Memories

di Juliet Leben22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Missive ***
Capitolo 2: *** "Different Smiles" ***



Capitolo 1
*** Missive ***


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Capitolo 1° "Missive"
 
Seduto sulla sedia, mentre cercava di tenersi fermo il braccio per iniettarsi il siero che gli avrebbe permesso di tornare a camminare e mettere a tacere le voci nella sua testa. Charles Xavier non avrebbe mai pensato di arrivare a quel punto. Erano passati quasi sei anni e ogni giorno perdeva sempre qualcosa di più. C’erano cose che non riusciva a spiegarsi. Eventi del suo passato che avevano distrutto l’uomo che era e l’uomo che avrebbe voluto essere.
Quell’uomo era decisamente morto. Sepolto dietro una coltre di dolore, disperazione e abbandono.
Dopo che Raven se ne era andata… dopo che Erik che se ne era andato, nulla era più stato lo stesso. Spostò il suo sguardo, mentre immetteva quel liquido giallo nel suo corpo, su alcune foto. Una raffigurava Raven, o Mystica come si faceva chiamare adesso, bionda, bianca e sorridente. Pura, piena di speranza e forte. Pacifica.  Non era più così da quando Erik era entrato nella sua vita.
Già. Proprio la foto successiva lo ritraeva. Capelli corti e morbidi, fisico asciutto e muscoloso. Maturo e bellissimo nei suoi quarant’anni.

 
“La concentrazione si trova a un punto tra la rabbia e la serenità.”
“In te c’è molto più di quanto sai. Non solo rabbia e dolore.”
 
Ricordava le sue lacrime e ricordava il suo dolore, impresso nella mente e nel cuore. Quanta sofferenza aveva patito? L’aveva sentita, radicata profondamente nell’animo.
Dopo che aveva ucciso Schmidt non era più stato lo stesso. Tutto era completamente crollato. Le loro speranze, i loro desideri di un nuovo mondo. Si erano allontanati da quel momento, da quando la pallottola che aveva deviato gli era entrata nella schiena, rendendolo l’invalido che era.
O le gambe o i poteri e lui… aveva scelto i poteri. Quella dose era decisamente sufficiente per farlo dormire… perlomeno.
Qualcosa non era andato come pensava. Quell’affetto, che nonostante tutto provava per Erik, si era trasformato in qualcosa di più profondo e ben di diversa natura. Doveva sfogarsi, per l’ennesima volta, mentre quella stupida lacrima disperata gli scivolava sulla guancia.
Abbassò i suoi occhi sulla sua scrivania e vide la solita carta da lettera con la penna nera affianco. Inspirò profondamente, aspettando che il siero di Hank facesse effetto.  
Attese qualche istante e si sedette diritto, impugnando la penna.
 
“Amico mio.
Ti scrivo l’ennesima lettera che mai ti porgerò, che mai vedrà la luce, che verrà bruciata senza alcuna esitazione.
Chissà se pensi mai al nostro periodo assieme, alla nostra prima missione. Io ricordo tutto molto nitidamente. Ricordo che per salvarmi la vita, mi hai protetto col tuo corpo quando eravamo sull’aereo. Ed era così bello sentire il tuo corpo contro il mio. Era caldo, presente.
Non ho mai avuto questi pensieri su un uomo. Difatti, credevo che avrei passato molto tempo affianco a Moira. Decisamente, mi sbagliavo.
Ci sono tante cose che vorrei avere il coraggio, la forza di dirti, ma sai come sono sempre stato. Riflessivo, cauto, speranzoso.
La nostra amicizia era davvero importante per me. Credo che lo fosse anche per te. Nella tua mente io ero sempre presente, ma non ho mai avuto l’audacia di chiedere perché.
E perdonami, caro amico. Se non sono mai stai davvero tale, ma ci ho messo tutta la buona volontà per reprimere ciò che provavo, ciò che provo. Sono stati giorni, mesi anni e istanti e di puro dolore. Da quel giorno sulla spiaggia, da quella pallottola, ci siamo irrimediabilmente allontanati. Ti ho detto che mi hai portato via tutto. Ed è vero. La mia migliore amica, Raven, con la quale ho passato più di metà della vita che ho vissuto.
I miei progetti, le mie speranze.
Ma soprattutto, Magneto mi ha portato via Erik. Il tuo odio ti ha condotto lontano da tutto quello che stavamo costruendo. Lasciandomi solo col mio dolore. E io so cosa potresti dirmi, sai? Oh, lo so. “Hank era con te”, mi avresti detto.
E avresti avuto ragione. Ma non è come me.
Ricordo bene le ultime parole che mi hai detto.
“io ti voglio al mio fianco”, “Vogliamo la stessa cosa”.
Così diversi, eppure così… uniti.
Mi manchi, purtroppo e io non posso fare altro che odiarmi per questo. Ora devo andare a bruciare queste parole, che scottano più del fuoco che arde nel mio caminetto.
Perdonami, perché io non lo farò mai.”
 

Guardò il cielo e si accorse che l’oscurità era calata ed era ora di dormire. Si ripromise che l’avrebbe bruciata l’indomani e si alzò. Sfilandosi i jeans e la camicia, buttandosi a letto. Buttò giù due pillole per dormire e si infilò sotto le coperte.
Chiuse gli occhi, cercando di non riconoscere la luce della luna che illuminava le fotografie e il suo passato.
 
 
     ****** 
 
 
-Erik- mormorò la donna al suo fianco.
Aveva dei bellissimi capelli castani e due occhi eloquenti. Era una donna intelligente che sapeva più di quel che mostrava. Nuda, tra quelle lenzuola sfatte e impregnate dall’odore del sesso. La chioma lunga le copriva la schiena sinuosa, le sue iridi erano azzurri. Ah no, erano nocciola. Da un po’ di tempo aveva ricominciato a cercare quelle iridi ghiaccio ovunque. Quelle due pietre grezze di cielo che ancora lo tormentavano nei sogni, nelle persone. Non si erano più rivisti da quando avevano risolto la questione con Trask. L’aveva lasciato andare e lui si era rifatto una vita. O così si diceva per convincersi. La donna al suo fianco l’aveva incontrata in un bar durante una partita di biliardo in una delle sere passate a Varsavia.  La neve scivolava sul terreno senza lasciar tregua alla capitale, ma a lui poco importava. Aveva deciso di seguire le idee non violente di Charles e si era creato una vita segreta in Polonia.
Ecco, l’aveva detto, l’aveva pensato.
Quasi gli sembrava di udire la voce nella sua mente… ma sapeva che non era così. Lui gli aveva lasciato una scelta e lui se ne era andato. Senza pagare per errori che lui stesso nemmeno riconosceva, senza nemmeno… averlo salutato. Era volato via come un’aquila, abbandonando tutto ciò per cui aveva combattuto.
Aleksandra * si era addormentata. Lo poteva udire dal respiro sommesso e controllato che emetta e si sfrangeva contro il cuscino. Era decisamente una bella donna ed era completamente innamorata di lui. Si guardò attorno e riconobbe perfettamente la sua casa: pareti in legno, tepore di un camino appena spento e l’alba che nasceva. Scostò le coperte dal corpo e si rivestì lentamente, pronto ad intraprendere una giornata di lavoro all’acciaieria. Cercò di non svegliarla e prese gli scarponi con le mani, indossandoli non appena chiuse la porta alle sue spalle. Sospirò e riprese il cammino verso la zona periferica. Ogni passo era qualcosa di confuso e difficile. Non l’avrebbe ammesso mai davanti ad Aleksandra, ma gli mancava tutto della sua vita da mutante. L’azione, l’adrenalina, gli amici… Charles.
Quel nome era come una condanna, era come un fruscio che non l’avrebbe mai abbandonato e già lo sapeva. Doveva solo accettarlo e mettersi il cuore in pace. Ancora però, non sapeva bene come.
 
  ******
 
Hank si era svegliato presto quella mattina. Il sonno ristoratore lo aveva cullato come un bambino. La prima cosa che aveva fatto dopo essersi vestito, era stato andare a controllare come stesse Charles, se si fosse già svegliato.
Gli bastò un attimo per capire che avesse fatto tardi: la scrivania completamente disordinata, la siringa usata ancora sul tavolo e infine una… lettera.
Cominciò a scorrere le righe con lo sguardo e si bloccò ad alcune frasi.
 
