Aletheia di SuzuyaChan (/viewuser.php?uid=935748)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Note
dell’autrice: Il titolo
“Aletheia” viene dal greco antico e significa
“verità” o
“rivelazione”, ma
letteralmente si traduce come “non-dimenticanza” o
“qualcosa di non-nascosto”;
dato che la storia parla di una perdita di memoria, dove la
“verità” deve
essere raggiunta tramite la rievocazione di ricordi, mi sembrava un
titolo
adeguato.
Note della traduttrice: Questa
storia in inglese è già completa, quindi il
postaggio sarà abbastanza regolare - una volta alla
settimana o giù di lì. Ho deciso di tradurla
perché l'ho trovata veramente molto, molto carina, e
l'autrice è stata davvero gentile a darmi il permesso *-* In
tutto sono dieci capitoli, ma sono già a metà
della traduzione per non rischiare spiacevoli ritardi (stiamo per
entrare nella sessione estiva, sigh). Che altro dire, vi consiglio
veramente di seguirla perché diventa sempre più
bella di capitolo in capitolo! Buona lettura <3
Prologo
Era un
giorno come tanti a Ikebukuro: faceva
caldissimo, le strade erano affollate, e un distributore automatico si
era
appena schiantato contro la fiancata di un edificio.
«Mi
stai almeno mirando,
Shizu-chan?» rise Izaya, balzando abilmente verso un
condominio lì vicino da un’altezza di quasi tre
metri. L’ex-barista quasi ringhiò mentre
l’altro ragazzo gli faceva
l’occhiolino e se la svignava, saltando senza sforzo di
finestra in finestra e
da un edificio all’altro. Ma Shizuo non aveva la minima
intenzione di lasciarselo
scappare, quella volta: avrebbe catturato la dannata pulce e gli
avrebbe spiegato
molto chiaramente quanto non era più il benvenuto in quel
quartire.
Sentire il
vento sul viso gli provocava una
gradevole sensazione mentre inseguiva Izaya; quest’ultimo era
abbastanza
lontano perché il suo caratteristico odore e la risata da
maniaco fossero più
tollerabili del solito, e il biondo stava perfino cominciando a godersi
l’adrenalina che pompava attraverso il suo corpo, spingendosi
all’apice del suo
potenziale. Poi però riuscì a raggiungere la
pulce; c’era meno gente, adesso, cosa per cui
Shizuo si sentiva vagamente grato, dato che urtare altre persone mentre
le
sorpassava lo aveva rallentato un po’, e la parte
più assennata del suo
cervello si sentiva in colpa per i pedoni leggermente disorientati che
si era
lasciato dietro per i marciapiedi della città.
Shizuo vide
Izaya calarsi da un paio
di piani d’altezza e atterrare perfettamente
sull’asfalto davanti a lui. “Fottuto
esibizionista”, pensò, sfruttando
la pausa nei movimenti dell’altro ragazzo per riprendere
fiato e compiere
l’ultimo sforzo; era così vicino che le mani
già gli si stringevano
istintivamente a pugno, in attesa dello scontro che stava per
ingaggiare.
Izaya
si ricompose e lanciò un’occhiata al mostro biondo
che sfrecciava verso di lui
e un’altra al suo orologio, prima di scappare via di nuovo.
Non rimase a lungo
con i piedi per terra, ma subito si arrampicò su un alto
muro di mattoni che
separava la città dalla linea ferroviaria, e
scavalcò senza problemi il filo
spinato che ne ricopriva la sommità. Shizuo
digrignò i denti mentre Izaya
scompariva dalla sua vista, avvertendo l’odio per la pulce
aumentare a
dismisura. Oltrepassò il muro senza prestare troppa
attenzione e si accorse
distrattamente che i suoi vestiti si erano impigliati sul filo spinato,
ma
perfino questo non riuscì a turbarlo in quel momento,
perché era successo qualcosa
di molto peggiore: aveva perso Izaya.
I suoi
occhi ambrati scandagliarono lo spazio
circostante alla ricerca di qualsiasi traccia della pulce, analizzando
ogni centimetro,
finché-
«Stai
cercando qualcuno, Shizu-chan?»
L’ex-barista
perse il controllo. Si
scaraventò alla cieca verso quella voce fin troppo
familiare, contenendo la sua
furia quel poco che gli bastava per muoversi.
Izaya
sapeva esattamente quanto doveva
mandare in bestia Shizuo per fargli perdere cognizione di tutto
ciò che lo
circondava; avrebbe anche ammesso di essere un po’ lusingato
dall’incredibile
concentrazione con cui il biondo lo braccava, una concentrazione
così assoluta da
impedirgli perfino di accorgersi che il treno si stava avvicinando.
O almeno,
non se ne accorse finché non si
schiantò dritto contro di lui.
Capitolo 1
Shizuo si
svegliò al rumore provocato da
qualcuno che tentava (fallendo miseramente) di rimanere in silenzio.
Sentì la
testa pesante mentre provava ad alzarla, e sbatté le ciglia
più volte
sforzandosi di aprire gli occhi: i contorni sfocati di un gruppetto di
persone
si fecero mano a mano sempre più delineati,
finché non si ritrovò faccia a
faccia con una piccola stanza stipata di estranei. Guardò
ognuno di loro,
completamente sbigottito. L’ambiente era luminoso, con un
paio di sedie e di
tavoli disposti ad angolo attorno al letto in cui si trovava. Si mise a
sedere,
con la testa che gli pulsava sgradevolmente, ed estrasse i tubicini
collegati a
svariate parti del suo corpo; dunque era in ospedale. La stanza
piombò subito
nel silenzio e Shizuo percepì quegli occhi sconosciuti che
puntavano dritti su
di lui.
«Che
c’è?» domandò, consapevole
che il suo
tono fosse più aggressivo del necessario, ma senza
abbastanza energie per
preoccuparsene troppo.
«Volevamo
solo vedere come stavi…» disse un
uomo in camice bianco, e fece un paio di passi avanti, prima di
decidere che
preferiva mantenere le distanze e tornare indietro. Shizuo lo
studiò per un
momento mentre il tizio, a metà tra il nervoso e
l’eccitato, si sistemava gli
occhiali sul naso.
Si
accigliò.
«Sei
un dottore?»
Non
riusciva a capire perché altrimenti quel
tipo avrebbe dovuto indossare un camice da laboratorio, ma qualcosa nel
suo
modo di comportarsi era stranamente sbagliato per un dottore. Questa
volta il
silenzio fu assoluto e sentì la stanza riempirsi solo di
mormorii imbarazzati.
Quell’atteggiamento cominciava a farlo incazzare.
«Allora?»
incalzò.
L’uomo
lanciò un’occhiata disperata alla
persona alla sua destra, una donna che indossava una tuta da
motociclista nera
e aderente e che aveva ancora il casco in testa. Lei alzò le
spalle prima di
tirare fuori un palmare, digitare qualcosa e poi mostrarglielo.
Shizuo
ansimò leggermente: cosa si stavano
dicendo che non volevano fargli sapere, a tal punto da scriverlo su un
palmare
pur di nasconderglielo?
L’uomo
con il camice bianco annuì e si voltò
di nuovo verso di lui.
«Sono
un dottore, anche se non di questo
ospedale» cominciò, per poi interrompersi come se
non fosse sicuro di come
andare avanti. La donna con il casco gli strinse il braccio in un gesto
rassicurante e lui continuò «Shi…
Heiwajima-san, ti ricordi cosa è successo
prima che ti risvegliassi qui?» Shizuo provò a
pensarci, ma la testa gli faceva
ancora male e i ricordi non riaffioravano con facilità,
così scosse il capo «Capisco.
Ora potresti dirmi se riconosci qualcuno in questa stanza?»
Shizuo
sapeva già che non c’era nessuno che
conoscesse, ma comunque guardò tutti più
attentamente e rimase colpito da quel miscuglio
di persone che gli sembrava fin troppo variegato. A parte il dottore e
la sua
amica, c’era un uomo di colore alto e di grossa stazza, che
indossava qualcosa
che presumeva fosse un’uniforme da chef; un uomo
più piccolo, con rasta
castani; e un ragazzo dai capelli scuri che sembrava completamente
privo di
qualsiasi emozione. Lo vide inclinare un po’ la testa,
lasciando che la luce ricadesse
sui suoi lineamenti, e Shizuo cominciò a parlare a bassa
voce.
«Lui»
disse, indicando il ragazzo.
Il viso
del dottore si rilassò in un leggero sorriso, ma il biondo
intuì che aveva ancora
qualche riserva.
«E
chi è?» chiese.
«Hanehima
Yuuhei-san» replicò Shizuo, che
aveva visto le sue pubblicità sui grandi schermi televisivi
nel centro di
Ikebukuro «È un attore» aggiunse poi per
buona misura. Per la seconda volta il
disagio nella stanza divenne palpabile, e di rimando Shizuo
avvertì la propria rabbia
aumentare di secondo in secondo. Cosa stava succedendo, precisamente?
Si era
svegliato in un ospedale, non aveva idea di come ci era arrivato,
né di cosa
c’era che non andava in lui, era circondato da un gruppo di
stramboidi, inclusi
una star del cinema e un dottore con un terribile modo di trattare i
pazienti,
e si stava davvero incazzando. Si udì un forte scricchiolio
metallico e Shizuo
si girò per vedere l’asta della flebo deformarsi
tra le sue mani. Sospirò e la
lasciò cadere, non sentendosi affatto dispiaciuto mentre
tutti gli altri
trasalivano per il rumore.
La
motociclista si fece avanti, digitando
qualcosa sul suo palmare prima di mostrarglielo.
[Ciao
Heiwajima-san, sono Celty.]
[Dobbiamo
parlarti di una cosa, ma non è facile.]
[Nemmeno
noi
lo capiamo bene, quindi per favore sii paziente.]
Mentre
Celty digitava il messaggio
successivo, ci fu un leggero tramestio dietro la porta e subito dopo
entrò un gruppetto
di cui Shizuo, a malincuore, identificò tutti i componenti
– nonostante avrebbe
preferito non riconoscere due certe persone.
«Kadota?
Togusa?» disse, scegliendo di
ignorare Karisawa e Yumasaki che gironzolavano lì dietro
– ma apprezzando che
fossero molto più silenziosi del solito. I due uomini
sorrisero nella sua
direzione, annuendo leggermente.
«Come
ti senti?» domandò Kadota, accostando
al letto una delle sedie libere per accomodarsi.
Shizuo fece
spallucce.
«Sono
stato meglio» rispose; in quel momento
notò il frenetico scambio di messaggi e sussurri tra il
dottore e Celty, e
gettò loro uno sguardo di rimprovero «Che
c’è?»
La
motociclista si voltò verso di lui e gli
porse il palmare.
[Sai chi
sono queste persone?]
«Certo
che lo so, non siamo amici intimi ma
ci vediamo in giro, di tanto in tanto.»
[Eppure sei sicuro di non
conoscere noi.]
Lui si
accigliò; pensava di averglielo già
spiegato.
«No,
a parte l’attore» sospirò, indicando
Hanehima con un gesto vago della mano.
«L’attore?»
chiese Kadota, ovviamente
disorientato da quello scambio di frasi, dato che aveva sentito solo
metà della
conversazione «Intendi tuo fratello?»
Shizuo
raggelò. Cosa intendeva con “fratello”?
Il biondo si passò le dita
tra i capelli; aveva la sgradevole sensazione di aver dimenticato
qualcosa di
molto importante, più importante perfino del motivo per cui
era finito lì.
Quando provò a concentrarsi nel dettaglio sulla sua vita, si
sentì… confuso.
Come se la sua memoria fosse un vecchio film in stop motion dalle
immagini
sgranate. Gemette, coprendosi gli occhi con le mani e spingendo
finché le luci
non esplosero di fronte alle sue palpebre. Poi avvertì un
leggero colpetto sulla
spalla e abbassò le mani per vedere il palmare di Celty.
[È
questo di
cui volevamo parlarti.]
[Prima di
venire qui hai avuto un incidente.]
[Sei stato
colpito da un treno.]
«Sono
stato…cosa?» domandò Shizuo, stravolto
dallo
stupore. Però, rifletté, se qualcuno doveva
essere colpito da un treno e
sopravvivere, era destino che si trattasse di lui.
«Ah,
ci sei arrivato» disse il dottore,
venendo avanti per accostarsi a Celty «Sì, sei
stato colpito da un treno. I
dottori hanno detto di non aver mai visto qualcuno rompersi
così tante ossa e
sopravvivere!» ridacchiò, prima che la
motociclista lo colpisse nelle costole,
e si voltò a guardarla con aria di rimprovero –
senza sembrare molto dispiaciuto
per la propria mancanza di tatto «Comunque»
continuò, strofinandosi leggermente il
fianco «Nonostante il tuo corpo si stia riprendendo bene,
pare esserci qualche
problema di memoria. Come ha fatto notare Kadota-san,
l’attore che hai
riconosciuto in realtà è tuo fratello
“Hewajima Kasuka”. Io sono Kishitani
Shinra e questa è Celty, la mia adorabile fidanzata
– quindi non guardarla
troppo, è mia!» Incassò
un’altra gomitata nelle costole dalla motociclista, che
si girò verso il biondo con aria di scusa.
[Perdonalo.]
[Siamo tuoi
amici! E anche loro lo sono]
digitò,
indicando le persone che dovevano ancora presentarsi.
[Lui
è Simon,
lavora al Russia Sushi. Ti ricordi il Russia Sushi?]
Shizuo
annuì; i suoi ricordi su quel posto
non erano del tutto chiari, ma gli sembrava di esserci andato almeno un
paio di
volte.
[Ottimo!
L’altro è Tanaka Tom-San, il tuo datore di lavoro.
Sei un riscossore di
debiti.]
Shizuo
annuì ancora e la ringrazio, poi cadde
di nuovo il silenzio. Kadota e Togusa se ne andarono, probabilmente
capendo che
quella era una situazione di cui poteva occuparsi senza il loro gruppo
– metà
del quale stava ora piagnucolando perché tutta quella storia
ricordava molto la
fanfiction che stavano leggendo.
«Quindi
siamo amici?» la sua voce si sollevò
alla fine, trasformando l’affermazione in una domanda
«Kishitani-sensei-»
[Chiamalo Shinra.]
Shizuo
annuì «Shinra, perché mi sono scordato
solo di voi? Perché riesco a ricordarmi del gruppo di
Kadota?»
Il dottore
rimase un momento in silenzio,
riflettendo sulla domanda.
«Non
posso dirlo con sicurezza, ma sembra
avere a che fare con l’intensità della relazione.
Quelli che consideri amici – cioè
a cui sei vicino – non riesci a ricordarli, gli altri invece
sì.» Shinra
continuò a parlare dello spazio di archiviazione della
memoria emotiva e della
posizione dei diversi tipi di memoria nei vari lobi cerebrali, ma
Shizuo a quel
punto aveva già smesso di ascoltare. Tutto ciò
che gli interessava era che i
suoi ricordi delle persone di cui si fidava erano scomparsi. Non
c’era rimasto
nessuno sulla terra che potesse considerare amico; tutti loro per lui
erano
degli estranei.
[Stai bene?]
Il biondo
alzò le spalle; più che altro era
scioccato.
[Vuoi stare
un po’ da solo?]
Shizuo
annuì e Celty costrinse gli altri a
sgombrare; beh, almeno lei lo conosceva bene, anche se lui non sapeva
niente di
lei. Riappoggiò la testa al soffice cuscino
dell’ospedale e provò a
metabolizzare tutto quello che gli era appena stato riferito.
A un certo
punto, perso nei suoi pensieri, il
biondo si era addormentato, e più tardi si
svegliò scoprendo che la stanza era
ancora vuota – se non si contava il ragazzo che stava
entrando dalla finestra, ovviamente.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Note della
traduttrice: eccoci con
il secondo capitolo; finalmente si comincia a entrare almeno un
po’ nell’azione
:) se vi va vi invito a lasciare un commento, che poi
inoltrerò all’autrice
(ovviamente dopo averlo tradotto in inglese) per farle (e farci) sapere
cosa ne
pensate <3
Capitolo 2
Izaya aveva
deciso di sfruttare il ricovero
di Shizuo per farlo incazzare un altro po’, e a tale scopo
aveva perfino comprato
dei fiori. Tuttavia, di fronte allo sguardo leggermente confuso e
decisamente
poco omicida del biondo, quel piano precipitò come aveva
rischiato di fare lui
mentre scalava il muro dell’ospedale; tentò
comunque di ignorare la strana
sensazione che quella storia non sarebbe finita bene e si fece avanti.
«Non
ti vedo
così in forma da anni, Shizu-chan» lo
stuzzicò, scendendo dal davanzale, e posizionò
i fiori ai piedi del letto «Guarda, ti ho portato un
pensierino.»
C’era
qualcosa che non andava. Secondo i suoi piani, il biondo avrebbe dovuto
lanciargli
addosso qualsiasi cosa avesse a tiro, e invece lo stava solo guardando
in modo
un po’… triste. E questo cominciava a metterlo a
disagio, perché Shizuo era un
mostro in grado di sopravvivere persino a un frontale con un treno: non
avrebbe
dovuto provare emozioni umane come la tristezza. E poi,
cos’era che lo turbava
tanto?
«Ti
conosco?» chiese il biondo, esitante, e a quelle parole il
cervello di Izaya
andò in corto circuito.
«Fin
dal
liceo» ribatté, notando distrattamente che quella
risposta sembrava fin troppo
normale, considerando la vera natura del loro rapporto. Però
riteneva che “siamo arci nemici
pronti a cogliere ogni
occasione possibile per uccidersi a vicenda” fosse
una replica un po’
troppo brusca, per uno che non sapeva nemmeno chi fosse. Per un momento si
domandò se si trattasse di
una messinscena, ma decise che il protozoo non aveva né il
cervello né l’autocontrollo
necessari per far finta di non conoscerlo. L’afflizione di
Shizuo si
intensificò ancora di più e il ragazzo gli
indicò una delle sedie accanto al
suo letto; Izaya tentò di non mostrarsi troppo stupito di
fronte a una
situazione così assurdamente civile, ma lo
assecondò, più per lo shock che per
altro. Cosa accidenti avrebbe dovuto fare adesso? Tutte le battute e
gli
scherzi che aveva escogitato per farlo incazzare ormai erano
inutilizzabili.
«Ecco,
è
difficile da spiegare» cominciò Shizuo,
distogliendolo dai suoi pensieri, e
l’attenzione dell’informatore si
focalizzò sulla bizzarra naturalezza con cui
il ragazzo gli si stava rivolgendo: era la prima volta che lo sentiva
parlare
così «Un po’ perché nemmeno
io lo capisco bene» continuò lui con una risatina.
Izaya
riuscì a malapena a contenere il suo sbigottimento: aveva
appena sentito
Heiwajima Shizuo ridere, e non era
la
risata maniacale da “ti
picchierò a
sangue”, ma solo una normalissima risata
«Comunque, sono stato colpito da un treno, e
sebbene fisicamente non sia
messo troppo male, la mia memoria è un
po’… scombinata. Mi ricordo di alcune
persone, però non di quelle a cui ero più legato
– c’è una spiegazione
scientifica per questo, ma non è che l’abbia
capita molto…»
Shizuo
stava ancora blaterando, ma Izaya si
era fossilizzato sulla frase che aveva appena sentito: “quelli
a cui ero più legato”. Che significava?
Lui era tutt’altro
che una persona alla quale Shizuo era legato, sarebbe dovuto essere il
ricordo
più nitido che aveva, con tanto di etichetta gigante con su
scritto “Persona Che Odio
Più Di Chiunque Altro”.
E invece… niente. Non sapeva chi fosse. Quindi Izaya
cos’era per lui?
«Presumo»
continuò Shizuo, attirando
l’attenzione dell’informatore con il suo tono
esitante «che noi due fossimo
amici.»
Izaya
più tardi avrebbe imputato le sue
azioni al trauma provocatogli dal non avere nessun piano B, o anche al
fatto
che sarebbe stato divertente giocare un brutto tiro a Shizuo, ora che
non
poteva difendersi, ma la verità era che gli amici non erano
una risorsa di cui disponeva
in abbondanza. Aveva passato anni a fare finta che non gli servissero,
e
sarebbe stato felice di continuare così finché il
suo cadavere non fosse
marcito nella tomba. All’improvviso sentì
chiudersi la gola.
«Sì,
qualcosa del genere» disse piano, prima
di ricomporsi e lasciarsi andare a una risatina. Tra di loro cadde il
silenzio
e Izaya finalmente smise di evitare di guardare Shizuo, solo per
scoprire che
il ragazzo lo stava squadrando attentamente.
«È
maleducazione fissare le persone, lo sai?»
lo rimbrottò, incapace di abituarsi alla totale mancanza di
aggressività nel
suo sguardo.
«Scusa»
mormorò il biondo, impacciato, e i
capelli gli ricaddero davanti agli occhi mentre abbassava lo sguardo,
in
evidente … imbarazzo? Izaya sentiva l’esigenza di
fare qualcosa per mettere un
freno a quello scambio di interazioni umane disgustosamente kawaii: dovevano tornare a essere nemici
mortali che passavano il tempo combattendo la loro eterna battaglia.
