Il dono

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I pirati dello spazio ***
Capitolo 3: *** La miglior difesa è la fuga ***
Capitolo 4: *** Scappa e nasconditi ***
Capitolo 5: *** A caval donato.... ***
Capitolo 6: *** Storia di Jimmy ***
Capitolo 7: *** Il dottor Bones, il signor Spock e gli altri ***
Capitolo 8: *** Gelosia ***
Capitolo 9: *** Insieme per forza ***
Capitolo 10: *** Attento a quel che mangi ***
Capitolo 11: *** Genitori ***
Capitolo 12: *** Triboli ***
Capitolo 13: *** Rapimento ***
Capitolo 14: *** Jimmy Kirk si nasce, non si diventa ***
Capitolo 15: *** Divide et impera ***
Capitolo 16: *** Arrivano i nostri? ***
Capitolo 17: *** Tribol(azioni) ***
Capitolo 18: *** Sempre una famiglia ***
Capitolo 19: *** Sono e sarò sempre tuo amico ***
Capitolo 20: *** Cavalli e triboli azzurri ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


  IL DONO

Prologo

Il respiro affannoso dell’anziana donna riempiva la stanza.
James Kirk era abituato a vedere la gente, di tutte le razze, morire.
Nella sua vita, per quanto ancora breve, aveva già assistito ad un massacro su Tarsus e visto sprofondare un intero pianeta, Vulcano, in un enorme buco nero, con tutti i suoi miliardi di abitanti.
Aveva assistito impotente alla morte della maggior parte dei cadetti reclutati nel suo stesso anno e migliaia e migliaia di persone innocenti uccise  in una luminosa mattinata a San Francisco.
Aveva perso metà del suo equipaggio nel suo primo anno di capitanato.
Il capitano James Kirk era abituato alla morte, a volte l’aveva inflitta lui stesso e mai con piacere. Lui stesso era tecnicamente morto e riportato in vita solo per la testardaggine e l’audacia degli amici.
Abituato alla morte.
Allora perché si sentiva così a disagio in quella stanza mentre assisteva alla morte della regina di Betarus?
Erano arrivati sul pianeta per una missione diplomatica; la Federazione aveva stabilito il primo contatto con Betarus solo alcuni mesi prima e del tutto causalmente, quando un  vascello scientifico betariano si era ritrovato, a causa di una avaria, nello spazio  della Federazione.
I Betariani  si erano subito rivelati un popolo in generale estremamente  aperto verso la conoscenza delle altre razze; telepatici ed empatici, avevano un aspetto umanoide, eccezion fatta per i capelli bianchi, le iridi d’argento e la pelle leggermente viola.
Pacifici e dotati di straordinari poteri psichici, abituati a forgiare il corso degli eventi con le loro abilità mentali (Spock aveva scoperto che potevano cambiare le condizioni climatiche del luogo in cui si trovavano, oppure far crescere i vegetali di cui si nutrivano a loro piacimento) non erano però immuni dalla violenza.
 Appena arrivati, la missione diplomatica di cui facevano parte Jim, Spock, Uhura e pochi altri membri dell’equipaggio si era trovata nel bel mezzo di un attentato alla regina M’Sur e alla figlia ed erede, la giovane M’Hiar.
Kirk era riuscito a fare scudo alla ragazza con il suo corpo, beccandosi un colpo di pugnale nel fianco, ma non era riuscito a proteggere la regina, colpita in pieno petto.
Mentre era ancora in infermeria, con Bones che urlava imprecando sulla sua avventatezza e sconsideratezza, era stato informato che la regina morente voleva vederlo.
Nonostante il parere contrario del medico, Kirk era sceso di nuovo sul pianeta, accolto dal M’Hiar e dagli altri dignitari.
La ragazza, occhi tristi, ma senza lacrime, l’aveva condotto alla stanza della madre morente.
“La regina  vuole elargire a te il suo ultimo dono” gli aveva detto, esprimendosi verbalmente per pura cortesia.
Al suo sguardo perplesso, la ragazza aveva continuato spiegando “La regina è giunta al termine delle sua vita. E’ sua facoltà elargire  un ultimo dono. E’ un grande onore ed un privilegio raro. Sei il primo straniero cui viene fatto”
Così Kirk si era ritrovato seduto accanto alla regina morente, con uno strano sentimento di dolore ed afflizione che cresceva in lui, nonostante avesse conosciuto l’anziana donna solo qualche ora prima.
 
“Giovane umano… ti sono grata per aver salvato mia figlia. La mia discendenza è salva grazie a te” sussurrò M’Sur.
“Era mio dovere. Mi spiace non essere riuscito a fare di più” rispose il capitano.
“Non ti crucciare giovane umano. La mia ora è  giunta e non c’è niente che si può fare quando il Grande Spirito ti chiama” affannò la vecchia regina.
“Avvicinati” gli chiese poi.
Kirk si avvicinò al letto dove era stesa l’anziana regina.
“Sai del dono?”
 “Maestà… con tutto il rispetto, forse dovresti serbare il tuo dono per qualcuno di più degno”
“Nessuno è più degno di te” rispose M’Sur toccandogli la mano.
“Quanto dolore per una così giovane vita… vorrei renderti la felicità “ sussurrò chiudendo gli occhi.
Kirk iniziò a sentirsi ancora una volta a disagio.
“Ti assicuro Regina che ho tutto quel che desidero in questo momento” provò a spiegare.
M’Sur gli sorrise dolce.
“Mio giovane umano, avrai quel che ti è sempre mancato” sussurrò poco prima di chiudere gli occhi e reclinare la testa di lato.

So di avere un'altra FF in corso, che sarà completata comunque.
Come al solito... commenti benvenuti.
 

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Capitolo 2
*** I pirati dello spazio ***


IL DONO

 
Capitolo 2
I pirati dello spazio
 
Jimmy si svegliò di soprassalto, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco.
Girò gli occhi intorno per cercare di capire dove era…
Non c’era nessuno dei suoni familiari al suo risveglio.
Niente uccellini che cantavano fuori della sua finestra, nessuna risata di Sam che  lo prendeva in giro perchè la notte russava, e neppure le grida di Frank che pretendeva che gli venisse preparata la colazione.
Questa non era la sua stanza.
Dov’era il suo letto? Dov’era era la coperta di nonna Rose? E dove era il pigiama con i dinosauri che indossava sempre? Ricordava benissimo che la sera prima Sam l’aveva aiutato a metterlo, ma ora era completamente nudo sotto le coperte con il logo della Flotta Stellare.
Jimmy si alzò di botto, quasi inciampando nei suoi stessi piedi.
Era un incubo, doveva essere un incubo…
Jimmy si diede un pizzicotto… Sam gli aveva insegnato che nei sogni non si prova dolore, ma il pizzico gli faceva male…
Non era un incubo, ma allora cosa ci faceva in una stanza chiusa, con pareti metalliche?
Sentiva rombare sotto di lui un motore.
Era su di una nave stellare…
Era stato rapito!
Sam gli aveva raccontato di bambini cattivi, che facevano arrabbiare i fratelli maggiori e venivano rapiti dai pirati dello spazio, per non tornare mai più.
Ma lui era stato buono, non aveva fatto nulla… oddio veramente il giorno prima aveva rotto per sbaglio il posacenere di Frank, ma lui l’aveva già picchiato per quello ed i pirati dello spazio rapivano solo i bambini  che facevano arrabbiare i fratelli maggiori, non il patrigno.
Sam aveva detto così e Sam aveva sempre ragione.
 
 
Il trillo alla porta lo fece sobbalzare.
“Jim… dormi ancora? Il turno alfa è iniziato un’ora fa… sveglia dormiglione” disse una voce con un forte accento del sud, come quello di Adam il suo compagno di banco.
Jimmy  si bloccò, cercando di non respirare neppure.
Come  facevano i pirati a conoscere il suo nome?
“Jim smettila di scherzare. Oggi non sono di umore giusto. E non credere di scansare il controllo  fisico semestrale con queste buffonate” continuò la voce fuori la porta.
Doveva scappare, doveva scappare e trovare Sam. Lui avrebbe detto ai pirati dello spazio che era un bambino buono e loro l’avrebbero lasciato andare.
Oppure in qualche modo sarebbe fuggito. Lui era bravissimo a fuggire e nascondersi.
Ma non poteva scappare nudo.
Nonna Rose gli aveva insegnato che non si va mai in giro nudi.
Svelto adocchiò una maglietta su di una sedia.
Era enorme e per fortuna gli arrivava alle ginocchia.
“Jim, guarda che ti sento. Sei lì dentro. Ora basta!! Sto per entrare” sbottò la voce.
Appena sentì  i toni del codice di apertura, Jimmy si preparò all’azione.
Avrebbe venduto cara la pelle. I pirati dello spazio non sapevano con chi avevano a che fare!!

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Capitolo 3
*** La miglior difesa è la fuga ***


IL DONO

Capitolo 3
La miglior difesa è la fuga
 
Leonard McCoy  era di umore nero. O meglio più nero del solito, anche perché il suo umore, su quel barattolo di latta, al massimo poteva definirsi grigio nelle migliori giornate.
Mentre continuava a bussare alla porta dell’alloggio del capitano più stupido, incosciente e spericolato della Flotta, si chiese ancora una volta cosa ci facesse lì nello spazio. Lui odiava lo spazio. Lo spazio era solo malattia, pericolo e morte.
A volte, in giornate come questa, odiava anche Jim Kirk, il suo migliore amico, ovvero la ragione per cui era nello spazio.
Per alleviare la tensione, mentre componeva il codice di override, iniziò a pensare sadicamente a tutte le hipospray che poteva piantare nel collo del deficiente burlone.
Appena la porta scivolò di lato venne letteralmente investito da una piccola palla bionda.
A stento riuscì ad afferrare la “cosa” per la maglietta che indossava.
Il suo cervello ci mise qualche secondo a realizzare che la “cosa” era in realtà un bambino.
Un bambino che lo guardava diffidente ed impaurito con i suoi grandi occhi azzurri, quasi coperti da una zazzera di capelli biondo oro che aveva bisogno di un buon taglio.
Per un attimo il dottore rimase letteralmente a bocca aperta.
Mentre cercava con braccio di tenere fermo il bambino che scalciava e urlava, afferrò con l’altra mano il suo comunicatore.
“Spock… vieni subito nell’alloggio del capitano. Credo che abbiamo un problema ENORME”
 
“Lasciami maledetto. So chi sei… sei un pirata dello spazio… ma mi non venderai come schiavo… mio fratello Sam mi troverà e ti  romperà le ossa”
Il bambino continuava ad urlare e scalciare nella presa di McCoy.
“Ora calmati piccolo” provò a rassicurarlo il medico.
“NO!! Sei un pirata dello spazio!! Vendi i bambini cattivi al mercato di schiavi su Orion, ma io non sono un bambino cattivo” urlò il piccolo più determinato che mai.
McCoy era terrorizzato e incredulo al tempo stesso.
Tutto corrispondeva, l’aspetto fisico, gli inconfondibili occhi blu intenso, il fatto che citasse un fratello di nome Sam.
 
“Dottore ho inteso nella sua voce l’urg…”
Spock non finì la frase e rimase immobile sulla porta della cabina del capitano a guardare la scena.
Il volto era immobile, ma le sopracciglia erano praticamente entrambe sparite sotto la frangetta scura.
“Affascinante” commentò serio.
Appena lo vide Jimmy lanciò un urlo acutissimo.
“Romulani… ci sono i romulani…”
“Non sono romulano, anche se l’aspetto esteriore può trarre in inganno. Sono vulcaniano. I romulani maschi nel 98% della popolazione hanno una cresta frontale e…”
“Ti pare il momento di dilungarti in spiegazioni  di xenobiologia??” ringhiò McCoy, sempre cercando di tenere fermo il bambino.
“Dottore suppongo che il bambino fra le sue braccia sia…” chiese Spock calmo, ma con ancora le sopracciglia sparite sotto la frangetta.
“Indovina un po’…”  interruppe ironico il medico, lasciandosi per un attimo distrarre.
La cosa fu fatale.
Jimmy morse con forza il braccio che lo teneva stretto e McCoy lasciò la presa, imprecando come un barista di Risa.
 In men di un secondo il bambino stava correndo nel corridoio verso i turboascensori.
“Ehi vieni qui!!” urlò McCoy lanciandosi all’inseguimento, seguito a ruota da Spock.
“Blocca il bambino!!” urlò il medico al tenente che era appena uscito dall’ascensore, ma l’uomo restò per un attimo interdetto.
 Jimmy approfittò dell’occasione e si buttò a terra, lasciandosi scivolare, come gli aveva insegnato Sam quando giocavano a baseball.
In un attimo  passò sotto le gambe dell’uomo che cercava di bloccarlo e si ritrovò nel turboascensore.
Pigiò il tasto più alto  e le porte si chiusero proprio sul naso dell’uomo  con l’accento del sud.
I pirati dello spazio non erano poi così in gamba come volevano far credere.

Star Trek ovviamente non mi appartiene
Grazie per le molte letture e grazie sorpattutto ai recensori
 

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Capitolo 4
*** Scappa e nasconditi ***


IL DONO

Capitolo 4
Scappa e nasconditi
 
“C…..!!!” imprecò McCoy mentre le porte del turboascensore gli si chiudevano in faccia.
“Dottore suppongo che lei non abbia una spiegazione  per il fenomeno che ha colpito il capitano” chiosò Spock  dietro le sue spalle.
“Spiegazione?? Credi davvero che possa avere una spiegazione su come il nostro capitano si è trasformato in un bambino di cinque o sei anni??”
“Effettivamente devo ammettere che la circostanza è insolita”
“Deve essere qualcosa successo sul pianeta ieri.  Ma quando è tornato stava bene, mi ha solo detto che la vecchia regina gli voleva fare un dono…”
“Sta salendo verso la plancia. Avverto la sicurezza” fece Spock mentre prendeva il suo comunicatore.
“Dì loro di stare attenti e di non spaventarlo. Se il bambino è davvero Jim, sarà diffidente e spaventato da tutti gli adulti”
“Non mostrava  eccessivo spavento…” replicò Spock.
“Parli così perché non conosci la sua storia personale”
 
 
Jimmy doveva assolutamente trovare il modo di mettersi in contatto con Sam.
Lui sapeva sempre cosa fare, anche quando Frank era arrabbiato e lo picchiava, Sam trovava il modo di proteggerlo, anche attirandosi l’ira  del patrigno.
Doveva solo parlare con Sam  e lui sarebbe venuto a prenderlo.
 Era tutto un enorme equivoco: non aveva fatto arrabbiare Sam e quindi i pirati non potevano prenderlo e venderlo.
Era diretto in plancia, perché in tutte le astronavi  il centro di comunicazioni sta in plancia.
Jimmy lo sapeva bene, aveva  visto tutti  gli holovid sulle astronavi della biblioteca, perché il suo papà era stato un grande capitano prima di morire ed andare in cielo con nonno Tiberius.
 
Mentre aspettava che le porte del turboascensore si aprissero,  Jimmy saltellava da un piede all’altro.
Almeno avrebbe dovuto far la pipì mentre era ancora nella cabina, non si riesce a pensare bene se si deve fare la pipì.
Si preparò a correre e nascondersi, ma quando le porte si aprirono rimase senza fiato.
Era un posto enorme… e c’era un sacco di gente.
No, questa non era una nave di pirati.
Le navi di pirati erano piccole, con poco equipaggio, perché i cattivi si fidano poco gli uni degli altri.
Questo ponte era… enorme e c’erano tantissime persone che lo fissavano.
Dove diavolo era finito?
 
 
Era un mattina normale sul ponte di comando dell’Enterprise.
O meglio normale,  quanto poteva essere “normale” una mattina sulla nave ammiraglia della Federazione.
Più che altro una mattina tranquilla, pensò Uhura mentre calibrava i sistemi di comunicazione.
A parte il fatto che il capitano non si era fatto vedere all’inizio del turno e Spock, senza dire una parola, si era precipitato nella sua cabina dopo una chiamata di McCoy.
Era una mattina tranquilla sino a che Spock non aveva avvisato la sicurezza della presenza di un “bambino” in giro sulla nave, che si doveva intercettare, ma non spaventare.
Era una mattina tranquilla sino a che dalle porte del turbo ascensore non spuntò un bambino biondo a piedi nudi, vestito solo  di una maglietta che gli arrivava alle ginocchia.
 Forse, dopotutto, non era una mattina tanto tranquilla, pensò Uhura, mentre il bambino sfrecciava via nel corridoio, verso la sala tattica.
 
“Dov’è?” chiese burbero McCoy arrivando, ansimante in plancia.
Uhura e Sulu indicarono la sala tattica davanti  la cui porta a vetri si era riunita una piccola folla.
McCoy guardò all’interno, ma non vide nessuno.
“Credo si sia rinchiuso  nel mobile sotto lo schermo” lo informò Chekov.
“Ma si può sapere chi è? Come ha fatto a salire a bordo?” chiese Sulu.
McCoy non rispose.
“Ok. State tutti fuori. Tu folletto vieni con me” ordinò.
Spock si limitò ad alzare di nuovo il sopracciglio prima di seguirlo.
 
McCoy aprì  piano la porta del mobile basso.
All’interno  il bambino si era rannicchiato a palla, la testa fra le ginocchia.
Stava tremando.
“Ehi piccolo… tutto bene?” chiese il medico con voce dolce, come si rivolgeva a su figlia Joanna dopo un brutto sogno.
Il bambino non rispose.
“Non vogliamo farti male, siamo tutti amici qui. E non siamo pirati dello spazio. Questa è una nave della Federazione. Vedi le nostre uniformi?” continuò calmo, indicando il logo sulla spalla sinistra.
Ancora nessuna risposta.
“Io mi chiamo Leonard, ma se vuoi puoi chiamarmi Bones. E lui, il folletto, è un vulcaniano e si chiama Spock”
 Il piccolo alzò un po’ la testa per guardarli.
“Posso sapere il tuo nome?” chiese sempre calmo McCoy.
“Jim… Jimmy” balbettò il bambino.
“Bene Jimmy… vorrei tanto essere tuo amico… ti va?”
“Dove sono?” chiese invece Jimmy.
“Lei è sulla nave ammiraglia della Federazione, la USS Enterprise” intervenne Spock.
McCoy gli lanciò un’occhiata furibonda.
“Credi parlare ad un adulto? Ti rendi conto di quanto è spaventato?” bisbigliò.
“Mio fratello Sam è qui?” chiese il bambino con un filo di voce, mentre iniziava a piangere silenzioso.
“Temo di no, piccolo. Ma qui vogliamo tutti essere tuoi amici e sei al sicuro. Nessuno ti farà del male”
“Non posso tornare da Sam? E’ stato Frank a mandarmi qui?”
“Dottore chi sono queste persone che sta citando il capitano?” chiese sottovoce Spock, ottenendo in risposta un nuovo sguardo feroce del medico.
“Non è stato Frank a mandarti qui. Frank non c’è… non avere paura, nessuno vuole farti del male… io sono l’ufficiale medico della nave e Spock è il primo ufficiale. Ti troverai bene con noi fino a che non troviamo il modo di portarti a casa”
Jimmy alzò la testa e guardò Spock.
“I vulcaniani non sono mai entrati nella Flotta” dichiarò sicuro di sé e diffidente.
“In effetti  sono il primo vulcaniano ad essere entrato all’Accademia. Ma attualmente sono più di duecento…”
“Spock!” sibilò McCoy subito prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione al bambino.
“E Bones è davvero un soprannome stupido” proclamò Jimmy guardando McCoy.
“E’ quello che dico sempre anche io, ma la persona che mi ha dato il soprannome non si convince di questo”
“Allora vieni fuori di lì? Possiamo andare a mangiare qualcosa se vuoi… che ne dici di latte e cioccolato?” continuò.
“Ci sono i pancake?”
“Credo proprio che possiamo avere i pancake se ti piacciono”
“Con la salsa di mirtillo?”
“Certo…”
Lentamente Jimmy uscì dal nascondiglio.
“Devo fare la pipì” proclamò serio.
“Capitano posso mostrarle il bagno. E’ proprio qui accanto” Fece Spock porgendo la mano nell’evidente sforzo di essere amichevole.
Ma il bambino si ritrasse subito.
“Il bagno è proprio lì Jimmy” fece McCoy mostrando la porta.
Jimmy si fiondò più veloce della luce.
“Smettila di chiamarlo “capitano”. Evidentemente non si ricorda nulla e così lo confondi solo” riproverò aspro.
“E cerca di capire cosa diavolo è successo” gli disse, mentre il vulcaniano usciva dalla sala.

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Capitolo 5
*** A caval donato.... ***


IL DONO

Capitolo 5
A caval donato...

“Quali sono le sue condizioni fisiche?” chiese Spock, guardando Jimmy che divorava i suoi pancake seduto su di un bioletto in infermeria.
Era circondato da tutte le infermiere del turno che non smettevano di sorridergli e dirgli cose dolci. 
Il ragazzino sorrideva educato, ma si ritraeva appena cercavano di toccarlo o accarezzarlo.
McCoy doveva ammettere che Jimmy era un bambino molto, molto carino.
Ora che si era calmato anche estremamente ben educato per la sua età e molto silenzioso. Troppo, rispetto alla sua versione adulta.
“Tecnicamente è un normale bambino di cinque anni circa. Non presenta particolari patologie, ma è sottopeso e…” la voce di McCoy si smorzò, incerto su quanto rivelare al vulcaniano
“Insomma sta abbastanza bene. E non ha alcun ricordo della sua vita di adulto” concluse.
“Ha qualche idea su come sia potuto succedere?” chiese il primo ufficiale.
“Assolutamente no. I risultati delle analisi per ora non mostrano alcuna anomalia, ma ho fatto altri prelievi e i miei ci stanno lavorando”
“Tecnicamente tutto fa supporre che questa regressione abbia origine in qualcosa che è accaduto ieri sera sul pianeta”
“Vuoi dire che ha davvero a che fare con il famoso dono?”
“Le probabilità sono elevate. Per questo abbiamo invertito la rotta e ho richiesto un incontro con la nuova regina. Il tenente Uhura ed io scenderemo alle tredici zerozero sul pianeta”
“Speriamo bene. Jimmy è molto carino, ma rivoglio il nostro Jim indietro”

“Ehi campione… che ne dici se ci togliamo quella maglietta? L’infermiera Chapel ha replicato questi per te”
McCoy mostrò i jeans, la piccola maglietta nera i calzini e le scarpe da ginnastica che Christine aveva replicato.
“Grazie, ma mancano le mutande” scandì il bambino studiando il vestiario.
“Cosa?”
“MANCANO LE MUTANDE!” scandì di nuovo il bambino.
“Non posso mettere i jeans senza…”
“Oh sì scusa” borbottò il medico mentre si avviava verso il replicatore, ma Spock lo aveva preceduto.
“Ecco il capo desiderato, cap… Jimmy” fece Spock porgendogli un paio di piccoli boxer.
Svelto il bambino borbottò un ringraziamento e le infilò sotto la maglietta e poi la tolse.
McCoy l’aveva già visto durante l’esame fisico di poco prima, ma Spock no.
Il torso, le gambe e le braccia di Jim era pieni di lividi, alcuni recenti, altri già scoloriti.
Per un attimo la maschera stoica del vulcaniano andò in frantumi e lo sconcerto si disegno sul viso pallido.
“Dottore…” bisbigliò il primo ufficiale.
“Sì lo so, ma parliamo dopo” lo bloccò subito il medico.
“Vuoi che ti aiuti?” chiese mentre Jimmy iniziava a vestirsi.
“No, faccio da solo. E so anche allacciarmi le scarpe” replicò orgoglioso il bambino.
“Che ne dici se ora l’infermiera Chapel ti fa vedere i giochi che ho caricato sul PADD?” chiese poi quando il piccolo ebbe finito.
“Ok…” 
McCoy aspettò che il bambino si allontanasse con la giovane infermiera prima di rivolgersi di nuovo a Spock.
“Lei aveva detto che non presentava segni di patologie o lesioni… cosa sono quei segni sul corpo?” la voce del vulcaniano era leggermente incrinata dall’emozione.
“Abbassa la voce… a quanto pare la regressione ha riportato Jim esattamente alla stessa condizione fisica di quando aveva cinque anni”
“Vuole dire che il capitano è stato picchiato quando era bambino?” 
Ora nella voce di Spock McCoy sentiva rabbia malcontrollata.
“Cosa sai dell’infanzia di Jim?” chiese in risposta il medico.
“Non molto, che è nato in Iowa e non ha più contatti con la sua famiglia da vari anni”
McCoy sospirò; ormai era diventato inevitabile.
“Incontriamoci dopo il vostro ritorno dal pianeta con la squadra di comando nella sala conferenze. Se non risolviamo a breve il problema dovete sapere qualcosa”

Spock e Uhura si materializzarono direttamente nella sala del Consiglio di Betarus, dove la giovane regina era seduta sul suo trono, circondata da quelli che dovevano essere i suoi dignitari e dalle ancelle.
Spock si avvicinò lentamente, con passo calmo, affiancato da Uhura.
“Maestà, siamo qui per chiedere aiuto”
La ragazza sul trono li guardò perplessa.
“Il dono che la sua augusta madre ha fatto al nostro capitano…” iniziò a raccontare Spock
Durante tutta la spiegazione sia la regina che i dignitari rimasero in assoluto silenzio.
“Dispiace che il dono fatto stia causando problemi all’equipaggio dell’Enterprise” disse alla fine calma la ragazza.
“Regina M’Hiar, crea problemi non solo all’equipaggio. Il nostro capitano ha diritto di vivere la sua vita adulta e non credo che il dono sia gradito”
Mormorii di disapprovazione si levarono dalla piccola folla presente.
“Signor Spock, forse lei sta giudicando in base a quelle che sono le sue aspettative. Forse il dono elargito da mia madre va a vantaggio del capitano Kirk, anche se non a vantaggio del suo equipaggio” disse calma la giovane regina.
“Può specificare?” chiese sempre stoico Spock.
“Il dono che la regina morente fa al suo protetto è sempre nell’interesse di quest’ultimo… quasi sempre gli viene dato quel che più gli è mancato”
“Non riesco a trovare una spiegazione logica che mi induca a pensare che il capitano Kirk desiderasse tornare all’età infantile”
“Forse non coscientemente. Comunque signor Spock non possiamo aiutarla. Né io né alcuno su questo pianeta possiede le capacità per annullare il dono di mia madre. Il dono funzionerà sino a che sarà necessario” concluse la ragazza, congedandoli con un gesto della mano.
Poi si alzò e uscì dalla sala, seguita dalle ancelle.
Spock e Uhura rimasero interdetti.
Uno dei dignitari rimasto nella stanza si avvicinò.
“Signor Spock nessuno di noi può aiutarvi mi creda. La regina, con la sua veneranda età aveva acquisito capacità che la nostra giovane regnate non ha. Quello che posso confermarvi è che il dono non ha mai riflessi negativi per chi lo riceve. E come vi ha detto la regina, il dono funzionerà solo sino a quando è necessario” disse loro con aria solenne.
A Spock ed Uhura non restò altro che tornare sulla nave.

