Papilio

di BakaInu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio - Luci del Paradiso ***
Capitolo 2: *** Stella nera ***
Capitolo 3: *** Inno alla morte ***
Capitolo 4: *** Lo Specchio ***
Capitolo 5: *** La giusta causa ***
Capitolo 6: *** Il pritano ***



Capitolo 1
*** Preludio - Luci del Paradiso ***


Annabeth correva con passo rapido lungo le stradicciole della periferia di Etras, mentre la consunta tracolla di pelle grigiastra le batteva sulla gamba destra ad ogni movimento.
Il suono di un esplosione le giunse alle orecchie, ovattato dalla distanza che la separava da quest'ultimo. Urlò e accelerò, spaventata.
Quella giornata era iniziata benissimo, si ritrovò a pensare: aveva giocato insieme alle sue amiche al parco vicino alla spiaggia, aveva riso, mangiato un gelato alla fragola. Come poteva minimamente pensare una bambina di dieci anni ai risvolti inaspettati che quella giornata avrebbe preso?
Svoltò e il cuore iniziò a palpitarle più velocemente, rischiando di schizzarle fuori dal petto; le gambe le dolevano, ma l'adrenalina le impediva di fermarsi: era come se corresse inconsciamente, spinta da una forza misteriosa, verso casa.
Ad ogni passo temeva di trovarsi davanti ad uno di quegli uomini dai quali suo padre le aveva detto di stare lontana: sembravano esseri umani, vestiti con una tuta di pelle di un giallo acceso, molto aderente ed un elmo del medesimo colore, con un visore nero.
 «Sta' attenta ai Fuochi fatui, Annie» le aveva detto «non voglio che ti ci avvicini, nemmeno in caso di bisogno. Se li vedi, corri più veloce che puoi»
Sentì un'altra esplosione, questa volta più forte, e fu costretta a fermarsi: ormai le gambe le tremavano troppo, ansimava. Si guardò intorno con circospezione e, quando ebbe ripreso fiato, ricominciò a correre verso casa.
 È tutto sbagliato. Perché la dea non fa nulla?
Svoltò ad un incrocio, girando a destra e correndo rapidamente per raggiungere casa.
La pioggia iniziò a scrosciare violentemente, inzuppando Annabeth dalla testa ai piedi; le gocce le pizzicavano la pelle. Di riflesso, protesse la tracolla e ciò che vi era contenuto dal temporale.
 Ci sono quasi, pensò la bambina, casa mia è in fondo alla strada.
Fece un passo sbagliato, poggiando maldestramente il piede su una busta di cartone fradicia, e scivolò, cadendo sulle natiche. La tracolla le volò via dalla spalla, rovesciando blocchi di fogli e una mela rossa per terra.
Annabeth si rialzò fulminea, nonostante il dolore, e raccolse in fretta le sue cose; si sistemò la gonnellina rosa e la camicetta nera dal colletto bianco. Fece per correre via, quando vide una nube di fumo sollevarsi da una casa a non più di un chilometro da lì. Un pensiero le balenò subito nella mente, terrorizzandola a morte.
Fuoco...
Annabeth corse verso la porta di casa, quando il rumore di un'altra esplosione le lambì con prepotenza i timpani, provocandole un brivido terrificante lungo la schiena.
Nora, sua madre, la aspettava sulla soglia di casa, preoccupata come non mai.
 «Mi hai fatto preoccupare a morte.» Strinse la piccola fra le braccia e le accarezzò la testa. Un altro botto, questa volta fortissimo. La bambina si tappò le orecchie, in preda alla lacrime.
Entrarono in casa di corsa, chiudendovisi a chiave.
Annabeth si sentì tirare per un braccio dalla madre, che la trascinò con talmente tanta foga su per le scale, verso la camera da letto, che le dite lunghe e sottili le divennero bianche. La bambina si stropicciò gli occhi inumiditi con la manica e osservò sua madre che apriva la porta della camera matrimoniale.
Entrate nella stanza, la donna chiuse la porta a chiave. Si avvicinò ad una cassettiera in mogano e la trascinò di fronte a quest'ultima, bloccandola. Annabeth non la credeva capace di un simile sforzo, considerata la corporatura gracile.
Nora si voltò. «Ascolta, amore» mormorò piano. «Ci sono cose che dovresti sapere, bambina mia.»
Annabeth annuì, tirando su con il naso. Sentiva la mente come avvolta un turbinio devastante di emozioni: rabbia, paura e angoscia si mescolarono in lei, terrorizzandola a morte; una sola domanda, in mezzo a tutto quel caos, esigeva di essere espressa: «Dov'è papà?»
La donna spostò lo sguardo, visibilmente turbata da quella domanda. «Annie, io...mi dispiace tanto, piccolina.»
Un'altra esplosione fortissima.
Annabeth sobbalzò, urlando mentre le lacrime le sgorgavano come fiumi in piena. La bambina si portò le mani alle orecchie, provando ad affievolire quel rumore fastidioso che proveniva da non molto lontano. Dalla finestra scorse dei globi di luce azzurra: li vide ingrandirsi, espandersi.
Non appena deflagrarono, inondando la stanza di luce, Annie si tappò le orecchie e chiuse gli occhi, riducendoli ad una fessura traboccante puro terrore, mentre la madre la cingeva forte con uno sguardo colmo di apprensione e amore.
 «Mamma...sono loro, quelli che diceva papà?» singhiozzò Annabeth, stringendosi al petto della donna per soffocare le lacrime. «Ci prenderanno, vero?»
  «Ma certo che no, piccola. » Nora la abbracciò forte, tenendole le orecchie tappate mentre anche un'altra di quelle sfere luminescenti esplodeva con veemenza.
Annabeth corse alla finestra e guardò lo spettacolo che si presentava ai suoi occhi: Etras sembrava un teatro di guerra, il preludio di una apocalisse.
 «Annie, allontanati!» le urlò «Potrebbe esserci un'altra esplosione da un momento all'altro!»
Osservando meglio, Annie vide qualcosa che la fece sussultare.
Una gigantesca pila di uomini ardeva avvolta da un innaturale fuoco azzurro, come un fiore ceruleo sbocciato al centro di quella piazza. Ascoltando con più attenzione, Annabeth giurò di sentire le urla di chi, ancora vivo, bruciava come carta nonostante la pioggia.
Annie gridò, come mai aveva fatto prima di allora.
Altre luci si sollevarono dal terreno, migliaia di globi luminescenti di una bellezza sconvolgente, eterea; ne era quasi ipnotizzata. Le sfere luminose si ingrandirono per un tempo che le parve interminabile.
Non appena esplosero, Annie fu investita da una luce splendida e dolorosa.

 

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Capitolo 2
*** Stella nera ***


Yil sbucciò il mandarino e ne infilò uno spicchio in bocca. Quando si sedeva in cima alla rupe portava sempre un po' di frutta con sé: la aiutava a scaricare la tensione mentre osservava le rovine della città. La sua città.
Si sporse appena e guardò giù, seguendo il profilo roccioso della sporgenza fino a quando questo non lasciò spazio alla sabbia e poi al cemento di quel che restava di Etras.
Guardarla le provocò un dolore sordo al petto, come se tutti i ricordi della sua vita prima della catastrofe le risalissero al cuore e cercassero di uscire, premendo con forza. Osservò con amarezza, come di consuetudine, gli alberi neri dai rami scheletrici, alle case devastate e ai palazzi crollati, finché lo sguardo non si perse oltre gli edifici deturpati e raggiunse il mare arrossato dal sole del crepuscolo.
Staccò un altro spicchio e lo ingoiò senza neanche masticalo, pensando con colpevole sollievo a quanto lei, Niss e Wals fossero stati fortunati a trovarsi fuori da Etras quel giorno, evitando la morte certa.
Quella mattina di due mesi prima si era alzata presto ed era andata sulla rupe ad allenarsi con i suoi amici. Stava andando tutto per il verso giusto, quando avevano sentito delle esplosioni e di colpo la città era andata in fiamme. Se solo...
Yil scosse la testa: pensare al passato e a ciò che avrebbe potuto fare non l'avrebbe aiutata ad andare avanti, a...A fare cosa? Cosa pensi di fare?
«Ammiri l'orizzonte come al solito?.»
Si voltò e vide Niss, i capelli castani illuminati dalla luce del sole morente.
«Sì, come no. E tu che cosa sei venuto a fare qui?» rispose «Quell'affare è pronto, a quanto vedo.» Accennò al guanto di pelle scura che lui portava alla mano destra; non riusciva a capire come quell'affare metallico sul dorso non gli pesasse minimamente.
«Non è quell'affare. Questa è alta tecnologia bellica in formato tascabile» rispose come se stesse ripetendo una formula imparata a memoria; poi, notando lo sguardo perplesso di Yil, scosse il polso e lei sentì uno scatto e un movimento di ingranaggi: una frusta fuoriuscì dal guanto e sibilò nell'aria. Si mosse sinuosa, seguendo i movimenti del braccio di Niss. Per completare quella dimostrazione, il ragazzo mosse il braccio e la frusta si abbatté su una pietra, distruggendola.
«Però, allora quando ti chiudi in camera non hai certe fantasie su ragazze nude come dice Wals» commentò, ridacchiando.
Niss si lanciò in una spiegazione che lei non riuscì a seguire; tuttavia, vederlo così preso dai suoi marchingegni le ricordò il giorno della Purificazione, di come si fosse precipitato a Etras senza pensarci.
«Mi stai ascoltando? » proruppe il ragazzo, strappandola ai suoi pensieri.
«Sì sì:tecnologia bellica e...no, scusami tanto, pensavo solo...»
«...alla città. Capisco. » Sospirò e si sedette accanto alla sua amica. «Yil, anche io e Wals stiamo male, credimi. Quando Hosanh ha distrutto Etras ha frantumato anche una parte del mio...dei nostri cuori.»
«Ma mi sembra di essere l'unica a preoccuparsene, a vivere nel rimpianto di non essere stata capace di fare qualcosa.»
Niss le mise un braccio intorno al collo e le parlò in tono rassicurante, fraterno: «Mi dispiace ammetterlo, ma non potevamo e non possiamo fare niente. Etras è andata, la dea corrotta ha vinto.»
Etras è andata.
Quelle parole le strinsero il cuore come un cappio e sentì la colpa e il rimpianto montarle dentro impetuosamente. Strinse i pugni è scattò in piedi, furente. Aveva capito cosa fare, qual era la strada che doveva prendere.
«Ucciderò Hosanh» sentenziò.
Niss la guardò, incredulo. «Sei pazza, forse? Hai ascoltato almeno una parola di quello che ti ho detto: è una dea, dannazione, non puoi ucciderla: sarebbe un suicidio.»
Yil scosse la testa. « Hosanh si è indebolita. Creare i Bagliori, plasmare le Fiamme Alte è troppo, persino per una dea come lei. Inoltre, la disperazione e l'odio che l'hanno corrotta la stanno lentamente distruggendo, Niss.» disse sicura «Possiamo farcela, abbiamo già combattuto altre battaglie!».
«Ma non pericolose come questa!» rispose Niss, alzandosi anch'egli.
Yil si voltò, stizzita. Il modo in cui il vento le accarezzava le pieghe del corto vestito bianco la faceva sembrare una nuvola vaporosa.
«Questa notte stessa andrò ad Etras» sentenziò «Se prima dell'alba non sarò di ritorno, mettetevi l'anima in pace: sarò morta.»
Si rese conto dell'audacia della sua affermazione nel momento stesso in cui vide Niss spalancare gli occhi, incredulo ed esasperato «Io e Wals verremo con te»esclamò coraggiosamente. «Non possiamo tollerare un tale suicidio. Anche se Hosanh si è indebolita, affrontarla da sola sarebbe impensabile.»
Non rispose e si diresse verso casa.