Eppure
rimase seduto lì, paralizzato da quella situazione con
troppi imprevisti:
Heiwajima Shizuo che rideva e scherzava, Heiwajima Shizuo che si
scusava con
lui, Heiwajima Shizuo che lo chiamava amico.
Izaya avvertiva l’impellente bisogno di prenderlo a
pugni, perché apparentemente
il ragazzo di fronte a lui non aveva la minima intenzione di farlo.
«Continuo
a sperare di vedere qualcosa che mi
sembri familiare – di riconoscere qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma immagino di
essermi davvero scordato tutto. E mi dispiace un sacco,
perché ho visto il dolore
dei miei amici mentre se ne andavano, e francamente non mi sono mai
sentito
peggio» disse, con un sorriso amaro «Non che me lo
ricorderei, se anche fosse»
abbassò di nuovo gli occhi, come se l’idea di
incrociare ancora il suo sguardo lo
innervosisse. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma
Izaya parlo per primo, nel
disperato tentativo di assumere una posizione dominante.
«Non
dovresti scusarti» disse, ridendo tra sé
e sé per la svolta assurda che aveva preso la conversazione:
lui che confortava il suo arci
nemico. Però avrebbe
fatto qualsiasi cosa pur di riprendere in mano le redini della
situazione, e
per di più quella che stava dicendo non era proprio una
bugia «Non è certo
colpa tua. Non sei stato tu a volere questo. Se ti hanno abbandonato
per una
cosa del genere, allora significa che non sono mai stati veri
amici» Izaya
rabbrividì interiormente; doveva smetterla di dargli
così buoni consigli,
nonostante fossero effettivamente un po’ drastici. Avrebbe
almeno dovuto usare
quella situazione per manipolarlo, finché poteva.
Quel bruto
stava addirittura sorridendo.
«Già.»
Finirono
per mettersi a parlare. Passarono
quasi un’ora chiacchierando e basta, e Izaya avrebbe giurato
a qualsiasi
divinità esistente che questa era solo la prima fase di un
qualche piano – o,
se ancora non lo era, lo sarebbe stata – però la
risata che gli curvava le
labbra era autentica, e le battute che declamò erano prive
del solito veleno. Quando
la conversazione si interruppe rimasero seduti in un silenzio
confortevole, e
l’informatore ne approfittò per osservare la
visione inedita di uno Shizuo
sereno, con la mascella rilassata, gli occhi calorosi, la risata bassa
e
morbida; gli faceva venire voglia di vomitare. Non era il mostro a cui
era
abituato, era una persona diversa che di Shizuo aveva solo
l’aspetto. Perso nei
suoi pensieri, Izaya sobbalzò leggermente quando
l’altro ragazzo parlò, con
voce tranquilla e profonda.
«Sai,
darei qualsiasi cosa per tornare a come
eravamo.»
Izaya
avrebbe voluto ridere e allo stesso tempo rompere qualcosa. “Se solo sapessi”,
pensò, intuendo che forse
avrebbe dovuto rispondere qualcosa, ma senza avere assolutamente niente
da
dire.
Sì
alzo, e
le gambe lo spinsero quasi inconsciamente verso la finestra: doveva
andarsene,
uscire di lì e non tornare mai più. Se davvero
non ci sarebbe più stato uno
stupido bestione pronto a dare di matto ogni volta che visitava quel
dannato
quartiere, per lui non cambiava nulla, anzi, il suo unico rimpianto era
quello
di non aver sistemato la faccenda con le sue stesse mani: sebbene la
perdita di
memoria di Shizuo fosse stata effettivamente colpa sua, era molto meno
divertente
se entrambi erano ancora vivi e vegeti. Però non gli avrebbe
procurato alcun
piacere uccidere questo Shizuo, che lo guardava con il suo stupido
sorriso
imbarazzato e quegli occhi fiduciosi.
«Ci
vediamo
in giro, Shizu-chan» disse. Non si guardò indietro
né aspetto una risposta
mentre metteva un piede fuori dalla finestra, ma la sua attenzione fu
richiamata da un tonfo e un gemito di dolore.
«Aspetta!»
lo chiamò l’altro ragazzo; le coperte gli erano
cadute addosso e lui giaceva
lungo disteso sul pavimento, strofinandosi leggermente una gamba, come
se il
motivo per cui si trovava all’ospedale fosse un piccolo
livido, invece che un
buon numero di ossa rotte.
Izaya
sospirò rimettendo il piede a terra, e fece marcia indietro
per aiutare Shizuo
a tornare a letto.
«Ho
appena
realizzato» disse il biondo, sfiorando il collo di Izaya con
il suo respiro
caldo mentre si appoggiava a lui per reggersi in piedi «che
non so nemmeno come
ti chiami.»
L’informatore
esitò; non voleva lasciare prove della sua presenza, ma non
era del tutto
sicuro di come uscire da quella situazione senza indurre Shizuo a porre
ancora
più domande a Celty e agli altri durante la loro visita
successiva. Anche una
semplice descrizione fisica sarebbe stata sufficiente per riconoscerlo,
e in
quel caso non avrebbe avuto nessuna possibilità di cavarsela.
«Izaya.»
Shizuo
sorrise, e un po’ del suo vecchio sguardo di sfida emerse da
sotto la
superficie.
«Beh,
Izaya-kun… la prossima volta niente fiori, se
possibile.»
Dopodiché
il
biondo lo vide sogghignare prima di arrampicarsi fuori dalla finestra e
sparire
dalla sua vista. Shizuo non riusciva bene a spiegarsi cosa lo avesse
spinto a
pronunciare quell’ultima frase, ma era quasi certo che, se
non avesse detto
nulla, non avrebbe più visto quel ragazzo dai capelli scuri.
Nel
prossimo capitolo: “In
qualche
modo doveva mettere fine a tutta quella faccenda: ormai si annoiava al
lavoro,
non si dava pace nei momenti di relax, e si distraeva ogni volta che
aveva
qualcosa da fare. Se ciò significava che per riottenere un
po’ di tranquillità
doveva uccidere il suo arci nemico, allora avrebbe fatto un
tentativo.”
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Note
della traduttrice:
Eccoci qua
con il terzo capitolo. A domenica prossima con il quarto :)
Buona
lettura!
Capitolo
3
Izaya
si schiacciò
la maglietta contro il fianco, masticando imprecazioni tra i denti
quando avvertì
una sgradevole sensazione di bagnato sulle dita. Erano passati due
giorni da
quando si era calato giù dalla stanza di Shizuo, e da allora
non era riuscito a
eguagliare i suoi soliti standard. Non era per via del bruto,
ragionò: quella
situazione era servita solo come promemoria di quanto fosse debole la
mente
umana. Non che Shizuo fosse umano, ovviamente.
Izaya
premette più forte la mano sopra l’emorragia,
sussultando. Era stato appena
accoltellato e non era certo il momento più adatto per
pensare a quel bastardo,
eppure eccolo lì, ammaccato e insanguinato di fronte
all’ospedale di Ikebukuro.
In
qualche
modo doveva mettere fine a tutta quella faccenda: ormai si annoiava al
lavoro,
non si dava pace nei momenti di relax, e si distraeva ogni volta che
aveva
qualcosa da fare. Se ciò significava che per riottenere un
po’ di tranquillità
doveva uccidere il suo arci nemico, allora era disposto a provarci.
Izaya
studiò
l’edificio, chiedendosi se sarebbe stato troppo ambizioso
pretendere di
raggiungere la stanza di Shizuo con quella ferita e avere ancora
abbastanza
energie per ammazzarlo. Comunque sia, non poteva certo entrare in un
ospedale
sanguinando e aspettarsi che gli permettessero di farsi gli affari
suoi, cosi
tolse il cappotto, strappò le maniche della maglietta e se
le annodò strette
attorno alla cintola; conosceva l’anatomia umana ed era
abbastanza sicuro che,
a parte per la perdita di sangue, la ferita non era così
profonda o ben
piazzata da causargli seri danni.
Nessun
altro
sarebbe riuscito a sopportare tanto stoicamente il dolore provocato
dall’emorragia e dalla pelle che lentamente si strappava e si
lacerava – beh,
nessuno a parte il protozoo, ma Izaya voleva evitare di pensare
qualcosa che
potesse essere interpretato come un complimento, quando si riferiva a
lui.
Si
issò
senza fiato sul davanzale della finestra di Shizuo, e sussultando per
il dolore
al fianco – che stava diventando sempre più
difficile da ignorare – alzò lo
sguardo sulla finestra inequivocabilmente chiusa.
«Fottuto bastardo»
esalò, indirizzando la
sua rabbia verso Shizuo, colpevole di aver chiuso la dannata finestra,
ma senza
pensare che forse avrebbe dovuto controllare prima di cominciare ad
arrampicarsi. Tirò fuori il coltello a serramanico dalla
manica della giacca e
lo fece scivolare sotto la guarnizione di gomma sul lato destro della
cornice,
dopodiché lo spinse in avanti, muovendolo con attenzione
verso l’alto; si
concesse un sospiro di sollievo solo quando non incontrò la
resistenza di un
lucchetto. Lasciò la prima lama sulla parte alta della
finestra, prima di infilarne
un’altra su quella più in basso, poi si
aggrappò al davanzale sopra di lui e
usò i piedi come leva per spingere in giù la
maniglia. La finestra si socchiuse
leggermente, quanto bastava perché Izaya potesse finire di
aprirla sollevandola
con le dita; quando ci fu riuscito si infilò nella stretta
apertura senza tante
cerimonie e si introdusse nella stanza buia.
«Izaya-kun?»
L’informatore
sussultò; il punto di entrare senza rompere il vetro era
stato proprio quello
di non svegliare il bruto, ma
evidentemente aveva il sonno più leggero di quanto avesse
immaginato. Almeno in
questo modo non aveva aggiunto altre ferite alla lista, comunque.
«Sì?»
rispose,
immaginando che ormai non avrebbe avuto senso far finta di non essere
lì.
«Perché
non
usi le fottute scale?»
Izaya
rise a
queste parole, ma smise quasi subito, sibilando per il dolore che quel
piccolo
movimento aveva provocato: doveva farla finita in fretta, magari prima
di
morire dissanguato. Notò distrattamente che il biondo si
stava mettendo a
sedere ed ebbe l’impressione di venire squadrato da capo a
piedi.
«Cazzo!
Izaya,
che diavolo ti è successo?»
L’informatore
tentò di ignorare l’apprensione nella voce del
ragazzo, e di non pensare a
quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che qualcuno si
era preoccupato
per lui, ma non poté fare a meno di notare che il suo corpo
si stava
istintivamente rilassando – come se stare nella stessa stanza
in cui si trovava
un mostro non fosse una situazione pericolosa.
«Niente
per
cui la tua bella testolina debba preoccuparsi, Shizu-chan»
disse, ma la sua
solita arroganza suonava orribilmente forzata. Shizuo non rispose alla
provocazione come l’informatore aveva sperato, anzi, non
rispose affatto. Si
alzò, uscendo dal suo campo visivo, e senza dargli neanche
il tempo di
esaminare la situazione lo tirò su di peso e lo
portò nel suo letto.
«Mettimi
giù, maledetto!» sbraitò indignato, e
Shizuo obbedì, scaricandolo ai piedi del
materasso prima di tornare a sedersi sull’altro lato.
«Stai
sanguinando.»
La
sua voce
era calma, ma denotava una certa ansia, e Izaya era sicuro di aver
sentito una
sfumatura d’urgenza appena sotto la tranquillità
di superficie.
«Diciamo
che
potrei aver fatto incazzare qualcuno» scrollò le
spalle, aggrappandosi
disperatamente alla sua facciata di indifferenza «Come al
solito» aggiunse poi,
sapendo benissimo di star dicendo una balla. Di norma non avrebbe mai
permesso
a qualche idiota in cerca di guai di avvicinarsi più di
quanto gli servisse per
farlo fuori, e ciò lo riportava direttamente al motivo per
cui si trovava lì.
Strinse la presa sulla lama del coltello nascosto nella sua manica.
Shizuo
gli
diede le spalle, allungandosi verso il comodino accanto al letto per
rovistare
nel cassetto. Ecco la sua occasione: sapeva che non avrebbe mai avuto
un’opportunità
migliore di questa, eppure non riusciva a muoversi, e il suo corpo era
come
paralizzato. Lo ascoltò canticchiare a bocca chiusa in modo
fastidiosamente
innocente, mentre era impegnato a passare in rassegna i suoi effetti
personali,
e prima che Izaya potesse tornare in sé il biondo si era
già voltato verso di
lui.
«Non
sono un
granché con queste cose» ammise Shizuo, posando
sulle lenzuola quello che aveva
preso dal cassetto «Ma immagino che sia meglio che lasciarti
morire
dissanguato.»
Izaya
ispezionò la piccola scorta di rifornimenti – una
collezione un po’ estrema per
far parte di un kit di pronto soccorso – che ora era
disseminata sul
copriletto. Dopodiché cominciò a scuotere
violentemente la testa.
«Devi
esserti bevuto il cervello» protestò, spostando lo
sguardo in modo quasi comico
dal ragazzo di fronte a lui al cumulo di oggetti incriminati
«Non pensarci
nemmeno, Shizu-chan.»
Shizuo
roteò
gli occhi, pulendosi le mani con una salviettina igienizzante
«Non fare il
bambino, Izaya», disse, lievemente esasperato.
«È un taglio o una ferita d’arma
da fuoco?» chiese poi, in tono casuale.
«Si
può
sapere perché diamine hai questa roba? Sei in un ospedale,
per l’amor di Dio!»
Shizuo lo guardò, in attesa, e lui sbuffò prima
di rispondere «Mi hanno
accoltellato». Aveva anche un altro paio di tagli, ma quello
sul fianco era
l’unico così grave.
Il
ragazzo
scese dal letto e si voltò verso Izaya, che si
dimenò per allontanarsi da lui e
finì per ritrovarsi sul posto che Shizuo aveva occupato fino
a un momento
prima. Si schiacciò contro il muro, realizzando
l’errore che aveva commesso
solo quando fu troppo tardi per porvi rimedio: il biondo ormai
l’aveva messo
all’angolo.
«Me
l’ha
dato Shinra» disse, rispondendo alla domanda di Izaya come se
non si fosse
appena aggiudicato la vittoria «Mi ha detto di restare a
letto a riposare, e
poi mi ha dato questa robaccia per quando avrei “inevitabilmente ignorato i suoi buoni consigli”»
ridacchiò «Avanti,
via la giacca e la maglietta.»
Izaya
ignorò
la richiesta, preferendo fissare Shizuo con sguardo petulante;
l’altro ragazzo
però continuò imperterrito a pulire gli strumenti
necessari.
«Insomma,
te
li togli tu o devo farlo io?» i suoi occhi lampeggiarono di
sfida e Izaya si spogliò,
riluttante; realizzò troppo tardi che ora si trovava mezzo
nudo di fronte al
ragazzo che aveva cercato di uccidere per buona parte degli ultimi
dieci anni. Shizuo
però non sembrava condividere tali rimostranze, dato che lo
gratificò con un
sorriso di autocompiacimento e iniziò a lavorare; a questo
punto, tutto quello
che Izaya poteva fare era cercare di non ridere per le dita calde del
biondo
che gli sfioravano lo stomaco – era molto più
gentile di quanto si sarebbe
aspettato dall’”uomo
più forte di Ikebukuro”,
a proposito. Il ragazzo pulì accuratamente la ferita, usando
una mano per
tenere fermo Izaya e l’altra per tamponare il sangue.
L’informatore tentò di
ridurre al minimo le proprie reazioni, limitandosi a sibilare di tanto
in tanto
e a serrare la mascella, perché – che Shizuo fosse
in sé o meno – quelli erano
gli unici segni di debolezza che era disposto a mostrargli.
«Non
ho
antidolorifici» disse il biondo, in tono di scusa
«Beh, li avevo»
si corresse «Ma li ho presi tutti la prima volta che mi sono
saltati i punti, quindi ho smesso di usarli – non faceva poi
così male, dopotutto.»
Izaya
lo
fissò incredulo, incapace di decidere se lo sorprendesse di
più il fatto che
Shizuo considerasse normale spararsi tutti quegli antidolorifici, o
l’apparente
mancanza di ripercussioni sulla sua salute di un overdose di farmaci. L’informatore
non era molto tranquillo
all’idea di lasciarsi mettere i punti da qualcuno che aveva
la pessima fama di
disastro ambulante, però non era sicuro di avere altre
opzioni. Cercava di fingersi
indifferente, ma era solo una facciata: le mani gli tremavano lungo i
fianchi,
e sentiva la testa leggera a causa della perdita di sangue. Perfino la
sua
vista stava cominciando a perdere colpi.
Il
primo
contatto tra l’ago e la sua pelle gli strappò un
gemito che riuscì a soffocare
a malapena. Shizuo mormorò qualcosa per scusarsi, ma non
alzò lo sguardo, e
Izaya gliene fu grato: non sapeva se sarebbe riuscito a mantenere la
sua
compostezza ancora a lungo. La sua mente cominciò a vagare,
cercando qualcosa
su cui concentrarsi che non fosse la pressione dell’ago sulla
pelle, ma fallì
miseramente, almeno finché qualcosa non attirò la
sua attenzione.
«Hai
bisogno
di tirare fuori la lingua per concentrarti?»
domandò, anche se il suo tono era
più scherzoso che crudele «Quanti anni hai,
cinque?»
Shizuo
spinse la lingua ancora più in fuori – sì,
decisamente cinque – prima di ritrarla, mostrandosi
imbarazzato per l’espressione
assorta sul suo viso. Izaya sbuffò una risata, mentre la
mano del ragazzo si
stringeva attorno a lui per tenerlo inchiodato al letto.
«Piantala
di
muoverti» si lamentò il biondo, con gli occhi
ambrati che lo fissavano
attraverso le ciocche di capelli. Izaya sentì qualcosa
andargli di traverso e
tossì, stupito per essersi quasi soffocato senza apparente
motivo «Dico
davvero, Izaya, se non la smetti rischio di combinare qualche
danno.»
L’informatore
trasse un sospiro esageratamente profondo – come se fosse lui quello seccato dall’intera
situazione – ma l’altro ragazzo si
limitò a ignorarlo, sfruttando quella momentanea
immobilità per rimettersi al
lavoro. Izaya cercò di non pensare troppo a quello che stava
succedendo, grato
che il suo cervello indebolito dall’emorragia non avesse
abbastanza energie per
rinfacciargli quella negligenza.
Quei
punti
di sutura non erano proprio i migliori che avesse mai visto, ma a
giudicare
dall’espressione orgogliosa del biondo sarebbe potuta
andargli molto peggio. “Almeno fanno
il loro lavoro” constatò Izaya,
notando che la perdita di sangue si era interrotta. Shizuo
applicò un batuffolo
di cotone sopra i punti e ricoprì tutto di nastro adesivo;
la lingua gli
spuntava di nuovo da un angolo della bocca, ora che aveva smesso di
pensarci.
«Fatto!»
il
ragazzo si alzò da letto e Izaya non poté fare a
meno di indispettirsi: chi
diavolo avrebbe potuto rimettersi in salute così in fretta,
dopo essere stato
investito da un treno? Alzò gli occhi verso il biondo
– che stava ancora
fissando la medicazione appena applicata
– e realizzò improvvisamente di
essere mezzo nudo in una stanza
eccessivamente climatizzata. Si mise a cercare la sua maglietta, e
sospirò dopo
averla trovata sul pavimento, strappata e insanguinata. Shizuo
notò la
direzione del suo sguardo e si diresse verso l’armadio per
tirarne fuori
qualcosa che poi gli lanciò; appena Izaya capì di
cosa si trattava, iniziò a
scuotere il capo.
«Assolutamente
no, cazzo» disse, confrontando la t-shirt del biondo con il
proprio petto, e
accigliandosi quando si accorse che era di una taglia molto
più grande della
sua.
«Quella
o
niente» gli fece notare Shizuo, senza riuscire a nascondere
un sorrisetto
compiaciuto. Si stava divertendo, il
bastardo.
«Vuoi
farmi
mettere i tuoi vestiti? È una specie di
feticismo?» lo sbeffeggiò Izaya,
nonostante sapesse di starsi scavando la tomba da solo; dopotutto, non
aveva
davvero nient’altro da indossare. Shizuo smise di trattenersi
e scoppiò a
ridere.
«Mettitela,
imbecille» ribatté, ma quell’insulto
aveva uno strano tono affettuoso che Izaya
non riuscì a trovare fastidioso come avrebbe voluto.
«Pervertito»
sbuffò, infilandosi la maglietta. Sospirò quando
vide che gli arrivava a metà
coscia, così l’abbottonò, un
po’ imbarazzato, e arrotolò le maniche fino a
scoprire almeno la punta delle dita «Beh, mi sta molto meglio
che a te»
sentenziò, fingendo di specchiarsi nel riflesso distorto di
un vaso sul
comodino. Poi realizzò che i fiori nel recipiente erano
quelli che aveva
portato lui pochi giorni prima.
Oh.
