L'Altra Realtà

di Nadedza Lemuria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazioni ***
Capitolo 2: *** ... e sensazioni ***
Capitolo 3: *** Prime rivelazioni ***



Capitolo 1
*** Presentazioni ***


E’ la prima volta che scrivo una storia, spero che vi piaccia =)
Buona lettura =D
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1.
Presentazioni
<< “Mi dispiace ma sei solo frutto di un amore malvagio e senza senso per me.”
Una donna con una tunica scura appoggiò un fagottino che piangeva e agitava le paffute e delicate manine.

“Spero che le bestie nella foresta non abbiano terrore di te e ti mangino.”
Fuggì via, lasciando il neonato nella parte più profonda della foresta, in balia di feroci belve selvatiche.
Si dimenava e strillava, spaventato dai tuoni e dai fulmini del violento temporale. Gli alberi ululavano a causa del forte vento che passava tra i loro lunghi rami, spogli dalle loro foglie. Il bambino piangeva ancora di più, emettendo versi molto acuti i quali attirarono l’attenzione di un piccolo branco di lupi, tanto denutriti che si potevano contare le costole. Gli sguardi affamati, le fauci piene di saliva, la voglia ed il piacere di affondare i loro denti all’interno delle tenera e dolce carne, il sangue che si diffondeva e si mescolava alla terra e che creava un maleodorante profumo, disgustoso per noi umani ma delizioso per le avide belve. Si avvicinarono, scrutando lo stano essere dimenarsi e emettere vagiti.
Lo accerchiarono.
Il branco di dieci lupi si leccava la propria bava, scaturita dalla forte fame causata dalla scarsità di prede.
Giravano intorno, in un continuo cerchio mentre il bambino singhiozzava...

Per il neonato sarebbe stata la fine… >>  
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“Madre, dove devo mettere questo bauletto?” chiese la ragazza alla madre impegnata a pulire e ad ordinare l’intero salone per il ritorno del marito.
“Portalo in camera tua, Marianne, non serve qui.” La ragazza annuì.
“Orsù! Dobbiamo sbrigarci. Vostro padre sarà qui a momenti.”
Marianne, una ragazza di venticinque anni, capelli biondo miele/cenere, occhi ambrati con qualche striatura nera nell’iride, portava su il baule vuoto per riporlo in camera sua.
Mentre stava ponendo il bauletto sotto il suo giaciglio, sentì le urla e le risate dei suoi fratellini.
Si alzò e li raggiunse per accertarsi che stessero bene.
Vide Belinda che urlava e Bernard, suo gemello, che la rincorreva con qualcosa in mano,
ridendo come un matto.

“Belinda! Bernard!” disse alzando la voce verso i gemellini.
“Marianne!” urlò Belinda mentre si nascondeva dietro la gonna della sorella.
“Marianne! Mi vuole mettere un rospo in testa!”
“Non è vero!” reclamò Bernard, gonfiando le guance.
“Davvero? E allora perché hai quel rospetto tra le mani?” chiese con voce calma Marianne.
“Ecco… Io… Veramente…” disse posando gli occhi sul pavimento e accarezzando il povero anfibio.
La ragazza roteò gli occhi e sbuffò “Seguimi”
Il bambino annuì.
Accompagnò il fratellino nel giardino recintato e lo portò, percorrendo la discesa,  verso il piccolo ruscello, distante dalla loro abitazione 60 metri circa.
“Libera qui il tuo amico” sorrise Marianne verso il fratellino.
Bernard annuì e lasciò libero il rospetto che saltò subito nella fredda acqua e schizzò la gonna di Belinda.


