Room 231 - Do you believe in reincarnation?

di Grimmjowswife
(/viewuser.php?uid=237577)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo incontro ***
Capitolo 2: *** Caffè, musica e vecchi libri ***
Capitolo 3: *** Intrugli grigi e strane sensazioni ***
Capitolo 4: *** Temporali improvvisi, ninna nanne e addominali scolpiti ***
Capitolo 5: *** Nuove conoscenze, minacce senza senso (forse) e risse. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Possibili rivali in amore e pestaggi. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Primi appuntamenti e memorie del passato. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Credi nella reincarnazione? ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Esami importanti, amici e entrate improvvise. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Incontri, feste e litigi. ***



Capitolo 1
*** Primo incontro ***



«L’imputato e l’accusa si alzino in piedi»
Nell’aula di tribunale riecheggiò il rumore di sedie scostate che soffocò il brusio degli spettatori seduti dietro.
«L’imputato, Jean Kirschtein, per aver imbrattato i muri dell’ospedale Santo Cuore dovrà scontare tre mesi prestando servizio all’interno di esso, assistendo un paziente assegnatoli dall’ospedale stesso. Questo è tutto, dichiaro sciolta l’assemblea»
Il suono del martello che batte contro l’appoggio di legno segnò la fine del processo.


Richiusi la porta di casa con un calcio gettando lo zaino quasi del tutto rovinato a terra, per poi passarmi una mano tra i capelli sospirando. Era stata una giornata di merda, il processo era durato più del previsto e tutto quello a cui riuscivo a pensare da quando era finito era di distendermi sul letto. Ma naturalmente neanche questo fu possibile, poiché appena mossi un passo il cellullare iniziò a vibrare illuminando la schermata dove appariva il nome “Stronzo”. Gemetti di frustrazione e feci scorrere il dito sullo schermo, portando successivamente l'apparecchio all'orecchio.
Ci fu una breve discussione tra noi due, in cui praticamente non fece altro che parlare lui, poi riattaccò senza dire nulla. Spensi il cellulare mettendolo in ricarica, spogliandomi mentre mi dirigevo verso il bagno, per poi entrare nella doccia aprendo direttamente il getto d'acqua, imprecando per quanto fosse fredda. Non appena l'acqua raggiunse una temperatura sopportabile iniziai a lavarmi facendo attenzione a toccare più delicatamente possibile il tatuaggio che mi ero fatto il giorno prima sulla spalla destra. Non sapevo dargli un significato specifico, due giorni fa mi era venuto in mente senza un apparente motivo, così avevo provato a disegnarne lo schizzo e quando Eren l'aveva visto aveva tirato fuori il suo blocco da disegno mostrandogli lo stesso identico simbolo anche se, dovevo ammetterlo, disegnato molto meglio. Così avevamo deciso di andarci a tatuare il giorno dopo quello stemma con due ali, una chiara e una scura sovrapposte, in fondo Reiner era nostro amico e sapevamo non avrebbe fatto bene.
Sfiorai quel disegno con le dita, non capivo il perché ma sentivo strane sensazioni quando lo guardavo, talmente legate tra di loro che era difficile identificarle, a parte una, la più vivida, era come se quel simbolo portasse dentro di sé la perdita di qualcuno.
Dolore.
Chiusi il getto d'acqua e aprii la porta scorrevole della doccia, avvolgendomi un asciugamano in vita e usandone un altro per asciugarmi meglio possibile i capelli, per poi buttarli a terra dopo aver preso un paio di boxer puliti. Mi buttai sul letto infilandosi sotto le coperte e chiusi gli occhi, addormentandosi poco dopo.
La mattina seguente mi svegliai stranamente in orario, alzandomi dal letto a malavoglia, dirigendomi ancora mezzo assonnato in cucina per cercare qualcosa di commestibile con cui fare colazione. Aprii il frigorifero chinandomi per controllare se c'era qualcosa e lo richiusi immediatamente dopo ringhiando. Cercai anche negli altri sportelli ma trovai soltanto un barattolo di burro d'arachidi quasi finito e un pacchetto di patatine. Uscii dalla cucina sbattendo la porta e mi diressi in bagno pensando che ora avrei dovuto fare la spesa, e per farla avrei dovuto chiedere soldi allo stronzo. La prima cosa che feci appena entrai in bagno fu aprire il rubinetto e bagnarmi il viso con l'acqua ghiacciata per cercare di raffreddarmi un po' e recuperare la calma, quando ci riuscii chiusi il rubinetto e mi preparai per andare a scuola. Odiavo il fatto che nella mia scuola fosse obbligatoria l'uniforme, non sopportavo di essere obbligato a vestirsi come volevano gli altri, ma il patto fatto con lo stronzo comprendeva che quest'ultimo scegliesse in che scuola mandarmi, quindi non mi ero potuto opporre. Prima di infilarmi la camicia diedi uno sguardo allo specchio, osservando ancora il nuovo tatuaggio, sentendo tornare la sensazione della sera prima.
Lo sfiorai distrattamente prima di infilarmi la camicia annodando poi la cravatta. Presi le ultime cose e uscii di casa attivando l'allarme e accendendo il cellulare nel frattempo.
 
Camminavo a testa bassa con la musica a tutto volume nelle orecchie lungo la strada per andare a scuola quando qualcuno mi si buttò addosso facendomi quasi cadere a terra.
«Porca- Eren, brutta testa di cazzo che non sei altro! Volevi uccidermi?!» urlai appena dopo aver recuperato l'equilibrio ed essermi girato.
«Dai Jean, volevo solo salutarti, e poi sei ancora vivo o sbaglio?»
Eren mi stava sorridendo senza rispondere ai miei insulti, questo era davvero strano.
Ti prego dimmi che non sta per chiedermi ciò che penso stia per chiedermi.
Non fece neanche in tempo a finire di formulare quel pensiero che Eren chiese con un'espressione da ragazzina alla sua prima cotta:
«Lo hai visto ieri? Al processo intendo. Gli hai fatto una foto? Com'era vestito?»
Mi girai ignorando le sue domande e tornando a camminare.
Stronzo, non mi ha neanche chiesto com’è andato il processo.
Come se mi avesse letto nel pensiero si mise a camminare affiancandomi.
«Hai ragione scusa, avrei dovuto chiederti com'era andato il processo prima di tutto. Allora, che è successo? I soldi del papino sono riusciti a salvarti il culo?»
Non c'era cattiveria nella sua voce, voleva davvero sapere cos’era successo al processo.
«Lo stronzo se n'è lavato le mani come al solito, non mi ha neanche pagato un avvocato. Credo che non potremo uscire per un bel po'»
Il sorriso lasciò il volto di Eren appena ebbi finito di pronunciare quella frase e lo sentii digrignare i denti e stringere i pugni sussurrando un "pezzo di merda".
Mikasa arrivò in quel momento dicendoci che dovevamo sbrigarci perché dovevamo incontrare gli altri fuori dal cancello. In realtà parlò solo con Eren, ma era così da quando avevo provato a dichiararmi a lei l'anno scorso, venendo bellamente scaricato. Forse lo faceva per farmi dimenticare di lei o non so, sta di fatto che avevamo sempre parlato poco, ma adesso non ci salutavamo più nemmeno. Faceva male, davvero molto male.
Arrivammo davanti scuola trovando ad aspettarci il nostro gruppo di amici, Connie e Sasha mi si gettarono addosso tempestandomi di domande sul processo, Ymir mi guardò con un ghigno, che ormai avevo imparato a riconoscere come saluto, mentre teneva stretta in vita Historia che mi rivolse un timido sorriso.
«Ah, ma alla fine lo avete fatto il tatuaggio?» chiese Connie facendomi riportare l'attenzione su di lui.
Eren gli rivolse un sorriso vittorioso e si indicò col pollice la schiena, leggermente più in basso dell'attaccatura del collo e io indicai la spalla.
La campanella che segnava l'inizio apertura della scuola suonò e entrammo, interrompendo un altro dei racconti dei pomeriggi stupidi di Connie e Sasha.
Le lezioni passarono abbastanza in fretta tutto sommato e, prima che me ne accorgessi, la campanella di fine lezioni risuonò per tutta la scuola.
Salutai i miei amici e incominciai a camminare verso la fermata del bus che avrei dovuto prendere da lì ai successivi tre mesi, quando sentii la voce di Eren in lontananza. Mi voltai vedendolo venirmi incontro correndo, e quando mi raggiunse si piegò sulle ginocchia cercando di recuperare fiato. Lo guardai con un sopracciglio alzato fin quando non recuperò fiato.
«Ti accompagno» disse semplicemente.
«Fa come ti pare» risposi io ricominciando a camminare.
Passammo alcuni minuti camminando in silenzio quando Eren decise di parlare.
Mi chiese il perché di quel murales che mi era costato il tribunale e io gli chiesi del perché avesse disegnato quello stemma che ora era impresso sulla nostra pelle.
«Sei stato un coglione, Jean, potevi anche evitare di farlo proprio su un edificio pubblico»
Feci spallucce.
Arrivammo alla fermata poco dopo e, appena spostai lo sguardo da Eren, notai una figura familiare appoggiata al cartello. Sgranai gli occhi e Eren trattenere il respiro, davanti a me c'era Levi Ackerman, il poliziotto che mi aveva arrestato poco tempo fa.
«Oh? Allora hai davvero intenzione di fare il bravo e scontare la pena del giudice. Pensavo che alla fine avrei dovuto cercarti in lungo e in largo per costringerti ad andare all'ospedale»
L'uomo mi guardò con sufficienza, le braccia incrociate al petto e le caviglie intrecciate. Strinsi la mano a pugno e cercai di respirare lentamente, avevo già avuto una condanna, non me ne serviva un'altra per aggressione a pubblico ufficiale. L'autobus si fermò vicino al cartello di fermata in quel momento, facendo stridere le giunture delle porte mentre queste si aprivano.
Schioccai la lingua contro il palato e mi voltai senza dire nulla, salendo sul veicolo che richiuse le porte subito dopo.
 
 
Quando scesi dall’autobus ed ebbi svoltato a destra mi trovai davanti ai cancelli aperti e ricoperti d’edera dell’ospedale. Proseguii dritto seguendo il sentiero fatto di ghiaia passando affianco ad alcuni anziani che mi squadrarono facendo smorfie quando attraversavo la loro visuale, alcuni di loro avevano garze a fasciarli polsi o gomiti, dove probabilmente si trovavano gli aghi delle flebo, mentre altri, senza, erano probabilmente lì per salutare i propri amici o familiari. In fondo alla stradina si ergeva imponente l’ospedale, la sua area asettica che stonava con l’ambiente circostante. La struttura era stata costruita tre anni prima, abbattendo la vecchia villa pericolante e abbandonata in cui Eren si era addentrato una volta riuscendone con un braccio e una gamba, entrambe sinistre, rotte, solo per provare a tutti che era molto più coraggioso di me. Che coglione.
Ormai mi trovavo a pochi passi dalla rampa d’ingresso, le porte in vetro si sarebbero aperte appena il sensore mi avesse notato, ancora pochi passi e sarei entrato e avrei sentito nell’aria l’odore di disinfettante. Cambiai direzione senza quasi rendermene conto e accelerai il passo.
«Ho sentito che tra poco arriveranno gli operai a cancellare quel murales, sai? Entro domani dovrebbero aver finito…»
Arrivai all’angolo dell’edificio appoggiandomi al muro per calmarmi. Non era solo la notizia che il mio dipinto sarebbe stato cancellato di lì a poche ore, era qualcos’altro, sentivo dovevo andare lì. Avevo ignorato la sensazione da quando ero sceso dal quel mezzo pubblico.
Svoltai l’angolo bloccandomi subito dopo. Di fronte al murales, a un metro di distanza, un ragazzo osservava le tinte asciutte come ipnotizzato. Feci per indietreggiare ma appena poggiai un piedi più indietro un rumore di qualcosa di secco che si rompeva, probabilmente un ramoscello secco, svegliò il ragazzo dal suo stato di trance. Velocemente mi nascosi tra i cespugli usati come recinto del perimetro, prima che lui potesse girarsi per vedere chi era stato, sentendolo dire qualcosa tra sé per poi correre via scomparendo oltre l’angolo dell’edificio.
Sospirai e gettai un’occhiata veloce al muro prima di decidermi a uscire da quel nascondiglio e ad andare verso l’ospedale entrando.
 
C’erano voluti alcuni minuti per firmare i documenti, non mi interessava cosa fossero, prima avrei finito e prima sarei potuto andarmene via da quel posto. L’infermiera di turno alla reception mi diede poche semplici istruzioni e mi disse che mi sarei dovuto occupare del paziente nella 231. Presi l’ascensore salendo al secondo piano, camminando seguendo le istruzioni che la donna mi aveva dato poco prima, arrivando davanti alla porta con il numero 231 intagliatoci sopra. Inspirai e bussai leggermente, per poi portare la mano alla maniglia fredda ed abbassarla, mormorando un “permesso” che si interruppe morendomi in gola quando vidi il paziente.
Davanti al letto un ragazzo dal fisico atletico e asciutto, ricoperto da lentiggini su tutto il corpo e dai capelli corvini si stava sfilando i pantaloni, con questi calati fino al ginocchio, con nient’altro che i propri boxer a coprirlo, sul viso l’espressione di qualcuno che aveva appena visto un fantasma.
Boccheggiò un paio di volte, e, quando stava per dire qualcosa, lo interruppi dicendo di fare con calma prima di uscire sbattendomi la porta dietro per poi appoggiarmi ad essa mettendomi le mani nei capelli.
Cosa cazzo è appena successo?







 



Angolo deliri (oggi brevi perché mia madre mi sta minacciando con un coltello da cucina di sbrigarmi)

Ok, *si fa scudo col cuscino*
Potrei, e dico potrei, (l'ho fatto sicuramente) sparato un mucchio di cazzate, ma ehi, prometto che questa roba migliorerà. Lo spero. Vivamente.
Voglio dedicare questo capitolo a Jen perché se non ci fosse lei a minacciarmi di morte non scriverei nulla. Mai.
Eeee, nulla. Di solito sproloquio con Haise e Grimmjow ma il primo l'ho spedito a calci in culo - sono una ragazza molto fine sì - a fare scorte di libri sperando che trovi Hide e facciano cose vietate ai minori, mentre l'altro, in teoria mio marito, sta dormendo.
Occupando tre quarti del letto.
Russando.
...
*gli getta un cuscino addosso*
Ok allora, il prossimo capitolo credo sarà Ereri... non ne sono molto sicura in realtà, poi vedrò.
Ora credo ch-
Levi: *entra sbattendo la porta*
Ohi, cos'è questo porcile?
I: Oh no.
Grimmjow: *si sveglia*
Cazzo è sto nano?
I: Oh no.
L: Ah?
I: Bene, devo andare, se non li fermo questi distruggeranno tutto.
*vede Grimmjow impugnare Pantera*
Merda!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Caffè, musica e vecchi libri ***


 
ATTENZIONE: Ho deciso che da ora in poi i capitoli si alterneranno tra il punto di vista di Jean e Eren, quindi qui sarà Eren a parlare, spero vi piaccia, ci si sente a fine capitolo.



«…oso»
«Ohi, moccioso»
Mi riscossi sentendo la voce del poliziotto a cui non stavo assolutamente fissando il culo fino a pochi secondi fa. Proprio per niente.
«Smettila di seguirmi, o sarò costretto a portarti in centrale con un’accusa di stalker»
Deglutii a vuoto, cercando di scacciare dalla mente l’immagine di Levi che mi ammanettava.
Pensa ad altro Eren, tipo alla faccia di cavallo di Jean. Concentrati. Farsi venire un principio di erezione in mezzo alla strada non sarebbe una gran mossa.
«Non capisco di cosa tu stia parlando - dissi innocentemente scrollando le spalle - voglio solo andare a prendermi un caffè»
«Tsk»
Camminai dietro lui per almeno una decina di minuti quando finalmente arrivammo alla caffetteria. Entrai seguendolo e respirando l’aria familiare di cornetti e caffè che avevo conosciuto fin da piccolo, io e Mikasa avevamo passato molto tempo qui, studiando o semplicemente passando il tempo quando nostra madre usciva per delle compere o altri impegni. Appena Hannes mi vide mi chiamò a gran voce sorridendo facendomi cenno di sedermi allo sgabello di fronte a lui e io mi avvicinai, rendendomi conto un secondo più tardi che appoggiato allo sgabello affianco c’era Levi. Sorrisi.
Bel lavoro, vecchio ubriacone.
Mi sedetti iniziando a chiacchierare con Hannes mentre con la coda dell'occhio osservavo ogni singolo movimento di Levi, il modo strano in cui teneva la tazzina, la sua postura elegante, lo sguardo fisso nel vuoto, era più di un anno che registravo ogni suo movimento. In quel momento Hannes dovette allontanarsi per servire un cliente e io ne approfittai per spostare l'attenzione sul mio caffè latte, soffiandoci leggermente sopra.
«Ma guarda chi si rivede! Ditemi un po' voi se questo qua non è il figlio del dottor Jaeger» 
Sussultai leggermente quando la voce di uno degli amici di bevute di Hannes si fece spazio sovrastando qualsiasi altro all'interno della caffetteria, poggiando la tazza giusto prima che l'uomo mi salutasse con una pacca amichevole fin troppo forte esattamente dove mi ero fatto il tatuaggio qualche giorno prima.
Porca-
Gemetti di dolore più piano possibile, tentando di non farmi notare, fallendo miseramente quando sia Hannes che l'amico mi guardarono accigliati.
Cercai di dire che mi ero preso uno strappo mentre ero in palestra, ma il loro sguardo non sembro per nulla convinto. Infatti poco dopo sentii la mano dell’amico di Hannes tirarmi leggermente il colletto della camicia e avvertii il suo alito pesante sulla nuca, ma non riuscii a scostarmi abbastanza in fretta che aveva già visto il tatuaggio.
Magnifico, solo questo ci voleva oggi.
Hannes mi afferrò per l’orecchio sinistro, tirandolo e questa volta mi lamentai sonoramente, dicendo che mi stava tirando i piercing, e lui mollò la presa, continuando però a rimproverarmi sul fatto che ormai sembravo un punk e chiedendomi cosa pensavo avrebbe pensato mia madre di me vedendomi in quel modo. Feci finta di ascoltarlo in silenzio mentre giravo lentamente il dilatatore a cono nell’orecchio destro e riportavo la mia attenzione all’uomo seduto a meno di mezzo metro di distanza da me intendo a finire il suo caffè mentre guardava il proprietario con un sopracciglio alzato.
«… Insomma, non pensi a cosa potrebbe succedere se aveste improvvisamente bisogno di più soldi? Come faresti?»
Riportai l’attenzione sul vecchio amico di famiglia e presi la palla al balzo.
«Allora fammi tornare a lavorare qui» dissi semplicemente ghignando in segno di sfida.
Lo vidi incrociare le braccia al petto e pronunciare col solito tono fermo “assolutamente no”.
«Oh andiamo vecchio, ho già lavorato qui in passato, e in più so come trattare coi clienti» esclamai. Ormai il nostro sembrava un copione scritto e recitato da mesi.
Lo vidi alzare un sopracciglio e assumere un’espressione scettica all’ultima frase.
«Non credo di essere d’accordo con quest’ultima parte, e comunque sai già il perché, smettila di insistere»
Sbuffai vedendolo allontanarsi verso un tavolo dove si erano appena sedute un gruppo di signore di mezza età e iniziai a recuperare la mia roba lasciando dietro la tazza vuota i soldi del caffè latte.
«Da quando in qua hai mai lavorato qui, moccioso?»
Un brivido mi percorse la schiena quando sentii la voce di Levi alle mie spalle e girandomi lo vidi in piedi davanti a me con le braccia incrociate al petto. Mi resi conto solo ora che non stava indossando la divisa, visto che prima ero stato occupato a fissare altri particolari, tra cui il suo culo sodo e le sue labbra e al modo in cui le poggiava sulla tazza.
Eren, concentrati.
Sbattei un paio di volte le palpebre e cercai di ricordare cosa mi aveva chiesto. Era qualcosa che riguardava il lavorare giusto? Ah, mi aveva chiesto del lavoro in caffetteria.
«Ho smesso meno di cinque mesi fa» risposi.
«Impossibile, vengo qua da più di un anno»
«Lo so» dissi scrollando le spalle.
Ti ho servito il caffè tutte le volte che finivi tardi un turno. Questo però lo tenni per me.
Lo superai e uscii dalla caffetteria ignorando le urla di Hannes che mi diceva che non avevamo finito di parlare, chiudendomi la porta alle spalle e mettendomi addosso la tracolla con dentro il portatile e le cuffie.
 