«Bei
fiori»
commentò con un risolino. Shizuo cercò di
nascondere la propria espressione, ma
non ci riuscì abbastanza in fretta, e il ghigno di Izaya si
allargò ancora di
più davanti al palese imbarazzo che cercava di seppellire
sotto una maschera di
noncuranza.
«Già,
peccato per l’idiota che me li ha regalati»
replicò il biondo, mentre il suo
falso contegno si tramutava in un guanto di sfida.
L’informatore sorrise senza
cattiveria; non lo superava nessuno, quando si arrivava ai duelli
verbali.
«”Anche i doni più ricchi si fanno povera
cosa”»
cominciò, sfruttando quell’occasione per mettere
in mostra la propria cultura
letteraria, ma venne interrotto prima di riuscire a finire la frase.
«”Se chi li dona si mostra crudele.”»
Izaya
fissò
Shizuo, mentre la sua incredulità gli si dipingeva sul viso,
e l’altro ragazzo
si mostrò vagamente offeso per quello stupore.
«Non
sono
analfabeta, sai.»
«Sì,
ma…»
protestò Izaya, che ancora non si era del tutto ripreso
«…stiamo parlando di Shakespeare.»
Shizuo
alzò
le spalle e fece una smorfia. «Spostati» disse,
però l’informatore continuò a
guardarlo confuso, ancora troppo scioccato dall’inattesa
scoperta che Shizuo
addirittura sapesse chi era
Shakespeare (senza contare che era perfino in grado di completare le
sue
citazioni).
«Non
guardarmi così, questo è il mio letto. Se ne
volevi uno saresti dovuto passare
per l’entrata principale, invece di giocare a fare
Spiederman.»
«Se
io sono
Spiderman tu chi sei, Mary Jane?»
«Diavolo,
no» si lamentò puerilmente Shizuo
«Assomiglio più a…»
«Hulk»
intervenne Izaya, e il viso del biondo si rabbuiò.
«Già»
disse
piano, evitando il suo sguardo «Immagino che sia
così.»
L’informatore
si scontrò improvvisamente con l’irrefrenabile
impulso di scusarsi. Lui non si
scusava mai; né con gli amici, né con i
familiari, né tanto meno con Heiwajima
Shizuo. Si morsicò gli angoli delle labbra, tentando di
tornare con i piedi per
terra; dopotutto, quel commento era stato tanto tagliente quanto vero.
Però le
scuse minacciavano ancora di scappargli di bocca, così si
limitò a scivolare di
lato per fare un po’ di spazio al biondo, che si
accomodò sul posto accanto a
lui.
Rimasero
in
silenzio, finché la stanza non fu riempita dal respiro
pesante di Shizuo; Izaya
avvertì il peso del suo corpo schiacciargli il fianco,
così lo spostò con
prudenza, in modo che giacesse sul cuscino invece che atrofizzargli il
braccio.
Poi raccolse le sue cose e si diresse verso la finestra, determinato a
non
guardare il ragazzo addormentato mentre usciva e cominciava la discesa.
La
sua testa
si riempì di interrogativi: chi era questo Heiwajima Shizuo,
disposto a
mostrarsi così vulnerabile di fronte a Izaya? E chi era
quell’Izaya, che non
sfruttava una simile opportunità?
Nel
prossimo capitolo:
Se non
poteva gestire la situazione con questo nuovo Shizuo, allora era stato
Shizuo a
vincere, e senza nemmeno sforzarsi. Attorno a questo erano sempre
girati i
complotti, gli inseguimenti, le zuffe; in lui Izaya aveva trovato
qualcuno che
non si sottometteva ai suoi piccoli giochi di poteri, qualcuno contro
di cui la
vittoria non era sempre garantita. Qualcuno che riusciva a scavare
sotto il suo
apparente autocontrollo, che gli faceva bruciare la pelle e battere il
cuore
all’impazzata.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Izaya
si
sentiva ancora insoddisfatto – e la sua non era
insoddisfazione da “non rovino la
vita di qualcuno da più di
mezz’ora”. Aveva dato per scontato che
lavorando per l’Awakusu-kai, oltre
che per altre gang meno importanti, non avrebbe trascorso neanche un
minuto
senza trascinare qualcuno (più o meno indirettamente) nel
baratro della
disperazione. Eppure non aveva ancora devastato la vita di una certa
persona, nonostante – si
rammentò – l’abbondanza
di occasioni. Ed era
precisamente questo a infastidirlo.
Seduto
alla
sua scrivania, volteggiava senza sosta sulla sedia girevole e si
fermava solo
per digitare qualche parola di tanto in tanto. Voleva convincere se
stesso, e
soprattutto Namie, di essere diligentemente assorto nel lavoro, ma
purtroppo
stava fallendo su entrambi i fronti.
«Smettila»
brontolò la segretaria, in piedi davanti a lui;
scaricò una pila di fogli sulla
sua scrivania e poi ci posò accanto una tazza di
caffè, dimostrando un’insolita
gentilezza «Qualunque cosa stia succedendo nella tua stramba
testolina, dacci
un taglio.»
Dopo
aver
elargito la sua pillola di saggezza si girò per andarsene,
ma Izaya sbuffò una
risatina e la spinse a tornare indietro, fulminarlo con
un’occhiataccia e
riprendersi il caffè, che poi rovesciò dritto
nello scarico.
Beh,
era
comunque un passo avanti.
L’informatore
si voltò e il suo sguardo ricadde sulla maglietta di Shizuo,
che giaceva tutta
stropicciata sul divano. Non voleva pensare all’odore del
ragazzo che lo aveva
avvolto mentre la indossava, perché il sentore di tabacco e
quel suo caldo
profumo muschiato erano riusciti a mandargli in tilt il cervello.
Izaya
gemette di sconforto.
Rimuginava su
Shizuo di continuo, ultimamente; lo aveva sempre fatto, ed era disposto
ad
ammettere di esserne un tantino ossessionato, ma non aveva mai pensato
a lui in
quel modo. Prima si limitava ad
architettare ingegnosi modi per farlo incazzare, e invece adesso quello
incazzato era lui. Si sentiva come una mosca che sbatte contro la
finestra,
impossibilitata ad andare da qualsiasi parte ma incapace di fermarsi, e
questo
gli stava procurando un terribile mal di testa.
E
se Shizuo
non avesse mai recuperato la memoria? E se fosse rimasto per sempre
bloccato
con questo ragazzo che rideva e scherzava e lo chiamava amico,
che gli ricuciva le ferite invece di picchiarlo a sangue?
Però
che
sarebbe successo se, al contrario, avesse riacquistato i suoi ricordi?
Beh,
supponeva Izaya, almeno in questo modo non ci sarebbe stato niente ad
arginare
l’odio del biondo per lui. Non avrebbe neanche avuto il tempo
di sedersi a
rimuginare sul suo arci nemico, dato che avrebbe rischiato di farsi
ammazzare
se fosse rimasto fermo così a lungo. Shizuo non avrebbe
avuto dubbi sul fatto
che fosse stato tutto parte di un machiavellico piano per fregarlo alla
grande,
e Izaya avrebbe davvero voluto che le cose stessero così.
Avrebbe voluto escogitare
un qualche progetto che non si limitasse a “evitarlo
come la peste”, perché questo equivaleva
a sventolare bandiera bianca e
ammettere di aver perso. Quel bastardo avrebbe riso di gusto, se solo
avesse
saputo quanto gli stava incasinando la vita senza fare assolutamente
nulla
Fu
così che i suoi pensieri giunsero a una conclusione: se non
poteva gestire la situazione con questo nuovo Shizuo, allora era stato
Shizuo a
vincere, e senza nemmeno sforzarsi. Attorno a questo erano sempre
girati i
complotti, gli inseguimenti, le zuffe; in lui Izaya aveva trovato
qualcuno che
non si sottometteva ai suoi piccoli giochi di potere, qualcuno contro
di cui la
vittoria non era sempre garantita. Qualcuno che riusciva a scavare
sotto il suo
apparente autocontrollo, che gli faceva bruciare la pelle e battere il
cuore
all’impazzata.
Si
alzò in
piedi così all’improvviso che la sua segretaria
sobbalzò, gettandogli
un’occhiata a metà tra il curioso e
l’irritato. Izaya raccolse la t-shirt dal divano
e gliela lanciò in grembo.
«Falla
lavare, mi serve» le ordinò, mentre varcava la
soglia «E poi sta appestando
l’ufficio.»
Quando
Izaya
scalò di nuovo l’ospedale di Ikebukuro –
sforzandosi di non pensare al fatto che
la finestra, questa volta, era stata lasciata un po’ aperta
– scoprì che la
stanza di Shizuo era deserta; tuttavia i fiori (che ormai stavano
appassendo)
gli assicurarono che non era ancora stata liberata. Si
sdraiò con noncuranza
sul letto vuoto, giocherellando con il coltello a serramanico mentre
aspettava
il ritorno del biondo. Aveva deciso di non uccidere Shizuo, per il
momento: farlo
fuori mentre non era in sé sarebbe stato come ammettere di
non essere in grado di
combatterlo. No, Izaya lo avrebbe lasciato in vita finché il
sentimento non
fosse tornato reciproco: avrebbe riportato ordine nel mondo spingendo
Shizuo a
odiarlo di nuovo.
Si
accorse
del suo imminente arrivo sentendolo borbottare qualcosa a proposito del
“non avere bisogno di
un’infermiera” e
dell’”essere in grado di
farlo da solo”
mentre entrava nella stanza e chiudeva la porta con un sospiro di
sollievo.
Izaya lo guardò attentamente, curioso di sapere come si
sarebbe comportato
credendo di essere solo: la sua espressione era rilassata, eppure quasi
malinconica, e le labbra erano piegate in una smorfia come se fosse
infastidito
da qualcosa. L’informatore si sorprese a chiedersi di cosa si
trattasse, ma
realizzò di star pensando decisamente troppo a lui,
così tossicchiò, sperando
di interrompere le riflessioni di entrambi.
Shizuo
sussultò, voltandosi verso di lui, e subito
quell’espressione da cucciolo
ferito si trasformò in un sorriso sincero.
«Izaya»
esalò, e l’informatore colse a pieno la
contentezza infusa in quella parola. Era
intenzionato a ignorare la felicità che la propria presenza
sembrava instillare
nel biondo, perché nessuno era mai felice di vedere Izaya:
lui significava guai
per chiunque gli stesse vicino, e se qualcuno era disposto a
incontrarlo
spontaneamente, lo faceva solo a causa di una sfortunata
necessità.
«Ehi,
Shizu-chan» lo salutò, stringendo un po’
gli occhi; le labbra gli si curvarono
nel caratteristico ghigno, che si allargò quando vide le
sottili rughe
d’espressione che si andarono a formare tra le sopracciglia
di Shizuo «Come
va?»
«Umh,
bene?»
rispose lui, scrollando le spalle «Sto cercando di convincere
l’infermiera a
darsi una calmata. Continua a dirmi che ho bisogno di aiuto per fare la
doccia»
sembrava un po’ confuso, e apparentemente ignaro di aver
appena ricevuto delle
avances. Ma considerando la sua indole molto vicina a quella di una
bestia,
Izaya supponeva che romanticismo e relazioni probabilmente non fossero
il suo
forte.
«Vuoi
dirmi
che non ti vanno a genio le infermiere?» domandò,
alzando il sopracciglio con
fare allusivo.
«Beh,
ecco»
Shizuo arrossì un po’ e l’informatore
presuppose che si trattasse di un nervo
scoperto, ottimo per sferrare un colpo basso in caso ne avesse avuto
bisogno
«Non si tratta proprio di questo…» la
sua voce si affievolì mentre abbassava lo
sguardo.
Izaya
si
stava incuriosendo ancora di più, chiedendosi cosa diavolo
avrebbe potuto fare
per convincere quella versione quasi timida del biondo a vuotare il
sacco.
«Cosa?»
tentò, genuinamente interessato.
«Beh»
disse lui,
irrigidendosi «È una ragazza.»
Per
una
frazione di secondo la mente di Izaya immaginò che il
problema fosse l’età
della persona in questione, e si chiese come potesse una minorenne
lavorare
come infermiera. Poi ci arrivò.
Oh.
Questa
sì
che era una notizia inaspettata. Izaya non sapeva cosa dire, e non era
nemmeno
sicuro del perché quella scoperta lo avesse sorpreso
così tanto; sapeva che non
esistevano stereotipi per quel genere di cose, però si
trattava comunque di
Shizuo, della cui esistenza conosceva ogni dettaglio. Per di
più il lavoro di
Izaya era letteralmente quello di commerciare segreti, eppure non era a
conoscenza di questo in particolare.
I
suoi
pensieri vennero rapidamente interrotti dal goffo tentativo del biondo
di affrontare
un altro argomento con il tatto di un elefante.
«In
effetti,
a proposito di questo» cominciò, per poi bloccarsi
subito nella vana speranza
che un’ispirazione divina intervenisse a guidare le sue
parole. Dopo averci
rinunciato continuò, un po’ imbarazzato
«Mi chiedevo se noi… beh, se noi…
avessimo quel tipo di
rapporto…»
Izaya
rimase
nel silenzio più totale. Shizuo si spostò dalla
porta e andò a sedersi sulla
parte del letto non occupata dall’informatore; una volta
realizzato che
probabilmente non avrebbe ottenuto nessuna risposta, diventò
insolitamente
loquace.
«Parlare
con
te è strano. Mi sento più rilassato,
più spontaneo, più… più a
mio agio, credo.
Mi sento me stesso. Una parte di me non vede l’ora che tu
torni qui e non
riesce a darsi pace finché non ti vedo. Quindi ho pensato
che magari è per
questo motivo che ho perso la memoria, insomma, ho pensato che non
riesco a
ricordarti perché eri il mio-» Shizuo si
interruppe, riflettendo un momento «Ma
dato che non sapevi che io sono…»
abbassò la voce, grattandosi la testa, e smise
di evitare lo sguardo di Izaya per fissarlo dritto negli occhi, con
un’onesta
tanto orgogliosa da sorprenderlo.
Tutta
quella
faccenda gli stava decisamente sfuggendo di mano. Lui si trovava
lì per
spingere Shizuo a odiarlo di nuovo, in modo tale da non dover ammettere
la
sconfitta, ma a quanto pareva stava perdendo lo stesso. Ogni piano che
aveva
escogitato per tormentarlo era stato spazzato via, non aveva frasi
argute o
sorrisi cospiratori da sfoderare, e tutti i suoi soliti trucchetti si
erano
dissolti nel nulla. Si chiese se fosse successo perché una
parte di lui voleva
davvero quello che Shizuo gli stava offrendo, e cioè
qualcuno che lo trattasse
come un amico, che fosse felice di vederlo, che ridesse e scherzasse
con lui,
che non avesse paura dei suoi secondi fini. Qualcuno che fosse onesto
con lui. In
teoria lavorare come informatore avrebbe dovuto garantirgli la
possibilità di
conoscere la verità su chiunque desiderasse, ma
l’unica persona ad essere stata
veramente onesta con Izaya era seduta proprio in quel momento davanti a
lui, e
aspettava un qualche tipo di risposta.
«Chi
se ne
frega?»
Era
furioso.
Quella situazione era identica a tante altre che avevano vissuto in
passato, ma
al rovescio: erano state le parole di Shizuo a scatenare una reazione,
ed era
Izaya a sentirsi più incazzato che mai, senza nemmeno
capirne il motivo. Quella
rabbia proveniva da una parte di lui che non riusciva a distinguere
bene, tanto
a fondo era sepolta nel suo inconscio.
«Perché
dai
tanta importanza a quello che eravamo prima? Il passato cambia in
qualche modo
quello che provi adesso? È come se stessi cercando di
ricostruire una casa che
è stata demolita senza neanche sapere come era
fatta» Izaya sapeva di aver
perso il controllo, ma questa consapevolezza non lo aiutò;
sentire le parole
che eruttavano dalla sua stessa bocca e non poter fare
alcunché per fermarle lo
faceva sentire addirittura peggio. E stava perfino usando delle fottute
metafore «Non
sarà mai come prima,
quindi ‘fanculo. Costruisci la casa che vuoi.»
A
quel punto
Izaya riacquistò la sua consueta padronanza di sé
e si fermò, consolandosi con
il fatto che probabilmente era riuscito a far incazzare Shizuo proprio
come
prevedeva il progetto iniziale, nonostante i mezzi non fossero stati
quelli che
si aspettava.
Shizuo
non
era mai stato bravo con i suoi sentimenti, figuriamoci con quelli degli
altri.
Rimase
lì
impalato a guardare il ragazzo di fronte a lui, sperando ancora una
volta che
qualche divinità accorresse in suo aiuto fornendogli le
parole giuste. Non
riusciva a trovare una risposta adeguato: era come se Izaya gli avesse
assorbito ogni goccia di energia, lasciandolo privo di forze e
completamente
vuoto. Non proferì parola.
Izaya
balzò
in piedi, cominciando ad allontanarsi, ma il biondo si alzò
insieme a lui e lo
afferrò per un polso, stringendoselo al petto.
L’informatore quasi gli cadde
addosso, e il suo guaito di sorpresa venne attutito dalla pelle di
Shizuo,
mentre le braccia del ragazzo si avvolgevano protettivamente attorno a
lui.
«Va
tutto
bene.»
Izaya
non
riusciva neanche a calcolare quanto
le cose stessero andando male, invece.
Non
rispose
all’abbraccio – Dio,
realizzò con
orrore, si stavano abbracciando
– ma
rimase immobile, cercando di capire come diavolo fosse finito in una
situazione
simile, confortato dal suo ex-peggior-nemico. No,
raggelò, Non ex. Loro
erano ancora nemici. Che Shizuo se lo ricordasse o no, Izaya lo odiava.
Odiava
i suoi stupidi capelli scompigliati, odiava il suo sorriso un
po’ idiota,
odiava perfino i suoi occhi ambrati, ma più di ogni cosa
odiava il calore del
suo corpo premuto contro di lui, il modo in cui la sua testa si
incastrava
perfettamente nell’incavo del collo di Shizuo, il suo respiro
che gli
solleticava l’orecchio, il battito del suo cuore contro il
petto.
Il
bisogno
di scusarsi era tornato. Serrò le labbra, preoccupato di
lasciarsi sfuggire qualcos’altro
dopo quella deplorevole scenata, e sobbalzò quando senti
sussurrare da Shizuo
le parole che lui stesso rischiava di pronunciare.
«Mi
dispiace.»
E
per cosa?
Serrò
le
palpebre, chiudendo fuori il mondo intero e i suoi stessi pensieri.
Sentì le
braccia sollevarsi, esitanti, e chiudersi attorno al corpo
dell’altro ragazzo.
«Già»
sussurrò.
Anche
a me.
Nel
prossimo capitolo:
«Sai
già
quando uscirai da qui?»
«Sarei
già
tornato a casa, se non fosse per la perdita di memoria. I dottori
vogliono
assicurarsi che non causi complicazioni di qualche tipo»
alzò le spalle,
evidentemente poco interessato alla sua stessa salute «Odio
essere rinchiuso
qui dentro.»
«Perché
non
andiamo a farci un giro, allora?»
[Shizuo
e
Izaya sgattaiolano fuori dall’ospedale per una passeggiata:
80% fluff / 20%
“Perché non possono essere felici e
basta?”]
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Note della traduttrice:
in ritardo di una settimana (la sessione estiva fa schifo, specialmente
se inizia a maggio) ma ecco qua il nuovo capitolo. Le cose cominciano a
"riscaldarsi" (in tutti i sensi!) ma forse questo non è il
tipo di azione che ci si aspetterebbe... o forse sì, dato
che si tratta pur sempre di Shizuo e Izaya. Buona lettura!
Capitolo 5
I
loro
incontri avevano cominciato ad assumere una certa
regolarità: Izaya si
assicurava di finire il lavoro per le otto – ignorando la
sospettosa curiosità
con cui Namie guardava quel suo nuovo zelo – poi prendeva il
treno per
Ikebukuro, arrivava in ospedale alle otto e mezzo e si
arrampicava fino alla
stanza di Shizuo, che rimaneva in attesa del suo arrivo. Il ragazzo non
gli
aveva più chiesto perché insistesse a voler
passare dalla finestra, ma fin dal
loro secondo incontro si era sempre assicurato di lasciarla leggermente
aperta;
non abbastanza per lasciar entrare l’aria, notò
Izaya, ma abbastanza per
lasciare entrare lui. L’informatore cercò di non
rimuginarci troppo –
effettivamente, non voleva pensare né a Shizuo né
alle loro recenti interazioni.
Potevano aver trascorso le ultime settimane seguendo quella nuova
routine, ma
Izaya non aveva ancora capito come si sentiva a riguardo, e
procrastinava il
momento in cui avrebbe dovuto prendere una decisione. Per il momento
era
soddisfatto così, seduto sul letto di fronte a Shizuo e con
le gambe stese
parallele alle sue.
L’informatore
tornò a concentrarsi sulla conversazione da cui si era
momentaneamente
estraniato. Il biondo si stava chiedendo perché diavolo gli
unici vestiti che
sembrava possedere fossero uniformi da barista: conciato in quel modo,
anche se
gli avessero permesso di liberarsi delle dannate vestaglie da ospedale,
sarebbe
comunque sembrato un idiota.