Quella casa sulla sporgenza era tanto piccola quanto accogliente; quando Yil entrò, si ritrovò in un piccolo salotto, con un tavolino di legno ed un cucinino. C'erano poi porte che conducevano alle altre camere.
Wals era intento a lucidare la sua spada, seduto su un logoro divanetto verde dall'aria antica. Yil pensò che quell'azione fosse diventata alquanto ossessiva, quasi fosse una specie di rituale che lui doveva praticare ogni sera; per questo motivo, non appena richiuse la porta della piccola casetta alle sue spalle, non riuscì a proferire parola.
Questa notte vado ad uccidere Hosanh. Se vuoi seguirmi, fa pure; altrimenti, andrò lo stesso, pensò di dirgli, ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu un semplice ed imbarazzante ehi, che distrasse per un attimo Wals dal suo lavoro meticoloso.
«Devi dirmi nulla?» domandò. «Qualcosa riguardante il litigio di poco fa, per caso?»
Yil cedette e raccontò le sue intenzioni a Wals, il quale si limitò a posare il panno con cui stava lucidando la sua arma e ad alzarsi; mise una mano in tasca e prese un piccolo pacchetto di sigarette rosso cremisi, ne tirò fuori una e la accese.
«Sai che non ho mai digerito il fatto che tu fumi in casa?» disse.
«Neanche io approvo le tue intenzioni suicide, zuccherino, ma che ci vuoi fare? Ci sopportiamo a vicenda» rispose ed emise un grigio sbuffo di fumo.
«Chiamami un'altra volta così e do in pasto ai pesci le tue sigarette.» rispose, prendendo un bicchiere d'acqua e tracannando un lungo sorso.
Liquidò le minacce con un gesto della mano e aspirò nuovamente. Poi, come se non fosse accaduto nulla, prese parola: «Dicevamo: uccidere Hosanh. C'è bisogno che ti dica che è una stronzata colossale o ci arrivi da sola?»
Yil si sentì indignata. Nemmeno lui mi crede.
«Bene. Se è così che stanno le cose io...»
«Tu cosa? Ci andrai da sola nel cuore della notte?» la interruppe lui rinfoderando la spada «Mi chiedo se tu sia impazzita o solamente troppo stupida da credere di poter uccidere una dea da sola.» Wals si alzò in piedi e le si avvicinò, ad un palmo dal suo viso, puntandole il dito in faccia. Sembrava volesse dire qualcosa, ma alla fine cedette e si accasciò sul divano, spazientio
Yil si sentì a pezzi, abbandonata, forse persino tradita. Maledisse dentro di sé il momento in cui aveva deciso di parlare del piano a Niss e poi, sperando in un riscontro positivo, con Wals.
Fece per uscire, ma lui la afferrò per un braccio. «Ascoltami bene: nel momento stesso in cui Etras è morta ho giurato a me stesso di proteggervi, perché siete tutta la famiglia che mi è rimasta da quando...» Yil vide un luccichio nei suoi occhi. «Se proprio devi andare, lascia che io venga con te: se morissi, non me lo perdonerei mai.
La ragazza tentennò. Prese un sospiro e annuì. «Verrete con me, tu e Niss».
Quando uscì dalla casetta, trovò Niss a fissare il cielo come paralizzato dalla paura. Inizialmente non capì, poi alzò lo sguardo e improvvisamente realizzò: un bagliore pulsante, simile ad una stella nera, brillava sospeso su Etras; al di sotto, stava un piccolo globo luminoso color argento. Di colpo, la luce oscura precipitò come una meteora sulla città, inglobando quel piccolo puntino lucente fino a farlo scomparire.
«Non mi piace quella cosa.» mormorò lei «Hosanh sta tramando qualcosa di oscuro. Non è rassicurante, non lo è affatto, diamine!»
Niss si voltò e si guardò il braccio. Il guanto di pelle scura che gli avvolgeva la mano emise un rumore metallico, come di ingranaggi in movimento, e la frusta di elettro scintillante fuoriuscì, afferrando qualcosa nel buio. Il ragazzo avvicinò la corda, stretta intorno ad un mostriciattolo nero simile ad una lucertola alata.
«Cos'è? »domandò la giovane, sconcertata.
«È un Nocta. Di solito non si spingono nei pressi delle città, è strano trovarne uno qui» rispose Niss, osservando il corpo esanime di quel mostro. Un sottile rivolo di sangue nero colò dal collo, nel punto in cui la frusta era avviluppata.
«Cosa significa?»
Niss si voltò. «Significa che devi correre dentro e avvisare Wals. Hosanh sa di noi e non sembra essere intenzionata a lasciarci in vita.» ansimò, tirando un calcio al Nocta. «L'unico motivo per cui questo coso si trova qui è che c'è qualcuno che lo sta controllando, sta aizzando i suoi simili contro di noi.»
«Quindi?» domandò, sebbene conoscesse già la risposta.
«Quindi preparati, perché dobbiamo andare ad uccidere Hosanh prima che lo faccia lei. Ora!»

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Capitolo 3
*** Inno alla morte ***


Yil aveva adorato la sua città sin dal primo momento. Non era mai stata, neanche da bambina, interessata ai particolari di un paesaggio, ma Etras l'aveva conquistata subito: aveva piacevoli ricordi dei colori, dell'allegria e persino dei bui vicoli periferici. Ed era straziante per lei vedere tutta quella bellezza, quelle memorie, devastate.
Etras sembrava il teatro di un apocalisse: solo silenzio, scandito dal lugubre sibilo del vento e dai versi gutturali di alcune creature, gli edifici sventrati dall'energia spietata di quei globi di luce azzurra.
Correndo, Yil percepì l'odore dell'aria viziato dall'olezzo di carne bruciata che la aveva accolta appena era giunta. Fece mente locale di tutte le istruzioni e le mosse da compiere.
 «Il piano è semplice» aveva detto Wals, quando avevano lasciato la casa sulla sporgenza «Dovremo raggiungere Hosanh il prima possibile ed eliminarla. Bisognerà fare attenzione ai Bagliori e alle varie creature in cerca di carcasse da divorare.»
Il trio correva silenziosamente per le vie di Etras, avvolti nel nero profondo di quella notte. Yil lanciò una rapida occhiata ai suoi compagni: Wals si guardava anch'egli intorno, posando gli occhi azzurri su ogni particolare di quella via, con la mano vicino sinistra vicino alla guaina; Niss era rigido e di tanto in tanto si aasciugava le gocce di sudore che gli bagnavano la fronte.
Improvvisamente, lei si fermò di colpo e tese l'orecchio, cercando di percepire anche il rumore più flebile in quel silenzio tombale. Avvertì un sibilo e un graffiare insistente e alzò lo sguardo, preoccupata; vide un piccolo Nocta appollaiato su un cornicione sbattere le ali minacciosamente.
Allora è vero. Yil deglutì, fremente. Ci vuole morti.
  «Preparatevi» bisbigliò Wals, pronto a sguainare la spada «Non è il solo nei paraggi.»
Niss alzò lo sguardo e notò altri due mostriciattoli svolazzare sopra le loro teste, emettendo versi minacciosi; Yil, invece, ne avvistò altri tre arrivare lentamente alle loro spalle. Wals lanciò uno sguardo a entrambi. La mano scattò al fodero e sguainò la spada, iniziando il combattimento.
Ognuno prese una direzione diversa, concentrandosi su un ristretto gruppo di Nocta; Yil spiccò un salto, sembrò andare oltre ciò che le leggi dell'universo stabilivano e si aggrappò ad un cornicione. Da quella distanza così ravvicinata, quei mostri sembravano ancora più minacciosi.
  «Sta' attenta, Yil» urlò Niss, mentre la frusta trapassava un Nocta, sporcando la strada di un nero profondo «Sono molto rapidi.»
Yil annuì e spiccò un altro salto, gettandosi nel vuoto ad un'altezza incredibile. Nel mentre, i due esseri le si avventarono contro, volando a grandissima velocità. Yil sentì il cuore pulsare seguendo il ritmo di quelle loro ali, sempre più rapido, finché il battito non rallentò.
Si rilassò e chiuse gli occhi, concentrando tutta se stessa in quell'unico istante, fino a rompere ogni contatto con la realtà, mentre il suo cuore decelerava sempre più rapidamente. Poi, a poco a poco, riprese il suo ritmo regolare e per Yil fu come riemergere da un abisso di ghiaccio; riaprì gli occhi e si dissolse, scomponendosi in centinaia di minute farfalle verdi.
Lo sciame saettò verso l'alto, schivando i due Nocta; arrivato più in alto, l'insieme si ricompose e Yil riemerse da quel turbinio di smeraldo, cadendo con la gamba tesa sul piccolo cranio di uno di loro con la grazia e la forza di un angelo guerriero.
La creatura precipitò, fracassandosi il cranio sotto la pressione del piede della ragazza, in un tripudio di ossa e sangue nero come la notte, mentre Yil continuava a combattere incurante del vestito bianco improvvisamente coperto di macchie color pece.
D'un tratto, sentì il sibilo metallico della frusta di Niss risuonarle accanto all'orecchio e avvertì un rumore secco di ossa che si spezzavano, come tranciate da qualcosa. Si voltò, e vide il corpo esanime del Nocta che prima volava separato dalla testa, tagliata via di netto con un colpo di frusta.
  «Bello spettacolo, farfallina» commentò Niss, correndo a dare man forte a Wals.
Yil rimase un momento interdetta, ancora frastornata dalla trasformazione: era normale ormai cambiare forma in maniera così repentina, ma tutto ciò la lasciava ancora un po' spossata.
Lasciando da parte il resto, corse verso gli altri due, che insieme avevano sistemato gli ultimi Nocta rimanenti: lo scontro era finito, finalmente.
  «Sono troppo aggressivi» commentò Wals, accendendosi una sigaretta. «Non è un bene, ma dobbiamo continuare.»
Yil guardò i suoi amici, pulendosi un rivolo di sangue che le colava dalla guancia con la mano sinistra. I suoi occhi verdi squadrarono i compagni; Niss era messo non proprio bene: una zampata superficiale gli aveva lasciato un leggero taglio sull'avambraccio, mentre dal dorso della mano destra continuava a sgorgare sangue. Wals riportava alcune ferite superficiali, come una leggera abrasione sulla gamba sinistra. Lei, invece, era quasi totalmente illesa, escludendo alcuni graffi procuratisi durante la trasformazioni.
 «Non passeremo dalla Gran Fontana sta sera.»
  «Sei impazzita?» commentò Wals «E come pensi di arrivare alla Bilancia, da Hosanh, altrimenti?»
Yil sbuffò. «Non siamo nelle condizioni di combattere: le ferite sono leggere, questo è vero; ma non sappiamo cosa ci aspetterà lì.» Yil si diede un'occhiata intorno.  «Dormiremo in quel condominio là su e domani lei sarà già morta.»
  «E nel frattempo? Hosanh potrebbe riprendersi e attaccarci di nuovo» intervenne Niss, seduto a terra. «Non...preferirei non affrontare uno scontro del genere. Potremmo seriamente lasciarci la pelle.»
Yil trasalì: la possibilità di morte le era sembrata, fino a quel momento, una possibilità non troppo remota. Ma questa prospettiva le sembrava, tutta d'un tratto, quasi tangibile.
  «Non moriremo» disse infine con sguardo vacuo «Andremo fino in fondo e vinceremo. Ma...»
  «...andremo avanti. Non ci sono alternative, Yil» la interruppe Wals, autoritario.
  «Quanta cocciutaggine...e va bene, andiamo. Ma io vi ho avvertito» sbottò la ragazza, stanca dei tentativi di trattenere i suoi amici.

