Always, Again

di nikita82roma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***
Capitolo 4: *** QUATTRO ***
Capitolo 5: *** CINQUE ***
Capitolo 6: *** SEI ***
Capitolo 7: *** SETTE ***
Capitolo 8: *** OTTO ***
Capitolo 9: *** NOVE ***
Capitolo 10: *** DIECI ***
Capitolo 11: *** UNDICI ***
Capitolo 12: *** DODICI ***
Capitolo 13: *** TREDICI ***
Capitolo 14: *** QUATTORDICI ***
Capitolo 15: *** QUINDICI ***
Capitolo 16: *** SEDICI ***
Capitolo 17: *** DICIASSETTE ***
Capitolo 18: *** DICIOTTO ***
Capitolo 19: *** DICIANNOVE ***
Capitolo 20: *** VENTI ***
Capitolo 21: *** VENTUNO ***
Capitolo 22: *** VENTIDUE ***
Capitolo 23: *** VENTITRE ***
Capitolo 24: *** VENTIQUATTRO ***
Capitolo 25: *** VENICINQUE ***
Capitolo 26: *** VENTISEI ***
Capitolo 27: *** VENTISETTE ***
Capitolo 28: *** VENTOTTO ***
Capitolo 29: *** VENTINOVE ***
Capitolo 30: *** TRENTA ***
Capitolo 31: *** TRENTUNO ***
Capitolo 32: *** TRENTADUE ***
Capitolo 33: *** TRENTATRE ***
Capitolo 34: *** TRENTAQUATTRO ***
Capitolo 35: *** TRENTACINQUE ***
Capitolo 36: *** TRENTASEI ***
Capitolo 37: *** TRENTASETTE ***
Capitolo 38: *** TRENTOTTO ***
Capitolo 39: *** TRENTANOVE ***
Capitolo 40: *** QUARANTA ***
Capitolo 41: *** QUARANTUNO ***
Capitolo 42: *** QUARANTADUE ***
Capitolo 43: *** QUARANTATRE ***
Capitolo 44: *** QUARANTAQUATTRO ***
Capitolo 45: *** QUARANTACINQUE ***
Capitolo 46: *** QUARANTASEI ***
Capitolo 47: *** QUARANTASETTE ***
Capitolo 48: *** QUARANTOTTO ***
Capitolo 49: *** QUARANTANOVE ***
Capitolo 50: *** CINQUANTA ***
Capitolo 51: *** CINQUANTUNO ***
Capitolo 52: *** CINQUANTADUE ***
Capitolo 53: *** CINQUANTATRE ***
Capitolo 54: *** CINQUANTAQUATTRO ***
Capitolo 55: *** CINQUANTACINQUE ***
Capitolo 56: *** CINQUANTASEI ***
Capitolo 57: *** CINQUANTASETTE ***
Capitolo 58: *** CINQUANTOTTO ***
Capitolo 59: *** CINQUANTANOVE ***
Capitolo 60: *** SESSANTA ***
Capitolo 61: *** SESSANTUNO - Epilogo ***



Capitolo 1
*** UNO ***


Un mese. 31 giorni. 744 ore. 44640 minuti. Controllava l’orologio e proprio a quest’ora un mese prima stavano tornando a casa, Kate lo salutava con il suo sorriso più raggiante andando in camera, mentre lui avrebbe cucinato per lei, perché Rick ama cucinare per lei, si rifiutava di pensare al passato. Ama cucinare per lei e lo avrebbe fatto ancora, non appena lei fosse tornata a casa, con lui. Quella casa o un’altra se lei non avesse più voluto entrarci. Avrebbe trovato una casa adatta a loro dove ricominciare se lei lo preferiva, oppure avrebbe rivoltato tutto il loft, lasciando solo le mura portanti e rifatto tutto dentro come desiderava lei, se voleva si sarebbero anche trasferiti altrove, doveva solo chiederglielo, dirgli dove voleva andare e dargli solo il tempo materiale di rendere tutto perfetto. 
Avrebbe fatto tutto, per lei. Tutto. 
Non gli era mai stato così chiaro come in quei giorni ed aveva anche capito che la loro vita doveva avere una svolta, ne avrebbero parlato, certo, ma lui ne era sicuro, questa volta avevano rischiato troppo, più di quanto potevano immaginare.
Intanto aveva già chiamato il suo architetto e la sua arredatrice di fiducia perché dovevano rifare tutta la cucina. Era stata la prima cosa che aveva fatto quando era uscito dall’ospedale, due settimane prima. Cambiando anche la disposizione dei mobili e rifare tutto il pavimento. A nulla erano valse le proteste di sua madre e sua figlia. Ci aveva pensato dal momento in cui si era svegliato dopo l’operazione. Quel pavimento doveva sparire ed anche quella cucina. Era un inizio. Il resto lo avrebbe visto dopo, con Kate, avrebbero deciso insieme. A nulla erano valse nemmeno le ritrosie dell’architetto e dell’arredatrice che sostenevano che quella disposizione fosse perfetta e quello stile adatto all’ambiente. Gli aveva solo risposto che li pagava per trovare soluzioni e quello avrebbero dovuto fare. Trovare una soluzione ugualmente bella e funzionale, ma diversa. Non era difficile no?
Lui da quando era uscito dall’ospedale non era più rientrato a casa. Aveva preso una suite al Four Season, non lontano dal Presbyterian Hospital nell’Upper East Side, dove aveva voluto che Kate fosse trasferita. Si era informato in quei giorni in cui era ancora in ospedale su quali fossero le migliori strutture, quelle dove sarebbe stata curata meglio e quelle dove permettevano l’orario di visita più flessibile, fattore per lui secondario solo alla salute di Kate. 
Quando li avevano trovati dopo la sparatoria li avevano immediatamente trasferiti nell’ospedale più vicino, dovevano solo pensare a salvare la vita ad entrambi e gliene era stato grato, però ora lui poteva decidere ed aveva già deciso dove trasferire sua moglie, nella migliore struttura possibile.

Adesso era lì, in quella stanza privata dell’ospedale dove andava ogni giorno da due settimane, da quando lui era stato dimesso e lei trasferita. Ogni mattina le portava un mazzo di gigli bianchi e rosa, freschi, ogni giorno. E due caffè. Lui il suo lo sorseggiava appena, per abitudine. Gli avevano detto che il caffè avrebbe dovuto evitarlo. Non se ne curava, come di tante altre cose. A lei lo lasciava sul comodino, vicino ai macchinari che monitoravano i suoi parametri vitali. Buoni, dicevano i medici, ma Kate non riprendeva conoscenza. I primi giorni l’avevano tenuta sedata perchè era meglio così, gli avevano detto, per farla riprendere prima, per dare modo al suo corpo di guarire. Poi, però, una volta sospesa la terapia, lei non si era svegliata. I suoi parametri erano nella norma, ma Kate continuava a dormire, Castle si diceva così. Le altre parole non gli piacevano. Non voleva nemmeno sentirselo dire. Lo rifiutava. Kate non era in coma. Kate dormiva e lui stava lì, a guardarla dormire come faceva sempre anche a casa, quando si svegliava prima di lei o la trovava già addormentata quando tornava in camera dopo che aveva scritto per ore, perdendo la cognizione del tempo. Gli aveva detto più volte che era inquietante quando la guardava nel sonno, chissà cosa avrebbe pensato adesso. Sicuramente se lo avesse visto lo avrebbe ripreso e gli avrebbe fatto il suo sguardo-sguardo. Quando gli mancava quello sguardo, i suoi occhi. Quante volte le aveva detto che amava vederla dormire? Adesso pensava che se solo si fosse svegliata non l’avrebbe più fatto, ma sapeva che non era vero, lo avrebbe fatto ancora, a casa, stringendola a se. Doveva solo svegliarsi e andare via con lui.
Rick passava tutto il giorno con Kate, le parlava, di tutto. Di quello che accadeva nel mondo, di quello che pensava, di quello che avrebbe voluto fare con lei, appena usciti da lì, dei loro progetti futuri, dei loro ricordi. Passava ore a ricordarle quello che avevano vissuto insieme, soprattutto tutto quello che avevano vissuto insieme prima di stare insieme. Le confessava cose che non le aveva mai detto e che forse non le avrebbe detto più, o forse sì, le avrebbe detto tutto, tutto quello che non le aveva mai detto, perché gli sembrava tutto urgente da dirle, voleva farle conoscere ogni angolo anche più piccolo del suo cuore.

Si allontanava da quella stanza solo quando c’era qualche altra visita, lui non l’avrebbe voluta condividere con nessuno, ma sapeva che era inevitabile. Suo padre veniva ogni giorno, dopo il lavoro, e Rick approfittava di quel tempo per andare a mangiare qualcosa. C’era una caffetteria francese proprio fuori dall’ospedale ed ormai mangiava solo zuppe, insalate e sandwich. Martha e Alexis lo avevano trovato lì, una sera che erano andate a fare visita a Kate, lo avevano riconosciuto, da fuori, seduto mestamente ad un tavolo vicino la vetrina. Erano entrate e si erano sedute con lui, rimproverandolo per il suo trascurarsi. Che era sofferente glielo si leggeva in volto, e non solo emotivamente. Lui le ascoltava distratto, girava senza sosta con il cucchiaio la sua crema di broccoli senza mangiarne un granché. Loro si preoccupavano per lui, ma a lui, forse per la prima volta nella sua vita, quell’attenzione nei suoi confronti da parte delle sue chiome rosse, lo stava soffocando. Gli dicevano continuamente che stava esagerando, che doveva pensare a rimettersi perché così non era di nessun aiuto a Kate. Cosa ne sapevano loro di cosa era utile a Kate? Lui era utile a Kate, lui lo sapeva. Sapeva che la sua presenza, in qualche modo, era fondamentale per lei, che lui doveva essere lì quando lei si fosse svegliata. Doveva esserci subito. Ma loro non capivano, non potevano capire, loro non sapevano. Gli dicevano continuamente cosa sarebbe stato meglio fare, ma lui annuiva solamente senza nemmeno sapere cosa gli stavano dicendo. Gli parlavano del loft, gli sembrava. Di quanto caos c’era, dei lavori che stavano facendo che non erano poi così utili, del fatto che era un disagio quella situazione. Si era già offerto di pagare anche a loro un suite ovunque avessero voluto, se lo avessero desiderato, ma non avevano voluto, quindi non capiva perchè adesso facevano tutte quelle storie. Non era un problema suo, adesso non si poteva preoccupare anche se sua madre e sua figlia trovassero strane le sue necessità.  
Si impose di non rispondere e di stare calmo. Mangiò appena qualche cucchiaio di minestra lasciò una somma di denaro sicuramente molto superiore di quella necessaria e disse che sarebbe tornato su, da Kate e che se volevano potevano seguirlo. Lo fecero, in silenzio. Rick non parlava di quanto accaduto, non si sfogava, con nessuno. Non parlava, semplicemente. Parlava solo con Kate, nei suoi dialoghi che erano solo monologhi nei quali lui si immaginava ogni risposta di sua moglie. Martha glielo aveva detto tante volte se voleva parlare, lui le rispondeva sempre che non c’era nulla da dire. Alexis si era anche arrabbiata con lui, perchè gli diceva che escludendole dal suo dolore non avrebbe migliorato le cose. Lui le rispose che non era il momento di parlare, quello le diede un bacio in fronte abbracciandola e lei si arrabbiò ancora di più. Era ancora scossa per averlo visto in fin di vita, con l’addome trapassato da un proiettile del quale ancora portava i segni vividi sul corpo con una cicatrice non del tutto chiusa, in tutti i sensi.

Jim Beckett stava uscendo dalla stanza di sua figlia, Castle fece cenno a madre e figlia di entrare, mentre lui rimaneva fuori a parlare con quell’uomo, l’unico che sembrava in grado di capire il suo dolore, l’unico che sapeva e che capiva come si poteva sentire. Era distrutto Jim. Su quel letto c’era tutto quello che rimaneva della sua famiglia e non avrebbe sopportato di perderla, non ne sarebbe sopravvissuto, lo sapeva Rick, ne avevano parlato ed anche lui gli aveva detto la stessa cosa. In quel momento troppe vite dipendevano da quella di Kate, ma solo loro due lo potevano capire.
- Sembra tranquilla, vero? - Jim gli fece quella domanda quasi più per ricevere una consolazione sullo stato della figlia, che non per conoscere l’opinione di Castle. Non voleva che soffrisse, almeno quello.
- Lo è. - Gli disse Rick appoggiandogli una mano sulla spalla. Si sarebbe preso carico anche del dolore del padre di sua moglie, lo avrebbe fatto per Kate.
- È così bella, così giovane. Come lo era… - Vide lo sguardo di Castle irrigidirsi e si fermò. Non voleva che facesse certi paragoni, glielo aveva detto. Non sarebbe finita nello stesso modo. Lui non lo avrebbe permesso. Sospirò l’uomo e non proseguì.
- Kate è bellissima, sempre. - E Rick lo pensava veramente. Sua moglie era bellissima, sempre. Lo ripeteva di continuo a tutti. Tutte le infermiere del reparto, che non sapevano resistere al fascino di Richard Castle e lo avevano avvicinato in modo poco rispettoso a volte mentre usciva dalla stanza di Kate, sapevano che l’unica cosa che lui ripeteva sempre a tutti era quella. Sua moglie era bellissima in qualunque stato, anche ora che dormiva.
Le due rosse uscirono dalla stanza, come sempre visibilmente scosse dalla visita, soprattutto Martha che nonostante le sue doti di attrice non riusciva a celare gli occhi lucidi, Kate mancava anche a loro, nonostante la preoccupazione che avevano per lo stato di salute di Rick.
Castle disse che sarebbe rimasto ancora lì, per un po’. Loro se ne andarono e lui rientrò da sua moglie, a raccontarle anche quanto appena accaduto, chiedendole consiglio su come comportarsi con Alexis che quella volta era rimasta molto più turbata di quanto era accaduto loro che in altre occasioni. Rimase lì ore ad aspettare una risposta. Poi quando era notte le diede un bacio sulla fronte e se ne andò, dandole appuntamento al giorno successivo, come sempre.

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Capitolo 2
*** DUE ***


Era tornato la mattina dopo e quella dopo ancora, sempre con i suoi fiori e due caffè. Le aveva come sempre parlato per ore ed ore. "Le racconta tante storie, certo lei è uno scrittore" gli aveva detto un giorno un'infermiera mentre cambiava la flebo di Kate. Lui le sorrise solamente, gentile come sempre cercava di essere anche con chi si intrufolava nella loro vita senza saperne nulla: quelle non erano storie, era la loro storia. Era una differenza enorme, possibile che non lo capivano?
Poi un giorno, all'improvviso la mano di Kate si mosse, impercettibilmente, ma bastò per destare Castle che la guardava ancora più insistentemente. Continuava a tenere la sua mano su una delle sue, mentre con l'altra le accarezzava il volto e i capelli sussurrandole quanto l'amava e che la rivoleva con lui. Per sempre.
Dopo alcuni minuti in cui le strette alla sua mano erano sempre più frequenti e questo alimentava speranza nel suo cuore, le palpebre di Kate si aprirono e lui nel rivedere quegli occhi che amava tanto non riuscì a trattenere una lacrima. Aveva temuto di non vederli più, ora se lo poteva confessare, aveva avuto una fottuta paura di non potersi più perdere negli occhi di lei e di non vedere più vedere quegli occhi verdi screziati d'oro perdersi nei suoi.
Non riuscì a dirle molto, gli uscì solo uno strozzato "Ehy!" accompagnato da un sorriso che raccontava inequivocabilmente la sua gioia.
Le si voltò a guardarlo per un po’, studiandolo, nei suoi occhi c'erano solo perplessità e turbamento.
- Castle? - sussurrò e lui sorrise ancora - Richard Castle? Cosa ci fa lei qui? 

Castle la guardò con gli occhi carichi di amore ed un sorriso che non riusciva a cancellarsi dal volto. La sua mente non aveva ancora processato bene quello che gli aveva appena detto, era troppo perso nel sentire la sua voce, sebbene così flebile, per capire anche quello che gli stava dicendo. Gli pareva, anzi, secondario qualsiasi cosa gli stesse dicendo davanti al fatto che era sveglia e le parlava. 
Kate lo fissava, stupita. Richard Castle era lì, vicino a lei, le teneva una mano e la guardava come se fosse la cosa più preziosa del mondo e non capiva perché.

- Signor Castle, perché lei è qui? - gli chiese ancora Kate
- Perché il mio posto è sempre vicino a lei, signora Castle. - avvicinò la mano alla sua bocca lasciando un leggero bacio sul dorso. 
Kate avrebbe voluto ritrarsi ma era troppo confusa e debole per farlo. Quell'uomo la guardava con tale amore che si sentiva confusa. Se era uno scherzo era di pessimo gusto. Nessuno sapeva che era il suo scrittore preferito, perché dovevano averle organizzato tutta questa messinscena e perché lui doveva prestarsi a tanto per lei? Avrebbe voluto fargli tante domande mentre lui le accarezzava dolcemente la mano, ma entrarono nella stanza un nutrito numero di medici ed infermieri, tutti per controllare il suo stato di salute. 
Rick ed il suo sorriso furono fatti uscire mentre lei veniva visitata. Come prima cosa chiamò Jim Beckett ma era ancora talmente sopraffatto che non riuscì a dire di più che Kate - Sveglia - Sta Bene. L'uomo dall'altra parte del telefono non fu di molte parole, ma quei secondi di silenzio al telefono racchiudevano tutto quello che provavano. Disse solo Arrivo subito, prima di attaccare. Con le mani tremanti Rick fece la stessa cosa chiamando Alexis e il distretto per avvisare Ryan ed Esposito. Avrebbero avvisato loro Lanie e la Gates che, dopo il ferimento di Beckett e Castle, si era occupata personalmente di coordinare le indagini e di ricoprire il ruolo vacante di Kate, contrariamente a tutte le consuetudine e i protocolli.

Quando il dottor White, il medico che aveva seguito Kate durante tutta la degenza, uscì dalla stanza di sua moglie si diresse verso Castle con un'espressione troppo seria sul volto secondo quelli che erano i canoni di Rick. Kate si era appena risvegliata dal coma, parlava, stava bene, perché così seri? Dovevano sorridere, come lui! Però man mano che il dottore si avvicinava l'angolo del sorriso di Castle diminuiva. Si alzò dalla sedia nella quale si era appoggiato, non riusciva a stare ancora molto in piedi, e aspettò le parole del dottore. Come prima cosa lo tranquillizzò, Kate fisicamente stava bene. Rispondeva a tutti gli stimoli, non aveva problemi a muovere gli arti nonostante fosse stata molto tempo ferma a letto e non aveva problemi a parlare ed anche tutto il resto era ok. Ma. A quel ma il cuore di Castle raggiunse pulsazioni mai arrivate. Voleva sapere cosa c'era dopo quel ma e allo stesso tempo non voleva sentire. Temeva che ci fosse stato altro che non gli avevano detto, che quella che sua moglie era sveglia, viva, con lui, fosse solo un'illusione momentanea e che gliela avrebbero strappata via di nuovo. Quei pochi istanti tra il ma ed il resto del discorso la fervida fantasia dello scrittore prese il sopravvento esplorando in un attimo tutti gli scenari peggiori possibili. Tutti tranne quello che il dottor White gli avrebbe da lì ad un istante raccontato: Kate aveva perso la memoria, non del tutto, sapeva chi era, cosa faceva nella vita, dove lavorava. Aveva solo, così aveva detto il dottore, perso la memoria di un lasso specifico di tempo. Gli ultimi 8 anni.
Solo gli ultimi 8 anni aveva detto il dottor White. 
Castle mosse la mano a tastoni a cercare la sedia per sedersi di nuovo mentre il dottore gli spiegava come di lì a poco l'avrebbero sottoposta a tutti gli esami del caso ed avrebbero consultato neurologo della struttura per visitarla. Non riuscì a dire nulla, solo a chiedergli quanto sarebbe durata questa situazione.
- Non possiamo dirlo, potrebbe essere temporanea e durare da poche ore a mesi o anni o, in casi più gravi, definitiva.

Tutti erano usciti dalla camera di Kate e lei era di nuovo sola. Rick era davanti alla porta con la mano sulla maniglia incerto su cosa fare. Lì dietro c'era sua moglie, la sua vita che però non sapeva di esserlo, nemmeno lo conosceva, se non di fama e si ricordava bene quale idea avesse la detective Beckett di lui.
Le doveva dire così tante cose su di loro, sul loro futuro, cose che avrebbero cambiato la loro vita per sempre, ma lei non ricordava niente di loro, del loro passato.
Si sentì soffocare, le gambe pesanti ed improvvisamente farsi tutto buio mentre delle mani forti lo afferravano e lo facevano sedere, ancora una volta.

- Ehy Castle! Mica ti vorrai far vedere da Beckett così! - disse Esposito mentre gli porgeva un bicchiere di acqua zuccherata appena preparata da un'apprensiva caposala. I due detective erano appena arrivati per salutare finalmente il loro capitano. Lui doveva solo dirgli che lei non sapeva di esserlo.
- Lei non sa chi sono. Non sa niente di noi. Per lei non ci siamo mai conosciuti.  - disse sconsolato
- Cosa stai dicendo Castle?
- Amnesia. Non si sa ancora quanto grave. Se la volete vedere, di voi almeno si ricorda, anche se vi ricorderà più giovani e più belli - sorrise, doveva trovare la forza di sdrammatizzare. Kevin e Javier entrarono in stanza da Kate e poco dopo arrivò anche Jim. Rick spiegò anche a lui la situazione ed il suocero cercò di tranquillizzarlo, ora era lui che doveva fare forza a Castle che però in quel momento si sentiva ancora più solo dei giorni precedenti. Perché ora era l'unico a portare quel peso addosso. Ryan, Esposito e Jim Beckett erano sì preoccupati per Kate, ma loro erano presenti nella sua memoria ed anche nei suoi affetti. Lui no. Lui era l'unico che non c'era, che era un estraneo, uno sconosciuto così come le erano sconosciuti i sentimenti che li legavano. Non c'erano più nella sua mente e nel suo cuore, come se non fossero mai esistiti. E si sentì come se qualcuno avesse tagliato le cime delle funi che lo tenevano ancorato su questo mondo ed ora stesse fluttuando nello spazio.
I due detective uscirono dalla stanza e si sedettero vicino a Castle e fu il turno di Jim ad entrare. I medici erano tornati a diglielo anche poco fa, non dovete affaticarla troppo e soprattutto non dovete forzarla in questo momento.
Ryan era silenzioso, Esposito spiegò brevemente a Castle come era andata la loro visita: l'avevano genericamente chiamata Capo, così non era una bugia, non gli avevano detto nulla di loro o dell'incidente e che l'aspettavano presto al distretto, più altre frasi di convenevoli. 
Arrivò anche Lanie ed il via vai di saluti nella camera di Kate aumentava. Andavano tutti a salutarla, tranne lui che non si era più alzato da quella sedia. Quando arrivarono anche Alexis e Martha dovette trattenerle dall'entrare precipitosamente da Kate, spiegandogli la situazione: se non si ricordava di lui, non si sarebbe ricordata nemmeno di loro, non era il caso di affaticarla inutilmente. Così nonna e nipote dopo essersi assicurate che Richard stesse bene, per quanto poteva stare bene in quella situazione ed omettendogli il suo quasi svenimento di poco prima, tornarono a casa. Lo stesso fecero anche Esposito, Ryan e Lanie dopo che Castle gli promise che si sarebbe riguardato e che li avrebbe avvertiti di qualsiasi novità.
Quando Jim uscì lo trovò lì dove lo aveva lasciato. L'uomo era sempre preoccupato per lo stato della figlia, ma quel velo di terrore e tristezza sugli occhi era svanito dopo che le aveva parlato.
- Come sta? - gli chiese Rick quando il padre di Kate si sedette al suo fianco
- Confusa, spaventata, perplessa, per il resto mi è sembrato abbastanza bene, anche se aveva molti dolori.
- Credo sia normale, visto il suo stato. Gli hai detto nulla Jim?
- No, spetta a te.
- Non credo io sia la persona più adatta adesso, nemmeno mi conosce, come posso dirle una cosa simile?
- Sei sempre suo marito, anche se lei non lo ricorda. - gli disse Jim cercando di rincuorarlo.
- Domani parlerò con il neurologo e mi farò dire come è meglio comportarsi per non crearle maggiori problemi... Le hai detto nulla di me?
- Sì, mi ha chiesto perché il suo scrittore preferito era qui e chi le aveva organizzato questo scherzo. - Rick sorrise mestamente - Le ho detto che in questi anni le cose tra voi erano un po' cambiate. Vuoi andare da lei?
- Meglio di no questa sera. Domani, voglio essere sicuro che stia bene. 

In realtà Rick avrebbe voluto entrare lì da lei, dirle quanto l'amava, che era tutta la sua vita e raccontarle dal primo giorno tutta la loro storia. E ricominciare all'infinito fino a quando lei non l'avesse ricordata o l'avesse sentita talmente tante altre volte che era come se l'avesse vissuta. Le avrebbe fatto rivivere ogni situazione che avevano vissuto, tutto pur di riavere la sua Kate, sua moglie, quella che da lì a qualche mese sarebbe stata la madre del loro figlio ma lei non lo sapeva. Oppure l'avrebbe fatta innamorare di lui. Di nuovo. C'era già riuscito, sapeva cosa c'era dietro il muro di Beckett. Lo aveva abbattuto una volta, poteva e doveva farlo ancora. Pensava a tutto questo mentre Jim era tornato dalla figlia. Uscì qualche tempo dopo per dirgli che si era addormentata e solo in quel momento Rick entrò da sua moglie per vederla dormire. Le diede un bacio tra i capelli attento a non svegliarla ed uscì. Suo padre gli disse che avrebbe passato la notte con lei e Rick se ne andò in hotel con il cuore pieno di sentimenti contrastanti. Si ripeteva che la cosa più importante era che lei fosse viva. Al resto avrebbe trovato modo di porre rimedio, in un modo o in un altro, anche se il pensiero che lei non ricordasse nulla di loro gli comprimeva lo stomaco in una morsa d'acciaio.

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Capitolo 3
*** TRE ***


Jim lo aveva chiamato la mattina molto presto, quando Castle si era appena addormentato, dopo aver dormito poco e male. 
Ogni volta che chiudeva gli occhi la sua mente si riempiva di incubi in cui Kate non si ricordava più di lui e non ne voleva sapere niente di loro e del loro bambino. Ogni volta si svegliava con il fiato corto, sudando, e a poco valeva ripetersi che erano solo sogni, che ok, Kate non si ricordava di lui adesso, ma lui era da qualche parte, nella sua mente e nel suo cuore, doveva solo riportare a galla il ricordo del loro amore. Non poteva essere svanito così, con quei due colpi di pistola di Caleb.
Si sforzava però di vedere il lato positivo. Kate era viva ed anche il bambino stava bene. Era questa la cosa importante, il vero miracolo in tutta quella storia assurda che sarebbe potuta diventare tragica solo per questione di minuti. Lui non sarebbe potuto vivere in un mondo nel quale Kate Beckett non c'era. In questo, invece, avrebbe combattuto per farle ricordare di loro con ogni mezzo possibile. 
La sera prima aveva chiamato sua figlia per spiegarle la situazione. Aveva pregato Alexis di dire tutto lei a Martha perchè lui non ce la faceva a ripetere tutto ancora una volta e le aveva promesso che le avrebbe aggiornate l'indomani dopo aver parlato con i medici.
Arrivò in ospedale poco dopo la chiamata di Jim. Kate era stata già portata a fare altri esami. Si avvicinò un dottore che non aveva ancora avuto modo di conoscere. In quelle settimane aveva parlato, oltre che con il dottor White, con tutti gli specialisti che avevano seguito sua moglie, in particolare con il cardiochirurgo ed il ginecologo. L'uomo che gli si presentò davanti aveva un aspetto rassicurante, brizzolato sulla cinquantina. Gli sorrise gentilmente.
- Buongiorno Signor Castle. Sono il dottor Harold, il neurologo di sua moglie.
Castle lo salutò cordialmente ma il suo linguaggio del corpo nascondeva una agitazione impossibile da celare.
- Abbiamo appena fatto una risonanza alla signora Beckett. Fortunatamente non abbiamo riscontrato cicatrici a livello neurologico. Adesso la mia equipe le facendo altri accertamenti, ma la sua amnesia non è da ricondurre a lesioni, per quanto possiamo valutare ad oggi.
- Questo cosa vuol dire dottore? Riacquisterà la memoria? Quando?
- Non le posso dire una tempistica e nemmeno se lo farà, purtroppo. Per il suo disturbo non è possibile stabilire una prognosi certa.
- Come è meglio che mi comporti? Lei non si ricorda di me, non ha alcun ricordo di noi. Non vorrei peggiorare le cose. La posso vedere?
- Certo, anzi la sua presenza potrebbe aiutarla a ricordare. Mi raccomando, non la forzi e se vede che si affatica, le lasci tempo. Cerchi di leggere i suoi stati d'animo e si comporti di conseguenza. È sua moglie, saprà come comportarsi. - gli sorrise benevolo e Castle sorrise a sua volta.
- Dottore, un'altra cosa... Per il bambino... Kate non sapeva di essere incinta prima del nostro ferimento. Come posso...
- Come le dirà tutto il resto. A livello medico non c'è nessun problema, per quanto riguarda le sue reazioni emotive dovrebbe chiedere consiglio ad uno specialista. Il problema di sua moglie è psicologico, provocato dal trauma subito.
Si salutarono cordialmente. Jim aveva ascoltato, un passo indietro rispetto a Castle, tutta la conversazione, senza mai intromettersi. Chiese a Rick come intendeva comportarsi e lui rispose che quella mattina l'avrebbe vista ed avrebbe cominciato a spiegarle di loro. 

Si era allontanato pochi minuti, per andare a prendere i soliti fiori ed i soliti due caffè. Decaffeinato si ricordò, per quello di Kate. Era già entrato completamente nel ruolo di marito e futuro padre premuroso. Sarebbe stato un percorso difficile, lo sapeva. Non era certo così che aveva immaginato e sognato questo evento da vivere con Kate, ma non poteva lasciarsi andare a quello che voleva o che aveva sognato. Doveva fare i conti con gli ostacoli che il destino aveva messo ancora una volta davanti a loro ed affrontarli, insieme a lei, nella speranza che lei volesse combattere il destino con lui, come avevano sempre fatto.
Aveva chiamato Alexis e l'aveva aggiornata riguardo le condizioni di sua moglie e le chiese se poteva portargli la copia di Storm Fall di Kate. Aveva tenuto, quando si era trasferita al loft, a portare la sua collezione di libri, quelli che aveva letto, sfogliato, segnato le pagine, vissuto ed anche bagnato con le sue lacrime. Li teneva dentro una scatola nella cabina armadio e Castle aveva spesso sorriso di questo. Si preoccupò di specificare più volte a sua figlia che doveva prendere proprio quella, non una delle sue qualsiasi. 
Aveva aggiornato anche i ragazzi del distretto lasciandoli con la promessa che si sarebbero sentiti di nuovo nel pomeriggio se ci sarebbero state novità. Odiava fare continuamente quel giro di telefonate, però capiva che anche tutti loro erano preoccupati per Kate e si sentiva nell'obbligo morale di farlo.

Rimase un po' fuori a respirare l’aria fresca mattutina, seduto in una panchina. Cercò di mettere a posto le idee su quello che avrebbe dovuto dire a Kate e in che modo. Da dove avrebbe cominciato? Provò a tornare indietro nel tempo con la memoria, a quei primi tempi in cui l'aveva conosciuta, pensava a quello che era lui e a quello che era lei al tempo. Quella ragazzina con i capelli corti, lo sguardo duro ma quello splendido sorriso che ogni tanto sfuggiva al suo controllo e alla sua figura impostata.
Avrebbe dovuto parlare a quella Kate, per quanto la situazione era difficile e lo angosciava, sorrideva all'idea. Se non fosse stato tutto così tragico poteva quasi pensare che la situazione lo stuzzicava e lo intrigava, l'idea di riconquistare di nuovo sua moglie e farla innamorare di nuovo di lui sarebbe stata stimolante in un qualunque altro momento per lui, ma ora no. Ora avrebbe voluto solo bearsi del suo abbraccio, della morbidezza delle sue labbra, assaggiare di nuovo il suo sapore, stringerla a se ed accarezzarle i capelli ispirando il suo profumo fino ad inebriarsi di lei, parlare di loro e riuscire a ridere e sdrammatizzare anche di quanto era accaduto. Lui ne era convinto insieme a lei sarebbe stato più facile guarire, entrambi, nel fisico e nell'anima. Così non sapeva cosa sarebbe accaduto. 
Vide sua figlia arrivare a passo svelto, le fece un cenno e lo raggiunse, sedendosi vicino a lui. Non le aveva ancora detto nulla del bambino, lo avrebbe fatto, appena lo avrebbe saputo Kate. Prima di uscire era stato chiaro con tutti i dottori e le infermiere: doveva essere lui a dire tutto a Kate. Lui non altri. Quindi se c'era qualsiasi urgenza che lei lo sapesse glielo avrebbero dovuto dire cosicché lui avrebbe potuto parlarle prima. Lui non lo aveva detto a nessuno perché lei doveva essere la prima a saperlo. Solo Jim lo sapeva, era sua figlia, glielo aveva dovuto dire. Ma se la notizia lo aveva fatto sprofondare ancora di più nella disperazione e nella tristezza mentre lei era lì inerme su quel letto ora che si era svegliata, sapeva che era viva e stava bene, era entusiasta tanto quanto Rick anche se da uomo discreto qual era non lo dava a vedere, ma ogni volta che ne parlavano i suoi occhi brillavano di una luce diversa, la luce della vita che era tornata a toccare il suo cuore dopo giorni terribili ed anni bui. 
- Papà? 
Alexis lo ridestò dai suoi pensieri nei quali si perdeva, come sempre più spesso gli capitava. 
- Ehy ciao piccola. 
- Ti ho portato il libro di Kate. Come sta? L'hai vista.
- No, non ancora. Vado tra poco. Mi accompagni a prendere i caffè?
La figlia prese il mazzo di gigli bianchi e rosa che il padre aveva appena comprato e lo accompagnò a prendere i consueti due caffè. Non avrebbero dovuto berlo nè lui nè Kate. Andarono insieme fino a davanti la porta di camera di Beckett. Mandò un messaggio a Jim dicendo che era tornato e l'uomo poco dopo uscì. Castle era visibilmente agitato, si sentiva come un adolescente al primo appuntamento, con l'incognita che la sua lei non sapeva nulla e quella lei era sua moglie. Prese il caffè, i fiori sottobraccio da una parte, il libro dall'altra ed il sacchetto con le brioches. Pregò di non far cadere tutto e di non essere troppo goffo. Respirò profondamente. E si incoraggiò "Dai Rick, è Beckett e non ha nemmeno la pistola adesso, stai tranquillo"

Kate sentì bussare alla porta ed invitò ad entrare chiunque si trovasse al di là. Era confusa e non sapeva perchè era lì, sapeva solo che le faceva male tutto. Le avevano detto che aveva perso la memoria, non di un giorno o di poco tempo ma di 8 anni. Una vita, la sua vita, completamente cambiata, stravolta.
Aveva fatto molte domande a suo padre che le aveva risposto a volte convinto altre molto evasivo. Ma Jim Beckett non era mai stato un uomo di tante parole con lei, pur essendo un avvocato. Le aveva sempre detto il minimo indispensabile per farle capire i suoi pensieri e non era diverso adesso. Gli aveva chiesto di Castle e le aveva fatto capire che tra lei e lo scrittore c'era un rapporto molto profondo. "Katie, Castle è molto importante per te, lo è sempre stato negli ultimi anni. Fidati di lui." A suo padre sembrava piacere. Eppure lei di lui sapeva quello che aveva letto sulle pagine di gossip nei giornali, playboy incallito ed uno dei single più ambiti di New York. Ma questo era quello che sapeva di lui sette anni fa.
Castle carico di roba tra le mani e non solo entrò nella stanza provando ad accennare un saluto. Kate lo osservava muoversi nella stanza con più disinvoltura di quanto pensasse, senza, apparentemente, prestarle nemmeno molta attenzione, non poteva sapere quanto era lontano dalla realtà quel pensiero. Appoggiò tutto nel tavolo dall'altra parte dell'ambiente rispetto al letto, si avvicinò al comodino prendendo il vaso di fiori, tolse quelli del giorno prima e mise i freschi rabboccando un po' l'acqua prendendola in bagno e rimettendo poi il vaso al suo posto. Prese il libro, i caffè e la busta con le brioches e finalmente si sedette vicino a lei che aveva osservato perplessa tutte le sue mosse senza che le avesse ancora rivolto la parola. Castle fece un altro respiro profondo guardandola e le sorrise. Lei rispose al sorriso timidamente.

Prese un bicchiere di caffè ed una brioche dal sacchettino.
- Caffè macchiato freddo con due bustine di zucchero di canna ed una brioche. Buongiorno Kate.
Le allungava le mani con quei generi di conforto e Beckett aveva già l'acquolina in bocca nel sentire l'aroma del caffè inebriarla. Aveva veramente voglia di berne un sorso.
- Posso? - gli chiese dubbiosa. Lui in realtà non ci aveva pensato se poteva, non lo aveva chiesto a nessuno, come aveva potuto essere così stupido e superficiale da dimenticarsi una cosa così basilare? Ora aveva il dubbio che le potesse fare male bere il caffè e mangiare una brioche. 
- Ok, aspetta. - appoggiò tutto sul comodino, uscì lasciando una Kate attonita a guardarlo andare fuori di corsa, mentre lei si lasciava avvolgere dal profumo di quel caffè tentatore.  Castle stette fuori qualche minuto e poi rientrò e riprese il suo posto.
- Hai mangiato nulla da quando ti sei risvegliata? - Le chiese subito
- Sì ieri sera e questa mattina, nulla di buono però.
- Allora facciamo che puoi. Un sorso di caffè ti farà bene, almeno all'umore.
Era uscito ad informarsi piombando nella sala medici così di corsa che il personale si era spaventato che si trattasse di qualche emergenza seria. Era il caffè, il loro primo caffè insieme per quello che Kate si ricordava, era un'emergenza più che seria secondo Castle e che nessuno avesse provato a contraddirlo perchè non aveva tempo di spiegare. 
Kate diede dei piccoli morsi alla brioche, due o tre, non di più, poi si sentì piena. Bevve qualche sorso di caffè chiudendo gli occhi mentre assaporava il gusto e Castle fece altrettanto con il suo, poi le riprese tutto deponendoli vicino a lei sul mobiletto. Si avvicinò per toglierle delle briciole cadute sul lenzuolo e lei osservava i suoi movimenti delicati imbarazzata. Castle si appoggiò sulla poltrona e la guardava con lo stesso imbarazzo torturandosi le mani. Aveva preparato un bel discorso ma non sapeva da dove incominciare. Fu Kate a prendere la situazione in mano e rompere il silenzio.
- Quindi dicono tutti che ci conosciamo.
- Già, direi che sì, ci conosciamo Beckett. 
- Mi chiami sempre Beckett, Castle?
- All'inizio non volevi che ti chiamassi in altro modo. Poi diciamo che abbiamo trovato dei compromessi. Però sì, lo faccio ancora, così come tu mi chiami Castle, o Rick.
- Mi dispiace non ricordarmi di te - gli disse sincera.
- Mi dispiace che non ti ricordi di noi - le rispose con altrettanta franchezza.

Questo Richard Castle che aveva davanti era ben diverso da quello dei suoi ricordi, delle copertine patinate, aveva un sorriso triste ed anche i movimenti del suo corpo erano lontani da quelli di un uomo spavaldo e pieno di se. Si muoveva sicuro ma lentamente, lo aveva studiato, sembrava affaticato o forse dolorante. 
- Tu non l'ammetterai mai con me, ma so che sei una mia fan, da prima che ci conoscessimo. Se non ti ricordi di me non ti ricorderai di Storm Fall quindi ho pensato di portarti il tuo libro. Te lo avevo regalato durante il nostro primo caso.
- Frena Castle. Il nostro primo cosa?
- Il nostro primo caso.
- Cioè io e te abbiamo lavorato insieme ad un caso?
- Sì, cioè a molto più di uno. Questo era il primo.
- E perché mai io avrei dovuto lavorare con te?
- Sei venuta tu a cercarmi, perché essendo una mia fan, ti eri accorta che una serie di omicidi erano ripresi dalle mie opere, anche alcune poco famose, quindi eri assolutamente una mia fan accanita! - disse compiaciuto. Questa cosa, a distanza di anni, ancora lo riempiva di orgoglio e faceva espandere il suo ego.
- Su quanti altri omicidi ho indagato, ispirati ai tuoi romanzi, per farti lavorare con me?
- Solo quelli di quel caso.
- E...?
- Ed ho convinto il sindaco a fare pressioni sul tuo capitano per seguirti mentre lavoravi, per fare delle ricerche sul campo.
- Cosa hai fatto Castle? Hai chiamato il sindaco per venirmi dietro mentre lavoravo? Ma il mio è un lavoro serio, non sono i tuoi giochi da scrittore!
Castle rise. Era la sua Beckett, o meglio la Beckett che non era ancora sua, però era lei. 
- Ed ora perchè ridi Castle?
- Perchè questo discorso me lo hai fatto tante volte. 
Lei diventò seria, colta in fallo e riportata alla realtà. Lui tutto quello lo aveva già vissuto ed anche lei, se solo se lo fosse ricordato. Notando il cambiamento di umore di Kate, Castle smise di sorridere.
- Ehy Kate, è tutto ok. Me lo puoi dire altre mille volte se vuoi. Ti ho portato il libro perchè ho pensato che magari ti sarebbe piaciuto leggere un po' durante il tuo soggiorno qui.
Le prese istintivamente la mano, poi la lasciò subito, pensando che quel gesto ancora non se lo potesse permettere. Rick le porse il libro e lei guardò curiosa la copertina, le sembrava di aver aspettato tantissimo per leggere l'ultimo capitolo della saga di Storm. Pensava che in realtà lo aveva già letto e la cosa la metteva a disagio. Si chiedeva se Castle avesse scritto altro nel frattempo, chi sarebbe stato il protagonista dei suoi prossimi libri visto che si sapeva che quello sarebbe stato l'epilogo di quella saga che tanto aveva amato. Aprì la prima pagina, lesse la dedica e sorrise. "Kate, I couldn’t think of a better partner in crime". Allora era vero, l'aveva aiutata in qualche modo, anche se non poteva immaginare come.
- Non è che questa cosa l'hai scritta poco fa solo per procurarti una prova, Castle? - gli chiese sorridendo con un tono vagamente interrogatorio, per quanto le sue condizioni lo permettessero.
- No, no detective! Non mi permetterei mai! Anche se ora dovrei chiamarti capitano però di fatto all'epoca eri ancora una detective ed ora ricordi che sei una detective quindi...
- Taci, Castle! - interruppe il suo sproloquio e lui si fermò immediatamente mai così diligente. La stava volutamente provocando, provando a ricostruire quelle dinamiche che c'erano sempre state tra loro e la cosa evidentemente funzionava e lei reagiva meglio di quanto lui pensasse, anche se sembrava molto più stanca di quanto volesse mostrare. Anche questo non era cambiato, era sempre la sua ostinata Kate, smemorata ma sempre lei.
- Se sei stanca, se preferisci posso leggertelo io. Poche persone hanno il privilegio di una lettura privata di Richard Castle di un suo libro, dovresti approfittarne. - sentì il suo sguardo-sguardo attraversarlo. Ne fu felice ed intimorito, come sempre - oppure se preferisci me ne posso andare e tu puoi leggere in tranquillità.
- Nessuna delle due cose. - Disse decisa. - Però resta, per favore.
- Ok, certo Beckett. Resto tutto il tempo che vuoi. Sempre.

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Capitolo 4
*** QUATTRO ***


Beckett non sapeva perché gli aveva chiesto di restare, si diceva mentalmente perché le era sempre piaciuto come scrittore ed era un'occasione per conoscerlo un po' di più, per studiarlo. Suo padre le aveva detto quanto lui fosse importante nella sua vita ma lei non riusciva a capire come lui era potuto entrarci. Ok, la seguiva nei suoi casi, però perché questo era diventato importante? Lei lo osservava e lui ne era consapevole e la lasciava fare. In altre occasioni le avrebbe fatto le più pungenti battute che gli venivano in mente adesso no, era giusto che lei prendesse confidenza con lui, imparasse di nuovo a conoscerlo e riconoscerlo. Kate percepiva che lui provava un forte sentimento nei suoi confronti, lo capiva da come la guardava, dalla dolcezza dei suoi movimenti per qualsiasi cosa avesse bisogno, come quando gli aveva cortesemente chiesto un bicchiere d'acqua e lui glielo aveva portato per poi aiutarla a bere, sorreggendola delicatamente e scusandosi immediatamente per quel tocco che a lui era venuto così naturale da non accorgersi che aveva pericolosamente invaso il suo spazio. Kate fu sorpresa ma non indisposta da quella premura verso di lei e si stupì di se stessa, a nessuno dei suoi amici avrebbe permesso una simile confidenza, figuriamoci ad un estraneo che conosceva appena, oltretutto con una pessima fama. 
- E quindi sono capitano adesso?
- Sì, capitano Beckett.
- Esposito e Ryan non mi hanno detto nulla.
- Aspettavamo di parlare con il tuo medico per sapere come comportarci - le disse serio ed anche lei ora era più seria. 
Era arrivato il momento di sapere di più. Su di lei, su di lui, perché era lì, perché erano lì, insieme, due perfetti estranei, per quel che ricordava lei, che però sembravano legati inesorabilmente. Percepiva questo legame e la destabilizzava, lei non voleva legami. Erano pericolosi, facevano male, si rimaneva scottati, sempre, e lei non voleva più soffrire, le sembrava già abbastanza il dolore fisico che stava sentendo per permettere ad un altro tipo di dolore di ferirla intimamente, ancora una volta.
- Castle, mio padre mi ha detto che posso fidarmi di te. 
- Puoi farlo sempre, Beckett.
- Ho bisogno di risposte. Perché sono qui e perché tu sei qui con me? Cosa c’è tra noi?
- Ti hanno sparato, o meglio ci hanno sparato.
- Lavoravamo ad un caso?
- No, eravamo a casa. A casa nostra. Noi… noi siamo sposati, Kate. - Le disse con la voce tremante, mostrandole la sua mano sinistra con la fede. Si rese conto in quel momento, in quel momento, che stava comunicando a sua moglie che erano sposati, perchè lei non lo ricordava ed era più difficile di quanto pensasse. Non ricordava che era sua moglie, di cosa avevano passato per arrivare quel giorno a pronunciare quel sì, non ricordava cosa si erano promessi nè le emozioni di quel giorno che erano, invece, indelebili nella sua memoria, quelle parole alle quali si era aggrappato ogni volta che erano stati separati. Lei guardò la sua mano e non vide nulla. Castle si affrettò a cercare nella tasca della giacca e prese la fede di Kate. Gliel’avevano consegnata, insieme agli altri suoi effetti personali, appena si era risvegliato. Era stato Jim ad insistere che tutto fosse dato a lui, era suo marito. Da allora Rick la portava sempre con se, aspettando con ansia il momento in cui avrebbe potuto rimetterla nell’unico posto dove doveva stare, all’anulare sinistro di sua moglie. Adesso, però, in quella situazione gli sembrava così difficile fare quel gesto, forse anche inopportuno. Teneva l’anello tra le sue dita e guardava Kate, guardava i suoi occhi preoccupati e confusi, persi nell’osservare con terrore quel cerchio metallico che tra le dita grandi di Castle sembrava ancora più piccolo e fragile, come se premendolo avrebbe potuto schiacciarlo e distruggerlo. Rick, invece, lo teneva appena tra pollice e indice, con un tocco così leggero che aveva quasi paura che gli potesse scivolare. Indeciso su cosa fare, la appoggiò sul comodino, togliendo il caffè ormai freddo e quel che restava della brioche, buttandoli nel cestino. Non voleva farle alcun tipo di pressione, lei voleva sapere, lui le aveva detto come stavano le cose. Non pretendeva che solo perché sapeva che si erano sposati, lei, non ricordandosi nulla, si fosse comportata come la sua Kate, perché Beckett non l’avrebbe mai fatto.
Kate seguì i movimenti di Castle, quasi ipnotizzata da quell’anello, lo osservò posarlo vicino a lei e soffermò ancora lo sguardo su quell’oggetto così piccolo ma così importante. 
Era sposata. 
Era sposata con Castle. 
Katherine Beckett era sposata con Richard Castle. 
Se lo ripeteva in mentalmente senza riuscire a commentare la cosa. Per un attimo pensò che stesse scherzando, ma la faccia di Rick era troppo seria per essere uno scherzo. 
Si chiedeva come fosse possibile dimenticarsi di tutto, dimenticarsi di amare una persona tanto da poterla sposare, tutto quello che c’era stato tra loro, quello che provava per lui. Lo guardava, adesso. Era un uomo affascinante nell’aspetto e nei modi, aveva una bella voce, due profondi occhi azzurri che la guardavano adoranti. Si sarebbe potuta innamorare di lui? Sì, forse lo avrebbe potuto fare, ma non lo ricordava. Non ricordava nulla e lui era lì, silenzioso, ad osservare ogni suo più piccolo movimento, ogni mutamento nella sua espressione, attento a non fare nessuna mossa sbagliata.

Si sentì a disagio, molto a disagio. 
Aveva capito che la relazione tra loro era qualcosa al di là di una semplice amicizia e un rapporto lavorativo, ma non avrebbe mai pensato di essere sposata. Aveva davanti una persona per lei estranea, che era suo marito, che la guardava come non l’aveva mai guardata nessun uomo prima d’ora. Non riusciva a sostenere quello sguardo e percepì chiaramente, in quel momento, la sua situazione, come se quella vissuta fino ad ora, fosse stata solo una presentazione cortese con uno sconosciuto informato sulla sua vita, tanto da portarle esattamente il caffè che voleva, la sua brioche preferita ed il libro che voleva leggere. Questo però lo avrebbe potuto fare chiunque, ma guardarla così no. 
In quello sguardo c’era tutto il tempo che lei non ricordava e lui sì, c’era la vita che aveva dimenticato. 
Riuscì solo a sussurrargli uno “Scusami Castle” tra i singhiozzi che non poté trattenere. Non aveva mai immaginato che dimenticarsi qualcosa della sua vita, delle sue emozioni, potesse essere così frustrante, per anni aveva sperato di dimenticare quello che era accaduto, di non ricordarsi del dolore, del senso di vuoto, avrebbe voluto cancellare quei ricordi dalla sua mente. Adesso, invece, quei ricordi erano sempre lì, vividi, che facevano male nello stesso modo, ma aveva cancellato, ne era sicura, qualcosa di importante. Sentiva le lacrime scendere sul suo viso ed il petto farle male, fece qualche respiro più profondo a cercare aria e di calmarsi, senza grandi risultati. 
Castle la guardava preoccupato, non sapeva come aiutarla, avrebbe voluto stringerla a se, come faceva sempre, sapeva che nascondendo il volto nel suo petto, respirando il suo profumo, la sua Kate si calmava, mentre lui le accarezzava i capelli. Ma lei no, aveva paura che potesse reagire male, farla stare peggio. Le prese la mano, la strinse tra le sue. Era più piccola e magra di quanto ricordasse. Lei si voltò istintivamente verso di lui, senza riuscire a smettere di piangere, portandosi l’altra mano sul petto, allarmandolo ancora di più. Si sentiva avvolgere e stritolare da una morsa gelida intorno al petto che le impediva di fare qualsiasi cosa ed il cuore pulsare così forte che poteva percepirlo in tutto il petto, fino a farle male.
- Beckett, calmati. Non hai niente di cui scusarti con me. Credimi. Va tutto bene, ascoltami. Va. Tutto. Bene. - Parlava lentamente, accompagnando con movimenti della testa le sue parole cadenzate, cercando di imprimere, in quel modo, un ritmo più normale al respiro affannato di lei e sembrò funzionare.
- Ok Beckett? Va tutto bene - le disse ancora mentre lei fece solo un cenno di assenso. - Stai male? Chiamo qualcuno? - Scosse la testa, non voleva altri medici intorno, non adesso. Aveva ragione lui, doveva solo calmarsi. Fissava le sue mani che tenevano la sua, e non riusciva a togliere lo sguardo dalla fede di lui.
Rick aspettò che si calmasse e poi la sciolse dalla sua presa, mentre lei seguiva con lo sguardo il movimento delle sue mani. Senza rifletterci troppo fece una cosa che non avrebbe mai immaginato di fare, si sfilò l’anello e lo mise vicino a quello di lei sotto lo sguardo stupito di Kate.
- Nessuna pressione Beckett. Non c’è fretta. Quando sarai pronta, quando vorrai tu, ok? Non cambia niente per me. - Le accarezzò la testa mentre lei annuì ancora, sentendosi inconsapevolmente sollevata. Forse aveva chiesto troppo a se stessa nel voler sapere di più della sua vita, forse non era ancora pronta.
In quel momento bussarono alla porta e subito dopo entrò un’infermiera che portava a Kate il pranzo.

- Come va oggi signora Castle? Ha fame? - Beckett sgranò gli occhi e guardò Rick che non riuscì a nascondere un sorriso, ma poi tornò subito serio. 
- Veramente non molta, anzi ho anche un po’ di nausea.
- Oh ma è normale nel suo stato - l’infermiera fu fulminata dallo sguardo di Castle e si interruppe subito - con le medicine che sta prendendo e dopo quello che le è successo… - cercò di riprendersi, mentre sistemava il vassoio davanti a lei. - Se ha bisogno di qualcosa e suo marito deve andare, ci chiami pure - Si sarebbe mai abituata che Richard Castle era suo marito e che per il resto del mondo, tranne che per lei, era la signora Castle?
- Non si preoccupi, rimarrò io con lei, non c’è altro posto dove devo stare. - Parlava con l’infermiera ma fissava Kate, non poteva e non voleva dirle di più, ma voleva farle capire quanto per lui fosse importante.
L’aiutò a sistemarsi, questa volta chiedendole prima il permesso, posizionandole meglio i cuscini dietro la schiena e alzando lo schienale del letto, chiedendole almeno dieci volte mentre faceva quelle semplici operazioni se andava bene e se stava comoda.
- Sei sempre così premuroso ed attento con me? - Gli chiese Kate sorridendo cercando di allentare la tensione che si era creata prima che le portassero il pranzo
- Solo quando tu me lo permetti quindi molto meno di quanto vorrei. - Rispose con tono canzonatorio mentre toglieva i coperchi dai piatti sul vassoio osservando il cibo con faccia alquanto schifata. - Mi ero quasi dimenticato quanto si mangia male in ospedale… Sta venendo la nausea anche e me…
- Non sei di aiuto così Castle eh! Per niente! - Rise Kate muovendo con il cucchiaio la minestra nel suo piatto e Rick rise a sua volta, felice di sentire per la prima volta dopo troppo tempo, la risata gioiosa di sua moglie.
L’aiutò anche a mangiare, un po’. Non riuscì a forzarla più di tanto anche se ne aveva bisogno, perchè gli risultava oggettivamente difficile convincerla a mangiare quelle cose. A quel problema avrebbe pensato dopo.

Quando uscì dalla sua stanza, dopo che lei si era addormentata e lui le aveva delicatamente baciato i capelli prendendosi quel contatto ancora proibito quando era sveglia, respirò profondamente, era stato più difficile di quanto si era immaginato. Gli sembrava di essere un alcolista in una distilleria che si sforzava in tutti i modi di non cedere alla tentazione di bere. Ecco, questo era stato per lui cercare di starle lontana, una lotta continua delle sua forza di volontà contro il suo istinto, della ragione contro il suo cuore. Aveva passato le ultime settimane a sognare il momento in cui l’avrebbe potuta abbracciare, in cui l’avrebbe baciata di nuovo ed invece si trovava a chiederle il permesso per aiutarla a sistemare i cuscini e a tremare per la reazione che avrebbe avuto se le avesse stretto la mano.
Non pensava che fosse facile, non lo aveva mai creduto da quando gli avevano detto la sua situazione. Però non così. Guardò la sua mano e sull’anulare si vedeva ancora il segno di dove aveva tenuto la fede, senza averla mai tolta nell’ultimo anno e mezzo ed ora era vuota. Era vero, per lui non cambiava niente di quello che provava per lei, però gli sembrava così strano vedere la sua mano senza quell’anello simbolico. Lo aveva fatto per lei, si ripeteva, solo per lei. Ed era una cosa temporanea. Le avrebbero rimesse, insieme, quando lei si sarebbe sentita pronta.
Uscì dall’ospedale e nonostante la fatica ed il dolore che cominciava a sentire, era sempre convalescente anche lui, anche se non voleva ricordarlo nemmeno a se stesso, fece qualche passo all’aria aperta, fino ad arrivare a quel parco che aveva casualmente scoperto lì vicino. Aveva bisogno di un po’ di aria, di togliersi dalle narici l’odore di ospedale e disinfettante e le fredde luci al neon. Per fortuna almeno l’arredamento delle camere non era così ospedaliero, se non fosse stato per i macchinari ed il letto elettrico, poteva sembrare un hotel più che decente, con i mobili in legno e le rifiniture colorate, la poltroncina in pelle e le pareti di un confortevole color avorio, non troppo vistoso, ma decisamente più familiare ed amichevole di quel verde pallido tendente al grigio di dove erano prima.
Kate aveva reagito peggio di quanto pensava alla notizia che erano sposati. Stava avendo un attacco di panico, se ne era accorto. Di certo non la cosa migliore che le possa capitare adesso. Rick, però, doveva darle ancora la notizia che era ancor più destabilizzante, doveva dirgli del bambino. Lo era stato anche per lui, quando glielo avevano detto, figuriamoci cosa sarebbe stato per lei, sapere di aspettare un figlio da qualcuno che fino al giorno prima nemmeno sapeva di conoscere. Era qualcosa che avrebbe sconvolto la vita di chiunque nel suo stato, figuriamoci di chi, come lei, non aveva alcun ricordo di come potesse essere accaduto.
Castle lo amava già quel bambino, incondizionatamente così come amava la donna che glielo avrebbe donato. Voleva solo che stessero bene entrambi, nulla di più. Non era poi tanto no? Dopo tutto quello che il destino gli aveva preso, almeno questo glielo doveva, vivere felice con sua moglie e suo figlio, non avevano pagato un conto già troppo salato al mondo in tutti quegli anni? 
Invece no, sembrava che anche questo fosse troppo anche se era una cosa così normale. Tremava alla reazione che Kate potesse avere e, dopo che l’aveva vista così turbata per averle detto che era sua moglie, tremava anche all’idea di cosa avrebbe deciso di fare, perchè lui, adesso, stava considerando tutte le ipotesi anche quelle più negative, quelle che lo terrorizzavano di più. 
Doveva parlare con qualcuno, doveva avere il parere di un esperto, di chi gli consigliasse come comportarsi. Gli venne in mente il nome di una sola persona che già conosceva sia lui che Kate e tutto quello che aveva passato negli anni, i suoi traumi fisici ed emotivi: il dottor Burke.

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Capitolo 5
*** CINQUE ***


Prima di tornare in ospedale aveva chiamato anche il suo amico Philip, il Food & Beverage Manager dell’hotel dove risiedeva ormai da qualche settimana. Si era fatto dare dall’ospedale tutte le indicazioni su quello che Kate doveva mangiare in quei giorni e le aveva girate a lui, insieme alle sue aggiunte su quelli che erano i suoi cibi preferiti. Avrebbero pensato loro a preparare i pasti a sua moglie e a portarglieli agli orari stabiliti. In ospedale non erano stati inizialmente troppo entusiasti di questa sua trovata, ma dopo che aveva parlato con uno degli amministratori delegati e promesso una generosa donazione, non c’era stato nessun impedimento alla sua richiesta. Ormai non si stupiva più di come con i soldi si potesse comprare tutto, o quasi, perchè se fosse così, avrebbe speso il suo intero patrimonio per comprare un po’ di serenità per lui e Kate, per vivere quella vita normale che aveva sempre sognato per loro e che, fino ad ora, non avevano mai avuto, se non per qualche raro momento che intervallava una situazione critica ad un’atra. Non poteva arrendersi al fatto che il loro destino sarebbe stato quello per sempre.

Aveva parlato con Burke per molto più tempo di quanto avesse pensato. Voleva chiedergli soprattutto di Kate, aveva finito per parlare per lo più di se stesso, di come si sentiva e delle sue paure. Ne aveva bisogno, gli sembrava che nessuno dei suoi amici o parenti riuscisse a capirlo. Aveva passato un mese a preoccuparsi delle condizioni di sua moglie che non riprendeva conoscenza, ma tutti si preoccupavano solo delle sue ferite fisiche, senza capire che quello che lo faceva stare male realmente era la situazione di Kate. Il dottore, infine, gli aveva detto che se voleva poteva andare nel suo studio per parlarne in maniera più approfondita, oppure potevano vedersi da lui. Castle lo ringraziò ma tornò al punto centrale di tutti i suoi problemi: Kate. Come doveva fare? Burke gli disse quello che forse già sapeva, che non c’era un modo migliore di un altro e nessuno sapeva come realmente avrebbe potuto reagire, ma di ricordarsi che, sebbene lei non ricordasse coscientemente gli ultimi anni della sua vita, se non aveva subito lesioni come gli avevano detto, nel suo inconscio erano presenti le stesse paure che l’avevano sempre attanagliata, solo che non ne era consapevole, ma l’attacco di panico che gli aveva descritto, era un sintomo. Gli consigliò, infine, di parlare con lei e di dirle che se voleva, potevano incontrarsi, ma doveva essere una cosa che nasceva da lei, lui non poteva imporre la sua presenza e nemmeno Castle forzarla a parlare con qualcuno. 

Aveva poi chiamato un taxi e si era fatto accompagnare al loft. Non c’era più rientrato, non aveva con se nemmeno le chiavi e sperava che ci fosse qualcuno: aveva agito d'impulso, senza avvisare nè Alexis nè Martha. Bussò alla porta, attese e poi gli aprì un uomo. Era biondo, robusto, capelli a spazzola, sporco di vernice e segatura. Era uno degli operai che stavano ristrutturando la sua cucina. L’uomo lo guardò con circospezione. Si presentò, disse di essere Richard Castle, il proprietario di casa, ma aveva dimenticato le chiavi. Il suo sorriso ed il suo charme non riuscirono a conquistare l’uomo che non aveva nessuna intenzione di farlo entrare e lui sentiva di star perdendo troppo tempo sulla soglia di casa sua, tempo che avrebbe volentieri dedicato a Kate. Proprio mentre stava per chiamare Edward, il suo architetto, sentì dei passi più leggeri scendere le scale, si sporse con la testa verso l’interno e vide sua figlia.
- Mi sembrava di aver sentito la tua voce papà! Dai entra! - Alexis fece cenno all’operaio di spostarsi per far entrare suo padre.
Mosse i primi passi incerti dentro la casa e fissò la zona della cucina. Non c’erano ancora i mobili, ma il pavimento era nuovo, le mura ridipinte e poteva vedere sul muro le tracce di dove sarebbe stato collocato il nuovo mobilio.
- Sta venendo bene, che ne dici? - Chiese ad Alexis.
- Credo di sì, se per te è importante.
- Lo è, moltissimo. - Chiuse il discorso, pentendosi della domanda. Evidentemente non riuscivano a capirlo.
- Come mai sei qui? Kate sta bene? 
- L’ho lasciata riposare, è ancora debole. Sono venuto a prendere alcune sue cose, dei vestiti e altre cose che penso le farà piacere avere.
- Ci voleva Kate per farti tornare a casa! - Alexis non si rese conto di quello che aveva detto fino a quando lo sguardo di Rick non la fulminò. Non si era mai sentita guardare da suo padre in quel modo. - Scusa papà… - ma da Castle nessuna risposta mentre andava in camera.
Prese una borsa e dentro ci mise alcuni cambi per Kate, il suo cellulare e poi aprì il suo cassetto per cercare qualcosa di più importante. Si sentiva a disagio a frugare tra le cose di sua moglie, non era sua abitudine invadere la sua privacy. Non voleva curiosare più del dovuto, ma quando vide il cartoncino di un bicchiere di caffè ripiegato ebbe un tuffo al cuore. Non sapeva che lei lo avesse tenuto tutto quel tempo, non sapeva fosse lì. Erano i primi tempi che stavano insieme, quando ancora al distretto non lo sapeva nessuno e loro si dovevano comportare come sempre, da buoni amici, nulla più. Un giorno, mentre lui era seduto alla sua scrivania e lei compilava i soliti rapporti di fine caso, prese il cartoncino del caffè che le aveva portato la mattina e scrisse dentro “I love you”. Ricordava ancora il suo sorriso imbarazzato quando lo aveva visto, gli occhi bassi e come era diventata rossa. Lei lo nascose nella borsa, preoccupata che qualcuno avesse potuto sbirciare anche lì. Adorava farla imbarazzare così. 
Andò oltre, trovò la scatola che cercava, l’aprì e prese il suo prezioso contenuto. Lo mise in tasca e richiuse senza indugiare oltre in altre cose cariche di ricordi. 
- Papà, posso accompagnarti? Pensi che potrò salutare Kate?
- Va bene andiamo, glielo chiederò.

Rick arrivò in ospedale accompagnato dalla figlia. Le chiese di aspettare fuori, voleva prime chiedere a Kate se se la sentisse di incontrare Alexis. Quando entrò nella sua stanza la trovò con il suo libro appena richiuso vicino al letto, ma quello che lo colpirono furono i suoi occhi, gonfi e rossi. Aveva pianto e lui si malediceva per non essere stato lì con lei. Era stato troppo al parco, troppo al telefono, troppo al loft. Rick non pensava minimamente che, se lui fosse stato lì, Kate avrebbe fatto di tutto per non lasciarsi andare ancora alle emozioni che faticava a trattenere e dava la colpa a questa strana situazione, senza sapere che oltre a quello c'erano anche i suoi ormoni che stavano impazzendo.
- Ehy Beckett, come stai?
- Uno schifo Castle, grazie, tu? 
- Io ora bene, grazie. - Kate non capì che quello voleva dire che stava bene perchè era con lei, dovevano ancora sintonizzarsi su quella lunghezza d'onda che li faceva capire senza parlare: le loro frequenze erano ancora disturbate.
- Che fai, rimani lì sulla porta, oggi? 
- No, è che vorrei presentarti una persona, se te la senti, fa parte della nostra famiglia.
A Kate si gelò il sangue nelle vene. Non è che avevano anche un figlio? Se erano sposati poteva essere, erano adulti, non sapeva ancora da quanto stavano insieme, ma poteva essere, no? Era madre senza saperlo? Si poteva dimenticare anche di quello? Rick notò il suo cambio d'espressione e si precipitò a precisarle che se non voleva non doveva preoccuparsi, ma lei a quel punto, paura o no, voleva sapere.
- Ok Castle, va bene.
Rick aprì la porta e fece cenno ad Alexis di venire. Quando entrò nella stanza e vide la giovane donna, Kate si rilassò, chiunque fosse era troppo grande per essere sua figlia. I due Castle si avvicinarono quindi a Kate, lasciando la borsa con le sue cose in fondo al letto.
- Beckett, lei è Alexis, mia figlia. 
Kate notò il tono orgoglioso di Rick nel presentarle la ragazza che aveva gli stessi occhi azzurri del padre.
- Una delle tue chiome rosse, Castle! - disse senza pensarci.
- Come hai detto Beckett? - Alexis e suo padre si guardarono per poi volgere lo sguardo alla donna.
- Una delle tue chiome rosse? - ripetè dubbiosa. Da dove le era uscita quel l'espressione?
- Chi è l'altra, Beckett? - la incalzò Rick
- Io... Io... Non lo so.
- Ok, Kate, ok... Va bene così, è... È straordinario cioè, tu hai ricordato qualcosa, piccola, però qualcosa. Le chiamo solo io così... È grandioso, no? - Castle era pieno di entusiasmo per quella piccola cosa e fece sorridere le due donne. Kate da parte sua era contenta ma non riusciva a condividere il suo entusiasmo per una cosa così, a parer suo, insignificante: lui invece sembrava un bambino che avevano appena portato alle giostre. Alexis si trattenne con loro qualche minuto e poi se ne andò lasciandoli soli. 
- Ti ho portato delle cose da casa, qualche cambio e il tuo cellulare. - le disse Rick indicandole la borsa e dandole l'apparecchio. Kate lo guardava stupita, in effetti anni fa gli smartphone era un po’ diversi anzi, a dire il vero non si ricordava nemmeno se ci fossero nella memoria di Kate, sapeva cosa erano? - è un iPhone, un modello nuovo, uscito da poco, ti serve una mano?
- Ehm... Sì grazie. 
Rick accese l'apparecchio e digitò il codice di sblocco, che per fortuna sapeva, ma era uguale al suo, la data del loro matrimonio.
- È 1110 le disse. Te lo devo scrivere?
- No, penso di ricordarmelo - sorrise - per quanto riguarda il presente credo di avere ancora memoria. - si fece mentalmente i complimenti da sola per essere in grado di ironizzare su se stessa. - vuol dire qualcosa?
- 10 novembre, la data del nostro matrimonio. È lo stesso codice mio.
- Non è necessario che mi dici il codice del tuo telefono Castle.
- Non ho nulla da nasconderti e poi lo sapevi. - Non era vero. In quel momento una cosa gliela stava nascondendo ed avrebbe dovuto dirgliela il prima possibile.
Kate prese il telefono e, come prima cosa, si fermò ad osservare lo sfondo. Erano loro due, abbracciati, non vedeva i loro volti ma riconosceva la sua figura ed anche quella di Castle. Era sicuramente del giorno che si erano sposati. Provò strane sensazioni a vedersi. Era così intimo, le sembrava di sbirciare nella vita di qualcun altro, ed invece era lei. Osservava le loro mani, come si abbracciavano e si stringevano. Si stava emozionando a pensare a quelle sensazioni che non ricordava eppure a vedere quella foto le sembravano molto profonde.
- Ce l'ha scattata Alexis senza dirci nulla. Eravamo solo noi, mia madre e tuo padre. Non abbiamo molte prove fotografiche, mi dispiace.
- È molto bella. Romantica.
- Sì è stato tutto perfetto. - Poteva leggere nostalgia e tristezza nello sguardo di Rick, che poi tornò a spiegarle le funzioni base del telefono. Come leggere i messaggi, rubrica, chiamate preferite, foto, video, musica... - se mi devi chiamare mi trovi sotto la C, Castle, ma sono anche il primo dei preferiti!
- Grazie Castle.
- Ecco poi c'è un'altra cosa che vorrei darti... So che ci tenevi molto e prima la portavi sempre con te... 
Kate a quelle parole capì a cosa si stava riferendo, si toccò istintivamente il collo e proprio in quell'istante Rick tirò fuori la collanina con l'anello di Johanna, mettendolo tra le mani di Kate che lo strinse lasciando scendere qualche lacrima. Allungò la mano cercando quella di lui e gliela strinse. Rick rimase sorpreso da quel contatto cercato da lei, ma poi subito strinse a sua volta la mano di lei.
- Grazie ancora.
- Non devi ringraziarmi per ogni cosa. Facciamo che mi dici un grazie generico che vale per 10 cose? Non ti preoccupare tengo io il conto e quando li hai finiti ti avviso così me ne dici un altro, ti va?
- Ok! - si chiese come gli venivano in mente certe cose, ma doveva aspettarselo, era la sua fantasia di scrittore.
- Castle, perché non lo portavo più? Hai detto che prima lo portavo sempre con me, ora non più?
- No. Da qualche anno non lo portavi più. Da quando lo hai arrestato Kate.
- Ho arrestato l'assassino di mia madre? 
- Il mandante sì, lo hai arrestato.
- E l'esecutore?
- Lo hai ucciso tu. Per... Per salvarmi la vita. Mi stava per sparare e tu lo hai preceduto sparandogli.
- Chi era?
- Ne possiamo parlare in un altro momento Beckett? Ti racconterò tutto, tu sei stata grande, l'orgoglio di tutti, ma per oggi credo che sia sufficiente quanto hai saputo, no?
Kate voleva conoscere di più della sua storia, di come aveva risolto l’enigma dell’omicidio di sua madre, ma sapeva che aveva ragione lui. Sentì nelle sue parole e nel suo sguardo lo stesso orgoglio di quando le aveva presentato sua figlia. Questa sensazione la fece stare bene. 
- Ok... Castle, quante volte ti ho salvato la vita in questi anni?
- Molte, ma secondo i miei conti sono sempre in vantaggio io.
- Tu che hai salvato la vita a me più di quanto ho fatto io con te? Nei tuoi sogni forse!
- Nei miei sogni non mi salvi la vita, o forse sì ma in altri modi! 
Kate si accorse che si stavano, ancora, tenendo per mano e le osservò stupita del gesto: se ne accorse anche Castle e subito allentò la presa, per permetterle di ritrarsi. 
- Castle, ti posso chiedere un favore?
- Quello che vuoi, Beckett.
- Uno specchio.
- Non ne hai bisogno, sei bellissima
Arrossì ed abbassò lo sguardo. Rick voleva proprio questo e la osservò incantato. 
- Seriamente, Castle. Vorrei uno specchio, vorrei vedermi dopo tutti questi anni... 
Non la fece finire di parlare, uscì lasciando la porta socchiusa, andando a parlare con le infermiere. Nel silenzio dell'ospedale riusciva a riconoscere la voce di lui che si stava alterando. Rientrò poco dopo a passo svelto con il broncio di un bambino a cui non hanno comprato il regalo che voleva.
- Non ce l'hanno. Te lo vado a comprare.
- Non fa nulla, me lo porti domani.
- No, aspetta. - si infilò nel bagno e lo sentì fare molto rumore. Ne uscì poi con in mano lo specchio a muro che aveva divelto. Kate lo guardava perplessa e sorpresa: aveva smontato lo specchio del bagno perchè lei aveva detto che ne voleva uno? Realmente?
- Castle, ma tu fai sempre così?
- Così come?
- Non dai mai ascolto e fai sempre tutto di testa tua fregandotene delle conseguenze?
- Ehm... Sì, più o meno.
- Ed io ti sopporto così?
- Uhm... Sì, direi di sì...
Kate roteò gli occhi verso l'alto e scosse la testa.
- Allora ti vuoi vedere? Disse avvicinandosi con lo specchio sul quale dietro c'era ancora qualche pezzo di intonaco.
- Sì. Gr...
- Shhh Beckett! Non lo dire! Te ne rimangono ancora altri 8, ricordi?

Castle le tenne lo specchio sollevato davanti a lei, mentre Beckett prendeva confidenza con la nuova immagine di se. Vedersi e non riconoscersi. Kate aveva un altro ricordo di se stessa, con i capelli più corti e scuri ed un’aria più da ragazzina. Nello specchio vedeva una donna, con qualche segno del tempo in più sul viso, fece qualche smorfia per controllare se avesse qualche ruga di troppo, ma potè notare solo l’eccessiva magrezza, dovuta anche all’ultimo mese in ospedale, le profonde occhiaie ed un colorito veramente poco sano. Passò una mano tra i capelli e pensò che forse corti erano più pratici e che desiderava tanto fare una doccia, anzi un bagno, un lungo bagno, con tanta schiuma.
- Castle come fai a dire che sono bellissima? - Gli chiese scoraggiata
- Per me lo sei, sempre. - Rispose lui convinto. Kate avrebbe pensato che una risposta del genere potesse essere una presa in giro, detta da qualunque altra persona, ma sentì nella sua voce una sincerità che la spaventò. Lui lo pensava veramente. Per lui, lei era veramente bellissima anche in quello stato in cui faticava anche a vedere la sua immagine e se la sua parte più femminile ne fu lusingata, quella più razionale aveva paura di un sentimento tanto forte da parte di quell’uomo che era lì, per lei, nonostante tutto. 

Quando bussarono alla porta Kate non si aspettava che entrasse un giovane ragazzo pieno di buste e non capiva cosa facesse lì, credeva fosse una delle tante infermiere per una medicazione o altri accertamenti.
Castle le spiegò che era la cena. Beckett, passando il resto del pomeriggio a conversare, non si era accorta del tempo che era trascorso. Nonostante tutto era stata bene con lui, meglio di quanto poteva immaginare quella mattina quando lo aveva conosciuto.
Quello che aveva davanti sul vassoio, era certamente meglio di qualsiasi cosa avesse visto negli ultimi due giorni, ma probabilmente anche meglio di molti ristoranti in cui era solita andare.
Il logo sui piatti e le posate indicava la provenienza del cibo e quando guardò Castle in attesa di spiegazioni, si stupì nel vedere che anche lui aveva un vassoio del tutto uguale al suo appoggiato su un tavolino vicino al letto. Aveva pensato a tutto. Il ragazzo salutò, dicendo che avrebbero provveduto a portare via il tutto, il giorno seguente quando avrebbero portato il pranzo e in quel momento Kate capì che non era un’eccezione quella cena.
- Castle, seriamente? Mi fai preparare i pasti dal catering di un hotel a cinque stelle?
- Ci faccio preparare i pasti. - Le indicò anche la sua cena.
- Perchè? 
- Punto primo devi mangiare e quella roba che ti hanno portato oggi non era per niente invitante e infatti non hai mangiato quasi nulla. Punto secondo non mi piace vederti mangiare da sola e nemmeno a me piace farlo. Quindi se non ti dispiace, faccio preparare per due, così mangiamo insieme.
- Non vai a mangiare a casa con tua figlia?
- Non sto a casa, al momento. Ho preso una camera in questo hotel da quando sono uscito dall’ospedale. Così potevo starti più vicino, venire più facilmente. E poi tornare a casa da solo quando non sapevo se e quando ti saresti svegliata… Non ce l’avrei fatta.
Non gli rispose, guardò in basso sul suo piatto. Era la prima volta che le parlava di se e di quello che aveva provato, avrebbe voluto dirgli qualcosa per fargli coraggio, ma non sapeva proprio cosa. Cominciarono a mangiare e presto quel silenzio fu sostituito da nuove chiacchiere sul cibo che era veramente buono e Castle aveva cominciato a raccontare storie buffe sul cibo dell’ospedale e la sua probabile provenienza aliena per forma e colore, raccontando ogni pietanza da quale pianeta dovesse venire in base alla sua consistenza.

Quando Jim la sera tornò a trovare la figlia li trovò così, a mangiare e ridere insieme. Pensava che sarebbe stata una strada lunga e difficile, ma almeno avevano fatto qualche passo.

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Capitolo 6
*** SEI ***


Castle se n’era andato subito dopo aver finito di mangiare. Aveva parlato qualche minuto fuori dalla stanza di Kate con Jim per aggiornarlo velocemente su quella giornata. Gli raccontò della crisi avuta dalla figlia quando le aveva detto che erano sposati e per questo oggi aveva evitato di dirle anche del bambino. Jim consigliò a Castle di andarsi a riposare: malgrado non lo volesse far vedere, stava accusando la stanchezza fisica ed emotiva della giornata. Rick sapeva che aveva ragione e se ne accorse soprattutto quando, arrivato nella sua stanza si spogliò e si tolse le bende che coprivano la sua cicatrice. Gli faceva male, più del solito, e si era gonfiata. Si medicò come meglio poteva e prese degli antidolorifici, poi si buttò sul letto sperando di riuscire a dormire qualche ora in più della notte precedente.

Anche Kate, nella sua stanza, era stanca ed affaticata, sebbene non si fosse mossa dal suo letto. Le faceva piacere, però, passare un po’ di tempo con suo padre che era molto più sereno della sera precedente. Kate si preoccupava per lui, sapeva quello che aveva passato dopo la morte della madre ed aveva temuto che in quel periodo in cui lei era stata in pericolo di vita, lui avesse potuto ricadere nelle vecchie tentazioni. Le aveva giurato di no e gli credeva. Le chiese come era stata quella giornata con Rick e Kate si trovò imbarazzata nel rispondergli, perché non ci aveva ancora pensato nemmeno lei. Piacevole. Gli rispose così, era vero, ma sapeva che non era stato solo quello. Era stata emotivamente intensa e faticosa. Suo padre insistette per rimanere lì con lei quella notte, come la precedente, ma fu irremovibile, non c’era bisogno, aveva tutta l’assistenza di cui necessitava. Si lasciò abbracciare da Jim prima che andasse via, che la tenne stretta a se per molto più tempo di quanto lei ricordasse avesse mai fatto. 
Una volta sola prese il libro di Castle, provò a leggerne qualche altra pagina, ma i suoi occhi erano troppo stanchi per riuscirci. Si abbandonò al buio ai suoi pensieri. Suo padre e Castle erano due uomini così diversi, che nessuno avrebbe detto potessero avere qualcosa in comune, tanto era riservato e taciturno uno quanto esuberante e loquace l’altro. Eppure quando li aveva visti insieme sentiva che i due avevano una forte sintonia, avevano fatto squadra, per lei.
Non riusciva ad immaginare cosa i due avessero passato in quel periodo in cui lei era rimasta in coma, come si fosse sentito suo padre, all’idea di vederla lì, in pericolo, lottare per vivere. Gli era rimasta solo lei, era tutto ciò che gli rimaneva della sua famiglia. Stette male solo al pensiero, ricordando cosa era diventato suo padre dopo la morte di sua madre, l’amore della sua vita. Il suo pensiero volò a Castle: si sarà sentito così anche lui nel vederla lì, inerme, per settimane? Era questo quello che li legava, un rapporto così forte come era stato quello dei suoi genitori, tanto da annientare suo padre quando sua madre era stata uccisa e spingerlo in un baratro dal quale non riusciva a risalire? Provò invidia per quella se stessa che era riuscita a farsi amare così tanto da quell’uomo ed era mortificata per non ricordare di amarlo. Era stato ferito anche lui e nonostante questo, appena dimesso, si preoccupava di andarla a trovare tutti i giorni, benché lei fosse priva di conoscenza. Pensava a quanto doveva aver sperato nel suo risveglio e alla delusione provata nel sapere che lei non si ricordava di suo marito. Castle era suo marito, faticava a ricordarselo, era una notizia che ancora non era riuscita a metabolizzare. L’idea del matrimonio era qualcosa di lontanissimo nella sua mente, pensava, anzi, che non si sarebbe mai sposata e forse, nemmeno mai realmente innamorata, non di quell’amore che aveva visto solo nei film e negli occhi dei suoi genitori. E negli occhi di Castle. Quel giorno aveva visto come Castle la guardava e ne era ancora turbata. Come poteva essere lei l’oggetto di uno sguardo simile? Aveva sempre pensato che non sarebbe mai stata in grado di lasciarsi andare completamente in una relazione fino a quando non avesse risolto il caso di sua madre, che l’aveva prima ossessionata, poi, invece, semplicemente fatta chiudere in se stessa quando aveva deciso di rinunciare, per non soffrire ancora. Ora sapeva che tutto era finito eppure non riusciva a trovare, nella sua mente, conforto in questo. Era tutto finito, ma per lei era come se non lo fosse, perché non lo aveva mai vissuto e come poteva guarire un male che non c’era più ma del quale portava dentro ancora tutti i sintomi?
Sentiva di nuovo quella stretta al petto che stava prendendo il sopravvento. Provò tirarsi un po’ su ed accese la luce. Sul comodino c’erano l’anello di sua madre e le fedi che aveva lasciato Castle. Vide anche il cellulare e lo prese cominciando a guardare le foto. Avevano quasi tutte gli stessi soggetti, lei e Castle. Insieme, felici, si vedeva dagli sguardi. Non le sembrava se stessa quella che osservava, né per la fisionomia, né per quello che faceva. Non era da lei ridere e lasciarsi andare così. Sembrava spensierata. Sembrava veramente felice, come non lo era più da anni, come forse non lo era mai stata. Continuò a sfogliare intrufolandosi nella vita di quella lei che non sapeva essere lei e si trovò in un video sdraiata in un letto di quella che probabilmente era la loro camera, appena sveglia, mentre rimproverava Castle di ridarle il telefono e di smettere di riprenderla e sentiva la voce di lui pronunciare frasi dolcissime mentre lei arrossiva e si nascondeva con il lenzuolo. Questo lo trovava molto da lei, invece. Sorrise di se stessa, riconoscendosi finalmente in qualcosa. In breve capì che la maggior parte dei video li aveva fatti Rick prendendo il suo telefono, così come le foto dove erano insieme. Erano una bella coppia, pensò alla fine, quella lei e lui lo erano, ma continuava a vedere quella persona come qualcuno di diverso da lei. Aveva sempre la sensazione di spiare la vita di qualcun altro, ma anche la curiosità di conoscersi. Cliccò sull’icona dei messaggi ed il primo nome era ovviamente quello di Castle, le sembrava veramente, guardando quel telefono, che la sua vita, fino a poche settimane prima, ruotasse tutta intorno a lui. Cominciò a leggere, andando a ritroso, i loro messaggi. Sorrideva imbarazzata di se stessa nel leggere quello che gli scriveva e provò uno strano batticuore nel leggere le risposte di Castle rendendosi conto che quelle parole erano per lei, non stava leggendo della vita di qualcun altro, ma subito fu assalita di nuovo dalla tristezza di non riuscire a ricordare nulla di tutto quello e di quanto le sarebbe piaciuto provare quella splendida sensazione di essere innamorati. Così innamorati. Invece dentro di se sentiva solo il vuoto che non riusciva a colmare con i ricordi che non le appartenevano, li sentiva estranei. Posò il telefono e provò a dormire cercando di convivere con il dolore fisico ed emotivo. Era frustrata che non le dessero nulla per aiutarla a dormire nè delle dosi di antidolorifici più forti.
Pensò di chiedere a Castle, il giorno seguente, di usare il suo appeal per convincere dottori e infermieri a darle qualcosa di più forte per alleviare i dolori che sentiva. Si rese conto di aver dato per scontata la presenza di Castle il giorno successivo, non doveva abituarsi a lui, non doveva dipendere da lui, non doveva dipendere da nessuno se non da se stessa, come sempre.

Quando la mattina l'infermiera arrivò per controllarle le ferite le sembrò eccessivamente presto. Si sentiva ancora stanca ed assonnata. Ma la donna era irremovibile su quello che avrebbe dovuto fare: provare ad alzarsi. Così l'aiutò prima a mettersi seduta, poi la convinse ad appoggiare i piedi a terra. Le aveva messo davanti un deambulatore ma Kate era riluttante all'idea di appoggiarsi a quel coso: lei detective, anzi capitano, della omicidi, che inseguiva assassini sui tacchi doveva alzarsi dal letto appoggiandosi su quel coso. Era fuori discussione.
Aveva fatto i conti senza il suo fisico debole e si ritrovò suo malgrado ad aggrapparsi a quel coso senza rendersene conto, per evitare di finire a terra. Era bello stare sulle proprie gambe, ma quello sforzo semplicemente di mettersi in piedi le era sembrato insostenibile ed il dolore all'addome ed intorno alle ferite era aumentato. L'infermiera vedendola così sofferente la fece rimettere a letto, alzandole lo schienale per poter stare in una posizione più eretta. 
Kate non era mai stata una che si lamentava. Aveva sempre sopportato il dolore fisico, ma quel fastidio e dolore costante che sentiva sembrava entrarle direttamente nel cervello e non darle tregua. Prima che l'infermiera uscisse le chiese se poteva darle un antidolorifico più forte perché non si sentiva per niente bene.
- Mi dispiace signora, ma nel suo stato non posso darle niente senza aver prima sentito il dottore.
- Per favore - la voce di Kate era quasi una supplica ma quella fu impassibile
- Non posso signora, sono dannosi per il bambino.
Kate rimase pietrificata e l'infermiera si accorse dal suo volto che la donna non sapeva nulla e lei le aveva appena dato una notizia che l'aveva a dir poco scossa. Le si avvicinò di nuovo.
- Il bambino? - le chiese Kate con tutta l'angoscia che riusciva ad esprimere a parole e gli occhi gonfi di lacrime. Sperava che avesse capito male o che l'infermiera avesse sbagliato paziente ma sapeva già che non era così.
- Sì signora, lei è incinta. Di 9 settimane da quello che leggo nella sua scheda - disse controllando i suoi dati. - ha bisogno di qualcosa? Un po' d'acqua, vuole mangiare? 
- Di stare sola. Voglio solo stare sola.
L'infermiera annuì. Le accarezzò la fronte in un gesto molto materno mentre le prime lacrime uscirono dagli occhi di Kate.

Castle arrivò di buon umore quella mattina, con i soliti caffè, le brioches ed i fiori. Bussò delicatamente ed entrò da Kate. Lui stava per andare come al solito a cambiare i fiori ma la voce perentoria di Kate lo fece desistere da fare qualsiasi altra mossa.
- Siediti Castle. 
Fece per darle il caffè e la brioche ma lei lo fermò e lui ripose il tutto. Ora che la guardava bene vedeva che c'era qualcosa che non andava. Come aveva potuto non accorgersene subito? Doveva essere più attento, osservarla meglio, era Kate la doveva capire ad uno sguardo!
- Quando pensavi di dirmelo?
- Dirti cosa Beckett? Sono tantissime le cose che devo dirti ancora!
- Basta Castle, non ho nessuna voglia di scherzare o giocare. Quando mi avresti detto che sono incinta? Tu lo sapevi vero? È... È nostro figlio? - non riuscì a rimanere impassibile, quella parola che uscì dalla sua bocca aveva reso tutto più reale di quanto non era fino a quel momento.
Rick si mise le mani sul volto. Non sapeva se era più preoccupato per la reazione di Kate o più arrabbiato con chiunque le avesse detto del bambino quando aveva specificato più volte che avrebbe dovuto essere lui a dirglielo e non avrebbero dovuto assolutamente farlo loro. Si prese ancora qualche secondo per risponderle, ma Kate era impaziente.
- Allora Castle? Almeno delle risposte me le merito, no? - disse asciugandosi le lacrime
- Perché te l'hanno detto? È successo qualcosa?
- Non è successo niente, volevo degli antidolorifici e non me li hanno dati perchè mi hanno detto che ero incinta. Ecco perché! Perchè mio marito non mi aveva detto niente. Quando me lo avresti detto Castle? Rispondimi!
- Ti prego Kate, calmati! È stato uno shock anche per me quando l'ho saputo. Certo che te l'avrei detto, avrei voluto dirtelo ieri subito, ma dopo aver visto la tua crisi di panico quanto ti ho detto che eravamo sposati ho voluto evitare di caricarti di emozioni forti. Io mi preoccupo per te, per voi. Kate pensi che per me è facile dirti tutto questo sapendo che tu non sai nemmeno chi sono? 
- Non l'ho scelta io questa situazione Castle! Non ho scelto io niente di tutto questo! Di non ricordarmi niente di noi e nemmeno del bambino! 
- Non potevi ricordarti del bambino, non lo sapevamo. Non avrei mai voluto che sapessi così di nostro figlio. - Rick parlava ma Kate non sembrava nemmeno ascoltare quello che lui le stava dicendo.
- Dio mio Castle! Dici di conoscermi così bene e non hai pensato che questa cosa mi avrebbe sconvolto? Che dovevo saperlo?
- Certo che l'ho pensato Kate! Proprio per questo non te l'ho detto subito! Avevo paura della tua reazione, che non ti facesse bene agitarti così! 
- Non dovrei essere agitata secondo te? Io non sono una persona adatta a crescere un bambino! In questa situazione poi... - scoppiò di nuovo a piangere e Rick tento di avvicinarsi per consolarla, ma appena percepì il suo tocco si scostò.
- Ho bisogno di stare da sola. Vattene Castle, per favore.
- Kate io...
- Per favore!
- Ok. Come vuoi tu. Nel tuo telefono c'è il numero del dottor Burke, lui ti conosce, ti aveva già aiutato. Se vuoi parlare con qualcuno chiamalo. - Castle si alzò ed uscì mestamente dalla stanza. Appena fuori si sentì svuotato, amareggiato. Tutto era andato nel peggiore dei modi possibili. Chiamò subito Jim per informarlo di quanto accaduto e chiedendogli se potesse andare lui in ospedale, perché, malgrado quello che le aveva detto Kate, non voleva che rimanesse sola. 

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Capitolo 7
*** SETTE ***


- Dottor Burke? Sono Richard Castle. Avrei bisogno di parlare con lei.
Il dottore aveva percepito l'urgenza nelle sue parole e gli aveva detto che aveva un po' di tempo libero quello stesso giorno, durante l'ora di pranzo, se per lui non era un problema. Castle lo raggiunse al suo studio e si accomodò sulla poltrona davanti a lui. 
- È la stessa? - chiese Rick appena seduto, facendo scorrere le mani sui braccioli in pelle, mentre il dottore lo guardava - è la stessa poltrona di quando veniva Kate?
Burke sorrise.
- È importante per lei questo particolare, Rick?
- No... Stavo solo cercando di capire come si era sentita qui, su questa grande poltrona a parlare di se, in quei giorni dopo che le avevano sparato.
- Non è la stessa, ma non è una poltrona che cambia la sostanza delle cose. Kate era più o meno nella sua stessa situazione di adesso. Lei è qui, con me, a parlare di se stesso poco tempo dopo che le hanno sparato. Come si sente Rick?
Fu sorpreso dalle parole di Burke. Lui non era lì per parlare di questo. Lui voleva parlargli di Kate, di come poteva riuscire ad interagire con lei, chiedergli un consiglio su cosa era meglio fare, perché doveva perdere tempo a parlare di come stava lui? Non era importante adesso.
- Io sono preoccupato, per Kate. Ha saputo del bambino da un'infermiera, mi ha aggredito, mi ha cacciato via. Glielo dovevo dire io, non mi hanno dato tempo, non lo doveva sapere così. - Parlò senza riprendere mai fiato, Burke lo ascoltava senza interromperlo. Annotava che, ogni cosa che Rick diceva, era sempre rivolta a Kate. Lui non era mai il protagonista di se stesso.
- Di cosa è preoccupato?
- Che Kate non si ricordi più di noi e che questa nuova o vecchia lei non voglia darci una possibilità, che non voglia buttare giù il suo muro, di nuovo.
- Lei come sta, Rick? - provò a chiederglielo di nuovo. Rick sembrò sprofondare ancora di più nella poltrona. Si accorse che in quelle settimane tutti gli avevano detto cosa fare e cosa non fare per il suo bene. Nessuno però gli aveva mai chiesto come stava.
- Come uno che ha rischiato di morire insieme a sua moglie, dentro casa sua.
- Sarebbe?
- Male. Fisicamente, mentalmente. Ho fatto rifare tutta la cucina, fino a ieri non ero più rientrato a casa. Quando l'ho fatto era già cambiato tutto. Pavimento, pareti, i mobili dovevano ancora arrivare. Ma se guardavo lì, vedevo quello che c'era prima. Vedevo noi due a terra, il sangue, Kate che respirava sempre più lentamente, le nostre mai strette fino alla fine. Lo vedo sempre. Ogni volta che chiudo gli occhi. Ero convinto che quando Kate si fosse svegliata sarebbe stato diverso, che avremmo potuto ricominciare una vita diversa insieme, che ci saremmo guariti a vicenda pensando al nostro bambino, al nostro futuro - Rick si interruppe, faceva fatica a parlare adesso sentiva un nodo in gola che gli rendeva difficile anche deglutire.
- E invece?
- Mi ritrovo solo. A combattere per due. Appena saputa la notizia mi sono detto, ok Rick devi solo ricominciare tutto da capo con Kate, ma è sempre lei, lo hai già fatto, puoi farlo di nuovo. Ora non lo so. 
- Cosa sta facendo con lei?
- Cerco di comportarmi come facevo con la Beckett di allora. Non voglio metterle pressioni.
- Per questo ha tolto la fede? - Aveva visto il segno sulla sua mano, che testimoniava la mancanza.
- Già, lei si era sentita a disagio vedendola. Le ho lasciate a lei.
- Ha lasciato tutto nelle sue mani, quindi. Perché? 
- Non voglio metterle pressioni, gliel'ho detto.
- Solo per questo?
- Ho paura che mi rifiuti.
- Cosa le ha raccontato di voi due?
- Che è mia moglie, che siamo sposati, che ci siamo conosciuti perchè lavoravamo a dei casi insieme.
- Solo fatti, quindi.
- Cosa altro dovrei dirle?
- I suoi sentimenti. Li dava per scontati? Lei non li conosce.
- Sì beh, davo per scontato che se eravamo sposati vuol dire che l'amavo, che la amo.
- Ma non glielo ha detto.
- No.
- Perché?
- Perché quando l'ho fatto e lei non era pronta è sparita per mesi e poi l'ho quasi persa. È buffo vero? Lo sapeva e faceva finta di non ricordarsi mentre ora non lo ricorda veramente. 
- Deve darle tempo Rick e non scoraggiarsi. Deve assimilare le notizie e la situazione. Lei meglio di chiunque altro dovrebbe sapere che non è facile risvegliarsi senza un pezzo della propria vita. E non parliamo di qualche mese. Ma deve anche darsi tempo. Non deve avere paura di mostrarsi debole, nemmeno con lei. Anche lei è ferito, in ogni senso. Anche lei ha bisogno di essere curato e curarsi. Negarlo non le farà bene. Lasciare Kate fuori dalle sue paure forse la proteggerà ma la allontanerà dalla realtà. 

- Katie! - Jim Beckett era entrato in camera della figlia dopo che aveva bussato due volte senza ottenere una risposta. Pensava che dormisse, invece era rannicchiata su un fianco, torturando un lembo della federa. Non piangeva, ma aveva sicuramente pianto. Lo vedeva dagli occhi e dal cuscino umido. - Non volevamo lo sapessi così! - si era seduto sul bordo del letto e le accarezzava i capelli. Lei non lo guardava, fissava un punto indefinito nel pavimento. Sul tavolo dall'altra parte della stanza c'erano ancora i caffè e i fiori che aveva portato Rick, come tutte le mattine e due vassoi di cibo intatti, segno che non aveva mangiato.
- Lo sapevi anche tu. Lo sapevate tutti? Ero io l'unica a non sapere di essere incinta? Avevate anche fatto una festa mentre ero in coma per caso? - non aveva un tono arrabbiato. Inespressivo piuttosto. Non lasciava trapelare nessun tipo di sentimento.
- Non lo sapeva nessuno Katie. Rick lo aveva detto solo a me, nel caso a lui fosse accaduto qualcosa ed io avessi dovuto prendere delle decisioni... per te. - Faticò a dirle quelle parole, cariche di tetri significati in nessun modo rassicuranti. Ora era passato ma solo ripensarci lo faceva stare male. Kate sembrò non comprendere nemmeno l'evidenza di un fatto pratico come quello raccontato dal padre. Semplicemente non accettava il fatto che per proteggerla nessuno le avesse detto subito una cosa che riguardava così profondamente la sua vita. Più dell'essere sposata o di qualsiasi altra cosa. Avevano deciso per lei quando era giusto che lo sapesse, secondo loro, lasciandola all'oscuro anche se solo per poco tempo di una cosa così importante. Per lei, invece, era la prima cosa che avrebbero dovuto dirle. Qualcosa tipo "Hai perso 7 anni di memoria e sei incinta". Sentendo il suo discorso anche solo mentalmente si trovò ridicola da sola, eppure avrebbe voluto veramente qualcosa del genere, magari lo shock le avrebbe fatto tornare la memoria subito.
- Katie, Rick non lo ha detto nemmeno a sua figlia. Capisci? 
- No papà, non capisco. Non capisco e non ricordo. Non so nulla.
- Perché non hai mangiato? Non ti fa bene e nemmeno al bambino.
- È questo il problema? Che se non mangio non fa bene al bambino?
- Katie... Non puoi stare senza mangiare. Ti devi riprendere. - fece finta di non cogliere il riferimento al bambino. Si alzò per prendere uno dei vassoi e notò subito la provenienza, non stupendosi particolarmente conoscendo Castle. Kate si girò cercando di mettersi seduta, non voleva far vedere a suo padre che aveva bisogno di aiuto e si sforzò più che poteva. Si stupì nel pensare che Castle si sarebbe accorto di quanto stava faticando e che l'avrebbe aiutata. Da dove le venivano quei pensieri? Da quello che avevano vissuto il giorno precedente, quando lui aveva fatto proprio così, o era un ricordo del suo inconscio? 
Mangiò, alla fine, quasi tutto. Aveva più appetito di quanto volesse ammettere anche a se stessa e quel cibo che le faceva arrivare Castle era veramente buono. 
- Perché lo hai mandato via senza neanche dargli il tempo di spiegare?
- Perché mi ha mentito, tu avevi detto che di lui mi potevo fidare e lui invece ha tradito la mia fiducia non dicendomi nulla di una cosa così importante che riguarda me.
- Riguarda voi. - la corresse.
- Io... Non so cosa voglio fare.
- Katie, pensa bene a quello che vuoi fare. Ma fai attenzione a non fare qualcosa della quale potresti pentirti per tutta la vita, appena ritroverai la memoria.
- E se non la ritrovassi più? E se questi anni fossero spariti per sempre? Cosa dovrei fare in quel caso? 
- Non è una decisione che spetta a me. Io ti dico solo di considerare tutti gli aspetti. 
- Papà, Castle ha detto che prima del nostro ferimento non lo sapevamo. Secondo te è possibile che io lo sapessi e non gli abbia detto nulla per qualche motivo?
- Per quello che hai fatto, per come ti sei comportata in quei giorni, lo escludo. Non ti saresti mai esposta a certi pericoli, ne sono sicuro. E non saresti riuscita a tenere nascosta una notizia del genere a tuo marito.
Quelle parole la rassicurarono almeno in parte. Il pensiero di credere di stare per morire sapendo di essere incinta e senza aver detto niente a suo marito le aveva fatto provare angoscia per quella lei sconosciuta, come se il pensiero di stare per morire non dovesse essere già abbastanza terrificante di suo.

Jim vide l'anello di sua moglie sul comodino di Kate.
- Ti ha detto Rick che ce l'hai fatta?
- Sì mi ha detto qualcosa, senza troppi particolari.
- Sei stata testarda Katie, come sempre, hai rischiato la tua vita e la tua carriera più volte, ma alla fine ce l'hai fatta. Tua madre è orgogliosa di te.
- Vorrei fosse qui. Soprattutto adesso. 
Erano molte le occasioni in cui aveva sentito la mancanza della madre, non c'era giorno per quel che ricordava, che non avesse percepito forte la sua assenza: c'era sempre qualcosa nel suo quotidiano che le riportava la memoria a prima di quella notte che la segnò per sempre: un profumo, una scena, una frase... Trovava Johanna in ogni madre che si prendeva cura amorevolmente dei propri figli ogni volta che andava al parco a correre, la vedeva in ogni persona che si batteva per la giustizia andando avanti nonostante le difficoltà, in ogni donna che guardava il marito con amore e dolcezza.
Si chiedeva sempre se lei fosse stata abbastanza per renderla fiera, se faceva veramente tutto quello che poteva e che era giusto fare. Le avevano detto che in questi anni aveva combattuto per ottenere quella giustizia che avevano negato a sua madre per troppo tempo e trovava profondamente ingiusto non potersi ricordare le sensazioni provate in quel momento. Si chiedeva se era arrivato veramente quel senso di sollievo che aveva sempre sperato di ottenere. Che cosa aveva provato nell'uccidere il suo assassino o nel trovarsi davanti al mandante del suo omicidio? Non riusciva ad immaginarlo.

Guardò suo padre, stanco sulla poltrona, anche lui perso nei suoi pensieri come lei: era sicura che stessero pensando alla stessa persona. Era pomeriggio inoltrato, gli disse di andare a casa. Poteva stare da sola per un po', anzi ne aveva bisogno. 
Jim la capì. Non che lui non fosse apprensivo nei confronti della figlia, ma al contrario di Rick, capiva la sua necessità di solitudine per elaborare tutto quello che le stava accadendo. 
- Non dubitarne Katie, la tua mamma è fiera di te.

Una volta sola provò a rialzarsi, ce la doveva fare, anche usando quel coso, almeno per ora. Riuscì non senza fatica a rimettersi in piedi, ma le era sembrato più facile che la mattina. Desistette però dal camminare.
Prese il telefono, avrebbe voluto chiamare Castle, almeno per scusarsi. Forse sarebbe stato meglio mandargli un messaggio, ma non sapeva cosa scrivergli per non dare un'idea sbagliata dei suoi intenti. Ci pensò troppo ed alla fine cambiò idea. Alla fine prese il libro di Storm e lo lesse fino a notte fonda, non voleva pensare a nulla per un po’: sapeva che il giorno dopo tutto si sarebbe ripresentato, ma per qualche ora voleva essere solo quella che credeva di essere, non la donna che dicevano gli altri, cercando la sua personale consolazione tra le pagine del suo scrittore preferito, tralasciando il fatto che era anche suo marito. Come tanti anni prima, ancora adesso i suoi libri la aiutavano a stare meglio, a non pensare ai suoi problemi. Se avesse creduto ai segni del destino, questo doveva necessariamente esserlo. Ma lei non ci credeva. Forse.

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Capitolo 8
*** OTTO ***


Si era illusa che le sarebbe bastato non volerci pensare e farsi vincere dalla stanchezza per riuscire a dormire. Si svegliò, invece, di soprassalto e un'infermiera entrò di corsa nella sua stanza. Non si era nemmeno accorta di aver gridato nel sonno o appena aveva aperto gli occhi. Era tutto così confuso ma sembrava drammaticamente reale.

L’erba sotto di me.
Freddo, tanto freddo e dentro al petto un dolore lancinante. 
Le mie mani, guanti bianchi, rosso sangue, blu occhi e cielo. 
Urla, grida.
“Kate! Kate! Kate!”
Poi silenzio. 
I colori intorno si smorzano.
Dove sono i colori?
Tutto grigio. Tutto buio
Solo la voce di Castle rimbomba ovunque nel silenzio scuro della mente.
Non riesco a muovermi, ad aprire gli occhi.
Non capisco Castle, cosa dici?
La sua voce è confusa, un suono terrorizzato.
Terrore, anche il mio.
Silenzio, di nuovo. Totale.
“Libera! Libera! Biiiiiiiip”
“Resisti Kate!”
Un lampo nel buio.
Dove sono?
Una casa. Risate.
E poi freddo, di nuovo freddo.
Ancora sangue, ancora dolore.
“Castle!”
“Insieme, sempre”
Una mano stringe la mia.
Il bambino? Dov’è il bambino?
E’ lì, mi guarda, seduto su una pozza di sangue. Il mio.
Ride e gli sorrido.
Piange.
Non piangere! Non piangere!
Sta bene il bambino? Sta bene?
Non riesco a muovermi, a prenderlo, a toccarlo.
Ho paura. 
È solo.
Non può stare solo.
Ho paura.
Paura per me. 
Paura per lui.


Respirava a fatica anche dopo aver capito che era solo un sogno, un incubo. L'infermiera la guardava e le stava chiedendo cosa fosse successo, se stava bene, ma Kate non ricambiava il suo sguardo, che sembrava perso lontano oltre la luce del corridoio che invadeva la stanza. Si portò le mani sul ventre, istintivamente. Stava bene? Se lo chiedeva ancora, anche adesso che era sveglia.
Le domande dell'infermiera non cessarono fino a quando non le rispose che era solo un sogno, ma faceva fatica a calmarsi, era evidente che qualcosa l'aveva turbata profondamente.
La donna uscì e ritornò poco dopo con un bicchierino, le disse di bere e rilassarsi. Kate la guardò prima di mandare giù il contenuto.
- Stia tranquilla. Non faranno male al bambino.
Bevve e dopo poco si addormentò di nuovo. Profondamente.

L'infermiera che la svegliò ore dopo era un'altra, meno rassicurante di quella che era stata da lei durante la notte. La medicò e solo questo la rese meno simpatica ai suoi occhi e poi insistette perché si alzasse. Fu una fatica immane ma lo fece, stava dritta, in piedi, appoggiata a quel coso e la guardava con un'espressione di sfida: visto? Ce l'ho fatta. Sono in piedi. 
Fece anche qualche passo e le sembrò di aver fatto una delle sue solite lunghe camminate. In piedi osservava la stanza. Sul tavolo c’erano ancora i due bicchieri di caffè e i fiori che Castle le aveva portato la mattina precedente, ormai appassiti, uguali a quelli nel vaso vicino al comodino. Erano gigli, lui lo sapeva, non poteva essere una casualità. L’infermiera notò il suo sguardo attento mentre sistemava la sua camera.
- Suo marito le ha portato tutti i giorni fiori freschi e caffè. 
Kate sorrise e si mise seduta sul letto. La sua autonomia limitata era già finita e sentiva il bisogno di stendersi di nuovo, cosa che fece molto lentamente.
Guardò l’orologio, era più tardi di quanto pensasse, non che avesse appuntamenti in agenda, ma era convinta che Castle sarebbe arrivato con il caffè, come le due mattine precedenti, invece non c’era.
Fu felice quando sentì bussare alla porta e non riuscì a nascondere un po’ di delusione nel vedere suo padre che se ne accorse e sorrise.
- Pensavi fossi qualcun altro Katie?
Non gli rispose e si morse il labbro, colta in flagrante.
- Lo hai chiamato?
Scosse la testa.
- Io devo andare Katie, mi dispiace. Ho un’udienza in tribunale. Ci vediamo stasera.
- Non ti preoccupare papà, non scappo da qui! - Riuscì a fargli un sorriso dei suoi, di quelli che avevano aiutato Jim a non lasciarsi andare nei momenti peggiori. Le diede un bacio sulla fronte ed andò via.
Una volta sola le immagini confuse del suo incubo notturno tornarono nella sua mente insieme alle stesse sensazioni di paura e dolore. Più passava il tempo, più prendeva coscienza della vita che stava crescendo in lei e questo aumentava la percezione di ogni cosa. La paura era più intensa, il dolore era più forte. C’era un’altra sensazione, però, che si faceva strada dentro di se, anche se la scacciava via, perché non voleva che anche l’illusione diventasse più amara: era la speranza. La vivida speranza che ci fosse una possibilità, anche per lei.
Prese il telefono sfogliò la rubrica e poi lo chiamò.
- Dottor Burke? Sono Katherine Beckett. So che lei mi conosce…
Il dottore fu felice di sentirla, già il fatto che l’aveva chiamato implicava che lei avesse intenzione parlare e conoscendola questo era già un enorme passo avanti. Sarebbe andato lui da lei in ospedale il pomeriggio seguente. 

Continuò ad aspettare Castle tutta la mattina, ma quando arrivò Luke, il ragazzo del Four Season che ormai aveva imparato a conoscere, con il suo pranzo e vide un solo vassoio, per lei, capì che Rick non sarebbe venuto. 
Aveva trascorso una sola giornata con lui. Solo un giorno. Perché le mancava così tanto la sua presenza? Provò razionalmente a spiegarsi che le mancava perché era sola, perché lui le raccontava parti della sua vita, cosa che non faceva nessun altro. Non che vedesse molta gente, ma nemmeno suo padre le aveva mai detto niente. Sembrava che fosse lui l’unico incaricato di raccontarle il suo passato, perché era uno scrittore narrare storie era il suo mestiere?
No, non era solo per quello che le mancava. Le mancava e basta. Ma non se lo sarebbe detta. Non adesso. Non ancora.

- Ciao splendore! - Lanie era entrata nella stanza con tutta la sua energia. - Quanto pensi di stare ancora lì senza fare nulla?
- Hey ciao! Sono felice di vederti! Vorrei tanto alzarmene ed andare via di qua. Tornare a casa con una tazza di caffè caldo e sprofondare nel mio divano.
Lanie la guardò sorridendo.
- Che c’è? Cosa ho detto? - Chiese Kate alla sua amica
- Niente. Stavo solo pensando che la tua casa ha un divano enorme nel quale puoi sprofondare insieme al tuo scrittore. - Kate la guardò minacciosa. - Tesoro, hai un’idea vecchia della tua casa! La tua casa ora è “wow”!
Kate si rabbuiò. La sua casa non esisteva più. Ora aveva un’altra casa oltre che un’altra vita.
- Non ci avevi pensato tesoro?
- Veramente no… 
- Il tuo scrittore dov’è?
- Non lo so. 
- Che vuol dire “non lo so”?
- Abbiamo discusso ieri mattina e gli ho detto di andarsene.
- Non ci credo! Castle ti ha ubbidito!
- Lo ha fatto.
- È la prima volta probabilmente Kate, credimi!
Roteò gli occhi pensando che aveva trovato proprio la volta peggiore per darle ascolto. 
- Che è successo, come avete fatto a litigare anche qui? - Chiese Lanie preoccupata. Si vedeva che Kate era dispiaciuta della cosa.
- Mi ha tenuta nascosta una cosa.
- Tesoro, hai perso la memoria, penso che ti ha tenuto nascosta più di una cosa.
- Lanie, sono incinta.
Boom! Lo aveva detto. Guardava la faccia di Lanie con gli occhi spalancati e la bocca aperta che la fissava senza dire niente. Lo aveva detto ed era stato un altro passo per renderlo più reale. 
- Katherine Beckett se te lo ricordassi ti chiederei perché non mi avevi detto nulla! - Le disse mentre l’abbracciava cogliendola di sorpresa
- Castle dice che non lo sapevo. Tu pensi sia possibile?
- Tesoro credo che lo scrittore abbia assolutamente ragione, stranamente. Come ti senti?
- Non lo so. Non ricordo niente della mia vita, mi ricordo di essere una ragazza e mi trovo donna, moglie e prossimamente madre. Avrò un figlio e non mi ricordo nulla di mio marito. Come dovrei sentirmi secondo te?
- Hai tutto il diritto di sentirti uno schifo, però mio Dio Kate! Un bambino! Diventerai mamma! Immagino Castle sarà felicissimo.
Kate si rabbuiò. Non sapeva come si sentisse Castle, non glielo aveva nemmeno chiesto. Non gli aveva chiesto nulla, non gli aveva fatto nemmeno una domanda. Niente.
- Non so ancora cosa diventerò Lanie… Non so cosa fare. Non so nemmeno cosa ne pensa lui. È tutto così confuso. Vorrei capire cosa provo e non so neanche quello, non se le cose che provo io sono quelle che avrei provato qualche settimana fa, ho paura di farmi del male da sola.
- Dolcezza, parla con Castle, lui sarà al settimo cielo per questo bambino, lui adora i bambini! Mi sembra impossibile che tu non ti ricordi ti lui il vostro legame e la vostra connessione è così forte!
- Non sai quanto vorrei ricordarlo…
Una chiamata interruppe la loro chiacchierata. C’era stato un omicidio ed era richiesta la presenza dell’anatomopatologa. Lanie notò che la Kate si era di nuovo incupita e lesse nel suo volto rabbia e nostalgia. Si raccomandò di non dire a nessuno della novità e di salutargli Esposito, Ryan ed anche il capitano Montgomery. Fu colpita dalle sue parole, glissò dicendo che avrebbe salutato tutti, la abbracciò ed uscì chiudendo bene la porta pensando che sarebbe stato difficilissimo spiegarle tutto. 
Castle la prese per un braccio e la portò nel corridoio adiacente.
- Allora? - Le chiese ansioso Rick
- È confusa e spaventata. - Rispose Lanie
- Ti ha detto nulla di me?
- Nulla di specifico Castle, mi ha detto che avete discusso, sembrava dispiaciuta. Credo che le farebbe piacere vederti. Devo scappare ora, c’è stato un omicidio e i ragazzi mi stanno aspettando. 
Si salutarono e lui tornò seduto fuori dalla sua stanza, dove era da quella mattina, in attesa che lei lo chiamasse: da quando Jim lo aveva avvisato si era precipitato lì, aveva pensato di entrare da lei, aveva bisogno della sua presenza per respirare di nuovo e la doveva vedere perché doveva essere lui ad accertarsi che stesse bene: nessuno sapeva capire come stava quanto lui. Non era importante che lei non si ricordasse di lui, era lui che la conosceva e che sapeva di cosa avesse bisogno. Qualcuno forse lo metteva in discussione?
Si stava fisicamente forzando per non entrare lì dentro, ma voleva che fosse lei a cercarlo, quando riteneva di essere pronta a vederlo di nuovo, a parlargli. Si mordeva le mani per non andare lì ad aprire quella porta, andare vicino al suo letto e pregarla, anche in ginocchio se fosse stato necessario, di ascoltarlo e di dargli una possibilità di farle conoscere il loro mondo, la loro vita. 
Mostrò molto più autocontrollo di quello che pensava di avere e rimase lì con i suoi pensieri. Doveva raccontare a Kate la loro vita, era una storia, in fondo. Era il suo lavoro. Doveva fare una scaletta, scegliere gli eventi più importanti e narrare i fatti. Pensò, però, che era impossibile scegliere quali fossero gli eventi più importanti, perché per lui era tutto importante, ogni singolo caffè bevuto insieme, ogni stretta di mano, ogni abbraccio, ogni carezza non erano certo meno essenziali ai fini della loro storia delle situazioni più considerevoli: ogni gesto era un passo che li aveva uniti e che li faceva camminare nella stessa direzione. Come sarebbe riuscito a spiegarle il valore delle loro dita che si sfioravano tra le sbarre della cella del distretto quando lo aveva arrestato per omicidio? Come avrebbe fatto a farle capire il significato del loro “per sempre”, che non era una promessa ma molto di più? Come avrebbe descritto la potenza di un abbraccio nel quale trovare conforto, riparo e ritrovare la propria umanità? Come sarebbe riuscito a trasmetterle i brividi che provava quando le loro dita si intrecciavano e le loro mani si stringevano?
Avrebbe dovuto scrivere un libro solo per lei, forse gli sarebbe venuto meglio mettere tutto nero su bianco tutto piuttosto che parlarle per poi inciampare nei suoi soliti discorsi sconclusionati nei quali volava da un argomento all’altro seguendo la sua fantasia come gli capitava ogni volta che era con lei e la sua mente non era più in grado di seguire un filo logico.

Rimase lì ancora, fino dopo l’ora di cena, quando uscì l’infermiera dal suo turno di visite per comunicargli che aveva mangiato quasi tutto quello che lui le aveva fatto portare, facendosi specificare bene cosa volesse dire quel quasi. Ammise con se stesso che stava esagerando. La donna però, forse sentendosi in colpa per la rivelazione inopportuna del giorno prima, gli disse che l’unica cosa che non aveva mangiato era stato il dolce. Castle ne fu sollevato, ma si appuntò mentalmente che doveva dire al catering che quel dolce non glielo dovevano più portare.
La rabbia che aveva provato il giorno prima per quella donna che lo aveva messo in una situazione così spiacevole era man mano scemata ed ora la ringraziava anche per tenerlo informato su quello che faceva sua moglie. Sorrise quando le disse che l’aveva lasciata in camera a leggere il suo libro. Controllò l’ora, era tardi, cominciava ad aver fame ed essere stanco anche lui. Decise di tornare in hotel pregandola di avvisarlo per qualsiasi cosa fosse successe a Kate, a qualsiasi ora.

Quando entrò nell’ascensore che lo avrebbe portato al piano dove si trovava la sua suite tutto quello che desiderava era chiamare il room service, farsi portare un poco sano cheeseburger con tante patatine, farsi una doccia e poi dormire.
I suoi programmi, invece, furono del tutto rovinati quando entrando in camera trovò le luci accese, la musica ad invadere l’ambiente ed una donna che sorseggiava un martini sdraiata sul divano.
- Madre!
- Richard sono felice che almeno ti ricordi chi sono! - Disse Martha portandosi in una posizione più composta.
- Pessima battuta madre, soprattutto in questo momento. Veramente pessima - disse buttando la giacca su una sedia e sedendosi nella poltrona davanti a lei.
- Perdonami Richard, non era mia intenzione. Volevo solo dire che sono giorni che non ti fai sentire.
- Avevo detto ad Alexis di aggiornarti.
- Lo ha fatto, ma volevo sapere come stai tu!
- Benissimo! Kate non si ricorda che esisto ed ora non vuole nemmeno vedermi. Come dovrei stare, secondo te?
- Oh Richard… - Martha si avvicinò a lui con il suo solito fare melodrammatico.
- Non ora madre… Ma tu come fai ad essere qui? Chi ti ha fatto entrare?
- Bob è un grande amante del teatro ha detto di aver visto molti miei spettacoli, non poteva dirmi di no!
- Chi è Bob?
- Il tuo maggiordomo! Stai qui da quanto? Quasi tre settimane e non conosci il maggiordomo della tua suite?
- Non sto molto tempo qui, a dir la verità, dovresti saperlo. Hai fame? Vuoi farmi compagnia?
- Certo figliolo, volentieri.
Così i suoi propositi di cheeseburger poco sani saltarono ed ordinò una selezione di formaggi francesi e delle insalate per lui e per sua madre. Il tutto ovviamente accompagnato dal ottimo vino d’annata per la gioia di Martha.

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Capitolo 9
*** NOVE ***


Quella notte gli incubi di Kate erano tornati, sempre uguali, sempre con gli stessi flash di immagini, le stesse sensazioni di paura e dolore, le stesse voci, le stesse urla.
Si era svegliata di nuovo di soprassalto nella notte che in realtà era più mattina presto, perchè sentiva già cinguettare gli uccellini fuori dalle finestre: le piaceva quel suono di vita nel buio della sua stanza di ospedale.
Aveva rinunciato a chiamare un'infermiera per dormire, un po' per l'orario, un po' perchè pian piano si sentì sopraffatta dalla nausea. Pensò che forse la sera prima aveva mangiato qualcosa di troppo pesante, ma si diede della stupida da sola pochi istanti dopo. Era lui che manifestava la sua presenza, nel caso lei facesse finta di nulla o si volesse dimenticare che era lì. Si rilassò o almeno ci provò, mettendosi l'anima in pace che per i prossimi tempi sarebbe stato così. Aveva già deciso quindi?

La mattina si svolse ormai con la stessa routine, si alzò, fece qualche passo, evitò di fare colazione perchè altrimenti credeva avrebbe vomitato qualsiasi cosa avesse messo sotto i denti. Jim era passato come sempre a salutarla, l'infermiera a medicarla poi erano arrivati più medici del solito per accertarsi delle sue condizioni. La avvisarono che nei giorni successivi avrebbe dovuto fare degli esami per controllare che tutto procedesse bene. Per lei per il bambino. Conobbe quella mattina il ginecologo che l'aveva seguita che la voleva tranquillizzare sulle sue condizioni leggendo l'inquietudine nel viso di Kate. Le aveva ripetuto più volte che quello che era successo era quasi un miracolo, che anche lui stentava a crederci, viste le sue condizioni, quando lo avevano chiamato. Seguiva tutto quello che le veniva detto con attenzione, cercando di capire dalle loro parole cosa le era successo di preciso, visto che nessuno ancora glielo aveva detto e lei non aveva nemmeno il coraggio di chiederlo, perennemente sospesa tra la voglia e la paura di sapere.

Quando i medici uscirono si mise seduta sul suo letto nonostante i dolori. Da lì poteva osservare meglio la sua stanza. Da quando avevano portato via tutti i macchinari era decisamente più accogliente. Si allungò fino al comodino per prendere la collanina con l'anello sia sua madre, la intrecciò tra le dita stringendola forte. Avrebbe avuto bisogno di tutta la forza e la serenità che lei avrebbe saputo darle, con il suo amore e i suoi consigli. I fiori nel vaso erano di qualche giorno prima ed avevano perso parte della loro freschezza: segnavano tristemente il tempo che era trascorso da quella, unica, giornata trascorsa con Castle. C'erano sempre anche le loro fedi lì sopra. Le prese in mano per la prima volta e mentre le osservava aveva cominciato a far scorrere un dito lungo il loro contorno. Trovava qualcosa di inspiegabilmente forte in quei due cerchi metallici: erano più di due anelli, più di due gioielli, avevano un'energia particolare, sentiva tutta la solennità della promessa che simboleggiavano e ne era intimorita. Non aveva mai pensato al matrimonio ma di una cosa era certa, lei era una persona da una volta sola nella vita e se aveva detto di sì a Richard Castle era perchè ne era profondamente convinta e quella fede era il simbolo dell'importanza dei suoi sentimenti e del suo impegno verso di lui. Sempre. E forse lei tenendole in mano e non avendole osservate attentamente non si era accorta che quel "Always" era inciso all'interno.

Nel tardo pomeriggio arrivò il dottor Burke a far visita a Kate, che ormai non sperava nemmeno più nell'arrivo di Castle. Si era chiesta per tutto il giorno dove fosse e perchè non si faceva vedere, ma la risposta la sapeva: era per colpa sua, per quello che gli aveva detto, dimenticandosi che lui in tutta questa situazione era emotivamente coinvolto tanto quanto lei e lui i suoi sentimenti li ricordava tutti e lei li aveva maltrattati. 
Mentre il dottor Burke era seduto sulla poltrona e la osservava, anche lei stava studiando il dottore, un po' come faceva con tutte le persone che non conosceva e che vedeva, o rivedeva, per la prima volta. Era una persona rassicurante, questo fu il suo primo pensiero.
- Ho bisogno di avere delle risposte - La voce di Kate era risoluta ma tranquilla.
- Io non le posso dare delle risposte, Kate. Al massimo la posso aiutare a porsi le giuste domande alle quali dovrà rispondere da sola.
- Come posso rispondermi se non so niente di me?
- Non è vero che non sa niente di se stessa. Non ricorda un periodo della sua vita.
- Tutti mi dicono che sono una persona diversa da quella che credo di essere. Io stessa vedendomi nelle foto, nei video, leggendo quello che scrivevo, sentendo quello che raccontano le persone non mi riconosco, non sono io, io non mi comporto così.
- È vero, lei non si comportava così, ma questo non vuol dire che non lo avrebbe potuto fare, se solo avesse voluto. Le piace quella persona che vede e che le raccontano? Cosa ha di diverso da lei?
- Sembra una persona felice e innamorata.
- Lei non lo è? Non dico adesso, ma quella lei che è nella sua memoria, non era una persona felice? Non si innamorava?
- Non lo so ma credo di no. Mi ero innamorata, forse, una volta. Ma sono stata male e non voglio più soffrire. Non più.
- Non pensa che valga la pena rischiare di soffrire per vivere felici ed innamorarsi?
- Il dolore per la perdita poi è troppo grande da sopportare. Avevo sempre pensato che non sarei mai potuta andare avanti nella mia vita se non avessi reso giustizia a mia madre. Ora mi dicono che l'ho fatto, ma io non lo ricordo ed è come se non fosse successo. Come faccio ad andare avanti?
- Quindi lei non vuole essere felice perchè ha paura di soffrire? Per questo nasconde le sue emozioni?
- Non le nascondo, cerco di proteggermi, per non farmi fare del male.
- Pensa che la donna che vede nelle foto avesse paura di soffrire?
- Non lo so. 
- Kate, lei ha paura di quella donna?
- Sì.
- Perchè?
- Quella Kate ha tanto da perdere. Un marito, una nuova famiglia.
- C'è una cosa che vi collega però... un bambino, vero Kate?
- Già... un bambino...
- Cosa prova per questo bambino?
- Non lo so. È una cosa così grande... A volte ci penso e non mi sembra nemmeno che sia mio. È il bambino di quella Kate, non il mio. Poi ho fatto un sogno e non so se era qualcosa di reale che mi era successo o solo delle immagini senza senso ma io stavo male e c'era anche Castle e poi c'era il bambino ed avevo paura perchè non riuscivo a raggiungerlo e Castle mi parlava e io non lo capivo... - Si stava agitando nel ricordare quel sogno, si portò una mano al petto, lì dove sentiva l'origine di tutto il suo dolore. Il dottor Burke la interruppe, le diede dell'acqua da bere e lei si tranquillizzò.
- Con calma Kate. Cominciamo dall'inizio, che cosa ha sognato di preciso?
- Non era qualcosa di chiaro. Erano delle immagini, delle sensazioni. Dolore al petto, freddo. Ero sdraiata sull'erba, avevo le mani con dei guanti bianchi sporchi di sangue. Castle mi parlava ma io non capivo. Poi era tutto buio e la sua voce continuava, aveva paura anche lui ma non capivo quello che mi diceva, non lo capivo.
- Le ricorda qualcosa tutto questo?
- No, non lo so... Dovrebbe? - Non le rispose.
- Cosa altro c'era nel sogno?
- C'ero sempre io, a terra, in una stanza e qualcuno mi stringeva la mano ed io chiamavo Castle. C'era tanto sangue a terra e sul quel sangue c'era un neonato che rideva e poi piangeva ed io volevo prenderlo ma non ci riuscivo ed avevo paura. - Kate cominciò a piangere - Avevo paura per il bambino, perchè era solo. Non posso lasciarlo solo.
- Non lo lascerà solo, Kate. Lei non lascerà solo il suo bambino. 
- Non voglio che soffra come me. - Il dottor Burke annuì, le prese una mano per cercare di rassicurarla.
- Ha paura che il suo bambino soffra come lei per sua madre? - Kate annuì. Era già quasi morta, con il suo lavoro poteva capitarle ancora. Cosa ne sarebbe stato di quel bambino? Avrebbe messo al mondo un altro bambino che rischiava di soffrire come lei perchè un giorno qualcuno gli avrebbe detto che avevano ucciso anche la sua mamma? Non sarebbe stato giusto, nessun bambino lo avrebbe meritato. - Per paura di soffrire, non può nascondere dietro al suo muro oltre che la possibilità di essere felice, anche i suoi ricordi. Se non vuole ricordare, non ci riuscirà mai. Se ha paura di quella Kate che vede perchè lei è felice, la terrà sempre lontana da se. E non è giusto per lei, per le persone che la amano e nemmeno per il bambino.

La conversazione di Kate con il dottor Burke era durata più di quanto si aspettassero entrambi. Beckett era stanca e svuotata ma era riuscita a dirsi cose che faticava ad ammettere: aveva paura di ricordare. Ebbe la sensazione più di una volta che Burke sapesse esattamente di cosa lei stesse parlando, come se quei discorsi li avessero già fatti e pensò che probabilmente era così. Si chiesa cosa l'avesse spinta ad andare in terapia e chiedere aiuto per riuscire ad abbattere i muri che la proteggevano. Qualunque cosa fosse stata era stata molto forte, l'aveva cambiata profondamente.
Era anche certa che lui sapesse con assoluta certezza cosa rappresentava il suo sogno ma che volutamente non glielo aveva detto per spingerla a cercare ricordi nella sua mente. Se era così voleva dire che lei quelle sensazioni le aveva vissute, che quel terrore che aveva sentito lo aveva realmente provato e che Castle era lì con lei, perchè era lui l'unica figura reale che sognava in mezzo alla sua angoscia.

Aveva mangiato ancora una volta da sola. Luke anche quella sera aveva portato la cena solo per lei.
Benché sola si gustò quel filetto di branzino con le verdure grigliate ed anche la vellutata di verdure: alimenti sani e nutrienti come consigliato dai medici. Era certa, invece, che il tortino al cioccolato era uno degli strappi alla regola suggeriti da Castle.
Suo padre la chiamò, era dovuto andare fuori città per un caso urgente e si sarebbe trattenuto un paio di giorni. Era passato un altro giorno e Castle non si era fatto nè vedere nè sentire. Le venne anche il dubbio che potesse non stare bene, in fondo anche lui era stato ferito insieme a lei e quei giorni per starle vicino si era sicuramente affaticato molto. Si stava preoccupando per lui?
Quando venne l'infermiera Kate provò ad alzarsi di nuovo e fece qualche passo ancora nella sua stanza, qualcuno in più rispetto alla mattina, le sembrava una gran cosa. Si mise di nuovo a letto e controllò l'ora. Erano le 20:00 passate, si sentiva stanca e assonnata, ma non voleva dormire. Aveva paura che come avesse chiuso gli occhi sarebbero tornate quelle immagini e quelle sensazioni che ormai vedeva ogni volta, tanto che si stava quasi abituando da trovarle familiari, senza che però vedesse qualche dettaglio aggiuntivo, qualcosa che le facesse capire di più. Prese il suo libro, avrebbe letto almeno fino a quando non fosse stata sicura di essere esausta. L'occhio gli cadde sul retro di copertina con la faccia sorridente di Castle. Afferrò il cellulare e cercò il suo numero.

"Se non hai da fare, domani puoi passare in ospedale? Vorrei parlarti. 'Notte KB"
Schiacciò su invio. La risposta non tardò ad arrivare.
"A domani. R.
Rimase interdetta a leggere quel messaggio. Scorse i messaggi trovando quelli più vecchi ed erano tutti di altro tenore. Si chiese cosa potesse pretendere, era ovvio che scrivesse a sua moglie in modo diverso di come scriveva a lei. Però le dispiaceva. 
Fu tentata da mandargli un altro messaggio, lo provò anche a scrivere più volte ma poi desistette. Lo avrebbe rivisto la mattina dopo, non era tanto tempo in fondo.

- Dai papà, andiamo adesso.
Castle era con il cellulare in mano, aveva appena inviato la sua risposta a Kate, camminava nervosamente per il corridoio. Voleva aspettare ancora qualche istante nel caso le scrivesse ancora. 
- Papà? - Alexis era seduta e lo stava aspettando. Le aveva promesso che sarebbero andati a cena insieme quella sera, non si erano visti molto in quel periodo e quando si erano visti non erano riusciti ad avere il loro solito rapporto. Alexis percepiva che in suo padre c'era qualcosa di diverso, una preoccupazione e un'ansia diversa dal solito. Certo, prima era preoccupato per la situazione di Kate e adesso per la sua amnesia, ma era certa che non fosse solo quello. Lo vedeva più spento, all'erta. Quello che aveva passato non era stato certo facile, gli avevano sparato insieme a sua moglie, eppure non era la sua prima disavventura "seria". Non lo ricordava così nemmeno quando era tornato dopo essere sparito per due mesi senza memoria e con varie cicatrici sul corpo. Era preoccupata per lui.
Castle, dal canto suo, sapeva di aver un atteggiamento forse anche troppo duro con la figlia, ma non capiva come mai nessuno riuscisse comprenderlo fino in fondo, lo aveva detto anche a Burke. Nessuno aveva capito la sua angoscia per non essere riuscito a tenere al sicuro sua moglie, la sua famiglia, dentro la loro casa. Nè la paura di perderla che giorno dopo giorno si amplificava e lo consumava e poi, adesso, il suo smarrimento nel non avere più la sua Kate, la sua àncora, la donna che aveva cambiato la sua vita. Lui era grato a sua figlia e a sua madre per essersi sempre interessate delle sue condizioni, di essergli stato vicino quando era stato ricoverato ma si chiedeva come mai non riuscissero a comprendere che la sua vera preoccupazione era sua moglie e che per stare bene aveva bisogno di lei.
Si era ritrovato a pensare più volte, in quei lunghi giorni solo al capezzale di Kate se la sua famiglia avesse mai compreso realmente fino in fondo quanto fosse forte il rapporto tra lui e sua moglie, a volte gli sembrava che in realtà nessuno fosse in grado di capirlo tranne loro due, solo loro due sapevano quanto erano indispensabili l'uno per l'altra ed adesso, invece, lo sapeva solo lui.
C'era, poi, il discorso del bambino che lo turbava, avrebbe dovuto dirlo ad Alexis ma voleva prima parlarne con Kate per chiederle il permesso per dirlo a sua figlia. 
Non arrivarono altri messaggi, diede la mano ad Alexis che si alzò dalla sedia nel quale lo aveva aspettato. La abbracciò e insieme uscirono dall'ospedale.
- Papà... 
- Dimmi piccola
- Non credo ti faccia bene stare tutto il giorno fuori dalla stanza di Kate
- Lo so Alexis, ma non posso stare in nessun altro posto. 
- Papà, spero che un giorno potrò dire la stessa cosa della persona della quale sono innamorata.
- Te lo auguro, piccola mia, vorrà dire che sarà la persona giusta e che io molto a malincuore dovrò lasciarti andare da lui.
- Vedrai che Kate ritroverà la memoria, non può non ricordarsi di te, sei indimenticabile!
- Grazie pumpkin.

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Capitolo 10
*** DIECI ***


Quando la sera prima gli era arrivato il messaggio di Beckett, Castle in realtà aveva già deciso quello che avrebbe fatto. 
Le aveva lasciato spazio per un paio di giorni, l’aveva assecondata, aveva compreso il suo desiderio di stare sola e di non averlo vicino. Però non l’avrebbe lasciata isolarsi. Non questa volta. C’era già passato ed erano trascorsi mesi prima che Kate si fosse fatta viva di nuovo con lui. Questa volta non lo avrebbe permesso. Le avrebbe imposto la sua presenza anche contro la sua volontà, se fosse stato necessario. Era sua moglie, era incinta di suo figlio, aveva tutti i diritti di starle vicino. Questa volta avrebbe combattuto con e per lei. Per loro. Non si sarebbe fatto allontanare ancora.

Bussò quasi timidamente alla porta della stanza e tutta la baldanza e le certezze che credeva di avere svanirono davanti alla possibilità che Kate lo avrebbe potuto allontanare ancora. Per poco non gli caddero dalle mani i caffè e i fiori nel vederla in piedi.
Si precipitò ad appoggiare tutto sul tavolo e andò da lei. Non sembrava molto stabile, ma vederla davanti a lui, sulle sue gambe e non sdraiata sul letto gli sembrava già un miracolo. La guardava con un'espressione imbambolata, alzò le mani per appoggiargliele sulle spalle, avrebbe voluto toccarla, abbracciarla stringerla a se ma si trattenne, lasciando le mani a mezz'aria e percorrendo la linea immaginaria del suo corpo senza sfiorarla, tenendosi distante.
- Ti vedo bene. - le disse sorridendo.
- Ho la nausea. - gli rispose disgustata.
- Mi dispiace. - Come se la unica causa del suo stato fosse lui.
- Dicono che è normale in questo periodo, Castle
- Sì, lo è. - Rispose lui sicuro come se fosse il massimo esperto mondiale di gravidanze e nausee mattutine.
- Ti ho preso un caffè se ti va. È decaffeinato, lo erano anche quelli dei giorni scorsi in realtà. - Parlava tanto, troppo, come suo solito, per rompere l’imbarazzo. Ma era il suo modo per dirle che lui pensava a lei ed anche al bambino, che non si doveva preoccupare, non l’aveva indotta in tentazione con la caffeina quando le avrebbe fatto male. Era un uomo previdente lui.
- Grazie Castle.
Lui vide i fiori appassiti e mentre lei si sdraiava di nuovo approfittò per cambiarli, con i nuovi gigli bianchi che le aveva portato. Non aveva mai lasciato che i fiori sfiorissero vicino a lei, non avrebbe dovuto farlo, erano tristi e in quella stanza di tristezza ce n’era già troppa. Le avrebbe dovuto mandare dei fiori freschi e farglieli cambiare da un’infermiera in quei giorni che lui non c’era stato, perché non ci aveva pensato?
Prese i caffè, li mise sul comodino e notò come aveva riposto le loro fedi al centro della collana con l'anello di Johanna. Fu felice di quel gesto forse involontario, ma sperò che sua madre li proteggesse e li aiutasse da lassù, era certo che lei facesse il tifo per loro.
- Come stai Castle? - Chiese Kate veramente preoccupata che non si fosse fatto vivo per motivi di salute.
- Ora bene Beckett.
- Sei stato male? - La sua risposta la allarmò di più.
- No, sto bene ora che sono qui, con te.
Beckett abbassò lo sguardo imbarazzata. Castle fino ad ora non si era mai esposto più di tanto sui suoi sentimenti, era rimasto molto discreto anche quando le aveva raccontato del loro matrimonio. 
- Di cosa volevi parlarmi Beckett? - Voleva arrivare subito al punto, per capire che direzione avrebbe preso quella giornata.
- Perché non sei più venuto? - Lo chiese senza pensare a come lui potesse interpretare quella domanda, non le interessava, voleva solo sapere perchè si era tenuto distante, e nel suo tono c’era quasi un rimprovero. Le aveva detto che ci sarebbe stato sempre, no? Lo aveva detto lui, se lo ricordava bene, almeno quello.
- Perché mi hai mandato via. - Non era sempre stata lei tra i due quella logica? Si chiese Castle mentalmente stupendosi della sua stessa risposta
- Mi hanno detto che non fai mai quello che ti dico.
- Infatti, è stata un'eccezione. Ma sappi che se vuoi mandarmi via ancora non ti ascolterò.
- Non voglio mandarti via Castle. Credo che abbiamo molte cose di cui parlare.
- Credo di sì.
- L’ho detto a Lanie - gli disse Kate senza riuscire a guardarlo negli occhi
- Cosa?
- Del bambino, ti dispiace?
- No, puoi dirlo a chi vuoi, è tuo figlio. - voleva essere accondiscendente però in realtà sì gli dispiaceva, ma capiva anche la necessità di parlarne con qualcuno
- E’ anche tuo figlio Castle, spero… - lo disse ironica ma non troppo
- Speri che sia mio figlio? - Questa volta non si fece sfuggire la possibilità di stuzzicarla
- Essendo tu mio marito, troverei abbastanza sconveniente per me, scoprire anche che non è tuo figlio ma di qualcun altro. 
- Ah, ok, quindi lo speri per mantenere la tua onorabilità
- Esattamente. - Asserì Kate cercando di essere il più convincente possibile.
- Solo per questo. - Insistette Castle.
- Sì. Certo - No. Ma non glielo avrebbe detto.
- Ok, mi pare ragionevole. Conoscendoti tenderei a rassicurarti su questo.
- Grazie Castle.
- Anche se io nel caso dovrei essere l’ultimo ad essere a conoscenza di altre tue frequentazioni. - Aggiunse Rick provocandola
- Così non sei d’aiuto Castle però eh! - Lui sorrise e lei capì che lo stava facendo apposta per infastidirla e suscitare delle reazioni, così come le avevano detto faceva sempre prima. Poi tornò serio, quell’uomo aveva la capacità di passare dall’essere un bambino dispettoso che le faceva venire voglia di sparargli se solo avesse avuto la sua pistola ad un marito amorevole nel giro di pochi istanti. E questa cosa in fondo le piaceva, perchè riusciva ad alleggerirle ogni notizia che le dava.
- Lo vorrei dire ad Alexis, mia figlia - specificò, nel caso non ricordasse che gliel'aveva già presentata - se tu sei d'accordo, ovviamente. 
- Non glielo hai detto?
- No Kate. - la chiamò per nome volutamente. Doveva farle un discorso più serio e personale e cercava un tono più confidente - Non sapevo cosa tu volessi fare. Non mi sembrava il caso di dirlo a mia figlia se poi... 
Castle si interruppe, non riusciva a dirlo, in realtà nemmeno a pensarlo. Kate alzò la testa di scatto ed ora sì, fissava negli occhi Rick e vedeva tutta la tristezza, la paura e la serietà del discorso che le stava facendo. Lei fece per parlare, ma lui la interruppe, chiedendogli di lasciarlo finire.
- Io ti capisco Kate. Le tue paure per questa situazione complicata. Ti trovi dentro una vita che non senti tua, con un marito che non conosci per il quale non provi nulla - Dio solo sa quanto gli fu difficile pronunciare quelle parole - ed in più scopri di aspettare anche un figlio da lui. Io ti amo Kate, anche se tu non te lo ricordi, i miei sentimenti per te non cambiano. Io voglio esserti vicino sempre, qualsiasi decisione tu voglia prendere, perché ti amo. Incondizionatamente. Ti chiedo solo di pensarci bene, perchè anche se non lo avevamo programmato, io sono sicuro che tu saresti stata felicissima di sapere di aspettare un bambino nostro, ne sono certo e non te lo sto dicendo per influenzare la tua decisione, non lo farei mai. Ti chiedo solo di pensarci. Pensaci, Kate, ti prego. Tu questo bambino lo avresti amato esattamente come lo amo io, come amo te.
Kate non aveva smesso di guardarlo per un istante. Avrebbe voluto rassicurarlo e consolarlo. Non aveva mai ricevuto una dichiarazione più bella e dolce. 
- Da quando ho saputo di essere incinta ogni volta che chiudo gli occhi e provo a dormire faccio sempre lo stesso incubo. Sono tante immagini che si susseguono, senza senso, ma evocano delle sensazioni che mi fanno rimanere senza fiato. L'incubo finisce sempre nello stesso modo. Io sdraiata a terra in una casa, qualcuno che mi stringe la mano e un neonato seduto in una pozza di sangue che piange ed io non riesco a muovermi per prenderlo. Ed ho paura per lui. Che non sia bene, che gli possano fare del male, che sia solo. 
- Non sarà solo Kate e nessuno gli farà del male, te lo giuro. Non permetterò più a nessuno di fare del male a te e alla nostra famiglia.
- È un sogno Castle? O sono ricordi?
- Dopo che ci hanno sparato, quando ci hanno trovati a casa, ci tenevamo per mano. Eravamo distanti. Tu ti sei trascinata fino a me e ci siamo presi per mano. Insieme, per sempre. - Era un ricordo allora. Era qualcosa che aveva vissuto. E allora anche il resto era vero? Ebbe un brivido, ma glielo avrebbe chiesto in un altro momento.
- Cosa hai provato tu Castle? Hai avuto paura? - Voleva sapere come si era sentito lui. Castle si sorprese di quella domanda. Nessuno dal giorno della sparatoria al loft gli aveva mai chiesto cosa avesse provato, nessuno gli aveva mai chiesto se avesse avuto paura. Era stata Kate la prima a chiedergli come si fosse sentito.
- Ho avuto paura solo che tu non ce la facessi. Non avrei resistito. Quando ho sentito la tua mano allentare la presa sulla ero terrorizzato.
Kate abbassò di nuovo lo sguardo. Come avrebbe potuto rispondere lei a tanto amore?
- Credo che per me è stata la stessa cosa. Vorrei solo ricordarmelo per potertelo dire. 
- Kate, non c'è bisogno che dici nulla. Tu non te lo ricordi ma io so cosa provavi per me e non ne ho mai dubitato, mai, nemmeno adesso, perché so che da qualche parte dentro di te c’è, lo devo solo trovare e fare in modo che tu lo possa ricordare.
- Rick - Castle provò un brivido a sentirsi chiamare per nome - lo puoi dire ad Alexis.
- Sei sicura Kate? Non devi decidere adesso, per quello che ti ho detto.
- Avevo già deciso, Castle. Ho paura, sono terrorizzata anzi. Non so come potrò fare, perché non riesco proprio a vedermi come madre, non so cosa sarà di noi. Però non sarei mai riuscita a decidere altro, anche se non riesco ancora a pensare a questo bambino come se fosse mio figlio, penso sempre che sia il figlio di quella Kate e non mio. È una cosa orribile lo so…
- È normale che tu sia confusa, che non sai cosa provi… Ce la faremo, farò di tutto perché noi possiamo farcela.
Kate vide gli occhi azzurri di Castle riempirsi di lacrime e non riuscì a trattenere nemmeno le sue. Non sapeva esattamente perché ma sentiva che stavano vivendo qualcosa di molto intenso e gli prese le mani tra le sue, cosa che sembrava impossibile visto quanto erano grandi quelle di Castle rispetto alle sue.
- Ci ho pensato Rick, non posso dirti di no. Mi sembrava la cosa più semplice. Poi mio padre mi ha detto che avrei potuto fare qualcosa della quale non mi sarei mai perdonata se avessi riacquistato la memoria e quella stessa notte ho fatto quel sogno. Non potevo farlo, mi capisci? Ho paura ma non potevo.
Lui la ascoltava senza dire nulla. Annuiva solamente. Non avrebbe mai immaginato di parlare così con Kate del loro bambino. Non era giusto, avrebbero dovuto vivere questo momento in tutt'altro modo, abbracciati a fantasticare cose assurde su di lui. Discutere sul sesso sul nome. Il nome! 
- Beckett, se è maschio... - lei lo guardò perplessa. Aveva appena finito i suoi dubbi e lui già stava fantasticando sul loro futuro. Chissà quante altre volte lo aveva già fatto in quelle settimane. Percepì che per lui era già molto più reale che per lei, ma aveva avuto anche molto più tempo per assimilare l'idea - ... Mi piacerebbe chiamarlo Cosmo.
- Castle - il suo sguardo diventò tagliente - non chiamerò mai mio figlio Cosmo. Scordatelo.
Rick rise di gusto e Kate non capiva perché, ma non le importava al momento. Lo aveva fatto ancora, aveva sciolto con una frase una situazione che rischiava di diventare troppo intensa per essere sopportata in quel momento. Sorrise anche lei e pensava che in fondo avere quello scrittore intorno non era poi così male, riusciva a rendere leggera ogni situazione facendola sentire meglio. Sì, gli era mancato, non c’era nulla di male ad ammetterlo.

Mangiarono, insieme e Kate si chiese quando avesse comunicato che avrebbero dovuto preparare per due. Lui si assicurò che lei mangiasse tutto, non aveva toccato cibo per tutta la mattina per colpa della nausea, ma ora stava mangiando con gusto e lui le diede anche una delle sue polpette che lei si stupì di volere veramente e non solo per capriccio, anzi forse ne avrebbe voluta anche un’altra. Era soddisfatto di vederla mangiare così, voleva dire che stava meglio. 
Dopo aver mangiato la stanchezza ebbe la meglio sul suo fisico ancora debole e provato oltre che dalle ferite anche dalle tante emozioni contrastanti che era costretta a vivere di continuo. 
Castle rimase tutto il tempo a guardarla dormire, uscì solo pochi minuti per parlare con i suoi medici per aggiornarsi sulle sue condizioni reali e fu rassicurato che tutto andava bene, almeno dal punto di vista fisico il suo decorso procedeva molto bene.

- Ho parlato con il dottor Burke - dissero all'unisono e Castle sorrise mentre Kate si stupì di quell'insolita situazione.
- Ci capitava spesso. - le rivelò vedendo lo sguardo confuso di sua moglie.
- Di dire le cose contemporaneamente? È inquietante Castle! - chiese Beckett sempre più perplessa
- Sì. Noi siamo connessi in qualche modo, dobbiamo solo ritrovare le frequenze giuste. - disse tutto molto seriamente, anche troppo e le strappò una risata, poi anche Kate tornò seria, pensando a quello che aveva detto.
- Castle, perchè hai parlato anche tu con Burke? - Chiese e si rese conto di essere stata anche troppo sfacciata, ma lui non si scompose
- Avevo bisogno anche io di fare chiarezza su alcune cose di quelle che sono accadute.
- Mi dispiace averti incasinato la vita
- Kate, tu la mia vita non l’hai incasinata adesso, ma tanti anni fa. Ed è la cosa più bella che mi sia capitata, mi devi credere.

- L'infermiera dice che devo camminare un po' - disse dopo un po’ indicandogli con uno sguardo il deambulatore - ma non voglio usare quel coso
La voce di Kate sembrava quella di una bambina che faceva i capricci. La risposta Rick la spiazzò completamente. Si aspettava che lui le facesse un profondo discorso sul fatto che doveva accettare di non essere autosufficiente, che ci voleva tempo, che era necessario… Invece non fece nulla di tutto ciò.
- No, no assolutamente, quello lo usano i malati, non lo puoi usare! - Le disse serio e irremovibile, allontanandolo in fondo alla stanza, più lontano possibile dalla loro vista. Lo avrebbe anche portato fuori dalla stanza, ma forse era troppo.
- Castle, io cosa sono secondo te? - Chiese Kate ritrovando la sua lucidità e raziocinio da persona adulta.
- Sei una persona in via di guarigione.
- Quindi praticamente ora sono malata. - Concluse logicamente il pensiero.
- Ehm sì, ma malato è un termine negativo, è triste e statico, non fa bene. Persona in via di guarigione è in movimento, proiettato al futuro e positivo. C'è la parola guarigione, da speranza.
Il suo discorso folle l'aveva quasi convinta a guardare le cose in modo diverso. Rimaneva il problema di usare quel coso per camminare.
- Se non lo uso non ce la faccio però. Non sono molto stabile, mi devo appoggiare
- Ci sono io! 
- Castle!
- Sono serio Beckett! Ci sono io per questo! Ti puoi appoggiare a me, come meglio credi. - Non era solo il suo appoggio fisico che le offriva, lei lo aveva capito ma aveva fatto finta di nulla.
- Non stai bene, sei stato ferito anche tu, non posso... - Cercò di prendere tempo.
- Non ho detto che ti porto in braccio in giro per New York - come avrebbe voluto fare se fosse stato bene, ma questo non glielo disse - solo che per camminare qui dentro ti puoi appoggiare a me e lasciare che io ti aiuti. Mi sembra un ragionevole compromesso tra il deambulatore da malati e fare tutto da sola.
Alla fine non le sembrava un'idea così malvagia anche se questo implicava un contatto tra loro più vicino di quanto non ci fosse stato fino ad ora. 
Si fece coraggio e si alzò appoggiandosi alle sue mani che la tenevano con fermezza mentre non smetteva di guardarla. Avrebbe detto che lo stava facendo con ammirazione ma non ne capiva il perchè. Quando si sentì sufficientemente stabile si mise al suo fianco destro e si aggrappò letteralmente al suo braccio. Rick con molta delicatezza si liberò da quella presa e lei per un attimo pensò che ci stesse ripensando magari gli aveva fatto male.
Lui, invece, con dolcezza le aveva cinto la vita con un braccio, per sostenerla, facendo bene attenzione con la mano a non andare a stringerla troppo o a non toccare le sue cicatrici. Le aveva viste solo una volta, quando ancora era priva di conoscenza, ma sapeva esattamente dove fossero. La sentiva molto magra e questo lo preoccupava. Doveva mangiare di più per riprendere forze e per il bambino. Ne avrebbe parlato dopo con i suoi medici così da modificare la sua dieta in quantità e qualità. 
Kate si sentiva imbarazzata di quella vicinanza e del suo abbraccio. "È tuo marito, sei incinta di suo figlio, ti ha molto più che abbracciata" si ripeteva mentalmente immaginando situazioni che non doveva immaginare. Certo per lui era tutto normale, la stava solo abbracciando, pensava Kate, senza capire minimamente cosa volesse dire per lui tenerla così vicina, percepire il suo corpo appoggiato sul suo fianco e doversi trattenere dallo stringerla a se e chiuderla tra e sue braccia. 
Camminarono per la stanza andando un paio di volte dal letto alla finestra fermandosi anche qualche minuto a guardare la vita scorrere fuori dai vetri, come sempre. Era una bella giornata, Kate pensò che le sarebbe piaciuto uscire respirare un po' di aria vera, anche lo smog, non le importava, era comunque qualcosa di più vivo dell'aria dell'ospedale.
Si stupì di quanta fatica in meno facesse a camminare con lui. Non sapeva se fosse solo una sua idea o era realmente così.
Mentre guardavano fuori, senza dirsi nulla, Kate si ritrovò a fare un gesto involontario nell'appoggiare la testa sul suo petto. Rick sussultò sia per la vicinanza inaspettata, sia perché, non sapendolo, aveva sfiorato proprio la sua cicatrice. Era la prima volta che qualcuno lo faceva, Rick pensò che non era un caso che fosse proprio lei a farlo. Kate si accorse del suo movimento e rialzò la testa di scatto, ma Castle appoggiò delicatamente la mano libera tra i suoi capelli, invitandola ad avvicinarsi di nuovo e la lasciò lì tenendola in qualcosa che poteva sembrare veramente un abbraccio. Respirò profondamente: tenerla così era molto più di quanto avesse potuto sperare quella mattina quando era arrivato.
- Castle? - la voce di Kate lo risvegliò da quei momenti di beatitudine
- Uhm?
- Sono stanca.
Non ci fu bisogno di dire di più e la riaccompagnò lentamente verso il letto.