“Noooh! Mi ha schizzato l’abito con l’acqua del fiume! Adesso puzzerò!”
“Perché prima profumavi?” replicò il fratellino. La gemella gli fece una linguaccia.
“Smettetela voi due!” rimproverò Marianne ai  due e prendendoli per mano li riaccompagnò a casa.
“Dove eravate voi tre?” chiese Robert, fratello della piccola banda.
“Fatemi indovinare” disse guardando la faccina di Bernard triste “Siete andati a liberare un altro nostro animale da compagnia, vero?”.
Marianne annuì con aria stanca.
“Aaah! Le donne! Vogliono sempre dare ordini a noi veri uomini” prese in spalla il ragazzino ormai, non più triste. “Che cosa avevi preso stavolta?”
“Un rospo!” disse sorridendo Bernard.
“Un rospo?” replicò Robert “Non ci credo!”
“E’ vero! E’ vero!” esclamò il ragazzino.
“E’ vero, è vero” disse Marianne roteando gli occhi in alto, con aria stanca.
“Beh, è meglio che finiamo i preparativi per l’arrivo di nostro padre” concluse la ragazza portando Belinda a cambiarsi e raccomandando Robert di tenere a bada Bernard. Il ragazzo annuì e lo portò con sé.
“Marianne, credi che papà si ricordi di noi?” chiese Belinda.
Erano in camera della piccola gemella, sfoggiando il suo abitino blu e bianco davanti lo specchio.
“Certamente” rispose Marianne avvicinandosi a lei con la spazzola.
“Forse non ricordi bene nostro padre perché l’ultima volta che l’hai visto eri ancora in fasce” disse con il suo solito sorriso rassicurante.
“Credi che mi vorrà bene come vuole bene a te e agli altri?”
“Certo che sì!” disse facendo un piccolo risolino.
“Ecco, ed anche i capelli sono sistemati” i capelli della ragazzina erano castano scuro, corti fino alle spalle, con la frangetta che le copriva le sopracciglia.
“Come sto?” chiese Belinda alla sorella.
“Sei bella e profumata” rispose ridendo Marianne.
“Senti anche tu questo rumore?” continuò la ragazza.
“Sembrano dei cavalli” ipotizzò la bambina “Io sento anche delle voci”
“Andiamo a vedere” disse prendendo per mano Belinda.
“E’ ARRIVATO! E’ ARRIVATO!” dissero in coro i gemelli Romuald e Damian.
“Nostro padre è arrivato!” continuarono a dire.
“Abbiamo capito ma, dov’è?” domandò Sophie.
I due si guardarono negli occhi per poi dire “Dannazione! L’abbiamo dimenticato al porto!” e si portarono le mani nei capelli fulvi.
Sophie si porto una mano in faccia scuotendo il capo e pensando “Non è possibile…
“Non vi preoccupate, c’ho pensato io” disse Agnes in sella ad un cavallo castano.
Al suo seguito c’era una carrozza trainata da un paio di cavalli di razza Paint Horse e carica di bagagli.
I cavalli nitrirono al fermarsi della vettura. La portiera si aprì ed una voce maschile disse
“Sono di nuovo a casa!”

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Capitolo 2
*** ... e sensazioni ***


“Padre!” Mathilda e Claire gli corsero in contro per abbracciarlo.
“Siete cresciute! Non vi riconosco più!” disse l’uomo nel vederle.
“Caro…” sorrise Leeds, sua moglie, nonché madre della scalmanata dozzina.
“Amore” la salutò baciandole la fronte. Alzò lo sguardo e notò i due fratelli in disparte.
“Voi due! Mi avete di nuovo lasciato al porto” esclamò indicandoli.
“Lo sappiamo” dissero in coro guardandosi i piedi.
“Venite qui” andò da loro e li abbracciò così forte che quando li lasciò erano rossi sia perché erano imbarazzati sia perché i suoi abbracci erano troppo soffocanti.
Marianne e Belinda scesero e videro tutta la scena.
“Chi è lui?” chiese la bambina.
“Lui?” indicò l’uomo che scherzava con Robert “Lui è Alexander, ma tu poi chiamarlo Padre”
La bambina rimase sorpresa.
Lui.
Suo padre?
L’unica volta in cui l’ha visto era ancora in braccio a sua madre, ancora in fasce con suo fratello.

Nel frattempo, Bernard si riunì alla gemella, chiedendole “Lo sai che quello è nostro padre?”
Belinda annuì ed entrambi continuarono a fissare quell’uomo di mezza età che salutava e abbracciava tutti.
“Volete conoscerlo?” chiese con gentilezza Marianne.

