All Dangerous

di Leti23
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo & ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Quando da piccola provi ad immaginare cosa si provi a crescere o ad andare al liceo, si pensa di essere grandi, di poter comandare il mondo ed essere padroni di se stessi. Non passa nemmeno per un secondo l'idea che le cose possano non andare come tu speravi, fino a che non lo vivi, continui a credere che sarai felice, nonostante tutto e tutti.

Ma si sa che per ogni persona c'è sempre qualcuno destinato a rendere migliore la propria vita, o peggiore, dipende dai casi. In altri, un po' più rari, ma meno di quanto si pensi, ciò che la migliora l'ha portata prima a peggiorare, come se ci fosse un delicato equilibrio che può essere spezzato da un istante all' altro.

Ed ora, che mi ritrovavo ad intrecciare i capelli di mia nipote, ripensando a tutto quello che era accaduto solo negli ultimi anni, non potei fare a meno di riflettere, arrivando al punto da affermare che nulla di tutto ciò che avevo sempre sognato si era avverato.

«Zia Sel, mi racconti la tua storia?»

...

Quella mattina mi svegliai al sorgere del sole, alcuni spifferi d'aria provenienti dalla finestra mi fecero rabbrividire, insieme al freddo del pavimento contro il quale i miei piedi ancora nudi entrarono a contatto. Le sei non erano ancora suonate, di conseguenza mi ero svegliata in anticipo rispetto al solito, nonostante oramai ci avessi fatto l' abitudine. Andai in bagno e feci cadere i vestiti per terra, raccogliendoli per infilarli nella cesta. Lasciai che l'acqua fresca scorresse sulla mia pelle, lentamente, mentre il vapore arrivava fino ai miei capelli inumidendoli leggermente e creando uno strato acquoso sulle pareti.

Dopo essermi vestita e tornata in stanza, sentii la voce irritante di mia sorella chiamarmi da sotto. «Selena, muovi il culo e vieni giù!» mi urlò facendomi sospirare. Vivevo in una piccola casa, condivisa con mio fratello e mia sorella, entrambi maggiori. Mia madre era mancata parecchi anni prima, quasi non la ricordo, mentre di mio padre- beh di lui non sapevo molto, solo qualche informazione qua e lasciata dai miei fratelli o da mia madre, non che la cosa mi dipiacesse; adoravo, ogni tanto pensare a come potessero essere, li immaginavo buoni e pazienti, anche se mio padre se ne era andato lasciandoci da soli.

«Non rompere, quando sono pronta scendo!» urlai di rimando e chiusi la porta di scatto prima che potesse ribattere e mettere su una discussione di prima mattina. Con calma mi rivestii prendendo la roba per la scuola. Non ero una grande studentessa, odiavo stare alle regole e soprattutto odiavo chi mi dettava legge imponendomi come comportarmi, ragion per cui non avevo un rapporto stupendo con Ashley. Ero definita scontrosa, arrogante e stronza, questo era quello che dicevano tutti, ignari del fatto che per me fossero complimenti, avevo lavorato sodo per essere come ero, non debole. La debolezza era la cosa peggiore nelle persone, se non si era abbastanza forti si era presi di mira, perciò meglio essere odiata che diventare una vittima, così funzionava l'adolescenza: se sei forte sopravvivi, se non lo sei avrai vita difficile.

Scesi le scale raggiungendo la cucina, Jason – mio fratello – era seduto difronte ad una tazza fumante di latte con i cereali. Teneva il viso con una mano mentre con l'altra girava svogliatamente il cucchiaio, senza una ragione precisa, rischiava seriamente di addormentarsi in quella posizione e finire con la faccia nella colazione. Sorridendo tra me e me presi anche la mia tazza, iniziando a bere bagnando di tanto in tanto qualche biscotto. Jason si alzò riponendo la sua nel lavandino, chinandosi poi su di me per lasciarmi un bacio sulla fronte mormorando un "Ben svegliata sorellina" sguito da un «Ashley hai lezione oggi?» Se con mia sorella non avevo un bel rapporto, con lui era totalmente l'oppposto. Ci adoravamo, letteralmente, mi aveva sempre viziata, difendendomi e tollerando i miei comportamenti non sempre troppo carini.

Un'altra differenza tra me ed Ashley era sicuramente l'intelligenza. Lei si era diplomata con il massimo, studiava all'universita e al contempo badava a me e Jason da quando la mamma era morta, una delle poche cose per cui le ero realmente grata. Spesso mi ero chiesta come potessimo essere parenti, lei era educata, composta, gentile ed intelligente mentre io.. io ero solo un grandissimo casino. «Sì, dunque sarebbe bello se vi comportaste decentemente, senza commettere crimini o omicidi, grazie.» rispose sarcasticamente chiudendo la credenza. Jason alzò gli occhi al cielo scherzosamente, facendomi segno di non ascoltarla, come se già non lo facessi. Mi alzai dalla sedia solo quando sentii il campanello rimbombare per la casa, aprendo trovai Tess, la mia migliore amica. Avevo sempre invidiato il suo modo di fare, eravamo un gruppo apparentemente chiuso, ci definivano ribelli ed eravamo completamente diversi tra di noi, ma stavamo bene.

«Sel.» mi abbracciò spingendomi fuori da casa. Generalmente il viaggio in macchina fino alla scuola era immerso nel caos più totale, musica ad altissimo volume e le nostre risate a sovrastarla mentre sfrecciavamo –quasi- su quell' autostrada poco frequentata che ormai avevamo stabilito come nostra; ma quella mattina era tutto silenzioso, né io o Tess o Logan spiaccicammo parola. Logan era un ragazzo mediamente alto, i capelli biondi e gli occhi azzurri, il classico principe che tutte le ragazze sognano almeno una volta nella vita, e ci avevamo fatto abitudine a quelle – da noi definite – oche che lo perseguitavano, letteralmente.

Anche a scuola fu tutto tranquillo, solita routine, solito banco accanto a Vanessa e Logan. O almeno, fu così fino alla seconda ora, la ricordo ancora bene, c'era la Ramires, quella di spagnolo, odiata un po'da tutti. «Cosa si è messa oggi la ramires, dimmelo ti prego.»si lamentò appoggiando i piedi sul banco. Tra tutti noi lei era decisamente la più agitata, se così si può dire. «Cioè.. Non può avere un culo così. È scientificamente impossibile.» ridacchai venendo subito rimproverata. «Gomez, Hudgens, volete condividere con la classe l'argomento interessante di cui stavate parlando? Siamo tutti molto curiosi.» abbassai lo sguardo sulle mani. I professori non mi spaventavano, anzi, ma non ci tenevo a ripetere l'anno, cosa che sembrava allettare Vanessa che si alzò dalla sedia trascinandola, producendo un rumore stridulo e fastidioso. «Certamente. Stavo facendo notare a Selena, quanto il suo cu-sedere, sia mal concio. Come fa ad avercelo così floscio?»

«Fuori da questa classe. All'istante. » sbottò completamente rossa in viso, le guance scavate di una tonalità più accesa del solito. «Adios.» se ne andò chiudendo, anzi, sbattendo la porta alle sue spalle. «Ad ogni modo, ora che ci siamo liberati di quella.. parassita.. posso presentarvi i vostri nuovi compagni di classe. Justin Bieber e Jaden Smith, spero che li accoglierete calorosamente, possibilmente non trasformarli in scimmie non ammaestrate come siete voi.» osservai i due ragazzi, il primo era minuto, portava i jeans attillati ed una maglia lunga, mentre il secondo.

Il secondo era bellissimo. Aveva la pelle chiara, i capelli tirati su in un ciuffo a spazzola e gli occhi color caramello. Aveva anche le labbra carnose, e potevo dire con assoluta certezza, che nessuno, nemmeno Logan si poteva avvicinare a lui. Sembrava così forte ma allo stesso tempo dolce, non pareva un tipo che si faceva mettere i piedi in testa, e quando si venne a sedere nel banco davanti al nostro, dovetti realmente trattenermi dal guardarlo, costringendomi ad ignorarlo, per quanto possibile. Per la prima volta, dopo anni, feci realmente caso alla lezione. La Ramires parlava in spagnolo spiegandoci letteratura, era completamente immersa nelle sue parole ed era riuscita a catturare la mia attenzione, cosa che raramente accadeva.

Parlò per minuti lunghissimi ma veloci dell'amore, io non avevo mai provato nulla di simile; molte cotte, tanti rifiuti e di sicuro non ero una suora casta e pura, ma che mi facesse realmente impazzire.. beh non era ancora successo. Il ragazzo nuovo, Justin, passò tutto il tempo a scarabocchiare sul suo foglio, riuscivo a riconoscere alcuni disegni mentre altri erano coperti dall'ombra del suo braccio. Un personaggio mi aveva colpito, rappresentava una ragazza, i lunghi capelli leggermente arricciati che le ricadevano dietro la schiena; indossava un abito lungo, in certi punti fatto di pizzo e leggermente trasparente, ma comunque bellissimo.

Non era colorato, lo aveva lasciato totalmente bianco, solo qualche sbavatura di grigio doveva aveva passato la mano, fatta eccezione per le labbra. Quelle erano rosso fuoco, esattamente come la pistola che teneva in mano ed il sangue sul terreno. Fu davvero strano e leggermente inquietante, ma i lineamenti dolci di quella ragazza che pareva una dea distoglievano l'attenzione dal macabro puntandolo sulla, finta, innocenza del suo viso e dei suoi occhi.

