Dovevi dirmelo prima!!

di cin75
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .1. ***
Capitolo 2: *** .2. ***
Capitolo 3: *** .3. ***
Capitolo 4: *** .4. ***
Capitolo 5: *** .5. ***
Capitolo 6: *** .6. ***
Capitolo 7: *** .7. ***
Capitolo 8: *** .8. ***
Capitolo 9: *** .9. ***
Capitolo 10: *** .10. ***



Capitolo 1
*** .1. ***


Il bar di Jensen, come al solito, verso le sette di sera, aveva una clientela che lui definiva VIP. Avvocati che avevano finito ai loro uffici, impiegati appena liberi dal lavoro. Ogni tanto gruppi discreti di manager che festeggiavano un affare andato a buon fine e professionisti vari. Alle sette, il locale, si riempiva di giacche e cravatte di ogni firma e colore.

La clientela cambiava verso le dieci di sera. Un affluenza più alla mano, più urbana. Universitari, camionisti, operai ma comunque sempre gente che si incontrava per passare qualche ora in compagnia e togliersi di dosso una pesante giornata lavorativa.
C’erano anche i poliziotti, i detective e quelli del laboratorio della centrale poco distante che ormai usavano il suo bar come “colazione , pranzo e cena”.

E poi c’era lui. 
Il “solitario”, come lo chiamava Jensen.

Jared, un poliziotto che immancabilmente entrava nel suo locale ogni sera alle nove e un quarto, chiedeva la sua birra e se ne stava al solito tavolo ad angolo a spulciare o dal suo cellulare o quando lo aveva, dal suo tablet. A volte Jensen sapeva che era per lavoro , a volte lo aveva beccato a giocare a Puzzle-Pet. Quando capitava si scambiavano uno sguardo complice, ma tutto iniziava e finiva lì. Scambio di sguardi. Sorrisi ricambiati. Sbirciate tra una birra e l’altra, a volte, troppo a lungo trattenute. Ma niente altro.

A Jensen piaceva. Piaceva quella gente. Indifferentemente. Due mondi diversi che però avevano come punto di incontro il suo locale , perché avevano capito che nel suo locale si stava bene.
Sì, a Jensen piacevano tutti.
Tutti, tranne il gruppo che , come al solito , ogni mercoledì, occupava il tavolo centrale.
Quel mercoledì, però , la cosa andò un po’ troppo oltre.
 
Il solito gruppo di studenti universitari, quelli del tipo “stronzi figli di papà”, entrò nel bar e si sedettero al consueto tavolo.
Felicia, la cameriera che lavorava da anni con Jensen, sbuffò di esasperazione quando li vide. Quei tipi erano volgari, arroganti e una o due volte, Jim, il barista, era dovuto intervenire, perché stavano allungando un po’ troppo le mani e Jensen, che quella sera era assente, quando lo venne a sapere andò su tutte le furie.
La ragazza gli lanciò uno sguardo quasi implorante e il proprietario le fece cenno di non occuparsi di loro ma degli altri tavoli.
Jensen, che in quel momento stava parlando con Jim delle ordinazione di cui c’erano bisogno nel locale,  venne fuori da dietro il bancone e si avvicinò al tavolo.
“Allora ragazzi, che vi porto?!” chiese cordiale.
Quello che sembrava essere colui che guidava il gruppo, lo guardò da capo a piedi, sorridendo  insoddisfatto. Fece l’occhiolino all’amico al suo fianco e poi rispose a Jensen.
“Niente di personale, amico, ma preferiremmo che fosse la ragazza…” indicando Felicia che era accanto ad un altro tavolo. “…a prendere l’ordinazione.”
“Mi dispiace, ma Felicia, come potete vedere, è impegnata. Quindi dovrete accontentarvi di me!” insistette Jensen.
“Tranquillo! Vuol dire che aspetteremo!” replicò con aria di sfida l’altro.
“Ve lo ripeto, Felicia è occupata e lo sarà per parecchio, per tutta la serata… quindi o ordinate con me o liberate il tavolo, ragazzi.” continuò con aria accomodante, ma comunque decisa.
“Senti amico. Capisco che qui c’è tanta bella carne al fuoco…” disse il tipo, indicando lui e i suoi amici.  “…ma vedi, noi siamo più interessati al suo di culo che al tuo!!” e gli altri risero stupidamente.
“Ehi, stronzo vestito da coglione!!” gridò Jim da dietro al bancone che aveva ascoltato tutto. “Ridillo ancora!!” lo provocò appoggiando sul bancone, con un gesto stizzito,  una mazza da baseball.

Che Jensen fosse gay, non era un segreto e di certo non era un problema per lui o per chi frequentasse il posto. Ma a quanto pare lo era per quei tipi decisamente poco civili.

“Jim….va’ tutto bene, amico.” lo richiamò alla calma , Jensen. “ Rinfodera le armi.”
“Si, Jim….rinfodera le armi!!” lo canzonarono quelli del tavolo, mentre nel locale era sceso un preoccupato silenzio.
Jensen deglutì a fatica e ammonì solo con lo sguardo l’amico barista che scalpitava per dare una solenne lezioni ai quei marmocchi cresciuti male. “I nostri amici se ne stanno andando!” fece con calma mentre richiudeva il taccuino delle ordinazioni.
“E chi lo dice?!” domandò nervosamente il “capobranco” guardando con aria di sfida il ragazzo in piedi accanto a loro che stava per controbattere.

In quel momento, un distintivo della polizia, finì al centro del tavolo.

Il gruppo si ammutolì all’istante.
Fissò prima lo stemma dorato che dondolava ancora in cerca di una posizione stabile, poi lentamente si voltò verso la figura alta e imponente che si ergeva poco dietro di loro. Precisamente dietro lo stupido leader.
“Io!! Lo dico che state per andarvene!” fece il solitario. Jared. “Ora vi alzate, chiedete scusa per il disturbo e poi non vi fate più vedere qui dentro.”
Il ragazzo che cercava guai, lo fissò negli occhi, cercando un minimo segno di debolezza, ma deglutì quando non ne trovò alcuno.
Quindi fece ricorso all’unica cosa che aveva dalla sua. La stupidità.
Fece per alzarsi, proferendo un azzardato: “Te lo scordi sbirro del caz…” ma la frase gli morì in gola e sulle labbra, perché le mani forti e decise di Jared si andarono a posare, una sulla spalla e una sulla testa dell’inutile ribelle, così che il poliziotto ebbe la possibilità di rimetterlo a sedere bloccandogli la testa sul tavolo , con decisione.
“Te lo ripeto ancora una volta. Se non vuoi che porti te e i tuoi stupidi amici in centrale per disturbo della quiete..” indicando il locale e la gente che li stava guardando. “…tentato abuso…” fissando Felicia. “…offesa verbale…” indicando Jensen,“..adesso ti alzi, chiedi scusa e sparisci. Intesi? ” gli sibilò all’orecchio che non era schiacciato contro il tavolo.
“Io non….” tentò ancora di ribellarsi.
“Intesi??” fece ancora con più decisione , Jared, spingendo più forte contro il tavolo.
“Sì..cazzo….cazzo. Sì, ok!!” fece alla fine, dovendosi arrendere.
Jared lasciò la presa così che il ragazzo potesse tirarsi su e poi lo fissò severo.
“Sto aspettando!” lo incoraggiò avanzando minaccioso verso di lui.
Il ragazzo indietreggiò appena e poi guardando Jensen, anche se con rancore, mestamente fece le sue scuse. “Scusa per il disturbo!”
“Ora sparisci..” e poi guardò Jim con aria perplessa. “Com’era?” chiese a mo’ di suggerimento.
“Stronzo vestito da coglione!” ripetè soddisfatto il barista con tanto di sorriso sulle labbra.
“Già! Sparisci…stronzo vestito da coglione!” gli fece eco Jared e poi lo spinse via, indicandogli l’uscita, che un secondo dopo, tutto il gruppo si apprestò a guadagnare.
 
Un attimo di silenzio. Una sorta di limbo.
Poi un applauso scrosciante riempì il locale.

Di certo non era una scena che era passata inosservata, ma Jared non si era reso conto di aver attirato così l’attenzione e si sentì avvampare. Perfino un paio di avvocati suoi amici gli andarono a dare delle calorose pacche sulla spalla. Il giovane fece un sorriso impacciato e dopo aver guardato di sfuggita Jensen, che in tutto quel frangente lo aveva osservato ammaliato,  recuperò il suo distintivo e anche lui si avviò verso l’uscita.
Un momento prima di entrare in macchina, si sentì afferrare per il braccio.
Scattò istintivamente ma tutto si spense quando , una volta giratosi, si ritrovò davanti gli occhi verdi di Jensen.
“Ehi! Calma Tigre!!” fece Jensen alzando le mani in segno di resa. “Volevo solo ringraziarti per prima. Insomma, era da un po’ che quegli stronzi davano noia al locale. E stavo cercando un modo indolore per farli andare via. Non sapevo che mi saresti bastato tu… per riuscirci!” furono le parole che Jensen usò per ringraziarlo.
“Dovere.” convenne il poliziotto. “Il tuo locale mi piace , ci sto bene. Ed era un peccato che tipi come quelli rovinassero l’atmosfera!” fece sorridendogli.
“Il mio locale.. ti piace?!”
“Molto o non ci verrei tutte le sere!” gli fece presente Jared e Jensen si sentì un idiota per aver fatto una domanda così stupida. Ma poi ne fece una ancora più stupida.
“E ti piace solo il mio locale?!”
Jared acuì lo sguardo sul ragazzo che si era appena reso conto della domanda e come lui prima, nel locale, era diventato di una pregevole tonalità di rosso.
Il poliziotto sorrise onorato.
“Diciamo che mi piace anche la gente che c’è dentro!” la prese alla lunga, il furbo.
“Tutta …la…gente?!” azzardò tentennante Jensen.
Jared sorrise ancora, però in maniera più ammiccante, questa volta.
“Non tutta. Una in particolare!” si diede coraggio e confessò.
Ma Jensen , oramai, sembrava lanciato e convintosi che arrivato a quel punto la sua figuraccia l’aveva fatta, chiese ancora.
“Una?” quasi sussurrò.
Jared, accostò lo sportello della macchina e fece un passo verso Jensen, che senza accorgersene, smise di respirare per un  attimo.
“Uno!” rispose Jared ad un soffio dal viso dell’altro che si ritrovò a sorridere come un ebete. “Ci vediamo domani, Jensen!”

Jensen annuì, impacciato come un scolaretto. Sapeva che si sarebbe dato dello stupido per aver dato quell’impressione, ma sapeva anche che Jared gli era sempre piaciuto, anche quando non sapeva di quell’ “uno” che gli aveva dato come risposta.
Era sicuro che si trattava di lui. Nel locale c’era solo Felicia. Jim, anche se adesso non lo era più,  era stato sposato e con un figlio.
Doveva essere lui!! Per forza!
Oppure …“Evvai con le figure di merda!!
 
“Potevi....Dovevi dirmelo prima!” disse Jensen facendo ricorso a tutto il suo coraggio.
 
Jared gli sorrise mentre saliva in macchina. “Non sarebbe stato così divertente!!” e mise in moto.
Jensen  rimase per un po’ fuori a fissare la macchina di Jared che si allontanava e quando rientrò nel locale, il sorriso da ebete ancora non gli chiudeva le belle labbra carnose.
 
Jim, che stava passando delle birre a Felicia, lo vide entrare con quell’espressione e richiamò l’attenzione della ragazza.
“Guarda un po’ Romeo!!” esclamò scherzando.
Felicia, si girò a guardarlo e poi facendo l’occhiolino a Jim, esclamò un convinto: “A me sembra più Giulietta!!”
“Non farti sentire da lui!!” lo rimproverò bonariamente l’amico barista.
“Scherzi??!! Vuoi che mi licenzi?!” si allarmò innocentemente.
Jensen, a quel punto, si voltò a guardarli e riacquistando il suo sguardo magnetico alla criptonite, come lo chiamava Felicia, e il suo fare sicuro, si avvicinò al bancone da dove i suoi collaboratori lo stava fissando.
“Voi due…. quando avrete finito di sfottermi, tornate a lavoro!” e andò nel suo ufficio.
“Cavolo!  Ci becca sempre!” fece Jim, seccato.
“Ma come fa , dico io!!” fece sconvolta Felicia. “Secondo me ha anche il superudito!” riflettè la ragazza ritornando ai tavoli.





N.d.A.: Rieccomi!! sono come i brutti film dell'orrore: A volte ritornano!!!
Spero che questa storia vi piaccia. Onestamente non l'ho ancora divisa in capitolo quindi non so quanti ne verranno fuori, ma non sarà una long, very long.

Fatemi sapere!
Baci, Cin!!

 

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Capitolo 2
*** .2. ***


Le sere successive, da quella sera, gli “avvicinamenti” tra Jared e Jensen, furono meno informali per loro e più comici per chi li osservava.
Sistematicamente, Jensen usciva dal suo ufficio alle nove e dieci e trovava una posizione strategica per guardare la porta d’entrata ma senza che la cosa sembrasse voluta.
Sistematicamente, quando a volte, le nove e un quarto passavano, Felicia e Jim, vedevano entrare un Jared più affannato e ansimante, che assicuratosi della presenza di Jensen, si dava un contegno e con una riacquistata sicurezza guadagnava il suo solito tavolo.
 
E allora Jensen  prendeva le solite due birre e le posava sul solito tavolo e passava le solite due ore a parlare con Jared. Sarebbe potuto cadere il mondo in quelle due ore, ma quei due non si staccavano gli occhi di dosso.
 
Felicia , a volte si chiedeva che cosa aspettassero a fare il passo successivo. Per una come lei, drogata di storie d’amore, era come essere ferma sulla stessa pagina del libro che stava leggendo. Era come essere ferma su una frase tipo: “…Ed entrarono in camera da letto….”
Stava andando in astinenza!!!
Se quei due non si fossero decisi a fare la loro mossa, aveva avvertito anche Jim, c’avrebbe messo mani lei!
Licenziamento o non licenziamento!!
 
L’impensabile accadde qualche sera dopo.
 

Jared arrivò come al solito verso le nove e un quarto. Non era in ritardo ma era comunque nervoso perchè si era deciso a chiedere a Jensen di uscire. Ufficialmente. Un vero appuntamento e non quel loro solito incontro finto-non finto.
Ma quando entrò nel locale del ragazzo, non lo vide. Pensò che forse Jensen era ancora impegnato nel suo ufficio e così andò al tavolo. Lo avrebbe aspettato lì.
Passarono circa venti minuti e di Jensen nessuna traccia. Quando Felicia gli passò accanto, Jared la chiamò.
“Scusami, Felicia. Ma Jensen non c’è stasera?!”
“O cavolo!, pensavo che ti avesse avvisato. Aspettava dei fornitori allo spaccio sulla Boumont.” lo avvisò la ragazza.
“Sì, lo so. Ma mi aveva detto che alle otto si sarebbe liberato!”
“Alle …otto?!” fece perplessa la ragazza e poi, non convinta si voltò verso Jim e lo richiamò. “Ehi, Jim. A che ora Jensen doveva vedere i fornitori?!”
“Alle cinque , ma alle otto doveva finire, anche perché lo spaccio chiude. Perché, tesoro?!” fece il barista.
Felicia, non rispose ma gli indicò l’orologio. Jim capì e guardò l’orario e il suo sguardo dubbioso, cominciò ad agitare anche Jared.
“Senti, dolcezza, ora lo chiamo. Magari ha avuto guai con quel pezzo da museo con cui si ostina ad andare in giro ed è bloccato da qualche parte.” e così dicendo prese il telefono e chiamò, ma nessuno rispose dall’altro lato.
Felicia e Jared, si avvicinarono al bancone , quando videro Jim prendere il cellulare per chiamare direttamente Jensen e non il numero aziendale.
Niente, ancora.
“Forse non c’è campo o l’altro telefono non….”
“Avete detto sulla Boumont?!” intervenne Jared.
“Sì, lo spaccio è lì.”
“Sentite, non sarà niente. Ma vado a farmi un giro da quelle parti, ok?! Magari è davvero rimasto in panne e il telefono non prende. ” fece sorridendo Jared, che non voleva comunque mettere in allarme i due nuovi amici.
“Ok. Di certo è così!” convenne Jim, vedendo lo sguardo preoccupato della giovane.
 
Jared si mise in macchina e imprecò contro ogni automobilista che faceva un qualcosa di sbagliato o azzardato. Si ritrovò perfino ad odiare furentemente una vecchietta che attraversava troppo lentamente sulle strisce.
Ma quando fu all’angolo della Boumont, chiese ad un passante dove fosse lo spaccio. Gli indicarono il posto e lui decise di proseguire  a piedi. Raggiunse l’ingresso del deposito e constatò che era chiuso.
Parcheggiata dall’altro lato del marciapiede notò la macchina di Jensen. Vi si avvicinò. Chiusa.
Si guardò intorno e non vide nessuno.
Indeciso sul da farsi, chiamò per scrupolo di coscienza ancora il numero di Jensen, quello privato,  mentre tornava alla macchina e mentre tra sé e sé si ripeteva  “Rispondi! Andiamo, rispondi!!”, il trillo di un cellulare lo distrasse.

Chiuse la comunicazione con quello di Jensen e il trillo smise un attimo dopo. Ricompose il numero, lo fece squillare e al secondo squillo che sentì nel suo, uno più concreto risuonò nel vicolo alla sua destra. Era il cellulare di Jensen che squillava a vuoto a causa delle sue chiamate.
Lasciò squillare per capire da dove provenisse e quando fu più all’interno del vicolo, da dietro un cassonetto della spazzatura, sentì provenire dei rumori. Ma più che rumori sembravano gemiti soffusi.
Avanzò ancora, ma per istinto di conservazione e forza dell’abitudine, con una mano tenne il cellulare e con l’altra prese la pistola che portava sotto il giaccone e la mise davanti a lui, puntando però verso il basso, per evitare problemi.
“Chi c’è là? Vieni fuori. Sono della polizia. Non ti faccio niente, ma vieni fuori!” fu l’avvertimento mentre avanzava ancora, ma da quella sorta di nascondiglio tutto ciò che ebbe in risposta fu un altro gemito. Questa volta decisamente più doloroso.
Jared avanzò ancora e solo quando finalmente ebbe la visuale di ciò che il cassonetto nascondeva, il suo cuore perse un battito.
Jensen.
Picchiato a sangue.
Il ragazzo era seduto a terra, con la schiena poggiata tra il muro e il cassonetto che , comunque sia, lo aiutava a sorreggersi. Il suo volto completamente coperto di sangue. Lo zigomo gonfio e tumefatto. Un occhio pesto e già vistosamente livido. Il sopracciglio tagliato e sanguinante. Il labbro inferiore spaccato. Il ragazzo teneva una mano stretta, o almeno ci provava a tenerla stretta, all’addome.