«Sai
una
cosa? Non mi dispiacciono troppo» affermò Izaya,
rievocando l’immagine di
Shizuo con quel completo addosso; ogni volta che lo aveva incontrato
vestito in
quel modo avevano finito per radere al suolo mezza Ikebukuro, ma
preferì non
pensarci.
«Le
uniformi
o le vestaglie dell’ospedale?» rise Shizuo. Izaya
si limitò a roteare gli
occhi, per poi spostarli sugli abiti dell’altro ragazzo.
«Sai
già
quando ti dimettono?»
«Sarei
già
tornato a casa, se non fosse per la perdita di memoria. I dottori
vogliono
assicurarsi che non causi complicazioni o cose del
genere»
alzò le spalle,
evidentemente poco interessato alle sue condizioni di salute
«Odio stare
rinchiuso qui dentro.»
«Perché
non
andiamo a farci un giro, allora?»
Non
era
proprio riuscito a trattenersi. Le parole gli erano scivolate fuori
dalla bocca
senza dargli l’occasione di riflettere a pieno su quella
proposta, ma che
sarebbe successo se qualcuno li avesse visti? Stava per rimangiarsi
tutto, poi
però vide gli occhi di Shizuo accendersi, e il suo intero
viso illuminarsi
mentre prendeva in considerazione l’idea. Izaya aveva
combinato un casino, e
non poteva fare niente per rimediare, ma tentò almeno di non
dare a vedere
l’enorme rimpianto che gli scorreva in corpo.
«Dove?»
chiese Shizuo, e l’informatore si costrinse a trattenere un
sospiro. Un mostro
in mezzo agli uomini come lui non avrebbe dovuto assomigliare
così tanto a un
cucciolo indifeso, eppure gli occhi grandi, i capelli ribelli,
l’innocente
esuberanza che sprizzava da tutti i pori, dicevano l’esatto
contrario. Non si
sarebbe sorpreso se avesse perfino cominciato ad ansimare.
«Non
lo so.»
Un
posto
buio, dove nessuno in grado di riconoscerli avrebbe potuto vederli.
Perché non
poteva rimangiarselo e basta? Era sicuro che avrebbe adorato vedere
l’espressione
di delusione sul viso di Shizuo, gli sarebbe fottutamente piaciuta; e
allora
perché si prendeva la briga di pensare a qualche posto dove
portare quel
maledetto cucciolo troppo cresciuto?
«Al
cinema?»
rabbrividì interiormente a quel suggerimento; sembrava un
programma fin troppo
normale per loro due. Perché non poteva tenere sotto
controllo la sua
boccaccia? Di solito non era un problema riflettere prima di parlare,
ma non
riuscì a decidere se offendersi o rallegrarsi quando Shizuo
rise di lui.
«Sembri
soffrire anche solo a dirlo» lo punzecchiò,
sorridendo «Non preoccuparti, non
voglio uscire da qui solo per andare a sedermi in un’altra
stanza. Mi
basterebbe anche solo camminare un po’, sai, sgranchire le
gambe e mangiare
qualcosa. Cose del genere.»
Izaya
annuii,
grato per il saggio consiglio. Era abbastanza sicuro che nessuno li
avrebbe
visti, se fosse stato abbastanza attento.
«Non
stasera, però» aggiunse Shizuo, grattandosi il
capo «Sono un po’ stanco. E
nemmeno domani, mio fratello ha detto che verrà a trovarmi
con i nostri
genitori. Che ne dici di venerdì?»
Izaya
tirò
fuori il telefono per controllare l’agenda, determinato a non
pensare a quanto fosse
ridicola quella situazione. Stava programmando un appuntamento con il
suo
peggior nemico, il nemico con cui passava ogni notte parlando e
ridendo, che
gli sorrideva come se fosse la persona che più gli faceva
piacere incontrare,
che si rifiutava di uscire dalla sua testa. Tossicchiò
appena.
«Umh,
venerdì va bene» si interruppe quando
realizzò che quello non era più
l’impulso
del momento. Era un incontro pianificato, e stavano effettivamente
trovando del
tempo l’uno per l’altro; avvertì una
stretta al petto, come se tutti i suoi
organi si stessero contraendo nello stesso momento, impedendogli di
avere
abbastanza aria. Si insultò interiormente quando si accorse
che perfino il suo
corpo stava rigettando l’intera situazione, ma spinse da
parte quella
sgradevole sensazione.
«Alla
solita
ora?»
«Magari
un
po’ prima, se vogliamo fermarci a mangiare
qualcosa.»
Decisero
quindi di incontrarsi un’ora prima del solito il
venerdì successivo; l’informatore
sarebbe andato nella camera di Shizuo per aiutare il biondo a
sgattaiolare
fuori dalla finestra. Quel giorno a Izaya rimaneva solo
un’ora
prima di dover
uscire, e invece di sbrigare il lavoro arretrato era seduto a scrutare
i tre
diversi outfit stesi sul suo letto. Non aveva niente a che vedere con
Shizuo, si
disse – sentendosi come la classica scolaretta al primo
appuntamento – aveva
solo bisogno di non vestirsi nel solito modo, in modo tale da non
attirare
troppo l’attenzione. Si rammaricava di non poter indossare il
suo cappotto, ma
fu costretto a optare per una giacca di pelle nera.
Girò
sul
posto a occhi chiusi, puntando il dito davanti a sé, e
scelse un outfit totalmente
a caso: maglietta bianca con bottoni neri e jeans rosso scuro. Appese
gli altri
vestiti nell’armadio, prima di spogliarsi completamente e
dirigersi verso la
sua stanza.
L’acqua
calda dava una piacevole sensazione sulla pelle, sciogliendo i suoi
muscoli
dolorosamente tesi mentre ripassava il piano per la passeggiata. Aveva
già scelto
le strade che potevano percorrere senza pericolo, dove le
probabilità di
incontrare qualcuno che conosceva erano più basse; aveva
persino cercato un
posto da quelle parti dove avrebbero potuto cenare –
decidendo che, se Shizuo
non avesse avuto niente in contrario, avrebbero preso cibo da asporto
per
minimizzare ulteriormente i rischi.
Si
prese un
po’ di tempo per guardarsi allo specchio, chiedendosi se fare
qualcosa ai
capelli in modo da rendersi ancora meno riconoscibile: li spinse
indietro e
tentò di acconciarli un po’, prima di decidere che
nessuna di quelle
pettinature era particolarmente lusinghiera. Non che stesse mettendo il
suo
aspetto prima della sua reputazione, era solo che… decise di
ignorare questi pensieri, concentrandosi
più di quello che era strettamente necessario
sull’abbottonarsi la maglietta. Non
era in grado di trovare una buona giustificazione per quel voler dare
il meglio
di sé davanti a Shizuo, quindi preferiva non pensarci.
Izaya
arrivò
all’ospedale un po’ in anticipo.
Cominciò a scalare il muro, sospirando per la
sottile polvere di mattone che si stava attaccando ai suoi vestiti, e
quando
raggiunse la stanza di Shizuo si accorse che la finestra era aperta.
Prima che
potesse anche solo accennare un saluto, notò la scena che si
stava svolgendo
davanti a lui: il biondo si guardava allo specchio, emettendo bassi
suoni di
disappunto. Quella vista era allo stesso tempo familiare e
completamente nuova.
Shizuo
indossava la vecchia divisa da barista, con l’eccezione degli
occhiali da sole,
e si era chinato in avanti per tentare di aggiustare il farfallino,
fissando
meticolosamente il suo riflesso. Alla fine ringhiò di
frustrazione e si strappò
il papillon dal collo; ci fu un sonoro schiocco di plastica rotta
quando il
fermaglio si spezzò, e Shizuo lo tirò contro il
muro, cantilenando parolacce
sottovoce.
A
quel punto
gli occhi di Izaya si spostarono sul letto, dove una pila di vestiti
nascondeva il piumone. Notò che varie maniche e risvolti
erano
parzialmente rovesciati, e
sorrise per ciò che questo implicava; il momento in cui
aveva visto Shizuo più
arrabbiato era quello in cui stava cercando di decidere cosa indossare
per il
loro… qualunque cosa fosse. A parte le difficoltà
con il farfallino, il biondo
sembrava convinto della sua scelta di vestiario e si stava lisciando la
camicia
mentre la infilava dentro i pantaloni.
Izaya
realizzò all’improvviso di aver appena trascorso
gli ultimi minuti spiandolo e
decise di rendergli nota la sua presenza.
«Ti
vedo in
difficoltà, Shizu-chan» ridacchiò,
ghignando quando il biondo inciampò per
girarsi a guardarlo. Shizuo lasciò cadere il farfallino che
aveva tentato di
sistemare, come se schiacciarne le estremità sarebbe bastato
ad aggiustare il
fermaglio rotto, e le sue guance andarono in fiamme.
«Questo
look
mi fa tornare in mente vecchi ricordi, sai?»
continuò Izaya, indicando i
vestiti di Shizuo. Non specificò che quei ricordi
implicavano loro due che
cercavano di uccidersi a vicenda: i dettagli in fin dei conti non erano
poi
così importanti. «Perché hai messo la
divisa?»
L’informatore
decise che sicuramente non era colpa della luce e che Heiwajima Shizuo
stava
effettivamente arrossendo mentre tentava di mettere insieme un qualche
tipo di
risposta – per lo più una cantilena di “Beh,
ecco” e “Io,
emh, già”.
All’improvviso Izaya ricordò le sue stesse parole.
«Sai
una cosa? Non mi dispiacciono troppo»
“Oh,
‘fanculo” fu
tutto quello a cui
riuscì a pensare. Si alzò, cercando di non
sembrare troppo interessato al
significato di quella situazione. Prese il farfallino dalle mani di
Shizuo e lo
gettò sul letto con gli altri vestiti, chiedendosi da dove
fossero arrivati tutti
quegli abiti: pochi giorni prima non si era lamentato di avere solo
divise da
barista? Le loro dita si sfiorarono per un momento, mentre Izaya si
alzava in
punta di piedi per slacciare i primi due bottoni della camicia di
Shizuo.
«Ecco
fatto»
disse, con una voce molto più bassa di quanto avesse voluto.
Il calore del
biondo si stava irradiando fino a lui, il suo respiro era un
po’ più lento, e
Izaya non riuscì a disinteressarsi completamente a questa
nuova atmosfera.
Calarsi
giù
dall’edificio era relativamente semplice e
l’informatore andò per primo,
mostrando a Shizuo il percorso migliore per scendere. Sperò
che nessuno stesse
prestando troppa attenzione, perché il biondo non era bravo
quanto lui a non farsi
notare. Una volta raggiunta la strada, Izaya seguì il piano
che aveva messo a
punto nella sua testa e rimase in silenzio per un po’,
conscio che quella fosse
la fase più pericolosa del tragitto. Shizuo
sembrò capire che quel silenzio non
era casuale, e non lo infranse fino a quando qualcosa non
catturò la sua
attenzione.
«Sembri
diverso» buttò lì; quella frase non era
uscita proprio come avrebbe voluto, ma
non era certo di come avrebbe potuto aggiustare il tiro. Izaya
indossava più o
meno sempre gli stessi vestiti quando andava a trovarlo,
però oggi aveva giacca
e stivali di pelle, e una maglietta bianca piuttosto
aderente…
«Diverso?»
chiese Izaya, interrompendo i suoi ragionamenti, e adattò il
passo a quello di
Shizuo.
«Sì»
la sua
voce era un po’ roca. Si strofinò il retro del
collo, cercando le parole giuste
«Stai bene vestito così» disse alla
fine, senza tanti giri di parole.
Izaya
rise,
girandosi verso di lui con le sopracciglia inarcate.
«Vorresti
dire che di solito non sto bene?»
Shizuo
non
sapeva davvero come rispondere. Decise per un semplice “non intendevo questo” e fu
immensamente grato a Izaya quando lasciò
cadere l’argomento.
Continuarono
a camminare in un amichevole silenzio, e il biondo si sorprese di
quanto si trovasse
a suo agio insieme a quel ragazzo, più che con chiunque
altro avesse conosciuto
prima della perdita di memoria. Si domandò se questo fosse
collegato al fatto
che con gli altri si sentiva obbligato a essere lo Shizuo di una volta,
mentre
con Izaya poteva abbassare la guardia e smettere di fingere, essere se
stesso. Però
c’era anche un’altra sensazione oltre al sollievo,
un sentimento più caldo che
a volte minacciava di travolgerlo, un sentimento che lo portava a
desiderare
che quel ragazzo non se ne andasse mai.
«Ehi,
Shizu-chan, a cosa è dovuto quel disgustoso
sorrisetto?» chiese Izaya con tono
giocoso, e un piccolo ghigno gli piegò le labbra. Il biondo
roteò gli
occhi, voltando le spalle a quello sguardo che gli faceva andare a
fuoco le
guance.
«Stavo
solo
pensando.»
«A
cosa?»
A
te.
Scosse
leggermente la testa, impedendosi di pronunciare un’altra
frase sdolcinata, e si
impose di rispondere qualcosa di normale.
«Ho
fame.»
Che
diamine
aveva in testa? Doveva esserci per forza una via di mezzo tra le
battute da
commedia romantica e… quello.
Izaya
ridacchiò sommessamente mentre il suo sorriso si allargava,
e Shizuo scoprì
quanto poteva rimpiangere di aver detto qualcosa di così
stupido, quando
ottenne in risposta quello sguardo.
«Più
avanti
ci sono un paio di posti dove possiamo prendere da mangiare. Fanno
anche
take-away» suggerì Izaya. Alzò il capo
a fissare le stelle, coperte solo in
parte dalle nuvole «È una bella serata e
c’è un parco qui vicino, quindi
pensavo…» si interruppe, incapace di continuare.
Quella era una sensazione del
tutto nuova per lui: non avere la risposta pronta, sentire il proprio
petto
stringersi prima di parlare, essere incerto di come sarebbe stato
percepito quello che stava per dire. Quasi sussultò sentendo
la morbidezza
della voce di Shizuo, quando replicò..
«Sembra
una
buona idea.»
Izaya
abbassò
il capo, e percepì quella spiacevole stretta al petto
aumentare quando i suoi
occhi cremisi incontrarono quelli ambrati di Shizuo; c’era
un’intensità in
quello sguardo da fargli dimenticare perfino quello a cui stava
pensando.
Quando il suo cervello ricominciò a funzionare,
realizzò quanto si fossero
avvicinati: ora c’erano meno di venti centimetri tra di loro.
Interruppe
bruscamente il contatto visivo e strinse i denti mentre si obbligava a
sfoderare il suo solito sorrisetto. Shizuo indietreggiò,
mentre l’intensità nei
suoi occhi si tramutava in confusione, ma continuarono a camminare e la
mente
di Izaya si allontanò dalla conversazione. Era
così distratto che fissò Shizuo
con sguardo assente quando lui disse “Ramen”.
«Cosa?»
Il
biondo
indicò un punto davanti a loro, dove era situata una
bancarella di cibo da
strada.
«Dici
sul
serio? Ti pago la cena e tu vuoi il ramen?»
«Paghi
tu?»
«Vorresti
dire che hai portato dei soldi con te?»
Il
ragazzo
si tastò le tasche prima di scuotere la testa.
«Ramen»
disse ancora, stavolta con voce più sicura. Izaya
alzò le spalle – almeno
sarebbe stato economico – e i due si diressero verso la luce
soffusa emessa
dalla piccola bancarella.
«Posso
avere
tre ramen Tokyo, per favore?» domandò, e
l’uomo di mezza età dietro alla cassa
annuì.
«Tre?»
domandò Shizuo, confuso.
«Tu
mangi un
sacco.»
Il
biondo insisté
per portare il cibo finché non arrivarono al parco, che
tecnicamente era
chiuso, ma per Izaya significava solo che era meno probabile che
qualcuno li
riconoscesse. Il biondo esitò di fronte all’idea
di sgattaiolare dentro il
parco di nascosto, ma l’informatore scalò la
recinzione e saltò dall’altra
parte, atterrando con la grazia di un gatto. Prese il pacchetto
dell’asporto da
una fessura tra le sbarre della ringhiera e si allontanò:
Shizuo perse
definitivamente ogni riserva, quando la sua cena divenne la posta in
palio.
Camminarono
per un po’ tra gli alberi e Izaya iniziò a
sproloquiare su quanto fosse breve
la vita degli esseri umani e sulla loro relativa insignificanza
nell’universo.
Shizuo stava ascoltando con un orecchio solo; lo divertiva il modo in
cui Izaya
parlava di loro due, come se fossero esenti da quel ragionamento, ma
era più
concentrato su ciò che li circondava; lo stretto sentiero
che si intrecciava
con la sponda erbosa e una quercia, alta e scura, ridotta a una sagoma
sottile dall’assenza
di luce. Arrivarono a una radura con pochi alberi, che si allineavano a
definirne gli estremi invece di coprirla; poco lontano c’era
un fiume che
tagliava a metà il parco, con una serie di panchine disposte
pochi metri
lontano dalla riva. Shizuo si accorse che Izaya si era avvicinato a una
di esse
e si era seduto, ma la maggior parte della sua attenzione era stata
rapita
dalla vista delle stelle e della luna, non più coperte dalle
fronde degli
alberi; era una vista bellissima, e gli astri si allungavano nel cielo
perfino
fuori dai confini del suo campo visivo, più luminosi di
quanto avesse mai potuto
pensare.
«Hai
intenzioni di rimanere lì impalato, Shizu-chan?»
domandò Izaya, strascicando la
voce, mentre si girava per guardare il biondo che sembrava folgorato
dal panorama.
Shizuo abbandonò quel suo umore insolitamente poetico e
ricambiò lo sguardo, ma
non si mosse.
«Sai,
le
stelle rimarranno lì, ma il cibo si raffredderà,
quindi porta qui il culo e
iniziamo a mangiare.»
Shizuo
non
aveva bisogno di ulteriori sollecitazioni. Raggiunse Izaya sulla
panchina e
cominciò a mangiare; erano seduti vicini e le loro ginocchia
si sfioravano,
nonostante lo spazio disponibile. Il biondo era fin troppo consapevole
del
calore che filtrava da entrambi i loro corpi – dava una bella
sensazione, quasi
confortevole – e qualche volta incrociava lo sguardo di
Izaya, che gli riscaldava
il petto quando rispondeva al sorriso che aveva stampato sulle sue
labbra.
L’informatore
lo prese in giro, lagnandosi per la velocità con cui
mangiava mentre Shizuo si ficcava
in bocca ancora più cibo: il biondo roteò gli
occhi quando il ragazzo gli disse
“se soffochi e muori non aspettarti
che io
ti salvi”, e stava per fargli notare che se fosse
morto non avrebbe potuto
aspettarsi un granché da nessuno, ma
all’improvviso notò che qualcosa era
cambiato. L’aria era diventata più fredda e la
serata non sembrava più tanto
piacevole. Shizuo posò il cibo, scandagliando
l’oscurità, e afferrò il polso di
izaya.
«Che
diavolo…» cominciò
l’informatore, provando a divincolarsi dalla presa del
biondo, ma Shizuo lo zittì, stringendo le dita ancora di
più. L’istinto di
Izaya sembrò mettersi in funzione mentre si chiedeva come
diavolo avesse potuto
non accorgersi di quello che stava succedendo. Si alzarono in piedi
nello
stesso momento, voltandosi schiena contro schiena con la mano di Shizuo
ancora
stretta attorno al polso di Izaya – e una parte
dell’informatore riuscì a ridere
di come la situazione si fosse evoluta, con lui e il biondo pronti a
proteggersi
l’un l’altro.
Realizzando
che ormai la loro presenza era stata notata, un gruppo di uomini
uscì dalle
ombre. Izaya poteva vederne tre e sentirne un quarto; si
spostò i capelli di
fronte al viso, sperando di non essere notato. Doveva trattarsi di una
gang.
«Heiwajima-san»
chiamò uno di loro mentre avanzava, alzando una mano per
segnalare agli altri
di restare indietro. La sua voce era calma e strascicata; Izaya
riusciva a percepire,
più che a vedere, il sorriso da predatore che gli deformava
le
labbra. Avrebbe
voluto strapparglielo via con il coltello. Chi cazzo poteva avere il
coraggio
di andare da Shizuo senza almeno l’ausilio di un esercito e
aspettarsi di avere
successo? Quello era un suo privilegio.
Il
biondo
quasi ringhiò a quei convenevoli, seguiti dal click di un
accendino e dal forte
odore di tabacco che impregnò l’aria.
«Mi
dispiace
disturbarti mentre sei con il tuo fidanzato, ma vedi, questa
è la prima
occasione propizia che abbiamo trovato. Non avrebbe avuto senso
pestarti mentre
eri ancora in ospedale.»
Izaya
era
sorpreso dal fatto che non fossero già stati lanciati in
giro per il parco, ma
la mano attorno al suo polso non si muoveva, proprio come la puzza di
fumo nelle sue narici.
«Non
voglio
uccidervi. Dico sul serio» disse Shizuo, riuscendo in qualche
modo a suonare
sinceramente dispiaciuto e allo stesso tempo minaccioso.
