L'occhio del corvo

di lullublu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Oboro1 Note dell'autore:
Salve a tutti per questa nuova storia, che quasi nessuno leggerà.
Volevo solo dire che non è proprio spoiler perchè molte cose le ho inventate di sana pianta essendomi fermata con la storia all'anime.
Buona lettura ^^


Oboro era sempre stato solo.
Sia nella vita che nel lavoro non aveva trovato altro che persone prive di fondamento, gusci vuoti che quasi non sembravano essere dotati di una loro personalità.
Questo ad eccezione di Utsuro, il suo superiore era infatti l'unica persona che egli stimasse.
 Ma giunto nella terra dei samurai, aveva intravisto qualcosa, qualcuno dotato di una ferrea volontà, qualcuno dall'anima d'argento.

Disposto su un'altura, poco distante dal campo di battaglia, Oboro insieme ad un suo compagno, osservavano.
L'albino era ancora un soldato, ma già spiccava per le sue doti e si indovinava che avrebbe fatto presto carriera.
Probabilmente sarebbe stato l'unico a riuscirci per il suo talento e per le sue abilità come stratega, e non per raccomandazioni o 'favori' verso le cariche più alte.
I suoi compagni lo detestavano per questo, vedevano nel suo atteggiamento un chè di altezzoso, come se lui, ai loro occhi si credesse migliore.
Ma ad Oboro questo non importava, non era mai stato un tipo che legava con gli altri e non avrebbe iniziato certo adesso.
Inoltre, sapeva che la loro era soltanto invidia o forse semplicemente lo temevano per il suo sguardo indecifrabile.
Sembrava che a dire una parola di troppo in sua presenza, avrebbe potuto uccidere, conficcare semplicemente la lama nel petto, senza pensarci una seconda volta.
Makoto, che in quel momento era di ronda insieme a lui, si sentiva nervoso.
L'albino non aveva ancora detto una parola, e si limitava a fissare solennemente i samurai che combattevano.
"Chi è quello?" chiese Oboro ed il compagno tremò, non aspettandosi certo di sentirlo parlare.
Fu stupito che si interessasse a qualcuno.
"A chi ti riferisci?" gli chiese, cercando di mantenere il tono di voce fermo, non voleva fargli capire quanto fosse a disagio.
Lo sguardo dell'altro non si mosse minimamente dalla battaglia, diamine pensò Makoto sembra che non stia nemmeno respirando.
"
Quello con i capelli ed il kimono bianco" rispose Oboro.
Makoto dovette sporgersi maggiormente e guardare attraverso il binocolo per riuscire a capire a chi si riferisse.
A lui sembravano tutti dello stesso colore, color sangue.
Ma gli bastò un'occhiata per capire chi fosse il samurai di cui parlava l'altro.
Ce n'era uno con i capelli argentati ed il kimono bianco, anche lui era sporco di sangue, ma questo colore sembrava non riuscisse a spegnerlo come succedeva invece a tutti gli altri combattenti.
Anzi, sembrava ancora più luminoso, mentre, combattendo come un demone, si sporcava di rosso, quasi fosse la luce della sua anima quella a risplendere sul campo di battaglia.
Makoto, come molti altri Naraku, già conosceva di fama quel giovane samurai.
"Quello è lo Shiroyasha" disse "è molto famoso, sembra essere uno dei più forti da queste parti. E' uno degli allievi di Yoshida Shoyo".
Avendo già catturato il maestro Shoyo, Oboro capì subito che quel giovane doveva essere una persona fuori dal comune.
"Shiroyasha" ripetè tra sè e sè, e per una volta, forse per la prima volta in vita sua, le labbra gli si incurvarono in un sorriso, forse un po' inquietante e molto più simile ad un ghigno "interessante" disse.
Era strano per lui provare interesse per qualcuno, tanto più che quando era venuto sulla terra, aveva giudicato subito i samurai, solo come dei cani che sbraitavano alla luna.
Si chiedeva per quale assurdo motivo continuassero a lottare se il governo gli aveva già dato le spalle.
Ma quel ragazzo, quel demone bianco, gli sembrava diverso.
Forse conoscendolo avrebbe scoperto qualcosa, avrebbe capito la logica di quella razza che in ogni caso considerava inferiore.
Voleva saperne di più.


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Capitolo 2
*** 2 ***


oboro 2 Quella sera Makoto divenne la star del momento.
Dopotutto, poteva vantare di aver passato il suo turno di guardia insieme all'indecifrabile Oboro.
All'ora di cena, i Naraku solevano chiacchierare per stemperare la tensione della giornata.
A volte parlavano di cose serie ma perlopiù i loro erano pettegolezzi, anche perchè dopo un'intera giornata di lavoro anche la mente di quei guerrieri scelti aveva bisogno di distrarsi e riposare.
Oboro, essendo l'unico che non partecipava mai a quelle discussioni e che in genere si isolava, era spesso l'argomento delle conversazioni.
Questo può quindi farvi capire perchè Makoto quella sera fosse al centro dell'attenzione.
Tutti erano curiosi di sapere cos'altro avesse combinato il corvo.
Makoto prese quindi a raccontare, soprattutto inventando ed esagerando su quella che in realtà era stata una giornata come le altre.
Serviva perlomeno a darsi delle arie, vantandosi di una temerarietà che in realtà non aveva avuto, anzi, era stato teso e spaventato per tutto il tempo.
Non credeva però (ed aveva ragione su questo) di essere l'unico ad esagerare ed inventare particolari.
Come ad esempio il suo compagno Higuchi che per giustificare un taglio sul ginocchio, aveva detto di essersi fatto valere contro Oboro su una qualche questione e questo si era vendicato.
In realtà era caduto su di una roccia perchè Oboro gli aveva chiesto se volesse fare una pausa e lui, sussultando per lo spavento di sentirlo improvvisamente parlare, era inciampato.
Su di una cosa però Makoto non mentì.
Disse ai suoi compagni che Oboro aveva mostrato interesse verso lo Shiroyasha.
Nessuno si stupì molto nel sentire che il corvo non aveva mai sentito parlare di quel samurai così famoso.
Dopotutto, non parlando mai con nessuno, erano molte le informazioni che non gli arrivavano.
I superiori infatti si limitavano a riferire solo il minimo necessario affinchè loro compissero gli ordini correttamente, la maggior parte delle notizie, venivano passate in modo informale.
"Poverino, non vorrei essere nei suoi panni" disse uno.
Molti dei presenti annuirono, qualcuno tremò al pensiero.
"Chissà cosa potrebbe combinare, se quel corvo maledetto si è veramente fissato con lui, è meglio che quel samurai inizi a pregare gli dei".
                                                                                             ***

La piccola mano tremava,  tracciando incerta gli ideogrammi sul suo quaderno.
Non era ancora molto brava, ma avendo iniziato da poco ad imparare i kanji, la bambina dimostrava abilità ed un'ottima memoria.
Se il suo destino non fosse già stato segnato, se non fosse stata costretta a diventare un'assassina, la piccola Mukuro avrebbe potuto aspirare a diventare qualcuno.
Ma ai suoi capi, non era certo la sua intelligenza che interessava.
A loro bastava che fosse abile con la spada e che eliminasse senza problemi e senza porsi domande, qualsiasi obbiettivo le venisse assegnato.
"Ho finito" disse la bambina, sorridendo leggermente e mostrando il quaderno al prigioniero che aveva l'ordine di sorvegliare.
Il prigioniero si chiamava Yoshida Shoyo.
Quando era un uomo libero aveva un dojo nel quale accoglieva i bambini che non avevano un luogo in cui vivere e nulla in cui credere.
In quei tempi di guerra di bambini del genere ce ne erano parecchi.
Orfani o abbandonati, erano lasciati semplicemente al loro destino, e solo chi riusciva a crescere in fretta e diventare astuto oltre che forte, riusciva a sopravvivere.
Non sopportando quella realtà, Shoyo aveva fondato il suo dojo.
Oltre all'arte della spada, insegnava ai suoi allievi a leggere e scrivere.
Ma più di quel che poteva offrire loro materialmente, cercava di suscitare in loro una coscienza morale.
Secondo lui il vero samurai era colui che viveva la propria vita a testa alta, rispettando le proprie leggi.
Questo di certo al governo oppressivo che esisteva in quell'epoca non piaceva.
Perciò l'avevano arrestato.
O almeno, cosi avevano detto, ma questa era solo una scusa.
Anche all'interno del Tendoshu, erano ben pochi a conoscere il mistero che nascondeva quell'uomo.
Anche se aveva forma umana, Shoyo era un amanto.
Il suo vero nome era Utsuro ed era a capo dell'esercito dei Naraku, l'organizzazione di cui faceva parte Oboro.
Nessuno sapeva come, o perchè quando era venuto sulla terra avesse perso la memoria.
Per parecchi anni si era creduto fosse morto, fino a che non l'avevano trovato sulla terra con l'identità di Shoyo.
Molte erano state le teorie, c'era chi credeva semplicemente avesse tradito il Tendoshu, ma indagando si era scoperto che non stava fingendo, aveva davvero perso la memoria.
Per questo lo avevano arrestato, cercando nel frattempo un modo di farlo tornare com'era.

Shoyo prese il quaderno, guardando gli esercizi che la bambina aveva svolto.
"Ma che brava" disse, regalandole un sorriso "magari i miei allievi fossero stati così svegli".
Mukuro adorava ascoltarlo mentre raccontava dei suoi allievi.
Di Takasugi che era sveglio ed intelligente ma troppo permaloso.
Di Katsura volenteroso e dotato di un po' troppa fantasia.
Ma il preferito della bambina era Gintoki, e per come il maestro parlava di lui, Mukuro pensava fosse anche il suo prediletto.
Un giorno Shoyo le aveva raccontato la sua storia.
L'aveva trovato quando era ancora piccolo.
Derubava i cadaveri per trovare qualcosa da mangiare, uccideva se necessario.
Mukuro, quasi si era rispecchiata in lui sentendo la storia.
Shoyo le aveva detto di come fosse pigro e svogliato, ma abile con la spada più di tutti gli altri.
E nonostante i suoi difetti, aveva un animo grande.
Il maestro le restituì il quaderno.
"Raccontami qualcosa" disse la carceriera, stringendosi il quaderno al petto come un piccolo tesoro.
Shoyo sorrise e ci pensò un attimo, gli piaceva raccontare.
"Ci sono" disse il maestro "vuoi sentire di quella volta che Gin tentò di rubare il mio latte alla fragola?".
Mukuro annuì guardando il maestro con aria adorante, curiosa di conoscere quella storia.
Sapeva che quella era la bevanda preferita del maestro.
Una volta aveva tentato di portargliela di nascosto,  ma era stata scoperta.
Portava ancora sulla schiena i segni della punizione.
Anche se era ancora una bambina, i suoi superiori di certo non erano clementi.
"Allora" inziò Shoyo.
Mukuro si avvicinò alle sbarre aspettando, ma invece della storia sentì dei passi.
Era Oboro.
L'albino guardò la bambina con aria di rimprovero.
"Ti avevo detto di non parlare con quest'uomo".
Mukuro abbassò lo sguardo al pavimento, rimanendo in silenzio per non peggiorare la sua situazione.
Per fortuna Oboro non le badò.
"Lasciaci soli" le disse soltanto.
Lei si allontanò in tutta fretta.
Quando se ne fu andata, il corvo rivolse la sua attenzione a Shoyo.
Odiava quell'uomo.
Il suo maestro era stato Utsuro. Lui era quello che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva.
Era l'unico che stimasse e verso cui portava davvero rispetto.
Se non fosse stato per Utsuro probabilmente sarebbe diventato un uomo diverso.
Quando, anni addietro, aveva saputo della sua scomparsa, ne era rimasto profondamente turbato.
E quando era venuto a sapere che il maestro che tanto stimava era diventato uno stupido uomo senza spina dorsale, si era sentito furioso.
Avrebbe voluto ucciderlo con le sue mani quando l'aveva incontrato per la prima volta.
Fu infatti lui ad arrestarlo.
Ma era fermamente convinto che in qualche modo avrebbe potuto fargli ritornare la memoria.
"Cosa ti porta qui a farmi visita?" chiese Shoyo, quel miserabile individuo che Oboro detestava, sorridendo.
L'albino non capiva e non sopportava quel comportamento.
L'avevano imprigionato, eppure lui continuava a comportarsi pacatamente ed a sorridere a chiunque.
L'avrebbe apprezzato maggiormente se avesse espresso il suo dissenso.
Se l'avesse guardato con odio.
Avrebbe perfino preferito farsi sputare addosso da lui, ma non quel sorriso.
Trattenne i suoi istinti omicidi.
"Voglio sapere dello Shiroyasha, so che è stato un tuo allievo, parlami di lui" disse nel tono autoritario che era abituato ad usare negli interrogatori.
Il sorriso morì sul volto del miserabile individuo.
Oboro lo vide sbiancare ed il suo atteggiamento divenne rigido.
Il corvo sentì una sorta di soddisfazione nel vederlo quasi spaventato alle sue parole e capì già da questo di aver indovinato.
"Non so di chi tu stia parlando,  non conosco nessuno Shiroyasha" provò a mentire Shoyo.
Ma era inutile perchè tutto in lui tradiva la menzogna.
Oboro era abituato a non farsi ingannare e sapeva anche come scucire la bocca di chi era restio a parlare.
Si avvicinò alle sbarre guardandolo attentamente.
"Non provarci nemmeno a prendermi in giro" lo avvertì.
"E' la verità" provò nuovamente Shoyo, con voce flebile, quasi supplicante.
Non voleva che i suoi allievi pagassero al suo posto, se gli fosse stato possibile li avrebbe protetti.
Non aveva paura di morire, ma non voleva che fossero loro a farlo.
Aveva immaginato che alcuni di loro sarebbero andati in guerra, e non avrebbe potuto fare nulla per trattenerli.
Oboro lo guardò con disprezzo e decise che non avrebbe avuto pietà.
Prese la sua lancia e con abilità la fece passare tra le sbarre, trafiggendogli la mano.
Guardò con sadica soddisfazione la smorfia di dolore sul volto dell'altro.
"Ti conviene dirmi tutto se non vuoi che uccida i tuoi allievi uno ad uno".
Vide che dalla ferita non usciva nemmeno una goccia di sangue, e la pelle, ancora con la lama nel mezzo, stava già rigenerandosi.
Quella era un'abilità di Utsuro.
"Potrei portarne qui uno alla volta ed ucciderli davanti ai tuoi occhi, che ne dici?".
Ora, oltre al dolore fisico c'era vero e proprio terrore negli occhi di Shoyo.
"N-non oseresti" cercò di replicare il maestro, ma non era molto convinto.
Conosceva quegli amanto, sapeva quanto potessero essere crudeli.
"Sai benissimo che potrei farlo" rispose Oboro, guardandolo dritto.
Vide che il maestro tentava ancora di resistere, ma non durò a lungo.
"Ti dirò tutto" si arrese.
"Bene" disse Oboro e si decise ad estrarre la lama dalla mano dell'altro.
La ferita si rimarginò immediatamente, quasi non fosse mai esistita.
Anche se non era sporca, Oboro passò lo straccio sulla lama, disgustato dal pensiero che avesse toccato quell'uomo che insultava il corpo di Utsuro.
"Gintoki Sakata" esordì Shoyo "così si chiama lo Shiroyasha, anzi, per essere corretti questo è il nome che gli ho dato io".
Oboro ascoltò con attenzione ogni parola dell'uomo.
Credeva che una volta che ne avesse saputo di più avrebbe cambiato idea notando che era solo un miserabile come tutti gli altri.
Invece, più ne sentiva parlare, più il suo interesse cresceva.
Lo Shiroyasha sembrava davvero l'incarnazione dello spirito del samurai.
Tutti quegli ideali che Oboro credeva fossero solo storielle per i creduloni, trovavano vita e orgoglio in quell'uomo.
Oboro voleva conoscerlo personalmente.