“O mio Dio!! O mio Dio!!” esclamò sentendosi , per la prima volta, in preda al panico.
Jared mise via immediatamente pistola e cellulare e corse accanto al ragazzo.
“Jensen…Jensen…mio Dio!! che ti hanno fatto? Chi è stato?” chiedeva istericamente mentre con il suo fazzoletto cercava di rimediare alla meglio peggio alle ferite del giovane.
Ma Jensen gemette, guardandolo appena. Il dolore che provava era tanto, gli doleva tutto e sapeva che difficilmente avrebbe messo insieme una risposta decente.
“Tranquillo, tranquillo. Ci sono qui io.” fece riprendendo il cellulare. “Ora chiamo un ambulanza e vedrai che…” ma Jensen riuscì a fermargli la mano e fece cenno di no con la testa.
“No…no…niente ospedale….non…non voglio andare…” biascicò facendo ricorso a quelle poche forze che aveva.
“Cosa? Come? Ma sei impazzito? Hai bisogno di cure e io….” si infuriò Jared.
“Noooo!!” ribadì gemendo subito dopo a causa di una fitta al fianco. “Per… favore!” fece poi, guardando Jared negli occhi.

Benchè Jensen fosse ridoto in quel modo, i suoi bellissimi occhi verdi riuscivano comunque a brillare e Jared era perso di quegli occhi. Era per quegli occhi che ogni sera si affaticava a finire il suo lavoro e a correre in quel bar all’angolo.

Così anche se non proprio convinto, guardò le ferite di Jensen. Diede un occhiata al fianco che era solo malconcio e livido e decise di assecondare quella richiesta assurda.
“Ok!Ok! ma tu sta’ calmo. Ora mi allontano per poco. Prendo la macchina e la porto il più vicino possibile.” lo tranquillizzò Jared.
Il poliziotto stava per alzarsi e andare a prendere la macchina, quando Jensen lo afferrò per un polso. Nonostante il suo viso fosse nascosto dal sangue e dai lividi, Jared vide un evidente espressione di supplica.
“Jensen…”
“Non chiamare…nessuno.” Fece ancora.
“Te lo prometto!” promise Jared. Evidentemente Jensen aveva pensato che Jared avrebbe chiamato il 911 non appena si fosse allontanato da lui, ma il modo in cui Jared gli rispose, lo tranquillizzò e allora lo lasciò andare.
Jared corse alla macchina, fece manovra e l’avvicinò il più possibile al vicolo in cui aveva trovato Jensen. Scese di nuovo e corse verso il ragazzo che sembrava sempre più sfinito.
“Sono qui…sono qui, Jensen. Ora, un ultimo sforzo. Aggrappati a me. Ti porto a casa, ok?....ti rimetto in sesto io. Ma tu non devi farmi scherzi. Resta sveglio, Jensen. Resta con me, d’accordo!!” lo incoraggiava Jared , che con gesti gentili ma decisi, lo tirava su, imprecando furiosamente nella sua mente, ogni volta che sentiva Jensen gemere di dolore.
Arrivarono alla macchina, Jared teneva Jensen da sotto un braccio e con difficoltà riuscì ad aprire lo sportello al lato passeggero senza lasciarlo andare.

Lo fece sedere lentamente, contraendo la mascella per la rabbia ad ogni gemito di dolore di Jensen e gli mise la cintura.
Jensen anche se confuso, notò il gesto.
“Non ho…4 anni!” fece sforzandosi di sorridere.
“No, decisamente non hai 4 anni. Ma se mi finisci con la testa fra le gambe mentre guido sarebbe un bel problema.” provò a scherzare il poliziotto.
“Sai, ho conosciuto qualcuno…. che avrebbe dato l’anima perché io…… gli finissi con la testa fra le gambe!” disse senza pensarci. Poi ci pensò e sbuffò. “Oddio…l’ho detto sul serio?!”
“Sì, ma tranquillo. Tanto domani non te lo ricorderai.” Lo rassicurò Jared, anche se non potè nascondere un evidente sorriso.
“Ma tu, sì.” replicò affranto Jensen che si lasciava sistemare la cintura intorno al torace.
“Già!” asserì Jared. “E me la godrò come un pazzo ogni volta che te lo farò ricordare!!” lo provocò, aggiustandogli anche un po’ i vestiti per farlo stare comodo.
Poi per tenerlo sveglio lo stuzzicò ancora o forse no. “E ci sei finito…tra le gambe di quel…qualcuno?!” chiese anche se con un certo imbarazzo.
“Non sono uno …da una botta e via, se è quello… che vuoi sapere!” disse flebilmente appoggiando il capo al poggia testa del sedile.
“Wow! Ho trovato un ragazzo serio!” fece Jared finendo di sistemarlo.
“E’ il tuo giorno sfortunato!” ironizzò Jensen, gemendo appena.
“Tutt’altro. Tutt’altro!”  replicò con un lieve sorriso.

Poi, dopo essersi assicurato che Jensen fosse ben sistemato sul sedile, chiuse lo sportello e andò al posto di guida.

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Capitolo 3
*** .3. ***


Quando Jensen, se pur con difficoltà riaprì gli occhi, la sua confusione non poteva impedirgli di capire che non era a casa sua.
Il colore delle pareti, i quadri ai muri e perfino la conformazione del letto stesso in cui era steso, non erano cose a lui familiari. Girò appena lo sguardo verso il comodino alla sua destra. Vide che erano le sette del mattino e poi accanto alla radiosveglia che gli illuminava l’ora, vide poggiate varie bende,  del disinfettante, un flaconcino di antidolorifici.
 Sentiva delle voci provenire da un'altra stanza, una era più calma e pacata. Una era decisamente fuori di sé e una, più sottile, sembrava quasi un piagnucolio.
 
Cercando di ignorare il dolore alle costole che si accorse essere strette in un bendaggio elastico, Jensen trattenne il respiro e, stringendo i denti, si costrinse a scendere dal letto.  Rimase seduto per pochi momenti, cercando di riprendere a respirare e controllare il dolore.
Ci vedeva male, la vista era appannata e poteva solo immaginare in che condizioni fosse il suo viso, dato il dolore che sentiva su tutta la faccia. Si tirò su comunque e per un attimo la stanza gli girò intorno. Poggiò velocemente la mano su un mobile vicino per aiutarsi e quando le pareti tornarono ad essere solo pareti ferme , lentamente , un passo alla volta, decise di raggiungere quelle voci.
 
“Devi mandare qualcuno sul posto!”
“Jim…”
“Manda i tuoi colleghi, manda la cazzo di scientifica, manda chi ti pare, ma devi scoprire chi gli ha fatto una cosa del genere!!”
“Jim, non è voluto andare nemmeno in ospedale e pensi che accetterebbe tutti i poliziotti  che riuscirei a portare  in quel vicolo, pur di rivoltarlo fino all’ultima pietra??!”
“Ma lo ha visto? Hai visto che cosa gli hanno fatto? Come lo hanno ridotto?”
“Jim, io….”
“Cazzo, lo hai visto!!?”
 
“Sì, mi ha visto, Jim. Dato che è stato lui a trovarmi e a portarmi via da quel vicolo!!” fece la voce impastata e sofferente di Jensen, poco distante da loro.
 
“O mio Dio!!” sussurrò appena Felicia, che si mise le mani davanti alla bocca, per mostrare meno il suo doloroso stupore. La sera prima lo aveva visto nel letto di Jared, privo di sensi,  appena il poliziotto li aveva avvisati di quello che era successo.
Ma ora, sembrava tutto più…vero. E crudele.

I lividi di Jensen, ora, erano molto più evidenti. Più scuri, più gonfi. Il sangue raggrumato al labbro e al sopracciglio, era nero e faceva più impressione.
L’occhio intorno al quale c’era una contusione maggiore, faceva difficoltà a stare aperto, mentre l’altro , all’angolo interno, era iniettato di sangue.
Palesemente in contrasto con il verde delle sue iridi. Tristemente in contrasto.
 E poi si vedeva che si teneva ancora la mano intorno alla vita per sostenerne il dolore.
 
“Che ci fai in piedi!?” sembrò rimproverarlo Jared, che deglutì ancora rabbia, prima di fargli quella domanda.
Jim, invece , sempre più che esplicito non esitò a rimproverare entrambi.
“Che ci fa in piedi? Che ci fa in piedi??” esclamò decisamente infuriato. “Cazzo!! Guardalo, Jared. Dovrebbe stare in un ospedale e non qui. E tu gli chiedi “Che ci fai in piedi?”!!!”
“Jim, ora datti una calmata….. L’ho detto a lui prima e lo dico a te adesso. Non andrò… in ospedale. Onestamente non volevo stare nemmeno qui, ma  a casa mia!!” fece e disse quest’ultima cosa guardando Jared, mentre Felicia, gli andava vicino , quasi come se avesse inteso il bisogno di Jensen di sostenersi a qualcuno.
“Mi dispiace, ma sei svenuto prima di dirmi dove abitavi!” si giustificò  il poliziotto.
Jensen annuì comprensivo e dentro di sé ringraziò Jared di non aver approfittato della sua incoscienza per portarlo in ospedale. “Ascoltatemi, tutti e due. Non è la prima volta che affronto una cosa del genere. Anche se speravo che ormai le cose fossero cambiate. Non andrò in ospedale a farmi curare qualche livido e un paio di tagli, sentendomi additare come l’ennesimo omosessuale vittima di pestaggio. Grazie , ho già dato!!” asserì con rancore. “E di certo….” fece cercando di sembrare più che deciso e lucido. “….non andrò alla polizia a sporgere l’ennesima denuncia che accumulerà polvere sulla scrivania di chissà chi.”
“Non sarebbe così, Jensen!” intervenne Jared. “Non questa volta!”

Jensen intuì l’aiuto che Jared voleva dargli, che era in grado di dargli. Ma non voleva che qualsiasi cosa stesse o potesse iniziare tra loro, fosse dovuta a delle indagini di polizia.

“Lo so e ti ringrazio. Credimi ti ringrazio. Ma no, grazie.” negò l’aiuto. “Anche se non si direbbe adesso, sto’ bene e starò meglio e quando ritornerò in pista, sistemerò la cosa come ho sempre fatto.”
“E si? E come?” domandò ironicamente Jim. “Chiuderai di nuovo baracca e burattini per andartene da un'altra parte?” cominciò quella sua specie di rimprovero.
“Cosa?” sussurrò appena Jared, spaventato dall’idea di perdere Jensen senza nemmeno aver avuto la possibilità di sapere e capire se le cose tra loro potevano andare o meno.
“Jim…” cercò di calmarlo Jensen.
“In un'altra città? In un altro stato?” lo provocò ancora.
“Smettila, Jim.” provò ad intervenire Felicia, che conosceva la storia di Jensen.
“ No, che non la smetto!” replicò piccato alla ragazza. Poi tornò a fissare in maniera truce Jensen. “O magari….ti farai passare per etero. Che ne dici?...per evitare problemi. E’ un idea, no?” proseguì Jim che era davvero infuriato. Ma lo era soprattutto perché conosceva Jensen.
 
Aveva imparato a vedere che brava persona fosse. Aveva lasciato da parte ogni pregiudizio e si era lasciato scivolare addosso le battutine di stupidi stronzi che gli dicevano “Lavori sotto un frocetto!!
Aveva conosciuto Jensen. E Jensen era stato buono e onesto con lui. E non aveva avuto nessun ripensamento quando Jim, gli rivelò , dopo che il giovane lo aveva assunto, che aveva avuto dei precedenti penali.
E chi non ha commesso sbagli, Jim?!” fu la risposa che ebbe in cambio di quella confessione.
Aveva imparato a volergli bene. Un bene quasi simile a quello che voleva a quel figlio che non lo voleva più come padre.
 E ora vederlo ridotto in quelle condizioni gli faceva un male cane e anche se sapeva che non avrebbe convinto il ragazzo ad andare in ospedale, doveva comunque sbraitare qualcosa per dar sfogo alla sua frustrazione.
Tanto lo sapeva che Jensen avrebbe capito. Sapeva che Jensen lo conosceva bene.
 
E infatti Jensen , lo fece parlare e imprecare. Stette in silenzio, continuando ad accarezzare la testa di Felicia premuta contro il suo petto,  mentre l’amico barista andava avanti e indietro nel soggiorno di Jared, elencando quello che avrebbe fatto ai quelli che lo avevano pestato. Lo fece sbraitare improperi di ogni sorta, e per alcuni, onestamente, avrebbe voluto coprire le orecchie della ragazza che ancora lo abbracciava dolcemente.
Quando vide che la tempesta cominciava a scemare nella furia del barista, si decise a parlare.
“Hai finito?” fece Jensen con tono basso e calmo.
“Sì, ho finito.” rispose Jim, anche se il suo tono era ancora alterato.
“Stai meglio?”
“…..”
“Jim, stai meglio, amico?!” insistette Jensen, addolcendo il tono.
“Sì, sto meglio!” parve tranquillizzarlo l’uomo.
“Ok! Ora per favore, porta Felicia a casa sua e falla riposare e stasera aprite il locale come se nulla fosse.”
“Ma….” Provò a replicare l’amico.
“Per favore, Jim. Se il locale rimane chiuso, avranno vinto loro…” e quando Jensen disse questa frase, Jared lo guardò perplesso, ma non intervenne. “E questa volta non vinceranno!”, disse risoluto. “Non devono vincere!”
“Ok! Sei tu il boss!” fece remissivo Jim, che mise il braccio intorno alla ragazza che lo aveva raggiunto e uscirono dall’appartamento di Jared.
“Prenditi cura di lui!” fece autoritario Jim, voltandosi verso il giovane poliziotto.
“Non metterà un passo senza di me!” lo rassicurò Jared.
Jim lo guardò dalla testa ai piedi e poi con aria convinta proferì un ancora più che convinto: “Lo so. Lo so che con te sarà al sicuro!”
 

Quando Jared si chiuse la porta alle spalle, si girò e fece appena in tempo a voltarsi che vide Jensen appoggiarsi pesantemente al muro. Era palesemente sfinito. Doveva essere stato uno sforzo decisamente enorme per Jensen rimanere in piedi fino a quel momento.
Lo raggiunse immediatamente evitandogli di finire a terra, scivolando lungo la parete.
“Ok!Ok!Ok!....ti ho preso!” fece Jared afferrandolo da sotto le braccia per sostenerlo.
“Non stavo cadendo.” fece serio Jensen.
“Come no?!” ironizzò Jared.
“E’ la stanza che stava girando. Anche la tua camera da letto  gira, lo sai??!” fece Jensen, cercando di giustificare quella sua debolezza.
“Sì, è un optional che mi hanno dato con l’impianto stereo. Ti piace?!” scherzò Jared.
“No, mi da la nausea!”
“Ok! Vuol dire che la farò fermare, va bene?!” fece sostenendolo e cercando di farlo stare dritto.
“E come farai?!”
“Ti rimetto a letto e vedrai che tutto tornerà a fermarsi. Che ne dici, ce la fai a tornare in camera e devo prenderti di nuovo in braccio?!” lo stuzzicò il giovane, sorridendogli mentre avanzavano verso la camera.
“Mi hai…preso in …braccio?!” si stupì Jensen.
“Come credi di esserci arrivato fin qui. Con il teletrasporto?!” scherzò Jared che lentamente lo faceva avanzare lungo il corridoio che portava alla stanza da letto.
“Wow!!” fece solo Jensen.
“Già!! Wow!! Ma siccome non è che sei esattamente un peso piuma, vorrei che tu rimanessi in piedi un altro po’, almeno fino a letto. Poi sei libero di svenire di nuovo!”, ironizzò il poliziotto.
“Io non svengo!” fece con tono offeso Jensen, che lentamente si sedeva di nuovo sul letto di Jared e si lasciava tirare su le gambe così da potersi sdraiare. “Io cado a terra… all’improvviso!”
“All’improvviso?!” esclamò curioso, l’altro.
“Sì, per confondere l’avversario!” rispose soddisfatto. “E’ una mossa strategica!!” fece come se fosse una segreta confessione.
“Ok! Stratega. Ora tu riposi ancora. Io vado di là a prepararti qualcosa. Avrai bisogno di antidolorifici e di sicuro di qualche antibiotico per le ferite. Quindi è meglio che metti qualcosa nello stomaco!” gli fece presente con tono quasi paterno.
“Non ho fame!”
“Beh! te la farai venire o giuro che metterò tutto in un frullatore e te la farò mandare giù in un biberon!”lo minacciò bonariamente Jared, accarezzandogli con fare quasi distratto la fronte imperlata di sudore.
“Cattivo!” bofonchiò Jensen mentre si sistemava in una posizione più comoda.
“Tu non mi hai mai visto cattivo. Prova ad alzarti da questo letto prima che io torni, e allora sì, che vedrai la mia parte cattiva!”
“Non..ci tengo!” sussurrò appena il ragazzo, che stava già chiudendo gli occhi.

Ma poi li riaprì e li fissò, in un modo stranamente dolce su Jared, che si sentì inaspettatamente sotto osservazione mentre gli sistemava il lenzuolo addosso.
“Che c’è?!” gli chiese il poliziotto.
“Mmmhhh!” negò con il capo, Jensen.
“Andiamo, che c’è?!” insistette curioso, sedendosi sul bordo del letto.
“Io mi ricordo di quello che ti ho detto ..ieri sera….in….macchina!”confessò appena imbarazzato.
“Ok, e ?”
“E so che mi vergognerò a vita anche di questo, ma…” e fece un respiro profondo. “…non era così che mi ero immaginato la prima volta nel tuo letto.” e Jared, nonostante i segni che coprivano il bel viso del ragazzo, potè comunque notare un lieve rossore.
Gli sorrise in un modo che Jensen non avrebbe mai potuto dimenticare. Era un sorriso accennato che era comunque presente. Era un sorriso dolcissimo.
Jared mise da parte ogni remora e ogni timidezza e si sistemò meglio accanto al fianco di Jensen. Con un tocco gentile andò ad accarezzare la guancia meno ferita. Passò con attenzione il pollice prima sul taglio sulle labbra e poi su quello al sopracciglio, odiando ancora furiosamente chi ne era stato l’artefice.

