Moments of a teenager's life

di DAlessiana
(/viewuser.php?uid=400737)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Esme's birthday ***
Capitolo 3: *** You can count on me ***
Capitolo 4: *** Troubles ***
Capitolo 5: *** Apologies and Forgiveness ***
Capitolo 6: *** Study and Kisses ***
Capitolo 7: *** Prohibitions ***
Capitolo 8: *** Ready for the party ***
Capitolo 9: *** Lose everything ***
Capitolo 10: *** Where's the trust? ***
Capitolo 11: *** Change is dangerous ***
Capitolo 12: *** Clarifications ***
Capitolo 13: *** The calm after the storm ***
Capitolo 14: *** The moment of truth (Part one) ***
Capitolo 15: *** The moment of truth (Part two) ***
Capitolo 16: *** A new friend ***
Capitolo 17: *** Helping a friend ***
Capitolo 18: *** I need you, dad ***
Capitolo 19: *** Hospital ***
Capitolo 20: *** Brothers ***
Capitolo 21: *** Face to Face ***
Capitolo 22: *** We are family, now ***
Capitolo 23: *** Back to school ***
Capitolo 24: *** All for love ***
Capitolo 25: *** Paradise problems ***
Capitolo 26: *** The power of love ***
Capitolo 27: *** Save her first ***
Capitolo 28: *** Don't give up ***
Capitolo 29: *** Wake up ***
Capitolo 30: *** Fear ***
Capitolo 31: *** Sweet Hugs ***
Capitolo 32: *** Unexpected events ***
Capitolo 33: *** We can’t lose you ***
Capitolo 34: *** It's not your fault ***
Capitolo 35: *** Awakening ***
Capitolo 36: *** We have time to explain ***
Capitolo 37: *** “Sorry if I said goodbye”, “I’m not ready for that.” ***
Capitolo 38: *** Home sweet home ***
Capitolo 39: *** A new beginning ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Edward fissava la foto, che conservava nel portafoglio, con sguardo perso e la mente affollata di ricordi.
"Parlami di lei..." la voce di Bella fu una dolce melodia che interruppe il filo di pensieri del ragazzo, che per qualche minuto si era dimenticato della presenza della sua fidanzata.
"Bella, io non so se..." Edward aveva provato a replicare, ma le parole gli morirono in gola e una lacrima sfuggì al suo controllo.
"Ed, per favore, parla con me. Raccontami di lei" adesso il tono di lei era quasi supplichevole, voleva aiutare il ragazzo che amava ma per farlo lui doveva sfogarsi e lasciarla entrare nel suo dolore. Doveva fidarsi completamente di lei, non lo avrebbe mai ferito.
"Questa foto l'abbiamo scattata al mio decimo compleanno. Pochi mesi dopo si ammalò" prima di parlare aveva preso un grosso respiro, doveva essere pronto ad aprire una ferita non ancora totalmente cicatrizzata.
"Era bellissima, Edward" disse Bella, sfiorando con le sue dita sottili il viso di una donna sorridente stretta ai suoi figli.
"Jasper è la sua fotocopia e non solo esteticamente" le labbra di lui si piegarono in un amaro sorriso. Jasper era suo fratello minore, avevano un anno di differenza. Aveva preso l'infinita dolcezza che caratterizzava la madre, mentre Edward era più simile al padre. Non lasciava trasparire facilmente le emozioni.
"Lo so che ti manca, Ed. Mi dispiace tanto" disse la ragazza prima di abbracciarlo e Edward fiondò il viso tra i suoi capelli. Lui era solo un bambino quando gli venne strappata via una delle figure più importanti nella vita di un uomo, sua madre. Nessuno poteva capire il dolore che gli attanagliava il cuore a distanza di anni, ogni volta che cadeva il giorno del suo compleanno.
"Tanti auguri, mamma" sussurrò, fissando la lapide davanti a lui, ancora stretto nell'abbraccio di Bella.



-Salve a tutti!
Non so esattamente il perché, ma ho deciso di invadere anche questa sezione. Questa è la prima storia su Twilight, una saga che amo con tutto il mio cuore.
In questa storia saranno tutti umani con qualche stravolgimento qua e là.
Ho messo solo poche righe, per capire se ne vale la pena di continuare e vorrei leggere le vostre opinioni...Ci tengo davvero.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno e spero che vi piaccia, così avrò un motivo per continuarla.
Baci :* 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Esme's birthday ***


Quella mattina Edward fu svegliato dal suono fastidioso della sua sveglia, aprì stancamente gli occhi maledicendo il lui del giorno precedente che aveva deciso di andare a letto oltre la mezzanotte. Si trascinò nel bagno che trovò libero, così passò in camera di Jasper trovandola vuota, doveva già essere sceso a fare colazione. Prese una felpa dall'armadio senza concentrarsi particolarmente sul colore. La voglia di andare a scuola, quel giorno, era letteralmente sotto zero.
Scese le scale e biascicò un buongiorno ancora mezzo addormentato, al quale il padre non diede molto peso. Quel giorno nessuno dei componenti della famiglia Cullen aveva particolarmente voglia di compiere i propri doveri: era il compleanno di Esme, madre e moglie defunta troppo presto, esattamente sette anni prima.
Ognuno l'avrebbe ricordata a modo suo, avevano smesso da qualche anno di celebrare quel giorno insieme perché ciascuno della famiglia affrontava il dolore in maniera differente.
Edward, l'aveva già ricordata la sera precedente portando davanti alla lapide il suo fiore preferito insieme ad una foto incorniciata che ritraeva tutta la famiglia.
Jasper, l'avrebbe ricordata indossando qualcosa del suo colore preferito, quella mattina aveva optato per una maglia, infatti sfoggiava un colore verde smeraldo, che in altre occasioni mai avrebbe messo.
Carlisle, beh lui la ricordava ogni giorno fermandosi al cimitero prima di recarsi al lavoro, ma quella mattina, contro ogni suo gusto, aveva deciso di indossare la cravatta che lei gli aveva regalato l'ultimo San Valentino trascorso insieme.
Non parlarono molto e a nessuno urtò quel silenzio, aveva un qualcosa di sacro. Così, dopo aver fatto un bel respiro, i maschi della famiglia Cullen si preparano ad affrontare quella che sarebbe stata una lunga e infinita giornata.


I due fratelli percorsero il tragitto fino a scuola senza proferire parola. Edward si concentrò in modo particolare sulla guida, mentre Jasper aveva quasi il timore di dar voce ai suoi pensieri.
“Guarda che puoi parlare, eh!” esclamò Edward, una volta arrivati davanti scuola, stanco di quella specie di gioco del silenzio.
“Ti ricordi l'ultimo compleanno di mamma prima che morisse? Le portammo la colazione a letto ed io inciampai facendo cadere il caffè sulla coperta!” disse Jasper, rendendo partecipe l'altro dei suoi pensieri, rise ricordando la scena. Edward scoppiò a ridere di conseguenza, la faccia mortificata di suo fratello era epica!
“Come dimenticarlo! Papà ti fulminò con lo sguardo, ma poi scoppiò a ridere insieme a mamma!” ribatté il maggiore e fu come avere la scena davanti a sé.
“Io avevo capito che qualcosa non andava, ma credevo che tutto si sarebbe risolto” disse d'un tratto, Jasper e quell'affermazione spiazzò Edward. Anche lui non aveva capito fino in fondo quanto la situazione fosse grave, probabilmente l'ingenuità tipica a quell'età li aveva protetti dal soffrire ancora prima del tempo.
“Anch'io lo pensavo, Jazz. Sarà meglio andare a lezione adesso, io ho matematica e il prof già mi detesta abbastanza!” cambiò discorso, perché sapeva che non avrebbe retto ancora a lungo.
“Io ho letteratura inglese con Alice. Ci vediamo a pranzo?” il fratello sembrò sollevato dal fatto che Edward avesse deviato l'argomento, focalizzandosi sulle lezioni da seguire. Quando nominò il nome della sua ragazza, Alice, il peso che sentiva sul cuore si alleggerì un po'.
“Certo. A dopo” lo salutò Edward, prima di sparire nel grande corridoio della scuola, correndo verso l'aula di trigonometria.

Il turno del dottor Cullen, in ospedale, era da poco iniziato e lui già si sentiva stanco. Quel giorno lo avrebbe voluto passare sotto le calde coperte a contemplare un lato perennemente vuoto, come il suo cuore senza la sua amata Esme.
“Vuoi un caffè, Carlisle?” la gentile offerta di Mark, suo collega e grande amico, lo distolse dai suoi nostalgici pensieri e gliene fu grato.
“No, ti ringrazio, l'ho preso prima di uscire” rispose, distogliendo lo sguardo dalla cartella clinica di una paziente alla quale non aveva dato grande attenzione.
“La signora Blake, giusto? Quella donna se ne inventa una più del diavolo pur di venire sempre qui!” esclamò l'altro alludendo alla cartella che sfogliava Carlisle, intestata ad una simpatica vecchietta, ormai, sempre presente in ospedale.
“Vuole solo compagnia e riempie sempre di complimenti gli infermieri. In fondo a chi può dare fastidio?” replicò il biondo, ringraziando mentalmente l'amico per non aver tirato fuori l'argomento compleanno di Esme.
“Ti sbagli amico, non fa complimenti a tutti gli infermieri, ma ad uno in particolare” disse ridendo Mark, riferendosi all'affinità creatasi tra la signora Blake e Tom, uno degli infermieri più giovani.
“Giusto, Tom ruba i cuori di tutte le anziane!” affermò Carlisle, iniziando a ridere anche lui. 

“Per una volta, vorrei rubare il cuore ad una della mia stessa età!” esclamò una voce alle loro spalle e i due dottori, una volta voltati, videro Tom che era appena entrato nella sala relax destinata al personale medico.
“Vedrai che la persona giusta arriverà e poi, guarda il lato positivo, le vecchiette sanno cucinare ottimi dolci” disse Mark, provocando le risa di tutti i presenti.
Tom alzò gli occhi al cielo, ma prima che potesse replicare il cerca-persone del dottor Cullen suonò e quest'ultimo dovette correre da uno dei suoi pazienti.
Il modo migliore per affrontare quella giornata era dare tutto se stesso per salvare la vita di quelli che si affidavano a lui e, quel giorno, non avrebbe retto ad una perdita. Il suo cuore sarebbe sprofondato ancora di più nell'oscurità nella quale era caduto, dopo la morte di Esme.
Quella stessa oscurità alla quale non aveva permesso di prendere pieno possesso di sé, perché doveva essere forte e doveva andare avanti, non per lui, ma per Edward e Jasper, per i quali avrebbe dato la vita se solo glielo avessero chiesto.



-Felice di essere tornata! :)
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito il prologo e quelle che hanno inserito la storia tra le seguite. 
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso e aspetto con ansia le vostre opinioni. 
Alla prossima! :33

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** You can count on me ***


Quando Jasper entrò nell'aula di letteratura inglese i suoi occhi andarono subito alla ricerca della figura minuta di Alice. La trovò seduta, come sempre, al secondo banco della fila centrale, mentre cercava qualcosa nello zaino.
“Cosa sta cercando così ossessivamente una bella ragazza come te?” le domandò andandole incontro e, dopo averle lasciato un delicato bacio sulla guancia, si sedette dietro di lei.
“La ricerca su Blake per il professor Schuester! L'avrò sicuramente dimenticata sulla scrivania!” esclamò, completamente nel panico. Jasper, in quel momento, ebbe un tuffo al cuore: si era totalmente dimenticato della ricerca che il professore aveva assegnato qualche giorno prima.
“Oh no, l'hai dimenticata anche tu?” chiese Alice, vedendo l'espressione intimorita del suo ragazzo. “No, Alice, io non l'ho proprio fatta. Mi è completamente passato di mente!” rispose, quasi gridando, il giovane Cullen.
“Bene. Prepariamoci a morire, allora!” esclamò lei, ridendo istericamente. Jasper si appoggiò una mano sulla tempia, non poteva permettersi di prendere un'altra insufficienza in quella materia, suo padre sarebbe andato su tutte le furie.
“Ho un'idea, però devi essere pronta ad infrangere qualche regola” disse, improvvisamente, Jasper, dopo aver costato che il professore ancora doveva arrivare.
“Tutto pur di sopravvivere!” ribatté lei. Il ragazzo sorrise, la sua fidanzata non aveva mai preso una solo insufficienza in tutta la sua carriera scolastica e anche il solo pensiero di poterla avere la mandava in agitazione.
“Andiamocene, adesso. Tanto il prof ancora deve arrivare, siamo ancora in tempo per saltare la lezione” propose Jasper ed Alice ebbe un momento di titubanza, non aveva mai saltato una lezione di proposito, ma, in fondo, c'è una prima volta per tutto.
Raccolse le sue cose e, presa la mano di Jasper, uscirono di corsa dall'aula di letteratura inglese.

Carlisle aveva appena finito di firmare le carte per la dimissione di un paziente, quando sentì il cerca-persone suonare incessantemente.
Quando arrivò a destinazione, trovò il signor Thompson, un signore sulla sessantina, in arresto cardiaco.
“Mi serve un carrello per le emergenze, ora!” gridò verso una delle infermiere, che prontamente glielo portò. Il dottore cercò con lo sguardo il suo specializzando e, non trovandolo, disse ad una delle infermiere di aiutarlo perché doveva intubare il paziente.
“Si può sapere dove diavolo è finito Jack?” chiese, con tono furente, a qualsiasi persona che si trovava nella stanza, riferendosi all'assenza del suo specializzando.
“Sono certo che avrà una spiegazione” rispose Julia, una delle infermiere e amica di Jack fin dai tempi del liceo, nonostante la differenza d'età.
“Spero per lui che sia plausibile” disse Carlisle, a denti stretti, mentre controllava gli altri segni vitali.
Una volta stabilizzato, lasciò la stanza alla ricerca di Jack.
Lo trovò nella sala relax, mentre sorseggiava tranquillamente un caffè, come se nessun paziente fosse quasi morto.
“Ti stai rilassando, Jack?” domandò, arrivandogli alle spalle, cosa che lo fece sobbalzare dalla sedia.
“Dottor Cullen! Ha bisogno di me?” chiese e solo in quel momento Carlisle notò l'assenza del suo cerca-persone.
“Dov'è il tuo cerca-persone, Jack?” domandò, di nuovo, il dottore. Il ragazzo, che già dallo sguardo furibondo che gli aveva lanciato il suo mentore aveva capito di essere nei guai, deglutì dandosi mentalmente dello stupido.
“Beh io, vede dottore, l'ho dimenticato nello spogliatoio” disse, balbettando con fare colpevole, abbassando la testa.
“Tu l'hai dimenticato? Lo sai che un paziente è quasi morto? Ho dovuto chiedere ad un'infermiera di aiutarmi mentre lo intubavo! E sai perché? Perché il mio specializzando si è dimenticato di prendere il suo cerca-persone e, cosa più grave, se ne è accorto solo a metà turno!” lo rimproverò, con tono duro, senza mai abbassare la voce.
“Mi dispiace, sul serio, non ricapiterà più, glielo prometto!” si affrettò a dire Jack, sapeva di aver commesso un errore imperdonabile. Carlisle sembrò calmarsi, in fondo, in quel ragazzo rivedeva suo figlio Edward, anche se il primo aveva qualche anno in più.
“È nel tuo interesse che non ricapiti, perché, in tal caso, dovrai cercarti un altro medico che ti segua” disse, prima di lasciare la stanza. Sospirò pesantemente, forse era stato troppo duro, tutti commettiamo degli errori, ma qui si trattava di una questione di vita o di morte, non poteva passarci sopra come se niente fosse. Doveva essere certo di poter contare su di lui, al cento per cento, perché altrimenti non avrebbe potuto insegnargli niente.

Jasper e Alice erano arrivati ad un giardinetto, poco fuori scuola, ancora mano nella mano.
“In questo momento sto infrangendo la maggior parte dei miei principi, lo sai?” chiese Alice, sedendosi sull'erba.
“Lo so, ma davvero volevi macchiare la tua carriera scolastica con un'insufficienza?” domandò, di rimando, Jasper, mettendosi accanto a lei. Alice rise di cuore e, solo in quel momento, notò il colore della maglia del suo fidanzato ricordandosi l'importanza di quel giorno.
“Ti va di andare a mangiare dei pancake? Poco lontano da qui c'è una buonissima tavola calda!” chiese, dopo averci pensato su più di una volta, Alice.
“Così perderemmo più di una lezione” costatò Jasper, incuriosito dalla mancanza di principi che aveva preso possesso della sua fidanzata.
“E se saltassimo l'intera giornata? Approfitta della mia mancanza di giudizio di oggi, non so se ricapiterà più” replicò Alice, sorridendo. Si alzò e tirò su anche Jasper, che rise dell'insistenza di quella piccola donna.
“Prenderò la palla al balzo, allora!” esclamò, tra le risa, prendendole la mano. Il suo cuore aveva abbandonato il velo di nostalgia che lo aveva coperto quella mattina, lei sapeva come tirarlo su di morale e lui era certo che, qualunque cosa accadesse, poteva contare su di lei. In quel momento non fu mai così felice di aver dimenticato di fare i compiti.