Il percorso verso la Gran Fontan fu breve e senza complicazioni. Durante il tragitto, Yil ebbe modo di osservare lo stato pietoso in cui versavano le vie principali: erano impregnate di un forte odore di carne in decomposizione e di tanto in tanto era possibile osservare qualche creaturina cibarsi delle carcasse umane rimaste lì da chissà quante settimane. Trattenne i conati più volte e distolse lo sguardo ogniqualvolta un macabro spettacolo le si presentava davanti agli occhi.
Improvvisamente, Yil si trovò davanti ad uno scenario che le mozzò il fiato: la Gran Fontana, una vasca dalla quale fuoriusciva un gigantesco globo di vetro sostenuto da una colonna tutta spuntoni del medesimo materiale, brillava alla luce della luna. Era un miracolo che fosse sopravvissuta dopo tutto ciò che era successo ad Etras.
È meraviglioso, pensò fissando la fontana con gli occhi verdi.
Di fronte a quello spettacolo, il trio quasi non si accorse di un manipolo di Bagliori armati fino ai denti li aveva circondati.
 «Maledetta Hosanh con tutti i suoi tirapiedi» esclamò Wals a mezza voce, con lo spadone già in mano.
  «Le imprecazioni non ti salveranno dall'essere sventrato» intrvenne Yil, sistemandosi le muffole «Ucciderli sì, invece!» Scattò in avanti, seguita dai suoi compagni.
Tirò dietro il braccio e colpì un soldato in pieno viso, fracassandogli il casco. Gli si avvicinò e notò con orrore il vuoto che celava quell'armatura, un ammasso di nero profondo. Ecco come sono fatti realmente.
Sentì arrivare un Bagliore da dietro e si trasformò, evitanto che la sciabola dorata le aprisse un taglio sulla schiena; volò dietro il soldato e gli spezzò il collo. Lo prese per la gola e scaraventò il suo corpo inerme contro la Gran Fontana, fracassandola e spargendone le schegge luminose.
  «Non sono mai stato un grande amante dell'arte» commentò Wals subito dopo, osservando ciò che rimaneva della scultura «Ma devo ammettere che è un peccato vedere un così bel pezzo artistico distrutto.»
Yil non ebbe neanche il tempo di ridere alla battuta dell'amico, che uno soldato le si avventò contro. Strabuzzò gli occhi, la sciabola dorata che si avvicinava pericolosamente al suo petto. Si sentì colpire al braccio e cadde di lato.
La lama colpì e squarciò la carne.
Dal petto di Niss fuoriuscì un fiotto di sangue scarlatto, che andò a colorare la sciabola di rosso. Il Fuoco fatuo ritirò la lama e corse via, concentrandosi su Wals. Yil guardò incredula l'amico in fin di vita e si trattenne a stento dal piangere
Il ragazzo si inginocchiò a terra, stremato, e si tenne la ferita con le mani; il dolore lancinante lo fece arrancare, ma nonostante ciò riuscì ad avvicinarsi alla sua amica. Le passò una mano sulla guancia per asciugarle le lacrime e cadde a terra subito a dopo, steso supino con il volto al cielo.
  «Sai, avrei voluto vedervi vincere, veder Hosanh morire.» mormorò Niss.
  «E la vedrai: devi solo resistere.» Yil cercò di rassicurarlo, perché la verità era troppo crudele per accettarla.
Niss scosse la testa, rassegnato, e socchiuse gli occhi, trasformando una smorfia di dolore in un sorriso.
  «Grazie mille...farfallina» mormorò amichevolmente, per poi spirare.
Gli occhi della ragazzina si chiusero, inumidendosi di lacrime che non facevano che sgorgare come fiumi in piena. Il tempo attorno a lei sembrò rallentare, fino a fermarsi; strinse i pugni, soffocando un urlo di rabbia e si alzò in piedi a fatica.
Si sentì trascinata con forza in quell'abisso, ma da quel luogo gelido sentì propagarsi una fiamma carica di dolore e odio. Riaprì gli occhi, furiosa.
Con tutta la forza che aveva in corpo, si avventò su un gruppo di guardie e cominciò a colpirle con una velocità ed una grazia incredibili, trasformandosi in farfalle talmente tante volte che a stento si riusciva a riconoscerla. Mise un piede sull'elsa di uno di loro e spicco un salto, ritrasformandosi e cadendo in picchiata come un'aquila in cerca della sua preda; ritornò alla sua forma normale e colpì un Fuoco fatuo, prendendogli la sciabola e conficcandogliela nel petto con un gesto fulmineo.
Yil afferrò l'ultimo di loro e gli sfondò il cranio contro il pavimento lastricato e ne gettò il corpo scempiato come fosse una bambola rotta.
Alla fine dello scontro, quando anche l'ultimo avversario fu sconfitto, lei e Wals si sedettero a terra uno accanto all'altra, sfiniti. Rimasero per un momento immobili, fermi ad assaporare il vento che carezzava le loro ferite e la pioggerella che le bagnava, provocando un leggero bruciore.ì
Non c'erano parole per esprimere ciò che era accaduto: Yil era distrutta e vedere il cadavere del suo più caro amico le provocava un dolore intenso, quasi fisico. Anche Wals, notò, sembrava pietrificato dallo sconforto, dall'amarezza.
E mentre lei rimaneva seduta con la testa bassa, il ragazzo si alzò e camminò lentamente verso il cadavere del suo amico; lo prese in braccio e Yil riuscì quasi a percepire il freddo del suo corpo esangue.
Wals lo portò fino ad una gigantesca aiuola e lo posò a terra con delicatezza.
La ragazza lo sentì canticchiare a mezza voce una canzone tranquilla; rimase a bocca aperta, riconoscendola subito: l'Inno alla Morte, il canto funebre per eccellenza. La melodia non chiedeva la gloria eterna del defunto, solo la pace, attraverso note e parole dolci come il miele.
Wals prese la sua spada e la usò per scavare un buco nel terreno, poi riprese fra le braccia il corpo esanime di Niss e lo calò delicatamente nella fossa, seppellendolo. Pose alcuni fiori per adornare la tomba e infine incastrò un sasso nel terreno come lapide e vi incise con un coltello un'iscrizione, usando la formula tipica di Etras: "Giace qui il mio corpo. Viandante, ti prego, lasciami un ricordo di questo mondo, affinchè la lontananza non sia amara. Niss Rybin ti porge i suoi ringraziamenti. Arrivederci, viandante."
Nel frattempo giunse anche Yil, con passi piccoli e incerti. Si pose accanto a Wals, affondando la testa nel suo petto, e scoppiò nuovamente a piangere, aggrappandosi alla giacca.
 «Tutto questo è solo colpa mia! Mia e solo mia!» urlò la ragazza.
 «Non dire così: sappiamo benissimo di chi è la colpa» la rassicurò Wals «Ed è per questo che vinceremo: per Niss! E per tutti coloro che hanno sofferto a causa di Hosanh»
Yil si strinse ancora più forte attorno al suo amico, facendo uscire tutte le lacrime che aveva. Non lo aveva mai sentito così vicino, rassicurante. Così necessario.
Si sedettero sul bordo dell'aiuola. L'ultima cosa che sentì prima di addormentarsi furono le mani di Wals che si posavano sulle sue spalle, coprendole con la giacca di pelle nera.

