°°Scènes de la vie de Bohème°°

di Jessy87g
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Le Quartier Latin ***
Capitolo 3: *** Rencontre ***
Capitolo 4: *** La Comédie humaine ***
Capitolo 5: *** Hérodiade ***
Capitolo 6: *** Le Ventre de Paris ***
Capitolo 7: *** Vivamus mea Lesbia ***
Capitolo 8: *** Querelle ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***















« La jeunesse n’a qu’un temps » *





A tutti gli uomini d’Arte,
dei quali l’inesorabile scorrere del tempo
ha cancellato per sempre il nome.



* “La giovinezza non ha che una stagione”
(Murger, capitolo XXIII)





Nota d’introduzione:

Prima di ogni cosa mi pare doveroso spiegare il significato del termine Bohème:
A Parigi, a metà Ottocento, avevano questo appellativo quegli artisti che disprezzavano una società fondata sul mercato e sulla produttività, che li emarginava condannandoli ad una vita misera e precaria. Per questo essi assunsero, come forma di protesta e di rifiuto, modi di vita irregolari, disordinati, ostentando il rifiuto dei valori e delle convenzioni borghesi, ed assumendo come segno di nobiltà e libertà quella miseria a cui l’organizzazione sociale li condannava.
Si venne così a creare il mito dell’artista povero, che vive una vita libera e disordinata nelle soffitte parigine, tra amore e culto dell’Arte.
Questo particolare movimento sopravvive per tutto il secolo, estendendo il suo mito fino al primo novecento. Io mi limiterò ad esaminare quella che viene comunemente chiamata ultima bohème (1878-1883), che si sviluppa principalmente nei caffè parigini, da Montmartre al vecchio Quartiere Latino.
Come sottolinea la citazione murgeriana che ho scelto per introdurre questa storia, l’esperienza della bohème è strettamente legata al mito della giovinezza, in contrapposizione con la presa di coscienza, passata l’età della spensieratezza e degli ideali, che non si vive di sola arte e amore.

Questa idea un po’ particolare è nata da diverse concause; tra le quali vanno annoverate come principali un ennesimo viaggio a Parigi, la lettura del romanzo di Murger (da cui ho tratto il titolo) “Scènes de la vie de Bohème”, il mio viscerale amore per la letteratura francese del XIX secolo e qualche lacrima versata durante l’ascolto dell’opera pucciniana.

Mi sono spesso chiesta come mai, quando si tratta di iniziare a scrivere una nuova storia, il mio cervello rifiuti categoricamente, a priori, di immaginarsi una trama che non possa essere classificata come AU.
In realtà credo che la risposta sia più semplice di quel che sembri: il luogo e momento storico in cui è ambientato il manga di Inuyasha sono – e stavolta Madame T. non ne ha colpa – totalmente privi di interesse (almeno per me). Un tempo “senza poesia” (razziando un’espressione crociana).
E così ho deciso di trasformare questa carenza, in un punto di forza: per un puro esercizio letterario, mi svago a trasportare i personaggi di Inuyasha in tempi ed epoche diverse, cercando la maniera migliore per inserirli nella società e adoperandomi per appianare gli innumerevoli problemi etico-culturali che sorgono..il tutto naturalmente imponendomi di rispettare, fin dove è possibile, il carattere originale che li rende così affascinanti. (Riservandomi di fare un piccolo minuto di silenzio per l’immenso spreco che Madame T. ha compiuto di tali tesori)


Piccolo appunto prima di concludere: i nomi che ho scelto per i quattro bohémiens (Tristan Corbière, Charles Cros, Germain Nouveau, François Villon) appartengono tutti, fatta eccezione per l’ultimo, a bohèmien veramente esistiti; mentre il cognome del Demone apparteneva al poeta parnassiano Leconte de Lisle (scelto tra tanto solamente per il de, che indicava una discendenza nobile).



Vorrei infine ringraziare lamoon, thembra, rosencrantz, lollyna, crilli, KaDe, MARTY_CHAN94, Blackvirgo, ele_chan e Neropece; che hanno avuto la gentilezza e la costanza di commentare i miei precedenti lavori.







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Capitolo 2
*** Le Quartier Latin ***





Prima di iniziare vorrei ringraziare di cuore tutte quelle che mi hanno commentato per la fiducia dimostratami: eiby, kaDe, rosencrantz, Blackvirgo, thembra, lollyna, MARTY_CHAN94 e Onigiri.
Spero di non deludere le vostre aspettative.

Questa storia è dedicata a Damson che da sempre legge e supporta tutti i miei lavori.






.CAPITOLO 1.





“O bell’età d’inganni e d’utopie;
si crede, spera e tutto bello appar !”


(G. Puccini, La Bohème)




Paris, 1882


Questa storia non si ambienta nei dorati salotti del quartiere di Saint-Germain [1], né tantomeno nell’opulento e troppo visto mondo della finanza, dove l’ipocrisia si mescola al buon senso e la moralità, in mancanza di altro, è stata innalzata a Ideale.
La nuova società, che a metà secolo aveva iniziato a emettere i primi vagiti, adesso si stava pian piano decomponendo, in silenzio, ogni giorno con maggiore evidenza. Corruzione, intolleranze, giochi di potere avevano minato così nel profondo l’aspettativa del popolo francese da indignare anche l’attivista più convinto: primi tra tutti gli Intellettuali.
Inevitabilmente disgustati dal corso degli eventi, completamente disillusi nei confronti di ogni rivendicazione sociale, si rinchiusero nell’universo della propria arte per non uscirne mai più.

Ed è proprio da questo mondo che inizia la nostra storia.

In Rue Laplace, situata a due passi dal Pantheon, proprio nel bel mezzo del Quartiere Latino, luogo di scrittori e pensatori, si trovava una piccola ma attiva tipografia, circondata da piccole case di legno a da alcuni vecchi pioppi che lasciavano ricadere sulle antiche strade lastricate una piacevole ombra, divino regalo nei giorni d’estate . Sarebbe parsa un’ottima ambientazione romanzesca se non fosse stato per un intenso via vai, soprattutto dopo il calar del sole, di straccioni, attrici, bohèmien, prostitute ed ogni altro pittoresco esponente del genere umano.
Tuttavia è un’avventura assolutamente da non perdere quella di passeggiare la sera tra quei pittoreschi vicoli; perdersi in un’atmosfera senza tempo; ascoltare sorridendo le animate discussioni degli artisti, perennemente seduti nei café con ogni tempo e in ogni stagione.

Tutto sembrava fluttuare avvolto dal malinconico sapore dell’eternità.


Il proprietario della suddetta tipografia era sicuramente una figura curiosa; uno di quei rari personaggi dal quale l’aggettivo ‘banale’ rifugge, disgustato. Forse perché era un demone - ma neanche questo appellativo era ormai più una discriminante in una società dove le due razze convivevano più o meno pacificamente da secoli e dove il matrimonio tra di esse era considerato di gran lunga più rispettabile di quello con chiunque avesse la pelle di una gradazione di colore anche leggermente diversa -; forse perché Madre Natura, o uno strano beffardo destino, lo aveva fornito di un paio occhi severi delle strane sfumature dorate, di lunghi capelli argentati che ondeggiavano sulle ampie spalle robuste, di un bel portamento altero, e, soprattutto, di un magnetico sguardo insofferente; forse perché sembrava una copia in carne del Lucifero miltoniano…Fatto sta che non poteva mettere un piede per strada senza che sentisse addosso a sé, come mille aghi che pungevano insistentemente il suo sistema nervoso, gli occhi di ogni passante.
Fatto davvero fastidioso per un carattere come il suo.

Naturalmente, sebbene al lettore queste caratteristiche possano sembrare più che sufficienti per stimolare ogni genere di curiosità, alla variegata popolazione del Quartiere Latino non sarebbe bastato così poco.
Per ricevere l’ambita denominazione di “affascinante” un uomo doveva avere un qualcosa di misterioso, se poi questo mistero riguarda il suo passato, non si poteva desiderare di più. Naturalmente il povero monsieur de Lisle non sfuggiva a questa impietosa regola. Nessuno sapeva da dove venisse, né cos’aveva fatto prima di intraprendere quell’attività: tutti l’avevano sempre conosciuto come l’“imprimeur” [2]..lui e la sua tipografia sembravano tanto vecchi quanto lo stesso quartiere.
A prima visto dimostrava una trentina d’anni, ma era difficile dire quanti in realtà ne avesse; alcuni sostenevano fosse figlio di una nobile famiglia, abbandonato a se stesso durante l’occupazione di Parigi, altri ancora dicevano che fosse uno straniero emigrato anni addietro per chissà quale motivo. Fatto sta che il diretto interessato, Sesshomaru de Lisle, non smentì mai queste dicerie, né le confermò.
Le poche persone con le quali aveva, almeno in apparenza, un qualche rapporto, erano quattro giovani e affiatati bohémiens dalla testa piena di idee ma dalla borsa perennemente vuota. Sebbene ostentassero nei suoi confronti tutto il rispetto di cui erano capaci - perseveravano, quasi per istinto, a dargli del Voi -, tuttavia ciò non impediva loro di affibbiargli elaborati nomignoli, tutti rigorosamente a sua insaputa: il primo di tutti era stato l’Anglais, per sottolineare il suo carattere imperturbabile e per le sue maniere sempre posate e misurate; anche se, da qualche tempo, gli era stato scherzosamente affibbiato anche l’appellativo di Homme aux yeux d'or [3]; a sua volta spodestato da Monsieur le Décadent.


Stranamente, nonostante l’indubbio effetto che egli esercitava sull’intero pubblico femminile, nessuno l’aveva mai visto in compagnia di una donna.
“Il n’aime pas les femmes!” [4] Rispondevano, ridendo, i suoi compagni a chiunque domandava se avesse mai avuto un’amante.
Il demone, da parte sua, togliendosi con garbo la sigaretta di bocca e espirando il fumo, ribatteva placidamente a qualunque tipo di lazzo che avrebbe più volentieri fatto demolire la sua casa, prima di accoglierci un’estranea.

A smentire tutto ciò era bastata non una bella ventenne tutta vezzi e sorrisi promettenti; ma un’adorabile bambina di sette anni.
La povertà e l’alcool le avevano portato via la famiglia e Sesshomaru, per un qualche strano motivo che nessuno era ancora riuscito a decifrare, l’aveva presa con sé e, senza farle mancare niente nonostante i magri compensi del proprio lavoro, la trattava come se fosse sua figlia.
Davvero uno strano gesto in tempi come quelli. Un gesto del quale Sesshomaru non aveva mai rivelato il motivo; e nessuno aveva mai osato chiederlo.


***************


“Dobbiamo chiedere scusa al pubblico per questo libro che gli offriamo e avvertirlo di quanto vi troverà. Il pubblico ama i romanzi falsi: questo è un romanzo vero.
Ama i romanzi che danno l’illusione di essere introdotti nel gran mondo: questo libro viene dalla strada.
Ama le operette maliziose, le memorie di fanciulle, le confessioni d’alcova, le sudicerie erotiche, lo scandalo racchiuso in un’illustrazione nelle vetrine di librai: il libro che sta per leggere è severo e puro. Che il pubblico non si aspetti la fotografia licenziosa del Piacere: lo studio che segue è la clinica dell’Amore.
Il pubblico apprezza ancora le letture anodine e consolanti, le avventure che finiscono bene, le fantasie che non sconvolgono la sua digestione né la sua serenità: questo libro, con la sua triste e violenta novità, è fatto per contrariare le abitudini del pubblico, per nuocere alla sua igiene. Perché mai dunque l’abbiamo scritto? Proprio solo per offendere il lettore e scandalizzare i suoi gusti? No.
Vivendo nel diciannovesimo secolo, in un’epoca di suffragio universale, di democrazia, di liberalismo, ci siamo chiesti se le cosiddette « classi inferiori » non abbiano diritto al Romanzo; se questo mondo sotto un mondo, il popolo, debba restare sotto il peso del « vietato » letterario e del disdegno degli autori che sino ad ora non hanno mai parlato dell’anima e del cuore che il popolo può avere. Ci siamo chiesti se possano ancora esistere, per lo scrittore e per il lettore, in questi anni d’uguaglianza che viviamo, classi indegne, infelicità troppo terrene, drammi troppo mal recitati, catastrofi d’un terrore troppo poco nobile. Ci ha presi la curiosità di sapere se questa forma convenzionale di una letteratura dimenticata e di una società scomparsa, la Tragedia, sia definitivamente morta; se, in un paese senza caste e senza aristocrazia legale, le miserie degli umili e dei poveri possano parlare all’interesse, all’emozione, alla pietà, tanto quanto le miserie dei grandi e dei ricchi; se, in una parola, le lacrime che si piangono in basso possano far piangere come quelle che si piangono in alto…”


Sesshomaru, dopo una lunga pausa, posò il libro sopra l’ingente pila che si trovava sul tavolo di fronte a lui e svuotò la tazzina di caffè con un’espressione leggermente disgustata: oramai si era completamente raffreddato.
“Fratelli Goncourt? [5]” Chiese un ragazzo dalla vocetta allegra, seduto di fronte a lui, mentre si accendeva una bella pipa nuova, dentro la quale aveva pigiato disperatamente gli ultimi granelli di tabacco rimasto.
Tristan Corbière era un giovanotto di ventidue anni, capelli ricci e biondi leggermente arruffati e una perenne espressione sognante dipinta sul volto illuminato da un sorrisetto sornione: faceva parte del gruppo dei bohémiens da ben due lunghissimi anni di arte e fame, dopo che, abbandonati gli studi giuridici, i genitori avevano stabilito di comune accordo che il mantenimento di un figlio degenere fosse troppo gravoso per il bilancio familiare.
Così, ormai consacrato alla via dell’arte, si era autoprocalmato pittore “indipendente” - neanche lui sapeva bene da cosa; ma quell’appellativo sembrava accrescere la sua importanza –. Ormai da una vita cercava di far accettare lo stesso quadro all’Expo, cambiando ogni anno previdentemente titolo; ed ogni anno i critici lo rispedivano impietosamente indietro, suscitando l’inevitabile ilarità dei suoi compagni.
Tuttavia monsieur Corbière continuava orgogliosamente a chiamarsi “incompreso”.