I due annuirono. Li prese per mano e li accompagnò vicino ad Alexander.

“Padre” disse e lui si girò immediatamente riconoscendo la voce.
“Marianne!” esclamò per poi abbracciarla. Lei era la sua primo genita ed era molto affezionato a lei.
“Padre, li riconosci?” indicando la coppia di gemelli che si teneva per mano.
“Mmm… ” pensò un attimo e poi disse “I gemellini… Belinda e Bernard! Cavoli, come vi siete fatti grandi!”
Li abbraccio e li prese in braccio.
“Come sei forte papà!” esclamò Bernard.
“E tu diventerai più forte di me un giorno” sorrise il padre per poi baciarli sul capo.
“E’ bello riaverti qui” disse Marianne. L’uomo le rispose con un sorriso.
“Agnes, dì che possono ritornarsene nel villaggio”
La ragazza annuì, ubbidendo all’ordine del padre.
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La serata trascorse serena tra cibo, racconti e risate: l'uomo raccontava le sue avventure per il mare ai più piccoli della famiglia mentre i più grandi e la madre sparecchiavano e mettevano in ordine.

"Era l'alba. Tutto era tranquillo.
Il mare era calmo e il vento era fievole.
James, il nostro mozzo, lavava la prua della nave come ogni mattina.
Mi avvicinai a lui, calmo come lo sono ora.
Lui mi guardò ma non rimase molto su di me e ritornò a lavare il pavimento.
Mi avvicinai ancora di più, in silenzio.
Lui non mi sentì.
Mi avvicinai ancora un po', sempre più di soppiatto...
E poi...
GR-AAAAAHHHHH!"

I piccoli ridacchiavano e l'uomo continuò a raccontare.

"Lui saltò in aria come una rana! Ma non rimase molto tempo in aria che cadde toccando il secchio e rovesciando l'acqua su tutto il ponte della nave; io e tutti gli altri marinai ridevamo a crepapelle!
Non ce la facevamo più a stare in piedi dal ridere!"
Belinda era assorta ad ascoltare quando un verso attirò la sua attenzione.
"Grac... Grac... GRAC..."
Saltò in piedi urlando e si rifugiò dietro suo padre.
"Papà...!" urlò.
Lui si girò e vide Bernard ridacchiare. Gli si avvicinò in silenzio finchè non si schiarì la voce per attirare la sua attenzione.
Bernard sgranò i suoi occhioni, sorrise e divenne rosso in volto.
Lo prese in braccio e Bernard emise delle urle divertite.
"Hey, non è ora di andare a dormire?" disse Leeds entrando in scena divertita.
"MA MADRE!" dissero in coro tutta la scatenata dozzina. "Niente obbiezioni... A letto, obbedite alla mamma" sorrise infine Alexander. "Uffa..." Bernard e Belinda misero il broncio e si avviarono verso le camere da letto insieme ai loro fratelli.
"Và con loro Marianne e assicurati che dormano"
La ragazza annuì.
Il silenzio regnava in casa, tutte le luci erano spente e il solo rumore che si udiva erano i respiri e i sospiri. Nessuno era sveglio o meglio, nessuno sapeva che era sveglia.
Sistemò il letto mettendo sotto le coperte un cuscino, indossò un mantello nero, prese una sacca, scese le scale il più silenziosamente possibile e uscì da casa in assoluto silenzio. Attraversò il torrente e proseguì addentrandosi nel bosco. Quando fu abbastanza lontana dalla casa, si guardò intorno per non rischiare d'essere seguita e abbassò il cappuccio.

Era Marianne.