Il mattino seguente, appena Yil fu di nuovo sveglia, ripresero a perseguire il loro scopo.
Lanciò un ultimo sguardo alla tomba con gli occhi ancora appannati dal sonno e mormorò un addio, carico di tristezza e di speranza.
La Bilancia era il cuore del dispotico regno della dea, rammentò Yil a se stessa, una gigantesca struttura sospesa sopra la Gran Fontana. Normalmente, non si poteva raggiungerla senza un suo esplicito invito, ma sia Wals che Yil erano sicuri che, in quelle circostanze, per loro si sarebbe fatta un'eccezione.
Si avvicinarono a quel che rimaneva della fontana e si tennero per mano come per rassicurarsi a vicenda, per convincersi che sarebbe andato tutto per il verso giusto.
  «Allora...buona fortuna!» si augurarono, sorridendo mestamente.
Di colpo, una spirale di luce bianca e nera investì in pieno sia Wals che Yil; man mano che essa si avviluppava attorno ai due, divennè sempre più nera e macabra, fino a oscurarsi del tutto come un lampo di morte. I due vennero sollevati dal terreno e trascinati verso una struttura sospesa a forma di bilancia d'oro. Una volta in cima, videro per la prima volta la dea in faccia.
Hosanh, seduta sul trono con la gamba sinistra accavallata sull'altra e la testa sorretta dalla mano destra, osservava dal suo enorme scranno i suoi ospiti alquanto indesiderati. Ella appariva come una giovane gigantesca, alta il triplo di un umano, bella e pura come l'acqua. Del volto si riuscivano ad intravedere solamente gli occhi, grigi come la pietra, dato che il resto era celato da una maschera bianca e nera.
Il suo vestito elegante sembrava cucito con fili sottilissimi e delicatissimi, dato che la trasparenza del vestito riusciva a fare intravedere la nudità del suo corpo flessuoso. Sopra l'abito, indossava robusti spallacci e un pettorale di oro bianco, mentre in mano recava la sua enorme lancia nera, utile per difendere il mondo e mantenerne l'equilibrio.
  «Ed infine, siete giunti» commentò allora la dea.
Wals e Yil annuirono con decisione, preparandosi alla battaglia.
 «Non vi sembra di correre troppo, piccoli sventurati?» domandò fervente Hosanh, stringendo più forte la lancia «Vorrei quantomeno avere bene in mente il volto del prossimo sventurato che finirà trapassato.»
Hosanh si avvicinò a Yil, accarezzandole il mento con l'indice e sogghignando. ­«Degna prole di una genia gloriosa» commentò, ma la ragazza non riuscì a comprendere il significato di quelle parole. Si avvicinò a Wals e saggiò la spada con un dito e del sangue scarlatto le colò dal dito.
  «Sì, decisamente non siete i soliti rammolliti che credono di potermi sfidare.» Rise. «Voi due avete qualcosina in più, a quanto pare.»
Entrambi i ragazzi si misero in posizione, pronti a partire all'attacco non appena se ne fosse presentata l'occasione. Nessuno dei due aveva avuto modo dir nulla: l'aspetto e le parole della dea non avevano bisogno di ulteriori commenti.
  «Vedo molta ostinazione e determinazione nei vostri cuori. Se proprio lo desiderate, vi ucciderò!» esclamò la dea con veemenza «Preparatevi ad essere soggiogati da questa mia luce ingannevole e possa il vostro corpo essere straziato dal buio fino a farvi implorare la morte»
La dea impugnò la sua lancia e cominciò a farla vorticare, generando una sferzata di vento alla quale Wals e Yil fecero fatica a resistere, anche piantando i piedi a terra con forza.
Senza pensarci due volte, la giovane corse contro Hosanh, schivando i colpi della lancia, scomponendosi in e cercando di colpire il viso dell'enorme dea, che la tratteneva con lampi di luce argentea. Nel mentre, Wals faceva i conti con la lancia, parando a fatica i colpi poderosi assestati dall'avversaria e contraccambiando con fendenti e affondi che provocarono un certo effetto anche ad una dea come lei.
Quella luce deve averla indebolita di molto, realizzò Yil
Yil si avvicinò sempre di più alla dea. Le ferite riportate a causa dello scontro cominciarono a farsi sentire, ma non per questo la ragazza ebbe intenzione di mollare; anzi, una volta giunta più vicina ad Hosanh, le tirò un poderoso calcio al viso e face saltar via la maschera, rivelando un volto deturpato e grottesco.
  «Ne ho abbastanza!» urlò la dea, infuriata «Feccia! Vi torturerò fino alla morte!»
Sia Yil che Wals vennero sbalzati via con uno schiaffo, finendo agli angoli opposti della Bilancia, feriti e allo stremo delle forze.
  «Illusi! Pensavate davvero di vincere?» Hosanh scoppiò in una risata fragorosa. – Non siete degni di usurpare il trono di una dea»
Wals osservò Hosanh con sguardo disgustato; si asciugò un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca e si appoggiò alla spada, stanco. Si avvicinò arrancando a Hosanh, di modo che lei lo ascoltasse bene.
  «Adesso basta, maledetta! Hai distrutto fin troppe vite perché io possa fermarmi dopo un semplice monito» Wals prese un lungo respiro, poi proseguì «Non serve essere divinità per ucciderti. Possiamo farcela.»
  «Crederci e basta non vi porterà a nulla. Le false speranze, per quanto consolatorie, distruggono l'essere umano. Siete così labili, voi mortali.»
  «Vorrà dire che faremo di tutto per realizzare questa speranza.»
  «Quanta audacia: ammirevole, devo ammetterlo» commentò la dea «Ma, purtroppo per te, un banale discorso ispirato non basta. Se credi di poter vincere, vieni avanti e affrontami!»
Né Yil né Wals si fecero ripetere un'altra volta ciò che era stato detto. Corsero, utilizzando quel poco di energia rimasta, fino a raggiungere nuovamente Hosanh e assillarla con una danza letale di fendenti, affondi, calci e pugni.
Cominciò a volare trasformata in uno sciame, colpendo la dea al petto più e più volte e ferendola in modo abbastanza grave, mentre il suo amico lentamente contrattaccava i colpi della lancia.
Hosanh sferrò un ultimo colpo verso Yil; furbamente, la ragazza volò via in un tripudio di farfalle verdi. Alle sue spalle comparve Wals, che spezzò la lancia in due con un colpo solo. Il secondo fendente, invece, aprì un enorme squarcio nel suo petto.
Tutto troppo facile, pensò Yil.
Un immenso bagliore si sprigionò dal corpo della dea morente, ormai prossima a spirare. Ella, sul punto di svanire per sempre dal mondo, proferì le sue ultime parole: «Non disperate, ho ancora un ultimo dono da offrirvi»
Hosanh svanì in un tripudio di luci argentee che nuotarono nel cielo come pesciolini nel mare. Nel mentre, la Bilancia iniziò a sgretolarsi, cedendo pezzo dopo pezzo.
Yil e Wals iniziarono a correre, in cerca di un appiglio sicuro su cui fiondarsi; ma le ricerche furono vane, tant'è che entrambi sentirono la terra mancare sotto i loro piedi in un baleno e caddero inesorabilmente verso una meta tutt'altro che morbida e sicura.
Durante la caduta, Yil giurò di sentire una voce cupa e scura ridere, quasi fosse contenta di ciò che staca accadendo in quel momento: «Non posso far altro che ringraziarvi, miseri umani. Grazie a voi, ora la mia oscurità caotica potrà finalmente salire in superficie e riprendersi ciò che è suo.»
Sbarrò gli occhi, terrorizzata. So chi sei. Urlò: «Ekka!»
Di colpo, un immenso vortice purpureo si aprì sotto di loro, inghiottendo buona parte della piazza al suo interno. Wals indicò la spaventosa voragine con occhi spaventati. Un vento fortissimo li spinse ancora più violentemente verso il centro di quello che pareva un portale.Yil si trasformò, cercando di trattenere Wals e non farlo cadere. Ma la forza immane dell'aria era troppo potente per essere sostenuta, tanto che il ragazzo venne come strappato dalle braccia dell'amica e spedito all'interno di quel misterioso vortice coloro porpora, svanendo per sempre.Per un attimo la povera Yil si lasciò trasportare dalle emozioni e rimase paralizzata, avvicinandosi sempre di più alla voragine in attesa di essere risucchiata. Ma un attimo prima di scomparire, si riprese.
Compì uno sforzo immane, entrando e uscendo repentinamente da quel baratro. Si spostò ai lati di quella colonna di vento, dove la sua forza diminuiva sensibilmente. La folata non le permise di cambiare forma a lungo, graffiandole lievemente la pelle
Prese un ultimo slancio e si liberò da quella morsa violenta, volando via verso un palazzo altissimo. Da quell'altezza, ebbe modo di osservare la distruzione della sua città, lentamente inghiottita nella voragine: vide le case crollare e sparire in pochi secondi, sentiva nella mente l'eco della gente innocente che moriva e ne avvertiva la sofferenza. La loro missione aveva portato a una catastrofe.
Yil strinse i pugni e chiuse gli occhi, paralizzata dalla paura. Fece un passo avanti, tremante
Riparerò ai nostri errori, ragazzi: impedirò al caos di distruggere il mondo che noi amiamo. Yil si trasformò un'ultima volta e volò via, abbandonando quell'ennesimo teatro apocalittico.

