia, ma era la cosa giusta da fare. Dovevo prendermi le mie responsabilità. Eravamo riusciti a rimandare tutto dopo il parto però, sembrava una piccola vittoria per entrambi. In fondo le volevo bene e non sarebbe stato così male, no?” Il suo tono di voce è spezzato e quando porto una mano sul viso mi accorgo di star piangendo. Mi affretto ad asciugarmi e torno ad ascoltarlo parlare.
“I suoi genitori mi odiano e incrociare i loro sguardi non è stato salutare. Mi odiavo anche io all'inizio, spesso mi sono dato dello stupido per non essere stato attento. Venendo qui ho capito che non potevo farci niente se Aylin aveva una malformazione cardiaca che l'ha portata ad avere un infarto al quinto mese. Vorrei dire alla sua famiglia che potevano fare qualcosa anche loro, che la mia bambina non ce l'ha fatta come la loro, ma per tutti sono solo quello che l'ha messa incinta.”
Stringe il bordo del banco con talmente tanta forza da far sbiancare le nocche. D'istinto poggio una mano al centro della sua schiena e sembra tornare a respirare. Un respiro affannoso, dovuto al pianto, ma pur sempre un respiro. Dylan lo guarda con le mani incrociate, fa qualche passo in avanti e stringe forte la spalla destra di Tyler.
“Come hai detto tu, non potevi fare nulla. Non spetta a te farti carico del loro dolore Ty, stai già vivendo il tuo. Grazie per la tua condivisione.” Torna al centro del cerchio e parla ancora, ma non lo sto ascoltando più. Sento altri raccontare le loro storie solo che il mio cervello non recepisce altro. Ripete in loop le parole di Tyler. La mia mano è ancora ferma sulla sua schiena, stringo le dita sulla sua maglia, accarezzandolo. Quando si gira a guardarmi, l'espressione sul suo viso mi fa venire da piangere. Ha gli occhi gonfi e rossi, il labbro inferiore tremolante. Ci guardiamo, aggrappandoci alla flebile luce di speranza negli occhi dell'altro. Gli accarezzo il braccio fino a stringere, forte, la sua mano. Passa il pollice sul dorso della mia mano prima di portarsela alla bocca e sfiorarla con le labbra. Sembra quasi che qualcuno abbia tirato un pugno ben assestato, dritto nel mio stomaco. Chiudo gli occhi per riaprirli solo quando la voce di Ed irrompe nella stanza. Ty mi lascia andare la mano facendomi segno di prestare attenzione. Si asciuga gli occhi con un fazzoletto e rivolge lo sguardo al suo amico.
“Per chi non mi conosce, prima che lo dica Dylan...” Lo guarda ridacchiando. La sua voce è possente, ma il suo tono è scherzoso. “Sono americano.” Parla guardando nella mia direzione e mi ritrovo a tossire per l'imbarazzo.
“Ho perso mio fratello gemello due anni fa a causa di un melanoma. Mi sono addirittura trasferito in un altro stato per affrontarlo. Ho chiuso i ponti con tutti, mi sono rifatto una vita e come ha detto il mio amico Ty, è più facile affrontare un lutto stando lontani. Solo che arriva un momento in cui devi farti coraggio e affrontare realmente la situazione. Ehm, ho parlato con mia madre quest'estate.” dice annuendo e Dylan annuisce di riflesso con un accenno di sorriso in volto. Deduco sia un passo avanti per Ed.
“Pensavo mi attaccasse il telefono in faccia e invece aveva bisogno di condividere il suo dolore con me almeno quanto io avevo bisogno di condividerlo con lei. Non ha perso solo un figlio quel giorno, ne ha persi due e mi sono sentito così egoista e... cattivo.”
“Ne hai parlato con lei?”
Ed annuisce in risposta e Dylan lo incita ad andare avanti. “Mi ha detto che sono uno stupido e suppongo di essermelo meritato. Ho scoperto di avere una madre con una forza d'animo spaventosa, ha capito che avevo bisogno di elaborare tutto a modo mio e mi ha perfino chiesto scusa per non essere stata brava a trattenermi lì con lei.”
Mi mordo il labbro inferiore mentre mi rendo conto di star piangendo ancora una volta. Chiudo gli occhi e cerco di controllarle queste sensazioni che sento dentro. Sento che la testa potrebbe scoppiarmi da un momento all'altro e vorrei abbracciare queste persone una ad una. Ed continua a parlare, raccontando dei suoi progetti per far venire sua madre e il suo compagno in Inghilterra appena possibile. Come Tyler, anche lui, è tornato quello di prima e mi stupisco del loro essere padroni delle emozioni. Io vorrei piangere così tanto da far invidia all'oceano. Vengo scossa dall'ennesimo brivido e sto per chiedere a Tyler di uscire quando Dylan ci avverte che l'ora è terminata. Non mi sembra quasi vero, punto la porta finestra nel corridoio e quando Ty viene trattenuto esco fuori senza aspettarlo. L'aria di Manchester è pungente e il freddo mi arriva fin sotto le ossa. Il petto si alza e si abbassa e sembra che il cuore stia annegando nelle lacrime che non riescono a fuori uscire. Un rumore mi fa ridestare, tossisco e asciugo velocemente gli occhi.