“Si, sono loro” Confermò il demone, chinando appena la testa “Che ne pensate?”
“Parole commuoventi.” scherzò il giovane, ispirando una lunga boccata di fumo e stendendo le gambe in avanti “Ma suppongo che la vostra idea sarà sicuramente più affascinate e profonda della mia. Le vostre idee sono sempre ritenute molto interessanti..soprattutto dalle signore.”
“Credo che questo manifesto, in verità, non abbia portato niente di nuovo.” mormorò il suo interlocutore, con un gesto vago “Più siamo sommersi da queste rivendicazioni sociali, meno miglioramenti effettivi ci sono.
A parer mio, più dello sperimentalismo, più dell’impegno effettivo, a questi giovani interessa la vendita facile; al di là di queste parole piene di ogni buona intenzione.
La concorrenza è spietata, la letteratura per aumentare le tirature si abbassa al livello dei gusti sudici e semplicistici del popolo ignorante avido di letture sconce e, per avere il suo favore, innalza le umane sofferenze facendo credere che siano causate da una qualche entità metafisica..che siano architettate da una mente superiore per uno scopo che non si riesce ancora a capire, ma che dà loro un consolante significato che, in realtà, non hanno.”
“Ma signore” esclamò l’altro, dopo una breve riflessione su quelle parole “Non vi è scritto tutto il contrario dn quello che avete appena letto? “Che il pubblico non si aspetti la fotografia licenziosa del Piacere”…”
Monsieur de Lisle si sporse appena in avanti, passando lentamente un polpastrello sopra la copertina in cuoio del volume e soffermandosi dove al tatto si avvertivano le lettere del titolo impresse con dell’inchiostro dorato.
“E’ pur sempre uno studio minuzioso delle ossessioni sessuali di una domestica.”
Tristan a queste ultime parole piegò la testa indietro, scoppiando in una poco elegante risata. “Vi prendete gioco di me?” chiese il demone, alzando leggermente un sopracciglio in segno di disappunto.
“Al contrario..ammiro la vostra eloquenza. Potessi disporla per convincere il padrone di casa a esentarmi da pagamento del trimestre!”
“Ma non eravate riuscito a vendere un vostro quadro all’osteria di Rue Montpellier pochi giorni fa?Usate il compenso per pagare l’affitto.”

Il bohémien, a quell’affermazione, regalò a monsieur De Lisle un largo sorriso soddisfatto e innalzò davanti ai suoi occhi la pipa ormai spenta che teneva in mano con fare trionfante, come se si trattasse di un oggetto dal valore inestimabile.
“Con quei soldi mi sono finalmente comprato una vera pipa, sempiterna e indistruttibile!”

Sesshomaru a quelle parole si portò la mano alla tempia, con fare sconsolato: il dubbio sul perché onorasse quei giovani bohèmien, se non addirittura della propria stima, almeno della propria considerazione, era molto forte..e spesso la domanda rimaneva senza soluzione.
Sapeva che sotto l’apparente spensieratezza di quella gioventù d’artisti, c’era qualcosa di molto, molto più profondo: una angosciante sensazione di non appartenenza a quella società marcia e vacua..una sorta di fuga a quel mal du siècle che aveva schiacciato e continuava a schiacciare sotto il proprio tragico peso l’anima degli intellettuali, i quali non riuscivano più a riflettere la propria anima nel mondo esterno ed erano costretti a ricercarla nelle loro stesse creazioni.
Tuttavia a volte l’atroce dubbio quelle menti fossero più vuote e stupide di un feuilleton[6] si faceva sentire con grande vigore.
“Come una pipa?!”
Domanda stupida, dal momento che, ne era certo, avrebbe ottenuto una risposta stupida.
“Certamente! State a sentire il mio ragionamento: io spendo 3 franchi per una pipa di legno; la quale, purtroppo, ha una vita decisamente effimera – di solito non supera i quattro, cinque giorni -. Allora mi sono detto: comprerò con i soldi che ho guadagnato una pipa seria e duratura da 20 franchi! Così, a conti fatti, riuscirò a risparmiare una cifra considerevole. Geniale, vero?!”

Il demone pregò inutilmente, durante tutta quella spiegazione, che un male fulminante lo colpisse sul posto, risparmiandogli la sofferenza di ascoltare quelle assurdità.
Purtroppo per lui la sua salute era perfetta.
“..Indubbiamente.” mormorò estenuato. “E suppongo che al problema di come procurarvi del tabacco sia rimandato al prossimo ragionamento.”
“Naturale!” rispose l’altro “Mica posso pensare a tutto in una solita volta! Credo che continuerò a camminare con la pipa in bocca finché la Provvidenza, santa patrona di noi artisti, non mi farà fortuitamente trovare del tabacco!”
Monsieur De Lisle, non molto famoso per la sua pazienza, dopo tale affermazione, ritenendo di aver sentito ormai la giusta dose quotidiana di stupidaggini, probabilmente per espiare una qualche terribile colpa che doveva aver commesso nella vita precedente – che, giudicare dalla dura prova alla quale era sottoposto, doveva sicuramente avvicinarsi all’eccidio – radunò le sue carte sottobraccio e si alzò dal tavolo.
“Ve ne andate di già stamani?” Chiese tranquillamente Tristan.
“Si. Ho un appuntamento con uno scrittore che mi ha chiesto di pubblicare il suo libro.” rispose meccanicamente il demone.
“E dove?”
“Arriva dalla Normandia. Gli ho detto di attendermi all’uscita della Gare de Lyon.”
“Vi ha già mandato una copia del suo lavoro?”
“Certo. Altrimenti non l’avrei mai preso in considerazione.”
“Allora, che ne pensate? Come scrive? Ha già pubblicato altre opere?”
Sesshomaru maledisse mentalmente quella fastidiosa parlantina: nessuna femmina che aveva conosciuto nella sua lunga esistenza era stata minimamente capace di eguagliare la quantità spropositata di parole che quel ragazzo riusciva a pronunciare in un minuto netto, senza neanche riprendere fiato. Un record assoluto e imbattibile.
“Si chiama Alexandre Blas” Si sforzò di rispondere civilmente “e, a quanto ne so, non ha mai pubblicato niente. Per quanto riguarda la scrittura; se non mi piacesse, le avrei rimandato indietro il manoscritto con un secco rifiuto. Adesso lasciatemi andare, altrimenti farò tardi.”
Monsieur Corbière stette in un lungo silenzio ad osservare alternativamente l’editore che se n’era andato a pagare il proprio conto – cosa che lui si guardava bene dal fare – e il grande orologio di gusto esageratamente barocco che si trovava sull’entrata del locale.
Dopodiché si alzò in piedi e, atteso che Monsieur De Lisle uscisse dal caffè, esordì con aria trionfante.
“Benissimo signore. Visto che la mattinata è ancora lunga, sarò felice di accompagnarvi. Sono proprio curioso di conoscere questo scrittore così talentuoso da essere riuscito a conquistare i vostri gusti assurdamente difficili!”
Sesshomaru rimase per un lungo istante attonito, fissando l’altro con uno sguardo a metà tra il vacuo e il terrorizzato; ma, per fortuna, il suo cervello era troppo ben allenato per lasciarsi sorprendere.
“Scordatevelo.”
Una semplice, elementare parola le cui sillabe vennero scandite con voce leggermente rauca e gutturale.
Tristan, il quale conosceva molto bene quel timbro, decise di non insistere; così, dopo una filosofica alzata di spalle, si avviò con la caratteristica andatura flemmatica in direzione di quello che chiamava “il suo palazzo” – in realtà una soffitta discretamente sporca e malmessa -, non senza aver lanciato al demone, rimasto completamente indifferente, un gioioso sorrisetto.
Non riuscì neanche a svoltare la prima via, che un grido di gioia fece voltare, atterriti, tutti i passanti.
“Divina Provvidenza!” esultava il giovane; chinandosi a terra per raccogliere un qualcosa che il demone non riusciva a decifrare.
“Che vi succede?” sospirò Sesshomaru, estenuato.
“Guardate! Un sacchetto pieno di tabacco fresco fresco..Deve essere caduto di tasca a qualcuno.”
E, senza aggiungere altro, lo sistemò all’interno della pipa e, tutto soddisfatto, riprese il suo cammino lasciando una folta scia di fumo dietro di sé.



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[1] Il quartiere del’aristocrazia.

[2] Lo stampatore.

[3] Storpiatura del titolo del romanzo di Balzac “La Fille aux yeux d'or”

[4] “Non gli piacciono le donne”

[5] Fondatori del Naturalismo francese (del quale sarà maestro Zola). L’estratto qui riportato è la prefazione del romanzo Germinie Lacerteux, considerata il Manifesto di questo movimento letterario.

[6] Termine francese (letteralmente, “piccolo foglio”) coniato nel XIX secolo dal giornalista Julien-Louis Geoffroy per indicare un supplemento giornalistico riservato a tematiche letterarie e passato prima a indicare testi di narrativa pubblicati a puntate su quotidiani o periodici, poi un vero e proprio sottogenere letterario, noto in Italia con la denominazione di romanzo d’appendice.
L’accezione di questa parola è generalmente negativa, in quanto le storie pubblicate avevano un basso valore letterario. Tuttavia va ricordato che molti capolavori della letteratura nacquero proprio come feuilleton (per esempio Madame Bovary, Il Conte di Montecristo, I Miserabili e molti altri).





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Capitolo 3
*** Rencontre ***







.CAPITOLO 2.






“In arte le buone intenzioni non hanno il minimo valore. Tutta l'arte peggiore è il risultato di buone intenzioni.”

(Oscar Wilde)






Sebbene il percorso dal Quartier Latin alla Gare du Nord non fosse gran che breve, monsieur De Lisle rinunciò di buon grado alla tentazione di salire su uno dei tanti omnibus che circolavano per la città: almeno all’andata voleva risparmiarsi il supplizio di ritrovarsi rinchiuso e stritolato insieme ad altre cinque o sei persone, sicuramente dall’igiene personale alquanto dubbia, per un tragitto che gli sarebbe parso senza dubbio molto più lungo di quanto non lo fosse effettivamente a piedi.
Oltre a tutto ciò, in verità, c’era da sottolineare il fatto che i soldi, di quei tempi, erano come fantasmi fluttuanti, che si posavano su una mano solo il tempo di un attimo..per poi sparire velocemente come erano apparsi.
Dunque non gli parve un’alternativa troppo penosa raggiungere la stazione solamente con l’ausilio delle proprie gambe, visto che, grazie alla pedanteria di Tristan, il tempo abbondava.

Imboccò col solito passo lento e solenne Rue Saint-Jaques, lanciando di tanto in tanto un’occhiata severa alle persone che al suo passaggio si fermavano ad osservarlo, additandolo ai compagni: tutti nel Quartier lo conoscevano, almeno per sentito dire.
Continuò senza interruzioni sino all’Île de la Cité dove le poderose campane di Notre Dame stavano pomposamente annunciando al popolo di Parigi che erano le dieci del mattino.
All’imponente vista della cattedrale, il demone si concesse un momento di pausa, solamente per cercare di indovinare, per l’ennesima volta, le spigolose e cupe forme gotiche racchiuse nella foschia mattutina che pian piano si stava diradando; gli orribili sembianti dei gargoyle che iniziavano a mostrare dall’alto della loro posizione le fauci spalancate; gli occhi vacui e severi dei santi che perpetravano sui passanti il loro muto e secolare ammonimento.
Vista così da vicino era imponente, terribile..le due torri, altissime, svettavano e incombevano sulla piazza; quasi cercassero di ravvivare la fede con il loro aspetto minaccioso.

Tuttavia Sesshomaru non ne era affatto turbato; anzi, per certi versi era attratto da quella titanica espressione di forza: osservava i monumenti sacri con la stessa ammirazione con cui studiava i quadri racchiusi nel Louvre; leggeva la Bibbia con lo stesso spirito con cui si accostava ad una tragedia di Eschilo.
La sua mente divideva ogni cosa in due grandi Categorie: Arte e Non Arte. Del resto non se ne curava.


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Finalmente, dopo un’ora o poco più, si ritrovò innanzi alla facciata della Gare du Nord; un bell’edificio che svettava di gran lunga sopra le altre case, in un ampio viale perennemente trafficato da ogni tipo umano e non.
Il demone lanciò solamente uno sguardo disinteressato a quella costruzione dal gusto vagamente classicheggiante; soffermando la propria attenzione sulle statue impettite, dal sapore un po’ troppo trionfale per i suoi gusti, che fissavano con le loro orbite vuote un punto lontano innanzi a loro che si confondeva con la linea dell’orizzonte.

“Monsieur de Lisle?”
Una voce leggermente insicura, ma ferma, lo fece voltare di scatto.
Innanzi a lui stava una donna – anzi, no, una demone -: lunghi capelli nerissimi fermati con uno chignon, secondo la moda, che incorniciavano un viso dall’ovale perfetto, bianco di un pallore quasi ultraterreno.
Il vestito pesante, per proteggersi dal freddo pungente di quel Marzo che portava ancora qualche fiocco di neve, lasciava solo immaginare le forme ben proporzionate di quella figura così stranamente posata e altera..forse un po’ troppo per venire dalle campagne.
Tuttavia, nell’insieme di quella bella creatura, quello che spiccava sopra ogni altra cosa erano due stranissime pupille color cremisi, così profonde e luminose da mettere in soggezione qualsiasi interlocutore.
Naturalmente questo non valeva per Sesshomaru; il quale, per quanto concerneva la stranezza del colore degli occhi, non aveva niente da invidiare a nessuno.