Quell'abbraccio innocente ed intimo allo stesso tempo aveva lasciato in loro emozioni diverse. Castle ne fu rigenerato, come se tenendola tra le sue braccia avesse assorbito tutta la linfa vitale di cui aveva bisogno, gli dava speranza che le cose potessero sistemarsi, magari non presto come lui avrebbe voluto, ma che potevano almeno migliorare. Si erano visti solo per poche ore in fondo e lei si era appoggiata e fatta abbracciare senza opporre resistenza da uno sconosciuto. La Beckett che lui aveva appena conosciuto, anni prima, non lo avrebbe mai fatto e questo gli dava conferma, con assoluta certezza, che se la sua mente non si ricordava di lui, il suo inconscio sì.

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Capitolo 11
*** UNDICI ***


Nei giorni seguenti avevano entrambi rivisto il dottor Burke. Castle era tornato al suo studio, si era seduto di nuovo su quella grande poltrona ed era riuscito di nuovo a sfogarsi, a parlare di se, a cercare di curarsi un po’. Si sentiva incompreso, da tutti, gli sembrava che nessuno avesse capito veramente la sua angoscia, la sua paura, il suo terrore di perdere l’amore della sua vita. Davanti a questo la sua paura di morire era stata del tutto inesistente, anzi nei primi giorni l’aveva vista come una consolazione in caso che lei non ce l’avesse fatta. Però questo non riusciva a dirlo a nessuno per paura che nessuno lo capisse. “Vedrai che starai bene” le ripetevano Alexis e Martha mentre era ricoverato e la stessa cosa anche tutti gli altri quando gli andavano a fare visita. E lui era lì, su un letto di ospedale senza potersi muovere, sapendo che sua moglie era a qualche stanza di distanza e lottava tra la vita e la morte. Come sarebbe potuto stare bene? Aveva trovato solo in Jim Beckett una persona che capiva esattamente quello che provava e quale era la sua paura: quella paura la condividevano e lui sapeva come Rick si sarebbe sentito se le cose fossero andate diversamente. Lo aveva visto piangere, con la compostezza che aveva sempre avuto, sopraffatto dai ricordi delle moglie e dalla paura per la figlia e Castle si era detto che non poteva gravare del suo dolore un uomo così segnato dalla vita, anzi doveva essere lui ad essere forte anche per il padre di Beckett, lo doveva a Kate. 
Tutto questo aveva pesato come un macigno sul suo fisico e sulla sua emotività. L’allontanarsi dal loft era stato anche un inconsapevole allontanamento dalla sua famiglia. In quella casa lui ci sarebbe tornato con Kate o non ci sarebbe tornato affatto, questa era la verità che alla fine, dopo vari incontri aveva rivelato al dottor Burke.

Anche Kate aveva parlato di nuovo con il dottor Burke, malgrado le sue domande, spesso scomode, la costringevano a cercare dentro di se delle risposte che, forse, non voleva darsi. La cosa che la stupì di più è che pensava che il dottore l’avrebbe spinta a ricordare fatti ed eventi di quegli anni dimenticati invece non fu così. Non le chiese mai di sforzarsi di ricordare quello che aveva cancellato, o meglio come diceva lui accantonato, dalla sua mente ma anzi, voleva che le parlasse di tutto ciò che nella sua memoria era ben presente, di come si sentiva, di quello che provava negli ultimi ricordi che aveva. Fu così inevitabile ripercorrere gli anni subito dopo l’omicidio di sua madre e come quell’evento l’aveva cambiata ed ammettere che tutto quello che aveva fatto ma anche tutto quello che non aveva fatto nella sua vita, tutti i “no” che aveva detto erano legati a doppio filo a quella tragica notte. Era frustrante per lei sapere che probabilmente tutto questo con Burke lo aveva già affrontato e insisteva con il dottore perchè le dicesse come era riuscita a superarlo, ma lui non le dava mai una risposta. Le ripeteva che non c’era una formula magica e che non esisteva un modo. Erano il tempo, le giuste motivazioni ma soprattutto la sua volontà ad aver fatto sì che accadesse. Lui l’aveva solo accompagnata in quel cammino che però doveva essere lei a voler percorrere e fino a quando non sarebbe stata pronta e avesse accettato di superare quanto le era accaduto, lui non avrebbe potuto fare nulla di più che ascoltarla e spronarla. 
Le aveva detto che doveva avere il coraggio di tagliare le funi che la tenevano ancorata alla banchina e navigare alla ricerca di nuovi mari, ma che fino a quando avesse guardato solo verso il porto che la teneva al sicuro, non avrebbe mai scoperto mai cosa c’era oltre e dove sarebbe potuta approdare.

Rick e Kate stavano cercando di costruire una loro strana quotidianità mentre continuavano a conoscersi, o meglio, mentre lei conosceva lui. 
Parlavano, tanto. Di tutto, di loro, di come era cambiato il mondo in quegli anni, si raccontavano eventi del loro passato prima di conoscersi la prima volta, molte cose che Rick già sapeva di lei ma le piaceva ascoltarla raccontargli ancora la sua vita. Quello che Castle evitava il più possibile era di raccontarle tutte le loro avventure più tristi e dolorose. Le centellinava, per essere certo di non caricarla di troppe emozioni, anche se forse avrebbe ricordato prima, ma non la voleva far stare male.
Le aveva detto di Montgomery perché gli aveva chiesto più volte notizie di lui. Gli aveva raccontato che era stato ucciso per colpa di un caso molto delicato del suo passato, ma aveva omesso, per il momento, il resto. Pianse per Roy, pianse molto. E si rifugiò a piangere contro il suo petto così come aveva realmente fatto quella notte. E lui con la stessa forza e dolcezza la consolò e la protesse tra le sue braccia.
Conobbe anche la Gates, che un giorno era andata a trovarla insieme a Ryan ed Esposito che, come Lanie, cercavano di trovare sempre un momento per farle visita. Le loro visite e quelle di Jim erano gli unici momenti in cui Castle si allontanava da Kate. Li usava per andare a fare le sue visite di controllo nelle quali gli consigliavano sempre di rallentare, perché prima o poi il suo fisico gli avrebbe presentato il conto, ma lui non li stava a sentire. Altre volte era andato semplicemente a sedersi su una panchina fuori dall’ospedale, per prendere un po’ d’aria: si era ritrovato più di una volta faccia a faccia con dei giornalisti di gossip che non rispettavano nemmeno il suo bisogno di tranquillità e lo tempestavano di domande su quanto accaduto e su sua moglie. Aveva visto in quelle settimane più di un articolo su di loro, tra gossip e politica e si era accorto di essere seguito da fotografi che rubavano scatti delle sue brevi uscite. Aveva visto la sua faccia su Radar Online dove, con poco tatto, lo ritraevano con la grande scritta “esclusiva” mentre portava fiori e caffè a Kate, chiedendosi quanto avrebbe resistito il celebre scrittore. Gli arrivò in quei giorni anche una telefonata di Gina, entusiasta, che gli diceva che US Weekly lo aveva messo tra Angelina Jolie e Gordon Ramsey nelle notizie della settimana ed Holliwood Life aveva fatto uno speciale su di lui: questo avrebbe fatto a breve impennare nuovamente le vendite dei suoi libri e avrebbero preparato delle serate speciali a cui avrebbe dovuto partecipare. Castle era inorridito davanti alle prospettive che la sua ex moglie gli proponeva: discussero animatamente mentre Rick cercava di spiegarle che lui stava ancora male e non poteva fare vita mondana come lei voleva, gli avevano sparato, se ne doveva ricordare. Gina sembrava non sentire ragioni, anzi, gli diceva che se lo avessero visto a qualche party ancora non in perfetta forma avrebbe fatto ancora più notizia. Quando Castle le disse che lui non avrebbe partecipato a nessuna festa perché non c’era nulla da festeggiare con sua moglie che stava in ospedale Gina perse definitivamente la pazienza, minacciandolo di rispettare il suo ruolo pubblico che da troppo tempo stava trascurando ed infine gli ricordò delle scadenze imminenti per la consegna degli ultimi capitoli di Hight Heat dato che avevano già stabilito la data di uscita nelle librerie da lì a pochi mesi, in autunno.
L’unica cosa che fece fu contattare il suo avvocato per risolvere la questione. Non intendeva partecipare a nessun evento pubblico e se non lo capivano era disposto anche a cambiare casa editrice, non gli interessava quando avrebbe dovuto pagare di penali e a quali rischi andava incontro. Non era un pupazzo nelle loro mani.

Kate, dopo i primi giorni non aveva più paura dei contatti tra loro, non si ritraeva se lui l’abbracciava, anzi trovava conforto nei suoi abbracci, ma lo trattava come si può trattare un caro amico, non aveva remore a lasciarsi andare davanti a lui a crisi di pianto o risate gioiose, nulla di più. Lui si adeguava ai suoi tempi, non la giudicava quando esplodeva per cose di poco conto, era comprensivo e la assecondava, anche quando lei gli rispondeva in modo sgarbato o esagerato. Beckett però, aveva cominciato a capire che quelle sue esternazioni erano fuori luogo e si dispiaceva per il suo comportamento. Rimaneva un po’ in silenzio poi cercava la sua mano ed era il suo modo per fargli capire che era tutto ok e che lo ringraziava per esserci. Non era molto, ma era tutto quello che riusciva a dargli.
Castle non mancava di imporsi per quelle decisioni che riguardavano la sua salute. Era intransigente in quei casi e la trattava anche come una bambina e glielo aveva detto più volte che perfino Alexis quando era piccola, era più ubbidiente di lei. E Kate sbuffava e faceva tutte quelle smorfie che lui trovava adorabili. 

Rick aveva "presentato" a Kate Martha che l'aveva travolta con i suoi soliti atteggiamenti teatrali trattandola come sempre, senza minimamente considerare che lei non ricordasse nulla, imbarazzandola in più di un'occasione. Rick ogni volta riprendeva sua madre ma lei era convinta che questo suo metodo era il più efficace e che tutti avrebbero dovuto comportarsi così. Castle temette che queste sue teorie le avrebbe scritte nel prossimo libro di consigli che voleva pubblicare, lei non gli rispose liquidandolo con sufficienza con un cenno della mano e per lui fu la certezza che sarebbe stato proprio così.
Ogni volta che Martha se ne andava Kate scoppiava a ridere dopo essersi trattenuta per tutto il tempo della sua presenza ed ogni volta chiedeva la stessa cosa a Rick "veramente lei vive con noi?" ottenendo come risposte dallo scrittore solo sbuffi ed alzate di spalle, finendo per ridere insieme a lei di quella madre così fuori dalle righe.
Kate poteva sentire chiaramente tutto l’affetto sincero che quella famiglia provava per lei e che non mancavano mai di dimostrarle, osservava i tre insieme e pensava come era potuta finire lei in mezzo a delle persone così diverse da quelle che ricordava di frequentare abitualmente: una diva di Hollywood che viveva nei fasti del passato, uno scrittore playboy e una ragazza che sembrava molto più grande della sua età, cresciuta incomprensibilmente da adulta responsabile in mezzo a quei due. Però erano adorabili. Era la sua famiglia e la cosa che la spiazzò più di ogni altra, fu vedere come anche suo padre, sempre così riservato e discreto sembrava perfettamente a proprio agio tra loro: lo erano tutti, tranne lei che non sapeva mai cosa dire o fare e a poco serviva che Rick le dicesse sempre di comportarsi come sentiva naturale, senza preoccuparsi di quello che era e quello che faceva. 

Rick, cogliendo di sorpresa Kate, aveva detto a madre e figlia del bambino in arrivo un pomeriggio mentre erano in ospedale, con lei presente. Beckett aveva creduto che lo avrebbe fatto da solo, nell'intimità della loro casa. Invece Castle la stupì quando si sedette nel letto vicino a lei, le strinse la mano ed annunciò l'arrivo del loro bambino. Fu più stupita lei della modalità dell'annuncio che le due rosse dalla notizia. Il "Finalmente!" di Martha abbracciando Kate fece capire chiaramente che lei avrebbe voluto da tempo un altro nipotino, mentre Alexis si strinse forte suo padre congratulandosi e dichiarandosi entusiasta per la notizia. 
Quando la porta della camera si chiuse e rimasero soli, Kate guardò severa Rick le fece la sua miglior faccia da cucciolo indifeso.
- Scusami se ti ho messo in una situazione imbarazzante
- Potevi dirmelo che volevi annunciargli del bambino insieme a me, sono rimasta così stupita che sembrava non lo sapessi nemmeno io!
- Hai ragione, mi sono fatto prendere la mano. Però è una cosa che riguarda noi, non glielo volevo dire da solo. - Kate non rispose pensando a quel noi che pesava come un macigno nella sua mente - Sei arrabbiata? - Le chiese preoccupato, non voleva rovinare quanto stavano lentamente costruendo e non voleva farla innervosire.
- No, Castle. 
- Sicura? - Insistette
- Sì, sicura. Non so come funzionava tra noi prima, ma ora vorrei che quando hai queste idee almeno mi rendessi partecipe prima di metterle in atto. - Questa volta il suo viso si raddolcì e Rick se ne convinse più dalla sua espressione che grazie alle sue parole
- Ok, lo farò, promesso. - Castle giocava nervosamente picchiettando con le dita sulle sue ginocchia, fremeva per dire qualcosa, Kate se ne accorse e lo guardava, attendendo solo il momento che parlasse, preoccupata di cosa altro poteva aver fatto o aver in mente di fare. In poco tempo aveva già capito che da lui poteva aspettarsi di tutto - Beckett... 
- Dimmi Castle... - Ecco era arrivato il momento.
- Ti amo. - le diede un bacio sulla fronte mentre lei arrossiva vistosamente. Non era abituata e non sapeva cosa rispondergli per paura di ferirlo. Pensò, però, sorridendo, che poteva dirle di peggio.

Quella successiva era una giornata giornata molto importante: Kate era ormai all’undicesima settimana di gravidanza ed avevano programmato la prima ecografia o almeno la prima da quando lei si era risvegliata. Era ansiosa. Lo aveva negato a tutti quelli che glielo avevano chiesto ma lo era. Molto. Sapeva che il periodo critico non era ancora finito e, con tutto quello che il suo bambino aveva passato, lei adesso aveva molta paura che qualcosa potesse andare storto, che non stesse bene.
Non sarebbe stato giusto, non se lo sarebbero meritato.
Castle l'aveva pregata di poter assistere, le promise che sarebbe stato buono buono da una parte senza dire nulla e non si sarebbero nemmeno accorti della sua presenza. Impossibile. Kate lo lasciò parlare ascoltando tutti i suoi vaneggiamenti e gli disse che ok, andava bene ma doveva stare buono, veramente. In realtà se non lo avesse proposto lui, glielo avrebbe chiesto lei di accompagnarla, ma non glielo avrebbe detto, non per adesso.
Rick aveva chiesto ed ottenuto che l'ecografia fosse fatta con i migliori e più recenti macchinari perché voleva vedere per la prima volta suo figlio nel modo migliore possibile e che anche il dottore potesse controllare tutto nel miglior modo possibile. E voleva il video. E le foto. E l'audio del battito. Tutto. I medici avevano detto di sì a tutto, l'importante era che gli desse tregua.
Kate fu fatta accomodare su una sedia a rotelle e per la prima volta dopo tanto tempo lasciava quel reparto e già le sembrava una gran cosa. Il dottor Yedlin li aspettava nel suo studio, Castle aiutò Kate a sdraiarsi sul lettino e non potè distogliere lo sguardo dal ventre di sua moglie che solo al suo occhio esperto poteva sembrare incinta. Vide anche una delle sue cicatrici e notò come era anche peggiore della sua e di come si ricordava.
- Starà bene vero?
Kate non lo chiese al Dottore, ma a Castle. Aveva bisogno delle sue favole e del suo ottimismo che aveva imparato a conoscere e alle quali si aggrappava irrazionalmente ogni volta che si sentiva sprofondare.
- Certo che starà bene Beckett. 
Nessuna favola stavolta. Glielo stava dicendo serio, non riusciva a scherzare o fantasticare. Aveva bisogno anche lui che fosse così. 
Il dottore chiese a Kate se si sentisse pronta. Sapeva che questo era un momento molto intenso per tutti i futuri genitori e vista la sua situazione usò ancora più premura.
Castle era in piedi vicino a loro, impossibilitato a starsene tranquillamente seduto in attesa degli eventi.
Kate non sentì nemmeno il freddo del gel e quando il dottore spostò la sonda e sullo schermo apparvero le prime immagini le sembrò che il suo mondo si fosse appena rovesciato e che il centro non fosse in un luogo astratto ma lì dentro di lei. Era un bambino, era reale. Non era un'idea. Aveva già le braccia e le gambe formate, poteva vedere le sue minuscole mani e i piedi: si muoveva anche se lei non riusciva a percepirlo, era un bambino vero, vivo. In quell'ecografia ad alta definizione era tutto così chiaro e nitido, non era una di quelle dove si vedono solo ombre. Castle le prese la mano e si sedette vicino a lei. Guardava il loro bambino muoversi e non gli sembrava vero che fosse stato così forte da resistere a tutta la follia che avevano subìto. Il dottore chiese ancora se erano pronti, non sapevano per cosa, ma dissero di sì e dopo averlo visto ora potevano anche sentirlo: il suo cuore batteva velocemente e a loro sembrava la più bella melodia che avessero mai sentito. Kate chiuse gli occhi e cercava di respirare lentamente mentre sentiva il cuore del suo bambino ma l'emozione era troppa per riuscire a trattenerla. Rick non pensò in quel momento alla loro situazione. Era Kate ed era il loro bambino. Si avvicinò a lei, senza lasciarle mai la mano e la baciò sulla fronte, asciugandole le lacrime dolcemente con la mano libera. Riaprì gli occhi e si trovò quelli di Rick così vicini ai suoi, anche loro colmi di lacrime ma non solo: vedeva tutto il suo amore e come sempre la spaventava quel suo sentimento così forte che lo percepiva anche solo per come la guardava. 
- Ti amo Kate - le sussurrò Castle con un filo di voce. Non era la prima volta che lo faceva e non sapeva se per la situazione o per le parole, ma sentì il suo cuore attraversato da un battito d’ali.

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Capitolo 12
*** DODICI ***


Beckett tornò ad osservare il monitor ancora per qualche istante prima che il dottore dicesse loro che andava tutto bene, dandogli appuntamento dopo un paio di settimane. Gli spiegò, cercando di non allarmarli, che a causa dello stato di Kate il bambino era solo leggermente più piccolo del normale, ma non dovevano preoccuparsi, perché lo aveva messo in conto: il cuore era forte e non presentava alcun tipo di sofferenza e lo sviluppo del feto era nella norma, questo era importante. Ora doveva solo pensare a recuperare energie, mangiare sano e nutriente così anche il bambino ne avrebbe tratto giovamento. Al prossimo controllo sarebbe stata fuori dal periodo critico e avrebbero potuto fare valutazioni più approfondite.
Castle ricordò al dottor Yedlin più volte di stampare le foto del suo bambino, mentre Kate era più interessata a sentire cosa avrebbe dovuto fare prossimamente, non che Rick fosse superficiale, ma aveva la necessità di vederlo e tenerlo con se, per chiedere delucidazioni sulle prossime visite c'era tempo, tanto sarebbero stati lì ancora un po' di giorni.
Il dottore aveva intenzione di trattenere Kate fino alla successiva ecografia, ma alla fine su insistenza di Beckett e dietro sua promessa di assoluto riposo intervallato solo da brevi passeggiate, si convinse a farla andare a casa prima, se gli altri specialisti che l'avevano in cura erano concordi, ma ormai del quadro clinico di Kate era la gravidanza la cosa da tenere più sotto controllo: il cuore non aveva dato più problemi da quando si era risvegliata e le ferite si stavano rimarginando correttamente.

Le avevano comunicato la data delle sue dimissioni: il primo luglio. L'inizio di un nuovo mese avrebbe coinciso con l'inizio della sua nuova vita fuori da lì.
Non vedeva l'ora di poter uscire ma temeva allo stesso tempo temeva questa nuova fase. Sapeva che una volta fuori sarebbe stata invasa da tutto quello che aveva perso e si sarebbe trovata in un mondo nuovo che non conosceva: in fondo quella stanza di ospedale era un bozzolo sicuro dove entravano solo persone che le volevano bene e la facevano sentire protetta filtrando quello che accadeva fuori.
Si sarebbe dovuta riadattare a tutto ed abituare ad un lungo periodo di inattività e questo la metteva a disagio: lavorava da quando era una ragazza e per trovare un lasso di tempo in cui era stata totalmente inoperosa doveva ritornare con la memoria a quando era una bambina e trascorreva spensierata le vacanze estive, solo che ora il tempo sarebbe stato molto più lungo, non sapeva nemmeno lei quanto. Oltre la sua amnesia c'era il bambino e questo le dava scadenze a lungo termine, troppo lungo per lei.
Sia suo padre che Castle, invece, non vedevano l’ora di portarla fuori da lì. Castle, soprattutto avrebbe voluto prenderla e portarla via, il più lontano possibile e non tornarci più, almeno fino a quando non doveva nascere il bambino, sempre che fosse stato necessario. In fondo potevano anche assumere un’intera equipe medica e partorire a casa, avrebbe fatto allestire una stanza come una perfetta sala parto con tutto quello che necessitava e se avesse preferito qualcosa di alternativo come il parto in acqua avrebbe avuto tutto il tempo per organizzarsi: non sarebbe stata una cattiva idea secondo lui, ma si vide bene di esporla a Kate, almeno per ora.
Sapeva bene, però, che sarebbero dovuti purtroppo tornare spesso per controllare le condizioni di salute sue e del bambino.

Non avevano toccato l'argomento "dimissioni", forse per scaramanzia che poi alla fine qualcosa andasse storto e dovessero rimandarla, di imprevisti ne avevano avuti fin troppi.
- Vengo domani mattina presto così appena firmano le tue dimissioni ti porto a casa - le disse Castle mentre era insieme a Jim in camera da Kate mentre radunavano alcune delle sue cose mettendole in una borsa
- Penso che possa venire direttamente papà a prendermi, o hai un'udienza? - chiese Kate rivolgendosi prima a Rick e poi a suo padre, ma suo marito non gli diede tempo di rispondere.
- Perchè tuo padre dovrebbe venire per portarti a casa? Cioè, se tuo padre vuole venire va bene, ma…
- Castle, perchè dato che non ho più una mia casa, per andare a casa sua credo che sia la cosa migliore che mi venga a prendere lui no?
- Katie - intervenne Jim - io e Rick veramente pensavamo che fosse meglio che tu andassi a casa tua, a casa vostra… 
- Ma se tu non vuoi stare lì, troviamo un’altra sistemazione Beckett. C’è sempre la mia suite al Four Season, ci sono due camere, starai bene.
Kate aveva lo sguardo furente. Lo avevano fatto. Di nuovo.
- Voi avete deciso dove devo stare io. Vi siete consultati, avete deciso cosa è meglio per me. Non vi è nemmeno passato per la mente di chiedermi cosa volessi fare io. Cosa credessi fosse meglio per me. No, voi vi siete organizzati, avete pensato a tutto, tranne a parlarne con me. Non sono una bambina, sono in grado di decidere io cosa è meglio della mia vita. Lo devo decidere io non voi.
Rick e Jim rimasero in silenzio subendo la sfuriata di Kate. Entrambi avevano agito pensando a quello che fosse meglio per la donna, sia dal punto di vista pratico che da quello clinico. Avevano parlato anche con il dottor Burke che aveva detto che vivere nel suo ambiente familiare poteva farle bene per accelerare il recupero della memoria, inoltre la casa di Rick disponeva di tutti i comfort e lo scrittore, non avendo un lavoro per il quale doveva sottostare ad orari stabiliti, aveva tutto il tempo ed il modo di prendersi cura al meglio di lei. 
Cercarono quindi di spiegale con tutta calma il loro punto di vista e le ragioni che li avevano portati a ritenere quella scelta la migliore. Quello che però non riuscivano a capire era che Kate non contestava la scelta, o almeno non solo quella, ma il fatto che non era stata interpellata.
Castle uscì dalla stanza, lasciando padre e figlia da soli. Voleva evitare di dire o fare qualcosa di cui si sarebbe pentito. Era demoralizzato. Era convinto che avessero fatto passi avanti, lei sembrava stare bene insieme a lui, perché aveva reagito così male all’idea di tornare a casa? Lui dava scontato che “a casa” volesse dire a casa loro, o in qualsiasi altro posto lei avesse voluto, ma insieme.
Era lui che stava precipitando le cose? Aveva male interpretato certi segnali di lei oppure quella era effettivamente la vecchia Beckett che negava fino allo stremo anche a se stessa ogni cosa che prevedesse cambiamenti emotivi?

Andò a fare due passi fuori dall’ospedale e subito un giornalista gli si fece incontro. Lo aveva già visto un paio di volte, era un amico di Gina che scriveva in uno di quegli odiosissimi tabloid. Castle continuava a camminare, avrebbe voluto accelerare ancora di più il passo, ma ancora il suo fisico non glielo permetteva.
- Signor Castle, è vero che sua moglie soffre di amnesia?
- Per favore, se ne vada
- Pensa che scriverà una nuova storia di Nikki Heat ispirata a questa situazione?
- Le ho già detto di andarsene. - Disse Castle fermandosi di colpo per guardare negli occhi quel ragazzo impertinente mentre gli mostrava tutto il suo disprezzo.
- Oppure questo inconveniente di sua moglie la porterà a porre fine alla saga di Nikki Heat così come aveva concluso quella di Derrik Storm?
A quelle parole Castle non riuscì a rimanere impassibile, soprattutto quel sorriso provocatore che gli mostrava mentre lo importunava colpì nel profondo Rick con la stessa forza con cui lui colpì con un pugno il viso del giornalista che, perso l’equilibrio, era caduto a terra, ma sembrava soddisfatto di aver ottenuto quel pugno, urlando ad un uomo a poca distanza da loro di riprendere tutta la scena.
- Se ti azzardi ad avvicinarti di nuovo a me o a mia moglie ti faccio rimpiangere il giorno che hai cominciato a scrivere. - Gli ringhiò contro Rick.
- Castle, tra poco lei sarà il violento scrittore che aggredisce un povero giornalista. Sarà su tutti i siti internet e domani su tutti i giornali. Le rovino la carriera Castle a lei e a sua moglie! Chissà quanto sarà utile per un capitano di polizia avere un marito violento che va a picchiare chi sta facendo il proprio lavoro!
Non si curò delle sue parole, sapendo però che aveva ragione e quello sarebbe stato un bel problema. I siti scandalistici ci sguazzavano in queste cose. Si convinse che quella era tutta opera di Gina, chi altro avrebbe potuto dire dell’amnesia di Kate? Nessuno lo sapeva al di fuori dell’ospedale tranne la famiglia e gli amici più stretti, nemmeno al distretto avevano voluto che la notizia circolasse. Poteva essere stata solo lei che, dopo aver ricevuto le comunicazioni del suo avvocato, aveva deciso di vendicarsi. Se non potevano avere loro i benefici della popolarità di Richard Castle non li doveva avere nessuno, quindi non era un problema infangare la sua immagine. Lui, però, aveva problemi molto più grandi a cui pensare di quanto la sua immagine pubblica fosse pulita o meno, l’unica parte di se che gli interessava curare era quella che doveva vedere Kate.

Tornato dentro chiese ad una delle infermiere del reparto se potevano controllare la sua mano: ancora non aveva imparato a dare pugni come si deve ed era molto indolenzita. Gli applicarono un gel e poi gliela fasciarono non senza fargli una ramanzina sul fatto che proprio non riusciva a stare lontano dai guai.
Quando tornò nel corridoio trovò Jim ad aspettarlo che gli disse di andare a parlare con Kate.
Lei era in piedi vicino alla finestra, guardava fuori e non si era nemmeno voltata per vedere chi fosse: le si avvicinò rimanendo qualche passo indietro senza dire nulla.
- Castle, lo so che sei lì.
- Come…
- Dal profumo Castle. Ti ho riconosciuto dal profumo.
Silenzio ancora.
- Kate… Se vuoi andare da tuo padre per me va bene. Cioè no, non va bene, nel senso che preferirei che stessi a casa nostra, ma se vuoi questo, ok. Se pensi che lì puoi essere più serena, lo accetto. Però permettimi di venirti a trovare ogni giorno come faccio qui e di prendermi cura di te. Non sparire, non escludermi mentre affronti questo percorso. Ti chiedo solo questo, so che magari per te è anche troppo, ma per me è veramente il minimo. - Le disse tutto di seguito senza darle tempo di rispondere e non poteva vedere il sorriso beffardo di Kate nel sentirlo parlare.
- Vengo a casa con te Castle.
- Ok, ti accompagnerò io da tuo padre. - Si era talmente convinto della sua idea che non processava nemmeno quello che le stava dicendo.
- Castle, quale parte di “vengo a casa con te” non ti è chiara? Non vado da mio padre. Sempre che tu non abbia cambiato idea.
- Io… io… no! Certo che no! - Si voltò a guardare il sorriso da bambino sul volto di Castle.
- A delle condizioni però. - Precisò severa perché lui l’ascoltasse e la prendesse sul serio.
- Tutto quello che vuoi Beckett!
- Non dormiremo insieme, mi dovrai lasciare i miei spazi e la mia privacy, non dovrai trattarmi come una bambina nè mettermi sotto una campana di vetro.
- Mi sembrano richieste ragionevoli.
- Lo prometti?
- Prometto che ci proverò. Non ti preoccupare, casa nostra è grande, avrai tutto lo spazio e tutta la privacy di cui hai bisogno, anche con Martha ed Alexis.
- Grazie Castle. - Gli disse appoggiando una mano sul braccio sinceramente riconoscente - Comunque non sono tua madre e tua figlia che mi preoccupano, ma tu!
Kate fece scivolare la mano dal braccio si Rick fino a raggiungere la mano fasciata dello scrittore. La sollevò per vederla meglio
- Questa cosa vuol dire Castle? - Si stava per beccare una ramanzina da Beckett, lo sapeva.
- Ho dato un pugno ad un giornalista troppo insistente. - disse come un bambino che confessava alla mamma che aveva fatto a botte con l'amichetto al parco.
- Perchè?
- Mi faceva domande su di te
- Su di me?
Si sedettero sul letto e Castle le spiegò brevemente di Gina, sua editor nonché ex moglie numero due, dei loro dissidi e del fatto che stava valutando la ormai ben più che reale possibilità di cambiare casa editrice e che era convinto che lo avesse avvisato lei.
- Ma cosa c’entro io con i tuoi libri?
- Volevano sapere se quello che ti è successo influenzerà il prossimo libro di Nikki Heat o se chiuderò la serie come con Storm.
- Chi è Nikki Heat, Castle?
In quel momento Rick realizzò che tutta questa parte l’aveva praticamente saltata. 
- Ecco… Nikki Heat è… è la protagonista della mia nuova saga, un’affascinante detective di New York. È il personaggio ispirato a te. - Kate aprì la bocca per parlare ma non le uscì nemmeno una parola. Richard Castle, quello che fino a poco tempo prima lei considerava solo come il suo scrittore preferito, quello per il quale aveva fatto ore di fila per farsi autografare un libro, quello di cui aveva tutta la collezione dei suoi libri, lui, insomma, aveva scritto una nuova serie basata su di lei. Poi era anche suo marito, ma come sempre questo faceva finta di dimenticarlo e al momento le sembrava quasi secondario al fatto che lui aveva scritto di lei.
- Kate? Tutto bene?
- Sì, cioè, no! Tu hai scritto una serie ispirandoti a me?
- Esatto. Era il motivo per il quale all’inizio, ma solo all’inizio, ti seguivo nei tuoi casi. Dovevo avere la giusta ispirazione per creare il personaggio di Nikki.
- Nikki Heat, Castle? Sul serio? - Kate ancora doveva riprendersi dallo shock
- Non ti piace? 
- No! È il nome di una spogliarellista!
- Uffa! - Sbuffò Castle. Gli aveva detto di nuovo la stessa cosa!
- Io ero d'accordo con questo nome?
- Ehm no!
- Lo vedi Castle? Certe cose non è necessario ricordarle!
Rick aveva preso il suo smartphone e le stava facendo vedere orgoglioso tutta la collana di libri di Nikki Heat.
- Sono un successo enorme Beckett, il personaggio di Nikki Heat piace a tutti, tu piaci a tutti!
Kate fece finta di non sentirlo. Lei odiava essere al centro dell’attenzione, figuriamoci essere la moglie ispiratrice delle opere del marito.
- E queste copertine? - Disse scorrendo le immagini velocemente. 
- Belle vero?
- Nuda!
- Come sei difficile! Non sei nuda! E poi non sei tu, è una sagoma! - Rick si stava divertendo tantissimo nel vedere il suo imbarazzo
- Quindi questa Nikki Heat sarei io?
- No è un personaggio ispirato a te. 
- E  questo… Jameson Rook è ispirato a te? - Disse leggendo la scheda su wikipedia
- Più o meno...
- Raley e Ochoa sono Rayan ed Esposito… Parry è Lanie…  - continuava a leggere dal telefono di lui schede e recensioni 
- E quanto c'è di vero e quanto di tua fantasia in quello che hai scritto?
- A cosa ti riferisci?
- Lo sai a cosa mi riferisco! La pagina 105 molto “hot” che citano in tutte le recensioni! Guarda… - Disse facendogli leggere le recensioni su Amazon del libro ed indicandogli tutte le volte che veniva citata quella pagina con quella scena molto “hot”.
- Ah a quello... Beh... Fino al terzo libro c'era molta mia fantasia, immaginazione, poi dopo la realtà è stata decisamente migliore! - Ammiccò e lei alzò gli occhi al cielo e poi li chiuse per un attimo scuotendo la testa.
- Quindi tu mentre noi eravamo… com'è che dici tu? Partner, tu immaginavi me con te a fare... 
- Lo facevi anche tu! - Provò a discolparsi lui
- Cosa facevo io?
- Immaginavi di te con me a fare… 
- Non ci credo Castle! Non cambiare discorso! E se anche fosse stato vero io non l’ho mai scritto o pubblicato per far leggere le mie fantasie a tutti! - Si morse il labbro rendendosi conto che aveva detto qualcosa che poteva essere interpretato a suo sfavore da Castle.
- Quindi ammetti che tu puoi aver pensato certe cose con me! Cioè, che è una cosa che potresti fare… - Rick non si lasciò sfuggire la possibilità di punzecchiarla
- Castle, non parteciperò al tuo giochino! E comunque non ho sicuramente fatto nessuna fantasia su di te.
- Perchè non pensi che io ti possa piacere in quel senso? Eppure… - La guardò con malizia e lei volse lo sguardo altrove. Quel discorso stava prendendo pieghe inaspettate. Lei voleva mettere in chiaro le norme della loro futura convivenza ed ora parlavano di possibile attrazione sessuale.
- No, cioè, sì… - Si stava incartando di nuovo mentre Castle la guardava molto soddisfatto - Non è questo il punto. Io non ho mai fatto quello che dici tu. Discorso chiuso - Riacquisto sicurezza e compostezza.
- Me lo hai confessato tu tanto tempo dopo! È vero Beckett! - L’espressione da bravo bambino innocente poco si addiceva sia a Rick che a quella conversazione, eppure lui era del tutto immedesimato nella parte che poteva anche sembrare credibile.
- Impossibile!
- Mi devi credere!
- Castle io non ti credo! Ma sarà meglio per te che tu abbia ragione perché quando ritroverò la memoria e scoprirò che non è così sarà peggio per te. - Lo minacciò continuando a tenere il punto. Si stava divertendo a battibeccare con lui, ma era un’altra di quelle cose che avrebbe tenuto per se.
- In tal caso, non vedo l'ora...
- Castle tu... Tu non hai idea... 
- Beckett ora sì, ora ho idea. Di tutto. - La guardò ammiccando.
- Castle sei insopportabile lo sai? - Gli disse quasi arresa al fatto che era impossibile vincere in quella gara contro di lui.
- Lo so, ma ti piaccio così! - Le fece la linguaccia e si mise a ridere.
Kate si girò di scatto per prendere un cuscino e tirarglielo, ma il suo gesto fu troppo avventato ed avvertì una fitta proveniente dalle ferite. A Castle non sfuggì la sua espressione, smise subito di ridere e giocare e si spostò più indietro e la abbracciò facendo appoggiare la schiena di Kate al suo petto.
- Sai come ti ho sempre chiamato? - Il tono di Rick era cambiato improvvisamente. Era diventato basso, calmo e dolce mentre le parlava con il mento delicatamente appoggiato sulla sua spalla. - La mia musa, anche se a te non piaceva tanto nemmeno questo all’inizio. Eri difficile Kate Beckett, mi hai dato tanto filo da torcere.
Kate sorrise, lasciandosi cullare dalle braccia di Rick. Come faceva ad essere così diverso nel giro di pochi minuti? Dal bambino dispettoso di poco prima si era trasformato in un uomo premuroso che la faceva sentire protetta.
- Perchè hai ucciso Storm? - Gli chiese sinceramente curiosa. Aveva finito di leggere l’ultimo libro la sera prima e le dispiaceva che quella saga fosse conclusa. L’aveva amata ed era stata la sua compagna di molte sere in solitudine a casa.
- Mi annoiava. Non era più divertente scrivere di lui. Sono stato tanto tempo senza scrivere più nulla, senza avere l’ispirazione. Poi quando hai fatto irruzione nella mia vita portandomi via da quella noiosissima festa ho capito che eri quello di cui avevo bisogno. Ho ricominciato a scrivere come non facevo da anni, ero pieno di idee. La saga di Nikki Heat è stata un successo grandioso e tutto per merito tuo. 
- Così mi imbarazzi Castle.
- È la verità. Forse se non ti avessi incontrata non avrei mai più scritto una riga in vita mia, ma di tutte le cose che potevano avere una piega diversa sarebbe stata la meno grave. Questi otto anni sono stati i più incredibili della mia vita, anche tutti quelli passati a cercare di farmi strada nel tuo cuore.
Si appoggiò un po’ di più sul suo petto, rilassandosi mentre lui rimaneva immobile per non interrompere quel momento. 
- Grazie Castle.
- Di cosa?
- Di essermi stato vicino in queste settimane.
- Lo farò sempre Kate.

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Capitolo 13
*** TREDICI ***


Luglio era arrivato portando con se un carico di afa che durante il giorno rendeva anche difficile respirare. Avevano posticipato le dimissioni di Kate di 24 ore: nell’ultimo controllo, la sera prima del giorno preventivato, avevano riscontrato uno scompenso pressorio, probabilmente dovuto alla tensione per le dimissioni, ma volevano essere certi e monitorarla il giorno successivo. Tanto era bastato per far agitare oltremodo Castle che aveva visto saltare tutti i suoi progetti ed aveva insistito per passare tutta la notte con Kate in ospedale. A nulla erano servite le proteste della donna e le rassicurazioni dei medici. Lui doveva stare lì. Punto.
Dato che era inutile parlarci o provare a fargli cambiare idea, alla fine acconsentirono e lui passò la notte lì, su quella sedia. Dormì un po’, ma poco. La maggior parte del tempo la trascorse guardandola dormire. Ripensò a quante ore aveva passato così nelle settimane passate, quando lei non riprendeva conoscenza a parlarle, a sperare e a pregare. Quando dormiva era sempre la sua Kate: la posizione sul cuscino, come teneva le mani, la bocca leggermente socchiusa, le piccole smorfie quando sognava. Allungò un braccio mentre dormiva che andò ad adagiarsi sul vuoto, ricadendo dal bordo del letto: Kate fece una smorfia, ma non si svegliò. Rick conosceva bene quel gesto, inconsapevole, che sua moglie faceva tutte le notti. Era quando si avvicinava a lui, appoggiava la mano sul suo petto e la testa sulla sua spalla, poi continuava a dormire mentre lui la stringeva a se. “Io ci sono da qualche parte nei tuoi ricordi… devo solo trovare il modo di uscire fuori da dove mi hai rinchiuso” Pensò Rick mentre si lasciava vincere dal sonno per quelle ultime ore in ospedale.

Kate la mattina si svegliò inconsapevole di tutti quei pensieri notturni di Castle. Aveva dormito bene quella notte, nonostante l’idea che lui fosse lì a guardarla dormire la inquietava ma, paradossalmente riusciva anche a tranquillizzarla. Erano due sentimenti contrastanti che pensava non potessero coesistere eppure era così. La inquietava il fatto di sapere che lui la osservava quando era completamente indifesa, ma sapere che lui vegliava sui suoi sogni la faceva riposare meglio.
Ma il suo risveglio non fu altrettanto buono come il sonno. Le nausee erano più forti e si erano aggiunti anche dei giramenti di testa. Proprio un bel modo per cominciare quella giornata ed aveva anche paura che vedendola così non l’avrebbero fatta uscire. Era sola, Castle doveva essere uscito da poco a parlare con qualche medico, sentiva il suo profumo ancora nell’aria, gli piaceva solitamente quel profumo, ma quella mattina gli dava fastidio come qualsiasi altra cosa. Si sedette sul bordo del letto, sperando che la posizione più eretta la facesse stare meglio.

Non fu così. Quando Castle rientrò con i soliti caffè non e la vide cominciò a chiamarla allarmato. Kate riuscì a malapena a fare qualche mugolio dal bagno dove era ripiegata sul water in una posizione che le procurava non pochi fastidi alle cicatrici. Rick abbandonò i caffè e si avvicinò alla porta del bagno, indeciso se invadere la sua privacy oppure no, ma la porta era rimasta spalancata e vedendola così affaticata non si fece ulteriori scrupoli, si avvicinò a lei, le raccolse i capelli in una sua mano e la sostenne, nel senso letterale del termine ma non solo. Lei protestò appena. Non voleva farsi vedere così, da nessuno, ancora meno da lui, ma non era nella condizione di permettersi di rifiutare il suo aiuto. Solo un’altra volta le era capito di avere delle nausee così forti, ma lui non c’era e non l’aveva vista. Era stata un’infermiera ad aiutarla e poi aveva totalmente minimizzato quanto era accaduto. Aveva letto che passate le prossime settimane poi sarebbe dovuta stare meglio e le nausee diventare meno frequenti se non addirittura sparire: ci sperava.
- Come ti senti? - Le chiese non appena si rimise in una posizione eretta mentre le tamponava il viso con un asciugamano, era visibilmente teso e preoccupato.
- Meglio, grazie Castle. Lo sai vero che se sto così è colpa tua? - Gli disse sorridendo per quanto riusciva, cercando di sdrammatizzare la situazione, ma lui non colse la sua battuta e la guardava ancora più preoccupato
- M…mia? Cosa ho fatto? - Balbettava passandosi una mano tra i capelli, Kate scosse la testa e sorrise.
- Castle, concentrati: cosa fa di solito stare così una donna, la mattina in un periodo specifico?
- Ah… - sembrò sollevato - allora direi che è colpa mia al 50%, non tutta mia!
- Va bene, te lo concedo, solo per la metà!
- Ti ho portato qualcosa da metterti per uscire da qui. Spero vada bene…
- Che vorresti dire Castle? Mi sono già ingrassata?
- No, no… - riprese a balbettare - sei solo più… morbida! Volevo dire, qualcosa che non ti dia fastidio con le cicatrici e la causa delle tue nausee mattutine.
- Castle?
- Dimmi Beckett
- Rilassati!
- Ok… Tu sistemati, io sono qua fuori, vado ad informarmi quando ti faranno uscire.
Rick uscì dalla stanza, lasciando Kate a prepararsi. Vide sul letto i vestiti che lui le aveva lasciato prima di uscire, un completo di lino ecrù,  pantaloni ed camicia dal taglio molto morbido. Ne saggiò il tessuto delicato e leggero e la pregevole fattura come si conviene ad una rinomata marca di alta moda italiana. Non ricordava di aver mai avuto nulla di simile nel suo guardaroba, non tanto per lo stile quanto per la qualità del capo. Vide piegati lì vicino anche una canottiera di seta ed un foulard entrambi di tonalità leggermente più chiara. Apprezzò l’accortezza di Castle nel prenderle un indumento da mettere sotto la camicia un po’ troppo trasparente, una premura che non si sarebbe aspettata da un uomo, ma aveva già avuto modo di capire che lui era diverso.
Si vestì, provando non poco fastidio e si accorse di quanto i suoi movimenti nella vita quotidiana erano ancora limitati. 
Sul comodino vicino alla collana con l’anello di Johanna che aveva sempre tenuto vicino a se in quelle settimane, Castle aveva lasciato anche l’orologio di Jim. Kate indossò entrambi notando una bustina di velluto rosso lasciata sotto alle loro fedi. Le ripose lì dentro mettendole nella valigia sulla sedia insieme alle altre sue cose, poche a dir la verità.
Aprì il cassetto del comodino e prese il libro di Storm e una copia dell’ecografia di qualche giorno prima. Castle la trovò così quando rientrò in camera, seduta sul bordo del letto a guardare la foto del loro bambino, gli sembrava di aver interrotto un momento molto intimo.
- Scusami… - disse imbarazzato - … vuoi che torno tra qualche minuto?
- No - gli rispose mettendo la foto in mezzo al libro e buttandolo nella valigia insieme al resto alzandosi lentamente - Sono pronta.
Castle deglutì prendendo tempo. Vederla così, davanti a lui, in piedi senza quelle camice da notte o vestaglie, ma vestita come una persona sana e viva, lo emozionò. Senza un filo di trucco, con i capelli raccolti in una coda veloce, era bellissima e glielo disse. Più volte.

Kate era sulla porta, si guardò indietro a vedere Castle che prendeva la sua valigia e guardò quella stanza. Tutto quello che conosceva del suo nuovo mondo era tra quelle quattro mura ed ora le si apriva un mondo nuovo che doveva scoprire. Lì aveva pian piano conosciuto le “nuove” persone della sua vita, ascoltato aneddoti di quello che aveva vissuto, aveva scoperto casualmente di essere incita ed aveva gettato le prime basi del suo nuovo rapporto con Castle. Sorrise vedendo l’ultimo mazzo di gigli che le aveva portato solo il giorno prima, le due tazze di caffè che quella mattina non avevano toccato, ma non era berle l’importante, ma che ci fossero, lo aveva capito. C’era ancora lo specchio che aveva tolto dal muro solo perchè lei si voleva vedere, era stata la prima follia che aveva visto fare a Castle per lei ed era sicura che non sarebbe stata l’ultima. Era impaurita di uscire da lì, ma anche speranzosa. Rick mentre chiudeva la valigia indugiava accarezzando lo schienale della poltroncina pensando anche lui a tutte quelle settimane, da quando lei non si svegliava a pochi minuti prima. Dalla paura di perdere sia lei che il bambino ad averla lì, viva, ad osservare la sua ecografia. Erano stati fortunati, nonostante tutto, ancora una volta.
- Ti piace quella poltrona Castle?
- Eh?
- Mi chiedevo da come la stavi accarezzando se ti piacesse. Pensi che starebbe bene a casa tua?
- Ehm no, non credo starebbe bene a casa nostra… Stavo solo pensando… 
- Pensieri belli o brutti? - Rick si stupì di come Kate continuava ad essere l’unica che si preoccupava di quello che pensava.
- Entrambe le cose. Poi pensavo a questa poltrona è stata in questi mesi un po’ come la mia sedia al distretto vicino alla tua scrivania, solo un po’ più comoda in una situazione molto più scomoda. - Fece un profondo respiro, mise giù il trolley e si avvicinò a Kate - Sei pronta?
Lei fece cenno di sì con la testa, si appoggiò al suo fianco e lui la cinse come ormai era solito fare nelle loro brevi passeggiate per la camera o il corridoio. Non aveva in realtà bisogno di essere sostenuta per camminare, non più almeno, ma lui continuava a farlo perchè così le poteva essere più vicino e lei non protestava. Si avviarono lentamente agli ascensori che li avrebbero portati fuori da lì. Prima di uscire un uomo con occhiali scuri si avvicinò a Castle prendendogli la valigia. Aveva chiesto ed ottenuto in via del tutto eccezionale dall’ospedale di poter parcheggiare l’auto direttamente davanti all’uscita per evitare la folla di fotografi che già da prima aveva visto davanti alla struttura. Kate sembrava piuttosto infastidita dalla cosa ed anche a Rick non faceva piacere, in un altro momento magari si sarebbe concesso volentieri, non ora, non dopo quello che era accaduto.
Beckett notò due figure familiari proprio fuori dalla porta, Ryan ed Esposito come se fossero due semplici agenti e non due detective della omicidi erano lì per garantire la massima sicurezza al loro capitano e fare in modo che nessuno la importunasse. Quando videro che era lì, entrarono dentro a salutarla.
- Ehy Capo! - La salutò Javier - Ti vedo bene
- Vero Beckett, stai benissimo - ribadì Kevin
- Grazie ragazzi, ma dovete imparare a mentire meglio!
- Fuori è tutto tranquillo, giornalisti a parte. Vi scortiamo all’auto così non vi disturberanno.
- Grazie ragazzi - disse Castle sincero.
- Figuratevi, è il minimo. - Esposito e Ryan si misero ai loro lati accompagnandoli alla loro macchina. La portiera era già aperta ed aiutarono Kate ad entrare mentre Castle fece il giro dall’altra parte ignorando flash e giornalisti. Quando entrambi furono dentro Javier diede una pacca sul vetro per far capire all’autista che era tutto apposto e potevano andare, così l’auto si allontanò, portando Rick e Kate di nuovo verso la loro casa.

Rimasero in silenzio per tutto il tragitto. Kate guardava fuori dal finestrino una città che le sembrava cambiata. Percorreva strade conosciute e vedeva negozi diversi. Ferma ad un semaforo notò come quel caffè all'angolo dove andava spesso dopo il lavoro non c'era più al suo posto una delle tante catene take away. Si rammaricò. Amava quell'ambiente un po' consumato e vissuto, le tazze in ceramica, quelle torte fatte dalla proprietaria. Era un angolo familiare nella grande città. 
Kate non sapeva dove stessero andando di preciso. Non aveva chiesto a Castle dove fosse la loro casa. Si accorse solo che si dirigevano verso sud, poi l’autista passò davanti all’entrata di un palazzo con un numero discreto di giornalisti al appostati fuori, girò l’angolo e si fermò.
- Signor Castle, cosa devo fare?
L’autista si girò a guardare Rick, che gli diede le informazioni per entrare con l’auto dal retro andando direttamente al parcheggio sotterraneo del palazzo. Erano arrivati, quindi. Era una bella zona elegante e non snob, pensò Kate mentre scendeva, l’autista li accompagnò portandogli il trolley fino all’ascensore e Castle prima di salire gli lasciò una cospicua mancia, ricordandogli di tenersi a disposizione perchè ne giorni seguenti poteva avere ancora bisogno di lui.
- Tu non hai un’automobile Castle?
- Ehm sì, quelle due lì - disse indicando la Ferrari rossa e la Mercedes grigia all’angolo opposto - Ma in questo periodo preferisco non guidare.
- Vai in giro per New York in Ferrari? - Chiese con un’espressione che Rick non seppe se giudicare stupita o inorridita, ma sapeva benissimo quanto a Kate piacesse guidare la sua Ferrari, quindi non se ne preoccupò
- Qualche volta e ti piace anche guidarla!
Kate rimase a bocca aperta, certo che le piaceva guidare una Ferrari, era un sogno per lei
- Quando starai meglio andremo a farci un giro e guiderai tu, promesso! - E lei sorrise salendo in ascensore.

Castle aprì la porta di casa e indugiò prima di entrare. Kate notò la sua incertezza e gli appoggiò una mano sulla spalla. Per lei era una situazione del tutto nuova ma poteva capire che per lui tornare lì insieme era qualcosa di diverso.
- Tutto bene Castle? - Kate era sinceramente preoccupata di come lui si sentisse e Rick apprezzo quel gesto di conforto tanto quanto la sua domanda.
- Credo di sì. Ero tornato in questa casa solo per prenderti delle cose. Beh ora è diverso. 
Entrarono e lasciò il trolley vicino alla porta mentre Kate si guardava intorno stupita cercando di trovare qualche appiglio nella sua memoria. Fece alcuni passi incerti verso il salone, solo quello era grande quanto tutto il suo vecchio appartamento. Castle le mostrò il suo studio e la nuova cucina, l’unica cosa cambiata rispetto a prima.
Poi la condusse davanti alla porta di quella che era la loro camera. La porta era chiusa, lei non disse niente, non l’aprì ma ma si voltò a guardarlo. Rick le spostò una ciocca di capelli dal viso approfittando per accarezzarle la guancia morbida, poi le diede un dolce bacio lì dove le aveva lasciato una carezza.
- È la nostra camera, vero? - Kate non si era allontanata davanti alle sue attenzioni, le facevano piacere più di quanto volesse ammettere e stare sempre sul chi va là e mantenere le distanze con lui in ogni momento la stancava mentalmente e fisicamente. In fondo non c’era nulla di male se suo marito la accarezzava o le dava un bacio sulla guancia. Castle per conto suo si era sempre comportato come un perfetto gentiluomo, non era mai andato oltre. La abbracciava quando poteva, la coccolava dolcemente, ma nulla di più. Non invadeva il suo spazio, non la forzava in nessun modo, non gli piaceva ovviamente questa situazione e in alcuni momenti trattenersi diventava veramente difficile, ma sapeva quale era il suo limite e lo rispettava anche forzandosi, come in quel momento.
- Sì. Te lo sei ricordato? - Le chiese speranzoso
- No, l’ho capito dai tuoi occhi. - Fu deluso da quella risposta. Aveva realmente sperato che nella sua mente fosse riapparso qualche ricordo. Non glielo disse, ma Kate lesse anche quello in quei due frammenti di oceano che la guardavano intensamente. Non era così complicato per lei capire cosa passasse per la testa di quello scrittore, forse perchè lui esternava molto le sue emozioni con le espressioni del viso, forse perchè era pur sempre una delle migliori detective della città, capitano si corresse mentalmente, o forse perchè aveva ragione lui e loro erano in qualche modo connessi.

Castle aprì la porta ed entrarono, di nuovo, insieme nella loro camera da letto. Kate si guardò intorno come nelle altre stanze poi si sedette sul letto, dalla parte in cui dormiva solitamente andò vicino a lei.
- Questa era la tua parte di letto
- Avevo il 50% di possibilità - sorrise
- Già, è vero. 
- Dove sono tua madre e Alexis?
- Fuori, tornano dopo, gli ho chiesto di lasciarci un po’ da soli.
- Non voglio che per colpa mia debbano andare via dalla loro casa.
- È anche la tua casa questa, non te lo dimenticare.
- Già, scusa, non è facile… Immagino che al piano superiore ci siano le altre stanze, giusto?
- Sì, giusto.
- Dormirò in una di quelle?
- No, dormirai qui. Andrò io sù.
- Castle, non è giusto che tu dorma altrove ed io stia qui.
- Beckett, punto primo, io in questa stanza senza di te non ci dormo a maggior ragione se so che sei in casa altrove. Punto secondo questa è la sistemazione più comoda per il tuo stato di persona in via di guarigione: non devi fare le scale, hai il bagno qui e questo ti da la totale privacy, ci sono tutte le tue cose, può aiutarti a ricordare e non ti fa alcun effetto se io ci sono oppure no.
Kate si fermò a pensare ma non trovava niente da ridire, i suoi appunti erano ineccepibili.
- Va bene Castle. 
- Hai fame? Vuoi che ti preparo qualcosa?
- No Castle. No.
- Hey sono bravo a cucinare e poi adoro cucinare per te!
Si rese conto di quello che le aveva appena detto. Si guardarono. Lei non capiva perché non voleva che lui cucinasse, era una cosa irrazionale. Aveva sentito una sorta di morsa allo stomaco e quelle stesse sensazioni di quell’incubo che ogni tanto ancora faceva. 
- Non voglio che prepari niente adesso, ok? - Gli parlò con voce ferma ma che lasciava trasparire la sua preoccupazione.
- Ok… - sussurrò Rick - … perchè?
- Non lo so, ho avuto paura… Ti sembra strano?
- No, Kate, non lo è. Ho avuto paura anche io. - Le prese una mano, mentre con l’altra prese il cellulare cercando i numeri dei ristoranti che facevano consegne a domicilio. - Cosa vuoi mangiare?
- Pizza. Ho tantissima voglia di pizza. E patatine fritte. E hamburger. E di uno shake alla fragola con panna. E anche di pollo fritto. - Rick la guardò incerto sul da farsi.
- Dici sul serio Beckett? - Lei fece cenno di sì con la testa mordendosi il labbro come una bambina colta in fallo. Si aspettava che Castle le facesse una ramanzina su quanto fosse importante nel suo stato mangiare sano ed invece si fece ripetere quello che voleva ed ordinò tutto. Doppio. Non si sa mai.

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Capitolo 14
*** QUATTORDICI ***


Castle l'aiutò a riporre le cose che avevano portato dall'ospedale. Le piaceva vedere come si muoveva con naturalezza in quella camera, con molta più di lui che ancora aveva dei problemi a stare lì, con lei, in quella situazione. In realtà aveva ancora problemi con tutta quella casa, molti più di quelli che ammetteva a se stesso. Si rese conto che non era solo la cucina, era tutto. L'aveva fatta rifare, cambiata completamente, mobili ed anche disposizione. Ma lui la vedeva sempre come era prima e rivedeva sempre Kate a terra ferita che si trascinava lei verso di lui. Lei, quella che dei due era stata ferita in modo più grave, che inconsciamente stava rischiando non solo la sua vita, aveva trovato le forze di strisciare fino a lui per tenergli la mano ancora una volta, l'ultima per quello che ne sapevano loro in quel momento, per essere insieme fino alla fine, mentre lui era rimasto immobile, pietrificato, dalla paura più che dal dolore e questa cosa non riusciva ad accettarla. Non era mai stato un grande uomo d'azione, anche se negli ultimi anni le cose erano cambiate, ma nelle situazioni critiche, nelle quali le persone che amava erano in difficoltà, aveva sempre trovato la forza ed il coraggio di fare delle azioni e prendere delle decisioni estreme. Lì, invece, non era stato in grado nemmeno di spostarsi per andarle incontro. Se non l'avesse fatto lei, se le cose fossero andare diversamente non se lo sarebbe mai perdonato e non si perdonava nemmeno ora della mancata azione. Lei aveva desiderato usare le sue ultime forze per andare da lui, per tenersi per mano, per sempre, come si erano promessi, aveva mai ricevuto una dimostrazione di amore più grande da parte di qualcuno? Si aggrappava a questo, a quella mano che aveva cercato la sua, per andare avanti in questa situazione assurda. Quella donna che non ricordava niente di tutto questo era la stessa che gli teneva la mano. Doveva solo ricordarsi sempre di questo.

Kate lo osservava riporre i suoi abiti e le sue cose. Sapeva esattamente dove lei teneva tutto, metteva via ogni cosa con cura ed attenzione. Le aveva dato il sacchettino con le fedi, chiedendole di metterlo dove preferiva, perchè quello non aveva un posto, prima. Kate lo mise nel cassetto del suo comodino dove trovò anche la sua scatola portagioie: era piacevole trovare qualcosa che era nella sua memoria.
Castle aveva quasi finito di svuotare il trolley quando tirò fuori il giacchetto nero di Kate. C'erano i due fori dei proiettili, il suo sangue. Teneva in mano l'indumento e la guardava allibito mentre lei si sentiva colpevole per averlo messo lì e farglielo trovare. Leggeva terrore e dolore nel suo volto. Andò verso di lui e mise le sue mani sopra le sue che tremavano tenendolo.
- Perché lo hai preso Kate? - Non lo capiva. Lui i suoi vestiti li aveva fatti buttare tutti. Tutti. Anche le scarpe e la biancheria. Pensava addirittura che non avrebbe più comprato una camicia di quel colore e forse nemmeno di colori simili. E lì aveva in mano quell'indumento con quei segni così visibili e dolorosi.
- Non lo so. Volevo capire. Volevo vedere. Lascialo, lo metto via io. - Rick però non lo lasciava, lo teneva stretto con le mani che erano bianche per lo sforzo ed ancora tremavano. Glielo chiese ancora e allentò la presa. Lei tenne la giacca in mano per un istante, la guardò, fissò i fori dei proiettili e sentì di riflesso le ferite tirare. La appoggiò sulla sedia: avrebbe deciso poi cosa farne.
- Stai bene Castle?
- Non lo so. - la sua risposta fu sincera e la sorprese. Ma era evidente che stare lì era più difficile per lui che per lei, lo capì subito. 
Il suono del campanello lo fece sussultare in modo irrazionale.
- Deve essere il nostro pranzo. - Kate, invece, era razionale e lucida, molto più di lui. Annuì e andò ad aprire. Quando vide il fattorino sommerso di cibo si rese conto che aveva esagerato e, se se ne rendeva conto lui, voleva dire che aveva decisamente esagerato. Quando il ragazzo stava per appoggiare tutto sul tavolo della cucina Castle lo fermò indicandogli il divano ed il tavolo davanti. Era indubbiamente troppo piccolo per contenere tutto, lasciò lì ammucchiate le buste con i cartoni della pizza, Rick senza vedere il conto gli diede una banconota da 100 dollari dicendogli di tenersi il resto. Il ragazzo incredulo lo salutò varie volte ringraziandolo. Kate aveva assistito alla scena dalla porta di camera, lui la vide appoggiata allo stipite, era dannatamente bella e glielo disse. Non poteva farne a meno. Pensò che in altre occasioni con lei lì, così, tutto quel cibo avrebbe aspettato perché sarebbero stati molto indaffarati in altre piacevoli attività. Si limitò, invece, ad accarezzarla e a darle la mano per accompagnarla verso il divano.
- Quanti siamo a pranzo Castle? - le disse con tono giocoso di rimprovero?
- Tre
- Chi altro deve venire? - chiese Kate stupita, le aveva detto poco prima che Alexis e Martha sarebbero rimaste fuori ancora per un po', suo padre era in tribunale, non aveva proprio voglia di ricevere visite specialmente di qualcuno che magari conosceva ma di cui non si ricordava
- Nessuno. Siamo già tutti qui. - aprì la bocca per ribattere, ma non trovò nessuna parola adatta e la sua espressione si tramutò in un sorriso. Rick sorrise a sua volta e non si aspettò il pugno sulla spalla che gli arrivò.
- Io non mangerò per due per diventare una balena. Scordatelo Castle.
- Tranquilla Kate, tra di noi l'unica balena rimarrò io. - le fece un occhiolino malizioso mentre cominciava a scartare il loro pranzo.
- Cosa intendi dire Castle?
- Te lo spiegherò in un altro momento Beckett… forse!

Mangiarono divertendosi, con Kate che sbuffava per l'eccessiva quantità di cibo presente e Rick che le ricordava che lui aveva ordinato solo quello che aveva chiesto lei, dimenticandosi di aggiungere in doppia razione. 
- Con tutta questa roba potevamo sfamarci tutto il distretto Castle!
- Solo se Esposito e Ryan non erano di turno.
- Già... - Kate mangiò un ulteriore pezzo di pizza prima di dichiararsi vinta da quel pasto poco sano ma molto soddisfacente. 
- Oggi era un'eccezione alla regola solo perché sei uscita dall'ospedale e dovevamo festeggiare
- Pensavo che Richard Castle preferisse festeggiare con ostriche, caviale, aragoste e champagne - lo prese in giro lei.
- No, io di solito festeggio con gelato e panna spray! E poi tu le ostriche non le puoi mangiare, il caviale è sconsigliato e lo champagne non lo puoi bere. Ma se vuoi le aragoste te le faccio portare per cena.
- Castle, stavo scherzando. Non ho bisogno di nulla di tutto questo. 
- Ah ok - disse sprofondando di più nel divano bevendo l'ultimo goccio del suo shake. - ma se desideri dell'aragosta dimmelo, non voglio che nostro figlio nasca con delle voglie a forma di chele solo perché tu non mi hai detto nulla!
- Castle, sei serio? - lui annuì serissimo e lei rise - Non ti preoccupare, ti metterò subito al corrente di tutte le mie voglie!
Castle boccheggiò come un pesce. Stavano forse flirtando? Kate era estremamente divertita, quindi si stava comportando così coscientemente. 
- Beckett se fossi stata così anche prima, di certo non ci avrei messo quattro anni per conquistarti! 
- Quattro anni... - ripeté lei stupita.
- Non sei stata facile.
- Poi cosa hai fatto per farmi capitolare? 
- Ti ho detto che ti amavo. E ti ho lasciata perchè non volevo rimanere a guardare mentre tu andavi a farti ammazzare seguendo le tue ossessioni. - La conversazione divenne improvvisamente molto più seria di quanto Kate pensasse. Era convinta che Castle avesse fatto qualcuna di quelle sue cose strane ed assurde che l’avevano infine convinta. Però convenne anche lei che non era una persona che si sarebbe lasciata conquistare con qualche stramberia del genere. Distruggere le sue barriere e lasciarla, quella sì che poteva essere una cosa in grado di farla realmente capitolare. Apprezzò la sua costanza e la sua insistenza. Un uomo che l’aveva attesa quattro anni doveva sicuramente amarla molto. 
- Il caso di mia madre...
- Sì. Hai dovuto rischiare la tua vita ed il tuo lavoro prima di capire che nella tua vita c'era posto anche per me tra le tue ossessioni.
- È successo prima o dopo che risolvessi il caso?
- Prima.

Kate non rispose ma pensò che per riuscire a farsi spazio nel suo cuore prima di dare giustizia a sua madre doveva anche lei amarlo veramente molto. Solo una volta le era successo di permettersi di innamorarsi e aveva giurato a se stessa che non sarebbe più successo fino a quando non sarebbe stata libera da quell’incubo. Castle non disse altro. Ritornò con la mente a quella sera che aveva cambiato la sua vita e che li aveva posti davanti ad uno dei tanti loro sliding doors. Pensò a cosa sarebbe stato di lui se Ryan non fosse arrivato in tempo e scacciò l'immagine dalla sua testa chiedendosi perché ultimamente doveva sempre pensare a tutti gli scenari più negativi. La risposta la sapeva. Aveva rischiato di perderla seriamente ancora una volta ed ora era lì con lei anche se era come se non fosse lei. "Datti tempo, Richard" si disse mentalmente. Pensava di essere più paziente, ma quanto le mancava sua moglie! 
Kate pensava che aveva ragione Lanie, quel divano era veramente comodo, la sua casa era wow ed anche il suo scrittore non era poi così male. Si sentì stanca ed insonnolita, la mattinata era stata per lei faticosa, aveva camminato più di quanto avesse fatto nelle precedenti settimane, con emozioni contrastanti e la digestione di certo non la aiutava a rimanere sveglia. 
Rick se ne accorse da come sbadigliava e da come faticava a tenere gli occhi aperti.
- Vuoi andare a letto?
- È una proposta Castle?
- No, no... - disse preso in contropiede mentre lui era sinceramente preoccupato delle sue condizioni - ma se vuoi andare a riposarti...
- Sono stanca di stare a letto, mi riposerò bene anche qui, disse accoccolandosi in un angolo del divano mentre l'aria fresca del condizionatore li isolava dal caldo umido dell'esterno e conciliava il sonno.
- Ok, se vuoi io sono un morbido cuscino
- Sto bene così Castle, ma grazie - furono le ultime parole che gli disse, sbadigliando, prima di addormentarsi serenamente.

Quando sentì il rumore della chiave che girava nella serratura, Castle si allertò. Si scoprì ipervigile ad ogni rumore in quella casa. Gli sembrava perfino che l’aria condizionata fosse troppo rumorosa quando prima nemmeno si accorgeva della sua presenza.
Si alzò e si voltò meccanicamente verso la porta mettendosi in piedi davanti al divano coprendo Kate che ancora dormiva. Dalla porta apparvero le sue due rosse e si rilassò. Si avvicinò a loro facendogli segno di fare silenzio indicando il divano dove Kate dormiva. Baciò madre e figlia che si avvicinarono guardando con tenerezza la donna finalmente a casa, molto più rilassata e in salute di quanto non l’avessero vista in ospedale. Anche per loro quella era una briciola di normalità. Quando Alexis spostò lo sguardo sul tavolino dove più della metà del cibo ordinato da Castle era ancora intatto, guardò suo padre severa e lui alzò le spalle con noncuranza, indicando Kate come a farle capire che era stata lei a volere quelle cose. Alexis scosse la testa roteando gli occhi al cielo pensando che suo padre non sarebbe mai cambiato, nemmeno ora che stava per diventarlo di nuovo.
Come se sentisse gli sguardi addosso di tutta la sua nuova famiglia, Kate si svegliò mettendoci qualche istante per capire dove si trovasse. Si tirò su pigramente, salutando Alexis e Martha che immediatamente si misero sedute vicino a lei per chiederle come si trovasse lì, di nuovo a casa.
Chiacchierarono un po’, poi Rick quando ormai era pomeriggio inoltrato, avendo paura che sua figlia, ma soprattutto sua madre, stessero stressando troppo una ancora confusa Kate, le chiese se volesse andare a farsi finalmente una doccia come si deve. La accompagnò in camera e le mostrò dove si trovassero tutte le sue cose, le indicò il suo morbido accappatoio, aprì gli sportelli per farle vedere dove erano le sue creme e le sue lozioni.
Kate guardò con la grande vasca da bagno molto invitante. Avrebbe voluto veramente tanto farsi un lungo bagno rilassante, ma glielo avevano sconsigliato ancora per un po’, per via dei punti. Anche la doccia di Castle comunque era molto spaziosa e sembrava confortevole. 
- Se ti serve qualcosa, chiamami pure. - Le disse prima di lasciarla, per la prima volta sola, in quella casa. Ritornò a passi veloci da madre e figlia sul divano, non evitando di pensare a lei sotto la doccia, la loro doccia, dove tante volte avevano passato del gran bel tempo insieme. E gli faceva male.

- Papà, Kate?
- È andata a farsi una doccia - Alexis guardò l’orologio, era passata più di un’ora. Castle, che aveva sonnecchiato sul divano, non si era accorto del tempo passato, ma appena vide l’ora, si alzò di scatto o almeno ci provò, ma aveva chiesto troppo a se stesso e ricadde sulla poltrona. Ci riprovò, più lentamente ed andò meglio. Era convalescente ancora anche lui, glielo ricordavano tutti, e di certo non aveva avuto una convalescenza congrua alla sua situazione il che non aveva certo facilitato le cose per il suo fisico, anche se tendeva sempre a dissimulare. 
Bussò alla porta della loro camera ma non ottenne risposta. Pensò che Kate si fosse addormentata ancora ed aprì piano la maniglia per sbirciare dentro.
Kate, invece, era ancora avvolta nell'accappatoio seduta sul letto a fissare apparentemente la porta del bagno, in realtà il suo sguardo era perso nel vuoto.
- Beckett? - sussurrò appena Rick aperta la porta - Kate?
Si avvicinò lentamente e si sedette al suo fianco. Martha e Alexis, che l'avevano seguito, facevano capolino dalla porta e lui fece loro un inequivocabile gesto di lasciarli soli, così si allontanarono, chiudendosi alle spalle la porta, concedendogli quell’intimità e quella discrezione che rare volte erano riusciti ad ottenere in passato. 
- Cosa c'è Kate? Hai ricordato qualcosa? 
Lei scosse la testa energicamente lasciando che qualche gocciolina d'acqua ancora imprigionata tra i suoi capelli finisse sul viso di Rick.
- Non ti va di stare qui? Ti devo accompagnare da tuo padre? Vuoi che prendiamo una suite in qualche hotel? Un ambiente neutro?
Fece ancora di no con la testa
- Kate, stai male? Non mi far preoccupare per favore. - la stava supplicando. Si girò verso di lui colpita dal suo tono di voce.
- Le cicatrici. Sono... Tante... Sono orribili... Io sono orribile! Cosa mi è successo in questi anni Castle? Perchè tutti quei segni?
Rick le prese la testa tra le mani e la girò verso di lui in modo che non potesse sottrarsi dal guardarlo.
- Mi devi guardare Kate e mi devi ascoltare attentamente. Tu. Sei. Bellissima. Non accetto repliche su questa cosa. Orribile non è una parola che si può associare a te in nessun caso. E io di parole me ne intendo. Ho mille aggettivi per te, se vuoi te li dico tutti e in nessun caso c’è orribile. - Le parlava in modo quasi solenne perché ne fosse certa, non poteva credere che lei pensasse veramente questo di se stessa.
- Non le hai viste...
- Le ho viste. Quando non ti eri ancora svegliata. E non c'è cicatrice che potrà farmi cambiare idea. Mi credi?
Non gli rispose ma lo continuò a guardare fino a quando non appoggiò la fronte sulla sua spalla e cominciò a piangere.
- Le conosco tutte le tue cicatrici, Kate. Quelle visibili ed anche quelle invisibili. E le amo, tutte. Perchè testimoniano tutte che tu sei viva, sei con me e ce l’hai fatta.
Rick prese la sua mano e la appoggiò sul suo petto, muovendola e facendo scorrere le dita sopra la cicatrice che aveva lui. Kate irrigidì la mano al tocco intuendo sotto la maglia i contorni della ferita, immaginandola come una delle sue. Era il suo modo per farle capire che tra le tante cose che avevano condiviso e che continuavano a condividere c’era anche questa, e non avrebbe cambiato quello che loro erano. Kate non si sentì pronta per una condivisione così personale, con lui ed il suo corpo e appena le lasciò la mano la fece ricadere lungo il corpo, senza volontà, come la mano di una bambola o un burattino.
Lui la strinse tra le sue braccia, lei si fece stringere era come una cosa appoggiata a lui: non aveva la forza mentale per reagire. Aveva visto il suo corpo, per la prima volta. Aveva riconosciuto i vecchi segni, ne aveva trovati di nuovi, terribili. Riconobbe i segni inequivocabili di un colpo d’arma da fuoco in pieno petto che avevano segnato il suo seno e sentiva come se l’avessero derubata di parte della sua femminilità. Trovò altre cicatrici sul fianco e sull’addome, i nuovi segni dello sparo con le ferite ancora gonfie e rosse. Si forzò mentalmente per medicarsele così come le avevano detto quella mattina in ospedale. Lo fece perchè lei era una che portava a termine gli ordini che le venivano dati, era ligia al dovere anche quando questo le faceva male. 
Pensò che non avrebbe più avuto il coraggio di farsi guardare da nessun uomo così 
Pensò che nessun uomo l’avrebbe più guardata. 
Non pensò che lei era una donna sposata, che suo marito conosceva il suo corpo e le sue cicatrici e le ricordava sicuramente meglio di lei e che era ingiusto pensare a cosa pensassero altri uomini del suo corpo. Non era una donna libera, era sposata, ma non ci pensava, non se ne rendeva conto. E si sentiva privata di quello che ricordava essere il suo corpo, senza imperfezioni, perfettamente in grado di sedurre anche solo per ottenere quello che voleva se non ci riusciva con la forza. Ora credeva che non sarebbe più riuscita ad ostentare tanta sicurezza, a sentirsi bella e desiderabile.
Alle parole di Rick si sentì ancora peggio. Lui le stava dicendo tutto il contrario di quello che pensava. Sentiva la sincerità delle sue parole che non erano iperboliche, ma vere, lui credeva a quello che le stava dicendo, non lo faceva per farla stare meglio, ma per metterla davanti ad un dato di fatto che lei non riconosceva. Davanti a tutto questo lei pensava che non sarebbe più piaciuta a nessun uomo, nessun altro uomo, forse. Si sentì spregevole ed ingiusta nei suoi confronti. Ebbe almeno l’accortezza di non dirgli queste sue paure, lo avrebbe ferito mortalmente e non lo avrebbe meritato, ma non riuscì nemmeno a ricambiare il suo abbraccio protettivo, perchè si sentiva come se lo avesse appena tradito e rimase ancora più colpita da quel pensiero e da quelle sensazioni latenti che venivano a galla all’improvviso.

Rick si accorse che  l’accappatoio bagnato si era raffreddato. Non poteva stare così, anche se fuori era molto caldo, in casa la temperatura era gradevole grazie all’ambiente climatizzato e se non si fosse asciugata e cambiata si sarebbe influenzata, e con il suo fisico ancora debole e la gravidanza avrebbe dovuto assolutamente evitarlo. La allontanò malvolentieri.
- Devi cambiarti Kate, se no ti sentirai male.
Lei annuì e gli chiese con cosa stava di solito per casa lì da lui, vista la presenza di sua madre e sua figlia. Rick notò una punta di fastidioso imbarazzo nella sua voce, sicuramente Beckett era abituata ad essere molto più libera a casa sua di quanto non fosse lì al loft. Con non poca malizia le disse che dopo il più delle volte girava per casa con le sue magliette o le sue camice e lui la trovava estremamente sexy: mentre lei arrossiva lui rideva e le passava una comoda tuta leggera, facendole vedere dove poteva trovare alcune delle sue cose. Rick tornò nella loro nuova cucina da sua madre e sua figlia, lasciandole la privacy di cambiarsi senza la sua presenza e Kate sorrise mentre si vestiva con gli abiti che gli aveva dato lui. Aprì quello che doveva essere il suo guardaroba e notò come i suoi vestiti erano diversi da come era abituata a vestirsi nei suoi ricordi. Guardò i completi sobri e di pregevole fattura, i vestiti da sera di famose case di moda. Ne prese uno, rosso, pensò che dovesse costare come qualche mese del suo stipendio da detective. Era splendido, chissà in quale occasione lo aveva indossato. Cercò ancora e alla fine trovò qualcosa di molto familiare, un paio di giubbotti di pelle nera, uno molto più consunto, l’altro decisamente nuovo e jeans stretti che pensò chissà quando e se avrebbe potuto rimettere. Sorrise vedendo che tra le sue scarpe non mancavano certo tacchi alti di ogni genere, segno che almeno quella sua passione era rimasta identico, correva ancora per le strade di New York sui suoi amati tacchi e chissà se ancora si stupivano di come faceva. Pensò, sorridendo compiaciuta, che aveva sempre sognato una collezione di scarpe così.

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Capitolo 15
*** QUINDICI ***


Castle si svegliò boccheggiando. Buttò lo sguardo più volte alla sua destra cercando Kate: lei non c’era. Ovviamente. Lei dormiva nella loro stanza. Lui no.
L’aveva sognata, di nuovo. Nella loro cucina. A terra. La sensazione della mano di Kate che piano piano lasciava la presa sulla sua e lui che non riusciva a muoversi pietrificato dalla paura. Sudava e respirava velocemente. Aveva bisogno di vederla. Si assicurarsi che stesse bene. Lo sapeva, ma doveva vederla, lo necessitava letteralmente a livello fisico e soprattutto mentale. Doveva vedere il suo petto alzarsi e abbassarsi seguendo il ritmo cadenzato del suo respiro. Era vitale per lui in quel momento, aveva la necessità di vedere quel respiro più che di respirare lui stesso.
Scese le scale cercando di non fare rumore e di non essere goffo come suo solito. Aprì piano la porta di camera e lasciò che un fascio di luce dal loft illuminasse leggermente il suo volto. Dormiva apparentemente tranquilla, con il braccio allungato lì dove di solito giaceva lui al suo fianco. Respirava, vedeva il lenzuolo che le copriva appena i fianchi muoversi lievemente. Ripensò a quante volte aveva fatto la stessa cosa quando Alexis era piccola, quando si alzava nel cuore della notte e si intrufolava nella sua camera per accertarsi che stava bene, senza un motivo preciso. Era ansioso per la vita delle persone che amava e forse questa nuova paternità che sarebbe arrivata nel giro di qualche mese aveva accentuato questo suo lato. O più probabilmente quello che avevano vissuto, tendeva a volerlo dimenticare sempre, senza molto successo.  Sospirò e chiuse la porta, per poi andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Era attento anche a dove metteva i piedi, nonostante i mobili diversi sapeva esattamente dove loro erano e non voleva camminare lì. Mentre beveva avidamente si chiese se questa fobia gli sarebbe mai passata, se sarebbe mai riuscito a non vedere i loro corpi lì in quel preciso punto, perchè per una parte del suo inconscio loro erano sempre lì, la sua Kate era sempre lì, ancora su quel pavimento e non di là in camera a dormire tranquillamente. Lo turbò il pensiero che in un certo senso era vero. La sua Kate, i suoi ricordi, sembravano essere rimasti lì, che si fossero inchiodati a quelle assi del pavimento che aveva fatto rimuovere e che non li avessero portati via con lei, troppo impegnati a salvarla si erano dimenticati di loro, dei ricordi di otto anni di vita lasciati su quel pavimento incustoditi. Rick si chiese anche se avesse fatto bene a far cancellare ogni traccia di quello che era quel luogo, se non avesse contribuito anche lui, in qualche modo, a distruggere definitivamente quello che era rimasto lì.
Era colpa sua se Kate non ritrovava i suoi ricordi perchè lui li aveva fatti distruggere con quella vecchia cucina, mosso da una decisione impulsiva, seguendo solo la sua irrazionalità e la sua incapacità di riuscire a superare l’accaduto? 
Come se tutto quel ragionamento, invece, fosse stato razionale. Gli sembrava di diventare pazzo quando voleva per forza dare una spiegazione a qualcosa di inspiegabile, cercare una motivazione o un colpevole che non esisteva, glielo avevano detto più volte che era una condizione creata dalla mente di Kate, forse per proteggersi o chissà perchè. 

 

Rick si era chiesto in quei giorni molte volte perchè la sua amnesia cominciava proprio da prima che si conoscessero, non poteva essere una casualità. Si ritrovò a pensare, come il giorno del loro matrimonio, se in fondo lei non fosse stata realmente meglio senza di lui. E se fosse stata lei a chiederselo? Se tutto quello dipendeva da una sua volontà inconscia ora che, per l’ennesima volta, avevano rischiato tanto, troppo. In fondo era stato per causa sua che aveva riaperto il caso di sua madre dando il via ad una catena di eventi che avevano rischiato di ucciderla varie volte. 
Chiuse gli occhi e li strinse forte e se stava vivendo di nuovo in un universo parallelo? E se era la Kate di un altro universo che era arrivata lì durante il coma e aveva sostituito la sua? Immaginò la sua espressione se gli avesse esposto le sue teorie, la faccia seria ed accigliata che si sarebbe trasformata in un sorriso, le sue minacce… gli mancavano anche quelle! Nel dubbio senza farsi vedere, avrebbe cercato tra le sue cose se ci fosse stato qualche strano amuleto inca, maya o di qualsiasi altra civiltà.
Riempì di nuovo il bicchiere e si andò a sedere sul divano. Erano le tre di notte, dubitava che avrebbe dormito ancora a quel punto. Era troppo agitato, troppo sveglio, troppo vigile. Sarebbe rimasto lì, così si sarebbe assicurato che nessuno avrebbe disturbato Kate, avrebbe vegliato lui sul suo sonno.

Kate si era accorta di Castle quando aveva aperto la porta di camera. Era rimasta immobile nella posizione in cui si trovava aspettando di capire cosa volesse fare. Lo aveva sentito chiudere la porta, poi aveva ascoltato ogni rumore, capendo che era in cucina e poi si era spostato altrove. Ma non aveva sentito i passi ovattati sulle scale, quindi pensò che fosse rimasto lì. Si alzò, quindi, uscì dalla stanza e andò verso la luce flebile che veniva da vicino al grande divano. Lui si era già voltato verso di lei, allarmato del rumore della porta. Kate gli si avvicinò sorridendo timidamente, voleva tranquillizzarlo che stava bene. Inutile. Le chiese esattamente quello appena fu vicina, ma era palesemente lui, in quell’occasione, quello a cui andava chiesto come stava. Si sedette mentre lui continuava a guardarla rimanendo in piedi. Battè con la mano sul posto vicino a lei, invitandolo a sedersi e lui ubbidiente la assecondò. Non la guardava, sospirava profondamente guardando fisso davanti a lui. Sembrava un bambino, le faceva tenerezza. 
- Castle, dobbiamo parlare - gli disse seria dopo vari minuti nei quali tra loro c’era stato solo silenzio.
- Ti ho svegliato? - Chiese lui preoccupato.
- Sì, ti ho sentito quando hai aperto la porta di camera.
- Scusami. Non volevo svegliarti e non volevo nemmeno entrare. Non vorrei che tu pensassi che io volevo entrare da te, importunarti, so quali sono i nostri accordi non era per questo che sono venuto a vedere… - come faceva ogni volta che era preoccupato parlava a raffica senza nemmeno ascoltare se qualcuno gli parlasse. Era un flusso continuo di parole e scuse.
- Basta Castle. - Lo interruppe decisa
- Volevo solo vedere se stavi bene. - Si giustificava ancora.
- Io sto bene. Tu no, mi pare evidente.
- Non sei arrabbiata con me? - La preoccupazione di Castle si tramutò in stupore. Quella conversazione sussurrata per non svegliare il resto della famiglia sembrava quasi surreale, ma aveva un’urgenza non detta che non poteva essere rimandata al giorno dopo, dovevano parlare adesso.
- No, sono preoccupata per te. 
- Non devi preoccuparti per me.
- Non è un dovere Castle, lo sono e basta. Se tu sei preoccupato probabilmente è per qualcosa che riguarda noi. - Le era ancora difficile usare quel pronome - Ed io voglio saperlo. È per la sparatoria, vero?
Castle si alzò, andò verso la cucina ma rimase a distanza. La guardò attentamente. Era diverso il pavimento, diversi i mobili, i colori, anche la disposizione. Ma lui la vedeva sempre come era prima, sempre. Kate si mise al suo fianco.
- Noi eravamo lì - disse indicando un punto. - Io ero lì e tu ti sei avvicinata a me da quel punto - disse indicandone un altro più distante. Io ero terrorizzato a tal punto di non riuscire a muovermi. Lo hai fatto tu. Eri quella ferita in modo più grave, ma ti sei trascinata fino a me, ci siamo presi per man fino a quando tu l’hai lasciata perchè eri sempre più debole. Poi sono venuti a prenderci e ci hanno separato. Ho fatto cambiare tutto qui. Eppure io vedo sempre come era prima. Ti vedo lì a terra ed io che non riesco a fare nulla.
- Non potevi fare nulla Castle. Non darti colpe che non hai.
- Potevo capirlo prima. Potevo capire prima di Caleb. Dovevo essere più attento.
- Non so di cosa stai parlando, ma semmai dovevamo. E poi la poliziotta ero sempre io, non te lo dimenticare. Castle, sei sicuro di riuscire a rimanere in questa casa?
- Non lo so. Pensavo che tornarci con te sarebbe stato più facile. Ma non è così. Ogni volta che passo qui davanti mi si chiude lo stomaco e sto male. Penso a tutto quello che stavo per perdere, proprio qui, dentro casa nostra. Prima sono sceso perchè ho sognato di nuovo quella mattina e sono sceso per vedere che tu fossi veramente lì, che stavi bene. Solo per questo. Non volevo fare altro.
- Lo so Castle, non ti preoccupare. - Fu lei ad abbracciarlo questa volta, portò le braccia intorno al suo corpo possente e si appoggiò a lui. Era molto più grande di lei, la sovrastava fisicamente in ogni senso, eppure tra le sue braccia le sembrava di avere un bambino impaurito. Forse saranno stati gli ormoni o quel senso materno che cresceva in lei giorno dopo giorno senza che se ne accorgesse. Sentiva il battito accelerato del cuore di Rick, avrebbe voluto trovare le parole o i gesti giusti per calmarlo, li cercava dentro di se, ma non li trovava. Voleva fare qualcosa per lui dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei, ma non sapeva cosa, per questo aveva fatto la cosa più istintiva che gli era venuta in mente, lo aveva abbracciato cogliendolo anche di sorpresa. Gli accarezzava la schiena con movimenti lenti e solo allora, quando sentì le mani di lei muoversi su di lui, Castle abbassò la testa, trovando i suoi capelli ed ispirando profondamente il loro profumo riuscì a regolare le sue pulsazioni, lasciandosi inebriare da quel profumo familiare che era di ciliegie e di lei. 

Quando Kate alzò la testa cercando gli occhi di lui, Rick dovette combattere contro se stesso per resistere al desiderio che aveva di lei in quel momento. Voleva baciarla, lo voleva talmente tanto che quasi ringraziò l’ingresso teatrale di sua madre che apparve dalle scale con la sua vestaglia verde svolazzante e gli impedì di andare oltre, convinto che poi se ne sarebbe dovuto pentire. Kate si sentì in imbarazzo e subito si allontanò da Castle che la capì non fece nulla per trattenerla.
- Ragazzi miei, anche voi non riuscite a dormire questa notte? 
- Ehm no, madre, come vedi no.
- Eravate così belli finalmente di nuovo insieme. - Rick e Kate si guardarono imbarazzati entrambi questa volta - Volete anche voi un bicchiere di vino? Oh tu no Katherine, per un po’ dovrai farne a meno, è un gran sacrificio tesoro mio, me ne rendo conto, ma vale la pena. - Disse guardando Rick con quello sguardo di ammirazione che solo le madri sanno avere e che non gli riservava molto spesso, nonostante fosse estremamente fiera del suo ragazzo che era diventato un uomo buono e giusto nonostante la vita non proprio regolare che gli aveva donato in tenera età.
- Non è poi tanto tempo Martha - Le rispose diplomatica
- Allora, miei cari, come mai in piedi a quest’ora? - I due non risposero, Martha spostò lo sguardo più volte prima su uno poi sull’altra mentre sorseggiava il suo bicchiere di pinot nero, senza ottenere risposta - Va bene, discorsi tra marito e moglie, non mi intrometto!
Alzò le mani in modo molto enfatico e nello stesso modo salì al piano superiore lasciandoli di nuovo soli.
- Buonanotte, se mai riuscirete a dormire! - Gli disse quando ormai era quasi arrivata in fondo alle scale.
La salutarono anche loro e poi, quando sentirono la porta della camera di Martha chiudersi, tornarono a guardarsi visibilmente imbarazzati per la situazione precedente.
- Dovresti andare a dormire - Le disse Castle
- Ormai credo che non dormirò più - Guardò l’orologio a muro, erano passate le quattro da un bel po’. Non si era resa conto di quanto tempo erano rimasti abbracciati prima che arrivasse la madre di Castle. Pensava fosse stato solo qualche minuto, evidentemente era stato molto di più.
Kate aprì il frigo, prese una vaschetta di gelato e due cucchiai porgendo tutto a Rick.
- Ti va il gelato a quest’ora? - Le chiese mentre metteva la vaschetta sul bancone della cucina e si sedeva su uno sgabello.
- Hai detto tu che ti piace festeggiare con il gelato.
- Kate, non credo che ci sia molto da festeggiare… - Lo guardò un po’ triste. Lo pensava veramente?
- Lo credi sul serio Castle? Siamo qui, siamo vivi, tutti e due. Anzi tutti e tre. Siamo un po’ messi male fisicamente e non solo, però ci siamo. Penso sia già qualcosa da festeggiare viste le premesse, no? 
- Sì, direi di sì… - Si sedette anche lei, ma faceva fatica a stare in quella posizione.
- Castle, possiamo andare sul divano?
Rick prese tutto e si spostarono dove avevano passato tutto il pomeriggio mettendo la vaschetta in mezzo tra loro.
- Manca una cosa, aspettami qui. - Rick andò al frigo e lo fece a cuor leggero, entrando in cucina quella volta senza pensare a nulla. Tornò a divano con la confezione di panna spray che si spruzzò direttamente in bocca sotto lo sguardo allibito di Kate.
- Dai Beckett prova! Apri la bocca! - Disse portando il tubetto di panna proprio sopra la sua faccia
- Castle, lo sai che tutto ciò è molto ambiguo, vero?
Risero senza riuscire a smettere e Rick spruzzò un po’ di panna sulle sue labbra che Kate prese con la lingua in modo molto poco innocente
- Beckett, lo sai che anche quello che fai tu è molto ambiguo, vero? Sono sempre un uomo e tu non mi sei affatto indifferente nemmeno in situazioni normali.
- Scrittore, non ti far venire pensieri strani.
- E tu capitano non fare gesti provocatori approfittandoti del mio essere cavaliere.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata si rilassarono, passandosi la panna e spruzzandosela in bocca come aveva fatto Castle in precedenza, chiacchierando molto più tranquillamente, di cose futili e divertenti. Per essere cominciata come una notte insonne tra gli incubi, quando venne l’alba Rick dovette ammetterlo a se stesso: era migliorata notevolmente.

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Capitolo 16
*** SEDICI ***


Quando Alexis la mattina scese per prepararsi la colazione li trovò entrambi addormentati ognuno in un lato del divano. La vaschetta con quello che rimaneva del gelato, ormai totalmente sciolto, era tra di loro. Vedendola pensava che al minimo movimento avrebbero rovesciato tutto il liquido appiccicoso sulla pelle nera. Si sporse per recuperarla e cercando di non svegliarli, portarla via da lì prima che facessero danni.
Rimase un po’ a guardarli cercando di capire cosa trovava così strano nel vederli dormire sul divano, eppure era capitato spesso, quando la notte rientrava a casa, che li sorprendesse lì. Li aveva, in realtà, anche trovati in situazioni più compromettenti, ma il più delle volte erano talmente presi da loro stessi da non accorgersi che era rientrata. 
Era proprio quella la cosa strana: dormivano separati. In qualsiasi altra occasione, Kate sarebbe stata sdraiata sul petto di suo padre o lui sulle gambe di lei. Non che li spiasse o li osservasse dormire di solito, ma era impossibile non notare come fossero sempre perfettamente in armonia in contatto tra di loro. Adesso, invece c’era una distanza, quella di tutti gli anni dimenticati da Kate e, per la prima volta, sembrò prendere anche Alexis piena coscienza della cosa e sentirne il peso.
Aveva conosciuto l’allora detective Beckett che era una bambina ed aveva capito che suo padre ne era innamorato da prima che lui lo ammettesse anche a se stesso. Kate le era sempre piaciuta, anche se alcune volte, con la stupidità e l’egoismo adolescenziale, l’aveva detestata per le situazioni in cui suo padre si era messo per colpa sua, rischiando di morire svariate volte l’anno ed aveva rimproverato suo padre e la sua ostinazione a voler continuare a giocare a fare il poliziotto per starle vicino. 
Alexis non si era mai sentita gelosa della sua presenza, aveva visto come con lei Rick fosse felice come non lo era mai stato prima con nessuna donna e la stessa Kate le era stata più vicina in molte situazioni di quanto non avesse mai fatto sua madre, aiutandola ed ascoltandola quando ancora tra lei e suo padre non c’era niente più di una collaborazione o un’amicizia. Quello che Rick non aveva mai capito era la paura di sua figlia di perderlo, di perdere il suo unico riferimento familiare, perché Alexis non aveva mai considerato Meredith come tale, più che una madre era la simpatica zia un po’ svitata che ogni tanto veniva e la portava a fare shopping o in vacanza. 

Paura che Alexis aveva avuto ancora di più quando il portiere l’aveva chiamata dicendole che c’erano stati degli spari provenienti da casa sua ma che nessuno rispondeva all’interno. Aveva immediatamente chiamato Esposito per avvisarlo e chiedergli di andare a controllare e chiesto al portiere di chiamare anche i soccorsi. Era arrivata al loft poco dopo i ragazzi e Kevin non riuscì a trattenerla dall’entrare: quando vide Lanie riversa a terra temette il peggio, mentre la donna stava solo cercando di tamponare le ferite di Beckett aiutata da Javier che si stava occupando di Rick in attesa dei soccorsi. Vide suo padre sotto shock ma cosciente e l’unica cosa che si sforzava di dire era ripetere il nome di Kate in continuazione, senza voler lasciare la sua mano ormai inerme. Castle aveva ragione quando le aveva detto che nè lei nè sua nonna capivano fino in fondo il rapporto che lo legava a Beckett. Non capivano fino in fondo cosa volesse dire quando gli aveva ripetuto più volte che senza Kate sarebbe morto anche lui e si arrabbiava con lui sentendo quelle parole: non era forse lei un valido motivo per lui per continuare a vivere?
Avevano temuto tutti il peggio per Kate. Lanie sembrava sconsolata e quando arrivarono i soccorsi andò via con lei. Ad Alexis sembrò di rivedere quella scena di cinque anni prima, ma c’era meno rabbia e concitazione, l’unico sentimento che sembrava aleggiare su tutti era la disperazione. La ragazza sperava che si risolvesse nello stesso modo. Il vero trauma fu però vedere suo padre così. Lo aveva già visto in situazioni critiche ma mai così grave, ferito nel fisico e nell’anima. Proprio quando avevano appena tirato un sospiro di sollievo Alexis si sentì sprofondare di nuovo nel baratro di dover convivere con la loro lotta infinita, una guerra nella quale si era trovato di nuovo immischiato per Kate. Era questo che non riusciva a perdonarle, le sue battaglie che mettevano in pericolo entrambi ed ormai aveva capito che anche se suo padre ne fosse uscito incolume, se fosse accaduto qualcosa a lei sarebbe stato lo stesso, non sarebbe sopravvissuto, almeno non quel Richard Castle adorabile bambinone che era già scomparso in quei giorni in cui Kate lottava in ospedale. Non voleva quel padre, voleva il casinista sognatore che era sempre stato e che gli aveva regalato, malgrado tutto, una vita fatta di favole e fantasia, di giochi e gelati, tenendola al riparo da tutte le brutture del mondo.
Alexis sperava che l’arrivo di questo nuovo bambino, anche in una situazione così difficile aiutasse suo padre a ritrovare la sua spensieratezza e che convincesse lui e Kate, finalmente, a stare il più possibile lontano dai guai, visto che avrebbero avuto anche un nuovo piccolo Castle di cui occuparsi.  

Fece cadere un cucchiaio nel lavandino provocando un rumore rimbombante che fece svegliare immediatamente Rick accendendo subito i suoi sensi troppo vigili. Si guardò intorno e Alexis si affacciò dalla cucina scusandosi. Castle si alzò quando anche Kate stava aprendo gli occhi destata dal rumore. Le sussurrò di non preoccuparsi e che era tutto ok.
Raggiunse la figlia che salutò con un bacio sulla chioma rossa. Controllò l’orario sul timer del microonde e realizzò che avevano dormito veramente poco. 
- Scusa papà, non vi volevo svegliare è che il gelato era sciolto e…
- Tranquilla piccola, è tutto ok.
- Senti papà, i miei amici vanno qualche giorno ad Atlantic City…
- Vai Alexis, tranquilla.
- Sicuro? Anche la nonna sarà fuori per quegli spettacoli a Boston.
- Certo, io e Kate ce la caveremo.
Castle notò la figlia preoccupata, voleva però evitare di chiederle di più con Kate di la che poteva sentirli. Con la scusa di andare a cambiarsi, salirono al piano di sopra e, una volta nella camera degli ospiti, Rick chiuse la porta per parlare con sua figlia da solo.
- Cosa c’è che non va Alexis?
- Sono preoccupata per te e Kate. Nessuno di voi due sta bene, fisicamente intendo. Ed in più adesso siete soli, non siete voi. Vi ho visto prima mentre dormivate, distanti, sul divano. Non lo avete mai fatto.
- Le cose sono diverse adesso. Per Kate è tutto nuovo, non è semplice.
- Mi dispiace tanto papà. 
Rick abbracciò la figlia cercando di non commuoversi. 
- Andrà tutto bene, farò in modo che torni tutto come prima… Con un fratellino o sorellina in più per casa!
- Avevo quasi perso la speranza papà! Hai rischiato di diventare prima nonno che di nuovo papà!
- Ehy Alexis cosa stai tentando di dirmi?
- Niente niente, è solo per dire che data la mia età poteva accadere, no? Quanti anni avevi tu quando sono nata io?
- Faccio finta di non sentire quello che stai dicendo, ok? Non dare il colpo di grazia al mio essere un giovane ragazzo!
Risero entrambi, più rilassati. 
- Papà?
- Dimmi
pumpkin
- Smetterete di rischiare la vita tu e Kate? Non avrai più solo una figlia di cui preoccuparti, ma un bambino che dipenderà da voi. Non voglio crescere io vostro figlio perchè voi siete così incoscienti ed egoisti da mettervi in situazioni più grandi di voi senza pensare a lui.
- Alexis, te lo assicuro, non succederà.

Si cambiò realmente e tornò da Kate, ancora sonnecchiante sul divano.
- Come è andata la conversazione con tua figlia? - Gli chiese prendendolo in contropiede appena seduto.
- Bene ma…
- Sono sempre un detective, Castle!
- Sei un capitano, Beckett!
- Ops, già!
- C’è qualcosa che vuoi fare oggi?
Kate si incupì e si voltò respirando profondamente. Si mordeva il labbro ed era chiaro che c’era qualcosa che la turbava ed avrebbe voluto dire a Castle, ma si teneva dal farlo. Si portò la mano sul collo e sul petto, massaggiandosi bruscamente.
- Kate… vuoi andare da tua madre, vero?
- Come lo sai?
- Potrei dirti che sono un mago o che ho dei super poteri. Oppure che ti conosco, che so che quando hai quello sguardo malinconico e ti porti la mano sul petto cercando la collana con l’anello che non porti più è perchè pensi a lei. Scegli tu quale versione ti piace di più di me, andranno bene entrambe.

L’autista li aveva lasciati davanti all’entrata del Green Wood più vicina alla tomba di Johanna Beckett. Kate, accarezzando continuamente la collana con l’anello che aveva rimesso al collo, percorreva sicura la strada per arrivare lì e quando fu davanti alla lapide ebbe la strana sensazione di essere nel posto più vicino ai suoi ricordi. Castle rimase inizialmente qualche passo indietro, poi la lasciò sola. Sapeva che ne aveva bisogno. Era andata lì per cercare il calore e l’abbraccio della madre e lui non voleva turbare quel loro momento con la sua presenza.

Kate rimase in piedi, immobile, con la testa bassa fissa su quelle lettere incise “Veritas omnia vincit”. Le avevano detto che lei aveva trovato quella verità che ora non conosceva più. Si sentì defraudata dal destino anche di quello, di quella voglia di giustizia e di rivalsa che l’aveva spinta ad entrare in polizia, a lottare ogni giorno per fare in modo che nessuna delle famiglie dei suoi casi si trovasse mai nella sua situazione, di cercare per anni una verità nascosta e insabbiata, perché nessuna famiglia brancolasse nel buio senza sapere perché un loro caro fosse stato ucciso, aggiungendo rabbia al dolore. 
Avrebbe voluto sapere se era vero che la verità faceva stare meglio, se alleviava un po’ il dolore lacerante che aveva dentro oppure erano solo frasi fatte. Sperò di averla sempre resa orgogliosa con le sue scelte, di non aver mai fatto nulla per deluderla e di non aver mai tradito quei valori che le aveva insegnato, nemmeno per cercare la sua verità.

Pensò a tutto quello che sua madre era stata per lei, tutto quello che le aveva insegnato, tutte le volte che l’aveva protetta dal mondo e tutte quelle in cui l’aveva lasciata andare per la sua strada, per fare le sue piccole e grandi esperienze. Ricordava la sensazione di pace nelle sue braccia quando era piccola e faceva degli incubi e Johanna veniva a consolarla, si sentiva protetta da tutto, che nessuno potesse farle del male perché c’era la sua mamma a proteggerla. Pensava alle sue parole che le diceva quando tornava a casa dopo qualche delusione a scuola o con gli amici e si sentiva di pessimo umore, Johanna trovava sempre le parole giuste per restituirle la serenità e l’autostima, per farla sentire forte e prepararsi per la prossima sfida e affrontare chi l’aveva fatta soffrire. Crescendo sua madre era diventata la sua migliore confidente, dalle delusioni sentimentali, all’entusiasmo per un nuovo amore, alla soddisfazione per essere stata ammessa alla Stanford per studiare legge come Johanna. Era da lei che si rifugiava dopo ogni litigio con suo padre, più severo ed intransigente che non capiva le intemperanze della sua adolescenza con quella trasgressione tipica di chi ha già un carattere forte, quella sua voglia di vivere e di divertirsi tipiche dell’età, quella voglia che non ricordava di aver più avuto dopo quella maledetta notte. Pensava a quante altre cose avrebbe voluto condividere con sua madre, di quanti altri consigli avrebbe avuto bisogno, di quanti altri abbracci consolatori, della sua mano sulla spalla quando la vedeva guardare fuori dalla finestra della sua camera assorta nei pensieri, mordendosi il labbro mentre lei si avvicinava silenziosa diceva “Andrà tutto bene Katie” senza sapere cosa la preoccupasse, ma glielo diceva lo stesso, perchè sapeva che ne aveva bisogno. 

Kate pensò che tra poco sarebbe dovuta diventare lei tutto questo per un’altra persona.
Per suo figlio.
Si sentì inadatta ed impreparata.
Era lei che avrebbe avuto ancora bisogno di essere figlia, di avere sua madre a dirle ancora che sarebbe andato tutto bene, soprattutto in questo momento dove letteralmente non sapeva cosa fare, non sapeva più chi fosse. Come avrebbe fatto ad essere una madre a dare quel sostegno, quei consigli, quella consolazione che cercava disperatamente anche lei? Si sentì sopraffatta da una tale responsabilità, dall’idea di essere lei il punto di riferimento di qualcun altro che sarebbe dipeso completamente da lei. Pregava sua madre di darle il coraggio per riuscire ad essere lei stessa una buona madre, di trovare la forza per riuscirci perchè non si sentiva all’altezza per affrontare una tale responsabilità. Portò una mano sul suo ventre, in un gesto che inconsapevolmente si trovava a fare sempre più spesso, alzò la testa verso il cielo, poi chiuse gli occhi e lasciò che alcune lacrime scendessero silenziose mentre continuava a pensare a lei. “Mamma dimmi che andrà tutto bene”.

Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Castle era tornato e la stava osservando da qualche minuto. Non voleva spiare un momento così privato, ma era passato già molto tempo da quando erano lì ed aveva paura che si affaticasse troppo. Quando poi l’aveva vista toccarsi il ventre, ebbe paura che si sentisse poco bene, e la sua natura iperprotettiva prese il sopravvento sulle buone intenzioni di riservatezza e andò da lei.
- Kate, stai male?
Si voltò quasi stupita di vederlo. Castle vide le lacrime che avevano rigato il suo volto. Gliele asciugò e poi la avvicinò a se. Kate voleva resistere, era stufa di farsi vedere da lui sempre così debole e fragile, ma non ci riuscì. Si lasciò prendere come una bimba tra le forti braccia di Rick mentre lei continuava ad accarezzare la sua pancia che cominciava a diventare più rotonda.
- Andrà tutto bene Beckett. Sei preoccupata per il bambino, vero?
Kate alzò lo sguardo a guardarlo ed annuì sospirando.
- Sarai la madre migliore che mio figlio possa avere, non ho alcun dubbio.
- Smettila Castle. Non so niente nemmeno di me, come posso essere una buona madre.
- Sai tutto ciò che è necessario sapere per esserlo. Tutto quello che tua madre ti ha insegnato, quello che sei. E poi sono sicuro che ricorderai tutto. Andrà tutto bene.
Kate non credeva nel destino e nei segnali dal cielo. Non credeva a queste favole, non più, da tanto tempo, però quel tocco e quelle parole di Rick le sembrarono la risposta di Johanna alle sue preghiere. Doveva affidarsi a lui adesso?

Non si dissero più una parola per tutto il viaggio di ritorno al loft. Kate era solita chiudersi in quei silenzi nei quali la sua mente vagava in cerca di qualcosa che non riusciva ad afferrare. Cercava furiosamente dei ricordi che non trovava, esaminava ogni situazione cercava un indizio in ogni cosa che vedeva. Le sembrava di condurre un’indagine sulla sua vita e quando non cercava indizi del suo passato provava a capire il suo presente, le emozioni contrastanti che provava, quel suo non riconoscersi in tante cose che faceva, prima tra tutte la vicinanza che aveva instaurato con Castle: si ripeteva spesso che era normale, in fondo lui era suo marito, ma sapeva che non era quello, perché lei il Rick versione marito non lo ricordava. Si stava proprio affezionando a quell’uomo che l’aveva raccolta come un uccellino caduto dal nido e la stava accudendo con un amore incondizionato. Sentiva che era legata a lui in qualche modo ma aveva paura di confondere la gratitudine con altro e non se lo sarebbe potuta permettere, non sarebbe stato giusto per nessuno dei due.
Rick dal canto suo si forzava per rimanere anche lui in silenzio, non era nel suo carattere, lui parlava, sempre. Ma in quelle settimane aveva imparato a rispettare la solitudine che Kate cercava anche in sua presenza, isolandosi nel suo silenzio. Non l’avrebbe mai voluta vedere così, non voleva che si estraniasse, ma la lasciava fare, perché pensava che ne avesse bisogno per mettere insieme tutti i pezzi e le informazioni delle quali era continuamente sovraccaricata. 

Quando arrivarono a casa trovarono Alexis ad aspettarli, con una grande busta gialla in mano.
- Esposito ha detto che gli devi prestare la Ferrari per almeno un mese adesso. - Disse la ragazza consegnandogliela
- Me lo ricorderò
Kate era andata subito in camera, lasciando padre e figlia da soli. Parlarono un po’, della sua partenza per Atlantic City con gli amici e di altre cose senza molto significato. Castle era ansioso di andare da Kate, ma capiva che doveva dedicare del tempo anche a sua figlia.

Bussò alla porta della loro stanza, Kate lo invitò ad entrare era seduta sul letto, appoggiata allo schienale e faceva roteare tra le mani l’anello di Johanna.
Rick si sedette vicino a lei e le diede la busta che aveva portato Esposito. La aprì, tirò fuori il contenuto. Un fascicolo della polizia di New York.
- Castle come fai ad averlo qui?
- Me lo sono fatto portare da Esposito. Gli devo prestare la Ferrari per un mese. - Disse Rick come se fosse lo scambio più naturale del mondo - Leggi Kate, leggi quello che tu hai scritto. Quello che tu hai fatto. Ci sono le tue relazioni su ogni cosa che hai fatto in questi anni per arrivare a William Bracken.
- William Bracken? Il senatore?
- Lui. Qui c’è tutta la verità. Montgomery, Raglan, Simmons, Lockwood, Coonan, McAllister, Maddox. C’è tutta la storia Kate, tutta. E se hai altre domande, se vuoi sapere altro ci sono io. Abbiamo vissuto tutto insieme.
- Hai detto Montgomery, cosa c’entra Roy in tutto questo?
- Quando tua madre è stata uccisa lui era uno degli agenti corrotti che lavorava per Bracken. 
- No… Roy… lui… mia madre… - Come poteva Roy essere coinvolto in questa storia? L’aveva tradita? Si era affidata a lui per anni.
- No, Kate… Poi ne è uscito e quando ti ha conosciuto l’ha visto come un segno del destino, proteggerti come non aveva potuto fare con tua madre. Eravamo lì quando è stato ucciso, mi ha costretto a portarti via con la forza per salvarti la vita.
- È morto per colpa mia…
- No, è morto per delle scelte sbagliate che aveva fatto nel passato a cui ha voluto porre rimedio. Non è colpa tua Kate…
Le mani di lei tremavano nel tenere il fascicolo, Rick appoggiò le sue su quelle di Kate, erano tanto più grandi che le mani di Beckett sparirono.
- Devi conoscere la verità Kate, è giusto che tu la conosca. Io ti aiuterò, ripercorrerò con te passo passo tutte le indagini se vuoi, ma devi sapere. Oggi hai messo di nuovo la collana di tua madre. Erano anni che non lo facevi. Ce la fai Kate? Io sono qui con te. Non ti lascio sola, sto con te fino alla fine, come quando lo hai preso.

Fece cenno di sì con la testa e Castle le lasciò le mani. Kate aprì il fascicolo e vide subito quell’immagine che ormai aveva ben stampata nella mente, il cadavere di sua madre abbandonato nel vicolo. Non si soffermò a guardarla ancora, ma cominciò a leggere il primo rapporto su quel caso, quando aveva ricominciato ad indagare con Castle, quello fatto da Montgomery sulla morte di Coonan. Lo aveva ucciso lei, il killer di sua madre, per salvare la vita a Rick. Castle aggiunse che non aveva esitato a sparargli quando lo aveva visto in pericolo, anche se così non gli avrebbe più potuto dire nulla su chi fosse il mandante. Lesse della morte di Raglan, di Maddox, del suo rapimento da parte di Vulcan Simmons fino ad arrivare all’arresto di Bracken. Castle con i suoi racconti completava quello che non c’era nel fascicolo, tutto quello che nelle indagini non poteva essere riportato evitando però di entrare troppo nello specifico su alcune situazioni, senza raccontargli del suo ruolo con Mr Smith, quello che era successo dopo il suo ferimento al funerale di Montgomery e quello che le aveva detto. Kate lesse tutto, fino alla fine, senza fermarsi. Rimasero ore a studiare quel fascicolo e a parlare. Beckett non poteva credere veramente che avesse fatto tutte quelle cose, ma soprattutto che uno scrittore di successo avesse accettato più volte di rischiare tutto per seguirla, avesse messo in gioco più volta la sua vita, la sua carriera e la sua reputazione per aiutarla e proteggerla.
- Perché hai fatto tutto questo Castle? Perché hai voluto riaprire il caso di mia madre? - Kate era un mix di emozioni indecifrabili.
- Perché avevo capito che fino a quando tu non risolvevi questo caso non saresti mai stata veramente felice. Ed io volevo vederti felice. Poi me lo hai detto tu stessa un giorno, che se non trovavi la verità chi aveva ucciso tua madre, non saresti mai stata libera di vivere una storia d’amore normalmente e volevo essere io a viverla con te, esserci quando facevi cadere il tuo muro. E voglio esserci ancora, voglio esserci sempre.

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Capitolo 17
*** DICIASSETTE ***


Kate fu silenziosa per il resto del giorno. Presi dalle carte del fascicolo sulla morte di Johanna non pranzarono e la sera Castle dovette insistere più volte per convincere sua moglie a fare un pasto come si deve. Cenarono in silenzio con Martha ed Alexis che si adeguarono a quel clima inusuale per la loro casa. Salutarono comunque Kate con affetto prima che andasse nella sua stanza: sarebbero entrambe partite il giorno dopo.
Castle passò gran parte della serata e della notte a passeggiare davanti alla porta della loro camera. La sentiva piangere e dovette combattere furiosamente contro se stesso per non entrare. Ma non voleva invadere né il suo spazio né il suo dolore. Si affidò al buon senso di Kate: se fosse stata male l’avrebbe chiamato.
Provò ad andare a dormire al piano superiore, capì ben presto che gli era impossibile farlo. Rimase sul divano, anche quella sera, dormì meglio di quanto potesse pensare.
Il giorno dopo non andò meglio. Kate uscì dalla camera solo per mangiare. Si scusò con lui cordialmente, ma gli disse che voleva stare da sola, niente di più. Ne aveva bisogno per rimettere insieme i pezzi di quel puzzle che aveva scoperto il giorno prima. Si impose di non essere preoccupato per lei. Le chiese se avesse problemi a rimanere a casa da sola, perché lui doveva uscire per delle questioni importanti. Non si oppose, anzi gliene fu grata, dicendogli che non doveva limitare la sua vita a farle da babysitter. Si sentì ferito da quelle parole, se veramente lo pensava non aveva capito nulla di lui.
Castle uscì anche se a malincuore, ma sapeva che la ripresa di Beckett passava anche dai quei piccoli passi di separazione per riprendere autonomia, fisica e morale, così non sarebbe stata costretta a stare chiusa in camera per non vedere nessuno, magari una volta sola avrebbe avuto la curiosità di sbirciare un po’ in giro, con il suo sesto senso da detective sempre in cerca di indizi. Rick si autoconvinse di questo per sentirsi più sollevato, ma in realtà non avrebbe voluto passare un minuto lontano da lei e quando l’idea di Kate sola, nella loro casa, indifesa e disarmata prese possesso della sua mente era troppo tardi perché era già uscito, non poteva tornare indietro, avrebbe fatto la figura dell’idiota e lei l’avrebbe presa male. Doveva solo conviverci per il resto del pomeriggio e scacciare certe immagini dalla sua mente per non impazzire.
Passò al distretto a ringraziare personalmente Esposito e ad aggiornarlo sulla salute e sulla reazione, non buona, di Kate. Pensò che forse le aveva fatto fare il passo più lungo della gamba ma l’ispanico, che da sempre era per i modi più diretti, gli disse che secondo lui aveva fatto bene che doveva smettere di tenere Beckett sotto una campana di vetro e scuoterla per farla tornare quella di prima. Parlava facile lui, ma doveva ammettere che non sempre si era sbagliato, come quando l’aveva letteralmente obbligata a prendere in mano il fucile con il quale le avevano sparato. Non era sicuro però che in questa situazione la terapia d’urto avrebbe funzionato, e poi c’erano anche altri fattori da considerare del quale lui non era a conoscenza: il bambino, ad esempio.

Era rientrato più tardi di quanto pensasse, aveva ordinato per entrambi del cinese, era tanto che non lo mangiavano, le piaceva, sperava di farle cosa gradita. Kate mangiò poco, meno degli standard che Rick aveva previsto fossero necessari per la sua salute e per il bambino, ma lei non sembrò in vena di accettare né critiche né consigli. Spilluzzicò un po’ di riso e del pollo in agrodolce non toccando niente delle tante altre cose che Castle aveva preso per loro. Lui ci restò molto male, lei lo capì ma non cambiò il suo atteggiamento. Lo salutò dicendo che tornava in camera e doveva stare sola.
Castle passò un’altra notte tra la sua nuova camera ed il divano. La mattina seguente la situazione era identica e Rick cominciava a non riuscire a trattenere il suo malumore. Quando Kate uscì di camera non nella solita tenuta da casa, ma vestita di tutto punto Castle fu ancora più arrabbiato nel capire che stava uscendo senza dirle nulla. Gli disse semplicemente che aveva chiamato un taxi per andare da Burke, aveva preso un appuntamento il giorno precedente. La vide uscire ancora malferma sulle sue gambe, ma con l’orgoglio di chi voleva farcela da sola. Uscì anche lui, solo perché stare lì dentro da solo era ancora impossibile e quando tornò il loft era sempre vuoto. Approfittò per chiamare Jim e chiedergli se aveva avuto modo di parlare con Kate. Era l’unico con il quale riusciva a confidarsi ed anche lui condivideva le sue paure per la chiusura della figlia negli ultimi giorni. Tentò comunque di rassicurare Rick, dicendogli che non era colpa sua e che era stato giusto raccontarle la verità sulla madre.
Quando Kate tornò al loft Rick notò che era molto provata, non solo fisicamente. Aveva bussato e si era fatta venire ad aprire la porta, nonostante avesse le chiavi e questo particolare non sfuggì allo scrittore che se ne dispiacque molto.
Kate andò in camera e notò sul cuscino una tessera di un puzzle. Sembrava uno di quei puzzle da bambini con i pezzi molto grandi. Guardò il disegno assomigliava ad una parte di un cartone animato, ma non ne era sicura, non capiva il senso, l’unica cosa della quale era certa era che non fosse finita lì per caso, ce l’aveva messa Castle e la indispettiva non poco che era entrato nella sua camera quando lei non c’era. Cosa voleva fare, spiarla? Cercare indizi su quello che aveva fatto? 
Rick bussò alla sua porta e lei non aprì e non gli disse nulla.
- Kate, ho preparato la cena. - La sua voce dolce e accondiscendente sembrò infastidirla ancora di più. Lui era arrabbiato, l’aveva capito già dalla mattina, però faceva di tutto per trattenersi. - Se non vuoi venire di là, ti preparo un vassoio e lo puoi portare in camera, ma non puoi stare senza mangiare. 
Il buon senso era tutto dalla parte di lui e lei si stava comportando come una bambina capricciosa, se ne rendeva conto. Mentre stava ancora decidendo cosa fare lo sentì bussare di nuovo, questa volta si alzò e gli aprì. Era in piedi sulla porta e le porgeva un vassoio colmo di cibo.
- Ti dispiace se vengo a mangiare di là? - Gli disse con lo sguardo basso perché si vergognava per come si era comportata durante gli ultimi giorni.
- No, no… ok … ora… ora preparo.
Lo seguì, lui apparecchiò la tavola per due, velocemente ma sempre con un tocco di raffinata eleganza. Le tovagliette color avorio, dello stesso colore del rigo sul piatto di ceramica bianca, i bicchieri di cristallo le posate di design. La invitò a sedersi e prese posto davanti a lui, che le servì quanto preparato poco prima. Piatti semplici e leggeri, ma nutrienti e gustosi, sembrava avesse fatto un corso di cucina per donne incinte, e forse lo aveva fatto veramente per quel che ne poteva sapere lei.
Aveva appena finito di mangiare la sua abbondante porzione di zucchine gratinate al formaggio quando parlando interruppe la smania di Rick di riempirle di nuovo il piatto di qualcosa di diverso.
- Ho avuto paura, Castle.
Lui a quelle parole sparecchiò velocemente la tavola, dandosi mentalmente il tempo di assimilare quello che lei aveva appena detto. Paura di cosa? A che si riferiva? Era per quello che aveva letto? Per Bracken? Non c’era scritto nel fascicolo che era morto? Quando il tavolo era sgombro si sedette di nuovo davanti a lei, le mani appoggiate sul tavolo a dissimulare una certa calma che non aveva e le fece un cenno con la testa per continuare. Era pronto. O forse no. Ma non era importante.
- Ho avuto paura di dipendere da te.
Era questo? Non c’entrava nulla la storia di sua madre e di Bracken?
- Cosa? - Le chiese Castle stupito e per niente sollevato.
- Da quando mi sono svegliata, tu sei stato sempre con me. Hai provveduto a tutto quello di cui avevo bisogno. Ed io senza conoscerti mi sono affidata a te per qualsiasi cosa.
- Kate io non potrei fare altrimenti.
- Io non posso dipendere totalmente da una persona, non me lo posso permettere.
- Certo che puoi farlo! Adesso puoi e devi farlo!
- Io ora non so più chi sono, non so niente di me. Se mi affido totalmente a te, e poi tu non ci sarai più ed fossi di nuovo sola, cosa potrei fare?
- Io ci sarò sempre per te Kate. È per questo che mi hai evitato?
- Dovevo capire.
- Capire cosa?
- Che è già troppo tardi per non dipendere da te. Ti ho sentito queste notti. Passeggiavi qui fuori, dormivi sul divano.
- Non volevo disturbarti.
- Non mi hai disturbato, non dormivo nemmeno io.
- Cosa facevi? Se non sono indiscreto…
- Leggevo. Ho trovato la mia scatola dei tuoi romanzi…
- Già… La tua scatola, sembra la roba di una vera fan.
- Perché lo ero!
- Così finalmente lo ammetti! - Castle era euforico aveva cambiato in un attimo espressione e umore.
- Cosa? 
- Che eri una mia fan! Cioè, non una che leggeva semplicemente i miei libri, ma una fan!
- Non lo sapevi?
- L’ho sempre sospettato, anzi più che sospettato, però non me lo avevi mai detto apertamente!
- Ah… E perché secondo te non te lo avrei mai detto? - Chiese sinceramente stupita di se stessa.
- Beh, per non darmela vinta, perché non volevi che mi pavoneggiassi o ti prendessi in giro, credo. Ma tranquilla non farò niente di tutto questo.
- Vuoi vedere una cosa?
Andarono insieme in camera e Kate aprì la scatola con tutti i suoi libri. Prese la sua copia di Storm Rising e la tenne tra le mani.
- Quando mia madre è morta una delle poche cose che mi evitava di pensare era leggere i tuoi libri. Mi sono stati di grande aiuto in quel periodo. Quando è uscito questo ho fatto più di un’ora di fila per avere un tuo autografo. 
- Stai scherzando?
- No. 
Aprì il libro e c’era veramente il suo autografo. Non sulla copertina come faceva solitamente di corsa con il nome della sua fan, ma all’interno, sotto il frontespizio come faceva sempre quando doveva scrivere una dedica importante, “Spero che al prossimo libro sorridano anche i tuoi occhi”. 
Rick lesse la frase e rimase stupito di se stesso. Erano molto rari i casi in cui faceva delle dediche personali, probabilmente, anche se non la ricordava e non rammentava nulla di quel frangente, qualcosa doveva averlo colpito di lei e sapeva esattamente cosa. La tristezza del suo sguardo che si scontrava con il suo meraviglioso sorriso. Quante volte aveva visto quel mix letale che lo aveva fatto innamorare giorno dopo giorno?
- Non sono più venuta a farmi autografare nessun altro libro. Forse era stupido, ma pensavo che ti saresti ricordato ed avresti visto che ancora i miei occhi non sorridevano. Mi sono illusa che quando hai scritto quella dedica tu l’avevi pensata proprio per me e mi ci sono aggrappata a quel pensiero per tanto tempo. Poi ho capito che scrivevi dediche a tutte, ma mi è stata di aiuto, sul serio.
- Non scrivevo dediche a tutte.
Castle non sapeva cosa altro dire, era sorpreso da quella rivelazione dopo tanti anni, non aveva mai preso i suoi libri o curiosato tra le sue cose, non poteva saperlo. Forse se lo avesse scoperto in un’altra occasione l’avrebbe veramente presa in giro e si sarebbe pavoneggiato al distretto per giorni, mettendola in imbarazzo, ma ora era diverso, era tutto diverso.
- Alle ultime presentazioni ti sorridevano anche gli occhi. Beh, non venivi a fare la fila per farti autografare i libri, però quando li leggevi in anteprima qui o di là sul divano, eri felice. Anche per questo - prese la copia di Heat Rises - hai fatto la fila per un autografo.
- Non ci conoscevamo già?
- Sì, ma tu mi avevi allontanato per un po’ di tempo, io ero molto arrabbiato. Era dopo il funerale di Montgomery. Dopo che ti avevano sparato. Mi avevi escluso dalla tua vita.
- Perchè lo avevo fatto?
- Dovevi risolvere delle cose e dovevi farlo da sola, almeno questo è quello che mi avevi detto. E poi avevi una storia, con un medico, si chiamava Josh. Hai fatto la fila per parlami, di nuovo. Ci siamo chiariti, più o meno e mi hai detto che ti eri lasciata con quel Josh. 
- Eri geloso di lui! - Gli disse con fare canzonatorio
- Certo che lo ero! Lui non ti meritava. Non c’era mai quando avevi bisogno di lui. Io sì, ma tu non te ne accorgevi.
- O forse non volevo farlo… - Il suo tono ora era più triste, si conosceva, sapeva che quella probabilmente era la motivazione più veritiera.
- Sì, non volevi farlo. - Replicò sicuro.
- Ho letto Heat Wave. Sai ancora è molto strano vedere su un tuo libro una dedica per me. Una dedica stampata, intendo. Io ti vedo qui tutti i giorni, ti prendi cura di me, parliamo, scherziamo, litighiamo… Sono incinta di tuo figlio… Per me sei Castle, o Rick, quasi mi dimentico chi sei. Poi quando prendo in mano i tuoi libri e vedo la foto dietro e penso a tutto il tempo che ho passato a leggerli, penso a quella persona lì, mi sembra impossibile che sei tu, che sei così diverso da quello che avevo nella mia mente, un playboy milionario che passa la vita da un party all’altro con una donna diversa ogni sera.
- Ero così, prima. Per prima intendo il periodo che ricordi tu, ero quello. Un uomo annoiato che buttava via la sua vita così. Poi sei arrivata tu. - Castle si fermò a guardarla negli occhi, le accarezzò il volto in quel ritrovato contatto che gli era così mancato. Spostò una ciocca dei suoi capelli dietro l’orecchio, in quel gesto che ripeteva spesso, per vedere meglio il suo volto e perchè solitamente dopo era lì che cominciava a baciarla, ma questo dovette trattenersi dal farlo.
- Rick… non posso…
- Sì che puoi Kate. Anzi devi. Devi lasciar andare le tue paure. Io ci sarò. Sempre. Non è una brutta cosa affidarsi a qualcuno.
- Ma dipendere da qualcuno sì, Rick. Non va bene.
- Io dipendo da te.
- Non dire cavolate Castle, tu non dipendi da me.
- Non nel pratico ma per tutto il resto sì. L’hai detto tu, mi hai sentito. Perchè queste notti sono rimasto sul divano? Perchè non potevo dormire al piano superiore sapendoti qui?
- Perchè sei pazzo Castle?
- Se rispondo di te sono banale?
- Per essere uno scrittore sì, molto. Potresti fare di meglio.
- Però sarebbe la verità.
- Stai facendo di tutto per mettermi in difficoltà?
- No, sto facendo di tutto per farti capire che stai sbagliando tutto. Datti una possibilità Kate. Non sarai mai più sola.
- Quando ero davanti alla tomba di mia madre pensavo a quando ero ragazza ed ero preoccupata, lei arrivava, mi metteva una mano sulla spalla e mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Pensavo a quanto avevo bisogno di sentirmelo dire e quanto avrei voluto che fosse lì dirmelo, a quanto la vorrei vicino a me in questo momento. Avevo sempre pensato quando ero una ragazza che ancora sognava il futuro che in questo momento avrei avuto mia madre vicino, ad aiutarmi a consigliarmi e sostenermi. E invece lei non c’è ed io sono sola. In quel momento però sei arrivato tu, mi hai messo una mano sulla spalla e mi hai detto che sarebbe andato tutto bene… Io per un attimo ho pensato che fosse veramente lei a toccarmi…
- Vedi Kate - le tolse il libro che ancora aveva tra le mani e le prese tra le sue - quando stavamo organizzando il nostro matrimonio tu mi avevi fatto più o meno lo stesso discorso, quando eri andata a provare un’abito da sposa. Tua madre ti mancherà sempre e in certe occasioni ancora di più. Desidererai averla vicino e la sua mancanza sarà la presenza più forte nel tuo cuore. È normale Kate, è umano. Diventerai mamma e vorresti la tua mamma vicino a te. Anche io prima che nascesse Alexis avrei voluto avere un padre con cui parlare e confrontarmi e da cui prendere esempio. Tu però hai il ricordo di tua madre, di quello che è stata per te e dei suoi insegnamenti. Sono sicuro che lei avrebbe voluto che tu fossi felice e non vivessi con la paura di esserlo.
Rick lasciò le sue mani e frugò in tasca. Tirò fuori una tessera di un puzzle.
- Hai il tuo Kate? 
Lei non capì, ma lo prese dal comodino dove lo aveva appoggiato. Lo diede a Rick che lo unì al suo. Venne fuori un pezzo di animale di un cartone animato, incomprensibile stabilire quale o cosa fosse.
- Vedi questi due pezzi - continuò Rick - si incastrano. Tu dirai che non hanno senso, perchè manca tutto il resto e forse è vero. Anche nella tua vita mancano tanti pezzi al puzzle e a te sembra di non capire il significato, proprio come qui. Sono solo due pezzi che si incastrano, ma ti sembra che non formino niente che abbia un senso. - Li divise e rimise nelle mani di Kate il suo pezzo, lui tenne il suo. Lo girò e le disse di fare altrettanto con il suo. In entrambi c’era un segno tracciato con un pennarello rosso. Riprese il pezzo di Kate e lo unì di nuovo al suo. I due pezzi messi insieme, sul retro, formavano un cuore.
- Basta cambiare il punto di osservazione delle cose. Anche due pezzi di un puzzle che sembra che non abbiano nessun significato presi da soli, se si incastrano possono dire tutto, anche senza tutto il resto. Basta vederli in modo diverso. 
- Questo puzzle era una cosa importante per noi?
- L’ho comprato oggi. - Gli confessò candidamente - Però se tu vuoi, potrà diventarlo. Potrà diventare importante. Per noi. Possiamo creare dei nuovi ricordi, aspettando quelli vecchi.
Il volto dello scrittore si aprì in un sorriso a sottolineare le sue parole.
- Beckett, vuoi creare nuovi ricordi con me?
- È una proposta inusuale Castle.
- Ti chiederei anche di sposarmi, ma tecnicamente già lo siamo e non credo che tu mi diresti di sì adesso. Creare dei ricordi è più generico.
- Sì, lo è. 
- Accetti?
- Accetto.
Si sorrisero entrambi.
- Rick, questo però non vuol dire che noi…
- Lo so Kate. Non vuol dire quello.
- Che ne sai a cosa mi riferivo?
- Lo so. Sono sempre valide le condizioni di quando hai accettato di venire qui. 
- Esatto Castle.
- Va bene, Beckett.

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Capitolo 18
*** DICIOTTO ***


Passarono i pomeriggi e le serate a vedere tutti quei film usciti negli ultimi anni che Kate non aveva visto e che Rick faceva finta di vedere per la prima volta con lei, ridendo e commuovendosi insieme. Discutevano dei thriller e ipotizzavano chi fossero gli assassini proprio come discutevano dei casi quando lavoravano insieme e Rick improvvisava teorie strampalate come suo solito, anche per quelli di cui già conosceva bene la storia, però gli piaceva troppo giocare così con lei, che sapeva che lui stava fingendo, ma non le importava, si divertiva e stava bene
Rick le fece una raccolta delle canzoni più belle da ascoltare, le consigliò i migliori libri da leggere, ovviamente dopo che aveva finito di leggere la saga di Nikki Heat, le faceva conoscere i nuovi personaggi dello spettacolo diventati famosi recentemente ma lei non ne trovò quasi nessuno di suo gradimento.
La mattina quando il clima era più mite uscivano per fare delle brevi passeggiate al parco, riposandosi di tanto in tanto su qualche panchina sotto gli alberi. Rick scherzava molto su questo, dicendo che pensava che quella era la vita che avrebbero fatto quando sarebbero stati molto più vecchi, magari dovendo guardare i loro nipotini che correvano in giro e loro non ce la facevano a tenere il ritmo. Kate si era abituata a sentirlo parlare del loro futuro come se fosse una cosa normale e scontata. Per lei non lo era ancora, ma non glielo aveva mai detto, per non turbarlo. Si divertiva, però, ad ascoltare tutto quello che si immaginava per loro, dalle sue bizzarre idee di giri del mondo in barca solo loro due, ma la barca sarebbe stata di lusso ci teneva a specificarlo, perché lei stesse comoda, a quella di trasferirsi in qualche villaggio sperduto ai confini del deserto, dove tutte le notti potevano guardare le stelle brillare nell’oscurità assoluta. La cosa più normale che le aveva proposto era quello di una fattoria in Canada con la prospettiva di pomeriggi passati sotto il grande albero del giardino sul dondolo a parlare dei bei tempi passati, sorvolando sul fatto che lei al momento non li ricordava, ma quello era solo un fastidioso dettaglio che rovinava le sue fantasie.
Quando gli aveva fatto notare che tutte le sue idee vertevano su posti isolati e solitari Rick non si lasciò scoraggiare, dicendo che se preferiva si sarebbero potuti trasferire a Singapore o a Hong Kong, con il grande vantaggio di poter mangiare cibo orientale fresco ogni giorno, e se le piacevano i grattacieli poteva informarsi se avevano un loft anche nella Burj Khalifa a Dubai che lei non sapeva nemmeno cosa fosse, visto che l’avevano inaugurata durante la sua amnesia. Da lì aveva divagato, parlando di castelli in Francia il luogo perfetto per vivere con una musa, casali in Italia così avrebbero avuto sempre del buon vino per brindare alla sera, ville in isole greche sopra scogliere a picco sul mare, ranch in Texas o haciendas in Argentina. Aveva fatto in un un giro del mondo immobiliare in poco tempo e quando il clima si era fatto troppo caldo e Kate con la gravidanza lo soffriva come mai si era ricordato di averlo fatto in vita sua, gli disse che se voleva gli avrebbe comprato anche un igloo così sarebbe stata al fresco, attirandosi uno di quegli sguardi di Beckett che avevano la capacità di ammutolirlo all’istante, insieme alla minaccia che al fresco ce lo avrebbe messo lei a lui, appena sarebbe tornata a lavoro. 

Facevano più o meno tutti i giorni lo stesso giro, allungandosi di “una panchina in più” ogni volta. A Castle piaceva passeggiare con Beckett e trovava divertente il fatto che ora che non poteva portare i suoi amati tacchi, la differenza di altezza tra loro era molto più accentuata e questo lo faceva sentire ancora più protettivo nei suoi confronti che appariva vicino a lui decisamente più piccola. Arrivarono alla fine vicino alle altalene e Kate non resistette alla voglia di sedersi lì. Castle la seguì, sedendosi in quella alla sua sinistra.
Kate si dondolava appena, appariva rilassata, mentre Rick rimaneva fermo a guardarla. Per lui quelle altalene erano cariche di ricordi.
- Tutto bene Castle? - Gli chiese Kate vedendolo con lo sguardo perso nel vuoto
- Sì, stavo solo pensando a questo posto
- Ti piace?
- Molto, a te?
- Sì, mi piacciono le altalene.
- Qui ti ho chiesto di sposarmi. - Le disse in modo del tutto spontaneo, come se le raccontasse qualsiasi altra sua fantasiosa idea.
- Qui? - Chiese stupita, non era una cosa da Castle, o forse sì.
- Sì, non è bello?
- Pensavo che come minimo avessi organizzato qualcuna delle tue idee megalomani che mi avrebbero imbarazzato tantissimo.
- Quando mi sono messo in ginocchio in pieno giorno davanti a tutti i passanti eri imbarazzata e balbettavi anche. - Disse soddisfatto - Avresti preferito qualcosa di più in grande? Posso sempre rimediare visto che non te lo ricordi!
- Non ti azzardare Castle!
- Ok - alzò le braccia in segno di resa - Però è stato bello qui, veramente.
Il tono di Rick era tornato malinconico. Ripensava a quel giorno e a cosa era successo nei giorni precedenti. Pensava alla sua rabbia e alla sua delusione per essere stato escluso da quella decisione così importante sul futuro di Kate a quella chiacchierata con sua madre che gli faceva notare quanto avesse sempre temporeggiato con lei per prendere ogni decisione per paura di perderla. Pensò che in fondo anche adesso stava facendo la stessa cosa. Temporeggiava per paura di fare quel passo in più che l’avrebbe allontanata. Non capiva ancora quale era il confine dentro di lei tra la Beckett che era e la sua Kate. Non si ricordava di loro, eppure si fidava di lui, per lei non era suo marito, eppure non aveva paura del contatto fisico tra loro. In tutto questo era così diversa e lui non capiva mai fin dove poteva spingersi per non farsi rifiutare.
Anche Kate colpita dal suo silenzio era pensierosa. Guardava Rick che fissava la punta delle sue scarpe dondolandosi appena tenendosi con le mani sulle catene. Lei mise una mano su quella di lui, fermando il loro dondolare.
- Quando ti ho chiesto di sposarmi ti ho detto che se c’erano delle difficoltà da affrontare insieme io ero pronto ad affrontarle e speravo che tu lo fossi per affrontarle con me. Ne abbiamo passate tante da quel giorno, nemmeno ti immagini cosa, ma non pensavo che dovessimo combattere anche contro questo che stiamo passando ora. Però io non mi tiro indietro adesso, anche se devo farlo da solo. 
Rick continuava a guardare a terra mente parlava. Non sembrava più nè malinconico nè triste, anche se lo era. Voleva ostentare quella sicurezza che non aveva per questo parlava senza guardarla, perchè era certo che nei suoi occhi lei avrebbe potuto leggere tutto quello che nascondeva. Kate ogni volta che lui le faceva queste dichiarazioni, sempre più spesso ora che ci pensava, si trovava imprigionata in quel limbo di anima che le impediva di prendere ogni decisione. Non poteva dire di amare Rick, poteva forse dire che le piaceva, molto, ma esteticamente le piaceva anche prima di conoscerlo. Le piaceva l’idea di lui così devoto a lei ma le sembrava una cosa impossibile, quasi irreale e la sua anima diffidente si chiedeva sempre dove fosse nascosta la fregatura, perchè ci doveva essere da qualche parte. Umanamente poi le faceva un’immensa tenerezza. Percepiva vivamente il suo dolore per quella situazione, tanto quanto il suo amore che sembrava realmente incondizionato, qualcosa di così diverso da quello che le avevano dimostrato tutti i ragazzi o gli uomini della sua vita, così diverso da qualsiasi cosa lei avesse mai provato per qualcuno, tanto da farle dubitare, se quello era l’amore, se lei avesse mai realmente amato qualcuno.
Gli voleva dire molte cose, fargli capire che l’idea di farlo star male faceva star male anche lei, che sperava di potersi ricordare di loro, presto, per poter mettere fine alle sue sofferenze ed anche alle proprie, che se quello era il sentimento che lui provava per lei, lei era probabilmente una delle donne più fortunate al mondo, ma non lo fece. Non gli disse nulla di tutto questo per paura di quello che poteva uscire dalla sua bocca senza essere filtrato prima dalla sua mente. Avrebbe rischiato di dirgli più di quello che credeva fosse giusto fare per non ferirlo o illuderlo. O illudersi. Quei giorni passati insieme da soli a casa loro avevano solo aumentato in Kate la convinzione che aveva fin dall’inizio, la compagnia di Castle le piaceva e le piaceva lui. Era poco? Era tanto? Non lo sapeva. Era una situazione troppo complicata per avere un metro di giudizio e trovare uno schema comportamentale adeguato. 

Rick era nella loro camera, stava prendendo dall’armadio alcuni vestiti per i giorni successivi. Kate lo osservava dietro le sue spalle, ripensava a quella mattina al parco a tutto quello che avrebbe voluto dirgli e non gli aveva detto.
- Baciami Castle.
Kate lo disse in tono perentorio, era uno di quei pensieri che non venivano mediati dal cervello, ma nascevano non si sapeva bene da quale parte precisa del corpo e finivano direttamente sulle labbra che li svelavano al mondo. Si sorprese nel sentire la sua voce aver detto quelle due semplici parole. Rick pensava che stesse scherzando e ci rise su. Ma quando si voltò e guardò i suoi occhi, capì che lei era seria. Lasciò perdere i vestiti, buttandoli sul letto.
- Cosa stai dicendo Kate?
- Devo capire. - Aveva perso tutta la sua sicurezza adesso che lui la guardava legando i loro sguardi in maniera così profonda farle rimpiangere quello che aveva appena chiesto. La sua era una richiesta d’aiuto, ma quello che vedeva in lui la spaventava ancor più delle parole che le aveva detto quella mattina. La leggerezza che Rick metteva in ogni cosa per farla stare bene e farla sentire a proprio agio era sparita e si sentì investita da tutti quei sentimenti che immaginava combattessero dentro il corpo di Castle senza che lui li lasciasse mai prendere il sopravvento.
- Pensi di farlo con un bacio? - Le chiese stupito ma nei suoi occhi c’era molto di più dello stupore. Lei si morse il labbro inferiore abbassando lo sguardo, lui le appoggiò due dita sotto il mento, alzandole il volto a cercare una conferma che arrivò con un sorriso appena accennato.
Si avvicinò a lei piano, si guardavano negli occhi con sentimenti diversi. In lui c'era l'urgenza, la stessa necessità di ossigeno di chi è stato troppo tempo in apnea. In lei la paura dell'ignoto e la speranza. Le accarezzò le guance e poi accostò le labbra su quelle di lei faticando a trattenere dentro le emozioni di quel contatto tanto desiderato. Assaporò ogni attimo di quel bacio innocente e l'inconfondibile consistenza delle sue labbra morbide. Lei rimase immobile senza saper reagire: lo aveva voluto lei, sperava che le sarebbe servito per risvegliare ricordi e sentimenti, ma non fu così e la delusione di questo fu pari alle emozioni provate da Rick. Se ne accorse e si allontanò da lui, prima che quel contatto tra le loro labbra diventasse altro, di più. 
- Mi dispiace tanto Castle... Mi dispiace tanto...
Vide quegli occhi azzurri riempirsi di lacrime e voltarsi di scatto per non farsi vedere, ma le lacrime erano state più veloci di lui e le arrivarono dritte al cuore. Non lo voleva far soffrire e nemmeno illudere. Sperava veramente che un contatto più intimo tra loro sarebbe servito a far riaffiorare alla sua mente i suoi sentimenti. Gli appoggiò una mano sulla schiena e sentì i suoi respiri sincopati. Sperò che si voltasse e che le dicesse che andava tutto bene ma non lo fece. Non andava tutto bene, era evidente se lo stava ripetendo mentre lui era lì di spalle per non mostrarsi ferito, ed era stata colpa sua, del suo egoismo, del non aver considerato i sentimenti di lui, perchè lei al massimo non avrebbe ricordato nulla, lui sì, lui avrebbe ricordato tutto e lo aveva fatto. Anzi, lui aveva ricordato più di quanto lei avesse potuto immaginare, non solo per quel contatto, ma anche per quello che le aveva detto dopo. 
Fece scivolare la mano lungo la schiena lentamente, come se fosse una delicata carezza. Lo senti irrigidirsi al suo tocco, uscì dalla stanza non prima di averlo guardato un'altra volta. Andò a sedersi sul divano rannicchiata con le ginocchia al petto. Si diede della stupida, di nuovo. Non si accorse che lui l'aveva presto seguita, e si era portato proprio dietro di lei abbracciandola.
- Sto bene Kate - la rassicurò mentre le poggiava un bacio sui capelli.
Lo invitò a sedersi vicino a lei, aveva gli occhi rossi segnati dalle lacrime. Non stava bene, era inutile che mentiva. E non stava bene nemmeno lei a vederlo così. Soffermò lo sguardo sulle sue labbra. È vero, non aveva sentito quello che pensava avrebbe potuto ricordare, ma non era vero che non aveva sentito nulla e non era vero nemmeno che lo aveva voluto baciare solo per quello. Non aveva aveva il coraggio di dirselo ed il brivido che sentì al contatto tra le loro labbra non era il ricordo di qualcosa del passato, era una sensazione dannatamente del presente della quale ebbe paura. Gli accarezzò il volto come lui tante volte aveva fatto con lei e si ritrovò ad passargli una mano tra i capelli con le dita che scorrevano timide sulla nuca di lui. Si guardavano, non capendo chi dei due era più sorpreso.
Fu Kate ad avvicinarsi a lui, titubante, fermandosi a guardarlo ancora per un istante, come a voler chiedere il permesso. Lui rimase immobile proprio come lei prima ma quando gli fu chiaro che non si sarebbe fermata fu Rick a ritrarsi quel tanto che bastava per farla fermare. Kate lo fece ma solo per un attimo. Poi appoggiò la sua fronte su quella di lui e chiuse gli occhi.
- Non ti voglio baciare per ricordare, Rick… - gli sussurrò mentre con le mani sulla sua nuca lo teneva fermo, per non farlo allontanare di più.
- No? - Chiese lui sorpreso o forse speranzoso.
- No. - Gli rispose sicura, appoggiando le sue labbra su quelle di lui lasciando che questo diventasse un timido bacio - Voglio solo baciarti, non mi chiedere di più, non mi chiedere cosa è. Sto provando a lasciarmi andare alle mie emozioni e se mi conosci sai che non è facile. Ci voglio provare, mi voglio fidare, però non mi chiedere altro, non mi chiedere di dare un nome a questo. Lo so che per te è diverso, non ti voglio fare del male…
- Beckett, tra noi due quello che parlava tanto ero io.
Si sorrisero sulle labbra che poco dopo unirono di nuovo, dolcemente, scambiandosi piccoli baci delicati per conoscersi o riconoscersi. In quel momento non c’era tempo per pensare a ciò che era o era stato. Non contavano nè passato nè futuro quando Kate ruppe gli indugi chiedendo a quel bacio qualcosa di più e Rick la lasciò fare, aspettò che fosse lei a dettare i tempi e i modi di quel bacio e ricambiò le intenzioni di Kate dischiudendo le sue labbra per assaporarsi di più. Rick si impose di non pensare a nulla, di godersi solo il momento, di fermare i pensieri. Riprese coscienza di se e le cinse la vita, avvicinandola ancora al suo corpo, stringendola a se mentre rispondeva a quel bacio con più convinzione. Quando separarono le loro labbra non riuscirono a guardarsi. Kate era ormai quasi del tutto distesa sul corpo di Castle schiacciato alla spalliera del divano e la teneva per non farla allontanare. Appoggiò la testa sulla spalla dello scrittore avvicinando le labbra al suo collo, trovandosi a lasciare a anche lì una lunga scia di baci che lui accettò inclinando di poco la testa per facilitarle il compito. Rick teneva gli occhi chiusi, senza avere il coraggio di aprirli per paura che svanisse tutto. Lo fece solo quando sentì Kate muoversi e reclamare spazio. Si sciolse dal suo abbraccio alzandosi da lui e sedendosi in maniera più composta.
Castle aprì gli occhi appena il contatto tra loro si interruppe. Sapeva che sarebbe successo. Sapeva che non gli sarebbe bastato un bacio solo, avrebbe voluto baciarla per tutta la notte, per tutto il giorno successivo, sempre. Aveva settimane di baci da recuperare. Aveva appuntato mentalmente ogni momento in cui avrebbe voluto baciarla e non aveva potuto farlo e avrebbe voluto recuperare. Ora, invece, lei si era già allontanata e non se lo aspettava. Se la immaginava, come sempre faceva, accoccolata sul suo petto per ore, mentre lui le accarezzava i capelli e la baciava ancora, ogni volta che ne avrebbe avuto voglia. Sempre, quindi. 
Si voltò a guardarla temendo di cogliere sul suo volto tracce di ripensamento, di rimorso per quello che era appena accaduto. Non avrebbe retto.
Kate, invece, sorrideva e non sembrò accorgersi dello sguardo di lui che cercava di cogliere ogni minima sfumatura nelle sue espressioni. Rick attendeva che gli dicesse qualcosa. Era lei che lo aveva baciato, che poi si era allontanata da lui, quindi sarebbe dovuta essere lei anche a parlargli, no?
- Ho incasinato tutto, vero Castle? - Il suo tono era quasi divertito
- Mi piacciono questo tipo di casini Beckett
- Lo possiamo tenere solo per noi?
- Cosa?
- Quello che c’è appena stato. Non voglio dover dare spiegazioni a nessun altro, non voglio dover spiegare cosa non ricordo e cosa sento adesso.
- Quindi senti qualcosa.
- Non bacio qualcuno tanto per fare.
- Prima mi hai chiesto di farlo però.
- Forse non era solo per quello, ma non lo sapevo.
- Resterà solo tra noi. - Le disse serio. Nemmeno lui aveva voglia di dare spiegazioni, anche perchè non avrebbe saputo cosa dire, non sapeva niente nemmeno lui, viveva solo il momento.
- Domani tornano tua madre ed Alexis. - La voce di Kate nascondeva delle note tristi in quell’affermazione. Si sentiva condizionata dalla loro presenza di non poter essere se stessa come era stata negli ultimi giorni con Castle. Rick le si avvicinò, le scostò i capelli dal volto e la fece voltare verso di se.
- Dopo la tua visita di controllo andiamo negli Hamptons, ti va? Abbiamo una casa lì, possiamo stare un po’ da soli, rimanere fino alla visita successiva. Io, te, sole, mare, piscina, relax… Ti piace l’idea? - Aveva capito il disagio di lei e quella proposta era quanto di meglio potesse offrirgli. Avrebbero avuto tutto quello di cui avevano bisogno e non li avrebbe disturbati nessuno.
- Non ti voglio far stare lontano dalla tua famiglia. - si sentiva in colpa per quella richiesta egoista.
- Ehy Kate, sei tu la mia famiglia. Alexis e mia madre capiranno. Ne abbiamo bisogno, io ne ho bisogno. Stare con te, lontano da questo posto per un po’
Le diede un bacio, gli sembrava incredibile averne voglia e poterlo fare. La sorprese, ma era stata lei a rompere quella barriera tra di loro, ora doveva immaginarsi che Castle l’avrebbe preso come un via libera per farlo ancora. Non che le dispiacesse, ma per lei era ancora una cosa inusuale. Doveva combattere perennemente contro la sua razionalità che la frenava, però gli piacevano le sue labbra e gli piaceva essere baciata da lui. 
- Hai un buon sapore Richard Castle, lo sai?
- Sì, lo so. Me lo dici sempre. Allora, ti va di andare negli Hamptons?
- Sì, mi andrebbe molto.
Rick aprì le braccia le la invitò ad avvicinarsi. Lei si accoccolò sul suo petto mentre lui giocava con i suoi capelli cercando di farla rilassare.
Non era tutto normale, però era bello e al momento gli bastava

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Capitolo 19
*** DICIANNOVE ***


Kate si mordeva nervosamente le labbra mentre erano seduti in attesa del loro turno. Castle le press la mano e lei si voltò a guardarlo non riuscendo a nascondere la sua preoccupazione. Rick le diede un bacio imponendole di interrompere quella tortura. 
- Preferirei che lasciassi farlo a me. 
- Cosa Castle?
- Torturare le tue labbra. Conosco metodi molto più piacevoli.
- Rick... Non mi pare nè il luogo nè il momento...
- Quindi in un altro luogo e in un altro momento...
- Lo so cosa vuoi fare Castle, vuoi farmi arrabbiare per farmi pensare ad altro. 
- Funziona? - Le chiese speranzoso
- No. - rispose infastidita
Castle sbuffò. Il ginecologo di Kate aveva avuto un'emergenza ed erano lì in attesa da più di mezz'ora. Castle tra i due era quello che solitamente sopportava meno le attese, ma Kate era veramente insofferente e preoccupata. 

In realtà lo era già da un paio di giorni, da quando lui aveva cominciato a fare i preparativi per andare negli Hamptons e a ricordarle della visita. Aveva insistito poi ad andare con lei il pomeriggio prima della visita di controllo a fare shopping perché per lui era indispensabile che Kate rinnovasse il suo guardaroba con vestiti più comodi e leggeri, visto quanto le dava fastidio il caldo e che il bambino sarebbe inesorabilmente cresciuto ed anche lei. A Rick sembrò di non aver detto nulla di particolare ma da quella frase Kate si incupì ed il suo umore, già non buono perché non aveva voglia di fare shopping, peggiorò. Non valse a nulla fare per tutto il tempo il buffone ricordandole più volte come fosse l'unica donna che non si divertiva ad andare in giro a spendere i soldi della sua carta di credito in vestiti. Alla fine comprarono comunque molte più cose di quante Kate avrebbe immaginato, visto che Castle diceva che avrebbero preso ogni cosa che lei provava senza nemmeno darle tempo di scegliere. Beckett riuscì solo ad imporsi, minacciandolo con un ritrovato piglio autoritario, per non comprare nulla per il bambino.
Quando tornarono a casa Kate era molto stanca e Rick si pentì di averla sottoposta a quel pomeriggio controvoglia. Martha vivacizzò la serata mostrandosi, al contrario, entusiasta per tutte le cose che avevano comprato e strappando al figlio la promessa di darle la carta di credito per fare shopping prima che andassero negli Hamptons. Prima di andare a dormire Castle passò a dare la buonanotte a Kate che invece di salutarlo lo raggelò con una domanda inaspettata.
- E se non cresce Castle? 
Era seduta appoggiata alla spalliera del letto, rannicchiata come si metteva sempre quando era turbata. Lui si sedette sul bordo vicino a lei.
- Perché questi pensieri ora? Sei stata male e non mi hai detto nulla?
Negò convinta e non aveva motivo di non crederle.
- Allora cosa c'è Kate?
- Sono preoccupata. Ti ricordi cosa avevano detto l'altra volta? Era piccolo.
- Sì, ma avevano anche detto che era normale che lo fosse e che stava bene.
- Alcune volte quasi mi dimentico di essere incinta, mi sembra impossibile. Poi quando ci penso come adesso mi prende il panico che qualcosa possa andare storto. Non è normale comportarsi così Rick! Dovrei essere sempre euforica di aspettare questo bambino ed invece ogni volta che ci penso ho solo terrore. Che di non essere pronta, di non essere in grado... Che qualcosa vada storto, che non stia bene.
- Kate, sei normalissima. Sei solo preoccupata, come chiunque lo sarebbe nella tua situazione.
- Allora sono preoccupata di essere sempre preoccupata.
- Non ti aiuterà saperlo, ma da ora in poi sarai sempre preoccupata per lui. Per qualsiasi cosa e passeranno gli anni ma non passeranno mai le preoccupazioni, solo cambieranno in base alla sua età.
- No Castle. Non sei decisamente d'aiuto. 
- Però ti assicuro ci preoccuperemo sempre insieme. Staremo le notti svegli a guardarlo dormire quando sarà piccolo e poi ad aspettarlo rientrare quando sarà grande.
Kate sorrise della sua voglia di infonderle sempre e comunque positività. Rick prima di andarsene le diede una bacio sui capelli, ma lei si aggrappò alle sue spalle, facendolo abbassare per baciarlo, Rick si sedette di nuovo e si sporse su di lei per poterlo fare più agevolmente imponendosi mentalmente di contenersi, perchè essere lì, insieme, nel loro letto non lo aiutava per niente.
Kate combatté tutto il tempo per non chiedergli di rimanere con lei e Rick sperò che arrivasse quella richiesta fino a quando non so chiuse la porta alle spalle dopo averla salutata ancora con altri baci e la sua solita promessa: a domani.