 
La libreria dove ero entrato era di proprietà dei genitori di Annie, un’amica di Reiner e Bertholdt, che era seduta dietro al bancone con gli occhi bassi. La salutai con un cenno di mano e lei rispose alzando leggermente il mento per poi tornare al libro nascosto dal bancone che stava leggendo, oltre che i libri la libreria aveva una stanza a parte dedicata a cd musicali che raccoglieva tutti i tupi di musica, da quelli classici a quelli contemporanei.
Mi sedetti al solito tavolo, quello più nascosto in fondo al negozio e tirai fuori cuffie e portatile, accendendo quest’ultimo mentre indossavo le cuffie, per poi aprire l’ultimo file a cui stavo lavorando.
Non so quanto tempo passò prima che una mano entrasse nella mia visuale, e quando alzai lo sguardo incontrando due occhi grigi come la tempesta quasi smisi di respirare, Levi teneva appoggiata la mano sinistra sul tavolo e mi guardava dall’alto con la testa leggermente inclinata verso sinistra. Lo vidi muovere le labbra e mi accorsi di avere ancora le cuffie sulle orecchie, così le tolsi lasciandole attorno al collo e chiesi cosa aveva detto, vedendolo sospirare irritato subito dopo.
«Non riesco a capire se sei un cazzo di stalker o qualche merda simile, non è possibile che ti ritrovi in qualunque fottutissimo posto io vada oggi» ripeté.
Trattenni una risata per il suo modo di parlare e scossi la testa.
«Mi dispiace deluderti, ma io vengo sempre qui, lavoro meglio e ho un buon repertorio» spiegai indicando la stanza poco distanze dalla mia postazione.
«Non avevi chiesto all’uomo un lavoro poco prima?» chiese continuando a fissarmi mentre alzava un sopracciglio interrogativo.
«Fare mashup non mi paga ogni mese» risposi tranquillamente.
Vedendolo interdetto mi sfilai le cuffie e gliele porsi, aspettando che se le mettesse dopo averle afferrate con sguardo riluttante si appoggio di spalle al tavolo poggiando le mani ai lati dei fianchi, per poi mettere l’ultimo mashup creato la settimana scorsa, che ascoltò in silenzio per alcuni minuti prima di togliersi le cuffie e porgermele nuovamente.
«Non male, moccioso. Allora sai fare qualcosa»
Sorrisi cercando di non fare la faccia da coglione, non volevo sbagliarmi, ma quello aveva tutta l’aria di essere un complimento per gli standard di Levi Ackerman. Quest’ultimo intanto si stava allontanando dopo essersi pulito le mani con dell’amuchina borbottando qualcosa sullo stato di sporco di questo posto e avermi lanciato un’ultima occhiata. Tornai alla mia musica non appena lo vidi scomparire dietro alcuni scaffali, rimettendomi la cuffia ma posizionando una delle de casse più indietro, in modo da poter sentire in minima pare cosa succedeva intorno a me. Poco dopo sentii infatti il rumore della sedia di fronte alla mia che veniva trascinata e alzai lo sguardo vedendo Levi, seduto con una caviglia sul ginocchio opposto e il gomito appoggiato sulla gamba piegata e con gli occhi fissi sul libro.
Lo fissai abbastanza perché lui se ne accorgesse.
«Ti serve qualcosa, moccioso?»
Scossi la testa e riportai l’attenzione sullo schermo del mio portatile ora non più così interessante.
«E comunque, mi chiamo Eren» dissi senza guardarlo. Smettila di arrossire, cazzo.
Forse sbagliai ma mi sembro di sentire uno sbuffo divertito provenire da Levi.
«Lo so, moccioso»







 


Angolo deliri.

*si sentono lamenti e altri suoni angoscianti provenire da sotto la scrivania*
G: Che cazzo hai?
I: Caldo, troppo caldo, sento ogni singola molecola d'acqua presente nel mio corpo evaporare.
G: Guarda che è notte ora. Non fa così caldo.
I: Fa lo stesso, solo a pensare che domani farà di nuovo caldo evaporano.
*torna a fare versi agonizzanti*
S: Ti prego fai qualcosa, non la sopporto più.
G: IO?! Perché cazzo devo farlo io?!
S: *alza sopracciglio scettico*
Dice sempre che sei suo marito, comportati da tale.
G: Ma mi ha incastrato! Questa regge l'alcol peggio di una spugna!
I: Questo è vero, ma dillo che alla fine mi amiii.
G: *la guarda per un po'*
Diciamo che il fatto che tu sia mia moglie è sopportabile.
I: *scatta in piedi mentre le si drizzano orecchie e coda da gatto*
Sul serio?
G: Tsk, se credi che lo ripeterò una seconda volta ti sbagli di grosso.
I: Yay, hai sentito Maman? Grimmjow mi ha appena detto che mi ama!
S: *la afferra per le spalle e la scuote*
Concentrati! Il capitolo, ricordi?
I: Oh vero!
Allora, sono cinque giorni che mi sono fissata con i mashup ok? Li adoro, starei ore a sentirli.
...
Ecco, mi sono anche dimenticata tutto quello che dovevo dire...
Ah, ora ricordo! Un bacio gigantesco alle quattro bellissime personcine che mi hanno recensito il primo capitolo, soprattutto a JesD perché mi ha recensito anche la HideKane e io ti amo donna.
G: Ohi!
I: Grimmjow zitto.
Cooomunque, due belle personcine mi hanno fatto notare del rapporto più amichevole del previsto di Eren e Jean e volevo dirvi che c'è una spiegazione vi giuro, non uccidetemi.
Semplicemente li ho descritti con il rapporto più "attuale" del manga, comunque non vi preoccupate, non andranno sempre così d'amore e d'accordo, infatt... mhph!
S: *tappa la bocca*
Stavi per dire ciò che non dovevi.
*toglie la mano*
I: ...
Grazie.
*coff coff*
Ok, basta parlare della fanfiction.
Ma porca-
S e G: che succede?
I: Mi sono sbavata il trucco vaffanculo, ora sembro un panda.
S: Fa vedere.
I: *si gira*
G: *cerca di trattendere le risate*
I: ...
*gli lancia la lampada addosso*
L: *entra*
...
Perché cazzo ti sei truccata da panda di merda se siamo lontani da Carnevale?
I: ...
*prende Pantera a Grimmjow* (mi sono affezionata a fare questo ormai sì)
Iniziate a correre se tenete alla vostra vita! Saiko, salutali tu e ti comprerò un bigné domani.
Saiko: *apre un occhio*
Icchan, Maman... E gli altri fanno sempre troppo rumore... Quando giocano... *sbadiglio*
Commentate per Icchan per favore... E perché io voglio il bigné...
*si riaddormenta*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Intrugli grigi e strane sensazioni ***



Rientrai in quella stanza dopo un minuto.
Mi ero preso del tempo per mandare via una strana sensazione che mi aveva intorpidito appena avevo visto il ragazzo in quella stanza, con sovrapposta alla sua immagine un'altra, quasi come un ricordo, ma molto più macabra.
Troppi film di zombie evidentemente, da oggi basta Jean.
Quando riuscii a scacciare quell’immagine che si era sovrapposta a quella vera, avevo preso un profondo respiro ed avevo nuovamente abbassato la maniglia della porta, aprendola piano e attraversandola per poi richiudermela alle spalle.
Il ragazzo lentigginoso ora si era messo al letto dopo aver indossato il camice da paziente e mi guardava sorridente.
Woah, ok, è normale avere un sorriso del genere? Cioè wow.
Aspetta, cosa?
Scacciai immediatamente quel pensiero vedendolo muoversi. Solo in quel momento notai che aveva il polso destro fasciato, e ricordai in un istante di aver visto anche la parte bassa dell'addome fasciata, quando ero entrato per la prima volta in questa stanza trovandolo intento a rimettersi i vestiti d'ospedale. Evidentemente Lentiggini notò che gli stessi fissando le bende, o forse semplicemente ero rimasto a fissarle per più tempo del necessario come uno stoccafisso, perché ritrasse la mano portandosi quella sinistra sul polso fasciato.
«Ah, questo... Ho avuto un incidente un po' di tempo fa... Diciamo che sono stato fortunato» lo vidi sorridere all'ultima affermazione, ma il suo sorriso aveva un non so che di triste.
Lo vidi riscuotersi tornando a sorridere come prima.
«Marco Bodt, è un piacere conoscerti, Jean»
Una strana sensazione mi attraversò le ossa al sentire il mio nome pronunciato da lui, lo guardai ancora, come se fosse quasi impossibile vederlo davanti a me, prima di sbattere le palpebre diverse volte e realizzare che mi aveva appena chiamato per nome. Aprii la bocca per chiedere come facesse a sapere chi ero quando la porta della stanza si spalancò sbattendo e una tirocinante fece il suo ingresso come un tornado in piena furia.
«Marco Bodt, dimmi che non sei di nuovo uscito senza permesso! Lo sai che mi farai passare i guai se continui a fare così di testa tua? Non puoi uscire quando ti pare, e solo perché sono amica di tua sorella da molto non significa che potrò sempre pararti quel bel culetto lentigginoso che ti ritrovi. Se ti beccano le infermiere puoi passarla liscia grazie al tuo faccino, ma coi medici è diverso»
Osservai la ragazza che era entrata come una furia puntando dritta verso Lentiggini e che ora lo stava sgridando neanche fosse un bambino, aveva i capelli neri legati in una coda alta, gli occhi erano chiari ed era evidentemente più bassa di me, molto probabilmente mi arrivava al mento. Continuai a fissarla finché lei non smise di parlare e si voltò verso di me, e notai che anche Lentiggini mi stava fissando. Riportai immediatamente la mia attenzione sulla tirocinante che mi si stava avvicinando a passo svelto per poi tendermi la mano presentandosi. Si chiamava Aurora Broun e ordinò di seguirla perché mi avrebbe spiegato lei cosa avrei fatto nell’ospedale. Alla fine scoprii che mi avevano assegnato da occuparmi solo del secondo piano, pulendo le stanze e rifacendo i letti.
Praticamente devo fare da donna delle pulizie.
«Ah, un’ultima cosa. – la dottoressa Broun si fermò di colpo e per poco non le finii addosso. – Devi tenere d’occhio Marco.»
Sbattei le palpebre metabolizzando ciò che aveva appena detto.
Cosa?!
Evidentemente non fu solo un pensiero perché diversi infermieri si girarono nella nostra direzione incuriositi, mormorai uno scusa e riportai la mia attenzione sulla tirocinante che mi stava guardando leggermente infastidita.
«Devi fare in modo che non esca senza permesso e che mangi, è chiaro? Ancora non ne sente il peso ma tra poco le cure che sta facendo inizieranno a farlo stare male, e se dovesse svenire durante una delle sue fughe fatte non so per quale motivo potrebbe solo peggiorare la sua situazione. È per questo che ho dato al mio mentore l’idea di non darti troppo lavoro. Quindi da ora in poi cerca di tenerlo d’occhio, per favore»
«Sì, dottoressa Broun» annuii sorridendo. In fondo era sempre meglio questo dover asciugare la bava a vecchi decrepiti.
 
 
«Dove credi di andare?»
Appoggiato sullo stipite della porta della stanza 231, stavo osservando con sopracciglio alzato e braccia incrociate il suo residente, che si era rivestito per provare a sgattaiolare fuori per l’ennesima volta. Avevo da poco finito di rifare tutti i letti delle stanze quando avevo visto la porta della stanza di Lentiggini aprirsi molto lentamente e vederlo vestito camminare come fosse un ladro. Vidi il ragazzo davanti a me irrigidirsi di colpo, restando immobile alcuni secondi prima di girarsi lentamente verso di me e ridere imbarazzato, le lentiggini che scomparivano sotto il rossore, cercando di balbettare qualche scusa, e dopo alcuni tentativi inconcludenti rassegnato era rientrato in camera seguito da me. Mi ero voltato per chiudere la porta quando avevo sentito la voce del ragazzo alle mie spalle.
«Studi arte?»
«Cosa?»
«Il graffito sul muro è tuo, vero?»
«Beh… Sì?»
«È bellissimo»
Rimasi qualche secondo a fissarlo. Era la prima volta che qualcuno aveva definito bellissimo uno dei miei disegni, anzi, era la prima volta in assoluto che qualcuno avesse fatto un qualsiasi tipo di commento positivo su qualsiasi cosa fatta da me. Vidi Marco spalancare gli occhi e arrossire di nuovo, realizzando ciò che aveva appena detto, facendomi sogghignare. Iniziammo senza accorgercene a parlare del più e del meno, finché non bussò alla porta un infermiere per consegnare un vassoio contenente quella che doveva essere la cena di Marco, quando uscì mi avvicinai per osservare il contenuto del vassoio, che tutto sembrava tranne che cibo, soprattutto guardando la poltiglia che doveva essere il piatto principale. Il colore grigiastro di certo non ispirava l’appetito.
«Questa roba ha un aspetto orribile» commentai senza troppi giri di parole. Sentii il ragazzo di fronte a me sghignazzare.
«Dovresti provare il sapore» rispose di rimando, sospirando per poi allontanare il vassoio da di fronte a lui con una mano.
«No grazie, non ci tengo proprio. Ora capisco perché non mangi, neanche uno che non tocca cibo da venti giorni mangerebbe ‘sta roba - affermai convinto. Nonostante quello che avevo detto però riportai il vassoio di fronte a lui. – Ma comunque devi mangiare»
Marco si lamentò sonoramente a questa mia ultima affermazione, dicendo che sarebbe morto se avesse mangiato quella roba, e io risi. Mi piaceva Marco, era diverso dagli altri, nonostante avessi persone da chiamare “amici” non mi ero mai sentito come se davvero appartenessi a loro, come se tra me e tutti gli altri ci fosse una specie di nebbia, invece con Marco non era così, la nebbia sembrava sparire quando parlavo con lui.
«Facciamo che domani ti porto io qualcosa da mangiare se stasera mangi»
Lentiggini alzò un sopracciglio e mi squadrò con una finta aria disgustata.
«E tu chi saresti? Mia madre?»
«Accetti oppure no?»
Lanciò una veloce occhiata al vassoio e alla ciotola contenente quello che in teoria doveva essere minestrone.
«Assolutamente sì»
 
 
«… tein»
«… Kirschtein»
Mugugnai infastidito al suono di una voce stridula nelle orecchie, cercando di scacciarla via.
«Jean Kirschtein!»
Aprii gli occhi di scatto sentendomi chiamare nuovamente della stessa voce di prima, riuscendo questa volta a etichettarla come voce della professoressa di chimica.
«Signor Kirschtein, se davvero le mie lezioni la annoiano al punto di farla addormentare, può andare a farsi una passeggiata per il corridoio e portare i miei saluti al preside Pixis, che ne dice?»
Mi sedetti composto sulla sedia, sorridendole amichevolmente e poggiando la testa sulla mano destra.
«Nah, Prof, non è che mi stessi annoiando, è che la sua voce era così celestiale da farmi perdere il contatto con la realtà, sul serio, dovrebbe partecipare ad un concorso di canto, sono sicuro vincerebbe a tavolino»
Si sentirono distintamente alcune persone ridere che vennero immediatamente fulminate dallo sguardo della Grandith che era diventata più rossa della montatura dei suoi occhiali a punta. Poi prese un respiro profondo e tornò a puntare lo sguardo verso di me.
«Beh, la ringrazio. Ora perché non esce dalla mia classe e va a parlare di questa favolosa idea anche col preside? Sono sicuro apprezzerà»
Sospirai rassegnato e mi alzai dal mio banco, notando Connie gesticolare cercando di articolare la frase “ne parliamo stasera”, dirigendomi verso la porta e aprendola e urlando poco prima di uscire “vedrà, diventerà famosa!” per poi sbattermela alle spalle.
Vecchia gallina decrepita.
Naturalmente quando andai dal preside trovai seduto su una delle sedie d’aspetto Eren che mi squadrò dalla testa ai piedi. Storcendo il naso.
«Vuoi una fotografia o cosa?» chiesi velenoso.
«Hai un’aria da schifo» rispose lui storcendo il naso.
Feci ricorso a tutta la pazienza che avevo in corpo per non spaccargli la faccia. Quella notte l’avevo passata praticamente insonne a causa degli incubi, che comprendevano degli esseri mostruosi e enormi che ci davano la caccia per divorarci, Eren a cui era stata mangiata una gamba e io che tenevo tra le braccia corpo senza più metà parte superiore. Dopo la terza volta che quelle immagini si erano fatte largo tra i miei sogni avevo deciso di abbandonare l’idea di dormire e di uscire a comprare qualcosa con cui fare colazione.
«Sempre meglio della tua» risposi velenoso.
Eren aveva il viso ricoperto di fuliggine, così come i vestiti. Quando gli chiesi cosa avesse fatto mi rispose che si era distratto durante chimica e aveva sbagliato il dosaggio di non sapeva quale sostanza, provocando una qualche reazione che aveva provocato una specie di bomba di fumo addosso a lui.
Bel lavoro Eren, sul serio, vinceresti il premio Nobel per il diciottenne più coglione.
Pixis aprì la porta del suo ufficio in quel momento fissandoci con la mano ancora attaccata alla maniglia della porta.
«Fatemi indovinare, avete combinato di nuovo qualche casino»
«Lui sì, io sono stato mandato qui dalla  Grandith per parlare del suo futuro da cantante»
Il preside spostò lo sguardo da me a lui diverse volte prima di sospirare e decidere che solo per questa volta ce la saremmo potuta cavare, aggiungendo anche di non ripresentarci di fronte al suo ufficio prima di un mese. Io e Eren uscimmo attraverso la porta antincendio dirigendoci subito verso il cancello, le lezioni sarebbero terminate tra una ventina di minuti e a nessuno dei due era passata minimamente per la testa l’idea di tornare in classe. Ieri avevo chiesto a Marco di segnarmi il suo numero poco prima di andarmene giustificandomi dicendo che così avrei potuto comprargli cosa volesse, e quando stavo per dirgli di lasciar stare lui aveva afferrato il cellulare segnando il suo numero e sorridendomi. Tirai fuori il cellulare pensando che avrei dovuto mandargli un messaggio per chiedergli se volesse qualcosa in particolare da mangiare, quando la voce di Eren mi riscosse.
«Ti va di andare a prenderci un caffè? Tanto non devi scappare subito all’ospedale, no?»
Lo guardai spostare il peso da un piede all’altro aspettando la mia risposta, che arrivò poco dopo, con la scusa più squallida e stupida che potessi trovare.
«Scusa ma… ehm… ho degli impegni» risposi titubante.
 In fondo avrei anche potuto accettare il suo invito, non è che dovessi fare davvero qualcosa, ma avevo promesso di comprare del cibo decente a Marco e non ero una persona che non manteneva le proprie promesse, ecco.
Certo, Jean, continua a ripetertelo da solo.
Ci salutammo davanti al cancello e prendemmo direzioni diverse, lui diretto alla caffetteria e io verso un ristorante take away dall’altro lato, mentre mandavo un messaggio a Lentiggini.
 
A: Marco-Polo
Hai cinque minuti per scegliere cosa vuoi mangiare.
Rispose un minuto dopo.
Da: Marco-Polo
Sul serio stai andando a comprarmi qualcosa?
Ok, allora una zuppa.
Alzai gli occhi al cielo, ovviamente non gli avrei comprato solo della zuppa.








 

Angolo deliri.

I: FESTEGGIAMO *fa scoppiare uno sparacoriandoli*
S e L: *fanno lo stesso con sguardo apatico* yee *tono apatico*
G: Cosa cazzo...?
I: *salta addosso* BUON COMPLEANNO *coccola*
G: Donna spiegati.
I: È il tuo compleanno?
G: Sul serio? *faccia perplessa*
I: ... *tira pugno in testa e scende da addosso a lui*
Poi festeggiamo *faccia da sornione*
Tutti: ...
I: Ma prima! Volevo avvisarvi del nuovo arrivo, ergo figlio mio e di Grimmjow, Hans Humpty *lo prende e lo coccola*
S e L: cosa?
G: COSA?
I: Sh, lo spaventate così. *accarezza la testa*
*i tre cercano di dire qualcosa ma vengono zittiti da me che gli ficco un pezzo di torta in bocca*
Ora passiamo a cose più importanti.
Quanto posso amarvi?
Cioè siete le migliori.
Un grzie speciale a @hikatokage che mi ha scritto all'una e passa di notte per dirmi che le piaceva questa cosa che sto portando avanti e *si commuove*
S: Ehm-ehm
I: *si riprende* Poi, *coff coff* il solito ringraziamento a JesD che continua a recensirmi ogni capitolo e aw ti adoro troppo.  Poi devo ringraziare tipo tutte le ragazze che seguono questa storia e mi mandano tweet e tipo @shivnoda che ogni volta che dico che sto scrivendo è felice come una Pasqua.
Sul capitolo... Commentate voi, io DEVO pubblicare perché è il compleanno di mio marito oggi quindi sì.
Tu bacio a tutte quelle che hanno recensito e seguono questa storia, ora devo scappare, ci si vede al prossimo capitolo Ereri.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Temporali improvvisi, ninna nanne e addominali scolpiti ***


Angolo deliri - parte uno di due (esatto, tremate, muhahahaha)

I: Allora, volevo iniziare dicendo che dedico questa storia alla mia bellissima Sa-chan perché deve smetterla di vedersi chiatta altrimenti prima o poi la picchio e poi... Aspettate, dov'è Grimmjow?
*sveglia Maman*
S: *si sveglia* Mh? Perché questa tortura è arrivata così presto? *si paralizza*
I: DOVE. SI. TROVA. GRIMMJOW? *aura oscura*
L: *entra nella stanza con la parte superiore della divisa slacciata e si gira a fissarci*
SPIEGAMI PER QUALE MOTIVO HAI INIZIATO, TESTA DI CAZZO!
I: DOVE MICHIA SI TROVA GRIMMJOW?
S: Ah, ha detto che questa roba è troppo melensa per lui, e che andava ad ubriacarsi con Matsumoto al pub.
I: Matsumoto aka Miss Tette A Boa?
*si mette in un angolino con della vernice rossa iniziando a scrivere 'lo casto' sul muro*
L: *lancia tomo di filosofia appena comprato addosso* Non imbrattare i muri! Io non la pulisco quella merda!
I: *si gira con le lascrime agli occhi*
Waaa, cuccioli miei, consolatemi voiiii *si chiude dentro l'armadio da cui iniziando a provenire suoni indecifrabili, qualche bestemmia, diverse caramelle, due asce, un bisturi e un coltello*
S e L: *si guardano*
S: Tu non dici niente e io non dico niente.
L: Andata *se ne va*
I: *esce dall'armadio* :)

 

Capitolo 4: Temporali improvvisi, ninna nanne e addominali scolpiti.