“Acqua?” Mi schiarisco ancora la gola prima di girarmi. Ed è appoggiato alla porta finestra con una bottiglietta tra le mani. Me la porge, ma nego con la testa e in risposta lui scrolla le spalle e la appoggia sulla balaustra in ferro.
“Quando la vuoi è qui e tranquilla, non sono un mal vivente, non ci ho messo niente dentro. È appena uscita dal distributore!”
“Non ho detto che sei un malvivente!” Scuoto la testa e lui sorride, spostando poi lo sguardo verso la città.
“Allora, abbiamo fatto pietà anche a te?” chiede con tono canzonatorio.
“Cosa? No!”
“Andiamo, ti ho visto lì dentro, piangevi come una bambina!” Mi guarda sorridendo, in attesa di una risposta.
“In realtà penso che abbiate coraggio e più forza di tante altre persone. Mi fanno più pena le persone come me, quelle che stanno bene.”
Sembra studiare le mie parole per poi sfiorarsi il mento pensieroso. “Sono piuttosto sicuro che ci siano persone messe peggio di noi, tipo le persone malate. Se abbiamo coraggio noi, loro cosa hanno?”
“Beh, ogni situazione è diversa. Voi siete coraggiosi, a mio parere, perché siete stati in grado di chiedere aiuto. Non tutti sono in grado di farlo!” dico sincera. Lui mi guarda annuendo pensieroso. “Mh, mi piace come risposta.” Sorride appoggiandosi con la schiena e i gomiti alla ringhiera. Fissa l'interno e quando mi volto, Tyler è sulla porta dell'aula a parlare con Dylan. Non deve averci notato ancora.
“State insieme?”
“Eh?” Mi giro allarmata verso di lui e nego. “Amici. È il coinquilino di mio fratello!”
“Matt o Chris?” chiede quasi allarmato.
“Chris.”
“Anne Wilson.” dice scandendo il mio nome.
“Conosci mio fratello?” chiedo curiosa. Lui inarca le sopracciglia e fa una piccola smorfia.
“Si, diciamo che non andiamo proprio d'amore e d'accordo. Non fraintendermi, quando è solo è anche sopportabile, ma i suoi amici sono dei cerebrolesi!”
Scoppio a ridere ripensando alle parole dette a Chris prima di uscire. “Non posso darti torto sui suoi amici. Dei palloni gonfiati, non so nemmeno perché continua ad uscire con loro.”
Scrolla le spalle e io sospiro riportando l'attenzione a Tyler e questa volta incrocio i suoi occhi. Ci sta osservando e Ed si affretta ad andargli incontro. “Giuro di non averci provato!” dice alzando le mani in segno di resa. Io scuoto la testa raggiungendoli in corridoio. Cammino accanto a loro percorrendo il corridoio, c'è così tanto movimento all'interno dell'edificio che quando usciamo ritrovarmi in una piazza semi deserta e cupa mi destabilizza per qualche minuto.
Ed e Tyler salutano gli altri ragazzi del gruppo con un mezzo abbraccio mentre io mi limito a fare un cenno con la mano. Sembrano un po' una strana famiglia, ma chi può capirti di più di qualcuno che affronta il tuo stesso dolore? Rimango in disparte, con le mani in tasca cercando di riscaldarmi.
“Andiamo?” Tyler mi raggiunge e io annuisco disperata facendolo ridere.
“Ciao piccola Anne, è stato un piacere conoscerti!” Ed si avvicina circondandomi con le sue braccia possenti. Mi lascio abbracciare e ricambio sentendo il corpo trovare sollievo a quel contatto caldo.
“Anche per me Ed” ribatto sincera.
“Sono sicuro che ci vedremo presto” sussurra in modo che possa sentirlo solo io, lasciandomi poi un bacio su una tempia. Dovrei avere paura di un estraneo, eppure rimango pietrificata mentre lui abbraccia il suo amico e si allontana a piedi nella direzione opposta alla nostra.
Mi muovo d'istinto, incrociando lo sguardo di Ty ed è così intenso che, quando mi scontro con il suo petto, mi sembra di bruciare. Stringo le mani dietro la sua schiena e lascio che il vento ci accarezzi prepotente in una piazza ormai vuota.
“Posso venire con te anche la prossima volta?” Le parole lasciano le mie labbra tremolanti. Ty risponde, finalmente, all'abbraccio e mi avvolge completamente.
“Non verrai mica per Ed!”
“Beh, voglio venire per te, ma anche Ed non mi sembra una brutta motivazione!” dico staccandomi quel tanto che basta per guardarlo negli occhi. Cerco di mantenere un'espressione seria, ma non ci riesco e scoppio a ridere. Mi fa il solletico e io mi dimeno tra le sue braccia per farlo smettere.
“Abbassa la voce!” dice continuando a stuzzicarmi. Riprendo fiato, fino a quando un rumore di passi ci fa sobbalzare. Rimango tra le sue braccia mentre ci voltiamo verso la porta del centro e Dylan ci sorride. “Buon serata!” dice con una strana espressione in viso. Rispondiamo in coro augurandogli buona serata di rimando, prima di scoppiare ancora a ridere.
“Forza, andiamo a mangiare qualcosa!” Annuisco e mentre cammino al suo fianco, appoggio la testa sulla sua spalla. Nel giro di mezza giornata ho provato un misto di sensazioni contrastanti, una dopo l'altra: la malinconia della musica di Ty; la tristezza e il dolore nelle sue parole e in quelle di sconosciuti; il turbamento, ma anche l'ammirazione e la leggerezza di un sorriso e di un abbraccio.