-Hello! :)

Siamo arrivati al terzo capitolo e ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate e chi ha perso un po' del suo prezioso tempo per lasciare un suo pensiero. 
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso e aspetto le vostre opinioni! ;)
Alla prossima! :33

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Troubles ***


Edward e Bella ebbero un mini-infarto quando, nella sala mensa, non trovarono Jasper e Alice.
“Hanno saltato la scuola” disse Edward, dopo aver letto il messaggio che gli aveva inviato il fratello in risposta al suo dove gli chiedeva, in modo non molto gentile, che fine avesse fatto.
“Stai scherzando?” esclamò Bella, incredula che sua sorella avesse fatto una cosa del genere. Lei che era sempre stata legata alle regole.
“No” rispose semplicemente il ragazzo, per poi porle il cellulare dove c'era il messaggio di Jasper. Bella dovette rileggere quel testo almeno un paio di volte per realizzare che fosse vero. Nel messaggio, Jasper, diceva che andava tutto bene e raccomandava di coprirli con i professori, promettendo di spiegare tutto una volta a casa.
“Oh, se è per questo anche Alice mi deve una spiegazione” disse Bella in un moto di rabbia, era curiosa di sapere che cosa avesse fatto uscire di senno sua sorella.
“Non hanno mica ucciso qualcuno! Non farla tanta lunga, Bells” la schernì Edward, guadagnandosi una smorfia da parte della ragazza.
“Non la sto facendo lunga per il fatto che abbiano saltato la scuola, ma perché, tra tutti i giorni, dovevano scegliere proprio quello dell'incontro genitori-insegnanti?” replicò la giovane Swan, convinta che a Edward fosse passato per la mente, infatti sul volto di quest'ultimo prese vita un espressione di puro terrore. Ora sì, che erano guai!

Intanto, ignari di tutto, Jasper e Alice si stavano godendo la loro giornata di libertà dalla prigionia delle mure scolastiche.
“Ora che abbiamo la pancia piena, dove ti va di andare?” chiese Jasper, una volta usciti dalla tavola calda dove avevano deliziato il palato tra dolce e salato.
“Non so, dove si va in questi casi?” domandò, di rimando, la ragazza. Trovandosi impreparata sul come svolgere la giornata.
“Beh, mezza giornata è già passata, quindi non abbiamo proprio tanto tempo” costatò Jasper, iniziando a pensare ad un luogo dove poter stare in pace, lontano da occhi indiscreti.
“Iniziamo a camminare, poi si vede” disse Alice, distogliendolo dai suoi pensieri. Il ragazzo sorrise e, presa la mano di lei, s'incamminarono verso una meta sconosciuta.
Tra risate e vari imitazioni dei loro professori, il tempo sembrò volare e il messaggio di Edward dove gli diceva di aspettare lui e Bella al giardinetto accanto scuola fece preoccupare, non poco, Jasper.
“Tranquillo, Jazz, mica vogliono ucciderci!” esclamò Alice, per sdrammatizzare, ma il suo intento non andò a buon fine. Evidentemente Jasper conosceva talmente bene suo fratello da interpretare le sue emozioni anche tramite messaggio e, quello che gli aveva inviato qualche minuto fa, non lasciava presagire niente di buono.
“Noi non di certo, ma papà stasera sì!” la voce di Edward, fece voltare i due ragazzi e, in quel momento, ad Alice fu tutto chiaro.
“L'incontro genitori-insegnanti! È stasera!” esclamò quasi urlando e a Jasper, dopo aver sentito quella frase, venne quasi un infarto.
“Siamo morti” sussurrò, in preda al panico al solo pensiero della furia che presto avrebbe visto in suo padre.

Dopo la sfuriata del dottor Cullen, Jack, stava dando il meglio di sé per rimediare all'errore che aveva commesso.
“Non l'ho mai visto così collaborativo” disse Mark, affiancando Carlisle per un consulto su un paziente.
“Non durerà a lungo, domani si dimenticherà del rimprovero ne sono certo” replicò l'altro, prendendo in mano la cartella che il collega gli stava porgendo.
“L'importante è che non ripeta due volte lo stesso errore, giusto?” chiese l'amico e i suoi ricordi tornarono a quando anche loro era due specializzandi alle prime armi.
“Esatto. Spero che non sia come qualcuno che confonde le misure degli aghi” disse Carlisle, alludendo ad una scena di molti anni fa.
“Non ho confuso le misure! Ho solo letto male” ribatté Mark, fingendo di essersi offeso, per poi scoppiare a ridere. La conversazione sembrò finire lì, quando al dottor Anderson venne in mente un'idea.
“Hai da fare stasera? Sai Julia vorrebbe rivedere te e i ragazzi” propose, Julia era sua moglie e la famiglia Cullen la conosceva bene per il suo istinto materno, purtroppo ancora senza nessuno al quale dedicarlo.
“Ti ringrazio per l'offerta, ma oggi passo. Devo andare all'incontro genitori-insegnanti appena finito il turno” disse Carlisle, trovandosi costretto a declinare l'invito.
“Non credo che quella faccia cupa sia perché non puoi venire stasera” replicò, prontamente, Mark avendo notato l'espressione che aveva preso vita sul volto dell'amico.
“Ho un brutto presentimento, tipo sesto senso paterno” confessò il dottor Cullen, era da quella strana mattina che quel pensiero lo tormentava.
“Esiste davvero? Comunque sia, stai tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene” tentò di tranquillizzarlo il dottor Anderson, ma a Carlisle quel campanello d'allarme non andò via.

“Jazz, ti prego calmati!” esclamò Edward, da quando erano tornati a casa suo fratello non faceva altro che camminare avanti e indietro.
“Come faccio a calmarmi? Tra poche ore la mia vita sarà finita!” ribatté, in tono isterico, Jasper. Per tutta risposta, Edward lo prese di peso e lo portò sul divano.
“Ascolta, è inutile che ti fai prendere dall'ansia, ormai il danno è fatto. Lo sai che se c'era anche solo la minima possibilità di non farti scoprire, ti avrei aiutato. Non ci resta altro da fare se non pregare” aveva parlato con voce calma e decisa, nonostante la paura di come sarebbe andata a finire la riunione lo stava pian piano divorando. Se Jasper rischiava di essere scoperto, lui non brillava di certo in trigonometria.
Così i due fratelli rimasero seduti, uno accanto all'altro, a pregare, anche in lingue che non conoscevano, di essere ancora vivi dopo quella sera.
Erano entrambi nei guai, chi per un motivo e chi per un altro, di questo ne erano certi ma magari qualche forza divina li avrebbe graziati, in fondo, la speranza è l'ultima a morire.



-Rieccomi! :)
Beh, già il titolo dice tutto quindi non mi resta molto da aggiungere ahahah
Ringrazio, come sempre, tutti quelli che mi stanno seguendo e spero che il capitolo non vi abbia deluso.
Alla prossima! :33 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Apologies and Forgiveness ***


Il dottor Cullen, appena uscito dalla scuola dei suoi figli, non si sentiva esattamente il padre più felice del mondo. Aveva creduto che dopo la sfuriata che aveva dovuto fare al suo specializzando, quel giorno sarebbe trascorso in pace...che stupida illusione!
In un primo momento, parlando con gli insegnanti, si era trovato spaesato da ciò che gli avevano detto, ma non tanto perché Jasper avesse saltato la scuola, sapeva già il motivo per cui lo aveva fatto e non lo avrebbe di certo condannato per questo, ma il motivo principale era perché non si confidavano più con lui, non gli raccontavano più se erano andati male ad un test o cose del genere eppure lui non aveva mai fatto storie, se non per insufficienze prese una dopo l'altra nella stessa materia. Aveva sempre detto che si poteva recuperare, che avrebbero potuto anche studiare insieme se avevano bisogno di una mano. Perché avevano smesso di parlare con lui? Lo avevano visto più freddo? Eppure il dialogo, nella sua famiglia, era sempre stata la cosa più preziosa e questa cosa andava risolta, immediatamente.

 

Rientrò in casa pronto a cimentarsi nella parte del genitore deluso e arrabbiato, ma appena vide i suoi figli seduti sul divano con sguardo mortificato che implorava perdono il cuore gli si sciolse e tutti i suoi buoni proposi lo abbandonarono.
Prese un grosso respiro e tentò di riprendere lo sguardo severo e deciso che aveva appena entrato, si sedette di fronte a loro a braccia incrociate aspettando una spiegazione.
Jasper e Edward non sapevano cosa dire, erano certi che il padre avesse scoperto tutto e aspettasse una spiegazione che fosse perlomeno decente, ma si ritrovarono spiazzati e con la gola improvvisamente secca.
“Volete che inizi io dicendovi quello che so o, meglio, ho appena scoperto oppure mi spiegate voi come mai non mi raccontate ciò che vi succede?” sentendo queste parole e il tono con il quale erano state pronunciate, ai due ragazzi un masso pieno di sensi di colpa gli si posò sul petto.
“Jasper...” disse Carlisle, tanto valeva iniziare uno alla volta e sapeva che Jasper si sarebbe aperto con più facilità rispetto ad Edward.
“Non sono arrabbiato perché hai saltato la scuola, capisco quanto questa mattina fosse difficile fare qualsiasi cosa, perciò non ho intenzione di sgridarti o punirti per averlo fatto. Con questo non voglio dire che puoi saltare la scuola ogni volta che vuoi, ma oggi era un caso eccezionale, giusto?” interruppe il suo discorso, cercando lo sguardo del figlio, quest'ultimo alzò la testa e incrociò gli occhi del padre, che gli sorrise.
“Grazie, papà” sussurrò, sapeva quanto il padre ci tenesse che i figli svolgessero il proprio dovere in maniere responsabile ed era consapevole che se avesse saltato la scuola in un altro giorno non l'avrebbe passata liscia.
“Non ho finito” disse Carlisle, quando vide che il figlio stava per alzarsi dal divano per andare in camera sua. Jasper riprese immediatamente posto.
“Ragazzi, che vi sta succedendo?” domandò, era preoccupato perché non voleva che il rapporto con i suoi figli si rovinasse e cercava di entrare nella loro vita in punta di piedi.
“Ho mai fatto scenate per un'insufficienza?” chiese e i figli scossero la testa quasi in contemporanea.
“E allora perché nascondermele? Perché dire sempre che tutto va bene quando invece è solo una grande bugia? Io e voi non abbiamo questo tipo di rapporto. Non penso di essere uno di quei padri severi e burberi” continuò quello che sospettava fosse solo un monologo che non avrebbe cambiato niente.
“Papà, la cosa ci è sfuggita di mano, volevamo dirti la verità poi è diventata troppo grande e abbiamo continuato a dire che andava tutto bene sperando di poter recuperare prima dell'incontro” fu Edward a parlare ed era sincero, una volta che inizi a nascondere le cose diventa un circolo vizioso dal quale uscire è sempre più difficile.
“Ha ragione Edward, noi non volevamo deluderti e ti chiediamo scusa se lo abbiamo fatto. Sappiamo di poter sempre contare su di te e non vogliamo che questo cambi” disse Jasper, appoggiando il fratello al cento per cento.
“Condivido ogni singola parola!” affermò Edward, concordando con ciò che aveva detto Jasper. Nessuno dei due voleva che il rapporto con il padre cambiasse, la situazione gli era semplicemente sfuggita di mano e il solo pensiero di averlo deluso li rendeva preda dei sensi di colpa.
“Facciamo che questo non ricapiti più, va bene? Anche perché se dovesse succedere di nuovo allora non sarò tanto disposto al dialogo e una punizione non ve la toglierebbe nessun discorso strappalacrime!” esclamò Carlisle e il suo cuore sorrise, un po' più leggero come quello dei suoi figli.

Il mattino dopo, scampato il pericolo, i quattro ragazzi erano molto più sereni mentre camminavano per i corridoi della scuola.
“Quindi hai dato tutta la colpa a me? Come se i tuoi non mi odiassero già abbastanza!” esclamò Jasper, dopo aver ascoltato il racconto di Alice.
“Non ho dato io tutta la colpa a te, ha fatto tutto mia madre, che potevo fare?” replicò la ragazza, lei aveva provato ad assumersi la responsabilità di ciò che aveva fatto, ma la madre era saltata a conclusioni tutte sue senza darle il tempo di spiegarle quello che era realmente successo.
“Jazz, stai tranquillo. Tra qualche giorno si dimenticheranno tutto” disse Bella, andando in aiuto di sua sorella. Sapeva quanto la madre potesse essere cocciuta.
“Okay, però devi fare una cosa per me!” ribatté Jasper, rivolto alla sua ragazza. Quest'ultima alzò un sopracciglio, confusa.
“Sentiamo!” lo spronò a continuare, incrociando le braccia al petto. Edward sorrise da dietro e Bella gli diede una gomitata.
“Devi aiutarmi in letteratura inglese” disse Jasper, facendo la faccia da cane bastonato, perché sapeva che così Alice non avrebbe resistito.
“Se fai quella faccia come posso dirti di no? Però ti avverto che sarò un insegnante molto esigente!” esclamò, alzandosi in punta di piedi per mettergli le braccia intorno a collo.
“Sono pronto a tutto” sussurrò Jasper, i loro nasi si sfiorano e le loro labbra si unirono senza che il cervello lo avesse ordinato.
“Sarai anche tu un insegnante molto esigente come Alice se ti chiedo di aiutarmi in trigonometria?” domandò Edward alla sua ragazza, erano poco distanti dalla coppietta felice e il ragazzo approfittò di quel momento per fare la stessa proposta del fratello.
“No, mio caro. Io sarò esigente e severa, non tollererò nessun tipo di distrazione” rispose Bella e l'ultima frase gliela aveva sussurrata all'orecchio con fare malizioso.
Edward socchiuse gli occhi e la baciò, dando per scontato che avesse accettato la sua offerta.



-Buona domenica a tutti! :)
Cerco sempre di restare fedele al mio pubblicare ogni tre giorni, anche se con la fine della scuola diventa più difficile. 
Fatemi sapere se il discorso di Carlisle con i figli vi è piaciuto o vi aspettavate qualcosa diverso...sono curiosa! ;)
Ringrazio tutti quelli che mi leggano e continuano a seguirmi. 
Alla prossima! :33

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Study and Kisses ***


Alice e Jasper stavano studiando da tutto il pomeriggio: l'indomani avrebbero avuto un test di letteratura inglese e il giovane Cullen voleva prendere almeno la sufficienza sia per una sua soddisfazione personale e sia, soprattutto, per dimostrare al padre il suo impegno.
“Alice, ti prego, stiamo studiando ininterrottamente da tre ore, facciamo una pausa!” esclamò Jasper, sbuffando tra i mille appunti.
“Va bene, tanto abbiamo fatto sia Gray che Blake, dovremmo solo ripetere” acconsentì la ragazza, conscia del fatto che non avrebbero ripreso a studiare per quel pomeriggio. Poco importava, conosceva abbastanza bene il suo fidanzato da sapere che se non fosse stato sicuro di passare il test non avrebbe chiuso occhio per tutta la notte.
Jasper, dal canto suo era esausto, così prese di peso la sua ragazza e la trascinò sul divano, ringraziando il fatto che sia suo padre, di turno in ospedale, e sia Edward, in compagnia di Bella a studiare trigonometria, non fossero in casa.
Alice sorrise, mentre il ragazzo iniziava ad accarezzarle e baciarle il collo, dato il divieto assoluto di qualsiasi contatto fisico che aveva messo mentre dovevano studiare. Era l'unico modo per combinare qualcosa di concreto, altrimenti si sarebbero persi tra coccole varie, come stavano facendo adesso.

Erano così occupati a recuperare il tempo perso che non si accorsero dello scatto della serratura e nemmeno che Carlisle fosse rientrato. Il dottore, convinto di trovare suo figlio chino sui libri insieme alla sua ragazza, si ritrovò spaesato dinanzi a quella scena non sapendo cosa fare.
Jasper, data la necessità di riprendere fiato e anche perché aveva la sensazione di essere osservato, si staccò da Alice e, voltatosi, si trovò davanti la figura di suo padre. Subito si alzò dal divano e sorrise imbarazzato.
“Ehi, papà! Già a casa?” chiese, per sdrammatizzare mentre le guance di Alice si coloravano di rosso.
“Vi avevo detto che sarei tornato per cena. Tu non dovevi studiare?” replicò Carlisle, riacquistando in quel momento il ruolo di genitore e lanciandogli uno sguardo severo.
“Abbiamo studiato fino a poco fa, stavamo facendo una pausa” rispose Jasper, grattandosi la nuca in evidente difficoltà, appena saputa la data del test di letteratura l'aveva comunicata a suo padre e sapeva che lui non l'aveva dimenticata.
“È la verità, dottor Cullen! Abbiamo ripassato tutto e Jasper è preparato per il compito” esclamò Alice, che fino a quel momento non aveva proferito parola data l'imbarazzante situazione, andando in aiuto del suo fidanzato. Nel salone calò un silenzio ricco di sguardi imbarazzati e mortificati, da parte dei ragazzi e di rimprovero, da parte di Carlisle.
“Jazz, è meglio che torno a casa, si è fatto tardi e ho promesso a mia madre che sarei rientrata per cena” disse Alice, l'unica cosa che desiderava in quel momento era fuggire da quella situazione.
“Ti accompagno alla porta” esclamò Jasper, grato alla sua fidanzata per essere intervenuta e aver rotto il silenzio. Una volta sfuggiti allo sguardo del dottor Cullen, i due ragazzi si guardarono negli occhi, sorridendosi.
“Mi dispiace per quello che è successo, non l'ho proprio sentito rientrare” sussurrò Jasper, in modo che potesse sentirlo solo lei.
“Non devi scusarti, nemmeno io me ne sono accorta. Eravamo troppo occupati a fare altro” ribatté lei, usando lo stesso tono, sorridendo sempre di più, sentiva ancora sulla pelle i baci di lui.
“Ci vediamo domani a scuola” aggiunse Alice, prendendogli la mano, il suo lato razionale sapeva che doveva andare via e tornare a casa, ma quello del suo cuore non voleva proprio lasciarlo quella sera.
“Certo. Pronto per il test!” esclamò lui, facendola ridere. Le prese il viso tra le mani e le baciò delicatamente le labbra, consapevole che, quella sera, gli sarebbero mancate di più.