Justin Bieber era un tipo strano, silenzioso, chiuso, ma già da quel giorno era riuscito ad incantarmi. Fu la prima volta che ebbi una piccola, minuscola indicazione sul suo mondo, lo stesso che sarebbe stato anche il mio, diventando il migliore dei sogni ma soprattutto il peggiore degli incubi. Mi ero fatta trasportare nell'ignoto, in quella misteriosa bellezza che avevo trovato nella sua persona, mi ero lasciata coinvolgere, trasportare dai suoi modi di fare e dal suo stile di vita così tormentato, non sapendo però a cosa andavo incontro e che tutto ciò sarebbe stato fuori dai miei limiti, troppo grande per me da affrontare.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


JUSTIN'S POINT OF VIEW. Avevo appena messo piede in quella scuola e già provavo un irrefrenabile voglia di andare via. Avevo lasciato la mia famiglia, o meglio ciò che ne restava, in Florida, avevo un compito da svolgere, all' apparenza facile, quasi di routine visto quanti ne avevo fatti fino ad allora, ma in quel caso avrei dovuto sconvolgere tutta la mia vita, seguire delle lezioni – cosa che non facevo da almeno tre o quattro anni – e restare in 'incognito', cosa che per me era assai ardua. Accanto a me Jaden camminava per i corridoi con le mani in tasca, totalmente disinvolto e attento a catturare quanti più dettagli poteva di quel posto a lui sconosciuto. Lui decisamente era un perfezionista, molto astuto ed aveva un buon occhio, coglieva i minimi particolari di ogni situazione giocandoli poi a suo vantaggio. Vincere era in assoluto la cosa che preferivo. L'adrenalina, il senso di soddisfazione ed appagamento erano alcune delle ragioni principali per cui vivevo. «JB, sembri nervoso.» mi prese in giro il ragazzo con una risata soffocata, alzai il dito medio tirando fuori dalla tasca della giacca il foglio con gli orari, pieno di pieghe e strappi. «Abbiamo un ora spagnolo. Dovremmo andare verso destra. No sto scherzando, questa dovrebbe essere verso sinistra.. ma che diamine di frecce sono? Perché è così difficile decifrare questo coso.» sbuffai non capendo nulla della mappa. Sembrava fatta da un bambino, le linee confuse senza una direzione precisa, come se già non fosse abbastanza difficile orientarsi in quell' edificio. «Dammi qua grande genio-» guardò un attimo in torno cercando di decifrare quello schema. «-verso sinistra, idiota.» sollevai le spalle leggermente offeso, e soprattutto svogliato, non avevo alcuna intenzione o voglia di entrare in quella classe, ero già stanco senza neppur aver cominciato. «Ho ancora una possibilità di svignarmela?» chiesi speranzoso, ma lui, giustamente, scosse la testa tirandosi su il cappuccio. Avevo paura di trovarmi gente troppo studiosa, che non parlava, scherzava o rideva – comunemente chiamati sfigati – e quindi, di annoiarmi tutto il giorno. «Non può essere così male come dici, magari è la volta buona che ti fai la ragazza, grande orso single non parlatemi Bieber.» schernì dandomi un ultima pacca sul petto prima di aprire le porte dell'inferno. La professoressa era una donna abbastanza giovane, decisamente sulla trentina ma aveva l'aria da pazza nevrotica, come le gattare. Anzi, se avessi dovuto immaginarla sicuramente sarebbe stata in una casa puzzolente, piena di gatti, gelato e disperazione. «Dicevi, Jad?» chiesi retoricamente scuotendo la testa, sarebbe stata una giornata molto lunga. Il ragazzo accanto a me sollevò innocentemente le spalle facendosi avanti. All'interno dell'aula tutti gli occhi erano fissi su di noi e mi sentivo con una sardina in scatola, paragone poco fine ma che esprimeva al meglio la situazione imbarazzante che si stava creando. «I signori Bieber e Smith?» domandò la professoressa abbassandosi gli occhiali sulla punta del naso, i suoi piccoli occhi marroni ci scrutavano curiosi ma gli davano un aria da furetto. «Mi avevano informato del vostro arrivo, questa è la vostra classe di spagnolo, spero che non diventiate delle scimmie ammaestrate come alcuni dei vostri compagni. Secondo il vostro curriculum scolastico avete entrambi dei voti sopra alla media, inclusa la mia materia, spero che restino tali anche in questa scuola, signorini.» ci rivolse un ultima occhiata severa per poi tornare a dedicarsi al libro che aveva in mano. Ovviamente il fascicolo di presentazione era completamente inventato, un nostro amico nonché grande falsificatore di documenti ci aveva alzato di un paio di voti la media di all'incirca tutte le materie. Se non fosse stato necessario nemmeno ci saremmo sforzati di cambiarli, ma avevamo assolutamente bisogno di stare in questo paese, di conseguenza se per entrare nella scuola necessitavamo di voti alti, voti alti avremmo scritto. Seguii il mio amico fino a dei banchi in seconda fila, gli unici liberi. Dietro di noi erano seduti una ragazza, bellissima con lunghi capelli scuri, dello stesso colore dei suoi occhi, ed un ragazzo che pareva essere legato a lei proprio di fianco. Vicino a loro c'era un posto vuoto che supposi appartenesse alla ragazza che avevamo visto qualche minuto prima con un caffè fumante ed una brioche nel corridoio. «Voi siete le presunte scimmie vero?» domandai girandomi verso i due. Subito mi lanciarono un occhiataccia come a dire 'questo è fuori di testa', ma si ripresero subito rispondendo. «Esattamente, lei è la Ramires. Tratta così un po' tutti, e non l'avete ancora vista nei suoi giorni no. Una volta ci ha raccontato di come il suo fidanzato l'avesse lasciata a san valentino con un messaggio, triste storia. » rabbrividì il ragazzo facendo ridere quella accanto a lui. «Queste cose ve le ha dette la stessa donna che ci sta guardando come se fossimo cenere?» chiese Jaden indicando con un cenno la professoressa che era intenta a fulminarci con lo sguardo, di nuovo. «Sì, non fateci caso. Io sono Logan e lei è Selena, se volete fare casino potete contare su di noi.» Mi fermai qualche istante ad ammirare Selena, era davvero una bella ragazza, le guance paffute e il naso piccolino la facevano sembrare tenera, cosa in contrasto con ciò che aveva detto il suo amico. Non sembrava una gran casinista, al contrario nostro che sembravamo dei gangster malfamati, ma si sa, le apparenze ingannano. Le due ore passarono relativamente in fretta, la Ramires fece per lo più finta che non esistessimo, alternava una spiegazione a dei minuti di silenzio nei quali si sentivano solo i nostri mormorii, che ignorò prontamente. In più di un occasione nella nostra 'amichevole chiacchierata' mi ero morso la lingua per non far trapelare nessuna informazione compromettente, ne andava della mia vita all'infuori di quell'inutile istituto, e soprattutto meno persone venivano infilate in mezzo meglio era per tutti. Il mio lato nascosto sarebbe dovuto rimanere tale, o avrebbero rischiato tutti, non solo io. Gli ultimi minuti passarono lentamente, troppo lentamente. Le lancette si muovevano impercettibilmente in avanti, io restavo lì a contare i secondi che separavano al suono della campanella, da sfigati ma non ne potevo proprio più. Solo Selena pareva essere vagamente attenta alla lezione, ma non potevo dirlo con certezza. Quando finalmente la tanto attesa campanella fece la cortesia di suonare, la prima ad uscire fu la professoressa e con lei la puzza di depressione. Anche la maggior parte dei ragazzi si ammassarono sulla porta mentre io, con una calma estenuante, raccolsi la mia roba buttandola a casaccio nello zaino malandato che avevo preso quella mattina. Aspettai che la ragazza, Selena, uscisse, poi la seguii cercando di essere il più normale possibile senza passare per stalker ossessivo. Se dovevo vivere una vita normale, sarei dovuto andare a cercarmi una ragazza, e la brunetta tutto pepe mi spirava davvero tanto, per quanto quest affermazione mi facesse maniaco. Provarci con le ragazze non mi era mai riuscito molto bene, principalmente non ne avevo bisogno, erano loro a venire da me. Così quando vidi la ragazza girarsi, sorridermi iniziando a venire nella mia direzione mi sentii sollevato. Mi appoggiai all'armadietto tenendo premuta la spalla contro l'acciaio dipinto di blu. Ricambiai il sorriso cosa che la fece arrossire leggermente, ma nonostante quell'accenno di rossore riuscivo ancora a vedere tutta la sua sicurezza, era una ragazza sicura di sé, sapeva cosa voleva, glielo si leggeva negli occhi e in ogni suo passo. «Scusa, quello è il mio armadietto.» indicò alle mie spalle. Rimasi abbastanza deluso, speravo volesse provare a parlarmi, ma le mie speranze andarono in fumo quando aprì l'anta e ne estrasse alcuni libri mettendo via quelli già usati. «Penso che il tuo sia quello più avanti, il 324, è l'unico vuoto.» mi sorrise dolcemente avanzando per il corridoio verso la sua prossima lezione. «Selena!» la bloccai facendola girare. «Sei sexy, volevo dirtelo.» lei annuii sparendo poco dopo. Sbattei la mano sulla fronte maledicendomi in ogni lingua conosciuta per la mia immensa stupidità. «Amico, era proprio terribile!» mi prese in giro Jaden alludendo alla mia figuraccia. «Sono un idiota.» «Sì, decisamente.» ---- SELENA'S POINT OF VIEW Justin Bieber era strano, molto strano, fin troppo. Partendo dai disegni criptici ai suoi modi di fare rudi ma anche dolci. Un fuori di testa, decisamente. Ero lusingata del fatto che mi trovasse sexy, insomma chi non lo sarebbe se un ragazzo così bello glielo dicesse? Ma di certo non mi sarei mai aspettata un complimento, anche se un po' rozzo, mentre alloggiava sul mio armadietto. «Cosa voleva?» domandò Logan con uno sguardo truce, eravamo davanti alla nostra prossima classe, aspettavamo sperando che nessuno arrivasse e che le ore finissero il prima possibile. Odiavo quel posto, odiavo quella scuola e pure quella città. Era troppo piccola, troppe persone conosciute, mi sarebbe piaciuto andare a vivere in un posto al mare, dove c'era tantissima vita, gente in giro ad ogni ora, totalmente diverso da com'era lì. «Niente, ha solo sbagliato armadietto. Non lo trovi un tipo...» «Inquietante?» continuò aggrottando le sopracciglia. Scossi la testa spostando una ciocca di capelli, non era inquietante, forse leggermente, ma lo nascondeva bene. «Volevo dire particolare.» corressi andando a sedermi accanto alla finestra. Sembrava che l'aria iniziasse a rinfrescarsi, le foglie degli alberi ondeggiavano creando ombre che si riflettevano su tutto l'asfalto del cortile principale e sulla finestra bianca. «Penso sia un tipo interessante.» mormorò sedendosi al mio fianco buttando a casaccio lo zaino sul pavimento. Il suo viso era illuminato dalla luce, i suoi occhi parevano diventare più chiari, i capelli ribelli sparati in tutte le direzioni mentre era concentrato a scrivere qualcosa con la sua penna nera. Sorrisi ricordando quando, all'incirca di un anno prima, portava una frangia relativamente lunga che gli copriva gli occhi e indossava gli occhiali, era incredibile quanto poco più di trecentosessantacinque giorni l'avessero cambiato. Era decisamente più maturo, mascolino e bello, il ragazzo sfigatello che passava le serate davanti ai videogame e scriveva tutto abbreviato era solo più un lontano ricordo. «Quindi pensi che sia interessante?» chiesi curiosamente mordicchiando la punta della matita. Logan sospirò rivolgendomi la sua attenzione «Sono abbastanza sicuro che sia tutto tranne che un prete, se è quello che vuoi sapere. È un tipo strano, ma ho paura di chiederti perché la cosa ti interessi tanto.» sorrisi maliziosamente non badando alla porta della classe che veniva chiusa. «Bene, non mi piacciono gli innocenti.»