Che senso ha provare emozioni se non si ha qualcuno con cui condividerle?


_______________________________________________________
Nda.
Dopo questo capitolo sono emotivamente instabile e non so di preciso cosa dire. Mi sembra di aver detto già tanto scrivendo, spero siano arrivate anche a voi le stesse emozioni arrivate a me mentre scrivevo. Se potete, fatemi sapere cosa ne pensate, ci terrei particolarmente in questo capitolo.
Un abbraccio e come sempre, per qualsiasi cosa potete scrivermi qui, su twitter o facebook!
Serena.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


 

Vivere rimane un’arte che ognuno deve imparare, e che nessuno può insegnare.
(Havelock Ellis)

 

*

 

Di tutto quello che un uomo può imparare, come essere felici è la più difficile. Il soffitto della mia stanza mi sembra così privo di senso, tutto in realtà mi sembra privo di senso. Rimango allungata sul letto, con le mani in grembo e una gamba piegata, a contemplare la mia vita. Capita a tutti prima o poi di fare un ragguaglio degli anni passati, dei passi fatti e dei treni persi. Capita di sentirsi nullità davanti a persone che, alla tua età o persino prima, hanno trovato un lavoro e guadagnano qualcosa che tu non vedrai nemmeno tra vent'anni. Ti convinci di voler dare il massimo, ti convinci di non avere niente meno di altri, anzi, tu vali più di tanti altri eppure, due secondi dopo, l'unica cosa che riesci a fare è girarti dall'altro lato, sdraiata sul letto e piangere. Le lacrime scendono silenziose, cerco di trattenere i singhiozzi e la testa sembra scoppiare. Stringo la stoffa della trapunta tra le dita e soffoco il viso nel cuscino. Non so perché sto piangendo, ma sento il bisogno di farlo. Mi do mentalmente della stupida, battendo un pugno contro il materasso ripetutamente per poi tirare su con il naso e provare a fare lunghi respiri. Sento bussare alla porta e mi siedo spaventata asciugandomi gli occhi con la manica della maglia che indosso.
“Un attimo!” Il tono di voce è incrinato, mi alzo allo specchio e sono sicura che non riuscirei mai a nascondere di avere pianto. Il mio aspetto è terribile, ho il viso paonazzo, gli occhi rossi e liquidi e un'espressione persa. Mi schiarisco la gola avvicinandomi alla porta e prima ancora che io possa aprire, lo fa mio fratello per me.
“Ti ho detto di non entrare!”
“Lei è mia sorella, io entro dove voglio.”
Caitlin e Chris continuano il loro battibecco entrando nella mia stanza, senza accorgersi di me. Quando spostano lo sguardo nella mia direzione i loro volti indispettiti si trasformano pian piano in preoccupati.
“Vedi! L'hai fatta piangere.”
“Io? Ma se sono appena arrivato!”
“Che succede piccola?” Chris fa qualche passo verso di me, poggiando una mano sotto il mio viso, spingendomi a guardarlo negli occhi. Mi specchio per qualche secondo nei suoi, così diversi nel colore, ma così simili ai miei allo stesso tempo.