L’uomo di fronte a lui
si accigliò, ma senza che il suo sorriso vacillasse.
«Non
siamo
certo al tuo livello» ammise, però
l’informatore cominciava ad apprezzare
quella situazione sempre di meno. «Ma
comunque…» ci fu un forte scatto e Izaya
si girò per vedere una pistola armata e puntata dritta alla
sua testa; rise tra
sé e sé, perché evidentemente non
avevano idea della persona con cui avevano a
che fare, se pensavano davvero che lui fosse l’anello debole.
«Abbassa
la
pistola, prima che ti faccia a pezzi» La rabbia di Shizuo
stava strabordando e
Izaya riusciva ad avvertire quanto vicino fosse a schiacciare la
sigaretta tra
le dita. Nessuno si mosse. «Beh, allora immagino di non avere
scelta.»
E
così
cominciò.
Il
biondo
aveva appena gettato la sigaretta a terra quando risuonò il
primo sparò; mancò
entrambi, ma questo non cambiò l’effetto che ebbe
sulla furia di Shizuo.
Lasciò andare il polso di Izaya per strappare dal suolo la
panchina su cui si
erano seduti e agitarla tra le mani; l’informatore
notò che, nonostante la sua collera crescente, la stretta
non era mai diventata tanto salda da fargli
male.
Un uomo basso e tarchiato gli corse incontro con un coltello in mano,
però
Shizuo oscillò la panchina verso di lui come una mazza da
cricket, gettandolo malconcio
e sanguinante nel fiume. Ci fu un momento di silenzio mentre tutti
assimilavano
quello che era appena successo, ma sfortunatamente nessuno tranne Izaya
sembrò
pensare razionalmente: mentre lui manteneva le distanze, gli altri
caricarono
Shizuo, e le loro grida di battaglia furono presto sovrastate dal
ruggito
disumano emanato dal biondo.
L’informatore
rimase a guardare. Shizuo mise temporaneamente giù la
panchina per lanciare gli
assalitori in diverse direzioni, prima di sollevarla di nuovo per
giocare a una
versione più cruenta di acchiappa la talpa con
l’uomo che aveva istigato la
rissa. Ma anche quando il teppista fu ridotto a una pozzanghera di
sangue e
ossa rotte, Shizuo non si calmò. Rimase lì in
piedi, latrando e brandendo la
panchina, con gli occhi che praticamente schizzavano fuori insieme
all’adrenalina.
Izaya
tentò
di avvicinarsi, sapendo che doveva cercare in qualche modo di calmarlo,
ma
senza la minima idea di come farlo. Riusciva a vedere la schiena del
biondo
tremare di rabbia: doveva stare attento.
«Shizuo?»
chiamò. L’altro ragazzo si voltò,
apparentemente senza riconoscerlo.
E
questo fu
l’unico avvertimento che Izaya ricevette, prima che la
panchina si schiantasse
contro di lui.
Nel
prossimo capitolo:
Aveva
ferito la persona che più avrebbe voluto proteggere, e con
le sue stesse mani. Era
stato proprio lui, Shizuo, con la sua forza mostruosa, e la sua forza
animale,
la sua infantile mancanza di auto controllo. Come aveva potuto anche
solo pensare
di poter
offrire agli altri qualcosa che non fosse dolore?
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
capitolo 6
Note della traduttrice:
Capitolo più breve del solito, ma il contenuto rimedia
largamente alla lunghezza... meglio che vada a sbrodolare cuoricini da
un'altra parte, va' <3
Capitolo 6
Molte
persone credono che l’espressione “vederci rosso” sia solo una metafora, ma per
Heiwajima Shizuo non era così. L’intero mondo si deformava sotto l’influsso
della sua furia: i suoni aumentavano d’intensità, il tempo rallentava, e
l’istinto si affinava fino a diventare più acuminato delle lame puntate contro
di lui. Si accorgeva a malapena dei suoi stessi movimenti, basandosi solo su
ciò che il suo corpo riteneva fosse la cosa migliore da fare, e non pensava
assolutamente a niente. In quei momenti nella sua testa c’era il vuoto totale.
Qualcuno lo
aveva chiamato e lui si era girato. Aveva lasciato la presa sulla panchina che
stringeva tra le braccia, e poi l’aveva vista sfrecciare a tutta velocità verso
uno snello ragazzo dai capelli scuri e gli occhi cremisi…
Shizuo sentì
il mondo fermarsi, e la rabbia scivolò fuori da lui a tempo di record. Non poté
fare altro che stare a guardare, orripilato, scorgendo i suoi occhi spalancati
riflessi in quelli del ragazzo di fronte a lui. Lo shock gli deformò i tratti
del viso e si ritrovò a serrare le palpebre di fronte a quella scena, mentre le
gambe gli cedevano e un sospiro soffocato gli scivolava fuori dalle labbra.
“No.”
Gli
bruciavano gli angoli delle palpebre ed era in preda alle vertigini. Che
diamine aveva combinato? Aveva ferito la persona che più avrebbe voluto
proteggere, e con le sue stesse mani. Era stato proprio lui, Shizuo, con la sua
forza mostruosa e la sua forza animale, con la sua infantile mancanza di auto
controllo. Come aveva potuto anche solo pensare
di poter offrire agli altri qualcosa che non fosse dolore?
Dopo
l’assordante schianto della panchina, passò un po’ di tempo prima che il biondo
riuscisse finalmente a sollevare lo sguardo dal punto in cui era caduto in
ginocchio. Scostò dal viso le mani con cui si era coperto gli occhi, sbirciando
tra le dita prima di lasciar cadere le braccia lungo i fianchi, e poi si alzò in
piedi, esitante.
«Izaya?»
chiamò, con la voce incerta quanto i suoi passi. Il ragazzo era sdraiato a
terra, ma respirava – anche se aveva il fiatone – e giaceva a pochi metri dalla
panchina distrutta. Ad un tratto i suoi occhi si aprirono e un riflesso cremisi
si irradiò dalle palpebre socchiuse; un piccolo sorriso gli strisciò sulle
labbra mentre si metteva a sedere, e Shizuo lasciò andare il respiro che fino a
quel momento aveva trattenuto.
«Avrei
gradito almeno un avvertimento, Shizu-chan» borbottò l’informatore, cercando senza
successo di rimettersi in piedi «Piantala di guardarmi così, sto bene.»
Shizuo si
sentì inondare di sollievo. Si inginocchiò davanti a lui e gli strinse forte le
spalle, appoggiando la fronte al suo petto.
«Mi
dispiace» mormorò, cercando di smettere di tremare «Cazzo, Izaya, mi dispiace
così tanto.»
Izaya guardò
in basso e appoggiò il mento ai capelli biondi di Shizuo, sollevando le braccia
per avvolgerle attorno alla schiena dell’altro ragazzo. Sospirò quando avvertì
una fitta acuta sotto il gomito destro; normalmente non avrebbe mai e poi mai
mostrato a Shizuo il dolore fisico che gli procuravano i suoi attacchi, perché
preferiva nasconderlo sotto uno spesso strato di sfacciata noncuranza e
guardare la furia del biondo crescere di fronte alla sua apparente
indistruttibilità. Provò a far finta che non ci fosse niente di diverso dal
solito, che il suo stoicismo fosse legato solo al non voler mostrare debolezza,
ma allora perché stava consolando Shizuo? Perché la sua mano gli accarezzava i
capelli? Perché mormorava rassicurazioni al suo orecchio?
Izaya spinse
via il ragazzo, si alzò e cercò di allontanarsi da lui. Aveva bisogno di tenere
le distanze per riuscire a schiarirsi le idee, ed evitò deliberatamente di
guardarlo, dato che non era pronto ad affrontare il suo inevitabile sguardo da
cucciolo ferito.
«Dovremmo
andare» disse, tentando di concentrarsi su come quella situazione fosse tutta
colpa di Shizuo. Si meritava di sentirsi fottutamente in colpa «Non sappiamo
quando quei tipi torneranno da queste parti.»
Non che
fosse davvero un problema, visto che le probabilità che quegli uomini si
facessero vedere prima di qualche ora erano infime, ma quell’eventualità
convinse Shizuo ad alzarsi da terra e a seguirlo mentre si avviava rapidamente
verso i cancelli del parco.
Camminarono
in silenzio e il biondo non chiese nemmeno spiegazioni quando Izaya si
arrampicò su un edificio lì vicino e cominciò a spostarsi sui tetti, invece di
proseguire sul marciapiede. Shizuo rimase leggermente indietro, seguendo la sua
guida fino all’ospedale. Il silenzio continuò finché non arrivarono sul tetto.
«Ti prego,
Izaya» cominciò, mentre il cuore gli batteva fastidiosamente forte nel petto,
andandosi a sommare a un principio di nausea «Ti prego, guardami.» Afferrò il
polso del ragazzo, ma si tirò subito indietro quando sentì un sibilo di dolore.
Abbassò lo sguardo e il cuore gli si fermò, non appena vide il brutto livido
che spuntava da sotto la manica di Izaya.
«Avevi detto
di stare bene» mormorò flebilmente. Non c’era traccia di accusa nella sua voce,
ma solo di una disperata incredulità.
«Non è
niente» minimizzò Izaya, abbassandosi il polsino della maglietta fino a coprire
il segno.
«Ti ho
fatto male» ormai il biondo aveva difficoltà perfino a respirare «Cazzo, Izaya,
sono stato io. Te l’ho fatto io.»
«Sto bene.»
«Smettila di
dire che non è niente, tu non stai bene. Non solo ti ho messo in pericolo con
quegli idioti» farneticò, gesticolando verso il punto da cui erano arrivati «Ti
ho messo in pericolo anche standoti vicino. Sono io il pericolo.»
«Ti ho detto
che sto bene, brutto idiota, vuoi chiudere il becco e ascoltarmi?» scoppiò
Izaya, voltandosi a fronteggiare Shizuo, con il viso ormai a pochi centimetri
dal suo «Questo non è niente» disse, alzando il braccio «Ne ho avuti di
peggiori. Non sono una principessina da proteggere, e se pensi di costituire
una qualche minaccia per me ti stai sopravvalutando di grosso. Mi hai colto di sorpresa,
lo ammetto. Eri arrabbiato, hai perso il controllo, non me ne frega niente, ma
non azzardarti a usarlo come scusa per buttarti ancora più giù. Sto bene,
questo livido guarirà e non sono arrabbiato con te per quello che è successo,
quindi fammi il favore di-»
Le parole di
Izaya vennero interrotte da qualcosa premuto contro la sua bocca. Nella
fattispecie, Shizuo.
Non ebbe
nemmeno il tempo di pensare: reagì istintivamente al bacio, chiudendo gli occhi
e spingendosi contro le labbra del biondo, mentre stringeva tra le dita il
retro del suo gilet. I suoi sensi erano interamente travolti dal calore; le
mani di Shizuo si persero tra i suoi capelli mentre lo stringeva a sé con
un’impetuosità calibrata, e poi scivolarono lungo la schiena fino a posarsi sui
suoi fianchi, mandandogli una scarica di brividi lungo la spina dorsale. Si
aggrappò a lui con ancora più forza e il biondo gemette nel bacio, un suono
basso e gutturale, quasi un ringhio. Izaya sollevò le braccia per avvolgerle
attorno al collo di Shizuo, intrecciando le dita ai suoi capelli biondi.
Alla fine si
separarono, con il respiro affannoso e tentando di riprendersi dalle vertigini
causate dalla mancanza d’aria. Izaya appoggiò la fronte contro il petto di
Shizuo e sentì la nuca del ragazzo adagiarsi sulla sua. Stava giusto pensando a
quanto fosse piacevole la sensazione del suo respiro caldo sulla pelle quando
il cervello gli si rimise in funzione.
Che
accidenti era successo? Izaya non era esattamente inesperto in campo sessuale,
ma era sempre stato in grado di mantenere il controllo. Non era certo il tipo
da lasciarsi andare, qualunque fosse la situazione, e non si era mai permesso
di mostrarsi così vulnerabile. Non riusciva a muoversi e i suoi muscoli non
obbedivano al suo disperato ordine di allontanarsi dal biondo, di correre via,
di prendere il primo volo per chissà dove e non tornare più indietro. Un attimo
prima stavano litigando, e appena un momento dopo… questo.
«Grazie»
disse Shizuo, interrompendo le invettive che Izaya si stava lanciando «Per
stasera, intendo. Mi sa che ho combinato un casino» ridacchiò «Ma è stato
bello. Mi piace passare del tempo con te, e mi piacerebbe farlo ancora, se ti
va.»
Indietreggiarono
entrambi, e gli occhi ambrati di Shizuo cercarono quelli dell’informatore
mentre si chinava su di lui, più esitante della prima volta. Una parte di Izaya
gli stava gridando di scappare, di estrarre il coltello, di saltare giù dal
fottuto edificio, di fare qualsiasi cosa tranne che restare fermo lì, e invece
inclinò la nuca, chiuse di nuovo gli occhi e si spinse contro Shizuo. Si
baciarono piano, più lentamente, e dopo pochi secondi di separano.
Izaya seppellì
il viso nel petto del biondo, strofinando il viso contro la sua giacca. Che
diavolo stava facendo? Sentì la mano di Shizuo accarezzargli i capelli e
sospirò. Era come se si fosse disconnesso da se stesso, come se la sua
coscienza stesse fluttuando un paio di metri sopra di lui, guardandolo
dall’alto, incapace di impedire al corpo di fare quello che voleva. Ma perfino
i suoi pensieri avevano cominciato a calmarsi, dicendosi che alla fine non era
troppo male; Shizuo era caldissimo contro di lui, il battito del suo cuore gli
rimbombava nel petto, ed era quasi piacevole
«La prossima
volta, però» disse, senza sollevare lo sguardo «Niente gangster.»
Sentì le
labbra di Shizuo posargli un bacio leggero sulla nuca.
«Niente
gangster» promise.
EXTRA:
Shizuo e Izaya
sedevano sul tetto dell’ospedale, dondolando le gambe oltre il bordo del
cornicione. Le loro mani giacevano vicine, sfiorandosi casualmente tra loro.
«Comunque,
cosa avevi fatto a quel tipo del parco?» domandò l’informatore, girandosi per
vedere Shizuo fare spallucce prima di rispondere.
«Gli ho
sbattuto la porta in faccia per sbaglio» disse con tono sprezzante «Quando ho
provato a scusarmi mi ha dato un pugno, così l’ho lanciato in mezzo al
traffico.»
Izaya lo
fissò, a metà tra il divertito e l’incredulo, e sbuffò una risatina.
«Non puoi
dire sul serio.»
Nel prossimo capitolo: Passarono un
paio d’ore prima che Izaya si svegliasse, e a quel punto il respiro di Shizuo
si era fatto pesante, e buona parte del suo peso gravava ormai sulla nuca
dell’informatore. Il ragazzo rimase immobile per un po’, prendendosi del tempo
per scendere a patti con quella situazione; non si era mai addormentato accanto
a qualcuno prima d’ora, non si era mai svegliato trovandosi avvolto dal calore
di un’altra persona. Era la vulnerabilità di quello scenario ad irritarlo, addormentarsi
vicino a qualcuno significava mostrarsi privi di difese, e soprattutto
significava fidarsi di quella persona.
[98% fluff e ancora più Izaya-gattino-confuso. Godetevi il fluff, ne avrete
bisogno quando l'angst tornerà alla ribalta]
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
capitolo 6
Note della traduttrice:
Capitolo un po' di transizione, ma cosa c'è di meglio di un
po' di sano fluff? E vai (di nuovo) di cliffhanger finale <3
Capitolo
7
Le
tende
svolazzavano leggermente, mosse dal vento freddo che soffiava
attraverso la
finestra aperta; Shizuo pensò di alzarsi per andare a
chiuderla, ma poi
realizzò che per farlo avrebbe dovuto spostare Izaya, che si
era addormentato
sul suo petto. Sembrava stanco come se non dormisse da giorni, e il
biondo non
avrebbe rischiato di svegliarlo per niente al mondo, quindi si
limitò a coprire
entrambi con il lenzuolo, sorridendo per come il ragazzo strofinava il
naso
contro il suo petto. In lui stava crescendo un calore che nemmeno il
freddo
della stanza poteva soffocare, ed era il sollievo di sentirsi
finalmente
accettato; Izaya aveva conosciuto la sua parte più
mostruosa, ne era stato
addirittura ferito, eppure era ancora lì. Shizuo
passò una mano tra i suoi
capelli scuri e gli posò un bacio sulla nuca, ripensando a
quella sera sul
tetto.
Non
si erano
baciati una seconda volta, si erano solo seduti vicini, con le gambe a
penzoloni dal bordo dell’edificio, e avevano chiacchierato a
lungo, sfiorandosi
appena le dita. Izaya era stato insolitamente silenzioso, ma Shizuo
aveva avuto
l’impressione che non volesse parlarne, quindi non gli aveva
chiesto nulla. Si era
limitato a raccontargli quello che riusciva a ricordare della sua
infanzia: per
la maggior parte aveva parlato della sua forza sovraumana, di tutte le
volte
che era finito in ospedale, e di quando aveva distrutto un negozio per
cercare
di salvare la proprietaria dagli uomini che la stavano minacciando
«Ehi,
Izaya?»
«Che
c’è?»
«Volevo
solo proteggerti.»
«Sì»
la mano di Izaya si posò sulla sua «Lo
so.»
Spostò
il
braccio, facendolo passare dietro al collo di Izaya e avvolgendo
l’altro
attorno al suo fianco. Il ragazzo si era addormentato addosso a lui
mentre
erano sul tetto e Shizuo l’aveva portato nella sua stanza,
poi aveva sistemato
entrambi sul letto, dopo aver gettato sul pavimento tutti i vestiti che
c’erano
sopra. All’inizio aveva pensato di accompagnarlo a casa, ma
poi si era
ricordato di non sapere dove viveva. C’erano un sacco di cose
che non sapeva di
lui: che lavoro facesse, quale fosse il suo cognome, perché
diavolo continuasse
a chiamarlo Shizu-chan.
Però
pensandoci bene c’erano altrettante cose che, invece, sapeva:
i suoi cibi
preferiti, i film e i libri che amava; la sua infinita conoscenza di
battute
toc toc, tanto orrende da far sospirare a gran voce chiunque avesse un
minimo
di buon senso; le ventiquattro ore filate che una volta aveva trascorso
guardando soap opera, cercando di capire quella che sembrava essere
“una parte fondamentale
dell’esistenza umana”.
Che importava se non conosceva il suo nome completo? C’erano
tante altre cose assai
più importanti nella sua vita.
«”Quella
che
noi chiamiamo rosa, anche con un altro nome avrebbe il suo soave
profumo”» declamò,
sorridendo; per un attimo sperò che Izaya fosse sveglio, in
modo che potesse
assistere a quest’ulteriore prova della sua cultura
letteraria, poi realizzò quanto
doveva suonare sdolcinato e fu molto, molto
felice che il ragazzo stesse dormendo.
Passarono
un
paio d’ore prima che Izaya si svegliasse, e a quel punto il
respiro di Shizuo
si era fatto regolare, e buona parte del suo peso gravava ormai sulla
nuca
dell’informatore. Izaya rimase immobile per un po’,
prendendosi del tempo per
scendere a patti con quella situazione; non si era mai addormentato
accanto a
qualcuno prima d’ora, non si era mai svegliato trovandosi
avvolto dal calore di
un’altra persona. Era la vulnerabilità di quello
scenario ad irritarlo: addormentarsi
vicino a qualcuno significava mostrarsi privi di difese, e soprattutto
significava fidarsi di quella persona, mentre Izaya non si fidava di
nessuno.
Eppure eccolo lì, raggomitolato accanto al suo peggior
nemico, a strofinarsi
gli occhi ancora assonnati. Il suo peggior nemico. Quello che lo aveva
baciato.
Che gli aveva preso le mani tra le sue. Che lo stringeva tanto forte da
fargli
sembrare che fossero le sue braccia a tenerlo in piedi.
Izaya
si
raddrizzò, cercando di analizzare meglio la situazione; la
luce stava
cominciando a filtrare attraverso le tende semi aperte, e il ragazzo si
ritrovò
ad apprezzare il fatto che Shizuo fosse così caldo, dato che
ormai la stanza
era diventata quasi fredda. Si mosse istintivamente per tornare
più vicino a
lui, prima di rendersi conto di quello che stava facendo. Non
c’era modo che
quella storia potesse funzionare. Non che lo volesse, provò
a dirsi, ma quanto
quella fosse una bugia appariva ovvio da come le sue mani giocavano
distrattamente con il polsino della maglietta di Shizuo, e dagli angoli
delle
sue labbra che minacciavano di piegarsi in un sorriso. Non aveva mai
avuto
bisogno di contatto umano: per lui era delizioso, ma anche ridicolo,
che la
gente credesse di poter migliorare la propria vita grazie
all’interazione con
specifici membri della loro specie; Izaya rideva di come i sentimenti
per
qualcun altro riuscissero a prendere il controllo del corpo e della
mente, che
procurassero dolore fisico, che spingessero a ignorare la logica, che
rendessero
felici le persone indipendentemente dai beni materiali. Eppure, mentre
si
districava dal biondo, riusciva a sentire il proprio petto stringersi
fastidiosamente, causandogli un vago senso di nausea.