Quando Kate sentì finalmente chiamare il suo nome dall'assistente del dottor Yedlin si alzò come una molla e raggiunse a grandi falcate lo studio. Sembrò ritenere le domande del medico solo un'inutile perdita di tempo, alle quali rispose nel modo più sbrigativo possibile. Il dottor Yedlin sorrise comprendendo la sua situazione evidentemente non era la prima a comportarsi così.
- Andiamo a vedere come sta il bambino, così sarà più tranquilla.
A quelle parole sorrise anche Kate imbarazzata per essere stata così facilmente scoperta. Doveva rivedere qualcosa nelle proprie capacità di non lasciar trasparire le proprie emozioni, ma diede tutta la colpa agli ormoni della gravidanza. 
Mentre era sdraiata ed aspettava afferrò la mano di Rick e la strinse talmente forte da fargli quasi male, ma lui indossò la sua migliore faccia da poker e le sorrise. 
Kate allentò la presa e si rilassò concedendosi finalmente un sorriso sincero solo quando sul monitor comparve il suo minuscolo bambino che si muoveva ed il dottore le disse le parole che più aspettava: "sta bene" e a conferma fece sentire loro ancora una volta il battito veloce del suo piccolo cuore. Rick si lasciò definitivamente vincere dalla commozione quando Kate allungò una mano verso l'immagine sullo schermo regalando uno dei suoi sorrisi speciali al loro bambino, di quelli dove le ridevano anche gli occhi ed il suo viso si illuminava di una luce speciale. Sentì di non averla mai amata tanto come in quel momento, ma sapeva che ci sarebbero stati da lì a pochi mesi altri momenti in cui le avrebbe detto la stessa cosa, eppure gli sembrava impossibile poterla amare di più, avrebbe voluto solo che lei lo capisse per rendere tutto perfetto come era perfetto quell'esserino che era sullo schermo.
Rick pensò che se vederlo la rendeva così felice, avrebbe potuto comprare uno di quei macchinari ed assumere un tecnico per i prossimi mesi, così poteva farlo quando voleva, ma sapeva che se glielo avesse proposto lei lo avrebbe come minimo minacciato di sparargli, anche se non aveva più una pistola.
Kate poi, più tranquilla dopo essersi accertata che andava realmente tutto bene, aver avuto le prove, riempì il dottore di tutte le domande che le passavano per la testa, rispondendo ora sì al dottore in modo più accondiscendente.
Il bambino stava bene e cresceva, era questa l'unica cosa importante per loro, anche se i consigli per Kate erano sempre gli stessi, era sempre convalescente e non doveva stancarsi troppo, pur potendo fare una vita pressoché normale.
Uscirono dallo studio e Castle fu bloccato dal direttore dell'ospedale che voleva parlargli solo qualche minuto. Kate preferì rimanere ad aspettarlo fuori e Rick non si accorse di una presenza nel corridoio che l'avrebbe fatto desistere dall'andarsene per parlare con chiunque o, almeno, avrebbe obbligato Kate a seguirlo. Ma non fu così.

Quando Castle tornò e li vide parlare si precipitò come una furia verso di loro.
- Dai Kate andiamo. 
Il tono di Rick era asciutto, non era una domanda e non le diede nemmeno tempo di rispondere che la prese avvinghiandola con un braccio sul fianco, portandola via cogliendola di sorpresa e non dandole modo di reagire. 
- Castle ma si può sapere cosa ti prende?
Kate era furiosa, odiava essere trattata così senza motivo, non era una bambina che doveva essere portata via.
- Che stavi facendo Kate?
- Cosa ti sembrava stessi facendo? Parlavo con una persona che mi ha salutato, presumo che lo conoscessi prima. 
- Già lo conoscevi. Lo conoscevi Kate. Non te l'ha detto chi è?
- No, mi stava chiedendo come stavo, non credo che tu normalmente ti presenti alle persone che conosci, cosa dici?
- Lo hai visto come ti guardava?
- No Castle, non l'ho visto. Mi puoi dire gentilmente chi è?
- Sono Josh, Kate. Il dottor Josh Davidson. Quello che ti ha soccorso quando per colpa sua ti hanno sparato e che al tempo era anche il tuo fidanzato. - il dottore li aveva seguiti ed era nel corridoio proprio dietro Kate.
- Vattene Josh, non sono affari che ti riguardano. - Rick si parò davanti a Kate, coprendola quasi totalmente con la sua stazza, togliendola dalla vista di Josh.
- Finiscila scrittore. Hai ottenuto quello che volevi, no? Quello che hai sempre voluto anche se sei la cosa più dannosa per lei. Non ti bastava l'altra volta vero? Ancora giochi con lei a fare il poliziotto...
- Non c'è Jim questa volta e non mi lascio insultare da te. 
- Non è necessario che io ti insulti, Castle. I fatti parlano per me. - Rick si avventò su Josh prendendolo per il bavero del camice sbattendolo al muro. Lui non si scompose, lo guardava e rideva sardonico.
- Cosa vuoi fare scrittore? Mi vuoi picchiare? Non è con me che te la devi prendere.
Kate si avvicinò guardando i due uomini, mise una mano sul braccio di Castle che teneva Josh contro il muro e poi fissò il dottore che le regalò un sorriso. Il gesto non sfuggì a Rick che si voltò a guardare sua moglie. 
Lasciò la presa sull'altro uomo e andò velocemente verso l'ascensore, tanto che Kate quando si accorse che se n’era andato così di fretta non riuscì a tenere il suo passo, lo chiamò inutilmente e arrivò davanti alle porte che si erano già chiuse.
- Il tuo scrittore è geloso, lo è sempre stato. - Le disse Josh avvicinandosi mentre si sistemava il camice.
- Scusami, io non mi ricordo… - Kate tentava di giustificarsi ed odiava farlo. Odiava scusarsi ogni volta con le persone dicendo che non si ricordava di loro o di qualcosa che avevano condiviso. Si sentiva stupida e questa situazione le faceva rabbia. Chiamò nervosamente l’ascensore per andarsene il prima possibile.
- So tutto, non ti preoccupare, non c’è bisogno che ti scusi, non è colpa tua. È strano sai? Pensavo che quando ti avrei rivista ti avrei chiesto delle spiegazioni sul perchè mi hai lasciato così, ma adesso credo che non sapresti darmele e comunque non ce ne sarebbe bisogno vista la situazione. C’è sempre stato lui nel tuo cuore, eh… so che ora non mi puoi rispondere, ma non è necessario Kate… Tanti auguri per il bambino.
- Josh, mi dispiace, non so cosa è successo, però scusami.
Entrò rapidamente in ascensore, premendo il tasto del piano terra compulsivamente. Voleva andarsene da lì. Voleva delle spiegazioni e Castle avrebbe dovuto dargliele quando l’avrebbe trovato.

Rick era fuori dall’ospedale appoggiato al muro vicino la porta d’ingresso.
- Non lo fare mai più Castle! - Gli urlò contro
- Tranquilla Beckett non lo tocco più il tuo dottore.
- Non è il mio dottore, non so nemmeno chi sia.
- Beh, io lo so chi è ed ho visto come lo guardavi!
- Come lo guardavo? Ma cosa stai dicendo? 
- Cosa volevi fare, volevi provare a baciare anche lui per vedere se ricordavi qualcosa?
Castle non si accorse di quello che aveva detto e non si accorse nemmeno della mano di Kate, fino a quando non si stampò sonoramente sul suo volto.
- Non ti permettere mai più di dire una cosa del genere Castle. Mai più. - Il tono di Kate era basso e calmo. Contrastava con il suo respiro agitato che preoccupò Rick. Il caldo di quel luglio era soffocante e l’afa che opprimeva New York era pesante da sopportare per chiunque.
- Stai bene Kate? - Castle cambiò immediatamente atteggiamento verso di lei, quello schiaffò sembrò averlo tirato fuori da quella coltre di gelosia che lo aveva ottenebrato.
- Ti importa come sto? Fino a poco fa non sembrava.
- Non dire così Kate.
- Non dirmi cosa devo dire. Non dirmi nulla.
- Kate, possiamo parlarne in un altro posto?
- Non dobbiamo dirci nulla adesso Castle.
- Non è vero. Andiamo dai... 
- Dove andiamo Rick? A casa a discutere davanti tua madre e tua figlia? Non mi pare una grandissima idea. 
- Andiamo.
Rick condusse Kate all'auto dove il loro autista li aspettava. La fece entrare e subito si sentì meglio con l'aria condizionata a darle refrigerio.
Rick diede istruzioni e poi entrò anche lui.
- Parliamo girando in auto? - chiese lei sarcastica
- No
- Allora?
- Aspetta.

Arrivarono all'entrata del Four Season e Castle andò a parlare con la reception, poi tornò fuori a prendere Kate.
- Andiamo
- Non sono una di quelle che ti porti in una camera di un hotel per fare pace
- Non ti porto qui per fare pace, ti porto qui così possiamo discutere indisturbati, dai scendi.
Kate scese dall'auto e le veniva quasi da ridere per quella situazione paradossale, che divenne ancora di più tale quando arrivarono all'ultimo piano accompagnati da Bob e vide la camera che aveva preso Castle per discutere.
- Quindi tu mi porti in una suite da qualche migliaio di dollari a notte per discutere?
- Esatto. Così possiamo urlare quanto vogliamo e non ci sente nessuno. È insonorizzata.
- Sei megalomane Castle.
- Lo so. Allora? Dai sfogati, urlami quello che volevi dire prima.
- Non stavo urlando Castle.
- All'inizio sì
- E poi non è che una persona può litigare, smettere e ricominciare a comando. - disse esasperata dal suo atteggiamento. Rick senza scomporsi si andò a sdraiare sul divano cominciando a spilluzzicare l'uva dal vassoio di frutta fresca che dovevano aver portato mentre loro stavano arrivando.
- Va bene. Quando vuoi ti aspetto qui. Se cominci ad urlare tanto ti sento.
- Mi viene da vomitare. - Accompagnò la sua frase con un’espressione disgustata del volto.
- Non dovrebbero passare le nausee a questo punto? - Castle era seriamente preoccupato del suo stato di salute ma quella frase aveva un tono troppo ironico che servì solo ad indispettire di più sua moglie.
- Non lo so, ora è in senso metaforico. - Specificò Beckett rimanendo appoggiata allo stipite della porta della sala da pranzo della suite.
- Pensi di sederti o rimani lì in piedi tutto il tempo?
- Quanto dobbiamo stare qui? - Chiese Kate senza muoversi.
- Fino a che non abbiamo discusso o anche di più come vuoi.
- Voglio andare via.
- No, dobbiamo discutere prima.
- Non sei divertente Castle.
- Non voglio esserlo. E non voglio nemmeno far finta di nulla o essere accondiscendente. Quindi vieni a sederti e discutiamo. - Rick assunse una posizione più composta
La situazione per Kate era paradossale. Stavano discutendo della possibilità di discutere in quel momento o meno. Si sedette nel divano davanti a lui.
- Eccomi Castle. Allora, discutiamo, forza. - Aveva quell’atteggiamento tipico di quando era nella sala interrogatori, mancava solo il finto specchio alle spalle. - Perchè mi ha lasciato lì, così, con quello?
- Da come lo stavi guardando mi pareva evidente che volevi approfondire la conoscenza.
- Lo guardavo come una persona che non conosco, preoccupata per quello che stavi facendo. Se invece che insinuare che volessi fare chissà cosa mi lasciavi spiegare lo avresti saputo anche tu, invece che evincere cose inesistenti e offensive.
- Offensive?
- Sì, offensive. Dire che volevo baciarlo come se fossi una che va in giro a baciare tutte le persone delle quali non si ricorda non è un gran complimento Castle.
- Scusami.
- Le scuse non servono. Questo è l’esatto motivo per il quale non volevo diventare dipendente da te, perchè non volevo lasciarmi andare e affidarmi a qualcuno. È bastato che mi vedessi parlare con una persona, hai tirato le tue conclusioni e non mi hai nemmeno fatto spiegare e mi hai lasciato lì, da sola, ad umiliarmi nello spiegare a qualcuno che mi dispiaceva ma non sapevo chi fosse nè cosa fosse successo, mentre lui mi faceva discorsi sulla mia vita che io non conoscevo!
Kate si alzò ed andò verso la grande finestra del soggiorno. Guardava fuori le macchine passare sotto di loro, ipnotizzata dal movimento per rilassarsi e non pensare. Castle la raggiunse e rimase un passo indietro a lei.
- L’ultima volta che avevo visto Josh, tu mi avevi detto che non volevi vedermi per un po’ e sono diventati mesi. Mesi nei quali ho sempre pensato che tu stessi con lui. Eri in ospedale, dopo che ti avevano sparato al funerale di Montgomery. Mentre ti operavano Josh mi ha aggredito, dicendo che era colpa mia se tu rischiavi di morire, perchè ti avevo spinto io ad indagare sull’omicidio di tua madre. Ci ha diviso tuo padre, ma lui aveva ragione. Ed ha ragione a dire che ero geloso di lui, perchè voi stavate insieme ma lui non c’era mai quando tu avevi bisogno di lui ed io non lo sopportavo. 
Kate a braccia conserte ascoltava, senza parlare, quel racconto un po' sconclusionato di Castle che non riusciva nemmeno a raccontare quanto era accaduto in modo lineare e coerente, segno di quanto quegli eventi lo avessero colpito e quanto a distanza di anni fosse ancora difficile per lui parlarne.
- Lui ti piaceva, me l’hai detto, anche dopo che vi eravate lasciati. Quando ti ho visto parlare con lui e poi…
- Quindi ogni volta che mi vedrai parlare con qualcuno del mio passato che non ti era simpatico reagirai così? - Kate gli parlava continuando a guardare fuori, vedeva sul vetro il riflesso di un Rick teso ed immobile dietro di lei. - Non è questo che voglio Castle. Non posso vivere così.
- Non è facile nemmeno per me tutto questo Kate. 
- Se lo avessimo incontrato qualche mese fa ti saresti comportato così?
- No Kate! Ovvio che no! Ma tu probabilmente lo avresti solo salutato e te ne saresti andata e poi io sapevo cosa c’era tra noi. Ora non lo so e non sono sicuro di niente di quello che ti riguarda. Tu non sai cosa provi per me, lo hai detto tu, non ti devo chiedere di più. Potresti incontrare qualcuno, avere un colpo di fulmine, innamorarti, andare via e…  - Kate si voltò
- E?
- E non mi rimarrebbe più nulla.
Castle pareva sconsolato nel dire quelle parole, mentre Kate dal momento stesso in cui si era voltata e aveva incontrato i suoi occhi aveva perso tutta la decisione che si era imposta di avere.
- Lo guardavo così Castle? Lo guardavo come sto guardando te?
Castle scosse la testa e si diede da solo dello stupido. Aveva smesso di ragionare dal momento stesso in cui li aveva visti parlare. Lei avrebbe potuto dirgli qualsiasi cosa, lui non avrebbe comunque sentito era totalmente preso da quella scena che da non sentire ragioni. Gli buttò le braccia al collo e si avvicinò a lui. Lo baciò intensamente, con passione, sentendosi quasi in dovere di rispondere così ai suoi dubbi, in modo istintivo, lasciandosi trasportare da quell'irrazionalità che aveva guidato ogni sua decisione che riguardava Castle. Rick la cinse con il suo abbraccio protettivo e quando le loro labbra si separarono cominciò a sussurrarle le sue scuse tra altri baci e altri ancora. 
Imparare ad amarsi è sempre difficile. Lo è ancora di più quando chi deve farlo viaggia a due velocità diverse, quando uno è già innamorato e l’altra non lo sa nulla di lui. Anche tenersi per mano risulta difficile, perchè chi è davanti rischia di correre e lasciare che le dita di lei scivolino via dalla sua stretta. Castle temeva questo ogni giorno. Aveva paura di correre troppo, di lasciarla indietro, sola. E lo aveva fatto quando meno avrebbe voluto e quando meno avrebbe dovuto. Non lo aveva fatto nel loro nuovo rapporto, lo aveva fatto fisicamente. Era corso via e la aveva lasciata indietro, aveva lasciato che le sue paure fossero più grandi di quelle di lei. Doveva essere il suo appoggio e invece l’aveva lasciata sola e barcollante mentre lui se ne andava via e poi l’aveva anche accusata. Si sentiva come il peggior uomo sulla terra.
La trascinò letteralmente sul divano facendola sedere sulle sue gambe. Kate faceva scorrere le sue dita sul suo volto. Sulla guancia il segno rosato dello schiaffo che gli aveva dato prima era ancora visibile, lo percorreva segnandone in contorni e sorridendo. Per quel che si ricordava non aveva mai fatto così con un suo ragazzo in vita sua. Un suo ragazzo. Era quello che pensava fosse Rick per lei? Una cotta adolescenziale scattata tra due adulti? Erano gli ormoni della gravidanza che le provocavano queste sensazioni così diverse da quella che era abituata a provare di solito? Così senza pensarci era passata da accarezzare a baciare il segno della sua mano, avvicinandosi sempre di più alla bocca di lui, per poi prenderla di nuovo tra le sue labbra e lasciandosi andare di nuovo. 
- Non mi lasciare più sola con persone di cui non ricordo nulla. - Fu tutto quello che gli disse ancora di quella giornata, ottenendo da lui ogni tipo di rassicurazione che non lo avrebbe fatto mai più. Lei non voleva più parlarne. Diceva a se stessa che un rapporto si costruiva anche attraverso situazioni di criticità come quelle, ma non ne aveva proprio bisogno. Quella mattina gli avevano detto che il loro bambino stava bene e non avevano nemmeno fatto in tempo ad essere sollevati per quella notizia che avevano subito discusso. Andava tutto bene, avevano appuntamento dopo tre settimane, potevano partire. Non avevano parlato di nulla, ma fu Rick che sembrò leggere i suoi pensieri e anticiparla.
- Partiamo tra due giorni, va bene? Domani devo andare a parlare con la mia casa editrice, poi possiamo partire. 
La sua risposta fu baciarlo di nuovo e si preoccupò di essere diventata dipendente non solo da lui, ma anche dalle sue labbra.

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Capitolo 20
*** VENTI ***


Castle aveva appuntamento con il direttore della sua casa editrice, lo aveva chiamato varie volte ma  Rick aveva sempre preso tempo. Aveva parlato più volte con i suoi avvocati per decidere cosa fosse meglio fare in quella situazione e tutti gli avevano detto, più volte, che per lui sarebbe stato meglio rimanere lì e non dover intraprendere azioni legali contro la casa editrice senza prove concrete, soprattutto quando la sua agente sembrava fare molto di più gli interessi della sua editor che i suoi. Con Paula però risolvere la questione era stato semplice: una ricca buonuscita ed il contratto era stato rescisso. Non era più un burattino nelle mani di quelle due donne. Avrebbe cercato un altro agente, non sarebbe stato difficile per lui trovare qualcuno che lo avrebbe rappresentato, la cosa più difficile era trovare la persona giusta, ma ci avrebbe pensato in seguito, tanto al momento non voleva avere nulla a che fare con pubblicità e serate. Kate aveva avuto modo di ascoltare qualche discussione di Richard al telefono con i suoi avvocati, non per voler spiare le sue conversazioni, solo perchè lui urlava talmente tanto che era impossibile non seguirlo. Aveva, però, sempre fatto finta di non saperne nulla, in effetti non si sentiva nella posizione di potergli dire niente per quello che riguardava la sua vita o le sue decisioni professionali. Le dispiaceva, però, che molte delle scelte che stava facendo, anche drastiche, riguardavano lei e la sua situazione. Aveva capito che durante il suo ricovero in ospedale dovevano essere accadute delle cose spiacevoli con la stampa ed aveva avuto una prova di quanto i giornalisti potevano essere fastidiosi quando erano usciti dall’ospedale ed in un altro paio di occasioni quando li avevano seguiti mentre erano usciti solo per fare una passeggiata. Avrebbe voluto solo dirgli di non prendere nessuna decisione per lei. Castle, invece, la sorprese, chiedendole di accompagnarlo. Le sembrò una richiesta strana, per quanto potesse non ricordarsi nulla del loro passato insieme, le sembrava difficile credere che potesse essere una persona che accompagnava il marito alle riunioni di lavoro, soprattutto se il suo lavoro era sempre così impegnativo come ricordava. 
Rick le confermò che in effetti non era mai andata con lui alla Black Pawn, ma che non per questo non doveva farlo adesso. Faceva parte dei nuovi ricordi, le disse e che se una cosa non l’aveva mai fatta, non era un buon motivo per continuare a non farla. Andò con lui e fu a pieno in quella mattina, la Signora Castle e si sentì profondamente a disagio. Incontrò Gina e si scontrò con tutto il suo sarcasmo e la sua arroganza nel volerla mettere in imbarazzo con battute fuori luogo, alle quali rispose in modo ancora più acido Rick per lei. Non le piaceva che qualcuno parlasse al posto suo, me essere difesa da Castle la faceva sentire al sicuro e lei sapeva di non essere ancora pronta per sostenere una discussione davanti alla quale si presentava disarmata. Quando incontrò Charles Price, il direttore della casa editrice, Kate si sentì più a suo agio: il fatto di non averlo mai conosciuto prima ed i suoi modi decisamente più gentili resero tutto più semplice, l’uomo non più giovane e con una galanteria di altri tempi nel suo completo grigio che profumava di colonia le fece un baciamano dicendosi onorato di conoscere finalmente la musa di Castle, la vera Nikki Heat, mostrandosi veramente dispiaciuto per quanto le era accaduto.
Rick, che era deciso a imporre le sue decisioni, durante la conversazione con l’uomo si ammorbidì molto, era evidente l’intenzione del direttore di non perdere il suo scrittore di punta, soprattutto in quel momento di grande fama, anche se per motivi non voluti e i benefici dagli introiti delle future opere erano sicuramente maggiori di quelli di un risarcimento per interrompere il contratto. Mr Price gli venne incontro su tutto, sorprendendo lo stesso Castle, anche alla sua richiesta di cambiare editor e di non lavorare più con Gina, se voleva poteva già dal giorno dopo fare dei colloqui con il personale della casa editrice per scegliere personalmente con chi preferisse lavorare, ma Rick gli disse che avrebbe rimandato tutto a dopo l’estate, per ora voleva solo riposarsi e scrivere. Così erano entrati con l’idea di dover affrontare una battaglia, ne uscirono da vincitori senza aver nemmeno combattuto, anzi con la promessa di ritrovarsi a fine estate per firmare un nuovo contratto per altri tre volumi della saga di Nikki Heat.
Castle disse che dovevano festeggiare andando a mangiare in un posto speciale. Kate non aveva voglia di finire in uno di quei ristoranti formali da vip e rimase piacevolmente sorpresa quando Castle la portò in un posto che invece amava particolarmente, tra la 26° e Park Avenue, dove facevano dei cheeseburger da sballo e fu felice di constatare che la sua memoria almeno in questo non si sbagliava, erano sempre buonissimi e Rick come al solito era stato capace di sorprenderla con una scelta totalmente fuori dagli schemi.
Raggiunsero poi come da programma il distretto. Dovevano parlare con la Gates e comunicarle della gravidanza di Kate ora che il periodo critico era finito.

Il distretto era immerso nel solito via vai di gente di ogni tipo: poliziotti, disperati, criminali, avvocati. 
Quando l’ascensore si aprì scoprirono che, per motivi diversi, quel luogo era mancato ad entrambi. Castle anche se non lo frequentava più assiduamente come un tempo trovava sempre il modo di essere presente con le sue indagini personali ed andare a trovare gli amici detective e Beckett.
Kate dal canto suo, era convinta che fino ad un paio di mesi prima era ancora una giovane detective. Mentre camminava ancora non con il suo solito passo spedito nel corridoio, tutti si fermavano a guardarla, salutandola stupiti e con lo stesso stato d’animo lei ricambiava il saluto. Non era abituata a sentirsi chiamare capitano e si accorgeva come molti di quelli non li conosceva e molti altri li ricordava decisamente diversi.
Arrivata davanti a quella che era la sua scrivania, ebbe molta nostalgia nel vederla vuota. Esposito e Ryan non c’erano, Castle quindi l’accompagnò in quello che era il suo ufficio, dove ora c’era la Gates. Poteva leggerlo anche nella targa fuori, la scritta con il suo nome. Ci passò sopra le dita, per rendersi conto che era vero.
Bussarono e la Gates li fece accomodare, accogliendoli con un sorriso che Castle difficilmente aveva visto nella donna. I loro rapporti erano migliorati decisamente. 
Aveva molto apprezzato la sua telefonata per chiedergli cosa ne pensasse se fosse stata lei a sostituire Beckett al distretto, non voleva che andasse in mani sconosciute. Lui ne fu entusiasta, quella non era una proceduta standard e pochi avrebbero rinunciato al proprio incarico per tornare a fare il capitano, anche se temporaneamente, come le aveva sempre ripetuto lei. Rick chiamò personalmente anche il suo amico sindaco, per fare in modo che non ci fossero intoppi in quella procedura e lui gli assicurò che non ci sarebbero stati, era il minimo che poteva fare per lui e Beckett.
La risoluzione del caso Loksat ebbe molta eco sulla stampa nazionale per molti giorni dopo il loro ferimento. Tutti parlavano di come il capitano di polizia di New York era riuscita a sconfiggere una pericolosa organizzazione che minava la sicurezza nazionale, riuscendo dove squadre ben più addestrate e attrezzate avevano fallito. La conclusione quasi tragica della cosa, aveva attirato quindi non solo la stampa di cronaca e politica, ma anche quella molto più frivola che aveva di che riempire le pagine con la storia della giovane capitano di polizia moglie dello scrittore milionario che rischiano di morire insieme nella loro casa come i protagonisti di una tragedia romantica. Pescarono nel torbido, molto. Qualcuno che parla troppo c’è sempre e molti al distretto avrebbero voluto scoprire chi fosse la gola profonda che aveva spifferato qualche notizia di troppo ai media. Parlarono della loro separazione e fecero anche insinuazioni pesanti che ferirono Rick nel profondo ipotizzando tradimenti, altre donne e rivangando il suo passato di playboy incallito che era tornato in pista. Ipotizzarono che la loro unione era stata solo una trovata pubblicitaria per lui per vendere di più e per lei per fare carriera, cosa tra l’altro avvenuta con successo per entrambi.
Castle in quei giorni fu felice che Beckett non aveva potuto leggere o sentire nulla di quello che veniva detto su di loro, lei non avrebbe mai accettato una tale intrusione nella loro vita privata ed anche lui, sempre abituato a stare al centro dell’attenzione aveva avuto difficoltà nel farlo in quei termini e in quel momento.
Tutto questo, non dava fastidio solo a Castle e alla sua famiglia, la stessa Alexis si era più volta lamentata per le incursioni nella vita di suo padre e Kate chiedendogli se non potesse legalmente fare qualcosa, ma anche ai suoi amici, soprattutto ad Esposito che più di qualche volta aveva minacciato qualche giornalista che si era presentato fuori dal distretto per fargli domande sul suo capitano: l’ispanico era stato chiaro con tutti, dovevano girare a largo dal distretto e non fare domande a nessuno, altrimenti sarebbe stato peggio per loro.
Di contro c’era chi era molto soddisfatto. In primo luogo Gina, che era stata estasiata da tutta questa pubblicità inaspettata che aveva fatto impennare le vendite dei vecchi volumi della serie di Nikki Heat che tutti ora volevano leggere per scoprire l’alter ego del capitano Beckett. Anche il sindaco Weldon era entusiasta di questa ottima pubblicità per la città ed aveva rilasciato più di qualche intervista dichiarando come sia Castle che sua moglie fossero, oltre che degli ottimi professionisti, anche suoi personali amici, ricordando quanto lui avesse insistito per fare in modo che Castle collaborasse con l’allora detective Beckett contribuendo in modo decisivo alla loro unione professionale e privata. 

Kate si guardò intorno nell’ufficio e si sorprese a trovare sul mobile a lato della scrivania del capitano molti suoi oggetti estremamente familiari. 
- Li ho messi lì solo per comodità - le disse la Gates notando lo sguardo di Kate, non lavorava più sul campo ma era sempre un’ottima detective, oltre che una grande osservatrice. Iron Gates, come la chiamavano tutti, aveva sempre capito ed appoggiato Beckett molto più di quanto lei pensasse, nonostante si fossero scontrate più volte, ma la Gates aveva visto nella giovane detective quel piglio e quella determinazione giuste per fare carriera ed imporsi in quel mondo maschile e maschilista che non risparmiava nulla alle donne e lei lo sapeva bene.
- Non si preoccupi Capitano… io stavo solo cercando di capire qualcosa… - Beckett cercava di studiare minuziosamente ogni luogo per vedere se riusciva a trovare qualcosa che facesse scattare la sua memoria. Ma per lo più erano sensazioni o flash che non riusciva a collocare nel tempo. Aveva in quel preciso istante la sensazione di essere già stata lì, davanti a quella donna che la scrutava da sotto gli occhiali, in una situazione estremamente spiacevole.
- A cosa devo il piacere della vostra visita? - Chiese la Gates alla coppia
- Capitano - esordì Kate - purtroppo non ci sono stati molti miglioramenti con la mia amnesia e non so, quindi, se questa situazione sarà temporanea o quanto durerà. Però… - si voltò a guardare Castle cercando un sostegno, non era ancora molto facile per lei parlarne
- Però Capitano - Continuò Rick - c’è anche un’altra questione che sicuramente ritarderà il ritorno di Kate al distretto.
La Gates li osservava attentamente, anche un po’ preoccupata dalle loro parole e dalle loro espressioni serie. Aveva già vissuto una situazione simile con Kate appena arrivata al 12°, le avevano appena sparato, era stata mesi fuori dal distretto e aveva dovuto fare un percorso lungo di riabilitazione, fisica e non solo.
- Sono incinta. - Disse quindi Kate. Il volto della Gates si distese, non era una brutta notizia quindi, ne fu felice.
- In questo caso, Capitano Beckett, ha tutto il diritto di prendersi tutto il tempo che ritiene necessario. - Girò intorno alla scrivania ed andò ad abbracciarla calorosamente, stringendo poi vigorosamente la mano a Castle, congratulandosi anche con lui. Le chiesero di mantenere il massimo riserbo sulla cosa, perché non l’avevano ancora comunicato a nessuno, nemmeno ai “ragazzi”, ma la Gates era di certo la persona migliore per mantenere la loro riservatezza e gli disse di non preoccuparsi, lei non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Apprezzò la loro correttezza nell’avvisarla prima degli altri, visto che si era offerta di sostituire Kate quando tutti speravano e pregavano che la sua assenza fosse solo di qualche mese, ed invece sarebbe stata decisamente più lunga: anche il capitano Gates doveva decidere cosa fare, se far prevalere la sua volontà di carriera o occuparsi di quel distretto che negli anni era stato l’unico luogo di lavoro dove aveva avuto modo di sperimentare veramente un senso di familiarità e collaborazione, anche grazie a quello strampalato scrittore che all’inizio proprio non sopportava e che usciva fuori da ogni suo schema mentale.

Uscirono dall’ufficio delle Gates proprio mentre Javier e Kevin stavano tornando alle loro scrivanie.
- Ehy Bro guarda! Mamma e papà sono venuti a farci visita!- Esposito si era rivolto a Ryan che era talmente assorto nei suoi pensieri che non si era accorto della presenza di Kate e Rick. Beckett sentendosi chiamare così guardò Castle preoccupata, chi è che poteva aver detto della sua gravidanza ad Esposito ma soprattutto perché lui lo stava urlando così a tutti? Stava per fare una sfuriata, lì, in mezzo al distretto. Non era in servizio, non lo sarebbe stata per mesi, ma era il capitano, no? Ne aveva il diritto. Rick capì che per lei quella frase innocua aveva tutto un altro significato e si precipitò a spiegarle il senso prima che scoppiasse come una bomba ad orologeria, suscitando sorrisi e scuse da parte di Javier che non aveva considerato che non sapesse che li chiamavano così. Si rasserenò, almeno in parte.
- Tutto bene Ryan? - Chiese Castle vedendo l’irlandese molto provato
- Sì, tutto bene, solo un caso molto impegnativo, finito purtroppo malissimo… - Disse indicando con la testa un uomo che veniva condotto nella sala interrogatori senza apporre la minima resistenza, rassegnato al suo destino e non solo.
- È lui il colpevole? A guardarlo così sembra più la vittima. - Osservò Rick
- Robert Bryan. È più vittima che colpevole in effetti, Castle - disse Esposito - fossi stato al posto suo avrei fatto la stessa cosa, purtroppo però non abbiamo potuto fare altrimenti.
Castle e Beckett si erano seduti sopra la scrivania, mentre Javier cancellava la lavagna e toglieva le foto, non avevano fatto in tempo a leggere molto, se non a vedere la foto di una donna, Melissa, al centro, il posto della vittima.
- Ha ucciso lei? - Chiese ancora Rick curioso. Era più forte di lui, quell’uomo lo aveva colpito e voleva sapere la sua storia
- No, lei era la moglie. È stata uccisa per sbaglio da un gruppo di studenti figli di papà che annoiandosi si sono improvvisati rapinatori ed è partito un colpo. - Esposito mentre raccontava la storia si teneva i pugni stretti, si capiva che avrebbe voluto darla anche lui una lezione a chi gioca così con la vita della gente.
- Non hanno fatto nemmeno qualche ora di galera - continuò mestamente Ryan - grazie ai bravi avvocati di famiglia, sono subito usciti su cauzione, facendosi beffe anche del dolore di quell’uomo che durante l’autopsia ha scoperto che la moglie era incinta del loro secondo figlio.
Castle deglutì a fatica ed istintivamente portò un braccio intorno alla vita di Beckett avvicinandola se. 
- È andato ad aspettare Nicholas Brand, il ragazzo che aveva sparato a sua moglie, fuori da casa sua e lo ha ucciso. Poi ci ha chiamato lui stesso.
- È terribile… Assurdo… - disse Rick ancora sconvolto per quella storia.
- L’altro figlio dov’è? - Chiese Beckett
- Paul è con la sorella della moglie. Se ne occuperà lei. Ha solo quattro anni. - Ryan aveva raccolto tutto nel fascicolo e lo stava mettendo sulla scrivania prima di finire di fare rapporto. - Ora scusateci, ma dobbiamo andare ad interrogarlo.
- Posso… posso parlarci un minuto io, per favore? - Chiese Castle ai due
- Castle, non credo che tu possa, poi non capisco… - Non fece finire di parlare Ryan che già si stava dirigendo verso la sala interrogatori.
- Solo un minuto, non di più, promesso.
I tre lo seguirono andando nella sala attigua per vedere e sentire quello che stava facendo.
Kate osservava la scena attenta a braccia conserte, mentre i due detective aspettavano fremendo che uscisse da lì, se li avesse beccati la Gates sarebbero stati nei guai.
- Cosa ci fa il signor Castle lì dentro? - La voce del capitano li colse di sorpresa. I due si girarono immediatamente, pronti a subire una ramanzina, mentre Kate rimaneva concentrata a guardare ed ascoltare Rick parlare con quell’uomo disperato.
La Gates fu meno intransigente del previsto, anzi disse ai detective di rilassarsi e andarsi a prendere un caffè, tanto avrebbero dovuto aspettare l’avvocato dell’uomo.
- Non c’è nessun avvocato, Capitano. - Disse Esposito.
- Se il signor Castle è lì dentro, ci sarà tra poco. - Concluse la Gates prima di tornare nel suo ufficio
Kate sorrise. Rick uscì ed andò direttamente nella sala dietro la stanza interrogatori, sapeva che sarebbero stati tutti lì ad aspettarlo. Guardò Kate che capì subito le sue intenzioni e propose ai ragazzi di spostarsi nella sala relax.
Castle con nonchalance si mise a preparare i caffè, mentre Kate faceva apprezzamenti sul fatto che al distretto ora avevano anche una macchina del caffè decente. Gli raccontarono perché quella macchina era lì e chi era stato il benefattore. Punzecchiarono un po’ Castle sul fatto che anche quella era stata una tattica per conquistarla, facendola passare per un regalo per tutti. Risero di questo anche con Rick che in quell’ambiente familiare sembrò allentare un po’ la tensione per la situazione precedente. Kate era stupita nel vedere come Castle fosse assolutamente a suo agio nel distretto, un luogo che aveva sempre considerato come suo e nel quale non riusciva a collocarlo.
Passò le due tazze ai ragazzi ed una la tenne per se. Lo guardarono stupito. 
- Non dimentichi nessuno Castle? - Dissero indicando Beckett senza la sua razione di caffeina
- No ragazzi, va bene così. - rispose Kate anticipando Rick
- Problemi Beckett? Ancora non puoi bere caffè? Come hai resistito tutto questo tempo? - Chiese Javier che sapeva bene come Kate non riuscisse a stare senza caffè a lungo.
- Per un po’ di mesi dovrò ancora evitare la caffeina, insieme agli alcolici e a tante altre cose…
Javier fece cenno che andava bene con la testa senza in realtà comprendere veramente il perchè e guardò Ryan che stava bevendo e non disse nulla nemmeno lui. Rick e Kate si guardarono scuotendo la testa.
- Certo che per essere detective siete abbastanza lenti a decifrare gli indizi eh! Come fate senza di me in questo periodo? - Chiese Kate scherzando ma fino ad un certo punto.
- C’è qualcos’altro Beckett? - Le chiese serio Javier bevendo un altro sorso di caffè
- Tra qualche mese ci sarà un altro, o altra, Castle a rendere questo mondo un posto ancora più bello. - Disse infine Rick gongolando e pavoneggiandosi non poco.
Esposito rischiò seriamente di strozzarsi, Kevin appoggiò la tazza sul tavolo poco prima di farla cadere. Rick e Kate osservavano calmi e divertiti la scena dei due amici colti di sorpresa.
- Io non credevo che voi due adesso… - Balbettava Esposito non trovando le parole per non sembrare più impertinente di quanto non era già stato, mentre Ryan era rimasto in silenzio sorridendo agli amici
- E’ successo prima - Kate interruppe lo sproloquio dell’ispanico facendo calare il silenzio sulla sala. Immediatamente i due collegarono la reazione di Castle a quanto avevano raccontato in precedenza.
- Fratello, mi dispiace, non sapevamo, altrimenti non ti avremmo detto nulla… 
- Tranquillo Javi, va bene così. Ho solo capito oggi, ancora di più, quanto sono stato fortunato e quanto avrei rischiato di perdere. Rick guardò Kate spostò lo sguardo in basso verso le sue mani chiedendosi se sarebbe mai riuscita non imbarazzarsi quando le parlava così. 
I ragazzi si congratularono con Castle e Beckett che ancora faceva fatica a capire come comportarsi davanti a tante scene di affetto: alcune volte le sembrava che fossero più felici gli altri per lei di quanto non lo fesse lei stessa, che non riusciva mai ad esternare quello che provava, perchè in realtà non lo sapeva di preciso nemmeno lei. Amava quel bambino, quella parte di se che cresceva dentro di lei, ormai diventata reale ed anche visibile. Non riusciva però a gioire a pieno della cosa, non era in grado ancora a considerarla pienamente sua e temeva che non ci sarebbe mai riuscita. Si sentiva diversa da quello che erano di solito le future madri e si sforzava di avere dei comportamenti che non riusciva ad avere con naturalezza. Avrebbe voluto vivere in modo diverso la sua gravidanza, sarebbe dovuto essere un momento di gioia, invece era solo una gran confusione sotto tutti i punti di vista. Aveva provato anche a parlarne con Rick, ma ogni volta che vedeva la sua gioia totale per l’arrivo di questo bambino si bloccava per non dargli altre preoccupazioni. Gli diceva sempre che andava tutto bene, ma lei temeva che lui in realtà avesse capito che non era proprio così, ma faceva finta di nulla.
Castle una volta le aveva detto che “la prossima volta sarà tutto diverso”, con quel suo solito tono di quando voleva dire una cosa seria alleggerendone il significato per non metterle pressione e Kate si era ritrovata a pensare che al contrario di quanto potesse lei credere, non era più una ragazzina di trent’anni che si diceva che aveva tutta la vita davanti, era una donna: spesso si doveva guardare allo specchio per ricordarselo e vedere i segni sul suo viso e sul suo corpo del tempo e non solo, sentiva il suo orologio biologico scorrere e si era trovata a pensare più volte se ci sarebbe stata una prossima volta: non se lo nascondeva più, era stato anche questo uno dei motivi che l’avevano spinta con tanta sicurezza a voler tenere quel bambino nonostante tutto.
 Si chiedeva quale vita in futuro avrebbe avuto se non avesse mai riacquistato la memoria. Sarebbe rimasta comunque con Caste? E se avesse incontrato qualcuno di cui si sarebbe potuta innamorare, cosa avrebbe dovuto fare? Erano dubbi questi che ogni tanto la prendevano quando era presa dallo sconforto di non riuscire più a riprendere in mano la sua vita. Nessuna delle sue vite.

- Credo che quello che hai fatto oggi per Robert Bryan sia una delle cose che mi avevano fatto innamorare di te. - La rivelazione di Kate mentre tornavano a casa sorprese anche lei stessa per quel pensiero ad alta voce, ma non sapeva come altro esprimergli quanto avesse apprezzato quello che aveva fatto per quell’uomo: si era fatto carico di tutte le sue spese legali, mandando lì uno dei suoi avvocati per fare in modo che ottenesse il minimo della pena. Castle rimase senza parole e non sapeva come rispondere ad un’affermazione per lui così importante in quel momento. Le avrebbe voluto chiedere se questo voleva dire che poteva farlo ancora, innamorarsi di lui intendeva, ma si trattenne.
- Ho pensato a quanto stesse soffrendo, lo posso capire sai. Ho temuto la stessa cosa anche io per giorni. Non è stato semplice. - Kate annuì senza aggiungere altro. Si parlavano, faticavano a rispondersi, ma si capivano. - Vorrei aprire un fondo per Paul Bryan, il figlio di Robert. Quel bambino ha già perso tutto, vorrei che almeno potesse avere quelle cose inutili che gli potrebbero regalare qualche attimo di felicità, garantirgli un minimo di futuro con una buona istruzione. Cosa ne pensi?
- Perchè mi stai chiedendo cosa ne penso?
- Sei mia moglie, è una cosa importante, vorrei che mi dicessi se è un’idea che ti piace o se ti da fastidio, ora con il nostro bambino in arrivo, che vado a pensare al figlio di qualcun altro.
- Rick, a nostro figlio non mancherà mai nulla, ne sono certa. So cosa vuol dire, invece, crescere senza una madre e quel bambino è così piccolo e non avrà nemmeno suo padre per molto tempo. Qualsiasi cosa tu voglia fare per lui, io sarò solo orgogliosa di te, veramente.
Lo baciò dolcemente cercando, anzi imponendosi, di scacciare dalla sua mente ogni pensiero negativo fatto in precedenza.

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Capitolo 21
*** VENTUNO ***


Gli Hamptons erano per Kate uno di quei posti glamour da copertine per riviste frivole, dove si incontravano per feste private e cene patinate le celebrities di New York e non solo. 
Non sapeva cosa aspettarsi da quel posto ma comunque non vedeva l'ora di cambiare aria per un po'. Erano passati a salutare suo padre prima di partire, non lo vedeva da qualche giorno e sapeva quanto ci tenesse ad accertarsi che lei stesse bene. Jim fu entusiasta dell'idea che Rick e Kate trascorressero un po' tempo soli nella loro casa al mare: lì aveva accompagnato sua figlia tra le braccia di quell'uomo che ogni giorno la trattava come se fosse il gioiello più prezioso della terra e sapeva che non poteva desiderare di meglio per lei, e che, nonostante tutto quello che era accaduto, con Rick Kate era al sicuro dal suo nemico peggiore: se stessa.

Quando uscirono di casa Kate si aspettava di trovare come al solito l'autista ad attenderli ed invece Rick le comunicò che si sarebbe dovuta accontentare della sua guida. Era la prima volta che avrebbe guidato di nuovo per un lungo tragitto, però si sentiva bene come da tanto non gli capitava ed era convinto che fosse proprio perché stavano per partire: aveva in mente molte cose per quei giorni da fare con lei e questo lo rendeva euforico.
Controllò più volte che tutto fosse apposto, che Kate stesse comoda, che avesse acqua a sufficienza se avesse avuto sete, che la temperatura dell'aria condizionata fosse confortevole e che la musica fosse quella giusta. Sistemò specchietto e sedile, mise gli occhiali da sole, si voltò verso Kate, le diede un bacio e poi partì.
Guidava sorridendo, era un giornata infrasettimanale e non c'era molto traffico, ogni tanto si voltava a guardare Kate che osservava fuori dal finestrino un mondo che in otto anni doveva trovare almeno un po' cambiato, poi cullata dall'andatura costante di Castle si addormentò. Quando Rick se ne accorse accostò per sdraiarle il sedile e farla stare più comoda. Non riuscì ad evitare di osservarla per un po' mentre riposava tranquilla ed infine la coprì con il foulard che teneva nella borsa per evitare che si infreddolisse.
Kate si svegliò quando erano quasi arrivati. Percorrevano una strada panoramica dove le ville dei "milionari capricciosi" come si era divertita a chiamarli si susseguivano, nascoste tra gli alberi ed i viali per rispettare la privacy: Rick passando davanti ad ogni proprietà le diceva chi ci abitava e lei commentava spesso con irriverenza la maestosità di certe abitazioni. Abbassò il finestrino per sentire i suoni della natura: il canto delle cicale, il frusciare del vento, gli uccellini che saltellavano sulle recinzioni ai bordi delle strade. Era tutto diverso rispetto a New York e già solo essere lì, in quella strada costeggiata dagli alberi e dalla natura la faceva sentire rigenerata.
Quando lasciarono la strada principale per entrare in un vialetto ben protetto da alti platani Kate rimase a bocca aperta nel vedere la villa che si rivelava ai suoi occhi. Rick si voltò varie volte ad osservare il suo volto stupito ed un sorriso spontaneo nacque sul suo viso. A Kate quel posto era sempre piaciuto, dalla prima movimentata volta in cui erano stati lì. Era lì che si sarebbero dovuti sposare e lì che poi si sposarono ed era sempre lì che si rifugiavano appena potevano, anche fuori stagione, quando lei aveva un paio di giorni liberi e così potevano stare da soli godendo solo della reciproca presenza, senza nessuno che li disturbasse. Da quando si erano ritrovati dopo quell’assurda separazione, avevano deciso che quei pochi momenti che ritagliavano solo per loro dovevano essere tali, senza nessuna distrazione, senza nessuno che li interrompesse nei momenti meno appropriati. Lo avevano fatto anche poche settimane prima della sparatoria al loft un colpo di testa alla Castle, era passato a prenderla al distretto il sabato pomeriggio e l’aveva portata lì senza dirle nulla per tornare a New York il lunedì mattina presto riportandola direttamente a lavoro. Non era stato un week end propriamente riposante, ma sicuramente molto divertente e gratificante per entrambi.

- Castle mi avevi detto che avevi una casa, non una villa enorme!
- Tecnicamente Beckett una villa enorme è una casa. - Le rispose mentre parcheggiava l’auto, poi corse per aprirle lo sportello e farla scendere. Kate si guardò ancora intorno cercando di capire quanto effettivamente fosse grande quella villa.
- E’ molto grande - le disse Castle rispondendole prima ancora che glielo chiedesse. - Ma la cosa più bella è fuori, dall’altra parte.
Rick aveva dato istruzioni al personale di preparare l’intera villa per il loro arrivo: la dispensa era stata rifornita, le camere sistemate e la piscina riscaldata perché anche se era piena estate era sempre difficile avere l’acqua alla temperatura ottimale. Mike, uno degli inservienti, lo attendeva all’interno e lo aggiornò di tutto quello che avevano fatto, come da sue disposizioni e mentre Castle conduceva Beckett sul retro, il ragazzo portò in casa i loro bagagli e poi li lasciò soli. Se avevano bisogno di qualcosa, avrebbero chiamato loro.
La prese per mano, attraversarono la grande sala ed uscirono dalla veranda. Il verde del prato si perdeva fino ad arrivare all’azzurro dell’oceano tagliato dal piccolo sentiero che conduceva alla spiaggia. Era, come quasi sempre negli Hamptons, una giornata ventilata. Kate non amava molto il vento, ma lì era diverso. Alzò la testa e chiuse gli occhi, lasciando che quelle morbide folate le scompigliassero i capelli lasciati sciolti. Spesso non si ricordava di avere i capelli così lunghi adesso, da quando era morta sua madre ed era entrata in accademia li aveva sempre tenuti corti per limitare la sua femminilità che temeva fosse un ostacolo in un mondo tendenzialmente maschile e maschilista, ma non si era mai resa conto di come lei sprigionasse qualcosa che andava ben al di là di un’acconciatura.
Si ritrovò inebriata della vecchia piacevole sensazione di farsi spettinare dal vento. Non era solo un refrigerio che allontanava il caldo afoso della città, quel vento la faceva sentire viva ed amava anche la percezione dei brividi sulla pelle che risvegliavano i sensi intorpiditi. Aveva bisogno di vita dopo essere quasi morta. Aveva bisogno di vita per nutrire la sua e quella del suo bambino. Castle lasciò che si godesse quella sensazione di ritrovata libertà, poi la invitò a sedersi con lui su uno dei divani bianchi che si trovavano sotto la veranda. Le prese una mano e la tenne tra le sue, accarezzandola. Gli piacevano le mani di Kate, le sue dita sottili, gli piaceva il contrasto con le sue molto più grandi che facevano sembrare quelle di lei ancora più piccole. Trovava il tenersi per mano qualcosa di molto intimo a cui lui dava un grande significato, voleva dire che l’avrebbe protetta, che non l’avrebbe lasciata, che sarebbero rimasti uniti. Quante volte negli anni si erano comunicati tutto solo tenendosi per mano e non c’era bisogno che nessuno dicesse niente, perchè loro si capivano solo sfiorandosi le dita, accarezzando il dorso, era una cosa loro, uno dei loro modi di connettersi nel quale nessuno poteva interferire in nessun modo e gli mancava quel gesto così naturale di intrecciare le loro mani insieme e stringerle. Era un gesto istintivo che avevano fatto dalla prima volta che avevano lasciato libero il loro amore.
- Cosa ti va di fare Kate?
- Non lo so… è tutto stupendo qui, così… “wow”
- “Wow” è un complimento bellissimo! Dopo ti faccio fare un giro della casa… di là si va al mare - disse indicandole il sentiero - c’è un po’ da camminare, a me non piacciono le case troppo vicine alla spiaggia sai, gli tsunami quelle cose lì… Però se vuoi abbiamo la golf car per spostarci.
- Credo di riuscire ad arrivare a piedi alla spiaggia Castle! 
- Ok, niente golf car, come non detto. A sinistra c’è la piscina è riscaldata se vuoi fare il bagno. Se vuoi leggere o rilassarti, prendere il sole, quello che vuoi non ti disturberà nessuno, qui, in piscina o nel giardino c’è tutto quello che vuoi, tutto per te.
- Sei un perfetto padrone di casa Richard Castle! È qui che porti tutte le tue conquiste?
- Non ho più bisogno di conquistare nessuno da anni Kate e non ho intenzione di farlo in futuro. L’unica persona che voglio riconquistare sei tu. La prima volta che ti ho portato qui avevi le stesse paure di adesso, lo sai?
- Quali paure? Chi ti dice che ho delle paure? - Rispose Beckett un po’ infastidita di essere stata punta sul vivo. 
- So so da come lo hai detto. Ti dava fastidio che avevo portato qui le mie donne. 
Si morse il labbro per essere stata scoperta. Perchè le doveva dare fastidio il suo passato di tanti anni prima?
- Quel giorno ti ho detto una cosa, che vale ancora oggi e varrà per sempre… 
- Nessuna è te - Kate si stupì di averlo detto. Nella sua mente quella frase riecheggiava insieme a quella vista sull’oceano. Nulla di più, ma sapeva che l’aveva detta lui, anche se non ricordava quando. Rick sorrise ed i suoi occhi azzurri brillavano come zaffiri purissimi, non commentò con le parole l’essersi ricordata la sua frase, ma quello sguardo esprimeva tutta la sua gioia.
- Sì Kate. Nessuna è te. Nessuna sarà mai te.
Kate lo guardava sforzandosi di portare a galla qualche altro frammento della sua vita, ma quei ricordi apparivano come flash improvvisi senza lasciare altra traccia di se da seguire, nessun filo per raggiungere il bandolo della matassa. La cosa che l’aveva scossa di più era non riuscire a collegare a quel ricordo nessuna emozione. Come se avesse visto qualcosa che non la riguardasse, era un ricordo sterile, senza sentimenti eppure era sicura che quando lui le aveva detto quella frase, il suo cuore doveva essere stato un groviglio di emozioni diverse, come lo era in quel momento dove la paura, la rabbia e qualcosa al quale non sapeva, o non voleva ancora, dare un nome si mescolavano in lei.

Rick l’accompagnò a vedere l’interno della casa. Gli spazi ampi sembravano, con le grandi vetrate ed il mobilio chiaro, ancora più grandi. Al piano superiore c’era un numero impressionate di camere “sette, anzi no otto” le disse Castle correggendosi e Kate trovò buffo che non sapesse nemmeno di quante stanze fosse composta la sua casa. Le disse poi che la casa era talmente grande che, se lei avesse voluto, avrebbe potuto passare giorni interi senza incontrarlo ma Kate ne dubitava, perché era certa che lui si sarebbe fatto trovare da lei ovunque. 
La condusse nella loro stanza e non poté non notare la grande ancora, il caminetto per le fughe romantiche fuori stagione, i richiami alla vita marina delle conchiglie e coralli e la porta aperta che dava sull’enorme bagno con una grande vasca idromassaggio al centro. Era tutto molto rilassante, avrebbe detto che sarebbe stato anche tutto perfetto in un’altra circostanza. Pensava a come avrebbe dovuto vivere quei giorni lì con Castle. Ne aveva parlato anche con Burke e lui le aveva semplicemente detto di viverli come avrebbe voluto fare, senza pensare a cosa era stato o a cosa sarebbe stato in seguito. Di concentrarsi sul presente e sulle proprie emozioni. Burke le aveva anche consigliato di smettere di farsi domande su cosa lei e Castle fossero o cosa sarebbero diventati, e Kate aveva deciso di provare a farlo, di tentare di vivere il suo presente e seguire la strada dove l’avrebbero portata le sue emozioni e i suoi sentimenti. Di non vedere Rick come il marito ed il padre del bambino che portava in grembo del quale non ricordava nulla, ma come l’uomo che aveva imparato a conoscere in quelle settimane, la persone di cui le piaceva la compagnia, con la quale si divertiva a ridere, che la faceva stare bene, quello a cui piaceva rimanere abbracciata quando voleva sentirsi protetta e del quale aveva imparato ad amare il sapore delle labbra ed il profumo della pelle. Sapeva che non sarebbe stato facile, perchè alla confusione che regnava nella sua mente si univano i sentimenti fin troppo palesi di Castle che non facevano altro che ricordarle tutto il di più che c’era stato tra loro, non era facile vivere con un uomo che non perdeva occasione per dichiararle il suo amore e quanto lei fosse importante per lui, si sentiva rivestita di un carico di responsabilità nei confronti dei suoi sentimenti che a volte le sembrava estremamente difficile da sopportare ed aveva paura di ferirlo, non se lo sarebbe meritato dopo tutto quello che faceva per lei. Sapeva, però, che Rick avrebbe camminato al suo ritmo, lo stava facendo dall’inizio, senza mai forzarla e lo avrebbe fatto ancora, a costo di buttarsi il sale sulle ferite del cuore.
Kate girò su se stessa per ammirare ancora meglio quella stanza e vide in un angolo i suoi bagagli.
- Anche qui lasci a me la nostra camera? 
Faticò a dire quel nostra ma si sforzò di farlo. Non era una cosa le veniva naturale, ma ci provava, lo faceva per lui, erano quelle piccole cose che aveva capito lo rendevano felice.
- Per lo stesso motivo, Kate. Troppi ricordi. Anche recenti.
L’umore di Rick cambiò improvvisamente e lei se ne accorse. Le disse che sarebbe andato a sistemare la tavola per il pranzo, così lei avrebbe avuto modo di prepararsi in tutta tranquillità. Non finì nemmeno di mostrarle il resto della villa, le diede un bacio sulla guancia ed uscì.
Kate capì che lui doveva aver pensato a qualcosa in particolare, che forse gli era venuto in mente solo in quel momento, perchè il suo umore era stato ottimo fino a poco prima. Indossò un paio di shorts ed una comoda tshirt e scese al piano inferiore. 

Il tavolo rotondo in sala da pranzo con la vista sul retro della villa e l’oceano era già apparecchiato e varie pietanze erano appoggiate su un carrello a lato. Rick non c’era ma intravide il suo ciuffo fuori dalla veranda. Non sapeva se raggiungerlo o aspettarlo dentro, se avesse preferito averla vicino oppure essere lasciato solo con i suoi pensieri e i suoi ricordi. Non fece in tempo a decidere cosa fosse meglio, che Rick rientrò, sorpreso nel vederla lì in piedi vicino al tavolo. 
- Ehy, sei qui da molto?
- No, sono appena scesa, ti stavo cercando…
- Ero fuori scusami
- Nessun problema Rick.
Era una conversazione nella quali erano entrambi in imbarazzo. Lui per essere stato colto da lei in un momento di difficoltà e lei per essere stata scoperta mentre lo osservava. Entrambi avrebbero voluto dirsi altro e spiegarsi, ma non lo fece nessuno dei due, così si accomodarono silenziosamente a tavola, mangiando quanto era stato preparato per loro.
- Carol ci ha preparato manicaretti per un paio di giorni - disse Rick interrompendo quel silenzio fatto solo di posate che tintinnavano sui piatti - Ha fatto tutto quello che sa che ti piace di più.
- È tutto buonissimo infatti. - Gli sorrise prendendo la sua mano sul tavolo. Voleva in qualche modo fargli capire che gli era vicino. Finirono di mangiare senza dirsi nient’altro. Quando Castle stava per rimettere a posto la tavola Kate lo aiutò e per la prima volta si trovarono a fare le normali cose di casa come una coppia qualsiasi. Le loro mani si scontrarono sullo stesso piatto e ritraendole entrambi lo fecero cadere rovinosamente a terra andando in mille pezzi. 
- Scusami Castle… 
- No, Kate, scusami tu e non per il piatto.
Rick cercò di finire rapidamente di sistemare, mettendo i piatti nella lavastoviglie ed il cibo avanzato in frigo, mentre Kate in piedi davanti alla cucina lo osservava muoversi a testa bassa da una stanza all’altra.
- Fermati Castle - gli disse prendendolo per un braccio ed obbligandolo ad interrompere il suo andirivieni. Lui alzò gli occhi incrociando il suo sguardo. - Cosa è successo?
- Nulla Kate, va tutto bene.
- Non fingere con me, non sei capace. 
- Scusami.
- Non voglio le tue scuse Castle, voglio sapere cosa è successo, perchè qualsiasi cosa che ti ha fatto cambiare umore così all’improvviso so che riguarda anche me e qualcosa che è successo qui. Qui per favore dimmelo.

Le chiese di aspettarlo fuori, si sarebbe cambiato anche lui e l’avrebbe raggiunta. In un angolo riparato del giardino c’era una grande cabana ricoperta di morbidi cuscini. Kate non resistette alla tentazione di sdraiarsi lì all’ombra, cullata dal rumore delle onde e dal vento che gonfiava le tende bianche appena legate ai lati. Si addormentò senza nemmeno accorgersene e quando Rick arrivò la trovò dormire tranquillamente. Si sdraiò al suo fianco osservandola amorevolmente, accarezzandole delicatamente i capelli. Sarebbe rimasto così anche tutto il pomeriggio e tutta la notte. Così era tutto come sempre, come quando Kate dormiva e lui la guardava e fantasticava su di loro pensando al futuro. Kate all’improvviso si voltò e Castle, pensando che si stesse svegliando, provò ad alzarsi per mettere più distanza tra loro, ma fu bloccato dall’abbraccio di lei che, continuando a dormire, avvicinò la testa al suo petto appoggiandosi su di lui. Continuò a dormire così come aveva sempre fatto, vicino a lui, tra quelle braccia che aveva sempre considerato come la sua vera casa, ovunque si trovassero. 

Rick non riuscì a fare finta di nulla e la strinse a se, inspirando il suo profumo, rigenerandosi. Fece scivolare la mano lungo il suo fianco e poi la spostò più avanti fino a raggiungerle il ventre appena accennato e lo accarezzò prima timidamente, poi indugiando più a lungo in quel gesto che adesso sentiva essere così naturale che non capiva come poteva aver fatto a privarsene fino a quel momento. Cominciò piano piano a sussurrare al loro bambino, a dirgli quanto era amato, nonostante tutto quello che stava accadendo, gli raccontava di quando con sua madre avevano parlato di lui pensando come sarebbe stato avere un piccolo Castle per casa, di quante volte lui aveva fantasticato nell’immaginarlo così piccolo e perfetto, metà Castle e metà Beckett, con la sua fantasia e la razionalità di lei. Mentre lo accarezzava gli raccontava di quanto lo avesse desiderato da sempre perchè non ci sarebbe stato nulla di più bello che avere un figlio da Kate e lo pensava ancora adesso e c’era una cosa della quale non avrebbe mai dovuto dubitare il loro bambino: anche se era arrivato all’improvviso in un momento in cui erano del tutto impreparati, lui era il bambino nato dall’amore più assoluto. Castle disse a suo figlio che gli era grato per aver anticipato i tempi per arrivare tra loro, perchè ora lui lo doveva aiutare, doveva essere il suo alleato per far ricordare alla sua mamma tutto quello che avevano fatto per arrivare ad avere lui. 

Rick era talmente preso dalla sua prima conversazione padre/figlio che non si era accorto che Kate si era svegliata e lo stava ascoltando fino a quando, convinto che come primo discorso fosse sufficiente perchè non voleva dirgli troppe cose o annoiarlo, si rilassò addormentandosi. Kate allora aprì gli occhi e osservò il volto dell’uomo che la stava stringendo dolcemente a se molto più sereno di quando lo aveva lasciato prima, ma come si mosse, anche lui spalancò gli occhi e si irrigidì. La sciolse immediatamente dal suo abbraccio, balbettando scuse.
- Kate… io non avrei dovuto… sei stata tu ad avvicinarti… io non lo avrei mai fatto adesso… non…
- Castle è tutto ok. Non è successo niente. - Kate si pentì di quella frase non appena si accorse di quanto il suo significato poteva essere sbagliato. Non era vero che non era successo niente. Aveva appena sentito una delle conversazioni più belle della sua vita e stare così le piaceva ed anche molto. - Cioè, non è successo niente di brutto.
Si corresse e per fagli capire ancora di più il senso delle sue parole, prese il braccio di lui e fece in modo che la abbracciasse ancora. Rick non si muoveva, non voleva fare nulla di sbagliato in un senso o in un altro.
- Mi devi ancora dire cosa è successo prima che ti ha fatto cambiare umore.
- Ho pensato all’ultima volta che siamo venuti qui.
- Ricordi belli o brutti?
- Belli, molto belli. Una vera e proprio fuga dalla città, come due ragazzini.
Kate sorrise ad immaginarsi lei, capitano del 12° distretto scappare con suo marito nella loro villa al mare come due adolescenti. Immaginò la nostalgia di Rick per quei giorni, si accoccolò meglio sul suo petto e gli accarezzò il volto. Aveva una leggera barba incolta che le piaceva molto.
- Ho fatto due conti Kate e sono quasi sicuro che è successo qui, quel giorno.
- Cosa Rick?
- Il nostro bambino. Da quello che ha detto il tuo ginecologo, credo proprio che sia stato quando siamo venuti qui l’ultima volta.
- Mi piace qui Castle. Mi piace molto. Mi piace essere qui con te.
Le piaceva veramente stare lì tra le sue braccia. Aveva sentito tutto il discorso che aveva fatto al loro bambino e pensava che non poteva desiderare padre migliore per lui, era certa che qualsiasi cosa fosse successa tra loro, Castle per il loro bambino ci sarebbe sempre stato. Kate continuava ad accarezzare dolcemente il volto di Rick che chiuse gli occhi godendosi quel momento. Se quegli erano gli effetti di stare negli Hamptons potevano anche fermarsi lì fino a che lei avesse voluto, anche per sempre.
- Castle…
- Uhm?
- … Credo che questo sia stato il posto perfetto dove aver concepito nostro figlio.
Rick avrebbe voluto risponderle mille cose, ma tutte gli sembravano stupide, ed anche se avesse voluto, non avrebbe potuto farlo, perchè le sue labbra erano imprigionate da quelle di Kate.

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Capitolo 22
*** VENTIDUE ***


Kate aveva dormito fino a tardi. Non ricordava da quanto tempo nella sua vita precedente era rimasta a letto senza fare assolutamente nulla fino a quell'ora. Aveva dormito bene quella notte come da tempo non le capitava, come sicuramente non aveva mai fatto dall'inizio della sua nuova vita, aveva deciso di chiamarla così quella fase. Aveva mentalmente diviso la sua vita in tre parti: la sua vecchia vita, fino a dove arrivavano i suoi ricordi; l'altra Kate, ovvero il periodo di oblio; la sua nuova vita, quella che stava vivendo adesso. Le sembrava un buon compromesso. Niente di particolarmente tragico o strappalacrime, qualcosa che non la facesse sembrare una povera vittima da compatire. Non voleva la pena della gente, non voleva che tutti la trattassero come una donna fragile da tenere sotto una campana di vetro, per quello ci pensava già Castle, ma era convinta che, vista la situazione ed il suo stato, lui lo avrebbe fatto comunque.
Quando Rick bussò alla sua porta ed entrò con la colazione Kate si rese conto che poteva essere più ora di pranzo che di colazione. L'odore del caffè la svegliò completamente: era incredibile come Castle riuscisse a farle un ottimo caffè anche se decaffeinato. Lui la osservò mangiare compiaciuto illustrandole tutte le possibilità di quello che potevano fare durante il giorno e lei lo ascoltò senza interrompere mentre si gustava muffin, pancakes e succo d'arancia. Solo alla fine fece la sua proposta.
- E se rimanessimo come ieri tutto il pomeriggio a non fare nulla?
- Beckett da quando in qua sei diventata così scansafatiche?
- Da quando ho scoperto che mi piace!
- Va bene, vuol dire che mi sacrificherò a fare il tuo cuscino personale.
- Chi te lo dice che ti userò come cuscino?
- Se vuoi fare come ieri, lo hai fatto tutto il tempo, quindi...
Le diede un bacio e se ne andò portando via i resti, pochi a dire il vero, della colazione. 
Kate sorrise pensando che Castle aveva ragione, era esattamente quello che ieri aveva fatto tutto il pomeriggio, stare sdraiata tra le sue braccia a chiacchierare, scherzare e coccolarsi e le era piaciuto. Immensamente. Non aveva mai passato del tempo così con nessuno dei suoi precedenti fidanzati. Nemmeno durante le sue storie che ricordava più importanti, come quella con Sorenson, aveva mai passato così tanto tempo come con Rick a parlare di tutto, dalle cose più importanti a quelle più futili. Con Will avevano parlato di futuro, ma si rendeva conto che in realtà non avevano mai parlato affatto di loro ed i risultati si erano visti: lui a Boston a seguire la sua carriera messa davanti alla loro relazione e tutto era naufragato. 
Aveva passato tutto il pomeriggio e gran parte della serata sdraiata tra le braccia di un uomo che non le aveva chiesto nulla di più di quello, di stare lì insieme. Anche questa era una novità. Lei non era mai stata una donna che usciva con un ragazzo solo per andarci a letto, divertirsi e salutarsi la mattina dopo, Lanie la rimproverava anche per questo dicendole che doveva godersi di più la vita e tutti i bei ragazzi che ci provavano con lei. Allo stesso tempo però, tutte le volte che era stata con qualcuno, nessuno dei suoi ragazzi erano mai stati i tipi da coccole e chiacchiere, il letto o quello che era, diventava un posto frequentato solo per attività molto più fisiche. Non si era mai lamentata per questo, il sesso piaceva anche a lei, ma non aveva mai nemmeno pensato che ci potesse essere altro che era altrettanto gratificante per altri sensi. Ripensandoci lo trovava qualcosa di estremamente intimo e che mostrava una grande complicità. Si impose di fermare i pensieri, stava correndo troppo. 

Scendendo le scale sentì suonare alla porta e vide Rick andare ad aprire.
- Giudice Markway che piacere vederti!
- Ciao Ricky ho saputo che eri venuto da queste parti
- Le notizie corrono sempre troppo presto qui negli Hamptons! Vieni Theo accomodati.
Castle fece accomodare il suo amico Markway nel salotto versandogli due dita di quello scotch invecchiato che sapeva che il giudice amava particolarmente. Kate conosceva bene Markway ma solo per motivi strettamente professionali ed era stupita nel vederlo così confidente con Rick.
- Sai Ricky i ragazzi si parlano, i miei hanno saputo da Mike che avevi fatto tirare a lucido la villa e quindi sono passato a farti un saluto e ad invitarti al torneo di poker da me.
- Grazie Theo, ma non posso, sono venuto per stare con mia moglie.
- Dai Castle verranno tanti novellini da spennare e se sapranno che ci sarai anche tu saranno ancora più curiosi di sentire le tue storie. Ci divertiremo.
- No, giudice, veramente, non sono proprio dell'umore adatto per queste cose in questo periodo. Voglio solo stare con Kate.
- Certo Ricky capisco. Come sta il Capitano Beckett?
- Meglio. Stiamo cercando di tornare alla normalità.
- Avrà una grande carriera davanti a se tua moglie. È una tosta e sono in molti a stimarla, lo sai.
- Lo so Theo.
- Fai come se io non ti avessi detto nulla, ma so per certo che presto torneranno a farle quella proposta, c'è quel posto che l'aspetta e dopo l'ultima vicenda di LokSat la sua fama negli ambienti giusti è già aumentata e molti stanno facendo il suo nome, in modo informale. 
- Kate farà quello che si sentirà di fare. È un'eccellente poliziotta, non le farò pressioni per cambiare la sua strada.
- Dille di pensarci però. Sarebbe un peccato che non sfruttasse una tale opportunità 

Kate ascoltò la conversazione senza palesarsi, incuriosita di quale fosse questa proposta. Entrò quindi nella sala come se nulla fosse, salutando Rick ed il giudice Markway che si alzò per contraccambiare il saluto.
- Capitano Beckett è sempre un piacere vederla. Sono felice di trovarla in splendida forma.
- Grazie giudice, è un piacere anche per me.
- Allora Ricky, proprio sicuro di non volerci allietare con la tua presenza?
- Sicurissimo Theo. Sono tutto per mia moglie in questi giorni
Rick cinse con un braccio la vita di Kate che era in piedi vicino a lui che stava seduto in poltrona e le diede un bacio sul ventre. Il giudice li guardò sorridendo facendo ad entrambi le congratulazioni per il prossimo lieto evento, poi salutò la coppia che lo accompagnò all'uscita.
- Saresti dovuto andare - disse Kate a Castle una volta rimasti soli seduti sul divano in veranda.
- Assolutamente no. Non avrei nè dovuto nè avrei voluto.
- Non è necessario che stai tutto il giorno a farmi da babysitter Rick. 
- Sono voluto venire qui non per andare a giocare a poker da Markway, ma per stare con te. 
- Non voglio che ti annulli e rinunci alle tue passioni.
- Kate, stare con te non mi fa rinunciare a nulla.
Beckett annuì ma non sembrò comunque molto convinta, non voleva veramente che Castle rinunciasse alle sue abitudini e alle sue amicizie per stare solo con lei, era convinta che alla fine questo non avrebbe portato a nulla di positivo tra loro, ma Rick non era dello stesso avviso. Tutto quello che voleva era passare più tempo possibile con lei, doveva recuperare tutto quello che avevano perso per colpa loro e de destino, non gli sembrava mai abbastanza ed ogni sera quando si salutavano e facevano ritorno ognuno nella propria camera, gli sembrava di sprecare altro tempo prezioso che avrebbe potuto trascorrere con lei. Non c'era nessun secondo fine, anche se non poteva negare che gli mancasse la vecchia intimità con sua moglie, ma non era questo che avrebbe voluto, gli sarebbe bastato stare insieme come avevano fatto anche durante il pomeriggio, farla dormire tra le sue braccia tutte le notti, vederla svegliarsi e baciarla appena apriva gli occhi. 
- Cosa dovrei accettare che mi hanno già chiesto in passato?
- Markway è convinto che ti chiederanno di nuovo di candidarti come senatrice.
- Scherzi?
- Non potrei mai. Te lo hanno già chiesto prima di diventare capitano e tu hai rifiutato. Ma Kate, lo stanno dicendo in molti non solo Markway, anche Weldon me lo ha detto e sai che tra i suoi amici ci sono persone che certe cose non le dicono per caso. Dopo quello che è accaduto con LokSat te lo chiederanno di nuovo per le elezioni che ci saranno tra due anni.
- Mi piacerebbe saperlo anche a me cosa è accaduto con LokSat Rick… Questo è uno degli argomenti sui quali sei sempre molto evasivo.
- Ancora non è facile nemmeno per me parlarne.
Rick si tirò su, fece un profondo respiro prendendo le mani di Kate e cominciò a raccontargli quanto era accaduto con negli ultimi mesi, il collegamento con Braken, i pericoli che avevano corso e i chi era e di come alla fine avevano sconfitto Wood. 
Tralasciò solo di parlare della loro separazione, accennando ad un dover lavorare separati per motivi di sicurezza. Evitò quel discorso non solo perchè ancora gli faceva male pensare a quel periodo, ma anche perchè aveva paura. Una paura irrazionale, ma che gli fece evitare di parlare di quanto lei aveva deciso per loro, a senso unico, e che lui aveva subito. Non sapeva come spiegargli la sua contraddizione nel lasciarlo senza spiegargli nulla e non fare dall’inizio quello che avevano provato a fare quando la situazione era diventata insostenibile, una separazione solo di facciata. Aveva paura che lei non comprendesse il suo stesso comportamento, che lo vedesse al di fuori dell’ottica di quello che lui le aveva raccontato della loro relazione e che lei potesse avere dei dubbi su di loro, magari pensando che le motivazioni che l’avevano spinta ad allontanarsi fossero anche altre. Ora che tra loro le cose avevano cominciato ad andare in una giusta direzione sentiva che non poteva permettersi che le venissero dei dubbi su di loro e rompere quel precario equilibrio che si era creato.

- Mi sembra tutto così assurdo... 
Kate era rimasta senza parole nell’ascoltare chi era LokSat ed il suo coinvolgimento nella storia. Già le era sembrato impossibile che lei avesse combattuto e sconfitto un senatore, candidato a presidente, che aveva una rete tentacolare di corruzione e riciclaggio con la quale controllava le istituzioni e finanziava la sua ascesa politica. Adesso addirittura contro agenti della CIA fuori controllo. Le sembrava alcune volte di essere dentro qualche libro di Castle ed il dubbio che quello che lui le raccontava fosse vero gli era anche venuto, poi però aveva letto tutto il fascicolo di Braken e dovette constatare che era la verità, quindi doveva esserlo anche questa, per quanto assurda.

- Io non so quale potrebbe essere il mio contributo con una carica così importante. - Pensò ad alta voce Kate riflettendo sul fatto che volessero che lei si candidasse al Senato.
- La tua onestà, il tuo senso di giustizia, la voglia di fare sempre la cosa giusta per gli altri e cercare la verità. 
- In questo momento non penso che potrei fare una cosa simile.
- Ancora non ti hanno proposto nulla, quando accadrà prederai il tuo tempo per pensarci e decidere. Adesso hai qualcosa di più importante a cui pensare - Le disse sorridendo.
- Già, molto più importante… - Gli rispose accarezzandosi il ventre.
- Perchè non avevo accettato?
- Pensavi di aver ancora molto da dare come poliziotto e volevi provare ad essere tu a gestire il tuo distretto. 
- Tu eri d'accordo?
- Sarei stato d'accordo con qualunque tua scelta.
- Come fai Rick ad avere sempre tutta questa fiducia in me e nelle mie scelte?
- So quanto vali Kate mi fido totalmente di quello che decidi. Eri la migliore detective di New York e saresti diventata un ottimo capitano. Ma ero altrettanto certo che avresti conquistato tutti anche da Senatrice, perchè tu avresti sicuramente vinto e sono sicuro che se deciderai di farlo in futuro andrà benissimo.
- Vorrei avere il tuo ottimismo per tutte le cose della vita come te Castle!
- Non fossi stato ottimista non sarei riuscito a resistere in tutti questi anni! Non sei stata mai facile Kate! - Rick le sorrise.

Kate gli propose nel tardo pomeriggio di andare a fare una passeggiata sulla spiaggia. Camminavano sul bagnasciuga tenendosi per mano, lasciando che l’acqua fredda dell’oceano accarezzasse i loro piedi. Ogni tanto si fermavano a raccogliere qualche conchiglia e giocavano a schizzandosi come due ragazzini. Kate aveva bisogno di qualche momento di leggerezza dopo che il pomeriggio, parlando di LokSat e del suo ipotetico futuro, era stato molto meno allettante di quanto avesse pensato quella mattina. 
C'era una famiglia che camminava in direziona opposta alla loro, mamma e papà camminavano abbracciati e davanti a loro una bambina correva ancora con passi incerti, fermandosi ogni tanto e voltandosi a guardare i genitori, per poi riprendere a correre. Le sue risate e gridolini si confondevano con il rumore delle onde. 
Si fermarono a guardarli sorridendo. Kate si domandò da quando in qua vedere bambini correre felici le trasmetteva tanta serenità, poi diede colpa come sempre agli ormoni, la sua giustificazione per ogni cosa di se che non comprendeva. La bimba correndo cadde proprio davanti a Kate che già si era preoccupata pensando che potesse cominciare a piangere, invece la piccola alzò la testa per guardarla e le sorrise provando a rialzarsi e lei istintivamente si abbassò per aiutarla sotto lo sguardo estasiato di Rick. La bambina una volta in piedi riprese la sua corsa e i genitori la ringraziarono con un sorriso benevolo.
Arrivarono fino ad un grande tronco cavo dalle forme sinuose che sembrava scolpito e lì si sedettero aspettando il tramonto. 
- Perchè i genitori non si sono preoccupati che la bambina è caduta? - chiese Beckett a Castle.
- A quell'età cadono spesso, e poi sulla sabbia non si fanno male. - Rick forse in quel momento non si ricordava quanto fosse stato iperprotettivo con Alexis quando era piccola.
- Sì ma sotto la sabbia poteva esserci un sasso o un frammento di conchiglia, un vetro, si poteva fare male!
- Poteva anche venire fuori dalla sabbia un granchio gigante che la rapiva! - la prese in giro Rick sorridendo e mimando con le mani le chele che pizzicandola sulle braccia.
- Castle non sei spiritoso! - Spostava le mani di Rick che le facevano il solletico.
- Beckett sei già così apprensiva?
- Non lo so... - disse mordendosi il labbro
- Comunque ora sono sicuro, sarà una femmina.
- Castle come fai a dirlo?
- Lo so e basta. Sarà una piccola Beckett ed io sarò ufficialmente rovinato.
- Ehy Castle perchè rovinato?
- Perché sarò solo e circondato da donne! E poi amare due Beckett sarà estremamente impegnativo! 
- Ed il tuo ottimismo dov'è finito adesso?
- Sono ottimista! Sarà bellissimo avere una piccola te! E poi chiederò aiuto a Jim facendomi svelare tutti i segreti!
- Non ti azzardare Castle - lo fulminò con uno sguardo
- Hai dei segreti da nascondere già da quando eri piccola?
- Tantissimi segreti - lo prese in giro lei.
- Mi piaci Beckett! Trasgressiva fin dalla tenera età!

Kate con lo sguardo continuava a seguire la famiglia in lontananza, l’allegria della bambina e la dolcezza della coppia l’avevano colpita al punto di chiedersi se anche loro sarebbero mai stati così. In quei giorni aveva sempre pensato solo a lei, non aveva mai riflettuto sul fatto che le sue scelte avrebbero condizionato non solo la sua vita e quella di Rick, anche quella del loro bambino.

- Castle io non voglio ferirti o illuderti. Non so cosa ci sia tra di noi. Mi piace stare con te. Mi diverti, mi fai stare bene. Sai sempre quello di cui ho bisogno. Certo parti avvantaggiato, ma non è una cosa da tutti.
- Li devo prendere come complimenti Beckett?
- Sì, ma non ti ci abituare.
- Non lo farò... Dicevi?
- Che non voglio farti del male.
- Perché dovresti farmi del male?
- Perché tu potresti avere delle aspettative su di noi, su quello che potrebbe essere, che io non sono in grado di sostenere adesso. Per te siamo sposati, io invece ti conosco da poche settimane. Irrazionalmente mi sono subito fidata di te e sento che c'è qualcosa che ci lega. Se mi conosci sai cosa vuol dire per me dirti queste cose. Però non so cosa sia questo legame adesso. Mi piaci Richard Castle. Mi piaci moltissimo.
- Spero di diventare di nuovo quell'abbastanza che hai sempre cercato e non rimanere solo uno che ti piace moltissimo.
Kate annuì guardando l’oceano. Il sole aveva formato una striscia luminosa e brillante sull’acqua il cielo si stava tingendo di rosso. Sospirò.
- Sei sicura che non sei tu che ti stai chiedendo quello che potrebbe essere?
Castle non ricevette nessuna risposta.
- Cosa ti spaventa Kate?
- Tutto. In alcuni momenti mi sembra che tutto vada bene, che andrà tutto bene. Poi mi rendo conto che non si tratta solo di me e te e che giocare a fare i fidanzati un pomeriggio al mare non è come avere una famiglia. 
- Io non sto giocando Kate. - Castle si allontanò, interrompendo il contatto dei loro corpi che fino a quel momento erano vicini tanto da toccarsi. 
Beckett sentì la mancanza della sua vicinanza.
- Non gioco nemmeno io Rick. Non era quello che intendevo.
- Cosa intendevi allora? Spiegamelo. 
- Intendevo proprio questo quando dicevo che non volevo farti del male. Lo so che per te le cose sono diverse. Io non sto giocando, sto cercando di ricostruire in qualche modo la mia vita, una vita che non conosco ancora e che avrà talmente tanti cambiamenti che non so se riuscirò a stare al passo. Vorrei far funzionare tutto tra di noi, non solo perché sto bene con te, ma anche perché ci sarà un bambino che dovrà vivere in un ambiente sereno.
- Perché parli sempre come se non dovessi più ricordare nulla di noi? Perché dai per scontato che sarà così e non che tornerà tutto come prima?
- Perché sono realista Rick! Perché in tutto questo tempo non ho ricordato quasi nulla, se non qualche flash o qualche situazione che non so nemmeno cosa siano. Perché tutto quello che ricordo è piatto, senza emozioni e le poche emozioni che vivo nei miei incubi sono angoscianti ed ho anche paura a ricordare. Perché tra di noi, qualcuno realista che non pensi che vada sempre tutto bene come nei tuoi libri ci deve essere.
- Sentirti parlare di noi per me è già motivo di essere ottimista.
- Rick come faccio a non parlare di noi? Avremo un bambino, ci sarà sempre un noi.
- Tra me e Meredith non c’è nessun noi nonostante Alexis.
- Ma io non sono Meredith. Non ti lascerò crescere nostro figlio…
- Figlia - La interruppe.
- Castle, fai il serio per favore. Non lo crescerai da solo. 
- Non voglio farlo Kate, non ne ho nessuna intenzione, devi credermi.
- Hai mai pensato allora cosa accadrà se non dovessi riacquistare la memoria? Se tra di noi le cose non tornassero più come prima? Cosa faremmo? Ti accontenteresti delle visite programmate una volta ogni tanto? Un Natale con me, uno con te? Se tu dovessi rifarti una vita, se io dovessi rifarmi una vita con qualcun altro, come la prenderesti? Io ho paura di tutto questo.
- Io non mi rifarei nessuna vita Kate. Aspetterei, anche per sempre, che tu possa ricordarti di noi. Perché so che ci sono da qualche parte nei tuoi ricordi. 
- Rick, sono seria, non voglio frasi ad effetto.
- Non lo sono, è la verità. Perché non provi a pensare, invece, che potrebbe andare tutto bene? Che tra un paio d’anni ci potremmo essere noi a camminare sulla spiaggia con la nostra bambina ed io avrò controllato prima palmo palmo che non ci siano sassi, vetri, conchiglie spezzate o granchi giganti con cui si possa far male? Perché non pensi che anche se non dovesse essere così, ed è un’ipotesi che non voglio nemmeno contemplare, non potremmo essere persone civili da riuscire a trascorrere comunque un Natale tutti insieme per farla contenta o che potremmo vederla senza che sia un giudice a stabilire quando?
- Ti rendi conto che hai cominciato a parlare del bambino al femminile?
- Sì, perchè te l’ho detto, sarà una bambina.

- Tu non hai mai paura Castle?
- Di cosa?
- Di noi. Che non ce la possiamo fare. Che magari un giorno ti stancherai di aspettare che il passato ritorni.
- Ho sempre paura Kate. Che tu non voglia ricordare o che nel frattempo tu possa voler percorrere altre strade, senza di me.
- Come fai a superarle e a trovare la forza di esserci, di essere qui con me, malgrado tutto?
- Mi aggrappo alle piccole cose. A quel noi che hai detto prima. 
- Qualunque cosa accada, saremo sempre legati Rick. Per il nostro bambino.
- Vorrei che potesse avere una vera famiglia. Quella che Alexis non ha avuto e che non ho avuto nemmeno io. Noi avevamo tutto per potergliela dare. 
- Piacerebbe anche a me Rick. Ma non voglio nè illudermi nè illuderti. Vorrei darti le stesse certezze che tu mi dai, ma non le ho nemmeno io.
- Ti chiedo solo una cosa Kate. Che farai di tutto per cercare di recuperare la memoria, che non la lascerai andare via, non lascerai andare via tutto quello che abbiamo fatto e siamo stati. Ti chiedo solo questo.

In quei giorni in cui spesso si era ritrovato in silenzio con Kate, Rick non aveva mai smesso di pensare a loro ed alla situazione che stavano vivendo. Da bravo scrittore nella sua mente aveva già costruito mille storie ed ogni giorno pensava che quello che avrebbero li avrebbe portati al perfetto lieto fine, con Kate che avrebbe ritrovato la memoria ed il loro amore. Non era ancora accaduto. C’era stato un altro tramonto e non era cambiato nulla. 
Si stava rendendo conto sempre più come in realtà i legami tra le persone sono solo qualcosa di astratto, di non tangibile, è solo pensiero, sono collegati alla memoria e se questa svanisce, svaniscono anche loro. Si era trovato a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro che fosse toccata anche a lui la stessa sorte, per qualche strano scherzo del destino. Si sarebbero visti e non si sarebbero riconosciuti, sarebbero stati due estranei che si salutavano come lo sconosciuto che incontri in ascensore, avrebbero incrociato i loro sguardi per strada ed avrebbero continuato ognuno per la propria strada, senza che le loro vite si sfiorassero più e tutto quello che c’era tra di loro sarebbe stato come se non fosse mai esistito. Sarebbe stato, in pratica, come se li avessero realmente uccisi, perché di loro, di quello che erano, non sarebbe rimasto nulla.
Invece non era così, lui aveva ogni singolo istante di loro impresso nella sua mente. Ogni sorriso, bacio, abbraccio, risata, sospiro, pianto, urla. Aveva dentro di se il ricordo di ogni porta sbattuta, ogni addio, ogni corsa per trovarsi di nuovo, ogni passo fatto per raggiungersi, ogni volta che si erano presi le mani, ogni promessa di non lasciarsi mai, per sempre.
Gli occhi di Rick erano lucidi mentre le chiedeva di non lasciar scomparire dentro di se il ricordo di loro. Quella cosa sì, lo terrorizzava e ci pensava ogni notte quando era solo e il pensiero lo faceva tremare dalla paura, come stava facendo anche in quel momento. Quell’immagine della famiglia felice si era trasformata in un boomerang per loro.
Era quasi buio, il sole era tramontato e c’era quella luce rarefatta che rendeva i contorni delle case e della natura più indefiniti, meno limpidi, come era tutto quello che c’era dentro di loro, offuscato dalle rispettive paure. Guardavano il mare, ormai solo una chiazza scura punteggiata in lontananza dalle luci di qualche imbarcazione di pescatori che stavano uscendo dal porto. 
Kate prese la mano di Rick e non sapeva se stava cercando il suo conforto o se era lei che, per una volta, voleva donarglielo.

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Capitolo 23
*** VENTITRE ***


- Katherine? Katherine Beckett? Sei proprio tu?
Beckett era seduta sulla sabbia in spiaggia ed aspettava Castle rientrato alla villa per prendere delle bevande. Si voltò verso quella voce stranamente familiare che la stava chiamando e si stupì quando vide quello che lei ricordava solo come un ragazzo. 
Viktor Varos era un suo compagno ai tempi dell’accademia e per un periodo era stato anche qualcosa di più. Vik, come lo chiamavano tutti, aveva voglia di cambiare il suo destino che per quelli come lui sembrava già scritto: un ragazzo di origine kossovara a Staten Island poteva diventare solo un membro degli Albanian Boys, come i suoi fratelli e i suoi cugini. Viktor però voleva per lui qualcosa di diverso, voleva una vita, una vita vera ed aiutare quelli come lui che volevano una possibilità di scegliere la loro strada. Kate amava la sua forza di volontà di ribellarsi a quella vita per seguire la sua idea di giustizia e per questo legarono molto inizialmente: erano due persone giuste segnate in modo diverso dalla crudeltà della vita. Il destino però fu più forte della volontà di Viktor: fu immischiato suo malgrado in una azione della polizia ai danni di alcuni membri della sua famiglia, durante la quale un poliziotto rimase ucciso. Dovette rinunciare al suo sogno, lasciare l’accademia e Kate. Le disse che per lei era meglio non farsi vedere con uno come lui, che non sarebbe stato utile alla sua carriera. Lei capì a malincuore che era vero e così si persero di vista.
- Vik! è bello rivederti dopo tutto questo tempo!
- Già, è passato veramente tanto tempo! Avevo ragione però, tu ce l’avresti fatta, sei diventata capitano prima di chiunque altro!
- Così pare… - Era a disagio a chiedergli cosa ne era stato della sua vita, aveva paura anche della risposta, anche se a vederlo sembrava un ragazzo apposto
- Io anche ho trovato la mia strada. Legale eh, Capitano! - le sorrise - Mi occupo di sicurezza privata, non esattamente quello che volevo fare, ma va bene così.
- Sei in vacanza da queste parti?
Kate si accorse subito dell’inadeguatezza della sua domanda visto l’abbigliamento dell’uomo in giacca e cravatta in spiaggia.
- No, solo qualche ora libera, il mio cliente è in una di queste ville dei ricconi di città ed ho approfittato per una passeggiata sulla spiaggia. Certo non pensavo di trovare te qui.
- Si beh… sto aspettando mio… mio marito: è andato a casa e dovrebbe tornare tra poco.
Kate istintivamente si coprì la mano sinistra, non le avrebbe chiesto spiegazioni ma le sembrava strano parlare di suo marito e non portare la fede: si rese conto, però, che era più suo il disagio che la curiosità degli altri a indurla a compiere certe azioni.
- Un modo elegante per dirmi di andarmene prima che torni?
- No, è solo la verità Vik.
- Posso? - disse indicando a terra davanti a Kate.
- Certo.
L'uomo si sedette vicino a lei e fu così che Castle li trovò quando tornò con due bicchieri di succo di frutta fresca. Rimase fermo a distanza ad osservare Kate chiacchierare allegramente con l'uomo: dalla postura del suo corpo sembrava veramente rilassata e questo gli fece piacere, sebbene non sapesse chi fosse, e questo allertò non poco i suoi sensi iperprotettivi e non solo quelli. Si avvicinò quindi lentamente indossando il suo miglior sorriso di circostanza che sperava servisse a coprire almeno in parte il suo imbarazzo. Raggiunse Kate alle spalle e le porse la bevanda, salutandola con un bacio tra i capelli.
- Piacere Rick Castle! - si presentò da solo a quell'uomo sfoggiando tutta la sua nonchalance
- Piacere Vik Varos, sono un vecchio amico di Kate
Castle offrì all'uomo l'altro bicchiere che aveva preparato per se, da ottimo gentleman: Vik inizialmente rifiutò ma dovette infine cedere all'insistenza di Rick.
Si mise anche lui seduto sulla spiaggia vicino a Kate prendendo la sua mano libera tra le sue mentre li ascoltava raccontare aneddoti del loro passato annuendo e sorridendo quando l'occasione lo richiedeva, senza mai lasciare la mano di sua moglie, un modo delicato per rimarcare la loro unione.
Furono interrotti dal cellulare di Vik che lo richiamava a lavoro.
- Mi dispiace, ma devo andare. Il mio cliente nella villa qui vicino mi ha richiamato.
- Ah, è alla villa del giudice Markway per il torneo di poker! - Intervenne Castle.
- Eh sì, una di quelle cose per ricchi annoiati che devono buttare un po’ di soldi in modo stupido - Rispose Viktor
- Il mio passatempo preferito, almeno fino a quando mia moglie non è entrata nella mia vita. - Lo fulminò Rick mettendo in imbarazzo l’uomo che si congedò velocemente con Kate.
- Magari ci incontreremo di nuovo uno di questi giorni Kate.
- Magari non faremo passare di nuovo tutti questi anni Vik.
Castle fu lieto che l’amico di Kate se ne fosse andato, ma non disse nulla e proprio da quello lei capì il suo malumore.
- Cosa c’è Castle? - Chiese Kate percependo il suo malumore.
- Nulla - rispose lui evasivo.
- Dovresti rivedere le tue abilità di giocatore di poker, non sei molto convincente.
- Non ti posso mai lasciare sola che ti ritrovo con un tuo ex intorno - le disse con un sorriso tirato cercando di risultare più sciolto di quanto non fosse
- Eravamo ragazzini Rick, nulla di importante. Però apprezzo che non lo hai affogato. - provò lei una volta tanto ad alleggerire il discorso.
- Vedi sto migliorando. 
- Mi è piaciuto parlare con lui. È stata una bella sensazione, dopo queste settimane, parlare con qualcuno che non mi dicesse nulla delle cose che non ricordo ed anzi, ricordare con lui avvenimenti del mio passato in modo così naturale.
- Ti ho visto, eri molto rilassata. sono contento di vederti così, veramente.
- Grazie.
- Però sono ugualmente geloso.
- Di Vik? 
- Di tutti. Chiunque vorrebbe essere al mio posto.
- Passare le giornate a fare da babysitter ad una persona che non si ricorda di te?
- No, passare le giornate a cercare di far innamorare di nuovo di me la persona che amo. Sono patetico così vero?
- No. Non lo sei. Credo di essere fortunata, nonostante tutto. Nessuno avrebbe fatto per me quello che stai facendo tu.
- Non lo avrei fatto per nessun altra.
Kate sospirò e cominciò a fissare il mare e l'andirivieni delle onde. La rilassava quel suono costante. 
- Ti va di andare a fare un tuffo in piscina? Da quando siamo venuti non ci siamo mai andati.
- Veramente no Rick. Preferisco rilassarmi su uno di quei comodissimi lettini senza fare nulla! 
- Vieni almeno a farmi compagnia!
- Se me lo chiedi con quella faccia da cucciolo abbandonato non posso dirti di no! 

Arrivati alla grande piscina Kate apprezzò particolarmente l'ambiente riparato da sguardi indiscreti con le alte siepi tra le colonne bianche, i lettini tutti intorno alla piscina, le due cabanas ai lati, la jacuzzi in una zona ancora più riservata.
Kate appoggiò il suo libro su un lettino all'ombra e si sedette, osservando Rick di spalle che si spogliava. Indugiò sulle spalle larghe, il fondoschiena sodo che si vedeva bene nonostante i boxer non troppo aderenti e le gambe possenti. Pensò che anche se non aveva un fisico particolarmente atletico era veramente molto affascinante. 
- Ti piace quello che stai vedendo Beckett?
- La piscina è molto bella. - rispose evasiva ed imbarazzata
- Non parlavo della piscina. - si voltò e lei osservò sfacciatamente tutto il suo corpo fermando lo sguardo sulla cicatrice sul suo petto. Sentendosi osservato proprio in quel punto Castle se la sfiorò con la punta delle dita e Kate distolse lo sguardo. Si tuffò in piscina schizzando ovunque.
- Dai Beckett vieni a farti un bagno! 
- Non ho il costume Castle!
- Puoi farlo anche senza - le disse malizioso
- Scordatelo Castle!
- Dai vai a metterti il costume, si sta benissimo!
- No Rick, sto bene così non mi va! - Kate alle insistenze di Castle chiuse il libro e si spostò da lì andando su un lettino più lontano dalla piscina. Rick uscì dall'acqua seguendola.
- Cosa c'è Kate? 
- Niente Castle.
- Se non vuoi andare in piscina c'è la Jacuzzi, ti rilassi... Hai sempre adorato fare lunghi bagni rilassanti
- Adesso invece non ho voglia di fare nessun bagno.
- In costume starai più fresca - insistette temendo di aver capito quale fosse il problema
- Sto bene così. 
- Se vuoi me ne vado, così ti senti più libera. 
- Che stai dicendo Castle?
- Non stare sulla difensiva Kate e non farti nessun tipo di problema. - prese la mano di lei e la portò sul suo petto. Kate ebbe un brivido per il contatto con la pelle di lui ancora velata da qualche gocciolina d'acqua. - è solo un segno Kate. Non è niente. Non cambia nulla. 
Lei ritrasse la mano ed andò via.

Rick rimase seduto sul lettino valutando cosa fare. Si rivestì e l’andò a cercare infine. Non era nè in giardino nè in spiaggia. Rientrò a casa e non trovandola al piano inferiore, salì fino alla sua camera. Si schiarì la voce sulle scale, come ad annunciare la sua presenza senza volerla cogliere impreparata. La porta della camera era socchiusa, la scostò appena. 

- Che c'è Castle? - chiese Kate abbassando gli occhi dal libro
- Frozen Heat eh? Bel libro, conosco l'autore una persona molto simpatica ed affascinante.
- Anche modesta suppongo. 
- No quello no. - tornò serio - cosa fai qui Kate?
- Stavo leggendo il libro di questo affascinante autore.
- Ok, perché qui in casa? Vieni giù... Puoi fare un bagno, prendere il sole. 
- Non ricominciare Castle, per favore.
- A fare cosa? A dirti di comportarti come una persona normale? 
- Non sono normale Castle? - Kate si alzò dal letto furiosa
- No Beckett non sei normale, se ti comporti così. Siamo qui da giorni, non ti sei mai fatta un bagno in piscina o nella jacuzzi, non hai mai preso il sole...
- Castle allora? Qual è il problema?
- Dimmelo tu Kate, perché non lo fai? Sono io il problema? Vai da sola.
- Non sei tu, non sei tu. - urlò Kate andando verso la finestra. La aprì e si affacciò a guardare l'oceano. - sono io il problema Castle. 
Rick si avvicinò e provò ad abbracciarla da dietro, ma lei scivolò dalla sua presa spostandosi in un altro angolo. Sembrava una preda braccata e indifesa. 
- Non puoi pensare di risolvere tu tutti i miei problemi, non è così che funziona, non puoi farlo Rick
- Non tutti ma questo sì, se solo tu me lo lasciassi fare. 
- Non ti avvicinare Rick - gli disse mentre lui invece lentamente si avvicinava a lei che si spingeva sempre di più nell'angolo
- Non devi avere paura di me. Non devi aver paura di te stessa. Del tuo corpo, del tuo splendido corpo.
- Non mi prendere in giro Castle.
- Non lo sto facendo. Tu sei stupenda, quante volte te lo devo dire? Te l'ho detto cosa penso delle tue cicatrici. Mi devi credere Kate. 

Kate strinse le braccia intorno al corpo chiudendosi in se stessa e mettendosi ancora di più sulla difensiva.
Castle non si fece condizionare dal suo atteggiamento, anzi fu ancora più determinato a scardinare quella sua stupida paura. Avrebbe rischiato, forse lei si sarebbe anche allontanata e chiusa di più, ma non poteva sempre temporeggiare. Le spostò le braccia con decisione ma senza forzarla e Kate le lasciò inermi lungo il corpo. Aveva paura di dove volesse arrivare Rick ma allo stesso tempo non riusciva a fermarlo. Sapeva che non le avrebbe fatto del male, in nessun modo, o almeno lo sperava con tutta se stessa.
Castle posò una mano sulla maglietta di Kate tra i suoi seni indicando con le dita il punto esatto dove l'aveva colpita il cecchino, poi scese più in basso e percorse la cicatrice che si era ricucita da sola, spostandosi più a lato ad accarezzare quella di quando l'avevano operata e non riuscivano a fermarle l'emorragia. Poi si spostò dall'altra parte e con ancora più delicatezza le indicò le cicatrici più recenti. Conosceva a memoria il corpo di lei, più del suo. Fosse stato bravo a disegnare avrebbe potuto ritrarlo in qualsiasi momento senza omettere nessun dettaglio.
Kate osservava con quanta precisione e dolcezza toccava ogni suo segno. Ogni suo movimento era carico di amore, rispetto ed ammirazione e lei li percepiva.
- Ricordo ogni tua cicatrice Kate e posso sentire viva ancora oggi la paura che ho provato per ognuna, più che se fossero mie. Non ho bisogno di vederle per sapere che ci sono e non cambiano nulla di te, se non che dimostrano quanto sei forte. 
- Rick... - non riuscì a dire altro mentre lo guardava fisso negli occhi
- Non ti devi mortificare. - Le prese il viso tra le mani per darle un dolce bacio sulle labbra. - Ti aspetto giù.
Uscì dalla stanza lasciandola sola con i suoi pensieri. L'aveva messa a nudo senza toglierle un vestito. Più nuda di quanto aveva paura di essere. 

Rick tornò in piscina e si mise seduto su un lettino ad aspettare. Non era per nulla convinto che arrivasse ma ci sperava. In caso contrario non avrebbe desistito, ci avrebbe provato ogni giorno, con ogni modo possibile, non poteva lasciare che le sue paure vincessero su di lei. 
- Rick... 
Si voltò di scatto e la vide vicino al cancello. Era avvolta in un accappatoio corto annodato in vita che lasciava scoperte le sue lunghe gambe.
- Hey, vieni qua... - le disse aprendo le braccia. Kate andò verso di lui e si lasciò abbracciare. Rimase seduto stringendola a se ed appoggiando la testa sul suo petto. - Sono contento che sei venuta. 
- Non mi avresti dato tregua se non lo avessi fatto. - gli disse accarezzandogli i capelli. - Allora, com'è l'acqua?
- Ottima. Io intanto vado, se tu ti vuoi preparare con calma... - fece per alzarsi ma Kate gli mise una mano sulla spalla
- No Rick, aspetta. - prese le mani di lui e le portò sul nodo dell'accappatoio.
Castle alzò lo sguardo cercando gli occhi di lei e fissandoci i suoi. Sciolse lentamente il nodo, portò le mani sotto la spugna morbida toccando la pelle di lei, cingendole i fianchi ed aprendo l'indumento senza abbassare mai lo sguardo dal volto di Kate. Percorse con le mani i lati del suo addome fino a congiungerle sulla schiena di lei che mosse appena le spalle lasciando scivolare l’accappatoio: Rick spostò le braccia e lo fece cadere a terra. Non aveva ancora guardato il corpo di Kate, aspettava che lei gli desse il permesso, ma il solo fatto di sentirlo sotto il tocco delle sue mani lo fece emozionare al punto di rendergli necessario respirare più profondamente.
Rick si sfilò la tshirt e si alzò, avvolse Kate nel suo abbraccio.
- Brava Kate, un passo alla volta.
Castle poi si buttò in acqua schizzandola di nuovo ed ora sì la guardava, da dentro l'acqua mentre si portava all'indietro il ciuffo bagnato ed invitandola con le mani a raggiungerlo. Kate si tuffò con uno stile decisamente migliore di quello di Rick e riemerse proprio davanti a lui togliendosi i capelli dal viso scuotendo la testa con quel movimento che Rick trovava così sensuale. Gli sorrise buttandogli le braccia al collo.
- Non è così male la tua piscina Castle.
Kate lo bacio e poi scomparve di nuovo sott’acqua, lasciando Rick appoggiato al bordo della piscina con un sorriso compiaciuto sul volto.

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Capitolo 24
*** VENTIQUATTRO ***


- Io non capisco perché abbiamo tantissimi divani, poltrone e lettini e tu vuoi stare sempre seduta a terra! - Esordì Castle divertito vedendo sua moglie sul prato ad accarezzare l’erba fresca innaffiata da poco
- Mi piace, mi fa sentire più a contatto con la natura, con la vita. 
Rick si sedette a terra un po’ riluttante. Era convinto che un divano fosse molto più comodo. Dovette constatare, però, che sentire l’erba sotto le sue mani era una sensazione piacevole. Si sdraiò con le mani dietro la testa ad osservare il cielo.
- A cosa pensi Castle? - Gli chiese Kate appoggiandosi sul suo petto
- Potremmo vivere qui per sempre - rispose lui mentre aveva spostato un braccio per accarezzarle i capelli
- E Alexis e Martha?
- Potrebbero venire qui quando vogliono, poi New York è a poco più di due ore non sarà un problema andarle a trovare. Stavo pensando a dei lavori da fare qui… una nuova piscina per bambini, mettere in sicurezza le scale e l’accesso alla piscina più grande, un’area giochi dall’altra parte, sistemare una delle camere…
- Non stai correndo un po’ troppo?
- Ci vorrà un po’ di tempo. Dovrei chiamare il mio architetto per capire le tempistiche, la camera sarà la prima cosa da fare.
- Castle, se io riprenderò il mio lavoro, non potremmo stare qui.
- Non lo riprenderai subito in ogni caso, potremmo stare qui fino a quando non tornerai al distretto.
- Non credo che scappare da New York sia la cosa migliore. Nemmeno per te Rick.
- Perché credi che io stia scappando da qualcosa?
- Mi hai proposto di andare a vivere in ogni angolo del mondo. Poi siamo venuti qua. Io sto benissimo, mi piace molto, sono felice di essere qui con te. Ma la mia vita è a New York ed anche la tua. Mi piacerebbe riprendere il mio lavoro e se non fosse possibile fare qualcos’altro, non di certo passare tutta la mia vita a non fare nulla dalla mattina alla sera
- Ci saremmo io e miniBeckett o miniCastle, ti terremmo molto occupata.
- Lo so, ma tu non vorresti questa Kate. Non ti sei innamorato di una Kate che fa la donna di casa, giusto?
- No…
- Ecco, vedi Castle? 
Rick si sentì colto in fallo. Certo che rivoleva la sua Beckett, ma ora la avrebbe voluta a casa al sicuro, per sempre. In una casa dove potesse esserlo. Non le aveva detto che tra tutte le cose che aveva pensato di cambiare c’era anche l’idea di fare un nuovo impianto di sorveglianza su tutta la proprietà affidandosi ad un’agenzia di sicurezza privata, era stato proprio l’incontro con il suo amico Vik a dargli l’idea, ma gliene avrebbe parlato solo a tempo debito.
- Beckett, tu stai veramente pensando a dove dovremmo vivere in futuro? Cioè vivere io e te?
- Credo che sia una cosa da prendere in considerazione
- Questo non è proprio in linea con il vivere alla giornata che mi avevi detto.
- È un problema Castle?
- No, il contrario, ne sono felice. Anche se…
- Se?
- Non so come interpretare questa cosa.
- Come una speranza che tutto si risolva nel migliore dei modi? Che ne dici Rick?
Castle rimase un po’ in silenzio a pensarci. Anche Kate stava diventando un po’ più ottimista su di loro? Era un’ottima cosa, molto meglio di quanto si fosse immaginato. Un sorriso gli nacque spontaneo sul viso, fece per alzarsi e Kate dal suo petto si spostò sdraiandosi a sua volta sull’erba. Rick si appoggiò sul fianco sinistro guardandola così bella e rilassata, non potè fare a meno di accarezzarle il volto, mentre lei chiudeva gli occhi godendosi il tocco delicato di lui.
- Mi sembra un’ottimo proposito Kate.
Rick roteò per baciarla, trovandosi sopra di lei. Kate aprì gli occhi e vide il volto di Castle che sorrideva a pochi centimetri dal suo, mentre continuava ad accarezzarle il volto, sorridendogli a sua volta. Si immerse nell’azzurro dei suoi occhi, azzurri come il cielo sopra di loro. Una folata di vento più forte delle altre solleticò il corpo e le mani di Kate con l’erba ondeggiante. Il suo corpo si contrasse. Spalancò gli occhi ed il sorriso morì tra le sue labbra. Il volto di Rick divenne sfocato. Le mancò il respiro, si sentì come paralizzata. 
Castle si bloccò di riflesso. La chiamava, ma lei sembrava in totale shock, era cambiata da un momento all’altro, come se qualcosa l’avesse investita. 
- Kate! Kate! - La chiamava dolcemente, accarezzandole il viso ma lei sembrava non vederlo nè sentirlo. - Kate… ti prego rispondimi. - Lei aprì la bocca ma non riuscì proferir parola.
Rick si guardò intorno e si alzò immediatamente mettendosi seduto sull’erba, prese Kate sollevandola di peso, le fece appoggiare la testa sulle sue gambe e le accarezzava i capelli aspettando che si calmasse. - Va tutto bene amore mio… Stai tranquilla.
Beckett si portò una mano sul petto e poi la guardò, non ci fu sollievo nei suoi occhi, ma ancora solo paura. Rick prese quella mano e la strinse nella sua, la avvicinò alle sue labbra e la baciò.
- Ti ho visto Rick… Eri sopra di me… avevo freddo… dolore… Era come nei miei incubi…
- Lo so Kate...
- Ho paura Rick.
Castle sentì una morsa allo stomaco a quelle parole di Kate che si tirò su, buttando le braccia al collo di Rick. Sapeva che erano fatti di molti anni prima, lui le aveva raccontato tutto, le aveva detto anche che ormai erano tutti morti, era morto il suo cecchino, chi lo aveva assoldato ed il mandante. Quella sua paura era irrazionale, come se avesse appena vissuto tutto: sentì il dolore, l’angoscia, il sentirsi scivolare via sotto gli occhi disperati di Castle che la guardavano già pieni di amore e di sgomento. Sentiva la sua voce, che prima era solo un rumore indefinito, adesso invece ne capiva bene ogni parola. Poi il nulla, solo dolore, freddo e paura.
Rick la sentiva tremare tra le sue braccia. Per la prima volta non sapeva cosa dirle, non gli venivano in mente parole per consolarla, perché anche lui stava rivivendo la paura di quel momento. Dopo anni ancora la sentiva viva dentro di lui, esattamente come gli aveva detto pochi giorni prima sfiorando la sua cicatrice. Respirava il suo profumo, sentiva il battito del suo cuore accelerato e forte: quanto avrebbe voluto sentirlo quel giorno quando in ambulanza quel bip prolungato credeva gli stesse portando via anche l'anima insieme alla donna che amava. Quanta paura aveva avuto di perderla prima ancora di averla mai avuta. Quante volte si era rimproverato di non essersi accorto di quel bagliore anche solo una frazione di secondo prima che sarebbe bastata per metterla al sicuro. 
Seduti a terra abbracciati erano in realtà chiusi nelle loro paure, in quel momento incapaci di consolarsi a parole ma per motivi diversi ceravano entrambi le braccia ed il calore dell’altro. Rick come sempre voleva accertarsi di sentirla viva, si era accorto che questa era diventata una sua fobia. Sentirla respirare, vedere il suo corpo alzarsi ed abbassarsi ritmicamente, sentire il suo cuore battere. Spesso quando dormiva doveva resistere alla tentazione di andare a controllare e qualche volta non c’era nemmeno riuscito. Lei lo avrebbe trovato inquietante, lui pensava che se avessero dormito insieme sarebbe stato tutto molto più semplice per lui, gli sarebbe bastato aprire gli occhi e vederla, si sarebbe subito rassicurato.
Kate invece sentiva dentro una forza inconscia che nei momenti di panico la spingeva da lui e non solo perchè era l’unica persona che c’era sempre, ma perché era quella di cui sentiva di aver bisogno, quella che riusciva a calmare il suo cuore con la sola presenza. Era questo il legame di cui forse parlava sempre lui, quello che lei non sapeva ancora riconoscere, descrivere e nemmeno accettare, ma che lo spingeva a fidarsi di lui oltre ogni limite che credeva possibile.
Kate si tranquillizzò. Rick lo capì dalla stretta di lei che diventava sempre più abbraccio, portando le mani sulla nuca dello scrittore ed accarezzandogli i capelli in un silenzioso ringraziamento mascherato in un gesto d’affetto.
- Ti vado a prendere dell’acqua Kate? - Lei annuì e Rick andò ancora scosso dentro casa per prenderle da bere. Doveva riprendersi anche lui.

Appena fu sola le sue paure tornarono impetuose e la travolsero ancora come il mare in tempesta e lei si trovava sola su una zattera di legno che andò in mille pezzi alla prima onda più forte che la schiaffeggiò. 
Beckett cercò di stringersi su stessa il più possibile, voleva che ogni fibra del suo corpo fosse vicina, per sentirsi più forte. Era una di quelle crisi di panico di cui le aveva parlato anche Burke. Non ricordava di aver mai sofferto di questo, nemmeno dopo che era morta sua madre. C’era dolore, rabbia, disperazione, ma mai crisi come quelle che aveva cominciato a vivere da quando si era risvegliata che la coglievano all’improvviso, ogni volta che qualche ricordo tornava alla mente, anzi che quel ricordo tornava alla sua mente, in forme diverse. Ma le paure si rese conto non erano dovute solo ai ricordi. Era qualcosa di più, qualcosa che viveva da qualche parte dentro di se che non conosceva e la terrorizzava senza conoscerne il motivo.
Ora non aveva nemmeno più una zattera a cui aggrapparsi, era sola nel mare delle sue paure. Nuota o affoga: Kate non aveva alternative. Era persa nel mare, nel profondo blu dell'oceano, blu come gli occhi di Castle. E sentiva le onde che la spostavano la trascinavano a largo dei suoi sentimenti, lontano dai porti sicuri, la inghiottivano e sputavano fuori, sconquassata dalle emozioni che faticava a riconoscere, si sentiva senza fiato quando raggiungeva la spiaggia, senza possibilità di riposarsi perché veniva subito ritrascinata a largo dalle proprie emozioni in tumulto che non lasciavano spazio al riposo dell'anima. La prendevano di nuovo, sommergendola, facendole desiderare aria ed ossigeno, un approdo sicuro e vincere quella sensazione di annegare in se stessa e nella propria anima dove il blu dell'oceano diventava il nero dell'oblio, del suo oblio interiore. 
Le sembrava veramente di essere senza fiato e inspirava aria violentemente per forzare i polmoni a riceverla nella paura di rimanere di nuovo senza, nel buio della paura della sua anima inquieta.
Si sentiva pesante, come una pietra scagliata in un pozzo andare giù inesorabilmente e a nulla valeva allungare le braccia e urlare perchè nessuno l'avrebbe salvata da se stessa, e nei polmoni entrava acqua e dalla bocca non usciva rumore e si sentiva affogare e si sentiva male.
Respirava come se fosse impossibilitata a farlo ed aveva paura di soffocare veramente. Sentiva che poteva morire lì, soffocata dal nulla, all'aperto, mentre il vento le faceva volteggiare i capelli. Si portò le mani al petto piegandosi su se stessa, tossendo come se dovesse buttare fuori l'acqua ingerita nel panico della sua mente.

Castle la vide, non si curò appoggiare i bicchieri che aveva in mano, li buttò via e corse da lei. Si mise in ginocchio al suo fianco, provò a prenderle le mani ed allontanarle dal suo petto senza risultato, la forzò a guardarlo ma la sua testa rimaneva bassa. Si sedette dietro di lei, accogliendola tra le sue gambe, la spinse ad appoggiare la schiena contro il suo petto mentre con le braccia la teneva stretta. La cullava come se fosse una bimba impaurita, ripetendole di respirare seguendo il suo ritmo. 
Eccole le braccia che l'avrebbero tirata fuori e salvata, quelle a cui tendere le proprie e farsi sollevare. Chiuse gli occhi reclinò la testa all'indietro trovando la spalla di Castle. Sudava per la lotta contro se stessa e le sue paure. Rick le ricordava di respirare insieme a lui e lei lo faceva. Si affidava a tal punto da fargli decidere anche il ritmo del suo respiro. Aveva bisogno di lui. Assoluto bisogno ed aveva paura dirselo, di rendersi conto che aveva così tanto bisogno di lui, un bisogno innato, forse ancestrale.
Era questo l’amore o lo stava confondendo con altro? Si malediva per non riuscire a capirlo perché si sentiva sopraffatta da sentimenti così diversi e così nuovi che non riusciva a distinguerli, avrebbe voluto lasciarsi andare, farsi travolgere da quell’amore strabordante di Castle che la invadeva. Voleva sentire sulla sua pelle quel sentimento voleva che tutto il suo corpo provasse la beatitudine di amare ma non sapeva come fare. Ripensava a loro due, a quello sguardo di Rick che la fissava disperato mentre lei si stava spegnendo tra le sue braccia, alle sue parole. 
- Le tue parole Castle… mi sono aggrappata a quelle.
- Quali parole Kate?
- Quelle che mi hai detto quel giorno. Quando tutto diventava buio pensavo a quello che mi avevi detto.
La strinse un po’ di più. Non glielo aveva mai detto, non ne avevano mai parlato, era una cosa che aveva sempre fatto troppo male a tutti, causato troppo dolore a lui ed imbarazzo a Kate. Lei non si ricordava evidentemente ancora cosa era accaduto dopo, per questo ne aveva parlato, era riaffiorato quel ricordo nella sua mente ed aveva voluto condividerlo, incurante di quello che aveva fatto.
- Rick… io stavo con Josh vero?
- Sì.
- Perchè lo hai fatto? Avresti potuto essere colpito tu al posto mio.
- Era il mio posto Kate, al tuo fianco. Sempre. Il perché è in quello che ti ho detto dopo.
- Potevi morire Rick.
- Potevo perderti Kate. Sarebbe stato peggio.

Rick si alzò e fece alzare Kate. Doveva interrompere quella conversazione. La condusse in cucina e le versò un bicchiere d’acqua, ne prese uno anche per se. Bevvero senza interrompere il contatto visivo tra loro. C’era una forte tensione emotiva tra loro, Rick la stava percependo e non sapeva come comportarsi. Se avesse seguito il suo istinto l’avrebbe presa e portata in camera: non ne sarebbero usciti per ore e sentiva che lei non si sarebbe opposta. Non era il momento, non era la situazione adatta, non sarebbe dovuto andare così e soprattutto non voleva essere lui a fare il primo passo, anche se l’avrebbe voluta con ogni fibra del suo corpo, la voleva far sentire amata in ogni modo possibile per spiegarle con i gesti, laddove non riusciva con le parole, tutti quei perché a cui lei cercava una risposta.
Appoggiò il bicchiere sul tavolo, facendo più rumore di quanto credesse e questo lo risvegliò dai suoi pensieri.
- Usciamo! - Le disse
- Cosa? 
- Usciamo, facciamo un giro poi andiamo a cena fuori. Ne abbiamo bisogno credo.
- Castle non so se…
- Dai Kate, andiamo. Dobbiamo svagarci un po’.

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Capitolo 25
*** VENICINQUE ***


- Rick?
- Mmm
- Avrei voglia di gelato

Camminavano tenendosi per mano lungo le vie di uno dei tanti villaggi degli Hamptons che durante i mesi estivi si trasformavano in succursali della Fifth Avenue o di Broadway con le vetrine impreziosite da vestiti ed accessori di grandi marche. Kate riuscì a far desistere Castle da fare altro shopping per lei ed ora era tutto concentrato nel cercare il miglior posto per soddisfare la sua voglia di gelato. 
Alla fine Rick trovò un locale che lo ispirava, una costruzione in mattoncini rossi con le tende azzurre e bianche ed una grande e colorata insegna che inequivocabilmente rappresentava un cono gelato. L'ambiente interno riproduceva l'arredamento del classico fast food americano stile anni cinquanta, un po' alla Happy Days, con pavimento a scacchi bianco e nero, tavoli con divanetti rossi tutti intorno e un bancone dove invece servire pollo fritto ed hamburger, servivano gelati e dolci di ogni tipo. Kate sorrise divertita dall'atmosfera del posto dove anche le cameriere per vestiti e acconciature sembravano delle pin up del secolo scorso. 
La ragazza che prese la loro ordinazione non era da meno e allo sguardo attento da detective non sfuggirono le occhiate che questa riservava allo scrittore.
- Hai fatto conquiste Castle!
- Dai Beckett non scherzare!
- Ti sta mangiando con gli occhi!
- Almeno qualcuna approfitta di me! - Rick si divertiva a punzecchiarla e ad infastidirla.
- Castle falla finita!
- Sei gelosa Beckett?
Kate non ebbe tempo di rispondere che la ragazza tornò al loro tavolo con una copia di Driving Heat in mano.
- Signor Castle mi può fare un autografo? - chiese la ragazza molto più timidamente di quanto la detective si aspettasse
- Ma certo - sorrise Rick alla giovane prendendo il libro - a chi lo dedico?
- A Kate. - rispose imbarazzata facendo sorridere Rick ancora di più
- Hai un bellissimo nome. - le disse lo scrittore mentre firmava e la ragazza arrossiva per tornare nel retro del locale soddisfatta di quanto appena ottenuto.
- Hai fatto felice quella ragazza - gli disse Kate
- Già, a volte basta poco e fino a quando i fan non diventano invadenti non è un problema dedicargli qualche minuto, anche se preferirei uscire con te senza essere disturbati.
- Non è un problema per me Rick, almeno fino a quando tengono le mani apposto!
- Allora ammetti che sei gelosa?
- Sei mio marito no? Non mi piace avere una brutta reputazione.
- Lo prendo per un sì Beckett! - concluse Castle soddisfatto

L'altra Kate gli portò infine le loro coppe di gelato. Enormi e ricoperte di panna. Perché con Castle era impossibile ordinare qualcosa che non fosse esagerato. 
- Quando Alexis era piccola e Meredith stava anche settimane senza farsi vedere o sentire, ogni tanto aveva i suoi momenti di crisi in cui le mancava la madre ed allora andavamo in una gelateria vicino la nostra vecchia casa e prendevamo due gelati enormi, così è nato il nostro rito del gelato consolatorio, ma non dirle mai che te l’ho detto!
- Il tuo segreto è al sicuro Rick! - Sorrise Kate - Ma non era per festeggiare il gelato? 
- Oh va bene per tutto! Ogni motivo è buono per un gelato con tanta panna! - Rick prese una cucchiaiata sporcandosi il naso con la panna. Kate lo pulì con un tovagliolo sorridendo.
- Le è mancata molto?
- All'inizio sì, era molto piccola. Poi si è abituata. È stata sempre fin troppo matura, molto più di noi, per fortuna.
- Non sarà lo stesso Rick. Tra di noi dico, comunque vadano le cose, non sarà così. 
- Lo so Kate.

Lasciarono da parte i pensieri negativi e finirono in modo più spensierato il loro gelato con grande soddisfazione per entrambi, cucchiaiata dopo cucchiaiata. 
Kate pensò che era vero che il cioccolato aveva il potere di cambiare l'umore, la magia di far apparire sul volto un sorriso, migliorare sensibilmente tutto quello che sembrava grigio fino a poco prima.  Guardava Rick mangiare il suo gelato con lo stesso entusiasmo di un bambino mentre il ciuffo gli ricadeva più volte sugli occhi e tentava di rimetterlo apposto sbuffando, senza successo. Le venne spontaneo sporgersi verso di lui e passargli una mano tra i capelli per sistemarglielo. Era incredibile come quell'uomo al quale si stava aggrappando per sconfiggere le sue paure, che era diventato il suo unico punto fermo in questa nuova vita, avesse un lato così fanciullesco, un Peter Pan intrappolato nel corpo di un adulto, con quelle espressioni da bambino così buffe e dolci.
Immaginò un bimbo uguale a Castle seduto vicino allo scrittore che mangiava una coppa di gelato più grande di lui con il viso sporco di cioccolato che le sorrideva. Al loro bambino doveva sicuramente piacere molto il cioccolato visto come anche lei stava mangiando con gusto quello che in quel momento le sembrava il gelato al cioccolato più buono che avesse mai mangiato. L'immagine del piccolo vicino a Castle le riempì il cuore: era così bella che sperò fosse reale. Aveva per la prima volta immaginato il sorriso di suo figlio e si emozionò a quel pensiero. Si chiese se era quindi questo che provavano le madri, se le avrebbe fatto sempre quell'effetto pensare a lui da ora in poi, se avrebbe passato i giorni ad immaginarlo a sognare come sarebbe stato, immaginarne i lineamenti e le somiglianze. Si sentì curiosa ed impaziente che nascesse come mai le era capitato: fino ad ora vedeva con un certo sollievo il fatto che ancora mancassero molti mesi al parto, data la presenza di tutti i problemi che aveva ancora da risolvere che in quel momento, però, le sembrarono tutti di scarsa importanza e secondari, compreso il fatto che non ricordasse nemmeno di averlo concepito quel bambino. Era solo un dettaglio anche quello, perché mai come in quel momento era stato stato nella sua mente tanto reale quanto voluto. Non era forse bellissima l’idea di avere un figlio, un figlio con Castle? Di certo al bambino non sarebbe mai mancato nulla, sotto tutti i punti di vista, si ripeteva questa come giustificazione al pensare che l'idea che lui fosse il padre non le dispiacesse affatto.
Pensò che se era questo l'effetto che faceva mangiare il gelato al cioccolato non ne avrebbe mangiato più fino a quando il bambino fosse nato. Anzi no, lo avrebbe mangiato tutti i giorni.
Persa nei suoi pensieri non si accorse che il cucchiaino che teneva in mano scivolò sul tavolo producendo un rumore acuto che distolse Rick dalla sua coppa ormai quasi finita. 
- Tutto bene Kate?
- Benissimo Castle. - rispose sorridendo ed accarezzandogli una mano. - Sei buffo quando mangi il gelato, sembri un bambino!
- Faccio tante altre cose come i bambini: gioco con i lasertag, con la xbox, mangio popcorn quando vedo i cartoni animati…
- Basta Castle! Tremo a sapere cosa altro fai come i bambini! - Kate rise di gusto prendendo un ultimo cucchiaio di gelato prima di arrendersi.
Rick andò a pagare e prese anche dei muffin da portare via. La ragazza ancora emozionata per l’incontro con lo scrittore gli diede il sacchettino con le mani tremanti e Rick insieme ad uno dei suoi migliori sorrisi le lasciò anche una generosa mancia come suo solito. Controllò l’ora, era ancora presto e dopo quel gelato avrebbero potuto cenare anche più tardi del solito.
- Cos’altro ti va di fare? - Chiese a Kate uscendo dal locale
- Non lo so, scegli tu… 
Kate si aggrappò al braccio di Rick e si lasciò condurre in giro per la cittadina. Camminavano lentamente, senza fretta, abbandonando le strade principali e passando per quelle interne, più piccole, fermandosi di tanto in tanto davanti alle vetrine di piccoli negozi di artigianato che Kate preferiva decisamente rispetto alle grandi marche anche perché non si era mai potuta nemmeno permettere di avvicinarsi a quei vestiti o accessori che ora Rick le proponeva con disinvoltura, ma non le piaceva approfittarsi e spendere i suoi soldi, anche se lui non se ne curava ed anzi la cosa sembrava piacergli. 
Kate trovò un piccolo negozio che vendeva candele profumate in eleganti portacandele di vetro soffiato ed entrò. Si perse tra i giochi che la luce tremolante creava con il vetro colorato ed i profumi che sprigionavano. Osservava ogni sfumatura di colore, assaporava ogni essenza, scegliendo accuratamente quelle che accarezzavano i suoi sensi in maniera più dolce. Era talmente presa che non si accorse nè del tempo che aveva passato lì, nè che Castle era uscito dalla bottega. Realizzò che lui non c’era solo quando la commessa lo salutò vedendolo rientrare.
- Trovato qualcosa che ti piace? - Le chiese annusando una candela con un’essenza caratterizzata dal profumo di sandalo e patchouli
- Sì - le rispose indicando il banco con quattro scatole - ma non riesco a scegliere quali prendere
- Le prendiamo tutte - disse alla commessa aggiungendo anche quella che aveva appena preso lui.
Kate si oppose, ma sapeva bene che le sue proteste sarebbero state inutili e si mise l’anima in pace mentre Castle pagava e si informava se eventualmente spedivano le loro creazioni anche a New York prendendo uno dei biglietti da visita. Si accorse solo quando Rick prese il pacchetto che aveva accuratamente preparato la ragazza che aveva anche un’altra busta, segno evidente che mentre lei era immersa nel suo viaggio sensoriale tra luci e profumi, lui era andato a fare shopping in qualche altro negozio lì vicino. Era molto curiosa di chiedergli cosa avesse preso e, dalla sua faccia, lui era altrettanto impaziente che lei lo facesse, ma tenne il punto.
Camminarono ancora un po’, fino a giungere al porto. Non era uno di quei porti turistici con ormeggiati yatch e motoscafi, ma uno piccolo, con barche di legno di pescatori. Kate rimase incantata da quel posto e si sedette su un muretto invitando Castle a raggiungerla.
- Non mi chiedi nulla? - Chiese Rick fremendo
- No, cosa dovrei chiederti? - Rispose Kate fingendosi seria
- Ehm… - Abbassò lo sguardo alla busta che teneva appoggiata sulla sua gamba indicandola con il dito.
- Hai fatto acquisti anche tu, non ci avevo fatto caso! - Kate si finse sorpresa
- Dai Beckett, non ci credo che non ti sei accorta!
- Va bene Castle, dimmi, cosa hai comprato? - Si arrese Beckett. Rick sorrise finalmente felice ed emozionato le diede la busta.
- Per me? - Chiese Kate imbarazzata
- Sì, più o meno… Dai apri!
Kate tirò fuori dalla busta una scatola bianca chiusa con un nastro di raso giallo. Sciolse il fiocco, tolse il coperchio e scostò i lembi della carta velina che nascondeva il contenuto. Una morbida copertina di lana bianca con i bordi di seta gialli e in un angolo ricamato un elefantino. Kate la aprì, la accarezzò saggiandone la morbidezza ed il calore che emanava, nonostante la giornata calda non le dava fastidio, tanto ne era presa: era letteralmente senza parole.
- So che avevamo detto di non comprare nulla per il bambino, però non ho resistito. - Si giustificò Rick.
- È splendida Rick - Kate aveva gli occhi lucidi, accostò la coperta al suo volto per sentire ancora meglio la consistenza delicata e calda.
- Ti piace? Non sei arrabbiata? - Castle era quasi stupito che Beckett non si fosse risentita del suo gesto.
- Mi piace tantissimo. È perfetta - La ripiegò e la ripose con cura nella scatola. Si avvicinò a Rick e lo baciò teneramente a lungo. - Grazie Castle.
- Se questo è il ringraziamento, aspettami qui, ne vado a prendere altre 10 - Fece per alzarsi e Kate lo bloccò. Si guardarono e risero entrambi. Poi Rick tornò serio - Nascerà in inverno, quando l’ho vista ho pensato a te con lei in braccio, avvolta in questa coperta…
- Lei eh!
- Te l’ho detto, per me sarà una femmina, una piccola te.
- Potevi prenderla rosa allora, no?
- Ehm… mi sono tenuto un margine di errore, ma se vuoi la vado a cambiare.
- Non ti azzardare, è perfetta così! Sarà la sua copertina, lui o lei che sia. - Fece una pausa - Sai Rick, ero convinta che tu, visto che avevi già Alexis, preferissi un maschio.
- Lo pensavo anche io. Però sono convinto che sarà una femmina e sarà una splendida miniBeckett e sarà bellissima ed io felicissimo. Tu, invece, cosa preferiresti?
- Non lo so, non ci ho mai pensato - mentì, evitando di dirgli dei suoi pensieri di prima nel café. - Mi basta che vada tutto bene, che sia sano. Poi per me è indifferente. 
Rick appoggiò la mano libera sul ventre di Kate, che subito portò la sua sopra quella dello scrittore.
- Andrà tutto bene, il mio sesto senso da Spiderman lo sa. - Fu lui questa volta a baciarla con la stessa tenerezza.

Osservarono i pescatori andare a largo al tramonto e poi decisero di tornare indietro alla loro auto. Kate si fece promettere da Castle che non sarebbero andati a cena in nessun ristorante alla moda frequentato da vip e lui mantenne la promessa. Lungo la strada per tornare alla villa fece una deviazione dalla strada principale, passando in una stradina stretta e buia, che fece dubitare Kate della scelta di Rick e chiedersi più volte se quella fosse effettivamente la strada giusta. Si ritrovarono, infine, davanti ad una struttura direttamente sul mare, con l’ingresso illuminato da fiaccole. Era un piccolo ristorante a gestione familiare. Rick fece entrare Kate ed il cameriere li accompagnò al loro tavolo sulla veranda esterna che si affacciava sull’oceano. Attraversarono la sala dove nei pochi tavoli ben distanziati uno dall’altro per mantenere una certa privacy, sedevano soprattutto coppie. Il cameriere fece accomodare Kate spostandole la sedia e poi lasciò loro i menu, dopo aver acceso una candela al centro del tavolo e versato l’acqua nei bicchieri. La luna si rifletteva sull’oceano, creando una striscia argentea movimentata dalle onde che increspavano la superficie. Le piaceva quel luogo intimo e ricercato, non pensava che in un luogo così fuori mano si potesse trovare un posto così. Mangiarono parlando sottovoce per non rovinare quell’atmosfera, sorridendo molto, sfiorandosi le mani con finta casualità, distogliendosi lo sguardo di dosso spesso ed altrettanto spesso invece lo incrociarono legandosi per qualche lungo istante.
Dopo aver mangiato abbondantemente e con soddisfazione per entrambi dell’ottimo pesce fresco (“mi raccomando, che sia tutto ben cotto” si era raccomandato Castle con il cameriere specificando lo stato di sua moglie) Rick notò Kate sbadigliare e lei se ne dispiacque molto: le piaceva quella serata ed avrebbe voluto passare dell’altro tempo lì, almeno per prendere anche il dolce, ma Castle fu irremovibile: era stanca, era stata una lunga giornata e doveva riposare.
Si fece, quindi, portare subito il conto e tornarono verso casa. Il viaggio fu breve ma Kate si addormentò qualche minuto, lasciando lui guidare assorto nei suoi pensieri. Ripercorse quando accaduto quel giorno, dalle crisi di panico per quel ricordo riaffiorato in modo così prepotente alla commozione per quel regalo simbolico per il loro bambino. Si accorgeva nelle piccole cose di quanto quella Kate, ancora così diversa dalla sua Kate, riusciva ad emozionarsi sempre per le stesse cose, che apprezzava più i gesti ed i simboli degli eccessi e delle apparenze. Quella cena era stata perfetta, era stato tutto nuovo eppure era come se fosse sempre stato così tra loro, era una di quelle cose che gli faceva pensare che tutto sarebbe potuto andar bene, in ogni caso.
Kate si svegliò quando percepì il motore dell’auto spegnersi. Si stiracchiò mentre Castle stava andando dal suo lato per aprirle, come sempre, la portiera.
- Scusami Castle - gli disse dandoli un bacio dopo essere scesa dall’auto - non avrei mai voluto addormentarmi.
- Ho capito Beckett, era un modo carino per dirmi che la mia compagnia ti annoia! - La schernì Rick con un’espressione melodrammatica
- Stupido! - Gli diede un pugno sul petto e lui contrasse la faccia in una smorfia di dolore, facendola preoccupare - Hey, ti ho fatto male?
- Naaaa, però mia madre sarebbe orgogliosa delle mia capacità di attore che ha diciamoci la verità, sempre fin troppo sottovalutato.
- Io mi chiedo come faccio a sopportarti! - Sbuffò Kate esasperata - Mi hai fatto veramente preoccupare! Pensavo di averti fatto male, di averti preso dove ti hanno… - non completò la frase, era scossa e non sapeva nemmeno perchè. 
Rick stupito dalla sua reazione prese i pacchi e la raggiunse sul portico dove aspettava per entrare in casa. Una volta dentro, appoggiò tutto su un mobile e provò a raggiungerla mentre stava già salendo le scale.
- Dai Kate, era solo un gioco! - Provò a spiegarsi
- Non mi piacciono questi giochi Rick. Mi sono spaventata. - Gli rispose senza nemmeno voltarsi
- Ci sono i muffin che ho preso oggi pomeriggio! Non ne vuoi uno? 
Non ottenne risposta. Kate andò in camera e si tolse stizzita i vestiti, arrabbiandosi più che con Rick, con se stessa per quella reazione che aveva avuto. Si era veramente preoccupata che gli potesse aver fatto male e si rendeva conto che con tutta probabilità l’unica cosa che invece l’aveva ferito era stato il suo atteggiamento. Aveva appena rovinato una serata bellissima. Indossò una maglia larga che usava per dormire. Era una di quelle di Rick che le aveva dato dicendole che a lei piaceva indossarle. Era così. Attese, nel silenzio della villa, di sentire i suoi passi salire sulle scale e poi il rumore della porta della sua camera che si chiudeva. Era vigliacca, non aveva nemmeno il coraggio di andargli a chiedere scusa. Aspettò ancora un po’, poi scese in cucina dove su un piattino c’era un muffin al cioccolato e vicino su un tovagliolo scritto a penna “per miniBeckett”. Kate sorrise e poi lo addentò ingolosita. Vide le altre buste, prese la scatola con la coperta e si sentì ancora più in colpa per come aveva trattato Rick. Tornò nella sua camera e si distese sul letto abbracciando quel caldo tessuto sperando le desse conforto. Come chiuse gli occhi le immagini di quella mattina tornarono ad invaderle la mente, con le stesse angoscianti sensazioni, lo stesso dolore al petto, la stessa paura, la stessa ansia ed il terrore impresso negli occhi di Castle che la guardavano imploranti. La sua voce riecheggiava nella sua testa e a quella angoscia si aggiungeva quella per come si era comportata. Si tirò su, aveva il fiatone e sentiva il cuore battere troppo forte. Si impose di calmarsi “pensa al bambino Kate, pensa al bambino, non gli fa bene se stai così” se lo ripeteva in continuazione.
Si ritrovò a bussare alla porta di Castle, senza nemmeno essersi accorta di quando aveva effettivamente preso la decisione di farlo e troppo tardi per ripensarci, perchè la aprì prima che lui le potesse rispondere.
- Beckett! Che succede? Stai male? - Solo a vederla si era già allarmato. Kate si avvicinò a lui in silenzio, si morse il labbro, imbarazzata.
- Posso dormire con te?

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Capitolo 26
*** VENTISEI ***


- Posso dormire con te?

- Cosa.. cioè come mai... Tu... Come... - Castle balbettava non sapendo cosa stesse dicendo. Si era messo seduto sul letto, non era riuscito ad addormentarsi nemmeno lui e, come aveva fatto lei prima, aveva seguito il rumore dei suoi passi scendere le scale e poi tornare in camera. Non si aspettava di trovarla lì, che fosse lei a cercarlo dopo quell'assurda discussione appena rientrati a casa, soprattutto non così presto, non di notte, non con quella richiesta.
- Posso? - glielo chiese ancora. 
Rick pensò a quando Alexis era piccola e faceva dei brutti sogni e allo stesso modo si intrufolava in camera sua e, senza dire nulla perchè troppo orgogliosa, andava stringersi a lui che faceva finta di dormire e solo quando anche lei aveva chiuso gli occhi si girava ad abbracciarla stringendola a se.
- Certo, vieni qua. - Si spostò lasciandole la parte destra del letto mettendo tra loro la giusta distanza di sicurezza per non invadere i suoi spazi. Erano entrambi molto imbarazzati della situazione.
Kate era con le spalle appoggiate sulla spalliera del letto e guardava nella penombra fissa davanti a se. Rick non sapeva cosa dirle, non sapeva perchè fosse venuta da lui a chiedergli di poter stare con lui e poi non parlava, non aveva detto una parola da quando si era messa a letto, nè si era mossa. Si mordeva nervosamente il labbro, lasciandosi scappare qualche sospiro ogni tanto. La sentiva, non aveva il coraggio di voltarsi a guardarla, magari lei poi sarebbe scappata in camera, ci avrebbe ripensato.

- Ok, cosa c'è? - all'ennesimo sospiro di Kate, Rick non resistette oltre a far finta di nulla e si mise seduto nella sua stessa posizione. La luce era spenta e la camera illuminata solo da quella che filtrava dalla tenda della finestra. 
- Nulla, Rick... - la voce di Kate era un sussurro spezzato.
- Prima te ne sei andata arrabbiandoti senza motivo, poi sei venuta qui, ora stai lì immobile e non dormi ma ti stai torturando. Non mi dici nulla. - il suo tono deciso la indusse a spostarsi ancora un po' verso il bordo del letto. Pensò che era stata una stupida ad andare lì senza riflettere ed ora cosa avrebbe dovuto fare? Dirgli che ci aveva ripensato e che era inutile? Non voleva chiudere gli occhi, aveva paura di rivedere sempre la stessa immagine e rivivere le stesse sensazioni.
- Sei arrabbiato con me? - gli chiese infine
- Dovrei esserlo in effetti - rispose serio Castle - però, no, non lo sono.
- Perché ti sei allontanato allora?
- In che senso scusa? - Rick non capiva quale fosse il problema di Kate
- Quando mi hai detto che potevo restare, sei andato lontano, dall'altra parte del letto, lasciandomi sola. - disse tutto d'un fiato lasciando da parte la vergogna per quello che stava ammettendo.
- È questo il problema? Che ti ho lasciato spazio per dormire? - Castle avrebbe voluto ridere ma si trattenne. Kate annuì all'ovvietà di quello che lui aveva detto.
Rick le si avvicinò, la prese tra le sue braccia e la trascinò vicino a se, obbligandola di fatto a sdraiarsi al suo fianco appoggiandosi su di lui.
- Così va meglio? Sono abbastanza vicino adesso?
Si sentì tremendamente stupida mentre lui ridacchiava. Gli passò la mano sul torace nudo e solo in quel momento realizzò che lui dormiva solo con i boxer e che lei era completamente avvinghiata al suo corpo. Non le importava, anzi le piaceva. 
- Cosa è successo Kate? - riprovò a chiederglielo ancora senza successo. Lei non gli rispose ma cominciò ad accarezzargli lentamente i pettorali.
Si sollevò per cercare le sue labbra e farlo smettere, a modo suo, di farle domande alle quali non aveva voglia di rispondere. Passò la lingua sul contorno della bocca di lui invitandolo a baciarla: lui non si fece pregare ed il bacio diventò mano a mano sempre più intenso, ma senza frenesia. Fu Kate a staccarsi da lui, così come lo aveva cercato. Era lei a dettare i tempi di ogni cosa e percorse con le labbra il corpo di Castle baciandogli il collo con una scia continua di baci umidi fino a tornare sul petto e cercare quella cicatrice causa di quell'assurda discussione: ne percorse con le dita il contorno e poi lasciò anche lì spazio alle labbra, mentre spostò la mano dall'altra parte del suo ampio torace continuando ad accarezzarlo sempre più intensamente. Rick era totalmente perso nelle attenzioni che Kate gli stava riservando, mai avrebbe immaginato quello che stava accadendo. Sentì le lunghe gambe nude di lei intrecciarsi con le sue, in quella sensazione così amata e familiare dei loro corpi vicini. Non riusciva, però, a togliersi dalla mente l'immagine di lei quando era entrata nella sua stanza, impaurita ed inquieta. Castle era inerme ai suoi baci e alle sue mani che percorrevano il suo corpo mal celando quella brama che ogni movimento rivelava più di quanto lei volesse fargli capire. La mano di Kate scese sempre più in basso, fino ad arrivare all'elastico dei boxer di Rick, sollevandolo appena per insinuarsi all'interno e lui solo in quel momento sembrò ridestarsi e riprendere coscienza di se, bloccando la sua mano appena sentì l'indumento scostarsi.
- No Kate. Non ora. Non così. 
Rick non avrebbe mai pensato di doverlo dire e nemmeno che avrebbe mai avuto la forza di farlo. Ma sapeva che non sarebbe stato giusto quella notte, né il momento né il modo, né le motivazioni.
Kate spalancò gli occhi, come se quelle parole fossero state una secchiata di acqua gelida in pieno viso. Ritrasse la mano sfilandola da sotto quella di lui. Si voltò rigirandosi, andando questa volta lei nell'angolino di letto più lontano da lui. Avrebbe voluto alzarsi ed andare via, da quella camera, da quella casa e forse anche da quella città. Non si mosse, non ci riusciva. Si sentiva paralizzata, bloccata dai detriti di se stessa. Si diede della stupida, ancora una volta. 
Rick dalla sua parte fece lo stesso, sognava il momento in cui lei sarebbe stata di nuovo pronta a farsi amare da lui ed ora era lui che l’aveva rifiutata: era una cosa che gli faceva male solo a pensarla. Era, però, sempre convinto che quella era stata la scelta migliore, lo doveva solo spiegare anche a lei. Sapeva che l'aveva ferita, lo capiva da come singhiozzava e gli spezzava il cuore essere lui la causa del suo pianto.

Si avvicinò piano, le accarezzò la schiena, lentamente, senza dire nulla. Aspettò che i suoi singhiozzi si calmassero un po', inutilmente, anzi aumentarono.
Voleva essere amata da lui? Lo avrebbe fatto, quanto voleva, come voleva, ma sapeva che non era la cosa giusta e si impose di non cedere, per il bene di lei e di loro
La abbracciò da dietro, facendo aderire il suo corpo a quello di lei. Le scostò i capelli appoggiò le labbra sul suo collo, baciandola come prima lei aveva fatto con lui. Però Rick tra un bacio e l'altro le parlava, le doveva parlarle o si sarebbe allontanata da lui, non solo fisicamente. Immaginava cosa stesse passando nella sua mente, dopo tutte le paure che gli aveva manifestato, dopo tutti i suoi dubbi su se stessa e sul suo corpo. Non voleva essere lui la causa di altre insicurezze, le doveva far capire quello che lui provava, sotto tutti  punti di vista.
- Ti amo Kate. Tu non immagini quanto. 
- Castle ti prego lasciami stare - cercava di mantenere la sua voce ferma ma non ci riusciva.
- No, perchè altrimenti tu trai le tue conclusioni sbagliate, lo so.
- Cosa c'è da capire Castle? Quello che hai detto e fatto mi pare chiaro. Tu non mi vuoi.
- Non dire assurdità. Credi veramente che io non ti desidero? Tu non hai nemmeno idea di quanto ti sbagli, di quanto ti voglio. - Ed accostò ancora di più il bacino a lei per farle capire quanto la sua voglia di lei fosse vera ed autentica - Ma non è ora il momento giusto e non sai quanto mi costa dirtelo, perchè fare l’amore con te è la cosa che più desidero. Ma sei venuta qui sconvolta e non voglio che accada per questo. Non deve essere così tra noi, non voglio amarti perchè sei triste e preoccupata, voglio farlo mentre sorridi e farti sorridere di più.
Castle la sentì prendere la sua mano che la cingeva, stringerla e poi calmarsi lentamente. Continuava a darle tanti piccoli baci alternandoli a sussurri che le ripetevano solo due parole: ti amo.

Kate si voltò, infine, dalla sua parte. Erano entrambi su un fianco, fronte contro fronte.
- Ogni volta che chiudo gli occhi rivedo la scena del funerale di Roy. Sento lo stesso dolore, la stessa angoscia, ti rivedo terrorizzato su di me. Ho paura. - Kate accarezzava dolcemente il volto di Castle mentre gli confidava le sue paure.
Rick la strinse a se, come prima e lei allo stesso modo si poggiò di nuovo sul suo petto, lasciandosi solamente proteggere dal suo abbraccio avvolgente. 
- Dopo che ti hanno sparato, dopo che mi hai mandato via, per mesi non ti ho sentito. Erano solo i ragazzi al distretto a dirmi come stavi fino a quando sono potuto stare lì con loro a cercare quel bastardo di Maddox. Ogni sera quando andavo a dormire vedevo sempre il tuo volto ed i tuoi occhi che si chiudevano ed io che mi sentivo morire con te. Anche se non volevi vedermi, anche se ero convinto che tu stessi con Josh non cambiava nulla, avevo sempre la stessa paura che ti avevo perso per sempre, lì su quel prato. 
Rick le parlava piano, sussurrandole quasi, baciandola ogni tanto tra i capelli, per riprendere fiato, stringendola tra le sue braccia, cullandola come una bambina. Kate aveva gli occhi spalancati persi nel buio della stanza, era stanca, sfinita dalla lunga giornata e dal continuo susseguirsi delle emozioni. L’abbraccio consolatorio di Castle la faceva stare bene ma aveva paura ugualmente di provare di nuovo quella sensazione di soffocamento e dolore se avesse provato a chiudere gli occhi. Si chiedeva se fosse stata così anche dopo che le avevano sparato, se era questa la sensazione che provava ogni notte prima di addormentarsi e come avesse fatto a dormire sola, senza le braccia di Rick a proteggerla ed il suo corpo a farle da cuscino. Aveva appena provato cosa volesse dire e già le sembrava qualcosa di indispensabile.
- A quell’incubo poi ne sono seguiti altri e altri ancora. - Rick continuò il suo racconto - Ogni volta l’unico modo per calmarmi era aprire gli occhi e vederti dormire al mio fianco, sentire il tuo profumo, ascoltare il tuo respiro e il battito del tuo cuore. Allora mi riaddormentavo vicino a te, poggiando un braccio intorno alla tua vita, per sentirti più vicina, oppure eri tu che ti accorgevi che ero sveglio e ti mettevi così come sei adesso e ti addormentavi di nuovo. A me bastava questo e mi calmavo. Ancora oggi ho gli incubi, ogni volta che ripenso a quel maledetto giorno al loft e ogni volta che mi sveglio non riesco più a dormire se prima non ti vedo, non sono certo che stai bene. Spesso non ho più dormito, ma alcune volte sono stato talmente male che sono venuto fino alla tua camera a spiarti mentre dormivi, ti ho guardato per un po’ e poi sono tornato a letto. 
- Potevi svegliarmi… potevi dirmelo. 
Reclinò la testa all’indietro per guardarlo, avevano entrambi gli occhi lucidi. Castle si piegò per baciarla e lei si sporse verso di lui per raccogliere il bacio sulle labbra. Sembrava tutto ciò di cui avessero bisogno.
- Potevo, certo. Ma non dovevo. Avevi già le tue paure, non potevo darti le mie.
- Tu però stai prendendo le mie paure Rick.
- È diverso. Io le tue le conosco già, le ho già vissute e le abbiamo già superate. Prova a chiudere gli occhi adesso.
Kate si sistemò sul suo petto, il miglior cuscino che potesse desiderare, chiuse gli occhi, si concentrò sul battito del cuore di Rick, sul suo respiro calmo, sulle sue braccia che la accoglievano.
- Castle… perdonami per tutte le volte che sono intrattabile e che mi arrabbio senza motivo.
Lo scrittore sorrise, accarezzandole i capelli
- Perdonata Beckett. Hai paura adesso?
- No.
- Allora dormi, amore.

Sentì il corpo di Kate rilassarsi tra le sue braccia ed il respiro più lento e cadenzato, sembrava una bambina. Poche volte aveva visto Beckett così impaurita e bisognosa di conforto e riparo nel suo abbraccio. Era molto stanco anche lui, ma non riusciva a prendere sonno. Si rendeva conto che Kate era molto diversa, più fragile, meno forte. Era la ragazza che aveva conosciuto che si trovava sulle spalle tutte le difficoltà emotive della donna che era diventata, senza aver accumulato la forza interiore che aveva acquisito proprio dalle dure battaglie che la vita le aveva imposto di combattere. Rischiava di perdersi tra le sue paure, di affogare in se stessa. Alcune volte se ne dimenticava di quanto fosse cambiata e non capiva che certi suoi comportamenti, che la sua Kate conosceva benissimo e sapeva interpretare senza bisogno di spiegazioni, per lei ora non erano così. Tutto questo gli faceva pensare spesso anche quanta strada avevano fatto, senza rendersene a volte nemmeno conto e di quanto in realtà tutti quegli anni passati a rincorrersi, a volte anche nel senso letterale del termine, fossero serviti a cementare il loro rapporto, a conoscersi alla perfezione nelle tante piccole cose del quotidiano e trovarsi innamorati e già maturi. Avevano saltato tutte le fasi convenzionali del corteggiamento, delle prime uscite nelle quali ci si innamora, o forse lo avevano fatto a modo loro, non nei ristorantini romantici brindando con una coppa di champagne durante la cena scambiandosi languide occhiate, ma davanti a qualche omicidio con una tazza di caffè e le occhiate taglienti di Beckett che riprendevano Castle: forse sì, si poteva definire anche questo un corteggiamento, dove le prime uscite al cinema erano sostituite da “le prime volte che abbiamo rischiato di morire insieme” o “le volte in cui ci siamo salvati la vita”. E così quando entrambi erano finalmente pronti per amarsi erano già ben consapevoli di un sentimento represso per troppo tempo, che stava trovando solo la strada di casa per accomodarsi ognuno nel cuore dell’altro.
Adesso Rick si ritrovava invece a corteggiare sua moglie, a farsi conoscere da lei come non aveva mai fatto e si trovava davanti una Kate che non sapeva ancora quello che voleva, ma non era sfuggente e distante ed il fatto che fosse lì tra le sue braccia ne era la prova.

