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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologue: Interpretation of Nightmare - Pt. 2 *** Capitolo 2: *** 01 - Almost Is Never Enough *** Capitolo 3: *** 02: Misery Loves Company. *** Capitolo 4: *** 03: A Way To React. *** Capitolo 5: *** 04: Grave of the Abyss ***
Capitolo 1 *** Prologue: Interpretation of Nightmare - Pt. 2 ***
Death Note: Come
avevo promesso, ecco il seguito di “The End is Where
We Begin” di cui nessuno sentiva la mancanza x°D
Che dire, spero che l’inizio
incuriosisca abbastanza!
Until
We Bleed.
Prologo: Interpretation of Nightmare – Pt. 2
Quando il tempo è sereno, Briggs è un vero spettacolo. Le
montagne e le conifere sono dipinte di un bianco che ispira un profondo senso
di pace e, assieme all’impenetrabile fortezza di Briggs, si stagliano verso il
cielo di un azzurro così intenso da non sembrare reale, macchiato di tanto in
tanto da qualche nuvola dalle forme morbide, mossa placidamente da una brezza
frizzante appena accennata.
Sì, la Briggs pacifica è davvero uno spettacolo, ma Tetsuya
è convinto che niente possa reggere il confronto con le tempeste di neve che si
abbattono sulla fortezza.
Il cielo si scurisce al punto da far credere impossibile la
presenza del sole oltre la coltre di nuvole scure, ma al tempo stesso non
sembra neanche notte. Un eterno limbo in cui terra e cielo si confondono in un
candore sporco.
Cade la neve con ferocia, pesante e inesorabile; più che
coprire, sembra voler cancellare ogni cosa e trasformare il mondo in un foglio
bianco da ridisegnare da capo. Il cielo è inesorabile, nessuno può fermarlo
quando decide di piangere quelle lacrime ghiacciate cariche d’ira.
Il vento è furioso e non si accontenta di soffiare in
un’unica direzione, si infiltra persino negli anfratti più impensabili,
producendo ululati che fanno accapponare la pelle più del gelo pungente.
È la violenza improvvisa nata dalla pace e forse è anche per
questo che fa tanta paura, perché in fondo l’essere umano è fatto nello stesso
identico modo.
Le guerre nascono dalla pace, fino a stemperarsi nuovamente
nella quiete da cui, prima o poi, un nuovo conflitto sboccerà, senza fine.
Senza senso.
Tetsuya si aggrappa con forza alla balaustra ghiacciata;
ormai non sente più il freddo ed è conscio che questo non sia propriamente un
buon segno, eppure sa che non riuscirebbe ad allontanarsi neanche volendo. E
no, non lo vuole.
Solleva lo sguardo e osserva il cielo in guerra, non
curandosi del vento che con prepotenza cerca di spingerlo nuovamente
all’interno della fortezza, lui è testardo più delle raffiche e resta a farsi
investire da ondate di aria gelida e neve.
Il cielo piange, il vento urla e Tetsuya non può fare a meno
di sentirsi almeno in parte capito; si sente più leggero e, con un balzo, è
appollaiato sulla balaustra come un gatto, a meno di un passo dal vuoto.
Inspira profondamente, fino a che i suoi polmoni non
supplicano per una tregua, poi espira ed il suo fiato subito si cristallizza in
una nebbiolina argentata che viene spazzata via dalle raffiche.
Chiude gli occhi, ma non può evitarsi di storcere appena il
naso quando, attutite dalle urla strazianti del vento, sente una voce chiamarlo
con più preoccupazione del dovuto, come se temesse che Kuroko potesse buttarsi
giù.
L’Alchimista di ghiaccio si lascia sfuggire un lieve sospiro
che suona quasi come un sibilo; stacca la mani dalla balaustra e allarga appena
le braccia, in modo che le sferzate d’aria lo sbalzino all’indietro, verso
l’interno della fortezza. I suoi piedi ritoccano il suolo ad un metro di
distanza dalla balaustra, in perfetto equilibrio; si volta e finalmente
raggiunge il soldato semplice che l’ha chiamato.
«Il Generale Aida vuole vederla».
Aida Kagetora, Generale in carica a Briggs da quasi due
decenni, non è certo il tipo che fa favoritismi, tuttavia Tetsuya deve ammettere
con se stesso che – forse – l’aver contribuito a far tornare Riko viva da
Ishval deve aver bendisposto l’uomo ne suoi confronti almeno un po’.
Si dice che dev’essere per questo che lo manda così spesso a
sorvegliare i confini con Drachma – stranamente
pacifici –, conscio del bisogno di Tetsuya di passare il suo tempo in quella
sorta di isolamento.
Kagetora è stato l’unico, due anni prima, a non chiedergli
spiegazioni al suo ritorno da Ishval; al posto di stupide domande, gli ha dato
un luogo isolato dove poter decidere se riflettere fino ad essere in grado di
perdonarsi o se sparire nel gelo che circonda ogni cosa.
Kuroko in quel momento ha solo due certezze: non ha la
minima intenzione di sparire ma, allo stesso tempo, nel modo più assoluto, non
è in grado di perdonarsi.
Per aver assecondato, all’inizio, Akashi.
Per non aver rispedito Ogiwara a calci ad Amestris.
Per aver messo tutti in pericolo a causa della sua
ingenuità.
Per Kise, soprattutto. Kasamatsu ha salvato la vita a
Kagami, ma lui non è stato in grado di fare altrettanto con Ryouta.
Per tutti questi motivi, Tetsuya non può perdonarsi.
“O forse posso ma non voglio”. Il pensiero fa appena in
tempo a formarsi nella sua testa, prima che lui si decida a scacciarlo con
tutta l’irritazione che sente addosso.
Ringrazia il soldato con un cenno del capo, più per
educazione che per vera gratitudine, poi si incammina verso l’ufficio del suo
superiore. Non si può dire che la fortezza sia un luogo caldo, ma sicuramente
le condizioni termiche sono molto più clementi rispetto all’esterno e Tetsuya
si sente quasi andare a fuoco per lo sbalzo di temperatura, tuttavia non ci fa
quasi caso e si fa strada per i corridoi grigi.
Briggs è spartana, non ha bisogno di fronzoli come Central
City, quindi le pareti sono dello stesso grigio tendente al beige del cemento
utilizzato per erigerle, decorate solo dalla fitta ragnatela di tubature e dei
pilastri di supporto in legno.
La porta scura dell’ufficio del Generale si trova davanti a
lui in pochi minuti e all’alchimista non resta che bussare piano, un’unica
volta. Immagina già cosa il superiore voglia da lui, quindi entra nella stanza
seguito da una lieve aura di rassegnazione che fa inarcare un sopracciglio a
Kagetora.
«Voleva vedermi?» si limita a domandare Tetsuya, con aria
stanca.
L’altro sospira appena e prende tra le dita una lettera, che
sventola in direzione di Kuroko con aria fintamente ammonitrice, «Questa è
l’ultima volta che ti faccio da postino».
A questo punto, Tetsuya si deve mordere le labbra per non
rispondere che Aida potrebbe tranquillamente evitarselo. Quel teatrino va
avanti da quando lui è tornato a Briggs: Kagami, Aomine e Momoi gli scrivono e
lui non si prende neanche la briga di aprire le lettere, che senso ha
continuare? Sarebbe più logico buttare qualsiasi missiva indirizzata a lui ed
evitare perdite di tempo, «La metterò assieme alle altre» fa notare, alludendo
alla scatola nella sua stanza, zeppa di lettere ancora integre. Sta per
afferrare la busta, ma all’ultimo secondo il Generale la toglie dalla sua
portata.
«Questa devi leggerla sul serio» lo redarguisce, serio.
Tetsuya batte le palpebre un paio di volte, perplesso, per
poi arrivare all’ovvia conclusone, «Lei legge la mia posta» accusa, con una
lieve nota di risentimento.
«Per forza. Qualcuno deve pur farlo al posto tuo, per
accertarsi che non siano lettere di vitale importanza, come questa. È molto
breve, non ti sciuperai gli occhi a leggerla» si difende l’uomo, agitando
appena la mano per minimizzare, per poi porgergli di nuovo la busta, richiusa
ad arte per farla sembrare mai aperta.
«È un ordine?»
«Sì, Colonnello Kuroko, è un ordine». Kagetora calca di
proposito la voce sul ruolo del sottoposto, per frenare in anticipo eventuali
proteste e a Tetsuya non resta che prendere la lettera controvoglia.
Il mittente è Aomine e, ad onor del vero, Kagetora ha
ragione, la lettera è molto corta. Appena tre parole.
Momoi Satsuki non può che provare
un vago senso di déjà-vu nel trovarsi davanti al locale in cui, due anni prima,
Daiki si è rifugiato prima della partenza per Ishval.
Di nuovo, come allora, Aomine è
irrintracciabile e il sesto senso della ragazza continua a sussurrarle che
dev’essere di nuovo lì, tuttavia dubita che questa volta si limiterà a trovarlo
a sonnecchiare sul bancone.
“E questa volta non ci sarà
neanche Tetsu-kun ad aiutarmi a trascinarlo” si dice con una densa nota di
malinconia nel pensare al ragazzo, che viene subito rimpiazzata da un accenno
di irritazione per tutte le lettere ignorate.
Di tanto in tanto, qualche
spiritosone ipotizza che probabilmente l’Alchimista non dà segni di vita perché
morto congelato da qualche parte a Briggs. Inutile dire che le battutine del
genere sono state, se non interrotte, almeno molto limitate dopo che un genio
ha dato troppo fiato alla bocca davanti a Kagami e quindi ritrovato con la
mascella fratturata prima ancora di poter finire di parlare.
Satsuki sospira e scuote appena a
testa, per poi poggiare una mano sulla porta del locale, aprendola con una
lieve pressione.
In due anni, le condizioni in cui
versa quella sottospecie di bar sono notevolmente peggiorate. I pannelli di
legno di cui sono rivestite le pareti sono in parte divorate dalla muffa;
probabilmente il proprietario deve aver provato a rimediare con della carta da
parati, finendo solo per peggiorare la situazione nel momento in cui la muffa è
uscita nuovamente in superficie, spiccando molto di più sul bianco a motivi
rossi della carta che sul legno.
Il parquet è appiccicoso al punto
da quasi bloccare Momoi sulla soglia; davvero, non vuole sapere da quanto tempo
non viene lavato. Abbassa lo sguardo solo per scoprire che se due anni prima è
stata in grado di vedere le assi di legno sul pavimento, adesso è così nero che
l’unico indizio che si tratti effettivamente di un parquet è dato dagli
scricchiolii che accompagnano ogni passo.
Sul fondo del locale, abbandonato
in un angolo, c’è quel che resta di un pianoforte a cui mancano diversi tasti,
completamente bucherellato dalle termiti; in basso, sul lato sinistro, c’è un
buco di grandezza tale da far pensare alla tana di uno o più topi.
Le pale al soffitto dovrebbero far
circolare l’aria, rendendola meno sgradevole, ma di fatto si limitano a
diffondere per tutto il locale il fumo dall’odore acre di qualche sigaro di
bassa categoria, in bocca alla maggior parte della clientela.
Vede una divisa blu identica alla
sua vicino al bancone, quindi si affretta ad avvicinarsi, stando attenta a non
sfiorare nulla.
“Avanti… rapido e indolore…”
pensa, nell’osservare oltre al bancone una nutrita schiera di bottiglie di
alcolici vari, poggiate su delle mensole che versano nelle stesse condizioni
del resto del locale. Al centro esatto spicca la testa impagliata di un alce,
priva di una delle due corna e completamente ingrigito dalla polvere.
Daiki, come la volta scorsa, è
completamente collassato sul bancone scuro, ma questa volta Satsuki dubita che
si sia limitato a dormire, teoria più che convalidata dalla puzza di birra
scadente che arriva dall’alchimista.
Sente con assoluta certezza che
potrebbe prendere a schiaffi quel bambino troppo cresciuto, se non fosse che la
situazione ha completamente destabilizzato anche lei; sa fin troppo bene che
ognuno reagisce al dolore in modo diverso, però è la prima volta che è
costretta ad andare a recuperare l’altro, ubriaco fradicio.
«Mi aiuti a portarlo fuori» dice
con rassegnazione al proprietario del locale, conscia del fatto che da sola non
riuscirà mai a sostenere la mole dell’amico.
L’uomo la guarda, inarcando un
sopracciglio e per un secondo sembra quasi tentato di riderle in faccia. Se la
ricorda e probabilmente non l’ha ancora perdonata per i commenti poco carini
sul suo locale, quindi decide di fargliela pagare almeno un po’.
«Mi spiace, ma non rientra nelle
mie mansioni».