“Perdonami caro amico. Se non sono stato davvero tale”.
“Io ti voglio al mio fianco”.
“Ed era così bello sentire il tuo corpo contro il mio”.
 
C’era qualcosa che gli era sfuggito in quegli sguardi, in quegli anni passati… ad evitare l’argomento x-men, l’argomento Raven… l’argomento Erik.
Era tutto combaciava. Il mutante provò un impeto di rabbia verso quell’uomo che aveva davvero portato via tutto al suo più caro amico… anche se stesso.
Gli aveva portato via anche Raven. Sì, lei aveva scelto lui. Aveva scelto la guerra, la paura, l’oppressione, la violenza.
Sospirò e si mise nella tasca dei jeans blu la lettera. Si guardò attorno, cominciando a sistemare silenziosamente quel disordine. Cominciò dalla siringa usata per l’iniezione. Controllò la dose assunta e sorrise: stava davvero cercando di migliorare, di diminuire la dose. Eppure, sapeva perfettamente che quelle voci nella sua mente non facevano altro che aumentargli il dolore alla colonna vertebrale. Era già difficile per lui contenere il dolore, concentrarsi sulla circoscrizione di esso, figuriamoci concentrarsi anche sul male che gli altri provavano dentro di sé.
Prese i fogli sporchi o stropicciati e li gettò nel camino, ormai spento. Dentro di esso -notò- c’erano diversi pezzettini di carta. Ne afferrò uno, ancora semi integro, vi era scritta solo una frase su di esso “chissà dove sei”.
Lo rilanciò nel mucchio di cenere e istintivamente si portò la mano nella tasca: quella lettera doveva essere solo l’ultima di una lunga serie e pesava come un macigno, forse più di altre.
Non avrebbe mai pensato di dire che… non lo capiva questa volta. Come poteva mancargli una persona che aveva fatto di tutto per distruggere quello per cui aveva lottato, studiato e costruito.
Se Charles era la pace, Erik era la guerra.
Erano due facce di una stessa medaglia che forse… avrebbero davvero potuto cambiare il mondo assieme. Ma Magneto non aveva lasciato spazio ad altro che non fosse se stesso, che non fosse il suo potere, che non fosse la guerra.
Allora non aveva potuto fare nient’altro che andarsene. Già. Charles aveva preso le sue cose ed era tornato sui suoi passi, sui suoi principi, sulle sue convinzioni. Il professore avrebbe continuato a combattere per la pace, per i suoi studenti… futuri studenti. Ma sarebbero arrivati. Perché lui aveva permesso il cambiamento. Perché nonostante tutto, gli umani lo temevano, certo, ma avevano imparato ad apprezzarlo.
Alzò lo sguardo e notò le fotografie ancora sparse sul tavolo con semplici cornici. Afferrò quella di Mystica… di Raven e se la portò vicino al viso per guardarla meglio. Era bella. Era sempre stata bellissima. Si chiese come fosse diventata e cosa fosse diventata.
Posò la cornice delicatamente al suo posto, prendendo una foto di Charles ed Erik. Charles era… felice. Non c’era altra parola per descriverlo.
Avvertì la rabbia montargli nuovamente senza riuscire a controllarla. Appoggiò velocemente la foto e uscì dalla stanza, in attesa di riuscire a controllare la sua trasformazione. Anche se ormai aveva deciso cosa fare. La prima cosa da fare era trovare Raven, che lei volesse tornare oppure no. Charles aveva fatto troppo per loro… ora toccava a loro aiutarlo.
 
 
Trovare Mystica non era stato affatto facile, ma era stato fortunato. Aveva solo dovuto aspettare un po’ di tempo e a settembre erano giunti i primi studenti. Tra loro, qualcuno aveva un potere simile a Xavier ed era riuscito a collocare il luogo in cui si trovava.
In Germania.
Poteva andargli decisamente peggio. Ma non poteva lasciare da solo Charles. Non in quel momento, proprio quando erano arrivati gli studenti.
Non aveva nessuna giustificazione per la sua sparizione. Così decise di fotocopiare la lettera ed inviarla all’indirizzo in cui lo studente aveva trovato la ragazza. Sperò che nessun altro la leggesse e infine scrisse due righe da parte sua. Sperò che Raven non avesse dimenticato tutto quello che lui aveva fatto per lei.
Spedì la lettera e deglutì. Non gli restava che scendere le scale in legno e fare lezione ai suoi studenti.


         ******

 
Le erano tremate le mani quando aveva letto il mittente. Aveva lasciato sepolta la lettera per una settimana e poi, in una notte in tempesta, si era decisa a leggerla.  Aveva aperto la busta e la fotocopia le si era srotolata davanti. Aveva iniziato a scorrere lo sguardo lentamente, soppesando ogni parola e sospirando ad ogni punto.
Stava per chiudere la pagina, quando improvvisamente la frase “Perdonami caro amico. Se non sono stato davvero tale” la bloccarono istantaneamente.
Non avrebbe mai pensato che Charles provasse quei sentimenti nei confronti di Erik. Ma chi era lei per giudicare? Aveva amato entrambi e ora sembrava che quello stesso affetto fosse solo un ricordo lontano, sepolto nel cuore e tatuato nella pelle.
 
“Cara Raven,
Immagino che ti abbiano stupita le parole di questa lettera, almeno la metà di quanto abbiano stupito me. Tu sei sempre stata libera con una mente aperta… perciò saprai meglio di me cosa fare o non fare.
Appena ho letto queste parole, mi sono reso conto di quanto infondo non le apprezzassi. Non rivolte ad un uomo che ha solo cercato la guerra. Ma credo che Charles abbia visto qualcosa di estremamente prezioso nella sua anima. Non so esattamente perché mi stia intromettendo così.
Vorrei che Charles fosse felice. Certo, pensavo e speravo che lo fosse con Moira… ma se loro hanno deciso così… se lui ha deciso così, non posso fare nulla se non accettare e capire. Anche se non so esattamente cosa.
La scuola comunque è iniziata bene. Gli studenti sono molto intelligenti e dotati, ne siamo molto orgogliosi.
Ti lascio alla tua vita e spero che ci rifletterai. Tu sai su cosa. Meglio di me credo.
Ti abbraccio.
Mi manchi,
Hank.”
 
Sospirò e si stese sul divano, ancora incredula che l’avessero trovata e che… quella lettera fosse scritta da Charles.
Mise le pagine ingiallite sul tavolo e si rannicchiò nella coperta, pronta a dormire. Era troppo stanca per prendere decisioni simili a quell’ora del mattino. Perciò, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla stanchezza e da quelle parole così vivide, sincere e reali.
 
“Io ti voglio al mio fianco”.
 