All’inizio aveva creduto
che queste reazioni fossero il modo in cui il suo corpo esprimeva
l’innaturalità
della situazione, ma poi aveva cominciato a pensare che forse
significavano
qualcos’altro.
Izaya
rimase
sul letto per un po’, dopo essersi allontanato dal corpo di
Shizuo e da quel
bozzolo protettivo che lo aveva avvolto fino a quel momento.
Esaminò lo sguardo
tranquillo e pacifico sul suo viso, e quell’innocenza, quasi
da bambino, che
era molto lontana dall’espressione a cui era abituato, tanto
che stentava quasi
a riconoscerlo. Shizuo aveva sempre costituito un’eccezione,
per lui. Era
l’unica persona per cui avesse provato qualcosa di diverso,
prima come adesso:
effettivamente, prima provava
istinti
omicidi, adesso stava ammirando
come
il suo naso si contraesse di tanto in tanto durante il sonno, facendolo
assomigliare
a un coniglio troppo cresciuto. Carino.
No.
Non
carino.
Izaya
sospirò a bassa voce. Stava diventando sempre più
difficile ignorare il tipo di
parole che il suo cervello gli suggeriva quando pensava al biondo.
Supponeva
che, se avesse dovuto fare un gioco di associazione di parole a tema
Shizuo due
settimane prima e uno in quel momento, i risultati sarebbero cambiati
drasticamente; si passava da citazioni ai romanzi di Chuck Palahniuk
alla posta
del cuore dei giornaletti per adolescenti.
Dopo
aver
riflettuto per un momento sul modo assurdo in cui la frangia di Shizuo
si era aggrovigliati,
Izaya immaginò che la situazione dei suoi capelli sarebbe
solo peggiorata mano
a mano che dormiva; serrò le palpebre, sperando di liberarsi
delle parole che
stava disperatamente cercando di non associare al biondo. Quando il suo
tentativo fallì, decise che probabilmente era arrivato il
momento di andarsene.
Però…
Se
Shizuo
fosse rimasto sdraiato in quel modo, probabilmente gli sarebbe venuto
il mal di
schiena.
Lanciò
un’occhiata alla finestra, sapendo che avrebbe dovuto
andarsene e basta, poi
borbottò un “fanculo”
a denti stretti
e cominciò a cercare di sistemare il biondo in una posizione
potenzialmente
meno dolorosa.
Non
era un
compito facile. Izaya si piazzò a un lato del letto, facendo
passare le braccia
sotto le ginocchia del biondo e dietro la sua schiena per cercare di
spostarlo
più in basso, ma ogni volta che ci provava il biondo
rotolava verso l’altra
parte del materasso, rendendogli impossibile muoverlo. Aveva bisogno di
sollevarlo mentre era dritto, in modo da non dover reggere il suo
pesò, così
guardò il ragazzo addormentato e sperò
intensamente che non si svegliasse. Salì
in piedi sul materasso, spiegazzando le coperte con i piedi, e si
chinò,
provando di nuovo da quella nuova posizione, ma scoprì di
essere troppo lontano
per riuscire ad avere una presa solida. Sospirò e si chiese
se fosse il caso di
adottare “fanculo” come
suo nuovo
mantra, prima di realizzare che quella probabilmente non era la cosa
migliore
da dire mentre si trovava inginocchiato sullo stomaco di
un’altra persona. Mise
una mano dietro ai reni di Shizuo e l’altra tra le scapole,
sussultando per il
peso che ora gravava sul suo fianco ferito, ma determinato a non
pensare a come
si sarebbe evoluta la situazione se Shizuo fosse stato sveglio.
Immaginò quegli
occhi intensi che lo guardavano, quelle mani rudi di nuovo sui suoi
capelli e
attorno ai suoi fianchi, che lo attiravano verso di lui…
A
quel punto
Izaya spinse un po’ troppo forte e la nuca del biondo
scivolò contro la
testiera del letto, per poi rimbalzare sul materasso.
L’informatore raggelò,
spostando lo sguardo sullo spiraglio d’ambra che ora si
intravedeva tra le
ciglia scure.
«Izaya…
che stai
facendo?»
«Io,
beh,
dovevo andare al lavoro, quindi mi sono alzato, poi però,
beh, tu sembravi
scomodo, quindi stavo cercando di spostarti, ma continuavi a scivolare
e io…
ecco.»
Era
sconvolto. Gli sembrava di cadere a pezzi davanti a quegli occhi caldi.
E lui
non era mai sconvolto.
Dannazione,
Shizu-chan.
«Oh»
rispose
Shizuo «Grazie.»
Izaya
si
ricordò di essere praticamente accovacciato su di lui, a
pochi centimetri dal
suo viso, e si raddrizzò. Realizzò troppo tardi
di esserglisi seduto in grembo,
ma tentò comunque di sembrare disinvolto, combattendo il
rossore che gli stava
salendo sulle guance. Non c’era un modo non imbarazzante di
uscire da quella
situazione, però stare seduto in braccio a Shizuo era di
certo l’opzione
peggiore – e allora perché non si era ancora
spostato? Per quanto si sforzasse
di pensare, non riusciva a concludere nulla. Chinò la testa
all’indietro e
chiuse gli occhi, mentre si liberava della tensione scaricando il peso
del suo
corpo su Shizuo. Si lasciò sfuggire un sospiro di
esasperazione e lanciò
un’occhiata al ragazzo, decidendo che quella era stata la
decisione peggiore
della sua intera vita. Gli occhi del biondo erano luminosi,
c’era un bagliore
da cui l’informatore non riusciva a distogliere lo guardo;
aveva ancora i capelli
scarmigliati, che gli ricadevano di fronte al viso in un modo che
alcuni
parrucchieri avrebbero pagato oro per ricreare; aveva la bocca
leggermente
aperta, e respirava piano.
Prima
di
sapere cosa stesse facendo, la mano di Izaya si infilò tra i
capelli di Shizuo,
scendendo fino alla mascella per tracciare il contorno delle sue labbra
socchiuse. Il biondo cercò di sedersi, avvolgendo le braccia
attorno ai suoi
fianchi per avvicinarsi a lui il più possibile. Le loro
fronti si sfiorarono e
l’informatore avrebbe potuto rievocare ogni singola volta che
erano stati così
vicini, però pieni di rabbia piuttosto che di lussuria. Si
baciarono, e Izaya
trattenne un gemito quando sentì la lingua di Shizuo
sfiorargli il labbro
inferiore, e i suoi denti che lo mordicchiavano leggermente. Le mani
del biondo
scivolarono sotto la sua maglietta e le sue dita callose gli mandarono
brividi
per tutto il corpo. Sia la mano che le labbra se ne andarono
decisamente troppo
presto, e un Izaya un po’ eccitato si ritrovò a
sbirciare attraverso le ciglia
per scoprire cosa fosse successo. Shizuo si era steso di nuovo, con le
braccia
incrociate sotto la testa e le guance in fiamme. Tuttavia stava
guardando verso
di lui e non sembrava imbarazzato, nonostante Izaya si sentisse sempre
più
indignato.
«Hai
detto
che devi andare al lavoro» spiegò, alzando le
spalle «Non voglio farti arrivare
tardi.»
«Ma
se sono
un libero professionista! Io lavoro per me stesso»
piagnucolò lui, mentre il
suo corpo protestava a gran voce per l’interruzione del
contatto.
«Mi
hai
raccontato fin troppi aneddoti sulla tua segretaria pazza. Non ho
nessuna
intenzione di inimicarmela» lo prese in giro Shizuo, roteando
gli occhi di
fronte all’occhiata di biasimo che gli lanciò
l’altro ragazzo. Izaya crollò sul
petto di Shizuo, appoggiando il mento sulle sue dita incrociate sul
costato, e
un’espressione petulante si fece strada sul suo viso.
«Avanti,
fuori di qui» aggiunse Shizuo, divertito, facendogli cenno di
andarsene prima
di prendergli il viso tra le mani e chinarsi per baciarlo sul naso.
Izaya piegò
la testa all’indietro e catturò la bocca del
biondo per spingere le labbra
sulle sue. Un paio di braccia si avvolsero attorno alle sue cosce, e il
ragazzo
all’inizio si rallegrò, prima di sentirsi
sollevare dal letto; allora attorcigliò
le gambe attorno a Shizuo, rifiutandosi di scendere per continuare a
baciarlo.
Il biondo lo trasportò fino alla finestra, spingendolo
contro il muro, e
approfondì il bacio per un momento, prima di interromperlo.
«Se
non te
ne vai, sarò costretto a buttarti fuori dalla finestra io
stesso» lo avvertì.
Izaya si sorprese ancora una volta della mancanza di veleno nelle sue
parole.
Era proprio quella voce roca e scherzosa a fargli venire voglia
di….
Il
ragazzo
sbuffò la sua frustrazione con un ringhio.
«E
allora
mettimi giù, razza di protozoo.»
Dio
pensò Quand’è
che è diventato un nomignolo affettuoso?
Shizuo
lo
assecondò, sorridendo con quel suo stupefacente sorriso
non-omicida, e Izaya
cominciò ad arrampicarsi fuori dalla finestra. Quando
entrambe le sue gambe
furono fuori, appoggiate a un cornicione sotto i suoi piedi,
sentì una mano che
gli sfiorava i capelli, e si girò per salutare. Le sue
parole vennero troncate
sul nascere dalla bocca di Shizuo sulla sua. Il bacio era casto, ma
Izaya ne fu
riconoscente, dato che si trovava a svariati metri di altezza.
La
mano del
biondo scivolò lungo la sua mascella con un sorriso che gli
incurvava le
labbra, e Izaya si stupì di non averlo mai visto in quel
modo. Era… felice.
«Ciao»
disse
Shizuo, allontanando la mano dal viso di Izaya. Qualcosa si
attorcigliò nello
stomaco dell’informatore, e il ragazzo sentì
l’irrefrenabile impulso di
sporgersi in avanti e riprendersi quella mano, stringerla fino
impossessarsi di
tutto il suo calore. Digrignò i denti e cercò di
riacquistare il controllo di
sé.
«A
dopo,
Shizu-chan» e dopodiché si calò
giù dall’edifico, sforzandosi di impedire alle
sue paranoie di sfondare il muro mentale con cui le aveva finora
bloccate.
Aveva bisogno di non pensare a quanto la sua già ambigua
relazione con Shizuo
si fosse trasformata in coccole e baci e altre tipiche dimostrazioni di
affetto. Già era stato strano parlargli senza tentare di
ucciderlo o farlo
arrabbiare, ma adesso cosa provava per il biondo? Simpatia?
Fanculo,
pensò, scompigliandosi i
capelli Sono troppo giovane per queste
stronzate da crisi di mezza età.
Izaya
raggiunse il marciapiede e cominciò a camminare verso la
stazione, così perso
nei suoi pensieri da non notare il dottore occhialuto e la motociclista
vestita
di nero che lo fissavano dall’altra parte della strada.
EXTRA:
«Okay,
me ne è venuta in mente una davvero buona.»
Shizuo
per tutta risposta sospirò, roteando gli occhi di fronte a
quell’Izaya sovraeccitato che sedeva sul bordo del suo letto.
«No,
Izaya, arrenditi. Non sei capace.»
Il
ragazzo gli diede un calcetto e tirò fuori la lingua.
«Per
favore, Shizu-chan, questa qui è fantastica, te lo
assicuro»
insisté, sbattendo le ciglia. I due avevano passato
l’ultima mezz’ora seduti
l’uno davanti all’altro, mentre Izaya sciorinava
una lunga lista di terribili
barzellette toc toc, fermandosi solo per ridere istericamente alle sue
stesse
battute. Beh, qualcuno doveva pur farlo.
«E
va bene, basta che la smetti di fare quell’espressione
idiota.
Avanti, spara.»
Izaya
gli elargì un gran sorriso, e un luccichio nei suoi gli
occhi lo
spinse a chiedersi se arrendersi fosse stata una buona idea.
«Grande!
Okay, comincia tu.»
«Toc
toc.»
«Chi
è?»
Shizuo
si immobilizzò, interdetto, restando con la bocca
leggermente
aperta. Non è così che dovrebbe andare,
pensò, perplesso. La sua
confusione venne presto interrotta da Izaya, che stava quasi soffocando
dal
ridere, mentre si reggeva i fianchi con le mani. Poi Shizuo ci
arrivò.
Ma
tu guarda
che idiota.
Nel
prossimo
capitolo:
Shizuo riceve una visita da Celty
e Shinra e Izaya riceve consigli di cuore da Namie.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
capitolo 6
Note della traduttrice:
Zan zan zaaaaaan - progressi! Personalmente mi piace molto questo
capitolo, nonostante il fluff ci saluti da lontano sventolando un
fazzoletto bianco (ci mancherai, Fluff-chan) perché Izaya
è pure più sfigato del solito. Ricordo che dopo
questo resteranno solo due capitoli, quindi siamo in dirittura
d'arrivo! <3
Capitolo
8
Shizuo
ebbe
a disposizione meno di dieci minuti per riflettere sulla strana piega
che aveva
preso la sua vita sentimentale. Non poteva essere sicuro di aver
già avuto una
relazione, ma aveva il vago sospetto che lui e Izaya non fossero stati
solo
amici, prima della sua perdita di memoria. Nonostante ciò
aveva deciso che,
proprio come aveva detto Izaya, non importava: non poteva cercare di
ricostruire il passato, poteva solo decidere cosa sarebbero stati in
futuro.
L’appuntamento della sera precedente era stato un successo,
se si escludeva l’intromissione
di quei teppisti; sebbene non si fosse ancora perdonato
l’incidente con la
panchina, involontario ma potenzialmente fatale, almeno non aveva
più paura di ferire
Izaya. Lo aveva visto scalare muri e saltare giù da un
palazzo, e di certo non
aveva bisogno di qualcuno che lo proteggesse. Non che Shizuo non ci
avrebbe
provato, se si fosse presentata l’occasione di farlo: gli
piaceva l’idea che la
sua forza sovraumana potesse essere usata per proteggere qualcuno che
amava, piuttosto
che finalizzarla alla distruzione.
In
quel
momento i suoi pensieri subirono una brusca svolta. Qualcuno
che amava. Aveva scelto quelle parole senza esitare, senza
nemmeno pensarci, ma era davvero così che si sentiva?
Immaginava che fosse
difficile etichettare quei sentimenti, dato che non aveva niente con
cui
confrontarli; certo, gli importava di Izaya, la sua presenza lo rendeva
felice,
e sentirsi addosso il calore del suo corpo era dannatamente bello, in
un modo
che non capiva a pieno. Probabilmente però era troppo presto
per tirare fuori
parole come amore: gli piaceva e
basta. Un sacco.
Gli
strani
percorsi intrapresi dai suoi pensieri vennero interrotti dalla porta
che si
spalancava all’improvviso, appena prima che Celty entrasse di
corsa nella
stanza; sembrava irrequieta, ma era difficile esserne sicuri, dato che
non
aveva una testa. Era venuta a trovarlo un paio di volte, e il suo
compagno
Shinra (o, come lo chiamava Shizuo, il
quattrocchi pazzo) l’aveva accompagnata per la
maggior parte delle sue
visite, borbottando qualcosa a proposito di come non poteva lasciare la
propria
fidanzata da sola con un uomo dagli addominali scolpiti. Gli aveva
anche fatto
un mucchio di domande idiote, come quante ossa pensava di riuscire a
rompere
usando solo il mignolo. La motociclista però sembrava
simpatica, a parte lo
shock iniziale dovuto alla spiegazione del perché non poteva
parlare; ben
presto Shizuo si era reso conto di non poterne farne un problema, dato
che lui
era sopravvissuto a un incidente ferroviario, ma aveva comunque deciso
che non
avere una testa era di certo parecchi livelli al di sopra della sua
resistenza
sovraumana. Andava
abbastanza d’accordo
con la Dullahan, che di certo era più tranquilla –
e stranamente più umana –
del suo partner che umano lo era per davvero.
Celty
rimase
a fissarlo per un po’, senza fare altro, prima di rilassarsi
un po’ e
cominciare a digitare qualcosa sul suo palmare. Mentre finiva di
comporre il
messaggio arrivò Shinra, ansimando e appoggiandosi alle
ginocchia con un pathos
esagerato.
«Celty?
Psico-Shinra? State bene?» chiese Shizuo, guardando la
motociclista scrivere
una risposta.
[Se
stiamo bene noi? E che mi dici di te?]
«Oh,
io sto
bene. Il mio corpo è completamente guarito, sono ancora qui
solo perché ci
potrebbe essere il rischio di qualche complicazione o cose del
genere.»
[Non
intendevo quello! L’ho appena visto
mentre se ne andava. Pensavo che fosse venuto qui.]
«Chi,
Izaya?» domandò Shizuo, dato che non aveva visto
nessun’altro quel giorno, però
gli sfuggiva il motivo per cui non sarebbe dovuto stare bene.
[Sì! Se
devo essere sincera, mi aspettavo più sangue. E qualche
mobile distrutto.]
Adesso
era
davvero a disagio. Sentiva che c’era qualcosa che loro due
sapevano, e che a
lui invece sfuggiva.
«Perché
avrebbe dovuto esserci del sangue?» chiese, quasi
più a se stesso che a Celty,
ma rimase relativamente calmo «Era solo Izaya.»
La
Dullahan
raggelò, e allungò il braccio verso di lui mentre
gli porgeva di nuovo il
palmare.
[Non
sembrava ferito. Non ero nemmeno sicura
che fossi ancora vivo.]
Shizuo
si limitò
a fissare il messaggio. Che cazzo succede?
Davvero non riusciva a capire cosa avrebbe dovuto significare; stavano
parlando
della stessa persona? Izaya non lo avrebbe mai messo in pericolo, Izaya
rideva
con lui, lo coccolava, lo baciava, non c’era violenza nella
loro relazione.
Sentì un peso gelido posizionarsi nel suo stomaco.
«Si
può
sapere cosa intendi?» domandò, e la sua rabbia
iniziò a emergere. Celty e
Shinra si scambiarono uno sguardo pieno di significato e Shizuo
cominciò a
trovare difficile restare calmo; odiava la sensazione che tutti in
quella
stanza sapessero qualcosa che lui ignorava.
«Che
c’è?»
chiese ancora. Era arrabbiato, ma dannazione, aveva tutto il diritto di
esserlo.
[Shizuo,
ma tu ti ricordi di Izaya?]
«No.
Eravamo
amici, e io ho dimenticato tutti i miei amici, ne avevamo
già parlato.»
Shinra
sembrò sul punto di ridere e il biondo fu davvero tentato di
fare in modo che
non fosse più in grado di emettere un suono, ma il dottore
era anche
impallidito e le sue sopracciglia erano corrugate in
un’espressione confusa.
Celty continuò a digitare, cancellare e poi riscrivere
qualcosa, prima di
mostrare finalmente lo schermo. Il biondo quasi desiderò che
non lo avesse mai
fatto.
[Non
eravate amici, Shizuo. Vi siete
conosciuti al liceo e avete passato buona parte degli ultimi otto anni
a
cercare di uccidervi a vicenda.]
[Quando
vi incontrate non fate altro che
insultarvi prima di cominciare a pestarvi. Ogni volta. Non so che gioco
stia
giocando con te, ma dovresti sapere che ti odia più di
qualsiasi altra cosa.]
[È
un informatore della malavita, lavora per
l’Awakusu-kai.]
[Ha
pagato dei criminali per tormentarti, ti
ha incastrato per omicidio, e… non so come dirtelo.]
[È
stato Izaya a causare il tuo incidente con
il treno]
Shizuo
rimase lì seduto per lungo tempo, incapace di dire qualsiasi
cosa. Non riusciva
a far collidere l’immagine di questo Izaya di cui parlava
Celty con quella che
conosceva lui. Una voce nella sua testa urlava che non poteva essere
vero, che
quei momenti vissuti insiemi erano reali, ma un’altra parte
di lui sussurrava
che “magari è solo bravo
a mentire”.
“Ti
odia più di qualsiasi altra cosa”
Shizuò
sentì
il proprio respiro accelerare e poi bloccarsi nella gola; non riusciva
a
respirare bene, riusciva solo a pensare a Izaya che sorrideva, che lo
guardava
negli occhi, a quando gli piaceva stringerlo a sé, al modo
in cui tremava ogni
volta che si baciavano.
«Sei…
sicura?» balbettò, sapendo di sembrare disperato,
ma senza curarsene. Celty
parve preoccupata dalla sua reazione, dato che evidentemente non si era
aspettata di ferirlo così tanto. Shinra, invece, ne era del
tutto ignaro.
«Ma
certo,
lo sanno tutti!» disse, un po’ troppo allegro. Se
Shizuo non fosse stato nel
bel mezzo di una crisi esistenziale, probabilmente gli avrebbe dato un
pugno.
Il biondo voleva dubitare delle loro parole, voleva davvero che si
fossero
sbagliati, ma quanti altri Izaya potevano essere passati vicino
all’ospedale
nel momento esatto in cui erano arrivati lì?
«Cazzo»
mormorò, premendosi una mano contro la fronte mentre ancora
respirava a
malapena «Cazzo, cazzo, cazzo.»
