Are we crossing lines?

di Arcadia_
(/viewuser.php?uid=118165)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Are we crossing lines?
 
I
 
«Sei assolutamente sicura che vada bene?»
«Iwan, per quella che sarà la quarantesima volta, sì, va bene così. – aspettai che le porte dell’ascensore si aprissero sul piano e uscii dall’abitacolo – E se domani vedrò anche solo un palloncino appeso in sala mensa, pagherai le conseguenze»
«Andiamo Jade, è il tuo compleanno» cercò di persuadermi, raggiungendomi mentre cercavo le chiavi del laboratorio.
«E, salendo a quarantuno, ti dico che non voglio festeggiare. – gli diedi il mio bicchiere di tè e aprii l’aula – Quindi, se non hai altre domande da sottopormi, a parte quelle sul mio imminente invecchiamento, avrei un laboratorio da far saltare in aria»
«Andiamo a bere qualcosa insieme dopo il lavoro?» chiese restituendomi il bicchiere.
«Offri tu?» chiesi speranzosa.
Si passò una mano nei corti capelli rossastri e sorrise, «Ovviamente no, l’ultima volta mi hai svuotato il portafogli»
«Beh, avevo appena bocciato il mio primo studente ad un esame. – mi difesi – Io pago i tuoi e tu i miei, d’accordo?»
«Si può fare» accettò, poi si avvicinò e picchiettò l’indice sulla sua guancia.
Guardai a destra e a sinistra nel corridoio, non vedendo nessuno, e poi gli lasciai un veloce bacio sulle labbra, «A stasera»
Chiusi la porta del laboratorio e accesi le luci, ritirandomi successivamente nel mio piccolo studio. Aprii le finestre, facendo areare la stanza e controllando la situazione su Ann Arbor mentre rispondevo al telefono.
«Prince» dissi semplicemente.
«Jade, c’è un ragazzo che chiede di te. – mi disse Susan, una delle ragazze in portineria – È molto abbronzato e davvero molto, molto carino»
«Per l’ennesima volta, non puoi uscire con mio fratello, è sposato. – sospirai, alzando gli occhi al cielo, dal momento che quella era la frase di turno per quando Alex veniva a trovarmi in università – Fallo passare, sono in laboratorio» e chiusi la chiamata.
Controllai lo stato della stanza e mi misi a riordinare almeno le scartoffie sul tavolo, per dare l’illusione della presenza effettiva del piano blu dove avevo appoggiato almeno tre computer e fin troppi pacchi Amazon.
Recuperai una pila di risme e la portai nel piccolo ripostiglio dello studio, proprio mentre qualcuno entrava nel mio ufficio.
«Pensavo fossi già ritornato nel Kansas, come mai questa visita? Non che non mi faccia piacere averti in giro, ma hai una moglie e due figli a casa» chiesi, appoggiando l’ultimo pacco di fogli gialli su uno scaffale. Non ottenendo risposta, tornai in ufficio per vedere che problema aveva Alex, ma non era lui.
«Ciao Jade» mi salutò, togliendosi gli occhiali da sole e accennando un piccolo sorriso.
 
Rimasi immobile fino a quando non chiuse la porta dello studio e si avvicinò alla mia scrivania. Lo guardai osservare curioso le varie lavagne sparse per la stanza, i quadri appesi al muro con le varie certificazioni che avevo ottenuto nel corso degli anni.
«Perché sei qui?» chiesi dopo qualche minuto di silenzio.
«Ieri sera abbiamo suonato a Detroit» rispose semplicemente.
«Molto gentile da parte tua, ma potevi rimanere a dormire e prepararti per il prossimo concerto. Non hai, che ne so, delle chitarre da accordare?»
«Ho beccato quel periodo del mese?»
«È sempre quel periodo del mese. – borbottai, ma non riuscii più a trattenermi. Girai attorno alla scrivania e mi fiondai tra le sue braccia – Mi sei mancato»
«Anche tu, Einstein»
Sorrisi, strofinando la guancia contro la sua, trovando piacevole la sua barba leggermente spinosa contro la mia pelle.
Mi allontanai un poco e lo guardai negli occhi, «Mi sembra di non vederti da anni»
«Beh, alla fine sono quasi due anni. – gli diedi ragione – Mi dispiace di non essere venuto prima»
Scossi la testa, «Non ti preoccupare, Dustin. – lo invitai ad accomodarsi in una delle poltrone della scrivania – Come stai?»
Fece spallucce, «Va tutto bene. – disse sommariamente – Abbiamo quasi concluso il tour e tra qualche giorno torniamo a casa, anche se non penso tu abbia voglia di sentirmi parlare degli Heffron Drive»
Scossi la testa, «Sono felice di sentire che tutto sta procedendo per il meglio per voi. – sorrisi – Andiamo a prendere un caffè?»
«Molto volentieri»
 