 
Non sapeva come e perché, ma erano passati due giorni da quando aveva lasciato il tepore della sua dimora e ora si trovava in Polonia. Più precisamente a Varsavia. Certo, non aveva mai perso le sue tracce. E come avrebbe potuto mai farlo?
La temperatura e i paesaggi erano simili a quelli tedeschi, ma ben più rigidi freddi.
Non sapeva esattamente dove cercarlo, ma aveva già un piano. Aveva chiesto qua e là qualche informazione. Prima era passata nei negozi, poi nei bar, infine si era imbattuta proprio in Lei. Oh, non aveva dubbi che fosse lei.
Labbra carnose e occhi grandi nocciola. Capelli lunghi mossi fino alla schiena. Fisico asciutto e slanciato. Non poteva sperare in meglio. Il tedesco lo parlava eccome, perciò non le fu difficile udire che stava comprando una torta alle more per il suo compagno.
Compagno.
Qualcosa dentro di lei si era mosso e non sapeva esattamente perché, ma le si era stretto lo stomaco in una morsa, mentre le parole di quella lettera fotocopiata echeggiavano nella sua mente come un urlo soffocato.
L’aveva seguita per le strade umide e gelide, fino a che non era entrata in un negozio di vestiti. Non aveva tanta scelta, perciò decise di seguirla finché sarebbe stato necessario. Prendere le sembianze di chiunque era davvero comodo in quei casi.
Aveva dovuto aspettare fino a sera perché lei si rimettesse sui suoi passi e tornasse all’auto.
Mystica non aveva perso tempo e aveva preso le sembianze di uno che conosceva, chiedendole così un passaggio per “salutare suo marito e stare un poco in compagnia”. Lei, gentile e disponibile, non si fece alcun problema e insieme percorsero la strada che li separa dalla meta.
Le vie erano parecchio strette, ma la donna sapeva decisamente il fatto suo.
-State bene a casa? – domandò Aleksandra.
-Benissimo. E voi? Ormai da quanto tempo state assieme?
Si grattò la nuca, scostando i capelli da un lato. -Ormai sono quattro anni.
Avrebbe voluto porle mille domande, ma non poteva assolutamente farsi scoprire.
Ancora si domandava per quale motivo fosse lì. Di certo, non avrebbe mai detto il vero contenuto della lettera che portava ancora in tasca a Erik. Oh no, non avrebbe mai tradito Charles fino a quel punto.
Il furgoncino emetteva rumori non troppo piacevoli e rassicuranti, ma l’umana sembrava completamente a suo agio. Il silenzio faceva da padrone, ad eccezione di una sorta di musica di sottofondo emessa dalla radio vecchia della macchina.
“Another Brick in the Wall” cantavano i Pink Floyd, riportando alla mente di Raven momenti che credeva di aver sepolto dentro di lei.
-Il lavoro, tutto bene?
Un’altra domanda a cui non avrebbe mai saputo rispondere. Chi era quell’uomo che stava impersonando? Lavorava? Oppure era disoccupato?
-Bene, dai. Non bisogna lamentarsi.
-Ah, quindi hai trovato lavoro! Mi fa davvero piacere!
-Saltuario, ma almeno porto a casa pochi spiccioli.
Aleksandra gli sorrise e fece una curva pericolosa a destra, addentrandosi nel bosco. Si era decisamente già persa. In un quarto d’ora, giunsero davanti ad una casetta di legno con tanto di piccolo portico e scalini.
-Eccoci arrivati! Tornerà tra poco, puoi aspettarlo in soggiorno. Posso offrirti qualcosa? – domandò, mentre lo faceva entrare e si toglieva giacca e scarpe.
-Caffè.
Increspò le labbra e sparì in cucina.
Raven storse decisamente il naso nel vedere dove Erik si era sistemato. Passeggiò per tutta la casa, non resistendo a vedere anche la loro camera. Era ordinata, ma il letto era ancora sfatto. Due comodini, uno da una parte e uno dall’altra del letto su cui erano appoggiati oggetti completamente diversi.
Per Erik una scatola di preservativi e due cornici, su quello di lei una sveglia e un’agenda.
Due cornici… una che ritraeva Aleksandra e Erik e… una che ritraeva lui e Charles.
La prese tra le mani, mentre tornava del suo aspetto umano.
Non appena udì la voce della donna chiamarla di sotto, appoggiò velocemente il quadretto e riprese l’aspetto utile in quel momento.
Scese lestamente le scale e domandò scusa.
-Stavo cercando il bagno.
-Oh, ma lo sai dov’è! Te lo sei dimenticato?
-A quanto pare sono davvero stanco.
-Erik comunque è arrivato. È in soggiorno.
Il cuore palpitava più che mai e la salivazione era a zero. Non credeva che le provocasse quell’effetto sapere di vederlo. Inoltre, non sapeva ancora cosa dirgli.
Entrò in salotto e la prima cosa che notò furono i suoi pantaloni sporchi del lavoro che gli calzavano bene, dopotutto.
La osservò, come un predatore fa con la sua preda e sollevò il sopracciglio.
Ridacchiò. -Come mi hai trovato, Mystica? O sei Raven? Con chi sto parlando dopo sei anni?
Lei deglutì e riprese il suo aspetto, controllando che la donna fosse distante.
-Entrambe, credo. Sei anni… e una sistemazione vedo.
Sollevò un angolo della bocca. -Così sembrerebbe.
-Bella casa. Ah, bella camera e belle foto direi.
Raven si tolse la giacca e la sistemò sul divano.
-Estenuante come tu non riesca a starmi lontana, Raven. Ma ora ho una nuova vita.
Lei sbuffò. – Direi che sei fuori strada, Erik.
-Fuori strada? Allora spiegami cosa ci fai qui.
-Non farò del male alla tua fidanzata, se è questo che ti stai domandando. Non stiamo più assieme, noi due. Infatti, sono qui semplicemente per… -
Per cosa era lì esattamente?
Si stropicciò gli occhi e non appena udì la voce di Aleksandra cambiò il suo aspetto.
-Volete qualche dolcetto?
-No, grazie. Io vado un secondo in bagno- disse sorridendole.
Aleksandra si avvicinò a Erik e gli posò un bacio dolce sulle labbra.
-Sei contento che Daniel è venuto a trovarti?
La strinse a sé. -Preferivo decisamente passare la serata da solo con te. Ma son contento di averlo visto. Era da tanto che non avevamo occasione di parlare come si deve.
-Allora vi lascio un po’ da soli, mentre vado a farmi la doccia – gli fece l’occhiolino- dopo così staremo solo io e te.
-Ottimo piano, tesoro.
Le lasciò la mano e lei cominciò a percorrere le scale per salire. 

Nda: Ciao a tutti! Sì, ho sperimentato anche qui e spero di non aver fatto danni! Sono piccoli "missing moments", ma ci tenevo a pubblicarli... sono due capitoli. Questo è il primo e il secondo l'ho già scritto. Diciamo che è solamente da ricontrollare. Spero vi piaccia. Fatemi sapere i vostri pareri. A presto!
Juliet

 

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Capitolo 2
*** "Different Smiles" ***


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Capitolo 2°”Different Smiles”
 