Si avvicinò cautamente al viso del ragazzo ferito, lasciando tra loro solo lo spazio di un respiro che diventava sempre più esile.
“Credimi, anche io mi ero fatto una o due idee su come sarebbe dovuta essere la tua prima volta nel mio letto. E non era certo così!” gli sussurrò amabilmente, mentre gli posava un bacio leggero , appena accennato, sulla bocca.
Jensen rispose al bacio, anche se le sue labbra si mossero appena. Ma gli bastò per capire che qualcosa di buono poteva nascere da tutto quel casino.  Sentì il calore di Jared su di lui. Il suo sapore sulle labbra. La sua dolcezza in quel bacio appena dato.
Poi , Jared si staccò lentamente da lui e accarezzandolo ancora, gli disse di riposare.
Jensen non potè resistere. Voleva fare il duro, mostrarsi forte. Ma il dolore era ancora decisamente oppressivo e allora cedette e chiuse di nuovo gli occhi, cullato dal ricordo di dolcissimo primo bacio. Sperando che fosse il primo di tanti fin quando il sonno, la stanchezza e l’effetto dei medicinali non lo sopraffecero del tutto.
 
Quando si svegliò, vide Jared seduto alla piccola scrivania che c’era nell’angolo della stanza,  ai piedi del letto. Si accorse dalla luce che proveniva dalla finestra che era di nuovo sera.
Cavolo!”, pensò. “Ho dormito per un giorno intero.
Sul tavolo c’era poggiato un vassoio e l’odore di cibo si sentiva avvolgente nella stanza.
“Ehi!” lo richiamò Jensen, che cercò di mettersi un po’ più dritto e seduto sul materasso.
Jared poggiò il libro che stava leggendo e gli fu subito accanto per aiutarlo a sistemarsi.
“Non sei ancora il Mr. Universo che ho conosciuto, ma diciamo che le cose cominciano a migliorare.” constatò scherzando Jared, osservando le ferite sempre meno gonfie ma comunque ancora ben evidenti. L’intera giornata di riposo aveva fatto effetto.
“In effetti mi sento meglio!” convenne anche Jensen e poi , istintivamente, spostò lo sguardo al vassoio poco disattente da loro. “Quello è per me?!” azzardò.
“Naturalmente!!” esclamò entusiasta Jared. “Fatto in casa!” riferì soddisfatto. “Minestra cura-tutto, influenza compresa. Ricetta segreta di famiglia!”
“Ma io non ho l’influenza!” ci tenne a far presente Jensen.
“No! Decisamente non hai l’influenza ma fa lo stesso e ti giuro che se adesso non la mangi, comincerò a fare anche quella cosa con il cucchiaio!!” lo minacciò Jared, mimando con il cucchiaio il gesto dell’aereoplanino.
“Da’ qui!!” sorrise Jensen, prendendogli la posata al volo. “Ne saresti capace!”
“Cavolo se ne sarei capace!!” 

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Capitolo 4
*** .4. ***


Passarono altri giorni dall’aggressione di Jensen, circa dieci giorni. Jared aveva chiesto un periodo di permesso per “gravi motivi familiari”, anche se ufficiosamente si era confidato con il suo capitano e aveva ricevuto pieno appoggio. E tenendo all’oscuro Jensen, aveva detto a Jim e Felicia di non dire niente al locale di quello che era successo al ragazzo.
Il poliziotto voleva ancore provare a fargli sputare il rospo, ma se i due dipendenti avessero fatto troppa pubblicità, magari, chiunque poteva sapere qualcosa c’avrebbe pensato due volte a dirlo.
“Jensen è fuori per degli impegni di famiglia!”, doveva essere la risposta a chi avesse chiesto di lui.

I lividi sul volto e quello sul fianco, erano ormai delle , anche se brutte, macchie nerastre. I tagli al labbro e al sopracciglio , fortunatamente, si stavano rimarginando bene e avrebbero lasciato dietro di loro, solo un piccolo ricordo.
L’occhio , quello più malconcio, che all’inizio della storia, Jensen, riusciva appena a tenere aperto, non sembrava aver avuto danni e il verde che lo colorava  e che aveva affascinato Jared, non appena lo aveva conosciuto, era ritornato a brillare.

Una sera erano seduti sul divano. I play-off alla tv. Jared sorseggiava distrattamente una birra, Jensen una semplice soda.
“Quando me ne darai una ?!” fece il biondo, alludendo alla bottiglia di Jared.
Il poliziotto , senza spostare lo sguardo dalla partita alla tele, sorrise appena.
“Quando non dovrai più prendere antibiotici e antidolorifici!” rispose, poi, seriamente.
Jensen sbruffò sonoramente e quando il telecronista annunciò lo stacco pubblicitario, ritornò alla carica.
“E quando la smetterai di imbottirmi di antidolorifici e antibiotici?!”

Jared stette al gioco e cercò di non dargli troppo peso.
Dio!! ma cos’era un uomo o un bambino capriccioso??!

“Quando girerai per casa per più di una volta senza gemere di dolore e quando le tue ferite saranno apposto del tutto.” spiegò, sporgendosi appena sul tavolino di fronte al divano per controllare che non ci fossero messaggi al suo cellulare.
“Sei dispotico!” sbottò imbronciato. “Dispotico e troppo… alto!” asserì schiacciandosi con la schiena ai cuscini del divano e incrociando le braccia al petto.
“Sul serio?” esclamò Jared a quella specie di accusa o offesa.
“Sul serio!” rinsaldò Jensen, con ancora più convinzione.
“Non mi sembrava che ti dispiacessero questi miei difetti quando ti ho baciato!” lo spiazzò, alzandosi per rispondere al suo cellulare che aveva appena squillato.
Punto sul vivo, Jensen si agitò sul suo posto. “Tu…tu….io ero sdraiato e tu….non sembravi….e poi….” ma Jared si era già allontanato per rispondere in pace , lontano dai suoni della tv e dalle repliche di Jensen. “Odio quando vanno via mentre parlo!!” sbuffò il biondo.

Quando Jared tornò a sedersi accanto a lui, Jensen aveva ancora le braccia incrociate al petto. Jared strinse le labbra per non ridere, anche se, se la situazione fosse stata ben diversa e Jensen non fosse stato in quelle condizioni, la sua reazione a quell’imbronciatura così sexy sarebbe stata decisamente diversa e gliel’avrebbe mostrata in camera da letto.
Se lo sarebbe strinto al corpo, lo avrebbe abbracciato e accarezzato e baciato e abbracciato ancora. Avrebbe cercato di lenire il suo dolore. Gli avrebbe sussurrato che nessuno al mondo lo avrebbe mai più fatto soffrire.
Lo avrebbe fatto suo. Lui, sarebbe stato suo.   

Ma Jensen non stava ancora del tutto bene e quindi Jared si limitò ad ammirarlo e …desiderarlo segretamente.
E mentre nella sua mente si rincorrevano quei pensieri e le immagini di quei pensieri, l’imprevisto calore al basso ventre  lo destò e lo riportò alla realtà.
 “Sei ancora arrabbiato con me, Jensen?!” chiese guardandolo, accavallando con diplomazia le lunghe gambe.
Jensen, ignaro dei pensieri di Jared, restò sulle sue. Si limitò a fissarlo distrattamente, amando, comunque e immensamente, il modo in cui Jared lo stava guardando e l’espressione del suo viso, e i suoi occhi così dolci. Tutto…tutto gli piaceva di quel ragazzo e se non fosse stato in quelle condizioni, glielo avrebbe fatto capire in camera da letto.  
Si sarebbe lasciato baciare come nessuno lo aveva mai fatto. Si sarebbe abbandonato alle carezze delle mani di Jared, che in quei giorni lo avevano toccato solo per cambiargli la benda al torace o per disinfettargli le ferite ancora evidenti. Avrebbe concesso a Jared di prendersi ogni cosa di lui. Di toccarlo e possederlo completamente. Avrebbe goduto dei suoi sospiri e dei suoi gemiti di piacere. Lo avrebbe fatto godere con altrettanti fremiti di passione.
Lui, sarebbe stato suo. E lo avrebbe fatto, suo.

“Quando mi…” riprese con la lista delle sue richieste , schiarendosi la voce, arrochita da quei pensieri.
“Sul serio…Jensen??!” si lamentò divertito Jared.
Jensen lo fulminò con lo sguardo e seccato per quel velato rimprovero, decise di cambiare la sua richiesta.“Quando mi lascerai andare o meglio…tornare….a casa mia?!”
Ma anche Jared voleva qualcosa. Ed era qualcosa di veramente importante. Questa volta decise che non avrebbe accettato un “no comment” come risposta alla risposta di quella domanda.
“Quando mi dirai che cosa è successo in quel vicolo e chi è stato a farti una cosa del genere!” fece improvvisante serio. Anche se un secondo dopo si sentì terribilmente in colpa.
“Potrei comunque andarmene e tu non potresti obbligarmi a restare!” sembrò volerlo minacciare con poca convinzione.
“Certo. Ma io, stanne sicuro, non rinuncerei a scoprire chi è stato, e tu perderesti solo un occasione per confidarti!” lo spiazzò Jared.

Il volto di Jensen mutò radicalmente. La sua espressione divenne triste. I suoi occhi lo divennero. Il sorriso sparì definitivamente dalle sue labbra e un leggero spasmo fece contrarre i muscoli delle braccia conserte.
“Jensen..” lo richiamò Jared, amareggiato da ciò che vedeva. Abbassò il volume della televisione e gli si fece più vicino. Voleva , almeno con quei semplici gesti, dargli conforto.
Jensen guardò di soppiatto i movimenti del poliziotto e sapeva che Jared aveva diritto di sapere, ma metterlo al corrente , significava farlo entrare in quel suo pezzo  di vita che , davvero,  voleva dimenticare.  Quel mondo di cui non voleva che Jared ne facesse parte.
“Per favore, Jensen. Dimmi chi ti ha fatto del male?!” chiese con un tono talmente dolce, che non sembrò nemmeno una richiesta. “Che è successo l’altra sera?!”
Jensen sospirò pesantemente. Non voleva parlarne, ma il modo in cui Jared glielo chiese non gli lasciava scampo.
“Avevo appuntamento con il responsabile dello spaccio alle cinque e mezza, ma lui mi ha chiamato per dirmi che avrebbe tardato di una mezzora. Mi chiese di aspettarlo e allora andai a parcheggiare al lato opposto della strada dato che davanti all’ingresso principale, cominciavano ad arrivare i furgoni delle merci che avevano bisogno di spazio manovra.” iniziò così il suo racconto.
“Che è successo poi?!”
“Non l’ho mai incontrato. Verso le sei , credo che almeno fossero le sei, è iniziato tutto!” e deglutì al ricordo. E per la prima volta Jared vi vide rabbia e risentimento sul volto di Jensen. “Ho sentito una macchina  parcheggiare all’altro lato del vicolo  e pensavo che fosse lui, così mi sono sporto nella mia macchina per prendere la cartellina degli ordini che avevo lasciato sul sedile. Ho raggiunto il vicolo e un foglio mi è scivolato dalle mani. Mi sono abbassato per raccoglierlo e quando mi sono raddrizzato, il primo pugno mi ha mandato a terra. Subito dopo ne sono arrivati altri, e poi calci e poi ancora….”
“Ok!Ok!...basta. Dimmi se li hai visti.” Domandò già con un tono più determinato, Jared.
“Sentivo il dolore, sentivo i muscoli che si contraevano ad ogni colpo, sentivo le loro risate mentre mi colpivano!”,  si ritrovò a ricordare con rabbia Jensen, ma evitando ancora di confessare chi erano i colpevoli. “Io…”
Jared ignorò la rabbia che sentiva montargli dentro nel sentire Jensen confessargli quello che era accaduto e fece ricorso con tutte le sue forze solo al poliziotto che era in lui. “Ascoltami, so che non è stata una rapina. Quando ti ho portato qui, avevi ancora il tuo portafogli e il cellulare, anche se rotto, e avevi al polso il tuo orologio. Quindi non….”

“No. Non è stata una rapina!” gli confermò Jensen sorridendogli amaramente. “Non è mai una rapina!” e a quella frase detta con un profondo rammarico e dolore, Jared collegò altre cose che aveva detto Jensen, anche quando c’erano Jim e Felicia.

“Non è la prima volta, vero?”, azzardò e questa volta fu lui a deviare il discorso.  “Quella sfuriata di Jim, l’altro giorno. Il fatto di cambiare di nuovo aria, di fingerti addirittura…”
“Sono finito in ospedale già tre volte , Jared!” lo sconvolse Jensen. “La terza…” fece alzandosi appena la maglietta sul fianco e mostrando la cicatrice di un piccolo taglio al fianco. “…quello che mi ha lasciato questo ricordino, ha voluto che le cose fossero ben chiare.”
Jared lo fissò stupito. “L’avevo vista quando ti ho tolto i vestiti per curarti, ma credevo fosse la cicatrice di una qualche operazione!” sembrò voler giustificare quella sua sfuggita.
“Sì , dell’operazione che fecero i medici quando mi tolsero una lama di 10 centimetri dalla milza!” cercò perfino di ironizzare l’altro. “Me l’hanno asportata perché era ben oltre il salvabile!!”
“Oddio, Jensen.” mormorò, incredulo, il poliziotto.
“Bei ricordi!” affermò sarcastico il ragazzo che si rimetteva a posto la maglietta.
Jared lo fissò, ma non lo fece con compassione perchè Jensen non meritava di essere compianto, ma di essere appoggiato e sostenuto.
“Raccontami di te, Jensen!” fece senza severità nella voce. “Raccontami la tua storia. La dirai a me e non la poliziotto!”
Jensen fu profondamente colpito dalle parole di Jared.

Erano sincere. Jared lo era. Il modo in cui  lo stava guardando lo era. E anche il modo in cui i suoi occhi brillavano guardandolo e il tono della sua voce scevra di pietà, ma colma di comprensione.
Inspirò e decise di raccontarsi.

“Sono nato in una piccola città di provincia. Di idee troppo ristrette per comprendere persone come me. Di un moralismo troppo grande per capire che persone come me non sono una minaccia per …l’emancipazione civile.”, ironizzò per spiegare l’ambiente in cui era cresciuto. “Quando cominciarono ad avere dei sospetti su ciò che io ero, decisi di farmi scivolare addosso i loro sguardi perplessi. Andai avanti con la mia vita. Dopo il diploma, la mattina lavoravo in un autofficina e il pomeriggio seguivo un corso di marketing , la notte studiavo e wow!!... Vita normale.” ironizzò entusiasta.
“Fin quando?!”
“Fin quando a quel corso serale non conobbi Misha.” confessò, non potendo evitare di dare al suo tono di voce , un tono triste e malinconico.
“Misha?!”
Jensen sorrise al modo perplesso con cui Jared ripetè quel nome. Infondo anche lui, all’epoca lo trovava assurdo.
“I suoi avevano origini russe. In realtà il suo nome era Misha Dmitri Tippens Krushinc.  Cambiato poi, per semplice integrazione , in Misha Collins. I primi giorni nemmeno io riuscivo a pronunciarlo  e lui ci rideva come un pazzo. Capimmo di essere uguali…in quel senso, e iniziammo a frequentarci. Ma stavamo ben attenti a mostrarci in pubblico con certe…. manifestazioni.”
“Vi siete innamorati?!” e questa domanda scivolò fuori dalla bocca di Jared senza che il giovane se ne rendesse conto.
Jensen sorrise al rossore che vide subito dopo sul volto dell’altro. “No.” rispose ed era sincero. “Non credo che fosse amore quello tra noi. Ma eravamo entrambi alle nostre prime esperienze ed entrambi volevamo fare un passo alla volta. Ma ci volevamo bene, questo si. Ci volevamo molto bene e chissà, se le cose fossero andate in maniera diversa, magari quel volersi bene sarebbe potuto diventare amore”
“E cosa è successo?”
“Eravamo al parco una sera, credevamo di essere soli e sai com’è?, la luna, le stelle, la penombra della sera…insomma, ci baciammo. Ma sorte volle che in quel momento passasse il pregevole gruppo delle signore del club del libro formato dalla moglie del sindaco, del consigliere, la moglie del pastore.” fece usando il tono che si usa per annunciare l’arrivo di un personaggio importante.
“Wow!! Giudice , giuria e boia!” ironizzò Jared.
“Puoi ben dirlo!” convenne amareggiato.
“Che cosa accadde?”