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Capitolo 6
*** Storia di Jimmy ***


IL DONO

Capitolo 6
La storia di Jimmy

“Finito” annunciò Jimmy restituendo il PADD a McCoy.
“Ma hai iniziato meno di cinque minuti fa” si meravigliò il medico, riprendendo il PADD e guardando il puzzle perfettamente ricomposto.
“Era facile” fece con indifferenza il bambino.
McCoy sospirò: era un gioco progettato per bambini dai dodici anni in su.
“Sarai bravissimo a scuola” chiese curioso.
“Invece sto sempre in punizione” disse il piccolo guardando curioso in giro.
Logico, pensò il medico.
“Perché ti annoi?” chiese sorridendo.
Jimmy lo guardò con interesse, come se finalmente avesse trovato qualcuno che lo capiva.
“Quando la maestra assegna i compiti io li finisco in cinque minuti e poi non so che fare…” ammise.
McCoy si trovò ancora una volta a sospirare e a rimpiangere l’enorme potenziale sprecato in quel bambino.
“Chi è?” chiese Jimmy indicando la holofoto di McCoy e Johanna che il medico teneva sulla scrivania.
“Mia figlia Joanna”
“E dov’è?”
“Sulla Terra, vive con la madre”
“E non la vedi?”
“Non spesso come vorrei” rispose triste il medico
“Mio papà è morto. Era un eroe sai…” replicò il bambino.
A McCoy si strinse il cuore. Jimmy aveva lo stesso identico tono del Jim adulto quando parlava del padre.
La conversazione fu interrotta dall’arrivo di Spock e Nyota

“Dal punto di vista biologico i Betariani hanno enormi capacità psichiche. Suppongo che la regnante appartenga ad un gruppo etnico ancor più potente. L’ipotesi più plausibile è che le loro capacità di far crescere gli elementi organici possa funzionare anche all’incontrario” ragionò Spock.
I tre stavano parlando nell’ufficio di McCoy e guardavano dalla porta a vetri Jimmy giocare con il PADD nell’infermeria: le dita del piccolo si muovevano velocissime per comporre un altro puzzle.
“E non si può trovare un modo per sbarazzarsi di questo dono??” McCoy era sempre più irascibile e disperato.
“Proverò a studiare l’anatomia dei Betariani ed i dati in nostro possesso, ma per ora temo che non ci sia niente da fare”
McCoy imprecò più volte.
“Dovremo avvertire la Flotta?” chiese Uhura.
“E’ inevitabile. Anche se impiegheremo non meno di due settimane per rientrare…” confermò il vulcaniano.
“Dobbiamo trovare una soluzione. Se, quando arriviamo sulla Terra, Jim non sarà tornato normale sai bene che lo faranno sbarcare. E lui non ha nessuno…” fece McCoy triste.
Spock annuì.
“Davvero non riesco a capire cosa volesse dire la regina. Non trovo spiegazione logica alla circostanza che il dono l’abbia fatto tornare all’infanzia” ragionò. 

Proprio in quel momento si udì uno strillo acuto.
Tutti si voltarono di scatto verso l’infermeria per capire cosa fosse successo.
Le infermiere erano chinate sotto il bioletto, dove evidentemente si era rifugiato Jimmy.
“Ma cosa…” chiese McCoy precipitandosi fuori dall’ufficio.
“Mi spiace dottore. Io non volevo spaventarlo. L’ho visto sul lettino e volevo solo parlargli” fece subito il tenente Hendorff, gigantesco capo della sicurezza, che Jim aveva soprannominato “Cupcake” il giorno del loro mitico primo incontro nel bar di Riverside.
IL gigantesco ufficiale si era ritirato contro una parete e aveva sulla faccia uno sguardo dispiaciuto.
McCoy non gli badò, troppo occupato a cercare di raggiungere Jimmy.
“Ehi piccolo, che ci fai qui sotto?” chiese, raggiungendo con fatica il bambino che nel frattempo si era raggomitolato a palla sotto il letto.
Nessuna risposta.
“E’ successo qualcosa? Il tenente Hendorff non voleva spaventarti. E’ il nostro capo della sicurezza…”
“No, è amico di Frank!!” urlò Jimmy.
“Non è amico di Frank… è solo grosso. Qui Frank non c’è… e nessuno ti farà del male”
Jimmy alzò un po’ la testa.
“Ehi… sai come chiamiamo il tenente Hendorff? Cupcake!” McCoy provò ad alleggerire l’atmosfera.
Anche da sotto il letto si udì forte il grugnito di disapprovazione dell’uomo.
Jimmy ridacchiò.
“Cupcake, cioè pasticcino? Perché su questa nave avete tutti soprannomi stupidi?” chiese sorridendo.
“Dovresti chiederlo al nostro capitano…”
“A Spock?”
“No… poi ti spiego. Che ne dici di uscire? Sono vecchio sai e se resto ancora qui piegato mi sa che devono usare un carrello gravitazionale per tirarmi fuori”


Jimmy uscì da sotto il letto, seguito da un dolorante McCoy, guardando un po’ intimorito verso Hendorff. “Scusa” fece debolmente.
Poi inaspettatamente tese le braccia verso il medico per essere preso in braccio, immediatamente accontentato.
Mentre Jimmy nascondeva il viso sulla spalla del medico, il gigantesco capo della sicurezza si avvicinò.
“Non ti preoccupare. Io mi chiamo John Hendorff. Ma tu, e solo tu, puoi chiamarmi Cupcake” sorrise.

“Volevi capire la logica del dono? Ci vediamo fra mezz’ora in sala tattica” concluse McCoy avviandosi con il bambino appeso al collo verso la sua cabina.


Quando McCoy entrò nella sala tattica, accanto al ponte di comando, tutto l’equipaggio di comando stava già aspettando”
“Ma com’è? Voglio dire…” chiese Scotty, l’unico a non aver ancora visto il bambino
“E’ Jim… una versione mini di Jim, insomma” rispose Uhura con un mezzo sorriso.
“Signori un attimo di attenzione per favore. Sapete tutti cosa è successo nelle ultime ore al capitano Kirk. La logica ci impone di ritenere che si tratti di una situazione passeggera e reversibile, ma allo stato attuale non abbiamo soluzioni percorribili. Nel frattempo il dottor McCoy deve informarci di alcune circostanze…”
Il medico si schiarì brevemente la voce prima di iniziare a parlare.
“Beh… non sono tipo da convenevoli e se sto per condividere questo con voi è solo perché non sappiamo quanto durerà questa cosa e quindi dovete sapere come rapportarvi con lui… con Jimmy. Ovviamente confido che quanto dirò ora resterà fra i presenti”
Tutti annuirono seri.
“Dunque… come sapete Jim è nato nello spazio e subito dopo… la distruzione della Kelvin sua madre tornò a vivere in Iowa con il bambino ed il figlio maggiore George Samuel”
“Il capitano ha un fratello?” chiese Uhura stupita.
“Sì… ha sei anni più di Jim e tutti lo hanno sempre chiamato Sam dopo la morte del padre”
McCoy si fermò un attimo in cerca delle parole giuste.
“Quando Jim aveva tre anni, Winona si risposò con un agricoltore di Riverside, tale Frank Jennis. Subito dopo il matrimonio iniziò a viaggiare fuori dal pianeta accettando vari incarichi come ingegnere della Flotta. Tornava raramente sul pianeta e i bambini furono affidati al patrigno”
McCoy si bloccò di nuovo.
“Ho saputo quello che sto per dirvi solo per caso, consultando le schede mediche di Jim e durante alcune conversazioni in cui… lui non era molto sobrio. Beh, per farla breve… diciamo che Frank non è stato un tipo paterno. Ha spedito Jim in ospedale varie volte…”
Sul gruppo calò il gelo.
“Vuol dire che il capitano è stato picchiato dal patrigno?” chiese con un filo di voce Sulu.
“Varie volte purtroppo. Il bambino ha sempre rifiutato di denunciarlo. L’ultima volta però l’ha picchiato talmente forte che Jim è stato in coma per due mesi per una massiva emorragia celebrale. E’ vivo per miracolo”
“Dottore… non capisco. Su Vulcano, nonostante l’educazione rigida, i bambini sono considerati sacri, degni del massimo rispetto e protezione” fece Spock con voce calma
“Purtroppo sulla Terra non è sempre così”
“E’ per questo che ha quei segni sul corpo? Perché li aveva a cinque anni?” chiese ancora Spock, la voce sempre più incrinata.
“Suppongo di sì”
Nella sala calò di nuovo il silenzio.
“Cosa ne è stato del fratello e di questo Frank?” chiese Scotty con occhi fiammeggianti d’ira.
“Sam appena compiuti diciotto anni scappò dalla casa di Frank, lasciando Jim con il patrigno”
“Cosa?” balbettò Chekov incredulo.
“Per la disperazione Jim prese la vecchia Corvette del padre, che Frank stava per vendere, e la lanciò da una scogliera. E’ stato allora che Frank l’ha colpito talmente forte da spedirlo in coma. L’uomo poi è stato accusato di tentato omicidio e credo stia ancora scontando la pena in prigione”
Uhura aveva le lacrime agli occhi.
“E la madre?”
“Jim non la vede da quando aveva dodici anni. E nonna Rose è morta quando Jim aveva undici anni”
Nessuno dei presenti chiese cosa era successo al loro capitano dopo, conoscevano già la storia di Tarsus.
Nessuno osava più parlare.
“Ora… non sappiamo per quanto tempo il capitano resterà in questa condizione. Ma Jimmy è un bambino che mostra evidenti segni di trascuratezza emotiva e perciò è diffidente e ostile con gli adulti. A cinque anni l’unico referente emotivo che aveva era il fratello maggiore, che ovviamente non è qui. Non gridate mai con lui, non fate movimenti bruschi, siate gentili, ma non condiscendenti. E’ molto, molto intelligente come tutti sapete, con QI assolutamente al di sopra della media. Insomma… cerchiamo di farlo stare bene” concluse McCoy.
“Quindi è questo quello che manca al capitano… una infanzia felice. Ciò che il dono cerca di ridargli” ragionò il vulcaniano.
“Certo che faremo tutto quanto in nostro potere… potrei portarlo a fare un giro in ingegneria” propose subito Scotty.
“Ed io potrei mostrargli la serra…” propose Sulu.
“Calma, non vi eccitate troppo… speriamo che la cosa duri poco; tutti ci auguriamo che Spock capisca come farlo tornare il nostro capitano…” si imbronciò McCoy.
“Farò tutto il possibile” concordò Spock.

Star Trek non mi appartiene. Grazie sempre a tutti.

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Capitolo 7
*** Il dottor Bones, il signor Spock e gli altri ***


IL DONO

Capitolo 7
Il dottor Bones, il signor Spock e gli altri

Jimmy si svegliò, stiracchiandosi nel suo letto nella cabina del dottor Bones.
Anche se non era ancora del tutto convinto che non fosse su una nave pirata (i cattivi sanno ingannare bene e si scoprono solo alla fine, come nei film), il medico gli piaceva.
Era buffo, diceva un sacco di parolacce (e nessuno lo riprendeva mai per questo), aveva un accento terribile e sembrava eternamente arrabbiato, ma in fondo era buono e carezzava e baciava Jimmy come solo Sam, o nonna Rose quando veniva in visita, facevano. Era un po’ come Brontolo dei sette nani.
Il dottor Bones si occupava di lui, lo lavava, lo vestiva, lo faceva mangiare, ma solo quello che diceva lui perché il resto è “schifezza che fa cadere tutti i denti e diventare come dracula il vampiro”.
Con il dottor Bones Jimmy sentiva meno la mancanza di Sam, tranne la sera perché il dottor Bones proprio non sapeva cantare le canzoni country come faceva Sam per farlo addormentare. In realtà il dottor Bones quando cantava sembrava proprio il gatto dei vicini di casa, quella volta che, poverino, era caduto nel replicatore; ma Jimmy era educato e non glielo faceva notare, tanto bastava turarsi un po’ le orecchie per eliminare gran parte del fastidio.
Anche il folletto con le orecchie a punta, il signor Spock, gli piaceva.
Jimmy non era proprio sicurissimo che non fosse romulano (e Sam gli aveva insegnato che i romulani sono cattivissimi, forse anche più dei Klingon), ma il signor Spock aveva gli occhi buoni, anche se non rideva mai e parlava strano, amava molto la parola “logico” e litigava continuamente con il dottor Bones. Almeno sembrava che litigassero perché poi, pur dicendosene di tutti colori, non sembravano molto arrabbiati l’uno con l’altro. 
Tutti sembravano aver grande paura e rispetto del signor Spock, tranne appunto il dottor Bones.
E poi c’erano gli altri.
La signorina Uhura era bellissima. Sembrava un’attrice di quelle che nonna Rose guardava negli holovid romantici. Ogni tanto lei e il signor Spock si facevano le coccole, ma sempre di nascosto dagli altri; forse erano fidanzati, come Lucas e Debbie della seconda classe. 
La signorina Uhura, che di nome faceva Nyota ma pochissimi lo sapevano, parlava tante lingue e lo portava sempre nel suo posto preferito, ovvero a guardare le stelle sul ponte più in alto. Era proprio bellissima e Jimmy capiva perché il signor Spock si era fidanzato con lei.
Il signor Scott era basso, ma una vera furia. Beveva tanto e a volte Jimmy non lo capiva quando parlava, perché, come gli aveva spiegato, veniva dalla Scozia e in Scozia parlano inglese standard, un po’ meno “standard”. Gli aveva mostrato il motore della nave e lui e Jimmy erano rimasti a guardarlo incantati per mezz’ora, senza dire una parola. Il signor Scott parlava della nave come se fosse una donna vera e odiava i cani, perché, come gli aveva detto “uno gli aveva rovinato la vita”, ma Jimmy proprio non capiva come poteva essere successo.
Pavel Chekov era giovane, il più giovane della nave, e quindi Jimmy lo chiamava per nome. A Pavel piaceva tanto la matematica. Anche a Jimmy piaceva tanto la matematica, a volte facevano a gara a chi risolveva più velocemente il problema. Pavel aveva però la fissa che tutto, ma proprio tutto, quello che c’era al mondo, era stato inventato in Russia. Ora Jimmy non era mai stato in Russia, ma era abbastanza certo che non tutto poteva essere stato inventato lì. Certamente non il baseball e di sicuro neppure gli hot dog. 
Il signor Sulu era assolutamente impressionante. Un vero guerriero ninja… era più bravo di Leonardo delle Tartarughe ninja con la sua spada. Il signor Sulu era il pilota della nave, ed i motori facevano solo quello che diceva lui (anche se il signor Scott non era d’accordo su questo). Una volta il signor Sulu gli aveva fatto pigiare i pulsanti della sua console e anche se Jimmy aveva capito che era solo per gioco si era divertito lo stesso. L’unica cosa che a signor Sulu piaceva di più della sua spada erano le piante. Ne aveva alcune carnivore e Jimmy avrebbe tanto voluto che Sam fosse lì a vederle.
Ma Sam non era lì e quando ci pensava a Jimmy veniva da piangere. Anche se dove c’era Sam c’era anche Frank e Jimmy non voleva tornare da Frank.
Il dottor Bones ed il signor Spock gli avevano promesso che non avrebbe mai più rivisto Frank.

“Buon giorno Jimmy. E’ ora di lavarsi, vestirsi e andare a fare colazione” disse il dottor Bones uscendo dal bagno, già vestito.
Da un paio di giorni il medico era più triste, Jimmy aveva sentito lui e signor Spock bisbigliare su qualcosa che stavano cercando e non trovavano e sul fatto che era rimasto poco tempo. 
“Giorno. Posso avere le gelatine dopo la colazione?” chiese Jimmy saltando giù dal suo letto, proprio accanto a quello del dottor Bones.
“Quante volte ti devo dire che quelle cose non contengono alcun principio nutritivo e fanno solo cadere i denti? Vuoi andare in giro con le protesi?” rispose il medico.
Jimmy sorrise e non replicò, sapeva che a fine colazione avrebbe trovato due o tre gelatine sul vassoio.
Si lavò e vestì in fretta e poi i due uscirono avviandosi verso la sala mensa.

“Jimmy, vieni a sederti con noi” lo invitò Uhura appena entrati in sala mensa.
Lei e il signor Spock avevano l’aria di chi si era appena fatto un mucchio di coccole, anche se facevano gli indifferenti.
Jimmy prese posto di fianco a Spock.
“Buongiorno Jimmy” lo salutò il vulcaniano.
“Buongiorno. Che stai facendo signor Spock?” chiese Jimmy curioso, osservando il PADD che il comandante aveva in mano.
“Nulla. Solo alcuni esercizi matematici per diletto”
“Posso vedere?”
Spock rimase un attimo interdetto. Poi cambiò pagina e girò il PADD verso Jimmy.
“Vediamo se riesci a capire qual è l’altro numero da inserire”.
Sullo schermo c’era una sequenza di numeri :1 1 2 3 5 8 13 21 34…
Jimmy rimase pensoso per alcuni momenti poi scrisse il numero 55 e lo porse a Spock.
Uhura spalancò gli occhi dalla sorpresa.
“Molto bene Jimmy. E sai quale numero segue ancora?” chiese il vulcaniano.
“Ottantanove” rispose sicuro il bambino.
Uhura era allibita.
“A cinque anni a stento dovrebbe conoscere i numeri ed invece ha capito la sequenza di Fibonacci?” fece quasi strozzata.
“A quanto pare sì. Ma del resto sappiamo tutti quanto è intelligente”
“Facciamo un altro gioco di matematica? Ma più difficile” chiese con innocenza Jim, guardando quasi estasiato Spock.
“Che gioco?” si intromise McCoy, portando al tavolo il vassoio con la colazione.
“Un gioco di matematica difficile” rispose subito Jimmy.
“Facciamo così. Fai colazione e poi puoi venire con me sul ponte. Ti mostro la console della postazione scientifica” propose Spock.
McCoy poteva giurare di aver sentito un accenno di rivincita nella voce calma.
Jimmy iniziò a mangiare, quasi ingozzandosi per la fretta.
“Ehi piccolo vai piano, non strozzarti” lo rimproverò McCoy, ma Jimmy non lo stava a sentire.
Ingoiato l’ultimo boccone, si precipitò a raggiungere Spock e Nyota che lo stavano aspettando.
“Ehi, le tue gelatine” cercò di dirgli McCoy, ma il bambino era già corso verso il turboascensore.
E McCoy provò una acutissima e del tutto irragionevole fitta di gelosia.

Star Trek non mi appartiene.

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Capitolo 8
*** Gelosia ***


IL DONO

Capitolo 8
Gelosia


Era la fine del turno alfa e McCoy si sentiva stranamente triste e vuoto.
Erano bastati pochi giorni con Jimmy in giro, che alcune ore senza di lui lo facevano sentire come privo di qualcosa di essenziale.
Una parte di lui si sentiva in lutto.
Sapeva che Jim non era morto, ma in fondo il suo migliore amico non c’era più: niente più notti passate a bere e chiacchierare, niente più litigi su quanto fosse incosciente e incurante per la propria salute, niente più Jim.
Solo il pensiero di doversi occupare del ragazzino vivace e tormentato che aveva preso il suo posto era riuscito a tenere McCoy a galla, mentre si affacciava sempre più prepotente nella sua mente la possibilità che Jim, quello che lui aveva conosciuto, il ragazzo bello ed infelice sulle cui scarpe aveva vomitato nella navetta che li portava all’Accademia, non sarebbe più tornato.
Il che lo poneva, ora che il viaggio verso la Terra era quasi finito, di fronte ad una scelta.
Jimmy non aveva nessuno sulla Terra e sarebbero passati sul suo cadavere prima di metterlo in istituto o darlo in adozione a sconosciuti.
L’unica era mettersi in congedo e crescere Jimmy in Georgia, con l’aiuto di mamma Eleanor, nella casa di famiglia.
Del resto Joanna aveva sempre voluto un fratellino.

Con mille pensieri nella testa si alzò dalla scrivania e notò con stupore l’orario. L’intero turno era passato e Jimmy non si era fatto vedere.
Con inquietudine percorse la strada sino al ponte, pronto a riprendersi il bambino.
Appena arrivato fu accolto dalle risatine del piccolo.
“Hai inteso il concetto. E’ esatto Jimmy, i semi all’interno del girasole seguono la sequenza di Fibonacci” stava spiegando Spock, mentre Jimmy lo guardava con aria estasiata, come se fosse la cosa più bella dell’universo conosciuto.
“Ehi piccolo, sei stato qui tutto questo tempo? Non devi disturbare le operazioni del ponte di comando” fece McCoy.
“Non ha disturbato affatto dottore. Quando siamo stati impegnati con il nostro lavoro, Jimmy ha lavorato ai problemi con il suo PADD” informò Spock.
“Vuoi dire che l’hai fatto studiare matematica per tutto il tempo?” chiese furibondo il medico.
“Non solo matematica, anche fisica e chimica” protestò Jimmy sorridendo felice.
McCoy avrebbe giurato che Spock lo stava guardando con aria di trionfo e sfida.
“Comunque è ora di pranzo. E poi devi fare il tuo sonnellino”
“Ma…” provò a protestare il bambino.
“Ubbidisci, andiamo” sbottò McCoy con voce più dura di quanto volesse.
Jimmy si alzò senza più protestare, l’aria leggermente perplessa.
“Grazie signor Spock” disse, restituendo il PADD al vulcaniano.
“Prego, domani possiamo continuare” fece Spock compito.
“Domani ho la giornata libera. E tu non volevi imparare a giocare a basket?” intervenne subito McCoy sorridendo ammiccante al bambino.
“Sì!!! Bello, ma dopo posso stare con Spock, così mi insegna a giocare a scacchi” propose il bambino.
“Vediamo, se non sei stanco” rispose il medico, con voce sempre più stizzita.
“Dottore, mi sembra illogico privare il bambino di un divertimento intellettuale a lui gradito” intervenne Spock. Negli occhi ormai era visibile il risentimento.
“A me pare illogico stancare un bambino di cinque anni con ore e ore di studio” sibilò il medico.
“Spock, Leonard basta!” fece dura Uhura avvicinandosi.
Jimmy era rimasto immobile ad assistere al litigio, negli occhi lo stupore.
“Bene, andiamo a mensa. Sono sicuro che ci sono gli hamburger. E puoi avere anche le patatine se vuoi” sorrise forzatamente McCoy, prendendo il bambino per mano.
“Ma non avevi detto che le patatine fanno male?” chiese stupito Jimmy.
“Dopo tante ore di studio noioso no, non fanno male”

Ben presto fu chiaro che la guerra fra Spock e McCoy era solo all’inizio.
Se McCoy insegnava a Jimmy a giocare a basket, Spock gli insegnava a giocare a scacchi.
Se Spock gli spiegava la spirale logaritimica, McCoy lo portava nella suite degli ambasciatori e lo faceva giocare per ore nell’enorme vasca da bagno con l’acqua e [con] tutti i giocattoli che aveva replicato per lui.
Se Spock lo portava sul ponte di osservazione a guardare una costellazione, McCoy gli faceva vedere tutti gli holovid con i cartoni animati del secolo scorso.
Ben presto fu chiaro a tutti che la guerra non sarebbe finita neppure all’arrivo dell’Enterprise sulla Terra.
E mancava poco.

“Signori, a quanto pare di capire non avete trovato alcun rimedio per la situazione del capitano Kirk”
Il viso dell’ammiraglio Archer, sullo schermo della sala conferenze, lasciava trasparire preoccupazione.
“No signore. Le nostre ricerche non hanno avuto alcun esito. Temo che ci dovremmo rassegnare al fatto che la situazione si protrarrà per un tempo indeterminato”.
Spock sedeva rigido a capo tavola, circondato dagli altri membri della squadra di comando.
“Il che ci pone di fronte ad una serie di problemi. Ovviamente signor Spock è più che probabile la sua nomina a capitano dell’Enterprise” sospirò il vecchio ammiraglio.
“In realtà quello che ci sta più a cuore è la sorte di Jimmy… del capitano Kirk” rispose Spock.
“Certo. A quanto ho capito non ha parenti prossimi a cui può essere affidato sino a che resta bambino…”
“No, ma signore, lui starà con me. So che non è possibile tenere bambini sulle navi, ma io sono disposto a mettermi in congedo illimitato e tenerlo con me. Mia madre può aiutarmi…” intervenne McCoy.
“Veramente dottore, la situazione dovrebbe essere ponderata con maggiore calma” scandì Spock, guardando il medico senza emozione. 
La sala cadde in un silenzio gelido.
“Che cosa? Cosa vuoi dire con questo??” McCoy si alzò dal suo posto furibondo.
“Che lei qui non è l’unico che può prendersi cura del cap… di Jimmy”
“E chi allora? Tu?” fece ironico McCoy.
“Non è da escludere che mio padre possa occuparsi con me del bambino…” Spock fissò il medico con sguardo duro.
“Che cosa??? Stai scherzando!!! Non essere assurdo. Tu non sei in grado di allevare un bambino umano, e certo non Jimmy” 
“Ho testato le sue capacità intellettuali e sono pari a quelle di un bambino vulcaniano di pari età. Potrebbe, con la dovuta eduzione, essere ammesso alle scuole su New Vulcan e poi all’Accademia Vulcaniana delle Scienze” 
Spock pareva calmo, ma stringeva i pugni sui braccioli della poltrona.
“Tu non porterai Jimmy su New Vulcan e lui non crescerà come un robot senza sentimenti, quello che sei tu!” urlò McCoy.
“Sempre meglio che rischiare che imiti le sue tendenze alcoliste vivendo con lei, dottore” scandì Spock.
“Signori!!!” urlò Archer dallo schermo.
Aveva l’aria assolutamente sconvolta, come tutti nella stanza.
“Smettetela subito o vi mando sotto corte marziale entrambi. Arrivati sulla Terra decideremo per Kirk. E se non riuscirete a trovare un accordo non resta altra strada che far decidere ad un giudice”
“Sì signore” dissero entrambi.
Appena lo schermo si oscurò McCoy uscì dalla sala imprecando.