 
La prima cosa che il Signore dei Metalli guardò fu la giacca della sua vecchia amica sul divano. Cercò qualcosa nelle tasche che potesse fargli comprendere la motivazione della sua comparsa nella sua vita in un momento così.
Sfilò un foglio piegato su se stesso e lo aprì. Stava per richiuderlo, quando le parole lo colpirono una ad una. Il suo cuore cominciò a battere più forte del dovuto e il respiro cominciò a mancargli.
Si morse il labbro e le mani tremarono. Poteva davvero avere scritto lui quella lettera? Lo stesso uomo che aveva le pietre grezze di cielo al posto delle iridi?
-Non ti ha insegnato a non frugare nelle tasche delle persone la tua mamma?
La voce di Raven lo riportò alla realtà e la fissò stranito per qualche istante. Quella lettera, quella fotocopia, era ancora tra le sue mani. ogni parola sembrava accarezzarlo nel profondo.
-Chi ha scritto questa lettera?
-Se sapevo che bastassero delle parole scritte da Charles a mandarti in crisi, l’avrei fatto prima… lo ammetto.
Charles. Lo stesso uomo che aveva… abbandonato, come diceva lo scritto.
-Stai mentendo!
Scosse la testa e mosse anche i capelli biondi. -Affatto. Non riconosci la sua grafia? Ci sono momenti che avete passato solo voi. Come quello sull’aereo, quando gli hai fatto da scudo con il tuo corpo… oppure quando la pallottola ha deviato e… -
-Io ho deviato quella pallottola.
-Sono passati anni, Erik! Talmente tanti anni che lo stesso uomo a cui hai impedito di camminare ti ha perdonato!
-Ma io non ho perdonato me stesso, Raven! – esclamò, mentre con una mano si teneva al divano.
-Quelle parole… non ti toccano nemmeno un po’? Quella confessione che avrebbe dovuto bruciare… ora è giunta a te. Cosa farai? Rimarrai a prenderti in giro sul fatto che questa è la vita per te? Che lei è quella giusta? Oh, andiamo Erik! Non essere così cieco!
-Io amo Aleksandra.
-Oh certo- ridacchiò amaramente- ed è per questo che sei così sconvolto da quelle parole di Charles?
-Lui aveva Moira.
-Che ha lasciato.
-E come lo sai? Non l’ha lasciato lei?
Raven scosse la testa. -Me l’ha detto Hank. Loro non… Charles l’ha lasciata andare.
-… la sedia a rotelle. – concluse lui in maniera secca e sofferta- Prende ancora quel siero?
Sollevò le spalle. –Non lo so. Forse dovresti prendere un volo per New York e scoprirlo.
Erik sgranò gli occhi. -Raven tu non capisci… Ale e io stiamo costruendo una vita assieme.
-Se non provi nulla per lui, brucia quella lettera e non farlo soffrire. Ti chiedo solo questo.
Prese la sua giacca e la rimise. -Salutami Aleksandra o come si chiama.
Uscì dalla porta senza nemmeno aver bevuto il suo caffè che ancora fumava su quel tavolo tondo in legno.
Erik la inseguì prima che lei potesse andare troppo lontano. -Chiama un taxi.
-Lo farò. – rispose senza nemmeno voltarsi.
Rientrò in casa, mentre il buio ormai era calato. Salì stancamente le scale e si tolse i vestiti.
-Tesoro- ridacchiò Aleksandra nel vederlo – Mi aspetti già così?
Posò gli occhi sulla donna con cui voleva costruire una famiglia. Perché voleva ancora farlo?
La lettera era ancora nelle sue mani e bruciava, scottava, come se fosse una fiamma viva che continuava ad ardere e ingrandirsi. La posò dietro la cornice e si fece una doccia veloce.
Lasciò scorrere l’acqua calda sul suo corpo temprato da cicatrici e duro lavoro… dalla guerra.
Quante volte aveva pensato a Charles in quegli anni? Troppe.
E quante volte non era riuscito a scacciare il pensiero del calore di quel corpo anche quando faceva l’amore con la donna che amava? Non contabili.
Ricordava bene quando lo aveva stretto a sé dopo la pallottola. Il suo corpo era ancora caldo, malgrado la zona fredda della schiena.
Eppure, non avrebbe mai pensato di poter dire che… si sentiva in colpa. Che malgrado fosse colpa degli umani, era anche colpa sua. Non proporzionalmente, ma era un dato di fatto.
Aveva convissuto per anni seguendo la via di Charles e non se ne stava pentendo. Anche se, l’azione gli mancava e i giorni all’acciaieria si stavano susseguendo tutti troppo uguale agli altri.
Chiuse il rubinetto e sistemò il sapone nell’apposito contenitore. Aleksandra lo aspettava già le tra le pieghe di quel letto, nuda e meravigliosa come era sempre stata.
Ma perché stavolta il suo corpo non reagiva di conseguenza?
Lei vide immediatamente la linea marcata del dubbio, della preoccupazione… di qualcosa che non avrebbe dovuto esserci negli occhi dell’uomo che amava.
-Cosa ti ha detto Daniel?
Si sedette sul letto e la strinse a sé. -Tra di noi non ci sono mai stati segreti… a parte qualcuno che direi necessario per la vita che facevo prima.
-Ha scoperto dei tuoi poteri?
Erik scosse la testa. -Quell’uomo… non era Daniel. Era un mutante. Una mutante. Una cara amica che ha la facoltà di prendere qualsiasi aspetto.
-Cosa voleva? – si sollevò istantaneamente, non curante del fatto che il lenzuolo era rimasto ancorato alle sue gambe e il seno era esposto all’aria e allo sguardo del suo uomo.
Lui sospirò. In che modo avrebbe potuto partire?
-Anni fa, conobbi un uomo come me. Mi aiutò a controllare i miei poteri. Pian piano facevamo progressi. Altri erano con noi. Ci facevamo chiamare gli X-men. Sai, volevamo cambiare il mondo… aiutare gli umani con queste… nostre abilità.
Aleksandra sorrise. -Dev’essere stato un’ottima persona se ha ispirato così tanta bontà.
-Lo è. Lo è ancora.
-Ancora? Vuol dire che è ancora vivo?
Erik si sollevò dal letto e afferrò la cornice con la foto di lui e Charles. Gliela porse. Aleksandra lo guardò indispettita. -È lui? Mi avevi detto che era un tuo amico morto in guerra! -esclamò, quasi quella bugia fosse la più pesante di tutte.
Lui deglutì, continuando ad osservare la foto. Quel sorriso era così… reale e mai visto che la mente di lei cominciò a rimuginare sulle sue parole. I sospetti s’insinuarono in quelle che lei volle chiamare riflessioni.
-Non è morto. Abita negli Stati Uniti e non ho sue notizie da anni.
-Anni? Quanti?
-Per l’esattezza sei.
Lo sguardo della sua compagna ricadde nuovamente sull’immagine. Quel sorriso non l’aveva veduto mai in quegli anni. Certo, increspava le labbra in sua presenza, ma mai in quel modo.
Accarezzò la linea delle sue labbra e lo fissò. -Era importante davvero per te. Insomma, ti manca.
Erik non ebbe l’ardire di contraddirla, ma era più che una carenza. Non gli mancava Charles in quanto amico. Perché quella mancanza era una sofferenza, una presenza costante che negli anni gli aveva dato ben poca tregua.
-Cosa pensi di fare? – fermò il susseguirsi dei suoi pensieri.
Lui si morse il labbro e si maledì per le lacrime che cominciavano a bloccarsi sulle sue lunghe ciglia.
Istintivamente l’abbracciò. -Io ti amo, Aleksandra. Tu lo sai.
-Però vorresti essere altrove.
-No.
-Vorresti che lui fosse qui.
-Sì. – era un’ammissione velata, un qualcosa che aveva sepolto dentro di sé per anni.
-Quindi che farai? – domandò nuovamente.
-Resterò qui. Con te.
La vide sorridere e posare dolcemente le labbra sulle sue in un bacio passionale. Erano ancora nudi e lui non se ne era nemmeno accorto.
Rimase a baciarla per tutta la notte, sfiorandole la pelle esposta. Ma durante quella luna piena non entrò di lei come Aleksandra si aspettava.
Nessuno dei due riuscì a prendere sonno, per diversi giorni.
 
 
                                            ******
La sera precedente, per fare uno scherzo ad un suo rivale in “amore”, il ragazzo aveva deciso di assorbire la luce nella sua camera. Oltre alle urla del malcapitato, aveva cominciato a fare cose illecite -in una scuola- alla ragazza per la quale i due litigavano.
Charles aveva già parlato con la ragazza, che gli aveva promesso che non sarebbe più successo nulla del genere, ma mancava Gabriel. Gli avrebbe parlato domattina.
Quella notte, una di una lunga serie, una lacrima era sfuggita al suo controllo. Si era persino rimproverato perché avrebbe davvero dovuto essere felice e invece… non ci riusciva. Erano rari i momenti in cui poteva ancora dirsi davvero soddisfatto della propria vita. Erano quei momenti in cui i suoi studenti dimostravano di aver cominciato a trovare e intraprendere la propria strada. Era davvero una bella sensazione.
Ma non quella notte.
Aveva scritto altre tre lettere nel corso dell’anno, ma le aveva stracciate tutte con rabbia, prima di andare a dormire. Dopo che aveva perso quella di agosto, non si era più permesso di tenerne nessuna.
Le due cornici erano ancora al loro posto, anche se i rispettivi protagonisti delle foto non si erano più fatti vivi.
Hank aveva sofferto per Raven, in maniera molto simile a come lui aveva sofferto per Erik, ma nessuno dei due aveva avuto il coraggio di proferire parola. Charles Xavier si era chiuso in un silenzio intangibile e incontrollabile, difficile da sopportare. Ma Hank non aveva detto nulla e aveva accettato ogni singola cosa. Ogni singolo muro, ogni singolo silenzio.
Ma come avrebbe mai potuto accettare i suoi sentimenti per… Erik Lenhsherr? Mai. Nemmeno lui li aveva ancora accettati.
Un rumore nella stanza affianco lo risvegliò da quei profondi pensieri. Non gli restava che infilarsi nelle coperte e cercare di spegnere il cervello.
 