Satsuki gli rivolge un sorriso di
circostanza, mentre dentro di sé impreca contro l’uomo con termini che una
ragazza come lei non dovrebbe neanche conoscere, «Lei lo sa che lavoro per il
Comandante Supremo e che posso fare una lista pressoché infinita di validi
motivi per far radere al suolo questo posto, vero?» domanda, senza smettere di
sorridere, decidendo che non ha né il tempo né la pazienza per andarci per il
sottile. Vuole uscire di lì il prima possibile.
Il proprietario brontola
qualcosa, Satsuki non riesce a distinguere le parole ma non ha dubbi sul fatto
che devono essere insulti molto pesanti rivolti a lei. Non se ne cura, dal
momento che l’uomo fa il giro del bancone, molto più bendisposto ad aiutarla.
Solleva Daiki per un braccio e lo
trascina fuori, per poi mollarlo con malagrazia sulla gradinata all’esterno del
locale.
A contatto con l’aria fresca
della sera, Daiki finalmente apre gli occhi, stordito dall’alcol; sbatte un
paio di volte le palpebre, poi riesce a mettere a fuoco l’immagine dell’amica e
sa di essere spacciato nel notare il cipiglio severo con cui lo guarda.
«Non c’era bisogno–» esordisce,
subito interrotto dalla ragazza.
«Non c’era bisogno che ti venissi
a prendere per evitarti il coma etilico?»
Aomine sbuffa, infastidito dal
tono polemico di Momoi. Si passa una mano tra i capelli, per poi scuotere con
forza la testa, nella speranza di snebbiarsi almeno un po’ la mente, in parte
funziona e lui si sente abbastanza sicuro di poter parlare senza che le parole
gli si incollino al palato, «Senti, ho bevuto un paio di birre, adesso non
esagerare, eh?» propone, cercando di suonare ragionevole.
A questo punto Momoi deve davvero
usare ogni grammo del suo autocontrollo per non schiaffeggiarlo con tutta la
forza di cui è provvista.
“Però l’altra volta Tetsu-kun
l’ha preso a pugni ed ha abbastanza funzionato” la tenta il suo lato meno
razionale, che zittisce prontamente.
Si siede accanto a lui sulla
gradinata, conscia del fatto che se ne pentirà nel momento di fare il bucato,
tuttavia al momento decide che non gliene importa più di tanto, «Sei sconvolto»
esordisce con calma, «Ma sei arrivato subito alle tue conclusioni, potresti
anche esserti sbagliato. Quello che hai visto dev’essere solo un ragazzo che somiglia
a Ki-chan» dice, per quanto anche lei vorrebbe con
tutta se stessa convincersi che Ryouta sia ancora vivo.
«So quello che ho visto!» si
altera subito Aomine. Ormai ha perso il conto delle volte in cui ha ripetuto
quelle parole al comandante Supremo; ovviamente anche lui, come Satsuki, non
gli crede. «Mi ha visto mentre lo osservavo, dalla parte opposta della strada,
e mi ha sorriso! Poi si è infilato in
un vicolo ed è sparito nel nulla. Ti dico che era lui, non posso sbagliarmi!»
«Va bene, ti credo» si affetta a
dire la ragazza. Daiki non sembra notare la condiscendenza nella sua voce e
subito si calma.
Satsuki sospira, «Hai detto
quello che hai visto a Kasamatsu-san?» domanda, preoccupata.
Aomine storce il naso in una
smorfia infastidita, «Scemohyuuga ha minacciato di
farmi passare un mese in prigione se glielo avessi detto.» Satsuki non ha il
tempo di concedersi un sospiro di sollievo che l’altro continua: «Però l’ho
scritto a Tetsu».
Adesso Momoi è più che sicura che
un ceffone sia d’obbligo.
[…]
Il viaggio in treno verso Central
City è stato più duro del previsto, un’ansia senza controllo ha iniziato subito
a montare dentro di lui, aumentando di chilometro in chilometro senza
lasciargli scampo.
Una volta in citta, i piedi di
Tetsuya lo hanno guidato, contro la sua volontà, dinanzi alla lunga scalinata
che conduce al Quartier Generale; ogni gradino che sale ha un sapore amaro e
fin troppo in fretta varca la soglia della cinta di mura, trovandosi davanti il
curatissimo giardino.
Inspira l’aria decisamente più
calda di quella di North City, tranquillizzandosi appena nel sentire l’odore di
erba tagliata di fresco. Ha sempre amato quell’odore, gli ricorda Resenbool, ma
adesso assieme alla pace quello stesso profumo porta con sé l’ennesimo brutto
ricordo.
Se pensa a Resenbool, il luogo in
cui è nato, come può non pensare anche ad Ogiwara, il suo amico d’infanzia?
Alza lo sguardo sullo stendardo
verde con al centro una chimera argentata e, intimamente, non riesce a far a
meno di odiarlo, nonostante la divisa che indossa serve quello stesso simbolo.
“Quanto sangue ha dentro sé
questo stemma?” si domanda, per poi scuotere con forza a testa per scacciare
quel pensiero. Non può addossare ad Amestris i suoi errori e quelli di Akashi.
Con un sospiro avanza fino alla
porta del Quartier Generale, stupendosi di quanto gli sembri tutto così
famigliare nonostante gli anni di lontananza.
Si concede ancora un secondo per
osservare l’edificio. Non è neanche lontanamente imponente quanto la fortezza
di Briggs, eppure c’è qualcosa di intimidatorio nella sottile eleganza del
Quartier Generale; perfettamente simmetrico e curato in ogni dettaglio, non è
nulla di eccessivo ma allo stesso tempo rappresenta la perfezione che
l’esercito vorrebbe incarnare.
Entra e non si stupisce nel
constatare che è tutto esattamente come ricorda, i pavimenti in marmo perlaceo
sono percorsi da stretti tappeti verdi che attraversano il centro dei corridoi.
I battiscopa in legno sono così alti da arrivare a sfiorare l’inizio delle
lunghe finestre, ai cui lati sono raccolte le tende della stessa tonalità dei
tappeti.
Tetsuya avanza senza esitazioni,
ignorando le scrivanie bianche quanto le pareti della reception; non vuole far
altro che raggiungere in fretta l’ufficio di Hyuuga, farsi dire che quello di
Aomine dev’essere stato solo uno stupidissimo scherzo e tornarsene a Briggs in
un lasso di tempo ragionevole.
Si blocca completamente nell’atto
di compiere l’ennesimo passo quando, svoltando un corridoio, si trova davanti
una delle persone che ha intensamente pregato di non incontrare.
Kagami è cambiato dall’ultima
volta che l’ha visto, due anni prima; non è tanto l’aspetto ad essere diverso,
ma la piega delle sue labbra tende verso il basso e i suoi occhi sono più duri.
Per un secondo quegli stessi
occhi perdono tutta la loro durezza per spalancarsi dalla sorpresa, permane un
solo istante, poi le palpebre tornano ad assottigliarsi.
«Sei tornato» dice Kagami, con un
tono di voce che, per quanto impegno ci metta, Kuroko non è in grado di
decifrare.
«Devo solo verificare una cosa
per il Generale, poi tornerò a Briggs» sussurra, sentendosi quasi in obbligo di
dargli spiegazioni.
Si guardano per un lungo istante,
poi per la seconda volta lo sguardo di Taiga si ammorbidisce, tornando quello
che Tetsuya conosce e ama; l’Alchimista di Fuoco si avvicina di un passo, ma si
immobilizza subito nel vederlo arretrare, percependo chiaramente il muro
invisibile che l’altro ha messo tra loro.
«Kuroko…»
Quella di Kagami suona quasi come
una supplica e Tetsuya non può davvero reggerla, sente che deve allontanarsi,
oppure finirà per cedere alla presenza dell’altro. Non può permetterselo,
l’altro Alchimista rappresenta tutto ciò che si è lasciato alle spalle, tutto
ciò che sente di non meritare.
Lo guarda un’ultima volta, poi si
muove appena per attirare l’attenzione di Kagami alla sua sinistra, per poi
dileguarsi, invisibile, nella direzione opposta.
Appena fuori dalla portata di Kagami,
deve appoggiare la schiena alla parete per non crollare. Respira profondamente
più volte, nel tentativo di recuperare il controllo di se stesso. Difficile, si
dice, se finisce per ritrovarsi davanti la luce che lui stesso ha deciso di
abbandonare per permettere all’oscurità di divorare tutto ciò che si è salvato
da Ishval.
Porta una mano a stringere la
divisa, all’altezza del cuore, mentre continua ad ingollare più aria di quanta
i suoi polmoni possano davvero contenere. Ci vuole un minuto buono, ma alla
fine riesce a ricomporsi e a fingere che nulla sia successo.
Bussa piano alla porta di Hyuuga
e quest’ultimo deve concedergli per due volte il permesso di entrare, prima che
l’Alchimista si decida infine a farsi avanti.
Hyuuga sgrana appena gli occhi nel
vederlo, poi gli rivolge un sorriso amaro, intuendo il motivo di quella visita,
«Sei qui per ciò che Aomine crede di aver visto?»
«”Crede”?»
Il Comandante Supremo si permette
un sospiro, «Nessuno oltre a lui ha visto questo fantomatico ragazzo uguale a
Kise. Personalmente, sono propenso a credere che abbia avuto una specie di
allucinazione» spiega, aggiustandosi meglio gli occhiali sul naso.
«Capisco» esordisce Tetsuya,
esitante, «Tuttavia il Generale Aida mi ha chiesto di indagare. Ho visto
Kise-kun morire, se Aomine-kun ha visto davvero ciò che crede, potremmo
trovarci davanti ad un caso di Trasmutazione Umana».
«Sai quanto me che non è
possibile».
«Il Generale vuole essere
sicuro».
Junpei apre bocca per replicare
qualcosa, tuttavia si ritrova a chiuderla senza che un solo suono abbandoni le
sue labbra. Per quanto sia il Comandante Supremo, lui stesso non se la sente
proprio di negare qualcosa al Generale in carica a Briggs, quindi non gli resta
che sospirare, per poi far crollare appena le spalle verso il basso, in chiaro
segno di sconfitta.
«Un’indagine discreta» intima,
«Non voglio che entro domani tutta Amestris sappia di questa storia assurda».
[…]
Aomine scoppia a ridere, una
risata che non ha assolutamente nulla di allegro e che suona quasi come un
latrato.
Una volta superato il limite di
tempo accettabile, Taiga si vede costretto a tirargli una gomitata in mezzo
alle costole per farlo smettere, anche se deve ammettere con se stesso che,
tutto sommato, non gli è dispiaciuto neanche un po’.
Il latrato-barra-risata di Aomine
si trasforma in un ringhio di dolore, ma all’occhiataccia del collega si
costringe a non obiettare nulla per quanto riguarda la botta appena ricevuta.
«Sei noioso» ci tiene comunque a
fargli notare, massaggiandosi il fianco, «Come fai a non notare dell’ironia? Io
vedo Kise e mi date tutti del pazzo, poi tu te ne esci con il fatto di aver
visto Tetsu, quando è evidentemente ancora a Briggs a congelarsi il culo»
borbotta, indignato.
Momoi, decidendo saggiamente di
sedersi tra i due per evitare che la discussione degeneri nell’ennesima rissa,
si passa una mano tra i capelli, chiedendosi chi gliel’ha fatto fare di
diventare la babysitter di entrambi gli alchimisti.
Si trovano nella biblioteca del
Quartier Generale che, a poche ore dalla fine del turno della maggior parte
degli impiegati, non può che essere deserta.
Solo loro tre, un paio di tavoli
e molti più libri di quanti possano essere umanamente stipati su quegli
scaffali – motivo per cui tre quarti del pavimento lucido è sommerso da pile di
tomi pericolosamente alte.
«Dai-chan, non puoi paragonare
quello che hai visto tu con quello che ha visto Kagamin»
dice la ragazza, ragionevole, rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita,
non sentendosi del tutto a suo agio nel continuare a sentir parlare
dell’incontro di Daiki.
L’alchimista scudo inarca un
sopracciglio, «Perché Kise è morto e Tetsu invece no?» domanda, con una sorta
di amara ironia che risuona nella voce, «Chissà, forse quell’idiota di Imayoshi
ha ragione quando dice che probabilmente Tetsu è diventato un surgelato».
«Questo non è molto carino,
Aomine-kun».
Tutti e tre sobbalzano con tanta
violenza da rischiare di cadere dalle loro sedie, al suono di quella voce. In
sincrono, come se fossero una persona sola, si voltano in direzione della
porta, per trovare la figura di Tetsuya, appoggiato allo stipite e con le
braccia incrociate tanto strette sullo sterno da sembrare quasi che non
potranno mai sciogliere la presa.