Ripensava a quella sera che si presentò a casa sua tutta bagnata, la sera in cui lui e lei erano diventati loro: a quella Kate non avrebbe mai potuto dire di no. Sorrise nel buio per questo. Era arrabbiato, furioso, ma gli era bastato vederla così, davanti a lui, sentirsi dire quello che aveva aspettato da anni per far cadere tutti i suoi propositi e l’avrebbe accompagnata anche all’inferno se glielo avesse chiesto. Si era ritrovato spesso negli anni a pensare cosa avrebbe fatto se non fosse stata lei quella sera a fare il primo passo e ad andare da lui, se veramente avrebbe mantenuto fede alla sua decisione di finirla lì e non vederla più, se ci sarebbe mai riuscito. Tutte le volte che se lo domandava credeva che non sarebbe stato possibile, che alla prima mezza occasione di poterla vedere ci sarebbe ricaduto perché non si può smettere di amare una persona, nemmeno se ci fa soffrire.

Nei momenti di maggiore sconforto, invece, pensava a cosa avrebbe fatto se Ryan non fosse arrivato in tempo su quel tetto. Quando qualche giorno dopo il fatto, l’irlandese gli aveva raccontato come erano andate le cose gli si chiuse lo stomaco. Sentire che era lui che chiamava per chiedere aiuto, che pensava che era la sua mano a tirarla su, che lo cercava con lo sguardo tra chi era andata a salvarla lo faceva star male. Non se lo sarebbe mai perdonato, lo sapeva da quando le aveva detto che non sarebbe rimasto a guardarla gettare via la sua vita e se n’era andato da casa di lei, perché Rick non voleva vederla gettar via la sua vita, voleva riprenderla ogni volta, portarla in salvo e tenerla al sicuro da tutti, soprattutto da se stessa, come doveva fare anche adesso. 
Ebbe la necessità di andarla a cercare e, con la scusa di parlargli di una delle sue teorie, la portò in una stanza al distretto dove secondo lui non li avrebbe visti nessuno e l’abbracciò forte, dimenticandosi della paura che li potevano scoprire, della Gates e di tutto il resto del mondo. Fosse stato per lui l'avrebbe portata via dal distretto, sarebbero andati in un posto qualsiasi e l'avrebbe tenuta stretta a se anche per sempre. Aveva bisogno di aria ed il suo ossigeno era il profumo della sua pelle. Non gli disse mai perchè lo aveva fatto e lei pensò che il suo gesto era solo una delle sue tante follie dettate da quell’impazienza che avevano di stare insieme e che gli veniva difficile anche a lei controllare, ma erano a lavoro e dovevano darsi un contegno. Si abbandonò anche Kate nel suo abbraccio per qualche istante, ma subito dopo lo rimproverò intimandogli di non farlo più e Rick accettò il richiamo senza dire nulla. Si riprometteva, adesso, che appena avesse recuperato la memoria glielo avrebbe detto, gli avrebbe raccontato dell’urgenza di quell’abbraccio.

Quante volte aveva rischiato di perderla? Eppure nonostante tutto lei era sempre lì, con lui, che dormiva sul suo petto. Al momento tanto gli bastava. Era esausto anche lui da quella giornata, dalle emozioni provate e dai ricordi che invadevano la sua mente. Al resto, a come comportarsi dopo quello che era successo quella notte, ci avrebbe pensato dal giorno dopo.

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Capitolo 27
*** VENTISETTE ***


Che il sole fosse già alto Kate lo aveva capito da quanta luce c’era nella stanza quando aveva aperto a fatica gli occhi. Quella stanza era esposta ad est e la luce era molto più forte che nella sua. Non si rese immediatamente conto che era ancora appoggiata sul petto di Castle, che le accarezzava i capelli: se non fosse stato per la luce, avrebbe tranquillamente potuto pensare che aveva chiuso gli occhi solo per pochi minuti. Sentiva il corpo di lui sotto il suo e le loro gambe ancora intrecciate, si spostò rapidamente, imbarazzata e lo fu ancora di più quando si ricordò di cosa aveva fatto la notte precedente.
Rick si accorse che si era svegliata dai movimenti troppo repentini e da come il suo corpo si era irrigidito.
- Buongiorno - le sussurrò tra i capelli
- Ciao - gli rispose lei tirandosi su, facendo scorrere una mano sul suo torace. - Che ore sono?
- Le undici, più o meno.
- Così tardi? - Chiese con la voce ancora impastata dal sonno
- Avevi appuntamenti questa mattina, Beckett? - Si divertiva Rick a prenderla in giro, non gli sarebbe capitato spesso in futuro che fosse lei quella che dormiva fino a tardi.
- Mmm no… - Rispose appoggiando la testa sulla spalla di lui.
- Bene. Dovremmo andare a mangiare qualcosa, che ne pensi?
- Altri cinque minuti Castle!
I cinque minuti diventarono molti di più ma Rick non se ne preoccupò. Gli piaceva vederla sonnecchiare rilassata, soprattutto considerato quello che era accaduto durante la notte e le montagne russe emozionali che avevano percorso.

- Sono rimasta tutta la notte così? - Chiese timidamente Rick
- Non tutta, ma gran parte. - Le sorrise lui.
- Scusami non volevo.
- Allontanarti? - Rick sorrideva ancora divertito e Kate abbassò lo sguardo, adesso molto a disagio.
Si alzò e non potè fare a meno di notare Castle disteso sul letto vestito solo dei boxer che lasciavano bene poco all’immaginazione e si rese conto che era lì che aveva passato tutta la notte e la mattinata. Si morse il labbro mentre usciva dalla stanza.
- Vado in camera a farmi una doccia - gli disse uscendo senza indugiare oltre a guardarlo.
- Vuoi che vengo con te? - Chiese lui malizioso
- Non credo che sia il caso. - Rispose quando era già fuori dalla porta
- Io ho dimostrato di sapermi comportare bene Beckett! - Disse Castle a voce più alta per farsi sentire, poi si accomodò meglio sui cuscini con un sorriso beffardo stampato in volto. Il punto era suo questa volta.

Saltarono la colazione, pranzando direttamente. Castle aveva preparato una Cesar Salad e dei crostini con avocado e salmone. Kate quando vide la tavola apparecchiata e Rick ad aspettarla rimase stupita di come in poco tempo riusciva a preparare piatti così gustosi. La stava viziando e si chiedeva se lui fosse effettivamente sempre così oppure se quello era un comportamento particolare che aveva in quel periodo.
- Ehy Chef Castle ha preparato il pranzo!
La fece accomodare e le servì quanto aveva cucinato. Kate decise affrontare l’argomento che la teneva sulle spine.
- Ehm Rick... Quello che è successo stanotte...
- Va tutto bene Kate. - Tentava di rassicurarla.
- Sì ma io ci tenevo a dirti che di solito non sono così, non so cosa...
- Ehy, so come sei non ti devi giustificare. Non è mica la prima volta che prendi l'iniziativa - Castle rideva sotto i baffi tra una forchettata e l'altra e tanto lei si imbarazzava, tanto lui si divertiva - Poi non hai fatto nulla di male, hai solo provato a sedurre tuo marito!
- Comunque volevo ringraziarti per quello che hai fatto e non hai fatto.
- Ti saresti pentita? - Chiese Rick tornando serio.
- Sì, cioè no. Uff... - sbuffò faticando a trovare le parole giuste e per vincere l'imbarazzo di parlare di questo - Non mi sarei pentita di quello che poteva accadere, ma avevi ragione tu, non era il momento nè il modo giusto.
- Ok. Siamo d'accordo su questo quindi. Vale lo stesso per me...
- Ok... - guardò a lungo nel suo piatto giochicchiando con il cibo.

Non ne parlarono più per il resto della giornata che passarono tranquillamente in spiaggia. Tornò Mike a portare le altre cose che Rick aveva ordinato riempiendo di nuovo la dispensa. Approfittava di quelle giornate che trascorrevano fuori per far rassettare la villa senza essere disturbati. 
Fecero lunghi bagni e passeggiate, si riposarono sotto il gazebo in un angolo di spiaggia riparato da occhi indiscreti, mangiando frutta fresca imboccandosi a vicenda cercando nelle piccole cose una intimità che stavano ricostruendo pian piano. Kate adorava quei grandi lettini matrimoniali più comodi di tanti letti in cui aveva dormito, ma in nessuno di quelli che ricordava c'era il petto di Castle su cui appoggiarsi ed anche questo faceva la differenza. Le piaceva poi il rumore del vento che sbatteva sulle tende ed il profumo di salsedine che trasportava.
- Mi piacerebbe rimanere qui stanotte - Kate non credeva che aveva detto ad alta voce quella che sembrava solo una sua fantasia: dormire in spiaggia in un gazebo era una cosa così lontana dalla Beckett che ricordava di essere eppure adesso le sarebbe piaciuto veramente. Fosse stata insieme a qualunque altro uomo di quelli che aveva frequentato le avrebbe fatto presente quanto quella sua idea fosse folle, elencandole tutti i motivi per i quali sarebbe stata una cosa impossibile e insensata. Ma lei era con Richard Castle.
- Ti piacerebbe dormire in spiaggia? - Chiese Rick sorpreso e Kate l'unica cosa che fece fu annuire.
- Ok! Mi sembra una bellissima idea! - Castle era già entusiasta della cosa - Ah Kate, ma la tua idea include che io stia qui con te oppure vuoi dormire in spiaggia da sola?
- Se non trovi un cuscino più comodo mi accontento di te, Castle!
Rick immaginava che il buon senso avrebbe dovuto dirgli che dormire in spiaggia non fosse una cosa estremamente sicura e che non si confaceva con l'idea che doveva avere di tenerla al sicuro, ma erano quasi morti dentro casa loro, in un palazzo sorvegliato e con un sofisticato sistema di sicurezza, potevano anche fare questa pazzia di dormire in spiaggia, al massimo lui non avrebbe dormito per vegliare su di lei, ma se voleva stare lì lo avrebbero fatto.
Ancora qualche bacio al tramonto e poi Castle tornò alla villa per preparate tutto, come aveva pianificato mentalmente in quei minuti. Tornò con la golf car facendo ridere Beckett tantissimo quando non si accorse che la strada era finita e rimase insabbiato e sotto il suo sguardo divertito faceva avanti e indietro per prendere tutto quello che aveva portato. Cuscini, soprattutto e delle coperte perché non aveva idea quanto calasse la temperatura la notte con l'umidità del mare e Kate era sempre stata freddolosa. 
- Non hai paura della concorrenza? - gli disse Beckett indicando i tanti cuscini di varie dimensioni
- Sono molto sicuro di me stesso e delle mie qualità di cuscino umano - rispose sicuro Castle sdraiandosi al suo fianco baciandola intensamente fino a quando non furono interrotti dal suono del cellulare di Rick. 
Fu una breve conversazione e riattaccò.
- Hai fame Kate? 
- Un po'... Qualche proposta?
- Tra poco vedrai!

Non dovettero aspettare molto: Mike arrivò seguito da altri due uomini. Sistemarono vicino a loro un tavolo basso di legno bianco sul quale appoggiarono due vassoi coperti e delle bevande mentre uno di loro posizionava intorno al gazebo delle fiaccole per illuminare l'ambiente ormai totalmente avvolto nell'oscurità, rischiarato solo dalle luci della villa in lontananza. 
Quando furono di nuovo soli Rick prese i vassoi e li mise sul letto in mezzo a loro. Tanti piccoli spiedini di vari tipi di carne, di pesce e di verdura. 
- Così sono pratici da mangiare - disse Castle prendendolo uno e mangiandolo di gusto, imitato subito dopo da Kate che fece lo stesso in maniera molto più provocante. - Non avevo pensato a questo aspetto - disse infine deglutendo rumorosamente suscitando le risate di Kate che esasperava volutamente i suoi gesti stuzzicandolo.
Mangiarono spilluzzicando uno spiedino ogni tanto per gran parte della serata, alternandoli con chiacchiere sul nulla, coccole e risate. Più Kate rideva, più il cuore di Rick si riempiva di lei, con il fuoco che illuminava il suo viso ed il suo sorriso creando giochi di luci e ombre che la rendevano ancora più bella. Per questo lui continuava a raccontarle aneddoti buffi e storie divertenti narrando con le sue innate qualità di affabulatore situazioni particolari che avevano vissuto lavorando insieme in quegli anni.
- Perchè trovi sempre qualcosa da raccontare per farmi ridere? Mi fanno male i muscoli del viso! - Protestò lei fintamente arrabbiata
- Perchè amo da morire vederti ridere - le diede un bacio - ed il tuo sorriso - le diede un altro bacio - ed il suono della tua risata - un altro bacio ancora. Tolse tutto quello che di superfluo c’era in mezzo a loro e la strinse tra le sue braccia, coprendo entrambi con un leggero plaid. 
Kate si accoccolò su di lui e constatò che preferiva decisamente quando dormiva senza maglietta per sentire la sua pelle a contatto con il suo volto.
- Castle?
- Uhm?
- Sei sempre molto comodo.

Beckett si svegliò alle prime luci dell’alba che illuminava la spiaggia. Ci mise un po’ a realizzare dove erano. Durante la notte Castle le aveva appoggiato un’altra coperta sopra e le piaceva quel tepore di prima mattina mentre la bassa marea allontanava il mare da loro. Si alzò piano, cercando di non svegliarlo, ma non resistette alle sue labbra un po’ imbronciate mentre dormiva e ci appoggiò sopra le sue baciandolo lievemente e poi coprendolo meglio. Prese una delle coperte che erano ancora piegate sulla sabbia, l’avvolse sulle spalle e si sedette in riva al mare che era ancora lontano. Lo vedeva avvicinarsi lentamente, onda dopo onda. Giocava con la sabbia umida facendola scorrere tra le mani, scrivendo sulla sabbia i suoi pensieri con le dita, cancellandoli subito dopo ancor prima di averli riletti, per paura di scorgere verità che non voleva ancora ammettere a se stessa.
Il sole ormai era sorto e l’oceano era tornato a lambire la spiaggia. Kate si sentì abbracciare da dietro e poi le labbra di Rick appoggiate sul suo collo disegnando baci. 
- Buongiorno dormiglione - gli disse senza guardarlo, stringendo le braccia di lui ancora di più su di se.
- Buongiorno mia musa - le rispose continuando a baciarla con la voce ancora impastata
- Musa?
- Sì, ti vedevo e mi hai ispirato, come sempre.
- Vuoi scrivere oggi?
- Dopo colazione, se non ti dispiace, prima che l’ispirazione mi abbandoni, mi concedi una mattinata di scrittura?
- E va bene scrittore!

Quando tornarono in casa trovarono una scatola con ciambelle ancora calde lasciate da Mike poco prima, che accompagnarono con i caffè fatti da Rick. Kate andò a farsi un lungo bagno per togliersi di dosso e dai capelli la salsedine accumulata nella notte e quando tornò al piano inferiore trovò Rick intento a scrivere sul suo portatile. Era la prima volta che lo prendeva da quando erano lì e la prima volta che lo vedeva all’opera. Si era chiesta tante volte quando leggeva da ragazza i suoi libri come era quando scriveva, come lo faceva, se era calmo e riflessivo o, come nella realtà, frenetico. Muoveva le dita veloci sulla tastiera picchiettando ritmicamente e seguendo con lo sguardo le linee sullo schermo che si susseguivano velocemente.
Stava sulla sua poltrona con le gambe allungate sul puff davanti a lui ed il portatile sulle ginocchia, si fermava solo ogni tanto, qualche istante per rileggere e poi riprendeva a far danzare le sue dita tra i tasti, come abili ballerini di tip tap. 
Kate si sedette sul divano con le gambe incrociate, aveva preso un libro per leggere, ma non lo aprì, preferendo rimanere a guardare il suo scrittore e si morse il labbro quando si rese conto di aver pensato che era suo, ma Castle era così preso che non si accorse nemmeno per un istante che lei aveva i suoi occhi fissi su di lui.
Quella che doveva essere una mattinata di scrittura divenne un giorno intero. Quando in serata Kate lo vide stropicciarsi gli occhi e stiracchiarsi, gli andò vicino, gli chiuse il portatile e glielo tolse dalle gambe.
- Ora basta scrittore… Sei esausto. - Si sedette sulle sue ginocchia e appoggiò la testa sulla sua spalla.
- Scusami Kate… Ti ho trascurata tutto il giorno. Era da tantissimo tempo che non scrivevo più.
- Mi farai leggere quello che hai scritto?
- Solo quando avrò finito! E poi devi ancora finire gli altri libri di Nikki Heat, non puoi leggere questo adesso!
Rick volle portarla fuori a cena, anche se Kate avrebbe preferito rimanere a casa. Andarono in un ristorante italiano non lontano dalla villa dove Castle sosteneva facessero la migliore pizza degli Hamptons e dopo averla mangiata di gusto, Kate convenne che era vero. Conclusero il pasto con un tiramisù e tante altre chiacchiere, Rick le raccontò più o meno quello che aveva scritto e la trama del suo nuovo romanzo, senza però rivelarle troppo. Le comprò un intero mazzo di rose rosse, le fece dedicare una dietro l’altra tutte le canzoni classiche italiane dal cantante del ristorante al quale lasciò una generosa mancia. Tornarono a casa tardi dopo aver passato una bellissima serata spensierata.

- Ci vediamo domattina Kate - Erano davanti alla porta della camera dove dormiva Beckett e Rick le diede un bacio sulle labbra troppo delicato per poter essere un vero saluto. Era uno di quei baci che potevano essere solo l’aperitivo di un pasto più succulento o l’ultimo cucchiaino di dolce di uno già consumato.
- Rimani. - Gli disse lei. Non era una domanda, nemmeno una richiesta. Era un’affermazione seguita da una presa sul braccio così ferma e decisa che non poteva fare altrimenti.
- Hai ancora paura degli incubi? - le chiese Rick con voce bassa ad un passo dalle sue labbra.
- Ho paura dei sogni
Era un’affermazione, quella di Kate, alla quale Castle non volle o non seppe dare una risposta. La lasciò cadere in un angolo della sua mente, domandandosi solamente quale potesse essere il sogno di lei. 
Entrarono nella stanza di Kate, in quella che da anni ormai era la loro stanza. Rick chiuse la porta, non perchè qualcuno potesse disturbarli, ma voleva che quel momento non si disperdesse, che rimanesse chiuso tra le quattro mura della loro stanza. 
- Castle… Io credo che sia il momento giusto… - Kate sorrise nervosamente mentre lui diventò serio a tal punto che lei pensò che ci fosse qualcosa che non andava. Il pensiero durò solo un attimo.
Rick le percorse il contorno del viso con l'indice, per poi passarlo sulle labbra di lei. Le scostò i capelli dal collo e si piegò a baciarlo, prima da una parte poi dall'altra. Le sbottonò solo un paio di bottoni della camicia di seta chiara, scoprendo il suo décolleté e un po' di più le spalle alle quali dedicò subito le sue attenzioni continuando la scia di baci che partiva dal collo. Non c'era una parte del suo corpo che non voleva amare, aveva l'urgenza di farle capire che amava tutto di lei ma lo voleva fare senza frenesia, avevano tutto il tempo che volevano e nessuna fretta di appartenersi. Per lei sarebbe stata la loro prima volta e voleva che fosse speciale. Kate lo lasciava fare, gli accarezzava i capelli mentre lui la baciava e si perdeva nei suoi occhi ogni volta che alza la testa e cercava nel suo sguardo una tacita conferma nel poter andare avanti e Rick non aveva nessuna voglia quella sera di fermarsi. La guardava fissa negli occhi mentre le finiva di sbottonare la camicia che si aprì lasciando in vista i suoi seni coperti solo da un velo nero di pizzo ed il ventre prezioso, mentre lei faceva lo stesso con quella di lui.
Castle le poggiò le mani sui fianchi facendole risalire lungo la schiena, cercando il gancio del reggiseno che aprì rapidamente e poi fece scivolare via dal suo corpo sia quello che la camicia e fece lo stesso con la sua. Si piegò davanti a lei accostando delicatamente entrambe le mani sul suo ventre, erano così grandi che lo coprivano quasi tutto e poi appoggiò le labbra nello spazio lasciato libero dalle mani baciandola dolcemente. Kate ebbe un brivido nel vedere e vivere una situazione così intima e dolce e pensò che in quel momento i suoi ormoni le stavano facendo proprio un brutto scherzo perché tanto lo desiderava quanto si commuoveva a vederlo così, ma Rick incurante della lotta interiore di Kate, continuava nel suo intento e slacciò il cordino dei pantaloni di lino di lei che andarono a fare compagnia a terra al resto dei loro abiti, raggiunti dai suoi che si sfilò appena rialzato.
La fece sdraiare sul letto e lei si lasciò condurre. Era sopra di lei, tenendosi sugli avambracci per non pesare sul suo corpo. La baciò dolcemente.
- Niente incubi Kate, lasciati amare. - le sussurrò ricordandosi quanto accaduto pochi giorni prima.
Si sollevò per ammirarla coperta solo dal pizzo nero del perizoma: i seni pieni più gonfi e il ventre pronunciato erano segni inequivocabili della vita che cresceva in lei e solo ora ammirava anche i lineamenti del viso più morbidi del solito. Era così donna, così florida che la trovava ancora più eccitante. Era in completa adorazione di lei. Kate sentiva il suo sguardo addosso che la lambiva come fossero dolci carezze e si rese conto che nessuno in tutta la sua vita l'aveva mai guardata così e si sentì lusingata. Castle si piegò nuovamente sul corpo di lei baciandole ogni cicatrice, ogni segno delle sue battaglie e più i ricordi erano dolorosi, più gli prestava attenzione, perchè non avesse più alcun tipo di dubbio o preoccupazione: la voleva far sentire bella, eccitante, desiderata, amata. Rick alzava la testa ogni tanto, tra un bacio e l'altro e cercava gli occhi verdi di Kate che luccicavano della sua stessa passione e lei si perdeva in quelli di Castle ora inscuriti dal desiderio ed un brivido la percorse quando fu pienamente consapevole che era lei la fonte che lui bramava come un’assetato nel deserto e si sentì veramente viva per la prima volta, come forse non si era mai sentita.
Anche quella poca stoffa che li separava divenne di troppo per l'urgenza, ora sì, dei loro corpi di ritrovarsi. Rick si beò del volto di Kate sorpreso, appagato e cupido quando lui scivolò dentro lei senza incontrare nessuna resistenza. A Kate scappò un gemito che Castle raccolse tra le sue labbra baciandola ancora prima che la loro danza d'amore cominciasse. Poi fu solo il tempo della pelle che incontrava la pelle, delle mani che cercavano avide il corpo dell’altro, dove il pensiero lasciò il posto ai desideri che seguivano solo la passione primordiale che faceva unire due anime fatte per non poter stare separate, anche quando non ne erano pienamente consapevoli. Si amarono a lungo, senza fretta, lentamente e intensamente ed anche l’aria della stanza si riempì di loro: odore, sudore, gemiti, sospiri e i loro nomi ripetuti, sussurrati e gridati. 
Poi si abbandonarono stremati da loro stessi, dai loro sensi squassati dalla passione appena consumata, con i respiri ancora affannati. Rick si girò su un fianco per guardarla. Quella era la versione di Kate che gli piaceva di più: senza trucco, con il volto ancora stravolto dall’amplesso, i capelli spettinati sparsi sul cuscino, le labbra gonfie e semi aperte. Non c’era visione più bella per i suoi occhi di lei che portava ancora i segni del piacere che lui le aveva procurato. Non reggeva il confronto con nulla, non ci poteva essere niente di più bello e soddisfacente da vedere.
- Ti amo Kate - Riuscì a dirle solo questo guardandola prima di baciarla di nuovo, riuscendo a trattenersi a fatica dall’amarla di nuovo. Solo in quel momento si era reso conto di quanto le era mancata, anche fisicamente. Lei sorrise e lui amava quel sorriso che gli riservava dopo, un sorriso beato e rilassato, un sorriso felice. 
Castle infine si distese e si rilassò, svuotò la testa da ogni pensiero e la riempì di tutto quello che aveva appena vissuto.
Kate guardò Rick addormentarsi e non si capacitava come quell’uomo che fino a poco prima le aveva fatto provare sensazioni mai provate prima, ora fosse lì, sdraiato accanto a lei, con l’aria di un bambino solo bisognoso di coccole e lo trovava estremamente eccitante. Non sapeva se era vero, se erano realmente gli ormoni della gravidanza ad amplificare ogni sensazione, ma di una cosa in quel momento Kate Beckett era assolutamente certa, non sapeva come era stata la sua vita prima di allora e nemmeno le importava, ma sapeva esattamente come voleva che fosse da quel momento in poi.

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Capitolo 28
*** VENTOTTO ***


Si svegliarono con il rumore della pioggia che picchiettava sui vetri. Si sentivano ancora stravolti per la notte appena trascorsa, non solo fisicamente ma soprattutto emotivamente e sembrava che avessero stravolto anche tutto quello che avevano intorno, a cominciare dal cielo. 
- Stai bene? - Le chiese Rick con la voce ancora impastata dal sonno, vedendola rigirarsi tra le lenzuola sfatte, impregnate di loro. Lei si voltò verso di lui, aveva il ciuffo sfatto e i capelli gli ricadevano sulla fronte. Glieli sistemò facendogli quasi una frangetta, gli sembrò adorabile.
- Sto molto bene Castle.
- Anche io sto molto bene Kate.

Era tardi anche quella mattina, ma fuori non sembrava quasi giorno, erano avvolti da uno di quei temporali estivi che faceva sembrare, al di là dai vetri, che fossero in pieno novembre, con il vento più forte del solito che piegava gli alberi intorno alla villa, faceva vibrare forte le tende esterne e sibilava tra le colonne del portico. 

Nonostante tutto a Kate piaceva. Aveva raccolto la camicia di Rick a terra, se l'era infilata abbottonandosi solo un paio di bottoni, ed era andata verso la finestra a guardare fuori. Aveva appoggiato i gomiti sul davanzale interno lasciando sporgere dalla camicia il suo fondoschiena nudo che Castle non poteva fare a meno di ammirare. Sapeva che lui era sveglio e la stava guardando e adesso le piaceva sentire il suo sguardo su di se. 
Aveva avuto tutto quello che restava della notte per pensare a cosa era accaduto realmente dentro di lei quando aveva rotto gli argini della sua vulnerabilità donandosi a lui senza riserve. Non lo aveva ancora capito, sapeva solo che aveva voluto lui per tutta la notte e lo avrebbe voluto ancora.
Se c'era una cosa che a Rick era sembrata subito palese era come Kate avesse finalmente ripreso possesso e consapevolezza di se e del suo corpo. Non lo temeva, non ne aveva più paura, aveva capito il potere che esercitava su di lui e stava imparando ad usarlo di nuovo con disinvoltura, come aveva sempre fatto.
Si era alzato e l'aveva raggiunta senza preoccuparsi di rivestirsi. Le spostò i capelli per scoprire il collo e riprendere a baciarlo come gli piaceva tanto fare.
- Mi era mancato tanto anche questo sai Beckett?
- Il maltempo? - ironizzò lei
- No, il vederti con le mie camice dopo. Stanno decisamente meglio a te.
- Ne hai molte da farmi mettere? - gli chiese provocatoria
- Sì, ma posso ordinarle e farmene portare quante ne vuoi se non ti bastano. - rispose continuando a baciarla lascivo. - Però ti preferisco sempre senza. 

Il tono di Kate poi cambiò
- Mi piace la pioggia - disse osservando fuori dal vetro le gocce che cadevano violente e fitte
- Lo so. - Castle intrufolò le mani sotto la camicia di lei per sentire la pelle morbida, accarezzandole dolcemente la pancia. Si sentiva più libero adesso di compiere certi gesti, certo che lei non lo vedeva più come un intruso che invadeva il suo spazio anche se ancora si trovava a vivere delle strane sensazioni, quasi si sentisse in soggezione davanti a quella piccola vita che cresceva in lei, sentiva come se non avessero ancora raggiunto a pieno un grado di intimità e complicità tale da parlarne sempre liberamente.
- Già tu sai tutto di me... Più di me stessa. - Quella di Kate era un’amara considerazione. Certamente Castle conosceva molte cose di lei, di quella che era diventata e di come era cambiata, molto meglio di lei stessa e presumeva che anche del suo passato lui ormai sapesse molto, se non tutto. Alcune volte si chiedeva se avesse senso parlargli ancora di se stessa convinta che Rick sapesse spesso esattamente cosa le passava per la testa, analizzando solo le sue reazioni, ma si stupiva quando lui, in quelle che erano magari piccole cose del quotidiano le diceva di non conoscere quelle cose di lei, quelle che Kate dava per scontato che lui conoscesse e si chiedeva, perché invece non gliene aveva mai parlato. Perché non gli aveva mai detto che era il suo scrittore preferito o quanto l’avevano aiutata i suoi libri dopo la morte di sua madre, ad esempio? In quel momento le sarebbe piaciuto potersi rispondere più a queste domande che ricordare avvenimenti del suo passato persi nella memoria.
- No Kate... Tu sei il mistero che non smetterò mai di voler comprendere. So quello che tu mi hai voluto lasciar scoprire, ma devo scoprire ancora tanto di te. 
- Sai perché mi piace la pioggia?
- Perché potevi uscire e piangere senza che nessuno se ne accorgesse.
- Te l'ho detto io?
- No, ma sarebbe una cosa da te. Ho indovinato?
- Sì... - Gli occhi di Kate di velarono di tristezza e lacrime pronte ad uscire, ma Castle non voleva permetterlo.
- Anche a me oggi piace la pioggia - le disse serio
- Oggi?
- Sì, oggi. Sai perché?
- No...
- Perchè è una splendida scusa per non alzarci dal letto per tutto il giorno e continuare a fare quello che abbiamo fatto per gran parte della notte.
- Tra noi è stato sempre così?
- Beh diciamo che quelle volte, troppo poche per i miei gusti, in cui eravamo entrambi liberi e soli, sì, era più o meno sempre così. Io te ed il nostro letto o divano o quello che era. - la voce di Rick era calda s profonda e non lasciava molto all'immaginazione di cosa volesse.
- Ok... Ci piace divertirci - sorrise arrossendo un po' avvicinandosi ancora di più al vetro per sfuggire almeno in parte ai suoi baci che non la facevano ragionare molto - ma è sempre così... Intenso?
- Beckett non hai mai protestato! - rise Castle - Anzi spesso hai chiesto il bis apprezzando molto tutte le specialità della casa. Quindi penso che sì, è sempre così.ù
- Non sei molto modesto eh!
- Dovrei esserlo? - Kate si voltò e gli allacciò le braccia dietro al collo strusciando il bacino contro il suo, risvegliando desideri mai del tutto sopiti.
- No Castle, direi proprio di no... 
Lo fece indietreggiare fino a raggiungere di nuovo il letto. Quando Rick sentì sbattere le gambe sul materasso si lasciò cadere mentre guardava Kate in piedi davanti a lui che sbottonava lentamente la camicia che tornò a breve nel posto più naturale dove doveva stare: per terra.
Si mise a cavalcioni su di lui, raccolse i capelli e li spostò sul lato sinistro del collo facendoli ricadere davanti andando a lambire il seno.
Castle la guardava ergersi su di lui come una dea, allungò le mani sul suo corpo avvolgendo i seni nei suoi palmi meravigliandosi ancora di come le sue forme stavano cambiando. Ondeggiò meticolosamente su di lui sorridendogli quasi in segno di sfida.
- Dio Kate... - Ansimò Rick troppo sensibile alla vista e al calore del corpo di sua moglie.

Kate si sollevò appena per poi ricadere su di lui che la aspettava pronto a perdersi in lei e si muoveva volutamente piano sul corpo del suo scrittore, che non aveva più nemmeno una parola a disposizione nella sua mente.
La vedeva danzare con la testa reclinata e la schiena inarcata che vibrava di piacere e Kate poteva sentire il centro del mondo che era il centro di se stessa piena di lui.
Era lei ora che conduceva il gioco alternando i movimenti fin troppo lenti, che facevano lamentare Castle, ad altri che erano pieni di sussulti di vita. Si concesse non solo fisicamente, senza alcuna reticenza. Le piaceva provocarlo, passandosi le mani tra i capelli e la lingua ad umettarsi labbra. Rick la lasciò fare fino a quando non sopportò più quella lenta tortura e sollevò la schiena, per raggiungerla e cingerla tra le sue braccia, per avere i loro corpi più vicini, come se quella vicinanza intima non bastasse e volesse tutto il corpo di lei sul proprio. Poi Castle si allontanava ancora, per guardarla meglio, e godere di lei anche solo con gli occhi nella visione di quel corpo di un angelo lussurioso. 
Ora era lui a sostenerla e a scandire il ritmo del loro piacere avanzando e ritraendosi da lei, come le onde di quell’oceano in tempesta che era lì fuori dalle loro finestre e allo stesso modo di quello la investiva di se.
Quando la abbracciò di nuovo le unghie di lei percorsero la sua schiena ampia muscolosa, imperlata dal suo sudore, tracciando delle sottili linee sulla sua carne nel momento in cui arrivò al punto di non ritorno, per poi abbandonarsi tra le sue braccia tremante mentre lui la stringeva e impetuosamente aumentava i suoi movimenti, prolungando il piacere di lei ed accelerando il proprio fino a quando non si placò in lei mentre avidamente baciava, mordeva e suggeva il suo collo, stimolando ancora i sensi squassati di Kate.
Beckett aveva cominciato quel gioco di seduzione con l'intento di far bruciare Castle dalla passione ma fu lei, ancora una volta, a rimanere ustionata da lui.

Appena ripresero fiato scostarono i loro toraci solo la distanza necessaria per guardarsi negli occhi mentre le loro gambe erano ancora un groviglio con il resto dei loro corpi. Si sorrisero. Castle andò a togliere i capelli dal volto di Kate e la baciò teneramente sulle labbra, mentre con le mani le teneva fermo il viso. Si sorrisero ancora.
- Che c’è? - Le chiese Castle
- Sono felice Rick.
- Felice o appagata?
- Entrambe.
La fece alzare da sopra di se, sollevandola di peso e facendola sdraiare. Prima di prendere il lenzuolo per coprirla le accarezzò ancora una volta dolcemente il ventre.
- Credo che lo abbiamo fatto ballare un po’ troppo nelle ultime ore 
- Ho letto che se la mamma è felice è felice anche il bambino. Quindi credo che sia stato molto felice nelle ultime ore, Castle.
- Da quando in qua leggi di sesso, gravidanza e bambini?
- Da quando sono incinta e c’è un uomo molto provocante che mi ronza intorno.
- Molto provocante dici eh? Vorrei sapere che razza di uomini frequenti Beckett! - Le disse mentre con una mano andava ad accarezzarla con la punta delle dita nell’interno coscia.
- Dai Castle… Ti prego - Lui sghignazzando ritrasse la mano
- Nelle tue letture hai trovato anche che dopo l’attività fisica è meglio nutrirsi in modo adeguato? Dovresti mangiare qualcosa.
- Non ho fame adesso. Perché non vieni qui e ti sdrai un po’ vicino a me?
- Solo se prometti di non abusare di nuovo di me! - Disse lui fintamente risentito
- Non te lo posso promettere questo… - Gli rispose maliziosamente.

Si misero ognuno nella propria parte di letto, sfiorandosi le mani lasciate al centro. 
Kate pensò che infondo innamorarsi era stato facile, era stata una bomba che non aveva voluto disinnescare. Quello che la spaventava, che le faceva realmente paura era amare. Perché amare era difficile, amare era impegnativo e implicava mettere in gioco tutto se stessi tutti i giorni, camminare su un filo teso tra due grattacieli senza senza corda di sicurezza. Per amare bisognava sempre essere in due e remare costantemente insieme.
Lei per ora sapeva solo di essersi innamorata, non voleva dirsi di più.
Si era innamorata di tutte quelle cose di lui che le davano sicurezza: la sicurezza della sua presenza, del saperla far ridere, dell'amarla mentalmente ed anche fisicamente. Le sembrava che il corpo di Castle fosse stato creato appositamente per accoglierla e fondersi con il suo.
Si era innamorata delle sue labbra che le lambivano il collo, delle braccia che la cingevano forti, degli occhi che la guardavano adoranti, della sua voce quando chiamava la chiamava in preda al piacere.

- Sai Castle, penso che potrei veramente amarti
Lo sussurro appena tra le labbra, un segreto raccolto dalle mura di quella stanza. Rick si era addormentato esausto e non sentì mai quella dichiarazione di Kate che se fosse stato sveglio non avrebbe avuto il coraggio di fargli.

Lo lasciò dormire e andò a farsi una doccia. Mentre si insaponava e passava le mani sul proprio corpo se chiudeva gli occhi immaginava di sentirsi quelle di lui e scoprì che la sua pelle era rimasta ancora estremamente sensibile al tatto. Un brivido le percorse la schiena ed abbassò la temperatura dell’acqua nella speranza che il getto più freddo la distogliesse da quei pensieri.
Pensava a come nelle ultime dodici ore Richard Castle fosse entrato dentro di lei, letteralmente si disse e rise da sola del suo pensiero, ed avesse stravolto la sua vita più di quanto non avesse già fatto in precedenza, cambiando molte delle sue convinzioni e la percezione delle cose e di quello che stava vivendo.
L’acqua fresca che scivolava sulla pelle le dava una sensazione di benessere e le donava nuovo vigore. Era incredibile come non si sentisse stanca nonostante nelle ultime ore si fosse riposata ben poco. Però aveva ragione Castle, doveva mangiare, cominciava a sentire il suo stomaco brontolare. Chiuse l’acqua dopo essersi concessa ancora per qualche secondo il getto potente sulle spalle, si avvolse in uno dei morbidi accappatoio e  fece lo stesso con i capelli in un grande asciugamano. Prese dall’armadio una delle magliette di Rick e un paio di shorts ed andò direttamente a vestirsi al piano inferiore, pensando a cosa potesse mangiare.

Era primo pomeriggio, non aveva ancora mangiato nulla. Si era incantata nuovamente a guardare la pioggia scendere: per quel che ricordava non aveva mai smesso da quando si era svegliata. Rick ancora dormiva, decise di andare in cucina e prese della frutta che mangiò comodamente sul divano. Pensò che quella casa doveva essere molto bella ed accogliente anche fuori stagione. Si immaginò lì avvolta in qualche calda coperta, con il camino acceso e Castle vicino a lei che le accarezzava la pancia ormai molto più ingombrante, una zuppa ai cereali fumante, una fetta di torta calda e una cioccolata con panna. Loro due a parlare del loro futuro e poi si vide ancora dopo, con un piccolo bambino con tanti capelli come Castle avvolto in quella copertina bianca che lui le aveva regalato che le dormiva in braccio mentre era appoggiata al petto del suo scrittore che li abbracciava entrambi. Era questa l’idea di vita che immaginava nel suo futuro e si ritrovò a sorridere ed accarezzarsi dolcemente il ventre. Era un’idea così bella che si commosse a pensarci e ne ebbe paura. Le cose belle nella sua vita erano sempre state destinate a sparire e ne era la prova che era sparita anche tutta la sua vita con Rick. Si mortificava per non riuscire mai a godere a pieno di nulla senza che i suoi pensieri nefasti tornassero a turbarla. Perché doveva essere così difficile per lei essere felice? Perché non poteva solamente lasciarsi la libertà di sognare senza che la sua realtà arrivasse a distruggerla anche un solo pensiero felice? Perché non poteva sperare come tutti che prima o poi anche per lei ci sarebbe stata un po’ di serenità. In fondo pensava di meritarsela ed era quello che voleva per il suo bambino: una famiglia felice dove poter crescere lieto. 

- Vedo che i miei vestiti ti piacciono - le disse Rick appena scese vedendola con la sua tshirt sul divano
- Sono molto comode - gli sorrise Kate.
- Hai mangiato?
- Solo un po’ di frutta - disse sfuggendo lo sguardo dai suoi occhi e dalla sua espressione di biasimo.
- Ok, vado a preparare qualcosa che ti dia un po’ più di energia… 

- Stai facendo i pancakes? - Chiese Kate prendendo con un dito della Nutella da un barattolo aperto. Era stata attirata in cucina dal dolce profumo che aveva riempito la casa
- Sì! Sai cosa dice Esposito, vero? - Castle girava le frittelle adagiandole poi su un grande vassoio
- Veramente no!
- Che sono il miglior modo per ringraziare dopo una notte di sesso appagante. - Rispose Rick estremamente orgoglioso
- Punto primo non è stata solo una notte, punto secondo non è ora per i pancakes. - Puntualizzo Kate
- Hai voglia di pancakes, Beckett?
- Sì ma…
- Allora se hai voglia è l’ora giusta per i pancakes, fine della discussione. Ora mettiti lì seduta ed aspetta che te li porto. 
- Pensi di farli per tutti gli Hamptons Castle? - Chiese vedendo il vassoio che strabordava
- Aspetta e vedrai!

Castle portò quattro piatti con diversi tipi di pancakes: classici con sciroppo d’acero, Nutella, Mashmallows e granella di nocciole, crema alla vaniglia e frutti di bosco.
Kate sorrise e cominciò a mangiare quello classico sotto lo sguardo soddisfatto di Rick che invece prese una generosa porzione con i mashmallows. 
- Se mi ingrasserò troppo e diventerò come una balena sarà solo colpa tua Castle!
- Non ti preoccupare Beckett, lo sai anche tu adesso che tra di noi l’unica balena sono io e ti aiuterò a mantenerti in forma con tanta attività fisica estremamente soddisfacente.
- Mi chiedo come ho fatto a sopportarti per otto anni Castle…
- Perché sono estremamente soddisfacente, ovvio! - Disse mangiando quelli alla Nutella
- Taci Castle! E lascia un po’ di quei pancakes anche a me!
- Senti Kate... Quello che è successo stanotte... e prima...
- Rick, sul serio ne vuoi parlare? Adesso? - Chiese Beckett stupita addentando un'altra forchettata di dolce mentre Rick semplicemente annuì con la testa - Ok... vai avanti.
- Dicevo... Quello che è successo, per me è stato importante, molto importante.
- Certo che è stato importante Rick... Cosa pensi che vado a letto con il primo che capita?
- No, certo che no Kate! - si affrettò a giustificarsi - Ma ecco, vedi... Per me non è stato "andare a letto", non è stato sesso, non solo... Capisci che voglio dire?
Kate si pulì la bocca, allontanò il piatto e bevve un bichiere d'acqua prendendo tempo. Sperava di non dover arrivare a quel punto della discussione.
- Sì, Rick lo capisco.
- Spero che anche per te non sia stato solo quello.
- E' importante per te che non lo sia stato?
- Sì, sarebbe molto importante. 
- Nemmeno per me è stato solo quello, Rick. Ma ti prego, non mi chiedere cosa è stato di più, perchè adesso non saprei spiegartelo. - Non fu sincera con lui fino in fondo, ma non era pronta a dirgli di più, anche se aveva paura che potesse fargli male sentirla parlare così. Gli prese una mano, stringendola sotto la sua. - Rick per me sei importante e non per la situazione, ma perchè sei te. Mi rendi felice, molto felice e mi fai stare bene. E' una cosa che non mi era mai capitata. Però ti prego, non chiedermi di più, non adesso. Non ancora.
- Va bene Kate. Ci tenevo solo a fartelo sapere. Perchè se fosse diverso, non so se lo sopporterei. - Disse amaramente Castle.
- Credimi Rick e fidati di quello che ti dico. So che ti chiedo tanto, molto più di quello che dovrei e che posso meritarmi. - Non voleva vederlo triste, non dopo quello che avevano vissuto insieme che sembrava la causa, invece, della sua tristezza. - Non voglio che rovini quello che c'è stato tra noi con quel viso triste, perchè se ci ripenso, tutto provo tranne che tristezza. Ti prego Rick...
- Va bene Beckett. Niente tristezza e niente pressioni. Però finisci l'ultimo boccone di pancakes almeno! - Le regalò un sorriso che Kate non capì quanto fosse sincero e quanto si fosse sforzato per farlo. Avrebbe voluto ripetergli in quel momento quello che gli aveva detto prima quando dormiva, ma non trovò il coraggio di dirlo prima di tutto a se stessa, così gli sorrise ri rimando, finendo quanto aveva ancora nel piatto.

Dopo che Rick aveva cucinato per lei, Kate si impose per sistemare lei la cucina, mentre Castle la aspettava sul divano per vedere un film insieme. Lo trovò, invece, intento a scrivere al computer.
Gli si sedette vicino accarezzandogli i capelli.
- Le ultime ore ti hanno ispirato per qualche incontro ravvicinato tra Heat e Rook? 
Rick inviò l’ultima e mail che stava scrivendo, chiuse il portatile e lo mise sul tavolino davanti a loro. La prese e la fece sedere sulle sue gambe, appoggiandosi allo schienale del divano e trascinando lei con se.
- Quello che succede tra di noi, rimane tra di noi. Non lo leggerà mai nessuno. È mio e tuo e basta. - Le disse con voce così seria e profonda che Kate trovò estremamente eccitante - Comunque no, stavo rispondendo al mio editore. Mi ha detto che sono in lizza per vincere un premio.
- Che premio?
- Edgar Award, miglior libro giallo dell’anno. Dice anche che sono tra i favoriti per il miglior scrittore.
- Vedo il tuo ego espandersi per tutti gli Hamptons Richard Castle! Sei contento?
- Se vincessi sì, ovviamente però…
- Però? 
- Però la cerimonia si è sempre svolta a New York, invece quest’anno hanno deciso di farla a Boston, la città natale di Poe.
- E allora?
- Mi hanno chiesto se posso fare già che vado lì un paio di giorni di promozione del libro e partecipare ad un party.
- Qual è il problema Rick?
- Che non mi va di lasciarti per 3 o 4 giorni. Vieni con me?
- Non credo sia una buona idea. Poi tu sarai impegnato ed io non penso che reggerei il ritmo di stare ai party alle promozioni.
- Mi puoi aspettare in hotel, avrai una suite comodissima e la sera staremo insieme.
A Kate fece tenerezza la richiesta di Rick, per come glielo stava chiedendo e per la richiesta in se. Si strinse a lui, a quell’uomo bambino che la stava facendo diventare matta.
- Ehy è il tuo lavoro, è giusto che tu vada. Saranno pochi giorni, dai… 
- Posso sempre dire che vado solo per la cerimonia degli Edgards. In fondo glielo avevo detto che non volevo fare tour promozionali in questo periodo.
- No Rick, è il tuo lavoro. Lo devi fare. 
- Non credo che potrei resistere lontano da te per quattro giorni adesso. Impazzirei. - Castle ispirò profondamente il profumo dei capelli di Kate ed appoggiò la sua testa a quella di lei.
- Ehy, Castle, non puoi diventare triste adesso però… - gli sussurrò Kate dolcemente lasciandogli un bacio sul collo proprio sotto l’orecchio.
- Ho bisogno di una dose massiccia di coccole, adesso. - Disse perentorio.
- Va bene scrittore… - Si accoccolarono sul divano e la tv rimase spenta, perché non ne avevano bisogno per passare il tempo.

Quella notte, per la prima volta, andarono a dormire insieme nella loro camera. Non c’erano stati inviti a rimanere o richieste. Era la normalità delle cose.

 



NOTA: Non ho mai scritto nulla a commento dei vari capitoli, però questa volta mi sento di farlo. Il capitolo precedente e questo sono un po' uno spartiacque nella storia. So che da ora in poi, anche all'interno degli stessi capitoli o tra un capitlo e l'altro, troverete emozioni e pensieri contrastanti da parte dei nostri due protagonisti e questa sarà un po' la cifra più o meno da qui fino alla fine, e questa confusione di pensieri e sentimenti che si mescolano e si alternano non è altro che lo specchio di quello che accade dentro di loro. Spero che sia di vostro gradimento.
Spero di riuscire ad aggiornare sempre con la stessa frequenza, perdonatemi se non sempre ci riuscirò.
Vi ringrazio, Elena

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Capitolo 29
*** VENTINOVE ***


Tornò il sereno sugli Hamptons, il giorno dopo, ed i temporali avevano lasciato un aria decisamente più fresca e godibile. Le temperature si erano abbassate di qualche grado e questo faceva sì che stare in spiaggia e in piscina fosse decisamente più invitante. La ritrovata intimità di coppia aveva reso le loro giornate molto più movimentate e sembrava che avessero l'urgenza di recuperare il tempo perso. Non c'era un momento in cui non si cercassero, anche quando erano più distanti. Sdraiati su due lettini separati, a bordo piscina, allungavano la mano per stringersela, ritrovandosi, dopo poco, ad essere abbracciati e stretti sullo stesso. Anche quando nuotavano finivano per abbracciarsi e baciarsi in acqua, sia che si trovassero al mare o in piscina e più di una volta tra le onde dell'oceano avevano dovuto darsi un contegno ricordandosi di essere in un luogo pubblico, sotto gli occhi di tutti. E finivano a ridere di loro stessi e del loro comportamento da diciottenni sopraffatti dai propri ormoni, tra un bacio e l'altro. 

Poi arrivava il momento in cui la passione si acquietava, Rick si trovava solo e i suoi pensieri non erano più catalizzati su di lei e si trovava a riflettere.  Bastava una piccola cosa per fargli capire che si stava solo autoconvincendo che tutto fosse normale, tutto come prima, ma non era così: una battuta non capita, un gesto d'intesa non corrisposto, un riferimento non colto. Stavano vivendo in una perenne vacanza, mettendo da parte i problemi che avrebbero affrontato una volta tornati a casa. 
Evitavano di parlarne ed il più delle volte che cominciavano lui finiva con un "Ci penseremo quando saremo a casa, godiamoci questi giorni".
Aveva paura più lui di lei di tornare a New York, temeva che fuori da quella bolla protettiva degli Hamptons, tutto quello che avevano accantonato li avrebbe investiti ed obbligati a fare i conti con la realtà e non sapeva se erano ancora abbastanza forti da affrontarla, sia singolarmente che come coppia. Avrebbe voluto prolungare quel soggiorno il più possibile, ormai mancavano pochi giorni alla visita di controllo di Kate, la data di scadenza che si erano dati per tornare a casa, ma le avrebbe chiesto se poi sarebbe voluta tornare lì, in fondo potevano rimanere ancora un po', mancava del tempo prima che lui dovesse andare a Boston e quel tempo potevano trascorrerlo lì negli Hamptons, non glielo avrebbe impedito nessuno, se avessero voluto.
Gli serviva ancora tempo per dare basi più solide al loro nuovo essere coppia che, aveva paura una volta al loft, con la presenza di Martha e Alexis, ne avrebbe risentito, perdendo la loro spontaneità in un momento nel quale non sapeva se erano in grado di sostenere la situazione senza generate malumori che potevano degenerare, conoscendo bene i loro caratteri.

Si era reso conto che anche nell’intimità qualcosa era diverso, essendo comunque sempre fantastico. Era come far l’amore con una persona nuova della quale però conosceva alla perfezione ogni desiderio. All’inizio questa cosa la trovava divertente, perfino eccitante, poi però si rese conto che gli mancava qualcosa che non riusciva a compensare nè con l’eccitazione nè con il divertimento: la complicità. 
Non era un problema fisico, il sesso con lei era sempre splendido e lui sapeva sempre come farle raggiungere l’apice del desiderio, conosceva a memoria tutti i suoi punti più sensibili che rispondevano ai suoi tocchi facendola vibrare di piacere, un piacere che dalle sue reazioni sembrava addirittura amplificato della gravidanza.
I loro corpi si trovavano e riconoscevano come sempre alla perfezione come se fossero stati fatti per congiungersi in una armonia totale. Kate non era mai stata una timida tra le lenzuola e non lo era nemmeno adesso, così come non lo era lui, anche se doveva stare attento a contenersi per evitare di fare male a lei o al bambino.
Erano i particolari, anche qui, che però Rick non trovava, quel modo in cui gli accarezzava la nuca e stuzzicava l’orecchio, come gli parlava quando, trasportata nel vortice del piacere, lo chiamava e gli diceva quanto lo amasse, quei sorrisi complici che non avevano bisogno di spiegazioni a parole, ma che sapevano esattamente cosa nascondessero e cosa avrebbero fatto, come scherzavano dopo, ogni volta, prima di coccolarsi a vicenda.
Quel tarlo che girava nella sua mente che lei non gli avesse ancora mai detto che lo amava, che non aveva mai nemmeno accennato all'idea di indossare la fede di nuovo si fece sempre più grande e si insinuò prepotentemente, al punto di farlo giungere all'amara conclusione che quello che c'era stato tra loro non era mai stato fare l'amore ma solo sesso. 
Sesso splendido e molto soddisfacente, ma solo quello, altrimenti lei glielo avrebbe detto, ma non era stato così.
Ed ecco cosa gli mancava, gli fu infine chiaro e lampante, fare l'amore con sua moglie e questa cosa cominciava a creargli disagio. Si ripeteva che era un discorso stupido, che non poteva pretendere di più adesso e che aveva già tantissimo se ripensava al macigno che lo aveva colpito al risveglio di Kate, ma era un malessere irrazionale che non riusciva a controllare.
Gli mancava la sua voce quando diventava più roca per il piacere che gli diceva "ti amo" mentre lui la faceva sua, e quella che invece glielo diceva dolcemente quasi sussurrandoglielo per invitarlo ad amarla, o quando lo faceva sorridendo ancora stremata dal piacere e rimanevano abbracciati a coccolarsi. Era stato sempre un uomo molto sicuro di se, che non aveva mai bisogno di troppe conferme, anche se al suo immenso ego piaceva essere adulato, ma più passava il tempo più invece gli mancava sentire Kate dirgli quelle due piccole parole che lui le ripeteva sempre: Ti amo.
Non glielo disse e se lo teneva per se. Non voleva caricarla di maggiori preoccupazioni, non voleva che la vedesse come una forzatura che voleva farle, per il timore che questo potesse allontanarla. Faceva finta di nulla, comportandosi come aveva sempre fatto, amandola sempre nello stesso modo, sempre in modi diversi, perché non si stancasse mai di lui e lasciandosi amare, quando voleva essere lei farlo. Nonostante tutta la sua amarezza sopita, non riusciva a fare a meno di lei, in nessun aspetto, nemmeno quello più carnale e questo gli dispiaceva. Con Kate non era mai stato solo sesso. Mai.

E i giorni passavano, conoscendosi e scoprendosi un po’ di più, ma evitando sempre tutto quello che poteva turbare la calma apparente del nuovo equilibrio. Dopo quella breve conversazione mangiando pancakes Castle non le espresse più nessuna sua paura o preoccupazione e Kate non gli chiese più niente, perché era la prima che non avrebbe avuto nessuna riposta a nessuna domanda.
Era l’ultimo sabato sera che avrebbero trascorso agli Hamptons. Il martedì successivo Kate avrebbe dovuto essere in ospedale per le visite di controllo sue e del bambino. Magari, pensava Castle, con un po’ di fortuna avrebbero saputo anche il sesso, ma più di tutto sperava che tutto andasse bene, ne era intimamente convinto, ma aveva bisogno di rassicurazioni, come tutti i padri ansiosi e in lui l’ansia era esponenziale visto tutto quello che avevano passato e che il loro piccolo miracolo era sempre lì, nonostante tutto, ogni giorno un po’ più visibile. Anche Kate negli ultimi giorni aveva cominciato ad agitarsi un po', tanto che Rick le aveva più volte chiesto se si sentisse bene e se volesse anticipare il controllo. 
La razionalità di lei vinse sulle preoccupazioni da futura madre e gli disse che non c'era motivo di spostare la visita: Kate capiva che, tra loro, almeno uno dei due doveva cercare di mantenere un briciolo di ragionevolezza e lucidità ed aveva compreso, soprattutto, che non poteva essere Castle a farlo. 
Kate credeva, in fondo, che quell’istinto materno, che dicono sia innato in ogni donna che sta per diventare madre, le avrebbe detto se ci fosse stato realmente qualcosa di cui preoccuparsi o che non andava. 
Pensava, però, che in lei questo istinto non fosse mai nato e non si era mai sviluppato, visto che inizialmente nemmeno aveva sentito che il suo bambino stava vivendo in lei e che dopo, per molto tempo, tendeva quasi a dimenticarsene, se non fosse stato per quei sintomi fastidiosi: non si dava come attenuante nemmeno la sua situazione. Si condannava senza appello, si era già arrestata, sbattuta nella sala interrogatori e imposta di confessare tutto davanti al suo stesso sguardo tagliente che la incalzava. Sì, lo aveva confessato a se stessa, era colpevole di tutto e meritava di stare in ansia anche solo per aver pensato che poteva disfarsene, ora che quel pensiero le faceva chiudere le stomaco tanto le faceva male. Era già il suo piccolo Castle avvolto nella copertina bianca con l’elefantino, con i capelli uguali a quelli del padre e le stesse facce buffe, il bambino che mangiava il gelato al cioccolato con tanta panna sporcandosi tutto. 
Era così presente nella sua mente adesso e così reale che se ci pensava ancora un po’ si sarebbe anche arrestata per tentato omicidio anche se era stato solo un breve pensiero, tanto bastava, per lei, per giudicarsi colpevole. E meritava di stare in ansia.
Ma quando era sola, sempre più spesso, invece, aveva cominciato a parlargli, come a volergli chiedere scusa per la situazione in cui si sarebbe trovato per causa sua, perché era quasi morto prima ancora che loro sapessero che esisteva, per non averlo considerato o amato dal primo istante come avrebbe meritato. Si scusava se in futuro non sarebbe stata una buona madre per lui e gli chiedeva di perdonarla per tutti gli errori che avrebbe commesso ed era certa che sarebbero stati tanti. Però voleva anche fargli capire che lo amava ed avrebbe fatto di tutto da ora in avanti per proteggerlo, per sempre. Non le importava se non ricordava perché lui era lì, ma c’era ed era diventato la cosa più importante ed almeno su questo avrebbe dovuto crederle e cercare di essere lui un po’ più indulgente con lei di quanto non lo fosse lei stessa.

In quell’ultimo sabato, che era anche il primo sabato di agosto, Rick ricevette un invito per andare ad un party nella villa di Howard Stern. Ci sarebbe stato tutto il jet set newyorkese e non solo, visto che negli ultimi giorni gli Hamptons si erano riempiti di tutti i vip in villeggiatura. Con grande stupore di Castle, Kate gli aveva detto semplicemente “Andiamo!” quando le leggeva l’invito.
Le chiese più volte se fosse sicura, accertandosi che non lo facesse solo per assecondarlo, perchè lui sarebbe stato benissimo anche solo a casa con lei.
Ne era sicura, voleva una serata diversa, in fondo le attenzioni non sarebbero state mica tutte su di loro con tutte le altre celebrità invitate. Con lei c'era Castle, si sarebbe divertita con lui, ovunque, anche in un contesto completamente diverso da quelli che era solita frequentare. Quell'ambiente, invece, era l'habitat naturale per Richard Castle, almeno di quel Richard Castle che era nei suoi ricordi, che usciva da una festa all'altra con il suo sorriso smagliante ed una donna diversa ogni sera sottobraccio. Una smorfia disgustata si disegnò sul suo volto.

>Lo guardò attentamente quella sera mentre si preparava. Come aveva scelto i vestiti, l'elegante completo nero con la camicia bianca indossata lasciando aperti i primi due bottoni così era più informale, come si sistemava i capelli ed ciuffo e si metteva quel profumo che le piaceva tanto. La barba no, non l'aveva fatta. L'aveva lasciata un po' incolta, glielo aveva chiesto lei. Gli piaceva così, meno perfetto, e lui l'aveva accontentata. 
Lo aveva abbracciato stretto ancora in lingerie prima di andarsi a vestire e truccare, non ricordava nemmeno quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che lo aveva fatto.
Non riusciva a dirgli molto a parole, però con i gesti cercava di fargli capire quanto ci tenesse a lui.
- Beckett se mi abbracci così non andremo a nessun party! - sorrise lui nell'accarezzare la sua schiena nuda e lei dopo avergli strappato un bacio andò in bagno a prepararsi.
Quando Kate lo raggiunse al piano inferiore, la prima cosa che Rick notò, mentre lei ancora scendeva le scale, erano le scarpe nere con quei tacchi vertiginosi. Chiuse gli occhi, deglutendo a fatica nella gola diventata improvvisamente secca. Alzò lo sguardo percorrendo il corpo di Kate, le lunghe gambe lasciate scoperte da un abito nero molto corto, con una scollatura a V che metteva in risalto il suo décolleté più florido, raccolto più stretto sotto il seno da un motivo in cristalli lucenti e che scendeva poi morbido fino a metà coscia, nascondendo appena la rotondità del ventre.
Aveva lasciato i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle ed il trucco leggero esaltava i lineamenti resi più dolci dalla gravidanza. Le andò incontro, trovandola con i tacchi, di nuovo a quell'altezza a cui era abituato.
- Sei splendida Kate! - E lei si imbarazzò, come sempre, ogni volta che riceveva i suoi complimenti.

Arrivati alla villa c’erano molti più fotografi ad attenderli di quanti Kate si immaginasse e una volta scesi dall'auto tutti le chiedevano di voltarsi e salutare. Rick la prese sottobraccio, sfoggiò il suo miglior sorriso, le diede un bacio sulla guancia prontamente immortalato dai presenti e poi si diressero all'interno. Cibo, alcool e musica scorrevano in quantità tra l'immenso salone ed il giardino intorno alla piscina. Rick, sempre tenendo Kate vicino a se, andò a salutare il giudice Markway che parlava con il suo amico, il sindaco Weldon.
- Bob, Theo, è un piacere trovarvi qui.
- Ricky, finalmente hai portato la tua signora a respirare un po' di ambiente mondano degli Hamptons! Capitano Beckett, è splendida come sempre, anzi ancora di più!
Le sembrava così strano che il giudice Markway al quale si ricordava di essersi rivolta solo per ricevere qualche mandato firmato la trattasse così familiarmente, ma fece finta di nulla ringraziando e salutando.
- Allora Richard, pensi che stiamo parlando con una futura senatrice? Perché in quel caso poi sarò io a chiederti di sdebitarti per quel favore che mi pare porterà presto dei bellissimi frutti! - disse il sindaco Weldon ridendo e provocando non poco imbarazzo in Kate.
- Bob, credevo di essermi già sdebitato lasciandoti vincere a poker almeno 3 volte! E non sono sicuro che per Beckett, almeno all'inizio, sia stato un grande favore avermi intorno, anzi credo che se avesse potuto ti avrebbe sparato dopo averlo fatto a me!
- A te sicuro Castle! Ma forse il sindaco non sapeva quanto potevi essere assillante, altrimenti non ti avrebbe mai sostenuto! - Kate cercava di essere più sciolta riprendendo la sua consueta sicurezza di se stessa che aveva sempre avuto. Risero tutti, ma Weldon non lasciò cadere il discorso sulla sua possibile candidatura.
- Allora Kate, cosa pensa di fare? Accetterà questa volta la corte serrata del partito per candidarsi?
- Sindaco, ancora nessuno mi ha corteggiato... 
- A parte me ovviamente, io lo faccio sempre! - intervenne Castle dando un bacio sulla guancia di sua moglie
- ... Comunque - riprese Kate - quando e se sarà il momento vedremo. Per adesso voglio solo pensare a quello che accadrà da qui a pochi mesi, più importante di qualsiasi candidatura e poltrona. - disse portandosi una mano sul ventre
- Ma certo Kate, ovviamente, anzi le mie più sentite congratulazioni. Ma si ricordi che hanno molta stima di lei e non sono solo chiacchiere quelle che stanno facendo. Lei sarebbe una figura di rottura nella politica del nostro paese ed è quello di cui ora in molti pensano ci sia bisogno. 
L'attenzione di Markway e Weldon fu poi attirata da un altro gruppo di persone che li salutava. Si congedarono raccomandando ancora a Kate di pensarci seriamente. 
- Sembra che mi vogliano proprio senatrice i tuoi amici! - sorrise Kate
- Fosse per me ti vorrei anche presidente - le rispose Castle baciandola di nuovo.
C'erano anche i colleghi di Castle Conelly e Patterson, la giovane Veronica Roth e Cassandra Clare.  Kate si guardò intorno, poi, stupita nel vedere tanti protagonisti dello showbiz passarle intorno, gente che ricordava di aver visto solo in tv o sui giornali.
- Tutto bene Kate? - le chiese Rick vedendola guardarsi intorno con aria a tratti un po' spaesata mentre lui salutava calorosamente tutti, presentandola ai vari ospiti.
- Sì, è che è ancora tutto così strano...
La fece poi accomodare su uno dei divani all'aperto vicino ad un tavolino basso dove appoggiò dei drink analcolici per entrambi, lei non poteva bere e lui doveva guidare, mentre andava a prendere dal buffet qualcosa per mangiare, mentre lei si sarebbe potuta riposare un po'.
Apprezzava la lounge music di sottofondo e le luci non troppo forti era, tutto sommato, un ambiente piacevole, con invitati eterogenei, anche se alcuni fin troppo esibizionisti, soprattutto molte donne più o meno famose che mettevano in mostra le loro grazie. 
- Detective Beckett! - Si sentì chiamare da una donna vestita di rosso in un vestito troppo stretto che strizzava oltremodo le sue curve. Kate la guardò cercando di capire chi fosse e perchè la conoscesse, ma l’unica cosa che poteva notare era l’eccessivo uso di botox che alterava i lineamenti. Era un volto conosciuto, sicuramente, ma non riusciva a capire dove l’avesse vista.
- Detective, non si ricorda di me? Kristina Coterra ci siamo conosciute qualche anno fa a casa di Richard… 
Kate annuì rimanendo sul vago.
- È riuscita ad accaparrarsi uno dei migliori partiti di New York! Ci hanno provato in tante a mettere un guinzaglio a Richard Castle! Me lo ricordo ancora quella sera quando ci ha interrotti sul suo divano proprio mentre noi stavamo per… mi capisce no? Che situazione imbarazzante! Chi lo avrebbe detto che poi lo avrebbe sedotto proprio lei! 
Beckett cominciava a provare una strana sensazione di fastidio ad immaginarsi quella donna addosso a Rick e quella sua risata acidula e quel tono fintamente amichevole la irritavano profondamente.
Fortunatamente ad interrompere quella conversazione arrivò proprio Castle, con due piatti pieni di cose sfiziose e quando vide la Coterra seduta vicino a Kate, accelerò il passo. Fece in modo di congedare rapidamente la donna, facendole capire educatamente che la sua presenza non era gradita e si sedette al suo posto, vicino a Kate. Le passò un braccio intorno alle spalle avvicinandola a se. Kate si spostò ancora infastidita dalle sensazioni che le aveva lasciato quella breve conversazione con la donna. 
- Che c’è Beckett?
- Quando è che ci ha provato con te quella?
- Eh? - Castle preso in contropiede da quella domanda così diretta di Kate prese tempo
- Mi ha detto che io vi ho interrotto a casa tua.
- Ah… te l’ha detto… 
- Quindi?
- Poco dopo che stavamo insieme. Ma… ma…  fammi spiegare. - Disse prima che lei si alterasse ancora di più - Non dovevamo dire a nessuno che stavamo insieme, eri d’accordo anche tu su questo, dovevamo far finta di essere single! Lei mi ha invitato a cena in diretta tv, ho dovuto accettare, poi si è presentata da me e mi è letteralmente saltata addosso! Ma ti assicuro che non ho fatto nulla e che mi hai già punito prima e perdonato poi per questo!
Kate rise per quelle scuse così particolari di Castle.
- Rick, pensavo che avessi più buongusto che uscire con Madame Botox!
- Ma io volevo uscire solo con te, il mio buongusto è salvo! Non sarai mica arrabbiata?
- No… 
- Sicura?
- Sì… Forse… - Kate si morse il labbro guardando Rick e avvicinandosi di nuovo a lui.
- Forse? - Chiese curioso
- Forse un po’ gelosa. - Lo baciò dolcemente a lungo e poi appoggiò la testa sulla spalla di lui incurante di qualche flash di troppo
- Questo mi piace Beckett. Mi piace molto.
Mangiarono, brindarono con due dita di champagne e ballarono qualche lento a bordo piscina. Per essere la loro prima uscita mondana era andata decisamene bene.

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Capitolo 30
*** TRENTA ***


Mangiarono, brindarono con due dita di champagne e ballarono qualche lento a bordo piscina. Per essere la loro prima uscita mondana era andata decisamene bene.

Tornarono alla villa decisamente sorridenti, dopo essersi concessi ancora una volta ai fotografi mentre aspettavano che il parcheggiatore andasse a riprendere la loro auto dal parcheggio dietro la villa. Per tutto il breve viaggio di ritorno Castle non potè non voltarsi a guardare le lunghe gambe di Kate scoperte sempre di più dal visto che era risalito, accarezzandole in modo molto poco casto. Ripensava agli sguardi di quegli uomini che osservavano sua moglie ai quali lei non aveva fatto caso ma che a lui non erano sfuggiti: lei nella sua semplice bellezza, che niente aveva da invidiare ad attrici e modelle, con quel carico di seducente sensualità fiera che non ostentava, ma era naturale in lei e quella camminata sicura che la faceva ancheggiare appena, senza essere mai volgare, sui tacchi vertiginosi, che slanciavano ancora di più quelle gambe per le quali avrebbero fatto follie anche le top model più quotate. Si sentiva un privilegiato a sapere che quelle gambe erano quelle che si intrecciavano con le sue ogni notte, che circondavano i suoi fianchi quando facevano l’amore, ma si sentì anche tremendamente geloso quando intravide qualche gesto non troppo elegante a commento di sguardi invadenti e sorrisi lascivi da parte di un paio di ragazzi mentre stavano ballando ed in quel momento rivalutò l’usanza del delitto d’onore ed anche quella del burqa. Non glielo avrebbe mai detto. 
Parcheggiò davanti all’entrata di casa e una volta dentro ebbero solo modo di chiudere la porta prima di cercarsi di nuovo con mani vogliose. Non fecero in tempo a salire le scale e ad arrivare in camera, a mala pena raggiunsero il salotto disseminando i loro vestiti che andavano a completare l’arredo di quella casa, sparpagliati per terra o casualmente su qualche mobile. Avevano uguale urgenza in quel momento di amarsi ma ancora di più di appartenersi e così si amarono: intensamente e freneticamente, stringendosi fino quasi a farsi male, nella necessità di aversi fino in fondo. 

Kate si alzò con ancora i segni della passione appena consumata addosso. Le sembrava di vedere la sua pelle ancora modellata dalle mani e dal corpo di Rick e di sentire le sue labbra umide che le percorrevano la pelle. Invece lui era lì, che la guardava mentre lei velocemente recuperò gli slip, indossò la camicia di Castle, in un gesto che ormai le veniva naturale ed uscì a passo veloce dalla villa, attraversando la veranda.
Rick rimase interdetto. Era stupito e non capiva. Pochi istanti prima era lì, tra le sue braccia e dopo si era allontanata senza nessun motivo. Ripensava agli ultimi momenti trascorsi insieme, se avesse fatto o detto qualcosa di sbagliato, ma no, era stato tutto come sempre, bello e intenso, anzi aveva anche sentito una Kate diversa, più emotivamente coinvolta e quello che gli aveva detto un attimo prima che l’acme del piacere arrivasse a portarla via rimbombava ancora nella mente di lui tanto da fargli male: “Sei solo mio Castle”. Non sapeva che era stato proprio questo a spingere Beckett ad allontanarsi prima di cedere, di ammettere quello che non voleva dire, quello che non voleva palesare a se stessa ad alta voce. Pensava di essere una stupida e mentre correva verso il mare gli occhi erano carichi di lacrime di rabbia verso se stessa. Cosa le sarebbe costato, in realtà lasciarsi andare a quei sentimenti che ogni volta erano più prepotenti e che era sempre più difficile trattenere? Ne aveva avuto una prova con quella frase uscita per sbaglio nel momento in cui tutte le sue difese erano abbassate, quando la frase di quella donna al party le era tornata alla mente e con quella l’immagine di lui che stringeva qualcuna che non era lei. E non l’aveva sopportata e glielo aveva detto: era solo suo, però non aveva il coraggio di dire a se stessa e di dire a lui che lo amava, ma non era già quella un’ammissione? Non sarebbe forse stato bellissimo anche per lei riuscire ad essere se stessa, felice, libera di amare quell’uomo che la amava così tanto e del quale non riusciva più a fare a meno? Aveva paura di quel sentimento che in così poco tempo si era impossessato di lei come mai le era successo, che non riusciva a controllare come aveva sempre fatto in ogni sua storia, forse perché, in realtà, non aveva mai amato veramente. Ora era diverso, sentiva un legame con Castle che andava al di là del puro aspetto fisico che era stata solo l’ultima molla che aveva fatto scattare la serratura del suo cuore, che forse però era già aperta, perché altrimenti non sarebbe arrivata tanto in là con lui. Non era sesso, come lui le aveva pregato di dirgli fin da subito ma lei non aveva trovato le parole per spiegare cosa fosse, perché l’unica che poteva spiegarlo non la voleva usare: amore.
Kate aveva paura, una paura irrazionale che non riusciva a controllare, la paura che tutto svanisse, la paura che la attanagliava in continuazione e non le permetteva di vivere liberamente. Quella paura che la faceva mentire, agli altri e a se stessa, che si illudeva la tenesse al sicuro anche al prezzo di ferire chi gli stava intorno e se stessa. Cosa le sarebbe costato si ripeteva e si rispondeva da sola: tutto. 
Non era solo il suo amore a farle paura, era anche quello di Castle, che era sempre stato così totale e sincero. Quell’amore che di solito descrivono nei libri e nelle canzoni, che si vedono nei film, che aveva sempre pensato non esistere e se mai fosse esistito non avrebbe di certo toccati a lei, che non sarebbe mai stata l’oggetto di qualcosa così, non lo avrebbe permesso a nessuno di innamorarsi di lei a tal punto, nè lo avrebbe fatto lei stessa. Illusa ed ingenua. Come si poteva sopravvivere se si perdeva qualcosa del genere? A cosa ci si aggrappava? Poteva essere stata tanto fragile da lasciarsi andare fino a questo punto, a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lei se non avesse avuto più qualcuno a cui affidarsi, lei che per anni aveva solo pensato a costruire un muro dietro il quale ripararsi per non soffrire più?
Si stringeva nella camicia di Castle, respirando nel colletto largo il suo profumo dove era più intenso e si illudeva di essere nel suo abbraccio, ma le mancava il calore. Più si allontanava da lui, più la sua mente lo cercava, più gli era vicino più gli diceva di allontanarsi per non farsi del male. Non aveva messo in conto l’amore. O meglio, non aveva messo in conto che l’amore potesse essere una cosa così e che potesse essere altrettanto grande la paura di perdere tutto, che tutto svanisse, come i suoi ricordi, con i suoi ricordi, o per colpa dei suoi ricordi se fossero ritornati. Dovunque guardava non vedeva via d’uscita, era in un labirinto sigillato ed ogni strada era sbagliata. Voleva essere se stessa e non sapeva più chi era, non sapeva cosa fosse meglio fare, non sapeva andare avanti o tornare indietro ed anche stare ferma le sembrava sbagliato. 

Castle la raggiunse con il fiatone, qualche minuto dopo. Lei era in piedi in riva al mare con i piedi lambiti della acque fredde della notte: c’era solo la luna piena che si rifletteva nell’oceano ad illuminarla e le luci in lontananza della villa. Era arrabbiato e amareggiato. Kate si accorse di lui, dal suo respiro pesante alle sue spalle e dal suo profumo ora diventato più forte. Il vento le agitava i capelli come fossero una bandiera che sventolava fiera e quando alzò la testa al cielo, lasciò che quello stesso vento trascinasse una lacrima lungo il suo viso. 
Lei solo con addosso la sua camicia, lui solo con i pantaloni, erano complementari anche in questo.
- Penso di meritare almeno una spiegazione, che ne dici Kate? Cosa ti ho fatto? Perché sei corsa via? - Il tono aspro di Rick la colpì come una frustata. Lei continuava a guardare in alto, nella parte di cielo più buia dove non c’era nemmeno la luna. Meritava molto di più di una spiegazione e lei lo sapeva bene. 
- Kate! Rispondimi maledizione! Cosa è successo?
Castle aveva temuto per un attimo che avesse avuto qualche altro ricordo, una crisi di panico. Ci poteva essere qualche cosa che era successa in quegli anni che lui non sapeva e che aveva risvegliato in lei qualche brutto ricordo a lui sconosciuto? Qualche esperienza negativa di cui non le aveva mai parlato, magari con qualche altro uomo o peggio… No, no mandò mandò via quei pensieri dalla sua mente, era impossibile, lo avrebbe capito se fosse successo qualcosa del genere, non glielo avrebbe tenuto nascosto, non dopo, non per tutti quegli anni.
La postura del suo corpo non era però quella di quando aveva avuto attacchi di panico, si rannicchiava su se stessa, cercava conforto diventando piccola piccola e non scappava via, ma si paralizzava. Lì, invece, vedendola di spalle con le braccia chiaramente intrecciate davanti, la testa alta a sfidare il vento era regale nella sua sagoma stagliata nel nero della notte, con quei raggi di luna che la facevano risaltare appena tra il mare e la sabbia. Era stata una reazione diversa, una fuga vera e propria da lui, anzi da loro.
Non gli rispose. Il silenzio tra loro era interrotto solo dallo sciabordio delle onde. E nei momenti in cui le onde si ritraevano verso il mare, quando c’era più silenzio, Kate sentiva distintamente il respiro spezzato di Castle dietro di sé. Avrebbe preferito sentirlo arrabbiarsi, ma non reagire così. Si voltò a testa bassa: non resisteva più nella lotta contro se stessa che faceva male ad entrambi ma si vergognava tremendamente per quella stupida fuga. Provò ad avvicinarsi ma lui si ritrasse.
- No Kate. Voglio delle risposte. Le voglio adesso.
Alzò lo sguardo a cercare i suoi occhi, brillavano ma non era desiderio, non era passione. Erano le piccole lacrime che stava cercando di ricacciare indietro, per farle affogare nel mare blu dei suoi occhi, per non dargliela vinta, per non mostrarsi debole, perché lui doveva essere forte. Erano lacrime come le sue che invece le bagnavano il viso, incuranti loro di essere viste, incurante lei di apparire forte.
- Perché piangi Kate? - Le sembrò che il suo tono si fosse già addolcito. Si sentì ancora peggio pensando che bastava così poco per fargli cambiare atteggiamento.
- Ho paura. - La risposta fu sincera ma troppo sintetica per racchiudere tutto quello che aveva dentro.
- Di cosa hai paura? Di me?
- No, non di te. Ti tutto. Anche di noi.
- Non ti capisco Kate. Perchè hai paura di noi?
- Non lo so… - In realtà lo sapeva ma non riusciva a spiegarlo, perché avrebbe voluto dire scoprire tutte le sue carte e non si sentiva pronta. Provò ad avvicinarsi di nuovo e questa volta non la respinse. Appoggiò la testa sul suo petto e lo sentì gelido, sferzato dal vento notturno dell’oceano. Si era appoggiata lì, proprio sopra il suo cuore. Lo sentiva battere veloce, rabbioso, dentro al petto. Era lei la causa di quel tumulto e se ne dispiaceva. Avrebbe voluto parlare a quel cuore, senza che Castle sentisse, chiedergli scusa e ancora del tempo per essere pronta a prendersi cura di lui. Accostò la mano sinistra dall’altra parte del suo petto e non era abituata a sentirlo così freddo, ma Rick sembrava non curarsene. Kate lo sentì poi irrigidirsi.
- Hai freddo? - Gli chiese sentendosi in colpa ritraendosi da lui. Era lei che era uscita con la sua camicia.
- Sì, dentro. - Rispose lui più sferzante del vento. - Io vado a casa.
Non le disse altro, si girò e lo vide allontanarsi nella notte, fino a quando si confuse con il buio che lo avvolgeva.

Le aveva lasciata accesa la luce della veranda. Quando lei entrò, però, la casa era immersa nel buio e nel silenzio. Si aspettava di trovarlo lì, seduto su quel divano dove lo aveva lasciato, come se il tempo in quella notte si fosse fermato, se lei non fosse corsa via e lui avesse ancora il suo sapore sulle labbra da baciare.
Invece lui non c’era e l’unica sua traccia era la luce lampeggiante del notebook lasciato in carica. Non c’era più nemmeno il resto dei loro vestiti sparsi a terra lì dove la passione li aveva trasportati, né quelle scarpe col tacco altissimo che lo avevano fatto impazzire. Aveva cancellato tutte le prove di quello che avevano fatto lì poco prima, non c’era più traccia di quanto era stato,  almeno non nell’apparenza esteriore della casa, ma se lei chiudeva gli occhi gli sembrava di sentire ancora i gemiti e i sospiri ed il profumo di loro.
Salì silenziosamente le scale ed arrivò davanti alla porta di camera. Era socchiusa. Voleva entrare ma temeva che fosse vuota, di non trovarlo lì e non sapeva come avrebbe reagito. La scostò appena ed il profumo di lui le arrivò ancora prima di vederlo. Andò in bagno cercando di fare il meno rumore possibile, per togliersi dai piedi la sabbia e il sale. Si soffermò invece a guardarsi allo specchio. Ancora, alcune volte, si prendeva alla sprovvista da sola e faticava a riconoscersi nei lineamenti di quella donna che era. Si tolse la camicia e sul letto trovò la maglietta che aveva lasciato prima di uscire. Sapeva di buono, sapeva di Castle.
Si sdraiò e nonostante la sua presenza sentì il letto incredibilmente vuoto. Rick non invadeva tutto il suo spazio come faceva di solito, standole vicino, ma era disteso di fianco nel nel lato più lontano e Kate si domandava come facesse uno della sua stazza ad occupare così poco spazio. Pensò di avvicinarsi a lui di accucciarsi addosso alla sua schiena per respirare il suo profumo direttamente dalla fonte, ma non lo fece. Evidentemente voleva che tra loro ci fosse una certa distanza e lo rispettò. Si voltò dalla sua parte per vedere le sue spalle alzarsi in quel movimento impercettibile e costante assecondando il respiro. Si addormentò così e fu convinta di aver dormito molto quando aprì di nuovo gli occhi, ma in realtà non erano passare che un paio d’ore. Era ancora notte, nemmeno rischiarata dal primo bagliore dell’alba. Si voltò per cercare Castle ma lui non c’era. Si tirò su, impossibilitata in quel momento a dormire oltre. Sentiva la testa che le faceva male, pulsante, come dopo una sbronza. Non erano stata di certo colpa delle due dita di champagne a ridurla così. Corse in bagno e vomitò tutto quello che aveva mangiato la sera precedente. Non le sembrò di stare meglio. Aveva ancora quella fitta allo stomaco e quel senso di nausea persistente. Non era il cibo a procurarglielo, era se stessa. “Kate, pensa al bambino, non ti fa bene stare così”. Se lo ripeteva mentalmente, mentre continuava a scusarsi con lui per non essere quella buona madre che avrebbe dovuto essere, che si doveva preoccupare solo di star bene, rilassata ed il suo unico pensiero doveva essere quello di trovargli un nome. Non ci aveva nemmeno mai pensato.
Si sciacquò il viso e si lavò i denti. Si sciacquò il viso ancora, sperando di togliersi quella patina di dolore dal volto. Non servì, però almeno adesso con l’acqua fredda era perfettamente sveglia, nonostante avesse dormito quasi nulla.
Vide la porta della camera dove aveva dormito Rick quando erano arrivati lì. Era chiusa. Si domandò se lui fosse lì dentro, se se ne era andato quando si era accorto della sua presenza. Non voleva saperlo. 
Scese al piano inferiore, voleva farsi qualcosa di caldo, magari avrebbe calmato un po’ il suo stomaco.
Fu attirata, però, dalla luce soffusa della sala: Castle era lì, addormentato con il computer aperto sulle gambe. Si avvicinò e prese il notebook per appoggiarlo sul tavolo, ma spostandolo disattivò lo stand by e apparve un documento di testo scritto fitto fitto. Era il nuovo libro che stava scrivendo. Non resistette alla curiosità, si sedette e cominciò a leggere quelle ultime pagine. Quelle descritte, però, non erano scene d’azione. Non si parlava di intrighi e omicidi. Lesse freneticamente di come Nikki stava lasciando Rook, per il suo bene, perchè seguirla sarebbe stato troppo pericoloso, di come era decisa e ferma, di come non lasciava apparire il suo conflitto interiore nel separarsi da quell’uomo che amava a tal punto che per vederlo al sicuro, preferiva saperlo lontano da lei, che non lo avrebbe mai potuto amare come meritava e non avrebbe mai potuto tenerlo al sicuro dopo quello che era successo. Lesse di tutto il dolore dell’uomo lasciato solo di come non riusciva ad accettare quella decisione e di come non si voleva dare per vinto davanti alla scelta unilaterale di lei, ma allo stesso tempo di come fosse stanco di combattere per lei. Lesse il dolore di Rook per l’abbandono e ci vide il dolore di Castle.
- Cosa stai facendo? - La voce di lui la destò dalla lettura e chiuse immediatamente il computer.
- Io… scusami, non volevo… lo stavo spostando, si è acceso…
- E non hai resistito dal leggere quello che stavo scrivendo. - Completò amaramente la sua frase. Non era la stessa cosa adesso.
Annuì mentre appoggiava l’apparecchio sull’angolo più lontano del divano. Si vergognava tremendamente di essere stata beccata con le mani nella marmellata. Non provava queste sensazioni da quanto? Più o meno da quando suo padre non l’aveva beccata a rientrare a casa ben oltre l’orario concordato e con una gonna molto più corta di quella indossata quando era uscita, ed aveva forse sedici anni.
Rick si stropicciò gli occhi e poi si passò nervosamente le mani nei capelli. Andò in cucina, lasciandola lì a testa bassa incapace di dire nulla.
- Tieni, bevi… Ti farà bene qualcosa di caldo. - Aveva una tazza sotto il naso e la mano di Castle che gliela porgeva, lasciandogli il manico per poterla prendere senza scottarsi. Era del tè verde. Era sempre lui, quello che sapeva di cosa aveva bisogno senza che glielo chiedesse.
- Grazie. - Prese la tazza e se la portò alle labbra prendendone appena un sorso. Era molto dolce, proprio come lo avrebbe voluto, ma non aveva dubbi che fosse così. Si era seduto di nuovo anche lui, aveva appoggiato la sua tazza sul tavolo davanti a loro. 

- Sei stanco anche tu Rick? - Kate ruppe il silenzio che era sceso tra loro di nuovo.
- Ho solo un po' sonno, non ho dormito molto. E anche tu dovresti dormire di più.
- Non importa adesso e non parlavo di me, mi chiedevo se fossi stanco come Rook.
- Rook è stanco? - Non ricordava nemmeno cosa avesse scritto prima di addormentarsi.
- Sì, di combattere per loro.
- Ti preoccupa questo? Perché? 
- Eri distante, mi sono svegliata e non c'eri. Pensavo che...
- Non sono io quello che sono scappato fuori di casa dopo che abbiamo fatto cosa Kate? L'amore, sesso, una scopata, una botta e via? Non lo so nemmeno io. Potevi lasciarmi i soldi sul tavolo già che c'eri prima di uscire. 
Avrebbe preferito sentirlo urlare e sfogarsi e invece Castle diceva tutto quanto con un tono estremamente calmo e tranquillo. Fin troppo. 
Era così che si era sentito? Usato? Non aveva capito nulla di quel fiume di emozioni che scorrevano dentro di lei, di quanto fosse lontano dalla realtà. Kate pensò che, rapito dal piacere, non aveva nemmeno sentito quella frase uscita senza permesso. Appoggiò la tazza anche lei sul tavolo, si alzò di scatto e corse verso il bagno. Era ancora piegata sul water e non si accorse che lui era dietro di lei fino a quando non sentì le sue mani sorreggerla e spostarle i capelli. Era solo in preda agli spasmi, il suo stomaco era vuoto. Si alzò bruscamente, si sciacquò il viso ed uscì. Non meritava il suo sostegno nè la sua compassione. Cominciava appena ad albeggiare e Kate era davanti alla finestra della vetrata. Il mondo ricominciava a prendere colore, l’oscurità stava abbandonando i contorni degli alberi e si cominciava a distinguere lo il mare dal cielo. Lei, invece, si sentiva sempre avvolta dalle sue tenebre, quelle che generavano paure che rendevano il suo comportamento irragionevole e contraddittorio ne pienamente consapevole.
- Dovresti stenderti un po’. Hai preso freddo prima.
- Sto bene Rick. Non ti preoccupare.
- Come faccio a non preoccuparmi Kate?
Sospirarono entrambi. Era una situazione surreale.
Stavano male tutti e due e tutti e due si preoccupavano di come stesse l’altro, ma non si parlavano e non sfogavano quello che avevano dentro. Erano in una situazione di stallo dalla quale non sapevano come uscire. 
Rick pensava che i problemi li avrebbero investiti una volta tornati a New York, invece erano arrivati ben prima, senza che capisse perché, quali erano le paure di Kate che non riusciva a confessarle.
Tornò a sedersi lasciandola lì in piedi a guardare fuori la notte che lasciava il passo al giorno. Si strinse le tempie con le mani. Pensava al tempo trascorso da quando erano arrivati lì. Aveva sperato che la memoria di Kate fosse riaffiorata più rapidamente, invece a parte qualche raro flash non avevano fatto alcun passo avanti. Alcune volte si dimenticava quanto doveva essere difficile per lei vivere così, pensava a quanto invece era andato avanti il loro rapporto in così poco tempo, era convinto che questo fosse perché nel suo inconscio il ricordo di loro doveva essere ancora presente, altrimenti Katherine Beckett non si sarebbe mai esposta così tanto in così poco tempo. Non era come prima, non gli aveva mai detto che l’amava, però aveva fatto tanto altro, non lo poteva negare. Gli era piaciuto la sera prima vederla gelosa di lui e così possessiva mentre facevano l’amore, gli piaceva ancora pensare che fosse quello, anche se a lei aveva detto cose delle quali ora si stava pentendo.
Avrebbero dovuto forse fare un passo indietro e venirsi incontro di nuovo, glielo doveva dire. Ricominciare a camminare passo dopo passo insieme. Si era illuso che tutto fosse più semplice che il sesso avrebbe coperto quelle mancanze che sentiva, invece le aveva amplificate ed anche in lei aveva provocato qualche emozione che l’aveva turbata. 
- Kate… Credo che noi dovremmo fare un passo indietro. 
Lei si voltò a guardarlo. La stava lasciando? Tecnicamente loro erano sposati, ma adesso cosa poteva dire che erano, due che stavano insieme?
- Mi stai lasciando? - Glielo chiese con voce atona, senza lasciar trasparire alcuna emozione.
- Io cosa? No! Kate! No! - Rick fu colto alla sprovvista da quella domanda, come poteva pensarlo? Non aveva capito nulla di lui allora!
- Allora cosa vuol dire fare un passo indietro?
- Vuol dire non correre, almeno per me. Non pensare che sia tutto apposto, perché non lo è. Vuol dire che ci sono ancora molti problemi e forse sarebbe meglio parlarne, perché c’è qualcosa che ti fa stare male e ti turba e se non la risolvi non andremo mai avanti ed io vorrei invece andare ancora molto avanti con te, perché se penso al mio futuro non c’è un’immagine dove tu non ci sei.
Kate tornò a guardare fuori. Non sapeva se quelle parole l’avevano rassicurata oppure no. Castle era tutto quello che aveva nella sua nuova vita, senza di lui non avrebbe avuto niente eppure avere tutto la spaventava in ugual modo.
- Pensi che ce la faremo Rick?
- Ce la dobbiamo fare Kate. Non solo per noi.

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Capitolo 31
*** TRENTUNO ***


- Pensi che ce la faremo Rick?
- Ce la dobbiamo fare Kate. Non solo per noi.

Quello che era nato sarebbe stato, secondo i loro programmi, l’ultimo giorno da trascorrere negli Hamptons. Il giorno dopo sarebbero tornati a New York, di lunedì, per evitare il traffico più intenso del fine week end.
Kate era salita in camera, aveva aperto l’armadio, guardava i suoi vestiti e la valigia sul letto. Dopo quanto accaduto ieri sera, fare i bagagli le sembrava ancora più difficile. Prese il vestito nero che Castle aveva ripiegato e appoggiato sulla sedia e lo mise dentro la valigia. Amava la cura con la quale lui trattava tutto di lei, anche le sue cose, anche un vestito abbandonato per terra e ripiegato con cura. 

Quella notte era rimasta a guardare fuori dalla veranda fino a quando il sole non era sorto. Non aveva più dormito e nemmeno Rick che era rimasto a guardarla seduto nel divano. Non aveva mai sentito così tanta distanza tra loro ed era lei che non riusciva a fare nessun passo per accorciarla.
Esausta di stare in piedi si mise a sedere anche lei sul divano, dalla parte opposta di dove era lui. Bevve un po’ di quel tè ormai freddo, così come fece anche lui, non sapeva se per vera voglia di farlo o per imitare il suo gesto.
- Un tempo all’alba bevevamo caffè con altissimo contenuto di caffeina. - Sorrise Rick guardando la bevanda chiara dal gusto delicato ormai fredda.
- Non mi ci far pensare. Non so che darei per un caffè bollente. - Kate aveva l’acquolina in bocca al solo pensiero chiuse gli occhi e si morse il labbro sospirando.
Castle le fece il primo sorriso dalla sera precedente ed andò in cucina. Lo sentì armeggiare un po’ e poi l’aroma pungente del caffè arrivare piano piano a stuzzicarle le papille gustative. Era una mossa scorretta, pensò. Si era andato a fare un caffè proprio quando lei gli aveva detto che ne aveva voglia.
Tornò, invece con due tazze. 
- Non decaffeinato. Per una volta non ti farà male, lo hai detto tu che quello che fa felice la mamma fa felice il bambino. - Le loro mani si sfiorarono mentre lei prendeva la tazza. Lo prese un sorso, gustandolo lentamente ad occhi chiusi, sporcandosi il labbro superiore con la schiuma leggera. Le sembrò il caffè più buono che avesse mai bevuto in vita sua. Sorrise e quando riaprì gli occhi Castle la fissava pensieroso. Si pulì il labbro con la lingua, in un gesto che poteva essere facilmente frainteso, ma che in quel momento a Rick ispirò solo tenerezza e sorrise anche lui.
- Che c’è Castle? - Gli chiese Kate vedendolo con la mente molto lontano da lì dove erano adesso.
- Mi hai fatto ricordare perché per anni sono venuto ogni mattina al distretto a portarti il caffè.
- Perché?
- Per vederti sorridere. Perché tu sei la persona più incredibile, esasperante, intrigante, snervante che abbia mai conosciuto.
- È la dedica di Frozen Heat.
- Sì, dopo è stato anche quello.
- Immagino che me lo avevi detto, allora.
- Sì, in un momento particolare…
- E lo pensi sempre?
- Certo. Insieme a tante altre cose che non mi faranno mai essere stanco, fino a quando ci sarà anche solo una possibilità.
Castle bevve il suo caffè. Kate solo qualche altro sorso. Non voleva abusarne ed era già felice di aver riassaporato dopo tanto tempo l’aroma pieno di un caffè normale.

Ora si ritrovava lì, con una valigia da fare, dentro la quale non avrebbe dovuto solo mettere i vestiti, ma molto altro da portarsi via in di quei giorni. Aveva creato tanti nuovi ricordi, alcuni splendidi altri meno, ma non c’era stato un momento che, nel bene o nel male, non avesse vissuto con straordinaria intensità.
- Ti disturbo? 
Castle era entrato in camera bussando. Erano molti giorni che non lo faceva più.
- Non è necessario che bussi Rick… 
- Ok… Stai facendo la valigia… Io odio fare le valige, mi mette tristezza.
- Già… - sospirò Kate mentre piegava dei pantaloni per metterli via. Castle le bloccò le mani.
- Mettiti il costume, vestiti, prendi occhiali da sole, solari e vieni con me.
- Vuoi andare in spiaggia?
- No… Ho pensato ad un’altra cosa. Ti piacerà.
- Ma quando… 
- Ora, mentre tu eri qui, mi è venuta un’idea ed ho organizzato una cosa speciale. Dai Beckett non farti pregare.
Castle aveva ritrovato il suo solito fanciullesco entusiasmo. Kate non sapeva se fosse solo una facciata o fosse veramente di buon umore, ma decise di assecondarlo. Si mise il costume un vestito comodo e leggero, prese un cambio e mise nella borsa solari ed asciugamano, insieme ad un cappello ed un foulard.
Andò diretta verso la veranda, per uscire verso il mare, ma Rick la riprese, indirizzandola all’uscita principale. Vide che aveva le chiavi della macchina ed un abbigliamento piuttosto sportivo, con una polo e dei pantaloncini corti.
Guidò per un breve tratto di strada, lasciando poi quella principale e seguendone una più piccola che li condusse ad un piccolo porto privato dove tra le tante piccole barche dei pescatori vi era ormeggiato uno yacht.
- Dai, andiamo! 
Castle la invitò ad uscire dall’auto e a seguirla sull’imbarcazione dove li attendeva Tim, un ragazzo moro alto ed abbronzatissimo, il loro skipper. Salirono a bordo passando oltre la jacuzzi ed i lettini prendisole situati a poppa, Tim li condusse all’interno, mostrandogli la zona pranzo con i divani intorno al tavolo ed il tetto panoramico. Invitò poi Kate a scendere al piano inferiore, dove c’era la zona relax, la cucina e le camere da letto con i bagni il tutto arredato come un hotel di lusso con materiali di prima qualità e dal design moderno ed elegante, ma non troppo impegnativo e formale, con toni chiari e rifiniture metalliche, pellame bianco e molti elementi naturali nelle rifiniture degli arredi. Poi si congedò, dicendo che cominciava le manovre per salpare e la raggiunse Castle mentre lei continuava a guardarsi intorno stupita.
- Castle, non dirmi che è tuo!
- No, l’ho preso solamente a noleggio… Però se ti piace, possiamo pensarci
- Dai Castle non scherzare!
- Non sto scherzando! - Rispose serio - Ce lo possiamo permettere.
- Tu te lo puoi permettere Castle!
- No, noi ce lo possiamo permettere.
- Ok, ok non compreremo nessuno yacht, Rick!
- Per ora Beckett! - Sorrise sapendo che la stava esasperando - Vuoi sapere perché siamo qui?
- Avanti, dillo…
- La scorsa estate abbiamo noleggiato questo yacht per due giorni e a te era piaciuto molto passare del tempo qui, solo io e te. Ho pensato che potesse piacerti ancora, trascorrere un po’ di tempo in mare, insieme. Un nuovo ricordo.
- È molto bello, veramente.
- Puoi rilassarti fuori, prendere il sole o stare all’ombra rilassarti qui dentro, come vuoi tu. Ho fatto preparare per mangiare a bordo, ma se preferisci possiamo anche scendere e cercare un ristorante da qualche parte.
- A bordo va benissimo.
- Ok… Allora lo vado a dire a Tim… - Rick fece per uscire quando Kate lo richiamò.
- Castle…Grazie, per tutto.
- È un piacere Kate. Sempre.

Uscì fuori ed avevano già preso il largo. Trovò Rick a prua, in piedi sulla punta appoggiato alla balausta.
- Ehy, scruti l’oceano?
- Già… - Le rispose continuando a guardare dritto davanti a se, dove non si vedeva altro che cielo e mare.
- Sei molto serio.
- Stavo solo pensando.
- A quello che è successo stanotte? - La voce di Kate era preoccupata, non aveva voglia di affrontare nuove discussioni ma nemmeno di vedere Rick di malumore tutto il giorno in barca, dopo che era stato lui a proporle quell’uscita.
- In realtà no, pensavo ai viaggi transatlantici, a chi vedeva solo questo per giorni e giorni, mare e cielo, mare e cielo e nient’altro. A quanto lasciavano a casa per andare verso l’ignoto, quanto coraggio e disperazione dovevano avere. Magari molti non erano mai usciti dal proprio villaggio fatto di poche anime e sarebbero sbarcati a New York. Pensa quanti pensieri, sogni e speranze hanno affidato ad ogni onda che incontravano. Quante lacrime ha raccolto l’oceano per quelli che lasciavano a casa e forse non avrebbero mai più visto.
La sua fervida fantasia di scrittore che correva veloce lo aveva portato ad immaginare volti di uomini e donne e le loro storie appena furono partiti e vide in lontananza il porto della Southampton di Long Island pensando ad un altra Southampton, più lontana al di là dell’Atlantico, dalla quale in tanti salparono alla volta degli Stati Uniti.
Kate si appoggiò alla sua spalla. Quello che veniva fuori in queste occasioni era un Castle così diverso dall’immagine che aveva sempre avuto nella sua mente del playboy frivolo. Certo aveva avuto modo di conoscerlo e di vedere che non era affatto così, ma riusciva a sorprenderla ancora con queste riflessioni così lontane dal modo in cui veniva raccontato dagli altri ma anche da se stesso. Rick le cinse il fianco stringendola di più a se. Potevano guardare il mare verso l’infinito insieme. Affidavano anche loro alle onde sogni e speranze.
- Perché sei sempre voluto apparire così diverso da quello quello che sei?
- Cioè? Come voglio apparire?
- Superficiale, egoista, egocentrico, viziato… - Rick fece una risata che interruppe il flusso di "complimenti" di Kate.
- Sono anche quello. Quando serve sono superficiale, sono sicuramente molto viziato ed anche molto egocentrico. Ed egoista beh, alcune volte lo sono stato e forse lo sono ancora.
- Io non credo che tu sia egoista, anzi, sei forse una delle persone più altruiste e generose che ho conosciuto.
- Il confine tra l’egoismo e l’altruismo spesso è labile. Stai pensando a come mi comporto con te vero?
- Sì, ma non solo, anche quello che hai fatto per Robert Bryan e suo figlio, non è da tutti.
- Ho aiutato Robert Bryan perché la sua storia in quel momento mi ha colpito molto, mi sono sentito fortunato a non aver passato quello che stava passando lui, un modo per sdebitarmi in minima parte con il fato benevolo. Quello che faccio per te, invece, ti può sembrare altruista, ma non lo è. Non lo faccio per te, lo faccio per me. È brutto dirlo vero? Ma io non posso farne a meno, forse se fossi realmente più altruista ti lascerei vivere la tua vita, i tuoi spazi, decidere da sola cosa essere e cosa no, invece di importi una vita che non ricordi senza sapere nemmeno se la vuoi.
- Allora sono contenta che sei stato tanto egoista da farmi conoscere quello che voglio. 
- Ne sei sicura?
- Sì. Assolutamente.
- Bene.

Kate cominciava a risentire della notte passata per lo più in bianco e si sdraiò sul prendisole a prua, addormentandosi dopo poco. Rick si voltò ed ora invece che il mare osservava lei. La trovava sempre adorabile quando dormiva e non poteva fare a meno di sorridere. Il sole era alto e caldo. Notò come il grande foulard che aveva indossato a mo di pareo le lasciava in realtà scoperto gran parte del corpo, coprendole solo l’addome e parte della schiena. Pensò che così si sarebbe ben presto scottata. Frugò un po’ nella sua borsa per cercare la crema solare, non senza qualche imbarazzo nel mettere le mani tra le sue cose.
Si sedette vicino a lei che dormiva sdraiata su un fianco, si versò un po’ di lozione sulle mani e cominciò a spalmargliela delicatamente sulle braccia. Sapeva che l’avrebbe svegliata, ma non voleva che si bruciasse. Kate si mosse un po’, poi evidentemente apprezzando il massaggio mugugnò muovendosi appena e facendo sorridere molto Rick per le smorfie che faceva. Quando dalle braccia passò alla schiena Kate aprì un po’ gli occhi e lo guardò incuriosita da quello che stava facendo.
- Non voglio passare la serata a farti impacchi calmanti con il tè verde - le disse 
- Sicuramente è meglio che berlo… - protestò lei
- Vero, ma comunque è meglio che non ti scotti.
Si tirò su e Rick mettendosi ancora un po’ di crema sulle mani, la spalmò sulle lunghe gambe. Era molto concentrato nel cercare di coprire ogni centimetro di pelle con una generosa dose di solare. Kate, invece, lo guardava sorridendo quando le sue carezze arrivarono nell’interno coscia, ma lui sembrava non avere nessun secondo fine se non quello di assicurarsi che non le venisse un eritema solare. La fece mettere bene seduta e tornò ad occuparsi della schiena e delle spalle, poi mentre lei si convinse a metterla anche sul viso, lui la spalmò sul suo décolleté.
- Castle… 
- Dimmi!
- Hai finito?
- Quasi, perché?
- Indovina…
Castle sorrise sornione.
- Fatto! - Le disse soddisfatto infine.
- Ok, adesso togliti quella maglia che tocca a te.
Rick rimase seduto sul prendi sole a torso nudo e Kate si mise in ginocchio dietro di lui, cominciando il suo stesso dolce supplizio, massaggiandogli le ampie spalle e scendendo fino all’elastico dei pantaloncini, con tocchi volutamente provocanti per restituirgli quanto fatto prima da lui, per poi risalire e scendere dalle spalle fino ai pettorali. Lo invitò a voltarsi e si mise anche lui in ginocchio difronte a Kate, che riprese subito il suo massaggio con la stessa cura che aveva messo lui prima, accarezzandogli tutto l’ampio petto e le braccia. Raccolse infine un ricciolo di crema e gliela mise sul naso facendogli un puntino bianco che la fece sorridere mentre lui si imbronciava. Gli allacciò le braccia intorno al collo dandogli un bacio sfuggevole vicino alle labbra poi lo si appoggiò con la testa sulla sua spalla abbracciandolo. Aveva bisogno di un po’ del suo calore. Gli dava dei piccoli baci sul collo, senza alcuna malizia adesso, voleva solo un po’ di affetto.
Castle strinse le braccia su di lei coprendole con le mani quasi interamente la parte di schiena scoperta. Era più forte di lui, non riusciva a tenere il punto, per quanto si fosse imposto di mantenere le distanze non ci riuscì e la strinse ancora più forte. Era Kate, era sua moglie. 

Tim tossì per richiamare la loro attenzione e Kate controvoglia si sciolse dall’abbraccio di Rick: li stava avvisando che il pranzo era pronto. Si alzarono indolenziti, erano rimasti abbracciati più di quanto pensassero. Mangiarono in un silenzio imbarazzante, non erano ancora pronti per parlarsi. Castle sapeva che quello non poteva essere il modo per affrontare la situazione, già in passato avevano evitato di parlare e questo aveva creato solo maggiori incomprensioni, però ora capiva che non era il momento, era ancora presto, così fece quello che per lui era un grande sforzo, non parlare, anche se ultimamente gli capitava fin troppo spesso. Ripresero la navigazione per arrivare fino a Montauk, la punta più ad est degli Hamptons. Cullati dal beccheggiare costante dello yacht che si muoveva rapido con il vento che mitigava la temperatura, si sdraiarono, questa volta entrambi, sul prendisole e in breve tempo, nell’inconscio del sonno, dove la ragione nulla poteva imporre, si avvicinarono sempre di più, fino a dormire abbracciati, come era naturale, per loro, che fosse.
Arrivati davanti Turtle Hill, dove si trova il grande vecchio faro a pianta ottagonale, uno dei più antichi di tutti gli Stati Uniti, Tim fermò i motori per far sì che gli ospiti si godessero il panorama. Rick e Kate si svegliarono non appena furono fermi sorridendo nel ritrovarsi abbracciati senza averlo voluto: faceva piacere ad entrambi, anche se non se lo dissero. Si alzarono andando sulla punta di prua osservando il paesaggio, le onde che si infrangevano sui frangiflutti sotto il faro spruzzavano anche le persone che erano lì vicino. Era tutto estremamente tranquillo, nonostante la spiaggia adiacente brulicasse di gente.
- Ti sei riposata? - Chiese Castle premuroso
- Sì, ho dormito molto bene.
- Anche io.
- Avevo il cuscino più comodo… - Si strinse a lui che non le negò il suo abbraccio. Fece un cenno a Tim sul ponte superiore e ripresero il viaggio tornando indietro. Vedevano davanti a loro il sole che si avvicinava al mare, facendo il cielo man mano più rosato. Arrivarono al porto poco prima del tramonto.

Stavano tornando alla loro auto quando Castle fece voltare Kate verso il mare e gli indicò lo yacht.
- Hai visto come si chiama? - Le chiese con quel viso e quel tono di voce che non lasciavano intendere nulla di buono. Stava per fare una delle cose alla Castle, Kate lo aveva già capito.
- No...
- Leggi.
- Caskett? - Chiese sbarrando gli occhi. Rick annuì sorridendo estremamente soddisfatto.
- Non è quello che penso, vero Castle? - Kate già sapeva che era esattamente quello che pensava, era solo una domanda retorica. 
- Non so cosa stai pensando Beckett! - Rispose con voce fintamente angelica.
- Caskett. Castle. Beckett. - Disse decisa.
- Uhm sì... 
- Mi preso in giro per tutto il giorno! - Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, ma solo perchè non aveva con se la sua pistola e in questo momento le mancava tantissimo.
- No, cioè non proprio... È una lunga storia... Posso spiegarti tutto! 
- Sentiamo. - Kate a braccia conserte picchiettava con le dita sulle sue stesse braccia.
- Ecco... Lo scorso anno siamo veramente venuti su questa barca due giorni e ti era piaciuta molto anche se era un pochino diversa e con un nome molto meno bello... 
- Continua Castle e trova una storia convincente! - Gli parlava come se lui fosse seduto nella sua stanza degli interrogatori e dovesse trovare un alibi per il delitto appena scoperto. Castle trovava tutto questo estremamente divertente.
- A fine estate ho saputo che il proprietario l'aveva messa in vendita, così ho pensato di comprarla, avrei voluto fartela vedere per il nostro anniversario di matrimonio. Poi le cose sono andate diversamente, così nel frattempo ho deciso di farla ristrutturare e metterci delle cose in più che potevano piacerci, come l'idromassaggio, ho fatto rifare gli interni delle camere e della zona relax ed anche il prendisole esterno. Doveva essere pronta per l'inizio dell'estate poi con quello che è successo non ho seguito molto il progetto ci sono stati dei ritardi... Ma stamattina mi hanno telefonato che ieri l'avevano ormeggiata al porto ed era pronta. Così non ho resistito. 
- Perché non me l'hai detto subito?
- Ehm... Volevo vedere prima se ti piaceva, come reagivi... 
- Non c'è bisogno di comprare una barca solo perché ti ho detto che mi piace, Castle. Penso che un anno fa ti avrei detto la stessa cosa.
- Sì avresti detto la stessa cosa. Ed io ti avrei risposto "Perché no, Beckett?". Ora invece so perché c'è bisogno. Perché non si sa mai la vita cosa ci riserva e, se possiamo, non dobbiamo evitare di fare le cose che ci rendono felici, perché non sappiamo se avremo la possibilità di farle ancora in futuro. Probabilmente se avessi saputo quello che sarebbe successo tra noi, ti avrei portato a far vedere lo yacht il giorno stesso che ho firmato il contratto, così dopo avermi fatto la predica avresti sorriso felice ed avremmo festeggiato a bordo nel migliore dei modi.
- Rick…
- Dimmi. - Si stava già preparando mentalmente ad un altro rimprovero.
- Pensi sia possibile dopo la visita, passare un paio di giorni sullo yacht?
- Certo che lo è!
Castle sorrise felice e Kate si avvicinò a lui, baciandolo teneramente sulle labbra prendendolo alla sprovvista.
- Non dobbiamo evitare di fare le cose che ci rendono felici. - Gli sussurrò all’orecchio e lasciandolo lì impalato si voltò e andò verso loro auto.

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Capitolo 32
*** TRENTADUE ***


New York li avvolse con la sua afa ed il suo caldo insopportabile, tanto che l’idea di tornare negli Hamptons non gli sembrò solamente buona, ma necessaria. Sembrava che il loro fisico non fosse più abituato a sopportare quella calura mescolata con lo smog cittadino che rendeva l’aria difficile da respirare in quei giorni di caldo veramente sopra la media. Kate soprattutto lo stava accusando particolarmente, ma era normale visto il suo stato, così aveva letto, essere più sensibili alle alte temperature. Tutto questo solo per essere passati dal parcheggio, senza nemmeno andare in giro.
L’aria condizionata che li accolse appena messo piede dentro il loft gli fece tirare un sospiro di sollievo. Rick andò subito a posare le valige con le poche cose che avevano riportato a casa nella loro camera, mentre Kate prendeva dell’acqua fresca. Era estremamente assetata.
- Katherine, tesoro! - Martha fece il suo ingresso scendendo le scale come una vera diva, anche con quelle temperature così alte per stare in casa non rinunciava alle sue vestaglie drappeggiate e piumate. 
- Ciao Martha! - Kate la salutò calorosamente
- Che bello rivederti! Mi era sembrato di aver sentito aprire la porta. Ma Richard dov’è? 
- Madre! Sono in camera, tranquilla non mi sono perso negli Hamptons!
- Allora mia cara, raccontami, come è andato questo soggiorno al mare?
- Bene, Martha, molto bene.
- Hai…
- No. Solo qualche situazione, nulla di più - Kate la interruppe subito. Non aveva molto voglia di parlare dei suoi non progressi in quel campo. Non aveva ancora fatto in tempo ad entrare e cambiarsi che già aveva ricevuto la prima domanda, se fosse continuata così per ogni persona che conosceva, sarebbe uscita fuori di testa.
- E con Richard? - Chiese ancora l’attrice con tono divertito ed impertinente
- Con me va tutto benissimo, grazie del tuo interessamento mamma! - Rick era uscito da camera ed aveva raggiunto Kate, cingendole la vita, avvicinandola a se e dandole un bacio sulla guancia, in un gesto che era eloquente e che sperava servisse a mettere a tacere sua madre, anche se ci sperava poco.
- Oh che bello sono molto contenta per voi! - Martha batteva le mani con enfasi a sottolineare la sua gioia che Rick però dovette interrompere subito prima che la situazione potesse degenerare
- Ora madre, ci permetti di cambiarci e rilassarci un attimo senza farci il terzo grado?
- Ma certo ragazzi! Voi mi raccomando fate come se io non ci fossi! - Disse mentre saliva al piano di sopra
- Sì, mamma, farò anche finta di essere a casa mia! - Rispose Castle ridendo

- Ehy, scusami per mia madre. Sa essere sempre decisamente inopportuna.
- No, Rick, figurati. Non è lei il problema, è che penso che la stessa domanda me la faranno tutti, poi tutti chiederanno di noi, poi del bambino… Se ci penso mi viene la nausea.
Erano in camera e Castle stava sistemando le loro cose, mentre Kate era in bagno che si rinfrescava.
- Eri seria quando mi hai chiesto di stare qualche giorno sullo yacht? - Le chiese tornata in camera
- Sì, se ti va, ovviamente.
- Siamo d’accordo, allora. Mi organizzo con Tim e giovedì mattina salpiamo, che ne dici?
- Fantastico! - Gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia provocando un rumoroso schiocco poi si sdraiò sul letto e lui la raggiunse, sdraiandosi vicino a lei. Le prese una ciocca di capelli e cominciò a giochicchiarci, arrotolandosela su un dito e poi lasciandola andare, ripetendo il gesto all’infinito.
- È bello essere di nuovo qui, con te. Negli Hamptons abbiamo condiviso tanti bei momenti, ma qui è diverso, qui è casa nostra. - La vide assente, come se fosse persa in un mondo molto lontano da lui. - Ehy, mi hai sentito Kate?
Si voltò a guardarlo, in realtà no, non aveva sentito nulla e lui lo capì da come lo guardava spaesata.
- Cosa succede Kate? 
Rick, intento a guardarla e a giocare con i suoi capelli, non aveva notato i movimenti di Kate che si stava teneramente accarezzando la pancia.
- Nulla… pensavo…
- A qualcosa di bello o di brutto?
- Di bello. A lui… Domani lo vedremo di nuovo. - Il volto le si aprì in un meraviglioso sorriso. Uno di quelli che di solito dedicava solo a Castle, ma che adesso anche lui sapeva che avrebbe dovuto dividerli con qualcun altro.
- Sì, sei felice?
- Non vedo l’ora…
- Nemmeno io. Poi se siamo fortunati domani potremo sapere se ho ragione io ed è una mini Beckett!

Rick stava preparando la cena quando Martha invase la cucina cercando una bottiglia di quel vino bianco che le piaceva tanto. 
- Madre, Alexis?
- Oh tesoro la tua bambina è uscita con Dustin - disse soddisfatta per aver trovato quel Gewurztraminer ideale per il suo aperitivo.
- E chi sarebbe questo Dustin? - Castle tagliò la carota con maggior veemenza, immaginandoci sopra la scritta DUSTIN.
- È un nuovo amico di Alexis. - Martha rispose con estrema leggerezza gesticolando con il calice in mano.
- Amico in che senso? - Proseguì Rick affettando le verdure ree di chiamarsi tutte Dustin.
- Amico nel senso che può essere un ragazzo per una ragazza dell’età di tua figlia, tesoro!
- Mamma! - Esclamò lo scrittore in un attacco di gelosia paterna
- Richard, ti devo ricordare cosa hai fatto tu all’età di Alexis?
- No, mamma non c’è bisogno! È proprio per questo vorrei sapere chi è questo Dustin!
- Tesoro, tua figlia è molto più responsabile e matura di te, non a 22 anni, anche adesso, quindi finiscila di fare il bambino!
Kate aveva assistito dal divano a tutta la scena sorridendo mentre sfogliava una rivista senza prestare alcuna attenzione. Le piaceva quel Castle papà premuroso e apprensivo per la sua “bambina” anche se Alexis era ormai una giovane donna e pensava che sarebbe stato un ottimo padre anche per il loro bambino, che nascondeva dietro il suo lato di amico e compagno di giochi, un’indole molto protettiva ed attenta.

Dopo aver cenato rimasero ancora un po’ a chiacchierare sul divano, davanti ad un film che nessuno stava seguendo. Martha li riempì di domande, voleva sapere tutto quello che avevano fatto negli Hamptons, se Rick l’aveva portata in tutti quei posti molto chic che conosceva, rimanendo scioccata del fatto che tranne una sera non avessero mai fatto vita mondana. Così aveva cominciato con una serie di frasi di che cominciavano tutte con “Ai miei tempi…” e “Quando io ero giovane…” dicendogli che non sapevano proprio più godersi la vita, loro giovani d’oggi. A poco valsero i discorsi di Rick che gli ricordava come lui avesse sicuramente frequentato negli anni passati una quantità di feste e party per riempire almeno due vite di chiunque e Kate nel vedere madre e figlio battibeccare si divertì moltissimo, tenendosi fuori da quella discussione che la vedeva proiettata in un mondo completamente diverso dal suo e così lontano. Rick e Kate tacitamente, aspettavano che Martha andasse a dormire per poter andare anche loro senza essere sommersi dalle battute e altre domande dell’attrice, ma lei pareva della stessa idea: avrebbe aspettato che loro si fossero ritirati per andare a dormire. Quando si alzò per prendere dell’altro vino, Rick la richiamò chiedendole se non fosse giunta per lei l’ora di andare a dormire.
- Non essere sciocco Richard, la notte per me è ancora giovane e c’è ancora molto vino in quella bottiglia! Voi piuttosto, dopo il viaggio sarete stanchi
- In effetti io sono un po’ stanca. Buonanotte Martha - intervenne Kate alzandosi dal divano
- Sì, anche io. A domani madre - Le fece eco Rick.
- Bene, allora buonanotte ragazzi! - Li salutò sorseggiando il vino
Castle per non darla vinta a sua madre e non mettere in imbarazzo Kate, le lanciò uno sguardo rammaricato e poi si avvicinò alle scale, ma Kate scosse la testa e prese la sua mano, il tutto sotto lo sguardo soddisfatto dell’attrice. Si guardarono per un attimo e lei gli annuì solamente e poi insieme andarono nella loro camera, mentre sul viso di Martha compariva un sorriso molto soddisfatto.

Rick chiuse la porta alle loro spalle tirando un sospiro di sollievo per aver messo della distanza tra loro e le domande di Martha.
- Non avrebbe finito più, credo. - Disse Kate ridendo per giustificare la sua presa di posizione - Ti dispiace che l’abbia fatto?
- No, anzi, sono felice. Solo non volevo forzarti a farlo.
- Hai una delle tue magliette da darmi? - Gli chiese mentre si spogliava ormai con estrema naturalezza davanti a lui.
Se Rick pensava al fatto che poco tempo prima aveva paura anche a farsi vedere in costume, gli sembrava impossibile che si fosse lasciata andare così tanto. Certo, tra loro c’era stato anche tanto altro e si sentiva uno stupido per averle detto certe cose in un momento di crisi. Era vero, dovevano essere più calmi, fare un passo indietro soprattutto in quello che pretendevano l’uno dall’altra, ma questo non voleva dire, come avevano fatto in quei giorni, che dovevano necessariamente stare sempre distanti, evitando quasi di sfiorarsi, tanta era la tensione tra loro e sentiva che era una sofferenza per entrambi. Prese una delle sue tshirt dall’armadio e gliela passò. La osservava indossarla e la trovava sensuale anche quando non faceva nulla per essere provocante. Quando Kate si voltò per andare in bagno, Rick allungò le braccia e la cinse prima che lei si potesse muovere. Erano stati giorni senza riuscire a staccarsi le mani di dosso, cercandosi e prendendosi negli Hamptons in ogni occasione e modo, senza pudori e senza riserve, ma dopo quella discussione sembravano imbarazzati anche a sfiorarsi. Fece aderire la schiena di Kate al suo petto, abbracciandola ancora più stretta, rendendole impossibile spostarsi. Ispirò il profumo dei suoi capelli e poi piegò la testa per sentire quello della sua pelle. Prese il lobo dell’orecchio tra le sue labbra, provocandole un fremito e poi scese a baciarle il collo. Sentì il respiro accelerato di Kate le diede un ultimo bacio e poi si fermò, tenendola solo stretta a lui, con la testa appoggiata sulla sua spalla. Adorava tenerla tra le sue braccia, forse più di ogni altra cosa. Ripensava a cosa lei gli aveva detto in quella notte che ruppe il loro precario equilibrio. Avrebbe voluto risponderle in mille modi, anche adesso cercava il modo migliore per farlo. Allentò un po’ la presa e la fece voltare, per guardarla negli occhi, erano carichi di desiderio e paura, come i suoi. Aprì qualche bottone della sua camicia, poi prendendo la mano di Kate la portò sotto, a toccare la pelle calda del suo torace: lei aveva le dita fredde ed insieme al suo tocco guidato da lui stesso, Rick sentì la sua pelle vibrare. La mise sul suo cuore tenendola ferma sotto la sua.

- È solo tuo Kate. Lo è da sempre. Lo sarà per sempre.
- Scusami Rick… Ti meriteresti molto di più, lo so.
Castle fece scivolare un dito sulla sua bocca, che poi baciò dolcemente: un tenero lungo bacio senza nessun secondo fine. Dormirono tutta la notte abbracciati nel loro letto, sentendo di non essere ancora loro, non potendo fare a meno, però, di esserlo.

Quando arrivarono in ospedale Kate era convinta che, come prima cosa, sarebbe andata dal suo ginecologo, invece vollero subito accertarsi del suo stato di salute. Le confermarono che a livello fisico il suo decorso post operatorio era praticamente concluso, doveva solo continuare a prestare attenzione alle normali attività fisiche, anche per via della sua gravidanza, ma per il resto poteva gradatamente ricominciare a fare tutto, anche a lavorare se se la sentiva. La risonanza alla testa confermò, anche a distanza di tempo dal precedente esame, l'assenza di lesioni, quindi la sua amnesia era da ricondursi esclusivamente ad un fattore psichico: non sapeva se prendere la notizia come positiva o meno. 
Andarono quindi dal dottor Yedlin che li aspettava con il suo solito sorriso rassicurante. Ormai conoscevano la prassi, le solite domande sul suo stato di salute e poi venne il momento che più attendevano. Il dottore gli chiese se volevano sapere il sesso ed entrambi risposero di sì. Ecco che nel monitor apparve il loro bambino. Si teneva il dito in bocca e si muoveva repentinamente anche se i suoi movimenti erano impercettibili per Kate. 
- La vostra bambina è molto attiva - disse il dottore - penso che tra poco se non si calmerà non le darà tregua Kate!
- Bambina? Ha detto bambina? - lo incalzò Castle
- Sì, posso dirvi pressoché con assoluta certezza che è una bambina.
Kate rimase sotto shock per alcuni secondi mentre Rick continuava a ripeterle che aveva ragione lui. Continuò a fissare il monitor riformulando all'istante ogni pensiero che aveva avuto sul suo bambino: era una bambina e sembrò che la sua mente si abituò all'idea prima di lei stessa, rimandandole adesso un'immagine femminile in ogni pensiero che la riguardava. Sorrise a quel monitor dove la sua bambina si muoveva irrequieta. "È tutta il papà" pensò prima di chiudere gli occhi per un attimo per rilassarsi con il battito del cuore di sua figlia
- Ciao piccola mia. - disse appena riaprì gli occhi e la vide nello schermo.
Gli occhi di Rick si riempirono di lacrime nel sentire Kate parlare alla loro bambina e tutta la sua euforia per aver saputo che era una femmina lasciò solo spazio alla commozione.
- Hey, avevi ragione tu! - si voltò per accarezzare il viso che non riusciva nemmeno a scherzare come il suo solito. Annuì e sorrise, non poté fare altro.
- Kate - disse il dottore - la bambina sta molto bene, aspetto i risultati delle analisi di questa mattina, ma a vederla non ci sono problemi. Tra un paio di settimane potrebbe cominciare a sentire i primi movimenti, ma se non dovesse succedere non si preoccupi, alla prima gravidanza può accadere di sentirli più tardi.
Kate annuì. Non vedeva l'ora di poter sentire la sua piccola muoversi. Si rivestì e si sedette con Castle alla scrivania del dottore che stava aggiornando la sua scheda. 
- Bene, direi che possiamo adesso anche sapere con una buona approssimazione la data del parto, che dovrebbe essere intorno al 12 gennaio. Se non c'è niente di nuovo ci vediamo tra un mese Kate.
- Spero di non vederci prima allora! - sorrise Kate ancora emozionata.
Uscì dallo studio tenendosi stretta al braccio di Castle, non meno emozionato di lei. 
- È una bambina Rick! - gli disse con gli occhi lucidi una volta saliti in auto.
- Ti vorrei ricordare che io lo dico da tempo, da quando ho parlato con Mini Beckett! - aveva riacquistato parte della sua spavalderia, anche se la voce nascondeva ancora la sua emozione non scemata - sei felice Kate?
- Sarei stata felice in ogni caso, ma adesso è... Non lo so, non ho parole... È lei. Non è più qualcosa di indefinito. È lei. Sai, io in realtà lo avevo sempre immaginato come un bambino, però da quando il dottore ha detto che è femmina è stato un attimo ed è diventata così reale, bambina, in ogni mio pensiero. - Aveva ancora un po' di pudore a fare certe confessioni a Rick, ma aveva bisogno di parlarne con qualcuno e chi meglio di lui per questo? Erano fermi in auto nel parcheggio dell'ospedale e parlavano della loro bambina, per Rick era tutto assolutamente splendido. 
- Dovremmo parlare di molte cose adesso. Pensare al suo nome, come fare la sua camera... 
- Piano Rick, con calma. Non nascerà prima di 5 mesi! C'è tempo! 
- Meno di quanto pensi Beckett per tutto quello che dovremo fare. Dobbiamo comprare tutti i vestiti, tutto quello di cui ha bisogno! 
- Va bene Rick, andremo a comprare un vestitino, uno solo per adesso, ok?
- Tre Kate. Tre è il numero perfetto.
- Uno Castle!
- Tre. Andiamo adesso?
Kate annuì rassegnata. Non le avrebbe dato tregua. Alla fine uscirono con due buste di vestiti e tutine da neonata ed anche un piumone a sacco per quando sarebbero uscite dall'ospedale. Anche Kate alla fine si era lasciata prendere la mano e si era divertita a scegliere tra l'infinita varietà di abiti per neonati più di quanto pensasse o volesse ammettere e non credeva che esistessero tante cose per i bambini quante ne aveva viste quel giorno. Rick era molto soddisfatto di tutti i loro acquisti, in particolar modo di una tutina sulla quale aveva fatto ricamare al momento la scritta "Baby Caskett" sul bavaglino coordinato, senza che Kate se ne accorgesse, sghignazzava pensando alla faccia che avrebbe fatto Kate quando l'avrebbe vista a casa. 

Ritornarono a casa ed il loft era vuoto. Andarono in camera e Rick mise nella cabina armadio le buste con tutto quello che avevano comprato.
- Kate, che ne dici se domenica invitiamo tutti negli Hamptons?
- Tutti chi?
- Tuo madre, mia madre, Alexis, i ragazzi, Lanie...
- Per cosa?
- Beh, per dire della bambina e anche qualcos'altro se vuoi. Così potrai evitare di rispondere ogni volta a tutte le loro domande. Sarà un'occasione per stare tutti insieme, non lo abbiamo più fatto e nonostante tutto abbiamo molto da festeggiare e loro sono i nostri amici, si sono preoccupati ed ora sono felici per noi.
Kate era frastornata. L'idea di avere intorno tante persone che erano concentrate su di lei ancora la intimoriva, però aveva ragione lui, era una buona cosa.
- Va bene. Si può fare. Ma credevo che lo volessi dire subito ai tuoi, resisterai?
- Domani ripartiamo, per una sera ce la posso fare, credo! 
- Devo chiamare mio padre e dirgli che va tutto bene.
- Invitalo a cena questa sera, sarà felice di vederti, che ne pensi?
Il suo sorriso era la risposta a quella domanda. Sapeva quanto Kate fosse legata a suo padre e le difficoltà che avevano attraversato li avevano uniti di più anche se in poche occasioni lo davano a vedere platealmente. Era più un rapporto silenzioso, fatto di sguardi e taciti consensi. Ma Rick aveva vissuto per due volte la disperazione di Jim per le sorti della figlia e sapeva quanto Katie, come la poteva chiamare solo lui, fosse importante per quell'uomo così riservato e dalla grande dignità. Avevano legato molto nell'ultimo periodo in ospedale, avevano avuto modo di parlare per alleviarsi dolore ed angoscia per la sorte di quella donna che era il centro comune delle loro vite ed ogni tanto, anche durante il soggiorno negli Hamptons, quando era solo per non farsi scoprire da Kate, Rick lo aveva chiamato per aggiornarlo sui progressi di lei e per assicurargli che stesse bene. 

Jim Beckett fu molto felice di trascorrere del tempo con la figlia, così come Kate di vederlo. La trovò meglio di quanto si aspettasse. Non ebbero modo di parlare molto da soli, ma accettò con gioia l’invito ad andare negli Hamptons quella domenica, in quel posto conservava il più bel ricordo di sua figlia, quando emozionante l’accompagnava all’altare, mentre consegnava a Rick il suo bene più prezioso, all’uomo che riteneva più degno di poterla accogliere e quel periodo era la conferma che aveva avuto ragione. Osservò come le sue forme erano più floride, la pancia più visibile, il viso con i lineamenti più morbidi, la sua bambina se era possibile era ancora più bella.
- Stai bene Katie? - Le chiese poco prima di andarsene, quando accompagnandolo alla porta, erano rimasti qualche minuto a parlare da soli
- Sì papà, non ti preoccupare.
- Sei splendida bambina mia. - Kate abbassò la testa arrossendo e suo padre gliela alzò con un tenero gesto della mano - Assomigli tanto a tua madre, sei uguale a lei Katie, nei gesti, come ti muovi, il tuo sguardo.
- Mi manca tanto papà, ora più che mai avrei tanto bisogno di lei.
Jim abbracciò sua figlia che era una donna ma che mai come in quel momento da anni gli era sembrata la sua piccola bisognosa di essere protetta. Le diede un bacio sulla fronte e le accarezzò il viso.
- Sarebbe orgogliosa di te Katie, ne sono certo.
Castle osservava la scena da lontano. Non avrebbe voluto spiare quel momento tra padre e figlia, ma fu più forte di lui rimanere a guardarla, una Beckett ancora più invulnerabile ed indifesa di quanto fosse mai stata e doveva essere lui a proteggerla da tutti, anche dal suo amore che pretendeva di più di quello che lei ora poteva dargli.

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Capitolo 33
*** TRENTATRE ***


Quando tornarono negli Hamptons Kate ebbe la piacevole sensazione di essere tornata a casa, in fondo aveva trascorso molto più tempo lì che al loft. Le piaceva il fatto che fosse molto più tranquillo e meno appariscente nell’arredamento, forse più impersonale rispetto allo stile di Castle, anche se in alcuni particolari si vedeva il suo tocco, come nella grande ancora in camera da letto. Arrivarono nel primo pomeriggio e dopo un rilassante pomeriggio in piscina, andarono a cena fuori in un ristorante semplice ed informale, facendo quelle cose alla ricerca di quella normalità che in fondo bramavano, senza sbalzi continui d’umore, senza vivere costantemente sulle montagne russe, per quanto una vita vissuta al fianco di Richard Castle e delle sue megalomanie potesse considerarsi normale, visto che il giorno dopo sarebbero partiti sul loro yacht.
Era un’esperienza che Kate aveva molta curiosità di fare, e allo stesso tempo la metteva un po’ a disagio. Dividere uno spazio così piccolo, con un perfetto estraneo come Tim aveva paura la potesse condizionare ed essere meno spontanea. La sua presenza a bordo, invece, fu estremamente discreta. Li disturbava solo per avvisare quando il pranzo era pronto o per sapere quando volevano fermarsi per la notte o ripartire la mattina seguente. La sua cabina era divisa dal resto degli spazi della nave, quindi non correvano nemmeno il rischio di incontrarlo quando andavano sottocoperta e chiudevano la porta che conduceva fuori.
Rick ripensava a quanto l’estate precedente era stata diversa. Avevano visto veramente poco la luce fuori ed erano rimasti quasi tutto il tempo tra il letto ed i divani sottocoperta, recuperando tutto il tempo che a casa non riuscivano mai a trovare, ricomponendosi solo per mangiare e riprendere fiato, mai però realmente sazi di loro stessi. Quei giorni con Kate, invece, erano passati stando per lo più tranquillamente sdraiati a prendere il sole, “la vitamina D è importante in gravidanza” le ripeteva Rick, o a coccolarsi in camera, facendosi cullare dalle onde, parlando tanto della loro bambina ora che sapevano che era una femmina, davano molta più forma ai loro pensieri.
Si desideravano, lo sentivano entrambi, quando erano vicini e quando di baci diventavano più impertinenti, ma dopo quella notte sembravano quasi bloccati e nessuno dei due riusciva a prendere l’iniziativa per andare oltre, quindi imbarazzati si allontanavano per un po’, ma poi finivano inevitabilmente di nuovo ad abbracciarsi perché gli era ormai chiaro di non poter fare assolutamente a meno della reciproca presenza.
Quei due giorni erano volati e quando scesero a terra per tornare a casa, Rick promise a Kate che sarebbero tornati quando avrebbe voluto in quella che sarebbe stata la loro oasi lontana dal resto del mondo.

La domenica mattina, i loro ospiti arrivarono tutti abbastanza presto e la villa si riempì di persone come da tempo non accadeva. I ragazzi del distretto erano tutti felicissimi di vedere Kate così informa rispetto a come era prima di partire, soprattutto Lanie non mancò di congratularsi più volte con lei, abbracciandola felice di vederla così rilassata e così dentro il suo futuro ruolo di mamma: non le era sfuggito come inconsapevolmente si era accarezzata il ventre ogni volta le qualcuno le chiedeva qualcosa riguardo alla sua gravidanza.
Ebbe modo di “conoscere” anche Jenny e i due figli di Ryan, lo ricordava come un timido single e lo aveva ritrovato padre di due splendidi bambini. Sarah, la figlia più grande di Kevin amava nuotare, quindi Jenny andò con i bambini verso la piscina, dove Rick le aveva fatto trovare tutto il necessario per far giocare una bambina così piccola, ed anche una piscina gonfiabile già funzionante per il più piccolo. Quando tutti furono perfettamente a loro agio, Rick si scusò ed uscì dicendo che doveva andare a sbrigare alcune commissioni per il pranzo. 
Lanie, che voleva parlare con Kate, per sapere tutti i dettagli di quello che stava accadendo tra lei e Castle, la condusse al piano di sopra per parlare in libertà in una delle tante stanze della villa. Non fecero in tempo a dirsi molto, che furono raggiunte anche da Martha che gironzolava per la casa in cerca della nuora e poco dopo arrivò anche Alexis che tentò inutilmente di portare via la nonna per lasciare a Kate e alla sua amica un po’ di tempo per parlare da sola, capendo quanto la donna ne potesse avere bisogno.
Alla fine si rassegnarono e rimasero lì anche loro chiacchierando amichevolmente più che altro di come si era comportato Rick in quel periodo, soprattutto Martha voleva sapere se fosse stato sempre un bravo gentleman come lei lo aveva educato. Tutte le loro chiacchiere, però, furono interrotte dal suono del cellulare di Kate che vedendo che si trattava di Rick si alzò per rispondere, andando un po’ più lontano rispetto alle tre.

Quando aveva il cellulare in mano che squiallava, però, Kate si paralizzò. Spostò rapidamente lo sguardo su Martha, poi su Alexis ed infine su Lanie. Lasciò cadere il telefono a terra che si adagiò continuando a suonare sul tappeto. Lei indietreggiò fino a quando con le spalle arrivò a toccare il muro. La riconosceva, era una delle sue crisi di panico. Non voleva rispondere al telefono, non voleva sentire quello che le dicevano. E si vedeva nella specchio con in vestito bianco, lungo, ricamato. Era il vestito di sua mamma. Perché indossava quel vestito? E poi Martha e Alexis disperate. La strada, le curve ed il fuoco che non la faceva avvicinare. No, non voleva rispondere al telefono. Rick, dov'era Rick? Perché non era con lei? Perché l'aveva lasciata lì da sola? Perché era uscito. No, non voleva rispondere al telefono e qualcuno, per favore, lo doveva far smettere. Si accucciò e portò le mani sulle orecchie e sulla testa. Lanie fece cenno a Martha e Alexis di rispondere, era Castle, si vedeva la foto sul display. La dottoressa si avvicinò alla sua amica. Provò a prenderle le mani, ma lei la allontanò.
- Tesoro cosa c'è? Va tutto bene stai tranquilla.
- Rick... Dov'è Rick?
Erano le uniche cose che riusciva a dire, sottovoce tra le lacrime mentre faticava a respirare e Lanie si preoccupava per la sua salute, non l'aveva mai vista così.
Martha nel frattempo aveva risposto al telefono al figlio, anche lei presa dall'agitazione, non riuscì a spiegargli cosa succedeva. 
- Ditegli di venire subito! - Ordinò Lanie alle due rosse e Alexis prese il telefono dalle mani della nonna
- Papà, Beckett sta male, ha avuto qualcosa tipo una crisi di panico, ma chiede di te.
Rick non disse nulla, attaccò il telefono e accelerò tornando il più velocemente possibile alla villa.
Parcheggiò inchiodando davanti all'ingresso e si precipitò dentro casa.
- Dov'è Beckett? - chiese a Esposito e Ryan che ignori di quanto stesse accadendo lo guardarono perplessi
- Penso di sopra con le ragazze - disse Javier mentre Rick stava già salendo
- Kate! - urlò Rick quasi in fondo alle scale e sentì la voce di sua madre chiamarlo dall'ultima stanza in fondo al corridoio
- Richard siamo qui!
Rick corse e quando entrò vide sua moglie accucciata in un angolo che respirava faticosamente con Lanie vicino che cercava di aiutarla, sua madre e sua figlia che la guardavano preoccupate. Rick si precipitò da lei inginocchiandosi davanti, che appena lo vide gli gettò le braccia al collo.
- Ehy, che succede? Sono qui Kate... Tranquilla amore mio... Sono qui...
Le spostò i capelli sudati dagli occhi e le asciugò il viso dalle lacrime. Si sedette al suo fianco e la trascinò letteralmente tra le sue braccia lasciandole poggiare la schiena sul suo petto.
Le tre donne lo guardavano prendersi cura di Kate in modo commovente per come le parlava e la trattava e si stupirono della loro vicinanza. Alexis e Martha li avevano già visti brevemente al loft insieme, sapevano che dormivano insieme, ma questo tipo di rapporto, dove Kate si affidava completamente a Rick, era qualcosa di molto diverso, più profondo e intimo. Ne erano molto felici.
- Potete lasciarci soli? - chiese alle tre che rispettosamente lasciarono la stanza e chiusero la porta, scendendo al piano di sotto dove ai due detective si era unito anche Jim Beckett rientrato alla villa.
- Che sta succedendo su a Beckett? - chiese Esposito
- Una crisi di panico - rispose Lanie
- Come sta? Perché non ci avete chiamati? - la incalzò il detective
- Voleva solo Rick e non credo che a Beckett sarebbe piaciuto farsi vedere in quello stato da voi, dovreste conoscerla.
- Ok, hai ragione - sbuffò Kevin lasciandosi cadere sul divano
- Se c'è Rick saprà lui come farla stare meglio. - disse Jim infine - Non è la prima volta che le capita. Me ne aveva già parlato. Le era già successo quando si era ricordata del funerale del capitano Montgomery.
Tutti fecero silenzio alle parole del padre di Kate. Nessuno di loro poteva immaginare cosa volesse dire per la loro amica dover rivivere, come se fosse la prima volta, certe cose. Lanie faticò a trattenere le lacrime, consolata da Javier che le passò un braccio sulle spalle. Kevin si alzò di nuovo incapace di stare fermo ed uscì andando a cercare Jenny e i bambini.
- Povera cara, chissà cosa può averla fatta sentire così... - disse Martha visibilmente preoccupata
- Io credo di saperlo... - le rispose Alexis attirando gli sguardi curiosi degli altri.

Nel frattempo al piano superiore Rick stava ancora cercando di calmare Kate, aiutandola come l'altra volta a respirare più lentamente. Questa volta, però, non sapeva cosa era che la stava turbando, cosa era riemerso dalle profondità della sua memoria.
- Kate, cosa c'è? Cosa ti ha spaventata?
- Il telefono... Ha squillato il telefono...
- Ok, ero io.
- No... Non eri tu... Era... Non eri tu...
- Chi era Kate? Cosa ti dicevano al telefono?
- Era... Era un uomo... Tu non c'eri, ti aspettavo, non venivi... Mi diceva della tua auto... Eri andato fuoristrada... Era in fiamme... Io ero lì mi guardavo allo specchio... Avevo un abito bianco, l'abito di mia madre... Non mi sono sposata con quello Rick! Non è quello nelle foto! E poi c'era Lanie qui con noi...
- Ok, Kate, ok... Shhh ho capito, tranquilla... Sono qui adesso, ok? Non mi è successo niente...
Rick la stava cullando e non sapeva da dove cominciare per raccontarle cosa aveva ricordato. Le cominciò a parlare dolcemente, come se fosse una favola per bambini.
- Ci dovevamo sposare qui, con tutti i nostri amici. Avevamo fatto una lista di invitati lunghissima, molto più di quanto all'inizio volevamo ed abbiamo anche discusso per questo. Poi come sempre accade a noi, le cose si sono incasinate e viene fuori a pochi giorni dal matrimonio che tu eri sposata.
- Rick cosa stai dicendo? Io non mi sono mai sposata! Prima di te intendo! Io sono una da una volta sola nella vita, non vado a tentativi! - rispose Kate sinceramente risentita
- Ehm sì lo so.... Però ti eri ugualmente sposata. Las Vegas, Rogan O'Leary…
- O Mio Dio! 
- Dai Beckett ammettilo che è divertente!
- Sto per vomitare...
- Sul serio Beckett? Ti porto in bagno?
- Metaforicamente Castle... Vai avanti...
- Ok... - era contento che quella divagazione sul suo ex marito l’aveva fatta rilassare un po’, adesso non tremava più e respirava in modo più calmo, ma lui continuava a stringerla e a cullarla. - Abbiamo fatto un po’ di salti mortali per fargli firmare le carte il divorzio e mentre tu eri venuta qui prima io sono rimasto a New York ad aspettare che tu diventassi ufficialmente una donna libera ed avere la licenza di matrimonio. Mentre stavo venendo qui… ecco… mi hanno rapito ed hanno spinto la mia macchina in una scarpata ed è presa fuoco. Da quello che mi hai raccontato tu sei andata lì, ancora con l’abito da sposa, eri convinta che io fossi lì dentro ma non c’ero, lo hai visto solo dopo, quando hanno spento le fiamme. Mi hai ritrovato dopo due mesi e poi ci siamo sposati qualche tempo dopo, ed eravamo solo noi questa volta.
- Ho avuto paura Rick… Tanta paura di perderti…
- Te lo ricordi? - chiese speranzoso
- No, adesso… quando ho visto quelle immagini, ho avuto paura che fossero vere, che ti fosse successo qualcosa… Castle io…
- Ragazzi! - Martha entrò nella stanza senza preavviso interrompendoli - Kate, tesoro, come stai?
- Meglio Martha, grazie. Scusami per prima, ma… - Rick guardava sua madre infastidito senza lasciare la presa su sua moglie che teneva ancora salda tra le sue braccia e Kate era visibilmente imbarazzata sia a farsi vedere così dall’attrice che per quanto accaduto prima.
- Mia adorata, non ti devi scusare, anzi siamo noi a doverlo fare per non aver capito!
- Avete capito? - Le chiese stupita, ma loro erano lì con lei, sicuramente ricordavano tutto di quei drammatici momenti.
- Alexis a dire la verità. Ha ricollegato quanto accaduto oggi con quel giorno.
- Ah… capisco… 
- Madre - intervenne Rick - puoi lasciarci qualche altro minuto da soli? Poi vi raggiungiamo noi.
- Ma certo ragazzi, anzi scusate per l’interruzione. Vado a riferire che stai meglio, sono tutti molto preoccupati per te di sotto
Una volta di nuovo soli, Rick si scusò per il comportamento fin troppo invadente della madre, ma più di tutto fremeva per quello che Beckett gli stava per dire, perché era sicuro che si trattasse di qualcosa che aspettava da molto.
- Allora Kate, cosa mi stavi dicendo - Le chiese appoggiando le labbra sotto il suo orecchio, dopo averle accarezzato il lobo.
- Io… - Lei era visibilmente in imbarazzo, fece un respiro e lasciò andare quel pensiero che l’aveva accarezzata, riprendendo un po’ di autocontrollo - Ti ringrazio Rick. Perché mi sei sempre vicino, nonostante tutto e fai tutto questo per me.
- Lo faccio per noi Kate. Perché ti amo. - Le disse con una punta di amarezza per non aver sentito quello che sperava.
- Lo so Rick… Lo so.
- Andiamo giù? Tra poco arriverà il catering per il pranzo!
Si alzarono ma prima di uscire dalla stanza Rick prese Kate per un braccio e la tirò a se.
- Hey! Sei sicura di stare bene?
- Si anche se ho un aspetto orribile - disse Kate guardandosi nello specchio dietro di lui
- Impossibile
- Cosa?
- Che tu possa avere in aspetto orribile.
- L'unico impossibile sei tu Castle! - rise dandogli un bacio sul collo
Kate rise ancora e poi tenendosi per mano scesero dagli altri che li aspettavano visibilmente preoccupati. Erano tutti seduti nella sala, chi sui divani chi sulle poltrone. Ryan giocava con Sarah Grace e sua moglie teneva in braccio il piccolo Nicholas che aveva solo pochi mesi, Jim, Martha e Alexis parlavano tra di loro mentre Lanie ancora scossa teneva in silenzio la mano di Javier. Quando si accorsero che i due erano scesi volsero immediatamente lo sguardo a Kate che con un sorriso imbarazzato li rassicurò.
- Sto bene, sto bene non vi preoccupate.
Rick si ricordò dei pacchi lasciati in auto e corse a prenderli portando il tutto in cucina, lasciando Kate sola con gli altri dopo averle dato un bacio tra i capelli.
- Ragazza ma cosa mi combini! - la avvicinò Lanie ancora scossa
- Sto bene Lanie, veramente! - la abbracciò affettuosamente
- Mi hai fatto spaventare tantissimo dolcezza! - disse prendendola per mano e allontanandola dalla sala per parlarle in privato. Uscirono fuori sulla veranda - Ora però mi devi dire tu e lo scrittore in che rapporti siete, perché mi è sembrato di rivedere quello sguardo...
- Che sguardo?
- Quello che avevate un tempo! Certo tu non lo sai, ma appunto, dimmi come va tra di voi?
- Credo bene.
- Che vuol dire credo?
- Che penso di esserci caduta un'altra volta... - rispose Beckett sorridendo all'amica
- Ti sei innamorata di Castle anche se non ricordi praticamente nulla di voi? Io te l'ho sempre detto che voi eravate destinati a stare insieme dolcezza! Sei tu che non mi hai mai voluto dare ascolto! Sono così felice! E lui? Come l'ha presa? Sarà al settimo cielo!
- Non gliel'ho detto...
- Che vuoi dire?
- Beh che tra noi è tutto perfetto...
- Tutto? Tutto comprende anche quel tutto? - chiese Lanie maliziosa
- Sì, più o meno, anche se ci sono state un po’ di incomprensioni… - Rispose Kate mordendosi il labbro inferiore
- Però non gli hai detto che sei innamorata di lui. - sentenziò la dottoressa Parish e Kate annuì - Sei sempre la solita Katherine Beckett! Non cambierai mai! Cosa aspetti a dirglielo?
- Io non so se sia il momento giusto, non so nemmeno io di preciso cosa provo, ma sta diventando sempre più importante nella mia vita ed oggi quando ho visto quella scena ho avuto veramente paura che gli fosse accaduto qualcosa e mi sono sentita persa. Non posso perderlo Lanie!
- E non sai se sei innamorata? Tu sei cotta mia cara, come sei sempre stata! Fidati di me! 

- Hey ragazze, è arrivato il pranzo, venite di là o rimante qui a spettegolare? - Esposito si era affacciato richiamandole e Kate e Lanie dopo essersi scambiate un’occhiata complice rientrarono
- Anche tu mi devi raccontare un po’ di cose - Disse Kate facendo l’occhiolino a Lanie che sorrise.
Rick come sempre aveva pensato a tutto, anche al seggiolone per i figli di Ryan, dicendo che tanto presto sarebbero serviti, suscitando un tenero sorriso su tutti, specialmente su Jim Beckett che guardava sua figlia incantato. Pensava a quella ragazza impaurita che aveva visto in ospedale subito dopo essersi risvegliata ed ora rivedeva almeno in parte la splendida donna che era, certo non si illudeva che tutto fosse tornato magicamente a posto, ma vedeva negli occhi della sua bambina una luce diversa.
Prima di cominciare a mangiare Castle si alzò in piedi per parlare ai suoi ospiti.
- Innanzi tutto vi ringrazio per essere venuti tutti oggi. La nostra famiglia ed i nostri amici, che per noi sono come una vera e propria famiglia. So che negli ultimi tempi siamo stati molto sfuggenti, che ci siamo isolati, ma penso che tutti potrete comprendere la situazione particolare che io e Kate stiamo vivendo, sotto tutti i punti di vista. Sappiamo, però, anche quanto voi tutti tenete a noi, quanto vi siete preoccupati sia prima che durante le ultime settimane, per la salute mia e di Kate e non solo - concluse sorridendo. - Beh, intanto vi rassicuro intanto dicendo che noi stiamo tutti bene, per tutti intendo tutti e tre. Vi starete facendo molte domande su di noi ed ecco…
- No, non ho recuperato la memoria - intervenne Kate visto che Rick stava andando per le lunghe, come suo solito - ho solo alcune volte dei ricordi confusi di alcune situazioni che di certo non mi fanno stare bene, come avete visto prima. Se vi state chiedendo cosa sta succedendo tra di noi non lo sappiamo di preciso nemmeno noi. Però stiamo bene così, insieme. - Finì la frase prendendogli la mano e guardando suo padre emozionato che le annuiva.
- C’è un’altra cosa che volevamo dirvi, come vi ho detto, stiamo bene tutti e tre, io, Beckett e mini Beckett. A quanto pare avrò un’altra figlia femmina.
Tra la commozione generale, Alexis si voltò ed abbracciò suo padre che si era appena riseduto e Martha fece lo stesso con Kate, che subito dopo allungò una mano prendendo quella del padre che era seduto davanti a lei con gli occhi lucidi.
- Fratello, sei un uomo finito con tutte queste donne intorno! - Gli disse Esposito 
- Già, Castle, dì la verità vuoi mantenere il tuo status di unico uomo di casa eh! - Lo incalzò Ryan
- Bro, non ha considerato il fatto che tra poco avrà due Beckett per casa a dettare legge lo vedo molto male!
- Avete finito vuoi due? - Chiese Rick mettendo il broncio
- No Castle, abbiamo appena cominciato! - Risero entrambi i detective.
A fine pasto Rick mise sul tavolo la torta che aveva fatto fare appositamente per quell’occasione e che era andato a prendere quella mattina. Era tutta rosa e bianca, con sopra un paio di manette e la scritta “Mini Beckett is Coming Soon” suscitando le risate generali e un’occhiataccia di Kate all’oscuro di tutto.

Il pranzo continuò allegramente tra una portata e l’altra e tutti si complimentarono con Rick per la solita puntuale organizzazione. I ragazzi passarono il pomeriggio a chiacchierare sulla veranda bevendo qualche drink insieme a Jim, mentre le ragazze rimasero in casa con Jenny che controllava i due piccoli Ryan che riposavano tranquillamente sul grande divano mentre loro chiacchieravano. Martha, invece era andata al piano di sopra a riposare, perchè la sera doveva andare ad assistere ad un’importate prima e quindi doveva essere in splendida forma. Lanie, Jenny e Alexis riempirono Kate di domande, su come si sentisse, come andasse la gravidanza e se era contenta che fosse una bambina, lei si era piuttosto imbarazzata a rispondere, visto che alla maggior parte delle cose non sapeva nemmeno lei dare una risposta, ma dal suo sorriso una sola cosa era chiara, che era felice. Quando il piccolo Nicholas si svegliò, Jenny chiese a Kate se lo voleva tenere intanto che gli preparava il biberon per farlo mangiare. Beckett fu inizialmente riluttante, ma quando Jenny glielo adagiò tra le braccia si sentì subito a suo agio, sorridendo al bambino che ricambiava il suo sorriso con tante smorfie. Trovò tutto molto più naturale di quanto pensava e di quanto si era mai trovata quando aveva avuto a che fare con dei bambini così piccoli.
Fu proprio in quel momento che Rick entrò in casa seguito da Jim per andare a prendere un’altra bottiglia, ma quando videro Kate sul divano con il bambino in braccio si bloccarono tutti e due e rimasero a guardarla immobili, mentre Lanie ed Alexis trattenevano a stento le risate per la faccia totalmente imbambolata di Castle. Quando Kate alzò lo sguardo e vide Rick lo accolse con il suo miglior sorriso e gli fece un cenno d’intesa, annuendo con la testa mentre cullava il piccolo.
- Papà, puoi anche muoverti - gli disse Alexis mentre anche Jenny era tornata ed assisteva alla scena divertita
- Eh? Che c’è Alexis? - Chiese Castle totalmente rapito da Kate
- Dicevo che puoi anche muoverti e non rimanere lì come uno stoccafisso.
- Sì, sì certo… noi andiamo di là… poi torniamo fuori
Kate diede il piccolo alla madre e poi raggiunse suo padre che era con Rick in cucina. Diede un bacio a Castle mentre stava prendendo una bottiglia di soda dal frigo e fermò suo padre prima che uscisse di nuovo con lui.
- Tutto bene papà?
- Certo Katie, tutto benissimo - Disse Jim accarezzando il volto della figlia. Non era solito a questi gesti d’affetto e la colpì molto.
- Sei contento che è una bambina? - Gli chiese portandosi le mani sul ventre.
- Per me l’importante è che stiate bene entrambe. È l’unica cosa che mi interessa. Tu sei felice Katie?
- Della bambina? Adesso sono felicissima…
- No, dicevo di tutto, di te, di Rick…
- Ci provo. Non è sempre facile e ci sono momenti duri, però voglio provarci. Avevi ragione tu.
- Di cosa?
- Che mi dovevo fidare di lui. 
- Castle ti ama tanto. Lo ha sempre fatto, da prima che anche tu te ne volessi rendere conto, ed è così anche adesso. Se non ero certo di questo non avrei lasciato che fosse lui a prendersi cura di te.
- Lo so papà e ti ringrazio.
- Comunque Katie, se sarà come te, sarò proprio curioso di vedere come ti comporterai con una bambina con il tuo caratterino e la tua testardaggine! - Rise Jim finalmente più rilassato, mentre sua figlia arrossiva visibilmente.