“Niente. Un po' di preoccupazioni per i corsi. Mi sembra di essere sempre allo stesso punto, non vado mai realmente avanti”. Nell'ultimo mese mi dividevo tra le varie lezioni all'Università, le giornate di studio con Grant e le pulizie a casa. La mia vita era diventata di una monotonia stancante ed esasperante. L'unica svago che mi concedevo erano le serate al centro di recupero con il gruppo di Ty. Erano gli unici momenti che passavamo insieme, distratti dai vari impegni e dagli imminenti esami di metà semestre. Lo nascondevo a Chris, era una parte di me che volevo custodire in segreto. Lì, nonostante non avessi mai provato il loro dolore, lo condividevano anche con me, donandomi momenti fondamentali. Era, è, un appuntamento importante e questa sera non potrò partecipare a causa di un maledetto esame di cui non so praticamente nulla.
“Sei preoccupata per domani?” La voce di Caitlin è dolce, quasi materna e io annuisco. Li vedo scambiarsi uno sguardo comprensivo e poi entrambi scoppiano a ridere. Li guardo scettica, mi stanno prendendo in giro? Cosa c'è di così divertente?
“Ah Annette, benvenuta nel mondo universitario! Vorrei dirti che andrà meglio nel corso degli anni, ma non mi piace mentirti”. Ride, ma io rimango paralizzata davanti alle sue parole. Non mi piace mentirti. Tossisco ripetutamente, la gola inizia a far male e mi sposto in cucina per bere un bicchiere d'acqua fresca.
“Si può sapere che ti prende?”
Chris si avvicina a me poggiando il dorso della mano sulla mia fronte, ma scuoto la testa allontanandomi. “Non sono malata!”
“Ok, ma non rispondermi così!” Il tono di voce duro e piccato. Chiudo gli occhi scusandomi con lui e lo invito a tornare in camera. “Ci dai qualche minuto Caity?”
La mia coinquilina annuisce, dall'espressione del suo viso sembra preoccupata così mi lascio sfuggire un sorriso per tranquillizzarla. Fa un cenno con la testa e ci lascia spazio per raggiungere la mia stanza. Chris si chiude la porta alle spalle sedendosi, accanto a me, sul letto.
“Sei strana ultimamente, mi dici che succede?”
Chiudo gli occhi e nego con la testa. Sbuffa accanto a me e sono già pronta a sentire la sua ramanzina, ma non arriva. Si allunga sul materasso fissando gli occhi al soffitto e accenna un sorriso. Lo guardo sorpresa, ma curiosa di sapere cosa passa per la sua testa. “Hai un ragazzo.”
“Cosa?” dico allarmata agitando le mani per dissentire.
“Ehi, stai calma! L'ho capito sai? Sei sempre stralunata, sei sempre attaccata al telefono quando siamo insieme e alcune volte esci di nascosto...” Mi guarda come per confermare le sue parole e vorrei smentire, ma sono talmente sconvolta da non riuscire a proferire parola.
“Tu...tu come lo sai che esco?”
Il suo viso si contorce per una manciata di secondi prima di ritornare impassibile. “Non ha importanza.” Sembra imbarazzato e non posso far altro che guardarlo con la fronte corrucciata.
“Fratellone mi stai nascondendo qualcosa?” chiedo avvicinando il mio viso al suo con aria divertita.
“E tu?” Bum. Uno a uno palla al centro. Torno al mio posto e incrocio le braccia al petto.
“Facciamo così, quando saremo pronti a dirci tutto lo faremo, ok?” La sua mano si para davanti a me, tesa e in attesa di essere afferrata. Lo guardo negli occhi e il peso di avere un segreto con lui sembra affievolirsi. Stringo la mano per poi colpirlo giocosamente con una spalla. Ci lasciamo sfuggire una risata e restiamo in silenzio per un po', con il sorriso in volto.

 

*

 