È sulla difensiva, esattamente
come quando ha incontrato Taiga per i corridoi, eppure questa volta è
leggermente diverso: non è stato sorpreso in un luogo dove non dovrebbe
trovarsi, ma è lui che è andato a cercarli di sua spontanea volontà, quindi in
un certo senso sente di avere un po’ più di controllo nelle sue mani.
«Due parole, se non vi dispiace,
su ciò che Aomine-kun ha o non ha visto» dice con distacco, andando ad occupare
l’ultima sedia libera al tavolo attorno a cui sono seduti gli altri tre.
Taiga, avendo in parte già
superato il trauma del vederlo aggirarsi per Central, è il primo a riprendersi,
«Non sembravi così ben disposto a parlare, qualche ora fa» borbotta, incapace
di celare il risentimento.
«E parlando di cose non molto
carine, anche non rispondere alle lettere non è esattamente un esempio di cortesia»
lo spalleggia Aomine, sbuffando appena.
«Per favore», esordisce. Il tono
è pacato, ma al tempo stesse fa intendere che non accetterà repliche, «Sono qui
solo per lavoro. Aomine-kun, dovresti farmi la cortesia di fornirmi un
resoconto completo di ciò che hai visto».
Taiga inarca un sopracciglio,
«Questo farebbe parte del tuo lavoro?»
L’occhiataccia che riceve in
risposte è comunque meglio della distanza quasi ostile che Kuroko ha messo tra
loro, quindi se ne sente quasi rassicurato, poi il più piccolo parla.
«Sì, perché o Aomine-kun si è
clamorosamente sbagliato oppure potremmo essere davanti ad un caso di
Trasmutazione Umana».
A quelle parole cala il silenzio,
perché la Trasmutazione Umana è un tabù radicato così in profondità in tutti
loro che nessuno ha preso in considerazione quell’ipotesi neanche per un
secondo, prima di adesso.
Tetsuya guarda Aomine,
esortandolo con lo sguardo a cominciare il suo racconto, ma devono passare
ancora un paio di secondi prima che l’altro si decida ad aprire bocca.
«Non aspettarti chissà cosa,
Tetsu» mette le mani avanti, con l’aria vagamente sconfitti di chi sa già in
partenza che non verrà creduto, «Avevo finito il mio turno e stavo tornando a
casa, percorrendo la via principale. Sul lato opposto della strada, che camminava
in direzione opposta alla mia, ho visto Kise; l’ho osservato per parecchi
secondi prima che si accorgesse di me. Mi ha guardato, mi ha sorriso e poi è
entrato in un vicolo. L’ho inseguito solo per scoprire che il vicolo era cieco
e lui scomparso nel nulla» racconta per l’ennesima volta. Non si aspetta di
sentirsi consigliare un buono psichiatra solo perché sa che Kuroko è troppo
educato per suggerirgli una cosa simile.
Kuroko si passa una mano tra i
capelli con aria stanca, finendo inevitabilmente per spettinarli più del
solito, «Sei assolutamente certo che non si sia trattato solo di un ragazzo
simile a lui?» domanda, nonostante il sospetto che abbiano già fatto fin troppe
volte quella domanda all’amico.
«Tetsu, ti dico che era lui. Mi
ha sorriso. Te lo ricordi il sorriso di Kise, no?»
Annuisce. Certo che se lo
ricorda, è tormentato da quel sorriso e dalla consapevolezza che mai lo
rivedrà. Per quanto suoni in modo frivolo, c’era qualcosa di unico nella
naturalezza con cui Kise indossava quell’espressione, sbocciava in modo
naturale e contagioso.
Faceva risplendere anche le
situazioni più buie ed era caldo, di una calore che sperimentato una volta non
si scorda più e si riconosce tra mille, al punto che adesso, al solo ricordo di
esso, tutti nella stanza si sentono molto più inclini a credere a quanto
raccontato da Aomine.
«Abbiamo un problema…» ammette
Kuroko, dando voce ai pensieri di tutti.
[…]
Il cristallo è trasparente, è solido, è preciso. Il cristallo è fragile.
Takao ha sempre pensato che il nome da alchimista di Midorima sia più che
appropriato, ma non ha mai espresso a voce quest’idea, perché il suo cristallo
tra le altre cose è anche molto suscettibile e stargli accanto diventerebbe
ancora più difficile se questo dovesse rifiutare di parlargli per i prossimi
duemila anni.
Ovviamente Midorima ha abbandonato il nome di “Alchimista di Cristallo” nel
momento stesso in cui ha dato le sue dimissioni, subito dopo la guerra di
Ishval, tuttavia Kazunari continua a temere di vederlo cadere a pezzi da un
momento all’altro.
È vero, di giorno in giorno l’ha visto con i suoi occhi rasserenarsi sempre
di più, ma non riesce ad abbassare la guardia neanche per un secondo perché sa
fin troppo bene che è quando tutto sembra andare per il meglio che le cose
precipitano.
Di tanto in tanto nella sua mente si forma l’immagine di loro due che
camminano su un filo, sospesi nel nulla; loro continuano ad avanzare, pur non
sapendo se quel filo li porterà mai da qualche parte, pur non sapendo per
quanto tempo ancora esso reggerà entrambi. In quei casi, gli ci vuole un po’
per riuscire a mettere da parte quei pensieri e a convincersi che tutto
continuerà ad andare bene come adesso.
Dopo le dimissioni di Shintarou – subito seguite dalle sue –, Kuroko si è
offerto di prestare loro la sua casa a Resenbool e per entrambi non è stato
difficile capire per quale motivo l’Alchimista fosse così ansioso di liberarsi
di quel luogo: la famiglia del suo amico, quello ucciso da Hanamiya, vive lì.
Takao ricorda di aver dovuto piantare una seria gomitata tra le costole
dell’altro per impedirgli di rifiutare su due piedi: Kuroko doveva liberarsi
della casa e Midorima aveva bisogno di un posto tranquillo e pacifico, ma
quest’ultimo non lo avrebbe mai ammesso.
“È stata la decisione giusta”, si dice Takao, entrando nell’ampia e luminosa
cucina per concedersi un bicchiere d’acqua e finendo, invece, per appoggiarsi
sullo stipite della porta ed osservare con aria soddisfatta Midorima, seduto al
tavolo, immerso in un fitta spiegazione sull’alchimia a beneficio di due
ragazzini.
«Hey, prof, ogni tanto ricordati di respirare» lo prende in giro, bloccando
l’altro proprio nell’atto di riprendere fiato.
«Bakao, sparisci» lo saluta Midorima, aggiustandosi gli occhiali sul naso
per tenere le mani occupate e seppellire l’irrefrenabile istinto di strozzarlo.
«E voi due non distraetevi» borbotta in direzione dei due ragazzi che già si
sono girati in direzione dell’altro per salutarlo con entusiasmo.
Misaki e Kaoru Ogiwara sono i due fratelli più piccoli di Shigehiro che,
dopo aver capito che Midorima brontola ma non morde, lo hanno tormentato tutti
i giorni affinché lui accettasse di insegnare loro le basi dell’alchimia,
riuscendo a convincerlo solo dopo aver spiegato che quello era il loro modo per
superare il lutto. Diventare Alchimisti di Stato e accertarsi di persona che
non accadesse mai più una cosa del genere.
«Però Takao-san ha ragione, ogni tanto dovresti respirare».
Kaoru non perde occasione di unirsi alle prese in giro, è il più piccolo
tra i due con i suoi sedici anni ed è anche quello che si mette spesso nei guai
con Takao.
«Ma non avevamo detto di togliere il “-san”? Mi fa sentire vecchio!»
Kazunari fa finta di rimbrottarlo, imitando alla perfezione il tono di voce di
Midorima e causando una risata sguaiata da parte di Kaoru e una molto più
sottile e contenuta da parte di Misaki, molto più riflessivo del fratello,
dall’alto dei suoi diciotto anni.
«Takao-san» esordisce il più grande, calcando l’onorifico con una lieve ironia,
«Non è un po’ presto per la crisi di mezza età?»
«Lo prendo come un complimento» motteggia, riempiendosi un bicchiere
d’acqua, «ma ora vado, o la crisi di mezza età l’avrò nella tomba» ridacchia,
scoccando un’occhiata significativa a Midorima, la cui carnagione sta assumendo
una gradazione rossastra parecchio inquietante.
“Mi stavo preoccupando per niente”
decide, nell’uscire dalla stanza con un sorriso stampato sulle labbra.
Shintarou ci mette poco a tornare di un colorito accettabile e si lascia sfuggire
dalle labbra un lieve sospiro; guarda fuori dall’ampia finestra appena sopra il
piano cottura e il lavello.
«Si sta facendo buio» nota, cominciando a riordinare i libri che ha usato
per la lezione, «Dovreste tornare a casa».
Misaki esita qualche istante, «Prima di andare, avrei una domanda».
«Dimmi».
«Perché la Trasmutazione Umana è tabù?»
In quel momento, anche se fatica molto ad ammetterlo, Midorima si pente di
aver cacciato Kazunari fuori dalla cucina, tuttavia si impone di restare calmo
nonostante la domanda scomoda che può facilmente sfociare in argomenti vicini
alla Pietra Filosofale. «Lo Scambio Equivalente è la base dell’Alchimia, ma non
basta imparare il concetto a memoria, bisogna capirlo in tutte le sue
sfaccettature. Si basa su un equilibrio sottilissimo e creare dal nulla un
altro essere umano lo sovvertirebbe».
«Ma se fosse solo una questione di equilibri, la trasmutazione umana
avrebbe penalmente lo stesso peso della trasmutazione dell’oro» obietta il
ragazzo, perplesso.
Shintarou si concede un secondo sospiro, «Trasmutare un corpo umano, in
linea puramente teorica, non è affatto difficile; tutti i materiali che servono
si trovano con una facilità disarmante, ma una volta effettuata la
trasmutazione troveresti solo un corpo inanimato. Dimmi, secondo te, parlando
in termini di Scambio Equivalente, qual è il costo di un’anima?»
Misaki tace, capendo subito dove vuole andare a parare quel discorso. Il
costo di un’anima è un’altra anima, quindi la trasmutazione umana richiederebbe
una vittima sacrificale e non ci sarebbe comunque l’assicurazione di avere successo,
non essendo mai stata davvero tentata.
Shintarou finisce di riordinare i libri, sperando che la conversazione
possa chiudersi con il silenzio del suo allievo; il sangue gli si ghiaccia
nelle vene quando, invece, l’altro parla ancora.
«Ma se ci fosse un modo per evitare lo Scambio Equivalente?»
Death Note: Ed eccoci al primo effettivo capitolo!
Abbiamo un Aomine sconvolto, un Kuroko che cerca di mettere quanta più
distanza tra sé e Kagami, un pizzico di Midorima in versione professore e un
possibile esperimento di Trasmutazione Umana.
E Kasamatsu in tutto questo dov’è?
… Chissà~ ci si vede al prossimo capitolo! :3
(Non ci credo, sono riuscita a fare un aggiornamento settimanale,
adesso mi commuovo) (<--Sì, meglio non commuoversi troppo, c’è da vedere che
riesco a mantenere la media-).
Sono passati già due giorni dalla
lezione in cui Misaki ha accennato alla Trasmutazione Umana, eppure Shintarou
non riesce davvero a smettere di sentirsi almeno un po’ turbato.
È una sensazione strana, perché
per parecchi momenti della giornata riesce ad essere tranquillo e rilassato, ma
di tanto in tanto il pensiero delle parole dell’allievo gli torna alla mente
senza che possa fermarlo e allora la preoccupazione inizia lentamente a montare.
Se dovesse paragonare quell’inquietudine
a qualcosa, sarebbero i momenti in cui è in giardino a godersi qualche raggio
di sole, finché qualche nuvolone scuro e minaccioso non li copre
all’improvviso. Forse la parte peggiore è che non sa se quelle nuvole
porteranno una tormenta o se sono lì unicamente per oscurare la serenità e
ricordargli che esistono e che mai spariranno sul serio.
Anche adesso il suo sole è
oscurato da una nuvola particolarmente scura, probabilmente è perché è chiuso
da quasi quattro ore nel suo studio a portare avanti le ricerche, nella
speranza di riuscire un giorno a creare una Pietra Filosofale che non richieda
Sacrifici Umani.
“Non so neanche se sia possibile. Una cosa del genere invaliderebbe del
tutto lo Scambio Equivalente…” pensa, ma sa che in fondo non è davvero
quello a turbarlo.
Chiuso in una stanza, immerso in
quella particolare ricerca, a volte ha l’impressione di essere ancora nel
Laboratorio numero cinque.
Midorima di concede un rapido
sospiro, per poi sfilarsi gli occhiali e massaggiarsi le palpebre.