«E quindi questo è il tuo mondo» commentò Dustin, mentre pagavamo il caffè e ci sedevamo a un tavolino del bar dell’università.
«Esattamente. – bevvi un sorso – Allora, che te ne pare?»
«È un angolo di paradiso, te lo concedo. È rimasto tutto uguale a quando sono venuto per la tua laurea» commentò, osservando il parco fuori dalla grande vetrata.
«Beh, era un altro quartiere e un altro periodo dell’anno, ma hai ragione. – sorrisi – Allora, come va?»
«È una domanda che dovrei fare io a te. Insomma, da quando te ne sei andata da Los Angeles ho sentito parlare di te solo da Astrid che, per la cronaca, è gonfia come un palloncino»
«Gliel’avevo detto che quella dieta non avrebbe mai funzionato. – scherzai – Come va? Va. Ho un lavoro che mi piace, vivo in un appartamento davvero delizioso in centro alla città e sono felice. Ho trovato il mio equilibrio»
«Ne sono felice. – lo guardai – Anche perché, andando avanti con l’età, le chance di essere felice diventano sempre meno. Insomma, i primi capelli bianchi, le rughe…»
«Vorrei darti un pugno su quei bei dentini» lo fermai e lui mi diede un pizzicotto sulla spalla, facendomi ridere.
Calò il silenzio per qualche secondo, lungo abbastanza da farci sentire a disagio per la prima volta da quando ci eravamo conosciuti.
Dopo qualche attimo, mi decisi a proseguire il discorso, ma fummo interrotti da Iwan.
«Buongiorno. – ci salutò sorridendo e avvicinandosi con un bicchiere di caffè da asporto – Jade, c’erano dei tirocinanti che ti cercavano, ho detto che stavi giocando a Lol e che quindi facevano prima a risolverseli da soli i loro problemi»
«Grazie. – dissi, poi guardai il mio amico – Iwan, lui è Dustin, ci conosciamo da circa una vita. Dustin, lui è Iwan, è…»
«Un collega. – mi precedette lui, stringendo la mano a Dustin – O forse baby sitter, dipende dai punti di vista. – gli pestai un piede – Vada per collega»
«È un piacere sapere che non sei cambiata per niente. – Dustin ridacchiò – Avete del lavoro da fare?» chiese, osservando i plichi di fogli che Iwan aveva sotto braccio.
«Oh no, è solo la tesi di dottorato di un ragazzo che stiamo seguendo»
«Sei un astrofisico anche tu?» chiese Dustin interessato.
Lui si mise a ridere, «Io? No no, non sono nemmeno un fisico. – Iwan mi guardò ridacchiando – A dire il vero sono un ingegnere»
Dustin mi guardò perplesso, «E da quando tu hai degli amici ingegneri?» chiese abbastanza sconvolto.
«Da quando ho abbracciato la filosofia “Tieni vicini gli amici e ancor più vicino i nemici”. – scherzai, poi gli dissi la verità – È il mio coinquilino e ho scoperto troppo tardi la sua professione, avevo già firmato il contratto per sei mesi!»
«E sono due anni che ti sento russare. – concluse Iwan e si spostò in tempo per non ricevere un mio pugno sulla gamba – Ho capito, me ne vado. Ma è sempre stata così molesta?»
«A un nostro concerto ha fatto la doccia di aranciata ad una ragazza solo perché ci stava provando con me»
«Tu eri fidanzato, ti ho solo fatto un favore» gli feci notare.
Iwan si mise a ridere, poi richiamò la mia attenzione, «Devo andare a recuperare un paio di cose per un esperimento, ci vediamo a casa?»
«Ma avevamo detto…» provai a dire, ma mi fermò.
«Passo a prendere qualche birra sulla via del ritorno. – tese la mano a Dustin – È stato un piacere conoscerti»
 