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3 La settimana seguente iniziò in un modo fin troppo insolito, decisamente fuori dalla monotonia di ogni Lunedì. Ashley, quella mattina non si fece sentire, mi alzai da sola, feci colazione in pace e prima di andarsene non fece alcuna delle sue solite raccomandazioni idiote. La cosa continuò a scuola, sin dall' entrata. Tessa mi salutò con dei baci sulla guancia, cosa che non faceva mai poiché lo reputava un gesto troppo formale e di vanità, Vanessa non fece nessun commento sarcastico né tanto meno rispose ad alcuna provocazione fatta da altri studenti. Sembravo essere entrata in un'altra dimensione, anche Logan quella mattina non era sé stesso, triste e cupo, più pallido del solito e con lo sguardo fisso su dei punti indefiniti e senza senso. Persino in quel momento di ricreazione se ne stava in piedi, le mani nelle tasche dei Jeans chiari scoloriti, il vento che gli scompigliava i capelli e gli scostava la camicia nera, cosa che generalmente lo irritava "perché gli rovinava la piega", ma rimaneva comunque fermo ed impassibile, come una mummia, senza espressione. «Hai deciso di diventare un ragazzo tumblr?» chiesi ridendo tirandogli un piccolo pugno sul petto. Sollevò di poco lo sguardo, mostrandomi gli occhi azzurri per pochi istanti prima di tornare a contemplare il pavimento mormorando un grottesco «mh» «Hai intenzione di iniziare a dire cose come 'ho il mare dentro' o roba del genere? Perché nel caso posso far finta di ascoltare.» ridacchiai sperando in una qualche reazione, che puntualmente non arrivò. «Scusa devo andare.» mi lasciò sola sparendo tra le mura della scuola. Sconsolata appoggiai il viso sul palmo della mano osservando attentamente la lavagna, fingendo di seguire la lezione. Le parole rimbombavano nella mia mente senza entrarci, troppo assorta e deconcentrata per pensare a quello che le persone volevano insegnarmi. Lentamente, cullata da quel mormorio di sottofondo mi addormentai finendo con la testa affondata tra le braccia. Il bosco era così immenso; l'erba alta e mal tagliata mi sfiorava le caviglie coperte dalla stoffa dei jeans neri. Avevo caldo, tanto caldo, sembravano esserci cinquanta gradi ma il sole era andato via da molto lasciando spazio ad un cielo talmente scuro da parere nero, ornato solo dalla luce di poche stelle e qualche lampione vecchio messo tra gli alberi. Anch'essi non mi erano mai sembrati spaventosi, ma in quel momento, quando le ombre si incrociavano creando figure orrende sentii un brivido attraversarmi la schiena. Il rosso sui ciuffi verdi non aiutava a rendere meno suggestivo quel posto. Ero sorpresa, il sangue mi rendeva nervosa, più volte ero quasi svenuta guardandolo, ma non stava facendo alcun effetto, vedevo quelle gocce ma per me era come se fossi abituata. Notai poco dopo di stringere qualcosa tra le mani, una pistola in vernice nera, il mio dito ancora sul grilletto, il corpo di una persona indistinta giaceva per terra, gli occhi chiusi ed il respiro assente. Anche le mie mani erano ricoperte di rosso, scivolava lentamente fino a raggiungere il suolo. Mi venne subito in mente il disegno di Justin , quello della ragazza. Avevo paura, quella notte stavo tremando, probabilmente invasa anche dai sensi di colpa. Ma c'era una presenza, costantemente accanto a me; anche lui sembrava avere paura ma non lasciava mai il mio fianco. Gli presi la mano osservando quella città che avevamo fatto diventare fantasma, i corpi senza vita, i fuochi tutto intorno a noi, due sole anime che insieme splendevano più di tutto il casino che avevamo creato. Mi girai verso di lui, i suoi occhi così intensi brillavano accanto al fuoco mentre ci sostenevamo a vicenda. Sembravamo il re e la regina di quel luogo distrutto, e mi sarebbe piaciuto. «Hai paura?» domandò premurosamente accarezzandomi il dorso della mano. «Sì.» mormorai rapita da quello spettacolo, così inquietante ma stupendo. «Fai bene ad averne. Puoi ancora scappare, finché sei in tempo.» «Gomez! Si svegli!» aprii gli occhi trovandomi di nuovo in classe, i muscoli intorpiditi e la vista sfocata, che però mi permise lo stesso di vedere la professoressa fissarmi infuriata. «La mia lezione non è fatta per dormire, se non è di suo gradimento poteva semplicemente non presentarsi.» passai una mano sulla guancia cercando di svegliarmi del tutto, l'orologio sul muro segnava le undici e quaranta, avevo dormito parecchio. «Mi scusi.» lei si staccò dal mio banco con sufficienza, lo sguardo carico di rimprovero. «Se la sera non bighellonassi in giro con i tuoi amici drogati e dormissi, non sentiresti il bisogno di farlo durante le mie ore!» la guardai scandalizzata alzandomi, totalmente incazzata, le mie dita stringevano fortemente i bordi. Nessuno poteva permettersi di insultare i miei amici, nemmeno un professore, soprattutto se non sapeva nulla su di noi. «Non si permetta. Una laurea non le dà il diritto di dire cose non vere! Non sa nulla di noi, e solo perché non passiamo la vita a studiare le sue inutilissime materie non vuol dire che siamo drogati, alcolizzati o vandali. Non è nessuno per dire queste cose, potrebbe essere denunciata per frode lo sa? E mi creda, se dice ancora qualcosa del genere sui miei amici o me, i cinque da mettere sui nostri compiti non saranno il suo problema maggiore.» sbattei la porta lasciandomi dietro gli sguardi abiliti di tutta la classe. Poche cose mi irritavano davvero, ma quando toccavano i miei amici per degli stupidi pregiudizi non riuscivo a trattenermi. Mi appoggiai al muro lasciandomi scivolare sul pavimento, dalla tasca della felpa tirai fuori una sigaretta che accesi, ignorando prontamente il cartello sulla mia testa che diceva 'non fumare'. Aspirai e ributtai fuori la nicotina tirando indietro la testa, lasciando che i capelli mi sfiorassero la schiena. Il rossetto rosso lasciò delle macchie sulla sigaretta che continuava a fare avanti ed indietro tra le mie labbra. «Selena?» domandò una voce calda davanti a me. Sollevai lo sguardo puntandolo sul ragazzo che mi fece nascere un sorriso spontaneo. Justin stava in piedi poco lontano da me, dei jeans neri fasciavano le sue gambe magre, una t-shirt bianca e sottile lasciava intravedere i muscoli del torace. «Passeggiata oppure sbattuto fuori?» si sedette acanto a me rubandomi la sigaretta dalle dita, portandosela alle labbra. Ammirai come la sua mascella si induriva mentre aspirava, come le labbra piene si chiudessero, separandosi solo per rimandare fuori il fumo. Era una visione davvero sexy. «Passeggiata, ma sto volentieri a farti compagnia.» mi ripassò la sigaretta che finii per poi spegnarla e gettarla nella pattumiera. «Potremmo uscire, manca un ora alla fine delle lezioni, dubito che si accorgeranno della nostra assenza.» mi alzai ripulendo i pantaloncini e porgendogli la mano. Era quasi ridicolo che la mia paura più grande in quel momento fosse che mi si strappasse la calzamaglia e non che ci scoprissero. «Mi piace molto come idea.» afferrò la mia mano e lo feci alzare portandolo fino al fondo, verso l'uscita dove si trovava il mio armadietto. Velocemente lo aprii e tirai fuori la giacca di pelle, infilandomela. «Carina la giacca, ti fa molto ribelle.» ridacchiai al suo complimento trascinandolo fuori. La suola dei miei stivali neri faceva sembrare ogni mio passo più pesante, era un rumore leggermente imbarazzante, ma lui non sembrava farci caso. Staccai la mano dalla sua e lo portai con me per la vecchia strada. L'avevamo scoperta io e Tess il primo anno, portava ad un grande palazzo in costruzione, la quale non sarebbe mai finita poiché il nostro paese non aveva abbastanza fondi per terminarla. Arrivammo finalmente in quel posto, era esattamente come l'ultima volta in cui ero andata, le travi ed i pali giacevano ancora per terra, alcuni sui piani lasciati lì a marcire. Appoggiai il primo piede salendo, mano a mano mi arrampicavo sulla struttura, troppo velocemente per accorgermi che Justin era ancora fermo al fondo. «Che fai, non sali?» chiesi ironicamente guardandolo dall'alto con un sorriso di sfida che subito ricambiò. Mi seguii fino in cima, di tanto in tanto mi giravo per assicurarmi che non fosse caduto, una morte sulla coscienza era l'ultima cosa che volevo. Finalmente raggiungemmo il punto più alto, poteva essere paragonato ad un terrazzo, mi sarebbe piaciuto dire che fosse il nostro posto segreto, ma in tanti ci venivano, chi per drogarsi e chi per appartarsi. Mi avvicinai al muretto più basso appoggiandomi con le mani ed ammirando il panorama. Da lì si vedeva la città di New york, a pochi chilometri ma in realtà così distante. I palazzi erano talmente alti e belli da essere il centro del panorama, il punto su cui tutti si focalizzavano. La prima volta che vidi quel posto fu all'età di quattordici anni, pensavo di aver scoperto un portale magico, mi aveva incuriosita al punto da volerne assolutamente conoscere ogni particolare. Ero rivenuta poi molte altre volte, all'inizio con la macchina fotografica, poi con una mappa e infine con carta e matita. Non ero un artista, non disegnavo bene, ma ci provavo. «Guarda, tra tutti questi palazzi la cosa che più mi è sempre piaciuta è Central Park. Mi piaceva perché per scorgerlo tra tutta quell'immensa grandezza ci va buon occhio e molta attenzione, una volta ho addirittura portato un telescopio per vedere cosa succedeva nella grande mela.» «Sembra davvero bello, ma io non lo vedo. Ci sono solo grossi palazzi, strade e macchine.» ridacchiai e delicatamente portai due dita sul suo mento girandolo leggermente, indicandogli il punto in cui doveva guardare. «Perché venivi qui?» chiese curiosamente sedendosi. «Per scappare da mia sorella in genere. I miei genitori se ne sono andati parecchio tempo fa e vivo con i miei fratelli. Solo che noi due siamo veramente diverse, lei composta e rigida, io invece voglio solo perdere il controllo. Insomma, i due estremi, quindi è complicato convivere pacificamente.» arricciai il naso quando il mio telefono prese a squillare segnando il nome di Ashley. «Si parla del diavolo...» mormorai attaccando. «Se il capo chiama e meglio andare.» scherzò iniziando a scendere, questa volta lo seguii io, dandogli soltanto le indicazioni su quando girare. Davanti a casa mia ci fermammo, il sole era alto e splendeva dietro di lui. I suoi capelli parevano più chiari, allo stesso modo i suoi occhi. La strada era deserta, solo il fruscio del vento. «Mi sono divertito con te, è stata la migliore uscita della storia.» risi quando lui si passò una mano tra i capelli. Mi incamminai verso la porta, infilai la chiave per poi girarla, preparandomi mentalmente alla sfuriata di mia sorella, caso mai la scuola si fosse accorta della mia assenza e l'avesse avvertita. Prima di entrare mi girai un ultima volta verso di lui, ancora fermo con le mani in tasca, e sorrisi. «Questo non era un appuntamento, Bieber.»