Jensen, in quel momento sorrise a quel ricordo. E per un attimo , solo allora, si rese conto che se invece del silenzio, la città avesse gridato allo scandalo, avrebbe potuto combattere e farsi valere. Invece , nel modo subdolo, in cui tutti agirono, fu costretto solo ad accettare.
“Niente di plateale in effetti. Furono tutti molto discreti. Io fui gentilmente licenziato a causa della cosiddetta crisi. E i genitori di Misha ebbero un fortunato quanto improvviso trasferimento di lavoro appena fuori città, se per otto Stati di distanza lo si voglia chiamare “appena fuori città”!”
“Avete dovuto dirvi addio?” disse dispiaciuto Jared.
“No!”
“Come, perché?!” chiese sorpreso.
“Perché partirono nell’arco di due giorni.” rispose leggermente seccato Jensen. “Non avemmo nemmeno la possibilità di salutarci. Misha sparì letteralmente nel nulla e l’amichevole vicinato dei suoi genitori si preoccupò del trasloco e di tutto il resto.”
“Mi dispiace Jensen. Sul serio. Non hai mai provato a cercarlo?!”
“No. Ma non perché non mi importasse di lui. Ma perché non sapevo se cercarlo in quel momento fosse la cosa giusta. Magari la città in cui si erano trasferiti era simile alla nostra e allora , cercandolo, lo avrei messo solo in difficoltà. Io spero solo che Misha abbia avuto una vita felice, che abbia avuto tutto quello che desiderava. Perché era una brava e una bella persona. Solo questo mi auguro.”gli rispose mentre con le mani si lisciava le poche pieghe che aveva sul pantalone che indossava.
“E tu? Tu che facesti?!”
“Mi trovai un altro lavoro, in verità supplicai un altro lavoro. Guardiano notturno alla discarica cittadina. Puzzolente, difficile, ma soprattutto, per il bene della comunità, lontano dalla gente. L’unico pregio fu che era ben pagato.” fece con amaro sarcasmo. “E quando misi da parte abbastanza soldi, rilevai la gestione di un bar in periferia ed ebbi il mio primo “avviso”!” mostrando a Jared una piccola cicatrice appena sotto il mento. “Poi arrivò il secondo che fortunatamente non lasciò segni, a parte le fatture di quello che mi costò rifare il locale.”, ricordò con mal celato sarcasmo.  “A causa del terzo incontro dovetti stare una notte sotto controllo al pronto soccorso a causa di una commozione celebrale.” riferì come se quello che stava dicendo fosse una semplice e banale lista della spesa. “Il quarto , beh!, come ti ho fatto vedere, il segno lo ha lasciato. Fu allora che i miei mi pregarono di andare via. Erano terrorizzati. Avevano capito che nessuno avrebbe interceduto per me. Nessuno mi avrebbe difeso, nonostante io non facessi nulla di sconveniente. E quando anche lo sceriffo, che mi era molto affezionato nonostante tutto, mi disse che i miei avevano ragione e che lui avrebbe comunque avuto le mani legate, mi arresi e andai via.”
“E sei arrivato qui!” convenne Jared.
“No, mi fermai per qualche anno a Nashville e li conobbi Jim e quando gli dissi che stavo per aprire un locale alla mano, appena fuori la città, lui mi chiese di tenerlo presente se mi fosse servito un aiuto. Poi non se ne fece più niente e cambiai di nuovo città. Lo chiamai tre settimane dopo che arrivai qui. Non conoscevo nessuno e avevo bisogno di aiuto. Lui mi ha aiutato a mettere a posto il “Bunker”. Devo ammettere che grazie a lui ho risparmiato parecchi soldi. Ci sa davvero fare con tubi, chiavi inglesi e robe del genere.” affermò, ripensando a tutto quello che Jim aveva fatto per lui, aiutandolo con il locale ma aiutandolo anche come persona.
“Un vero tutto fare!” asserì Jared.
“Un vero amico!” volle correggerlo Jensen. “Ha avuto dei problemi con la legge e a causa di quei problemi il figlio non ne vuole sapere di lui. L’ex moglie, di certo, non fa niente per migliorare la situazione tra loro. Ma è un brav’uomo. Un brav’uomo che ha commesso degli errori.”
“Ci tiene a te!” ammise Jared.
“Si è affezionato. Ho l’età di suo figlio e credo che voglia, tramite me, rimediare a quello che non ha più. E poi anche a me manca l’affetto di una famiglia. Quindi ci compensiamo!!” confessò pensando a quanto Jim avesse fatto o facesse per lui.

“Che c’è? Stai male?!” chiese Jared vedendo Jensen che un attimo dopo si mise le mani alle tempie massaggiandole con lentezza
“Tranquillo. È solo la testa. Mi scoppia!” disse gemendo appena.
“Ok. Ti prendo qualcosa. Tu vattene  a letto.”
“Sì, credo proprio che questa volta non farò storie.” fece mentre si alzava e si dirigeva verso la camera di Jared che ormai da oltre una settimana e più era diventata la sua camera. Jared, ogni sera si sistemava sul divano, anche se a Jensen la cosa cominciava a non andare più.
“Ma che sia chiaro. Io e te non abbiamo finito. Sei bravo a sviare l’argomento. Ma io sono bravo ad insistere e voglio ancora sapere chi è stato.” lo riprese Jared mentre Jensen si avviava in camera e il biondo dovette solo annuire.

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Capitolo 5
*** .5. ***


Si era appena disteso a letto che Jared entrò con un flacone di antidolorifici. Porse una pillola a Jensen e poi gli passò un bicchiere d’acqua e quando vide che il ragazzo poggiò la testa sul cuscino, si apprestò ad uscire dalla stanza.
“Jared?!”
“Sì?”
“Non serve che tu dorma ancora sul divano. Andiamo!!  non siamo adolescenti in lotta con gli ormoni. Il letto è abbastanza grande. Dormi qui, con me. È più di una settimana che stai su quel divano e io inizio a sentirmi in colpa.” gli fece sinceramente mortificato.
“Jensen, non ti preoccupare. Io…”
“Allora, ascolta!!”, e il suo tono si fece più deciso. “O da stasera dormi qui, o domani mattina me ne torno a casa mia!”
Jared si imbronciò appena. “Sei autoritario….e basso!”
“Battuta vecchia, Padalecki. Battuta vecchia.” scherzò, spostandosi appena più da un lato del materasso. “ Ora, spogliati e  vieni a letto!”
“Come scusa?!” lo richiamò Jared sorridendogli maliziosamente.
“Finiscila!!! Lo sai che cosa volevo dire!” lo rimproverò mentre faceva più spazio a Jared.
 

Nella notte, Jensen aprì gli occhi e si rese conto di essersi girato leggermente verso Jared, che dormiva al suo fianco. Anche Jared si era mosso nel sonno e chissà come si era ritrovato con un braccio sul ventre di Jensen, quasi ad abbracciarlo. Ma a Jensen, che quello fosse un abbraccio vero o meno , non importava. In quel momento gli interessava solo essere tra le braccia di Jared.
Il ragazzo si incantò a guardarlo.
Benché il giovane avesse gli occhi chiusi, Jensen non poteva non notare la serenità e la dolcezza del volto di Jared. Non resistette, allungò piano , una mano verso il viso di Jared e con movimenti quasi impercettibili gli carezzò il profilo, scendendo dolcemente dalla fronte , la guancia, la mascella ben marcata fino al mento.
E fu solo quando una lieve smorfia di Jared , lo sorprese facendolo scattare istintivamente e facendo diventare quella leggera carezza un tocco improvviso, che il giovane aprì gli occhi, trovandosi immediatamente immerso nel  bellissimo verde degli occhi di Jensen.

Un sorriso appena accennato sulle labbra di entrambi.
I respiri quasi sincroni e trattenuti come se non dovessero farsi scoprire da un nemico invisibile.
Gli occhi che non smettevano di fissarsi. Le parole che non riuscivano a descrivere quello che entrambi volevano dire.
Fu Jared a prendere quella decisione quando la mano di Jensen si ritrasse come se fosse colpevole di quella situazione e lui , la fermò, afferrandola per un polso.
Il giovane , lentamente, se la portò vicino alle labbra, baciandola piano, quasi timorosamente e la baciò ancora quando vide Jensen chiudere gli occhi e sospirare.
Poi gli si fece più vicino e tenendo sempre stretta nella sua, la mano di Jensen, questa volta gli baciò le labbra appena schiuse.
Il biondo gli rispose, ignorando il lieve pizzicore della ferita, poiché la sensazione delle labbra di Jared sulle sue, del bacio di Jared, un vero bacio questa volta, era talmente avvolgente che gli fece dimenticare tutto ciò che poteva causargli dolore.

Entrambi , in quel bacio, sentirono i loro corpi reagire naturalmente. Entrambi sapevano quello che sentivano l’uno per l’altro. Entrambi sapevano che sentirsi vicini, e vicini in quel modo, era ciò che volevano.
“Ne sei sicuro!?” gli sussurrò Jared.
Jensen lo guardò. Nei loro sguardi solo un tacita complicità e la voglia di fare quel passo verso una situazione più intima e profonda.
“Non sono mai stato così sicuro di una cosa in vita mia!” rispose baciandolo ancora.
Lo baciò con irruenza, con passione e con la stessa enfasi venne ricambiato, solo che al biondo accadde qualcosa quando Jared , dopo avergli infilato una mano al di sotto della maglietta, baciandolo ancora, si spostò prima sul suo collo, poi sulla bella curva decisa delle spalle e poi verso il torace ormai affannato.

Jensen tremò.
Fu quasi uno spasmo e Jared credette di avergli fatto male in qualche modo.
“Scusa…ti ho…fatto male…il fianco magari?!” si scusò il poliziotto, accarezzando leggermente la parte che credeva aver stretto malamente.
“No…no…no..non sei tu. Non mi hai fatto male. Sono io…sono….io!” ripeteva ansimante Jensen, stringendo gli occhi come per riprendere il controllo.
“Tu? Cosa…”
“Oddio, è imbarazzante a questo punto ….in questo momento..” balbettava l’altro visibilmente arrossato.
“Jensen , ma cosa…”
“Jared , io….vedi….è da parecchio che….è davvero davvero tanto…. tempo che non…insomma …che io…”
“Ohw!!” esclamò Jared, anche se sul suo viso si disegnò un sorriso tutt’altro che dispiaciuto.
“E allora…se tu…se tu mi baci così….se mi tocchi così…se continui a farlo in questo modo…io…oddio, io credo che scoppierò prima che tu….accenda la miccia!” cercò di spiegare con una non proprio chiara metafora, la sua situazione.
Jared, allora, tornò verso il suo viso e gli baciò le labbra e poi le guance e poi le tempie che vedeva pulsare.
“Tranquillo!!” lo rassicurò, spostandosi di nuovo così da essere viso contro viso. “Vuol dire che faremo le cose con calma e ci prenderemo tutto il tempo che ci serve per ….” e poi baciandolo ancora: “…accendere la miccia e far esplodere tutto!”
“Non credere di aver migliorato la situazione dicendo così!” rispose Jensen, lasciando che Jared si appropriasse di nuovo delle sua labbra.

Amarsi fu incredibile, emotivamente totalizzante. Ogni centimetro del loro corpo reagiva meravigliosamente a quegli stimoli languidi e lascivi. Jensen lasciò che le mani esperte e premurose di Jared lo toccassero ovunque portando piacere e traendo piacere per loro stesse. Lasciò che la bocca calda del compagno lo saggiasse lungo il collo , il torace ansante, il ventre fremente. E Jared….beh!!
Jared si beava di quello che vedeva risplendere sul volto di Jensen, si estasiava di sentire come il corpo del suo amante rispondesse alle sue appassionate carezze.
 E quando una mano scivolò languida e lenta verso il basso, verso quel segreto cerchio di muscoli che si contrasse fremente al suo tocco, paradossalmente fu prima Jared a gemere per i tremori di Jensen.
Il corpo del biondo reagì a quelle intime carezze e le gambe, lentamente si aprirono per dare maggior accesso a ciò che stava per accadere.
“Jared…Jared… Dio!! Le tue mani….il tuo calore…” ansimava Jensen andando incontro ai movimenti sensuali delle dita di Jared dentro di lui.
“Vuoi che continui!?” sussurrò Jared che sembrò quasi provocarlo.
“Voglio che tu …vada oltre!” fu , di rimando, il sensuale invito.
Jared lo baciò. Lo baciò affondo dopo quelle parole e senza separare le loro labbra, trovò la giusta posizione sul corpo di Jensen, tra le sue gambe, contro il suo bacino proteso e in attesa.
“Dio! sei meraviglioso!” si ritrovò ad esclamare il poliziotto osservando l’uomo sotto di lui che lo guardava adorante e sopraffatto dal desiderio che era anche il suo. Sorrise quando lo vide arrossire e si chinò per baciarlo e in quel bacio , lentamente, gentilmente , affondò in quel corpo caldo ed eccitante.

Un gemito strozzato sfuggì dalla bocca di entrambi, quando quel legame divenne concreto e i due , ormai erano divenuti un corpo solo, rimasero per alcuni momenti fermi, in una sorta di stasi estatica.
“Muoviti….Jared, muoviti!” sussurrò Jensen ad un fiato di distanza dalle labbra di Jared.
“Piano…piano…” bisbigliò in rimando , Jared, iniziando così quella danza erotica.
“Sì…così..…così..” ripetè in silenzio l’altro , andando incontro ai movimenti del giovane, in modo sensuale e ritmico. "Piano....piano.."
Quando poi in quegli affondi sempre più cadenzati e decisi, quel punto di puro piacere venne prima sfiorato e poi torturato con più decisione, entrambi gli amanti, si lasciarono cullare e guidare dal piacere più intimo e profondo, fin quando, quel piacere stesso li fece sussultare, tremare , pregare di sopravvivere poiché senza fiato. Un piacere che li conquistò potente  in un modo che li sconvolse le anime.
 
Quando l’affanno di quel piacere immenso li lasciò sfiniti tra le lenzuola, Jared lentamente si spostò , sistemandosi accanto al corpo di Jensen. Si mise su un fianco così da poterlo guardare, perché in quel momento scoprì quando fosse bello Jensen dopo aver fatto l’amore. Le labbra rosse per i tanti baci, la pelle madida di sudore che gli illuminava l’intero viso, gli occhi che gli brillavano e che mostravano ancora il ricordo di quel desiderio appena soddisfatto.

“Stai bene?!” gli chiese sorridendogli e posandogli un bacio leggero sulla spalla.
Jensen voltò il viso verso di lui, gli sorrise e sporgendosi appena , richiese ancora le sue labbra. “Mai stato meglio!” fu la risposta che gli diede immediatamente dopo.
Jared sorrise felice. “Sto morendo di sete. Vado a cercare qualcosa in frigo. Va anche a te qualcosa?!”
“Una birra?!” ci provò ancora, Jensen.
“Non provarci, Ackles. La tua scelta è ancora  fra un thè freddo e un succo al….” e rimase in sospeso.
“Al…?”
“Beh!! non lo so.” esclamò esasperato. “Ma di solito c’è sempre un qualche tipo di succo nel mio frigo, quindi scegli!” fece mentre si alzava dal letto e si infilava il pantalone della tuta.
“Il thè andrà benissimo!” rispose non proprio convinto Jensen, ma il suo viso si illuminò di nuovo quando Jared prima di uscire dalla stanza, si chinò sul letto e lo baciò sulle labbra, dicendogli un dolcissimo: “Torno subito!”
Il biondo non riuscì a rispondergli nulla ma annuì come rapito da quelle due semplici parole e non appena Jared fu fuori dalla stanza, si passò una mano sul viso , strofinandolo con vigore, quasi come a volersi rendere conto di quello che era successo.

Non seppe perché, ma la prima cosa che gli venne da fare fu quella di sistemare alla meglio le lenzuola che portavano ancora i segni stropicciati con cui i loro corpi le avevano tormentate. Allungò una mano verso il copriletto e sistemò anche quello e poi si sedette meglio, appoggiandosi alla spalliera del letto e sorrise soddisfatto quando vide rientrare Jared che non potè non notare il “servizio” svolto dal compagno.
“A quanto pare hai delle segrete doti casalinghe!” fece ammirando il letto che sembrava di nuovo, discretamente in ordine.
“Mia madre non mi dava il dolce se non rifacevo il mio letto.”
“Ma questo è il mio letto!” gli ricordò Jared porgendogli il bicchiere di thè.
“Posso disfarlo se vuoi. Ci sono molti modi per rimediare a quello che ho fatto!” e lo disse in maniera decisamente maliziosa.
Maniera che Jared colse. Maniera che Jared colse e di cui fu decisamente felice.
“Sul serio?!”
“Sul serio!” gli fece eco Jensen che non riusciva a smettere di guardarlo anche mentre beveva.
“Allora questo…” disse prendendogli il bicchiere dalle mani. “…non serve. E credo che nemmeno questi….” fece poi, levandosi i pantaloni. “..servano.”, prima di infilarsi di nuovo a letto, accanto a Jensen, che non esitò a spostare le coperte per permettere al giovane di sdraiarsi al suo fianco.
“Come è possibile?!” sospirò Jensen, mentre si abbracciava ancora al corpo caldo e forte di Jared.
“Cosa?” disse in un sospiro il giovane, mentre gli lasciava piccoli baci lungo la linea del collo.
“Ho di nuovo voglia di te!”
“Beh! sai come si dice?...bisogna sempre soddisfare le proprie voglie!” lo consolò maliziosamente, Jared.
E questa volta fu Jensen a fare le cose con meticolosa calma.
 
Dopo, il tepore dei loro corpi ancora abbracciati, il buio della notte, la penombra della camera, il ritmo regolare e sereno dei loro respiri sincroni, fece come da culla ai due amanti che si abbandonarono , finalmente, al sonno.

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Capitolo 6
*** .6. ***


La mattina dopo, quando Jensen si svegliò, si rese conto di essere solo a letto e da come era quasi freddo il posto che aveva occupato Jared, immaginò che già da un po’ il ragazzo fosse sveglio.
Uscì da letto e si infilò un paio di pantaloni di tutta e una felpa che Jared , già dal giorno prima gli aveva lasciato su una sedia e decise di andare in cucina, da dove sentiva proveniva dei rumori.
Si affacciò e stava per salutare quando vide Jared girato di schiena, le spalle leggermente curve, le mani appoggiate sul bancone della cucina e la testa piegata verso il petto. Sembrava sconfitto. Combattuto.
E allora un pensiero ansiogeno attraversò la mente del biondo che sentì il cuore pulsargli fin dentro il cervello.
Non pensò ad altro se non a quel pensiero che gli era esploso immediatamente nella mente, mentre vedeva Jared in quella posizione.

“Ti sei pentito!” affermò, non chiese.


Jared si voltò verso di lui un secondo dopo averlo sentito e sul suo volto , Jensen, non riuscì a decifrarne l’espressione. Quindi si obbligò ad andare avanti. Prima o poi Jared avrebbe parlato. 
“Non te ne vorrò se è così.” continuò quindi, cercando però di non guardare Jared e di concentrarsi solo sulle sue mani, che all’interno delle tasche della felpa, si stavano letteralmente stritolando l’una con l’altra. “So che in parte è colpa mia se stanotte è successo quello che è successo. Io non avrei dovuto…incoraggiarti e tu…tu magari, temendo di offendermi o ferirmi se mi avessi rifiutato, dato quello che già mi era successo, ti sei sentito…costretto ad assecondarmi, ma ti giuro….non te ne faccio una colpa!”
“Davvero?” replicò Jared
Jensen deglutì. Jared gli stava dando ragione!!
“Davvero. Ma ti chiedo solo….. solo una cosa…” cercò di andare avanti.
“Che cosa?!” chiese quasi atono Jared che lo lasciava parlare senza interromperlo.
“Non….per favore…non buttare via  quello che magari stava nascendo tra noi. Torniamo a quello che c’era quando ci vedevamo al locale. Fa’ finta che stanotte non ci sia mai stata. Dimenticala, azzerala. Ma prova a darci comunque una possibilità. Non puoi negare che stiamo bene insieme!” disse speranzoso.
Si sarebbe accontentato anche di uncenno di assenso impercettibile.