Passammo ancora mezz’oretta al bar, poi portai Dustin a fare un giro dei laboratori e della zona, concludendo nel mio ufficio, dove recuperai la mia borsa e le mie cose prima di uscire dall’università.
«Come sei arrivato qua?» chiesi a Dustin mentre cercavo le chiavi in borsa.
«Ho preso il taxi. – si guardò attorno, ma non vide nessuna area di attesa – Ma non ne vedo all’orizzonte»
«Ti porto io. – gli proposi trovando sia le chiavi che il cellulare – Saremo a Detroit in mezz’ora o forse meno» aggiunsi, rispondendo ad un messaggio di Iwan.
Dustin allungò lo sguardo e vide cosa stavo scrivendo, «Oltre alla casa, tu e Iwan condividete anche il letto?»
«La casa ha due camere, c’è abbastanza spazio per un letto a testa» risposi tranquillamente.
«Sai cosa intendo. – mi punzecchiò mentre giravamo per il parcheggio – Non ci sarebbe niente di male, a parte il fatto che lui è un ingegnere ed è scozzese»
«Che hai contro gli scozzesi? È gente simpatica. – borbottai appoggiandomi contro la portiera della mia Jeep, poi mi arresi – Stiamo insieme da un mese»
Il suo sorriso si espanse e si mise a ridere, «Avevi così paura di dirmelo?»
«Non vogliamo farlo sapere in università. – mi guardai attorno – Kendall sa che sei venuto a trovarmi?»
Scosse la testa, «Sinceramente non mi ha fatto nemmeno una domanda, gli ho solo detto che andavo a fare un giro. – mi accarezzò un braccio – Non gli dirò nulla, tranquilla»
«Non è per quello, non voglio che ci siano problemi tra di voi. – mi sistemai gli occhiali sul naso – Non vorrei mai vedervi litigare per colpa mia»
«Non succederà. – mi sorrise – Andiamo?»
 
Il viaggio fu abbastanza tranquillo, parlammo ancora un po’ della vita a Los Angeles e degli anni passati in Kansas quando eravamo piccoli. La strada era libera e in meno di mezz’ora arrivammo alle porte di Detroit.
«Dove alloggiate?» chiesi, osservando i vari cartelli stradali.
«Al St. Regis, vicino al Fisher Theatre»
Annuii e misi la freccia, pronta per svoltare sulla Seconda Strada.
«Ma è sempre così trafficata Detroit?» chiese Dustin guardandosi attorno e sbuffando.
«Quando ci sono degli omicidi, sì. – lo guardai – Sto scherzando»
«Conoscendoti, potrei essere in macchina con Jack lo Squartatore d’America»
Gli feci la linguaccia e svoltai sulla Boulevard, trovando un parcheggio proprio accanto all’hotel di Dustin.
«Che tempismo perfetto. – mi mostrò il cellulare, AJ lo stava chiamando – Amico, sono fuori dall’hotel, arrivo» rispose e poi mise giù.
«Sono felice di averti visto» dissi.
«Anche io, dovremmo farlo più spesso. – si tolse la cintura di sicurezza e mi guardò – Magari la prossima volta dimmi subito qual è il tuo edificio, così evito di girare per quattro diverse sedi a fare la figura dell’idiota»
Sorrisi e annuii, «Ti voglio bene, Dustin» e lo abbracciai, scontrandomi con il suo dolce profumo di caffelatte.
«Prima che me ne dimentichi, ero venuto anche per darti questo. – cercò nel suo borsello un pacchetto giallo e me la diede – Buon compleanno»
Lo scartai e trovai un semplice bracciale di cuoio intrecciato di vari colori, «Grazie Dustin. – me lo misi subito al polso sinistro, osservandolo – È davvero bello», volevo aggiungere qualcos’altro, ma alzando lo sguardo vidi alcuni ragazzi uscire dall’hotel e tra questi c’erano anche AJ e Kendall.
Dustin li vide e mi guardò, «È meglio che vada. – mi strinse la mano – Farò un salto a fine tour, ok?»
«Potrei casualmente passare anche io per Los Angeles. – lo abbracciai ancora una volta – Ciao Dustin»
Scese dall’auto e raggiunse i suoi amici, poco distanti da noi. Riavviai la macchina e lanciai ancora un’occhiata a Dustin, incrociando però lo sguardo di Kendall. Gli feci un cenno con la mano e poi ripartii, immettendomi sulla strada e sfrecciando nuovamente verso casa.
 