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4 Justin se ne era andato da poco ed io ero tornata nel mezzo del nulla ovvero casa mia. A differenza di quanto mi fossi aspettata – ovvero urla e sfuriate isteriche – Ashley era seduta sul divano, le gambe coperte da una tuta grigia accavallate ed una tazza di the in mano, intenta a guardare una demenziale serie televisiva che non sembrava fare molto ridere. «Hai già mangiato?» chiese appoggiando delicatamente la tazza avvolta in un tovagliolo sul tavolino in vetro. «A dire il vero no, un amico mi ha accompagnato a casa.» lei annuì tornando a concentrarsi sulla coppia che rideva «C'è ancora della pasta, falla pure scaldare, ma lasciane un po' per Jason; dovrebbe tornare a momenti.» la ascoltai infilandomi in cucina, lanciai lo zaino su una delle sedie attorno al tavolo, noncurante di sistemarlo bene. Aprii alcuni scaffali tirando fuori due piatti e due bicchieri, feci scaldare il pranzo aspettando che anche mio fratello entrasse in cucina. Quando lo fece mi si avvicinò lasciandomi un bacio sulla guancia, come suo solito salutare, e prese l'acqua. Era raro che mangiassimo tutti insieme, in genere mancava sempre qualcuno, o per gli orari o per una semplice uscita, ma comunque quando succedeva riusciva a ricordarmi che eravamo ancora una famiglia, nonostante tutto. Ed era triste che non riuscissimo a passare un giorno senza litigare. «Sei uscita prima oggi, con Bieber... devi dirmi qualcosa sorellina?» chiese malizioso portandosi il bicchiere alle labbra. Arrossii violentemente, non ero solita a farlo, ma il fatto che Jason sapesse cosa accadeva nella mia vita senza che io glielo dicessi non era un buon segno, stava a significare che avevamo attirato l'attenzione su di noi. Eravamo conosciuti a scuola, facevamo parte del gruppo degli 'intoccabili' ma non capitava mai di essere al centro dei gossip scolastici, fatta eccezione per quando Vanessa aveva preso ad uscire con un uomo di dieci anni più grande conosciuto a Monte-Carlo. «Come fai a saperlo?» lui sorrise vittorioso, consapevole di aver fatto centro. «Le voci girano, e vi ho visti insieme sta mattina. Allora il piccolo Bieber fa battere il cuore alla mia scimmietta?» mi sbattei la mano sulla fronte desiderando di poter affogare nella pasta e non risalire più. «Santo cielo Jas, pensavo avessi smesso di chiamarmi scimmietta, è imbarazzante. E lo è anche il fatto che mi spii a scuola. E comunque no, non ho una cotta per Justin, trovo solo che sia un tipo interessante. Mi incuriosisce, ed è uno di compagnia.» affermai pulendomi dai residui di sugo, sperando che quella conversazione finisse al più presto. «Quindi avete iniziato a chiamarvi per nome, deve essere una cosa seria. Tu e questo Justin avete già fatto sesso?» mi alzai strisciando la sedia e lasciando le stoviglie nel lavandino, le mie guance avevano assunto il colore della tovaglia, rosso fuoco. «Ma dove siamo finiti.» mormorai più a me stessa che altro, ma Jason la sentì comunque e si alzò anche lui venendomi dietro. «Lo devo prendere come un sì?» richiese sempre con quel sorriso beffardo, entrando con me in camera. «No, è un grosso, gigantesco, stratosferico no. » rise e si buttò sul letto facendolo cigolare. La mia camera era relativamente ordinata, almeno fino a che non si aprivano gli armadi. Jason portò le braccia dietro alla testa, guardandomi divertito. «Mi vieni ad abbracciare?» chiese con la faccia da cucciolo, la stessa che da piccolo usava per convincermi a giocare con lui oppure a guardare uno dei suoi cartoni animati preferiti. Certe cose non sarebbero mai cambiate. Scossi la testa e mi buttai su di lui stringendo le braccia attorno alla sua vita muscolosa. «Sai, è strano pensare a quanto tu sia cresciuta. Per me resterai sempre la bimba senza due dentini, con i capelli lunghi legati in due codini e i pigiamoni che veniva a chiedermi di dormire insieme perché aveva paura dei temporali..-» ricordò. Avevo una strana fobia dei temporali, con il tempo si era affievolita, ma era ancora presente. «- mentre adesso sei una piccola bellissima donna. Inizi ad avere le tue prime storie, presto andrai via ed io non sono pronto a lasciarti andare. Sei la mia bimba.» lo guardai commossa, avevamo entrambi le lacrime agli occhi, e per quanto fosse vero non sarei mai stata pronta a lasciarmi lui ed Ashley alle spalle, nonostante tutte le litigate e le discussioni, loro erano le uniche certezze della mia vita. «Sarò sempre la tua bimba, come tu sarei sempre il mio fratellone, quello con i capelli ribelli e i pantaloni dei supereroi. Certe cose non cambieranno mai.» lo abbracciai più forte nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, ripensando a tutte quelle volte in cui lui era stato la mia roccia, che fosse per una sbucciatura o una delusione, lui era lì a sostenermi. «Grazie, per tutto Jas.» mi lasciò un bacio tra i capelli, venendo però interrotti da Ashley. Ci guardava con un piccolo sorriso e gli occhi lucidi. Parecchie volte mi era parso che il rapporto tra me e Jason la facesse stare male, poiché con lei andavamo avanti a litigate e basta, e spesso mi ero sentita in colpa per non essermi mai aperta, o comunque per non averle mai dato la possibilità di entrare nella mia vita. Ma ogni volta che riprendevamo a urlarci contro mi passava ogni minimo rimorso, dopotutto perchè io dovevo provarci se lei non faceva il minimo sforzo per trattenersi. «Più tardi passa Kevin, dovremmo darvi una notizia, potreste solo scendere ed essere cordiali?» chiese in un sospiro puntando i suoi occhi scuri su entrambi. Kevin era il fidanzato di mia sorella, anche lui un intelligentone, laureato con il massimo e medico affermato. Non avevamo mai avuto delle vere e proprie conversazioni, in genere non andavano oltre ai 'ciao', qualche 'come stai' ed un 'come sei cresciuta' se non mi vedeva da tanto. Non mi sembrava una cattiva persona, molto seria e posata, decisamente non il mio tipo, ma ci teneva a mia sorella, e poi lei era felice con lui, quindi andava bene. Dopo un nostro «Certo.» scese di sotto, lasciandoci di nuovo da soli. «Comunque Selena, io questo Justin lo voglio conoscere.» fece un occhiolino e sparì anche lui, permettendomi finalmente di affondare la faccia tra i cuscini. Kevin non tardò ad arrivare, e con lui la sua puntualità al secondo. Scesi svogliatamente le scale infilandomi le ciabattone. Intravidi Ashley buttargli le braccia al collo, lui le cinse le vita lasciandoli un casto bacio sulle labbra. A vederli così, insieme, mi chiesi come sarebbe stato avere qualcuno al mio fianco. Non erano domande che mi ponevo spesso, per quanto potessi guardare i ragazzi non mi ero mai impuntata a volere una relazione, ma