“Si sono io.” Rispose egli, scrutandola con l’inevitabile diffidenza che dimostrava con qualsiasi sconosciuto, di qualunque razza o sesso “Come sapete?..”
“Beh; siete l’unico nei paraggi che avete l’aria di attendere qualcuno.” Sorrise appena la donna, per poi affrettarsi ad aggiungere “Attendevate il signor Blas?”
“Si. Ma non mi aveva messo al corrente del fatto che avrebbe portato anche sua moglie.” ribatté il suo interlocutore, leggermente infastidito da quella presenza non prevista.
“Infatti non è avvenuto niente di tutto ciò.”
“Che intendete?”
Gli atroci sospetti, che durante quel brevissimo scambio di battute si erano pian piano fatti strada nella mente del demone, alimentati in particolar modo dall’espressione turbata di lei, vennero concretizzati in una frazione di secondo da quattro semplici parole.
“Alexandre Blas sono io.”

L’impulso istantaneo di squarciare con gli artigli quel bel collo leggermente arrossato dal freddo, che si intravedeva dal velluto del pesante vestito da viaggio, e gettare il cadavere nella Senna fu così forte in quel momento che Sesshomaru dovette conficcarsi le unghie nei palmi per tenere a bada la propria rabbia.
Il solo pensiero che qualcuno potesse anche solo concepire l’idea di raggirarlo bastava per fargli perdere le staffe; ma se a mettere in atto questo progetto era addirittura una femmina..

“Sentite, mi dispiace di avervi mentito..” cercò di difendersi la demone; ma un gesto di lui la fece tacere.
“Signorina.” esordì a denti stretti, costringendosi ad evitare epiteti pesantemente più coloriti “Abbiamo iniziato molto, molto male.”
“Se mi lasciaste spiegare..”
“Non permetto a nessuno di prendersi gioco di me; neanche se porta la gonnella. Per stanotte vi troverò un posto in una buona pensione; ma domani mattina riprenderete il treno e tornerete a casa.”
“Scordatevelo!”
Questa volta la voce dura e infuriata della scrittrice sovrastò quella fredda del demone.

Egli la squadrò per diversi secondi in silenzio, leggermente incredulo di fronte a quell’audacia. “La mia non è una bizza da ragazzina, monsieur di Lisle, ma la ferma decisione di un’adulta.” spiegò essa, fissandolo con le sue pupille rossastre che parevano ardere di rabbia e indignazione “L’unico motivo per il quale ho mentito riguardo al mio sesso è palesato dal vostro comportamento in questo preciso istante: non credete che una donna possa scrivere bene quanto un uomo..proprio come tutti gli altri editori ai quali ho inutilmente tentato di rivolgermi usando il mio vero nome! Ebbene, adesso che avete promesso di stampare il mio libro, adesso che ho fatto un lungo viaggio solo per incontrarvi; non permetterò che veniate meno alla vostra parola..a patto naturalmente che abbiate un briciolo di onore!”

Sesshomaru durante tutta quella sfuriata, si era limitato ad ascoltarla con apparente tranquillità, opponendo allo sguardo iracondo di lei, un’espressione imperscrutabile.
Sapeva perfettamente che le parole da lui impresse su quella lettera erano come chiodi che lo legavano indissolubilmente alla croce che si era costruito con le proprie mani; tuttavia la sua mente ingegnosa stava già studiando il modo di far tornare quella situazione a proprio vantaggio.
Se lo scontro diretto con quella donna era improponibile, oltre che dannoso per la sua immagine; sicuramente avrebbe trovato di farla ritornare in Normandia di propria volontà.

Ruy Blas” sussurrò con una leggera smorfia, che poteva essere solo una lontanissima parente di un sorriso.
“Prego?” Domandò la scrittrice, colta di sorpresa da quelle parole.
“Il vostro falso cognome, Blas..Lo avete preso dalla tragedia Ruy Blas di Hugo.”
Touchè.” Ammise essa, chinando appena la testa e porgendo la destra al suo interlocutore “Comunque io mi chiamo Kagura, Kagura Bervoix.”
“Spero stavolta sia la verità.” sussurrò tagliente Sesshomaru, sfiorando appena il dorso della mano con le labbra; per poi afferrare la valigia che la donna aveva appoggiato ai piedi “Vogliamo andare?”
Kagura, guardandosi intorno alla ricerca di un mezzo di locomozione, intravide un gruppo di carrozze ferme nella direzione opposta a quella in cui il suo accompagnatore si stava dirigendo. “Non prendiamo una carrozza?” chiese senza voltarsi, come se temesse che potessero sparire da un momento all’altro.
“O voi siete immensamente ricca, Madmoiselle Bervoix, oppure siete immensamente ignorante riguardo al prezzo dei trasporti parigini.” si limitò a rispondere il demone, continuando a camminare “In compenso potete scegliere tra l’omnibus oppure, mezzo più economico di tutti, i vostri stessi piedi.”
Non fece in tempo a finire di pronunciare le ultime parole che vide la donna, con la quale credeva di parlare, dirigersi a passo svelto verso un cocchiere, contratte per qualche secondo e, infine, fargli segno di salire prima di accomodarsi all’interno della vettura.
Il suo sesto senso lo implorò di mollare tutto e fuggire il più lontano possibile da quella femmina..E probabilmente lo avrebbe fatto se non si fosse provvidenzialmente ricordato che quella serpe possedeva il suo indirizzo e, probabilmente, se la sarebbe ritrovata ad aspettarlo davanti casa.






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Un grazie a tutte quelle che hanno commentato: Neropece, Damson, thembra, rosencrantz, Onigiri, Blackvirgo, miriel67, lollyna.



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Capitolo 4
*** La Comédie humaine ***








.CAPITOLO 3.



“Parigi è un paese molto ospitale; accoglie tutto, sia le fortune vergognose che quelle insanguinate. Il delitto e l'infamia vi godono diritto d'asilo, v'incontrano simpatie; solo la virtù non vi possiede altari.”


(Honoré de Balzac)





La carrozza procedeva lenta attraverso il traffico dei grandi Boulevard, facendo scricchiolare sotto il suo peso le pozze d’ acqua ghiacciata dal freddo pungente; mentre la nebbia mattutina, che si stava pian piano diradando, lasciava intravedere maestosi monumenti e palazzi imponenti dal gusto squisitamente moderno.
Kagura osservava tutto ciò trattenendo il respiro; con l’entusiasmo di una bambina: ogni descrizione che aveva letto o udito su Parigi non aveva minimamente potuto dare l’idea di quella magnificenza, di quella grandezza tale da darle un senso di vertigine.

“E’ bellissimo!” sussurrò entusiasta con la testa completamente sporta fuori dal finestrino.
“Vi ha già sedotto?” domandò il demone seduto di fronte a lei, con un tono vagamente beffardo “Io se fossi in voi presterei molta attenzione..”
“Che intendete?”
“Avete presente il pensiero di Balzac riguardo a questa città?”
Madmoiselle Bervoix spostò il proprio sguardo in direzione del suo interlocutore, incrociando, per un lungo istante, le sue pupille di brace con quelle fredde e altere di lui. Non riusciva a comprendere dove volesse arrivare con quelle insinuazioni..
“Suppongo vi riferiate all’accostamento con i gironi infernali..”
“Esattamente signorina; noto con piacere che un po’ di cultura è arrivata persino in Normandia.” mormorò egli, con un vago cenno di assenso, per poi continuare la spiegazione con un tono totalmente indecifrabile “Comunque, a questo proposito, sappiate che il vecchio Honoré ha trovato una similitudine perfettamente calzante. Parigi è una irresistibile sirena che offre ogni tipo di piacere, ogni tipo di peccato che esista a questo mondo: gioco, droghe, soldi facili, carne..tutto ciò che uomo possa desiderare, si trova qui.
Ma fate attenzione! Ricordatevi che, per ogni cosa che ricevete, c’è un prezzo da pagare..”
Kagura ascoltò quello strano avvertimento in silenzio, abbastanza indispettita per il fatto che una persona, che a mal fatica conosceva, potesse anche solo pensarla capace di cadere in tali tentazioni. “Mi credete così stupida, monsieur?” sibilò infine, con un tono molto risentito.
“Vi assicuro che il mio è solo un consiglio disinteressato.” si difese il demone, con un gesto vago, guardandola con un’intensità tale da farla sentire quasi a disagio “Voi non sapete quante persone, umani o demoni che siano, ho visto sparire per queste strade..quanti giovani ho visto uscire barcollanti dalle fumerie d’oppio o da squallidi locali, gonfi di liquore scadente e dilapidati dei loro pochi averi dalle prostitute..e..”
“..E..?” Lo incalzò la demone, non riuscendo a comprendere il perché di una tale reticenza.
“..E quante femmine ho visto passare dalla strada ai bei palazzi della nobiltà. Ragazze che prima passeggiavano a piedi scalzi per la strada coperte di stracci e poi, tutto ad un tratto, eccole sfilare la domenica pomeriggio nel Bois de Boulogne[1] su una carrozza privata, splendenti di gioielli..”

La scrittrice a quest’ultima affermazione non poté trattenere un sorriso.
“Non credevo foste così moralista..”
“Infatti non lo sono. Quello che intendo dirvi, signorina, è che bisogna pur sempre calcolare le conseguenze di ciò che si fa..”
“Cioè?”
”Cioè..” spiegò monsieur de Lisle, con un mezzo sospiro, puntellando il gomito ad un lato della vettura per tirarsi un poco più su “se una donna decide di fare la cortigiana deve tener conto che non potrà essere giovane per sempre e, soprattutto, che le amicizie in quell’ambiente sono tante quanto è grande la sua popolarità.
Finita la propria età d’oro, o per il passare del tempo o per una malattia, rimarrà intorno solo il vuoto e la povertà.”
Kagura avrebbe giurato, a quelle parole, di aver intravisto una strana scintilla velare per un istante gli occhi del demone; tanto che fu quasi tentata di domandargli quanto l’argomento lo toccasse da vicino.
Tuttavia, anche se a malincuore, si costrinse a recedere dai suoi propositi per non urtare il suo futuro editore più di quanto non avesse già fatto.

“Comunque, madmoiselle Bervoix, non dovreste spendere così alla leggere il vostro denaro.” riprese subito il demone, accennando alla carrozza nella quale stavano viaggiando; come se preferisse cambiare il più velocemente possibile discorso.
“Non vi preoccupate, sarà uno dei pochissimi vizi che mi concederò.” Lo rassicurò lei, con un sorriso che fece dubitare fortemente Sesshomaru riguardo al significato che potesse assumete in bocca di una dona la parola pochissimi.


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Quando la carrozza si fermò in rue Laplace, proprio davanti il piccolo portone della tipografia, monsieur de Lisle notò, con suo immenso sgomento, che lì seduto ad attenderli stava Tristan Corbière insieme alla sua combriccola composta da altri tre bohèmien; i quali erano soliti trascorrere intere giornate su quei gradini a discorrere di Arte, di Filosofia, di Letteratura e delle ultime conquiste che avevano fatto a qualche ballo la sera precedente; oppure, argomento molto gettonato alla fine del mese, su come riuscire a non pagare il trimestre – e tutti gli arretrati- al proprietario della soffitta nella quale vivevano.

“Voi scendete.” mormorò Sesshomaru alla donna, cercando di prepararsi psicologicamente alla battute che sarebbero volte di lì a qualche secondo, non appena l’oggetto di tanta attesa avesse messo piede fuori dalla vettura “Io ordino di sistemarvi i bagagli e pago il cocchiere.”
“Ma signore.” protestò lei “Lasciate che lo paghi con il mio denaro..In fondo, sono stata io a insistere per prendere la carrozza.”
“Madmoiselle,” la zittì il demone, con un tono che questa volta non ammetteva repliche “Il giorno in cui avrò il disonore di farmi pagare qualcosa da una signora, sarà lo stesso giorno nel quale la mia mente accetterà che lassù, da qualche parte, esiste un’entità che sta al di sopra di me e alla quale dovrò un giorno rendere conto delle mie azioni.”
“Non sapevo vi dilettaste di retorica, monsieur!” [2] rise Kagura, in risposta alla battuta.
“Retorica, metrica e molto altro..E adesso scendete! Non voglio rimanere tutto il giorno chiuso qua dentro.”

Per sua immensa sfortuna, il demone non fece in tempo ad aprire la porta della tipografia per far sistemare momentaneamente il bagaglio della donna al cocchiere, che un grido trionfante gli perforò i timpani.

“Un miracolo! Questo, signori, è un autentico miracolo!..Come Nostro Signore tramutò l’acqua in vino; monsieur de Lisle ha tramutato un uomo in donna!”

Liquidato l’uomo il più velocemente possibile; si diresse a passo svelto verso il piccolo gruppetto che si era formato poco lontano da lui, notando, tuttavia, con suo immenso stupore, che non solo si stavano già facendo le presentazioni, ma che Kagura si trovava perfettamente a suo agio.
Ad uno ad uno Charles Cros, in grande scrittore e tragediografo, François Villon, il grande musicista, Germain Nouveau, il grande filosofo neo-epicureo, Tristan Corbière, il grande pittore indipendente – come essi erano soliti chiamarsi a vicenda – si alternarono per baciare galantemente la mano alla nuova arrivata..forse un po’ troppo galantemente per non destare sospetti nella mente di Sesshomaru, soprattutto nei confronti dei primi due bohèmien, già da lui schedati come “libertini senza speranza”.