Uno scenario simile a quello a cui aveva preso parte trovò Alice, una volta rientrata a casa. Infatti, Edward e Bella si stavano baciando in modo alquanto possessivo sul divano del salone.
“Alice! Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò Bella, che vedendo il fidanzato scattare in piedi al suono della porta d'ingresso aveva temuto il peggio.
“Scusate se vi ho interrotto, ma Edward credo che dovresti tornare a casa” disse Alice, probabilmente i due avevano perso completamente la cognizione del tempo, come era successo a lei e Jasper.
“Oddio! Hai pienamente ragione, Alice!” esclamò il giovane Cullen, aveva guardato l'orario e si era reso conto di essere in ritardo. Diede un veloce bacio a Bella e corse via, prendendo lo zaino alla velocità della luce.
“Meno male che eri tu! Se ci avesse visti papà lo avrebbe sparato!” scherzò Bella e con un gesto della mano invitò la sorella a sedersi accanto a lei.
“Beh, a voi è andata bene. Mentre io e Jasper ci stavamo coccolando sul divano è tornato il padre e ce ne siamo resi conto troppo tardi!” ribatté Alice, ancora rossa in viso.
Ovviamente la sorella pretese di conoscere ogni dettaglio di ciò che era successo, così Alice iniziò a raccontare ogni cosa.
“È stata la scena più imbarazzante di tutta la mia vita!” esclamò, una volta finito; Bella ci provò a trattenere le risate, ma il suo tentativo fallì miseramente. Pochi secondi dopo, le risate delle sorelle Swan popolarono la casa.



-So che è corto rispetto a quelli di prima, ma sono passati più di tre giorni e volevo farmi viva con qualcosa. L'ho scritto nei momenti di pausa dalla studio (Orazio mi sta uccidendo u.u) e spero che sia venuto fuori qualcosa di decente. 
Ringrazio tutti quelli che mi seguono, siete meravigliosi <3
Alla prossima! :33

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Prohibitions ***


Il mattino seguente, Jasper era letteralmente in preda all'ansia. Infatti, si sfregava continuamente le mani, sentendole costantemente congelate. Il fatto che, quel giorno, la lezione fosse alle ultime ore non l'aiutò di certo. A pranzo non toccò cibo, aveva lo stomaco chiuso e il suo unico pensiero era quello di fare quel maledetto test.
“Se continui a ripetere convulsamente finirai per non ricordati niente!” esclamò Edward, si erano riuniti al solito tavolo della mensa e il fratello non aveva staccato neanche un secondo gli occhi dagli appunti.
“Così mi sei proprio d'aiuto, lo sai?” ribatté l'altro, guardandolo male. Edward rise e Bella andò in difesa di Jasper.
“Voglio vedere te con il prossimo compito di trigonometria, al quale devi prendere per forza la sufficienza” disse, capendo perfettamente come si sentisse Jasper. Lei era, tra le due Swan, quella più ansiosa quando doveva fare qualcosa ed era capace di non dormire la notte pur di ripassare le ultime cose.
“Grazie, Bella tu si che riesci a capirmi” detto questo, si alzò per raggiungere la sua fidanzata che si trovava in biblioteca, anche lei a ripassare nonostante non le servisse.

L'ansia di Jasper svanì nel momento in cui consegnò il compito al professor Schuester, che si stupì di trovarlo totalmente compilato.
“Vedo che ci siamo messi d'impegno, signor Cullen. La mia conversazione con suo padre ha portato i suoi frutti?” domandò in tono saccente e il ragazzo si limitò a sorridere, accennando un sì, per poi correre via dall'aula.
“Non lo pensare, Jazz. È solo un'idiota!” esclamò Alice, cercando di placare l'ira del suo fidanzato che, ne era certa, se solo avesse potuto avrebbe dato volentieri un pugno al professore.
“Lo so, tranquilla. Spero solo che il suo odio verso di me non comprometta la possibilità di avere la sufficienza” replicò Jasper, stringendo la mano di lei, come se potesse svanire da un momento all'altro.
“Ehi, tu sei un genio quando vuoi e poi ti ho preparato io quindi puoi stare tranquillo!” esclamò Alice, accarezzandogli la guancia. Jasper rise, beandosi di quel tocco e in un attimo si dimenticò di tutte le cose negative.
I due ragazzi furono interrotti dall'arrivo di Edward e Bella e, soprattutto, dalla voce irritata di lui.
“Te l'ho detto e te l'ho ripeto, Bells: quel tipo non mi piace!” esclamò Edward con un tono di gelosia nella voce.
“Oh, andiamo, è solo un mio vecchio amico” replicò lei, inizialmente si era sentita stranamente felice dalla gelosia di Edward, ma adesso iniziava ad irritarla.
“Di cosa state parlando?” domandò Alice, curiosa perché sua sorella e il fidanzato litigavano molto di rado.
“Jacob mi ha inviato un messaggio, dove dice che ci sarà una festa da non perdere questo venerdì sera e ci ha invitate” rispose Bella e il volto della sorella si illuminò, le feste le erano sempre piaciute e lei era sempre impeccabile.
“Un invito non va certo rifiutato!” esclamò Alice, già euforica. Jasper, accanto a lei, si accigliò, di certo non le avrebbe permesso di andare da sola.
“Prima che inizi a fare discussioni inutili, Jazz, ovviamente potete venire anche tu e Edward” disse Bella, anticipando la domanda di Jasper.
“E dove sarebbe questa festa indimenticabile?” chiese lui, facendo ironia sull'ultima parola, ciò non sfuggì a Alice che gli diede una gomitata.
“A La Push” rispose Bella, non era certa che lei e Alice avrebbero ottenuto il permesso, ma avrebbe fatto di tutto pur di andarci.
Jasper e Edward si guardarono, convincere Carlisle era una causa persa in partenza, ma di certo non avrebbero lasciato le ragazze da sole, gelosi com'erano.
“Andata!” esclamò Edward, come se avesse letto nel pensiero il fratello.

 

La sera arrivò prima del solito e la famiglia Swan era seduta a tavola, gustandosi il delizioso pollo arrosto con patate preparato da Bella: uno dei piatti preferiti dei genitori.
“Com'è andato il compito, tesoro?” chiese Renée a Alice. Aveva capito fin da subito che le figlie volevano ottenere qualcosa, ma decise di non chiedere niente per vedere fino a quando avrebbero resistito.
“Tutto bene, mamma” rispose, in modo cortese, la ragazza, improvvisamente si sentì la gola secca, così bevve un sorso d'acqua, guardando la sorella.
“Avete qualcosa da chiederci, ragazze?” domandò Charlie e, in quel momento, le due maledissero il fatto che il padre fosse uno sceriffo.
“In effetti sì...” iniziò Bella, aspettando che la sorella continuasse, lei era sempre stata la più sfacciata.
“Venerdì ci hanno invitato ad una festa e vorremmo chiedervi il permesso di andarci” continuò Alice, capendo al volo che Bella non avrebbe continuato.
“Dove?” chiese Charlie, fermando la moglie che subito stava dando il via libera alle figlie. Alice sussultò, aveva sperata fino all'ultimo che quella domanda non le fosse posta.
“A La Push” rispose Bella, anticipando la sorella che probabilmente stava cercando qualche scusa, ma lei sapeva che mentire non sarebbe servito a niente.
“Non se ne parla!” esclamò il padre in un tono che non ammetteva repliche. Le ragazze chiesero silenziosamente aiuto alla madre.
“Non guardatemi così, lo sapete come la pensiamo su quel posto!” esclamò Renée e le ragazze sbuffarono, guardandosi negli occhi, almeno ci avevano provato.

Il dottor Cullen era tornato da una buona mezz'ora a casa, quando i figli si decisero a scendere a cena. Fu particolarmente contento quando apprese la notizia che Jasper aveva svolto tutto il compito ed era sicuro che fosse andato bene.
“Ragazzi, venerdì sera dovrò fare il turno di notte in ospedale” comunicò, una volta iniziata la cena. Edward e Jasper si scambiarono uno sguardo d'intesa e il primo decise di prendere parola, sapendo che il fratello non lo avrebbe mai fatto.
“Papà, a proposito di venerdì sera volevamo chiederti una cosa” disse Edward, prendendo la palla al balzo, lasciando per un attimo la carne. Carlisle fece lo stesso, dedicando la sua completa attenzione ai figli.
“Ci hanno invitato ad una festa, per te va bene se ci andiamo?” domandò il maggiore, sperando che il padre non indagasse oltre.
“Dove?” chiese di rimando il medico e tutte le speranze dei due ragazzi si frantumarono come un castello di carte colpito dal vento.
“A La Push” rispose Jasper in tono arrendevole, cosa che lesse anche negli occhi del fratello.
“No. Lo sapete quanti ragazzi ricovero reduci da quel tipo di feste? Non se ne parla ragazzi, mi dispiace” esclamò Carlisle in un tono severo che i figli raramente avevano sentito. Conoscevano i timori del padre e sapevano che mai avrebbero ottenuto il permesso. Lui non era uno di quelli che imponevano la propria autorità, era capace di parlare anche ore prima di prendere una decisione, ma niente gli avrebbe fatto cambiare idea su quello. Le feste a La Push erano pericolose e non avrebbe mai concesso ai figli di andarci.
I due fratelli si guardarono negli occhi, in fondo, se lo aspettavano.

I quattro ragazzi si ritrovarono la mattina dopo ad ora di pranzo. Quel giorno avevano tutte lezioni differenti.
“Allora? Cosa hanno detto i vostri genitori?” chiese Jasper, in fondo sperava che la possibilità di andare alla festa fosse stata vietata anche a loro, avrebbe reso la cosa meno imbarazzante.
“Hanno detto di sì. A voi, invece, cosa ha detto vostro padre?” rispose Alice, senza dare il tempo a Bella di replicare.
“Era un po' titubante all'inizio, ma ci ha detto di sì anche lui” disse Edward e Jasper lo guardò come se fosse uscito pazzo.
I quattro ragazzi sorrisero, improvvisamente senza più voglia di finire il pranzo, consapevoli del guaio nel quale si stavano cacciando.



-Dopo quattro giorni, ma sono qui! 
Perdonatemi, ma la scuola mi sta uccidendo...secondo me ci vogliono interrogare anche a giugno! 
Comunque, ce l'ho fatta e spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio tutti quelli che mi seguono: è grazie a voi se continuo a scrivere!
Alla prossima! :33

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ready for the party ***


Edward e Jasper si ritrovarono, come accadeva ogni sera quando il sonno tardava ad arrivare, in camera del maggiore a parlare del più e del meno.
“Tu sei un pazzo, Ed e io lo sono ancora di più perché ti seguo lo stesso!” esclamò Jasper, alludendo a ciò che era successo a mensa.
“Oh ti prego, falla finita! Davvero avresti preferito che andassero da sole?” domandò, di rimando, l'altro, facendo vacillare Jasper.
“No, ma sicuramente preferisco vivere a lungo” ribatté, guadagnandosi un cuscino in faccia che lanciò a sua volta contro il fratello.
“Tanto papà è di turno in ospedale, quindi come potrà mai saperlo?” chiese, in modo retorico, Edward, cessando il lancio di cuscini.
“Beh, ovvio, qualcosa potrebbe mai andare storto?” replicò Jasper, imitando il fratello e facendo scoppiare a ridere entrambi. Ormai si era rassegnato all'idea di condividere ogni cosa con Edward, soprattutto i guai.

In casa Swan le cose non era tanto differenti, infatti Bella stava assillando Alice da quasi un'ora per ciò che avevo detto a mensa.
“Bella, se vuoi puoi anche non venire. Me la sbrigo da sola, ma io questa festa non me la perderò!” esclamò Alice, stufa di sentirsi ripete le stesse cose come una cantilena, dopo di che si alzò per uscire dalla stanza, ma la sorella la trascinò di nuovo dentro.
“Io non ti lascio sola, lo sai. Anche se in questo momento vorrei tanto ucciderti, di certo non ti abbandono. Insieme escogiteremo un modo per andare a questa festa, ma ti avviso che non sono molto brava a mentire” a queste parole, il cuore di Alice si sciolse e si fiondò, letteralmente, tra le braccia di Bella.
“Tranquilla a quello ci penso io!” esclamò, sapendo perfettamente che la maggiore era una pessima bugiarda.
“Anche se ho la netta sensazione che faremo la fine di Napoleone a Waterloo...” disse Bella, una volta sciolto l'abbraccio. Per tutta risposta Alice le lanciò un cuscino.
“Abbi fede!” esclamò la minore, facendo scoppiare a ridere entrambe. Napoleone aveva perso, mentre loro, Alice ne era convinta, avrebbero vinto.

L'ultimo giorno scolastico della settimana arrivò in fretta e, come ogni volta, i giovani Cullen accompagnavano le proprie ragazze a casa.
L'abitacolo dell'auto di Edward era gremito di dettagli su cosa avrebbero indossato, di come impostare il trucco e acconciatura farsi. Ai posti davanti, Edward e Jasper sospiravano e si stupirono di quanto potessero amare anche questo lato prettamente femminile che, visto in altre ragazze, li avrebbe nauseati.
“Vi passiamo a prendere per le otto, va bene?” chiese Edward, una volta fermata l'auto davanti casa Swan.
“Perfetto. Non perdiamo altro tempo Bella!” esclamò Alice e, dato un veloce bacio a Jasper, scese dall'auto correndo in casa. Doveva essere impeccabile quella sera e, anche a costo di usare le maniere forti, avrebbe reso perfetta anche la sorella.
“Vi prego, sottraetemi a questo supplizio!” esclamò Bella, mentre la sorella saltellava allegramente verso la porta d'ingresso. Edward e Jasper risero di cuore.
“Lo sai com'è Alice, non c'è modo di fermarla” disse Jasper, ammirando la grazia della propria fidanzata.
“Ci vediamo dopo, buona fortuna” disse Edward, dopo averle dato un dolce bacio. Bella sospirò, la sua tortura stava per iniziare.

Quando rientrarono in casa, i due fratelli trovarono il padre in cucina mentre sorseggiava una tazza di caffè, tra poco più di un'ora avrebbe iniziato il turno in ospedale.
“Ciao, papà!” salutarono in coro e dopo le domande di rito su come fosse andata la giornata, Carlisle sospirò e li invitò a sedersi.
“Che succede?” chiese Jasper, vedendo l'espressione tipica di quanto era preoccupato per qualcosa. Il dottore prese un ennesimo sospiro, prima di iniziare a parlare.
“Ragazzi, volevo che vi fosse chiaro il perché non vi ho concesso il permesso per la festa di stasera. Io mi fido di voi, ciecamente, ma quel tipo di feste so come vanno a finire e ogni venerdì sera mi trovo ad affrontare genitori in preda al panico. Quel posto è pericoloso e io non voglio vivere l'incubo di quei genitori, per questo vi ho detto di no. Ma voglio che vi sia chiaro che non è per mancanza di fiducia” aveva pronunciato queste parole con tutto l'amore che un padre ha per i propri figli. Questo fece sentire Edward e Jasper ancora più male di quanto già non si sentissero, stavano per tradire la completa fiducia che il padre aveva riposto in loro, nonostante i pessimi voti Carlisle continuava a fidarsi ciecamente.
“Papà, lo sappiamo e non abbiamo neanche per un attimo dubitato che tu non ti fidassi di noi. È chiaro che tutto quello che fai è per il nostro bene” disse Jasper, sapendo che il fratello non avrebbe proferito parola, preda dei sensi di colpa.
“Questo mi rincuora, ora devo andare. Ci vediamo domani mattina, mi raccomando non mettete a soqquadro la casa!” esclamò Carlisle, dopo quel discorso il suo cuore aveva un peso in meno. I ragazzi sorrisero all'ammonimento scherzoso del genitore e, prima di andare in camera, lo accompagnarono alla porta.