«Se stai aspettando Jean sappi che è già andato all’ospedale»
Levi, che oggi indossava ancora la sua divisa da poliziotto al contrario del giorno prima e che era fermo nello stesso punto di ieri, si girò verso di me e contemporaneamente io allungai una mano verso di lui per passargli il caffè preso poco prima al bar del vecchio. Squadrò il bicchiere con aria scettico prima di afferrarlo e avvicinare lentamente le labbra al bordo della tazza da asporto, movimento che venne registrato nei più minimi particolari dai miei occhi.
Eren, ricorda ciò che abbiamo detto anche ieri, controllati.
Decisi di prestare attenzione al mio caffè, bevendone un sorso e imprecando per la sua temperatura, decisamente troppo elevate per i miei gusti. L’improvvisa vicinanza a Levi non mi faceva affatto bene, avevo finito per pensare al giorno prima tutto il tempo e questo aveva portato al piccolo incidente nel laboratorio di chimica, e sinceramente, ero stato molto fortunato. Se si fosse trattato di qualche altra sostanza non credo sarei uscito dall’aula cavandomela con della fuliggine addosso. Quando riportai la mia attenzione sul poliziotto di fronte a me mi resi conto che mi stava guardando incuriosito, squadrandomi dalla testa ai piedi, e per quanto potesse essere bello il fatto che Levi mi stesse guardando, mi ritrovai a chiedere se ci fosse qualcosa che non andasse, sentendomi rispondere che si stava chiedendo come mai non indossassi l’uniforme scolastica.
Mi ricordai in quel momento che prima di andare a prendere i caffè ero tornato a casa per cambiarmi indossando i miei soliti vestiti, gettando nel cesto dei panni sporchi la divisa sporca di fuliggine. Di solito non avevo problemi ad andare in giro vestito come al solito, ma vicino a Levi, un poliziotto, non potevo che sembrare un criminale e avvampai a pensieri poco casti che si erano insinuati nella mia mente, facendomi tossire l’ennesimo sorso di caffè.
«Ho avuto un piccolo incidente a scuola e… Mh… Sono uscito prima e così… Sì insomma i miei vestiti si erano sporcati» balbettai rigirando nervosamente il dilatatore.
Lui continuò a fissarmi ancora per qualche secondo finché i nostri occhi non si incontrarono e Dio, come potevano esistere occhi così? Cercai di riprendermi dal mio stato da ragazzina innamorata e balbettai qualcosa come un “allora ci si vede” incamminandomi verso la libreria per cercare un libro di testo per una ricerca di scuola, sentendo poco dopo che si stava dirigendo nella mia stessa direzione. Mi voltai guardandolo alzando un sopracciglio vedendolo intendo a sistemarsi il cappello della sua uniforme, per poi lanciarmi un’occhiata che mi fece distogliere lo sguardo.
Camminammo restando in silenzio per tutto il tragitto, finché non mi ritrovai davanti la porta della libreria, intravedendo Annie intenta a parlare con Bertholdt attraverso il vetro della porta, e mi voltai verso Levi per salutarlo, notando che se ne stava già andando. Balbettai qualche secondo facendolo girare con un espressione scocciata sul volto.
«Ehm… Io cioè... Allora ciao» riuscii finalmente a dire, trattenendo un sospiro quando lo vidi girare i tacchi per allontanarsi.
Cosa mi aspettavo? Che mi salutasse come facevano i ragazzi con le proprie ragazze sulle porte di casa, mettendomi un braccio in vita per avvicinarmi a lui e baciarmi appassionatamente?
Solo nei tuoi sogni Eren, solo nei tuoi sogni.
Aprii la porta e entrai, facendo suonare al campanello e facendo voltare sia Bertholdt che Annie, a cui feci un cenno di saluto andandomi ad addentrare tra gli scaffali della libreria. Magari in un’altra vita saremmo stati davvero una coppia, una di quelle felici. Scossi la testa allontanando quei pensieri, quando si trattava di Levi iniziavo a vagare troppo con la fantasia, riportai subito l’attenzione ai titoli scritti sulle copertine, concentrandomi sui di loro e mettendomi a cercare quello che mi interessava. Quando lo trovai notai con mio enorme sconforto che era enorme. Sarebbe stata una giornata molto lunga.
 
Il rumore di una sedia che si spostava mi fece sobbalzare, erano più di due ore che avevo la testa china su quel libro, e non riuscivo più neanche a capire il significato delle parole che stavo leggendo, e alzai la testa pronto a uccidere chiunque avesse deciso di disturbarmi venendosi a sedere al mio tavolo senza chiedere, quando i miei occhi restarono incatenati a quelli color ghiaccio di Levi. Mi rivolse un’occhiata prima di sedersi aprendo un libro e iniziando a leggerlo senza dirmi nulla. Passammo così quasi mezz’ora, in silenzio, lui leggendo e io cercando di capire qualcosa di quel libro, finché rassegnato non sospirai rumorosamente con tono lamentoso e premendo la testa contro le pagine del libro.
«Cazzo hai?»
 Piegai leggermente la testa per poter vedere il suo volto.
«Il mio cervello è morto»
«Questo lo sapevo già, voglio sapere perché cazzo ti stai lamentando»
Alzai finalmente la testa e gonfiai le guance per l’insulto gratuito non richiesto, per poi rassegnarmi e dirgli che ero nella merda perché non riuscivo a capirci nulla, aggiungendo in fine che odiavo con tutto me stesso la filosofia. Lui restò in silenzio qualche secondo prima di prendermi il libro da sotto al naso e studiarlo, passando velocemente gli occhi sulle pagine stampate, alzando infine un sopracciglio.
«Reincarnazione?»
Annuii spiegandoci che dovevo parlare della reincarnazione attraverso la storia, confrontandola col pensiero dei filosofico di Pitagora e Platone.
«Bene, ti aiuto io» disse dopo alcune secondi di silenzio poggiando il volume sul tavolo.
Sbattei più volte le palpebre per metabolizzare quello che aveva appena detto.
«Scusa?»
«Il mio tutore era ossessionato da questa roba della reincarnazione, aveva volumi pieni di questa merda, e c’erano dei periodi molto lunghi in cui se era fuori per lavoro, così li leggevo per passare il tempo» spiegò sbrigativo, per poi chiedermi se volevo il suo aiuto oppure no.
Che domande.
 
Era passata più di un’ora da quando Levi aveva iniziato a spiegarmi le teorie dei filosofici, aiutandomi a confrontarle con le teorie di oggi, e, nonostante la mia voglia di avvicinarmi di più a lui e piegare leggermente la testa e far finalmente coincidere le nostre labbra, che si muovevano a così poca distanza rispetto a quella a cui ero stato abituato fino a poco tempo fa, riuscii a trattenermi.
«Credo dovremmo andare ora» disse di punto in bianco l’uomo di fronte a me.
Lo guardai perplesso e lo vidi indicare alzando leggermente il mento verso un punto in alto alle mie spalle che identificai non appena mi girai come la finestra dalla quale si intravedevano nuvole grigie e preannunciatrici di pioggia. Annuii e raccolsi le mie cose, dirigendomi seguendo Levi verso la porta della libreria, per poi fermarmi e chiamarlo, facendolo voltare.
«Grazie mille per oggi, mi hai salvato» sorrisi.
Per un secondo mi sembrò di vedere Levi sgranare quasi impercettibilmente gli occhi, ma si girò subito per aprire la porta così non ci pensai. Fece appena in tempo a dirmi “Ci si vede, moccioso” che un tuono squarciò il cielo e la pioggia iniziò subito a cadere, facendoci fermare sotto il porticato per evitare di bagnarci e lo sentii sussurrare qualche imprecazione. Restammo fermi alcuni secondi, incerti sul da farsi, quando parlai senza pensare.
«Se vuoi puoi venire da me»
Si voltò a fissarmi non appena sentì la mia voce e solo in quel momento realizzai cosa avevo detto, cercando balbettando di giustificarmi dicendo che il mio appartamento era lì vicino – cosa tra l’altro vera dato che ci si mettevano circa sei minuti camminando – e che così non avremmo dovuto aspettare sotto quel porticato finché non fosse smesso, visto che, da come stava cadendo l’acqua, non sarebbe avvenuto molto presto.
Cinque minuti dopo eravamo dietro la porta del mio appartamento, senza un millimetro di pelle asciutto, bagnando il pavimento d’acqua. Dissi a Levi di accomodarsi e andai in bagno a prendergli degli asciugamani puliti per poi tornare in salotto e porgerglieli indicandogli dove era il bagno e, quando sentii il getto d’acqua della doccia aprirsi, decisi di andare in camera mia per togliermi i vestiti che ormai si erano completamente attaccati al mio corpo, facendomi venire brividi di freddo in continuazione.
Bravo Eren, non pensare che nel bagno di casa tua, nella tua doccia, c’è l’uomo dietro cui sbavi da anni completamente nudo.
Avvampai, guardando poi in basso per scoprire che insieme a fantasie non molto caste qualcun’altro si stava svegliando in quel momento e dovetti fare leva su tutto il mio autocontrollo e all’immagine della mia professoressa delle medie in costume da bagno per farlo tornare a dormire. Finii di cambiarmi, infilandomi un paio di boxer e una tuta, per poi uscire dalla mia stanza, tornando in soggiorno per sedermi sul divano e appoggiandomi allo schienale e chiudendo un secondo gli occhi, quando sentii una leggera pressione sulla mia spalla e riaprii un occhio ritrovandomi il muso di Macchia che mi guardava interrogativo. Accarezzai la testa della micia, iniziando a canticchiare la ninna nanna che mi cantava mia madre da piccolo.
«Die Stühle liegen sehr eng
Wir reden die ganze Nacht lang
Dieser niedrige Raum ist nicht schlecht
Wir können uns gut verstehen
So ist es immer, unser Licht ist nur das
Trinken und singen wir, begrüßen morgen»
«Cosa stai cantando?»
Aprii gli occhi di scatto, puntandoli sulla figura di Levi, a torso nudo, con solo un asciugamano legato in vita, appoggiato al muro intendo a fissarmi. Guardai ipnotizzato alcune goccioline che non erano state asciugate mentre scorrevano dal petto fino alla V del bacino per poi essere assorbite dall’asciugamano, che, durante il loro percorso, delineavano i suoi addominali. Deglutii e spostai lo sguardo sul volto di Levi, la fronte scoperta a causa dei capelli che erano stati tirati indietro, mentre teneva puntati su di me i suoi occhi dello stesso colore della tempesta che c’era fuori.
«È una ninna nanna tedesca, me la cantava mia madre prima di mettermi al letto» gli spiegai.
Annuì e portò gli occhi sull’animale acciambellato sullo schienale del divano affianco a me, alzando un sopracciglio.
«Non ti facevo un tipo da gatti»
Presi Macchia in braccio, iniziando ad accarezzarla provocando delle rumorose fusa da parte di lei, mentre raccontavo di come l’avevo trovata chiusa in una scatola vicino ad un bidone della spazzatura tremante e col pelo macchiato e avevo decisa di portarla da un veterinario, in seguito questo mi aveva spiegato che non aveva nessuna malattia, che il pelo era tartarugato e per questo ad alcuni potevano sembrare malati questi tipo di gatti, ma che era sanissima tranne per la temperatura troppo bassa, così avevo deciso di portarla a casa e da quel momento era rimasta con me. In quel momento Macchia aprì gli occhi sbadigliando e puntandoli su Levi, fissandolo con aria interrogativa come a chiedersi chi fosse la persona a pochi metri da lei. Lo vidi accennare un sorriso e avvicinarsi a me per accarezzare la testa della micia e il mio cuore perse un battito e le guance presero un colore rossastro.
«Site uguali in un certo senso. Avete gli stessi occhi» disse a mezza voce mentre le mie guance andarono in autocombustione.
Posai la gatta sul divano e borbottai qualche scusa dicendo che era meglio farmi una doccia prima di ammalarmi e invitai Levi a fare come se fosse a casa sua mentre correvo verso il bagno, chiudendomi la porta alle spalle e appoggiandomi con la schiena ad essa, scivolando fino a sedermi sul pavimento, il cuore che batteva all’impazzata e una leggera tensione tra le gambe. Guardai in basso e gemetti frustrato, maledicendo chiunque ce l’avesse con me quel giorno, portando nel frattempo le mani davanti al volto.
Decisamente questa non era stata una giornata come le altre.







 


Angolo deliri - parte due di due.

I: :)
S: Senti...
I: Dimmi :)
L: Togliti quel fottutissimo sorriso inquietante, mocciosa.
I: Manco per sogno :)
S: *apre la porta dell'armadio mostrando quattro ragazzi di cui uno altissimo*
Mi spieghi chi sono questi?
I: *grida fangirlando*
*corre verso di loro mentre questi cercano di scappare*
*vieni trattenuta da Levi che la prende stile sacco di patate mentre Maman blocca i quattro*
L: Parla, donna.
*ore più tardi*
S: Vediamo se ho capito bene...
Questi sono assassini.
I: Esatto.
S: Passano la loro vita a uccidere persone.
I: Giusto.
S: E tu li stai trattando come cuccioli di cane.
I: Esattamente Maman.
*Sasaki e Levi la guardano mentre stringe a lei tutta contenta Ticci Toby, Eyeless Jack, Laughing Jack e Jeff The Killer*
L: *si alza*
I: Che fai?
L: Chiamo un istituto psichiatrico, magari riescono a guarirti.
I: Fermo lì! O nel prossimo capitolo finisci stuprato!
L: Userai questo ricatto a vita, vero, merdina?
I: Finché posso sì. u.u
S: *sospira* Ti prego parla della fanfiction così possiamo andare a casa.
I: Agli ordini, Maman.
Allora, capitolo Ereri finito finalmente, yay!
*prende dalla tasca di LJ dei lecca lecca e ne scarta uno*
Allora, ho messo a dura prova le capacità di resistenza di Eren in questo capitolo, e non me ne pento (che persona malvagia che sono oggi). Ringrazio come sempre tutte le bellissime persone che recensiscono questa mia piccola e insignificante storia (mi rendete felicissima, davvero). Il solito grazie speciale a JesD che continua a recensire ogni capitolo e io waa *arrossisce*.
Fatto sta che questo capitolo è stato un parto naturale con tanto di travaglio e doglie, anche perché ho avuto Word aperto per settimane con il foglio completamente vuoto, finché *cerca di imitare il suono di un tuono ma fallisce miseramente* è arrivata la pioggia e il cattivo tempo.
*guarda fuori dalla finestra* Bella, bellissima pioggia, quanto mi sei mancata.
Non si nota che amo la pioggia e il freddo, vero?
LJ: Ehi, come osi prendere le mie caramelle-
I: *gli ficca un lecca lecca in bocca per zittirlo*
Toby: Ehi Ilaria, ehi Ilaria, ehi Ilaria *inizia a ticchettare col dito sulla sua schiena*
I: *sospiro* bambini *lancia waffle a Toby che inizia a mangiarli con gusto*
Dicevo... Ah, sapete che mia madre ha detto che possiamo riprendere un gatto? La mia gioia quando me l'ha detto era immensa visto che è passato più di un anno da quando è morta Briscola e mi sentivo vuota, ok sì ho sempre la mia cagnolina Stella ma senza una gatta cicciosa che ti fa le fusa mentre dorme sulla tua pancia non è la stessa cosa.
L: Ohi
I: Che vuoi ora?
L: Ma perché Eren ha chiamato la gatta Macchia?
I: Ehm... Eren!
E: *appare da dietro la porta* sì?
I: Perché il nome della gatta?
E: Macchia?
I: Esatto.
E: Perché era nera e piena di macchiette rosse ovviamente.
Tutti: *facepalm*
I: Dovevo immaginarlo...
Ok, basta, questo angolo sta rubando troppo tempo.
S: Non aspetti Grimmjow?
Tutti i Creepypasta: *in coro* Possiamo ucciderlo?
I: *fa pat pat ulle loro teste* Tranquilli, ci penso io. *impugna una padella con aria omicida che fa gelare il sangue anche ai Creepypasta*
Ah, *si gira verso lo schermo del computer, con un sorriso angelico* E ricordatevi di commentare, mi rendete davvero felice di sapere che vi piace la mia storia.
Alla prossima col capitolo JeanMarco, se ne vedranno delle belle (forse, eheheheh).

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Nuove conoscenze, minacce senza senso (forse) e risse. ***


Angolo deliri

I: *entra sbattendo la porta, Grimmjow finisce attaccato al soffitto con le unghie, Sasaki si sveglia di soprassalto e Levi sputa il thè* SONO TORNATA; BITCHES!
Tutti: Perché?
I: Perché sono troppo acclamata dalle lettrici di questa storia *si pavoneggia con tanto di coda di pavone*
S: O.O
L: *le fa la doccia col thè* fottiti
I: ... *tira fuori un block notes* ora che ci penso, io volevo proporre una cosa...
EJ: *mastica rene tolto a Sasaki* credo che sia meglio scappare se ci tenete alla vita
G: E tu da dove cazzo hai preso quel coso?
EJ: *indica Sasaki*
S: EHI!
EJ: Tanto ti ricrescono
S: Cosa c'entra!? Quel rene è mio!
EJ: *porge rene mezzo mangiato*
S: ... Tienitelo, cannibale
I: Senti chi parla
S: Cosa?
I: Cosa?
Tutti: *suono di cicale*
Milù: Meow
G: COSA HO SULLA MIA TESTA?
I: Milù! Ecco dov'eri *la prende e lei inizia a fare le fusa*
Tutti: ...
I: ...
Tutti: ... Non dovevi dire nulla?
I: Oh? Mh... Ah, è vero. Questa bellissima micia che ho preso mercoledì è...
Tutti: NON QUELLO!
I: Oh cazzo, è vero! Allora *coff coff* Visto che ho voglia di torturare un po' i miei poveri coinquilini, volevo chiedervi se vi andava di fare qualche obbligo a tutti quelli che di solito appaiono nel mio angolo, potete scrivermi OVUNQUE: Twitter, Tumblr, recensioni o messaggi privati di EFP. Niente regole né restrizioni, massacrateli pure.
Bellissimo esempio lo da Shirubia (@overdosanime, ciao Shicchan), Levi, prego, indossa questi.
L: ...
I: Chiamo Pupperteer.
L: E chi cazzo...
I: *gli fa leggere la storia*
L: ... *va a cambiarsi e ne esce fuori vestito da principessa con scarpe col tacco, tutte in tinta rosa*
Ti ucciderò.
G, Jeff e LJ: *scoppiano a ridere come dementi*
I: Aspettate che tocchi a voi :)
Tutti: *si pietrificano*



ATTENZIONE: Le parti in corsivo in cui si parla sono parlate in italiano, leggendo capirete.


 

Capitolo 5: Nuove conoscenze, minacce senza senso (forse) e risse.


«Yo, Lentiggini, non sai cos’è successo mentre ero sull’autobus. C’era questa vecchietta che…»
Mi bloccai di scatto, con le parole che mi morivano in gola, quando aprii la porta della stanza di Marco e alzai la testa trovandolo seduto come a suo solito nel letto, con una ragazza dai capelli tinti di un rosso sangue che lo stava abbracciando di slancio, mentre lui le accarezzava i capelli e le sorrideva dolcemente. Alzò la testa e incontrò i miei occhi, arrossendo visibilmente spostando lo sguardo da me a quella che molto probabilmente era la sua ragazza, e io feci dietro front prima che potesse emettere alcun suono, chiudendomi la porta alle spalle sbattendola appoggiandomi poi ad essa con la schiena.
Complimenti Jean, un tempismo perfetto, davvero.
Rientrai poco dopo, trovando la ragazza dai capelli rossi intenta a fissarmi, seduta su un bordo del letto di Marco con le braccia incrociate e lo sguardo serio. Poggiai la busta piena di cibo sull’apposito  tavolino e iniziai a tirare fuori i contenitori pieni di cibo, quando sentii la ragazza parlare in un’altra lingua, la rossa chiese tranquillamente qualcosa che fece iniziare a balbettare Marco, continuavo a sentire lo sguardo della ragazza bruciarmi la nuca, ma feci finta di niente, continuando il mio lavoro.
«J-Jen! Ti ho detto mille volte di non parlare in italiano di qualcosa con me quando ci sono altre persone, Jean non lo capisce come Aurora» e questo li fece iniziare a discutere in quello che grazie a Marco avevo capito fosse italiano. Decisi che era meglio lasciarli soli e mi avviai verso la porta, ma venni bloccato dalla voce di Marco che mi chiedeva dove stessi andando e gli dissi che avrei lasciato a lui e la sua ragazza un po’ di privacy, quando venni interrotto dalla risata della ragazza.
«Oddio, ha detto proprio ragazza, che deficiente, non ce la faccio!»  disse mentre la voce veniva rotta dalle risate.
Marco la sgridò di nuovo facendola ridere ancora di più e anche se non conoscevo il significato di quelle parole italiane, sicuramente non si trattavano di un complimento. Li fissai qualche istante, notando solo in quel momento dei loro tratti simili e che il volto della ragazza era leggermente macchiato da piccole lentiggini. Jen si avvicinò a me e si fermò a poca distanza dal mio viso alzando gli occhi e ghignando, aveva solo qualche centimetro in meno di me, e io rabbrividii mentre mi venne da pensare che quella ragazza aveva lo stesso carattere di Ymir, pensiero che venne confermato quando iniziò a parlare, presentandosi come la sorella di Marco e dicendo di chiamarsi Jenna. Suo fratello la richiamò dicendole di lasciarmi stare, e lei mi scoccò un’ultima occhiata di cui non capii il significato, per poi accontentare il fratello.
«Non sapevo avessi una sorella minore»
Grande genio, lo hai conosciuto solo ieri, coglione.
«Infatti ho un fratello minore, lei è mia sorella maggiore» ridacchio mentre la sorella faceva chioccare la lingua sul palato, seccata dal mio commento.
«Bene, devo proprio andare ora.- disse Jenna, prendendo la borsa da una sedia vicino al letto di Marco e dirigendosi verso la porta quando si fermò come se si fosse dimenticata qualcosa, voltandosi verso Marco. – Ah, e divertiti con il tuo ragazzo» per poi chiudersi la porta alle spalle evitando per poco un cuscino lanciato da suo fratello, rosso d’imbarazzo.
Recuperai il cuscino, nascondendo una risata per ciò che aveva detto sua sorella, e, nonostante non avessi capito cosa avesse detto, aveva imbarazzato a morte il ragazzo che ora era seduto sul proprio letto con le mani a coprirgli il viso. Gli porsi il cuscino e avvicinai il tavolino scorrevole, facendogli togliere finalmente le mani dal volto per osservarmi, mentre gli mimavo di fare spazio spostando le gambe e sedendomi di fronte a lui sul letto.
«Non so tu, ma io ho una gran fame» dissi, aprendo una confezione di zuppa e porgendogliela accennando un sorriso.
 