Ovviamente quello studio non ha
niente a che fare con il Laboratorio a Central City; quel luogo era ampio e
quasi completamente bianco, nonostante ogni angolo fosse intriso di sangue. Il
suo studio – be’, di Kuroko, a dirla tutta – è stretto, più adatto a qualcuno
di minuto quanto l’Alchimista di Ghiaccio che ad uno spilungone ingombrante
come Midorima. Su ogni parete c’è almeno una libreria stipata al limite, al
punto che una volta Kazunari ha supposto che sarebbe bastato aggiungere un solo
foglio di carta per far esplodere tutto; La scrivania in mogano fa abbastanza a
pugni con le pareti di un delicato verde pastello, ma a Shintarou non importa, gli basta che sia piena di cassetti, in modo da
riuscire a tenere in ordine tutti i suoi appunti.
All’improvviso si sente il rumore
di un leggero tocco di nocche sulla porta, poi Takao entra nello studio.
«Shin-chan, stai cominciando a fare la muffa» ci tiene ad informarlo, con una
noncuranza del tutto simulata. Di sicuro, internamente, se la sta ridendo di gusto.
Shintarou brontola qualcosa
sottovoce, ma non se la sente proprio di negare qualcosa di così evidente.
«Crepa» dice, comunque, giusto per non perdere l’abitudine.
Si alza dalla sedia e si permette
qualche istante per stiracchiarsi, sentendo parecchie ossa scricchiolare, un
paio anche in modo quasi doloroso. «Ti raggiungo di là» mormora.
Kazunari alza un sopracciglio,
scettico, ma non fa in tempo ad esternare i suoi dubbi che l’altro riprende la
parola, «Takao, non ho cinque anni, devo solo riordinare. Non mi rimetterò a
“fare la muffa”».
C’è ancora un po’ di sospetto
negli occhi di Takao, tuttavia si limita ad alzare appena gli occhi al cielo,
«Ti aspetto in cucina. Mettici più di cinque minuti e dovrai pagare pegno»
motteggia, lasciando ben intuire dallo sguardo malizioso cosa intenda per
“pagare pegno”.
Shintarou riesce, non sa neanche
lui come, ad aspettare che l’altro sia uscito dalla stanza, prima di arrossire
violentemente.
“E rieccolo qua, il sole” pensa, sentendosi l’animo molto più
leggero.
Inforca nuovamente gli occhiali e
osserva la mole di documenti che ingombrano la scrivania. Ha appena realizzato
che dovrà stiparli in almeno quattro cassetti diversi, quando la porta dello
studio si apre di nuovo, facendogli sfuggire l’accenno di uno sbuffo.
«Takao, almeno dammi il tempo
di–» sbotta, voltandosi. Si sente ghiacciare il sangue nelle vene nel rendersi
conto che l’intruso non è affatto Kazunari.
Sgrana gli occhi, non potendo
credere davvero a ciò che essi vedono. Deve esserci di sicuro un errore, non
può essere reale; che stia dormendo? Sì, si dice, probabilmente si è
addormentato mentre esaminava le carte e questo è il frutto di un incubo.
«Questa me la devi spiegare»
esordisce l’intruso, chiudendosi la porta alle spalle e sogghignando appena;
un’espressione che poco si confà a quel viso, «Perché pensavi che fossi Takao,
Midorimacchi?»
«Kise…» esala Shintarou,
indietreggiando appena di un passo.
«Che faccia, Midorimacchi, sembra
quasi che tu abbia visto un fantasma» motteggia, per poi ridacchiare, «Oh,
giusto, in effetti io sono morto,
no?» placidamente stacca la schiena dallo stipite e si avvicina all’altro.
Un passo, l’espressione si fa più
seria, «Se solo tu fossi arrivato un paio di secondi prima, mi sarei salvato,
non credi?»
Un altro passo, l’espressione si
indurisce ancora di più, «Oppure, tornando più indietro, se tu non mi avessi
costretto a mostrarti il punto in cui mi sono diviso da Kurokocchi, non sarei
stato coinvolto in tutta questa storia, sei d’accordo?»
«È stato Akashi ad ucciderti».
Inaspettatamente, Ryouta torna a
sorridere con scherno, «Già, ma è dura prendersela con un morto».
«Cosa vuoi da me?» sussurra
Midorima, non riuscendo a trovare neanche la forza di indietreggiare ancora.
Una parte di lui continua ad urlargli che nulla di quello che sta accadendo può
essere vero, eppure tutto gli sembra troppo reale. È troppo vivido per essere
un incubo e, se quella è la realtà, una sola cosa potrebbe spiegarla.
“Trasmutazione Umana… dopo due giorni da quando ne ho parlato con
Misaki. Troppo assurda per essere una coincidenza” si dice, continuando ad
osservare l’alchimista che gli sta davanti.
«Voglio che tu non opponga
resistenza» flauta Ryouta, mentre il sorriso si addolcisce all’estremo,
rispecchiando alla perfezione quelli a cui tutti lo associano, «Devi venire con
me a conoscere un paio dei miei nuovi amici».
Shintarou si guarda attorno con
discrezione, cogliendo il sotto testo della frase secondo cui Kise in un modo o
nell’altro farà di tutto per portarlo via; cerca con lo sguardo la propria
spada, pur sapendo che è inutile, ormai ha perso da tempo l’abitudine di
portarsela sempre appresso, a Resenbool non ha senso. Fino ad ora.
«Allora, Midorimacchi, verrai con
me da bravo bambino?»
C’è scherno nella voce di Kise,
ma questo è l’ultimo dei problemi di Shintarou, troppo occupato a cercare di
capire come difendersi senza una spada e con un’alchimia applicabile quasi
esclusivamente in campo medico.
“Maledizione” pensa, in direzione dei cerchi alchemici tatuati sulle
mani, totalmente inutili.
“Forse…”
Scocca una rapida occhiata a
Ryouta, la stessa Alchimia usata per curare le persone, può anche funzionare al
contrario. Finge un sospiro rassegnato, «Suppongo di non avere scelta».
«Infatti, non ne hai» precisa
Kise, con voce fredda.
L’Alchimista di Cristallo gli si
avvicina e, una volta che ha finalmente a portata l’altro, gli poggia
rapidamente le mani allo sterno, causando un’interruzione del flusso di
ossigeno non abbastanza forte da ucciderlo ma sufficiente a fagli perdere i
sensi.
Kise non sembra affatto sorpreso
e, sotto lo sguardo stupito di Midorima, non solo non sviene ma lo allontana
con un calcio abbastanza forte da farlo sbattere con forza contro la scrivania.
«Mi sembrava di avertelo detto:
Io sono già morto», mormora, avvicinandosi a lui, «Peccato, dovrò usare le
cattive maniere».
La pelle di Kise, dalle dita agli
avambracci, si scurisce e Shintarou sa fi troppo bene cosa sta per succedere:
l’ultima volta che l’ha visto è stato quando Aomine ha usato la propria
alchimia per attaccare Kagami, finendo per colpire mortalmente Kuroko. “Certo che non se l’è tolto il brutto vizio
di copiare l’Alchimia degli altri… ma non era mai stato in grado di copiare
Aomine” pensa, spostandosi appena in tempo per non essere colpito da un
pugno di Kise.
La scrivania, che ha ricevuto il
colpo al posto suo, cede come burro al passaggio del braccio dell’altro,
frantumandosi e disperdendo per la stanza tutti i fogli delle ricerche di
Midorima.
In quel momento giunge Takao,
allertato dal frastuono; si paralizza nel vedere Kise, anche lui non può
credere a ciò che sta vedendo.
«Scappa!» intima Shintarou,
approfittando di quel momento di distrazione generale per poggiare le mani
sulle braccia di Ryouta.
“Se ha copiato l’Alchimia di Aomine, questo è carbonio. Se so cos’è,
posso scomporlo”, pensa, mentre le braccia dell’altro si sgretolano sotto
le sue dita; non è ancora finita, Shintarou lo sa bene, ma Kazunari non sembra
della stessa opinione, perché fa per avvicinarsi a lui.
«Ti ho detto di scappare!» sbotta,
quasi urlando, abbassando la guardia per un attimo di troppo, non riuscendo ad
impedire al piede dell’altro alchimista di abbattersi contro il suo fianco,
sbalzandolo contro una delle librerie. Il mobile, reso instabile dall’impatto,
gli cade addosso, bloccandolo a terra; riesce comunque a vedere Takao cercare
di attaccare Ryouta.
Usa l’alchimia per scomporre la
libreria che lo imprigiona a terra e si intromette tra i due, parando un colpo
diretto alla testa di Kazunari che probabilmente lo avrebbe ucciso; con orrore,
nota che il qualche modo le braccia di Kise si sono rigenerate.
«Vai a Central City, chiedi
aiuto, io lo tengo occupato. Non ha senso venire catturati entrambi» sibila,
iniziando ad colpire l’altro alchimista; ad ogni colpo messo a segno, qualche
centimetro del corpo dell’altro si disintegra.
Takao osserva la scena per
qualche frazione di secondo, profondamente combattuto, poi fa l’unica cosa che
sa che non si perdonerà mai.
Scappa.
[…]
Piove.
Taiga odia la pioggia da quando è diventato Alchimista,
tutte quelle inutili gocce d’acqua rendono del tutto inutile il suo potere; la
odia ancora di più da quando, parecchi anni prima, ha scoperto che oltre ad
indebolire lui fino all’inutilità, la pioggia rafforza di molto l’Alchimia di
Kuroko.
Anche in condizioni normali, Kuroko è un alchimista
eccezionale e Kagami non ha nessun problema ad ammettere la sua forza, ma in
una situazione come quella è completamente diverso, un conto è essere alla pari
o quasi, un altro è sentirsi così debole in confronto a qualcuno all’apparenza
tanto fragile.
“È patetico e svilente”
pensa, seguendo l’Alchimista di Ghiaccio per le strade di Central City. Aomine
e Momoi hanno del lavoro in sospeso, quindi è toccato a lui affiancare Tetsuya
nelle indagini, nonostante l’idea non esalti più di tanto nessuno dei due.
Taiga è ancora offeso per il trattamento ricevuto, mentre
Kuroko continua ad ignorarlo per quanto possibile.
Finalmente raggiungono il vicolo descritto da Aomine; si
trova tra due edifici particolarmente alti e c’è molto poco spazio, al punto da
far sembrare quell’anfratto ancora più oscuro di quanto già non sia. Taiga per
riuscire a passare deve mettersi di profilo, in modo da evitare di andare a
sbattere contro i muri ad ogni passo, tuttavia non ci fa troppo caso, occupato
ad “ammirare” quello spaccato di Central City dall’aria così trascurata da
contrastare con tutto il resto.
«Ci sono segni di Alchimia» mormora Kuroko, riscuotendolo
dai suoi pensieri.
Inarca un sopracciglio, «E Ahomine non se n’è reso conto?»
«Comprensibile, aveva appena visto Kise, doveva essere
troppo sconvolto per rendersene conto. Il muro che chiude il vicolo dev’essere
stato creato con l’Alchimia, forse dall’altra parte c’è qualcosa di
interessante» dice, tastando con attenzione il muro.
«Vuoi buttarlo giù?»
Kuroko inizia a tastare anche le altre due pareti e parte
del terreno, «No. Cerco di capire in quale punto sono più concentrati i residui
di Alchimia» spiega, senza smettere.
«Capisco» annuisce Kagami, condiscendente, «E questo ci è
utile perché…?»
«Perché il muro potrebbe anche essere uno specchietto per le
allodole».
“Inutile” pensa
Taiga, “Non riuscirò mai a capire come io
possa amarlo e odiarlo al tempo stesso quando fa il so-tutto-io”.
Lo osserva per qualche secondo, lo sguardo dell’altro è
sempre distante e glaciale, ma almeno stanno parlando, anche se solo di lavoro.
“È un inizio”.
«Spiegami meglio questa cosa dello specchietto per le
allodole».
Kuroko gli scocca uno sguardo dubbioso, non capendo se
l’altro sia davvero interessato alla sua teoria o se voglia solo parlare con
l’intento di riavvicinarlo in qualche modo; trattiene un sospiro e si dice che,
interesse o meno, quelle indagini le stanno svolgendo in due, non ha senso
tenersi le informazioni solo per sé.
«Se io volessi scappare da qualcuno, per avere del vantaggio
farei credere al mio inseguitore di essere andato in una direzione, magari
creando un enorme muro per bloccare il passaggio, per poi passare da tutt’altra
parte».
«Intendi dire come hai fatto ieri, quando ci siamo rivisti
dopo due anni? Quando hai guardato da una parte per farmi credere che saresti
passato di lì, per poi andare nella direzione opposta?» si informa Kagami, con
un pizzico di acrimonia nella voce. Vuole evitare frecciatine come quella, ma
non è riuscito a frenare la lingua e se ne pente subito.