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Capitolo 4
*** Lo Specchio ***


 «Forza, Kai, tira più forte!»
 «La fai facile, quel pesciolone peserà almeno venti chili» rispose il ragazzo, mentre cercava di tirare la canna da pesca con molta forza «Vorrei vedere te al mio posto.»
Il mare che bagnava le coste di Oricea, nella repubblica mercantile di Ercantia, era famoso per la quantità di pesci che vi nuotavano; quando le acque erano particolarmente pescose, la gente accorreva numerosa per far scorta di ciò che il dio del mare offriva loro. Quel giorno era uno di quelli in cui c’era talmente tanta gente che a fatica si respirava.
In mezzo a quella folla v’erano, come al solito, Kai e Yar. Entrambi si stavano sforzando per portare a casa quanto più pesce possibile: una parte sarebbe servito per riempirsi lo stomaco, l’altra sarebbe stata venduta al primo mercante di passaggio.
 «Bene! Questa sera mangeremo come mai prima d’ora» esclamò Kait, prendendo la cesta contenente i pesci.
Il suo amico sorrise e lo aiutò a portar via l’abbondante bottino: cinque pesci da una decina di chilogrammi ciascuno e due da venti.
Il tragitto fu breve, dato che la piccola casa di Yar non distava molto dalla spiaggia. Appena arrivati, i due sistemarono l’enorme quantità di pesce, quando una bambina con un lecca-lecca si fiondò contro Kai a braccia aperte.
 «Fratellone! Sei tornato!» esclamò la bimba abbracciando Kai «Cos’hai preso, eh?»
 «Piano, Ley, finirai per strozzarmi» rispose lui, togliendosi le braccia della sorellina dal collo e dandole un bacetto sulla fronte «Vedrai la sorpresina a cena, quindi pazienta un po’, ok?»
Ley guardò Kait con occhi imploranti, sperando di ottenere il regalo il prima possibile, ma il suo sguardo innocente non riuscì a smuovere suo fratello maggiore, che però le concedette di andare un po’ a giocare fuori prima di mangiare.
Il ragazzo, quindi, uscì di casa per sistemare le canne da pesca nel piccolo ripostiglio vicino alla veranda e, mentre spostava le cianfrusaglie che riempivano quello stanzino, si imbattè in una fotografia ingiallita. Kai, leggermente titubante, la prese e soffiò via la polvere per guardarla meglio: ritraeva una donna dai lunghi capelli castani, abbracciata ad un uomo alto con un po’ di barba sul mento; in mezzo a loro, un bambino di appena cinque anni con un sorriso a trentadue denti e un cappellino di paglia storto.
Sorrise mestamente, in ricordo di quei tempi felici che non sarebbero più tornati. Vorrei solo che le cose fossero andate diversamente¸ pensò, mi mancate così tanto.
Rimise a posto la fotografia, sistemò in un angolo gli strumenti da pesca e tornò a casa per preparare la cena; quel pesce avrebbe migliorato la giornata di tutti, in particolar modo quella di Ley: un po’ di allegria, dopo gli eventi catastrofici dell’ultimo mese, sarebbe stata manna dal cielo per tutti quanti.
Entrato in casa, si mise di fronte al piano di lavoro ed iniziò a cucinare; tirò fuori il coltello e iniziò, seppur con tocco non poco maldestro, a sminuzzare le verdure. Il suo amico nel frattempo sfilettava con maestria il pesce dalle scaglie argentee pescato il pomeriggio, correggendo di tanto in tanto Kai.
 «Sta’ attento o finirai per distruggere la nostra cena.»
Il ragazzo annuì e riprese a tagliare le carote e varie erbe aromatiche, quando Yar, mentre la lama del coltello fendeva la superficie liscia del pesce, azzardò a dire: «Hai sentito anche tu le novità? Riguardo a Etras, intendo.»
Kai sussultò: la catastrofe che aveva colpito quella città era l’argomento più succulento dell’ultimo mese. Non riusciva ancora a credere che Hosanh, la dea che avrebbe dovuto rappresentante l’equilibrio, avesse voltato le spalle a ciò che era suo compito preservare.
La voragine che si era aperta e aveva distrutto metà di Etras, poi, era stato il colpo di grazia.
 «Dicono che sia tutto sotto controllo, che la mostruosità che ha colpito la città sia solo un imprevisto facilmente arginabile» disse sconfortato Kai «Ma credo che la Bulè ci stia tenendo all’oscuro di molte cose…»
 «Cose che, se diventassero di dominio pubblico, getterebbero Ercantia nel terrore» lo interruppe Yar, posando il coltello «Probabilmente c’è qualcos’altro sotto, ma vivo meglio non sapendolo.»
 Kai sussultò e abbandonò le verdure per un attimo e rispose, sentendosi indignato: «Io preferirei mille volte sapere e aver paura che vivere nell’ignoranza. Oltretutto, è un mese che ci vien detto che il problema è quasi risolto, eppure i carovanieri che vengono dalle vicinanze di Etras al mercato raccontano diversamente.»
Yar sospirò, mentre il pesce veniva messo a cuocere nel modesto forno che aveva in casa.
Nonostante Ercantia fosse una Repubblica mercantile, in quanto a tecnologia era parecchio arretrata rispetto ai grandi Imperi: l’elettricità e alcuni piccoli elettrodomestici stavano comparendo solo ora, e per giunta lentamente, nelle case delle famiglie che potevano permettersele.
 «Vorrei solo essere d’aiuto! Odio rimanere con le mani in mano mentre il mondo probabilmente va in malora!»
Il giovane dai capelli biondi si asciugò la fronte imperlata di sudore, poi si decise a rispondere a Kai: «E cosa pensi di fare, sentiamo. Partire e andare a combattere un nemico che neanche conosci?» Sospirò e scosse la testa. «Hai diciassette anni, dovresti smettere di credere alla favola dell’eroe che parte e salva tutti dal cattivo di turno.»
Kai annuì, rassegnato: sapeva bene che non poteva fare nulla da solo e questo lo innervosiva terribilmente.
Quella situazione lo riportò indietro di cinque anni, a quando si allenava con un bastone di legno e fingeva che fosse un’alabarda. «Ucciderò le guardie che mi hanno portato via papà» diceva sempre, quando i passanti chiedevano a quel povero orfano con una bambina al seguito perché giocasse con un pezzo di legno. Aveva detto la stessa cosa anche a Yar, quando lo aveva incontrato per la prima volta.
Aveva bisogno di staccare la spina, si disse, e perciò prese uno vecchio manico di scopa per allenarsi come ai vecchi tempi.
Dietro la casetta, Kai maneggiava il pezzo di legno come se fosse un’arma vera e propria, menando fendenti e lanciandosi il lughi affondi; giocare come quando era bambino lo rilassava e lo divertiva, ma in fondo sapeva che conoscere un paio di mosse con un bastone non gli sarebbe mai servito: come aveva detto Yar, ormai era cresciuto e l’unica cosa importante era assicurare una vita dignitosa a Ley.
I giochi di quando ero ragazzino possono rimanere tali, pensò, purtroppo la realtà è molto di più di un semplice agitare un manico di scopa.
Quando si accorse che il sole stava per tramontare, Kai andò a chiamare sua sorella per la cena. Non appena entrò in casa, fece per seguirla, ma fu distratto da un qualcosa di piccolo e luminoso: una luce verde brillante si muoveva come svolazzando, pareva quasi…
Scosse la testa e quella scomparve: ritenne fosse un’illusione ottica, probabilmente causata dalle lanterne sospese per tutto il paesino, e per questo entrò in casa senza badarci.
 
La cena fu fra le più abbondanti alle quali Kai avesse mai avuto modo di prendere parte: il pesce era squisito, così come i pasticcini alla cannella che Yar aveva scambiato al mercato per un po’ del pescato dei giorni precedenti.
Finito di mangiare, Kai si sentì stanco e decise di andare a dormire, così si diresse sul pianerottolo dell’abitazione e sistemò un’amaca come giaciglio per stare al fresco. Si stese supino a guardare il cielo scuro come il mare profondo, puntellato di milioni di stelle. A far da padrona in mezzo a quella trama di luci incantevoli e misteriose, c’era una mezzaluna bellissima.
Prima di addormentarsi, ripercorse mentalmente la giornata appena trascorsa e fu felice che fosse stata piacevole.
Il sonno, però, non fu tanto duraturo.
Il dormire beato e tranquillo fu interrotto bruscamente da un brusio incessante, che sembrava provenire dalla foresta dietro la sua casa; si sedette e tese l’orecchio per ascoltare meglio il rumore che faceva da sottofondo ai suo sogni, poi si alzò dall’amaca e impugnò stretto l’arpione che usava per pescare, pronto ad ogni evenienza.
Fu in quel momento che la rivide. Una luce verde, poi un’altra e altre ancora: erano decine di minuti corpuscoli luminescenti, che sembravano essere dotati di volontà propria. Bisbigliavano, come se stessero confabulando fra loro e si mossero più vicini a lui.
Farfalle, notò, sono delle…farfalle?
Lo sciame si mosse più rapidamente, prese a vorticare e, quando da quel vortice emerse una ragazza, Kai per poco non svenne per la sorpresa e lo sconcerto.
Capelli neri tagliati corti, tirati indietro a coda di papera sulla nuca, un viso angelico, due grandi occhi verde smeraldo, abbastanza alta: la giovane misteriosa sembrava una bambina un po’ troppo cresciuta.ì
 «Se ti metti a urlare, giuro che ti strappo le corde vocali» lo minacciò la ragazza, sistemandosi le muffole nere. «Quindi, per favore, ascoltami.»
 Kai annuì e deglutì, ancora scosso. «Come hai…eri delle farfalle? E poi…insomma…»
 «Rimandiamo a dopo le spiegazioni, per favore» lo interruppe la ragazza. La vide stanca, come se avesse faticato a lungo; la canotttiera bianca e i jeans corti erano, inoltre, sporchi di terra e rovinati. «Io sono Yil e mi serve il tuo aiuto» disse, come se stesse ripetendo una frase già detta troppe volte in passato.
 «Cosa vuoi?» rispose Kai mentre si sedeva sui gradini del portico.
Yil sospirò e prese parola: «Sei a conoscenza di ciò che è successo a Etras, vero?»
Il ragazzo annuì.
 «E sai anche che Hosanh è morta?»
Si sentì svenire: lei era una dea, non poteva morire, era impossibile. Non capiva se essere dispiaciuto, anzi disperato, per ciò che era accaduto, esultare per la morte di una dea corrotta e malvagia o liquidare la domanda come il delirio di una ragazza sperduta.
 «Dammi una buona ragione per credere a quello che stai dicendo e per non giudicarti come una pazza.»
La ragazza si schiarì la voce. «La voragine che si è aperta a Etras, è lo Specchio. Come forse saprai, esso è un portale che separa due mondi diametralmente opposti: il nostro, quello Completo, governato da Hosanh - fino a poco tempo fa – e quello Caotico, dove Ekka è re e prigioniero. Lo Specchio impedisce che essi collidano e che il flusso del dio del caos contamini l’equilibrio perfetto che regna qui; ma, quando la dea corrotta è morta, quel portale si è aperto e sta lentamente incamerando energia. E quando sara pronto, imploderà e ogni cosa sprofonderà nel caos, cosa di cui Ekka sta già approfittando.»
Tutto quadrava: Kai ricordava i racconti su quel dio meschino e malvagio, imprigionato in un universo che era diventato il suo reame. Ma non avrebbe mai immaginato che la causa di quella catastrofe potesse essere lui.
 «Fammi indovinare: vuoi che ti aiuti a chiudere lo Specchio?» domandò «Mi dispiace, ma lanciarmi in una missione suicida non mi interessa. Ho una sorella a cui badare e non amo le missioni impossibili»
 «Impossibile, dici?» lo provocò lei «Ho imparato a mie spese che anche le imprese che sembrano tali talvolta si rivelano fattibili se si combatte per una giusta causa.» Kait notò un leggero tremore nella sua voce, come se avesse appreso a caro prezzo quella lezione.
 «Sarà, ma il tempo delle imprese è finito quando ho capito che fra il giocare a fare l’eroe e l’esserlo per davvero c’è una differenza sostanziale.»
Yil si sedette e sospirò delusa. Chiuse gli occhi e parlo: «Ho girato Ercantia per quasi un mese, in cerca di qualcuno che mi aiutasse. Io devo chiudere lo Specchio, ma da sola non posso farlo…ti prego, aiutami.»
C’era un tono disperato nella sua voce e Kai si sentì immensamente dispiaciuto di vedere quella ragazza così miserabilmente affranta, ma non era un eroe, un guerriero e non aveva particolari doti magiche. Ley era il suo unico pensiero.
 «Mi dispiace, Yil, ma non me la sento» rispose con voce piatta «Addio…e buona fortuna!»
La ragazza era visibilmente delusa e parve essere sul punto di crollare. «Capisco perfettamente, ma, se dovessi ripensarci, fatti trovare qui a mezzanotte in punto»
Kai non rispose ed entrò in casa, sbattendo la porta.