Jim fu il primo ad andarsene ed accompagnò Martha che si doveva preparare per la serata, poi furono Ryan e Jenny con i bambini ed infine Esposito con Lanie ed Alexis che rimasero più degli altri. 
Quando Rick chiuse la porta dopo aver salutato e strapazzato a dovere sua figlia che lo pregava di darsi un contegno, sospirò sollevato di ritrovarsi finalmente di nuovo solo con Kate, che nel frattempo aveva preso un pezzo di torta avanzata e si era messa comoda sul divano. Castle si sedette vicino a lei che appena gli fu vicino lo imboccò dandogli un bel pezzo di dolce, sporcandogli la bocca con la cioccolata del ripieno che subito pulì con un bacio. 
- Allora, hai passato una bella giornata, piccola parentesi della mattina a parte? 
- Sì, sono stata bene. Sono contenta che alla fine abbiamo detto tutto a tutti.
- Anche io.
- Però potevi anche fartela consegnare la torta e non lasciarmi sola in quella situazione! - Sbuffò Kate mettendo il broncio come una bambina.
- Ecco, io non lo sapevo… - tentò di giustificarsi Rick anche troppo seriamente per quello che era stato il tono di Beckett - E poi non sono uscito solo per prendere quella. C’è un’altra cosa… Te la volevo dare a pranzo, però poi c’ho ripensato ed ho preferito aspettare che fossimo soli. 
Castle tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un sacchettino di velluto verde acqua, che solo dal colore faceva capire la provenienza.
- Rick… non dovevi… io… non so cosa dire.
- Non dire niente, aprilo. 
Kate posò il piatto con la torta a terra, si pulì le mani nel tovagliolo e prese il sacchettino dalle mani di Rick. Sciolse con cura il nodo mentre lui la guardava sorridendo, immaginandosi cosa le passasse per la mente in quel momento, ma in realtà nella mente di lei c’era ben poco, se non l’imbarazzo per un regalo importante che non era abituata a ricevere. Fece scivolare il contenuto nella sua mano e ne uscì una catenina con un pendente a forma di cuore contornato da diamanti.
- È bellissimo Castle… non dovevi, veramente, non era necessario… sarà costato tantissimo… - Le sembrava una frase bruttissima da dire in quel momento, ma era quello che pensava. Un regalo del genere sono mesi del suo stipendio e lei non riusciva ancora a stare al passo con quelle che erano le possibilità economiche del marito che a sentire le sue parole fece un’espressione melodrammatica per prenderla in giro portandosi la mano sul petto esasperando la sua mimica.
- Beckett tu così uccidi il mio romanticismo! - Poi tornò serio - Giralo…
Kate fece roteare il cuore a mezz’aria e poi lo fermò per vedere cosa ci fosse dietro. “Omnia vincit amor”: deglutì e le mancarono le parole guardò negli occhi Rick in cerca di una risposta.
- È una frase latina, di un poeta famoso, Virgilio. In realtà la frase completa è “Omnia vincit amor et nos cedamus amori” La usa anche il mio caro Edgar Allan Poe. Vuol dire che l’amore vince su tutto anche su noi stessi che cediamo all’amore, perchè non possiamo resistere a questo sentimento. 
- Tu… tu sai… 
- Sì, lo so. L’ho scelta apposta per questo motivo. Non è solo la verità a vincere su tutto. È anche l’amore per quanto lo possiamo combattere e fare finta che non ci sia, vince sempre Kate, è inutile opporsi. Ti piace?
- È bellissima Rick, lo è ancora di più adesso… 
- Posso? - Le prese la collana dalle mani, le scostò i capelli e gliela fece indossare, sperando che quelle parole fossero vere anche per loro.

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Capitolo 34
*** TRENTAQUATTRO ***


- Torniamo a New York?
Quelle parole che gli disse Kate, una notte mentre era con la testa appoggiata sul suo petto a farsi accarezzare la schiena, lo colsero di sorpresa. Sarebbero potuti rimanere ancora qualche giorno negli Hamptons, era stata lei a chiedergli di tornare lì e lui aveva pensato anche ad un altro week end in barca solo per loro, ma a quanto sembrava Kate aveva idee diverse.
- Perché vuoi tornare, Kate? - Lei sentiva un po’ di delusione nella sua voce.
- Più rimaniamo qui, più sarà difficile abituarci di nuovo ai ritmi della città.
- Potremmo anche trasferirci qui, te l’ho detto.
- Ed io ti ho risposto che non sarebbe giusto, Castle. 
- Lo so… Pensi che siamo pronti?
- Per cosa Rick?
- Per rituffarci nella quotidianità di casa. - Era preoccupato, più di quanto potesse immaginare.
- Non possiamo vivere qui, nella nostra bolla isolati dal mondo, senza alcun problema o obbligo, e fare finta di nulla. Dobbiamo tornare in quella che è la nostra casa, alla nostra vita. Non so se sono pronta, ma rimanendo qui non lo sarò mai. E’ stato un periodo bellissimo, meglio di quanto avessi pensato prima di venire e per me questa sarà sempre la nostra casa, qui ci siamo conosciuti meglio, tu mi hai aiutato a superare tante paure, qui abbiamo fatto l’amore la prima volta…
Rick si sollevò girandosi su un fianco, costringendola a sdraiarsi sul cuscino abbandonando il suo petto  Kate smise di parlare guardandolo attenta, intuendo i suoi lineamenti nella penombra della stanza, sentendo il suo caldo respiro più profondo vicino al volto. Le accarezzava con le dita dolcemente uno zigomo, per poi spostarsi sulle labbra delle quali disegnava il contorno man mano che si aprivano di più in un sorriso e non aveva nemmeno bisogno di vederla, riconosceva il suo sorriso anche solo sentendolo, per come si tendevano i muscoli del suo volto. 
Non resistette oltre, mandò all’aria tutti i propositi che si era imposto quella notte dopo che erano tornati dal party di Howard Stern: fare un passo indietro e po andare avanti insieme senza bruciare le tappe. 
Si erano trattenuti, per giorni, dall’amarsi, in nome di quel tacito accordo per il loro bene, per non fraintendersi, per non ferirsi, per non confondere sesso e amore fino a quando non c’era chiarezza dentro di loro, anzi dentro di Kate, perché Rick era convinto di sapere benissimo cosa provava, la amava, la amava tanto, qualcuno gli avrebbe detto anche troppo, ma non era un sentimento che poteva reprime, controllare, non c’era un interruttore che poteva decidere quanto doveva fluire. La amava nell’unico modo che sapeva amarla, totalmente.
Si fiondò sulle sue labbra, famelico, baciandola intensamente. Kate fu sorpresa di quel bacio così prepotente ma non appena dischiuse la sua bocca sentì la lingua di Rick entrare avidamente, come volesse prendersi direttamente dalla fonte quelle parole che lei non era ancora in grado di dire, ma che sentiva, sapeva che erano in lei. La mano di Castle scese dal viso per intrufolarsi sotto la sua maglia, toccando con bramosia la pelle liscia risalendo fino ai seni più gonfi e più sensibili che, prima uno e poi l’altro, strinse con troppa veemenza, provocando un lamento di Kate che gli sussurrò di fare piano. Si scusò, baciandola più dolcemente, rallentando la frenesia dei tocchi. Aveva fame di lei, fame del suo amore e se lei non era in grado di darglielo se lo sarebbe preso lui, nel modo più piacevole che conosceva.
Rick continuò ad accarezzarle il corpo fino ad arrivare all'elastico dei suoi slip dove si fermò, interruppe anche i baci, guardandola solamente. La mano di Kate raggiunse quella di Rick guidandolo dove lui voleva andare e dove lei volesse che andasse. Gli sorrise, abbassando lo sguardo, in un attimo di imbarazzo nel sentirlo così vicino al suo piacere.
- Sei ancora più bella quando ti imbarazzi - le sussurro con una voce bassa e profonda che stimolò i sensi già vigili di Kate.
Tutto quello che voleva era entrare dentro di lei così in profondità da raggiungere e toccare anche i suoi pensieri, per avere la possibilità di leggerli e capire il mistero di Katherine Beckett, di quell'amore nascosto dentro di lei che non sembrava più capace di lasciarlo uscire e volare libero verso di lui.

I loro vestiti sparsi per terra e sul letto, i loro corpi accaldati e i respiri veloci erano quello che era rimasto della loro ritrovata intimità. 
Rick cercò i suoi boxer tra le lenzuola e alla fine li trovò vicino al comodino di Kate. Si sporse su di lei per arrivare a recuperare l'indumento e rimase bloccato in quella posizione quando sentì le labbra di lei percorrere il suo torace pericolosamente verso il basso. Con l'indumento tra le mani, si abbasso su Kate imprigionandole le labbra con le sue, sorridendole mentre le mordicchiava dispettoso. 
Li indossò e si alzò non prima di averla baciata ancora ed osservato il suo volto rilassato e soddisfatto. Le baciò anche la punta del naso mentre la copriva con il lenzuolo stropicciato.
- Dormi un po’, Kate. - mormorò lievemente tra i suoi capelli prima di allontanarsi. 

Scese al piano di sotto e si versò dello scotch con abbondante ghiaccio.
Uscì nella veranda, era uno di quei rari momenti in cui gli dispiaceva non fumare, ci sarebbe stata bene, anche per scena, una sigaretta o ancora di più un sigaro, con il liquore poggiato sul tavolo e lui mezzo nudo seduto fuori casa, su una poltrona, ad osservare la notte. Non era corso via come lei, l'aveva baciata e accudita, ma l'aveva comunque lasciata sola. Forse adesso capiva anche l’impellenza di Beckett di scappare quella notte, l'aveva provata anche lui appena l'urgenza della passione era scemata lasciando spazio a quello che doveva essere solo il senso di beatitudine che durò pochi istanti, lasciando il posto a qualcosa di diverso, di nuovo, di inquieto. 
Si sentiva dilaniato, era arrabbiato con se stesso. Perché si sentiva così? Perché aveva di nuovo sentito quel bisogno imprescindibile di sentirsi amato, ancora, in modo diverso? Perché si sentiva in colpa per quello che avevano appena fatto? In colpa poi con chi? Con Kate? Certo, con Kate. Dio lui l'amava talmente tanto eppure perché gli era sembrato che non ci fosse amore in quello che facevano? Era solo perché era terribilmente insicuro di se? E da quando lo era diventato? O era insicuro di lei? 
Sapeva che non dovevano farlo, che non doveva cedere al desiderio di lei, che non erano ancora pronti. Quella fuga di Kate ancora gli faceva male ed ora anche di più perché anche lui scappava e non sapeva da cosa visto che Kate era tutto quello che voleva.
Svuotò il contenuto del bicchiere tutto insieme, lasciando il ghiaccio a tintinnare contro il vetro e poi a sciogliersi piano piano, come avrebbe voluto sciogliersi lui.
Rimase ancora qualche minuto lì, poi decise di rientrare. Prese il computer e scrisse freneticamente una mail, cercando poi nella rubrica un destinatario preciso: Dottor Burke. La inviò. Aveva anche lui bisogno di qualcuno con cui parlare e che lo aiutasse a venire fuori da questa situazione.
Tornò in camera, si mise sotto il lenzuolo accanto a Kate, tirandola a se per averla vicina. La baciava sulla tempia e le accarezzava la schiena, incurante del fatto che potesse svegliarsi. Aveva bisogno di dimostrarle il suo affetto, ancora di più di dimostrare a se stesso quanto la amasse.
- Ehy Castle... Dove sei stato? - le chiese assonnata
- A scrivere. - mentì
- Sei freddo - le passò le mani sulle braccia come a volerlo scaldare.
- Sì, mi sono messo in veranda, mi ispirava di più.
- Non ti ammalare però per seguire l'ispirazione - lo baciò facendo schioccare le sue labbra su quelle di lui e gli si accoccolò di nuovo vicino tornando a dormire, vinta dalla stanchezza.
- Non ti preoccupare Kate
Le stava mantenendo, le stava nascondendo delle semplici cose che non aveva motivo di nascondere solo perché non voleva confrontarsi con quelle sensazioni. Come avrebbe potuto spiegargli quello che stava provando, quella lotta che sentiva dentro di se, che nemmeno lui riusciva a capire? Come poteva farle capire quel senso di disagio che aveva dentro senza ferirla? Non poteva, non sapeva farlo, per questo le mentì e si sentì sporco. 
Anche Castle chiuse gli occhi ma non dormì mai. Pensò a quello che Kate gli aveva appena detto, ma nella sua mente si formò un'altra frase ed un'altra scena.

Erano al loft sdraiati nel loro letto…
- Castle se ti ammali poi ti sparo
- Beckett ti pare che uno con il mio fisico si possa ammalare per un po' di freddo?
- Sì Castle, mi pare. Poi quando ti ammali diventi insopportabile
- Dì la verità Beckett, quando mi ammalo l'unica cosa che ti è insopportabile è non poterti divertire con tuo marito
- Richiama il tuo ego Castle!
Poi Rick con un gesto rapido la prese e la portò su di se. Lei glielo fece fare, ma poco dopo gli bloccò le mani sopra la testa, guardandolo con aria soddisfatta.
- Effettivamente non potermi divertire con mio marito è insopportabile - e si piegò a baciarlo con passione allentando gradualmente la stretta sui polsi di Rick fino a quando, totalmente libero, lui la sollevò per farsi strada dentro lei

Rick cercò di allontanare quei ricordi dalla sua mente, ma come se ne andava uno arrivava un altro ugualmente potente, ugualmente intenso. Strinse gli occhi ancora più forte, come se così potesse spegnere i suoi pensieri ma non funzionò e dalle palpebre strette scapparono furtive lacrime cariche di nostalgia, e a nulla valse nemmeno stringere anche Kate ancora più forte, perché gli sembrava di piangere per qualcun altra, per quella moglie persa nei ricordi di Kate ed ormai viva solo nei suoi.
Castle la mattina dopo si sentiva ancora stordito delle sensazioni provate la notte precedente. Avevano fatto tutti i bagagli e Mike aveva caricato tutto in auto. Rick vide infine scendere Kate pronta per andare via con una busta in mano.
- Pensavo avessi dato tutto a Mike
- Questa volevo portarla io. - Gli mostrò il contenuto ed era la copertina che lui le aveva regalato per la loro bambina. Rick sorrise, accarezzandole dolcemente il volto. Più passavano i giorni più veniva fuori il suo lato materno ed era adorabile.
- Pronta per tornare a casa? - Kate si guardò intorno, fece un sospiro profondo
- Sì, andiamo.

Kate una volta al loft stava riponendo le sue cose. Aveva preso la scatola che teneva nel comodino, quella dove aveva riposto le cose più preziose. Seduta sul letto con le gambe incrociate guardava quegli oggetti. C’era la collana con l’anello di sua madre che accarezzò e poi strinse con forza nel suo pugno. Non riusciva ancora a pensare a lei senza soffrire, il suo ricordo faceva male come una di quelle pugnalate che gliel’avevano strappata. Si chiedeva se quel dolore si sarebbe mai affievolito, se sarebbe mai riuscita a ricordarla con il sorriso invece che con le lacrime, a parlare di lei, di tutti momenti belli che avevano vissuto insieme senza farsi prendere dalla disperazione per la sua scomparsa. Era una ferita sempre viva nel suo cuore, che non si rimarginava mai e la cosa che la turbava di più è che la viveva sempre come se dovesse renderle ancora giustizia, dimenticandosi che in realtà l’aveva già fatto ed era insopportabile, perché non vedeva via d’uscita.
C’era il bracciale che le aveva regalato Rick, con la scritta Always all’interno, gli aveva raccontato la storia di quel bracciale e pensò che non lo avrebbe più indossato, anche se era splendido: Rick di certo avrebbe capito. Vide l’anello di fidanzamento, sapeva che Castle le aveva chiesto di sposarla sulle altalene, ma si chiese cosa aveva provato in quel momento, come doveva essere stato sentirsi fare quella dichiarazione dall’uomo di cui era innamorata. Ripose il ciondolo che le aveva regalato pochi giorni prima in mezzo alle altre cose e poi vide il sacchettino con le fedi. Lo prese in mano e sospirò, le sembrava che pesasse qualche tonnellata. Non si era accorta che Rick era sulla porta di camera e la stava osservando mentre era immersa nei suoi pensieri.
- A cosa pensi Beckett? - Le chiese vedendo bene cosa aveva in mano e lei colta di sorpresa si affrettò a rimettere tutto dentro la scatola e a riporla nel comodino.
- A tante cose, diverse… Ricordi che ho, ricordi che non ho più e mi chiedo come dovevano essere…
- E le fedi? A cosa ti hanno fatto pensare? - Le chiese avvicinandosi e sedendosi sul bordo del letto, mentre lei si abbandonava con la schiena sulla testiera di pelle.
- Che sono qualcosa di molto importante, Rick.
- Sono un simbolo d’amore, Kate. Io ti amo.
- Lo so, Castle. Lo so.
- Ma tu no, vero? - Disse amareggiato.
- Non è così facile Rick… Non lo è per niente, perché non lo capisci? Non avevamo detto di andare avanti a piccoli passi?
- Perché non è facile nemmeno per me, non è facile vivere con una persona che ami più di te stesso e non sapere se lei ricambia il tuo sentimento. Scusami Kate, lo so che non dovrei dirtelo, che non doveva essere così, ma… Mi manca Kate… Mi manca terribilmente sentirti dire che mi ami.
- Rick… Ti ricordi quanto quella notte in spiaggia ti ho detto che avevo paura? - Si avvicinò a lui prendendogli una mano. Avrebbe voluto dirgli che lo amava, a lui e a se stessa, non lo voleva veder soffrire così per lei, però c’era qualcosa che la bloccava, si sentiva ancora incatenata a qualcosa che non la lasciava libera.
- Certo che mi ricordo.
- Ti avevo detto che avevo paura di tutto, anche di noi. Ecco Rick, c’è una cosa di cui ho paura… Io ho paura dei tuoi sentimenti Castle.
- Non capisco Kate. Non devi aver paura di quello che provo, non ti ho fatto capire abbastanza che ti amo più della mia stessa vita, che farei qualsiasi cosa per te? Vuoi che te lo ripeto, che te lo dica ancora? - Kate appoggiò le sue labbra su quelle di Rick per farlo tacere, sorrise pensando che non aveva capito proprio il senso delle sue parole. 
- È proprio a farmi paura Castle Il tuo amore così incondizionato, totale, disposto a fare qualsiasi cosa.
- È così Kate. Ti fa paura questo?
- Sì! Io non so come relazionarmi con un sentimento così, a te non è mai capitato?
Castle ci pensò un po’. Non sapeva se era il caso di dirglielo oppure no, poi alla fine decise di mettere lui un altro mattone ai ricordi di Kate.
- Mi è capitato, una volta. 
- Con chi? - Rick rise
- Con te ovviamente! Dopo il mio rapimento, il giorno che ci dovevamo sposare. Io sono sparito per due mesi. In questi due mesi tutte le prove che tu avevi raccolto erano contro di me, tutto dava per scontato che io fossi sparito di mia volontà. Tu però non ti sei mai arresa e hai sempre creduto in me, in noi.
- Ci dovevamo sposare, mi sembra il minimo comportarsi così.
- Aspetta, non ho finito. Quando mi hanno ritrovato io non ricordavo nulla di quei due mesi. Per me era come se mi fossi svegliato il giorno dopo la data delle nozze. Non avevo una spiegazione per niente di quello che mi era accaduto. Avevo cicatrici sul corpo, tu avevi dei video che mi ritraevano andare in giro liberamente, avevi ritrovato tutti i miei effetti personali in una tenda da campeggio. Tutti ti dicevano di non fidarti di me, che ero un bastardo che ti aveva lasciata il giorno delle nozze fingendo il proprio rapimento solo perché non volevo sposarti e poi di non ricordarsi nulla, ma tu mi hai voluto credere. Tu mi hai creduto malgrado tutto.
- Hai perso la memoria? Perché non me lo hai detto subito? - Si irrigidì e lasciò la sua mano, ma Rick la riprese.
- Perché la mia situazione era diversa.
- Tu ti ricordavi di noi, non ricordavi solo del tuo rapimento. - Disse Kate capendo subito la differenza.
- Sì, ma non solo. Avevo chiesto io di dimenticare quel periodo. Per tornare da te e proteggerti da quello che avevo scoperto.
- E cosa ti ha fatto paura?
- Il fatto che tu mi avessi accettato incondizionatamente, senza sapere cosa avessi fatto in quei due mesi. Avrei potuto aver fatto di tutto, cose orribili, qualsiasi crimine, ma tu hai avuto fiducia in me, tanto da accettare di sposarmi ancora. Come lo chiami questo? Non è un amore incondizionato e totale? Ho passato notti intere senza riuscire a dormire, cercando una chiave per scoprire cosa mi fosse successo e l’avrei voluto fare più che per me, per te. A me mancavano due mesi di vita che semplicemente non c’erano, tu avevi avuto due mesi di angoscia senza sapere cosa mi fosse successo, se fossi stato ancora vivo, perché ero scomparso. Quando ci penso ancora oggi non so come hai fatto a resistere, io sarei impazzito. 
- Hai più scoperto cosa ti è successo?
- Sì, con alcuni ricordi che sono riaffiorati, indagando, è venuta fuori la verità. Però i ricordi di quel periodo no, non li ho recuperati, solo alcuni episodi.
- Da chi mi dovevi proteggere?
- LokSat. Avevo scoperto il collegamento tra lui e Bracken. Tutto quello che è successo dopo, tutto questo Kate, è colpa mia. Per questo aveva ragione Josh, senza saperlo. Ancora una volta tu sei quasi morta per causa mia. Per le mie ricerche, prima su tua madre, poi su LokSat.
- Rick…
- No, Kate, aspetta… Non devi avere paura di quanto ti amo, perché è lo stesso amore che tu provavi per me. Vorrei solo che te lo ricordassi. Vorrei solo questo…

Kate si sentì esausta di quei nuovi ricordi. Rick la vide scossa, le diede un bacio e poi si allontanò, lasciandola sola per assimilare un nuovo tassello della loro vita, uno dei più controversi, che ancora, quando ci pensavano, faceva male ad entrambi. Rick sapeva che Kate non aveva mai del tutto superato lo shock di quel giorno e che aveva portato le cicatrici di quanto accaduto in quei due mesi più a lungo di quanto non avesse fatto lui.
Kate avrebbe voluto fermarlo, dirgli di rimanere, fargli delle altre domande su quanto aveva appena saputo ma non lo fece. Sentì una strana inquietudine dopo quel racconto e si chiese perché ogni cosa che le veniva raccontata sembrava uscita direttamente da uno dei libri di Castle. Era quella la loro vita? Omicidi, rapimenti, complotti, politici corrotti… Ma non era colpa di Castle, era cominciato tutto molto prima, con lui era entrata solo ancora di più nel vortice, mettendosi a scavare in nome di quella verità che aveva sempre tanto cercato. Si chiese come fosse possibile dare tanta fiducia a chi era sparito per mesi senza un valido motivo e che al suo ritorno diceva di non ricordare nulla, e si chiedeva se fosse veramente possibile che qualcuno era in grado di cancellare la memoria.

Rick la sentì arrivare, guardava la città che viveva fuori dal loft. Allungò una mano all’indietro, lei la prese e si mise al suo fianco.
- Sai qual è l’unica cosa per la quale sono contento di non ricordare nulla di quei due mesi? - Le chiese mentre lei appoggiava la testa sulla sua spalla.
- Quale?
- Che non ricordo quanto mi sei mancata e quanto sono stato male senza di te.

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Capitolo 35
*** TRENTACINQUE ***


La poltrona dello studio del Dottor Burke accolse Rick e le sue riflessioni. Era nervoso e gli sembrava che quella che dovesse essere una comoda seduta per metterlo a proprio agio fosse in realtà ricoperta di spine, aghi, chiodi e qualunque altra cosa nata per infastidire. Non riusciva a stare fermo, si muoveva, accavallava le gambe in continuazione, prima una poi l’altra, poi le teneva larghe buttando il peso in avanti e martellandosi le ginocchia con i pugni. Sbuffava e soprattutto non parlava.
Burke lo guardava da sotto gli occhiali, mentre appuntava qualcosa nel suo taccuino. Rick si chiedeva come mai non gli facesse nessuna domanda. Poi il dottore poggiò la penna ed il taccuino, accavallò a sua volta le gambe e lo fissò. Castle si sentì intimorito da quello sguardo, deglutì un paio di volte, bevve un sorso d’acqua, poi si guardò la punta dei piedi a lungo, come se ci fosse qualcosa di estremamente interessante da vedere. Non era così, non c’era niente di interessante nella punta dei suoi piedi e non aveva sete, anche se continuava a sorseggiare l’acqua.
- Non mi ha mai detto Ti Amo. - Sputò fuori Castle all’improvviso. - Kate non me lo ha mai detto.
- Avrebbe dovuto? - Chiese Burke con il suo solito tono pacato
- Beh, sì, credo di sì, visto quello che c’è stato tra noi, come ci siamo avvicinati…
- Cosa c’è stato Rick?
- Ecco… ehm… - Si sentiva tremendamente imbarazzato - Tutto. C’è stato tutto - disse poi convinto.
- Se c’è stato tutto cosa le manca allora? - Quel dannato dottore aveva tutte le domande più semplici in grado di metterlo più in difficoltà.
- Mi manca che mi dica Ti Amo.
- Quindi con sua moglie c’è tutto, mancano solo due parole, è questo? Solo questo?
- In realtà no… - Disse infine sconsolato sprofondando nella poltrona.
- E cosa c’è o non c’è?
- Non c’è mia moglie - Quelle parole furono la resa emotiva di Rick. - C’è Kate, ma non c’è mia moglie.
- Kate è sua moglie.
- No. Kate è la donna della quale mi sono innamorato anni fa. Un po’ più dolce e meno aggressiva, meno arroccata dietro al suo muro che però ha in parte ricostruito. Fragile forse un po’ più di allora. Ma lei tutte queste cose le sa, perché ha parlato con Kate.
- Vada avanti Rick.
- Mi manca la complicità che avevamo, il capirci con uno sguardo, le cose che abbiamo condiviso. Mi mancano i nostri ricordi insieme. Quando siamo arrivati negli Hamptons e l’ho accompagnata nella nostra camera mi sono sentito perso ripensando all’ultima volta che eravamo stati lì. Avevamo concepito nostra figlia lì, in quella camera, in quei giorni e lo sapevo solo io. Lei non sa niente di tutto quello che abbiamo vissuto, che abbiamo provato.
- È questo che le manca? La condivisione del ricordo?
- Mi manca quello che eravamo e come lo eravamo.
- Ha mai pensato a cosa farebbe se Kate non dovesse riacquistare la memoria? O se lo facesse non so, tra un anno o due o di più… Rimarrebbe a pensare a quello che eravate prima? Rimarrebbe fermo ai suoi ricordi o vivrebbe il presente?
- Io… non lo so… Non ci ho mai pensato. Kate riacquisterà la memoria!
- Sì, ma se non dovesse farlo, lei la amerebbe?
- Io la amo.
- Ama lei o quello che lei era? Ama Kate o il suo ricordo?
Rick non rispose. Tornò a torturarsi le mani. Era arrivato a pensare che il suo amore gli mancava tanto quanto le sarebbe mancata lei e forse anche di più. Ma come poteva riuscire a vederle come due cose divise? Cosa era il loro amore senza Kate? Però poi un’altra domanda piombava nella sua mente: cosa era Kate senza il loro amore?
- Io amo Kate. Amo quello che era, quello che è stata ed amo anche quello che ora. Darei la mia vita per la sua se fosse necessario. Però sento che lei adesso non è quella persona che ho sposato ed ho paura, una tremenda paura che lei non provi per me lo stesso sentimento che provo io, che non sia amore ma affetto o peggio bisogno.
- Ha fatto qualcosa che le ha dato modo di pensarlo?
- No, no… anzi… Però me lo ha detto, ha paura del mio amore, ha paura di quello che potremmo essere noi. Ed io ho paura che lei, in fondo, non lo voglia, non voglia un noi, non lo stesso noi che voglio io.
- Avrete una figlia, vero?
- Sì. - Il suo viso si illuminò - Una bambina, lo abbiamo saputo qualche giorno fa.
- Avete fatto dei progetti? Avete parlato di questo?
- Sì, un po’. Non cose definite, però un po’ sì.
- Quindi anche Kate vede un voi nel suo futuro, un futuro di voi tre. È diverso dal futuro che vuole lei?
- No… io… No, voglio questo anche io.
- Vede Rick, io non sono qui per dare giudizi, né per darle delle risposte. Se le può dare solo lei quelle. Però è sicuro che i suoi dubbi riguardino solo quello che Kate prova per lei? Perché a me sembra, invece, che riguardino più quello che lei prova per Kate, per le sue due Kate, quella di adesso e quella che era prima. E se lei le vede come due persone diverse, beh, sarà difficile. Kate potrebbe riacquistare la memoria oggi stesso, come non farlo più. Lei è sicuro di riuscire, in questo ultimo caso, ad accettare la cosa e non vivere sempre nel rimpianto di come era sua moglie prima? Di amarla e lasciarsi amare, con i suoi tempi, per quella che è ora?
- Io… Non lo so… Non so ancora se sono pronto a lasciare andare il ricordo di quello che eravamo.
- È più importante di quello che siete adesso? O che potrete essere?
- Non lo so… 
- È questo il problema Rick.
- Sa cosa mi ha spinto a venire da lei dottore?
- Mi dica.
- L’ultima volta che io e Kate abbiamo fatto l’amore, perché per con Kate è sempre fare l’amore, dopo mi sono sentito in colpa. Perché mancava tutto quello che eravamo noi, mi sono sentito come se avessi tradito mia moglie. Non riuscivo nemmeno a starle vicino, così mi sono alzato e sono uscito fuori casa, in veranda, di notte a pensare. Ma anche quello mi aveva fatto male, essermene andato, averla lasciata sola. Sono tornato da lei, l’ho abbracciata e coccolata più che potevo, per farmi perdonare, anche se lei dormiva tranquilla, per dimostrarmi che l’amavo. La tenevo tra le mie braccia e piangevo e pensavo a noi, a quello che eravamo, ma a quello che eravamo prima. E pregavo tutte le divinità di ridarmi quella Kate. Le sto tradendo entrambe, lei ed il suo ricordo. Non so cosa fare ed ho la testa che mi scoppia. Tutto ciò è meschino, me ne rendo perfettamente conto.
- Rick, in realtà tutto ciò è umano. Lei ha voluto riprendere una vita come se niente fosse in una situazione estremamente particolare e dolorosa, facendosi carico di tutto. Anche lei ha raggiunto il suo punto limite. Ha mai espresso a Kate le sue paure o la percezione che ha di lei?
- Non posso dare a Kate altre preoccupazioni. Sa quello che vorrei, che vorrei un noi. Abbiamo discusso qualche volta, ci siamo aggrediti, poi abbiamo fatto pace.
- Vi siete chiariti? Avete parlato?
- Poco a dir la verità. Ma non posso far pesare su di lei la mia confusione, non posso aggiungerla alla sua.
- Pensa che non dicendole niente, ma corrodendosi lei all’interno le sarà più aiuto? La potrà sostenere ed aiutare di più quando nemmeno lei sa cosa vuole e chi vuole?
- Io so cosa voglio. Voglio lei. La mia lei. Ma se glielo dicessi cosa ne sarebbe di Kate?
- Non lo so. Deve valutare se vale la pena rischiare.

Rick uscì dallo studio di Burke emotivamente stravolto e più confuso di prima. Aveva ammesso cose che non voleva ammettere, aveva più dubbi che certezze e la testa che sembrava volesse esplodere da un momento ad un altro. Fermò un taxi al volo e gli diede l’indirizzo di casa. A metà tragitto cambio idea e si fece lasciare lì, vicino ad un piccolo parco. Diede 20 dollari all’autista ed uscì di corsa.
C’erano tanti bambini in quel pomeriggio di agosto. Le temperature di erano abbassate parecchio nel giro di pochi giorni ed ora l’aria era decisamente più respirabile ed il clima godibile anche per stare all’aria aperta. Si sedette su una panchina a guardare i bambini giocare, pensava a quando andava lì con Alexis piccola ed osservava con biasimo quei padri che stavano seduti armeggiando con i loro smartphone invece che giocare con i loro figli. Lui non lo avrebbe mai fatto. Avrebbe giocato sempre con la sua bambina, come aveva sempre fatto con Alexis, non perdendola mai di vista, sfruttando ogni momento che stavano insieme. Poi il suo sguardo fu catturato da una famiglia, avevano una bambina piccola, avrà avuto forse un anno o poco più, camminava appena ed ogni tanto finiva a terra sull’erba e i suoi genitori che giocavano vicino a lei, la prendevano, la coccolavano, ridevano insieme. Erano felici. Si immaginava così, con Kate e la loro bambina. Felici al parco a giocare come una famiglia normale, innamorati loro e della loro piccola. Si rese conto che li stava fissando e distolse lo sguardo prima di che qualcuno lo scambiasse per un maniaco.
Era quello che sarebbero potuti essere, lui Kate e la loro bambina: una famiglia felice. Voleva solo questo, non era poi tanto e pensava che un po’ se lo sarebbero anche meritato, dopo tutto.
Tornò a casa a piedi, camminando fino a rendere il suo corpo stanco come la sua mente. Si fermò al chiosco di fiori ad un paio di isolati dal loft e prese un giglio bianco, un solo semplice fiore.

- Ciao papà!
- Ciao pumpkin!
- Bentornato Richard!
- Ciao madre, mi dai un goccio anche a me di quello che stai bevendo tu? - Martha gli versò del Pinot Nero in un bicchiere - Kate? È in camera? - Chiese Rick non vedendola lì con loro.
- No papà, è uscita.
- Uscita?
- Sì… - guardò l’orologio - poco più di un’ora fa all’incirca.
- Ah - esclamò Castle stupito - e dov’è andata?
- Non ci ha detto nulla e noi non ci siamo impicciate Richard.
- Eh sì, mamma, in effetti non impicciarti è proprio la tua qualità maggiore! Perché non le hai chiesto dove andava?
- Perché Katherine è grande e responsabile, non ha bisogno che le faccia il terzo grado quando esce.
- Cosa vorresti dire, che io non sono responsabile? Per questo me lo fai? - Sbuffò Rick e Martha alzò le spalle portando lo sguardo al cielo e scuotendo la testa rassegnata.
- Io questa sera non ci sono, dobbiamo finire le prove per la rappresentazione del prossimo fine settimana e siamo terribilmente indietro! - Prese la sua borsa e svolazzando Martha andò verso la porta salutando platealmente con la mano prima di uscire salutando tutti con un “Au revoir a tout le monde” accompagnato da un ampio gesto con la mano. 
- Sei preoccupato papà? - Chiese Alexis mentre Rick controllava il cellulare per vedere se ci fossero messaggi o chiamate di Kate, ma nulla. Lo posava sul bancone della cucina e lo riprendeva ogni pochi secondi.
- Eh? No… no… Solo non sapevo che sarebbe dovuta uscire…
- Non mentire - Lo rimproverò Alexis.
- Sì, lo sono… - Sospirò 
- La nonna però ha ragione, Beckett è responsabile non ti devi preoccupare.
- Lo so, Al, lo so… è più forte di me…
- Senti papà, ti dovrei parlare…
- Dimmi!
- No, non adesso, anche io tra poco devo uscire… con Dustin.
- Ah, ok - Si era già irrigidito.
- Papà! - Lo richiamò Alexis - Non sono una bambina!
- Tu sarai sempre la mia bambina Al! L’età non cambia nulla. Ti posso invitare io ad uscire domani diciamo a pranzo?
- E Kate?
- Kate sa che ho una figlia, cosa pensi che mi dica? Di non andare a pranzo insieme dopo che non ci siamo visti praticamente mai per settimane?
- Non ti dispiace lasciarla sola?
- È un pranzo pumpkin ed io ho sempre tempo per te, ricordatelo.
- Ok papà… Adesso vado anche io.
- Ehy Alexis, domani 12:30 da Don Antonio.
- Pizza!
- Assolutamente! - Fece un gesto d’intesa con sua figlia che uscì dal loft e poi tornò a torturare il suo telefono in attesa di notizie di Kate.
La stava per chiamare quando sentì il rumore della serratura della porta di casa. Si voltò di scatto in quella direzione e quando la vide entrare si alzò repentinamente. Lei lo salutò con un sorriso mozzafiato. Quella scena lo fece impazzire. Lei che tornava a casa la sera, gli sorrideva, lui che la aspettava con un bicchiere di vino, poi si sedevano sul divano e lei gli raccontava la sua giornata. Era tutto quello che rivoleva, dannatamente rivoleva.
- Ehy dove sei stata? - Le chiese freddo, molto più di quello che volesse essere, con il risultato che il sorriso sul volto di Kate si spense subito - No, no scusa Kate… Solo che mi sono preoccupato, non sapevo dove eri, Alexis e mia madre non sapevano niente.
- Hai ragione Castle, scusami tu… Potevi chiamarmi! - Gli disse indicando il suo telefono sul mobile.
- È che non volevo disturbare.
- Tu non disturbi mai. - Gli allacciò le braccia dietro al collo, salutandolo, ora sì, con un lungo bacio.
- Cosa ho fatto per meritarmi questo bacio? - Chiese quando si separarono
- Nulla, mi sei mancato.
- Anche tu - Rick prese il giglio che aveva appoggiato sul bancone della cucina e glielo diede.
- E questo invece? Per cosa è? - Chiese Kate prendendolo
- Per te! Sono passato davanti al negozio di fiori qui vicino, l’ho visto ed ho pensato a te.
- Grazie è bellissimo. Come è andata oggi alla casa editrice? - Kate si stava versando del succo di frutta. Rick non le aveva detto che andava da Burke. Non voleva che lei lo sapesse, per vari motivi, ma principalmente perché se sapeva che si vedeva con lui, voleva dire che lui aveva dei problemi, non voleva che lei lo pensasse, e poi non voleva che Kate si sentisse a disagio a parlare con lui, qualora ne avesse avuto bisogno, sapendo che lui faceva la stessa cosa. Lo aveva detto anche al dottore, che gli aveva spiegato che, essendo tenuto al segreto professionale, non avrebbe comunque potuto dire nulla a Kate dei loro incontri. Il dottore, poi, ci tenne a precisare che non era una prassi comune avere due parti della coppia in terapia separatamente e che lo faceva solo perché conosceva bene la loro storia in via del tutto eccezionale.
- Tutto bene, abbiamo discusso di alcune idee per un nuovo libro. - Mentì, ma fino ad un certo punto, aveva veramente idee per un nuovo libro, solo che doveva ancora esporgliele, ma questa scusa sembrava ideale, soprattutto per coprire sue ulteriori sedute da Burke
- Sempre su Nikki Heat? - Chiese Kate sorseggiando il succo
- No, Nikki Heat è una cosa a parte e continua sui suoi binari. Questo è un altro genere… Sarà una sorpresa, anche per te!
- Quindi non mi vuoi dire nulla…. - Disse delusa
- No, infatti. Se no che sorpresa è? - Castle prese una mela e l’addentò mentre Kate finiva di bere.
- Invece io ti devo dire una cosa… 
- Che cosa? - diede un altro morso al frutto
- Andiamoci a sedere… - Kate lo prese per mano, Rick addentò ancora un paio di volte la mela e poi la lasciò lì sul bancone mentre masticava e a fatica deglutiva. Lei si fermò e lo guardò scuotendo la testa mentre lui quasi si strozzava - Sei sempre il solito Castle! Peggio dei bambini! - E tornò indietro riempiendogli un bicchiere d’acqua che trangugiò avido.
- Grazie! - Disse appena riprese fiato. Kate roteò gli occhi verso l’alto e scosse la testa, poi andarono finalmente a sedersi.
- Sono stata al distretto. - Kate guardò Rick cercando di capire dal suo sguardo come avesse preso la notizia ma Castle non reagì in nessun modo.
- Ok, perché? A trovare i ragazzi?
- No, sono andata a parlare con la Gates di una cosa che ho pensato oggi quando non c’eri.
- Vai avanti…
- Le ho chiesto se potevo tornare al distretto.
- Vuoi tornare a lavoro? - Chiese Castle incredulo e atterrito
- No, Rick, non ti preoccupare, dovrei ancora riabilitarmi e non penso che per ora supererei l’esame. - C’era più di una punta di rammarico nelle sue parole - Le ho chiesto se potevo andare per esaminare i casi a cui ho lavorato nel periodo dell’amnesia. Vorrei capire cosa ho fatto, come ho lavorato, come si è evoluto il mio modo di seguire i casi, quello che è successo. Ho pensato che magari analizzando i fascicoli, leggendo i rapporti, vedendo le varie scene del crimine potevo trovare qualche altro ricordo.
Rick ascoltava attento. Si era veramente preoccupato che Kate volesse tornare a lavoro, non perché non la ritenesse in grado, ma perché aveva paura per l’incolumità sua e della bambina. Gli piaceva, invece, l’idea che aveva avuto e ammirava il fatto che come prima cosa avesse detto che voleva capire se il suo metodo di lavoro nel corso degli anni era cambiato, era un’affermazione della scrupolosa Beckett che conosceva. Era rimasto in silenzio facendo le sue considerazioni mentali mentre Kate lo guardava preoccupato.
- Allora? Che ne pensi? Sei arrabbiato?
- No Kate, assolutamente! Mi sembra un’ottima idea! Se vuoi posso venire con te, li riguardiamo tutti insieme.
- Ehm… Rick, no. Preferirei farlo da sola, è il mio lavoro
- A quei casi abbiamo lavorato quasi a tutti insieme, potrei dirti molto di più di quello che c’è scritto. Raccontarti altri aneddoti, dirti come siamo arrivati alla soluzione…
- Castle, veramente, preferisco farlo da sola. - Prese la sua mano cercando di dargli conforto. Sapeva che quello che gli aveva detto lo aveva ferito, le avevano spiegato tutti quanto lui fosse continuamente presente in ognuno di quei casi, ma era una cosa che sentiva di dover fare da sola. - Però puoi venirmi a portare il caffè, ogni tanto. Decaffeinato, però.
- Va bene Kate, come vuoi. - Disse avvilito con lo sguardo di un bambino a cui è volato via il palloncino
- Ehy non mi guardare così però - Kate gli diede un bacio sul naso cercando di farlo sorridere inutilmente. - Castle, ascoltami… Devo cercare di fare delle cose da sola. Io adoro stare con te, ma non posso sempre dipendere da te per tutto. So che abbiamo lavorato insieme a tutti quei casi, però capisci che devo cercare di ricostruire il mio passato anche senza il tuo aiuto? Che non vuol dire senza di te, ma devo dimostrare a me stessa di potercela fare da sola. Ho sempre avuto te per appoggiarmi per qualsiasi cosa…
- Ok… Lo capisco
- Allora che c’è che non va?
- Stavo ripensando all’anno scorso, quando tu te ne eri andata di casa e non volevi che io venissi al distretto.
- Non ho intenzione di andarmene di casa Rick e non sono io che decido se puoi venire o no al distretto adesso. 
- Ok. - Il suo umore non era migliorato e Kate non aveva voglia di fargli domande in più su quel periodo, sia perché Rick aveva ancora difficoltà a parlarne, sia perché aveva paura di saperne di più, le sembrava una cosa così innaturale.
- Guarda cosa ci ha regalato oggi Lanie - Kate aprì la borsa e tirò fuori una tutina rosa con la scritta NYPD e lo stemma della polizia sul davanti con sotto stampato “Det. Castle”: era raggiante. Rick la prese e finalmente sorrise anche lui.
- A me non mi hanno mai permesso di chiamarmi Detective Castle. Qui qualcuna parte già con i favoritismi. - Mise il broncio questa volta per finta e Kate non resistette dal baciarlo ancora.
- Che ne dici se domani ti porto io in un posto a pranzo fuori? - Gli chiese Kate mentre erano abbracciati sul divano, finalmente un po’ più rilassati.
- Veramente domani ho promesso ad Alexis che sarei andato a pranzo con lei - Si scusò Rick
- Allora facciamo a cena?
- A cena è perfetto. - Questa volta fu lui a baciarla, accantonando per un po’ tutti i suoi dubbi e i conflitti interiori.

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Capitolo 36
*** TRENTASEI ***


Kate si svegliò presto. Si sentiva bene, molto bene. L'idea di riprendere la sua quotidianità e di andare al distretto l'aveva caricata di nuove energie, anche se solo per andare a leggere vecchi rapporti e non per svolgere quel lavoro che amava: lei era una donna d'azione non certo di scartoffie e scrivania.
Si vestì e salutò Castle che ancora si rotolava tra le coperte dandogli un bacio che lo svegliò solo per un attimo. Rick si svegliò solo quando sentì la porta del loft chiudersi. Toccò il lato destro del letto cercando Kate e non la trovò, rendendosi conto di quello che era successo prima, quando l'aveva salutato. La Si districò tra le lenzuola alzandosi velocemente ed accorgendosi che Kate era già uscita. Sospirò lasciandosi scappare un sorriso e si rimise a letto.

Quando Kate scese dal taxi davanti al dodicesimo le sembrò di respirare aria di casa. Vedeva molte facce conosciute altre no, ma tutte la salutavano con grandi sorrisi, felici di vederla di nuovo lì anche se ancora in vesti non ufficiali. Quando uscì dall'ascensore i suoi passi decisi rimbombavano nel corridoio, non aveva i soliti tacchi vertiginosi che era solita usare in ogni occasione, ma questo non toglieva nulla alla sua camminata elegante.

C’era ancora poca gente al distretto, Javier e Kevin non erano ancora arrivati, vide la Gates, invece già nel suo ufficio che le fece cenno di entrare, ma era al telefono e non voleva disturbarla. Esposito e Ryan avevano liberato quella che era la sua vecchia scrivania, rimettendole sopra alcuni di quegli oggetti che aveva lasciato nel suo ufficio di capitano e che la Gates aveva messo da parte, senza togliere nulla. 
Appoggiò la borsa sul piano, prese la targa in legno che avevano messo sulla scrivania: Katherine Beckett Captain. La prese in mano facendo scorrere le dita sulle lettere incise. 
- Ehy Beckett! Non ci credi che sei capitano? - La voce allegra di Esposito
Kate alzò lo sguardo verso l’amico scuotendo la testa accennando un sorriso.
- Non mi ci vedo Capitano, Javi. Non mi ci vedo tutto il giorno lì dentro a compilare scartoffie, fare telefonate, mediare con i politici. Io sono una che agisce, che lavoro sul campo, non sono una burocrate.
- Pensa a quello che ti è successo, non mi pare che sei stata un capitano che stava solo in ufficio, no?
- Ma è diverso Espo! - Posò la targa sulla scrivania - Perché secondo te l’ho fatto? Perché sono voluta diventare capitano?
- Perché sei la migliore Beckett. E i migliori non possono restare tutta la vita a fare i detective. Devono fare grandi cose. - Le diede un bacio sulla fronte, poi si tolse la giacca appoggiandola dietro la sua sedia.
Kate annuì, pensando alle parole dell’amico e collega. Andarono insieme in archivio, cercarono tra gli scaffali l’anno che le interessava, l’ultimo del quale avesse qualche ricordo. 
- Allora, Beckett, da dove vuoi cominciare? Ti ricordi qual è l’ultimo caso a cui hai lavorato?
Ci pensò un po’ su…
- Benni Rocha… no, aspetta… Harriet Wilson la cameriera del Pepper Market uccisa nel retro del ristorante dal fratello del suo fidanzato, te la ricordi?
- Ehm… no a dir la verità, ma cerchiamola… 
Esposito e Beckett passarono in rassegna le scatole nello scaffale e finalmente la trovano.
- Eccola! - Disse Javier. - Quindi da qui in poi. - Indicò tutti gli altri fascicoli dei casi che avevano risolto in quegli anni.
Kate prese in mano il dossier del caso successivo. 
- Oh, cominciamo subito con un serial killer… Harrison Tisdale… 
- Cosa? - Disse Javier prendendole i fogli di mano
- Questo è il caso successivo all’ultimo che ricordi? - Kate annuì - È quando abbiamo incontrato la prima volta Castle!
- Ah - Beckett rimase per un attimo senza parole. La sua memoria selettiva aveva cancellato tutto esattamente dal momento in cui aveva conosciuto Rick. Come poteva credere che fosse una casualità? 
- Tutto bene? - Le chiese Esposito vedendo il suo plateale turbamento
- È così strano Javi… Così strano…
- Dai, prendiamo un po’ di questi così cominci a studiarteli.
I due presero una pila di fascicoli ciascuno e tornarono alle loro scrivanie. Anche Ryan era arrivato nel frattempo e aspettava Javier picchiettando nervosamente sul ripiano della scrivania.
- Dai andiamo fratello c’è stato un’omicidio tra la Columbus e la 61th 
Kate si era appena seduta e sentendo quelle parole, un sussulto ed un riflesso incondizionato le fecero appoggiare le mani al bordo della scrivania e spostare indietro la sedia per alzarsi. Si fermò prima di farlo, ma il suo gesto non passò inosservato ai due che la guardarono benevoli abbozzando un sorriso e lei ricambiò con un cenno della testa e con la mano a dirgli di andare, che stava bene.
Non era così in realtà. Non stava bene per niente. Sapeva che la sua amnesia coincideva con il periodo in cui più o meno aveva conosciuto Castle, non aveva idea, però, che fosse esattamente da quei giorni. 
Avrebbe voluto aprire il cassetto, prendere la sua pistola e assicurare qualche bastardo alla giustizia, invece stava lì, a cercare di scovare qualcosa nel suo passato.
- Tutto bene Capitano Beckett? - Victoria Gates era alle sue spalle e la stava osservando
- Oh, non mi chiami così Signore… 
- Sarebbe voluta andare con i detective Ryan ed Esposito, non è vero?
- È il mio lavoro Capitano.
- Credo che qualora volesse tornare, non avrebbe problemi a superare la valutazione e a riqualificarsi, anche nel suo stato. Ma di certo non potrebbe andare sul campo, visto che è incinta.
- Lo so, ma non mi sento pronta per dirigere un distretto, non è quello che so fare, al momento o che mi sento di fare.
- Una soluzione si potrebbe sempre trovare, come congelare la sua carica fino a quando non avrà superato la su amnesia, ma così almeno qui al distretto, potrebbe partecipare alle indagini, interrogare i sospettati, parlare con i testimoni. È sempre stata brava in questo, la migliore… Ci pensi Capitano Beckett
- Sì, Signore, ci penserò…
- Beckett, guardi un po’ chi c’è là - La Gates le indicò l’ascensore dal quale era appena uscito Rick sorridente con due tazze di caffè in mano che procedeva verso di loro a passo allegro salutando tutti. Kate, nel vederlo arrivare così gioioso, arrossì quando i loro sguardi si incrociarono e lui le riservò un sorriso ancora più dolce.
- Capitano Gates, Capitano Beckett… - Rick salutò le due donne porgendo loro i caffè che Kate prese subito ma la Gates rifiutò gentilmente con un cenno della mano.
- Signor Castle, non avrei mai pensato di dire questa frase ma è un piacere rivederla al distretto - Lo salutò la donna.
- Il piacere è tutto mio Signore!
- Bene, vi lascio soli. Mi raccomando Castle, questo è sempre un distretto di Polizia anche se sua moglie non è in servizio!
- Io farò il bravo, ma non posso garantire anche per Beckett! - Le disse facendo il finto ingenuo mentre la Gates ritornava nel suo ufficio.
- Ehy ciao Capitano… Sei uscita presto stamattina… - Rick la salutò accarezzandole il viso e questo imbarazzò tantissimo Kate che si ritrasse appena.
- Dai Castle! Non qui!
- Beh, non ho fatto nulla di sconveniente. - Poi si guardò intorno, mancava una cosa. - Aspettami qui, intanto bevi il tuo caffè, è decaffeinato!
Castle si allontanò andando a parlare con un agente che doveva conoscere bene, a giudicare dalla stretta di mano e dalle pacche sulle spalle. Si voltarono un paio di volte verso Kate, Rick indicò qualcosa e gesticolò, alla fine l’agente annuì e Rick soddisfatto tornò da lei, sedendosi sulla sedia di Esposito, bevendo anche lui il suo caffè.
- Allora, cosa stai facendo di bello?
- Te l’ho detto ieri, guardo i fascicoli dei vecchi casi.
- Uhm… venire al distretto ti ha fatto tornare la vecchia Beckett! - Sbuffò Castle.
- E quello cosa fa? - Disse Beckett vedendo l’agente con il quale prima aveva parlato Castle arrivare con una sedia. Rick la prese e la mise vicino alla scrivania di Kate e si sedette. - Questo cosa vuol dire Castle?
- Mancava qualcosa, mancava questa! - Disse accarezzando i braccioli un po’ malconci.
- Cosa è questa? E perché l’hai messa lì?
- Direi che è una sedia, e si vede. Ti facevo più perspicace Beckett!
- Vai avanti Rick! Non uccidere la mia pazienza!
- Sì, decisamente la vecchia Beckett… - Disse tra se e se - Ma torniamo alla sedia, questa è la mia sedia ed è qui, perché è qui che io stavo seduto.
- Tu stavi qui? - Rick annuì energicamente con la testa. - Seduto qui, vicino a me, come un cagnolino? Tutti i giorni, tutto il giorno?
- Beh, sì più o meno… tu mi chiamavi quando c’era un omicidio, comunque diciamo gran parte del tempo sì, stavo qui.
- E cosa facevi?
- Esponevo le mie teorie, ti aiutavo, traevo ispirazione per Nikki Heat, almeno all’inizio. Poi semplicemente, quando non c’erano omicidi e tu dovevi compilare i tuoi rapporti, stavo qui, ti guardavo…
- È piuttosto inquietante Castle!
- Ma tu eri bellissima, come lo sei anche adesso. - Kate abbassò lo sguardo e tornò a sfogliare il fascicolo. - Cosa abbiamo qui? 
Castle girò la cartellina verso di se e vide le foto del cadavere.
- Allison Tisdale… Fiori per la tua tomba - Kate lo guardò - è il nome del mio romanzo, quello al quale è ispirato l’omicidio. Ci siamo conosciuti con questo caso.
- Sì, lo so, me lo ha detto Esposito. - Rispose evasiva Kate riprendendosi i fogli.
- Ah, come mai hai cominciato proprio da questo? - Chiese Rick insistente.
- Perché il è il primo che non ricordo. - Kate era spazientita e non aveva voglia di parlarne.
- Capisco…  
- Sicuro che capisci Castle? - La voce di Beckett si fece senza volerlo più aggressiva.
- Ci provo, quantomeno ci provo a capirti, Kate… - Disse sconsolato alzandosi ed andando verso la sala relax, dove svuotò il suo restante caffè nel lavandino e buttò il bicchiere. Quando si voltò Kate era dietro di lui. 
- Scusami Rick, mi dispiace. - Non riuscì a guardarlo negli occhi.
- Beh tornare al distretto ha fatto venire a galla quel tuo lato dispotico che mi trattava sempre male, come ai vecchi tempi - Castle sorrise, ma Kate non capì se un sorriso ironico oppure no.
- Sei arrabbiato?
- No… Sono dispiaciuto. Vorrei aiutarti, ma so che vuoi fare da sola, quindi è inutile che io stia qui, ti infastidisco solamente.
- È cominciata così?
- Cosa?
- Tra noi due, è cominciata così? Con tu che mi stavi sempre addosso ed io che ti avrei voluto sparare o almeno arrestare perché non lo sopportavo?
- Sì, più o meno sì… Però mi hai arrestato veramente.
- E tu cosa hai fatto?
- Ti ho detto che la mia safeword durante certi giochi è…
- Mele! - Gli completò la frase Kate stupita.
- Te l’ho detto negli Hamptons? - La guardò Rick malizioso
- No, non credo…
- Bene, anzi, ottimo… Mi piacciono questi ricordi - Gli disse ammiccando
- Sarà meglio se ne parliamo a casa, però… - Kate gli appoggiò una mano sul petto e Castle mise la sua sopra quella di lei.
- Certo, è meglio Kate - Il suo tono si era immediatamente addolcito - Mi raccomando, non ti affaticare troppo e ricordati di pranzare, non voglio che vi trascuriate, tu e lei, ok?
- Ok Castle, non ti preoccupare.  - Rick le sfiorò appena le labbra con le sue, poi uscì dalla sala relax ed anche dal distretto, lasciando lì Kate, con quel ricordo strano appena riaffiorato.

Don Antonio era un piccolo ristorante italiano sulla 50th strada famoso per la pizza ed altre specialità italiane. L’ambiente era informale ed abbastanza caotico, forse non il posto migliore per una chiacchierata, ma sia Rick che Alexis adoravano quel posto e, anche se solitamente non accettano prenotazioni, chiamarsi Richard Castle, essere un cliente affezionato e lasciare sempre buone mance fa in modo che un tavolino per lui si trova sempre e fu così anche quella volta. Rick arrivò un po’ prima, si mise di lato rispetto agli altri in fila per un tavolo ed aspettò Alexis che arrivò un po’ trafelata. 
- Scusa scusa papà ma c’è stato un’imprevisto.
- Non ti preoccupare Al! 
La prese sottobraccio ed entrarono. Il cameriere, un ragazzo con forte accento napoletano, italiano come tutto il resto dello staff, lo accompagnò al tavolo un po’ in disparte che gli aveva lasciato in fondo al locale stretto e lungo, dove il forno a legna troneggiava come sovrano indiscusso. Ordinarono due pizze margherite, classiche, e dei fritti tipici italiani: ben presto capirono che quel giorno, lì parlare sarebbe stato impossibile, così si godettero semplicemente l’ottimo pasto, chiacchierando del più e del meno, rimandando la conversazione al loro dopo pranzo, nella caffetteria lì vicino che Castle aveva già adocchiato. 

Nel più tranquillo ambiente di quel café un po’ démodé, davanti a due cappuccini e due fette di torta, padre e figlia si ritrovarono a parlarsi un po’ imbarazzati.  Erano seduti su delle poltroncine dalle imbottiture rivestite da motivi patchwork floreali, con le spalliere alte ed un piccolo tavolino tondo tra di loro dove entrava a mala pena quello che avevano ordinato.
- Hayley è tornata in Inghilterra. Ha ricevuto un’importante offerta… 
- Sì, lo so, mi ha mandato un messaggio. Sono felice per lei.
- Avrebbe voluto chiamarti, ma non voleva disturbarti.
- Me lo ha scritto, ho apprezzato. Ti dispiace che se ne sia andata? Avevate un buon feeling.
- È stata una buona amica, in un periodo complicato.
- Sì, decisamente complicato… - Rick sorseggiò il suo cappuccino, appoggiando poi la tazza sul piattino girandola e rigirandola più volte. 
Alexis aveva imitato i gesti del padre. C’era difficoltà per entrambi nell’affrontare quella discussione. Loro avevano sempre parlato tanto, confidandosi tutto, ma non avevano più avuto modo o voglia di confrontarsi da quando era successo il fatto, perché ancora faticavano a chiamarlo con il proprio nome, che sarebbe dovuto suonare più o meno come “ti ho trovato più morto che vivo dentro casa nostra dopo che avevano sparato a te e a tua moglie”. Era decisamente meglio continuare a chiamarlo il fatto.
- Che intendi fare ora papà? - Rick ci pensò un attimo, prendendo tempo mettendosi in bocca un pezzo di torta al cioccolato ed arancio che masticava lentamente.
- Tornare a fare il mio lavoro. - Disse infine
- Quale lavoro?
- Lo scrittore. - Castle era estremamente serio, come poche volte lo era stato con sua figlia. - Vedi Alexis, tu anni fa mi hai detto una cosa, che dovevo crescere e smettere di giocare, che ero uno scrittore e non poliziotto. Beh, forse quel momento è arrivato, il momento di crescere intendo.
- Sai che non volevo dire quelle cose.
- Oh sì che le volevi dire ed avevi tutto il diritto di farlo in quel momento.
- Papà ho capito perché hai fatto certe scelte e quello che è successo dopo, tra te e Beckett, dimostra che avevi ragione tu, su di lei e su di voi.
- Sì, Alexis, però sono successe tante altre cose. Adesso abbiamo bisogno di normalità. Io, Kate e la bambina.
- Per questo vuoi cambiare? Per la bambina?
- Sì, anche. E’ un problema?
- No… - Alexis posò la forchetta con la quale stava mangiando la sua cheesecake sul piatto rumorosamente e si appoggiò alla spalliera della poltroncina.
- Al, che c’è? Ti conosco, cosa ti turba?
- Niente papà, pensavo che quando ti ho chiesto io di cambiare vita, di evitare di metterti in situazioni pericolose perché avevo solo te, tu non l’hai fatto, invece adesso… è stupido lo so, alla mia età fare questi discorsi così infantili.
- Ehy la parte della sorella maggiore gelosa mi mancava nel repertorio sai? La situazione ora è diversa Al… Non so cosa farà Beckett nel suo futuro. Se non tornerà al distretto io di certo non mi metterò a seguire qualche altro poliziotto, ma se lo farà o se vorrà fare qualunque altra cosa, qualcuno dovrà stare con la piccola ed io modestamente ho una certa esperienza ed ho già fatto un ottimo lavoro crescendo la mia figlia maggiore.
- Non prenderti meriti che non hai papà!
- Almeno qualcuno dovrai riconoscermelo!
- Va bene, qualcuno piccolo.
- Ok, ci sto, meglio di niente. Comunque ti dicevo, adesso le cose dovranno cambiare per forza ed anche se Kate decidesse di non tornare al distretto o di fare altro, io non continuerei certo a collaborare con la polizia, lo capisci vero questo? Non voglio che tu faccia paragoni tra te e Mini Beckett. Tu sarai sempre mia figlia, così come lo sarà lei. Come non ho fatto mancare nulla a te quando eri piccola dandoti tutto me stesso così farò con lei, ma questo non vuol dire che per lei farei qualcosa che per te non ho voluto fare. Sono situazioni diverse, anche età diverse. Non puoi paragonare l’impegno costante che richiede una neonata con quello di una ragazza adolescente che stava per diplomarsi.
- Il bisogno di avere una figura paterna è lo stesso, però - disse Alexis tristemente.
- Pumpkin ho capito il tuo punto di vista, però non puoi negare, che quando ti stavi per diplomare non avevi bisogno che ti cambiassi il pannolino o ti dessi da mangiare ogni 3 ore. Sarebbe stato imbarazzante, non trovi? - Riuscì a farla sorridere - Non parlo di esigenze morali, ma materiali. Se l’opportunità di seguire Kate con tutto quello che comportava, mi fosse capitata quando tu eri molto piccola, sicuramente mi sarei comportato in maniera diversa, anche davanti a certi pericoli che ci potevano essere.
- E’ stupido vero fare questi discorsi ad una della mia età? Ti prego non dirlo a Kate, non vorrei che pensasse male, che io non sia felice per la bambina…
- No, Al è umano. E credo che su questo nessuna persona al mondo possa capirti come Kate, su quanto perdere un genitore possa far male anche quando si è grandi. 
- Papà, ma tu credi veramente che Beckett possa lasciare il distretto?
- Non lo so. Sia il sindaco Welldon che il giudice Markway sono convinti che le chiederanno di nuovo di candidarsi a senatrice.
- E tu pensi che accetterà?
- Ora no. Ma credo che se ritrovasse la memoria potrebbe farlo
- Ti dispiacerebbe?
- No, dovremmo organizzarci con la bambina e tutto il resto, tra qui e Washington, ma sarei contento, per lei dico, può fare tanto.
- Sì lo credo anche io. 
- Sarebbe un problema per te? Se noi dovessimo vivere tra qui e Washington dico… sì lo so, sto correndo forse un po’ troppo, ma per te sarebbe problematica come cose?
- No, no… assolutamente, poi Washington non è lontana. - rispose imbarazzata - Papà, ti posso dire una cosa? Non vorrei però che la prendessi male.
- Dimmi tutto, tanto dopo la gelosia da sorella maggiore sono pronto a qualsiasi cosa!
- Mi manca la vecchia Beckett. Cioè, non fraintendermi, lo so che Kate è sempre lei, però è diversa…
- So quello che vuoi dire piccola, manca molto anche a me, ma non dispero, tornerà.
Alexis prese la mano di suo padre, cercando di dargli coraggio e gli sorrise volendo anche lei essere ottimista. Poi venne al motivo per cui gli aveva chiesto di parlare quel giorno.
- Sai papà, ho ricevuto una proposta… 
- Spero non di matrimonio, perché altrimenti ti dovresti vedere costretta a rifiutare e posticipare di almeno 10 anni o forse più!
- Papà!
- Ok, sono serio, dimmi.
- Andare a seguire un corso alla Penny Law. 
- A Philadelphia?
- Sì. 
- Mi pare un’ottima università, qual’è il problema?
- Philadelphia.
- E’ una bella città, certo non è New York, però non è male, ci ho presentato più volte i miei libri.
- Non è un problema per te?
- Ma no Alexis, è la tua vita ed è giusto che tu faccia quello che senti. E non mi dire che ora ti dico così perché c’è la bambina che sta per nascere che un’altra sceneggiata da sorella maggiore gelosa non la sopporterei.
- Ammetto che ci ho pensato papà!
- Lo so che lo hai pensato! Sei mia figlia, ti conosco un po’! Se vuoi andare vai. Cercati un bel posto dove stare e non ti preoccupare di nulla. Al, però devi dirmi una cosa, sinceramente. C’entra qualcosa questo Dustin con la tua decisione?
- Beh… In parte sì… Ma non è come pensi, non voglio andare a Philadelphia perché c’è lui, casomai è il contrario, dopo che ho ricevuto la proposta per Philadelphia sono andata un paio di volte a fare dei colloqui e l’ho conosciuto lì. Ora è qui a New York per uno stage, tornerà alla Penny Law a fine settembre, io però conto di andare un po’ prima, se non è un problema.
- Quando vuoi Al.
- Ti mancherò papà?
- Tantissimo pumpkin!
- Ti prometto che per quando nascerà Mini Beckett sarò qui!
- Ci conto!
- Non me lo perderei per nulla al mondo!

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Capitolo 37
*** TRENTASETTE ***


Alexis dopo che era tornata a casa si era cambiata ed era uscita con Dustin, le avrebbe consigliato la zona migliore dove cercare casa a Philadelphia, così almeno aveva detto a suo padre.
Martha era sempre impegnata con le prove del suo spettacolo e, venne a sapere Rick da Alexis, anche con un distinto filantropo vedovo che finanziava i nuovi allestimenti.
Lui, solo nel loft fin troppo silenzioso, ne aveva approfittato per farsi una doccia. Aveva poi scelto con cura cosa mettersi per andare a cena con Beckett. Niente di elegante, un paio di jeans ed una camicia nera.
Aveva preparato due cocktail analcolici alla frutta, per darle il benvenuto dopo quella prima giornata di “lavoro”.
Kate tornò a casa molto più tardi di quanto avesse immaginato. Rick appena sentì aprire la serratura le si presentò davanti con i cocktail per accoglierla nel migliore dei modi. Rimase sorpresa nel vederselo lì appena aperta la porta, prese il bicchiere dalle sue mani ed ancora un po’ frastornata entrò in casa.
Bevve un sorso e si rese conto che era la prima cosa che aveva ingerito da quando quella mattina Rick le aveva portato il caffè. Si sentì tremendamente in colpa per questo.
- Tutto bene Kate? Dove mi porti questa sera a cena?
Beckett chiuse gli occhi, scosse testa e inspirò profondamente. Se lo era completamente dimenticato.
- Rick perdonami io… mi sono completamente dimenticata… Nel leggere quei rapporti oggi non mi sono ricordata di niente… - ammise candidamente.
- Nemmeno di pranzare suppongo. - La rimproverò Rick. Lei non gli rispose, ma il suo sguardo basso fu abbastanza eloquente. - Cosa vuoi mangiare?
- Non lo so Rick, quello che vuoi tu. Scusami… - Le fece cenno di non parlare, era già al telefono con uno dei suoi ristoranti preferiti. Ordinò, come sempre, un gran quantitativo di cibo, chiedendogli di portarlo il prima possibile ed avrebbe pagato un extra per il servizio celere. Appoggiò il telefono sul tavolo e guardò Kate, visibilmente in difficoltà. Non era arrabbiato, piuttosto deluso per la sua mancanza di riguardo non solo verso se stessa, ma anche verso la loro bambina. Lei si andò a sedere sul divano, stanca, fisicamente, ma non solo, non era stata una giornata facile. Aveva un gran mal di testa e non poteva prendere nulla per alleviarlo. Aveva esagerato, come sempre, solo che ora il suo fisico non rispondeva allo stesso modo. Cominciò anche a sentire fame e Castle, come leggendola nel pensiero, si mise seduto vicino a lei con un vassoio con del formaggio e dei crackers.
- Aperitivo insieme al cocktail? Certo non è a base di champagne, ma accontentati - Rick aveva una punta di acidità nella voce che non sfuggì a Kate.
- Rick, per favore, scusami per la cena saltata…
- Non mi interessa della cena saltata Kate, mi preoccupa il fatto che eri talmente presa che non hai nemmeno pranzato, questa mattina sei uscita senza fare colazione. Ora devi essere più regolare con i tuoi pasti.
- Hai ragione. Ho avuto un comportamento pessimo. - Disse sconsolata. Rick avrebbe voluto dirle qualcosa per consolarla, ma non ci riuscì. Era veramente deluso e preoccupato dal suo comportamento. Cosa avrebbe dovuto fare, chiamarla ogni giorno per assicurarsi che mangiasse? Kate mangiò qualche pezzo di formaggio, poi si rannicchiò in un angolo del divano, distante da lui, quasi ne avesse timore.
- Kate, io sono solo preoccupato per te, anzi, per voi. Per e donne più importanti della mia vita.
- Lo so Castle, lo so.
Rimase in quella posizione fino a quando non suonarono alla porta per la consegna della loro cena. Apparecchiò velocemente la tavola con un paio di tovagliette, due piatti posate e bicchieri, senza la solita attenzione ai dettagli che in questi casi mostrava Rick. Quando era a casa Kate raramente apparecchiava la tavola, quasi mai cucinava, consumava quasi tutti i suoi pasti nel contenitore del take-away seduta sul divano, leggendo un libro o esaminando i fascicoli di qualche caso ancora irrisolto, almeno per quello che lei ricordava.
Castle stava sistemando quanto ordinato sul tavolo, menu del giorno, per due: Ravioli ai funghi, confit d’anatra con spinaci saltati, verdure miste saltate e crumble di mele.
- Ti piace? - Le chiese Rick mentre la vedeva mangiare piuttosto distrattamente, benché avesse molta fame.
- Sì, è molto buono, grazie - Erano tornati al livello di conversazioni da cortesi sconosciuti.
- Kate… Per favore, non stare sulla difensiva… Si può sapere cosa c’è che ti ha tenuta così tanto concentrata oggi da farti dimenticare tutto? Hai ricordato qualcosa?
Scosse la testa.
- Niente di più della tua safeword - disse sorridendo finalmente
- Bene, magari potrebbe tornare utile. - Provò a sdrammatizzare Rick, guadagnandosi un’occhiataccia di Kate.

- Oggi quando leggevo di quei casi ho visto ogni vittima, ho letto le dichiarazioni dei parenti e mi sono immaginata il loro dolore, di tutti. Madri, mogli, sorelle, mariti, figli. In questo periodo fuori da tutto mi ero quasi dimenticata anche perché facevo il mio lavoro, per loro. Per dare giustizia alle vittime e per dire ai loro parenti "lo abbiamo preso". È liberatorio, sai Castle? Quando prendi un bastardo che ha tolto la vita ad una persona, sbatterlo in galera e poi poter dire ai parenti che almeno quello è finito, mettergli una mano sulla spalla e dirgli "lo abbiamo preso". Il dolore per la perdita non cesserà mai, però questo gli può dare almeno un senso di giustizia, una risposta ai mille perché che si hanno in questi momenti. Non sai per quanto tempo io ho sperato che qualcuno venisse da noi a dirci "lo abbiamo preso", ma non è mai venuto nessuno.
- Lo hai preso tu. Tra i tanti a cui hai dato giustizia ci siete anche tu e tuo padre. 
- Non è la stessa cosa.
- Vero, la soddisfazione che avevi in quel momento era sicuramente molto di più di qualsiasi vuota parola di conforto che potevano darti un poliziotto, non tutti sono come te, che credono fortemente in quello che fanno, dovresti saperlo.
- Stai cercando di tirarmi su il morale Rick?
- No, ti dico la verità. 
- Oggi quando Esposito e Ryan sono usciti per andare ad indagare su un omicidio, mi è venuto istintivo alzarmi come se dovessi uscire anche io con loro.
- È normale, Kate.
- È stato frustrante rimanere lì, vederli alla lavagna scrivere teorie, fare ipotesi e non poter partecipare. Ascoltavo tutto quello che dicevano, facevo i miei ragionamenti…
- Non penso che si offenderebbero se gli dai la tua opinione. 
- Non sarebbe giusto, è il loro caso, io non sono in servizio, non c’entro nulla con queste indagini.
- Ma tu sei la migliore e loro lo sanno. Io non ero nemmeno un poliziotto eppure ho sempre detto la mia e nessuno si è mai offeso - Le disse Rick alzando le spalle, a sottolineare l’ovvietà di quanto appena detto - A parte tu, qualche volta, beh, forse più di qualche volta, soprattutto quando parlavo di CIA, alieni, mafia, cospirazioni…
Kate sorrise di nuovo.
- Che ne dici se il dolce lo mangiamo sul divano? -Rick si alzò con le due coppette in una mano e l’altra gliela porse, invitandola a seguirlo. Questa volta non si mise in un angolo, ma molto più vicina a lui. Rick aveva letteralmente ricoperto il suo crumble con la panna
- Non ti pare di aver esagerato?
- No è buonissimo così, assaggia… - la imboccò con un generoso cucchiaio del suo dolce. Kate che pensava di rimanerne disgustata dovette invece ricredersi e lo apprezzò molto, tanto che scambiò le loro coppette prendendosi lei quella con la panna e lasciando a Rick quella senza, che lo obbligò ad alzarsi e andare a prendere la panna spray in cucina. Ne spruzzò quindi una abbondante porzione sulla sua e Kate gli chiese di aggiungerne ancora un po’ anche a lei.
- Da quando in qua hai anche tu questo amore per la panna?
- Non lo so Castle, ma credo che sia tua figlia che ha ereditato i tuoi stessi gusti!
Rick sorrise teneramente. Adorava sentir parlare Kate così consapevolmente della loro bambina, così le versò ancora più panna.

- Credo che stanotte mi sentirò male… - Disse Kate quando ebbe finito di mangiare tutto il dolce, o meglio le tracce di crumble immerso nella panna.
- Posso fare il tuo infermiere sexy, se lo vuoi!
- Finiscila Castle! - Kate si sdraiò con la testa sulle gambe di Rick mentre lui aveva placidamente appoggiato il suo braccio su di lei cingendole la vita e andando ad accarezzarla delicatamente.
- Kate, era solo quello che ti ha turbato oggi?
- No… - ammise lei sospirando
- Ne vuoi parlare? - Le chiese dolcemente
- La mia amnesia… 
- Ok, ti ascolto. - La voce di Rick si era fatta molto seria
- Io sapevo che più o meno coincideva con il periodo precedente a quando ci siamo conosciuti, però vedere che è cominciata esattamente quando ti ho incontrato per la prima volta, oggi mi ha colpito ed anche un po’ destabilizzato. Perché ti ho eliminato dai miei ricordi? Perché tutto il periodo che abbiamo passato insieme?
Rick sospirò, non sapeva cosa risponderle, aveva quasi paura a farlo. Anche Kate sospirò e roteò la testa un po’ all’indietro per guardarlo.
- Avrei varie risposte per te…
- Sentiamole… - Kate sapeva che si stava inventando qualcosa per tirarla su d’umore.
- Innanzi tutto quella romantica: ti sei voluta dimenticare di me, per poterti innamorare ancora, essere corteggiata di nuovo, avere tutte le mie attenzioni. - Le disse con tono languido, prima di passare ad uno più squillante - comunque potevi chiederlo, avrei fatto tutto questo ugualmente e ne sarei stato estremamente felice.
- Ok Castle, questa tenderei ad escluderla, altre teorie?
- Dovremmo controllare, ma magari in quel giorno c’era un particolare allineamento dei pianeti che ha aperto un varco spazio temporale che ha….
- Castle… era meglio quella precedente. Vuoi fare un altro tentativo?
- Sì… Era un po’ che lavoravamo insieme ed io avevo fatto una cosa, senza dirtelo. Avevo preso il fascicolo dell’omicidio di tua madre ed avevo cominciato ad indagare per conto mio, sai le possibilità di ingaggiare persone che potessero trovare qualcosa in quelle carte che erano sfuggite alla polizia non mi mancava e l’ho fatto. Poi quando ti ho detto se tu volevi indagare di nuovo sul caso, mi hai minacciato dicendomi che se lo avessi fatto, noi avremmo chiuso e quando ti ho chiesto perché non volevi indagare ancora tu mi avevi detto che per te quel caso era come bere per un alcolista, che avevi capito dopo anni in cui ti eri ossessionata a cercare qualche indizio che se non avessi lasciato perdere saresti finita male. Io ovviamente non ti ho dato retta, avevo già messo in moto tutto. Così sono venuto a scoprire delle cose e te te l’ho detto, ho corso il rischio di perderti e tu beh, ti sei arrabbiata tantissimo e non volevi più avere a che fare nulla con me… Tutto quello che ti è successo dopo fino al giorno che qui… capito, no? Beh, tutto è stato causato solo dal nostro incontro, da me. Eliminandomi avresti eliminato tutto il dolore, la sofferenza, i ricordi spiacevoli di questi anni, lo hai fatto per difenderti…
Kate non riuscì a dire una parola, si aspettava un’altra folle teoria di Castle ed invece lui le aveva detto quello che realmente pensava.
- Ho eliminato anche tutti i momenti belli, però… - disse lei amaramente.
- Beh, sì, anche quelli. Un danno collaterale. - Fu la triste risposta di Castle, che rimase poi in silenzio.
Kate si tirò su, si appoggiò al suo petto abbracciandolo e nascondendo il viso sul collo di un Rick immobile.
- A cosa pensi Rick? - Gli mormorò mettendosi comoda sul suo petto.
- Ai momenti belli. È sempre più difficile raccontare un momento bello di uno brutto. È più facile spiegare il dolore che la gioia che ti può dare una piccola cosa che però per te è così importante che magari ti cambia la giornata. Anche quando scrivo è così. È sempre più difficile far provare empatia per la felicità che per la tristezza.
- Raccontamene uno, uno di quei bei momenti a cui pensavi.
- Beh… Potrei dirti quando sei venuta qui e mi hai baciato ed abbiamo passato tutta la notte insieme, per la prima volta, o il nostro matrimonio, o quando hai accettato di sposarmi ma sarebbe troppo facile, sarebbe scontato. Invece c’è stato un giorno, era da poco che stavamo insieme e non lo sapeva ancora nessuno, proprio nessuno. Ci vedevamo di nascosto da te, più che altro o da me, quelle rare volte in cui il loft era vuoto. Eri tornata al distretto dopo la sospensione e lì facevamo finta di nulla, come sempre, ed era difficile perché io avrei voluto baciarti ogni volta che tu ti giravi a guardarmi e passavo il tempo a fissare le tue labbra pensando a quando le avrei finalmente fatte mie… - E lo fece veramente, in quel momento, la baciò, per poi riprendere a raccontare - Tu non volevi che nessuno sapesse e a me andava bene così, non lo avevo ancora detto nemmeno a mia madre ed Alexis. Poi un pomeriggio mentre ero a casa mi arriva un tuo messaggio, mi dicevi di raggiungerti a Central Park, vicino alla giostra. Io sono uscito di corsa, credevo che ci fosse stato un omicidio ed invece tu eri lì, da sola, con uno stecco di zucchero filato in mano ed il tuo splendido sorriso un po’ imbarazzato ed un po’ compiaciuto nel vedere la mia faccia stupita. Eri bellissima e tremendamente, avevi dei jeans aderenti, stivali neri, una t-shirt rossa ed il tuo giacchetto di pelle. 
- Castle, stai inventando approfittando del fatto che non ricordo nulla o ti ricordi veramente come ero vestita?
- Me lo ricordo, perfettamente, Beckett! Fammi finire… Dicevo… Io non capivo perché mi avevi fatto andare fino a lì, però appena sono stato abbastanza vicino, tu mi hai baciato ed è stato il bacio più dolce ed appiccicoso che ci siamo mai scambiati, letteralmente dolce ed appiccicoso. Era la prima volta che non avevi paura di farti vedere con me, in mezzo alla gente, per quello che eravamo veramente, due persone che si amavano. Ecco, questo è uno dei miei momenti belli. Quel pomeriggio a mangiare zucchero filato seduti su una panchina è stato bellissimo.
Kate provò ad immaginare come si doveva essere sentita in quel momento. Adorava Central Park ed anche la giostra per un motivo particolare. Pensò che non doveva essere un caso che aveva voluto andare proprio lì quel giorno, o forse era stato il suo inconscio a far sì che fosse proprio quello il luogo che aveva scelto.
- Lo sai perché ti ho voluto incontrare proprio lì?
- Non me te lo ho mai chiesto, veramente…
- Quando ero piccola e mia madre il pomeriggio finiva presto di lavorare, non accadeva spesso a dir la verità, mi portava sempre a Central Park. Nei mesi invernali a pattinare sul ghiaccio e quando invece cominciavano le belle giornate primaverili, andavamo alla giostra. Io facevo qualche giro mentre lei mi guardava sorridente e poi mi comprava sempre lo zucchero filato che mangiavamo insieme. Non è stato un caso se ti ho dato appuntamento lì, ne sono sicura.
- Sì, lo penso anche io.
- Potremmo andarci di nuovo, che ne dici?
- Certo, potremmo farlo. Vorrei tanto darti un’altro bacio dolce ed appiccicoso. Intanto però… - e si posò di nuovo sulle sue labbra con un altro tipo di dolcezza, quella che era solo la sua.
- Hai fatto qualche altra scoperta interessante oggi trai tuoi fascicoli? - Le chiese quando le loro bocche si separarono non troppo convinti di farlo.
- Da qualche rapporto di Montgomery viene fuori che sei stato molto più di aiuto di quanto pensassi! - Gli disse Kate ridendo
- Oh Beckett! Non so se ritenermi lusingato o offeso per questo!
- Entrambe le cose, Castle! Poi ho visto che hai conosciuto Sorenson…
- Già, che piacere… - disse Rick ironico, irrigidendosi. - Sai come mi chiamava quello? Lo scrittore fesso.
- Castle… non fare il geloso… Abbiamo collaborato ad un paio di casi, la nostra storia era già chiusa da tempo.
- Beh, sì, anche se lui ha fatto di tutto per riaprirla e tu sembrava anche che ci potessi stare…
- Dai Rick, impossibile, dopo quello che mi aveva fatto, non avrei potuto. Sei il solito esagerato. - Gli disse Kate ridendo e dandogli una pacca sul petto.
- Da come ridevate insieme e da come vi baciavate, forse no… Non ero esagerato…
- Cosa c’è stato con Sorenson Castle? - Gli chiese ora più seria
- Da quello che so io, lui ha provato a rimettersi con te, tu hai tentennato un po’ ma non ci sei stata, poi altri dettagli non li so e preferisco continuare a non saperli.
Ora fu Kate a farsi improvvisamente seria.
- Non avrei potuto rimettermi con lui. Non lo avrei mai fatto, Rick. Sei io fossi stata importante per lui, se lo fossi stata veramente, non avrebbe buttato all’aria la nostra storia per andarsene a Boston per il suo lavoro all’FBI senza nemmeno consultarmi. Se lo ha fatto voleva dire che era più importante di noi e che quindi io non valevo molto per lui. Non potevamo mai essere una coppia, lui di fatto con le sue scelte mi aveva escluso dalla sua vita, decidendo per entrambi.
Castle rimase ad ascoltarla senza dire nulla, ma quelle parole lo colpirono. 
- Probabilmente nemmeno tu lo amavi così tanto, altrimenti avresti trovato un punto di incontro.
- Da che parte stai Rick?
- Da nessuna, stavo solo pensando ad un periodo… Quando tu eri a Washington…
Kate si alzò e si voltò per guardarlo negli occhi. Di cosa stava parlando?
- Ero a Washington? 
- Sì tu… lavoravi per l’FBI…
- Cosa? No, aspetta Castle, io all’FBI?
- Sì…
- E noi stavamo insieme? - Rick annuì - E tu sei stato d’accordo?
- Non me lo hai detto. Ho scoperto per caso che avevi fatto il colloquio, che pensavi di trasferirti a Washington per quel lavoro che era la tua grande occasione.
- Io no… non è possibile… - Balbettò Kate
- È possibile, lo hai fatto. Io mi sono arrabbiato, moltissimo. Abbiamo anche discusso, al punto che tu eri convinta che io ti volessi lasciare.
- Poi cosa è successo?
- Hai accettato. E ci siamo incontrati al parco, alle altalene, quelle altalene… Volevi parlarmi e dirmelo, ma anche io volevo dirti una cosa. Ti ho chiesto di sposarmi, prima che tu mi dicessi se andavi o no a Washington. Io ti amavo e non mi importava dove stavi. Un modo per farla funzionare l’avremmo trovato. Ah, hai accettato anche la mia proposta, ovviamente, oltre a quella dei federali. - Provò a strapparle un sorriso, ma Kate era diventata improvvisamente molto seria, quasi assente. - Tutto bene?
- Sì, cioè, no. Non credevo che avrei mai potuto fare una cosa del genere. Non se noi due…
- Era la tua grande occasione Kate, lo dicevi sempre, è stato giusto che tu ci provassi, altrimenti lo avresti rimpianto per sempre e non sarebbe stato un bene per noi, perché mi avresti sempre visto come quello che ti aveva impedito di provare a fare qualcosa che ritenevi importante nella tua vita e io non voglio mai, in nessun modo limitare le tue ambizioni.
- Cosa è successo poi? Perché sono tornata a New York?
- Ti hanno licenziata, ma non perché non fossi brava, solo perché la tua caratura morale ed il tuo senso di giustizia erano di molto superiori a quelli dei federali, a loro non interessava la verità o la giustizia, ma solo risolvere i casi suscitando il meno clamore possibile ed ovviamente questo per te non era accettabile e dovevi fare le cose di testa tua.
Kate sorrise amaramente.
- E tu? Sei stato contento che mi hanno licenziata?
- Beh, mi ha fatto piacere che sei tornata a casa, però non nego che mi è dispiaciuto non vivere almeno per un po’ di tempo in quella casa che avevo preso a DC…
- Avevi preso una casa?
- Sì, una casa per noi, con uno studio per me dove poter scrivere e così poterti stare più vicino, visto che tra le mie presentazioni del libro ed il tuo lavoro non ci eravamo visti per molto tempo ed era veramente, veramente insostenibile starti lontana.
- Perché hai fatto tutto questo?
- Perché ti amo. E sì, mi sono arrabbiato quando l’ho scoperto, ma non perché volevi andare a Washington, ma solo perché non me lo avevi detto, ho avuto paura… Di non essere abbastanza per te per prendere delle decisioni insieme sul nostro futuro. Poi ho capito che se volevo questo, dovevo essere io il primo a dimostrarti che credevo in noi, che non dovevo più temporeggiare per paura. Così ti ho chiesto di sposarmi.
Kate si alzò dal divano ed andò in camera. Si era rilassata quella sera, mangiando crumble e giocando con la panna con Castle, le sembrava che quella giornata pesante fosse scivolata via bene, tutto sommato, ma quel discorso di Rick su Washington, sulle sue scelte così radicali, l’avevano fatta sprofondare nella confusione più totale.
Il lavoro aveva sempre rappresentato una parte importantissima della sua vita, ci si era sempre dedicata anima e corpo. Ma aveva potuto veramente mettere in rischio il suo rapporto con Castle per inseguire il sogno di una carriera diversa? Tutti gli avevano sempre detto quanto era importante per lei Rick, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui, che era la sua vita e lei gli aveva creduto, a tutti loro, lasciandosi andare, anche con lui, più di quanto avrebbe fatto con chiunque, anche seguendo quell’idea che si era costruita nella sua mente di loro. 
Adesso invece aveva saputo che con lui si era comportata esattamente come Sorenson aveva fatto con lei. Si ricordava tutto quello che aveva pensato di Will, quanto era stata male e non capiva come poteva aver fatto a fare una scelta del genere se Rick era veramente così importante. Non si trattava di metterlo in secondo piano rispetto alla sua idea di giustizia o ai suoi principi morali o alla sua stessa sicurezza, come le aveva detto che aveva fatto quando si erano separati. Lì aveva pensato di andarsene da lui, da New York e dalla loro vita insieme solamente per inseguire la sua carriera. Non riusciva a capirlo. Si sentiva come se quello che aveva costruito in questi mesi fosse solo un castello di carte esposto al vento di una finestra lasciata aperta dalla quale stavano entrando tutte le paure ed insicurezze. 
Rick era stato veramente così importante nella sua vita?

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Capitolo 38
*** TRENTOTTO ***


Rick era stato veramente così importante nella sua vita?

 

Quel dubbio le martellava le tempie da quando si era insinuato in lei. Quale erano stati i suoi reali sentimenti per Castle? Tutti parlavano di loro come di una grande storia d’amore, come due anime gemelle che non potevano essere separate, disposti a dare la vita uno per l’altra. Come si inseriva in tutto questo la sua decisione di andare a lavorare in un’altra città senza dirgli nulla?
Rick, quando l’aveva raggiunta in camera, sembrava quasi aver letto i suoi dubbi e le sue paure.
- Eravamo agli inizi Kate, avevamo entrambi paura di quello che saremmo potuti diventare. Era tutto nuovo per tutti e due. Io non avevo mai provato in vita mia qualcosa di simile, per nessuna. E per te… beh, per quello che mi hai detto era la prima volta che ti sentivi pronta e libera di amare dopo che era caduto il tuo muro. 
Lei non gli rispose, si limitò ad annuire. Rick forse capì i suoi turbamenti e non le disse altro. Le diede solo un bacio su una guancia sussurrandole prima di mettersi a dormire che lui non aveva mai dubitato dei suoi sentimenti.
A Kate sarebbe piaciuto veramente tanto avere la sua stessa sicurezza, in lei ed in loro. Ma in quel momento non ce l’aveva. Non sapeva cosa erano stati, non sapeva lei cosa era stata e non riusciva a riconoscere quello che tutti dicevano che fosse nelle sue azioni. Avrebbe voluto parlare con se stessa e chiedersi delle spiegazioni per quel comportamento. Aveva sofferto per colpa di Sorenson, molto. Perché doveva far scontare la stessa cosa all’uomo che amava?
Avrebbe voluto addormentarsi con quelle domande, ma la realtà fu che non dormì per niente. Accese la luce dell’abat-jour regolando l’intensità mettendola al minimo. Castle dormiva, girato verso di lei. Rimase un po’ a guardare il suo profilo da bambino cresciuto che dormiva tranquillo. Non pensava mai che si sarebbe potuta innamorare di una persona così, i suoi precedenti fidanzati erano sempre stati molto diversi, sia fisicamente che di carattere, ed anche quel Josh che aveva conosciuto sembrava un tipo completamente diverso da lui. Forse però era proprio per questo che era la persona che aveva deciso di sposare. Non aveva il fisico da sportivo né il volto da modello, però adorava le sue grandi spalle e le sue braccia forti, quel petto dove le piaceva dormire; si sarebbe persa nei suoi occhi blu che diventavano scuri quando il desiderio si impossessava di lui, le sue labbra morbide che adorava mordere tra un bacio e l’altro. Nessuno come lui la sapeva far ridere, sentire amata, coccolata e desiderata come aveva fatto lui. Era questo essere innamorati? Era questo che provava per lui anche prima?
Si mise al suo fianco, erano così tanto vicini che i loro respiri potevano confondersi. Aveva una tale confusione dentro di se che non sapeva cosa fare, ogni passo le sembrava sbagliato. Forse non riusciva a dirgli che lo amava perché c’era qualcosa dentro di se che la frenava volutamente, che la stava mettendo in guardia da se stessa?
Passò tutta la notte così, vicino a lui, appoggiandosi alla sua schiena quando si girava dall’altra parte, lasciandosi abbracciare quando si voltava ancora. Castle era tremendamente irrequieto quando dormiva, al contrario suo che poteva addormentarsi tra le sue braccia e svegliarsi così la mattina dopo. Kate sperava che quel contatto continuo, costante, con lui riuscisse a trasmetterle un po’ di tranquillità e qualche risposta. Non trovò né una né l’altra cosa. E quando le prime luci dell’alba filtravano dalle tende, si addormentò esausta su di lui, ignaro di tutta la sua battaglia interiore.
Rick lasciò andare Kate al distretto solo dopo essersi assicurato che avesse fatto una ricca e nutriente colazione con uova, bacon, toast, frutta e una brioche, perché così, le disse lui, anche se si fosse di nuovo dimenticata del pranzo, avrebbe avuto abbastanza energia per non arrivare distrutta all’ora di cena. Appena fu fuori dal loft la prima cosa che fece fu chiamare il dottor Burke: gli lasciò un messaggio sulla segreteria telefonica per chiedergli un appuntamento, il prima possibile. Il dottore la richiamò a metà mattinata, dandole appuntamento per il pomeriggio.
Continuò a studiare i suoi vecchi casi sentendo una morsa allo stomaco quando dovette ripercorrere il caso di quei due bambini scambiati all’ospedale perché il padre non voleva un figlio malato. Dovette alzarsi ed andare in bagno, in preda ad una crisi di pianto che l’aveva colpita mentre leggeva ogni riga di quel rapporto. Pensava alla disperazione di quella madre che aveva pianto la morte di un figlio che credeva suo, a quella madre che non aveva mai potuto piangere la morte di un figlio che non sapeva essere suo, pensava alle due famiglie distrutte, ma sopratutto pensava alla sua bambina. Tra le mille paure che la tormentavano sul diventare madre, non aveva mai pensato al fatto che sua figlia potesse nascere con una qualche malattia incurabile e quella storia le aveva spalancato un nuovo mondo di paure. La sua bambina cresceva, stava bene le avevano detto, era tutto apposto, ma probabilmente lo avevano detto anche alle altre madri e lei non aveva fatto nessun test specifico, glielo avevano sconsigliato, vista la sua situazione quello che aveva passato dopo la sparatoria, il rischio di un aborto spontaneo sarebbe stato più alto del normale. Avrebbe voluto Castle lì con lei, in quel momento, ad abbracciarla e a dirle che sarebbe andato tutto bene, che la loro bambina era sana, che non doveva preoccuparsi. E lei gli avrebbe creduto, come sempre, anche se lo avrebbe un po’ maltrattato. Fece un respiro profondo. Ce la doveva fare. Ce la doveva fare da sola. Uscì dal bagno e si sciacquò il viso. Si guardò allo specchio mentre si tamponava con un asciugamano e pensò di avere un aspetto orribile.
Appena mise piede nel corridoio del distretto sentì il familiare suono dell’ascensore giunto al piano e le sue porte aprirsi. Si voltò istintivamente a vedere chi fosse e scosse la testa nel vedere che era proprio Castle, con i soliti due caffè ed un sacchetto di carta.
- Non avevamo detto che oggi non saresti passato? - Gli chiese mettendosi subito sulla difensiva senza motivo: aveva sperato di vederlo lì fino a pochi minuti prima, ma sapeva che non sarebbe mai potuta essere abbastanza forte emotivamente fino a quando c’era lui intorno a sorreggerla per ogni cosa.
- Ho sentito l’irrefrenabile desiderio di vederti e portarti un caffè, però una volta eri più contenta quando te lo portavo. - Rick a seguiva passo passo fino alla scrivania.
- Perché una volta mi portavi un vero caffè, non un decaffeinato, Castle!
- Però a quanto pare ho fatto bene a passare, a giudicare dalla tua faccia, che succede? Stai bene? - Era già entrato nella modalità “Sono Richard Castle e risolverò ogni problema che ti affligge”, ma da quanto erano rossi i suoi occhi, capire che aveva pianto sarebbe stato semplice anche per qualcuno con meno spirito di osservazione di Castle. Beckett beveva il caffè e preferì non rispondergli, ma Rick, guardando il fascicolo sulla sua scrivania, ci mise molto poco a capire cosa non andava. Appoggiò il suo caffè ed il sacchetto sul ripiano, prese anche anche il bicchiere dalle mani di Kate e lo mise lì vicino.
- Ne vuoi parlare? - Le chiese sottovoce.
- Non credo sia il momento adatto e nemmeno il luogo.
- Ok. Lì ci sono anche dei muffin, così se a te o a lei prende voglia di qualcosa di dolce non devi prendere qualcosa di schifoso da quella perfida macchinetta nella sala relax.
- Grazie. - Kate riprese il suo caffè, tornando a sorseggiarlo e Rick fece lo stesso con il suo.
- Ryan e Esposito? Non ci sono?
- Sono andati prendere un sospettato. - Kate aprì la bocca come per parlare ancora, poi ci ripensò lasciando morire quell’idea, bevendo un altro sorso di caffè.
- Spara, in senso metaforico, dico. Cosa vuoi dirmi?
- La Gates, ieri, mi ha chiesto se volevo fare i test per tornare a lavoro. Non come capitano, non me la sentirei e non sarei in grado, ma per dare una mano, come detective, anche part time. Potrei sempre partecipare alle indagini da qui, senza fare i rilievi sul campo, inseguimenti, sparatorie… 
- Niente parte divertente, insomma - Disse Castle sorridendo, facendo sorridere anche Kate
- Già, niente parte divertente, però potrei sempre occuparmi degli interrogatori dei sospettati, parlare con i testimoni… Tu che ne pensi?
- Ti piacerebbe farlo? Ti senti pronta? Se la risposta è sì e se mi prometti che mai, per nessun motivo parteciperai a qualcosa di pericoloso, per me va bene qualsiasi cosa ti renda felice.
Il volto di Kate si aprì in un sorriso che era la risposta più eloquente.
- Senti Castle… questa sera ho un appuntamento da Burke. Volevo parlargli un po’ di queste ultime settimane, degli attacchi di panico e anche della sua valutazione per tornare a lavoro, a questo punto.
- Ok, se vuoi ti passo a prendere quando hai finito, andiamo a mangiare fuori, che ne pensi?
- Perfetto.
- Sì, perfetto. Ti va di accompagnarmi giù? - Quella di Castle era una richiesta insolita, ma Kate accettò, seguendolo in ascensore. Appena le porte si chiusero, per quel breve tragitto, Rick la strinse tra le sue braccia.
- Andrà tutto bene Beckett. La nostra bambina starà bene. 
Kate si lasciò cullare per quei pochi istanti dal suo abbraccio e quando si aprirono le porte lui non la lasciò nemmeno scendere, le diede un bacio veloce e se ne andò.

Il profumo dei muffin che le aveva appena portato Castle fu troppo invitante per non prenderne uno. Erano ripieni di confettura di ciliegie e se lo gustò lentamente morso dopo morso. La preoccupò il fatto di essere diventata così golosa di dolci nelle ultime settimane, doveva cercare di darsi un contegno o sarebbe veramente diventata una balena.
Riprese la lettura dei fascicoli pensando a quanto vedere tutti quegli omicidi, così uno dietro all’altro, le provocasse un senso di inquietudine per come le persone potevano decidere di mettere fine ad una vita spesso per futili motivi o per esigue quantità di denaro. Nel frattempo Javier e Kevin erano tornati con il sospettato ed ora la Gates lo stava interrogando mentre loro ne avevano approfittato per prendersi la loro parte di muffin, ben sapendo che la quantità che aveva portato Rick comprendeva anche quelli per loro. Kate si stupì, quando, tra le prove fotografiche di un omicidio, si ritrovò Castle prima in atteggiamenti intimi e poi che stava baciando una donna. Rimase ad osservare la foto mordendosi l’interno della guancia e si scoprì a provare fastidio nel vederla.
- Quella donna è Kyra - Javier alle sue spalle con una tazza di caffè in una mano indicava con quella libera la donna insieme a Rick. - Era lei la sposa.
- Beh, se lo sposo non era Castle non mi sembrava molto convinta - rispose acida lasciando trapelare fin troppo del suo umore e ad Esposito sfuggì un sorriso
- Era una sua ex, quando ancora lui non era uno scrittore famoso, si sono incontrati di nuovo per caso, perché Castle indagava al caso con noi.
- Immagino che poi non si sia più sposata.
- Sì che lo ha fatto. C’eri anche tu, hai preso il bouquet della sposa!
Kate non disse nulla e Javier se ne andò con un sorriso compiaciuto. Chiuse quel fascicolo e passò oltre, prendendo l’ultimo muffin rimasto.

Lo studio del dottor Burke era fatto per mettere a proprio agio le persone, dalla scelta delle poltrone ampie e comode con alti schienali, i colori degli arredi, il verde olivastro alle pareti, avrebbero dovuto donare un senso di rilassatezza e serenità a chiunque si trovasse lì, per aiutare, anche con l’ambiente, a ritrovare il proprio equilibrio interiore. Non era così per Kate. Si sentiva come un leone in gabbia, perché sapeva che lì era costretta a mettersi a nudo e a confrontarsi con la persona che le faceva più paura: se stessa.
Burke cercò di metterla a suo agio, chiacchierando di come fossero andate le cose in quel periodo che non si erano visti, come era stata la sua ripresa, come procedeva la gravidanza, delle chiacchiere normali, come potevano fare due conoscenti che non si vedevano da qualche tempo. Come era suo solito non forzava mai i propri pazienti a parlare, aspettava paziente che fossero loro a dirgli perché erano lì, tirassero fuori i loro dubbi ed i loro problemi per poi andare dove il loro flusso emotivo li avrebbe portati, alla risoluzione di un problema o a capirne l’origine.

- Il problema è che non riesco ad ammetterlo. - Disse Kate al dottore facendo un gran sospiro.
- Che cosa? - L’uomo accavallò le gambe e si accomodò meglio sulla poltrona per ascoltarla attentamente.
- Quello che provo per lui, che tra me e Castle c’è qualcosa. - Beckett abbassò lo sguardo.
- Che ci sia qualcosa, Kate, mi pare evidente.
- Sì ma…
- Cosa siete lei e Castle, secondo lei?
- Non lo so…Io non riesco a sentirmi sua moglie è una cosa che mi sembra talmente grande ed importante.
- Però da quello che mi ha detto vi comportate a tutti gli effetti come una coppia, o no?
- Beh, sì…
- Allora qual’è il problema? Voi in realtà siete una coppia, siete sposati, anche se vedo che non porta la fede.
- No… non riesco ad indossarla, come non riesco a fare altre cose. - Si stropicciava la mani toccandosi compulsivamente l’anulare, proprio lì dove avrebbe dovuto essere la fede.
- Perché è così difficile ammettere i suoi sentimenti per lui? Eppure da quello che mi ha detto sembra palese che prova qualcosa per Castle.
- Provo più di qualcosa e mi spaventa. Non ho mai provato questo tipo di sentimento per nessuno. Castle è tutto quello che potevo desiderare in un uomo. Lui è sempre perfetto, in ogni cosa. Mi capisce, sa cosa voglio, è sempre così premuroso in tutto. È troppo. Io ho paura del modo in cui lui mi ama, ho paura a lasciarmi andare, perché se poi dovesse accadere qualcosa, sarebbe troppo difficile. Rischio di diventare dipendente da lui e non me lo posso permettere. Io sono una persona indipendente, lo sono sempre stata. - Burke scriveva ogni tanto nel suo taccuino senza smettere di ascoltare attentamente Kate.
- Pensa che non ammettere i propri sentimenti la lasci più indipendente o la tenga al sicuro dalle delusioni o dalle sofferenze? Lei può essere una donna assolutamente emancipata anche se è innamorata.
- Quando ho provato ad abbassare le mie difese con lui, mi sono sentita completamente invasa da un sentimento così forte che non riuscivo a gestirlo.
- Non si possono avere sempre sotto controllo i propri sentimenti, quelli più veri si impossessano di noi senza che possiamo in alcun modo farne a meno o limitarli. Da come ne parla Castle è già tornato nel suo cuore prima che nei suoi ricordi, ma mi pare evidente che non si vuole lasciare andare e continua a far finta che non è così. Ma questa guerra contro se stessa è sicura Kate che le fa bene? E che fa bene anche a Castle? - Il tono del dottore era fermo ma incredibilmente calmo, ma questo non riusciva comunque  rilassare Kate che in quella grande poltrona si rannicchiava sempre si più, come a volersi chiudere al mondo ed anche a lui. Non era abituata ad essere in quella posizione, era lei, di solito, quella che conduceva i giochi, che obbligava i suoi interlocutori a mettersi a nudo. Quella non era la sua sala degli interrogatori e lei non era una sospettata, ma faticava a capirlo, perché dentro di se si sentiva colpevole, colpevole di non essere in grado a vivere i propri sentimenti come avrebbe dovuto.
- No, a lui no. L’unica cosa che mi ha chiesto è di dirgli che cosa provo ed io non riesco a farlo. Poi vedo i suoi occhi tristi quando, invece, lui mi dice che mi ama e si aspetta sempre che gli dica la stessa cosa ma non riesco a farlo. È come se ci fosse qualcosa che mi tiene legata, che mi impedisce di liberare questo sentimento. Poi ieri è accaduta una cosa, ed ora ho ancora più dubbi.
- Me ne vuole parlare? 
- Ho scoperto che dopo che stavamo insieme, io ho deciso di andare a lavorare in un’altra città senza confrontarmi con lui, ho deciso da sola, come se lui non avesse importanza nella mia vita. Io ho subito la stessa cosa, anni fa, da un mio ex fidanzato.
- Si è rivista in quello che le aveva fatto lui?
- Sì. Ho ripensato a quanto avevo sofferto quando lui aveva scelto di andarsene da New York per seguire il suo lavoro ed io ero rimasta qui da sola, a come mi ero sentita messa in secondo piano.
- E lo ha lasciato.
- Sì.
- Però Castle a lei non l’ha lasciata.
- No. Mi ha chiesto di sposarlo.
- Quindi vuol dire che lui non ha vissuto la cosa nello stesso modo suo, che l’amore di Castle per lei era più forte di quello che lei provava per il suo ex, più forte da superare anche la distanza.
- Ed il mio? Quanto era forte il mio per fare una cosa del genere?
- A volte siamo spinti a fare delle cose indipendentemente da quanto sono forti i nostri sentimenti per qualcuno. Lo ha detto lei stessa, che prova qualcosa per Castle adesso, eppure si reprime, comportandosi come se questi sentimenti non ci siano, per paura. Magari ha fatto la stessa cosa, per paura li ha messi in secondo piano, mettendo davanti il suo lavoro. Però, come vede, non ha potuto fare nulla per tenerli a bada e la vostra relazione è continuata. Non può giudicare quello che è successo in un periodo particolare della sua vita, solo come se fosse un fatto a se stante, senza sapere come stava in quel momento e cosa l’ha portata a prendere una decisione.
- Ma io ho fatto una scelta, tra Castle ed il mio lavoro ho scelto il mio lavoro. 
- No, lei non ha scelto il suo lavoro, perché il suo rapporto è continuato. Per merito di entrambi che siete stati più forti della distanza.
- È stato Rick a permettere che la nostra storia andasse avanti. Come si fa dottore a riuscire ad accettare che una persona ci ami in questo modo senza esserne impauriti o sopraffatti?
Burke sfogliò il suo taccuino.
- Vede Kate, una volta, parlando di Rick, quando come oggi faticava ad accettare i suoi sentimenti per lui, le dissi una cosa. Lei ha paura che lui non voglia aspettarla o ha paura che la aspetterà? Ed ora le chiedo, lei ha paura che Rick la ami troppo o che non la ami più?
- Entrambe le cose.
- Allora lo sa quale è la cosa che le fa paura, realmente paura. Io mi rendo conto che per lei è difficile. Ci ha messo tanto tempo l’altra volta ad accettare i suoi sentimenti e, come l’altra volta, è spaventata da quelli di Rick. Era talmente spaventata da negare anche il fatto di aver sentito quello che lui le aveva dichiarato per non affrontare il problema e per mesi ha fatto finta che quel “Ti Amo” non c’era mai stato. Ma lei questo non se lo ricorda, vero?
- Sì, me lo ricordo.
- Bene, quindi qualcosa sta tornando.
- Solo brutti ricordi, con crisi di panico che mi paralizzano.
- È comprensibile Kate. Ha trovato il modo di superarle?
- Con Rick - Ammise abbassando lo sguardo.
- E questo non le dice niente?
- Sì, ed è una delle cose che mi spaventa.
- Tutti abbiamo bisogno di qualcuno a cui affidarci, qualcuno che sappia colmare le nostre paure e rassicurarci. Non è segno di debolezza, siamo umani. Vede Kate, lei ci ha messo anni a capire cosa provasse per Rick ed è dovuta arrivare a perderlo per rendersi conto di quanto era importante per lei. Non dovrebbe arrivare di nuovo a quel punto, capisce cosa voglio dire? Non si dovrebbe sottoporre ad ulteriore stress e a battaglie contro se stessa, non le fanno bene, soprattutto in questo stato. Viva.

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Capitolo 39
*** TRENTANOVE ***


Non si dovrebbe sottoporre ad ulteriore stress e a battaglie contro se stessa, non le fanno bene, soprattutto in questo stato. Viva.

Kate doveva vivere senza farsi condizionare dai se e dai ricordi. Questo, in sostanza, era quello che le aveva detto Burke. Di non pensare a fatti estrapolati dal passato che non era ancora in grado di contestualizzare in un suo chiaro quadro emotivo, ma di vivere quello che si sentiva, senza darsi limiti, perché erano anche questi limiti che si poneva, questi freni alla sua anima, che potevano anche ostacolare il flusso dei suoi ricordi.
Avevano anche parlato del suo ritorno a lavoro. Il dottore non si era dimostrato del tutto contrario, la riteneva perfettamente in grado di svolgere il suo lavoro nonostante l’amnesia, però le aveva consigliato di prendersi del tempo prima di decidere, ne avrebbero riparlato la prossima volta, così se era sempre decisa, lui si sarebbe comportato di conseguenza dando parere positivo al suo reintegro.

Castle l’aspettava sotto lo studio di Burke, appoggiato al muro giocava con il suo smartphone ad uno di quei tanti giochi rompicapo che diventavano ben presto una vera mania.
La salutò, appena uscì dal portone, con un dolce bacio che la colse impreparata e si allontanò. Kate aveva ancora nella testa le parole di Burke e si dispiacque della sua reazione non appena vide come Castle la stava guardando, fu lei quindi ad avvicinarsi a lui e sfiorare le sue labbra con le proprie, lasciando un bacio ed una scusa. Poi si strinse attorno al suo braccio tenendo la mano di Rick tra le sue ed appoggiando la testa sulla sua spalla. Anche questo le sembrava un bel modo di vivere.
- Cosa vuoi mangiare stasera?
- Scegli tu… - Disse stringendosi ancora un po’ con l’aria di chi vuole farsi perdonare qualcosa, anche se non sapeva nemmeno lei bene cosa.
- Ok, allora andiamo. - Rick fermò un taxi e diede l’indirizzo.
- Avevi già prenotato?
- Sì, un paio di posti diversi, per essere sicuro.
Kate scosse la testa ridendo, mentre Rick stava mandando dei messaggi in copia per disdire le altre prenotazioni.
Quando entrarono nel locale Kate rimase colpita dall’ambiente con le luci estremamente soffuse, la musica abbastanza alta ma non fastidiosa, tutto era molto chic e curato. Aveva sentito parlare del Buddakan come uno dei ristoranti più trendy della città negli ultimi tempi, almeno gli ultimi tempi che ricordava lei, ma non c’era mai stata, non era di certo il posto adatto alle finanze di una semplice detective della polizia. Le una hostess venne loro incontro, salutò Rick con molta cordialità, segno che probabilmente non era la prima volta che veniva in questo posto, e senza farli accomodare al bar come era di prassi con tutti gli altri clienti, li accompagnò subito al piano inferiore al loro tavolo percorrendo la celebre scalinata. Il soffitto altissimo, gli imponenti lampadari e la grande tavolata al centro della sala la lasciarono senza parole e Castle la guardava sorridente, amava sorprenderla in ogni occasione e adesso gli veniva anche più facile, perché poteva andare a colpo sicuro, sorprendendola con cose che era certo le piacessero, magari era giocare un po’ sporco, però in certe situazioni tutto era permesso. Kate non era il tipo di donna alla costante ricerca del ristorante di lusso, del locale alla moda. Non soltanto adesso, ma in tutti gli anni in cui era stata con Castle, non aveva mai approfittato della condizione del marito per frequentare solo certi posti estremamente di tendenza e lussuosi, adorava le loro serate al rumorosissimo ristorante indiano vicino casa mangiando su tovaglie di carta e sedie di plastica, i take-away nel cartone consumati a casa davanti alla tv e lo street food, però sapeva apprezzare le belle cose e quel posto di certo lo era. Vedendole passare vicino giovani ragazze vestite in modo estremamente elegante e fin troppo provocante, si guardò per un paio di volte il suo abbigliamento molto casual tornando ad osservare le persone intorno a loro ed anche suo marito, anche lui vestito solo un un jeans ed una camicia, ma secondo lei, lui stava bene in ogni caso e riusciva a far colpo su ogni donna con il suo sorriso ed il suo sguardo ammaliante. 
- Sei perfetta così - Le sussurrò Rick quando la hostess gli indicò il loro tavolo. Castle, come sempre, aveva richiesto una posizione più defilata dal resto della sala, per avere un po’ più di tranquillità e, come sempre, era stato accontentato. Era un buon cliente di quel posto, la sua casa editrice aveva organizzato alcuni party proprio lì in passato per il lancio dei suoi libri, ottenendo grande successo e visibilità. Una giovane ragazza molto bella e appariscente gli passò vicino proprio mentre stava spostando la sedia per sedersi e casualmente finì proprio addosso a Castle che le diede una mano per aiutarla a rimettersi in equilibrio. La ragazza ci stava provando con lui in modo neanche troppo velato, incurante della presenza di Kate che la guardava allibita. Rick, però, la liquidò con freddezza rapidamente, lasciandola non poco indispettita tornare dalle sue amiche che continuavano a lanciare sguardi nella loro direzione.
- Scusami, ogni tanto mi capita. - Si giustificò lui
- Fino a quando non mi ridaranno la pistola non ci sono problemi - Disse Beckett con il suo sguardo tagliente.
- Probabilmente uscire da qui vicino a me, in questo periodo, gli frutterebbe qualche comparsa su più di un tabloid, probabilmente cercano questo. Ma tutte quelle ragazze in quel tavolo insieme non valgono la metà di quanto vali tu.
- Sei in versione adulatore questa sera?
- No, in versione uomo sincero ed innamorato. Ti piace questo posto?
- Sì, è molto bello. Ci siamo già venuti prima?
- Sì, qualche volta. Una volta abbiamo portato qui anche Esposito, Lanie, Ryan e Jenny. Lanie non stava più nella pelle, era eccitatissima, ne ha parlato per giorni. 
- Sei sempre così gentile e generoso con loro… - Gli prese la mano sul tavolo, spostando lateralmente la candela che era tra loro per poterlo guardare meglio negli occhi senza il bagliore della luce tremolante che la distraeva.
- Mi hanno accolto dal primo giorno come uno di voi, molto meglio di quanto hai fatto tu, se devo essere sincero - le sorrise con dolcezza, accarezzandole con il pollice il dorso della mano - Poi per te sono sempre stati come una famiglia, si sono presi cura di te prima di me ed ogni volta che mi tenevi a distanza. Gli sono molto riconoscente e gli voglio bene.
Quando venne il cameriere per prendere la loro ordinazione, Castle come spesso faceva, disse di lasciar fare lo chef, ricordandogli però i cibi che non potevano consumare per via della gravidanza di Kate.
Mangiarono portate insolite, con accostamenti di sapori particolari, una cucina fusion asiatica molto curata come del resto era tutto il locale. Si scambiavano il cibo nei piatti, si imboccavano a vicenda per assaggiare gusti e consistenze diverse e fecero tutto con molta leggerezza, più di quanta Kate pensava di poter avere dopo la seduta da Burke. Altrettanto leggere furono le chiacchiere scambiate durante la serata e lei rise molto quando Castle le raccontò delle disavventure di Esposito per mangiare un granchio reale fattogli preparare appositamente da Rick dopo che aveva passato gran parte della cena a vantarsi di come sapeva pulirlo alla perfezione seguendo gli insegnamenti di sua nonna.
Era stata una serata piacevole, anzi Kate pensò che era era stata una serata felice. “Kate, deve imparare a chiamare le cose con il loro nome, non deve aver paura di farlo” e sì, felice era un concetto estremamente più adatto di piacevole.
Piacevole è la serata che si può trascorrere con dei colleghi di lavoro, con gli ex amici del college che non si vedono da una vita, quella passata con Castle, invece, era stata una serata felice per lei. Si sentì quasi in colpa per quei pensieri che aveva avuto e mentre facevano due passi dopo aver cenato, in silenzio, godendosi quella bella serata di fine agosto, Kate pensò che in fondo, in quel momento, le importava poco cosa provasse per Castle prima. Stretta al suo braccio capiva che doveva si convinceva che doveva concentrarsi di più sul presente, vivere il momento senza cercare ossessivamente tracce di se nel suo passato. Pensava che per le scelte che aveva fatto, aveva sicuramente avuto i suoi motivi e se Rick, nonostante tutto era sempre al suo fianco, anche a lui andava bene così. Alla fine camminarono un bel po’, ritrovandosi sotto casa. Castle stava per aprire il portone quando Kate posò una mano sopra la sua: era preoccupato, non aveva detto una parola da quando erano usciti dal ristorante e temeva gli effetti della conversazione con Burke.

- Non voglio andare a casa. - A Castle si gelò il sangue nel sentire quelle parole. La guardò con gli occhi sbarrati cercando di capire cosa era andato storto da quando erano usciti dal ristorante a quel momento. Cercava una risposta nello sguardo di lei che non trovava, perchè gli occhi di Kate erano lucenti, sereni. Non pensò nemmeno per un momento che quella frase potesse voler dire altro e a lei venne da ridere nel vedere quanto fosse buffo perso nei suoi dubbi. Si sporse verso di lui, baciandogli le labbra con un tocco leggero che lo confuse ancora di più. Cosa stava facendo? Lo stava salutando?
- Castle, non voglio andare a casa, ora. - gli sorrise cercando di fargli capire quanto era stupida la sua paura. - sempre che tu non sia stanco.
- Io... No... no! Non lo sono. - tornò a vedere il mondo a colori.

Scesero poco dopo dal taxi davanti all'ingresso di Central Park vicino alla 64th strada. Nonostante il clima piacevole non c'era molta gente quella sera in quella zona del parco, per lo più turisti che si volevano godere l'oasi verde fino all'ultimo momento. Sentivano in lontananza musica proveniente con tutta probabilità da qualche concerto organizzato all'interno del parco, ma Kate stava andando in direzione opposta, in una zona ancora più tranquilla. Castle, con la sua fervida immaginazione da scrittore pensò a chissà quante coppie capitate lì per caso come loro, invece di allontanarsi si erano diretti verso la musica, come ipnotizzati dal suono di un pifferaio magico: si immaginò una coppia, magari non erano nemmeno fidanzati, forse erano solo amici, o colleghi, ma arrivati lì si sarebbero mischiati alla folla, lasciati trasportare dalla musica che avrebbe aiutato i loro sentimenti a venire fuori e dopo quella sera sarebbe nato qualcosa di più che magari poteva durare per sempre o solo fino alla mattina successiva e finita la magia del luogo e della musica sarebbe rimasto solo l’imbarazzo di far finta di nulla. In quel periodo in cui tutto era così confuso e le sue paure prendevano il sopravvento sempre più spesso, tanto che bastava anche una semplice frase male interpretata a farlo andare nel panico, come era accaduto poco prima, Rick non riusciva a dare un lieto fine nemmeno alle sue storie immaginarie e a quella coppia di sconosciuti nella sua mente che avrebbero meritato di certo un finale migliore.
- Beckett non vorrei che domani Esposito e Ryan debbano indagare su di noi - disse Rick vedendo che in quell'angolo di parco erano praticamente soli.
- Non essere fifone Castle!
La giostra a quell'ora era chiusa, non c'erano bancarelle che vendevano zucchero filato, non c'erano bambini. C'erano solo loro ed in quel momento per Kate sarebbe stato lo stesso anche se il parco fosse stato pieno. Si fermò davanti alla stradina che portava a quella costruzione in mattoni bianchi e rossi, che da oltre mezzo secolo faceva sognare bambini di tutte le età, anche di quella di Castle.
Kate allacciò le sue braccia dietro al suo collo, poggiandosi sulle spalle grandi di Rick. Lo guardava negli occhi, in quel blu che poteva scorgere anche dalla pallida luce gialla del lampione che era proprio sopra di loro. Passò una mano tra i suoi capelli, scostandogli il ciuffo da viso solo per qualche istante, perchè tornò subito al suo posto e le procurò un sorriso, poi prese il volto di Castle con entrambe le mani, incorniciandolo e si sollevò quel tanto che bastava per raggiungere la sua bocca. Accarezzò le labbra di lui con le sue e poi le inumidì con la lingua in un chiaro invito che Rick raccolse schiudendo la bocca. La strinse a se e si baciarono a lungo, senza alcune fretta, senza pensare a nulla fino a quando Kate non appoggiò la testa sul suo petto e lui la chiuse tra le sue braccia.
- Spero che questo sia un bel momento che potrai ricordare in futuro. - mormorò lei tra le pieghe della sua camicia. Castle le lasciò un bacio tra i capelli soffermandosi con la testa appoggiata su quella di lei. 
Si sedettero su una panchina proprio lì vicino e tornarono ad abbracciarsi. Rick fece passare il suo braccio sulle sue spalle ed appoggiò l'altra mano sul ventre di Kate, raggiunta subito da quella di lei che gli si posò sopra.
Rick si voltò a guardare sua moglie: aveva gli occhi chiusi, il respiro calmo e regolare lo poteva sentire dai movimenti del suo torace, era convinto che si fosse addormentata e lui poteva passare anche tutta la notte lì con lei così, si sarebbe anche fatto chiudere dentro a Central Park. La luce soffusa che li illuminava ne sfocava i contorni, poteva essere il bellissimo ritratto di un pittore tanto era splendida la sua musa.
- Una volta ti ho promesso che ti avrei ritrovata sempre. Ora non è diverso. Devo solo ritrovare quella te che non si sa dove è finita. Ma ti ritroverò Kate. Ti ritroverò sempre. - La voce di Castle era poco più di un sussurro, per non svegliarla: non sapeva che lei non stava dormento, si stava solo rilassando, godendosi la sua vicinanza e il leggero vento che accarezzava gli alberi del parco. Kate pensava che quella situazione fosse estremamente intima, che le loro mani unite sopra il suo ventre fossero lì per proteggere la loro bambina da tutto quello che di negativo potesse esserci al di fuori di quell’abbraccio perfetto che avevano creato quella notte, il loro piccolo angolo di perfezione in una vita dove le prove da superare erano una dietro l’altra, dove le battaglie si erano susseguite senza sosta. Le parole di Rick le provocarono un brivido e sperò che lui non se ne accorgesse, voleva che la credesse ancora addormentata tra le sue braccia, così avrebbe potuto continuare ad ascoltare i suoi pensieri. Avrebbe voluto riuscire ad amarlo come lui meritava e forse anche come lei meritava di riuscire a fare, senza tenersi tutto dentro, dando libero sfogo ai suoi sentimenti. 
- Ti amo Kate... - ed ogni volta che lo diceva un pezzo di cuore volava via in attesa di quella risposta che non arrivava mai.

- Ehy signore, tra poco chiudiamo, non si può dormire qui. - uno dei vigilantes del parco su un segway puntò loro una torcia contro illuminandoli. Castle si coprì gli occhi con una mano mentre l'uomo con ampi gesti gli indicava con la luce l'uscita un po' spazientito, probabilmente non vedeva l'ora di finire il turno e tornare a casa. - Avanti signori, altrimenti dovrò chiamare la polizia. 
Kate si tirò su divertita.
- Non c'è bisogno di chiamare la polizia. Capitano Beckett 12 distretto, se passa domani mattina le faccio vedere anche il distintivo. - Disse risoluta pur sapendo di non avere nessun distintivo al momento, ma lui non lo sapeva e tanto sarebbe bastato per fargli cambiare atteggiamento.
- Beh ok, comunque stiamo chiudendo, quindi...
- Certo, certo andiamo. - Castle porse la mano a Kate che la prese per alzarsi, per galanteria non per reale bisogno. Ripresero a camminare abbracciati come una coppia di fidanzatini adolescenti che volevano strappare al tempo anche l'ultimo secondo per stare insieme. Loro, invece, stavano tornado a casa, insieme. Era quasi l'una di notte.
- Non posso credere che siamo rimasti lì tutto quel tempo! - esclamò Kate appena rientrati al loft andando subito in camera - Si stava così bene!
- Beh tu sì, avevi un morbidissimo cuscino sul quale riposarti. - La abbracciò da dietro impedendole di andare in bagno dove era diretta.
- Sì il migliore, decisamente - si voltò gli schioccò un bacio sulle labbra e poi si chiuse la porta del bagno alle spalle.
- Capitano Beckett, ma veramente avresti abusato del tuo grado per mettere a tacere quel noioso vigilantes? - le chiese Castle dalla camera da letto.
- Castle, avessi avuto il mio distintivo saremmo rimasti lì tutta la notte. - A Rick si disegnò un sorriso malizioso sul volto
- Allora una volta dovremmo farlo... Magari la prossima estate... - La porta del bagno si aprì e Kate ne uscì indossando la sola t-shirt di Castle che lasciava scoperte le sue lunghe gambe. Vedendola capì ancora una volta quanto i suoi sentimenti non erano cambiati nel corso degli anni. Amava quella donna, il suo corpo, le sue gambe, tutto di lei e la desiderava sempre, esattamente come all’inizio. Compativa quegli uomini che dicevano che dopo un po’ la passione diminuisce e l’amore si trasforma in altro, li compativa perché loro non avevano lei.
- Magari anche prima dell’estate Castle… - il sorriso di Kate era malizioso almeno quanto il suo.
Castle le scostò il lenzuolo e lei sdraiò vicino a lui, ora sì, veramente stanca.
- Torno subito - Le disse baciandola con dolce passione prima di andare lui in bagno questa volta, ma quando dopo pochi minuti uscì, la trovò già addormentata sul suo cuscino e non gli rimase altro da fare che prenderla tra le sue braccia e spegnere la luce.

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Capitolo 40
*** QUARANTA ***


Furono giorni dove la routine sembrava tornata a scandire il loro tempo e non era un male, nemmeno per Castle che solitamente odiava il trantran quotidiano, ma adesso gli sembrava quasi di apprezzarlo, o, almeno, non considerarlo qualcosa di negativo.
Aveva ricominciato a scrivere, molto. Non di Nikki Heat, il nuovo romanzo stava per uscire e, prima di mettere in cantiere il successivo, voleva aspettare un po’, riorganizzare le idee perché c’erano cose di cui non sarebbe stato in grado di scrivere e doveva avere ancora il tempo di rielaborarle. Charles Price, il direttore della Black Pawn lo aveva capito, avevano firmato un accordo per altri tre romanzi della saga di Heat e Castle non voleva certo venire meno, ma aveva bisogno di staccare per un po’ da Nikki e da quel genere. Rick gli aveva parlato del suo nuovo progetto e ne era rimasto entusiasta. Era andato quasi tutte le mattine alla Black Pawn, sia per organizzare gli eventi in vista della consegna degli Edgards a Boston, sia per scegliere il suo nuovo editor. Per il momento cominciò a lavorare con Linda Reese e tutti rimasero colpiti da questa scelta: era l’ultima arrivata alla casa editrice e non aveva alcuna esperienza di gialli o thriller, ma a Castle, adesso, non serviva un esperto in quel settore e Linda era quella che a pelle lo aveva colpito di più e la ragazza rimase stupita di come il famoso scrittore l’avesse scelta. Si era preparata per quel colloquio, aveva letto tutti i suoi ultimi libri ed anche molto della sua bibliografia giovanile nelle settimane precedenti, era molto preparata su quello che era il suo stile di scrittura e di narrazione, aveva fatto grafici e schemi ed esaminato il suo lessico. Linda, poi, aveva tutto raccolto in un dossier che teneva stretto in grembo mentre aspettava di parlare con Castle. Non aveva mai fatto dei colloqui con uno scrittore così importante, non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo non si aspettava la domanda che lui le pose: “Parlami di te”. Lei rimase totalmente spiazzata, mentre lui accavallò le gambe, si strinse le mani intorno al ginocchio e si dedicò solo ad ascoltare quella ragazza un po’ troppo timida che parlava di se. 
- La mia vita è normale, non è interessante - esordì lei mentre Rick scuoteva la testa e la ragazza già temeva di essere fuori
- Tutte le persone sono interessanti, basta trovare il filo della loro storia - Linda trovava Castle estremamente affascinante con il suo modo di fare così gentile
Alla fine si sciolse e parlò, raccontò di se di quello che aveva fatto nei suoi precedenti 28 anni, dove, secondo lei, le uniche due cose degne di nota e meritevoli, erano state laurearsi alla Columbia e suo figlio un bambino di 4 anni che si chiamava Robert. Castle si mostrava molto interessato, così lei cominciò a raccontargli del suo bambino e parlò molto più di quanto avesse immaginato.
- Vedi Linda, tutti hanno una storia, il tuo filo era Robert. - La salutò così Rick ed il giorno dopo il signor Price le comunicò che avrebbe lavorato con Castle per il suo prossimo libro.
Rick aveva anche ingaggiato un nuovo agente. Appena Price aveva saputo della sua rottura con Paula aveva subito fatto girare la voce nell'ambiente e a Castle arrivarono decine di proposte. Aveva avuto lunghe conversazioni telefoniche in quei giorni con vari agenti, dagli emergenti a quelli più affermati e celebri, alcuni che lo allettarono molto perchè solitamente si occupano di tutt'altro tipo di scrittori, più impegnati, ma che adesso erano pronti a puntare su di lui. Sorrise pensando che molti erano gli stessi che lo avevano rifiutato e stroncato nei primi anni della sua carriera, dicendogli che non avrebbe mai avuto il potenziale per essere uno scrittore di successo. Alla fine, però, scelse Andrew Brennan. Lo aveva già incrociato qualche volta. Lavorava fino a pochi anni prima per una delle più grandi agenzie letterarie del paese. Adesso, invece, aveva aperto una sua agenzia, ancora piccola ma con le idee ben chiare, curare gli interessi di pochi autori non in concorrenza tra loro. "Castle tu non sarai uno dei miei scrittori, sarai il mio scrittore. E dal momento stesso in cui firmeremo il contratto ogni tua opera, per me, sarà la più importante di ogni altra cosa scritta". Andrew era un adulatore ed un entusiasta e Rick in quel periodo aveva bisogno di entrambe le cose essere adulato e lavorare con qualcuno che avesse slancio. Lo scrittore mise solo in chiaro poche cose: non voleva più in nessun modo notorietà attraverso gossip creati ad arte e niente tour promozionali dopo questo, nemmeno per il nuovo Heat. Al massimo poteva spostarsi in giornata o partecipare ad eventi a New York. Andrew lo capì subito e gli disse che avrebbe fatto in modo che la sua assenza diventasse la sua migliore pubblicità. Firmarono il contratto il giorno seguente dall'avvocato di Rick e si sentì molto più libero.

Castle aveva portato il giorno prima a Linda le bozze dei primi capitoli del nuovo lavoro e quella mattina se l'era presa comoda. Aveva chiesto anche a Kate di prendersi una pausa dal distretto ed aveva acconsentito; avrebbero fatto colazione insieme e poi sarebbero usciti a fare un po' di shopping: il corpo di Kate continuava a cambiare e, avvicinandosi la fine dell'estate, dove necessariamente aggiornare il suo guardaroba. 
Rick aveva apparecchiato la tavola per quattro, anche Martha ed Alexis avrebbero fatto colazione con loro, era un modo per passare un po' di tempo insieme prima che Alexis andasse a Philadelphia ed anche Kate era riuscita ad entrare nei meccanismi di quei rapporti insoliti con la madre e la figlia di Castle.
Quando suonò il campanello era solo in cucina a preparare la colazione. Sussultò. Ancora stare lì gli faceva un certo effetto ed alcune volte il ricordo di quella mattina tornava a farsi strada prepotente in lui. Come in quel momento. Si prese un attimo per calmare il respiro prima di andare ad aprire ma chi era dall'altra parte non sembrava dello stesso avviso e suonò ancora più insistentemente. Rick aprì e tutti si aspettava di vedere tranne la donna che aveva davanti.
- Gina che cosa vuoi? Non abbiamo più nulla da spartire.
- Cosa sarebbero questi Rick? Mi prendi in giro? - Gina gli sbattè addosso un mazzetto di fogli stampati, sommariamente rilegati e dal titolo non ci mise molto a capire che era il suo ultimo lavoro. 
- Qualunque cosa siano non ti riguardano quindi discussione finita. Buona giornata Gina, puoi andare.
- Non funziona così Rick! Non mi liquidi per l'ultima arrivata. Cos'è volevi la ragazza più giovane? Cercavi la ragazzina per unire l'utile al dilettevole? So come fai in questi casi Rick!
- Gina, ti ho detto di uscire.
- Cosa c'è Rick, tua moglie non si ricorda di te ed hai bisogno di divertirti altrove? Potevi sempre chiamarmi, siamo sempre andati d'accordo da quel punto di vista!
- Ora basta! - dalle scale stava scendendo una Martha furiosa
- Madre, non ti intromettere - La fermò Rick prima che la rossa dicesse altro
- Hai ancora bisogna della mamma che ti difende Rick? Ma quando farai l'uomo? Quando crescerai invece di continuare a rincorrere l'ultima arrivata. Prima le seducevi con il fascino del ragazzo playboy ora che tattiche usi, l'uomo maturo che gioca a fare il padre?
Kate dietro la porta di camera aveva ascoltato tutta la discussione. Detestava essere usata per attaccare Castle, detestava sentire quello che Gina stava dicendo ed odiava se stessa per quel malessere che stava provando nell'immaginarlo scegliere la giovane ragazza dello studio per lavorarci ogni giorno a stretto contatto e portarsela anche a Boston. Andò nella cabina armadio finì di vestirsi e prese un paio di scarpe con il tacco molto alto, di quelle che era solita portare, di quelle che le davano sicurezza e che facevano impazzire Castle.
Aprì la porta di camera facendo più rumore di quanto necessario e si ritrovò Gina proprio davanti a se. 
- Buongiorno Signora Castle! - le disse in tono volutamente provocatorio squadrandola dalla testa ai piedi - è sempre la signora Castle, vero Rick?
- Naturalmente Gina. È l'unica che avrebbe mai dovuto esserlo.
Kate non la salutò nemmeno si andò mettere a fianco di Rick, in un modo nemmeno troppo velato per rivendicare la sua posizione.
- Sai Detective Beckett...
- Capitano Beckett - la riprese Kate.
- Quello che è... - continuò Gina - Sei fortunata, anche io vorrei dimenticare di averlo sposato.
- Io invece voglio ricordarmi di averti sposata Gina, così ogni giorno posso capire quanto sono fortunato adesso.
- Vedrai Rick, quando avrai finito di scrivere queste stupidaggini sarai obbligato a tornare da me e lasciar perdere le ragazzine inesperte se non vuoi rischiare un flop pazzesco dato che non hai nemmeno un agente.
- Questo lo dici tu ma anche se fosse io non lavorerò mai più con te o con la tua amica. Adesso vattene e dimenticati questo indirizzo o sarà peggio per te. 
La bionda, furiosa, uscì di casa lanciando a terra i fogli che aveva portato.
- Gina... - Beckett le si avvicinò era già fuori dal loft - ... hai ragione, sono fortunata ad essermi dimenticata di essere sua moglie, perchè così posso innamorarmi di nuovo di lui ed essere sempre dove vorresti ancora stare tu. Ti avviso, stai lontana da lui. Io non sono Rick. I mezzi per farti passare la voglia di venire qui ed insultarlo li ho tutti. Non mi costringere ad usarli. Stai lontana dalla mia famiglia.
La voce di Kate era appena un sibilo ma entrava nelle orecchie di Gina come un lama affilata.
- È una minaccia Capitano Beckett?
- Solo un consiglio. Fanne buon uso.
Kate rientrò in casa e si chiuse la porta alle spalle. Buttò fuori l'aria dai polmoni con forza. Il suo passo scandito dai tacchi rimbombava nel loft, camminava spedita verso la finestra sotto lo sguardo perplesso di Rick e Martha. Osservò Gina allontanarsi in taxi dopo aver alzato la testa per guardare verso le vetrate della casa: sicuramente l'aveva vista ed era quello che voleva.
- Non sono più abituato ad averti a questa altezza - le disse Rick abbracciandola da dietro. Kate si voltò e gli sorrise sciogliendo la tensione del suo volto, poi lo bacio sulla guancia.
- Nemmeno io a camminarci - si lamentò Kate con una smorfia. Stava abdicando a scarpe più comode, ma solo temporaneamente tenne a ripetersi mentalmente.
- Cose le hai detto? - La curiosità di Rick era ai massimi livelli. Aveva rivisto la Kate dura e determinata nella sua versione più agguerrita
- Le ho solo consigliato come comportarsi da ora in poi. Con te e con noi. 
- Sicura?
- Sì. 
- Ok. Non ti ha detto nulla che non debba sapere, vero Kate?
- No, non ti preoccupare…

Alexis era scesa ed osservava la scena di sua nonna con un bicchiere in mano già dalla mattina, fogli sparsi a terra e Rick che stava cucinando e Kate dall'altra parte del loft vicino alla finestra.
- Tutto bene? - provò a chiedere la giovane Castle - ho sentito un po' di caos mentre mi preparavo
- Tutto bene tesoro - disse Martha posando il calice - Solo la simpatica seconda ex moglie di tuo padre che è voluta venire a dare spettacolo questa mattina.
- Gina? Ma papà non avevi detto che non lavoravi più con lei?
- Proprio per questo Alexis cara! - continuò l'attrice - Si è presentata qui permettendosi di offendere tuo padre e Katherine...
- Basta così madre - La fermò Rick. I dettagli non sono necessari.
- Non credo metterà più piede qui, le conviene - aggiunse Kate sorridendo. - Allora, questa colazione Rick a che punto è che vedo tua figlia affamata - disse guardando Alexis già seduta al suo posto e poi sorrise sentendo il suo stomaco brontolare - anzi direi che entrambe le tue figlie sono affamate.
E così dicendo riuscì a far sorridere anche Castle, mentre Alexis si irrigidì e la cosa non passò inosservata nè a Kate nè a Martha che guardò con benevolenza la donna visibilmente a disagio per la reazione muta della nipote, mentre Rick impegnato a finire di preparare non ci fece caso.
Martha era andata a prepararsi per andare alla scuola di recitazione e Alexis era uscita con le sue amiche, anche lei aveva una mattina di shopping in programma.
Rick e Kate erano rimasti seduti soli al tavolo della cucina, finendo, senza fretta, la loro colazione.
- Perchè hai scelto proprio la più giovane degli editor? - Kate sganciò quella domanda come una bomba.
- Non ti sarai mica fatta condizionare dalle parole di Gina?
- No, però mi è sembrata una decisione strana... - non era convinta nemmeno lei mentre lo stava dicendo. Rick non sapeva se essere lusingato o meno di quelle attenzioni.
- Per il libro che sto scrivendo era la persona con la storia più adatta.
- Cosa stai scrivendo?
- Qualcosa di diverso. 
- Perchè così misterioso?
- È una sorpresa Kate, fidati di me. 
I loro progetti per la mattinata subirono un inaspettato cambio di programma. Andrew aveva chiesto a Castle di incontrarsi urgentemente perchè voleva sottoporgli delle proposte prima che partisse per Boston da lì ad un paio di giorni. 
Appena chiuse la telefonata guardò Kate con occhi tristissimi per non poter stare insieme come avrebbe voluto. Kate lo rassicurò, dicendo che sarebbe passata da Lanie e se era libera avrebbero pranzato insieme così avrebbero potuto fare quattro chiacchiere tra donne.

Martha, da sopra le scale, guardò con molta dolcezza suo figlio e Kate scambiarsi un tenero bacio per salutarsi prima che lui uscisse e fece finta che quel gran sospiro che le scappò subito dopo che si chiuse la porta del loft fosse casuale, quando, invece, voleva richiamare l’attenzione di Kate che subito si voltò nella sua direzione sorridendo imbarazzata. L’attrice era già vestita di tutto punto, in uno dei suoi impeccabili completi dai colori sgargianti, quel giorno di un giallo intenso con rifiniture floreali dalle varie tonalità di verde. Indossava con disinvoltura quei vestiti tanto eccentrici che addosso a lei sembravano essere nella loro collocazione naturale. Scese le scale come se fossero quelle di un’importante show televisivo, appoggiò la borsa sul divano ed andò verso Kate. Credeva che sarebbe rimasta sola, ma Martha sembrava non avere, in quel momento, intenzione di uscire.
- Non dovevi andare alla scuola di recitazione? - Chiese educatamente Kate notando il cambio di programma della donna, quella mattina sembrava che nessuno dovesse fare quello che aveva preventivato. 
- Oh possono aspettare mia cara, per una volta faranno a meno di me. Vieni, sediamoci - le disse invitandola a sedersi sul divano e Kate la raggiunse mettendosi nella poltrona vicino a dove era seduta lei. Era comprensibilmente tesa di dover affrontare un discorso presumibilmente serio con quell’attrice che aveva visto sempre così frivola e sarcastica - L’ho visto sai, darling
- Cosa?
- Lo sguardo di Alexis, prima, a colazione e so che lo hai visto anche tu. Ed ho notato anche il tuo.
- Credo di essere stata inopportuna con quella frase, avrei dovuto evitarla in presenza di Alexis - tentò di giustificarsi Kate non sapendo dove la madre di Castle volesse andare a parare
- Oh no! No tesoro! Non sei stata affatto inopportuna è stata una cosa molto bella invece! 
- Alexis non sembrava della stessa idea. Non voglio ferirla.
- Lo so Katherine, lo so. Alexis ti vuole bene, credimi. Solo che è cresciuta abituata ad essere sempre l’unica persona veramente importante per Richard, ad avere tutte le sue attenzioni. 
- È gelosa di me?
- No mia cara, non credo che lo sia mai stata realmente, anche se all’inizio quando tu e mio figlio ancora vi ostinavate a non voler stare insieme negando quello che tutti noi già sapevamo da tempo, ecco lì credo un po’ lo sia stata, ma non tanto di te come sua nuova possibile compagna, quanto che con te più volte si era messo in situazioni pericolose ed aveva paura di poterlo perdere. So che tu la puoi capire.
- Ma certo Martha, ne aveva tutte le ragioni del mondo. Ti posso fare una domanda? - L’attrice annuì con un plateale gesto del capo - Alexis era contraria all’idea che io e Rick potessimo avere un bambino?
- No, anzi, lei vi ha sempre incoraggiato. Credo che in tutta la famiglia la più restia fossi tu! - Martha rise e Kate si imbarazzò non poco, anche se non stentava a credere alle sue parole. - Io non vedevo l’ora di avere un nuovo piccolo Castle per casa, Alexis ne era felice, e Richard, beh, credo che sia la cosa che ha sempre voluto, penso che se fosse stato solo per lui ne avreste già avuti almeno un paio. Anzi, mi sorprende il suo essere così calmo e pacato in questi mesi di attesa, pensavo avrebbe fatto il diavolo a quattro riempiendo casa di cose assurde che non avreste mai utilizzato. - Kate sorrise, in effetti tutto questo rientrava perfettamente nelle idee di Castle.
- Credo si stia trattenendo perché gliel’ho chiesto io di farlo. Sai, soprattutto le prime settimane non è stata una cosa facile da accettare per me. L’idea di un figlio nella mia mente era una cosa così lontana, con un uomo che nemmeno conoscevo oltretutto…
- Adesso invece cara? Sei contenta? Sai, tutti lo diamo per scontato, perché pensiamo a te come la Kate che conoscevamo, però magari tu la pensi diversamente.
Martha era stata la prima persona a farsi questo problema. Ne era spiazzata e contenta allo stesso tempo. Stava scoprendo, in quella mattinata, una persona molto più profonda e comprensiva di quello che potesse immaginare.
- Vedi Katherine, io ti posso capire. So cosa si prova a scoprire di aspettare un bambino da un momento all’altro e non essere pronte e vedere la propria vita cambiare all’improvviso, tutti i progetti, tutto quello che si pensava di poter fare diventare un miraggio lontano. Io sono convinta che tu e Richard sareste stati felicissimi di sapere di questo bambino, che tu avresti avuto comunque mille dubbi e mille paure ma che saresti stata entusiasta all’idea di avere un figlio con tuo marito. Ora però le cose sono diverse vero? Non credere che non l’abbia notato che nessuno di voi due porta più la fede, nonostante sembriate molto affiatati. 
- Le cose non sono semplici Martha. Vorrei che lo fossero, vorrei avere dentro di me quella chiarezza che non ho. Però credimi, non sto prendendo in giro tuo figlio. Sono sempre stata sincera con lui, dall’inizio. Non voglio che pensi che mi sto approfittando della situazione in nessun modo. Per rispondere alla tua domanda, sì, sono felice. Ogni giorno che passa sento di amare sempre di più questa bambina. Credo sia un vero miracolo, in ogni senso. Non ti nascondo, però, che appena l’ho saputo ho fatto anche dei pensieri terribili, di cui adesso mi vergogno anche.
- Non vergognartene tesoro, ti capisco. Anche io ho fatto il tuo stesso pensiero quando ho scoperto di aspettare Richard. Poi la scelta è stata un’altra e non è stato facile, ma Richard è la cosa migliore che abbia fatto in tutta la mia vita, ma tu non glielo dire, mi raccomando. - L’attrice le fece un occhiolino complice
- Il tuo segreto con me è al sicuro Martha, non ti preoccupare. - Le sorrise Kate poggiandole una mano sul braccio in segno di affetto.
- Katherine, tornando ad Alexis, io credo che lei adesso, benché fosse stata sempre favorevole all’idea di un bambino vostro, soffra un po’ l’idea di non essere più l’unica “bambina” per Richard. Forse se fosse stato un maschio avrebbe avuto una reazione diversa, ma adesso starà pensando che tutto quello che suo padre ha fatto con lei negli anni, che per lei era qualcosa di unico riservato solo a lei, lo farà con un’altra, che ci sarà un’altra bambina ad avere tutte le sue attenzioni e che per la nuova arrivata farà qualcosa che per lei non aveva mai fatto, anche se glielo aveva chiesto più volte, smettere di giocare a fare il poliziotto.
- Lo ha detto lui? - Chiese Kate sorpresa
- Non sapevi nulla? - Chiese a sua volta Martha con altrettanto stupore
- No… Rick non mi ha detto niente.
- Oh, beh non è mia intenzione mettere bocca tra di voi allora, sarà meglio che te ne parli lui.
- No Martha aspetta… ne parlerò con lui, ma ora vorrei saperne di più, per favore.
La madre di Castle non si fece pregare più di tanto, così le raccontò delle decisioni del figlio, secondo quanto riferitole da Alexis, di chiudere l’agenzia di investigazioni e che qualunque cosa Beckett avrebbe scelto di fare, non avrebbe più potuto collaborare con la polizia come prima, perché se fosse tornata a lavoro sarebbe stato lui ad occuparsi della piccola e se lei non lo avesse fatto per lui non c’era motivo per seguire altri poliziotti. 
Kate trovò il discorso molto maturo e comprensibile, ma allo stesso tempo capiva anche il malumore di una ragazza che aveva vissuto per anni con la paura che potesse accadere qualcosa al padre e nonostante questo lui non aveva mai cambiato stile di vita e che adesso lo avrebbe fatto per l’altra figlia. Non la giustificava, però umanamente la capiva. L’unica cosa che non capiva era perché Rick non le avesse mai confidato i timori di Alexis se li conosceva. Era sicura che a sua moglie li avrebbe detti, perché a lei no? Non la riteneva degna della sua fiducia? Pensava che non avrebbe capito il malumore di sua figlia o che si sarebbe offesa? 
- Katherine, c’è ancora una cosa che vorrei dirti e mi rendo conto che ti ho rubato fin troppo tempo, magari tu avevi da fare altre cose…
- Non lo dire nemmeno per scherzo Martha è stato un piacere per me.
- Questo che sto per dirti te l’avevo già detto, ma tu non lo ricordi però è importante che tu lo sappia. Io ti devo ringraziare perché solo grazie a te e per te Richard è diventato l’uomo che è oggi, ma soprattutto ti devo ringraziare perché solo tu hai saputo renderlo così felice come non lo era mai stato con nessuna donna mai nella vita. Tu sei stata un dono nella vita di Richard ed io non potrò mai ringraziarti abbastanza per questo.
- Io non posso dirti cosa è stato Rick per me, però sentendo i vostri racconti, penso che sia stato lo stesso. Ma qualunque cosa accadrà in futuro, tuo figlio mi ha sicuramente fatto il più bello ed inaspettato dei doni, diventare madre. 
- Tesoro io sono sicura che qualunque cosa accada tu saprai amare ancora Richard come prima e che in ogni caso potrete costruire il vostro meraviglioso futuro insieme. Non può essere altrimenti tra voi due, dai retta ad una signora con una certa esperienza come me che di storie d’amore ne ha viste ed interpretate tante. Non puoi opporti al tuo destino mia cara, per quanta fatica farai lui si compirà ugualmente, e tu e Richard siete destinati a stare insieme. Beh ora sì che si è fatto tardi e devo proprio andare. Divertiti mia cara, qualsiasi cosa tu faccia, divertirsi è fondamentale per stare bene e far star bene anche la tua bambina!
Così dicendo Martha le diede un buffetto sulla spalla, prese la borsa e a passo spedito uscì dal loft. Kate rimase sola a pensare a quell’inaspettata conversazione con la madre di Rick che le lasciò una piacevole sensazione addosso. Era la prima volta che parlando con qualcuno non metteva l’accento sulla sua necessità di ricordarsi del passato come unica chiave per la sua vita, ma che le aveva detto di pensare al suo futuro, aprendole una nuova prospettiva.