Kuroko resta interdetto qualche istante, per poi decidere
che il modo più veloce per chiedere la discussione è non negare, «Esattamente»
mormora, quindi.
«E allora da dove è passato Kise?»
Le dita di Tetsuya tastano ancora per qualche secondo quello
che sembra un vecchio tombino, poi il ragazzo si permette un piccolo sorriso,
«Qui. Il passaggio è stato piombato con l’Alchimia dalla stessa persona che ha
eretto il muro».
«Però ciò che è stato fatto con l’Alchimia non può essere
disfatto, quindi non possiamo aprire il passaggio» nota, sbuffando appena; non
fanno in tempo a giungere ad una soluzione che si parano davanti a loro nuove
difficoltà.
«Credo ci serva una mappa delle fognature di Central City».
Taiga si passa una mano tra i capelli, con aria stanca. Un
tour nelle fogne di Central City non è esattamente qualcosa che muore dalla
voglia di fare, quindi quando si volta per tornare verso il quartier generale
lo fa di controvoglia, seguito da Kuroko che, invece, sembra del tutto
indifferente.
“Be’, tipico. Però di
sicuro l’idea non entusiasma neanche lui” pensa Kagami, allungando il
passo, prima si procurano quella mappa e prima potranno mettere fine a quella
situazione.
«Cosa ti aspetti di trovare?» brontola, per provare a
mantenere vivo quell’accenno di conversazione iniziato poco prima; la strada da
lì al quartier generale non è lunghissima, quindi con un pizzico di fortuna
riuscirà a parlare con Tetsuya per tutto il tempo.
«Ci sono tre possibilità, per come la vedo io. Potremmo
trovare un alchimista molto simile a Kise, invischiato in qualche affare
illegale che lo costringe a nascondersi, potremmo trovare l’alchimista che ha
effettuato la trasmutazione umana per riportare in vita Kise, oppure potremmo
non trovare assolutamente nulla» mormora l’Alchimista di Ghiaccio, senza
sbilanciarsi e senza chiedere a sua volta il parere all’altro, in un’evidente
richiesta di mettere fine alla conversazione.
Quella situazione lo mette in difficoltà, Taiga lo mette in difficoltà e Tetsuya
proprio non riesce a capire come faccia l’altro a non rendersene conto.
“Oppure lo sa e lo fa
di proposito” pensa cupamente, valutandolo qualche istante con lo sguardo.
Si dice che probabilmente è così, perché sa che Kagami non è stupido e lo
conosce più di quanto non creda, forse è l’unico a saper leggere la quasi
totalità delle sue espressioni vuote.
«Non pensi che potrebbe essere stato Kasamatsu».
Kagami non molla, continua a parlare, non curandosi del
fatto che quelle parole riportano al motivo per cui Tetsuya ha deciso di
allontanarsi. Lo sa che è per quello e sa anche che in questo modo rischia di
allontanare l’altro ancora di più, a vuole costringerlo ad affrontare
l’argomento, perché sono due anni che Kuroko a modo suo fugge.
“E Tetsuya non è uno
che scappa”.
L’alchimista di Ghiaccio esita qualche istante, perché se
deve essere sincero, all’inizio anche lui è stato sfiorato da quell’idea e,
anche se si vergogna ad ammetterlo, ha sperato
che sia così. Se Kise è vivo ed è stato davvero Yukio a riportarlo indietro,
forse lui potrebbe iniziare a perdonarsi almeno un po’. «Kasamatsu-san non è un
alchimista» dice, sentendosi meschino ad aver accarezzato quell’idea nonostante
ciò che comporterebbe, «E in ogni caso, Kise-kun soffrirebbe molto nel tornare
in vita solo perché Kasamatsu-san si è macchiato le mani di sangue e lui lo sa,
non gli darebbe mai un dolore del genere» aggiunge a voce così bassa da far
fatica lui stesso a sentirsi.
Sa che probabilmente Kagami continuerà a parlare, a tirare fuori
domande scomode, quindi è grato alla vista dell’ingresso del quartier generale
davanti a loro, la ricerca della mappa può essere l’occasione perfetta per
chiudere qualsiasi tipo di dialogo per concentrarsi unicamente sul lavoro.
Entra nell’edificio con un sospiro di sollievo, che si
ghiaccia a metà strada non appena si rende conto di cosa sta accadendo alla
reception.
Takao, che non dovrebbe essere lì, che dovrebbe trovarsi a
Resenbool con Midorima, sembra fuori di se, ha gli occhi sgranati e la voce più
acuta di un’ottava, nonostante stia cercando di mantenere un tono di voce
moderato, continua a ripetere che deve vedere urgentemente il comandante
supremo e di volta in volta una piccola luce folle gli illumina gli occhi. Ha
il respiro affannoso, le gambe che tremano ed in generale è un completo
disastro, bagnato da capo a piedi per la pioggia, con i capelli arruffati e gli
abiti sgualciti.
La ragazza dietro alla scrivania bianca sembra stia
cominciando a spaventarsi, ma gli ripete per quella che dev’essere l’ennesima
volta, che i civili devono avere un appuntamento per vedere Hyuuga e lei non
può farlo passare.
«Takao-kun» mormora Kuroko, avvicinandosi. Vorrebbe
poggiargli una mano su una spalla per calmarlo, ma l’altro è troppo teso,
probabilmente un gesto del genere lo farebbe scattare come una molla.
Kazunari si volta verso di lui e, se possibile i suoi occhi
si sgranano ancora di più. Lo guarda con aria quasi supplice e Tetsuya fa un
cenno alla ragazza, facendole intuire che sarà lui ad occuparsi della
situazione.
«Takao-kun, adesso usciamo un attimo e mi spieghi cos’è
successo» dice cautamente.
Kagami li segue fuori, ma nessuno dei due obietta alcunché.
«Kise-chan ha rapito Shin-chan». Le parole escono fuori
dalla bocca di Kazunari non appena le porte del Quartier Generale si chiudono
alle loro spalle; i due alchimisti si scambiano un’occhiata che Takao
fraintende del tutto, perché sbatte con forza un pugno sul muro dell’edificio,
richiamando su di sé l’attenzione. «Non sono pazzo! Lo so anche io che è
assurdo, ma era lui. Ha combattuto con Shin-chan perché voleva portarlo via…
Shin-chan mi ha detto di scappare e avvertire Central City dell’accaduto,
quando me ne sono andato si stavano ancora scontrando, ma non credo che ce
l’abbia fatta. Kise-chan era forte, molto più forte di… be’, prima, ha copiato l’Alchimia di Aomine!»
racconta tutto d’un fiato. Inspira rapidamente, a corto d’ossigeno, poi li
guarda con aria supplice, «Dovete credermi!»
«Takao-kun, calmati, ti crediamo» si affretta a dire Kuroko,
conscio che queste sono le uniche parole che faranno recuperare un po’ di
stabilità all’altro. Questo si concede un tremulo sospiro di sollievo, per poi
poggiarsi alla parete del Quartier Generale, improvvisamente sfinito; sembra
avere il peso del mondo intero sulle spalle, sembra sul punto di crollare e
questo è destabilizzante, perché tra Kazunari e Shintarou è sempre stato il
primo la colonna portante, nonostante le apparenze.
Kazunari chiude gli occhi e respira profondamente per una
manciata di secondi, quando riapre le palpebre sembra sempre distrutto, ma più
padrone di sé stesso di quanto fosse prima, «Mi credete davvero o è la frase di
circostanza che si dice ai pazzi prima di rinchiuderli in manicomio?»
«Qualche giorno fa Ahomine giura di aver visto Kise
passeggiare qua a Central City. Il Generale Aida ha costretto Kuroko ad
iniziare un’indagine ufficiale» snocciola Kagami, grattandosi la nuca con aria
seccata, la situazione non fa che complicarsi di secondo in secondo, «Ti
crediamo sul serio».
«Cosa diavolo
state dicendo?»
Takao, Kagami e Kuroko si voltano di scatto; così presi dal
racconto di Kazunari, nessuno di loro si è accorto di una quarta persona
abbastanza vicina a loro da sentire ogni singola parola.
Kasamatsu Yukio, probabilmente nell’atto di rientrare al
Quartier Generale dopo aver portato a termine qualche compito, è fermo
sull’ultimo gradino della lunga scalinata che conduce all’entrata
dell’edificio; il suo sguardo spazia su tutti e tre, sembra fatto di acciaio
puro, ma se possibile si indurisce ancora di più nel posarsi su Kuroko.
Nessuno pensa che la situazione possa ulteriormente
degenerare.
Sbagliano.
Death Note:
Sono in ritardo, lo so… però, dai,
almeno non sono passati mesi e mesi dall’ultimo aggiornamento, piano piano sto
migliorando! Prima o poi sarò in grado di fare aggiornamenti settimanali
costanti!
Che dire del
capitolo?
Avevo promesso la
comparsa di Kasamatsu e, in effetti, eccolo qua, anche se in minima parte. Ci
sarebbe dovuto essere un pezzo più lungo su di lui, più introspettivo, ma
avrebbe tagliato di netto il filo conduttore del capitolo, ovvero il degenerare
drastico della situazione di secondo in secondo, quindi ho deciso di rimandare.
Ci si vede al
prossimo giro! Spero di essere più puntuale!
Kasamatsu è pienamente cosciente dei suoi limiti; la sua
pazienza, ad esempio, non è mai stata eccelsa, gli capita di cedere all’ira più
di quanto gli piaccia ammettere.
Sentire proprio quelle determinate persone vaneggiare su
Kise è quanto di più vicino al punto di rottura dei suoi nervi, quindi si
stupisce nel riuscire a limitarsi a freddarli con lo sguardo, quando in realtà
vorrebbe solo prenderli a pugni.
La pioggia continua a cadere incessante, ma lui al momento
non riesce proprio a farci caso; davanti a quelle assurde parole pronunciate
dagli altri, qualsiasi altra cosa perde improvvisamente importanza. Incrocia le
braccia al petto e il suo sguardo si indurisce ancora di più, mettendo in
chiaro che sta aspettando una risposta e che non permetterà loro di andare via
prima di averla ottenuta.
I suoi occhi in piena tempesta si spostano su tutti e tre e
ciò che vede non è per nulla rassicurante. Kagami è pallido e, be’, non c’è
davvero bisogno di parlare di Takao, è un completo disastro e ogni dettaglio
nella sua persona urla che qualcosa di terribile dev’essere successo; quando
osserva Kuroko si dice che forse nelle assurdità pronunciate dai tre potrebbe
esserci qualcosa di vero, perché null’altro potrebbe giustificare la presenza dell’Alchimista
di Ghiaccio.
Tetsuya, due anni prima, è scappato dalle sue
responsabilità, da ciò che ha fatto e Kasamatsu lo conosce quel poco che basta
da sapere che non avrebbe mai rimesso piede a Central City se non per qualcosa
che riguardi da vicino le vicende di Ishval, a maggior ragione se c’è di mezzo
Ryouta.
Gli occhi di Kasamatsu non si scollano un secondo dall’esile
figura dell’Alchimista, in quella che è una sorta di sottile vendetta: ora che
Kuroko è lì, non gli concederà più il lusso di fuggire e il conto da pagare inizia da un resoconto
completo dei fatti.
Decide che non accetterà le parole di nessun’altro,
dev’essere l’Alchimista di Ghiaccio a parlare e il modo insistente con cui lo
guarda non lascia dubbi al riguardo.
Sa bene che dovrebbe vergognarsene, ma non riesce proprio a
fare a meno di provare una sorta di sottile e feroce piacere nel mettere alle
strette l’altro. Lui stesso a due anni di distanza non riesce a capire, in
tutta quella storia, quanta della
colpa sia di Kuroko, quindi in fondo sa che non è del tutto corretto dargli
addosso in quel modo.
“Però è scappato e a
raccogliere i cocci sono rimasto solo io” pensa con rabbia, stringendo
appena i pugni.
Tetsuya, da quando è tornato a Central City, si è spesso
sentito in difficoltà nel rapportarsi con gli altri, ma questa è la prima volta
in tutta la sua vita in cui sente il disagio attraversarlo in ondate tanto
dense, al punto da avere quasi la sensazione di qualcosa che gli striscia
sottopelle.
Sa che trovandosi nella stessa città e lavorando nello
stesso edificio sarebbe stato impossibile non incontrare Yukio, tuttavia ha
sperato in ogni istante di poter rimandare all’infinito quel momento.
Più che vederlo, Kuroko sente
lo sguardo dell’altro addosso ed è spiazzante; rimane inchiodato sul posto
incapace di muoversi e, quasi, di respirare.
Vuole abbassare lo sguardo e smettere di sentire quegli
occhi bruciarlo vivo, ma non riesce a fare nemmeno quello, può fare solo ciò
che Kasamatsu si aspetta da lui: dargli delle risposte.