Madmoiselle Bervoix, dal canto suo, senza alterare il sorriso divertito che aveva stampato sul volto come un marchio, faceva scivolare il proprio sguardo altero su ognuno dei giovani, cercando di cogliere in ogni loro minimo gesto o parola i tratti essenziali del loro carattere – lavoro in cui, solitamente, otteneva discreti risultati -.
Tuttavia quella volta, con suo sommo sgomento, si rese conto che il loro modo di fare gioviale, allegro e, per certi versi, assurdo, stava depistando non poco il suo sesto senso: non riusciva a capire se quella fosse sola un’artistica e pittoresca maschera da tenere in pubblico, o se la loro natura fosse veramente di questo tipo.
Si ripromise di chiedere delucidazioni a riguardo a monsieur de Lisle.

A completare il quadretto venne una bella bambina, sbucata da chissà dove, dai folti capelli castano scuro fermati di lato da un codino, che rendeva ancora più adorabile quel simpatico volto paffutello; la quale si lanciò con un’aria letteralmente estasiata tra le braccia di Sesshomaru, che si era previdentemente chinato verso di lei.
Kagura stava per chiedere se fosse sua figlia; ma frenò la sua curiosità in tempo per notare che si trattava di un’umana.
“Chi è questa signorina?..” Domandò dolcemente, con il consueto sorriso che ogni donna usa quando si rivolge ad un bambino, avvicinandosi a quella coppia così strana.
“Rin.” Rispose prontamente la bimba con una vocetta squillante, togliendo una mano dal collo del demone per porgerla, come aveva notato che si usava tra gli adulti, alla nuova arrivata; la quale la strinse divertita.
“Ma che bel nome, e che modi garbati!” scherzò l’altra “Degni davvero di una perfetta donna di casa.”
“Infatti in casa ci abitiamo solo io e il signor Sesshomaru.” Precisò la bambina, indicando con un dito il piano sopra la tipografia che, Kagura intuì, doveva essere la casa in questione “Tu dove stai?”

Solo in quel momento Madmoiselle Bervoix si rese conto di non aver ancora discusso col suo accompagnatore su dove dovesse alloggiare.
In verità era sicura che sarebbe stata ospitata dal medesimo; ma era bastato lanciare una fugace occhiata all’esterno dell’appartamento per comprendere che, probabilmente, chiunque l’avesse costruito, non si era certo posto il problema su dove trovare lo spazio per un’ eventuale stanza degli ospiti.
“Non so..” disse, alzando le spalle “Cercherò una pensione nei dintorni.”
A dire la verità il solo pensiero la faceva rabbrividire. Infatti, nella sua immaginazione, le pensioni del Quartier Latin apparivano tutte come un’infinita copia dello squallido prototipo della Pension Vauquer[3]: cosa non molto rassicurante sia dal punto di vista igienico, sia per quanto riguardava la compagnia.

Charles Cros, appostato poco lontano insieme ai suoi tre compagni in ascolto della conversazione, non aspettando altro, con un balzo degno del più agile dei felini si intromise nella discussione.
“Sia mai, splendida madamigella, che vi lasciamo da sola una di quelle inquietanti bettole, senza letti e piene di spifferi.. ” esordì con l’aria di un prode cavaliere giunto appena in tempo per salvare la solita donzella in pericolo “Quindi saremo lieti di ospitarvi a casa nostra; naturalmente osservando tutti i riguardi che si devono ad una soave fanciulla, quale voi siete; mandata sicuramente da un qualche dio pietoso per illuminare le nostre tetre giornate.”

Sesshomaru, a queste parole, inarcò appena un sopracciglio e, per un lungo e combattuto istante, dovette frenare il suo poco edificante desiderio di prendere a calci quell’ipocrita cialtrone, i cui occhi di un verde pallido risplendevano al solo pensiero di quella promiscua convivenza.
“Vorrei ricordarvi, monsieur Cros che anche la vostra soffitta è un’ ‘inquietante bettola, senza letto e piena di spifferi’..” gli fece notare con un tono pacato ma tagliente.
Sebbene la tentazione di lasciar gentilmente andare la sua bugiarda scrittrice nella tana dei leoni fosse assolutamente irresistibile, non se la sentì di farle uno scherzo così villano..o magari lo avrebbe fatto dopo che essa avesse ricontrollato e corretto il manoscritto che doveva pubblicare..
Kagura, che per tutto il tempo aveva stampato sulla faccia un sorriso forzato, si voltò di scatto per regalare al demone un profondo sguardo colmo di gratitudine.

“Perché non vieni a stare con noi?” Domandò candidamente Rin, con tutta l’innocenza della sua infanzia; rompendo all’improvviso il silenzio.
Monsieur de Lisle, deciso a combattere a spada tratta per evitarsi quell’ennesimo supplizio, stava per rispondere un secco e intransigente “Perché non abbiamo posto”; quando, con la repentinità di un filmine, la sua mente ebbe un ennesimo, sadico, colpo di genio.
“Spero che siate esperta nella faccende di casa, signorina” ghignò soddisfatto, già pregustando la propria vendetta “Sapete; qua non possiamo permetterci una cameriera.”
E senza aggiungere altro si diresse verso il suo appartamento, facendo segno alla donna di seguirlo: avrebbe sopportato con suprema felicità il notevole inconveniente di dover dormire nel proprio studio e lasciare la camera alla donna; se la ricompensa sarebbe stata quella di vederla china sul pavimento, con lo strofinaccio in mano, a tentare di cancellare quelle macchie che oramai erano diventate parte integrante dell’appartamento.

Kagura, leggermente impallidita, poteva giurare di aver visto, mentre pronunciava quelle parole, un sorriso mefistofelico balenare per un istante sul volto marmoreo del demone. Tuttavia, facendosi forza, si costrinse a seguirlo in quella che, lo prevedeva, sarebbe stata una convivenza che non avrebbe facilmente dimenticato.





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[1] Parco situato al limite occidentale del XVI arrondissement. Un tempo era un luogo molto di moda dove nobiltà e borghesia si ritrovava a passeggiare.

[2] L’artificio retorico usato da Sesshomaru si chiama impossibilia o adynata

[3] Squallida pensione nella quale abitano i principali personaggi del Père Goriot di Balzac.


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Ringraziamenti:


lollyna: Cara, non ti preoccupare. Non ti ringrazierò mai abbastanza per la fedeltà con cui segui le mie modeste storie..Pensa a divertirti in vacanza!

crilli: Bentornata! Sono contenta di ritrovarti. A dire la verità a me piacciano un po’ tutti e due i pairing..però mi ero ripromessa di scrivere una sessh/kagura non appena avessi finito Siguiriya..e in questa storia ci stava a pennello.

miriel67: Tornare a Parigi?! A chi lo dici! Mentre cerco di far mente locale per ricordarmi un po’ l’aspetto dei luoghi che descrivo, mi viene una nostalgia incredibile! :) Si..sua grazia è un po’ permaloso in effetti..e non si darà per vinto.

Blackvirgo: E’ un vero onore un complimento da una scrittrice bravissima come te! Si, in effetti questo stile non mi dispiace affatto (a dire la verità c’è Damson col fucile puntato che minaccia di fare fuoco se scrivo un’altra tragedia! XD). La cosa veramente difficile sai qual è? Scrivere le battute dei bohèmiens..Hanno un linguaggio particolarissimo e intriso di citazioni. Non credo di riuscire a render loro veramente giustizia.

Onigiri: Grazie mille cara.  Sei troppo buona! Mi fai arrossire! Anche io adoro Kagura..e farla scontrare con Sesshomaru è un vero divertimento

Rosencrantz: Ma cara, le citazioni?! A chi lo dici!! Io ne sono patologicamente dipendente. Anche io adoro Kagura..e devo dire grazie a Mme. Takahashi, la quale non ha tracciato un carattere ben preciso – è, sì, un personaggio combattivo; ma possiede anche delle sfaccettature molto..’poetiche’-. Quindi la posso gestire un po’ come meglio credo.

KaDe: Troppo buona!! Davvero :) Ignorante?! Ma scherzi! Nessuno finisce mai di imparare..

ATTENZIONE
Causa vacanza a Londra, può darsi che la storia non verrà aggiornata sino al 5 Agosto.


Alla prossima!





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Capitolo 5
*** Hérodiade ***








“Dans les cafés voisins
Nous étions quelques uns
Qui attendions la gloire
Et bien que miséreux
Avec le ventre creux
Nous ne cessions d'y croire”
[1]

(La Bohème, Charles Aznavour)





.CAPITOLO 4.





Kagura aprì lentamente un occhio attendendo, mentre vacillava tra il sonno e la veglia, che la sua pupilla si abituasse alla rada luce che penetrava nella stanza, gran parte della quale era sempre avvolta dalle tenebre. Solo l’oscura sagoma di uno scrittoio, del quale si riuscivano ad intuire le semplici linee, interrotte solamente dall’inconfondibile siluette di una lunga penna conficcata nel calamaio, si stagliava di fronte alla finestra appena socchiusa.
Ancora mezza addormentata, si issò in piedi con la dovuta lentezza per evitare un capogiro e, accompagnandosi con sonoro sbadiglio, spalancò le persiane.

Il senso di spaesamento che provò per pochi, interminabili secondi, non riconoscendo in quella la sua camera, la fece vacillare appena. Ma, mano a mano che riacquistava la padronanza di sé, iniziarono a vorticarle nella mente tutti gli straordinari avvenimenti del giorno precedente. Le sembravano così lontani, irreali. L’arrivo alla stazione..gli strambi bohèmien..la piccola Rin..quel singolare personaggio che avrebbe avuto il compito di stampare il suo libro..

Fece scivolare lo sguardo tutt’intorno; come se cercasse di cogliere, anche nel minimo particolare, qualcosa che potesse darle una qualche informazione riguardo al suo ospite.
A dispetto di ogni sua previsione, tutto era straordinariamente pulito e in ordine.
L’arredamento era molto sobrio, nessuna traccia di paccottiglia varia - della quale erano ormai ornate la maggioranza delle case -. E i pochi mobili che l’adornavano, doveva ammetterlo, erano veramente di buon gusto.
C’erano solamente tre quadri alle pareti; uno dei quali, appeso sopra la testata del letto, era particolarmente grande: vi era dipinta una donna, ritta, al centro, vestita come un’antica regina orientale. I tratti sfumati, dal sapore impressionista, la circondavano di uno strano alone di mistero; lo sguardo fisso su un punto al di là della tela seguiva, con una certa apprensione, eventi che solo essa poteva discernere.
Doveva essere un episodio biblico o un qualcosa di simile..Avrebbe chiesto delucidazioni al proprietario stesso.
Non finì di formulare il pensiero che il suo sguardo di fuoco cadde su una pila di fogli, adagiati sullo scrittoio, che prima non aveva notato.
Si avvicinò abbastanza per notare, non senza una certa soddisfazione, il titolo abbozzato da una mano che conosceva bene: la sua.

“ANDRE’ CHÉNIER. Essai sur le poète de la Révolution” [2]

Tuttavia la soddisfazione si dissipò in una attimo, veloce com’era venuta; giusto il tempo di leggere al margine della pagina poche, lapidarie parole, scritte da un’alta mano.

“La fin c’est ne pas bonne. Récrire” [3]


***************************


Sesshomaru se ne stava tranquillamente davanti lo specchio, in quella che funzionava sia da cucina che da salotto, intento ad annodarsi la cravatta; quando un grido rabbioso, che gli perforò improvvisamente i timpani - anche troppo sensibili per il baccano a cui era quotidianamente sottoposto -, per poco non lo portò a strozzarsi con le sue stesse mani nel compimento del delicato lavoro.

“Monsieur de Lisle!”
Secondo grido, questa volta sempre più vicino e pericoloso.

“C’est une absurdité!” [4]
Al terzo grido la piccola Rin, che se ne stava tranquillamente seduta sul tavolo, dondolando le gambe ed osservando con aria ammirata la vestizione del suo tutore, presagendo la tempesta, saltò giù e, con uno slancio degno di nota, si rifugiò nella sua camera – l’unica a confinare provvidenzialmente col salotto; a differenza dello studio e della camera del demone che davano sul corridoio -.

“Monsieur de Lisle!”
Questa volta il diretto interessato non poté esimersi dal voltarsi e, trovatosi faccia a faccia con quella che poteva essere meglio paragonata ad una furia che a una donna, con il tono più tranquillo che poteva trovare, si limitò a rispondere:
“Esatto, madmoiselle, quello è proprio il mio nome. In cosa posso esservi utile?”
Kagura, trattenendosi a fatica dalla tentazione di lanciargli contro una sedia, brandì il foglio incriminato e glielo sventolò davanti alla faccia come se fosse la sentenza scritta e controfirmata della sua condanna a morte.
“Questo..questo..” sibilò, traboccante di indignazione, cercando di formulare una frase che non contenesse offese punibili con la sua immediata cacciata da quella casa “..Che diavolo significa?” Il demone le tolse gentilmente di mano il pomo della discordia e, dopo aver dato una rapida occhiata al suo contenuto, si limitò a constatare, serio:
“Questo è francese. Non sapete leggere?”
“Io so leggere anche troppo bene!”
“Allora suppongo che non ci sia niente da spiegare.”
“Ci sono molte cose da spiegare invece!” lo incalzò la donna, portandosi le mani ai fianchi “Per esempio; il motivo per cui il finale del mio lavoro non incontra la vostra divina approvazione..”