“Leonard lui non voleva…”
Uhura stava cercando di calmare McCoy, senza risultato, da una buona mezz’ora.
Il medico si era richiuso nel suo ufficio e andava avanti ed indietro senza sosta.
“Cosa non voleva? Ti rendi conto? Pensa davvero che può prendere Jimmy, il nostro Jim e portarlo su New Vulcan? Per fare cosa? Per crescerlo secondo i dettami della logica??” la interruppe.
“Lui non vuole portarlo via da te… è solo che vede un grande potenziale in lui e vorrebbe dargli le opportunità…”
“Opportunità? Insomma Nyota, ti rendi conto che quel bambino è il nostro Jim? Il nostro capitano? Già è difficile accettare che probabilmente non tornerà più, ma ne vogliamo fare davvero qualcosa di totalmente diverso da quello che era il nostro amico? Da quello che era prima che iniziasse tutta questa storia?” McCoy stava per piangere.
“Se continua così, Leonard, sarà inevitabile. Jimmy crescendo non sarà lo stesso Jim che abbiamo conosciuto, sia che lo cresca tu, sia che stia con Spock ed il padre su New Vulcan”.
La frase mise McCoy davanti alla dura realtà.
Con le lacrime agli occhi si accasciò lungo la parete e si sedette in terra.
Nyota si sedette accanto a lui.
“Credi che non lo sappia? Mi sento il cuore lacerato all’idea che potremo non riaverlo mai più. Il pensiero di quel bambino è l’unica cosa che mi tiene in piedi, credimi. Io non posso perderlo…”
“Leo… perché non ti metti nei panni di Spock per un attimo? Credi che a lui non manchi Jim? Anche se non lo dà a vedere, sta soffrendo esattamente come te, e si sente in colpa per non aver trovato una soluzione per portarlo a come era prima. Sta solo cercando di dare un senso alla perdita del suo unico amico dando a Jimmy il futuro migliore possibile”
“Il migliore futuro per Jimmy non è crescere con Spock e non è crescere su New Vulcan!” scandì McCoy.
“Lui non la vede così” rispose sinceramente Uhura.
“Bene, allora credo che dovrà decidere qualcun altro” la sfidò il medico.
“Leo… tu e Spock dovete pensare bene a cosa state facendo a Jimmy. Tu sai bene cosa significa essere un padre che non può vedere il proprio figlio. La cosa migliore per lui sarebbe avervi entrambi”
McCoy ridacchiò amaro.
“Stai sognando, mia cara”

Star Trek non mi appartiene.

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Capitolo 9
*** Insieme per forza ***


IL DONO

Capitolo 9
Insieme per forza

La sala conferenze dell’Enterprise era stata trasformata in aula di tribunale.
L’ammiraglio Archer aveva fatto in modo che l’udienza si svolgesse sull’Enterprise al fine di tenere, per quanto possibile, la stampa all’oscuro di quello che stava succedendo a Kirk; almeno sino a quando c’era una speranza di farlo tornare adulto.
Poco prima di entrare McCoy aveva lasciato Jimmy che giocava, sorvegliato da Uhura, con il cane di Archer in una delle sale ricreazione ai ponti inferiori. L’ammiraglio aveva passato parecchio tempo a parlare con il bambino, ma ora stava prendendo posto in uno dei banchi allineati che avevano sostituito il grande tavolo ovale nella stanza.
Spock aveva già preso posto nel banco in prima fila, rigido e composto come al solito.
Lui e McCoy non avevano scambiato neppure una parola o uno sguardo dallo scontro di due giorni prima.
“Non ti preoccupare dottore, noi siamo con te” bisbigliò Scotty prendendo posto accanto al medico, con Sulu e Chekov. Lo scozzese si teneva ben lontano dall’ammiraglio e soprattutto dal suo cane.
“Bene signori, possiamo iniziare” disse la giovane donna bionda, il giudice Maria Roberts, prima di sedersi nel banco posto in fondo alla sala e leggermente rialzato.
“La situazione è alquanto particolare. Il capitano Kirk è per la legge un adulto, avendo ventotto anni. Tuttavia l’ammiraglio Archer mi ha informata che non è stata ancora trovata una soluzione, e che la sua ‘regressione’ potrebbe durare a tempo indeterminato” scandì la donna guardando i presenti con aria severa.
“Sino a che non torna adulto, la Federazione deve quindi procedere all’affidamento di James Kirk. Vi informo che sono state presentate ufficialmente tre richieste”
Nella sala si levò un mormorio.
McCoy divenne pallido e per un attimo Spock si voltò a guardarlo con sorpresa negli occhi.
“Come sarebbe tre richieste? Chi è il terzo??” chiese Sulu sottovoce.
“Hanno presentato richiesta il dottor Leonard McCoy, il capitano Spock e l’ammiraglio Archer”
“Archer?? Ma ha più di centoquaranta anni… non può crescere un bambino” sbottò Scotty.
McCoy sentiva il sangue gelarsi nelle vene.
“Studiando le richieste ho visto che tutti e tre i richiedenti presentano profili di meritevolezza, anche se per il signor Spock e il dottor McCoy l’affidamento implicherebbe un temporaneo congedo dalla Flotta, al contrario dell’ammiraglio che è già di stanza sulla Terra”
“No, no… non possono affidarlo ad un vecchio” balbettò Sulu.
McCoy non riusciva a pensare correttamente, ma ora si spiegava la ragione per cui Archer aveva insistito per parlare da solo con Jimmy.
“Prima di qualsiasi decisione vorrei sentire James. Mi hanno detto che nonostante la tenera età presenta un quoziente intellettivo di tutto rispetto” proseguì la donna.
Dopo pochi minuti nella sala entrò Jimmy, accompagnato da Uhura.
Il bambino si guardò in giro un po’ intimorito e McCoy ebbe una stretta al cuore.
Già quella mattina aveva dovuto spiegargli quello che stava succedendo e che Sam non poteva venirlo a prendere, ora che erano arrivati sulla Terra.
Il bambino aveva pianto silenziosamente per un po’ e non aveva fatto altre domande.
“Vieni, siediti qui James” sorrise il giudice, mostrandogli la sedia accanto alla sua.
Il piccolo obbedì in silenzio.
“Sai perché sei qui?” chiese con aria dolce il giudice.
“Veramente non mi ricordo come sono arrivato qui. Ero nella mia stanza in Iowa e mi sono addormentato con il pigiama di Dino il dinosauro… e poi ero sull’Enterprise, senza il pigiama”
Nella sala si levarono risatine.
“Capisco. Ma ti hanno spiegato che cosa è successo?” chiese ancora la donna.
“Più o meno. Il dottor Bones dice che prima ero il loro capitano e poi ad un certo punto una specie di maga mi ha fatto tornare bambino. Ma sono confuso, non mi ricordo di essere stato grande e poi… io non posso essere il capitano. Quando giochiamo a Flotta Stellare Sam è il capitano, io sono sempre il primo ufficiale”
Altre risatine si levarono nella sala.
“Beh James, invece è proprio così. E sai che sino a che sei piccolo dobbiamo decidere con chi devi stare?”
Jimmy annuì.
“Non posso stare con Sam? Il dottor Bones dice che è cresciuto, quindi potrei stare con lui…” chiese con un filo di voce.
Nella sala calò il silenzio.
“Abbiamo cercato di rintracciarlo, James, ma non ci siamo riusciti”.
Il bambino annuì di nuovo, triste. “Così dice anche il dottor Bones”
“Ora dimmi James… nelle settimane che sei stato sull’Enteprise ti sei divertito di più a stare con il dottor McCoy o con il signor Spock?”
Sia il medico sia il vulcaniano si irrigidirono alla domanda.
“Beh… ho fatto cose divertenti con entrambi, diverse ma divertenti comunque. Il dottor Bones mi fa giocare, mi ha insegnato anche a giocare a basket, e poi si è preso cura di me. Il signor Spock mi ha insegnato un sacco di cose, abbiamo fatto giochi di matematica molto divertenti… e poi mi ha fatto guardare nel suo microscopio e spiegato tutte le costellazioni…”
“E tu con chi vorresti stare?” chiese alla fine il giudice.
Tutta la sala trattenne il respiro.
“Beh… con entrambi” rispose sicuro il bambino.
“E se non fosse possibile?” chiese ancora il giudice.
“Perché non è possibile? Non possiamo continuare come abbiamo fatto sino ad ora?” domandò a sua volta il bambino.
Il giudice guardò fisso McCoy e Spock.
“Va bene James, è tutto. Ora puoi tornare a giocare con il cane dell’ammiraglio”
“Si chiama Porthos, come uno dei tre moschettieri…” ridacchiò il bambino.
Uhura stava accompagnando fuori Jimmy, quando il giudice li richiamò.
“Lei no, tenente Uhura. Vorrei parlare un attimo con lei e con l’ammiraglio Archer”

Il tempo che impiegarono i tre prima di uscire dalla stanza dove si erano richiusi sembrò a McCoy infinito.
Mille pensieri si agitavano nella sua la testa: Uhura era la ragazza di Spock e forse il giudice si stava assicurando che Jimmy avesse una presenza femminile accanto al vulcaniano, cui stava per affidarlo. Oppure lo stava per affidare ad Archer, Uhura serviva solo per comunicare la notizia e tenere Jimmy calmo.
Evitava di guardare verso Spock che, a dire il vero, mostrava altrettanti segni di nervosismo, stringendo a pugno le dita della mano dietro la schiena.
Finalmente il giudice Roberts uscì dalla saletta attigua e si sedette, imitata da Uhura ed Archer.
“Signori, ho raggiunto la mia decisione. In primo luogo devo dire che l’estrema conflittualità fra lei dottor McCoy e lei capitano Spock non è né logica, né positiva per la psiche del bambino. E mi ha, o meglio ci ha, costretto ad una soluzione ‘fantasiosa’ ”
La donna si interruppe per un attimo e poi riprese.
“Dobbiamo tener conto che la situazione di James Kirk, cioè la sua regressione all’età infantile, non è definitiva. L’ammiraglio Archer mi ha informato che ha incaricato i migliori scienziati della Flotta di trovare una possibile soluzione. Ciononostante appare necessario, come detto, provvedere al temporaneo affido di James. La soluzione più logica è quella prospettata dal bambino, ovvero la condivisione della responsabilità fra il dottor McCoy e il signor Spock. Stante l’impossibilità per la Flotta di perdere due elementi di rilievo, l’ammiraglio ha consentito che James sia trattenuto qui sull’Enterprise per sei mesi, durante i quali alla nave non saranno assegnate missioni pericolose. Durante tale periodo la suddivisione dei compiti di cura sarà esattamente quella adottata sino ad ora. Il dottor McCoy si occuperà dei bisogni primari di James e il signor Spock della sua educazione”
La donna si interruppe di nuovo e guardò severa verso i due.
“Data la conflittualità esistente fra voi ho ritenuto necessario individuare un garante per tale accordo. Tenente Uhura, lei sovraintenderà e regolerà i compiti che ho affidato al dottor McCoy e al signor Spock e me ne riferirà settimanalmente. Confido sul il fatto che i suoi rapporti con entrambe le parti non influiranno sul compito che le è stato assegnato”
“Ne sia certa signora” rispose Uhura seria e decisa.
“Bene, penso sia tutto. Ma vi avverto che se la conflittualità costituirà un problema per il bambino non esiterò ad affidarlo all’ammiraglio Archer. Ci rivediamo fra sei mesi per stabilire quanto ulteriormente necessario”


Mentre tutti uscivano McCoy non sapeva se essere sollevato o arrabbiato. Certo tutto era meglio della possibilità di perdere Jimmy, ma la necessità di avere continui contatti con Spock non lo entusiasmava.
“Dottore confido che troveremo un modus operandi tranquillo”
“Certo capitano” rispose McCoy usando di proposito il nuovo grado di Spock, mentre andava incontro a Jimmy che stava aspettando con Porthos in braccio.

Uscendo dalla sala Uhura fece l’occhiolino al bambino, senza che nessuno la vedesse.
E Jimmy pensò che il loro piano segreto era riuscito a meraviglia. Perché la signorina Uhura non solo era bellissima, ma anche molto furba ed intelligente.
Contro di lei né il signor Spock, né il dottor Bones potevano spuntarla.

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Capitolo 10
*** Attento a quel che mangi ***


IL DONO

Capitolo 10
Attento a quel che mangi



Il tenente Masha Nichols era sempre più nervosa.
Era almeno mezz’ora che il comandante Scott, capo ingegnere dell’Enterprise, andava avanti e indietro gettando occhiate furtive in giro.
E lei si stava preoccupando sempre più. Fra tre giorni doveva passare la sua prima valutazione, e Montgomery Scott non si faceva scrupoli a spedire chi non la superava sul primo trasporto diretto alla Terra.
“Accidenti…” borbottò Scott, mentre passava davanti alla console della donna.
Per Masha fu troppo.
“Signore, posso parlare liberamente?” chiese con il cuore in gola.
Il comandante Scott alzò per un attimo lo sguardo verso di lei.
“Sì… certo tenente… mi dica…” rispose, mentre continuava a guardarsi in giro.
“Sinceramente preferirei sapere se c’è qualcosa che non va nel mio lavoro, se ho fatto qualcosa di sbagliato” chiese la ragazza con aria contrita.
“Cosa? No… perché lo pensa?” fece a sua volta Scott mentre iniziava a fissare un punto indefinito dietro Masha.
“Perché è già la quinta volta che passa e osserva tutto quello che faccio. Se ho sbagliato qualcosa mi farebbe piacere…”
Il giovane tenente non riuscì a finire la frase perché il comandante corse verso la console posta dietro Masha.
“Brutto furfante, ti ho trovato finalmente” rise mentre si sporgeva e cercava di afferrare un piccolo piede.
Risate infantili si levarono altissime, mentre lo scozzese tirava fuori Jimmy e iniziava a fargli il solletico.
“Ok… hai vinto signor Scotty. Ma ci hai messo quasi mezz’ora a trovarmi” ridacchiò il bambino.
“Ora tocca a me nascondermi...” propose l’ingegnere.
“Mi spiace signor Scotty, ma il dottor Bones mi sta aspettando per la cena: se faccio tardi inizia a diventare tutto rosso e si arrabbia e poi dice continuamente ‘maledizione Jimmy’ e poi…”
“Ok piccolo, ho capito. Giochiamo domani. Buona cena” augurò Scotty, mentre Jimmy prendeva la mano dell’infermiera Chapel che lo stava aspettando paziente.
“Mai visto un ragazzino nascondersi così bene. Ha un vero talento. Mi stava dicendo qualcosa tenente Nichols?”
Scotty si rivolse alla ragazza con ancora un gran sorriso sul volto.
“No signore, niente, lasci perdere” rispose Masha.

Jimmy era da tre mesi sull’Enterprise, e aveva completamente e pacificamente sconvolto le abitudini e l‘umore dell’equipaggio.
C’era una sorta di guerra non dichiarata fra tutto l’equipaggio di comando a chi si accaparrava più tempo e attenzioni di Jimmy, con attacchi di vera e propria gelosia, come quando Chekov e Sulu aveva avuto un litigio furibondo su chi dovesse portare il bambino sulle spalle per farlo giocare a basket.
Uhura quale garante degli ordini del giudice si era dimostrata inflessibile, tanto nei confronti di McCoy quanto nei confronti di Spock, e aveva regolato a perfezione gli orari in cui tenevano Jimmy, in modo che tra i due sorgessero meno occasioni di conflitto possibile.
E Jimmy si mostrava altrettanto bravo a smussare qualsiasi battibecco, esattamente come faceva da adulto.

“Bones…” chiamò Jimmy seduto al tavolo per la cena, con il suo piatto di verdure e formaggio davanti.
“Dimmi Jimmy” rispose McCoy continuando a mangiare la sua insalata di pollo.
“Posso avere hamburger e patatine?” chiese il bambino guardando con disgusto la sua cena.
“Ti ho già detto che molta carne rossa fa male e che le patatine fritte…”
“Sono veleno per il fegato, lo so” continuò il bambino sbuffando.
Dopo alcuni minuti di silenzio Jimmy riprese la battaglia.
“Ma Pavel le sta mangiando e non mi sembra che abbia il fegato avvelenato” fece indicando il navigatore al tavolo accanto.
McCoy sospirò, a volte Jimmy poteva essere fastidioso quanto la sua versione adulta.
“Ognuno è libero di farsi scoppiare il fegato quando è adulto. Da bambino no, devo pensare io a te” concluse.
Seguirono altri minuti di silenzio, senza che Jimmy si decidesse a mangiare.
“Ma Pavel lo sa che gli può scoppiare il fegato? Perché forse è meglio che lo avvisiamo…”
“Jimmy!! Basta!!” sbottò McCoy.
Finalmente il bambino si decise a prendere la forchetta, limitandosi a rimestare nel piatto.
“Bones…” piagnucolò.
“Dimmi”
“Perché il signor Spock non ride mai?” chiese cambiando improvvisamente argomento.
McCoy stava per scoppiare a ridere, ma si trattenne.
Cercando di restare serio rispose: “Ride dentro di sé”
“E fuori di sé mai?”
“Non che io sappia, non l’ho mai visto. Ora mangia”
Altri minuti di silenzio.
“Però sorride un po’ alla signorina Uhura quando si fanno le coccole” annunciò Jimmy, mentre prendeva la prima forchettata di verdura.
McCoy alzò la testa dal piatto.
“Fanno le coccole?”
“Sì, quando si danno i bacetti come fanno i fidanzati. Però loro lo fanno solo quando nessuno li vede. O meglio quando credono che nessuno li vede” disse serio il bambino.
“Ah davvero?”
“Sì. Sam dice che se due fidanzati si danno molti bacetti poi, dopo nove mesi, nascono i bambini”
McCoy sorrise di nuovo.
“Beh piccolo, credo che dovresti chiedere a Spock di insegnarti fra le tante cose un po’ di biologia umana” ridacchiò.
“Il signor Spock mi ha informato infatti: quello che dice Sam non è esatto. Mi ha detto come nascono i bambini!!” proclamò Jimmy.
“Non basta farsi le coccole, bisogna fare sesso” continuò sempre serissimo.
McCoy quasi sputò il caffè che stava bevendo.
“Di cosa state parlando?” intervenne Uhura avvicinandosi al tavolo con il suo vassoio in mano.
“Di nulla” rispose subito McCoy.
“Di sesso” lo corresse Jimmy.
Uhura passò in un attimo dallo stupito al furibondo.
”Io non c’entro nulla. Chiedi al tuo ragazzo” si giustificò il medico.
“Signorina Uhura se tu e il signor Spock fate sesso, i vostri bambini avranno le orecchie a punta?”

“Signor Spock perché la signorina Uhura era così arrabbiata quando le ho detto che so come nascono i bambini?” chiese il mattino dopo Jimmy ad un imperturbabile Spock, che gli stava mostrando un vetrino nel microscopio.
“Gli umani credono che i bambini non debbano conoscere, sino a che non raggiungono un limite di età rilevante, il fenomeno della riproduzione nei suoi particolari. La cosa non mi trova d’accordo ovviamente, ma il tenente Uhura, quale garante degli accordi, è stata molto chiara in merito, per cui mi spiace ma non possiamo più trattare l’argomento”
“La signorina Uhura quando si arrabbia è davvero spaventosa” fece Jimmy con sguardo pensoso.
“La tua considerazione mi trova fondamentalmente d’accordo” rispose Spock serio.

“Scott a capitano Spock” gracchiò il comunicatore.
“Mi dica signor Scott” disse Spock dopo averlo attivato.
“Capitano, credo che abbiamo un problema al replicatore di cibo nella sala mensa. Anche se non so proprio…”
“Sto arrivando” rispose il neo capitano.

“Guardi, vede? Solo hamburger e patatine” sbottò Scotty mostrando a Spock come qualsiasi codice immettesse nei replicatori, quello che ne veniva fuori era un piatto di hamburger di vitello con una montagna di patatine.
“Non capisco proprio. Sembra che i codici siano stati tutti sovrascritti. Tutto quello che si riesce ad ottenere è questo.”
Spock stava a guardare con aria scettica.
“A quanto pare c’è qualcuno che ha voluto fare uno scherzo… un burlone, come dite voi umani” scandì.
Tutti i presenti si voltarono a guardare Jimmy, che fingeva indifferenza.
“Cosa c’è?” chiese poi il bambino con aria assolutamente innocente.
“Non ci posso credere, ha solo cinque anni… come cavolo ha fatto?” sbottò Scotty.
“Jimmy non puoi modificare i codici del replicatore solo perché ti piacciono le patatine” lo rimproverò Uhura.
Jimmy gli diede il suo miglior sorriso; anche a quell’età era un’arma formidabile.
“E’ stato facile, ho visto come fanno gli addetti alla cambusa. Ed io volevo solo che il dottor Bones le provasse, dice sempre che ci sono tante altre cose da mangiare. Beh ora non ci sono più…” disse candidamente.
“Per riprogrammare i codici ci vorranno ore” sospirò Scotty.
“Beh… visto che Jimmy ha mostrato tanta abilità sono certo che può contribuire a riprogrammare tutti i codici. Magari sacrificando la sua ora di gioco con il tenente Sulu o quella che di solito dedica ai fumetti” disse calmo Spock guardando fisso il bambino.
“Ma…”
“Niente ma. Marsh!” scandì Uhura
E Jimmy non replicò. Perché la signorina Uhura quando era arrabbiata era davvero, davvero spaventosa.

Le giornate proseguivano tranquille, anche grazie alle missioni cd. “milk run” che venivano assegnate all’Enterprise.
Mentre i giorni passavano inesorabili e Jimmy si trasformava sempre più da bambino silenzioso e timoroso degli inizi a vera e propria peste, l’equipaggio, sempre occupatissimo a stargli dietro, iniziava però a provare anche nostalgia e dolore.
Con ogni probabilità non avrebbero più rivisto il loro capitano adulto e al termine dei sei mesi concessi, era escluso che un bambino potesse restare su di una nave destinata allo spazio profondo, Jimmy l’avrebbe lasciata per sempre.

La tristezza si faceva strada soprattutto nell’animo di McCoy, che spesso si sedeva per ore in silenzio nella cabina del suo migliore amico nella speranza di trovare una qualsiasi traccia del vecchio Jim, del ragazzo con cui aveva trascorso gli anni dell’Accademia, di colui che l’aveva tirato fuori dal baratro dell’alcolismo e della depressione.
Adorava Jimmy, avrebbe dato la vita per lui, ma iniziava a pensare a quel bambino come ad un vero e proprio figlio, non come al suo più caro amico.
E cercava di non pensare a quello che poteva accadere se al termine dei sei mesi, con Jimmy ancora bambino di cinque anni, il piccolo non gli fosse stato affidato.
Il solo pensiero lo faceva stare male e gli faceva venir voglia di attaccarsi alla bottiglia e bere sino a svenire.

“Dottor McCoy” lo salutò Spock entrando in infermeria.
“Capitano” rispose formalmente il medico. I rapporti fra i due erano tranquilli, ma formali.
“Mi chiedevo se oggi Jimmy poteva condividere il pranzo con me al termine delle sue lezioni” chiese il vulcaniano con voce, come al solito, piatta.
“Non hai il turno di lavoro?” chiese scettico McCoy.
“No, oggi ho riservato per me il turno gamma”
McCoy scrutò il vulcaniano. Uhura aveva stabilito rigidamente gli orari e secondo il programma Jimmy avrebbe dovuto pranzare con il medico.
“Ok. Ma dopo lo porti qui. Niente esperimenti al microscopio, niente osservazioni di nebulose. Deve fare il suo pisolino”
“Molto bene” consentì il capitano.

“Cosa stai mangiando?” chiese Jimmy con aria curiosa.
“E’ una zuppa plomeek. E’ fatta con vegetali provenienti da Vulcan, anche se quest’alimento è replicato. Come sai non è più possibile avere vegetali vulcaniani naturali” rispose Spock che sedeva al tavolo con lui, con Uhura seduta di fronte.
Jimmy lo guardò intensamente.
“Ti mancano?” chiese poi all’improvviso.
“Cosa? Devi specificare se vuoi che ti risponda”
“La tua mamma… il tuo pianeta”
Spock rimase come congelato per un attimo.
“Jimmy…” iniziò Uhura percependo il disagio del suo compagno.
“Scusa, non volevo farti stare male. Mi spiace” balbettò subito il bambino.
“Non hai provocato disagio Jimmy. E per rispondere alla tua domanda avverto molto l’assenza di mia madre” rispose alla fine Spock.
“Mi spiace. A me manca molto Sam”
Lo sguardo triste di Jimmy fece stringere il cuore a Uhura.
“Ci sono diverse probabilità che un giorno lo rintracceremo. E tu potrai rivederlo” fece Spock. La voce era piatta, ma Uhura leggeva nello sguardo tristezza.
“Posso provare la tua zuppa?” chiese alla fine Jimmy, cambiando come al solito argomento in un secondo.
“Forse non è il caso. Non è una cosa che di solito piace ai bambini” intervenne Uhura.
“Tenente, se Jimmy mostra curiosità per l’alimento è giusto farlo provare. Così potrà esprimere una sua opinione”
Jimmy sorrise trionfante e prese il suo cucchiaio per provare.
“Non mi piace” concluse dopo aver assaggiato il liquido scuro.
“Sa di caccole” giudicò, provocando una risatina in Uhura.
I tre ripresero a mangiare tranquilli, sino a che Jimmy non lasciò all’improvviso cadere rumorosamente la sua forchetta.
“Jimmy?” chiese Uhura, scrutando il bambino che stava immobile a fissare un punto indefinito sulla parete.
Un singulto violento ruppe il silenzio.
“Jimmy? Che hai?” chiamò di nuovo Uhura sempre più spaventata.
“Non sta respirando!!” fece Spock raggiungendo il bambino.
“Jimmy… calma, va tutto bene cerca di respirare” disse prendendogli il volto fra le mani.
Ma il bambino era sempre più pallido e le labbra stavano diventando blu.
“Nyota, chiama il dottor McCoy. Credo sia una reazione allergica” scandì il vulcaniano.
“Emergenza medica in sala mensa” urlò Uhura nell’interfono.
Spock aveva preso il bambino fra le braccia e cercava di scuoterlo.
“Jimmy abbiamo chiamato il dottor Bones, ma tu devi cercare di respirare. Forza, cerca di prendere un respiro piccolo” lo esortò.
Un rantolo accompagnò lo sforzo del bambino, ma le labbra erano sempre più blu e gli occhi stavano chiudendosi.
“Faccio prima a portarlo io. Dì a McCoy che stiamo arrivando”
Spock non aspettò la risposta di Uhura, precipitandosi nel corridoio con Jimmy, ormai quasi inerte fra le sue braccia.