Le settimane successive furono tutte uguali, andavo all’ospedale e dopo aver salutato Marco dicendogli che sarei tornato tra poco iniziavo il mio giro, e, salvo alcuni anziani ricoverati che chiamavano le infermiere credendo che fossi un ladro o un assassino in cerca di qualcosa nei letti, o peggio, che fossi un tossico scappato dalla clinica, il tempo passò velocemente, e senza che me ne accorgessi passarono più di tre settimane.
 
«Non sembra anche a voi che Eren in questo periodo sia più distratto del solito?»
Sasha era sbucata del nulla alle mie spalle, rubandomi delle patatine dal pacchetto come da suo solito, sputacchiando pezzetti di cibo rispondendo ad Armin che le chiedeva di non parlare con la bocca piena.
«Intendi più stupido? Sì, l’ho notato»
Mikasa mi lanciò un’occhiataccia che feci finta di non notare facendo cenno a Eren, che ci stava cercando con lo sguardo, di venire da noi sulla scala antincendio mandando successivamente un messaggio a Marco chiedendogli cosa volesse mangiare oggi, per poi bloccare il cellulare nascondendo un sorriso che si era formato spontaneamente sul mio viso. Avevo sempre avuto difficoltà a legarmi con gli altri per via della mia personalità, anche con i miei amici, c’era sempre stato qualcosa a dividermi dal resto della gente, come un sottile strato che mi impediva di raggiungerli e toccarli. Con Marco era diverso, in qualche modo sentivo di essere legato a lui, nonostante lo conoscessi da meno di un mese, era come se riuscisse a far sparire quello strato che mi divideva dal resto del mondo. Quando tornai a prestare attenzione ai miei amici notai che Eren era arrivato e stava urlando e gesticolando contro Sasha riguardo a non so che cosa mentre Connie se la rideva di gusto, tenendosi lo stomaco con le mani. Feci vagare lo sguardo notandola minuta figura di Historia contro il muro che si guardava spaurita intorno tenendo la tracolla della sua borsa stretta con entrambe le mani, facendola sembrare un coniglietto spaurito. Mi uscì un mezzo sorriso a quel pensiero e feci per chiamarla quando vidi un gruppetto di ragazzi del club di football circondarla, togliendomi dal volto quel sorriso appena abbozzato facendo comparire al suo posto uno sguardo serio.
«Ragazzi…» provai a chiamarli, senza riuscire ad attirare la loro attenzione.
«Ragazzi! – provai di nuovo alzando il tono di voce, attirando l’attenzione di Eren e Sasha, - Dov’è Ymir?» chiesi con tono preoccupato.
«Oggi non è venuta, Jeanbo,  stava tipo con la febbre a trentanove, perché lo chiedi amico?» parlò Connie.
«Merda… Perché Historia è stata appena circondata da quelli del club di baseball» risposi alzandomi di corsa, seguito a ruota da Eren.
Corremmo in direzione del gruppo di gorilla senza cervello che aveva accerchiato Historia, mentre questi le stavano chiedendo se non le andasse di farsi un giro con loro, per vedere come erano fatti gli spogliatoi, Eren scattò verso uno di loro, chiamandolo e facendolo voltare infastidito per tirargli un pugno sulla mascella che lo fece leggermente barcollare, attirando l’attenzione degli altri quattro, che si fecero rossi di rabbia e provarono a colpire sia me che Eren. Schivai il primo abbassandomi e gli tirai un affondo allo stomaco, facendolo piegare in due, mentre facevo segno a Historia di andarsene, distraendomi e beccandomi un calcio che mi fece perdere l’equilibrio, un altro energumeno iniziò a prendermi a calci, facendomi mancare il respiro, ma Eren riuscì a allontanarlo il tempo necessario per farmi rialzare, evitando il pugno di un altro di loro e tirandogli una gomitata in pieno volto, che lo fece accasciare a terra dal dolore. Il combattimento finì quando il coach della squadra arrivò spedendoci tutti in presidenza, facendoci regalare da Pixis due giorni di sospensione per tutti.
 
«Si può sapere cosa cazzo hai combinato alla faccia?»
Mi ero letteralmente scontrato con la sorella di Marco mentre questa usciva dall’ascensore di corsa, senza guardare dove andava perché troppo concentrata nella ricerca di qualcosa all’interno della sua borsa mentre con l’altra reggeva un caffè, andandomi a finire addosso riuscendo miracolosamente a non gettarmi il liquido bollente addosso, e, dopo aver alzato lo sguardo per vedere che ero io, mi aveva trascinato portato vicino ad un distributore automatico.
Sbuffai dicendo che non era niente di grave e lei mi guardò di sbieco ma non aggiunse nulla, e gliene fui grato, di certo l’ultima cosa che volevo era che mi facesse una paternale, e sinceramente non la volevo neanche da quello stronzo. Jenna tirò fuori dalla sua borsa un pacchetto sul cuoi era stampato il nome Black Devil consumato e con dello scotch a tenerlo unito ma con ancora quasi tutte le sigarette e ne tirò fuori una portandosela alle labbra, tornando a frugare nella borsa in cerca dell’accendino che le offrii io, lei mi ringraziò e la accese, inalando il fumo per poi tornare a fissarmi.
«So cosa pensi, devo essere una sorella maggiore orribile se fumo nonostante mio fratello sia in ospedale per via del cancro» rise amaramente, e notai che la mano le tremava.
«È successo qualcosa?»
Lei rise ancora, la mano tremava sempre di più, cercando di non piangere. Feci per avvicinarmi a lei, ma appena lo notò scattò, afferrandomi per il collo e sbattendomi contro il distributore che tremò nell’urto, avvicinando minacciosa il viso al mio, guardandomi duramente ma con gli occhi lucidi. Avrei potuto tranquillamente liberarmi dalla sua presa, ma non lo feci, aveva solo bisogno di sfogarsi.
«Non osare mai e poi mai far soffrire Marco, è fragile più di quanto sembri in realtà, e tu… - il tono duro e tagliente che aveva usato fino ad ora si era spezzato in un suo singhiozzo mal trattenuto. – Dio, perché proprio tu? Tra tante persone, proprio tu…»
Si allontanò da me come scottata, buttando la sigaretta a terra schiacciandola e sedendosi sulla panchina. Rimasi interdetto da quello che aveva detto, quelle parole erano completamente senza senso per me. Perché mai avrei dovuto farlo soffrire? Restammo in silenzio diversi minuti, finché Jenna non si alzò di scattò, cercando nella sua borsa il cellulare, farfugliando qualcosa in italiano.
«Comunque… Anche se non ho ben capito il senso di quello che hai detto, cioè, volevo dire… È tutto ok?»
La rossa si girò verso di me, guardandomi ancora in cagnesco e dicendo che no, non andava per niente bene, visto che lei sarebbe dovuta andare via tre giorni per lavoro e non voleva lasciare il suo fratellino da solo in un momento del genere. Parlai senza neanche pensarci, proponendomi di stare io con suo fratello, giustificandomi dicendo che tanto ero stato sospeso per due giorni e che saltare un giorno di scuola non sarebbe stato la fine del mondo.
«Era per una buona causa?» chiese dopo qualche secondo che era rimasta a fissarmi.
Risposi che se lei per buona causa intendeva salvare la propria amica da tre gorilla imbottiti di steroidi e con il cervello di un pesce morto allora sì, era stato per una buona causa. Lei rise, questa volta con una risata vera, genuina, dicendo che anche lei odiava quei cazzoni, e mi si avvicinò di nuovo, questa volta con sguardo amichevole, poggiandomi una mano sulla spalla e chiedendomi scusa per come mi aveva trattato poco fa, dicendo che non era colpa mia e io scrollai le spalle in tutta risposta.
«Sono abituato a venire preso per il bullo che ruba i soldi agli sfigati con occhiali e bretelle»
La vidi corrucciare la fronte.
«Non era per quello… Cioè, il tuo aspetto non c’entra nulla, si vede che non sei uno stronzo»
Sbattei più volte le palpebre.
«Oh, e allora per cosa…»
Non potei finire la frase né ricevere una sua risposta poiché il suo cellulare iniziò a suonare, interrompendomi, mentre lei iniziava per l’ennesima volta a parlare in italiano, salutandomi con un cenno della mano e mimandomi con le labbra appena poté che doveva scappare. Ricambiai il saluto e tornai verso l’ospedale, andando dritto verso l’ascensore per fiondarmi fuori diretto verso la stanza 231 non appena le porte si aprirono.
«Ciao Je… Che cosa hai fatto alla faccia?!» strillò allarmato alzandosi da letto per venirmi in contro, afferrandomi ai lati della testa e avvicinando pericolosamente il suo volto al mio, fissandomi attentamente per vedere se mi fossi rotto il naso, finché non si rese conto del poco spazio che ci divideva e si allontanò, arrossendo vistosamente, mentre io mi ritrovai a borbottare che non era niente di grave, rendendomi subito conto che anche le mie guance erano calde.
Ma cosa…
Non ci volle molto che Marco si riprendesse, iniziando a parlare a raffica chiedendomi cosa era successo, se fossi ferito da qualche parte, se mi sentissi bene, insieme a molte altre cose che mi rendevano difficile riuscire a dire due parole di fila, fin quando Marco non prese il cellulare poggiato sul suo letto e, dopo aver scritto un breve messaggio, ordinarmi di spogliarmi.
«Come scusa?»
«Hai sentito bene, togliti quella camicia, altrimenti non posso medicarti le ferite» ripeté improvvisamente serio.
Improvvisamente ci ritrovammo non so come a litigare, mentre Marco cercava in tutti i modi di togliermi la camicia perché diceva che le ferite per rissa non erano da sottovalutare e altre cose simili, mentre io al contrario cercavo in tutti i modi di tenerla chiusa, dicendo che non era nulla di così grave e cose del genere, finché non inciampai in una gamba del letto cadendoci affianco per terra nel tentativo di allontanarmi da Marco che mi finì addosso. La porta si spalancò in quel momento, mentre Aurora, trasportando un carrellino con bende, cerotti e disinfettanti faceva il suo ingresso.
«Marco ho portato il kit…»
Si interruppe quando i suoi occhi si andarono a posarsi su me e Marco, quest’ultimo addosso a me ed io con la camicia mal sbottonata, facendole fare dietro front mentre borbottava ad alta voce che la prossima volta Marco avrebbe potuto specificare che tipo di kit di primo soccorso avesse voluto, mandando il ragazzo in questione in imbarazzo per la seconda volta, alzandosi in un modo talmente buffo da sembrare Bambi, per ricorrere la tirocinante dicendole che aveva capito male la situazione.
Marco tornò dopo una decina di minuti, trovandomi seduto sul suo letto rassegnato senza camicia e si avvicinò trascinandosi dietro il carrellino, per poi salire sul letto e mettersi alle sue spalle, iniziando a disinfettare i tagli che avevo sulla schiena, chiedendomi il significato dei diversi tatuaggi, finché non arrivò alla spalla destra, dove si bloccò di colpo.
«Tutto ok?»
Marco mi fissò con occhi vuoti per qualche secondo, poi scosse la testa e mi sorrise rassicurante.
«Sì, io… uhm… solo un po’ di mal di testa»
«Sicuro?» chiesi ancora una volta, nonostante tutto era pur sempre un paziente del reparto di cancro.
«Tranquillo davvero. - vidi il suo sorriso vacillare per un secondo, ma evitai di fargli troppe pressioni. – Ora fatti disinfettare i tagli sul volto» cambiò discorso quasi subito, premendomi un batuffolo con del disinfettante sul labbro troppo forte, facendomi imprecare.
 
«Spero di non essere finita nei guai per aver preso un kit» ripeté per l’ennesima volta Aurora, facendo ridere Marco, che si scusò e la ringraziò per quella che doveva essere la sesta volta ormai. Era arrivata da poco per dare le pillole per la chemioterapia di Marco, per un tumore che si trovava in qualche organo non essenziale, ed era stato preso in tempo, riuscendo a procedere con via chirurgica, e ora stavano eliminando ogni possibile cellula tumorale con la chemio.
« Marco può uscire mai di qui? Neanche mezza giornata?» chiesi di slancio senza riflettere troppo, fissando il cielo in cui iniziavano a comparire alcune nuvole grigie.
«In teoria potrebbe se accompagnato… Perché?»
«Domani possiamo uscire da qui? Non lo porterò in nessun quartiere malfamato giuro, credo solo che stare qui diventi deprimente dopo un po’» mi voltai, cercando di non pensare al fatto che entro stasera sarebbe piovuto.
Aurora guardò qualche secondo Marco, indecisa, ed alla fine annuì sospirando, mentre il volto di Marco si illuminava.
«Jen mi ucciderà» gemette, per poi uscire per riportare il kit al proprio posto.
«Jean?»
«Mh?»
«Grazie»







 


Angolo deliri

I: *schiva pomodori con eleganza*
L: Sì, di un elefante che ha visto un topo.
I: Fottiti, principessa. Anzi, se vuoi chiamo Eren che...
G: DOVE SEI?! FATTI VEDERE SE HAI IL CORAGGIO!
I: Oh-oh
L: Vendetta
G: *spalanca la porta, la resurrection attivata*
I: GATTONEEE *cerca di prendergli la coda*
G: *la afferra con una mano artigliata* Dimmi. Un solo. Fottutissimo. Motivo. Per cui non dovrei ucciderti.
I: Perché... ehm... sono tua moglie?
G: *ringhia*
I: NON HO COSE ZOZZE VOSTRE SUL CELLULARE GIURO
G: *la lascia e se ne va dicendo che ha bisogno di tanto alcol, fanculo le padellate*
Ticcy Toby: Che è su-successo?
I: Vedo una luce...
EJ: Quella è la lampada della tua stanza *tira fuori in rene e inizia a masticarlo*
I: ... Non voglio sapere. Anyway, sono sopravvissuta. Mi scuso per il capitolo un po' gne, è anche di passaggio ma - VAFFANCULO UN GUFO HA SBATTUTO CONTRO LA MIA FINESTRA IO STAVO PER INFARTARE
S: *la schiaffeggia* torna in te
I: *si calma* Bene, allora, incominciamo.
Un bacio grandissimo a tutte le persone che mi hanno recensito dall'inizio - no, non sto assolutamente parlando di te JesD, no no- e a tutte le bellissime persone che mettono questa storia nei preferiti/ricordati/seguiti. Mi dispiace se non riesco a rispondervi ma davvero sto impazzendo per cose su scuola che non vi sto a raccontare, comunque ripeto ancora grazie perché mi scrivete su twitter, o quando vi trovo nei gruppi in cui entro ed è davvero bellissimo, mi fate sentire brava in quello che faccio, e mi rende davvero felicissima vedere che ridete a mie battute in questi angoli. Quando sono arrivata a sette recensioni nell'ultimo capitolo stavo per urlare giuro. Siete fantastiche, davvero.
L: *battito di mani ironico* che cosa melensa. Finiamola ora, così posso togliermi questo coso e andare a uccidere quella che mi ha obbligato a farlo.
Jeff: Posso venire con te?
I: Non vi conviene, rischia di stuprare ad entrambi.
LJ: Nooo, l'unico ce può stuprare Jeffrey sono io, kukuhuhuhu
Tutti: O.O
I: Scoperte inquietanti.
L: CHIUDIAMO QUESTA COSA
S: Ah, ma comunque, che è preso al Gattopuffo?
I: Avrà trovato la mia cartella GrimmIchi...
L: QUALCUNO CHE MI ASCOLTI CAZZO NO, EH?
Tutti gli altri: Ma non era Ichigo-sessuale?
I: VOI MI CAPITEEE
L: FANCULO *si strappa il vestito e lancia le scarpe*
Eren: *nosebleed*
Tutti: *scoppiamo a ridere*
I: STAAHHAHHAHAHAHHA INDOSSA DAVVERHAHAHAAHH LE MUTANDINE HAHAHAHAHAAHHA
L: *impugna pugnali*
...
*beep* Il servizio è momentaneamente assente, si prega di riprovare più tardi.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6: Possibili rivali in amore e pestaggi. ***


Angolo deliri

I: *si fa scudo con Grimmjow*
G: MA CHE CAZZ-?
I: VI GIURO CHE NON
 È STATA COLPA MIA. PRENDETEVELA CON LE OTTANTA PAGINE DI FILOSOFIA. E COI COMPITI IN CLASSE. E LE INTERROGAZIONI. INSOMMA CON LA SCUOLA.
L: Ma perché sei dovuta tornare?
I: Zitto, non vedi che mi amano? *si atteggia*
L: Tsk, seh.
I: ... *scoppia a piangere* Ulqui-chaaaaan, Levi mi bullizza.
Ulquiorra: Spunta dal nulla con una barretta di cioccolato e gliela ficca in bocca.
I: *faccia da criceto obeso* BUOFO ;w;
G: O.O DA QUANDO QUARTA SI TROVA QUA?
I: *faccia perplessa* Da sempre, perché?
Tutti: WTF?
I: Non l'avete mai visto? Per tutto il tempo ha dormito appeso al soffitto.
Tutti: -.-
U: Se non necessitate più dei miei servigi, io andrei.
I: *lo saluta con aria sognante*
S: ... Possiamo andare avanti?
I: Ah? Eh? Ah, sì certo. *coff coff* Allora, prima di tutto sappiate che se ci sono errori nel corso della storia - oh se ce ne sono - sappiate che li correggerò una volta finita la fanfic, anche se probabilmente li porterò con me nella tomba ma DETTAGLI. I più volevo dirvi tante belle cose per cui probabilmente vorrete uccedermi ma diciamole lo stesso: sto traducendo la storia di una ragazza che si chiama "Who needs Super "Heroes"?" ed è bella bella, anche che se è una JeaEreMarco (un nome meno complicato per un threesome no eh-)
J: Io e lo stronzetto?! Stai scherzando vero?!
I: ... *gli mette una mano in  faccia e lo spinge via* Stavo dicendo, poi durante i momenti di studio mi sono venute in mente DUE STORIE di cui una Ereri e una HideKane entrambe che più AU non si può, in più ho finalmente trovato una buona trama per il continuo della mia one shot HideKane (che si trova da tempo immemore sul mio profilo, quindi se vi piacciono LEGGETELA SE MI AMATE) e sarà ambientata in :re, ergo nel sequel del manga eeee basta. Non credo di essermi dimenticata nulla.
L: ALLELUJA.
I: Vaffanculo.




 

Capitolo 6: Possibili rivali in amore e pestaggi.


