La mia alba.

di alessandras03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.

 

Chi l’avrebbe mai detto? Finalmente diplomata. Finalmente fuori dal liceo.
Se mi avessero detto, tempo fa, che io sarei riuscita a compiere questo passo... giuro non ci avrei creduto. Insomma, ero troppo buffona e disinteressata per pensare alla scuola, allo studio, all’università. Invece ora mi sento diversa.
In questi mesi qualcosa è cambiata.
Per prima cosa, ho deciso di cercare un lavoretto estivo, nonostante i miei genitori siano disposti a mandarmi in qualunque università io decida di frequentare. Ho bisogno però di sentirmi autonoma e responsabile per la prima volta in vita mia, quindi impiegherò i mesi prima del college raccogliendo un gruzzoletto di soldi per gestirli al meglio.

La mia vita, insomma, prosegue a gonfie vele, affianco alla migliore mentore che possa aver mai desiderato. La mia guida, la mia consigliera, la mia luce: Beth Murphy.
Bhé, in fondo non è cambiato poi così tanto. Ho accorciato i capelli, adesso arrivano poco più sotto delle spalle, credo di esser dimagrita qualche chiletto e suppongo di aver assunto un tocco di femminilità che, qualche mese prima, non sapevo neanche cosa fosse.
In ogni caso Grace Elizabeth Stewart è la solita arrogante, presuntuosa, spocchiosa, egoista e permalosa di sempre. Sì, non è cambiato molto nel mio carattere. Figuriamoci.


Trascorro questa giornata afosa di luglio in compagnia della mia limonata ghiacciata, sul dondolo fuori casa, con i miei occhiali da sole Persol, un cerchietto a fascia che mi spinge i capelli all’indietro e quel venticello che tarda sempre ad arrivare.
Beth è appena scesa dall’auto con il suo mini-vestitino e le sue converse, i capelli portati da un lato con una treccia sfatta e gli occhiali da sole Prada.
Sbuffa appena si siede al mio fianco, sembra sfinita.

«Questo caldo mi sta uccidendo» sventola una mano di fronte al viso. Poi alza gli occhiali sul capo e mi fissa, «oggi sarà un’altra giornata morta come quella di ieri?» Domanda.
Ghigno. «Non lo so, Candi mi ha mandato un messaggio… mi ha chiesto di andare in piscina a casa sua» dico schiarendomi la voce.
«Lo ammetto, non la tollero ancora» sbuffa.
«Vabbè, in questi ultimi mesi ha fatto di tutto per farsi piacere da noi» scrollo le spalle e porto la testa all’indietro.
Beth sta un secondo in silenzio. «Quindi tu dici di andare?»
«Potremmo, come potremmo dire no» mormoro.
«E no, però un’altra giornata a cazzo… no» sbotta furibonda.
Scoppio a ridere ed annuisco. Acchiappo il telefono dal davanzale della finestra dietro di me e chiamo Candi.
Attendo qualche istante prima che risponda.
«Ehi… sì, io e Beth veniamo» guardo la mia amica che rotea gli occhi, «va bene, a più tardi» sospiro e riattacco.
«Dobbiamo passare da casa, devo mettere il costume» sbadiglia Beth, per poi mettersi in piedi.
Si stira le braccia e scrocchia il collo. Ieri notte abbiamo fatto le ore piccole in una festa a casa di un tizio. Al solito, la mattina è sempre un trauma post-sbornia. Fortunatamente ci siamo date una calmata, adesso abbiamo un limite. Riusciamo a capire quando è tempo di smetterla di bere, anche se raggiungiamo quasi sempre la soglia.

Avverto mia madre che andremo da Candi. Lei sembra entusiasta, è felice che abbia ripreso un mezzo rapporto. In realtà non è così. Non ci sarà mai qualcosa di vero e concreto come quello che lega me e Beth. L’amicizia con Candi è finita da tempo. In realtà non ci legava assolutamente nulla. Siamo sempre state due universi a parte, sia per il modo di agire che di pensare. Con Beth è tutt’altra storia. Basta uno sguardo per capirci, un cenno, una parola anche senza significato. Siamo collegate con un filo invisibile e dissolubile. Lei pensa qualcosa ed io automaticamente faccio lo stesso. Ormai non possiamo nasconderci in niente. Quando metto il broncio lei se ne accorge subito e se capita di litigare non riusciamo a non parlarci neanche per cinque minuti. E’ meraviglioso.


Montiamo sulla sua nuova auto e partiamo. Lei fa la prima fermata a casa. Io l’attendo in macchina. Mi guardo intorno ed osservo la vetrata della camera di Dylan. So che non c’è, ma ogni volta è inevitabile. L’occhio cade sempre lì.
E’ in viaggio con i suoi compagni di squadra. Dopo la fine del campionato e la loro vincita, hanno deciso di trascorrere l’estate a Los Angeles.
Non mi rivolge più la parola, ha cancellato già da un po’ ogni traccia di me. A volte mi passa per la mente l’idea che potrebbe già frequentare qualche altra e non nego che ogni qualvolta una fitta allo stomaco mi impedisce persino di respirare. E’ terribile.

«Eccomi» Beth ritorna ansimando. Mette in moto e ripartiamo.
Accendo la radio ed inizia la canzone Angel di Shaggy. Entrambe cantiamo a squarcia gola.
«Girl, you’re my angel, you’re my darling angel» diciamo in coro. Lei sorride, ticchetta le dita sullo sterzo, mentre io muovo il corpo a ritmo di musica, ondeggiando a destra e sinistra. Il vento ci scompiglia i capelli e le nostre bocche che formano dei meravigliosi sorrisi, fanno passare tutto il negativo che potrebbe esserci nelle nostre vite.
Subito dopo parte Come di Jain. Beth mi lancia un’occhiata e sorride maliziosa. Poi torna a fissare la strada.
Arriviamo a destinazione e Candi ci fa strada verso il garage. Beth posteggia l’auto mentre borbotta e sbuffa. Non le andrà mai a genio, ma in fondo non deve per forza starle simpatica.

«Avete sete? Ho preparato la limonata e dei biscotti.» Sorride incamminandosi verso la piscina.
Noi la seguiamo, ma nel frattempo i miei occhi sono attirati da Beth che continua a farle smorfie da dietro. Ma perché ho un’amica così? Non riesco proprio a smorzare una risata, e così Candi si volta corrucciata. Ci fissa e Beth le sorride.
«A me sì, grazie» dice con voce carina, so già che dentro vorrebbe apparire indemoniata.
Io annuisco con suono gutturale e poggio la mia borsa sulla sdraio. Beth fa lo stesso e si guarda intorno, mentre Candi torna dentro a prendere da mangiare e da bere.
«Che culo, che casa» dice la mia amica con le mani sui fianchi.
Mi spoglio degli shorts di jeans e della canotta, posizionandomi sdraiata al sole. Indosso gli occhiali da sole e socchiudo le palpebre.
«Questo costume è bellissimo» dice lei.
«Me l’ha comprato mia sorella» rispondo. E’ a due pezzi, il di sopra a triangolo nero con le frange e il di sotto a brasiliana dello stesso colore. Insomma non è particolare per niente.
«Non so mi piace, perché è semplice» aggiunge sedendosi ai bordi della piscina.
Candi ritorna subito dopo già in costume. E’ intero, rosso fuoco.
«Ecco» posa una ciotola con dei biscotti e una brocca con la limonata su di un tavolo e poi si tuffa in acqua. Nuota fino ad una ciambella e ci si aggrappa. «L’altro giorno ti ho sentita parlare di lavoro» sospira fissandomi. «Per caso ho trovato un volantino ieri e ti ho pensata… cercano personale in un campo estivo per bambini a Los Angeles.» Spiega. «Tu sei anche di lì… magari potresti andare» sorride.
Abbasso gli occhiali e guardo Beth. Lei mi capisce subito. Scapperemo di qui di corsa.
«Accettiamo!» Esclamiamo all’unisono.
Candi esce dall’acqua e corre dentro. Ritorna poco dopo con il volantino fra le mani. Me lo porge e leggo a bassa voce il numero di telefono.
Sono eccitata all’idea di andare via da New York per l’intera estate. Mia madre, però, non so quanto ne sia entusiasta. Credo che farà storie.
«E’ perfetto» annuisce Beth.
Detto ciò nascondo il foglio nella borsa e mi tuffo anche io in acqua. Nuoto avanti e indietro, per poi sdraiarmi su di un materassino gonfiabile.
Trascorriamo l’intera mattina lì. Praticamente la mia pelle scotta a causa del sole. Beth, invece, si è abbronzata per bene a differenza mia.
Non riesco neanche a sfiorarmi.

Non appena faccio ritorno a casa, mi siedo al tavolo con i miei genitori e gli mostro il volantino. Mia madre lo legge attentamente, lo scruta e poi mi fissa.
«Los Angeles?» Sgrana gli occhi.
Mio padre sbircia e legge sottovoce, «è escluso» dichiara severo.
Sbuffo e roteo gli occhi. «Sono con Beth, andremo a lavorare… e dopo l’estate andrò al college.» Li supplico.
«Mi dispiace Grace, Los Angeles è troppo lontana» mia madre scuote il capo contraria.
Stringo i pugni. «Santo Dio dovrò andarmene ugualmente, che cambia prima o dopo?» Aumento il tono di voce.
I due si guardano apprensivi. Mia madre sospira, mio padre socchiude le palpebre.
«So che non volete restare soli e questa cosa vi fa tremendamente paura… ma mamma… papà io devo prendere la mia strada» non avrei mai pensato di parlare così. Persino loro sono sbigottiti. La piccola Elizabeth è cresciuta.
Mia madre abbassa gli occhi e le vedo scendere una lacrima. Mi si stringe il cuore.
«Nathan ed Emily sono adulti e sono andati via di qui già da tempo… ora è il mio turno, il turno della piccola, ribelle, bisbetica Grace.» Mormoro con voce rauca.
Mio padre abbozza un mezzo sorriso. «Stiamo diventando vecchi Charlotte» accenna una smorfia.
Rido, mi metto in piedi e mi avvicino. Passo le braccia intorno ai loro colli, per abbracciarli.
«I miei vecchietti» scherzo.
«Ehi… io sono giovane ancora, potremmo anche fare un quarto figlio se volessimo» ridacchia mia madre.
Scuoto il capo, «bhè… per me non c’è alcun problema» sospiro.
Mio padre si avvicina per baciarmi il capo. «Al ritorno di questa vacanza avrai una sorpresa» sorride.
Non chiedo cosa e ringrazio entrambi. Poi corro in camera per chiamare Beth.

«Si va!» Esclama lei dall’altro lato. «Ho chiamato per informarmi e ho detto che siamo due ragazze appena uscite dal liceo… per loro va bene, dobbiamo partire per Los Angeles immediatamente» sbraita per telefono. Mi stordisce un orecchio.
Ghigno. «Faccio la valigia» dico.
«Partiremo domattina, c’è un volo alle otto.»
Accetto e riattacco. Preparo la valigia intrufolando dentro tutto il necessario. Avverto i miei genitori della partenza repentina e non la prendono poi così bene. Mia madre sbianca, mentre mio padre si prende un attimo per riprendersi del tutto.
 
Questo è il mio turno, il mio tempo, il cielo giusto per sbagliare e fare delle cazzate assurde.
Da domani non ci sarà nessuno a lavarmi i vestiti, prepararmi colazione, pranzo e cena, nessuno a pulirmi la stanza, nessuno che mi ricordi di andare a dormire o di alzarmi. Sarò sola, con la mia indipendenza. E’ strano da pensare. E’ strano crescere.

Parlo al telefono con mia sorella per circa due ore. E’ tristissima. Dice che le mancherò troppo, che non accetta tutto ciò, ma sa che prima o poi sarei volata via dal nido, con le mie ali. Poi mi saluta raccomandandomi di fare attenzione, di non bere, di non fumare troppo e di chiamarla ogni volta che ne sento l’esigenza. Senza Emily non saprò come fare. In certe occasioni, se non ci fosse il suo consiglio, la sua parolina magica, non sarei quella che sono adesso. Mi mancherà intrufolarmi in casa sua per raccontarle i miei pensieri più intimi e mi mancherà il suo sguardo da Satana, quello che mi fa comprendere immediatamente che sto sbagliando. Insomma, dovrò abituarmi all’idea di non vederla durante questi mesi, ma almeno mi aiuterà per quando sarò via, al college.


Tutta la notte rimango sveglia a guardare il soffitto. Non riesco a prendere sonno in nessuna maniera, probabilmente sarà anche colpa del caldo.
Il mattino seguente, sono in piedi già alle quattro. Attendo con i miei genitori l’arrivo di Beth. Mio padre ci accompagnerà in aeroporto.
Quando la vedo spuntare con una valigia ed un borsone le sorrido e le mi viene incontro quasi correndo. Sembriamo due bambine che andiamo alle giostre per la prima volta.
In realtà è la prima volta per entrambe che ci allontaniamo da casa. La prima volta che possiamo sul serio sentirci libere.

«Ragazze state attente, chiamate» ci raccomanda mia madre.
L’abbraccio e lei mi sussurra nuovamente di stare attenta. Poi con un cenno di mano, scompaio dentro l’auto. Mio padre mette in moto e parte, in direzione aeroporto.
Per tutto il tragitto canticchio le canzoni che passano alla radio e mi godo l’alba su New York.


Arrivate, mio padre decide di lasciarci libere e di non accompagnarci dentro. Lo saluto con un bacio in guancia e poi mi incammino dentro con Beth.
Mi stringe un braccio così forte, da farmi venire un livido. «Sono emozionata» sussurra.
Le sorrido e non fiato. Facciamo i biglietti di solo andata e ci imbarchiamo.
Solo in quell’istante mi rendo davvero conto di cosa stiamo facendo. Mi viene in mente Dylan, poi Brian. I due che hanno contribuito alla mia maturità. Entrambi, adesso, rimangono un ricordo sbiadito. Nonostante abbiano dichiarato di amarmi, io non ho fatto nulla per impedire ad uno dei due di andare via da me. Perché in un modo o nell’altro non ci riesco.

Per tutto il volo rimango con gli occhi sbarrati, godendomi il tragitto. Il cielo è limpido, non c’è alcuna nuvola. Il sole splende su L.A. Beth sonnecchia al mio fianco, ha le cuffie alle orecchie. La musica è talmente alta che riesco persino a sentirla io.
«Ti presento Los Angeles» ridacchio scuotendola.
Lei sbatte le ciglia più volte e si guarda attorno, ancora assonnata. Si sporge ed osserva fuori. Il suo viso si illumina alla vista.
«Wow!» Esclama.
«Si prega di allacciare le cinture. Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia. » L’hostess parla al microfono.


Usciamo dall’aeroporto e quando in lontananza riconosco Dylan, il mio cuore cessa di battere.
«Gli ho detto di venirci a prendere» dice Beth, per poi corrergli incontro.
Dylan le sorride e l’abbraccia. Io a passo lento li raggiungo, sistemando lo zaino dietro le spalle. Lui mi rivolge un breve sguardo. E’ in compagnia di un amico. Ha i capelli neri, non molto lunghi, tirati all’indietro. Il suo corpo è molto simile a quello di Dylan, forse è leggermente più alto.
«Lui è Ethan» lo presenta alla sorella, che gentile gli stringe una mano.
Io accenno un sorriso finto, quando quest’ultimo mi porge lo sguardo.
Dopo aver raccolto le nostre valige, raggiungiamo l’auto e montiamo su. E’ una decappottabile. Non ci sono mai salita.
«Cosa siete venute a fare qui?» Chiede Ethan mentre mette in moto l’auto.
«Abbiamo trovato lavoro in un campus estivo per bambini» sorride Beth sporgendosi fuori dal finestrino.
Dylan si volta sbigottito. «No, non ci credo» mormora.
«Non me lo dire» ribatte Beth. «Ma tu non eri venuto in vacanza qui?» Sbuffa la sorella. «Non voglio sopportati anche a Los Angeles» conclude roteando gli occhi.
«Accompagno i bambini al mare e alle escursioni» spiega cauto.
Deglutisco rumorosamente ed abbasso gli occhi.
«E posso dirti che sono in vacanza ugualmente» aggiunge. «Ethan è il proprietario, insomma il figlio del proprietario del campus» osserva la sorella.
Dio, ma perché mi vuoi così male?
«Estate di lusso» commenta sarcastica la sorella.
Dylan torna a guardare avanti, mentre Beth rivolge gli occhi a me. Mi mima qualcosa del tipo “porca troia”, ma io le rispondo alzando le spalle. In fondo, ognuno ha le sue croci no?
Tutto il mio entusiasmo pre-partenza è stato interrotto.
«Non siamo soli al campus» Dylan parla di colpo. «Brian lavora lì.» Si schiarisce la voce.
«Lo conoscete?» Domanda Ethan. «E’ un bravo ragazzo» commenta serio.
Sgrano gli occhi e quasi mi affogo con la mia stessa saliva. Credo di collassare.
Beth trattiene una risata, io un pianto isterico. Il nodo che era rimasto nei miei capelli per tutto questo tempo, viene al pettine.
L’estate peggiore della mia vita ha inizio e che la pazienza, la calma e la tenacia mi accompagnino nel mio faticoso calvario. Okay, bando alle ciance, sono nella merda.
E’ tutto riassunto in una sola parola, breve, concisa: amen.
Credo che la mia sanità mentale sia andata a farsi benedire nel momento in cui ho notato Dylan in aeroporto, ma adesso è proprio volata in cielo, scomparsa tra le nuvole, il sole, la luna ed i pianeti, alla scoperta che anche Brian parteciperà all’ estate di merda di Grace Elizabeth Stewart, sicuramente contribuendo a renderla ancora peggio di quanto si possa immaginare.
E quindi al mio tre imprechiamo tutti in coro! Il mio subconscio non è sano, non lo è mai stato in realtà.

Arrivati al campus faccio un segno di croce. Non nego di aver timore. Volevo semplicemente rilassarmi, trascorrere un po’ di tempo in pace con me stessa e con il modo che mi circonda ed invece… la guerra.
«Quindi che dobbiamo fare? Qualche giorno di prova o cosa?» Beth si rivolge ad Ethan.
«Siete due belle ragazze, mio padre non ci penserà due volte a dire di sì…» gesticola mentre si incammina verso un luogo immerso nel verde degli alberi ed una sabbiolina fina, fastidiosa. «Avete mai avuto esperienze simili? Sapete fare surf?»
«Io sì» rispondo scattante, «sono nata qui, poi ci siamo trasferiti a New York… ma da piccola adoravo il surf. Non sono eccellente, ma qualcosa riesco a farla» accenno un risolino.
Lui rimane sorpreso. «Abbiamo una californiana allora, benissimo» mi lascia una pacca sulla spalla e sorride.
Dylan osserva la scena silenzioso, sembra persino infastidirsi, ma ciò che sento e vedo al mio arrivo supera di gran lunga le mie aspettative. Una ragazza mora, con i capelli ricci lunghi, ci viene incontro correndo. Gli salta al collo e gli stampa un bacio. Lui la stringe e la fa volteggiare, mentre i ricci le sventolano da una parte all’altra.
«Siete tornati» gli lascia un altro bacio.
Beth ha la bocca spalancata e le cade, persino, il borsone a terra.
Io mi limito a tenere la mia espressione più impassibile possibile. Abbasso gli occhi e non fiato. Tutto ciò è ridicolo, assurdo, insensato, ma cosa c’è di sensato in quello che fa un uomo?
«Mio Dio.» Sussurra Beth, scandendo ogni parola.
La ragazza avanza verso di noi, prima porge una mano a me. «Alexandra» mi guarda dritta negli occhi, ma è così serena che sono sicura non sappia nulla di me e Dylan.
Le stringo la mano educatamente, ma mi prendo la briga di fissare a lungo Dylan. Lui fa lo stesso senza alcun timore. Sfacciato.
Poi si presenta a Beth.
«Sono la sorella» tentenna lei.
«Dylan ma non mi hai detto niente!» Esclama lei.
Beth annuisce, assottiglia lo sguardo e fissa il fratello, portando una mano su di un fianco. «Dylan, ma non hai detto niente neanche a me» dice con lo stesso tono della ragazza, con occhi da furbetta.
Quest’ultimo si gratta il capo. «Beth lei è Alexandra… Alexandra lei è mia sorella» sospira.
Quanto è difficile per lui fare queste presentazioni davanti a me?


«Ehi ragazzi, quei mocciosi mi stanno facendo impazzire! Eric vuole per forza gett…» impossibile non riconoscere la sua voce, persino senza voltarmi.
Lui, però, si blocca. Credo mi abbia notata. Così alzo lo sguardo ed incrocio il suo.
Dio, è cambiato in questi mesi.
Ha i capelli più corti, indossa una polo bianca con lo stemma del campus e un paio di pantaloncini blu navy. E’ così abbronzato, da non riconoscersi neanche.
Si massaggia il capo e boccheggia per qualche istante. «Ciao» balbetta. «Dicevo che… ragazzi ho bisogno del vostro aiuto» la facilità con il quale si rivolge a Dylan mi lascia perplessa.
Aggrotto la fronte e sospiro. I due sembrano in buoni rapporti. Brian sembra cambiato. Non ha più quell’espressione accigliata, quel broncio, quell’aria da cattivo ragazzo. Il padre l’avrà messo in riga per bene. Mi ha lasciata senza parole.
«Adesso arrivo io. » Ride Dylan. «Eric le busca» aggiunge ironico.
Poi i due si incamminano fianco a fianco, li sento ridere e non posso fare a meno di spalancare la bocca. Li avevo lasciati così male. Dylan che odiava a morte Brian e viceversa. Invece ora sembra tutto così confuso. Mi sento io fuori posto.

«Dimmi che siamo dentro ad un incubo e che dobbiamo ancora atterrare a Los Angeles» quasi piagnucolo.
«Siamo dentro ad un film horror» commenta la mia amica, affiancandosi a me. «Credo che il mondo sia stato stravolto» aggiunge corrucciata.
«Voglio tornare a casa» nascondo il volto con entrambe le mani, respirando a pieno.
Beth accenna un risolino. «Spero che le sorprese siano finite» commenta.
Ethan ci raggiunge e ci indica la strada, mentre Alexandra scompare seguendo le orme di Brian e Dylan.

Raggiungiamo un bungalow e notiamo subito un uomo sulla cinquantina parlare animatamente al telefono. Ci osserva e poi riattacca.
«Le fanciulle che hanno chiamato ieri» ci punta un dito contro e sorride. «Molto piacere» ci stringe le mani. «Allora ragazze… questo è un campus estivo per bambini, sappiate che dovrete avere molta pazienza perché incontrerete delle pesti assurde e dei ragazzini in gamba» gesticola tranquillo. «Quello che ci serve è qualcuno che porti i bambini alle escursioni e che li controlli durante le attività come equitazione, canoa, surf, nuoto e tante altre cose» ci osserva attentamente, «credete di essere in grado?»
«Secondo lei ho fatto tutta questa strada per niente?» Rispondo acidamente. Mi rendo conto solo dopo del tono arrogante.
Lui sospira, «perfetto, allora adesso Ethan vi mostrerà i vostri dormitori e vi spiegherà come funziona qui» annuisce.
«Grazie» dice cordiale Beth.
Ci allontaniamo da lì ed uscendo una mandria di bambini corre dietro Dylan sghignazzando come matti. Lui gli sventola un fazzoletto e loro urlano. Si rifugiano in un bungalow, mentre noi avvertiamo la voce di Ethan che ci chiama da lontano.
«Venite qui!»
Così trasciniamo le valige fino a quel punto. Ed ecco il nostro dormitorio.
«La mattina c’è una sirena che sveglia tutti… ci troviamo alle sette in punto per la colazione, poi cominciano le varie attività che sono programmate su una lavagna.» Spiega. «Voi da domani vi occuperete delle attività che riguardano l’arte e la cucina…» Aggiunge.
Giusto ciò che odio. Benissimo.
«Ovviamente poi vi spingeremo oltre… e porterete i bambini fuori di qui a praticare altri sport» ride notando le nostre espressioni.
«Grazie, già stavo dando di matto» Beth si gratta il capo.
Lui le sorride e poi ci lascia finalmente da sole. Sistemiamo la nostra roba, poi Beth decide di riposarsi e mi dice addio cadendo in un sonno profondo. Così rimango seduta sul letto a fissare la finestra, sentendo le risate provenire da fuori. Sono davvero qui, con la mia migliore amica e con altri trecento casini. Sono qui ad affrontare una cosa nuova, ad osservare la felicità di Dylan e la serenità di Brian. Osservo le loro vite proseguire senza indugi, senza di me. Sono la spettatrice e non la protagonista.


La sera arriva velocemente. Dopo una doccia rilassante, raggiungiamo gli altri fuori. Sono tutti riuniti intorno a dei grandi falò. Mangiano marshmallow e si raccontano delle storie. Sembra strano questo clima. Solo Beth si intrufola in mezzo al fratello e la nuova ragazza. Io rimango fuori da tutto ciò. Non sono dell’umore adatto.
Mi rifugio distante. Mi siedo a terra, afferro un legnetto e disegno sulla sabbiolina delle figure senza senso. Scrivo il mio nome, poi lo cancello.
«Sei cambiata Liz» sussurra qualcuno alle mie spalle.
E’ Brian. Non ho bisogno di voltarmi. Così rimango immobile, mentre si siede al mio fianco. Lo osservo con la coda dell’occhio, sta fissando davanti a sé.
«Anche tu» noto.
Ghigna, «ho scoperto che qualcos’altro poteva rendermi una persona migliore» sospira.
Lo guardo interrogativa. Così fa cenno con la testa verso i bambini.
«Sono fenomenali… è una battaglia continua ogni giorno, mi fanno ammazzare la vita, ma sto bene» ridacchia.
Dov’è finito il Brian che ho conosciuto?
«Non pensavo di incontrarvi qui» ammetto sincera, mentre scrivo sulla sabbia nuovamente il mio nome.
Lui osserva. «Dylan è arrivato qui con un gruppo di amici, era in vacanza… ma quando ha scoperto questo posto è voluto entrare subito» esordisce, «inizialmente non parlavamo e non ci davamo retta, poi un giorno ci siamo trovati da soli a pulire un casino che i bambini avevano combinato» sospira abbozzando una smorfia. «Abbiamo parlato di noi, delle nostre vite, dei nostri sogni… e ci siamo fatti una promessa.» Alza gli occhi al cielo.
Deglutisco. «Che promessa?»
«Non la saprai mai» incrocia i miei occhi. Non l’ho mai visto così serio.
Mi chiudo a riccio, portando le ginocchia fino al petto e stringendo le spalle.
Osservo di fronte a me. Dylan sta sorridendo, è bellissimo. Alexandra lo guarda come se non ci sia niente di più meraviglioso al mondo. Beth, invece, si è accorta di me e mi osserva malinconica. Le sorrido come per rassicurarla e poi sposto lo sguardo su Brian.
Mi scruta e non fiata.

Forse tutto ciò mi aiuta a capire che, come loro, sono andati avanti, devo farlo anche io.
Brian ha proseguito per la sua strada, non curandosi dei suoi sentimenti e Dylan ha voltato pagina, conoscendo la vera felicità. Io non posso rimanere bloccata. Non posso stare in quest’oblio che non mi permette di proseguire.
In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti.

 
Angolo autrice. 
BUONASERAAAA! Sono stata velocissima!
Non riesco a non scrivere per molto tempo e così ho buttato giù il primo capitolo del sequel di Bisbetica viziata! Che ne dite? 
Ora vi troverete confusi per le novità, ma state tranquilli ahahah 
Sono curiosa di sapere i vostri pareri, a presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2


Una tromba assordante rimbomba nel mio orecchio. Avverto il lamento della mia compagna di stanza, nonché migliore amica, che, voltandosi e rivoltandosi impreca sottovoce. Io nascondo il capo sotto il cuscino, affossando il viso nel materasso.
Il che è tutto molto traumatico. La nostra estate ha inizio così: con una sveglia fastidiosa, brutte parole alle sette in punto e cattivo umore.
Direi che si preannuncia spettacolare.

Mi alzo dal letto ancora con occhi assonnati. Percorro la stanza e sbatto contro il pilastro che conduce al bagno. Solo in quel momento riesco a svegliarmi davvero.
Sbatto le ciglia e sospiro.
«Uccidimi» Beth è sul ciglio della porta. Si sta strofinando gli occhi, ha i capelli alla rinfusa e sbadiglia a più non posso.
Sciacquo il viso con acqua ghiacciata e poi barcollo fino all’armadio. Ho sistemato le cose malissimo, io e Beth abbiamo dovuto dividerlo e il tutto è più che disordinato.
Acchiappo la prima cosa che riconosco sia mia. Non ci hanno ancora assegnato delle divise del campus, così indosso uno short di jeans ed una canottiera bianca. Poi infilo le converse e do una spazzolata ai capelli. Insomma, sembro ugualmente uno zombie.
Beth è pronta poco dopo di me. Anche lei indossa dei pantaloncini, ma al contrario la sua canotte è azzurra. Alza i capelli in una coda sfatta e senza pensarci esce.
La mandria di bambini invade il nostro percorso. Sono seguiti da Brian. Ci sorride e ci saluta con un cenno di mano, per poi urlare contro uno dei mocciosi ed andargli dietro correndo. Sembra un internato di un manicomio.

«Non trovi che tutto ciò sia assurdo?» Avanza e poi si volta a darmi una breve occhiata.
Arriccio il naso. «Molto» commento alzando le sopracciglia.
«Insomma… Dylan è fidanzato» sgrana gli occhi ancora incredula.
«Insomma… Brian sembra Gesù» aggiungo accigliata.
Lei scoppia a ridere. «E sono amici» si massaggia il mento. «Assurdo.»
«Ci dovremmo abituare» cammino svelta verso il bungalow in cui dovremmo far colazione.
La nostra entrata è trionfale. Sono tutti in silenzio che si cibano. Noi sembriamo fuori luogo. Rimaniamo immobili per qualche istante, fin quando i bambini non tornano a mangiare. Riprendo il respiro e a testa alta acchiappo un croissant ed un’aranciata. Beth invece solo una limonata.
«Dove ci sediamo?» Dice a denti stretti.
Mi guardo attorno e scruto un tavolo libero. Mi incammino, facendole cenno di seguirmi. Passiamo affianco Alexandra e Dylan, ma noncurante di loro prendo posto.
Beth fa lo stesso sedendosi di fronte a me.
«Che brutta situazione» mormora.
«Bevi» dico infilando in bocca il croissant. Guardo altrove per non incrociare occhiate furtive.
Nessuno, in ogni caso, ci sta cagando.

Dopo colazione veniamo spedite in un grande spiazzale all’aperto, ricoperto di erbetta ed alberi. I bambini hanno una tela su cui dipingere all’uno. Ci guardano come se volessero delle direttive. Così prendo l’iniziativa.
Scocco la lingua sul palato e alzo il petto. «Ciao bambini, noi siamo Grace e Beth…» loro ci fissano corrucciati. «Siamo nuove qui» aggiungo.
Beth mi si affianca.
«Non siete simpatiche come Brian» parlotta una bambina.
«E ti pareva» mormora Beth.
«Ognuno è simpatico a modo suo» sorrido. «Comunque disegnate ciò che volete, quello che cattura la vostra attenzione… fate in modo che diventi il vostro obiettivo focale.» Sospiro.
Così, finalmente, si mettono all’opera.
«Quelle due tele sono per voi» un bambino indica poco più in là.
Entrambe ci voltiamo a guardare. Beth sbuffa ed annuisce.
«Andiamo a pasticciare» ridacchia precipitandosi.
Io osservo la tela bianca davanti a me. Non saprei cosa dipingere. Non è mai stata una mia passione l’arte, anzi l’ho sempre evitata. Mi guardo intorno e noto che persino Beth si sta dando da fare. Acchiappo, così, un pennello e quando la mia attenzione viene catturata da due sagome in lontananza che parlottano tra di loro in mezzo al verde e al colore dei fiori lì intorno, decido di raffigurarli. Sono Dylan e Brian. Sono l’uno di fronte all’altro, ridono fra di loro e si atteggiano in maniera piuttosto amichevole.
Osservando ciò che dipingo mi accorgo che non sono poi così male.


Trascorro un’ora intera prima di finirlo del tutto, nonostante loro siano già andati via.
Beth a fine lavoro si avvicina. E’ piena di pittura in viso. Osserva ciò che ho dipinto e rimane a bocca aperta.
«E’ bellissimo Liz» sussurra.
I bambini si accavallano a massa per guardare ed io mi sento per un attimo apprezzata. Sorrido nell’osservare i loro volti.
«Sono Brian e Dylan» uno di loro punta l’indice contro.
Sgrano gli occhi. «NO» dico con tono deciso.
«Sì, sì prima erano lì» indica poco più distante.
Prendo un lungo respiro. «Davvero? Non li ho visti…» roteo gli occhi.
Un bambino, un po’ timido, sembra starsene più distante dagli altri, con la sua tela fra le mani. Mi metto in piedi e mi avvicino cautamente. Mi inginocchio di fronte a lui e pizzicandogli una guancia dolcemente gli sorrido.
«Piccolo, tu cos’hai disegnato?» Gli accarezzo il capo.
Lui mi mostra il tutto e rimango interrotta per qualche minuto. Sono senza parole.
Sono io, che dipingo, ma nel frattempo che osservo quei due in lontananza.
Mi sento pizzicare gli occhi. A volte i bambini vedono più di quanto l’occhio di adulto possa fare. Questo è strabiliante.
«Me lo spieghi?» Sorrido.
«Tu guardavi loro come se fossero la cosa più bella del mondo» la sua vocina flebile mi fa stringere il cuore, «ma anche tu lo sei e loro non se ne sono accorti» continua.
Strizzo gli occhi e deglutisco rumorosamente. «E’ bellissimo piccolo» annuisco sincera.
Me lo porge. «E’ tuo.»
Ora capisco come sia cambiato Brian. Questo posto, con questi bambini, è tutto una magia. Non avrei mai pensato di potermi emozionare con così poco.
«Io sono Chad» si presenta aumentando il tono di voce.
«Io sono Grace, è un grandissimo piacere conoscerti» so che probabilmente ho gli occhi lucidi.
Mostra un gran sorriso e poi corre via dagli amichetti.
Sono sbalordita.
«Che dolcezza» Beth è accanto a me.
Mi rimetto in piedi e la fisso.
«Quel bambino è stato fenomenale… ti ha mirata al cuore» annuisce convinta.
Socchiudo le palpebre, «devastante» osservo la tela. E’ così bella.
«In ogni caso credo che tu debba andare avanti… senza entrambi» esita la mia amica, accarezzandomi il capo.
Deglutisco. «Senza dubbio.» Decreto.

«Ragazze!» Una voce maschile alle nostre spalle esclama a gran voce.
Ethan sta avanzando verso di noi con camminata svelta. «Che bel lavoro!» Osserva intorno a sé. «Cosa ne pensate del primo giorno?»
«Passabile» commenta Beth.
Non fiato.
«Vi piacerà più avanti» annuisce. «Comunque… Beth… ti chiami così giusto?» La guarda di sottecchi.
«Sì sì» risponde veloce lei.
«Tuo fratello ti sta cercando» dice sorridendole. «Seguimi» le fa cenno di andare.
Beth mi rivolge prima uno sguardo, io le faccio cenno di sì con il capo e lei scappa dietro Ethan.
Acchiappo la mia tela e quella regalata da Chad. Proseguo verso il mio dormitorio, ma senza metter in conto che nel mio cammino potrei incontrare chiunque.
Come non detto. Brian e Dylan sono ancora insieme. Stanno sistemando in un pullman dei sacchi a pelo ed alcuni borsoni. Mi fermo un istante e curiosare. Dylan si accorge di me, mi rivolge un’occhiata e poi torna al suo lavoro. Sussurra qualcosa a Brian che, subito, si volta a guardarmi. Non mostra alcuna espressione. Poco più in là scorgo Beth insieme ad Alexandra.
Corrugo la fronte e dopo di che mi incammino nuovamente.
Rientro nel bungalow e sistemo le tele affianco al lettino. Mi siedo su di esso ed osservo il telefono. Mia madre e mia sorella mi hanno chiamata dieci minuti fa. Chiamo prima Emily.

«Grace!» Esclama lei.
«Ehilà» dico io.
«Come procede?»
«Hmmm… una merda» dichiaro.
«Spiega» la sento sospirare.
«Ti basta sapere che ho come colleghi di lavoro Brian e Dylan» sbuffo strofinandomi un occhio.
Lei tace un istante, poi parla nuovamente. «E’ una congiura.»
«Non me ne parlare» mi metto in piedi e passeggio avanti ed indietro.
«Bè, puoi sempre tornare a casa… lo sai» esita lei.
«No, non concludo nulla scappando» scuoto il capo. «Dylan è fidanzato e neanche mi guarda quasi quasi. Brian, invece, sembra esser diventato il messia» spiego cauta. «E colpo di scena… sono diventati amici» aggiungo.
«No vabbè, Grace… scappa» la sento ridere.
«Non c’è un cazzo da ridere, cretina» mugugno.
«Scusa è che questa è sfortuna vera e propria» commenta onesta.
«Ti ringrazio per la chiamata consolatrice» borbotto irritata.
«E’ tornato Brady, vuoi parlarci?» Chiede.
Annuisco con suono gutturale. Emily mi saluta con tremila raccomandazioni.
«Bamboccia» la voce di Brady è indimenticabile. «Come procede l’inferno?»
«Come fai a saperlo?» Aggrotto la fronte.
«Quando tua sorella mi ha detto dove andassi io sapevo già ci fossero i tuoi amichetti» lo sento ridere con gusto. «Tanto per quanto ne sappia è una cosa passata e conclusa con entrambi, giusto?» Mi provoca. Che stronzo.
«Brandon sei un gran pezzo di merda» sbotto.
«Ti voglio bene anche io, tesoro» sogghigna, «torna presto, Thomas e Nicholas ti mandano un bacio all’aroma di pappa.» Coglione.
«Oh vaffanculo» sbotto.
«Ciao piccola» riattacca con tono dolce.
Rimango attaccata al telefono ancora un istante, poi lo ripongo giù. Mi getto sul letto e sospiro osservando il soffitto.
Che vita di merda.

Quando qualcuno bussa alla porta, balzo giù dal letto. Corro ed apro. Alexandra è lì davanti che mi sorride. Corrugo la fronte e non fiato.
«Ethan ha bisogno di te» dice indietreggiando.
Chiudo la porta alle mie spalle e la seguo. Ethan è poco più in là, affianco al pullman di prima.
«Ascolta… oggi pomeriggio portiamo i bambini in spiaggia, per una sorta di campeggio…però appunto al mare» ghigna gesticolando. «Siccome Beth è impegnata con Alexandra con il corso di cucina, stavo pensando di mandare te, Dylan e Brian...» guarda ammiccante.
Mi si blocca il respiro. Vorrei dire subito no, ma poi annuisco. «Non c’è problema» mi bagno le labbra secche. Socchiudo le palpebre.
«Perfetto, comincia a preparare uno zaino con l’occorrente… vi vedete qui tra mezz’ora» batte le mani e si dilegua.
Osservo il cielo, in cerca di un miracolo, un raggio di sole che mi illumini e mi dia la grazia. Ma quale grazia? Trascorrerò la notte con le due uniche e sole persone che avrei voluto evitare per l’intera estate. Trascorrerò la notte ad imprecare e maledire il giorno in cui ho accettato questo lavoro.


Dopo aver preparato uno zaino con dentro il necessario, mi dirigo al punto di partenza. Dylan e Brian stanno sistemando i bambini dentro.
«Stiamo partendo?» Domando mordendomi il labbro inferiore.
Dylan si volta a fissarmi da capo a piedi. «Alexandra?» Domanda aggrottando la fronte.
«Ha deciso di rimanere qui con tua sorella» Brian gli risponde scattante, dandogli una pacca sulla spalla.
Boccheggia per un secondo. «Sali» dice con tono severo.
Brian accenna una smorfia con le labbra e poi, finalmente, scompaio in uno dei sedili, ovviamente nei posti davanti. I bambini cantano, parlottano tra di loro e ridono come pazzi. Poteva essere una bella atmosfera, se non fosse stato per questo terribile clima di tensione.
E così partiamo. Dylan guida e Brian lo affianca.
«Comunque sarà un’impresa gestirli… sono dei pazzi che si gettano a mare» mormora Brian.
«Bè, faremo la guardia a turno» ridacchia l’altro.
Osservo ed origlio in silenzio.
Brian osserva la strada, «ho sentito che Ethan ha adocchiato tua sorella» gli scompiglia i capelli.
Dylan lo fulmina con gli occhi. «Nah, Beth è con i piedi per terra… non le interessa» accenna una smorfia con il naso.
Questo è interessante!
«E’ semplice… perché secondo te avrebbe mandato con noi Liz anziché Beth?» Brian dice a denti stretti, peccato che io l’abbia sentito ugualmente.
Dylan mi osserva dallo specchio retrovisore centrale. Io abbasso lo sguardo.
«Potevi farmelo notare prima tu, genio» sbuffa Dylan.
Brian risponde con una risatina ed uno scrollo di spalle. «Sono stanco» borbotta.
«Alexandra mi fa passare nottate in bianco» Dylan aumenta il tono di voce. Sono sicura che l’abbia fatto apposta.
Brian gli rivolge una piccola spinta e ghigna, «in allenamento Murphy» commenta malizioso.
Dylan sorride un attimo e poi si fa subito serio.


Tutto ciò continua per un po’, fin quando arriviamo a destinazione. Direi finalmente.
Scendo dal bus e mi preoccupo di mettere i bambini in fila, controllando che non manchi nessuno e soprattutto che non scappino.
Non è facile per niente, contando il fatto che alcuni di loro sono delle pesti.
«Ehi tu» chiamo uno di loro, «dove vai? Fermo!» Lo acchiappo per un braccio.
Lui sbuffa e frigna un po’. Roteo gli occhi e lo tengo serrato al mio fianco. «Se fai il bravo, dopo ti svelo un segreto» mi abbasso e gli sussurro all’orecchio.
Così si ammorbidisce e mi prende la mano. Che bello fare affari con i bambini furbi, peccato che io lo sia più di loro. A testa alta seguo Brian, mentre Dylan sta posteggiando.
Scendiamo in questa lunga ed immensa spiaggia. Per un attimo rivivo i ricordi da bambina, l’odore della salsedine, i piedi nudi sulla sabbia fredda, il sole bollente addosso, i ragazzi che cavalcano le onde. Tutto sembra tornare all’origine.

«Qui sistemiamo le tende» Brian sceglie un punto e si ferma. «Bambini ascoltatemi bene, qui non si scherza, state buoni e aiutatevi a vicenda» li guarda uno per uno. «Non fate i dispettosi, non fate i capricci e non fateci impazzire, perché ad ognuno sennò toccherà una dose di solletico» ride subito dopo.
«Nooo!» Esclamano tuti all’unisono.
«E allora cosa dovete fare?» Gli mostra un orecchio.
«I bravi!» Dicono in coro.
Brian si volta soddisfatto a fissarmi. E’ meraviglioso il suo cambiamento. Non ci credo ancora.
«Ti posso dare una mano» esordisco, mentre lui si adopera.
Mi lancia una busta che contiene una tenda e mi sorride. «Se ne sei capace» commenta.
Così, nella mia ignoranza, ci provo. Ogni tentativo, ahimè, è vano. In qualsiasi modo io sistemi il tutto, risulta sbagliato.
«Togliti, ci penso io» Dylan me la prende di mano e con dei brevi passaggi la monta.
Porto le mani sui fianchi e vorrei quasi urlargli addosso quanto mi stia sulle ovaie e quanto odi questo suo atteggiamento.

Così mi rifugio insieme ai bambini. Cantano una canzoncina tutti in coro e fanno la giravolta. Almeno loro si divertono con poco.
Getto il mio zaino sulla sabbia e li osservo. Fin quando uno di loro mi prende dalla mano.
«Balla insieme a noi» dice con entusiasmo.
Sgrano gli occhi e con una gran risata mi lascio trasportare da quel balletto strambo, che a loro fa tanto ridere.


Un’ora dopo siamo sistemati, grazie ai due simpaticoni che hanno fatto comunella.
Adesso io sarei il nemico e loro sono i santarellini della situazione. E come chiacchierano!
Non la smetto di ripetere nella mia testa la parola “mah”. Sul serio mi sembra tutto un fottuto incubo, ma poi mi strofino gli occhi e no… è la realtà.
Una scomoda realtà.

Trascorriamo il pomeriggio a cercare di accendere due falò. Poi Brian e Dylan spartiscono la cena ai bambini, a base di panini imbottiti di varie schifezze. Loro li adorano per questo.
«Tieni» Dylan con occhi bassi me ne porge uno.
«Ti viene così complicato alzare lo sguardo?» Rimango immobile.
Ed è in quell’istante che alza il capo. Mi fissa dritto negli occhi. «Hai fame o no?» Domanda irritato.
Con violenza glielo strappo di mani, mi osserva sbalordito dal gesto, mentre in lontananza Brian si gode la scena con le mani sui fianchi.
Mi siedo intorno ad un falò, in quello in cui non c’è nessuno. I bambini sono radunati nell’altro. Rimango, così, da sola. Mordo il panino e mastico lentamente, mentre fisso la fiamma ardente di fronte a me. Poi alzo gli occhi al cielo, sta imbrunendo.


«Perché sei triste?»
Mi volto e mi accorgo del bimbo del disegno. Si siede al mio fianco, sfila la carta del panino e gli dà un morso. E nuovamente il mio cuore diventa minuscolo.
«La mia mamma dice sempre che la vita è una, è bella e si deve sorridere sempre» a quel punto sorride, nonostante abbia ancora il boccone fra i denti.
Scuoto il capo e scoppio a ridere. Gli accarezzo il volto e sospiro.
«La tua mamma ha proprio ragione» mormoro con voce rauca.
«E allora perché tu non sorridi?» Domanda ingenuamente.
Osservo di fronte a me, il mare. «A volte capita di essere pensierosi…» scrollo le spalle.
«Quando la mia fidanzatina mi ha lasciato ero pensieroso allora» sussurra.
«Questa bambina deve essere stata proprio una stupida» gli scompiglio la chioma dorata.
Lui alza il capo e mi fissa. «Anche il tuo fidanzato ti ha lasciato?» Sbatte le ciglia più volte e poi morde nuovamente il pane.
Scuoto il capo. «Sai a volte nella vita si fanno delle scelte e poi si pagano» deglutisco.
«E che scelte?»
Impossibile non spostare lo sguardo su Brian e Dylan. Quest’ultimo ha una chitarra fra le mani, la sta suonando e i bambini lo seguono cantando.
Chad, il piccolo, si accorge di me. «Io preferisco Brian» ridacchia.
Corrugo la fronte. «Che?»
«Brian è dolce… mi dice sempre che da grande sarò un uomo forte come lui, che le donne saranno ai miei piedi e mi ripete sempre di combattere quando voglio qualcosa» annuisce, «e poi dice di non giocare mai con i sentimenti, ma io ancora questa cosa non l’ho capita» accenna una smorfia e si gratta il capo. Rido.
«Io sì» sussurro.
«Dylan… invece è troppo serio, non ride quasi mai...» mastica, «come te, pensieroso» sottolinea quella parola e sorride. Sarà sicuramente un nuovo vocabolo per lui. «Papà mi ha detto che quando voleva la mamma, si nascondeva nel cortile della scuola e la guardava da lontano… poi lei si è accorta di lui e si sono innamorati» questo bimbo parla tantissimo, ma adoro ciò che dice, mi fa sentire leggera come su di una nuvola. «Se ti fai vedere che li guardi forse uno di loro s’innamorerà di te» l’ingenuità dei bambini non ha limite, ma ci sono situazioni che loro riescono a captare prima di noi, ci sono problemi che per quanto possano sembrare insormontabili, con la loro logica sono risolvibili con poche e semplici mosse. Il mondo dei bambini è come l’isola che non c’è.
«Va bene Peter Pan» gli faccio l’occhiolino.
«E’ il mio cartone preferito!» Esclama esultando.
«Giura, non ci avrei mai pensato» scoppio a ridere.
Tutto ciò attira l’attenzione dei presenti, poco più distanti. Noto Brian percorrere a piedi scalzi quel poco di spiaggia che ci divide. Avanza verso di noi.
«Ometto» si abbassa e gli scompiglia i capelli. «Non si infastidiscono le altre bambine» dice sarcastico.
Lo fulmino con gli occhi.
«Volevo dire donne» si corregge osservandomi di sottecchi.
«Non si interrompono le discussioni importanti» fa lui sapientone.
Brian spalanca la bocca, «discussioni importanti» si massaggia il mento. «Gli stavi raccontando della pipì che fra poco ti farai addosso?» Detto ciò lo acchiappa dai fianchi e gli fa il solletico. Poi lo prende in braccio e lo fa volteggiare. Chad non la smette di urlare e ridere.
«Mettimi giù» singhiozza.
Così obbedisce. «Di cosa parlavate quindi?» Lo siede sulle sue gambe, accanto a me.
Chad mi osserva complice, io assottiglio lo sguardo.
«Mi stava raccontando di quanto fossi cattivo con questi bambini» dico ammiccando.
Brian inclina il capo da un lato ed accenna un sorriso sghembo. «Chad ma cosa dice questa plebea?»
Chad non riesce a trattenere una fragorosa risata. «Le ho detto che tu sei più simpatico di Dylan» balbetta.
«Oh non è vero…» Brian mi scruta. «Siamo diversi» ne approfitta per rivolgermi un’occhiata d’intesa.
«Io credo che se siete così amici, non siete poi così diversi» questa è una frecciatina bella e buona.
Brian abbozza un sorriso. «A volte il tuo peggior nemico può diventare un buon amico» ribatte.
«Specie se il diavolo diventa qualcun altro» dico di rimando annuendo.
Chad non la smette di fissarci incuriosito e confuso.
«Dai ometto raggiungiamo gli altri» gli da una pacca sul sedere e lui corre verso gli amichetti. Brian si mette in piedi e mi guarda dal basso. «Nessuno è un santo qui» commenta.
Mi alzo scrollandomi la sabbiolina di dosso. «Brian vorrei semplicemente trascorrere un’estate spensierata…» sussurro onesta.
Si tiene a distanza. «Nessuno te lo vieta» alza le spalle.
Accenno una smorfia con le labbra, «ah no?» Faccio cenno con la testa dietro di lui.
Si volta e nota Dylan. «Evidentemente non vuole averti più tra i piedi» spiega.
«E tu?» Chiedo incrociando le braccia al petto.
«Indifferente» risponde scattante. Perché non ci credo?
Prendo un lungo respiro e non fiato.
«E’ stato tutto uno sbaglio, conoscerci, scherzare, fantasticare, provocare, provare e riprovare» gesticola, «quando due persone sono destinati a stare insieme, in un modo o nell’altro questo accadrà. La stessa cosa vale per Dylan.»
«Carina questa comunella» sbotto nevrotica.
«Non puoi avercela con noi se siamo andati avanti dopo aver ricevuto un rifiuto. Credo che per entrambi tu fossi qualcosa di importante, anche se lo dimostravamo diversamente» aumenta il tono di voce, «ma tu non hai preso parte, mai.»
Tiro su con il naso. «E questo è un buon motivo per esser evitata?»
«Dagli del tempo... per quanto riguarda me è già acqua passata» si morde il labbro inferiore. «Insomma Liz… sei sempre Liz, siamo amici» parla tranquillo.