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Capitolo 41
*** QUARANTUNO ***


Andrew aspettava Castle in quello che ormai era il suo secondo ufficio come piaceva chiamarlo l’agente: la lounge del W Hotel a Union Square. I divani scuri puntellati da cuscini da i colori vivaci, le ampie vetrate con la vista sulla piazza rendono quella hall non eccessivamente molto accogliente e più spaziosa di quanto non lo sia in realtà, ma l’ambiente tranquillo ed informale è l’ideale per questo tipo di incontri e Andrew ormai è di casa lì. Quando Castle arriva il suo agente aveva appena finito di sorseggiare un cappuccino e tutte le volte tra i due nasceva una piacevole discussione tra le differenze tra cappuccino e latte macchiato, su come dovesse essere la temperatura e la schiuma. Erano anche queste le cose che Rick apprezzava di lui e che lo avevano portato a sceglierlo come suo nuovo agente. Era un tipo interessante, con il quale si poteva chiacchierare anche non di lavoro e che sapeva, come lui, godersi la vita. Ordinarono due long drink e degli stuzzichini e mentre attendevano Andrew aprì la sua 24 ore mettendo davanti a Castle dei prospetti.
- Mi dispiace averti dato così poco preavviso - disse il suo agente - ma è un’opportunità che mi è capitata proprio poco fa. - Rick guardò la carta intestata e riconobbe subito il logo nero e bianco che campeggiava in alto. - La migliore penna per il miglior scrittore. Mi hanno contattato questa mattina. È una buona pubblicità anche per entrambi: loro arriverebbero ad un pubblico più vasto pubblicizzando il loro ultimo prodotto, una nuova linea più easy senza diminuire gli standard di qualità ovviamente e tu saresti associato ad un marchio estremamente prestigioso, perché è solo il primo che voglio legare alla tua immagine Rick!
Castle lo aveva assunto per questo, no? Curare la sua immagine, i suoi interessi, fare in modo che la sua vita pubblica fosse incanalata nei giusti binari pubblicitari senza sconfinare nel suo privato del quale diventava sempre più geloso e quello che lui gli stava proponendo non era una cosa buona, era ottima. Qualcosa che Paula in tutti gli anni non aveva mai saputo proporgli, non andando oltre le mere serate mondane e la pubblicità che derivava dal gossip, “perché il tuo pubblico è quello” così le ripeteva, lui non ne era convinto, sapeva che poteva fare di più, ma i profitti arrivavano in modo fin troppo facile ed erano alti, e quel genere di vita non gli era mai dispiaciuta e nemmeno quell’etichetta che gli era stata messa, anzi lo lusingava. Prima, non adesso. Dopo gli ultimi eventi anche la sua immagine era andata ben oltre quella delle riviste scandalistiche e Andrew aveva visto in questo un modo per tracciare una linea netta tra quello che era stato e che sarebbe stato in futuro del Richard Castle pubblico, che poi in effetti era anche quello che voleva fare lui nel suo privato, con le decisioni che aveva preso e stava prendendo. 
- Cosa dovrei fare? In termini pratici intendo. 
- Un paio di photoshoot e la registrazione di un video promozionale qui, a New York, nelle prossime settimane, ed un paio di party che dei quali saranno sponsor dove, ovviamente, ti dovrai presentare. Poi naturalmente firmare tutte le copie dei tuoi libri usando la loro penna.
- Dove sono questi party e soprattutto quando? - Era questo che gli premeva i dove e i quando.
- Ecco, il primo dei due è due giorni dopo la consegna degli Edgards. Ho già parlato con Price, e per lui sarebbe ottimo se il giorno dopo il party di Boston tu potessi partecipare anche a quello a Los Angeles.
- Cosa? A Los Angeles? - Rick strabuzzò gli occhi. Los Angeles era a 6 ore di volo da casa. Da Kate
- Sì Rick. Lo so cosa avevamo detto, ma è una opportunità splendida, devi solo prolungare di un paio di giorni il tuo viaggio, l’altro sarà qui a New York, quindi non avrai problemi. So che hanno in piedi anche una trattativa con un altro scrittore, tuo competitor, ma gli ho chiesto di non fare niente fino all’una di oggi. Cosa mi dici? - Andrew era sicuramente un tipo molto entusiasta, che sapeva come convincere le persone, anche uno come Castle che all’idea di prolungare la sua assenza da casa e da Kate soprattutto, era estremamente riluttante.
- Andrew, devi promettermi che non ci saranno altre improvvisate per i prossimi mesi, ti ho spiegato la mia situazione. 
- Solo questo Rick. E’ un impegno che mi sono preso in prima persona. - Gli porse una penna e gli indicò dove doveva firmare il contratto. Rick lo fece. - La penna puoi tenertela, ti servirà - Andrew sorrise e in quel momento arrivarono i loro drink con i quali brindarono alla felice conclusione dell’affare. L’agente finì in fretta il suo bicchiere, prese le carte le rimise nelle ventiquattrore e salutò Rick dicendo che doveva andare a inviare la copia del contratto e fare delle telefonate per sistemare il tutto. 
Castle rimase solo su quel divano a guardare New York correre al di là dell’ampia vetrata della hall. Turisti, per lo più. Girava e rigirava la penna tra le dita, mentre sorseggiava il suo drink mangiando qualche tartina. Non si aspettava quella proposta e non da quella casa così importante. Era un’offerta economicamente molto vantaggiosa ed alla fine aveva firmato senza leggere nemmeno tutto il contratto, il suo avvocato l’avrebbe ucciso per questo, ma non era la cosa che in quel momento lo preoccupava di più. Lo aveva fatto senza dire nulla a Kate, a sua moglie. Avrebbe dovuto prolungare la sua assenza, ma non era solo quello che lo preoccupava, era la consapevolezza che, in un altro momento, prima di firmare, si sarebbe preso almeno cinque minuti per farle una telefonata ed avvisarla, chiedere il suo parere. Sapeva che lei gli avrebbe sempre risposto “E’ la tua carriera Rick, devi decidere tu”, ma il fatto di consultarla, sempre, per lui era naturale. E quel giorno non lo aveva fatto. Aveva pensato a lui tutto il tempo, a cosa quella scelta avrebbe comportato, anche come giorni in più che doveva starle lontano, sarebbero stati solo un paio in fondo, ma non si era sentito in dovere, nemmeno per un attimo di chiamarla e chiedere il suo parere. Questa sua mancanza lo tormentava adesso e si sentiva terribilmente in colpa. 
Erano passate un paio d’ore dalla fine dell’incontro con Andrew. Aveva bevuto un atro paio di cocktail senza più riuscire a toccare cibo, aveva lo stomaco chiuso e la cosa peggiore era che sapeva esattamente perché. Aveva avuto modo di pensarci tutto quel tempo e l’unica risposta plausibile era quella che non voleva darsi, perché sarebbe stato portare di nuovo a galla quel conflitto che aveva dentro e che cercava sempre, in tutti i modi, di sopire. 
Non era ubriaco, reggeva bene l’alcool, ma quello che aveva in circolo più i suoi pensieri lo stavano portando in uno stato mentale che lo destabilizzava, arrivando a conclusioni che non voleva darsi.

Tornò al loft, pensando di trovarlo vuoto. Invece Kate era lì, sul divano, con un libro e una spremuta d’arancia. Pensò che avrebbe preferito stare ancora un po’ da solo per riorganizzare meglio i pensieri in vista di quello che doveva dirle. Si sedette vicino a lei, piegando la testa per vedere cosa stava leggendo, “Kill Alex Cross” di Patterson.
- Leggi la concorrenza? - Le chiese cercando di essere il più leggero possibile.
- Ti disturba? - Kate mise il segno e chiuse il libro.
- No, affatto. Patterson è un amico. Ma tu, non dovevi essere con Lanie?
- Cambio di programma, l’ennesimo oggi - provò a sorridere Kate. - Come è andato l’incontro con Andrew, di cosa ti voleva parlare?
- Oh beh, è andato bene… - erano già arrivati al punto e lui non si sentiva per niente pronto - Mi ha proposto di diventare l’uomo immagine di una prestigiosa casa di ehm… strumenti per la scrittura… - Tirò fuori dal taschino della giacca la penna che gli aveva dato Andrew e gliela diede. Kate si lasciò sfuggire un’esclamazione felice e stupita.
- Beh, direi che qui Castle siamo al top.
- Già… - Lo scrittore prendeva ancora tempo 
- Pensi che accetterai?
- In realtà… l’ho già fatto. È un’offerta molto vantaggiosa, sia economicamente che per la mia immagine - tentava di giustificarsi senza rendersene conto che non c’era bisogno.
- Sono molto felice per te, veramente! - Le disse lei sincera.
- C’è una cosa… Hanno organizzato un party e sono tra i maggiori sponsor, sarà il primo evento a cui dovrò partecipare… È a Los Angeles, dopo gli Edgard Awards… Dovrò prolungare di un paio di giorni la mia assenza… - Kate vide il suo viso triste e colpevole
- Rick, è tutto ok. Veramente, è il tuo lavoro, va bene così. Non sono una bambina, lo capisco.
- Sono io che non so se non sono un bambino e non so se lo capisco.
- Posso stare benissimo un po’ di giorni senza te che mi controlli costantemente! - Disse in tono giocoso cercando di tirargli su l’umore.
- Sono io che non so se posso… - Respirò e cercò di cambiare discorso era sicuro che lei avrebbe reagito così. Era lui che si sentiva uno schifo per non aver pensato di coinvolgerla, lei non glielo avrebbe mai chiesto nè lo avrebbe preteso. - Tu invece, quale cambio di programma hai avuto? Un cadavere per Lanie?
- No, mi sono fermata a parlare con tua madre?
- Cosa? Ma non doveva andare alle prove?
- Sì, ma ha rimandato per parlare di quanto accaduto a colazione, con Alexis. Ci teneva molto.
- Cosa… cosa è successo con Alexis?
- Quando ti ho detto che entrambe le tue figlie avevano fame, Alexis si è irrigidita e mi ha guardato in modo molto particolare, anche tua madre lo ha notato, e mi ha spiegato il perché.
- Oh… ecco, mi dispiace, se l’avessi vista ci avrei parlato io.
- Non dovevi parlare con Alexis, Castle! Dovevi parlare con me. Tua madre mi ha raccontato tutto di Alexis, delle sue preoccupazioni, dei suoi dubbi. Di quello che hai intenzione di fare con la tua agenzia di investigazioni e di come lei ha reagito alla tua decisione. - Le parole di Kate erano decise, non era arrabbiata, ma era delusa, si vedeva dal suo sguardo che aveva notato strano fin dall’inizio ma non aveva capito che era per questo.
Castle si passò le mani tra i capelli. Era preoccupato di dirle del contratto firmato, non era per niente pronto per affrontare questo discorso.
- Kate, Alexis ti adora, veramente, da sempre! Avete avuto sempre un rapporto più che buono, lei si confidava con te. - Beckett sembrava non starlo nemmeno a sentire, scuoteva impercettibilmente la testa.
-Rick non si tratta di me e di Alexis, noi siamo adulte, possiamo parlare, risolvere la questione, trovare un punto di incontro. Non mi preoccupo di questo, non per me. Per lei. - Disse poggiando entrambe le mani sul suo ventre, per proteggere ancora di più la sua bambina. Aveva uno sguardo, quello sguardo, di quando è disposta a fare qualsiasi cosa per arrivare al suo obiettivo. Ed il suo obiettivo, questa volta, era il più importante: difendere sua figlia, da tutto e da tutti. Da subito. Castle si stropicciò gli occhi con i palmi delle mani con insistenza. Kate, la loro bambina ed Alexis. Ne sarebbe uscito sconfitto, in ogni caso. Sapeva da subito, da quando le hanno detto che era incinta che questo momento sarebbe arrivato, ci aveva sorriso tante volte da solo mentre aspettava che si risvegliasse. Il giorno che Kate Beckett si sarebbe trasformata da donna a leonessa disposta a sbranare il mondo per difendere i suoi cuccioli. Quel giorno era arrivato, con il destinatario peggiore.
- Al mi ha detto che è felicissima dell’arrivo della bambina, credimi Kate! Le serve solo un po’ di tempo, per abituarsi all’idea. È stata solo lei la mia bambina per tanti anni, credo che sia normale essere un po’ destabilizzate, soprattutto vista la situazione particolare. - Rick cercava in tutti i modi di giustificare la figlia.
- Non me la sto prendendo con lei, la capisco, non sono un’insensibile. Capisco anche il suo punto di vista su tante cose del passato, meglio di quanto tu possa immaginare. Però capiscimi: per una semplice battuta, su una cosa che per me è bellissima, mi sono vista guardare come se fossi la nemica che le sta togliendo qualcosa, mi ha fatto male e soprattutto mi ha fatto male pensare che vedesse così anche nostra figlia.
- Perché non me lo hai detto subito, quando eravamo soli?
- Perché non sapevo che tu eri a conoscenza di questo suo malessere, Castle! Perché se lo avessi saputo avrei evitato di dire quella frase!
- Beh ora lo sai… Ne vuoi parlare?
- Cosa stiamo facendo? - Gli chiese perdendo la pazienza, lui non aveva capito il suo punto di vista. - Avrei preferito saperlo da te di questi problemi con Alexis, del suo stato d’animo. Io l’avevo sempre vista felice, avrei evitato certi riferimenti che potevano metterla a disagio. Si tratta di sua sorella, di nostra figlia, Rick. Della nostra famiglia, avrei voluto saperlo. - Beckett aveva alzato la voce e Castle le rispose a tono.
- No Kate. Si tratta di Alexis, di mia figlia, della mia famiglia e non so se tu ne farai parte oppure no, visto come il tuo atteggiamento.
Kate lo fissò per un attimo, la bocca aperta incapace di proferire parola, poi deglutì ed abbassò lo sguardo.
- Ok. - Una sillaba che uscì più come un roco lamento. Non disse altro. Rick la vide prendere la borsa con le mani tremanti, buttarci dentro il telefono e qualcos’altro e poi andare verso la porta.
- Dove stai andando? - Le chiese preoccupato.
- Ho solo bisogno di stare sola. Lontano dalla tua casa e dalla tua famiglia. Scusami. 
Rick si passò le mani tra i capelli e poi sul volto. Realizzò in quel momento come la sua frase aveva assunto tutt’altro significato alle orecchie di lei. La paura che Rick aveva, che fosse Kate a non voler far parte della loro famiglia, lei l’aveva recepita come se fosse lui a non volere che lei ne facesse parte. Scosse la testa si alzò e corse fuori ma l’unica cosa che potè vedere arrivato senza fiato sotto al portone era il taxi che scattava con il verde e la portava via.
Tornò al suo appartamento, recupero il cellulare e si affrettò a scriverle. Scriveva e cancellava, di continuo. Nessuna parola era giusta, nessuna frase sensata. Scriveva e cancellava. Le aveva scritto un messaggio lunghissimo dove le spiegava il loro fraintendimento e quali erano le sue vere intenzioni dietro quelle parole. Mentre lo stava rileggendo gli sembrò talmente stupido e patetico che cancellò anche quello. “Tu sei la mia famiglia, la famiglia che voglio”. Invio. 
Mentre seduto sul divano giocherellava con il telefono controllando l’orario ogni pochi istanti, finì quasi per scaricare la batteria per quante volte accendeva lo schermo e lo bloccava dopo aver controllato l’assenza di ogni tipo di risposta da parte di lei. Le aveva inviato subito dopo lo stesso messaggio su ogni sistema di messaggistica che lei usasse, nel caso per qualche strano motivo l’sms si fosse perso nei meandri delle linee telefoniche, almeno uno dei suoi tanti messaggi le sarebbe arrivato. Nessuno risultò mai letto o visualizzato da quello che le notifiche gli dicevano. 
Provò a chiamarla ma dopo due squilli rifiutò la sua chiamata. Provò ancora. Stesso risultato. Lanciò il telefono sul divano vicino. Era stato un idiota. 

Erano passate un paio d’ore, aveva riprovato a chiamarla e lei aveva di nuovo buttato giù. Gli sembrava surreale, ma almeno questo per Rick era un mezzo di contatto con lei. Non si sentivano, non si parlavano, ma interagivano. Lui chiamava lei attaccava, era un modo per sentirla vicina e mentre lo pensava si dava dell’idiota da solo. Pensò a quando si erano trovati nella situazione contraria, ma lei era stata molto meno insistente di lui nel chiamarlo: ripercorse con la memoria come quella sera poi era finita e come era cominciato tutto il resto della sua vita, la sua vita con lei.
Le scrisse un nuovo messaggio, preso dalla foga del momento e dei ricordi. “Vengo io a bussare alla tua porta questa volta, ovunque tu sia”. Lo inviò ed un attimo dopo si rese conto che per lei tutto questo non avrebbe avuto alcun senso. Avrebbe spaccato il telefono tra le mani se solo non sapeva che gli serviva nel caso lei lo contattasse, in qualche modo.

Martha rientrò in casa salutando con il suo solito buonumore non corrisposto minimamente dal figlio. Non impiegò che uno sguardo per capire l’origine dei suoi turbamenti, perché quella faccia la riservava solo quando accadeva qualcosa a due persone: sua moglie o sua figlia, e con Alexis aveva parlato al telefono poco prima.
- Dov’è Katherine? - Gli chiese Martha con tono accusatorio, ben sapendo che se era accaduto qualcosa, doveva per forza essere colpa del suo ragazzo.
- È uscita. - Rispose Rick controvoglia
- Immagino che non sia stata un’uscita di piacere con qualche sua amica, dico bene, Richard?
- Abbiamo avuto un diverbio grazie a te. - Doveva trovare un colpevole, la madre le sembrava quello perfetto.
- Grazie a me? Io le ho solo detto cose che immaginavo sapesse già, da te.
- E invece non era così, ok?
- Cosa le hai detto? - Martha aveva il classico tono della madre che sta per fare la predica al figlio. Predica che, nello specifico, pensava meritasse in modo particolare. 
- Che non sapevo se avrebbe fatto parte della mia famiglia - l’attrice gli lanciò un’occhiata truce - ma non nel senso che ha capito lei, ma non mi ha lasciato spiegare.
- Richard, quella frase non ha un senso diverso nella quale si può capire, e se lo ha ce l’ha solo nella tua contorta mente di scrittore! Santo cielo ma come ti è venuto in mente di dire una cosa del genere a quella ragazza in questo momento? Non sa più niente della sua vita, sei stato il suo unico punto fermo da quando ha scoperto di non sapere più niente di se stessa e tu che fai? Le dici che non sai se farà parte della tua famiglia? Alla madre di tua figlia, a tua moglie? Tu sei un pazzo Richard Castle e fatico a riconoscere mio figlio in quelle parole, ma più di ogni altra cosa, fatico a riconoscere il marito di Katherine! - Così dicendo Martha salì le scale e se ne andò al piano superiore e lui rimase ancora una volta solo senza poter rispondere o giustificarsi. Le parole di sua madre lo avevano messo letteralmente KO. Anche lui in effetti in tutta quella giornata faticava a riconoscersi come il marito di Kate.
Il bip di un messaggio lo destò dai suoi pensieri. Non era il mittente che sperava, ma sicuramente era per Kate.
È qui, sta bene, almeno fisicamente. Rimane a dormire da me, non ti preoccupare per lei. Jim
Avrebbe voluto prendere una pala, scavare una buca e sotterrarsi nel punto più profondo della terra. Ogni singola parola di Jim Beckett era carica di biasimo e rimprovero, le sentiva addosso. Non aveva scelto frasi casuali, lui non lo faceva mai. Era un avvocato, giocava con le parole bene tanto quanto uno scrittore, in fondo entrambi dovevano saper raccontare una storia credibile agli altri, solo che quando lo faceva lui c’era la vita delle persone ad andarci di mezzo, non qualche copia in più o in meno venduta.
Almeno fisicamente, era chiaro che gli voleva dire che stava a pezzi in tutti gli altri sensi.
Non ti preoccupare per lei, cioè hai già fatto abbastanza danni e non ti vuole vedere.
Provò a chiamarlo, voleva sapere di più, doveva sapere di più e scusarsi, almeno con lui. Lui doveva sentirle le sue scuse, lui gli aveva affidato la sua bambina, la sua cosa più preziosa e lei era tornata indietro da sola e a pezzi. Preferiva non pensa a cosa avrebbe fatto lui al suo posto, non certo mandare un messaggio come quello a chi era nella sua posizione, no, decisamente no.
Chiamare Jim fu come chiamare Kate. Chiamata rifiutata. Almeno però sapeva che stava bene. Pochi minuti dopo il suo cellulare squillò, era proprio Jim Beckett.
- Ciao Rick, Katie è andata a farsi una doccia, non voleva che ti avvisassi, ho dovuto aspettare che non era qui per parlarti.
- Certo, lo capisco, grazie. - Il tono di suo suocero era tranquillo, invidiava la sua calma o forse no, perché se in parte era una questione di carattere, sapeva da dove veniva, era la calma della rassegnazione, di chi sa che nella vita tutto quello che può accadere non può essere peggio di quello che ha già vissuto. Poteva scegliere di incazzarsi con il mondo, aveva scelto l’altra strada, dopo che era riuscito a risalire al punto più basso che un uomo può toccare nella vita, quando perde se stesso.
- So cosa è successo, me lo ha detto Katie.
- Mi dispiace Jim, veramente, io non volevo… non era mia intenzione… non era quello il senso della mia frase.
- Non è con me che ti devi scusare.
- Sì, Jim, anche con te. Come sta Kate?
- Rifugiata dietro il suo muro. 

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Capitolo 42
*** QUARANTADUE ***


La casa con l’esterno in mattoni rossi era come era sempre stata. Solo l’erba nel piccolo giardino davanti era più alto di quanto avrebbe dovuto essere. Sua madre non l’avrebbe mai permesso, ci avrebbe pensato da sola se nessuno dello stabile lo avesse fatto. I tre scalini alla fine del breve vialetto erano bianchi, come i corrimano ancora più bianchi, segno che erano stati riverniciati da poco.
Kate era salita su un taxi fermato al volo. Quando il tassista le aveva chiesto dove doveva portarla non aveva saputo cosa rispondere. Il primo istinto era stato quello di dargli l’indirizzo di casa sua, che però non era più sua e non aveva nessuna intenzione di farsi vedere da sua cugina quel giorno. Così disse l’indirizzo dell’unico altro posto che poteva chiamare casa.
Quando arrivò lì suonò più volte ma suo padre evidentemente non era a casa. Si sedette sugli scalini ad aspettarlo, passando il tempo a rifiutare le chiamare di Castle e ad evitare di leggere i suoi messaggi. Era ferita. Non lo voleva vedere, sentire, leggere. Niente. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere per lui questa volta.
In quel palazzo ci abitavano 4 famiglie, da che lei ricordava quando erano andati ad abitare lì erano sempre le stesse. Avevano tutte i figli piccoli all’epoca, erano tutti cresciuti giocando insieme, poi le circostanze della vita, come sempre portano uno qua uno là e le strade si separano, si perdono di vista i primi amici d’infanzia. Adesso loro erano tutti cresciuti, ognuno aveva preso la sua strada, ognuno diversa. Ricordava sempre con affetto, però, il calore discreto che quelle famiglie avevano riversato su lei e suo padre dopo la tragedia di sua madre, di come la signora Jones, più volte l’aveva chiamata la sera preoccupata per Jim quando non trovava mai il fondo delle sue bottiglie abbastanza profondo per nasconderci il dolore. E Kate partiva ovunque si trovasse, appena poteva per raggiungere il padre e condividere il dolore ed ogni volta per lei era solo aggiungerne altro su quello già esistente che non l’avrebbe mai lasciata. Ma non poteva abbandonarlo e non lo aveva fatto. Era la cosa della quale era stata più orgogliosa. 
La signora Jones rincasò proprio mentre lei era lì fuori e la invitò più volte ad entrare e ad attendere dentro da lei suo padre, Kate rifiutò sempre molto educatamente e con estremo imbarazzo accettò gli auguri per la sua gravidanza che ormai era chiaramente visibile ma non aveva nessuna intenzione di nasconderla più in nessun modo. 

- Katie! Cosa ci fai qui?
- Avevo bisogno di staccare un po'. - Non aveva voglia di fingere che andasse tutto bene
- Potevi chiamarmi, ero allo studio solamente a leggere delle carte sarei venuto prima! Da quanto sei qui?
- Un po'…

Entrarono nel portone e la porta della loro casa era quella sulla sinistra. La targa fuori “Fam. Beckett” era sempre quella in ceramica che aveva fatto fare Johanna ad una fiera tanti anni prima. Lei era sempre lì, con loro, in ogni cosa. Anche dentro a Kate sembrava tutto come lo era sempre stato e si aspettava in ogni momento di vedere sua madre uscire dalla cucina o scendere le scale che conducevano alle loro camere e venire a salutarla. Ogni volta che entrava lì aveva sempre la stessa sensazione e faceva sempre male allo stesso modo. Si chiedeva come suo padre riuscisse a stare lì, molte volte gli aveva consigliato di trasferirsi altrove, in una casa anche più piccola, adatta a lui, più vicina al suo studio, ma non ne aveva mai voluto sentire parlare.
Si sedette su quella poltrona che era solita occupare, come se in quella casa ci fossero sempre delle posizioni ben stabilite che ancora rispettavano. E così la poltrona in fondo era la sua e nel divano il posto alla sua destra era quello di Johanna e quello più lontano di Jim. E proprio lì si sedette, dopo che aveva portato a Kate un bicchiere d’acqua, lasciando quel posto tra loro vuoto, un’assenza che aveva tutto il sapore di una presenza ancora molto forte tra loro e mai del tutto metabolizzata. 
- Cosa è successo Katie? 
La domanda di Jim aprì le dighe emotive di Kate che si lasciò andare ad una ricostruzione più o meno fedele di quanto accaduto in quella giornata dalla chiacchierata con Martha all’ultima frase di Rick. Suo padre sapeva bene come lei odiasse le frasi di circostanza ed il pietismo.
- Alexis ti vuole bene Kate e per Rick sei parte della sua famiglia anche da prima.
Non la fece replicare, sapeva che avrebbe cominciato con i “ma” e i “però”. Non ne aveva bisogno adesso, quello che invece necessitava era mangiare qualcosa visto che dalla mattina non aveva più toccato cibo. La invitò ad andarsi a fare una doccia e la chiamò quando era pronto. Non si aspettava la visita della figlia e nella sua dispensa da uomo solo che spesso mangiava fuori casa non c’erano poi molte cose. Aveva una zuppa di pollo preparata il giorno prima e mise nel microonde un pasticcio di patate e salsiccia, certo non l’ideale per la dieta di una donna incinta ma almeno era qualcosa di sostanzioso. Apparecchiò la tavola semplicemente, cercando una seconda tovaglietta per lei, erano anni che non mangiavano insieme in quella casa, avevano sempre evitato, per non dover convivere con l’unico posto vuoto, e Jim non era solito ricevere visite, mangiava sempre solo quando era a casa ed i suoi servizi di piatti e posate potevano ridursi anche a “per uno”. 
Mise sul tavolo quanto preparato e poi la chiamò. Kate entrò titubante in quella stanza, ricordandosi proprio perché erano anni che non mangiava lì con suo padre e preferivano sempre incontrarsi in qualche ristorante o da lei. Quella tavola apparecchiata per due era una cosa che non era mai pronta a vedere e posò lo sguardo a lungo sulla sedia che sarebbe rimasta vuota.
- Devi mangiare Katie. - Jim prevenne ogni sua obiezione per evitare la cena. Consumarono il pasto in silenzio, con l’unico rumore delle posate che tintinnavano sui piatti. 
Quando finirono di mangiare, Jim si alzò per sparecchiare, accarezzò la nuca di Kate in un gesto affettuoso di quelli che lui raramente concedeva, era sempre lei la più espansiva tra i due, e piegandosi in avanti per prendere il suo piatto le sussurrò. 
- Questa sera siamo in tre, non devi essere triste. Non devi vivere solo e sempre nel passato Kate facendoti del mare, pensa al tuo futuro, pensa a lei.
Rimase qualche istante a metabolizzare le parole di suo padre, poi andò nella sua vecchia camera. Si sentiva stanca, provata più a livello mentale che fisico. Non doveva stare così, sapeva che non faceva bene né a lei né alla sua bambina. A lei, come l’aveva chiamata suo padre, senza usare altri sostantivi che sarebbero stati eccessivamente difficili da essere pronunciati da lui in quel momento. Doveva pensare a lei, solo a lei, ma era così difficile perchè pensare a lei voleva dire pensare subito a suo padre, a Castle.
La sua camera era rimasta uguale. Gli stessi pupazzi sulle mensole ad intervallare pile di libri, le stesse foto tenute con delle puntine sul muro, tanti volti di amici che non sapeva più che fine avessero fatto, che guardava con nostalgia per la spensieratezza di quegli anni, gli anni del prima quel nove gennaio. Aprì i cassetti della scrivania e trovò ancora lì i fogli con i suoi appunti, riconoscendo la sua scrittura più adolescenziale e più tondeggiante, più morbida, anche quella non ancora indurita dalla vita. “Mi piace la tua calligrafia Beckett” l’immagine di Castle davanti alla sua lavagna, al distretto, che esaminava quanto aveva scritto si palesò nella sua mente strappandole un sorriso. Chiuse il cassetto senza voler leggere i suoi ricordi. Cercò nell’armadio una maglietta abbastanza grande per poterci dormire comoda. Ne trovò una un po' deforme di quelle che andavano di moda nei primi anni 90. Quando la indossò il suo profumo l’aveva destabilizzata: sapeva di fresco, di deodorante lavanda, non aveva il profumo intenso e confortevole di Castle.
Anche il letto ora le sembrava terribilmente piccolo e scomodo e la stanza troppo calda rispetto all’ambiente condizionato del loft che solo ora apprezzava particolarmente. Non aveva mai sofferto il caldo, ma con la gravidanza era diventata insofferente. Si girò e rigirò più volte. Afferrò infine il suo elefante di peluche, quello che le aveva regalato sua madre, morbido con le orecchie enormi. Era sempre stato il suo preferito e cercò lì un po' di conforto.

Aveva dormito tanto quella notte, non bene. Non si sentiva riposata, lo capì appena si rese conto di essere sveglia, ma aveva dormito tanto. Ci mise qualche istante per realizzare dove fosse, a riconoscere quegli odori non più familiari. Poi quando Kate aprì gli occhi, sobbalzò nel vederlo seduto alla sedia della sua scrivania, quella sedia che sembrava così piccola per lui. 
- Da quanto sei qui? - In realtà non gli interessava saperlo e che a lui piacesse guardarla dormire era una delle prime cose che aveva imparato a conoscere di lui. Solo non sapeva cosa dirgli, avrebbe anche potuto non dirgli nulla, non si sentiva ancora pronta a parlare con lui, ad affrontare qualsiasi tipo di conversazione.
- Non dà abbastanza quanto avrei voluto.
Eppure Castle era lì da molto. Era arrivato molto presto, quando Jim l’aveva chiamato dicendogli di sarebbe dovuto essere presto da un cliente importante di passaggio a New York solo per poche ore e lui capì subito il senso di quella telefonata: voleva dargli tempo per stare con lei o forse solo non voleva che Kate rimanesse sola. Era entrato in punta di piedi in quella stanza sconosciuta, pregando di non inciampare o essere goffo come suo solito svegliandola. Non fu così, dormiva profondamente, anche se era un sonno agitato; le faceva tenerezza vederla dormire con quell’elefantino vicino, pensava ad Alexis bambina e provò ad immaginarsi la bambina Kate. Si violentò tenendo a bada la sua curiosità di mettere il naso tra le sue cose e si concentrò solo su lei, per tutto il tempo. Adesso che i suoi occhi lo squadravano con occhiate taglienti, lui la guardava immobile tentando di far sembrare la sua figura più piccola e meno ingombrante di quanto fosse in realtà e di quanto sembrasse in quella cameretta adolescenziale. 
- Cosa ci fai qui? Avevo detto a mio padre che non ti doveva avvisare. 
- Fare di testa propria e non ascoltare evidentemente è un tratto ereditario nella tua famiglia. Spero che nostra figlia…
- Non credere che tu sia molto diverso. - Lo fermò subito Kate che non aveva molta voglia di scherzare.
- Perché sei rimasta qui ieri sera? Non sei tornata a casa… - Era, quella di Rick, una domanda carica di tristezza e di paura.
- Cercavo un posto da considerare famiglia. - Rick pensò che se gli avesse sparato gli avrebbe fatto meno male e non lo diceva tanto per dire, aveva termine di paragone. Si alzò di scatto come se una molla lo avesse spinto via dalla sedia e si avvicinò al suo letto oscurandola letteralmente con le sua mole.
- Io sono la tua famiglia, Kate. Noi lo siamo. 
- Ieri non ne eri così sicuro. - Non si lasciò intimidire dalla sua presenza. Rimase seduta sul letto, aggiustandosi meglio il cuscino dietro la schiena con molta nonchalance. 
- Al diavolo Kate! - Castle si allontanò tornando verso la scrivania, camminando nervosamente avanti e indietro - Non mi hai lasciato nemmeno spiegare! Io non so se tu sarai la mia famiglia perché non so se è questo quello che tu vuoi! Solo per questo, perchè non so cosa ti passa per la testa. Per me lo sei da sempre e lo sarai per sempre. 
- È colpa mia quindi? Vuoi dire questo?
- No! Perché devi sempre travisare quello che dico? Ti chiedo scusa, ok? Mi sono spiegato male, ho detto una cosa che poteva sembrare crudele e non volevo. E ti chiedo scusa anche per Alexis, avrei dovuto dirti quali erano i suoi dubbi. Mi dispiace Kate. - Allargò le braccia in segno di resa, per poi farle ricadere pesantemente lungo i fianchi. Lei non gli rispose e nemmeno lo guardò.
- Tuo padre tornerà per pranzo, è con un cliente importante. Ti ho portato i muffin ed un caffellatte. Io devo andare. Domani parto e devo passare alla Black Pawn a sistemare delle cose. - Non era vero, avrebbe potuto non andarci affatto o farlo più tardi. Ma lì non aveva più niente da dire o da fare. Lo aveva capito dalla postura rimasta rigida di Kate, dal non guardarlo, dalle braccia incrociate saldamente sul petto, dalla voce decisa, senza alcuna esitazione. Beckett era dietro il suo muro, come aveva detto Jim e aveva imparato che in questi casi qualunque cosa avesse fatto per forzarla con la sua presenza sarebbe stata inutile o peggio, dannosa. 
Castle uscì dalla sua camera, lo sentì scendere pesantemente le scale per arrivare al piano inferiore e poi chiudere la porta di casa. Era convinta, stupidamente convinta che sarebbe stato più insistente, che avrebbe fatto di tutto per rimanere, che magari le avrebbe detto che andava via ed invece sarebbe rimasto ad aspettarla sul divano. Sarebbe stato da lui, pensava. Al loft i primi tempi aveva passato notti intere sul divano per non stare da solo in un’altra stanza e si ritrovò a pensare e chiedersi dove quella notte avesse dormito
Guardò l’ora, era prima di quanto pensasse, ma la sera precedente era andata veramente a letto presto. Trovò i pantaloncini di una vecchia tuta, le stavano naturalmente stretti, ma erano allentati dall’età e quasi benedì in quel momento che quando era un’adolescente indossasse una taglia in più, altrimenti di sicuro ora non le sarebbero nemmeno entrati.
Al piano inferiore trovò effettivamente quanto detto da Castle. Prese un muffin ed il caffellatte e si sedette sulla poltrona. Accese la tv, solo per avere qualcuno che chiacchierasse di sottofondo per distrarla. Tentativo vano, anzi sentire quell’inutile parlare di sottofondo le dava quasi fastidio. Prese il telefono, non lo guardava dal giorno prima. Vide tutti i messaggi che Rick le aveva mandato, contò tutte le telefonate che gli aveva rifiutato. Trovò altri messaggi, tra i quali uno di Lanie che gli chiedeva quando sarebbero andate a pranzo insieme. Le chiese se era libera il giorno seguente e la risposta arrivò dopo pochi istanti, dandole appuntamento al loro solito posto il giorno dopo. La prima cosa che l’aveva resa felice quella mattina, dopo il muffin.

Castle non era andato alla Black Pawn. Aveva fatto un giro per il quartiere, comprato alcune cose che gli sarebbero servite, altre del tutto inutili che si era ritrovato in mano alla cassa di qualche negozio che non sapeva nemmeno perché c’era entrato. Si chiedeva cosa ne avrebbe fatto di quella lampada da viaggio da 39 dollari, tra le altre cose che aveva preso.  Era entrato in quel negozio attratto da un oggetto in vetrina, un proiettore di stelle che al buio avrebbe riempito il soffitto della stanza di costellazioni che si muovevano, piano piano. Si immaginava già su una poltrona con la sua bambina in braccio a raccontarle storie mentre lei guardava il cielo sopra di loro incantata. Voleva regalarle la gioia di meravigliarsi, prima di ogni altra cosa. Quella era stata solo una delle cose che aveva comprato, lampada da viaggio inutile inclusa.
Era al loft intento a preparare la sua valigia. Scelse con cura i completi da portare, le camice, le cravatte che probabilmente non avrebbe mai messo, ma era meglio portarle, una abbinata ad ogni vestito. Si rese conto solo quando li vide tutti in fila che aveva scelto i preferiti di Kate, quelli che gli aveva sempre detto che gli stavano meglio. Scelse poi velocemente dei jeans e delle tshirt e mise tutto dentro la valigia, lasciando i vestiti fuori nei porta abiti. Un tempo trovava molto divertenti questi viaggi di lavoro, con le feste e i dopocena che si presentavano ogni volta. Ora invece li vedeva solo come la parte peggiore del suo lavoro, che qualcuno avrebbe faticato a chiamarlo tale.
Andò in bagno per preparare la sua trousse da viaggio e si fermò a guardarsi allo specchio. Aveva un aspetto orribile, doveva far ricorso a tutta l’arte recitativa che aveva ereditato dai geni di sua madre per risultare credibile nei giorni successivi, avrebbe dovuto cucirsi in faccia il suo miglior sorriso, e ringraziare e salutare tutti quelli che avrebbe incontrato, posare per le foto con i fan, firmato ogni copia del suo libro che gli avrebbero messo davanti. Lo aveva sempre fatto, anche in situazioni in cui il suo umore era pessimo, ce l’avrebbe fatta ancora.
Gli arrivò un messaggio da Andrew. Sarebbero passati a prenderlo domattina alle otto in punto. Appoggiò la valigia in fondo al letto e mise via, nella cabina armadio dentro una grande valigia, quanto aveva comprato prima, insieme a tutte le altre cose che aveva preso nelle settimane precedenti e che lasciava lì nascoste, sapendo che Kate non voleva che comprassero troppe cose già adesso, ma lui non poteva resistere sempre alla tentazione di farlo. Pensava che poi, una volta deciso dove sarebbe stata la sua camera e sistemata, tutte quelle cose sarebbero passate inosservate anche allo sguardo attento di Kate, confidando che sarebbe stata occupata di più a pensare alla bambina che a quello che lui metteva intorno.

Sentì aprire la porta del loft. Controllò l’orario sulla sveglia sul comodino. Era da poco passata l’ora di pranzo. Troppo presto perché fosse sua madre. Si affacciò fuori dalla porta di camera appena in tempo per vedere Alexis che saliva al piano superiore. 
- Ehy Al! - La ragazza si voltò 
- Ciao papà… Beckett?
- È da suo padre. - Disse rassegnato. La ragazza tornò indietro scendendo piano gli scalini e si avvicinò a lui. Si lasciò abbracciare, sapeva che lui aveva bisogno di farlo. 
- Ehy papà, ogni tanto anche noi figlie più grandi abbiamo bisogno dell’abbraccio del nostro papà, anche per Kate è così.  - Provava a tirarlo su di morale. La sera prima avevano parlato un po’, ma era stato abbastanza evasivo sui reali motivi della loro discussione ed aveva pregato Martha, prima che la figlia rientrasse, di evitare di parlare ancora a sproposito.
- Sì, pumpkin, sarà così anche per lei. - Castle le massaggiava la schiena come quando era piccola ed aveva bisogno di conforto, anche se adesso era lui ad avere la necessità di essere confortato. 
- Al… - disse staccandosi da lei e guardandola negli occhi - riguardo al discorso dell’altro giorno… tu sei sicura che per te è tutto ok? Dico di Kate e della bambina… 
- Sì papà te l’ho detto! Sono felice per voi! Mi devo solo abituare all’idea. Perché me lo chiedi?
- Ieri Kate e tua nonna ti hanno visto infastidita quando Beckett ha fatto quella battuta sulle mie due figlie che avevano fame. - Castle era molto serio adesso, tacere portava solo altri problemi, aveva deciso che era meglio parlargliene. Alexis, invece, si sentì a disagio e si vergognò. Abbassò lo sguardo dagli occhi del padre.
- Beh sì, forse un po'… Mi ha fatto uno strano effetto… Mi dispiace…
- No, non ti devi scusare piccola! - l’abbracciò di nuovo
- Non avrete mica discusso per questo con Kate? - disse contro il suo petto, ma Castle non fece in tempo a rispondere che sentì nuovamente il rumore della serratura che si apriva ed alzò lo sguardo da sua figlia alla porta. Beckett entrò timidamente e si sentì subito di troppo nel vedere Rick e Alexis abbracciati. Lui avrebbe voluto correrle incontro, ma non poteva lasciare così sua figlia e quando lei si voltò e vide la donna, fu lei a sciogliere l’abbraccio del padre lasciandolo libero di andare da lei.
Alexis salutò Beckett con un sorriso sincero prima di salire in camera sua e andare e lasciare la coppia nella solitudine di cui avevano bisogno.
- Se mi chiamavi ti venivo a prendere. - Le disse Rick non sapendo bene cosa dire, quindi pronunciò la prima frase senza senso che gli passò per la testa.
- Ho preso un taxi non ti preoccupare. - passò oltre andando verso la loro camera per cambiarsi. Aveva un terribile bisogno di qualcosa di comodo e largo.
Rick la seguì, la osservò spogliarsi e senza alcuna malizia desiderava solo abbracciarla e baciare la sua pelle morbida. Dopo aver indossato un’ampia maglia che le lasciava quasi del tutto scoperta una spalla e degli shorts gli passò davanti senza dirgli nulla e andò verso il divano.
Le diede qualche minuto, poi la raggiunse. La trovò stranamente a smanettare con il suo smartphone, cosa che di solito lei non faceva mai. La osservava in silenzio. Era tesa, più di quella mattina dove sembrava solo arrabbiata. Ora no, era tesa e preoccupata.
- È successo qualcosa? - le chiese non nascondendo anche lui ora una certa agitazione.
- Sono 21 settimane. - disse lei guardando il cellulare senza che Rick capisse
- Cosa? - chiese ingenuamente
- Sono incinta di 21 settimane secondo questo coso. - Disse agitando lo smartphone
- Ok, quindi? - Non capiva quale fosse il problema.
- Lo sto leggendo da questa mattina. Questa app e altri siti. Non l’ho ancora sentita. Dicono che in questo periodo è normale sentirli.
- Da quando ti fai questi problemi Kate? Il dottore all'ultima visita ha detto che andava tutto bene?
- Da questa mattina, quando l'ho letto e ci ho pensato.
- Vuoi andare dal dottor Yedlin? Lo chiamo subito. Lui o qualcun altro ti visiterà. - Kate scosse la testa.
- Non voglio passare per quella ansiosa che si fa problemi leggendo notizie su internet - Era esattamente quello che era in quel momento però. Ansiosa e piena di problemi.
- Andiamo in camera. - Le disse Rick alzandosi di scatto dal divano e porgendole la mano
- Perché? 
- Andiamo, fidati.
Prese la sua mano e si lasciò condurre in camera.
- Sdraiati, chiudi gli occhi e non li aprire. - Kate lo guardò perplessa mentre lui andava nella cabina armadio - Fidati di me. Sono sicuro che ti piacerà.
Kate un po’ riluttante fece quanto detto da Rick. Lo sentiva armeggiare con qualcosa.
- Per quanto devo stare così?
- Ancora un po’. - Le si avvicinò e la baciò dolcemente sulle labbra. - Rimani con gli occhi chiusi, sarà più bello…
Castle con le labbra scese a baciarle il collo, mentre alzava la sua maglietta. 
- Rick per favore, non mi sembra il caso adesso… - Aprì gli occhi ma Rick con un gesto delicato passò la mano sul suo viso, chiedendole ancora una volta di fidarsi di lui e di rimanere con gli occhi chiusi. 
- Aspetta ancora un po’… Non è quello che sembra… - Kate era confusa, ma le piacevano le attenzioni di lui che le accarezzava il ventre, la rilassavano e nonostante tutto, anche se era ancora arrabbiata e delusa, le sue mani sul suo corpo le davano sempre delle vibrazioni alle quali non riusciva a resistere. Poi sentì una sensazione di freddo sulla sua pancia che la fece irrigidire, lui continuava a massaggiarle delicatamente il ventre, chiedendole di rilassarsi, e poi la mano morbida di Rick fu sostituita da qualcosa di diverso che lui spostava lentamente sul corpo di lei. Cercava di capire cosa fosse, ma poi non ci fu più bisogno. Il silenzio della loro camera fu riempito dal rumore veloce di un battito. Ora sì, Kate aprì gli occhi stupita, cercando quelli di Rick che in silenzio le faceva cenno di sì con la testa. Castle spostò di l’apparecchio più sul suo fianco ed ora oltre al battito potevano sentire anche altri rumori, tutti quei movimenti ancora per Kate impercettibili, ma che la loro bambina stava già facendo. Beckett allungò una mano cercando quella libera di Rick che la prese e la tenne stretta. Chiuse di nuovo gli occhi, rimanendo solo ad ascoltare quel rumore ipnotico. Stette così per alcuni minuti, poi quando incontrò nuovamente lo sguardo di Rick lui spense l’apparecchio e la stanza tornò nel silenzio assoluto che per alcuni istanti nemmeno loro vollero rompere. Kate portò la sua mano lì dove sentiva i rumori di sua figlia muoversi e la tenne ferma in quel punto, come se volesse farle sentire ancora di più la sua presenza.
- Grazie. È il regalo più bello che abbia mai ricevuto.
- Se questi giorni ti sentirai sola, potrai sentire lei tutte le volte che vorrai. 




Domani sera 27 luglio in occasione della messa in onda dell'ultima puntata di Castle, su Twitter vorremmo ricordarlo con #ArrivederciCastle dalle 21:50! Partecipate numerosi!

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Capitolo 43
*** QUARANTATRE ***


Se questi giorni ti sentirai sola, potrai sentire lei tutte le volte che vorrai. 

Kate prese l’apparecchio che Rick le stava porgendo e lo ripose nel suo comodino. Si sentì profondamente stupida per essere andata così nel panico, non era da lei perdere il controllo della situazione e non trovare una spiegazione razionale delle cose. Forse però doveva dire non era da lei prima. Adesso non sapeva più cosa era da lei e cosa no.
Si asciugò gli occhi ancora carichi di emozione, vide Rick muoversi sul letto e sdraiarsi vicino a lei, ma a distanza di sicurezza.
- Sei più tranquilla? - Le chiese cercando una forma di comunicazione senza sapere quale fosse la via migliore
- Sì, grazie. Da quanto ce l’avevi?
- Qualche giorno. Volevo dartelo prima di partire. In un certo senso così è stato. 
Ancora silenzio.
- Sei tornata a casa perché eri preoccupata?
- Sì, non volevo che mio padre se ne accorgesse.
- Ok. - Disse Rick incrociando le braccia sul petto.
Rick non sapeva se era una cosa bella o brutta quella che le aveva detto. Era comunque felice che lei sentendosi preoccupata aveva deciso di tornare da lui. Sperava fosse perché lui le trasmetteva quel senso di sicurezza e protezione di cui aveva bisogno e poi c’era un fatto incontrovertibile: si trattava della loro bambina, con chi altro avrebbe dovuto sfogare le proprie paure? Certo, questo voleva anche dire che voleva proteggere suo padre dalle sue preoccupazioni ma non lui, gli faceva piacere, Castle voleva che lei condividesse con lui anche ciò che la preoccupava: era esattamente quello che non aveva fatto lui con la storia di Alexis.
Kate aveva una faccia distrutta. Jim gli aveva detto che era andata a dormire molto presto il giorno prima, ma sembrava avesse dormito veramente poco. Gli venne istintivo spostarle i capelli dal volto ma ritrasse subito la mano quando lei scosse la testa. Era ancora ferita e si stava rintanando in se stessa. Quella di prima era stata solo una splendida parentesi che si era concessa. 
- Ti lascio riposare, vado di là a scrivere. - Rick si alzò ed andò nello studio. Non aveva gran voglia di scrivere e nemmeno molta ispirazione, ma non riusciva a stare vicino a lei così e doveva trovare una valvola di sfogo e scrivere riusciva a svuotare la sua mente almeno per un po'.
Kate si girò su un fianco, chiudendo gli occhi, stanca. Stava accadendo esattamente tutto quello che aveva sempre temuto di più, quello che non l’aveva fatta lasciar andare fino a quel momento. “Si tratta della mia famiglia e non so se tu ne farai parte oppure no”. Si sentiva un’illusa mentre ascoltava il picchiettare frenetico delle sue dita sui tasti del computer. Non aveva chiuso bene la porta e si chiedeva se lo avesse fatto per errore o era una cosa voluta. Non le dava fastidio quel battere ritmico, cercava di concentrare, anzi i suoi pensieri su quello per allontanarli da tutto il resto e alla fine riuscì ad addormentarsi.

Si svegliò trovando Castle ai piedi del letto mentre finiva di preparare la valigia le faceva uno strano effetto, le sembrava quasi un segno del destino lui che si preparava per andarsene quel momento. Guardò l’orologio: aveva dormito più di tre ore, credeva di essersi riposata solo pochi minuti invece era già quasi ora di cena. Si passò una mano sugli occhi e tra i capelli e gli sfuggì qualche mugugno strano che richiamò l’attenzione di Rick verso di lei rimanendo con una di quelle magliette che anche lei usava per dormire in mano. Si guardarono per qualche secondo, attendendo ognuno la mossa dell’altro che non ci fu. Rick tornò a piegare i suoi vestiti Kate si alzò per andare in bagno.
- Abbiamo pensato di ordinare cinese per cena, tu cosa vuoi? - Le chiese Rick quando tornò in camera.
- Non penso che mangerò stasera, non ho molta fame.
- Kate non ti… - Lei alzò una mano fermandolo prima che continuasse
- Per favore Castle, non succederà nulla né a me né alla bambina se per una sera non mangio.
- Ok, come vuoi tu. 

Rick lasciò cadere sulla valigia il suo porta documenti ed uscì di camera chiudendo con poca cura la porta. Al di là c’erano Martha ed Alexis in silenzio, avevano capito che l’aria che tirava in casa era piuttosto pesante.
- Andiamo a cena fuori. - Disse Rick alle due rosse e non era una richiesta ma un dato di fatto. Non aveva per niente voglia di mangiare a casa mentre Kate era chiusa in camera. Alexis si alzò ed andò a prendere la sua borsa sull’attaccapanni, Martha, invece, rimase seduta a sorseggiare il suo calice di vino.
- Mamma, allora? - La esortò il figlio con tono poco gentile
- Andate voi, io non ho voglia di vedere gente questa sera, mi farò una bella tisana depurativa che farà bene alla mia pelle, dopo aver preso un’altro calice di questo ottimo vino accompagnato a questo delizioso formaggio - disse l’attrice infilzando con uno stuzzicadenti un paio di cubetti dal tagliere.
Quando padre e figlia furono usciti, Martha bussò con una discrezione che non era propria alla porta della camera di suo figlio.
- Rick ti ho detto che non ho fame. - Rispose Kate dalla porta chiusa
- Non sono Richard tesoro - l’attrice aprì appena la porta facendo capolino.
- Martha, scusami, pensavo fosse Rick… - Kate si ricompose sedendosi sul letto ed invitando la donna ad entrare.
- È uscito a cena con Alexis, per fortuna. 
- E tu? Perché non sei andata con loro?
- Una serata padre / figlia farà bene ad entrambi, anche se sono certa che lui avrebbe preferito passare la serata con te. - Martha si era seduta sul bordo non troppo distante da Kate che alle sue parole sospirò pesantemente.
- Abbiamo discusso ieri. - Le confidò la donna mentre l’attrice le prendeva amorevolmente una mano.
- Lo so tesoro, cose che succedono a chi è innamorato. - Martha dava delle pacche di incoraggiamento al dorso della mano di Kate. - Quello che ti ha detto Richard è ingiustificabile, mi chiedo cosa gli abbia insegnato quando fa queste cose, però sono convinta che non lo pensi. Ne sono assolutamente certa.
Beckett sospirò girando la testa dalla parte opposta. Non si voleva far vedere fragile, non doveva essere fragile. Martha intuì il suo disagio.
- Ti andrebbe un piatto di pasta figliola? Richard dice che sono una pessima cuoca, ma un piatto di pasta posso ancora prepararlo!
- Lo possiamo preparare insieme - suggerì Kate
- Questa mi sembra un’ottima idea ragazza mia!
Martha si alzò dal letto e allungò entrambe le braccia in direzione di Beckett che le prese e si tirò su sorridendo alla donna che la abbracciò e insieme andarono in cucina.
Prepararono insieme dei mac and cheese, ridendo e chiacchierando mentre tagliavano i vari tipi di formaggio e cuocevano la salsa e la pasta.
Martha le raccontava molti aneddoti divertenti su quando Rick era piccolo e adorava mangiare quel piatto talmente tanto che lo aveva mangiato fino a sentirsi male e poi per anni anche solo l’odore gli dava la nausea. 
- Credo che a Richard piacessero tanto perché quando ero incinta li mangiavo sempre, anche se se dovessimo dar retta all’appetito e ai gusti del mio ragazzo, io avrei dovuto mangiare qualsiasi cosa! - L’attrice rise sonoramente.
Misero tutto nel microonde e si sedettero al bancone della cucina, Martha con il suo solito bicchiere di vino, Kate con un succo di frutta, mangiando i pezzetti di formaggio avanzato.
- E a te, c’è qualcosa che va particolarmente di mangiare da quando sei incinta?
- Tutto ciò che è dolce, non ho mai mangiato tanti dolci quanto in questo periodo!
- Dolci? Perfetta figlia di suo padre allora! Sai quando Meredith era incinta di Alexis diceva che aveva sempre voglia di gelato al cioccolato con panna e cheesecake che ora sono i dolci preferiti di Al.
- Non mi parlare di gelato al cioccolato e panna Martha per favore - la pregò Kate con l’acquolina in bocca
- Stesso effetto anche a te eh? In questa casa se c’è una cosa che non manca mai è proprio il gelato al cioccolato e la panna spray dopo ci consoleremo con una coppa ciascuna!
Kate notava come l’attrice stava facendo di tutto per metterla di buon umore e apprezzava molto la sua leggerezza.
- Sai Martha - Le disse Kate più seria mentre guardava il piatto del microonde girare cuocendo la loro cena - oggi sono andata nel panico perché mi sono resa conto che ancora non l’ho mai sentita muoversi ed ho avuto paura. - La rossa posò il calice di vino e mise una mano sopra le sue tenute giunte sul bancone. 
- Non vorrei ripetermi ma questa bambina pare avere tutti i difetti del papà e spero per te che non faccia come lui che ha cominciato a farsi sentire tardi rispetto a quanto dicevano i medici, ma da quando ha capito come prendermi a calci non ha praticamente mai smesso fino a quando non è nato!
- Non è incoraggiante Martha! - Kate fece una smorfia
- Ah lo so mia cara, volevo solo metterti in guardia e dirti di goderti questi ultimi giorni di tranquillità
- Adesso poi ci sono molti più metodi per valutare che i bambini stiano bene, all’epoca invece potevi fare poco, solo sperare e pregare ogni sera che tutto andasse bene. - Ora era più seria anche lei. Martha non lasciava trasparire spesso tutto l’affetto che provava per quell’unico figlio arrivato in circostanze più che complicate, ma quando lo faceva i suoi occhi brillavano e non poteva fare a meno di commuoversi - Ho passato anche io giornate molto brutte, quando tutte le donne dicevano che doveva già sentirsi ed io invece non lo sentivo mai. Provavo anche a dargli dei colpetti per invitarlo a muoversi e farsi sentire, glielo chiedevo ogni sera, ma lui non mi dava ascolto, come ora del resto.
- Sai, Rick ha preso uno apparecchio per farmi sentire il suo battito, così dice se sono sola, posso sentire lei.

Marta alle parole di Kate strinse la sua mano un po’ di più e riuscì solo a fare un’esclamazione di stupore e commozione. Il bip del microonde le interruppe e Martha si precipitò a togliere la teglia, divise il contenuto in due piatti e lo porse uno a Kate. Mangiarono continuando a conversare più allegramente, con l’attrice felice di aver trovato un nuovo pubblico a cui poter raccontare i tanti aneddoti degli anni d’oro della sua carriera.
Marta poi fu di parola, finita la pasta, prese due belle coppe di gelato al cioccolato, una più grande per Kate una più piccola per se, perché lei doveva mantenere la linea era l’arte che lo richiedeva, e le cosparse di panna.
Rick ed Alexis, quando rientrarono di buon umore le trovarono così, a mangiare al bancone della cucina il loro gelato con giovialità. Si ritrovarono tutti e quattro a guardarsi, sorpresi tutti di vedere gli altri così spensierati e tutti cancellarono il sorriso dai loro volti, come se quell’alchimia che si era creata, si fosse rotta all’improvviso. 
Alexis fu la prima a rompere il gioco delle coppie, salutando con un bacio il padre e la nonna e passando una mano sulla spalla di Kate affettuosamente prima di andare in camera sua.
- Avevi detto che non avevi fame. - Il tono di Rick nei confronti di Kate fu oltremodo accusatorio, cogliendo impreparata la donna a rispondere ad un’accusa del genere. Cambiare idea sul proprio appetito era una colpa grave?
- Sono stata io ad averla indotta in tentazione con la mia ottima cucina! - Intervenne Martha per alleggerire la situazione ma fu inutile. Rick la mise a tacere con il gesto della mano e la madre estremamente contrariata, poggiò la sua coppa vuota nella lavastoviglie, diede un bacio sulla fronte a Kate e poi se ne andò borbottando frasi incomprensibili su quanto il figlio fosse testardo e insensibile.
- Mi stai accusando che mi è venuta fame? - Chiese Kate ironicamente.
- No, che non avresti cenato in mia presenza o forse di mia figlia, non so, ma una volta sola con la tua nuova alleata non ti sei fatta problemi di uscire da quella maledetta camera e mangiare. Mi prendi per stupido Kate?
Beckett lasciò la coppa con il gelato sul tavolo, le si era chiuso di nuovo lo stomaco. Provò a rispondergli, ma prima ancora di parlare cambiò idea, non ne valeva la pena, nemmeno sprecare il fiato per rispondere a quelle accuse. Scese dallo sgabello e si diresse in camera. Voleva farsi una lunga doccia e lavare via tutta la delusione accumulata. Rick la bloccò per un braccio mentre gli passava vicino. Sentiva le dita stringere sulla sua pelle. Non gli faceva male la stretta, ma il gesto sì, molto e lo sguardo ancora di più. Appena incrociò i suoi occhi che lo guardavano increduli e impauriti di quella reazione così fuori dal suo comportamento usuale, Rick aprì la mano di scatto, lasciando che lei andasse oltre.

L’acqua le scendeva sulla testa e sulle spalle, percorreva il suo corpo lambendolo delicatamente goccia dopo goccia. Adorava l’acqua calda ed i getti potenti, stava facendo una doccia quasi fredda con spruzzi delicati. Non cercava conforto o relax, solo qualcosa che scorresse sul suo corpo e trascinasse via quel senso di frustrazione che provava. Era diventata lei la cattiva adesso? Per che cosa? Perché quella persona che diceva sempre di amarla così tanto, che solo poche ore prima era stato capace di un gesto tanto dolce ora la trattava così? Tra poche ore sarebbe andato via per diversi giorni e tutto quello che avrebbe voluto quella notte era solo stare tutto il tempo nel suo confortante abbraccio per accumulare il più possibile la sua presenza. Gli sarebbe mancato più di quanto voleva fargli capire e più di quanto lei potesse immaginare. Era proprio questo il problema. Aveva decisamente superato ogni limite che pensava di essersi data. 

Rick steso sul letto ascoltava i rumori provenienti dal bagno. Si era fatto vincere dalla rabbia. Guardava la mano che aveva stretto il braccio di Kate, la apriva e la chiudeva lentamente, ripetutamente. La guardava con biasimo, come se fosse colpa dell’arto che aveva una volontà propria staccata dalla sua. 
Sentì l’acqua chiudersi, le porte della doccia scorrere, riconobbe il rumore delle spazzole che si appoggiavano sul lavabo. Silenzio. Poi lo sportello del mobile che si chiudeva sbattendo seguito dal ronzio fastidioso del phon. Quando il rumore cessò spense la luce principale lasciando accesa solo quella del comodino di lei e si girò su un lato, dando le spalle al centro del letto.
Kate aprì la porta del bagno trovando la camera più in penombra di quanto l’avesse lasciata. Vide Castle sdraiato su un fianco che faceva finta di dormire, non ci mise molto a capirlo, le bastò osservare per qualche secondo il suo respiro irregolare e veloce, mentre quando dormiva era sempre calmo e profondo.
Si mise dalla sua parte di letto dandogli a sua volta le spalle e fingendo anche lei di dormire dopo aver spento la luce.
Al buio erano entrambi con gli occhi sbarrati, combattendo contro la voglia di voltarsi l’uno verso l’altra. Il profumo di ciliegie di Kate, così intenso dopo aver fatto la doccia era come fuoco nelle narici di Castle e lei avrebbe voluto perdersi nel calore del suo abbraccio e dormire sul suo petto. Stavano entrambi sul punto di cedere ma non lo fece nessuno dei due, continuando ad ignorarsi solo nei gesti, perché erano reciprocamente nelle rispettive menti.
Rick non fece nemmeno suonare la sveglia che aveva programmato per le sei e mezza del mattino. Era già sveglio da un po', aveva dormito forse un paio d’ore ma non era sicuro. Andò in bagno lasciando la porta socchiusa che mandava una linea di luce trasversale in camera. Kate sentendo l’acqua scorrere, si alzò aprì la valigia di Rick e prese quella maglietta che stava piegando la sera prima. La sostituì con quella che aveva addosso e che si era appena tolta, ripiegandola con cura e chiudendo il bagaglio. Si rivestì e continuò a fare finta di dormire. Dal bagno le arrivò un’ondata del suo dopobarba e sarebbe solo voluta andare da lui e baciarlo fino a quando l'autista non fosse andato a prenderlo.
Lo vide uscire e dirigersi verso la cabina armadio, vestirsi nella penombra di tutto punto per poi tornare in bagno a darsi gli ultimi ritocchi a quel ciuffo ribelle. Avrebbe voluto dirgli di lasciarlo stare, che era bellissimo anche così, con il ciuffo imperfetto. Quando spense la luce chiuse gli occhi. Lo sentì prendere il trolley e i porta abiti appesi nel gancio dell’armadio, mettersi sulla spalla la 24 ore con il computer portatile e poi chiudere delicatamente la porta di camera. Lo sentì prepararsi il caffè e l’aroma arrivò fino a lei. 
Rick ne fece una tazza in più lasciandolo sul bancone ed appoggiò le labbra al bordo della tazza lasciandoci un bacio. Erano quasi le otto. Sarebbero passati a prenderlo a breve. Si voltò verso la porta di camera e con poche ampie falcate la raggiunse. Appoggiò la mano sulla maniglia tentato di entrare e di salutare Kate come voleva fare. Lei dall’altra parte della porta era nella sua stessa situazione, e valutava di uscire per stringersi a lui almeno per qualche istante. Nessuno dei due cedette nell’abbassare la maniglia ed il bip sul cellulare di Rick lo avvisò che poteva scendere e lui uscì chiudendosi dietro la porta del loft, non prima di aver indugiato un istante in più nel vedere se quella di camera di fosse aperta.

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Capitolo 44
*** QUARANTAQUATTRO ***


Silenzioso e Vuoto. Improvvisamente a Kate quel loft sembrò grande come non si era mai accorta che fosse. Eppure Martha e Alexis erano ancora al piano di sopra. Eppure era già stata altre volte lì sola, completamente sola, ma era diverso. Era una solitudine di qualche ora, di una mattinata o un pomeriggio, poi Castle sarebbe tornato. Non adesso. Sarebbero stati giorni che si sarebbero sommati ai due precedenti di solitudine nella vicinanza. 
Percepì nettamente come lui, di fatto, con la sua sola presenza riusciva a riempire ogni angolo di quella casa. Ora invece era vuota, senza Castle. Non che si fosse portato via chissà cosa, ma solo il fatto di non vedere il suo computer né sulla scrivania del suo studio né sul tavolo davanti al divano o appoggiato a terra vicino al letto, i posti dove di solito lo lasciava, le faceva capire che lui non era lì.
Aveva lasciato la maglia con cui aveva dormito quella notte sul ripiano del bagno. Profumava di lui. Invece di metterla nella cesta della biancheria da lavare la prese con se, mettendola sul cuscino del letto. 
Prima di uscire vide la tazza di caffè sul bancone della cucina. Era ancora tiepido. Ne bevve qualche sorso, facendo roteare la tazza tra le mani, appoggiando le labbra su varie parti del bordo, come se inconsciamente cercasse quel bacio che Castle aveva nascosto nella ceramica poco prima.

Arrivò al distretto dopo un paio di giorni di assenza che avevano allertato i suoi amici sul suo stato di salute. Tutto bene, aveva risposto a chi le chiedeva come stavano lei o la bambina. Non lavorava al distretto, non più o non ancora, secondo i punti di vista, non doveva sottostare ad orari o turni ed era incinta, non malata. Se non la vedevano per due giorni non dovevano pensare subito al peggio. Non era complicato da capire. 
Andò in sala relax a farsi un caffè. Le avevano preso una miscela decaffeinata da quando era tornata a studiare i suoi casi, ma lei ancora non aveva voluto imparare a far funzionare quella maledetta macchina che gli aveva regalato Castle. Armeggiò un po’ e poi ci rinunciò buttando la tazza nel lavandino ed uscendo da lì frustrata. Si rimise alla scrivania con la voglia di caffè ancora più forte di prima e l’umore decisamente peggiore.
Ricominciò a sfogliare i fascicoli dei casi, infastidita, molto infastidita e la macchina del caffè era solo una scusa per il suo nervosismo causato da ben altro.
“Per un momento sei riuscito a farmi credere che tu fossi umano”
Era lei, era la sua voce quella tornava nella sua mente.
“Devi andartene a casa. Adesso!”
- Beckett tutto bene? - La voce gentile e rassicurante di Ryan la riportò al presente ed il profumo della tazza di caffè sulla sua scrivania le fece appena incurvare la bocca in un abbozzo di sorriso riconoscente. - È decaffeinato. Non sarà bravo come Castle, ma è bevibile - le disse avvicinandole la tazza.
- Grazie Kevin. 
L’irlandese tornò a sedersi e non gli era sfuggito come lei avesse evitato di rispondere alla domanda se andava tutto bene, ma non le disse altro. Lui non era insistente come Esposito, se Beckett aveva bisogno dei suoi spazi e dei suoi silenzi, sapeva lasciarglieli.

Kate era arrivata al punto che faticava anche leggere tutti quei fascicoli e a non capire perché voleva ostinarsi a continuare a farlo. Quanti ne aveva letti in quei giorni? Decine e decine. Risultati? Zero. Anzi, no, era stata un’iniezione di autostima. Era brava. Era stata brava in quegli anni, questo non poteva negarlo nessuno. Con Esposito e Ryan avevano formato una bella squadra. E con Caste, certo. Intuiva che il suo coinvolgimento in molti casi era più importante di quanto le carte non dicessero, aveva imparato a riconoscere i suoi spunti, anche da quello che le avevano raccontato Kevin e Javier che quando avevano qualche minuto libero passavano del tempo con lei a ripercorrere aneddoti di quei vecchi casi. Non era riuscita a smettere di ridere quando gli raccontarono di quell’indagine nel mondo del sadomaso con gli interrogatori alle mistress con il frustino e gli stivali con il tacco a spillo, immaginandosi l’imbarazzo di Ryan in una situazione del genere, che però ci teneva a far sapere che lo spavaldo Esposito non era meno imbarazzato di lui. Ma la cosa che l’aveva colpita di più era stato quando le avevano raccontato di come con l’aiuto di Martha avevano trasformato l’intero piano del distretto in una sorta di set cinematografico perché un testimone era convinto di vivere negli anni 70 e loro in assenza della Gates avevano ricreato lì la stessa atmosfera per farlo parlare con Castle che faceva la parte del loro capo. Non sapeva se ridere o essere estremamente preoccupata capendo in quante cose assurde si era lasciata coinvolgere da Rick nel corso degli anni, perché quella era stata una sua idea, come le avevano detto loro.
- E pensa Beckett, nonostante questo lo hai sposato lo stesso! - Aveva chiuso la questione Esposito con una grossa risata che contagiò anche Ryan ma che lei non riuscì a seguire.
- Espo ti ricordi invece il pazzo che diceva che veniva dal futuro? - Riprese Ryan appena aveva ripreso fiato
- Certo quale caso era… - Cerco tra i fascicoli aprendoli velocemente e tirò fuori giusto - Shona Taylor… e lui era il folle Doyle disse mostrandole una foto di lui con la camicia di forza sorridente
- Però, bel soggetto! - Disse Kate facendo una smorfia
- Ti ha predetto che ti saresti sposata con Castle, avreste avuto tre figli e saresti diventata tu una senatrice e lui uno scrittore di libri seri! - Continuò Ryan
- Ehy Beckett, in fondo ora ti rimangono solo altri due figli e di diventare senatrice, che Castle scriva libri seri non abbiamo proprio speranze! - I due detective risero ancora lasciando Kate interdetta.
- Non è divertente Esposito. Non è proprio divertente. - Chiuse con forza la cartellina e si alzò ed andò a passo veloce verso la sala.
- Ehy! Stavamo scherzando Kate! - Protestò l’ispanico nel vedere l’amica reagire così male ad una battuta, guardò Ryan cercando un appiglio ma alzò le spalle e ritornò al lavoro.
“E' come un ragazzino di 9 anni del tutto incapace di prendere le cose sul serio”
“Lui è fastidioso, egocentrico, piuttosto egoista”
Seduta con la testa tra le mani in sala relax si domandava perché le continuassero a venire in mente solo certe frasi, solo certe situazioni e tutte sembravano portarla nel punto più lontano di dove lei sarebbe voluta andare. O forse no. Non lo sapeva più nemmeno lei. Cosa stava cercando nel suo passato?
- Capitano Beckett…
Si tirò su quando sentì la voce imperativa della Gates chiamarla ed interrompere le sue riflessioni.
- Non mi deve chiamare capitano, signore. Lei lo è.
- Lo è anche lei Kate. Io le ho dato il mio appoggio per farle consultare i vecchi fascicoli e tornare così a prendere confidenza con il distretto. Non mi pare però che questo le stia giovando molto…
- Ma signore…
- Nessun ma, Beckett. Credo che se vuole sarebbe più utile la sua presenza qui in altra veste, magari tornare a fare il suo lavoro le sarà più di stimolo che vedere quello che aveva fatto.
- Signore ma lei…
- Io mi fido di lei Capitano Beckett. Dovrebbe pensarci.
- Sì, signore.

Non lo aveva sentito. Fatta eccezione per quel messaggio a metà mattina “Sono arrivato in hotel. Tutto bene.” al quale aveva risposto con un freddo “Ok”. Niente, nulla di più. Eppure non era questo che gli voleva dire, gli voleva chiedere se aveva finalmente scritto il discorso per la consegna del premio, se si sentisse emozionato di ricevere un premio che portava il nome di Poe, che lui apprezzava al punto di farsi cambiare il secondo nome in suo onore. Se sentiva la sua mancanza.
Kate si chiedeva se anche lui, come lei, stesse resistendo alla tentazione di scriverle oppure no, se era talmente rientrato nei panni di Richard Castle scrittore di successo, autore di best seller totalmente concentrato su di se ed il suo pubblico, quel Richard Castle che lei aveva sempre conosciuto, insomma.
Secondo quello che le aveva detto, nel pomeriggio avrebbe avuto un primo incontro con i fans in una importante libreria di Boston, il giorno successivo avrebbe registrato un’intervista e la sera partecipato alla cerimonia di premiazione. E le altre giornate non erano meno piene.
Entrando nello studio di Burke spense il cellulare con un nodo alla gola, pensando che lui magari la poteva chiamare proprio in quel momento e chissà cosa avrebbe pensato. Pensò di avvertirlo mandandogli un sms, ma poi spense il telefono e lo buttò nella borsa un attimo prima di afferrare la maniglia della porta dello studio ed entrare decisa.
Burke le sorrise gentilmente, ormai sapeva quale era la prassi in quel copione non scritto che faceva iniziare tutte le loro sedute, con lui che l’attendeva alla sua scrivania, si alzava, la salutava e poi senza dire niente si accomodavano sulle poltrone, uno davanti all’altra. C’era già un bicchiere con dell’acqua, sul tavolino basso vicino alla sua, Burke sapeva che lei, quando era nervosa e voleva prendere tempo si bagnava le labbra facendo finta di bere, così glielo faceva trovare già pronto per darle conforto quando le fosse servito.
Quel giorno però Beckett era diversa, più risoluta. Il dottore l’aveva già notato dal passo che aveva quando era entrata, deciso con le falcate lunghe e la testa alta. 
- Voglio tornare a lavoro. - Fu questa la prima cosa che disse a Burke appena seduta e passarono i successivi minuti a parlare del perché di questa scelta. Beckett gli spiegò che andare al distretto a vedere quello che aveva fatto non era quello che voleva continuare a fare, che c’era gente che aveva bisogno di aiuto per avere giustizia e lei sapeva che poteva dargli quello che cercavano. Era decisa, convinta, determinata. La breve chiacchierata con la Gates sembrava averle ridato quello slancio che da tempo sentiva di non avere, da sempre, in realtà, da quando si era risvegliata dal coma. Si sentiva finalmente bene, anche fisicamente, certo la sera era più stanca, ma per il resto era in ottima forma. Lui l’ascoltò, profondamente colpito della sua determinazione e da quel bagliore che vedeva nei suoi occhi, così diverso dal solito. Poi però le fece una domanda, una domanda semplice, di quelle che però sapevano distruggere il suo castello di certezze che si era costruita.
- È solo per questo che vuole tornare a lavoro? - Lei lo guardò piegando un po’ la testa di lato, scivolando appena nella poltrona. Prese il bicchiere d’acqua ed ora sì, lo sorseggiò timidamente un paio di volte.
- Per cosa altro? - Rispose infine
- Non lo so, deve dirmelo lei se è anche per qualcos’altro.
Burke sapeva esattamente che doveva fare molti passi indietro e tornare a parlare con quella Beckett che aveva conosciuto tanti anni prima, determinata a tornare a lavoro prima di quanto i medici le consigliassero, decisa a farlo anche se sapevano entrambi che non stava ancora bene, che c’erano paure dentro di lei, ma aveva capito che la migliore via di guarigione per Beckett era quella di tornare ad essere se stessa ed era convinto che lo fosse anche adesso, per questo non era contrario alla sua richiesta ed avrebbe dato parere positivo per il suo reintegro, ma sapeva che dietro c’erano altre motivazioni, solo che voleva che fosse lei a dirgli quali. Vedendo che non le rispondeva, provò con una domanda diversa.
- Ha fatto dei passi avanti in questi giorni? È riuscita ad ammettere a se stessa che tra lei e Castle c’è qualcosa?
- Al momento tra me e Castle ci sono circa 600 chilometri e due giorni di discussioni e silenzi. - si lasciò scappare un sorriso nervoso
- Vada avanti Kate.
- Abbiamo discusso, non c’è molto da dire e lui questa mattina è partito per lavoro e starà fuori un po’ di giorni.
- Avete discusso per questo? Perché lui partiva?
- No, no… è il suo lavoro è giusto così. - di questo ne era sempre profondamente convinta. Sapeva quanto era importante il suo lavoro per lei e poteva capire benissimo quanto lo fosse quello di Rick per lui, tanto più che gli lasciava per gran parte del tempo la massima libertà, non poteva di certo lamentarsi.
- Allora per cosa?
- Per sua figlia. - Kate pronunciò quella frase quasi in un sussurro. Detta così sapeva che lei non aveva possibilità di vincere, non si vinceva contro i figli, lo aveva capito anche dallo sguardo esterrefatto di Burke e si affrettò a spiegargli tutto quello che era successo quella mattina con Alexis e la sua battuta innocente, quello che le aveva rivelato Martha e la reazione di Rick. Il dottore annotò le sue parole, giochicchiò un po’ con la penna facendola tamburellare sul taccuino e poi tornò a parlare con Kate.
- Quindi lei è arrabbiata con Rick perché le ha detto che non sa se nel suo futuro farà parte della sua famiglia.
- No! Non sono arrabbiata per questo.
- Ok, questo cosa le provoca, allora?
- Paura, credo. - Kate lasciò che le parole uscissero a malapena dalla bocca. Burke annuì. 
- Quindi le fa paura che Rick non la consideri più parte della sua famiglia. Lei gli ha mai detto che vorrebbe farne parte? - Beckett guardò in basso e non rispose. No. Non lo aveva mai fatto. Anzi, aveva sempre rifiutato l’idea di famiglia, di accettare il loro matrimonio e tutto il resto. Scosse solo la testa, in un movimento sconsolato.
- Cosa è che l’ha fatta arrabbiare allora Kate? Cosa è che la fa rimanere così sulle sue?
- Che mi abbia escluso. Che non si sia sentito libero di confidarsi con me di quello che stava passando Alexis. Se lo avesse fatto mi sarei comportata diversamente, avrei evitato certe allusioni.
- Solo per un problema pratico, quindi?
- No…
- E per cosa?
- Perché non mi ha ritenuto in grado di capirlo o di poterlo sostenere.
- E per lei è importante che lui possa ritenerla in grado di farlo?
- Io l’ho fatto con lui. - Kate si mordeva il labbro inferiore ogni volta che faceva una pausa, lo mordeva a tal punto che aveva paura che cominciasse a sanguinare, ma non doveva cedere, non doveva lasciarsi andare ai sentimenti - Mi sono aperta, più che con chiunque altro. Mi sono lasciata sostenere, in tutti i sensi e non l’avevo mai lasciato fare a nessuno. Evidentemente lui non si fida di me. Di questa me.
- Però nemmeno lei si fida di lui, totalmente, al punto da lasciarsi convincere di quello che prova.
- Io ne sono convinta di quello che provo dottore. Oggi più che mai. È proprio questo il problema. Che so di essere arrivata ben oltre dove mi ero imposta di arrivare. E sto male per questo.
- Perché sta male Kate? Cosa è successo?
- Ho cominciato ad avere dei ricordi.
- Ah, è positivo allora, no?
- No. Perché non sono bei ricordi. Non sono cose che mi aiutano. Mi mettono solo ancora più dubbi. 
- Sono su Castle?
- Sì… - Ora per quanto voleva essere forte non riusciva più a tenere a bada le lacrime che scendevano verticali sul suo volto.
- Da quando li ha questi ricordi?
- Da poco…
- Da dopo le vostre discussioni? - Kate annuì di nuovo in silenzio - Cosa cerca in questi ricordi Kate? Una conferma di quello che pensa o qualcosa che la induca a pensare altro? In quale direzione vuole andare, dove le dice di andare il suo cuore, o dove vorrebbe che la sua mente la portasse, condizionandosi a tal punto da riuscire a far tornare a galla qualcosa per giustificare le sue titubanze?
Beckett era letteralmente incapace di parlare. Quello che le stava dicendo Burke era come ricevere una secchiata di acqua gelata in pieno volto che risvegliava una parte di se che aveva ignorato.
- Non lo so.
- Perché le fa così paura lasciarsi andare?
- Perché non voglio soffrire. Non voglio rischiare di perdere ancora qualcuno importante per me.
- Kate, Rick è già importante per lei, è evidente, altrimenti adesso non starebbe così.
- Infatti non devo stare così. 
- Anche il bruco ha paura di diventare farfalla, ma se si lasciasse vincere dalle sue paure, non avremmo le farfalle. Lei cosa vuole fare nella sua vita? Rimanere bruco o volare via come una farfalla? - Kate avrebbe voluto rispondergli cosa ne sapesse lui delle paure del bruco e chi glielo diceva che da bruchi non si stava meglio che da farfalle ma si trattenne. 
- Ho paura di quello che posso ricordare.
- Perché? Cosa la spaventa dei suoi ricordi?
- Di scoprire che lo amavo meno di… - Fece una pausa e respirò profondamente, prese di nuovo il bicchiere con l’acqua bevendo sì, questa volta un sorso e poi un altro ancora, per mandare giù, di nuovo, dentro di se, quelle parole che stavano uscendo incontrollate.
- Meno di? - La incalzò Burke
- Meno di quanto tutti dite che lo amassi - Disse Kate che aveva ripreso il suo autocontrollo.
Il dottore sorrise scuotendo la testa.
- Sta comoda dietro il suo muro Kate? Lo trova confortevole? - Le chiese con più di una punta di ironia.
- Ho bisogno di sentirmi sicura. Di sentirmi forte. Di non essere debole. - Nel pronunciare quelle parole, la sua postura si era di nuovo irrigidita, il suo sguardo era tornato profondo e vigile, come ad inizio della seduta quando gli aveva comunicato di voler tornare a lavoro.
- Kate, dall’altra parte del muro dietro al quale nasconde le sue paure, non ci sono solo i mostri che deve combattere, ma c’è la sua vita, la sua libertà. Deve decidere lei se la vuole affrontarli per riprendersi quello che era suo oppure no. Magari può scoprire che quello che crede un drago è solo un’ombra che ingigantisce qualcosa di minuscolo. Oppure può scoprire qualcuno seduto a terra, appoggiato al suo muro che sta aspettando proprio che lei esca.
Kate adesso si era messa sulla difensiva, anche con lui Burke capì che era inutile, per quel giorno, andare oltre. Doveva avere modo di riflettere, di elaborare, di capire, sempre che avesse voluto farlo. 
Le diede appuntamento alla fine di quella settimana, le avrebbe consegnato così anche la sua relazione da portare al Capitano Gates. 

Kate era sfinita, come sempre quando usciva da Burke. Quel giorno si era sentita sull’orlo del precipizio, ad un passo dal fare un passo verso il suo punto di non ritorno. Quasi si pentì di non averlo fatto, magari aveva ragione lui, magari sarebbe stata meglio. O magari sarebbe stata dannatamente peggio.
Rientrò al loft ora sì, vuoto. Alexis e Martha erano uscite insieme a cena e poi sarebbero andate a teatro. Erano gli ultimi giorni che la figlia di Castle trascorreva in città e voleva passare più tempo possibile con sua nonna, sapeva che le sarebbe mancata. 
Si cambiò rapidamente, poi andò in cucina. Aprì il frigo e trovò una porzione di ravioli che andavano solo scaldati al microonde. Per quella sera si sarebbe fatta andare bene quelli, non aveva voglia di cucinare nè di aspettare che le portassero la cena. Intanto che aspettava i ravioli si preparò un’insalata aggiungendo un po’ di tutto quello che trovava, per tenersi occupata, e per saziare quella fame che stava diventando sempre più insistente. Si accarezzò la pancia e pensò che in fondo aveva ragione Martha, era come suo padre. Ecco che il pensiero di lui tornò prepotentemente ad impossessarsi di lei. Non lo aveva più sentito, non aveva chiamato e non le aveva mandato altri messaggi. Nemmeno lei lo aveva fatto a dir la verità, ma sarebbe stato lui a doversi far sentire secondo la sua logica, era lui che era fuori casa, non lei. Le sembrava una buona motivazione.
Mangiò sola come da tanto tempo non ricordava di aver fatto. Guardava il loft e le sembrò veramente un bel posto, si vedeva che era stato arredato con un gusto maschile, dai colori scelti ai materiali, agli oggetti d’arredo. Però era bello, forse perché ogni in ogni piccola sfumatura di quel posto riusciva a riconoscere qualcosa di Castle. Non trovava tracce di se, ma Rick le aveva spiegato il perché: tutto quello che aveva portato con se lo aveva comprato dopo che il suo appartamento era esploso, non poteva ricordarsene, però lui le aveva fatto vedere una per una quali erano le proprie tracce: il suo cuscino preferito, con la bandiera inglese, i porta candele neri che Rick aveva voluto mettere nel suo studio e dentro ai quali aveva messo delle candele alla ciliegia, così le ricordavano lei, quando non c’era, i quadri, e tante altre piccole cose che si mescolavano con quelle di lui e lei trovava che insieme, almeno gli oggetti, stessero benissimo, in perfetta armonia.
Finì di mangiare gustandosi quella cena più di quanto non era la qualità del cibo, ma la sua fame era tanta e non se ne curò. Osservò il grande divano nero, aveva mai fatto caso a quanto fosse realmente grande e comodo? Lei e Castle erano stati abbracciati lì a dormire più di una notte e non aveva sentito il bisogno di dover riposare su un letto. Si immaginò loro lì seduti, con due calici di vino  rosso, a parlare dopo una giornata di lavoro con il camino acceso o magari con due scatole di cibo cinese: le sembrava di poter sentire la risata di Rick ed anche la propria nel rubarsi il cibo a vicenda e stuzzicarsi con le bacchette come dei bambini dispettosi. Si immaginò una domenica in inverno, con la neve fuori lei sdraiata con la testa sulle sue gambe a leggere un libro mentre lui revisionava gli ultimi capitoli del suo romanzo, sotto una morbida coperta di lana. Si immaginò loro due fare l’amore, lei sopra di lui aggrappata alle sue spalle, che gli mordeva il lobo dell’orecchio e gli ripeteva più volte Ti amo. 
Ti amo Rick.
Ti amo Babe.
Babe.
Chiuse gli occhi e non capì più cosa stava facendo, se stava immaginando qualcosa che sarebbe potuto accadere in futuro o qualcosa che era già accaduto in passato. Penso che per essere qualcosa che stava immaginando, era troppo vicina al cuore. Prese il telefono e scrisse freneticamente.
Va tutto bene? Ci manchi” gli scrisse. Sapeva di essere scorretta, che usare il plurale in quel modo era un colpo basso. Però ne era sicura che la sua voce profonda mancava anche alla loro piccola.
Sperò che come al solito lui le rispondesse subito. Invece i minuti passavano e il telefono era sempre muto. L’incontro in libreria doveva essere finito da tempo, non le aveva detto di cene di lavoro o altro. O forse era lei che si era dimenticata. Aspettò ancora. Cominciò a camminare nervosamente per casa, coprendo con passi svelti la superficie del loft che era diventata improvvisamente piccola. 
“Se otterrai il lavoro ti trasferirai e non ti vedrò più e praticamente sarebbe la fine del nostro rapporto sapevi bene cosa avrebbe potuto comportare e non hai pensato di interpellarmi o peggio ancora ci hai pensato ma hai scelto di non farlo”
La voce di Rick le rimbombava nella testa
“Kate perché rinunci al nostro matrimonio”
Sembrava la stesse supplicando e quella frase, Dio le sembrava così reale, in quel momento, più di tutto il resto, come se lui fosse lì, in quel momento a dirgliela. Ma non era così, era di prima, e quindi erano già arrivati a quel punto, a farsi male così tanto.
“Prima che Bracken fosse ucciso mi ha detto che tu non sarai felice nei panni di mia moglie. Ti prego non dirmi che quel bastardo ti conosceva meglio di me”
Avrebbe voluto tanto saperlo anche lei.

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Capitolo 45
*** QUARANTACINQUE ***


Era stata una giornata lunga. Più lunga di quanto pensasse, forse perché quello, a Castle, sembrava un giorno cominciato almeno 48 ore prima, forse perché le giornate senza di lei duravano di più e in pratica quella non era la prima che erano distanti, non in senso strettamente fisico.
Aveva aspettato fino all’ultimo secondo che lei uscisse da quella camera, perché sapeva che era sveglia, era troppo rigida per dormire ed aveva sentito il suo sguardo addosso mentre si vestiva e Dio quanto amava sentirlo. Però aveva fatto finta di niente, come lui del resto. Così era partito, senza il conforto di un abbraccio, senza catturare ancora il sapore delle sue labbra, il ricordo di un sorriso. Era partito senza il bagaglio più importante, i momenti di lei.
Aveva incontrato Andrew e Price in aeroporto, lo aspettavano direttamente alla lounge del T2 al JFK, declinò l’invito a bere un drink prima di partire. Erano le nove di mattina e di certo non avrebbe cominciato a bere a quell’ora!
- Andiamo Castle! Sei tu il festeggiato in questi giorni e sembra che ti portiamo ad un funerale! - Price gli diede una pacca sulla spalla in un atteggiamento così inusuale per come lo aveva sempre conosciuto in ufficio. Lui rispose solo con un mezzo sorriso poco convincente
Andrew prima di imbarcarsi lo prese da parte
- Problemi Rick? O solo malumore per l’alzataccia?
- Problemi. - rispose lui evasivo.
- Non puoi però presentarti così… - Castle lo interruppe subito.
- Andrew so come fare il mio lavoro. Con tutto il rispetto ho fatto incontri con stati d’animo che tu nemmeno immagini, con mia figlia piccola malata, con la mia prima moglie che mi aveva tradito e lasciato solo con una bambina… Non mi dire quello che devo fare, lasciami essere incazzato adesso, poi oggi pomeriggio per i media ti regalerò i miei migliori sorrisi e tutta la mia gioia di incontrare sconosciuti e scrivere dediche vuote. 
Andò a sedersi su una poltrona aspettando il loro imbarco. Si rese conto che era stato ingiusto. Gli era sempre piaciuto incontrare i fan e i sorrisi che gli regalava erano sinceri, così come le dediche che scriveva. Da quando poi Kate gli aveva confidato quanto erano stati importanti i suoi libri dopo la morte della madre, aveva preso ancora più seriamente quella parte del suo lavoro, convinto che un sorriso ed un autografo, un momento in cui due sguardi si incontrano, per qualcuno può fare veramente la differenza ed aiutarlo a trovare la sua piccola porzione di felicità.

Il volo sarebbe stato breve, poco più di un’ora. Mise la borsa con il computer nella cappelliera, diede la giacca alla hostess e si tenne solo a portata di mano un taccuino e la penna. Da tempo non usava un taccuino, era uno di quelli che teneva i primi tempi quando seguiva Kate per “prendere appunti” ma ben presto smise di seguirla per quello ed anche di usare il taccuino.
- Sempre al lavoro scrittore? - gli chiese Andrew seduto vicino a lui, mentre Price si trovava nella fila davanti.
- No sto provando a buttare giù due righe per il discorso di domani.
- Beh non dovrei dirtelo però… preparane due di discorsi. - Castle si lo guardò interdetto. - il Grand Master Award lo consegneranno a te e al tuo amico Connelly. 
- Sul serio? - Chiese Rick con finalmente un lampo di vita nello sguardo.
- Sì scrittore. Gran bel colpo vero?
- Wow! - Castle riuscì a dire solo quello, era visibilmente sorpreso e compiaciuto. Quel premio lo avevano assegnato a mostri sacri. La prima, in assoluto a riceverlo fu Aghata Christie e tutti i migliori fino a Ken Follett o Stephen King lo avevano ricevuto. Era un onore immenso per lui.

Il volo trascorse tranquillo, ma non riuscì più a scrivere una parola, quella notizia lo aveva realmente rallegrato tanto, più di quanto si immaginasse. L’unica cosa che gli dispiaceva era che la sua famiglia non fosse lì, con lui, per condividere la sua gioia. Kate. Soprattutto Kate. Era merito suo, anche se non lo sapeva, e non perché alla fine, anche se per le insistenze del sindaco, gli aveva permesso di seguirla ed ispirarlo. No, per tutto il resto. Quando per lui seguirla non sarebbe stato più necessario per scrivere e lei lo sapeva, ma glielo permetteva comunque e non solo nel lavoro, ma nella vita, per questo era merito suo.
Appena arrivato in hotel, Castle andò nella sua suite e come prima cosa mandò un messaggio a Kate. Avrebbe voluto chiamarla, ma non sapeva cosa dirle e, a dire il vero, non sapeva nemmeno se lei avrebbe voluto parlargli.
Il messaggio che le aveva mandato risultò freddo e quando lo rilesse se ne rese conto e gli dispiacque. Non voleva essere così formale, ma la scarna risposta di lei lo fece tremare. Quelle due lettere erano poco più di una notifica di lettura, se le fece bastare, non poteva fare altrimenti. Non era vero, e lo sapeva. Poteva chiamarla, poteva anche solo mandarle un altro messaggio per chiederle come stava: non lo fece e non solo perché stava ancora pensando a cosa fare quando Andrew bussò alla sua stanza, ma perché, forse per la prima volta, si sentiva inibito e si chiedeva se quell’insicurezza di fondo dipendesse solo da lei o anche da se stesso.
Il suo agente lo condusse nella SPA dell’hotel. Un massaggio rilassante era quello che gli ci voleva, secondo lui, ma in realtà Castle non si rilassò affatto, semplicemente perché non riusciva a riconoscere in quei tocchi sulla sua pelle gli unici che voleva sentire. Non erano quelle le mani che voleva che lo accarezzassero, che gli sfiorassero spalle e collo, che percorressero la sua schiena. Era un pensiero stupido, lo sapeva, non doveva paragonare le due cose, ma non poteva farne a meno. Tutto gli portava alla mente lei e quei 40 minuti che sembravano non finire mai, furono un’agonia ed Andrew se ne accorse quando si rincontrarono nella jacuzzi: aveva il volto ancora più contratto, segnato da una smorfia di dolore. Non aveva voglia di parlarne e lui non gli chiese nulla.
- Mi hanno detto che alla libreria sono già arrivate le tue prime fan - il suo agente provò a portare il discorso su qualcosa che potesse fare bene al suo ego.
- Sul serio? Ma sarò lì non prima di due ore!
- Beh vorranno essere sicure di rientrare tra quelle che potranno farsi autografare il loro libro. Ricordati, firmerai solo le copie di Driving Heat!
- Sì, sì ho capito. - Non gli piaceva quella cosa, lui avrebbe firmato anche un pezzo di carta per far contento qualcuno, ma capiva la logica del marketing, della Black Pawn e della libreria che lo ospitava. 
- Ah Richard, poi per stasera dopo la libreria ho organizzato una cena con Price, così possiamo discutere di alcune cose riguardo i tuoi libri futuri e dopocena abbiamo appuntamento per un drink con il direttore marketing dell’hotel, siamo loro ospiti, lo sai no?
- Certo, certo, ok.
Andrew sapeva che Castle in quel periodo voleva essere lasciato il più possibile libero, così aveva deciso di approfittare di quelle giornate per riempire la sua agenda usando ogni minuto a disposizione.
Rick uscì dalla SPA in accappatoio, andò nell’adiacente salone di bellezza per farsi sistemare i capelli e poi in camera a cambiarsi. Decise di optare per un abbigliamento informale, jeans, camicia bianca e giacca nera, il massimo della semplicità, ma stava bene e il bianco faceva risaltare la sua abbronzatura di fine estate. Aveva lasciato volutamente la barba un po' più lunga, di un paio di giorni, e i capelli non troppo ordinati. Prese un paio di penne che doveva usare per contratto e le mise nel taschino interno, indossò gli occhiali da sole più per nascondere le occhiaie che erano ancora ben marcate sul volto che per un vezzo, il suo sorriso di circostanza ed uscì dalla stanza.

Arrivato alla libreria insieme ad Andrew vide subito la fila di persone ad attenderlo. Salutò con la mano la folla mentre il suo agente lo conduceva in un’altra sala. Rick si affacciò dentro e vide che c’erano una decina di ragazzi e ragazze, tutti seduti con il suo libro in mano, una tshirt che riproduceva la copertina di Driving Heat ed un badge al collo.
- Chi sono? - Chiese all’agente
- Il tuo fan club.
- Ok, perché sono lì?
- Perché sono i sorteggiati di quest’oggi! È il massimo per ora che sono riuscito ad organizzare in così poco tempo, ma dobbiamo rivedere tutta la gestione del tuo sito e del tuo fan club. I fan sono merchandising, il merchandising è soldi. Dobbiamo sfruttare meglio questa potenzialità, essere più social, capisci no?
- Basta che di tutto questo te ne occupi tu!
- Ehy Castle! Recupera un po’ di brio se no il mio lavoro è inutile!
- Non ti preoccupare Andrew, ora entro in scena, sono sempre il figlio di Martha Rodgers!
Così Castle sollevò gli occhiali da sole sulla testa, sfoggiò il suo sorriso più ammaliante ed entrò nella stanza dai ragazzi emozionati di poter passare qualche minuto con il loro scrittore preferito in tranquillità. Rispose alle loro domande con molta gentilezza e loro furono altrettanto gentili, interessati ai suoi progetti futuri o chiedendogli spiegazioni su alcuni passaggi del libro. Gli piacevano quei lettori così attenti. Autografò il loro libri e le cartoline promozionali del libro, si prestò per le foto ed infine li salutò tutti uno ad uno.
Finito con loro andò nella sala principale dove gli altri erano già in fila e cominciò il suo pomeriggio. Salutò e sorrise a tutti, firmò ogni copia del libro che gli veniva messa davanti chiedendo il nome della persona a cui doveva dedicarlo, qualcuno lo colpì particolarmente e si lanciò a scrivere qualche riga in più, secondo quella che era l’ispirazione del momento, immaginandosi una storia dietro quel volto. Si prestò a scattare dei selfie con qualche fan più audace che lo abbracciò e lo baciò, sulla guancia, ovviamente, ebbe modo di scherzare con qualche bambino che era rimasto in fila trascinato da qualche sciagurato genitore o fratello più grande. Fu gentile, con tutti e solare più di quanto si aspettava di essere. Alla fine quel pomeriggio fece bene al suo spirito, fu contento di vedere gente felice perché aveva potuto condividere un momento con lui e questo gli ricordò, in fondo, che era un uomo fortunato, nonostante tutto, anche se avrebbe fatto volentieri a meno di un po’ di quella fama per una vita più tranquilla e più normale. Ma la sua vita era quella e spettava a lui far combaciare tutti gli ingranaggi e i pezzi di quel puzzle confuso.
L’ultimo in fila era un uomo che avrà avuto più o meno la sua età, visibilmente imbarazzato quando aprendo il libro per fare la dedica Castle gli chiese quale fosse il suo nome. 
- Susan - disse l’uomo - è per mia moglie, sa, è una sua fan…
Rick gli rivolse un sorriso e scrisse una lunga dedica che riempì quasi tutto il frontespizio, dove le diceva che doveva sicuramente essere una donna speciale per avere un marito che faceva una fila così lunga per regalarle un suo autografo.
L’uomo lesse la dedica mentre lui scriveva, sorridendo soddisfatto e contento, salutò Castle con una vigorosa stretta di mano ed un grazie sentito.
- Hai fatto felice una coppia oggi! - Gli disse Andrew mentre Rick si alzava e dalla sedia sgranchendosi le ossa rimaste troppo tempo nella stessa posizione. 
- Almeno qualche coppia felice al mondo c’è… - Tutta la sua malinconia gli ripiombò addosso come un elastico tenuto teso per tutto il pomeriggio che veniva rilasciato e ora faceva anche più male.
- Andiamo dai, se no facciamo tardi per la cena con Price.

Quando uscirono dalla libreria c’era ancora un gruppetto di ragazzi che aspettava Rick per scattare un’altra foto insieme e salutarlo. Non si tirò indietro nemmeno questa volta, nonostante Andrew andasse di fretta. Poi il suo sguardo fu attirato da una ragazza, appoggiata al muro fuori dall’entrata dalla parte opposta del gruppo che aveva appena salutato. Aveva una copia del suo libro stretta al petto, ma non sembrava particolarmente felice. Aveva alzato lo sguardo quando era uscito e sembrava per andargli incontro, poi appena vide il suo agente incalzarlo ad andare si era subito ritratta timidamente e accartocciata su se stessa contro il muro, con le braccia incrociate sul petto a custodire il libro e la testa bassa.
- Aspetta Andrew… aspetta… - Castle si smarcò dal suo agente e andò dalla ragazza. Non sapeva perché, ma doveva capire cos’era quella tristezza che aveva visto in fondo al suo sguardo.
- Ehy ciao! Ti devo aver fatto una dedica orribile! - Le disse Rick con voce gentile. Lei alzò lo sguardo verso di lui. Era esile e minuta, con i capelli biondo cenere e gli occhi azzurri, di un azzurro triste, quasi spento, che brillò un po’ nel sentire la sua voce.
- Io veramente non ho fatto in tempo… - Disse lei sottovoce
- Ah, e dov’è il problema? - Rick prese la penna dalla tasca della sua giacca e si fece dare il libro sotto lo sguardo inferocito di Andrew - Come ti chiami? 
- Kelly… 
- Ok… Come mai così triste? Solo per un autografo?
- Rick? Andiamo? - L’agente si stava spazientendo
- Ti raggiungo dopo con un taxi. - lo liquidò velocemente Castle mentre pensava a cosa scrivere di bello per far migliorare l’umore di quella ragazzina. Lei lo aveva incuriosito, gli capitava spesso che delle persone attirassero la sua curiosità e immaginasse le loro storie e stava pensando a quale poteva essere la sua. Aprì il libro e sembrava molto letto, più vissuto di quanto dovesse essere, era uscito da meno di un anno in fondo. Quindi o lo aveva prestato a molti amici oppure lo aveva letto molto. Da come lo teneva pensò che era difficile che lo avesse prestato a qualcuno, sembrava un oggetto importante, sicuramente più del libro in se per se. Andrew nel frattempo se n’era andato borbottando qualcosa, doveva ancora imparare a fare i conti con questo lato di Richard Castle che invece che firmare il libro lo chiuse e lo diede alla ragazza senza scrivere alcunché. 
- Kelly, ti va un caffè? Facciamo due chiacchiere, mi racconti perché questo libro è così importante e perché sei triste, e poi così saprò esattamente cosa scriverti.
- Cosa ma…
- Ehy non vorrei dare un’impressione sbagliata, non ho altre intenzioni, giuro! 
-No io non pensavo questo… è che lei è una persona importante ed io…
- Tu sei una persona con una storia e a me le storie piacciono. Allora, che ne dici? 

Al di là della strada c’era una caffetteria, Castle entrò suscitando un po' di stupore, a New York era molto più semplice passare inosservati. Sorrise ai camerieri, ordinò due tazze di caffè e raggiunse Kelly al tavolo. Lei teneva sempre quel libro vicino a se. Rick zuccherò il suo caffè, aspettò che lei fece lo stesso, poi alzò la tazza mimando un brindisi, bevve un sorso e si appoggiò sul tavolo.
- Allora Kelly, qual è la tua storia? - Le chiese curioso e desideroso di tuffarsi nella vita di qualcun altro
- Oggi è il primo anniversario della morte di mio fratello. - cominciò la ragazza con la voce spezzata - Lo scorso anno quando il libro è uscito, mi chiamarono dalla libreria dicendomi che Eric poteva venire a ritirare la sua copia. Era un suo grande fan, aveva tutti i suoi libri. Sono andata io a prenderlo e poi andavo tutti i pomeriggi a leggerglielo al cimitero. Così lo sentivo più vicino e poi finito questo gli rileggevo gli altri e leggendoli mi sono appassionata anche io ai suoi libri. Mi ha aiutato. Nel dolore quello era un momento bello da passare ancora con lui e condividere qualcosa che prima non avevano mai fatto.
Castle faticò a trattenere la commozione. Prese il libro dal tavolo lo aprì e scrisse una frase di getto. Poi lo richiuse. E lo diede alla ragazza. Le asciugò una lacrima che le rigava il viso con una dolce carezza. Non poté evitare di pensare a Kate, se anche lei era così a 20 anni, lacerata dal suo dolore con uno dei suoi libri.
- Ad una persona a me molto, molto cara è successo qualcosa di molto simile senza che io lo sapessi, per anni. Anche lei soffriva per una perdita estremamente importante e anche lei mi ha detto che i miei libri l’hanno aiutata. Questo è il regalo più bello per chi fa il mio lavoro. Vale più di ogni premio e di ogni riconoscimento. Ed io ti ringrazio per avermi aspettato fuori.
Chiacchierarono per qualche altro minuto, le chiese quale era il libro preferito di suo fratello e lei gli disse che adorava tutti quelli di Heat perchè secondo lei si era innamorato della detective, non solo di quella immaginaria ma di quella vera a cui lui si era ispirato. La cosa lo fece sorridere, evidentemente la ragazza era interessata solo ai suoi libri e non al gossip su di lui.
- È molto facile innamorarsi di lei. - le rispose Castle
La salutò poi affettuosamente ed uscì dalla caffetteria fermando un taxi, mentre Kelly dalla vetrata lo guardava andare via e curiosa aprì il libro per leggere cosa le avesse scritto.

A Kelly
Una persona speciale un giorno mi disse che anche nei giorni più tristi c’è sempre spazio per un po' di gioia. Spero che i miei libri per te lo siano sempre. 
Rick

Arrivò in hotel e Andrew aveva lasciato detto alla reception di raggiungerlo immediatamente al ristorante. Lui e Price stavano già cenando ed avevano ordinato anche per lui.
- Rick, ma che ti è preso? 
- Ero alla ricerca di una storia. Se non sei curioso e non ti interessi alla gente e alle storie che nascondono, non potrai mai scrivere niente di interessante.
- Una buona scusa per dire che sei curioso! - intervenne Price
- Ok Rick ma abbiamo degli appuntamenti!
- Ehy Andrew, tu puoi curare la mia immagine come vuoi, ma se i miei libri non hanno contenuti è inutile ed io i contenuti li trovo così, curiosando nelle vite delle persone. Tu fai il tuo lavoro io il mio, semplice no? - Non voleva più essere il burattino di Paula ma non lo sarebbe diventato nemmeno di Andrew. Quei giorni sarebbero stati utili per conoscersi e capire meglio i rispettivi modi di lavorare. 
Mangiarono velocemente parlando di quello che sarebbero stati i suoi progetti futuri e quel nuovo libro in cantiere che Andrew definì una gran mossa pubblicitaria e poi andarono nel club dell’hotel dove avevano appuntamento con il direttore marketing che era un suo fan e quello che doveva essere solo un drink si trasformò in una conversazione infinita nella quale Andrew riuscì anche a strappare la promessa di una futura collaborazione con la catena alberghiera.

Rientrò in camera con qualche drink di troppo in corpo e tanto sonno sugli occhi. Voleva solo dormire. Mentre si stava spogliando per mettersi a letto il bip del cellulare attirò la sua attenzione. Era Kate. Era un messaggio di 2 ore prima “Va tutto bene? Ci manchi”. Nel club non doveva esserci campo e lui non aveva pensato nè di chiamarla nè di mandarle un messaggio. Si maledì mentalmente ma non solo e non gli veniva in mente nessuna frase che potesse giustificare il suo comportamento. Sentiva il mix di drink e stanchezza essere letale per le sue capacità di scrittura, ma si sforzò. Sperò che la mattina dopo, quando lo avrebbe letto, non fosse troppo arrabbiata per la risposta che non era arrivata quando sarebbe dovuta arrivare.
Mi manchi Kate. Mi manca tutto di te. Sempre.

Aprì la valigia cercando la maglietta che aveva preso per dormire, la spiegò distrattamente ma mentre la stava indossando fermò il suo respiro. Non era la sua maglietta, cioè, non era quella che aveva messo lui nella valigia. Era la maglia con la quale aveva dormito Kate la notte precedente.
Riprese a respirare, inspirando a fondo il tessuto e se la tolse prima di averla completamente indossata, non voleva che il suo profumo sparisse da quella maglia che sapeva di lei.
Lei aveva fatto un passo verso di lui, senza dirgli nulla, lasciando che lo scoprisse da solo. Avrebbe voluto uscire, prendere il primo aereo e andare da lei, abbracciarla e respirare il suo profumo direttamente dalla fonte, dalla sua pelle. Dormì a torso nudo, come piaceva a lei, perché così poteva sentire la sua pelle quando si appoggiava sul suo torace. Le era sempre piaciuto, ma lui lo faceva troppo di rado per i suoi gusti. Prese la maglia e la strinse forte, mettendola alla sua destra nel letto, vicino al cuscino per poterla respirare, immaginando che lei fosse lì. Immaginandolo solamente.

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Capitolo 46
*** QUARANTASEI ***


Kate ancora non sentiva la sua bambina muoversi, però sapeva che lei poteva sentirla. Nel silenzio della camera si sdraiò sul letto, spense il telefono e la luce ed accarezzandosi il ventre cominciò una lunga conversazione con sua figlia. Era una di quelle cose che si sarebbe aspetta da Castle più che da se stessa, lei non credeva di essere una di quelle mamme, a dire il vero fino a poco tempo fa non credeva nemmeno di essere una mamma, ma adesso più passavano i giorni più si sentiva totalmente investita da questo ruolo che assumeva un’importanza sempre più centrale nella sua esistenza. Era come se quell’idea che all’inizio voleva perfino rifiutare si fosse spostata come una pallina dalla periferia più remota della sua mente sempre più al centro a focalizzare lì la sua attenzione. Perché, sì, c’erano tutti i problemi, le discussioni con Castle, il non sapere cosa ne sarebbe stato della sua vita, il lavoro, ma poi tutto passava in secondo piano quando si concentrava su di lei.

Kate però non le parlava come se fosse una bambina, no, lei parlava a sua figlia come se fosse un’adulta, perfettamente in grado di capire tutto quello che stava accadendo. Cercava di spiegarle come si sentiva e quanto era felice di sapere che era dentro di lei, che è vero, prima la immaginava come un bambino, ma adesso non avrebbe saputo vederla in altro modo che come sua figlia. Le spiegava che se sentiva la mancanza della voce di suo padre era perché lui era via per lavoro, ma sarebbe tornato presto, dovevano solo stare qualche giorno da sole loro due e così potevano anche conoscersi meglio. Lei le avrebbe raccontato tutto di se, o almeno tutto quello che ricordava, perché c’era questo particolare che rendeva tutto più difficile, ma lei non doveva preoccuparsene, perché qualunque cosa fosse accaduto al suo passato, lei, la sua bambina, sarebbe stata il punto fermo del suo futuro. Le spiegò che lei e suo padre non sarebbero mai stati, probabilmente, dei genitori normali, come quelli che avrebbe visto a tutti gli altri bambini quando sarebbe andata all’asilo e poi a scuola però doveva essere certa che qualunque cosa loro avrebbero deciso di fare nella loro vita, l’avrebbero sempre amata e fatto di tutto per farla stare bene. Le parlò tanto, le diceva tutto quello che le passava per la testa fino quando fu troppo stanca per parlare e si lasciò vincere dal sonno. 
A domani bimba mia

Aprì gli occhi aspettando che i numeri della sveglia lasciassero la loro forma sfocata e si componessero leggibile. Le otto erano passate da poco. Si tirò su e percepì distintamente il dolore alla schiena e ai reni causati dalle ore trascorse sdraiata.
Buongiorno bimba mia

Si stiracchiò poi andò in bagno a lavarsi il viso per riprendere un aspetto minimamente presentabile. Avrebbe fatto una doccia. Dopo. Ora aveva bisogno di mangiare qualcosa. Urgentemente. Raccolse i capelli, lunghi, troppo lunghi, con una coda improvvisata e morbida ed andò verso la cucina. Appena aperta la porta di camera le sue narici furono invase da un profumo delizioso di uova e bacon, pancakes e cioccolato, e caffè.
Fece i pochi passi che la separavano dalla fonte di quel profumo e vide Alexis intenta a cucinare. La figlia di Rick salutò Kate con un sorriso imbarazzato ed un cenno della mano mentre la donna ancora insonnolita le si avvicinava. 
- Ciao Kate. - le disse timidamente Alexis quando fu abbastanza vicina
- Buongiorno Al… tutto bene?
- Sì… sì… 
- Bene.
Alexis tirò via dalla padella due uova fritte con il bacon e diede il piatto a Kate che non si aspettava che la ragazza stesse cucinando per lei.
- Le mangiavi sempre così, spero vadano bene - disse mimando il fatto che erano cotte su entrambi i lati. - Papà ha detto che in questi giorni devo assicurarmi che tu mangi almeno a colazione un pasto completo.
- Tuo padre si preoccupa troppo e mi tratta come una bambina. - sbuffò Kate mentre si portava alla bocca una generosa porzione di uovo e bacon con del pane tostato.
Alexis aveva anche il suo piatto pronto, si sedette davanti a lei a mangiare.
- So quello che è successo tra te e papà. - la ragazza era presa dai sensi di colpa e non era del tutto vero che era stato suo padre a dirle di preparare la colazione a Kate, era lei che si era offerta di farlo.
- Martha? - chiese Kate con una domanda retorica inghiottendo a fatica la colazione per la sorpresa di dover necessariamente affrontare ora quella conversazione e Alexis annuì.
- Mi dispiace. È una reazione irrazionale non da me, cioè non avrei voluto comportarmi così. Io sono molto felice per voi e per la bambina, credimi Beckett!
- Ti credo, non ti preoccupare. E non è colpa tua, capisco la tua reazione, non ti devi scusare. - E quel non è colpa tua sfuggito un po' in fretta, lasciava intendere che la colpa, per lei, era di qualcun altro che aveva un nome ben preciso: Rick. Era lui che non le aveva detto quanto era accaduto, non era colpa di Alexis e delle sue paure.
Rimasero qualche secondo in silenzio mangiando qualche altro boccone della loro colazione. Kate versò del succo di mela ad entrambe, ne bevve metà bicchiere e poi continuò a parlare alla ragazza.
- Vedi Alexis, per me è difficile parlarti, non so che tipo di rapporto avessimo in realtà o che livello di confidenza. So che la mia è una figura particolare per te. So che in passato il rapporto tra me e tuo padre ti ha creato problemi, soprattutto il fatto che lui volesse seguirmi e per questo si metteva nei guai e rischiava la vita, me lo ha raccontato lui. Non so come tu possa aver superato questa cosa, io non so se ci sarei risuscita.
- È vero Kate io non capivo perché mio padre si ostinava a venirti dietro al distretto e quando ti hanno sparato e lui era lì, beh io ho avuto tanta paura di perderlo, che gli accadesse qualcosa. Anzi io lo avevo capito perché lo faceva ma lui si ostinava a negare che lo faceva solo per te, non per i casi e i libri. Io l’ho superato, l’avevo superato. Perché mio padre ti ama e tu l’hai fatto diventare una persona migliore e lo hai reso felice. Poi però quando vi ho visto a terra, qui al loft, e stavate malissimo entrambi… Ho avuto paura ancora Kate. Più di quando lo hanno rapito e non sapevamo dov’era, più che a Parigi, più che con il triplo omicida. Perchè per la prima volta io l’ho vista, ho visto la morte addosso a lui. Ho pensato di averlo perso, che la mia famiglia non c’era più e nella mia famiglia ci sei anche tu Kate. E quando mio padre mi ha detto che vuole cambiare vita e lo deve fare per la bambina, io mi sono sentita come se i miei sentimenti e le mie paure non avessero mai contato nulla, ma lo so che non è così.
- Alexis. So cosa vuol dire, credimi. So cosa è la paura e lo smarrimento che si prova all’idea di perdere un genitore. Ci si fanno mille domande, sai quante volte me le sono fatte negli anni? Alcune volte ero talmente arrabbiata con il mondo che mi sono arrabbiata anche con mia madre. Perché lei, se sapeva che quello che faceva era pericoloso, lo faceva ugualmente, mettendosi contro tanta gente? Non ero più importante io o mio padre? Non era meglio rinunciare alla verità, a combattere una battaglia così grande e stare con noi? Sai quante volte ho pianto facendomi queste domande? Però mi sono sempre risposta che se lo avesse fatto non sarebbe stata mia madre. Avrebbe tradito se stessa e quello in cui credeva. Anche per tuo padre vale la stessa cosa. Non sarebbe stato lui e tu non lo avresti voluto diverso.
Kate fece una pausa. Alexis giocando con i resti del tuorlo sciolto dell’uovo nel piatto mentalmente stava dando ragione a Kate, annuiva alle sue parole. Le sembrava che erano tornare indietro quando lei era solo un’adolescente e Kate solo il detective Beckett. 
- Vedi Alexis, ora ti posso assicurare una cosa, se per un figlio il pensiero di essere lasciato da un genitore è doloroso, quello di un genitore di lasciare un figlio è straziante. Quando mi hanno detto che ero incinta ero terrorizzata. Non solo per la situazione assurda, ma per una paura che mi attanagliava il petto, avevo paura che il mio bambino potesse soffrire come avevo sofferto io e dover crescere senza un genitore, perchè la mia vita è pericolosa e incasinata, lo sai anche tu, e l’idea di mettere al mondo qualcuno e costringerlo alla paura di dover vivere quello che avevo vissuto io mi sembrava una tortura ingiusta. 
- Cosa è successo poi? Cosa ti ha fatto cambiare idea? - chiese Alexis incuriosita
- Lei. La sua presenza. L’idea che c’era, che era già una vita dentro di me. Mio padre mi ha detto “non prendere una decisione di cui potresti pentirti per sempre quando recupererai la memoria”, non c’è stato bisogno di ritrovare la memoria per capirlo. 
- L’hai mai sentita muoversi?
- No… tua nonna dice che è pigra come tuo padre, però le piace il gelato al cioccolato con tanta panna, come a te.
- Penso che sarà un momento molto emozionante.
- Non vedo l’ora, mi sono anche un po' preoccupata che non l’avevo ancora sentita, ma tuo padre mi ha preso una cosa, ti va di venire di là?
Kate andò in camera seguita da Alexis. Si mise sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera, scostò la maglia dal ventre e ripetè gli stessi gesti fatti da Rick, spalmandosi un po' di gel e poi accendendo l’apparecchio, muovendolo lentamente fino a quando il battito non si sentì in modo chiaro. Era forte e veloce come sempre. Sposto ancora un po' e insieme al battito si sentivano altri piccoli rumori. Alexis rimase a bocca aperta, commossa, mentre Kate salutava la sua bimba e si emozionava come sempre. 
- Ciao bimba, questa è Alexis, è tua sorella. - poi si rivolse direttamente ad Alexis - non ti porterà via tuo padre, Rick non ti farà mai mancare il suo amore. Il suo cuore è talmente grande che vi amerà tutte e due nello stesso modo. È sua figlia, come lo sei tu e lo sarai sempre, non cambierà nulla.
Alexis annuì non essendo in grado di proferire parola.
- Senti - continuò Kate - ti dispiace se dico che è tua sorella? Sai io sono di quella generazione ancora traumatizzata da Cenerentola e sorellastra mi evoca brutti ricordi.
- Sorella è perfetto. - disse Alexis e fu Beckett ora ad annuire e ricevere l’abbraccio sincero della figlia di Castle.
Nessuna delle due si accorse che sulla porta di camera, Martha, commossa, aveva assistito a tutta la scena sentendo anche lei per la prima volta la sua nipotina. L’attrice si asciugò gli occhi umidi attenta a non rovinarsi il trucco, fece un respiro profondo e fu pronta ad entrare in scena con la sua solita maschera frivola.
- Oh ragazze! - disse avvicinandosi con ampi gesti delle braccia - Ma quanto zucchero, quanta dolcezza che c’è qui!
- Nonna! - Martha!
Esclamarono insieme Kate e Alexis.
- Su su è stata una scena bellissima! Se l’avesse vista Richard sarebbe svenuto sicuramente per l’emozione!
- Nonna! - la rimproverò la nipote - da quanto tempo sei lì?
- Uhm… da quando sono scesa dalle scale quando voi siete entrate in camera?
- Ci hai sentite anche prima? - il tono di Alexis era tra l’arrabbiato ed il rassegnato, mentre Kate si ricomponeva mettendo via l’apparecchio.
- Ma certo che vi ho sentite! Non me lo sarei persa per nulla al mondo! Niente che già non sapessi, ma sentirvi parlare è stato molto, molto toccante! Dovreste dirlo a Richard! - E come era entrata in scena Martha uscì contenta che almeno tra loro due le cose si erano ricomposte con facilità.
Kate si ricordò di avere ancora il cellulare spento e quando lo accese vide subito il messaggio che Rick le aveva mandato nella notte. Le sue parole le entrarono direttamente nello stomaco, lo avrebbe voluto lì ora, per abbracciarlo insieme ad Alexis, per dirgli che era tutto apposto, che ce l’avrebbero fatta. Insieme. Come una famiglia. La loro famiglia. 

Alexis l’aveva lasciata sola in camera, disse che doveva andare a prepararsi per uscire. Kate fece un respiro profondo prima di fare il numero di Rick. Non avevano l’abitudine di parlarsi al telefono, non l’avevano mai fatto in questo periodo, se non per qualche breve comunicazione di servizio. Erano stati più o meno sempre insieme. Non sapeva come gestire la cosa, lei riusciva a dimostrare quello che provava per lui più con i gesti che con le parole, lui le leggeva gli sguardi e la capiva. Non riusciva a spiegarsi, lasciava che fosse lui a comprenderla. Così non era possibile. Si era sempre stupita in quelle settimane, ormai mesi, che stavano insieme di quanto il loro rapporto avesse preso da subito una strada molto fisica che erano prima prendersi per mano, poi abbracci, poi baci, poi tutto il resto, con estrema naturalezza, con una facilità che lei non aveva mai trovato con nessun uomo con il quale si era frequentata. Non era una fredda, non lo era mai stata in senso assoluto, ma non era nemmeno così espansiva, per come lei si ricordava nel suo passato. Invece con lui aveva sempre sentito qualcosa che la spingeva verso il contatto. Dalla stretta di mano al dormire su di lui, non con lui non le bastava che lui ci fosse, doveva sentirlo, col passare del tempo si era fermamente convinta che il suo corpo si ricordasse di lui più della sua mente, perché qualsiasi cosa facesse, orbitava nella sua direzione e lo riconosceva. Aveva sempre saputo dove doveva dormire, quale era il punto esatto del suo corpo che l’avrebbe accolta per appoggiare la testa sul suo petto, come incrociare le gambe con le sue in un gioco di corpi che diventava naturale. Per le parole, no, non era così. Le parole erano difficili, erano quasi dolorose tirarle fuori una ad una dal petto, come se si sentisse strappare via una parte di cuore per volta. Le parole le lasciava chiuse dentro di se, sperando che il resto compensasse, anche se si accorgeva che più passavano i giorni più lui aveva bisogno anche di quelle.
- Castle. - Sperò che Rick avesse risposto senza guardare il telefono, che quella risposta così fredda non fosse per lei. Eppure sapeva che lei aveva anche una suoneria personalizzata. Poteva avere il cellulare con la vibrazione ed averlo solo sentito, si disse. In qualche decimo di secondo tutto questo passò nella sua mente senza nemmeno che ne ne accorgesse.
- Ehy… 
- Ciao Beckett… Stai… State bene?
- Sì Rick. Stiamo bene.
- Bene.
- Mi mancava sentirti. - gli disse lei sincera, cogliendo nella voce di lui il suo stesso imbarazzo.
- Mancava anche a me. Grazie per la maglietta. Stanotte è stata… beh, grazie… che tu… io l’ho…
- Anche io ho tenuto la tua vicino a me. - Kate interruppe il suo parlare senza senso.
- Bene.
- Scusami se ti tengo al telefono magari tu sarai occupato e…
- No, no… anzi, scusami tu, per ieri, per non averti risposto. Ma nel club dell’hotel non c’era campo ed ho visto il messaggio solo quando sono arrivato in camera, Andrew mi ha portato lì per bere una  cosa con il direttore marketing dell’hotel, vuole fare una collaborazione, non so poi è andata per le lunghe ed ho fatto tardi e non ho visto e… mi dispiace Kate, veramente. - Rick disse tutto d’un fiato e Beckett fece fatica a stare dietro alle sue parole.
- Castle. Va tutto bene. - lei invece le parlò in modo calmo, perché lui capisse bene quello che gli stava dicendo. 
- Ok.
- In bocca al lupo per questa sera.
- Grazie. Beh, ci sentiamo.
- Certo. Ciao Castle
- Ciao Beckett.

Andò al distretto con un umore contrastato. Si era imposta di rivedere tutti i suoi vecchi casi e lei finiva i suoi lavori. Se lo era imposto con un motivo preciso, sperava che la aiutassero a ricordare, ma tutti i ricordi che aveva ottenuto negli ultimi tempi erano laceranti e facevano male. Più di quando si è ricordata del cecchino, più di quando si è ricordata della macchina in fiamme di Castle. Lì era lo shock, la paura, il dolore fisico, però lei era viva, Castle era vivo. Era tutto facilmente superabile, una volta acquisita di nuovo la sua razionalità.
Quello che stava ricordando, invece era logorante. Erano le paure del non detto, di aver lasciato conti in sospeso, della sua emotività, delle decisioni che aveva preso e perché. Non sapeva quando certe frasi dette e ricevute avevano lasciato cicatrici non sulla sua palle, ma dentro di se. Quanto c’era di vero in quello che ricordava? Aveva delle domande a cui non avrebbe potuto rispondere nessuno, solo lei sapeva le risposte che erano seppellite da qualche parte dentro di se e le facevano paura. Chiunque avrebbe saputo spiegargli cosa le era successo al cimitero, al funerale di Montgomery, molti le avrebbero potuto dire cosa le era accaduto dopo. Tutti i presenti al matrimonio sapevano cosa era successo alla macchina di Castle e che lui non c’era.
Nessuno poteva risponderle se era vero che stava rinunciando al loro matrimonio o se era vero che non sarebbe mai stata totalmente felice ad essere sua moglie e ai tanti altri interrogativi che aveva e che tornavano sempre di più a galla, inaspettati, come quella mattina, quando era andata dalla Gates per dirle del colloquio con Burke e della sua decisione di tornare a lavoro ma lei era dovuta uscire e Kate era rimasta sola nel suo ufficio. La voce di Castle era tornata di nuovo nella sua mente e lo vedeva davanti a se, con il cappotto in mano ed il suo vestito scuro, la faccia triste e delusa che gli diceva che non si fidava più di lui. 
Essere felice è qualcosa che ti spaventa. Hai bisogno della tua ossessione ed io non posso cambiare questo lato di te
Era così? Non si fidava di lui? Per questo non riusciva ad aprirsi, non completamente? Lo sapeva anche da prima? Aveva paura di essere felice? Sì, quello era vera. Era terrorizzata dall’essere felice, perché l’ultima volta che si ricordava di esserlo stata le era stato portato via tutto il suo mondo e la sua vita era stata stravolta. Sua madre era morta, aveva lasciato Stanford e l’idea di una carriera da avvocato come i suoi genitori per iscriversi all’accademia di polizia. Come poteva non aver paura di essere felice? Se come tutti le dicevano che con Castle lei era felice, allora era vero che doveva aver paura di esserlo, perché aveva perso tutto, ancora una volta, non esisteva più quella felicità nella sua vita, come non esisteva più quella di prima che sua madre fosse stata uccisa. 
E se tutta la sua dose di felicità, quella che le era stata concessa, lei l’avesse già consumata in quegli anni che non ricordava più, cosa avrebbe fatto d’ora in poi?
Ma c’era lei, e lei sì, la sua bimba, lei la rendeva estremamente felice anche solo a pensarla e questo la terrorizzava.

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Capitolo 47
*** QUARANTASETTE ***


- Ragazza, quando pensi che me lo concedi l’onore di pranzare con te? - La voce di Lanie al telefono non ammetteva come possibilità di risposta un “poi ti faccio sapere”, era la voce di chi vuole una risposta e la vuole adesso. Kate lo sapeva e si adeguò.
- Domani? Passo da te e poi andiamo a mangiare insieme, ti va? - 
- Direi che è perfetto, ma guai a te se ti inventi qualche scusa per non venire!
- Tranquilla Lanie, ci sarò!

La Gates era stata molto felice della decisione di Kate. Avrebbe potuto contare sulla migliore detective di New York, anche se non poteva andare sul campo, il suo intuito e la sua determinazione sarebbero stati utilissimi. Aveva ricontrollato le statistiche sugli omicidi risolti da quando era tornata e doveva amaramente constatare come la media era peggiorata nettamente, non erano più il miglior distretto della città e lei voleva assolutamente fare in modo di sistemare quei numeri. Aveva già parlato con il capo della polizia della città, la situazione non era usuale, anzi era un caso del tutto strano il rientro di un capitano in quel ruolo, nessuno si era opposto, la pubblicità che avrebbe fatto il rientro di “Nikki Heat” al distretto dopo tutto quello che era successo era una manna dal cielo per la polizia, soprattutto in quel periodo dove c’era forte tensione sociale tra una parte della popolazione e le forze dell’ordine. Ma Beckett era vista come un’eroina moderna, una giusta, una che piaceva alle persone comuni. Lo sapeva il capo della polizia e non solo lui. La Gates solo una cosa gli aveva chiesto, lui poteva fare tutte interviste alla stampa che voleva sul ritorno di Beckett, ma non voleva che nessun giornalista mettesse piede al distretto o disturbasse nessuno dei suoi detective, Beckett inclusa, ovviamente. La storia della sua amnesia era ancora una voce di gossip mai confermata e tutti speravano che quella parentesi potesse dirsi conclusa prima che fosse necessario renderlo pubblico. 

Mangiò un’insalata prima di tornare al loft. Un’altra cosa sulla quale la Gates aveva insistito era che non doveva passare tutto il giorno al distretto, nè adesso nè dopo; non poteva più fare i tour de force di prima, doveva avere un orario più flessibile. Non era solo incinta, le avevano anche sparato ed era quasi morta, doveva ricordarselo, anche se adesso le sembrava che stesse bene perchè non abusava del suo fisico.

 Aprire la porta di casa e trovare ad accoglierla solo silenzio era una piacevole sensazione familiare, anche se la casa non era la stessa. Le sarebbe piaciuto prendere un buon libro, un bicchiere di vino e farsi un lungo bagno rilassante. Tranne il vino avrebbe potuto fare tutto, di certo a Castle i libri non mancavano, aveva un libreria che poteva fare invidia a delle biblioteche di periferia, con titoli che spaziavano ovviamente da gialli e thriller fino ad arrivare a grandi classici della letteratura americana ed europea in mezzo ai quali si nascondevano libri di poesie, testi di filosofi greci, romanzi d’avventura ed anche qualche libro storia d’amore. Si chiedeva se realmente Castle li avesse letti tutti oppure li collezionava solo per fare scena. Doveva dire che lui era un gran lettore, di quelli che leggono in maniera estremamente veloce, lo aveva visto negli Hamptons quando qualche volta si era messo a leggere in relax, tanto che lei gli aveva anche chiesto se stesse leggendo veramente o saltava qua e là e lui fu quasi offeso nel risponderle che leggeva tutto molto attentamente. 
Alla fine tralasciò l’idea del libro, il vino era bandito, però fece comunque un lungo bagno rilassante. Si divertiva come una bambina a giocare con le bolle di sapone in quella vasca che le sembrava eccessivamente grande ripensando alla sua: li ci sarebbero state comode anche due persone e si morse il labbro per quello che stava passando nella sua mente, pensando a modo estremamente piacevoli per occupare spazio e acqua.
Si rilassò al punto che quasi si addormentò le sembrava ancora così strano vedere la sua pancia spuntare appena fuori dall’acqua quando faceva dei respiri più profondi, e si schizzava da sola tirandosi sopra un po' d’acqua. Fu in quel momento, tra uno schizzo e l’altro che sentì una sensazione strana dentro di se, come se il modo di dire delle farfalle nello stomaco, avesse un senso compiuto, come se quelle bolle di sapone che circondavano il suo corpo fossero anche dentro di se. Chiuse gli occhi e trattenne anche il respiro per essere certa di sentirlo ancora. E lo sentì. Aveva pensato che si sarebbe commossa, visto che ormai piangeva per qualsiasi cosa, invece non fu così ma non riuscì a fermare il sorriso che nacque sul suo volto, e si portò immediatamente le mani sul ventre ma non percepì nulla come era normale che fosse. 
- Bimba, sei tu? - le chiese come se potesse risponderle e forse lo fece realmente, stimolata dal suono della sua voce, non lo sapeva, ma le sembrò di sentire ancora quello sfarfallio dentro di se. Credeva che le sarebbe dispiaciuto essere sola in quel momento e non poterlo condividere con nessuno, invece pensò che era stato perfetto così, sole loro due a sentirsi per la prima volta. Lei e la sua bimba, come aveva cominciato a chiamarla, erano una parte di mondo che le sembrava sufficiente. Si lasciò scivolare ancora di più nella vasca con l’acqua che le arrivava fino al mento e rimase così fino a quando non si raffreddò.

Per cena aveva ordinato della pizza. Martha e Alexis erano uscite e la madre di Castle aveva molto insistito perchè andasse con lei a teatro quella sera, ma Kate declinò cordialmente l’invito dicendo che preferiva stare a casa a riposarsi, nel suo stato.
Aveva imparato che la gravidanza era un’ottima scusa per evitare di fare quello che non aveva voglia e di scoraggiare le persone più insistenti: nessuno avrebbe obiettato se lei non se la sentiva per via della bambina. 

Prese il suo computer e si sedette sul divano, per una sera non aveva veramente voglia di fare nulla, magiare pizza e cercare di capirci un po' di più di questi social network. Alexis le aveva spiegato cosa erano e come funzionavano. Aveva trovato tutti i suoi account e scorrendo aveva notato che era una che probabilmente passava più tempo ad osservare che a scrivere. Così leggendo la sua timeline su twitter aveva scoperto che nell’area riservata del sito di Castle avrebbero mandato lo streaming della premiazione di quella sera. Era stata un’idea di Andrew, il primo passo per quella multimedialità che voleva che Castle sperimentasse.
Conosceva il sito, ma quando lo aprì lo vide molto diverso, sorrise a quegli occhi blu che la guardavano nella grande immagine nella home page. Lei era registrata all’area riservata del suo sito, se le sue password funzionavano ancora dopo anni o non le aveva cambiate non sarebbe stato un problematica .
Pensò che se Castle l’avesse scoperta l’avrebbe presa in giro almeno fino alla laurea della loro bimba, forse anche di più, era rimasto sorpreso quando gli aveva confidato che aveva letto tutti i suoi libri ed era una sua fan, figurarsi se avesse saputo che era anche iscritta al suo sito come una delle tante sue fangirl.
Digitò rapidamente le sue credenziali d’accesso ed erano sempre attive: si aprì una pagina di benvenuto. 

Ciao, KateB79

Lo streaming ancora non era attivo, la serata sarebbe cominciata circa mezz’ora più tardi. C’era anche lì il volto di Castle con una scritta che invitava a rimanere in attesa mentre nella chat a lato gli utenti, pet lo più donne e ragazze, parlavano senza sosta di lui. Kate fu incuriosita da quel chiacchiericcio e ancora prima che dai contenuti dai loro nomi.
Rimase a leggere stupita da come potessero analizzare, sezionare ogni cosa che lo riguardava con un’attenzione quasi maniacale.

Det_Castle: ieri alla libreria Castle non aveva nemmeno la fede
Writer_Girl: è come dicevo io, si sono lasciati
Real_Muse: per me è sempre stato un matrimonio di comodo, ed ora ne sono anche più convinta.
MsrCastle: probabilmente si sarà stancato di fare finta
50ShadesofCastle: di comodo per lei, perché doveva esserlo per lui?
MsrCastle: mica scema si è scelta un marito bello e con i soldi!
Real_Muse: perché ha fatto pubblicità ai libri così, no?
MsrCastle: sicuro, dai ne hanno parlato tutti quando è venuto fuori che Rook e Nikki erano lui e Kate.
Det_Castle: come se non si fosse già capito prima poi
Real_Muse: dai era chiaro dal primo libro!
MsrCastle: per me c’è stato qualcosa all’inizio, una mezza storia forse, poi si sono messi d’accordo
Real_Muse: sì, sicuramente lei c’è stata (e vorrei vedere!!!) e poi dopo hanno fatto la scena del matrimonio e tutto il resto.
50ShadesofCastle: c’è qualcuno che dice anche che lei è incinta. L’hanno vista insieme a lui in un ristorante negli Hamptons e sembrava proprio che lo fosse
Writer_Girl: Magari si è solo ingrassata, dalle foto della festa agli hamptons non mi sembrava.
CastleMuse88: Ciao! Sapete che ieri una mia amica che era in libreria ha visto Rick andare via con una?
Writer_Girl: No! Maddai! Non ci credo!
Real_Muse: Visto???
CastleMuse88: Siii! Li ha pure fotografati alla caffetteria lì vicino insieme e lui la accarezzava!!! Guardate la foto

L’ultima entrata inviò quindi il link ad una foto. Kate rimase di ghiaccio quando vide Castle, era proprio lui, con una ragazza, giovane, molto giovane, troppo giovane, seduto in una caffetteria mentre le accarezzava il viso in un gesto sicuramente molto tenero.

Det_Castle: Nemmeno qui ha la fede!
MsrCastle: Vero!!! Ehy CastleMuse88 fai lo scoop con questa foto! Ahahahahah
CastleMuse88: Adesso la metto su twitter! Ahahahah
Real_Muse: Ahahaahahaha

Ridevano. Loro ridevano. Rick con una ragazza così giovane? Sembrava più piccola di Alexis. No, non era da Rick, non era dal suo Rick, non da quello che aveva conosciuto lei. Forse prima poteva pensare che Castle avrebbe potuto anche farlo, ma non era il genere di ragazza che appariva con lui nelle copertine, ma Rick no. Rick non lo avrebbe fatto. Se lo ripeteva, per convincersi. Cominciò a scrivere.

KateB79: Magari è solo un’amica con cui voleva essere gentile.
Real_Muse: Tu chi sei con quel nome, una fan della detective?
KateB79: No, no. E’ il mio nome. Niente di particolare.
CastleMuse88: Sei nuova qui?
KateB79: No, era solo tanto tempo che non entravo più.
Writer_Girl: Ah ok benvenuta! Comunque ti consiglio di cambiare nick perché qui le Kate non sono tanto ben viste ahahahaha
Real_Muse: giusto! Ahahahahaah
Det_Castle: vabbè dai, vi pare che la detective in incognito viene qui con il suo vero nome!
KateB79: Ahhahahah, no infatti, non penso che una detective verrebbe con il suo nome! Non ci avevo nemmeno pensato, forse lo cambierò!  
KateB79: comunque secondo me è troppo giovane per essere una fiamma di Castle, sarà più giovane anche della figlia!
CastleMuse88: non penso sia un problema per Castle questo! ahahahah
Real_Muse: Sarà tornato ai vecchi tempi una donna per sera!
MsrCastle: Beate loro!
50ShadesofCastle: ma è andata qualcuna fuori dal teatro dove fanno la premiazione? Magari lo vedono anche stasera!
Det_Castle: un mio amico andava con la fidanzata, è già pronto a fare le foto!
50ShadesofCastle: Ti prego poi condividile con noi!
Det_Castle: io però penso che stasera sarà con la moglie, all’ultima premiazione un paio di anni fa c’era.
Writer_Girl: e se era con la moglie ieri usciva con un’altra?
Real_Muse: se il matrimonio è una copertura che gliene frega a lei con chi esce? Poi magari è arrivata oggi solo per fare scena!
MsrCastle: sì, anche io penso che ci sarà stasera solo per fare scena per la serata e basta.
Det_Castle: comunque il mio amico mi ha detto che dopo tutto quello che gli è successo stava bene, secondo lui era anche più in forma di prima!
MsrCastle: mamma mia se penso a quello che è accaduto mi vengono i brividi! E tutto per colpa della pseudomoglie! 
Writer_Girl: già, con tutte le donne che poteva scegliere proprio una che quasi lo fa uccidere a casa sua! 

L’inizio del collegamento spostò l’attenzione di Kate dalle parole feroci di quelle ragazze al video.
Le chiacchiere del presentatore di sottofondo non impedivano alla sua mente di fermarsi più del dovuto su quanto letto poco prima. "Sono delle ragazzine Kate, lascia stare" si ripeteva mentalmente, ma di fatto non poteva nemmeno sapere se fosse così oppure no. Quella volta che lei era andata a farsi autografare il libro da lui, il suo pubblico era di età piuttosto eterogenea
Lui non era uno scrittore di romanzi per ragazzi, non lo era mai stato, non scriveva saghe fantasy o romantiche che attiravano le adolescenti o poco più, semmai in quegli anni erano attratte da lui per il suo aspetto, un giovane attraente ragazzo dai modi estremamente accattivanti che faceva sospirare gran parte del genere femminile, lei compresa. Però a Kate i suoi libri piacevano veramente, al contrario di quello che pensava della maggior parte delle ventenni che erano lì con lei in fila quel giorno. Li aveva letti tutti, divorati anzi, e in alcuni casi anche riletti. Ora non era più quel giovane playboy baldanzoso, lei lo sapeva. Non lo era né nell'aspetto di uomo più maturo né nel carattere. Ma quello era Rick, quello che conosceva lei, non Richard Castle che conosceva il mondo.

Non aveva ancora avuto la percezione di come la notorietà potesse andare ad influire sulla sua vita, di come fosse sotto i riflettori e di come ci fossero persone che scavavano nel loro privato cercando conferme o smentite alle proprie teorie, e quelle non lo facevano per ridere o scherzare, erano tremendamente serie nell'accusarla di chiamarsi come la detective. Beh certo il suo nick scelto a caso tanti anni prima, adesso aveva un senso per loro. KateB79 era ovviamente riferito a lei in quanto "presunta moglie" di Castle, una fan della “nemica”. 
Chiudere la chat e non leggerle più, non allentò i suoi pensieri. 
Non aveva mai pensato come una scelta personale come quella di non portare la fede potesse avere anche ripercussioni pubbliche. Lui sì, lui sicuramente lo sapeva che alla prima uscita ufficiale quando avrebbero notato quel simbolo mancante si sarebbero scatenate le chiacchiere su di lui, su di loro, ma non se ne era preoccupato o forse in quel momento non ci aveva nemmeno pensato. Aveva pensato solo a lei, a farla sentire più a proprio agio. Era Rick, non era Richard Castle. C’era stato un momento mentre quelle righe scorrevano in verticale sullo schermo, illazione dopo illazione che avrebbe voluto scrivere, tutto in maiuscolo così lo avrebbe urlato che sì, lei era la moglie di Richard Castle, che era incinta di sua figlia e che il loro matrimonio non era mai stato una copertura. Ma non lo poteva fare. Perché non avrebbe mai potuto mettersi a discutere con le fans di Castle e soprattutto non poteva nemmeno dire cosa era o no il loro matrimonio, se quello si poteva chiamare ancora così, se forse era vero che era diventato solo una copertura. Solo di una cosa lei era completamente certa, se lo aveva sposato era perché era innamorata di lui e non solo perché era fermamente convinta di non essere il tipo di donna che si sposa per interesse, ma perché dalle poche foto che aveva visto del loro matrimonio il suo sguardo era troppo felice per non esserlo. Lei era sicuramente in grado di trattenere le proprie emozioni, di fingersi indifferente, arrabbiata, sicura, cattiva, delusa ma innamora no, non poteva farlo. Non poteva far finta di essere innamorata di qualcuno al punto da avere quello sguardo e quella luce negli occhi che aveva in quelle foto che aveva scattato Alexis prendendoli di sorpresa. Lei si è sposata perché era innamorata di lui, questa era una delle poche cose di cui era sicura del suo passato che non ricordava. Non sapeva come si era innamorata di lui, nè perché avesse preferito il suo lavoro alla sua relazione, nè perché aveva deciso di lasciarlo mesi prima, quando non era nemmeno un anno che erano sposati, ma sapeva che quel giorno lì, il giorno del suo matrimonio, lei era innamorata di lui e lo avrebbe voluto dire a tutti in quella chat.
Quando sentì il presentatore che annunciava il suo nome i suoi pensieri si bloccarono. Le telecamere lo andarono a cercare mentre e lui saliva i gradini per andare sul palco. Castle era impeccabile. Aveva un completo nero con una camicia grigia ed una cravatta tono su tono i capelli perfettamente pettinati, un po’ più corti di quando era partito il giorno prima e la barba appena fatta. Aveva un sorriso smagliante sempre diretto verso la telecamera. Una valletta gli consegnò il premio, mentre il presentatore si congratulava con lui. C’era un podio e gli venne chiesto di leggere un passo del suo libro. Rick si avvicinò e cominciò a leggere. La sua voce era profonda e suadente, come sempre. I personaggi sembravano prendere vita dalla sua bocca ancora meglio che leggerli sulla carta. Stava leggendo una scena d’azione che vedeva coinvolti Rook e Heat, ma in quel momento la voce arrivava alle orecchie di Kate e non solo alle sue, con la stessa melodia che se stessero facendo l’amore.
Quando finì il brano l’applauso coprì i suoi passi verso il presentatore che lo incalzò con qualche domanda di rito.

- Allora Rick c’è una dedica speciale per questo premio?
- Certo, lasciami dire solo due parole. Questo premio lo voglio dedicare a tutti i miei fan, alle persone che comprano i miei libri, che vengono nelle librerie a fare ore di fila per farsi firmare una copia, a chi mi ferma per chiedermi una foto o un autografo. Senza di loro noi non saremmo nulla dobbiamo a loro tutto il nostro successo. Ma in particolar modo lo vorrei dedicare ad una ragazza che mi ha detto che leggendo i miei libri è riuscita a lenire il dolore per una perdita importante, trovano tra le pagine un po’ di svago e un po’ di gioia. Sono queste le cose che mi spingono a continuare a fare il mio lavoro con passione. Quindi, Kelly, questo premio è anche per te e per tuo fratello che ti guarda da lassù.

Lo stupore di Kate nel sentire la dedica di Castle fu enorme. Era convinta che stesse parlando di lei, di quando gli aveva confidato di come i suoi libri erano stati importanti per lei dopo che era morta sua madre. Invece aveva conosciuto qualcun altra, con una storia simile alla sua che lo aveva toccato tanto da dedicarle quel premio. Pensò che forse lo aveva colpito proprio perché gli ricordava la sua storia, almeno un po’ lo sperava.

- Rick, ci puoi dare qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri? Voci di corridoio parlano di una possibile serie tv basata sulle avventure di Nikki Heat, puoi confermarci questa indiscrezione?
- Con il mio agente abbiamo molti progetti in ballo ma al momento non ti posso nè confermare nè smentire nulla!
- Beh dai sicuramente ci sarà una parte piacevole nel tuo lavoro, scommetto che vorrai essere presente ai casting per la protagonista!
- Con tutto il rispetto per tutte le meravigliose attrici, nessuna potrà mai reggere il confronto con la vera Nikki Heat! - Applausi e qualche fischio di approvazione si levarono dal pubblico.
- Penso che la vera Nikki Heat sia molto fortunata a ricevere un complimento simile, ma non la vedo in sala o sbaglio?
- No, mia moglie è rimasta a casa questa volta.
- Allora salutiamo la signora Castle ed anche Richard Castle, è un onore poterti avere qui e premiarti come miglior Romanzo dell’anno per Driving Heat!

Kate si sentì emozionata ed imbarazzata allo stesso tempo, aveva una gran curiosità di vedere come avrebbero reagito le simpatiche ragazze della chat alle parole di Rick, ma sicuramente pensò che avrebbero rivoltato tutti i discorsi su quello che gli faceva più comodo, quindi puntanto il dito più sulla sua assenza e di quella della fede, che non delle parole di Castle, che sarebbero state giudicate di circostanza.
Poco dopo fu richiamato di nuovo, insieme al suo amico Connelly per ritirare il Grand Master Award. Questa volta niente domande e ai due fu lasciato direttamente spazio per il loro discorso. Connelly salì sul palco e lesse il suo discorso molto formale scritto su un foglio dove ringraziava la sua casa editrice, amici, parenti, collaboratori, insomma le solite cose di rito. Quando fu il turno di Castle, appoggiò il suo premio a lato del podio si alzò il microfono e cominciò a parlare a braccio.

Eccoci di nuovo qui… Avevo scritto un bel discorso, credo - il pubblico in sala rise - beh, sarebbe dovuto essere bello, visto che mi stare consegnando questo premio. - toccò la statuetta poggiata sul podio - Ringraziavo ancora una volta, come per tutti i premi ricevuti, tutte le persone che hanno fatto in modo che io oggi fossi qui e spiegavo quanto erano importanti per me e naturalmente lo sono.
Però, la verità è che se io sono qui, oggi, se sono quello che sono, lo devo essenzialmente solo ad una persona, che mi ha ridato la gioia di scrivere e, ancora più importante, la gioia di vivere una vita vera, fatta di cose concrete, di sentimenti autentici, di problemi reali. 
Se io oggi sono qui, lo devo alla persona che mi ha mostrato come si possa affrontare e sconfiggere tutto quello che la vita ci mette davanti e che la vita non è bella quando non ci sono problemi, quando si vive in un mondo finto dove tutto va bene, ma quando si ha vicino una persona che ci aiuta a superare tutti gli ostacoli che si incontrano sul camino, che è lì con te e ti da la mano per rialzarti quando cadi e che quando è lei a cadere, non vuoi far altro che sollevarla tu, in ogni modo. Sempre. Non voglio essere melenso, nè drammatico e nemmeno spettacolarizzare quello che mi è successo. Però se quando pensi di stare per morire vedi la persona che ami, che sta per morire come te, che con le sue ultime forze si trascina per venirti incontro e stringerti la mano un’ultima volta, beh, se lo vedi vuol dire che hai al tuo fianco la persona giusta e che rifaresti tutto quello che hai fatto, anche se dovessi finire di nuovo lì. - La voce di Rick era diventata tremante. Fece un paio di colpi di tosse per riprendere pieno possesso di se stesso - Poi per fortuna c’è stato il lieto fine, altrimenti oggi non sarei qui e voi questo premio lo avreste consegnato alla mia memoria forse a mia figlia o a mia madre, non so! - Il suo tono era diventato più allegro nel dire quell’ultima frase, per spezzare l’atmosfera divenuta fin troppo seria, ma poi fu lui a tornare serio.
Per questo e spero che nessuno se ne abbia a male, se io sono qui oggi, lo devo a mia moglie, a Kate, che non è potuta essere qui, oggi e francamente non so nemmeno dove sia - il pubblico rise ancora e qualcuno era anche commosso dalle sue parole - ma voglio che sappia che ovunque si trovi io la amo, oggi come ieri, come sempre.

Le lacrime che Kate aveva cercato di trattenere fino a quel momento si ritrovarono tutte sulla tastiera del computer. 
Prese il cellulare e compose un messaggio, istintivamente.
"Sono a casa nostra."

 


Siamo tutti un po’ “fangirl” di qualcosa o di qualcuno, io per prima. Normalmente si fa tutto in buona fede, ma capita a volte di leggere anche chi va oltre. Ho provato a vedere il mondo dall’altra parte dello specchio. Spero che nessuno si senta offeso. (I nick sono inventati con un generatore di nomi)

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Capitolo 48
*** QUARANTOTTO ***


Kate era rimasta sveglia ancora un po' e questa volta la sua attesa non fu delusa.
“Hai sentito il mio discorso? Vorrei essere con te.”
“Sì. È stato emozionante. Lo vorrei anche io”
“Mi manchi Kate. Sono a questo party a stringere mani di sconosciuti e vorrei stringere solo la tua”
“Mi manchi anche tu”
“Per favore vieni ad arrestarmi! :(”
“Non ho ancora ripreso servizio se no potevo farci un pensierino :)”
Continuarono a scambiarsi messaggi fino a quando Kate non gli diede la buonanotte. Si sdraiò cercando di rilassarsi. La sua bimba non si era fatta più sentire o forse lei era troppo agitata per accorgersene, ma lei, come la sera prima, le parlò molto massaggiandosi dolcemente.

Si alzò presto la mattina dopo, fece una colazione veloce con cereali e latte, poi andò al distretto. Aveva ancora un po' di fascicoli da controllare anche se aveva il terrore di farlo per quel che poteva ancora ricordare. Fu Esposito quella mattina a portarle il caffè. Prese una sedia, la girò e ci si mise a sedere a cavalcioni. 
- Ehy Espo, grazie!
- Figurati Beckett - L’ispanico rimase a guardarla in silenzio. Lei per un po' fece finta di niente, poi chiuse il fascicolo e sollevò gli occhi verso l’amico.
- Allora Javi? Che c’è?
- Volevo vedere se era vero.
- Cosa?
- Che ringraziavi per il caffè.
- Beh mi pare il minimo!
- Quando non c’è Castle il caffè te lo fai da sola. - Kate rimase stupita dal suo tono quasi di rimprovero
- Non succede niente se me lo fai tu. È buono - disse sorseggiandolo - Io non la so usare bene quella macchina. E poi le abitudini si possono cambiare! - Beckett sorrise, ma Esposito era sempre più serio.
- No, certe cose non possono cambiare Beckett. Tu non vuoi il caffè da altre persone. Non lo hai mai voluto. Non devi volerlo.
- Javi ma che ti prende?
- Dov’è la Kate che conosco? Dov’è la vecchia Beckett? 
Kate si alzò e sbattè la cartellina sulla scrivania.
- Non c’è Espo! Fattene una ragione! Non c’è! Ci sono io che bevo anche il caffè che mi porti tu e non mi sembra un sacrilegio! 
Se ne andò in sala relax portandosi dietro la tazza e svuotandola nel lavandino.
- Fratello ma che hai fatto? - Ryan rimproverò il collega bonariamente - Beckett è in un momento particolare, la devi capire non puoi fare così!
- Basta Kevin! Tutto questo buonismo con Beckett ma non lo vedete che si sta chiudendo in se stessa? Non va assecondata, va scossa, presa di petto e le va fatto capire che deve reagire!
- Javier non puoi essere tu a farlo e non qui soprattutto!
L’ispanico si sedette alla sua scrivania buttando per terra alcune scartoffie che erano sopra in un gesto di stizza. 

Di nuovo la voce di Castle nella sua mente. Lo vedeva mentre che le parlava. Deluso, arrabbiato, sfinito. Da lei, da loro. Lo leggeva nei suoi occhi spenti, nel suo volto stanco.
Essere felice è qualcosa che ti spaventa. Hai bisogno della tua ossessione ed io non posso cambiare questo lato di te
Hai ragione Kate è la tua vita, puoi gettarla via se vuoi ma io non resterò a guardare perciò per quanto mi riguarda è finita ne ho abbastanza
E poi ancora la sua, dura, secca. E lui davanti a lei inerme ai suoi attacchi.
“Hai voluto riportare a galla il mio passato per te stesso non per me, ma sei troppo egoista per rendertene conto”
“Tu non mi conosci Castle, credi di conoscermi ma non è affatto così”
“Vuoi parlarne adesso, dopo che hai confessato di avermi tradito? come faccio a crederti adesso? A fidarmi di quello che dici?”
L’aveva tradita? No! Non Castle. Non ci poteva credere che lui l’avesse tradita. Non poteva essere vero. Eppure era lei, era la sua voce e lui era lì davanti a lei e non negava.

Uscì dal distretto senza dire nulla, Javier e Kevin la guardarono uscire e l’ispanico stava per andarle dietro quando fu bloccato dal collega

- Lasciala stare Javier. Beckett deve ritrovare la strada a modo suo.
- La stiamo lasciando sola con i suoi ricordi e le sue ossessioni Kevin. L’hai vista anche tu in sala relax. Andrà a fondo.
- E poi si rialzerà. È Beckett, Javi.

Fece due passi prima di andare da Lanie. Camminare la rilassava, perdersi per le strade i New York anche solo per qualche minuto la faceva stare meglio. Nessuno lì, si curava di lei. Passava totalmente inosservata e ne aveva bisogno. Nessuno che le chiedesse come stava, anche quello era positivo. Non voleva sembrare ingrata, ma a volte tutta quell’attenzione morbosa nei suoi confronti la faceva stare peggio, la opprimeva. 

Kate si sentiva oppressa dallo stesso cielo cupo e greve di Baudelaire che schiacciava la sua anima incapace di adeguarsi alla propria realtà che stava vivendo, e che la rendeva vittima di quell’angoscia che prendeva sempre più il sopravvento su di lei, quando meno se lo aspettava. 
Non c’era un fattore scatenante ben preciso. Arrivava ogni tanto il senso di inadeguatezza, l’impossibilità di calarsi in quella che doveva essere e che gli altri volevano che tornasse e si sentiva imprigionata nell’immagine di quella lei che non conosceva e che alcune volte odiava e invidiava allo stesso tempo. Avrebbe voluto lei un po’ di quell’amore che tutti provavano per l’altra Kate, che tutti cercavano in lei, che qualcuno l’amasse o le volesse bene per quella che era ora, non per quella che era stata e lei non ricordava.
Alla fine imprigionata dai suoi pensieri cupi non riuscì a rilassarsi poi molto. Ea sempre più perseguitata da quei flash del suo passato che la destabilizzavano facendole perdere le poche certezze che aveva. Si aggrappava a quelle poche, troppo poche immagini di lei e Rick insieme, felici che aveva immaginato o forse ricordato e non capiva perché tutto quello che la faceva più soffrire era così reale mentre quello che avrebbe dato sollievo al suo cuore era sempre avvolto nella nebbia della sua memoria e si mostrava appena, con contorni sfuocati e voci ovattate.

Arrivò da Lanie che era stranamente inoperosa. Si affacciò sulla porta dell’obitorio per controllare se era alle prese con qualche cadavere.
- Via libera tesoro, oggi non ho ospiti silenziosi! - La invitò ad entrare l’amica.
- Si sono stancati di morire a New York o solo di essere portati da te? - La prese in giro Beckett mentre ormai dentro la abbracciava salutandola calorosamente.
- Amica mentre tu, questa notte, dormivi comodamente nel tuo letto, io ero già qui con uno che hanno fatto volare dal settimo piano. Non la migliore compagnia che posso sperare di trovare per le mie notti, credimi.
- No, Lanie. Decisamente non la migliore - e la faccia inorridita di Kate al pensiero parlò più della sua voce.
- Insieme ai carbonizzati sono i peggiori, sì… Dammi 10 minuti finisco di sistemare questa roba e poi sono tuta tua! - disse con la vasca con i ferri sterilizzati in mano e poi continuando a parlare a Kate mentre metteva apposto gli strumenti - Come state te e la bambina? Tu non hai una gran cera dolcezza. Ti manca lo scrittore?
- Evitiamo questo discorso per un po’, che ne dici? - Kate stava a braccia conserte dietro di lei che riponeva nel cassetto i suoi strumenti di lavoro.
- Problemi dolcezza?
- Abbiamo avuto qualche discussione prima che partisse… - le confidò quindi stremata.
- Ehy dolcezza, ma cosa combinate tu e lo scrittore? Cioè sembravate così tremendamente perfetti, come sempre ed ora litigate proprio prima che lui parte? Non va bene questo eh! - E dicendo quest’ultima frase Lanie si girò verso Kate con ancora il bisturi in mano che stava per riporre.