Shizuo
sapeva che Izaya gli aveva mentito, sapeva di essere stato manipolato
dalla
persona a cui teneva di più, e non c’era
nessun’altra spiegazione possibile.
Izaya aveva capito che era vulnerabile e ne aveva approfittato per
trarre
vantaggio dalla situazione: era stato solo un ingegnoso piano per
umiliarlo.
Cosa aveva intenzione di fare? Scoparlo e abbandonarlo? Farsi rivelare
tutti i suoi segreti e poi minacciarlo? Indurlo a una
falsa sensazione di sicurezza prima di attaccarlo alle spalle? Il suo
lavoro
era vendere informazioni che servivano a uccidere persone, e Shizuo non
pensava
che ci fosse qualcosa che non fosse disposto a fare.
Respirava
a
fatica e a intervalli brevi; provò a calmarsi, ma gli
sembrava che il petto gli
si stesse contraendo attorno ai polmoni. A occhi spalancati
ricambiò lo sguardo
degli altri due nella stanza. Sentiva Shinra dirgli di respirare
lentamente. Come se fosse facile, idiota.
Le luci
diventarono più luminose e serrò le palpebre,
desiderando di poter chiudere
fuori il rumore altrettanto facilmente. Aveva le vertigini e gli
tremavano le
dita, il suo intero corpo si era disconnesso dalla mente. Tentava di
calmarsi,
ma senza risultati: i polmoni gridavano per avere altro ossigeno. Stava
per
morire, lo sapeva. Si accorse a malapena che gli occhi gli si erano
inumiditi,
e provò a concentrarsi sulle lacrime che scivolavano lungo
la sua pelle.
Respirare ora era più facile, e il suo petto si
rilassò leggermente, mentre
arrivava il sollievo per il passato pericolo.
Ci
vollero
un paio di minuti prima che Shizuo potesse aprire le palpebre. Il
respiro ora
era regolare, ma si sentiva esausto: tutta la sua energia era stata
completamente prosciugata. Lanciò un’occhiata allo
schermo che Celty teneva
sollevato davanti a lui, tenendosi lontana per lasciargli il suo spazio.
[Stai
bene? Non pensavo che quella notizia ti
avrebbe sconvolto tanto.]
[Mi
dispiace.]
Shizuo
rispose con un’alzata di spalle. Non era colpa sua, ma non
gli andava di
parlarne, quindi spero che quella replica non verbale
l’avrebbe convinta a
lasciar cadere l’argomento. Vide che Shinra lo stava
guardando con
un’espressione interessata, senza tracce di empatia o
rammarico.
Maledetto
quattrocchi pazzo.
«Ti
è mai
successa una cosa del genere?» domandò, e Shizuo
scosse la testa, sperando che
non gli sarebbe ricapitato mai più «Interessante.
Hai appena avuto un attacco
di panico.»
«E
perché
sarebbe “interessante”?»
domandò il biondo, ma il veleno di cui aveva infuso la
sua voce passò del tutto inosservato.
«La
tua
reazione standard, quando non riesci ad affrontare emotivamente una
certa
situazione, è la rabbia. Eppure» si interruppe,
forse caricare le sue parole di
un effetto drammatico, e Shizuo pensò che il dottore doveva
ringraziare la sua
mancanza di energia se gli permetteva di comportarsi in modo
così dannatamente
egocentrico «Eppure adesso hai mostrato una reazione
completamente diversa! E
questo significa che-»
Ma
il biondo
non seppe mai cosa significava, perché Shinra venne
prontamente zittito da
molteplici gomitate di Celty. La motociclista doveva aver pensato che
qualcosa
di quella spiegazione avrebbe potuto infastidirlo.
[Sembri
stanco, dovresti provare a dormire un
po’. Noi adesso ce ne andiamo, ma torneremo a trovarti
presto, d’accordo?]
Shizuo
sorrise, perché la Dullahan sembrava davvero preoccupata per
lui e apprezzava
lo sforzo che stava facendo.
«Grazie»
rispose, aspettando che se ne andassero prima di seppellire la testa
nel
cuscino e tentare di dormire. L’attacco di panico era stato
orribile e sebbene
sperasse di non dover mai più provare una cosa simile,
almeno la stanchezza che
ne derivava aveva smorzato i suoi pensieri fino a renderli quasi
sopportabili.
C’erano un sacco di cose che non sapeva e c’erano
un sacco di cose di cui
avrebbe dovuto decidere come occuparsi, ma in quel momento aveva solo
bisogno
di dormire.
***
Izaya
era
seduto alla sua scrivania, fingendo di leggere uno dei vari fogli di
carta che
la ricoprivano. Non era riuscito a smettere di pensare a Shizuo da
quando se
n’era andato dall’ospedale, e
quell’ossessione lo stava solo confondendo ancora
di più – e lo stava anche un po’
eccitando. Quando era vicino a Shizuo si
sentiva diverso; diavolo, anche quando pensava
a Shizuo si sentiva diverso. Il biondo lo faceva infuriare, ma non come
una
volta: adesso era la sua assenza a infastidirlo, non la sua presenza.
L’unico
termine di paragone che era riuscito a trovare per quella sensazione
che provava
quando stavano insieme, era la soddisfazione di aver scoperto
un’informazione
particolarmente interessante.
Dio,
aveva
bisogno di aiuto.
Il
ragazzo
si chiese con cui avrebbe potuto parlare. Shinra? Non gli piaceva
l’idea di una
lezione sul rapporto che il dottore aveva con Celty, e
d’altra parte la
motociclista non sembrava averlo particolarmente in simpatia.
Però avrebbe
potuto parlare con…
«Per
quanto
tempo hai intenzione di continuare a fingere di leggere?»
chiese Namie, in
piedi di fronte alla scrivania. Sembrava piuttosto arrabbiata, o forse
era solo
annoiata, Izaya non era in grado di dirlo.
«Finché
non
avrò risolto i miei problemi di cuore» rispose,
sapendo che la segretaria
l’avrebbe presa per una battuta. Effettivamente la donna
sbuffò e l’informatore
intravide un lampo di disgusto nel suo sguardo.
«Immaginarti
in una relazione è ridicolo. E ripugnante.»
Izaya
si congratulò
con se stesso per essersi accorto dell’espressione nauseata
che per un attimo
aveva solcato il viso della donna. Non si era offeso, dato che la
pensava allo
stesso modo, ma si mostrò comunque ferito.
«Sai,
Namie,
anche le parole fanno male.»
Lei
roteò
gli occhi e Izaya realizzò che quella era la sua occasione:
finché Namie
pensava che stesse scherzando, avrebbe potuto dirle quello che aveva
bisogno di
confessare a qualcuno. A voler essere sinceri nessuno sano di mente le
avrebbe
chiesto consigli di cuore, ma lui non aveva così tante
opzioni tra cui
scegliere.
«Dovresti
essere più comprensiva» cominciò,
selezionando attentamente le parole «Sei
un’esperta di amori proibiti, in fondo.»
Lei
strinse
gli occhi e il suo viso si indurì.
«Non
paragonare il mio amore per Seiji alle tue… perversioni.»
«Capisci
di
essere fottuto quando la donna innamorata di suo fratello ti chiama
pervertito»
commentò Izaya, guadagnandosi una botta in testa con una
pila di fogli
arrotolati. Tuttavia la segretaria non se ne andò, quindi
l’informatore
presuppose di poter continuare «Non sono del tutto senza
cuore, sai? C’è una
persona che mi fa provare lo stesso brivido che mi provoca il rovinare
la vita degli
altri. E ci riesce senza fare niente, solo stando vicino a
me.»
«Che
cosa
romantica» rispose lei, asciutta, ma ora era chiaramente
interessata. Izaya
sperava solo che non fosse troppo
interessata; non aveva certo l’intenzione di ritornare
sull’argomento, una
volta risolta la questione «A quanto pare per gli strambi
è iniziata la
stagione degli amori» continuò, e
l’informatore riuscì a percepire dalla sua
voce quanto fosse soddisfatta di quella battuta.
«E
questo
cosa dovrebbe significare?» domandò. Stava
abboccando al suo amo, ma diavolo,
aveva fatto di peggio – baciare il suo peggior nemico, per
esempio.
«Heiwajima-san»
disse semplicemente lei, fermandosi per una pausa drammatica. Izaya
percepì le
proprie interiora contorcersi a quel nome e dovette ricomporsi per
assicurarsi
che la sua segretaria non capisse cosa gli stava passando per la testa.
«E
lui cosa
c’entra?»
«Davvero
non
lo sai? A quanto pare sei un informatore disinformato»
ribatté la donna, sospettosa,
ma Izaya la ignorò, troppo curioso di quello che aveva da
dire. Capendo che non
avrebbe replicato alla sua provocazione, la segretaria
continuò «Sembra che il
tuo protozoo abbia un fidanzato.»
«Un
fidanzato?» Izaya sentì uno spasimo di gelosia,
prima di realizzare che Namie stava
parlando di lui.
«È
tutto sul
forum dei Dollars. Qualcuno ha scritto di aver visto Heiwajima-san
proteggere
un ragazzo da una gang che li ha attaccati ieri sera. A quanto pare
l’ha quasi
ucciso e poi ha addirittura pianto,
mentre il fidanzato lo abbracciava. Personalmente credo che sarebbe
stata una
storia migliore, se l’avesse ucciso sul serio.»
Un
luccichio
sinistro negli occhi di Namie preoccupò Izaya, dato che da
quello sguardo non
veniva mai fuori nulla di buono, ma poi la donna si avviò
verso la sua
scrivania, e il ragazzo presuppose di essersi sbagliato.
Però all’improvviso la
sua segretaria si girò di nuovo verso di lui, con un piccolo
sorriso stampato sulle
labbra.
«A
proposito… dov’è che eri tu,
ieri
sera?»
Nel
prossimo capitolo:
L’espressione di Shizuo era molto
simile a
quelle che gli rivolgeva una volta, piene di furia e di violenza, ma
stavolta
c’era qualcosa di più, che Izaya pensò
potesse essere dolore. Sul suo volto era
impressa la sofferenza del tradimento.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
capitolo 6
Note della traduttrice:
Ed eccoci al penultimo capitolo! Che emozione <3 Prima di
lasciarvi alla lettura mi prendo due righe per avvisare che la
traduzione è già finita e sto dando un'occhiata
in giro per vedere se trovo qualcosa di carino da tradurre (pensavo
a april
23rd ma mi frena molto il fatto che sia ancora in corso ;_;).
Ho anche chiesto il permesso per After the
story Era ma non ho molte speranze dato che l'autrice sembra
sparita (ed è un peccato perché la storia merita
verament tanto). Se qualcuno avesse qualche consiglio (su Durarara!!,
ma anche Haikyuu!!, Free!! o Shingeki no Kyojin sono bene accetti XD)
sono aperta ai suggerimenti <3
Capitolo 9
Izaya
si
stava recando in ospedale alla solita ora, ancora sotto shock per come
la sua
segretaria l’aveva fregato. Namie sospettava qualcosa
già prima di parlare con
lui, e si era assicurata di scoprire se le sue teorie fossero fondate o
meno.
Il ragazzo sapeva di non correre rischi, perché la donna non
era stupida (era
lui a essere in vantaggio, se si parlava di informazioni
compromettenti), ma lo
infastidiva non essersi accorto di quello che Namie aveva cercato di
fare.
Aveva sviluppato quello che a tutti gli effetti poteva definirsi un
punto
debole – un punto debole dagli occhi ambrati e alto un metro
e ottanta, per
essere precisi. Non appena Shizuo arrivò tra i suoi
pensieri, tuttavia, Izaya
si dimenticò completamente di essere irritato e
cominciò a chiedersi se andare
a trovarlo di nuovo fosse una buona idea. In fondo c’era
già stato quella
mattina, e forse una seconda visita era un po’
troppo… però ormai la decisione
era stata presa, dato che stava già scalando il muro
dell’ospedale.
La
prima
cosa che notò quando raggiunse il settimo piano fu che la
finestra era chiusa.
Era la prima volta che non la trovava aperta, da quando era arrivato
con un
taglio da ricucire sul fianco, e quel particolare gli
provocò una strana
sensazione allo stomaco, come se fosse stato riempito d’acqua
gelida. Anche le
tende erano tirate, quindi non poté controllare se il biondo
fosse ancora nella
stanza. Fece scivolare il coltello lungo la fessura, e quando la lama
urtò
contro un lucchetto Izaya sentì un’inspiegabile
stretta al petto; in quel
momento fu tentato di rompere il vetro e passare da lì, ma
si calmò abbastanza
da arrivare alla conclusione che squarciarsi una mano e farsi arrestare
non erano
idee poi così geniali. Si guardò intorno, alla
ricerca di un’entrata
alternativa, e allo stesso tempo cercò di stabilizzare il
proprio respiro. Una
finestra a pochi metri di distanza era aperta, e quando se ne accorse
vi si
diresse subito, sperando che la stanza fosse vuota; sentì
una fitta al cuore
quando sbirciò dal cornicione e vide una bambina, al massimo
di dodici anni,
stesa sul letto. Dato che non si muoveva, immaginò che fosse
addormentata, o in
coma, o magari morta, ma sinceramente non gli interessava:
finché era
incosciente, non si sarebbe accorta di lui.
Izaya
si
mosse velocemente, senza dare al suo buon senso l’occasione
di rimproverarlo, e
abbastanza in fratta da evitare che qualcuno entrasse mentre era ancora
lì
dentro. La porta era leggermente aperta e controllò da uno
spiraglio che in
giro non ci fosse nessuno, prima di dirigersi verso la stanza di
Shizuo. Fu
sollevato dallo scoprire che c’era ancora il suo nome
stampato sull’etichetta della
porta, e l’aprì senza darsi il tempo di chiedersi
perché, se il biondo era lì,
la finestra era chiusa a chiave con un lucchetto. Quando
entrò la risposta
giunse da sola.
L’espressione
di Shizuo era molto simile a quelle che gli rivolgeva una volta, piene
di furia
e di violenza, ma stavolta c’era qualcosa di più,
che Izaya giudicò essere
dolore. Sul suo volto era impressa la sofferenza del tradimento.
L’informatore
fu tentato di andarsene di nuovo, eppure non riuscì a
costringere il suo corpo
a muoversi. Sapeva che stava per succedere, era inevitabile, ma era a
malapena
in grado di pensare. Sapeva solo che avrebbe dovuto dire qualcosa,
rompere quel
disgustoso silenzio che continuava ad allargarsi attorno a loro.
«Shizu-»
«Il
messaggio non era abbastanza chiaro?» lo interruppe il
biondo. Sembrava
tranquillo e la sua voce era impassibile, ma Izaya intuì che
si trattava solo
di una messinscena. Avrebbe di gran lunga preferito che gli avesse
urlato
contro.
«Vattene,
Izaya.»
«Aspetta,
lascia che-» il ragazzo non aveva idea di come continuare, ma
aveva bisogno di
dire qualcosa, qualsiasi cosa. Una
voce nella sua testa stava ridendo di lui.
Beh,
immagino che tu abbia ottenuto quello
che volevi. Adesso sì che ti odia.
Shizuo
lo
interruppe di nuovo.
«Preferisci
spiegarti?» domandò, sprezzante. Ora si era alzato
in piedi e avanzava verso di
lui in un modo fin troppo familiare, urtandogli la fronte con la sua
come una
sorta di avvertimento. Lo stomaco di Izaya si contorse dolorosamente;
stava
diventando impossibile per lui ricomporsi, e quando cercò di
nuovo di muovere
le labbra non uscì alcun suono. Gli angoli dei suoi occhi
cominciarono a
bruciare.
«Non
puoi?»
chiese il biondo, con una nota d’isteria nella voce che Izaya
non gli aveva mai
sentito «Non sai spiegare perché mi hai
mentito?»
Shizuo
stava
perdendo il controllo: non riusciva a tenersi dentro il dolore che lo
stava
facendo a pezzi. Da quando aveva dimenticato il suo passato aveva avuto
solo una
certezza nella vita, solo una persona che riusciva a renderlo felice, a
fargli
dimenticare quello che aveva perso, e ora scopriva che non aveva fatto
altro
che mentire. Ringhiò, colpendo il muro vicino a loro con un
pugno, e una
pioggia di detriti coprì di polvere i loro piedi. Dentro di
lui combattevano
due istinti, uno che voleva fargli gettare Izaya fuori dalla finestra,
e un
altro che non sarebbe mai riuscito a ferire la persona che per lui
contava di
più. Non importava che i sentimenti di Izaya non fossero
reali: i suoi lo erano
ancora.
«Puoi
smetterla con la tua messinscena, perciò dimmi quello che
vuoi e vattene. Avanti,
gongola pure… non era questo il tuo obiettivo? Mi odi, vuoi
farmi soffrire, no?
Beh, buon per te, ce l’hai fatta. Congratulazioni. Ora
vattene di qui» sibilò,
spingendo Izaya verso la finestra «Sparisci
dalla mia vista, maledetto bugiardo.»
L’informatore
obbedì, tornando verso la finestra. Le mani gli tremavano
mentre tirava le
tende, e non riusciva nemmeno a vedere il lucchetto tra le lacrime che
gli
sgorgavano dagli occhi e gli rigavano le guance. Lui non piangeva mai, cazzo, perché gli importava
così tanto
di quello che pensava Shizuo? Si arrampicò, pronto ad
andarsene, ma prima si
girò di nuovo verso il biondo; lo vide che tremava da capo a
piedi, con la
mascella così contratta da far risaltare i tendini del
collo. Piangeva,
asciugandosi rabbiosamente gli occhi arrossati.
«È
stupido,
vero?» gracchiò, e l’amarezza della sua
voce non era niente in confronto al
dolore che la permeava, mentre camminava verso di lui «Dopo
tutto quello che mi
hai fatto…» i suoi occhi ambrati incontrarono
quelli di Izaya e all’informatore
si bloccò il fiato in gola; era ancora chinato in avanti,
già mezzo fuori dalla
finestra, e le dita grattavano sull’orlo del cornicione
«… mi mancherai lo
stesso.»
Il
cervello
di Izaya si spense del tutto. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del
genere,
a parte le persone che aveva manipolato per spingerle ad affezionarsi a
lui,
nemmeno i suoi familiari. Eppure Shizuo, nonostante sapesse cosa aveva
fatto, nonostante
pensasse che fossero state solo bugie, provava ancora qualcosa per lui.
Qualcosa che non era rabbia. Gli era piaciuto passare del tempo con
lui,
avrebbe voluto continuare a vederlo, gli importava
di lui. E Izaya aveva rovinato tutto. Era stata una relazione
fallimentare fin
dal principio, non c’era mai stata nemmeno una singola
possibilità che sarebbe
finita bene, eppure aveva continuato a provarci, aveva sperato…
era stato irrazionale. Quello che provava per Shizuo era
irrazionale, non seguiva ragione o regole, ma questo non
l’aveva fermato.
Le
dita con
cui stringeva il davanzale scivolarono, e quasi non si accorse di star
cadendo
dalla finestra finché non sentì qualcuno chiamare
il suo nome. Guardò in su e
vide di nuovo quegli occhi ambrati.
Shizuo
non
ebbe il tempo di metabolizzare quello che era successo, agì
e basta. Non era
abbastanza vicino a Izaya da impedirgli di cadere, ma dannazione, non
lo
avrebbe lasciato morire; si lanciò fuori dalla finestra,
spingendosi verso il
basso senza nemmeno darsi il tempo di pensare. Izaya aveva meno di un
secondo
di vantaggio, e Shizuo lo raggiunse dandosi una spinta con i piedi,
aumentando
la velocità grazie al calcio che sferrò al
davanzale. Una volta che fu
abbastanza vicino lo abbracciò e se lo strinse
protettivamente al petto. Il
vento li circondò, colpendoli con la forza di una frusta, e
Izaya strinse le
braccia attorno alla sua schiena, mentre Shizuo gli premeva le labbra
contro la
nuca, cercando di sistemarsi in modo da trovarsi sotto di lui al
momento
dell’impatto. I pochi secondi precedenti alla collisione con
il terreno non
rallentarono come nei film, anzi, sembrarono quasi accelerare. Shizuo
sentì le
ossa rompersi e la sua testa sbatté contro il cordolo della
strada. Perse
immediatamente conoscenza.
Eppure
riusciva ancora a sentire qualcuno: era una voce familiare che lo stava
chiamando. All’inizio era scherzosa e aveva un ritmo
cantilenante: “Shizu-chan, Shi
– zu – cha – an!”.
Ben
presto però il tono cambiò; era ancora acuto e
melodioso, ma con una traccia di
insicurezza, magari anche preoccupazione. Una mano si posò
sulla sua spalla.
«Shizu-chan?»
Qualcuno
lo
scosse un po’, prima di spostargli i capelli dal viso. La
voce ora sembrava in
preda al panico.
«Shizuo?
Cazzo. Shizuo? Rispondimi, stupido
scimmione!
Shizuo, per favore?»
Il
ragazzo
si sentì sollevare dal pavimento mentre la persona accanto a
lui avviava una
telefonata.