Si guardò ancora una volta intorno e proseguì stringendo la sacca nella mano. Si fermò vicino un grande albero con le radici che sovrastavano la terra e si sedette su di esse. Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro. Il fievole venticello le sfiorava il viso, facendo ondeggiare i capelli sfuggiti alla lunga treccia color miele.
Adorava quella sensazione che produceva il vento sulla sua pelle, la faceva sentire libera ogni qualvolta che voleva fuggire da quella cittadina piena di puritani e di cacciatori.
Riaprì gli occhi e strinse il sacchettino tra le mani.
Si alzò, si pulì l'abito dal muschio delle radici e ricominciò a camminare.
La luna piena era alta in cielo, illuminando buona parte della foresta. Dopo aver preso alcuni sentieri nascosti, raggiunse un'ampia radura dove si ergeva una casa, non era ben strutturata e sembrava che fosse abbandonata da tempo ma alla ragazza non importava.

Era il suo rifugio, se così si potesse definire.

L'abitazione era fatta interamente in legno ed era retta su due piani, anche se non si poteva accedere al secondo poichè le scale erano gravemente danneggiate dalle termiti. Aveva un piccolo porticato sulla facciata frontale la cui aveva una porta al centro e due finestre con delle tende scure, una a destra ed una a sinistra. Anche se l'esterno sembrava malridotto, l'interno della casa era abbastanza accettabile. C'era una piccola cucina, un tavolo per 4 persone e un piccolo divano nel salotto e due scale: una che portava alla cantina dove Marianne la usava come biblioteca mentre l'altra era quella che portava la piano superiore (come detto in precedenza, inutilizzabile).
Marianne entrò in casa per controllare se ci fosse qualcuno e poi ritornò nel cortile, aprì il sacchettino che aveva portato con sè e prense il suo contenuto: erano delle ghiande e semi di alcune specie di fiori selvatici. Sparse i semi per tutto il perimetro della casa mentre le ghiande le pianto a qualche metro di distanza dall'abitazione.
Recitò alcune parole, ringraziò la Luna e corse via di nuovo. Prima di andarsene però sentì una strana brezza sfiorarle le orecchie; questa le fece venire i brividi su tutto il corpo.
Si strinse le braccia attorno a sè e chinò la testa. In quel momento, sentì come un peso su di lei, una sensazione che capirebbero solo i più sensibili, sensazione che solo quando l'evento si sarà manifestato scomparirà.
Perchè mai aveva avuto una sensazione così negativa?
Perchè si sentiva così insicura ed indifesa? Lilith non la stava più proteggendo?
Qualcosa stava per cambiare la sua vita e il corso di tutti gli eventi. Non restava altro che aspettare che il tempo scorresse e osservare cosa sarebbe successo.

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Capitolo 3
*** Prime rivelazioni ***