in certi momenti mi sarebbe piaciuto avere qualcuno da abbracciare quando volendo, con la consapevolezza che qualunque cosa potesse accadere lui sarebbe stato lì a rialzarmi. «Ciao Selena.» salutò lui intravedendomi. Indossava una camicia blu ed una cravatta,la giacca elegante nera tenuta su un braccio, probabilmente era appena tornato da lavoro. Gli feci un piccolo cenno e venni raggiunta subito da Jason che lo squadrò con un sopracciglio inarcato. Lo aveva visto solo un paio di volte, non si erano mai scambiati due parole, quindi per loro era come un primo incontro e dalla prima impressione non sembrava piacergli molto. «Andiamo a tavola.» ci sedemmo tutti, io e mio fratello da un lato, Kevin ed Ashley dall'altro. La tensione in quella stanza era palpabile, quella tavola illuminata dalla luce soffusa di una lampadina che pendeva dal soffitto sembrava un campo minato pieno di bombe, alle quali sarebbe bastato un piccolo movimento per farle esplodere. «Bene, Kevin... cosa fai nella vita?» domandò bevendo un sorso d'acqua dal bicchiere. «Sono un medico, chirurgo per la precisione.» rispose fiero stringendo le spalle di mia sorella con il braccio. Jason fece un piccolo sorriso, per nulla vero, tirando leggermente la sedia indietro. « Bene. Molto bene. Hai mai avuto problemi con la giustizia? Sai, droga, alcool, atti vandalici..» «No, sono pulito.» mormorò Jason sbottonandosi i primi bottoni della camicia. Mio fratello, ormai visibilmente infastidito trovò un ultima domanda, pesino insensata. «Sei pro o contro la donazione di organi? Io e Selena potremmo averne bisogno.» «Adesso basta!» urlò Ashley alzandosi dalla sedia. «Possiamo solo mangiare in pace?» chiese risedendosi, i capelli leggermente più spettinati di prima. Jason sbuffò irritato iniziando a giocare con la forchetta, decisamente non gli piaceva. Le seguenti due ore passarono nell'imbarazzo più totale, ognuno per conto suo, perso nei propri pensieri, almeno fino a quando mia sorella attirò l'attenzione di tutti con un semplice «Tra qualche mese mi sposo.» che lasciò tutti abiliti. Bè, tutti tranne Kevin che sorrise. Ci mostrò orgogliosa l'anello, luccicante e parecchio grosso, segno che anche il conto in banca del suo futuro marito fosse altrettanto. Si poteva tranquillamente vedere il luccichio negli occhi di entrambi ogni volta che si guardavano, l'amore tra di loro era palpabile. «Sono felice per te Ash.» mi sporsi per abbracciarla e lei rimase sorpresa ricambiando timidamente il mio gesto. Era tanto che non accadeva, le affettuosità tra di noi erano più che rare. Il telefono mi vibrò in tasca mentre mi sedevo di nuovo al mio posto, lo sfilai di nascosto cercando di non farmi vedere, a mia sorella dava fastidio che si usasse a tavola, ed una sfuriata era l'ultima cosa che volevo. "È stata una bellissima giornata, ti ringrazio. Uscire con te rientra tra le prime dieci cose preferite, dovremmo uscire ancora, magari potrei dirti le altre nove. Anche se una puoi ben immaginarla..." Ridacchiai silenziosamente a quanto quel ragazzo fosse cretino, ma in fondo meglio uno così che uno troppo perfettino. Poco dopo si illuminò di nuovo, sempre per quel numero sconosciuto che presto avrei salvato. "Comunque sono Justin, o Bieber, come preferisci." «Posso andare in camera? Non mi sento molto bene.» mentii attirando lo sguardo preoccupato di tutti che mi diedero il permesso. Appena arrivata in camera mi buttai sul mio letto, così comodo. Ero stesa a pancia in giù, il mento affondato sul cuscino e un sorriso enorme sulle labbra. "te l'ho gia detto, non era un appuntamento." Risi tendendolo sulle spine, non volevo cadere subito ai suoi piedi, nonostante fossi più che consapevole delle sensazioni che mi trametteva. "Non ho mai detto che lo fosse, ma comunque, seriamente vorrei rivederti." Rispose quasi subito, pure nei messaggi aveva quel suo qualcosa di beffardo, che sembrava perennemente malizioso e provocante. Decisi di aspettare un po' così scesi di sotto decisa a prendere un bicchiere d'acqua. Non era passato molto da quando me ne ero andata, forse una mezz'oretta, ma comunque avevano già sparecchiato tutto e addirittura la luce era spenta, tutte in realtà lo erano. Tranne quella del corridoio vicino all'entrata. Sentivo dei mormorii provenire dal fondo, riconobbi la voce di Ashley e Kevin, non sembrava molto felice, e la mia curiosità era troppa per non avvicinarmi e sbirciare un po', dopotutto non se ne sarebbe mai accorta. Mi nascosi dietro il muro cercando di non farmi vedere. Lei era con la mano sulla maniglia, lui stava per uscire, indossava già la giacca. «Davvero Ashy, vorrei che venissi a vivere con me a Boston. Ti piacerebbe là, è esattamente il tipo di città che piace a te, e poi potresti provare ad entrare in una di quelle agenzie che sognavi da tanto.» la vidi passarsi nervosamente la mano tra i capelli, sembrava sconsolata. In realtà non capivo perché non accettasse l'offerta, si stavano per sposare e lei aveva sempre sognato Boston. «Come potrei Kev? La mia vita è qui... e poi non posso lasciare Selena da sola. Si metterebbe nei guai, potrebbe finire in carcere. È una ragazza problematica per certi versi, è ribelle, non sa contenersi ed è indisciplinata. So che mi odia, ma un po' la riesco a frenare, se me ne andassi, se venissi con te, questo freno non ci sarebbe più ed allora le conseguenze sarebbero assolutamente più gravi, magari irreparabili, puoi capirmi?» lui abbassò lo sguardo sospirando, sembrava star perdendo la sua compostezza. «Sinceramente? No. Penso siano delle scuse, non è un bambina sa badare a sé stessa. Se non vuoi venire con me basta dirlo.» «Kevin vorrei, lo vorrei davvero, e mi dispiace che tu la pensi in questo modo, ma non ho altra scelta, mi dispiace.» mormorò con le lacrime agli occhi. Lui annuì amaro, lo sguardo di chi vuole solo andare via.. ed era colpa mia. «Dispiace anche a me. Chiamami quando ti sarai schiarita le idee. Non voglio sposarti se dipenderai sempre da tua sorella,» uscii andandosene, lasciando Ashley a terra, contro la porta, in lacrime, sempre a causa mia. Mi sentivo dannatamente tanto in colpa, sentivo una pressione gigantesca al petto, e quasi veniva da piangere anche a me. Alla fine, io ero la causa di tutto, ma non era colpa mia, non lo facevo apposta, era come nel mio DNA, io ero così e non potevo cambiare, per quanto ferisse le persone a me accanto. Tornai silenziosamente nella mia stanza chiudendomi la porta alle spalle, sentendomi uno schifo. Presi di nuovo in mano il telefono, avevo bisogno di distrarmi. Lo schermo era l'unica luce nella camera, il resto era immerso nel buio, il mio respiro l'unico rumore. "che ne dici di dirmi quelle altre otto cose?"