“No, la ruota dei colori non è legge, è una guida su come due colori si rapportano tra loro!”
Ty rigira tra le mani il foglio raffigurante l'oggetto del mio studio, ha un'espressione singolare in viso, sembra spaesato e confuso. Non so se trovi divertente il fatto che un intero esame si basi sui colori o se il tutto lo intrighi!
“E tu ci devi fare metà esame su una ruota di dodici colori?”
“Esattamente, sai com'è, la prima variante di quello schemino l'ha disegnata Isaac Newton non un tipo qualsiasi, servirà pure a qualcosa!” Sbuffo puntando lo sguardo sui fogli sparsi sulla mia scrivania. Caitlin è uscita con i suoi amici e mio fratello è sparito prima di cena senza proferire parola, così Tyler, entrando dal salotto, si è presentato in camera mia con una barretta di cioccolato tra le mani.
“Vedi, sai a cosa serve e chi l'ha inventata, ti può bastare! Vieni con me stasera, dai Anne!” Lascia il foglio sul mucchio di libri, poggiando poi le mani sulla scrivania per abbassarsi e guardarmi in faccia. I suoi occhi sembrano speranzosi, sa che crollerò da un momento all'altro e dentro di me mi sento spezzata a metà.
“Smettila o finirò per venire con te!”
“Quello era il mio intento.”
“Devo studiare!”
“Oh si, mi hai convinto! Senti, abbiamo mezz'ora, ti faccio qualche domanda e se sai rispondere a tutto verrai con me, altrimenti ti prometto che staremo in piedi tutta la notte a ripassare.” Porta una mano sul cuore e poi bacia due volte le sue dita come promessa. Alzo gli occhi al cielo e gli passo il quaderno degli appunti della prima metà del semestre. Sorride vittorioso prima di sedersi sul mio letto e spulciare tra le pagine. Picchietto le dita contro il legno bianco della sedia e aspetto di sentirlo parlare.
“Buongiorno signorina... mi dica, cos'è il valore di un colore?” chiede alzando lo sguardo dal foglio, assumendo un tono formale. Trattengo a stento un sorriso. “Sarà uno scritto Ty!”
“Dettagli del tutto trascurabili!” Sorride e io lo ringrazio mentalmente per i suoi tentativi di farmi rilassare.
“Dunque, il valore di un colore si riferisce alla sua luminosità. Spesso viene modificata dall'aggiunta di bianco o nero che, rispettivamente, lo rendono più alto ovvero più luminoso o più basso e scuro.”
“Perfetto, sei pronta! Andiamo!” Si alza dal letto facendo un gran trambusto, chiude tutti i libri mischiando i fogli e il mio cervello sta per aver un esaurimento nervoso. “Ty, aspetta!” Provo a fermarlo ma infila i libri sotto la sua maglia puntandomi poi una mano contro.
“Ora cambiati, io ti aspetto in salotto e non fare storie altrimenti questi libri non li rivedrai più e boicotterò i tuoi prossimi esami!”
“Non sei d'aiuto!” Urlo mentre lui lascia la mia stanza tranquillamente.
“Mi ringrazierai per averti fatto svagare lemonade!”
Chiudo la porta con foga e alternando uno sbuffo ad un insulto mi preparo per uscire con lui. Potrei restare a casa, so bene che non mi sta obbligando a seguirlo, ma non posso negare a me stessa di aver voglia di uscire con lui, rivedere Ed e tutti i ragazzi del gruppo di recupero. Arrotolo la sciarpa di cotone rosa intorno al collo e infilo una giacca nera dando un'occhiata allo specchio. Il mio viso è pallido e sul mento i primi segni di un brufolo si fanno vedere. Non è il mio periodo migliore questo, di solito non mi trascuro come nell'ultimo mese, ma di ritorno dall'Università non ho voglia di fare nient'altro al di fuori di dormire o mangiare. Recupero dal cassetto del comodino una pochette di trucchi e cerco di nascondere nel miglior modo possibile il mio colorito naturale.
“Sei pronta?”
“Ho quasi fatto, aspetta!”
“Mmh, quanto sei lenta!”
“Guarda che puoi andartene da solo, sei tu che hai insistito perché venissi con te, quindi aspetti.”
La sua risata arriva forte e chiara nonostante la porta sia chiusa. Alzo gli occhi al cielo riponendo tutto nel cassetto. Un'ultima sbirciatina ed esco, passandogli affianco senza fermarmi.
“Forza, sei sempre l'ultimo!”