Quando cala la notte, dopo una manciata di storielle di paura, di avventura e comiche, i bambini si addormentano nelle rispettive tende. Brian e Dylan si tuffano in acqua per un bagno e poi ritornano a sedersi intorno al falò. Hanno entrambi due fisici mozzafiato, i miei occhi potranno anche spostarsi altrove e far finta di nulla, ma il mio cervello non riesce ad evitare certe immagini.
«Puoi dormire» parla Dylan.
Alzo lo sguardo ed incrocio il suo. «Non ho sonno, faccio da guardia» sospiro.
«Io vado» Brian si asciuga per l’ultima volta con il telo da mare e poi ci congeda.

Rimaniamo distanti e silenziosi. Si sente solo il rumore delle onde e quello della fiamma che arde. Non mi muovo di mezzo centimetro.
«Come stai?» Parliamo insieme.
Ci fissiamo.
«Io bene» annuisce lui.
«Anche io» boccheggio. «Sono contenta per voi» sottolineo.
«Grace non cominciare» esordisce con tono severo. «Fai finta che non sia successo niente tra di noi, che siamo conoscenti e che…» balbetta. «Insomma non c’è mai stato un cazzo in realtà» scrolla le spalle.
Socchiudo le palpebre. «Hai ragione. E’ quello che penso anche io» mi zittisco subito dopo, ma noto che sul viso spunta un’espressione sconcertata, come se non si aspettasse che io lo assecondassi.

Ho preso una decisione. Non ha senso fare la carina, la comprensiva e all’apprensiva.
E’ vero. Se loro non vogliono avere a che fare con me, la colpa è mia, ma sfido chiunque a mettersi nei miei panni ed uscirne vivo. In un modo o nell’altro avrei perso uno di loro, ma come si fa a pensare ciò?
Forse sono stata un’egoista. Ho pensato solo per me, senza curarmi dei loro sentimenti, ma loro adesso stanno bene. Io no.
Questa storia deve cambiare, al più presto.
Nessuno può compromettere la mia felicità, devo smetterla di farmi condizionare dalle emozioni.


 
Angolo autrice.
Buon pomeriggio! Buon inizio d'estate a tutti! 
Come state? Che ne pensate del secondo capitolo?
Alla prossima, un bacione!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3

 

Non riesco in nessun modo a prendere sonno. Questa tenda sembra voglia soffocarmi, mi manca l’aria. Ho gli occhi sbarrati ed il respiro affannato. Così nonostante sia in top e pantaloncini esco di lì. Barcollo per qualche istante e poi mi ricompongo. Raggiungo la battigia, mi siedo ed osservo il mare respirando a pieno l’aria mischiata alla salsedine.
Socchiudo le palpebre e scrocchio il collo.

«Dovresti dormire» la voce di Brian è alle mie spalle. Non perde un secondo per sedersi al mio fianco.
Porto le ginocchia al petto e mi volto a fissarlo. «Non ho sonno» mormoro.
«Tu credi che si potrebbe recuperare il tempo perduto a litigare?» La sua voce è rauca.
Mi volto sconvolta a guardarlo fisso negli occhi.
«Sì… insomma ci siamo urlati contro, abbiamo fatto di tutto per odiarci» aggiunge.
Boccheggio. «Io non ti ho mai odiato» sospiro e rivolgo nuovamente gli occhi verso il mare, poi osservo la luna, è piena. «Brian il fatto che tu sia diventato così come sei… non ti autorizza a fare l’innocente» borbotto. «Vi ho guardati negli occhi l’ultima volta che vi ho visti insieme. Tu eri il diavolo in persona e lui avrebbe voluto solo spaccarti la faccia…» balbetto, «non puoi comportarti da Gesù Cristo Redentore» sbotto.
«Tu non accetti il fatto che l’attenzione non è più spostata su di te» il suo tono diventa più aggressivo. Eccolo, il vero Brian.
Rido amaramente. «Forza basta fare la parte della pecora buona, dimmi quello che pensi… dimmelo.» Lo osservo minacciosa.
Lui serra la mascella. «Vuoi sapere che penso?» Fa una pausa. «Penso che io sia la persona più orribile del mondo e tu sia lo stesso.» Parla cauto.
«Perché? Perché amo due persone?» Sbraito mettendomi in piedi.
Lui si alza e mi si para davanti. «Mi ami? Lo ami? Scordaci!» Sputa veleno con occhi pieni di rabbia.
Arriccio il naso e socchiudo le palpebre. «Non sarai tu a dirmi come gestire le mie emozioni, ma stai certo che sarà il mio obiettivo per tutta l’estate» annuisco convinta.
«Perfetto» ringhia, mentre si volta per andare via.
Lo acchiappo da un braccio, attanagliandolo. «Che patto di merda avete fatto?»
Mi guarda di sottecchi. «Non sono affari tuoi, Grace» prende un lungo respiro.
«Diventare pastori?» Ironizzo antipatica.
«Quando ti chiamavo bambina non ho mai sbagliato.» Accenna una risata amara.
Gli lancio uno schiaffo, il suo volto si sposta di pochi millimetri e le sue palpebre si chiudono lentamente. «Non ti permettere mai più» mi guarda attentamente.
«Non sei cambiato per niente, Brian Turner» scandisco perfettamente ogni sillaba.
«Non cambierò mai per te, Grace Elizabeth Stewart» assottiglia lo sguardo e si dilegua, rientrando in tenda.

Prendo dei lunghi respiri e poi getto un urlo di disperazione, stringendo i pugni. Vorrei spaccare tutto.


La mattina dopo sto sistemando i bambini sul bus per ripartire. Chad decide di sedersi al mio fianco, sta sgranocchiando una mela, mentre gli altri stanno cantando.
Sarà Brian a guidare stavolta. Dylan mi passa affianco, abbassa il busto e mi fissa.
«La notte è fatta per riposare» sussurra.
«Ti ci metti anche tu?» Sbotto, ma mi ricompongo ricordandomi da chi sono circondata.
Dylan mi rivolge un’ultima occhiata e poi si pone accanto a Brian.
Siamo partiti.

Per l’intero tragitto Brian non proferisce parola, sembra esser incazzato. Dylan, invece, è più rilassato del solito e con i suoi Ray-Ban osserva il panorama di fuori.
«Tu lo ami» Chad mi richiama con una gomitata, «diglielo» m’intima.
«Chad, lo stavo solo guardando» sorrido accarezzandogli il capo.
«Facciamo un patto» si sistema meglio sul sedile, «quando ti deciderai ti dirò cosa mi ha detto Dylan ieri sera» annuisce.
Il cuore mi scoppia dal petto. Deglutisco. «Piccolo furbetto… ora parli» lo fisso minacciosa.
Abbozza un sorriso malvagio e scuote il capo. «E’ un patto» alza nuovamente la testa.
Lo fisso di sbieco, «e va bene, brutto gnomo cattivo» dico sarcastica. «Quanti anni hai?» Domando curiosa.
«Sette» sorride entusiasta.
Mi ricorda me a quell’età, forse ero dispettosa quasi quanto lui. Ne capivo di più di Emily e Brady, sapevo che tra quei due avrebbe funzionato alla fine, molto alla fine. Chi sa che pensa lui. Magari potrebbe darmi una mano o magari dovrei semplicemente capirlo da sola.


Arrivati a destinazione ci accolgono Beth ed Ethan. La mia amica agita entrambe le braccia appena mi vede scendere dal bus, Chad mi prende subito per mano, ma nel momento in cui Beth mi si getta addosso abbracciandomi, Chad la fulmina.
«Ometto posso spupazzarmi mia sorella?» Si distanzia.
Lui risponde con uno sguardo di superiorità, «solo per stavolta» poi corre dai compagni.
«C’è qualcosa che dovrei sapere?» Chiedo all’orecchio di Beth.
Lei corrucciata mi fissa. «Non pensare male, domani arriva la fidanzata di Ethan» mi smonta tutto.
Ammetto di rimanerci male.
«Abbiamo parlato tutta la notte, mi ha raccontato come si sono conosciuti… ovviamente al liceo» scrolla le spalle, «lei lavora al teatro, sono sempre in tour» annuisce.
«Hmm, va bene» mugugno.
«Non vedevo l’ora che tornassi… devo farti vedere un posto spettacolare» ride e mi trascina con sé via di lì.




POV DYLAN
Sto scaricando dal bus le attrezzature che ci eravamo portati dietro in caso di estrema esigenza. Brian mi sta dando una mano.
«Come mai stanotte eri fuori dalla tenda?» Chiedo mentre faccio forza contro un carico pesante.
Lui non mi guarda. «Pensavo non ci fosse nessuno a fare la guardia fuori.» Dice. «Dylan…» mi richiama ed io mi fermo a fissarlo. «E’ un patto. Io li rispetto.» Mi dà una pacca sulla spalla.
«Allora com’è andata?» Ethan passa il suo braccio intorno al suo collo e sorride.
Nel frattempo però lo osservo di sottecchi, «a te invece?»
«Molto bene» annuisce tranquillo. «Vieni amico, facciamoci un giro» mi porta con sé, lasciando Brian lì da solo, che già se la ride pensando si tratti di Beth.
Camminiamo a vuoto per una manciata di minuti. «Tua sorella» esordisce.
«E’ mia» decreto severo.
Alza le sopracciglia, «sì, no… cioè… pensavo di integrarla nell’attività di nuoto e surf con la sua amica» so che sta sparando cazzate, lo vedo dalla sua espressione confusa e dal suo balbettare continuo.
Improvvisamente sentiamo delle grida, provenire da dietro delle foglie. Ethan, corrucciato, le scosta e ci facciamo entrambi spazio per osservare.
In lontananza notiamo due sagome femminili, nude in mezzo al laghetto, quasi sotto la cascata. Ethan cammina più avanti e scivolando lungo il burrone arriva più sotto. Lo seguo sorreggendomi da un ramo.
«Porca vacca» commenta lui.
Osservo meglio e quando riconosco Beth e Grace sgrano gli occhi. «Eh no!» Esclamo furibondo, mi paro di fronte Ethan che si sta godendo un po’ troppo il panorama.
«Ma Dylan…» si lamenta.
«BETH!» Sbraito a gran voce.
Lei si volta scoppiando a ridere ed agita un braccio per salutarmi. «E’ bellissimo qui» è completamente nuda, sono senza parole. Per non parlare della sua amica con le tette al vento, sotto il getto della cascata.
«ESCI SUBITO DI LI’» continuo ringhiando.
«Che panorama ragazzi» Ethan si è spostato per scrutare meglio la situazione.
Lo fulmino, «ti cavo gli occhi» gli intimo puntandogli l’indice contro.
«Vabbè che non posso guardare tua sorella, ma guarda che bocce quell’altra» si massaggia la fronte e getta dalla bocca dell’aria. «Iperventilazione.»
Socchiudo le palpebre, fingendo che vada tutto bene. Poi mi spoglio della canotta e delle scarpe, per raggiungere entrambe.
«Amico, bellissima idea… siamo entrambi fidanzati… ma io mi prendo la sorella e tu l’altra… che dici?» Lo guardo mentre si sta sfilando i pantaloni.
«Fai un altro passo e finisco in prigione» dico minaccioso. «Le vado immediatamente a tirare fuori di lì.»
«Ehi stronzo, così puoi vedere da vicino» ridacchia dispiaciuto. «E va bene amico, sono un coglione» si gratta il capo, portando le mani sui fianchi. «Ma le riporti qui nude vero?» Urla nuovamente.
Cristo di Dio, gli tapperei la bocca a furia di cazzotti.
«BETH, BETH» ringhio camminando nell’acqua.
Mia sorella nuota da una parte all’altra e se ne frega altamente di me.
«Ma rilassati» dice dall’altra parte.
Rivolgo gli occhi su Grace, che non si preoccupa minimamente di me, poco più distante da lei.
«Il signore mi perdoni» mi ripeto sottovoce mentre osservo le forme perfette di Grace. Ha dei seni perfetti, neanche fossero scolpiti. La pancia è piatta e quei capelli che le ricadono lungo le spalle, la rendono una creatura soprannaturale splendida.
«Non farti prendere con la forza ed esci di lì» sbotto contro mia sorella.
Lei mi alza il dito medio e mi saluta, mentre si avvicina all’altra parte della riva.
«Preferisci che io esca nuda di qui?» Chiede sogghignando.
«Beth perché mi devi fare diventare pazzo?» Tiro due pugni sull’acqua.
«Non stai diventando mica diventando pazzo per me» sorride allusiva.
Sbuffo. «Porca troia» impreco.
«EHI VOI, MA CHE FATE? NON TORNATE? VI RAGGIUNGO? TUTTO APPOSTO?» Ethan è ancora parato lì che osserva.
Dylan, mantieni la calma.
In men che non si dica mi accorgo di Beth che esce dall’acqua e sorreggendosi il seno scappa via.
«BETH» sia io che Grace le urliamo contro.
«La vado a soccorrere io!» Ethan ci saluta agitando le braccia e risale.
«GESU’» grido alzando gli occhi al cielo, poi li sposto su Grace che ‘sta a mollo e si massaggia il volto con entrambe le mani. «E’ ora di uscire» le faccio cenno di seguirmi.
«Comanda la tua ragazza, non me» risponde acidamente.
«Grace, per cortesia, non facciamo cazzate… esci, andiamo» la imploro.
Rimane nella stessa posizione. «Cazzate di che genere, scusa?» Corruga la fronte. «Stai già facendo una cazzata a rimanere qui» mi lancia una frecciatina pesante.
Sbuffo e la raggiungo, la acchiappo da una gamba e me la trascino.
«Coglione, lasciami» si dimena. «Dylan, ma che cazzo vuoi» agita le braccia dentro e fuori dall’acqua. «Non sono nessuno per te» aggiunge aggressiva.
Così la mollo, ma nello stesso istante cammino fino a trovarmi faccia a faccia.
«No, non sei nessuno» boccheggio con respiro affannato.
«E allora vattene» fa cenno con il capo.
Rimango ancora lì a scrutarla negli occhi.
«Vattene come hai fatto l’ultima volta» strizza gli occhi e poi li strofina.
Deglutisco rumorosamente. «Ti brucia vero? Non essere più la principessa sul pisello» commento antipatico.
Ma lei non perde un secondo per scaraventarsi addosso, con tutta la sua mascolinità. Mi si aggrappa all’addome e dopo avermi attanagliato la vita con entrambe le braccia, cerca di spingermi giù. Avverto il contatto con la sua pelle, con la sua intimità, con i suoi seni nudi e Dio solo sa quanta concentrazione e forza di volontà ci voglia per rimanere esattamente così come sono, senza far muovere nessuna e dico nessuna parte del mio corpo. Probabilmente, conoscendola, non lo starà facendo neanche per provocarmi.
Mi tira dai capelli e mi dà pugni sul petto. Poi le blocco i polsi e cerco di distanziarmi.
«Grace sei nuda» le ricordo.
«Credi che mi importi qualcosa?» Domanda scuotendo il capo e fissandomi accigliata.
Rimango perplesso.
«Ti prenderei a schiaffi ugualmente, anche se fossi nelle peggiori condizioni» ammette.
Mi allontano lentamente, «è meglio che io vada» se lo aspettava, non è per niente sorpresa e rimane lì senza preoccuparsene.
Poi quando mi volto, ha entrambe le braccia alzate e le uniche due dita che vedo sono i medi.
«FOTTETEVI, tutti e due» grida.
Solo quando guardo davanti a me, noto Brian.
«Che succede?» Domanda corrucciato.
Scuoto il capo per scrollare l’acqua dai capelli e strizzo i pantaloncini inzuppati. «Cercavo di tirarla fuori dall’acqua» dico.
«Che ti importa? Lasciala fare.» Brian incrocia le braccia al petto.
«Non ho bisogno che me lo ricordi ogni volta Brian, non ho bisogno più di lei» sbotto nervoso.
Brian boccheggia. «Neanche io.»
«Perfetto» risalgo e non mi volto più indietro.

Ed è qui che incrocio la mia fidanzata. Sembra avere l’espressione di una iena, Ethan da dietro mi mima qualcosa del tipo di stare attento, ma tutto si complica quando Grace spunta dalle foglie. E’ ancora nuda. Io non ho parole per descrivere la spudoratezza di questa ragazza.
«Ciao» con nonchalance saluta Alexandra, che ha ancora la bocca spalancata.
Beth corre in aiuto dell’amica e la copre con un telo. «Sei uscita pazza?» Le dice a denti stretti.
«No» Grace risponde alzando le spalle.
«Mi spieghi cortesemente che ci fai tutto bagnato?» Alexandra mi urla contro ed incrocia le braccia al petto. Mi osservo a guardare i presenti. Brian si gratta il capo, Beth e Grace si stanno godendo la scena, mentre Ethan sembra in imbarazzo per tutto.
«Ho recuperato mia sorella che vagava mezza nuda nel laghetto… è lecito o devo chiedere il permesso?» Domando gesticolando.
Sgrana gli occhi, «o forse sei andato a spiare due ragazze che erano per i cavoli loro?»
«Ma sei scema? Spierei mia sorella? Mi hai preso per un maniaco?» Aumento il tono di voce gradualmente. Fra non molto la manderò a farsi fottere, senza pensarci più.
Lei annuisce a mo’ di presa in giro. «E lei chi è? Tua sorella anche?» Indica Grace.
«L’amica di mia sorella!» Esclamo sottolineandolo.
«Scommetto che siete anche cresciuti insieme» assottiglia lo sguardo.
«Alexandra puoi stare tranquilla, Dylan ed io siamo solo amici d’infanzia… lui è innamorato… » Grace si intromette, «di te» conclude annuendo.
Lei tace, finalmente. «Vatti a cambiare immediatamente» gli ordina.
Sbuffo e sospiro. «Smettila con gli ordini» l’avverto furibondo.
«Dylan vai» dice lei seccata.
Così mi dileguo, camminando verso il mio bungalow.




POV BRIAN


Ammetto di aver timore, timore che lui possa fare un passo falso, paura che la troppa distanza che li divide, sia invece un modo come un altro per farli riavvicinare. Qualcosa mi dice che sono fatti per stare insieme, ma poi penso a me e lei, a tutto quello che abbiamo passato, a com’eravamo, a chi era lei con me e sorrido. E’ uscita davanti a tutti completamente nuda. Questa è la mia donna, ribelle, aggressiva, spudorata, che non ha paura delle opinioni altrui, che non si cura degli altri. Ha quegli occhi da diavolo, come i miei. Così simili, così complici, ma lei non può essere più mia. La sfida continua è finita.
Né lui né io l’avremo mai. Questo masochismo non ci renderà felici, ma servirà a non farci scannare. Non è il caso dopo il legame che abbiamo stretto inconsapevolmente.

«E così volete farci credere che siete diventati culo e camicia.»
Mi volto mentre sto per entrare nel mio bungalow e noto Beth, con le mani sui fianchi ed una strana espressione. Al massimo mi ha rivolto la parola per dirmi di ammazzarmi o cose simili, ora invece sembra tranquilla.
«Non vogliamo farvelo credere, è la verità» alzo le spalle.
Lei si massaggia il mento, «se non conoscessi mio fratello penserei che siete due idioti… ma siccome lo conosco sono certa che dietro questa farsa c’è l’idea di tenervi lontano da lei… entrambi» parlotta.
«Beth per cortesia… è acqua passata» sbuffo, roteando gli occhi.
Lei annuisce, «siete due teste di cazzo» abbozza un mezzo sorriso. «Tu vuoi farmi credere che se lei venisse da te a dirti che ti ama e che ha capito di voler te, tu la respingeresti?» Aggrotta la fronte.
«Non è un problema che mi pongo» mormoro sospirando.
«Dovresti.» Ribatte.
Mi dà sui nervi questa situazione.
«Io non credo che Grace sia pronta per scegliere uno di voi… perché mentalmente l’avete stravolta in modo diverso, ma allontanarsi non migliora la cosa» sbotta.
«Forse sì. C’è qualcuno che le fa più male quando la evita… e non sono io» sussurro abbassando il capo e mordendomi il labbro inferiore.
Lei si guarda da una parte all’altra sospirando. «No, Brian. Se Grace avesse amato mio fratello sarebbero stati insieme adesso… e invece come lui è scappato via, sei scappato anche tu… e lei non ha seguito nessuno dei due» mi fa ragionare, «non mi stai simpatico, anzi piuttosto vorrei prenderti a cazzotti fino a farti sanguinare… ma questa è un’altra storia, qui si tratta della mia migliore amica che ama due menomati» annuisce onesta.
Mi scappa un sorriso. «Non farò nulla per farle cambiare idea, Beth… la battaglia è finita.»
«Credo che proverò a convincere Dylan, visto che tu sei un presuntuoso del cazzo. Rovinerò il grande amore con Alexandra» lei accenna delle smorfie di disapprovazione.
«Non so quanto le sia indifferente Alexandra» dico accigliato. In realtà prima che piombasse Grace, andava a gonfie vele tra i due.
Beth scoppia in una fragorosa risata. «Tu non sai come guarda Grace» prova a zittirmi.
«Lo so» il suo tentativo fallisce.
«Ti saluto» Beth indietreggia agitandomi una mano. «Quando entri e sarai a tu per tu con la porta ripetigli quanto sei coglione» sorride beffarda e poi va via.

Rientro e mi poggio alla porta chiudendola con la schiena. Socchiudo le palpebre ed impreco sottovoce.
«Coglione» mormoro.


La sera sono tutti riuniti nel solito falò. Alexandra e Dylan sono in tensione, lei è parecchio distante da lui e dialoga con un altro ragazzo, addetto alla pulizia.
Dylan mangia marshmallow, mentre racconta una storia di terrore ad un gruppetto di bambini , i quali lo stanno ad ascoltare attentamente.
Poi pongo lo sguardo su Beth e Liz, fanno lo stesso con altri bimbi, ma a sentire le risate, suppongo che stiano raccontando una qualche barzelletta.
Così ripenso al lago e decido di allontanarmi, raggiungendo il posticino appartato. Credo che nessuno si sia accorto di me.

Arrivato mi spoglio e completamente nudo mi tuffo. L’acqua è calda e vengo illuminato dal riflesso della luna.
Nuoto avanti e indietro, mi rilasso, socchiudo gli occhi e quasi mi addormento.
Improvvisamente, però, il fruscio dell’acqua interrompe i miei pensieri e quando vedo la sagoma di Alexandra raggiungermi con i seni nudi, sgrano gli occhi.
«Oh ma che fai!» Esclamo basito.
Lei sorride maliziosa e si massaggia entrambi il petto in maniera provocante.
Prendo un lungo respiro ed alzo gli occhi al cielo.
Continua ad avanzare e poi si abbassa al mio livello. Con una mano mi accarezza il la spalla, fino a scendere lungo l’addome. Acchiappa con forza poi il mio membro e lo spinge contro la sua intimità, strofinandolo.
Oh Cristo!
La scanso, «Alexandra, sei pazza?» Domando a denti stretti.
Scocca la lingua sul palato. «Sù, lo so che lo vuoi anche tu… ho voglia di scopare con te da quando quel giorno ti ho visto qui completamente nudo» passa una mano lungo la mia bocca e si aggrappa a me. Il mio corpo è in perfetto contatto con il mio.
Si passa la lingua intorno alle labbra e scoglie i capelli.
«Cosa sarà mai? Dylan non lo verrà mai a sapere…» dice sottovoce.
Mi fa impazzire in modo in cui lei stia premendo contro di me la sua vagina e sto provando ad avere un controllo pazzesco in questo istante.
Così, con uno scatto repentino, la spingo verso di me, portando una mano dietro la sua nuca. Le infilo la lingua in gola senza troppi complimenti e lei ansima. Poi scendo con entrambe le mani lungo i suoi fianchi ed acchiappandola dalle natiche le facilito l’allaccio alla mia vita. Ed è in quell’istante che la penetro e lei geme. Le tappo immediatamente la bocca con una mano e spingo violentemente. Porto il capo indietro mentre mi godo il momento. Ritorno, poi a fissarla negli occhi. Lei sta impazzendo ed io aumento sempre di più le spinte, preso dalla troppa euforia. Poche volte sono stato così aggressivo con una donna, ma questo è lo spirito giusto con persone di questo calibro.

La respingo poco dopo e lei rimane a bocca aperta, ancora troppo eccitata per comprendere che sto per lasciarla lì. Esco dall’acqua e riprendo la mia roba, depositata a riva.
Non mi volto e proseguo per tornare dagli altri. 


 
Angolo autrice. 
Buon pomeriggio! 
Ecco a voi il nuovo capitolo, un bacio... alla prossima. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4

 
 
Mi accingo a portare la tavola sotto il mio corpo, nuoto e finalmente quando arriva l’onda giusta, salgo su di essa facendomi equilibrio con entrambe le braccia.
Scivolo sull’acqua provando una sensazione unica. Non cado neanche una volta e noto in lontananza i bambini esultare come pazzi, assieme a Beth.

Esco dall’acqua e corro verso di loro.
«Facciamolo! Facciamolo!» Esclama applaudendo una bambina.
«Non è semplice come sembra» ridacchio.
Beth mi si affianca, «io non lo farò mai» dice a denti stretti.
Scoppio a ridere e comincio ad elencare tutte le difficoltà ai ragazzetti di fronte a me.
Poi ad uno ad uno li avvicino all’acqua, con la loro tavola da surf tra le mani. Spiego loro come posizionarsi e soprattutto a stare in perfetto equilibrio senza mai cadere; ovviamente questa è semplicemente una spiegazione, dal momento in cui neanche uno di loro è riuscito a sopravvivere lì sopra per più di cinque secondi.



Prima di far ritorno, raggiungiamo Dylan, che ci aveva accompagnati. Sta seduto in chioschetto vicino alla spiaggia, sorseggia una bevanda con la cannuccia poggiata alle labbra. Ha lo sguardo perso.
«Dylan, Dylan… è stato bellissimo» sbraita uno di loro, mentre si precipitano tutti addosso a lui.
Quest’ultimo gli sorride e gli chiede cos’abbiano imparato.
«Grace è grande!» Esclama un ragazzino.
Lui mi rivolge un’occhiata ammiccante e poi si mette in piedi. Esce dal portafoglio dei soldi e li deposita sotto il bicchiere.
«Andiamo birbanti» applaude indirizzandoli verso l’uscita.
Beth si avvicina al fratello e lo prende da un braccio, stritolandoglielo.
«Come mai tu ed Alexandra ieri eravate… insomma… separati?» Le chiede accigliata.
E’ una iena. Ne abbiamo parlato per l’intera nottata. Non mi ha fatto chiudere occhio.
Continuava a ripetere quanto fossero distanti, quanto fossero freddi e tra le tremila domande corrispondevano tremila supposizioni probabilmente tutte inutili.
«Beth posso gestire la mia vita senza raccontarti ogni dettaglio?» Sbuffa lui.
Beth lo spintona, «razza di deficiente, io devo saperle queste cose. Alexandra sembra una con la puzza sotto il naso» mette il broncio ed incrocio le braccia al petto.
Dylan accenna una risatina, «dimmene una che ti è mai andata a genio» commenta ironico.
Abbasso immediatamente il capo e noto con la coda dell’occhio che Beth ha rivolto il suo sguardo su di me. Dylan rotea gli occhi e si dilegua più avanti. E così viene a rompere a me.
«Secondo me c’è qualcosa sotto» esordisce.
«Ma posso fumare?» Domando guardandomi intorno.
Lei alza le spalle. «Passane una anche a me.»
Sfilo dal pacchetto di Camel due sigarette, accendo la mia e porgo subito dopo l’accendino a Beth.
«Dico… non lo trovi strano che non si parlino?» Continua.
Getto il fumo fuori dalla bocca ed osservo il cielo. «Non me ne frega» borbotto.
«Sì, neanche a me infatti…» mugugna.
Abbozzo un mezzo sorriso. Quando si tratta di Dylan, non si fa mai gli affari suoi. E’ più forte di lei.
«E se lo chiedessi a lei?» Fa dopo qualche secondo.
Sbuffo. «Ormai che ci sei falli mollare» dico sarcastica.
Lei mi osserva maliziosa. «Se me lo chiedessi, lo farei senza pensarci due volte» annuisce.
Le do una gomitata e lei scoppia a ridere.
Dylan in lontananza ci fissa, con le braccia conserte ed il muso. «Vi muovete?» Dice seccato.
«Quando guardo te… mi sale l’ansia» sbotta la sorella avanzando verso di lui.
Dylan gli risponde con una smorfia, mentre io rimango in silenzio.


Arrivati al campus notiamo Alexandra uscire da un bungalow. Sembra agitata e si sistema i capelli. Dylan posteggia, ma non scende dal bus e continua a fissare la sua ragazza imperterrito. Beth s’incammina verso l’uscita e i bambini proseguono dietro di lei. Io rimango, invece, per ultima.
«Non scendi?» Chiedo con tono severo.
«Che te ne frega» sbotta antipatico.
Mi volto scattante e mi paro contro la il suo viso. Lo spintono con una mano sul suo petto e lui mi guarda dritto negli occhi. «Adesso basta» scandisco ogni singola parola. Me ne infischio della sua fidanzata che ci fissa da sotto. «Cerca di smetterla, prima che ti faccia passare le pene dell’inferno qui dentro.» Dico a denti stretti minacciosa.
Accenna un riso amaro. «Le sto già passando» borbotta.
«Ah sì? E perché mai?» Sbotto nevrotica.
«DYLAN» Alexandra lo chiama.
Lui la guarda con la cosa dell’occhio. «Perché non te ne vai? Intendo… perché non scompari e basta?» Strizza gli occhi.
«Perché voglio renderti impossibile ogni singolo giorno fin quando mi sputerai in faccia quanto mi odi, quanto non mi ami più e quanto sia la persona più cattiva in questo mondo» respiro affannatamente. Non gli lascio il diritto di rispondere e scendo veloce.
Nel momento in cui Alexandra sta per salire il primo scalino, Dylan mette in moto e fa retromarcia come un furetto.
«Dove diavolo va?» Domanda corrucciata Beth.
«EHI DYLAN» urla la fidanzata agitando le braccia. Poi si volta a fissarci.
«Bambini andiamo a fare merenda» ordino dolcemente con voce squillante.
Tutti esultano, mentre io gli faccio strada.
Li faccio sedere in riva al lago, tutti ordinatamente a cerchio, ordino loro di non toccare l’acqua e di non farmi impazzire e nel frattempo loro sgranocchiano il ben di Dio.
Quest’oggi non ho ancora visto il mio piccolo Chad; non partecipa all’attività di surf, ma nel pomeriggio lo ritroverò nella gara ad ostacoli. Sono elettrizzata persino io.
Ethan e Brian hanno trascorso l’intera notte a creare il percorso, spero sia divertente.


«Grace posso sciacquare le mani?» Un bambino unto di nutella mi mostra le manine, è sporco persino in viso. Così avanzo e mi inginocchio, mi sporgo e con una mano prendo dell’acqua per passargliela poi intorno alla bocca e sul naso. Lui ride a più non posso.
«Grace io devo fare la cacca» ed ecco una bimba.
Sgrano gli occhi e mi precipito. «Non riesci a trattenerla?»
Lei scuote il capo, nascondendosi il naso e la bocca con una mano.
«Bene» prendo un lungo respiro, mi guardo attorno con le mani sui fianchi. «Bimbi… guardate in cielo… fra un po’ spunterà una navicella spaziale» indico con un dito il cielo.
Tutti alzano gli occhi a bocca aperta, persino la bimba al mio fianco.
«No, tu no» la prendo in braccio con forza e la porto poco più distante, in mezzo ad un cespuglio. Le abbasso i pantaloncini e lei ridacchia.
«Ma io mi vergogno» dice dondolando.
«Dai, io mi volto e tu la fai» dico annuendo.
Lei abbassa ed alza il capo velocemente. Mi giro ed osservo i bambini. Stanno ancora fissando il cielo. Che ingenuità!
Attendo qualche istante, «fatta?»
Sento dei lamenti e mi scappa da ridere. Sembra sforzarsi.
«Fatta» urla.
Ci avrei giurato! Fa una puzza della Madonna.
Mi tappo il naso e mi volto. «Ferma che prendo i fazzolettini» le ordino.
Corro verso il mio zaino e ne esco un pacchetto. Quando corro in suo soccorso, lei mi guarda ansiosa.
«Me lo asciughi tu?» A quella domanda vorrei morire. Impreco nella mia mente e poi trattenendo il fiato mi abbasso per pulirle il sederino.
Non ho neanche mai cambiato un pannolino ai miei nipoti e guarda che mi tocca fare.
Dovrò raccontarlo ad Emily, credo dia di matto!
In quell’istante sento ridere a crepapelle i bambini alle mie spalle. Mi volto e loro ci indicano, mentre si sorreggono la pancia.
«Mostriciattoli… non ridete» dico severa. Non c’è modo di zittirli.
«Ehi voi» il vocione di Brian irrompe. Tutti smettono. «Adesso basta… non si fa» li rimprovera. «Su, andiamo cattivoni» accenna una smorfia con il naso. Poi si volta verso di me. «La prossima volta chiama qualcuno e porta la bambina in un bagno. Evitiamo queste situazioni.» Decreta con tono serio.
Sospiro, sbuffo ed osservo la bimba mortificata.
«Brian, è colpa mia» si colpevolizza la piccola.
Lui la fissa con occhi da cucciolo, si avvicina e si inginocchia di fronte a lei. Le pizzica una guancia e poi sorride. «E’ tutto okay» la rassicura.
«Loro ridevano di me» abbassa il capo triste.
«Loro avranno una lezione di solletico» parlotta con tono simpatico.
Abbozzo un mezzo sorriso a testa bassa.
«Non avercela con Grace» dice lei a denti stretti al suo orecchio.
«Sempre» ridacchia lui e poi si rimette in piedi.
Mi guarda e poi si dilegua.


«Io sono Marta» si presenta mentre mi tiene la mano ed avanziamo verso il suo bungalow.
Le sorrido. «Che bel nome» ammetto.
«Mia nonna si chiamava così» dice fiera. «Ed io sono bellissima come lei.»
«Non ho dubbi» l’avvicino a me e le accarezzo il capo.

Marta si sistema ed indossa un altro pantaloncino ed un’altra maglietta. Poi la riaccompagno dai compagni.

Ho solo voglia di riposare un po’, così mentre tutti pranzano, io mi distendo su di un telo fuori il mio bungalow. Metto le cuffie alle orecchie e socchiudo le palpebre.
Rimango nella pace dei sensi per un’abbondante quarto d’ora. Sento solo il fischiettio degli uccellini, i suoni della natura ed avverto il sole bollente cuocermi la pelle.

«Grace Grace» mi sento scuotere improvvisamente. Sussulto e spalanco gli occhi.
Chad è di fronte a me, in ginocchio. Mi sorride e mi abbraccia impulsivo. Sorrido e lo stringo.
Noto anche Dylan, che, probabilmente, l’avrà accompagnato. Ha tra le mani un sacchetto.
«Ti abbiamo portato il pranzo» si fa spazio tra le mie gambe e si siede. Avvolgo la sua vita con le mie braccia e gli lascio un bacio sul capo. Dylan si abbassa e mi mostra un panino, poi dell’aranciata ed una vaschetta di fragole.
«Grazie» mormoro ancora sorpresa.
«Ha insistito» Dylan si siede fuori dal mio telo e ci osserva.
Addento il pane, mentre fisso Dylan, sta guardando altrove. Vorrei che tutto tornasse come prima, quando lui era divertente, solare e sempre allegro con me. Mai il muso lungo, mai questo atteggiamento. Eravamo così spensierati qualche mese fa.
«Voi vi amate» esordisce Chad.
Dylan, a quel punto sussulta, sgrana gli occhi e serra la mascella.
A me va quasi di traverso il boccone e sono costretta a bere immediatamente, per deglutire meglio. Poi prendo un lungo respiro.
Nessuno dei due fiata, mentre Chad attende una risposta. Credo che ognuno di noi qui aspetti di dire qualcosa. A me viene solo da imprecare.
«No» parlo immediata io.
Dylan annuisce. «No» sentenzia di rimando.
Ci fissiamo a lungo.
«E allora… allora perché non vi parlate?»  Chad è accigliato.
«Chad ma sai cosa ho scoperto?» Lo guarda attentamente. «A Karen piaci un sacco» mostra un sorrisetto beffardo.
Chad si volta a fissarmi. «Crede che sono stupido» scuote il capo afflitto.
Scoppio a ridere ed imbocco l’ultimo pezzo di pane, masticando lentamente.
Improvvisamente il piccolo si mette in piedi, correndo verso un cespuglio pieno di fiori variopinti.
«Credo che sia meglio farci cambiare i turni, così che non ci scontriamo spesso» esordisce lui con occhi bassi.
«Codardo» dico amaramente.
«Non voglio vederti, chiaro?» Avvicina il suo capo più al mio.
«Perché?» Domando sfinita.
«Perché…» sbotta, ma viene interrotto dal ritorno di Chad.
Ha un mazzolino di violette tra le mani e me lo porge. Gli rivolgo un gran sorriso, poi mi avvicino per dargli un bacio in guancia.

«Bravi, bravi… fate gli asociali» Beth si getta addosso al fratello.
Lui irritato si mette in piedi immediatamente. «Torno dentro… Chad andiamo» gli porge una mano e lui gliela stringe. Saltellando va via anche lui.

«Basta adesso! Mi state annoiando» sbuffa Beth. «Stasera, dopo il falò… io e tu rubiamo un bus e ce ne andiamo da qualche parte» impone severa.
«Andiamo a bere» propongo distendendomi nuovamente a pancia in su.
Lei mi osserva dall’alto. «Sei troppo buona con loro… mandali a cagare.» Borbotta alzandosi i capelli in una coda. «Dylan non lo riconosco più…» scuote il capo sovrappensiero. «Credo che in parte sia per te, credo gli abbia spezzato il cuore» ammette sincera.
A quel punto sento un nodo alla gola, deglutisco, ma non riesco a cacciarlo via. Scoppio a piangere davanti la mia migliore amica. Lei sgrana gli occhi e mi abbraccia senza fiatare.
«Mi ero promessa di trascorrere un’estate tranquilla» singhiozzo. «Non sopporto loro che mi evitano… sono così importanti» socchiudo le palpebre, mentre le lacrime ricadono lungo le guance.
Lei mi attanaglia il viso con entrambe le mani e mi costringe a guardarla. «Eravamo in bagno entrambe, io piangevo per Scott, che gran cazzata facevo!» Esclama con voce tremante. «Tu con quegli occhi forti, quella lingua da so-tutto-io, con quegli atteggiamenti da spavalda e strafottente mi guardasti e mi dicesti che non ne valeva la pena» aggiunge ed io annuisco mordendomi il labbro inferiore. «Non lasciare che gli altri ti feriscano e che vedano quanto in realtà tu sia terribilmente fragile ed emotiva» mi accarezza il capo. «Ti adoro per questo, ma non lasciamo che conoscano tutti la verità. Lasciamo credere agli altri che tu sia forte sempre. Stringi i denti e manda a fanculo» respira profondamente. «Non voglio più vederti piangere.» Ordina minacciosa.
Asciugo le lacrime e tra un singhiozzo e l’altro la ringrazio.
Amo la mia migliore amica. Ha ragione lei. Devo lasciar correre, proprio come fa Dylan.
«Devo parlare con Ethan» mi metto in piedi e nonostante le guance arrossate e gli occhi lucidi, mi incammino per raggiungerlo. Beth mi rincorre senza esitare.


Quando lo scorto è insieme a Dylan ed Alexandra. Stanno discutendo sul percorso da fare fra qualche oretta. Io irrompo come un fulmine.
«Ethan ho una richiesta da farti, posso parlartene?» Sospiro.
Dylan è confuso ed incuriosito. Mi fissa di sbieco.
«Certo, dimmi subito» dice Ethan disponibile, ma corrucciato.
Osservo i presenti. «In privato per favore» decreto.
«E’ successo qualcosa?» Chiede lui osservandomi negli occhi.
Sbatto le ciglia e respiro profondamente. Alzo il petto e guardo Dylan. «No. Ti dispiace un attimo?»
Dylan ed Alexandra si dileguano, ma prendono strade opposte. Quando lei si accorge che il fidanzato non l’ha seguita, cambia direzione correndo verso di lui.
«Amore» lo richiama.
Li evito e rivolgo lo sguardo su Ethan.
«Ti chiedo di non impegnarmi in nessuna attività in presenza di Dylan e per favore quando c’è lui fa che non ci sia io» sentenzio. Non è una vera richiesta, ma quasi un’imposizione.
Ethan aggrotta la fronte ed assottiglia lo sguardo. «Sapevo ci fosse qualcosa» si massaggia il mento. «Comunque ci provo, ma non posso assicurarti di riuscirci sempre» scrolla le spalle.
«Grazie» indietreggio.
«Ma perché non risolvete?»
Beth si intromette, parandosi davanti. «Ehi, perché non pensi per te?»
Ethan gli rivolge un sorrisetto malizioso. «Scusami Betta» la sfotte.
Non riesco a trattenere una risata, ma nascondo la bocca con una mano.
«Betta ti manda a farti fottere» risponde acida, ma ironica lei.
Ethan ride e poi saluta, «fra un’ora puntuali per la gara» ci punta l’indice contro.
Li osservo a braccia conserte, ma non riesco a starmi zitta. Devo necessariamente farle notare il mio punto di vista. «Ma quanto ti piace?» Scuoto il capo.
Beth mi fulmina. «Non dirlo neanche» sbuffa. «E poi è fidanzato» si giustifica.
Annuisco con suono gutturale e le passo un braccio intorno al collo, quasi strozzandola. Lei fa finta di affogare e poi nasconde il capo nell’incavo tra la mia spalla ed il mento.
Siamo noi l’amore, quello che non marcisce.




POV BRIAN
 
Sono rinchiuso con Alexandra nel mio bungalow. Sono su di lei, mentre lei geme sotto di me. Il pavimento in legno è caldo e sto sprecando così tante energie che non ne avrò neanche un po’ per dopo. Le sue gambe sono avvolte intorno alla mia vita ed è sempre più vogliosa, il suo bacino spinge sempre di più verso il mio e la sua intimità sembra voglia esplodere. E’ tutta un fuoco. 

Improvvisamente qualcuno bussa alla porta. Lei fa finta di nulla e continua a spingere, sorreggendosi dalle mie natiche. Io mi blocco e mi metto in piedi. Indosso velocemente i boxer ed i pantaloncini.

«Porca puttana» dico a denti stretti.
Lei si massaggia l’intimità con una mano, si morde le labbra e mi fissa provocante. «Fregatene, vieni qua» dice ansimando.
L’acchiappo da un braccio e la tiro in piedi. Lei mi fulmina con gli occhi.
«Ti devi immediatamente vestire» le ordino nervoso a denti stretti.
Bussano nuovamente e la voce di Ethan  si fa sentire.
«Brian? Dormi?»
Alexandra indossa la biancheria intima e poi il vestitino. Lega i capelli con una mollettina ed incrocia le braccia al petto.
«Ed ora?» Sbuffa.
La spingo verso il bagno e la chiudo a chiave.
«Brian sei una merda» carica un pugno contro la porta, mentre io mi dileguo per andare ad aprire.
Fingo di essermi appena svegliato, sbadiglio e stiro le braccia.
«Scusami Ethan… avevo un terribile mal di testa» strizzo gli occhi.
«Tranquillo, però dobbiamo muoverci… andiamo» fa cenno di seguirlo.
Mi guardo dietro e sospiro. «Dammi un secondo, mi sciacquo la faccia… vi raggiungo» annuisco.
«Va bene» si dilegua.

Rientro, corro in bagno, apro la porta ed Alexandra esce scattante. Poi indosso una maglia e le scarpe.
«Come faccio ad uscire?» Domanda con le braccia conserte.
La guardo da capo a piedi, «problemi tuoi » la lascio lì, mentre avanzo verso l’uscita.
Rimane sbalordita e non si muove di mezzo centimetro. Non è mica colpa mia se è una puttana!

Raggiungo il percorso, nel quale sono tutti radunati, in tenuta sportiva. Grace ha uno short così minuscolo che le si intravede mezzo sedere, la sua amica, invece, è più consona.
Quando Dylan mi si affianca, mi sento soffocare. E’ terribile ciò che sto facendo, è vero.
«Hai visto Alexandra?» Domanda corrucciato.
Alzo le sopracciglia fissandolo e scuoto il capo. «No, non era con te?»
«No» decreta schiarendosi la voce.
«Va tutto bene tra di voi?» Esito.
«Grace ha voluto cambiare i turni con me… insomma gliel’avevo chiesto io, ma lei l’ha fatto sul serio» esordisce sbottando.
Deglutisco rumorosamente. «Meglio, no?»
Sospira. «Sì» sussurra.
«Allora ragazzi manca qualcuno?» Ethan urla al megafono.
Improvvisamente spunta Alexandra correndo. «Eccomi, scusate… ero andata a fare una corsetta» fine il fiatone e mi lancia occhiate ammiccanti. La evito.
«Perfetto… come ben sapete saremo divisi in squadre… così che i bambini non siano soli e qualunque cosa accada avranno un supporto.» Esordisce Ethan gesticolando. «Ci saranno due adulti per squadra: Dylan ed Alexandra, io e Beth, Brian e Grace» conclude.
Rivolgo gli occhi su Dylan che mi fissa serio, poi su Grace che sembra fregarsene. Beth le   mormora qualcosa e lei risponde annuendo. Finalmente mi osserva, è parecchio seria. Prevedo litigi.



Ci posizioniamo in fila, io e Grace siamo davanti al nostro gruppetto e siamo i primi a svolgere la prova. Sono tutti carichi ed euforici. Quando Ethan dà il via scattiamo. Il percorso prevede degli ostacoli, quali pozzanghere piene di fango, arrampicata con una corda, equilibrio su un’asta e cose del genere. Chi termina nel minor tempo possibile vince.
Grace è parecchio allenata, corre ed aiuta i bimbi, mentre io sembro impedito a volte. Sapevo che non dovevo darci dentro prima.
Quando ci troviamo a strisciare sul fango lei termina per prima, ma invece di correre avanti posiziona un piede sulla mia schiena spingendomi più in basso. La mia faccia diventa marrone e puzza terribilmente. I bambini si fermano a ridere e poi seguono Grace.
Che bello essere derisi per mano di una donna! Grandi soddisfazioni.
Giungiamo poi di fronte dei secchi posizionati in ordine su di un albero, uno sopra all’altro. L’obiettivo è quello di fare canestro con delle palline e finirle tutte. I bambini ridono a più non posso, io riesco a centrare solo due volte, mentre per Grace ho perso decisamente il conto. Così scatta via.
Ed ecco un tunnel fatto con del cartone, in cui immettersi e dopo uscire per trovarsi di fronte ad un reticolo di fili e nastri ingarbugliati tra di loro, tra i quali districarsi. Sembro un cretino lì in mezzo. Grace è poco più avanti di me, così allungo un piede e lei inciampa aggrovigliandosi ancora di più. Si volta in cagnesco a fissarmi. E’ nera. Così riposizionandosi, riprende il gioco. Inutile ammettere che i bambini siano più veloci e atletici di me. Molti di loro hanno finito persino prima di Grace.
Fin quando sono rimasto solo io e l’ultimo gioco rimane quello degli anelli. Sul terreno sono piantate delle asticelle di varie dimensioni e noi con gli anelli dobbiamo centrare il bersaglio.

A sorpresa sono colui che riesce meglio, Grace stavolta è bocciata.

A fine percorso sono tutti che ci attendono. Ethan applaude ai bambini e Grace si getta a terra devastata. Beth se la ride e Dylan mi fissa in cagnesco, mi balena persino l’idea che Alexandra gli abbia spifferato qualcosa. Poi penso che avrebbe fatto di peggio e cancello tutto.
«Avete impiegato 15 minuti» dice Alexandra. «Dai amore tocca a noi» si trascina Dylan e i bambini del loro gruppo esultano. Chad è tra di loro ed osserva Grace sconsolato e deluso.
Credo si sia innamorato di lei. Come biasimarlo?

 
Mi siedo ad inizio percorso ed attendo che tutti terminino. Alexandra e Dylan hanno impiegato 18 minuti, mentre Beth ed Ethan solo 14. E quindi ecco il gruppo vincitore.
«Siete stati tutti bravi bimbi» consolo gli altri.
«Noi abbiamo perso perché non c’era Grace» Chad mette il muso a Dylan ed Alexandra rimane a bocca aperta.
«Chad… avremo modo di vincere un’altra volta» Dylan si inginocchia di fronte a lui e gli parla dolcemente.
«Io volevo Grace» il piccolo incrocia le braccia al petto ed abbassa il capo.
Alexandra fulmina il fidanzato e quando nota avvicinarsi Liz la squadra da capo a piedi.
«Che ha di speciale?» Borbotta.
Mi prendo un secondo per osservarla. Si pettina i capelli con le mani, scioglie dei nodi, mostrando un’espressione di dolore in viso. Cammina lenta sculettando e non si guarda mai accanto, sempre avanti a testa alta, con il solito sguardo di superiorità, con la solita sfacciataggine che la contraddistingue. Credo che se sentisse cos’ha da dire Alexandra sul suo conto, le tirerebbe i capelli. E’ pericolosa.
«Non ti conviene» intimo ad Alexandra, lasciando che anche Dylan mi senta.
Lei assottiglia lo sguardo e mi fissa. Dylan, invece, sospira. Lo sa anche lui di che pasta è fatta Liz. Improvvisamente quest’ultima si accorge delle occhiate furtive di tutti e tre, non perde un secondo per mostrarci la sua disapprovazione.
«Che avete da guardare?» Domanda irritata.
Alexandra sorride beffarda. «Dicevo a Dylan quanto tu sia bella, fai qualche dieta per avere un fisico così perfetto?» Che voce da gallina.
Dai Liz, rispondi come sai fare solo tu.
E così avanza cauta. «Non ho bisogno di alcuna dieta per avere un bel culo, delle belle tette ed un fisico da far invidia» e termina con un sorriso perfetto.
Nascondo la bocca con una mano, ma dentro sto ridendo malignamente.
Dylan, invece, abbassa il capo e con delle smorfie con le labbra cerca di mascherare il divertimento.
Alexandra boccheggia per qualche istante. «Bè, posso capirti» si mostra davanti a Liz, volteggiando.
«Posso darti qualche dritta, però» Grace la sta sfottendo.
«Del tipo?» L’altra incrocia le braccia al petto infastidita.
Grace inclina il capo da un lato e la scruta. «Dacci dentro di più» le schiaccia un occhio.
«E’ questa la tua dieta cara Grace?» Alexandra accenna una risatina.
«Perfetta, no?» A quelle parole sbianco, mi volto ad osservare Dylan che improvvisamente si è fatto serio. Sta guardando, però, altrove.
Liz con un altro? E’ davvero possibile?