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5 Che la scuola mi opprimesse non era un segreto, più volte avevo espresso il mio quasi disgusto verso quel posto, ma per la prima volta – da che io ricordi – non mi dispiaceva così tanto andare. Sarà stato il fatto che il giorno dopo inizasse il weekend, o che in quella giornata alcune lezioni sarebbero saltate per la mancanza di certi professori, ma mi alzai tranquilla, vestendomi e scendendo senza fretta. La casa pareva deserta, non c'era traccia di Ashley, di Jason o della macchina. Certo, dover andare a scuola a piedi e con i dolori del ciclo non era esattamente una cosa piacevole, ma dato che non avevo altra scelta, mi incamminai chiudendo a chiave, tenendo la pancia quando sentivo delle fitte. La mattina era chiara, il sole aveva già iniziato ad illuminare il cielo, nonostante fossero appena le sette. Faceva abbastanza fresco, camminavo sul marciapiede strisciando la suola consumata delle converse nere mentre reggevo lo zaino su una sola spalla. Era bello vedere quel paese di periferia alle prime luci, lo faceva sembrare meno piccolo e vuoto, come se in sé potesse celare qualcosa di grande ed importante. Quei pensieri mi riportarono al sogno della notte precedente, a quella città che celava così tante ombre e segreti, alla figura sbagliata ma allo stesso tempo così bella e luminosa al mio fianco. Pensavo seriamente di stare impazzendo, le immagini dei miei sogni penetravano nella mia mente nei momenti meno opportuni, portandomi a riflettere su delle cose immaginarie, che non sarebbero mai successe. Era inquietante, per certi versi, dietro tutto quel mistero, orrore si nascondeva della bellezza, una sensazione di adrenalina ed energia nelle vene. Ripensai ancora una volta a quando vidi me stessa in mezzo alle fiamme, le labbra dello stesso rosso, i miei occhi che riflettevano il fuoco, che sembravano così vivi. Dietro quel mio dolce aspetto c'era una guerriera, e lo stavo dimostrando, a me stessa e a tutti gli altri. Scossi la testa tornando alle realtà, pochi passi dopo sentii un clackson richiamare la mia attenzione. Un auto nera mi si avvicino, e quando , una volta abbassato il finestrino, comparve il sorriso radioso di Justin sorrisi anche io di rimando. Era davvero contagioso, indossava degli occhiali da sole e la giacca di pelle, sembrava un vero ribelle ed era così maledettamente tanto figo. «Hai bisogno di un passaggio piccola?» domandò facendomi un occhiolino. Ridacchiai aprendo la portiera ed entrando. Va bene che mi ero ripromessa di essere fredda, per certi versi, ma mi stava comunque salvando da altri quaranta minuti come minimo di camminata. Abbassai il finestrino com'ero solita a fare, ammiravo la bellezza dell'alba, il modo in cui i colori si sfumavano gli uni sugli altri. Poi i miei occhi caddero su Justin, indossava ancora gli occhiali da sole, i primi raggi del sole gli illuminavano il viso rendendo la sua pelle più pallida, stringeva il volante tra le dita, l'espressione tranquilla ma dai lineamenti duri, le labbra carnose strette in una linea morbida, interpretabile quasi come un piccolo sorriso. Mi trovai a pensare che fosse davvero un bel ragazzo, un sogno di Hollywood diventato reatà, magari uscito direttamente da una rivista di PlayBoy. «Dolcezza, le tue attenzioni mi lusingano, davvero, ma mi stai mangiando con gli occhi, stai diventando inquietante.» rise mostrando i suoi denti bianchi e perfetti. Stupido, stupidissimo Bieber. «Non sei simpatico, e poi io sto guardando l'alba dietro di te» mi difesi facendogli la linguaccia. Tra di noi non c'era alcun tipo di imbarazzo, la totale libertà di essere sé stessi e di esprimerci, la nostra compagnia era come una cura da un mondo troppo piccolo per contenerci, per non parlare dei momenti in cui si mordeva il labbro mandandomi in un'altra dimensione. Ero letteralmente un adolescente con gli ormoni a palla, ma la sua vicinanza non faceva altro che drogarmi, avrei voluto averlo accanto a me ogni secondo, in ogni momento. «Certo, certo, come preferisci.» ridacchiò battendo le dita sul volante a ritmo di una canzone già sentita. Iniziai a mormorare le parole non ricordando precisamente il testo, lui invece pareva saperlo a memoria, ma ciò nonostante mimava solo con le labbra, prestando attenzione a me. «Piccola, spero che la tua aspirazione nella vita non sia fare la cantante, perché davvero non ci siamo.» risi di gusto stringendo le mani quando una fitta mi prese il basso ventre. Subito lui si fece preoccupato, accostando in un parcheggio a lato della strada. «Stai bene?» domandò premuroso slacciandosi la cintura. «Ciclo.» molte ragazze si vergognavano a parlarne, ma in fondo cosa c'era di male in una cosa normale? «Capisco, magari ti aiuta.» si sporse leggermente e subito la cintura nera venne spostata dal mio corpo. Sentivo il suo respiro sul mio collo, appena prima che una delle sue mani calde finisse contro la mia pancia, sotto il sottile tessuto della maglietta. Iniziai a respirare pesantemente per quella vicinanza che metteva i brividi, i suoi capelli chiari risaltavano sulla pelle pallida della mia spalla, leggermente scoperta. Le sue dita tracciavano dei cerchi delicati sui miei fianchi e sulla vita mentre le sue labbra erano appoggiate vicino alla mia spalla. Quello era decisamente uno di quei momenti in cui non sapevo se fosse meglio sotterrarsi oppure godersi il momento fingendo che non mi mettesse in imbarazzo. Averlo così vicino, percepire il suo tocco su di me, mi metteva in imbarazzo, ma non il tipo da figuraccia, più uno da 'allontanati, perché se no potrei non rispondere delle mie azioni'. «Va meglio?» chiese allontanandosi con un sorriso che ricambiai annuendo. Ripartimmo, arrivando in poco a scuola. Per tutto il tempo cercai di ignorare il momento in cui, allontanandosi, le sue labbra furono quasi contro le mie, quasi, pochi centimetri che una parte di me avrebbe voluto annullare immediatamente, mentre l'altra avrebbe solo voluto staccarlo e andare via. I corridoi erano già pieni di persone, tutte, nessuno escluso, stupite di vederci insieme. Mi sentii quasi in imbarazzo con tutti quegli sguardi puntati contro, ma non era da me mostrarmi debole davanti ad una tale banalità, così ignorai andando nella classe di chimica. Vidi Logan entrare nella classe, i capelli schiacciati sul viso e gli occhi azzurri stanchi, come se non avesse dormito per giorni. Sperai che si venisse a sedere accanto a me come faceva sempre, ma giustamente non lo fece. Avrei tanto voluto essere nella sua mente, capire cosa pensasse e cosa stesse passando, per me era un mistero, che se non mi fossi data una mossa, sarebbe rimasto tale. Appena la campanella suonò segnando la fine delle prime lezioni mattutine scattai in piedi spostando accidentalmente il banco e attirando l'attenzione su di me. Cercai di rincorrere il mio migliore amico per i corridoi, andava veloce, sembrava dovesse scappare da qualcosa. «Logan!» si fermò con uno sguardo triste, quasi colpevole. «Ti prego, non tirarmi fuori, dimmi che succede.» affermai accarezzandogli una guancia. Tra noi l'amore era cessato parecchi anni prima, lasciando il