Nonostante stessero quasi per affogare nei sensi di colpa, i fratelli Cullen, uscirono di casa per andare a prendere le proprie ragazze.
“Ed, siamo sicuri di quello che stiamo per fare?” domandò Jasper, stavano aspettando Alice e Bella già da dieci minuti.
“No, ma ormai siamo in ballo, Jazz” rispose Edward, non potevano più tirarsi indietro, erano arrivati troppo oltre per fare retromarcia.
Prima che Jasper potesse replicare, la porta di casa Swan si aprì lasciando uscire le ragazze più belle di tutta Forks e dintorni.
Alice sfoggiava un tubino bianco senza spalline con una cintura dorata in vita, intonata agli orecchini e degli stivaletti pcol tacco, niente di esagerato che potesse procurarle dolori durante la serata. Bella, sotto minaccia della sorella, indossava anche lei un tubino, ma di colore nero con dei leggeri riferimenti verdi, abbinati al ciondolo a forma di cuore che aveva al collo; anche lei indossava degli stivaletti col tacco, ma leggermente più corto di quello di Alice, dato il suo equilibrio alquanto precario. Entrambe avevano lasciato i capelli liberi da qualsiasi accessorio, infatti a Bella cadevano scompostamente sulle spalle e il caschetto di Alice era più ribelle del solito. I due ragazzi rimasero estasiati alla vista spettacolare delle loro ragazze e di quanto un trucco così leggero, condito solo da una linea di eye-liner e un po' di mascara, le potessero far apparire così luminose.
“Ho sudato sette camicie per convincere la tua fidanzata a vestirsi così!” esclamò Alice in direzione di Edward, appena salita in macchina. Il ragazzo rise, sapeva quanto Bella fosse contraria a qualsiasi abbinamento che non comprendesse jeans e scarpe da ginnastica.
“Hai fatto un ottimo lavoro, Alice!” replicò Edward e Bella arrossì violentemente in volto, il ragazzo si sporse per baciarla e questo calmò il suo rossore.
Quando Edward mise in moto l'auto notò che il fratello si era attaccato come una cozza ad Alice, intenzionato a non mollarla. Scosse la testa e partì in direzione di la Push.



-Perdonate il mio immenso ritardo, ma la scuola ha avuto la precedenza. Ora sono libera e posso tornare alle vecchie abitudini!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutti quelli che mi seguono. Attendo vostre notizie <3
Baci! 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Lose everything ***


I ragazzi erano arrivati già da un paio d'ore sulla spiaggia di la Push e Jacob non smetteva di ronzare intorno a Bella come un'ape attratta dal fiore più bello del giardino, e questo infastidiva Edward.
“Giuro che tra un po' gli do un pugno su quel suo bel faccino!” esclamò verso il fratello, entrambi erano stati spinti dalle fidanzate a prendere qualcosa da mangiare nelle buste, poste poco lontane dal falò.
“Cerca di stare calmo, ci manca solo che torni a casa con un occhio nero!” ribatté Jasper, sapeva quanto potesse essere imprevedibile il fratello in preda alla gelosia. Lui non aveva di che preoccuparsi, Alice aveva incontrato delle vecchie amiche che non vedeva da tempo e aveva iniziato a chiacchierare con loro.
“In fondo mica la sta, che ne so, baciando come se non ci fosse un domani!” aggiunse, ma ciò che vide voltandosi lo fece ricredere all'istante. Jacob stava baciando Bella in modo possessivo proprio poco lontano dalle spalle di Edward. All'inizio decise di non far vedere la scena al fratello, ma quando la mano di Jacob scivolò sotto al vestito di Bella e vedendo lei in preda al panico, allora intervenne.
“Edward!” esclamò, indicando la scena che si stava svolgendo dietro di lui. Il ragazzo si voltò e in un attimo la rabbia prese totale possesso del suo corpo, corse verso di loro e staccò Jacob dalla sua ragazza.
“Si può sapere che diamine stavi facendo?” sbraitò verso il ragazzo, che, per tutta risposta, sghignazzò, mentre Bella si nascose tra le braccia di Alice, che li aveva da poco raggiunti.
“Che c'è Cullen? Non sai che prima di essere tua, è stata mia?” rispose Jacob in tono arrogante, Edward vacillò, ma prima di reagire guardò Bella negli occhi, in cerca di qualche accenno che negasse ciò che aveva appena sentito. La ragazza incrociò il suo sguardo, ma lo abbassò subito dopo, con fare colpevole.
Edward poté udire il suono del suo cuore spezzarsi in due e, con occhi accessi di rabbia, si scagliò contro Jacob.

Quella notte, il pronto soccorso dell'ospedale di Forks, come ogni week-end, era gremito di ragazzi reduci da qualche bicchierino in più o una dose di troppo.
“Ispettore Swan, è un piacere rivederla!” salutò sorridendo Carlisle, accogliendo l'arrivo di Charlie con altri ragazzi fermati per guida in stato di ebrezza.
“Come ogni sera non manca mai la mia visita, caro dottor Cullen” replicò Charlie, mentre il medico chiedeva ad una delle infermiere quale sala fosse libera.
“Lo visito ed è tutto suo!” esclamò, mettendosi i guanti di lattice, mentre il ragazzo, che non avrà avuto nemmeno vent'anni, veniva scortato nella sala 3.
“Faccia con calma, ho già un'altra chiamata per una rissa giù a la Push. Quelle feste provocano sempre danni” disse Charlie, trovando il dottor Cullen pienamente d'accordo con la sua affermazione. I due si salutarono con un cenno del capo ed entrambi tornarono alle loro mansioni.

L'ispettore Swan, durante la sua rispettabile carriera, aveva visto tutte le cose più bizzarre che quella cittadina potesse permettersi. Ma mai, nella sua vita, si sarebbe aspettato di dover placare una rissa tra l'attuale fidanzato e l'ex della sua prima figlia, proprio come non si sarebbe mai aspettato di trovare le sue figlie ad una festa dove non avevano il permesso di andare.
“Non voglio sentire una parola!” esclamò furibondo, verso i ragazzi posti in fila davanti a lui. Jacob si strofinò l'occhio nero con una mano, mentre con l'altra si teneva il naso per non far uscire il sangue. Ad Edward era andata meglio, aveva solo il labbro leggermente spaccato e le nocche della mano destra rosse. Jasper, aveva appoggiato una mano sulla spalla del fratello, in modo da placare ogni possibile eccesso di rabbia. Alice teneva Bella stretta tra le sue braccia che non smetteva di piangere.
“Jasper tu accompagnerai le ragazze a casa, mentre voi due verrete alla centrale con me!” ordinò Charlie, indicando prima Edward e poi Jacob.
Nessuno replicò. Bella cercò lo sguardo di Edward, ma quest'ultimo la ignorò totalmente, mentre il suo cuore sanguinava, essendo il più ferito.

Una volta arrivata davanti casa, Bella corse dentro per rifugiarsi nel suo letto e piangere tutte le sue lacrime, aveva perso tutto, di nuovo. Come una sciocca aveva sbagliato un'altra volta, perdendo la cosa più bella che le fosse mai capitata nella sua vita.
Alice e Jasper, invece, erano rimasti in auto, a parlare di ciò che era successo, senza sapere che cosa dovessero fare.
“Che casino, no?” chiese Alice, stringendo la mano di Jasper, non sapeva che la sorella aveva nascosto la sua precedente relazione ad Edward ma, conoscendo l'intera storia, capiva benissimo il perché lo avesse fatto.
“Non ho mai visto Edward così...” rispose Jasper, aveva potuto udire il suono del cuore di suo fratello mentre si frantumava, quando aveva capito che la storia di Jacob e Bella era vera.
Prima che Alice potesse replicare, lo squillo del cellulare di Jasper interruppe la conversazione, era un messaggio da parte di Carlisle.
“Ha detto che lo devo raggiungere alla centrale. Mi sembra tutto un incubo” disse il ragazzo, anche se in quel momento non gli importava della punizione che sicuramente avrebbero preso lui e il fratello. Volevo stare accanto ad Edward, perché sapeva quanto stesse soffrendo.
“Lo so. Vai da loro e stai con Edward, io devo pensare a mia sorella” replicò Alice accarezzandogli il viso, sapeva già che quella notte non avrebbe chiuso occhio perché Bella avrebbe pianto tra le sue braccia fino a finire le lacrime.
Si scambiarono un tenero bacio ed entrambi corsero a consolare una delle persone più importanti della loro vita.

Quando Carlisle arrivò davanti alla centrale di polizia, prima di tutto prese un grosso respiro. Si chiese se tutto quello che stava succedendo non fosse altro che un brutto sogno. Desiderò di svegliarsi e ritrovarsi nel letto con accanto sua moglie e i suoi figli che, da piccoli terremoti, li stavano chiamando perché era la mattina di Natale e volevano aprire di corsa i regali, senza pensare ad altro. Che cos'era andato storto nella sua vita? Che cosa aveva fatto di tanto grave da meritarsi di vivere senza l'amore della sua vita ad aiutarlo con la crescita dei suoi figli? Lui non era pronto. Aveva fallito come padre se uno dei suoi figli era stato arrestato per una rissa in un posto dove neanche doveva essere. Aveva deluso la promessa fatta a sua moglie, aveva deluso se stesso. E, cosa che gli faceva ancora più male, i suoi figli lo avevano deluso. Totalmente.
Con questi pensieri varcò la soglia della centrale e cercò con lo sguardo Edward, trovandolo seduto in fondo al corridoio a fissare un punto indefinito. Lo capì dai suoi occhi quanto stesse soffrendo e allora mise da parte il padre deluso, perché, in quel momento, suo figlio aveva bisogno di una spalla su cui piangere.
Si sedette accanto a lui, stando in silenzio, aspettava che fosse Edward a parlare se avesse voluto, altrimenti sarebbero rimasti così, uno accanto all'altro, senza proferire parola.
“Papà io...” Edward provò a parlare, ma il padre lo zittì con uno sguardo e lui abbassò la testa, fissando le sue nocche rosse.
“Parleremo dopo della festa e di quello che è successo. Ora mi interessa come stai tu e non accetto un bene come risposta, perché so che stai soffrendo, te lo leggo negli occhi.” disse Carlisle ed Edward si sentì come un libro aperto davanti al padre, si spogliò della sua corazza e si chinò sulla sua spalla.
“Mi sento come se avessi perso tutto, papà. Mi aveva detto che ero il primo, capisci? Mi ha mentito per tutto questo tempo e non so se riuscirò di nuovo a fidarmi di lei. Io la amo, papà, quando ho scoperto la storia con quel Jacob, beh, sono andato fuori di testa. Ora però mi sento a pezzi, papà, mi sento come...” non riuscì più a continuare, perché i singhiozzi erano diventati troppo frequenti e le lacrime erano scese da sole.
Il padre gli accarezzò la testa, stringendolo a sé. Edward, in quel momento, ritornò quel bambino al quale era stato strappato qualcosa senza cui non riusciva più a respirare.
Carlisle sorrise, erano anni che suo figlio non piangeva, si sentì, per la seconda volta, impotente davanti alla sofferenza che stava affrontando. Avrebbe voluto assorbire lui tutto quel dolore che attanagliava il cuore di Edward. Voleva proteggerlo dalla crudeltà del mondo, ma sapeva quanto questo fosse impossibile. Così si limitò ad accarezzarlo, facendolo piangere tra le sue braccia, in modo che, almeno un po', il dolore potesse diminuire. Lui era un medico, ma non poteva curare l'anima di suo figlio.



-Non posso credere di avercela fatta, questo capitolo è uscito con il conta gocce!
Spero che vi sia piaciuto e di avervi fatto emozionare, almeno un po'.
Grazie a tutti quelli che mi seguono! Ci vediamo al prossimo capitolo! <3 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Where's the trust? ***


Il viaggio di ritorno, per la famiglia Cullen, fu uno dei più silenziosi e quella sensazione di dover parlare, ma allo stesso tempo aver paura di dire la cosa sbagliata, li accompagnò anche in casa.
Edward salì in camera, perché in quel momento voleva solo stare da solo con il suo dolore, picchiare il cuscino fino ad essere esausto, in modo da sfogare tutta la frustrazione che aveva in corpo.
Jasper si avviò alle scale, ma qualcosa lo bloccò, guardò suo padre, che intanto si era avviato in cucina, e realizzò che non aveva detto neanche una parola sulla festa, non aveva proprio sfiorato l'argomento. Che fosse talmente deluso da non poterlo neanche guardare in faccia? Questo era il pensiero che lo tormentava, così lo raggiunse.
“Parleremo domani mattina, ora è tardi” disse Carlisle, non appena sentì i passi del figlio varcare la soglia della cucina. Non si girò neanche a guardarlo e continuò a prepararsi la tisana che voleva bere prima di andare a dormire, come se fosse stato facile addormentarsi.
“Perché non adesso?” chiese Jasper e cercò, inutilmente, lo sguardo del padre. “Papà, ti prego, parlami, dì qualcosa, ma non stare in silenzio” aggiunse, avrebbe preferito mille volte che il padre gli urlasse contro che quello sguardo negato.
“Che vuoi che ti dica, Jasper? Che sono orgoglioso del fatto che abbiate totalmente ignorato la mia autorità? Vi siete presi gioco di me, avete tradito la totale fiducia che, nonostante tutto, continuavo a riporre in voi. Vuoi che ti dica questo? Mi sento come se non significassi niente per voi, come se tutto ciò che dico non vi importi. Vuoi sapere cosa provo? Sono arrabbiato, ferito, deluso dal vostro comportamento. Ecco come mi sento. Sei contento, adesso?” sentendo queste parole, Jasper si sentì come se gli avessero accoltellato il cuore. Non aveva mai visto il padre così prima d'ora, era furibondo ma nonostante ciò, aveva parlato con una calma da brividi.
Carlisle lo guardò negli occhi e, Jasper, in quello sguardo lesse tutta la delusione che gli avevano provocato quella sera. Quello sguardo era talmente forte che sentì un nodo allo stomaco, avevano commesso un errore e, questa volta, non sarebbe stato facile recuperare la fiducia di Carlisle.
Jasper cercò di parlare, ma il nodo allo stomaco si estese fino alla gola, così le parole morirono ancora prima di nascere. Rimase così, in silenzio, sentendosi bruciare lentamente dallo sguardo del padre.

In casa Swan, le lacrime di Bella erano le protagoniste di quella notte senza sonno. Stava piangendo ormai da ore, tra le braccia di Alice che le accarezza i capelli.
“Ho perso tutto, di nuovo” sussurrò tra i singhiozzi e la sorella l'abbracciò ancora più forte, mentre le diceva che tutto si sarebbe risolto e che c'era una cosa che non aveva perso ed era lei, sarebbe stata sempre accanto a Bella.
“Voglio dimenticare tutto di quell'anno, ecco perché non ho detto niente ad Edward. Pensavo che non parlandone sarebbe risultato solo frutto della mia fantasia, l'avrebbe reso meno reale...” aveva ripreso una respirazione normale, così si fece forza per sfogarsi.
“Bella, quello che è successo, per quanto tu lo possa negare, è reale” disse Alice e, vedendo l'espressione affranta della sorella, le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarla.
“Ma questo non vuol dire che tu non l'abbia superato. Sei andata avanti ed hai ripreso in mano la tua vita, hai incontrato l'amore, quello vero...” aggiunse, ma Bella, a sentirla parlare d'amore si ricordò lo sguardo che Edward le aveva negato, rivide nella sua mente le immagine della rabbia, del dolore che erano diventati i protagonisti di quella sera.
Qualcuno bussò alla porta e Bella asciugò le lacrime come poté, nessuno doveva vederla piangere, quella era una cosa esclusiva della sorella.
Renée fece il suo ingresso, quasi in punta di piedi. Il marito l'aveva informata di tutto e poteva solo immaginare quanti ricordi orribili avevano preso vita nella mente della figlia, quelli dell'anno da dimenticare.
Bella e Alice erano certe che la madre fosse lì per iniziare una predica senza fine, così si prepararono mentalmente, per quanto la maggiore potesse, rimanendo piacevolmente sorprese quando Renée si chinò all'altezza di Bella per donarle uno di quegli abbracci che solo una madre può dare.