«Ragazzi stasera arriverà la mia fidanzata ed insieme a lei un nostro caro amico, che lavorerà qui con noi» spiega Ethan.
Uno nuovo? Fin quando aveva annunciato due nuove ragazze era tutto okay. Alla fine chi si sarebbe mai aspettato Beth e Grace? Adesso non è proprio tutto apposto.
Sono sicuro che metterà gli occhi su di lei. E’ impossibile non farlo. Dovrò fare i conti con la mia gelosia incontrollata e smisurata.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5
 


«Piacere Alec» si presenta il ragazzo. Al suo fianco la compagna di Ethan si abbraccia il fidanzato. 
«Ciao, io sono Grace» noto come Beth se ne stia infischiando del nuovo arrivato e come Brian e Dylan siano attenti nello scrutarlo, senza però muoversi di mezzo centimetro. 
Lui mi sorride ed annuisce. Poi fissa i due corrucciato e si gratta il capo. 
Avanza verso di me lento e sorride, «credi stiano bene quei due?» Mormora. 
Dylan ha gli occhi assottigliati, le braccia nascoste dentro le tasche del pantaloncino e la mascella serrata. Brian, invece, ha le braccia incrociate al petto, sopracciglia alzate, sguardo da superiore e petto in fuori. Sembra il maschio alpha. 
«Stanno bene» annuisce accennando un risolino. 
«Ciao, io sono Alexandra» ed eccola, arrivata all’ultimo minuto, sempre con il fiatone. Gli stringe la mano e si affianca a Dylan. 
Tutti attendiamo di conoscere, invece, la fidanzata di Ethan, se decidessero mai di allietarci con la loro presenza. 
Finalmente si mollano. «Lei è Cecilia» la indica, sorreggendola dalla schiena. 
Sembra una tipa abbastanza tranquilla, nulla a che vedere con quella gallina di Alexandra. 
«Sono contenta che quest’anno ci siano così tanti giovani» sorride entusiasta. «Sono sicura che i bambini vi adorino» annuisce e poi osserva Ethan che abbassa il capo approvando. 


Mentre i due si dileguano, per sistemare le valigie io e Beth rimaniamo a fissare Dylan e Brian così silenziosi. Tanto che la sorella si avvicina al fratello. 
Gli schiocca due dita davanti agli occhi, «ehilà» dice squillante. 
Dylan sospira. «Che c’è?»
Persino Brian si è svegliato. «Stasera sono stanco» sbadiglia. 
«Vado a farmi una birra» ed anche Dylan va via. 
Brian lo segue e passandogli un braccio intorno al collo gli intima qualcosa all’orecchio. Infine si voltano entrambi a guardarci. 
«Che cazzo di problema hanno?» Sbotto furibonda. 
Beth ride, «sono cotti» scuote il capo. 
La fulmino. «Non sono cotti, sono idioti» sbuffo.
«A proposito… carina Cecilia» commenta la mia amica accennando una smorfia con le labbra. 
Scoppio a ridere e la spintono. «Mi dispiace ammetterlo ma è carina sul serio» dico. 
Cecilia ha i capelli lunghissimi, lisci castano chiaro. Un fisico non troppo esile, ma piuttosto alta. Insomma, nulla a che vedere con noi. E’ una vera e propria donna. Anche solo dal portamento lo si capisce. 

Raggiungiamo gli altri, radunati nel solito falò notturno. I bambini sono molto stanchi. Chad sonnecchia poggiato con la testa sulle gambe di Brian, mentre Dylan è in disparte, con la spalla posata sul tronco di un albero. Sta fumando una sigaretta e sta bevendo della birra. Lui non fuma spesso, questo mi confonde. 
Mi paro dall’altro lato, nella sua stessa posizione, di fronte a lui. Si rende conto di me solo dopo qualche minuto. Poi mi scruta attentamente, senza staccarmi gli occhi di dosso. 
Sospira, si bagna le labbra con la lingua e porta la sigaretta in bocca. Inspira e getta fuori il fumo. Poi socchiude le palpebre ed alza il capo al cielo. 
Sento come se in questo istante gli altri stessero scomparendo, uno per uno. Sento come se ci fossimo solo io e lui, con i nostri silenzi assordanti e gli occhi freddi come un ghiacciaio. 
Stavolta, però, rispetterò ciò che aveva chiesto. Gli starò alla larga il più possibile, non ho intenzione di stare intorno a chi la mia presenza non la gradisce. Così mi distanzio e mi rifugio in mezzo agli altri. Chad non appena apre gli occhi e mi vede mi si getta addosso.
Un ometto almeno vuole stare con me. 

«Come stai Liz?» Sorride mordendosi un dito.
Alzo gli occhi ed intravedo quelli di Brian puntati su di noi. «Liz?»
«Mi ha detto Brian di chiamarti così» ridacchia, nascondendo poi il capo nell’incavo tra il mio collo e la mia spalla. 
«Chiamami come vuoi, tesoro» gli accarezzo il capo e gli lascio un bacio.


Il mattino dopo sto facendo colazione seduta sotto l’albero di fronte il mio bungalow. Beth sta finendo di vestirsi. Intanto, io, sgranocchio una mela rossa. 
Quando con la coda dell’occhio noto una figura dirigersi verso di me, sposto subito gli occhi su di essa, riconoscendo Dylan. Cammina lento, con le mani nascoste dentro le tasche del pantaloncino e gli occhi, nascosti dal solito occhiale da sole, rivolti verso il cielo. 
Tossisco per attirare l’attenzione e lui mi rivolge subito un’occhiata. Si blocca e sospira. 
Socchiude le palpebre e si gode il sole sul suo viso. 
«Buongiorno» sospira. 
Boccheggio, «buongiorno» balbetto come una bambina, ingoiando velocemente il boccone.
«E così hai chiesto ad Ethan di stare alla larga il più possibile da me» rimane nella stessa posizione di prima, mentre io mi metto in piedi ed avanzo verso di lui. 
«Ti ho reso le cose più semplici, dovresti ringraziarmi» schiarisco la voce. 
Accenna un riso amaro. «Grazie» annuisce compiaciuto. 
Sospiro e sposto lo sguardo dietro di me, avvertendo dei passi. Beth è appena uscita. 
Si sta legando i capelli con una treccia di lato e dal suo sguardo appare abbastanza perplessa dalla nostra vicinanza. 
«Buongiorno gente, oggi cosa danno alla mensa pane e cordialità?» Ironizza. 
Dylan la fulmina, io rimango seria. 
«Ovviamente no» si risponde da sola. «Dai Liz, dobbiamo preparare le cose per il parents day» dice di fretta poi. «Brian ci aiuterà a grigliare» aggiunge. 
Dylan sgrana gli occhi. «Potevo aiutarvi anche io» scrolla le spalle. 
Corrugo la fronte confusa e Beth lo fissa accigliata. 
«Hai chiaramente espresso l’idea di voler stare alla larga da Grace, adesso evapora» sbuffa sua sorella, si avvicina e lo spintona. Poi gli mormora qualcosa a denti stretti, qualcosa che sicuramente a lui non sarà piaciuta vista la sua espressione. 
Dylan si dilegua, mentre noi proseguiamo per la strada opposta, giungendo in un grande giardino. Brian sta posizionando dei tavoli, mentre noi ci occuperemo del barbecue. 
Insomma, non è che sia una grandiosa idea! Ho già fame.


Così io e Beth ci cimentiamo. Più volte appariamo delle imbranate, mentre Brian non fa altro che correggerci. Fin quando sembra tutto pronto. I genitori dei bambini si presentano poco a poco, mentre i piccoli sono entusiasti di averli attorno. 
Finalmente conosco anche i genitori di Chad. Assomiglia mostruosamente alla madre. 
«Mamma mamma… lei è Grace» la trascina per un braccio al mio fianco. 
Sorrido scompigliandogli i capelli. «Salve, molto piacere» dico cordiale. 
«Vedo che quest’anno siete tutti molto giovani» commenta compiaciuta. «Chad è sempre felice di venire qui» annuisce. 
«E’ un bambino meraviglioso» sorrido sincera. 
«E lui è Brian» Chad lo richiama a voce alta, mentre quest’ultimo ci passa affianco. 
Quindi si blocca, si volta e sorride presentandosi alla giovane donna. 
«Che birbante questo bimbo eh» lo prende in braccio, facendolo volteggiare. Poi lo rimette a terra e Chad non la smette di ridere. 
Poi Brian si allontana e poco dopo lo faccio anche io. Raggiungo la mia amica che si sta versando della limonata in un bicchiere. 
«E’ venuto tutto proprio bene» annuisce. «Ah sono finiti i piatti…» sbuffa. 
«Vado io a prenderli» dico tranquilla. 
Cammino svelta verso il bungalow, ma quanto avverto delle voci corrugo la fronte e mi blocco. Mi guardo intorno e riesco a vedere solo in lontananza la folla dei genitori dei bambini. Improvvisamente la mia vista è catturata da Brian e Alexandra. Lei è poggiata su di un albero, sono nascosti da alcuni cespugli. Alexandra inclina più volte il capo indietro e boccheggia come fosse in estasi. Poi noto degli scatti repentini, la prende in braccio, le fa allacciare le gambe intorno alla sua vita e si spinge più verso di lei ringhiando. 
Lei geme e lui ansima. 
Nascondo la bocca con una mano, indietreggio e sento il mio respiro affannarsi sempre di più. Sento cedere le gambe, come se avessi assistito all’Apocalisse. 
Nonostante ciò sono ancora di fronte a loro, mentre fanno i loro porci comodi. Lui le stringe il seno violentemente e poi scende a succhiarle un capezzolo. Rabbrividisco. 
Non è cambiato per niente. E’ sempre la solita merda, schifosa.
Socchiudo le palpebre, passo una mano in fronte portando indietro i capelli, deglutisco rumorosamente e vado via.

Mi stupisco della mia reazione. Mentre cerco i piatti mi tremano le mani.
Improvvisamente uno scatto d’ira prende il soprassalto. Getto tutto ciò che ho di fronte in aria e inspiro profondamente per riprendere regolarmente a respirare. 
Socchiudo le palpebre e sospiro. 

Pochi minuti dopo sono fuori di lì, cammino a testa alta svelta, ma giunta al punto di prima m’irrigidisco. Volto la testa lentamente, ma loro non ci sono più. 
Ritorno dagli altri e noto come Alexandra stia avvinghiata al fidanzato. Brian, invece, sta fumando una sigaretta, mentre parlotta con Cecilia ed Ethan. 

«Ehi che succede?» Beth mi accarezza un braccio. «Sembri stravolta» commenta accigliata. 
Scuoto il capo. «Mi gira un po’ la testa» deglutisco. 
Velocemente Beth mi porge il suo bicchiere di limonata. «Bevi» ordina severamente. 
Ne prendo un sorso, mentre mi scambio una lunga occhiata con Brian. Lui sembra confondersi dal mio sguardo. Così lascio il bicchiere in mano alla mia amica ed armata di aggressività lo raggiungo. Lo acchiappo da un braccio e lo trascino lontano da orecchie indiscrete. 

Lui si scansa violento. 
«Ma sei matta?» Dice irritato. 
Lo fisso sdegnata e scuoto il capo. «La mattina quando ti alzi e ti guardi allo specchio, non ti fai schifo?» Serro la mascella. 
Si guarda intorno interrogativo. Poi gratta il capo. «Liz non ti seguo» sospira.
«Con Alexandra… e poi fingi di fare l’amico con Dylan» incrocio le braccia al petto disgustata.
Lui sgrana gli occhi e sembra gli manchi il fiato per un istante. «Ti devi stare zitta» dice a denti stretti fissando altrove. Porta le mani sui fianchi e poi torna ad osservarmi.
Accenno un risolino e scocco la lingua sul palato. «Io non mi sto zitta» scandisco ogni singola parola. 
«Liz, che cazzo te ne frega di quello che faccio?» Sbotta sottovoce. 
Mi mordo le labbra. «Che schifo che mi fai.» 
«Quando mai hai provato altro nei miei confronti?» Scuote il capo esausto. 
«Credevo di essere innamorata di te, probabilmente mi stavo cullando sul fatto che in fondo anche tu mi amassi… ma ora che ci penso non vale la pena con te, non ne è mai valsa.» Rifletto sincera. 
«Lo dici ora solo per ferirmi, ma se ami qualcuno… nonostante tutto lo amerai sempre ed è per questo che ti amo ancora» parlotta veloce balbettando. 
«Infilati il tuo amore nel buco del culo» gli do uno schiaffetto sul volto e poi mi volto per andarmene. 
Ritorno dagli altri come se nulla fosse, mentre infastidita fisso ancora Dylan con Alexandra. Come si fa a fingere così? Non capisco. 
Potrei benissimo dire ciò che ho visto a Dylan, ma qualcosa mi dice che non mi crederebbe. 


Noto Alec discutere con Ethan, mentre in lontananza mi accorgo di come gli occhi di Dylan lo scrutino da capo a piedi. Accenna delle smorfie con la bocca, si massaggia il mento, ma non appena si rende conto di me, che lo sto fissando, sgrana gli occhi. Abbasso il capo e sorrido involontariamente. Quando lo rialzo, lui sta già guardando Alexandra.



POV DYLAN

Combatterò con la forza e con i denti per difendere la mia dignità. Grace, al momento, non è una priorità e non voglio che lo sia mai. Mi ha fatto troppo male, inutile negarlo. 
E adesso quell’Alec sembra averla notata. Si avvicina a lei, le da discorso e Grace sembra non infastidirsi poi così tanto. Vorrei proprio sapere cosa la faccia ridere così. 
A me sembra un po’ cretino quel tipo, eppure lei muove quelle labbra abbozzando sorrisi meravigliosi. Le bagna con la lingua, porta i capelli dietro l’orecchio, parla e poi ride di nuovo. Quando guardo lei succede che il mondo intorno a me scompare, vengono tutti oscurati e tutta l’attenzione ricade su di lei. 
Dannazione! 
Sbatto le ciglia più volte, sorseggio della birra sospirando e poi mi allontano dalla combriccola.
Mi avvicino più a quei due che stanno conversando animatamente, cerco di origliare, ma riesco a sentire ben poco.

«Sì, mi sono appena diplomata…» dice lei. 
«Come mai hai scelto di lavorare qui?» Perché lui la guarda così? Maledizione.
«Volevo un lavoretto estivo, niente di serio… prima del college» risponde tranquilla. «Tu invece?» Morde l’angolo delle labbra. 
«La stessa cosa insomma…» annuisce. 

Strizzo gli occhi esausto e mi dileguo. Questa gelosia mi logora dentro. Finisce con Brian ed inizia con un altro. Avrò un momento di pace? Ci sarà un momento in cui, pur guardandola con un altro, non mi importerà niente?

«Tutto bene amico?» Brian spunta al mio fianco, portando un braccio intorno al mio collo.
Sospiro ed annuisco con suono gutturale. 
«E così tra Liz ed il nuovo sta nascendo del feeling» commenta sarcastico, come se la cosa non lo sfiori minimamente. 
Mi scanso lento ed incrociando le braccia al petto, mi prendo un secondo per osservarlo. «Vuoi davvero farmi credere che non te ne freghi un cazzo?» Dico scazzato. «Ci siamo fatti la guerra per lei.» Aggiungo sbuffando. 
«Dylan non è un problema mio se quella ragazzina ti è rimasta dentro, piuttosto cerca di togliertela di torno che in giro c’è di meglio…» sposta gli occhi sulla mia fidanzata.
Guardo corrucciato Alexandra e sospiro. «Mi dispiace Brian se uno dei due ha un cuore» rispondo schietto. 
Lui mi guarda in cagnesco. «Dylan non farmi girare il cazzo eh» stringe i pugni. 
«Non farti girare proprio nulla, perché non ho nessuna intenzione di discutere più su Grace» mormoro a denti stretti, «ma lascia che ti dica una cosa… vai a raccontarla a qualcun altro la balla che a te non importa più di lei» sbotto nervoso. 
«Ed anche stesso il tuo problema quale sarebbe?» Risponde scattante come una furia. 
Accenno una risata amara e lo fisso di sottecchi. 
«Mi sembra tu sia fidanzato, quindi pensa a lei» si schiarisce la voce, aggrottando poi la fronte. 
Avanzo verso di lui, puntandogli un dito contro. «Brian se il nostro patto va a puttane, sappi che quelle che non ti ho mai dato… te le darò.» Sono minaccioso. Grace mi rende aggressivo. 
Scoppia a ridere scoccando la lingua sul palato. «Stai minacciando la persona sbagliata» mi squadra da capo a piedi. «Rispetterò quel patto del cazzo, perché non sarò io a cedere a lei… ma sarà lei a voler me e solo me.» Parla con atteggiamento strafottente. Per un nano secondo vorrei spaccargli la faccia. E pensare che fino ad oggi sembrava un santo.
«A me non importa chi cazzo vorrà. Magari se vivi sperando che lei te la dia di nuovo, vivi meglio» gli do una pacca sul petto, mentre lui si irrigidisce. «Sai com’è… almeno io consumo in qualche modo, tu… non saprei con chi» lo sfotto. 
Ride con gusto e questo mi lascia perplesso. Indietreggia e si allontana senza dire una parola. 


Il lungo giorno si conclude con me seduto a riva del laghetto. La luna è sopra di me, la mia birra al mio fianco. Sono troppo esausto per sentire storielle o per vedere certe facce che preferirei evitare. Così sto qui. La solitudine non mi ha mai fatto paura e per questo ne vado fiero. Credo che se una persona riesca a stare bene da sola, allora potrà stare benissimo anche con chiunque. Molti possono pensare che ho scelto Alexandra solo per la paura di rimanere solo. In realtà lei mi è sembrata come una giusta occasione per non pensare a Grace. Inutile mentire a me stesso. Sono arrivato qui con la consapevolezza che avevo lasciato alle spalle la ragazza di cui ero follemente innamorato ed Alexandra mi ha stravolto il presente, facendomi credere che avevo una speranza per esser felice. 
Ovviamente tutto dura poco. L’arrivo di Grace qui ha messo tutto nuovamente a repentaglio. Persino io e Brian stiamo rifacendo la guerra. 
Lui non l’ha mai accantonata, figuriamoci. Si ucciderebbe per lei, combatterebbe con tutte le armi possibili ed immaginabili pur di farla sua. Non è il tipo che riesce a mettersi da parte, neanche quando gli si sbatte la realtà in faccia. 
L’amore che prova per lei gli oscura completamente la vista e lo rende veramente una cattiva persona, capace di farsi odiare dal mondo intero. 
Quando Grace non c’era, lui era diverso. 
A differenza sua, quello che provo per Grace mi rende vulnerabile, a volte aggressivo, ma non eccessivamente, mi fa rincoglionire completamente. 
Avete presente da bambini? Quando la mamma ci comprava il giocattolo che tanto desideravamo e noi eravamo super felici? Talmente felici da diventare dei cretinetti dietro quell’aggeggio o dietro un peluche, eravamo capaci persino di dormirci assieme, di portarlo fuori insieme a noi. Insomma diventava parte delle nostre giornate. 
Grace non è giocattolo, ma sono diventato un vero stupido da quando è entrata nella mia vita. Ho sempre avuto l’esigenza di averla al mio fianco, di sentire il suo respiro, di vederla sorridere alle mie battute, di osservarla mentre lei guarda me e nessun altro, di sfiorare anche semplicemente la sua pelle. Non sono mai stato bravo a starle lontano e parecchie volte mi ha beccato a fissarla come un demente. Ecco perché, perché è sempre stato più forte di me, la volontà di non toccarla, guardarla, parlarle era superata da una forza maggiore capace di smuovere mari e monti, fegato e pancreas, cuore e polmoni: l’amore. 

La mattina seguente il mio compito è quello di portare i bambini al maneggio, Alexandra odia i cavalli, probabilmente non sarà lei il mio braccio destro. Beth è impegnata con la pittura, Brian con il football, Ethan e la fidanzata stanno allestendo il campus per la festa a tema di stasera e rimangono all’appello Grace ed il nuovo arrivato. 
Quando scorto in lontananza entrambi dirigersi con i bambini, roteo gli occhi e sbuffo. Incrocio le braccia al petto corrucciato e li fisso serio. 
«Buongiorno» saluta entusiasta Alec.
Abbozzo un sorrisetto.
Grace non saluta, si preoccupa di far salire in fila indiana i bambini sul bus e non mi degna di uno sguardo. Io attendo ugualmente che lei finisca ciò, prima di salire al volante. 
«Grace ci sediamo avanti giusto?» Alec si sporge da un finestrino e ci osserva. 
Lei annuisce subito e poi le tocca rivolgere, per il suo dispiacere, lo sguardo su di me. Mi guarda con aria di sfida, porta il petto in fuori e la testa alta. Sale anche lei ed io una manciata di secondi dopo faccio lo stesso.

Per un’abbondante mezz’ora non fanno altro che parlottare sottovoce, li scruto a volte dallo specchio retrovisore centrale e l’unica cosa che vedo è il suo sorriso. Poi torno ad osservare la strada di fronte a me e rilassarmi con le canzoncine dei bambini. 
«Dylan manca molto?» Chiede Alec.
«Che problema avresti se mancasse tanto?» Rispondo furibondo.
«Ha il ciclo» borbotta Grace a denti stretti. 
L’amichetto se la ride. Mi fermerei e li farei scendere entrambi, così la smettono di sfottere. 

Finalmente arriviamo. Posteggio e loro se la svignano velocemente tenendo d’occhio i bambini. Io li raggiungo poco dopo. 
Alec e Grace stanno fuori dal recinto, mentre degli addestratori fanno salire i bambini sui cavalli. Mi sistemo poco più distante da loro e mi incanto a fissare il vuoto. 
«Provate anche voi sù» dice uno dei ragazzi indicando Grace ed Alec.
«Provo io» mi precipito, pur di non vederli insieme. 
«Anche io» alza un braccio Grace sbraitando con voce squillante. Sospiro.
Mi aiutano a salire su uno dei cavalli, è marrone. 
«Attento che è una femmina particolare» mi raccomanda l’addestratore.  
Rido amaramente. «Non ho paura delle donne particolari ormai» decreto con tono squillante. 
Grace accenna una smorfia antipatica mentre monta su un cavallo bianco. «Maschio?» Chiede. 
Il ragazzo annuisce.
Cavalco lento dentro il recinto, poi avanzo verso Alec. «Apri il cancelletto» ordino. 
Lui aggrotta la fronte. 
«Dai» sgrano gli occhi. 
Così obbedisce ed esco fuori di lì. Mi volto indietro, mentre il ragazzo urla all’impazzata di fermarmi, che sono impazzito. Il cavallo bianco montato da Grace ci segue, mentre lei da lì sopra mostra un’espressione terrorizzata. Si sorregge e strizza gli occhi. 
Raggiungiamo un sentiero e a quel punto cavalco lento.
«Era una vita che non lo facevo» sussurro accarezzando il cavallo.
Grace è sconvolta, ha gli occhi sgranati e la bocca schiusa. «Dylan tu sei pazzo» mormora. 
«Mi sa che il tuo cavallo è innamorato del mio» commento sarcastico.
Lei mi fulmina, ma poi i suoi occhi si addolciscono lentamente. Abbassa il capo e sospira. 
«Io non ti capisco» esordisce, «devi scegliere da che parte stare» sbuffa. 
Corrugo la fronte. «Tu l’hai mai fatto?» Sbotto. 
Boccheggia per qualche istante e non fiata. 
Il silenzio è già una risposta onesta e sincera. 
«Decido di stare in bilico… nel fingere che non siamo stati mai nulla e nell’ammettere che invece potevamo essere qualcosa di speciale» inclino il capo da un lato. «Mi comporto come mi sento al momento» aggiungo.
«E cosa senti al momento?» Domanda curiosa, assottigliando lo sguardo. 
Mi zittisco ed origlio attentamente. «Qualcuno che sta venendo a recuperarci» dico. 
Lei si volta dietro ed improvvisamente spunta un uomo a cavallo. 
«Ma voi siete tutti matti…» sbraita. 
Smorzo una risata ed arriccio il naso, mentre Grace, complice, scuote il capo osservandomi di sottecchi. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Capitolo 6

 

La festa a tema è venuta su bene. Cecilia ed Ethan hanno fatto proprio un ottimo lavoro. I bambini si divertiranno, ne sono sicura. Ognuno di loro avrà un costume diverso e ci sarà tanta musica. A me è toccato quello di Biancaneve, a Beth, invece, quello della Bella Addormentata. Mi viene da ridere anche solo al pensiero.

«Ma quanto facciamo schifo da uno a dieci?» Siamo entrambe posizionate di fronte lo specchio. Beth borbotta ed io zitta cerco di rendermi più carina sistemando i capelli.
«Beth non è una festa del liceo o una festa di una confraternita… per quello avremo tempo» ridacchio.
Lei mi osserva con malizia ed ammicca. «Hai ragione» annuisce.
«Ti preoccupa che Ethan possa guardare solo Cecilia?» La sfotto con passione. Mi piace prenderla in giro, perché un secondo dopo i suoi occhi mi guardano come se volessero sbranarmi.
«Grace Elizabeth Stewart te l’hanno mai detto che sei una fottuta stronza?» Ringhia assottigliando lo sguardo.
Scoppio a ridere e l’abbraccio. «Sì» le mormoro con voce rauca.
«Eh, hanno sempre detto la verità» sbuffa mettendo il broncio.
Adoro il suo cattivo umore, che un minuto dopo scompare, dando spazio ad una energia unica.
«Va bene, sono pronta» applaude sorridente. «Andiamo?»
Do un ultimo ritocco alle guance, per arrossarle, coloro di rosso le mie labbra e risalto gli occhi con un po’ di mascara. Lascio cadere morbidi i capelli sulle spalle e faccio una giravolta su me stessa.
«Sù, Biancaneve, stai bene» ride Beth.
Accenno una smorfia con le labbra e la seguo sull’uscio della porta.
Fuori è già buio, ad illuminare il nostro cammino solo dei lampioni a luce fastidiosamente gialla. Quando incontriamo Brian quasi mi viene un colpo, è travestito da Peter Pan. Mai nessun costume avrebbe potuto spiegare alla perfezione la sua natura.
«Chiunque l’abbia scelto, c’ha azzeccato» dice a voce alta Beth.
Brian si volta per rispondere con una smorfia.
«Secondo me Alexandra» sospiro io, per poi sfoggiare uno dei miei migliori sorrisi.
Rimane, così, pietrificato. Deglutisce e boccheggia. «L’ho scelto io» decreta severamente.
Beth confusa lo fissa, «non ti agitare però» lo sfotte.
Brian si avvia velocemente, seminandoci.
«Mi è sembrato parecchio strano» odio gli intuiti di Beth. Avrei timore se venisse a scoprire di tutta la faccenda tra lui ed Alexandra. Credo sinceramente che quest’ultima finirebbe sotto una macchina, macinata, disintegrata come una polpetta. Mentre per lui non ci sarebbe niente da fare, in fondo chi nasce tondo non può morire quadrato!
Nel dubbio io dovrei sempre fingere di essere all’oscuro di tutto, nonostante abbia visto alla perfezione quei due che facevano i porci a vicenda.
La mia mente riesce ad elaborare un’unica e concisa frase: che schifo!

La musica ci informa che siamo quasi giunte a destinazione e la mandria di bambini travestiti da diversi personaggi dei cartoni ci introduce in un mondo fantastico. Mi guardo attorno e noto come abbiano allestito il tutto. Tavoli pieni di patatine, salatini, bibite varie e stuzzichini. Mi fiondo ed acchiappo un oliva bianca, portandola in bocca.
«Pensi sempre a mangiare» la voce di Dylan mi rende nervosa, talmente tanto da affogarmi. L’oliva scende dritta giù per l’esofago, mentre io mi sento mancare il respiro. Sgrano gli occhi ed indico il mio petto a Dylan. Quest’ultimo getta a terra il piattino che aveva dapprima fra le mani e si posa repentinamente dietro di me. Mi stringe con entrambe le braccia poco più sotto del petto e sotto lo sguardo impaurito dei presenti sputo quella maledetta oliva, riprendendo a respirare. Ho gli occhi lacrimanti ed ansimo.
Dylan mi serra il volto con entrambe le mani e mi fissa dritto negli occhi.
«Tutto bene?» E’ terrorizzato. Ha gli occhi spalancati.
Annuisco e lui si distanzia lentamente, versando in due bicchieri dell’acqua. Uno lo porge a me ed uno lo beve lui. Sorrido al pensiero di lui in panico e lo osservo mentre sorseggia l’acqua.
«Oh Gesù» Beth avanza verso di me, seguita da Ethan.
«Come stai?» Chiede quest’ultimo.
Annuisco, «ora bene» ammetto.
Il piccolo Chad è intimorito, mi abbraccia e mi stringe forte. «Grace non farlo mai più» piagnucola.
Mi abbasso e gli lascio un bacio in fronte. «Ehi piccolo, va tutto bene» lo rassicuro.
Mi fa tenerezza.
Torna a giocare dagli amici ed io mi rimetto in piedi. Mi massaggio il petto ed osservo il cielo sopra di me.
«Menomale che c’è il principe azzurro» alle mie spalle la voce di Brian mi costringe a mutare il mio umore.
Mi preoccupo di fissare il lontananza Dylan, travestito in realtà da Capitan Uncino.
Mi volto ad osservare, così, Brian. Incrocio le braccia al petto e rimango seria. «Pensavo fossi a scopare con Alexandra» assottiglio lo sguardo.
Lui sospira. «Grace se non la smetti giuro che…» ringhia a denti stretti.
«Ehilà Biancaneve, ma che stava succedendo?» Alec appare improvvisamente, il suo è il costume da principe. Mi porge un piattino pieno di patatine ed io declino l’offerta. «Ho interrotto qualcosa?» Da una breve occhiata ad entrambi, mentre Brian lo osserva minaccioso.
«Ma figurati! Assolutamente no.» Dico squillante. Lo prendo a braccetto e lo trascino poco più in là.
«Dobbiamo fare una foto» sfila il telefono dalla tasca del pantalone e con il suo iPhone scatta un selfie. Poi un altro ed un altro ancora.
«Fammi vedere» mi sporgo ed osservo meglio la foto, dietro di noi noto Dylan con le braccia conserte che ci fissa in cagnesco.
Così mi volto, ma in quel frangente lui si sposta verso un’altra direzione.
Che stupido.

Io ed Alec prendiamo posto distanti dagli altri. Siamo appartati, seduti sull’erba, al chiaro di luna. Lui sorseggia della birra e fissa il cielo estasiato.
«Quanto lo ami?» Esordisce dopo un lungo silenzio.
Sgrano gli occhi, poi corrugo la fronte e boccheggio. Si volta a fissarmi ed abbozza un mezzo sorriso.
«Si vede lontano un miglio, stravedi per lui» aggiunge. «Non puoi nasconderlo» si schiarisce la voce.
Non fiato, mentre la mia mente vaga.
«Dylan, lo guardi ammaliata» ghigna dolcemente.
Deglutisco rumorosamente e sospiro. «Io? Nah» farfuglio.
Inclina il capo da una parte e mi osserva di sottecchi. «Sono stato innamorato. Lo guardavo di nascosto, solitamente dal cortile della scuola ed ero perso per questa persona. Fin quando ad una festa finimmo per parlare…» mormora. Inizialmente non ci faccio molto caso, ma quando mi lascia intendere che non sta affatto riferendosi ad una ragazza mi pietrifico. Mi sento quasi una stupida per non averlo intuito subito. «Siamo stati insieme due ore a parlare, poi lui andò via con una ragazza… non avevamo gli stessi gusti, ma lo guardavo come tu guardi lui.» Sorride.
«Ti sembrerà da imbranati, ma io non avevo…» balbetto in difficoltà, «insomma non sapevo fossi…» faccio fatica a crederci. Non l’ha mai dato a vedere!
«Gay!» Esclama con una grossa risata. «Tranquilla, è tutto okay» mi accarezza una gamba.
Sono sorpresa, ma allo stesso tempo curiosa. L’ha detto a me, perché?
«Chi lo sa?» Chiedo esitante.
Lui si guarda intorno, «solo Cecilia» ammette annuendo.
«E’ bello che tu l’abbia voluto dire a me» respiro profondamente.
Mi rivolge una lunga occhiata. «Hai così paura ad amare, che mi ricordi me…» sospira. «Non devi. E’ giusto che tu segua il tuo cuore… in qualsiasi direzioni ti porti. Mai andare contro cuore» annuisce. «Non so cosa ci sia stato tra di voi, ma credo lui sia innamorato di te… e lo stesso tu, perché vi tenete così lontani?» Borbotta accigliato. «L’amore non è malvagità. Amare qualcuno è una cosa meravigliosa, è stupendo sapere che qualcuno la mattina ti pensa per primo o sentire anche solo l’esigenza di non distogliere lo sguardo da quella persona. E’ bello quando non riesci a tenerti alla larga da lui…» le sue parole riescono a rendermi vulnerabile, talmente tanto da farmi pizzicare gli occhi.
«Io e Dylan siamo stati insieme… ma prima di lui sono stata con Brian. Ho avuto qualcosa in più…con lui» sbuffo socchiudendo le palpebre.
Lui spalanca la bocca, quasi incredulo. «Brian? Sul serio?» Domanda. «Non ti nego che quando l’ho visto ho pensato che me lo farei sul serio» si nasconde il volto con una mano e scoppia a ridere. Faccio lo stesso. «Non so però, tu e Dylan c’è qualcosa nell’aria quando siete vicini… hai presente una scossa elettrica?» Abbozza un sorriso. «Brian, Brian… che tipo è?» Si massaggia il mento.
Difficile definirlo in poche parole. Brian è tutto e niente.
«Brian è presuntuoso, arrogante, a volte sa essere davvero cattivo… abbiamo condiviso dei momenti particolari. Non pensavo potessi mai essere attratta da un tipo come lui» parlotto veloce, «è troppo pieno di sé e riesce a farmi saltare tutti i nervi del sistema nervoso. Si è comportato da pezzo di merda con me, ha fatto di tutto per farsi odiare e per allontanarmi definitivamente da lui e ci è riuscito» concludo sospirando.
Alec accenna una smorfia con le labbra. «Amore mio, la tua situazione è peggio di quanto credessi.» Annuisce.
«Oh, grazie!» Nascondo il viso con entrambe le mani e sorrido.
«Ci sarà qualcuno che ti farà battere di più il cuore, che ti fa tremare le gambe e ti fa venire i crampi allo stomaco.» Dice osservandomi dritto negli occhi.
Se penso a questo tutto ciò che ha menzionato succede in contemporanea. E’ strano, lo so. In questo momento neanche riuscirei a pensare a Brian al mio fianco. Mi fa troppo schifo.
 


«I bambini stanno facendo il karaoke» Dylan appare all’improvviso.
Entrambi sussultiamo, ma Alec sorride osservandomi di sottecchi. Schiarisco la voce e sospiro, per poi mettermi in piedi. Alec fa lo stesso.
Quando la sua mano sfiora il mio sedere palpandolo aggrotto immediatamente la fronte, confusa, ma il suo occhiolino furtivo e malizioso, mi aiuta a capire che mi sta dando semplicemente una mano. Insomma, Dylan nota il gesto, serra la mascella, stringe i pugni e deglutisce rumorosamente. Godo.
Mi aggrappo al collo di Alec e gli lascio un bacio in guancia. «E adesso?» Mormoro.
«Stai al mio fianco» risponde a denti stretti, mentre seguiamo Dylan.
Ogni due secondi si volta a scrutarci, noi rimaniamo incollati, mentre lui sembra infastidirsi. Perché Dylan? Perché ti comporti come un quindicenne?

Quando raggiungiamo gli altri Dylan non si sposta di mezzo centimetro, rimane al nostro fianco, come un cane da guardia. Lo osservo di tanto in tanto e non posso fare a meno di ridermela internamente. Sta buono, silenzioso, ascolta ogni minima parola e noi gliela facciamo sentire.
«Che fai dopo?» Chiede Alec.
«Facciamo un bagno al lago?» Domando di rimando.
Lui annuisce con suono gutturale ed avverto il respiro di Dylan affannarsi. Sembra nervoso. Poi tossisce come attirare l’attenzione, ma i miei occhi sono attirati da un’altra scena. In lontananza Brian ci sta fissando, mentre Alexandra osserva lui. Brian se ne accorge, le rivolge un’occhiata d’intesa, si mimano qualcosa con le labbra e poi sotto il mio occhio vigile se la svignano senza farsi vedere da sguardi indiscreti. E’ chiaro che lui l’abbia fatto apposta. Dylan in tutto ciò ha lo sguardo altrove, perso nel vuoto. Non è giusto. Lui non merita questo. Così, repentinamente, lo acchiappo da un braccio e lo trascino via di lì, proseguendo altrove.

«Grace!» Sbotta confuso. Si lascia trasportare ugualmente. «Cosa diavolo stai facendo?» Borbotta.
Sbuffo e mi blocco. «Devi vedere una cosa. Sei… la persona più…» balbetto con voce tremante.
Lui, in mezzo al buio, si ferma ad osservarmi ed io non riesco a trovare le parole, per dirgli che è importante, che non merita del male, che dovrebbe sapere che persona ha affianco, che dovrebbe aprire gli occhi, ma i suoi stregano i miei per una manciata di secondi. Per un breve nano minuto, riemergono i momenti trascorsi insieme durante l’inverno.
La nostra prima uscita, la mia prima vera uscita con qualcuno, qualcuno che non voleva niente da me, semplicemente scambiare due chiacchiere, che non ha mai preteso nulla in cambio. Le nostre chiacchierate, il nostro volerci bene incondizionatamente, il suo fissarmi interrottamente ed il mio imbarazzarmi, divenire paonazza dalla vergogna e fingermi la dura della situazione, per nascondere la timidezza. Le nostre maratone Disney, il piumone che ci scaldava, i respiri in sintonia, il calore dei nostri corpi e la voglia matta che entrambi avevamo di sperimentare, provare qualcosa che realmente nessuno dei due aveva mai provato. Insomma cercare una certezza in quel disordine.
E così i suoi occhi scrutano i miei.
«Che cosa devo vedere?» Sussurra con voce rauca.
Boccheggio, sbatto le ciglia e scuoto il capo come per risvegliarmi da una lunga dormita.
Lo prendo per mano ed involontariamente le sue dita si intrecciano alle mie. Quando credo di essere giunta a destinazione, di fronte il bungalow di Brian, da cui si nota la luce della camera accesa, mi blocco. Mi volto a guardarlo nuovamente negli occhi, è accigliato.
«Grace…» esordisce, «smettiamola con me e Brian…» sbuffa roteando gli occhi.
«No, non è come credi» salgo gli scalini velocemente, il cuore mi martella nel petto e senza più pensarci busso alla porta.
Dylan rimane dietro di me. «Cosa dobbiamo fare?»
Brian ci apre poco dopo. Sgrana gli occhi e sospira. E’ senza la maglia. «Ehilà» dice.
Dylan incrocia le braccia al petto e lo fissa corrucciato. «Cosa fai dentro?»
L’altro mi guarda attentamente con sguardo di sfida, credo voglia sbranarmi. «Una doccia» risponde.
«Grace?» Dylan mi osserva voglioso di una spiegazione plausibile.
«Brian fammi entrare» decreto severa.
Lui accenna un risolino amaro e guarda prima me e poi lui. «Perché mai dovrei?»
«Spostati» lo spingo nonostante la sua rigidità.
Piombo dentro e perlustro la zona. Osservo in ogni angolo pur di trovare quella puttana, ma non c’è nessuna traccia. Siamo arrivati troppo presto.
Quando esco di lì, mi ritrovo Alexandra affianco di Dylan. Vorrei sprofondare.
Schiarisco la voce e mi bagno le labbra. «Ritorno dai bambini» scendo le scale e rivolgo una feroce occhiata ad Alexandra. Come le strapperei ogni filo di capello!
Mi volto e Brian sorride come un bastardo, soddisfatto e pieno di sé.


Mi affianco a Beth, che a sua volta sta mormorando qualcosa contro Cecilia.
«Beth credo che non possa sentirti» rido.
«Ma cosa ci trovate in lei?!» Sbuffa incrociando le braccia al petto.
La osservo mentre canta al karaoke ed Ethan la riprende con il telefono entusiasta.
«Forse ti sei illusa che tu potessi interessargli realmente» mi dispiace essere dura con lei.
Lei abbassa il capo, «sì, probabile» deglutisce. «Tu invece? Dove sgattaiolavi con mio fratello?» Domanda accigliata.
Alzo le sopracciglia, «volevo fargli notare un disagio nel campetto da football dei bambini» mento spudoratamente.
Lei annuisce. «Cantiamo io e te?» Non mi lascia rispondere, mi prende per mano e mi spinge al centro.
Ethan ci sorride e tutti applaudono. L’ammazzo.
«No, no… sono stonata» scuoto il capo, rifiutando il microfono.
Cecilia, però, me lo lascia ugualmente, mentre Beth dice all’orecchio di Ethan che base mettere.
Noto arrivare quel trio disarmante: Dylan, Alexandra e Brian.
Non appena sento l’inizio della della canzone mi pietrifico. Beth mi sorride dolcemente ed è impossibile non fissare Dylan. Gli brillano gli occhi con “One” degli U2.
Probabilmente il ricordo del padre è molto più forte del nostro che cantiamo a squarciagola nel garage della loro casa, con quelle dannatissime spugne e quei secchi pieni di acqua congelata.
«Is it getting better or do you feel the same. Will it make it easier on you now, you got someone to blame. You say...» inizia Beth.
«One love, one life…When it's one need in the night» continuo io con voce rauca, socchiudendo le palpebre. «One love, we get to share it…leaves you baby if you don't care for it.»
Beth si volta sorridente e mi osserva, «Did I disappoint you or leave a bad taste in your mouth. You act like you never had love and you want me to go without.Well it's...» continua ondeggiando.
Sospiro. «Too late tonight…» osservo gli occhi di Dylan e poi quelli di Brian. «To drag the past out into the light. We're one, but we're not the same…» canto.
Entrambe intoniamo fino a fine canzone. Nonostante sia stonata più di una campana, ci becchiamo un caloroso applauso. L’unico immobile rimane Dylan. Non fiata, non mostra alcuna espressione e si morde le labbra. Poi parte la musica, una musica casuale, per invogliare tutti a ballare.
I bambini si scatenano ed io vengo trascinata in pista da Chad. Lo prendo in braccio, lo faccio volteggiare e lui ride come un pazzo. Poi mi abbraccia, stringendomi il collo e serrandomi quasi il respiro.
«Sei la sorellina che non ho mai avuto» dice osservandomi.
Gli accarezzo il capo ed alzo gli occhi al cielo. Le stelle mi fanno credere che esiste ancora qualcosa di reale e fenomenale in questo Universo.



 

POV DYLAN

Perché deve essere tutto così complicato? Intendo innamorarsi. Perché deve fare così schifo? Insomma non può un tale sentimento suscitare emozioni così negative. Eppure è così. Eppure non mi va più di sorridere, perché riuscivo solo con lei.

Mi guardo intorno, cercando di trovare qualcosa di positivo, ma poi la osservo volteggiare, i capelli che le sventolano da una parte all’altra, un vestito buffo, gli occhi furbi, ma sinceri ed il sorriso che nonostante tutto non le manca mai. Che situazione del cazzo.
Vorrei scappare da questo posto. Vorrei semplicemente che l’estate giungesse al termine. Vorrei scomparire dalla circolazione, fare la mia vita e ritornare il Dylan tranquillo e spensierato di un tempo. In più sento che sto prendendo in giro me stesso e anche Alexandra a continuare una relazione che non avrà un seguito.
Stasera la lascerò, lascerò che sia il tempo a dare le risposte giuste alle mie domande, senza metter in mezzo terze o quarte persone. Solo io ed il tempo.

A fine serata, dopo aver sistemato fuori, quando i bambini sono già tutti nei dormitori e fuori non si muove una foglia, mi spoglio di quello stupido costume. Indosso un pantalone di tuta ed una felpa. Alzo il cappuccio in testa e nascondo le mani nelle tasche della maglia, mentre proseguo verso il bungalow di Alexandra. Busso la prima volta, poi la seconda, poi mentre mi sto avvicinando per la terza apre. E’ impacciata, con un lenzuolo aggrovigliato addosso, i capelli sfatti e la bocca spalancata. Passa lenta una mano in fronte e boccheggia, la scosto violento e spalanco la porta penetrando dentro.
Brian è disteso nudo sul suo letto. Scende velocemente indossando i boxer e con uno scatto repentino, lo scaravento nuovamente sul materasso. Gli blocco il collo con una mano, mentre lui fa forza per lasciarsi andare. Le vene del mio braccio emergono in superficie ingrossando.
«Sei un bastardo» gli carico un destro e poi un altro ancora.
Si dimena e poi riesce a mettersi in piedi. Si massaggia la mascella e un occhio.
Vorrei riempirlo di botte, di calci e pugni, vorrei diventare quello che non sono mai stato, ma improvvisamente, senza riflettere, gli sputo in faccia.
«Verme schifoso» ringhio come un forsennato.
Brian mi fissa pietrificato. «A te non interessa un cazzo di lei tanto» sentenzia pochi secondi dopo.
Non ci vedo più e nuovamente mi scaglio contro di lui. Gli serro il collo e lo spingo al muro.
«Non è bella la prigione, fidati» balbetta con voce strozzata.
«Dylan ti prego… lascialo stare» piagnucola Alexandra alle mie spalle.
Mi volto a guardarla in cagnesco. «Stai zitta» ordino severo.
Ritorno ad osservare negli occhi il mio nemico fidato. Deglutisco rumorosamente e socchiudo le palpebre, poi mollo la presa.
«Hai ragione. La prigione fa schifo ed è l’unico posto in cui meriteresti di stare, insieme a quelli che nella vita non faranno altro che portare guai e nient’altro» decreto con cattiveria.
I suoi occhi si assottigliano e diventano rossi. Con tutta la forza presente in corpo mi acchiappa dal collo della felpa e mi getta sul pavimento. Si posiziona a cavalcioni su di me e mi riempie il viso di cazzotti.
Credo di esser quasi svenuto, sento solo una voce sbraitare.
«CHE CAZZO FATE» suppongo sia Ethan.
Poi rimango disteso a terra. Un panno umidiccio mi tampona la fronte e l’intero volto. 

Quando mi riprendo l’unica figura che intravedo è quella di mia sorella. Sta piangendo.
«Perché?» Scuote il capo e mi sposta una ciocca di capelli dalla fronte. Sono su di un letto, in una camera sconosciuta. Poi, quando spunta dalla porta la sagoma di Grace capisco dove siamo.
«Non potevi semplicemente lasciarli stare?» Continua mia sorella. «Guarda come ti ha ridotto» ringhia.
Mi sistemo meglio e mi metto a sedere. Osservo Grace immobile di fronte a noi.
«Tu lo sapevi! Tu sei come lui.» Dico disgustato.
Mia sorella si volta a guardarla sconvolta. Lei abbassa il capo e quando lo rialza è in lacrime. Non mi fa pena, mi fa solo schifo.
«Ho provato a dirtelo» si giustifica singhiozzando. Avanza, ma mia sorella si distanzia.
Chiaro segnale di allarme, anche da parte sua.
«Non mi avresti mai creduto, ma stasera ti ho portato da Brian… volevo mostrarti cosa stavano facendo, ma lei è arrivata subito dopo» le lacrime le bagnano le guance e le fanno diventare gli occhi piccolissimi.
«E a me? Non hai detto niente!» Sbotta Beth incredula. «Che amica sei? Io e te, sempre insieme, ci diciamo sempre tutto, mi hai sempre detto tutto… come una sorella» aggiunge.
«Non volevo coprire Brian, volevo che Dylan lo sapesse prima di tutti… io l’ho scoperto per caso, li ho visti…» singhiozza.
«Mi viene da vomitare» mi metto in piedi e passando in mezzo alla stanza, prima di giungere all’uscita, mi blocco di fronte lo specchio. Sono conciato male, ho il labbro spaccato, il sopracciglio destro anche ed il viso ricoperto di rossore che presto diverrà violaceo.
Nonostante ciò il dolore maggiore è altrove.


Alexandra è fuori la porta, con le braccia incrociate al petto.
«Dylan» si precipita non appena esco.
La fulmino con gli occhi e mi allontano prima che possa sfiorarmi. «Non provare a fare un altro passo» distolgo lo sguardo.
«Dylan… io non lo so cosa credevo di fare» tartaglia in preda al panico.
Sogghigno amaramente. «La puttana» sentenzio incrociando i suoi occhi.
Sgrana gli occhi e non parla.
«Ci sei riuscita, tranquilla… non hai sbagliato nulla» applaudo. «Fate tutti schifo» la osservo da capo a piedi. «E pensare che mi scopavo un cesso del genere» sento nelle vene la cattiveria scorrere gratuitamente.
«Sono parole dettate dal nervoso» piange.  «E poi ora capisco tante cose, tu, Brian… quella Grace» esordisce.
«Fatti i cazzi tuoi!» La blocco prima che possa continuare. Scendo le scale, lasciandola alle mie spalle.
«La ami?» Sbraita.
Mi fermo. Serro la mascella e prendo un lungo respiro. Non sono tenuto a dare alcuna spiegazione, a nessuno.

Così proseguo dritto, mi rifugio nel mio bungalow, ripongo violento sul letto le due valige e getto tutti i miei capi lì dentro, alla rinfusa. Le chiudo con forza ed esco da lì.
«Dylan cosa fai?» Ethan è dietro la porta, probabilmente stava per bussare.
«Me ne vado» decreto con tono severo.
Gli lascio le chiavi fra le mani e gli do una pacca sulla spalla. «Non ce la faccio a stare qui amico» sospiro.
«Dylan… tu sei più maturo di loro, tu sei un uomo…» mi incita. «Non mollare così, le cose difficili si superano.» Annuisce.
Alzo gli occhi al cielo. «Ho sopportato abbastanza, torno dai miei amici… poi farò ritorno a casa ed infine me ne andrò al college» gli porgo una mano.
Lui la osserva a lungo e poi la stringe calorosamente. «Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno sappi che io sarò sempre a tua disposizione.»
Scendo e nel frattempo invio un messaggio ad un amico incaricandolo, cortesemente, di venire a prendermi.

Mia sorella corre verso di me e mi si getta addosso.
«No, Dylan dove vai?»
«Rimango a Los Angeles, vado dai miei amici e poi ritorno a casa» mi schiarisco la voce.
«Fatti sentire qualche volta» mi raccomanda.
Annuisco, le lascio un bacio in guancia e saluto il campeggio, mentre mi avvio verso l’uscita.

Mi sono rotto di chiudere capitoli di vita a causa di altre persone.


All’alba sono ancora fuori con Clay, Gabe ed Ian. Siamo distesi sulla sabbiolina fina della spiaggia a gustarci un Mojito e goderci il fruscio del mare. Mi assaporo gli ultimi istanti di quest’estate, prima che giunga al termine. Spero di trascorrere giorni sereni e di divertirmi senza limiti, proprio come non ho fatto mai. Berrò fiumi di birra, sorseggerò cocktail, farò il bagno all’alba e al tramonto proseguirò giù nel molo di Santa Monica in sella ad una bici.
Mi merito un po’ di pace.


Angolo autrice.
Buonasera!
Anche se qui non c'è più nessuno, continuo ad aggiornare ugualmente. Un bacio a chi leggerà e chi lascerà una recensione.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 


Il mio cuscino credo mi odi. E’ terribilmente inzuppato da due giorni, fra non molto anche lui mi manderà a fanculo, ne sono certa. Le mie occhiaie non riescono a nascondere la mia insonnia ed il gonfiore degli occhi lasciano intendere che non trascorro affatto delle belle giornate.

Sono passati due giorni, direi lunghi ed intensi. Beth non mi rivolge più la parola. Il mio soggiorno qui sembra così insignificante che sto valutando l’idea di fare la valigia e tornare a casa. Il lavoro è diventato monotono, seguo i bambini nelle loro attività, ma non ci sono realmente con la testa. Mangio poco e non dormo, insomma è una situazione di merda.