posto ad una semplice ma bellissima amicizia, ciò nonostante però qualche gesto d'affetto scappava ancora, senza però secondi fini. «Nulla. Vai via, fallo per te stessa» e scappò, mi lasciò sola nel corridoio, i mormorii a rimbombarmi in testa, completamente paralizzata, immobile come un sasso. Le restanti ore le trascorsi nel silenzio più totale, lo sguardo perso, esattamente come quello che era il mio migliore amico, chi lo sa se lo sarebbe stato ancora. Non avevo mai provato la sensazione di stare senza di lui, era sempre stato il mio tutto, il tempo non aveva cambiato nulla, però in quel momento davvero non volevo sapere com'era lasciarlo andare. Non l'avrei mai dimenticato, ma ero convinta che sarebbe stato al mio fianco fino al giorno in cui ce ne saremmo andati, quel vero infinito. Nemmeno Justin, quel ragazzo che iniziava ad occupare i miei pensieri prepotentemente, senza il mio consenso, riuscì a tirarmi su il morale, forse solo vagamente. «Non so cosa sia successo, ma sono certo che si risolverà.» feci un sorriso amaro riconoscendo la voce. L'aria fresca si infrangeva su di noi, era tutto silenzioso, il campo da calcio della scuola era isolato a quell'ora, tutti gli studenti erano tornati a casa, ma io avevo bisogno di rimanere a pensare, pensare a cosa stesse succedendo nella mia vita. «E se io non volessi che restassi qui?» lui sorrise beffardamente sedendosi accanto a me, prendendo dalle mie labbra la sigaretta, esattamente come il giorno precedente. «Resterei lo stesso. Poi mi piace questo posto...-» soffiò fuori l'aria e poi si girò verso di me, le labbra ancora incurvate all'in sù, uno sguardo dolce che mi ero vista rivolgere ben poche volte. «- ...e lo ammetto, anche la compagnia non è niente male.» «Ci stai provando con me?» risi fingendomi scandalizzata, era così facile con lui. «Mh, forse. Mi dici cosa ti turba? Se vuoi inizio a dirti cosa turba me e poi tu fai lo stesso.. nei libri funziona.» annuii dandogli la mia completa attenzione. La mente di Justin Bieber era assolutamente un posto che volevo esplorare. «A volte mi chiedo per cosa dovrei lottare. Sai quei momenti in cui tu sei a pezzi e speri sempre che qualcuno venga a ripararti quando invece prende una ramazza e gli spazza via. Queste delusioni, quelle che ti feriscono nel profondo, diventano come delle cicatrici su un cuore futuro, resta sempre il segno. Mi piacerebbe sapere se ci fosse un modo per cambiare la mia mente, darmi qualche obbiettivo, perché alla fine non ne ho nemmeno uno, vivo la giornata ma non mi aspetto mai nulla. » disse tutto con lo sguardo perso nel vuoto, lo ascoltai attentamente, cercai di capire cosa nascondesse dietro a quelle frasi disconnesse. Non comprendevo cosa intendesse, a cosa si riferisse e nemmeno perché me le stesse dicendo proprio in quel momento. Un sinonimo di Justin sarebbe sicuramente disconnesso, come i suoi discorsi, come lui. «Ora però tocca a te principessa.» anche lui mi rivolse la sua completa attenzione, sentivo che era davvero interessato, e la cosa mi rendeva felice, mi faceva sentire desiderata in un certo senso, perché avevo la consapevolezza che anche se avessi detto delle scemenze, lui le avrebbe ascoltate e non prese in giro. «Logan è diventato freddo, vorrei tanto sapere perché, se sia colpa mia. C'è una parte di me che in fondo è a conoscenza di ferire tutte le persone che le stanno intorno, al punto che mia sorella ha rifiutato di andare a vivere con il suo fidanzato per non lasciarmi da sola. È come se sentissi di non appartenere a questo posto, a queste persone. Che stronzate vero?» gli domandai scherzosamente spegnendo la sigaretta sull'asfalto rovinato dal tempo. «No, non credo che siano stronzate, ma comunque non voglio passare il pomeriggio a deprimermi... ti va di fare un giro? Forse posso portarti in un posto... diverso.» sollevai un sopracciglio alzandomi, era palese che l'avrei seguito. «E se io non volessi, Bieber?» domandai scherzosamente quando anche lui si fu alzato. «Beh, sarebbe una bella battaglia, perché io non ho nessuna intenzione di lasciarti andare.» mi afferrò la mano trascinandomi. Si era fatto tardi, il sole stava già tramontando, i raggi avevano preso un colorito misto tra l'arancione ed il rosso, e noi sembravamo corrergli incontro. Avrei voluto richiudere quel momento in una fotografia, per poterlo ricordare tra molti anni, per avere una prova certa che fosse davvero successo, per poter ricordare le sensazioni travolgenti, la libertà che mi provocava. «Entriamo.» mi accompagnò dentro a quel locale scialbo, la scritta 'Demonium' a lampeggiare a scatti sul muro esterno. Ci trovammo subito in mezzo alla folla, corpi sudati che si muovevano uno vicini, la musica sparata a tutto volume, le casse che parevano esplodere da un momento all'altro. «È qui che volevi portarmi?» urlai cercando di sovrastare la canzone. Lui scosse velocemente la testa aumentando la stretta sulla mia mano. «Non proprio ma per andare dovevamo passare da qui.» riniziò a camminare facendosi spazio tra la gente, io dietro di lui con la paura di perderlo di vista. Uscimmo da una porta finestra in vetro, dava su un vicolo che terminava con una specie di villetta. «Qui. Vieni, ti piacerà, ne sono certo. » il posto era cortile grandissimo, il pavimento di pietre bianche, al centro era incastrata una piscina dello stesso colore, accanto ad essa un grosso gazebo che fronteggiava la villa. Il tutto era illuminato da alcune luci colorate, all'interno di una stanza in basso c'erano moltissime persone, tutte vestite eleganti che danzavano. «Non vorrai mica infilarti tra quelle persone! Sono in Jeans Justin!» lui rise prendendomi per la vita e tirandomi contro di lui. Nonostante i pochi centimetri di differenza dovetti sollevare il mento per poterlo guardare negli occhi, i respiri accelerati , come i battiti. Continuava a sorridere, e potevo giurare che non ci fosse nulla di più bello al mondo. «Sei bellissima anche così, ma no, ho intenzione di restare qui.» iniziò a fare qualche passo,ondeggiavamo piano i fianchi, le mie mani dietro al suo collo, le sue sulla mia vita. Ci stavamo incastonando come due pietre preziose, mentre un lento risuonava in quel posto così magico. E ballammo, ballammo fino a quando il cielo si riempì di stelle, fino a quando iniziò il giorno seguente, sempre vicini, senza pensare alle preoccupazioni, nella mia testa non c'erano Logan, Ashley e nessun altro, solo la profondità dei suoi occhi su di me. Quando sarei tornata avrei ricordato il modo in cui avevamo ballato, la pressione che le sue dita facevano sulla mia pelle. Se qualcuno ci avesse visti avrebbe riso, entrambi vestiti semplicemente, i jeans strappati, con un leggero odore di fumo addosso, a muovere impacciatamente i piedi e a ridere per ogni minima scemenza. Avrei ricordato il modo in cui mi faceva girare, senza mai farmi inciampare. I capelli scuri che ricadevano sulla mia schiena, mi immaginavo come una principessa, con un lungo vestito azzurro. Restammo così fino a quando non giunse il momento di tornare a casa, ancora mano nella mano. E sorrisi, sorrisi perché ero certa che quel momento lo avrei ricordato per sempre.