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Capitolo 3
*** 3 ***


oboro 3 Il Tendoshu era ancora in riunione.
Oboro, fuori dalla sala aspettava pazientemente che lo facessero entrare  per comunicargli la loro decisione.
"Assurdo! Veramente assurdo!" commentò Yoshikawa, uno dei leader del Tendoshu.
Era fra tutti il meno disposto ad accettare compromessi.
Quando erano giunti ad Edo, lui aveva proposto di sterminare con una bomba tutti gli abitanti e prendersi soltando il territorio.
Gli altri gli avevano però fatto notare che una bomba capace di sterminare tutta la vita presente sul pianeta, avrebbe reso sterile ed invivibile il territorio.
Marukashi alzò gli occhi al cielo, come sempre quando era Yoshikawa a parlare.
"Non essere sempre così pesante. Il Naraku ha fatto una proposta interessante" rispose.
"Io sarei pesante? Per me quegli stupidi soldati non dovrebbero nemmeno azzardarsi a parlare. Tanto sono solo in grado di spargere sangue. Fosse per me, lo giustizierei per la sua insolenza".
Kato, che era quello che solitamente metteva la pace nel gruppo tentò di calmarlo e farlo ragionare.
"Sì, pensiamo tutti quanti che i Naraku siano solo dei cani che combattono, ma devi ammettere che la proposta di quell'Oboro ha senso, e poi ha detto che se ne occuperà da solo se gli diamo il consenso".
Yoshikawa sbuffò ma non disse nulla, tanto gli altri gli andavano contro qualsiasi cosa dicesse.
"Pensateci" continuò allora Marukashi "sarebbe davvero utile avere lo Shiroyasha dalla nostra parte".
Chi con più convizione chi meno, ma tutti nella sala (ad eccezione di Yoshikawa) annuirono.
Oltre che una potenza bellica, far diventare quel samurai che era quasi l'emblema della rivolta una loro pedina, sarebbe stata una grande sconfitta motale per i samurai.
Nessuno si chiedeva perchè Oboro avesse fatto loro quella proposta.
In realtà credevano di saperlo.
Come tutti, di sicuro anche lui voleva apparire utile ai loro occhi, e di sicuro se un'operazione del genere avesse avuto successo sarebbe salito di grado.
"E' una bella idea, ma ho i miei dubbi che Oboro possa riuscirci. Non aveva anche detto che avrebbe fatto tornare la memoria al sommo Utsuro? Finora abbiamo avuto solo un prigioniero in più da sfamare".
A parlare stavolta era stato Kabul, quello che si era occupato anche della trattativa con lo Shogun.
A lui non piacevano le belle parole, voleva i fatti.
"Sì, capisco i tuoi dubbi" rispose Marukashi "ma credo che le tue preoccupazioni siano eccessive. In fin dei conti anche se non dovesse riuscire sarebbe soltanto lui ad aver sprecato tempo ed energie. Noi non abbiamo nulla da perdere" disse, quasi con una risata.
Tutti lo guardarono ma nessuno rispose.
"Allora mettiamo la proposta ai voti" disse Kato.
La proposta venne accettata con  8 voti favorevoli contro 2 contrari.
                                                                                          ***

Oboro era soddisfatto.
In qualche modo era riuscito a convincere il Tendoshu della sua proposta.
Credeva che l'avrebbero riempito di domande ma forse li aveva sopravvalutati.
Per quanto quei cretini si dessero delle arie, non erano altro che degli stupidi pagliacci montati.
In ogni caso ad Oboro di loro non interessava nulla.
Era contento di poter perseguire il suo obbiettivo, o meglio, perseguitare.
Andò sul campo di battaglia, posizionandosi come sempre sull'altura per poter esaminare la situazione.
Voleva vedere dove fosse lo Shiroyasha per andarlo a sfidare.
Non appena scese in campo, sia gli amanto che i samurai gli stettero alla larga.
Di certo avrebbe potuto ucciderli tutti con facilità.
Si avvicinò finalmente alla sua preda.
Nel vederlo così splendente mentre combatteva, provò una sorta di eccitazione.
Oboro non amava particolarmente la battaglia, ma era anche vero che non aveva mai provato l'emozione di una vera sfida contro la morte.
Di solito, quando entrava in azione, si tratava soltando di eliminare l'obbiettivo.
Sperava che quella volta fosse diverso, che quel ragazzo che tanto aveva attirato la sua attenzione non fosse una delusione.
Non poteva più aspettare.
Prese la lancia e trafisse l'amanto contro cui Gin stava combattendo.
L'albino guardò Oboro.
Non diede segno di provare timore come di sicuro avrebbero fatto tutti gli altri, sembrava sgomento ma padrone di sè.
Oboro ne fu compiaciuto.
Era già un grande passo che non scappasse.
Forse poteva essere una bella sensazione sfidare qualcuno che lo guardasse a testa alta.
"NOOO" fece Gintoki con stupore dell'altro.
"E' davvero scortese uccidere il nemico di un altro!" continuò l'albino facendogli una smorfia.
Quindi era di questo che si preoccupava... Oboro, stranito dalla situazione, non rispose.
Lo Shiroyasha si avvicinò, davvero non aveva nessuna paura di lui?
"Eh, non parli? Vuoi attaccare briga per caso?"  disse Gintoki provocandolo con la spada.
In quel momento passò un suo compagno.
"Gintoki che stai facendo? Questo qui è uno dei Naraku, scappa!".
Si pentì quasi di averlo avvertito e scappò il più velocemente possibile.
Lo Shiroyasha cambiò espressione.
"Oh  cazzo" mormorò.
Oboro sentì un movimento strano avvenire nelle sue labbra... un sorriso divertito?
Qualcuno avrebbe scommesso che non era capace di sorridere.
Allora, se non era scappato era perchè non aveva capito chi fosse... divertente.
Per quanto il Naraku potesse saperne di divertimento.
"Allora che fai? Non scappi?" gli chiese Oboro.
Gin divenne serio e quell'espressione piacque all'altro.
Era veramente interessante la sua personalità, non aveva mai incontrato qualcuno che potesse fare così lo stupido, ma avere uno sguardo tanto interessante quando poi si mostrava serio.
"Non posso scappare, ho un conto da regolare con te, ricordi?" disse indicando il cadavere dell'amanto che Oboro aveva ucciso.
Se l'era seriamente presa per quello?
"Non hai paura? Potrei ucciderti" disse Oboro per testare la sua reazione.
"E quindi?" rispose il samurai "stavo combattendo anche prima, sono abituato a rischiare la vita".
L'altro lo ammirò, quel samurai meritava davvero la sua attenzione.
Ora si aspettava davvero che fosse forte.
"Avanti" lo sfidò "fammi vedere quanto vali".
Gin non se lo fece  ripetere due volte, gli si fiondò finalmente contro, tentando di colpirlo con la katana.
Oboro si spostò facilmente, il samurai era veloce ma non sembrava nulla di eccezionale.
All'inizio si limitò solo a schivare, facendo in modo di fomentare l'altro.
Vide che i movimenti del samurai stavano migliorando, riusciva a percepire i suoi movimenti e si coordinava a quelli.
Ad un certo punto riuscì a colpirlo.
Un fendente gli prese la spalla.
Sarebbe stata una ferita profonda se Oboro non si fosse prontamente difeso, portando la lancia contro la lama della katana per allontanarlo.
Era forte quel colpo, avrebbe perfino potuto staccargli un braccio.
Oboro guardò il sangue sgorgargli dalla ferita.
Invece di sentirsi nauseato o spaventato a quella vista, sperimentò un senso di euforia.
Era la sensazione di sentire la propria vita messa in gioco, l'incertezza dell'esito dello scontro.
Sentì il battito cardiaco accelerare e l'adrenalina dargli la spinta.
Raramente provava sensazioni del genere, ed in quel momento si sentì vivo come mai prima d'ora.
Se fino a quel momento aveva solo giocato con l'altro, ora avrebbe fatto seriamente.
Gintoki ne era all'altezza.
Lo attaccò a sua volta, prendendolo alla sprovvista, lo Shiroyasha parò il colpo all'ultimo momento.
Divenne difficile per Gintoki sostenere la velocità di Oboro.
Schivò un attacco, senza accorgersi che si trattava di una finta, e venne colpito poco sopra il ginocchio.
Il samurai, con la gamba ferita, a stento riusciva a tenersi in piedi ma continuava impietosamente ad attaccare, non aveva alcuna intenzione di cedere.
Ma se già prima non riusciva a stare dietro ai suoi colpi, ora, con i movimenti limitati a stento riusciva a difendersi.
L'eccitazione che Oboro aveva provato poco prima stava già scemando.
Sperava che non fosse così facile sconfiggerlo.
Continuò a colpirlo e con un colpo all'addome lo inchiodò a terra.
Estrasse la lama della sua lancia e come sua abitudine la pulì.
Forse dopotutto aveva sbagliato i suoi calcoli.
Lo Shiroyasha non meritava tanta attenzione.
Gli avrebbe inferto il colpo di grazia, non gli piaceva lasciare il nemico ad agonizzare in attesa della morte.
Gettò a terra lo stracio col quale aveva pulito la lama e strinse la sua arma, portando lo sguardo verso il samurai.
Era strano, anche ora, ad un passo dalla morte non mostrava paura.
"Recita le tue preghiere Shiroyasha".
Lo vide portare la mano a cercare la katana ed afferrarla.
Oboro aveva sentito che i samurai avevano un'usanza particolare.
Piuttosto che farsi uccidere dal nemico preferivano suicidarsi per mantenere alto il proprio orgoglio fino alla fine.
Stava dunque cercando di fare harakiri?
Nel suo sguardo brillava ancora quella luce.
"Va all'inferno" disse Gintoki.
E con enorme sorpresa da parte di Oboro, provò a rialzarsi.
Era davvero meritevole, non poteva ucciderlo.
Non poteva sprecare un simile talento.
"Non mi sembra il caso di fare simili affermazioni, nelle condizioni in cui ti ritrovi. Ma il tuo spirito mi piace. Stavolta non ti ucciderò. Potresti essere utile in futuro".
Gin non capì quelle parole, vide il nemico andarsene, lasciandolo in vita.
Tuttavia non riuscì a sentirsi fortunato.
Sentì un brivido d'inquietudine lungo la schiena.
Altro che fortuna, aveva la sensazione che fosse una disgrazia ad essergli piombata addosso.



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Capitolo 4
*** 4 ***


oboro 4 Dopo la battaglia con Oboro, Gintoki rimase per parecchi minuti a terra, incapace di muoversi.
Aveva il respiro pesante per la battaglia appena conclusa.
Per quanto fosse abituato a combattere anche con diversi nemici alla volta, non si era mai sentito tanto stremato.
I Naraku erano ben oltre le sue capacità.
Non sapeva se stesse continuando a sanguinare, il dolore si susseguiva in pulsazioni sorde in tutto il corpo.
Sperava solo di non avere lesioni interne o in punti vitali.
Se Katsura l'avesse visto, gli avrebbe chiesto come aveva fatto a farsi ridurre così uno straccio.
L'istinto era quello di chiudere gli occhi ed addormentarsi, ma sapeva che se avesse ceduto probabilmente non sarebbe più riuscito a svegliarsi.
Stava cominciando a piovere.
Sentiva le gocce d'acqua fredde sulla pelle.
Presto l'acqua avrebbe impregnato il terrenno e sarebbe stato costretto a camminare nel fango.
Fu questo, soprattutto a dargli la spinta per rialzarsi.
Puntò la gamba non ferita e la usò come punto d'appoggio per tirarsi sù.
Strinse la katana fra le mani, sapendo che in quel momento era totalmente inutile, se qualcuno l'avesse attaccato non avrebbe avuto speranze.
Camminò con passo incerto, la pioggia gli si impregnava nei vestiti, rendendo i suoi movimenti ancora più difficoltosi.
Anche se fosse tornato vivo al dojo, dove lo aspettavano i suoi compagni, erano alte le probabilità che si ammalasse.
Sentì dei passi, si guardò intorno, ma non c'erano ripari da poter usare come nascondigli.
Se si trattava di un nemico era semplicemente spacciato.
"Diamine" pensò l'albino "che fine di merda".
Ma il destino voleva che quella non fosse la sua fine.
"Gintoki, sbrigati. Se continui a bagnarti così ti prenderai un raffreddore, o stai contando sulla tua stupidità?".
Per fortuna non era un nemico.
"Non sono un nemico, sono Katsura" rispose il giovane, che chissà come aveva sentito la voce narrante.
"Guarda che sei molto più stupido di me, e si può sapere con chi stai parlando?" ribattè l'albino "per fortuna sei tu, Katsura".
L'amico gli si avvicinò e notò che era ridotto alquanto male.
"Cos'hai combinato Gintoki? Sembra che tu abbia combattuto una strenuante battaglia".
Lo Shiroyasha sospirò, chiedendosi come facesse l'amico ad essere così stupido.
"E' esattamente quello che è successo.  Mi rimangio la parola, meglio essere ucciso che sopportare te".
Katsura gli prese il braccio, facendoselo passare attorno alle spalle per sostenerlo.
"Torniamo a casa".
                                                             ***