 

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Capitolo 5
*** La giusta causa ***


Kai non chiuse occhio per il resto della nottata. Sapeva di non poter partire con Yil – era troppo rischioso -, ma allo stesso tempo non era stato capace di rispondere quando la ragazza gli aveva dato l’appuntamento per il giorno successivo: a conti fatti, non aveva né rifiutato, né accettato di ripresentarsi.
Quel discorso era stato capace di instillare il dubbio nel suo cuore: era davvero così impossibile chiudere lo Specchio? Qual era la scelta giusta da prendere? Ce ne era una?
Non aveva le risposte giuste a nessuna domanda.
Quando il sole cominciò a sorgere, Kai uscì di casa per godersi l’alba. Il cielo era un tripudio di sfumature, dal rosso acceso, ad un caldo arancione, fino ad un rosa tenue; sembrava in fiamme, come se un incendio fosse scoppiato nelle profondità dell’universo e stesse pian piano consumando ogni galassia. Era uno spettacolo magnifico.
A poco a poco, le palpebre gli si fecero più pesanti e finalmente la stanchezza sopraggiunse, prosciugandogli le ultime forze rimaste dopo una notte insonne. Si stese sull’amaca e si addormentò di colpo, una parte della sua mente ancora volta a prendere una decisione.
 
 «Kai! Kai, è pronto da mangiare!»
Aprì gli occhi e vide Yar chino su di lui, che tentava di svegliarlo. Si mise seduto e guardò il cielo, ancora sonnecchiante: non sembrava più in fiamme, ma era limpido, illuminato dal sole che splendeva alto.
 «È pronto il pranzo» ripetè «Alzati e sistemati o si raffredderà.»
Kait si alzò ed entrò in casa.  Appena varcò la soglia, fu investito da un profumo inebriante e non tardò ad accorgersi da dove proveniva quell’odore: sul tavolo c’erano tre piatti colmi di purè di kama, un delizioso ortaggio dalle sfumature rossastre tipico del sud-ovest di Ercantia.
Lo preparava sempre la mamma quando mi sentivo spossato, ricordò e l’amara reminiscenza dei suoi genitori lo colpì come un’ago.
Una volta che si furono seduti tutti, Yar tirò fuori dalla taschino della camicia uno strano aggeggio cubiforme di colore bluastro. «È un lascianote, l’ho barattato questa mattina con un polpo con un mio vecchio amico» spiegò «Mi ha detto che viene dal regno di Ronian – lì sì che sono avanzati con queste cose- e mi è sembrato particolare, così l’ho preso. Spero vi piaccia.»
A quel punto premette un bottone tondeggiante sul fondo di quell’aggeggio e iniziò a parlare; quando finì, il lascianote ripetè esattamente le parole che aveva detto prima e Ley non riuscì a trattenere un verso di stupore.
 «Posso provarlo anche io?» domandò la ragazzina
 «Prima mangia e poi ti lascerò giocare» asserì Yar con una leggera risata.
Fa di tutto per non farci mancare nulla, anche le cose più inutili, considerò Kai.
Fu come un’illuminazione improvvisa: pensare a colui che gli aveva fatto da padre lo aveva aiutato a capire come trovare le risposte che cercava con tanta foga.
 «Yar, ti ricordi quando mi hai trovato?» domandò, la bocca ancora mezza piena di quella poltiglia rossa.
 «Perché questa domanda ovvia?» chiese, probabilmente senza aspettarsi una risposta «Mi pare scontato. Era settembre, mi pare, - o forse ottobre, non ricordo con esattezza – e stavo andando al mercato a vendere il pesce che avevo pescato quella mattina, quando ho visto uno scricciolo di dodici anni e una bambina di appena sei sulla riva.» Mando giù una cucchiaiata di purè. «Mi sono avvicinato per guardare meglio e ti ho visto agitare un ramo in maniera molto maldestra, neanche fosse un’arma: sembravi uno di quei personaggi degli spettacoli di marionette. E tua sorella era lì che ti guardava, a metà fra lo stupore e la paura.»
Ley rise e trangugiò l’ultimo boccone, attenta a non perdersi neanche un particolare di quella storia.
«Allora mi sono avvicinato e ti ho chiesto cosa stessi facendo; mi hai risposto che ti stavi allenando per uccidere quelli che ti avevano portato via tuo padre. Probabilmente è stata la cosa più triste che avessi mai visto: eri un ragazzino e la scena sarebbe sembrata umoristica, in un certo senso, se non fosse stata così crudelmente vera. Non mi azzardai neanche a chiedere dove fosse tua madre: lo sapevo già.»
Kai vide Ley sussultare e stringere la tovaglia logora per scaricare la tensione; per lui la morte dei genitori rappresentava una sorta di eco dolorosa, una ferita ormai cicatrizzata, sebbene presente e vivida nei suoi ricordi. Per sua sorella, il discorso era diverso: per lei, che non aveva neanche conosciuto sua madre, la perdita dei suoi cari era una lesione che ancora doveva rimarginarsi e che continuava a riaprirsi un po’ ogni volta che quella triste memoria ritornava con prepotenza.
«Il giorno dopo vi trovai ancora là e così il successivo, per un’intera settimana. Alla fine presi una decisione: non potevo lasciarvi lì a morire di fame, così vi presi con me e fui felice quando mi diceste di voler stare con me.»
Era quasi arrivato al punto, ne era certo. «Posso farti una domanda, Yar?» Il ragazzo annuì e Kai proseguì. «Perché ci hai presi con te? Voglio dire, a parte il non lasciarci morire di fame.»
Ci pensò su, grattandosi il mento come se stesse cercando le parole giuste da dire. «Be’, diciamo che sentivo che era la cosa giusta da fare. Intendiamoci, non ero e non sono ricco sfondato come i reali di Ronian, ma nel profondo ero convinto che sacrificare una parte del mio denaro per darvi una vita come si deve sarebbe stato un male necessario; in fin dei conti, era per una giusta causa.»
Eccola lì, più vicina di quanto avesse mai potuto pensare: la soluzione al suo dilemma.
Non mi serve sapere se partire, realizzò, ma perché partire!
Dopo tutto, anche Yil gliel’aveva detto: “Anche le imprese che sembrano impossibili talvolta si rivelano fattibili se si combatte per una giusta causa”. Non gli restava che cercare un motivo per cui ne valesse la pena.
 