“Credi che sia possibile?!” lo spiazzò Jared.
“Io farò del mio meglio per riuscirci.” affermò con forza Jensen anche se i suoi occhi verdi brillavano di un immensa incertezza. “Per favore, provaci anche tu.”
Jared non rispose e scosse, appena, la testa.
Jensen si sentì come schiacciato da un enorme macigno. Guardò per un attimo Jared che fissava lui e non diceva niente. Così ancora una volta fu lui a parlare.
“Ok, credo che a questo punto io debba decisamente andare via. Vado di là a prendere quelle poche cosa che mi hanno portato Felicia e Jim e torno al mio appartamento!” fece, riuscendo perfino a sorridere.
Ma quando si girò per fare quello che aveva appena detto, fu Jared a parlare.
“Hai finito?!” gli chiese.
“Cosa?!” sussurrò Jensen, voltandosi di nuovo verso il giovane che vedeva avanzare piano verso di lui.

“Hai ….finito….di …dire stronzate!?” fece quando ormai era ad un passo da lui.

“Co…come?! Io….tu vuoi….noi abbiamo… e poi ti ho chiesto….e tu non hai….”
“Dio!!” fece pacatamente esasperato Jared. “Ma quanto parli?!” esclamò un attimo prima di baciarlo con un impeto che tolse il fiato a Jensen che si ritrovò legato dalle braccia di Jared e sopraffatto dalle sue labbra al sapore di caffè. “Credi davvero che io possa o voglia dimenticare questa notte? Credi davvero che io, ora, ti lasci andare?”
“Ma…”
“Non provarci nemmeno ad andare via.” Sembrò, anzi no, gli ordinò decisamente. E di certo quello fu l’ordine più bello a cui Jensen avrebbe voluto obbedire senza replicare. “Tu ora vieni con me e fai colazione. Poi ce ne andiamo tutti e due in camera e mentre io cerco di dare a quel letto un aspetto più decente, tu , ti fai una doccia.”
“E poi?!” chiese con aria quasi innocente Jensen che non ci pensava per niente a liberarsi dell’abbraccio di Jared.
“E poi, io e te ci infiliamo di nuovo a letto, perché ho voglia di fare l’amore con te tra delle lenzuola che sanno di fresco e non di disinfettante.” gli rivelò carezzandogli le labbra con un bacio leggerissimo.
 “Possiamo saltare la colazione , allora!” azzardò Jensen, ricambiando con altri piccoli baci.
“Se vuoi che io mantenga quello che ho appena promesso, ho bisogno di fare colazione!”
“In effetti anche io avrei una certa fame!” ammise Jensen visibilmente, adesso, più rilassato e felice.
“Ottimo!”, fece entusiasta Jared, guidando il compagno verso il bancone della cucina. “Ho preparato dei waffles. Dolci o con bacon?!”
“Dolci e con bacon!” puntualizzò soddisfatto Jensen.
“Oddio!! Non dirmi che sei uno di quelli che mettono tutto insieme e…”
“Tu non hai idea di cosa sia il gusto del bacon e del miele insieme!” fece il biondo assaporandone già il sapore.
“Disgustoso?!” asserì Jared.
“Afrodisiaco!”
“Mi dici cosa c’entra il bacon con l’afrodisiaco?!” replicò confuso Jared.
“Il bacon c’entra sempre!!” asserì convinto Jensen. “Ma facciamo colazione e poi te lo mostro a letto!” concluse malizioso.
 

Passarono due settimane dall’aggressione di Jensen. I due avevano passato quegli altri pochi giorni, prima di riprendere ognuno il rispettivo lavoro, tra l’appartamento di Jared e quello di Jensen, che aveva decisamente bisogno di una sistemata dopo la sua assenza.
Jared con molte , anche se pacate, insistenze, aveva , alla fine, convinto Jensen a dirgli chi erano stati gli autori del pestaggio.
 
“Ma ad una sola condizione!” si era fatto ripromettere il ragazzo. “Non dirlo a Jim. O darà di matto.”, si preoccupò.  “Già non li sopportava  quando facevano solo gli stronzi omofobici nel locale. Pensa a cosa potrebbe fare se sapesse che…”
“Un attimo. Un attimo…mi stai dicendo che sono stati quei tipi che ho sbattuto fuori quella sera a farti questo?!” chiese sconvolto Jared. “Quelli che avevano puntato Felicia!?”
Jensen annuì. Solo annuì.
“Figli di puttana!!” sbraitò con rabbia andando avanti e indietro nella stanza come se fosse stato un leone in gabbia e poi come se qualcosa lo avesse colpito in piena faccia, Jared si bloccò a guardare Jensen.
“Che…che c’è?!” si allarmò l’altro.
“E’ stata colpa mia. Mio Dio! è stata colpa mia!!” disse all’improvviso.
“Cosa?!” stralunò Jensen. “Ma cosa dici, Jared?...colpa tua??”
“Se non fossi intervenuto… se quella sera io…..se non mi fossi messo in mezzo..se io…”
“Smettila.” lo rimproverò Jensen.
“Se la sono presa con te. Io ho fatto l’eroe e loro se la sono presa con te!!” fece con tono esasperato passandosi le mani fra i capelli, con fare frustrato.
“Ok! Te lo ripeto. Ora, smettila!” e questa volta Jensen era davvero infuriato. “Non è stata colpa tua. Tu hai fatto quello che andava fatto.” Disse con severità, raggiungendo il compagno e afferrandolo con forza per le spalle, costringendolo a guardarlo.  “Pensa a se non fossi intervenuto…forse c’avrei fatto a botte nel locale, forse Jim avrebbe usato quella mazza da baseball e chissà come sarebbe finita. Forse non avrebbero fatto niente o forse, a fine serata, avrebbero seguito Felicia invece che me. Ci sono migliaia di forse, Jared. Ma c’è una sola certezza. Hai fatto quello che dovevi ed è andata come doveva andare!” asserì tutto di un fiato per non permettere al compagno di pensare ad altro e darsi ancora la croce.
“Poteva finire male, Jensen!” sussurrò Jared, avvicinandosi di più a Jensen e abbracciandolo forte subito dopo. Come se fosse terrorizzato da quell’ipotesi scongiurata.
“Lo so. Ma non è andata così perché tu c’eri. Ci sei sempre stato anche quando non lo sapevo e spero…spero davvero che tu continui ad esserci!” disse Jensen, spostandosi appena per guardare il giovane che lo stringeva.
“Non permetterò mai più , a niente e nessuno, di farti del male! Mai più.” giurò con una tale decisione che Jensen ne ebbe quasi paura.
Ma non volle pensarci e si abbandonò solo al bacio che Jared gli stava dando in quel momento, come suggello di quella promessa.
 
Il sabato sera, Jensen doveva affrontare il suo rientro come titolare del “Bunker” e già sapeva che avrebbe dovuto rispondere alle tante domande sulla sua assenza. La scusa degli impegni di lavoro era andata bene per le prime sere, ma poi i frequentatori abituali del locale avevano cominciato a sospettare della sua assenza. Le voci prima di un incidente e poi di ciò che era successo realmente , si fecero sempre più consistenti e Jim si era ritrovato a dare delle spiegazioni e ad assicurare che Jensen ormai stava bene e che sarebbe tornato presto.
In quel periodo Jensen capì quante persone ci tenevano a lui, che gli volevano bene e che lo rispettavano, indifferentemente dalla sue preferenze e dal suo stile di vita personale.
Il ragazzo capì che finalmente era a casa e che nessuno poteva mandarlo via da lì, soprattutto alla luce di questa nuova consapevolezza. Soprattutto ora che c’era anche Jared nella sua vita.
 
I due erano all’ingresso del locale e Jensen  si sentiva un po’ nervoso. Per quanto ci tenesse a riprendere il lavoro, odiava essere al centro dell’attenzione.
Ma questo Jared non lo sapeva ancora.
Lo avrebbe saputo dopo , quanto ormai era troppo tardi per rimediare a quello che aveva fatto all’insaputa di Jensen.
BENTORNATO!!”  si sentì urlare contro Jensen non appena mise piede nel “Bunker”
Decine di facce sorridenti e felici di vedere che stava bene gli andarono incontro abbracciandolo e mostrando il piacere di rivederlo. Anche Jim faceva la sua parte e Felicia, piccola com’era, cercava di intrufolarsi tra tutte quelle persone per raggiungere il suo caro amico.
Jensen, quando ebbe un attimo di respiro,  si girò appena verso Jared e notò il suo sguardo soddisfatto.
“Sei stato tu?!” disse in un sorriso sforzato tra le labbra strette.
“Sorpresa!” esclamò a bassa voce il poliziotto.
“Io odio le sorprese e odio trovarmi al centro dell’attenzione!” fece con nonchalance
Jensen , mentre mandava giù un sorso di birra.
“Ops!!” fece spallucce Jared con aria innocente. “Dovevi dirmelo prima!”
“Prima quando? In questi giorni quando mentre mi tenevi a letto? O sotto la doccia? O sul divano? O magari vicino al bancone della cucina…due volte??” ironizzò con malizia Jensen.
“Ehi! Il divano è stata colpa tua!!” si giustificò Jared alzando le mani in segno di resa.
 E poi scoppiarono a ridere di cuore.
 

Dal bancone del bar, Jim e Felicia , osservavano la scena.
“Che ne dici, angioletto?” fece Jim
“Dico che non poteva succedere cosa migliore dopo una cosa così assurda, Jim!” rispose la ragazza che non potè nascondere gli occhi lucidi.
“O per favore!! Non mi fare la lacrima, ora!!” la rimproverò Jim.
“Scusa!” singhiozzò mortificata Felicia.
“Lo sai che poi inizio a piangere anche io!” replicò con la voce già emozionata Jim, passandole una mano tra i capelli.

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Capitolo 7
*** .7. ***


Da quella serata, tutto sembrava aver ripreso la vita normale.
Jared al solito, alle nove e un quarto di ogni sera era al locale e quando non era di turno, a volte si fermava l’intero pomeriggio e pur di passare del tempo con Jensen si improvvisava perfino cameriere, scherzando con Felicia su chi avesse avuto più mance.

Ogni sera però vinceva Felicia.

“Amico mio, sarai anche bello e alto, ma vuoi mettere come sculetta lei?!” lo canzonò Jim, passandogli una birra.
“Maschilista!” si lamentò Felicia che lo aveva sentito.
“Ma ha ragione. Io ho la grazia di un elefante in un negozio di cristallo!” ammise Jared che poco dopo si sentì abbracciare da dietro da due braccia forti.
“ Tranquillo, ti muovi davvero bene!!” gli fece Jensen ad un soffio dall’orecchio , con tono malizioso.
“Ohw!!” esclamarono all’unisono sia Jim che Felicia. “Calma, Romeo!!” proseguì Jim, però con aria divertita, facendo sorridere tutto il gruppo.
Poi, Jensen entrò meglio nella visuale del compagno. “Ok! Elefante…” fece il biondo rubandogli la birra dalle mani. “…casa tua o casa mia?!”
Jared mise una mano sulla spalle del compagno e con aria dispiaciuta rispose a quell’invito.
“Casa tua, amico. E da solo. Mi dispiace!” rifiutò a malincuore l’invito romantico.
“Cosa? Perché?!” fece deluso Jensen.
“Mezz’ora fa mi ha chiamato il capitano Morgan. Devo sostituire un collega. Mi tocca il turno di notte. Attacco fra meno di un’ora!” fece baciandolo sulle labbra con un bacio veloce ma sincero. “Anzi, sono già in ritardo.”
“Sei una delusione Padalecki! Non ti riconosco più….sta’ lontano da me.” fece imbronciato mentre cercava di sfuggire all’ennesimo saluto del compagno.
“Ci sentiamo domani quando smonto, ok?!” sussurrò con tono dolce cercando una sorta di perdono.
“Non lo so!” rispose incerto Jensen, sotto gli sguardi divertiti dei due amici.
“Ok!” disse sconfitto il poliziotto e fece per andare via.
“Jared?!” lo richiamò un attimo dopo Jensen. “Sta’ attento!”
Jared gli sorrise di un sorriso dolce e disarmante. Gli lanciò un bacio schioccato solo sulla punta di due dita. “Ci sentiamo domani mattina. Vengo a prenderti per colazione, ok?!”
“Ti aspetto!”
 
Quando Jared se ne andò, Jensen rimase per un po’ a fissare la porta chiusa e poi sospirando, si voltò trovandosi addosso due paia di occhi che lo fissavano con un misto di dolcezza e derisione.
“Che c’è?” esclamò ai due amici.
“Che c’è?” ironizzò Jim. “Se andavate avanti per un altro po’, Felicia rimaneva incinta  e a me veniva il diabete!!”
“Dio!! come siete belli insieme!” cinguettò invece la ragazza, che volò letteralmente tra le braccia di Jensen. “Sono così felice per voi!”
“Ok!Ok!Ok! la telenovelas è finita. Chiudiamo tutto e andiamo a casa. Io esco dal retro, devo prendere alcune cose nel mio ufficio prima di andare. Chiudete voi di qua!?” fece Jensen mentre raggiungeva il suo privè.
“Ok!, ci vediamo domani!” fece Jim, mentre  sistemava le ultime cose, controllava la cassa e aiutava Felicia e mettere sui tavoli quelle poche sedie che erano rimaste in giro.
 
Erano passati circa quindici minuti e il barista , che aveva ormai sistemato tutto, si apprestava ad uscire dal locale insieme a Felicia.
“Dolcezza, sei pronta ad andare?” la richiamò Jim.
 “Pronta e scattante!” rispose divertita la ragazza, quando all’improvviso la porta  del locale si spalancò rumorosamente.
“Ma che caz….” imprecò Jim, parandosi immediatamente davanti alla ragazza. “Siamo chiusi ragazzo, trovati un altro posto per finire di spaccarti il fegato, ok?!”
“No…no…” ansimava il ragazzo piegato in due dall’affanno. “Non voglio….non voglio bere. Io..io…volevo avvisarvi….Avvisare…avvisare il vostro amico….” biascicava il giovane estraneo.
“Avvisare? Avvisare chi?!” domandò perplesso Jim e poi: “Jensen?” azzardò .
“Ci vogliono riprovare. Hanno saputo che è tornato. Che non ha…“imparato la lezione”…” disse virgolettando  le ultime parole.
“O mio Dio!” sussurrò tremante Felicia.
“Ma di che diavolo stai parlando!?” e questa volta Jim era allarmato e decisamente furioso, perché cominciava a capire.
“Non ….non hanno intenzione di andarci leggeri… questa volta!” fece ancora il giovane che si stava rimettendo dritto. “Vogliono farlo fuori. Questa volta vogliono ucciderlo!” fece raccogliendo quanto più fiato poteva. “Amico!! Quelli sono completamente fuori di testa!!”

A quelle parole Felicia scattò veloce verso l’ufficio di Jensen. Spalancò la porta e gridò il nome dell’amico che però era già uscito dal retro.
“Non c’è. Mio Dio!! è andato già via….Jim, Jensen è andato via!!” disse quasi in preda al panico.
Jim afferrò il ragazzo per il collo della camicia e lo inchiodò al muro. L’uomo era in preda alla furia più profonda.
“Chi?? Chi vuole uccidere Jensen? Dimmelo!!…parla o giuro che non uscirai da questo posto vivo!!” lo minacciò furente.
“Jim..Jim….” cercava di richiamarlo Felicia che non aveva mai visto Jim in quelle condizioni.
“Abel…Jack Abel e il suo gruppo. Loro…sono loro, ma io gli ho detto che questa volta era troppo e che già la volta prima avevano passato il segno e che non ci sarei stato…e allora…allora sono corso qui ad avvisarvi….” cercava di spiegare provando a resistere alla presa dell’uomo.
“Abel?...quel bastardo moccioso che è stato sbattuto fuori dal poliziotto?!” ricordò Jim, rinsaldando la presa sul torace del ragazzo.
“Sì…sì… lui e il suo gruppo. Cazzo, amico!! Quei tipi sono fuori di testa…e io…io non ci voglio avere niente a che fare. Per questo sono qui! Dovete avvisare il vostro amico. Per favore! Fate presto!” e il ragazzo era davvero preoccupato per come pensava sarebbe andate le cose fuori da quel locale.
“Mio Dio..mio Dio!!” si disperava Felicia mentre ascoltava quella sorta di confessione. “Non risponde. Jim…..non risponde. Il telefonino non…”
“Non risponde o non prende?!”
“Co..Cosa?...Come???”
“Squilla o no?!” le gridò facendola sobbalzare. Felicia capì e ascoltò i segnali dal suo cellulare.
“Non…non prende…dice che non è raggiungibile.” Riferì tremante.
“Ok!Ok! allora è ancora sulla Boulevard. Quel posto è un dannato Triangolo delle Bermuda. Ancora non è a casa sua. Chiama Jared e passamelo.”
“Sì…sì…Jared…chiamiamo Jared!!” fece decisa la ragazza.
 
Un attimo dopo Jim parlava con Jared e gli spiegava tutto.
“Tieni lì quel piccolo figlio di puttana, Jim. Ti mando qualcuno a prenderlo.” gli comunicò Jared che non appena aveva ricevuto la telefonata si era attivato con i suoi colleghi e stava per entrare in macchina.
“Ok! Io raggiungo Jensen!” fece il barista.
“Nooo!!” parve quasi gridare Jared. “Resta lì, dove sei, Jim. Non fare sciocchezze. Non vorrei badare anche a te oltre che a Jensen.”
“Sarai anche un poliziotto, ma io pestavo i bulli quando tu ancora portavi i pannolini. Quindi non devi preoccuparti di badare a me, ma vedi solo di muovere il culo il più velocemente possibile  verso casa di Jensen!” lo ammonì Jim.
“Jim, ascolta. So di loro. Jensen  me lo ha detto giorni fa e mi ha detto anche di non fartelo sapere perché saresti andato fuori di testa!” confessò il giovane.
“Infatti!”
“Infatti!” gli fece eco con tono accondiscendente. “Lui non vuole che tu finisca nei guai in alcuno modo.” convenne Jared. “Fa’ quello che vuole Jensen. Resta dove sei. Sta’ con Felicia e aspetta la pattuglia che ti sta arrivando. Ci penso io a Jensen. Te lo giuro non gli accadrà niente, Jim. Te lo giuro sulla mia vita!”