Arrivati al dojo, le condizioni di Gintoki erano peggiorate.
Aveva il respiro pesante e sentiva la fronte bollente.
Doveva essergli salita la febbre.
Takasugi, vedendoli arrivare andò loro incontro, preoccupato.
"Cosa gli è successo?" chise.
"E' stato coinvolto in una lunga e strenuante battaglia" disse in tono grave "credo" aggiunse, mandando a quel paese tutta la sua serietà.
"Lascialo, ci penso io" disse Shinsuke.
Katsura sapeva che tra i due c'era un rapporto speciale e capiva che in quel caso Takasugi voleva prendersi cura personalmente dell'altro.
Li lasciò soli.
"Ta-Takasugi"mormorò l'albino, poggiando la fronte sulla spalla del compagno.
L'altro dovette mantenerlo perchè non si teneva in piedi.
"Tsk, sei sempre il solito stupido, dovresti smetterla di farmi preoccupare".
Lo portò dentro, facendolo spogliare per poter vedere le sue ferite.
Gintoki rabbrividì per la febbre e tossì.
"Cerca di rimanere sveglio ancora un po'" lo spronò Takasugi.
"Chi è stato a farti questo?" gli chiese.
L'albino però non voleva dirglielo.
Se gli avesse detto che era stato preso di mira da un Naraku, si sarebbe subito agitato.
Shinsuke capì che l'altro non voleva parlare, ed evitò di insistere.
Vide che le ferite, anche se numerose, non erano gravi.
Sembravano essere state inflitte con mano sapiente da un avversario di gran lunga superiore a Gintoki.
Le disinfettò una ad una per poi bendarle.
Notò che l'albino non mostrava nessuna reazione, prostrato, forse più dalla febbre che dalla stanchezza.
Gli fece indossare un kimono pulito, e con un po' di difficoltà, visto che l'albino era più pesante di lui, lo fece stendere sul futon.
Aveva bisogno di medicine, anche perchè dal respiro irregolare poteva indovinare una bronchite molto prossima, ma in quel periodo di guerra già i viveri scarseggiavano, chiedere anche assistenza medica o medicine particolari era un lusso che non avevano.
Per fortuna, avendo un mercante come compagno non erano messi male come altri.
Potè quindi dargli dell'aspirina, il resto avrebbero dovuto farlo i suoi anticorpi.
                                                                                                                 ***

Gintoki non era molto contento di dover rimanere a casa mentre i suoi amici andavano a combattere.
Ma non poteva fare altro, doveva far rimarginare le ferite e farsi passare quella che Takasugi aveva indovinato essere una bronchite.
Non era nemmeno tanto male lasciarsi andare alle sue cure premurose.
Ma forse, quello che gli impediva di essere tranquillo, era la bruciante sconfitta che aveva subito.
Più ci pensava e più si stentiva umiliato.
Non aveva voluto dire nulla ai suoi compagni, e adesso aveva paura che quel corvo potesse prendere di mira anche loro.
                                                   
I giorni di convalescenza trascorsero lentamente per Gintoki.
Fu felice quando Takasugi, giudicandolo ormai guarito (aveva visto infatti che l'altro iniziava a lamentarsi per qualsiasi cosa e beveva il suo yakult senza permesso), gli disse che l'indomani sarebbe potuto scendere in campo.
Se ne stava seduto sulla veranda, aveva appena finito di bere lo yakult di Takasugi, ma si scocciava di andarlo a gettare per nascondere le prove.
Vide profilarsi davanti una figura familiare.
Gin non era il tipo che si ricordava di qualcuno che aveva visto solo una volta, ma quella figura lì non poteva non ricordarla.
Per diversi giorni, Oboro aveva creduto che lo Shiroyasha non fosse riuscito a sopravvivere.
Non aveva avuto sue notizie.
Forse con tutte quelle ferite non era nemmeno riuscito ad alzarsi da terra, o qualche amanto era stato felice di dargli il colpo di grazia trovando un bersaglio così facile sul suo cammino.
D'altronde, anche se quel giorno lo Shiroyasha fosse riuscito a tornare indenne al suo rifugio, era improbabile con le ferite che aveva riportato, che riprendesse subito a combattere.
Divorato dall'ansia di non sapere cosa gli gosse effettivamente accaduto, aveva cercato di scoprire dove potesse nascondersi il samurai.
Pensandoci, gli era subito venuta in mente un ipotesi, ma gli sembrava così scontata da essere improbabile: il dojo di Yoshida Shoyo.
Rimanere in un luogo del genere sarebbe stata un'incoscienza, ma trattandosi di un tipo così particolare non se la sentiva di escludere totalmente quella possibilità.
Era risultato essere proprio così.
Quella sera trovò lo Shiroyasha da solo.
Sembrava essersi rimesso.
Da bravo incosciente qual era, non aveva nemmeno la katana a portata di mano.
Era totalmente esposto, e parve rendersene conto, perchè appena lo vide si guardo intorno e la mano andò istintivamente al fianco.
Sbiancò, accorgendosi di non avere la spada.
"Non preoccuparti oggi non sono qui per combattere" lo rassicurò.
"E cosa è venuto a fare fin qui, signor...".
"Il mio nome è Oboro" rispose il Naraku, come la volta precedente era divertito dalle reazioni del samurai.
"A cosa devo la sua visita signor Oboro? Vuole forse del tè coi pasticcini?".
Ma nonostante quelle parole, Gintoki rimaneva teso.
Ciò che gli aveva detto Oboro non era servito minimamente a calmarlo.
E faceva bene a non fidarsi.
"Sono qui per farti una proposta" disse il Naraku.
Gintoki lo guardò sgomento.
Non sapeva perchè quel tipo si fosse fissato con lui, ma quella faccenda non gli piaceva per niente.
"Non so per chi tu mi abbia scambiato, non sono mica uno del governo da corrompere?".
"Questo lo so" rispose Oboro.
Gintoki lo guardò, cercando di capire cosa volesse da lui.
"So che Yoshida Shoyo era il tuo maestro" disse il corvo.
La reazione dello Shiroyasha nel sentire quel nome, somigliava a quella dello stesso Shoyo quando gli aveva nominato il suo allievo.
 Doveva esserci un bel legame tra i due.
Oboro trovava la cosa disgustosa.
"Cosa ne sai di lui?" fece il samurai, sospettoso.
"E' nostro prigioniero attualmente".
Gintoki questo lo sapeva già, ma non credeva che qualcuno si sarebbe recato da lui nominando il maestro.
Quale poteva essere la proposta che intendeva fargli?
"Potrei fartelo incontrare".
Lo Shiroyasha spalancò gli occhi, era probabilmente l'ultima cosa che si era aspettato.
Magari poteva anche interessargli, ma aveva troppa paura della fregatura che di sicuro c'era dietro.
Dopotutto come poteva credere a quel tipo che l'ultima volta l'aveva attaccato senza motivo?
"Perchè mai dovresti fare una cosa del genere?" chiese Gintoki.
"Non è tuo diritto saperlo" rispose Oboro.
Vide il samurai mordersi il labbro con aria frustrata.
"E cosa succederebbe se accettassi?".
Cercava di girare intorno all'argomento per trovare la spiegazione, il tranello.
"Nulla, rivedresti il tuo maestro, nient'altro".
Lo Shiroyasha aveva paura di rispondere.
Gli sembrava di poter fare un grave errore, sia nel caso avesse accettato che in caso di rifiuto.
Il Naraku conosceva bene le regole del gioco e non si scomponeva minimamente, se aveva deciso di non dirgli nulla, non l'avrebbe fatto.
"Non è necessario che tu mi risponda ora" disse Oboro "domani tornerai a combattere?" gli chiese.
Gintoki fu disorientato da questo cambio di argomento.
Perchè si interessava tanto a lui?
"Sì" rispose, evitando di aggiungere altro col rischio di dargli informazioni.
Si chiedeva cos'avrebbero pensato i suoi compagni se l'avessero visto parlare con il nemico.
Sperava che tornassero presto, si sarebbe sentito meno teso e non si sarebbe lasciato convincere dalle sue parole.
"Se ci tieni a vedere il tuo maestro, ho delle condizioni".
Ecco, stava per rivelarsi.
"Parla" lo incitò Gintoki.
"Se vuoi rivederlo, non dovrai più uccidere nessun amanto. E se i tuoi compagni dovessero trovarsi in difficoltà, non dovrai aiutarli".
Questo serviva ad Oboro per testare il suo animo.
Se voleva veramente piegarlo alla sua volontà, aveva bisogno di metterlo in crisi.
Avendo rivelato tutto il marcio, a Gintoki parve ovvio che gli toccasse rifiutare.
Si sentiva ora sollevato, e pensava a come era stato stupido per avergli dato ascolto.
"Se queste sono le condizioni allora...".
Il corvo lo interruppe.
"Ti ho detto che non voglio ascoltare ora la tua risposta. Mi sembra opportuno dirti che se rivelerai a qualcuno del nostro incontro, le conseguenze saranno spiacevoli. Ti saluto Shiroyasha, spero che farai la scelta giusta".
E come l'ultima volta, il Naraku se ne andò, lasciando l'animo del samurai a vagare nelle tenebre.



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Capitolo 5
*** 5 ***


oboro 5 Takasugi cercò di avvicinare Gintoki a sè per dargli un bacio.
Ma l'altro non sembrava volergli dare retta.
Era molto distratto quella sera e Shinsuke si chiedeva dove fosse con la mente.
Continuava a sospirare ed aveva lo sguardo perso nel vuoto.
Takasugi avrebbe voluto conoscere i suoi pensieri, le sue preoccupazioni.
Eppure, quando gli aveva detto che poteva tornare a combattere perchè ormai era guarito del tutto, Gintoki era stato felice.
Ma ora aveva perso la sua euforia.
Cos'era successo nel frattempo? A cos'era dovuto quel cambiamento?
"Gintoki, cos'hai?" gli chiese, non sopportando più quell'atteggiamento.
Erano sempre stati l'uno la spalla dell'altro, si erano sempre detti tutto, aiutandosi nei problemi che la vita riservava loro.
Non capiva perchè adesso l'albino avesse deciso di estrometterlo ed era frustrato per questo.
Come poteva aiutarlo se non sapeva nemmeno cosa stesse pensando?
"Io? Non ho nulla" rispose Gintoki.
Come non detto, Takasugi non sopportava di essere trattato in quel modo.
"Sei preoccupato per domani? Non ti senti ancora pronto a combattere?".
Gintoki lo guardò, sembrava quasi che stesse decidendosi a parlare, a raccontargli tutto e renderlo partecipe del suo problema.
Ma poi decise di non farlo.
Forse, pensò Takasugi, credeva che non valesse più la pena di parlare con lui.
"No, va tutto bene" rispose l'albino, cercando anche di sorridergli, ma per lui che lo conosceva bene quel sorriso risultò totalmente falso.
Ciò lo fece innervosire ancora di più.
Si alzò senza dire nient'altro, per poi lasciare l'altro da solo nella stanza.
Gintoki non potè fermarlo, guardò la sua schiena allontanarsi senza dire nulla.
Avrebbe voluto parlargli, chiedergli consiglio come aveva sempre fatto con lui, ma pensando alla minaccia di Oboro, non poteva rischiare.
Guardò la sua katana, si chiedeva se sarebbe riuscito ad impugnarla ancora come prima, con tutti i dubbi che ora gli affollavano la mente.
                                                                          ***

Quel giorno il cielo era limpido, nemmeno una nuvola oscurava quel sole che si ergeva con fierezza.
Gintoki provò invidia per quel cielo così azzurro.
Avrebbe voluto che anche il suo animo fosse altrettanto sereno, ma non era così.
Il samurai finì di prepararsi.
Indossò i guanti e strinse la fascia bianca attorno alla fronte.
Si legò la katana al fianco, era pronto per andare.
Pronto per tornare in guerra.
Takasugi e Katsura lo aspettavano insieme a Sakamoto nel punto dove avrebbero fatto partire l'attacco.
I samurai avevano studiato con cura la strategia e credevano di potercela fare, se non ci fossero stati intoppi.
                                                                     ***

Takasugi guardò l'ora, Gintoki era in ritardo.
Non che di solito l'albino fosse puntuale, ma avendolo visto inquieto la sera prima, aveva paura che avesse avuto un ripensamento ed avesse deciso di non andare.
"Quanto dobbiamo aspettare ancora?" chiese uno dei suoi uomini, esprimendo però un'ansia generale.
"Altri cinque minuti, non di più" rispose Takasugi.
Non poteva permettersi di tardare ancora.
Da quando lo Shiroyasha era stato misteriosamente sconfitto da un ignoto nemico, i guerrieri erano nervosi.
Si cominciavano a chiedere come potessero sopravvivere a quella guerra, se anche uno forte come Gintoki era stato sconfitto.
Per fortuna Takasugi era abile a motivare i suoi uomini.
Aveva deciso di non dire nulla del ritorno di Gintoki una sorpresa simile avrebbe alzato di molto il morale.
Finalmente l'albino si presentò, dissipando i suoi dubbi.
Come Takasugi aveva previsto, il suo arrivo riscosse molto stupore.
Sentì diverse esclamazioni gioiose ed anche un 'peccato' da parte di uno che non sopportava Gin (al quale l'albino rivolse una smorfia offesa).
Per lo più si complimentavano con lui e gli davano pacche sulle spalle.
Shinsuke gli sorrise "ben tornato Shiroyasha".
                                                            ***

Takasugi sapeva bene che quando si affrontava un nemico bisognava prestargli la massima attenzione, anche nel caso di un nemico debole era meglio non sottovalutarlo mai.
Eppure, in quel momento non riusciva a fare a meno di gettare occhiate a Gintoki e preoccuparsi per lui.
C'era decisamente qualcosa che non andava nei suoi movimenti.
Shinsuke l'aveva considerato guarito dalle ferite.
Per esserne sicuro, il giorno prima l'aveva sfidato in combattimento per vedere come se la cavava.
L'albino non si era lamentato di alcun dolore, la sua velocità non aveva riportato cambiamenti, anzi, Gintoki gli aveva anche inferto una sonora sconfitta.
Ora però, lo Shiroyasha non sembrava lo stesso.
Se per un suo errore di valutazione l'altro ne avesse pagato le conseguenze, non se lo sarebbe perdonato.
Distratto da quei pensieri, Shinsuke non aveva visto arrivare il colpo.
Sentì solo il sangue colargli lungo la fronte, coprendogli l'occhio destro.