Esco di casa aspettandolo, a braccia conserte, sul pianerottolo. Mi segue intrufolandosi nell'ascensore, continuando a ridere divertito. Due mandate alla porta e lo raggiungo. Cerco di mantenere le distanze da lui, ma nell'ultima settimana è diventato spontaneo sfiorarci un po' di più. La prima volta che è successo, è stata proprio qui dentro. Di ritorno da una giornata piena alla scuola d'arte l'avevo incontrato nell'atrio e avevamo preso l'ascensore insieme alla famiglia del terzo piano. Ci eravamo stretti per questione di spazio – quei due bambini sono delle pesti – ritrovandoci faccia a faccia. Da quel momento è diventata routine. Fisso il display dell'ascensore, la feccia colorata di verde indica la discesa, ma all'improvviso un rumore stridulo mi fa sobbalzare e la freccia si trasforma in una x rossa. Osservo il dito di Ty fermo sul pulsante e lo guardo stralunata.
“Perché l'hai bloccato?” chiedo paonazza. Non soffro di claustrofobia, ma questo non vuol dire che amo rimanere bloccata in uno spazio chiuso e soffocante come questo.
Si para davanti a me, le punte delle sue scarpe toccano le mie. “Facciamo la pace?”
“Non abbiamo litigato!” Poggia la testa sulla mia spalla, in un mezzo abbraccio cogliendomi di sorpresa. Resto come paralizzata per diversi minuti, i suoi capelli odorano di cocco e non riesco a frenare la mia mano dal toccarli. Lo sento rabbrividire e mi tiro immediatamente indietro dandomi della stupida mentalmente.
“Scusa, io...” Non so di preciso cosa vorrei dire, ma lui è talmente vicino che l'unica cosa che mi viene in mente di fare è poggiare le labbra sulle sue. Sotto le palpebre riesco a vedere un'esplosione di colore rosso, le sue labbra si muovono cautamente provocandomi un accelerazione del battito cardiaco a tal punto da sentirmi le gambe molli per lo sforzo, come dopo una corsa. Ma dura un attimo, troppo poco, perché l'adrenalina lascia il posto alla solitudine quando si allontana di scatto, senza guardarmi. Fa ripartire l'ascensore e sono troppo sconvolta e arrabbiata con me stessa per poter dire qualcosa. Aspetto con ansia che la corsa finisca, uscendo a prendere aria appena le porte si aprono.
“Forse è meglio se torno sopra...” Indico le scale, perché sono sicura di non poter prendere questo ammasso di ferraglie per i prossimi due anni, ma lui scuote la testa. “Vieni con me Anne, per favore.” Ha gli occhi persi, vuoti come non li vedevo da tempo e dal tono della sua voce sembra disperato così lo affianco lungo la strada e cammino accanto a lui. Resta in silenzio per tutto il tragitto, giocando con un sassolino. Manchester è fredda stasera. Le strade sono deserte e le finestre lungo la strada sono tutte chiuse saldamente. Ad ogni luce accesa provo ad immaginare la vita delle persone all'interno, mi chiedo se sono felici o se qualcuno, in questo momento, sta vivendo un momento particolare della sua vita proprio qui, mentre il mondo continua ad andare avanti. La vita non si ferma per noi e noi non dovremmo farlo per lei. Per quanto dura possa sembrare resta sempre un dono prezioso.
“Ciao ragazzi!” Mi rendo conto di essere arrivata solo quando Dylan ci saluta fuori dal centro. È in piedi accanto all'ingresso con il cellulare tra le mani, sembra infreddolito, ma il freddo non ha intaccato la sua allegria. Non credo di averlo mai visto triste, serio si ma non giù di morale. Ricambio il saluto con una mano e cerco riparo all'interno della costruzione. C'è una gran confusione all'interno, molto probabilmente oggi ci sono più incontri. Ty si ferma a firmare il foglio delle presenze in segreteria, lasciandomi il tempo di prendere un respiro profondo e osservarlo. Sta sorridendo e ora mi sembra tornato quello di sempre, ma questo non cambia quello che è successo e soprattutto, fin'ora, non ha proferito parola con me.
“Oh, sei una visione? Oggi pensavo di non avere l'occasione di vedere cotanta bellezza qui dentro!”
Non ho bisogno di voltarmi per sapere chi sta parlando. Scoppio a ridere di gusto girandomi per tuffarmi, letteralmente, tra le sue braccia. “Ciao Ed, per fortuna sei qui!”
“Ciao Anne, come stai?”
La sua voce bassa ha il potere di tranquillizzarmi. Dopo le varie sedute a cui ho partecipato è diventato molto più di un conoscente, costruiamo il nostro rapporto mattoncino dopo mattoncino, con cautela. È la persona a cui mi sento più legata qui dentro, be' dopo Tyler ovviamente.
“Domani ho la prima parte di un esame ed ho fatto una bella cavolata di cui non posso parlare.”
Alza un sopracciglio, curioso, ma Ty sta tornando così gli faccio segno di cambiare discorso. “Voglio sapere!” “Shh, dopo!”
“Ehi Ed!” Ty lo saluta con la solita stretta di mano e lui ricambia con una pacca sulla spalla. “Ciao amico, pensavo venissi da solo stasera.”