 
Il professor Xavier si trovava nel suo ufficio e stava parlando con Gabriel Summer, un alunno della sua scuola che aveva la capacità di assorbire qualunque forma di energia.
Lo studente se ne stava seduto di fronte a lui a braccia conserte, orgoglioso, con il petto in fuori, dal capo dei suoi sedici anni.
-Gabriel… devi imparare a controllare i tuoi poteri, non puoi giocarci in questi modi. Sarebbe potuta finire male questa storia.
-Oh, andiamo, professore! Non ci credo che lei non ha mai usato i suoi poteri per scoprire cosa pensassero gli altri di lei! Per esempio… mettiamo che gli piacesse qualcuno… io sono sicuro che gli avrebbe letto nella mente!
Charles sospirò. -Gabriel, sei nell’età per capire che non posso lasciartela passare liscia.
-E cosa ha intenzione di fare? Punirmi?
Il professore ridacchiò. -Certo che no, ma sono sicuro che al professor Hank serve un valido assistente per sistemare tutte le provette e tutte le ampolle nell’ordine giusto.
Il ragazzo sgranò gli occhi. -Che?! No! Mi dica che scherza… -
-Vedo che approvi questa mia decisione. Bene, mi fa piacere. Ora va a scontare la tua punizione, forza!
-Ma per quanto tempo?
-Per il tempo che occorrerà – gli sorrise.
Gabriel sbuffò e si alzò arrogantemente, uscendo dalla porta di legno.
Charles Xavier si spostò con la sua sedia a rotelle fuori dalla stanza, pronto ad intraprendere una nuova giornata di lezione.
I più piccoli lo aspettavano, impazienti di cominciare ad imparare. Ma non appena avrebbe iniziato a dargli dei compiti, quell’entusiasmo sarebbe sciamato. Era sempre così.
Adorava il fatto che quei piccini rimanessero ad ascoltarlo e amava pensare, sperare, che un giorno avrebbero davvero cambiato il mondo e sarebbero stati seriamente accettati dagli umani.
Ma pochi passi per volta. Prima di tutto dovevano imparare a gestire il loro potere e controllare le loro abilità.  Avrebbero creato da soli il loro cammino.
Anche se, non poteva mentire a sé stesso: mancava qualcosa. O meglio, qualcuno. Tutti i progetti che avevano scelto e deciso… erano cambiate tante cose nonostante dovette riconoscere che avevano costruito tanto. C’erano tante cose da fare ancora, ma mentre Charles spingeva la porta dell’aula per entrare, era sicuro di volerle fare tutte.
-Buongiorno! – esclamarono i piccoli studenti, facendo sorridere il professore.
-Buongiorno a tutti! Io sono il professor Xavier come molti di voi sanno. Per quelli nuovi, benvenuti! Sono davvero felice che siate arrivati qui. Sappiate che qui non sono ammessi atti di bullismo, razzismo o altre brutte parole. Qui si vive in pace e non è accettata la violenza! – disse serio.
I ragazzini stavano attenti ad ascoltarlo, senza perdersi una parola, mentre il silenzio faceva da padrone.
 
 