Quasi inciampai infilandomi i pantaloni quando sentii bussare alla porta del bagno. Ero rimasto dentro la doccia per più di cinque minuti, cercando di spegnere i bollenti spiriti dovuti alla fin troppo ravvicinata presenza nell’ultimo periodo di Levi, finendo per ripensare alla prima volta in cui l’avevo visto, quando era entrato nel bar dove lavoravo circa un anno fa. Hannes era uscito, affidandomi il negozio, anche se ormai, essendo quasi le undici di sera, era praticamente vuoto, fatta eccezione per uno studente troppo impegnato a scrivere qualcosa sul suo portatile per notare l’esistenza della tazza di caffè che aveva poggiatagli a lato, che nel frattempo si stava freddando. Avevo sboccato il cellulare mettendomi a giocare a Temple Run, arrivando fino al terzo checkpoint senza mai rallentare, quando il campanello posizionato sulla porta che segnava l’arrivo di un nuovo cliente suonò, facendomi imprecare mentalmente mentre osservavo il mio personaggio morire cadendo nel vuoto, e, dopo aver alzato lo sguardo verso il nuovo cliente, gli avevo rivolto il solito saluto, dandogli il benvenuto e chiedendogli cosa volesse. Appena l’uomo, con addosso una divisa da poliziotto, aveva alzato gli occhi puntandoli nella mia direzione mi aveva lasciato completamente senza fiato. Le iridi ghiaccio si erano posate su di me solo per un attimo, andandosi in seguito a concentrare sul menù posizionato affianco alla mia postazione, per poi ordinare un thè caldo, e la sua voce mi fece tremare le gambe. Cercai di ricompormi, tentando un sorriso, per poi invitarlo ad accomodarsi su un tavolino mettendomi nel frattempo al lavoro per preparargli un thè nero, cercando di concentrarmi su quello che stavo facendo, per poi portargli la tazza al tavolo. Lui la fissò qualche secondo e alzò lo sguardo verso di me.
«Chi ti ha detto che lo volevo nero?» chiese impassibile.
Sbattei più volte le palpebre, rendendomi conto che non aveva mai specificato di che tipo lo volesse, e feci per scusarmi e riprendere la tazza quando lui l’afferrò.
«Non ho detto che hai sbagliato» per poi soffiarci sopra e berne un sorso.
«Moccioso, apri questa dannata porta prima che la sfondi con un calcio»
Mi riscossi sentendo la voce di Levi e correndo ad aprire, trovandolo davanti ad essa a braccia incrociate.
«Ha intenzione di lasciarmi con solo un asciugamano finché i miei vestiti non si saranno asciugati o sua maestà ha intenzione di darmi qualcosa con cui coprirmi?»
Strabuzzai gli occhi quando mi resi conto di non aver neanche pensato al fatto dei vestiti, e mi precipitai subito nella mia stanza per prestargli qualcosa di mio, trovando in fondo all’armadio un maglione e un paio di boxer puliti, porgendoglieli per poi tornare in bagno per asciugarmi i capelli, seguito da Levi, che entrò in bagno con me.
«Se credi che io mi cambi in quel porcile che tu definisci stanza ti sbagli di grosso» disse semplicemente Levi con lo sguardo freddo che lo contraddistingueva prima di darmi le spalle, per poi portarsi le mani all’asciugamano per toglierselo. Girai la testa di scatto, con le guance che stavano letteralmente andando a fuoco quando mi resi conto di trovarmi davanti un fottutissimo specchio.
Merda.
Rimasi lì, incapace di muovermi, a osservare il corpo della persona per cui mi ero preso una dannatissima cotta, nudo, mentre si stava infilando i miei boxer. Seguii il movimento del pezzo di stoffa tramite lo specchio, incapace di muovere un muscolo, per poi osservare ipnotizzato il movimento dei muscoli della sua schiena, finché non furono coperti dal mio maglione. Si girò, e io mi coprii il volto con un asciugamano, facendo finta di frizionarmi i capelli, spaventato che potesse notare il rossore sulle mie guance o peggio, che potesse capire che quel rossore era dovuto a lui. Fortunatamente per me sembrò non accorgersene, e quando uscì dal bagno appoggiai i palmi sul marmo del lavandino, prendendo un respiro profondo cercando di calmarmi, per poi uscire e, non trovando Levi in soggiorno, dirigermi in cucina, trovandolo indaffarato a cercare qualcosa tra le mensole. Soffocai una risata a vederlo alzarsi in punta di piedi pur di raggiungere i ripiani più alti.
«Fa come se fossi a casa tua, eh» dissi appoggiandomi allo stipite della porta, accennandogli un sorriso.
Lui si girò verso di me, sbuffando e smettendo di cercare tra le mensole fece per andare in soggiorno quando si fermò.
«Il tuo tatuaggio, quello tra le scapole…»
«Ah, è solo una cosa che avevo disegnato io, non so neanche da dove mi sia venuta l’idea in realtà» risposi arrossendo.
Levi mi fissò ancora qualche secondo, per poi allontanarsi, chiedendomi di fargli una tazza di thè.
 
Era passato quasi un mese da quella sera, e il mio rapporto con Levi alla fin dei conti non era mutato di una virgola. Quella serata, conclusasi con lui che era tornato a casa dopo che il tempo si era rasserenato e i suoi vestiti, messi nell’asciugatrice, avevano finito il loro ciclo ed erano usciti da essa asciutti, era stata solo una parantesi di cui alla fine non si era più parlato. Avevo continuato a portare i caffè a Levi ogni pomeriggio, per poi andare nella solita libreria, seguito diverse volte da Levi che staccava poco dopo dal suo turno – salvo quando faceva i turni notturni – e poi andarmene a casa, con la mente che riusciva a pensare solo a Levi, Levi, Levi. Sospirai, per l’ennesima volta nell’arco di quella giornata, tirando un calcio ad una lattina schiacciata e buttata sul marciapiede. Dopo la rissa con quelli del club di football e la sospensione del preside, mentre Faccia Di Cavallo si era dileguato io avevo dovuto subire le minacce di quegli scimmioni per più di tre minuti. Svoltai l’angolo alzando lo sguardo, giusto in tempo per andare a sbattere contro qualcuno, imprecando per il dolore al naso, che aveva smesso da poco di sanguinare.
«Scusami, non volevo» si scusò lui, con tono dispiaciuto.
Alzai gli occhi, trovandomi di fronte ad un uomo alto quasi due metri con gli occhi azzurri, tratti tedeschi e una divisa da poliziotto che mi sorrideva, chiedendomi se stavo bene dopo aver notato come ero ridotto.
«Erwin, ti decidi a muovere il culo o vuoi che inizi a farti muovere io a calci in culo?»
Rabbrividii quando sentii una voce che avevo imparato a conoscere più che bene provenire dalle spalle dell’uomo, mentre questo si girava per dire male al suo collega, ricordandogli che erano in servizio e che doveva usare toni più garbati che lui fece finta di ascoltare per poi ripetergli di muovere per favore il culo, facendo per sorpassarlo ma bloccandosi a metà strada quando i nostri occhi si incrociarono.
«Oh, c’è il moccioso» disse semplicemente.
L’uomo che poco prima Levi aveva chiamato Erwin gli mise una mano sulla spalla, chiedendogli se mi conoscesse, e iniziando una discussione da cui mi estraniai, poiché la mia attenzione venne completamente attirata da quella mano.
Perché non la scacci?
Mi riscossi solo quando sentii il mio nome, alzando lo sguardo verso i due poliziotti spaesato, vedendoli allontanarsi mentre il più alto mi salutava con uno un sorriso stampato in volto dicendomi che era stato un piacere conoscermi. Restai immobile a fissare il vuoto ancora qualche secondo, prima di riscuotermi e tornare sui miei passi, ripensando a con quanta facilità Erwin avesse toccato Levi poco prima, senza battere ciglio. Cosa c’era tra quei due? Erano davvero solo colleghi? Arrivai davanti la porta del mio appartamento immerso nei pensieri, e sospirai appoggiando la testa contro di essa, rilassando le spalle.
«Eren?»
Mi voltai, trovandomi Mikasa di fronte, la sciarpa che le avevo regalato anni fa come sempre intorno al collo.
«E tu che ci fai qui?»
Lei inclinò leggermente la testa, continuando a fissarmi negli occhi.
«Sei stato sospeso» disse semplicemente, come se questo giustificasse il perché si trovasse lì.
Sospirai, dicendo che stavo bene, e entrai nel mio appartamento più velocemente possibile, ignorando i suoi tentativi di farmi raccontare cosa era successo ricordandomi che fossi il suo fratellastro. Volevo bene a Mikasa, ma a volte era davvero troppo apprensiva nei miei confronti e io non me avevo assolutamente bisogno, come quando aveva cercato di insistere con nostro padre affinché non la facesse andare nel dormitorio femminile perché altrimenti sarei rimasto solo. Per fortuna nostro padre non le aveva dato retta fino in fondo, poiché voleva che entrambi avessimo i nostri spazi, per cui riuscì a trovare un compromesso, trovandole come coinquiline Sasha e Annie, pagando per lei un piccolo appartamento a più o meno un isolato di distanza dal mio. Dopo diversi tentativi e lamentele ero riuscito a far andare via Mikasa, dicendole che ero stanco – grandissima balla, che però era servita a levarmela di torno, e, dopo essermi messo dei vestiti comodi essermi allungato sul divano con Macchia acciambellato sullo stomaco avevo impugnato il telecomando e avevo acceso la tv, facendo zapping fino a trovare delle vecchie repliche di How I Met Your Mother, passando il resto della serata così, cercando inutilmente di non pensare a quell’Erwin incontrato oggi e del tipo di relazione che c’era tra lui e Levi. Grattai il mento del mio gatto, che mi guardava preoccupato, socchiudendo gli occhi e cadendo quasi subito tra le braccia di Morfeo.
 
Mi svegliai alle prime luci dell’alba, il freddo del primo mattino che mi aveva fatto venire la pelle d’oca per tutto il corpo, e mi alzai controvoglia dal divano, sentendo una stilettata di dolore al collo nell’eseguire il movimento, imprecando sotto voce per poi dirigermi verso il bagno, sperando che una doccia calda mi avrebbe disteso un po’ i nervi.
«Ecco a te, Eren. Questo lo offre la casa» disse la moglie di Hannes poggiandomi di fianco al caffè espresso che avevo ordinato una fetta di torta.
La ringraziai accennandole un sorriso e riportai l’attenzione sul mio sketch book, ricalcando una linea sullo schizzo della mano, mordendo l’estremità della matita per cercare di capire cosa mancasse al disegno. Da quel fatidico giorno dell’acquazzone avevo usato ogni attimo libero a perfezionare i miei schizzi, rendendo più precisa la linea dei suoi occhi e più marcata quella sua bocca, arrivando ad un punto tale di essere in grado di disegnarlo anche ad occhi chiusi, ma nonostante questo sentivo che mancava sempre qualcosa. Giocai col piercing al labbro, spostando l’attenzione fuori dalla finestra e facendo vagare lo sguardo, finché non incontrai quello dei gorilla di ieri, che mi fissarono senza battere ciglio, e decisi di far finta di nulla, tornando con gli occhi sul tavolo, puntandogli sulla mia colazione e prendendo tra le mani la tazza, soffiandoci sopra prima di berne un sorso, quando il campanello attaccato alla porta d’ingresso suonò.
«Jaeger, da quanto tempo»
Alzai la testa, trovandomi il capitano della squadra di football, Tim, di fronte a me, intento a squadrarmi con un ghigno rabbioso stampato in volto.
«È sempre un piacere vedere la faccia di quelli come te, soprattutto se con un occhio nero lasciato da me come ricordo»
Lui ringhiò di risposta, sbattendo una mano sul tavolo e afferrando il colletto della mia maglia con l’altra e strattonandomi.
«Ehi! – ci interruppe il vecchio – Niente risse qui, andate fuori, o volete che chiami la polizia?»
Il capitano mi lanciò un’altra occhiataccia, ma mi lasciò andare quando uno dei suoi amichetti lo richiamò, dicendogli che era meglio andarsene, mettendogli una mano sulla spalla e portandolo fuori, seguito a ruota dall’altro. Evitai lo sguardo dei signori Hannes, concentrandomi nella fetta di torta e rompendola con la forchetta che vi era stata poggiata affianco, rompendo la fetta e mangiandola.
Uscii dal bar circa un’ora dopo, ignorando le domande rivolte dai proprietari come il perché non fossi andato a scuola e perché quei tre mi avessero minacciato, fingendomi attento ai consigli della moglie di Hannes che mi diceva di stare attento, prendendo prima di uscire il solito caffè per Levi, contenuto nel solito bicchiere di carta, cercando di non ustionarmi la mano, quando delle mani mi afferrarono trascinandomi in un vicolo e facendomi sbattere con forza la schiena contro il muro ingiallito di un palazzo, facendomi cadere di mano il bicchiere.
«Pensavi davvero che avessi lasciato correre, frocetto?»
«Avrei Tim, avrei. Cristo almeno impara un po’ la grammatica p…»
Un pugno assestato alla bocca dello stomaco mi fece boccheggiare, impedendomi di finire la frase e facendomi piegare dal dolore, anche se non passò molto che il capitano mi afferrò i capelli, tirandoli per costringermi ad alzare la testa. Rimasi a fissarlo alcuni secondi prima di dirgli di andare a farsi fottere, ricevendo in cambio un pugno alla mascella che mi fece cadere a terra, e, quando provai ad alzarmi, una serie di calci.
«Magari fotto te, che ne dici Jaeger?» chiese afferrandomi per il mento, e io in tutta risposta gli sputai addosso.
Si pulì dalla mia saliva con la mano libera, per poi stringermi l’altra al collo e sbattermi la testa contro il muro, provocandomi una scarica di dolore per tutto il corpo. Mi accasciai a terra e portai la testa tra le mani cercando di far passare il dolore lancinante, sentendo a malapena i tre ridere di me, prima che ricominciassero a picchiarmi. Voltai la testa verso la strada appena in tempo per notare una figura affacciarsi per vedere cosa stesse accadendo, gridando in seguito “polizia”, facendoli scappare spaventati. L’uomo li rincorse per pochissimo, ringhiando poi un’imprecazione prima di abbassarsi per vedere come stessi.
«Ce la fai ad alzarti?»
Feci una specie di risata che si tramutò in tosse per il dolore lancinante alle costole prima di rispondere.
«Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto»
«Eren?»
Alzai gli occhi, incontrando quelli di Levi che mi guardavano con… preoccupazione? Era davvero preoccupazione quella che leggevo nei suoi occhi?
«Levi…» sussurrai con un filo di voce.
Lui non aggiunse altro e mi aiutò ad alzarmi, per poi portarsi un mio braccio intorno alle spalle e sostenendomi con il suo dietro la mia schiena. Provai a chiedergli che cosa stesse facendo, ma lui iniziò a muoversi, trascinandomi con lui, senza battere ciglio.
«Ti porto a casa mia, sei ridotto da schifo» furono le uniche parole che pronunciò, dopo diversi minuti di silenzio nei quali ci eravamo allontanati dalla strada principale, prima che svenissi.







 


Angolo deliri

I: Eccoci alla fine del capitolo!
S: Sul serio, non potremmo saltare questa cosa una volta tanto?
L: Sono con quello con l'ammesia.
I: No :)
Tutti: Uccideteci.
I: Love you. Tornando a noi, questo capitolo fa schifo bla bla bla, la sapete la storia, ma questo è davvero ew, sul serio, credo che i capitoli Ereri siano quelli che mi diano più problemi in assoluto... Ah e vi amo sempre di più per le recensioni che continuate a lasciarmi (ciao Jes), siete fantastiche, mi fate felice giuro, e mi fanno anche ridere a volte, quindi grazie e continuate a lasciarli, sembra una cosa da poco ma ci tengo davvero. Comunque ho fatto richiesta di cambiare nome qui, questo che ho è troppo brutto, e l'altro mi rappresenta di più.
G: PazzaSclerotica non era stato già preso?
I: ... *impugna padella*
G: *scappa*
I: *gliela lancia peccandolo dritto in testa*
Stavo anche pensando di crearmi un profilo Facebook così aggiungo anche JesD che ora oltre che nelle recensioni mi scrive anche sul mio profilo (ti amo, sorry per gli incubi :)... NON UCCIDERMI DAI). Ditemi che ne pensate e se vi va ok?
...
LJ: Ma è morta? Hehehe.
J: Shh, altrimenti faccio Go to sleep anche a te.
LJ: Lo sapevo che mi amavi anche tu, Jeff. Hehehe.
I: *guarda il vuoto scioccata* A parte essere triste perché nessuna mi ha dato qualche idea per torturarvi, non ho niente da dire.
S: O.o
G: O.o
Genitori: O.o
Mondo: O.o
Universo: O.o
Io: *scoppia a piangere* Ora mi dileguo, ci si vede appena avrò tempo, ricordatevi che se volete scrivermi trovate tutti i miei contatti in bio, e che vi adoro tanto. Ora vado a tatuarmi nel cervello i due principali farmaci usati nella chemioterapia e no, non faccio medicina, ho solo una prof fissata. Ci si vede al capitolo JeanMarco, anche se forse posterò prima il primo capitolo della fanfic tradotta... Vabbe, ci si vede.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7: Primi appuntamenti e memorie del passato. ***


Angolo deliri

*parte la colonna sonora di Mission Impossible*
*entra nella stanza strisciando per evitare i suoi, rotola su un fianco evitando i libri di scuola sparsi su tutta la stanza, si nasconde sotto la scrivania per aspettare che il WiFi si accenda, accende il pc*
I: CE L'HO FATTA
G: Sei ancora viva?
I: Cazzo sì, per poco
L: Peccato
I: Fanculo.
Vi giuro non so come abbia fatto a sopravvivere, ma l'importante è che ce l'ho fatta, certo mi manca ancora un'interrogazione di filosofia, e poi ricomincia anche il giro di interrogazioni e compiti, e oH MIO DIO UCCIDETEMI-
L: *la schiaffeggia* Riprenditi e finiamola con questa merda.
I: *si massaggia le guance doloranti*  MA MA MA-
OK LA SMETTO.
Tra parentesi sono stata anche demotivata dallo schifo dell'altro capitolo, si vede che non vi è piaciuto, scusatemiii. Con questo qui spero di farmi perdonare.
Boh scusatemi ma sono stanchissima e ci manca poco che inizio a vedere unicorni arcobaleno quindi vi lascio al capitolo JeanMarco, le cose iniziano a farsi interessanti eheheh.

 





 

 

Capitolo 7: Primi appuntamenti e memorie del passato.