“Un cambiamento dell'ultimo minuto.” Sorride, ma non mi guarda, si volta verso il corridoio e si avvia verso la solita stanza. Ed incrocia il mio sguardo e senza dire niente mi scompiglia i capelli.
“Avete litigato?”
“Una cosa del genere.” Faccio una smorfia con il naso prima di invitarlo a raggiungere gli altri. “Tu vai o farai tardi, io sto un po' qui.” Non fa domande, va via lasciandomi sola. Combatto tra la voglia di entrare nell'aula e la paura di condividere un momento delicato con Ty. Mi avvio verso il corridoio, ma faccio dietrofront prima di ripensarci e intraprenderlo nuovamente. Cosa mi è saltato in mente? Baciarlo così all'improvviso, senza pensare alle conseguenze. Mi fermo a leggere dei volantini facendo passare del tempo e nell'ora successiva provo ad attraversare la distanza che ci separa dieci volta, senza mai riuscire ad entrare nell'aula, beccandomi le occhiatacce della ragazza alla segreteria e lo sguardo curioso dello psicologo del centro. Alla fine mi sforzo di sorridere imbarazzata e mi siedo composta su una delle sedie nella stanza principale. Ripasso mentalmente qualche nozione per domani, ma in questo momento mi sembra di non sapere niente né dell'esame e né della vita. Finisco per controllare il cellulare e passare i restanti minuti a leggere della vita di altre persone, di cui non conosco assolutamente nulla, su Twitter.
“Quindi vi siete baciati.”
“Cosa?” Mi giro di scatto quando Ed si siede accanto a me. Incrocia le gambe e sorride divertito guardandomi. “Immagino di si dalla tua reazione!”
“Come... cosa, che ne sai?” Non sono in grado nemmeno di formulare una frase di senso compiuto.
“Ty prima ha detto di aver baciato una ragazza per la prima volta da... be' sai da cosa e volevo solo confermare i miei sospetti.” Parla tranquillamente, ma il mio cuore deve essersi fermato perché non sento più niente. È la prima volta che... la prima ragazza da...
Chiudo gli occhi scuotendo la testa a destra e sinistra. “Che scema, che scema!”
“Che ti prende?”
“Io l'ho baciato e lui non mi ha parlato, ma non ho pensato minimamente che potesse essere la prima volta per lui dopo quello che gli è successo. Sono orribile!” Lo guardo con la voce incrinata e lui mi accarezza il viso sorridendomi dolcemente. “Non sei orribile Anne e non lo pensa nemmeno Ty” Vorrebbe aggiungere qualcosa, ne sono certa, ma mi sento strattonare e trascinare fuori per un braccio. “Ty!” Provo a chiamarlo, ma sento solo uno sbuffo e la risata di Ed alle nostre spalle.
Il freddo colpisce entrambi in faccia come una lama. Mi stringo nelle spalle e aspetto che si fermi. Riesco a vedere la sua schiena alzarsi e abbassarsi al ritmo dei suoi respiri, sembra agitato e quando siamo abbastanza lontani dalla piazza, a metà strada verso casa, rallenta il passo.
“Si può sapere cosa ti è preso?” chiedo alternando un respiro pesante ad un colpetto di tosse.
“Non puoi farlo.” Parla con un tono talmente basso che lo sento a stento. Mi dà le spalle ancora e non so come comportarmi. Le nostre mani sono ancora unite e l'unica cosa che riesco a fare è stringere la presa. “Ty?”
“Non puoi farlo Anne!” Questa volta parla più forte, girandosi a fronteggiarmi.
“Fare cosa?”
“Baciarmi in un ascensore...” Eccoci, ci siamo, ho rovinato tutto. “E poi lasciarti accarezzare così da lui!” Appunto... cosa? Sbatto più volte le palpebre confusa, cercando di rielaborare le sue parole.
“Eh?” Magari non è la frase dell'anno, ma non riesco a dare vita ai miei pensieri. Quante volte pensiamo e ripensiamo a come comportarci in una determinata situazione, o a cosa dire, ma poi è tutto diverso. La ragione fa sempre ciò che dici, ma il cuore è ben più complicato da addomesticare.
“Non sei entrata.”
“Non cambiare discorso!”
“Non so cosa dirti, ok? Mi hai spiazzato, non me l'aspettavo!”
“Se ti può consolare nemmeno io!” Il vento gli scompiglia i capelli dandogli un'aria spaesata che lo rende buffo nonostante la serietà dell'argomento. Ho paura di sentire le sue motivazioni, in fondo è per questo che non sono entrata in quella stanza. “Facciamo come se non è successo niente, ok? Io ero stressata e tu eri lì, ti chiedo scusa. Ora andiamo a casa, domani devo alzarmi presto!”
Mi sto comportando come le persone che odio più di tutte nei film, quelle che si lavano le mani e non parlano o non ascoltano rovinando così qualcosa di bello. Eppure in questo momento mi sembra l'unica cosa da fare. Lascio la presa dalla sua mano, facendo scivolare piano la mia e stringendomi nella giacca per trovare un po' di calore, mi incammino verso casa.