Inspira un paio di volte, in modo tanto lieve che lo sterno
si muove appena, infine riesce a trovare una sorta di equilibrio e si decide a
parlare, con la certezza di non far trasparire dalla voce nulla di ciò che
sente al momento.
Le parole gli si scollano dal palato con più facilità di
quanta ha creduto possibile, di volta in volta raccontare tutto diventa più
semplice, forse perché ad ogni ripetizione le frasi sbiadiscono, perdendo
gradualmente significato. È solo una storia, forse vera o forse pura illazione,
ma pur sempre solo una storia da ripetere diligentemente a chiunque abbia
bisogno di una giustificazione per la sua presenza a Central.
Per tutto il tempo si impone di mantenere il contatto visivo
con il Generale, perché non può fare a meno di pensare che in quel modo espierà
almeno una piccolissima parte delle sue colpe. Checché ne dicano gli altri, lui
non è il tipo di persona che scappa, non lo è mai stato.
Rintanandosi a Briggs di certo non è fuggito dai sensi di
colpa, anzi, ha impedito a persone come Kagami, Aomine o Momoi di persuaderlo
di non essere il diretto responsabile della morte di Ryouta.
Non si aspetta che Kasamatsu capisca questo e, di certo, lui
non glielo spiegherà, quindi si limita a subire quello sguardo che continua ad
annichilirlo nonostante ormai abbia terminato la spiegazione già da diversi
secondi.
“Chi è causa del suo
male, pianga se stesso, no?” pensa, sentendosi improvvisamente esausto, la
situazione è più logorante di quanto gli piaccia ammettere.
Vede il corpo di Yukio irrigidirsi e tendersi e i suoi pugni
stringersi con forza, al punto che Kuroko è quasi certo che l'altro stia per
mettersi ad urlare, tuttavia si conclude tutto con Kasamatsu che si scioglie in
un sospiro denso di dolore e risentimento.
Tetsuya sa con certezza, adesso, che avrebbe mille volte
preferito sentirlo urlargli contro, perché l'incurvatura che prendono le spalle
dell'altro danno l'impressione di un uomo distrutto.
«Quindi, cosa state facendo per accertarvi che Aomine non si
sia del tutto bevuto il cervello?» domanda il Generale, questa volta a nessuno
in particolare, per poi passarsi una mano prima sul viso e poi tra i capelli,
sembrando improvvisamente molto più vecchio.
«Abbiamo riscontrato tracce di alchimia nel vicolo in cui
Aomine ha visto sparire il presunto Kise, adesso vogliamo procurarci una mappa
delle fognature. Magari ricostruendo il suo percorso possiamo scoprire dove si
nasconde» spiega Kagami, togliendolo dall'impiccio di dover continuare ad
essere il solo a subire l'interrogatorio di Yukio.
Non fa in tempo a scoccargli un'occhiata di gratitudine –
perché per un istante riesce a dimenticarsi dei paletti che ha messo tra loro –
che un tonfo acuto richiama l'attenzione di tutti.
Takao ha sbattuto un pugno contro il muro dell'edificio e
guarda ognuno di loro con gli occhi carichi di rabbia mista a terrore.
«Non c'è nessun "presunto Kise". C'è Kise e basta,
che è molto più forte di quanto non sia mai stato ed ha rapito Shintarou,
smettetela di perdere tempo. Con tutto il dovuto rispetto, Kasamatsu, o aiuti o
ti levi dalle palle».
«Sono un…!»
«Un mio superiore?» lo interrompe Kazunari con un sogghigno
che, per un momento, lo fa sembrare meno disperato, «Mi sono dimesso, quindi o
sei un aiuto o sei una palla al piede» motteggia, tuttavia a denti stretti,
mettendo in chiaro che non sopporterà altre diversioni.
Lo sguardo valutativo di Yukio che segue quelle parole dura
diversi secondi, poi il Generale borbotta qualcosa di incomprensibile sul rispetto
ed entra dentro al Quartier Generale, sbattendosi la porta alle spalle.
Appena l'altro sparisce, inghiottito dall'edificio, Takao si
porta una mano al petto e sospira di sollievo in modo forse un po' troppo
melodrammatico.
Lo scatto di rabbia derivato dal fatto che gli altri se ne
stessero con le mani in mano a conversare
è stato reale, ma l'impennata di arroganza nel rivolgersi a Kasamatsu è stata
tutta una recita fatta senza sapere davvero quanto in là avrebbe potuto
spingersi.
«Per un momento ho creduto che mi avrebbe sparato» esala a
beneficio degli altri due.
"Troppe emozioni,
davvero, troppe emozioni in troppo poco tempo. Prima o poi mi cederà il
cuore".
Tetsuya lo guarda qualche istante, come a volerlo esaminare;
è evidente che né lui né Kagami si sarebbero aspettati un simile teatrino da
lui, ma entrambi sembrano convenire che data la situazione tutto è concesso o
quasi, perché le rimostranze che seguono sono troppo deboli per esser spinte da
vera convinzione.
«Credo di averlo visto sfiorarsi la fondina» conviene
Kagami.
Kuroko, invece, gli rivolge l'ennesimo sguardo vuoto, guastato
appena da una punta di disapprovazione, «Dovevi proprio?»
"Ugh… rimostranze deboli, avevo detto?"
L'Alchimista di Ghiaccio ha capito che lui non si è limitato
a fare la voce grossa, ma ha messo l'altro in condizione di non potersi esimere
dal collaborare alle indagini. Takao non ha dubbi sul fatto che Kasamatsu sia
diretto all'archivio per recuperare una mappa delle fognature; gli ha
rinfacciato il fatto che potrebbe davvero essere il suo Kise ad aver fatto del male a Midorima e questo gli impone il
dovere morale di aiutarlo.
«Sì», risponde, quindi, «Dovevo proprio».
[…]
Midorima non sa dove si trova, è tutto buio e gli occhi non
riescono a scorgere nulla di ciò che lo circonda. Se deve essere sincero, non
riesce neanche a ricordare quando li ha aperti, gli occhi.
C'è un forte odore di sangue che sembra quasi impregnare la
parete alla quale è incatenato; l'olezzo è così forte che Midorima per un
attimo pensa che sia il muro stesso a sanguinare, si aspetta da un momento
all'altro di sentirsi addosso i densi rivoli rossi, ma quel piccolo accenno di
lucidità che riesce a tenere stretto tra le dita gli dice che tutto quello non
è assolutamente possibile.
I muri non sanguinano.
Le persone sì.
Midorima è confuso.
I suoi pensieri sono leggeri e disordinati, del tutto
sconnessi e per quanto si ostini a provare a rincorrerli non riesce ad
afferrarne neanche uno.
Chiude gli occhi, perché in ogni caso non fa alcuna
differenza con il tenerli aperti, e in quel momento si rende conto del leggero
ronzio che sente nelle orecchie; leggero e costante, tanto da sembrare
silenzio, eppure c'è.
"Commozione
cerebrale?"
Si dice che è buffo, perché con gli occhi chiusi tutto gli
sembra più chiaro ed è un paradosso, riesce perfino a sentire la fastidiosa
sensazione di bagnato su quasi tutto il suo corpo e finalmente giunge ad una
conclusione che spiega il perché del forte odore di sangue.
I muri non sanguinano, le persone sì.
"Sono io che sto
sanguinando…"
Una volta fatta quella semplice constatazione, diventa
sorprendentemente facile ricordare come si è ridotto in quel modo. Ricorda
Kise, ricorda di aver ordinato a Kazunari di scappare, ricorda il lungo scontro
contro l'altro alchimista che, come preventivato, si è concluso con la sua
sconfitta e adesso eccolo lì.
Non ha idea di dove Ryouta l'abbia portato, sa solo che si
sente debole ma non abbastanza da perdere nuovamente i sensi, anzi, lentamente
si fanno sempre più acuti, così come pian piano ritorna la sua capacità di
pensiero razionale.
"Cosa vogliono da
me?"
La porta sbatte e la luce viene accesa prima ancora che lui
abbia il tempo di finire quel pensiero. Ringrazia di aver tenuto gli occhi
chiusi, perché è più che certo che l'illuminazione improvvisa della stanza sarebbe
stata in grado di causargli delle fitte alla testa non indifferenti.
Molto lentamente si azzarda ad aprire gli occhi, ma anche
una volta spalancati gli ci vuole qualche istante per mettere a fuoco Kise – per
quanto concesso dall'assenza dei suoi occhiali, andati distrutti durante lo
scontro – davanti a lui con una smorfia che potrebbe essere un sorriso tanto
quanto un semplice mostrare i denti, come un animale.
«Allora, Midorimacchi, come ti senti?» cantilena
l'Alchimista Specchio.
Anche in quelle condizioni, Midorima non vorrebbe far altro
che urlargli di non fare domande idiote, ma realizza di non averne davvero la
forza, quindi si limita a guardarlo negli occhi con debole aria di sfida, «Passa
direttamente alla parte in cui mi dici cosa vuoi da me» dice con voce bassa e
rauca.
Midorima si accorge del bicchiere che l'altro ha in mano
solo quando Ryouta glielo avvicina alle labbra; scosta la testa di lato e ciò
fa ridere di gusto l'altro Alchimista, in quel momento Shintarou lo ucciderebbe
molto volentieri e senza il minimo rimorso.
"Se non fosse che
è già morto, certo…"
«Midorimacchi, sul serio? Se ti volessi morto a quest'ora
saresti sotto qualche metro di terra; bevi, è solo acqua».
L'Alchimista di Cristallo vorrebbe resistere, anche solo per
mettere in chiaro che non ha intenzione di obbedirgli come un cagnolino, ma si
sente la gola completamente riarsa ed è bastata la frase pronunciata prima a farla
bruciare ancora di più, quindi cede e beve avidamente ogni goccia d'acqua,
provando un lieve sollievo.
«Voglio una risposta» ci tiene comunque a precisare, senza
abbandonare l'aria di sfida.
Kise scuote la testa con aria divertita, come a trovarsi davanti
ad un bambino particolarmente capriccioso, «A me e ad alcuni amici serve in
prestito il tuo cervello per un certo progetto».
«Immagino che chiedere
il mio aiuto prima di aggredirmi fosse fuori discussione».
Il sorriso dell'altro si amplia, facendogli venire voglia di
prenderlo a schiaffi, «Diciamo che è qualcosa che potresti voler rifiutare di
fare. Quindi ci servi debole, indifeso, ma abbastanza lucido da poter lavorare».
Shintarou sa di non essere uno stupido e ormai il suo
cervello è tornato a lavorare a pieno regime, non gli riesce troppo difficile
intuire che cosa voglia Kise da lui.
Ryouta è morto, eppure ora si trova vivo e vegeto davanti a
lui; per quanto non l'abbia mai creduto davvero possibile, c'è solo una cosa
che può aver riportato in vita l'altro, la stessa cosa che lui solo è in grado
di fabbricare e che quindi giustificherebbe quel rapimento.
«La Pietra Filosofale?» si scolla dal palato, sperando per
la prima volta in vita sua di sbagliarsi, per quanto sia una possibilità
remota.
Gli sembra incredibile che quelle pietre maledette siano
state in grado di favorire la buona riuscita di una trasmutazione umana, ma il
fatto di essere stato rapito in realtà porta con sé un buona notizia.
"Sono finite. Se
hanno bisogno di me per crearne altre vuol dire che sono finite".
«La Pietra Filosofale, esatto» conferma Kise, serio, «Stai
tornando ad essere abbastanza lucido, vedo; direi che questo semplifica le cose».
Midorima non riesce ad evitarsi una lieve smorfia, «No, non
proprio. Io non ho la minima intenzione di fabbricare delle Pietre Filosofali e
tu non hai i mezzi per obbligarmi a fare qualcosa contro la mia volontà o per
corrompermi».
«Takao Kazunari» si limita a cantilenare Kise e in quel nome
ci sono così tanti sottintesi che a Shintarou viene quasi da vomitare, tuttavia
non ha intenzione di cedere.
Kazunari non è uno stupido e di sicuro deve aver capito lo
stato delle cose quando lui gli ha ordinato di scappare: è stato evidente da
subito che Kise non ha voluto nulla da Takao se non usarlo contro di lui,
quindi l'altro si sarebbe fatto uccidere piuttosto che farsi catturare vivo ed
essere usato come merce di scambio.
«Takao è al sicuro a Central City».
Il ghigno che gli rivolge Ryouta riesce a distinguerlo alla
perfezione nonostante la poca vista di cui è dotato al momento ed è
agghiacciante, non promette niente di buono.
«E, di grazia, dove credi che siamo adesso?»
Adesso Shintarou ha la certezza assoluta di voler vomitare.