Non era andata come mi aspettavo.
Sinceramente non avevo previsto che sarei potuto ritrovarmi nel bagno della stanza di Marco, a reggergli la testa mentre quest’ultimo stava vomitando da più di dieci minuti. Lo aiutai a rialzarsi, non appena mi fece cenno di aver finito, porgendogli subito dopo un asciugamano per pulirsi il viso.
«Va meglio?»
Marco gemette contro il pezzo di stoffa, senza riuscire a guardarmi negli occhi per il troppo imbarazzo, annuendo.
«Mi dispiace tu abbia visto, di solito la mattina c’è Jen qui con me…» si scusò, dopo essersi tolto l’asciugamano da davanti al volto, mantenendo comunque ancora lo sguardo basso.
Scossi la testa, dicendo che non doveva vergognarsi per qualcosa del genere, e anche che avevo visto Eren anche peggio di lui una mattina dopo una festa, riuscendo a farlo anche ridere, per poi chiedergli se volesse rimandare la nostra fuga da questa specie di prigione, ma lui scosse la testa gridando un no, rendendosi conto un secondo dopo di ciò che aveva fatto, cercando di rimediare.
«Cioè, non è che ti voglia obbligare, insomma succede sempre, davvero non c’è motivo di preoccuparsi… I-Io…»
 Scoppiai a ridere vedendolo gesticolare e arrossire sempre di più mentre parlava, interrompendo definitivamente il suo sproloquio, per poi dirgli che avevo capito e che lo avrei aspettato fuori, urlandogli di sbrigarsi. Mi allungai sul suo letto come se nulla fosse, decidendo di dare un’occhiata al mio telefono che non aveva messo di riempirmi di notifiche da quando l’avevo acceso questa mattina. Diedi una rapida occhiata agli snapchat di Sasha, ridendo per le smorfie sue e di Connie nelle foto che si erano fatti ieri in quella che sembrava la stanza di Connie, leggendo sotto i messaggi che recitavano più o meno tutti il fatto che si stavano divertendo un mondo senza di me e che stavano giocando a quelli che erano i miei videogame preferiti, cercando di farmi rimpiangere il fatto di aver fatto, citando Sasha, “il noioso che preferisce passare tutta la giornata con un malato piuttosto che coi suoi migliori amici”. Risi, lanciando una breve occhiata alla porta dietro cui si trovava Marco, prima di continuare a scorrere tra le immagini. Sì, avevo parlato a quei due di Marco, ma solo perché ero stato costretto a farlo, quella ragazza sarebbe stata capace di costringere un gatto ad entrare in una vasca piena d’acqua se avesse voluto, a volte mi faceva paura per questo, oltre che per il suo appetito insaziabile. Il cellulare vibrò due volte, avvisandomi di due nuovi messaggi non letti.
Da: Sash
Sei col bel ragazzo?
Immagino di sì visto che non sei a casa visto che ti ho chiamato un secondo fa, bene, salutamelo ;)
Alzai gli occhi al cielo, sbloccando nuovamente lo schermo del cellulare, puntandoli verso la porta nel momento esatto in cui il diretto interessato uscì dal bagno, con addosso solo un paio di boxer neri.
Oh porca puttana…
Restai a fissare il corpo slanciato di Marco senza neanche accorgermene, perdendomi nelle linee degli addominali ben accennati e della v interrotta dall'elastico dei boxer.
«Jean, è tutto ok?»
Mi riscossi solo quando sentii la sua voce, scuotendo la testa e dicendo che mi ero semplicemente imbambolato, lui annuì sorridendomi e mi venne incontro e si piegò verso il comodino al lato opposto del letto dove mi trovavo io per prendere i propri vestiti.
Jean, qualunque cosa succeda smettila di osservarlo e soprattutto non guardargli il culo.
Continuai a ripetermi questa frase nella testa finché Marco non mi chiamò di nuovo, annunciandomi che era pronto e che potevamo andare quando volevo, facendomi sorridere quando notai dall’espressione che aveva quanto fosse felice di poter lasciare finalmente questa stanza per mezza giornata, senza doversi preoccupare di tornare per il giro delle infermiere.
Dopo aver passato un’ora a discutere con Aurora e Jenna ieri ero riuscito a farmi dare l’autorizzazione per poter uscire da quell'edificio che puzzava fin troppo di disinfettante con Marco, a patto che lo riportarsi per le tre in ospedale.
«Ciao Ro, ci vediamo più tardi» urlò Marco passando di fianco ad Aurora, attirando l’attenzione di molti sguardi che si posarono prima su di lui, e di conseguenza poi su di me, visto che in quel momento stavo venendo trascinato per un braccio fuori dall'edificio.
Lo fermai una volta usciti dall'ospedale, chiedendogli dove avesse intenzione di andare a piedi, tirando fuori dalla tasca dei jeans un mazzo di chiavi e facendoglielo tintinnare davanti agli occhi, e lui sorrise imbarazzato, chiedendomi scusa, facendomi ridere ancora mentre gli facevo cenno di entrare in macchina.
Eravamo seduti uno di fronte all'altro in uno Starbucks in centro da più di mezz'ora, ridendo e scherzando. Mi alzai per andare a prendere le nostre ordinazioni, e quando tornai porsi a Marco la sua tazza, ridendo sotto i baffi e chiamandolo “rubacuori” dopo aver notato la serie di numeri scritti col pennarello nero sotto al suo nome, seguita da una serie di x e o. Lo vidi avvampare, facendo quasi scomparire le lentiggini sotto quel rossore, prima di borbottare qualcosa di incomprensibile, tirandomi un calcio da sotto al tavolo e facendomi quasi andare di traverso il cappuccino.
«Sei sicuro di stare bene?» chiesi, interrompendolo mentre mi stava raccontando di quella volta che suo fratello minore aveva riportato a casa una talpa, trovata mentre si trovava in campagna con dei suoi amici, chiedendo ai suoi di tenerla.
Lui annuì, forse fin troppo energicamente per essere credibile, mettendosi meglio a sedere. Lo osservai in silenzio, notando come stesse cercando di non contrarre il viso in una smorfia.
«Marco…» insistetti.
Si morse il labbro, abbassando lo sguardo verso la tazza dello Starbucks per iniziare a giocare con la carta completamente inutile che in teoria serviva per reggerla senza scottarsi e si mise a martoriarsi il labbro, cosa che mi fece temporaneamente perdere la concentrazione mentre borbottava che forse aveva solo un po’ di mal di testa.
«Forse sarebbe meglio se…»
«No!»
Quasi urlò, attirando l’attenzione di diverse persone, e si strinse delle spalle, continuando a fissarmi con quegli occhi da cucciolo spaurito. Sospirai, pensando che quelle due mi avrebbero ucciso se mai lo avessero scoperto e mi alzai, facendogli segno di muoversi, tirando fuori dalla tasca le chiavi e aprendogli la portiera rassicurandolo sul fatto che non lo avrei riportato in ospedale, almeno per ora. Entrammo in macchina e misi in moto, distogliendo di tanto in tanto lo sguardo dalla strada per posarlo su di lui, intendo a fare qualcosa sul suo cellulare.
«Vuoi collegarlo?» chiesi senza neanche pensarci.
Lui si girò mentre io riportai lo sguardo sulla strada.
«Credo che la mia macchina possa collegarsi con gli iPhone, se vuoi puoi mettere qualcosa, io ho un Samsung quindi non l'ho mai usato, e i miei amici hanno dei gusti musicali orribili. - dissi tranquillo alzando le spalle - Dai, così scopro anche che gusti musicali hai» aggiunsi, vedendolo leggermente titubante.
Si fece scappare una risata, prima di affermare che molto probabilmente i suoi gusti musicali non mi sarebbero piaciuti, ma alzai le spalle, rispondendogli che ero aperto a qualunque genere, e che al massimo lo avrei istruito io.
«Però niente My Chemical Romance» aggiunsi con una smorfia, facendolo ridere ancora.
«Niente MCR, capito» annuì lui.
Aprì lo sportellino e collegò il suo cellulare, iniziando a cercare una traccia, cliccandoci infine sopra.
Le prime note riempirono la macchina, mentre Marco si lasciava andare sullo schienale, iniziando a intonare le prime parole; lo guardai, alternando il suo profilo alla strada, mentre con gli occhi chiusi si perdeva nella canzone.
«Come si chiama la cantante?» chiesi dopo meno di un minuto, incuriosito. In fondo quella canzone non era male.
«Halsey. L'ho conosciuta grazie a mia sorella, in realtà buona parte della musica che conosco me l'ha fatta conoscere lei»
In quel momento partì la seconda parte della canzone.
You're a "Rolling Stone" boy
"Never sleep alone" boy
"Got a million numbers
And they're filling up your phone", boy.
I'm off the deep end, sleeping
All night through the weekend.
Saying that I love him but
I know I'm gonna leave him.
Pensai a quante ragazze potesse aver avuto Marco, cancellando immediatamente quel pensiero dalla mia mente, insieme al senso di gelosia che lo aveva accompagnato, dicendomi che non potevo essere geloso, di Marco per giunta.
«Tu sei mai stato con qualcuno?» chiese lui, intento a tenere lo sguardo basso verso le sue mani, dando voce ai miei pensieri. Sforzai di ricordare, chiedendomi se il periodo con Michelle potesse essere considerato una "relazione".
«Niente di importante, sono stato in un certo senso con una ragazza, e poi c'è stato un anno in cui ho avuto quella cotta per Mikasa, ma nulla di che davvero»
«Mikasa? - chiese lui, schiarendosi poi la voce. - Sì insomma, è un nome insolito»
«È la sorella adottiva di un mio amico. Comunque non c'è mai stato niente tra di noi, credo abbia una specie di complesso per il fratello»
Lui annuì e si voltò, mettendosi a guardare fuori dal finestrino il paesaggio.
«E tu?» provai a chiedere, fingendomi poco interessato.
«Sono stato con un paio di persone, niente di che»
«Persone?» chiesi, gli occhi fissi sulla strada, alzando un sopracciglio.
Lo sentii ridere.
«Sono gay, Jean» disse con tranquillità, mentre io per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.
Gli lanciai un'occhiata, trovandolo a fissarmi divertito per la mia reazione.
«Oh, ok, figo» balbettai.
Sul serio? Non avevo nulla di più intelligente da dire?
Quasi mi schiaffeggiai mentalmente per quella risposta, cercando di rimediare dicendo che avevo due amiche che stavano insieme, che quindi la cosa non mi dava fastidio, e lui scoppiò di nuovo a ridere, dicendomi di calmarmi.
Risi anch'io e gli diedi dello stronzo, soffocato dalla sua voce che si era alzata un po’ mentre cantava in una tacita richiesta di zittirmi, cosa che feci per poco, rilassandomi con la voce di Marco che sovrastava quella della cantante.
«Menomale che ti stavi sentendo male» risi, osservando il suo volto rilassato in un sorriso, la fronte appoggiata contro il finestrino.
«Non mi stavo sentendo male, e comunque la musica mi rilassa»
Annuii anche se non mi vide, e rimasi in silenzio per il resto del tragitto, ascoltando la voce di Marco che sovrastava quella del cantante, aggiungermi a lui nei ritornelli.
Arrivai davanti il palazzo dove abitavo e dopo aver trovato parcheggio spensi il motore, facendo aprire gli occhi a Marco, che si guardò intorno perplesso, chiedendomi dove fossimo, ma io non risposi e andai ad aprirgli la portiera, facendogli cenno di scendere e seguirmi, cosa che fece senza problemi, smettendo di fare domande.
Scossi la testa e chiamai l'ascensore, appoggiandomi poi al muro di lato ad esso, mettendomi poi a fissarlo.
«Ti fidi davvero troppo delle persone, tu»
Lui alzò le spalle, sorridendomi e facendomi perdere un battito.
«Mi fido di te»
 
Appena entrati nel mio appartamento Marco si era sentito un po' male, così gli avevo detto di andarsi a stendere sul mio letto - di cui gli avevo indicato la stanza - e di chiudere gli occhi, andando poi ad appoggiare le giacche sul piccolo appendiabiti inchiodato alla parete.
Quando lo raggiunsi lo trovai intento a guardare la mia collezione di cd, corrucciando la fronte leggendo alcuni titoli che probabilmente non conosceva, facendomi sorridere, fin quando non arrivò a sfiorare con le dita una foto, quella foto.
«Io coi miei, quando potevamo considerarci ancora una famiglia» parlai, facendolo quasi saltare dallo spavento per poi portarsi una mano sul petto e lasciare andare un sospiro.
«Sembravate così felici... Cos'è successo?» chiese, sfiorando i bordi della foto con le dita.
«Mia madre era bipolare, e un giorno decise che era guarita e smise di prendere le pillole in segreto. Mio padre stava cucinando il tacchino per il Ringraziamento quando sentimmo un tonfo provenire dal bagno, e come andammo lì la trovammo nella vasca coi polsi tagliati. Aveva perso troppo sangue, così dissero i dottori. - feci una pausa, ricacciando indietro rabbia e lacrime per evitare di far spezzare la voce. - Avevo sette anni. Mio padre da quel giorno iniziò a farsi vedere sempre di meno, fino a smettere proprio. Non so, forse mi accusa della morte di mia madre, o forse è rimasto disgustato quando per la prima volta sono stato sospeso a scuola per aver fatto a botte con uno della mia classe di scienze perché si era messo a picchiare un ragazzino più piccolo dietro scuola»
Marco mi si avvicinò, tirandomi a sé e abbracciandomi, e io mi strinsi a lui, nascondendo il volto nell'incavo del suo collo. Sapevo di essere sciocco ed egoista, lui aveva il cancro cazzo, eppure ero io quello che si stava facendo consolare, sentendosi così al sicuro tra le braccia di un ragazzo che avevo conosciuto da quasi un mese, come se quello fosse il mio posto da tutta una vita. Trattenni malamente un singhiozzo e Marco mi strinse un po' di più, dicendomi che andava tutto bene, accarezzandomi la schiena e io mi morsi il labbro.
Ci staccammo dopo una quantità di tempo che non seppi definire, e mi prese la testa tra le mani, fissandomi profondamente negli occhi e chiedendomi se stavo meglio, e io annuii, incapace di formulare qualsiasi pensiero a causa di quello sguardo, così sicuro e forte, che sembrava quasi non appartenergli. Nessuno dei due osava muovere un muscolo, eravamo bloccati, Marco spostò lo sguardo alle mie labbra quando emisi un sospiro, sentivo il cuore in gola e respirare stava diventando davvero difficile, lo stomaco stretto in una morsa, e pensai volesse baciarmi e in un secondo mi stupii pensando che volevo lo facesse, senza neanche soffermarmi a chiedermi il perché, semplicemente perché era lui, quindi andava bene.
Il mio cellulare iniziò a squillare, e tutto si ruppe come in una bolla di sapone, riportandoci alla realtà, mentre mi allontanavo per rispondere alla chiamata, voltando le spalle a Marco.
Cosa cazzo sto facendo?
 
Riattaccai, poggiando il cellulare sulla scrivania.
«Tutto bene?»
Rabbrividii, ripensando a quello che era quasi successo poco prima della chiamata da parte dello stronzo. Deglutii, voltandomi e trovando Marco seduto sul mio letto che mi guardava interrogativo, la testa leggermente piegata di lato e l’aria innocente, in attesa di una mia risposta.
«Mio padre» sospirai, andandomi a sedere al suo fianco, il suo ginocchio a contatto col mio, passandomi una mano nei capelli.
«Mi dispiace»
Scossi la testa, dicendogli di non esserlo, e mi tirai su, voltandomi verso di lui.
«Scusa per questa giornata, lo so non è stata il massimo, anzi in realtà è stata proprio uno schifo ma…»
«Jean rilassati, sono stato bene oggi, qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di restare chiuso il ospedale, quindi non preoccuparti» mi rassicurò sorridendomi e io ricambiai, per poi dare un’occhiata alla sveglia sul comodino vicino alla testata del letto.
«Abbiamo ancora tre ore, ti va un film? Puoi scegliere tu»
Sul suo volto si delineò un ghigno leggermente inquietante e mi fissò dritto negli occhi.
«Horror?»
Sgranai gli occhi, allontanandomi da lui guardandolo scandalizzato, non poteva dire sul serio, non dopo che gli avevo raccontato di come ero stato traumatizzato quando una volta avevo provato a guardare un horror da solo a quattordici anni.
«Chi sei e cosa ne hai fatto del Marco innocente e gentile che era qui fino a poco fa?»
Lui rise e si lasciò andare all’indietro sul materasso, che si abbassò leggermente sotto il suo peso, per poi rialzarsi appoggiandosi sui gomiti e pregarmi per il film, facendomi perdere un battito e arrossire neanche fossi una scolaretta.
 
Lanciai un urlo quando la ragazza venne trascinata nella cantina da un essere da origini sconosciute, imprecando e aggrappandomi al braccio di Marco, scatenando la sua ilarità, che si guadagnò un pugno sulla spalla.
«Ahia, Jean!» finse, cercando di trattenere il sorriso che gli increspava le labbra.
«Sei uno stronzo» gli dissi, guardando a sottecchi il volto illuminato dalla luce del televisore.
«Ti voglio bene anch’io»
«Ti odio» borbottai, sapendo di star dicendo una grandissima cazzata.







 


Angolo deliri

I: Finito! *preme play facendo partire un coro angelico*
L: *scaraventa la radio fuori dalla finestra*
I: Ma che cazz-? Hai le tue cose?
L: Fanculo sta merda, io mi tiro fuori, vado a farmi un thè, anzi meglio una camomilla, qua rischiano di saltarmi i nervi. *se ne va sbattendo la porta*
I: ...
G: ... Ah, non guardare me, già ne ho piene le palle dei tuoi fangirlamenti su Ian e Mickey di Shameless.
S: Sei pazzo? Non puoi dire i loro nomi o-
I: AHH, AMORI MIEI. COME POSSONO ESSERE ASNKLKSDASDFGMXKJHGN? SVETLANA POI CAZZO, AMO QUELLA PUTTANA *-*
S: Eeeeed è partita.
I: *inizia a fare strani versi che assomigliano ad una evocazione satanica*
Tutti: ...
LJ: Dite che se le do una caramella si calma? Hehehe.
S: Puoi giurare siano semplici caramelle?
LJ: No. Hehehe.
I: DI DROGA IN SHAMELESS GIRA TALMENTE TANTA CHE TI VIENE DA CHIEDERTI COME NON SIANO ANCORA MORTI DI OVERDOSE.
G: Cosa c'entra con questa merda smielata?!
I: Nulla, giusto per parlare.
S: Sì sì, come vuoi, adesso fa ciò che devi, che siamo in ritardo per la visita dallo psichiatra.
I: Ma io non devo andare dallo psichiatra-
Tutti: INVECE DEVI.
I: Ma- Ok, ne parliamo dopo.
ATTENZIONE: Non era mia intenzione offendere nessuna fan degli MCR, a me non piacciono, è Jean l'ho fatto coi miei stessi gusti musicali quindi non odiatemi, okay? Okay.
*partono citazioni di Colpa delle Stelle random*
Ok, allora, tanto amore a JesD, so che volevi che si baciassero, ma 1) è troppo presto e 2) sono stronza e lo sai. (Sto scrivendo una one-shot Ereri per il suo compleanno, quando avrò le foto di Berlino le descriverò, quindi quando e se ci andrete penserete "oddio, ma questo era nella storia di I"...
Seh certo, spera tesoro, spera.)
Poi che dire, vi amo, e vorrei ringraziare anche fabererijaegerman - TI PREGO FA CHE L'ABBIA SCRITTO BENE - perché sì, mi piace quando le persone mi scrivono dicendomi che gli piace la mia storia e altre cose carine che *muore di diabete*, anche
scritte in privato.
E nulla, commentate e fatemi felice, riceverete in omaggio un alpacorno arcobaleno, con collare e corno glitterato, e se ancora non lo sapeste sul mio profilo trovate tutti i miei contatti.
Scusate se oggi non sono pazza come al solito ma sono davvero distrutta, fatemi sapere se vi è piaciuta, va bene?
Ora devo scappare perché mio padre minaccia di spegnere internet e NO CAZZO STAI BUONO EH, MISAKI, PASSAMI LA MAZZA.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8: Credi nella reincarnazione? ***


Angolo deliri

I: Salve gente! Come state? Siete felici che abbia aggiornato? Non ve ne può fregar di meno? Oggi abbiamo qui con noi un ospite speciale, la mia cara amica Jen, che no, non è la sorella di Marco, ma una bella ragazza che ha accettato di essere con me oggi di sua spontanea volontà.
Jen: Nota bene: "di sua spontanea volontà" va letto come "sono stata bellamente costretta e ricattata da la qui presente Icchan per apparire in questo angolo deliri, nonostante abbia paura per quello che succederà di qui in poi".
I: Ti ho già detto che nonostante Grimmjow sembri mestruato non sia donna.
Jen: Sì certo... A proposito, non sembra tutto troppo... silenzioso?
I: ... *Jen e Icchan si guardano in torno, trovando Eren in un angolino a coltivare funghi e Levi che guarda fuori dalla finestra tenendo una tazza di thè caldo tra le mani*
Jen: ... cosa gli hai fatto?
I: *fissa la parete della stanza diventata improvvisamente interessantissima* Magari potrei attaccarci foto e scritte stampate... faccio tipo la parete di quella coi capelli blu del gioco "Life is Strange"
Jen: ... ti ricordo che io sono vecchia e che non so di cosa tu stia parlando ma-
I: abbiamo un anno di differenza Jen, sei tu che non esplori internet.
J: SMETTILA DI CAMBIARE DISCORSO TU.
I: Qual'era la domanda?
J: *indica Levi e Eren*
I: Ah, potrebbe essere a causa di un certo coito che hanno avuto...
PersonaSconosciuta: *spalanca la porta dirigendosi velocemente da Eren ignorando Jen e Icchan che la fissano stranite e punzecchia Eren con un dito* Eren.
Eren: *continua a coltivare funghetti*
I: Sa-chan?
PersonaNonPiùSconosciuta: *si gira* AMMORA.
I: Come hai fatto ad entrare?
Sa-chan: Questa domanda implicherebbe la presenza di un antifurto in questo buco.
Jen: ... Mi spiegate?
Sa-chan: Ho trovato la porta aperta e sono entrata. *fa spallucce*
I: ... *afferra padella* DOVE CAZZO SI È CACCIATO QUEL GATTOPUFFO?! QUANTE VOLTE GLI HO DETTO CHE ESISTE UNA CHIAVE CHE DEVE USARE PER QUELLA CAZZO DI PORTA?!

ATTENZIONE: Certi "flashback" (vedi doccia) li ho aggiunti io perché mi andava, ok? Sono una ragazza capacissima di tagliarsi i capelli da sola (mi sono usciti bene anche), quindi posso anche inventare anche scene nella trama canonica si Shingeki no Kyojin per poi metterli nel capitolo, ok? Ok. In più ringrazio JesD per avermi aiutato con una scena, e scusate se faccio schifo a descriverli.

 





 

 

Capitolo 8: Credi nella reincarnazione?


Aprii gli occhi, la stanza era angusta, piena di umidità e illuminata solo da una luce traballante proveniente da una parete. Provai a muovermi, provocando un rumore stridulo, rendendomi conto solo in quel momento di essere incatenato mani e polsi ad un letto. Mi alzai a fatica, osservando una figura dai tratti indistinti che mi parlava attraverso le sbarre della prigione che prima avevo creduto essere la parete da cui proveniva la luce delle torce, e al suo fianco, l'ufficiale dell’Armata Ricognitiva Rivaille. Tenni gli occhi puntati su di lui, mentre la figura parlava, i nostri discorsi erano appannati, non riuscivo a capire niente di ciò di cui si stava parlando, però riuscii a vedere un luccichio negli occhi da parte di Levi quando risposi, sentendo il suo "non male", prima che si alzasse, avvicinandosi alle sbarre della mia cella, guardandomi attentamente attraverso esse, prima di ricominciare a parlare. Mi concentrai sulla sua voce, sforzandomi di renderla più nitida, riuscendo a sentirlo pronunciare un'ultima frase.
«Accetto la tua domanda di adesione all'Armata Ricognitiva»
 
Mi svegliai in un appartamento che certamente non era il mio, la testa girava ancora per il sogno. Lo stesso uomo di sempre che condivideva aspetto e voce con il poliziotto che, da quando era entrato nel bar di Hannes anni fa, aveva risvegliato in me questi sogni - o incubi, a seconda delle notti - che pian piano si erano fatti più vividi, arrivando anche a confondersi con la realtà quando la stanchezza iniziava a farsi sentire. Avevo sempre finto con gli altri, anche con Jean, nonostante sembrasse avere anche lui a volte incubi simili, arrivando al punto di mentire anche a me stesso, fingendo che fossero solo sogni e nulla di più. Provai ad alzarmi, ma fui bloccato da una stilettata di dolore al petto, che mi costrinse a stendermi di nuovo sul divano, la testa che girava ancora.
«Ti sei svegliato finalmente»
Voltai la testa, imprecando mentalmente per il dolore, incontrando gli occhi freddi di Levi – non Rivaille, pensai - appoggiato allo stipite della porta, con addosso i vestiti che indossava dopo il lavoro e in mano una tazza fumante.
«Quanto ho dormito?»
«Mi sei svenuto addosso come una ragazzina circa una decina di minuti prima che arrivassimo qui, sei più pesante di quanto mi aspettassi, tra parentesi. Poi hai dormito per circa un'ora e mezza» spiegò, mettendosi a sedere sul bracciolo del divano opposto a quello che stavo usando come cuscino.
Scacciai la voce che mi chiedeva, così uguale a quella dell'uomo che era seduto poco distante da me, se lo odiassi e mi sollevai sui gomiti, ignorando i giuramenti di testa, guardandomi attentamente intorno: la stanza era moderna e luminosa, le pareti bianche facevano risaltare ancora di più la luce che di solito doveva venire dalla porta finestra che si estendeva per buona parte della finestra, coperta ora da pesanti tende color panna che bloccavano buona parte della luce, forse per evitare mi desse fastidio. Il divano, anch'esso color panna, era fatto di tessuto, e poco distante c'era un tavolino in legno su cui erano disposti dei poggia bicchieri, in fondo alla parete c'era - incastrato in essa - una tv.
«È casa tua?» chiesi, facendo vagamente ancora lo sguardo, meravigliandomi della pulizia della stanza.
«Secondo te, moccioso?» rispose, schioccando la lingua contro palato.
Non risposi, limitandomi a sollevarmi di più per cercare di mettere la schiena dritta, bloccandomi quando il dolore al petto tornò a farsi sentire, facendomi serrare gli occhi e mordere le labbra, per evitare di imprecare. Se fossi andato all'ospedale non mi sarei meravigliato di sentirmi dire che avevo un paio o più di costole incrinate. Sentii il rumore sordo della tazza che veniva poggiata sul poggia bicchieri, e, quando riaprii gli occhi, mi ritrovai a fissare quelli di Levi, che mi scrutavano seri. Mi chiese se volevo che mi aiutasse a sedermi dritto, e annuii, sentendo una piccola scarica elettrica quando avvertii una sua mano posarsi alla base della mia schiena e l'altra sulla mia spalla, facendo perdere al mio cuore un battito. Fu un leggero fastidio proveniente dai punti in cui ero stato colpito a farmi tornare alla realtà, quando Levi mi aiutò a fare leva per potermi finalmente sedere.
«Quanto cazzo ti hanno colpito quei gorilla?» chiese, la rabbia nascosta nel tono fintamente interessato, osservando la mia mascella, dove probabilmente si stava già creando un livido.
«Un po', credo fossero incazzati per qualcosa come il fatto che li avevo fatti espellere» dissi, sorridendo divertito.
Levi alzò il sopracciglio, chiedendomi se lo avessi fatto, e io scossi la testa.
«Proteggevo un'amica, da loro tra l'altro»
«Per questo l'altro giorno eri conciato in quel modo?»
Annuii solamente, facendo piombare nuovamente il salotto nel più totale silenzio quando i nostri occhi si incontrano. Mi persi ad osservarli per non so quanto tempo, così taglienti ma allo stesso tempo capaci di farmi sentire al sicuro, come se appartenessi davvero a questo mondo, prima di distogliere lo sguardo, borbottando qualcosa sul fatto che avrei fatto meglio a tornare a casa, facendo per ringraziarlo quando mi interruppe, chiedendomi dove avessi intenzione di andare date le mie ferite e dato il tempo, che a quanto pare era peggiorato al punto da iniziare a piovere violentemente, prima di aiutarmi ad alzarmi, dicendo che era meglio andare a disinfettare quelle ferite.
 