Star Trek non mi appartiene.
Avete visto il nuovo film? A me è piaciuto, mi ha ricordato molto la serie orginale...

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Capitolo 11
*** Genitori ***


IL DONO


Capitolo 11
Genitori


“Dammelo” McCoy quasi strappò Jimmy, ormai totalmente incosciente, dalla braccia di Spock.
Il tragitto sino all’infermeria era durato sì e no tre, quattro minuti, ma per Spock la sensazione del tempo si era dilatata, per quanto illogico potesse sembrare.
Un diluvio di emozioni incontrollabili era piombato sul vulcaniano mentre vedeva il bambino fra le sue braccia perdere conoscenza e rantolare dolorosamente. Subito gli erano tornate in mente le immagini del Jim adulto che moriva fra atroci sofferenze nella stanza isolata del nucleo di curvatura, senza che lui potesse neppure toccarlo.
E stavolta era ancora peggio.
La creatura fra le sue braccia era così fragile ed indifesa e la colpa delle sue sofferenze era solo sua.
Avrebbe dovuto usare più cautela, sapeva che Jim era allergico ad una quantità spropositata di cose, avrebbe dovuto proteggere con più attenzione il suo migliore amico.
“Esci” ordinò burbero il medico, mentre poggiava il bambino sul bioletto.
Ma Spock si ritrovò come congelato, impossibilitato anche a muoversi di un millimetro.
“Epinefrina. E accendete il campo di ossigeno” ordinò McCoy professionale, ma con la voce incrinata dall’emozione.
Immediatamente la Chapel gli passò un hypospray, che McCoy iniettò con mano ferma nella giugulare del bambino.
“Dottore, i valori dell’ossigenazione del sangue sono pessimi. E sta andando in tachicardia” lo informò uno degli infermieri.
“Lo vedo da me, maledizione” borbottò McCoy, mentre accarezzava il viso di Jimmy.
“Vuole intubare?” chiese la Chapel.
“No, aspettiamo, diamo il tempo al farmaco di agire. Lo faccio solo se non ho altra scelta”
Il medico neppure si era accorto che Spock era ancora nella stanza.
“Ti ho detto di uscire” gli disse rabbioso.
“Ma…” provò ad obiettare il vulcaniano.
“Fuori!” sbottò McCoy.
A Spock non restò altra scelta che obbedire.


Per quanto illogico fosse, il tempo per Spock aveva rallentato, come se fosse stato catturato in una distorsione temporale.
I minuti sembravano ore, e aveva avuto reazioni quasi emotive con chiunque avesse tentato di avvicinarlo.
Alla fine vide il medico spuntare dalla porta della sala di attesa dove si era rifugiato.
“Sta bene. Tutto bene. Non ho neppure dovuto intubarlo. Domani mattina sarà come nuovo”
Spock sentì la medesima sensazione di sollievo estremo che aveva provato quando Jim si era svegliato dopo la trasfusione con il sangue di Khan.
“Dottore, intendo scusarmi con lei. Ho fallito in un compito di primaria importanza. Sono stato stolto. A questo punto credo davvero che dovrei lasciare a lei la cura esclusiva di Jimmy. Lei è più adatto da ogni punto di vista…”
Spock era un fiume in piena.
“Hai finito di fare la regina del dramma?” lo interruppe il medico.
Spock lo fissò sconcertato.
“Siediti” lo esortò McCoy.
“Quando mia figlia Johanna aveva due anni, sua madre un giorno me la lasciò mentre io stavo facendo delle ricerche nel mio studio. Dormiva tranquilla nel suo passeggino e quindi ad un certo punto mi alzai per andare a farmi un caffè. Ero proprio nella stanza accanto, ci avrò messo sì e no cinque minuti. Ma quando sono tornato ho trovato Johanna quasi incosciente sul pavimento, con il respiro bloccato. Si era svegliata ed aveva iniziato a rovistare sul tavolino medico. Ed aveva ingoiato il tappo di un hypospray. Se fossi arrivato due minuti più tardi…”
Spock era rimasto immobile ad ascoltarlo.
“Sai, per quanto noi genitori ci sforziamo, per quanto possiamo stare attenti e cercare di proteggerli da tutto e da tutti, gli incidenti per i bambini sono quasi inevitabili. E non significa che siamo cattivi genitori. Jim è allergico ad un mucchio di cose, ma neppure io sapevo della zuppa plomeek, probabilmente non l’aveva mai assaggiata prima. E non si può sapere se si è allergici a qualcosa sino a che non ci si viene a contatto”
Spock si rilassò impercettibilmente.
“Insomma, non è colpa tua. Mi costa doverlo ammettere, ma sei bravo con lui”
Il vulcaniano lo guardò con aria stoica.
“Il compito è reso più agevole dalla sua condivisione con lei, dottore. La sua cura nei confronti di Jimmy è esemplare”
“Bah, folletto, sono quasi sei anni che sto dietro a quel ragazzo. Da adulto dà molti più problemi, credimi. Ora sta dormendo, ma se vuoi puoi stare un po’ con lui” sorrise McCoy, indicando la porta dell’infermeria.

Spock si era seduto, immobile e silenzioso.
Un mare di pensieri invadevano la sua mente; aveva tentato la meditazione, ma si sentiva come se tutti gli scudi mentali, quelli che aveva per anni imparato ad erigere intorno alla sua mente per proteggerla dalle emozioni, si fossero sgretolati alla vista del bambino biondo che dormiva sul bioletto.
Incapace di allontanarsi dal letto del piccolo, aveva chiesto la sostituzione per il suo turno e si era dedicato alla lettura dei rapporti sul suo PADD.
McCoy era passato un paio di volte, limitandosi ad un controllo, senza dire nulla, né cercare di allontanarlo.
Il sonno di Jimmy fu tranquillo per un paio d’ore.
Poi lamenti costanti ed una agitazione quasi frenetica iniziarono ad attirare la preoccupazione di Spock.
“No… lasciami stare non mi picchiare, non ho fatto nulla!” balbettò il piccolo, agitandosi sotto la coperta
Stava avendo chiaramente un incubo.
“No Frank ti prego… non lo faccio più giuro… non lo faccio più” continuò il bambino, sempre più sudato ed agitato.
“Non volevo… ti prego, la maestra ci ha dato un compito e non ho potuto ancora pulire casa… lo faccio ora… no no no” ora il bambino singhiozzava.
Spock era bloccato dalla preoccupazione.
“Jimmy… svegliati… svegliati è solo un incubo” provò toccandolo leggermente.
Il semplice tocco fu sufficiente a far destare il bambino con un urlo soffocato.
Occhi azzurri terrorizzati e pieni di lacrime lo guardarono sgomenti, mentre il corpo si raggomitolava contro la testata.
“Era solo un sogno… non ti preoccupare. Niente qui ti farà del male…”
Il bambino piangeva disperato senza rispondere.
“Chiamo il dottor McCoy” fece Spock quasi terrorizzato.
“No, non mi lasciare!”
In un attimo Spock si ritrovò con il bambino disperato avvinghiato come una scimmietta.


I vulcaniani sono telepati al tatto. Per questo chiunque aveva a che fare con loro imparava ben presto a non toccarli senza il loro permesso.
Anche Uhura aveva imparato che, prima di abbracciarlo o baciarlo, doveva sempre far capire a Spock che stava per farlo.
Ogni vulcaniano imparava comunque, sin dalla prima infanzia, a dominare le proprie emozioni ed erigere scudi per non essere influenzati da quelle delle specie con cui venivano a contatto.
Ma l’ondata di emozioni che si abbatté su Spock appena Jimmy lo abbracciò e si avvinghiò a lui fu come uno tsunami.
Paura, incredulità e soprattutto solitudine, un senso di solitudine immensa ed ingiusta per un piccolo di cinque anni.
E terrore.
In un attimo i ricordi di Jimmy piombarono su Spock: Frank che gli urlava contro, che gli lanciava addosso bottiglie di birra, che lo derideva. E poi gli schiaffi, i pugni, la caduta per le scale dopo essere stato spinto.
Spock, ansimando, si fece forza e cercò di ricostruire gli scudi mentali per non essere totalmente sopraffatto.
“Calma Jimmy, calma. Frank non c’è qui. Non lo vedrai mai più. Non ti farà mai più male. Io non permetterò che ti faccia del male mai più”
Ripeté le stesse parole più e più volte, come un mantra, carezzando il bambino sulla schiena, sino a che i singhiozzi del bambino contro la sua spalla si calmarono lentamente.
Piano piano il respiro di Jimmy si regolarizzò, sino a che Spock non lo sentì rilassarsi di nuovo e cadere in un sonno agitato.
Indeciso sul da farsi, si sedette di nuovo, cullando Jimmy fra le braccia, dopo aver preso dal letto la coperta per avvolgerlo.
“Cosa è successo?” chiese con preoccupazione McCoy entrando e guardando la scena.
“Ha avuto un incubo. Uno spaventoso a giudicare dalle reazioni” rispose Spock senza smettere di cullare il bambino.
McCoy sospirò.
“Su Frank?” chiese alla fine.
Spock si limitò ad annuire.
“Dannazione, erano giorni che non li aveva” imprecò il medico, mentre faceva scorrere il tricorder sul bambino.
“Sta bene, sta dormendo. Non voglio dargli un sedativo, quindi cerchiamo di non svegliarlo”
“Dottore, dalle sue parole deduco che Jimmy ha spesso di questi terrori notturni” chiese Spock, parlando a voce bassissima.
“Li aveva anche Jim adulto. Ho condiviso una stanza con lui per tre anni, lo so bene” rispose triste il medico, spegnendo il tricorder.
I due rimasero in silenzio per un po’.
Jimmy si accomodò fra le braccia di Spock, strofinando il viso nell’uniforme, che si macchiò di muco e lacrime.
Ma Spock non ci fece caso; stava ancora cercando di dominare le emozioni trasmesse dal bambino poco prima e di fare i conti con una nuova che si stava impadronendo di lui: la rabbia totalizzante.
“Dottore, questo Frank, dov’è ora?” chiese con un sibilo.
McCoy alzò gli occhi su di lui. Aveva visto quello sguardo in Spock sono quando si era lanciato all’inseguimento di Khan, intenzionato ad ucciderlo nel modo più doloroso possibile.
“E’ in prigione, te l’ho detto” rispose.
“Sì ma dove? E quando uscirà?” chiese ancora Spock con voce gelida.
“Spock, no, lascia stare. Jim non vorrebbe… è acqua passata e Jimmy non lo incrocerà mai più”
“Come si può deliberatamente infliggere tanta sofferenza ad una creatura indifesa?” chiese Spock
“Non lo so, Spock, proprio non lo so”
Ed in quel momento McCoy si augurò che davvero Frank non incrociasse mai la sua strada con Spock, perché era certo che il vulcaniano non avrebbe esitato un attimo ad ucciderlo.

“Sta bene, puoi metterlo giù ora” disse il medico sorridendo.
Era quasi un’ora che Spock cullava il bambino avanti ed indietro.
“Ho calcolato che c’è il 50% delle possibilità che Jimmy si svegli, se lo rimetto a letto” fece Spock.
Il vulcaniano aveva recuperato la sua maschera stoica, ma non si staccava dal piccolo.
“Ok, fingerò di non aver capito che vuoi coccolarlo ancora. Quando sei pronto rimettilo giù” McCoy sorrise di nuovo.
“Anzi, facciamo così. Non deve necessariamente stare in infermeria. Quindi per stanotte potresti portarlo nella tua cabina a dormire. Basta che abbassi un po’ la temperatura per non farlo sudare”
“Mi sembra una soluzione soddisfacente” annuì Spock.
“Bene allora... buonanotte. Io passo domattina. Se ci sono problemi chiama. Ah… gli piace sentir cantare mentre si addormenta”
McCoy baciò sulla fronte Jimmy, che si agitò nelle braccia di Spock senza svegliarsi.
“Buonanotte dottore”
E mentre Spock si avviava nel corridoio, McCoy era certo di sentire una canzone vulcaniana quasi sussurrata, come una ninna nanna.


Rieccomi... scusate l'attesa periodo un po' complicato.
Grazie a tutti per l'attenzione con cui seguite la storia.

 

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Capitolo 12
*** Triboli ***


IL DONO

Capitolo 12
Triboli


In meno di due giorni l’incidente della zuppa plomeek era dimenticato.
Almeno per Jimmy, perché la vicenda aveva lasciato per Spock e per McCoy strascichi positivi e negativi.
Positivo era il nuovo clima instauratosi fra i due: certo McCoy non aveva perso l’abitudine di stuzzicare e punzecchiare il vulcaniano in ogni occasione possibile, ma i toni erano tornati bonari e quasi affettuosi.
Negativa, soprattutto per il povero Jimmy, era l’iperprotettività che si era impadronita dei due. Il bambino aveva gli occhi del vulcaniano e del medico addosso, qualsiasi cosa facesse e dovunque andasse.
Ogni cosa pericolosa gli era inibita ed ogni momento della sua giornata era strettamente sorvegliato.
Il piccolo, essendo comunque Jim Kirk ed avendo anche perso i timori iniziali, aveva ben presto mostrato veri e propri segni di ribellione all’autorità.
La tempesta era in arrivo e non si fece attendere.

“Dov’è Jimmy?” chiese McCoy con aria accusatoria, entrando in plancia.
“E’ sceso mezz’ora fa da lei in infermeria” lo informò Spock.
“Da me non è mai arrivato” rispose McCoy preoccupato.
“Forse si è fermato da Sulu ad aiutarlo con la serra idroponica” intervenne Uhura.
“No, sono appena salito da lì e non c’era” fece Chekov sbarrando gli occhi.
“Computer, posizione del capitano Kirk” chiese Spock, ben sapendo che i parametri biologici del piccolo Jimmy erano rimasti identici a quelli del capitano.
“Il capitano Kirk è posizionato nei tubi di Jefferies sezione ingegneria ponte 3” rispose la voce metallica.
McCoy sbiancò.
“Non può essere lì” balbettò.

“Keenser dice di averlo visto nella sezione dei tubi sopra il settore 2, ma è non è riuscito a bloccarlo. Il ragazzino è maledettamente veloce” li informò Scotty, entrando trafelato in plancia.
Il piccolo alieno era l’unico che poteva girare velocemente e tranquillamente nelle sezioni trasversali dei tubi che attraversavano qualsiasi parte della nave.
“Maledizione. E’ allergico… chissà che cosa si becca con tutta quella polvere lassù” imprecò McCoy, precipitandosi con Spock nel turboascensore.
“E’ successo qualcosa?” chiese, mentre l’ascensore scendeva verso il reparto ingegneria.
“Ho solo informato Jimmy che non poteva scendere con noi su Gemini. In effetti era contrariato per il divieto” rispose Spock.
L’Enterprise avrebbe fatto, entro un paio di giorni, tappa sul pianeta commerciale per recuperare alcuni vaccini.
“E’ solo un bambino bloccato su di un barattolo di latta da quattro mesi. Avrebbe bisogno di aria fresca” disse McCoy uscendo dal turboascensore.
“Non devo ricordarle che Gemini è un porto franco frequentato non solo dalla popolazione dei pianeti membri della Federazione, ma anche da Klingon e Romulani, tra gli altri. Sino ad ora siamo riusciti a tenere segreta la condizione del capitano Kirk, ma portarlo sul pianeta lo esporrebbe a pericoli non preventivabili”
“Lo so, ma è solo un bambino. Qui non ha nessuno della sua età… vive in un mondo di adulti in uno spazio ristretto…” continuò il medico, camminando nel corridoio.
“Dottore, il capitano Kirk ha moltissimi nemici. E la cosa non è cambiata con la sua regressione. Anzi la sua vulnerabilità al momento è accentuata”
“Ok Spock, ma…” la voce di McCoy era triste.
Ora più che mai si rendeva conto che una nave stellare non era posto dove crescere un bambino, meno che mai Jim Kirk. E che, se la situazione non cambiava, fra poco avrebbero dovuto prendere decisioni dolorose.
“Jimmy coraggio vieni giù” urlò ad alta voce McCoy appena entrato nella sezione ingegneria.
Tutti stavano con lo sguardo in su, mentre nei tubi si sentiva uno scalpiccio veloce.
“James Tiberius Kirk ti ho detto di venire immediatamente giù!” urlò di nuovo McCoy con la sua aria più autoritaria.
“Ho chiuso la sezione, non può uscire dal reparto, ma si muove in fretta” informò Scotty.
“Non farmelo ripetere!” scandì McCoy.
“NO!!” gridò a sua volta una voce infantile sopra le loro teste.
“Sto iniziando davvero a perdere la pazienza”
“Jimmy, la tua permanenza nei tubi di Jefferies è scomoda e pericolosa per la tua salute, e non ti porterà ad ottenere quello che vuoi” chiosò Spock, faccia imperturbabile come al solito.
“Non scendo sino a che non mi promettete di portarmi con voi su Gemini. Voglio uscire dalla nave e vedere altre persone…” disse la voce sopra le loro teste, seguita subito dopo da uno starnuto.
“Coraggio, vai sopra a prenderlo” disse Scotty a Keenser, ma il piccolo alieno lucertola si strinse nelle spalle con aria dispiaciuta.
“Non servi a niente” borbottò l’ingegnere.
“Ti ho già spiegato che scendere su Gemini ti esporrebbe a pericoli” disse Spock a voce alta.
“Non mi importa. Voglio uscire dalla nave!!” urlò Jimmy, con voce leggermente affannata, seguita subito dopo da vari colpi di tosse.
“Maledizione… sta avendo una reazione allergica” sibilò McCoy.
“Jimmy ti fa male la gola?” chiese preoccupato.
“Sì, un po’, ma non scendo” urlò il ragazzino ansimando.
“Maledizione Spock, dobbiamo farlo uscire di lì subito” ora McCoy stava entrando nel panico.
“James la tua ostinazione è completamente illogica” chiosò Spock.
“Non scendo. Lo so che fra un po’ mi riporterete sulla Terra e rimarrò bloccato lì. Voglio vedere altre specie, voglio vedere Gemini!!”
Ora la voce del bambino era quasi un rantolo.
“Se sviene lì dentro…” balbettò McCoy pallidissimo.
“Se assicuriamo la sua incolumità stando con lui senza lasciarlo mai, forse la percentuale di rischio è accettabile” ragionò Spock.
“Posso scendere con voi e tre o quattro dei miei uomini, dovrebbe essere sufficiente” propose Hendorff ‘Cupcake’ che stava assistendo alla scena.
Spock prese la sua decisione dopo aver scambiato uno sguardo di intesa con il medico.
“Va bene, potrai scendere con noi” consentì alla fine.
“Promesso?”
“Ti do la mia assicurazione”
Meno di un minuto dopo un impolverato Jimmy piombò giù dalla scaletta.
McCoy si precipitò con il suo tricorder, pronto all’emergenza.
“Brutto furfante imbroglione” fece furibondo, guardando le scansioni.
“Hai imbrogliato… non stavi male!!” sibilò.
Il bambino gli rivolse lo stesso identico sorriso che Jim Kirk aveva dopo aver manipolato il test della Kobayasci Maru.
“Sì. Ma avete promesso, ricorda” ammise candidamente.
“Tu… tu… non credere di passarla liscia. Anche se scenderai con noi su Gemini sei in punizione” scandì McCoy rosso dalla rabbia.
“Sei di servizio in lavanderia per due settimane. Aiuterai lì per tutto il tempo che avresti dovuto dedicare al gioco. Ci siamo capiti?”
“Sì” fece il bambino senza battere ciglio.
“Niente holovideo per due settimane, anzi tre” continuò il medico.
“Ok” rispose di nuovo Jimmy senza mostrare la minima contrarietà.
“E ora fila nel nostro alloggio a lavarti. E rimani lì senza muoverti sino a cena. Anzi, andrai a letto senza cena” intimò McCoy.
Jimmy si allontanò verso il turboascensore, non senza aver rivolto a Spock e al medico un sorriso luminoso.
“Spock… ci siamo fatti manipolare da un bambino di cinque anni?” chiese il medico.
“Direi proprio di sì, dottore”

Il mercato della capitale di Gemini era affollatissimo e coloratissimo.
Jimmy si guardava intorno con occhi spalancati dalla meraviglia e McCoy sorrise: anche a cinque anni Jim non era diverso da quello che conosceva: curioso, aperto e desideroso di avventura.
“Non ti allontanare, conosci i patti” disse McCoy, mentre lo lasciava con Hendorff ‘Cupcake’ e gli altri membri della squadra di sicurezza per andare a controllare i vaccini con Spock.
“Non lo perdete mai di vista, per chiunque lo chieda lui è il figlio di un membro dell’equipaggio. Capito?” fece poi il medico al capo della sicurezza.
“Non si preoccupi dottore, prima di avvicinarlo dovranno passare sul mio cadavere” grugnì l’uomo mentre con gli altri faceva quadrato attorno al bambino.
Ancora una volta McCoy sorrise: non riusciva a credere al cambiamento di atteggiamento del capo della sicurezza. I suoi rapporti con Jim adulto non erano idilliaci, ma con Jimmy sembrava un fedele cane da guardia, pronto ad attaccare chiunque anche solo respirasse vicino al piccolo.
Il gruppetto riprese a girare fra i vari banchi del mercato.

“Vieni piccolo umano, guarda cosa ho qui per te” disse una vecchia donna mostrando al bambino che passava una piccola palla di pelo.
“Un tribolo… non ne ho mai visto uno dal vivo” fece Jimmy con occhi spalancati.
Mentre si avvicinava Cupcake scattò.
“No Jimmy, non toccarlo, e tu vecchia vai via” fece scortese.
“E’ solo un tribolo, cosa vuoi che gli faccia?” chiese la donna risentita.
“Ti prego Cupcake voglio solo carezzarlo”
A malincuore l’uomo cedette.
Appena sfiorato, il tribolo emise un trillo di gioia.
Jimmy sorrise estasiato.
“Gli stai simpatico. Te lo regalo” disse la donna.
Jimmy quasi urlò di gioia.
“No no, non se ne parla. Queste cose si riproducono alla velocità della luce” scandì Cupcake.
“Ti prego!! Non ho nessuno con cui giocare tranne gli adulti” singhiozzò Jimmy
“Basta non dargli da mangiare, sino a che non trovate qualcuno che lo sterilizzi” fece la donna con aria convincente.
“Beh in effetti il dottore può farlo facilmente. Io ne ho avuto uno sino a qualche mese fa, poi poverino è morto” intervenne Lisa Wells, uno dei membri della squadra di sicurezza.
“Gli animali non sono bene accetti sulle navi” si oppose Cupcake.
“Ti prego… è piccolo, non dà fastidio” singhiozzò di nuovo Jimmy.
“Io ho avuto il permesso dal capitano” intervenne di nuovo Lisa.
Cupcake si trovò sotto il fuoco incrociato.
“Ok, per ora puoi tenerlo. Ma se il capitano Spock dice che deve essere rimandato indietro, lo farai. E non dargli da mangiare sino a che non è sterilizzato, altrimenti ci troviamo invasi dai triboli. Intesi?”
Jimmy annuì entusiasta.
“Grazie” disse all’anziana signora, mentre metteva la piccola palla di pelo nella borsa che portava a tracolla.

Il gruppetto riprese l’esplorazione del mercato, non accorgendosi che diverse paia di occhi scuri stavano osservando le loro mosse.





Per i pochi che non sanno cosa sono i triboli
http://it.memory-alpha.wikia.com/wiki/Tribolo

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Capitolo 13
*** Rapimento ***


IL DONO

Capitolo 13
Rapimento

Moklor era il comandante della IKS Pagg da quasi cinque anni.
All’età di trentacinque anni era il più giovane comandante della Flotta Klingon.
Avrebbe dovuto essere un guerriero Klingon nel pieno della sua forza, ma guardandosi allo specchio ora vedeva il volto e il corpo di un vecchio di almeno 120 anni.
Era iniziato tutto lentamente: si stancava di più, la vista che si era leggermente offuscata, i capelli che si imbiancavano e cadevano.
I pochi medici che aveva consultato non avevano trovato una ragione del suo malessere sino a che uno di loro, che aveva studiato su Alpha Triaguli con gli umani, non aveva scovato nel suo sangue il virus: era simile alla “progeria” che colpiva gli umani e provocava l’invecchiamento precoce delle cellule, ma, al contrario della malattia umana, non era curabile.
Del resto la società klingon non era propensa alla medicina; il destino di un guerriero era quello di morire con onore, non di malattia.
I sintomi si era moltiplicati e Moklor aveva preso la sua decisione. 
Sarebbe rimasto sulla Pagg sino a che le forze fisiche e la volontà lo permettevano: poi avrebbe adempiuto al Hegh'bat e sarebbe morto come si conviene ad un guerriero, sperando di raggiungere lo sto’vo’kor.
I suoi unici crucci erano la sua donna e la sorte del suo casato.
Kalitta, che era anche il primo ufficiale della Pagg, non gli aveva ancora dato figli maschi: alla sua morte la responsabilità del casato sarebbe passata a suo fratello, che si era anche impegnato a prendere in sposa la donna.
Ma ogni volta che ci pensava, Moklor provava rabbia contro il suo stesso sangue.