 
 
Angolo autrice
Io l'avevo detto di non lasciarmi il pc per studiare, finisce sempre così! Puff, apro la cartella sbagliata, il programma sbagliato nel momento sbagliato ed è subito fanfiction.
Allora, ragazzuole, sì, è il seguito di "The definition of impossible", ambientato due anni dopo e i nostri signorini hanno intrapreso, ovviamente, strade diverse.
Per il momento qui si vede solo Jade che chiacchiera con Dustin (in alto i calici per il nostro Re!) e con Iwan, che per l'occasione è prestavoltato (Crusca, accetta codesta parola!) dal suo omonimo Iwan Rheon (sì, è il sadico e amorevole Ramsay Snow Bolton di Game Of Thrones).
Detto questo, vi dico solo che ci saranno ancora due capitoli e poi basta, non voglio tirarla per le lunghe, ma avevo davvero voglia di scrivere qualcosa :)

Sperando di non aver fatto come la Rowling con The Cursed Child, vi mando un grande bacio e vado a studiare forse.
 
Jade

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


II
 
La mattina dopo il mio compleanno, mi svegliai con una malsana voglia di pancake.
Cercai di non svegliare Iwan, steso accanto a me e con un cuscino sulla testa per coprirsi dai raggi del sole che entravano dalla finestra, e mi alzai, vestendomi e dirigendomi in cucina, dove iniziai a preparare la colazione.
Lasciai un po’ di impasto anche per il mio coinquilino e, carica di pancake e tè, mi diressi in soggiorno a guardare la televisione.
Mentre il film che stavano trasmettendo su un canale HBO finiva, Iwan arrivò e finì l’ultimo pancake che avevo nel piatto.
«Buongiorno» mi salutò dandomi un bacio, gustandomi lo sciroppo d’acero sulle sue labbra.
«Buongiorno. – mi alzai dal divano e lo guardai – Fame?»
«Abbastanza. – mi seguì in cucina, dove accesi nuovamente la piastra per fare i pancake – Come mai ti sei svegliata presto?»
Alzai le spalle, «Avevo voglia di cucinare. – risposi – Programmi per oggi?»
«Rimanere a casa, fare l’amore con te tutto il giorno e, se ci avanza tempo, possiamo anche andare al cinema»
«Dobbiamo proprio?»
«L’alternativa è fare maratona di una qualche serie tv» mi propose.
«Allora vada per la maratona. – lo guardai – Se ci avanza tempo»
Iwan ridacchiò e finì da solo di prepararsi i pancake, mentre io sistemavo la cucina e il soggiorno.
 
«Jade, vai tu?» mi chiese Iwan dal bagno, mentre sentivamo bussare alla porta. Lanciai la spugnetta per pulire il tavolo nel lavello e andai all’ingresso, facendo scattare la serratura.
«Kendall. – dissi sorpresa, poi lo guardai – Come hai fatto a trovare il mio indirizzo?» gli chiesi perplessa.
«Ho chiesto a tuo fratello. – si passò una mano tra i capelli biondi – Dalla voce assonnata, però, credo non abbia capito che ero io»
«Che cosa ci fai qui?» chiesi ancora, cercando di non assumere il tono di una che voleva fargli il terzo grado.
«Ti ho vista l’altro giorno con Dustin. Volevo solo, non lo so, salutarti e vedere come stavi»
Sentii la mano di Iwan posarsi sulle mie spalle, «Eccomi. – disse, poi guardò Kendall – Oh ciao, tu sei Kendall, dico bene? Io sono Iwan» e gli tese la mano sorridendo.
Vidi lo sguardo di Kendall cambiare in un attimo, «Piacere. – si limitò a dire – Passo un altro giorno?»
Scossi la testa e mi spostai dalla porta, invitandolo ad entrare, «Ti va un caffè?»
 