 
                                            ******
 
La targhetta fuori dalla scuola, accanto al cancello, era ancora la medesima.
Si sistemò la sacca sulle spalle che conteneva due cambi di vestiti necessari per il viaggio. Non sapeva quanto ci aveva messo a giungere lì, ricordava solo di non aver chiuso occhio per tutto quel tempo. Lo stomaco era ancora stretto in una morsa e i pensieri frusciavano come non mai nella sua mente.
Era stata Aleksandra a fargli la valigia. Aveva aspettato per settimane che la situazione cambiasse, che lui facesse qualcosa. Ma, sebbene lui lo desiderasse, non ci era riuscito. Era stata davvero una sofferenza vedere le lacrime scorrerle sul viso mentre gli augurava ogni bene. Anche quando gli aveva urlato in faccia che non l’amava veramente e forse non l’aveva mai fatto a causa di quell’uomo che ancora albergava nella sua mente e nel cuore. Lei aveva la certezza che Charles era l’unico uomo per Erik, non ce ne sarebbero stati altri. Come d’altronde, nella sua vita, aveva avuto solo donne.
Entrò nel castello, indossando il solito caschetto protettivo e percorse la stradina di pietra fino al portone.
Si guardò attorno e vide diversi ragazzi fare lezione contro gli alberi, in postazioni ben sistemate e costruite appositamente.
“Charles ha voluto facilitargli il lavoro”, aveva pensato, increspando l’angolo destro delle labbra.
Il vento frusciava, muovendo anche i fili d’erba e le chiome degli alberi, facendogli assaporare quell’aria pulita, conosciuta… di casa.
Aprì anche il portone e venne quasi investito da alcuni studenti con diversi libri o raccoglitori per le mani. Il brusio era solito di una scuola con molti componenti e così era. Charles ci era davvero riuscito.
Fermò uno dei ragazzini che lo stavano fiancheggiando o superando, prendendolo per un braccio.
-Scusami, sai dov’è Charles Xavier?
-Xavier? Intende il professor Xavier? Sta facendo lezione nell’aula di storia.
Erik roteò gli occhi al cielo. -E dove sarebbe l’aula di storia?
-Ah, ma sei nuovo! Ti ci accompagno! Sei leggermente vecchio per il target di questa scuola, ma… secondo me, il professore ti accetterà!
“Se non chiuse la bocca lo strozzo con la collanina di metallo con metà cuore”, rifletté.
Percorsero diversi corridoi, giungendo infine alla stanza designata. Era l’ultima in fondo al corridoio ed era chiusa. All’interno si udiva una voce. La sua voce che spiegava delle guerre mondiali, delle guerre tra l’umanità e qualcuno che voleva eliminarla.
-Gli ebrei sono stati vittime di antisemitismo… lo stesso si può dire dei mutanti. Anche loro sono state delle vittime nei campi di concentramento. La razza umana ci temeva e noi gli abbiamo dimostrato che siamo alleati, non nemici.
La sua voce, il tono della sua voce… era qualcosa di estremamente perfetto che gli era mancato negli anni.
Lo studente bussò alla porta prima che Erik potesse fermarlo.
-Professore? Professor Xavier? Scusi se interrompo la lezione… ma è arrivato un… signore che vorrebbe entrare nella scuola.
-Fallo entrare, Matt*.
Erik deglutì e agì d’istinto. -Non credo che potrei mai intraprendere un simile percorso, professor Xavier.
Il sorriso si spense sul viso di Charles per poi spalancarsi in un’espressione sorpresa.
Rimasero a guardarsi per diverso tempo, quando uno dei suoi studenti pose una domanda all’insegnante.
-La lezione è finita. Segnatevi le domande per domani. Risponderò a tutto ciò che vorrete.
-Ma professore… mancano quaranta minuti!
-Fate come vi ho detto, ragazzi. Quest’uomo è un vecchio… amico. È stato lontano da questo posto per tanto tempo. Forse troppo- si morse il labbro, posando i suoi occhi cielo su di lui.
Iridi azzurre e iridi mare si fusero e Charles, come ipnotizzato, continuò a guardarlo proferendo solo poche parole. -Andiamo nel mio ufficio.
Erik lo seguì senza dire nulla e salirono assieme in ascensore.
Avrebbe voluto parlargli della lettera, dirgli tante cose.
-Quell’elmetto è perché non ti fidi di me?
Scosse la testa e se lo sfilò. -No, preferivo solo che non guardassi nella mia mente prima che… insomma… prima di aver parlato.
-Mi fa piacere vederti.
-Anche a me, Charles.
-Dov’eri finito?
Sorrise. -Ogni cosa a suo tempo. Eh sì che ero io quello impaziente, una volta.
Charles sorrise e spingendo la sua sedia a rotelle entrò nella stanza.
Erik si bloccò, posando lo sguardo su quelle ruote grandi e quella sedia troppo bassa. Era colpa sua se si trovava in quella condizione. Abbassò lo sguardo, colto da qualcosa che non pensava fosse così forte.
-Erik… entra con me.
La sua voce era un caldo invito che gli fece fare qualche passo tremolante.
-Non ti reputo colpevole, Erik.
-Non devi leggermi nella mente.
-Allora entra e parlami.
Obbedì, come se al posto del parquet ci fosse della lava e si mosse velocemente. Chiuse la porta dietro di sé.
Si sedettero l’uno di fronte all’altro.
-Per rispondere alla domanda che mi hai fatto prima… ho vissuto in Polonia.
-Da solo?
Scosse la testa. -Con una donna… Aleksandra.
Era evidente come solo il nome avesse colpito il professore nel profondo. -Ah. Immagino ti stia aspettando.
-No, mi ha lasciato.
-Che hai combinato? – domandò, cercando di essere sarcastico.
Erik sospirò. -Ha avuto il coraggio di fare quello che io non avevo.
-E sarebbe?
-Lasciarmi essere felice.
-Deve essere una grande donna.
Ridacchiò. -Sai, dice lo stesso di te.
-Che sono una grande donna?
Inclinò la testa. -Che sei una grande persona. Le ho parlato di te. Ma non montarti la testa, eh.
Charles chinò il capo ridacchiando ancora. -Cosa ti porta qui?
Erik sfilò delicatamente dalla tasca quella lettera che aveva conservato per tutto quel tempo vicino al cuore e gliela porse.
Il sorriso del telepate svanì. -D-dove l’hai trovata?
-Diciamo che è una storia lunga ma… l’ho letta mille volte e non riesco a trovare qualcosa che mi faccia pensare di aver capito male.
Gli occhi cielo si spensero e, colto con le spalle al muro, sospirò. -Sei qui per questa?
-Sono qui perché ho bisogno di sapere di non aver travisato quelle parole, Charles.
-Non l’hai fatto. -lo guardò negli occhi.
Fu allora che Erik posò le sue labbra su quelle di Charles, udendo quelle parole.
Il telepate schiuse la bocca, pronto a conoscere la sua lingua proprio come voleva l’altro. L’uomo dalla barba ispida si staccò solo per far cadere i quaderni e i raccoglitori dal tavolo, pronto a scavalcare quella scrivania che li divideva. Charles tentò di sollevarsi, senza riuscirci.
Erik lo alzò di peso, permettendogli di aggrapparsi a lui e continuare a baciarlo.
-Potrei prenderti qui su questa scrivania se non mi fermassi.
-Non avrei nulla in contrario.
-Io invece sì.
Charles lo fissò stranito.
-Dov’è la tua stanza?
-In fondo al corridoio. Ma non possiamo uscire così. Ci saranno gli studenti in giro.
Sollevò il sopracciglio, continuando a baciarlo avidamente.
-Rimettimi sulla mia sedia, daremo meno nell’occhio.
-Non ho intenzione di lasciare le tue labbra.
Lui rise e ad Erik sembrò di aver perso davvero troppo in quegli anni. Perché quella risata gli era mancata più di quanto non avrebbe mai ammesso.
-Credevo che quella lettera ti avrebbe allontanato, sai?
-Non avresti dovuto pensarlo.
Strabuzzò gli occhi, come se fosse evidente che c’erano tutte le probabilità di farlo. -Diciamo che prima Raven, poi… chissà quante. E ora questa Aleksandra.
Increspò le labbra malizioso. -Se non ti conoscessi da così tanto, non potrei dirti che sei geloso.
-E anche se lo fossi?
-Potrei dire lo stesso di te e Moira.
-Che ho lasciato perché non l’amavo. O almeno sì ma non quanto… credevo.
-L’ho sempre odiata.
-Perché?
-Perché sapevo che ti piaceva e poi era umana…-
-Oh, perché Aleksandra non lo era?!
-Stiamo litigando davvero per delle ex fidanzate?! Non credevo che l’avremmo mai fatto. Non ti facevo il tipo da gelosia e cose così, sai?
Charles sbuffò. -Potresti cortesemente mettermi giù, Erik?
-Ho intenzione di portarti fino al letto così, Charles Xavier. E nessuno potrà impedirmelo. Nemmeno i tuoi studentelli giovani e casti.
-Io dovrei dare il buon esempio.
-Certo, comincia a dare il buon esempio come sto immaginando.
Gli fece segno di leggergli nella mente e la prima immagine che vide fu Erik mentre gli toccava il corpo ormai senza veli sul vecchio letto in cui avevano dormito assieme in una notte di tanti anni fa. Si erano addormentati dopo una lunga chiacchierata e nessuno dei due aveva voluto lasciare quella stanza. Non conoscevano la motivazione, a causa del pregiudizio e dell’immaturità. Ma ora lo sapevano.
D’istinto, le guance gli si colorarono lievemente di rosso.
-Non avrei mai pensato di farti arrossire. Non ti facevo così puro e casto- disse sarcastico.
Charles sorrise malizioso, desideroso di dimostrargli che si sbagliava.
Erik accolse senza nemmeno esserne cosciente l’immagine del telepate e spalancò gli occhi: l’immagine che gli aveva mostrato era molto meno casta rispetto a quella che aveva immaginato lui.
-Puro e casto mi descrivono perfettamente, dopo questa – disse ironico Charles, ancora con le gote arrossate.
-Non sei credibile mentre arrossisci, sai? Ma ci sarà tempo anche per quello.
Se lo sistemò tra le braccia e, nonostante i tentativi del professore di essere posato sulla sua sedia, spalancò la porta.
-Dormi sempre nella solita stanza?
Charles non rispose e annuì solamente.
Per fortuna nel corridoio non c’erano studenti o ritardatari dell’ultimo minuto a lezione e in pochi attimi furono nella sua stanza.
Era cambiata di pochissimo rispetto a quello che ricordava. Solamente la disposizione degli oggetti e il letto, che ormai era di ferro battuto.
Due foto, due cornici si trovavano su quel tavolo. Lui e Raven.
Erik sorrise. Non l’avrebbe mai ammesso, ma avevano la stessa identica foto nella cornice. Loro che ridevano durante i primi allenamenti. Lo appoggiò sul letto e Charles lo attirò a sé per la nuca, baciandolo passionalmente. Avevano sprecato troppo tempo e dovevano recuperare ogni istante. Ci sarebbe stato tempo per le parole, i discorsi e le litigate, in quel momento c’era solo spazio per i sentimenti, la passione e la necessità.
L’uomo dagli occhi cielo stava togliendo la maglia a Erik che gli stava mordendo il collo e toccando la pelle del fianco ormai scoperto. Si abbassò ancora per prendere possesso delle sue labbra, mentre con una mano andava a sondare la situazione sotto la cintura. Lo desiderava. Era presente e rigido, proprio come lo aveva immaginato nei suoi sogni più lussuriosi. Gli slacciò la cintura e Charles lo fissò impaziente. Il telepate cominciò ad accarezzare la sua zona più sensibile da sopra i pantaloni, facendolo ansimare.
-Fermami ora, Charles, o non riprenderò il controllo di me stesso.
-Il controllo non so più cos’è da quando mi hai bacio la prima volta, Erik- ribatté, gettando indietro la testa non appena il partner prese il suo membro con entrambe le mani.
Stavano entrambi per liberarsi di ogni vestito, quando bussarono alla porta. Entrambi si guardarono e Erik scoppiò a ridere.
-Vedi tu, aspettiamo anni e i tuoi studenti vengono anche ad interromperci. Io non vado.
-Erik, vai.
-Non ci pensare nemmeno. Io non sono qui giusto? Quindi se non rispondiamo non siamo qui.
-Ma noi siamo qui. Inoltre ho delle responsabilità. Magari è successo qualcosa – disse alzandosi a fatica.
Non appena vide la smorfia sul suo volto, il signore dei metalli lo aiutò ad alzarsi.
-Ho bisogno della mia sedia- mormorò a mezza voce e Erik annuì.
Si sistemò e schiuse l’entrata.
Hank si trovava di fronte a lui e lo guardava più che stranito.
-E-Erik?!
-Ciao Bestia. Non sei blu- constatò.
-Ho imparato a gestire la mutazione. Ma cosa… dov’è il professore?!
-Fai troppe domande e poche sensate, come sempre-sbuffò- comunque il professor Xavier è qui. Vado a prendere la sua sedia-
-Perché non è sulla sedia? Che gli hai fatto?
Da dietro la porta, udì la voce del professore calma e tranquilla. -Hank va tutto bene. Sono qui.
-Qui dove?
Erik sollevò il sopracciglio, incredulo. -Ora, non ti aspetterai che risponda a questa domanda.
Spalancò con impeto la porta e vide Charles steso sul letto, che si era rivestito appena in tempo.
-Bene. Ora che hai controllato che sta bene, potresti spostarti?!
-Dov’è la sedia, Charles? – domandò ignorando Magneto.
-Hank non preoccuparti, ci pensa Erik. Di cosa avevi bisogno?
-Uno dei piccoli ha avuto qualche problema e la situazione sta degenerando anche emotivamente. Potresti venire?
-Certamente. Il tempo di prendere la sedia.
Erik la richiamò a sé velocemente, stando attendo a non beccare nessuno degli studenti in quel corridoio. Il cambio delle lezioni era decisamente affollato. Le ragazze erano vicine le une alle altre, mentre confabulavano su qualche teoria sui mutanti oppure di sedute di bellezza; dall’altro c’erano i ragazzi che trovavano ogni scusa per avvicinare le fanciulle.
Erik, nel vedere la scena, rise. Portò immediatamente la sedia vicino al letto e aiutò l’uomo dalle iridi cielo a salirci sopra.
-Hank ho finito le dosi. Potresti portarmene ancora qualcuna?
-Oh. Ci hai messo molto a finirle stavolta. Mi fa piacere. Certamente. Entro stasera te le porto!
-Dosi? Quali dosi? -domandò Erik, accanto a Charles. Il suo sguardo vagava dall’insegnante allo scienziato.
-Se tu fossi stato qui in questi anni, sapresti che Charles assume degli antidolorifici necessari per sopportare il dolore alla colonna vertebrale.
Il professore cercò di fermare il suo migliore amico dal continuare quella conversazione, ma il mutante proprio non accennava a fermarsi.
-A causa di quella tua pallottola, sai.
Erik continuava a rimanere in silenzio. -Charles, io… -
-Erik non devi dire nulla. Ti ho perdonato, sto bene. Sono solo dolori che a volte sbucano e devo controllare. Insomma, per quella sera non ho i miei poteri al massimo, ma poco importa. Ho fiducia nei miei studenti e se per una sera voglio farmi un riposo ristoratore… insomma, non mi sentirò in colpa.
Hank stava per ribattere, ma stavolta il telepate riuscì a fermarlo. -Basta così. Ora accompagnami dallo studente. Erik questa è casa tua. Sistemati dove vuoi e in che stanza preferisci.
Il signore dei metalli sorrise malizioso. -Direi che allora resto qui- disse spavaldo.
 