Il mattino dopo la tensione che si respirava a colazione, in casa Cullen, poteva tagliarsi con un coltello. Edward aveva delle occhiaie mostruose, segno che non aveva chiuso occhio quella notte. Jasper e Carlisle si erano lasciati senza dire una parola e questo pesava ad entrambi. Così fecero colazione in silenzio, aspettando che il padre dicesse qualcosa, che iniziasse una qualche predica.
“Sapete che quello che avete fatto ieri è sbagliato, no?” chiese Carlisle, capendo che se non avesse aperto lui il discorso non avrebbero concluso niente. Tentò di guardare negli occhi Jasper, ma quest'ultimo continuò a girare il cucchiaio nella tazza ormai vuota. Non voleva sentirsi bruciare di nuovo sotto lo sguardo paterno. Allora guardò Edward e lui ricambiò, fissò il padre negli occhi chiedendosi come avesse fatto a non urlare contro di lui alla centrale, quanta forza aveva impiegato per mettere da parte la delusione pur di farlo sfogare.
“Grazie papà, per ieri. So quanto il nostro comportamento ti abbia deluso, ma tu, nonostante ciò, hai deciso di farmi sfogarmi, perciò grazie” aveva parlato con voce roca, Edward. Il padre non impiegò molto a capire che Jasper aveva parlato con il fratello, per questo erano scesi a fare colazione più tardi del solito.
“Edward, per quanto capisca il tuo dolore, questo non rende meno grave ciò che avete fatto. E non posso passarci sopra come se niente fosse” disse Carlisle e i due fratelli si preparano ad ascoltare la loro sentenza.
“Avete tradito la mia fiducia e mi avete profondamente deluso, perciò non posso evitare di punirvi” aggiunse con un tono severo che raramente usava. Jasper e Edward si guardarono negli occhi, sarebbe stata una vera impresa riacquistare la fiducia paterna.
“Ci ho pensato molto stanotte e sono arrivato alla conclusione di mettervi in punizione per un mese, sperando che riusciate a dimostrarmi che valga la pena ridarvi fiducia” nonostante il tono severo, che non ammetteva repliche, Carlisle non aveva mai alzato la voce e questo rincuorò un po' i due giovani Cullen. Sapevano di aver combinato un guaio enorme, trovando giusta la punizione che aveva scelto il padre. Così, senza replicare, si sfilarono il cellulare dalla tasca e lo consegnarono al padre, che lo avrebbe tenuto con sé, insieme a qualsiasi altro oggetto che potesse farli svagare, per il prossimo mese.
“Troverai parecchie chiamate e messaggi di Bella. Non ha ancora capito che non le voglio parlare” disse Edward, prima di salire in camera insieme a Jasper.
Se loro avevano perso la fiducia del padre, quella sera, Bella aveva tradito quella di Edward, riempiendolo di bugie sul suo passato.
Dove
andava a finire la fiducia una volta persa?


-Eccomi qui! :)
A questo capitolo ci tengo particolarmente, perché spero che sia riuscita a trasmettervi le emozioni dei personaggi e di averle analizzate bene.
Come sempre ringrazio tutti quelli che mi seguono e ci vediamo al prossimo capitolo! ;)
Baci :* 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Change is dangerous ***


La prima settimana passò senza che nessuno se ne rendesse conto. Bella e Edward non avevano parlato neanche una volta, perché lui era scostante e evitava ogni contatto con lei, tranne nelle ore scolastiche che passavano insieme, ma in quelle occasioni faceva finta di dover concentrarsi sulla lezione e non aveva tempo per lei.
Bella, d'altro canto, non era pronta a raccontare tutto il suo passato ad Edward, nonostante quella freddezza le ferisse continuamente il cuore, pensò che un po' di tempo sarebbe servito ad entrambi e se l'amore che provavano era veramente forte, allora un giorno sarebbero tornati insieme e lei sarebbe stata pronta a raccontargli tutto.
Jasper si sentì continuamente sotto esame da parte di Carlisle, anche perché dopo quella sera, in cui il padre aveva dato libero sfogo alla sua rabbia, non avevano più parlato per chiarirsi e questo gli pesava. Non voleva che il padre fosse ancora arrabbiato con lui, ma, allo stesso tempo, non sapeva che cosa potesse dire che non risultasse banale. In effetti, Edward e Jasper, non avevano mai chiesto davvero scusa al padre, certo, avevano ammesso le loro colpe, ma non erano andati oltre perché erano sicuri che un semplice mi dispiace non avrebbe risolto le cose.
Edward, da quella sera, era cambiato e questo preoccupava, non poco, Jasper perché si ritrovò a fare i conti con un lato del fratello che mai aveva visto prima. Era diventato scontroso, freddo ed eri fortunato se non ti mandava a quel paese almeno una volta al giorno. Era l'opposto di com'era prima, il dolore per la separazione da Bella lo aveva cambiato e, Jasper ne era certo, presto avrebbe fatto i conti con le conseguenze del suo cambiamento radicale.

Anche a Carlisle pesava il fatto di non aver chiarito con Jasper, dopo lo sfogo che aveva avuto, ma continuava a fare il suo lavoro fingendo di stare bene e pensò di essere un bravo attore, fino all'arrivo della signora Blake, che era passata per l'ennesimo controllo.
Carlisle entrò nella stanza e le rivolse un sorriso di circostanza, che non convinse per niente l'anziana donna.
“Qualcosa non va, dottor Cullen?” chiese, con la sua vocina tenera e gentile, prima di inspirare e espirare lentamente, come il medico le aveva detto di fare.
“Nulla, signora. Perché?” domandò, di rimando, Carlisle, non voleva di certo stressare i suoi pazienti con problemi personali.
“Non so, ha la stessa espressione che faceva mio marito quando litigava con i figli” sentendo quelle parole, Carlisle si sentì scoperto davanti gli occhi della donna. Che avesse il dono di leggere nella mente?
“Ho indovinato, vero?” chiese, con fare retorico, sorridendo. L'uomo annuì piano per poi concentrarsi di nuovo sui valori che doveva riportare sulla cartella clinica.
“Senta, qualsiasi cosa abbiano fatto, non dubiti mai del bene che hanno nei suoi confronti. Sono ragazzi e, come tali, commettono un errore dopo l'altro. Diventando genitori è come se ci dimenticassimo di cosa vuol dire essere giovani e delle stupidaggini che si fanno a quell'età” disse la donna e Carlisle si rese conto che aveva la necessità di parlare con qualcuno di ciò che era successo, perché il tenersi tutto dentro lo stava uccidendo.
“Beh, ma capiamo anche il perché i nostri genitori si comportavano in un certo modo” replicò, convincendo se stesso che non c'era niente di male nell'abbandonare il ruolo professionale.
“Certo. Ci ritroviamo dall'altra parte e assaggiamo quell'ansia che prima era il piatto principale nella vita dei nostri genitori, insieme ad un contorno di preoccupazioni, arrabbiature, ma anche come portata finale un dolce ricoperto di amore, gioie, orgoglio. Questo è ciò che mangiamo ogni giorno, dottor Cullen. E questo è ciò che un giorno gusteranno i suoi figli, quando si ritroveranno al suo posto. Ma, qualsiasi cosa succeda, l'amore per un figlio è così grande che anche mille arrabbiature non potranno cancellare. Per un figlio siamo disposti sempre, e per sempre, a dare la nostra vita e questo non potrà mai cambiare.” il discorso della signora Blake fu talmente veritiero che Carlisle si ritrovò con gli occhi lucidi. Capì immediatamente che cosa dovesse fare: parlare con Edward e Jasper.

Jasper tornò a casa da solo e con un pensiero fisso: che cosa diavolo era saltato in mente ad Edward?
Erano ancora in punizione e lui se ne andava passeggiando allegramente per la cittadina invece di ritornare a casa, come Carlisle gli aveva detto di fare subito dopo scuola.
“Sul serio, Ed? Vuoi far incazzare ancora di più papà?” oramai parlava da solo, dando voce ai suoi pensieri, tanto c'era solo lui nella grande casa e nessuno lo avrebbe preso per pazzo, cosa che stava diventando appresso al fratello.
Decise di salire su a farsi una doccia, per rilassarsi, pregando in tutte le lingue del mondo che Edward tornasse prima del padre, altrimenti era certo che non si sarebbe trattenuto dall'urlargli contro, cosa che Carlisle non faceva mai, ma se avesse saputo che Edward aveva totalmente ignorato il fatto di essere in punizione, allora sì che avrebbero assistito ad una scena a cui Jasper avrebbe fatto volentieri a meno di essere spettatore.
Dopo qualche ora, il giovane Cullen sentì la serratura della porta d'ingresso scattare, guardò l'orologio del salone sperando in cuor suo che si trattasse di Edward, nonostante le lancette gli avevano detto il contrario. Purtroppo, le sue ultime speranze svanirono, quando si ritrovò davanti la figura del padre, ma con un espressione nuova sul volto, quasi sorridente.
“Figliolo! Com'è andata a scuola?” esclamò Carlisle, la chiacchierata con la signora Blake gli aveva fatto veramente bene.
“Tutto bene, papà” rispose Jasper, stupendosi ancora di più nel vedere il padre così allegro e maledisse nuovamente Edward e il suo cambiamento.
Fortunatamente per lui, il genitore non indagò oltre e andò a sedersi sul divano, iniziando a leggere un libro che aveva lasciato in sospeso. Così Jasper andò velocemente in camera, pensando ad un modo per avvertire Edward di entrare dalla porta sul retro.

Carlisle non era di certo uno stupido e aveva capito subito, dallo sguardo spaventato di Jasper, che qualcosa non andasse, ma aveva preferito non indagare oltre. Avrebbe aspettato la cena per parlare ad entrambi e chiarire tutto ciò che era successo. Era ovvio che il cambiamento di Edward preoccupava anche lui, magari così il figlio si sarebbe aperto più facilmente, trovando il padre disponibile ad ascoltarlo.
Tutti i suoi buoni propositi svanirono all'istante quando sentì la porta d'ingresso aprirsi e intravide la figura di Edward. Non si mosse di un millimetro, certo che il figlio non sapesse che fosse lì, mentre sentì i passi di Jasper scendere svelti le scale.
“Jazz, ti prego, non sono dell'umore giusto per una predica. Sono tornato prima di papà, visto? Te lo avevo detto che sarebbe andato tutto per il meglio” disse Edward, fermando sul nascere qualsiasi sermone che il fratello gli stesse per fare. Era stanco, si era sfogato con l'unica persona con la quale aveva bisogno di parlare ed ora non voleva far nient'altro che non contemplasse la comodità del suo letto.
Fece per andare verso le scale, ma la figura di suo padre gli bloccò il cammino. Lo fissava severo, a braccia conserte, mentre Jasper si buttò una mano sul viso, con fare disperato.
“Ora tu mi spieghi che cosa ti sta succedendo!” esclamò, sull'orlo di una crisi di nervi e con un tono che i suoi figli non avevano mai sentito prima.
“Che cosa mi succede? Vuoi saperlo? Okay. Succede che l'unica persona con cui voglio parlare non c'è più e la colpa è solo tua. Dicono che sei il miglior medico di tutta la cittadina, ma non sei riuscito a salvare la mamma!” esclamò, senza pensare ad una singola parola, completamente fuori di sé.
Allora Jasper capì, Edward non stava male soltanto per Bella, ma anche per l'assenza della madre e si sentì uno stupido per non esserci arrivato prima. Stava per dire qualcosa, ma lo schiocco sonoro dello schiaffo che aveva colpito la guancia di Edward, lo bloccò. Guardò suo padre e notò una luce che mai aveva visto prima, tremò al solo vederla.
Edward non aveva mai abbassato lo sguardo, fissando il padre negli occhi in segno di sfida, non si massaggiò neanche la parte lesa. Di certo non era quella a fare male. Si era reso conto troppo tardi di aver esagerato, solo quando le cinque dita di suo padre si stamparono sul suo volto, ma, nonostante questo, non vacillò neanche un secondo.
Carlisle era stanco di tutta quella arroganza che aveva avuto Edward in quell'ultima settimana, non voleva arrivare a quello. Si era sempre ripromesso di non alzare mai un dito contro i suoi figli, ma quelle parole lo avevano ferito profondamente e non seppe trattenersi. Senza dire una parola andò nel suo studio, in quel momento era troppo furioso e ferito per parlare, doveva prima calmarsi.



-Chiedo scusa per il ritardo, ma ho queste due settimane sono state piene di impegni!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che ora non odiate Carlisle, capitelo...era completamente esasperato!
In ogni caso, questo capitolo è tipo la goccia che fa traboccare il vaso...
Ringrazio tutti quelli che mi seguono e spero di riuscire a pubblicare presto!
Alla prossima :33
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Clarifications ***


Amore che ne dici di Edward?” propose la donna dai capelli lunghi, quasi pronta a partorire, mentre scendeva le scale per raggiungere il marito in cucina.
“Esme! Non dirmi che non hai dormito per pensare al nome un'altra volta!” la rimproverò il suo amato, andandole incontro per aiutarla a scendere.
“Non essere petulante, Carlisle. Dimmi solo che ne pensi e basta!” ribatté lei, rubando la tazza di caffè che il marito aveva lasciato incustodita sul tavolo.
“Mi sembra un nome di una famiglia reale...” disse lui, scuotendo la testa mentre si versava dell'altro caffè.
“Beh, io con te mi sento una regina e tu sei il mio re, dato che nessun altro marito si sarebbe preso le ferie per passarle con la moglie quasi pronta a partorire” replicò Esme, sedendosi, non prima di aver preso il piatto colmo di pancake preparati da Carlisle.
“Ti ho già detto che l'ho fatto volentieri, non ti avrei mai lasciata da sola” ribatté l'altro, passandole le posate.
“Ed io ti avevo detto che non era necessario, ma lasciamo perdere. Allora che ne pensi del nome?” domandò lei. Carlisle si piegò all'altezza della pancia, accarezzandola.
“Edward è perfetto, piace anche a lui!” esclamò, quando vide un piedino formarsi su di essa, segno che il piccolo Cullen aveva appena scalciato.
“L'ho sentito!” rise Esme “Su, prendi la macchina fotografica!” aggiunse e Carlisle non dovette fare altro che allungare il braccio verso la mensola della cucina.
“Ancora devo capire questa tua fissazione di scattare
una foto per ogni decisione che prendiamo” sbuffò, mentre si metteva in posa, abbracciando la moglie.
“Non per tutte, ma
per quelle più importanti. Così quando non ci sarò più avrai tante foto da guardare!” replicò Esme e qualche secondo dopo aveva già scattato l'ennesima foto. Carlisle rise a quell'affermazione, sicuro del fatto che lui sarebbe morto prima di lei, perché senza la sua amata Esme non avrebbe vissuto allungo.


“Chi l'avrebbe mai detto che avevi ragione?” domandò Carlisle a quella che altro non era che la foto del momento in cui avevano scelto il nome del loro primo figlio. Era chiuso nello studio già da un po', le parole di Edward lo avevano ferito in modo profondo e, prima di parlare con chiunque, aveva bisogno di un momento per sé.
Il suo tuffo nei ricordi venne interrotto quando sentì qualcuno bussare alla porta e vide Jasper entrare nella stanza con passi lenti.
“Jasper...” sussurrò Carlisle verso suo figlio minore, si vergognava di ciò che aveva fatto e aveva paura che Jasper non lo guardasse più allo stesso modo.
“Perdonaci papà, per tutto. Perdonaci per i brutti voti, per quella dannata festa, per averti deluso e ferito quando tu non lo meritavi affatto. So quanto sia stato difficile andare avanti dopo la morte di mamma, ma tu non ci hai fatto mancare niente...” si fermò, vedendo il padre quasi in lacrime. Carlisle si sedette sul divano, sospirando, mentre stringeva ancora di più la foto di lui e Esme.
“Io ho fallito, Jasper. Ho fallito come padre e ho infranto la promessa che io e tua madre ci facemmo a vicenda, quella di non alzare mai un dito contro di voi...” il dottore non riuscì quasi più a parlare. Jasper si sentì ancora più in colpa, quanto lo avevano ferito le parole di Edward per farlo reagire in quel modo?
“No, papà. Tu non hai fallito e non credo proprio che mamma sia arrabbiata con te, anche lei avrebbe perso le staffe in quel modo, ne sono certo. Ti ricordi quando da piccoli correvamo da te perché avevamo paura che mamma non ci volesse più bene? Tu ci spiegasti che per quanto un genitore si possa arrabbiare, il bene per un figlio non può mai cambiare. Perciò, né io né Edward abbiamo dubitato, nemmeno per un momento, di quanto il bene che provi per noi sia infinito.” replicò il giovane Cullen, sedendosi accanto al padre. Carlisle sorrise, abbracciando il figlio come se avesse cinque anni.