“Anne?” Mi blocco in attesa, forse speranzosa di vederlo correre verso di me. “Che c'è?” chiedo voltandomi. “Non sono ancora pronto.” Annuisco, forse per convincere me stessa e torno a camminare, lasciandolo in balia del vento e della notte imminente.
Aumento il passo per raggiungere il mio appartamento il prima possibile, fa freddo ed ho la mente svuotata. Quando arrivo a casa mi accerto che la porta finestra del balcone sia ben chiusa, Caitlin non è ancora tornata così mi preparo per la notte. Mi strucco velocemente in bagno, dovrei piangere forse, reagire in qualche modo e invece niente. E alcune volte il niente spaventa più del tutto.
Infilo il pigiama caldo, quello blu con disegnate sopra tante piccole nuvolette e non preparo nemmeno lo zaino per domani, mi infilo sotto le coperte e spengo la luce. Il buio avvolge la stanza e avvolge me, i miei occhi ci mettono qualche minuto per abituarsi, piano piano riesco a distinguere qualcosa. Recupero il cellulare dal comodino e scrollo la rubrica fino a trovare il nome desiderato.
«Scusa se non ti ho salutato prima.» Invio il messaggio dopo averci rimuginato sopra qualche secondo. Forse non dovrei scrivergli, ma oggi ho fatto tante cose che non dovevo fare. Aspetto la risposta al buio e non tarda ad arrivare. «Non ti preoccupare Anny (posso chiamarti così? È carino!) eri impegnata.»
Faccio una smorfia nel leggere l'ultima parte. «Era meglio restare con te.» Lo invio senza pensarci, per poi scriverne un altro. «E comunque si, puoi chiamarmi Anny se vuoi.»
Il cellulare vibra ancora e apro il messaggio ansiosa di leggere. «Cos'è successo?» Eh, cos'è successo... in realtà non lo so, è cambiato tutto adesso? Ty non mi parlerà più? E io che farò?
«Non mi va di parlarne, ma puoi immaginarlo.» Digito una frase sciocca, ma non saprei cosa dire senza passare per una ragazzina disperata. Non sono fatta così, non mi intristisco per queste cose, eppure Ty non volevo perderlo.
«È andata male per colpa del bacio?»
«Male è un eufemismo. Non so nemmeno come sentirmi, non sento niente in realtà e non so nemmeno perché ti sto scocciando con questi messaggi, scusa.»
«Potevo ignorare il tuo messaggio e invece sono qui a risponderti, parla pure se ti va!»
Accesso un sorriso leggendo la sua risposta e per qualche secondo rimango ad osservare il buio pensando a cosa scrivergli.
«Ho paura di perderlo e intendo come amico, è diventato importante per me.» Più sincera di così non potevo essere. Questa volta la risposta si fa attendere un po' di più, mi chiedo se ho fatto male a sbilanciarmi con Ed, ma lo schermo si illumina e le sue parole mi riscaldano il cuore: «Non lo perderai. Ty ha un passato doloroso alle spalle e questo pesa sulla sua vita molto più di quello che pensa, ma ti vuole bene e tu ne vuoi a lui, vedrai che si aggiusterà tutto. Fidati di me!».
Stringo il cellulare al petto, ritrovando un pizzico di speranza nelle sue parole. «Grazie Ed, ora mi metto a dormire, domani mi aspetta una giornata impegnativa e al momento non ricordo niente! Help.»
«Riposati e spacca tutto domani, io sono sempre qui quando vuoi. Notte Anny!»
Sorrido bloccando lo schermo e poggiando il cellulare sul comodino. Mi raggomitolo nel letto e provo a spegnere il cervello chiudendo gli occhi. Sotto le palpebre sembrano ricorrersi di continuo delle immagini sgranate, ci metto un po' a prendere sonno, ma pian piano la stanchezza ha la meglio sull'ansia e mi addormento, dimenticando di puntare la sveglia.

 

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Nda.

Dopo un mese sono riuscita ad aggiornare questa storia. Tra i vari impegni ho fatto un po' fatica a trovare il tempo di scrivere, ma non voglio abbandonarla e soprattutto spero di farvi innamorare di questi personaggi come li amo io. Mi fanno spesso compagnia nelle notti insonni e anche se, per il momento, sono pochi i commenti, spero che anche i lettori silenziosi si siano affezionati a loro.
Vi abbraccio tutti e vi ricordo che potete scrivermi anche su twitter tramite l'hashtag #UnaltravitaAty facendomi sapere i vostri pareri. Li aspetto con ansia!
Serena.

P.S. Mi scuso se ci sono alcuni errori, appena posso correggo tutto.

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