C’era calma piatta e anche il mercato portuale era meno chiassoso del solito. Marianne camminava tra i commercianti, schivando di volta in volta le pozzanghere e salutando i pochi conoscenti. Indossava un abito semplice, a maniche lunghe e svasate ma con le spalle scoperte, fatto in un misto di lana e cotone. Era bianco con la gonna marrone, in toni pastello. Portava anche uno scialle sulle spalle, anch’esso marrone. Portava un cesto in vimini al braccio destro, camminando con un portamento molto leggiadro.
La sua lunga treccia ondeggiava ad ogni suo passo.
L’espressione sul suo viso era sempre serena e calma anche se nella sua mente pensava e ripensava alla vicenda dell’altra notte, alle strane sensazioni che ha percepito tutte in una volta. Alcune voci nel paese la accusavano di praticare arti magiche ma nessuno aveva potuto provarle: non c’era alcuna prova né testimonianza. Ogni volta che qualche abitante voleva intavolare il discorso, gli altri gli rispondevano a tono “Sono solo voci! Non ricordi quando…” raccontando di qualche vicenda ove altri cittadini furono coinvolti in qualche pettegolezzo scopertosi una menzogna (o meglio, facendo credere che fosse tale).
La ragazza aveva comprato dei rocchetti di filo, aghi, spille da balia e qualche pezzo di tessuto a buon mercato. Era un’abile tessitrice: in poco tempo riusciva a cucire o anche solo a rammendare un abito e non esigeva nemmeno molto.
Uscita dal mercato si diresse verso casa. Fece tutto il tragitto a piedi, rimuginando sull’accaduto ancora una volta. Il percorso non era breve. Impiegava all’incirca venti o venticinque minuti a passo costante. Il sentiero si divincolava nella scarna boscaglia. Era serpeggiante e ovviamente era costituito interamente da terriccio e ciottoli. Con gli occhi assenti e rivolti verso il terreno, meditava e respirava profondamente per calmarsi. Poi si fermò. Si guardò intorno: aveva sentito un fruscio. Aveva l’impressione che qualcuno la stesse seguendo. L’aria era pesante e carica di tensione. Il vento sembrava che ululasse tra le fronde e i versi degli animali avevano smesso tutti in una volta.
Il silenzio prese il dominio.
Si guardava continuamente intorno, diventando sempre più nervosa. Sentì ancora una volta lo stesso fruscio.
Sobbalzò.
Da un cespuglio sbucò fuori una lepre che non appena l’ha notò, scappò via.
Si portò una mano al petto e tirò un sospiro di sollievo. “Per fortuna” pensò.
Riprese il cammino ma l’atmosfera che la circondava era ancora carica di tensione, come se stesse per succedere un evento che avrebbe cambiato tutta la storia di quel luogo. Arrivata davanti casa vide i piccoli della famiglia seduti sui gradini del porticato, piangere a dirotto. Fece cadere il cesto e corse da loro. S’inginocchiò davanti loro e gli chiese cosa fosse successo. Non aprirono nemmeno bocca quando all’interno della casa si sentirono urla e oggetti rompersi. Si alzò di scatto e facendo per aprire la porta, questa si spalancò. Una mano la spinse via facendola cadere a fianco.
Alzò lo sguardo: era il padre.
Aveva in volto un’espressione mai indossata. La faccia era raggrinzita e stropicciata come un foglio di carta. Era palesemente arrabbiato ma aveva anche qualcosa di diverso, come se fosse invecchiato tutto ad un tratto. Marianne lo guardava sbigottita. Non sapeva cosa chiedere o cosa dire. L’uomo si diresse fuori dal portico con una grossa valigia in mano, senza rivolgere alcuno sguardo ad uno dei suoi figli. Marianne non poteva rimanere immobile. Si alzò goffamente e lo rincorse: voleva delle spiegazioni. Il padre si girò e le rispose con un’occhiataccia, come se la maledisse. Si pietrificò. Sentì il cuore essere trafitto da una lama che scivolava lentamente dentro, come di chi volesse ucciderla in modo da farla soffrire.
Il padre si voltò ancora e riprese la sua fuga. Marianne rimase lì, immobile, guardandolo svanire.
I suoi fratelli corsero fuori casa, passando accanto alla sorella, per raggiungere il padre ma non lo trovarono.
I bambini continuavano a piangere e le sorelle maggiori  cercavano di consolarli, trattenendo a loro volta il pianto. I fratelli invece gridavano tra loro, incolpandosi a vicenda dell’accaduto. La madre non c’era, come era al suo solito fare. Non c’era mai quando serviva.
Marianne si guardava intorno, pallida come un cadavere. Ai suoi occhi sembrava che il mondo rallentasse: i suoi fratelli che litigavano, le sue sorelle che consolavano e che la guardavano con aria di rammarico.