Takasugi aveva ragione, Gintoki non era lo stesso di sempre in quel momento.
Tuttavia, non erano lesioni fisiche ad impedirgli di combattere in modo decente.
Anche se aveva deciso di non dare ascolto alle parole di Oboro, adesso gli erano tornate in mente.
Pensava a Shoyo, alla possibilità di rivederlo.
"Shinsuke-sama!".
Gintoki sentì quest'esclamazione da parte di uno dei suoi uomini.
Lo cercò con lo sguardo e vide l'altro con la mano sull'occhio, da cui sgorgava sangue.
La mente dell'albino si svuotò da qualsiasi altro pensiero.
Corse in suo aiuto.
                                               ***

Stanchi dalla battaglia ma soddisfatti, i samurai erano seduti a riposare.
Gintoki prese la borraccia dell'acqua, bevendo avidamente.
"Sei un bastardo Gintoki" gli disse Takasugi, seduto vicino a lui, la schiena poggiata alla sua.
Si era fasciato la ferita sulla fronte e aveva pulito tutto il sangue, colato vicino all'occhio.
"Potevo farcela benissimo da solo, non avevo mica bisogno del tuo aiuto".
L'albino sorrise, non solo l'aveva aiutato, ora doveva sorbirsi anche le sue lamentele.
Ma lo sapeva che l'altro era orgoglioso, e se l' aspettava.
"Uff, dovresti ringraziarmi invece".
"Tch, figurati se lo faccio".
Ma Gintoki non lo stava già più ascoltando.
Aveva visto qualcuno.
C'era Oboro che lo stava palesemente fissando, come ad invitarlo a raggiungerlo.
Lo Shiroyasha si alzò per andare verso di lui.
"E adesso dove stai andando?" gli chiese Shinsuke.
"Vado a fare pipì" mentì l'albino, e senza nemmeno girarsi a guardare l'altro, si allontanò.
Anche se aveva appena bevuto, sentiva la gola secca.
Cercava di raggiungere il Naraku che si allontanava, forse per condurlo in un luogo dove avrebbero potuto parlare senza essere disturbati.
Arrivati in una radura poco lontana, dove gli alberi li coprivano dalla visuale, Oboro si fermò.
Gintoki, lo guardò ansioso, in attesa che dicesse o facesse qualcosa o che tentasse di attaccarlo.
"Non so se il tuo sia coraggio o stupidità. Seguirmi fino a qui, da solo" disse Oboro.
Gintoki lo sapeva, era stato avventato da parte sua.
"Di sicuro la seconda" gli rispose "ero solo curioso di sapere cos'altro volessi da me".
Il Naraku scosse la testa.
"Vedo che non hai ascoltato le mie condizioni".
Allora l'aveva osservato, a quanto pareva la sua proposta era stata seria.
"Non potevo certo lasciar morire Takasugi" rispose.
"Non importa" disse Oboro "per questa volta sarò clemente, ti lascerò incontrare comunque il tuo maestro, se lo desideri".
Questo lasciò lo Shiroyasha sgomento, che quelle premesse fossero state solo un modo per metterlo alla prova?
E cos'altro avrebbe dovuto rispondergli ora?
Certo, voleva vedere il suo maestro, ma gli sembrava che quell'uomo fosse subdolo.
Non riusciva a rispondere.
Oboro lo lasciò qualche istante a soppesare le sue parole, vedendo se si sarebbe tradito da solo, poi parlò.
"Non devi rispondermi ora. Io sarò qui stanotte, se tu ci sarai ti condurrò da Yoshida Shoyo".
Stavolta la replica del samurai fu immediata.
"E come potrei fidarmi di venire da solo di notte qui? Potrebbe essere una scusa per uccidermi la tua".
Oboro gli si avvicinò, e vide l'altro stringere con forza la katana, pronto a sguainarla al minimo cenno di attacco da parte dell'altro.
"Se volessi ucciderti nulla mi impedirebbe di farlo ora".
Gintoki sapeva che aveva ragione, aveva avuto diverse occasioni per eliminarlo e non l'aveva fatto.
"Fa la tua scelta" gli disse il Naraku, guardandolo fisso prima di andarsene.
Gintoki non capiva, si sentiva perseguitato, era come se l'altro stesse cercando di intrappolarlo nella sua rete.
E ci stava riuscendo.
Non poter dire nulla agli altri lo rendeva vulnerabile, e per quanto cercasse di ignorare le sue parole, la sua mente continuava a logorarlo.
"Dio, in che razza di guaio mi sono cacciato?".
                                                            ***

Oboro guardava fisso il cielo notturno.
Ricordava che quando era piccolo gli avevano insegnato a predire il futuro in base alle stelle.
Non ci aveva mai creduto, ma quella notte, guardando gli astri, cercava di capire se lo Shiroyasha si sarebbe presentato.
Il cielo diceva di sì, e quella volta, la predizione si dimostrò corretta.
Lo vide arrivare e si sentì soddisfatto.
Aveva compiuto il primo passo per cedere completamente.
Era la prima volta che Oboro incontrava una volontà così forte, ed aveva voglia di spezzarla, di piegare quel samurai al suo volere.
"Alla fine ti sei deciso a presentarti. Non hai più paura che ti sbrani?".
"Non sono cappuccetto rosso, so difendermi benissimo dal lupo cattivo. Anche se più che un lupo, tu sembri un avvoltoio":
Oboro sembrò apprezzare il suo spirito.
"Non ho idea di chi sia cappuccetto rosso, ma non so quanto tu possa fare lo spavaldo".
Lo condusse nel suo covo.
C'erano diverse guardie, ma vedendo il samurai insieme ad Oboro, nessuno li fermò o fece domande.
Gin si guardava attorno con circospezione, si chiedeva come potesse essere così tranquillo da condurre un nemico nella sua base.
Forse non uscirai mai più di qui gli suggerì la sua mente, ed il pensiero gli causò un brivido.
Scesero nei sotterranei, dove c'erano le celle.
Gintoki vide alcuni dei suoi compagni che erano stati arrestati e quasi si sentì un traditore ad essere lì.
Svoltarono diversi corridoi, l'ambiente pareva farsi sempre più buio e sporco e di certo l'odore non era dei migliori.
Le celle erano più rade adesso.
Lì dovevano esserci i prigionieri più pericolosi.
Finalmente si fermarono.
Gintoki sgranò gli occhi, davanti a lui c'era Shoyo.
Il maestro stava dormendo.
Raggomitolato sul pavimento per cercare una posizione meno scomoda possibile dato che quella cella non aveva nemmeno un letto.
Gintoki si chiese se per tutti quegli anni il maestro avesse dovuto patire un trattamento simile.
"Maestro Shoyo" lo chiamò, con la voce che gli tremava per l'emozione.
Shoyo non si svegliò.
Gin si avvicinò alla cella, stringendo le sbarre fra le dita e lo chiamò ancora.
Oboro, fermo un paio di passi dietro il samurai, guardava la scenetta disgustato.
Si chiese quanto sarebbe stato divertente rovinare il commovente incontro.
Magari uccidendo il maestro davanti agli occhi del suo allievo.
Shoyo aprì lentamente gli occhi.
Si mise a sedere ed impiegò qualche momento per realizzare che quello di fronte a lui, era Gintoki.
Tuttavia non sembrava felice di vederlo.
"Gintoki, perchè sei qui?" gli chiese in tono di rimprovero.
Il ragazzo non si aspettava un trattamento del genere.
"Volevo vederti" gli disse.
Shoyo guardò verso Oboro.
Quindi era stato lui.
Chissà quali erano le sue intenzioni.
Il maestro sospirò, non poteva prendersela col suo allievo, dopotutto.
Sperava solo che quella cosa non lo mettesse nei guai.
"Ti trovo cresciuto bene. Bevi ancora le bevande degli altri senza permesso?".
Il samurai arrossì.
"No, non lo faccio... solo lo yakult di Takasugi... qualche volta".
Oboro li lasciò per un po' a quelle chiacchiere stupide, fino a che non si stancò di sopportare.
"Shiroyasha, basta così. Devi andartene".
Gintoki che si stava divertendo, felice com'era di poter parlare con Shoyo, lo guardò scocciato.
"Di già? Siamo appena arrivati".
Anche al maestro dispiaceva separarsi da lui, ma non disse nulla.
"Ringrazia per il tempo che ti è stato concesso invece di chiederne ancora" rispose Oboro.
Il samurai sospirò e salutò il maestro, per poi seguire l'altro verso l'uscita.
Era ancora buio di fuori, non doveva essere passata nemmeno un'ora.
"Perchè l'hai fatto?" chiese Gintoki quando furono all'aria aperta.
Il Naraku non rispose, si limitò a fissarlo.
Gintoki sembrò frustrato.
"Potrò rivederlo ancora?" chiese, subito pentendosi per quella domanda.
Non doveva dimenticare che l'altro era un nemico.
"Non fare domande, non otterrai alcuna risposta".
"Tch, ma che simpatia" commentò il samuai.
L'espressione di Oboro non mutò, ma dentro di sè il Naraku sorrideva.
Lo Shiroyasha stava cadendo nella sua tela, presto sarebbe riuscito nel suo intento.



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Capitolo 6
*** 6 ***


oboro 6 Quando Gintoki ritornò al dojo, era ormai l'alba.
Trovò Takasugi già sveglio che lo aspettava.
La notte precedente, prima di uscire, aveva aspettato che l'altro si addormentasse, ma a quanto pareva si era svegliato, accorgendosi così che Gintoki non c'era.
Il samurai ne fu preoccupato, di sicuro gli avrebbe fatto delle domande, ma lui non poteva dirgli la verità.
"Oi Gintoki, si può sapere dove te ne sei andato a spasso questa notte?".
L'albino rimase in silenzio cercando una scusa credibile.
Fu però l'altro a trovarla per lui.
Lo guardò con aria seccata, quella che era solito usare quando bisticciavano.
"Non sarai mica andato a Yoshiwara?".
Gintoki, preoccupato com'era al pensiero che Shinsuke potesse scoprire la verità, sentendo quella sciocchezza, scoppiò a ridere.
"Se così fosse non vedo perchè dovrei dirlo a te!".
Il moro gli si avvicinò, certamente geloso al pensiero che l'albino potesse essere andato da una prostituta, che l'avesse effettivamente tradito.
Lo afferrò per il colletto del kimono, tirandolo verso di sè, riuscendo ad apparire minaccioso, nonostante la differenza di altezza.
"Guai a te se hai fatto una cosa del genere".
Gintoki non voleva litigare in quel momento con lui, ma gli avrebbe fatto comodo evitare sospetti.
Proprio come un traditore pensò, disgustato da sè stesso.
"E invece l'ho fatto. C'era una cortigiana molto bella, avresti dovuto vederla...quelle gambe..." sospirò platealmente "è stato piacevole bere con lei... e non solo" mostrò un ghigno all'altro per accompagnare la sua scenetta e renderla più credibile.
Si chiedeva come facesse a parlare in quel modo in maniera tanto naturale.
Sapeva che cosi avrebbe ferito i sentimenti di Takasugi, eppure lo faceva comunque.
Si sentì in colpa ma ormai era tardi.
L'altro lo guardò sgomento, era atterrito ma furioso per quella confessione, non poteva credere che Gintoki si comportasse così e non cercasse nemmeno di nasconderlo.
Forse perchè era troppo nervoso, ma non gli venne in mente che potesse esserci dell'altro.
Dopotutto era da quando era stato sconfitto che l'albino si comportava in maniera strana.
Lo colpì in viso con un cazzotto.
L'altro non si tenne il colpo e glielo restituì.
Takasugi ancora più arrabbiato lo colpì di nuovo, accompagnando i colpi con insulti molto pesanti.
Il casino che fecero svegliò Katsura, che uscì fuori e vide i due che si picchiavano.
"Gintoki! Takasugi! Smettetela, cosa siete, bambini piccoli?".
Sentendo che l'amico li rimproverava, smisero di colpirsi.
Entrambi erano pieni di lividi ed il naso di Takasugi perdeva sangue.
Andò dentro a pulirsi con uno straccio.
Non l'avrebbe perdonato facilmente.
                                                                ***

Come se i casini del giorno prima non fossero stati abbastanza, anche quel giorno, Oboro gli aveva proposto di vedere Shoyo, dandogli lo stesso appuntamento notturno.
Gintoki stavolta non aveva dubbi, anche se gli sembrava di fare qualcosa di tremendamente sbagliato, si sarebbe presentato all'appuntamento.
Sapeva in maniera più o meno cosciente che in quel modo stava facendo il gioco di Oboro, ma non riusciva ad opporsi.
Era come se gli avesse messo degli invisibili fili addosso, trasformandolo in una marionetta.
Questo lo rendeva inquieto, timoroso.
Sentiva di non poter riuscire a muoversi, a respirare, e da un giorno all'altro quel corvo sarebbe venuto a divorare la sua carne, o la sua anima se l'avesse trovata più appetitosa.
Era un gioco pericoloso quello a cui aveva deciso di partecipare.
Quel giorno, Takasugi non aveva voluto rivolgergli la parola.
Se lo aspettava, già normalmente era un tipo che se la prendeva, ma ora che aveva tradito la sua fiducia e calpestato il suo orgoglio, gli sarebbe stato difficile recuperare il rapporto che avevano.
A dir la verità, nemmeno lui aveva cercato di approcciare dopo il litigio.
Si sentiva sporco per tutte le menzogne che aveva detto.
E forse in quel momento era più facile non avere a che fare con lui, non avrebbe più dovuto preoccuparsi delle sue domande, nè dei sospetti che l'altro avrebbe potuto avere.
Essendo quello con cui aveva rapporti più stretti, era come un ostacolo in meno da sormontare, adesso.
Certo, c'erano anche Sakamoto e Katsura.
Del primo non si preoccupava affatto.
Era un inguaribile ottimista ed anche se avesse intuito che qualcosa non andava, avrebbe trovato una spiegazione assurda che risolvesse i suoi dubbi.
Forse era di Katsura che doveva preoccuparsi, nonostante le apparenze era una persona intelligente.
Ma non essendoci stato a stretto contatto come con Takasugi, sperava che non si rendesse conto della situazione.
Quella notte, non si preoccupò di controllare che gli altri dormissero, si alzò tranquillamente dal letto, per poter poi uscire.
Takasugi che era sveglio, si mise a sedere e lo guardò.
"Esci anche stanotte?" gli chiese con tono basso, colmo di risentimento.
Gintoki avvertì una fitta, era il senso di colpa che tornava a farsi sentire.
Cercò di non dargli peso.
"Che c'è, ti interessa? Vorresti venire insieme a me a divertirti?".
Conoscendolo bene, Gintoki sapeva per certo che Takasugi avrebbe rifiutato, ed infatti non si sbagliò.
"Non ci penso nemmeno. Affogati col sakè e non tornare mai più".
Senza degnarsi di guardarlo o rispondergli, l'albino uscì dalla stanza.
Takasugi si sentiva troppo nervoso per tornare a dormire.
Si alzò ed andò in veranda, trovando sveglio anche Katsura.
"Cosa ci fai sveglio a quest'ora?" chiese all'amico, in verità un po' seccato di trovarlo lì, avrebbe preferito starsene da solo.
Era sempre stato un tipo solitario Takasugi.
E Gintoki, fino ad ora, era una delle uniche persone di cui desiderasse la compagnia.
Nonostante i loro litigi aveva sempre continuato ad amarlo.
Ma stavolta, sembrava fosse l'altro a non volerne più sapere di lui.
Se gliene avesse parlato da persona matura, Takasugi avrebbe capito.
Probabilmente ne avrebbe sofferto comunque, ma avrebbe accettato la cosa.
Invece così non poteva far altro che infuriarsi.
Non capiva, Gintoki si era stancato di lui?
"Aspetto l'alba del Giappone" disse Katsura nel suo solito tono serio che usava però per dire cose stupide.
"...Tutti noi la stiamo aspettando, ma è una cosa metaforica" cercò di spiegargli.
Di solito Shinsuke era quello con meno pazienza verso Katsura.
"Non importa" liquidò la questione l'altro "non ti sembra che Gintoki sia strano?" gli chiese.
Shinsuke che in quel momento non aveva proprio voglia di parlare dell'albino, gli rispose a malincuore.
"Per strano intendi stronzo?".
Katsura scosse la testa.
"Dove credi sia andato adesso?".
"A Yoshiwara" rispose Takasugi, seccato.
"Non credo proprio, con quali soldi poi? Tra l'altro ci è stato Sakamoto ieri a Yoshiwara, e dice di non averlo incontrato".
"E dove credi sia andato allora? A farsi una pisciata al chiaro di luna?".
"Questo non lo so" fece Katsura "perchè non cerchiamo di scoprirlo?".
Ma Shinsuke era ancora troppo arrabbiato per poter ascoltare quel consiglio.
"Non mi interessa, sono affari suoi".
                                                                                       ***