 
Quel pomeriggio non aveva nulla da fare, così aveva deciso di andare a fare una passeggiata per le vie di Oricea. Magari, aveva pensato, l’illuminazione sarebbe arrivata camminando sulla riva del mare o guardando attraverso la vetrina di un negozio.
Il suo paese era di una bellezza particolare, sfiorita, come un fiore appassito troppo in fretta e in una maniera indegna; nonostante ciò, Kai aveva sempre visto quella cittadina vicino alla scogliera come pervasa da una strana atmosfera: pareva che il mare avesse un effetto magico su ogni millimetro di Oricea, dalle case dai muri bianco sporco e dai tetti di colori diversi al molo dove ormeggiavano le barche dei pescatori e, talvolta, qualche piccola imbarcazione di lusso. Persino i vicoli più angusti e meno frequentati di quella località sembravano pregna di quella che sua madre chiamava “la magia del mare.”
Kai percorse le vie della città cercando di trovare una ragione valida per abbandonare tutto e andare con Yil, ma tutto ciò che riuscì a trovare furono buoni motivi per rimanere e continuare la stessa vita di sempre: andare a pesca, badare a Ley, contrattare al mercato che si teneva il venerdì sul lungomare.
Giunse, infine, al bar Medusa e ordinò un frullato alla mela verda, il suo preferito. Mentre sorseggiava la bevanda da una cannuccia colorata, vide entrare nel locale un ragazzo dai capelli ramati ed un cappello di paglia a tesa larga.
 «Roth Arakin?» domandò.
Si voltò e quando lo vide strabuzzo gli occhi, sorpeso. «Kai, è da un secolo che non ti vedo!» esclamò, stringendogli la mano.
 «Come va, eh?» chiese Roth, un sorriso gioviale stampato in viso.
 «Alla grande, direi.» Era una mezza bugia, ma non c’era motivo di raccontargli di Yil «Spero anche a te.»
Annuì e i due iniziarono a parlare: avevano molto di cui raccontarsi e la loro chiacchierata durò per una mezz’ora. Kai si ritenne fortunato ad averlo incontrato di nuovo dopo anni che non si vedevano e mentre conversavano allegramente gli ritornarono in mente tutti i bei ricordi insieme a lui, che era stato il suo migliore amico quando era bambino; ricordò anche come le loro strade si fossero divisi una volta che era diventato orfano.
 «Hai sentito le belle notizie di questa mattina?» chiese ad un certo punto Roth, giocherellando con il bordo della tovaglia del tavolo a cui erano seduti.
Kai scosse la testa, domandandosi cosa mai ci fosse di così eclatante.
 «Il Presidente Solon ha tenuto un discorso questa mattina davanti a tutta la Bulè riguardo al disastro di Etras. Ha detto che non è una grave minaccia e  sta per essere risolta dalla stessa Guardia bianca» esclamò con ingenuo sorriso smagliante «Non è fantastico, eh?»
Tutto fantastico, ma la trovo solo una favola per sedare le proteste.
Provava un’odio viscerale per tutto questo: perché mentire e non accettare il pericolo che l’apertura dello Specchio rappresentava? Kai sentì nuovamente la stessa rabbia del giorno prima farsi strada all’interno di lui come un serpente che strisciasse fra le sterpaglie, la rabbia di essere un semplice spettatore davanti a quello spettacolo orrendo, la frustrazione di non poter proteggere Ley e Yar.
E fu in quel momento che ogni dubbio si dissipò e la mente di Kai fu libera dalla coltre nebbiosa che la avviluppava. Aveva preso una scelta.
Ley era stata, sin da quando aveva dodici anni, la sua primaria preoccupazione: darle da mangiare, vestirla, non farle pesare l’assenza dei genitori; era stato ed era tutto incentrato su di lei. E se c’era una ragione valida per partire e chiudere lo Specchio, era proprio l’amore incondizionato e il sentimento di protezione che provava verso sua sorella.
Si alzò dal tavolo di colpo e si diresse verso la porta.
 «Dove stai andando, eh?» chiese Roth, abbandonato bruscamente.
 «Ho appena realizzato di avere una faccenda urgente da sbrigare, scusami.» E uscì dal Medusa, correndo verso casa.
 
Kai guardò l’orologio: era mezzanotte. Il cuore gli pulsava con forza nel petto e gli sembrava che stesse per schizzare fuori, quasi che volesse dirgli: «Se vuoi partire, fallo da solo. Io preferisco rimanere qui.»
Afferò la tracolla con un po’ di provviste e denaro per il viaggio e prese il piccolo lascianote lasciato con noncuranza su un mobile all’ingresso; premette il tasto sul fondo e iniziò a parlare per registrare un messaggio per la sua famiglia: aveva provato a lungo le cose da dire e ciò che stava dicendo non lo soddisfaceva ancora del tutto, ma non poteva lasciare Ley e Yar senza delle spiegazioni. Quando ebbe finitò di registrare, riascoltò la propria voce: «Yoren, se stai sentendo questo messaggio voglio prima farti una premessa: sappi che ti voglio bene come fossi un fratello, quasi un padre. Ne voglio infinitamente a te e a Ley, statene certi. Ma è giunto il momento per me di partire. Lo devo a te, che mi hai protetto e mi hai accudito sin da quando avevo dodici anni; lo devo a mia sorella, in quanto suo fratello maggiore: devo proteggerla e assicurarle un futuro dove potrà vivere in pace.
Mi dispiace salutarvi così, ma non trovavo altro modo. Sappiate però che, quando lo Specchio sarà chiuso, io sarò di nuovo con voi. Tornerò appena potrò ma, per adesso, è necessario che metta fine a tutto questo prima che qualcuno possa soffrirne più del dovuto.
Ricordatevi che vi voglio bene, e che non appena sarà tutto finito tornerò nuovamente da voi. E quando succederà, ci riabbracceremo finalmente.
Arrivederci.»
Non appena ebbe finito di sentire la registrazione, poggiò il lascianote sul tavolo e uscì di casa; chiusa la porta, si voltò e guardò fisso la sua abitazione: ne osservò i muri, le finestre, facendo in modo che ogni minimo particolare s’imprimesse a fuoco nella sua mente. Si trattenne per non frasi prendere dalla emozioni e piangere ed elargì un ultimo, tacito, saluto a Ley e Yoren e si diresse verso il bosco.
Yil era già fuori che lo aspettava, seduta a terra. «Ebbene?»
Kai prese un lungo respiro. «Ho fatto la mia scelta e…e verrò con te, nonostante i rischi.»
Il volto della ragazze parve illuminarsi, sembrava al tempo stessa felicissima e stupita, come se non avesse creduto affatto a quella dichiarazione.
 «Ottimo» disse la ragazza, pulendosi i pantaloncini dalla terra. «Prima di partire, posso sapere il tuo nome?»
Quando glielo disse, Yil aggiunse: «Benissimo, Kai. Ora, seguimi: andiamo a chiudere questo Specchio!» I due ragazzi si strinsero le mano, con sguardo deciso
Poi si allontanarono insieme, abbandonando Oricea e la sua atmosfera magica.

 

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Capitolo 6
*** Il pritano ***