La testa aveva iniziato a girare quando la pelle era entrata in contatto con l'aria ancora fredda del bagno, facendomi venire la pelle d'oca e tremare, la maglietta ancora stretta al petto, mi faceva sentire improvvisamente vulnerabile e fragile sotto lo sguardo di Levi, che continuava a passare lo sguardo dappertutto sul mio petto, per vedere in che condizioni fossero le mie contusioni.
«Sembra che siano solo lividi e ematomi, per la maggior parte... - disse dal nulla, riscuotendomi dallo stato di trans in cui ero caduto senza neanche accorgermene. - Dovresti mangiare di più comunque» aggiunse in fine, sfiorandomi con delicatezza la sagoma delle costole appena accennata.
Rabbrividii, questa volta non per il freddo, e sentii il volto andare a fuoco, stringendo la maglietta talmente forte da far diventare le nocche bianche e distolsi lo sguardo, puntandolo sul box doccia.
«Posso?» chiesi indicandola con un cenno del capo, per evitare di poggiare lo sguardo sull'uomo di fronte a me.
«Vai pure»
Sentivo ancora gli occhi grigi seguire ogni mio movimento quando mi tolsi l'ultimo indumento e entrai nella doccia, aprendo il getto dell'acqua calda e ripetendomi di stare calmo, eravamo entrambi uomini, non dovevo vergognarmi.
La testa continuava a fare male e dovetti appoggiarmi con la fronte alle mattonelle per alleviare il dolore, voltandomi quando sentii la stessa voce di Levi, fuoriuscire però dalle labbra di Rivaille, che mi ordinava di svegliarmi, la camicia completamente appiccicataglisi addosso, i capelli bagnati attaccati alla fronte e il corpo costretto in cinghie elastiche, mentre l'acqua calda mi rilassava, minacciandomi di farmi chiudere gli occhi.
«Capitano...»
«Ohi, Eren!»
Riaprii gli occhi, la matita con cui ero solito truccarli si era sciolta, facendomeli bruciare e chiudere d'istinto, almeno finché non sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla e scuotermi. Mi passai le mani sugli occhi, riaprendoli a fatica, la vista ancora appannata.
«Levi. - sorrisi, ritrovando a poca distanza dal mio il volto dell'uomo che mi aveva salvato nel vicolo, ripensando poi a Rivaille, mentre una domanda sfuggiva alle mie labbra senza un apparente motivo. - Credi nella reincarnazione?»
Non seppi bene chi iniziò, ad un certo punto mi ritrovai con le labbra unite a quelle di Levi, che, fameliche, mordevano e succhiavano le mie, facendomi sfuggire un gemito. Annaspai, stringendo di più la presa al suo collo, cercando di reggermi sulle gambe quando sentii le sue dita solleticarmi i fianchi, registrando il suono dell'acqua che smetteva di scorrere, per poi sentirmi spingere via dalla doccia. Rischiai di scivolare più volte, ma Levi continuava a tenermi, respirando a bocca aperta per cercare di riprendere fiato tra un bacio e un altro e quando venni spinto verso il letto ricadendoci sopra non mi importava di star tremando, forse – anzi, sicuramente – non solo per il freddo, non mi importava di avere i capelli ancora bagnati, perché tutto quello che riuscivo davvero a sentire erano le mani e le labbra di Levi sul mio corpo, sulle mie labbra. Nessuno dei due stava davvero pensando, era semplice e puro istinto a guidarci, o forse il destino, nonostante non avessi mai creduto a cazzate del genere, fatto sta che sembravamo conoscerci da una vita, e quello che stavamo facendo era così giusto, così naturale, come se avessimo vissuto solo per ritrovarci insieme in questo momento. Lo sentii allontanare una mano e sporgersi verso una parte del letto, mentre mordeva il mio labbro inferiore, prima di staccarsi completamente dal bacio raddrizzandosi e aprendo con una mano un tubetto di lubrificante, spargendosi il contenuto sull'altra, per poi chinarsi di nuovo verso di me, cercando nel mio sguardo il più piccolo ripensamento. Non dissi niente, attirandolo semplicemente a me, baciandolo con trasporto, avvertendo la mano ricoperta di lubrificante sfiorarmi tra le gambe, in una carezza lenta, per poi andare a prepararmi lentamente. Strinsi gli occhi e mi lasciai sfuggire un lamento, sentendo subito le labbra di Levi sul collo, che cercavano di darmi una dolce distrazione al dolore, riuscendoci in buona parte, prima di allontanarsi un'ultima volta per strappare l'involucro del preservativo e infilarselo, versandoci poi sopra una buona quantità di lubrificante, prima di tornare a baciarmi, reggendosi alla testata del letto quando iniziò a spingersi dentro di me. Graffiai la sua schiena e gemetti, stringendomi di più a lui, lasciando che il dolore cedesse il posto al piacere, cominciando a gemere senza ritegno, allacciando le gambe intorno al suo bacino per permettergli di andare più in profondità. Il tempo sembrava essersi fermato, non seppi nemmeno il momento in cui l'orgasmo ci colse, facendoci gemere l’uno il nome dell’altro, lasciandoci entrambi appagati e senza fiato, prima di farci cadere tra le braccia di Morfeo.
Quando mi risvegliai ero nudo sotto le coperte, i miei vestiti erano ripiegati e poggiati vicino al comodino vicino alla mia parte del letto, mentre l'altra metà era vuota. Mi tirai su a sedere e un dolore sordo mi percorso tutta la spina dorsale, lasciandomi senza fiato.
«Ah, ti sei svegliato»
Mi voltai in direzione della voce, trovando Levi seduto a terra, una sigaretta trattenuta tra le labbra e lo sguardo perso fuori dalla finestra. Mi rimisi addosso intimo e maglia, avvicinandomi poi a lui, un sorriso che minacciava di fare capolino sulle mie labbra ripensando a quello che era successo prima.
«E-ehi, non hai freddo?» provai ad dire, non ricevendo però alcuna risposta.
Mi feci coraggio e allungai una mano, richiamandolo, sottraendola non appena la sua voce arrivò alle mie orecchie.
«Va a casa»
Il tono era stato freddo, distaccato, e mi fece tremare di paura.
«Cos...» la mia voce al contrario era rotta, fragile.
«Mi hai sentito. Va a casa, dimenticati di tutto. È stato solo un errore»
Sussultai, le lacrime che minacciavano di cadere mi resero la vista appannata. Mi infilai frettolosamente il resto dei vestiti, dando le spalle all'uomo ancora fermo nella stessa posizione in cui lo avevo trovato, mordendomi il labbro per evitare di emettere singhiozzi, uscendo infine da quella camera da letto, sbattendo la porta e correndo fuori da quell'appartamento, rivolto non so dove.
 
Fanculo.







 


Angolo deliri

Jen: Continuo a pensare che manchi qualcosa...
Sa-chan: Dici?
I: Tipo? Levi e Eren hanno scopato, ho provocato crisi isteriche nelle lettrici, che adesso verranno sotto casa mia munite di torce e forconi o cercheranno di uccidermi nel sonno...
Jeff: Ehi! Quello lo faccio io.
Sa-chan: *urla e si nasconde dietro Icchan*
I: No Jeff, tu le fissi finché non si svegliano e poi le uccidi, è diverso.
*coccola Sa-chan*
Jen: ... CHE BELLE COSE CHE SENTONO LE MIE ORECCHIE, comunque non era a questo che mi riferivo.
I: E a cosa?
Jen: Grimmjow? Sasaki?
I: ... *scoppia a piangere*
Jen: COSA HO FATTO ORA?
I: *fissa una figura coi capelli insanguinati in un angolo buio della stanza*
Jen: ... Ho paura di chiedergli chi sia...
I: *gli porge una padella*
Jen: ... *si avvicina di soppiatto* Ehm, scusa, tu saresti?
PersonaggioMisteriosoAncheChiamatoAkanekiDaiFan: Chiudi quella cazzo di bocca.
Jen: Woo, scontroso il tipo.
I: *gli salta addosso* RIDAMMI MAMAN, CAPITO? PERÒ TI AMO COSÌ TANTO, NON PUOI SPARIRE DI NUOVO, PERCHÉ DEVI FARMI QUESTO?
Jen e Sa-chan: *trascinano via Icchan mentre questa piange e si dimena*
Jen: Ma devo chiudere io?
Sa-chan: *da Pocky a Icchan e la coccola*
Jen: ... Lo prendo per un sì. Allora io non ho idea di chi sia quel coso dato che io non leggo Tokyo Ghoul :re ma mi sembra una versione più badass di Kaneki e- *Sente piangere in lontananza* Cavolo. Devo andare a cercare Grimmjow, oppure dovreste recensire, altrimenti questa non smette fino a domani.
I: HIDE, DOVE SEI QUANDO SERVI? TORNA TI PREGO.
Jen: ... Grimmjow, vieni micio. Micio, micio, micio, qui micio...





Ringrazio davvero tutte le persone che continuano a starmi vicino nella scrittura di questa storia, questo periodo è davvero brutto per me ma sto cercando di superarlo, chi mi conosce sui social magari non capirà ma davvero a volte è dura per me, e voi coi vostri complimenti mi aiutate sempre, anche se non potete vederlo. Quindi grazie di cuore, siete davvero tutto per me, e nulla, mi sentivo di dirvelo. Restate sempre voi stesse qualsiasi cosa accada, mento in su e sguardo fiero, sorridete e lottate anche quando vi sembra di crollare, non arrendetevi mai e restate le persone imperfette e meravigliose che già siete.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9: Esami importanti, amici e entrate improvvise. ***


Angolo deliri

I: *cerca di sgusciare fuori dalla tana del coniglio in cui per poco era precipitata*
Akaneki: Dove pensi di andare?
I: *si blocca sul posto e alza lo sguardo, guardando il BianNerconiglio guardarla* Ehm... io...
Ak: Sei in ritardo, Alice. *si aggiusta gli occhiali prima di farmi perdere la presa, facendomi precitare nel buco*
L: Jack, di cosa è accusata la nostra imputata?
Eren: Alice è accusata di tortura sui lettori, che aspettavano il capitolo da quasi tre mesi, cosa che lei ha procrastinato solo per fare i comodi suoi.
L: Tagliatele la testa.
I: Ehi! Non è colpa mia se prima c'è stata la questione dei capelli rossi, che tra parentesi devo anche rifare, poi del mio compleanno-
E: È accusata anche di aver attentato alla vita di uno di noi, Nnoitra è ancora in coma etilico.
L: Tagliatele la testa.
I: ... Non sembrava vi dispiacesse quando abbiamo iniziato a giocare a strip poker aggiungendo vodka man mano che sparivano i vestiti.
L: Tagliatele la testa.
I: E poi è iniziata scuola e... ugh... i corsi di recupero... e poi Deadpool...
L: Tagliate-
I e E: Possibile che tu non sappia dire altro?!
L: ... Liberate il Grafobrancio?
Grimmjow: ECCOMI! Allora, che essere insignificante devo lacerare fino alle ossa?
L: Comincia a piacermi, lo terrò.
E: Ehm, sua maestà...
L: Zitto, ho deciso.
E: Maestà... il Grafobrancio...
L: Cosa?
E: È stato sconfitto.
I: *si siede sul corpo inerme di Grimmjow, la padella stretta in mano* Abbiamo finito?

 





 

 

Capitolo 9: Esami importanti, amici e entrate improvvise.


Mi rigirai per l'ennesima volta nel letto, per poi calciare via le coperte sbuffando. Dopo aver riaccompagnato Marco all'ospedale avevo iniziato a fare il solito giro, riordinando letti e mettendo in ordine le diverse stanze del piano, e, di rado, anche parlando con alcuni pazienti del più e del meno, finendo la giornata con la stessa routine di sempre, portando di nascosto una pizza a Marco e cenando in sua compagnia, sempre di nascosto. Durante il tragitto mi ero ritrovato a pensare di nuovo alla giornata passata con Marco, alle sue lentiggini, al suo sorriso, alle sue labbra... Mi ero riscosso proprio a quest'ultimo pensiero, autoconvincendomi che fosse la stanchezza a farmi parlare, parcheggiando la macchina al suo solito posto e chiamando l'ascensore, lasciandomi trasportare fino al piano, per poi bloccarmi di fronte alla porta del mio appartamento, osservando con un'espressione corrucciata Eren, seduto a terra e con la testa nascosta tra le gambe.
«Che è 'sta storia?» chiesi, non ricevendo risposta.
«Ah? Eren, si può sapere che cazzo ci fai... qui?» provai ancora, interrompendomi quando lui alzò lo sguardo, gli occhi arrossati dal pianto.
Non gli chiesi cosa fosse successo, o il perché avesse appena smesso di piangere, lo feci spostare e aprii la porta, aspettando che entrasse, prima di seguirlo chiudendomela alle spalle.
Mi alzai dal letto, evitando di far rumore, raccogliendo una maglietta ai piedi del letto e infilandomela, facendo lo stesso con un paio di jeans strappati a caso, per poi infilarmi le Vans ormai consumate e afferrare le chiavi di casa, e infilandomi una giacca pesante, fermandomi poco prima di aprire la porta, osservando Eren che dormiva ancora sul mio divano, l'espressione contratta in una smorfia, e il braccio sinistro che sfiorava il pavimento. Il mio sguardo venne poi catturato dal mio vecchio skate appoggiato affianco al divano, rimasto inutilizzato da quasi un anno, senza pensarci troppo lo afferrai e, stando attento a non svegliare Eren, uscii di casa.
 
Mi ero quasi dimenticato di che sensazione si provasse, l'aria fredda sulla pelle, l'impressione di riuscire a volare lasciandosi trasportare da quella piccola tavola.
Mi spostai appena in tempo per evitare un randagio sbucato da un vicolo, e per poco non persi l'equilibrio, interrompendo quelle sensazioni per evitare una caduta rovinosa scendendo dallo skateboard e attraversando la strada, entrando nel bar più vicino, con l'intenzione di comprare qualcosa anche per Eren e Marco, dato che più tardi sarei passato da quest'ultimo. L'aria calda mi investì non appena varcai la soglia, riscaldandomi dell'aria gelida di inizio ottobre, mentre mi avvicinavo al bancone per ordinare tre cornetti e due caffè da portar via, dato che Marco in ospedale non poteva berlo.
La ragazza ci mise pochi minuti a preparare l'ordine, dato che il bar era stranamente deserto, per poi consegnarmi tutto non appena le ebbi dato la somma calcolata, stampandomi lo scontrino. Feci per uscire, chiedendomi se ce l'avrei fatta a tornare con lo skate senza farmi cadere il caffè addosso, quando un'altra persona aprì la porta, rischiando di farmi cadere tutto dalle mani. Feci per dirgli di stare attento, ma mi bloccai non appena gli occhi gelidi dell'uomo mi bloccarono le parole in gola.
Levi mi scoccò un'occhiataccia, schioccando la lingua contro il palato mentre mi superava dandomi una spallata.
Rimasi interdetto, possibile che avevo visto bene? Erano davvero segni di pianto e di una notte insonne quelli che avevo visto nei suoi occhi?
 
«È successo qualcosa tra te e lo stronzo»
Eren sbiascicò contro la stoffa del mio divano, la bocca ancora impastata dal sonno. A fatica riuscì ad alzarsi, provocando rumori sinistri da parte della maggior parte delle proprie vertebre mentre si stendeva.
Ripetei la mia affermazione, questa volta accompagnandola dal caffè che gli avevo comprato poco prima.
«Smettila di dire stronzate di prima mattina» ringhiò, prendendo un sorso della bevanda ancora fumante, riuscendo non so come a non bruciarsi la lingua.
Lo guardai un'ultima volta, decidendo che non era il caso di iniziare una discussione di prima mattina, sbuffando e lasciandomi andare sul divano al suo fianco, addentando un cornetto e passandogli la busta, in modo che potesse prendere l'altro.
«Perché ne hai presi tre? Cos'è, non sai più contare?>»
Soffiai sul mio caffè, prima di rispondergli con tutta calma che il terzo forse per Marco.
«Marco?» mi guardò interrogativo lui.
«Sì insomma, hai mai visto il cibo dell'ospedale? Già il colore fa pensare al vomito...»
Eren mi richiamò, interrompendomi, per chiedermi chi fosse Marco.
Oh.
Non mi ero reso conto di non aver mai detto niente riguardo Marco dopo praticamente un mese che passavamo insieme, nonostante i miei amici mi avevano chiesto più volte di quella che in teoria sarebbe dovuta essere una pena, ma che senza rendermene conto si era rivelata qualcosa che, in fin dei conti, non mi dispiaceva così tanto fare; al contrario, ero rimasto sempre vago sull'argomento, e, ad eccezione di Shasha che mi aveva praticamente obbligato a darle un nome, arrivando anche a minacciarmi sul fatto che mi avrebbe seguito pur di scoprirlo, nessuno di loro sapeva dell'esistenza del ragazzo lentigginoso della stanza 231.
«Terra chiama Jean, ti si è liquefatto il cervello di colpo o cosa?»
Le parole - o meglio dire insulti - di Eren mi riportarono coi piedi a terra.
Ultimamente mi succedeva sempre più spesso di distaccarmi dalla realtà, sempre quando i miei pensieri erano legati a Lentiggini, per giunta, ma cercavo di non farci caso, non era nulla di che in fondo. Tirai una gomitata al cretino seduto al mio fianco, per ripicca al suo commento di poco prima, provocandogli però un gemito di dolore troppo forte per essere finto.
«Stai bene?»
«Quelle teste di cazzo... ieri... sto bene»
La rabbia, la tristezza e la freddezza attraversarono il volto di Eren mentre parlava, facendo chiaramente capire, nonostante non fosse nel suo interesse, che ci fosse dell'altro in quella storia, di cui non aveva assolutamente intenzione di parlare, e di cui ovviamente non avrei chiesto niente. Non potevo comunque ignorare l'espressione sofferente provocatagli dalla mia gomitata, e dopo ciò che gli era capitato e conoscendo la sua tolleranza al dolore, non mi era difficile immaginare come fosse ridotto sotto quei vestiti.
«Alza il culo, su» gli ordinai, precedendo l'azione e restando ad aspettare si muovesse.
Restio fece come gli avevo detto e mi seguì, arrivando a sedersi affianco a me in macchina, nello stesso posto dove poco meno di ventiquattro ore fa si era seduto Marco, e mi chiese dove stessimo andando.
«Devo andare in ospedale, e credo anche tu» risposi semplicemente, indicando con lo sguardo il sacchetto contenente la parte di Marco, senza però aggiungere nient'altro.
Il resto del viaggio fu silenzioso, tutti e due persi nei propri pensieri, Eren con la testa contro il finestrino, probabilmente ripensando a qualcosa di legato alla sera precedente, e io guardando alla strada, cercando di ignorare come sempre più spesso essi comprendevano un ragazzo ricoperto di lentiggini e sempre sorridente, e quasi meccanicamente ci ritrovammo nel parcheggio dell'ospedale.
 
«Jean, sei arrivato presto oggi» mi salutò lei non appena mi vide fuori dall'ospedale, usando la mano che impugnava le chiavi per attirare la mia intenzione, mentre con l'altra andava a slegarsi i capelli, raccolti in una coda alta.
«Ciao, - ricambiai il saluto, notando il fatto che si fosse tolta il camice - Stai andando via?»
«Ho fatto più di cento ore questa settimana, sono distrutta, perché i miei pazienti sembra debbano essere operati sempre quando sono io di turno? - si lamentò lei, per poi sorridermi stanca. - Ho proprio bisogno di una bella dormita oggi. Marco deve fare degli esami oggi pomeriggio, quindi questo - disse afferrando il sacchetto di carta contenente il cornetto - non può mangiarlo. E tra parentesi avevo anche fame io, grazie Jean» finì di dire strappandone un pezzetto con le dita e mangiandolo.
«E lui sarebbe?» chiese dopo aver spostato lo sguardo alle mie spalle, indicando Eren, che era rimasto in disparte finora.
«Un coglione che si è fatto pestare» dissi tranquillamente indicandolo, facendolo scattare verso di me, venendo fermato da Aurora, che ci bloccò poggiando le mani sulle nostre spalle.
«Su voi due, non litigate. Tu piuttosto, - disse rivolgendosi a Eren - vai al pronto soccorso e fatti visitare, ne ho visti tanti uscire da una rissa con costole rotte e facce messe meglio della tua, e tu, - continuò rivolgendosi questa volta a me - vai da Marco, oggi è più debole del solito e non...»
Senza neanche lasciarle il tempo di terminare la frase scattai, chiedendole come stesse, non riuscendo neanche a mascherare l'agitazione nella mia voce.
Sia Eren che Aurora mi guardarono stupiti, poi quest'ultima mi rispose dicendomi che stava bene, tranquillizzandomi, prima di dare un'occhiata al suo cellulare e defilarsi verso il parcheggio, salutandoci nel mentre.
Il silenzio che si era formato tra di noi venne interrotto da Eren, quando la parola "Allora" gli uscì dalle labbra.
«Cosa?»
«Tu e quel Marco... Non mi avevi detto di avere certe inclinazioni...»
«Ah? Cosa vorresti dire, scusa?»
Rimase a fissarmi per alcuni secondi, prima di scuotere la testa e sospirare, rassegnato, dicendo che non era niente, ignorando i miei richiami e dirigendosi verso l'entrata dell'ospedale, salutandomi con il dito medio alzato.
«Che stronzo...» mormorai tra me e me, cercando ancora di dare un senso alle sue parole.
 