“Comandante… credo proprio sia lui” disse il suo terzo in comando, entrando sulla plancia.
Due giorni prima erano entrati nell’orbita di Gemini, alla ricerca di un buon accordo commerciale per l’acquisto di armi.
“Un bambino umano di cinque o sei anni? Non essere ridicolo” sbottò in risposta Maklor.
“Invece credo sia lui. Lo chiamano Jimmy, i suoi capelli sono gialli e gli occhi azzurri. Ho anche sentito uno di loro che l’ha chiamato capitano”
“Come può James Kirk essersi trasformato in un bambino di cinque anni, hai perso la ragione?” ringhiò Moklor sempre più irato.
Il suo equipaggio voleva ad ogni costo aiutarlo.
“Dovresti dare ascolto a Karagg. Sai cosa si dice di Kirk” sussurrò sua moglie che gli stava accanto.
“Che è tornato dalla morte? Fandonie, costruite ad arte dai vigliacchi della Federazione”
“Invece dicono che è vero. Con il sangue del superpotenziato è tornato alla vita. Forse è questo quello che lo ha fatto ringiovanire” intervenne Karagg.
“E se così è il sangue di Kirk può aiutare te, marito mio”
Moklor rimase in silenzio ragionando.
Certo le speranze che davvero quel bambino umano fosse Kirk e che davvero il suo sangue potesse salvarlo dalla morte erano minime.
Ma se davvero era Jim Kirk, la sua cattura sarebbe stata comunque una grande vittoria e sicuramente avrebbe raggiunto lo sto’ko’vor dopo la morte.
“Va bene. Prendetelo” ordinò.

“No no, non se ne parla neppure. Non possiamo tenere un tribolo sull’Enterprise” sbottò McCoy alla vista della palla di pelo che Jimmy gli mostrava entusiasta.
“E’ piccolo. E poi lo puoi sterilizzare come quello del tenente Wells. Ti prego…” 
“Gli animali sulle navi non sono bene accetti. Anche se il codice di comportamento non li vieta espressamente, la loro permanenza può creare problemi” aggiunse Spock
“Tanto non resterò a lungo sull’Enterprise” fece Jimmy con gli occhi tristi.
I due ufficiali rimasero in silenzio.
“Dottore, in fondo l’animale è piccolo. E lei può provvedere alla sua sterilizzazione appena tornati a bordo. Sono certo che Jimmy saprà accudirlo in modo che non crei problemi”
Il piccolo annuì entusiasta.
“E va bene…” consentì McCoy.
Jimmy saltò dalla gioia, prima di rimettere l’animaletto nella sua borsa e tornare verso Cupcake.
“Spock, lo sai, vero, che ci tiene in pugno?”
“Dottore, non credo che nella sua condizione attuale Jimmy sia in grado di tenere nella propria mano qualcun altro” chiosò Spock.
“Smettila Spock, hai capito benissimo quello che volevo dire”
“Dottore, se intende dire che Jimmy presenta una notevole capacità persuasiva, posso farle osservare che tale dote era precipua del capitano, anche prima della sua regressione, e che lei per primo è influenzato da questa sua caratteristica”
“Certo Spock, certo” ridacchiò il medico.

“Siamo pronti a risalire a bordo, signor Scott” comunicò Spock mentre tutti si mettevano in posizione.
Proprio in quel momento si levarono dalla folla nel mercato grida di spavento.
“Qualcuno mi aiuti, mia moglie… l’hanno accoltellata!” urlò una voce maschile, mentre tutti scappavano in ogni direzione.
“Stand by, signor Scott” ordinò Spock.
McCoy si era già precipitato verso l’uomo, che stava inginocchiato accanto ad una donna in evidente stato di gravidanza.
“Signor Hendorff, lei ed il tenente Wells restate con il bambino. Gli altri con me”
“Maledizione, il colpo le ha perforato il fegato” sbottò McCoy mentre la scansionava con il suo tricorder.
“Ha visto chi è stato?” chiese Spock al marito, che tremava come una foglia, guardandosi le mani insanguinate.
“E’ stata una donna klingon. Era vicino mia moglie e all’improvviso senza nessuna ragione…” balbettò.
“Klingon?” riuscì a chiedere McCoy subito prima che si scatenasse l’inferno.

Tutto fu molto veloce.
McCoy fece appena in tempo ad udire l’urlo terrorizzato di Lisa Wells, prima che cadesse a terra per un colpo del phaser impugnato da una donna klingon.
Subito dopo, nella confusione generale, vide Hendorff che tentava di fare scudo con il proprio corpo a Jimmy, ma un secondo dopo anche lui era a terra esamine.
“BONES” urlò Jimmy guardandolo terrorizzato, mentre un Klingon lo sollevava come un fuscello.
“NO!!!” gridò il medico con tutte le sue forze, tentando di raggiungerlo.
Spock impugnava il phaser, come gli altri; ma erano bloccati, non potendo sparare senza rischiare di colpire il bambino.
“Spock fai qualcosa!!” urlò McCoy, ma il vortice del teletrasporto fece sparire i tre Klingon e Jimmy in pochi secondi.

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Capitolo 14
*** Jimmy Kirk si nasce, non si diventa ***


IL DONO

Capitolo 14
Jimmy Kirk si nasce, non si diventa


Leonard McCoy si guardò allo specchio.
Sentiva che le sue difese erano sul punto di cedere da un momento all’altro.
Solo la sua forza di volontà e la sua coscienza di medico l’avevano indotto a restare lucido, ad operare e salvare la donna incinta accoltellata, e a curare Hendorff.
E solo la costituzione fisica eccezionale del capo della sicurezza l’aveva salvato dalle conseguenze mortali del colpo sparato a così breve distanza, anche se la ripresa sarebbe stata lunga.
Lisa Wells invece era morta pochi minuti dopo il trasporto sull’Enterprise.
McCoy si passò una mano nei capelli disordinati e si buttò un po’ d’acqua gelata sul viso.
Erano passate cinque ore ormai.
Cinque ore da quando i klingon della Pagg avevano rapito il suo migliore amico e fatto perdere rapidamente le loro tracce.
Cinque ore in mano alla razza più feroce conosciuta nell’universo.
Un bambino di cinque anni, quanto tempo poteva resistere? Forse era già morto.
E cosa potevano volere da lui? 
Se i klingon avevano saputo che quel piccolo era il loro più acerrimo nemico, James Tiberius Kirk, allora Jimmy era morto pochi minuti dopo essere stato trasportato sulla nave.
Scacciando il pensiero orribile dalla mente si preparò all’azione.
Non poteva lasciare che quei bastardi uccidessero il suo migliore amico, proprio ora, nel momento della sua maggiore vulnerabilità.

“Sarà mia cura informarla appena ho notizie, ammiraglio”
McCoy entrò sulla plancia subito prima che la comunicazione con Archer si concludesse.
Fece appena a tempo a vedere sul grande schermo la faccia preoccupata dell’uomo.
“Spero che la Flotta non ci metta i bastoni fra le ruote” ringhiò il medico mentre si avvicinava a Spock, seduto sulla poltrona di comando.
“La cosa sarebbe comunque irrilevante” fu la risposta atona, anche se tutto in Spock lasciava trasparire rabbia.
Il volto era immobile, ma gli occhi erano colmi di emozioni a stento controllate.
“Signor Chekov, novità sulle tracce del dispositivo di occultamento dello sparviero klingon?”
“No signore, ma ci sto lavorando” fu la risposta dura del giovane guardiamarina, mentre le sue mani volavano sulla consolle.
Sulla plancia aleggiava un silenzio irreale, tutti apparivano concentrati sul proprio lavoro.
“Signor Sulu, faccia preparare la navetta romulana sequestrata che abbiamo in deposito” ordinò il vulcaniano.
“Sì signore”
“Vuoi avvicinarti con quella?” chiese McCoy.
“Se vedono l’Enterprise avvicinarsi ci attaccheranno. E la sicurezza di Jimmy sarebbe in pericolo”
“Se non è già morto” sussurrò McCoy con voce quasi rotta dal pianto.
“Dottore, se avessero solo voluto ucciderlo l’avrebbero fatto su Gemini. Le probabilità sono a favore della tesi che serve loro vivo” rispose il vulcaniano.
“Sì ma per cosa? E se sanno che lui è James Kirk…” balbettò McCoy.
“Dottore, l’emotività non aiuta. Dobbiamo recuperare il capitano… Jimmy, e le assicuro che non c’è posto in questo universo dove non li inseguiremo. Non ci fermeremo sino a che non avremo ottenuto il nostro scopo”
Tutto l’equipaggio sul ponte di comando annuì silenzioso prima di riprendere il lavoro.


“Mangia!” ordinò il klingon, mentre poggiava il vassoio sul tavolo di fronte al bambino.
La cella era davvero piccolissima, ma nonostante ciò Jimmy sembrava minuscolo e sperso nella stanza.
Sembrava, perché quello che i Klingon non sapevano è che Jimmy Kirk si nasce, non si diventa.
E Jimmy Kirk aveva imparato ben presto, fronteggiando il patrigno violento, che se qualcuno ti vuol fare del male è peggio mostrare paura. Devi cercare di essere coraggioso e affrontare il pericolo.

“Mangia” ordinò di nuovo il klingon.
“Questa roba puzza. In realtà anche tu puzzi, dovresti farti una doccia” proclamò il bambino arricciando il naso.
“Piccolo umano insolente, ora ti faccio vedere io!” fece il klingon avvicinandosi minaccioso.
“Karagg, lascia stare, deve arrivare integro su Kronos se vogliamo ottenere il nostro scopo” intervenne la donna che stava aspettando al di fuori della cella.
L’uomo uscì dalla cella dopo aver rivolto a Jimmy uno sguardo disgustato.
Dopo di che i due attivarono il campo di forza e si allontanarono nel corridoio, borbottando fra loro.
Jimmy ridacchiò fra sé e sé.
Nonostante tutto i Klingon erano dei dilettanti.
Non lo avevano neppure perquisito quando lo avevano gettato in cella.
E nella sua borsa c’era un tribolo.
I triboli odiano i klingon.
E i klingon hanno disgusto dei triboli.
Quello scemo gli aveva appena portato del cibo.
Dilettanti.

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Capitolo 15
*** Divide et impera ***


IL DONO

Capitolo 15
Divide et impera

“Ho una traccia capitano” annunciò Chekov.
Spock studiò immediatamente i dati che il giovane russo gli aveva inviato sul PADD.
“Sono diretti su Kronos” disse serio.
Sulla plancia calò il gelo.
L’Enterprise non poteva entrare nello spazio klingon: avrebbe causato di certo una guerra fra le due potenze.
“Signor Chekov, imposti la rotta per Kronos. Ci fermeremo prima della frontiera con lo spazio klingon. Da lì proseguirò con la navetta”
“Sì signore”
“Io vengo con te” disse con aria sicura McCoy.
“Dottore, è estremamente pericoloso. Dovremo avvicinarci alla Pagg con una navetta priva di reali difese e sperare che ci facciano salire a bordo. Non sappiamo cosa può accadere…”
“Non mi importa. Io vengo con te” replicò il medico.
“Dottore, posso parlarle un attimo in privato?” chiese Spock serio.

I due si rinchiusero in sala tattica.
“Non cercare di dissuadermi, Spock: anche se me lo ordini, io non resto qui. Vengo con te!” quasi urlò McCoy.
“Dottore, la invito a considerare in modo logico le circostanze. Noi due siamo gli unici 'parenti' di Jimmy. Se ad entrambi succede qualcosa…”
McCoy si bloccò… non aveva per nulla pensato a questo.
“Sì, ma io non resto qui ad aspettare buono buono che me lo riporti. E certo non tornerà senza di te…”
“La missione è pericolosa. Preferirei sapere che, se mi dovesse succedere qualcosa, lei continuerà a cercare Jimmy”
“Se 'ci' dovesse succedere qualcosa, questo equipaggio non smetterà mai di cercare il suo capitano. E sono sicuro che non lo lasceranno mai solo”
“Dottore, la logica impone…”
“Basta Spock. Nulla in questa situazione è logico. Andremo insieme” lo interruppe McCoy con tono deciso.
A Spock non restò che annuire.


Una settimana dopo nell’hangar navette dell’Enterprise tutto era pronto.
Uhura si avvicinò a Spock e lo tirò in disparte.
“Promettimi che starai attento” gli disse, abbracciandolo lontano da occhi indiscreti.
“Nyota, dubito che una promessa possa acuire i miei sensi e farmi stare più attento” rispose il vulcaniano.
“Spock… sai cosa voglio dire…”
Il vulcaniano la guardò negli occhi per alcuni secondi.
“Nyota… mi trovo costretto a chiedere quello che voi umani chiamate un favore. Se dovesse succederci qualcosa, se il dottor McCoy ed io non dovessimo tornare…”
“Non accadrà” lo interruppe la donna.
“Le probabilità di successo di questa missione non sono alte”
“Non accadrà. Tornerete con Jimmy”
“Sì ma se dovesse succedere…”
“Credevo che i vulcaniani trovassero illogico ipotizzare scenari non ancora verificatisi”
“Nyota…”
“Sì lo so Spock. Non succederà, ma se dovesse… troveremo Jimmy a qualsiasi costo e ci prenderemo cura di lui” lo anticipò la giovane.
Spock pensò ancora una volta alle grandi doti empatiche della sua donna.
“Tornerò, ashayam, te lo prometto.” disse, del tutto illogicamente, mentre l’abbracciava.


“Siamo appena entrati nello spazio klingon, comandante” annunciò Karagg.
Moklor si agitò sulla sedia.
Stavano per arrivare su Kronos con un bambino che si supponeva fosse il mitico James Tiberius Kirk, regredito all’età infantile, nell’assurda e lontana speranza che il suo sangue potesse guarirlo dalla malattia.
Per tutti quei giorni Moklor aveva pensato che la situazione era ben poco onorevole per un guerriero klingon, ma ormai riusciva a negare ben poche cose alla sua compagna e, soprattutto, il pensiero che le sorti del suo casato e di sua moglie finissero nella mani incapaci del fratello lo faceva impazzire.
“Porta qui il bambino” ordinò.
“Moklor, non è saggio. Sai bene che il giovane umano non avrà vita lunga su Kronos e non vedo ragione nel conoscerlo…” intervenne sottovoce Kalitta al suo fianco.
“Taci donna. Se ho il coraggio di servirmi del bambino umano per salvarmi la vita, devo anche avere il coraggio di guardarlo negli occhi”



Jimmy era davvero annoiato.
Da una settimana non aveva avuto altro da fare se non dare da mangiare ai triboli da lui nascosti nelle condutture sopra la cella.
La maggior parte era nel condotto sopra di lui, ma ne aveva anche conservato alcuni nella sua borsa, sempre aspettando l’occasione giusta per posizionarli, con il cibo, in qualche altro condotto della nave… e poi farli uscire al momento giusto, ovvero quando il signor Spock e Bones fossero arrivati.
Perché Jimmy non sapeva bene spiegarsene la ragione, ma era certo che sarebbero venuti a prenderlo. Assolutamente certo.
Si vergognava in po’, ma ora non pensava sempre a Sam come nei mesi passati.
Certo, gli mancava, e gli mancava nonna Rose, ma con Bones, il signor Spock e tutti gli altri si sentiva al sicuro: era come avere una grande famiglia, una famiglia molto grande e molto strana.
“Alzati. Il comandante vuole vederti” urlò il klingon che Jimmy aveva individuato come Karagg, posizionandosi all’ingresso della cella.
In meno di una settimana Jimmy aveva identificato quasi tutto l’equipaggio della nave klingon e aveva concluso che Karagg, nonostante il suo aspetto ed il fatto che volesse sembrare feroce, era in realtà abbastanza stupido.
In primo luogo, non lo aveva perquisito quando lo aveva buttato in cella.
Quando giocavano a poliziotto e ladro, Sam il poliziotto perquisiva sempre Jimmy il ladro prima di sbatterlo in cella.
In secondo luogo tutti i klingon dovevano essere anche un po’ sordi, perché in tutti quei giorni Karagg non si era neppure accorto, quando gli portava da mangiare, dello scalpiccio sopra le loro teste.
Jimmy aveva piazzato il primo tribolo nel condotto di areazione: era bastato un boccone di cibo ed il tribolo si era sdoppiato. Poi da due erano diventati quattro, otto, sedici e così via, quasi come la sequenza di Fibonacci che gli aveva insegnato il signor Spock.
Ora erano tantissimi e si stavano espandendo, tramite i tubi, per tutta la nave. E nessuno se n’era ancora accorto.
Uscendo obbediente dalla cella Jimmy pensò che i klingon in fondo erano tutti un po’ tonti.

Jimmy cercò di non abbassare lo sguardo e di non mostrare il tremore che aveva alle mani, quando lo portarono quasi di peso su quello che doveva essere il ponte di comando della nave.
Era molto più scuro di quello dell’Enterprise e vi regnava un silenzio quasi assoluto, rotto solo dai ‘bip’ degli strumenti di rilevazione.
Karagg scaricò Jimmy ai piedi della poltrona di comando, dove Moklor sedeva.
Il comandante scrutò per lunghi attimi il bambino senza dire nulla.
“E questo topo minuscolo sarebbe il grande Jim Kirk?”
Jimmy rimase per un attimo congelato.
Il klingon era davvero gigantesco e per niente profumato.
Ma Sam gli aveva insegnato a non mostrarsi debole, altrimenti il nemico ti schiaccia.
“Il mio equipaggio vi troverà e vi farà a pezzettini” scandì il bambino alzandosi in piedi.
Tutti i klingon presenti sul ponte scoppiarono in risate fragorose.
“Davvero?? Il ‘tuo’ equipaggio si precipiterà a salvare un piccolo roditore come te?” ridacchiò Moklor, con sguardo divertito.
“Il MIO equipaggio è fedele al suo capitano. Non come il tuo” rispose ironico Jimmy, guardando con aria di sfida Karagg e Kalitta che gli era a fianco.
La risata morì sulle labbra di Moklor, che istintivamente guardò i due alle sue spalle.
Ora… Jimmy non era sicurissimo di quello che aveva appena insinuato, ma nel corso di quella settimana aveva osservato Karagg e Kalitta, la donna klingon. Aveva sempre avuto spirito di osservazione ed era quasi certo che quei due avessero la stessa aria del signor Spock e della signorina Uhura dopo che si erano scambiati un po’ di coccole, lontano dagli sguardi degli altri.
E se Kalitta era la moglie di Moklor, questa non era una cosa bella.
“Che vuoi dire piccolo mostriciattolo?” chiese rabbioso Moklor.
“Chiedilo a loro due” fece Jimmy con un leggero sorriso.
Moklor si girò di nuovo verso la moglie.
“Non vorrai credere a questo lurido piccolo glob?” sbottò inviperita Kalitta.
“Ora ti faccio vedere io” urlò minaccioso Karagg, avvicinandosi con il pugno alzato, pronto a colpire.
Jimmy cercò di non indietreggiare, anche se stava per farsela nei pantaloni.
“Fermo!! Tu riporta questo piccolo mostriciattolo in cella” comandò Moklor ad una delle guardie.
Il klingon prese di peso Jimmy e lo trascinò nel corridoio.

Era già notte fonda quando Jimmy udì dei passi nel corridoio che portava alla sua cella.
Intontito dal sonno, si alzò dalla brandina per vedere cosa succedeva, per ritrovarsi con sorpresa Moklor davanti al campo di forza.
Era davvero gigantesco visto in piedi, ma emanava anche dignità. E sembrava molto vecchio all’apparenza, anche se gli occhi era quelli di un giovane.
“Cosa volevi dire prima?” chiese senza preamboli.
Jimmy sentiva il cuore battergli a mille, ma doveva approfittare dell’occasione.
Aveva imparato da Sam.
“Quando sei in trappola, prova a distrarre il nemico” li aveva detto, con il naso sanguinante, quella volta che Frank l’aveva scoperto a rubare dalla credenza un paio di biscotti per Jimmy.
Sam era stato bravissimo a dirottare l’attenzione del patrigno sul suo amico John che gli rubava sempre la birra dal frigo.
L’uomo aveva mollato Sam a terra, dopo il primo pugno, e si era precipitato dall’amico.
“Chiedi a loro” disse Jimmy cercando di sembrare forte e sicuro di sé, anche se non sapeva neppure bene cosa Moklor dovesse chiedere alla moglie e a Karagg.
Moklor divenne quasi violaceo.
“Maledetto cucciolo umano, menti come tutta la tua razza”
“Se sei così sicuro perché sei venuto qui?” chiese Jimmy con aria innocente.
Aveva letto da qualche parte del senso dell’onore dei klingon.
Se possibile il colorito di Moklor divenne ancor più viola scuro.
“Maledetto, ora ripeterai le tue accuse davanti a loro” urlò il klingon avvicinandosi alla tastiera, posta di lato, per disattivare il campo di forza della cella.
La barriera azzurrina davanti alla porta si dissolse e Moklor entrò nella cella, sollevando Jimmy di peso, come se fosse niente più di un pupazzo.
Mentre veniva portato via di peso Jimmy ridacchiò fra sé e sé.
Moklor non aveva riattivato il campo di forza davanti alla cella.
E lui sapeva bene che quella poteva essere l’unica occasione per approfittare della distrazione del klingon. Così aveva aperto un piccolo varco nella botola sul soffitto, lasciando in bella mostra gli avanzi della sua cena.
Ora doveva solo aspettare che i triboli facessero il loro lavoro.
Ne era sempre più convinto: i klingon erano decisamente stupidi.

“Trenta minuti all’obiettivo” annunciò Spock, al comando della piccola navicella romulana.
McCoy si agitò a disagio sulla sedia.
Con loro c’erano solo sei membri della squadra di sicurezza, fra cui il gigantesco Hendorff: non aveva voluto sentir ragioni sul fatto di non poter partecipare alla missione, nonostante le sue precarie condizioni fisiche e la sua posizione di capo reparto.
“Non mi importa capitano Spock, dopo se vuole può anche deferirmi alla corte marziale, ma io vengo con voi” aveva scandito e senza attendere altro era salito sulla navicella.

“Come intendi procedere?” chiese il medico all’imperturbabile vulcaniano.
“Il mio romulano è ancora buono ed il mio aspetto aiuta nell’inganno. Contatterò la Pagg fingendo un'avaria e chiederò assistenza” rispose calmo.
“E credi che i klingon siano disposti a farci attraccare alla loro nave?”
“Dottore, i klingon non sono immuni all'avidità. Per questo ho preso a bordo uno dei cristalli di dilitio che abbiamo di riserva. Se capiscono che abbiamo del dilitio ci consentiranno di attraccare per sottrarcelo”
“Vuoi mentire? I Vulcaniani non mentono”
“Infatti… ometterò solo dei particolari” chiosò il vulcaniano.
Tutti rimasero in silenzio per un po’, sino a che la Pagg non fu in vista.
“Nave IKS Pagg, qui la navetta commerciale Dedirex. Chiediamo assistenza” scandì Spock in perfetto romulano

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Capitolo 16
*** Arrivano i nostri? ***


IL DONO

Capitolo 16
Arrivano i nostri?

 


Kalitta si guardò allo specchio della piccola cabina.
Era ancora una donna klingon giovane e attraente, i suoi fianchi erano larghi e il suo corpo adatto alle gravidanze.
Era una guerriera coraggiosa ed esperta.
Ma la sua unione con Moklor era stata infertile, e poi da un momento all’altro si era ritrovata inspiegabilmente sposata ad un vecchio.
La vita stava lasciando il suo sposo poco a poco, privandola così anche della possibilità di una discendenza.
E lei ben presto, se non poneva rimedio alla situazione, si sarebbe ritrovata nella migliore delle ipotesi sposata al fratello di Moklor, un essere disgustoso e privo di onore. Nella peggiore da sola, senza casato né discendenza.
Anche se la sua unione con Moklor era stata combinata dalle famiglie, sino ad un certo punto aveva amato e rispettato suo marito, ma ora doveva proteggersi e pensare al suo futuro.
Per questo aveva accettato il corteggiamento di Karagg.
Il terzo in comando sulla Pagg apparteneva ad un importante casato e non aveva mai preso moglie: alla morte di Moklor avrebbe rivendicato Kalitta come sua sposa e con lei anche il casato che le apparteneva in eredità. Quell’inetto del fratello di Moklor non sarebbe stato in grado di opporsi ad un vero guerriero come Karagg.
Kalitta già si vedeva primo ufficiale accanto a Karagg, sulla Pagg o magari su una nave più grande. E nel suo ventre Karagg di certo avrebbe piantato il seme di un figlio maschio.

“Quel piccolo glob umano mi innervosisce” fece Karagg alzandosi dal letto ed avvicinandosi a Kalitta per baciarla sul collo.
“Smettila Karagg, è solo un cucciolo umano che morirà dissanguato subito dopo che avremo raggiunto Kronos” rispose la donna mentre curvava la schiena al tocco di Karagg.
“Ha occhi demoniaci… non mi fido… come faceva a sapere di noi?” chiese lui con voce tesa.
“Non sa nulla di noi; gli umani sono bravissimi ad ingannare e mentire” rispose la donna.
“Ma ha insinuato il dubbio in Moklor” 
“Moklor non sa nulla e si fida di me. Dopo tutto sono io quella che ha suggerito di prendere il bambino umano per salvargli la vita. Sono una moglie devota che farebbe di tutto per lui” fece ironica la donna.
“Anche se non servirà a nulla…” ridacchiò Karagg.
“Anche se non servirà a nulla… i medici sono stati chiari. Nulla può salvare la vita di Moklor. E avere catturato ed ucciso un cucciolo umano solo per non affrontare la morte, non è azione degna di un guerriero klingon. E di certo nessuno gli crederà quando dirà che è James Kirk. Lo prenderanno per pazzo” scandì Kalitta mentre prendeva la spazzola e iniziava a lisciare i capelli scuri.
“Credi davvero che il Consiglio mi permetterà di rivendicare il casato di Moklor?” 
“Certo. Io sono sua moglie e le sue azioni deplorevoli si ripercuoteranno anche sul fratello; non che mi preoccupi di quel misero insetto che fa il commerciante, ma stai sicuro che fra un vero guerriero, come te, e lui il Consiglio sceglierà te. Vedrai, darà senza problemi il consenso alla nostra unione”
“Avremo un grande futuro insieme, Kalitta” disse Karagg mentre riprendeva a baciarla sul collo, ma la donna lo fermò con un gesto brusco.
“Shhh. Hai sentito nulla?” chiese guardando in alto.
“No. Cosa c’è?”
“Dei rumori… come dei passi sopra le nostre teste…”
“Non ho sentito nulla. Domani farò controllare i tubi per vedere se ci sono di nuovo quei piccoli roditori infestanti che abbiamo beccato su Alpha Taurus”
“Ora devo tornare da Moklor” annunciò Kalitta alzandosi.
“Anche io devo andare, inizia il mio turno” rispose Karagg.
Aperta la porta della cabina i due rimasero come congelati.