Dopo la lunga chiacchierata con Jasper, Carlisle si sentiva un po' più leggero, nonostante lo attendesse un compito molto più arduo: chiarire con Edward.
Era davanti alla porta della camera del figlio già da qualche minuto, quando si decise a bussare, non prima di aver preso un grosso respiro.
“Jazz, ti ho già detto che voglio stare da solo!” esclamò Edward, lanciando il cuscino verso la porta, senza alzarsi dal letto, ritornando a fissare la cornice che teneva stretta tra le mani.
“Non sono Jasper” disse Carlisle, entrando quasi in punta di piedi. Edward scattò, per poi risedersi sul letto, di certo non si aspettava che fosse il padre a fare il primo passo verso di lui.
“Puoi limitarti ad ascoltarmi un minuto in silenzio?” chiese l'uomo, prendendo posto accanto al figlio. Buttò un occhio alla foto che Edward aveva tra le mani e sorrise, era la stessa che stringeva lui fino a pochi minuti fa. Esme aveva insistito che sia Edward che Jasper avessero, nelle loro stanze, la foto del momento in cui i loro genitori avevano scelto il nome che li avrebbe accompagnati per tutta la vita.
“Capisco che ti manca, Edward. Manca ogni giorno anche a me, sai? Io non sono un robot, ho dei sentimenti che tu, con quelle parole, hai ferito in modo profondo.” Edward stava per replicare, ma il padre lo bloccò.
“Ti ho detto di ascoltarmi, poi parlerai tu, tranquillo.” sentendo quella frase, il giovane Cullen abbassò il capo, concentrandosi sulla foto, aveva paura di incrociare lo sguardo del padre.
“Io ti chiedo scusa, figliolo. Ti chiedo scusa se non ho capito prima quanto tu stessi soffrendo e anche per aver reagito in quel modo poco fa, avrei dovuto limitarmi a rimproverarti e basta. Non dovevo darti quello schiaffo, perché così sono venuto meno alla promessa che io e tua madre ci facemmo a vicenda: quella di non alzare mai un dito contro di voi. Ma io l'ho fatto e ti chiedo scusa per questo, per quanto io mi possa essere sentito ferito non esiste giustificazione per il mio gesto” parlava a bassa voce, in modo da non profanare la sacralità di quel momento. Cercò di incrociare lo sguardo del figlio, ma Edward continuava a tenere il capo chino.
“Ma non ti chiedo scusa per essermi comportato da padre. Non ti chiedo scusa per averti rimproverato e punito per ciò che hai fatto. Non ti chiedo scusa per essermi arrabbiato quando ti ho visto rientrare a quell'ora, ignorando il fatto di essere in punizione. Non ti chiedo scusa, perché per quanto possa detestare fare la parte del severo, anche questo fa parte dell'essere padre.” si fermò, aspettando una qualche reazione da parte di Edward, ma niente.
“Parla con me, figliolo. Sfogati e ritorna quello di prima, perché quello che ho visto in questa settimana non è mio figlio, non è l' Edward che conosco e che amo.” terminò il suo monologo, sperando, con tutto il cuore, che avesse l'effetto sperato.
Edward, dopo aver riposto la cornice sul comodino accanto al letto, si buttò tra le braccia del padre come un bambino a cui era stato fatto un dispetto.
“Mi dispiace...per tutto!” esclamò tra i singhiozzi, come una specie di mantra, mentre Carlisle gli accarezzava la nuca.
“Va tutto bene, ci sono io” gli sussurrò il padre nell'orecchio. Edward, in quel momento, capì quanto davvero valessero quelle parole, che Carlisle gli diceva dopo un incubo, quando da piccolo si svegliava urlando nel cuore della notte, specialmente dopo la morte di Esme.
“Ci sono io. Va tutto bene” continuò Carlisle, senza sciogliere, neanche per un secondo, l'abbraccio. Edward non ebbe più il minimo dubbio, suo padre ci sarebbe stato per sempre, nonostante tutto.



-Eccomi tornata!
Chiedo scusa per avervi fatto aspettare così tanto, ma, come sanno alcuni, questa settimana mi è successa una cosa che mi ha completamente distrutta. Non trovavo la forza per fare niente. Ma, come alcune persone mi hanno ricordato, la scrittura è una specie di balsamo in queste occasioni e, seppur a fatica, ce l'ho fatta a ritornare a scrivere.
Spero che questo capitolo non vi abbia deluso e vi do appuntamento al prossimo!
Baci :*

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** The calm after the storm ***


Ehi, tesoro che fai? Fissi la tv sperando che si accenda da sola?” chiese Esme al figlio minore, che stava seduto sul divano a braccia conserte.
“Mi prendi in giro, mamma? Lo sai che papà mi ha messo in punizione!” esclamò il bimbo, sbuffando. La donna sorrise, sedendosi accanto a lui.
“Lo so bene, piccolo e so anche il perché...” disse la madre e Jasper pregò che non si mettesse a rimproverarlo anche lei, già aveva sopportato quello del padre, non ne avrebbe retto un altro.
“E se ti dico che posso convincere papà a diminuire la punizione?” a quelle parole, gli occhi del suo piccolo si illuminarono. Esme non fece a meno di sorridere, conosceva Carlisle e sapeva bene che non gli avrebbe mai tolto completamente la punizione, ma avrebbe potuto convincerlo a diminuirla o, in casi estremi, a modificarla in qualche modo.
“Lo faresti davvero?” esclamò Jasper, buttando le braccia al collo alla madre. Già er
a pronto ad uscire di nuovo, per andare al parco a giocare insieme ad Edward e ai suoi amici.
“Devi promettermi però che ti comporterai bene, almeno per il prossimo mese!” disse Esme, sapendo che già un mese senza cacciarsi nei guai, per i suoi figli, era molto.
“Lo prometto, mamma! Grazie!” urlò, entusiasta, il piccolo Jasper, rimanendo attaccato alla madre, quasi soffocandola.


Jasper, ricordando quella scena di anni fa, si alzò rapidamente come se una tarantolata lo avesse appena morso. Sospirò, andando verso la cucina, vide l'ora, e decise di iniziare a preparare qualcosa per cena, nonostante le sue precarie doti culinarie.
Sorrise, mentre la sua mente venne invasa, ancora una volta, da scene quasi insignificanti e si arrese all'idea che, questa volta, non c'era la madre a convincere il padre a diminuire o mutare la punizione. Sapeva, di certo, che suo padre, prima che arrivasse a tanto, dovevi combinare un guaio che lo facesse andare su tutte le furie e la festa, insieme alla non brillante situazione scolastica, erano state un perfetto mix.
Lui ed Edward non avevano ricevuto molte punizioni, tutta al più rimproveri, quelli a bizzeffe e sorrise ricordando quanto l'infanzia fosse bella.
“Perché abbiamo tutta questa fretta di crescere?” si chiese tra sé e sé, mettendo un po' di olio nella padella, dove avrebbe cotto la carne.
“Perciò si dice: figli piccoli, problemi piccoli. Figli grandi, problemi grandi” disse Carlisle, entrando in cucina, compiaciuto nel vedere Jasper alle prese con la preparazione per la cena.
“Ehi, papà! Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò e vedendo il padre sorridere, dedusse che la conversazione con Edward avesse colto i frutti sperati.
“Lascia, faccio io. L'ultima cosa che ci manca è una cucina in fiamme” disse il dottore, prendendo il posto del figlio davanti ai fornelli.
“Grazie per la fiducia!” ribatté Jasper, facendo il finto offeso. Non ricevendo risposta, decise di impiegare il tempo nel mettere la tavola.
“Fratello, che pretendi? Sappiamo tutti quanto tu sia negato in cucina!” esclamò Edward, facendo anche lui il suo ingresso in cucina e avvicinandosi alla credenza, per passare i bicchieri a Jasper. Quest'ultimo sorrise, godendosi la quiete dopo la tempesta.

Se in casa Cullen era ritornata la calma, in casa Swan non era esattamente così.
“Papà, ti ho già detto che non sporgerò denuncia contro Jacob, smettila!” esclamò Bella, quasi urlando contro il padre. Possibile che nessuno capiva la sua necessità di buttarsi tutto alle spalle?
“Farla adesso sarebbe inutile. Avresti dovuto sporgerla già molto tempo fa!” replicò il padre, rabbuiato. L'idea che qualcuno avesse fatto del male ad una delle sue bambine lo mandava fuori di testa, nonostante fosse passato del tempo.
“Ti ho detto di no allora e non ho cambiato idea!” ribatté la giovane Swan, iniziando a portare i piatti in cucina. Quella sera, a cena, erano rimasti solo loro due.
“Secondo me sbagli di grosso, tu non capisci che...” l'ispettore Swan si bloccò, perché sua figlia aveva lanciato un piatto a terra, rompendolo per la rabbia.
“Sei tu quello che non capisci, papà! Io voglio dimenticare tutto e facendo così non fai altro che rinnovare continuamente il dolore!” urlò, in preda ad una crisi di nervi. Rimasero a fissarsi a lungo, padre e figlia, senza dire una parola. Ad un certo punto, Bella, schivando i pezzi di ceramica riversi a terra, andò ad abbracciare il padre, poggiando la testa sul suo petto.
“Stringimi più forte che puoi e basta, ti prego” a quella supplica, quasi come se fosse automatico, Charlie strinse a sé la figlia più forte che poté, come a proteggerla da tutto il male che c'era nel mondo.
La sua famiglia, stava attraversando una tempesta per l'ennesima volta e, come allora, bisognava riportare la calma.



-Lo so, questo capitolo è più corto rispetto agli altri, ma allungarlo mi sembrava brutto, perché racchiude perfettamente il senso del titolo. Senza bisogno di aggiungere altro.
Iniziamo a capire qualcosa in più rispetto al segreto di Bella e, dalla sua reazione, si nota quanto quella storia l'abbia distrutta.
Ringrazio tutti quelli che mi seguono e spero che questo capitolo, seppur corto, sia stato di vostro gradimento!
Un bacio :*

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** The moment of truth (Part one) ***


La mattina dopo, Bella fu svegliata dai raggi di sole che, entrando dalla finestra, le si posarono sul viso. Era domenica e stesso lei si stupì di aver dormito, erano giorni che non ci riusciva e restava, con gli occhi spalancati, fissando la foto di lei ed Edward che aveva sul comodino, fino all'alba. La sera prima, invece, era stata mandata dal padre in camera, dopo la crisi che aveva avuto. Charlie era stato gentile, le aveva detto di andarsi a riposare e che avrebbe pensato lui a mettere tutto in ordine, Bella non aveva obiettato. Era salita in camera e, come ogni sera dopo quel giorno maledetto, senza nemmeno mettersi il pigiama si era distesa sul letto, sicura che non avrebbe dormito per niente.
Ancora stordita, si mise seduta al centro del letto e afferrò il cellulare, come sempre, non trovò nessuna chiamata e nemmeno un messaggio da parte di Edward, ma solo la sua compagnia telefonica che le ricordava di fare una ricarica al più presto. Lo buttò, in malo modo, sul letto e, sbadigliando, si alzò per darsi una rinfrescata.
Indossò una felpa che era troppo lunga per lei, ma era perfetta e comoda da mettere in casa stile vestito e si legò i capelli in uno chignon scomposto. Scese in cucina e, ancora con la voce leggermente assonata, diede il buongiorno al padre. Quella mattina, verso ora di pranzo, sarebbero tornate Renée e Alice. Erano andate a fare visita ai nonni materni, cosa che, di solito, faceva tutta la famiglia in quel periodo ma, dopo mille insistenze da parte della madre, Bella era riuscita a convincerla che non aveva voglia dopo tutto quello che era successo e Charlie, che con la suocera non aveva mai avuto ottimi rapporti, aveva preso la palla al balzo, dicendo che sarebbe rimasto a badare alla figlia.
D'improvviso sentirono il campanello e, posata la ciotola di latte, ormai vuota, Bella andò ad aprire sicura che l'ansia materna aveva anticipato il ritorno di Renée. Rimase sorpresa nel trovarsi la figura di Jacob Black davanti a lei e, quasi istintivamente, stava per chiudergli la porta in faccia.
“Aspetta, ti prego!” esclamò il ragazzo, capendo le intenzioni di Bella. Quest'ultima incrociò le braccia al petto, con aria molto irritata.
“Anche i condannati a morte hanno diritto all'ultima parola” disse Jacob, con il suo solito sorriso da seduttore. Qualche anno fa, molto probabilmente, Bella si sarebbe sciolta davanti a quel sorriso che tanto aveva amato, ma adesso aveva un senso di repulsione solo a vederlo.
“Te lo dico una sola volta: sparisci, Black!” esclamò, con tono pacato, tradito dal nervosismo, certa che lì, con il padre a pochi metri di distanza, Jacob non si sarebbe permesso di toccarla.
“Voglio sistemare le cose, Bells. Lo so che ho combinato molti casini con te, soprattutto quella sera” disse e lo sguardo carico d'odio che Bella gli rivolse lo fece quasi tremare.
“Casini? Hai il coraggio di definirli così? Tu mi hai rovinato la vita, Jacob!” si trattene dall'urlargli contro, solo perché altrimenti sarebbe intervenuto Charlie ed era l'ultima cosa che voleva, quella era una storia che doveva chiudere lei.
“Dimenticami, Jacob. Sparisci dalla mia vita e goditi ciò che ti resta della tua prima che qualche altra ragazza faccia quello che non ho avuto il coraggio di fare io. Tu mi hai ferita e non solo fisicamente, ci sono lividi che non spariscono e tu sei l'artefice dei miei. Vattene Jacob e non tornare mai più a bussare a questa porta!” aveva calcolato bene ogni singola parola e avrebbe continuato ad insultarlo, assegnandogli epiteti uno più viscido dell'altro, ma si trattene. Fece per chiudere la porta, ma il piede del ragazzo la bloccò.

“Lascia che parli con Edward, dammi la possibilità di sistemare le cose. So che mi odi, Bells e sarebbe strano il contrario. Non ho giustificazioni per ciò che ho fatto, ma dammi l'occasione di dimostrarti che sono cambiato.” replicò e Bella non credette ad una sola parola, ormai qualsiasi cosa che sarebbe uscita della sua bocca per la giovane Swan non avrebbe avuto la minima importanza.
“Ti ho già dato fin troppe occasioni, Jacob. Lasciami in pace!” disse, stava per perdere totalmente il controllo.
“Ti ha detto di lasciarla in pace, perché non lo fai e basta?” la voce possente di Charlie, bloccò qualsiasi replica da parte di Jacob che, senza fiatare, andò via a testa bassa. Bella chiuse la porta, tirando un grosso sospiro di sollievo, e si lasciò cullare dalle braccia paterne. Aveva finalmente dato un taglio a quella storia che sembrava infinita.


Jasper si svegliò più tardi del solito, la domenica l'amava per questo, potevi dormire senza che nessuno ti criticasse.
Scese giù per fare colazione e trovò due post-it appesi al frigo, sicuramente era Carlisle, aveva la mania di lasciarli ogni volta che doveva correre a lavoro senza preavviso.

 

C'è un emergenza in ospedale, spero di tornare in tempo per pranzo, se non fosse così vi ho lasciato dei soldi per ordinare la pizza.”

Il ragazzo sorrise, leggendo il primo, il padre non amava, essendo medico, che i figli si rimpinzassero di pizza o cose del genere e, Jasper ne era certo, quella concessione gli era costata molto. Scosse la testa, immaginando il padre che si arrendeva all'idea di non avere il tempo di preparare niente di salutare per i suoi ragazzi. Ridendo passò al secondo.

“Jazz, sono uscito. Tranquillo tornerò prima di papà, stavolta per davvero. Se non fosse così, coprimi, fratello!”

Dopo averlo letto, Jasper si strozzò con la sua stessa saliva, ma il lato fraterno prevalse e si affrettò a distruggere le prove. Una cosa era certa: Edward era completamente fuori di testa e presto avrebbe fatto impazzire anche lui.


Edward guardò l'orologio e immaginò nella sua mente la reazione che avrebbe avuto Jasper, da lì a poco, appena letto il biglietto, rise all'idea.
Non sapeva nemmeno lui il perché, ma aveva bisogno di uscire, di respirare lontano da quella casa, ogni singola cosa gli ricordava Bella e i momenti passati insieme. Odiava ammetterlo, ma sentiva la sua mancanza, come ad un cieco manca la vista, si sentiva vuoto senza di lei, senza il suo amore.
Si ritrovò nello stesso prato in cui erano soliti andare, nel quale si erano scambiati il loro primo bacio e, da allora, lo avevano ribattezzato come il loro rifugio. Era poco lontano da Forks ed aveva una sola panchina, che puntava verso il lago. Nessuno andava lì, lo capirono quasi subito, dato che non trovavano mai nessuno seduto su quella panchina. Così anche quest'ultima era diventata, in un certo senso, di loro proprietà.
Si sorprese nel vedere che un lato era occupato, quello dove si sedeva sempre lei e si stupì ancora di più quando la vide, con le cuffie nelle orecchie mentre canticchiava una canzone. Si avvicinò piano, non c'era una spiegazione ragionevole, ma quel posto la rendeva, se possibile, ancora più bella di quanto già non fosse.
Come up to meet you, tell you I'm sorry, you don't know how lovely you are, I had to find you, tell you I need you, tell you I set you apart...” stava cantando la loro canzone, il cuore di Edward sorrise e sfilandole con dolcezza le cuffiette continuò lui.
Tell me your secrets, and ask me your questions. Oh, let's go back to the start...Running in circles, coming up tails, heads on a science apart...” per Bella fu un sogno, Edward era proprio davanti a lei, bello come non lo era mai stato, e sorrideva, quasi come se fosse felice che l'avesse incontrata.
Nobody said it was easy, it's such a shame for us to part. Nobody said it was easy, no one ever said it would be this hard. Oh take me back to the start!” stavolta avevano cantato insieme e le loro voci, come le loro anime, avevano formato un'unica persona.
Rimasero a fissarsi per un tempo che ad entrambi parve infinito e Bella arrossì, quando vide che Edward aveva ancora le mani strette alle sue, con al centro le cuffiette che le aveva tolto poco prima.
Come se si fosse risvegliato da un sogno Edward indietreggiò, lasciando le mani di lei, ricordandosi in quel momento quanto male gli avesse fatto. Mentre stavano cantando si erano dimenticati di tutto ciò che era successo, avevano dato libero arbitrio all'amore che, evidentemente, ancora li univa.
Bella sospirò, prese le cuffiette e le ripose nella tasca dei jeans. Era arrivato il momento che tanto aveva temuto e di cui aveva ancora il terrore: dire tutta la verità ad Edward.