Mukuro ritirò il piatto di Shoyo e storse le labbra in una smorfia.
Più della metà del cibo non era stata toccata.
"Devi mangiare, altrimenti ti ammalerai" lo rimproverò la bambina, preoccupata.
Vedeva il maestro agitato già da diversi giorni, ma non sapeva il perchè.
Shoyo tentò di sorriderle, anche se il suo sorriso era stentato.
"Non ho fame. Ma ti prometto che domani mangerò tutto".
La bambina lo guardò con i suoi occhi grandi, e trattenne un sospiro.
Posò allora il piatto nel vassoio insieme alla brocca d'acqua ormai vuota.
"Va bene " si arrese "buonanotte maestro" lo salutò premurosamente prima di lasciarlo.
                                                                                   ***

Gintoki e Oboro camminavano in silenzio.
Non era una novità che Oboro non parlasse, ma era strano che nemmeno lo Shiroyasha aprisse bocca.
Niente osservazioni stupide nè domande da parte sua quella sera.
Il Naraku osservava affascinato i cambiamenti avvenuti nel comportamento del samurai.
Era nervoso, sembrava quasi in uno stato di febbrile agitazione.
Era impaziente di raggiungere il suo adorato maestro.
E sadicamente Oboro rallentava il passo, divertendosi a vedere la sua frustrazione crescere.
Stava riuscendo col suo piano a domare la sua volontà, a renderlo un suo burattino.
Si chiedeva se facendogli già quella sera la sua proposta l'altro avesse ceduto.
Probabilmente, per come erano deboli i suoi nervi l'avrebbe fatto, ma Oboro voleva esserne sicuro e sapeva che per certe cose non bisognava avere fretta.
Dopotutto aveva già il suo piano ed intendeva seguirlo.
Finalmente per Gintoki, avevano raggiunto l'edificio.
Stavolta, vide che il samurai non si guardava intorno, si limitava a guardare dritto davanti a sè, quasi avrebbe voluto superare l'altro per andare da solo.
E quando arrivarono, si precipitò verso le sbarre, mettendosi in ginocchio rivolto verso il maestro.
Shoyo era già sveglio, non essendo riuscito a dormire per la preoccupazione.
Il suo stomaco brontolava per la fame ma si limitò ad ignorarlo.
"Gintoki" lo salutò cercando di sorridere.
Si sentiva stanco e spossato, ma in quel momento anche lui aveva desiderio di parlare col suo allievo.
"Vi lascio da soli" annunciò Oboro.
Gintoki lo ignorò, ormai completamente assorto.
Oboro li lasciò parlare per parecchio tempo.
Non era clemenza la sua.
Aveva bisogno che lo Shiroyasha si fidasse di lui per poter portare a termine il suo intento.
Voleva che Gintoki gli fosse assoggettato.
Quando fu ormai l'alba e tutti cominciavano a ridestarsi, andò a riprendere il samurai.
Trovò che sia lui che Shoyo si erano addormentati.
Tutti e due con le spalle appoggiate alle sbarre come per cercare di essere più vicini.
"Che cosa rivoltante" commentò il Naraku con una smorfia.
Si avvicinò a Gintoki per scuoterlo con l'intendo di svegliarlo e sentì qualcosa agitarsi nel suo stomaco nel vedere quel viso addormentato.
Non sapeva cosa significasse, non gli era mai capitata una sensazione simile.
Portò le dita alla sua guancia, accarezzandola piano, non sapeva cos'avrebbe potuto pensare l'altro se l'avesse scoperto in quel gesto.
Non era nemmeno lui stesso consapevole di ciò che stava facendo.
Decise allora di smetterla di comportarsi in quel modo insensato e la carezza si trasformò in uno schiaffo.
Il samurai aprì subito gli occhi, guardando l'altro in modo interrogativo, forse in quel momento la sua mente non era ancora del tutto cosciente e nemmeno ricordava dove fosse.
"E' ora di andare" pronunciò Oboro severamente.
L'altro annuì, avrebbe voluto salutare il maestro prima di andarsene ma decise di lasciarlo dormire.
Forse inconsciamente già pensava che l'avrebbe rivisto la sera stessa.
Si sbagliava.

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Capitolo 7
*** 7 ***


oboro 7 Gli Yato erano una razza di amanto tra le più forti dell'universo.
Era insito nel loro sangue l'istinto di combattere.
Erano conosciuti come un popolo di sanguinosi guerrieri.
Avevano forma umana e la loro peculiarità era la pelle chiara.
A causa della loro pelle però, la loro debolezza era il sole.
Per questo giravano sempre con dei grandi ombrelli per ripararsi.
Quegli ombrelli erano anche le loro armi.
Erano infatti di un materiale particolarmente resistente e potevano sparare proiettili.
A causa però di questo istinto che li portava a lottare anche tra di loro, gli Yato erano quasi estinti.
Uno dei più conosciuti era Umibozu.
Anche lui, come gi altri Yato amava la battaglia, ma aveva deciso di usare questa sua indole per fare qualcosa di utile, diventando un cacciatore di alien.
Cercava per l'universo le specie più pericolose per ucciderle.
Molte volte si era trovato in pericolo di morte, ma non era mai stato sconfitto, ed a questo doveva la sua fama.
Stavolta però temeva che l'obbiettivo prefissatosi, fosse fuori dalla sua portata.
E proprio per questo, a maggior ragione non avrebbe cambiato idea.
Avrebbe sconfitto colui che da qualche tempo stava terrorizzando interi popoli: Utsuro.
Umibozu sapeva però, dalle informazioni in suo possesso, che era quasi impossibile ucciderlo.
L'amanto infatti aveva l'abilità di rigenerare quasi immediatamente le sue ferite.
Abilità che unita alla sua straordinaria potenza e velocità, lo rendeva quasi imbattibile.
Il famoso cacciatore di alien, stavolta aveva bisogno di aiuto.
In qualche modo, fu lo stesso Utsuro a fornirgli aiuto.
Si trovava infatti in quel periodo sulla Terra, ad Edo, dove era in corso la guerra contro i samurai.
Tecnicamente la guerra era stata già persa, lo shogunato aveva già ceduto.
Ma Umibozu riusciva a capire perchè i samurai continuassero a lottare.
Non era una battaglia per la loro vita, ma per il loro onore.
Lo Yato sapeva che ad Edo c'era un grande inventore, molto conosciuto per le sue invenzioni: Gengai.
Ed infatti appena giunto in quel paese, si recò da lui per chiedere aiuto.
Scoprì che Gengai lavorava per il governo e quindi non avrebbe potuto aiutarlo.
L'inventore però gli diede un altro nome.
Quello di un suo vecchio amico col quale aveva collaborato fino a poco tempo prima.
Si erano divisi quando il governo aveva proposto loro di lavorare.
Gengai aveva accettato mentre l'altro, non volendo sottomettersi era diventato un ricercato.
Umibozu gli promise che il suo nome non sarebbe mai venuto fuori.
L'altro inventore si chiamava Mashiro Michigane ed a differenza di Gengai era un tipo molto meno eccentrico.
L'idea di Umibozu era quella di fargli costruire qualcosa che annullasse l'abilità di Utsuro di rigenerarsi o almeno la rallentasse.
Mashiro gli disse subito che questo non era possibile.
Anzi, sarebbe potuto anche riuscirci se avesse avuto un campione del dna dell'amanto in questione.
Ed Umibozu non credeva che sarebbe riuscito ad ottenerlo e poi scappare.
Già giudicava difficile affrontarlo.
Pensò allora che si sarebbe dovuto arrangiare, contando solo sulle sue forze.
Mashiro però gli chiese di aspettare qualche giorno, avrebbe avuto qualche idea che poteva aiutarlo.
L'idea che ebbe e riuscì a realizzare, era molto buona, non per niente quell'uomo era stato il collega di Gengai.
Un proiettile, Umibozu avrebbe dovuto spararlo in testa ad Utsuro.
Dentro quel proiettile c'era un chip che avrebbe rimosso la memoria ed avrebbe influito sul funzionamento del cervello dell'amanto.
Non l'avrebbe ucciso, ma di certo l'avrebbe reso inoffensivo, a meno che qualcuno non avesse estratto il proiettile, Utsuro non avrebbe più fatto del male a nessuno.
Il problema ora era riuscire effettivamente a sparargli quel proiettile proprio in testa.
 
Quel giorno Umibozu lo avrebbe ricordato per sempre.
Quando vide Utsuro, sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
Quello lì era un mostro, qualcuno peggiore di tutti gli alien che aveva affrontato fino a quel momento.
Usò l'ombrello per attaccarlo.
Non avrebbe sparato fino a che non fosse stato sicuro, dopotutto aveva una sola possibilità e se non ci fosse riuscito sarebbe morto.
In seguito non riuscì più a riportare nella mente tutti i particolari di quella battaglia.
Ricordava di essersi sentito in quel momento come una vera e propria macchina assassina.
Un suo colpo riuscì a staccargli un braccio.
Non stette a guardarlo mentre velocemente si rigenerava.
Era la sua unica occasione.
Riuscì a sparargli al centro della fronte, la fortuna era con lui.
"Credi veramente che io muoia per questo?".
Lo vide ridere mentre rigenerava la ferita alla fronte.
Per qualche istante Umibozu ebbe paura, il chip non avrebbe funzionato.
Sarebbe morto.
Poi sentì l'altro urlare.
"COSA MI HAI FATTO?".
Sembrava che quel grido gli avrebbe spaccato i timpani, ed istintivamente si coprì le orecchie con le mani.
Poi smise, Utsuro si accasciò a terra svenuto.
Umibozu volle aspettare che si riprendesse per sicurezza, per sapere se effettivamente l'altro non ricordasse più nulla.
Dopo un po' Utsuro aprì gli occhi.
L'espressione che aveva in volto era completamente diversa da prima.
Lo guardò disorientato.
"Dove sono?".
"Ti trovi ad Edo" gli rispose lo Yato.
L'amanto parve non capire.
"Chi sono?" seguitò a chiedergli.
"Il tuo nome è Yoshida Shoyo".
                                                                      ***

Gintoki era felice.
Poter vedere, poter parlare col suo maestro l'aveva reso felice.
Non si rendeva conto ora di come quella sensazione di felicità fosse effimera.
Non provava più quel senso di catastrofe imminente.
Forse, se fosse stato più in guardia, avrebbe potuto evitare il peggio.
Anche se era stanco per la notte insonne, Gintoki andò comunque in battaglia.
Era sicuro che Oboro sarebbe venuto a cercarlo per proporgli anche quella sera l'incontro.
Ma per tutto il giorno, Oboro non si fece vedere.
Il samurai si sentì tradito, ma pensò che forse Oboro pensava che non avesse più senso avvertirlo e che l'incontro era scontato.
Per questo anche quella notte l'albino si recò al loro punto d'incontro.
Non c'era traccia del Naraku ma Gintoki era fiducioso.
Si sarebbe presentato di sicuro.
Con questo pensiero, rimase a lungo ad aspettare, ma l'altro non si presentò.
Deluso ed arrabbiato, tornò al dojo.
Takasugi era ancora sveglio, nervoso per l'ennesima uscita notturna di Gintoki, non era riuscito a prendere sonno.
"Che c'è, stasera non sei riuscito a fartelo venire duro?" lo provocò, riferendosi al fatto che fosse già tornato.
Gintoki, già nervoso, gli rispose male.
"Non sono cazzi tuoi".
Shinsuke si alzò, lo guardava con risentimento.
"Credevo fossi una persona migliore" gli disse, per poi lasciare la stanza.
Non voleva vederlo ancora.
Gintoki avrebbe voluto urlargli che non era colpa sua, che lui non c'entrava niente.
Voleva chiedergli cos'avrebbe fatto lui al suo posto.
Ma rimase in silenzio.
Tutte quelle parole gli morirono semplicemente in gola.
Si sdraiò sul futon e gli diede un pugno.
Mentre si addormentava un ultimo pensiero lo accompagnò nel sonno.
Domani.
Il giorno dopo, Gintoki era sicuro contro ogni logica, che Oboro si sarebbe fatto vedere, ma si sbagliava.
Il giorno dopo nemmeno, nè quello dopo ancora.
Mentre la speranza scemava, la frustrazione cresceva nel samurai.
Il nervosismo lo stava rendendo intrattabile.
Oltre che con Takasugi, ora litigava anche con Katsura e Sakamoto.
Iniziava ad avere paura che fosse successo qualcosa.
E se Shoyo fosse morto?
Se fosse stato giustiziato?
Dopotutto non poteva saperlo.
Avrebbe dovuto dimenticare soltanto quella faccenda, evitando di immischiarsi ulteriormente, ma non ci riusciva.
Decise allora di cercare da solo Oboro.
Stupidamente, si diresse verso il suo rifugio, ma non ci fu bisogno di spingersi così lontano per trovarlo.
Oboro era infatti in cima all'altura da dove cominciava la strada che portava all'accampamento.
Non era da solo, questo Gintoki non se l'aspettava.
L'altro Naraku sembrava molto meno minaccioso di Oboro ma appena vide il samurai avvicinarsi, prese in mano la lancia per puntargliela contro.
Gintoki si fermò, non aveva alcuna intenzione di farsi infilzare da un perfetto sconosciuto.
Oboro fece segno al compagno di fermarsi.
Questo sembrava essere spaventato da lui perchè a quel cenno, depose immediatamente l'arma e guardò l'altro con aria intimorita.
"Ho un conto da regolare con questo samurai" disse Oboro "seguimi Shiroyasha".
Gintoki rivolse un'altra occhiata al Naraku, ma non sembrava aver più l'intenzione di attaccarlo.
Seguì allora l'altro.
Oboro era compiaciuto, stava andando tutto secondo le sue previsioni.
Anzi, in realtà si aspettava che il samurai resistesse di più.
Sentiva di averlo in suo potere.
Per quanto la sua volontà fosse stata forte, lui l'aveva piegata.
"Dimmi, per quale motivo sei venuto a cercarmi?" chiese Oboro, nonostante la cosa fosse abbastanza ovvia.
In altre circostanze, Gintoki gli avrevve detto di non prendersi gioco di lui, ma ora era troppo ansioso per farsi rispettare.
"Voglio vedere Shoyo".
"Cosa ti fa pensare che io possa farlo?" rispose il Naraku.
Aveva voglia di divertirsi un po' con lui, di farlo soffrire, anche se questo non era strettamente nel piano.
"Perchè non dovresti?" fece Gintoki, nervoso.
"Forse non sono stato chiaro. Cosa ti fa pensare che ci siano ancora le condizioni per vederlo?" .
Gin rabbrividì, gli sembrò quasi che l'altro gli avesse letto nel pensiero.
"Mi sai dicendo... non è mica m-morto..?" mormorò appena l'ultima parola, quasi spaventato di pronunciarla.
"No, è ancora vivo" rispose il Naraku dopo qualche attimo in cui aveva lasciato l''altro in tensione.
L'albino sospirò, per un attimo aveva creduto nell'ipotesi peggiore.
"Allora mi porterai da lui?" gli chiese, speranzoso.
Oboro assaporò il suo sguardo per poi annuire.
"Stanotte?" domandò l'albino.
"Ora, se preferisci".
Il samurai annuì energicamente, non aspettava altro praticamente.
Lo guidò allora, passando stavolta però dov'erano i compagni dello Shiroyasha.
Li aveva tenuti d'occhio apposta per quel momento.
Katsura e Takasugi, vedendo che Gintoki stava seguendo un nemico, lo chiamarono.
"Non girarti, non rispondere" gli intimò il Naraku.
Non c'era bisogno che aggiungesse altro.
Il samurai comprese che se l'avesse fatto, avrebbe perso la sua occasione.
Strinse i pugni, abbassò lo sguardo e tirò avanti.
Cosa stavano pensando ora di lui i suoi compagni?
Ripensò alle parole di Takasugi, credevo fossi una persona migliore, aveva ragione.
Si chiedeva se fosse ancora in tempo per chiedere scusa.
Una volta finita quella storia lo avrebbero perdonato?
Continuò a camminare senza guardarsi indietro.
Era questa la sua risposta?