Stamani ho un’attività nel pomeriggio, trascorrerò l’intera mattina sul letto, davanti al ventilatore pensando e ripensando se chiamare o meno mia sorella. Poi mi butto e digito il numero sul display del telefono. Attendo che risponda e quando avverto la sua voce mi si risolleva il morale.
«Peste, ti sei ricordata che esisto» dice sarcastica.
Sospiro. «Come va?» Mi limito a dire con voce rauca.
C’è un attimo di silenzio.
«Scricciolo che succede?» Sembra preoccupata.
Scricciolo”. Sento irrigidirsi ogni muscolo del corpo, la gola stringersi in una morsa e gli occhi pizzicare. Non mi riconosco più.
«Niente, tutto okay» mormoro.
«Grace ti conosco meglio chiunque altro, sputa il rospo» decreta severa.
Massaggio un occhio ed affondo la testa sul cuscino. «E’ successo un casino, Emi» singhiozzo.
«Grace calma, dimmi» balbetta lei dall’altra parte.
«Voglio tornare a casa» aggiungo.
«Spiegami» dice.
«Qualche giorno fa ho scoperto Brian mentre se la faceva con la fidanzata di Dylan» esordisco strizzando gli occhi. Lei non fiata. «L’ho tenuto per me, ma ho fatto notare a Brian quanto mi facesse schifo.» Continuo. «Ieri ho provato a beccarli in fragrante, portando con me Dylan… ma non ci sono riuscita. Dylan però…» sospiro e deglutisco.
«Però…?»
«Li ha scoperti qualche ora dopo… e si sono ammazzati di botte. Lui e Beth ce l’hanno con me. Dylan è andato via, Beth non mi parla più…» concludo.
Avverto il respiro di Emily. «Grace questi ragazzi si ammazzano fra di loro solo per te, non per questa tizia» sentenzia. «Mi dispiace dirtelo.»
«Cosa devo fare?» Domando in preda al panico.
«Ritorna a casa.»


Riattacco poco dopo. Mi metto in piedi e raggiungo la finestra. Mi sporgo ed intravedo la figura di Beth, affianco a quella di Ethan. Stanno passando davanti, con una mandria di bambini alle loro spalle, tutti in fila, nessuno scoordinato.
Esco anche io ed attiro la loro attenzione. Beth mi fulmina ed abbassa lo sguardo, Ethan mi sorride.
«Buongiorno» saluta, ma poi s’imbarazza per il clima di tensione. «Noi andiamo a prendere un gelato, ti va?»
Scuoto il capo, scendo le scale e mi incammino in solitudine verso il laghetto. Sono sicura non ci sia nessuno.
Così mi siedo a riva, osservando l’acqua cristallina. Alzo gli occhi al cielo e noto come il cielo si stia annuvolando. Nonostante ciò rimango lì.
E’ colpa mia? Perché? Non ho obbligato Brian a tradire Dylan e non ho nessuna colpa se ciò è successo. Eppure, per l’ennesima volta, mi trovo colpevole.
E’ vero, in fondo ne ero al corrente ed ho preferito tacere anziché svelare la verità. Questo non potrei mai perdonarmelo.

Improvvisamente delle goccioline ricadono sull’acqua, poi anche sulla mia pelle. Sta iniziando a piovere. Mi metto in piedi e sgattaiolo via di lì.
Sembra sera per quanto si sia fatto cupo il cielo, ma non corro, cammino lenta sotto la pioggia attraversando il vialetto che conduce al mio bungalow, sono sicura che ci sia anche Beth.

«Liz» la voce di Brian alle mie spalle mi costringe a fermarmi.
Inzuppata già da capo a piedi, mi volto. Lui è combinato alla stessa maniera.
«Dimmi quanto ti faccio schifo, ne ho bisogno» decreta.
Socchiudo le palpebre e giro per riprendere il mio cammino. Non ho assolutamente voglia di discutere con lui.
Mi acchiappa repentinamente da un braccio, bloccandomi. Rimango immobile.
«Dimmelo. Dimmi tutto quello che vuoi.» Sembra afflitto.
Sbuffo e non fiato.
«Dimmelo.»
«Mi fai male» dico avvertendo la fitta al braccio.
Lui allenta. «Lo capisci che è colpa tua se io faccio tutte queste cazzate?» Sbotta. «Mi scopavo Alexandra, sì. Solo per farti un dispetto del cazzo, solo per metterti alla prova.» Ammette furibondo.
Lo guardo negli occhi faticosamente. «Adesso come ti senti?» Non lascio trasparire nessuna emozione.
«Vuoto» boccheggia. Intanto continua a piovere incessantemente. «Non mi perdonerai mai vero? Né per come mi sono comportato prima, né per adesso» scuote il capo e mi lascia andare.
Deglutisco e non fiato. Non so cosa dire. Lui si sente vuoto, io mi sento una merda. Non so chi stia peggio tra i due.
«Giusto?» Rincara.
«Giusto» decreto sospirando.
«Io sono così, non riesco ad essere diverso» si giustifica.
«E da me, precisamente, cosa vuoi?» Rispondo acidamente aumentando il tono di voce. «Hai fatto di tutto per farti detestare e ci sei riuscito… mi hai tolto la mia migliore amica, vorrei semplicemente scappare da questo posto e non voglio vederti mai più» stringo i pugni e gli ringhio contro.
Sembra provato, ma rimane immobile. «Se vuoi me ne vado io» sussurra.
Gli punto il dito contro. «Ed invece no! Tu rimani, guardi in faccia il dolore che mi stai recando… ti sbatterò in faccia tutta la merda che sei e che hai fatto, fino a farti sanguinare internamente» sbraito nevrotica, per poi scoppiare in lacrime. «Non meriti di fuggire, meriti di rimanere zitto ad osservare ed inzuppare!» Esclamo concludendo.
Socchiude le palpebre tremanti. «Quello che provo per te non cambierà mai» si permette di dire.
Aggrotto la fronte e con tutta la forza presente in corpo lo spingo, lui indietreggia di pochi passi. «Ma che cazzo provi? Che cazzo? Non sai niente dei sentimenti, sai solo fare male alla gente. Non provi un cazzo!» Sbotto. «Ti permetti pure di dire che provi qualcosa… quando ti sei scopato un’altra, quando hai fatto sempre il possibile per mandare tutto a puttane» aggiungo.
«Non me ne frega un cazzo di Alexandra, Liz!» Esclama agitando le braccia.
Scuoto il capo, «no, non sono più Liz per te. Dimentica.» Ordino severa.
«No. Tu sei sempre la mia Liz» dice presuntuoso. «Se tu non ti fossi invaghita di Dylan io e te… a quest’ora non eravamo così» abbassa il tono di voce.
Rido amaramente. «Allora ringrazierò Dylan per avermi fatto conoscere il vero Brian» scrollo le spalle.
Indietreggio, deglutisco e corro verso il mio bungalow. Entro e chiudo la porta alle mie spalle, ignara di trovarmi di fronte Beth. Ha addosso un’ asciugamano e con un’altra sta tamponando i capelli bagnati. Si blocca, mi osserva e sgrana gli occhi. Poi si avvicina al suo letto e si mette a sedere silenziosa.
Io mi spoglio immediatamente degli indumenti bagnati e mi nascondo in bagno.
Nuda mi infilo sotto il getto di acqua calda, consapevole che presto prenderò la febbre. Sciacquo il corpo con il bagnoschiuma e poi i capelli con lo Shampoo al cocco. Lascio scivolare il sapone dal mio corpo ed esco coprendomi con l’accappatoio. Alzo il cappuccio sulla testa umida e ritorno in camera. Beth è già vestita e sta asciugando i capelli. Continua ad osservarmi incuriosita.
Mi getto sul letto a testa in giù, affondo il volto sul cuscino e scoppio a piangere.
Andrò via da qui, deciso.

Quando una mano si posa sul mio capo, respiro profondamente.
«Sei sempre la mia migliore amica» sussurra Beth.
Singhiozzo e non mi faccio notare.
«Amo mio fratello più di qualsiasi altra cosa al mondo. L’ho sempre protetto dal genere femminile, ma non sono riuscita con te. Primo perché mi sei sembrata perfetta con lui e perché per lui lo sei sul serio.» Spiega cauta. «Non voglio che stia male ancora per te.» Conclude.
Alzo il capo ed incrocio il suo sguardo. Mi accarezza una guancia, cacciando via quelle lacrime ribelli.
«Scusami per tutto» mormoro. Credo di non esser mai stata così debole, prima d’ora, ma come si dice… c’è una prima volta per tutto, anche per sentissi senza forze, senza speranze.
Le sue braccia mi cingono il collo e mi abbracciano. La stringo a me come se non ci fosse niente di meglio in questo mondo. Socchiudo le palpebre e respiro profondamente.
«Potrei chiedere ad Ethan due giorni, andiamo un po’ al mare» sussurra.
Sospiro ed annuisco.
«Questo tempo non promette nulla di buono, ma magari staccare ti farebbe bene» decreta osservandomi.
«La mia vita è tutta una confusione» sfrego le mani sul volto.
«Non so cosa avrei fatto al tuo posto, sono onesta» scrolla le spalle. «Certe emozioni però non puoi frenarle, posso solo dirti di lasciarti andare… qualunque cosa voglia fare. Tanto è già tutto un casino.» Annuisce convinta. «Io credo che tu ami solo uno di loro e so anche chi, ma non voglio dirtelo, perché voglio che tu lo capisca da sola» deglutisce.
Abbasso gli occhi. «Mi vesto» balzo giù dal letto e mi avvicino alla sedia affianco al comodino. Da lì acchiappo uno slip ed un reggiseno, per poi indossare un pantalone di tuta nero ed una felpa grigia.
In quel preciso istante qualcuno bussa alla porta, avanzo svogliata ed apro. Alec è di fronte a noi tutto inzuppato.
«Stavo passeggiando e mi sono bagnato, sareste così gentili da offrirmi un tetto?» Ironizza. Trema di freddo.
Lo faccio entrare e subito mi precipito davanti all’armadio, acchiappando una coperta di lana. Gli avvolgo il corpo e lui ringrazia.
«Tutto apposto ragazze?» Chiede avvicinandosi.
Beth accenna una smorfia con la bocca, io rimango impassibile.
«Tesoro, se Brian o Dylan ti rendono così… tanto vale cercarsi qualcun altro» mi parla, accarezzandomi una spalla.
«Tipo tu?» Fa acida Beth. Lei non sa di Alec.
Quest’ultimo la fissa da capo a piedi e ride. «Sono gay» dice con nonchalance fiero.
Lo adoro. Incrocio le braccia al petto e con un sorriso soddisfatto, osservo la mia amica. Beth ha gli occhi sgranati, la bocca schiusa e sembra abbia visto un fantasma.
«Io… io…» tartaglia, «sono senza parole» nasconde il viso con le mani e scoppia a ridere. «Mi dispiace Alec» ritorna a guardarlo, avanzando verso di lui.
«Va tutto bene, comunque Grace merita di stare bene» decreta lui.
«Le ho proposto di andare via due giorni, non so magari al mare» sospira Beth.
Lui porta una mano sul mento con fare pensieroso. «Incontrerebbe inevitabilmente Dylan» scuote il capo. «Non basterebbe» aggiunge.

Un’ora dopo il tempo sembra essersi leggermente rasserenato, anche se le nuvole e quel fastidioso grigiore del cielo, non sembra volerci abbandonare. Siamo tutti in mensa, i bambini mangiano facendo un gran fracasso e tra una risata e l’altra io mi perdo fra i miei pensieri, rimanendo anche quest’oggi a digiuno, di fronte a tutte quelle delizie.
Quando Chad piomba al mio fianco con un vassoio di patatine fritte, accompagnate con del pollo al forno, mi brillano gli occhi.
«La mia mamma quando non mangio mi dice sempre che un uomo cattivo viene nella notte e mangia me» dice con fare terrificante.
Sorrido e poggio il piatto sul tavolo, mentre porto il piccolo sulle mi gambe. E’ leggero come un carro armato, ma lo adoro terribilmente, lo porterei via con me da qualsiasi parte.
«Vuoi sapere cosa mi aveva detto Dylan?» S’imbocca con una patatina e mi guarda.
Perché ogni volta il cuore deve battere all’impazzata?
Annuisco e gli accarezzo il capo. Nel frattempo lui esce dalla tasca un foglietto. Lo apre e legge sottovoce.
«Incontrerai una donna, un giorno, penserai che sia una delle tante. Capirai che è l’unica luce che vorresti vedere al mattino. Capirai che per una ragione l’hai incontrata, nulla per caso. Ti sorprenderai e penserai che tu sia pazzo, ma quando incrocerai i suoi occhi ti renderai conto che tutta quell’attesa, nella speranza di incontrare qualcuno che ti faccia battere il cuore, confondere le idee, tremare le gambe, desiderare di non allontanartene mai, è valsa a farti conoscere la donna che hai sempre cercato.» Conclude con quella vocina delicata ed io sto nuovamente piangendo per il modo innocente con il quale ha letto. Asciugo veloce le lacrime e sospiro. «Così gli ho chiesto chi era la sua donna» sorride, «ha detto che sei tu, ma non di non dirlo a nessuno» nasconde la bocca con una mano, con espressione da furbetto colpevole. Mi fa scoppiare a ridere.
«E tu perché l’hai scritta?» Domando corrucciata.
«Gli ho detto che volevo leggerla alla mamma e lui me l’ha scritta» porta il foglio al petto.
Questo bambino è un angelo sceso dal cielo, per farmi emozionare e sorridere giorno dopo giorno.
Rifletto su ogni singola parola. Ho la pelle d’oca, eppure non fa freddo.




POV BRAIN

E così, un’altra volta, Liz mi scivola tra le mani. Inutile dire quanto sbagli, perché lo faccio inconsapevolmente, con la mentalità di un ragazzino.
Mi guardo allo specchio, osservo la mia immagine, sono un uomo e da tale non riesco a comportarmi. E’ vergognoso. Sono un incapace, anche quando si tratta di rendermi la strada spianata, io no, la rendo piena di fosse. Inciampo, cado, mi rialzo ed inciampo di nuovo. E’ un circolo vizioso.

Il cellulare squilla improvviso. Mi avvicino al comodino ed osservo il numero di mio padre.
Rispondo.

«Papà.»
«Figliolo, come va?» Chiede.
Sbuffo, scompiglio i capelli per poi massaggiarmi la fronte, «bene» fatico a dire.
«Ti ho trovato un lavoretto per quando tornerai, il figlio del mio collega ha un’officina» sembra entusiasta, «avete la stessa età, ti troverai bene» aggiunge.
«Fantastico papà» cerco di essere il più possibile contento. «Non vedo l’ora di tornare» ammetto.
«Non ti trovi bene?»
«Papà… ti ricordi Grace?» Esito.
«Certo» risponde tranquillo.
«Lavora anche lei qui» esordisco, «da giovane per conquistare mamma hai fatto dei casini? Perché io sbaglio continuamente.» Cammino lento per la stanza.
«Ho corteggiato tua madre giorno dopo giorno, con le piccole cose, che sia un mazzo di fiore, un biglietto carino, una galanteria… ma erano altri tempi» spiega, «non so se tu ne sia capace, figliolo» dice sincero.
Strizzo gli occhi. «Non sono abituato alla galanteria» sospiro, «e lei non mi vuole più.»
«Insisti, se ti ama, ti amerà sempre… prova a farle ricordare cosa avete trascorso insieme prima che ti comportassi da testa di cazzo» sottolinea aggressivo. Mio padre è un tipo colto, non ha mai usato una cattiva parola, neanche per imprecare. E’ molto diplomatico, accorto e pieno di tatto. Quindi le sue ultime parole mi lasciano perplesso, talmente tanto da convincermi che ha ragione lui.
«Troverò un’idea» mi limito a dire.
«Se per prima cosa non elimini seconde donne dalla tua, non puoi pensare di concentrarti solo su una. Nessuna donna ama esser messa nello stesso piano di un’altra» sentenzia. «Ora ti saluto, ho una riunione. Ti saluta la mamma ed anche Maya» riattacca.
«Ciao papà» dico abbassando il telefono e gettandolo sul letto. Fa una rovesciata e poi finisce sul pavimento.
Forse ho qualche idea, ma prima ho da chiedere un favore ad Ethan.


«Ethan solo per una sera» lo supplico.
Mi guarda di sottecchi, «dopo il casino che hai combinato credi che basterà questo per rimediare?» Sbotta. «Dylan è andato via a causa tua, sai cosa significa?» Si accanisce.
«Lascia perdere un attimo il lavoro, non faresti di tutto se vorresti conquistare una donna?» Spiego gesticolando.
In quel preciso istante i suoi occhi si spostano altrove, pensando sia la sua fidanzata, mi volto a guardare. Ciò che vedo non è Cecilia, non le somiglia neanche un po’. La piccola Murphy sta passeggiando poco più in là, in compagnia di Alec. Per un attimo la mente rimane interrotta, poi rincaro la dose.
«Tu vuoi Beth?» Aggrotto la fronte ed aumento il tono di voce.
Mi prende da un braccio trascinandomi lontano da lì, «Brian ti licenzio la prossima volta» mi minaccia, mentre i suoi occhi sono vispi intorno a sé.
«Oh andiamo, amico» gli do una pacca sulla spalla ironicamente, «dopo questa non ti resta che aiutarmi» dico malizioso. «Altrimenti sono costretto a dire a Cecilia che il suo fidanzato ha idee erotiche verso un’altra» assottiglio gli occhi ed incrocio le braccia al petto.
«Brian, ti licenzio» dice a denti stretti.
Rido con gusto. «Hmm, fammi pensare… io perderei il lavoro, ma tornerei a casa dove ho un altro impiego» stringo le labbra in un sorriso beffardo, mentre lui impreca. «Mi dispiace, hai perso.»
«Se ti fai scappare in giro questa cosa di Beth te lo giuro che mi invento qualcosa per farti davvero male» mi punta un dito contro con fare aggressivo.
Rido ed annuisco. «Ti piace Beth, sul serio. Io pensavo fosse una cosa così…» mi gratto il capo. «Ecco perché ti allei con il nemico» lo fisso.
«Dylan è in gamba, ecco perché mi alleo con il nemico» borbotta.
Roteo gli occhi. «Sì, certo… tanto non ti darà mai la benedizione sulla sorella, tanto vale provarci e stop» sono euforico e non capisco il perché.
«Brian organizzati quello che cazzo vuoi, ma scompari!» Mi spinge per farmi andare via, mentre io me la rido.
«Grazie amico, ripagherò» corro e mi dirigo verso la stradina che hanno preso Beth e quell’Alec.

Li noto poco più avanti e riprendo a passo svelto, fino a raggiungerli del tutto. Si voltano entrambi e sussultano. Beth mi fissa come indemoniata. Che Cristo sia con me!
«Vi posso chiedere un favore?» Sfrego i palmi delle mani fra di loro.
Beth incrocia le braccia al petto, «se non ti levi, faccio un favore io al mondo intero e ti prendo a calci nelle palle» risponde scattante.
«Ho bisogno che mi aiutate in una faccenda, sapete dove posso trovare delle candele?» Domando.
«N-no» dice Alec. «Cos’hai intenzione di fare?» Sembra curioso.
«Farmi perdonare una volta per tutte» sospiro.
Beth comincia a ridere amaramente, poi si fa seria. «Che gran buffone» commenta.
«Senti non farmi la morale su tuo fratello, okay?» Sbotto nervoso.
Beth mi si para davanti come fosse un maschiaccio. «Se tu riprovi a toccare mio fratello, io finirò in carcere» decreta.
La evito, «sai o no dove posso trovarle?»
«Grace non ti vuole.» Risponde lui seccato.
«Senti cocco, non ci serve il terzo incomodo… siamo già in due ad ammazzarci per lei, è chiaro?» Sospiro esausto. «Ci sono tremila ragazze nell’Universo!»
Lui rotea gli occhi, «mi piace la banana!» Esclama a gran voce. «Sono omosessuale! Non mi piacciono le donne, le adoro, sono creature mitologiche fenomenali, ma sono felicemente gay» conclude, lasciandomi senza parole.
Nascondo gli occhi con una mano e rido.
«E se proprio vuoi saperlo cocco, al massimo io e Grace potremmo scontarcela per te» non capisco se scherzi, fatto sta che indietreggio. «Tranquillo, non ci proverei mai… troppo stupido» commenta osservandomi da capo a piedi. «Te le procuro io queste dannate candele, ma non mi piaci con quella ragazza… neanche un po’» sorride infine.
Non mi interessa di piacere alla gente, non devo stare con lei per attirare l’attenzione o per farmi approvare da qualcuno. Voglio stare con lei per altri motivi, che vanno ben oltre le sentenze della gente.


La sera, quando tutti sono radunati al falò, mi avvicino a lei. E’ seduta affianco della sua amica, con accanto il piccolo Chad. Mi abbasso ed inalo l’odore di shampoo che emanano i suoi capelli.
«Ti prego, vieni con me» sussurro.
Alexandra è lì di fronte che ci fissa e si mangiucchia le unghie.
Grace sussulta, «Brian vattene» mormora a denti stretti. Ethan sta raccontando una storia ai bambini.
«Perderò poco tempo» la prendo dal polso e la costringo a mettersi in piedi. Sistema la felpa e mi segue. La guardo meglio solo dopo, quando ha i capelli scompigliati in una treccia sfatta e delle terribili occhiaie.
L’accompagno in mensa, in cui grazie all’aiuto di Alec, Ethan e Cecilia ho allestito un clima romantico. Un tavolo rotondo è posto al centro della stanza, nonostante ce ne siano altri tutti intorno. Delle candele su di esso fanno da luce ed il profumo di pollo al curry è estasiante.
«La prima volta che ti conobbi, c’era questo a cena» mi avvicino al tavolo e scopro il coperchio. Lei è seria. «Ero incuriosito dai tuoi modi di fare, ma ero consapevole tu fossi piccola per me» sospira.
«Il piccolo ti sei rivelato tu» borbotta senza fissarmi.
«Mi hai intrigato dal primo sguardo, dalla prima parola…» sussurro. «Però all’inizio eravamo due complici, ci divertivamo insieme, nonostante i miei casini era bello coinvolgerti nella mia vita» sottolineo. Solo Dio sa quanta fatica io stia facendo stasera a parlarle a cuore aperto.
«Poi uno dei due è maturato» rincara lei.
Ghigno, «Liz se me ne dai l’opportunità voglio cancellare tutto il negativo che c’è stato tra di noi» cerco il suo sguardo, fin quando si volta a guardarmi.
Prende un lungo respiro. «Te ne ho date troppe» decreto severa.
«Mi ami?» Domando sperando in una sua risposta affermativa o in un solo sguardo che possa farmi intendere di sì, ma quando i suoi occhi rimangono impassibili dritti sui miei, comprendo tutto.
«Hai presente quando qualcuno ti fa davvero male e tu nonostante tutto ci credi ancora… che qualcosa si possa fare per sistemare la situazione, che ci sia sempre un’alternativa, un’altra via da percorrere» esordisce, «io credo di averti amato Brian Turner, come non ho mai amato nessuno prima. Credo che tu abbia letteralmente aperto il mio cuore, intrufolandoti passo dopo passo, giorno dopo giorno e lacerandolo lentamente.» Ha le lacrime agli occhi. Vorrei poterla abbracciare. «Quando un vaso si rompe non si può più ricostruire alla stessa maniera, ci saranno sempre quei particolari che ti faranno notare che è stato rotto e rimesso in sesto» mormora con voce rauca, «anche se io volessi perdonarti, anche se volessi provare ad amarti come prima… non ne sarei capace, perché non credo che quel sentimento sia ancora vivido.» Boccheggia, socchiude le palpebre e deglutisce rumorosamente. «Questa Grace che piange è il risultato del tuo lavoro, per niente soddisfacente… ed io voglio tornare serena, libera e felice come un tempo.» Conclude.
«Scusami se ti ho fatto stare male» sussurro. «Ho sempre saputo che tu amassi più lui di me» scrollo le spalle, ripongo le armi.
«Perché tutti credete che io ami Dylan?» Aggrotta la fronte.
Sogghigno, «perché quando si tratta di lui hai sempre avuto occhi diversi. Dylan è stata la medicina quando io ti stavo facendo del male. Vuoi o non vuoi conta chi ti cura, non chi ti ferisce.» Un minuto prima ero elettrizzato e nutrivo una speranza, senza considerare per un istante quanto male le ho recato.
«Io spero con tutto il cuore che tu trova la medicina adatta, perché se fossi stata io molte cazzate le avresti evitate» si scioglie i capelli e mi fissa.
Abbasso gli occhi. «Se potessi tornare indietro, rifaresti quello che hai fatto con me?»
Lei non risponde subito. «Non lo so, ma credo nel destino e… doveva andare così» sorride forzatamente.

Grace esce da lì ed il piatto preparato da Cecilia si è già raffreddato. Ho fallito, ma non ora, ho fallito nel complesso, come uomo. Ho messo davanti me stesso, i miei folli desideri, i miei modi bruschi, i miei pensieri contorti, i miei tentativi sbagliati di farmi dimostrare qualcosa. In realtà l’unico che avrebbe dovuto fare ciò ero solo e soltanto io.
Ed adesso rimango nuovamente io, con la delusione che ho di me stesso ed il desiderio di cancellare tutto.



POV DYLAN


Sono disteso su di una sdraio. Gabe ed Ian stanno ballando con delle ragazze nel locale sopra di me, io, invece, guardo le stelle dal basso.
Sono serate vive e morte allo stesso tempo. Sono sicuro che Brian si sia ripreso Grace e mi fa male pensare che lui possa sfiorarla, baciarla, tenerle la mano…
Dovevo saperlo quel giorno in cui mi tirò quel cazzotto nella palestra della scuola, che Grace doveva essere da evitare, ma come si fa a lasciar perdere qualcosa che in un modo o nell’altro trova il modo di piombare nella tua vita continuamente?
Ho provato sul serio a non farmela piacere, ripetendomi che lei non fosse adatta a me, che il suo carattere con il mio, andrebbero troppo in disaccordo e poi mi trovavo da solo con lei ed inevitabilmente mi sentivo in sintonia con i suoi pensieri.

Adesso combatto per togliermela dalla testa, perché troppe volte l’ho messa al centro, ma ogni volta che guardo il cielo, mi ricordo della nostra notte al campo, sul Pick-up di mio padre a guardare le stelle. Io che le spiegavo le costellazioni e lei che stava ad ascoltare.
Non ci avevo mai portato nessuno, ma ho scelto lei perché stava diventando importante abbastanza da farle conoscere la mia vita in tutto e per tutto.


«Ehi Dylan» Megan si avvicina con il suo mini brasiliano, il quale le divide le natiche in maniera perfettamente regolare e con quel triangolino messo a casaccio, poiché non copre assolutamente nulla. «Ti va un bagno?» Ha un bicchiere di Mojito tra le mani ed ondeggia davanti ai miei occhi con fare provocante, mentre i capelli biondi le svolazzano da una parte all’altra. Mi porge una mano ed io mi metto in piedi.
In lontananza Clay, Gabe ed Ian mi incitano a proseguire, mi schiacciano gli occhi, mimano qualcosa, credo siano ubriachi. Scuoto il capo, mi spoglio della canotta bianca e prendo la rincorsa, per poi tuffarmi. Lei sghignazza dietro di me ed in punta di piedi si avvicina.
Le strappo il cocktail di mano e porto la cannuccia alla bocca. Sorseggio e glielo ritorno indietro.
«Perché mi hai rifiutata ieri notte?» Domanda mentre i suoi seni combaciano con il mio petto.
Sospiro. «Megan sono fottutamente innamorato» porto i capelli indietro, «fin quando questa cosa non cambierà, nessun altro entrerà nella mia vita» decreto.
«Non per forza dobbiamo legarci io e te» il suo dito si insinua sulle mie labbra, sfiorandole, «possiamo semplicemente divertirci un po’» sorride scoccando la lingua sul palato.
Potrei, ma non voglio. Purtroppo non riesco a cambiare la mia personalità, Dylan rimane sempre Dylan.
«Questa ragazza dev’essere proprio una stupida» strizza i lunghi capelli bagnati e poi mi fissa. «Tanto ci vedremo al college, ora che so che anche tu andrai alla Yale… non ti libererai di me» sogghigna sarcastica.


Il mattino seguente io e quegli sbandati dei miei amici stiamo dormendo su queste dannate sdraio, per niente comode. La luce del sole mi acceca, ma riesco facilmente ad alzarmi e testare la sabbia bollente. Corro da loro e li butto entrambi giù.
Le loro facce finiscono a terra e sobbalzano come delle molle.
«Murphy sei un pezzo di merda» Ian mostra un’espressione di dolore.
Scoppio a ridere ed osservo Gabe, che sembra ancora rincoglionito da ieri. Clay, invece, barcolla sulla sabbia e s’incammina silenzioso.
«Ragazzi mi sento un coglione» biascica Gabe.
Ian gli tira un orecchio, «forse lo sei!»
«Andiamo a fare colazione» dico facendogli cenno di seguirmi.
«Sì, giusta scelta… sto morendo di fame» commenta Ian alle mie spalle.
E così ci sediamo in un bar a sorseggiare del caffè macchiato,  seguito da delle uova al bacon. Gabe non fa che ripetere quanto sia fantastica Los Angeles, Ian quanto stia ancora crepando dalla fame, Clay sembra estasiato dal cibo ed io silenziosamente li ascolto. Ci sono già i miei pensieri che fanno un gran chiasso, senza neanche chiedere il permesso.

 
Angolo autrice.
Buonasera gente, attendo i vostri pareri come sempre. 
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 


POV DYLAN


Un’altra giornata comincia a Santa Monica. Il sole è alto. E’ mezzogiorno. Il mio stomaco brontola dalla fame e dopo essermela spassata in bici, insieme agli altri, giù al molo, ci fermiamo a mangiare un cheeseburger in un locale non molto distante.
Nel pomeriggio faremo un giro in barca, il padre di Gabe conosce molta gente qui, non a caso possiedono una villa con piscina e domestica, in cui alloggiamo noi.

«Dylan sul serio vuoi dirmi che non ti scoperai Megan?» Clay quasi si affoga con la Coca-cola.
«Sì, insomma… merita amico» rincara Ian.
«Ascolta» Gabe poggia i gomiti sul tavolo ed incrocia le dita delle due mani fra di loro, poi mi fissa attentamente «lascia stare Grace, adesso andrai al college…» sottolinea.
Clay mi punta un dito contro, «e dal momento in cui siamo insieme io e te non voglio che tu pensi ancora a lei» dice ammiccando.
Non capiscono. Se non ci sei dentro, non puoi capire. Nonostante tutto, però, hanno ragione.
«Ragazzi, voi state tranquilli» annuisco, «mi passerà, promesso» sospiro.
Sì, magari in un’altra vita.
Quando noto che una ragazza con i capelli mossi neri, mi scruta dal tavolo di fronte al nostro, sbuffo. Non ne posso più di trovarmi occhi fissati contro.
Continua così per tutto il tempo che trascorriamo lì dentro. Mangio, bevo, rido, ma quella ragazza non la smette di togliermi gli occhi di dosso. Ora capisco Grace, quando la osservavo e si infastidiva.

«Sta finendo questa fottuta estate» sbotta Ian, mentre i ricci che tiene sul capo si ribellano, finendo sulla sua fronte. «Voglio tornare al giorno dei diplomi» sbuffa esausto.
«Io… io voglio tornare al penultimo giorno di scuola, quando Felicia mi ha fatto un pompino» ride Clay. «Mostruosamente brava» continua a ridere.
«E allora se proprio dobbiamo dirla tutta, io tornerei al giorno dell’ultimo ballo della scuola. Me ne sono fatto due, non una… DUE» gesticola Gabe. «Dylan, tu?» Si fa serio subito dopo.
Mi massaggio il mento, sfiorando la barbetta leggera. Voglio tornare al giorno in cui Grace si è presentata a me, chiedendomi un’uscita. «Voglio tornare all’inizio dell’estate per non prendere la decisione di lavorare in quel campus… ma invece spassarmela con voi qui» stringo un pugno sul tavolo.
«Grande amico» mi dà una pacca sulla spalla Gabe.

Lasciamo il conto sul tavolo, seguito da una mancia e ci mettiamo in piedi. Sono l’ultimo ad uscire.

«Dylan? Dylan Murphy?» Una voce femminile riecheggia alle mie spalle.
Aggrotto la fronte e mi volto lentamente, «ci conosciamo?»
Lei porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, timidamente. «Non ti ricordi di me, lo capisco. I capelli sono più lunghi, il corpo di una donna, la statura molto aumentata» sogghigna mordendosi le labbra nervosamente. «Nei nostri giardini di casa ci siamo fatti le migliori giocate a palla, poi tu portavi i tuoi giocattolini maschili ed insultavi me e Beth perché avevamo le bambole» ridacchia.
Sgrano gli occhi. Non ci posso credere. E’ proprio lei in carne ed ossa.
«Judy Sullivan» sorrido estasiato. E’ cambiata così tanto dall’ultima volta. Aveva le treccine, le adorava da bambina, un vestito a pois bianco e rosso e delle scarpette da tennis che si illuminavano al buio. Quanto ha pregato affinché gliele comprassero.
La sua famiglia viveva accanto a noi, mio padre ed il suo erano grandi amici. Ricordo ancora i barbecue nelle giornate di sole e di quanto io, mia sorella e Judy fossimo entusiasti di spassarcela a giocare. Eravamo una squadra, solo che io a volte mi stufavo di loro e giocavo in disparte con i miei giocattoli. Abbiamo trascorso un’infanzia da urlo, fin quando si dovettero trasferire in Florida. Non la vidi più.
«Ti ho riconosciuto perché non sei cambiato per niente» annuisce, «sei qui in vacanza?»
«Sì, sono con degli amici» mi volto a guardare fuori dalla vetrata e mi accorgo di loro che fanno strani movimenti, insomma non molto carini. Sembrano dei pervertiti e non posso fare a meno di ridere. Judy se ne accorge e ride anche lei.
«Anche io, qualche giorno di questi ci vediamo… prendiamo una birra, ti va?» Sfrega i palmi delle mani fra di loro.
Porto i capelli indietro e le sorrido. «Sì, perché no… suppongo ci siano tante cose che mi sono perso» dico.
Accenna una smorfia, «sicuramente sì, salutami Beth… lei dov’è?» Corruga la fronte.
Ed ecco che riemerge Grace. Boccheggio per qualche istante e deglutisco.
«Lei lavora in un campus estivo non molto distante da qui» spiego grattandomi il capo.
«Ah, mi sarebbe piaciuto vederla» scrolla le spalle, «comunque ti lascio il mio numero» acchiappa dal bancone un fazzoletto e si sporge rubandogli una penna. Poi mi porge il tovagliolo. «Fatti sentire, se ti va» saluta con un cenno di mano e ritorna al tavolo.
Sventolo il fazzoletto con una mano ed esco fuori. Gabe, Ian e Clay mi saltano addosso.
«Pure il numero di telefono, uh-uh» commenta Ian portando un braccio dietro il mio collo.
«Coglioni è un’amica d’infanzia, ci sono cresciuto» rido scuotendo il capo.
«Meglio ancora» sottolinea Gabe.
«Gran bella ragazza!» Clay mi rivolge il gesto dell’ok e sorride con malizia. «La devi chiamare.» Sentenzia.
Barcollo a causa del peso morto di Ian che si sorregge da me e nascondo il fazzoletto in tasca.

Poco dopo, mentre i ragazzi si stanno rilassando nella piscina di Gabe, io mi prendo il sole sulla sdraio. E’ un orario in cui il sole cuoce sulla pelle, come se non bastasse il colorito che ho già acquistato. Quando avverto la suoneria del mio telefono, mi sporgo ancora ad occhi schiusi e con uno aperto e l’altro no, scorro con un dito sul display per rispondere.

«Pronto» sbadiglio, mentre con l’altra mano mi stuzzico l’ombelico.
«Deficiente» è mia sorella. «Cosa fai?» La sento malinconica.
«Sto beatamente prendendo il sole, ai piedi di una meravigliosa piscina» scandisco ogni singola parola.
Si schiarisce la voce, «ma perché non torni?»
«E’ escluso» decreto serio.
La sento sbuffare. «Non stai facendo cazzate vero?» Il suo tono s’incupisce.
Sospiro, «purtroppo no.» Dico. «Sai chi ho rivisto oggi?»
«Chi?»
«Judy Sullivan» sottolineo con una certa enfasi.
Lei si zittisce per qualche istante, «Judy treccine?» La sento ridere.
Faccio lo stesso anche io. «Esattamente!»
«Oh mio Dio… com’è?»
Osservo la piscina pensieroso, «bella, alta, magra» faccio tranquillo.
«Da trombare» urla Gabe dal bordo della piscina.
«Lui non tromba proprio nessuno» sapevo si sarebbe infastidita.
«Vabbè Beth, chiudo» strofino un occhio e respiro profondamente.
«Ti sento distante e questa cosa non mi piace affatto. Ciao.» Mi riattacca ed io rimango interrotto per qualche minuto.
Gabe mi fissa corrucciato.
«Ha riattaccato» scrollo le spalle.
Ci rimango male quando mia sorella se la prende per qualcosa di inesistente. E’ sempre stato così. Quando da bambini litigavamo, lei era la strafottente, io quello che per giorni ci ripensavo e volevo far pace, chiarire insomma.
E adesso sono sicuro che per giorni mi verrà in mente questo episodio, seppur di futile importanza. Beth è l’unica con cui odio discutere, perché per sistemare tutto poi so che dovrei impiegare troppo tempo, orgogliosa e presuntuosa come sempre.


POV GRACE


Sto facendo la valigia. Beth ha chiesto sul serio dei giorni ad Ethan. Con quel faccino pietosamente dolce e quella deliziosa vocina ammaliatrice capace di sedurre anche l’animo più duro al mondo, è riuscita a convincerlo. Alec verrà con noi a Santa Monica, come se volesse assistere dal vivo allo spettacolo, quando Dylan mi vedrà.
Raggiungo, quindi, i due fuori dal campus. Mi stanno attendendo, poiché un taxi ci porterà a destinazione. Quando metto piede fuori dal mio bungalow osservo a terra e mi trascino la valigia con un po’ di fatica. Scendo il primo scalino e poi soffio per spostare le ciocche di capelli davanti gli occhi. Il mio sguardo si sposta di fronte a me, dove Brian è posizionato, con le mani sotto le tasche del pantaloncino blu. Ha l’espressione da cane bastonato e sembra afflitto all’idea che io stia andando al mare.
Scendo senza preoccuparmi di lui e quando finiamo l’uno di fronte all’altro, respira profondamente.

Non parla e non lo faccio neanche io, così svolto a sinistra, proseguendo per la mia strada.
Aumento il passo e quando noto Beth ed Alec farmi premura dal finestrino dell’auto, scatto in una corsetta e porgo la valigia al tassista. Salgo affianco della mia amica e chiudo la portiera.

Un’ora dopo siamo in mezzo alla folla di gente in costume che passeggia per il molo. Il sole sta tramontando e ne approfitto per fare una foto. Poi ne scattiamo una tutti e tre insieme. Alec fa una faccia buffa, io sorrido e Beth esce la lingua.
«Fammene una così» dice lei mettendosi in posa. Alza una gamba, inclina il capo da una parte ed apre le braccia entusiasta. «Dai vieni qui… voglio fartene una» mi ruba il telefono di mani e mi segue in ogni passo. Credo abbia scattato almeno venti foto al minuto.
Alec non la smette di ridere osservandole. Così riprendo l’iPhone fra le mani e scruto fra il rullino. In alcune rido, in altre ho gli occhi schiusi, in altre ancora sembro una minorata mentale, ma non posso negare che molte sono talmente spontanee da piacermi.
«Non male» ghigno.
Beth respira a pieno ed alza il capo al cielo. «Avevo bisogno di respirare un po’ di aria nuova» fa una giravolta repentina.
«Ragazzi facciamo il bagno, adesso» sbraito mentre corro giù in spiaggia, in quel frangente sfilo la maglia gettandola sulla sabbia. Sbottonò i pantaloncini e corro in acqua non curante del brasiliano che indosso. Mi tuffo e l’acqua è tiepida.
Beth mi raggiunge subito dopo, mentre Alec impiega un po’ più. Lasciamo le valige fra la sabbia, sperando che a nessuno venga la brillante idea di fregarcele.
«Ragazze vi adoro» urla lui e si lancia a bomba in acqua.
Beth sghignazza abbracciandomi, «ti voglio bene» dice al mio orecchio.
«Anche io Beth» mormoro.

E così mentre il sole scompare lentamente alle nostre spalle, all’orizzonte, le nostre anime sono libere, leggiadre come piume al vento.
Per un nano secondo mi perdo fra le onde del mare, il fruscio, il vento leggero sul mio volto, i sorrisi del miei amici e non penso assolutamente a niente. Per la prima volta in tutta l’estate mi sento serena, lontano da tutte le cose negative che hanno rappresentato le mie giornate passate.


Usciamo dall’acqua solo mezz’ora dopo e sgattaioliamo per strada come dei veri e propri zingari.

«Cazzo che culo» qualcuno alle mie spalle, mentre indosso i pantaloncini fa questa vecchia e ripetitiva affermazione. Senza voltarmi alzo il dito medio, poi scompiglio i capelli umidicci, cercando di dargli una forma.
«Dylan!» Beth corre dietro di me con un sorrisone mai visto.
Ed ecco la sensazione di chiusura dello stomaco, dei vasi sanguigni, dell’apparato respiratorio. Rimango di fronte Alec senza muovermi, mentre lui mi mima qualcosa.
«Carino il tipo che ti ha fatto quel complimento» dice a denti stretti.
Fulmino Alec che se la ride e massaggio il viso con una mano.
«Che ci fai qui?» Dylan sembra seccato dal tono di voce.
«Avevamo bisogno di distrarci» dice serenamente la sorella.
«E così per cominciare vi fate il bagno nudi» commenta.
Non posso fare a meno di ridere.
«Beth, perché la tua amica non si volta?» Uno degli amici di Dylan parla con ton malizioso, a quel punto mi volto ed incrocio gli occhi di Murphy. Poi li socchiude con esasperazione e si mantiene quel clima di silenzio maledettamente imbarazzante.
«Ciao ragazzi» alzo tesa una mano.
Li conosco uno per uno, sono tutti ex compagni di squadra di Dylan.
«Mi dispiace l’affermazione» si giustifica Clay, grattandosi il capo. «Non avevo visto fossi Grace» accenna una smorfia con la bocca.
Dylan nel frattempo si massaggia il mento.
«Sono abituata a sentire commenti ignoranti» rispondo acida.
«Era un complimento» ribatte Clay ridacchiando. «Hai un gran bel culo» ripete.
Abbozzo un sorrisetto maligno, «peccato che non possa dire lo stesso di te» dico scattante.
Alec scoppia a ridere insieme a Beth. Dylan abbassa lo sguardo e poi si volta verso l’amico, che alza le spalle confuso.
«Ma dove alloggiate?» Domanda Gabe sfregandosi i palmi delle mani, l’uno contro l’altro.
«Stavamo cercando un albergo» dice Beth alzando i capelli in una coda alta.
«Ma quale albergo, ho tre stanze da me» applaude annuendo. «Ce la spasseremo ragazzi» aggiunge.
«Comunque, piacere sono Alec» dice il mio amico al mio fianco.
Dylan lo fissa ancora in cagnesco, mentre gli altri sorridono forzatamente.


Così ci fanno strada verso la loro villa, non molto distante. Mi sembra di entrare sul set di The O.C, in casa Cohen. Anch’essa ha una casetta in piscina, nella quale alloggerò solo io. Invece nelle camere sopra ci saranno Beth ed Alec. Sembra fatto apposta, isolarmi dal luogo del nemico, per impedirmi di vederlo spesso.
Sistemo la mia roba sul letto ed osservo il panorama intorno a me. Avrei voluto un soggiorno tranquillo, non so quanto lo sarà vista la gente che mi circonda.
Improvvisamente qualcuno bussa alla porta. Dico un flebile “avanti” e Gabe fa capolino dentro.
«Ti ho portato lenzuoli, asciugamani ed una dosa di pazienza» ride in seguito. «So che non vorresti stare qui, mi dispiace» sembra comprensivo.
Abbasso lo sguardo e bagno con la lingua le labbra. «Non preoccuparti, so adattarmi e se c’è da mandare a fanculo ancora meglio» cerco di trarre dell’ironia da questa situazione.
«Per cena ordiniamo una pizza… hai preferenze particolari?» Domanda inclinando il capo di qualche centimetro.
Scuoto il capo, «nessuna preferenza, mangio tutto» incrocio le braccia al petto.
«A dopo allora» saluta ed esce.


Mi spoglio dei vestiti ancora umidi e faccio una doccia calda.
Poi indosso un pantaloncino di jeans ed una felpa. Lascio i capelli bagnati ed esco anche io.
Raggiungo gli altri dentro, sono in un grande salone. Clay ed Ian su due rispettivi divani, Alec affianco di Beth sta friggendo delle patatine.
Gabe sta chiamando per la pizza e Dylan si mangiucchia le unghie, ormai talmente corte da renderle invisibili, poggiato al tavolo.
«Volete una mano?» Mi sfioro il naso con un dito e mi rivolgo a Beth.
Lei sorridente scuote il capo, è felice di stare con il fratello, ma quest’ultimo non molto.
Sicuramente il problema sono solo io.

Quando arrivano le pizze tutti si accaniscono su quei cartoncini per cercare la propria. Dylan si siede sul bracciolo del divano affianco di Beth che a sua volta è accanto ad Alec.
Io mi metto a sedere a terra ed il mio appetito è nullo. Nonostante ciò finisco la pizza, lasciando soltanto i bordi bruciacchiati.
«Giochiamo a poker» propone Gabe.
«Sì» biascica Beth con il boccone ancora fra i denti.
«Buonanotte ragazzi» getto il cartone nel cestino della spazzatura e salutando i presenti mi avvio verso l’uscita.
Noto lo sguardo di Dylan rattristirsi. C’è un minuto di silenzio.
«No, ma perché» dice Gabe.
Giro il capo, «ho mal di testa, buona serata» mi rifugio nella casetta e rimetto tutti i miei vestiti in valigia.
Non ho paura della solitudine, non ne ho mai avuta. Ho sempre pensato fosse un momento da viversi a pieno. Sono una persona abbastanza solitaria, non amo la confusione, i luoghi troppo affollati, mi piace avere intorno a me poca gente. Non mi farà del male trascorrere un po’ di giorni così, senza nessuno fra i piedi, o meglio, preferisco non esser d’intralcio a nessuno, soprattutto se la persona in questione è Dylan. Riesce straordinariamente a farmi sentire colpevole, anche quando non lo dovrei essere.
Così chiudo la valigia e sgattaiolo via. Attraverso il bordo della piscina ed osservo il mio riflesso, grazie alle luci che la illuminano intorno.
«Dove credi di andare» la sua voce mi stringe il cuore.
Sento quella terribile sensazione che odio: quando la gola si stringe e vorrei scoppiare a piangere.
Perché Grace non riesci ad apparire più la dura della situazione?
Un tempo ti veniva così semplice, nascondere le sensazioni, era facile nascondere un sorriso o un pianto disperato. Mi sento così maledettamente e fottutamente fragile, che mi prenderei a schiaffi fino a farmi svegliare da questo incubo.
«Vado… da qualche parte» sussurro tentennando.
Lui avanza verso di me, con le braccia incrociate al petto. «Perché?»
«Perché sei qui?» Dico di rimando, aggrottando la fronte.
Assottiglia lo sguardo, stringe le labbra e mi fissa. «Non lo so.» Scrolla le spalle.
Alzo gli occhi al cielo. «Non ti disturberò più, promesso» riprendo a camminare tenendo rigidamente il manico della valigia.
Ma la sua mano mi serra un fianco da dietro. «Non conosci nessuno» decreta al mio orecchio.
Mi volto ed incrocio i suoi occhi. «So essere socievole se voglio» sospiro.
«Rimani.» La sua voce sembra pregarmi. «Mia sorella è venuta per te» aggiunge.
«Lei è venuta per te» socchiudo le palpebre, «era chiaramente preoccupata» schiarisco la voce.
«E tu perché sei venuta?» Mi guarda negli occhi.
Sbatto le ciglia nervosamente, «forse perché volevo staccare, allontanarmi da una vita che sembra andarmi contro» la mia voce muta a causa del nodo alla gola, «ma le cose ti rincorrono anche quando ti allontani da un posto» acchiappo una lacrima all’angolo dell’occhio, prima ancora che ricada sulle guance.
Mi fissa apprensivo, «non ce l’ho con te, ce l’ho con me stesso» morde il labbro inferiore, mentre il mio trema e non riesco a trattenere le lacrime. «Perché non sono riuscito a dimenticarmi di te, nonostante Alexandra e perché sono stato con una persona senza un’apparente motivo» anche i suoi occhi si fanno lucidi.
Alza gli occhi al cielo e tira su con il naso.
«Mi dispiace» dico con voce flebile.
Lui torna ad osservarmi. «Ti dispiace per essere la cosa più importante della mia vita o per rendermi complicato ogni mio giorno?»
Non fiato, mi perdo nei suoi occhi.
«Pensavo fossi con Brian… pensavo avessi finalmente scelto lui» mormora con voce rauca.
«Non si tratta più di scegliere» scuoto il capo. «Lui crede che io sia innamorata di te» quelle parole mi fanno sentire strana, mi sento tremare le gambe.
«Non sei pronta» aggrotta la fronte, «per amare» conclude, per poi voltarsi. Fa qualche passo avanti.
«Forse amo più di te.» Sbraito esausta alzando le mani in segno di resa.
Lui si ferma.
«Ti amo Dylan.» Scoppio in un pianto disperato, liberatorio. I miei polmoni si riempiono di aria e mi sento crollare. Le gambe cedono ed io scendo lenta verso terra, sorreggendomi dalle gambe.
Nascondo gli occhi con entrambe le mani, poi altre due mi tirano su sorreggendomi le braccia.
Dylan sta piangendo. «Ridimmelo» deglutisce rumorosamente e boccheggia, mentre una lacrima si spinge violenta contro le sue labbra. Gliel’acchiappo, massaggiandogli il labbro superiore con il pollice. «Ti prego» sussurra.
Serro con entrambe le mani il suo volto, «ti amo terribilmente, perché con te non esistono giorni bui, perché mi sento protetta, perché sei il mio porto sicuro, perché so che voltandomi ti troverei sempre dietro di me a seguire la mia ombra» scandisco ogni singola parola, «ti amo quando mi guardi interrottamente, ti amo quando credi che io non lo faccia, ti amo perché sei arrivato e mi hai sconvolto i sentimenti» dichiaro.
Le sue labbra si allargano in un sorriso e le sue braccia mi cingono le spalle spingendomi contro di sé, avvolgo le mie alla sua vita ed alzo il capo per congiungere la mia bocca alla sua. E quando, dopo tutto questo tempo, mi bacia, mi sento rinascere. La sua lingua si intreccia alla mia lentamente, senza aggressione, come per godersi il momento. Le sue braccia si fanno spazio per stringermi i fianchi e le mie mani s’insinuano dietro la sua nuca.
Mi morde succhiando delicatamente il labbro e respira affannatamente.

«L’amore» una voce femminile dice alle nostre spalle.
Entrambi ci voltiamo confusi e quando notiamo tutta la combriccola fuori, divento paonazza, imbarazzandomi come una bambina.
«Siamo qui da un po’» dice Gabe.
«Nascosti lì» aggiunge Ian indicando un angolino al buio.  
«Mi sento in un programma televisivo» commenta Alec grattandosi il capo.
Scoppio a ridere e nascondo il capo tra l’angolo del suo collo e della sua spalla. Le sue braccia mi chiudono completamente a sé.