 
                     *****
Hank non sapeva davvero cosa pensare. Aveva fatto di tutto per rendere felice Charles, il suo più caro amico, ma ora… si accorgeva che non riusciva a fidarsi di Magneto. Li aveva sempre abbandonati nel momento in cui avevano bisogno e ora, vederlo così vicino a Charles che sembrava rinato, rinvigorito dalla sua presenza… temeva per lui.  Forse aveva sbagliato, forse non avrebbe dovuto mandare la lettera a Raven. Guardò il professor X andare nel laboratorio e lui rientrò nella stanza, pronto a parlare con Erik che se ne stava davanti al camino, seduto sulla poltrona a sistemare le sue cose nella sacca.
-Ti stai già mettendo comodo?
Il signore dei metalli si voltò, in maniera calma e ponderata. -Prima mi mandi la lettera e poi vuoi che me ne vada? Mi sa che in una delle tue trasformazioni da bestia hai battuto la testa.
Quasi Hank ringhiò, ma seppe controllarsi a quella provocazione. -Era giusto che tu lo sapessi. Per quello l’ho inviata a Raven… è stata una sua scelta fidarsi di te.
-Oh e ti liberi di ogni responsabilità così?
Hank sorrise sprezzante. -Mi dispiace dirtelo, Erik. Ma Charles non sta così per colpa mia.
Si era reso conto dopo di averlo detto davvero e mentre guardava quell’uomo perdere le fila di se stesso, vide in quello spiraglio di arroganza e sarcasmo un’incrinatura, un senso di colpa… dei sentimenti.
-Senti, hai intenzione di restare?
-Sì.
-Per quanto tempo?
Non lo sapeva, glielo leggeva in quelle iridi color mare in tempesta.
-Almeno non hai una data per tornare a casa.
-Questa è la mia casa.
-Oh, davvero? Non ci credo, Erik. Dopo tutto quello che hai fatto. Sedici anni in tutto, da quel giorno in cui eravamo davvero contro il mondo… contro Trask.
Sedici anni che pesavano come macigni sul cuore di Charles. Ma ora poteva vederlo chiaramente, anche sul cuore di Erik.
-Io non sono nessuno per dire al mio migliore amico chi amare.
-Ma lo vorresti.
-Sì. E gli direi che non sei tu quello da amare.
Erik sbuffò. -Sei ancora innamorato di Raven, non è vero? Te lo leggo negli occhi il rancore che hai.
-Non è solo questo, io-
Allargò le braccia teatralmente. -Oh, Hank andiamo! Credi davvero che se non provassi qualcosa per lui sarei qui?! Credi davvero che avrei lasciato tutto quello che avevo costruito e stavo costruendo? Ti facevo più intelligente, davvero. Inoltre, se ami davvero Raven, vai e diglielo! Sii coraggioso! Visto che l’hai persa una volta, io farei di tutto per riaverla ancora.
Il ringhiò echeggiò in tutta la stanza e forse anche in tutta la scuola. Erik dovette abbassarsi perché Hank aveva già caricato un pugno nella sua direzione, che prontamente schivò.
-Calmati, Hank. Non sono tuo nemico!
Ma lui non lo ascoltava e ringhiò ancora.
Non si doveva permettere di parlare di Charles, figuriamoci di Raven. Quella ferita era troppo aperta e per tutti quegli anni non aveva mai smesso di sanguinare.
In silenzio, non riusciva nemmeno a guardare un’altra donna senza pensare di tradirla.
Era un pensiero folle. Soprattutto perché magari, in quei rari momenti in cui si abbandonava al dolore, lei si trovava tra le lenzuola con la persona che si trovava davanti e quella parte di lui, quella bestiale, lo odiava per questo.
 

                     *****
-Hank! – esclamò Charles entrando nella stanza assieme ad uno dei suoi studenti -Gabriel blocca Hank!
Lo studente obbedì prontamente, afferrando Bestia per le spalle.
Erik si trovava ancora di fronte a lui, ma non l’aveva mai colpito, neppure una volta. Si era limitato a scansare i colpi senza dire nulla.
Charles si frappose tra loro e entrò nella mente del suo migliore amico, calmandolo.
Non si era trasformato completamente, ma stava per accadere.  Si voltò verso Erik.
-Stai bene? Che è successo?
Si scrocchiò il collo. -Ci siamo scambiati dei punti di vista molto chiari.
Charles sospirò, guardandolo dal basso della sua sedia a rotelle.
-Lascialo, Gabriel, grazie. Hank, abbiamo risolto tutto con quello studente. Non preoccuparti. Vai in stanza a riposarti.
-Sì, Charles, grazie e scusami per la poltrona.
-Che poi è mia- mormorò ironico Erik -Mi ci sono sempre seduto io da quella parte.
Il professore lanciò un’occhiataccia a Erik, cercando di sedare la situazione.
-Forte! Io sono Gabriel- disse lo studente, tendendo la mano al signore dei metalli che, sebbene non ne fosse entusiasta, la strinse.
-Sono Erik.
-Sei uno studente? Sei un po’ attempato!
-Ancora con questa storia? – domandò facendo ridere Charles – Sono un amico del professore, non uno stupido alunno.
Gabriel sollevò le spalle. -Poco male, mi stai simpatico. Magari diventi professore anche tu e la smettiamo di porci dei limiti alle nostre abilità.
Charles sospirò. -Gabriel ti ho spiegato che non sono limiti, semplicemente non puoi far del male alle persone. Devi imparare a gestirti prima che…-
-Si, si, si. Le solite cose insomma. Vado a mangiare.
Hank lo seguì, lasciandoli da soli.
-Simpatico il ragazzino – mormorò sarcasticamente Erik.
Charles scosse la testa. -Lui è più forte degli altri e fatica a controllarsi. È un ragazzo arrogante e spaccone… mi ricorda decisamente qualcuno, sai?
Erik sollevò il sopracciglio. -Ah sì? -disse chinandosi e appoggiando le braccia sui braccioli della sedia. -Ma dimmi, adesso che facciamo da qui?
Charles deglutì e annullò la distanza tra le loro bocche.
-Adesso vado a fare lezione e stai qui buono e non fai danni.
-Come sarebbe a dire che non faccio danni? – domandò risentito.
Charles ridacchiò. -Credi che nella mente di Hank non abbia udito le tue parole? Raven per lui è un argomento davvero difficile da gestire. Non dico sia un argomento intoccabile ma… ci sono giorni in cui non esce dalla sua stanza. – era serio, stavolta non c’era alcun sorriso a solcargli quelle guance lisce.
-Capisco. Ma lei è libera. Lo è sempre stata. Ci siamo lasciati tantissimi anni fa.
Il professore annuì. -Motivazione? L’hai fatta soffrire? -domandò, protettivamente, come fosse un fratello maggiore davvero.
-Sì, lei stava bene quando ci siamo separati. Era bella, forte e fiera. Come è sempre stata, d’altronde.
-Non mi stai dicendo il perché, però.
Erik prese la sedia e si sedette di fronte a lui. -Non l’amavo. Non quanto credevo.
-Capisco.
Erik annuì e sorrise. -Ora andiamo a fare lezione, professore.
-Andiamo?
-Bè, credi che mi sarei perso questo spettacolo?
Charles ridacchiò e, con un pochino di ansia, andò all’aula prestabilita. Una nuova lezione di letteratura inglese cominciava.
 