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Capitolo 8
*** 8 ***


oboro 8 In quel tempo di guerra, non era facile vivere a meno che non si occupasse una buona posizione economica e sociale.
Per Shoyo che aveva perso la memoria e quindi anche la sua identità, risultava ancora più difficile.
Aveva cercato ovunque qualcuno che lo riconoscesse e che sapesse dirgli chi fosse, ma sembrava che nessuno avesse mai sentito il suo nome.
Arrivò anche a pensare che quell'uomo che l'aveva ritrovato gli avesse mentito e che quello che gli aveva detto era in realtà un nome fasullo.
Ma vero o falso che fosse, era l'unico indizio che aveva di sè, e vi si aggrappò con tutte le sue forze.
Era il nome che usava quando aveva bisogno di aiuto, di cibo o di riparo.
E per sua fortuna c'erano ancora molte persone ad Edo che avevano un buon cuore ed erano disposte ad aiutare il prossimo anche senza riceverne nulla in cambio.
Fu così che conobbe Nagato Akira.
Akira, era un anziano signore che gestiva da solo un dojo.
Il proibizionismo nei confronti dei samurai non era ancora arrivato alla sua fase critica, quindi, un'attività del genere riusciva ancora a sopravvivere.
Guadagnare, però non era mai stato l'intento di Akira.
Infatti egli accoglieva i bambini più bisognosi ed i fondi del dojo provenivano perlopiù da offerte spontanee.
Aveva sempre gestito la sua attività da solo, senza contare su nessuno.
Ora però, con l'età che avanzava non era più in grado di fare tutto da solo.
Di mente era ancora ben lucido, ciò di cui più si lamentava erano dolori alla schiena e la vista che peggiorava.
Quandò Shoyo gli si presentò in cerca di un posto dove dormire, Akira gli propose di rimanere ed aiutarlo col suo dojo.
L'anziano scoprì presto che non avrebbe potuto trovare una persona migliore.
Oltre ad essere buono e premuroso (i bambini lo adorarono fin da subito), era colto, istruito e sapeva anche usare bene la spada.
"Ti piace questo posto?" gli chiese una sera, erano già un paio di settimane che Shoyo si trovava lì.
Akira gli si era già affezionato, gli sarebbe dispiaciuto se avesse avuto intenzione di andarsene.
"Sì, confesso che anche se mi trovo qui da poco, mi sono già affezionato. Forse l'insegnamento è proprio quello che fa per me" gli disse Shoyo.
L'altro ne fu contento e gli diede una pacca sulla spalla, con quel suo solito modo paterno di trattarlo.
"Mi fa piacere. Non ti manca la tua vita?" gli chiese.
Shoyo non gli aveva raccontato nulla, non voleva che pensasse avesse qualcosa da nascondere.
Tuttavia, fino a quel momento, Akura non aveva chiesto nulla.
"No, non mi manca" disse, non sapeva nemmeno lui perchè stesse per mentire.
"Io ero in guerra. Ho visto così tanti compagni morire davanti ai miei occhi che ho giurato di non fare mai più del male a qualcuno, qualsiasi cosa dovesse succedere".
Anche se la sua era una bugia, sentiva in lui l'odio verso la violenza.
"Capisco. Dev'essere stata dura. Personalmente spero che questa guerra finisca in fretta" gli disse.
"Ho una cosa da dirti. Io ormai sono vecchio e non credo che vivrò ancora a lungo".
Qualcun altro avrebbe cercato di distogliere il vecchio da un discorso così cupo, ma Shoyo rimase in silenzio ad ascoltarlo.
Fu contento che l'avesse fatto.
Era proprio la persona che cercava.
"Ci ho pensato parecchio. Non vorrei che dopo la mia morte tutti i bambini rimanessero senza un posto in cui vivere. Vorrei che fossi il mio erede, che continuassi quest'attività. So di chiederti molto, ma ormai ti considero come un figlio. Vorrei davvero che tu accettassi".
Il vecchio aveva due figli, ma entrambi lavoravano nel governo, quindi non avrebbero accettato di continuare quell'attività.
Ed anche se l'avessero fatto, non ci sarebbe stato amore da parte loro.
Shoyo che già immaginava una simile proposta, fu felice.
Finalmente aveva trovato un posto da poter chiamare casa.
"Accetto. Mi prenderò io cura di questo posto quando non ci sarai più".
Credeva di essersi lasciato il passato alle spalle, non immaginava che sarebbe tornato a perseguitarlo.
                                                                                                   ***

Gintoki ed Oboro arrivarono finalmente alle prigioni.
Conosceva ormai quei sotterranei.
Anche se era giorno, le celle non sembravano essere meno buie.
Era poca la luce che riusciva ad entrare da sopra.
Arrivarono in fondo, dove si trovava il maestro.
Stava mangiando della minestra, anche se non sembrava averne molta voglia.
A Gintoki sembrò che fosse più magro da quando l'aveva rivisto giorni prima.
Forse era anche più pallido, aveva l'aria malaticcia o era solo una sua impressione?
Si sentiva timoroso in quel momento a parlargli, forse era meglio che aspettasse che finisse di mangiare.
Il maestro però li aveva sentiti arrivare e si girò verso loro.
Mise il piatto a terra, non aveva più fame.
"Ciao Gintoki" lo salutò sorridendo.
Lo Shiroyasha si rese conto che non era una sua impressione, Shoyo aveva anche l'aria stanca.
Lo vedeva dalle occhiaie.
Sembrava che qualche pensiero lo agitasse.
Forse anche lui aveva avuto paura che fosse successo qualcosa a Gintoki.
"Maestro..." gli rispose, rimanendo quella volta lontano dalle sbarre.
Quasi avesse paura che ad avvicinarsi potesse romperlo, come un logoro giocattolo di pezza.
Un giocattolo, forse era cosi che senza accorgersene aveva considerato Shoyo.
Che senso aveva vederlo così?
Senza poterlo aiutare in alcun modo?
Andare lì era stato solo un suo egoistico desiderio.
Aveva fatto soffrire i suoi compagni, il suo maestro... solo per sè stesso.
Si girò verso Oboro, era ancora lì, quel giorno sembrava non aver intenzione di lasciar loro un po' di privacy.
Forse era per questo che gli sembrava difficile parlargli.
Era come se le sue parole fossero lontane e non potessero raggiungerlo in alcun modo.
Oboro guardò compiaciuto quelle reazioni.
Non credeva che anche Shoyo fosse cosi debole da risentire della mancanza del suo allievo.
Patetico.
Decise che era ora di mettere in atto il suo piano.
Se avesse aspettato ancora, c'era il rischio che lo Shiroyasha o quel patetico Yoshida Shoyo potessero spezzarsi.
Si avvicinò ulteriormente al samurai.
"Shiroyasha" lo chiamò.
Gintoki si girò nervoso "cosa vuoi?" gli chiese scontroso.
Forse non gradiva essere disturbato mentre colloquiava col suo adorato maestro.
"Perchè non lo liberi?" gli disse.
Gintoki non credeva alle sue orecchie.
Se si trattava di uno scherzo, ammesso che il Naraku sapesse cosa fosse uno scherzo, era davvero di pessimo gusto.
"Cosa stai dicendo?" chiese il samurai.
Shoyo era in silenzio, non capiva perchè Oboro avesse detto questa cosa, ma non credeva fosse un buon segno.
"Ti ho chiesto se hai intenzione di liberarlo" continuò imperterrito il Naraku.
"Se potessi farlo l'avrei già fatto sicuramente" gli rispose, era meglio non dargli troppo retta.
A quanto pareva aveva voglia di prenderlo in giro.
"Ti sto dicendo che ora potresti farlo".
Il samurai fece una smorfia, seccato.
Se non la smette gli dò un cazzotto pensò.
"E come? Mi vai a prendere le chiavi e me le dai?".
"Esattamente" quella risposta irritò ulteriormente l'albino.
"Piantala, non ho alcuna voglia di sentire le tue cazzate. Era meglio se non venivo affatto" sbuffò.
"Aspetta" disse Oboro e si allontanò, lasciandolo da solo.
Era una trappola, sicuramente una trappola.
Avrebbe preso le chiavi, ma invece di dargliele per fargli liberare il maestro, l'avrebbe rinchiuso nella cella insieme a lui.
Shoyo lo guardava, sgomento quanto lui.
Se così era, doveva scappare in fretta, prima che il Naraku tornasse.
Ma se veramente voleva aiutarlo?
Fu questo dubbio a farlo rimanere fermo lì.
Dopotutto che bisogno c'era di farlo arrivare fin lì per arrestarlo?
Questo aveva senso.
Per tutto il tempo il comportamento di Oboro era stato irrazionale.
Che fosse in realtà un traditore?
Una spia dall'interno?
Ma se fosse stato così, avrebbe dovuto stare più attento a non farsi scoprire dai suoi compagni, cosa che non aveva mai fatto.
Il tempo che attese Gintoki per scoprire le intenzioni dell'altro, gli parve interminabile.
Oboro tornò, aveva davvero delle chiavi in mano.
Le porse al samurai.
Gintoki le guardò esterrefatto, come se non credesse ai suoi occhi.
Esitò, non azzardandosi a muoversi.
"Avanti, cos'aspetti a prenderle?" lo invitò Oboro.
Lo Shiroyasha allora tese la mano, ed esitante prese le chiavi.
Ancora aveva paura di una trappola o uno scherzo per cui aspettò ancora qualche istante.
Forse le chiavi non erano quelle giuste ed Oboro voleva divertirsi a vedere mentre cercava inutilmente di infilarle nella serratura.
Dato che Oboro si ostinava a stare in silenzio, si avvicinò alle sbarre.
Shoyo aveva paura di dir qualcosa.
Non voleva fidarsi.
Giuntoki riuscì ad infilare le chiavi, quando Oboro parlò.
"Ad una condizione" disse.
Il samurai lo guardò e deglutì.
Ecco che il Naraku si decideva a scoprire le sue carte.
"Se liberi quest'uomo, dovrai tradire i tuoi compagni ed unirti al mio esercito".
Ecco, era questo che voleva da lui, fin dal principio.
Un piano ben congegnato.
"Perchè lo stai chiedendo proprio a me? Mi hai affrontato, sai che sono molto più debole di te. A cosa potrei servire?".
"Non fare domande. Puoi solo scegliere ora".
Gintoki lo guardò, poi si girò verso Shoyo.
Per aiutarlo avrebbe dovuto tradire i propri compagni.
Era disposto a farlo?
Forse non sarebbe stato un problema, tanto Katsura e Takasugi già lo consideravano un traditore.
Stava davvero esitando?
Si trattava di aiutare il suo maestro, colui a cui doveva tutto.
Shoyo, vedendo che Gintoki stava decidendo di liberarlo, gli parlò.
Gintoki, cosa stai facendo?" gli chiese in tono da rimprovero.
Il samurai si fermò e lo guardò.
"Cosa ti ho sempre detto? Qual è la via che un samurai dovrebbe seguire? Credi che tradire i tuoi compagni, per aiutare me che ormai non posso più essere utile a nessuno, serva a qualcosa? Ripensaci. Ma sappi che se aprirai questa cella, non ti considererò più un mio allievo".
A Shoyo fece male dire queste parole, ma erano necessarie se voleva salvare il suo allievo.
Gintoki a sentirlo fu di nuovo indeciso.
Si rese conto che se l'avesse fatto, avrebbe perso qualcosa di più importante dei suoi compagni.
Avrebbe perso la sua anima.
Estrasse le chiavi e le buttò a terra, verso Oboro.
"Mi rifiuto" disse.
Shoyo gli sorrise.
"Allora vattene" rispose Oboro "non mi interessa se qualcuno ti vede e ti uccide".
Ora che non aveva ottenuto ciò che voleva, il suo tono era duro.
Gintoki salutò velocemente il maestro, prima di andarsene.
Si sentiva più leggero ora.
Ma Oboro aveva ancora delle carte da giocare.