Probabilmente mi ritroverò a ringraziare la mia innata fragilità che al momento giusto è riuscita a fare esplodere ciò che le mie viscere detenevano  e custodivano segretamente.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Capitolo 9


POV DYLAN

Sta dormendo al mio fianco, il suo respiro non si sente neanche. E’ aggrovigliata al lenzuolo, le sue gambe nude sono raggomitolate ed è posizionata di fianco, di fronte a me.
La osservo, sorreggendomi il capo con una mano. Non posso crederci che lei sia qui con me. Abbiamo trascorso la notte a parlare e coccolarci, nonostante entrambi avessimo il desiderio di spingerci oltre. Poi si è addormentata fra le mie braccia e per tutta la notte ho fissato il soffitto, incredulo della situazione. Gli occhi hanno ceduto alle quattro del mattino, ma ora alle otto in punto, sono di nuovo aperti e vispi contro di lei.
Amo guardarla, in qualsiasi momento della giornata, in qualsiasi movimento, in qualsiasi situazione lei si cimenti. La seguo con gli occhi perché anche loro sono gelosi.

La sua bocca si schiude lenta, respira profondamente, strizza gli occhi e si sistema a pancia in su. Non si è ancora accorta di me che la fisso, altrimenti darebbe di matto.
Sogghigno al pensiero. Così mi metto in piedi, indossando un pantaloncino, ma quando sto per uscire dalla casetta, un cuscino mi arriva addosso. Mi volto e la noto sorridere, ha ancora gli occhi chiusi.
«Dove vai bel culetto» mugugna stirando le braccia, poi raggomitola le gambe e si rimette su di un fianco. Apre gli occhi perfettamente e mi osserva.
Mi avvicino e salgo a cavalcioni sul letto. Acchiappo un cuscino e glielo lancio in viso. Lei si ripara ridendo.
«Non sai fare di meglio» commenta provocatoria.
Così la spingo giù dal letto, la sento lamentarsi, mentre la osservo dall’alto. E’ sdraiata sul pavimento.
 Salta nuovamente su e mi viene contro, spingendosi sopra di me. Poi si blocca e poggia il mento sul mio petto. Mi scruta.
«Stamattina mi guardavi, vero?» Arriccia il naso.
Poso le mani sul suo sedere mezzo scoperto dal perizoma che indossa e sorrido estasiato.
«Sì» annuisco.
Accenna una smorfia e sbuffa, «non dormirò mai più con te» annuncia.
«Con il perizoma» aggiungo di rimando, abbozzando un sorriso sghembo.
Mi becco uno schiaffetto, mentre lei si siede al mio fianco con il broncio, la riprendo e la rigetto a peso morto su di me. So che è imbarazzata.
Avvicino le mie labbra alle sue, per un caldo bacio, che diventa subito dopo passionale. Ci capovolgiamo ed io finisco su di lei, mentre le sue mani s’insinuano dentro il mio pantalone, all’altezza del sedere. Proprio mentre io sto scendendo a baciarle il collo, il seno e di seguito il ventre, qualcuno bussa accanitamente alla porta. Mi blocco sbuffando, mentre lei si copre con il lenzuolo, facendomi cenno di andare ad aprire.
Così di controvoglia obbedisco. Clay ed Ian spuntano davanti lanciandomi un gavettone. Rimango esterrefatto, con gli occhi sgranati ed un sorrisetto confusamente amaro.
Sento Grace ridere a crepapelle, mi volto e la osservo, si sta tenendo la pancia. Rido malignamente ed avanzo verso il letto.
Lei scuote il capo, «no Dylan ti schiaffeggio» minaccia corrucciata, ma sta ancora ridendo.
Le serro una caviglia, trascinandola più giù, mentre si dimena. Poi la metto su di una spalla a mo’ di sacco e mentre mi prende a pugni la schiena, io mi faccio spazio tra i miei amici, che avranno anche loro la dose ripagata, e la lancio in piscina.
Sbraita e mi insulta dall’acqua, com’è solita fare. Porto le mani sui fianchi ed osservo, invece, gli altri due.
«Dylan non potresti farci niente, siamo due contro uno… lei è una femmina indifesa» commenta Clay.
«E poi ci vuoi bene» aggiunge Ian. Nel frattempo Grace è uscita dall’acqua, mettendo in mostra il suo fisico. Ha la pancia piatta, il seno tirato su dal reggiseno di pizzo nero e il perizoma dello stesso colore. Ian e Clay rimangono, ai bordi della piscina, interrotti sul suo sedere per qualche istante, così ne approfitto per spingere anche loro dentro.
«Ci hai preso alla sprovvista» urla Ian.
«Riguarda il culo della mia ragazza» ringhio assottigliando lo sguardo ed incrociando le braccia al petto. Poi rivolgo gli occhi su Grace. «Sistemati» sospiro malizioso.
«No» s’impone lei, rivolgendo le chiappe verso i miei amici.
«Ehi amico, adesso non è colpa nostra» commenta Clay, alzando le mani in segno di resa.
Abbasso il capo e rido. Sarà la mia rovina, ma amo quando non obbedisce.
Così scattante l’acchiappo e le stringo le natiche con le mie mani, capaci di coprirglielo.
«Uh» mormora lei osservandomi negli occhi.
«Possiamo sempre guardare quello di tua sorella!» Esclama Ian nuotando. «Mi sa che ha scordato che sta in una casa piena di maschi» aggiunge.
Le mie mani rimangono fisse sul sedere di Grace, ma i miei occhi si incupiscono e divento nervosamente geloso in un batter d’occhio. Mi distanzio bruscamente e corrucciato avanzo dentro l’appartamento.
Mia sorella sta ondeggiando e canticchiando davanti i fornelli. Ha addosso uno short inguinale ed una canottierina aderente bianca. Incrocio le braccia al petto e schiarisco la voce. Lei si volta e mi sorride.
«Buongiorno» dice entusiasta, poi porta la tazza con il caffè alla bocca.
«Beth qua siamo ospiti, cortesemente quando giri per casa fallo con una tuta per andare sulla Luna» decreto, ma l’affermazione fa ridere Grace, che al mio fianco nasconde la bocca con una mano, mentre Ian e Clay hanno un sorrisetto malizioso stampato in viso. Odiosi.
Mia sorella boccheggia per qualche istante, posa poi la tazza sul tavolo e corre di sopra, imbarazzata. Grace, nel frattempo, acchiappa la tazza, osserva dentro e lo porta alle labbra. Sorseggia e poi strizza gli occhi, disgustata. Lo allontana e mi fissa.
«E’ corretto» deglutisce rumorosamente.
Scuoto il capo e glielo prendo dalle mani, inalo l’odore e mi distanzio. «E’ impazzita» commento.
«E allora? Che si fa? Mare?» Gabe fa la sua entrata  in pantaloncini da costume ed un cappello di paglia. Smorzo una risata.
«Mi vesto e andiamo» Ian scompare dalle scale, Clay lo segue in silenzio.
Così rimango solo con Grace. La osservo aprire il frigo, uscire una banana, sbucciarla e portarla alla bocca. Non è proprio sensuale nei suoi atteggiamenti, ma rimango piacevolmente incantato a fissarla. Mastica come una bimba, si guarda intorno, canticchia con suono gutturale e poi quando si accorge di me, alza gli occhi e sbuffa.
«Che hai da guardare?» Abbozza una smorfia.
Sogghigno, scuoto il capo, «nulla.» In realtà ancora non ci credo. Molti potrebbero prendermi per scemo, insomma, così preso da una come lei, così immerso in questa situazione. E’ vero. Sono diventato un po’ scemo.
«Vado a vestirmi» sculetta fuori schiacciandomi un occhio ed io la seguo fino alla casetta in piscina.

Mi getto sul letto, mentre lei si rifugia in bagno. Osservo il soffitto e quando all’improvviso sento vibrare un telefono dal comodino, mi volto e noto quello di Grace. Mi sporgo spontaneamente ed il mio occhio è repentinamente catturato da quel nome “Brian Turner”. Lo leggo senza sfiorare il cellulare.

Probabilmente avrai scelto lui. Se una piccola parte di te crede ancora in noi, se una piccola parte della tua mente mi pensa e crede di amarmi, ti scongiuro… torna da me.
Non riesco a garantirti che non farò il possibile per convincerti che Dylan non è la persona giusta… Perché non lo è Grace. Prima di lui avremmo fatto invidia a chiunque.


Socchiudo le palpebre, respiro affannatamente, serro la mascella e stringo i pugni. Massaggio la fronte e ringhio. Ritorno con la testa sul cuscino, affondando il viso. Inalo il suo profumo che riesce a calmarmi in pochi secondi.
In quel preciso istante esce dal bagno, con addosso un bikini rosso.
«Non ti vesti?» Domanda.
Mi volto per osservarla, sta legando i capelli con una mollettina, mentre il resto li lascia ricadere sulle spalle. Annuisco con suono gutturale e mi metto in piedi.
Acchiappo il suo iPhone e glielo porgo, «messaggio» dico con tono severo.
Lei inarca un sopracciglio, mi fissa corrucciata e poi osserva il display. E’ seria. Suppongo stia leggendo.
«E’ Brian» ammette schiarendo la voce. Si avvicina nuovamente al comodino e lo ripone lì.
Sospiro e lei avverte il clima di tensione.
«Dylan… va tutto bene» scrolla le spalle.
Abbozzo una smorfia con le labbra, «non avevo considerato di dover fare i conti con la presunzione di Brian» incrocio le braccia al petto ed assottiglio lo sguardo.
Lei prende un lungo respiro. «Ho avuto la possibilità di scegliere» abbassa gli occhi ed armeggia con uno short di jeans che tiene fra le mani. «Tu sei andato via dal campus ed io sono rimasta sola con Brian» deglutisce. A quel punto ritorna a guardarmi. «Non sarei andata via di lì… se anche una piccola parte di me avrebbe voluto restare» annuisce.
«Brian è arrivato prima di me, ti ha fatta ridere prima di me, è stato tutto prima di me… e questa cosa mi farà paura sempre Grace» ammetto sincero.
Avanza e le sue braccia mi si allacciano alla vita. Poggia il capo sul mio petto e sospira.
«Ma io adesso dove sono?» Chiede con voce flebile.
Accenno un risolino, «qui.» Decreto.


POV GRACE

Sono distesa sulla sabbiolina che mi si appiccica dappertutto. La ritrovo fra i capelli, sulle braccia, negli occhi. Dylan è appena uscito dall’acqua, mi metto su sorreggendomi dai gomiti, mentre lui strizza il pantaloncino del costume, scompiglia i capelli circondando i presenti di goccioline di acqua fastidiose e si getta sul telo, al mio fianco.
Mi sorride e sospira, «ho qualcosa che non va?» Probabilmente i miei occhi lo fissano straniti, ma sono ammaliata dal suo fascino e dal suo modo di rendersi così bello, anche solo sbattendo le ciglia.
Mordo il labbro inferiore, «sì» acchiappo un pugno di sabbia e già ridendo in partenza gliela scaravento in testa, infine spalmandogliela per tutto il viso.
Ha gli occhi strizzati, un sorrisetto beffardo e la tipica aria di chi presto combinerà una strage. Così, senza neanche pensarci, mi metto in piedi e lui mi segue a ruota. Corro sghignazzando verso l’alto, percorrendo un attraversamento in legno. Mi dirigo verso gli spogliatoi e le docce, apro una porta a caso ed entro. Cerco di tenere la maniglia, mentre sono al buio, ma quando dalle troppe risate cedo la presa, lui la spalanca e mi fissa famelico. Indietreggio scuotendo il capo, mentre lui, al contrario, avanza sorridendo malizioso.
«E dai, scherzavo» singhiozzo.
Lui annuisce. «Io no» afferra la maniglia e chiude la porta. Ritorna nuovamente il buio intorno a noi.
Quando la sua mano, però, mi sfiora il ventre e poi il suo respiro si insinua sul mio corpo, riesco a capire quanto sia poco distante da me.
«Stewart» mormora con voce rauca.
«Murphy» sussurro, poi gli sfioro il volto.
Il suo corpo si incolla al mio, mentre le sue mani mi serrano la vita.
Avvolgo le braccia intorno al suo collo e mi lascio andare in un caldo e passionale bacio. Le nostre lingue si cercano lente, poi veloci, poi di nuovo lente. Entrambi sappiamo che non sarà solo un semplice bacio. Credo di aver resistito già abbastanza.
Quando la pressione aumenta, i battiti accelerano e la fibrillazione cresce, le sue mani mi sciolgono il laccio del costume, il quale scivola lento a terra. Mi accarezza il collo con una mano, per poi scendere sul mio seno. Lo massaggia, mentre riprende il bacio interrotto. Alzo una gamba involontariamente contro il suo bacino e con una mano mi stringe una natica, poi accarezza la coscia. Scioglie i laccetti del bikini e rimango completamente nuda contro la salsedine del suo corpo. Allaccio le gambe alla sua vita, mentre lui abbassa il costume.
«Ti amo» e mentre lo dice mi penetra voglioso.
Gemo accanitamente, poi serro i denti e mi scappa un risolino. Le sue labbra si insinuano sul mio mento e mentre le spinte aumentano gradualmente, mi godo dei baci senza eguali. Ansima sulla mia bocca e respira affannatamente.
Raggiungiamo entrambi l’apice del piacere, lui cerca di trattenere un gemito, mentre io mi lascio andare, noncurante di nulla. Esce subito e le sue mani mi serrano il volto, spingendo le labbra contro le sue. Mi stampa un tenero bacio ed un altro ancora in fronte.
«Vestiti, non voglio che qualcuno ti veda.» Sentenzia severo.
Cerco di riprendere fiato, ma sono ugualmente sudaticcia, stanca, ma soddisfatta e serena.
Credo di non essere mai stata talmente felice, da sorridere come un ebete anche dopo esser uscita di lì. Finalmente rivediamo la luce del sole, ma alla nostra uscita trionfante, una coppia di anziani ci osserva curiosi.
«Siamo giovani» alzo le spalle e poi scoppio a ridere.
Mi sembra di notare lo sguardo malizioso del marito, che dà un’occhiata d’intesa alla moglie, ma quest’ultima declina clamorosamente l’invito fulminandolo.
«Mi dispiace» Dylan fa lo stupido, mentre io trascinandolo per mano, lo spingo giù di lì.
Le nostre dita s’intrecciano e saltellando a causa della sabbia cocente, ritorniamo a destinazione.
Beth abbassa gli occhiali per osservarci bene, «che bello fare l’amore» scrolla le spalle e ritorna a prendersi il sole.
Inutile dire quanto mi imbarazzi questa circostanza, insomma i suoi amici ci osservano con malizia, neanche avessimo partecipato ad un’orgia. Per non parlare di Alec.


«E quindi tu e mio fratello, finalmente…» fa Beth, mentre i ragazzi proseguono più avanti.
Camminare sotto il caldo non è mai stato il mio forte.
«Beth sono felice» sospiro ed indosso gli occhiali da sole.
«E se lo sei tu, lo sono anche io» mi prende per mano ed io la stringo, «trattamelo bene, perché non riuscirei a sorriderti ancora e stringerti la mano, se lo facessi soffrire» m’intima.
Beth tiene anche a me, quanto una sorella, ma Dylan non è solo suo fratello, è l’unica figura di riferimento maschile. Dylan è colui che sa ci sarà sempre ed l’unico uomo che sa non potrebbe mai farla stare male. Sono legati da un filo invisibile, ma così retto bene, che non riuscirebbe nessuno a sciogliere. Credo di essermi presa una grossa responsabilità.

Poco dopo i miei occhi sono catturati dall’attenzione di una ragazza che gironza intorno ai ragazzi, prende la parola e sorride soprattutto a Dylan. Corrugo la fronte e quando Beth getta un urlo di eccitazione, mi si blocca il respiro.
«Judy Treccine!» Le corre incontro e l’abbraccia.
Ha i capelli neri corvino, lunghi, stirati. E’ alta, le gambe chilometriche senza neanche un filo di cellulite ed un sorriso mozzafiato. Le opzioni sono due: mi avvicino da pantera, come solo io so fare e mostro gli artigli; cammino silenziosa, mi affianco a Dylan e la fisso come una tigre fissa la propria preda.
Così avanzo e mi tengo distante. Sembrano tutti troppo presi dalla nuova conoscenza, persino Beth.
« Judy stasera dobbiamo uscire!» Esclama quest’ultima.
Lei sorride annuendo, ma non riesce a distogliere gli occhi dal mio fidanzato. «Certo che sì. Non vedo l’ora di sapere quante ne avete combinate in questi anni» sogghigna.
Gabe si accorge del mio sguardo, mi osserva ed abbassa il capo ridacchiando.
Lo fulmino e serro la mascella. Mi faccio spazio tra Beth e Dylan, allungo il braccio e le porgo la mano.
«Piacere Grace» mostro un sorriso.
Lei sgrana gli occhi e tentenna un po’ prima di stringermi la mano.
«E’ una mia cara amica» Beth passa una mano intorno al mio collo e mi abbraccia.
«Io sono Judy» annuisce distaccata.
Assottiglio lo sguardo e sospiro.
«Facciamo che più tardi ti chiamo e ci incontriamo, che dici?» Dylan sembra entusiasta.
Mi distanzio e mi affianco a Gabe ed Ian, che stanno fumando una sigaretta.
Sfilo dalla borsa un pacco di Marlboro rosse e la porto fra le labbra. «Accendete?» Così fa Gabe.
Poco dopo ci raggiungono anche i due fratelli, che parlottano tra di loro.
Mi avvio da sola, rimanendo quasi da sola. Getto, appena finita, la cicca a terra, calpestandola.

«Grace! Ehi!» Dylan mi acchiappa dal braccio ed io mi volto furibonda.
Lo osservo, «dimmi» sbuffo.
Arriccia la fronte e mi fissa di sbieco. «Tutto bene?»
«Certamente» respiro profondamente e riprendo il mio passo veloce, lasciandolo poco più dietro.


Mi rifugio nella casetta in piscina, mi spoglio di tutto ed avvolgo il corpo intorno un’ asciugamano per poi fare una doccia bollente. Nonostante l’estate ed il caldo, io non riuscirei mai e poi mai a fare una doccia gelata. E così rimango mezz’ora sotto il getto d’acqua.
«Stai facendo la doccia?» Dylan entra in casa. «Ti raggiungo» ridacchia.
A quel punto strizzo i capelli ed esco dal bagno, con solo l’asciugamano addosso.
Cammino scalza e mi sdraio sul letto.
Lui mi segue in ogni mossa, sembra sbigottito. Si siede al mio fianco, con soli i pantaloncini del costume e mi accarezza una gamba.
«Parla» mi ordina.
Smanetto con il telefono, fingendo di mandare un messaggio, ma subito dopo la sua mano lo acchiappa e me lo strappa via dalle mani.
Sbuffo ed osservo il soffitto. «Me lo ridai?»
Scuote il capo e sogghigna, «sei gelosa» si massaggia il mento e mi scruta con malizia.
«Levati dal cazzo, lavati» gli indico la porta del bagno.
«E’ un’amica d’infanzia» lo dice ridendo. «Calmati» sussurra.
Sobbalzo dal letto e lo fisso dall’alto. «Premettiamo che non sono gelosa» muovo il capo ondeggiando. «Secondariamente, sono dovuta intervenire io per le presentazioni… e Beth. Non hai mosso un dito.» Sbotto nevrotica.
Lui alza gli occhi al cielo, «Grace sul serio, non ce n’è motivo» ritorna a guardarmi.
«Dylan vai a lavarti» scandisco ogni singola parola marcandola.
Così lui si mette in piedi e da cane bastonato obbedisce, mentre mi lancia nervosamente il telefono addosso. Lo fulmino sbuffando, mentre lui si chiude in bagno.

Sono gelosa? Gelosia. Che strana parola. Mi sembra non conoscerla neanche, ma poi ripenso a Brian e la sua ex. Era anche quella gelosia?
Diciamo semplicemente che odio chi sfiora anche solamente con il pensiero ciò che è mio.
Quella ragazza guardava Dylan come probabilmente lo faccio anche io e no. E’ esclusa questa cosa. Che storia è? Nessun’altra può, eccetto io.

Credo di dar di matto. Sì, forse dovrei semplicemente rilassarmi, evitare questa ragazza e vivere la mia storia serenamente.
Ma come faccio? Come faccio a togliermi dalla mente l’idea di volerle tirare ogni singolo capello, fino a farla diventare calva?


Dylan esce dal bagno in asciugamano. E’ serio. Apre un cassetto e sfila un paio di slip indossandoli. Ha il capo abbassato. Passa una mano fra i capelli e poi scuote il capo.
Riesce a farmi passare, per un nano secondo, il nervosismo, ma poi, quando i suoi occhi cupi si spostano sui miei, il cane randagio che c’è in me riesplode.
«Hai intenzione di guardarmi come una iena per il resto della giornata?» Sbotta agitando le mani.
Incrocio le braccia al petto e deglutisco. «Sì.»
Annuisce ed indossando il costume a pantaloncino, va via dalla casetta.
A quel punto balzo giù dal letto e corro di fuori, lui sta camminando lento poco più in là.
«Ricordati di chiamare Judy» sbraito a gran voce.
Non si volta, ma il suo braccio si alza insieme al dito medio.
«Vai al diavolo Dylan Murphy» aggiungo ringhiando.
A quel punto si volta e stringe i pugni. «Che problema hai? Eh?»
«Sei il più grande degli stronzi» dico fuori di me.
Lui corruga la fronte, «ti stai dimenticando il tuo amico Brian!»
Boccheggio qualche istante, «che cazzo c’entra adesso Brian?» Urlo come una forsennata.
«Ti sei mai chiesta perché con te si litiga sempre, porca puttana?» Sbotta.
Assottiglio gli occhi. «Perché sono circondata da rincoglioniti» decreto.
«No, perché sei una pazza isterica nevrotica rompicoglioni!» Sembra esplodere.
«Non farti vedere mai più» rientro in casetta sbattendo la porta. Mi poggio su di essa e prendo un lungo respiro.




POV DYLAN

Rimango di fronte la piscina per una manciata di secondi, poi una voce femminile mi coglie alla sprovvista. E’ mia sorella.
«Dylan… che diavolo è successo?» Chiede sconvolta.
Non fiato.
«Credo vi abbiano sentito persino nel vicinato» aggiunge. Noto subito dopo i ragazzi sull’uscio della porta, sono confusi.
«E’ tutto apposto!» Esclamo andando via. Rientro in casa e mi dirigo verso il frigo. Prendo una birra, stappandola e portandola subito dopo alle labbra.
«E’ per via di quella ragazza giusto?» Chiede Clay posizionandosi al mio fianco.
Sospiro e non rispondo.
«Amico, sono donne, sono indomabili, sono gelose.» Sogghigna tranquillo.
Lo guardo. «Sai quanto sono stato geloso io per quel tizio?» Mi bagno le labbra con la lingua. «Ho sempre incassato, sempre. E adesso lei per un’amica d’infanzia sta facendo un casino» aggrotto la fronte accigliato.
«Almeno così dimostra che ci tiene, prendila così» sospira lui, incrociando le braccia al petto.
«Le ho appena detto che è una pazza isterica nevrotica rompicoglioni» abbozzo una smorfia con le labbra.
Clay ride con gusto, «l’abbiamo sentito tutti» annuisce.
«Grace non mi vorrà parlare come minimo per l’eternità» prendo un lungo respiro. «E’ terribilmente orgogliosa.»
«E tu terribilmente testardo, quindi le farai cambiare idea Dylan» mi da una pacca sulla spalla. «Se perdi Grace, amico… sarò costretto a provarci poi.» ghigna ironico.
Gli do una spinta con la spalla e rido insieme a lui.
«Pensate che Grace uscirà mai da lì dentro?» Alec spunta alle nostre spalle corrucciato.
Clay alza le spalle, mentre io sbuffo nervoso. «E’ colpa mia» scocco la lingua sul palato, «devo trovare un modo per farmi perdonare.»
Alec porta una mano su mento, con fare pensieroso. «Diciamo che non è una ragazza semplice da stupire» arriccia, poi, il naso.
«E’ semplice, ma complicata.» Mormoro con voce rauca.
Non ha bisogno mai di grandi cose, ma è terribilmente difficile riuscire a stupirla ed automaticamente farmi perdonare. Non servono regali né fiori, non servono scritte su di un muro, lettere o bigliettini. A volte non bastano neanche le parole, perché lei sicuramente con la sua voce squillante ed a volte terrificante, sorpassa la mia, eliminando ogni mia singolo tentativo di farmi perdonare.
E’ Grace e già questo è complicato.
«Prova a bussarle alla porta, intanto» propone Alec.
«Probabilmente ti aprirà e subito dopo ti sbatterà qualcosa in faccia» annuisce Clay.
Lo fulmino, «ora so che quando vorrò sentirmi una merda, chiamerò te» abbozzo un sorriso falso.
Lui scrolla le spalle ed accenna una smorfia.
«Vai, però… promettimi che nel frattempo… nel passaggio fra questa casa e quella non farai caso al contorno» Alec si gratta il capo imbarazzato, mentre i miei neuroni vanno già in palla.
Prendo un lungo respiro, metto con forza la birra sul tavolo e mi dirigo fuori.
«Amen» sento il mormorio di Alec alle mie spalle.

Quando mi trovo anche io non molto distante dalla piscina, riesco a notare mia sorella sghignazzare in acqua assieme a Gabe. Lui l’affonda,lei risale ridendo e facendo lo stesso con lui. Che scenetta divertente! Poi, la blocca con entrambe le braccia e la distrae osservandola dritto negli occhi. Momento cruciale.
«GABE» sottolineo.
Lui si volta sgranando gli occhi e molla la presa, «amico, tutto okay?» Nuota fino a bordo piscina e si aggrappa. Mi abbasso al suo livello e lo fisso.
«Smettila di fare il gallo con mia sorella» dico a denti stretti.
«Stavamo solo giocando» risponde a voce alta.
Beth così mi osserva infastidita, fulmino Gabe con gli occhi e lo mando al diavolo sottovoce. Mi dirigo verso la casetta e busso alla porta.

«Grace apri per favore?»
Nessuna risposta.
«Grace ti prego.»
Ed ancora una volta il silenzio.
Tutti intanto scompaiono di lì, lasciandomi solo.
«Sono stato uno stronzo, mi dispiace. Non puoi evitarmi per sempre.» Poggio una mano sulla porta.
«Che devo fare? Devo rimanere tutta la notte qui?»
«Almeno esci, dammi uno schiaffo, un pugno, ma almeno esci di lì.»
«Lo sai che non pensavo sul serio quelle cose, lo sai» sbuffo.
La porta si apre all’improvviso, lasciandomi di stucco.
Lei è lì di fronte, con il telefono in mano.
«Che stavi facendo?» Assottiglio gli occhi curioso.
«Nulla» risponde fredda. «Ho risposto al messaggio di Brian» schiarisce la voce e porta lo sguardo altrove.
Ed ecco che tutta la voglia che avevo di farmi perdonare, si trasforma in folle rabbia.
Serro la mascella e stringo i pugni. Così senza pensarci due volte le strappo il telefono dalle mani, scorro tra i messaggi e leggo ciò che le ha mandato.

Tu credi che io sia una pazza isterica nevrotica rompicoglioni?

La sua risposta non tarda ad arrivare, proprio nell’istante in cui ho il cellulare fra le mani.
Lei prova a riprenderlo, ma io mi volto dandole le spalle.

Credo che Dylan non ti conosca abbastanza per giudicarti.

Ho il respiro affannato, gli occhi vetrati e una rabbia cieca. Rispondo al posto suo.

Perché? Tu cosa diresti di me?

«Dylan per favore ridammi il telefono» dice lei parandosi di fronte a me.
Alzo gli occhi per incontrare i suoi. «Adesso stai zitta» ordino con voce tremante.
Ed ecco un nuovo messaggio.

Direi che sei un’arrogante, testarda, cazzuta, presuntuosa, egoista bisbetica viziata, ma poi ti direi che ti amo proprio per questo e se non fossi così, probabilmente saresti semplicemente una delle tante.

Detto ciò le lancio il telefono, «sentiti meglio, perché il tuo grande amore ha qualcosa di bello da dirti. Sei una stronza Grace e questo tuo lato di te non cambierà mai.» Sentenzio. «Se basta una sfuriata per farti finire di nuovo fra le sue braccia, allora scompari dalla mia vita, perché mi hai proprio rotto il cazzo.» Dico infine sfinito.
Lei socchiude le palpebre e non guarda il telefono, mentre io entro in casa per riprendermi la mia roba. Poi riesco, trovandola ancora lì davanti immobile.
Non so più se Grace sia la ragazza giusta per me. Il problema è che non decidiamo chi amare, non decidiamo noi quale sia la scelta giusta, perché le cose ti travolgono senza preavviso e senza spiegazioni. 


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Capitolo 10
 

Mi sveglio con la suoneria del mio telefono. Ho la testa che mi scoppia letteralmente e quel maledetto cellulare non vuole smetterla di squillare. Così sbuffando allungo un braccio fino al comodino e lo acchiappo. Apro un occhio e noto il nome di mia sorella sul display. Scorro il dito per rispondere.
«Giorno» dico.
«Buongiorno sorellina» sembra entusiasta. «C’è una bella notizia!» Finalmente, direi. Forse sarò contenta per qualcosa.
«Sentiamo» deglutisco.
«Domani Marcus e Kris si sposeranno, così all’improvviso» la sento ridere.
Scuoto il capo. «Sono pazzi» commento mettendomi a sedere.
«Sono seriamente sconvolta, Kris è sempre ben organizzata, fiori, abito, confetti, bomboniere… ed invece ieri sera sono spuntati a casa con questa notizia» blatera.
«A Brady non è venuto un colpo?» Ghigno.
Lei si prende un attimo per rispondere, poi avverto la voce di mio cognato e scoppio a ridere. «Dice che le sue donne rimangono sempre sue. Comunque sarà lui ad accompagnarla all’altare» sospira infine.
«Come mai?»
«Kris ha deciso così e poi non siamo certi che John riesca ad esserci domani» schiarisce la voce. «In ogni caso fate le valige, che si torna in patria» ride.
«Dimmi che non sono una damigella» socchiudo le palpebre.
«L’abito è bellissimo, giuro… l’ho scelto io.»
«Oh Dio mio» sbuffo. «Ma… con fate le valige chi intendi?» Corrugo la fronte confusa.
«Tu, Beth, Dylan… Brian» dice. «Marcus ha invitato alcuni suoi alunni, i ragazzi della squadra di basket» aggiunge.
«Questa è davvero una bella notizia!»
«Grace devi raccontarmi qualcosa?»
«C’è tempo» sussurro. «Lo vado a dire agli altri… e faccio la valigia» sospiro. «A presto Emi» riattacco.

Mi metto in piedi e mi osservo allo specchio. Ho delle grosse occhiaie, la faccia bianca per aver digiunato due lunghi giorni e sono priva di forze. Non vedo la luce del sole da quarantott’ore. Mentre loro pranzano, cenano e si divertono insieme, io me la spasso a letto, con la televisione ed i film d’amore più deprimenti della storia.
Dylan non si è più fatto vivo, Beth dice che è uscito con Judy, ma non ha idea di cosa sia successo. Mi ha lasciata, insomma. Mi ha lasciata così, molto facilmente.

Mi vesto con uno shorts di jeans ed una canottierina bianca. Indosso un paio di scarpe da tennis ed esco dalla casetta. In piscina non c’è nessuno, quindi saranno dentro.
Avverto le voci e le risate. Quando giungo nel salone, sono tutti spaparanzati sui divani e poltrone. Gabe e Beth sono distesi a terra. Solo Alec si accorge della mia presenza e si mette in piedi, venendomi incontro.
«Tesoro» mi abbraccia, «sta arrivando Judy» mi mormora a denti stretti.
Deglutisco. «Ciao a tutti» boccheggio nervosamente.
«Vuoi mangiare qualcosa? C’è insalata, ci sono panini, c’è persino la pasta di ieri… sai Ian e Clay si sono cimentati ed è venuta buona» Beth parla velocemente avanzando verso di me.
«Mangerò un boccone in aeroporto» annuisco abbozzando un sorriso forzato.
A quel punto Dylan si volta scattante. Beth mi fissa corrucciata, mentre gli altri attendono una spiegazione.
«Marcus e Kris domani si sposano… e diciamo che voi presenti siete tutti invitati» considerando che sono tutti compagni di squadra, eccetto Gabe.
Beth sorride. «Ah che bello» non sembra molto entusiasta, però.
«Beh, non per forza dovete partire tutti» sospiro scrollando le spalle, «in fondo è comprensibile, è stata una cosa improvvisa…» spiego, «io però sto andando, giusto il tempo di prendere le mie cose.» Gratto il capo.
«Tesoro, se vuoi parto con te…» annuisce Alec.
«Siete in vacanza, godetevela» gli rispondo con una pacca sulla spalla.
Quando suona il citofono Gabe corre ad aprire e pochi secondi dopo appare anche la cara Judy. Sembra intimorita dal mio sguardo e lo tiene piuttosto basso.
«Buone vacanze ragazzi» agito le mani in saluto, mi avvicino a Beth e l’abbraccio. «Non mi tradire, non tu.» Mormoro.
«Sei la mia Liz, sempre» mi guarda negli occhi e la vedo sincera.
Detto ciò, mi volto per andar via. Proseguo fuori e giungo nuovamente nella casetta, lasciando la porta schiusa.
Afferro la valigia da terra, la porgo sul letto ed infilo in maniera disordinata i miei indumenti. Ammetto di aver un nodo alla gola, ammetto di non sentirmi la Grace di sempre, quella che affrontava le cose serenamente, senza piangersi addosso. Mi manca la mia persona, quella che non aveva timore di affrontare la gente.
Una lacrima scende lungo la guancia e si posa sul mento, mentre la gocciolina tentenna prima di cedere e cadere giù su una canotta.
Deglutisco e socchiudo le palpebre.
«Forse siamo sbagliati» la voce possente e profonda di Dylan irrompe nel silenzio.
Serro la mascella e stringo le labbra. Mi volto ed incrocio il suo sguardo.
«Te lo dice Judy questo?» Domando mentre chiudo la valigia. Poi mi abbasso ed afferro lo zaino, infilando il restante delle cose.
Lui avanza. «Lo dico io» decreta. «Forse tu realmente hai bisogno di una persona come lui ed io di una persona…» lo blocco.
«Come Judy» annuisco. «Tutto chiaro» sogghigno amaramente. «Sai se avevi intenzione di provare a stare con lei, potevi semplicemente dirlo prima… mi sarei evitata tremila ansie, cattivi pensieri e colpevolezze inutili» sentenzio severa.
«Grace io non ci sto provando con lei, è una mia amica» dice, «in questi due giorni ho riflettuto, ho pensato tanto a noi due e sono giunto alla conclusione che forse siamo sbagliati, forse siamo troppo diversi e forse nessuno dei due è completo con l’altro.» Sento che fa fatica a pronunciare quelle parole.
«Io mi sentivo completa con te al mio fianco su questo letto» ringhio mentre il nodo alla gola si scioglie e comincio a piangere. «Mi sentivo completa con te dentro la cabina al mare» continuo singhiozzando. «Mi sentivo completa con la testa sul tuo petto, le mie dita intrecciate alle tue e la tua spalla intorno al mio collo» scuoto il capo. «Adesso ho capito che dovrò sentirmi completa solo quando sarò in pace con me stessa e soprattutto da sola.» Indosso gli occhiali da sole, alzo i capelli in una coda alta, acchiappo lo zaino portandolo alla spalla e dopo aver preso anche la valigia mi faccio spazio per uscire.
«Lasciatemi stare, lasciatemi stare tutti» sbotto andando via.
Dylan rimane dietro di me, ovviamente. Non fa un passo avanti ed io non mi volto per guardarlo. Avevo paura d’amare e forse non avevo neanche tanto torto.


Le ore in aereo proseguono veloci. Il mio arrivo a New York è trionfale. Mi era mancata la mia città, i lunghi grattacieli, le mille luci. Mi sento finalmente a casa.
Al mio arrivo, ovviamente, mi accolgono Brady ed Emily. Mia sorella sembra non vedermi da secoli, mi stritola ogni parte del corpo e sorride incessantemente.
«Quanto cazzo sei abbronzata» commenta mio cognato, mentre afferra la mia valigia.
«Los Angeles è come la ricordavo, assolata, piena di gente e rilassante» decreto, «ma ora sono a casa» scompiglio i capelli di Emily mentre proseguiamo fuori, salendo in auto.
«Brady ti sei fatto crescere i capelli» noto ghignando. Lui mi osserva dallo specchio retrovisore.
E’ buio, sono le dieci di sera ed il sonno si fa sentire, così mi appisolo sul sedile.

«Siamo arrivati bell’addormentata» urla Brady suonando il clacson.
La macchina si ferma di fronte casa. Io sbadiglio e stiro le braccia.
«Amore scendo a prendere Tom e Nic» Emily viene con me, mentre io saluto mio cognato.

Mia madre alla mia vista scoppia a piangere, neanche fossi tornata dalla guerra. Mi abbraccia e mi ripete “la mia bambina” tipo centomila volte.
Saluto i miei nipotini, i quali sono cresciuti in maniera esorbitante. Tom ha i capelli più corti di Nic, probabilmente è una delle caratteristiche che li contraddistingue. In più Tom ha la faccia più esile, rispetto a Nic che ha il viso rotonde e delle guance da prendere a morsi.
«I miei piccoli» gli lascio una serie di baci all’uno e poi li lascio nelle mani di Emily.
Osservo da dentro, come Brady esca subito dall’auto ed accoglie i suoi figli con baci a non finire. E’ un amore incondizionato. Poi li ripongono nei seggiolini dietro e noi chiudiamo la porta.

Ecco cosa significa casa, ecco il mio angolo di pace e serenità.
Chi l’avrebbe mai detto? Tempo fa avrei ucciso per sgattaiolare via di qui, ed invece ora sono così felice di essere a casa.
Mia madre, nonostante l’orario, mi ha fatto trovare pronto una sfilza di pietanze. Così mi metto a sedere sul divano, cibandomi della qualunque. Mio padre mi trova dimagrita, mentre mia madre piuttosto abbronzata. Si sa, non è stata un’estate fenomenale.

Dopo essermi riempita di pollo, patate e quant’altro mi rintano nella mia camera.
Avevo dimenticato la comodità del mio materasso, l’odore di casa e di bucato.
Quando sento vibrare il telefono, lo osservo notando dei messaggi. Beth chiede se io sia arrivata, Alec come stia ed infine Brian:

Sei in città?

Rispondo con un semplice “” e poco dopo arriva un altro messaggio.

E’ troppo chiederti di scendere un attimo? Sono qui sotto.

Cambio l’abbigliamento ed indosso il pantaloncino del pigiama, con una canotta annessa.
Infilo un paio di infradito e sciolgo i capelli. Scendo al piano di sotto, dove mia madre sta sistemando la lavastoviglie, mentre mio padre guarda la TV sul divano.
«Mamma sono qui fuori» dico uscendo.

Brian è seduto sul marciapiede di fronte, lo raggiungo e mi siedo al suo fianco.
«Sei venuta da sola?» Chiede osservandomi.
E’ da un po’ che non lo vedo e non nego che mi fa sempre un certo effetto.
Annuisco con suono gutturale.
«Pensavo venissi con il tuo ragazzo e la tua amica» sussurra, «non potrei pensare di lasciarti sola su un aereo, se fossi la mia ragazza» decreta.
«Brian se vuoi sapere come va tra me e Dylan, non ci girare intorno» sbotto roteando gli occhi.
«Perfetto, come va con Dylan?» I suoi occhi scrutano i miei.
Abbasso il capo, «c’è un’altra» mordo le labbra e socchiudo gli occhi.
Non piangere. Non piangere. Non piangere.
La sua mano mi accarezza il capo, poi mi alza il mento e si intrufola tra il mio collo e l’orecchio. E’ calda e ruvida.
Si avvicina posandomi un bacio su una tempia, mentre io deglutisco rumorosamente. Poi la sua fronte si poggia alla mia, senza fiatare. E quando il suo capo ondeggia lento, capisco l’antifona. Mi metto in piedi scattante ed osservo il cielo sopra di me. Lui fa lo stesso, parandosi di fronte a me.
«Com’è quest’altra?» Domanda con voce rauca.
Alzo le spalle, «spilungona, mora, magra… perfetta» annuisco. «Bella ragazza» aggiungo. «Pensavo di aver trovato il paradiso dopo l’inferno, ma evidentemente sono destinata all’inferno.» Balbetto.
Improvvisamente le sue mani mi spingono il viso contro il suo e le sue labbra si incollano alle mie. Poi ansimando si blocca, rimane poco distante dalla mia bocca, entrambe schiuse. Poi, animatamente, la sua lingua si cerca con la mia e le sue braccia si spostano sulla mia schiena, per poi infine attorcigliarsi intorno alla mia vita. Le mie, invece, sono sul suo volto. E’ un bacio talmente lungo da terminare con un collasso.

Quando si distanza da me ha il fiatone. Si massaggia il viso con entrambe le mani e spalanca gli occhi.
«Rinato» sussurra. «Perché non decidi una volta per tutte? Cosa ti manca?»
«Mi mancano le dimostrazioni» ammetto sincera.
«Ho fatto una marea di cazzate, ma sono pronto a rimediare» annuisce.
Abbasso gli occhi, «dopo l’estate io andrò al college e probabilmente sarà un nuovo inizio» mormoro. «Vado dentro Brian, ci vediamo domani» gli sfioro la mano e poi mi allontano.
«Non rinuncerò» mi urla.
Mi volto e lo saluto con un cenno di mano per l’ultima volta.



Un altro matrimonio. Non credo di reggere tutti questi felici e contenti, anche se è bello vedere due come Marcus e Kris convolare a nozze. Entrambi schizzati e per di più, lei incinta.
Sono nuovamente in piedi, con un vestito leggermente più carino del precedente, una particolare acconciatura, il trucco non troppo pesante ed i tacchi talmente alti da far un male pazzesco. Marcus è in piedi, in fibrillazione, sta attendendo l’entrata di Kris e quando parte la marcia nuziale si mettono tutti in piedi, guardando dietro. Brady e Kris fanno la loro entrata, mentre la piccola Lux dietro di loro lancia petali. Non riesco ad esprimere quanta emozione stia provando mio cognato al momento. Ha gli occhi che gli brillano ed un sorriso senza eguali. Kris ha un vestito piuttosto semplice per la donna che è, queste sì che sono sorprese.

Quando Brady la consegna al migliore amico, al vecchio adolescente, all’uomo che considera come un fratello, Marcus non capisce più nulla. La prende per il viso con entrambe le mani e le stampa un bacio. Tutti disapprovano in coro ed il pastore, conoscente di Marcus, scuote il capo abbozzando un sorrisetto. Kris scoppia in lacrime di gioia, poi si ricompongono e si affiancano. Brady si dilegua dando una pacca sulla spalla all’amico, mentre con una mano stritola un occhio. Tenerone.

La cerimonia si svolge al solito modo, emozioni su emozioni, pianti su pianti.
Brian non la smette di fissarmi ed io non la smetto di pensare tutto l’agglomerato, a quanto schifo faccia la mia vita al momento. Chi sa se Emily o Kris prima di essere così felici hanno dovuto affrontare tutti questi sbalzi d’umore, queste confusioni, queste ansie, queste paranoie. Ho baciato Brian e la mia testa continua a ripetermi che ho fatto una terribile cazzata, ma poi ripenso a Dylan, a dove sarà in questo istante, magari al mare, sotto un’ ombrellone, disteso su di un telo o in piscina con quella Judy. O magari saranno abbracciati, distesi su di un letto, magari anche quello della casetta in cui alloggiavo io. Questo mi corrode dentro.

Improvvisamente all’entrata appare lui, in smoking, accompagnato dalla sorella. Indossa un abito nero, semplice ed un particolare papillon rosso. Sistema la giacca ed il collo della camicia, per poi avanzare cautamente. Beth mi sorride e sistema la scollatura del suo abito giallo canarino. Si siedono agli ultimi posti ed osservano la fine della cerimonia, quando Kris e Marcus si scambiano le fedi ed infine il fatidico interminabile bacio.


Mi avvicino alla mia amica e Dylan si congratula con gli sposi. Beth è super emozionata, quasi come se fosse una parente vicina.
«Odio i matrimoni» arriccia il naso scuotendo il capo.
Sorrido e sposto una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Questa è stata una super sorpresa» dico entusiasta.
«Volevo esserci e poi…» si volta verso il fratello, «Dylan ha insistito» morde il labbro inferiore.
Corrugo la fronte, «ah, sì?» Domando sorpresa.
Lei annuisce con suono gutturale, «ci tiene al suo coach» quelle parole mi trafiggono il cuore, ma non posso credere che sia qui solo per il matrimonio o perlomeno non voglio crederci.
Cosa siamo mai stati noi, allora, per tutto questo tempo?
«Tu lo ami, lo ami terribilmente, perché lo respingi?» Sbotta subito dopo sbuffando.
La osservo con occhi sinceri, «Brian mi ha baciata» abbasso lo sguardo.
«Ecco, ci risiamo… Brian ti bacia e  tu dai di matto.» Rotea gli occhi. «Io lo so. So che tu ami Dylan.» Gesticola furibonda. «Prenditelo per sempre, prima che sia troppo tardi. Adoro Judy, è una vecchia amica… ma tu… tu sei la mia migliore amica, sei la mia Liz. Sei la sua Grace e questo non potrà cambiarlo nessuno!» Marca ogni singola parola.
Si può amare un’amica? Oh sì che si può. Io amo la mia migliore amica.
L’abbraccio improvvisamente e lei mi stringe a sé. «Testona» mormora.
Sogghigno.

Osservo, subito dopo, Dylan proseguire verso di noi, con passo lento. Ha la mascella serrata e lo sguardo piuttosto sereno, ma quando s’incrocia con Brian sembra mutare tutto. Entrambi si fissano dritti negli occhi, l’uno scruta l’altro e sembra uno scontro, ma Brian non fa nessuna mossa azzardata. Ciò mi stupisce. Gli fa un cenno con il capo e poi si volta ad osservarmi. Dylan, invece, accenna un sorrisetto beffardo e scuote il capo.

«Beth vieni in auto con me?» Chiede alla sorella.
Quest’ultima si volta ad osservarmi, «Grace viene con noi» decreta.
«Liz vuoi venire con me?» alle mie spalle parla Brian.
Dylan bagna le labbra con la lingua e boccheggia per qualche istante.
«Vado con i miei» declino entrambi gli inviti e sbuffo.
Dylan si fa strada per uscire e Beth lo segue,  mentre Brian non si muove di mezzo centimetro.
«Brian vado con i miei!» Lo guardo in cagnesco.
«Stavo solo guardandoti» sorride e scrolla le spalle, «ci vediamo lì» stringe le labbra e si dilegua.

Amen.


Arrivati in sala c’è già allestito un gran bacchetto ed io mi getto immediatamente sull’alcol.
Bevo i primi tre aperitivi e poi mi aggrego alla mia amica, nel giardino fuori.
«Ho bisogno di una sigaretta» sussurro.
Beth si volta con il bicchiere ancora mezzo pieno, «Grace questo che numero di bicchiere è?» Chiede accigliata.
Le mostro il numero quattro con le dita ed assottiglio gli occhi.
Beth me lo strappa dalle mani e lo svuota sull’erbetta. «Ubriacati in un’altra circostanza, ci sono i tuoi parenti qui» m’intima.
Mi guardo attorno ed incrocio le braccia al petto. «Quando finisce questa maledetta estate? Voglio scomparire.» Osservo il cielo sopra di me, sta per imbrunire.
«Dylan sarà al college con te, se te lo fossi scordata» dice lei.
Piagnucolo scuotendo il capo, «come sopporterò questa situazione?»
«L’amore non si sopporta, l’amore si fa!» Esclama aggressiva.
Sgrano gli occhi spaventata.
«Ma scusa… non tornate a Los Angeles?» Corrugo la fronte.
Lei scuote il capo, «tra qualche giorno tornano anche gli amici di mio fratello, Judy verrà a trovarci per qualche giorno e starà a casa da noi» sospira poi.
«Bello!»
Mi osserva di sottecchi, «raccontala a qualcun altro.»
«Bè, io direi che con Dylan sia una storia chiusa, lui non ne vuole sapere e quindi potrei anche frequentare altra gente» penso ad alta voce, «o magari nessuno.»
«Ti complicheresti soltanto ancora di più la vita» borbotta lei.
La guardo. «Quindi cosa proponi di fare?»
Lei osserva Brian, «per prima cosa sbarazzati di lui» decreta, «una volta per tutte.»
Sposto anche io gli occhi su di lui, che sorseggia champagne mentre discute con mio cognato.
«Ma tu invece? Ho visto un certo feeling con Gabe» sorrido.
Lei scrolla le spalle, «ho visto del feeling con Ethan, con Gabe… ma onestamente non voglio iniziare nessuna relazione.» Sospira. «Non ho tempo per questo e poi tu e mio fratello mi avete fatto passare la voglia» ghigna subito dopo.
Inclino il capo da una parte, «non ti lascerai mai andare giusto?»
«Chi lo sa» conclude ingoiando l’ultimo sorso dell’aperitivo.

Ceniamo abbuffandoci della qualunque. Sono seduta al tavolo con i miei genitori ed altri parenti di Marcus. E’ davvero soffocante questo luogo, così dopo aver finito il secondo mi metto in piedi ed avanzo verso Brady, che sta in piedi nel giardinetto con la sigaretta alla bocca.
«Dai, condividi» gli do una gomitata e lui sbuffa. Sfila il pacchetto dalla tasca insieme all’accendino e me li porge.
«Nasconditi però» m’intima.
«Sì, capo.» La porto alla bocca e l’accendo, ritornandogli il materiale.
«Allora bimba? Come procede?» Chiede osservando il cielo.
Sospiro, «Brady… per favore» sussurro. «E’ tutto così complicato» getto il fumo fuori dalla bocca.
«Tu sei solo convinta di amare entrambi e questo ti fotte» sentenzia, porgendomi il suo sguardo. «Non è una cosa possibile, fidati… non potrei amare nessun’altra donna all’infuori di tua sorella.»
«E se avessi una figlia?» Ironizzo.
Lui ride, «amerei mia moglie e mia figlia ed i gemelli, ovvio. Intendo che tua sorella sarà l’unica donna per la quale farei di tutto, sempre.» Dice deciso.
«Comunque Dylan non mi vuole, quindi non è importante ciò che penso io» scrollo le spalle.
«Hai già detto tutto» scoppia a ridere, «a volte voi donne siete davvero cretine» passa una mano fra i capelli.
Lo osservo confusa.
«Hai subito pensato a Dylan… di che stiamo parlando piccola?» Mi accarezza il capo con tenerezza.
«Io e Brian ci siamo baciati» sgancio la bomba.
Lui non sembra sorpreso, «credi che non lo sappia?» Domanda. «Sai perché l’hai baciato? Perché volevi fare un dispetto a Dylan, voi fate così.» Ridacchia.
Deglutisco. «Ma se Dylan neanche lo sa!» Mi scaldo.
«Non c’è bisogno che lo sappia, tu l’hai fatto per te stessa… come se fosse un riscatto.» Scuote il capo ridendo. «Brian è così innamorato che non lo capirà mai» annuisce poi.
Sbuffo, getto la cicca a terra e la calpesto con il tacco. Poi incrocio le braccia al petto.
«E’ bello l’amore da giovani, è bellissimo… goditelo» mi pizzica una guancia e poi entra dentro facendo un gran boato: “VIVA GLI SPOSI!”
Mio cognato è matto da legare.