Beckett appena vide la lama rivolta verso di se ebbe l’istinto di afferrare il braccio dell’amica e le bloccò il polso destro con la sua mano costringendolo in una presa dolorosa che fece gridare Lanie che aprì immediatamente la mano facendo cadere la lama affilata a terra pericolosamente vicino ai suoi piedi. Il tintinnio del bisturi sul pavimento di marmo non riuscì a risvegliare Beckett dal suo incubo.
- Tesoro, per favore lasciami, sono io. - Lanie provò ad avvicinare l’altra mano a quella di Kate che non mollava la presa. - Ti prego Kate, lasciami la mano, non ti volevo fare del male, cosa c’è?
Appoggiò l’altra mano su quella dell’amica che la guardò negli occhi come se si fosse accorta solo adesso di lei. La lasciò di scatto così come l’aveva presa. Indietreggiò fino a scontrarsi con lo sgabello prima ed il lettino poi. Ci si appoggiò portando entrambe le mani dietro la schiena e stringendo forte il metallo freddo.
- Io l’ho uccisa. L’ho uccisa con il bisturi. - Lasciò la presa e si guardò le mani - Erano sporche di sangue. Tutte sporche di sangue… Mi voleva uccidere lei… Io l’ho uccisa…
Lanie si avvicinò piano a Kate che era scivolata fino a sedersi a terra. Le ricordava tremendamente la scena che aveva visto negli Hamptons quando aveva rivissuto dell’incidente di Castle.
- Kate… Hai dovuto farlo. - Lanie si era inginocchiata vicino a lei, le aveva preso una mano e con l’altra le spostava i capelli dal volto. Era agitata, troppo. - Va tutto bene Kate. La Nieman era una pazza, tu dovevi salvarti la vita.
- C’era tanto sangue… le mie mani… - Beckett se le guardava ancora. Lanie abbracciò l’amica impaurita e tremante, non c’era Castle questa volta a consolarla e per la prima volta avrebbe tanto voluto vedere quel dannato scrittore apparire lì nella sala autopsie 
- Devi stare tranquilla tesoro. Non ti farà più del male. Tu sei stata grande a resistere e a salvarti da sola. Ci hai fatto spaventare tantissimo quando non sapevamo dove eri. Riesci sempre a metterti nei guai Kate Beckett, ma sei talmente forte che riesci anche ad uscirne sempre.
Rimase tra le braccia di Lanie fino a quando non sentì il suo cuore battere ad un ritmo più regolare ed il respiro tornare calmo. Stava pian piano sentendosi meglio. Ce l’aveva fatta, da sola, o quasi. Ce l’aveva fatta a superarla, senza Castle. Lanie l’aiutò ad alzarsi e si mise seduta sul piccolo sgabello di metallo. Mentre la sua amica era andata a prenderle un bicchiere d’acqua cercava di rimettere a fuoco i ricordi che aveva appena rivissuto. Lei imprigionata, la lama della Nieman che si avvicina, come si era liberata dalle cinghie del lettino. La lotta per prenderle la lama e poi un’attimo dopo lei morta a terra con l’arteria recisa e le sue mani coperte dal sangue. E lei rimasta lì, ferma immobile a vederla morire in pochi secondi e poi ancora a vedere il sangue che macchiava il pavimento e si spandeva. Aveva ucciso una persona a mani nude, per la prima volta. Ricordava di averlo già fatto, di aver già tolto una vita e non era stato piacevole. Sapeva con certezza che lo aveva fatto altre volte, in seguito. Ma con una pistola è diverso, si a distanza, non c’è contatto. Puoi anche non accorgertene subito, puoi sparare e mirare altrove, puoi anche decidere. Ma quel gesto, rapido, veloce, “chirurgico” pensò con un macabro senso dell’umorismo non da lei, quella sarebbe stata più una battuta di Castle, quel gesto era per strappare via una vita con le proprie mani. Ebbe un brivido e ringraziò che Lanie le avesse messo il bicchiere d’acqua sotto gli naso per riportarla alla realtà, a quel momento.
- Stai bene? - Le chiese la dottoressa e Kate roteò gli occhi verso l’alto. Le avessero dato un dollaro per ogni volta che glielo avessero chiesto sarebbe stata più ricca di Castle.
- Sì, grazie. - Le rispose comunque con più gentilezza di quanto pensasse di poter avere, in fondo la sua mica almeno questa volta, aveva ragione a preoccuparsi. Non doveva essere un bello spettacolo vederla così - E scusami per prima… 
- Il polso non è rotto, al massimo se no chiedevo i danni a tuo marito!
- Ecco, Lanie… potresti evitare di parlare con Castle di questa cosa? - Le porse il bicchiere vuoto. Era rientrata nei panni di Beckett, si sentiva già meglio e pensava a cosa fare e non fare. Voleva una giornata tranquilla e divertente con la sua amica, aveva litigato con Esposito e aggredito Lanie. Non era andata proprio benissimo fino ad ora.
- Siete a questi livelli? - Chiese chiese Lanie
- Non so quali livelli? Voglio solo che eviti di preoccuparsi ora che è fuori.
- Se si preoccupa fa bene, dolcezza. Dovresti stare più tranquilla. Non fa bene tutto questo alla tua bambina, ragazza.
Beckett si morse il labbro. Non aveva bisogno di altre persone che facessero aumentare i suoi sensi di colpa per quanto sentisse di non fare abbastanza per far star bene sua figlia. Non riusciva a prendersene cura a dovere nemmeno prima che nascesse.
- Lo so. Vorrei evitarlo anche io. - Sospirò.
Lanie lasciò tutto com’era. Se ne sarebbe occupata poi. Ora aveva il pomeriggio libero, dopo la nottata passata in bianco. Uscirono di lì e si diressero verso uno dei loro locali preferiti. Kate se lo ricordava. Dovevano esserci venute un paio di volte, ma la dottoressa le disse che in realtà erano molto di più. Era un loro ritrovo per i momenti da ragazze, come gli piaceva chiamarli a lei.
Era un locale molto luminoso, con ampie vetrate sotto alle quali i tavoli si alternavano con i divani in pelle ocra dai cuscini gialli di varie tonalità affollati da clientela di ogni tipo.
- Ho prenotato il nostro solito tavolo - disse Lanie a Kate, sapendo che l’amica non sapesse quale fosse, ma ci teneva a farle sapere che era il loro posto, quello. Così andarono in una sala sul retro, meno affollata, con il divano che correva lungo tutta la parete formando una “L” fino alla finestra, i tavoli posti in sequenza davanti ma che lasciavano la giusta privacy tra uno e l’altro con le sedie di una tonalità di giallo più scuro. Il loro posto era quello in fondo, ad angolo. Così entrambe si accomodarono sulla seduta più comoda, senza molti altri clienti introno. A Kate piaceva quell’ambiente, lo trovava positivo. Il pavimento di legno chiaro, grezzo, una parete perfettamente stuccata con quadri di vecchi oggetti vintage e l’altra, invece, lasciata viva con i mattoni in vista: le sembrava un buon posto per chiacchierare con un amica, mangiando qualcosa o anche solo per un dolce o un caffè, come altri stavano facendo.
Nonostante lo stomaco ancora sottosopra per gli eventi della mattina, sentiva di avere una discreta fame e fregandosene della dieta sana che si era imposta di seguire ordinò un cheeseburger con patatine fritte, con tanto bacon e tanto formaggio, ci tenne a precisare sotto lo sguardo divertito di Lanie che trovò quella sua richiesta molto simile ad un ordine che strappò un sorriso anche al loro cameriere.
- Mai contraddire una donna incinta, ricordatelo ragazzo! - Gli disse la dottoressa dopo aver ordinato per se un Club Sandwich.

Passarono del tempo a chiacchierare come due amiche che non si vedevano da tanto, mangiando lentamente per darsi tutto il tempo a disposizione. 
- Quindi tu e Espo… - Chiese Kate con un sorriso malizioso
- Eh già… io e Espo… - Prese tempo Lanie
- Ah lo avevo sempre immaginato! Si vedeva che tra di voi c’era chimica!
- Senti chi parla ragazza!
- Che vuoi dire?
- Che tu non ti sei mai vista con Castle! Dopo due giorni era già chiaro a tutti che sarebbe finita così!
- Io senza memoria che mi sono dimenticata di lui? - Disse Kate ridendo di se stessa
- Non sei spiritosa. Tu e lui sposati con tanti piccoli Castle intorno!
- Maddai finiscila Lanie! - Disse sorridendo e figurandosi per un attimo in quella situazione - È una cosa seria tra voi?
- Come sempre con Javier. Lui non si vuole impegnare e questo mi frena, però i sentimenti tra di noi ci sono, inutile negarlo.
- Che vuol dire come sempre? - Chiese Beckett capendo che c’era più di qualche pezzo che le mancava nella storia.
- Non è la prima volta che noi due ci proviamo. - Rispose Lanie tagliando corto ed ottenendo come risposta dall’amica solo un’occhiata compiaciuta e stupita insieme. - Insomma Kate, Javi non è come Castle, non è uno che davanti alle difficoltà di un rapporto decide che ti vuole sposare. Lui è il primo che scappa, è più come te, ma io non sono una che è disposta a corrergli dietro con la pazienza del tuo scrittore, quindi non lo so… Vediamo… - Lanie fece una pausa, voleva essere lei di appoggio a Kate, si ritrovavano nella posizione inversa! - Sai, dopo quello che è successo a te a Castle, ci ho pensato molto, anche su me e Javi. Vorrei veramente che funzionasse, che capisse che per me è importante, che non vorrei perderlo. 
Kate mise una mano su quella dell’amica.
- Secondo me non lo perderai. 

Finirono i loro piatti ed ordinarono anche due dolci, perché ormai sembrava che Kate non riuscisse a farne a meno, soprattutto quando era giù di morale. Si ripeteva che doveva limitarsi per non diventare una balena come diceva lei, ma non ci riusciva un granché. Fortunatamente anche durante le ultime visite il medico le aveva detto che la sua situazione era sotto controllo, le analisi in linea con i parametri considerando quello che aveva avuto ed il suo peso era ancora al di sotto della media per le sue settimane di gravidanza anche a causa di quanto era dimagrita durante il periodo in ospedale. Avevano loro appena portato i dolci, quando fu Kate a cominciare a parlare. 

- Lanie, io ti ho mai detto qualcosa in merito a qualche dubbio che avevo su Castle?
- Che vuoi dire Kate?
- Quando l’ho lasciato… Era solo per proteggerlo come tutti mi hanno detto, o c’era dell’altro? - Chiese con finto distacco, come se stesse parlando di qualcun altro, suscitando lo stupore di Lanie per quelle domande. 
- Era solo per proteggerlo Kate.
- Te l’ho detto io? - Insistette Beckett.
- No! Tu non ne hai parlato con nessuno, forse solo con Vikram, ma non c’è bisogno che me lo dicevi, visto quando è successo dopo, lo so che è così.
- Tu ci metteresti la mano sul fuoco? - Il tono di Kate stava diventando inconsapevolmente sempre più simile a quello di un interrogatorio mettendo a disagio la sua amica che, però, cercava di risponderle mantenendo sempre la stessa calma e leggerezza.
- Ragazza, io metterei la mano sul fuoco molto più facilmente su quello che provavi tu per Castle che su qualunque cosa provassi io per un mio uomo. Ne sono assolutamente certa Kate. Ed il fatto stesso che ti fai venire questi dubbi è semplicemente assurdo!
- E se mi dovessi ricordare qualcosa di diverso? Se mi dovessi ricordare che i motivi per cui l’ho lasciato sono altri? Non me lo posso permettere Lanie, non adesso, proprio per quello che hai detto tu. Non posso permettermi di ricordare cose che vorrei non sapere. - Kate sentiva che si stava aprendo. Non riusciva più a tenere quel senso di oppressione che l’aveva assillata negli ultimi tempi, aveva bisogno di parlare, di sfogarsi, di tirare fuori quello che aveva dentro. E Lanie, che forse era una delle persone che sapeva leggerla meglio, che riconosceva le sue espressioni e capiva perfettamente come ragionava centrò subito il punto.
- Perché non ti puoi permette di ricordare Kate? Cosa hai paura che puoi perdere? - Le chiese l’amica che già sapeva la risposta, ma voleva che fosse la voce di Beckett a dirlo.
- Castle. Non posso. Non posso correre il rischio di ricordarmi che l’ho lasciato perché c’era dell’altro. Non adesso, a questo punto.
- A che punto sei?
- Dove non dovevo arrivare, più in là di qualsiasi stop mi ero data.
- Sai che questo punto ha un nome ben preciso, vero? Ma tu non lo pronunci perché ti fa paura eh… Sei assolutamente cotta di lui, come lo eri prima, ed hai le stesse paure stupide che ti hanno frenato per troppo tempo. 
- Non posso Lanie. Non posso… - Le ripeté come una cantilena Beckett con gli occhi lucidi.

Lanie si avvicinò un po’ di più a lei e le passò un braccio intorno alle spalle. La vide fragile, più di quanto non volesse apparire, più di quanto cercava di nascondere dietro la sua corazza. Kate era dietro Beckett, nascosta dalla sua maschera forte, che si incrinava con i colpi delle sue paure rivelate. Lanie la conosceva bene. Era la prima che aveva visto negli occhi di Kate quella luce diversa, quando c’era lo scrittore in giro ed anche come lei era diventata più allegra, più leggera con la sua costante presenza intorno. L’aveva vista soffrire per lui, buttarsi in storie senza senso e senza futuro in pochi istanti, mentre con lui temporeggiava, perché in realtà aveva paura dei sentimenti. Lei la capiva, l’aveva incoraggiata tante volte in passato a lasciarsi andare, che in fondo anche storia di una notte e via non erano male, ma Kate no, non era quella ragazza. Però da quando era arrivato lo scrittore si era avvicinata a più uomini di quanto l’avesse mai vista fare, ma per loro rimaneva sempre Beckett, non si toglieva mai la maschera dietro la quale c’era Kate, quella la riservava solo a Castle e nemmeno se ne accorgeva. Ma Lanie aveva capito cosa c’era tra loro, prima che lo capissero loro stessi, perché aveva visto la disperazione di Rick al cimitero, erano loro due a cercare di tenere in vita il suo corpo che non collaborava, aveva visto la sua disperazione quando il suo cuore si era fermato, come gli tremavano le mani, il volto che era solo una maschera di dolore, l’incapacità di formulare un pensiero coerente. Quella non era amicizia, non era solo amicizia. Aveva parlato con Kate pochi giorni dopo che si era ripresa ed era stata una delle ultime volte prima che andasse fuori città. Le aveva chiesto perché c’era Josh e perché non c’era Castle. Le aveva risposto solo che era troppo difficile e dai suoi occhi aveva capito tutto, senza bisogno che le dicesse altro. Perché lei diceva di non ricordare, ma aveva la faccia di chi ricordava molto di più di quanto doveva e quando poi glielo aveva confermato, tanto tempo dopo, non fu difficile per Lanie ricollegare i pezzi. Era stata Lanie la prima a dirle di stare attenta, perché Castle era stanco di aspettarla mentre lei era ancora afflitta dai suoi dubbi e asserragliata dietro il muro, come adesso. Perdutamente innamorata di lui e incapace di ammetterlo, come adesso. L’aveva vista, poi, innamorarsi di lui ogni giorno di più, credere in lui quando tutti lo davano per colpevole, per un assassino ed un traditore. Ma lei no, aveva rifiutato anche di credere alle prove, andando contro ogni sua logica, perché lui veniva prima della sua logica, perché lei sapeva che lui non poteva aver fatto certe cose. Perché Kate Beckett per lui, rifiutava la ragione e ragionava con il cuore. Ed aveva ragione. Lanie aveva vissuto con lei la trepidazione per quel matrimonio tanto atteso, la disperazione per la sua scomparsa ed ancora una volta la cieca fiducia in lui, ancora una volta malgrado tutto, perché il suo cuore sapeva che non la poteva lasciare così, il giorno del loro matrimonio. Lanie aveva vissuto tutto questo con lei e sì, era ancora arrabbiata se ci pensava, che non l’avevano chiamata quando poi si era realmente sposata, perché lei avrebbe voluto più di ogni altra cosa vedere la felicità dell’amica, ma poi era troppa la gioia che aveva visto sul suo volto ogni volta che aveva riparlato di quel giorno, che le bastò sapere che aveva realizzato il suo sogno.

Ed ora lei, per dei ricordi spiacevoli metteva in dubbio tutto questo. Non lo poteva accettare, doveva cercare di scuoterla, anche se la conosceva, sapeva che sarebbe stato inutile.
- E se così facendo, invece, è il modo migliore per perderlo? - Glielo disse con fin troppa schiettezza, Becketti si tirò su, allontanandosi un poco, tornando sulla difensiva. Tipico di Beckett, pensò Lanie, che poi riprese a parlarle, abbandonando la dolcezza che aveva in mente, voleva che le sue parole le facessero male, per farle capire cosa stava perdendo volutamente. La Kate che lei conosceva, avrebbe fatto qualsiasi cosa per riavere la sua vita con Castle, non poteva accettare che lei diventasse passiva verso se stessa.
- Che vuoi fare Kate? Non vuoi ricordare nulla? Vuoi buttare nel cesso otto anni della tua vita? Otto anni di quello che hai vissuto, di momenti brutti, orribili ma anche di momenti bellissimi, gioie, soddisfazioni non solo con Castle ma che hai condiviso con tutti noi! Non vuoi ricordare solo per paura di scoprire qualche discussione che hai avuto con tuo marito? Ma stai scherzando dolcezza? Mi stai prendendo in giro, vero?
- No Lanie, non sto scherzando. Io adesso sono questa.
- Sì, sei sempre la solita, testarda ed assurda Kate Beckett. Fai come vuoi ragazza. Tanto fino a quando non ci sbatterai la testa non cambierai idea e non te la farà cambiare nessuno. Vai, dimentica tutto. Dimentica cosa hai provato quando hai arrestato Bracken. - Lanie sapeva che non avrebbe mai fatto cambiare idea a Kate, non ci voleva nemmeno provare, ma la voleva pungolare andando a toccare nervi che sapeva essere sempre scoperti per lei. Ed infatti Beckett sussultò alla sua ultima frase.
- Sei ingiusta Lanie a tirare fuori questo. - Si lamentò
- No, sono realista. Dimentica cosa hai provato quando hai concepito lei, se ne sei capace. - disse appoggiandole una mano sul ventre ed era la prima volta che qualcuno lo faceva a parte Castle.
- Non lo sa nemmeno Rick quando è stato - Mentì Kate più a se stessa che alla sua amica.
- Ah, ma sono certa che se tu ricordassi, sapresti esattamente adesso quando è stato, ti conosco Katherine Beckett, avresti ricollegato tutto, lasciato spazio alle tue emozioni e lo avresti saputo. E poi non ci credo che lo scrittore non lo sappia, per me lo sa benissimo, chiediglielo! Ma fai come vuoi, la vita è la tua, non posso decidere per te tesoro. Però lascia che te lo dica, il tuo scrittore non se lo merita. Tu hai di nuovo paura, oggi come avevi paura prima che Castle non so come ma con tanta pazienza buttasse giù il tuo muro e riuscisse a farti aprire il cuore e a farti ragionare. Non so quanti uomini avrebbero avuto la sua pazienza e la sua costanza.
- Da come ne parli pare che ne sei innamorata te. - Rispose Beckett risentita
- Aggrediscimi pure Kate, ma con me non attacca. Puoi stare tranquilla non sono innamorata del tuo scrittore ed anche se lo fossi sarebbe inutile, perchè lui da sempre ha occhi solo per te, lo sanno tutti al distretto da otto anni. Però lasciatelo dire, tutte le donne vorrebbero un uomo che le ami come Richard Castle ama te, senza farsi tutti i tuoi problemi.
- Da che parte stai Lanie?
- Dalla tua amica mia, proprio per questo sono così profondamente arrabbiata per il tuo comportamento stupido! Ho visto come si è comportato con te negli Hamptons, Dio mio Kate, chiunque vorrebbe un uomo che l'amasse con quella dolcezza con cui Rick ti ha cullato quando avevi la crisi di panico. Nell'ultimo periodo dopo che eri diventata capitano è vero, non avevamo parlato molto, ma io so come amavi Richard Castle e lasciatelo dire ragazza, eri completamente fuori di testa per lui, hai fatto cose inconcepibili per tutti, hai avuto fiducia in lui quando non ce l'aveva nessuno, come puoi pensare che se lasci spazio ai tuoi ricordi puoi non amarlo?
- È che qualcosa ho ricordato... Ma non so perché sono solo momenti negativi, discussioni, volte in cui ci aggrediamo.
- Kate, io non so cosa c'è nella tua mente, però stai ricordando solo cose negative. Il tuo ferimento, il rapimento di Castle, oggi con la Nieman… Hai solo ricordi negativi, non credo sia una casualità no? Tutto il bello degli ultimi otto anni lo stai nascondendo a te stessa, te ne rendi conto? Non lo so perchè ma è così che stai facendo e stai facendo un grande errore Kate, enorme. Stai lasciando andare te stessa, quello che eri, quello che sei diventata con tanta fatica, solo per una stupida paura. 

Kate si sentiva stanca. Di essere sempre giudicata, spronata a fare qualcosa che le stava facendo solo male. Male a lei, male a sua figlia che assorbiva il suo stress e i suoi cambiamenti d’umore. Perché nessuno voleva accettare lo stato delle cose? Perché doveva soffrire, rivivere cose drammatiche. Ce ne erano ed era sicura a questo punto ce ne sarebbero state altre perché il suo sembrava un passato fatto solo di dolore e morte, dove la felicità si era nascosta e forse nemmeno c’era più. Quanto valeva quella felicità per essere al pari con quella sofferenza? Era stata veramente così tanto felice da bilanciare i ricordi che le stavano riaffiorando? Dolorosi, terribili, ricordi di cose fatte che non pensava poter essere mai in grado di compiere e sopportare. Come era riuscita a vivere con sulle spalle certi fardelli? Come ci sarebbe riuscita in futuro?

- Perchè non potete semplicemente volermi bene per quella che sono senza stare sempre a sperare che torni quella che ero? - Si sentiva sola. Non perché non c’era Rick, si sentiva sola perché le sembrava che nessuno la capisse. Si era resa conto di aver alzato un po’ troppo la voce, benché il locale non fosse affollato, un paio di persone si erano girate verso di lei mettendola terribilmente a disagio. Non erano conversazioni da luogo pubblico. Non erano conversazioni che lei avrebbe mai fatto in pubblico. Eppure era lì, a parlarne tenendo a fatica le lacrime e quello, no, non poteva permetterlo. Avrebbe vinto lei sui suoi maledetti ormoni impazziti.
- Kate, perchè sei sempre tu! Non è che qualcuno vuole bene ad una o all’altra, sei tu! E vogliamo il tuo bene, ed il tuo bene è che tu recuperi la memoria e ti ricordi tutto quello che hai fatto e vissuto, perchè non lo capisci?
- Perchè non è così Lanie! è come se per voi conta solo che io ritrovi la memoria per riavere quella persona che ora dite che non c’è più, come se fossi io la colpevole.
- Ma cosa stai dicendo Kate? Ma ti senti? La devi smettere di combattere contro te stessa! Ti fai solo del male e se stai così fai del male anche a tua figlia e non penso che vuoi questo, no? Io non sono uno psicologo, ma credo che fino a quando non sarai tu a capire che quella che tu chiami “l’altra Kate” non è altro che te stessa e non un nemico, sarà inutile anche parlarne.

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Capitolo 49
*** QUARANTANOVE ***


Lanie aveva insistito per riaccompagnarla a casa, ma Kate si fece lasciare vicino al distretto. Voleva camminare un po', poi avrebbe preso un taxi.
Erano rimaste in silenzio dopo quella discussione. Si erano parlate ancora solo per decidere chi avrebbe pagato (alla fine la spuntò Lanie) e per dove Kate voleva essere lasciata. Non una parola in più e, se per Kate il silenzio era normale, lo era molto meno per la sua amica. Lanie però aveva finito le parole, non sapeva proprio più cosa dire per smuoverla, perché Kate era diventata granitica, ancora di più di quando avevano cominciato a parlare. Sembrava che più esprimeva ad alta voce concetti e pensieri, più questi le facessero prendere forza e cementassero le sue decisioni. Doveva essere il contrario, secondo Lanie, ma Beckett più dubbi aveva, più rinsaldava le sue convinzioni per non essere smossa.

Kate si era resa conto che c’era stato un momento preciso in cui aveva smesso di voler ricordare ed era quando si era innamorata veramente, profondamente, di Castle. 
Non aveva capito quanto realmente lo amasse fino a quella mattina, da Lanie. A terra durante la sua crisi di panico, voleva lui, lo voleva con tutte le sue forze, perché sapeva che Castle l’avrebbe aiutata, sollevata, alleviato il suo dolore. Poi era riuscita in quello che non credeva possibile. Riuscire a riprendere possesso di se anche da sola, senza di lui, ma quando il respiro era tornato regolare e il cuore batteva più lentamente, il suo bisogno di lui non era diminuito, non si era attutito il senso di mancanza ed il vuoto della sua non presenza.
Quella mattina si era accorta, nel momento in cui non aveva più bisogno di lui in senso pratico, che invece ne aveva ancora di più perché lo amava. Era semplice in fondo. Lo amava. Se lo era negato per settimane, ma era così.
Le riveniva in mente quella frase fatta per riempire i diari adolescenziali “Non ti amo perché ho bisogno di te ma ho bisogno di te perché ti amo.” e pensò, in quel momento, di essere veramente in regressione verso la sua adolescenza e si rivedeva totalmente in quella frase. Aveva capito che quel sentimento che provava per Castle non era amore nato dal bisogno, ma era il bisogno fortissimo di lui che nasceva dall’amore. Lui c’era sempre stato per lei, per tutto. Si era fatto carico dei suoi problemi, delle sue crisi con una soluzione a tutto e questo l’aveva fatta andare nel panico e non capire il confine delle cose. Ma oggi non c’era e per la prima volta aveva dovuto camminare da sola e, passo dopo passo, aveva capito che lo poteva fare, ce la poteva fare da sola, perché era forte. Ma voleva che lui le fosse vicino, perché con lui era meglio, non era necessario che ci fosse, ma era dannatamente meglio quando lui era con lei. Avrebbe superato con la stessa forza di volontà tutte le altre crisi che di sicuro sarebbero arrivare, ma farlo nel calore del suo abbraccio, con i loro respiri sincronizzati e la sua voce che le ripeteva che sarebbe andato tutto bene, non era l’unico modo per stare bene, ma era sicuramente il migliore che conosceva.
Aveva capito, in quelle notti da sola, quanto la sua presenza le fosse necessaria per dormire bene: non perchè era straordinariamente comodo dormire su di lui, avvolta dalle sue braccia, ma perché il ritmo del suo cuore che batteva era diventato un balsamo calmante per il suo animo inquieto, i movimenti del suo torace erano una dolce culla ed il suo respiro tra i capelli un soffio di vita che la faceva sentire viva a sua volta.
Nel non riuscire a parlargli al telefono le era chiaro come non potesse fare a meno del contatto fisico e visivo con lui. La sua voce era suadente e irresistibile, ma lei aveva bisogno di vedere i suoi occhi quando le parlava, di sentire la sua pelle sotto le sue mani, di prendere le mani di Castle e tenerle. Strette. Sempre. Si scoprì fisica come non lo era mai stata. Non come rapporti intimi, ma proprio come bisogno della sua fisicità e del contatto, quella che era una caratteristica propria di Castle da sempre: ora valeva anche per lei. Lo doveva sentire fisicamente, non per telefono. Allora aveva preferito i messaggi. Per non struggersi sentendo la sua voce e non potendogli esprimere fisicamente quello che non riusciva a comunicargli con le parole che erano ancora troppo difficili da pronunciare.

Pensò a quante volte aveva detto “Ti Amo” nella sua vita, quante ne ricordasse.
Si ricordava di Luke, quel ragazzino del college, la sua prima cotta e quel “Ti Amo” adolescenziale pieno di tutte le speranze del mondo, come solo l’amore a 16 anni può essere, o quello che si immagina sia amore, ma erano parole troppo grandi per quell’età. Poi c’era stato Will, sì, a lui lo aveva detto e forse era la prima volta che sentiva che quelle parole potessero avere un senso, almeno fino a quel momento. 
Ma non era una che lo diceva spesso, lo faceva raramente, era più un tipo da “Anche io”, era meno impegnativo. Non ricordava di averlo detto ad altre sue fiamme per lei quelle due parole nel corso del tempo avevano assunto un senso importante che non doveva essere svenduto, non erano parole da dire solo presi dalla foga dell’amplesso a che frequentava per qualche tempo. Ti amo erano una promessa ed un impegno e lei non aveva mai voluto promettere nulla a nessuno dopo Will e nemmeno impegnarsi perché tutto questo richiedeva sacrificio e dedizione e lei non era sicura di volerli dare a nessuno se non al suo lavoro. Sapeva che aveva scelto spesso di buttarsi in relazioni vuote solo per calmare per un certo tempo un senso di vuoto che umanamente sentiva, ma poi, inesorabilmente si stancava perchè sapeva che non era quello che voleva, ma non sapeva nemmeno volere di più. 
Forse lo aveva detto a quel Josh ma certo non poteva andare a chiederglielo anche se l’idea le balenò in testa, in uno dei suoi attimi di irrazionale follia. 
“Ti Amo” erano parole importanti, non da svendere. Implicavano qualcosa di profondo e un impegno ad amare, che era molto più difficile che innamorarsi. Dopo Will si era ripromessa che “Ti Amo” lo avrebbe riservato solo per una persona veramente importante, una per la quale valeva la pena impegnarsi e sacrificarsi per costruire insieme qualcosa di importante. Castle aveva capito che poteva essere tutto questo.

Non si ricordava quel sentimento che tutti dicevano che lei provasse per lui, ma sapeva quello che stava provando in quel momento, quello che era diventato lui per lei e non voleva che i ricordi lo cambiassero o lo cancellassero. E se fosse stato qualcosa di diverso? Di meno forte? Di meno importante? Se avesse ricordato qualcosa che cambiava la sua percezione, le facesse venire dei dubbi? In fondo glielo aveva detto lui che erano stati separati per un po’ di tempo per scelta di lei e ricordava anche cosa si erano detti ed era stato terribile. Cosa c’era veramente dietro a quella scelta della quale non si era confidata con nessuno, tenendo le sue motivazioni come un segreto da cui dipendevano le sorti del mondo? Era vero che se ne era andata solo per proteggerlo o c’era dell’altro? Valeva la pena rovinare quello che aveva raggiunto per qualcosa che non sapeva cosa fosse? E se avesse scoperto che prima non lo amava tanto quanto lo amava adesso? Non aveva mai provato per nessuno un sentimento così forte, non credeva potesse esistere qualcosa di più intenso, non qualcosa che era in grado di provare lei, visto che le sembrava di aver già riempito ogni sua sacca emotiva e che più di così non fosse umanamente possibile.

Era stata catapultata nel suo mondo in così poco tempo, si era vista inizialmente quasi costretta a condividere con lui la sua vita ma era diventata una costrizione che era svanita presto, troppo presto per i suoi standard. Non si era mai lasciata andare così con qualcuno e non dal punto di vista fisico, non era quello il problema. Fosse stato solo sesso non sarebbe stato grave. Sarebbe stato umano, la normale attrazione tra un uomo e una donna. Ma lei lo sapeva, non era mai stato solo quello, come Castle disperatamente voleva sapere dall’inizio. Non lo era mai stato. Aveva provato a staccare la spina emotiva e lasciar comandare solo i sensi ed il desiderio carnale, a pensare di volerlo solamente per un bisogno fisico e tutto quello che aveva ottenuto era stato arrivare sul punto di dirgli che lo amava, a lui prima che a se stessa ed era scappata facendo del male ad entrambi. Quella notte li aveva scossi profondamente, aveva rotto quel precario equilibrio creato, li aveva poi uniti nelle fragilità ma resi sempre più insicuri era stata un freno al loro volersi per paura di farsi male. Pensò al bisogno di Rick di sentirsi amato e alla sua paura di amarlo per poi trovarsi sola a quanto si era inutilmente voluta imporre di non farlo, perchè da subito si era resa conto di come perdere lui potesse essere devastante per lei se avesse ammesso che era di più, che loro erano qualcosa in più. Pensò a tutte le volte che era stato lui a dirle “Ti Amo” e glielo aveva detto in tutti i modi che un uomo può amare: dolce, disperato, rabbioso, passionale, sussurrandolo sulle sue labbra mentre le divorava, al suo orecchio mentre le baciava il collo, urlandolo durante le loro discussioni, in un gemito quando veniva colto dagli spasmi dell’orgasmo e si riversava in lei, come una carezza quando la stringeva tra le braccia e lei si sentiva nel luogo più sicuro del mondo.
A lui sarebbe bastato sentirlo una sola volta, ma per egoismo e paura non glielo aveva mai concesso, ed ora sentiva il cuore esplodere dalla voglia di dirglielo.

Camminava sorridendo inebetita, non si era accorta di quanto avesse camminato fino a quando non sentì le gambe veramente stanche e si rese conto che le facevano anche male le guance per aver evidentemente sorriso per tutto quel tempo. Si sentiva il cuore leggero, più leggero di quanto ricordasse di aver mai avuto. Era innamorata. Stupidamente innamorata e si sentiva libera di poterlo dire per prima cosa a se stessa.
Era davanti alla vetrina di una caffetteria, guardò con curiosità all’interno e non resistette dall’accomodarsi anche lei ad uno di quei piccoli tavolini rotondi su una comoda poltroncina tondeggiante in stile art decò. Il locale era una divertente accozzaglia di stili di arredamento diversi che, però, sembravano scelti e selezionati con estrema cura ed ogni cosa sembrava perfettamente al suo posto anche se totalmente differente dal precedente. Un paravento giapponese era vicino alla parete con un grande specchio liberty, notava ora come nel locale poltrone e tavoli erano diversi ad ogni angolo e delle stampe vintage di inizio novecento erano vicino a riproduzioni di Lichtestein e Warhol e poco più in là riconosceva opere dal tocco inconfondibile di Klimt e Hayez. Era tutto confusamente divertente e lo trovava perfetto per quel suo umore così cambiato in poco tempo. La delusione e lo sconforto provato alla fine del pranzo con Lanie erano completamente scomparse lasciando il posto alla sua nuova consapevolezza. 
Ordinò un gelato al cioccolato con panna ed un caffellatte alla vaniglia, decaffeinato si ricordò di dire all’ultimo facendo sorridere il ragazzo. Per far contenta la sua bimba, si disse come scusa, sorridendo ancora per la propria bugia infantile. Di fatto faticava a smettere di sorridere.
Pensò che doveva scusarsi con l’amica per come si era comportata e ringraziarla per averle fatto capire cosa doveva fare e riuscire a farglielo ammettere. Aveva voglia di andare avanti, voltare pagina, pensare al futuro non al passato che non voleva condizionasse più le sue scelte. Amava Castle. Non le importava se lo avesse lasciato e perché. Le bastava che lui amasse lei e sarebbero stati felici con la loro bambina. Si rilassò su quella poltroncina aspettando il suo ordine e quando mise in bocca un cucchiaio del cremoso gelato sentì i suoi sensi risvegliati dalle endorfine rilasciate dal proprio organismo e un senso di beatitudine pervaderla. Si accarezzò il ventre per condividere quella gioia con la sua bimba ed era sicura di non essersi immaginata di averla sentita di nuovo, come tante bolle di sapone che la solleticavano all’interno. Ne era sicura, era il suo modo di dirle che approvava la sua decisione e ricordarle che qualunque cosa fosse accaduta lei ci sarebbe stata sempre. Ma Per Kate quel giorno nulla poteva essere negativo. 

 

Press il telefono compose quel primo numero della sua rubrica e lo fece squillare a lungo, più di quanto era suo solito fare quando chiamava qualcuno.
- Castle… - sussurrò il suo nome quando lo sentì rispondere ed aveva perso la speranza che lo facesse.
- Beckett! Ciao… è successo qualcosa? - Lo stupore nella voce di Rick fu pari solo alla malinconia in quella di Kate che non gli sfuggì
- Volevo solo sentirti. - Kate lo sentì allontanare il telefono e parlottare - Scusami se ti ho disturbato, se sei impegnato…
- No, no mai per te. Tutto bene?
- Volevo solo sentirti. Mi manchi… - Lo ripeté per fargli capire quanto fosse solo quello il motivo. Solo la voglia di sentire la sua voce.
- Stai bene… state bene?
- Sì, stiamo bene… 
Erano di nuovo in quella fase di imbarazzo in cui non sapevano cosa dirsi. A Rick questa situazione metteva ancor più a disagio ricordando le infinite telefonate con Kate quando era fuori per lavoro o quando lei era a Washington e riuscivano a trovare dei momenti solo per loro tra gli impegni lavorativi e stavano anche ore a parlarsi senza in realtà dirsi nulla di importante ma senza riuscire ad attaccare perché voleva dire interrompere il loro collegamento e si ritrovavano a parlare di ogni argomento assurdo solo per sentire la loro voce, con Castle che inventava storie e teorie assurde anche su un tizio visto in metropolitana per aver qualcosa da raccontare e sentire la sua risata. Ora no, dopo poche scambi per lo più di convenevoli erano già caduti in quel silenzio carico di parole non dette, in cui nessuno dei due voleva, comunque, cedere per primo e rompere la conversazione.
- Non vedo l’ora di tornare Kate, veramente, ma ora devo…
- Devi andare, certo.
- Già… ho un’intervista che mi aspetta.
- Non farli aspettare allora. Ci sentiamo.
- Ci sentiamo Kate… 

Non era riuscita a dirglielo al telefono. Non le sembrava giusto, nè per lui e nemmeno per lei. Meritava sentirlo in un altro contesto e lei voleva guardare i suoi occhi mentre glielo diceva, voleva vedere quel blu brillare come l’oceano colpito dai raggi del sole estivo. 
Voleva dirgli tutto. Quello che aveva deciso e quello che voleva per il loro futuro. Il loro futuro. Loro.

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Capitolo 50
*** CINQUANTA ***


Kate aspettava che le venisse concesso di tornare a lavorare. Avrebbe visto Burke il giorno seguente e le avrebbe dato, con tutta probabilità, il suo benestare. Aveva ormai esaminato gran parte dei suoi vecchi casi non voleva vederne altri. Parlò con la Gates dicendole che sarebbe tornata a portarle la sua valutazione nei giorni successivi. 
Decise di chiamare Lanie, per scusarsi per come si era comportata il giorno precedente e per ringraziarla, perchè grazie alla loro chiacchierata aveva finalmente capito ancora di più cosa volesse nella sua vita. Lanie non mancò di sottolinearle ancora quanto stesse sbagliando, ma le disse che l’unico modo che aveva per farsi perdonare era accompagnarla quella sera stessa ad un evento che si sarebbe tenuto in un famoso hotel di New York. Kate messa alle strette accettò e decise che quella mattina poteva essere la giornata giusta per uscire e fare un po' di shopping. Era una di quelle rare giornate in cui sentiva il brio della vita scorrerle nelle vene.  Passò molto tempo girando tra i reparti di Macy’s. Pensò che Castle non avrebbe approvato la sua scelta, avrebbe preferito vederla scegliere i suoi vestiti in esclusive boutique e negozi di alta moda, ma lei preferiva così. Si divertì a provare tanti abiti diversi non pensando che anche per le donne incinte potesse esserci una così grande scelta di vestiti. Scelse molte più cose di quante le potessero realmente servire e trovò anche un bell’abito per quella sera, elegante ma non troppo impegnativo. Passò anche nel reparto bambini e non resistette a prendere anche qualcosa per la sua bimba, lasciandosi coccolare da commesse molto zelanti che le facevano vedere abiti di tutti i tipi, dai più eleganti ai più divertenti, e si stupì del fatto che si stava divertendo molto di più a cercare vestiti per la sua piccola che per se stessa. Alla fine scelte una tutina rosa con una scritta glitterata “Daddy’s Little Princess”, l’avrebbe voluta dare a Castle una volta tornato.
Andò con tutti i suoi acquisti alla cassa, diede la sua carta di credito e al momento di pagare rimase bloccata. Non conosceva il suo PIN. La cassiera la guardò con aria interrogativa, mentre lei non si mosse, non fece nulla. Immobile. Tutta l’euforia di quella mattinata scomparve immediatamente da se, le scivolò via abbandonandola. Si sentì spoglia. La cassiera la chiamò ancora, lei la lasciò tutto e senza nemmeno riprendere la sua carta corse via.
Si sentì afferrare per un braccio mentre cercava di allontanarsi da lì, dalla vergogna e da quel passato che voleva lasciarsi alle spalle e che lei voleva dimenticarsi. Ma lui era lì, strisciava infido e si inseriva dentro di se rovinando la sua vita ogni volta che pensava di essere abbastanza forte da ricominciare, facendo crollare le sue fragili certezze che faticosamente aveva costruito. Voleva andarsene il più lontano possibile ma una mano salda la teneva ferma. Si voltò a guardare cosa c’era oltre quelle dita che stringevano senza grazia il suo braccio, divincolandosi per far allenare la presa.
- Deve venire con me, signora. - le disse l’uomo in divisa, calcando la voce sull’ultima parola quasi volesse schernirla.
- Non ho fatto nulla. Mi lasci subito.
- Questo lo dobbiamo ancora appurare. Ora mi segua - le lasciò il braccio parandosi davanti a lei e indicandole la strada. Lei volle essere accondiscendente e lo seguì, sperando di mettere presto fine a quel malinteso. L’uomo le afferrò la borsa prima che lei potesse opporsi. 
- Sono il Capitano Beckett del dodicesimo distretto. Possiamo farla finita qui. È stato un malinteso.
- Certo, certo, come no. “Capitano” - le disse sorridendo sulla sua carica. - dov’è il suo distintivo allora?
- Non ce l’ho… 
- Allora io sono il capo della polizia. Mi segua e finiamo questa scena! - la incalzò ad andare con lui - Sai quante ne ho viste come te? Bel visino, modi educati, ben vestite. Vengono rubano e spariscono. Non mi lascio impressionare. Però ancora nessuna come scusa si era spacciata per Capitano della polizia! Bella scusa! Che fantasia! 
La stanza dove venne portata era poco più grande di un ripostiglio. Un tavolo in fondo appoggiato al muro e due sedie erano l’unico mobilio. La guardia che aveva la sua borsa le intimò di sedersi con fare autoritario mentre capovolgeva la borsa e tutto il suo contenuto sul tavolo. Controllò anche all’interno che non avesse doppio fondo o altre tasche e ributtò tutto dentro in malo modo. Kate era convinta che quell’umiliante situazione fosse finita, invece l’uomo la fece alzare e le disse che doveva perquisirla. Kate fece un passo indietro per mettere distanza tra di loro fino a quando le spalle non toccarono la parete. Non sapeva se era stato quel suo comportamento a farla sembrare ancora più colpevole agli occhi dell’uomo o solo la sua voglia di esercitare il proprio potere, ma un ghigno beffardo si disegnò sul volto di lui mentre allungava una mano verso di lei. Kate lo bloccò con forza, più di quanta lui si aspettasse.
- Tu non mi metterai le mani addosso ed io ora me ne vado. - Kate aveva ripreso piena coscienza di se, ritrovando il suo piglio autoritario non intenzionata a farsi mettere i piedi in testa da nessuno. L’uomo con uno strattone si liberò dalla sua presa e le ostruì il passaggio per uscire. 
- Non vai proprio da nessuna parte fino a quando non ho controllato che non abbia rubato nulla.
- Hai già perquisito la borsa, non ho nulla.
- Non ho visto se nascondi qualcosa addosso e se quella pancia è finta o vera.
Provò a toccarla di nuovo e lei di nuovo lo bloccò.
- Ti ho già detto che non mi toccherai. Ora fammi andare o passerai le ore peggiori della tua vita con i miei agenti.
- Certo come no, Capitano. - disse lui ironico - ed ora mi lasci lei il braccio o la denuncio anche per questo.
Chiamò un certo John con la ricetrasmittente dicendo di aiutarlo che aveva un problema. Un paio di minuti dopo entrò un poliziotto. 
L’uomo si salutò con la guardia mostrando che si conoscevano bene, con un spiccato cameratismo lanciandosi occhiate complici. Anche l’agente insistette perchè si lasciasse perquisire e Beckett ancora una reagì con forza minacciando quel John per quello che stava facendo in modo assolutamente arbitrario e senza motivazioni, spiegandogli ancora una volta chi fosse. 
Ridendo L’agente Strifford come lesse sulla sua divisa, le disse che se voleva tanto andare al dodicesimo ce l’avrebbe condotta lui. Così presero la sua borsa e la scortarono fino all’uscita facendola salire sull’auto di servizio dietro vicino ad un altro agente. Arrivati davanti all’entrata del distretto la fecero uscire tenendola sottobraccio per portarla di sopra. Aspettò pazientemente l’ascensore sperando che quell’assurda situazione finisse presto. L’agente alla guardiola la salutò lasciando spiazzato sia Strifford che la collega e Beckett li guardò questa volta lei con un ghigno, quando le porte si aprirono, i due la presero sottobraccio di nuovo per farla entrare e quasi si scontrarono con Ryan ed Esposito che stavano uscendo per andare sulla scena di un omicidio.
- Beckett! Che ci fai qui? Avevi detto che non venivi oggi? - le chiese l’irlandese stupito non accorgendosi della situazione mentre Javier aveva appena fulminato con lo sguardo l’agente che teneva troppo stretto il braccio di Kate.
- Credo che i due agenti vogliano portarmi alla sezione rapine per arrestarmi. - disse lei ridendo
- Stai scherzando? - Chiese Kevin stupito
- No. Ho avuto un problema con la carta di credito, non so più il mio pin e mi hanno preso per una ladra. Ho rifiutato di farmi perquisire ed eccomi qui.
Esposito gli stava letteralmente ringhiando contro.
- Lasciate subito il Capitano Beckett o sarà peggio per voi. - intimò l’ispanico. I due lasciarono le braccia di Beckett, le restituirono la borsa e fecero un passo indietro.
Kevin voleva accompagnarla a casa, ma lei fu irremovibile, dovevano andare da quel cadavere che aspettava giustizia, lei avrebbe potuto andare a casa in taxi. Non ascoltò nemmeno le scuse dei due agenti, abbastanza terrorizzati dalle minacce di Esposito di rendergli la vita impossibile al distretto. 

Kate rientrò a casa veramente amareggiata. Quella che doveva essere una giornata spensierata le si era ritorta contro, mostrandole nella realtà tutte le piccole difficoltà alle quali sarebbe andata incontro andando avanti. Non era solo una questione di riconoscere persone o ricordare eventi. C’era di più. Certo, le sarebbe bastato chiedere una riemissione delle carte e il problema pratico si sarebbe risolto, ma sarebbe rimasto quello alla base. Era difficile, lo sarebbe stato ancora.
Pensò che doveva fare una lista di tutte le cose pratiche che necessitava di ricordare e se non era possibile, cambiare. Non voleva più trovarsi in una situazione del genere, doveva considerare tutte quelle piccole cose quotidiane che facevano parte della sua vita, che, per quanto le fosse piaciuto, non poteva essere solo Castle. C’era di più, c’era una vita di tutti i giorni da affrontare, con piccoli grandi problemi come il PIN di una carta di credito. Si sarebbe fatta aiutare da Rick in questo, doveva ricostruire gran parte delle cose pratiche del suo passato.
Ormai, però, Kate aveva preso la sua decisione e per quanto fosse frustrante e doloroso, per quanto si fosse sentita imbarazzata ed umiliata non sarebbe tornata indietro. Voleva una nuova vita, voleva pensare al futuro. 
Al loft trovò Martha ed Alexis piacevolmente assorte in chiacchiere. Vicino alle scale c’erano molti scatoloni: erano le cose che Alexis avrebbe dovuto far spedire a Philadelphia, ormai la sua partenza si avvicinava, aveva solo deciso di aspettare il rientro del padre.
Salutò le due rosse con un cenno della mano e stava andando in camera, quando Martha la invitò a raggiungerla. Per cortesia accettò il suo invito e si mise seduta in un angolo del divano ad osservare le due conversare.
- Qualcosa non va Katherine? - Le chiese la donna. Le avrebbe voluto dire di no, ma non aveva nemmeno voglia di tenersi tutto dentro.
- Una spiacevole avventura da Macy’s… Non ricordavo il PIN della mia carta di credito. Mi hanno trattata al pari di una ladra e portata al mio distretto. Per fortuna lì poi si è risolto tutto.
- Oh mia cara mi dispiace! - Disse Martha con molta enfasi mentre Alexis faticava ad immaginarsi la scena di Beckett portata al distretto dalla parte dei cattivi.
- È stato veramente imbarazzante ed umiliante. - Disse amaramente Kate.
- Non hai potuto comprare nulla tesoro? Ti hanno rovinato una giornata di shopping questo sì che è criminale! Adesso sai cosa facciamo? Andiamo lì e prendiamo tutto quello che avevi visto!
- No, Martha, io non posso accettare… 
- Oh ma non accetti mica da me! Ho la carta di Richard, sai me ne lascia sempre una quando va fuori città, per le spese quotidiane - disse ridendo sull’ultima parola.
- Martha ma non è la stessa cosa.
- Lo so bene cara, ma fa bene lo stesso. So cosa si prova e quanto è fastidioso. Una volta quando Richard ancora era piccolo, voleva assolutamente un gioco. Così entrammo in un grande magazzino per comprarlo, non sapevo dire di no a quegli occhioni azzurri. Ma quando andai a pagarlo la mia carta fu rifiutata per assenza di fondi. Non era un gran momento. Richard rimase così male che non volle più entrare in quel grande magazzino per tutta la sua vita, fino a quando non chiuse e lui ne fu felicissimo. Così ora, ogni volta che non è in città, per evitare ogni problema mi lascia la sua carta Black. Questa apre tutte le porte mia cara! - Le facevano sempre tenerezza quelle confessioni di Martha sulla vita di Rick, era un modo per aiutarla a conoscerlo un po’ di più.
- Kate, io sono d’accordo. Un pomeriggio di shopping non potrà che farci bene a tutte e tre, anzi a tutte e quattro, tanto paga papà! - Le disse Alexis facendole l’occhiolino e quella semplice frase la fece stare decisamente meglio. Aveva incluso anche la sua bimba e lo considerava un enorme passo avanti rispetto a pochi giorni prima, ma Alexis era una ragazza intelligente, doveva solo rimettere a posto i tasselli della propria emotività e capire che lei avrebbe sempre avuto il suo posto nella vita di Rick e nessuno glielo avrebbe mai tolto, doveva sapere come suo padre avesse un cuore enorme, in grado di riuscire ad amare follemente tutte le donne che orbitavano nella sua vita.
Tornarono da Macy’s, nonostante Kate inizialmente non fosse così convinta di volerlo fare. Quando entrò le sembrò di sentire ancora tutti gli sguardi addosso delle persone e delle commesse. Cercò con lo sguardo la stesse che l’avevano servita in precedenza ma probabilmente il turno doveva essere già cambiato. Kate alla fine riuscì a ritrovare tutto quello che aveva visto la mattina: Martha ed Alexis aggiunsero altre cose per loro ma molte di più per la bambina, tanto che Beckett osservando la quantità di cose pensò che avevano appena fatto quello che lei non avrebbe mai voluto fare, esagerare con vestiti che probabilmente non avrebbe mai messo, ma le due rosse avevano comprato abbigliamento fino all’anno di età, con tutta probabilità a giudicare dalle diverse consistenze e tessuti nonchè dimensioni. Arrivate alla cassa, Martha con un plateale gesto diede la carta a Kate
- Prego Katherine, a te l’onore.
Beckett con un sorriso riconoscente pagò l’esorbitante conto che erano riuscite a mettere insieme. Era convinta che in vita sua non avesse mai fatto una transazione di quell’entità, ma sia Martha che Alexis si erano lasciate prendere la mano. Era felice, ma quel retro gusto amaro della mattina non era ancora passato.
Appena tornate a casa Alexis uscì di nuovo con le sue amiche, mentre Kate decise di farsi una doccia per poi prepararsi per la serata. Martha rimase in cucina, aprendo un nuova bottiglia di Gewurztraminer per festeggiare il pomeriggio di shopping in compagnia.
Kate andò ancora in vestaglia e con un’asciugamano avvolto intorno ai capelli. Cercava qualcosa di fresco da bere e Martha le disse di mettersi seduta che le avrebbe preparato lei qualcosa di speciale.
- C’è stato qualche cambiamento negli ultimi giorni mia cara? - Le chiese l’attrice mentre tagliuzzava della frutta
- Cosa vuoi dire Martha? - Kate si pose sulla difensiva senza nessun motivo specifico.
- Ah non lo so mia cara, solo che oggi ti ho visto divertirti molto con lo shopping, stasera vai ad una festa, insomma, ti vedo molto più… leggera? - La rossa mise la frutta nel frullatore e continuò ad armeggiare con varie bottiglie di cui Kate ignorava l’esistenza.
- Forse… - disse Beckett - Ma per la festa dovevo un favore a Lanie… 
- Oh non fraintendere tesoro, io sono felicissima che tu vada ad una festa, te l’ho sempre detto in realtà che dovevi divertirti di più, ma è una cosa così diversa… Non sei mai stata un’amante delle feste ed anche quando Richard ti ci voleva portare non eri mai molto felice, anche se poi, lasciatelo dire, rubavi la scena a chiunque! - Kate arrossì mentre Martha le porgeva la sua creazione.
- Beh, se è una cosa diversa dal solito sono felice. - Assaggiò un sorso ed era molto buono - E’ squisito Martha!
- Grazie mia cara, una ricetta di Josè, un bellissimo barman brasiliano… purtroppo manca la parte migliore, quella alcolica, ma sono dei sacrifici che devi fare adesso! Avremo modo di rifarci in futuro! - Il tono complice della donna fece sorridere Kate
- Pensi che Rick si arrabbierà se vado a questa festa? - Beckett si fece vincere dai dubbi e dalle incertezze. Sapeva cosa voleva fare, ma ancora non sapeva quali reazioni i suoi comportamenti potessero avere e, sentendo che era una cosa così inusuale, pensò che a suo marito la cosa potesse dare fastidio
- Ma no, sono sicura che Richard se tu vai a divertirti sarà solo felice. Ora vai e mettiti quel fantastico vestito blu che hai provato prima! Lascerai tutti a bocca aperta ancora una volta!
Kate finì il suo drink alla frutta ed andò in camera a cambiarsi. Il vestito blu aveva una profonda scollatura a V messa in risalto dalla fila di strass che segnava il perimetro, lungo poco sopra il ginocchio e morbido sulla pancia. 
Si guardò allo specchio e sorrise trovandosi più attraente di quanto immaginasse. Vedeva le sue forme cambiate ma si piaceva. Il suo fisico era diverso ma non lo trovava meno bello. Immaginò che vestita così avrebbe fatto impazzire Castle. Si truccò marcando labbra e occhi più del suo solito, sistemò i capelli in un acconciatura mossa lasciandoli liberi sulle spalle. Prese un leggero scialle di seta avorio che riprendeva il colore della borsa e se lo intrecciò sul davanti coprendosi le spalle. Si guardò ancora rimpiangendo solo di non poter mettere uno di quei paia di scarpe che aveva nel suo guardaroba dal tacco vertiginoso. 
Ebbe solo il tempo di scambiarsi qualche messaggio con Rick prima di uscire, evitando di dirgli quanto accaduto nella mattinata. Gli disse della festa a cui sarebbe andata con Lanie e come previsto da Martha, lui ne fu felice, dispiacendosi solo di non poter essere con lei per accompagnarla e far morire di invidia tutti gli uomini presenti. Prima di uscire indossò il ciondolo che le aveva regalato Rick negli Hamptons, pensò che era un modo per poterlo avere vicino.

Quando Lanie la vide uscire dal portone, rimase a bocca aperta.
- Ragazza, ma come è possibile che tu diventi ogni giorno più bella? Sei la donna incinta più figa di tutta la città, anzi di tutto il paese, ne sei consapevole? 
- Lanie, andiamo! Non esagerare come tuo solito! - Beckett si allacciò la cintura di sicurezza e la sua amica partì alla volta della festa.
Era una festa decisamente diversa da quella che si aspettava avendola invitata Lanie, era più una festa da Castle: c’erano varie personalità importanti della politica della città, personaggi facoltosi e dello spettacolo. 
- Cosa ci facciamo noi qui Lanie? - Chiese Kate una volta dentro la sala principale dell’hotel
- Ci divertiamo, che domande!
- Ok, ma perchè tu sei stata invitata a questa festa?
- Oh cosa c’è signora Castle, non mi ritieni all’altezza di certi eventi? - Lanie fece una voce fintamente risentita che finì con una risata - Ci hanno invitato dal dipartimento, goditi la serata tesoro ed attenta che ti stanno mangiando tutti con gli occhi! 
Così Lanie si allontanò per andare al banco del barman e non capiva se per un drink o un appuntamento con il giovane, malgrado Esposito.
Kate si ritrovò sola a guardarsi intorno in un ambiente tanto distante dal suo ma nel quale si stava trovando comunque a suo agio. Riconobbe e salutò sia il sindaco Weldon che il giudice Markway che le si avvicinarono insieme ad un altro uomo molto distinto: era Philipp Keen il nuovo capo della polizia della città. L’uomo non perse tempo e si complimentò con lei per l’ottimo lavoro svolto e si augurò che potesse presto tornare in servizio perchè la città aveva bisogno di persone come lei.
Poi i tre si allontanarono lasciando di nuovo Kate sola, Lanie riapparve poco dopo con due tartine in mano e gliene offrì una insieme ad un analcolico che risvegliò la fame di Beckett.
La prima parte della serata consisteva in un’asta di beneficenza alla quale ovviamente le due non parteciparono, preferendo concentrare le loro attenzioni sul buffet, scoprendo come non erano le uniche ad aver avuto quell’idea e ridendo dei loro piatti stracolmi mentre si avvicinavano ad un tavolo.
- Ragazza, una volta queste cose le lasciavi fare solo a me, adesso vedo che vinta dai morsi della fame per accontentare la piccolina ci dai dentro anche tu!
Kate sorrise impegnata a mangiare un canapè e a Lanie come risposta andò benissimo. Quando la dottoressa tornò verso il buffet lasciando la sua amica seduta a mangiare, Beckett notò come si stesse intrattenendo ammiccando visibilmente ad un distinto uomo di colore alto e molto prestante.
- Lanie! - la rimproverò Kate - e tutto quello che mi hai detto su Espo?
- Dai Kate non fare la guastafeste! Mi ha solo invitato a ballare, non lo sto mica sposando!
Così quando poco dopo, finita l’asta, la musica iniziò il tipo si avvicinò al loro tavolo con un sorriso smagliante e portò Lanie al centro della pista. Kate rimase a guardarli scuotendo la testa in segno di disapprovazione ma cercando di rilassarsi e godersi la musica ritmata che invogliava a muoversi.
- Posso? - Un uomo elegante si era avvicinato alla sedia di Lanie che a giudicare da come ballava non ne avrebbe avuto bisogno per un po'
- Prego! - rispose Kate gentilmente tornando a guardare l’amica senza considerare l’estraneo che si era appena seduto.
- Sei sempre più bella Kate Beckett. - si voltò di scatto verso l’uomo cercando di osservarlo meglio. Aveva un volto familiare, sicuramente lo aveva già visto ma non sapeva chi fosse. 
- Ci conosciamo?
- Andiamo Kate! Addirittura fare finta di non conoscermi? Sono passati degli anni, però non pensavo di essere così insignificante. 
- Ehy ragazza! Me ne vado un attimo e già dai via la mia sedia? - Kate non seppe se Lanie era arrivata appositamente per tirarla fuori da quella situazione oppure no, ma l’uomo sconosciuto si alzò congedandosi e dando il posto alla dottoressa mentre Kate lo seguiva con lo sguardo.
- Tesoro - disse a Beckett - quello è Eric Vaughn!
- Quel Eric Vaughn? - chiese Kate stupita
- Già proprio lui e da come ti guarda - Lanie si voltò per catturare lo sguardo dell’uomo che non fece niente per distoglierlo - direi che gli piaci sempre.
- Ma che stai dicendo? Lanie! - Kate infastidita dai commenti dell’amica le lanciò un’occhiataccia ma questa non si lasciò intimidire
- Oh andiamo se all’epoca non stavi già con Castle sono sicura che un pensierino ce lo avresti fatto quando gli facevi da guardia del corpo e sono sicura che lo hai guardato molto bene! Dai Kate è al numero uno della lista degli scapoli più ambiti della città!
- Grazie ma a quanto pare con gli uomini di quella lista ho già dato.
- Tesoro, con tutto il rispetto per il tuo scrittore, con Eric Vaughn siamo su un altro livello!
Kate rimase veramente molto infastidita da quel commento, Castle era all’altezza di qualsiasi livello e non era certo un miliardario solo perché geniale e sfacciatamente ricco che lo potevano screditare.
Si alzò andando verso il bagno ma fu proprio qui che lui la incrociò di nuovo fermandola.
- Il destino vuole che ci incontriamo Kate. 
- Il destino a volte fa scelte sbagliate Eric.
- Qualche riferimento personale? 
- No. Nessuno.
- Ho saputo delle tue ultime vicende. Complimenti. Ti ho sempre detto che eri la migliore.
- Grazie… - Beckett provò ad andare oltre ma lui con un braccio le bloccò il percorso
- Come mai tutta sola Kate?
- Castle è impegnato fuori città per lavoro
- Giusto Castle… vedo che continua a non darti le attenzioni che meriti - disse guardando il sul ventre mettendola a disagio - io non lascerei mai sola una cosa così preziosa come te, nemmeno per tutto l’oro del mondo.
Kate non rispose, fissò l’uomo mordendosi il labbro in un gesto che si pentì di aver fatto un attimo dopo.
- Ti posso invitare a ballare o tuo marito è geloso? - le chiese Vaughn
- Mio marito non c’entra. Sono io che non voglio.
- Andiamo Kate solo un ballo… non ti stancherai… senti la musica è già più lenta… - prima che lei potesse rifiutare ancora lui le prese la mano e lei non oppose resistenza quando la accompagnò al centro della pista.
- Non porti nemmeno la fede Kate. Devo immaginare che non è tutto come sembra.
- È complicato Eric.
- Sempre questa frase Kate. Con te non può essere niente complicato. Uno con te può solo fare una cosa… 
Kate fissava il volto dell’uomo le cui parole suadenti la ammaliavano. Le si avvicinò pericolosamente accostando le sue labbra a quelle di lei che rimase immobile, senza ricambiare il bacio né allontanandosi, presa completamente alla sprovvista per poi continuare a ballare.
- Il tuo scrittore è un pazzo, ancora non ha capito che tesoro ha tra le mani? - Kate non riusciva a rispondergli, non sapeva cosa dirgli.
- Non è colpa di Castle, lui è perfetto. - gli disse alla fine mentre stavano ancora ballando e non sapeva nemmeno perchè
- Allora sei tu che hai cambiato idea… - La sua frase era stata peggio del suo silenzio. 
- No Eric, te l’ho detto. È una situazione complicata.
- Ma certo, si dice sempre così…
L’uomo la strinse ancora un po' mentre Kate faceva fatica a deglutire senza sapere cosa le stava succedendo. La musica cambiò e le note di una canzone a lei sconosciuta risuonarono nell’ambiente. Chiuse gli occhi e si rivide ad un ballo. C’era Castle con lei, la teneva stretta a se e ballavano insieme.
Tutte le scelte che ho fatto, ogni cosa tremenda e meravigliosa che mi sia mai capitata, tutto mi ha condotto qui, a questo momento con te” la voce di Rick era chiara nella sua mente.
E si rivide ancora, abbracciata a lui, appoggiata alla sua spalla e questa volta riconosceva il momento. Lo vedeva ogni volta che prendeva il suo cellulare. “È perfetto” era lei che lo stava sussurrando a lui al tramonto.
Si appoggiò alla spalla del suo cavaliere ma quando riaprì gli occhi si rese conto che non era Castle ma Eric Vaughn e sciolse immediatamente quell’abbraccio, allontanandosi di corsa da lui che non rimase fermo ma le andò dietro, raggiungendola appena fuori la sala quando lei stava riprendendo fiato. 
- Kate tutto bene? - le chiese l’uomo preoccupato
- Io sono innamorata di mio marito Eric. Non ti permetto di insinuare il contrario.
- Hai esitato stasera, come quella sera. - precisò lui ignaro che lei non sapesse di cosa stava parlando
- Tu non sai come stanno le cose, non sai nulla di me e di Castle, non puoi giudicare
- Kate… - Lanie l’aveva vista correre via e l’aveva seguita preoccupata - sarà meglio che ce ne andiamo.
La prese sottobraccio consegnandole la sua borsa e chiamarono per farsi portare la loro auto.
- Sai vero che domani il tuo bacio con il miliardario potrebbe essere su tutte le riviste, vero? - Le disse Lanie seria. No Beckett non ci aveva pensato e si sentì cadere il mondo addosso.
- Io non l’ho baciato! Ha fatto tutto lui.
- Sì vallo a spiegare che avevi la testa sulla sua spalla e l’aria sognante… - Lanie la guardò malissimo e Kate si sentì ancora più in colpa ed imbarazzata.
- Quella canzone… Era la canzone del mio matrimonio. Io me lo sono ricordata mentre stavo ballando con Vaughn… Ecco perchè… 
- Tesoro è fantastico! - Lanie aveva subito cambiato atteggiamento ma Kate era sempre più mortificata
- No, non lo è! Cosa dico adesso a Castle?
- La verità, solo quello! 

Rientro al loft e si chiuse in camera. Era quasi mezzanotte.
Prese il telefono e guardò quella foto. Fece il solito numero che ormai conosceva alla perfezione.
- Castle… sono io… ti devo parlare… 

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Capitolo 51
*** CINQUANTUNO ***


Rick aveva finito presto quella sera. Il giorno dopo sarebbe partito per Los Angeles e dopo cena non aveva voluto partecipare a nessun evento. Price era ripartito appena finita la presentazione in un’altra libreria alla fine della quale in una conferenza stampa avevano annunciato l’uscita per il mese successivo del nuovo capitolo di Nikki Heat ed il rinnovo per altri tre libri, nonché il nuovo libro di Castle che sarebbe uscito nei prossimi mesi, qualcosa di particolare ed assolutamente diverso, come lo avevano descritto tutti e tre. Questa cosa suscitò molta curiosità tra i fan e i giornalisti e non mancò la domanda ovvia se era qualcosa che riguardava quanto era avvenuto in primavera. Castle non si sottrasse alla domanda, dicendo che in un certo senso sì, quello che era accaduto aveva influenzato la scelta di fare questo libro, che sarebbe stato forse solo il primo di questo genere, ma non volle dire altro.
Era nella sua stanza, voleva dormire presto, ma alla fine non ci riuscì. Tornato in camera aveva cominciato a scrivere almeno per un paio d’ore. Poi si forzò a smettere anche se avrebbe continuato tutta la notte. Doveva preparare i bagagli e riposarsi. Mentre riponeva i vestiti nel porta abiti sentì il suo cellulare squillare e la foto sul display non lasciava dubbi su chi fosse.

- Castle… sono io… ti devo parlare… 
- Kate! Stai bene… state bene? - Il tono di Castle preoccupato era solo un riflesso di quello tremante di Beckett 
- Sto bene Castle, sta bene anche la bambina. - provò a rassicurarlo senza molta fortuna
- Dalla voce non si direbbe. Che cosa è successo?
- Stasera alla festa… Volevo parlarti prima che lo potessi vedere sui giornali.
- Kate… - La voce di Rick divenne subito più aspra.
- Ho incontrato Eric Vaughn. Mi ha detto Lanie chi era. Mi ha chiesto di ballare con lui ed ho accettato.
- Non mi chiami per un ballo vero?
- No… Castle mi dispiace… Mentre ballavamo mi ha baciata ma credimi Rick ha fatto tutto lui. Poi Lanie mi ha detto che c’erano anche fotografi e che la cosa poteva finire sui giornali io… non volevo…. Credimi Rick.

Rick rimase in silenzio dall’altra parte del telefono. Sentiva il respiro accelerato di Kate ed avrebbe voluto dirle che non era niente, che avrebbero fatto un articolo su qualche rivista di quart’ordine e sarebbe finita lì. Non era così e lo sapeva. C’era Vaughn di mezzo e c’era lei sarebbe stata una notizia bomba. Ma questo, in realtà non gli interessava. Odiava quel tizio, da quando aveva già corteggiato Kate anni prima e tanta era la sua voglia di conoscerlo e la stima che provava per lui prima, tanto avrebbe voluto farlo sparire dalla faccia della terra dopo averlo visto vicino a Kate. 

Vaughn e i suoi modi affascinanti. 
Vaughn e le sue lusinghe. 
Vaughn e la sua capacità di sedurre. 
Vaughn, bello e attraente. 
Vaughn che era già riuscito a insinuare troppi dubbi a Kate, l’unico da quando stavano insieme, l’unico ad averla fatta dubitare del suo amore, delle sue intenzioni. 
Vaughn che arrivava, ancora una volta, quando lei era più fragile. 
Vaughn che sembrava aver intuito subito i suoi dubbi e che l’aveva capita, come nessuno dei suoi ex aveva mai saputo fare.
Vaughn che Castle avrebbe volentieri fatto sparire della faccia della terra.

- Ok, grazie per avermi avvisato. Almeno se vedo mia moglie che si bacia con un altro so che lei è rimasta ferma. - il suo sarcasmo colpì Kate oltremodo.
- Rick…
- Va tutto bene Kate. - era oltremodo freddo e distaccato e questo lei lo percepì subito facendola sprofondare nella paura.
- C’è stata una canzone. La canzone del nostro matrimonio. 
- Ti ricordi del nostro matrimonio? - lo disse come se non lo interessasse fino in fondo.
- Solo di quel ballo, quando ti dicevo che era tutto perfetto e di un altro ballo insieme, con la stessa musica.
- È vero Kate. Allora era tutto perfetto. - Fu stranamente grato che non si ricordasse del loro matrimonio. Non avrebbe potuto sopportare che si fosse lasciata baciare da un altro dopo essersi ricordata quel giorno. - Abbiamo ballato molte volte con quella canzone. 
- Vorrei farlo ancora. 
Rick avrebbe voluto risponderle che lo avrebbe voluto anche lui, e solo Dio sa quando avrebbe voluto. Ed il testo di quella canzone mai come adesso gli sembrava vero ed adatto a loro. Tutto era cambiato, tutto era destinato a cambiare ancora. Ma lei era dentro di lui, scorreva veramente dentro le sue vene ed era più potente di qualsiasi dolore che le provocava tutta questa situazione.
- Ti vorrei qui con me Castle. Vorrei dirti molte cose adesso.
- Parleremo quando tornerò. - Rick guardava fisso l’armadio vuoto davanti a se.
- Sei arrabbiato? 
- No, Beckett, dovrei esserlo? Non sono arrabbiato. Sono triste, sono deluso.
- Mi dispiace Castle.
- Credo che stavolta dispiaccia di più a me. Ci sentiamo domani quando arrivo a Los Angeles.
- Va bene. - La voce di Kate era appena un sussurro troppo lontano alle sue orecchie. - Ciao Rick.
- Ciao Kate.

Castle buttò il cellulare sul letto e tutto quello che rimaneva in giro per la stanza dentro la valigia senza curarsi troppo nè della forma nè della sostanza. Recuperò la chiave magnetica della suites ed uscì lasciando sbattere senza riguardo la porta alle sue spalle. Chiamò nervosamente l’ascensore e andò all’ultimo piano, dove c’era il roof bar. Erano pochi gli ospiti ancora ai tavoli. Si sedette su un divanetto con le spalle al panorama sulla città ed ordinò uno scotch e poi un altro ed un altro ancora. Beveva tutto d’un sorso ed ogni volta appoggiava il bicchiere sul tavolo con maggior forza. Andò avanti così, per un po’. Il liquido ambrato che scivolava nel suo stomaco lasciando una scia ardente dava sollievo solo per qualche istante alla sua anima inquieta. Era stato uno stupido a voler partire, era stato stupido a voler partire solo, era stato stupido a pensare che andasse tutto bene. Stupido ed illuso. Non andava niente bene e si era creato solo illusioni nella sua mente per andare avanti come se nulla fosse. 
Kate, la sua Kate, non si sarebbe mai lasciata baciare da un uomo. Lo sapeva, ne era certo, così come non lo aveva fatto allora, salvandogli involontariamente la vita ed arrivò a pensare che era un peccato che lo avesse fatto.
Gli ospiti erano sempre meno, una coppia di uomini d’affare fumava sigari e beveva un costoso Rum riserva, un gruppetto di ragazzi ridevano rumorosamente tra cocktail colorati ed una rossa con un abito succinto sorseggiava un martini, fissandolo. Lui le sorrise e lei lo prese come un tacito invito a raggiungerlo e lo fece, portandogli un altro drink.
- Hai bisogno di compagnia? - Gli disse porgendogli lo scotch e facendo entrare in contatto le loro mani per un tempo prolungato. Rick si portò il bicchiere alla bocca indugiando nel sorseggiarlo mentre guardava la donna in piedi vicino a lui. Appoggiò la schiena a divanetto dove era seduto mettendosi più comodo per osservarla meglio ma non riuscì nemmeno a focalizzare il suo aspetto, non era interessante. La invitò con uno sguardo e questa invece che sedersi vicino a lui, lo fece sulle sue gambe, prendendo il suo bicchiere dalle mani e bevve un sorso del suo drink. Si avvicinò poi alle sue labbra, baciandolo senza chiedere il permesso e passandole lo scotch direttamente dalla sua bocca. Rick rispose al baci avidamente mentre lei sbottonò un bottone della sua camicia passando una mano sul suo petto. Castle non si guardò intorno, ma lì nessuno si preoccupava di loro. Tornò sulle labbra della donna sconosciuta e la baciò con rabbia, come se ogni respiro che rubava a quel bacio fosse un modo per vendicarsi, come se lo potesse far sentire meglio. Ma quelle labbra erano finte, era finto quel bacio e quella passione. Quel profumo non era inebriante, era solo un buon profumo estremamente costoso. Quel volto che teneva con forza tra le mani, strusciando i pollici sugli zigomi troppo gonfi per essere naturali, non era quello che aveva bisogno di sentire, e la mano sul petto che lo accarezzava era solo un supplizio, il sale su una ferita. Voleva fare del male a Kate con quel bacio e forse con qualcosa in più, voleva vendicarsi
, come quando aveva scoperto che lei ricordava che gli aveva confessato il suo amore ed aveva finto di dimenticarselo, come quando aveva rifiutato il suo invito ed aveva subito chiamato Gina, come ogni volta che si sentiva ferito da lei che non capiva il suo amore e si era buttato tra le braccia di un’altra donna per provare a dimenticare quanto il suo cuore urlasse il suo nome. Non aveva funzionato allora, non funzionava nemmeno in quel caso.  Si fece ancora più del male da solo. La spostò pesantemente da sopra di se. Finì il bicchiere di scotch e lasciò sul tavolo alcuni pezzi da 100 dollari. 
- Per i drink - disse alla sconosciuta, sapendo che era ben oltre quello che aveva speso. Lei lo guardò attonita ma lui era sicuro che non era la terza vittima di quella sera, ma era solo dispiaciuta per essersi lasciata scappare quella che le sembrava una facile preda.

Aprì il frigobar della suite e prese la prima bottiglia di alcolici che aveva trovato. Era vodka. Ne bevve un sorso direttamente dalla bottiglia. Non riusciva nemmeno a pensare di fare del male a Kate senza stare male a sua volta, nemmeno farle male nella sua mente, punirla per qualcosa che gli aveva fatto era solo una doppia punizione per se stesso. Bevve ancora ed ancora fino ad addormentarsi stordito sul divano.

I colpi alla porta erano come un martello che insistentemente piantava chiodi nella sua testa. Si svegliò con la bocca che sapeva di vodka, un gran mal di schiena ed i vestiti e l’umore della sera prima ancora addosso. Andò ad aprire la porta barcollando, con gli occhi ancora carichi di sonno e l’alcool non ancora del tutto smaltito.
- Castle ma cosa stai facendo! Dobbiamo andare in aeroporto, abbiamo il volo tra due ore! - Andrew entrò furioso.
- Spostalo al successivo - Disse Rick senza curarsi della furia del suo agente che era entrato e lo guardava allibito mentre si sedeva di nuovo portandosi un braccio sopra gli occhi per eliminare la luce che gli dava fastidio.
- Castle ma cosa cazzo stai facendo? 
- Mi sto svegliando.
- Ti ho detto che dobbiamo andare in aeroporto!
- Ed io ti ho detto di spostare il volo. Vado a farmi una doccia. - gli ringhiò contro Rick
- Ma Castle…
Rick non lo fece finire di parlare era già in camera da letto e si chiuse la porta del bagno alle spalle con un sonoro tonfo. Andrew rimasto solo sul divano del living della suite osservò la bottiglia di vodka quasi finita e in un gesto di stizza fece volare via dal tavolo il portaoggetti posto al centro. Richard Castle era un cliente più complicato di quanto pensasse.
Sotto la doccia Rick voleva lavarsi via la delusione per quanto detto da Kate e per quanto fatto da se stesso. Era riuscito a passare dal sentirsi vittima a sentirsi colpevole e la cosa lo faceva stare malissimo. Non era la prima volta che lo faceva, deluso ed arrabbiato con Kate cercava conforto in altre più facili braccia, ma allora era diverso, non erano sposati e non stavano nemmeno insieme. Eh sì, non aveva fatto niente con quella rossa ieri sera, però ci aveva pensato e questo gli bastava per sentirsi uno schifo. Aveva veramente pensato di tradire sua moglie, di tradire Kate? Sì, lo aveva fatto, ma si giustificava dicendosi che quella che lui avrebbe tradito non era sua moglie, perché sua moglie non c’era più. Era questo il pensiero che continuava a tormentarlo, sempre più. Perché sua moglie, la sua Kate, non si sarebbe fatta baciare da Vaughn. Non lo avrebbe mai fatto. 
I vetri della doccia erano appannati come la sua mente, come la sua percezione della realtà.
Se chiudeva gli occhi si vedeva felice, con Kate sul divano ad accarezzare la sua pancia che cresceva e poi con la loro bambina sdraiata sul letto tra loro, con le loro mani incrociate sopra di lei. Era un quadro perfetto. Avrebbe anche potuto essere così, avrebbe potuto funzionare, bastava fare finta di nulla. Ma non ci riusciva, non ci riusciva più. Ma il problema era che non riusciva nemmeno a pensare ad altro. Una vita a fingere che tutto andasse bene lo faceva soffocare. Una vita senza di lei lo faceva morire.
Avrebbe dovuto chiamare Jenkins e farsi cancellare ancora la memoria. Sarebbe stato forse tutto più semplice, ripartire anche lui da zero, come lei. Non ci sarebbe più stato nulla di prima, ci sarebbero stati solo loro, adesso. Sarebbe stato tutto più facile, sarebbero stati più felici. Non sarebbero stati loro. Diede un pugno al muro del bagno e benedì mentalmente il fatto di non aver preso il vetro. Uscì, si mise un accappatoio e si asciugò velocemente i capelli. 
- Ho spostato il volo di due ore - Gli disse Andrew decisamente più calmo rispetto a prima - Ho spostato anche l’incontro con lo sceneggiatore che deve farci leggere il pilot per la serie di Nikki Heat.
- Bene, dammi 10 minuti e sono pronto. - Castle si vestì. In altre occasioni sarebbe stato super eccitato di una serie tv su Nikki e Rook. Quel giorno no.

Il volo da Boston a Los Angeles sarebbe stato piuttosto lungo e Castle pensò che se fosse riuscito a dormire almeno si sarebbe ripreso un po’. Ma i suoi pensieri erano troppi per riposarsi. Rimase a guardare a lungo le nuvole che scorrevano sotto di loro e quelle che attraversavano. Si stava allontanando sempre di più dal posto dove avrebbe dovuto essere, dalla persona con cui avrebbe voluto essere ed aveva paura che questo allontanamento non fosse solo fisico. Sperava che quei giorni di lontananza dopo le discussioni dei giorni precedenti alla sua partenza gli sarebbero serviti per scacciare dalla mente quel pensiero che invece diventava sempre più presente nella sua mente. Non gli mancava solo che Kate gli dicesse che lo amasse, gli mancava sua moglie e gli mancava allo stesso modo di quanto l’aveva vicina, capiva solo ora quanto quella mancanza era dentro di se una presenza costante che stare vicino a Kate attenuava solamente, serviva a distrarlo, a farlo concentrare su di lei, nella speranza che riuscisse a ricordare. Quando parlavano al telefono alcune volte aveva la sensazione di parlare ad un estranea, eppure sentire la sua voce gli faceva sempre sussultare il cuore e gli mancava tenerla tra le braccia, respirare il suo profumo, assaggiare le sue labbra. Gli mancava tutto di lei. Eppure sapeva che non era solo questo quello che gli mancava di più.
Nei silenzi e negli imbarazzi al telefono aveva capito quanto Kate fosse diversa dalla sua Kate. Loro non sarebbero mai rimasti un giorno senza parlarsi o senza sentirsi, lo avrebbero fatto solo se costretti dagli eventi ed avrebbero passato le ore al telefono, in videochat fino a scaricare la batteria del loro telefono e non ci sarebbe stato nessun silenzio imbarazzante, sarebbe stato riempito con una frase d’amore.
- Sei sempre così Rick? - Andrew interruppe il suo flusso di pensieri e Castle pensò che fosse un bene. Lo stavano portando dove non voleva andare.
- Uhm?
- Lunatico, umorale, capriccioso…
- No, è un trattamento che riservo ai miei agenti la prima volta che andiamo in promozione insieme, uno stress test. - Disse lui sorridendo forse per la prima volta da quando si era svegliato.
- Lo sto superando? - Chiese Andrew
- Direi di sì. Grazie e scusami. Non è un periodo molto facile.
- È per tua moglie, vero? È comprensibile…
- Già. Solo che le cose invece che migliorare sembra si stiano complicando.
- Purtroppo per questa cosa non posso proprio aiutarti. Sei intenzionato comunque a portare avanti il progetto del tuo nuovo libro?
- È già finito. Ho mandato a Linda l’ultima parte, doveva solo revisionarla. Mi farà avere le bozze con le sue correzioni e annotazioni al mio ritorno per avere l’ok definitivo.
- Sei stato velocissimo, Castle!
- Già… Ero ispirato.
- Il nuovo Nikki Heat invece? 
- High Heat? 
- No, dico per il successivo, hai già qualche idea?
- Sì, qualcosa… Ma non quello che credi tu. Tutta questa storia starà fuori da Nikki Heat.
- E se tua moglie rimarrà fuori dal distretto pensi che continuerai a scrivere di Heat?
- In tutti questi anni ho accumulato abbastanza materiale da poter fare una saga più lunga di quella di Guin se solo avessi tanto tempo per scriverli. 
- Beh Castle, sarebbe un’ottima fonte di guadagno, senza dubbio! - Rise Andrew mentre un’hostess veniva a portargli il pranzo e ad interrompere la loro conversazione.

Gli studi dell’emittente televisiva erano poco distanti dal loro hotel.
Alla riunione non c’era solo Williams, lo sceneggiatore del pilot, ma anche Guzman uno dei produttori.
Era da molto che corteggiavano Castle per i diritti per fare una serie tv su Nikki Heat, ma lui aveva sempre preso tempo dopo le disavventure con il film. Erano tutti convinti che una serie tv sarebbe stato diverso, avrebbero sicuramente catturato un grande pubblico, le sue storie avevano tutto: romanticismo, azione, avventura, indagini. Erano perfette, dovevano solo adattarle. Castle era più che perplesso. Non volevano che rovinassero la sua “creatura” ed era già rimasto scottato con il film. Adesso poi sentiva di essersi legato a quella saga ancora di più, per tutto quello che aveva rappresentato per lui. 
Rimase entusiasta, invece, dopo aver letto il lavoro di Williams, soprattutto per come aveva saputo cogliere l’essenza dei suoi personaggi, di Nikki soprattutto, di Kate. La sceneggiatura non era molto dettagliata, ma da come Derek Williams gli spiegava la sua visione di Heat e Rook, aveva subito intuito come lui fosse entrato in perfetta connessione con i suoi personaggi e con il modo di vederli. Gli spiegò, non senza qualche imbarazzo delle sue ricerche che aveva fatto anche su di lui e su Beckett, perché se Nikki è ispirata a lei, non c’era nulla di meglio che conoscere lei per capirla fino in fondo. 
- Che ne pensi Rick? - Chiese Andrew dopo che i due avevano parlato per svariate ore
- Che Nikki e Rook sono in buone mani. 

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Capitolo 52
*** CINQUANTADUE ***


- Ciao Rick.
- Ciao Kate.

Castle attaccò il telefono e Kate rimase a fissare lo schermo con la sua immagine che spariva mentre la comunicazione si interrompeva. Non era andata male, era andata peggio.
Pensava di dover gestire la sua rabbia, non sapeva come gestire la sua delusione. Aveva voluto essere sincera con lui, pensava che lo avrebbe apprezzato, che avesse capito che se ci fosse stato qualcosa di male di certo non glielo avrebbe detto. Invece la sua delusione era oltre che nelle parole nel tono della sua voce, affranta, sfiduciata.
Avrebbe voluto potergli dire di più, avrebbe voluto che fosse lì, per accompagnare le parole dal suo sguardo e dai suoi gesti, per fargli capire quanto lui adesso fosse importante per lei e che proprio nella sua assenza lo aveva capito. 
In quei giorni aveva vissuto una vita normale, facendo le stesse cose che ricordava di aver sempre fatto, ma senza di lui era tutto diverso e proprio per questo aveva capito quanto era importante. Poteva superare le sue paure da sola, poteva vivere la sua vita da sola, tornare a lavoro, andare alle feste, conoscere un uomo ballarci e volendo anche qualche cosa in più, forse anche divertirsi e probabilmente avrebbe anche potuto gestire sua figlia da sola. Ma non lo voleva fare. Non era più bisogno di lui perché non sapeva cosa fare, non era più l’unica vita che conosceva quella in cui lui si prendeva cura di lei per ogni cosa che era sempre con lei per tutto. Era l’unica vita che era sicura di volere, perché dopo quella sera, dopo quel ballo aveva capito che non c’erano altre braccia che voleva che la stringessero che non fossero quelle di Castle. Dopo il tocco di quelle labbra estranee aveva capito che le uniche che voleva sulle sue erano quelle di Castle. L’unica spalla su cui voleva poggiare la sua testa era quella di Castle, l’unica che sembrava essere fatta apposta per lei, perfetta per incastrare il proprio volto e respirare l’unico profumo che inebriava la sua mente.
Avrebbe voluto dirgli tutto questo. Fargli capire quanto per lei, ancora di più adesso, lui era l’unico che voleva al suo fianco, ma non glielo aveva mai detto. Lo aveva sempre tenuto nel limbo in cui era anche lei stessa per non cedere ai suoi sentimenti. Voleva dirgli che lui era di più di qualsiasi cosa lei gli avesse detto fino ad ora. 
Pensò di richiamarlo, guardò a lungo il nome sulla rubrica sfiorandolo. Non sarebbe stata capace a dirgli quello che aveva dentro e non avrebbe sopportato un’altra telefonata di silenzi e nemmeno la sua voce distante, non sarebbe stata capace di alleviare la sua delusione e la sua tristezza, non avrebbe saputo come fare.
Si rese conto che erano tante le cose che non sapeva di lui, troppe forse. Quando sarebbe tornato avrebbe dovuto passare più tempo a parlare con lui, a chiedergli di lui. Avevano parlato sempre quasi solo di lei, di come era lei, di quello che faceva lei, di come era diventata lei. Lo aveva conosciuto di più dalle parole di Martha che dalle sue stesse. Lei invece adesso sentiva il bisogno di sapere tutto di lui, non solo le cose che poteva vedere ogni giorno e che aveva imparato a conoscere. Voleva scoprire le sue paure, le cose che lo rendevano felice, cosa lo preoccupava, come superava i suoi momenti difficili, quali erano i suoi ricordi più belli e quelli peggiori. Voleva conoscere la sua anima oltre quello che lui le aveva mostrato, oltre quello che era Richard Castle con lei. Avevano parlato tanto, tantissimo, ma mai di lui. Di tutto ma non di Rick. Lui aveva avuto qualche momento di cedimento, ma per il resto era sempre stato solo l’uomo perfetto al suo fianco, capace di soddisfare ogni suo desiderio. Lei, invece, ora sentiva la necessità di conoscere quello che c’era dietro, quando spegneva la luce e non riusciva a dormire e lei lo sapeva, ma lui le rispondeva sempre che andava tutto bene, ma non era vero.

“Mi sono resa conto che lui sapeva tutto di me, i miei segreti più profondi, il mio dolore più grande, abbastanza da poter riempire un milione di romanzi, ma con quello che sapevo io di lui non avrei riempito un opuscolo”

Il ricordo delle parole di Meredith tornò vivo in lei e si sentiva proprio così: di lui non sapeva nulla e questo non fece che aumentare il suo bisogno si sapere, la sua voglia di conoscerlo. Aspettava, adesso, il suo ritorno con ancor più impazienza, perché voleva cominciare quella nuova fase della sua vita con lui, perchè non voleva più trovarsi nella situazione di non sapere cosa dirgli.
Si buttò sul letto con le mani a coprirsi gli occhi, come se non vedere nulla potesse aiutarla a vedersi dentro. Malgrado tutto continuava a ritenere l’opzione di far finta di niente ed andare avanti da ora in poi come l’unica percorribile per non autodistruggersi. Doveva proteggersi, doveva proteggere sua figlia. Non poteva permettersi altri attacchi di panico, non voleva più sentire quel senso di soffocamento bloccargli lo stomaco e i polmoni. Poteva ricostruire una nuova vita con Castle, potevano farlo. Sentì la sua bimba muoversi in maniera più definita. Chissà se anche lei stava approvando la sua decisione.
Avrebbe voluto parlargli anche di quello, condividere con lui quei momenti, questo lo sapeva, lo avrebbe fatto immensamente felice. Come anche altre cose…

Aprì il comodino cercò nella sua scatola il sacchettino che le aveva dato Rick. Fece scivolare i due anelli nella sua mano e prese la sua fede e ripose quella di Castle. La guardò, fece correre il dito sul contorno esterno ed interno. Sentì un'incisione la guardò da vicino. Always. La strinse nel suo pugno, rabbiosamente, ed avvicinò la mano al suo petto. Quanto pesava quel sempre? Quanto era realmente importante? Sarebbe stato in grado di sconfiggere anche l’oblio resistere alle quella strana beffa del destino? Sempre era una promessa ma per quante volte lo ripeteva Castle era convinta, assolutamente convinta che per loro fosse molto di più. Era parte di loro e quel “Always” le sembrava un lasso di tempo ragionevolmente lungo per pensare a un impegno preciso e l’intenzione di portarlo avanti, malgrado tutto. Ci avrebbe provato, si sarebbe impegnata a farlo.
Aprì la mano e la guardò ancora. Sottile, lucente, semplice e perfetta. Non aveva mai pensato di comprare una fede, ma se lo avesse dovuto fare l'avrebbe voluta proprio così. Se la mise con un gesto che la fece rabbrividire. Guardò la sua mano ed era così diversa con quel cerchietto all'anulare: le sembrò più bella, le sembrò più giusta. Chiuse gli occhi e immaginò la sensazione delle mani di Castle che tenevano la sua e lentamente le facevano scivolare l'anello al dito e si chiedeva chissà quali parole aveva usato per i loro voti. È chissà cosa gli aveva detto lei. Provò un senso di vuoto nel toglierla, ma sapeva che non era il momento nè il modo. Sapeva che non era la cosa giusta da fare, adesso, presa dalle emozioni di quel giorno. Sarebbe stato un gesto di pancia ed invece quella doveva essere una cosa estremamente ragionata, perché sarebbe stato un’impegno per tutti e due, di nuovo. Un impegno importante che non si può prendere da soli, in una notte dove la sua mancanza era insistente e bussava alla sua mente ed al suo cuore in ogni forma. 
Le era chiaro, adesso, che lo voleva, perché in quei giorni aveva sentito la necessità di rivendicarlo come suo marito, con Eric come avrebbe voluto farlo con quelle della sua chat. Era sua moglie, lui era suo marito, non l’aveva lasciata e lei non voleva lasciare lui nè lo avrebbe fatto. E se un anello era così importante per tutti, era importante anche per lei. Perché non voleva più che ci fossero fraintendimenti, non voleva che nessuno si sentisse in diritto di mettere in dubbio la cosa, aveva provato un enorme fastidio ed il pensiero che nei prossimi giorni qualcun altra potesse provarci con lui per questo la faceva innervosire. Era gelosa, sì lo era. Era innamorata e gelosa. Non era un reato, in fondo, pensava. Lui era suo marito. Lo era.
Sarebbe stato bello ed emozionante dirglielo. Lo aveva aspettato per tanto tempo, ogni tanto le lanciava qualche battuta o prendeva la sua mano e le accarezzava il dito proprio lì, dove c’era quel vuoto per lui così significativo, in un gesto che poteva sembrare involontario ma che si era ripetuto troppe volte perché lo fosse. In lei ogni volta sopraggiungeva quel senso di inadeguatezza alla situazione misto a paura che le impediva anche di parlarne, preferiva che l’argomento non fosse proprio toccato e, quando lui lo faceva, lasciava cadere il discorso. Sarebbe stato come cosa, una sorta di richiesta di fidanzamento? Doveva essere lei a preparasi un discorso? “Castle, vuoi continuare ad essere mio marito?” non suonava proprio benissimo, ma il senso indubbiamente era quello. Avrebbe dovuto dire qualcosa in più, motivare la sua decisione? Oppure semplicemente dargli la sua fede e fargli capire che potevano ricominciare. Pensò che magari sarebbe stato bello se si fosse fatta trovare da lui con l’anello al dito e la sua ad attenderlo sul comodino. 
Non era da lei fare queste cose, ne avrebbero parlato, insieme, lei avrebbe provato a spiegargli quello che aveva capito in questi giorni e avrebbe sentito cosa ne pensava lui, poi eventualmente avrebbero deciso insieme cosa fare. Sì, le sembrava la situazione migliore, la meno romantica di certo, quella più lontana da ciò che avrebbe fatto lui probabilmente, ma la più sensata.


- Bene Kate, questo è suo. Ne ho giù inviato una copia anche al distretto. - Burke le diede il certificato che attestava che poteva riprendere servizio. Fu quasi commossa nell’avere tra le mani quel pezzo di carta. Era un passo in più verso quella normalità che adesso cercava disperatamente. - È felice Kate?
- Sì, molto. Sono felice ma anche preoccupato ed un po’ impaurita.
- È normale. Se non avessi saputo che questo le causava anche paura e preoccupazione, non le avrei mai firmato quel foglio. - Le sorrise benevolo e Kate ricambiò il sorriso. Si spostarono dalla scrivania agli abituali divani. Kate trovò il bicchiere con l’acqua suo fedele compagno per scaricare la tensione.
 - Ha riflettuto su quello che ci siamo detti l’altra volta? - Le chiese il dottore.
- Sì, credo di sì. - Rispose Kate decisa dopo aver bevuto un sorso d’acqua.
- E questo ha portato a qualche cosa?
-Sì. Ho preso una decisione. - Burke la guardò interessato, non credeva che Kate riuscisse ad uscire dal suo guscio protettivo così velocemente. - Ho deciso che non mi interessa ricordare nulla di più del mio passato.
Il dottore si tolse gli occhiali e la guardò adesso preoccupato.
- Perché? - Le chiese semplicemente e non era una domanda retorica, di quelle che le poneva spesso per farle tirare fuori sentimenti che già conosceva. Non la riusciva veramente a capire e voleva comprendere come era arrivata a quella decisione di negazione e rimozione che per lui andava contro tutti quei progressi che sembrava aver fatto.
- Voglio ricominciare a vivere. A guardare oltre. Non voglio più chiedermi cosa sono stata, ma quello che sarò.
- Questo è positivo, certamente. Ma guardare al futuro non vuol necessariamente dire rinunciare al passato.
- Tutto quello che ricordo del mio passato mi fa solo male. 
- E Castle? Lui c’è nella sua idea di futuro?
- Certo che c’è! - La sua risposta fu piccata e decisa e procurò un sorriso pronunciato al dottore
- Quindi vuol dire che ha capito cosa è che la lega a lui - chiese con un pizzico di malizia
- Sono innamorata di Castle. Non so se lo ero prima, cosa c’era tra noi, so che lo amo, ora.
- Come la fa sentire questa cosa? La spaventa come diceva l’altra volta? La fa sentire meno forte?
- No. Perché in questi giorni da sola ho capito che sono forte e che posso farcela, anche a superare le mie crisi, da sola. Però voglio farlo con lui, perché stare con lui mi fa stare meglio, mi fa stare bene. Avevo paura che il mio fosse solo bisogno ma non è così.
- Questo si lega in qualche modo con la sua decisione di non voler più ricordare il suo passato?
- Non voglio che se tra noi c’erano delle ombre, dei problemi, delle difficoltà, queste rovinino quello che provo adesso per lui.
- Se è un sentimento così forte, non lo rovinerà.
- Non so cosa mi sono lasciata alle spalle. Potrebbero essere degli ostacoli che non so superare, delle cose troppo grandi che non ci permetterebbero di proseguire insieme. Io non voglio perderlo adesso.
- Kate, lei parla degli ostacoli insormontabili che pensa di trovare sul suo cammino, ma da dove è ora, ferma, non ne ha visto nemmeno uno di questi ostacoli. Magari quello che a lei sembrava un precipizio in realtà è solo una buca che può superare allungando il passo, ma se non si avvicina per controllare non lo scoprirà mai e sarà sempre bloccata dalla paura di quello che può trovare, senza sapere se è veramente così spaventoso. Le cose più spaventose sono quelle che non affrontiamo, perchè rimarranno sempre nella nostra mente come ostacoli insormontabili. Castle come ha preso la cosa?
- Non gliel’ho detto.
- Cosa? Che lo ama o che non vuole ricordare?
- Nessuna delle due. Lui non c’è.
- E non ha pensato che magari lui potrebbe non essere felice della sua decisione? In fondo coinvolge anche lui, sono gli anni che avete vissuto insieme che non ci sono più, quelli che vi hanno portato a questo punto, a formare una famiglia.
No, Kate a questo non aveva pensato. Aveva dato per scontato che Castle la potesse capire, la amasse come le aveva ripetuto molte volte, e che questo sarebbe bastato, quando gli avrebbe detto che lo amava anche lei, per andare avanti insieme.
- Io non sono pronta. Non sono pronta ad accettare quella che ero, a cambiare tutto di nuovo, non adesso che ho capito cosa voglio, chi voglio, che ho ammesso i miei sentimenti per Castle. Se dovessi scoprire che non è così, che ci eravamo fatti cose che non riuscirei a perdonargli, ricordare cose che lui non mi perdonerebbe.
- E se l’unica cosa che non le perdonerebbe fosse non accettare quello che era? Il cambiamento non è una cosa semplice ed indolore. Non la illudo. Il cambiamento è un conflitto con se stessi per staccarsi da una zona di comfort nel quale ci siamo rifugiati. Potrebbe arrivare un momento in cui non sarà più lei a decidere se cambiare la sua decisione o no, che ci sarà qualcuno che cambierà le carte in tavola ed allora sarà costretta a cambiare. E sarà più doloroso e traumatico, perché non sarà più una scelta e dovrà farlo in modo repentino, accettando anche di pagare le conseguenze ed un conto salato.
- Quindi lei mi sta dicendo che qualunque cosa io scelga di fare dovrò per forza soffrire. Non posso vivere serenamente la mia vita. - Kate era più arrabbiata che amareggiata nel dire questo, con il dottor Burke, con la sua situazione, con il destino.
- Non sto dicendo questo. Ma che se lascia delle situazioni irrisolte dietro di se, perché pensa che sia la cosa più semplice da fare, queste prima o poi torneranno e le presenteranno il conto. Sofocle diceva dolore più difficile da sopportare è quello che fa riconoscere noi stessi come la causa dei nostri mali. La sua, Kate, è una scelta molto difficile, non solo da fare, ma anche da portare avanti e deve essere consapevole che non riguarda solo lei, ma tante altre persone, tutte quelle persone che sono orbitate nella sua vita in questi anni e che poi ne potrebbe soffrire, sapendo che è stata lei a causarselo.
- È sbagliato pensare prima a se stessi e poi agli altri? Voler stare bene?
- No, non è sbagliato Kate. Però ogni decisione ha delle conseguenze, deve solo saperlo.

 

Andò via dallo studio di Burke con l’animo più inquieto di quando fosse arrivata, come sempre. L’idea che Castle non potesse accettare la sua decisione era una cosa che non aveva per niente messo in conto ed ora la stava tormentando. Però lui glielo aveva detto, l’amava, l’avrebbe fatto sempre. Always. Doveva essere così. Gli avrebbe detto che anche lei, finalmente aveva capito che lo amava. Si amavano, quindi. Ora le era chiaro. Avrebbero avuto una bambina, sarebbero stati una famiglia. Sarebbero stati felici. Dovevano esserlo. Camminò un po’ prima di prendere un taxi per tornare al loft ancora troppo vuoto senza di lui.
Notò una busta bianca sul bancone della cucina indirizzata a lei. Il suo nome e l’indirizzo erano scritti con una calligrafia elegante e precisa, maschile, pensò, ma non era quella di Castle.
Dentro c’era un foglio di una carta pregiata, con un monogramma filigranato. EV. La stessa calligrafia aveva vergato le poche righe presenti sul foglio

Mi dispiace per il fraintendimento, Signora Castle. Non è mia intenzione creare problemi a lei e a suo marito ed essere la causa della fine della sua promettente carriera politica per uno scandalo di così poco conto. Sono i dispositivi originali, mi sono assicurato che non ci fossero altre copie in circolazione.
Eric Vaughn

Dalla busta uscirono anche 3 memory card. Prese il suo computer e ne inserì una per esaminare il contenuto. Erano tutte le foto della festa della sera prima, tra le quali c’erano anche le loro, del ballo e del bacio. Lo stesso contenuto, con angolature diverse anche nelle altre due. Ringraziò mentalmente Vaughn per quel gesto, avrebbe almeno evitato l’umiliazione pubblica sua e di Castle. Però niente cambiava il giudizio impietoso che si era data di se stessa nè la delusione provocata a suo marito e rivedersi aveva solo amplificato quella sensazione così sconveniente.

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Capitolo 53
*** CINQUANTATRE ***


Nell’ufficio della Gates Kate stava attendendo che la donna leggesse scrupolosamente il resoconto di Burke. Non che non si fidasse di Beckett, ma voleva capire esattamente come comportarsi con lei e trarre maggiori spunti possibili dalla relazione del dottore.
- Bene, Capitano Beckett. Questo direi che è suo. 
La Gates le porse il suo distintivo. Non era quello che si aspettava, ovviamente. Non era il suo distintivo da detective, era quello da Capitano. Passò le mani sulla scritta, le sembrava così strano. Sorrise ad averlo tra le mani.
- Mi raccomando Kate - Le disse la Gates chiamandola per la prima volta per nome - niente mosse avventate. 
- Stia tranquilla Signore. Ma la mia pistola?
- Lo sa come è il regolamento, è stata fuori tanti mesi, deve riqualificarsi. Faccia un giro al poligono, poi torni da me.
- Va bene Signore.
Kate uscì cercando di contenere la felicità per aver riacquisito un pezzo di normalità. Esposito e Ryan le andarono subito incontro 
- Allora? - Chiesero all’unisono e Kate gli mostrò fiera il distintivo accompagnando il gesto della mano con un ampio sorriso che le illuminava il volto. I due detective l’abbracciarono affettuosamente, tenendola entrambi tra le loro braccia insieme. Era il loro modo per dimostrarle il loro affetto e per farle capire che loro sarebbero stati lì per lei e con lei, che l’avrebbero sempre protetta, come avevano sempre cercato di fare: Kate Beckett non era solo il loro Capitano, era la loro amica, una sorella per entrambi.
Riottenere la sua pistola fu solo una formalità. Lo sguardo della Gates mente gliela consegnava diceva tutto senza bisogno di alcuna parola, c’era la fiducia e la felicità di aver visto rimettersi in piedi una collega, perché Beckett di fatto questo era, ma prima ancora una persona che se non poteva considerare amica in senso stretto del termine, perché i loro ruoli non lo avevano mai permesso, di sicuro una persona a cui era molto affezionata, che stimava profondamente e che aveva avuto veramente paura che non ce l’avrebbe fatta questa volta. Ma Kate Beckett ancora una volta aveva sorpreso tutti e si era dimostrata più forte del destino, delle lacune e di se stessa: era ancora una volta lì, nel suo distretto e tra pochi mesi sarebbe tornata anche al suo posto e Victoria Gates glielo avrebbe lasciato di nuovo con molta gioia. Nella Gates, però, c’era anche un senso di preoccupazione, la stessa che le aveva esternato poche ore prima quando le aveva dato il distintivo chiamandola per nome, con un fare molto più amichevole e colloquiale che le era venuto spontaneo nel raccomandarsi di stare attenta. Conosceva la sua impulsività ma anche la sua voglia di giustizia, il suo senso del dovere e la sua dedizione al lavoro e alla sua squadra e tanto ammirava queste qualità quanto la preoccupavano che potesse mettersi nei guai, perché in tutti quegli anni lo aveva capito, Beckett lontana dai guai non sapeva proprio starci e se non erano loro a cercare lei, era lei a cercare loro. Il giorno prima aveva parlato anche con Ryan ed Esposito, la sua squadra, gli unici che potevano contenere in qualche modo Beckett. “Perché non voglio troppo Castle tra i piedi a preoccuparsi” disse loro come giustificazione al fatto di tenere un’occhio di riguardo in più su Kate. In realtà era esclusivamente perché voleva che lei fosse al sicuro ben sapendo quanto era difficile per una donna incinta coniugare il loro lavoro con il proprio stato senza sentirsi in colpa per trascurare una delle due cose ma lo aveva detto anche a Beckett “La tua sicurezza e quella del tuo bambino vengono prima di ogni altra cosa, non te lo dimenticare mai”. 

Ryan le portò per pranzo del cibo cinese. Kate mangiò seduta sopra scrivania da dove fissava la lavagna: lì i due detective avevano ricostruito il caso dell’omicidio della collezionista di fumetti. Aveva esaminato le foto della scena del crimine e quelle del cadavere, aveva letto i verbali di tutti gli interrogatori fatti nei giorni precedenti dai due detective e quando era stata lì aveva anche ascoltato le loro ricostruzioni. Tutto lasciava pensare ad un furto nell’ambito dei collezionisti, almeno questo era quello che pensavano Kevin e Javier, perché dalla sua collezione mancavano alcuni pezzi molto costosi, però a lei questa ricostruzione non convinceva. 
Mangiava osservando attentamente, cercando qualche particolare che le sfuggiva: non aveva potuto esaminare in prima persona la scena del crimine, quindi cercare di estrapolare indizi solo da foto scattate da altri non era il massimo. 
- Cosa non ti convince Beckett? - Ora che era tornata operativa si sentivano anche loro liberi di chiedere il suo parere. Lei, dal canto suo, non voleva prevaricare il loro lavoro, però veramente c’era più di qualcosa in quel caso che non le sembrava corretto.
- Javi perché se era uno del suo ambiente, ha preso solo tre copie e soprattutto perché uno di quei fumetti lo ha strappato? Un collezionista non strapperebbe mai un cimelio, soprattutto se il proprietario è morto, magari lo avrebbe preso. Perché non prenderne di più e perché lasciare questo - indicò un fumetto che a mala pena si intravedeva tra gli altri - Non è famoso come altre serie, ma il suo valore è di gran lunga superiore a quelli mancanti. Un collezionista l’avrebbe saputo.
- Cosa vuoi dire Beckett?
- Non è un collezionista, è qualcosa di diverso. Poi guarda il cadavere - indicò un’altra foto - è stato quasi adagiato a terra, come se chi lo avesse ucciso provasse del rimorso o un sentimento, un ladro non perde tempo a fare queste cose. E il fumetto è stato senza dubbio strappato dopo che lei è stata uccisa, altrimenti non avremmo ritrovato i fogli così - indicò una terza foto.
- Hai un’idea?
- Qualcuno non amava la sua mania per il collezionismo, qualcuno che si sentiva messo in disparte, magari in secondo piano rispetto ai suoi fumetti e l’ha uccisa in un raptus di gelosia, si spiega lo strangolamento frontale e non alle spalle, come ha adagiato il cadavere, poi si è scagliato contro l’oggetto della sua gelosia, distruggendo il primo fumetto che aveva trovato in giro, magari quello che lei stava riponendo con cura con gli altri ed infine ha simulato un furto prendendo alcune copie a caso.
Esposito e Ryan si guardarono. 
- Andiamo a prendere il fidanzato, ci abbiamo già parlato, ma così lo puoi interrogare. - Kevin mentre lo diceva già aveva preso la pistola dal cassetto imitato da Javier. L’intuizione di Kate era sensata.

Clive Russel era nella sala interrogatori. Kate mentre aspettava che i due tornassero con il sospettato aveva già riletto tutto il fascicolo un paio di volte per essere sicura di aver memorizzato ogni aspetto di quel caso e non lasciarsi sfuggire nulla.
Kate si avvicinò alla porta della sala interrogatori, fuori c’erano sia i due detective che il capitano Gates che la guardò mentre teneva salda la maniglia per entrare e le fece un cenno d’intesa. Esposito stava per entrare con lei, ma il Capitano con un eloquente gesto lo fermò, lasciando andare Beckett da sola.
- Ma Capitano, Beckett non ha seguito il caso dall’inizio! - Protestò l’ispanico che voleva essere vicino alla sua amica in quel momento, per esserle d’aiuto se qualcosa fosse andata storta ma la Gates fu irremovibile mentre la osservava sedersi con la sua solita decisione, appoggiare il fascicolo davanti a se e guardare fisso negli occhi il sospettato, senza mai staccare il contatto visivo con lui per metterlo a disagio il più possibile.
- Ha bisogno di ritrovare il suo ruolo da sola. Di dimostrare a se stessa che non le serve la balia. - Sentenziò la Gates osservando compiaciuta ogni movimento di Kate, constatando che era, almeno a lavoro, sempre la stessa che conosceva.
Fu decisa, irremovibile, dura, come sempre. Aveva sbattuto in faccia all’uomo le foto e la sua ricostruzione della storia, urlando e scandendo bene ogni terribile parola dell’autopsia per farlo crollare e alla fine riuscì a farlo confessare tra le lacrime.
Uscì da lì più stanca di quanto pensasse ma decisamente soddisfatta. Ci pensarono gli agenti a prenderlo e portalo via in custodia. 
- Bel lavoro Capitano Beckett. - Si complimentò la Gates che non perdeva occasione per ricordarle il suo grado perché la vedeva che ancora non aveva preso coscienza di quello che in realtà era.
- Grazie Signore. - Le rispose veramente felice.
- Di là ci sono i genitori di Polly Horan, glielo vuole comunicare lei che abbiamo preso il suo assassino?
- Con molto piacere Capitano.
Così Kate si avvicinò a quella coppia distrutta dal dolore di aver perso la loro unica figlia. Si sentì vicina come non mai a quella madre con il viso segnato dalle troppe lacrime versate in quei giorni, le appoggiò una mano sulla spalla, cercando di farle percepire la sua vicinanza, anche se sapeva che era inutile. Le poté annunciare, però, con soddisfazione, che loro avevano fatto il possibile per dare giustizia alla loro figlia e che l’assassino non sarebbe rimasto impunito. Era la cosa del suo lavoro che preferiva. Il più delle volte parlare con i familiari delle vittime era straziante, dover comunicare l’omicidio di un proprio caro, costringerli a rivivere momenti drammatici in alcuni casi, o andare a scavare con domande impertinenti nelle loro vite: lei sapeva bene cosa voleva dire quando al dolore si sommava lo stress per gli interrogatori, il dover ripetere tante volte sempre le stesse cose ed ogni volta faceva più male, ma sapeva quanto fosse necessario, per questo cercava di farlo sempre con il massimo tatto e rispetto. Però poi c’era anche quel momento, quello in cui la verità era venuta a galla, quello in cui poteva andare fiera a testa alta da un genitore, un consorte, un figlio, un fratello a dirgli che ce l’avevano fatta, che avevano preso il colpevole, che il loro caro aveva avuto giustizia. Quella parte che a lei era sempre mancata, quella che aveva sempre atteso fino a quando il caso di sua madre non fu chiuso ingiustamente. Quanto aveva aspettato che qualcuno le venisse a dire “lo abbiamo preso”, quanta attesa inutile di quelle semplici parole che dovevano essere il fine ultimo di tutto il loro lavoro. Per questo lei era sempre così felice ed orgogliosa di poter dire che lei, che loro, avevano dato giustizia ad una vittima e un briciolo di serenità ad una famiglia dilaniata per sempre dal dolore.
- Sei sempre la migliore Kate - le disse Esposito complimentandosi mentre inscatolavano tutti i reperti del caso togliendo dalla lavagna le foto e cancellando le scritte. Era di nuovo bianca, ma lo sarebbe rimasto per poco in quella città, lo sapevano bene.
“Sai perché ora sei Capitano? Perché sei la migliore”
Nella sua mente si manifestò il volto di un Castle affranto che le diceva quelle parole. Lui aveva sempre creduto in lei e nel suo lavoro, di questo ne era certa. Aveva percepito, parlando con lui, che lui, oltre ad amarla, provava anche una profonda stima verso di lei per quello che faceva nel suo lavoro. 

Tornò al loft e lo trovò vuoto, come sempre più spesso accadeva, eppure Castle le diceva sempre che era troppo affollato. Si diresse in camera e si stupì quando andò a riporre in un preciso mobile la sua pistola, in un gesto automatico. Nessuno le aveva mai detto che quello era il posto dove riponeva la pistola quando tornava a casa, ma sapeva che il posto era quello.
Sentiva ancora in circolo quella scarica di benessere che le era arrivata per aver concluso nel migliore dei modi quel caso, per essersi sentita finalmente di nuovo utile, per aver dimostrato a se stessa di essere sempre brava a fare il suo lavoro. Avrebbe voluto condividere quel momento con Castle, magari sarebbe stato al distretto, come aveva sempre fatto negli ultimi anni. Voleva raccontargli la sua gioia per aver riavuto il distintivo e chiuso il suo primo caso. Fece un rapido calcolo delle ore di fuso orario: lui probabilmente in quel momento stava pranzando. 

- Ciao Castle.
- Hey, ciao… Tutto bene?
- Sì, ci sono delle novità… Sono di nuovo ufficialmente in servizio ed oggi ho risolto il mio primo caso. - La voce di Kate era briosa tanto era soddisfatta di quella giornata e sperava che Rick condividesse la sua gioia.
- Wow Beckett! Sei tornata a terrorizzare i cattivi di New York! - Il suo tono fu meno felice di quello che lei si aspettava.
- Non sei contento per me?
- Oh ma certo che lo sono. La migliore è tornata a lavoro, sarà dura adesso per tutti gli assassini della città appena si spargerà la voce. Per me molti cambieranno i loro piani, magari andranno ad uccidere qualcuno in un altra città!
- Castle, fai il serio - rise Beckett
- Sono serissimo, Kate! Io fossi un assassino ci penserei due volte ad uccidere qualcuno sapendo che tu potresti darmi la caccia.
- Potrei dartela anche se non uccidi nessuno Castle! - Si divertì a provocarlo e si morse il labbro, se lui avesse potuto vederla non sarebbe rimasto di certo indifferente.
- Ehm Beckett… Sono ad un pranzo con delle persone, non mi pare il discorso più adatto da fare adesso, per me dico… Casomai lo possiamo riprendere in un altro momento.
- Mi manchi Castle. - Gli disse ora con tono molto più serio quasi come fosse una supplica.
- Torno domani sera. - Anche lui ora era più serio, dopo che si era divertito a giocare un po’ con lei.
- Non vedo l’ora.
- Nemmeno io… ora devo tornare al mio tavolo. Ciao Kate
- Ciao Castle.

Aveva appena attaccato al telefono con Castle quando sentì bussare alla porta del loft. Era una situazione strana, nella quale faticava ancora a ritrovarsi, non riusciva a sentirsi ancora padrona di quella casa ed andare ad aprire la porta ad estranei, che anche se non lo fossero stati lei non avrebbe riconosciuto, la metteva a disagio.
Quando aprì la porta, le si presentò davanti una ragazza piuttosto giovane con una borsa a tracolla ed una grande busta gialla in mano.
- Buonasera, cercavo il signor Castle. - La giovane era più a disagio di lei, ma sicuramente non la conosceva, altrimenti l’avrebbe chiamata per nome o salutata, questa cosa faceva stare meglio Kate, le dava sicurezza.
- Il signor Castle non c’è, come posso aiutarla? - Le rispose gentilmente.
- Io… sono Linda Reese, lavoro alla Black Pawn.
- Rick è fuori per lavoro, pensavo lo sapesse.
- Oh, beh… Il mio capo è tornato ieri, pensavo fosse tornato anche il signor Castle… - Linda si sentì sprofondare sotto lo sguardo severo di Kate che contrastava con la sua voce molto più amichevole.
- È a Los Angeles, tornerà domani sera. 
- Ah ehm… Gli può dare questo da parte mia? Sono le mie correzioni e annotazioni sul suo ultimo libro, sa mi ha mandato gli ultimi capitoli prima di partire ed ha detto che li voleva il prima possibile. - Kate era un po’ sospettosa sulle spiegazioni della ragazza. 
- Poteva mandargliele per email - si lasciò sfuggire, capendo che non aveva diritto di mettere bocca nei metodi di lavoro di suo marito
- Ehm, sì, certo… Il mio metodo di lavoro è un po’ vecchio stile ancora. Preferisco leggere su carta e fare le mie correzioni lì. Lo trovo un lavoro più caldo - si giustificò ancora mentre porgeva la busta a Kate che ora le sorrise molto più distesa.
- Ma certo, gliela darò io, non si preoccupi Linda.
- Grazie signora Castle. - Disse la ragazza prima di uscire e sentirsi chiamata così punse Kate sul vivo.
- Mi conosce Linda? 
- No, ma… Rick mi ha parlato talmente tanto di lei che l’ho riconosciuta subito. E poi ci sono state molte foto vostre sui giornali negli ultimi mesi - Le fece l’occhiolino con un’aria molto più distesa e sbarazzina.
- Ma certo… - Le sorrise Kate molto più benevolmente prima di salutarla e chiudere dietro di se la porta.
Aveva tra le mani il nuovo libro di Rick, quello di cui lui non le aveva voluto dire nulla. Era divorata dalla curiosità di sapere cosa contenesse, quale altra storia si fosse inventato, se aveva scritto qualcosa su quel LokSat, magari un triller sui servizi segreti.
Mise inizialmente il libro sulla scrivania del suo studio, la busta gialla in bella vista nello spazio solitamente usato dal portatile. Vide che da un lato era aperta. In fondo una sbirciatina non avrebbe fatto nulla. Stette molto tempo con le mani sul quel manoscritto indecisa su cosa fare. 
Alla fine lo prese e lo estrasse dalla busta gialla. Il titolo già la lasciò a bocca aperta. “Castle Tales - Di unicorni ed altri animali magici”. Un libro di favole per bambini. Il celebre scrittore di libri gialli in tutto quel periodo aveva scritto favole per bambini e a giudicare dal numero di fogli dovevano essere molte. Portò tutto il contenuto della busta sul letto e lo sfogliò leggendo alcuni titoli con nomi di animali improbabili e piuttosto buffi. Ne trovò infine una contrassegnata da un post-it rosa. Non c’erano note solo un punto esclamativo. Era la favola degli unicorni, sicuramente quella che aveva dato spunto al titolo libro. Kate cominciò a leggere ad alta voce la fiaba, come se avesse già la sua piccola da far addormentare…

C’era una volta in un bosco incantato Principe e Principessa, una coppia di unicorni felici ed innamorati. Erano i custodi della giustizia del bosco ed avevano enormi poteri magici. Tutte le creature li rispettavano e li amavano per la loro onestà e la capacità di decidere sempre in modo giusto ogni disputa tra gli animali e proteggerli dalle creature malvagie. Principe e Principessa ebbero una figlia, Muse, che amavano più di ogni altra cosa. Lei aveva ereditato dai genitori non solo i loro poteri magici ma anche la stessa bellezza e grazia, il candido mantello, l’onestà ed il loro senso di giustizia.
Un giorno arrivò nel bosco un potente e malvagio stregone che era attirato dal potere degli unicorni e lo voleva per se, per essere invincibile ed immortale. Con uno stratagemma crudele uccise Principe e Principessa che avevano nascosto la loro piccola per non farla catturare. Muse rimasta sola fu disperata. La giovane unicorno pianse talmente tanto che le sue lacrime offuscarono la sua figura togliendole lo splendore del mantello magico ed il loro sale corrose il suo corno magico a tal punto che si consumò. Sola e disperata Muse vagò per il bosco e per il resto del reame fino a dimenticarsi chi fosse e da dove venisse. Sapeva solo il suo nome, nulla di ciò che era.
Vagò fino ad arrivare alle grandi pianure dove provò a mescolarsi ad un branco di cavalli dell’ovest. Muse spiccava tra tutti per la sua grazia e le sue movenze così diverse dagli altri, ma ben presto si abituò alla loro andatura cominciando a spostarsi con il branco senza però mai dare confidenza a nessuno, tanto che i giovani la chiamavano la selvaggia e tutti avevano paura a darle confidenza perchè lei tutti rifiutava e tutti allontanava preferendo continuare a stare sola. Solo un giovane unicorno fu più insistente degli altri, un giovane che non accettava i suoi “no” e più lei lo cacciava, più lui la inseguiva. Kiddo era fatto così, insistente e fastidioso, ma anche buffo e generoso e alla fine riuscì a far ridere anche la selvaggia Muse e a farla innamorare di lui.
Così Kiddo e Muse cominciarono a correre insieme per le praterie e più correvano, più gli occhi ed il mantello di Muse tornavano a splendere lucenti. 
Anche Kiddo e Muse ebbero una figlia, una piccola con gli stessi occhi lucenti della madre ed il mantello scuro come il padre. La piccola Bebe però aveva una particolarità che tutti guardavano con sospetto. Una piccola protuberanza sul muso che più cresceva più diventava grande e brillante. Quando la notizia di questo strano cavallo giunse alle orecchie dello stregone non ci mise molto a capire che quello strano cavallo dal mantello lucente del branco dell’ovest era la figlia sopravvissuta di Principe e Principessa e si mise a cercarla.
La piccola Babe cresceva sempre più isolata dal resto dei piccoli del branco che la prendevano in giro giudicandola diversa per il suo corno. Piangeva e lo malediva sperando che potesse scomparire. 
Un giorno il malvagio stregone la avvicinò dicendole che se le avesse detto dove poteva trovare la sua mamma lui l’avrebbe liberata del suo corno così poteva essere come tutti gli altri giovani. 
Babe indicò il punto vicino alla cascata in cui Muse era solita riposarsi attendendo il ritorno di Kiddo con gli altri del branco e quando lo stregone la raggiunse le scagliò una maledizione mortale. Ma Muse aveva dentro di se ancora quel soffio di magia che non sapeva più di avere e non morì ma rimase addormentata in un sonno tutto simile alla morte. Quando Kiddo e gli altri tornarono la trovarono così distesa inerme e le urla disperate del giovane stallone risuonarono per tutta la pianura fino ad arrivare a Babe che impaurita corse verso la madre, ignorando lo stregone vicino a lei che voleva farle il suo incantesimo e quando lui provò a toccare il suo corno questo diventò così luminoso che lo fece sparire in una pioggia di cenere. Babe fu spaventata da quanto appena accaduto ma corse ancora più veloce fino alla cascata e quando vide la madre accasciata a terra con gran parte del branco intorno si vergognò sentendosi colpevole. Kiddo rincuorò sua figlia e lei si stese vicino alla madre, strusciando il muso contro il suo, bagnandola con le sue lacrime e sfregandole il suo corno sulla fronte. 
Quella protuberanza tanto odiata da Bebe si illuminò ancora e temendo la stessa cosa accaduta allo stregone si ritrasse subito. Ma Muse fu investita da una pioggia di polvere di stelle e immediatamente riaprì gli occhi rialzandosi in piedi. Per magia anche il suo corno ricrebbe ed ora tutti poterono riconoscere in lei la figlia di Principe e Principessa. Muse cercò subito Kiddo con il suo sguardo scintillante e lui le andò incontro felice come non mai di riaverla con se dopo aver temuto di averla persa per sempre e tenne vicino a se entrambe le sue due creature magiche. Babe fu considerata un eroe dagli altri piccoli del branco per aver salvato sua madre. Muse diventò così come erano i suoi genitori un custode della giustizia del bosco e continuò a cavalcare per il resto dei suoi giorni con Kiddo al suo fianco e ovunque andassero lui narrava innamorato a tutti le gesti eroiche della sua Muse e della piccola Babe. 

Kate aveva cercato di non piangere mentre leggeva, ma ad ogni riga diventava più difficile, così come continuare a leggere ad alta voce. Prese il telefono e compose solo un messaggio: “Mi manchi troppo”.

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Capitolo 54
*** CINQUANTAQUATTRO ***


La festa doveva essere divertente. Si stavano divertendo tutti tranne Rick, che continuava a sorridere forzatamente a tutti senza che nessuno se ne accorgesse, bevendo più drink di quanti avrebbe dovuto e se ne rese conto, per questo preso l’ennesimo Martini portato da uno zelante cameriere, appena lo portò alle labbra lo appoggiò su un tavolo disgustato: ci mangiò qualche tartina sopra. Vide Andrew dall’altra parte della veranda e lo raggiunse ad ampie falcate. 
- Sono le quasi le 20:00 - Gli disse allontanandolo dalle persone che stava intrattenendo.
- Sì, lo so, funziona il mio orologio. - Rispose scherzosamente il ragazzo.
- Io me ne vado.
- Che stai dicendo Rick? - Rise il suo agente
- Sono qui da quasi 2 ore. È tanto. - Disse serio e Andrew capì che non scherzava
- Torni in camera?
- No a New York. I miei bagagli portali domani tu. - Gli mise in mano una copia della chiave magnetica della sua camera.
- Rick ma sei impazzito?
- Impazzisco se non torno a casa.

Tornò velocemente in camera solo per prendere le chiavi di casa. Non prese altro, nemmeno il computer. Scese nella hall e si fece chiamare una macchina dal concierge, chiedendo di mettere tutto sul conto della sua stanza. Aveva con se solo il portafogli, il cellulare e le chiavi. Tanto bastava. Chiedeva all’autista di andare in aeroporto il più velocemente possibile. Aveva trovato un volo che partiva poco prima delle 22, aveva controllato sullo smartphone. Se l’autista si fosse sbrigato avrebbe fatto in tempo a prenderlo. Arrivò circa 40 minuti dopo, si diresse al banco del check in diede documento e carta di credito chiedendo un posto per quel volo. Ci impiegò poco per i controlli di routine passando per la fast track e non avendo niente con se: arrivò al gate per l’imbarco poco prima che chiudesse. Salì trafelato. La hostess gli indicò il suo posto e gli chiese cosa volesse da bere e da mangiare. Si fece portare solo dell’acqua e chiese di non essere più disturbato perchè non avrebbe voluto nulla. Mise le cuffie, non per ascoltare la musica o vedere film, ma solo per isolarsi dall’ambiente circostante. Voleva solo che quelle 5 ore e poco più passassero il più velocemente possibile.

Pensava stupidamente che sarebbe arrivato molto prima, non aveva calcolato le tre ore di fuso orario tra Los Angeles e New York ed era già mattina. Uscì dall’aeroporto con altrettanta rapidità di quando si era imbarcato seguendo i cartelli per l’uscita senza nemmeno rendersi conto che non era al JFK ma al La Guardia. Ne fu felice, sarebbe arrivato a casa un po’ prima. 
Erano da poco passate le sette quando respirò di nuovo il profumo familiare del loft. Aprì la porta cercando di fare il minor rumore possibile, appoggiò le chiavi sul mobile vicino l’ingresso, si tolse la giacca appoggiandola all’attaccapanni e le scarpe lì sotto. Aprì la porta di camera e dovette combattere contro se stesso per non assediarla con la sua irruenza dettata dall’impazienza. Dormiva di fianco, rivolta verso il centro del letto, sopra le lenzuola. Poteva vedere il profilo delle sue gambe per nulla appesantite dalla gravidanza, al contrario del suo ventre che gli sembrava un po’ più pronunciato, si chiese quanto fosse stato lontano, a vederla gli sembrava molto di più dei giorni reali. Dalla maglietta bianca si intravedeva la forma del seno florido mentre abbracciava il suo cuscino. Si sbottonò i polsini ed il collo della camicia mentre la guardava, per poi passare al resto dei bottoni la buttò sulla sedia, poi fece lo stesso con i pantaloni e le calze. Si appoggiò sul letto, cercando di fare quanto più piano potesse e la sentì lamentarsi quando il letto si abbassò sotto il suo peso, ma non si svegliò. Voleva solo stare lì con lei, aspettare che si svegliasse e vedere la sua faccia stupita nel trovarlo lì, molto prima di quando avrebbe dovuto, visto che lo aspettava solo per quella sera.
Ma Castle non aveva resistito al suo ultimo messaggio. “Mi manchi troppo”. Non tanto, troppo. Perchè tanto quantifica la quantità, troppo, invece, il bisogno. Troppo vuol dire che è più di quanto si può sopportare. Quindi non doveva sopportare più del necessario, lui doveva tornare, era già stato lontano troppo per incasinarsi la vita più del dovuto.
Non resistette a toccarle la pelle del braccio teso verso la sua parte di letto e la scoprì fredda, più di quanto dovesse essere. Le lenzuola e le coperte erano sotto il suo corpo e non voleva andarle a cercare altre chissà dove con il rischio di svegliarla comunque, se proprio doveva, l’avrebbe svegliata nel modo che pensava le potesse piacere. La coprì con l’unica cosa che aveva a disposizione, se stesso, avvolgendola nel suo abbraccio sempre molto più caldo di lei. 
Kate mugugnò qualcosa di assolutamente incomprensibile facendolo sorridere, si mosse e lui riconobbe i segnali di lei che si stava svegliando. Non poteva dire di esserne totalmente dispiaciuto e lei non ebbe nemmeno bisogno di aprire gli occhi.
- Castle… cosa ci fai qui? - Gli chiese Kate con la voce impastata dal sonno.
- Avevo voglia di vederti.
Beckett aprì gli occhi e lo vide a poca distanza da lei, faticando anche un po’ a mettere a fuoco il suo volto. Alzò una mano e gli sfiorò il contorno delle labbra e facendolo lui le baciò le dita. Kate non riusciva a smettere di guardarlo, con gli occhi carichi di domande che cercavano una risposta in lui. Fece scendere la mano dal suo volto al petto, lasciandola appoggiata sul suo cuore. Era felice di averlo lì, di poter tornare a comunicare con lui con tutta se stessa, con i suoi gesti e i suoi sguardi, di andare oltre le parole che non esprimevano quello che realmente provava.
- Che c’è Kate?
- Sono contenta che sei qui. Sei sempre arrabbiato?
- Non ci voglio pensare adesso. - La baciò delicatamente sulle labbra
- Ti devo parlare Castle… - Gli disse Kate cerando di tirare fuori le parole tra un bacio e l’altro di Rick.
- Non adesso Kate. Non adesso… - si tuffò di nuovo sulla sua bocca traendo ossigeno direttamente da lei. Un bacio che questa volta aveva il sapore della necessità e dell’urgenza, come se volesse dimostrare qualcosa a lei o molto più probabilmente a se stesso, dimostrare che l’amava, quanto l’amava. Rick sentiva il cuore esplodergli nel petto per come batteva deciso e non era solo passione: c’era ancora una scia di rabbia nei suoi gesti, rabbia per se stesso per quello che aveva fatto, per quello che aveva fatto lei, per tutta la situazione. E c’era la paura, quella paura che sa settimane ormai non l’abbandonava più, che rimaneva lì, strisciante e viscida come una serpe, che sibilava la sua presenza nei momenti più inopportuni. 
Kate fu sopraffatta dalla sua irruenza, ci mise qualche momento per riuscire a rispondere come lui avrebbe voluto alle sue attenzioni, stringendo la sua pelle sotto le mani, riacquistando la memoria tattile del suo corpo. Lo sentì avventarsi sulle sue labbra e poi scendere sul collo, baciarle la base così prepotentemente che le avrebbe sicuramente lasciato il segno e una scarica elettrica le percorse tutta la spina dorsale arrivando fino a dove il desiderio di lui si fece più presente. Non si era resa conto di quanto le fosse mancato anche da quel punto di vista e quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano amati, erano ancora negli Hamptons. Si lasciò sfuggire un gemito mentre la mano di lui si intrufolò sotto la sua maglietta, stuzzicandole i seni sensibili. Aprì gli occhi per guardarlo e vide i suoi che non erano del solito azzurro profondo, ma erano così scuri da sembrare quasi neri. La guardava con le labbra semi aperte ed il respiro pesante, Kate lo trovava così dannatamente eccitante che si alzò per prendersi ancora un bacio dalle sue labbra e lui la accontentò andandole incontro e impossessandosi di nuovo di della sua bocca, esplorandola con insolenza, succhiando e mordendo le sue labbra, stringendo le mani sul suo corpo con più vigore tanto che lei ne fu sorpresa e sobbalzò alla sua stretta possessiva. 
Possessivo, ecco come lo sentiva Kate. Castle reclamava il suo corpo, la sua bocca, tutto di lei, la voleva per se, ne rivendicava il possesso in un modo che quasi la spaventò se non fosse che lei voleva esattamente la stessa cosa. Così anche le sue mani si fecero più audaci, cercando il confine dei suoi boxer per poi oltrepassarlo strappandogli un grugnito quando la sua mano raggiunsero la meta che si era prefissata. Rick fece lo stesso con lei che inarcò la schiena e reclinò all’indietro la testa al suo tocco impertinente e rapido.
- Castle… - riuscì a malapena a mugugnare Kate abbandonata ai suoi sensi riportando la mano fuori dai suoi boxer facendola scivolare sul petto per poi andare dietro la schiena e facendo pressione per avvicinarlo, invitandolo a se. 
Rick sorrise sfilò la mano dai suoi slip e si portò sopra di lei stando bene attento a non pesarle con il suo corpo. La osservava vogliosa e languida e la eccitava ancora di più. Cercò di contenersi: rilassò la sua mandibola contratta, cercando di respirare più profondamente e la guardò con occhi diversi, le percorse il profilo del volto con le dita, indugiando sulla sua bocca, e lei le avvolse con le sue labbra avide di lui e bastò questo per fargli perdere di nuovo ogni barlume di razionalità, scendendo con gesti rapidi a sollevarle la maglietta che sfilò senza troppa grazia da lei per poi tuffarsi sul suo petto lasciando scie umide sui suoi seni. 
- Castle… ti prego… - le sorrise soddisfatto. Era felice di vedere che lo voleva, sentirsi desiderato lo faceva sentire bene. La voleva anche lui, ma gli piaceva di più vederla fremere per lui, gli dava quel senso di potere su di lei che aveva bisogno di sapere di avere, che era lui che bramava e non altri. Ed ogni suo tocco, ogni suo gesto, ogni bacio reclamavano questo. Lei voleva lui, ma lei era sua.
Rick alzò lo sguardo oltre la testiera del letto mentre Kate percorreva il suo torace fino a stringere i suoi glutei tonici passando di nuovo le mani all’interno dei boxer: era la prima volta nella loro camera nel loro letto. Questo gli creò un fitta al petto e si sentì come bruciare, scottato da quel pensiero. Provò a distogliere lo sguardo da lì, a rientrare in quel mondo di sensi dove c’erano solo lui e lei, scosse la testa, come se volesse far uscire quell’inquietudine dalla sua mente. 
Il suo sguardo, però, cadde sul comodino di Kate e quello che vide lo fece immediatamente irrigidire. Si alzò di scatto scostando le sua mani, mettendosi in piedi a lato al letto. Si passò una mano tra i capelli sudati di quel desiderio ed eccitazione che erano come defluiti via dal suo corpo, quasi avesse ricevuto una secchiata d’acqua ghiacciata in  pieno petto. Prese il suo manoscritto in mano. Lo sfogliò per accertarsi che fosse proprio quello. Poi guardò Kate che era rimasta sdraiata incredula di quanto stesse accadendo. 
- Perché è qui? - La sua mandibola era di nuovo contratta. Gli occhi brillavano ma non più di desiderio.
- Rick io… - Kate tentò di giustificarsi.
- Perchè lo hai preso? - Le parve di sentire nella sua voce quasi tracce di pianto trattenuto, ma non credeva fosse possibile, non capiva quella reazione
- Ero solo curiosa.
- Beh non dovevi esserlo! - Sembrava un bambino capriccioso a cui avevano tolto un giocattolo. Kate si sollevò, cercò la sua maglia tra le lenzuola rivestendosi velocemente, le sembrava tutto impossibile che stesse accadendo. Lo guardava allibita scuotendo impercettibilmente la testa, ma non le andava di farsi trattare come se avesse fatto chissà quale reato.
- Allora Castle avvisa i tuoi collaboratori che quando non ci sei non devono portare a me cose che non vuoi farmi leggere non so perché.
- Non dovevi leggerlo ora! - Ed ora non era più una sensazione, lui stava veramente piangendo, vide due lacrime rigargli le guance, un pianto nervoso, lo vedeva da come stringeva quei fogli.
- Mi dispiace Castle… È molto bello…
- Almeno quello… Ma non lo dovevi leggere ora… - Buttò a terra il suo manoscritto e di voltò di spalle.
- Castle? Rick? Per favore… - Si allungò prendendo la sua mano e tirandolo un po’
- Doveva essere una sorpresa. Avevo fatto di tutto per farlo rimanere una sorpresa… per te. - Kate chiuse gli occhi e respirò profondamente. Aveva fatto tutta quella scena perché la sua idea di farle una sorpresa era stata rovinata. Scosse la testa, al pensiero che quell’uomo avesse quelle uscite così infantili.
- Mi dispiace per la sorpresa Castle, ma non è necessario che reagisci così, mentre noi…
- Beh, forse è stato meglio così… - La sua risposta acida la colpì profondamente. Lasciò la sua mano come se avesse voluto lanciarla via e si alzò dal letto andando verso il bagno.
- Kate… non volevo dire quello.
- Beh, lo hai detto Castle. - Si chiuse la porta del bagno alle spalle lasciandolo lì in piedi con il suo libro buttato per terra. Lo raccolse, appoggiandolo di nuovo sul comodino. Aveva avuto una reazione assurda, lo sapeva. I suoi pensieri si erano scontrati entrando in cortocircuito, facendolo comportare come un idiota.
- Kate! Kate! - Bussò alla porta del bagno ma non ottenne risposta. La chiamò ancora, scusandosi, fino a quando lei non gli rispose.
- Lasciami stare Castle, voglio solo farmi una doccia.
Ma Rick non aveva nessuna voglia di lasciarla stare, se ne fregò di ogni forma di gentilezza e di rispetto della privacy, entrò e lei si accorse di lui quando già era sotto il getto d’acqua calda ed i vetri si stavano cominciando ad appannare. 
- Castle, per favore.
- No… Ho esagerato, scusa… - Aprì la porta della doccia e vide Kate che istintivamente si coprì con le mani, spostandosi verso il muro nell’angolo più lontano dalla entrata. Lui molto lentamente si spogliò di quel poco che aveva ancora addosso ed entrò, richiudendo le porte alle sue spalle, lasciando che i vetri si appannassero ancora. - Scusa… - le ripeté bagnandosi sotto il getto mentre si avvicinava a lei che lo guardava truce. 
Quando le fu davanti aprì semplicemente le sue braccia e la guardò con l’espressione di un bambino che si rendeva conto di aver combinato un guaio. Kate roteò i suoi verso l’alto, esasperata da quel comportamento così altalenante, ma quello che provava per lui era più forte della sua voglia di mantenere il punto e quando lui posò le mani sulle sue spalle, facendola avvicinare a se, non oppose nessuna resistenza, appoggiando la testa sul suo petto e stringendo le braccia dietro la sua schiena. Lui le alzò il viso, per baciarla questa volta con estrema dolcezza mentre gocce rapide percorrevano i loro corpi e fu addosso a quelle piastrelle bagnate, avvolti dal vapore caldo che completarono quello che avevano interrotto prima, lasciando che il rumore dello scroscio dell’acqua coprisse i loro gemiti.

Castle l’avvolse nell’accappatoio, gli piaceva prendersi cura di lei anche in queste cose, massaggiarle i capelli con la spugna per tamponarli, stringerla così da asciugarsi con lo stesso indumento.
Kate sorrideva ed era felice, totalmente felice. Quel momento di tensione lo aveva già dimenticato, o meglio era stato lui a farglielo dimenticare, facendola rilassare ed appagandola in modi in cui solo lui riusciva, credendo che si fosse trattato solo dello sfogo per quanto accaduto in quei giorni, perché lui era ancora arrabbiato per quanto gli aveva detto di Eric. Ora lei aveva quel sorriso che aveva sempre riservato solo a lui, un sorriso tenero e brillante e lo trovava estremamente buffo mentre le strofinava velocemente l’asciugamano sui capelli, mentre il suo ciuffo tutto bagnato era appiccicato sulla sua fronte e lei provava a spostarlo. Anche lui sorrideva, ma aveva un sorriso più tirato e stretto, come se quei fantasmi che ogni tanto in quei giorni offuscavano la sua mente non lo lasciassero mai del tutto libero di rilassarsi. Si asciugò anche lui velocemente e poi si spostarono di nuovo in camera. Si vestirono ognuno con una delle tshirt di Castle e risero per questo, visto che ormai lei quando stava a casa si vestiva solo con cose di lui, sia per comodità che perché le piaceva sentirle addosso.
Si sdraiarono di nuovo sul letto, molto più calmi di prima. Kate era distesa sulla schiena, mentre Rick su un fianco e si teneva la testa con una mano: le carezze ora era delicate e gentili, le dita scorrevano sulla pelle disegnando trame immaginarie, componendo parole non dette sui loro corpi. 
- Chi ti chiama Kiddo? - Gli chiese Kate sorridendogli
- Mia madre - Disse imbarazzato.
- È una bella storia. Ho pianto leggendola
- Quelli sono gli ormoni della gravidanza, non è colpa mia! - Lo disse sottolineandolo con una carezza al ventre di Kate che, per farlo tacere, gli schiacciò un cuscino in faccia ridendo. Lui se lo tolse e rimase immobile ad osservarla ridere di gusto.
- Sembri diversa. Sei ancora più bella.
- Forse lo sono.
- Uh Beckett! Abbiamo finalmente abbandonato la falsa modestia dandomi ragione che sei bellissima.
- No, Castle, intendevo diversa.
- Spiegami allora… - La guardò attento, lanciando lontano il cuscino, come se si attendesse da lei una lezione imprescindibile su un qualche argomento vitale. In effetti era così, riguardava lei, era imprenscindibile e vitale per lui.
- Ho capito delle cose… che riguardano me, te… il nostro futuro…
- Sembra interessante - La interruppe meritandosi un’occhiataccia che lo fece immediatamente tacere. Lei gli prese la mano libera e la strinse tra le sue. 
- Voglio stare con te, Castle. Oggi, domani, dopodomani e poi ancora. Tu per me sei importante e non lo sei perché ho bisogno di te ed è questo che ho capito in questi giorni. Io posso vivere senza di te, ma non voglio farlo. 
- Non devi farlo Kate. - Rick si spostò per baciarla ancora dolcemente. Quelle parole di sua moglie gli avevano rischiarato l’anima.
- Quando non c’eri l’ho sentita… - Disse muovendo la mano di lui sul suo ventre e Castle si volto a guardarla regalandole questa volta uno dei suoi ambi sorrisi da bambino che adorava. - … Secondo me sei mancato anche a lei… Ci sente, adesso, se le parliamo…
- Tu le parli? - Chiese sorpreso, non si aspettava questo lato di Beckett
- Le ho parlato tutte le sere. Di me, di te, di noi… Le ho letto la tua favola ieri sera, così la poteva sentire anche lei.
- E ora? La senti? - Chiese ansioso e proprio con la sua voce sentì quell’ormai familiare scoppiettio di bolle di sapone dentro di se che diventava sempre più chiaro e riconoscibile, spostando la mano di Castle nel punto dove quella sensazione era più forte.
Rick si alzò e si adagiò con la testa proprio sul ventre di Kate, alzò la sua maglia per poterla accarezzare, poi chiuse gli occhi come se volesse cercare di carpire ogni più piccola vibrazione e poi cominciò a parlare.
- Ciao piccola, il tuo papà è tornato a casa. Io e la tua mamma siamo sempre più impazienti di conoscerti. Vedrai che andrà tutto bene, saremo una bellissima famiglia, la più bella di tutte e quando la tua mamma avrà ritrovato la memoria sarà tutto perfetto tra noi. - Alzò lo sguardo a cercare quello di Kate ma non vide quello che si aspettava. Lei era pietrificata.

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Capitolo 55
*** CINQUANTACINQUE ***


... e quando la tua mamma avrà ritrovato la memoria sarà tutto perfetto tra noi. - Alzò lo sguardo a cercare quello di Kate ma non vide quello che si aspettava. Lei era pietrificata.

 

- Kate? Che succede? Stai bene?
- Sì… Sì… - Ma il suo viso diceva tutt’altro e Castle se ne accorse. Si tirò su, coprendole il ventre con la maglia.
- Non mi sembra. - Rick era molto serio mentre studiava ogni minima espressione del sul volto. Kate fece un gran respiro, avrebbe dovuto dirglielo, doveva farlo subito. Anche lei si sollevò, mettendosi seduta e torturandosi le mani in cerca delle parole migliori.
- Castle… Io in questi giorni ho preso una decisione. Riguarda me, ma riguarda anche te. - Vide che stava per interromperla, ma le bastò uno sguardo per farlo rimanere in silenzio. - In questi giorni ho avuto dei ricordi, del mio passato, del nostro passato e non è stato facile.
- Perché non mi hai detto niente? - Le chiese eccitato dalla novità e deluso allo stesso tempo perché non aveva voluto condividere la cosa con lui.
- Perché non erano cose delle quali si poteva parlare per telefono, Castle.
- Sono qui, ora, facciamo ora, parliamone. - Rick aveva ritrovato la sua solita eccitazione, come un bambino impaziente di scartare i regali la mattina di Natale, peccato che per Kate non era così.
- Non è semplice Castle. Tutto quello che ho ricordato mi ha fatto stare male. Mi ha creato dubbi, insicurezze su di noi e su me stessa. - Kate era sempre estremamente seria, ma non riusciva a guardarlo in faccia mentre gli parlava. Sapeva che quello che gli avrebbe detto lo avrebbe fatto soffrire e non era abbastanza forte per riuscire a sopportare di vederlo così per causa sua. - Io non voglio soffrire, non più.
- Beckett io non capisco, quello che hai detto prima, tu parlavi di noi, di stare insieme.
- È quello che voglio Castle - Ora sì, cercava il suo sguardo - Voglio stare con te, voglio pensare al nostro presente e al nostro futuro. Non mi interessa del passato, di quello che è stato, di quello che non ricordo. Tutto quello che ricordo mi fa solo male. Non voglio stare male.
- Cosa stai cercando di dirmi Kate - La voce di Rick lasciava trasparire la preoccupazione data dalla consapevolezza di quale fosse la risposta a quella domanda.
- Non voglio pensare a quello che è stato. Non voglio avere altri ricordi dolorosi.
- Ma non ci sono solo quelli - Il suo tono sembrava una supplica
- Lo posso immaginare, ma non li voglio più cercare. Non voglio correre il rischio
- Quale rischio Kate? - Castle si lasciò sfuggire quella frase molto più ad altra voce di quanto avrebbe voluto.
- Di scoprire che le cose erano diverse. 
- Certo che erano diverse Kate! - Castle era un fascio di nervi, schizzando in posizione eretta, sovrastandola con la sua fisicità, come a volerla intimorire per farla ricredere. - Era tutto diverso! Tu, io, era tutto perfetto!
- Perfetto Castle? Dopo nemmeno un anno che eravamo sposati siamo stati separati per mesi. Tu che non sapevi se io ti amassi abbastanza, io che me ne sono andata mentendoti. Non è la mia idea di perfetto. Non mi interessa. 
- Non c’è solo questo Kate, c’è molto di più. Ci siamo noi, tutto quello che eravamo. Io so che mi amavi, so quanto mi amavi. Non puoi voler dimenticare tutto questo. Dimenticare noi.
- Noi siamo qui Castle. Io e te. Siamo qui, adesso. Voglio questo.
- No Kate… no… 
- Rick… devi capirmi. Per favore. - Allungò una mano verso il suo volto ma Castle si ritrasse come se avesse ricevuto una scarica elettrica da quel contatto.
- Tu hai combattuto per noi, contro gli altri, contro te stessa uscendo dal tuo muro. Hai creduto in noi e in me, sempre. Tu non ti saresti mai arresa, non avresti mai voluto lasciarti alle spalle tutto quello che ci ha portato qui. Non è stato sempre tutto facile, è vero, ma quello che c’è stato di bello è valso tutto il resto, devi credermi.
Kate scosse la testa, immaginava che lui non avrebbe approvato la sua scelta, ma lei ormai era decisa.
- Beckett tu non avresti rinunciato a noi e ai nostri ricordi io lo so. Per te sono importanti.
- Per me è importante adesso ed è importante domani. 
- Mi stai dicendo che per te noi non siamo importanti? 
- Non ti sto dicendo questo, ti sto dicendo il contrario. Per me sei così importante ora, che non voglio rischiare che quello che c’era prima rovini il presente.
- Non lo rovinerebbe Kate!
- Non posso saperlo con certezza Rick! - Anche il tono di Kate ora era molto più alto.
- Ma io sì maledizione Kate! Io sì! Io volevo tutto questo, una famiglia nostra, e lo volevi anche tu, ne sono sicuro!
- Te ne ho mai parlato? Te l’ho detto? Hai detto anche tu di no. - Lo interruppe lei  e lui non seppe cosa dire, abbassò le spalle in una postura rassegnata - Vedi, non puoi negarlo. Non lo sapevi cosa volevo. Io ora lo so cosa voglio.
- Io sono sicuro che lo volevi, sono sicuro… - disse lui quasi in un sospiro.
- Tu vuoi quello che abbiamo adesso Rick? Quello che siamo ora?
- Sì certo che lo voglio. - Abbassò lo sguardo mordendosi l’interno della bocca.
- Però non ti basta, vero? Tu vuoi quello che eravamo, più di quello che siamo.
- Io ti amo Kate.
- Ne sei sicuro Rick? Ami me? 
Deglutì incapace di risponderle, eppure doveva essere facile. Ma lei lo guardava con il suo sguardo deciso e penetrante, di quelli che scavavano dentro e lo mettevano davanti al sue colpe e le sue paure. Non riuscì a dirle nulla e Kate si morse il labbro inferiore non per malizia, ma per trattenere quel moto interno che sentiva stava per esplodere. Annuì con la testa, avendo capito e si alzò per vestirsi, mettendo distanza tra loro fisica, ma non solo.
Non era così che Kate aveva immaginato fossero andate le cose. Certo, sapeva che sarebbe stato difficile per lui accettarlo, che gli sarebbe dispiaciuto, ma sperava che poi la avrebbe capita, che le avrebbe detto che ci sarebbe stato comunque, che sarebbe andato tutto bene ugualmente. Invece l’aveva solo aggredita, non aveva nemmeno provato a capirla e alla fine le era stato chiaro che lui voleva solo che lei ricordasse, che stava con lei solo per quella speranza, che magari ci sarebbe stato sempre, ma solo sperando che potesse tornare la sua Kate. La sua non risposta l’aveva spiazzata. Non ci aveva nemmeno provato a dirle di sì, che era sicuro di amarla. Aveva aperto la bocca senza dire nulla, preso in contropiede da quella domanda che l’aveva messo a nudo.
Avrebbe voluto dirgli anche il resto, voleva farlo in modo speciale, per farlo veramente felice. Era stata anche tentata di rispondergli “anche io” quando lui le aveva detto che l’amava, ma non poteva farlo così e adesso, ora che lei sentiva che lui non era sicuro dei suoi sentimenti, non poteva dirglielo, non aveva senso. Tutto quello che si era immaginata in quei giorni era stato, appunto solo frutto della sua immaginazione. La realtà era altro. Ma l’aveva scelta lei la sua strada e l’avrebbe seguita in ogni caso. 
Aprì la cabina armadio scegliendo con cura i suoi vestiti. Osservò i giacchetti di pelle e i jeans aderenti. Non era mai stata una che seguiva troppo la moda, ma certe cose la facevano stare bene, la facevano sentire se stessa. Erano quei vestiti che metteva quando voleva sentirsi bene, quando cercava qualcosa di confortante per essere se stessa e darsi sostegno. Avrebbe voluto metterseli anche in quel caso, per uscire da quella stanza a testa alta, ricordandosi che, innamorata o meno, era sempre lei, Kate Beckett, e non si sarebbe fatta mettere KO da nessuno. Alla fine preferì un paio di pantaloni neri ed una maglia a maniche lunghe dello stesso colore, quello che rispecchiava meglio il suo umore. Vide la busta con la tutina che aveva preso per la loro bimba che voleva dare a Castle, la prese gliela appoggiò vicino sul letto, mentre continuava a prepararsi. Andò in bagno a sistemarsi i capelli, e truccarsi quel minimo necessario per coprire i segni delle ultime discussioni che si erano stampati intorno ai suoi occhi. Poi tornò in camera mentre osservava tutti i suoi movimenti seguendola con lo sguardo, la vide dirigersi lì dove riponeva la sua pistola, prenderla ed indossarla, come se fosse la cosa più normale del mondo e prendere anche il distintivo mettendolo in tasca.
- La devi proprio tenere? - Gli chiese Rick serio mentre ancora gli dava le spalle
- Per noi della polizia può essere utile - Gli rispose con una ironia tagliente.
- A te non dovrebbe servirti - Le contestò lui senza alcuna voglia di scherzare.
- Non si sa mai. - Si voltò a guardarlo - Preferisci sapermi disarmata?
- Preferisco saperti al sicuro.
- Non metterò a rischio la vita di nostra figlia
- Non è solo per lei che lo dico. Voglio che tu sia al sicuro.
- Lo sarò Castle.
- Promettimelo. 
- Cosa? - Spalancò gli occhi per guardarlo meglio, ma lui era serissimo. Cosa era una, una bambina che doveva promettere di non mettersi nei guai?
- Me lo devi promettere - Era irremovibile mentre la fissava con quegli occhi blu così intensi e bisognosi di avere conferma a quanto chiesto.
- Te lo prometto Castle. - Disse presa per sfinimento. Se quello era l’unico modo per farlo stare tranquillo, non le sarebbe stato difficile prometterglielo.
- Va bene. - Sembrò più rilassato solo per aver sentito quelle parole e Kate si stupì. Gli era bastato che lei glielo promettesse, la fece sorridere affettuosamente questo suo essere così dolcemente ingenuo, da dare così tanta importanza ad una promessa. Le fece tenerezza, vederlo seduto sul letto, con le spalle basse e la testa a guardare in un punto imprecisato le lenzuola. Gli si avvicinò, portandogli davanti quel pacchetto che non aveva nemmeno considerato.
- Ehy Castle… Questo è per te.
- Per me? Veramente? Tu hai preso una cosa per me? - Si illuminò subito e con le sue grandi mani andò a frugare nella busta che sembrava minuscola.
- Sì, insomma, più o meno… - Sorrise lei e quando lui la tirò fuori ed osservò la scritta vide tutto il suo stupore e la felicità nel tenere quel piccolo indumento di stoffa rosa in mano.
- Oh… È bellissima… Grazie… - La abbracciò riconoscente, in una abbraccio che nulla nascondeva se non la gratitudine per quel pensiero. - Vuol dire tanto per me Kate, sul serio. 
Beckett gli spettinò i capelli ancora un po’ umidi e lui subito passò le mani a sistemarsi il ciuffo. Lo trovava terribilmente buffo e adorabile quando faceva così e non riusciva a mantenersi distante come si era mentalmente ripromessa di fare. Controllò l’orario. Era tardi, molto più di quanto avrebbe dovuto essere, ma per fortuna i suoi orari erano estremamente flessibili adesso.
- Ci vediamo stasera Castle - gli disse appoggiando appena le sue labbra su quelle di lui, in qualcosa che avrebbe dovuto essere del tutto simile ad un bacio ma che non lo era.
- Ricordati di pranzare - Le disse mentre era già fuori dalla camera ricevendo una risposta in lontananza che non nascondeva la sua esasperazione per quelle continue raccomandazioni.