 

-Salve!
Sono tornata con la prima parte di un capitolo che sembra essere molto importante, no? L'ho diviso in due parti giusto per creare ancora più suspense e, anche perché, altrimenti sarebbe risultato troppo lungo e pesante da leggere.
Vi lascio ringraziando tutti voi che mi seguite e commentate, siete la mia vera forza!
Un bacio <3
P.S. La canzone che cantano Bella e Edward è “The Scientist” dei Coldplay, per chi volesse ascoltarla interamente...consiglio vivamente, perché è bellissima e mi ha ispirato molto!
Traduzione del pezzo che cantano:

Bella:

Sono venuta per incontrarti
Per dirti che mi dispiace
Non sai quanto sei adorabile
Dovevo trovarti
Dirti che ho bisogno di te
Dirti che ti ho trascurato

Edward:

Raccontami i tuoi segreti
E fammi le tue domande
Oh, ritorniamo all’inizio
Correndo in cerchio, avvicinandoci alle estremità
Le teste su una scienza a parte

Insieme:

Nessuno ha detto che era facile
E' un peccato dividerci
Nessuno ha detto che era facile
Nessuno aveva mai detto che sarebbe stato così difficile
Oh riportami all’inizio!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** The moment of truth (Part two) ***


Bella era in attesa, aveva da poco finito di raccontare tutta la verità ad Edward sulla storia tra lei e Jacob. Gli aveva detto che, quando era iniziata, si sentiva la ragazza più felice del mondo, perché anche lei aveva trovato una persona che l'accettasse per quello che era. Gli aveva detto del cambiamento di Jacob dopo le prime settimane, da ragazzo dolce e sensibile ad uno rude e prepotente. E, infine, gli aveva detto dei segni e delle cicatrici che l'avevano segnata, del primo schiaffo e dell'ultimo, quando lei lo aveva mollato. C'erano voluti alcuni mesi prima di lasciarlo, perché, in un primo momento, Bella, ingenua e innamorata, si credeva che quello fosse l'amore, una accozzaglia di schiaffi e pugni, anche per il più piccolo errore. Lo fa perché mi ama. Questo era il suo pensiero, fino a quando Alice non si accorse dei lividi e la riportò alla realtà. L'amore, quello vero, non è prepotente, non è violento, ma è dolce e sensibile, sa ascoltare e sa consolare. Quelle erano state le parole di Alice, parole che le avevano, finalmente, tolto i paraocchi che si ostinava a portare per non cedere alla realtà: Jacob non l'amava.
Così, dopo altri mesi, aveva incontrato Edward e, con lui, aveva capito che cosa significasse davvero l'amore, quel meraviglioso sentimento che unisce due persone, rendendole parti di uno stesso insieme. Aveva scelto di non dire niente ad Edward di quello che aveva passato, perché aveva paura che lo avrebbe perso. Voleva cancellare ogni traccia di Jacob dalla sua vita e il non parlare di lui, secondo lei, era l'unica soluzione, almeno fino ad oggi. La scelta l'aveva portata a questo, aveva avuto sempre la paura di perdere Edward ed ora lo stava per perdere davvero.
“Perché non me lo hai detto prima?” chiese lui, dopo minuti interminabili di silenzio. Bella rimase senza fiato, dopo tutto ciò che gli aveva fatto, dopo che lo aveva ferito, invece di scagliarsi contro di lei la sua unica preoccupazione era il perché non glielo avesse detto prima?
“Avevo paura...Nessuno vorrebbe amare una ragazza come me” rispose, chinando il capo. Le mani di Edward le presero, delicatamente, i polsi e lui li portò alle labbra per baciarli.
“Quanto sono stato cieco, non mi ero mai reso conto di queste cicatrici” disse, posando le sue labbra su ognuna. Bella pensò che non era lui ad essere cieco, ma lei ad averli sempre nascosti bene.
“Io ti amo, Bella. E il solo pensiero che qualcuno, prima di me, ti abbia ferita in modo così profondo mi fa diventare furioso. Vorrei tanto andare da quel Jacob e restituirgli almeno la metà del dolore che ti ha provocato, ma so che non lo vorresti...” aggiunse e Bella, in quel momento, si rese conto di quanto l'amore tra lei e Edward fosse grande.
“Non permetterò più a nessuno di toccarti. Ti prometto, Isabella Swan, che mi impegnerò ad amarti e a proteggerti per il resto della mia vita e anche per quella dopo. Ti amo e questo non potrà mai cambiare, fidati di me” queste parole, così piene d'amore e passione, fecero sciogliere il cuore di Bella che scoppiò in lacrime.
“Come fai ancora a guardami in faccia? Come fai ad amarmi così dopo il male che ti ho fatto? Ti ho mentito, Edward! Dovresti essere furibondo con me!” esclamò, alzandosi di scatto dalla panchina. Lei non meritava tutto quell'amore, lei doveva soffrire, rimanere sola per sempre, in modo da non poter ferire più nessuno. Era la giusta punizione per aver fatto soffrire la sola persona che l'avesse amata davvero.
“Bella, ascoltami!” disse il giovane Cullen, con tono calmo ma che non ammetteva repliche. Si alzò e le prese il viso tra le mani.
“Io ero arrabbiato, no, di più, ero furioso con te per avermi mentito. Non volevo più vederti e nemmeno sentirti, perché pensavo che non ti importasse di me, che tu ti fossi presa gioco di me e dell'amore smisurato che provo. Ero andato completamente fuori di testa, non m'importava più di niente, delle sgridate di mio padre, della scuola...niente. Ma ero diventato la stessa persona che io stesso odiavo, circondato da ragazze insignificanti e senza un obbiettivo da raggiungere. Ho capito che il mio comportamento non faceva altro che ferire le persone a cui tenevo di più e, soprattutto, feriva te. Ti ho vista, quel giorno, mentre quella ragazza mi si strusciava addosso, stavi piangendo e sei scappata via appena io ho puntato lo sguardo nella tua direzione. Lì ho capito che per quanto cercassi di odiarti, di cancellarti dalla mia mente, l'amore che provavo per te vinceva sempre. E allora sono tornato quello di prima e ho capito che dovevo affrontarti, chiarendo questa storia una volta per tutte. Quando ti ho vista qui, ho capito quanto forte possa essere il destino e che ti amo più di quanto le parole possano esprimere.” era un monologo quello di Edward e quelle parole così vere non fecero altro che far sentire ancora più in colpa Bella.
“Ti amo, Edward Cullen e ti prometto di dirti sempre la verità.” lo giurò soprattutto a se stessa più che a lui.
“Ti amo, Bella Swan e ti prometto di proteggerti sempre, anche a costo della mia stessa vita.” anche per Edward, quello era un giuramento più verso se stesso, perché se qualcuno l'avesse ferita di nuovo non se lo sarebbe mai perdonato.
Si baciarono in un modo in cui le loro labbra non si erano mai unite prima d'ora. Un bacio pieno di pace, perdono, riconciliazione e, soprattutto, ricco d'amore.

Quando Edward tornò a casa, ringraziò il cielo che suo padre non fosse ancora rientrato, segno il posto vacante nel vialetto. Aveva i vestiti completamente zuppi, lui e Bella, in un momento di pazzia, avevano deciso di tuffarsi nel lago, per poi pentirsene subito dopo. Rientrò dalla porta d'ingresso, felice di non dover fare tutto di soppiatto per non essere scoperto. Salutò distrattamente Jasper, intento ad addentare una fetta di pizza, e andò a farsi una doccia. Doveva distruggere ogni prova prima che il padre tornasse a casa.
Dopo essersi asciugato completamente ed aver posto i vestiti bagnati in un posto sicuro, scese giù con un certo languirono allo stomaco.
“Fratello, devo assolutamente parlarti! È successa una cosa fantastica, Bella e io siamo tornati insieme. Praticamente stavo...” iniziò a raccontare, carico di entusiasmo, ma quando vide la faccia di Jasper si accorse che qualcosa non andava per il verso giusto.
“Che succede?” chiese, con aria preoccupata. Che il padre fosse rientrato e poi uscito subito, accorgendosi dell'assenza del figlio? Gli prese il panico al solo pensiero.
“Con quale fratello vuoi parlare, Edward? Con quello che stamattina si stava quasi strozzando con la colazione quando ha letto il tuo post-it? O con quello che ha dovuto consolare papà quando le tue parole lo hanno fatto sentire un fallito? O, aspetta, forse vuoi parlare con quello che è stato tanto idiota da farsi trascinare a quella dannata festa?” era un fiume in piena, letteralmente. Jasper era scoppiato, la sua pazienza era finita. Si era scagliato contro Edward nell'arco di trenta secondi, riversandogli addosso tutta la sua frustrazione. E, prima che il fratello avesse la possibilità di replicare, uscì in veranda, lasciando da solo.
Edward era rimasto spiazzato dalle parole di Jasper, il suo egoismo di quell'ultima settimana aveva ferito anche lui e, questo, il maggiore non se lo sarebbe mai perdonato. Lo raggiunse dopo pochi minuti, loro erano fratelli e non potevano urlarsi in faccia senza chiarire subito dopo. Avevano litigato così poche volte che né lui né, molto probabilmente, Jasper sapevano che cosa si dovesse fare in quelle situazioni, non erano preparati.
“Sono stato un idiota in questi giorni, lo so. Ho pensato solo a me stesso senza fregarmene degli altri e di come si sentissero. Ho accusato papà ingiustamente, ferendolo in modo profondo con le mie parole, ma non sapevo che eri andato tu da lui. Non sapevo che è merito tuo se io e lui abbiamo chiarito. Perdonami per averti messo in mezzo ai miei casini, Jazz.” disse Edward, sedendosi accanto al fratello sui pochi gradini che portavano alla casa. Jasper distolse lo sguardo da un punto indefinito e incrociò gli occhi di Edward, che esprimevano pentimento in ogni angolo.
“Dimmi qualcosa che non so!” esclamò, per poi scoppiare a ridere. Sapeva che non era colpa di Edward, infondo non gli aveva di certo puntato una pistola alla tempia costringendolo a farlo andare a quella festa. Quella era stata una sua scelta, che aveva preso in piena gelosia al solo pensiero di Alice in mezzo ad un gruppo di ragazzi arroganti e viscidi.
“Ho esagerato io, Ed. Non mi pesa tutto quello che è successo, perché fa parte dell'essere fratelli e so per certo che anche tu avresti fatto lo stesso per me.” disse e Edward sorrise, sentendolo più tranquillo.
“Posso tornare a fare la parte del fratello maggiore oppure sono licenziato?” domandò l'altro, per rompere il silenzio carico di emozioni che si era creato, certo che di lì a poco sarebbe scoppiato a piangere.
“Dove lo trovo uno come te? Sei insostituibile!” esclamò Jasper, dandogli una pacca sulla spalla. Risero insieme, risero di cuore, felici di essere fratelli, nel vero senso della parola.




-Ecco a voi la seconda parte! ^^
Spero che non vi abbia deluso la parte di Bella e Edward, in verità l'ho scritta e cancellata più volta, cambiandola sempre. Ma poi ho pensato che tirarla per le lunghe sarebbe potuto risultare noioso ad un certo punto.
Aspetto con ansia le vostre opinioni e ci vediamo al prossimo capitolo! 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** A new friend ***


I fratelli Cullen, quando scesero a fare colazione, sapevano che non avrebbero trovato il padre, era da qualche settimana che faceva avanti e indietro dall'ospedale a casa di Mark, suo collega e grande amico, tanto che Jasper e Edward lo consideravano una specie di zio. La sua vita era cambiata radicalmente due settimane fa, quando gli era arrivata una chiamata nella quale gli avevano comunicato della morte della sorella e il marito, in un incidente stradale e, come dettato dalla volontà di lei, nei suoi ultimi minuti di vita, Mark doveva occuparsi di Emily, la figlia sedicenne della coppia.
La vita di quella ragazza era cambiata da un momento all'altro, aveva dovuto abbandonare la sua città, la sua scuola e i suoi amici, per andare a vivere a Forks, sotto la tutela dello zio. Così Carlisle cercava di dare una mano a Mark e Julia, grazie ai suoi contatti era riuscito a far ammettere Emily al liceo della cittadina, nonostante l'anno fosse già iniziato e, quando a Mark serviva, faceva anche il doppio turno per coprirlo.
Jasper e Edward, insieme a Bella e Alice, si erano ripromessi di far di tutto per far integrare Emily il più velocemente possibile, così l'avevano fatta entrare nel loro gruppo, donandole la loro amicizia. Quando scesero a fare colazione, i due giovani Cullen, non si sarebbero mai aspettati di trovare, sul tavolo, i loro cellulari e le chiavi delle loro auto. Erano successe così tante cose nell'arco di pochi giorni, che non si erano resi conto che il mese di punizione era passato.

“Vi prego, non fatemene pentire. Vi voglio bene!”


Così recitava il post-it che il padre aveva lasciato appeso al frigorifero. I due ragazzi sorrisero, finalmente liberi.

Quando arrivarono a scuola, con immenso ritardo, i due trovarono Emily davanti alla scuola con lo zaino su una spalla sola, che molto probabilmente voleva andare via e non affrontare la giornata scolastica.
“Emily! Che ci fai ancora qui? È tardissimo!” esclamò Jasper. La ragazza sobbalzò a sentire la sua voce e, scostandosi i capelli biondi dietro l'orecchio, sorrise timidamente.
“Ehm...non credo di entrare oggi” disse, quasi sussurrando. I due si accigliarono, scambiandosi uno sguardo di intesa.
“E perché? Vuoi davvero perderti le acrobazie di Bella durante il torneo di pallavolo?” chiese Edward, alludendo alla scarsa coordinazione della sua ragazza. Jasper scosse la testa, sicuro che se Bella lo avesse sentito gliela avrebbe fatta pagare per il resto della vita.
“No, davvero. Oggi non c'è la faccio. Mi fissano tutti e non mi piace essere l'ultimo pettegolezzo dell'intera scuola!” ribatté Emily, imbronciata. Odiava che tutti la fissassero, odiava gli insegnanti che ripetevano sempre le solite frasi: Ti capiamo, è un periodo difficile, non preoccuparti. Lei voleva essere trattata come una normale ragazza di sedici anni, punto e basta. Era chiedere troppo?
“Vedrai che tra qualche giorno non ti faranno sentire più così importante. Però bisogna affrontarle le cose, scappare non è una soluzione” replicò Jasper, oramai arreso all'idea che la prima ora l'avessero saltata tutti e tre.
“Dai forza entriamo. Tanto l'ora di matematica ormai è andata!” aggiunse, Emily era nella sua stessa classe di quella materia tanto odiata dagli studenti, ma che lui amava. Edward guardò il cellulare, anche lui aveva perso la prima ora, ma non si disperava, biologia era una delle sue materie preferite e il non aver seguito la lezione non l'avrebbe danneggiato.
Emily guardò negli occhi entrambi e, preso un grosso respiro e armata di coraggio, varcò l'ingresso dell'edificio scolastico.

Jasper uscì dall'aula di storia tirando un sospiro di sollievo, quella professoressa avrebbe fatto scendere la depressione anche ad un bambino di otto anni. Stava per raggiungere la mensa, quando passò davanti l'ufficio della consulente scolastica e sentì delle grida, si avvicinò e distinse la voce di Emily.
“Lei mi capisce? Sul serio? Non sapevo che anche i suoi genitori fossero morti per colpa di un idiota ubriaco!” urlò la ragazza, stufa di sentirsi sempre ripetere le stesse identiche cose da settimane, ormai.
“Non mi costringere a convocare tuo zio e mandarti dal preside. Capisco ciò che stai passando, ma devi darti una calmata” la voce della signora Taylor era dolce e comprensiva, Jasper sapeva che se si fosse trattato di un altro studente già sarebbe stato spedito nell'ufficio del preside in attesa dei genitori, da un pezzo.
“Sa una cosa, signora Taylor? Vada all'inferno!” esclamò Emily e, preso lo zaino, corse via. Jasper la bloccò e vide con la coda dell'occhio la donna che stava già camminando verso l'ufficio del preside, se c'era una cosa che la faceva infuriare quella era la mancanza di rispetto. La supplicò con lo sguardo di aspettare e la consulente annuì.
“Jasper lasciami!” stava urlando Emily, ma per tutta risposta il giovane Cullen le strinse i polsi, doveva ascoltarlo.
“Mi spieghi che cosa speri di ottenere comportandoti in questo modo? So il rapporto che hai con tuo zio e so quanto bene gli vuoi. Vuoi davvero deluderlo così tanto? Lui si sta facendo in quattro per darti tutto ciò di cui hai bisogno, Emily! Tu hai perso tua madre, ma non dimenticarti che era anche sua sorella.” aveva parlato con un tono così autoritario che impressionò anche lui, sembrava così simile a suo padre in quel momento.
Fu questione di minuti e la ragazza scoppiò in lacrime, non voleva deludere suo zio, non voleva deludere nessuno. Aveva solo bisogno di qualcuno che la capisse, si voltò e corse ad abbracciare la signora Taylor.
“Lei mi ricorda così tanto mia madre” disse tra i singhiozzi e la donna la strinse più forte, ringraziando Jasper con gli occhi, il ragazzo annuì sorridendo.