«Dove pensi di andare»
Marco sussultò, colto sul fatto, bloccandosi sul posto, prima di voltarsi e salutarmi con il suo solito sorriso stampato in faccia.
«Ecco... Io... Stavo vedendo se arrivavi» provò a difendersi lui mentre lo trascinavo di nuovo dentro, facendo finta di dargli ragione.
Come se potesse davvero star aspettando me.
«Ho sentito che oggi devi fare degli esami» buttai lì, senza guardarlo negli occhi, mentre mi sedevo dalla parte opposta a lui sul letto d'ospedale, facendolo sbuffare.
«Non ce la faccio più a fare esami su esami, insomma non vedono che sto benissimo ormai?» si lamentò, mostrandomi i bicipiti ben allenati.
Gli lanciai un'occhiataccia facendo schioccare la lingua contro il palato, mettendo su una finta aria scocciata, affermando con determinazione che i miei erano veri muscoli e che lui aveva solo le ossa grandi, alzando la mia maglia scoprendo quei pochi addominali che mi ero guadagnato tempo fa in palestra. Ci fissammo intensamente qualche secondo, prima di scoppiare entrambi a ridere, mentre Marco diceva che la scusa delle "ossa grandi" era forse una delle più stupide mai sentire. Quando poi, smesso di ridere, tornammo a guardarci negli occhi, riacquistai un tono serio, chiedendogli come stesse, ricordandomi di ciò che mi aveva detto la dottoressa poco prima.
«Sto bene. - annuì, forse più per convincere se stesso che me - Solo normale routine, vogliono accertarsi che il tumore non si sia ripresentato»
«Capisco...» sussurrai.
Non avevo mai pensato davvero a quella opzione, ma poteva succedere, giusto? Era raro ma a volte succedeva, non era forse vero?
Mi ritrovai d'un tratto davanti l'immagine di Marco, disteso sul letto, la testa fasciata per nascondere la mancanza di capelli, caduti per le massicce dosi di farmaci per curare il cancro, il viso smorto e pallido piegato in una smorfia di dolore, e il corpo legato a diversi macchinari, che producevano l'unico rumore nella stanza.
«... an! Jean!»
Sbattei le palpebre, ritrovandomi a fissare gli occhi di Marco, realizzando un secondo più tardi di come il suo volto fosse vicino al mio, e come le sue mani, ai lati del mio viso, fossero calde.
«Jean» ripeté, questa volta con un tono più fermo e calmo, come se sapesse che sentirgli pronunciare il mio nome, con quel suo accento così… suo, fosse in grado di calmarmi – cosa che dovevo ammettere, era vera.
«Andrà tutto bene, vedrai» finì di dire, cercando di tranquillizzarmi, mentre i suoi pollici si muovevano sui miei zigomi, accarezzandoli.
Deglutii, rilassandomi sotto il suo tocco, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte alla sua, pensando a come fosse stato se i controlli non avessero rivelato nulla di nuovo. Sarebbe potuto finalmente tornare alla sua vita, dopo un anno chiuso in ospedale, da cui era potuto uscire solo rare volte, dato che, tranne per la sorella, non c’era nessuno qui, dato che entrambi i genitori vivevano in Italia. Avrebbe ricominciato scuola, si sarebbe rimesso in pari con gli studi e avrebbe conosciuto altre persone oltre me, magari migliori di me.
Scattai non appena questi pensieri mi investirono, lasciandomi spiazzato e… spaventato.
Non potevo perdere Marco, anzi, non volevo perderlo, non ora, non ora che l’avevo conosciuto, che era entrato a far parte della mia vita.
«Ehi? Ehi, tutto ok Jean?» chiese lui, spaventato dal mio movimento brusco.
«S-Sì, è tutto a posto»
«Sei sicuro? – insistette lui, avvicinandosi di più, continuando a fissarmi con quei dannatissimi occhi da cerbiatto – Jean, stai piangendo?»
Sbarrai gli occhi, passandomi frettolosamente la punta delle dita sulla palpebra inferiore, realizzando che fosse davvero umida, e subito lo tranquillizzai, inventandomi che mi fosse entrata una ciglia nell’occhio. Un po’ incerto annuì, avvicinandosi di più, affermando di voler controllare se fosse ancora dentro. Rimasi immobile, trattenendo il respiro, mentre quello di Marco mi pizzicava le labbra, e a malapena sentii quando sussurrò che sembrava tutto a posto, prima di sorridermi, affermando che i miei occhi fossero belli.
Cristo.
«Marco, io…»
«Faccia di cavallo? Sei qui? Ho chiesto ad una infermiera e mi ha detto che avrei potuto trovarti qui, ma…»
Sia io che Marco ci allontanammo imbarazzati, fissando Eren, ancora bloccato davanti alla porta, la mano ancora stretta nella maniglia.
Maledetto coglione.







 


Angolo deliri giustificazioni.

I:*sorseggia tranquillamente il suo thè, seduta sulla sua poltrona in Grafobrancio* Ah, come si sta bene qui.
Tutti: ...
Akaneki: non credi dovresti dare delle spiegazioni? *sorride*
I: *caccia un urlo e si va a nascondere dietro Deadpool, tenendo stretti a sé due gufi*
L: ... No, 'fanculo io me ne vado, questo manicomio sta superando ogni mio limite di sopportazione. *se ne va sbattendo la porta*
I: Tornerà. Oppure gli succederà qualcosa di brutto. *accarezza la testa di Bokuto stile il Padrino*
Ah, allora, *si schiarisce la voce*
PERDONOOO. Vi giuro, non l'ho fatto di proposito, volevo davvero pubblicare i capitoli, ma l'ispirazione non accettava a farsi vedere, e dicembre è volato, poi a Gennaio c'è stato il mio compleanno e mi sono fatta finalmente rossa, poi Jes mi si è presentata con Haikyuu, e io mi sono fissata coi BokuAka, poi abbiamo deciso quando saremmo andate al Romics, e poi sabato sono riuscita ad andare a vedere Deadpool e stavo per urlare perché lo aspettavo da due anni il film. *recupera fiato* Mi dispiace mi dispiace mi dispiace. Vi amo tanto sapete? Ora devo scappare, l'apparato circolatorio dei pesci non si studierà da solo, e il mio Grafobrancio deve essere sfamato.


P.S:
Mi sono fatta un profilo su Facebook, vi lascio il link , se siete interessati.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10: Incontri, feste e litigi. ***


Angolo deliri

I: Ok, lo so che dovrei scusarmi per tutto il tempo che è passato dal mio ultimo aggiornamento, ma seriamente credo che voi vi siate rotte le scatole di sentire le mie scuse.
L: Amen.
G: Neanche durante le nottate passate a studiare riuscivi a essere una lagna del genere.
I: Ehi, io ci tengo ai miei lettori-
Kaneki: Oh certo, per questo motivo li fai aspettare mesi concentrandoti su fanfic e os Spideypool.
I: *inizia ad indietreggiare* M-Ma il fumetto... E il film-
EJ: Sei davvero una persona orribile.
I: ... Ok, questo lo sta dicendo una specie di demone malvagio che strappa i reni alle sue vittime e se li mangia, non ti sembra esagerato? E poi Civil War-
*riceve un'occhiataccia da parte di tutti*
... Ok, sto zitta.

 





 

 

Capitolo 10: Incontri, feste e litigi.


«Ho… Ho interrotto qualcosa?» Il ragazzo moro si allontanò da Jean, che continuò a guardarmi come se volesse uccidermi, e si schiarì la voce, spezzando la tensione appena creatasi e portando l’attenzione su di sé.
«Entra pure, non hai interrotto niente Eren» mi disse rivolgendomi un sorriso rassicurante.
Sbaglio o mi ha appena chiamato per nome?
Riuscii a malapena ad aprir bocca per chiedergli come facesse a sapere chi ero che Jean mi prese per un braccio e mi trascinò fuori dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Provai nuovamente a parlare, questa volta per scusarmi dell’intrusione improvvisa di poco prima, ma lo sguardo gelido che mi rivolse il ragazzo davanti a me mi fece morire nuovamente le parole in bocca.
«Come mai ci hai messo così poco?» chiese, riportandolo subito al solito annoiato e presuntuoso che aveva perennemente stampato quando parlavamo.
«Mi hanno visitato subito, il pronto soccorso è abbastanza efficiente… Nessuna costola rotta alla fine, solo due incrinate. Ho appena fatto le lastre, quindi è tutto a posto. E, giusto per essere chiari, ci ho messo quasi un’ora» spiegai velocemente.
Jean batté le palpebre più volte, probabilmente non essendosi reso conto del tempo trascorso, abbassando lo sguardo per controllare il proprio cellulare, prima di appoggiarsi con la schiena alla porta della stanza 231 e lasciarsi andare in un sospiro. Rimasi in silenzio ancora qualche secondo, aspettando che parlasse, magari per spiegarmi la scena a cui avevo assistito nemmeno un momento fa, ma lui rimase con lo sguardo fisso in un punto indefinito oltre me, perso in chissà quale pensiero.
Come se ne potesse averne di articolati, è solo Testa di Cavallo, dopotutto.
Alla fine fui io a richiamarlo, chiedendogli dapprima se quello fosse Marco, e, dopo aver ricevuto la sua risposta positiva, da quanto tempo fosse iniziata.
«Iniziata cosa?» fu tutto ciò che rispose, guardandomi come se gli avessi fatto chissà quale quesito.
«Da quanto tempo state insieme?»
«Cos- Noi non stiamo insieme! - urlò, facendo girare stizzita un'infermiera di passaggio, che ci intimò di fare silenzio. - Siamo solo... Amici, credo» aggiunse infine, stringendosi nelle spalle.
Aprii la bocca per controbattere - insomma, bastava guardarli per capire che provavano qualcosa l'uno per l'altro -, ma la richiusi subito dopo. Non stava a me risolvere quella storia, ma a loro, e in più, avevo anch'io le mie gatte da pelare.
«Senti, puoi tornare da solo a casa? Credo sia meglio che rimanga con Marco finché non iniziano i suoi esami»
Annuii, magari camminare mi avrebbe aiutato a mettere in ordine i pensieri. Jean fece per girarsi, quando mi ricordai di una cosa, richiamandolo.
«Hai mai parlato di me a Marco?» Lui mi guardò stranito, prima di annuire.
«Un paio di volte, ma non è che gli abbia detto nulla di che. Perché?»
«Perché... - mi bloccai. Forse l'avevo immaginato, o semplicemente Marco aveva fatto due conti non appena mi aveva visto. - Nah, lascia stare» lo tranquillizzai scuotendo la testa, per poi salutarlo.
Avevo davvero bisogno di schiarirmi le idee.

Gli insistenti miagolii di Macchia mi fecero distogliere l’attenzione dalla schermata del portatile, che nel frattempo stava completando il salvataggio dell’ultimo file. La gatta si sedette a terra, alternando piccoli miagolii a fusa che mi fecero capire che per lei ormai fosse arrivata ora di cena. Ero tornato a casa dopo aver percorso a piedi tutta la strada che divideva l’ospedale dal mio appartamento, evitando appositamente di passare vicino alla scuola – l’ultima persona che quel giorno volevo vedere era Levi. Avevo passato tutta la giornata alternando puntate di Scrubs a spuntini tutto fuorché salutari e alla creazione dell’ultimo mashup, richiestomi da un mio compagno del corso di chimica. Mi alzai e diressi subito in cucina, accontentando le insistenti richieste della mia gatta, per poi prendere il cellulare e rigirarmelo tra le mani. Lo avevo tenuto spento per tutta la giornata per non essere disturbato, ma ormai erano quasi le nove di sera e ero indeciso se accenderlo o meno. Alla fine cedetti e premetti il pulsante di accensione, se non altro per avvertire il mio compagno che il mashup era pronto, ritrovandomi poco dopo inoltrato di chiamate perse e messaggi non letti da parte di Mikasa, di un messaggio da parte di Jean che diceva di aver pensato lui a tranquillizzarla, e da una chiamata persa da parte dallo stesso ragazzo che stavo per contattare, risalente a poco più di cinque minuti fa. Lo richiamai e dopo pochi squilli mi rispose, scusandomi nel caso mi avesse svegliato.
«Non preoccuparti, avevo solo spento il cellulare. Piuttosto, ti serviva qualcosa?»
«Sì amico, volevo solo dirti che non posso muovermi da qui, non è che potresti portarmi tu la musica? I soldi li ho con me, e ovviamente poi puoi anche restare» spiegò frettolosamente, allontanando da sé il cellulare ogni tanto per dare qualche ordine. Avevo iniziato a giocare con il dilatatore in un gesto del tutto involontario, mentre valutavo la sua proposta, anche se alla fine non c'era molto da valutare: i soldi mi servivano, e in più svagarmi un po' non avrebbe potuto farmi che bene.
«Dammi l'indirizzo, sarò lì prima che inizi la festa» risposi afferrando carta e penna per segnare le informazioni, per poi riattaccare.

Il locale si era rivelato essere piuttosto vicino a dove abitavo, evitandomi così di prendere qualsiasi mezzo pubblico, facendomi allo stesso tempo pentire di non aver indossato qualcosa di più pesante oltre ai jeans neri e una canottiera ampia, coperta da una giacca di pelle pesante. Affrettai il passo, dando un'altra occhiata al cellulare per controllare dove andare ora, ritrovandomi in poco tempo davanti alla mia destinazione, con Franz davanti all'ingresso ad aspettarmi.
«Ehi, ce l'hai fatta amico» disse dandomi una pacca sulla spalla.
Annuii e lo salutai, chiedendogli se fossi per caso in ritardo. Lui negò, aggiungendo che sarebbe stato comunque meglio iniziare a far partire la musica, "per orientare la gente" aveva detto. Annuii ancora, dandogli il cd richiesto, ricevendo subito in cambio il prezzo del mio lavoro, più un invito ad unirmi alla festa.
«Drink gratis per te! Mi hai davvero salvato il culo stasera, il dj che avevo affittato si è ritrovato a letto con la febbre» rise, trascinandomi all'interno del locale affittato.

L'aria si era fatta a poco a poco più calda, fino a diventare asfissiante. Il piccolo pub si era riempito in pochissimo tempo una volta fatta partire la musica, e adesso c'era a malapena lo spazio per muoversi. Presi un altro sorso della mia birra, lanciando un'occhiata disgustata alla calca di gente che si era riunita nella zona designata come pista da ballo. Forse era stato uno sbaglio restare qui, a bere birra scadente seduto su uno scomodo sgabello con la testa dolorante a causa della musica ad al alto volume e dell'alcol. Svuotai il contenuto della bevanda alcolica e feci per alzarmi, quando una mano aderì alla base della mia schiena e un ragazzo dai capelli biondo ossigenati fece capolino nel mio campo visivo, sorridendomi. Svuotai il contenuto della bevanda alcolica e feci per alzarmi, quando una mano aderì alla base della mia schiena e un ragazzo dai capelli biondo ossigenati fece capolino nel mio campo visivo, sorridendomi. Aggrottai le sopracciglia, cercando - con scarsi risultati, tre bottiglie di birra stavano iniziando a fare il loro effetto - di ricordare se conoscessi o no quella persona. Alla fine mi arresi e glielo chiesi, provocandogli una risata.
«No, ma mi piacerebbe - urlò, avvicinandosi con le labbra al mio orecchio per sovrastare il volume della musica. - Posso offrirti da bere?»
Mi allontanai sufficientemente da lui per poterlo guardare negli occhi, accorgendomi subito del fatto che fossero praticamente neri, dilatati e arrossati.
«No grazie, me ne stavo andando in realtà»
Scacciai la sua mano dalla mia schiena e mi diressi, cercando di non inciampare, alla sezione designata come guardaroba, prendendo la mia giacca prima di uscire. L'aria all'esterno si era fatta ancora più fredda, ma dopo aver passato tutto quel tempo dentro al locale quel gelo mi sembrava sopportabile.
«Ehi dolcezza! Andiamo, dammi una possibilità...»
Alzai gli occhi al cielo, continuando a camminare e ignorando la voce insistente del ragazzo che ci aveva provato con me poco prima. In condizioni normali gli avrei tirato semplicemente un pugno, ma non ero sicuro di riuscire a impiegare la forza necessaria, quindi mi limitai ad accelerare di poco il passo. Improvvisamente una mano mi afferrò per il braccio, cercando di farmi voltare a forza, e quando lo feci, con l’intento di dargli un pugno in faccia, incontrai un paio di occhi quasi grigi, al posto di quelli pece che mi immaginato. Levi mi guardò solo per un secondo, prima di spostare la sua attenzione verso la mano del ragazzo, poggiatasi sulla sua spalla, che gli aveva appena intimato di sloggiare poiché io ero la “sua preda”.
«Consiglio a te di sloggiare, ragazzino, prima che mi arrabbi e ti faccia davvero del male» fu tutto ciò che disse Levi, senza neanche degnarsi di guardarlo, riportando la sua attenzione verso di me.
«Tsk, ma chi ti credi di essere, brutto-»
In pochi secondi la mano di Levi si ritrovò stretta intorno al collo del ragazzo, facendolo annaspare per la mancanza d'aria improvvisa. Il poliziotto gli rivolse uno sguardo omicida e gli disse che se l'avesse visto un'altra volta girarmi intorno se ne sarebbe fregato del suo distintivo e della legge e gliel'avrebbe fatta pagare, per poi lasciare andare la presa sulla sua gola, sostituendola con quella al mio polso, trascinandomi via. Lo lasciai fare, almeno finché l'alcool continuò a restare in circolo, e solo quando ci trovammo in prossimità del mio appartamento mi resi conto che l'uomo davanti a me era lo stesso che mi aveva cacciato fuori da casa sua dopo... dopo ciò che era successo.
«È stato solo un errore».
Strattonai il polso, riuscendo a liberarmi dalla stretta del più grande, che si voltò a guardarmi con aria interrogativa, chiedendomi se stessi bene. Il pugno che ne susseguì non era stato per nulla dettato dall'alcool, e andò al colpire il volto di Levi facendogli voltare la testa all'impatto.
«Vaffanculo cazzo, vaffanculo. Ti permetti anche di chiedermi una cosa del genere dopo ciò che tu mi hai fatto? E poi cosa diavolo ci fai qui, ah? Non potevi "dimenticarti di tutto" come hai detto di fare a me? Dannato strommpfh»
Quel fiume di parole venne interrotto dalle labbra di Levi sulle mie. La mia protesta venne immediatamente zittita dal maggiore, che ringhiò di stare zitto, prima di ricominciare a baciarmi in modo passionale.
Lo odio.







 


Angolo deliri.

I: GESÙ BONO CE L'HO FATTA.
GOD BLESS ME.
L: Legatela.
I: Aspetta, cos-?!
*Improvvisamente tutto diventa nero, e Icchan perde i sensi*
I: Dove... Dove mi trovo?
*Si sveglia legata ad una sedia, intorno a lei non c'è altro che buio, e un'unica scrivania di fronte a lei è illuminata da una lampada*
I: Ok, per quanto io sia appassionata di horror, tutto ciò inizia ad inquietarmi.
*Improvvisamente la lampada gli viene puntata dritta in faccia, accecandola, e Eren e Levi escono dall'oscurità*
L: Confessa i tuoi crimini.
I: Non so di cosa tu stia parlando.
L: Sai benissimo di cosa sto parlando, confessa.
I: Non ho nulla da confessare.
E: Su, non essere così sulla difensiva, vogliamo solo che i tuoi lettori sappiano ciò che stai facendo.
I: Continuo a ripetervi che avete preso la persona sbagliata.
L: *sbatte un pugno sul tavolo* Stai o non stai lasciando sempre più tempo tra la pubblicazione di ogni capitolo perché, a parte per la scuola, sei pigra e stai provando maggior interesse in una coppia chiamata Spideypool?
I: Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. E ora, se non vi dispiace, Enterprise, teletrasporto!
E: ... Maledizione.

*Intanto, sull'Enterprice*
I: Guardiamarina Akaashi, rapporto.
A: Continuano arrivarci molti messaggi, soprattutto riguardo la nostra cessata attività di pubblicazione, da diversi siti, capitano. Cosa intende fare?
I: Ufficiale agli armamenti! In plancia.
Deadpool: Presenti, signor Capitano, signore.
I: Converta tutta l'energia ausiliaria agli scudi e li alzi, Ufficiale. Dopo di ché qualcuno faccia scendere lo schermo e mi dia dei dannati pop corn, non finirò la seconda stagione di DareDevil senza mangiarne.
D: Agli ordini capitano!

Continua...?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3189365