«È davvero una bella casa» commentò Kendall dopo qualche minuto di silenzio.
Eravamo seduti tutti e tre in soggiorno, cercando di non mostrare il nostro disagio per una situazione tanto strana e insolita.
«Grazie. – Iwan colse la palla al balzo – Allora, so che avete tante cose di cui parlare, quindi vado di là a far finta di riordinare le mie cose e ad aggiustare la mensola nello studio»
«Ma non c’è nessuna mensola rotta» gli feci notare.
«Non ancora», si alzò e si diresse nella zona notte.
«È così strano» commentò Kendall.
«È un ingegnere, ovvio che sia strano» gli diedi ragione.
«Vederti con un altro. – specificò lui guardandomi negli occhi – Ne hai tutto il diritto, ma è strano comunque»
Alzai le spalle, «È un bravo ragazzo. – sentimmo un gran fracasso provenire dall’altra stanza – Questa era la mensola», alzai gli occhi al cielo.
Kendall sorrise, «Chiederti come stai è un po’ troppo formale. – mi guardò – Però voglio saperlo, quindi, insomma, come vanno le cose?»
«Abbastanza bene. – risposi – Ho preso la cattedra del mio vecchio professore, mi trovo davvero bene. – alzai lo sguardo dal mio caffè – Dustin mi ha detto che siete in tour, come procede?»
«Sta andando… davvero bene. – lo guardai, sollevando un sopracciglio – Che c’è?»
«Posso dire con sicurezza che quello è lo stesso tono di voce che usavi quando dovevi dirmi che qualcosa non stava andando secondo i tuoi piani. – mi schiarii la voce – Ebbene? – sospirò e guardò dietro di sé, come per controllare di essere soli – Kendall, anche se arriva Iwan, lui sa tutto»
«Non riesco più a scrivere canzoni. – mi confessò – Ci ho provato, ma non ho fantasia e non trovo le parole»
«Oh, mi dispiace. – riuscii a dire – Eppure hai fonti di ispirazioni continue a casa»
«Lo so, ma non ci riesco. – mi guardò – Sono riuscito a scrivere un paio di ninna nanne, ma non è il massimo suonarle ad un concerto»
«E quindi ora che state proponendo?»
«L’ultimo disco che abbiamo fatto uscire, quello dell’anno scorso»
Sospirai, «Kendall, hai una famiglia fantastica a casa che ti supporta, non ci credo che non riesci a mettere assieme nemmeno due accordi»
«È un po’ difficile cambiare completamente soggetto delle mie canzoni, per quasi dodici anni sei sempre stata tu»
Strinsi le labbra tra loro e abbassai istintivamente lo sguardo, «E come sono? Le ninna nanne?»
«Su Lauren fanno effetto. – sorrise – Mi metto a cantare e dopo due strofe sta già dormendo in braccio alla sua nonna»
Iwan si affacciò al soggiorno, «Prendo da bere e mi dileguo nuovamente, promesso»
Kendall lo guardò, «Sei scozzese?» chiese con una nota divertita nella voce.
«Secondo te perché sono ancora vivo se no? – si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia – Ho sostituito le mensole con quelle che abbiamo comprato il mese scorso»
«Abbiamo comprato delle mensole?» chiesi perplessa.
«Già, ero sorpreso anche io quando le ho trovate. – prese una bottiglia d’acqua e si versò da bere – Oh, ha smesso di piovere» commentò, dando un’occhiata fuori dalla finestra. Un sole pallido si mostrava tra le grandi nuvole e, tra gli edifici, si intravedeva un colorato arcobaleno.
«Oh, eccellente, almeno domani riusciremo ad andare al lavoro senza usare gli scarponi da neve. – esultai, poi guardai i ragazzi – Andiamo a fare una passeggiata?»
Iwan sorrise, ma scosse la testa, «Andate voi, io rimango a distruggere casa. – si fermò dietro di me e si chinò, dandomi un dolce bacio sulle labbra – Fai la brava, ci vediamo più tardi»
 