Tutto si muoveva con estrema lentezza.
Rivolse lo sguardo verso l’uscio della porta e vi trovò la figura spettrale della madre, con il viso cupo e l’aria minacciosa che la fissava. Nei suoi occhi c’era uno strano bagliore, quasi ultraterreno, quasi malefico.
La rimase a guardare. Aveva gli occhi ambrati, lucidi e pieni d’odio. I suoi capelli argentei erano portati tutti su con uno chignon sciatto che le faceva cadere qualche capello davanti agli occhi. La sua bocca era contratta come in una smorfia. Una volata di vento le fece entrare qualcosa negli occhi. Li stropicciò e se li strofinò con il palmo delle mani. Dopo aver battuto le palpebre un paio di volte, notò la nuova espressione della madre. Non aveva più la bocca contratta. Sorrideva. Il sorriso molto tirato che le faceva scorgere tutta la dentatura e che l’ha faceva sembrare posseduta. Il cuore le accelerò. Fece un passo indietro. Il vento si fece gelido che le provocò i brividi. Ed ecco di nuovo la sensazione. L’insicurezza, la paura, l’ansia, il malessere provato l’altra notte tornò più carico di prima. In un battito di ciglia, la figura della madre scomparve ma le sue sensazioni si moltiplicarono.
Chiuse gli occhi per un attimo, prese un bel respiro e si riprese. Si doveva riprendere. I suoi fratelli avevano bisogno di lei. Andò verso le ragazze e cercò di farle riprendere. Disse loro di portare i più piccoli a fare una passeggiata, stando fuori un po’ di tempo per far calmare le acque. Obbedirono. Poi si diresse verso i fratelli per farsi spiegare cosa fosse successo ma nessuno parlava, guardavano altrove con il viso corrugato. Alzò la voce e ripeté la domanda. “Allora? Cos’è successo? Cos’è tutta questa baraonda?”.
Ma nessuno rispose. Marianne si stancò del loro silenzio e corse dentro dalla prima testimone: la madre. Entrò in casa ma non vi trovò nessuno. La madre era scomparsa e la casa era sottosopra. Piatti e stoviglie in mille pezzi, le sedie in disordine e cadute a terra. Mise le mani sul tavolo. Con le dita sfiorò i cocci di vaso. Prese una delle sedie cadute a terra e l’avvicinò al tavolo. Nel raccoglierla trovò la sua bambola di pezza, polverosa e calpestata. La raccolse, la spolverò con le mani e si sedette. Le dita le scivolarono sulle cuciture e sull’occhio di bottone. Era vecchia e malridotta. Erano anni che non la vedeva. La girò tra le mani cercando di scoprire qualche altro difetto ma non ne aveva. L’abitino azzurro e i capelli rossi erano intatti, più o meno. La guardò a lungo e la mise sul grembo. Con i polpastrelli le accarezzava le guance e rimase a riflettere. Si ricordò della sua infanzia problematica, con il padre che partiva per viaggi che duravano anni e la madre che nei momenti più delicati della vita della figlia, era assente lasciandola a badare ai suoi fratellini e alle sue sorelline. A volte pensava che la lasciasse a posta con loro per combinare qualche guaio ma per fortuna, non è mai capitato nulla del genere. Sua madre non era brava ad allevare bambini. Marianne non sapeva nemmeno come avesse fatto a sopravvivere con lei. Era sempre assente, era un miracolo che la riuscisse a sfamare. Appoggiò il gomito sul tavolo e portò una mano al viso, coprendosi gli occhi ormai irritati dal vento. Sua madre era un mistero, più del padre. Anche se la sua presenza era concreta, era sempre troppo poca. E poi con tutte le strane raccomandazioni che faceva loro: “Non uscite dopo che la luna sorge!” oppure “Non aprite mai quella porta!” riferendosi ad una stanza che nessuno al di fuori di sua madre aveva mai visto.
“Esco.”
Marianne sobbalzò. Si ritrovò di nuovo la figura spettrale della madre davanti a sé.
Scattò in piedi appoggiando la bambolina sul tavolo. “Dove vai?”
“Non sono affari tuoi, figlia.” Rispose con tono gelido e pieno di ira.
La ragazza non proferì altra parola.
La madre si mise un mantello grigio col cappuccio, coprendo l’abito verde scuro e uscì.
Marianne si mise sull’uscio guardandola svanire nel bosco. I fratelli non appena notarono la madre cercarono delle spiegazioni ma lei nulla, se ne andò muta. Il gruppo rimase immobile poi uno dei gemelli, Romuald, cercò la sorella maggiore e rivolse il suo sguardo a lei cercando spiegazioni. La sorella maggiore lo guardò e scosse la testa. Uscì sul portico e fece cenno agli altri di tornare in casa e di aiutarla prima che la restante parte della famiglia tornasse.
 

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