Jim deglutì rabbia, rancore, frustrazione. Sapeva perché Jensen lo aveva tenuto fuori. I suoi precedenti erano un buon motivo. Jensen sapeva che se Jim si fosse fatto immischiare in qualche altra situazione del genere, sarebbe tornato con molte probabilità in carcere.
Il barista pensò a come Jensen lo aveva tenuto fuori da ogni possibile guaio e andarsi a ficcare di proposito in uno peggiore che Jared poteva risolvere, non lo avrebbe ripagato di un simile impegno.
“Jim…??”
“Ok! Ok! Resto qui. Ma tu chiamami.….per favore!”
“Tranquillo. Sarai il primo a cui telefonerò quando questa storia sarà finita!” fece Jared mentre velocemente si infilava in macchina e digitava sul computer della macchina di servizio l’indirizzo della casa di Jensen verso cui le volanti dovevano convergere.
 
Quando Jensen arrivò a casa sua, si lamentò in silenzio. Come al solito non c’era un solo posto e questo significava dover parcheggiare in qualche vicolo dietro la palazzina.
“Perfetto!!, domani mattina, dovrò toglierti decine di lattine di birra dal tettuccio , piccola!” fece accarezzando il volante della sua macchina.
Spense il motore e bloccò lo sterzo.
Scese e dopo aver chiuso le sportello che scattò a causa della chiusura centralizzata, passò una mano sulla curva del parabrezza.
Si allontanò dalla macchina appena di qualche passo quando sentì delle risate dietro di lui.

Si girò.
Fu quasi istintivo.
E quando lo fece vide, distante da lui, solo alcuni metri, un gruppo di sei persone. Non riusciva a vederli in faccia a causa della penombra.
Anche se un brivido gli percosse la schiena, decise di non essere paranoico. Poteva essere un semplice gruppo di amici che passava da lì, o qualcuno che ritornava a casa proprio come stava facendo lui.
E quindi riprese a camminare verso l’uscita del vicolo.

Ma poi…
“Ehi, frocetto!! Pensavo che la lezione che ti avevamo dato tempo fa fosse servita!!” fece la voce.

Quella voce.

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Capitolo 8
*** .8. ***


Jensen non avrebbe mai potuto dimenticare la voce di quel bastardo. Quel tono che lo derideva e lo scherniva mentre lo prendeva a pugni e a calci insieme ai suoi amici. Quella voce che lo denigrava mentre ammirava lo sfacelo che avrebbero lasciato appoggiato a quel cassonetto dell’ immondizia.
E’ qui dove merita di stare la spazzatura come te!!” gli aveva detto prima di sferrargli l’ultimo pugno di una lunga seria, prima di lasciarlo a languire sanguinante e dolorante.
 
Si girò di nuovo verso il gruppo che ora era più vicino.
Strinse gli occhi per metterli a fuoco. Erano loro. Erano di nuovo loro. Riconobbe Abel davanti a tutti.
 
Beh!! almeno questa volta avevano avuto la decenza di non colpirlo alle spalle.
Per lo meno , avrebbe avuto la possibilità di difendersi.
 
“Abel….ho lasciato stare la prima volta, quindi….” ma Abel lo fermò.
“Ohh!! E cosa vuoi?.. un grazie?!” ironizzò .
“ Non farò lo stesso errore adesso! Lascia perdere. Lasciami stare!” richiese risoluto, tenendo sempre d’occhio anche gli altri che affiancavano Abel.
“E’ questo, quello che vuoi da me ?!” ironizzò l’altro.
“No. Io non voglio niente da te. L’unica cosa che ti chiedo è di lasciar stare. Hai avuto la tua soddisfazione quella sera. Sei stato più forte, ok? Ora che cazzo vuoi ancora? Non ti vado a genio?, va bene. Trovati una che faccia a caso tuo. Non ti piace il mio locale?, perfetto. Ce ne sono a centinaia in città in cui quelli come me nemmeno ci mettono piede.” gli fece presente cercando di tenere sempre una certa distanza tra loro. Quasi come se cercasse una sorta di vantaggio difensivo.
“Vedi, mio caro Jensen. Io sono uno preciso e quando mando un messaggio, mi aspetto che chi lo riceve , faccia quello  che gli viene chiesto. Senza discutere. Perché a me non piacciono le discussioni.” spiegò con tono seccatamente autoritario Abel.
“Beh! credimi. Se il tuo messaggio era che dovevo chiudere i battenti e sparire, solo perché a te non vado a genio…..vaffanculo. L’ho fatto già una volta  e ho promesso a me stesso che non lo avrei più fatto.” replicò Jensen a quella sorta di ordine.
“Ma come siamo coraggiosi!!” lo provocò e in quella sua stupida spavalderia non vide Jensen che un attimo dopo partì con un destro deciso al volto del suo interlocutore, che si sbilanciò a causa del contraccolpo ma che non cadde anche per sostenuto da due dei suoi compari. Abel si rimise dritto e avanzò di nuovo verso Jensen. “Ma che bravo!” lo provocò ancora, sputando a terra sangue e battendo le mani in modo ironico.
“Se vuoi che chiuda dovrai piantarle tu le assi di legno sulla porta del mio locale. Se vuoi che io sparisca, dovrai farmi fuori , bastardo figlio di puttana!!” ringhiò Jensen, preparandosi ad un eventuale attacco.
“Vedi!?, cominciamo a pensarla allo stesso modo!!!” sibilò crudelmente ironico Abel, accennando appena a due suoi compari.
E in quello stesso momento , due del gruppo scattarono velocemente verso Jensen, afferrandolo forte per le braccia e costringendolo spalle al muro.
 
Jensen gemette quando impattò contro il cemento. Cercò di contrastare la forza dei due che lo tenevano fermo e benché i suoi tentativi di liberarsi risultavano forti e i due “guardiani” faticavano a tenerlo bloccato, Jensen dovette per forza di cose, bloccarsi, quando si ritrovò con la lama di un coltello puntata alla gola. Giusto in direzione della giugulare che pulsando furiosa, sbatteva contro la lama fredda appoggiata alla pelle della gola.
“Dimmi ancora che devo farti fuori…Jensen!” disse calcando un tono disgustato sul nome del suo prigioniero.
“Fottiti!!” ringhiò il biondo e in un attimo dopo la lama saettò impietosa al lato della sua gola.
Jensen gemette quando sentì la sua pelle lacerarsi subito dopo il passaggio della lama. Sentì il caldo del sangue colargli lungo il collo e subito dopo arrivò il dolore e il bruciore della ferita.
Poi , il coltello fu di nuovo alla sua gola, ma solo sul lato opposto. Davanti a lui, il volto esaltato di Abel che gli sorrideva sprezzante.
“Dillo ancora, Jensen. Fammi sentire ancora quanto quelli come te possono essere coraggiosi!” sibilò mentre la sua mano si preparava a colpire di nuovo.
Jensen, sentiva il respiro farsi pesante. Gli occhi gli bruciavano e le braccia che quei due continuavano a stringergli, erano intorpidite.

In uno strano momento si ritrovò a giustificare se stesso perché in quel momento aveva paura. La sera del pestaggio fu tutto veloce. Doloroso, ma veloce.
Ora invece , Abel, se le stava prendendo comoda e  sempre in quello strano momento, Jensen, pregò segretamente, che se doveva finire che almeno fosse una cosa veloce come la prima volta.
Poi , però un volto disintegrò quella sua insensata voglia di volere che tutto finisse, una volta per tutte.
Un viso dolce, due occhi ancora più dolci. La sensazioni di mani che lo accarezzavano, di braccia che lo stringevano. Di una bocca che lo baciava con una tale devozione da farlo sentire in Paradiso. La voce di Jared che gli prometteva di proteggerlo per sempre. E allora il cervello di Jensen reagì e il suo corpo con lui. Provò a lottare ancora.
“Tu sei un ….” biascicò furioso e impavido, ma non riuscì a finire la sua frase, perché quello che fino a pochi attimi primi era solo un pensiero si materializzò poco distante da loro.
 
“Abel, prova solo a muoverti e ti pianto una pallottola nella schiena!” fece la voce autoritaria di Jared. “E per chi non lo avesse capito…Polizia, siete tutti in arresto!” gridò.
 
Un attimo dopo, il caos.
Il gruppo di Abel che si disperdeva in cerca di fuga.
Perfino i due mastini che tenevano fermo Jensen lo lasciarono malamente poggiato al cemento dell’edificio contro cui l’avevano bloccato.
Tre pattuglie di agenti che inondarono il vicolo della luce dei lampeggianti e che con le macchine impedirono ogni via di fuga.
Urla concitate da parte dei poliziotti che intimavano a tutti di stare fermi e sdraiarsi a terra. I lampeggianti che rendevano confuso il vicolo.
I fuggitivi che comunque cercavano di sottrarsi. Il panico assoluto e poi Abel.
Abel che infuriato per quella sua sconfitta non desisteva e teneva ancora puntato il coltello contro Jensen, minacciandolo, benché il ragazzo si fosse appoggiato al muro dietro di lui, in evidente affaticamento. Jensen si ritrovò con una lama alla gola e una mano che , sul torace, lo teneva schiacciato contro il muro.
 
“Butta il coltello , Abel!” lo incoraggiò Jared facendosi vicino. “Non farmi fare quello che sto sognando da settimane di fare!!” lo provocò poi.
“Sempre al momento giusto…sceriffo!!” ironizzò l’aggressore, fissando con odio Jensen che si era messo una mano alla gola per attenuare la perdita di sangue.
“Puoi contarci. Ora butta quel coltello!” fece ancora e con più decisione.
Ma Abel sembrava proprio non voler desistere.
Aveva negli occhi lo sguardo di chi non aveva più niente da perdere e quindi con un movimento rapido fece per colpire Jensen, ma Jared fu più rapido e scattando verso di lui, gli colpì la mano armata che si ritrovò, in pochi istanti, priva del coltello e con un movimento ancora più veloce gli piegò il polso dietro la schiena.
Abel si ritrovò faccia al muro e con Jared alle sue spalle che gli schiacciava la pistola alla testa.
“Ribellati….andiamo grandissimo bastardo….ribellati….” lo sfidava rabbiosamente Jared. Lo sguardo furente. Gli occhi lucidi di rabbia.

Jared, no…

“Fa’ qualcosa….qualsiasi cosa. Dammi un motivo per spararti…dammi…”continuava schiacciando il suo prigioniero contro il muro e premendo la canna della pistola alla base della nuca di Abel.
Jared sembrava del tutto fuori di sé. Era sudato, il suo sguardo era quasi famelico di una qualsiasi stupida reazione da parte di Abel. Sembrava che desiderasse con ogni fibra del suo corpo mettere fine alla vita di Abel che già gemeva per la posizione in cui era e per la pressione che subiva da parte del poliziotto.

Jared, che fai? Jared.…

“Non ti chiedo altro….solo un buon motivo per farti pagare anche quello che hai già fatto a Jensen!” lo minacciò ancora.

Jared, guardami! Guarda me!!

E questa volta la voce di Jensen arrivò forte e dolce al tempo stesso alle orecchie del poliziotto che sembrò quasi rinsavire da quella sua furia vendicativa. “Jared…ti prego…lascialo andare. Consegnalo ai tuoi colleghi. Jared…”
Il poliziotto si schiarì la mente e fissò lo sguardo sul volto di Jensen. I suoi occhi verdi. I suoi lineamenti dolce e decisi. Quel sorriso appena accennato anche in quella situazione.
Jared si costrinse a non guardare il sangue che gli sporcava la gola, per non ricadere in quella buca profonda in cui era fino a qualche momento prima.
 
Deglutì.
Respirò affondo.
Chiuse gli occhi per un solo momento.
Resettò ogni cosa.
 
“Cohen!!” gridò, poi.
“Si…, signore?”
“Prendi questo bastardo e portalo alla centrale. E , per favore, dì al capitano Morgan che io avevo ancora qualcosa da fare sul posto e che tutti gli incartamenti e i verbali li farò domani. Lui capirà!” ordinò all’agente che gli si era avvicinato.
“Sissignore!” e si accostò, mise le manette ai polsi di Abel e lo trascinò verso la macchina di servizio facendolo entrare.
 

Poco dopo, Jared si avvicinò a Jensen che era ancora vicino al muro dove si era appoggiato e che si teneva la mano sulla ferita. Il poliziotto aveva ancora uno sguardo furioso e i suoi occhi, benché stessero fissando Jensen, scintillavano ancora di un tacita rabbia inesplosa. Jensen ne ebbe quasi timore, perché da quando conosceva Jared, non lo aveva mai visto in quella stato o sentito dire certe cose e con quel tono.
Per un attimo pensò che quello doveva essere il lato cattivo di Jared. Quel lato che una volta era stato nominato solo per scherzo e che invece , davvero esisteva ed era inquietante.
“Jared..” sussurrò appena quando il giovane gli si fece vicino. “Stai …bene?!”
Fu in quel momento che i lineamenti del volto di Jared mutarono completamente. Divennero di nuovo quelli dolci e gentili che avevano conquistato Jensen.
“Non sono io quello ferito, Jensen. Perché chiedi a me, come sto?!” rispose il giovane, tirando fuori da una tasca una fazzoletto di cotone e premendolo sul taglio che  sanguinava ancora, anche se meno.
“E’ che tu…insomma….io non ti ho mai….” azzardò lievemente intimorito dal modo in cui Jared gli si era mostrato. “Era come se non fossi tu!!”
“Perdonami.” lo sorprese Jared.
“Cosa?!”
“Di solito non mi comporto mai così, ma quando ho visto Abel che ti stava per colpire, ho visto il sangue sul tuo collo…io …io credo di aver perso la testa e mi dispiace che tu mi abbia dovuto vedere in questo stato!” disse scusandosi sinceramente. E il suo tono , ora, era di nuovo quello con cui Jensen si inebriava ogni volta che sentiva Jared parlargli anche se il il senso di colpa era più che visibile.
“Ma Jared mi hai salvato la vita!” provò a consolarlo Jensen.
Jared annuì appena e poi quando si rese conto che la situazione con le pattuglie e tutti gli altri era decisamente sotto controllo, guardò di nuovo Jensen.

“Dammi le chiavi. Vieni, ti porto a casa!” fece dolcemente. “Dobbiamo disinfettare questa ferita.”
Jensen tirò fuori le chiavi da una tasca dei jeans e le passò al compagno.
“Non è niente, non preoccuparti!” fece il biondo.
“Ok! O lo faccio io o ti porto in ospedale!” fece sorridendogli e provocandolo , dato che sapeva l’avversione di Jensen per gli ospedali.
“Bullo!” lo ammonì Jensen seguendolo nell’atrio della palazzina in cui c’era il suo appartamento.
“Non lamentarti!!” abbracciandolo per le spalle. “Lo so che ti piace!”

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Capitolo 9
*** .9. ***


Quando salirono all’appartamento di Jensen, la prima cosa che fecero fu quella di chiamare Jim e Felicia.
 
Come stai?!
“Sto bene amico, tranquillo. Non mi è successo niente. Tranquillizza anche Felicia.”
Non mi stai prendendo per il culo , vero?
“Assolutamente!! Jared e la sua cavalleria sono arrivati giusto in tempo per arrestare i cattivi!”
Dì a Jared che gli devo una birra. Anzi due…anzi…
“Ok, basta! O finirà che gli intesterai la pensione!” disse vedendo Jared che usciva dal bagno con delle garze e del disinfettante. “Ok! Ora andatevene a casa . Ci vediamo domani pomeriggio!” e mise giù.

“Ehi, tu!” lo richiamò proprio Jared, indicandogli il divano. “Porta qui il tuo culo e vediamo di ripulire la ferita.”
“Cavolo , ma fai sul serio?!” si esasperò Jensen. “Non sanguina nemmeno più.”
“Non farmelo ripetere Jensen. O ce lo metterò con la forza il tuo bel didietro su questo divano!” lo minacciò ancora.
“Questo mi piacerebbe davvero vederlo!” lo provocò Jensen e Jared lo fulminò con lo sguardo. “Ok! Come sei permaloso!” si scusò alzando le mani in segno di resa e andandosi a sedere accanto a Jared che aveva già preparato tutto come un bravo infermiere.
“Togliti la camicia e…” poi guardò lo sguardo malizioso con cui Jensen lo stava fissando a causa di quell’ordine. “…e se provi a dire qualcosa ti prendo a pugni!” lo avvertì serio.
“Non credi che io ne abbia già prese abbastanza in quest’ultimo periodo?!” ironizzò Jensen anche se vide Jared incupirsi immediatamente e si pentì di quella battuta. Infondo sapeva che Jared si sentiva in colpa per quello che gli era successo e forse si sentiva in colpa anche per quello che stava per succedere quella sera. “Scusami, battuta infelice!” si scusò, poi mettendo le mani intorno a quelle di Jared che gli stavano medicando il taglio. Le fermò e costrinse il poliziotto a guardarlo. “Guardami, Jared! Per favore….guardami.”
“Mi dispiace…mi dispiace…io avrei dovuto proteggerti….settimane fa….e anche …anche stasera.” sembrò accusarsi mentre la sua voce diveniva sempre più emozionata. “E invece …invece…”
“Ascoltami, ora, ascoltami.” e la voce di Jensen , dolcemente bassa e tranquillizzante, fermò la colpa ingiustificata che provava Jared. “Smettila di accusarti di quello che mi è successo in quel vicolo. E soprattutto smettila di accusarti di quello che non è successo stasera. Mi hai salvato tu , Jared. Entrambe lo volte…mi hai salvato tu. E io non lo dimenticherò mai e te ne sarò sempre ed immensamente riconoscente.”
“Il fatto è che io non riesco ad accettare che tu soffra Jensen. Non riesco a concepire che qualcuno possa farti del male. E allora…”
“E allora promettimi che resterai sempre al mio fianco!” disse Jensen, che forse nemmeno si rese conto di averlo detto a voce alta. Arrossì e abbassò lo sguardo sentendosi in imbarazzo per quella confessione inaspettata.
Jared schiuse appena la bocca quando sentì quelle parole, ma non c’era disagio in quello che sentiva in quel momento, ma solo un immensa felicità e il suo cuore che quasi impazziva.
Il giovane deglutì e poggiando due dita sotto il mento di Jensen lo costrinse a guardarlo di nuovo.
“Non chiedo di meglio che stare al tuo fianco per sempre!” rispose a quella richiesta e poi lo baciò.
Lo baciò perché baciarlo era l’unica cosa che ora aveva senso fare.