Davanti a loro c’era Moklor: teneva per un braccio il bambino umano che scalciava selvaggiamente.

“Moklor…” balbettò Kalitta cercando di non lasciar trasparire la sorpresa.
“Moglie cara, sai spiegarmi cosa ci fai nell’alloggio del terzo in comando?” chiese il comandante con voce calma.
Jimmy aveva smesso di agitarsi e stava ad assistere alla scena senza fiatare, anche se avrebbe voluto suggerire a Moklor che era più che evidente che quei due si erano fatti le coccole sino a poco prima.
“Stavamo rivedendo i turni di servizio…” rispose la donna con voce incrinata.
“Li ho già rivisti io stamattina, e tu stessa mi hai chiesto di farlo” rispose Moklor con sguardo duro.
“Comandante, questo piccolo topo ti sta fuorviando la mente…” intervenne Karagg.
“E pensi che io sia così stupido da farmi fuorviare da un cucciolo umano? O forse c’è qualcosa di più?”
“No, ma sei malato e…” provò a giustificarsi Karagg.
“E cosa, Karagg? Non sono ancora diventato cieco!”
L’accesa conversazione fu interrotta dal trillo del comunicatore di Moklor.
“Comandante, abbiamo una richiesta di aiuto da parte di una navetta commerciale romulana. Dicono di aver bisogno di assistenza” scandì la voce metallica.
“Arrivo subito” rispose Moklor.
“Riprenderemo questa conversazione più tardi. Tu, Karagg, riporta il bambino in cella” ordinò severo.
“Ah… e se succede qualcosa al cucciolo umano, ti riterrò responsabile personalmente” continuò mentre Karagg trascinava Jimmy per il braccio nei corridoi.

“Lurido schifoso glob… è stato un errore portarti qui… ma presto farai la fine che meriti…”
Imprecando platealmente Karagg trascinò Jimmy prima nel turboascensore e poi nel corridoio che dava alle celle.
Troppo furibondo per accorgersi di quello che stava succedendo attorno a lui, scorse solo all’ultimo la vera e propria valanga pelosa che avanzava nel corridoio.

“Comandante, dicono di essere in avaria con il motore. E che possono ricompensarci se permettiamo loro di attraccare e ripararlo” informò l’addetto alle comunicazioni, appena Moklor mise piede sul ponte di comando, seguito da Kalitta che teneva gli occhi bassi.
“Hanno armi su quella navetta?” chiese Moklor sedendosi sulla poltrona di comando.
“Negativo signore. Gli scanner rilevano che hanno il motore ad impulso a potenza di un quarto” rispose Kalitta, che nel frattempo aveva preso posto alla postazione scientifica.
“Quanti a bordo?”
“Otto signore, ma non riesco a rilevarne la biologia”
“Sullo schermo” ordinò Moklor.
Pochi secondi dopo apparve l’immagine di un uomo dalle orecchie a punta.
“Chiediamo assistenza, IKS Pagg. Fra poche ore, senza l’energia dei motori ad impulso, i sistemi primari della navetta falliranno” scandì l’uomo, guardando verso Moklor.
“Non siamo una nave soccorso… cosa vi fa pensare che io perda il mio tempo a recuperarvi e poi spenda le mie risorse tecniche per permettervi di riparare il motore?”
L’uomo sullo schermo rimase per un attimo in silenzio.
“Abbiamo un cristallo di dilitio a bordo, possiamo ripagarvi con quello”
Moklor rimase un attimo in silenzio.
I cristalli di dilitio, indispensabili per i motori a curvatura, erano rari e costosi.
“Va bene. Permesso di attraccare all’hangar navette. Resterete a bordo sino a che i miei uomini non vi diranno di scendere e poi stabiliremo il da farsi” ordinò Moklor.
“Manda una squadra di sicurezza all’hangar navette e fai circondare il veicolo romulano appena attracca” ordinò Moklor a Kalitta.
Dopo qualche minuto però la donna klingon iniziò ad agitarsi.
“Signore… c’è qualcosa che non va nei ponti inferiori. Nessuno risponde alle mie comunicazioni”

“Come intende procedere, capitano?” chiese Hendorff, accuratamente nascosto dietro una paratia come gli altri, per non farsi inquadrare durante le comunicazioni con la Pagg.
“Aspetteremo di essere entrati nell’hangar navette e poi usciremo sparando. Regolate i vostri phaser su stordimento”
“E poi?” chiese preoccupato McCoy.
“E poi cercheremo Jimmy, sperando che lo tengano ai ponti inferiori nelle celle di sicurezza”
“Beh… non mi sembra un piano molto accurato” chiosò McCoy, sempre più accigliato.
“Infatti ho calcolato che ci sono circa il 10,5% di possibilità di successo”
“Magnifico” commentò sarcastico il medico.
“E’ una percentuale molto più alta di altre missioni che abbiamo affrontato con successo. E, come direbbe Jim Kirk, dottore, siamo costretti a navigare a vista” rispose, senza la minima emozione, il vulcaniano mentre con sicurezza dirigeva la navetta verso la porta dell’hangar.

Appena spenti i motori, Spock si alzò dal posto di guida e impugnò il phaser.
“Stia dietro di noi, dottor McCoy” ordinò, mentre gli altri della squadra lo imitavano.
Le porte della navetta si aprirono lentamente e tutti si prepararono all’azione.
Ma quello che trovarono nell’hangar della Pagg li lasciò assolutamente senza parole.

 
Grazie  a tutti quelli che seguono la storia e ai vecchi e nuovi recensori. Sono lunsinghata davvero.

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Capitolo 17
*** Tribol(azioni) ***


IL DONO

Capitolo 17
Tribol(azioni)

Jimmy rimase per vari secondi a bocca aperta.
Davanti a lui una montagna di pelo colorato in movimento.
Sapeva che i triboli si riproducevano a velocità della luce, ma mai avrebbe pensato di ottenere quel risultato. Sembravano quasi le palline di plastica che si usavano nelle piscine del parco giochi per i più piccoli.
Ridacchiò mentre Karagg iniziava a grugnire e sputacchiare… pareva quasi volesse vomitare.
Dal canto suo la montagna pelosa, alla vista del klingon, iniziò a vibrare e emettere suoni gutturali, per nulla amichevoli.
Per un attimo le due parti si fronteggiarono come lo sceriffo ed il bandito nei vecchi film western… poi Karagg mollò la presa su Jimmy per impugnare il phaser e, imprecando, iniziò a sparare sulla valanga di pelo che si avvicinava sempre più.
Jimmy non aspettava altro: approfittando della distrazione, iniziò a correre nella direzione opposta.
Era sicuro… sulla navetta che aveva chiesto di attraccare c’erano Spock e Bones.
Erano finalmente venuti a riprenderlo, doveva solo raggiungerli.

“Comandante, non riesco a comunicare con nessuno dei ponti inferiori” la voce di Kalitta era preoccupata e tesa.
“Contatta Karagg” ordinò Moklor, agitandosi sulla sedia di comando.
“Non risponde neppure lui…” fece Kalitta dopo alcuni secondi.
“Prova con la sala motori” fece ancora Moklor, il viso sempre più accigliato.
“Signore… non capisco che cosa sta succedendo…” rispose il primo ufficiale, sempre più tesa.
“Metti in viva voce”
“Per Kahless… ma quanti sono… no! Non fateli entrare nel settore del nucleo a curvatura… che schifo…”
La voce dell’ingegnere a stento si sentiva, sovrastata da grida e squittii vari.
“Qui Moklor. Ma cosa sta succedendo?” urlò Moklor nel tentativo di farsi rispondere.
“Triboli… signore… siamo invasi dai triboli. Hanno raggiunto la cambusa… sono migliaia” rispose alla fine una voce nell’interfono.

“Ma che….” balbettò incredulo McCoy, uscendo cauto dalla navetta.
Davanti a lui non c’erano feroci klingon, ma pallette di pelo a piccoli mucchi, praticamente ovunque, che iniziarono a tubare appena avvertita la loro presenza.
In lontananza si udivano colpi di phaser e grida di disgusto.
“Ma da dove sono spuntati?” chiese a bocca aperta uno degli ufficiali della squadra di sicurezza.
“Jimmy aveva con sé un tribolo quando l’hanno rapito…” ragionò subito Spock.
“Quel piccolo furfante…” sorrise McCoy.
“Signori, non distraiamoci. Dobbiamo trovare Jimmy. Procediamo con cautela. Phaser su stordimento, ma sparate a vista. Proveremo alle celle di sicurezza, se non è lì, andremo al ponte di comando”
“Vuoi entrare sul ponte di comando? Sul serio?!?” chiese incredulo il medico
“I vulcaniani sono sempre seri dottore”

“Andate tutti giù ed aiutate a sterminare quelle cose disgustose. Usate le camere di compensazione per buttarli fuori dalla nave, non i phaser che potrebbero provocare danni allo scafo” ordinò Moklor.
Tutto il personale del ponte, tranne Kalitta, si alzò dalla propria postazione per dirigersi ai ponti inferiori.
“La navetta romulana?” chiese il comandante.
“Ha attraccato. Ma non sono riuscita a contattare la squadra di sicurezza”
“Magnifico!!! Ora abbiamo la nave invasa da animali disgustosi e un manipolo di romulani che se ne va in giro indisturbato” urlò imbestialito Moklor.
“Calmati. Non andranno lontani e gli serviamo per riparare il motore”
“Sarà meglio che li blocchiate subito… non voglio altri problemi. Fai in modo che Karagg risponda”
“E’ tutta colpa di quel piccolo schifoso umano” borbottò Kalitta.
Moklor si girò a guardare la moglie.
“Se non sbaglio tu hai insistito perché lo prendessimo. E’ sulla nave perché tu e Karagg mi avete convinto” scandì.
“Era l’unica speranza di salvarti la vita” balbettò di nuovo la donna.
Moklor si alzò e raggiunse la postazione di Kalitta.
“Davvero moglie? Davvero vuoi che io viva?” chiese girando il sedile e costringendola a guardarlo negli occhi.
“C…certo” 
Moklor guardò ancora la donna senza dire nulla.
“Trova Karagg e digli di bloccare i romulani” ordinò poi con voce gelida.

Jimmy avanzava veloce come poteva fra il vero e proprio fiume di palle di pelo in cui si erano trasformati i corridoi della Pagg.
Avanzando si era anche arrampicato e aveva aperto le botole che davano nei tubi di Jeffries, consentendo così ad altri centinaia di animaletti di piombare al suolo.
Ogni tanto era costretto a nascondersi dietro le paratie, appena vedeva qualche klingon, ma per ora tutti erano troppo occupati a cercare di liberarsi dei triboli per badare a lui.
A Jimmy stringeva il cuore vedere usare i phaser sulle piccole palle di pelo… anche se era strano vedere come alcuni klingon, totalmente disgustati e sovraeccitati, finivano per spararsi tra loro.
Nel vero e proprio caos che ormai regnava sulla Pagg, Jimmy pensò a come poteva farsi rintracciare dai suoi amici.
Escluso che potesse tornare nella cella ai piani inferiori pensò che, non trovandolo lì, gli altri lo avrebbero cercato sul ponte di comando.
Era lì che doveva arrivare.
Veloce come uno scoiattolo si intrufolò nei tubi ed iniziò a salire verso la plancia.

“Karagg… ti avevo detto di trovare e bloccare i romulani” ruggì Moklor appena vide il terzo in comando entrare sul ponte di comando.
“Ho mandato una squadra a cercarli. Non saranno lontani, probabilmente sono diretti in ingegneria” rispose stizzito l’ufficiale, aggiustandosi la divisa.
“Non ti avevo detto di mandare una squadra, ma di cercarli personalmente” la voce di Moklor ora era quasi un ringhio.
Karagg lo guardò con aria di sfida.
“Sinceramente, comandante, mi sembra che in questi momenti tu non sia in grado di prendere decisioni sensate”
Moklor non sembrò intimidito.
“Guarda in che condizioni ci hai messo… la nave è invasa dai triboli, abbiamo a bordo dei romulani cui tu hai dato il permesso di attraccare. Mi chiedo cosa dirà il Consiglio su tutto questo” continuò Karagg.
“E tu sei pronto a riferire tutto, giusto?” fece ironico Moklor.
“Sei malato, non sei più in grado di comandare questa nave”
Moklor restò per un attimo in silenzio e poi iniziò a ridacchiare.
Guardò verso Karagg e Kalitta con aria di disgusto.
“Avete già organizzato tutto, vero? State solo aspettando la mia morte”

Jimmy era arrivato al ponte più alto e stava aspettando, nascosto dietro una delle paratie.
La plancia sembrava l’unica parte della nave immune dall’invasione dei triboli, ma il ponte era praticamente deserto; Jimmy sentiva solo la voce di Moklor, di Kalitta e di Karagg.
Si impose la pazienza ed il silenzio. Sapeva che Spock e Bones stavano arrivando, ne era sicuro: tutto quello che doveva fare era aspettare. E lui era bravissimo a nascondersi ed aspettare.
Dalle voci intuiva che i tre klingon erano decisamente arrabbiati tra loro, e Jimmy pensò che probabilmente il comandante Moklor aveva finalmente capito che Kalitta preferiva fare le coccole a Karagg e non a lui.
Jimmy iniziava a provare simpatia per Moklor; se aveva capito bene era molto malato, ed in fondo non era colpa sua se la nave era invasa dai triboli; la colpa era di quel tonto di Karagg che non lo aveva perquisito.
Si morse il labbro mentre i tre parlavano di lui.
Si stava chiedendo da quando lo avevano catturato cosa volessero i klingon da lui, ed ora stava intuendo che la cosa aveva a che fare con la malattia di Moklor.
Aveva fame e sonno e voleva disperatamente tornare a casa sull’Enteprise, infilarsi nel suo letto e ascoltare Bones che raccontava storie buffe sulla loro nave stellare ed il suo capitano coraggioso, ma anche totalmente incosciente e “capace di fargli venire tutti i capelli bianchi”.
Stringendo i denti si disse che doveva solo aspettare, resistere un altro po’ ed i suoi amici sarebbero arrivati.
Stava quasi per assopirsi, preso dalla stanchezza, dietro la paratia, quando i triboli che aveva nascosto nella borsa a tracolla percepirono la presenza dei klingon, vibrando e gorgliando forte.
“Shhhh” cercò di calmarli Jimmy, con scarso risultato.
I triboli iniziarono ad agitarsi sempre più forte, sino a che una mano robusta non lo tirò fuori dal suo nascondiglio.
“Lurido insetto… hai portato tu queste cose a bordo?” urlò Karagg, mentre lo sollevava per il colletto della maglietta, strappandogli la borsa.

“Karagg, lascia stare il cucciolo umano” intimò Moklor quando il terzo in comando tornò in plancia trascinando Jimmy.
Incurante dell’ordine, Karagg prese a scuotere violentemente il bambino.
“Ti ho detto di lasciarlo andare. Subito!!!” ordinò di nuovo il comandante.
“Perché? Credi che il suo sangue ti possa salvare? Ti illudi, marito, nulla ti può salvare…” intervenne Kalitta, con aria quasi trionfante.
Moklor guardò i due con sguardo gelido.
“Perché lo avete preso?” chiese di nuovo.
“Per coprirti di vergogna… un klingon che cattura un bambino umano ed è disposto ad ucciderlo solo per non affrontare la morte… o meglio ancora farnetica, dicendo a tutti che è il capitano Kirk dell’Enterprise”
Moklor ridacchiò.
“Ecco… ora capisco. Vuoi mia moglie ed il mio casato, giusto Karagg?”
“Sì… quando sarai morto con disonore, nessuno mi impedirà di prendere in sposa Kalitta…. e di certo il Consiglio non affiderà le sorti del tuo casato a quell’incapace di tuo fratello, dopo che avrai ricoperto il nome della tua famiglia di disonore” rispose il klingon stringendo sempre più forte la presa sul collo del bambino.
Moklor si girò verso la moglie.
“Che stolto sono stato a credere che mi rispettassi” disse con disgusto.
“Ti ho amato e rispettato. Ma non mi hai dato figli maschi… ed ora stai morendo. Devo tutelarmi. Io e Karagg sappiamo cosa vogliamo”
“Ti illudi mia cara… perché io ti ripudierò appena arrivati su Kronos. Anche se morirò con disonore tu non erediterai il casato”
“Devi arrivare vivo su Kronos per ripudiarmi…” scandì Kalitta impugnando il phaser.

Jimmy non riusciva proprio a respirare.
La mano di Karagg lo teneva stretto, così stretto che non riusciva a tirare il respiro.
Era come quando Frank, completamente ubriaco, l’aveva sorpreso a leggere un libro sulle navi stellari al posto di pulire il capanno.
Lo aveva stretto forte al collo, ed anche allora Jimmy aveva pensato che forse stava per morire ed andare in cielo da papà.
Ma quella volta Sam era arrivato quasi subito, ed aveva scagliato sulla testa di Frank il bastone da baseball, prima di scappare entrambi dai vicini.
Ora invece non arrivava nessuno e Karagg stringeva forte, così forte che vedeva tutti i puntini neri davanti agli occhi.
Poi come in un sogno gli parve di sentire una voce familiare.

“Lascialo… ora! O giuro che a costo di scatenare una guerra intergalattica il tuo cervello finisce sul pavimento” intimò Hendorff, puntando il phaser su Karagg.
“Ma che….” balbettò il klingon.
“Non sembrano romulani eh?” ridacchiò Moklor, mentre il resto della squadra dell’Enterprise entrava, armi spianate, sulla plancia di comando.
Karagg allentò la presa su Jimmy, che iniziò a tossire violentemente, ma non lo lasciò andare.
“Jimmy!!” urlò McCoy alla vista della scena, abbastanza lucido però da strappare il phaser dalla mano di Kalitta.
“Lascia andare il bambino… immediatamente, non lo ripeterò una seconda volta” intimò Spock, puntando anche lui il phaser su Karagg.
“No, abbassate voi le armi, altrimenti sarà il suo cervello a finire sul pavimento” rispose Karagg mentre estraeva il phaser e lo puntava alla testa di Jimmy, che gli ciondolava ancora un po’ confuso fra le braccia.
Sulla plancia calò il gelo.
Spock ragionò velocemente; erano in maggioranza numerica, ma c’erano poche possibilità di riuscire a colpire Karagg senza colpire Jimmy e soprattutto senza correre il rischio che il klingon gli sparasse.
“Karagg, metti a terra il bambino umano e restituiscilo a loro” ordinò Moklor alto e fiero.
“Hai finito di darmi ordini. Mettete tutti a terra i phaser” urlò Karagg premendo l’arma contro la tempia di Jimmy.
McCoy emise un gemito di terrore, mentre guardava verso Spock.
Il vulcaniano con calma e senza dire una parola, si chinò e mise il suo phaser a terra, subito imitato dagli altri.
“Fra poco arriveranno gli altri, Karagg. Per voi due è comunque finita” disse calmo Moklor
“Sparagli, spara a Moklor… diremo che sono stati gli umani” urlò Kalitta.
Un sorriso diabolico si dipinse sulla faccia di Karagg.
Veloce puntò il phaser su Moklor.
“NO!!” urlò Jimmy dimenandosi.
Il dito stava per premere sul grilletto, quando il klingon avvertì un forte dolore al polso. 
Il colpo partì ugualmente ma finì sulla paratia a pochi centimetri dalla testa di Moklor; solo dopo alcuni istanti Karagg si accorse di quello che era successo: il piccolo umano lo aveva morso con forza incredibile.
Prima che chiunque potesse reagire, Karagg scaraventò con forza inaudita Jimmy contro la paratia, dove il bambino si accasciò come un burattino cui erano stati tagliati i fili.

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Capitolo 18
*** Sempre una famiglia ***


Capitolo 18
Sempre una famiglia


 Sapeva che era fisicamente impossibile, eppure McCoy poteva giurare che il suo cuore aveva smesso di battere alla vista di Jimmy, lanciato come un fantoccio da un bimbo capriccioso, contro la paratia.
La vista del piccolo corpicino immobile lo mandò nel panico assoluto: per un attimo restò completamente imbambolato, incapace di fare qualsiasi cosa.
L’unica cosa che riusciva a vedere con la coda dell’occhio, come in una nebbia, era Spock: con un ringhio animalesco si lanciava contro Karagg e, con una torsione del polso, gli strappava il phaser. A McCoy sembrò di sentire netto il rumore delle ossa che si spezzavano, subito prima che il vulcaniano sollevasse il klingon di peso, tenendolo per la gola.
“Ti prego… fa' che sia vivo” McCoy si ritrovò a pregare qualsiasi divinità disposta ad ascoltarlo, mentre finalmente entrava di nuovo in ‘modalità medico’ e si precipitava da Jimmy.
“Ti prego, ti prego… tutto, ma non questo….” continuò a pregare il medico mentre azionava il tricoder.
“Forza piccolo, apri gli occhi” balbettò, mentre non riusciva a trattenere le lacrime.


“Se lui muore, se gli hai fatto del male, ti strappo la lingua e gli occhi, e poi ti rinchiudo in un inferno mentale di tua stessa creazione… ogni singolo istante della tua vita pregherai che qualcuno finalmente ti uccida” ruggì Spock, mentre teneva Karagg sollevato da terra, stringendolo sempre più forte alla gola.
“Lascia a me questo traditore…. la punizione per quello che ha fatto è la morte” scandì Moklor.
Ma Spock non stava a sentire, continuava a stringere sempre più forte, completamente concentrato sulla sua vendetta.
Solo il primo piccolo lamento di Jimmy lo distrasse dal suo intento.


“Sì piccolino, così… bravo… guardami… siamo qui….” 
McCoy sentì come se un enorme masso gli fosse sceso dal cuore alla vista dei piccoli occhi azzurri che lo guardavano confusi.
“Bones…” balbettò Jimmy.
“Sì sono qui….” rise fra le lacrime il medico, mentre continuava a studiare il tricorder.
“Mi fa male il braccio….” si lamentò il bambino, cercando di muovere il braccio destro.
“E’ rotto Jimmy, ma guarirà presto. Ora non lo muovere, ti dò qualcosa per farti passare il dolore”
Con le mani che tremavano, McCoy estrasse un hypospray dal suo kit di emergenza e lo iniettò nel collo del bambino, che immediatamente si rilassò.
“Ho avuto paura, Bones… ho cercato di essere coraggioso, ma non arrivavate mai. Voglio tornare a casa…” singhiozzò il piccolo, mentre McCoy lo prendeva in braccio e lo cullava facendo attenzione al braccio.
Caduta la tensione, Jimmy si era spogliato della sua spavalderia, ed era tornato un piccino spaventato di cinque anni.
“Sì, ma ora siamo qui. Guarda, c’è anche Spock…” lo consolò McCoy, mentre cercava di non scoppiare di nuovo a piangere.
Jimmy si girò verso il vulcaniano, con un mezzo sorriso tra le lacrime.
“Come stai piccolo umano?” chiese Moklor avvicinandosi.
“Quel bastardo gli ha rotto il braccio…” sibilò McCoy, ottenendo una maggiore stretta di Spock su Karagg, che iniziava ormai ad ansimare pesantemente in cerca di ossigeno.
“Sei stato un piccolo guerriero molto coraggioso. La mia gratitudine per avermi salvato la vita” scandì il comandante klingon.
Jimmy annuì, strofinando il viso nell’uniforme di McCoy.
“Ti ripeto Vulcan, lascia questo traditore a me. L’unica punizione possibile è la morte” fece poi girandosi verso Spock.
Ma Spock ancora una volta non lo stava a sentire, gli occhi neri di rabbia profonda.
“Spock…” chiamò McCoy, senza risultato.
“Spock.. lascialo… il bambino sta guardando…” disse ancora McCoy, stringendo Jimmy.
Finalmente il vulcaniano riprese lucidità.
“Stai bene?” chiese mentre mollava la presa, facendo cadere a terra Karagg con un tonfo.
“Male al braccio…”
“Sta bene Spock, solo una piccola commozione cerebrale ed il braccio rotto. Siamo stati fortunati…” rispose il medico, mentre baciava il piccolo sulla testa.
Proprio in quel momento il ponte fu invaso dai klingon.


“Arrestate immediatamente il primo ufficiale ed il terzo in comando. Il Consiglio li giudicherà per il loro tradimento” ordinò Moklor ai suoi ufficiali, che erano rimasti increduli a guardare la scena che gli si parava loro davanti.
Kalitta cercò di raggiungere il marito mentre la portavano via.
“Moklor… sono stata una brava moglie per te… mi devi qualcosa…” balbettò, mentre veniva strattonata in avanti.
“Tu mi dovevi fedeltà, quale moglie e mio primo ufficiale. Mi spiace solo di non essermi accorto di quello che stava succedendo” rispose sprezzante il comandante.
“Posso conoscere la ragione per cui avete deciso di rapire il bambino?” chiese Spock. La sua voce era di nuovo calma, così come il suo aspetto, ma gli occhi conservavano ancora furia repressa.
“La circostanza mi riempie di disonore” rispose Moklor abbassando lo sguardo.
“Perché è malato…” intervenne Jimmy con voce sottile.
“E’ molto malato e per guarire gli serve il mio sangue. Se vuoi puoi prenderne un po’” fece Jimmy mostrando il braccio sano.
McCoy strinse la mascella nel tentativo di trattenere le lacrime, mentre stringeva il bambino in grembo. A qualunque età la generosità di Jim Kirk era enorme.
“Questo ti fa onore piccolo guerriero. Ma non è necessario. Mi sono già ricoperto di vergogna e accetterò il mio destino. Torna in sicurezza alla tua nave”
“Vulcaniano…spero che tu voglia perdonare quanto è successo. Hai bisogno di assistenza per la tua navetta?”
Spock aveva ripreso il suo aspetto stoico.
“No, non abbiamo bisogno di nulla”
“I miei uomini vi scorteranno” fece alla fine Moklor.
McCoy si alzò stringendo Jimmy fra le braccia.
“Ti manifesto ancora la mia gratitudine piccolo guerriero. Se posso fare qualcosa per te…”
Jimmy guardò il klingon stringendosi a McCoy.
“Non ucciderli… non uccidere nessuno ti prego. Karagg è solo stupido, non mi ha perquisito e non si è accorto che nella borsa avevo un tribolo. E ti prego salva i triboli… sono stato io a farli moltiplicare, non è colpa loro”
Moklor rimase un attimo in silenzio.
“La sorte di Karagg e Kalitta sarà stabilita dal Gran Consiglio. Quanto ai triboli… beh, troveremo una soluzione, hai la mia parola”
“Addio piccolo guerriero” salutò Moklor mentre gli uomini dell’Enterprise uscivano per dirigersi verso la navetta.