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Capitolo 9
*** 9 ***


Oboro 9 Anche se il tendoshu si lamentava del fatto che Oboro in tutti quegli anni non era riuscito a risolvere la questione di Utsuro, non teneva conto del fatto che la colpa fosse anche loro.
Per trovare una soluzione, era necessario che Oboro scoprisse cos'era successo sulla terra e per quale ragione Utsuro avesse perso la memoria.
Il chè significava andare a leggere tutti i fascicoli dell'anno in cui l'amanto si era recato ad Edo, fino all'anno un cui era stato ritrovato.
Dato che non c'era alcun indizio, si sarebbero dovute fare supposizioni e controllare poi se fossero giuste.
Un lavoro gravoso, ma Oboro non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.
Inizialmente però fu anche un altro problema a rallentare la sua ricerca.
L'archivio era in ristrutturazione ed aveva dovuto aspettare diversi mesi prima di poterne usufruire.
Ed anche quando poi aveva potuto cominciare a consultare il materiale, il tempo in cui poteva dedicarsi alla sua ricerca, era limitato.
Anche se aveva chiesto l'approvazione dello stesso Tendoshu, poteva dedicarcisi solo quando non doveva lavorare.
Aveva perciò fatto ben pochi progressi.
Fino a che non aveva trovato qualcosa di interessante.
La presenza di Umibozu ad Edo nello stesso periodo in cui si era recato Utsuro.
Forse non significava nulla, ma era comunque una pista da cui partire.
Pareva che Umibozu avesse richiesto i servizi di un inventore che faceva parte del gruppo joui.
In quel dossier però su di lui non c'era molto, a parte che era stato ucciso dal governo che aveva sequestrato tutto il suo materiale.
Questo era interessante.
Aveva perciò dovuto fare richiesta per controllare quel materiale, perdendo così ulteriore tempo.
Quando poi era riuscito ad andare a controllare, aveva trovato ciò che gli serviva.
Dunque, per mettere fuori gioco Utsuro, lo Yato si era servito di un proiettile che gli facesse perdere la memoria.
Ora che era a conoscenza di questo, Oboro sapeva come risolvere la situazione.
Ma avrebbe dovuto attendere ancora.
Per ora Shoyo gli serviva per manipolare lo Shiroyasha.
                                                                                          ***

Dopo aver rifiutato la proposta, Gintoki si era precipitato fuori dai sotterranei e dal rifugio Naraku più in fretta che poteva.
Non voleva finire ammazzato o imprigionato.
Era riuscito a scappare.
Un paio di guardie le aveva incontrate ma si era nascosto per evitare che lo vedessero.
Una volta fuori di lì, realizzò che non avrebbe mai più rivisto il suo maestro.
La cosa lo rendeva triste, ma sapeva adesso di aver fatto la scelta giusta.
Ora poteva tornare a testa alta dai suoi compagni.
Non poteva spiegargli la situazione, ma credeva che se gli avesse chiesto di fidarsi, loro lo avrebbero fatto.
Andò perciò da loro.
Non si era reso conto che il suo comportamento li aveva resi già sospetti da prima.
Ora che avevano la prova che Gintoki fosse coinvolto coi Naraku, non si dimostrarono clementi.
"Se non è come pensiamo allora perchè non ci dici come stanno realmente le cose?" disse Takasugi in tono aggressivo.
Ma dirgli la verità significava dire loro che aveva visto Shoyo.
Che l'aveva incontrato più volte sempre in segreto, senza dir loro nulla, e che infine, quando aveva avuto la possibilità di liberarlo aveva rifiutato.
Sarebbe stato forse ancora peggiore di ciò che pensavano loro.
Non poteva.
"Non posso, ma fidatevi di me. Per nessun motivo vi tradirei".
Katsura sembrava quasi pronto a fidarsi e perdonarlo, era Takasugi soprattutto a non volerlo fare.
Aveva troppa rabbia per quel comportamento.
Se l'albino non aveva fatto nulla di male, allora perchè non parlava?
"Mi dispiace Gintoki, se vuoi essere perdonato devi parlare. Altrimenti ti considereremo un traditore e verrai trattato come tale.
E adesso se non vuoi parlare, vattene, prima che mi venga voglia di ucciderti" disse Takasugi.
Gintoki conosceva quel tono di voce, e vedeva dal suo sguardo, che faceva sul serio.
Tentò di cercare aiuto nello sguardo di Katsura, ma questo evitò il suo.
Anche se non era totalmente d'accordo, preferiva stare con Takasugi.
Gintoki allora, capendo che non c'era altro da fare, prese le sue cose, le raccolse in un sacco e se ne andò.
Aveva lasciato quella che da sempre era stata la sua casa.
Cosa credeva di fare ora?
Non aveva nessun altro posto in cui andare.
Non sapeva a chi chiedere aiuto, era convinto che una volta saputo da Takasugi e Katsura che aveva tradito i samurai, nessuno più l'avrebbe accolto.
Camminò a lungo senza una meta.
Sopraggiunse la sera senza che avesse trovato una soluzione.
Era stanco, doveva fermarsi.
Vide poco lontano un santuario abbandonato e si costrinse a raggiungerlo.
Almeno aveva un posto dove nascondersi.
Si sdraiò sulle scale, erano dure e fredde ma in quel momento, ciò che più lo tormentava era la fame.
Il suo stomaco brontolava, chiedendo di essere nutrito.
"E sta zitto, non ho niente da darti" mormorò Gintoki tra sè e sè, in quelle condizioni, nemmeno il suo umore era dei migliori.
Chiuse gli occhi, sistemandosi sul fianco per cercare di stare un po' più comodo e prendere sonno.
Ci mise un po' prima di riuscire ad addormentarsi.
Non riuscì comunque a dormire per troppo tempo, fu proprio lo stomaco con i suoi lamenti a costringerlo a svegliarsi.
Aprendo però gli occhi, trovò una sorpresa.
Davanti a lui, c'era un piatto con del pane sopra.
Il suo stomaco brontolò, quasi con violenza, stavolta.
Aveva l'acquolina in bocca.
Senza pensarci allungò una mano per afferrare quel pane.
"Mangia Shìroyasha"disse una voce.
Solo allora si accorse che c'era qualcuno al suo fianco, la stanchezza gli aveva fatto perdere colpi.
Era Oboro.
Appena se ne rese conto ritirò subito la mano e scattò in piedi, afferrando la katana, pronto ad estrarla.
Oboro non mostrò la minima reazione, sembrava non gli interessasse l'agitazione del samurai.
"Ho saputo quello che ti è successo" disse il corvo, in tono colloquiale come se stessero prendendo un tè "mi dispiace se per colpa mia ti trovi in difficoltà".
A Gintoki girava la testa per la fame, abbandonò il suo atteggiamento minaccioso, convincendosi ad addentare quel pane.
Era un po' duro, ma con la fame che aveva non si metteva certo a lamentarsi.
Oboro gli sembrava strano, forse era veramente pentito per ciò che aveva fatto.
"E quello che odio di più del mio lavoro" continuò il corvo, sorprendendolo.
Perchè adesso si confidava con lui?
"Perchè sei qui?" gli chiese.
Vedendolo così, quasi debole, non provava più tanta ostilità nei suoi confronti.
Forse stava solo recitando, ma che senso aveva farlo?
"Te l'ho detto. Ho saputo la tua situazione e volevo aiutarti dato che è colpa mia".
"Se ti sentivi in colpa, non avresti dovuto farlo" ribadì Gintoki.
Il corvo scosse la testa in maniera comicamente tragica.
"Non puoi capire, non sono libero di fare ciò che voglio. Devo obbedire ai miei superiori".
Lo Shiroyasha lo scrutò, cercando di capire se fosse serio.
Oboro stava cercando di far presa su di lui mettendo in pratica la sua conoscenza delle emozioni umane, conoscenza puramente teorica dato che per la maggior parte, erano emozioni che non aveva mai provato.
"E' difficile, non sai quanti amici ho visto commettere sciocchezze per la pressione e per i sensi di colpa. Ma il tendoshu non perdona le insubordinazioni, chi non obbedisce viene ucciso" fece una pausa d'effetto, simulando agitazione "se penso che la stessa cosa possa succedere anche a me..." .
Gintoki lo guardava con attenzione cercando di valutare le sue parole ed il tono che stava usando, gli sembrava davvero strano che l'altro dicesse di avere amici o che mostrasse paura.
Ma non riusciva a trovare traccia di menzogna nel suo atteggiamento.
Se stava fingendo, era un attore maledettamente bravo.
"Però devo dirti una cosa...Shi... Posso chiamarti Gintoki?".
Il samurai annui, un po' sgomento per la piega che stavano prendendo le cose.
"Gintoki, io ho una grande stima di te. Mi piacerebbe averti come compagno. La proposta è sempre valida".
Toccante, quasi.
Oboro aveva una gran voglia di ridere in quel momento ma non mostrò nulla.
Era faticoso comportarsi come uno stupido umano, ma non voleva rovinare tutto.
"Mi dispiace, devo rifiutare ancora" gli disse il samurai "non ho intenzione di tradire i miei principi".
La voglia di ridere si fece più forte e dovette mordersi le gengive per rimanere serio.
Il samurai credeva davvero di avere scelta.
Forse non capiva che sarebbe stato meglio arrendersi prima che si stancasse di usare le buone maniere.
"Comprendo"gli dice in tono pacato "ma sappi che se cambierai idea le porte sono sempre aperte per te".
Era interessante notare come lo Shiroyasha fosse divenuto docile solo perchè gli mostrava un po' di gentilezza.
Che essere stupido... eppure, stava facendo quegli sforzi solo per lui.
Aveva qualcosa di speciale?
"Ma...non avrai mica intenzione di dormire qui?" gli disse, fingendosi ora preoccupato.
"Beh, non ho molta scelta, non ci sono hotel in vista, ed anche se ci fossero non avrei soldi per pagare..".
"E' davvero disdicevole, sono spiacevolmente sorpreso nell'apprendere che i tuoi amici ti lascino in simili condizioni".
Gintoki sospirò.
"Ma no, loro non hanno alcuna colpa. Io non ho voluto dirgli nulla, perciò mi credono un traditore".
"Lo so, ma data la vostra lunga amicizia avrebbero dovuto credere in te".
"E' complicato..." rispose lo Shiroyasha pensando a Takasugi, a come l'aveva ferito volontariamente, a come l'aveva ingannato.
Solo pensando a questo gli sembrava giusto che lui ora fosse lì.
"In ogni caso non puoi dormire qui al freddo" disse Oboro.
Gintoki avrebbe voluto chiedergli perchè insistesse tanto, e se quella di santarellino fosse la sua vera natura.
"E dove dovrei andare secondo te?".
Stavolta Oboro si morse visibilmente il labbro, aveva letto da qualche parte che quel gesto significava indecisione.
Si mostrò così turbato, come se stesse lottando contro qualcosa.
"Un posto ci sarebbe... un magazzino abbandonato... ci sono coperte, cibo. E' lì che portavo i prigionieri dopo averli aiutati a fugg..".
Ora il corvo sgranò gli occhi e si tappò la bocca con la mano.
Sempre dalle sue fonti, in quel modo avrebbe comunicato all'altro paura, come per aver detto qualcosa di avventato.
"Non avrei dovuto dirlo...".
L'altro gli sorrise.
"Non preoccuparti, non potrei comunque dirlo a nessuno".
E così Oboro fu certo di avere la sua fiducia.

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Capitolo 10
*** 10 ***


oboro 10 Gintoki aprì una scatola di fagioli dolci che aveva trovato.
Si chiedeva come mai ci fossero tante provviste se quel magazzino era veramente abbandonato.
Forse era stato lo stesso Oboro a portarle per i prigionieri che aveva detto di aver aiutato a fuggire.
Solo che non riusciva a credere fosse così una brava persona.
Anche se non poteva negare l'evidenza, egli stesso stava ora approfittando del suo aiuto.
E poi, in effetti poteva benissimo essere stato costretto a fargli ciò che aveva fatto.
Con un cucchiaio che aveva trovato, iniziò a mangiare i fagioli.
Doveva ammettere che erano buoni.
Ora però il vero problema non era se l'animo del Naraku fosse veramente gentile o se era ciò che voleva fargli credere.
Il problema era cos'avrebbe dovuto fare lui d'ora in poi.
Aveva rifiutato la proposta di Oboro per mantenere i suoi principi.
Per questo motivo avrebbe dovuto combattere la sua guerra, ma come poteva farlo se tutti i suoi compagni lo ritenevano un traditore?
Oboro non aveva sbagliato a giudicarlo.
Lo Shiroyasha era una persona testarda e sicura di sè.
Semplicemente, se non c'era nessuno dalla sua parte, avrebbe fatto da solo.
In quel modo, vedendo che comunque continuava a combattere i loro stessi nemici, si sarebbero ricreduti.
Si sarebbero resi conto che lui non era un traditore e sarebbero stati costretti a perdonarlo.
Anzi, pensava Gintoki, sarebbero stati loro a supplicare lui di perdonare loro per come l'avevano trattato.
Immaginava soprattutto quanto si sarebbe divertito a fingersi offeso con Takasugi e convincerlo a fare in modo che gli passasse.
L'altro conosceva un paio di modi particolarmente piacevoli per lui.
Anche se era stato lui a sbagliare con Shinsuke.
                                                                     ***