Il più dolce dei sorrisi complici li accompagnò fino alla camera da letto di Jensen. Il barista, dopo che anche Jared fu entrato, si chiuse lentamente la porta alle spalle.
“Aspetti qualcuno?” ironizzò malizioso Jared a quel gesto.
“No. Nessuno. Ma stanotte sei solo mio. Non voglio che tu vada da nessuna parte. Ti voglio vicino a me fin quando non mi dirai di starti lontano.”
“Così rischi di starmi appiccicato per sempre!” lo provocò ammiccandogli, il poliziotto.
“Mai rischio fu così invitante.”
“Allora vieni qui e baciami!” disse e sembrò quasi un ordine.
“Vuoi solo che ti….baci?!” ribattè curioso Jensen che piano gli si avvicinava.
“Voglio che tu mi renda parte di te. Voglio sentirmi parte di te e voglio che tu sia una parte di me. Voglio amarti e farmi amare. Voglio sussurrare, ansimare e gridare affannato il tuo nome e voglio che tu faccia lo stesso con il mio.”
“Magnifico!”, esalò già pregno di desiderio, Jensen. “Allora cominciamo con il mandare al diavolo questi!” asserì conquistato dalla voglia che sentiva di Jared. Iniziò a spogliarsi con movenze non lente ma nemmeno veloci, il che rendeva tutto molto eccitante.
Jared non fu da meno e ne imitò i gesti sensuali. Camicia, maglietta. Le scarpe scalciate lontano con movimenti quasi nervosi. E poi i jeans lentamente calati come se dovessero scoprire lentamente ogni centimetro della loro pelle. Come se farlo velocemente  avesse tolto gusto a quello spogliarsi uno di fronte all’altro.
“Fermati!” disse ad un certo punto Jared, quando vide Jensen infilarsi due dita oltre l’elastico dei boxer , pronto a spogliarsi anche di quelli.
Il biondo lo guardò con aria interrogativa. Gli sorrise appena. Inarcò le sopracciglia e quel gesto gli fece brillare gli occhi verdi ancora di più.
“Non toglierli!” fece ancora Jared, avvicinandosi con passo lento verso il compagno che a quell’invito roco e colmo comunque di desiderio, alzò le mani come in segno di resa.
“Cosa vuoi che faccia, Jared?!” chiese con aria maliziosa.
“Lascia fare a me. Lascia che io ti tocchi ovunque il tuo fisico desideri essere toccato e soddisfatto. Lascia che la mia bocca saggi con cura ogni parte del tuo bellissimo corpo. Lascia che i miei occhi  imprimano a fuoco nella mia mente ogni lentiggine, ruga e lieve increspatura del tuo viso, delle tue mani, del tuo petto…di tutto te stesso.” quasi sibilò sfiorando appena con un dito il profilo del corpo di Jensen che si ritrovò a rabbrividire al quel tocco e a quelle parole.
“E poi…poi cosa accadrà!?” tentò ancora , cercando di stare a quel gioco così stuzzicante.
“ Poi, quando avrò avuto tutto questo, tu avrai tutto me stesso. Il mio corpo, la mia anima, ogni più piccolo e leggero soffio di fiato o gemito che sarò in grado di donarti mentre mi farai tuo!” gli confessò, un attimo prima di nascondere il suo viso tra la spalla e il collo di Jensen che piegò appena la testa per concedere più spazio alle labbra di Jared.
Le mani di Jensen gli carezzarono i fianchi e poi con un gesto accennato, lo invitò a seguirlo sul letto, poco dietro di loro.
Jensen vi si sedette e piano si lasciò scivolare verso il centro e più lui arretrava e più Jared gli andava incontro sovrastandolo con il suo corpo.
Quell’arretrare e quell’incedere così lento fu fatto nel più completo silenzio. O per lo meno un silenzio spezzato solo dai loro respiri e dal fruscio delle lenzuola e alle loro orecchie sembrò la più accattivante delle colonne sonore.

Jared , una volta, raggiunto l’altezza giusta che lo portava viso a viso con il compagno, iniziò a mettere in pratica la sua promessa d’amore. Lo guardò con occhi ammalianti e ammaliati su ogni dove. Le sue mani toccarono e carezzarono Jensen come se il ragazzo fosse stata una preziosa reliquia. Da proteggere e venerare sapientemente.
La sua bocca baciò ogni lembo di pelle che fremeva subito dopo il passaggio delle sue mani, come a portare sollievo per quel calore provocato.
E i respiri e gli ansimi e i gemiti di Jensen, uniti ai suoi di approvazione e piacere non fecero altro che accendere la fiamma di quel desiderio che altro non chiedeva che poter esplodere.
 E quando, quella stessa passione e quello stesso desiderio divenne decisamente doloroso da poter sopportare ancora, ai loro occhi,  ormai pregni di lascivo bisogno, bastò legarsi in una chiara richiesta di piacere.

Con un movimento repentino, Jensen ribaltò le loro posizioni e imprigionò Jared sotto di lui. Per un po’ ricambiò quella che era stata la più bella delle torture subite: baciando , carezzando, saggiando ogni parte di Jared che poteva raggiungere da quella posizione.
Con una mano, gentilmente, raggiunse la parte più intima del giovane compagno. La carezzò con delicatezza, fermandosi appena , quando sentì il corpo di Jared tendersi al suo tocco. Poi , piano, riprese la sua opera di arrendevolezza, scivolò piano dentro di lui. Le sue dita , premurose, cercavano spazio. Prendevano con delicata passione ogni centimetro che quello stretto anello di muscoli concedeva loro.
Jared si beava di quella sensazione e Jensen , di contro, godeva del piacere che gli stava procurando e che infiammava anche lui. Infondo Jared , arrossato e affannato e completamente preso e perso nel piacere era uno spettacolo che avrebbe potuto mandarlo al limite anche solo continuando a fare quello che stava facendo.
Ma fu solo l’appassionata richiesta di Jared e riportarlo ad una sorta di lucidità.

“Sono pronto, Jensen. Ti voglio, ti desidero talmente tanto che potrei impazzire se adesso tu non…” ansimò sopraffatto dal piacere.
“Sssshh!!” lo zittì Jensen, facendolo con un semplice bacio che ebbe comunque un effetto galvanizzante sul più giovane che si ritrovò a fare più spazio tra le sua gambe al suo amante. A concedergli più potere. Ad esporsi e affidarsi completamente come infondo Jensen si esponeva e si affidava a lui.
Era un rapporto alla pari. Nessuno prevaleva sull’altro, nemmeno in camera da letto, Era solo la passione a suggerire il chi, il come e il quando.
Un attimo dopo le dita di Jensen lasciarono il posto alla sua virilità madida di piacere e ansiosa di avere e portare quella soddisfazione estrema.

Le mani del maggiore si strinsero sui fianchi del poliziotto per guidarne i primi affondi, lenti, cadenzati , ritmici.
Poi quando quella loro unione divenne profonda e piacevolmente calda, Jensen portò le braccia accanto alle spalle del compagno, mentre Jared lo incatenò a lui, cingendogli le gambe intorno alla vita.
Non ci fu bisogno di altro. Le menti si persero in quei momenti di pura soddisfazione fisica. I respiri si fecero affannosi, i loro nomi scivolarono via dalle loro labbra come preghiere da esaudire.
E più continuavano quella danza erotica ed eccitante e più i movimenti divenivano scoordinati, segno che il piacere più alto stava per conquistarli e vincerli.
Preso di sorpresa da un affondo più virile da parte di Jensen, Jared si ritrovò d’istinto a stringerlo nella presa delle sue gambe e questo sbilanciò la posizione del maggiore, che gli cadde letteralmente addosso.

Fu un attimo.
Pelle contro pelle, sudore con sudore, ansimo con ansimo. Frenesia contro frenesia….il piacere arrivò. Potente, avvolgente, a tratti doloroso tanto da essere accompagnato da un grido muto, trattenuto tra le loro labbra aperte in cerca disperata di aria. Gli occhi stretti per contenere tutto il resto. Tremore, caldo, freddo, piacere, dolore.
Poi , finalmente o purtroppo , la pace. Dei sensi. Della mente. Del corpo.

Ancora stretti uno all’altro, quando ormai il respiro non rincorreva più i tremiti dell’amore, Jared sentì Jensen che gli sbuffò sul petto su cui era disteso.
“Che c’è?...stai scomodo?!” scherzò.
Jensen per tutta risposta, si tirò su, coprendosi alla meglio con il lenzuolo che fino a poco prima copriva entrambi.
“No…. è che ..cioè non è..”
“Ok! Cosa è e cosa non è?!” chiese confuso Jared vedendo confusione o forse nervosismo sul volto dell’amante.
“Io …io ho un grande difetto, Jared. Devo dire sempre quello che mi passa per la mente!”
“L’ho notato una o due volte!” scherzò Jared accarezzandogli il fianco.
“E adesso sento il disperato bisogno di dirti una cosa, ma ho …ho paura di rovinare tutto!” disse nervoso.
“Va….bene.” replicò perplesso Jared. “Ma almeno che tu non mi stia per dire che ci hai ripensato e che vuoi che tutto finisca, non credo che ci sia qualcosa di….”
“Voglio stare con te…ufficialmente e voglio che tu stia con me….ufficialmente!” esordì con convinzione. “Voglio essere il tuo compagno e voglio che tu sia il mio. Solo mio.”
“Ma pensavo che ormai fosse assodato che tra noi fosse così!” convenne Jared anche se non capiva il perché di quella puntualizzazione da parte di Jensen.
“Voglio dare una festa. Al Bunker. Inviteremo tutti. I miei amici, i tuoi, quelli che frequentano il locale. Voglio che tutti sappiamo di noi. Non voglio più mani che si toccano di nascosto o baci dati nel buio o..” spiegò con enfasi.
“Ma Jensen , tra noi, non è mai stato così!” provò a capire Jared.
“Lo so, lo so, ma io…”
Jared , poi, capì. Ritornò al racconto della vita di Jensen. Al timore di non poter vivere una storia alla luce del sole. Al dover soccombere ad un giudizio insensato e ingiusto da parte di chi sapeva.
“Ho capito. Ho capito. Tranquillo. Per me va bene, anzi, va più che bene.” lo tranquillizzò Jared e sorrise sollevato quando vide Jensen sorridergli nello stesso modo. “Che ne dici di sabato prossimo. Ti va?”
“Perfetto.” fece abbracciandolo e spingendolo di nuovo verso il letto così da potersi di nuovo sdraiare su di lui. “Grazie. Grazie , Jared!”
“Tutto quello che vuoi, Jensen. Tutto quello che vuoi!” gli sussurrò dolcemente, sentendo che il respiro di Jensen si faceva via via sempre più regolare e tranquillo.

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Capitolo 10
*** .10. ***


Il sabato arrivò e la festa fu un successo.
C’erano tutti. Quelli che di solito frequentavano il locale, i colleghi di Jared , perfino il capitano Morgan e gli amici di Jensen, Jim e Felicia.
Tutti si congratulavano sia per la loro storia che per il fatto che giustizia era stata fatta.
Qualche avvocato ben informato aveva perfino riferito che il gruppo in questione era messo davvero male a livello di imputazioni e per quello che avevano fatto si prevedevano minimo una quindicina di anni per Abel e qualcosa di sostanzioso anche per quelli che gli avevano dato man forte.

A metà serata fu Jensen a prendere la parola. Ringraziò tutti i partecipanti. Ringraziò Jim e Felicia per il loro insostituibile supporto e impareggiabile amicizia. E poi si avvicinò a Jared.
Con gentilezza gli baciò le labbra e poi si guardò intorno e a differenza di quello che accadde anni addietro quando baciò Misha, su quelli che lo guardavano non c’era disapprovazione e disgusto ma solo approvazione e dolcezza.
“E ringrazio te, Jared. Mi hai salvato la vita. Due volte. Ma hai salvato anche quella mia vita che ormai disperavo di avere.”
“Ehi, ci sarà un motivo per cui è il poliziotto del mese, no?!” scherzò il capitano Morgan, facendo ridere tutti. I due ragazzi compresi.
“Ti sei preso cura di me, hai capito i miei timori e mi hai aiutato ad affrontarli. Mi sei stato accanto in un modo che non scorderò mai, quando invece avresti potuto solo trattarmi come l’ennesimo caso.” lo adulò teneramente.
“Beh, se ricordi bene, ero qui da molto tempo prima che tu diventassi un mio…caso. Gesù, stavo rischiando di diventare un alcolizzato se non ci fossimo dati una mossa!!” scherzò Jared anche se i suoi occhi erano evidentemente lucidi di emozione.
Jensen sorrise e gli carezzò piano il viso. “Grazie. Grazie dal profondo del mio cuore!”
“Grazie a te, per volermi accanto a te anche dopo aver visto il mio..lato cattivo!” sussurrò Jared, anche se fu comunque udibile a tutti.
“E spero che non sia un doppio senso a sfondo sessuale, altrimenti sarò io a darmi all’alcool pesante stasera!” esclamò Jim, passando altre birre agli ospiti.
I due restarono per un po’ in silenzio tra le risate di chi avevano intorno. Si guardarono quasi adoranti e persi uno nello sguardo dell’altro.
Poi il cellulare di Jared vibrò e il giovane vi lesse il messaggio che gli era appena arrivato
“Ti prego dimmi che non devi andare via!” fece quasi allarmato Jensen.
“No. Non esiste emergenza che potrebbe allontanarmi da te stasera.”disse baciandolo ancora e poi lo guardò sorridendogli con fare intrigante.
“Che c’è?” chiese Jensen.
“So che odi le sorprese, ma ne ho una per te!” fece Jared.
“Credo di poter sopportare tutto stasera!” lo rassicurò Jensen.
“Ok! Aspettami qui, io torno subito allora!” gli disse mentre si allontanava e usciva dal locale.
 
Passarono circa dieci minuti o forse di più. Jensen si stava intrattenendo  con degli amici e dava le spalle alla porta di ingresso del locale. Ad un tratto si sentì bussare sulla spalla. Si voltò e fissò cordialmente il ragazzo che lo fissava di rimando.
“Salve!” fece il biondo allo sconosciuto anche se qualcosa di quei lineamenti non gli era indifferente.
“Ciao!” fece l’altro.
“Scusami, ci conosciamo?!” domandò cordialmente Jensen, fissando curioso anche Jared che stava dietro lo sconosciuto.
“Ciao…Jens!” rispose l’altro.
 
Jens!!??
Solo uno in tutta la sua vita lo aveva chiamato così. Ma quel qualcuno era ormai un ricordo lontano di un tempo lontano.
Poi l’uomo dinnanzi a lui sorrise e il blu dei suoi occhi brillò e tornò a brillare anche tra i ricordi di Jensen.
 
“No…non è…possibile. Non puoi essere….tu!” si ritrovò a balbettare Jensen, fissando meglio quello che diventava sempre meno uno sconosciuto e sempre di più un insperato incontro.
“Ciao, Jens!” ripetè ancora l’altro.
“Misha….Mish!!!….” mormorava in preda all’emozione fin quando quel sorriso che già anni addietro lo aveva conquistato e quel blu intenso nei suoi occhi divenne di nuovo familiare, non lo investì insieme a tutti i ricordi che lo legavano a Misha.
Jensen gli buttò letteralmente le braccia al collo , abbracciandolo forte e ridendo di cuore quando sentì che anche Misha ricambiava con lo stesso entusiasmo quell’abbraccio.
Dietro di loro, poco distante, Jared li guardava emozionato e comunque contento di aver procurato una tale gioia al suo compagno.
Dai suoi racconti, Jared aveva intuito che non sapere cosa fosse successo a Misha, se il ragazzo dopo essere letteralmente sparito nel nulla, fosse stato bene o fosse felice, era un rimorso sempre presente nell’animo di Jensen.
“Mio Dio!! guardati….” fece Jensen afferrando l’altro per le spalle così da poterlo ammirare. “Sei in forma fantastica, stai benissimo. Niente più stecchini..” fece scherzando e tastando le braccia forti, ora, di Misha. “Ma come …come sei arrivato…come fai a ….” si chiese all’improvviso, stupito, di quella visita.
Misha non rispose ma si limitò a spostare lo sguardo su Jared, che sentendosi chiamato in causa, si avvicinò ai due amici ritrovati.
“Sei stato tu?!” chiese sbalordito Jensen al giovane compagno.
“Sapevo , da quello che mi hai raccontato, ciò che sentivi e ho voluto fare qualche telefonata. Ho uno o due amici nell’FBI e sai come sono quelli in giacca scura….Digli un nome russo e loro rivoltano ogni sasso della nazione!” giustificò quel suo agire in buona fede.
Poi guardò Misha che lo ascoltava e si sentì in obbligo di scusarsi ancora. “Spero che la cosa non ti abbia arrecato problemi!”
“Non dirlo nemmeno per scherzo. Quando quel tuo amico federale mi ha raccontato tutto, non ci ho pensato due volte a salire sull’aereo. Anzi, permetti che sia io a ringraziarti, Jared!” fece porgendogli la mano che Jared strinse immediatamente.
Jared strinse la mano e sorrise ad entrambi. “Ok! Io vi lascio soli. Credo che voi abbiate parecchie cose da dirvi!” fece dando loro la giusta privacy.

I due annuirono ma prima che Jared potesse allontanarsi, Jensen lo richiamò.
Si avvicinò e gli diede un bacio. Sulle labbra. Piano. dolce. Gentile.
Quando si scostò, Jared lo fissò stranito.
“Grazie!” disse solo Jensen e poi raggiunse Misha e insieme si sedettero ad un tavolo del locale.
Jared li guardò allontanarsi e sentì dentro di lui una sensazione che non aveva mai provato. Era un peso al centro del petto. Eppure non faceva male, anzi, era piacevole. Lo faceva star bene. Sentiva la testa leggera eppure sapeva di avere mille e mille pensieri che giravano intorno ad un'unica persona. Le mani e le braccia, come le gambe, gli formicolavano eppure sapeva che avrebbe potuto sostenere il peso del mondo tanto si sentiva forte in quel momento.
E tutto…tutto a causa di quel solo semplice bacio!