Sesshomaru non le rispose subito; ma si voltò nuovamente verso lo specchio e, con tutta calma, finì di annodarsi la cravatta, di modo che i due baveri della camicia coprissero appena le mascelle perfettamente rasate; e, indossata la giacca rigorosamente scura, si avviò a grandi falcate verso il portone.
“Ne riparleremo a tempo debito, signorina; adesso ho un incontro di lavoro. Intanto, se non vi è di troppo disturbo, potreste iniziare le pulizie; Rin vi farà vedere dove sono stracci e scope.”
E, senza aspettare una qualsiasi risposta, se ne andò; lasciando la povera Kagura troppo attonita perché riuscisse a comprendere quanto immensa fosse la sua rabbia.


*********************************


Ormai mezzogiorno era passato da più di mezzora quando Kagura, con la piccola Rin stretta per mano, uscì finalmente dalla porta, saltando a due a due i gradini della scala esterna per scendere in strada.
Faceva di tutto per ignorare il dolore che attanagliava le povere, esauste braccia.
Era veramente incredibile come lo spazio di quella casa, all’apparenza così piccolo, si fosse improvvisamente moltiplicato nel secondo in cui si era chinata a raccogliere lo straccio!
All’inizio aveva pensato bene di rifiutarsi categoricamente di compiere quel lavoro da serva; tuttavia, successivamente, era prevalso il buon senso e, soprattutto, il ricordo di essere solo un’ospite accolta in via del tutto eccezionale.
L’ostruzionismo, dunque, non sarebbe stata la soluzione più saggia..almeno al momento.

“J’ai faim!” [5]
Si lamentò la bambina, con una smorfia sofferente, sottolineata da un rumoroso gorgoglio dello stomaco.
Kagura non fece in tempo a rispondere, che una voce melliflua attirò la loro attenzione.

“Benissimo! Allora le vossignorie ci faranno l’onore di presenziare alla nostra ricca mensa.”

La donna fu in dubbio per un lungo, combattuto istante, se la facesse più ridere lo strano modo di parlare comune a tutti i bohèmiens, la parola ricca accomunata al possessivo nostra o la figura allampanata di François Villon che trotterellava verso di loro a braccia aperte.
A dire la verità non era un brutto ragazzo; con i suoi lineamenti decisi, lunghi capelli castani che, rigorosamente spettinati, gli ricadevano sugli occhi scuri, illuminati da un sorrisetto irriverente e da tutta la sfrontatezza dei suoi ventidue anni. Tuttavia quel caratteristico vestiario eccentrico riusciva a monopolizzare completamente l’attenzione di un qualsiasi interlocutore, senza alcuna eccezione. Stavolta a far da padrone sulla scena erano un paio di calzoni a quadretti bianchi e azzurrino stinto che nessuno avrebbe potuto far a meno di notare.

Madmoiselle Bervoix, cercando di non sembrare scortese, fece di tutto per dissimulare il proprio divertimento.
“Ne saremo ben liete.” sorrise appena “E’ un onore per me essere accettata tra di voi; anche se non sono altrettanto brava a parlare.”
“Figuratevi madmoiselle; io sono solo un povero musicista..I veri maghi con le parole sono i signori Cros e Nouveau.” Rispose tranquillamente il giovane, porgendo il braccio alla donna per condurla dagli altri commensali.

Li trovarono seduti ad un tavolo di una piccola e, a quanto pareva, poco pulita osteria. Mentre lo scrittore e il filosofo stavano discutendo abbastanza concitatamente riguardo alla bellezza letteraria dell’Ecale di Callimaco e alla veridicità del concetto di brevitas; Tristan Corbière, il pittore, se ne stava seduto in disparate, a braccia conserte, con una faccia da funerale.
“Tutto bene monsieur?” Gli si rivolse Kagura, dopo aver salutato con tutta la dovuta educazione gli altri due, facendo accomodare la bambina in quello che sembrava il tavolo più pulito.
“Certo che no!” Rispose per lui Charles Cros, ridendo di gusto “Ha appena visto sa belle passare sulla carrozza del signor Conte tutta raggiante e agghindata come in un giorno di festa!
Per consolarlo gli ho addirittura citato il carme di Catullo

Nulli se dicit mulier mea nubere malle
quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat.
dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in uento et rapida scribere oportet aqua.
[6]

Ma pare che ciò non abbia giovato affatto al suo umore.”
Il giovane, mano a mano che il compagno snocciolava brevemente la questione, diventava sempre più rosso.
Kagura non riusciva a capire se tutta questa rabbia era indirizzata all’irriverente amico, alla donna in questione, a se stesso o ad un qualche dio dal dubbio umorismo.
“Tristan: mai nome fu più appropriato.” Girò il dito nella piaga il musicista Villon, che, nel frattempo, aveva preso posto tra la donna e la bambina.
Questa volta il povero malcapitato non riuscì a trattenersi.
“Dio volesse che fosse un’ Isotta! Invece è solo una fraschetta senza cervello!” Ruggì, scaraventando con un gesto scocciato il menu in faccia allo scrittore; il quale si limitò a notare, con una stoica alzata di spalle:
“Meglio fraschetta che morta.”

“Pensate” sussurrò il musicista all’orecchio di Kagura, mentre tutti, una volta terminato quel piccolo teatrino, erano intenti a contare i propri spiccioli, in base ai quali sarebbe stata decisa la loro ordinazione “che questa donna, Françine si chiama, lo ha stregato a tal punto che egli non riesce a smettere di dipingerla nei suoi quadri..”
“Veramente?”
“Si..Ne ha uno anche Monsieur de Lisle. Credo che lo tenga in camera, ma non ne sono sicuro..”
Il pensiero di Kagura corse in un attimo al dipinto appeso sopra il letto del demone.
“Il soggetto è per caso una donna, in abiti orientali, che guarda al di là della tela?”
“Esatto, lo avete visto?”
La donna annuì, pregandolo di continuare.
Il bohèmien le spiegò che Sesshomaru aveva commissionato a Tristan un quadro che rappresentasse un’Erodiade; ma, quando gli era stato consegnato, pur avendo riconosciuto in essa i lineamenti della bella Françine, si era solamente limitato a far notare al pittore che non c’era nessun elemento che facesse riconoscere il personaggio biblico.
Monsieur Corbière aveva risposto, in tutta tranquillità, che quella era la rappresentazione universale della donna, nella quale ognuno poteva scorgere la protagonista della sua immaginazione.
Evidentemente, si ritrovò a pensare Kagura, quella risposta doveva essere piaciuta molto al demone se aveva addirittura appeso sopra il suo letto l’oggetto della questione.

Tuttavia questa conversazione segreta fu interrotta all’improvviso dall’arrivo di un gran pezzo di arrosto appena tolto dal forno, affogato in una salsa che di inviante aveva davvero poco.
Smossa dal coraggio della piccola Rin – evidentemente ben avvezza ai pasti dei bohèmien -, che si era messa tranquillamente a mangiare senza smorfie disgustate o rimostranze; madmoiselle Bervoix decise di seguirla nell’impresa.
Buttato giù il primo boccone dovette ammettere che, evitando accuratamente di respirare per non sentire alcun odore e svuotando, ad ogni pezzo di carne ingoiato, il bicchiere di vino per coprirne il sapore, non era poi così male..




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[1]”E nei café vicini
Eravamo qualcuno
Che aspettava la gloria
E, miseri,
Con la pancia vuota,
Non cessavamo di crederci”


[2] “Andrè Chenièr. Studio sul poeta della rivoluzione”

André Marie Chénier (Istanbul, 30 ottobre 1762 – Parigi, 25 luglio 1794) è stato un famosissimo poeta francese: considerato uno dei precursori del movimento romantico, sebbene in certe poesie sia ancora evidente l’impronta classicista. Uomo politicamente impegnato, inizialmente simpatizzante della rivoluzione, viene tuttavia sconvolto dal regime di Terrore al quale si opporrà; per questo motivo viene fatto arrestare con l’accusa di “crimini contro lo stato” e ghigliottinato.

[3] “La fine non va bene. Riscrivere”

[4] “E’ un’assurdità!”

[5] “Ho fame”

[6] “Con nessuno la mia donna dice di volersi unire
che con me, neanche se lo stesso Giove lo chiedesse.
Dice: ma quello che la donna giura all’amante desideroso,
va scritto nel vento e nella acqua che scorre.”


(Catullo Carme LXX)




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Eccomi tornata da Londra, finalmente (in verità sono diversi giorni, ma ho sostenere un'estenuante lotta contro l'infingardia)!
A dire la verità avevo paura che questo viaggio sbiadisse un pò il ricordo di Parigi..anzi, più che ricordo, direi le emozioni che mi ha suscitato. Per fortuna, niente di ciò è avvenuto.
Londra è bella come sempre..ma un conto è ammirare, ed un altro innamorarsi :)

Un grazie di cuore a tutte coloro che hanno commentato!


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Capitolo 6
*** Le Ventre de Paris ***








“Donna Sol:
Morto! No! Stiamo riposando. Lui dorme. Lo sai che è il mio sposo, e che ci amiamo? Ci siamo coricati qua. E’ la nostra notte di nozze. Non svegliatelo signor Duca di Mendoza. E’ tanto stanco. Ecco così…Amore mio, voltati verso di me. Più vicino, ancora di più…” [1]

(Hernani, Victor Hugo. Atto V, scena sesta)




.CAPITOLO 5.





Il sole stava quasi per terminare il suo corso ed iniziava già a tingersi di infuocati bagliori rossastri, quando Kagura uscì dalla sua stanza. Aveva passato tutto il pomeriggio a leggere e rileggere le ultime pagine del suo manoscritto. Inutilmente.
Sebbene ci avesse messo tutto il suo impegno, non riusciva a comprendere cosa ci fosse di tanto sbagliato: le frasi erano ben architettate e scorrevoli; gli artifici retorici inseriti al posto giusto; la grammatica assolutamente corretta. Eppure..
Forse il problema stava nel contenuto? Macché!..Cosa ci poteva essere di sbagliato?! In fondo la storia, anche se leggermente romanzata, era quella: André Marie Chénier, grandissimo poeta e uomo politicamente impegnato, a causa della sua opposizione alle crudeltà a cui si abbandonarono molti rivoluzionari, accusato di “crimini contro lo stato”, venne ghigliottinato il 25 Luglio 1794. Dopo soli quattro giorni sarebbe finito il regno del Terrore di Robespierre.

Perfetto. Era tutto assolutamente perfetto. Non per il povero Chénier naturalmente..ma questa storia così affascinate e romantica, proprio in virtù della sua tragica fine, di certo non poteva che dare una cornice assolutamente interessante ad uno breve excursus delle sue opere poetiche.

Volui tibi suaviloquenti / carmine Pierio rationem exponere nostram [2] direbbe Lucrezio.

“Peccato che Lucrezio non abbia mai avuto a che fare con gli editori francesi!” Sbottò Kagura a denti stretti, posando con poca grazia i fogli colpevoli sullo scrittoio, per poi volgere per l’ennesima volta uno sguardo insofferente attorno a sé: come se stesse cercando, impressa su uno dei muri, la risposta al suo atroce dilemma.
Inevitabilmente la sua attenzione fu catturata dal quadro di Erodiade che troneggiava sopra il letto. “Che fortuna..sei stata la moglie di ben due re! [3]” borbottò, irritata, al ritratto; prima di uscire di camera a testa bassa, traboccante di ogni bellicoso intento nei confronti del suo ospite “Avessi avuto anch’io una simile fortuna; non mi sarebbe mai passato per la testa di scrivere un libro e, soprattutto, non avrei mai dovuto abbassarmi a fare la sguattera per pubblicarlo!”
Come è naturale che sia, sarebbe stato davvero un avvenimento poco interessante se il suo malumore avesse trovato, una volta varcata la soglia, un momento di pace.
Infatti accrebbe notevolmente il disagio della nostra protagonista il fatto che la casa si presentasse completamente vuota; sebbene avrebbe giurato di aver sentito, fino a qualche minuto prima, lo scalpiccio dei piedi della bambina, intenta in chissà quale occupazione, che correva da un angolo all’altro del corridoio.

A quell’inquietante scoperta si sentì gelare il sangue.
Dove poteva essere andata? Da sola, per strada, in quell’immensa città!
Corse prima nella sua cameretta, poi nello studio di Sesshomaru, infine addirittura nel ripostiglio.
Niente.
In quel momento di panico assoluto notò con incommensurabile sgomento che il cappottino di Rin mancava dall’appendiabiti.
Già la sua mente, in totale stato confusionale, stava immaginando le peggiori tragedie che avrebbero potuto capitare ad una bambina dispersa per Parigi; quando si ritrovò in fondo alle scale esterne, davanti alla porta della tipografia.


“…La costanza, tiranna del core,
detestiamo qual morbo, qual morbo crudele;
sol chi vuole si serbi fedele;
non v'ha amor, se non v'è libertà...”


Un canto leggermente stonato ed eccessivamente virtuosistico le straziò i timpani; tanto da farle scordare per un attimo il perché si trovasse fuori di casa.
In piedi di fronte alla tipografia stava Charles Cros, tutto impettito e concentrato nella sua ‘commovente’ interpretazione del Duca di Mantova, con un fazzoletto in mano atto a tergere pateticamente il sudore dalla fronte del maestro.
Di fronte allo scrittore-tenore, François Villon, in linea con il suo mestiere di musicista, dirigeva attentamente l’esibizione, guidando la voce dell’amico con dei gesti teatrali.
In disparte i due spettatori, Germain Nouveau e Tristan Corbière, crollati l’uno sull’altro, cercavano maldestramente di trattenere le risa.