McCoy aveva lasciato Jimmy con Hendorff, per procurarsi il necessario ad immobilizzare il braccio del bambino.
Tutti stavano in silenzio mentre Spock, alla guida della navetta, la portava fuori dall’hangar e poi impostava la rotta per raggiungere l’Enterprise.
McCoy sorrise quando sentì le vere e propria grida di giubilo di Uhura, mentre Spock comunicava che stavano tornando con Jimmy.


La tranquillità della navetta fu interrotta dal pianto sommesso di Jimmy.
Immediatamente McCoy si alzò e raggiunse Hendorff ed il bambino sul retro della navetta.
Jimmy stava rannicchiato contro il gigantesco capo della sicurezza, mentre i singhiozzi lo scuotevano.
L’ufficiale, visibilmente rosso in viso, tratteneva a stento le lacrime, mentre carezzava il bambino sulla schiena.
“Che cosa è successo?” chiese McCoy preoccupato.
“Ha capito che Lisa Wells è morta” rispose piano Hendorff.
A McCoy si strinse il cuore. 
Da adulto Jim Kirk sentiva un bisogno quasi viscerale di proteggere il suo equipaggio e reagiva malissimo ogni volta che perdeva qualche membro.
“Vieni qui, piccolo” fece McCoy, mentre prendeva il bambino in braccio.
Jimmy si avvinghiò con forza al medico.
“E’ colpa mia… non dovevo venire con voi su Gemini” singhiozzò fra le lacrime.
“No no no… Jimmy non è colpa tua. La colpa è di chi ti ha rapito e di Kalitta che ha sparato. Lo so che è difficile da capire, ma Lisa amava il suo lavoro e sapeva che poteva succedere questo. Lei ti voleva bene, come tutti noi…”
Jimmy non rispose, continuando a piangere.
“E’ in cielo con il mio papà?” chiese piano.
“Sì proprio così… e con il suo papà e la sua mamma” rispose McCoy cullando il bambino.
“Ora tu devi bere il succo di mela e poi dobbiamo immobilizzare il braccio. Appena arrivati un paio di cicli sotto l’osteorigeneratore e sarà come nuovo” fece ancora McCoy mentre le lacrime scendevano.
“Non puoi aiutare Moklor?” chiese Jimmy mentre i singhiozzi andavano calmandosi.
“Jimmy… non lo so…”
“Tu sai guarire tutti, ti prego… non è cattivo…”


“Un’ora all’arrivo, dottore” disse Spock, sedendosi accanto al medico che teneva il bambino in grembo.
Il braccio di Jimmy era stato steccato ed il piccolo dormiva profondamente, cercando ogni tanto la posizione più comoda.
“Sta bene?” chiese il vulcaniano guardandolo con aria preoccupata.
“Sta bene, ma il solo pensiero di quello che poteva succedere…” rispose McCoy accarezzando i capelli di Jimmy.
Spock rimase per un po’ in silenzio, seduto accanto al medico.
“Dottore, volevo scusarmi per la perdita di controllo che ho manifestato sulla Pagg. Me ne dolgo profondamente…”
“Beh Spock… se ne avessi avuto la possibilità avrei fatto anche di peggio, credimi” rispose McCoy pensieroso.
“No, non ci sono scusanti, ho esposto Jimmy ad una manifestazione di violenza non idonea al suo benessere psicologico” 
“Spock… Jimmy, come sai, non è estraneo alla violenza”
“Sì, ma è nostro compito preservarlo, quando è con noi” fece con aria seria il vulcaniano.
“Ha una mente davvero brillante… servirsi dei triboli e gettare discordia nell’equipaggio. E’ un ottimo stratega” continuò poi, con quello che sembrava un leggero sorriso.
“Sì è un ragazzino dalle mille capacità, ma sai bene quanto me che non possiamo andare avanti così. E’ pericoloso tenerlo su di una nave stellare. Stavolta è andata bene… ma non possiamo bloccare un bambino al chiuso, senza mai vedere il sole”
Spock annuì pensoso.
“E’ ora di prendere una decisione Spock, anche perché i sei mesi stanno per scadere”
Spock guardò avanti a sé, in apparenza senza emozioni, ma McCoy vedeva la tensione nei suoi occhi.
“Dottore, sappiamo bene qual è a questo punto l’unica soluzione giusta e praticabile: Jimmy starà con lei sulla Terra”
“Spock, io non…”
“Mi lasci parlare, dottore” interruppe il vulcaniano.
“In questi mesi ho avuto modo di ripensare alla mia infanzia. Quanto era piccolo spesso manifestavo fastidio alle dimostrazioni di affetto di mia madre. Ora mi dolgo per non averne apprezzato l’importanza”
“Doveva essere una donna meravigliosa”
“Lo era dottore. Era una madre attenta e premurosa. E molto dolce. Ma io non le ho mai manifestato il mio affetto apertamente”
“Oh… queste cose le madri le sanno, senza bisogno di parole”
“Quello che voglio dire è che Jimmy ha diritto alle stesse manifestazioni di affetto e cura che sono state riservate a me. E queste cose lei può garantirgliele, dottore, io no ”
“No, Spock, questo non è vero, tu saresti un ottimo genitore”
“I bambini umani hanno bisogno di cure psicologiche che l’educazione vulcaniana non può garantire. Lei si è dimostrato un genitore meraviglioso. E poi ha una famiglia in grado di assicurare a Jimmy l’affetto e la cura che gli spettano”
McCoy sorrise al pensiero di vedere Johanna e Jimmy crescere insieme.
“Pensi mai a Jim… voglio dire alla sua versione adulta?” chiese McCoy, mentre accarezzava i capelli del piccolo.
“Continuamente. Avverto molto la sua mancanza”
“Ho paura che non lo rivedremo più. Come mi ha fatto notare Uhura, crescendo Jimmy non sarà il Jim che abbiamo conosciuto” fece McCoy con aria triste
“Questo è sicuramente vero. Ma l’unica cosa che possiamo fare è onorare il dono fatto dalla regina betariana, dando a Jimmy la migliore infanzia possibile”
“Sì lo so… così non vivrà la maggior parte delle angherie che gli ha fatto passare Frank. E non andrà su Tarsus. Ma non posso fare a meno di chiedermi se il fatto che non viva queste situazioni orribili ne farà una persona diversa, completamente” mormorò McCoy.
“Dottore, lei parte a mio giudizio da un presupposto sbagliato: ovvero che l’infanzia spaventosa che ha vissuto Jim Kirk l’abbia forgiato nella persona eccezionale che abbiamo conosciuto. Io invece penso che Jim Kirk era la persona eccezionale che abbiamo conosciuto ‘nonostante’ la sua infanzia spaventosa. Probabilmente sarà una persona ancora migliore, se possibile, senza le esperienze traumatiche che è stato costretto a sopportare”
McCoy rimase in silenzio.
“Stiamo per arrivare. Sarà meglio che rilevi i comandi dal tenente Hendorff” concluse Spock alzandosi.
“Spock… io posso crescerlo solo fino ad un certo punto. Lui è nato per stare fra le stelle. Quando avrà diciotto anni nulla lo terrà lontano dalla Flotta e dallo spazio. E allora toccherà a te. Io sarò troppo vecchio per inseguirlo in giro per le galassie”
Spock annuì pensieroso.
“Dottor McCoy, voglio che lei sia cosciente di una cosa: anche se lascerete l’Enterprise, noi tutti siamo e resteremo sempre una famiglia per Jimmy”


Piccola nota dell'autrice.
L'8 settembre 1966 andava in onda per la prima volta negli Stati Uniti Star Trek.
Son passati 50 anni da allora, e il messaggio  dell'"universo  trek", la sua visione utopica e ottimista del futuro, hanno spinto intere generazioni a sognare.
Ero piccola quando molti anni dopo ho visto per la prima volta il telefilm (all'epoca trasmesso su telemontecarlo... una delle prime tv private, i più giovani neppure sanno cos'è), ma da allora non ho mai smesso di sognare che  quegli ideali, quei principi di uguaglianza, fraternità, accettazione di tutte le diversità per un accrescimento comune, potessero realizzarsi.
Purtroppo, mentre  molte delle scoperte ed invenzioni tecologiche che all'epoca sembravano fantascienza ora son diventate realtà, non così può dirsi degli ideali.
Ma io anche ora, nei tempi difficili che viviamo, continuo a sperare e sognare.
Grazie Star Trek.

 

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Capitolo 19
*** Sono e sarò sempre tuo amico ***


IL DONO

Capitolo 19
Sono e sarò sempre tuo amico

McCoy spense il terminale dopo aver inviato l’ultimo documento: era la ricerca che lo aveva impegnato nelle due ultime settimane.
Si massaggiò gli occhi stanchi e si guardò intorno.
Quelli erano gli ultimi giorni che passava a bordo dell’Enterprise e sorrise tra sé e sé. 
Aveva sempre rinfacciato a Jim Kirk di averlo trascinato su di un “barattolo di latta”, nello spazio profondo, che non è altro che “malattia, morte e pericolo”, ed ora sentiva una morsa allo stomaco al pensiero di dover lasciare l’Enterprise.
“Posso entrare, dottore?” chiese Spock, immobile sulla soglia.
“Certo Spock… entra e siediti” 
Il vulcaniano, elegante ed impeccabile come al solito, si sedette davanti alla scrivania del piccolo studio medico.
“Ho appena finito di parlare con l’Ammiraglio Archer. C’era in comunicazione anche il giudice” 
“Tutto risolto?” chiese il medico.
“Sì dottore, entrambi hanno convenuto. Appena sarà rientrato sulla Terra è invitato a recarsi al Tribunale di S. Francisco, per la formalizzazione dell’affido” rispose, con tono asettico, il vulcaniano.
McCoy annuì.
“Fra quanto arriveremo?”
“Arriveremo allo spacedock della Terra fra due giorni standard”
“Bene, non ci resta che parlare con Jimmy” concluse triste McCoy.
Sospirando, e cercando di prepararsi mentalmente a quanto sarebbe accaduto, McCoy contattò Uhura.


“Vieni Jimmy” esortò McCoy quando il bambino arrivò sul ponte di osservazione accompagnato da Uhura.
Lui e Spock avevano scelto il luogo con cura. 
Il ponte di osservazione era il posto preferito di Jim sulla nave, sia da adulto sia da bambino.
Il piccolo si bloccò alla vista dei due, stringendo impulsivamente la mano di Nyota.
Il braccio era guarito perfettamente; all’apparenza Jimmy non aveva subito alcuna conseguenza dalla sua avventura con i klingon
“Vieni tesoro, siediti qui, vicino a noi” fece dolce McCoy, pur sentendo la morte nel cuore.
Jimmy lasciò andare la mano di Nyota: obbediente si sedette tra Spock, che stava rigido sul piccolo divano, e McCoy.
Le stelle scorrevano tranquille dietro la grande vetrata.
“La tua presenza è gradita, Nyota” disse piano Spock per fermare la donna che aveva già imboccato l’uscita.
Uhura rimase in silenzio accanto alla porta, non volendosi comunque intromettere in un momento che sentiva privato.
“Quando?” chiese con voce sottilissima Jimmy.
“Quando cosa?” rispose McCoy meravigliato.
“Quando devo lasciare la nave?” chiese tranquillo, senza piangere.
“Jimmy… il giudice ci aveva dato sei mesi. E sai bene che i bambini non possono restare a lungo sulle navi stellari. E’ pericoloso, ne abbiamo avuto la prova” spiegò con calma Spock.
Jimmy annuì triste.
“E con chi starò?” chiese incerto.
“Con me. In Georgia, andremo a vivere nella casa di campagna di mia madre. Lei non vede l’ora di vederti. Ci sono un sacco di animali e un bel giardino. E poi potrai giocare con Johanna. Ti ho fatto vedere un sacco di ologrammi… ricordi?” fece McCoy cercando di non piangere.
“Senza Frank?” chiese incerto il bambino.
“Senza Frank, tu non vedrai mai più Frank, questo te lo giuro” promise McCoy.
“E Sam?” chiese ancora incerto Jimmy.
McCoy sospirò.
“Sam è cresciuto Jimmy, te l’ho spiegato. E non sappiamo dov’è. Ma ti prometto che farò di tutto per rintracciarlo, se vuoi”
Il pensiero che il fratello maggiore di Jimmy, una volta rintracciato, ne potesse rivendicare la custodia, terrorizzava McCoy; ma non poteva negare al bambino di rivederlo, se possibile.
Una lacrima scese sulla guancia del piccolo.
“Non desideri vivere con me? Non vuoi diventare mio figlio?” chiese McCoy, mentre il panico cresceva dentro di lui.
“Certo che voglio stare con te…” balbettò Jimmy, mentre si asciugava le lacrime con la manica della maglietta.
“Ma… io non voglio lasciare gli altri… non voglio lasciare te, Spock” continuò.
Nella stanza risuonò il singhiozzo di Uhura, subito soffocato.
Spock scivolò in ginocchio proprio di fronte a Jimmy e lo guardò negli occhi.
“Jimmy, noi non ci lasceremo mai. Tutti noi siamo una famiglia. Verrò da te ogni volta che sarò in congedo, e così faranno tutti gli altri della squadra. E poi parleremo in video ogni volta che sarà possibile”
“Ma… ma… chi mi insegnerà le cose?” balbettò Jimmy.
“Il dottor McCoy ha già trovato una scuola adatta, ci saranno tutti bambini intelligenti come te. Vedrai, ti divertirai con loro” rispose Spock.
“Ma… mi mancherete… mi mancherai…” 
Ora Jimmy stava singhiozzando.
“Jimmy, non piangere. Anche io avvertirò la tua mancanza. Ma poi penserò a tutte le cose interessanti che possiamo fare quando saremo insieme. Ti porterò su New Vulcan a conoscere mio padre. E poi su Gamma Trianguli… dove ci sono le spiagge viola. E in tanti altri posti bellissimi”
Spock lasciò che il bambino sfogasse il pianto.
“Pensi di poter essere coraggioso per me?” chiese alla fine, con una dolcezza nella voce che McCoy non aveva mai sentito.
Jimmy annuì.
“Bravo piccolo” lo lodò McCoy, mentre si asciugava le lacrime.
“Non sono più piccolo, fra due giorni compirò sei anni”
McCoy si illuminò…
“E’ vero… tra due giorni…” sorrise.
“Giusto” intervenne Uhura.
Jimmy all’improvviso scivolò fra le braccia di Spock, stringendolo forte.
“Mi mancherai tanto Spock, ma sarò coraggioso per te” disse nascondendo il viso nell’uniforme del vulcaniano.
Quando l’abbraccio si sciolse, sulla guancia di Spock c’era una lacrima solitaria.
Jimmy l’asciugò con un dito.
“Non piangere Spock. Io starò bene con Bones. E tu mi verrai a trovare spesso” lo consolò.
Spock sospirò e guardò Jimmy diritto negli occhi.
“James Kirk… ricorda. Io sono sempre e sarò sempre, qualsiasi cosa succeda, tuo amico”
McCoy si schiarì la voce per alleggerire l’atmosfera.
“Bene… prima di tutto però abbiamo un compleanno da festeggiare tutti insieme. E, piccolo mio, avrai la più grandiosa festa di compleanno che si sia mai vista in questo quadrante della galassia”



McCoy sorrise all’espressione di puro stupore che si dipinse sulla faccia di Jimmy: era la vista della grande sala conferenze dell’Enterprise, addobbata a festa.
Scotty e Chekov avevano effettivamente fatto un gran bel lavoro; c’erano festoni e ghirlande colorate dappertutto, clown e giocolieri nei vari angoli, ed il più grande buffet che McCoy avesse visto da molti anni a questa parte.
Uhura si era sbizzarrita negli inviti e, approfittando della franchigia di quindici giorni all’equipaggio, era stato concesso di far salire a bordo le famiglie ed i loro bambini.
Così la sala era piena di invitati e bambini vocianti che correvano di qua e di là; e non ci volle molto prima che Jimmy si immergesse nell’atmosfera giocosa e diventasse il capo della banda di ragazzini.
Mentre guardava la banda di piccoli barbari urlatori che ormai si era impadronita della sala, McCoy si disse, ancora una volta, che la scelta fatta, per quanto dolorosa, era la più giusta.
Jimmy aveva diritto di crescere libero, all’aria aperta, con i suoi coetanei.
“Buonasera dottore” fece Spock avvicinandosi, con accanto Uhura, più bella che mai nel suo vestito blu a spalle scoperte.
“Spock…” 
McCoy non riuscì a trattenere la risata alla vista del vulcaniano che, con aria compassata e serissima, indossava un cappello a punta coloratissimo.
“Non capisco il motivo della sua ilarità, dottore. Il tenente Uhura mi ha informato che è consuetudine degli umani indossare questo tipo di copricapo alle feste di compleanno dei bambini. Anche lei ne indossa uno infatti” rispose Spock, sempre serissimo.
“Sì, ma su di te fa un altro effetto” ridacchiò il dottore.
“Tenente Sulu, la pregherei di smettere di scattare ologrammi alla mia persona, anche perché non ne intuisco ancora una volta il motivo” scandì Spock girandosi alle sue spalle.
Sulu quasi si congelò con ancora il PADD in mano.
“Sì signore, mi scusi” balbettò, allontanandosi.
“Ce l’hai?” sussurrò Chekov ridacchiando.
“Sì sì… due” rispose altrettanto ilare Sulu, mentre mostrava l’ologramma.
“Mandameli sul PADD…”
“Li voglio anche io…” intervenne Scotty, quasi strozzandosi con una tartina alla vista.

“Signori… una festa davvero bellissima” salutò Archer, avvicinandosi.
Anche il vecchio ammiraglio indossava un buffo cappellino, con l’aggiunta di magnifico naso rosso da clown.
“Grazie ammiraglio, il merito è tutto dei tenente Uhura, di Chekov e del comandante Scott” rispose McCoy.
Archer guardò verso Jimmy che correva felice dappertutto con gli altri bambini.
“E’ ancora difficile abituarmi a vederlo così…” chiosò l’ammiraglio, con aria triste.
“Credo che saremo costretti ad abituarci all’idea di non vedere più Jim Kirk adulto per un po’” rispose McCoy pensoso.
“Mi spiace che nessuno dei nostri scienziati sia riuscito a trovare una soluzione. E Jim Kirk mi manca davvero. Non credevo che fosse possibile, ma quello scapestrato incosciente mi manca”
“Oh le posso assicurare che anche se ora ha solo sei anni, Jimmy è più o meno il Jim Kirk che conosciamo, non è cambiato molto” sorrise McCoy.
“La Flotta ha comunque perso una delle sue migliori risorse tattiche” ragionò Archer.
“Ammiraglio, la Flotta dovrà solo aspettare qualche anno, poi la risorsa James Kirk sarà di nuovo disponibile, ne sono certo” intervenne Spock.

“Spock, Bones, guardate cosa mi ha regalato l’ammiraglio Archer…”
Jimmy venne correndo verso di loro, reggendo una gabbietta in cui faceva bella mostra di sé un tribolo azzurro chiaro.
“E’ già sterilizzato, dottore, non mi guardi con quell’aria terrorizzata” disse Archer rivolto al medico, che aveva sbarrato gli occhi.
“Un Polygeminus Grex azzurro… molto raro” commentò Spock.
“Mi hanno detto che ti piacciono i triboli” sorrise l’ammiraglio verso Jimmy.
“Sì, moltissimo. Grazie ammiraglio” rispose il bambino con un gran sorriso.
“Confido che ne avrai cura”
“Ma certo… Spock, vieni a giocare con noi? Gli altri bambini vorrebbero toccare le tue orecchie se possibile. Sai, non hanno mai conosciuto un vulcaniano” chiese con aria innocente Jimmy.
Gli altri si lanciarono l’un l’altro sguardi perplessi, ma inaspettatamente Spock, sempre impassibile, annuì.
“Mi sembra logico soddisfare la curiosità di giovani menti umane” chiosò mentre si faceva trascinare imperturbabile da Jimmy nella confusione dei bambini che giocavano.
“Quel che riescono a fare i bambini…” sorrise Archer.
Poco prima il piccolo aveva convinto il tenente Hendorff a giocare a rubabandiera.
“Quel che riesce a fare questo bambino…” lo corresse McCoy.

“Strega comanda color: celadon” scandì Spock al centro del cerchio dei bambini, che attendevano ansiosi.
I piccoli rimasero tutti congelati sul posto, perplessi.
“Vuole dire più o meno: color acquamarina” urlò Jimmy mentre si lanciava alla ricerca.
Immediatamente i bambini scapparono in tutte le direzioni, alla ricerca del colore. La variante del gioco prevedeva un premio a chi si procurava per primo una cosa del colore richiesto.
Uhura non la smetteva di sorridere mentre, di nascosto, riprendeva con il PADD la scena.
“Spock, mi pare scorretto: non credo che qualcuno vincerà… che cavolo è il color celadon?” chiese McCoy.
“In realtà è il colore di una ceramica cinese. E se Spock l’ha chiamato vuol dire che ha visto qualcosa di quel colore. Anche se forse va bene pure una cosa color acquamarina” rispose sempre sorridendo Uhura.
“Non avrei mai creduto che il tuo ragazzo fosse così bravo con i bambini… mai pensato?” chiese malizioso McCoy.
“A cosa? Ad avere figli? Certo, quando sarà il momento…”
“Il pensiero di tanti piccoli vulcaniani, tanti piccoli Spock in giro… brrr” scherzò il medico.
“In realtà se io e il tenente Uhura dovessimo procreare, il frutto di tale unione sarebbe solo per un quarto vulcaniano. E quindi c’è solo il 25% di possibilità che il bambino presenti le caratteristiche somatiche relative” intervenne Spock avvicinandosi.
“Sarebbe comunque molto carino, soprattutto se prende dalla madre” ribattè McCoy, ridacchiando.
“Dottore, non vedo la logicità di discutere su ipotesi del tutto remote, allo stato attuale”
“Spock… torna a giocare con i bambini” ribattè McCoy.
Uhura ridacchiò. Certe cose non cambiavano mai.
“Signor Spock, va bene questo?” chiese una bambina bionda avvicinandosi con una sciarpa di seta color acquamarina.
“Quasi Sally, ma non è esatto al 100%” rispose calmo Spock.
“E questo?” chiese Jimmy, avvicinandosi con un ciondolo in ceramica.
“Sì, esatto Jimmy. Posso chiedere dove l’hai reperito?” rispose orgoglioso Spock
“Me lo son fatto prestare dal commodoro Chang” rispose il bambino.
McCoy sorrise incredulo.
Annabelle Chang era nota per essere uno degli ufficiali, e delle donne, più scostanti e scorbutiche dell’intera Flotta.
“Ma come hai fatto?” chiese
“Niente, ho solo chiesto e… sorriso” fece il bambino.
“Sorriso eh?” ripetè Uhura.
“Sì” disse con noncuranza il piccolo riprendendo il ciondolo per restituirlo.
“L’effetto che Jim Kirk ha sulle donne di qualsiasi età e specie non smetterà mai di stupirmi” concluse Nyota.

La festa volgeva quasi al termine.
Dopo il taglio dell’enorme torta, la maggior parte degli ospiti era andata via e Jimmy stava mostrando orgoglioso tutti i regali ricevuti.
La coperta colorata bantu fatta da Uhura già faceva bella mostra di sé sul divano, così come l’ultimo gioco matematico, dono di Chekov.
“Guarda Bones, questo è il regalo di Hikaru” disse il bambino mostrando una piccola spada ricurva.
“E’ da allenamento, dottore, non si preoccupi, non è pericolosa” informò subito Sulu.
“Mi insegnerai quando verrai a trovarmi?” chiese Jimmy.
“Ma certo” promise Sulu travolto dall’abbraccio del bambino.
“Forza, apri il regalo mio e di Keenser” intervenne Scotty.
Jimmy sorrise alla vista della piccola casacca color oro che spuntò dal pacchetto.
“Una camicia da capitano… grazie, è bellissima” 
“Sei nato per indossarla ragazzo, credimi”
Tutti rimasero per un po’ in silenzio, commossi.
“Dottore credo che sia ora di ‘completare’ il nostro regalo” fece serio Spock.
“Sì… certo… indossa la camicia da capitano, Jimmy, e andiamo sul ponte di comando”
“Ma cosa dobbiamo fare?” chiese Jimmy, mentre si avviavano al turbo ascensore.
“Conservare i bei ricordi” rispose McCoy.

“Capitano sul ponte” annunciò Chekov una volta arrivati.
Tutti si misero sull’attenti mentre Jimmy faceva il suo ingresso sulla plancia.
Il bambino guardò leggermente imbarazzato.
“Vieni Jimmy, siediti qui” fece McCoy con gli occhi lucidi, mentre indicava la sedia del capitano.
“Lì? Davvero?” chiese Jimmy spalancando gli occhi.
“Certo” Spock sollevò il bambino e lo adagiò sulla poltrona al centro della plancia.
Il piccolo cercò di adattarsi, anche se i piedi non arrivavano a toccare il pavimento.
“Cheeese” scandì Hendorff, quando tutti gli altri della squadra si misero in posa, attorno alla poltrona di comando.

Dopo pochi minuti il regalo di Spock e McCoy era pronto.
Jimmy guardò con curiosità il PADD che i due gli porgevano, ed iniziò a far scorrere le pagine.
Comparvero decine di ologrammi, tutti ripresi durante la permanenza di Jimmy a bordo dell’Enterprise.
Jimmy mentre guardava un vetrino al microscopio elettronico con Spock, Jimmy e Bones seduti a pranzo, Jimmy in braccio al medico che dormiva tranquillamente. Ed ancora il bambino con Scotty e Keenser, con Uhura sul ponte di osservazione, con Sulu nella serra o con Chekov, chino sul PADD intento a risolvere problemi matematici. L’ultima immagine era quella scattata poco prima: Jimmy seduto sulla sedia, con la stessa aria di comando e sfida che aveva da adulto, circondato dai suoi amici.
“Questo per aiutarti a ricordare che siamo tutti una famiglia” disse Spock con aria dolce.