Mentre era perso in quelle sensazioni, gli si fecero accanto Jim e il capitano Morgan. Uno a destra e uno a sinistra. Jared al centro tra loro due.
“Capitano, che dice. Lo abbiamo perso?!” fece il barista con tono ironico.
“Cavolo, Beaver. Credo proprio che il mio miglior agente abbia appena acquistato un biglietto di sola andata per la Terra dell’Amore.” si accodò Morgan con lo stesso tono.
“Oh Miseria!! E adesso chi farà da buttafuori al locale?” continuò Jim. “Lui ormai non vedrebbe che Jensen. Jensen non farebbe altro che vedere lui e addio!! Credo che dovrò abituarmi a sentire qui dentro solo canzonette sdolcinate e vedere sguardi ammiccanti.”
“Già e credo che anche alla centrale…” continuando quel botta e risposta fatto apposta per prendere in giro Jared.
“Ok! Quando avete finito di fare gli stronzi me lo dite!” li interruppe Jared e poi fissando un attimino imbarazzato il suo superiore: “Con tutto il rispetto, capitano!!”
Un attimo dopo, i tre, scoppiarono a ridere e si presero da bere.
 

Al tavolo a cui erano seduti Jensen e Misha, i due , avevano iniziato a parlare di quello che era stata la loro vita da quel triste giorno, o meglio da quell’assurda sera in cui furono scoperti a baciarsi.
“Ti ho cercato la mattina dopo quella sera e anche quella dopo ancora, ma tu…” fece Jensen.
Misha annuì amareggiato al ricordo che Jensen gli mise davanti.
“Partimmo il pomeriggio. Fu una cosa assurda. La sera stessa, quando tornai a casa c’era già un piccolo gruppo di “preoccupati” concittadini che invitava mio padre a prendere provvedimenti. Il Pastore Roman aveva già pronto il contratto per un nuovo lavoro lontano miglia e miglia. Quando entrai in salotto, li sentivo dire che era meglio cambiare città, per il loro bene, per il mio, per un futuro tranquillo. Sentivo mia madre piangere sommessamente e quando mi videro, vidi la delusione sui loro volti, ma non su quella dei miei. Non so perché, ma mi avvicinai a loro, baciai mia madre che mi accarezzò il viso ed era così dolce l’espressione che mi rivolse che provai una rabbia immensa per quelli che l’avevano fatta piangere. Mi avvicinai a mio padre e lui mi poggiò solo una mano sulla spalla. Niente altro. Niente delusione. Niente rimprovero.” raccontava Misha, rivelando a Jensen quello che era successo nelle ore successive alla loro “sconvolgente rivelazione”. “
“Guardai quelle persone e non permisi alla disperazione che sentivo dentro di prevalere. Dissi loro che saremmo partiti il giorno dopo. E gli ordinai di uscire da casa nostra. Non permisi loro di dire altro. Non permisi al loro falso buonismo di ferire ancora in miei genitori. E solo quando l’ultimo uscì da casa e chiusi la porta, mi lasciai sopraffare da quello che sentivo. Dal fatto che non ti avrei più visto e stetti male e non volevo stare peggio e allora non uscii nel portico quando la mattina ti vidi arrivare  e aspettare ore e ore… e chiesi…supplicai anche ai miei di non uscire perchè ero certo che mi sarei precipitato fuori per spiegarti , o salutarti e tutto …tutto sarebbe stato più difficile.” confessò con imbarazzo quel suo agire di tanto tempo prima.
“Io pensai, per un po’, che tutto fosse stato colpa mia e che tu ce l’avessi con me per averti sconvolto la vita!”, fece Jensen, fissando un po’ la bottiglia che aveva tra le mani , un po’ il volto dell’altro. “Per aver costretto te e la tua famiglia ad un simile cambiamento!”
“Mai. Mai, Jensen!! Non l’ho mai pensato.”, rispose immediatamente Misha. Non voleva assolutamente che Jensen pensasse una cosa del genere. Anche se ormai erano anni che il ragazzo si tormentava con quell’idea. “Anzi, forse …forse ti devo la vita!” volle consolarlo.
“Cosa?” fece stupito Jensen.
“Quando Jared si è messo in contatto con me tramite quel suo amico, mi ha spiegato i tuoi rimorsi, le tue paure, il perché non mi hai mai cercato. E te ne sono e te ne sarò per sempre grato, Jensen. Se tu l’avessi fatto, avresti ferito la tua famiglia. Saresti scappato da quella città in una maniera che sarebbe rimasta a pesare solo suoi tuoi cari. Ma non facendolo, non solo hai pensato a loro benessere, ma indirettamente, anche al mio. Credendo che cercandomi e trovandomi , forse , avresti incasinato tutto.” Provò a spiegargli, trovando consenso nella risposta sincera di Jensen.
“Sì…sì…è così.”
“Allora lascia che ti dica che la città in cui ci fermammo non era affatto falsa e bigotta come quella in cui siamo cresciuti noi. Non ci fu scandalo quando capirono come ero e ciò che ero. Non ci furono sguardi di disapprovazione quando anni dopo ad una cena di Natale a casa dei miei, portai lui…” fece voltandosi appena e indicando un tipo accanto a Jared e il capitano Morgan. Occhi chiari, viso dolce, una barba che gli rendeva il volto più maturo, atteggiamento timido o forse semplicemente impacciato , dato che non conosceva nessuno in quel posto, ma che comunque era sorridente e cordiale.
“Lui?!”
“Robert è il mio compagno da otto anni. Ed è mio marito da cinque!” sorrise guardandolo.
“Tu sei….”
“Sposato, sì! E anche maestro elementare!” ammise alzando la bottiglia con cui Jensen immediatamente incrociò i colli in segno di brindisi. “A noi, non sarebbe mai potuto accadere se fossimo restati in quella città, Jensen.”
“No, sicuramente no.” Ammise amareggiato Jensen. “Anche se lui…”
“Cosa?” domandò curioso.
“Non è come mi sarei…..”
“Non è un tipo muscoloso, prestante, con uno sguardo penetrante come quello che potrebbe avere un bellissimo ragazzo dagli occhi verdi di mia conoscenza?” domandò ironico.
Jensen abbozzò un sorriso. “Non volevo sminuirlo, credimi. E ti chiedo scusa se ti ho dato questa impressione. Ma sembra così diverso da te!” ammise sinceramente.
“Robert è un musicista. Un bravissimo musicista. Ha rimandato la data di un concerto per essere qui con me!” fece Misha , guardando il compagno accanto al bancone del bar.
“Mi piace già di più!” asserì soddisfatto Jensen.
“Ci siamo conosciuti ad un suo concerto. Non è stato amore a prima vista. Ma qualcosa di ancora più bello. È stato un amore che è nato lentamente e che si è fatto giorno dopo giorno sempre più forte!” confessò sereno. “E poi…” e sospirò come se dovesse prendere coraggio.
Jensen lo guardò in attesa. La bocca schiusa e lo sguardo trepidante come se stesse per sapere il finale di una bellissima storia. “E poi?”
“E poi tra qualche giorno dovremmo avere la risposta, spero positiva, su una domanda di adozione!” rivelò con tono speranzoso.
“Un…figlio?!”
“Già. Un figlio. Una famiglia, Jensen.”
“Mio Dio! E’…è meraviglioso, Misha. Ti auguro…vi auguro che tutto vada come volete. Te lo meriti, amico, te lo meriti davvero!” fece Jensen, sinceramente convinto di quelle sue parole
“Come vedi, Jensen, io devo la mia felicità a te, amico mio. Devo Robert a te, al tuo coraggio, alla tua forza di volontà nel non avermi voluto cercare.” Lo elogiò sincero.
“Misha, ma no…non dire….”
“Grazie, Jensen. Ora finalmente posso dirtelo. Fino a qualche giorno fa, guardando la mia casa, guardando Robert, pensando a tutto quello che ho potuto avere, me lo ripetevo solo nella mia mente. Ora…ora posso ringraziarti sul serio. Quindi , grazie!” fece mettendogli una mano sull’avambraccio per rafforzare quel ringraziamento sentito.
“Misha, io…”
“E dovresti ringraziare quella tua forza anche tu, Jensen!” sembrò poi rimproverarlo dolcemente.
“Come?!”
Misha non rispose immediatamente , ma si limitò a guardare Jared.
“Non avresti lui , se in quei giorni tu non fossi stato così forte. Non avresti quello che ti lega a lui e non avresti quello che lega lui a te, se quel giorno non avessi deciso di non cercarmi!” gli fece notare.
“Jared!” sospirò guardando anche lui, il giovane sorridente al bancone. Poi tornò a guardare Misha.
“Che c’è?” fece l’altro curioso dell’espressione che vedeva sul volto di Jensen.
“Io ti ho voluto bene, davvero bene, Misha.” Ed era sincero nel dirlo.
“Lo so e non ne ho mai dubitato. E per me era lo stesso ed è ancora lo stesso!”
“Sì, sì, anche per me!” ci tenne a confermare Jensen.
“Ma?!” domandò incuriosito Misha.
“Ma quello che sento per Jared. Quello che ho capito di poter provare per lui è…è…”
“Diverso?!” fece curioso Misha.
“Forte.” ammise sicuro. “Tanto. Troppo a volte, quasi da spaventarmi.” cercò di spiegare. “Io non gliel’ho ancora detto, ma …insomma, io …io credo di…” fece poi deciso. “No! Io so di am….”
“Non dirlo a me, Jensen. Dillo a lui.” lo fermò sorridendogli amichevolmente Misha.
 
Poco dopo, i due amici ritrovati, raggiunsero il resto del gruppo. Misha raggiunse il fianco del compagno che parve immediatamente sentirsi più a suo agio. Jensen si accostò al fianco di Jared, che quasi come fosse istintivo e naturale, gli passò un braccio intorno alle spalle, per tirarselo il più vicino possibile.
La serata volse al termine. Tutti andarono via e Jensen e Jared accompagnarono al taxi che li avrebbe portati in albergo, Misha e Rob.
I due amici si salutarono affettuosamente, entusiasti di quel rapporto ritrovato.
“Non sparire di nuovo , Misha!” lo punzecchiò Jensen.
“No, e tu questa volta…cercami!” replicò l’altro ed entrambi risero.
Si abbracciarono di nuovo e poi si salutarono ancora.
 
Quella notte, nell’appartamento di Jensen, i due amanti fece l’amore con un trasporto quasi disperato. A tratti sembrava fosse l’ultima volta che dovessero farlo. Si cercavano e si appartenevano , stringendosi, brandendo con passione ogni parte del loro corpo.
Jensen baciava ogni parte del corpo di Jared che dopo un suo passaggio sembrava soffrire della mancanza della sua bocca, quindi, non faceva altro che baciarlo. La bocca sempre pronta ad accogliere il suo sapore, il collo sempre teso al passaggio della sua lingua, il torace ansimante per quell’umida strada di baci e carezze voluttuose. Se Jensen avesse continuato così , Jared, lo sapeva, sarebbe impazzito.
Impazzito per ciò che sentiva e provava, impazzito nell’attesa. Impazzito per l’aspettativa.
L’unica cosa che riusciva a fare in quel momento era artigliare le mani alle lenzuola e quando le pretese di Jensen si fecero più intime e pressanti, le sue mani scattarono ad aggrapparsi quasi disperatamente alle spalle del compagno che , ora, era decisamente impegnato a torturare la sua parte più intima e svettante.
“Ti prego…ti…ti prego…no…non così…non così…” ansimò sperando che Jensen si fermasse. Era vicino, molto vicino e voleva, invece, che quel momento durasse ancora. Voleva ancora Jensen. Voleva che Jensen lo torturasse ancora, che lo amasse ancora, che lo facesse impazzire ancora come stava facendo. E soprattutto voleva che Jensen , quella sera, si prendesse ogni cosa di lui.
“Vuoi che …duri?!” lo provocò Jensen, risalendo lentamente verso il viso accaldato e sconvolto del compagno.
“Tutta la notte!” rispose malizioso Jared.
“Presuntuoso!” lo punzecchiò Jensen, baciandogli le labbra appena aperte in cerca di aria.
“No, ottimist….oh Gesù!!” fu la conclusione esasperata che Jared gridò alla stanza, dopo che con un tocco delicato ma deciso di Jensen lo aveva appena conquistato nel suo punto più intimo tra le sue gambe.
“Dicevi?!” fece Jensen mentre premurosamente continuava quel suo massaggio d’amore, sentendo che lentamente, i muscoli che stava piano piano conquistando, cedevano al suo tocco.
“Niente…niente….continua...continua…te lo…dico dopo!!” si costrinse a rispondere mentre si attirava verso le labbra tremanti quelle incredibilmente invitanti dell’amante.

E poi fu ancora amore, ancora passione. Ancora la richiesta di appartenersi, ancora la richiesta di potersi conquistare.
Diventare un corpo unico fu meraviglioso e appagante. Seguire all’unisono quel ritmo sempre più incalzante del loro fare l’amore fu estasiante. Godere delle loro voci, dei loro sospiri, dei loro gemiti a tratti affaticati fu un emozione che difficilmente avrebbero potuto dimenticare.
I corpi che si pressavano uno vicino all’altro, uno dentro l’altro. La pelle che si carezzava languidamente. E poi…
E poi baci. Tanti baci, tanti da perderne il conto. Piccoli, appassionati, lunghi, languidi, bagnati o semplicemente a stampo. Baci profondi o semplice carezze a fior di labbra. Ma comunque baci che li portarono fino a quel meraviglioso precipizio di puro e infinito piacere.

Quando il momento di quella passione lasciò pigramente il posto ad un respiro più tranquillo e regolare, Jensen si sistemò meglio al fianco del compagno. Ma ogni posizione sembrava scomoda e il biondo continuava a muoversi e a sistemarsi.
“Ehi!” lo richiamò Jared, sorpreso di quella sorta di nervosismo. “So di non essere proprio il più comodo dei cuscini ma se continui così , domani, mi ritroverò pieno di lividi.”
“Mi dispiace!”
“Che hai?” chiese dolcemente. “Qualcosa ti turba?!”
“In effetti io….io avrei bisogno di parlarti. Ed è una cosa….una cosa che….cioè..” si agitò nel dirlo.
“Jensen? tranquillo. Non ti ho mai visto così agitato. Che c’è?”
“Il fatto è che stasera….quello che è successo…l’aver rivisto Misha…aver visto che è felice…che lui…quello che forse ci hanno negato….io….” diceva senza dare un senso concreto e chiaro a ciò che voleva dire.
E infatti, a quelle parole, a quella nervosa confusione, Jared divenne serio e mettendosi a sedere, si portò dietro anche Jensen che si ritrovò seduto di fronte al giovane.
“Jensen ma che cosa…..” e la serietà divenne timore.
Per un attimo nella mente di Jared balenò l’idea che l’aver riportato Misha nella vita di Jensen fosse stato un enorme sbaglio. Forse Jensen aveva capito di provare qualcosa per lui , forse Misha aveva ritrovato quei sentimenti che lo legavano a Jensen.
Ma nello stesso tempo, un frazione di tempo, tanto la sua mente correva veloce, si rispondeva che mai e poi mai Jensen avrebbe potuto fare una cosa del genere.
C’era un’altra persona in quella storia, anzi due. C’era un matrimonio di mezzo. Forse l’arrivo di un figlio.
Non poteva essere quella la spiegazione che Jensen stava per dare a quella sua insofferenza.
“So che adesso quello agitato sembro io..” disse Jared. “Ma abbiamo appena fatto l’amore ed è stato uno dei momenti più belli della mia vita, perché era un momento con te….quindi ti prego dimmi che non stai per dirmi che vuoi rinunciare a tutto…dimmi che non è Misha a renderti….”
“Mi dispiace….perdonami…” fece imbarazzato Jensen.
“Oddio!” esalò un respiro come se gli avessero appena tolto ogni motivo per vivere.
Jensen gli mise le mani intorno al viso, fissando con dolcezza, l’espressione spaesata e confusa del suo amante.
“Perdonami…ma… io….”
“No..” sembrò supplicare Jared.
“Io ti amo!” disse Jensen sorridendogli.
“Mio Dio!...No, Jensen, no. Pensaci. Come puoi fare o volere una cosa simile!!?? Lui è sposato e noi…noi…." andò avanti a dire quasi in modo isterico, sotto lo sguardo basito e fastidiosamente sorridente di Jensen. " Io non pensavo che fartelo rivedere avrebbe potuto scatenare un simile inferno…io volevo solo farti felice…volevo alleviare quel rimorso che tu dicevi sempre di aver ancora per quello che e poi….” poi finalmente si fermò e fece mente locale a ciò che era uscito dalle labbra di Jensen. Deglutì. Pensò meglio a ciò che Jensen sembrava avergli appena detto. E poi azzardò un tentennante: “Tu… cosa?”
“Io….ti …amo!” ripetè ancora con le mani intorno al viso di Jared.
“Quindi non vuoi mettere fine al matrimonio di Misha e scappare con lui da qualche parte lontano da me!?” si ritrovò comunque a chiedere Jared.
“Io ti amo!”
“Non mi stai lasciando?!”
Jensen a quel punto lo spinse di nuovo verso il materasso e si sistemò su di lui e questa volta, trovò immediatamente la sua posizione.
“Io ti amo, Jared!”
Jared non aspettò altro. Cinse quasi con forza Jensen a lui. Perfino le sue gambe andarono ad incrociarsi con quelle del compagno per rendere quella presa ancora più forte. “Dovevi dirmelo prima!”
“Prima quando? Mentre mi accusavi di voler distruggere un matrimonio felice…o mentre mi chiedevi se ti stavo per lasciare o…”
“Gesù!! Quanto parli!! Sta’ zitto e baciami perché ti amo anche io da morire!”

 


Quando la tua anima trova quell'anima che stava aspettando 
quando qualcuno ti entra nel cuore attraverso una porta aperta 
quando la tua mano trova la mano che voleva stringere 
non lasciarlo andare”

(Heart by heart, Demi Lovato)


 
N.d.A. :  Ed eccoci alla fine anche di questa!
Spero che vi sia piaciuta almeno quanto a me è piaciuta scriverla. Grazie a chiunque l'abbia letta, semplicemente seguita e a chi mi ha fatto il grande onore di recensirla.
Per un po' vi libererete di me. (ESULTAZIONI DA STADIO!!!!), anche perchè tornerò con una storia molto dura e forse con un altra shot sui nostri bros.
Ci leggiamo dopo Ferragosto.

Baci baci baci dalla vostra Cin!!!

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