“…De' mariti il geloso furore,
degli amanti le smanie derido;
anco d'Argo i cent'occhi disfido
se mi punge, se mi punge una qualche beltà,
se mi punge una qualche beltà.”
[4]

“Per pietà, smettetela!” Si intromise la donna, afferrando monsieur Cros per un braccio e costringendolo a tacere.
“Mia bella signora.” Si lamentò egli, un po’ offeso per non essere riuscito a innalzare il suo do di petto “Spero che abbiate una valida motivazione per interrompere sì bruscamente una sentita esibizione.”
“Rin...” Balbettò la donna, che era sul punto di perdere completamente la calma “Era in casa...Adesso non c’è più...L’avete per caso vista passare?”

I quattro bohèmiens tacquero per un interminabile istante, scambiandosi vicendevolmente fastidiose occhiate divertite; finché Tristan non decise che era il caso di porre fine ai tormenti che affliggevano la povera Kagura.
“Non disperate madmoiselle Bervoix.” La rassicurò, avvicinandosi e poggiandole galantemente la mano sulla schiena “La piccola Rin non è affatto fuggita.”
“Allora dov’è?” Lo incalzò la donna, impaziente; anche se quelle parole l’avevano fatta sentire molto più leggera.
“E’ al momento impegnata nella consueta passeggiata serale lungo la Senna con monsieur de Lisle.”


La mente della giovane impiegò diversi secondi per recepire quella curiosa informazione: conosceva da poco Sesshomaru, ma davvero quell’immagine così.. paterna rifiutava di essere catalogata dal suo cervello come ‘reale’.
“E dove vanno di solito?” Domandò essa, cercando di trattenere il più possibile quel tremolio delle gambe che, nonostante la paura fosse passata, pur persisteva.
“Seguite Rue de Carmes finché non vi trovate ad un incrocio;” spiegò pazientemente il pittore, mostrando con il dito la piccola strada a pochi passi da loro “ prendete il Boulevard Saint-Germain alla vostra destra e proseguite avanti. Dopo non molto troverete alla vostra sinistra rue des Bernardins: camminate fino al ponte che fa da collegamento con L'Île de la Cité. Di solito sono lì.”
“Ho capito..Grazie..” balbettò la donna, sempre un po’ scossa da tutte quelle emozioni che l’avevano colta nel giro di pochi minuti.
Stava quasi per incamminarsi verso la strada che Tristan che aveva indicato; quando una strana curiosità, di quelle immotivate e stupide, ma che non lasciano requie al cervello finché non vengono svelate, la costrinse a rivolgere nuovamente la sua attenzione verso Monsieur Cros.
“Ma voi conoscete l’italiano?”
“Naturalmente no.” rise quest’ultimo, portandosi la mano alla barbetta biondiccia che cresceva folta sul mento per poi terminare a punta “A dire la verità questo motivetto mi è rimasto in testa per una siffatta coincidenza: la scorsa sera mi trovavo nei camerini dell’Opera per un certo galante motivo che voi certo immaginerete; quando, tutto intento a cercare nel buio la porta giusta, i miei timpani vengono colpiti dalla voce del tenore nella stanza adiacente che stava provando, per l’appunto, quest’aria. Così..”
Ma, preso com’era nella narrazione dettagliata della propria singolare missione, il bohèmien non si accorse che, con il tacito benestare dei suoi compagni, la donna era sgattaiolata via prima ancora che egli potesse terminare il racconto lodando, com’era solito fare, la propria ars amatoria.


***********************


La spalle. Se qualcuno avesse chiesto a Madmoiselle Bervoix che cosa più la colpisse di Sesshomaru, essa non avrebbe avuto dubbi sulla risposta.
Non sapeva bene il perché – in fondo, la figura del demone mostrava delle stranezze ben più evidenti -; tuttavia quell’elemento, quella parte di lui, aveva attirato la sua curiosità a causa di quella stessa insensatezza che guida i nostri gusti: un qualcosa ci affascina proprio perché non sappiamo darne la ragione.
Così la prima cosa che cercò con lo sguardo e, infine, intravide, furono le spalle di Monsieur de Lisle, leggermente incurvate in avanti, divise lungo l’asse della spina dorsale da una striscia di capelli d’argento tenuti legati da una coda bassa. Il vestito nero, un po’ consunto, cadeva leggermente largo all’altezza della vita; ma lasciava intuire sotto il tessuto, tirato fino quasi a rischiare di strapparsi, le scapole del demone che la posizione del busto faceva appena sporgere.
Con i gomiti appoggiati sopra il ponte, il demone teneva ben salda per la vita la bambina che, seduta sul parapetto, sgambettava felice mentre l’acqua della Senna le scorreva sotto i piedi tingendosi sempre più di un rosso scialbo.
Entrambi osservavano, come incantati, dei palazzi lontani, dietro i quali il sole pian piano moriva.

“..E così Hernani, incalzato dal vecchio a rispettare la sua promessa, fu costretto a uccidersi. Ma la donna che aveva appena sposato, prima che lui compisse l’estremo gesto, si avvelenò. Preferì morire con lui piuttosto che vivere senza di lui.”
“Ma perché Hernani non si è difeso? Lui era contento, voleva stare con lei..”
“Perché ci sono delle leggi che vanno al di là della ragione Rin; un giorno lo imparerai.” mormorò Sesshomaru, spostando su di lei uno sguardo quasi paterno “Hernani aveva promesso al vecchio che si sarebbe lasciato uccidere da lui se lo avesse aiutato a salvare la sua amata. Così è stato; non poteva non rendergli il sangue che gli doveva..”

“Anche a costo di distruggere una felicità non sua?”

Il demone non si voltò; sapeva che Kagura era lì da tempo, aspettava solo che intervenisse durante quella discussione..anzi, sperava che intervenisse.
La loro breve avventura in carrozza, quell’alacre scambio di battute, lo aveva stimolato non poco. Le dispute sull’arte erano sempre stato un florido terreno sul quale non avrebbe mai potuto fare a meno di battersi, ma sul quale ultimamente trovava ben pochi stimoli: ormai conosceva a memoria ogni impressione, ogni pensiero dei suoi concorrenti; tanto da riuscire a prevedere quasi ogni ragionamento, ripetuto fino alla nausea e da lui già mille volte smontato.
Adesso l’arrivo di quella donna dalla mente, forse sempre un po’ ingenua, ma per certi versi brillante e maliziosa, non ancora infarcita e appesantita dalla retorica dei vecchi luoghi comuni, gli aveva dato una felicità quasi bambinesca. La studiava, la osservata, la punzecchiava..la trascinava con l’inganno sul terreno del confronto, per poi portarle l’assalto da ogni parte, fino a farle cedere le armi; non prima di averla fronteggiata in un’aspra battaglia dove lui l’incalzava e lei si difendeva con la disperazione e la forza di colui che sa di perdere, ma lo vuol fare con onore.
Anche stavolta fu così.

“L’avrebbe distrutta lo stesso. Un uomo d’onore, una volta che ha perduto il suo bene più prezioso, non potrà mai più essere felice. Egli passerà ogni singolo istante della sua vita attanagliato dal rimorso, prostrato dalla vergogna; si chiederà perché, perché in quell’istante è stato così perfettamente vile.
Come avrebbe potuto essere più tranquilla e serena Donna Sol, vedendo colui che amava in queste condizioni?”
“Lui doveva vivere non per se stesso; ma per lei!”
“Hernani aveva un dovere anche nei confronti del proprio onore!”
Kagura preferì non rispondere subito; si limitò ad osservare distrattamente per qualche secondo la piccola che, tediata da quella discussione della quale non comprendeva bene il senso, si era allontanata di qualche passo da loro.
“Voi avreste fatto lo stesso?” Chiese con un sorrisetto scettico che le piegava le labbra leggermente illividite dal freddo, voltandosi verso di lui.
Sesshomaru, con le braccia sempre appoggiate al parapetto di pietra, continuava imperterrito a fissare un punto indistinto innanzi a sé, perduto tra le onde placide della Senna e le case arrossate dal tramonto.
“Io non sarei arrivato al punto di offrire in cambio la mia vita pur di salvare una donna.” Rispose serafico, con una lentezza tale da far pensare che le parole fossero state attentamente soppesate dalla sua mente “Non sopporterei di contrarre un debito con nessuno; ancor meno se per saldarlo dovessi addirittura sacrificare la mia vita.”
“Un vero cavaliere.” Lo canzonò madmoiselle Bervoix.
“I cavalieri non esistono, ancor meno le dame; ed Hernani non può esistere, se non su carta o su un palcoscenico.” sentenziò monsieur de Lisle, alzando le spalle – il tessuto si tirò fino all’estremo a contatto con la pelle -. Poi si voltò con un lento, calcolato movimento, per poter vigilare sulla bambina.

Kagura lo stette ad osservare in silenzio: era così strana la sua espressione quando si rivolgeva verso la piccola protetta. Apparentemente non si notava nessun cambiamento; ma una discreta osservatrice come lei riusciva a cogliere anche le più impercettibili sfumature che, in un carattere come quello del demone, indicavano un radicale cambiamento da uno stato d’animo all’altro.

In quel momento la donna capì quanto era forte il legame che li univa.

Era uno di quei sentimenti forti, duraturi, sotterranei; uno di quei sentimenti che non ha bisogno di gesti d’affetto per palesarsi. C’è e basta. Esso regna negli angoli più oscuri e primordiali del cuore; è immutabile e inesauribile. Non è riconducibile a un canone, non ha un nome. Amore, affetto, bisogno, pietà: racchiude ognuna di queste cose e non le racchiude completamente nessuna.
Non era un sentimento paterno, quello che lo legava alla bambina..forse era qualcosa più forte e silenzioso del sangue: il tacito patto di colui che sceglie e non subisce l’oggetto dell’amore.
Monsieur de Lisle aveva raramente un gesto d’affetto nei confronti della bambina, ancor meno una parola dolce, un sorriso da regalarle; eppure la luce diversa che balenava per un istante nelle sue pupille quando la guardava sopperiva a tutto quel mondo di carezze non date, di parole non dette. La cosa più straordinaria era che Rin lo capiva, lo capiva meglio di chiunque altro con l’ingenua sagacia che posseggono solo i bambini.

“E’ molto che abita con voi?” Domandò Kagura, voltandosi anch’essa verso la diretta interessata che, a quanto pare, aveva trovato immensamente interessante osservare, seduta su una panchina poco distante, il ritmico saltellio di alcuni uccellini in cerca di qualcosa da mangiare.
“Quattro anni.”
“Dove l’avete conosciuta? I suoi genitori sono morti o l’hanno abbandonata?” Incalzò essa, cercando di ottenere più informazioni possibile; non solo per curiosità personale, ma soprattutto per avere una vaga indicazione su come porsi con la bambina.
“Entrambe le cose. A quanto ho saputo erano degli ubriaconi - Parigi ne è piena - che la lasciavano tutto il giorno a gironzolare per strada mentre loro cercavano di ammazzarsi il più velocemente possibile con l’assenzio. Presumo ci siano riusciti.”
“Oh Dio, che gente!” Commentò schifata Kagura.
“Non siate così perbenista, madmoiselle; lasciate questo lavoro ai borghesi.” la riprese il demone “L’alcool spesso è l’unico attenuante alla disperazione; alienarsi è l’unico rimedio per avere un attimo di pace. Può sembrare orrendo ma è la realtà.”
“Ma avevano una bambina da mantenere!”
“Nel ventre putrefatto di questa città gli uomini non sono uomini ma bestie abbrutite dalla fame e dalla sofferenza; come bestie si accoppiano e come bestie figliano..” l’ultima frase fu pronunciata con una strana espressione del volto: non si capiva se ne provasse pietà o ribrezzo. Poi, come se si fosse improvvisamente reso conto del peso delle sue ultime parole si affrettò ad aggiungere “Perdonate signorina per il linguaggio poco adatto a delle orecchie femminili; pure le cose stanno così.”
“Non preoccupatevi;” si affrettò a rassicurarlo Kagura, sempre un po’ scossa da quell’inquietante discorso “non è peggio che leggere Zola o i Goncourt. Ma continuate..come avete conosciuto Rin?”
“Chiedeva l’elemosina in una sudicia strada trafficata.” Rispose, coinciso, monsieur de Lisle; alzando appena gli occhi, come se rifigurasse nella propria mente quella scena “Sporca, coperta di stracci, mi offrì un fiore, rubato da chissà dove, in cambio di qualche moneta.”
Kagura sentì un nodo stringerle la gola.
“Così decisi di prenderla con me. Fu una decisione avventata; la prima della mia vita. Ma non me ne pento.”
“Ma perché proprio lei?” insisté la donna “Ne avrete visti a centinaia di bambini poveri che vi chiedevano l’elemosina. Perché avete scelto proprio Rin?”
Monsieur de Lisle rimase per diversi secondo in silenzio; come se anche lui si chiedesse, per la prima volta, il perché di quella scelta; perché l’istinto proprio quel giorno aveva preso il sopravvento sulla salda ragione.
Si voltò lentamente verso di lei, con la solita espressione indecifrabile, un sopracciglio leggermente inarcato, il busto sporto in avanti.

“Perché mi ha sorriso.”

Dopodiché, richiamata la bambina con il solito tono pacato, si incamminò verso rue Laplace, non senza aver lanciato una rapida occhiata alla donna per invitarla a seguirlo.




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[1] Hernani è un dramma in cinque atti in versi rappresentato per la prima volta alla Comédie-Française il 25 febbraio 1830. Esso segna l'inizio del Romanticismo nel teatro francese, che si affermò in seguito a uno scontro tra "vecchio" e "nuovo" rimasto nella storia con il nome di "battaglia di Hernani".
La vicenda si svolge in Spagna nel 1519 e racconta dell'amore tormentato tra il protagonista Hernani e doña Sol, desiderata dal re don Carlos.