Sono corsi persa nei miei pensieri che non mi accorgo di Dylan che cammina lento fuori dal giardino, lo seguo di nascosto e lui non se ne rende conto. Si avvicina al posteggio e si affianca alla sua auto, poi porge gli occhi al cielo. Faccio lo stesso ed osservo la luna piena.

«Non mi seguire» decreta con voce rauca.
Porca puttana.
«Hai baciato Brian» sussurra.
Oh merda. Mi ha sentita. Dove diavolo era?
«Porca puttana, sono un coglione» tira un calcio al cerchione della sua auto ed i suoi capelli si scompigliano. Si volta e mi fissa. «Non ho fatto un cazzo con Judy perché ti pensavo costantemente. Ha provato a baciarmi credo cento volte ed improvvisamente comparivi tu e quindi si bloccava tutto» spiega nervoso, «ma tu… tu baci il motivo per cui tutto va una merda. Tu l’hai baciato Grace!» Sta piangendo, non ci posso credere. «Vorrei non averti mai conosciuto. Vorrei che quel giorno a scuola avessi declinato il tuo invito. Vorrei non esser mai diventato amico tuo. Vorrei non averti mai dato un bacio, mai una carezza, mai nulla.» Sbraita sgolato. «Vorrei che tu per me non sia assolutamente nulla» porta le mani al capo. «Mi stai facendo diventare pazzo.»
Avanzo verso di lui e gli blocco i polsi con entrambe le mani.
«Non provare a baciarmi, Grace» sussurra.
«Cosa vuoi che faccia?» Chiedo mentre mi tremano le labbra.
Mi guarda dritto negli occhi. «Voglio che scompari per sempre dalla mia testa, dal mio cuore, dal mio sangue, da ogni parte di me stesso, dalla mia vita.» Sembra sfinito.
«Io… io ti» mi tappa la bocca con una mano.
«Non ti permettere» ringhia.
Socchiudo le palpebre, mentre lui lascia la presa.
«Dylan io ti amo.» Decreto. «Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo» ripeto ad occhi chiusi.
«Io non voglio amarti più, non voglio. Non mi va. Stare con te è come imbucarsi in un labirinto, senza sapere mai che strada prendere e dove mi porterà» sospiro.
«Non si decide chi amare, cazzo.» Strizzo gli occhi. «Non puoi decidere di non amarmi più» gli do uno spintone.
Quando sentiamo dei passi alle nostre spalle, ci voltiamo e Brian è lì parato di fronte a noi.
«L’unico coglione qui, sono io» ride amaramente, «pensavo di potertela strappare dalle braccia, pensavo di poter sistemare le cose, ma ora mi sono reso conto che non c’è niente da sistemare… perché il problema non sono più io.» Parla con calma. «Lei non vuole me, lei non vuole che io cambi per lei, non vuole che le dimostri quanto io sia pazzo di lei. Non vuole sapere cosa farei ancora per lei. Lei vuole te, vuole dimostrazioni da te, vuole essere capita da te, vuole la tua protezione, vuole il tuo amore.» Nasconde le mani nelle tasche del pantalone. «Sai Dylan, ti ho odiato e ti odio tutt’ora… perché la mia piccola, non è la mia. E’ la tua, senza che tu te ne renda conto. Non importa quanto lei litighi con te, sarà sempre tua… non importa un mio bacio, un mio messaggio... lei penserà sempre a te.» Abbassa gli occhi. «Ti odio perché mentre tu potrai sempre farti perdonare, io non potrò farlo più. Tutti credete che lei sia stata innamorata di me, credete che sia stata il primo ad averle fatto battere il cuore…» incrocia i miei occhi, «ma ti sei chiesto da chi andava quando voleva piangere o sfogarsi? Ti chiedi chi è stato il suo miglior confidente? Sei stato tu a farle battere il cuore per primo… io probabilmente ero una semplice infatuazione, sai… il cattivo ragazzo, quello che ti da del filo da torcere, quello con la battuta pronta, quello che ti sfida… non quello per cui avrebbe perso la testa.» Parla sincero, credo di non doverlo contraddire. «E’ maturata. Lo sai perché? Perché ha capito che non basta essere belli, è importante il contenuto e mi dispiace che io sia stato così stupido da non averle dato assolutamente nulla. Congratulazioni Dylan, ti odio, ma ti stimo perché hai saputo fare ciò che io non sono riuscito a fare e temo che dovrò ringraziarti un giorno, perché mi hai insegnato a corteggiare una donna, mi hai insegnato a controllarmi nelle situazioni in cui vorrei solo prendere a pugni qualcuno, mi hai insegnato che con la violenza e la presunzione non si arriva da nessuna parte, mi hai insegnato a fare un passo indietro e non sentirmi il Dio dell’Universo. Se un domani tornassi qui a New York, spero di farlo con qualcuno di cui sono perdutamente innamorato e giuro che sarai il primo a conoscerla.» Detto ciò avanza verso di lui e gli porge la mano. Dylan è perplesso, sorpreso, incredulo, insomma senza parole. Gli stringe la mano e tira un sospiro.
Poi Brian si avvicina e mi sorride. «Mi ero fatto una promessa, dopo l’altra sera… se non fossi riuscito a farti mia entro stasera… sarei andato via di qui il giorno dopo. Mi arruolo nell’esercito.» Sbatte le ciglia più volte. «Buon inizio al college, divertiti e diventa chiunque tu voglia essere. Ci rivedremo, un giorno… promesso» mi accarezza il viso dolcemente ed io scoppio in lacrime.
Mi avvinghio a lui abbracciandolo, mentre singhiozzo. Mi stringe ed affonda la testa nell’incavo fra il mio collo e la spalla.
«Meriti quest’amore.» Mi sussurra all’orecchio.
Poi mi lascia e si dilegua, tornando in sala.

Dylan non dice una parola, inizialmente. Ha lo sguardo perso ne vuoto, è interrotto.
«Ho bisogno di tempo» mormora poi.
Non fiato. Avrà il suo tempo.  


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


Capitolo 11
 


Loving can hurt, loving can hurt sometimes
But it's the only thing that I know                                                                                                   
When it gets hard, you know it can get hard sometimes
It's the only thing that makes us feel alive


E’ strano pensarmi così, su di un letto, con le cuffie alle orecchie, la notte buia e il mio respiro lento, quasi impercettibile. E’ strano vedermi così, con il cuore sgretolato.
L’amore fa male. L’ho imparato, una volta per tutte. Amare non è per niente semplice, soprattutto per una come me, che ha sempre messo se stessa in primo piano. Non è semplice gestirmi, gestire me e le mie emozioni del cazzo.
Sbaglio continuamente e non so se questa cosa cambierà mai.
Sicuramente non ho mai amato nessuno come ora, non ho mai onestamente capito cosa significasse tenerci a qualcuno a tal punto da sentirsi completamente vulnerabili senza.
Non so se Dylan cambierà idea e non so neanche se mi ama ancora o se addirittura vince l’orgoglio, mandando tutto a puttane. So che è notte fonda, non ho affatto sonno e presumo passerò l’intera nottata così, a fissare il vuoto.

Imparerò dai miei errori.

«Grace!» La voce di mia madre irrompe nel mio sonno. Ho chiuso occhio alle sei del mattino e lei alle otto in punto funge da sveglia.
Mi lamento e copro il volto con il cuscino.
«Stiamo andando dai nonni, perché non vieni?» Sul serio vorrebbe buttarmi giù dal letto?
Mugolio e scuoto il capo. Mi fa tremila raccomandazioni, dice che torneranno in tarda serata e scompare. Casa è vuota ed io mi metto in piedi, trascinando i piedi fino al piano di sotto.

Proprio quando sto per bere il caffè, suona il telefono. Lo acchiappo e rispondo:

«Pronto?»
«Sono Beth, c’è Grace signora?»
Schiarisco la voce, «è uscita di casa, lasciando un biglietto “mamma voglio farla finita”» ironizzo, sperando lo capisca.
«Cosa?» Il suo tono appare perplesso.
Sorseggio il caffè, poggiata al tavolo e ghigno. «Volevi dirle qualcosa?»
«Sì, volevo dirle se… se mangiava da me a pranzo» balbetta.
Scoppio a ridere, «mi vesto e arrivo imbecille.»
«Ma sei proprio una cretina» sbotta a gran voce.
Ingoio il caffè, «io? Forse tu…» corro al piano di sopra, mettendola in vivavoce.
«Insomma, stavo già uscendo per venire a cercarti!»
«Bene, ti ho messo alla prova» rido aprendo l’armadio.
«Ma poi, diamine… hai la voce di tua madre» è incredula.
«Sei tu ad essere rincoglionita» sbuffo, gettando sul letto un paio di shorts di jeans ed una canotta. «Comunque se mi fai lavare e vestire vengo, quindi riattacco.»
«D’accordo, a dopo» riattacca.

Faccio la doccia e dopo venti minuti sono fuori. Mi vesto ed asciugo i capelli, lasciandoli mossi. Sono ricresciuti parecchio. Niente trucco, metto in borsa le chiavi, il portafoglio e varie cianfrusaglie, per poi uscire.
Prendo un bus che mi lascia di fronte casa sua e non appena sono lì, rimango interrotta.
Dylan sta lavando l’auto fuori dal garage. E’ a petto nudo, i capelli scompigliati e la radio accesa. Sta passando Photograph di Ed Sheeran ed è proprio in quell’istante, mentre fischietta, che i suoi occhi incrociano i miei. Fa un cenno con il capo e ritorna alla sua auto, ma io so che non sta pensando affatto ad essa, lo conosco.
Così, percorro il vialetto lenta e visto che la porta di casa è schiusa busso cautamente per poi entrare. La madre di Beth sta facendo le pulizie, ha un panno fra le mani ed uno spray per mobili. Mi sorride e corre ad abbracciarmi.
«Buongiorno cara» saluta entusiasta, mentre la cagnolina agita la coda incessantemente.
Ricambio il saluto ad entrambe, con altrettanta euforia, mentre dalle scale compare la mia amica. Ha il viso completamente nero, sgrano gli occhi e scoppio a ridere.
«Sto facendo la maschera» parla a denti stretti, «non posso muovere il viso» trattiene una risata.
«Fantastico» poso la borsa sul divano e la osservo compiaciuta.
«Non fare la stronza, vedi che funziona» continua.
«Non fiatare, ti vengono le rughe e diventi una cessa» sorrido beffarda.
Risponde con il dito medio e poi corre di fuori, la seguo. «Ti devo dire una cosa» sussurra.
Rimango in silenzio, attendendo.
Mi osserva, «stanotte mi sono alzata per bere un sorso d’acqua e l’ho sentito parlare al telefono e così ho origliato…» dice.
Annuisco.
«Parlava con un suo amico e diceva che presto sarebbe andato via di qui, che non ce la fa più a vederti ogni giorno… poi ha continuato dicendo “sì, lei potrebbe piacermi anche, ma non è lei”» sospira, «credo parlasse di Judy, che tra l’altro verrà in questi giorni e non so bene quando» aggiunge.
«E’ una cara ragazza, ti piacerà» la madre ha origliato e spunta alle mie spalle come un fantasma, sussulto e mi volto a sorriderle falsamente.
Beth abbassa il capo imbarazzata, quando lo rialza fa una smorfia e le si riempie la maschera di piegoline.
«Adesso avrai senz’altro le rughe» le scompiglio i capelli e rido.
Sbuffa e corre dentro. Si chiude in bagno e dopo cinque lunghi minuti esce con il viso pulito. «Vedi?» Mi mostra il volto, accarezzandolo. «Miracolosa» commenta.


All’ora di pranzo sono casualmente seduta di fronte a Dylan. Incrocia raramente il mio sguardo e non capisco mai bene cosa voglia dire, magari nulla, magari tanto.
«Beth, io devo correre a lavoro, faccio la notte… sparecchia e metti tutto nella lavastoviglie.» La signora si alza da tavola e corre al piano di sopra, ricomparendo poco dopo con la borsa. Saluta ed esce.
«Dylan sparecchi tu» ordina la sorella.
Lui la fulmina, «non se ne parla, mamma ha parlato con te» sogghigna mentre prende la cagnolina fra le braccia.
«Senti non fare lo stronzo dai, noi dobbiamo fare una cosa» mi guarda ammiccando, mentre io rimango impassibile.
Dylan la fissa di sottecchi, «non mi interessa Beth» sbuffa mettendosi in piedi.
Prende il telefono fra le mani e lo fissa.
«Ma cosa avrai sempre con questo telefono» Beth glielo strappa di mani e quando probabilmente legge qualcosa di strano, alza le sopracciglia e schiude la bocca.
Dylan lo riprende e lo mette in tasca, «verrà oggi, te l’avrei detto» si giustifica lui.
Beth mi osserva e poi sposta lo sguardo sul fratello, «mi metti in difficoltà Dylan, porca troia» sbotta.
Mi metto scattante in piedi e capisco l’antifona. Judy arriverà a momenti ed io sono il problema. Mi avvicino al divano, nel quale ho lasciato la borsa e la porto alla spalla.
«Tolgo il disturbo» sbuffo nervosamente.
Dylan avanza, «Grace non c’è bisogno» non mi aspettavo parlasse. «Judy ti conosce» mormora.
«La conosco anche io e sai una cosa?» Lo fisso in cagnesco. «Non mi nascondo più, okay? Non posso osservare la persona di cui sono innamorata, che non è mio, fare il cretino con un’altra perché onestamente non ci starei niente a prendere lei per i capelli e te a calci nel culo!» Sono così arrabbiata che le parole escono furiosamente da sole, velocemente, aggressivamente e liberamente. Credo di essermi persino accaldata.
Beth da dietro ha abbozzato un sorrisetto, mentre incrocia le braccia al petto.
In quell’istante bussano alla porta. Bene, perfetto.
Dylan si avvicina e la apre. Judy le salta al collo, io scocco la lingua sul palato ed osservo il soffitto sopra di me. Beth mi si affianca e dopo il lungo saluto a Dylan, si accorge della mia presenza. La guardo come guardo chi si sta prendendo l’ultimo boccone dal piatto, che in realtà dovrebbe essere mio.
«Ciao Beth» le da due baci in guancia. «Ciao» mi saluta.
«Ciao» dico con le braccia conserte ed il tono nervosamente serio.
Dylan entra con una valigia, socchiudo le palpebre e sospiro.
Spero stia scherzando. Quanto diavolo pensa di rimanere?
«Dove le lascio le mie cose?» Domanda sorridente, rivolgendosi al fratello e la sorella.
Beth alza le spalle, «onestamente è stata una sorpresa, quindi adesso Dylan penserà a trovarti una postazione…» sembra infastidita, stranamente. Da una strana occhiata al fratello, mentre lui arriccia il naso.
«Dormi nella mia stanza» kaboom. Vorrei schiaffeggiarlo, ma mi limito a fissarlo.
Perché mia mamma mi ha fatta così aggressiva?
Judy è contenta, e certo che lo è. Figuriamoci se avesse avuto il coraggio di declinare l’invito.
«E tu Dylan?» Chiede Beth corrucciata.
Morde il labbro inferiore. «In camera mia» decreta.
Ghigno morbosamente. Mi giocherei tutto che lo stia facendo apposta. Che stronzo.
«Per me non c’è problema» Judy fa spallucce.
Beth la guarda, poi passa un braccio intorno al mio collo. «Neanche per me, tanto stasera Grace dorme con me … non sono sola» sorride beffarda.
Ho già detto di amarla. Già.
Judy sembra non gradire la cosa, ma il sorriso non le manca mai, falso per quanto possa essere. E così Dylan l’accompagna di sopra, mentre Beth borbotta qualcosa.

«Lo sai no? Lo sai che l’ha fatto apposta» dice poi parandosi di fronte. «Me l’hai fatto diventare davvero stronzo, però… carino il discorso dell’innamoramento» mi sfotte, «la mia amica è innamorata di mio fratello, che non se la caga di striscio, interessante» scherza massaggiandosi il mento.
Le do una spinta, «sei una stronza» la insulto.
Esce la lingua a mo’ di smorfia e poi si zittisce. I due sono nuovamente tra noi.

«Prepariamo una torta?» Propone Beth improvvisamente.
«Come i vecchi tempi, quando le nostre madri si riunivano ed uscivano fuori cose buonissime» Judy affianca Beth vicino alla cucina, «dai» annuisce.
Dylan             si mette comodo sul divano ed accende la tv. Ed io? Non mi resta che fissare immobile.  
E così trascorro un’ora abbondante a fissarmi le unghie, mangiucchiarle e ridurle una schifezza. Poi smanetto con il telefono, riprendo Beth che canta e me la rido sotto i baffi. Mi perdo a fissare il profilo perfetto di Dylan, che mangia prima un pacco di patatine alla paprika, poi dei biscotti al cioccolato ed infine una mela.
Beth e quella Judy hanno ultimato la loro torta al cocco, sono sicura che sarà buonissima, ma non gliela darò mai vinta di ciò. Così, quando mi porgono il piatto con una fetta, do il meglio di me stessa. Credo che sia un po’ mancata l’antipatia di Grace Elizabeth Stewart.

«Non mi piace» poggio il piatto sul tavolo, quando in realtà vorrei finirla tutta.
Sarò anche immatura e viziata, ma non ci riesco proprio a comportarmi da carina con questa tizia. In fondo è arrivata proprio quando io e Dylan eravamo diventati un “noi” e da quel giorno tutto è andato per il verso sbagliato.
«E’ buona» biascica Dylan.
Beth mi osserva curiosa, sa che ho mentito spudoratamente, ma lei rimane comunque in silenzio.
E’ chiaro che a Judy importi ben poco della mia opinione riguardo la sua creazione. E’ troppo occupata a fissare Dylan, sorridendogli e standogli appiccicata come una cozza.
Insomma, con la mia affermazione si è asciugata il culo!

Poi la signorina propone un film ed ecco che perdiamo trent’anni di vita per sceglierlo. Fin quando “Magic Mike”. Non male come idea.
Mi sistemo frettolosamente sul divano, Dylan si siede al mio fianco, ma dall’altro lato c’è Judy. Beth, invece, ha la sua poltrona. Liz scodinzola e mi salta addosso.
Così l’abbraccio e la coccolo. Nonostante il caldo imperterrito, è piacevole averla sulle gambe.
Mi accorgo solo dopo che Dylan ci sta osservando. Mi volto e faccio lo stesso.
«E’ così che tu ti prendi tempo?» Sussurro a denti stretti, mentre la mia voce si accavalla alla musica del film.
Lui sospira serrando la mascella. Non risponde.
«Bè, sai che ti dico? Che puoi andare al diavolo» aggiungo mormorando. «Tanto hai già trovato il da farsi» lo istigo.
Socchiudo le palpebre e lui non fa alcun cenno.



POV DYLAN

E’ notte fonda. Ci siamo appena coricati, dopo una maratona di film durata un pomeriggio intero. Credo di non aver mangiato mai così tanto in vita mia.
La cena è stata ottima, inutile negarlo. Grace si è messa ai fornelli, preparando del pollo al curry, indescrivibile. Judy, di canto suo, non ha gradito la pietanza.
E’ palese l’odio reciproco tra le due e l’immaturità che entrambe ci mettono nel contesto. E così Beth ha dovuto cucinare delle patate con della carne, solo ed esclusivamente per lei.
Grace l’ha guardata per tutta la sera con gli occhi di una belva.

E adesso sono qui, chiuso nella mia camera, con Judy al mio fianco. Indossa uno slip ed una canottierina da notte ed è raggomitolata su di un fianco.
Io sono a petto nudo, con un paio di pantaloni da tuta. Non riesco a chiuder occhio e sono solo le due. Rimango nella stessa posizione per circa un quarto d’ora, poi mi metto in piedi ed avverto il lamento di Judy, che si volta dall’altra parte, portando verso di sé il lenzuolo.
Cammino scalzo fino alla porta, la apro e sgattaiolo fuori. Mi stiro e sbadiglio.
Avanzo verso il bagno e con occhi schiusi apro la porta. Al buio avanzo verso il water e proprio quando sto per urinare avverto un “oh mio Dio”. Mi si blocca la pipì e mi ricompongo, voltandomi.
«Beth perché diavolo sei al buio in bagno? Che diavolo fai?» Sbotto.
Schiarisce la voce e sbuffa, «troglodita.» Non è Beth.
M’irrigidisco. «Tu durante la notte ti chiudi in bagno a pensare?» Accendo la luce e la osservo in tutta la sua semi-nudità.
Odio ed amo quei dannatissimi perizomi con inserti in pizzo e quel sedere mezzo nascosto dalla maglia a maniche corte.
«Ehi quella è mia» la indico.
La sfiora e scrolla le spalle. «Me l’ha data Beth» dice poggiata al lavandino. Incrocia le braccia al petto e sospira. «Notte di fuoco?» Commenta inclinando il capo da una parte.
Occhi vispi, labbra serrate e respiri profondi.
«Judy sta dormendo» dico.
Lei annuisce, «capisco, una sveltina» ride.
Avanzo verso di lei scattante, «ma la vuoi smettere porca puttana?»
Il suo respiro si affanna e i suoi occhi fissano la mia bocca. Poi violentemente schiudo la mia bocca contro la sua e le nostre lingue s’incontrano fameliche.
Questo bacio non promette nulla di buono. Tutto si infiamma e le mie mani non sanno cosa toccare per prima. Le sfioro le cosce, poi risalgo e dalle natiche la tiro su, per poi sederla sul lavabo. Le infilo le mani sotto la maglia, palpandole il seno aggressivamente, mentre il bacio prosegue ruggente.
Mi morde le labbra e sospira. In quel preciso istante, proprio mentre la sto per stendere sul mobiletto affianco e le alzo la maglia per baciarle il petto, lei, con un brusco movimento fa cadere creme, bagnoschiuma e quant’altro a terra. Così ci blocchiamo. Lei si rimette in piedi estasiata ed io la lascio andare. Scappa fuori, mentre io rimetto tutto al suo posto.
Sono perplesso e confuso, quel bacio, quel tutto è stato l’anticamera del letto. Non so se l’inconveniente dopo sia stata una salvezza o meno.
Fatto sta che rimane notte fonda e l’unica cosa che dovrei fare al momento è dormire.


Avverto delle voci dalla cucina, apro gli occhi e la porta della mia camera è spalancata. Mi metto in piedi, stiro le braccia, sbadiglio e strofino un occhio. Scendendo al piano di sotto, intravedo man mano le figure di mia sorella, Judy e Grace. Le prime due stanno mangiando pancake, mentre Grace è seduta, si sostiene il mento con la mano e fissa un punto senza distogliere lo sguardo. Schiarisco la voce ed è lei la prima che sbatte le ciglia e si volta ad osservarmi. Judy mi scruta curiosa, mentre Beth ha l’occhio furbo.
Saluto con un sorriso alquanto veloce, poi acchiappo un pancake addentandolo. Ho lo sguardo basso e prendo posizione affianco di Judy, di fronte Grace.
Lei non mi guarda ed io, invece, cerco più e più volte i suoi occhi. Temo sia imbarazzata per stanotte, ma la Grace che conoscevo non si lasciava abbindolare da ciò, era sempre pronta a scontrarsi, in un modo o nell’altro.

«Sai, Dylan… pensavo di fare un giro in città stamani» esordisce Judy.
«Ci sono tanti bus che portano in giro» rispondo di getto, senza pensarci. Solo dopo mi rendo conto di aver dato una risposta inadeguata e da perfetto idiota deglutisco rumorosamente, mentre Grace nasconde la bocca ridendo.
Judy corruga la fronte.
«Ovviamente ti farò compagnia» mi correggo. Salvato in calcio d’angolo.
Ed ecco che Beth lancia una lunga occhiata all’amica. Sembrano così perfide.
«Io andrei a casa» Grace si mette in piedi. Non mi ero ancora reso conto delle sue gambe nude. Ha ancora la maglia della notte scorsa, con solo un paio di culotte addosso. E’ straziante.
Abbasso gli occhi, grattandomi il capo, mentre lei sale al piano di sopra scattante.
«Sto arrivando» dico alle due rimaste in cucina, prima di andarle dietro.
Entro nella camera di mia sorella, mentre lei sfila la maglia ed infila il reggiseno.
«Tieni» dice con tono freddo lanciandomela. «E’ tua no?» Inclina un sopracciglio.
Annuisco con suono gutturale, mentre l’afferro tenendola ferma sul petto.
La osservo mentre si riveste, prima gli short di jeans, poi la canotta ed infine le converse. Alza i capelli in una coda e sbuffa.
«Stanotte…» sospiro avanzando.
Lei sta osservando la sua immagine riflessa sullo specchio, «non ho bisogno che tu mi dica cosa sia stato» mi ammonisce. «Sappiamo entrambi cosa c’è tra di noi, non puoi cancellare tutto perché Judy Treccine ti corteggia» abbozza una smorfia antipatica. «Dylan, andiamo… smettila.»

 
Alzo gli occhi al soffitto e schiarisco la voce. «E chi mi dice che tu fra qualche giorno non ci ripenserai nuovamente? Chi mi dice che non correrai da Brian a dichiarargli vero amore e cazzate simili?» Dico aggressivo. «Perché tu sei così Grace, sei imprevedibile e forse ti amo anche per questo… ma mi faccio male solo e soltanto io, cazzo.» Serro la mascella.
Si bagna le labbra con la lingua e socchiude la palpebre. «Brian è andato via, io sono qui, ti ho detto che sono innamorata di te e tu ancora pensi a Brian?» Assottiglia lo sguardo.
«Bè, l’avevi detto anche in vacanza e poi l’hai baciato!» Esclamo furioso.
E’ nervosa, lo capisco dal suo modo di mordersi le labbra. «Senti, se tu vuoi possiamo non vederci più, fin quando non andremo al college… sarai libero poi no?» Incrocia le braccia al petto.
Sbuffo. «Faremo lo stesso college!» Le ricordo.
Boccheggia, «e allora amami, fidati di me, amami. Corri il rischio di amare un disastro come me. Riprovaci, sbattici la testa e tienimi la mano.» Dichiara con voce rauca.
Rimango interdetto e la fisso negli occhi. Vorrei baciarla, ma qualcos’altro mi blocca, forse la paura, forse sono un codardo, ma l’amo così tanto che non sopporterei di averla di nuovo fra le mie braccia e di vivere ogni singolo giorno con il timore che da un momento all’altro possa scomparire, cambiare idea e lasciarmi.
«Buona giornata» acchiappa la borsa, la porta in spalla e si fa spazio per passare, uscendo dalla stanza.

Quando ritorno al piano di sotto, Judy mi osserva sconsolata, mentre Beth chiede spiegazioni con lo sguardo.
«Ehi Judy, non dovevi fare un bagno caldo? Così dopo andate in giro, no?» Beth le accarezza un braccio e lei si mette in piedi, per poi salire al piano di sopra.
Mi siedo affianco di mia sorella e a cuore aperto nascondo il viso con entrambe le mani.
«Lo so. Hai paura. Ti capisco.» Mormora. «E’ più che normale. Ti ha fatto male e tu non vuoi rischiare di vivere ancora in quel modo… però non trovare conforto in Judy, in fondo lei è una brava ragazza» aggiunge sincera. Così la guardo. «Stanotte non avresti dovuto dormire con lei e sono sicuro che siete andati anche oltre» azzarda.
Ripenso a questa notte e mi scappa un risolino, lei mi ammonisce con lo sguardo.
«Stanotte, in bagno, stavo per farlo con Grace… con Judy non è successo assolutamente niente» ammetto sincero.
Lei spalanca la bocca e scuote il capo. «Che bastarda, non me l’ha detto» ringhia.


Poco dopo mia madre fa la sua entrata in casa, con delle buste della spesa. Beth corre a darle una mano, mentre lei saluta entrambi con un bacio in fronte. E’ stanca, ma così energica.
«Tesoro, ho dimenticato di prendere il latte… se ti do le chiavi dell’auto vai tu al supermercato?» Chiede a Beth.
Lei è entusiasta, così si mette in piedi e corre fuori. Io rimango ad osservarla mentre mette negli sportelli della cucina i barattoli di sottaceti, nutella e varie robe buonissime.
Si ferma solo dopo aver terminato del tutto e con le mani sui fianchi mi fa un gran sorriso, così grande da farmi scoppiare il cuore.
«Amore tutto okay?» Si avvicina stritolandomi una guancia.
Sorrido lievemente ed annuisco.
«Hai gli occhi tristi, è successo qualcosa?» Chiede corrucciata e preoccupata. Odia vedere i suoi figli giù di morale e capisce subito quando qualcosa non va, ecco perché la maggior parte delle volte sgattaiolo fuori casa, pur di non farmi scoprire. E adesso invece non posso nascondermi, perché lei mi sta guardando negli occhi e non riesco affatto a mentire. «Sai…c’è stato un periodo» si mette seduta al mio fianco e mi prende la mano, «in cui io e papà discutevamo di continuo» accenna un riso al solo pensiero, mentre gli occhi le luccicano. «Lui voleva sempre tutto alla perfezione, mentre io ero una casinista disordinata e così i primi mesi di matrimonio ci lanciavamo cucchiai, pantofole, telecomandi e telefoni addosso» scuote il capo, «poi a fine giornata ci trovavamo nello stesso letto, entrambi svegli e nessuno dei due fiatava, ma la sua mano sfiorava la mia e le nostre dita s’intrecciavano, perché nulla poteva distruggerci, neanche i litigi. Eravamo ancora due giovincelli alle prese con la convivenza, con i disastri e le gelosie. Eravamo vulnerabili, ogni cosa avrebbe potuto abbatterci ed invece noi abbiamo sempre lottato» le lacrime ricadono sul suo volto, so che sono solo per la gioia, per il ricordo, per ciò che è stato.
Mando giù il nodo alla gola e sospiro, «perché mi stai dicendo questo, mamma?»
Lei piega le labbra in un sorriso dolce, «perché ti sei perso, mentre l’amore si faceva strada dentro di te. E’ normale perdersi, ma in fin dei conti, c’è sempre una scorciatoia, una strada secondaria che riporta al punto iniziale.» Aggiunge.
«Io la amo, credo di non aver mai amato qualcuno quanto io ami lei. Mi fa male e bene allo stesso tempo. Mi sento così impotente.» Ed ecco che come un bambino le confido tutto, anche se lei sa già tutto, senza bisogno che io parli ancora.
Annuisce e mi accarezza il capo. «Lo so. Goditi questo momento. E’ bellissimo.»



Trascorro il pomeriggio fuori con Judy, compriamo il gelato, andiamo sulle giostre come due bambini, ridiamo e ci divertiamo come pazzi, ma il pensiero di Grace mi martella il cervello. Judy è di buona compagnia, in fondo lo è sempre stata, fin da bambina, solo che non è la mia compagnia.
In serata decide di andare al cinema, così l’accontento. Compriamo popcorn, patatine coca-cola, guardiamo un film, di cui non ricordo neanche il nome e poi ritorniamo a passeggiare per strada.
Improvvisamente, quasi senza rendermene conto finiamo per sederci in una panchina, che non è una panchina qualunque. E’ la panchina.
«Ho origliato» dice lei a denti stretti, senza guardarmi.
Corrugo la fronte confuso, mentre lei mi rivolge un’occhiata.
«Mentre parlavi con tua madre, ho origliato» sospira osservando poi il cielo.
Annuisco, «bene» sussurro.
«Non sentirti in colpa…» dice tranquilla, «mi sono illusa che potesse esserci qualcosa tra di noi, forse perché da bambina ero follemente innamorata di te e vedendoti dopo anni pensavo di poter avere una chance» ridacchia osservandomi. «Vorrei poterti baciare» fissa le mie labbra maliziosa, «vorrei poter fare ogni cosa con te e non passeggiare, ridere, scherzare, mangiare… intendo ogni.singola.cosa» scandisce le ultime tre parole. Non mi imbarazzo, ma mi irrigidisco. Poi abbozzo un sorriso, scrollando le spalle. Si avvicina e mi lascia un bacio sulle labbra, per poi mordermi quello inferiore.
Abbasso gli occhi e leggo sottovoce l’incisione che lasciammo un tempo io e Grace, mentre la sfioro con un dito.

“L’appuntamento più strano della mia vita.
D.”

“Il mio primo ed ultimo appuntamento.
G.E.S”


Mi scappa un risolino. Ricordo ancora quella sera, ricordo ancora come ci siamo conosciuti e quanto tutto sembrasse bizzarro e fuori dalle regole. Doveva solo pagare una scommessa alla sorella, un’uscita con un ragazzo sconosciuto senza secondi fini, capitati nel locale sbagliato, incitati ad uscire da una tipa strana ed esuberante esattamente come lei, Beth.
Insomma, quella sera avremmo semplicemente dovuto fingere, come se fosse un gioco, invece, le carte in tavola si sono capovolte e giorno dopo giorno Grace Elizabeth Stewart diventava la ragione per la quale la mattina andavo a scuola con il sorriso, per cui il pomeriggio tornavo a casa rilassato e per cui la sera mi addormentavo ridendo come un coglione. Se ci ripenso sembra surreale, eppure quella sera, su questa panchina qualcosa è successo. E’ successo che quella scintilla di cui tutti parlano è scattata e da quella notte in poi niente più è stato regolare, anzi al contrario, completamente e follemente disordinato, fuori da ogni schema e da ogni logica.

«Credo di dover andare» mi metto in piedi, mentre Judy mi fissa dal basso. Lei annuisce muovendo le labbra in una smorfia.
«Bè, buona fortuna Dylan» mi dice infine.

Prendo il primo bus che potrebbe fermare più o meno vicino casa di Grace, lasciando Judy in mezzo alla città, da sola. Così invio un messaggio a mia sorella, chiedendole con estrema gentilezza di recuperarla. Poi nascondo il telefono nella tasca del jeans ed osservo fuori dal finestrino. Quando quest’ultimo frena alla fermata, scendo giù e percorro qualche isolato a piedi, fino a giungere di fronte casa sua.
Casualmente lei esce dalla porta con l’immondizia fra le mani e correndo come una bambina attraversa la strada, per poi gettarla. Non mi ha ancora visto.
«Okay, rischio.» Esordisco, mentre lei sussulta e si volta a guardarmi. E’ spaventata.
«Tu sei un coglione, mi hai fatto prendere un colpo» porta una mano al petto e respira affannatamente.
Sogghigno, «rischio.»
«Che cosa?» Forse vuole solo sentirselo dire.
«Sono stato fuori con Judy e… siamo finiti su di una panchina a fine serata» racconto, «mi sono reso conto che era la nostra panchina, quando guardandomi intorno sentivo un’aria familiare» deglutisco e lei mi fissa. «Ti ricordi quella sera? Non avevi proprio voglia di star lì con me ed io in fin dei conti stavo solo facendo la figura del cretino fuori con una ragazza che non mi avrebbe mai preso seriamente» la vedo sorridere, mentre abbassa il capo.
«Non volevo intraprendere nessuna conoscenza» si giustifica.
«Non ero il tuo tipo, così mi dicesti» scrollo le spalle e rido.
Lei annuisce, mostrando un gran sorriso. «Lo ricordo bene.»
«Troppo perfetto per te, tu casinista ed io…»
«E tu troppo bello per essere vero» mi anticipa, «troppo bello dentro e fuori.»
«Non pensavi a me come un qualcosa di più dell’amico, avevi già fin troppi casini» dico avanzando, mentre lei rimane immobile. «E’ successo tutto per puro caso, ho imparato a conoscerti e sono stato ai tuoi giorni…» lei è di fronte a me, le prendo una mano ed intreccio le mie dita alle sue.
«…e vivrai ancora i miei giorni?» Domanda lei con voce flebile.
Poggio la mia fronte alla sua. «Sarà dura, ma credo di farcela.»

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***



Capitolo 12
 


I’m in love with the shape of you
We push and pull like a magnet do
Although my heart is falling too
I’m in love with your body
And last night you were in my room
And now my bedsheets smell like you


Siamo distesi nudi, l’uno sull’altro, sul sedile posteriore dell’auto di Dylan, mentre alla radio passa Shape of you di Ed Sheeran. Mi muovo a ritmo, mentre le sue mani mi sostengono la vita. Dylan ha gli occhi schiusi ed ansima, mi diverte vederlo così, quasi in una sofferenza piacevole. Così abbozzo un mezzo sorrido e quando lui apre gli occhi e lo nota, capovolge la situazione, portando me sotto di lui.
«Ti piace tenere le redini» dice con voce rauca, mentre ondeggia il bacino e si fa sentire sempre più dentro di me.
Inarco la schiena, mordo le labbra e rido. «Taci» faccio ansimando.
Si abbassa per baciarmi, attanaglio il suo viso con entrambe le mani ed avvolgo la mia Quando qualcuno bussa al finestrino dell’auto, sussultiamo entrambi. Dylan corruga la fronte, mentre io rimango esattamente nella stessa posizione, visto che il suo possente corpo riesce a coprirmi quasi del tutto.
Dylan si guarda intorno, mentre continuano a martellare imperterriti, poi si sporge per prendere le sue mutande, indossandole velocemente.
«Dylan sono nuda» sbotto a denti stretti.
«Stai dietro di me.» Ridacchia mentre abbassa il finestrino e finalmente prendiamo aria.
Un anziano signore, con un bastone fra le mani ed una pipa fra i denti ci sta osservando.
«Ehi giovani» borbotta, «questa è proprietà privata» indica intorno a sé. «Ci sono i miei vigneti, gli uliveti, che vi salta in mente?» Continua scuotendo il capo e dando un colpetto a terra con il bastone.
Deglutisco rumorosamente, smorzando una risata.
Dylan schiarisce la voce, «ci dispiace, veniamo dalla città, volevamo passare una giornata in mezzo al verde» spiega.
Poggio il capo sulla schiena, così calda ed umidiccia, poi gli lascio un bacio ed avvolgo le braccia intorno alla sua vita.
L’anziano osserva Dylan incuriosito, «bè, allora che fate ancora lì dentro?» Fa un passo indietro. «Venite, venite… vi faccio vedere quant’è bella la natura.» Alza gli occhi al cielo e respira profondamente.
«Ci-ci può dare un attimo?» Tentenna Dylan.
L’anziano annuisce, «ma certo.»
Rialza il finestrino e si volta a fissarmi, «vestiti» ride. «Fortuna che è un brav’uomo, te l’avevo detto che non potevamo fermarci qui!» Mi scompiglia i capelli.
Indosso la canotta, tralasciando il reggiseno, poi gli slip e la gonna a campana di jeans.
Infilo le mie amate e sgualcite converse, mentre Dylan rimette i bermuda e la maglia.
Apro la portiera ed esco dall’altro lato, mi ricompongo, porto i capelli dietro le spalle ed inspiro profondamente. Dylan scende dalla parte del signore, poi mi porge il braccio ed apre il palmo della mano. Lo raggiungo e l’acchiappo, intrecciando le sue dita alle sue.
Camminiamo accanto all’anziano, mentre io mi perdo ad osservare i colori del fiori, degli alberi, è fantastico come tenga bene tutto ciò.
«Lei vive qui, quindi?» Chiede Dylan.
«Certo che sì, qui c’è la mia fatica, la mia vita» si abbassa e coglie un fiore.
Poi si avvicina a me e lo porge. Sorrido e lo prendo in mano, inalando il profumo.
«Mia moglie sarà contenta di vedere dei giovani come voi» dice avanzando verso un casolare a passo più spedito.
In quel preciso istante la signora fa la sua uscita, con un fazzoletto fra i capelli, l’aria spensierata e felice. Si ripara la fronte dal sole e poi osserva meglio.
«Ma che bellezza!» Esclama entusiasta. Ha la pelle chiara, stanca, gli occhi azzurrissimi ed un corpo piuttosto sinuoso.
«Salve» salutiamo entrambi in coro.
«E’ fantastico vedere dei giovani come voi qui» sorride. «George, fai del thè, io porto a spasso queste meravigliose creature.» Scende le scale e ci raggiunge, mentre il marito entra in casa.
«Qui è davvero bello, ci tenete molto» azzardo osservandomi intorno.
«Noi viviamo di questo, abbiamo anche degli animali…» sfila il fazzoletto dal capo, ondeggiando la sua chioma grigia, poi si ricompone.
«Ci siamo trovati qui per caso, non volevamo introdurci per fare chi sa cosa» si difende Dylan. Gli stringo la mano e gli pesto un piede. Potrebbe anche evitare l’argomento !
Lei ci osserva maliziosa, «siete giovani, è piena estate, il sole splende e voi volevate trascorrere del tempo fuori dal caos della città» annuisce, «non vi preoccupate, anche io e mio marito a volte vogliamo allontanarci dai nostri alberi, piante ed animali, per occuparci della nostra intimità» ride compiaciuta.
Ecco. Voglio morire. Osservo il mio fidanzato, che non riesce a trattenere una risata.

«Il Thè è pronto» urla l’uomo dal casolare.
«Entriamo, venite» ci fa strada.
«Mi sento a disagio» sussurro al suo orecchio.
«Sono delle bravissime persone, altri ci avrebbero cacciato a calci in culo» ribatte a denti stretti.
«Bè, che ne sai? Magari adesso entriamo e ci tendono una trappola» aggiungo schizzata.
Lui si volta a guardarmi e scuote il capo, «dovresti guardare meno film dell’orrore.»
«Mi avrai sulla coscienza» dico infine.


L’interno della loro abitazione è del tutto campagnolo e si sente proprio l’odore di erba fresca. E’ tutto rifinito in legno ed è trattato così bene al punto di stupirmi.
Pensavo di trovare un posto lugubre e sporco, invece questa gente vive bene in ogni senso.
La signora posa sul tavolo un vaso pieno di rose blu, bellissime. Rimango immobile a fissarli per un po’, fin quando la vista è annebbiata dal vapore del thè bollente.
«Ecco cara» lo porge, mentre mi deposito sul sofà, color cammello, morbido e comodissimo.
Dylan si siede al mio fianco e dalla sua espressione sembra più rilassato che mai.
«Oggi chiudo il telefono» sfila dalla tasca il suo iPhone e lo spegne, riposandolo. «Non voglio nessuna rottura di scatole.»
Mi sento ancora troppo tesa ed imbarazzata, ma questo posto è davvero confortevole.
«Ragazzi diteci qualcosa di voi» la signora sorseggia la bevanda e ci scruta.
«Bè, abbiamo finito il liceo da poco, dobbiamo iniziare a breve il college…» parla Dylan ovviamente.
Lei annuisce, «che bello e da quanto tempo state insieme? Sembrate così uniti!»
A quel punto entrambi ci fissiamo. «Diciamo che la nostra storia ha avuto alti e bassi, non sapremo definire esattamente il tempo… ma non conta molto» spiego io.
Dylan poggia una mano sulla mia coscia accarezzandola.
«E’ vero, l’amore non ha tempo e non ha età.» Dice quasi con fare filosofico.
«Signora poggio qui?» Domando riguardo la tazza, indicando un tavolinetto di fronte.
«Chiamami Carola» dice annuendo. «Metti pure lì» sorride poi.
«Noi siamo Dylan» lui poggia la mano sul suo petto, «e Grace» sospira.
La donna si interrompe, sospira e fissa un punto pensierosa, mentre il marito le si avvicina, poggiandole una mano sulla spalla.
Osservo Dylan corrucciata, mentre lui alza le spalle confuso.
«Mio nipote si chiama così, non lo vediamo da moltissimi anni…» la signora prende un lungo respiro, poi si mette in piedi ed avanza fino ad un mobiletto in legno, apre un cassetto e sfila un album. Poi, lentamente, ritorna a sedere e sorride.
Lo apre e sfoglia le prime pagine. Accarezza una foto, poi un’altra ancora ed infine ci mostra una pagina. Ci sono due bimbi, un maschietto ed una femminnuccia. Potrebbero aver avuto all’incirca due anni, sorridono ed agitano le braccia in mezzo al verde.
«Sono i suoi nipoti?» Sorrido io compiaciuta.
Dylan deglutisce rumorosamente, alza lo sguardo e fissa la donna. «E… la sorellina come si chiama?» Dice con tono freddo.
«Beth» schiarisce la voce il marito, mentre si dirige verso la cucina.
Dylan si mette in piedi, sembra furibondo, poi si dirige fuori di corsa. Mi alzo scattante e confusa, osservo i signori e poi lo seguo, senza più pensarci.
«Andiamocene» dice con tono severo, mentre scende le scale in legno.
«Ehi, ma che ti prende» lo rincorro, fin quando riesco ad acchiapparlo dal braccio.
Lui si volta e mi osserva. Mai il suo sguardo fu più serio e vigile.
«Sono i miei nonni» dice a denti stretti, serrando la mascella, «quei nonni che non accettarono mia madre… si sposarono di nascosto, perché loro non erano d’accordo» indica accanitamente la casa. «Mio padre qualche volta ci avrà portato qui, quando avevamo su per giù due anni, mia madre non ci ha mai messo piede e non ha mai avuto niente a che fare con loro…» aggiunge abbassando lo sguardo. «Una domenica però mi raccontò mia madre che decise di rassegnare una pace e ci portarono dai nonni, non appena la videro le voltarono le spalle e non accettarono neanche di averla dentro casa, così mio padre chiuse i battenti con loro. Per sempre.» Concluse. «Scelse la sua famiglia, piuttosto che l’arroganza dei suoi genitori ignoranti.» Parla con così tanto odio.
Sono senza parole. Ho la bocca schiusa e gli occhi sgranati, immobili, nel vuoto.
«Non c’erano al funerale di mio padre… per me sono morti» balbetta con voce rauca.
In quel preciso istante l’uomo appare dalla porta.
«Sapevo avessi qualcosa di familiare» decreta, «sei uguale a tuo padre» dice.
«Perché mi hai fatto entrare in casa se mi avevi riconosciuto?» Dylan porta le mani sui fianchi e poi osserva il cielo, azzurrissimo.
«Perché sei mio nipote!» Esclama.
«E ti ricordi adesso che sono tuo nipote?» Ride amaramente.
Dietro l’uomo spunta anche la donna, è in lacrime.
«Oh Dylan» nasconde la bocca con entrambe le mani. «Sono passati così tanti anni» avanza.
«Non fare un altro passo» indietreggia lui.
Mi sento così impotente, che rimango nel mezzo.
«Dylan…prova a…» oso dire, ma il suo sguardo mi ammonisce all’istante.
«Andiamo via» mi tende la mano ed io dopo averci pensato su qualche secondo, dopo aver rivolto un ultimo sguardo ai quei signori dallo sguardo così innocente, stringo la sua mano e mi faccio trasportare via.

Dylan cammina svelto verso la sua auto, poi sale e sbatte la portiera. Rimane immobile a fissare il volante ed avverto il suo respiro affannato. Poggio la mia mano sulla sua e sospiro.
«Se vuoi andare via, andiamo via» esordisco, «ma sappi che potrai rimpiangere ciò. Avranno le sue colpe, ma tu sai perdonare amore» sottolineo.
E quando i suoi occhi da cucciolo sperso nel bosco mi scrutano in quel modo, diventa inevitabile sorridergli. Mi sporge e mi bacia, attanagliandomi il volto.
«Non avrei mai immaginato tu potessi diventare la parte migliore di me» sussurra sulle mie labbra, «insomma sei Satana» ironizza dopo.
Scoppio a ridere e lo guardo, «è così che si fa giusto?» Inclino il capo da un lato, «tu fai ragionare me quando sono furiosa ed io lo stesso» gli scompiglio i capelli, mentre lui sorride.
Mi scoppia il cuore.
«Vuoi che venga con te?» Domando sospirando.
Lui annuisce ed esce dall’auto, lo raggiungo subito prendendolo nuovamente per mano.
Percorriamo tutto il verde, poi, giunti di fronte il casolare Dylan si blocca. Mi lascia la mano e sale le scale. Bussa alla porta ed attende qualche istante.
La donna apre e rimane sbalordita.
«Non so bene cosa accadde, io e Beth eravamo troppo piccoli, ma voi siete l’unica cosa che mi rimane di mio padre» dice serio, «non vi sto perdonando, perché probabilmente avrete fatto passare dei giorni di merda a mia madre, soprattutto quando lui morì. Vi do l’opportunità di conoscere i vostri nipoti… perché è giusto che sia così» decreta. «Se la vedeste oggi, vi innamorereste di quella donna meravigliosa» come Dylan parla di sua madre, mi fa venire la pelle d’oca.
Socchiudo le palpebre e sospiro.

Trascorriamo gran parte della giornata lì, poi in serata riprendiamo il nostro cammino in auto. Dylan è piuttosto tranquillo, ma non parla poi così tanto.
«Ma tu mi ami?» Chiede di soppiatto.
Guardo corrucciata la strada di fronte a noi, poi mi volto e lo fisso. «Sì» accenno un risolino finale, per poi accarezzargli il capo con una mano.
«Mi ami ami intendo, sul serio?» Tiene una mano sul volante, mentre con l’altra abbassa il volume della radio.
«Dylan sì» decreto con voce possente.
Abbozza un mezzo sorriso, «io ti sposerò un giorno, anche se fra qualche anno le nostre strade potranno dividersi… io ti troverò e ti sposerò.» Detto ciò aumenta il volume sulle note di “The Final Countdown”. Si volta e mi mostra un gran sorriso.


«E se io non volessi sposarmi?» Urlo per sorpassare la musica. Ironizzo, ma in realtà non ho mai ben riflettuto sulla cosa. In fondo non bisogna necessariamente avere delle fedi al dito per dimostrarsi amore eterno.
Lui deglutisce e sospira, «io ti sposerò» ripete.
«Non puoi impormelo» incrocio le braccia al petto assottigliando lo sguardo.
Dylan morde le labbra e scuote il capo, «va bene, bimba… ne riparleremo fra qualche anno» si sporge per farsi dare un bacio. E così mi fiondo su di lui, gli cingo il collo con le braccia e gli lascio un caldo bacio.
Poi ritorna a guardare la strada, mentre io mi appisolo sul sedile scordandomi dove realmente io sia.


 

POV DYLAN

Siamo appena arrivati di fronte casa Stewart, accosto accanto al marciapiede e slaccio la cintura. Mi volto e do un’occhiata a Grace. Ha il capo inchinato a sinistra, la bocca schiusa e un po’ di bava le cola dall’angolo delle labbra. Trattengo una risata e rimango in silenzio ad osservarla. Non scherzavo quando le dissi che l’avrei sposata, perché sinceramente non ho intenzione di farlo con nessun’altra se non con lei.
Sarò infantile ed anche un po’ folle, ma sono abbastanza convinto di ciò.

«Siamo arrivati» mormoro.
Lei fa un gran sospiro, strizza gli occhi e si rannicchia ancor di più.
Nessuna risposta.
«Grace» ridacchio «siamo a casa» dico aumentando il tono di voce.
Quello che mi aspetto non è di certo uno schiaffo sul braccio ed è invece esattamente quello che fa, per poi voltare il capo dall’altro lato.
«Stai aspettando che io ti prenda in peso e ti porti dentro? Mi dovrai far venire un’ernia?» Scherzo poggiando la testa sul sedile.
Nuovamente nessuna risposta.
«E poi non posso entrarti dentro, i tuoi staranno già dormendo» mi sporgo ed osservo dal finestrino tutte le luci della casa spente.
Sbadiglio e strofino un occhio. Poi metto in moto.
«Bambina capricciosa» brontolo.
Lei continua a dormire, le scappa persino un russo. Scuoto il capo e riparto in direzione di casa mia.