«Alla
stazione… sì, è stato colpito da un
treno… Mi prende per il culo? Non
c’è tempo, mandatene una prima
–
‘fanculo, ce lo porto io!»
La
sua
coscienza andava e veniva, ma lui si rilassò quando un paio
di braccia si
fecero carico del suo peso. Socchiuse gli occhi e ora la scena era
diversa: era
già in ospedale e qualcuno stava gridando a poca distanza da
lui. Riconobbe la
stessa voce di prima, piena di preoccupazione. Poi le braccia se ne
andarono e
sotto di lui apparve una superficie liscia e morbida. Un pizzicore
acuto sulla
pelle e poi più nulla.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
capitolo 6
Note della traduttrice:
Stavolta preferisco lasciarvi subito al capitolo. Ulteriori note dopo
l'epilogo <3
Capitolo 10
Un
raggio di luce già filtrava
attraverso le tende quando Shizuo riprese finalmente conoscenza. Il
ragazzo
controllò l’orologio e vide che erano le dieci di
mattina; si sentiva
fastidiosamente intontito, forse un effetto collaterale della
tonnellata di
antidolorifici che avevano usato per metterlo fuori combattimento. Si
sfiorò la
testa e sentì sotto le dita le bende che gli fasciavano la
nuca, mentre cercava
di ricordare gli ultimi avvenimenti. Aveva il presentimento che
qualsiasi cosa
fosse accaduto la maledetta pulce era coinvolta – niente di
sorprendente, dato
che si trovava in ospedale. Shizuo non veniva ricoverato molto spesso e
dubitava
che qualcuno all’infuori di Izaya sarebbe mai stato in grado
di spedirlo lì.
Vicino
alla porta della stanza
era seduto un uomo dai capelli scuri e ben piazzato, che sembrava
essere sul
punto di addormentarsi da un momento all’altro. Il biondo
gemette leggermente
mentre si tirava su, attirando l'attenzione dello sconosciuto.
«Chi
è lei?» domandò, confuso.
L’uomo gli rivolse uno sguardo un po’ impacciato
prima di rispondere.
«Il
tuo custode. Sarai tenuto
sotto sorveglianza per ventiquattr’ore»
cominciò, fermandosi subito dopo come
se non fosse sicuro di come continuare «Prevenzione
suicidi.»
«Cosa?»
chiese Shizuo,
sforzandosi di ricordare cosa fosse successo prima di svenire.
«Sei
saltato giù dalla finestra…
c’era un altro ragazzo, ha detto che è stato un
incidente, che sei solo caduto»
quelle parole richiamarono stralci di ricordi. Izaya era stato
lì, era caduto
dalla finestra e lui si era gettato dopo di lui, lo aveva stretto
contro il suo
petto e assorbito l’impatto. Ma perché?
«Sfortunatamente potrebbe aver mentito
e non vogliamo correre rischi.»
Mentito.
Giusto. Izaya gli aveva
mentito, gli aveva fatto credere che gli importasse di lui.
Perché diavolo gli
aveva creduto? Sapeva come era fatto Izaya, dopotutto.
«Era
qui fino a mezz’ora fa. È
rimasto con te tutta la notte, non ha nemmeno dormito. Però
quando il dottore è
entrato e ha detto che ti saresti svegliato presto mi sono voltato e
lui era
sparito.»
Era
rimasto? Shizuo non era in
grado di immaginarselo accanto al suo letto con intenti che non fossero
omicidi, ma all’improvviso una strana scena si fece strada
nella sua testa.
Vide Izaya seduto di fronte a lui, con il viso acceso da un sorriso,
che rideva
e lo prendeva in giro, che giocava con l’angolo del suo
piumone mentre parlava
senza sosta. Non era la sua immaginazione, realizzò, erano
ricordi. Izaya
davvero si era seduto su quel letto, aveva parlato con lui,
l’aveva
abbracciato. L’aveva baciato. Lo stomaco di Shizuo si
contrasse; non capiva
come quel bastardo manipolatore potesse essere la stessa persona dei
suoi
ricordi, lo stesso ragazzo che era indietreggiato di fronte a lui, che
era sembrato
sul punto di scoppiare a piangere da un momento all’altro,
con gli occhi
spalancati per lo shock e il dolore impresso sul viso. Lo stesso
ragazzo che
aveva imparato ad amare.
Shizuo
si ricordò di aver dato
per scontato che Izaya l’avesse ingannato, e di essere stato
certo che anche
quella scena fosse parte di uno schema più grande, come
avevano detto i suoi
amici, ma adesso che poteva ricordare anche il vecchio Izaya, quello
con cui
aveva combattuto per quasi dieci anni, non ne era più tanto
sicuro. Si
ricordava l’espressione dell’informatore quando gli
aveva detto che non sapeva
chi fosse, si ricordava di come avesse provato ad andarsene, di come
lui stesso
fosse stato convinto che non l’avrebbe più
rivisto, se non avesse fatto la
prima mossa. Ricordava quando l’aveva guardato negli occhi e
aveva visto le
mura attorno a lui cadere poco a poco, ricordava quel sorriso leggero
trasformarsi nel suo caratteristico ghigno.
Non
poteva essere sicuro che non
fosse stata tutta una recita, ed ecco perché doveva scoprire
la verità.
Si
alzò dal letto con la testa
che gli pulsava leggermente, ma il dolore sbiadì di fronte
alla sua nuova
determinazione. Si vestì in modo un po’ maldestro
prima di dirigersi verso la
finestra, e si rese vagamente conto che saltando giù dal
settimo piano avrebbe
probabilmente causato un infarto a quella povera guardia, ma non gli
importava.
Doveva vedere Izaya. Doveva chiedergli qual era il suo vero volto.
Il
treno sarebbe stato
l’alternativa più logica per arrivare a Shinjuku,
ma il biondo non era certo conosciuto
per essere una persona logica, e infatti decise di correre fino
all’appartamento
di Izaya, approfittandone per scaricare i nervi lungo la strada. Sapeva
di non
avere la benché minima possibilità. Conosceva la
pulce da anni, e nemmeno una
volta aveva dimostrato di essere in grado di provare sentimenti che non
avrebbero causato dolore – sia fisico che emotivo –
ad altre persone. Ma non
poteva fare a meno di sperarci. Per tutta la vita Shizuo aveva avuto
difficoltà
a rapportarsi con gli altri: quelli che non si spaventavano per la sua
forza o
la sua reputazione dovevano comunque fare i conti con un altro grande
ostacolo,
la sua incapacità di fidarsi di se stesso. Ma Izaya aveva
ragione, non aveva
bisogno di qualcuno che lo proteggesse, Shizuo riusciva a ferirlo a
malapena
anche quando voleva farlo. L’incidente nel parco era stato un
eccezione – era
difficile crederlo, dopo aver recuperato i suoi ricordi
dell’informatore, ma
era vero. Shizuo non doveva preoccuparsi di controllarsi accanto a
Izaya,
poteva rilassarsi ed essere se stesso – specialmente ora che
avevano smesso di
provare a uccidersi a vicenda ogni volta che si incontravano.
Raggiunse
il condominio di Izaya
in circa venti minuti, realizzando che i suoi vestiti erano ormai
completamente
in disordine troppo tardi per potersene preoccupare, ma
cercò comunque di darsi
una sistemata specchiandosi nella vetrina di un negozio lì
vicino. Il
nervosismo che aveva soffocato durante la corsa era tornato, e non era
una
sensazione a cui era abituato. Nella sua quotidianità, prima
della perdita di
memoria, non c’era mai stato nulla in grado di provocargli le
classiche
farfalle nello stomaco. Decise che agire era l’unico modo per
non rischiare di
cambiare idea sul piano originale di affrontare Izaya ed estorcergli la
verità.
Magari nel contempo sarebbe anche riuscito ad accettare
l’idea che passare del
tempo con quella nuova versione dell’informatore, non del
tutto psicopatica e
un po’ meno rompipalle, non sembrava poi così
male. Effettivamente gli piaceva
più di quanto fosse in grado di spiegare senza sembrare il
personaggio di una
commedia romantica terribilmente scadente.
Shizuo
decise di non usare il
campanello, presumendo che Izaya probabilmente avrebbe provato a
fuggire se
l’avesse avvertito della sua presenza. Invece
trovò la scala antincendio e salì
fino al piano in cui abitava l’informatore. Dopo aver
strattonato la porta in
cima alle scale con un po’ troppo entusiasmo, rimuovendola
accidentalmente dal
telaio, si piantò di fonte all’appartamento di
Izaya, con ancora la maniglia in
mano e senza la minima idea su cosa fare. Bussò molto
più forte di quanto intendesse
fare e sentì il proprio pugno sfondare il legno e riempirsi
di schegge. Ritirò
la mano e rinunciò all’idea di presentarsi in modo
discreto.
«I
– za – ya – kun»
chiamò,
sembrando un po’ troppo simile al vecchio Shizuo. Si
schiarì la gola,
chiedendosi cosa avrebbe potuto aggiungere per suonare meno minaccioso.
Prima
di poter fare qualsiasi cosa, però, individuò un
paio di occhi cremisi che
spiavano dal buco a forma di pugno scavato nella porta. Nel silenzio
più
totale, Shizuo ebbe la netta sensazione che Izaya si stesse preparando
per
qualcosa, e per un attimo si domandò di cosa si trattasse,
prima di ricordarsi
che aveva appena preso a pugni la sua porta e lo aveva chiamato in modo
alquanto minaccioso, non molto dopo avergli urlato che era un maledetto
bugiardo. La sua diffidenza era più che giustificata.
«Ciao»
disse il biondo,
rabbrividendo internamente per quanto patetico doveva sembrare. Izaya
lo fissò,
sospettoso.
«Cosa
vuoi?»
Shizuo
notò che l’informatore non
era in vena di scherzi; non l’aveva nemmeno chiamato
Shizu-chan. Izaya si
spinse una mano contro la fronte per spostarsi i capelli dal viso.
Sembrava
stanco.
«Parlarti.»
«E
allora parla.»
«Non
qui. In casa.»
L’informatore
alzò un
sopracciglio, e una vena di scetticismo per un attimo
mascherò la spossatezza
della sua voce.
«Ti
sembro uno che ha voglia di
suicidarsi?»
«Non
ti farò del male.»
Izaya
rise piano, prima di
scuotere la testa e aprire la porta, mormorando “come ti
pare” a denti stretti.
Rimasero
in piedi per un po’,
l’uno di fronte all’altro, senza accennare un passo
verso l’interno
dell’appartamento, e Shizuo vide gli occhi
dell’informatore soffermarsi sulla
maniglia ancora stretta tra le sue mani.
«Hai
ingaggiato una crociata
contro le porte?» chiese, e sulle sue labbra apparse il
fantasma di un sorriso
prima che il ragazzo si voltasse e tornasse in casa. Il biondo lo
seguì,
borbottando delle scuse mentre appoggiava la porta divelta sul
pavimento e si
toglieva le scarpe prima di entrare.
«The?»
«Emh,
d’accordo.»
Il
ragazzo andò in cucina mentre
Shizuo si guardava attorno: il salotto era enorme ed elegante,
interamente
fatto di legno scuro e pelle. La portafinestra dietro la scrivania di
Izaya
riempiva la stanza di luce. Il biondo si sedette sul divano,
meravigliandosi di
quanto normale apparisse la
situazione – a parte le svariate porte distrutte.
Dopo
pochi minuti Izaya tornò,
posando le tazze sul tavolino da caffè e sedendosi quanto
più lontano da Shizuo
fosse fisicamente possibile condividendo lo stesso divano. Rimasero in
silenzio, bevendo lentamente il loro the. Il biondo era così
concentrato su
come iniziare la conversazione che dovevano avere da non notare lo
sguardo di
Izaya fisso su di lui, in un mix di sospetto e sorpresa.
«Lo
stai bevendo.»
«…
e allora?
«E
se l’avessi avvelenato?»
«L’hai
fatto?»
«No,
ma…» il ragazzo tacque di
nuovo. Era davvero strano che Shizuo si fidasse di lui, e quel
particolare si
andava ad aggiungere alla lunga lista di motivi per cui quello era
l’incontro
più bizzarro della sua intera vita – il che era
tutto dire. Era stato molto vicino
al biondo durante le ultime settimane, vero, ma quello era successo
prima che Shizuo
scoprisse che gli aveva mentito.
«E
allora sta’ zitto, pulce.»
L’informatore
sussultò. Pulce? Quel
soprannome risaliva al periodo
precedente alla perdita di memoria. Che diavolo significava? Se Shizuo
si fosse
davvero ricordato di com’era Izaya al liceo, di certo non si
sarebbe presentato
lì con un atteggiamento tanto civile.
«Non
capisco» ammise Izaya, prima
di riuscire a frenarsi.
«Oh»
esalò Shizuo, e
l’informatore riuscì quasi a intravedere il
cervello del biondo sforzarsi per
formulare una spiegazione, mentre il ragazzo cercava di concentrarsi
tirando fuori
la lingua. Izaya sorrise, pensando che ormai non aveva più
senso fingere che
non fosse carino.
«Dunque,
ehm, diciamo che mi sono
svegliato e… mi sono ricordato tutto. Prima del treno, dopo
il treno – non sono
un dottore, ho marinato quasi tutte le lezioni di biologia al liceo e
non ho
idea di come funzioni questa… questa cosa.
E non m’importa nemmeno, sai – è solo
che…» sospirò per la frustrazione,
incapace di esprimere a parole quello che voleva dire «Celty
ti ha visto fuori
dall’ospedale ed è venuta da me e ha cominciato a
chiedermi se stavo bene, e
cosa avevi cercato di fare – diavolo, ha detto che era
sorpresa che fossi
ancora vivo e mi sono incazzato,
sai?
Perché, dannazione, mi piacevi» Izaya
trasalì nel sentirlo usare il passato
«Non so spiegartelo, mi sentivo… connesso a te.
Più che a chiunque altro. Il
pensiero che fosse tutto un inganno, che per te fosse stato solo un
gioco…»
Izaya
non riusciva ad accettare
il fatto che Shizuo si ricordasse di lui: quello era il ragazzo che gli
aveva
tirato addosso qualsiasi cosa gli fosse passata per le mani, che lo
aveva
inseguito, che aveva proclamato a gran voce il suo odio per lui, e
nonostante
questo gli parlava con quel tono gentile, quasi intimo, e il suo
linguaggio del
corpo era rilassato, malgrado fossero così vicini. Era
ancora lo Shizuo che
aveva imparato a conoscere durante le ultime settimane.
«Ma
quando mi sono svegliato,
quando mi sono ricordato di te, di come eri prima… non ne
ero più tanto
sicuro.»
«Di
cosa?»
«Che
fosse solo un gioco.»
La
gravità di quello che Shizuo
stava dicendo si abbatté con violenza su di lui. Izaya non
sapeva cosa
rispondere. Poteva scegliere se mentire o rendersi vulnerabile,
ammettendo di
aver ceduto a qualcosa che riteneva ben al di sotto del suo livello, di
aver
sviluppato quei famosi sentimenti in grado di eclissare la ragione.
Per
un momento tentò disperatamente
di tornare al suo personaggio.
«Beh,
dipende…» cominciò, ma
Shizuo lo interruppe subito.
«Basta
stronzate, Izaya.»
Izaya
prese un profondo respiro.
I suoi sentimenti per Shizuo non eclissavano la ragione –
effettivamente, dopo
l’eclisse il sole ritorna. Invece i suoi sentimenti per
Shizuo la distruggevano
completamente, la ragione.
L’annichilivano, senza alcuna possibilità di
tornare indietro. Tirò fuori il
coltello dalla manica e lo lanciò attraverso la stanza; il
biondo non trasalì
nemmeno quando la lama si conficcò nel muro alle sue spalle,
ma rimase
concentrato sul ragazzo seduto di fronte a lui. Izaya lo
guardò con la coda
dell’occhio e il cremisi incontrò di nuovo
l’ambra.
«Non
era un gioco» rispose a
bassa voce.
Rimasero
in silenzio per un po’,
cercando entrambi di capire quello che significava per loro e di
stabilire
quale sarebbe stato il passo successivo. Alla fine Izaya si
alzò e riportò la
sua tazza in cucina, sebbene fosse ancora mezza piena,
perché aveva bisogno di
fare qualcosa per distrarsi da quella che, essenzialmente, era stata
una
dichiarazione. Shizuo lo seguì, appoggiandosi allo stipite
della porta mentre
continuava a fissarlo.
«Ne
sono felice» disse, attirando
l’attenzione di Izaya. L’informatore
esitò, ma si avvicinò a lui «Diavolo,
non
sarà facile – lo sai anche tu – e
dovremmo risolvere un sacco di cose, ma…» si
interruppe, incerto. Non era un uomo di molte parole –
preferiva di gran lunga
l’azione – quindi si spinse in avanti,
afferrò il polso di Izaya e lo catturò
gentilmente in un abbraccio. Quando sentì le braccia
dell’informatore
avvolgersi attorno alla sua schiena, spostò le mani sul suo
viso, sollevandolo
verso l’alto per un bacio che disse tutto quello che non
riusciva a esprimere a
voce.
EPILOGO
Celty
spostò lo sguardo da Shizuo
all’ex-arcinemico/nuovo-fidanzato del suo migliore amico,
divisa tra la
preoccupazione e la confusione. I due ragazzi si erano accomodati sul
divano di
Shinra, e il fatto che si fossero seduti così vicini
l’uno all’altro sembrava
una fortuita casualità, ma non lo era. Il braccio di Shizuo
era accidentalmente finito sullo
schienale
dietro le spalle di Izaya, e la mano di Izaya si era accidentalmente
posata sulla coscia di Shizuo. Non si lasciavano
mai andare a pubbliche dimostrazioni di affetto, ma erano sempre un
po’ più
vicini del normale – specialmente di quello che era normale per loro. Erano passate due settimane da
quando avevano tacitamente deciso di cominciare una relazione, e
sebbene non
l’avessero comunicato né a lei né a
Shinra, la sospettosa carenza di risse in
grado di distruggere una città intera e
l’improvvisa passione di entrambi per
sciarpe e magliette a collo alto aveva spinto la motociclista a
invitarli a
casa loro. Gli occhi di Shinra erano letteralmente schizzati fuori
dalle orbite
quando erano arrivati insieme.
Era
divertente che tutti
sapessero che quei due si odiavano – erano stati loro stessi
a gridarlo ai
quattro venti – e nessuno sapesse che si amavano. Il loro
affetto era più
silenzioso, ma anche più potente; non che fosse un segreto,
ma non andavano in
giro a raccontarlo. Pensavano che la città se ne sarebbe
accorta da sola. Celty
non poteva dire che l’informatore le piacesse poi tanto, ma
quando ci pensò su
realizzò che forse non avrebbe potuto immaginare un compagno
migliore per
Shizuo – e nemmeno per Izaya – ora che avevano
finalmente smesso di lottare.
Erano entrambi potenzialmente pericoloso, e non solo quando cercavano
di
esserlo: Shizuo non sapeva controllare la sua forza, ed entrambi
avevano un
talento innato per farsi dei nemici, che avrebbero potuto utilizzare un
loro
potenziale partner come merce di scambio. Nessuno però
avrebbe potuto
affrontare quei pericoli come loro. Certo, era preoccupata per quel
lato
manipolatore di Izaya ed era assolutamente terrificata al pensiero di
cosa
sarebbe successo se avessero litigato, ma alla fine c’era
solo una cosa che
voleva sapere.
[Siete
felici?]
sollevò lo
schermo per permettere a entrambi di leggere il messaggio e li
guardò mentre si
scambiavano un’occhiata e sorridevano – solo un
minimo incresparsi delle
labbra, ma l’espressione più sincera che aveva mai
visto sui loro visi.
«Non
grazie a questo idiota»
rispose Izaya, voltandosi verso Shizuo con un ghigno «Ha
cercato di preparare
la cena l’altra sera. Sono fortunato ad avere ancora un
appartamento.»
Il
biondo lo zittì con una lieve
spallata.
«Oh,
piantala. Non è colpa mia se
il tuo allarme antincendio è ipersensibile.»
«Il
fumo era nero.»
«Ehi,
scusa tanto se per una sera
volevo che cenassimo con qualcosa di diverso dal cibo da asporto.
Sembra che
alla fine tu non sia bravo in tutto, eh?»
Continuarono
a bisticciare finché
non se ne andarono. Il mignolo di Izaya era fermamente agganciato alla
tasca
dei pantaloni di Shizuo. Celty li guardò, con
un’ondata di calore che si faceva
strada dentro di lei.
Sì
pensò sono felici.
Note della traduttrice:
Ed eccoci al finale. Che dire, spero tanto vi sia piaciuto. Per me
questa storia semplicissima e allo stesso tempo così dolce
è stata una piccola perla da leggere e un gran divertimento
da tradurre <3 Prossimamente posterò un altro paio di
traduzioni su questo fandom, entrambe ad opera di threesmallcrows
("After the story era" e "Latchkey"). Sono entrambe molto pesanti e di
gran lunga diverse da Aletheia - trattano tematiche molto forti - ma ve
le consiglio caldamente, anche in inglese, perché veramente
stupende.
Grazie per aver seguito fin
qui e alla prossima!
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