I suoi calcoli però erano un po' sbagliati.
Non aveva veramente più nessuno che si fidasse di lui, ma non credeva sarebbero arrivati al punto di ostacolarlo.
Non si era reso effettivamente conto della sua situazione, fino a che un suo ex compagno non gli aveva puntato la spada contro.
Tetsuya era sempre stato uno di quelli che lo supportavano.
La notizia del suo presunto tradimento doveva averlo turbato.
"Vattene subito, prima che ti ammazzi" gli aveva detto con voce tremante.
Solo allora l'albino aveva davvero capito come stavano le cose.
Aveva avuto uno scoramento e gli era stato impossibile quel giorno, continuare nel suo intento.
Quella sera Oboro era venuto a trovarlo, evidentemente aveva preso a cuore il suo caso.
"Come stai, Gintoki?" gli aveva chiesto.
Lo Shiroyasha ancora non ripresosi del tutto dall'episodio, aveva finito per sfogarsi con lui.
Non aveva notato il suo sorrisetto.
A Oboro sembrava di aver annuito nei momenti giusti del discorso ed il samurai aveva creduto alla sua recita, o era troppo a pezzi per rendersene conto.
Aveva letto in un libro sugli umani, che questi non erano in grado di stare da soli ed avevano bisogno del supporto di qualcuno.
Comunque fosse, l'importante era che il suo piano stesse riuscendo.
Doveva però stare attento.
Aveva bisogno di un po' di tempo per creare il suo palcoscenico.
Radunare tutte le marionette.
E nel frattempo, Gintoki non si sarebbe dovuto accorgere di nulla.
Un modo di salvarsi il samurai l'aveva: si sarebbe dovuto arrendere spontaneamente ed unirsi ai Naraku.
Oboro era curioso di vedere se ora che tutti i rapporti che aveva con i samurai erano stati troncati, avesse deciso di rinunciare ai suoi stupidi principi.
Decise però che non gliene avrebbe più parlato.
L'aveva già fatto e se avesse insistito sarebbe parso sospetto.
In ogni caso non gli dispiaceva affatto passare ai metodi cattivi.
Lasciò passare diversi giorni, ogni volta che andava a trovare il samurai, lo vedeva sempre più a pezzi.
Non sapeva se stesse continuando la sua personale ed inutile rappresaglia contro gli amanto, ma anche così scoraggiato non accennava una parola riguardo alla sua proposta.
Sembrava aver perso interesse nei confronti di qualsiasi cosa.
Quando l'aveva incontrato per la prima volta sembrava una fiamma che ardeva determinata, che non si sarebbe lasciata spegnere.
Adesso, invece, era solo una piccola fiammella che un piccolo soffio di vento avrebbe potuto far sparire.
                                                                              ***

Il tempo dell'attesa era finito.
Oboro era riuscito a preparare il suo spettacolo, senza che l'attore principale si accorgesse di nulla.
Era entrato in scena inconsapevole, ma non poteva ormai più ritirarsi.
Quel giorno Oboro si era recato da Gintoki in prima mattinata, così da essere certo che non fosse ancora uscito.
Lo trovò infatti che ancora dormiva, stringendosi le coperte addosso per ripararsi in qualche modo dal freddo.
Gli si avvicinò e gli scosse la spalla per farlo svegliare.
"Gintoki" lo chiamò, cercando di far apparire il suo tono di voce agitato.
Il samurai si destò velocemente
Lo guardava con aria quasi sconvolta, non capendo il perchè della presenza del Naraku.
Da quando dormiva in quel magazzino, Gintoki era molto più agitato.
Pensava che se qualcuno avesse scoperto questo suo rifugio, ci sarebbe stato poco da star tranquilli.
Infatti, quando rientrava aveva preso l'abitudine di guardarsi alle spalle per vedere se qualcuno non lo stesse seguendo.
Si sentiva paranoico a fare così, ma ormai tutte le sue certezze erano crollate e non riusciva a calmare la sua agitazione.
"Non c'è tempo per spiegare, devi seguirmi. Subito" disse Oboro.
Si divertiva a mettere nel panico il samurai che non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Il samurai si alzò e velocemente indossò il suo kimono, come se dalla sua rapidità, dipendesse la vita o la morte.
Faceva bene ad essere così preoccupato.
Lo seguì, senza chiedere più spiegazioni, d'altronde una volta lì avrebbe capito da solo.
Ed infatti, una volta arrivati fu Gintoki da solo a fermarsi.
Si girò confuso verso Oboro, non riuscendo a capire se fosse colpa sua o se il Naraku avesse soltanto voluto avvertirlo.
Non sapeva se dovesse infuriarsi con lui.
C'erano diversi Naraku armati.
Ed a terra, legati, da un lato c'erano i suoi compagni (Takasugi e Katsura), dall'altro in ginocchio con le mani legate dietro la schiena, il suo maestro: Yoshida Shoyo.
Fu lo stesso Oboro a risolvere il suo dubbio.
Ora che il suo piano era completo, non aveva più bisogno di fingere.
"Sono stato io" gli disse, godendo particolarmente dell'espressione tradita dello Shiroyasha.
Aveva davvero creduto alle sue menzogne?
"Cosa stai dicendo? Che significa questo?"  chiese, sconvolto.
"Non capisci? Era tutto un mio piano, fin dall'inizio" rispose Oboro.
Provava una maligna soddisfazione nel dirglielo.
Certo, questa era l'ultima spiaggia per convincerlo a passare dalla sua parte e se non avesse accettato, l'avrebbe costretto ad uccidere gli ostaggi.
O almeno questa era stata la sua intenzione quando aveva organizzato quel piano.
Ora però, sperava che il samurai non si arrendesse, si sarebbe sentito deluso.
E una volta che fosse riuscito a stroncare la sua volontà, intento per cui si era applicato così tanto, a lui cosa sarebbe rimasto?
Si stava rendendo conto che la sua vita era vuota.
Gintoki, che ora tremava per la rabbia, aveva estratto la sua katana senza pensare, puntandola istintivamente contro di lui.
Il Naraku rise.
"Stai facendo sul serio? Potrei ordinare ai miei sottoposti di sgozzare gli ostaggi. I tuoi amici perderebbero la vita prima ancora che tu possa sfiorarmi".
Gintoki era furioso ma non certo stupido.
Abbassò la spada senza replicare, ma non la rimise nel fodero.
Evitava di rivolgere lo sguardo ai suoi amici, al suo maestro.
Come poteva guardarli negli occhi sapendo che la colpa era sua? Oltre ai sensi di colpa e all'ira nei confronti di Oboro, era anche la paura ad atterrirlo.
I Naraku avevano forse intenzione di ucciderli tutti?
Sentendo le voci, Takasugi alzò lo sguardo.
Da quel punto di vista non riusciva a vedere molto, ma riconobbe Gintoki.
"Gintoki, che diamine succede?" provò a chiedere, urlando e dimenandosi.
Il Naraku che gli stava facendo da guardia non apprezzò quel casino.
Gli piantò il piede in testa, facendogli affondare il viso nell'erba, stroncando i suoi tentativi di ribellione.
Oboro andò verso gli altri ostaggi, fermandosi proprio al centro, lo sguardo rivolto verso Gintoki che ora stringeva convulsamente la katana, senza però osare muoversi.
Oboro leggeva la paura nei suoi occhi che si tramutava in terrore, e la rabbia andava spegnendosi.
Avrebbe dovuto sentirsi soddisfatto per quelle reazioni, di solito terrorizzare le sue vittime lo divertiva, ma ora era solo deluso.
Ora lo Shiroyasha non era altro che un patetico umano.
"Shiroyasha, ora devi fare la tua scelta" gli disse.
Il samurai credeva si riferisse alla sua proposta di diventare un Naraku, ma non era così.
"Ucciderai i tuoi amici" disse indicandoli "o il tuo maestro?" tirò per i capelli Shoyo, verso il quale provava un particolare astio.
Gintoki non riusciva a crederci, non si aspettava quello.
Rimase in silenzio, non riuscendo quasi a respirare.
"Sappi però che se non hai intenzione di scegliere, sarò io stesso ad eliminare tutti loro. Fa bene la tua scelta".
Non gli disse però, che se avesse scelto di salvare Shoyo sarebbe stata una scelta inutile.
Dalle sue ricerche infatti, aveva capito che l'unico modo di far tornare Utsuro com'era prima, era tagliare la testa a Shoyo.
In quel modo infatti avrebbe rimosso il dispositivo che l'aveva trasformato.
Sperava solo di non sbagliare, e se la testa non si fosse rigenerata?
Doveva rischiare, non c'era altro modo.
Si chiedeva cos'avrebbe fatto lo Shiroyasha, non che gli importasse, lui avrebbe vinto in ogni caso.
Sperava che non si mettesse a supplicarlo.
Avrebbe abbassato ancora di più la stima che aveva di lui.
Non voleva che si umiliasse.
Ma aveva fatto male i suoi calcoli.
Quel sentimento umano chiamato orgoglio, poteva essere messo da parte per qualcosa di più importante.
"Entrerò nel vostro esercito, faro tutto quello che mi chiedi ma lasciali andare" disse il samurai in tono disperato.
Oboro scosse il viso, ormai quella faccenda non gli importava più.
"Hai avuto la tua occasione ed hai rifiutato, ora la scelta che puoi fare è quella che ti ho illustrato".
Gintoki però non voleva crederci, ci doveva pur essere un'altra uscita.
Non poteva essere così crudele.
"Allora uccidi me. Uccidi me al loro posto" disse.
Oboro non si lasciò impietosire, quel samurai che gli era sembrato così interessante, così forte, ora gli provocava solo disgusto.
"Sto perdendo la pazienza, non costringermi a sporcare la mia lama, Shiroyasha" disse, impugnando la lancia.
"N-no" disse Gintoki, ormai sull'orlo della disperazione.
"Hai deciso?" gli chiese il Naraku osservandolo.
Ora non tremava più ed il suo volto sembrava calmo, aveva messo da parte tutte le emozioni, in caso contrario non avrebbe potuto farcela.
"Si" rispose il samurai.
Con la katana in mano si avvicinò.
Le guardie erano in allerta, pronte a far fuori lui o gli ostaggi se avesse fatto una mossa falsa.
Takasugi rialzò lo sguardo.
"Gintoki fermati. GINTOKI!" urlò.
Stavolta nessuno cercò di farlo stare zitto.
Ma lo Shiroyasha non lo ascoltò.
Continuò a camminare, fermandosi dietro al maestro Shoyo.
Avrebbe voluto salvare entrambe le cose, ma gli sembrava di buttarle via tutte e due.
Alzò la spada, mai gli era sembrata così pesante, e la calò sul collo del maestro.
Takasugi urlò ancora, vedeva ora Gintoki piangere.
Cercò di andargli incontro ignorando le corde attorno al suo busto.
Oboro, non sopportando più la sua insolenza gli lanciò la lancia contro centrandogli l'occhio.
Fermò col piede la testa di Yoshida Shoyo che era rotolata fino a lui.
Era finita.
Gintoki era andato in pezzi definitivamente e lui si sentiva di nuovo vuoto, come prima che quella storia avesse inizio.
Che delusione, doveva aspettarselo, era pur sempre un patetico umano.

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Capitolo 11
*** 11 epilogo ***


Oboro 11 epilogo Erano passati diversi anni da quel giorno.
Lo stesso Oboro non ci pensava più.
In seguito a quella faccenda, le cose si erano messe bene per lui.
Utsuro era tornato e di questo il Naraku era felice, aveva desiderato a lungo rivedere il suo maestro.
Non aveva desistito nonostante tutti gli ostacoli, ed alla fine ci era riuscito.
Quando ormai nessuno ci credeva più, aveva recuperato Utsuro.
Per questo aveva ricevuto la promozione, era diventato il vice capo del suo esercito ma in poco tempo era riuscito ad oltrepassare anche quella posizione: ora l'esercito era suo.
Tutti i suoi vecchi compagni, provavano una grande invidia verso di lui, ma non poteva importargliene di meno.
In realtà non gli interessava nemmeno di essere arrivato così in alto, Oboro non aveva mai avuto queste aspirazioni.
Ora aveva diversi privilegi, ma nemmeno ne usufruiva.
Forse, l'unico vantaggio era di non essere più costretto al lavoro di squadra.
Ora gli ordini era lui ad impartirli.
Dopo quella missione aveva subito dovuto lasciare la terra.
Ormai la guerra era totalmente finita.
I samurai si erano arresi.
Oboro si era chiesto che fine avesse fatto lo Shiroyasha.
Si era convinto che ormai fosse morto, o che anche se era sopravvissuto non avrebbe mai più causato fastidi.
Ormai gli aveva tolto per sempre l'orgoglio, e senza di quello non credeva avesse ancora voglia di combattere per qualcosa.
Non avrebbe comunque più avuto occasione di rivederlo.
Aveva invece saputo che i compagni di Gintoki non avevano smesso di dar fastidio.
Dopo un paio d'anni infatti, aveva nuovamente sentito parlare di loro.
Entrambi erano ora ricercati dal governo ed appartenevano a gruppi ribelli.
Katsura era nella fazione moderata.
Lo chiamavano la nobile furia.
A quanto pareva, aveva intenzione di cambiare il paese senza troppi spargimenti di sangue.
Mentre Takasugi, quello a cui aveva cecato un occhio, era nella fazione estrema, una vera e propria seccatura insomma.
Dello Shiroyasha non c'erano tracce.
Sembrava essere proprio sparito dalla circolazione.
Aveva smesso di pensarci, tanto non l'avrebbe rivisto mai più.
O almeno così immaginava.

                                                 ***

Da qualche mese il tendoshu aveva spedito l'esercito Naraku di nuovo sulla terra.
Sembrava che ci fossero di nuovo disordini in circolazione, sembrava inoltre che la polizia locale, la Shinsengumi, stesse diventando un po' troppo libera.
Aveva infatti interferito diverse volte con il governo.
Stavolta però la questione era diversa.
A dar fastidio, non era nè la Shinsengumi, nè i gruppi ribelli.
Sembravano essere dei comuni cittadini stavolta il problema.
A quanto pareva avevano coinvolto la famiglia Tokugawa, quella dell'attuale shogun.
Avevano tentato di spiegargli la questione ma non capiva cosa potesse centrare una cortigiana col governo e come questa questione potesse essere un problema.
Era dalla storia di Yoshiwara che si stavano verificando dei problemi.
Inizialmente aveva mandato a risolvere la situazione i suoi sottoposti.
Ma quegli incapaci si stavano lasciando sconfiggere da non più di cinque persone.
Alla fine della storia avrebbe avuto non pochi rimproveri da fare.
Così, si era dovuto scomodare lui stesso.
D'altronde era curioso di vedere con i propri occhi, chi era a dar così tanto fastidio.
Non si sarebbe aspettato però di incontrare lì lo Shiroyasha.
Gintoki lo riconobbe subito e gli si gettò all'attacco, furioso.
Come se tutti quegli anni non fossero mai passati.
Il samurai lo odiava con tutte le sue forze.
Ma come la prima volta che si erano scontrati, non riusciva a fare molto contro di lui.
Anzi, ad Oboro sembrava che si fosse anche un po' arrugginito.
Riuscì facilmente a sconfiggerlo, sedando quello stupido casino che aveva creato.
Dei suoi attuali compagni, non c'era nessuno che riconoscesse, a parte Mukuro.
La ragazza si faceva chiamare ora Nobume ed era entrata nella Mimawarigumi, la polizia d'elitè che a differenza della Shinsengumi, obbediva ancora allo shogunato ed al tendoshu.
Si chiedeva allora perchè la ragazza fosse lì.
Quello che veramente l'aveva stupito però, era lo Shiroyasha.
Sentiva uno strano senso di soddisfazione.
Anche se aveva fatto di tutto per distruggere la sua volontà, si era sentito deluso, pensando di esserci riuscito.
Ma la sua prima impressione non era stata sbagliata, Gintoki era diverso dagli altri.
La loro questione non era ancora conclusa.

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