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Capitolo 6
*** Capitolo & ***


CAPITOLO 6 "siamo i principi delle ombre Selena, vivremo per sempre nell'oscurita, vedremo la luce solo da lontano. Pensi di essere pronta? Sarai come radioattiva, nessuno potrà toccarti ma tu porterai solo dolore, daremo inizio ad una nuova era, tutta nostra, sei certa di voler stare accanto ad un demone?" mi afferrò la mano portandosela alle labbra, il sorriso tipico di chi nasconde qualcosa. E nonostante il mondo scuro dietro di lui, io continuavo a vederlo bellissimo, in tutto il suo splendore. In quel posto passato e presente si incontravano creando qualcosa di sinistro e cupo, ma allo stesso tempo era un panorama suggestivo, quasi come le nostre mani intrecciate vicino a quell'immenso campo di fiori, sotto al temporale. "Sono pronta." «Non mi stai ascoltando.» si lamentò Vanessa mordendosi il labbro. Il sole batteva ardentemente contro la finestra della mia classe, l'utlima ora e poi la libertà per due giorni. Amavo il venerdì in modo particolare, potevo quasi definirlo il mio giorno preferito della settimana. Quel pomeriggio avrei visto Justin, avevamo pensato di vederi subito dopo scuola e andare a pranzare in un locale in centro. «Scusami. Stavi dicendo?» La biondina sollevò le spalle rassegnata tornando al suo discorso. «per le vacanze. Stavamo pensando alla florida, Ashley verrebbe con noi. Non tua sorella ovviamente. C'è una specie di 'villaggio' direttamente sulla spiaggia dove fanno delle feste da urlo. Io punterei ad andare lì. Tu ci staresti?» annuii, la Florida era sempre stata il mio sogno. Morse la matita tentando di essere provocante quando notò Taylor McGranth guardarla dal banco in prima fila. Aveva l'aria di un cagnolino smarrito mentre le rivolgeva un sorriso imbambolato, gli occhi a cuoricino finchè il professore non gli tirò una librata sulla testa. Vanessa rise di gusto, consapevole dell'effetto che aveva su molti ragazzi, vedevano in lei una specie di Dea e le loro attenzioni decisamente le piacevano. «Questo weekend sarà uno degli ultimi per studiare e recuperare! Spero bene che nessuno si faccia rimandare!» sbottò uscendo, chiudendo la porta dietro di sé. Scocciati ci alzammo tutti andando via da quel posto ammuffito. Mancava così poco alla libertà e per il primo anno in tutte le superiori ero riuscita ad avere la sufficienza in tutto, cosa di cui andavo molto fiera. «Ce la spasseremo Gomez. Hai intenzione di portarti dietro il tuo bellissimo fratellone tutto muscoli.. lo porteremmo sulla retta via. » rise Vanessa ammiccando ad un ragazzo di prima nelle vicinanze. «No ti prego, mio fratello lascialo stare, perché se venisse con te non sarebbe la via ad essere retta, Vanessa.» Per quanto tenessi alla mia amica ero piuttosto decisa a fargli avere i contatti minimi ed indispensabili con Jason, poiché sapevo piuttosto bene come fossero entrambi. «Come sei drammatica, andremmo d'accordo. Vieni a pranzo con noi? Ah no, sei impegnata..» prese in giro tirandomi un pugno scherzoso sulla spalla. Un'altra cosa che assolutamente non avrei fatto: dirle di Justin, quello proprio no. «Stammi bene Van.» la salutai raggiungendo il biondino che aspettava sotto all'albero più grosso del giardino scolastico. Era bello vederlo lì, appoggiato al tronco, i capelli scompigliati dall'aria, la sigaretta tra le labbra. Quando mi avvicinai lui fece un enorme sorriso lasciandomi un bacio sulla guancia. «oggi ti porto in un posto speciale...» sussurrò contro il mio orecchio facendomi fremere. «Dove?» domandai entusiasta iniziando a camminare per lo stradone, curiosa di sapere quale sarebbe stato il posto, se un altro parco incantevole o una periferia abbandonata come la mia. «Al McDonalds.» lo fissai sbalordita chiedendomi se fosse serio oppure no, ma vedendo il suo sorrisino capii che faceva seriamente scoppiai a ridere, al punto da tenermi la pancia con le braccia mentre mi piegavo. Non avevo nulla contro il Mc, anzi, io e il cibo spazzatura andavamo a nozze, però qualcosa nella su espressione e nella sua convinzione continuava a farmi morire dal ridere. «Dai smettila, io ho fame.» si lamentò scherzosamente facendo il broncio come un bambino di cinque anni. Arrivammo che le due non erano nemmeno scoccate, il sole batteva forte sul marciapiede mentre noi ci godevamo l'aria condizionata seduti al tavolo con i nostri panini in mano. Mi sentivo completamente in imbarazzo, ma quando lo vidi prendere un morso enorme del suo feci lo stesso iniziando a ridere poiché un po' di ketchup gli era rimasto sulle labbra, sporcandogliele di rosso. «Adesso dimmi perché stai ridendo Gomez.» sorrisi scuotendo la testa, Justin era così duro e scontroso in genere, però quei rari momenti in cui la sua infantilità veniva a galla avrei tanto poterli filmare e conservare con me per l'eternità. Il suo sorriso spensierato era uno spettacolo. Lo amavo? No, certo che no. Ma sarebbe stato da stupidi negare che iniziasse ad interessarmi seriamente. «Sei sporco più o meno ovunque, deficiente.» passarono parecchi minuti, finimmo poi nel parco comunale. In quel posto ci avevo passato tutta l'infanzia, ogni giorno dopo scuola qualcuno mi accompagnava spingendomi poi sull'altalena. Corsi a sedermi sul sellino verde, rovinato dal tempo. Le catene cigolavano in maniera orribile, poco oliate, lo scivolo anch'esso era leggermente sbiadito, ma io potevo vedere ancora un piccolo bambino con i capelli color cenere che piangeva dopo essere caduto con il sedere per terra, le mani davanti agli occhi azzurrissimi, innocenti. "Ti sei fatto male? Domandai al bambino porgendogli la mano, lui la strinse forte tirandosi su, i lacrimoni ancora presenti sotto ai suoi occhi chiari. Si passò la manica della felpa grossa sulle guance, asciugandosele. "un po'" tirò in avanti il labbro inferiore, pronto di nuovo a piangere. "vuoi un abbraccio?" domandai dolcemente aprendogli le braccia. Lui si fiondò immediatamente tra esse, circondandomi la vita. "Sono Logan. Vuoi essere la mia migliore amica?" «Sembra che tu sia immersa in uno di quei Flashback epici.» rise da dietro di me. Sorrissi scacciando i ricordi dalla mia mente, le cose cambiavano così tanto nel corso degli anni. «Mi sono svegliata, tranquillo.» sentii le sue mani spingermi dalla schiena, urlai presa alla sprovvista stringendo forte le mani sulle catene. Sembravamo due bambini di cinque anni, io che agitavo le gambe all'aria godendomela mentre mi scompigliava i capelli scuri. Lui dietro di me se la rideva facendomi andare sempre più in alto, fino a quando all'improvviso anziché darmi la spinta fermò l'altalena stringendo forte le braccia intorno ai miei fianchi, abbracciandomi da dietro. Il suo viso si incastrò nell'incavo del mio collo, le mie mani erano ancora salde sull'acciaio mentre i suoi capelli mi solleticavano la pelle insieme al suo respiro lento. Potevo sentire i miei battiti accellerare a dismisura, mi pareva di essere entrata in uno di quei romanzi strappa lacrime che non mi erano mai andati a genio. Si staccò velocemente da me con un piccolo sorriso, il quale sparì poco dopo. Vidi chiaramente la sua mascella indurirsi, esattamente come il suo sguardo. Sembrava pronto ad uccidere qualcuno, la scintilla dei suoi occhi mi spaventava, o meglio, se non fossi stata io mi avrebbe spaventata di certo. Ero più che sicura che non ce l'avesse con me, però quando vidi i suoi pugni stringersi fino a sbiancare le nocche mi girai notando un ragazzo incappucciato al fondo della strada. Era sotto l'ombra di un albero, si stavano scambiando degli sguardi infuocati, ma sul viso dello sconosciuto c'era un ghigno di chi la s lunga. «Justin, chi è quel tipo?» domandai timorosa afferrandogli una mano mentre i miei occhi restavano rapiti da quella figura. «Nessuno, andiamo.» ricambiò la mia presa trascinandomi via. Percorremmo delle strade di periferia, nemmeno sterrate. Era ancora molto arrabbiato, si vedeva, ciò nonostante iniziava a calmarsi, più ci allontanavamo da quella strana persona più lui si rilassava. «Sei sicuro di non sapere chi fosse?» chiesi non troppo convinta ma lui si girò fermandosi in mezzo alle pietroline, rivolgendomi un minuscolo sorriso. «Non so chi sia, ma non credo sia un tipo affidabile. Preferisco saperci al sicuro, a prescindere da chi egli sia, ti va se tagliamo da quel prato e andiamo nelle strade di città che sono un po' più popolate? Volevo destabilizzarlo, in modo che se non fosse stata una brava persona avrebbe perso le nostre tracce.» annuii, che poi in fondo lo avrei seguito ovunque volesse andare, mi fidavo ciecamente di lui. Restammo mano nella mano, le sue iniziavano a sudare leggermente, ma non era importante. Non parlammo di quel tizio incappucciato, a dire il vero non parlammo di nulla. In silenzio rientrammo delle vie interne sorpassando qualche passante, e sempre in silenzio gli camminavo dietro. «Come mai ti sei trasferito?» chiesi insicura mordendomi il labbro, tutto quel silenzio mi stava destabilizzando, troppo calmo. «Per studiare.» rispose velocemente senza sollevare lo sguardo dal pavimento. Ci fermammo davanti al chiosco dei gelati, ne porse uno a me e uno lo tenne iniziando a mangiarlo. «E i tuoi? Sono venuti qui con te?» gli camminai accanto gustandomi il limone fresco. «No, sono rimasti a casa. Vivo con Jaden, ed è uno spasso.» chiusi la conversazione, sembrava nervoso a parlare di questo argomento. «Immagino che sia ora per la principessa di rientrare a palazzo.» ridacchiò riprendendo la mia mano lasciandovi un bacio sopra e facendomi arrossire. I raggi del sole mi colpivano sul viso, sentivo ancora un leggero calore, ma era piacevole, come quello della mano di Justin stretta alla mia. Corsimo fino a casa mia come due bambini, guadagnandoci parecchie occhiatacce dai passanti, però era così bello essere spensierati e liberi. C'era però qualcosa in quel bellissimo ragazzo che per me restava un mistero irrisolto, che avrei tanto voluto capire. Ogni suo minimo gesto mi lasciava senza fiato, era affascinante il modo in cui qualunque cosa facesse riultasse così naturale. «No ma il vecchietto che ci ha bestemmiato dietro? Giuro che mi ha scandalizzato!» risi raggiungendo la porta di casa. Eravamo andati avanti ad essere infantili per almeno un ora. «Ma la bambina che ha chiesto cosa stessimo facendo?» mi strinsi la pancia dal troppo ridere, completamente ignara dello sguardo vigile di mio fratello dalla finestra in alto. Appena mi sollevai non sentii più le risate di Justin in sottofondo, mentre le mie rieccheggiavano ancora nell'aria. Stava sorridendo enormemente mentre si scompigliava i capelli, io continuavo a ridere curiosa. Poi le sue dita trovarono la strada verso il mio viso, i suoi polpastrelli caldi sfiorarono le mie guance leggermente arrossate, un po' per l'imbarazzo e un po' per la temperature. E neanche il tempo di pensarci che le sue labbra furono contro le mie, leggere, delicate e screpolate. A rendere quel momento così speciale fu sicuramente l'atmosfera e la sorpresa, mi aveva baciata in una splendida giornata di sole ed io non avrei potuto desiderare nulla di meglio, la mia mano premuta sul suo petto tonico mentre il battito del mio cuore mi rimbombava nelle orecchie. Poco dopo si staccò, un piccolo sorriso, gli occhi luccicanti. «Te lo aspettavi?» domandò ridendo, le mani ancora ferme sulle mie guance. «No, proprio per niente.»

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