Un quarto d’ora dopo sono arrivato, posteggio l’auto nel garage e provo nuovamente a svegliare la bella addormentata.
«Grace sul serio?» Mi passo una mano fra i capelli. «Cosa c’era sonnifero in quella cena?»
Scendo dalla macchina e faccio il giro aprendo la portiera dal suo lato. Sono costretto seriamente a prenderla in braccio?
Così le stacco la cintura, le metto una mano dietro la schiena, poi sotto le gambe, mentre lei abbozza un mezzo sorriso.
«Ehi piccola stronza, ti ho visto» mugugno.
Tiene gli occhi chiusi e si lascia prendere fra le braccia, per poi cingermi il collo con entrambe le braccia e posare il capo sulla mia spalla.
«Domattina avrò una vertebra di fuori» dico mentre acchiappo la sua borsa e chiudo la portiera con un lieve calcio.

Salgo così a casa e facendo attenzione a non inciampare per via del buio, metto Grace a terra. Lei si lamenta, stira le braccia e sbadiglia. Poi come una zombie sale le scale, fino a raggiungere la mia camera. La seguo lasciando le scarpe sull’ultimo gradino e quando sono dentro la stanza, lei si sta spogliando ed è di spalle, rivolta verso il mio letto.
Sfila prima la canotta, lanciandola a terra, poi abbassa la gonna e rimane soltanto con il suo misero e fantastico perizoma nero. Le vado incontro e una volta dietro di lei le poggio le mani sui fianchi, per poi scendere sulle anche. Le sue mani indugiano e si posizionano dietro cercando curiose il mio jeans. Lo sbottona, tira giù la cerniera e mi massaggia l’erezione imminente. Porto le mani sul ventre per poi scendere più giù, le massaggio l’intimità e scosto quel poco di tessuto che la copre, per poi stuzzicarle il clitoride. La sento ansimare mentre la sua schiena s’inarca. Con l’altra mano risalgo e le sfioro il seno nudo, per poi stringerlo aggressivamente. Mi faccio spazio fra i suoi capelli, nascondendo il volto nell’incavo fra il suo collo e la sua spalla, le lascio così una serie di baci mentre le mie dita entrano dentro di lei. Geme e muove il bacino lentamente, mentre con una mano mi accarezza il capo scompigliandomi i capelli.
Sussurra più volte il mio nome con voce rauca. L’unico posto in cui vorrei essere al momento è dentro di lei, ma adoro vederla soffrire in quel modo, mi piace sentirla così vogliosa.
E’ l’unica con cui riesco ad essere dolce e pervertito allo stesso tempo.
Quando sento la sua voglia crescere sempre più, le abbasso il perizoma ed appoggio il mio bacino o meglio la mia erezione sul suo sedere. La sento ridere con gusto e mentre si spinge sempre più verso di me.
«Grace cosa mi fai diventare» mormoro, mordendole un orecchio.
Mi sfilo i jeans e poi le mutande, mentre lei abbassa la schiena poggiando le mani sul materasso. Le accarezzo una natica e dopo aver indossato un preservativo, tenendola con entrambe le mani dai fianchi le penetro dentro. Lei geme e stringe il lenzuolo sotto di lei.
Lentamente mi faccio strada dentro di lei, per poi aumentare gradualmente. Lei continua a gemere, vorrei dirla di smetterla, perché mia madre e Beth ci sentiranno, ma divento matto quando fa così e non voglio assolutamente che lei si zittisca.
Socchiudo le palpebre e mi godo il momento. Poi lei capovolge la situazione, si volta ed acchiappandomi dal collo mi bacia con foga. L’acchiappo dal sedere portandola addosso a me e cammino verso la parete sbattendola contro di essa. E così la sua schiena fa su e giù, mentre le sue mani cercano qualsiasi tipo di appiglio. Sfiora la tenda della finestra e la stringe buttandola giù.  Consapevole della scomodità della situazione, la muovo e la siedo sul davanzale ed è lì che le mie spinte vanno oltre il limite del normale.
Lei cerca le mie labbra per smetterla di lamentarsi, mi strappa quasi i capelli ed io le stringo così forte le natiche da non capire più nulla.
Credo di non aver mai sudato così tanto, neanche durante gli allenamenti a scuola.
Ed è una sensazione bellissima, osservare la tua donna sfinita di fronte a te, che piuttosto di dirti “basta”, mi supplica con gli occhi e con qualsiasi altro mezzo a nostra disposizione di continuare e non smettere. Ed io non lo faccio. Continuo imperterrito e muovermi dentro di lei, sentendomi talmente completo da non riuscire a pensare al cuore che mi sta per scoppiare dal petto. Quando entrambi giungiamo al culmine le nostre bocche si cercano fameliche e ci fermiamo per qualche istante. La osservo, le scosto i capelli dalla fronte umidiccia e noto come il suo mascara sia andato a farsi benedire rendendola simile ad un banda e di come le sue guance sono così rosse da somigliare a due lamponi o suoi occhi lucidi che non la smettono di scrutare i miei. E’ così perfetta da toglier il fiato.
«Dylan Murphy …io ti sposerò… un giorno» dice tra un bacio e l’altro.
La stringo a me e la porto a letto. Entrambi nascondiamo i nostri corpi nudi sotto il lenzuolo e lei si raggomitola a me, nonostante faccia un caldo pazzesco ed entrambi grondiamo di sudore. Non abbiamo nessuno dei due la forza di fare una doccia e crolliamo in un sonno profondo come due sassi.


Il mattino dopo apro gli occhi ed osservo Beth con le mani sui fianchi che ci fissa. Ha un’aria piuttosto minacciosa.
«Vi sembra giusto fare tutto quel sesso?» Domanda. «Avete ferito i miei sentimenti, oltre che la mia vagina. Vergognatevi, sporchi schifosi luridi senza cuore» si volta ed esce dalla stanza sbattendo la porta.
A quel punto Grace apre gli occhi e confusa mi osserva.
«Che succede?»
Mi strofino gli occhi e scendo dal letto, percorro la stanza completamente nudo mentre avverto la risatina maliziosa della mia fidanzata alle mie spalle.
«Faccio una doccia» dico una volta trovatomi in bagno.
Lei non mi raggiunge, quindi suppongo si sia nuovamente addormentata.
In fretta mi insapono e poi sciacquo. Quando torno in stanza, la osservo dormire e nel frattempo mi vesto. Poi le lancio un cuscino in faccia.
«Grace Elizabeth Stewart alzati e fai una doccia» ordino a gran voce.
Lei si stira le braccia ed alzando il busto mi osserva con il broncio.


Raggiungo Beth al piano di sotto, sta facendo colazione con il caffè ed i pancakes e canticchia una canzone orecchiabile.
«La mamma?» Chiedo versandomi del latte nella tazza.
«E’ uscita presto» dice osservando un punto fisso.

«Ieri ho conosciuto o meglio rivisto delle persone...» sospiro mentre la nostra cagnolina mi scodinzola, sicuramente Beth non le ha ancora dato mangiare. Così la porto fra le braccia e la accarezzo. La rimetto a terra e le verso nella ciotola dei croccantini.

Poco dopo fa il suo ingresso mezza nuda Grace. Ha lo sguardo accigliato e preoccupato, indossa una mia maglia larga e solo le mutande di sotto.
Rimane immobile di fronte al tavolo e respira affannatamente.
«Grace? Ti senti bene?» Domanda mia sorella raddrizzando la schiena.
Lei scuote il capo. «Ho un ritardo» spara la bomba.
La mia colazione finisce tutta sul tavolo, a causa dello sputo repentino e violento.
Quasi mi affogo, tossisco più volte per riprendermi e mi metto in piedi. Mi avvicino al lavandino e sciacquo il viso più e più volte. Quando mi volto spero che sia solo un sogno ed invece è la pura realtà.
Grace è ancora dinanzi a me con gli occhi lucidi e uno sguardo innocente.
Invece Beth non spiaccica parola. Posa la tazza sul tavolo e deglutisce rumorosamente.
«Magari è solo il caldo che…che a volte… a volte fa» balbetta mia sorella.
«Non ho mai avuto un ritardo di dieci giorni» respira profondamente Grace.
Vorrei sbattermi la testa al muro fino a spaccarmela e vorrei maledire tutte quelle volte in cui io e Grace, incoscientemente, ci siamo lasciati travolgere dalla passione senza usare precauzioni.

E adesso combatti da vero uomo Dylan Murphy e prenditi le tue responsabilità.

«Che vuoi fare? Faccio tutto quello che vuoi, vado a comprare un test? Vuoi… vuoi andare in ospedale? Vuoi chiamare qualcuno? Ti giuro Grace… tutto ciò che vuoi» sembro un bambino, come quando la maestra da piccolo mi rimproverava ed io tartagliavo per l’estrema paura che mi incutesse. Solo che stavolta la paura è un’altra, mi sento assalito esclusivamente dal panico. Assurdo come un uomo possa reagire così di fronte ad una situazione così grande.
Grace nasconde il viso con entrambe le mani e Beth accorre in suo aiuto ad abbracciarla. Forse avrei dovuto farlo io, ma sono talmente in uno stato di trance da non riuscire a muovere nessun muscolo, nessun arto, persino la lingua sembra bloccata.
Beth ci osserva entrambi, «tempo fa ho comprato un test, stavo con quel coglione ed avevo paura che mi avesse messa incinta… non l’ho mai utilizzato perché alla fine non ce ne fu bisogno» esordisce, «è sopra, ci metto un attimo a recuperarlo.»
Deglutisco forzatamente e la mia gola diventa secca tutto d’un tratto.
Grace annuisce all’amica, la quale senza farselo dire più di una volta corre al piano di sopra.

Mi avvicino a lei e le sfioro una mano, «andrà tutto bene» le sussurro. Non va bene neanche per il cazzo, ma ti amo follemente e qualunque sia l’esito andrà bene comunque.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Capitolo 13
 


Sono in bagno da dieci minuti, da sola. Ho fatto tutto ciò che c’è scritto nelle istruzioni. Le mie gambe non la smettono di tremare ed il cuore di battere all’impazzata.
Posso solo immaginare come stia in questo istante Dylan.
E così dopo quindici minuti abbondanti prendo il coraggio ed osservo il test.
Due lineette positivo, una sola negativo, continuo a mormorare a bassa voce. Tengo gli occhi chiusi, talmente tanto da riuscire a vedere cerchi concentrici di diverso colore.
Prendo un lungo respiro e li apro.
Il mio cuore cessa di battere, il respiro si ferma, le gambe cedono e mi ritrovo catapultata a terra. Credo che la pressione sia scesa e la sudorazione aumentata.

«Grace?» La voce strozzata di Dylan mi fa scendere una lacrima. «E’ da troppo tempo che sei dentro… sto entrando» aggiunge.
E la porta si apre. Quando mi trova a terra spalanca gli occhi e rimane fisso a guardarmi.
Solo dopo qualche istante si decide a rialzarmi, sorreggendomi dalle braccia.
Mi abbraccia e mi sorregge, mentre mi accarezza il capo. Mi lascio andare in un pianto disperato, mentre Beth fa la sua entrata trionfante portando le mani sulla bocca.

Riesco ad avvertire il respiro affannato di Dylan ed il suo cuore che martella nel petto come un cavallo in piena corsa.

«Affronteremo questo insieme» mi sussurra.

Non era questo che avevo pensato nella mia vita, non era questa la vita che sognavo.
Sento come se tutto ciò in cui avessi creduto, si sgretolasse in piccoli minuscoli pezzi dinanzi ai miei occhi. Sento che tutte le mie forze cedono e la mia vita stia andando in frantumi. Non posso credere a ciò, non riesco a crederci.


Rimango a casa loro anche oggi, imbrogliando mia madre che Beth avesse la febbre e le stessi tenendo compagnia. Ed invece ci vorrebbe soltanto qualcuno che si prendesse cura di me e mi ripetesse che è solo un incubo.
Vorrei chiamare Emily e raccontarle tutto, ma non so se reggerebbe l’urto se glielo dicessi così per telefono. Si fionderebbe qui in men che non si dica e dopo aver preso a calci Dylan, mi avrebbe ammazzata, forse poi protetta e coccolata, ma sicuramente prima uccisa in tutti i modi che si possano utilizzare per far fuori una persona.

Dylan è rimasto in silenzio per un’ora intera ed ora è disteso sul suo letto, con le mani dietro il capo, osserva il soffitto immobile e in silenzio. Io sono poggiata alla sua scrivania, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo perso nel vuoto. Beth ci ha lasciati da soli.
«Se abortissi?» Esordisco. So che è la peggiore delle decisioni.
Lui alza scattante la testa, mi fulmina con gli occhi «non ci pensare neanche» sospira. «Vieni qui» mi indica il posto accanto a lui.
Così con uno scatto repentino mi ritrovo avvinghiata a lui. Il suo braccio mi avvolge la schiena, stringendomi contro il suo petto e con l’altro giocherella con le mie dita.
«Troverò un lavoro, ce la caveremo» dice schiarendosi la voce.
Non fiato.
«So che sei sconvolta, so che vorresti piangere da ora fino a domani mattina, ma voglio che tu sappia che io ci sarò in qualsiasi modo» mormora accarezzandomi il capo.
Lo osservo con le lacrime agli occhi. «Non so neanche cosa voglia dire avere un bambino» singhiozzo, «non ho idea di cosa si debba fare, di come dirlo ai miei… gli spezzerò il cuore. Emily è sempre stata attenta a queste cose e poi arrivo io… e faccio un casino» blatero.
«Non sarai mai sola.» Mi stringe ancor di più ed io mi sento esattamente dove dovrei essere. Casa.
E’ vero, vorrei sbraitare come una disperata e sfasciare ogni cosa invada il mio cammino, ma poi guardo Dylan, osservo i suoi occhi sinceri che brillano in qualsiasi caso, fisso ammaliata il suo sorriso, che nonostante la notizia, riveste sempre il suo volto.
Quando guardo lui, ritorna il sereno nella mia anima. Non riuscirei neanche a spiegare a parole quanto fosse rilassante anche solo rimanere tra le sue braccia, perché anche solo il suo respiro mi fa sentire al sicuro. Sarà sempre il mio porto, tutto ciò di cui ho avuto sempre bisogno e non l’ho mai saputo.
Sarà tutto un disastro da oggi in avanti, saranno giorni grigi e pieni di confusione, sarò afflitta e disorientata, ma forse la vita ha deciso che la vecchia ragazzaccia che ero aveva bisogno di qualcosa di così grande per scombussolare la sua vita.


«Come sarebbe a dire che sei ancora da Dylan?» Sbraita mia sorella dal telefono. Lo allontano dall’orecchio e prendo un lungo respiro.
Beth è al mio fianco, mentre Dylan è uscito a prendere una boccata d’aria.
«Emily ne parliamo di presenza, va bene?» Dico cercando di apparire il più rilassata possibile.
Lei continua ad urlare, soprattutto a Brady. Povero cristo.
«Grace devi tornare a casa adesso! Mi stai nascondendo qualcosa? Hai avuto un incidente? Beth ha combinato qualcosa?» A ques’ultima domanda Beth sgrana gli occhi e s’irrigidisce.
Lei faccio cenno di non fiatare, «è tutto okay, ha solo un po’ di febbre e le faccio compagnia.» Passo una mano sulla fronte per tamponare la sudorazione aumentata a dismisura.
Beth nasconde nel frattempo il viso con entrambe le mani.
«Sarà… ma io non ti credo» decreta Emily.
«Va bene Emily. Sto riattaccando, ci sentiamo» e così faccio. Non l’avrebbe mai smessa di far domande, ma sono più che certa che a breve piomberà qui com’è solita fare e a quel punto sarò costretta a dire tutta la verità.




POV DYLAN


Padre?

Che strana parola. L’ho pronunciata per così poco tempo che non riesco più. Eppure stavolta non tocca a me dirla, bensì ascoltarla.
Ma che sto dicendo? Manca così tanto tempo per ciò.
Sono confuso e in panico, anche se ho provato in tutti i modi a rassicurare Grace, a dirle che non è niente, che ce la caveremo. Siamo così piccoli in una situazione così grande.
Sono talmente bambino che mi sono rifugiato nella palestra della scuola per riflettere su ciò. Forse qui ricorderò che il tempo delle mele è passato.

«Buonasera» il coach Adams spunta all’improvviso, sta racchettando delle palle. Mi scruta curioso e poi si avvicina. «Hai già nostalgia?» Ridacchia e si guarda intorno.
Scrollo le spalle. «Sono venuto qui per riflettere» dico sospirante.
Lui mi fissa corrucciato. «Che cosa avrai di così importante da riflettere alla tua età?»
Sapessi, Marcus.
Non fiato e questo probabilmente lo turba. Si siede al mio fianco e si schiarisce la voce.
«Dai, sono la tua voce della coscienza, dici tutto» raddrizza la schiena e sorride.
Massaggio le tempie, «diventerò papà» dico di soppiatto.
Marcus non parla, così mi volto ed il suo sguardo è perso nel vuoto.
«Cazzo, tu sei amico di famiglia, porca troia che gran coglione che sono» blatero mettendomi in piedi. Faccio avanti e indietro di fronte a lui imprecando.
«Murphy credo tu mi abbia spezzato il cuore» si da un piccolo schiaffetto in viso e poi si alza. «Cioè la piccola peste è… è…è incinta?» Pronuncia quelle parole scandendo ogni singola lettera.
Annuisco.
«Scappa in Australia» risponde scattante. «I coniugi Felton ti faranno il culo, amico. Te lo dico come un fratello» mi da una pacca sulla spalla.
«Bella voce della coscienza del cazzo» mi sposto violento.
«Okay, sarò serio adesso… quando succede qualcosa di sconvolgente divento un coglione patentato e dico tante di quelle cazzate. Purtroppo a distanza di anni la cosa non è ancora cambiata» si massaggia il mento. «Ti capisco meglio di chiunque altro.» Dice.
«Cosa ne puoi sapere tu?» Sbotto.
«Ultimo anno di liceo, Samantha Mongomery, bellissima, dolcissima, pura, una ragazza d’oro… mi sono innamorato, eravamo due bambini che si volevano bene, ma quando lei rimase incinta mi cadde il mondo addosso» racconta osservando il canestro. Sembra malinconico. «Fu strano, difficile, non mi hai conosciuto da ragazzo… ma per frequentare Brandon Felton avrei dovuto essere davvero un coglione e lo ero. Facevo sempre cazzate, ci divertivamo, ci spaccavamo ad ogni festa, non avevamo limiti, nessun ritegno, nessun pudore. Eravamo dei ragazzacci» rise al pensiero, «per me fu una doccia gelata, come se Dio mi stesse spiattellando in faccia che era arrivato il momento di cambiare rotta e diventare una persona migliore, di crescere una volta per tutte» annuisce avanzando verso di me. «E allora mi decisi, nonostante la giovane età, l’immaturità e la voglia di continuare a vivere alla giornata, decisi che sarei stato affianco di Sam. Poi le cose non andarono, lei perse il bambino… ed io presi un altro calcio nel culo, perché una volta che accetti qualcosa poi diventa difficile abituarsi ad un’altra situazione» scrolla le spalle e sospira. «Ce la feci anche in quel caso ed ora sono qui, con una donna meravigliosa al mio fianco, con Lux ed un altro bebè in arrivo. Credimi… che la vita riserva così tante sorprese che anche se ti sforzi di immaginare non ci riusciresti» ride con gusto. «Io e Kris una volta eravamo come il cane ed il gatto, non ho mai pensato a lei come qualcosa di… qualcosa di bello, lei era la sorella di Brady, il mio migliore amico… ma le carte in tavola cambiano quando meno te l’aspetti e a volte sei solo costretto ad accettarle.» Mi posa una mano sulla spalla e mi osserva.
«Mi dispiace aver giudicato, non conoscevo questa parte della storia» mi giustifico.
«Non dispiacerti, in fondo è passato così tanto tempo…» sorride tranquillo. «Tornando a noi, siete stati due incoscienti, ma sono sicuro che tu voglia davvero bene a quella ragazzina, non riesco neanche a preoccuparmene perché so che ragazzo sei Dylan… ed anche se al momento vorresti sparire per sempre, penseresti comunque di portare via con te anche lei.» Marcus sembra all’apparenza l’uomo più imbecille del mondo, ma in realtà non è così. Rimango alle sue parole paralizzato, perché è la verità.

Al mio ritorno a casa, Emily è seduta sul nostro divano, mentre Grace è abbandonata a se stessa sulla poltrona di fronte. Ha lo sguardo afflitto e mi basta osservare mia sorella per capire l’antifona. Emily ha scoperto tutto.
Getto le chiavi dell’auto sul mobiletto accanto la porta d’entrata. Deglutisco rumorosamente e a spalle larghe avanzo verso di loro.
Emily fa un gran sospiro. Grace mi osserva seria, sento come se dovessi dare io delle spiegazioni.
«Mi prenderò le mie responsabilità» schiarisco la voce.
«Devi.» Decreta Emily con voce tremante. «Non riesco neanche ad immaginare come sia possibile» si gratta il capo.
Grace nasconde il volto con entrambe le mani e scuote il capo. Socchiudo le palpebre e stiro il collo.
«In ogni caso è successo e dovete reagire da persone mature» aggiunge dopo una lunga pausa. «Non credo sia il caso che Grace vada sola a dirlo a mamma e papà…» a quelle parole credo che il mio cuore abbia cessato di battere. Sento una fitta allo stomaco ed una sensazione di nausea. Santo Dio.
«S-sì… andremo quando lei vorrà» dico mentre osservo Grace che annuisce, ma non mi sembra molto convinta.
Improvvisamente squilla il mio telefono e poi quello di Emily. E’ un messaggio di Brady.
Non respiro per qualche secondo, poi lo apro.

Hai idea di dove sia mia moglie?

«Ho un messaggio di Brady» dico con voce tremante.
«E’ qui fuori» aggiunge poi Emily.
Poco dopo qualcuno bussa alla porta. Sono fottuto. Riceverò come minimo calci e pugni dappertutto. Vado ad aprire e Brady è lì parato sull’uscio della porta, confuso e stralunato alla vista di codesta strana riunione.
Corruga la fronte e schiarisce la voce, «è ancora presto per organizzare la cena di Natale, non credete?» Ironizza.
Emily lo fulmina con gli occhi, così diventa subito serio e si fa spazio per entrare.
Chiudo la porta dietro di lui, mentre avanza verso il salone.
«Che sono 'ste facce? E’ successo qualcosa? Dove sono i bambini Emily? E’ successo qualcosa a Kris, a Marcus?» Sembra intimorito solo all’idea che una delle persone che ama non stia bene.
Emily sospira e scuote il capo, «i bambini sono da mia madre» deglutisce.
«Sputate questo cazzo di enorme rospo!» Sbotta nervosamente.
«Io e Grace aspettiamo un bambino» sgancio la bomba consapevole delle probabile conseguenze.
Brady porta una mano al petto e poi avanza barcollante verso il sofà da cui si sorregge.
Socchiude gli occhi e prende un lungo respiro.
«Un bicchiere d’acqua» chiede sospirante, «non sto scherzando» aggiunge.
Beth corre in cucina e torna poco dopo con l’acqua, porgendogliela.
Lui sorseggia e poi prende un lungo respiro ed alza le spalle. Si volta a fissarmi in cagnesco, ma io non credo che debba meritarmi questo.
«Brady» Grace esordisce dopo tanto silenzio, si mette in piedi ed avanza verso di noi, «non ti permettere a fare qualsiasi cosa ti passi per il cervello» decreta severa.
«Sto metabolizzando la cosa» risponde lui schietto. «Non voglio fare assolutamente nulla» aggiunge. Poi ritorna il silenzio.
Lui guarda me, Grace guarda lui, Emily e Beth osservano tutti e tre.
Che splendida cornice.
«Che avete intenzione di fare?» Brady porta le mani sui fianchi, mentre io rivolgo lo sguardo su Grace.
«Lo terremo» dico io.
«Siete sicuri?» Quella domanda potrà risultare strana, ma nessuno ci sta dando la certezza di cosa accadrà dopo, di come si evolverà la situazione, insomma… pensiamo sia la scelta più giusta.
«Brady cosa cazzo stai dicendo anche tu?» Emily lo ammonisce.
«Sono due ragazzini santo Dio Emily!» Sbotta. «Un bambino deve avere l’amore di due genitori, che lo vogliano sul serio, che sappiano cosa facciano, che non abbiano ripensamenti. Ci avete pensato?» Aumenta gradualmente il tono di voce diventando furibondo. Le si ingrossa persino la vena sulla tempia.
«E cosa dovrei fare? Abortire? Far finta che non sia mai successo nulla di tutto ciò?» Grace scoppia in lacrime. «Non avete idea di quanto stia male io in questo momento e fidatevi che nessuno dei due vorrebbe al momento un bambino, ma cosa dovremmo fare?» Singhiozza.
Brady non parla. Emily neanche. Beth rimane tutto il tempo in disparte.
«Non lo so qual è la scelta più giusta, valutate le conseguenze e decidete voi… io ho bisogno di prendere una boccata d’aria» Brady se la svigna.
Emily, nel frattempo, avanza verso la sorella. L’afferra per il capo e l’abbraccia mentre lei si lascia andare in un pianto liberatorio.
«Qualunque sia la tua decisione, sappi che non sarà mai sbagliata… sai tu cos’è giusto per te. Non possiamo deciderlo noi» dice con voce rauca. «Io ci sarò in ogni caso» le accarezza il volto asciugandole le lacrime e le lascia un bacio in fronte. «Vado a casa, se vuoi venire da noi stanotte non esitare… Brady è solo sconvolto, lo sai» porta una ciocca dei capelli di Grace dietro l’orecchio e poi saluta sia me che mia sorella con un cenno di capo ed esce.



Dopo l’interminabile ora di delirio, Liz è uscita a fare un po’ di spesa, mentre Grace ha deciso di fare una doccia. Io sono rimasto in camera a riflettere, ascoltando la pioggia che sbatte contro la vetrata ed osservando le goccioline scendere lentamente. Da piccolo facevo le scommesse con Beth a quale fosse quella più veloce. Di solito vincevo sempre io.

«Vado da mia sorella» Grace esce dal bagno avvolta nel mio accappatoio.
Mi alzo di colpo e la osservo. «Ti stai allontanando Grace» decreto.
«Ho bisogno di riflettere» sospira distogliendo lo sguardo altrove.
Balzo giù dal letto e la raggiungo a piedi scalzi. «Ci sono dentro anche io, non puoi riflettere da sola!» Sbotta nervoso.
«Lo so e rifletteremo separatamente» borbotta, «avremo la mente più lucida.»
«Stai delirando, più lucida? Hai idea di quanto abbia il cervello incasinato? Credi che io sia super contento di questa gravidanza? Io ti amo, ti amo così tanto e avevo immaginato altro per noi… magari il college insieme, magari altri litigi, altre confusioni, ma sempre insieme… a crescere, migliorare, cambiare e poi magari in un futuro chi sa…» parlotto velocemente in preda al panico. «Non volevo questo, non così, non adesso.» Dico sincero.
Le si riempiono le guance di lacrime, «appunto Dylan, questo non è quello che vogliamo» mi accarezza una guancia. Perché questo mi sembra un addio?
«No Grace.» Non riesco a pensare a lei che va via e non si farà più viva. «Non decidiamo noi come devono andare le cose» cerco di farla riflettere.
«E invece sbagli, perché i nostri programmi non erano questi e noi due finiremo per litigare, perché tu vorrai andare al college ed io anche, saremo stressati e sempre nervosi.» Singhiozza. «Non saremo felici, non avremo quello che abbiamo sempre desiderato, non sarà mai niente più come prima… anche se un bambino è la cosa più bella che ci sia, bisogna volerlo davvero per averlo. Io non lo so se sono pronta a questa vita, a vedere i tuoi occhi tristi mentre dovrai stare a casa o andare a lavorare da qualche parte piuttosto che diventare chi vorresti essere. » Parla molto lentamente. «Voglio che entrambi siamo felici, ho bisogno di questo al momento.»
«Mi stai lasciando» rido amaramente, vorrei semplicemente gridare, dare pugni ovunque e far cadere il mondo. «Credi che andandotene, lasciandomi e tutto io sia felice?» Sbraito.
«Credo che quello che farò non ti piacerà e probabilmente rimanendo insieme me lo rinfaccerai a vita, vivrei con i tuoi occhi che ogni giorno mi ricordano il gesto che farò e questo ci impedirà di essere felici.»
La guardo con occhi sgranati, sta delirando. «Stai agendo da egoista, stai scegliendo da sola, non ti sto riconoscendo» scuoto il capo.
«Dylan andrà così. Terrò il bambino, proveremo ad affrontare la gravidanza insieme e probabilmente ci riusciremo, penserai ogni giorno a tutte le cose che avresti potuto fare e non hai fatto. Nascerà il bambino e cominceranno i problemi, nonostante sarebbe una creatura meravigliosa, cominceremo a litigare, scannarci, urlarci contro, non sarà facile e probabilmente finiremo per cedere e per abbandonarci entrambi.» Dice con voce elevata. «Perché non pensi a questo? Perché? E’ così che andranno le cose» singhiozza ancora.
«Non posso garantirti che sarà facile, ma ti ho promesso che ci sarò.» Decreto sincero.
«Non sai come ci sarai, potrai esserci e non volermi più… non puoi prevedere queste cose, siamo giovani e abbiamo una vita davanti…» sospira.
Poi si rifugia in bagno dove in poco tempo si veste. Ritorna in camera, indossa le scarpe e mette in borsa la sua roba.
La sto osservando mentre va via, lei andrà via per sempre.
«Non ce la faccio Grace» la blocco da un braccio e lei si impietrisce.
I suoi occhi sono sui miei, stringe le labbra e dopo le morde. Si avvinghia a me abbracciandomi.
«Io non sono d’accordo Grace» ribadisco.
«Ti amo anche io.» Sussurra sul mio collo. Poi si distanzia.
«Sei brava con gli addii» dico mentre non riesco a trattenere le lacrime, scaravento il mobiletto affianco al letto a terra, rovesciando tutto a terra. Lei sussulta e non fiata. «Mi stai lasciando! Te ne stai andando perché è la soluzione più semplice!» Sbraito pieno d’ira.
«Ti prego calmati» mormora.
«Come faccio a calmarmi?» Strizzo gli occhi e tiro un pugno sulla porta del bagno facendo un buco, osservo le nocche della mano che sanguinano e impreco sottovoce.
«Ma che fai» si avvicina lei ed io mi allontano.
«Non ho niente.»
Porta la borsa alla spalla e mi osserva. «Sai anche tu che è la decisione giusta.»
«Non mi prenderò la colpa per questo tuo gesto, perché è solo tuo… e ti stai comportando da egoista.» Sbotto nuovamente.
«Va bene» mi da le spalle e scende giù, la seguo a razzo senza pensarci e la raggiungo alla porta prima che lei esca del tutto da casa.
«Ti prego, non farlo» dico un’ultima volta.
Lei si volta e si avvicina al mio volto, lo prende con entrambe le mani e mi lascia un bacio sulle labbra, la stringo a me mentre la sua lingua cerca la mia. Penso che questo significhi un ripensamento, invece il distacco è così freddo da far capire tutto.
«Non odiarmi.» Scende le scale e va via.
Non ci posso credere. Svegliatemi da questo incubo.
«GRACE» sbraito prima che lei svolti l’angolo.
 Non si volta. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


                                                                                                  Capitolo 14


«Siete due incoscienti» balbetta mia sorella. «Io… io non ci posso credere» aggiunge mentre io ho la testa fra le mani ed il volto pieno di lacrime.
La osservo poi mentre cucina ai fornelli, sembra un’internata uscita da un manicomio, è completamente su di giri.
«Non lo so quale sia la decisione più giusta Grace, non lo so davvero.» Si volta poi a guardarmi, ha gli occhi lucidi anche lei. «Ho sempre saputo che tu ed io eravamo tanto uguali quanto diverse, io così razionale e diligente, tu così casinista e impulsiva.» Scuote il capo. «Adesso… però non me la sento di dirti cosa fare, perché al tuo posto non avrei avuto la più pallida idea di come agire» sospira e si avvicina al divano, nel quale io sono raggomitolata.
«Io lo amo più di quanto chiunque possa immaginare» singhiozzo ed asciugo gli occhi, osservando poi il soffitto. Respiro profondamente. «E non me la sento di frenare il suo futuro per questo bambino» deglutisco.
«Ho ben capito?» Incrocia le braccia al petto e corruga la fronte. «Grace, no.» Decreta.
«Non sto chiedendo il tuo permesso e quello di nessun altro» chiudo gli occhi strizzandoli.
«Non puoi tenere all’oscuro quel ragazzo di questa gravidanza fingendo che tu abortisca, è fuori discussione!»Aumenta gradualmente il tono di voce ed è proprio in quell’istante che Brady entra a casa.
Getta, sfinito, a terra la valigetta da lavoro e ci scruta curioso.
«Dov’è Dylan?» Chiede sbottonando le maniche della camicia e svoltandola fino al gomito.
Massaggio le tempie per il terribile mal di testa, «a casa» sussurro.
Brady morde il labbro e massaggia il mento con una mano. «Allora…» esordisce sedendosi al mio fianco e poggiando una mano sulla mia gamba. «Io ti voglio bene ed oggi a lavoro ho combinato un vero disastro per questa storia, non c’ero con la testa ed era come se tornando alle superiori Kris mi dicesse che fosse incinta» dice cauto, «sei come una sorella minore e questo mi sta facendo mangiare il fegato, posso solo dirti che tenendo distante quel ragazzo non starai meglio… anzi non starete meglio.» Decreta con il suo solito tono deciso. «Mi rendo conto però che le nostre parole per te non valgono niente di fronte ad una scelta del genere… quindi sentiti libera di agire come credi, ma pensa alle conseguenze del futuro… a quello che ti attenderà fra uno o due anni.» Conclude.
Brady mi lascia sempre senza parole, che sia in bene o in male. Tutto ciò però non cambia le cose, sto portando in grembo una creatura, sono incinta e devo accettarlo.
«Dirò a Dylan che abortirò, ma non lo farò davvero» cerco di mandare giù il nodo alla gola.
Osservo le occhiate contrariate dei due di fronte a me. Lo so, loro vorrebbero che per la prima volta facessi le cose come Dio comanda, ma non è questo il momento.
Dylan studierà e avrà la sua vita, mentre io avrò la mia lontano da lui.
E se un giorno dovessi rincontrarlo affronterò anche questa. Se do uno sguardo al passato, mi rendo conto solo adesso di quanto mi sia incasinata la vita e di quanto fosse semplice prima, quando sembrava tutto un gran casino, quando l’unico problema era decidere tra quei due. Adesso invece? Dio mi ha forse ripagata per la mia eterna indecisione? Dio mi ha posto davanti ad una situazione molto più grande di me, dandomi un calcio nel sedere e dicendomi: “Ehi tu, adesso che farai? Ti sembrava un disastro prima e adesso? Come affronterai questa? Sarai abbastanza forte da farcela o lascerai perdere tutto?
E invece no, giuro che sarò forte.


Per tutta la durata della cena Emily non fiata, allatta i gemelli e poi li mette a dormire, mentre Brady guarda il basket alla televisione, tra una birra e l’altra. E’ nervoso, lo so. Vede la moglie soffrire per me, vede me soffrire da sola.
Che guaio che sono.

Dylan mi ha chiamata cinquanta volte, allegando almeno un centinaio di messaggi che non ho il coraggio di leggere. Quanto vorrei che fosse tutto semplice, amarci e stare insieme senza limiti.

Mi siedo affianco a Brady che sonnecchia sul divano, ma quando avverte la vibrazione del mio iPhone accanto al suo sedere butta l’occhio sul display osservando il nome di Dylan.
«Non rispondi?» Mugugna.
Scuoto il capo e giro il telefono al contrario.
«Non avercela con tua sorella, è molto scossa» sospira lui sistemandosi, «lo accetterà vedrai e sarà al tuo fianco.»
Annuisco osservando la tv, mentre mille pensieri attraversano la mia mente.
Dovrò dirlo ai miei, dovrò affrontare questa grande tempesta. Non so neanche se vorranno ancora tenermi a casa loro o se mi spediranno dritta per strada a calci in culo. Magari mi chiederanno o meglio imploreranno di lasciar perdere, abortire, intraprendere la vita che sognavo. Per il momento sanno solo che faccio da balia ai miei nipotini mentre mia sorella e Brady sono fuori a cena. Proprio per questo non chiamano.
Io avrei così tanto bisogno di una doccia fredda, ma ho troppa vergogna e timore a parlare a mia sorella, che al momento è al piano di sopra.

Mi prendo di coraggio ed alzandomi in piedi avanzo verso le scale.
«Faccio una doccia» salgo lentamente e con sguardo basso.
Emily è poggiata allo stipite della porta della camera dei bimbi. Ha le braccia incrociate al petto ed osserva dentro, ma il suo sguardo è perso nel vuoto.
Mi affianco a lei e non fiato.
«Stavo solo guardandoli…» schiarisce la voce.
«Sono due angioletti quando dormono» accenno un lieve sorriso.
C’è un minuto di silenzio.
«Stavo anche immaginando te in questi panni» deglutisce rumorosamente, «e sono sicura che sarai eccezionale in ogni caso» poi scoppia in lacrime.
Ci fissiamo per un istante e ci lasciamo andare in un caldo abbraccio, mentre entrambe singhiozziamo l’una sulla spalla dell’altra.
Lei è la mia unica e vera metà.
«Mi prometti che non mi abbandoni?»
Mi stringe a sé, accarezzandomi il capo, «mai, non potrei mai.»
«Ho così paura» mormoro con voce rauca.
Si distanzia di poco asciugandomi le lacrime e sorride, «non devi averne, non ti lasceremo sola.»
Annuisco e tiro su con il naso. «Potrei fare una doccia?»
«Certo, sai dove trovare biancheria e tutto… io scendo di sotto da Brady.» Mi stringe una mano e poi si allontana.

Rimango sola ed entro nella camera dei bimbi, li osservo nelle rispettive culle e sorrido.
«Avrete un cuginetto o cuginetta… chi lo sa» sussurro.
 


POV DYLAN


Le nocche della mano sanguinano incessantemente e neanche le garze riescono a sostenere la fuoriuscita. Credo di non aver mai imprecato così tanto in vita mai e non sono mai stato così aggressivo e completamente fuori di testa di fronte ad una situazione. Ho sempre affrontato la mia vita con razionalità e lucidità, mai avuto un attimo di spossatezza mentale, era quasi sempre tutto sotto controllo, fino a quando non è piombata lei nella mia vita. Avrei dovuto saperlo che da quel giorno la mia vita sarebbe cambiata radicalmente, avrei dovuto capirlo dal primo sguardo, dalla prima parola.

«Metti anche queste» mia sorella mi porge altre garze. «Non risponde neanche a me.» Scrolla le spalle.
«Ho voglia di spaccare tutto e non posso fare il dannato, perché fra non molto arriva mamma, Cristo!» Ringhio.
«Ti prego stai calmo, mi fai paura» Beth nasconde il volto con entrambe le mani. «La farò ragionare, ma tu stai calmo per favore» mi implora.
«Come faccio?» Sbraito mentre sento le pupille quasi uscirmi dagli occhi, «lei vuole abortire e lo farà, lo so che lo farà!» Respiro irregolarmente.
Beth socchiude le palpebre. «Non può esserne capace davvero» decreta.
«Io non ce la faccio» mi siedo sulla tavoletta abbassata del water e mentre sostengo la mano fasciata scoppio a piangere come un bambino. Sono devastato, completamente.
«Devi stare tranquillo» Beth si inginocchia di fronte a me e prende le mani. «Io ti prometto che non glielo lascerò fare» è decisa.
«Che sta succedendo qui?» Mia mamma piomba incredula nel bagno, ha gli occhi sgranati ed un’espressione intimorita.
Caccio via le lacrime in men che non si dica e mi metto in piedi, nascondendo dietro la schiena la mano. Beth si ricompone e boccheggia per qualche istante non sapendo cosa rispondere.
Il silenzio è tombale. Questa casa è raramente così silenziosa, mette quasi paura e sono sicura che mia madre proprio per questo è così confusa.

«Mamma dobbiamo parlare» dico dopo una manciata di secondi.
«Sì» sospira.
Usciamo di lì ed io mi rifugio subito nella mia stanza seguito dalle mie altre due donne. Beth siede nella mia scrivania, mentre mia madre non si muove molto, rimane piazzata sul ciglio della porta attendendo una spiegazione e sicuramente sperando che non sia nulla di grave. Le verrà un infarto.

«Aspetto un bambino…» dico confuso, «cioè non io» balbetto.
Mia madre si sostiene già dalla porta, con una mano sulla bocca. E’ letteralmente sbalordita.
«Grace è incinta?» Mormora spaventata.
Annuisco e lei socchiude le palpebre. «Oh Dio, ma perché a me?» Mette le mani in preghiera ed alza gli occhi in alto.
«Mamma ti prego» decreto severamente.
«Mamma ti prego?» Sbraita venendomi incontro, per poi lanciarmi uno schiaffo senza precedenti. «Io ti ammazzo Dylan, ti ammazzo» dice portando le mani ai capelli.
Rimango impassibile, esterrefatto ma impassibile.
Vorrei ricominciare  a piangere, poiché mi sento come quando all’età di sei anni le avevo rotto uno dei suoi vasi preferiti e me le aveva suonate di santa ragione. Vorrei piangere in un angolino della mia stanza esattamente come quella volta, solo che stavolta so che la mamma non verrà a dirmi che si aggiusterà tutto e che non fa niente. Qui e adesso fa tutto.
«Mamma le cose accadono» dice Beth.
Mia mamma la fulmina, «voi» ci indica entrambi aggressivamente, «sapete quanto ci tenga alla vostra educazione, sapete quando mi sbatto per non farvi mancare mai e dico mai niente!» Dice a tono elevato. «Sono… oltre che vostra madre la vostra migliore amica, sapete sempre che per qualunque cosa io ci sono e mi farei in quattro per voi… ma questo» mi guarda dritto negli occhi, «non lo accetto» conclude.
Nessuno fiata. Non so cosa dirle.
«Adesso ti trovi un impiego, qualunque esso sia… ti rimbocchi le maniche e stai accanto a quella ragazza qualunque cosa accada e se provi anche semplicemente a lasciarla andare io giuro su tuo padre che ti sbatto fuori di casa Dylan Murphy!» Non ho mai visto mia madre in questo stato, credo di sconoscere questo lato autoritario, ma purtroppo non è niente come pensa lei.
«Mamma…» Beth prova ad aprir bocca.
«Tu zitta» la ammonisce subito.
«Lei non vuole tenerlo» dico io bagnandomi le labbra con la lingua.
Mia madre porta una mano in fronte e cerca un posto in cui mettersi a sedere, scegliendo la poltroncina affianco la scrivania.
«Mi volete far venire un collasso» sussurra.
«Smettila Cristo santo! Smettila» urlo esasperato. «Sono io che dovrei farmi venire un collasso, sono io che dovrei fare come un forsennato. Okay sono una delusione, dopo una vita di sacrifici combino una cosa del genere… okay sono un coglione, ma non mi pento di niente perché io amo incondizionatamente quella ragazza e se oggi mi dicesse di scappare e andare via da questo posto io lo farei senza esitare.» Parlo veloce e senza sosta.
Il viso di mia madre si riempie di lacrime. Ecco, ci mancava anche lei, che cazzo.
«Non venire ad abbracciarmi mamma, non ne ho bisogno… ho solo bisogno di un solo attimo di serenità, Dio si può?» Caccio un pugno contro il muro imprecando.
«C’è un modo per farle cambiare idea?» Chiede mia madre.
«Non credo proprio» rispondo diretto. «E adesso cortesemente uscite e lasciatemi solo» mi getto sul letto a faccia in giù, con la faccia contro il cuscino.
Sento la porta chiudersi ed il silenzio mi pervade.
Riprendo in mano il telefono e scrivo un messaggio.

Mi stai facendo troppo male e credo che finirò per odiarti per sempre.

Lo invio e poi ne scrivo un altro.

Ho bisogno di sentirti, sapere come stai e se non lo farai giuro che vengo lì… te lo giuro.

Invio anche questo.
Attendo dieci minuti e nessuna risposta. Proprio quando sto per mandarne un altro, lei risponde.

Sei la cosa più bella che mi sia capitata in tutti questi anni, ti prego non scrivermi più…
Se mi ami non farlo.


Come può dire una cosa del genere?
Rispondo immediatamente.

Se sono la cosa più bella che ti sia capitata in questi anni, non comportarti da egoista… non con me. Ci siamo dentro entrambi!

Lei risponde:

Voglio dormire Dylan, buonanotte…

A quel punto la chiamo, squilla qualche istante e poi risponde.
Sta singhiozzando. Non posso sentire questo.

«Amore ti prego» dico alzandomi dal letto ed avanzando verso la finestra.
Continua senza rispondere. Rispetto il suo silenzio e così non fiato neanche io, rimango attaccato al telefono sentendo il suo respiro affannato.
Procede così tutta la notte e nessuno dei due chiude occhio, poi la mattina, all’alba, lei finalmente dice qualcosa.
«Devo riattaccare.»
«Devo vederti.»
«No Dylan…»
«Sì Grace, non era una domanda.»
«Non cambierà nulla» il suo tono non è affatto duro.
«Perché non ti fidi di me? Credi sul serio che fra qualche anno io mi stancherò di te, di noi… come puoi pensarlo?»
«Dobbiamo seguire i nostri sogni.»
«IO VOGLIO TE!» Mi metto a sedere sul letto. «Non mi importa del college, io voglio te, voglio affrontare questo insieme a te» dico.
«Non voglio discuterne più, vedrai che andrà tutto bene… non devi preoccuparti per me, me la caverò e tu anche… andrai al college e ti dimenticherai di tutto.»
«Non capisco se ti stai convincendo tu di queste fottute cazzate o sei seria!» Mi incazzo nuovamente. «Mi dimentico? Credi che io possa dimenticarmi del nostro bambino o di te? Ma cosa cazzo dici Grace?»
«Devo andare a casa, ciao Dylan» sta per riattaccare.
«Ciao Grace» sono stanco.
Mi distendo nuovamente a letto ed osservo il soffitto. Poi qualcuno bussa alla porta della camera.
«Avanti» mormoro.
Beth entra e richiude la porta, avanza verso il letto e si sdraia al mio fianco a pancia in su.
«Scappate» esordisce.
Mi volto corrucciato a fissarla e lei fa lo stesso.
«Andate via da qui» dice, «sai ci ho pensato tutta la notte e sono stata di merda…»
«Beth nessuno ci impedisce di stare insieme qui, è solo e soltanto lei che non vuole darmi retta» decreto sfinito. «Non so più che dirle, è finita.»
«Non può finire così» borbotta Beth. «Se finirà così allora non ho mai conosciuto abbastanza Grace Elizabeth Stewart» afferma pensierosa.
«Lei dov’è adesso?» Chiede lei.
«Doveva andare a casa, l’ho sentita poco fa» mi gratto il capo mentre mi metto in piedi.
Vado di fronte l’armadio e cerco qualcosa da indossare, «credo che andrò lì, devo vederla.»
«Mi fai sapere qualcosa per favore?» Mia sorella rimane sdraiata sul mio letto, mentre io in fretta e furia mi sistemo ed esco dalla camera. «Ti chiamo più tardi» corro giù per le scale.
Mia madre è già in cucina che sta facendo colazione di fronte una tazza di caffè.
«Dove vai?»
«Da Grace» dico prendendo le chiavi dell’auto.
«Non fate scenate» mi raccomanda.
Detto ciò esco.


In mezz’ora sono fuori casa sua e non so se bussare alla porta o rimanere qui fuori come un coglione. Intanto esco dall’auto, poi pervaso da un senso di disorientamento sfilo il telefono dalla tasca e chiamo Brady.
Non risponde, ma lascia un messaggio.

Sono con Grace in auto, la sto accompagnando a casa… se vuoi fare l’uomo fatti trovare lì fuori. Cercherò di tardare se sei ancora a casa. Sveglia piccolo uomo!

Rispondo.

Sono già qui fuori.


Credo che tu sia già super approvato in famiglia, peccato che Grace abbia la testa dura.
Ciao man!


Abbozzo un mezzo sorriso per l’ironia sottile di Brady e mi metto a sedere sul dondolo di casa, sperando con tutto me stesso che né il padre né la madre escano di casa.
Ed ecco l’auto di Brady fermarsi di fronte, lei scende e lo saluta, poi si incammina nel vialetto e non mi nota affatto.
Solo quando sale gli scalini e mi metto in piedi si accorge di me.
E’ stravolta. I suoi occhi sono piccolissimi, rossi e gonfi, ha le guance che le vanno a fuoco e le labbra screpolate.
Non so cosa le dica in quel momento il cervello, ma quando getta la borsa a terra e corre ad abbracciarmi non posso far altro che stringerla. Stavolta non mi illuderò che cambierà idea, perché so come ragiona, so cosa pensa e so per certo che seguirà la sua testa anche se tutto ciò è assurdo.

«Devo parlare ai miei» morde le labbra.
«Entro con te.» Non ho intenzione di starmene qui fuori mentre lei affronta il padre e la madre lì dentro.
Non si sbilancia e mi lascia vincere questa volta.
Così gira la chiave nella serratura ed entra. I suoi sono a tavola, probabilmente stanno facendo colazione e alla mia vista appaiono confusi, così tanto da darsi una lunga occhiata.
«Buongiorno signor Stewart, signora…» dico con voce flebile.
«Ciao mamma… papà» dice lei mentre trema.
Il padre lascia il biscotto che stava per addentare e la madre posa nuovamente la tazza sul tavolo. Hanno capito l’antifona.
«Tesoro cosa succede?» La madre parla per prima, probabilmente l’espressione della figlia la dice lunga.
«Sapete che io non sono mai stata l’esempio di una figlia modello… e i miei sono più casini che momenti di tranquillità. Questa cosa non è cambiata mai, sono un disastro e lo sarò sicuramente sempre…» non arriva al dunque e mentre lei cerca di andarci cauta, io sto morendo dentro.
«Per favore sputa sto rospo» dice il padre.
«Sono incinta» dice osservandoli. «Ma non lo terrò.» La madre sbianca e il padre si mette in piedi.
Adesso viene e mi prende a cazzotti, come se non fosse bastato lo schiaffo di mia madre.
Sono pronto anche a questa.
«No. Non abortirai.» Dice il padre.
«Sì.» Ribatte lei. «Dylan per favore, lasciaci da soli.» Si volta verso di me.
Io annuisco, «io non sono d’accordo con questa scelta, perché sarei pronto a prendermi le mie responsabilità. Scusate il disturbo.» Li osservo per l’ultima volta e poi esco.

So che il mio intervento servirà ben poco, ma voglio che i genitori sappiano che non sono il solito imbecille di turno che lascerebbe andare tutto fregandosene. Combatterò se è necessario per farle cambiare idea e se non sarà abbastanza… allora forse me ne farò una ragione.

Io non mi arrendo di fronte ad un amore così.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

 

Sono seduta in sala d’aspetto. Mia madre è amica della ginecologa, ma sembra più nervosa di me. Si tocca continuamente le dita, morde le labbra e trema. Io sono immobile, osservo un punto fisso e non fiato. Poi mi perdo nel notare una giovane ragazza con il pancione avanzare, si volta sorridente e porge il braccio al ragazzo appena entrato. Le loro mani si ricongiungono e le loro dita s’intrecciano. Poi lei prende posto al mio fianco, ma il ragazzo non le lascia assolutamente la mano. Avrà più o meno la mia età, ci scommetterei.