McCoy raccolse Jimmy dalla sedia di comando dove si era addormentato e lo issò sulla spalla.
Neppure nel sonno il bambino lasciò andare il PADD con gli ologrammi, continuando a stringerlo al petto.
“E’ ora di andare a nanna, monello” sussurrò il medico nell’orecchio, mentre carezzava i riccioli biondi.
Guardandosi intorno provò una fitta di dolore e nostalgia.
L’ultima notte sull’Enterprise.
“Allora buonanotte, dottor McCoy” salutò Spock.
“Basta Spock, non ce la faccio più a sentirmi chiamare dottor McCoy. Chiamami Leonard, dopotutto da domani non sarò più neppure un membro in servizio attivo della Flotta”
“Molto bene… Leonard. Buonanotte”
“Senti un po’ Spock… questa è la mia ultima notte a bordo”
“Ne sono consapevole, Leonard”
“E non credi che dobbiamo… festeggiare? Da adulti intendo” sorrise McCoy.
“Se per festeggiare da adulti intendi impegnarsi in attività sessuali, temo che il tenente Uhura avrebbe qualcosa da obiettare in proposito” scandì assolutamente serio.
“Ma no, che hai capito… volevo solo dire che nella mia cabina c’è ancora una bottiglia di bourbon d’annata che aspetta di essere aperta”
“Leonard, sai bene che i vulcaniani sono immuni all’effetto dell’alcool” 
“Certo, è per questo che mi sono procurato per il mio replicatore i componenti del miglior cioccolato di San Francisco”
Spock sembrò ragionare per un minuto.
“Credo che la cosa sia accettabile” chiosò alla fine.


McCoy sfilò la maglia oro a Jimmy e poi, dopo avergli tolto le scarpe, lo coprì sino al collo, mentre gli carezzava i capelli.
Il piccolo rispose con un sospiro, per poi stendersi a pancia in giù.
Anche da adulto Jim amava dormire sul ventre.
“Bene, accomodati Spock” invitò mentre programmava al replicatore la cioccolata calda.
Dopo aver consegnato la tazza al vulcaniano, aprì delicatamente la bottiglia che faceva bella mostra di sé sul tavolo, e se ne versò una dose generosa.
“A Jim Kirk. Il migliore amico che si possa avere” scandì mentre sollevava il bicchiere, pieno di liquido ambrato, imitato da Spock.
Il medico tracannò il bicchiere quasi tutto d’un fiato, suscitando la classica alzata di sopracciglia di Spock.
“Leonard, così perderai ben presto la lucidità” protestò Spock.
“Esattamente quello che voglio. Ubriacarmi. Sto per diventare padre di due figli, in futuro non me lo potrò più permettere” sorrise McCoy.
Con un cenno di assenso Spock finì il suo cioccolato.
“Un altro giro” disse il medico mentre prendeva dal replicatore un’altra tazza di cioccolato e la porgeva al vulcaniano.
“A noi e all’Enterprise” brindò mentre tracannava un altro bicchiere di bourbon.

“Leonard… volevo che tu sapessi…” la voce di Spock, dopo cinque tazze di cioccolata, era impastata e il vulcaniano sembrava aver perso la coordinazione motoria.
Per la prima volta da quando lo conosceva McCoy lo stava vedendo… spettinato ed in disordine.
“Sì insomma… nonostante quello che ci siamo detti, i litigi, le incomprensioni… ho sempre avuto un profondo rispetto per te…” continuò mentre iniziava a sbavare
“Anche io Spock… anche io…” balbettò McCoy.
“E credo… hic… che tu sia il miglior scienziato medico in questo quadrante della galassia… un… hic… genitore meraviglioso… insomma… volev.. volev…” blaterò confuso il vulcaniano.
“Sì Spock… anche io ti voglio bene” fece McCoy prima di cadere, a faccia in giù, sul proprio letto.
Subito si levò un russare plateale.
Spock resistette in piedi altri trenta secondi prima di accasciarsi sul divano, russando come solo un vulcaniano può fare.


Siamo quasi all'epilogo. Ringrazio sin d'ora chi ha recensito, chi ha inseirito la storia fra le preferite, seguite ecc, coloro che mi hanno inserita (immeritevolmente) nella lista dei loro scrittori preferiti e soprattutto chi ha letto sino in fondo questa storiella.
Ovviamente ribadisco che Star Trek non mi appartiene... ma  ho fatto miei lo spirito e gli ideali.
A presto con l'ultimo capitolo

 
 

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Capitolo 20
*** Cavalli e triboli azzurri ***


IL DONO
Capitolo 20

Cavalli  e triboli azzurri

James Tiberius Kirk si era ubriacato molte volte nella sua vita, la prima volta a quindici anni, e conosceva quindi molto bene gli effetti di una sbronza colossale.
Ma,  per come si sentiva in quel momento, poteva dire con sicurezza che quella da cui si stava svegliando era senza dubbio la peggiore sbronza della sua vita.
Gli  faceva male praticamente tutto, ogni osso rimandava segnali di dolore e la testa pareva volesse spaccarsi da un momento all’altro come un melone maturo.
“Ouchhh” balbettò al tentativo di aprire un occhio.
“Computer abbassare luci al trenta per cento” ordinò.
“Le luci sono attualmente spente” rispose la voce metallica.
Il cervello lentamente cercò di elaborare l’informazione che quella era luce solare e proveniva dalle finestre della cabina.
Quindi erano attraccati in atmosfera… ma quando ci erano arrivati? L’ultima  cosa che ricordava era che avevano lasciato l’orbita di Betarus e stavano navigando a curvatura.
“Computer oscurare finestre al trenta per cento”
Appena la luce si attutì Jim  riprovò d aprire gli occhi.
Sbattè le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco e cercò di orientarsi.
Era nella cabina di Bones, il che non era sorprendente dopo una sbronza.
Piano piano cercò di muoversi prima di rendersi conto di alcuni elementi essenziali che non tornavano.
Di chi era la mano che aveva sullo stomaco?
Certo di Bones, che russava sonoramente  nel letto a fianco.
Ma da quando Bones aveva due letti nella sua cabina?.
Ci mise qualche secondo prima che il panico iniziasse a strisciare dentro di lui.
Era… nudo… completamente nudo.
“Ma che…” balbettò mentre arraffava la coperta e si copriva alla men peggio.
Con delicatezza spostò la mano di McCoy e cercò di raddirizzarsi, con l‘unico risultato di far cadere a terra una bottiglia di bourbon vuota.
“Cosa cavolo abbiamo combinato ieri sera??” si chiese mentre furiosamente  cercava nei suoi ricordi.
Nulla, non ricordava più nulla da quando avevano lasciato l’orbita di Betarus ed era andato a dormire nella sua cabina.
“No, no… non è successo niente, ci sarà certamente una spiegazione al fatto che sono nudo nella cabina di Bones…” si disse mentre, barcollando, cercava di alzarsi.
“OH MIO DIO” urlò alla restante vista della cabina.
 Spock, disordinato, spettinato e con la bocca completamente macchiata di cioccolato,  dormiva in posizione lasciva sul divano.
Spock ubriaco?? Che dormiva nella cabina di Bones? Con Bones? E con lui completamente nudo?
“Merda merda merda!!” imprecò Jim saltellando alla disperata ricerca di una via di fuga.
Ma le gambe sembravano non voler collaborare e complice la coperta che aveva avvolto attorno ai fianchi, finì miseramente in terra.
Finalmente Spock diede segni di risveglio.
Il vulcaniano si tirò su di botto.
Alla vista di Jim, rannicchiato in un angolo, con addosso solo  una coperta Spock rimase congelato per diversi istanti.
E poi… il vulcaniano sorrise.
 
La vista di Spock che sorrideva a trentadue denti  privò Jim di quel po’ di  compostezza che gli era rimasta.
“OH MIO DIO… che cosa è successo qui ieri notte? Perché io sono nudo e perché noi… noi siamo qui?? E perchè stai sorridendo?? O mio Dio stai sorridendo davvero… è spaventoso… ti sei ubriacato e ora stai sorridendo” blaterò Jim completamente fuori di sé.
“Svegliati Leonard…” esortò Spock, senza smettere di fissare Jim.
Il medico non si mosse.
“Leonardi svegliati forza” scandì a voce più alta il vulcaniano.
Finalmente il medico diede segni di vita.
“Lasciami stare Spock… non sono più nella Flotta, non sono di turno…” borbottò.
“Leonard svegliati SUBITO”
McCoy si alzò a fatica dal letto.
“Ma si può sapere che suc…”
McCoy non finì la frase sbarrando gli occhi davanti a Jim.
Per un attimo anche lui rimase bloccato.
“E’ vero?? Non è una allucinazione alcolica??” chiese rivolto a Spock.
“No, credo di no…” rispose il vulcaniano incapace di smettere di sorridere.
“Oh mio Dio!!! Jim!! Sei tornato!!” gridò  il medico, cercando di abbracciarlo.
“Stai lontano!! State lontani tutti e due” fece Jim terrorizzato indietreggiando.
“Jim.. cos’hai?” chiese preoccupato il medico.
“Cosa ho?? Sono qui nella tua cabina, con i postumi di una sbronza… nudo… con voi due ubriachi. E Spock sta sorridendo… oddio, sta sorridendo… è spaventoso!!”
“Capitano, se vuole sottintendere che quello che è successo qui ieri sera possa implicare una qualsiasi attività a sfondo sessuale… la cosa è assolutamente esclusa. Il dottor McCoy mi ha invitato a partecipare  ad un rituale  per la sua ultima sera a bordo che prevedeva l’uso di sostanze alcoliche, ovvero nel mio caso di cioccolato… ” Spock, di nuovo serio, si lanciò in una logica spiegazione.
“COSA E’ SUCCESSO?? Che significa che sono tornato??” l’interruppe Jim
“Beh ragazzo… son successe un sacco di cose…” disse McCoy, ridendo in modo quasi isterico mentre finalmente riusciva ad abbracciare il suo migliore amico
 
 
 
“Vuoi stare fermo per trenta secondi?” sbottò McCoy infastidito, mentre per l’ennesima volta cercava di controllare con il laser gli occhi di Jim.
“Perché ho dolori dappertutto?” chiese il giovane capitano, continuando ad agitarsi sul biobed.
“Mai sentito parlare dei dolori della crescita? Ti darò qualcosa” rispose con un mezzo sorriso il medico.
“Ripetimi quello che è successo… AHIA” Jim fece un sobbalzo ,non appena sentì il sibilo dell’hipospray.
“Mi hai fatto male…potevi almeno avvisare” continuò con voce lamentosa, massaggiandosi il collo.
“Ti ho avvisato. E da bambino eri un paziente molto più bravo”
Jim mise su una specie di broncio, identico a quello che metteva su Jimmy quando gli negava il cibo preferito; a McCoy si strinse il cuore mentre gli tornavano in mente tutti i ricordi del bambino con cui aveva convissuto per oltre sei mesi.
Rimase per un attimo a pensare alla facilità con cui James Kirk riusciva ad incasinare la sua mente e la sua vita; aveva pianto la scomparsa di Jim adulto per mesi, ed ora che era di nuovo lì avanti a lui, gli mancava il piccolo Jimmy.
“Comunque a parte i dolori ed una leggera anemia sei in perfetta salute, anche meglio dell’ultimo esame fisico che hai fatto” concluse il medico dando a Jim una grossa pacca sulla spalla.
“Davvero sei mesi? Sono stato bambino per sei mesi?” chiese Jim con aria attonita ed incredula.
“Già… ed eri molto carino. Un  dolce bambino molto carino” lo  prese in giro McCoy.
“Che cosa imbarazzante… come farò ad affrontare l’equipaggio ora?”
“Oh, non ti preoccupare. Eri adorabile, anche Spock amava averti intorno e non gli credere se ti dovesse dire il contrario” fece McCoy.
“Non è mia intenzione negare di aver provato soddisfazione in compagnia del piccolo Jimmy” intervenne Spock,  in piedi accanto al biobed,  di nuovo rigido e perfetto come al solito.
“Quel che non riesco a capire è perché all’improvviso sia tornato adulto. Dopo tanti mesi…”  fece il medico poggiandosi alla scrivania, rivolgendosi al vulcaniano.
“Se ricordi bene, Leonard, la regina di Betarus ci aveva espressamente avvertiti che il dono avrebbe funzionato sino a che serviva. Se ne deduce che a questo punto aveva esaurito la sua funzione” ragionò Spock.
“Ehi… sono qui… parlate di me come se non ci fossi e di cose che non ricordo affatto; non è molto piacevole. E aspetta un momento… da quando  Spock ti chiama Leonard? E com’è che siete nella stessa stanza da  più di cinque minuti e non state litigando?” chiese rivolto verso McCoy.
“Te l’ho detto. Son successe un mucchio di cose in questi sei mesi” sorrise il medico, mentre rimetteva a posto i suoi strumenti.
“Comunque capitano, se le sue condizioni lo permettono, l’Ammiraglio Archer ha chiesto di parlarle. Credo che ci siano molti adempimenti burocratici da evadere” scandì formale Spock.
“Ok andiamo”
Jim saltò giù dal biobed.
“Spock… ti rendi conto che se io sono di nuovo il capitano dell’Enterprise, tu verrai degradato  a tenente comandante? O vuoi un comando tutto per te?” chiese mentre si avviavano nel corridoio.
“I vulcaniani non provano ambizione, capitano. E poi su questa nave ho più di un motivo di gratificazione”
 
 
 McCoy aspettò con ansia che Jim aprisse la porta della sua cabina
Quella era la prima sera, da quando, due settimane prima, Jim era tornato adulto, che potevano concedersi una serata insieme, come ai vecchi tempi.
Per un attimo aveva pensato di invitare anche Spock, ma poi egoisticamente aveva rinviato alla prossima occasione. Quella serata doveva essere solo per lui e per Jim. Era l’ultima sera alla spacedock della Terra, poi avrebbero ripreso la loro missione.
Mentre aspettava, reggendo la bottiglia di bourbon che si era procurato poco prima di risalire a bordo, non poteva fare a meno di pensare a quella mattina in cui aveva trovato il piccolo Jimmy  in quella cabina.
Ricacciò indietro la fitta di nostalgia che provava ogni volta che ripensava ai mesi precedenti.
In fondo Jim era Jim… a sei anni o a ventinove.
“Finalmente…” fece quando la porta scivolò di lato e riuscì ad entrare.
“Ero sotto la doccia… come vedi” ribattè Jim, accogliendolo con solo un asciugamani avvolto attorno alla vita.
“Meno male che non devo più costringerti sotto l’acqua la sera… la doccia non era uno dei tuoi momenti preferiti…” ridacchiò il medico.
In risposta ebbe solo un grugnito, mentre il suo amico si avviava di nuovo nel bagno per vestirsi.
Quando riemerse McCoy si concesse un attimo per studiare il giovane.
Appariva in perfetta forma, senza l’aria stanca che spesso mostrava dopo le molte notti insonni.
McCoy sapeva che le notti di Jim erano frequentemente agitate dagli incubi del suo passato.
Versò due abbondanti dosi di bourbon e porse il bicchiere al suo amico.
“A noi”  brindò, facendo tintinnare i bicchieri.
“Buono… avrai speso una fortuna” disse sodisfatto Jim mentre assaporava il liquore.
“L’occasione merita. Per un po’ di tempo io e te abbiamo brindato solo con latte e cioccolato“ ridacchiò il medico.
“Suppongo che dovrò sorbirmi questi racconti per molto tempo…”
“Oh sì…” ridacchiò di nuovo McCoy.
“Stai bene?” chiese dopo un po’.
“Sì… sto bene… anzi…”
McCoy rimase in silenzio in attesa dello sfogo dell’amico.
 “Vedi Bones, non so come spiegartelo. Non mi ricordo niente dei sei mesi passati, ma… mi sento sereno. E’ una strana sensazione… e non ho incubi da due settimane”
“Questo è un vantaggio”
“Certo. Ma è anche più di questo… è strano. Se ora ripenso al mio passato… beh ora è come se  fossi riuscito finalmente ad accettare quegli avvenimenti. Insomma… i miei ricordi sono ancora tutti lì, ma ora so che fanno parte del mio passato e basta”
McCoy guardò con attenzione il giovane davanti a lui.
Sapeva quanto aveva  duramente lottato, senza mai riuscirci davvero, per buttarsi alle spalle le esperienze traumatiche della sua infanzia ed adolescenza.
“Insomma… è come se ora sapessi di avere un posto nella vita, che è qui sulla nave. Con voi” continuò mentre prendeva il PADD dalla scrivania e sfogliava gli ologrammi scattati quando era bambino
McCoy rimase ancora in silenzio,  bevendo il suo bourbon.
“Sai Jim… credo che tutti noi abbiamo male interpretato il significato del dono della regina betariana. Abbiamo sempre creduto che volesse ridarti la tua infanzia, mentre secondo me quello che voleva era solo farti capire che hai una famiglia. Voleva far capire a tutti noi che siamo una famiglia”
Jim annuì e per un po’ i due amici rimasero in un comodo silenzio, godendo della reciproca presenza.
“Così eri disposto a farmi da padre… e tu e Spock avete  anche litigato su questo…” ridacchiò il giovane capitano, rompendo il silenzio.
“Te l’ho già detto eri un bambino molto carino ed intelligente, peccato che crescendo…” rise il medico
“Mi sarebbe piaciuto credo…”
“Cosa?”
“Averti come padre. Tu sei nato per fare il padre, quasi quanto il medico” sorrise Jim.
McCoy sorrise anche lui, un po’ amaro, pensando a sua figlia Johanna.
“Non esageriamo però. Ora che sei di nuovo adulto non sono tanto più vecchio di te”
“Comunque grazie. Non mi ricordo, ma devi essere stato bravissimo”
“Anche Spock ha fatto la sua parte. E Nyota e gli altri della squadra” fece il medico.
“Quindi ora tu e Spock siete amici…”
“Amici… diciamo che abbiamo imparato ad apprezzarci…  e siamo compagni di bevute”
“Tutti una famiglia, giusto?”
“Tutti una famiglia, anche ora che sei tornato il solito idiota”  rise McCoy
Proprio in quel momento risuonò il comunicatore.
“Capitano qui Scotty. Lei ed il dottor McCoy dovreste venire in sala teletrasporto”
“Cosa succede Scotty?” chiese Jim leggermente preoccupato.
“Nulla di grave… abbiamo solo un paio di problemi, enormi problemi”
 
Quando arrivarono, leggermente trafelati, Jim e McCoy incrociarono Spock, pronto ad entrare anche lui nella grande sala dove erano poste le piattaforme del teletrasporto.
Varcata la soglia  i due umani rimasero per un momento a bocca aperta.
La reazione di Spock fu  il solito sopracciglio alzato, sintomo inequivocabile della sorpresa.
Sulla piattaforma, tenuti  fermi per la cavezza da due agenti di sicurezza, c’erano due enormi animali bianchi, molto simili ai cavalli, ad eccezione  della cresta e delle orecchie allungate.
“Affascinante” commentò Spock avvicinandosi.
“Ma che sono? E come sono arrivati qui?” chiese McCoy guardandoli stupito.
“Sono stark. L’equivalente dei cavalli terrestri per i Klingon. Posso chiedere signor Scott come sono arrivati qui?” rispose il vulcaniano
“Teletrasportati dall’ambasciata andoriana  presso la Federazione. Che a sua volta li ha ricevuti da quella Klingon”.
“Ma per chi sono… chi li manda?”
“Moklor. E uno è per te, Bones” rispose Jim, mentre leggeva il messaggio sul proprio PADD, per poi porgerlo al medico.
 
Piccolo guerriero,
E’ un dono che spero che tu ed il tuo ufficiale medico vogliate accettare come segno della mia gratitudine.  La ricerca medica che il dottor McCoy ha fatto pervenire alla ambasciata klingon mi ha ridato speranza di guarigione.
Mi hanno informato che sei tornato all’età adulta e hai perso i ricordi del nostro incontro, ma volevo assicurarti che ho tenuto fede alla parola data. I “tuoi” triboli sono stati teletrasportati su di un pianeta con habitat compatibile ove la presenza di predatori consentirà di controllarne la popolazione. Quanto a Karagg e Kalitta ho chiesto al Gran Consiglio di commutare la pena capitale in detenzione su Rura Penthe.
Non so se il fato vorrà davvero concedermi lunga vita, ma se così sarà sono certo che un giorno ci rincontreremo. E potremo fare la differenza per i nostri popoli.
Sino ad allora
QuaI’ piccolo guerriero.
Moklor comandante della IKS Pagg
 
“Un regalo un po’ meno ingombrate non poteva trovarlo?” fece McCoy sarcastico, dopo  aver letto.
“Il regalo di animali da cavalcatura è considerato segno di grande rispetto fra i klingon” obiettò Spock.
“Sono davvero bellissimi” fece Jim avvicinandosi ad uno degli animali e toccandolo sul muso.
L’animale rispose con un fremito al tocco.
“No no no… non ci pensare nemmeno Jim, non possiamo tenerli a bordo” disse terrorizzato McCoy.
“Potrei suggerire il bioparco di S. Francisco, capitano” intervenne Spock.
“Non voglio mandarli in uno zoo, sarebbe poco rispettoso per chi li ha donati” obiettò il giovane.
“In alternativa la fattoria della madre del dottor McCoy è abbastanza grande. E il bioclima è del tutto compatibile” propose  ancora il vulcaniano.
“Ah magnifico… mia madre ne sarà entusiasta” fece acido il medico.
“Dai Bones, non sono diversi dai cavalli. E tu hai già una scuderia nella fattoria…”
“Sì, ma lo dici tu a mia madre che stiamo per affidarle due animali donati da un feroce guerriero klingon”
“Certo, tanto Eleanor non mi dice mai no” sorrise  Kirk.
“Prima però dobbiamo trovargli dei nomi. Il mio lo chiamo Leonard. E il tuo lo chiami come me?” continuò con il solito sorriso arrogante.
“Non mi sembra il caso di chiamarlo ‘idiota’ ” chiosò il medico.
A Jim sembrò che a stento Spock trattenesse il sorriso.
 
“Buongiorno capitano”
Rigido e perfetto come al solito, Spock salutò Jim che usciva dal turboascensore, diretto alla mensa.
“Che ci fai con quel tribolo?” chiese subito McCoy, che aspettava con Spock.
Era bello riprendere le vecchie abitudini quando i tre erano soliti  fare colazione insieme all’inizio del turno alfa.
“E’ il mio regalo… quindi me lo tengo” rispose Jim carezzando il tribolo azzurro, dono di Archer.
L’animale rispose tubando felice.
“Era un regalo per un bimbo di sei anni, non di ventinove” chiosò McCoy
“Un regalo è un regalo… e devo trovare anche a lui un nome… non mi va di chiamarlo tribolo. Secondo voi è maschio o femmina?”
“I Poligeminus Grex sono ermafroditi, capitano” fece Spock, serissimo, mentre  prelevava dal replicatore la sua zuppa ploomek.
“Quindi posso scegliere...” fece Jim mentre come un equilibrista reggeva con una mano il vassoio con la sua colazione e con l’altra il tribolo.
“Ti somiglia, Bones… ha un’aria incazzata, come te… ma non posso chiamare anche lui Leonard” fece una volta seduto.
Il medico emise un sospiro di sopportazione.
“I triboli non posso avere espressioni facciali, non hanno tecnicamente un viso. In realtà non sono neppure senzienti” continuò sempre serio il vulcaniano.
“Non  starlo a sentire…” bisbigliò Jim al tribolo, carezzandolo ostentatamente.
“In realtà somiglia anche a te Spock… avete quasi lo stesso taglio di capelli” concluse Jim.
Il vulcaniano si limitò ad alzare un sopracciglio.
“Ho deciso, lo chiamo Spones” annunciò Kirk felice dopo alcuni minuti, con la bocca sporca di marmellata
“Idiota” fu il commento di McCoy, mentre Spock non degnò  il capitano e l’animaletto di uno sguardo.
 
“Bene possiamo andare. Il lavoro ci chiama” disse Jim alzandosi dal tavolo.
“Non vuoi le tue gelatine?” chiese McCoy, con un gran sorriso.
Kirk aggrottò la fronte, ma non rispose.
“Capitano crede che sarà in grado di completare il suo turno, o ritiene che sentirà la necessità del consueto pisolino dopo pranzo?” chiese Spock serio.
“Vi siete alleati per prendermi in giro? Non credo mi piaccia il fatto che  ora voi due siete amici. Quindi vi ordino di non esserlo” chiosò scherzoso il capitano.
“Non credo che tale ordine sia legittimo, capitano. In base al capitolo 15.5  del regolamento della Flotta Stellare gli ordini superiori non possono riguardare sfere strettamente personali, sessuali, o essere dettati da motivi discriminatori…” rispose formale Spock, provocando la risatina di McCoy.
“Ok... allora vi metterò sempre su due turni diversi, così non potrete frequentarvi”
“La cosa risulterebbe inutile, visto che il servizio è organizzato su tre turni giornalieri, residuerebbe sempre un turno in cui il dottor McCoy ed io condividiamo il riposo”
“Bene allora inizierò a sparlare di ciascuno di voi  alle spalle dell’altro …”
“Nulla che tu già non faccia mi pare” ridacchiò McCoy.
“Ingrati. Mi rimani solo tu Spones…” fece Jim accarezzando il tribolo.
Nel frattempo i tre avevano raggiunto la plancia.
“Capitano sul ponte” annunciò Chekov.
“Buongiorno a tutti, famiglia” augurò Jim mentre si avviava  verso la sedia di comando.
FINE


Star Trek non mi appartiene.
Grazie a tutti per aver seguito la storia, per aver  recensito, inserito la storia fra i preferiti, seguiti ecc. 
Ora  completerò  "Eroe" la fanfic lasciata in sospeso.
Spero di avervi tenuto compagnia e disratto un po' con questa storiella.
A presto.

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