[…]
Ad Aomine Hyuuga non è mai piaciuto granché. Niente di
particolarmente grave, a conti fatti, tenendo conto che sono davvero poche e
persone che possono vantare di essergli state simpatiche a primo acchito.
Il nuovo Comandante Supremo, ovviamente, non è in questa
cerchia ristretta e lui non si è mai premurato di andare oltre l'antipatia a
pelle che sente per l'altro. Una parte del suo cervello, quella più saggia e
ragionevole e, di conseguenza, quella che di solito viene bellamente ignorata, gli
dice che alla base di quella mal sopportazione c'è il fatto che Junpei ha fatto
per anni ciò che lui non ha mai avuto il coraggio di fare fino all'ultimo
istante: prendere le parti di Ishval durate la guerra civile.
Hyuuga, a differenza sua, non ha sangue Ishvalan nelle vene,
eppure si è schierato contro Amestris durante la guerra, mentre lui è rimasto
fedele ad Akashi per poi voltargli le spalle solo agli sgoccioli del conflitto.
Quel ragionamento, però, suona troppo simile a qualcosa come
l'invidia, quindi tende ad allontanarlo ogni volta che questo si forma nella
sua mente. Al momento attuale, tuttavia, non è questo il motivo per cui sente
di odiare Hyuuga con la forza di mille soli.
No, lui adesso lo sta odiando perché ha escluso lui e Momoi
dal caso del presunto Kise, lasciano tutto nelle mani di Bakagami, che sembra
perdere neuroni ogni volta che Tetsuya è nei paraggi e, be', lo stesso Kuroko,
che è evidente non veda l'ora di chiudere il caso e tornare a congelarsi il
didietro a Briggs.
"Uno è
incapacitato ad usare la testa e l'altro muore dalla voglia di confermare che
mi sono bevuto il cervello. Senza contare i drammi amorosi che intercorrono tra
loro. Certo che Hyuuga è proprio uno stronzo ad affidare il caso proprio a loro
due".
Junpei ha giustificato tutto dicendo che un caso delicato
come quello non deve attirare troppa attenzione e di conseguenza devono
lavorarci meno persone possibile, tuttavia Daiki non riesce a non pensare che
sia una bieca ingiustizia, dopotutto è lui ad aver avvistato Kise, ha tutto il
diritto di indagare, anche solo per convincersi di non essere del tutto pazzo.
"Tetsu e Bakagami
sono i primi alchimisti che il SEIRIN riuscì a reclutare, che si affidi a loro
per questo?"
«Dai-chan, stai di nuovo pensando a cose stupide?»
Ultimo ma non ultimo, nella lista di motivi per cui in
questo momento odia a morte Hyuuga, ha relegato lui e Satsuki ad incarichi
amministrativi.
Roba noiosa. Mortalmente noiosa. Così tanto da permettere a
lui di far vagare la mente dove non dovrebbe e alla ragazza di rendersene conto
con una facilità disarmante.
Aomine alza lo sguardo per incontrare le iridi chiare di
Momoi, seduta di fronte a lui alla scrivania che hanno occupato per esaminare
l'immensa mole di documenti vari che il Comandante Supremo ha affidato loro.
Per un attimo si sente ancora stampate a fuoco nelle cornee
le lettere nere dei fogli, deve sbattere un paio di volte le palpebre per
sbarazzarsi di quelle ombre fastidiose, poi si massaggia gli occhi con aria
stanca.
«Questo lavoro è lobotomizzante, non ho neanche la forza di pensare figuriamoci se ci riesco per
cose stupide» commenta, buttando all'indietro la testa per sgranchirsi un po'
il collo irrigidito.
Sa che probabilmente Momoi vorrebbe fare battute sul fatto
che per essere lobotomizzati bisognerebbe avere un cervello, ma la ragazza
sembra avere pietà di lui perché si limita ad annuire con aria comprensiva.
«Direi che per oggi abbiamo finito, continuiamo domani?»
propone, e c'è qualcosa di sospetto nel modo in cui lo fa, ma Daiki decide di
non indagare, conosce la ragazza quel tanto che basta da sapere che sarà lei a
parlargli una volta che ci saranno le condizioni adatte a farlo.
Senza aggiungere altro, comincia a ritirare i documenti,
dividendo con accuratezza quasi maniacale quelli esaminati con quelli ancora da
consultare – sia mai che gli capiti due volte lo stesso barbosissimo documento,
potrebbe venirgli voglia di impiccarsi.
La ragazza lo imita ed è una fortuna che nella stanzina
chiara che hanno utilizzato come ufficio ci siano solo loro, perché ogni
movimento di Satsuki urla che c'è qualcosa che muore dalla voglia di dire, ma
che non vuole farlo lì.
Daiki sbuffa, quasi scocciato dalla situazione ed esce
dall'ufficio improvvisato, dirigendosi verso l'uscita con le mani pigramente
infilate nelle tasche; dopo qualche secondo, sente Momoi trotterellargli alle
spalle e pure i di lei passi suonano impazienti, quindi Aomine trova più che
lecito voltarsi nella direzione della ragazza non appena mettono piede fuori.
«Allora?»
Momoi esita e non è mai una buona cosa quando succede. Vuol
dire che sta per fare una considerazione che si rivelerà vincente, ma che sarà
anche qualcosa che non gli piacerà affatto, «Stavo pensando… Tetsu-kun e Kagamin si stanno impegnando molto per scoprire se Ki-chan è vivo, no?» chiede. È una domanda abbastanza
retorica, quindi Aomine pensa quasi che non sia il caso di rispondere, tuttavia
gli occhi di Satsuki sembrano cercare il suo parere quasi con disperazione,
quindi si costringe a scollare dal palato qualche sillaba.
«Suppongo di sì» si risolve a dire; la risposta più
veritiera sarebbe che probabilmente i due si stanno impegnando molto per
dimostrare che lui è un pazzo fulminato, ma Momoi in quel momento è elettrica, non ha bisogno di sentirlo
fare il suo melodramma.
«E se ci fosse un modo più veloce per verificarlo? Dopotutto
ci sono due modi per arrivare alla verità: constatare che è vivo o…»
«Ohi, Satsuki…» la interrompe, a disagio, perché già
immagina dove vuole andare a parare la ragazza. Se non si può dimostrare
facilmente che Kise è vivo, c'è un modo piuttosto semplice per dimostrare che non è morto.
«… Il corpo di Ki-chan è stato
seppellito, ma se la bara adesso fosse vuota?»
Death Note: Honto ni gomen nasai! n(_ _)n
Sono in ritardissimo, lo so, ma giuro che
questo capitolo è stato un vero e proprio parto! Soprattutto i pov di Kasamatsu e di Kuroko. Anzi, praticamente solo i loro
pezzi hanno richiesto un sacco di tempo, tenendo conto che il resto del
capitolo è stato scritto in due giorni!
Non sapevo come gestire un incontro tra loro due, è davvero passata
troppa acqua sotto i ponti e troppa sofferenza, ma almeno adesso le cose hanno
iniziato a muoversi almeno un po'!
Grazie a chi segue questa storia e si premura di lasciare un commentino
anche se sono un disastro con gli aggiornamenti!
Aomine non sa davvero spiegarsi per quale motivo stia
seriamente dando corda a Satsuki, dal momento che la sua idea è uno strano
miscuglio tra pura follia e… be', sì okay, anche un pizzico di genialità, ma
decisamente è la parte di "pura follia" a prevalere e a preoccupare
tanto il ragazzo, che ora non può che guardarsi attorno con aria incerta mentre
insegue l'amica di una vita.
"Dovrei imparare
a scegliermi meglio gli amici, ecco cosa", si rimprovera mentalmente,
pur non credendo davvero ai suoi stessi pensieri, dopotutto Momoi non gli ha
mai dato modo di dubitare della loro amicizia, quindi ora il minimo che può
fare è concederle un po' di credito e sperare che tutto possa risolversi per il
meglio.
Ancora una volta lo sguardo dell'Alchimista Scudo corre a
guardarsi attorno, quasi fremente; non gli sono mai piaciuti i cimiteri,
sentimento che non ha potuto che rafforzarsi alla morte di Kise, quindi quando
proprio è costretto a metterci piede fa in modo che sia di giorno, tuttavia
questa volta la situazione è del tutto diversa: devono riesumare una bara e
controllare che questa contenga effettivamente un corpo e quindi hanno dovuto
attendere l'ora più buia della notte.
Si tratta di un'azione totalmente autonoma a cui il
Comandante Supremo, quel dannatissimo Scemohyuuga, non avrebbe mai concesso
alcuna autorizzazione, quindi non devono essere visti per nessuna ragione al
mondo.
"Maledizione,
Satsuki, dovevi scegliere proprio questo momento per perdere del tutto il
cervello?" pensa sconsolato in direzione della ragazza, mentre
finalmente giungono davanti a quella che fino a pochi giorni prima tutti hanno
pensato essere la tomba di Kise.
Esita qualche secondo, osservando la lapide bianca che,
avvolta dalla notte, perde ogni traccia di candore, sembrando quasi sporca.
Ancora qualche secondo, poi lascia cadere sul terreno la pala che ha portato in
spalla fino a quel momento, senza però affondare al suolo.
«Non so, Satsuki... Se davvero Kise è qui, sarebbe un atto terribile
riesumarlo».
La ragazza gonfia appena le guance, perché in realtà
quell'idea non va più di tanto a genio nemmeno a lei, ma ha confidato nella
forza mentale di Aomine per avere la convinzione necessaria ad andare fino in
fondo, salvo poi ricordarsi che se si parla di Ryouta, l'amico tende a perdere
ogni traccia di affidabilità.
Davanti all'esitazione di Daiki, non può che riprendere
possesso lei stessa della propria saldezza e in quel momento si rende conto che
dopotutto il risultato non cambia più di tanto, l'importante è che uno dei due
trovi la risolutezza necessaria a fare ciò che va fatto e se non si tratta di
Aomine sarà lei.
Si porta quindi le mani ai fianchi, pur non riuscendo ad
infondere allo sguardo tutta la durezza che vorrebbe, perché sa che dopotutto
l'amico anche se a distanza di anni non ha ancora smesso di soffrire per quanto
successo.
«Dai-chan», esordisce e basta il nomignolo a far perdere
ogni traccia di rimprovero, «Non stiamo per depredare una tomba, stiamo
cercando di capire la verità per il bene dello stesso amico che dovrebbe star
riposando qui e forse non lo sta facendo», termina, rendendo le sue parole
dense di persuasione.
Aomine esita ancora qualche rapido istante, cercando di
capire quale sarebbe, in questa situazione, il male minore. Pensa ancora, ma in
realtà sa che la decisione è già stata presa nel momento stesso in cui, pochi
anni prima, ha deciso che non può più voltare la testa davanti ai problemi e
sperare che qualcuno li risolvae al posto suo, come
accaduto per la guerra civile di Ishval.
Entrambe le mani ora stringono la pala e lo fanno con così
tanta forza che gli sembra quasi di sentire il legno del manico scricchiolare
appena.
Deve farlo perché è la cosa giusta da fare, anche se è
qualcosa che non gli piacerà nemmeno un po'; sa che è arrivato il momento di
ingoiare il boccone amaro e fare tutto quello che può per ciò che è giusto.
Ritrovata la determinazione, non ci mette molto a rendersi
conto di quanto le stese circostanze siano favorevoli a ciò che si appresta a
fare; la luna e le stelle sono coperte da grosse nuvole spesse e scure e la
piaggia non ha ancora smesso di cadere fitta, nascondendo sia lui che Satsuki
alla vista.
Il destino stesso sembra donare loro l'approvazione per ciò
che stanno per fare, quindi la sola idea di tirarsi indietro comincia a
sembrare profondamente ridicola; fa pressione sulla pala, spingendola verso il basso
e sentendola finalmente affondare nel terreno.
Ci vuole un tempo che a lui sembra infinito prima che la
punta della pala tocchi il legno lucido della bara, tuttavia non risente
minimamente della stanchezza che sa che dovrebbe provare dopo un lavoro del
genere; si sente inaspettatamente estraniato, come se non siano state davvero
le sue braccia a muovere la vanga che ha riportato alla luce la bara, tuttavia
non può che tornare in sé quando Momoi si offre di aiutarlo a sollevare il
coperchio del feretro.
Fa un cenno dismissivo con la mano, sentendo la gola troppo
secca per poter comunicare a voce che intende fare da solo; si concede un
rapido sospiro, non riuscendo nemmeno a capire se spera di trovare le spoglie
di Ryouta o un feretro completamente vuoto.
Raccoglie gli ultimi rimasugli di determinazione e con un
gesto secco apre la bara, non rendendosi nemmeno conto di star trattenendo il
respiro.