«Tesoro esco un secondo a fare una telefonata» mia madre si mette in piedi e lenta si avvia verso l’uscita.
Sfilo il telefono dalla mia borsa e noto con disappunto che Dylan non si è più fatto sentire. Dopo la lunga litigata di qualche giorno fa non vuole saperne più niente.
Ho preso la mia decisione. Crescerò questa creatura senza di lui, fingendo che abortirò.
Mi odierà per sempre, ma almeno un giorno… saprò che lui sarà riuscito a realizzarsi come desiderava da sempre. Non è forse questo amare qualcuno? Lasciarlo libero di crescere ed essere felice, anche senza di me.
Mi scende una lacrime, l’acchiappo con l’indice, ma poi ne scende un’altra, poi un’altra. Cerco di inghiottire questo terribile nodo che mi blocca il respiro. Alzo gli occhi verso il soffitto e respiro profondamente.

Quando un pacchetto di fazzolettini mi si porge di fronte al mio viso, abbasso lo sguardo.
I due ragazzi mi stanno fissando e dai suoi occhi riesco ad intravedere tutta la comprensione di questo mondo. La ragazza, poi, mi poggia una mano sul ginocchio stringendola.
«Qualunque sia il problema sono sicura che andrà bene.» Sussurra dolcemente.
L’ammiro per qualche istante, ha i capelli ricci neri che le ricadono lungo le spalle, il viso roseo colorito sulle guance, il corpo non troppo esile che mette in mostra la forma del suo pancino tondo.
«Grazie» deglutisco. Acchiappo il pacchetto e sfilo un fazzoletto, asciugando gli occhi. «Quanti mesi?» Chiedo abbozzando un mezzo sorriso.
Lei osserva il fidanzato, si posa una mano sul ventre e sorride. «Sei mesi» lo dice con una tale enfasi da farmi rabbrividire.
«Che bello» dico annuendo.
«Quanti anni hai?» Mi chiede innocentemente.
Abbasso gli occhi. «Diciassette» sussurro.
«Io diciannove» dice un po’ sconsolata.
Quando si apre la porta dello studio della dottoressa sussulto, è il mio turno.
«Stewart» dice la donna guardandosi intorno.
Mi metto in piedi e sospirando mi avvio, lasciando i due ragazzi con ultimo sguardo.

La donna mi invita a sedermi su di un lettino, mentre sistema delle cianfrusaglie intorno.
«La mamma dov’è? E’ da un po’ che non la vedo!» Dice indossando i guanti in lattice e posizionandosi su di uno sgabello di fronte un monitor.
«E’ fuori» schiarisco la voce e mi sdraio, lei alza la mia maglia, abbasso di qualche centimetro anche il pantalone di tuta che indossavo.
«E’ freddo» ride mentre posa sul mio ventre una sostanza gelatinosa.
Osservo il soffitto e scuoto il capo. Quanto vorrei che tutto questo fosse solo un terribile incubo.
L’apparecchio si muove sul mio ventre ed io ho il cuore che batte a mille.
«E’ minuscolo, sono solo quattro settimane.» Sorride.
Nuovamente mi scende una lacrima. Forse dentro di me speravo che improvvisamente la situazione si capovolgesse e che la notizia fosse “non sei incinta”, invece no. Sono incinta di quattro settimane e voglio soltanto morire.

«Vuoi considerare le altre opzioni?» Mi chiede sfilandosi i guanti, mentre posa sul mio ventre dei tovaglioli per asciugarmi.
Così faccio, mettendomi seduta. Deglutisco e scuoto il capo.
«Ascoltami, la vita è tua e del bambino. Lui lo sente, lui sentirà tutto, saprà che la sua mamma non lo vuole davvero…» sussurra, «sei così giovane e… se non te la senti dovresti valutare le altre opzioni, te lo dico da medico.»
«Dovrò solo abituarmi all’idea di tutto ciò… ma andrà bene… suppongo» socchiudo le palpebre.
«Il padre del bambino lo sa?» Schiarisce lei la voce mentre si posiziona sulla sua scrivania.
Mi metto in piedi e la osservo dritta negli occhi. «Sa che abortirò.» Dico severamente.
«Grace sono in dovere di dirti che questo non è assolutamente corretto e che un giorno potrebbe portarti in tribunale per una cosa simile!» Esclama con gli occhi sgranati.
Mi prende il panico, ma cerco di mantenermi calma. «Non riesco ora come ora a immaginare una vita di coppia felici e contenti con un bambino, sono solo una ragazzina!» Sbotto.
«Lui deve essere messo al corrente delle tue scelte in questa situazione, un giorno potrebbe scoprire che tu lo hai tenuto e non hai idea di cosa potrebbe accadere» spiega. «Ne ho viste di situazioni simili.»
Passo una mano sulla fronte. «Potrei darlo in adozione dopo il parto e continuare la mia vita.» Penso frettolosamente.
Lei tentenna qualche istante. «Allora dovrai cominciare da ora a cercare una famiglia per questa creatura. Ci sono tante giovani coppie che desiderano avere un bambino. Potresti realizzare il sogno di qualcuno» la dottoressa sembra rilassarsi. «Posso darti una mano in questo caso.»
Vuoi darmi una mano? Procurami una pillola per un sonno profondo, da cui non c’è risveglio. Grazie.
«Va bene, puoi iniziare a cercare allora» boccheggio qualche istante e poi riprendo la mia borsa, poggiata sulla sua scrivania. Le porgo la mano per salutarla. «Grazie» dico con voce flebile.
«Ci vediamo tra  quattro settimane, ma se hai qualche problema o titubanza prima, non esitare a chiamarmi!» Detto ciò mi stringe la mano. «Mi raccomando.» La sua lunga e profonda occhiata mi rende nervosa.
Così appena posso sgattaiolo fuori di lì.

Mia madre è in sala d’aspetto ansiosa, non appena mi vede le luccicano gli occhi.
Le vado incontro.
«Andiamo» decreto dando uno sguardo ai ragazzi di prima.
«Che cosa hai fatto?» Domanda mia madre con un tono così preoccupato.
«Mamma dopo.» Sbuffo. Poi alzo una mano per salutare i due e m’incammino verso l’uscita.
Salgo subito in auto e poggio il capo sul sedile. Chiudo gli occhi e rimango così qualche istante, fin quando mia madre non piomba sul posto di guida, riempendomi di domande.
«Dimmi tutto.»
«Lo darò in adozione dopo il parto, così partirò per il college» decreto svelta.
Mia madre non parla. Lo so che è contro questa decisione, ma come ha detto le ginecologa, la scelta è solo e soltanto mia.
«Forse dovresti dirglielo a quel ragazzo.» Adesso il suo tono è severo, duro e rigido. «Non puoi comportarti da strafottente in questa situazione.» Mette in moto l’auto.
«Dylan e io non ci parliamo più, tanto fra poco lui se ne andrà» scocco la lingua sul palato e fisso fuori dal finestrino.
«Sei una persona cattiva quando ti comporti così, non capisco da chi tu ne abbia preso» mia madre sembra afflitta, ma non immagina quanto io lo sia.
Sto cercando di estrapolare dal mio corpo un’energia che non credevo neanche di avere. Sto cercando di non comportarmi da pazza isterica, urlando e piangendo.
Sto cercando di fare la persona matura, prendendomi questa responsabilità, ma non voglio tenerlo, non sarei in grado.
Il bambino o bambina avrà bisogno di due genitori, due persone che gli vogliano bene costantemente ed incondizionatamente, senza che debbano pentirsene ogni qualvolta incroceranno i suoi occhi. Voglio che abbia affianco due persone che gli stiano dietro come fossero due cani da caccia, che possano fargli realizzare ogni suo desiderio, che riescano a renderlo o renderla felice con poco, anche con le piccolezze. Voglio che il giorno di Natale riceva tutte le attenzioni, che il primo compleanno abbia intorno solo gente che lo guardi come se fosse la cosa più bella di questo mondo, che il primo giorno di scuola gli si vengano scattate cinquecento fotografie da appendere poi in un album.
Voglio che diventi una brava persona, sicura di sé, pronta ad affrontare ogni ostacolo della vita. Voglio che in un futuro non si penta mai della famiglia in cui è cresciuto, che possa esser fiero dei suoi genitori, che possa guardarli con ammirazione e non desiderare nient’altro di meglio al mondo.


Trascorro l’intera giornata chiusa in stanza, non voglio sentire nessuno, né mia sorella né Beth. Ho scoperto, però, tramite quest’ultima che Dylan partirà prima del previsto per il college. Fra qualche giorno spiccherà il volo.
Beth dice che non riesce a rimanere ancora per molto qui ed è sicuramente la scelta migliore quella di andar via adesso, quando le acque sono così agitate.
Bè, lo penso anch’io e spero che possa affrontare questo momento nel migliore dei modi.
Beth, invece, aspetterà ancora una settimana, poi anche lei lascerà New York e la rivedrò nelle vacanze natalizie. Mi chiedo come farò a nascondere la pancia, ma questo è un problema che affronterò in seguito.


Il giorno dopo sto facendo una corsetta nel vialetto di casa, ma quando in lontananza scorgo una figura conosciuta rallento. Stacco la musica, abbasso un auricolare e assottiglio gli occhi per capire meglio, così con il fiatone mi blocco. Porto le mani sui fianchi  ed inclino di poco il busto in avanti.
Il ragazzo ha i capelli cortissimi, una camminata conosciuta, un borsone alla spalla, un atteggiamento facilmente riconoscibile ed un braccio ingessato.

«Buongiorno!» Il suo vocione mi interrompe il flusso sanguigno.
Il cuore mi esplode di gioia e corro ad abbracciarlo. Probabilmente non è la reazione che lui si sarebbe aspettato, ma è una cosa bella in mezzo a tante cose orribili.
Brian è lì davanti a me e sembra passato così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti…
Mi stringe cercando di far attenzione al braccio e lo sento ridere.
«Qualcosa mi dice che questa bimba non stia bene» mormora.
Mi distanzio fredda e mi ricompongo. «Come mai sei tornato?» Sistemo i capelli in una coda alta e spettinata.
Lui sospira e mi mostra il braccio, «sono da gettare in una spazzatura» ride. «In realtà ho litigato con qualcuno lì e le cose non sono andate come previsto, mio padre mi ha finalmente lasciato libero di fare quel che voglio perché per lui sarò sempre un disgraziato e niente… sono tornato qui»  si gratta il capo imbarazzato. «Devo trovare un lavoro stabile, sistemarmi mentalmente, ma ho sempre la solita testa di cazzo» dice infine.
Lo guardo di sbieco. «Perché hai litigato?»
Si guarda intorno, «c’erano le donne nel nostro gruppo di addestramento ed io sono un piacione… lo sai, mi sono lasciato coinvolgere da una ragazza, ma niente di serio insomma» sembra impacciato e mi viene da ridere. «Lei aveva già una tresca con un tizio, un mio compagno ed una mattina è scattato il finimondo. In poche parole le donne sono la mia rovina, mi hanno cacciato e voglio farmi prete… credi sia una buona idea?» Nascondo il volto con entrambe le mani e scoppio a ridere.
Lo fisso nuovamente negli occhi e prendo un lungo respiro. «Ti va un caffè?»
Ride ed annuisce di rimando.


Siamo seduti in un bar di Manhattan, lui con un cappuccino, che tanto gli era mancato mentre io con un cornetto ed un caffè.
Parliamo del più e del meno, ma non abbiamo ancora sfiorato il tasto Dylan.
Lui mi racconta del suo addestramento, di quanto fosse duro e faticoso e di quante rinunce ha dovuto fare, così mi indica i suoi capelli quasi del tutto rasati. In realtà stanno già crescendo e così ha ancora di più l’aria da cattivo ragazzo, il quale è sempre stato.
«Ti preferivo con i capelli più lunghi» sorseggio il caffè.
Si massaggia il capo, «crescono subito» mi schiaccia un occhio. «Ho parlato tutto il tempo di me, di me e di me…» si massaggia il mento, «come sta il mio fidatissimo rivale?
Ci siamo. Perfetto.
Non muovo alcun muscolo facciale ed è per questo che lui si acciglia.
«E’ morto?» Ironizza. «Quando vi  ho lasciati pensavo di rivedervi tra qualche anno» sogghigna.
«Dylan fra non molto partirà per il college» dico stropicciando un fazzolettino.
Brian sorseggia il suo cappuccino, leccando dai baffetti la schiuma. «Ed anche tu no?»
Scuoto il capo accennando una smorfia con le labbra.
Aggrotta la fronte confuso e si sporge di più verso di me, «stai scherzando spero» inclina il capo da una parte e mi scruta dritto negli occhi.
Scapperei giuro. Questa sarebbe l’ennesima prova che io e Brian siamo due esseri completamente fuori dal normale.
«No, non andrò al college per quest’anno» deglutisco addentando il cornetto.
«Bene, quindi quest’anno vorrai lavorare da qualche parte? Fare un’esperienza diversa?» Domanda curioso.
«Tenere in grembo un bambino per nove mesi è da considerarsi come nuova esperienza no?» Non lo sto assolutamente guardando, ma quando i miei occhi incrociano i suoi noto la sua espressione paralizzata, gli occhi di pietra e lo sguardo assente.
«Non ci voglio credere» decreta a denti stretti.
«Neppure io.» Schiarisco la voce.
Si massaggia il volto con entrambe le mani e si poggia allo schienale della sedia respirando profondamente.
«Pensavo di essere io quello dei grandi casini Liz» sembra completamente su di giri, come se gli fosse arrivata una pentola di acqua bollente addosso.
Odio esser guardata con pena, ma lui non sta facendo questo, lui mi sta fissando come quando io osservavo lui dopo una delle sue sventure. Come per dire “mannaggia a te”.
Ed eccolo lì, pensieroso che non fiata. Sicuramente si starà cullando, la sua vita non è l’unica a fare schifo.
«Ma perché lui va via?» Chiede subito dopo.
Scuoto il capo, «lui sa che abortirò» sentenzio.
Mi sta squadrando malignamente, «è una decisione di merda, lo sai.»
Scrollo le spalle. «Dopo di che lo darò in adozione e io andrò al college.» Spiego cercando di apparire rilassata, quando in realtà sono un fiume in piena.


«Oh perfetto! Complimenti.» E’ in quell’istante che la voce di Dylan piomba alle nostre orecchie.
Ci voltiamo di scatto e lui è lì parato di fronte a noi, con le mani nascoste dentro i jeans e l’espressione di chi ci scaraventerà contro qualcosa.
Brian si mette subito in piedi ed alza le mani in segno di resa, «ti stai facendo un film, stiamo solo prendendo un caffè» il suo tono è freddo.
«Che bello, tu fai colazione come una persona tranquilla e normale, mentre io mi faccio venire la gastrite!» Sbotta Dylan osservandomi. «Brava, sei uno schifo» dice con odio e disprezzo. Non può esser sincero, però.
«Dylan io ho già deciso, basta adesso» borbotto furibonda.
«Tua madre mi ha detto che lo darai in adozione, perfetto, almeno saprò che avrà una madre come te» sputa quelle parole trafiggendomi il petto con un coltello affilatissimo.
Brian si volta verso di lui in cagnesco, «credo tu sia troppo duro adesso» cerca solo di mettere la pace, lo so. Conosco questa sua espressione.
«E’ vero.» Mi alzo ingoiando il solito maledetto nodo, strizzo gli occhi e caccio via le lacrime. «Avrà sicuramente una bellissima famiglia» mordo violentemente le labbra.
«Sei riuscita ad avere quello che volevi, l’odio nei tuoi confronti… come se tutto l’amore che provassi fosse stato spazzato via così… non potrei mai più guardarti come se tu fossi la cosa più bella della mia vita, perché non lo sei» la sua voce sta tremando, «buona vita Grace Elizabeth Stewart, spero di non rincontrarti mai più.» I suoi occhi lucidi lo ingannano, si volta e va via sfregando i palmi delle mani l’uno contro l’altro.

Mi lascio cadere sulla sedia avvilita. Brian mi si affianca abbassandosi e mi accarezza una gamba.
«Ti accompagno a casa.»



POV  DYLAN


Non è Brian il problema. Non più. Non sono geloso della loro vicinanza, non potrei esserlo.
Mi tormenta l’idea che lei stia facendo come se io nella sua vita fossi solo un puntino minuscolo ed invisibile. Eppure pensavo che fosse sincera, che ci legasse qualcosa di vero e profondo, pensavo di poterle fare cambiare idea, pensavo che l’amore ci avrebbe fatto attraversare questo momento insieme e crescere soprattutto insieme.
Invece non si sta preoccupando minimamente di niente, non le interessa nulla.
La mia durezza nei suoi confronti non è reale, la amo così tanto, ma non riesco più a dirglielo. Probabilmente l’odio ha preso il sopravvento.

Sistemo le valige ed i vari borsoni, visto che domani sera lascerò New York.
Beth, silenziosa, mi sta dando una mano, ma so che ci sta soffrendo quanto me.
«Vuoi che le parli?»
«Grace non ascolta nessuno» dico serio mentre chiudo l’ultimo borsone.
Beth si sedie sul mio letto con le mani fra le gambe e mi osserva in ogni movimento che faccio.
«Voglio poter sistemare le cose, non voglio credere che stia succedendo tutto questo» ribadisce triste.
Frenetico mi dirigo in bagno per prendere le ultime cianfrusaglie.
«Non c’è niente da sistemare, è finito tutto» sentenzio, ma poi mi sporgo sul lavandino ed osservo la mia immagine riflessa sullo specchio. «Mi riprenderò» mormoro a denti stretti.
«Ci sentiamo allora» mormora Beth dalla stanza, «se hai bisogno di qualunque cosa lo sai che devi chiamare immediatamente, senza esitare e cerca di cominciare bene, non farti distrare da niente e da nessuno, divertiti quanto puoi e non pensare a nulla. » Si mette in piedi e parlotta velocemente, poi mi abbraccia di scatto. «Mi mancherai così tanto da non poterlo neanche descrivere» sussurra al mio orecchio.
La stringo a me ed inalo il suo profumo, il suo odore sulla pelle, il suo shampoo al cocco.
Questa non è la fine, ma solo l’inizio di una grande scalata.
«Ti voglio bene» dico con voce rauca.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


Capitolo 16
 


Nascosta, come una ladra, dietro un muretto, osservo Dylan caricare sul bus tutta la sua roba. La madre e Beth lo stanno abbracciando di continuo e sembrano piangere entrambe.
Lui è irrequieto, un po’ distaccato, non rilassato. Annuisce ad ogni loro affermazione e raccomandazione, poi lascia due baci ad ognuna e sale su con un flebile “a presto”.
Asciugo le numerose lacrime che scendono sulle mie guance, mi si è offuscata la vista a furia di riempire gli occhi di così tanta acqua. Li strizzo e singhiozzo.
Il bus rimane fermo qualche istante, lui si affaccia dal finestrino e osserva le sue donne.
Poi quando finalmente parte, agita malinconico una mano, alza gli occhi al cielo e li schiude.
Ciao amore mio.

Poco dopo sto vagando per la città, sta piovendo a dirotto ed ho addosso soltanto un jeans, degli scarponcini ed una misera felpa con il cappuccio. Sono bagnata fradicia.
Mi accorgo solo dopo del messaggio in segreteria di Brian.

“Dove sei? Non eri tu quella che vagava sola per strada con questo temporale spero!”

Il suo tono è un mix tra la preoccupazione ed una risata incredula.

Rispondo con un sms veloce.

Sto tornando a casa, sì sono io.

Neanche il tempo di mandarlo che lui mi si affianca con l’auto. Abbassa il finestrino e mi osserva corrucciato.
«Dai sali» dice.
Apro la portiera e salto su. Abbasso così il cappuccio beccandomi la sua occhiataccia.
Riparte e spegne lo stereo.
«Non puoi farti venire adesso una bronchite!» Esclama furibondo.
Alzo le spalle e sbuffo, «ero senza ombrello, non è colpa mia» mi giustifico.
«Hai così tante persone che correrebbero per te e vuoi farmi credere che non l’hai fatto apposta? Grace ti conosco abbastanza.» Sbotta. «Dove vuoi che io ti porti? Da tua sorella?»
Emily ha ricominciato a lavorare, sarà stressata, mentre Brandon sarà ancora più isterico di lei. Li sento telefonicamente praticamente ogni giorno, non fanno altro che ripetermi di non fumare, di non bere e di non fare altre minchiate. Non le farò, ormai ho capito la lezione.
«Hai un appartamento?» Chiedo devastata. Credo di avere qualche linea di febbre, ero già raffreddata prima di decidere maturamente di camminare sotto la pioggia.
«Mio padre prima di dirmi quanto io sia disgraziato mi ha lasciato un po’ di soldi, quindi sono riuscito ad affittare un appartamento... a qualche isolato da casa tua» spiega guidando, osserva attento la strada.
«Andiamo lì, però dovrai offrirmi la cena» dico poggiando il capo sul finestrino, «e darmi qualcosa di caldo e poi riaccompagnarmi a casa. Insomma mi farai da baby sitter.» Accenno una risata.
«Sei andata a vedere Dylan vero?» Morde il labbro inferiore e si ferma al semaforo.
E’ rosso. Così si prende qualche secondo per guardarmi.
«Sì, come una cogliona» tolgo i capelli davanti gli occhi e mi massaggio le tempie.
«Quanto avrei voluto che tu mi amassi come ami lui» sussurra ripartendo. «Avrei anche accettato tutta questa situazione, qualsiasi situazione, bambino compreso… ma non te l’avrei mai data vinta» dice la sua a riguardo.
«No, Dylan ha fatto bene ad andar via.» Dico severa, mentre osservo le gocce che scivolano sul vetro dell’auto.
Lo sento ridere amaramente. «Tu pensi che io ti avrei lasciato il diritto di scegliere come gestire questa situazione? Mi dispiace… ma se il figlio è di entrambi, la decisione non era solo tua, era di entrambi. Hai potuto decidere da sola, perché Dylan non riesce ad avere il controllo su di te, eri tu l’Alpha dei due» finalmente siamo arrivati. Posteggia e tira il freno a meno.
«Perché tu si?» Domando antipatica.
Lui fa qualche smorfia. «Non avevo il completo controllo, ma sapevo gestirti» stringe le labbra in un mezzo sorriso. «Questa non è una sua colpa, sono relazioni diverse» conclude e scende dalla macchina.

Apre l’ombrello, poi la mia portiera e mi aiuta a scendere.
«Sono diventato più gentiluomo almeno.» Ci avviamo insieme verso l’entrata, prendiamo un ascensore e finalmente giungiamo al terzo piano.

Questo appartamento è decisamente più presentabile del precedente. Tutto messo in ordine, mobili nuovi di zecca, riesco ad avvertire persino l’odore del legno.
Mi guardo intorno e poi mi blocco.
«Mi dovrai prestare qualcosa» indico il mio abbigliamento.
«Stavolta non scenderò a comprarti dell’intimo.» Mi avverte spogliandosi del giubbotto e gettandolo su di una poltrona.
«Tranquillo, ancora quello non è bagnato, dammi solo un pantalone ed una maglia» sospiro. Ho un mal di testa bestiale.
Lui si dirige verso la camera da letto e torna due minuti dopo con una tuta ed una felpa. Me li lancia e poi alzando le maniche della sua maglia fino al gomito mi osserva.
«Cucino qualcosa» sembra un po’ confuso, ma annuisco e lascio che faccia.
E’ molto cambiato. Spero non sia solo una mia impressione.

Indosso ciò che mi ha prestato e lascio asciugare i vestiti su di una sedia. Così mi dirigo in cucina, non sembra impacciato come pensavo. Sta facendo la salsa e fischietta, mi siedo e mi incanto a fissare un punto senza distogliere lo sguardo.
Sono stanca, nel vero senso della parola. Vorrei dormire, chiudere gli occhi e riposarmi.
Mi fanno male tutte cose, come se mi fosse passato sopra un camion con rimorchio.
«Dì a tua madre dove sei» si volta leggermente e mi rivolge una brevissima occhiata.
«Non se ne parla neanche, non ci parlo con lei» sbadiglio.
Improvvisamente vibra il telefono, è Beth. Rispondo.
«Ti ho vista lì nascosta, dove sei adesso?» Sono le prime che mi rivolge.
«Sono da Brian, mi ha beccata per strada e mi sta ospitando per cena» dico sorreggendomi il mento con una mano.
«Spero non abbia intenzione di…» la sento sbuffare.
Mi metto in piedi e vago per la cucina, poi mi posiziono di fronte il finestrone.
«Puoi stare tranquilla per questo, davvero…» mormoro.
La sento tirare un sospiro di sollievo, «fatti vedere domattina per favore.»
«Sì, ti chiamo e vieni da me» noto che Brian mi sta osservando curioso.
«Va bene, mi raccomando a cosa fai… a domani» mi saluta e riattacca.

Getto il telefono sul tavolo e mi siedo nuovamente. 
«Pensava ci stessi provando con te» borbotta Brian. «Io non ci sto provando, ma non posso far a meno di starti lontano, soprattutto in queste condizioni… ti voglio bene, tengo a te in maniera indescrivibile e mi sento in dovere di proteggerti e non farti mancare nulla.» Ha gli occhi sinceri. «Sei e sarai la mia Liz, sempre» probabilmente non passerà ciò che prova per me ed io non farò nulla per incrementare questa cosa, così da non dover illudere nessuno. Lui sa cosa provo.
«Anche io ti voglio bene Brian e sono felice che tu sia tornato… mi sento meno sola» ammetto.

Così ceniamo l’uno di fronte all’altro mentre fuori il temporale è terribile. La luce via e viene continuamente, mia madre mi ha chiamata e alla fine ho dovuto dire che mi trovavo da Beth. Non che si preoccupi di Brian, ma non si fida di me e crede io possa continuare a comportarmi come una bambina indecisa. In realtà non è così, quel momento è già trascorso.

Io e Brian parliamo tutto il tempo, scherziamo da buoni amici, ci confidiamo e passiamo l’intera serata così tranquillamente da non riconoscerci neanche. Il tempo mette tutto al proprio posto, è proprio vero.

Lo aiuto a metter a posto tutto e poi mi deposito sul suo divano, mi porge un plaid ed accende la tv. Stanno trasmettendo La dura verità, uno dei miei film preferiti in assoluto.
Amo profondamente Katherine Heigl e Gerard Butler.
Anche Brian prende posto, ma non invade assolutamente il mio spazio. Siamo distanti l’uno dall’altro, lui da un capo del divano ed io dall’altro distesi. Solo i nostri piedi s’incrociano sotto la coperta. Poco dopo mi accorgo che lui sta dormendo ed io continuo a vedere il film. La notte trascorre tormentata dalla pioggia e il blackout pervade mezza città.
Mi metto in piedi, dopo la fine del film, e avanzo verso la finestra. Osservo i lampi ed ascolto il rumore dei tuoni. Ho sempre amato questo genere di giornate, ma le immaginavo diverse, magari a letto con la persona che si ama, nudi, sotto il piumone a fare l’amore.
Non che mi dispiaccia star qui, in fondo Brian non è mai stata una cattiva compagnia, ma ahimè… sta riposando ed osservandolo non avrei il coraggio per svegliarlo.
E’ l’una di notte e questo significa o che mi riposizioni al mio posto cercando di prender sonno oppure che riaccenda la tv alla ricerca di un altro film.
Allora scelgo la seconda opzione. Curiosando tra i canali scorgo l’inizio di Pearl Harbor, dire che io sia innamorata di questo film è dir poco. Starei qui a vederlo per ore e piangerei a dirotto per ore. Non mi stanco mai di guardarlo, ogni volta è come la prima.

Mi metto comodo ed euforica come una bambina mi scordo persino dei miei problemi.
A quel punto Brian spalanca gli occhi, alza il capo e ride.
«C’è Pearl Harbor e tu non mi chiami?» Acchiappa il telecomando ed aumenta il volume.
Sorrido. «Stavi dormendo» scrollo le spalle.
«Questo film è un capolavoro» dice estasiato. «Ma adesso silenzio» mi fa cenno di non fiatare più e così faccio.
Rimaniamo fino a metà film come due mummie, ma poi decido di parlare.
«Comunque io la preferirò sempre con Danny!» Scuoto il capo afflitta. Non accetterò mai la fine del film.
«E’ sicuramente meglio Rafe, lui ha saputo riprendersi la sua donna» sbotta Brian.
Sbuffo e mi lamento, «ma non c’è assolutamente paragone fra i due, dai… andiamo. Poi lei che finisce con Rafe, quando il bambino è di Danny… è troppo triste» faccio una smorfia con le labbra, ma quando mi sento gli occhi di Brian puntati addosso, mi volto. E’ serio.
Ripenso alla mia affermazione e mi pietrifico.
Brian, però, riprende a vedere il film, «sono tornati insieme perché lei in fondo ha sempre amato Rafe, nonostante tutto. E’ giusto così.» Sembra teso.
«Io amo Danny» ripeto.
«Lo so.» Decreta duramente e poi schiarisce la voce. «E’ solo un film… comunque» la tensione si alleggerisce.



Alla fine mi sono addormentata lì e l’indomani mattina mi ritrovo sola distesa sul divano. Brian non c’è. Mi metto in piedi e curioso per casa, poi lo scorto nella camera da letto a dormire.
Rindosso i miei vestiti asciutti e piego i suoi, lasciandoli sul tavolo. Prendo la mia borsa ed esco di lì. Tornerò a casa a piedi, la giornata non è poi così cupa.

Mia madre non fa domande, mio padre invece mi obbliga a far colazione con latte e biscotti. Diventerò la balena di casa?

«Io non sono contro l’adozione, se tu ne sei convinta…» dice sottovoce. «Tua madre capirà» sospira.
Annuisco e non fiato.

Nel pomeriggio Beth mi raggiunge a casa, trascorreremo gli ultimi giorni insieme e già mi manca al solo pensiero. Non posso immaginare di dover alzare una cornetta per poterla sentire e non posso pensare che lei possa scordarsi di me, avere amicizie nuove. Sono terribilmente gelosa di ciò, ma solo perché le voglio troppo bene e non voglio perdere anche lei.
«Dylan è arrivato stamattina» esordisce sgranocchiando una patatina, «ha incontrato Judy, te la ricordi?» Si gratta poi il capo.
Perfetto. Grandioso. Splendido.
«Come dimenticarla» borbotto a denti stretti. «Va bè, io credo che le cose vadano per come debbano andare» schiarisco la voce.
«Lo rincontrerai. Lo sai.» Mi osserva lei di sbieco. «E conoscendo mio fratello… sono sicura che farà di tutto per conoscere suo figlio» sospira. «Ci sarà quel giorno.»
Bè, se intende quello del parto potrà anche esserci, vederlo e salutarlo per la prima e ultima volta. Mi sono già abituata all’idea di lui che mi odia come se fossi il diavolo sceso in terra.
«E’ la scelta più giusta» biascico, «tu ci pensi fra qualche anno, se lui fosse rimasto qui, insieme a me… avremmo cresciuto insieme il bambino e poi sicuramente le cose sarebbero cambiate e peggiorate» dico pensierosa, «lui con il rimpianto di non aver potuto realizzare ogni suo desiderio, io lo stesso. Sarebbero iniziate le liti, le porte chiuse in faccia, l’astio, l’arroganza, poi avremmo perso completamente la pazienza, avremmo gettato la spugna… e quella che sarebbe dovuta essere una famiglia…» mi blocco. «Sarebbe diventata un inferno vero e proprio. Io voglio che cresca bene e serenamente. Noi siamo troppo giovani e acerbi per questo.» Non voglio esser vista come la cattiva della situazione.
Non riesco a pensare di star sbagliando, perché tutto ciò che ho appena previsto, sarebbe accaduto senza dubbio.
L’amore si sarebbe trasformato in abitudine. E allora lasciamo che ognuno prenda la propria strada, faccia le proprie scelte, giuste o sbagliate che siano, che si prenda il primo treno con chi sa quale destinazione… poi magari un giorno ci rincontreremo. Lui magari non mi guarderà più con quegli occhi colmi di disprezzo. Magari ci sorrideremo. Magari lasceremo alle spalle quel che è stato e ci abbracceremo. O magari faremo finta di non riconoscerci neanche, cammineremo ognuno per la propria strada, a testa alta ed occhi gelati. La vita ci sta riservando sicuramente una fine…

«Mio fratello non ti perdonerà mai, Grace… voglio che tu lo sappia sinceramente.» Beth lo dice con avvertenza, ma anche tristezza.
Alzo le spalle e prendo un lungo respiro. Spero che un giorno lo capisca.
«Io credo che… avrà altre storie, situazioni…» abbasso lo sguardo.
Beth mi accarezza il capo, «non è da escludere» amo la sua sincerità.

Quando squilla il mio telefono, mi sporgo verso il comodino e lo acchiappo. E’ la dottoressa Clayton. Ci penso un po’ e poi rispondo.
«Ciao Grace, sono la dottoressa Clayton… ho già trovato una coppia. Vorrebbe conoscerti, non ha preferenze per il sesso e insomma… se domani venissi qui potreste parlarne» spiega cauta.
Osservo Beth che mi scruta curiosa, «sì, perfetto. A domani…» saluto e riattacco.


Beth, sconsolata, mi fissa, arriccia il naso e posa gli occhi sul mio ventre.
«Lo so cosa stai pensando, non dirlo.» Quasi la imploro con lo sguardo.
Mi metto in piedi, percorro la stanza avanti e indietro, mentre mi azzanno le labbra con dei morsetti e stritolo le mani.
Non pensarci Grace. E’ giusto così. Non farti problemi. Respira. Socchiudi le palpebre e rilassati. 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17



La donna di fronte a me indossa un tailleur grigio, un paio di decolletè nere, borsa firmata, profumo inebriante e collana di perle al collo. Il marito invece è un po’ più sobrio.
Parlano raffinatamente ed educatamente, ma non mi piacciono affatto.
Non li sto neanche ascoltando, poiché li ho già esclusi a prescindere. Troppo montati per i miei gusti. Osservo, così, la dottoressa e con un cenno di capo le lascio intendere che sono decisamente un “NO” secco.
Così, dopo un’ora di chiacchiere, ovviamente loro, mi metto in piedi e gli tendo una mano per salutarli.
«Mi dispiace, non sono convinta.» Dichiaro severa.
La signora rimane parecchio delusa, probabilmente, secondo lei, l’apparire così avrebbe fatto la sua parte e le avrebbe fatto guadagnare punti. In realtà è il peggior modo per colpirmi. A me piace l’umiltà e la semplicità.
«Bè, non so che dire…» lamenta la donna, per poi osservare il marito che assottiglia gli occhi.
Incrocio le braccia al petto, «cerco un altro tipo di famiglia» sospiro.
La dottoressa schiarisce la voce, «ci sentiamo signori Byron» li invita ad andare gentilmente.
Così fanno, ma continuando a lanciarmi quelle occhiate minacciose.

Quando rimango sola con lei, mi spaparanzo sulla sedia di fronte la scrivania.
«Ci sono altre coppie, chiamerò per fissare degli appuntamenti se sono interessati… sta’ tranquilla.» Spiega mentre scrive qualcosa su di un blocchetto.
Mi guardo intorno ed abbasso poi lo sguardo, «erano troppo… troppo.»
La dottoressa mi degna di uno sguardo comprensivo. «Sono particolarmente benestanti, non gli farebbero mancare niente…» dice.
«Forse l’affetto!» Esclamo. «Sembrano così pieni di loro, di soldi e lavoro… lo lascerebbero nelle mani di una tata tutto il giorno… e no.» Sbuffo.
«La tata è molto ricercata di questi tempi, non è una cosa strana… » aggiunge lei.
Stiro il collo e lo rilasso portandolo all’indietro, «sarà… ma non mi hai convinta, quando lo farà qualche coppia lo si capirà dai miei occhi.» Osservo il soffitto.
«Spero che ne troverai qualcuna sempre se tu voglia davvero trovarla, Grace.»  Il suo tono è molto severo. «Hai ancora qualche perplessità» commenta fissandomi.
Le porgo lo sguardo, «no, voglio solo una famiglia all’altezza.» Detto ciò mi metto in piedi, indosso il giubbotto di jeans ed acchiappo la mia borsa, portandola in spalla. «Ci sentiamo» le porgo la mano, lei tentenna un po’ e poi la stringe.
«Riguardati e salutami la mamma» mi saluta prima che io esca ed io rispondo con uno sguardo ammiccante.

Prendo il primo bus, è vuoto e prendo posto in uno dei posti avanti. La giornata è piuttosto cupa, come tutte le altre ultimamente. Le strade, comunque, sono sempre affollate.
Sfilo il telefono dalla borsa e scorgo tra la rubrica il numero di Dylan, così, lo chiamo in anonimo. Metto il cellulare all’orecchio ed attendo.
Prima che risponda lo sento ridere con gusto.
«Pronto?»
Sento il cuore esplodere fuori dal petto. Socchiudo le palpebre.
«Chi è? Pronto?»
Poi avverto delle voci, ma non riesco a decifrare se siano femminili o maschili.
«Avranno sbagliato» riattacca.
Prendo un lungo respiro, abbasso il braccio ed osservo fuori.

Improvvisamente arriva un messaggio di Brian. Sorrido istintivamente e leggo sottovoce.

Ti posso passare a prendere? Pranzo e giretto in centro commerciale?

Rispondo:

Sono sul bus verso casa, sono stata dalla ginecologa… sto per arrivare.

La sua risposta non tarda ad arrivare, come sempre.

Cos’è successo? Tutto okay?

Chi sa lui che fatica faccia ad accettare di restare al mio fianco in una situazione del genere, in ogni caso ha imparato a mantenere la calma.

Sì, ho incontrato una coppia… per l’adozione… ma ne parliamo dopo, tu hai tolto il gesso?


Sì, in realtà non potrei neanche guidare… ma ce la posso fare. Mi faccio trovare di fronte casa tua.



Quando il bus si ferma quasi accanto casa scendo salutando il conducente e mi avvio svelta. Noto in lontananza l’auto di Brian e cerco di far veloce.
Salgo al posto del passeggero, ci salutiamo con un bacio in guancia e poi mette in moto.
«Ho pensato… se chiamassi Beth? Ti dispiacerebbe?» Chiedo abbassando il finestrino.
Lui fa una smorfia con le labbra e scuote il capo, «forse a lei sì, non a me.»
Così le mando un messaggio e stranamente accetta.
Brian guida fin casa sua e appena giunti lei è già fuori. Lui si sporge dal finestrino.
«Beth potresti diventare la mia ragazza solo per il fatto che sei una delle poche donne pronte e puntuali!» Esclama lui ridacchiando.
Abbozzo un sorriso ed osservo Beth rispondere con una smorfia antipatica.
«Non diventerei la tua ragazza neanche se fossi l’ultimo essere umano sul pianeta Terra!» Dice lei mentre sale in auto.
«Questa è vecchia, mi deludi» Brian arriccia il naso e riparte sgommando.
Beth sbuffa, «avrei dovuto declinare l’invito» mette il broncio ed incrocia le braccia al petto.
Mi volto per fissarla e rido, «dai su, mi siete rimasti solo voi e poi tra qualche giorno partirai… godiamoci questi giorni» la supplico quasi.
Si ammorbidisce subito e il suo volto sembra rilassarsi.
 

Ci fermiamo a pranzare in un ristorante al centro, oggi di lusso direi. Brian si propone di offrire il tutto e mentre Beth se la ride soddisfatta, io cerco in tutti i modi di non accettare questo invito.
Rimaniamo al tavolo anche dopo aver finito, loro bevono del caffè, mentre io mangio un dolcino.
«Quindi partirai per il college» dice Brian scrutando Beth.
Lei annuisce antipatica, «mi rendo utile nel mondo, in qualche modo» lo odia.
Lui ride scoccando la lingua sul palato, «pateticamente acida» commenta sorseggiando il suo caffè. «Ho anche paura di esser contagiato» alza le sopracciglia con fare ironico.
«Tu potresti contagiare me di ignoranza» borbotta lei.
Osservo questo teatrino silenziosa. Sono due rompi coglioni.
Brian si sporge in avanti per osservarla meglio, «ce l’hai ancora con me per tuo fratello? Dobbiamo proprio ricordare e parlarne?» Si morde il labbro inferiore e noto come Beth ci fa enormemente caso.
Rotea gli occhi «hai messo i bastoni tra le ruote a mio fratello per molto tempo, permettimi di non sopportarti» risponde schietta.
Brian inclina il capo da una parte ed annuisce. «Adesso, però, come la vedi la situazione?» La sta provocando e non so quanto Beth resisterà.
Quest’ultima guarda entrambi prima di fiatare.
«Penso che tu sia sincero, che tu abbia capito da che parte stare, ma che ormai è troppo tardi» dice chiaramente alzando le spalle.
«E’ tardi perché tuo fratello se l’è svignata e questa volta non a causa mia?» Aggrotta lui la fronte.
Mi scaldo anche io, «basta adesso, finitela» li prego.
«Dico che ti sei rassegnato troppo tardi» dice Beth. «Non voglio discutere, sono affari vostri… però spero non ci sia malizia tra di voi» abbassa gli occhi.
«Sei gelosa?» Brian la sta buttando un po’ troppo sullo scherzo.
Nascondo il viso con entrambe le mani.
«Brian mi stai dando sui nervi!» Sbotta lei.
Dopo di che Brian agita la mano ad un cameriere per far portare il conto. Così paga e usciamo di lì.
Finalmente respiro un po’ d’aria pulita, lì dentro sputavano entrambi veleno.

Beth, giustamente, mantiene il muso fin quando non giungiamo al centro commerciale.
Brian a volte accenna dei risolini soddisfatti, mentre io sbuffo continuamente.


Girando tra i negozi sembro l’unica ammaliata dalle vetrine, Brian fischietta e si muove in solitario, mentre Beth, al mio fianco, pare pensierosa.
«Se è per Brian, lascialo stare… ti stava solo provocando» dico fermandomi di fronte un negozio. «Che bel pantalone» mormoro.
«Mi da fastidio lui, i suoi modi arroganti di fare e quella terribile faccia di cazzo che si ritrova. Non l’ho mai tollerato!» Parlotta agitata.
«Brian quando vede che una persona non sa stare allo scherzo e si innervosisce, incalza ancor di più… » spiego osservandola. Ormai lo conosco bene, prova piacere a vedere la gente scaldarsi, lo trova divertente. Beth, in questo caso, è un’esca perfetta.
Beth continua a camminare e sbuffa, «cosa ci trovavi in lui?» Corruga la fronte.
Mi prendo un secondo per guardarlo. Cammina lento, con le mani nelle tasche del giubbotto, fischietta ed osserva ogni vetrina, per poi sorridere alle donne che gli passano affianco. Non so esattamente cosa mi abbia attratto inizialmente di lui, probabilmente non sono mai stata neanche del tutto consapevole di questo interesse che provassi nei suoi confronti.
Forse l’essere piuttosto simili mi spingeva sempre di più a stargli intorno ed a volte succedeva senza neanche volerlo, chiamalo destino, chi sa. In ogni caso riuscivo a capirlo con uno sguardo, sapevo già a prescindere qual era la sua prossima mossa, riuscivo a prevederlo, perché la mia mente ed i miei pensieri, non erano poi così diversi dai suoi.
Questo non è mai stato un bene. Ammetto che è bello trovare qualcuno che riesca a comprenderti senza che tu fiata, ma non dimentico i brutti momenti passati a causa sua.
«Io e Brian abbiamo avuto subito una certa alchimia, ci capivamo al volo… stesse teste calde e malate a volte» sussurro, «quindi è stato credo questo ad affascinarmi di lui» annuisco convinta subito dopo.
«E con Dylan non ti capivi al volo?» Domanda lei corrucciata.
Rido, «ah, con Dylan è stato tutto un crescendo, una continua scoperta… il conoscersi e scoprirsi giorno dopo giorno, amando pregi e difetti.» Ripenso sognante. «E’ nato per gioco, è nato in amicizia, è nato per caso… ed è stato bello capire passo passo cosa provassimo» sospiro. «Non credo si possano paragonare entrambi, perché sono state due relazioni diverse… una tormentata, l’altra travagliata... e alla fine nessuna bella destinazione» scrollo le spalle.
«Io spero che il destino abbia in serbo per te qualcosa di veramente bello Grace Elizabeth Stewart» Beth mi passa un braccio intorno al collo, per poi poggiare il suo capo al mio. La stringo avvolgendole la vita con il mio braccio.
«Io credo che la mia vita non sarà mai una calma piatta, ma sempre un oceano in tempesta» inspiro profondamente.
«Allora comandante spero che la tua nave sia abbastanza maestosa e possente per affrontare le tempeste.» Mi lascia un caldo bacio in guancia ed io sorrido.

Brian si volta a osservarsi, scuote il capo e imita il nostro passo lento, scocciato.
«Che palle, vi volete muovere?» Urla.
Alcune persone intorno si voltano perplessi a fissarlo, poi riprendono il loro cammino.
«Voglio far compere, secondo voi perché vi ho portate?» E così entra in un negozio per uomo.
Le commesse, entrambe donne, aiutano Brian a provare degli abiti, mentre noi attendiamo sedute su una poltroncina. Indossa di tutto, da maglie a cappotti e quant’altro.
Il papà deve averlo viziato bene ultimamente per potersi permettere tutto ciò che sta acquistando. Almeno non devo preoccuparmi che abbia rapinato una banca.

Usciamo da lì con una decina di borse.
«Adesso sono a secco» borbotta, «grazie a dio comincerò a lavorare domani» aggiunge.
«Fammi indovinare» esordisce Beth con una mano sul mento, «lava cessi
Lui risponde con una risata antipatica, «potrei, è un lavoro come un altro Miss Perfezione del mio cazzo» ecco come rovinare un momento rilassante! «Comunque lavorerò in un Hotel a quattro stelle come barman.» Sorride soddisfatto. «Ammetto… c’è la mano del papi, ma necessitavo di un impiego dignitoso.» Alza le mani in segno di resa.
«Tuo padre dovrebbe darti tante mazzate in testa piuttosto» questa volta sono io a commentare acidamente, ma mi stupisco di come sopporti che Brian non ne combini mai una giusta. Poi, però, riflettendo su me stessa mi mordo la lingua.
Nonostante i miei continui sbagli, la mia famiglia non mi ha mai abbandonata e soprattutto in questa circostanza, disastrosa direi, loro sono al mio fianco, appoggiando anche la peggiore delle mie scelte.
«Scusa, non dovevo parlare… proprio io» mi giustifico.
«Tranquilla… » l’atmosfera si gela subito e proseguiamo silenziosi.


Brian ci accompagna nelle rispettive case in serata. Lasciamo prima a destinazione Beth.
«Ciao Betta» dice lui provocando l’immediata reazione di Beth, la quale ringhia come un cane e sbatte la portiera dell’auto.
«Ci sentiamo domattina» agito la mano per salutarla prima di non vederla più.
Brian canticchia e sfreccia tra la strada.
«Perché devi provocarla così?» Domando sistemando i capelli in una coda di lato sfatta.
«E’ divertente, se la prende per ogni cosa… peggio di te» lascia il volante per gesticolare un attimo per poi riprendere il controllo.
«Non gli stai affatto simpatico» commento schiarendo la voce.
«Pregiudizi» fa lui di rimando.
Lo guardo. «Fatti accaduti che la inducono a detestarti» aggiungo.
«E’ normale che abbia avuto problemi con suo fratello, ci provava con te, usciva con te… mica potevo stare a guardare» si giustifica tranquillo, «ma si mettono da parte adesso queste cose, io sono venuto qui perché amo questo posto, non voglio problemi con nessuno e mi secca esser ancora giudicato… e poi io con questa vostra situazione non c’entro proprio nulla» conclude.
«Lo so, non voglio metterti in mezzo infatti» mi difendo, «i problemi che ci sono tra me e Dylan sono di un’altra natura» mi massaggio la fronte.
«Forse era meglio quando il problema eravamo noi due, non credi?» Mi osserva di sbieco.
Annuisco con suono gutturale.
«Ne abbiamo passate delle belle» commenta prima di zittirsi del tutto.
Aumenta il volume della radio e i miei pensieri accrescono notevolmente.
Chi sa cosa fa Dylan, se si sta divertendo, se si è trovato già bene, se ha conosciuto qualcuno, se gli passo qualche volta per la testa, se ha mai voglia di sentirmi.


Il giorno dopo ho un nuovo colloquio con un’altra famiglia, stavolta mia madre mi farà compagnia. La coppia di fronte a noi ha portato con sé gli altri due bambini, chiassosi come mai visti prima. Non stanno un attimo fermi, fanno pernacchie, dispetti e sono davvero insostenibili. Mia madre ha gli occhi sbarrati, mentre io, che non amo a prescindere la presenza dei bambini, respiro profondamente, fin quando mi metto in piedi sbottando con un “BASTA”. Credo che persino per strada mi abbiano sentito.
«Davvero, voi sarete anche una famiglia fantastica… ma grazie, non c’è bisogno che senta o veda altro» dico nervosamente.
La donna, sconsolata ed imbarazzata, prende per il braccio il bambino che sta scarabocchiando il block-notes della dottoressa e trascina fuori con sé anche l’altro che si strusciava a terra.
Non dice neanche una parole, saluta con un flebile “arrivederci” e scompare insieme al marito e le pesti.
«Questa volta non hai tutti i torti» riflette la dottoressa.
«Grazie» rispondo sollevata.
«Cara hai detto ci sia un’altra coppia» mia madre si rivolge all’amica e quest’ultima annuisce. Esce dallo studio e rientra con due giovani, o meglio non troppo.
Lei ha i capelli fino alle spalle castano chiaro lisci, lui è riccio. Sono vestiti come due persone normali, finalmente e sembrano abbastanza umili.
«Ciao piacere, io sono Amelia e lui è mio marito Grant… siamo molto giovani, abbiamo rispettivamente venticinque e ventisette anni, siamo sposati da poco, solo cinque mesi» esordisce dolcemente, «io ho scoperto dopo delle visite accurate che non potrò aver bambini e questo per noi è stata una bella batosta. Siamo cresciuti in famiglie numerose, siamo molto religiosi, adoriamo avere bambini per casa e poi i nostri impieghi ci permettono di non tralasciarli per lungo tempo da soli» sorride prendendo la mano del compagno.
«Che lavoro fate?» Chiedo azzardata, forse.
«Grant è un insegnante di letteratura… io sono una psicologa» spiega. «Sappiamo che non conosci ancora il sesso del bambino, a noi non importa… ci basta averlo tra noi per essere completi» sembra una donna davvero fantastica.
Guardo mia madre che annuisce compiaciuta. Perché c’è qualcosa che non mi convince?
«Va bene se mi lasciate il vostro numero ed io ci penso meglio?» Mi rivolgo ad entrambi.
La ragazza annuisce subito e sfila dalla borsa una penna ed un fogliettino.
Scrive i due numeri di telefono con rispettivi nomi e cognomi e me lo porge.
«Pensaci bene» dice il ragazzo.
«Sì, grazie» mi metto in piedi e gli stringo le mani prima di salutare.


Esco dallo studio un po’ stranita. E’ come se non mi fidassi di nessuno. Come se nessuno per me sia all’altezza di questo compito. Eppure ho ancora così tanto tempo per decidere.
Mentre salgo in auto ho come un’illuminazione, tutto sembra più chiaro.
Il mio cuore sa già cosa vuole, sa già tutto. 

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