                                                          *****
 

-Devo dirtelo, Charles, oggi eri davvero attraente mentre spiegavi a quelle adolescenti.
-Hai davvero guardato le adolescenti?! – domandò incredulo.
-Alcune ti mangiavano con gli occhi.
-Certo, come no, Erik. Non ho quasi vent’anni in più di loro.
-Ma noi invecchiamo più lentamente, lo sai.
-Questo però non cambia che sia davvero troppo grande per loro.
-Oh, se hanno compiuto diciotto anni… tutto è lecito.
-Tutto è lecito? Ah, se ti interessa saperlo, la ragazza che continuava ad alzare la mano per rispondere, continuava a guardarti.
Erik scoppiò a ridere, vedendo come Charles si stesse innervosendo. Erano seduti l’uno di fronte all’altro per giocare ad una delle loro solite partite a scacchi. Continuavano a chiacchierare, non prestando attenzione alle pedine.
-Charles- disse osservandolo in maniera maliziosa -Stavo scherzando.
-Io no. Davvero quella ragazza andrebbe a letto con te.
Buttò a terra la scacchiera con un gesto della mano e si alzò di scatto per sollevare di peso l’uomo seduto di fronte a lui. Era così fragile il suo corpo tra le sue braccia.
Una smorfia di dolore colpì in pieno viso Charles.
-Ti ho fatto male?
Scosse la testa. – Soliti dolori. Hank non ha ancora portato le fiale. Non preoccuparti.
Lo portò delicatamente a letto, facendolo accomodare.
-Non credevo che fossi così.
-Così come?
-Non credevo ti saresti mai preso cura di me. Pensavo che quando avresti visto…-
Erik sgranò gli occhi. -Pensavi che a causa della sedia io..? Charles, no. È a causa mia se tu sei seduto su quella sedia e io non me lo perdonerò mai. Avevo deviato la pallottola per proteggere tutti noi, per non… permettere che ci facessero del male. Invece quando ti ho visto a terra, io… ti prego, leggimi nel pensiero.
Charles sgranò gli occhi e si sistemò meglio sul letto, appoggiando la testa sul cuscino bianco e si concentrò.
Da come lo stava guardando, l’uomo dalle iridi color mare sapeva benissimo che stava per commuoversi. Poteva vederlo dagli occhi lucidi e da una piccola goccia che era sfuggita al suo controllo.
-All’inizio- disse prendendo un respiro profondo- Ti ho detestato, Erik. Ma mi sono accorto che non potevo nemmeno dire di averlo fatto davvero. Volevo odiarti e più cercavo di farlo e più sentivo che non era vero.
Erik rimase in silenzio, seduto a pochi centimetri da lui. Gli posò un bacio a fior di labbra. -Non credevo che mi avresti mai perdonato.
-Io l’ho già fatto, ora non resta che perdonarti.
-Avresti potuto fare moltissime cose se io…-
Gli posò due dita sulle labbra morbide che Erik prontamente baciò, cogliendolo alla sprovvista. Qualcuno bussò poco prima che potessero davvero scambiarsi un bacio.
-Ma i tuoi studenti che problemi hanno?!
Charles scoppiò a ridere. -Vieni avanti, Hank.
L’uomo che fino a poco tempo prima lo aveva attaccato, ora era perfettamente nel controllo di sé stesso. Sorrise non appena vide Charles. -Non mi sono dimenticato. Eccole- disse posandole sul tavolo -Mi raccomando, continua a diminuire pian piano la dose. Così agirà davvero solamente come antidolorifico.
-Grazie, amico – gli sorrise di rimando il professore, facendo segno a Erik se per favore poteva portargli l’astuccio con siringa e fiale.
Erik non se lo fece ripetere due volte e obbedì.
-Posso fare qualcosa?
Charles scosse la testa. Aspirò con le sue esili dita e la siringa il contenuto di metà fiala, controllò che non vi fosse aria all’interno e se lo iniettò in una vena del braccio.  
Aspettarono qualche istante, in silenzio, che facesse effetto il siero.
Poi Charles sorrise dolcemente e Erik non riuscì più a controllarsi. Spostò il contenuto medico di quell’astuccio delicatamente e si stese sopra di lui. Lo baciò intensamente, tanto che il suo corpo reagì immediatamente. Charles lo stringeva a sé, affondando le dita tra i suoi capelli, trattenendolo a sé per la nuca e i fianchi. Strusciandosi il poco che poteva su quel corpo che tanto amava e desiderava.
-Ehi-
-Sì? – domandò Charles.
-Se ti strusci ancora una volta non rispondo delle mie azioni.
Charles ridacchiò, leccandosi il labbro, invitandolo ad assaggiarlo ancora una volta mentre gli sfilava la camicia. Si strusciò ancora, provocandolo e fu allora che Erik si concentrò sulla sua cintura e la lampo dei suoi pantaloni neri. Glieli sfilò con velocità e maestria, lasciandolo solamente in boxer.
Il telepate aveva il respiro accelerato e roco, carico di desidero, soprattutto quando l’uomo dalle iridi mare si chinò per assaggiarlo. Diversi gemiti di piacere lasciarono la sua bocca e Erik seppe che quello che stava facendo era giusto. Non l’avrebbe mai detto, ma era la prima volta con un uomo.
Abbandonò il suo membro solo per riprendere il possesso delle sue labbra e gli fece segno di leggergli ancora il pensiero.
“Sei il primo uomo. L’unico che abbia mai desiderato”.
Charles sapeva cosa significava, perché era la stessa cosa che provava lui. Mentre gli mordeva il collo e gli leccava qualche lembo di pelle, Erik gli sollevò le gambe e lo preparò dolcemente con un dito. Ci mise un po’ ma poi sostituì quel dito con il suo membro. Scivolò dentro di lui lentamente, nonostante fosse un’agonia non poterlo sentire completamente. Charles si morse il labbro, trattenendo il dolore. Pian piano si abituò e Erik cominciò a muoversi. Un’esplosione di piacere si mosse in entrambi i corpi e l’uomo dalle iridi mare prese con una mano il membro del partner, aiutandolo a superare l’ostacolo e ad aumentare il piacere.
Charles chiedeva di più, Charles chiedeva baci che Erik era solo felice di concedergli. Anche se, sentirlo gridare era decisamente musica per le sue orecchie – e il suo ego-.
Fino a quando non si riversò dentro di lui e allora sorrisero entrambi. Erik non fermò il suo gioco con le mani finché non raggiunse l’orgasmo anche lui.
Charles lo abbracciò, non fece altro. C’era tempo per i “Ti amo”, per i “resta”, per i “mi completi”, l’unica cosa che contava ora era che iridi cielo e iridi mare si stavano fondendo nuovamente e stavolta non c’era nessuno a fermarli. Con i corpi già nudi, bisognava solo sperimentale e conoscersi.
Erik seppe di essere nel posto giusto, al momento giusto e con la persona giusta.
Seppe che era la persona giusta con cui costruire i ricordi. Nuovi ricordi. Forse non sarebbe rimasto per troppo tempo, ma sarebbe tornato presto. Perché dopotutto a casa devi sempre tornare, prima o poi.
-Sei la mia casa. – mormorò dopo qualche minuto che si erano stesi sotto le coperte.
-Cosa? – domandò stranito Charles.
Erik gli posò un bacio sulle labbra.
-A domani, Charles.
-A domani, Erik. Ti ritroverò qui?
Non ebbe risposta, ma vide la luce spegnersi e avvertì labbra fameliche calarsi sul suo corpo alle sue spalle.
Charles sorrise e percepì anche Erik farlo.
Erik era felice, proprio come non lo era mai stato. Quel sorriso era proprio simile a quello nella foto che aveva portato con sé nella sacca. Ma non poteva saperlo.


Nda: Ciao a tutti! Ecco la seconda parte... spero davvero che vi sia piaciuta. Mi è piaciuto, personalmente, scrivere in questo fandom. Adoro il personaggio di Xavier e adoro il personaggio di Erik. Ci sarebbero mille cose da scrivervi.
Innanzitutto grazie per averla letta. Sono curiosa di sapere cosa ne pensate. Fatemi sapere!
So che è lunga... ma non volevo tagliarla troppo.
Grazie a presto!
Un abbraccio, 
Juliet. 


Ps: Se volete, potete trovarmi qui con aggiornamenti, anticipazioni e avvisi!
https://www.facebook.com/groups/875099779210780/

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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