Quando Kate fu uscita Rick si finì di vestire e poi andò in cucina a cercare qualcosa da mangiare. Era a digiuno dal giorno precedente, quando aveva mangiato solo qualche tartina alla festa. Mentre si preparava delle uova con bacon, Martha lo raggiunse, osservandolo cucinare seduta al bancone, spilluzzicando un po’ di acini d’uva. 
- Bentornato Richard - disse infine l’attrice. Castle ripensava a tutto quello che era accaduto con Kate dal momento del suo ritorno ed era talmente assorto che non aveva nemmeno notato la variopinta presenza della madre a pochi passi da lui. - Forse avevo capito male, ma ti aspettavamo per questa sera.
- Ciao madre, avevi capito bene. Vuoi qualcosa?
- Oh no, grazie, queste cose invecchiano, mangiale tu. Stai bene Richard? È successo qualcosa?
- Sono successe molte cose e credo di aver fatto un casino. O forse anche più di uno.
Così Rick, evitando dettagli intimi che non era necessario riferire, raccontò a sua madre quanto accaduto con Kate e si lasciò andare, confidandole anche i suoi dubbi e le sue paure.
- Richard, Kate ha passato delle brutte giornate da sola, ma non hai mollato. Ha parlato con Alexis è stata eccezionale con lei e se lo chiedi a tua figlia ti dirà la stessa cosa. Sta riprendendo in mano la sua vita, non puoi attaccarla così. Perché poi? Perché ti ha rovinato la sorpresa? Le è piaciuto il libro, è stata felice, dovresti esserlo anche tu, non arrabbiarti con lei. Io non so quando fai così Richard da chi sei stato allevato! Possibile che non ti ho insegnato nulla?
- Mamma, per favore…
- Ragazzo mio, fai più capricci adesso di quando eri un bambino!
- Mamma! 
- No Richard, qualcuno te le deve dire queste cose, e quel qualcuno sono io!
- Vuoi scrivere un altro libro di consigli non richiesti basandoti su di me?
- Oh, ma anche per il primo mi sono basata su di te!
- Non sei divertente mamma!
- Non voglio esserlo, Richard, ma ascoltami. Kate è Kate. Io ci ho parlato, l’ho vista in questi giorni. Certo, fa delle cose che magari la Kate che conoscevamo non avrebbe fatto con altrettanto entusiasmo o leggerezza, ma è lei. La sua dolcezza, la sua fierezza, il suo senso dell’onesta, l’amore che ha per te… è sempre lei e i ricordi, piano piano arriveranno. Non è qualcosa che può programmare, in ogni caso.
- Non sono così sicuro che sia innamorata di me. Non lo ha mai detto.
- Da quando c’è bisogno che te lo dica per saperlo Richard? Tutto quello che fa lo dimostra. Come ti lascia i tuoi spazi, come si sforza per integrarsi nel tuo modo e rientrare nel suo. E poi come ti guarda, come ti accarezza e tutto il resto che sicuramente farà che io però non posso sapere! Questo è amore Richard, al di là delle parole che le porta via il vento!
- Per me le parole sono molto importanti, non le porta via nessun vento.
-Richard, dammi retta, devi considerare di più i fatti e meno le parole. Io l’ho vista la tua Katherine quando ha scelto quella tutina per la vostra bambina, le brillavano gli occhi all’idea di prenderla per te, per fare qualcosa per farti felice. 
- Lei lo sa cosa mi farebbe felice, eppure vuole fare l’esatto contrario.
- Le persone non sempre possono fare tutto quello che noi vogliamo. Ti sei mai fermato a chiederle cosa vuole lei? Come si sente lei adesso, in questa situazione? Quali sono le sue paure? Pensi che per Katherine sia facile?
- No ma…
- Rick, non è che sei tu che hai paura di una nuova vita con lei e ti senti insicuro? 

 

Beckett tornò a casa più tardi di quanto aveva previsto. C’era stato un omicidio in pieno giorno, ma fortunatamente riuscirono a catturare e incriminare il colpevole nel giro di poche ore, ottenendo una piena confessione, ma poi aveva dovuto compilare i verbali e si era fatto tardi. Quando Kate entrò in camera era molto stanca ed avrebbe voluto solo sdraiarsi e dormire. La trovò, invece, illuminata solo di candele. Pensava che Castle fosse lì ma la stanza era vuota. Si guardò intorno cercando di capire cosa dovesse fare. Poi sentì alcune note invadere lo spazio. 
Nothing goes as planned Everything will break
Si accese una luce sul muro davanti a lei e si compose un’immagine. Erano lei e Castle, probabilmente poco dopo che si erano conosciuti, i suoi capelli erano corti così come ricordava di averli: portò una mano a toccare le punte ora molto più lunghe, sorrise a vedersi così diversa da come era ora, ed anche a vedere Castle molto più sbarazzino. Era una foto probabilmente scattata quando loro non se ne erano accorti, alla scrivania di lei, sarebbero dovuti essere attenti a guardare il fascicolo che lei aveva in mano, in realtà si stavano guardando di sfuggita. Forse l’avevano fatta Esposito o Ryan.
People say goodbye In their own special way
Altra foto, loro due alla presentazione di un libro di Castle, insieme a Martha e Alexis. Si stupì di se stessa per quell’audace vestito fucsia estremamente corto e notò la sua faccia sorridere maliziosa e lo sguardo di Castle posarsi irriverente su di lei.
All that you rely on And all that you can fake
Erano insieme ad un ballo, lei con un elegante vestito rosso, lui con uno smoking impeccabile. Pensò mordendosi il labbro che vedendoli così era una bella coppia.
Will leave you in the morning But find you in the day
Loro due insieme al distretto in un momento di relax con Javier e Kevin, un’altra ancora mentre brindavano con delle bottiglie di birra insieme a Lanie, ancora una abbracciati al capitano Montgomery che commosse Kate, non aveva ancora del tutto assorbito il fatto che fosse stato ucciso per difenderla, nè il suo coinvolgimento, seppur indiretto, nell’omicidio di sua madre. 
Oh, you're in my veins And I cannot get you out
Ancora foto di lei con Castle lì al loft, poi di lei con Alexis, altre con Lanie e Esposito e Ryan in quella che aveva tutta l’aria di essere una festa per qualche ricorrenza
Oh, you're all I taste At night inside of my mouth
In altre foto erano loro due soli e poi insieme con gli altri in un locale che pensò essere quello di Castle, l’Old Haunt.
Oh, you run away ’Cause I am not what you found
Le foto cominciarono a susseguirsi più rapidamente ed ora erano tutte foto di Rick e Kate, selfie per lo più. Molte le aveva già viste nel suo cellulare, altre da Castle. Si osservava nelle foto mentre vedeva il suo volto sempre più disteso, meno contratto rispetto all’inizio, dei sorrisi sempre più ampi. E poi baci, giochi, scherzi, espressioni buffe che la fecero ridere mentre si commuoveva a vedersi.
Oh, you're in my veins And I cannot get you out
Il ritmo delle foto cambiò ancora, erano solo foto sue mentre dormiva, fatte nel corso degli anni.
Everything will change Nothing stays the same
Nobody here's perfect Oh, but everyone's to blame
Oh, all that you rely on And all that you can save
Will leave you in the morning And find you in the day

Ora le foto erano tutte dello stesso giorno, nessuna era in posa, momenti catturati mentre pensavano solo a loro stessi.  Era il giorno del loro matrimonio e pensava di non avere mai avuto sorriso così radioso. Vedeva come appoggiava la testa sulla sua spalla, come teneva la mano sul suo petto, come lui la stringeva. Pensò che in quel giorno doveva essere stata veramente felice.
Oh, you're in my veins
Il refrain dello canzone ricominciò lasciando l’immagine di loro appena sposati fissa sul muro. Sentì una mano poggiarsi sul suo fianco e quando si voltò sapeva esattamente chi avrebbe trovato. Castle aprì le sue braccia e lei ci si rifugiò, mentre lui la teneva stretta, le prese una mano e poi cominciarono a ballare. Kate appoggiò la sua testa sulla sua spalla accomodandosi lì, proprio in quel punto che sembrava creato appositamente per accoglierla: sentiva il suo profumo inebriarla e nonostante la quasi oscurità chiuse gli occhi per godersi il momento. Sentiva la mano di lui aperta che premeva sulla sua schiena, il calore che le trasmetteva, il senso di pace che le donava. La faceva sentire sua ed era esattamente come voleva sentirsi. Lei portò la sua mano in alto fino alla base del collo di Castle, accarezzandolo lievemente con le dita. Ballarono per alcuni minuti fino a quando le note non si dissolsero nell’aria e la foto scomparve, lasciandoli abbracciati nella quasi totale oscurità interrotta solo dalla tremante luce delle candele.

- Vuoi veramente rinunciare a tutto questo? A quello che siamo stati? A quello che c’è stato tra noi?
- L’unica cosa a cui non voglio rinunciare sei tu.
- Non rinunciare a te stessa.
- Io sono qui Castle. Sono quella che sono oggi. Accettami così, non mi lasciare.

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Capitolo 56
*** CINQUANTASEI ***


Io sono qui Castle. Sono quella che sono oggi. Accettami così, non mi lasciare.

- Kate, perché pensi che voglio lasciarti? - Rick allontanò Kate dal suo petto per guardarla negli occhi, stupito di quell’affermazione e quella richiesta che aveva un suono così disperato.
- Tu non vuoi me, tu rivuoi lei.
- Lei sei tu. Io voglio solo che tu ricordi quello che eravamo, perché non c’è niente di cui devi aver paura nel nostro passato, perché tutto quello che c’è stato di brutto lo abbiamo superato insieme.
- Tu me lo dici, ma sei il primo a non esserne convinto Rick. L’ho capito questa mattina, quando non mi hai risposto. Tu non ami me. Ami il ricordo che avevi di me.
- Io non posso vivere senza di te. - Non le disse che non era vero, e questa fu per Kate un’ulteriore conferma
- Io ti credo Castle, credo alla tua sincerità. Ma so che lo fai solo sperando che io ritorni quella che ero prima, non puoi negarlo.
- Non avrebbe senso negare che io voglio questo.
- E pensi di riuscire a starmi vicino se questo non avverrà?
- Io non posso stare in nessun altro posto nel mondo che non sia vicino a te.
Kate gli accarezzò il volto dolcemente e lui si appoggiò alla sua mano. Avevano entrambi bisogno uno dell’altra, ma nessuno dei due riusciva ad essere quello di cui l’altro aveva bisogno: lei non voleva essere quella che era prima, lui non riusciva ad amare totalmente lei che aveva deciso di non lottare per loro.
Nonostante questo non potevano fare a meno di essere vicini, legati da qualcosa di imponderabile, si facevano male, ma non potevano stare separati e trovavano conforto nei loro abbracci, sperando intimamente ognuno che la situazione si potesse in qualche modo risolvere, che qualcuno cedesse o che trovasse un punto d’incontro.
Kate davanti a quell’atteggiamento inaspettato di Rick dovette ingoiare l’idea di dirgli quello che provava. Come poteva dire ad un uomo che lo amava, che lo voleva solo per se, sempre, che voleva che fosse suo marito se si era resa conto che lui era il primo a non considerarla sua moglie, perchè sua moglie era l’altra Kate, quella nei suoi ricordi. Ripensava a quando si era messa la fede e a come si era sentita ed ora le rimaneva solo quel ricordo, era convinta che quella sera sarebbero stati qualcosa di diverso di quello che erano ora.
Kate era sempre più stanca, aveva dormito poco, lavorato molto, avuto un’altalena di emozioni che fatica a gestire. 
Si sdraiò sul letto accendendo la luce sul comodino, regolandola ad una bassa intensità. Rick spense sospirando una ad una tutte le candele ed aveva la terribile sensazione che ogni fiammella che si spegneva era una possibilità in meno per loro. La gioia, la positività e l’ottimismo per il loro futuro si erano frantumate contro le granitiche paure di Rick. Lui la raggiunse poco dopo, sdraiandosi dalla sua parte di letto, senza dire nulla, guardando il soffitto. Sentì il frusciare delle lenzuola quando lei si voltò appena un attimo a guardarlo e lui, senza pensarci, allargò un braccio: era un invito silenzioso che Kate accolse accomodandosi tra le sue braccia, sul suo petto, cullata dal battito del suo cuore che era molto più rapido del solito, segno della sua inquietudine. 
- Castle...
- Uhm?
- E' stato molto bello quello che hai fatto questa sera.
Entrambi finsero di dormire per molto tempo, appesantiti dai dubbi e dalle paure, prima di lasciarsi andare a Morfeo.

La mattina, quando Kate si svegliò prima del suono della sveglia, sentì qualcosa che gravava sul suo fianco. Ci mise poco per capire che era il braccio di Castle, pesantemente abbandonato su di lei. Non poteva dire che le dispiaceva quella sua istintiva possessività che aveva per lei, il suo cercarla anche quando dormiva, senza mai interrompere il contatto tra di loro, anche quando si allontanavano. Castle nei mesi passati insieme le giustificava questo come un segnale che loro avevano una connessione che andava oltre il loro volere e che l’inconscio o il destino decideva per loro. Aveva spesso storto il naso davanti a queste sue giustificazioni, credendo che fossero solo scuse per motivare il fatto che ogni notte finisse per abbracciarla. Ora sperava, invece, che avesse ragione lui. Spostò il suo braccio pesante per poter uscire dal letto e lui immediatamente percepita la sua assenza rumoreggio prima di svegliarsi.
- Dormi Castle, è presto. - Gli sussurrò prima di alzarsi, dandogli un bacio sulla guancia.
Quando tornò in camera dal bagno, Rick era sveglio, anche se con una faccia estremamente assonnata, seduto sul letto silenzioso e rimase così per tutto il tempo mentre lei si vestiva e si preparava.
- È per Alexis, vero? - Gli chiese Kate ottenendo come risposta solo un cenno del capo. - Quando parte?
- Oggi pomeriggio. Mi ha detto ieri che ha già spedito le sue cose. - Castle finalmente le parlò e la sua espressione era quella di un cucciolo che stava per essere abbandonato e lei gli si avvicinò rimanendo in piedi a lato del letto, accarezzandogli i capelli.
- Rick, Alexis è una donna ormai, è giusto che cerchi la sua strada, faccia quello che ritiene migliore per se.
- Lo so, però mi dispiace… E poi negli ultimi tempi l’ho trascurata… - Kate si allontanò
- Mi… mi dispiace Castle… Non avrei voluto che per causa mia trascurassi tua figlia.
- No, no Kate… Non è colpa tua. Sono stato io che non sono stato in grado di gestire tutto.
- Non darti colpe che non hai. Sono sicura che Alexis non si è sentita trascurata.

Lo convinse ad andare a fare colazione insieme e fu lei quella mattina a cucinare per lui. Rick la guardava muoversi ormai con naturalezza tra i fornelli di quella nuova cucina, chiedendosi se in fondo non ci fosse una possibilità di far funzionare tutto anche così, almeno per adesso.
Preparò dei pancakes, mettendo nei suoi tanto cioccolato fuso sopra, panna e granella di nocciole. Riuscì a strappargli un sorriso.
- Ce n’è anche per me? - La voce di Alexis che scendeva le scale li raggiunse mentre Castle stava per cominciare a mangiare e Kate finiva di guarnire la sua con la salsa i frutti di bosco.
- Certo Alexis - Le rispose Beckett mentre Castle l’abbracciava e la invitava a sedersi vicino a lui. - Come li vuoi?
- Come papà! - Provocò un sorriso compiaciuto in Castle che aveva già la bocca sporca di cioccolata.
Quando anche i pancakes di Alexis furono pronti, anche Kate si sedette con loro a mangiare. Nessuno parlò più di tanto. Kate, sbrigandosi, finì prima di loro per andare al distretto, ma prima che uscisse Alexis la fermò e contemporaneamente chiese a suo padre se poteva andargli a prendere in camera una valigia che era particolarmente pesante. Rick sorrise, capendo che voleva solo rimanere qualche minuto sola con Beckett per salutarla. Con tutta calma andò di sopra nella sua stanza dove c’era effettivamente una grande valigia chiusa. Si sedette sul letto di sua figlia, guardando le foto alle pareti e i pupazzi di Alexis, ripensando a quando era piccola, pensando che tra poco avrebbe ricominciato tutto da capo.

- Hai un paio di minuti? - La ragazza fermò Beckett che stava per uscire e la donna appoggiò la borsa lì dove fino a poco prima stavano mangiando. - Mi raccomando Kate, mio padre ha bisogno di un adulto che lo controlli e limiti le sue follie. Sono tranquilla se tu sei con lui, sei l’unica che riesce a contenere la sua esuberanza e a farlo comportare da adulto responsabile. - Beckett sorrise, in effetti alcune volte tra lei e suo padre i ruoli sembravano invertiti. 
- Beh, Al, non so se adesso è sempre così.
- Ma sì che lo è Kate! Senti… circa quattro anni fa, quando io mi sono diplomata ho dovuto scrivere il discorso. Vedi, quel giorno tu e papà… beh, avevate discusso molto. Io non lo sapevo, ma papà è venuto alla cerimonia, sorridendo, facendo finta di nulla ma dentro stava malissimo, ne sono certa. Poi quella sera tu sei venuta qui al loft e insomma… capito no? 
- Sì, ho capito…
- Ecco, voi state insieme da quel giorno. Mettendo via le cose da portare a Philadelphia ho trovato questo… - le diede un foglietto spiegazzato scritto a mano - è la bozza del mio discorso. Tu non l’hai sentito quel giorno, anche se a me avrebbe fatto piacere che tu ci fossi stata. Io penso che è sempre valido, per me che sto partendo, ma anche per voi. Kate e non avercene se anche io spero che tu possa ricordare tutti questi anni, perché tu sei stata e sei ancora molto importante per tutti noi ed è grazie a te se mio padre è un po’ meno bambino ed un po’ più uomo.  Ti voglio bene.
- Ti voglio bene anche io Al e dovrai tornare spesso per adempiere al meglio al tuo ruolo di sorella maggiore!
Le due si abbracciarono, sotto lo sguardo di Rick che aspettava in cima alle scale che Beckett uscisse per tornare da sua figlia. Kate mise il foglio in tasca, riprese la borsa, diede un altro abbraccio alla ragazza e nel farlo si accorse di Rick che la salutò con un sorriso.
Kate salì su taxi per andare al distretto. Mentre era seduta prese il foglietto che le aveva dato Alexis e cominciò a leggere.
“…Nonostante questo ci faccia male è ora di voltare pagina, malgrado ciò, ci sono persone che fanno talmente parte della nostra vita che saranno presenti ovunque andremo, sono il nostro punto di riferimento, la nostra Stella Polare, sono quelle piccole voci dentro il nostro cuore, che rimarranno con noi per sempre”

Al Loft Rick aveva raggiunto di nuovo la figlia tirando giù per le scale la grande valigia di Alexis.
- Vedo che ora non sono più convalescente per te! - Le disse con voce lamentosa
- Papà, non lo sei più da un pezzo, non fare la vittima! 
- Sì, hai ragione. Allora, quando parti?
- Dustin mi viene a prendere tra un paio d’ore.
- Oh, così presto… Speravo almeno in un pranzo insieme.
- Te lo avevo detto anche ieri che partivo questa mattina… - sbuffò Alexis
- Sì, scusami, è vero…  mi ero convinto nel pomeriggio, forse perché lo speravo - ammise Castle amareggiato
- Tutto bene papà?
- Sì, pumpink, è solo un periodo un po’ difficile con Beckett
- Io non i voglio intromettere tra voi papà, lo sai non l’ho mai fatto. Però penso che se tu la ami, devi accettare qualsiasi cosa deciderà di fare della sua vita. Puoi sperare che faccia altro, puoi soffrire per quello che è successo, però se tu ami Kate devi starle vicino in ogni caso. È sempre la nostra Kate, anche se lei non se lo ricorda.
- Ma tua nonna? - Chiese Rick per sviare il discorso ed evitare di rispondere alla figlia su quell’argomento che non riusciva ancora a gestire. 
- Oh papà, lo sai com’è nonna. Non ama i saluti, a meno che non possa farli nel suo solito modo melodrammatico. È uscita all’alba dicendo che la rugiada delle mattine di fine estate faceva bene alla pelle…
- Chissà in quale locale aperto all’alba vendono questa “rugiada”… 
- Ha detto che mi verrà a trovare prossimamente, sta organizzando alcune repliche dello spettacolo della sua scuola in un teatro a Philadelphia.
- Casualmente eh… - ammiccò Rick facendo sorridere sua figlia.

La salutò calorosamente quando Dustin le mandò un messaggio che l’aspettava sotto. Stava provando tanti sentimenti contrastanti. Era felice che la sua bambina avesse deciso cosa fare nel suo futuro, almeno immediato. Pensò che sarebbe stato tutto perfetto se con Beckett avesse vissuto un altro periodo.
Ripensò alle parole di Alexis, quelle a cui non aveva voluto rispondere. E si soffermò su una cosa che aveva detto: poteva anche soffrire per questo.

La verità era che Rick non si era dato tempo di soffrire per quello che era successo. Aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo che Kate era rimasta in ospedale in coma, doveva dirlo adesso, in coma: già quello era un passo avanti nell’accettare la cosa.  Quando era convinto che poteva cominciare a respirare, quando lei si era risvegliata, aveva cominciato una nuova corsa, quella ad essere il perfetto amico/compagno/marito qualunque cosa lei avesse voluto, tutto per farla stare bene, per aiutarla a riprendersi e a ricordare.
Non si era mai lasciato andare, tranne in rari momenti, allo sconforto. Aveva parlato con Burke ma più che altro della sua paura di perderla, del suo senso di inadeguatezza nel proteggerla, non aveva mai parlato, realmente, della sua sofferenza nel non ritrovare la sua Kate e di quanto questo lo stava logorando. Non era solo la mancanza dell’avere la certezza del suo amore, c’era di più, c’era la paura di non ritrovarla.
Pensare solo a lei, a farla stare bene, a farle avere tutto quello che voleva, a portarla nei loro luoghi, cercare di farla innamorare di nuovo di lui, sperando di scatenare una serie di reazioni a catena che l’avrebbero portata a ricordarsi di come l’amava prima, lo avevano distolto dal pensare al suo dolore, alla sua perdita. Perchè Rick si sentiva così, come se avesse perso qualcosa, anzi qualcuno e non lo aveva mai voluto ammettere, prima di tutto a se stesso. Viveva come un lutto non avere più sua moglie, si sentiva defraudato degli anni più belli della sua vita e questi sembravano mancare più a lui che a lei che non li ricordava. Lui sì e sentiva come se qualcuno glieli avesse portati via, perchè ora vivevano solo in lui, ed era come se non ci fossero più, come se fossero solo un riflesso marchiato a vita in uno specchio in assenza dell’originale che era scomparso nella memoria di Kate. Perchè senza di lei i suoi ricordi erano nulla, perché se solo lui si ricordava di loro, loro non esistevano più.
Le era mancata anche in senso fisico e se ne era accorto solo quando l'aveva avuta di nuovo. Certo, si era detto più volte che non era quella la cosa importante, vista la situazione, ma non era così, era sempre un uomo e quella che aveva sempre davanti o tra le sue braccia in modo più o meno amichevole, era sua moglie, la sua bellissima moglie, una donna che lo aveva sempre attratto in modo particolare, con la quale c’era sempre stata una chimica che non riusciva ad arginare in nessun modo. Quella chimica che ora non sentiva più. Non era un discorso esclusivamente dato da un bisogno sessuale, quello era facile da soddisfare e ci riuscivano in pieno. Era un bisogno di condividere con lei il suo corpo e la sua anima, come facevano ogni volta che facevano l’amore, perchè per lui non era mai solo sesso. Era dello splendido ed appagante sesso, ma non solo quello: era tutto quello che, per lui, c’era oltre al sesso che faceva sempre più fatica a ritrovare ogni volta, dopo ogni amplesso che gli lasciava tanta soddisfazione fisica quanto quella malinconia di qualcosa che gli mancava e non trovava più. Ogni volta questo gli presentava sempre un conto più salato in termini di emozioni scomparse, tanto da essere pervaso da un senso di disgusto verso se stesso per sentirsi così, per non riuscire più ad amarla totalmente come avrebbe voluto, con tutti i suoi sensi, ma rendendosi conto di farlo sempre più solo in senso fisico e questo lo spaventava.

Rick aveva fatto finta di non sentire il suo dolore, anestetizzandosi con la nuova Kate, lo aveva cacciato via, il più lontano possibile dal suo cuore e dalla sua testa, concentrandosi su di lei e sulla bambina. Ma era proprio quella bambina, quando ci pensava, da solo, che riportava a galla tutta la sua angoscia, ed il suo tormento. Era quella bambina, quel legame così potente tra quello che era stato e quello che era che gli faceva ricordare ogni volta tutto quello che aveva perso, tutti quei sentimenti che non poteva condividere, tutte quelle situazioni che non poteva vivere. Ripensava spesso a quella notte che era convinto era quella in cui avevano concepito la loro piccola. Ripensava a quelle sensazioni, a come Kate lo amava con tutta se stessa, come lo reclamava, come lo voleva con ogni fibra del suo essere. Come poteva non voler ricordare momenti come quello? Come poteva non voler ricordare tutto quello che avevano condiviso? Lui si aggrappava a quei ricordi per sentirsi vivo, per galleggiare nella sua inquietudine.
Sapeva che Kate amava la loro bambina lo aveva capito dalla volta che l’aveva vista commuoversi durante la prima ecografia, ma percepiva la sua ansia, la sua preoccupazione che andavano oltre quelle normali delle madri in attesa del loro primo figlio. Era una tensione diversa, quella di una donna che ancora non aveva superato lo shock di scoprirsi incinta senza saperlo. Il terrore che aveva letto negli occhi di Kate quando pensava che non fosse normale non riuscire a sentirla, non era una cosa da Beckett, quell’irrazionalità non era solo per la paura comprensibile di una madre, era qualcosa di più, che nasceva dal profondo, come se dentro di se sentisse la colpa per quanto accaduto, per aver inconsapevolmente messo a repentaglio la vita di sua figlia.
Quando qualche volta, soprattutto nei primi tempi, le aveva parlato di quanto fosse buffa quella situazione, per tirarle su il morale e cercare di sdrammatizzare. A lui erano venuti in mente anche paragoni grandissimi, ma non le disse mai niente per non essere accusato di essere blasfemo o quantomeno megalomane. Rick, comunque, credeva veramente che la loro bambina fosse un miracolo o, almeno, un’entità superiore mandata appositamente per aiutarli a salvarsi e ritrovarsi, perchè altrimenti non avrebbe potuto resistere a tutto quello che era successo. Era il loro miracolo privato, ne era certo, e non c’era nessun discorso logico che gli avrebbe fatto cambiare idea: qualcosa di vero nei suoi pensieri c’era, ma se li sarebbe tenuti per se, almeno per il momento.

Castle capì alla fine che il dolore non si può nascondere, non si può fare finta che non esista sperando che passi da solo, doveva affrontarlo, in qualche modo. Lui invece lo aveva ignorato, anzi, lo aveva accumulato mettendolo granello dopo granello nel cuore, ed ora era diventato un macigno che non riusciva più a sostenere. Rick si sentiva come se fosse un suo libro del quale non aveva scritto un capitolo e doveva per forza tornare indietro, rileggere dove era arrivato, aprire il computer e ricominciare a scrivere quello che aveva interrotto. Altrimenti non avrebbe avuto senso nessun finale di quella storia. Sapeva che ogni parola di quel capitolo che avrebbe scritto  gli avrebbe fatto male, ma non poteva più fare finta che non ci fosse, o peggio, che la storia avesse un senso così com’era.
Si sentiva come un uomo che era stato lasciato dalla sua donna, doveva metabolizzare questo evento. Dove era andato il loro amore, quello che ancora viveva in lui così forte da bruciarlo, corroderlo? Possibile che qualcosa di così intenso potesse svanire perso nell'oblio? Quell'amore che li aveva tenuti più volte in vita, al quale si erano aggrappati prima ancora di riconoscerlo e di sapere si amarsi, adesso era diventato fragile a tal punto da essere diventato trasparente nella mente di Kate. E senza quella parte del loro amore lui era solo. Solo a soffrire per loro. Solo a starci male, solo a ricacciare via lacrime e tristezza pensando a loro stessi. Perchè lei, perdendo la memoria, in realtà, si sentiva come se non avesse perso nulla. Lui, invece, aveva perso il suo mondo. Si sentiva come un uomo a cui il terremoto aveva raso al suolo la sua casa distruggendo tutto. E sì, ne poteva costruire un'altra anche più bella, ma non era la sua, quella dove aveva vissuto che si portava dentro le sue memorie.

Allora forse sarebbe stato meglio se avesse dimenticato tutto anche lui, che avessero ricominciato da zero insieme, perché ne era certo, lui si sarebbe sempre innamorato di Kate Beckett, in qualsiasi vita.

 



Nei commenti dei precedenti capitoli ed anche nei messaggi che mi sono scambiata in privato, ho visto che più di qualcuno si poneva dei dubbi sul comportamento di Castle. Spero che questo capitolo vi abbia chiarito un po' di più le idee ed anche il prossimo sarà un viaggio nell'universo di Rick per spiegare meglio il suo punto di vista su questa situazione.
Dal mio punto di vista non c'è chi ha torto o ragione, ci sono due mondi e due persone che vivono lo stesso problema soffrendone in modo diverso.

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Capitolo 57
*** CINQUANTASETTE ***


Kate era rimasta a lavoro tutto il giorno, fino all’ora di cena, molto più di quanto aveva detto sarebbe rimasta e Rick guardava con impazienza l’orologio attendendo il suo ritorno. Aveva cucinato per loro e dopo che Alexis era partita avrebbe voluto, per quella sera almeno, mangiare insieme. Ne aveva bisogno. L’aveva chiamata e glielo aveva detto. Avrebbe preparato per le 19:00 e lei lo aveva rassicurato che sarebbe stata a casa molto prima. La pasta gratinata che aveva preparato era uno dei piatti preferiti di Kate, con tanto parmigiano e tanta mozzarella che la rendeva filante e morbida dentro e croccante in superficie. Erano le 20:00 e Kate non era arrivata nè aveva avvisato del suo ritardo.
- Mangiamo madre - disse a Martha mettendo due porzioni di pasta nei piatti e riponendo quella che avanzava nel forno.
- Ma Richard, Katherine…
- Sapeva che stavo preparando per cena, poteva avvisare. Evidentemente non è abbastanza importante da farci sapere se fa tardi. 
Si sedette e cominciò a mangiare in silenzio visibilmente contrariato. Martha lo imitò e quando provò a parlargli lui fece un gesto eloquente dicendo che non voleva sentire.
- Ti comporti come un bambino Richard. Hai pensato che forse non può avvisarci? Magari è impegnata e non può farlo. Sai quante volte io e Alexis abbiamo aspettato che tu lo facessi senza ottenere nulla?
- Sono preoccupato per lei, madre! Ne posso avere il diritto?
- Certo, ma tu non sei preoccupato solo per questo, faresti bene ad ammetterlo con te stesso, saresti più onesto. Il problema non è una cena, per quanto ottima, complimenti ragazzo.
Castle sorrise per il complimento della madre. Non era solita fargliene, ma lei sapeva che in quel momento ne aveva bisogno. Martha non sarà stata una madre convenzionale ma sapeva di cosa aveva bisogno il suo “bambino”. Sparecchiò lasciando sulla tavola il piatto e le posate per Kate, quando sarebbe arrivata.
Rick si mise sul divano ed accese la tv facendo uno zapping annoiato, senza sapere nemmeno cosa cercava, non lo interessava niente.
- Pensi di ricominciare di nuovo il giro arrivato in fondo? - Gli chiese Martha annoiata seduto vicino a lui con un bicchiere di vino
- Non so… - disse lui continuando a cambiare canale compulsivamente.
- Che ne dici di un bel classico in bianco e nero? - Propose l’attrice
- Magari anche muto! - Ironizzò Castle per nulla entusiasta della proposta.
Poi si fermò su un canale attirato da un luogo familiare. Era l’esterno del 12 e la Breaking News sotto le immagini lo destarono immediatamente dal suo stato di apatia: “Fermato l’uomo che aveva preso in ostaggio gli agenti” e le due ambulanze davanti all’entrata del distretto lo fecero raggelare. Si alzò di scatto cercando il suo cellulare per chiamare Kate, ma era spento. Proprio in quel momento sentì la porta del loft aprirsi e vide una affaticata Kate entrare e chiudersi dietro stancamente la porta, sotto lo sguardo preoccupato di Rick e Martha che lo aveva raggiunto al suo fianco.
- Scusatemi per la cena - si giustificò e sentendo la tv aveva capito che loro sapevano. 
- Stai bene? - Le chiese Rick che in pochi minuti aveva elaborato i peggiori scenari.
- Sì. Un sospettato che dovevamo interrogare, ha preso in ostaggio due agenti di guardia dopo averli disarmati e si è barricato nella sala interrogatori. È stato un pomeriggio movimentato.
- Il capitano che ha condotto le trattative… - Ripeteva quello che aveva sentito di sfuggita alla tv
- La Gates, Castle. Non io. Non mi sono esposta se è quello che vuoi sapere.
- Bene. Hai fame?
- Si un po'... - In realtà non aveva fame, aveva ancora lo stomaco chiuso per la tensione del pomeriggio, ma sapeva che doveva mangiare, riprendere a fare almeno un paio di pasti regolari al giorno.
Castle le scaldò la pasta che aveva preparato e si sedette davanti a lei mentre mangiava senza alzare gli occhi dal piatto.
- Scusami se non ti ho avvisato. È stato un pomeriggio concitato. Mi dispiace se sei stato in apprensione.
- L’ho saputo solo pochi minuti fa, per fortuna. Sarei venuto lì, altrimenti.
- Lo avresti fatto?
- Certo che lo avrei fatto, stavo già pensando di uscire! - Disse Castle estremamente sicuro.
Kate sorrise imbarazza davanti alla determinazione con cui lo aveva detto e non dubitava che lo avrebbe realmente fatto.
Appena finito di mangiare Kate andò a prepararsi per mettersi a letto. Prese il libro che aveva cominciato qualche giorno prima e lesse qualche pagina per rilassarsi. Castle la raggiunse qualche tempo dopo, quando lei ormai era abbastanza stanca e stava per dormire. Lo aveva sentito scrivere nel suo studio e si chiese se avesse avuto qualche idea fulminante o se lo faceva solo per sfogarsi.
- Come ti senti? - Le chiese ancora appena si distese dalla sua parte di letto.
- Sto bene Castle, veramente. Sono situazioni che capitano.
- Beh, non capitano spesso per fortuna e… non sempre si risolvono bene. - Sentenziò lui nervoso.
- Castle, per favore.
- Ok. - Rick fece silenzio per qualche minuto, poi tornò a guardarla - I minuti passati da quando ho sentito la notizia a quando sei entrata a casa sono stati terribili, potrei anche aver smesso di respirare. 
Castle portò di nuovo lo sguardo al soffitto, per non farle vedere che i suoi occhi erano lucidi. Era la prima volta che viveva di nuovo una situazione di paura per la sua incolumità. Gli era già capitato altre volte, ma adesso era diverso. Dopo la sparatoria al loft dopo aver sentito la sua mano lasciare la sua presa, era tutto dannatamente più difficile nella sua mente. E poi c’era la bambina… Sentì la mano di Kate prendere la sua. Era fredda, come sempre, lei era più fredda di lui. Kate diceva sempre che era lui che era eccessivamente caldo, e quante volte avevano scherzato e fatto battute su questo. Il loro battibeccare su queste cose senza senso, Dio se gli mancava.
- Castle… vieni qui? - Disse Kate tirandogli la mano.
- Dove? 
- Qui… - Rick si lasciò condurre tra le sue braccia ed appoggiò la testa sul suo seno, proprio sopra il cuore di Kate che batteva veloce. Di solito era sempre il contrario, era lei che dormiva sul petto di Castle, ma aveva capito che era lui che ne aveva bisogno quella sera e lei piaceva che lui stesse così, tra le sue braccia. Le sarebbe piaciuto dirgli che quel cuore che sentiva battere così forte, lo faceva per lui. Gli avrebbe voluto dire quella e tante altre cose. Si limitò invece ad accarezzargli i capelli, mentre lui la cingeva con il suo braccio. 
- Anche tu sei comoda come cuscino - mormorò appena Rick.

Kate uscì che Castle era ancora a letto. Lui però aveva fatto finta di dormire mentre lei si preparava. Aveva solitamente il sonno molto pesante e Beckett non si accorse che in realtà era sveglio, così Rick era perfettamente vigile quando lei, prima di vestirsi, si era sdraiata nuovamente al suo fianco, guardandolo, spostandogli i capelli dal volto e poi baciandolo sfiorandogli appena le labbra più volte prima di uscire. Rick rimase molto colpito da quel comportamento di Kate trovando nascosto nei suoi gesti un sentimento molto profondo ed una dolcezza che sperava nascondessero altro: non lo aveva fatto per lui, per compiacerlo. Credendo che lui dormisse, quei gesti erano stati soltanto per se stessa, perché evidentemente ne aveva bisogno. 

Aveva atteso che Kate fosse uscita per prepararsi per andare da Burke. Lo aveva chiamato quando era ancora a Los Angeles aveva bisogno di parlare con qualcuno per aiutare a fare chiarezza, dopo quello che aveva quasi fatto e che non aveva nemmeno avuto il coraggio di dire a Kate.
Si ricordò che doveva ancora leggere le correzioni che Linda aveva fatto al suo manoscritto lo andò quindi a cercare sul comodino di Kate dove lo aveva visto l’ultima volta e nel prenderlo fece cadere una busta bianca dalla quale caddero delle memory card, riportandogli alla mente situazioni non proprio piacevoli.
Vide il foglio che c’era dentro e lesse il messaggio scritto da Vaughn di proprio pugno e non resistette alla tentazione di guardare quelle foto e più del bacio dove riconosceva la postura rigida di Kate chiaro segnale per lui che la conosceva bene che non era lei ad aver voluto quel contatto, quello che gli fece veramente male fu vederla appoggiata alla sua spalla e le parve sorridente e rilassata. Tolse tutto e rimise nella busta il foglio e i supporti digitali, ma la voglia di leggere quelle favole non ce l’aveva più. 
Ciondolò per il loft fino a quando non fu ora di uscire per andare da Burke. Non aveva nemmeno voglia di guidare e fermò un taxi.

- Kate ha deciso che non vuole ricordare nulla del suo passato, ma immagino che lei questo già lo sappia. -Castle accavallò le gambe e si appoggiò allo schienale delle sedia ostentando una finta tranquillità
- Lo sa Rick che non posso dirle nulla di quello che so o che non so.
- Non c’è bisogno dottore, so che sa. - Burke sorrise e a Castle bastò come risposta.
- Come la fa sentire questa decisione di Kate? - Chiese il dottore sfogliando il suo taccuino
- Perso. La certezza che lei avrebbe riacquistato la memoria è stata la cosa che mi ha fatto fare tutto quello che ho fatto.
- Rick, io devo essere sincero con lei. Non credo che lei abbia in realtà capito la portata di quanto le è accaduto. Non deve fare finta che vada tutto bene nella sua vita come ha fatto fino ad ora, perché non è così. 
- Lo sto capendo adesso. Quello che mi ha detto Kate è stato come aprire una finestra sulla realtà, su tutto quello che non avevo voluto vedere fino ad ora, tutto quello che avevo fatto finta non esistesse.
- Cioè? Cosa aveva fatto finta di non vedere?
- Chi era Kate. Io l’ho sempre trattata e l’ho sempre vista come una figura transitoria. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per far in modo che lei recuperasse la memoria, non mi sono mai fermato a pensare se la situazione fosse rimasta così cosa avrei fatto, ma soprattutto avevo dato per scontato che lei volesse ricordare e quindi io ero disposto a fare qualunque cosa per aiutarla ad andare avanti in questo percorso. Ora no, ora ho capito che sono solo io a volerlo e non lei. Lei vuole altro ed io devo imparare a vederla come se fosse un’altra persona. Io non riesco ad accettare la sua decisione. Perché facendolo sarebbe come rinunciare a lei ed io non voglio farlo. - Il dottore lo ascoltava attentamente e andava a rileggere gli appunti dell’ultima volta che si erano visti.
- Ha capito poi se è più importante quello che eravate o quello che siete adesso o che potrete essere?
- Purtroppo credo di sì.
- Perché purtroppo?
- Perché credo che sia quello che eravamo. Non riesco a staccarmi da quello, non riesco a lasciar andar via la nostra vita.
- E a lasciar andar via questa Kate? Pensa di esserne capace?
- Dio, no!
- Cosa vuole fare allora Rick?
- Io… non lo so… Non potrei mai riuscire a separarmi da lei, ma non riesco nemmeno a fare finta di nulla ed andare avanti. Quando ero fuori lei mi ha detto che aveva incontrato una persona e lui l’aveva baciata… Io non ho capito più niente, mi sono sentito umiliato, come se tutto quello che avevo fatto per lei non fosse servito a niente, mi sono sentito tradito. Mi sono sentito malissimo ed ho quasi fatto una sciocchezza. Volevo ferirla, volevo farle del male e mi sono lasciato andare con la prima donna che ci ha provato - Castle gesticolava mentre parlava in modo concitato. Si stava lasciando andare, stava cercando di fare chiarezza dentro se stesso, tirando fuori tutte le sue paure. Burke lo guardava impassibile.
- Io… non l’ho tradita. Non in quel senso… Non… non ci sono riuscito. Ma lo avrei voluto fare.
- Come si è sentito Rick?
- Male, peggio. Io so che non posso farle questo, non è giusto, non riuscirei mai a tradirla con nessun altra donna. Lei è tutto per me, ma non riesco ad amarla nell’unico modo che vorrei. 
- Quale sarebbe questo modo? 
- Totale.
- Totale?
- Sì. Non riesco ad avere rapporti con lei senza sentire dopo un senso di colpa. Io… non so come spiegarmi ma sento come se tradissi mia moglie e non riesco ad amarla come vorrei. Mi ritrovo a pensare che stiamo solo facendo sesso e non è quello che voglio, non con lei.
- Rick, ma come fa a tradire sua moglie se Kate è sua moglie?
- Dottore, ha presente due gemelle? Ecco, se lei è sposato con una ed ama quella donna per quello che è, per quello che avete fatto insieme, se un giorno la sostituiscono con la sua gemella che è uguale a lei non è la stessa cosa, perché non è la stessa donna. Io mi sento come se avessi vicino a me la gemella di Kate.
- Gliene ha parlato di quello che sente? Magari anche Kate così potrebbe capire quello che sta provando lei, Rick. 
- No, come faccio a dirglielo? Io non voglio farla soffrire e questo discorso la farebbe star male, la confonderebbe ancora di più, ne sono certo.
- Lei è sempre molto attento ai bisogni di sua moglie, a prendersene cura.
- Io non smetto di sperare, anche se non so cosa lei prova per me realmente.
- Per lei cosa sarebbe più importante, sapere che la ama o che ricordi di voi?
- Se ricordasse di noi, mi amerebbe. - Disse Rick sorridendo amaramente.
- E se l’amasse senza ricordarsi di voi? Cosa vorrebbe dire per lei quello?
- Non lo so… Vede dottore, alla fine hanno vinto loro. Hanno ucciso mia moglie. Non Kate, ma mia moglie sì. Non c'è più. È morta quel giorno. 
- Kate è sua moglie, Rick
- Lo è tecnicamente ma non di fatto. Non sa di esserlo, non lo ricorda, è come se non lo fosse. Come se tutto quello che c'è stato tra noi non ci fosse più, non fosse mai esistito. Mia moglie non c'è più.
- Si sta arrendendo Castle?
- Pensavo di farcela, è più forte di me. Questa cosa mi sta logorando, mi sento dilaniato, diviso a metà.
- Cosa prova per Kate?
- I miei sentimenti non sono cambiati. Quando la guardo vedo quello che avrei sempre voluto vedere, che ho sempre sognato dalla prima volta che l'ho vista con una bambina quando lavoravamo ad un caso: avere un figlio da lei, il coronamento di tutto, il senso della mia vita. Strano vero? La conoscevo da pochissimo tempo, tra di noi non c’era nulla, eppure in quel momento ho avuto l’immagine di lei a casa mia, con nostro figlio in braccio e mi sono sentito bene. E’ assurdo, no?
- No, Rick, non è assurdo. Vuol dire solo che lei già provava per Kate qualcosa che era molto più di quello che voleva dire.
- Vede dottore, io con lei mi sono sempre comportato in modo diverso da qualunque altra donna avessi mai avuto. Perché lo sapevo che era lei. Però mi accorgo che quello che c'è tra di noi è ora diverso e allora penso “Perchè tieni imprigionata la mia Kate? Perchè non me la dai indietro?” Non riesco a lasciarmi andare, a staccarmi da quello che eravamo. Io la amo, darei la mia vita per lei, anche in questo stesso istante se fosse necessario. Però mi ritrovo, alcune volte, a guardarla e a provare del risentimento perchè non vuole tornare indietro.

Rick uscì distrutto dallo studio di Burke, ma con una nuova percezione della realtà e su quello che era successo quel giorno al loft. Fermò un taxi e si fece portare lontano da lì.

Castle salì i tre gradini. Il portone era aperto. Entrò e bussò alla porta alla sua sinistra con quella scritta così familiare, anche se era stato lì solo un paio di volte.
Jim gli andò ad aprire e vedendo il genero con la faccia segnata da dolore e stanchezza si allarmò.
- Katie… - disse l’uomo con un filo di voce.
- Sta bene. Stanno bene, lei e la bambina. Scusami se sono venuto qui, se ti disturbo.
L’uomo gli lasciò il passo facendolo entrare.
- Cos’è quella faccia Rick, perché sei qui?
- Ho bisogno di parlare con qualcuno. Di farti una domanda. Puoi anche cacciarmi poi se lo credi. Non sapevo dove andare.
- Vuoi un caffè? Sai, vorrei offrirti qualcosa di più forte vista la tua faccia, credo tu ne possa avere bisogno, ma gli alcolici in casa mia dono banditi. - L’uomo sorrise cercando di metterlo a suo agio
- Un caffè andrà bene, grazie. 
- Cos’è successo Rick, avete discusso ancora?
- No Jim… Non proprio…
Castle seguì il suocero in cucina, lo osservò preparare la bevanda e poi arrivare al tavolo, porgergli una tazza e invitarlo a sedersi. Lo fece, lì dove aveva appoggiato il caffè, evitando accuratamente la sedia più vicina a lui, lasciata vuota per una presenza ancora ingombrate e Rick aveva capito già la risposta a quella domanda ancora non posta. Bevve un sorso per darsi coraggio, mentre il padre di sua moglie lo osservava attentamente.
- Jim, come si supera la morte della propria moglie? - All’uomo più anziano andò quasi di traverso il caffè. Tossì guardando Castle inorridito che non si era nemmeno accorto di come aveva detto in modo brutale all’uomo quella frase, con una mancanza di sensibilità che non era da lui che con le parole ci lavorava e non era stato in grado di formulare quel concetto in modo meno violento, incurante di cosa volesse dire quella domanda per Jim Beckett, da due punti di vista diversi.
- Rick, Katie… 
- Kate sta bene, Jim. Ma Kate, questa Kate, non è mia moglie. - Castle bevve un altro sorso appoggiando poi la tazza davanti a se e Jim fece lo stesso. 
- Capisco quello che vuoi dire. È difficile, ma lo capisco. - Si mostrò fin troppo comprensivo con lui.
- Mi dispiace. Io volevo essere migliore, volevo essere più forte. Ma non ce la faccio. Io amo Kate, morirei per lei Jim. Ma Kate non è più mia moglie. Mia moglie è morta quella mattina ed io non riesco ad andare avanti.
- Rick hai scelto la persona sbagliata da prendere ad esempio.
- No Jim, perché chi cade e si rialza è più forte di chi non cade mai. Tu hai vissuto tutte le fasi del tuo dolore. Io non riesco ad accettare il mio.
Il padre di Kate prese coraggio. Non aveva mai visto Rick così in crisi, nemmeno in quei terribili giorni in cui il futuro e la vita di Kate erano appese ad un filo. Lì si era sempre mostrato forte e positivo, lo aveva sempre sorretto ricordandogli quanto la loro Kate fosse forte e che avrebbe combattuto come sempre per non lasciarli soli. Jim, poi, si sentiva sempre in debito con la figlia: era stato lei a salvarlo nei suoi giorni più bui e se aiutare suo marito le fosse stato d’aiuto, lo avrebbe fatto, anche se gli faceva ancora male parlare di quelle cose.
- Sai Richard, il giorno che Johanna è stata uccisa, la mattina era uscita di casa prima di me. Era stata chiamata per incontrare un cliente. Quando andai in cucina, sulla lavagna attaccata al frigo mi aveva lasciato un messaggio: “Per Jim: ricordati di portare i vestiti in lavanderia. Ti amo Jo”. 
- Kate quando la mattina usciva presto mi lasciava i post-it in cucina. - Sorrise amaro Rick
- Katie ha tante cose in comune con sua madre, molto più di quante lei pensi. Ma lei ha visto solo un lato di Johanna, ed era ancora una ragazza troppo giovane quando ce l’hanno portata via. Ho letto quel messaggio ogni singolo giorno, per anni. Ogni giorno mi ubriacavo davanti a quelle parole, fino a quando avevo bevuto talmente tanto da non riuscire a leggerle più. Katie voleva buttarla, diceva che mi faceva male, ed era vero, perché averla lì era sempre come avere lei davanti agli occhi. Un giorno l’ho fatta sparire e le ho detto che l’avevo buttata. In realtà l’avevo solo nascosta, non la leggevo più tutti i giorni, ma sapevo che c’era e quando volevo, andavo nel ripostiglio, la tiravo fuori e la leggevo. E fissavo le ultime tre parole perché dovevano essere sempre dentro di me. 
Jim si alzò aprì una porta in fondo alla cucina e dopo poco ne uscì con un oggetto metallico in mano. Era la lavagna e c’era ancora la scritta di Johanna.
- Ormai non si cancella più. L’inchiostro si è solidificato lì. La sua scritta rimarrà sempre, come il suo ricordo, come il dolore per la perdita. Volevi sapere come si supera? Per la mia esperienza ti posso dire che non si supera. Non riuscirei mai ad amare nessun altra donna, non come ho amato lei, ma in nessun modo. Affetto, amicizia, quello sì. Ma amore no.
- So già che non riuscirei ad amare nessun altra donna Jim. Il problema è che adesso non so nemmeno se riesco ad amare come dovrei questa Kate. Perché mi sembra di tradire mia moglie! Dio lo so che è stupido e assurdo, però è qualcosa di irrazionale.
- Rick, Katie è Katie. Per me è sempre la mia bambina, però capisco quello che vuoi dire. Anche a me, a volte, sembra di parlare con un’altra persona e mi stupiscono certi suo atteggiamenti e mi trovo a pensare che lei non avrebbe fatto così o non avrebbe detto questo o quello. Mi fa male pensare che in lei non ci siano più i ricordi di quello che abbiamo passato insieme, anche se non è stato molto tempo, ho molti ricordi belli con lei, dolorosi come i mesi in montagna dopo che le hanno sparato, però belli. Abbiamo parlato e ci siamo avvicinati ancora di più in quel periodo ed io ho capito tanto di lei ed anche di te. 
- Di me?
- Sì. Perché quando parlava di te le si illuminava il viso, ed erano le uniche occasioni. Non ci voleva molto a capire cosa c’era tra voi, solo voi non lo capivate. O forse lei non lo capiva. Io so che lei ricordava. Me lo ha confessato una sera che stava particolarmente male. Avrei voluto chiamarti e dirti di venire, ma Katie mi pregò di non farlo, non si voleva farsi vedere in quello stato. Sai com’è…
- Lo so…
- Quindi se dispiace a me, posso capire a maggior ragione tu come ti senti a sapere che nella mente di tua moglie non ci sono ricordi di voi.
- Non riesco ad accettarlo. Il mio amore è morto lì. Vive solo in me. 
- Tu però puoi sempre sperare che Kate ritrovi la memoria. E la speranza non è poco nella vita. Però dalle una chance a questa Kate. Io sono sicuro che ti amerà anche lei, anzi sono sicuro che già ti ama.
- Sono io che non so se ce la farò così come lei merita, come ti ho promesso a te che l’avrei fatto.
- Rick, non devi pensare alle promesse che hai fatto a me. Non potevo sperare un uomo migliore vicino a mia figlia, lo dico sul serio. Poi mi regalerete una nipotina. Sono felice per tutto quello che fai per lei e anche da questi dubbi che hai si capisce quanto la ami.
- Tanto, Jim, con tutto me stesso. Morirei per Kate.
- Lo so Rick. Lo hai dimostrato. E so che per Kate era la stessa cosa.
- È insieme alle mie figlie la cosa più importante della mia vita. Sarei perso senza di lei, è sempre e comunque il mio faro, nonostante tutto non riesco a vedere la mia vita senza di lei, anche se a volte mi trovo pieno di rabbia e pensare che lei sta tenendo prigioniera la mia Kate. - Jim sorrise nel sentire parlare Castle così, gli sembrava brutto farlo, però era estremamente triste e dolce allo stesso tempo quel suo pensiero - La bambina è… fantastico! Un figlio con Kate l’ho sempre desiderato. - gli occhi di Rick si erano illuminati di nuovo poi riprese a parlare a suo suocero dell’argomento che lo interessava di più: Kate.
- Sai Jim, io ho sempre pensato che tua figlia fosse la donna giusta per me, quella che avrei sempre dovuto incontrare, quella con la quale avrei potuto finalmente fare quella famiglia che non ero mai riuscito a costruire. Purtroppo non gli ho mai potuto dire che lei sarebbe stata la mia prima ed unica moglie, ma te lo assicuro, sarà l’ultima. Non ci sarà mai nessun’altra dopo Kate nella mia vita, comunque vadano le cose. Lei ora non vuole più ricordare il suo passato, ma io l’aspetterò anche per sempre. Ho sempre la speranza, no? L’hai detto anche tu.
- Non la perdere mai Rick. Mai… Avete deciso il nome per la bambina? - Chiese Jim cambiando discorso prima che entrambi fossero troppo commossi per andare avanti
- No, beh quando ho saputo che era femmina ho pensato fosse giusto che in ogni caso decidesse Kate. Penso che magari c’è un nome a cui tiene particolarmente che vorrebbe scegliere, ma ancora non ne vuole parlare.
- Qualunque nome sceglierà sarà quello giusto. - Gli disse suo suocero sapendo a quale nome importante Rick si riferisse.
- Sì lo credo anche io. Come avete scelto il nome di Kate?
- Lo ha scelto Jo. Non le ho mai chiesto il perchè. Mi piaceva. E poi le ho detto che qualunque nome avesse scelto sarebbe stato quello giusto.

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Capitolo 58
*** CINQUANTOTTO ***


Castle stava rientrando a casa dopo essere stato da Jim e se era possibile si sentiva ancora peggio di prima. Pensava che parlare con Burke, sfogarsi, confessare il suo stato d’animo al padre di Kate sarebbe riuscito a schiarirgli le idee ed invece era ancora più confuso. 
Erano poche le cose che aveva chiare: amava Kate, non l’avrebbe mai lasciata, ma non riusciva a fare finta di nulla, come se tutto fosse come prima. Come se lei fosse quella di prima ed anzi non riusciva più a capire chi tra i due fosse cambiato di più. E si sentiva in colpa per non essere quello che avrebbe voluto essere: un marito che amava sua moglie, a prescindere, anche se lei non ricordava di esserlo e forse nemmeno voleva, per quel che ne sapeva lui.

Quando aprì la porta del loft quello che vide lo lasciò per un momento senza parole per la sua semplicità. Kate era nella loro cucina e stava preparando la cena per loro due. Si sentì così stupido ad emozionarsi per una cosa così. Si fermò a guardarla senza dirle nulla, mentre lei, preparava a testa bassa sentendo il suo sguardo su si se e imbarazzandosi un po'.
Rick lasciò le sue cose sul mobile e la raggiunse, abbracciandola da dietro, facendole lasciare sul piano di lavoro quello che teneva in mano. Le spostò poi i capelli, scoprendole parte del collo e baciandola dolcemente. 
- È una delle cose più belle che ho visto negli ultimi tempi - le sussurrò tra un bacio e l’altro
- Cosa? - chiese Kate mordendosi il labbro non indifferente alle sue attenzioni
- Tu, la nostra casa, la nostra cena… È tutto così normale, così bello.
- Volevo farmi perdonare per ieri. Per non essere venuta in tempo per cenare insieme. Non vorrei che tu pensassi che per me non fosse importante cenare con te.
Rick non le rispose, riprese a baciarle il collo ricercando in ogni bacio quelle sensazioni che credeva di aver perso. Sentiva la sua pelle sotto le sue labbra ed aveva lo stesso effetto di una droga.
La voltò per guardarla negli occhi e si chiedeva come fosse possibile che dopo tutti quegli anni ogni volta che la guardava e vedeva le sue labbra appena socchiuse, gli occhi brillanti e sentiva il suo respiro profondo gli fosse impossibile resisterle. Quando la vide mordersi appena il labbro, gli fu impossibile indugiare ancora, spostò tutto quello che era sul bancone e la sollevò facendola sedere lì, prendendo lui il suo labbro tra i propri denti, stringendolo e succhiandolo per poi baciarla con passione mentre lei passava le mani tra i suoi capelli, ricambiando il bacio con altrettanta intensità.
Le mani di Rick si muovevano autonomamente sul corpo di Kate cercando e trovando i bottoni della camicia che aprì uno dopo l’altro senza mai interrompere il bacio e poi scendendo lungo il collo fino ad arrivare all’incavo tra i suoi seni. Fu lì che si trovò a baciare la sua cicatrice ed in quel momento fu lui ad essere assalito dai ricordi. 
Non poteva, non così. Non poteva lasciare che fosse il desiderio a prendere il sopravvento sul suo buon senso. L’avrebbe fatta sua lì, su quel bancone per la voglia che aveva di lei, ma non era giusto. Non doveva essere così tra loro.
- Kate… è meglio se finisci di preparare e mangiamo… - Si staccò da lei brutalmente, andando sciacquarsi il viso mentre lei attonita si rivestiva.

- Scusami… ho rovinato tutto. La cena ed anche il resto. - Castle interruppe il silenzio che li aveva accompagnati per tutta la cena.
- Cosa c’è che non va Rick?
- Va tutto bene Kate…
- Ne sei sicuro?
- Certo… - abbassò lo sguardo. Non sarebbe riuscito a mentirle guardandola negli occhi, ma non sarebbe nemmeno mai riuscito a dirle tutto quello che aveva dentro.

Finito di mangiare Castle si chiuse nel suo studio a scrivere, ma Kate capì ben presto che non lo stava facendo. Non sentiva il suo solito picchiettare sui tasti, era tutto troppo silenzioso.
La maglia di Rick, che ormai come sempre usava per dormire, aveva addosso il suo profumo, era quella che aveva indossato lui la notte precedente: Kate lo inspirò cercando conforto. 
Ripercorse con la mente tutto quello che aveva pensato quando lui non c’era e come si sarebbe immaginata diversamente quei giorni, tutto quello che avrebbe voluto dirgli: aveva immaginato che sarebbero stati felici di cominciare una vita insieme con altre prospettive, con un futuro diverso. Invece lui era tornato più lontano di quando era partito, sotto tutti i punti di vista. 
Andò in bagno per togliersi quel filo di trucco che ogni mattina si metteva per andare in ufficio. Si guardò, fece aderire la maglia al suo corpo e vide quanto era diversa, stava cambiando in quegli ultimi giorni molto rapidamente, la pancia si era ingrossata, era una presenza importante. Era anche quello il problema? Altri dubbi ed incertezze si aggiunsero a quelle che già invadevano la sua mente. Da quanto era diventata così insicura di se? Era Castle a farla sentire così? Era perché lui era diventato così dannatamente importate che si muoveva come su una sottile lastra ghiacciata di un lago in inverno, con la paura che un piede messo male, una piccola crepa avessero potuto rompere tutto e farla sprofondare nelle acquee gelide, condannandola ad una morte sicura dei suoi sensi, ormai completamente rapiti da lui.
Non aveva sentito che Castle nel frattempo era rientrato in camera e si era messo sul letto. Era completamente assorto nei suoi pensieri, aveva la tshirt in mano ma non l’aveva indossata, come se si fosse interrotto per pensare a qualcosa di veramente importante. Aveva le gambe, nude e tese ed anche i muscoli delle braccia erano in tensione, mentre stringeva quella maglietta che si sarebbe forse disintegrata nella sua presa stretta. Quel suo volto con le espressioni da bambino era così in contrasto con il suo corpo possente da uomo. Le mancava. Le mancava terribilmente il Richard Castle che era stato per lei fino a pochi giorni prima, quello affettuoso fino ad essere troppo appiccicoso, quello che la faceva sentire la donna più desiderata del mondo e la più amata, quello che sapeva soddisfare ogni suo desiderio, sotto tutti i punti di vista. 
Si avvicinò a lui gattonando sul letto, portando una gamba tra le sue, appoggiandosi al suo corpo e toccandolo in modo tutt’altro che casto. Ripensava ai baci sul suo collo di poco prima in cucina e la facevano andare fuori di testa. Voleva Castle, voleva suo marito e cercò di farglielo capire in ogni modo, toccandolo e baciandolo in modo provocante. Lui la guardava senza fare nulla.

- Castle, ti prego… - Quella di Kate apparve una supplica.
- Cosa c’è?
- Perché fai così?
- Cosa vuoi Kate? Vuoi sapere quanto ti desidero? - Rispose scontroso ritraendosi, come se le mani di sua moglie addosso alla sua pelle gli provocassero ustioni.
- No, non voglio saperlo. Voglio che me lo dimostri.
Castle gli mostrò la mano sinistra.
- Mettimi la fede Kate. Poi ti dimostro tutto quello che vuoi.
Kate fu presa alla sprovvista. Avrebbe voluto farlo, ma non così, non come se fosse un ricatto per ottenere qualcosa. Reagì come non avrebbe voluto, dicendo quello che non avrebbe voluto dire, ritraendosi, sentendosi rifiutata, ancora.
- Perchè devi rovinare tutto con questa cosa?
- Questa cosa Kate? Questa cosa è il nostro matrimonio! Se mi ami, se mi vuoi, non dovrebbe essere complicato fare questa cosa. Cosa sto rovinando, la tua eccitazione? - Era arrabbiato, anzi furioso.
- Sei ingiusto Rick. Perchè devi mischiare le due cose? 
- Se tu o io avessimo voluto solo fare sesso, saremmo finiti a letto insieme molto prima e forse non ci sarebbe stato altro. - Disse sconsolato.
- Sarebbe solo questo per te adesso? - Kate stava rivoltando le carte in tavola e Rick si sentì spiazzato.
- Sai cosa è per me. Per te cosa è invece?
- E se fosse solo sesso sarebbe un problema? Lo avrai fatto no, con qualche tua fan particolarmente focosa, qualche modella conosciuta a qualche party. Magari proprio qui, dove siamo noi adesso… Però forse loro ti eccitavano di più… - Non sapeva perché gli stava dicendo quelle cose, forse solo per ferirlo, per fargli del male come sentiva che lui lo stava facendo a lei in quel momento.
- Smettila Kate. Falla finita. Vuoi saperlo? Sì, l’ho fatto, molte volte, molte volte anche cambiandone una al giorno senza ricordarmi nemmeno la mattina dopo il suo nome. E nessuna di loro mi faceva nemmeno lontanamente l’effetto che mi fai tu. Ma io non voglio questo e non lo vorresti nemmeno tu.
- Non mi parlare come se fossi un’altra persona Rick! Tu stai parlando a me, ora, ed io lo voglio, te l’ho detto prima. Il problema sei tu che non lo vuoi e non per una fede al dito.
- Kate io ti amo. Ti ho amato da ben prima che te lo dicessi. Non ho mai voluto che tra noi ci fosse solo sesso. Mai. Perchè non ne sarei stato capace con te e non lo sono ancora, ora che ho capito che non c’è tra noi quello che c’era prima. Fare l’amore con te è la cosa che più mi fa sentire vivo e non sai quanto mi manchi. Però io lo so che per te ora non sarebbe la stessa cosa. Io so a cosa sto rinunciando dicendoti così, so che sarebbe del sesso incredibile con te, come sempre, come nella doccia la mattina che sono tornato, ma non sarebbe quello è che sempre stato tra noi, non per me, adesso.
- Tu non sai niente di me Rick… Pensi di sapere tutto, ma non sai niente. Non hai capito nulla… Se non ricordassi più cosa faresti allora, non mi toccheresti più? Mi ameresti platonicamente tutta la vita?
Castle non sapeva cosa dire e nemmeno cosa fare. Non aveva mai pensato a questa ipotesi, nemmeno quando lei le aveva detto di non voler ricordare, o forse sì, ma l’aveva sempre ben tenuta lontano nella sua mente, chiusa in un cassetto tra le cose impossibili, vicino agli unicorni o agli elfi, anzi no, unicorni ed elfi dovevano essere necessariamente più reali di questo.
- No. Fino a quando non sarei certo che anche tu mi ami e non mi desideri solamente.
- Il problema non è che tu non sei sicuro di quello che provo io, è che non sei sicuro di quello che provi tu. Io ti amo. - Le parole non uscirono dalla bocca ma direttamente dal cuore, senza accorgersene. Nel modo peggiore in cui aveva pensato di poterlo fare, nel mezzo di una discussione, con rabbia.
- Non vale detto così Kate.
Castle si alzò ed andò in bagno. Si chiuse la porta alle spalle e poco dopo Kate sentì distintamente il rumore dell’acqua della doccia.
Non si era accorta nemmeno lei di averglielo detto, così, all’improvviso. Avrebbe pensato anche lei stessa, al termine di quella discussione che glielo stava dicendo solo per ottenere quello che voleva ed invece si rese ben presto conto che non era così. Ricompose la sua maglia addosso, si portò le ginocchia al petto, per quanto le era possibile con la sua pancia che cominciava ad essere più voluminosa, si appoggiò con la testa sulle ginocchia e cominciò a piangere. Si era innamorata di Richard Castle. Veramente. E glielo aveva finalmente detto.
Sarebbe dovuto essere tutto più facile ora, ma lei sentiva che non era così, anzi sentiva tutto più dannatamente complicato. Aveva vissuto tutte quelle settimane con Rick che la coccolava e la corteggiava a modo suo ed ora, invece, le sembrava che doveva essere lei a corteggiare lui, perché nel momento stesso in cui l’aveva rifiutata, si era resa conto di amarlo ancora di più di quanto pensasse ma che lui non amava lei. Amava il suo ricordo, quella che lei non era più.

Castle si fece una doccia gelida. Kate si era appena offerta a lui, gli aveva detto che l’amava e lui l’aveva rifiutata perché non era convinto dei suoi sentimenti. Sarebbe tornato indietro e le avrebbe dimostrato quanto la voleva amandola per tutta la notte e tutto il giorno seguente, in ogni modo che lei avrebbe voluto. Ma sentiva che non poteva farlo e gli faceva male dirselo.
Sentiva che per lei non sarebbe stata la stessa cosa, che non sarebbe stato come tutte le volte tra loro: mancava quella complicità, quella comprensione reciproca immediata, quel volersi e sentirsi senza dirselo quando bastava uno sguardo e tutto era chiaro. Erano Rick e Kate, ma lui sentiva che non erano ancora loro, ed il fatto che lei non accettasse ancora il loro matrimonio, che non si sentiva pronta per indossare quella fede, gli faceva capire che aveva ragione. Per questo non poteva, ma solo Dio sapeva quanto gli costava dirle di no.
Uscì dalla doccia e si strinse bene l’accappatoio in vita. Certo uscire così dopo quei discorsi sembrava una provocazione, ma non ci aveva proprio pensato. Non fece nemmeno caso a lei sul letto, andò direttamente verso il guardaroba, prese i boxer e una tshirt e i pantaloni di una tuta e si vestì rapidamente. 
La vide rannicchiata e si sentì uno schifo. Salì sul letto e si andò a sedere vicino a lei, la provò ad abbracciare ma lei lo respinse scacciandolo con una mano. Non si diede per vinto. Lo fece di nuovo, questa volta con maggior forza e a nulla potè la sua resistenza quando lui la chiuse tra le sue braccia. Kate provò a divincolarsi e Rick la strinse di più, non le faceva male, voleva solo farle capire che non l’avrebbe lasciata respingerlo. Si calmò, alla fine, rimanendo sempre rigida tra le sue braccia.
- È stato umiliante sai? - Gli disse senza guardarlo in faccia. Lui si sentì schiaffeggiato da quelle parole. Realmente era quello che aveva provato? Si era sentita umiliata?
- Non scherzare Kate…
- Non sto scherzando Rick. È stato veramente umiliante sentirsi rifiutare in quel modo. Come donna dico, soprattutto adesso, nel mio stato… è… umiliante Castle, veramente… 
- Come donna? - Kate non poteva vedere l’espressione incredula di Rick. Tutto pensava tranne che le avesse provocato quello stato. No, non poteva lasciarglielo pensare. Non lo doveva mai credere.
- Kate, sei la donna più straordinaria che conosco, sotto tutti i punti di vista, la più sensuale e la più provocante. - Mentre parlava le diede un paio di baci sul collo - E mai, mai devi pensare che sia diverso, che io non ti desideri, che tu non piaccia.
- Mi sono sentita come una ninfomane che provava a circuire un ragazzino inesperto, o anche come qualcosa di peggio…
- Tu ninfomane forse sì, io ragazzino anche… però Beckett, inesperto proprio no! Visti i risultati almeno un paio di volte mi sono applicato, ma ti assicuro che sono state molte di più! - Disse malizioso cercando di alleggerire la situazione.
- Lo sai che così non mi aiuti vero? - Era arrabbiata. Non con lui, ma con tutta quella situazione. Capiva che lui era una vittima tanto quanto lei, ma in modo diverso. Eppure non riusciva a resistere a lui, aveva bisogno anche di quegli abbracci. 
- Puoi sempre dare la colpa agli ormoni della gravidanza. 
- Castle… io penso veramente quello che ti ho detto. Tutto quello che ti ho detto… Soprattutto che…
- Shh Kate. Non adesso. - La interruppe, non voleva sentirselo dire adesso. Perché era lui a non esserne pronto, perché non avrebbe reagito come voleva.

Kate si lasciò andare nel suo abbraccio e scoprì in quel momento tutta la sua fragilità, tutta quella che non avrebbe mai voluto avere. Le aveva fatto male, ma non riusciva a resistere a stare così, perché se non pensava a nulla, se non pensava a quello che era o che era stato, lei lì stava bene e si malediva per quello, perché lei, si ripeteva, non era così. Non era una che si faceva trattare così da nessuno, non era tanto fragile da non riuscire a fare a meno di una persona. O forse lo era diventata.

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Capitolo 59
*** CINQUANTANOVE ***


Quando arrivò al distretto Esposito e Ryan erano già lì.
- Ehy, che succede?
- Un cadavere in un magazzino, tre ore fa. Sono distrutto! - esordì Javier sbadigliando
- Potevate chiamare! - li redarguì Beckett
- Tanto non saresti potuta venire, perchè svegliarti? - la risposta di Esposito fu semplice e pratica
- Le indagini? - Chiese vedendo la lavagna pulita
- C'era una telecamera, abbiamo trovato il video, preso l'assassino e fatto confessare. Caso chiuso. - disse l'irlandese stiracchiandosi
- Se non è fortuna questa Kevin! - Kate osservò la scatola chiusa sulla sua scrivania facendo capire ai due con un solo sguardo che la dovevano togliere da lì. - Il rapporto? 
- Lo sto finendo io Beckett! -  Esposito indicò lo schermo del suo computer. 
- Mi faccio un caffè, ne volete uno? - I due detective alzarono le loro tazze per far vedere che ne erano già provvisti così Kate sparì nella sala relax per andarsi a preparare una tazza di caffè: cercò nella scatola dei biscotti se era rimasto qualcosa, ma non c'era che qualche briciola di biscotto spezzato. Sentì la fame, quella mattina, farsi più forte e avvisò i due detective che sarebbe scesa a comprarsi qualcosa alla caffetteria all'angolo. Mangiò un croissant salato al formaggio, un muffin al cioccolato e si fermò perchè avrebbe mangiato ancora, ma si limitò a bere del succo di mela evitando altro caffè.
Quando tornò al distretto Esposito e Ryan non c'erano più, non si era nemmeno accorta che la macchina della polizia era sfrecciata davanti alla vetrina della caffetteria dove era seduta. Guardò l'appunto sulla scrivania di Ryan per capire su cosa avrebbero indagato e appena lesse l'indirizzo segnato dall'irlandese e la tipologia di omicidio si sentì per un attimo mancare ed appoggiò le mani sul tavolo per tenersi in equilibrio. Respirò profondamente, poi aprì il cassetto, prese la pistola, la indossò, cercò le chiavi dell'auto di servizio ed uscì correndo, fermandosi solo quando davanti all'ascensore ancora chiuso sentì la Gates richiamarla tra i corridoi e la sua voce che risuonava autoritaria.
- Beckett ma cosa pensi di fare?
- Devo andare, non posso aspettare qui che facciano loro qualcosa. - Non attese la risposta del capitano, entrò in ascensore e la guardò scuotere la testa mentre le porte si chiudevano. La Gates non avrebbe comunque risposto. Quando l’avevano avvisata di cosa era successo sapeva esattamente che Beckett non si sarebbe comunque fermata.

Kate guidò veloce nel traffico newyorkese, focalizzata sul punto che doveva raggiungere, maledicendo tutte quelle macchine che si mettevano tra lei e la sua meta, tutte troppo lente per stare al passo con la sua voglia di raggiungere i suoi due amici detective.
Parcheggiò poco distante, camminò sul marciapiede calpestando le foglie degli alberi che cominciavano a cadere: erano i primi segni di quell’estate che li stava abbandonando. C’erano alcuni agenti che avevano isolato il perimetro e una piccola folla di curiosi che, come al solito, stava al di qua del nastro che delimitava la scena del crimine. Avvicinandosi a passo spedito sentì un forte senso di nausea invaderla tanto che quasi voleva desistere dall’andare avanti. Vedendola arrivare con il distintivo ben in vista, un agente alzò la striscia per farla passare e lei fu subito alle spalle di Ryan ed Esposito che osservavano Lanie fare rilievi sul corpo senza dire una parola. Non si accorsero di lei. Ryan si passava una mano tra i capelli mentre Esposito era immobile davanti alla scena. Kate face un passo indietro, urtando un contenitore metallico ed attirando l’attenzione dei tre che la guardarono allibiti.
- Beckett cosa ci fai qui? - Urlò Esposito
- Javier, non farmi dire che tra di noi chi può dare ordini, nel caso sono io, quindi se devi chiedermi qualcosa, fallo in un altro modo. - La voce di Kate era ferma e decisa. 
- Andiamo Beckett! Non dovresti stare sul campo, lo sai. - Kevin parlò in difesa dell’amico mentre tutti e tre si lanciavano sguardi taglienti, sostenendo ognuno le proprie ragioni.
- E lasciarvi esaminare questa scena da soli? Qui? Andiamo… perché voi pensate che sia una casualità?
- No, non lo è. È evidente Beckett. E proprio per questo tu non devi stare qui. - Le ringhiò contro Esposito.
- Decisamente non è una casualità - Disse Lanie alzandosi in piedi dopo aver sommariamente analizzato il cadavere. - Le ferite sono pressoché identiche, anche la disposizione del corpo.
- Quei sacchi sono stati trascinati qui. - Ryan indicò i segni di trascinamento a terra con la plastica parzialmente consunta sull’asfalto.
- Chi era la vittima? - Kate aveva già preso il comando delle indagini
- Jane Gills, una prostituta eroinomane. - l’irlandese consultò il suo taccuino. Kate si avvicinò di qualche passo al corpo e la somiglianza la inquietava.
- Che ci faceva qui? - chiese ancora Beckett
- Non era di questa zona. È stata portata qui, Capitano. - Kevin disse quella frase lasciando intendere la gravità della cosa, sottolineando il grado di Kate per tenere quelle distanze che lei aveva voluto mettere ricordando chi tra di loro era il più alto in grado.
- I segni sul corpo parlano chiaro. È stata uccisa altrove e poi messa qui. Hanno voluto ricostruire esattamente la scena. - Continuò l’irlandese mentre Esposito camminava nervosamente guardando la folla che era aumentata oltre gli agenti che facevano da guardia alla zona. Scrutava in alto ogni finestra, osservava ogni piccolo movimento che gli sembrava sospetto, i volti della gente, ogni bagliore che vedeva lo faceva sussultare e stare sulla difensiva.
- Javier sei tra noi o sei nel tuo mondo? - Lo rimproverò ancora Kate infastidita dal suo comportamento. Non aveva più detto una parola da quando lo aveva ripreso appena arrivata.
- Non devi essere qui Beckett. Lo sai anche tu. - L’ispanico pronunciò quella frase a denti stretti.
- Esposito, qualcuno ha deciso di mettere in scena un omicidio identico a quello di mia madre. Stesso luogo, stessa modalità. È tutto dannatamente troppo uguale. - disse con fin troppa aggressività nella voce - E tu mi dici che dovrei starne fuori? 
- Sì Kate! Devi starne fuori! Perchè è evidente che qualcuno vuole che tu sia qui! È tutto ricostruito in maniera fin troppo evidente che sia una messa in scena! - Le urlò contro il detective
- Capitano? - Un agente si avvicinò a Kate ed Esposito lo guardò perplesso. 
- Swift? Cosa ci fai qui? - Ma l’agente non rispose alla domanda dell’ispanico
- Questa la prendo io Capitano - disse sfilando la pistola di Kate dalla fondina, mentre premeva la canna di un’altra al suo fianco - E voi buttate via le vostre ed andatevene subito o sarà peggio per tutti - indicando i due detective 
Ryan ed Esposito appoggiarono le loro armi a terra e con le mani alzate andarono verso la fine del vicolo. 
- Dottoressa Parrish anche tu, via da qui. Devo rimanere solo con il Capitano.
Lanie raggiunse Esposito e Ryan, tendo lo sguardo incollato su Kate che sembrava assolutamente impassibile e tranquilla. Beckett la guardò e l’amica non riuscì a cogliere nulla nel suo sguardo che appariva vuoto.
I due detective e gli altri agenti come prima cosa chiusero la strada facendo allontanare anche con le cattive chi non voleva andarsene continuando a curiosare.
- Maledizione lo avevo detto che non doveva venire! - Esposito diede un pugno al muro scorticandosi le nocche della mano e facendo temere a Lanie che si potesse essere rotto qualcosa ma lui sembrò non curarsene. - Come abbiamo fatto a non accorgerci che era qui, eh? - Urlò verso Ryan che assisteva impotente alla sfuriata dell’amico.
- Dobbiamo avvisare Castle - disse l’irlandese riportando tutti alla realtà dei fatti. I tre si guardarono e nessuno volle fare la prima mossa. 

- Chiunque tu sia spero che il motivo per cui mi chiami sia sufficientemente valido - Rick rispose al telefono con tono estremamente acido senza guardare chi lo avesse chiamato. Aveva già rifiutato due volte delle telefonate da numeri sconosciuti ma ora non ne poteva più. Era intento a scrivere quel capitolo nel nuovo romanzo di Nikki Heat, la sua valvola di sfogo per superare quella situazione con se stesso più che con Kate, mettere su carta le proprie idee e non lasciarle fluttuare nella sua mente gli sembrava un buon modo per capire cosa volesse fare realmente e quali erano i suoi pensieri. Non si giustificava, anzi era il suo critico più severo per come si stava comportando. Stava sbagliando tutto, stava anche lui rincorrendo un ossessione proprio come anni prima aveva accusato Kate di fare e questo li stava allontanando.
- Castle… sono Lanie. - Alla fine si era fatta avanti lei per chiamare lo scrittore. Non perchè con lui avesse un rapporto migliore dei due detective, ma perchè pensarono che così poteva essere meno traumatico per Castle sapere la notizia, se non era uno di loro a dargliela, almeno questo era quello che avevano sostenuto i due, in realtà la dottoressa pensava che fosse solo perchè loro non sapevano come fare a dirglielo.
- Ciao dottoressa Parrish - il tono di Rick fu immediatamente più cordiale - se cerchi Kate non è con me, è al distretto.
- No Castle… cercavo te. - Ora allo scrittore fu chiaro il tono preoccupato della donna che aveva ignorato prima.
- Lanie cosa succede?
- Si tratta di Kate. - Castle strinse gli occhi e serrò i denti tanto forte da farsi male. Se lo chiamavano per Kate voleva dire che lei per un motivo o un altro non poteva farlo. Non era comunque un buon segno. Respirò profondamente.
- Dimmi.
Lanie spiegò rapidamente a Castle quello che era successo, sentendo la voce dello scrittore sempre più incalzante man mano che lei parlava. Aveva già preso le chiavi e stava uscendo di casa, declinando l’invito di aspettare la pattuglia che sarebbe passata a prenderlo. Rick non voleva stare lì ad aspettare senza fare nulla nemmeno un secondo.

Swift era in piedi nel vicolo senza uscita, dando le spalle al muro dietro di se, Kate era davanti a lui, immobile con le braccia leggermente larghe rispetto al corpo e le mani aperte, stava cercando di trasmettergli che lei non lo stava minacciando in alcun modo. Si ricordò il nome dell’uomo da come lo aveva chiamato Esposito.
- Ehy Swift, parliamone. Qualsiasi cosa sia successa, questa non è una soluzione.
- Zitta Capitano, stai zitta!
- Cosa vuoi da me, Swift?
- Fai finta di non saperlo eh? Cos’è, per te rovinare la vita di una persona vale così poco che dopo un anno già non te lo ricordi più?
- No, Swift, non è così…
- E allora se non è così dovresti saperlo che cosa voglio Capitano Beckett! Io rivoglio la mia vita! Quella che tu mi hai tolto!

Dietro al vicolo, Esposito, Ryan e Lanie aspettavano l’arrivo degli altri dalla centrale. Il numero dei curiosi era aumentato e qualcuno aveva anche fatto una soffiata a qualche media perché avevano notato dall’altra parte della strada un camioncino per una diretta televisiva. Alcune volanti ruppero il cordone fatto dagli agenti ed altri arrivarono a dare manforte, mentre la Gates con avanzava decisa verso i due detective con uno sguardo che avrebbe incenerito un’intera foresta.
- Allora? Si può sapere come è successo?
- Carl Swift. Era uno dei nostri. - Disse Esposito
- Dei nostri? - Chiese la Gates
- Sì, del 12°. Lavorava spesso con noi. 
- Che è successo poi? - Il capitano era impaziente di sapere
- Beckett lo ha scoperto che dava informazioni riservate alla stampa. Aveva avuto il sospetto per un caso, poi in un altro ne ha avuto la certezza. Ci ha ritardare la cattura di un assassino divulgando delle notizie e questo nel frattempo ha ucciso un’altra persona. Beckett allora gli ha fatto avere delle false informazioni e puntualmente poco dopo erano in mano alla stampa, così ebbe la certezza che era lui. Lo mandò alla disciplinare. Fu licenziato. - La aggiornò l’ispanico.
- Poi avevo saputo che aveva cominciato a lavorare come guardia giurata in un centro commerciale, ma non se la passava bene in famiglia dopo il licenziamento - Concluse Ryan
- Quindi da la colpa a Beckett di quanto è successo… Non mi piace per niente questa storia. - La Gates camminava nervosamente avanti e indietro, quando un agente la informò che erano arrivate anche le squadre speciali della polizia di New York e si erano messe sui palazzi circostanti.
- Capitano Gates? Sono il Capitano Ayez. I miei uomini sono in posizione.
- Capitano Ayez, mi raccomando. Nessuna mossa avventata, la persona che ha con se è il Capitano Beckett, e l’uomo era un ex agente di polizia.
- Mi hanno informato, faremo il possibile.
- Avete avvisato il signor Castle? - Chiese quindi la Gates ai suoi detective dopo aver salutato Ayez.
- Sì, lo abbiamo avvisato, sta venendo qui. - Disse Ryan.
Victoria Gates si allontanò di qualche passo dai suoi uomini e si appoggiò al muro del palazzo. Era stata lei a spingere Beckett a tornare a lavoro e sempre lei a non fermarla quella mattina quando l’aveva vista uscire. Si sentiva in colpa, pur sapendo quanto fosse difficile, per non dire impossibile, impedire a Beckett di fare quello che aveva in mente. Non aveva ancora capito se era la sfortuna ad avercela oltremodo con lei, oppure lei e Castle riuscivano sempre a trovare il modo di mettersi nei guai. Una cosa era certa, l’atteggiamento integerrimo di Beckett, il suo non scendere a compromessi, il ricercare sempre la verità e l’andare oltre quelli che erano i suoi doveri l’avevano spesso messa in pericolo. Ma se era la migliore, lo era anche per questo.

- Swift, ti capisco. So cosa vuol dire rivolere la propria vita.
- No Capitano Beckett tu non lo sai! Ed ora fai silenzio!
Kate cercò di rimanere calma e ragionare. Si impose di non pensare a nulla se non al modo per uscire da quella situazione. Non aveva tempo per la paura e per preoccuparsi, le avrebbe fatto perdere la concentrazione.
Quell’uomo aveva riprodotto l’omicidio di sua madre fedelmente. Aveva anche scelto una donna che le assomigliava. La posizione del corpo, il tipo di ferite, la posizione. Dettagli che non erano mai stati resi noti, in fondo il caso era sempre stato classificato come vittima di guerra fra bande, non aveva fatto scalpore, non era mediatico. Da quello che aveva visto anche dopo l’arresto di Bracken non avevano diffuso altri dettagli sull’omicidio di Johanna, quindi chiunque sapesse certe cose o aveva partecipato a quell’azione o molto più probabilmente era qualcuno che aveva accesso alle carte, in qualche modo. La sorpresa di Javier nel vederlo ed il chiamarlo per cognome le fece dedurre che quell’uomo probabilmente era uno del distretto, forse qualcuno che lei in qualche modo aveva contribuito a cacciare, magari il volere la sua vecchia vita voleva dire che voleva tornare a lavorare con loro.
- Swift, mi dispiace. Non credevo che le conseguenze fossero queste. - Cercò di rimanere sul vago, non sapendo assolutamente di cosa stava parlando, sperando che fosse lui a sbottonarsi con lei, ma intanto dirgli che le dispiaceva, sperava fosse un modo per entrare un po’ in contatto con lui.
- Ah no? E cosa credevi che mandandomi alla disciplinare mi avrebbero dato un premio? Io non volevo che quella donna morisse, avevo solo dato una notizia insignificante! Avevo bisogno di quei soldi che mi davano per degli stupidi aggiornamenti!
Le sue supposizioni, quindi erano esatte, era uno del distretto ed era stato cacciato per causa sua, doveva solo ritrovare tutti gli altri pezzi del puzzle…

Castle arrivò e fu immediatamente bloccato dagli agenti che contenevano la folla, a nulla valse muoversi come un invasato per passare di là. Urlò per attirare l’attenzione di Ryan e Esposito, ma fu la Gates la prima ad accorgersi di lui e ad andare dagli agenti per concedergli di entrare.
- Signor Castle… 
- Dov’è Kate?
- É là, nel vicolo, con l’ex agente Swift.
- Perché siete tutti qui?
- Non vuole che nessuno si avvicini - Il tono calmo e pacato della Gates, frutto di tanti anni in cui era stata addestrata per mantenere i nervi saldi e non lasciarsi trasportare dalle emozioni, faceva da perfetto contraltare a quello di Castle che era così agitato da rendere difficile anche capire cosa dicesse.
- Sono stato io a dire a Kate di Swift l’anno scorso e anche di provare a fargli una falsa soffiata per incastrarlo. 
- Non è colpa sua signor Castle. - La Gates fu interrotta da Ryan che arrivò con le notizie sulla famiglia dell’ex agente.
- Capitano, la moglie di Swift lo ha lasciato circa 5 mesi fa e sua madre è morta da poco più di sei. Swift per un po’ di tempo ha pagato le sue cure, poi dopo il licenziamento, non ha più potuto… 
- Ha detto alla moglie se ci raggiunge? - Chiese il Capitano
- Ha detto che non può, sua moglie è incinta, una gravidanza difficile e deve rimanere a letto, è assistita dalla sorella.
Castle aveva raggiunto Esposito vicino ad una delle auto delle forze speciali ed ascoltavano con un microfono direzionale quello che accadeva nel vicolo. 
- Cosa succede? - Chiese Castle vedendo l’amico con le cuffie.
- Beckett lo sta facendo parlare. Ha scoperto qualcosa di quello che era successo l’anno scorso.
- Kate non sa nulla… - Castle si passò una mano tra i capelli, non aveva nemmeno pensato a quel “piccolo” particolare… - Io vado da lei.
- Castle, non peggiorare le cose, non vuole che nessuno si avvicini a loro.
- Io non sono nessuno! - Protestò lo scrittore - Swift sa che l’idea di tutto era stata mia, glielo ha detto Kate quando lo interrogava. - Si stava allontanando quando Esposito lo richiamò a gran voce
- Castle! Almeno mettiti il giubbotto antiproiettile! Prendi uno dei nostri!
- Non ne ho bisogno Javier, in ogni caso.

- Ehy Swift! - Castle si affacciò nel vicolo con le mani alzate. - Lascia stare Kate, vediamocela tra di noi, dico di andare via a tutti, alla polizia ed alle forze speciali.
- Ciao scrittore! Hai finito di giocare a fare il poliziotto mettendo nei guai la gente? 
- Rick vattene! - Gli urlò Kate, ma lui fece finta di non sentirla.
- Ce l’hai con me Swift, sono io che ho detto a Kate che eri tu la talpa che spifferava tutto alla stampa e sono stato sempre io a dirle di farti avere quella falsa pista, per avere le prove che eri proprio tu. Quindi, adesso lascia andare Kate e parliamone noi, che ne dici?
- No Castle, non funziona così. Io per colpa tua ho perso tutto, ed ora tocca a te.
Rick rimase immobile riuscì solo a guardare Kate che si voltò ricambiando il suo sguardo. Ognuno leggeva la paura negli occhi dell’altro.
- Swift mi dispiace per tua madre, veramente, se mi avessi avvisato ti avrei aiutato io per le cure… Il detective Ryan ha parlato con tua moglie. È a casa, a letto, ma sta bene ed anche il bambino sta bene… 
- Castle vattene, o ti giuro che la uccido qui davanti a te.
- Carl non fare del male a Kate. Io sono qua dietro l’angolo. Pensaci. - Si guardò nuovamente Kate che non staccava gli occhi da lui chiedendosi perché era venuto lì così, senza alcuna protezione. Senza il suo giubbotto con scritto “Writer”. Si chiese solo per un attimo da dove era venuto quel pensiero, ma lo trovò buffo. Riuscì a regalargli un sorriso che lui però non ricambiò, rimanendo serio e gli poteva sembrare di leggere nel suo sguardo tutta la sua paura ed anche qualcos’altro che non aveva mai visto in lui. Biasimo e delusione. Kate abbassò la testa e si voltò, per non vederlo più.
Rick arretrò lentamente fino a sparire di nuovo dalla vista dei due. Esposito appena fu fuori dalla loro visuale lo prese per il bavero della giacca buttandolo verso il muro.
- Cosa credevi di fare eh Castle? Di farti ammazzare? Di far ammazzare Kate?
- Le ho dato i pezzi che le mancavano della storia. Ora sa tutto. - Disse lui per nulla turbato dalla reazione di Esposito, convinto che nulla lo turbasse più. - Sa quello che le mancava della storia di Swift e sa che ci sono posizionate le forze speciali e che noi siamo qui. Può elaborare qualcosa in maniera più concreta.
- Pensi che ti abbia capito?
- Certo che mi ha capito Javier! È Beckett! Ci siamo sempre capiti, anche prima che noi… - Castle non finì la frase perché un nodo in gola gli bloccò le parole. Loro avevano sempre avuto questa connessione per capirsi e risolvere i casi insieme. Kate doveva averlo capito, ne era certo.
- Ok, scusami… amico… Siamo tutti un po’ nervosi… Certo che Beckett ti ha capito.
- Già, e forse io sono quello che dovrebbe esserlo di più…

Kate era già un po’ che era ferma in piedi in quella posizione e cominciava ad essere stanca, oltre allo stress fisico si stava accumulando anche quello psicologico. Swift era un agente, aveva sì organizzato la copia perfetta di un omicidio, ma non era un criminale esperto. Castle le aveva dato tutti i pezzi mancati del suo puzzle, per quello aveva fatto quella scenata, sapeva benissimo che non avrebbe mai accettato di lasciarla andare per lui, altrimenti non avrebbe organizzato tutto questo per averla lì.
- Mi vuoi uccidere e vuoi punire Castle e farlo soffrire come soffri tu, vero?
- Non sei tu che fai le domande qui Capitano!
- Allora non chiamarmi Capitano, se non ho nessun potere. Chiamami Kate. È maschio o femmina il tuo bambino?
- Femmina.
- Anche la mia. Perché stai aspettando tanto ad uccidermi Swift? Castle è qui, sa tutto. Lo vuoi far soffrire? Fallo adesso no? Sparami, falla finita. Cosa stai aspettando!
- Zitta Capitano! Zitta! - L’ex agente le girava intorno nervoso muovendo la pistola freneticamente nella mano, facendola basculare pericolosamente. Non aveva una presa salda e la sua mano tremava con il dito sul grilletto, sarebbe bastato un sussulto in più per far partire un colpo.
- Pensi che sia colpa mia che tua madre è morta? Per questo hai fatto tutta questa messa in scena? Per ricordarmi di quando è morta mia madre?
- No… non ci avevo pensato a questo… Ma è una buona coincidenza. Fa male ancora Capitano, vero?
- Fa male sempre Swift.
- Dopo tutti questi anni Capitano? Non cambia nulla? - Era un uomo disperato, solo quello.
- No, Swift. Il dolore è sempre lo stesso. Impari solo a conviverci e a non farti condizionare tutta la tua vita da questo.
- Eppure tu sei venuta subito qui. Vuol dire che ti condiziona sempre - Fece una risata isterica
- Già… - Rispose Kate mestamente - Perché hai fatto questo allora?
- L’ho fatto perché sapevo che in questo modo tu saresti sicuramente venuta qui. 
- E se non lo avessi fatto?
- Ne avrei fatto uno uguale, e poi un altro e un altro ancora. E tu alla fine saresti venuta, perché lo sapevi che era per te. Ma non c’è stato bisogno, sei venuta qui subito. Non hai potuto resistere, contavo su questo.
- Swift, lo sai vero che se mi uccidi non ne uscirai vivo nemmeno tu. Invece possiamo uscire tutti e due da qui, senza conseguenze.
- E che vita mi aspetta? 30 anni in galera, uscirò che sarò vecchio, se mai ne uscirò. Sai le guardie dentro che fine fanno.
- Potrai vedere tua figlia. Non pensi che ne valga la pena?
- No. Perché comunque non potrò starle vicino. 
Kate si spostò verso il lato del vicolo. Se come aveva detto Castle le forze speciali erano lì, avrebbero aspettato di avere una linea di tiro libera. E lei, lì in piedi davanti a lui che si muoveva nervosamente intorno, le occupava tutte.
- Cosa fai? Ti ho detto di stare ferma lì!
- Sono stanca, mi posso sedere?
- No!
- Allora uccidimi adesso Swift! Cosa c’è, ti manca il coraggio di farlo? Siamo arrivati fino a qui, finisci il lavoro! - Kate lo stava sfidando: rischiava, ma non aveva altra scelta. Nella sua esperienza sapeva che se avesse realmente voluto ucciderla l’avrebbe fatto subito. Vedeva l’uomo che sudava copiosamente, era sempre più nervoso.
- Ok, ok, siediti, ma muoviti molto piano.
- Perché stai prolungando l’attesa? - Chiese Kate mentre arretrava lentamente - Vuoi far soffrire di più Castle o stai solo torturando me? O ti piace avere questo potere?
- Perché hai detto a Castle di andarsene? Se avessi accattato di tenere lui al posto tuo - Gli chiese
- Non lo avresti fatto 
- Rispondimi! Perché gli hai detto di andarsene?
- Non voglio che gli succeda qualcosa. - Kate era quasi addosso al muro, quando le spalle toccarono la parete si lasciò scivolare lentamente a terra, stando attenta ad ogni suo movimento.
- Non ho mai capito cosa ci hai trovato in lui Capitano Beckett.  - Disse guardandola dall’alto verso il basso con la pistola rivolta verso la sua testa
- Non è difficile, Swift io lo…
Un sibilo interruppe la sua frase. Swift cadde a terra esanime senza nemmeno accorgersi di essere stato colpito. 
Kate respirò profondamente, lasciando che l’adrenalina accumulata potesse defluire dal suo corpo. Chiuse gli occhi ed appoggiò la testa al muro. Non voleva che finisse così, ma nel momento in cui aveva deciso di provare quella strada, di spostarsi verso il muro, sapeva che non ci sarebbe stato altro epilogo. Doveva solo prendere tempo.
Sentì due braccia avventarsi su di lei ed aprì gli occhi. Non erano quelle che si aspettava.
- Ragazza lasciatelo dire, tu sei completamente pazza! - Lanie era in ginocchio vicino a lei stringendole le braccia al collo. Lei ricambiò il suo abbraccio dandole delle piccole pacche sulla schiena.
- Va tutto bene Lanie, va tutto bene! 
Alzò lo sguardo e vide davanti a lei anche Esposito e Ryan e poco dietro di loro la Gates. I due detective si avvicinarono a lei per aiutarla a rialzarsi, erano tutti felici di abbracciarla ed allo stesso tempo arrabbiati con lei.
- Cosa pensavi di fare Beckett? Metterti a sfidarlo? - Esposito era il più arrabbiato
- Prendere tempo ed ha funzionato Javier. Sto bene. - Chiuse il discorso Kate. - Grazie a tutti comunque.
- Avevamo detto niente scene del crimine, Beckett! - La voce della Gates arrivò forte e chiara alle sue orecchie.
- Mi scusi Capitano. 
- Non è con me che si deve scusare questa volta.
Rick. Era lì, lo sapeva, eppure era l’unico che non si era ancora fatto vedere.
- Dov’è Castle? - Chiese guardando tutti e quattro.
- È andato via appena hanno sparato a Swift. - La informò Ryan. Kate posò lo sguardo su tutti i presenti chiedendogli la risposta a quella domanda che non aveva il coraggio di fare, loro lo capirono ugualmente, ma scossero solo la testa, senza dire nulla, mentre lei si appoggiò con la schiena sul muro, guardando fissa il cadavere di quelle giovane donna ancora lì davanti ai suoi occhi.

 


NOTA: Questo capitolo è un po’ diverso dagli altri che ci sono stati fino ad ora ma avevo bisogno di una svolta di questo tipo, anche se non è una storia di azione o basata sui “casi”: più che un caso, è per me un “casus belli”.
I prossimi due saranno gli ultimi, sono un po’ quello che io considero il finale, diviso in due parti solo per una questione di dimensione, ne sarebbe venuto fuori uno esageratamente lungo. Non ho ancora deciso se li pubblicherò entrambi domani, oppure come di solito è stato, in due giorni differenti. Comunque siamo quasi arrivati alla fine (per fortuna, dirà qualcuno e lo capisco).

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Capitolo 60
*** SESSANTA ***


Lanie insistette per portarla in ospedale e farsi controllare. Kate rifiutò, più volte con decisione. Voleva solo tornare a casa, ma non potè farlo, dovette andare prima al distretto a rilasciare la sua deposizione sui fatti. Avrebbe potuto tornare anche il giorno seguente ma voleva togliersi l’incombenza il prima possibile. Doveva tornare a casa, doveva parlare con Castle, dovevano chiarirsi, su tante, su troppe cose. Doveva dirgli quello che pensava, fregandosene dei suoi dubbi.
Ci mise più di quanto avesse immaginato ed aveva anche dovuto fronteggiare il fratello di Swift che la accusava di essere l’origine di tutti i problemi dell’ex agente e non seppe cosa dire, perché nonostante tutto provava realmente pietà per quella famiglia e per quell’uomo.

Quando arrivò a casa trovò solo una Martha estremamente preoccupata ad aspettarla. Le due donne si guardarono senza dirsi nulla, poi l’attrice andò ad abbracciare la nuora.
- Oh Katherine! Stai bene? Due spaventi così in pochi giorni, il mio cuore non so se li reggerà ancora!
- Scusami Martha… sì, sto bene. Voglio solo parlare con Rick. - Disse Kate guardando gli occhi azzurri dell’attrice, molto più chiari di quelli del figlio ma con la stessa sfumatura di preoccupazione che tante volte aveva colto in Castle. Non era ancora abituata ad avere così tante persone che si preoccupano per le sue azioni. Per quel che si ricordava aveva sempre solo dovuto dar conto a Jim che nemmeno ascoltava più i notiziari, e gli bastava una sua telefonata per sapere che stava bene, ma anche per capire che aveva appena fatto qualcosa di rischioso.
- Mi dispiace cara, ma Rick non c’è…
- Dov’è andato? - Le chiese preoccupata
- Non lo so. È uscito senza dire una parola, credo si sia spaventato, molto. Anzi era proprio terrorizzato. - Dal tono, Kate capì che non era una delle sue solite esagerazioni, ma il vero stato emotivo di Castle. 
- Lo posso capire, Martha. - Disse accusando se stessa
- E tu mia cara?
- Io non… non ho pensato a nulla. Altrimenti non ce l’avrei fatta. - Ammise alla donna e a se stessa.
- Katherine, adesso vai di là in camera, rilassati, sfogati, fai tutto quello che vuoi, io non mi scompongo, tanto io avrò sicuramente fatto di peggio nella mia vita, non sai quante volte. Ma non tenerti tutto dentro, non ti fa bene.  Intanto ordino qualche pizza, che ne dici?
Kate seguì il consiglio di Martha. Andò in camera e si mise direttamente sotto la doccia. Avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto prendersi a schiaffi, avrebbe voluto insultarsi da sola. Rimase solo ferma con la fronte appoggiata sulle piastrelle, incapace di fare qualsiasi cosa. Più passavano i minuti più la consapevolezza di quanto era stata avventata quel giorno la schiacciava, sentiva di non aver mai rischiato così tanto in vita sua, anche se non era vero, ricordava almeno una decina di casi in cui era stata coinvolta sicuramente più pericolosi, più tutti quelli che non ricordava che erano decisamente peggio. Ma quel giorno era diverso, quel giorno non era sola, non era solo la sua vita ad essere in gioco e lei non ci aveva pensato, volontariamente o no, non riusciva ancora a dirselo con certezza. Così tutto quello che riuscì a fare era chiedere scusa a sua figlia, per tutto. Per non essere stata in grado di proteggerla come avrebbe dovuto, per essersi messa nei guai senza pensarci, per la situazione in cui erano loro, per come aveva fatto star male suo padre, soprattutto perché in fondo lei si sarebbe meritata sicuramente una madre migliore di quanto lei potesse mai essere.
Si lasciò convincere, più tardi, da Martha a mangiare un po’ di pizza con lei, e provò in tutti i modi a tirarla su d’umore, senza riuscirci. Nel tardo pomeriggio Rick non era ancora rientrato e Martha sarebbe dovuta partire per qualche giorno con delle sue amiche per una vacanza in un centro benessere. L’attrice provò a dirle che avrebbe rimandato il suo viaggio per farle compagnia, ma Kate fu irremovibile, non avrebbe dovuto cambiare i suoi programmi, Rick sarebbe tornato appena si fosse calmato, non ne era certa, anche se a Martha voleva sembrare così, ma ci sperava.
Così appena la donna andò via, assicurandosi più volte che Kate stesse bene, provò a chiamare Rick. Temeva che non gli avrebbe risposto ed invece con sua enorme sorpresa lo fece al secondo squillo. “Sto bene. Torno tardi, non mi aspettare sveglia”

Non dormì tutta la notte, aspettando di sentire la porta di casa aprirsi e quando accade erano quasi le quattro di mattina.
Lo sentì chiaramente versarsi da bere e attese, inutilmente, che la raggiungesse in camera. Si addormentò e dormì un paio d’ore o poco più, almeno sapeva che lui era a casa.
Quando si risvegliò era sempre sola ed era l’alba. Si vestì approssimativamente con i primi vestiti che trovò, un paio di jeans ed una maglia. 
Appena aprì la porta di camera lo vide seduto sul grande divano nero. Aveva una foto del loro matrimonio in mano e appena si rese conto della presenza di lei, la appoggiò sul tavolo. 

Rick aveva aspettato di saperla salva, al sicuro. Quando aveva sentito via radio che il cecchino sul palazzo davanti aveva abbattuto Swift appena Kate si era tolta dalla linea di tiro spostandosi verso il muro, Castle era letteralmente scappato via. Aveva corso, e non sapeva nemmeno lui quanto tempo era che doveva farlo, fino a quando non gli faceva male l’aria nei polmoni: non era una gran distanza, ma era sufficiente per sentire i rumori delle sirene solo in lontananza. Era arrabbiato. Era furioso. Con lei e con se stesso. Sapeva esattamente di cosa Kate avrebbe avuto bisogno una volta finita quella situazione ed era quello di cui avrebbe avuto bisogno anche lui. Stringerla e farle sentire che era al sicuro ed assicurarsi lui stesso che lo fosse e che stesse bene. Ma non ce la faceva. Era scappato perché era certo che l’avrebbe sì abbracciata, perché quella sarebbe stata una cosa di pura sopravvivenza per entrambi e non avrebbe potuto essere altrimenti, ma poi le avrebbe riversato addosso tutto il suo rancore ed avrebbe detto cose di cui si sarebbe pentito. Quindi era corso via e si era dato tempo per respirare lontano da lì. Era tornato al loft, aveva visto sua madre e le aveva detto che era finito tutto e non sapeva se si riferiva al fatto che Swift era stato ucciso o a lui e Kate ed il solo pensiero gli faceva venire i brividi. Aveva preso la Ferrari ed era uscito dalla città, correndo più di quanto avrebbe dovuto fino ad arrivare negli Hamptons. Era andato in spiaggia e si era messo seduto su quel tronco che a lei piaceva tanto ed era rimasto lì tutto il giorno e gran parte della notte, a guardare le onde infrangersi e ritirarsi dalla spiaggia. La stagione estiva era praticamente già finita, non incontrò molta gente ma poteva anche brulicare di vita come nei mesi più caldi, probabilmente non se ne sarebbe accorto. Castle era circondato dalla sua solitudine. Si sentiva totalmente solo, come non lo era da anni.

- Me l’avevi promesso Kate. Mi avevi promesso che saresti stata attenta. - Rick le parlò senza guardarla negli occhi.
- Castle io…
- Zitta Kate, non dire nulla. Io mi fidavo delle tue promesse. Di quello che mi avevi detto. Ma non valgono niente. Nessuna delle tue promesse vale niente. Niente di quello che mi hai detto vale niente. - Castle era impassibile. Parlava guardando la tv spenta dritta davanti a lui. - Non valiamo niente noi. Non ci siamo più.
- Non dire così Rick. Non è vero.
- Ieri hai messo in pericolo la tua vita. La vita di nostra figlia. Per cosa Kate?
- Dovevo andare lì. Lo sai cosa è successo lì.
- Certo, lo so io, lo sanno tutti. Anche un agente lo sa quanto sei ossessionata, ancora, dal caso di tua madre. È chiuso Kate. È finito. E se tu avessi voluto ricordarti del tuo passato l’avresti saputo e non ci saresti andata. Invece no, perché tu non vuoi niente del tuo passato. Non vuoi ricordarti delle tue soddisfazioni sul lavoro, di aver dato giustizia a tua madre e ancora hai quel buco dentro che hai provato a riempire così, andando lì. Tu non vuoi più me, il nostro matrimonio e non so nemmeno se vuoi nostra figlia a questo punto.
- Non ti permetto di dire questo Castle. Non lo puoi dire.
- Oh sì, Kate. Posso dirlo. Posso dirlo perché quello che hai fatto ieri è talmente assurdo che non ci sono spiegazioni logiche per niente. Posso dirlo perché se tu non ti vuoi ricordare nulla di noi, vuol dire che non ti interessa nulla di quello che avevamo e di quello che abbiamo fatto, e tra quello che abbiamo fatto c’è anche nostra figlia. Ed ora ho capito quello che mi chiedeva Burke…
- Tu sei andato da Burke? E cosa facevate, parlavate alle mie spalle? Vi confrontavate su cosa dovevate dirmi e come dovevate comportarvi con me? Studiavate le strategie per indurmi a ricordare o a fare quello che volevate voi? - Ora era Kate ad essere su tutte le furie. Si sentiva tradita, da lui ed anche dal dottore con il quale di era confidata.
- Kate non è così.
- Com’è allora, Castle, spiegami.
- Non sei stata la sola ad aver la propria vita sconvolta Beckett! Anche la mia lo è stata, possibile che non te ne rendi conto? - Urlò Castle scattando in piedi e mettendosi davanti a lei, sovrastandola con la sua stazza, risultando quasi minaccioso.
- Non sei tu Castle ad aver perso otto anni della tua vita ed esserti trovata sposata ad un estraneo. - Kate gli tenne testa, per nulla intimorita
- Invece sì Kate! Sì! Anche io ho perso otto anni della mia vita. Otto anni che ho passato a rincorrere, innamorarmi e far innamorare mia moglie de me. Anni in cui abbiamo vissuto cose terribili e fantastiche. Anni in cui ho provato il terrore più grande e l’amore più importante della mia vita. Anni che non ci sono più. E sì Kate, anche io adesso sono sposato con un estranea. Quindi scusami se ho cercato di essere il miglior marito che potevo essere per te e se anche io ho avuto i miei momenti di difficoltà ed ho avuto bisogno di parlare con qualcuno. - Si allontanò da lei andando verso le vetrate che davano su una New York ancora insonnolita.
- Castle io…
- No, Kate… Ci siamo già detti abbastanza.
-No adesso mi ascolti! - Gli si fece sotto e lo girò tirandolo per un braccio - Sai qual è la verità Rick? Che tu hai fatto tutto, dall’inizio, per farmi innamorare di nuovo di te. E ci sei riuscito. Prima di quanto tu possa immaginare. Sei stato perfetto, dannatamente perfetto. Sapevi sempre cosa volevo, di cosa avevo bisogno, spesso prima di saperlo io stessa. Sapevi quando farmi ridere, quando avevo bisogno di un abbraccio, quando volevo giocare e quando essere seria. Sapevi tutto di me, tu hai sempre giocato conoscendo le mie carte. E naturalmente hai vinto. Mi sono innamorata di te Castle, ancora. Il problema è che tu non volevi che io mi innamorassi di te, tu rivuoi lei. Tu vuoi la tua Kate, quella che hai avuto negli ultimi otto anni, che non sono io. Ed ora io come una stupida sono innamorata di un uomo che è innamorato di un’altra me.
- Kate no… 
- No cosa, Rick? Non dire che non è vero. Sono un’estranea, l’hai detto tu. Tu vuoi la tua Kate, quella che era diventata dopo gli otto anni di cose che avevate condiviso insieme, quella che era cresciuta con te, era diventata una donna con te. Io non sono quella Kate, perchè tutto quello non lo ricordo e quel percorso non l’ho fatto. Sono un’altra persona che ti ama. Ti ama, lo capisci? Io ti amo.
Kate parlava urlando senza riuscire a trattenere le lacrime. Dirgli che lo amava le faceva male, si sentiva lacerare la pelle dalle sue stesse parole. Guardava Castle che era trasfigurato, messo a nudo dalle sue parole colpito dalla verità al punto che faceva male anche a lui sentirla dire che lo amava, eppure era quello che aveva sempre voluto ma non lo voleva più così. Lei aveva ragione e a lui faceva male ammetterlo.
- Io ti amo Rick, forse in modo diverso, forse non come tu vorresti, perchè tu vuoi solo che io ricordi, non è vero? Tu vuoi solo quello. Non vuoi che io ti ami, vuoi che ti ami lei.
- Perchè non vuoi ricordare Kate? - La voce di lui era una supplica di un uomo torturato dal suo stesso amore 
- Io non volevo ricordare perchè non volevo ritrovarmi così a soffrire e a litigare con te, per quel passato che mi fa solo male ad ogni ricordo che riaffiora, ed invece mi ci ritrovo ugualmente. Ed ora non solo non voglio ricordare gli ultimi anni Castle, vorrei dimenticare questi mesi, perchè mi sono solo illusa. Ancora. Io vorrei che mi amassi per quella che sono, non per quella che vorresti tu. Avrei solo voluto una possibilità reale di dimostrarti che ti avrei amato ancora, che ti avrei amato anche io, a modo mio. Lo avrei fatto credimi, ti avrei amato tantissimo, ma tu non lo vuoi.
- Non puoi essere gelosa di te stessa Kate!
- Non sono io ad essere gelosa di me stessa, ma posso diventarlo se l’uomo che amo ama un’altra donna e pensa che quella che ama non sia io. Non posso vivere così Rick, non posso. È stato tutto un errore. Pensare che potesse funzionare ugualmente, fare finta di nulla. Non ce la faccio io e non ce la fai nemmeno tu. È questa la verità. Ti amo Richard Castle, ti basta adesso quante volte lo hai sentito? Avrei voluto dimostrati che anche io avrei potuto renderti felice, ma tu hai sempre voluto altro, l’ho solo capito quando era troppo tardi, quando ormai eri già completamente, totalmente dentro di me. Ma non possiamo stare così, con te che aspetti che io torni ad essere quella che tu vuoi ed io che devo vivere con la possibilità che non accada mai e nel frattempo sentirmi non abbastanza per te, sapere che non sono quello che vuoi. Non possiamo. Non possiamo Rick.

Era uscita di casa senza dirgli nulla di più, senza prendere nemmeno la sua borsa, sbattendo la porta. Kate camminò più velocemente che poteva, senza meta. Avrebbe voluto dimenticarsi anche di quegli ultimi mesi oltre che degli ultimi anni. Avrebbe voluto dimenticarsi di Castle, di nuovo. Di averlo incontrato, di nuovo. Di essersi innamorata di lui, di nuovo. Sapeva che non avrebbe dovuto, che non era abbastanza forte per sostenerlo e per sostenere quel sentimento che si era impossessato di lei. Ecco perchè non voleva ammettere di essersi innamorata di lui, perchè sapeva che non avrebbe sopportato tutto questo.

Castle rimasto al loft sedeva nel suo studio rassegnato. Aveva fatto tutto quello che poteva. Le era stato vicino, le aveva dato spazio, aveva cercato di consolarla e confortarla dopo ogni crisi, l’aveva fatta ridere, l’aveva amata. Non era servito niente e se ne era convinto. Lei non voleva ricordare, aveva messo dietro il suo muro non solo il suo futuro ma anche il loro passato e si sentiva sfinito per combattere ancora, non ne aveva più le forze. Aveva ragione lei, lui rivoleva solo la sua Kate. Perchè la sua Kate avrebbe combattuto e fatto di tutto per ricordarsi di loro. Gli aveva detto che l’amava. Glielo aveva anche ripetuto più volte. Quanto lo aveva aspettato? Quanto lo aveva sognato quel momento? Eppure era diverso, aveva ragione Kate. Non era quello che voleva. Pensava che sentirsi dire “Ti Amo” equivaleva a ritrovare la sua Kate, ma non era così.

Gliene avrebbe parlato quando avrebbe deciso di tornare a casa, era inutile continuare così, aveva ragione. 
Se avesse voluto avrebbero divorziato, per la gioia del suo avvocato. Lei non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla, avrebbe pensato a tutto lui per il mantenimento suo e della loro bambina, non voleva farle mancare nulla nè venir meno alle sue responsabilità. Non voleva scappare, voleva solo smettere di illudersi e di combattere per due persone con lei che sembrava remargli contro.
Lui l’avrebbe amata. Sempre. Ma era inutile costringerla in un matrimonio che non sentiva più suo ed era terribile per lui da pensarlo, ma anche per lui era la stessa cosa. Lui non era sposato con lei, non con quella Kate. Aveva capito che non poteva incatenarla a quel passato che lei sembrava rifiutasse di ricordare. 
Pensò a tutte le cose che aveva sempre sognato di condividere con lei nel loro futuro, di come avrebbero cresciuto i loro figli perchè ne avrebbero avuto più di uno, sicuramente, di come avrebbero sempre riso insieme in quella complicità che solo loro sapevano avere, di come sarebbero invecchiati insieme senza smettere di amarsi nemmeno un istante. Ed invece il matrimonio con la donna che amava più di ogni altra avesse mai incontrato era destinato ad essere il più breve che aveva avuto. Avrebbe voluto uccidere con le sue mani chiunque fosse responsabile di quella sparatoria l’inizio della fine di tutto, avrebbe voluto far pagare a Mason Wood tutto il dolore che aveva provato in quei mesi, tutta la sua angoscia per quando Kate lottava tra la vita e la morte, tutta la solitudine che sentiva anche in quel momento, ma credeva non esistesse, per uno come Wood, la possibilità di provare sentimenti così devastanti. Sentiva come se gli avessero portato via tutto: il loro passato ed anche il loro futuro. Prese la foto di Kate che teneva sulla sua scrivania. Era bella, raggiante, rimase incantato a guardare i suoi occhi che sapeva stavano guardando lui in quel momento. Leggeva in quello sguardo tutto l’amore e l’orgoglio che sua moglie provava per lui. L’avevano scattata la sera della consegna del “Pennino di Poe” mentre lui era sul palco a fare il suo discorso e a dedicarle quel premio che ora era lì, in bella vista sulla sua libreria. Erano stati quelli gli ultimi tempi veramente felici per loro, prima di Loksat, della promozione a capitano, della separazione, della sparatoria al loft. Avrebbe voluto tornare a quei giorni, avvolgere il nastro e cambiare il corso degli eventi, dire a Kate di accettare di candidarsi come senatrice, in fondo Doyle glielo aveva predetto ed era così che sarebbe dovuto andare, così avrebbe avuto la sua famiglia felice, Kate ed i loro tre bambini. Invece era solo a guardare una foto, senza sua moglie, senza più niente.
Prese la cornice di cristallo e la scaraventò a terra lasciando sul pavimento del suo studio un mare di vetri e cristalli frantumati che riflettevano la luce creando piccoli arcobaleni sul volto di Kate che gli parve ancora più bello. Andò a recuperare la foto scansando con la mano nuda i frammenti tagliandosi le dita ma non riusciva nemmeno a sentire dolore, tutti i suoi nervi erano concentrati su un altro, più intenso, più intimo, più devastante. 
Più provava a distruggerla più l'amava e distruggeva solo se stesso. Forse Kate Beckett era diventata nel tempo un suo Horcrux contenente una parte della sua anima separata dal suo corpo. 

Rick aspettò un tempo che gli era sembrato ragionevolmente lungo. Era passata l’ora di pranzo da un pezzo. La sua attenzione fu richiamata dal picchiettare della pioggia sui vetri del suo studio. Stava cominciando a piovere, Kate era fuori da ore. Senza soldi e senza telefono e non era certamente uscita in uno stato d’animo ottimale.
Basta, non poteva indugiare ancora. Prese il telefono e chiamò l’unica persona che pensava potesse aiutarlo in qualche modo.
- Javier, sono Rick
- Ehy Castle! Che succede? - Al detective non era sfuggita la voce tesa di Rick.
- Kate… Non so dove sia... da ore...
Rick spiegò velocemente e senza troppi dettagli quello che era successo: era uscita sconvolta dopo che avevano discusso senza alcun effetto personale.
Esposito e Ryan gli dissero che sarebbero andati subito a cercarla. Avvisarono anche Lanie per sapere se l’aveva vista, ma nulla. Castle chiamò anche Jim chiedendogli se aveva visto la figlia, ma nemmeno lui aveva sue notizie. Disse che li avrebbe raggiunti, per aiutare a cercarla, ma gli consigliarono di stare a casa, nel caso fosse andata da lui, in qualche modo. Castle lo sperava, era da lui che si era rifugiata durante una loro discussione precedente.
Rick fece il giro di tutte le caffetterie della zona, facendo vedere a tutti una foto di Kate che aveva sul cellulare. Una ragazza gli disse che l’aveva vista, qualche ora prima, appena aveva iniziato il suo turno seduta ad un tavolo, l’aveva colpita perchè particolarmente triste. Provò a farsi dare delle altre indicazioni se aveva visto dove fosse andata e quanto tempo dopo, ma la cameriera non seppe dirgli di più. Avvisò subito Esposito e Ryan che stavano battendo supermercati, centri commerciali e magazzini nel raggio di alcuni isolati, chiesero anche nei cinema se qualcuno l’avesse vista lì intorno. La pioggia stava diventando più insistente, provarono a cercarla anche all’interno delle fermate della metropolitana, ma di Kate non c’era traccia. Rick cominciava a preoccuparsi seriamente, con quel tempo fosse rimasta fuori si sarebbe sicuramente ammalata. Era fuori mano, ma fece un tentativo, andando fino al cimitero di Green Wood alla tomba di Johanna, ma non era nemmeno lì. Rientrò in macchina completamente bagnato e prese a pugni il volante pensando a quanto era stato stupido a pensare tutto quello che aveva pensato prima. Si maledì per quello che le aveva detto, per i suoi pensieri, si sentì in colpa per aver pensato di far finire tutto così.  Era colpa sua se Kate era uscita in quello stato, era colpa sua se non sapeva dove fosse, se stesse bene, se avesse bisogno di qualcosa: di un marito meno idiota sicuramente.
Quello era vivere senza Kate? Chiedersi ad ogni ora se stesse bene, preoccuparsi ogni giorno che sarebbe andata a lavoro e non poterci essere per lei, per difenderla, a modo suo. Era Kate quella che non sapeva dove fosse. Kate. Non quella di ora o quella di prima. Era Kate e basta. Il pensiero che fosse da qualche parte, che avesse bisogno di aiuto e lui non fosse lì lo faceva impazzire. Il pensiero di perderla, che stesse male lo faceva impazzire. Non era solo per la bambina, come aveva provato a dire per giustificarsi, perché nei suoi pensieri, c’era sempre Kate, al primo posto, su tutto e forse era un pensiero meschino, non degno di un genitore, però non poteva farne a meno. Riviveva nella sua mente tutte le situazione critiche che avevano vissuto e la immaginava in pericolo in ognuna di quelle, ma da sola. Pensava a quella volta che sola l’aveva lasciata realmente ed avrebbe potuto perderla prima di sapere cosa volesse dire averla tutta per se. Anche quella volta avevano urlato, si erano accusati a vicenda, ma era stato lui a lasciarla e ad andarsene, a non rispondergli al telefono e lei avrebbe potuto morire ed era da sola. Sola, come in quel momento, ancora una volta per colpa sua. Era stata lei, questa volta, tra loro due a dirgli che lo amava e lui quello che non l’aveva nemmeno voluta sentire e sapeva come ci si sentiva, quanto faceva male. 

Il cellulare squillò: era Esposito.
- Javier! L’avete trovata? - Chiese speranzoso ed agitato.
- No, Castle. Tu però è meglio se vai a casa, se dovesse tornare almeno ti troverebbe. Abbiamo trasmesso la sua foto ai colleghi delle pattuglie. Adesso torniamo al distretto e proviamo a chiamare i vari ospedali per sapere se… - il silenzio totale di Caste allarmò Esposito, non lo sentiva più nemmeno respirare affannato - Ehy fratello, è solo per scrupolo, la troveremo, ok? È Beckett, starà bene.
- Ok. Fatemi sapere.
Mise in moto e partì, fece un ultimo tentativo, andando a vedere la sua vecchia casa, quella che nei ricordi di Kate era casa sua. Parcheggiò davanti al portone, con una scusa si fece aprire dalla vecchia vicina che si ricordava bene dello scrittore. Fece tutte le scale a piedi, arrivò fino alla porta dell’appartamento. Si era illuso, per un attimo, di trovarla lì fuori. 
Bussò alla porta, non sapeva nemmeno lui perchè.
- Richard Castle?
- Sì, ehm… Buonasera Sofia.
- Prego, accomodati.
Rick entrò titubante. Non aveva più messo piede in quella casa da quella mattina quando aveva aiutato Beckett a portare via le sue cose. Era molto diverso adesso quell’appartamento. Quel giorno le aveva detto che non gli era mai piaciuto, ma non era vero, non del tutto. Aveva vissuto momenti bellissimi con lei tra quelle mura e sperò che uscisse da quella che era la sua camera così glielo avrebbe potuto dire.
- Come mai qui Richard?
- Volevo chiederti solo se avevi visto Kate, recentemente. - Si mantenne sul vago.
- No, no… Perchè me lo chiedi? 
- Nulla, semplice curiosità.
- Va tutto bene? Kate sta bene?
- Sì, sì sta bene. - Rick si guardò intorno era tutto così uguale ma così diverso. In un attimo ripensò a quante volte quei muri avevano sentito le loro grida quando discutevano, i loro gemiti e sospiri quando si amavano di nascosto dal resto del mondo. Il suo sguardo su attirato da una delle travi dove vide inciso KB. Non lo aveva mai notato prima, pensò che Kate doveva averlo fatto quando era andata lì per l’ultima volta, per lasciare per sempre una sua traccia in quel posto. Ebbe la tentazione di toccare con mano quel segno, si trattenne per non sembrare ancora più patetico.
- Rick, mi sembri strano…
- No, tutto ok. Grazie Sofia, devo andare.
Si era perfettamente reso conto di aver fatto la figura dello stupido e che forse aveva anche spaventato la cugina di Kate, ma le avrebbe spiegato tutto poi, quando l’avrebbe ritrovata. La pioggia non accennava a diminuire di intensità. Rick si rimise alla guida cercando di arrivare a casa il prima possibile.

 



NOTA: Questa sera, probabilmente, l'ultimo capitolo.

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Capitolo 61
*** SESSANTUNO - Epilogo ***


Kate da quando era uscita dalla caffetteria aveva camminato senza sosta per ore. Alla fine ritrovò nel suo parco senza volerci andare, era stata condotta lì dal caso o dal suo inconscio, come se sapesse, da quando era uscita di casa, che doveva andare lì. Era seduta sull’altalena, dondolandosi appena, pensando a tutti gli errori fatti in quei mesi e nel passato, quando cominciò a piovere e le gocce di pioggia si mescolavano con le sue lacrime silenziose che divennero presto singhiozzi rumorosi aumentando di intensità man mano che anche la pioggia diventava più insistente, ma lei non se ne curava. Non ricordava quelli che tutti gli avevano descritto come gli anni più belli della sua vita, si era innamorata di un uomo che amava un’altra donna e quell’altra donna era sempre lei, sarebbe stato perfino comico se non fosse stata così male. Non aveva più il suo passato, non vedeva un futuro, perché non aveva un futuro, glielo aveva detto lui, chiaramente. Aveva solo sua figlia. Solo lei, se poi lui non avesse voluto fare come con Alexis e tenerla solo per se. Il solo pensiero la atterriva, la sua bimba era tutto ciò che sapeva di avere del suo passato e del suo futuro. Era un filo dorato che cuciva la sua vita tenendola insieme, evitando che si trascinasse tutto via.
Si era convinta che aveva sbagliato a lasciarsi andare e ad innamorarsi, perché stava soffrendo, ancora una volta, le sue paure erano fondate, aveva aperto uno spiraglio nel suo muro ed era stata invasa da un fiume in piena che la stava trascinando via e allora si era affrettata a chiudersi di nuovo dentro. Ma la sua bimba meritava di più delle sue paure che la bloccavano, meritava quella famiglia che era sicura che lei, prima, sognava di darle ed anche sua figlia meritava di più: non era vero che voleva dimenticarsi di Castle, voleva amarlo e voleva che lui la amasse come amava quella Kate e non poteva essere gelosa di se stessa. La Kate che Castle amava era sempre lei, doveva solo volerlo e smettere di fare la guerra al suo passato, smettere di farsi condizionare dalle sue paure. Si accorse in quel momento che per la prima volta rivoleva la sua vita, tutto quello che aveva prima e che non le importava se rischiava di soffrire per questo. Stava soffrendo anche adesso e non aveva nulla. 
Voleva Castle, voleva solo lui. Voleva la loro vita, quella che lui gli aveva raccontato. Non gli importava se aveva paura di scoprire che era un’illusione frutto della sua fantasia di scrittore, che quello che provava era diverso, nemmeno delle ombre che avrebbe svelato. Perché ora lo amava ed era convinta che nulla avrebbe cambiato questo sentimento, non lo avrebbe scalfito, lo avrebbe solo completato con quel buco che si portava dietro da mesi.
Un lampo illuminò il parco rischiarando per una frazione di secondo l’aria densa di nuvole nere come il suo umore e qualche istante dopo un tuono vigoroso rimbombò fin dentro di lei. Si portò una mano al petto che sentiva come stretto in una morsa ed il cuore battere all’impazzata. Aveva paura. Non capiva cosa le stava succedendo. Era sola in un parco, sotto la pioggia. Non aveva il cellulare, non poteva chiamare nessuno e nessuno era lì con quel tempo. Vedeva le macchine al di là del giardino sfrecciare sulla strada e alzare nuvole d’acqua. Erano lontane, troppo lontane per arrivarci per come si sentiva paralizzata in quel momento, troppo lontane perché la vedessero. Faticava a respirare e non sapeva se era la paura o altro, la testa le scoppiava e sentiva pulsare le vene fino a farle male. Con una mano si tenne il ventre e con l’altra si resse più forte alla catena dell’altalena. Se fosse accaduto qualcosa alla sua bambina per un suo colpo di testa non se lo sarebbe mai perdonato. Va tutto bene bimba mia, mamma sta bene… Parlava alla sua bambina come sua madre parlava a lei. Si doveva fare coraggio da sola, non c’era nessuno ad aiutarla e doveva uscirne solo con le sue forze, non poteva lasciarsi risucchiare dalle sabbie mobili della sua mente, condannandosi all’oblio ed anche a qualcosa di peggio, temeva. 

“Sono pazza di lui, è l’amore della mia vita” 
“Morirei se un giorno dovessi perderti”
“Sono molto fiera di averlo ispirato e sono molto orgogliosa di essere sua moglie”
“Ti amo, Richard Castle e voglio vivere la mia vita nel calore del tuo sorriso e nella forza del tuo abbraccio.”
“Averti come partner e come compagno è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita.”

La testa le pulsava, si portò le mani alle tempie ma non trovava sollievo. Provò a prendere fiato piantando i piedi a terra, in quella terra che era già diventata fango. Un altro lampo seguito ancora da un tuono che le provocò lo stesso fastidio al petto con quelle vibrazioni che si scioglievano in lei. Chiuse gli occhi e urlò, stremata, tirando fuori tutta la sua frustrazione ed il suo dolore. Pianse singhiozzando, fino a quando le faceva male anche piangere e gli occhi erano così rossi da non riuscire a tenerlo aperti. Pianse per tutto quello che pensava di aver perso per sempre, pianse per se stessa facendosi pena e rabbia da sola. Pianse per la sua bimba costretta da sua madre ad una vita incompleta che non avrebbe mai voluto darle. Pianse perché per quell’amore che aveva appena sfiorato ma era stato così forte da ustionarsi. 
Poi all’improvviso smise. Sentì il suo cuore batterle nel petto così forte che poteva vedere i suoi movimenti attraverso la stoffa ed il petto bruciare riempito da un sentimento nuovo, un sentimento che non provava da tempo, forse non l'aveva mai provato così. Si sentì improvvisamente sfinita, consumata da quell’amore prepotente che stava impossessandosi di ogni sua fibra e prendendo forma e spazio nella sua mente. 

Dei colpi alla porta del loft destarono Castle dai suoi ricordi nei quali si era rifugiato da quando era rientrato a casa. 
Andò ad aprire e trovò davanti a se Kate completamente bagnata. Fu sollevato nel vederla lì, davanti a lui. Avrebbero parlato, si sarebbero chiariti da persone civili, in fondo lo erano. Doveva solo accertarsi che stava bene, fu questo il suo primo pensiero quando la vide, preoccuparsi per lei era naturale per lui, era un riflesso involontario davanti a qualsiasi cosa la mettesse in una situazione che lui giudicava di pericolo, fosse anche lui stesso. Ed era questo che lo dilaniava. Era lui, ora, quello che le aveva fatto del male, era lui il pericolo per lei e per la sua incolumità. Sorrise amaramente a vederla così, pensando che al destino piaceva veramente tanto giocare con lui e lui, però, avrebbe giocato fino alla fine, chiedendo a Beckett cosa volesse, lanciando gli ultimi dati a quel tavolo che era la sua vita, magari questo le avrebbe fatto ricordare di loro, era la sua ultima mano a quel tavolo.
Non ne ebbe nemmeno il tempo per fare tutto quello che aveva elaborato in pochi secondi, perché Kate si buttò tra le braccia di un allibito Rick, prendendolo per i lembi della sua camicia, stringendoli con una forza inspiegabile, schiacciando la testa sul suo petto aprendo le dighe emotive della sua anima. 
Kate non riusciva a dire nulla, non riusciva nemmeno a respirare tanto che sembrava quasi essere in apnea e quando riprendeva fiato dai singhiozzi le faceva quasi male l'aria che entrava nei polmoni.
Castle non sapeva cosa fare. Passava le mani sulla sua schiena per tranquillizzarla, le diceva qualcosa ma lei non capiva era chiusa nella bolla della sua mente e non si staccava da lui che nel frattempo aveva richiuso la porta e cercava di capire cosa avesse sua moglie, perché, nonostante tutto quello che aveva pensato, quella tra le sue braccia era sempre la sua Kate, sua moglie e si dava dello stupido da solo per aver pensato di mettere fine al loro matrimonio. Le bastava tenerla così tra le sue braccia per far crollare tutti i suoi propositi di lasciarla andare, sarebbe stato come strapparsi il cuore dal petto e pretendere di vivere ugualmente. Si poteva fare? Impossibile.
Beckett aggrappata al marito come se fosse la sua zattera in mezzo all’oceano della sua vita, pensava agli ultimi mesi e provava una sensazione di tristezza e smarrimento. Provava dolore e senso di colpa. Non si staccava, era vitale rimanere attaccata a lui, per non farsi potare via di nuovo da lì, da lui, dalla sua vita.
Castle si stava cominciando a preoccupare: Kate non si muoveva più, non piangeva nemmeno ma non si spostava da quella posizione, sentiva solo il suo respiro irregolare. Era bagnata ed infreddolita e non sapeva cosa le era accaduto nelle ore precedenti.
- Kate… stai male? Kate… la bambina? Rispondimi!
Nel sentire Castle preoccuparsi per lei e per la bambina, Kate si scosse e riacquistò quel minimo di lucidità necessaria. Alzò la testa dal petto di Rick, ormai bagnato dalle sue lacrime e da lei stessa, lasciò la sua camicia che non capì come aveva fatto a non rompersi e posò entrambe le mani sul suo volto, stringendolo. I suoi occhi si persero in quelli di lui e si sentiva a casa, persa nell’unico luogo in cui perdersi era trovarsi.
Castle si sentì destabilizzato da quello sguardo che non vedeva così da troppo tempo, dalle sue mani per come lo tenevano, come chi tiene a se la vita per paura che possa sfuggigli e per Kate era realmente così. Era vita, ossigeno, era il battito del suo stesso cuore.
- Perdonami Castle. Perdonami ti prego... Scusami Castle... Scusami! 
- Kate... - non riuscì a dire altro se non il suo nome
- Babe... - Gli disse con voce carezzevole cercando di trasmettergli una parte di tutto quello che aveva dentro e che non trovava una via di uscita. 
- Kate...  - Lei gli sorrise mentre lui era ancora imbambolato a guardarla.
- Ciao amore mio. - A Castle sembrava di non aver mai sentito la voce di sua moglie parlargli con tanta dolcezza e fu il suo turno di lasciarsi andare. Non voleva staccarsi da lei, ma non sarebbe resistito in piedi un minuto in più. Gli sembrò che la stanchezza di tutto quel tempo lo avesse appena raggiunto, investito come un treno in corsa, rendendo le sue stesse gambe incapaci di sorreggerlo. Si barcollò fino al bordo del divano e reggendosi girò intorno fino a caderci sopra stancamente. Riuscì solo a portarsi le mani sugli occhi a coprirsi il viso prima di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio che insieme alle lacrime faceva uscire tutti quei pensieri che lo avevano oppresso fino a poco prima.
Kate si sedette vicino a lui, passandogli le braccia intorno al collo, ritrovando in quei gesti la familiarità che avevano sempre avuto, andando a accarezzargli la nuca e i capelli, proprio come sapeva che a lui piaceva e confortava.
- Rick… - ora era lei che cercava di distogliere Castle dal pianto. Gli abbassò le mani dal volto segnato dalle lacrime, lo accarezzò cancellando le gocce salate e poi si avvicinò a lui, cominciando a baciarlo sugli zigomi, le guance fino ad arrivare alle sue labbra. Tremava nell’avvicinarsi alla bocca di suo marito, lo accarezzava e lo guardava con gli occhi timorosi prima di abbandonarsi a quel contatto che le sembrava non aver mai desiderato tanto. Lo baciò, infine, lentamente, con dolcezza senza l’urgenza che poteva lei stessa immaginare quando aveva raggiunto le sue labbra. Voleva solo ritrovarlo, solo quello. Rick sembrò riprendere coscienza di se e le mani, fino a ora lasciate lungo il corpo, andarono a stringersi su di lei, avvicinandola ancora di più, accarezzandole la schiena e i capelli bagnati, ripetendo quel movimento all’infinito e non si sarebbe mai stancato. Sorridevano uno sulle labbra dell’altra continuando a baciarsi, mordersi le labbra maliziosamente, in quei gesti che per loro erano naturali.
- Rick… - la voce languida di Kate di mescolava con quella roca di Castle che pronunciava il suo nome sussurrandolo, per non farsi sentire dal fato avverso che per troppo tempo gliela aveva tenuta lontana. La sua Kate.
Rick non sembrava intenzionato in nessun modo a lasciarla andare, a farla spostare nemmeno di qualche centimetro da lui ed aveva protestato quando lei si era tirata su, allontanandosi dal suo corpo prendendogli le mani e tornando a guardarlo negli occhi intensamente. Nel suo volto, però, non c’era più il sorriso di prima, era diventata molto seria, tanto che Castle si preoccupò che ci fosse qualcosa che non andava, eppure per lui era tutto chiaro, non c’era stato bisogno che le le dicesse nulla. Lo aveva capito dai suoi occhi, da come lo guardava, da come lo aveva chiamato, da come lo accarezzava. Era la sua Kate, però ora era tesa, gli accarezzava nervosamente le mani.
- Cosa c’è Kate?
- Babe, c’è una cosa che ti devo dire… una cosa che in queste settimane mi ha torturato ogni giorno, una domanda alla quale non riuscivo a darmi una risposta… una risposta che devo anche a te e mi devi credere. - Le fece un cenno di assenso con la testa, invitandola a continuare, qualunque cosa fosse, per renderla così nervosa doveva essere importante - Rick… io non lo sapevo di lei, te lo giuro. 
Prese le mani di lui e le portò sul suo ventre, sotto le sue, tenendole ferme in quel contatto che ora aveva per lei tutto un altro significato e del quale non si voleva privare per nulla al mondo.
- Non avrei mai fatto nulla di quello che abbiamo fatto negli ultimi giorni prima che… - non riuscì a finire la frase - Non l’avrei mai messa in pericolo, credimi. Mi dispiace, avrei dovuto essere più attenta, accorgermene, mi sarei fermata prima, lo avrei fatto, veramente. Credimi. Avevi ragione tu, dovevamo andarcene, potevamo farlo. Se io avessi saputo… Ma non lo sapevo Rick, ti prego credimi… Per colpa mia potevo… - Castle liberò una sua mano da quelle di Kate e portò due dita sulle sue labbra per farla tacere. Stava parlando convulsamente, senza riprendere fiato, asfissiata da sensi di colpa che non avevano ragione di esistere.
- Kate, non ho mai pensato il contrario.
- Rick potevo averla…
- Shh Kate… - La fece appoggiare con la schiena al suo petto mentre la cingeva con la braccia, posandole di nuovo sul suo ventre facendosi strada sotto la sua maglia, accarezzandola con quella libertà nella sua testa prima che nelle sue mani, come mai era riuscito fare fino ad ora, finalmente si sentiva totalmente libero di amarla senza riserve e senza limitazioni - la nostra Mini Beckett è forte come la sua mamma, ha resistito a tutto quello che ci è successo e ci ha dato la forza di andare avanti nonostante tutto. Ci ha già sostenuto, lei è fortissima, la bambina più forte di tutte le galassie.
Kate rabbrividì al contatto con le mani calde di lui e Rick si rese conto di quanto sua moglie fosse bagnata e feddra. 
- Ti devi mettere qualcosa di asciutto.
Lei annuì, aveva freddo, più di quanto si era accorta di avere fino a quel momento.
- Mentre tu ti cambi chiamo i ragazzi al distretto e tuo padre. - Kate lo guardò accigliata - Ti stavamo cercando tutti, eravamo preoccupati. - Si giustificò Rick mentre lei abbassò lo sguardo e fece un cenno di assenso comprendendo la loro preoccupazione.
Furono tutti sollevati nel sapere che stava bene, tutti gli chiesero se avesse bisogno di qualcosa, e a tutti rispondeva nello stesso modo: avevano solo bisogno di stare insieme per ritrovarsi. Non volle dire ancora nulla a nessuno, la voleva tenere solo per se, almeno per un po’, pensava di averne diritto.
 Rick raggiunse Kate in camera mentre si stava tamponando i capelli con un asciugamano.
- Stai bene? - Le chiese ma lei non rispose, alzò solo lo sguardo verso di lui, aveva gli occhi pieni di lacrime. Le prese la mano, invitandola ad alzarsi. Lasciò cadere l’asciugamano a terra e i capelli si sparsero sulle spalle ancora umidi. Rick la avvicinò a se e Kate appoggiò la testa sulla sua spalla, accarezzandogli i capelli, respirando il profumo della sua pelle, baciandogli il collo, accarezzandolo con quella familiarità di gesti che gli erano tanto mancati. Le sue dita che scendevano dai capelli ai lati della testa e gli accarezzavano la guancia lasciandole scorre prendendo il lobo dell’orecchio tra di loro in una carezza prolungata che faceva fremere Rick per aver ritrovato quelle sensazioni che solo lei con questi gesti quotidiani sapeva donargli.
- Ti amo Rick. Non riuscirò mai a dirtelo abbastanza. Castle, io devo dirti talmente tante cose…
- Non mi devi dire niente ora. Ci sarà tempo Kate… Tutto il tempo che vuoi. Non adesso però.

Non riuscivano più a lasciarsi nemmeno per un istante. Avevano bisogno di sentirsi. Erano mesi che stavano sempre insieme ma era diverso. Ora erano di nuovo loro. Non avevano bisogno di dirsi nulla, non dovevano spiegarsi per capirsi. Per parlare ci sarebbe stato tempo dopo, come le aveva detto Castle. Avevano solo bisogno di loro, di essere loro.
Rick tolse la maglia di Kate, lasciando che i suoi occhi si riempissero di lei e più la guardava più non ne aveva abbastanza. Sua moglie era bellissima e perfetta con le sue cicatrici, i seni più floridi, la pancia che conteneva la cosa più preziosa del mondo. Le poggiò le mani sulle spalle scendendo poi ad accarezzarle le braccia e risalendo lungo i suoi fianchi fino ad incontrasi dietro la schiena dove c’era il gancio del reggiseno. Kate gli appoggiò una mano sul petto, chiedendogli di aspettare. Castle non capì e la guardò timoroso che potesse avere dei ripensamenti ma lei sorrise con quel suo splendido sorriso che illuminava anche i suoi occhi, che a Rick sembravano ancora più belli del solito, e lo baciò e le sembrava impossibile che le sue labbra potessero avere un sapore migliore del solito: erano una calamita ed ora faceva fatica a staccarsi perché come si separavano, immediatamente le raggiungeva di nuovo, non avendone mai abbastanza. Kate, infine, fece ricorso a tutta la sua, poca, forza di volontà e si voltò chinandosi verso il suo comodino prendendo qualcosa dal cassetto. Quando tornò a guardare Rick aveva gli occhi che le brillavano ed un sorriso che non riusciva a contenere. Aprì la mano e gli mostrò le loro fedi. Sorrise anche lui, emozionato. Prese la fede di Kate e poi la sua mano e fece scivolare l’anello al dito senza distogliere lo sguardo dagli occhi di lei. Kate fece la stessa cosa con quella di Castle e dopo averla rimessa lì dove sarebbe sempre dovuta rimanere, prese la mano di lui e la baciò proprio dove aveva appena posto l’anello. Ora erano completi, erano loro. Ora potevano riprendere ad amarsi come bramavano. Adorava sentire la mano di Castle che la accarezzava con quel tocco metallico che testimoniava che lui era suo, solo suo. Per sempre. Non aveva bisogno che glielo dicesse, lei lo sapeva, così come Castle adesso sì, sapeva quanto Kate lo amasse ma non per quella fede tornata al suo posto, perché era Kate, la sua Kate. Intrecciarono le dita delle loro mani e le tennero strette quasi fino a farsi male. 
- Ti amo Kate. Io… posso amare solo te. - Rick sembrò quasi volersi giustificare, ma lei non aveva bisogno di sentire nulla, nemmeno per lei era tempo per le parole adesso. Voleva solo ritrovare suo marito, solo poter stare tra le sue braccia, farsi amare da lui ed amarlo, non voleva altro, e solo quello fecero, a lungo, con dolcezza, senza fretta, con passione e un desiderio di aversi tanto forte quanto la paura che avevano avuto di essersi persi, con tutto il loro amore fino a quando si abbandonarono esausti e vibranti distesi sul loro letto testimone di quella riunione dove i corpi erano solo l’elemento visibile e tangibile e nemmeno allora riuscirono a stare lontani, intrecciando di nuovo le loro mani, stringendole entrambi più forte del dovuto. Avrebbero dovuto dormire erano giorni che non riuscivano a farlo in modo soddisfacente e le emozioni devastanti li avevano stremati, ma nessuno dei due voleva chiudere gli occhi, per paura che l’altro potesse non esserci più, che tutto fosse solo un sogno.

Rick sentì Kate piangere sopraffatta dalle emozioni e dai ricordi e la sollevò portandola sul suo corpo, perché averla vicino non era abbastanza vicino. Lo fece con movimenti dolci e delicati, come lo era stato per tutto il tempo in cui si erano amati. Sapeva che per sua moglie non c’era posto migliore per trovare conforto che essere tra le sue braccia e la teneva stretta, baciandole il volto e accarezzandole la schiena.
Kate si aggrappò alle sue spalle e lo strinse così forte che Rick sentì in quel momento tutti i pezzi del suo cuore tornare improvvisamente a posto e battere di nuovo a ritmo regolare. Quell’abbraccio era così rigenerante che aveva curato la sua anima lacerata da quei mesi difficili nei quali aveva sopportato facendo finta di nulla, per quanto gli fosse stato possibile. Adesso pelle contro pelle, cicatrici contro cicatrici, Rick sentiva tutta la vita scorrere di nuovo nelle sue vene, insieme a lei. Lui lo sapeva dall’inizio che per curarsi e per guarire loro avevano solo bisogno di stare insieme e sarebbero stati uno la miglior medicina dell’altra. Erano tutto ciò di cui necessitavano per stare bene. Fosse dipeso da loro, sarebbero potuti rimanere così per sempre.
- Castle… - Kate si girò, sdraiandosi sulla schiena allungando una mano verso di lui per non lasciare mai il contatto tra di loro e Rick appena percepita la sua mancanza si voltò, per guardarla e continuare ad accarezzarla. Non avrebbe più smesso, perché doveva limitarsi di poter toccare sua moglie come più gli piaceva? Prese il lenzuolo e coprì i loro corpi, per aumentare l’intimità tra loro e non raffreddarsi. - … Lily ti piace?
- Lily? Lei? - Disse accarezzandole la pancia. Kate annuì mordendosi il labbro inferiore.
- Come i fiori che mi portavi ogni giorno.
- Sì, mi piace… ma…
- Avevi pensato ad altro?
- No, no… ero solo convinto che dato che è femmina avresti voluto chiamarla come tua madre, per questo io non ti ho mai chiesto nulla.
- Ascoltami Castle. - Kate si sollevò, mettendosi seduta sul letto e tirandosi su anche il lenzuolo mentre Rick seguiva i suoi movimenti sedendosi vicino a lei - Mia madre è e rimarrà per sempre una parte fondamentale di me, per la ragazza che ero e per la donna che sono diventata. Avrà sempre un posto speciale nel mio cuore e non c’è giorno che non pensi a lei almeno per un istante. Ma nostra figlia non deve portare su di se il suo ricordo, non voglio che ogni volta che qualcuno pronuncia il suo nome deve farlo pensando che è il nome di mia madre. Non sarebbe giusto per lei e nemmeno per me o per mio padre. Per questo non voglio che abbia il nome di mia madre e non penso che lei si offenderebbe.
- Già, non lo penso nemmeno io. Anzi, sono sicuro che sarebbe orgogliosa di sua figlia, della ragazza che era, della donna che è diventata e della madre che sarà. Lily è perfetto. Lily Castle. Suona bene. Da quanto ci pensavi?
- Da un po’…
- Quale Kate lo ha scelto allora? - Chiese alla moglie ridendo e trascinandola di nuovo tra le sue braccia sdraiata vicino a lui.
- Lo abbiamo scelto insieme. - Disse lei baciandogli il petto. - Andrà tutto bene adesso, vero?
- Andrà tutto benissimo e prima che me lo chiedi, no, non lo dico per farti contenta e rassicurati. Lo dico perché adesso lo penso veramente.
Kate si abbandonò sul suo petto, lasciandoli continuamente piccoli baci che strappavano sorrisi beati a Rick, che si godeva tutto quello con il cuore finalmente leggero.
- Castle, sai che alla fine non ne avevo idea nemmeno io. - Gli disse Kate con la bocca ancora accostata al suo torace rendendo quasi difficile a Rick capirla.
- Di cosa Beckett?
- Di tutto. Di noi.
Un sorriso immenso si aprì sul viso di Castle, che strinse ancora di più Kate a se, accarezzandole il braccio, mentre lei rilassata dai suoi tocchi si addormentò e lui guardava il soffitto della loro camera e credeva che non poteva essere più felice di così.


 


Come tutte le storie anche questa è arrivata alla fine. Mi prendo qualche riga per scrivere due cose...

Quando ho cominciato a scriverla pensavo sarebbero stati una ventina di capitoli o poco più. Sono diventati 61, un numero strano, non voluto, dettato dal caso. Avevo finito di fare il percorso che avevo in mente, che si è srotolato man mano che scrivevo.
Di più di questo non potevo dire/dare e forse mi sono dilungata anche troppo.
Una notte, a maggio, poco dopo finito Castle, ho sognato l’inizio di questa storia: Kate che si risveglia senza memoria. Non avrei mai immaginato di scrivere una FF “seria” su Castle, soprattutto non una long. 
Mi sono avvicinata con estremo rispetto ai personaggi e alle loro storie, quello che mi preme di più, e che spero di aver fatto, è di aver reso Rick e Kate, in particolar modo, credibili, di non averli rovinati. La mia storia, nel far “ricordare” Kate, è voluta essere almeno in parte un omaggio a 8 anni di Castle, toccando alcune delle cose che mi hanno emozionato di più.
E’ stato un bel viaggio scrivere questa FF, è stato terapeutico in un momento difficile, mi ha anche costretto a rivedere tante puntate in un periodo in cui vedere Castle era diventato difficile e doloroso. Ora che ho messo un punto sono felice ma sento che un po’ mi manca. 

Non so se ci può essere una spiegazione di questa storia, forse nella mia visione dei Caskett, che loro sono comunque destinati a stare insieme e che si ritrovano sempre, ma anche che il loro rapporto non è solo qualcosa di innato ma è qualcosa che hanno costruito passo dopo passo e che tutto quello che hanno vissuto è indispensabile per quelli che sono diventati, con tutti i loro difetti e tutti i problemi irrisolti.
Spero di riuscire a scrivere ancora qualcosa, per non abbandonare questi Caskett ai quali mi sono affezionata. 

Ringrazio tutti quelli che hanno letto questa storia, siete stati in tanti e non me lo sarei mai immaginata.
Ringrazio tutti quelli che hanno commentato, chi lo ha fatto sempre, chi lo ha fatto solo una volta, chi mi ha scritto in privato e chi lo ha fatto altrove. Credo di aver sempre risposto a tutti, se a qualcuno non l’ho fatto mi dispiace.
Ringrazio soprattutto Chiara e Sofia che si sono beccate i miei frequenti “è credibile?” “è OOC?” che erano sempre le mie maggiori preoccupazioni.
Ringrazio Castle perché solo una cosa che ti emoziona riesce a farti descrivere altre emozioni e ringrazio, come lettrice, tutti quelli che continuano a scrivere e tradurre FF su Castle, perché ce n’è ancora tanto bisogno.

Alla prossima
Elena

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