Eravamo seduti su una panchina nel bel mezzo del parco naturale dell’università, che aveva già ripreso vita: molti studenti si trovavano a gruppi nelle varie caffetterie della zona, altri facevano jogging e vidi anche alcuni professori dare da mangiare alle poche paperelle intrepide che sfidavano l’acqua gelida di inizio marzo.
«Come sta Jean?»
Kendall sospirò, «Perché me lo chiedi?»
«Sembri a disagio. – gli feci notare – Beh, tu hai conosciuto Iwan, non vedo niente di male se ti chiedo come sta la tua attuale compagna»
«Sta bene. – sembrò una risposta forzata – Abbiamo litigato qualche giorno fa»
«Si risolverà presto» cercai di consolarlo.
«L’ho chiamata Abigail»
«Non si risolverà presto. – mi corressi – Sa che io e te eravamo sposati?»
«Jade, non vive fuori dal mondo, sa chi sei. – sospirò – Abbiamo fatto una bella litigata e lei se ne è andata furiosa»
«E perché l’hai chiamata come me?»
«Ero sovrappensiero, uscivo da una giornata pesante in studio e Lauren non smetteva di piangere. Ho alzato un po’ la voce e mi è uscito il tuo nome anziché il suo»
«Questo mi fa capire che i bei ricordi che hai di noi sono le nostre litigate. – cercai di scherzare, ma con pochi risultati – Beh, chiamare la propria ragazza con il nome della tua ex è un po’ imbarazzante e decisamente imperdonabile, ma ricordo che, con le giuste parole, tu mi avresti fatto dimenticare anche di aver dato fuoco alla casa. – gli sorrisi – Si sistemerà tutto, vedrai. Inoltre, ora avete anche una splendida bambina, le cose non possono che migliorare. – lo guardai – Hai una sua foto?»
Annuì e prese il cellulare, porgendomelo. Come immagine di blocco, c’era una foto di lui con in braccio una bimba di poco meno un anno di vita, bionda che lo fissava con due occhi castani fantastici.
«È un amore. – commentai restituendogli il telefono – Immagino Kathy con la piccola»
«Esageratamente affettuosa, c’era da aspettarselo. – gli sorrisi, poi distolsi lo sguardo – Ci hai mai pensato? A come sarebbe stato?»
«Avere un figlio? Sì, soprattutto dopo… insomma, aver perso il primo. – respirai a fondo – Quando sono rimasta incinta, ho pregato a lungo perché non prendesse il tuo naso» scherzai, asciugandomi in fretta gli occhi.
«Sarebbe stata una tragedia. – mi diede ragione – Io speravo prendesse i tuoi capelli, la tua pelle e il tuo pessimo carattere»
«Ancora peggio del tuo naso. – commentai – I tuoi occhi, anche se c’era solo una minima possibilità di ereditarli»
«Sarebbe stato comunque fantastico anche con i tuoi di occhi. – le nostre mani si sfiorarono, ma istintivamente ci ritirammo entrambi – Non ne hai parlato con Iwan?»
Annuii, «Ha detto che se succederà e arriveranno, ne sarà felice, ma non vuole forzare la cosa. – risposi – Inoltre è troppo presto e non ne abbiamo mai parlato seriamente»
«Capisco. – si guardò attorno – Si è fatto tardi, che ne dici se rientriamo?»
«Ti fermi ancora un po’? – gli chiesi – Insomma, a parte l’imbarazzo iniziale, mi piace parlare con te»
«Se vuoi, resto volentieri. – accettò alzandosi – Dici che con il tempo potremmo tornare, non so, ad essere almeno amici?»
«È una parola grossa “amici”. – lo fermai – E non lo siamo mai stati, però forse sì, con il tempo magari qualcosa salterà fuori»
Kendall sorrise e mi abbracciò. Il suo profumo e il suo calore erano così inebrianti che mi ritrovai avvolta da una sensazione di tranquillità per qualche istante, quando lui si staccò e mi guardò negli occhi, «Torniamo a casa, anche se devi spiegarmi come diamine hai fatto a finire con un ingegnere, tu non li sopporti»
Mi misi a ridere e lo seguii, «Beh, l’amore è una cosa davvero strana»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3477513