[2] “Ho voluto esporre a te con l'armonioso canto delle Pieridi la mia ragione” Lucrezio. De Rerum Natura.

[3] Da prima fu sposa di Erode Filippo I da cui ebbe una figlia, Salomè. Dopo il divorzio da questo tetrarca ne sposò il fratello Erode Antipa, tetrarca di Galilea.
Secondo quanto riportato nel Vangelo di Marco, fu lei che chiese a Salomè di pretendere la testa di Giovanni Battista dopo aver ballato per lo zio la famosa danza dei setti veli.

[4] Rigoletto. Giuseppe Verdi. Atto I, scena prima.


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Chiedo scusa per il terribile ritardo! Purtroppo gli esami sono riniziati e ho avuto poco tempo da dedicare alla correzione del capitolo.
Grazie ancora per la vostra pazienza! Non so come farei sanza di voi!

Un'ultima cosa prima di lasciarvi: l'episodio dell'incontro tra Sesshomaru e la piccola Rin in realtà non è stata una pura invenzione. E' accaduto questa primavera in Egitto che una bambina, sporca e scalza, mi siavvicinasse per offrirmi un fiore in cambio di qualche spicciolo. I suoi grandi occhi verdi mi sono rimasti impressi nella memoria e nel cuore.


Alla prossima

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Capitolo 7
*** Vivamus mea Lesbia ***





Chiedo perdono per il mio vergognoso ritardo! Ringrazio tutte quelle che mi hanno seguito e commentato fino a questo momento. Spero di essere un po’ più veloce per il prossimo (gli esami sono quasi finiti).





"Madamigella Musetta era una bella ragazza di venti anni.
Molta civetteria, un pochino di ambizione e nessuna ortografia; delizia delle cene del Quartiere Latino: una perpetua alternativa di brougham bleu e di omnibus, di via Breda e di Quartiere Latino.

« - O che volete? - Di tanto in tanto ho bisogno di respirare l'aria di questa vita. La mia folle esistenza è come una canzone: ciascuno de' miei amori è una strofa, - ma Marcello ne è il ritornello».”

(H.Murger "Scenès de la vie de Bohème")





Monsieur de Lisle appallottolò, irritato, l’ennesimo foglio di carta per poi gettarlo a terra con un gesto insofferente.
In verità non gli capitava molte volte di essere così insicuro nella stesura di una lettera, tuttavia l’indirizzo e il contenuto erano per lui così importanti da costringerlo a non prendere il lavoro con leggerezza. Era raro che, come quella volta, stesse ad osservare fisso l’immobile calamaio nel tentativo di farsi venire in mente le parole giuste.
Ora afferrava la penna come folgorato dal sacro fuoco dell’ispirazione, ora stracciava con un ghigno insoddisfatto il foglio, ora tamburellava indispettito le dita sulla scrivania lasciando dei piccoli solchi con le unghie sul legno.

“Vi vedo in difficoltà, signore” una voce canzonatoria dietro le sue spalle interruppe per un attimo il corso dei pensieri.
“Di certo non mi aiuterete a concentrarmi con la vostra presenza.”
“E’ proprio quello che voglio.” Sottolineò Kagura con un sorriso poco rassicurante, incrociando le braccia senza smuoversi dal suo posto.
Sesshomaru questa volta si voltò.
“Pensate di perseguitarmi ancora per molto?”
“Quanto basta.”
“Non posso starmene chiuso nel mio studio o in tipografia a lavorare che vi trovo sempre tra i piedi a lagnarvi. Stavo seriamente pensando di vendervi ad un mercato di schiavi o a qualche circo; ma subito dopo mi sono ricordato che è contro la legge. Non potete immaginarvi quanto ciò mi rammarichi.”
Il sorriso di Madmoiselle Bervoix, se possibile, divenne ancora più largo.
“Commuovente davvero.” si limitò a commentare mentre, senza attendere l’invito, entrava nello studio e si sedeva su una poltrona a fianco del demone “Ma, purtroppo per voi, non ho alcuna intenzione di lasciarvi in pace finché, come da accordo, non avremo ricorretto insieme il mio lavoro e voi l’avrete stampato.”

In effetti erano passati quasi due mesi da che la donna si era presentata davanti alla porta della tipografia di rue Laplace e, nonostante le numerose richieste –prima timide, poi sempre più insistenti- della diretta interessata, del suo romanzo non si era ancora seriamente parlato. Essa in un primo momento aveva lasciato correre, un po’ intimorita dal trasferimento e soprattutto dal suo padrone di casa; ma, con il passare del tempo, con immenso rammarico di monsieur de Lisle, Kagura aveva deciso di ricorrere a maniere molto meno garbate.

“Questa si chiama persecuzione signorina.” La rimproverò Sesshomaru, posando, sconfitto, la penna.
“Chiamatela come volete, non m’importa.” ribatté la donna, per poi aggiungere con un’espressione enigmatica “Dovevate capirlo dal mio falso nome che non sarebbe stato così facile accantonarmi in un angolo a pulirvi i pavimenti.”
“Falso nome? Intendete Blas?”
“Esatto monsieur.” confermò essa, sporgendosi un poco verso di lui, come per sottolineare l’importanza di ciò che stava per dire “Io sono come Ruy Blas*: sopporto, soffro, attendo. Ma quando arriva l’ora della resa dei conti neanche il pianto disperato di una regina può impedirmi di prendermi la mia vendetta; anche a sangue freddo, anche senza onore.”

Sesshomaru sorrise mentalmente a quelle parole.
“Io non sono Don Sallustio.” Si limitò a ribattere, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi alla porta, come per sottolineare che la discussione era finita.
“Già; troppo poco intelligente..” Sibilò Kagura, tra i denti.
“Se prima avevo dei dubbi sul perché non foste sposata,” tuonò esasperato il demone “adesso ho una certezza: nessuno riuscirebbe a sopportare per moglie una donna così. Avete un carattere impossibile!”
“Potrei dire la stessa cosa!” Sibilò la giovane, alzandosi di scatto, colpita nell’orgoglio “Chi mai vorrebbe passare la vita con una persona come voi!?”


Per fortuna quella conversazione venne interrotta dalla piccola Rin che entrò proprio in quell’istante nello studio del suo tutore.
La sua provvidenzialità delle volte era a dir poco sospetta.
“C’è qua Tristan che ride e dice cose senza senso..” mormorò con una tranquillità sconcertante, come se fosse ben avvezza a quel tipo di situazione “Che gli devo dire?”
Non fece in tempo ad attendere una risposta che il diretto interessato la superò con un balzo, catapultandosi verso monsieur de Lisle, con l’espressione di chi, nel giro di un attimo, ha ottenuto senza il minimo sforzo tutto quello che più desidera dalla vita.
“O mia giovinezza! Tu non si morta!”
Afferrata una sconvolta Kagura tra le braccia, la strinse a sé con tutta la forza che aveva in corpo senza smettere per un attimo di ridere e di ripetere, trionfante, la stessa frase.

“Ci vuoi dire cosa ti è accaduto di tanto bello oppure intendi continuare a matteggiare ancora per molto?” Cercò, inutilmente, di freddarlo il demone.
“Francine..” balbettò il pittore, lasciando la donna e avvicinandosi al suo interlocutore tutto eccitato “Francine è tornata..è tornata da me! Ha lasciato il visconte..l’ha lasciato per me! Lo vedete? Lo capite? E’ inutile..la ricchezza non può nulla contro l’Arte! La ricchezza non dà l’immortalità, l’Arte sì..Lei lo sa..Lei è tornata perché io la renda immortale, perché io la ami veramente!..”
Mentre il giovane pittore continua a sproloquiare, non riuscendo a trattenere la sua felicità, madmoiselle Bervoix si voltò un po’ preoccupata verso Sesshomaru sperando di trovare in lui un conforto, un sostegno..o che almeno le dicesse cosa fare!
Lo vide portarsi la mano alla fronte, scuotendo sconsolato la testa.

“Venite..venite. E’ qua fuori.” continuava imperterrito il giovane, indicando la porta “Venite madmoiselle, ve la voglio far conoscere. Vedrete, vi piacerà di sicuro..”
Non fecero in tempo ad aprir bocca che Tristan li aveva già trascinati fuori.


**************************


“Ci risiamo, signorina Francine?”

Un bella ragazza sulla ventina alzò lo sguardo verso l’uomo che la osservava torbido dalla sommità delle scale. Le spuntò sulle labbra rossissime un sorrisetto malizioso.
“C’est l’amour monsieur de Lisle!”
“Del vostro amore c’è di che fidarsi!” Ribatté il demone scendendo le scale con un’aria che altalenava tra il divertito e lo sconsolato.
“Siete ingiusto con me.”
“Lo sarei maggiormente nei confronti del signor Corbière se non tentassi per l’ennesima volta di metterlo, inutilmente, in guardia dai vostri ormai ben sperimentati trucchetti per irretirlo nuovamente nella vostra rete.”
“E secondo voi perché mi sarei separata dal visconte, con tutti gli agi che me ne derivavano?”
“Ahimè, signorina. Ho paura che abbiate il brutto vizio di abituarvi così velocemente alle vostre nuove situazioni sentimentali, che non possa passare neanche un mese senza che inizi ad opprimervi la noia. Il velluto e l’oro possono solo ritardare questo ineluttabile processo.”
“Non è vero, monsieur de Lisle!” Si intromise Tristan, con una raggiante espressione dipinta sul viso alla quale Kagura non riuscì a trovare una definizione più caritatevole che ‘idiota’ “Francine è tornata perché ama me, che sono un’artista! Ama me perché solo io le posso fare il dono più grande che ci possa essere: l’immortalità! Denaro e nobiltà non sono nulla in confronto alla gloria imperitura che travalica i secoli!..Pensate a Cinzia..a Lesbia..”
E mentre parlava la donna rideva, incantevole, carezzandogli i capelli biondi che sulla nuca si arricciavano con maggiore evidenza; come se volesse con quelle effusioni sottolineare le parole dell’amante e dar loro concretezza.
“Dio mio. E’ irrimediabile.” Riuscì solo a mormorare Sesshomaru, disgustato, voltando le spalle a quella scena pietosa e raccapricciante.


“E quella signora lassù, chi è?”
Kagura, che fino ad allora aveva preferito osservare la scena in disparte dall’alto delle scale, fissò la sua attenzione, non senza un certo fastidio, sulla nuova arrivata che la stava indicando.
“Signorina, prego.” Si limitò a correggere con un tirato sorriso di circostanza: quella sfacciataggine non faceva che peggiorare la sua opinione nei confronti dell’amante di Tristan.
“Oh, perdonatemi!” si corresse l’altra, sempre allegra “Siete nuova di qui? Non vi ho mai visto prima.”
“Lavora per me.” Rispose lapidario monsieur de Lisle.
“Credevo che voi lavoraste per me..” Lo rimbeccò madmoiselle Bervoix in tono acido, scendendo la sua volta le scale.
“Questo è tutto da vedere.” Sussurrò il demone quando la donna gli passò accanto. Continuò a squadrarla in silenzio, con la mascella leggermente contratta, mentre Tristan si apprestava a fare le presentazioni.
“Oh, madmoiselle Bervoix!” continuava a ripetere, al colmo della felicità “Vedrete che vi troverete bene con Francine! Diventerete subito buone amiche!”
Sebbene Kagura nutrisse forti dubbi al riguardo, non poté esimersi dal ricambiare con il proprio il sorriso genuino che la giovane le aveva rivolto.
Di questo almeno era sicura: non si sarebbe annoiata.




*“Ruy Blas”, ambientato alla corte di Spagna del '600, racconta di una beffa perpetuata da Don Sallustio, per vendetta amorosa. Sapendo che un suo servo, di nome Ruy Blas, è segretamente invaghito della regina, lo traveste da nobile e lo conduce a corte. Intelligente e generoso, Ruy conquista la stima di tutti, diviene primo ministro e conquista il cuore della sovrana. A questo punto Don Sallustio svela l'inganno, ma Ruy, ignorando la regina che lo prega di avere pietà, lo uccide e poi sceglie di suicidarsi col veleno.

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Capitolo 8
*** Querelle ***







“Ces nymphes, je les veux perpétuer.
Si clair,
Leur incarnat léger, qu'il voltige dans l'air
Assoupi de sommeils touffus.”*


(L'après midi d'un faune, Stèphane Mallarmè)




“Capitolo XXIX. La Prigione.

Il poeta Andrè de Chenièr sapeva benissimo che non sarebbe uscito da quella prigione, se non per andare incontro alla ghigliottina; tuttavia, paradossalmente, proprio nei giorni della sua tremenda agonia videro la luce i suoi migliori componimenti…”


“Madmoiselle Bervoix!”

La donna, seduta sui gradini della tipografia nel tentativo di godersi i pallidi raggi del sole primaverile, staccò di malavoglia gli occhi dal foglio per incontrare lo sguardo poco rassicurante di Francine.
“Posso esservi utile?”
“Che ne dite di accompagnarmi al cafè Momus a fare colazione con gli altri?” Propose la giovane, con uno sguardo ammiccante “Vedrete. Ci sarà da divertirsi.”
“Sto lavorando.” Rispose asciutta l’altra, indicando la pila di fogli che teneva sulle ginocchia “E poi non posso lasciare la piccola Rin sola in casa.”
“Rin?”
“Sì, certo. L’ho lasciata un’ora fa che dormiva sempre.”
“Ma siete sicura?”
Kagura cominciò ad agitarsi.
“Sì, perché?
“Credevo di averla vista andare da Momus con Tristan e gli altri.”