Gli occhi di Satsuki si sgranano, mentre indietreggia appena
scuotendo piano la testa in segno di diniego; si porta una mano davanti alla
bocca perché nonostante abbia creduto per tutto il tempo di essere pronta,
adesso che ha sul serio la verità a portata di sguardo, non riesce a credere a
ciò che i suoi occhi stanno vedendo.
Deglutisce a vuoto una, due volte, poi gira le spalle alla
scena.
Chissà dove, riesce a ritrovare un filo di voce, «...
Dobbiamo avvertire gli altri».
[…]
Nonostante le premesse siano state piuttosto scoraggianti,
dopo che Kise si è reso conto di averlo piegato utilizzando Takao come una
sorta di ostaggio, Midorima è stato trattato con ogni riguardo.
Ora che si sente decisamente più lucido, l'alchimista si rende
conto che effettivamente non potrebbe che essere così, se davvero gli alleati
di Ryouta vogliono la Pietra Filosofale: finché lui rimane l'unico a conoscere
il procedimento per crearla, sono obbligati a mantenerlo in salute, seppur in
condizione di non poter scappare.
Gli occhi dell'Alchimista di Cristallo si posano sui due
cerchi di metallo che ha ai polsi; servono ad inibire completamente la sua
alchimia, ma per non impedirgli i movimenti e quindi rallentarlo nel lavoro
hanno optato per due braccialetti piuttosto che un paio di manette.
Sospira e si guarda attorno; la stanza in cui si trova ora
che è pronto per mettersi a lavoro sembra essere stato
costruita ad immagine e somiglianza di quello che è stato il suo studio al
laboratorio numero cinque.
L'ambiente è spoglio di ogni cosa ad esclusione di un ampio
tavolo da lavoro fornito di tutto ciò che può essere utile a svolgere quello
spiacevole incarico; le pareti, esattamente come al vecchio laboratorio, sono
di un bianco quasi accecante e anche questo promette di macchiarsi presto di
litri e litri di sangue per gli sciocchi capricci del megalomane i turno.
Midorima non ha dubbi che la stanza è stata resa uguale al
luogo che popola i suoi peggiori incubi per scoraggiarlo e renderlo
ulteriormente debole e succube alle loro richieste.
"Il cristallo è
fragile", lo ha sentito dire di sfuggita da Takao, una volta, e lui è
abbastanza realista da sapere quanto ciò possa essere vero, tuttavia sa anche
che i frammenti di cristallo possono essere estremamente affilati e letali.
La partita non è ancora chiusa e Midorima ha la certezza che
riuscirà a trovare una via d'uscita da quella situazione, non tanto per
l'arroganza di cui è stato spesso tacciato, quella l'ha lasciata perdere dopo
Ishval, ma perché ha la certezza che colui che lo ha rapito sia il vero Kise,
con tutti i suoi notevoli difetti.
"Come il non
saper tenere quella dannatissima bocca chiusa. Mi ha detto che ci troviamo a
Central City, come ha fatto a non rendersi conto di quanto sia stato un passo
falso?" pensa, passandosi una mano tra i capelli.
Adesso che Ryouta è in grado di copiare anche le tipologie
di alchimia della Generazione dei Miracoli, è più che sicuro che in battaglia
l'Alchimista Specchio può batterlo senza alcuna difficoltà, tuttavia sa anche
che proprio perché lui è il vero Kise, può essere battuto in astuzia.
"Ho solo bisogno
di tempo per elaborare una strategia..."
In realtà il processo per la creazione di una Pietra
Filosofale è di una velocità disarmante, ma il fatto che lui sia l'unico al
mondo a saperlo è l'àncora di salvezza che gli permette di nascondersi dietro a
lunghi calcoli complicatissimi, del tutto inutili al processo, ma molto comodi
per sprecare quanto più tempo possibile.
«Allora, Midorimacchi, hai intenzione di guardarti attorno
ancora per molto?»
Un'altra cosa estremamente simile a quando lavorava al
laboratorio numero cinque è che anche adesso esattamente come allora non è mai
solo nemmeno per un istante; l'unica differenza sta nel fatto che se nei giorni
passati l'intruso nelle sue ricerche è stato Takao, adesso è la fastidiosa
presenza di Ryouta a tenergli compagnia.
Oltre a Kise ci sono altre quattro persone che si addentrano
di tanto in tanto in quel laboratorio improvvisato e tutte prendono
tranquillamente ordini dall'Alchimista Specchio, dando l'idea che sia lui il
capo assoluto di quel posto, tuttavia questa ipotesi non convince Midorima
nemmeno un po', troppo abituato ai metodi di comando di Akashi per poter
pensare davvero che qualcuno con il potere in mano passi le sue intere giornate
a fare da cane da guardia a lui.
"Lo stanno
usando, esattamente come vogliono usare me".
Realizza Midorima, mentre borbotta qualcosa per poi tornare
ai suoi falsi calcoli.
Di certo non può limitarsi a prendere tempo e basta, deve anche
trovare il modo per sfruttare quegli attimi rubati, quindi per qualche attimo
smette di scrivere l'ennesima equazione puramente scenica per tamburellare
piano la penna sul foglio e voltarsi appena in direzione di Kise.
«Prima o poi me li farai conoscere questi tuoi nuovi amici?»
domanda pacato, come se Ryouta non fosse mai morto e si trovassero in un magico
mondo in cui gli avvenimenti di Ishval non sono mai accaduti.
L'Alchimista Specchio o ciò che di lui rimane inarca appena
le sopracciglia; non ci va davvero un genio a capire che Midorima sta provando
a macchinare qualcosa, non tanto perché domandargli informazioni su gli altri sia un tentativo quasi
patetico per estorcere informazioni utili, più che altro perché non ha mai
sentito Shintarou iniziare una conversazione di sua spontanea volontà, non con
lui almeno.
Si mordicchia appena il labro inferiore perché nonostante
ciò che è adesso, nonostante il risentimento che prova, forse un po' del
vecchio se stesso dimora ancora in lui.
Quella parte che ha sempre voluto essere amica di tutti, che
non ha mai capito per quale motivo Midorima fosse sempre tanto distante, gli
grida nel petto che, dannazione, proprio adesso che ha la possibilità di avere
almeno una vaga imitazione di dialogo non può tirarsi indietro.
Dalle labbra socchiuse gli fuoriesce un lieve sospiro,
decidendo che se farà attenzione e non farsi uscire troppe informazioni non ci
sarà niente di male nel parlare un po'.
"Solo un po',
però. Il tempo stringe, ci serve la Pietra" gli ricorda la vocina
sottile che ha cominciato a sibilare nella sua mente dal giorno del suo risveglio.
«In realtà già li conosci, ma non ti dirò di chi si tratta»
dice, per poi ridacchiare appena all'espressione contrariata dell'altro.
«Credimi, è meglio che tu non li veda, se vuoi avere l'opportunità di tornare a
casa vivo».
«Certo, dopotutto sto solo contribuendo a creare qualcosa
che stroncherà centinaia di vite, la mia priorità è senza dubbio l'opportunità
di tornare a casa vivo» replica Midorima. È sarcastico e la cosa non è da lui,
tanto che Ryouta si ritrova a dover inarcare le sopracciglia ancora una volta,
non riuscendo a credere di sentirlo parlare in modo diverso dal mortalmente
serio.
«Non mi sembra che tu ti sia fatto tutti questi problemi, quando
lavoravi per Akashicchi» mormora, quasi crudele, sapendo di star andando a
toccare una ferita ancora aperta.
La penna smette di tamburellare sul foglio e la testa di
Midorima si abbassa appena, quasi infossandosi nelle spalle e facendogli
perdere abbastanza centimetri da farlo sembrare paradossalmente piccolo e
fragile.
«Ho commesso un errore» ammette a bassa voce e questo fa
vacillare Ryouta per qualche istante.
"... Però non sta
mentendo... è da quando ha salvato Kurokocchi ad Ishval che sembra essersi reso
pienamente conto dello sbaglio. E allora perché è destabilizzante sentirlo
ammettere l'errore?"
Una parte di lui, quella che sibila, vorrebbe fargli notare quanto sia ipocrita e patetico
ricordarsi solo adesso di avere una coscienza; l'altra, quella che ancora vuole
che lui e tutta la Generazione dei Miracoli tornino ad essere come erano prima,
vorrebbe tanto liberarlo e mandare all'aria tutta quella storia.
Sa perfettamente quanto la seconda idea sia profondamente
stupida, tuttavia si morde piano la lingua prima che la parte sibilante prenda
totalmente il controllo.
«Be', basta con le chiacchiere» si limita a dire, tuttavia
senza abbastanza convinzione.
Ed eccola.
Quella è la breccia che Midorima ha aspettato per tutto il
tempo. Non è empatico e non è per niente bravo a studiare e capire le persone
come Kuroko, tuttavia quell'esitazione nella voce di Kise basta a convincerlo
che quella può essere la sua occasione.
«Sei vivo, perché
non sei semplicemente tornato al Quartier Generale?»
«... Ho delle cose da fare».
«Tipo seguire pedissequamente la strada già tentata da
Akashi? Non ti credevo così stupido».
Kise esita ancora, aprendo bocca per dire qualcosa ma
ritrovandosi a doverla chiudere senza riuscire a scollarsi dal palato una sola
parola, quindi Midorima decide di andare avanti.
«Kuroko e Aomine sono a completamente a pezzi. Uno è andato
in pieno isolamento a Briggs e l'altro passa più tempo da ubriaco che da
sobrio, a quanto ho sentito» il tono sembra leggero, come ad informarlo
semplicemente dei fatti, tuttavia c'è una lieve nota di accusa che Ryouta non
può che cogliere.
«Io...» borbotta, sembrando quasi confuso ed incapace di
dire altro.
"Sta per cedere.
Andiamo con il colpo di grazia".
«Anche Kasamatsu non è più lo stesso. Vuoi davvero che continui
a crederti morto?»
Gli occhi dell'Alchimista Specchio si sgranano, ma dura solo
un istante, poi si assottigliano con una durezza che Shintarou non gli ha mai
visto nello sguardo.
Sa prima ancora che l'altro dica qualcosa che la sua ultima
frase deve aver sortito l'effetto opposto a quello desiderato, tuttavia non
riesce proprio a capacitarsi del perché.
«Stai parlando troppo. Torna al lavoro» dice Ryouta,
glaciale.
Midorima, prima di tornare a fissare il foglio sporco di
calcoli inutili, lo osserva ancora qualche rapido istante. Perché il ricordo di
Yukio lo ha fatto tornare lucido al posto di destabilizzarlo?
"Forse in realtà
Kasamatsu sa tutto, forse addirittura c'è lui dietro a tutto questo. Kise ha
detto che io conosco già i suoi nuovi amici, non è così assurdo... senza
contare che il Generale Kasamatsu probabilmente avrebbe fatto qualunque cosa
per riavere indietro Kise e magari adesso vuole vendicarsi di chi, secondo lui,
ne ha causato la morte. Se fosse davvero così, sarebbe la fine..."
Death Note:
Sono mortalmente in ritardo e vi
chiedo scusa per questo *inchino*
La verità è che
ultimamente l'ispirazione per questa long sta un po' sparendo, tuttavia non ho
la minima intensione di lasciarla a metà… quindi anche se con tempi un po'
larghi (magari non larghi come questa volta) la porterò a termine perché
nonostante tutto questa long è un po' la mia bambina speciale :3
Passando al capitolo:
abbiamo un bell'Aomine profanatore di tombe, ma dato che sono un'autrice sadica
e *censored* non ho scritto cosa effettivamente
scoprono Momoi e Daiki. Sono aperte le scommesse :3
La parte di Midorima
e Kise è stata la più complessa, perché abbiamo un Midorima al momento
fragilissimo che per riuscire a cavarsela dovrà fare la cosa che peggio gli
riesce, ovvero entrare in empatia con qualcuno. Nell'altro angolo del ring (?)
abbiamo questo strano Kise-non-Kise-che-però-in-fondo-sembra-il-vecchio-Kise e
ancora non è stata svelata la sua vera natura e il perché del suo cambiamento
di personalità. La teoria di Midorima sul coinvolgimento di Kasamatsu sarà
fondata? Perché se lo fosse, adesso Kuroko & company sarebbero davvero in
grossi guai.
Ci si vede al
prossimo capitolo, che spero di riuscire a scrivere in tempi più brevi!
Uh, dimenticavo! Mi
faccio anche un attimino spam: se a qualcuno interessasse, ho aperto con due
amici questo GDR a tema Harry Potter (Ilvermorny, più
che altro) e... niente, siamo ancora in fase di avvio,
quindi ci sono un sacco di ruoli liberi e se qualcuno volesse iscriversi sarei
davvero tanto tanto contenta *-* (senza contare che avreste l'occasione di
obbligarmi ricattandomi con le role se la stesura del
prossimo capitolo dovesse andare a rilento lol).