«Ricordami perché siamo qui» esordì Kai, una volta trovatosi davanti alle gigantesche mura della città di Lios.
«Hai una memoria piuttosto breve, per essere uno che si nutre quasi solo di pesce» rispose sarcastica Yil «Per tutta questa settimana qui a Lios si terrà la fiera del Sole morente: ciò significa un’occasione ottima per acquistare qualcosa per il viaggio, tra cui un’arma per te.»
Kai le parve stupito. «Un’arma?»
«Mi sembra ovvio. Che c’è, pensavi di chiudere lo Specchio e distruggere i mali che da esso sono scaturiti in sella ad un unicorno rosa e armato di bontà e dolcezza?» asserì, leggermente seccata.
«No di certo…è solo che non sono un gran combattente. E poi, non servirebbe anche a te un’arma?»
«Vorrà dire che imparerai strada facendo, Kai» esclamò, voltandosi verso il ragazzo, che le camminava dietro «E…no, qualsiasi eguipaggiamento mi rallenterebbe durante le trasformazioni – ce le vedi delle farfalle trascinarsi dietro uno spadone?»
Kai non rispose e Yil prese il suo silenzio come una conferma e sperò con tutto il cuore che la sua ultima speranza non si rivelasse un incapace e le fosse davvero d’aiuto in quell’impresa.
Guardò l’enorme complesso murario che circondava la città, prova inconfutabile dell’arretratezza delle città di Ercantia rispetto alle metropoli di Lindler e Ronian: una cinta di cemento rinforzato munito di torrioni di vedetta sui quali sostavano sentinelle armate di archi in fibra di carbonio e frecce incendiarie.
Il paragone con la sua città, libera e priva di difese, influenzata dalla vicinanza con i grandi regni, fu inevitabile: Lios, come ogni centro abitato di Ercantia all’infuori di Etras, le sembrava bloccato a metà fra il presente e il passato.
Fecero per varcare il portale di legno, ma una guardia sbarrò loro la strada, impugnando un’ascia bipenne. «Alt!Mi dispiace, ma l’ingresso è vietato ai visitatori esterni. Ordini del pritano Revery.»
Yil sussultò, colta alla sprovvista da quella dichiarazione. «È impossibile, Lios è stata sempre aperta ai turisti, soprattutto in questo periodo, quando la gente viene da tutta la repubblica per prendere parte alla fiera.»
«Come ho detto pocanzi - e ti prego di non farmelo ripetere un’altra volta, ragazzina -, sono ordini del pritano e non posso ignorarli e far passare gente a caso.» Estrasse l’ascia dal fodero sulla schiena e la impugnò con entrambe le mani, i muscoli delle braccia guizzarono. «Non varcherete la soglia di questa città, a meno che non vogliate entrarci senza un arto.»
Yil indietreggiò e valutò seriamente la possibilità di tramortire quella guardia e partecipare alla fiera, quando una lussuosa carrozza trainata da cavalli arrivo presso le mura della città e da quella scese una donna sulla quarantina, una chioma nera come la pece e qualche capello ingrigito dall’inclemenza del tempo e occhi azzurri, belli al pari di un diamante. Portava un abito da giorno di un rosa pallido, degno di una gran signora.
«Signora Revery, buongiorno» disse bruscamente la guardia, chinando brevemente il capo.
«Buongiorno a te» rispose la donna con un sorriso «Volevo fare un giro al mercato, ma prima vorrei assicurarmi che qui sia tutto a posto. Chi sono questi due ragazzi, quindi?»
La guardia tossì e fece per dare delle spiegazioni, ma Kai lo interruppe prima che potesse dire qualcosa. «Siamo orfani, scampati al disastro di Etras» mentì, sfoggiando uno sguardo pietoso e innocente che risultasse credibile «Vaghiamo per Ercantia da molto ormai e speravamo di poter trovare un rifugio qui a Lios.»
Dannazione, sei un genio!, pensò Yil
La donna guardò entrambi con sguardo inquisitorio, come se credesse a stento a ciò che aveva detto Kai; battè il piede destro ritmicamente, quasi fosse seccata, e disse: «Come vi chiamate ragazzi?»
Questa volta fu Yil a intervenire: «Io mi chiamo Grace e lui è mio fratello Liam.» Fortunatamente aveva avuto premura di dire due nomi comuni a Etras, così diversi da quelli usati nel resto della nazione.
La signora Revery si morse il labbro, come se fosse combattuta; tirò un sospiro ed esclamò, agitando una mano: «Oh, per gli dèi, la carità verso i bisognosi non ha mai ucciso nessuno! Potrete stare nella mia villa per questa settimana, ma non un giorno in più, sia chiaro!»
«Grazie infinitamente, signora!» esclamò Kai, mettendo su un sorriso ed uno sguardo pieno di gratitudine.
La donna fece cenno di seguirla sulla carrozza e i due la seguirono; poco prima di mettere piede su quel mezzo, Kai si voltò verso la guardia al portale e gli mimò con le labbra una frase scurrile, qualcosa che aveva a che fare con sua madre e altri cento uomini, intuì Yil. L’uomo, di tutta risposta, strinse più forte l’ascia e la puntò verso di loro con rabbia, come se fosse un avvertimento, cosa che le fece scappare una risata.
Presero posto sul cocchio e Yil impallidì alla vista di tanto lusso in un posto così piccolo: sedili in pelle di camoscio, decorazioni in legno chiaro; non avrebbe mai pensato di sedere in un mezzo così sfarzoso.
«Non appena arriveremo alla villa, farò prepare un bagno caldo a entrambi e dei vestiti puliti per rimpiazzare questi stracci logori – sicuramente rubati, ma non ve ne faccio una colpa» proruppe la donna, interrompendo il silenzio.
Stracci logori? Ho dovuto sputare sangue per avere questa maglia, vecchia oca, pensò Yil seccata.
«Non gli abbiamo rubati, signora» rispose, invece, Kai, visibalmente infastidito.
«Certo che no, ragazzino» rispose con condiscendenza, come se fosse stata lei ad essere stata offesa.
Quando arrivarono al maniero, Kai per poco non svenne: oltre il cancello in ferro battuto, si estendeva un lungo viale, ai lati del quali si protraeva un prato verde puntellato da fiori e alberi di diversi tipi, dalle rose, alle gardenie, dai frassini alle bettule. Sullo sfondo, una villa a due piani in pietra rossiccia, trasudante opulenza e leggera ostentazione da ogni centimetro; la dimora di una famiglia con una condizione ben lontana dalla sua, pensò mestamente.
«Devo ringraziarti per prima» gli mormorò Yil, quando furono quasi alla porta d’ingresso «Senza la tua messinscena non saremmo mai riusciti ad entrare; dove hai imparato a recitare così bene?»
«Diciamo che ho avuto modo di fare pratica.» Abbozzò un sorriso amaro, il ricordo di quei mesi difficili che ritornava: truffare gli ortolani, distrarre i panettieri ed impietosire i passanti erano stati il suo pane quotidiano finchè Yar non lo aveva accolto a casa sua.
Giunti all’ingresso, una cameriera dagli occhi azzurrì li salutò con deferenza e aprì la porta in frassino e ciò che quella celava mozzò il fiato a Kai in un solo istante: un enorme ingresso zeppo di mobili antichi e costosi, colmi di chincaglierie di ogni genere, con un pavimento in marmo bianco al centro del quale campeggiava il mosaico di un’aquila dalle ali spiegate. Sul tetto, un lampadario in argento con decorazioni di cristalli e in fondo alla stanza, una scalinata in pietra sulla quale era steso un tappeto di squisita fattura, probabilmente d’importazione.
Potrei sfamare la mia famiglia per mesi con metà delle cose che ci sono in questa stanza, pensò sorpreso.
Non ebbe neanche il tempo di voltarsi per parlare con Yil, che da una porta sul lato della stanza uscì un uomo sulla quarantina dai capelli brizzolati e con uno sguardo severo in volto; Kai non potè fare a meno di notare il completo scuro che portava, sicuramente costoso come qualsiasi altra cosa in quel maniero.
«Pheb, tesoro» esordì la signora Revery, avanzando verso il marito «Devo dirti una cosa, caro.
L’uomo lanciò uno sguardo carico di sospetto ai due ragazzi. «Chi sono questi, Eriana? Mercanti o forse adepti di qualche setta religiosa? Sappi che…»
«Sono orfani, scampati al disastro di Etras» lo interruppe la donna, la voce velata da un alone di tristezza «Li ho incontrati davanti alla Porta del Giorno e non ho avuto il coraggio di lasciarli lì a soffrire, così ho deciso di portarli qui. Sono solo dei ragazzi, dannazione!»
Il pritano sbuffò seccato. «Eriana, capisco le tue nobili intenzioni, ma quelle cose potrebbero nascondersi sotto le spoglie di chiunque e non posso mettere in pericolo la nostra sicurezza e quella dei miei concittadini perchè oggi ti sei sentita compassionevole.»
«Andiamo, tesoro, di certo converrai che non potevo impedire loro di entrare. Li terrò d’occhio io stessa, se non ti fidi; rimarranno qui una settimana, dopo tutto.» disse e cercò di dimostrarsi sofferente per la condizione dei due poveri orfani.
Il signor Revery mosse lo sguardò dalla moglie ai due ragazzi, poi di nuovo alla sua consorte ed emise un grugnito che suonò come un verso di assenso, liquidando la questione con un gesto della mano.
«Ottimo!» esclamò, poi si rivolse a Kai e Yil: «Le vostre camere sono al piano di sopra, ragazzi. Say’nir! Makala!» Due cameriere dalla pelle ambrata vennero fuori da una porta sul lato destro dell’ingresso e chinarono leggermente in capo. «Sareste così gentili da scortare questi due giovani al piano superiore verso le loro camere. Oh, e abbiate cura di prepare un bagno e dei vestiti puliti a entrambi» aggiunse Eriana.
Le due ragazze annuirono e una delle due fece cenno a Kai e Yil di seguirle al primo piano.
«Grace, Liam, datevi una sistemata e abbiate cura di scendere a mezzogiorno per il pranzo» asserì la donna, mentre i due salivano la scalinata.
Una volta in cima alle scale, Yil e Kai si separarono: lui andò con quella che doveva essere Mikala – capelli ebano e occhi verde brillante -, mentre lei fu scortata da Say’nir. Giunti di fronte ad una porta, la cameriera lo invitò a sistemarsi in quella camera frattanto che lei preparava un bagno caldo.
Come il resto della casa, anche quel posto trasudava lusso: era una camera da letto non più grande della sua, con un meraviglioso letto dall’aria comoda in fondo, accanto ad una finestra che dava sul giardino; Kai vi si lanciò sopra e fu talmente contento della sofficezza del cuscino, che per poco non cadde addormentato.
Però, questo viaggio si sta rivelando più divertente del previsto. Questo letto sembra una nuvola!
Mentre giaceva disteso, iniziò a sentire il suono di un violino provenire dalla stanza accanto: una musica dal ritmo incalzante e allegro, ma allo stesso tempo solenne. Incuriosito, si alzò e si mosse verso la fonte di quel suono.
Aprì leggermente la porta della camera e vi scorse un ragazzo dai capelli castani più o meno della sua età, forse più piccolo di qualche anno, muovere l’archetto sulle corde con maestria e coinvolgimento, come se non esistessero altre cose nel mondo al di fuori di lui e il suo strumento. Il paragone fra il suo aspetto e quello dello sconosciuto fu inevitabile: indossava una camicia sicuramente firmata, un paio di jeans nuovi di zecca e delle scarpe di un nero lucido, mentre Kai aveva una maglia arancione sbiadito, dei pantaloncini sdruciti e trasandati e dei sandali che aveva barattato al mercato per una seppia.
Il ragazzo smise di suonare e ripose il violino nella sua custodia; non appena si voltò, si accorse di essere osservato e invitò Kai ad entrare.
«Scusami, non volevo disturbarti, è solo che ti ho sentito dalla stanza accanto e…» si giustificò, rosso in viso «Però devo dire che sei bravo con il violino»
«Oh, figurati, tanto avevo finito. Piuttosto, tu chi saresti? E come mai sei qui?»
Kai si lanciò nuovamente in una serie di menzogne facendo uso delle sue raffinate doti recitative, cercando di essere quanto più credibile possibile.
«Capisco, Liam. Io sono Hel, piacere.» Il ragazzo gli tese la mano con un sorriso e Kai gliela strinse. «A quanto pare mia madre oggi si sentiva in vena di carità.»
È il figlio del pritano, realizzò.
In quel momento arrivò Mikala. «La vasca da bagno è pronta, signorino Liam. Se vuole seguirmi…» disse e rivolse un saluto ossequioso anche a Hel, che contraccambiò con un sorriso.
«Ci vediamo a pranzo, allora, Liam?» disse il violinista.
«Certamente» rispose Kai e uscì dalla stanza per andare verso il bagno.
Entrata nel bagno, Yil si spogliò e si immerse nella vasca, lasciandosi cullare dall’abbraccio caldo e rinvigorente dell’acqua calda e inalando l’odore di menta e limoni che emenava il sapone. Non faceva un bagno caldo da mesi e immergersi in quel paradiso la fece sentire come fuori dall’universo, per una volta priva di preoccupazioni.
Purtroppo, però, quest’ultime sembravano aumentare.
Era rimasta colpita dalle parole del pritano, in particolare ad un suo accenno ad un qualcosa di molto pericoloso; se tutto questo avesse a che fare con l’apertura dello Specchio, Yil non seppe dirlo, ma era decisa ad indagare.
È il pritano di questa città, avrà sicuramente dei documenti riguardo a queste “cose”¸ riflettè e si immerse completamente nella vasca, fin sopra alla testa. In tal caso, Pheb Revery si ritroverà alleggerito di qualche informazione importante.
Rimase ancora qualche minuto a godersi il calore dell’acqua e poi uscì, avvolgendosi in un morbido accappatoio di spugna giallo fosforescente – una delle tanti capi di dubbio gusto della signora Revery, pensò Yil.
Su una piccola sediolina, stava un grazioso vestito bianco lungo fino a sopra il ginocchio con delle spalline sottili e un paio di scarpe basse; sospirò e si vestì, i capelli ancora bagnati. Mentre tirava su la cerniera sul retro del veste, le mani le tremavano e per poco non si fece male all’indice della mano sinistra.
Avevo un vestito simile quando sono morti Wals e Niss.
Yil uscì sbattendo la porta, mentre il senso di colpa la divorava come un verme insaziabile e bestiale.

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