Non fece in tempo a terminare la frase che madmoiselle Bervoix, con un uno scatto felino, era già a metà della rampa di scale, aveva spalancato la porta così forte da rischiare di frantumare i cardini ed era corsa dentro diretta verso la camera della bambina.
Dopo un manciata di concitati secondi la donna riapparve sulla soglia, muta e sconsolata.
Secondo un rapido calcolo era già la seconda volta nel giro di un mese o poco più che la bambina sgattaiolava fuori senza che lei se ne accorgesse. Il momento della sua cacciata da quella casa si faceva sempre più spaventosamente vicino.

Stava sempre valutando quale ponte sarebbe stato più indicato per accogliere il suo imminente trasloco, quando Francine la prese sotto braccio e la trascinò in direzione del famoso cafè.


****************************************


“Insomma, adesso abitate in casa del burbero De Lisle..”

Kagura, che stava camminando accigliata con lo sguardo rivolto da tutt’altra parte, si voltò verso la giovane con un’espressione interrogativa.
Percepiva in quel preludio odore di tragedia.
“Prego?” Domandò con il tono più ingenuo del mondo.
“Stavo solo notando che voi vivete col signor De Lisle. Nella sua stessa casa..”
“E con ciò?”
Sapeva anche troppo bene quanto quella situazione fosse assolutamente sconveniente ed in un altro momento se ne sarebbe vergognata. Tuttavia non se la sentiva davvero, sola in quella immensa città, di andarsene a stare in una squallida pensione con chissà quali compagni di avventura.
Meglio disonorata a parole che nei fatti.
L’unica sua speranza era che nello sperduto paesino da cui era venuta non si venisse mai a sapere di quell’indecente convivenza e, soprattutto, delle compagnie che frequentava; altrimenti il suo esilio da momentaneo sarebbe divenuto definitivo.

E con ciò?!” Sorrise maliziosamente Francine “E’ una notizia meravigliosa! Anzi..più strana che meravigliosa, a dire il vero. Ma raccontatemi. Com’è? Come si comporta?”
“Perché tutte questo domande? Lo conoscerete sicuramente meglio di me.”
“Scherzate?! Nessuno lo conosce davvero. E’ sempre stato insofferente e burbero con ogni essere vivente! Però sarei proprio curiosa di scoprire qualcosa di divertente su di lui..”
Madmoiselle Bervoix si ritrovò a pensare che, in fondo, non era molto diversa da Francine..o, almeno, la curiosità era la stessa. Ma se ne guardò bene da mettere a parte la compagnia di questo pensiero; limitandosi ad alzare le spalle, socratica.
“Se vi può consolare, con me non si comporta diversamente.”
“Ah..capisco.” L’espressione della giovane era palesemente delusa “Quindi, anche se vivete sotto lo stesso tetto, non a provato a..”
“A..?!”
“Che ne posso sapere, io?! Ad infilarsi in camera vostra per esempio..magari col favore delle tenebre.”
Kagura a quella parole si fermò, sconvolta. Baccheggiò per qualche secondo, non riuscendo ad emettere alcun suono, tanto grande era il suo stupore e la sua indignazione.
“..Ma..ma..Che razza di insinuazioni sono, queste?!” Sibilò, cercando per quanto poteva di non essere offensiva “Come vi viene in mente che io possa..”
Da parte su Francine la scrutava perplessa; per poi liquidare il tutto con una filosofica alzata di spalle.
“Non vedo cosa ci sia di così strano.”
“Suppongo allora di essere troppo campagnola e provinciale per il vostro modo di pensare.” Borbottò l’altra, un po’ acida.
“Credo di sì..ma vedrete che vi abituerete presto.” Sorrise Francine, non cogliendo la critica non troppo velata fattale dalla compagna; poi, dopo qualche secondo di silenzio, riprese a parlare, stavolta in tono più basso e confidenziale.
“In verità ero curiosa di sapere come si sarebbe comportato il signor de Lisle per soddisfare qualche dubbio che ho da tempo su di lui..”
“Che tipo di dubbio?”
Madmoiselle Bervoix, per quanto si volesse mostrare superiore, non riuscì a trattenere la sua curiosità.
“Riguardo..come dire?..Riguardo ai suoi gusti..Avete capito cosa intendo..”
La donna a quelle parole sbiancò da capo a piedi; ma si sforzò di rimanere impassibile.
“Cosa..cosa ve lo fa pensare?”
“Tristan dice che secondo lui non è vero; però secondo me Sesshomaru si comporta in modo strano. Nessuno l’ha mai visto in atteggiamenti sospetti con una qualsiasi esponente del genere femminile..ma neanche parlarci al di là delle solite frasi di circostanza. Tutto ciò è molto sospetto..”
“Suvvia madmoiselle!” Tentò di sdrammatizzare Kagura, ad onor del vero, con poca convinzione “Magari monsieur de Lisle trova più interessante vivere tra i suoi libri che correre dietro a una gonnella.”
“O Dio, non sarà mica un platonico?”
“Prego?”
“Sì, un platonico” Confermò Francine, tutta convinta “Germain mi disse che i platonici sono quelli che si innamorano di qualcuno ma solo spiritualmente..senza aver contatti fisici con questa persona. Che strana gente che c’è al mondo, non trovate?”
La donna questa volta non poté fare a meno di ridere di fronte a una tale semplificazione: quella creatura così ingenua le faceva quasi tenerezza.
“Allora speriamo che il signore in questione propenda per l’epicureismo.”
“Cosa sia questo epicureismo, non lo so; però l’ultima possibilità rimasta è che gli piacciano gli uomini.”

Francine, individuata e circondata da uno stuolo di spasimanti che la attendevano tutti i giorni davanti a cafè Momus, non poté notare l’espressione di puro terrore dipinta sul volto di Kagura.


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Madmoiselle Bervoix non ascoltava una sola parola della discussione giornaliera dei bohèmien. Si era addirittura dimenticata di sgridare la piccola Rin per le sue scappatelle senza permesso, tanto il tarlo del dubbio le si era insinuato in testa e aveva messo radici così profonde che, per quanto ci provasse, non riusciva ad estirparlo.
Era condannata a pensarci e a non poter avere una risposta.
Come avrebbe potuto chiedere spiegazioni al diretto interessato? Con che parole dirglielo? Con che diritto?
E anche se fosse stato?
Forse era davvero troppo provinciale per quella immensa città; forse la sua mentalità irrimediabilmente troppo borghese la costringeva, al di là del buonsenso, a non poter accantonare del tutto i pregiudizi che le erano stati inculcati fin da piccola; o forse aveva bisogno di tempo per abituarsi a quel modo di vivere completamente opposto a quello a cui era abituata lassù in Normandia, nel suo paesino affacciato sul mare.

“ Ah, guardate! Da quando in qua quelli della rive droite degnano di condurre i propri passi fino ai nostri sacri lidi?!”

Il tono sarcastico di Tristan la costrinse ad abbandonare per un attimo le sue elucubrazioni e ad alzare lo sguardo verso il nuovo venuto.
Era un uomo sulla quarantina, di media statura, gracile, con una folta capigliatura scompigliata e un paio di baffi ben curati; una di quelle persone che passano tranquillamente inosservate se qualcuno non si prende la briga di indicarle.

“Allora monsieur,” ridacchiò Charles Cros, il grande cantor di versi –come era solito chiamarsi- “l’avete ancora inventata la vostra bella lingua? Questa vostra ‘poesia pura’ non si è mica fatta ancora trovare! Davvero una bella maleducata, in tutta sincerità!”
“Il signore, essendo un grande poeta, saprà bene quanto sia capricciosa la poesia, proprio come la donna. Appena credi di averla conquistata, ti sfugge dalle mani con una velocità impressionante.” Si limitò a rispondere il diretto interessato, abbastanza infastidito, mentre prendeva posto ad un tavolo non molto lontano dal loro e tirava fuori una rivista che teneva nella tasca della giacca e scorreva la prima pagina con finto interesse.
“Così capricciosa da costringervi a scrivere addirittura una decina di poesie?” Sogghignò il bohèmien, scatenando l’ilarità dei compagni.
Questa volta il malcapitato fece finta di non aver sentito, continuando imperterrito a tenere gli occhi fissi sulla stessa riga di un articolo.
“Non vorrete tarpare le ali ai suoi voli pindarici, Charles!” Si intromise Tristan, facendo l’occhiolino all’amico “Non è da tutti scrivere addirittura mille versi in quarant’anni! Se poi questi versi sono assolutamente incomprensibili, tanto meglio!”


Probabilmente la situazione sarebbe degenerata in uno scontro un po’ meno verbale se, proprio in quel momento, non fosse entrato nel locale monsieur de Lisle; il quale, dopo essersi reso conto con una rapida occhiata della situazione, si avvicinò alla povera vittima delle feroci battute.

“E’ l’ultima uscita del Parnasse contemporain**?” Si limitò a chiedere, indicando il giornale. “Oh, Bonjour monsieur de Lisle!” Esclamò l’altro, non appena ebbe alzato gli occhi verso il nuovo arrivato. “Sì, l’ho comprato proprio stamani. Anche se non vi partecipo più, lo seguo sempre.”
“C’è qualcosa di interessante?”
“Non so che dirvi..Mi pare che negli ultima anni abbia perso gran parte della sua forza. Forse era inevitabile. E’ stato figlio di un grande momento; ma ormai sono passati quasi vent’anni dalla sua ideazione..”
“E’ inevitabile che ogni cosa, estrapolata dal proprio momento, perda di significato.” Si limitò a concludere il demone mentre prendeva posto accanto al suo interlocutore e si accendeva una sigaretta.

Durante questa breve conversazione i bohèmien si erano completamente zittiti, vedendosi costretti a fissare l’uomo con ostilità senza poter perpetuare la loro opera di distruzione mentale.
Intanto Rin, non capendo assolutamente nulla di tutto quello che le avveniva intorno, se ne stava in disparte, intenta a spellunzicare gli avanzi della propria colazione, visibilmente annoiata; così come Francine, la quale, con i gomiti appoggiati sul tavolo, di tanto in tanto sbadigliava poco graziosamente.
Da parte sua Kagura era molto infastidita dalla situazione. Un po’ perché desiderava poter parlare da sola con monsieur de Lisle per cercare di indovinare il suo segreto e un po’ perché trovava quella situazione molto imbarazzante.
Così, dopo qualche istante di indecisione, si alzò dal proprio posto per andare decisa verso il demone, che se ne stava tranquillamente a parlottare con lo sconosciuto.
Non aveva ancora pensato come intromettersi nel discorso, quando Sesshomaru, involontariamente, la tirò fuori d’impiccio.
“Credo che sia doveroso ed anche inevitabile presentarvi madmoiselle Bervoix.” Sospirò egli, non appena se la trovò di fronte.
“Molto piacere.” Mormorò l’uomo, alzandosi e sfoggiando un galante inchino.
“Kagura, questo è monsieur Stéphane Mallarmé.”

La donna fissò senza parole il poeta di fronte a lei per diversi secondi, con uno sguardo stralunato. Era indecisa se darsi un pizzicotto sul braccio per svegliarsi da quell’incredibile sogno, oppure se mettersi ad urlare come un’isterica e inginocchiarsi ai suoi piedi, come fosse un idolo pagano.
Per sua fortuna non fece niente di ciò.
“V..voi siete..Mallarmé..quel Mallarmé?” Balbettò un po’ inebetita.
Sesshomaru si portò, sconsolato, una mano alla fronte; pentendosi amaramente della sua azione sconsiderata.
Il diretto interessato invece sorrise cordialmente, annuendo.
“Ho trovato la vostra poesia ‘l’après-midi d’un faune’ semplicemente bellissima; non avevo mai letto niente di così onirico e suggestivo al tempo stesso!” Riuscì solamente a dire Kagura, quasi soffocata dall’emozione di trovarsi a tu per tu con uno dei più grandi poeti contemporanei. Solamente dopo averle pronunciate, si rese conto di quanto fossero stupide quelle parole. Preferì tuttavia non aggiungere altro per evitare un’altra brutta figura da aggiungere a quelle che aveva collezionato in pochi secondi.

“Vi ringrazio, madmoiselle.” rispose garbatamente monsieur Mallarmè “E’ confortante sapere che certe persone” e pronunciando le ultime due parole lanciò un’occhiata sarcastica ai quattro bohèmien “apprezzano la mia poesia..Anche se vanta solamente un migliaio di versi.”
“Oh, non capisco perché i miei compagni siano stati così ingiusti con voi..” Tentò di sbrogliarsi la donna da quella situazione imbarazzante; ma non poté finire la frase che un coro di protesta si alzò dai quattro bohèmien i quali, vedendo che il loro avversario aveva così tanti alleati, decisero di battere strategicamente in ritirata trascinandosi dietro una insofferente Francine, non senza aver lanciato un’occhiata indispettita all’esecranda traditrice.

La bambina, rimasta sola al tavolo, si alzò tranquilla dal suo posto e si andò a sedere sulle ginocchia del demone.
Kagura si trovò ad invidiare seriamente la sua filosofia di vita.





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*“Quelle ninfe… voglio… in eterno.
Sí chiaro
vibra il loro
lieve incarnato che lento si volge nell’aria
in un fitto di sonni.”


** Il Parnasse contemporain era una rivista dove venivano raccolti le poesie dei più gradi poeti del tempo (tutti appartenti, anche se solo inizialmente, alla corrente letteraria parnassiana).


Mi scusa per l’ennesima volta per il ritardo! Ringrazio tutte le mie fedeli lettrici per il sostegno e la costanza che dimostrano nel seguirmi capitolo per capitolo. Senza di voi nessuna delle mie storie sarebbe riuscita ad arrivare al termine.
Ancora un grazie a tutte, alla prossima.



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