Quando il giovane Cullen fece il suo ingresso nella mensa, venne accolto da una saltellante Alice, sicuramente Edward aveva detto a lei e a Bella che erano finalmente liberi.
“Dove mi porti a festeggiare stasera?” scherzò lei, ma Jasper pensò che non era una brutta idea andare da qualche parte, aveva appena scontato un mese intero di punizione e non era di certo poco.
“Che ne dici di andare a mangiare sushi?” domandò lui, prendendola in giro. Era dove l'aveva portata al loro primo appuntamento, che aveva passato nel bagno delle donne a tenere la fronte della sua ragazza, che non aveva un buon rapporto col pesce crudo. Alice gli diede un pugno scherzoso sul braccio.
“Viva la pizza!” esclamò, baciandolo come se non lo vedesse da secoli, pregustando già la dolce serata che li attendeva.



-Salve a tutti!

Perdonate il ritardo, ma questo capitolo è uscito davvero con uno sforzo enorme. Volevo portare un po' di novità, perciò ho messo in mezzo questa Emily...Spero non abbia fatto un errore! 
Sono ancora più curiosa del solito di leggere i vostri commenti, li aspetto con ansia. 
Baci! :*

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Helping a friend ***


Quando Esme tornò a casa, si stupì nel trovare la luce della cucina ancora accesa, sicuramente Carlisle la stava aspettando. Era uscita, come ogni mercoledì sera, con alcune sue vecchie amiche e, quella volta, avevano fatto più tardi del solito, perché si sa, quando si inizia a parlare e si sta bene il tempo vola. E pensare che lei neanche voleva andarci inizialmente, ma fu il marito a convincerla perché, anche se per una sera a settimana, ogni genitore aveva bisogno di staccare un po' la spina dalla caotica vita familiare.
“Sei tornata
” sussurrò Carlisle, vedendo la figura della moglie fare il suo ingresso in cucina. Esme, notata la tazza di tisana che l'uomo stringeva tra le mani, capì subito che qualcosa non andava e, una volta incrociato lo sguardo di lui, il dubbio diventò certezza.
“C'è qualcosa che ti turba?” chiese, prendendo un po' d'acqua dal frigo e, dopo averla versata in un bicchiere, si sedette accanto a lui.
“Jasper ci ha mentito...” a quelle parole, per poco Esme non gli scoppiò a ridere in faccia. Si alzò in piedi, perché l'acqua le stava per andare di traverso.
“Carlisle ha otto anni, su cosa può averci mentito? Sui minuti trascorsi davanti la tv?” esclamò, anche se il suo sesto senso femminile le diceva che c'era dell'altro, perché il marito non era il tipo da fare drammi per niente.
“No.
E poi non è importante su che cosa ci abbia mentito, ma sul perché abbia sentito il bisogno di farlo!” replicò il dottore e allora Esme si calmò, capendo quanto fosse seria la situazione per il marito. Se iniziava a mentire a quell'età su cose futili, in futuro quante bugie gli avrebbe raccontato?
Sia Esme che Carlisle avevano un buon rapporto con i loro figli, ovviamente senza tradire il loro ruolo da genitori e, se era necessario, sapevano bene come mantenere la propria posizione. Per dei bambini ancora alle prese con
i giocattoli erano pochi i divieti assoluti ed uno di questi era quello di non mentire, perché la cosa più importante nella vita era dire la verità, sempre e comunque.
“Scusa, hai ragione. Dobbiamo parlargli” disse Esme, dopo averci riflettuto allungo. Si mise di nuovo a seder
e e strinse la mano del marito, Carlisle sorrise. Con Esme accanto, tutto sarebbe pesato un po' di meno, di questo ne era sicuro.


Carlisle non seppe il perché, ma quel ricordo gli tornò in mente quasi con prepotenza. Finalmente tutto era tornato alla normalità da un po', erano passati vari mesi dall'arrivo di Emily e il suo amico Mark se la stava cavando piuttosto bene. Il dottor Cullen si era alzato un po' più presto del solito, in modo da godersi la tranquillità della casa prima del risveglio dei suoi due figli, che avrebbero corso per tutta la casa, urlandosi contro per chi avrebbe occupato per primo il bagno.

Credendo di essere l'unico sveglio si stupì quando sentì dei passi scendere le scale e li distinse come quelli del suo secondo figlio, infatti, poco dopo, la figura di Jasper fece capolinea in cucina.
“Buongiorno” disse e la voce del padre fece sobbalzare un assonato giovane Cullen. Il dottore sorrise sotto i baffi alla reazione del figlio.
“Ehi, papà! Mi hai fatto prendere un colpo! Come mai già sveglio?” esclamò Jasper e, presa una bottiglietta d'acqua, si appoggiò al lavandino, iniziando a torturare il tappo. Carlisle aveva notato in quei giorni l'agitazione del figlio, ma aveva deciso di non indagare oltre, sarebbe stato Jasper, quando si sarebbe sentito pronto a confidarsi, ad andare da lui.
“Potrei farti la stessa domanda. Non hai dormito?” domandò l'uomo, avendo notato le occhiaie del ragazzo, segno di una, o più, notti insonne. Jasper si sentì scoperto davanti allo sguardo paterno, sapeva che suo padre non era di certo uno stupido e si era accorto, già da tempo, che qualcosa non andava.
“Ho dormito poco e male. Ora tocca a te, non hai risposto alla mia domanda” rispose Jasper, sperando di deviare il discorso su altro, una parte di lui voleva davvero confidarsi col padre e dire tutto, ma l'altra aveva deciso di mantenere un segreto che non avrebbe dovuto rivelare.
“Non avevo più sonno e fissare il soffitto di camera mia non era molto confortevole” disse Carlisle, sospirando, per questa volta si era arreso, Jasper non era ancora pronto.

Quella mattina, dato che Jasper aveva finito la benzina e non voleva chiedere i soldi al padre, aveva chiesto ad Edward di andare con una sola auto e, per non destare sospetti a Carlisle, il maggiore gli aveva detto che avevano deciso di andare una settimana con la sua macchina e l'altra con quella di Jasper, per risparmiare. Carlisle aveva creduto ad ogni singola parola del figlio senza esitazioni.
“Allora? Vuoi dirmi in che casini ti sei messo?” chiese Edward, almeno con lui Jasper avrebbe potuto parlare liberamente e magari avrebbe trovato anche un alleato.
“In nessuno, per adesso. Sto cercando di aiutare Emily” rispose Jasper ed il maggiore si ritrovò ancora più confuso di prima.
“In che senso? Che stai combinando, Jazz? A me puoi dirlo!” lo incitò, se davvero voleva che gli coprisse le spalle, allora doveva dargli qualche informazione in più.
“Emily si è messa in mezzo a qualcosa più grande di lei e se Mark lo viene a sapere sarà la fine. E non sto parlando di tutte le insufficienze che ha accumulato, magari fosse solo quello” disse Jasper, fermandosi di nuovo, sapeva che di Edward si poteva fidare, così gli raccontò tutto.
Perché non ne parla con papà? Fu il primo pensiero di Edward, ma si rispose da solo entro pochi secondi.
“Ti aiuterò come posso” gli disse, lui era suo fratello e lo avrebbe sempre protetto e aiutato, in ogni situazione avrebbe potuto contare su di lui.
Jasper sorrise, dandogli una pacca sulla spalla, almeno non era più solo in quella battaglia. Ora che Edward sapeva tutto avrebbe potuto contare su un valido alleato.
“Dovremmo fare una piccola deviazione!” esclamò, sapeva che Emily non sarebbe entrata quel giorno, avevano un test di matematica e la consulente era stata chiara, un'altra sola insufficienza e avrebbe chiamato lo zio per informarlo su tutto.
“Va bene, ma prima guarda là! Arrivano i rinforzi!” ribatté Edward, indicando un punto davanti a loro, Jasper si sporse e notò la figura di Alice che si stava sbracciando per farsi notare. Il ragazzo guardò il fratello e, dopo aver notato il cellulare acceso che gli aveva nascosto proprio sotto il suo naso, lo fulminò con lo sguardo.
“Jasper Cullen! Quale parte dell'essere fidanzati non ti è chiara? Amarsi vuol dire anche aiutarsi sempre e comunque, volevi davvero andare senza di me?” lo rimproverò aspramente Alice, una volta salita in macchina.
“Non volevo metterti in mezzo, piccola” replicò Jasper, con sguardo mortificato, non voleva che altre persone finissero nei guai per colpa sua.
“Senti, Emily è nostra amica, quindi se lei ha un problema quello non è solo suo o tuo, ma di tutti!Bella non è qui solamente perché è a casa con la febbre. Ora chiudi il becco, dammi un bacio e andiamo da quella ragazza!” esclamò, con un tono che non ammetteva repliche. Edward spinse sull'acceleratore e Jasper si voltò per donarle un dolce bacio, fatto di gratitudine e scuse.
Era possibile amare quella ragazza ancora di più? Si chiese Jasper, sorridendo tra sé e sé. Alice Swan, una vera forza della natura.



-Eccomi di ritorno!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito. Attendo con ansia le vostre opinioni! Ringrazio tutti quelli che mi seguono e continuano a sostenere questa storia.
A presto! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** I need you, dad ***


Jasper e Edward tornarono a casa in perfetto orario scolastico, trovando il padre ancora lì.
Quella mattina aveva deciso di non andare a lavoro, prendendosi un giorno libero, perché gli ultimi mesi erano stati un po' più stressanti del solito. Ovviamente, per il dottor Cullen, giorno libero equivaleva a stare nel suo studio sempre con le cartelle dei suoi pazienti in mano. In pratica il suo senso del dovere non riposava mai.
Jasper si distese sul divano per vedere un po' di sana televisione, almeno si sarebbe distratto da tutto ciò che stava succedendo, mentre Edward aveva preso un succo dal frigo ed era salito in camera.
Carlisle aveva notato che qualcosa non andava per il verso giusto, ma, come al solito, aveva deciso di lasciar correre, ricordandosi che neanche lui raccontava tutto ai genitori.
Durante la cena, passata a parlare del più e del meno e, poiché Jasper sobbalzava dal divano ogni volta che il telefono del padre squillava, quest'ultimo decise di porre la tanto ambita domanda.
“Jasper, c'è qualcosa che ti preoccupa?” chiese, sminuendo la situazione, in modo tale che il figlio non si sentisse in imbarazzo.

“Niente papà. Oggi abbiamo avuto un test di matematica particolarmente difficile e non so se è andato tutto bene” mentì spudoratamente Jasper, quella forse era la quinta o sesta menzogna che rifilava al padre nelle ultime settimane. In realtà il test lo aveva direttamente saltato.
“Beh, almeno sai per certo di aver dato tutto se stesso. Se va male, vorrà dire che doveva andare così, non tormentarti. Sicuro che non c'è dell'altro?” replicò Carlisle e il giovane Cullen si sentì ancora più male, come faceva a non farsi tormentare dai sensi di colpa? La maggior parte dei suoi amici avrebbe pagato per avere un padre come il suo e lui non stava facendo altro che riempirlo di bugie.
“Sicuro” disse, sfoggiando il suo miglior sorriso convinto, fissando il piatto. Improvvisamente tutta la fame che sentiva gli era passata.

Jasper uscì, facendo il minimo rumore, quella notte come le altre, dalla porta sul retro, con la mente ancora alla discussione avuta con Edward.

 

Non puoi andarci, Jazz! Dobbiamo chiedere aiuto, questa storia sta diventando troppo grande per poterla gestire da soli!” aveva urlato il maggiore, dopo che Jasper era andato nella sua stanza per dirgli della chiamata di Emily.
“Io ci vado, Ed. Non ti chiedo di venire con me, almeno coprimi con papà, ti prego” aveva replicato, seppur a voce bassa, Jasper.
“Lo sai che lo avrei fatto comunque, ti prego fa attenzione e se la situazione precipita, chiamami” aveva detto, una volta rassegnato al fatto che sarebbe stato impossibile fargli cambiare idea, Edward.
“Grazie, fratello!” aveva esclamato Jasper e, preso il giubbino, scese furtivamente le scale.


Sfortuna, o fortuna, dipende dai punti di vista, volle che Carlisle, non avendo sonno, era sceso in cucina per prepararsi una camomilla e aveva sentito la conservazione tra i due figli, quando era passato per la camera di Edward, Jasper non l'aveva notato solo perché era sceso di corsa e il padre lo aveva lasciato fare. Non entrò neanche in camera del figlio Edward, per interrogarlo su dove si potesse essere cacciato Jasper a quell'ora, semplicemente scese in cucina e decise di prepararsi la sua camomilla, avrebbe atteso il rientro del figlio in silenzio. Stavolta era arrivato il momento delle spiegazioni e Jasper non l'avrebbe scampata.

Ignaro di tutto, il giovane Cullen, era arrivato al locale, poco fuori dalla cittadina, che Emily gli aveva detto al telefono, quando lo aveva chiamato in cerca d'aiuto. Era uno di quei locali a cui loro non dovevano assolutamente avvicinarsi secondo Carlisle, anche perché potevano entrare solo chi aveva ventuno anni compiuti.
Scese dall'auto ed entrò, mostrando al buttafuori un documento falso, cosa che a quell'omone vestito di nero non destò sospetti, se dei ragazzini stupidi volevano rovinarsi la vita di certo non era sua la colpa.
Cercò Emily tra i mille ragazzi, la maggior parte sotto i ventuno anni, sparsi nel locale e la trovò, seduta al bar, che a malapena si reggeva in piedi.
“Emily!” la chiamò, andandole incontro, in tempo per sorreggerla, stava per cadere dalle sgabello. La ragazza si buttò tra le sue braccia e iniziò a piangere sussurrando frasi senza un vero e proprio senso logico, ma che davano l'idea di scuse.
“Ehi. Ti porto a casa, vieni” le disse, cercando di sovrastare il rumore della musica, lei annuì piano, lasciandosi completamente andare tra le sue braccia.
“Ehi, ragazzino! Non se ne può andare senza pagarmi e bere ciò che mi ha chiesto di servirle!” gridò il barman e, vedendo la stazza di quell'uomo, Jasper si disse che avrebbe perso in partenza qualsiasi scontro fisico. Guardò Emily, in quello stato non avrebbe sopportato nemmeno un'altra goccia dall'alcool e decise che un bicchiere di birra di certo non lo avrebbe mandato in ospedale.
“Faccio io” rispose e porse alcuni soldi che il barman prese con poca grazia dal bancone, dopo aver incassato il denaro gli indicò il bicchiere con il liquido che Emily gli aveva ordinato. Jasper lo prese tra le mani e, sotto lo sguardo indagatore dell'uomo, lo bevve tutto. Il barman sorrise soddisfatto e lui poté scortare Emily fuori da quell'orrendo locale.

Erano già arrivati accanto alla macchina di Jasper, quando quest'ultimo iniziò a sentirsi male. La testa gli girava e non riusciva più a reggere Emily, aprì la portiera dietro per farla distendere e lui si sedette, con non poca fatica, al lato del guidatore. Stava sudando freddo e il pensiero che in quel bicchiere non ci fosse solo birra iniziava a farsi spazio nella sua mente. Guardò Emily e notò che faceva fatica a respirare, così prese il cellulare in mano e compose il numero dell'unica persona che avrebbe potuto aiutarlo. Suo padre.
“Jasper! Si può sapere dove sei?” quasi urlò il dottor Cullen, con tono severo e autoritario, al quale il ragazzo non fece caso.
“Ho bisogno di te, papà!” sussurrò al telefono, quando la voce, piena di rabbia e preoccupazione, del padre gli arrivò all'orecchio. Fu un attimo e tutto divenne nero. 



-Salve! :)
Spero che abbiate trascorso delle ottime vacanze e che siate carichi per darmi la vostra opinione su questo capitolo.
Non so esattamente cos'altro dire se non un immenso grazie a tutto coloro che continuano a sostenere questa storia. È solo merito vostro se questa storia continua ad andare avanti, ormai fanno tutto i personaggi io non decido più nulla! Ahahah

Alla prossima! Un bacio <3

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Hospital ***


Edward se ne stava seduto nella sala d'attesa dell'ospedale. Aspettando risposte, aspettando suo padre, aspettando la verità.
Era successo tutto così in fretta che solo adesso si concesse il tempo di metabolizzare. Suo padre era entrato in camera sua correndo come un razzo, senza neanche bussare, lui che lo faceva sempre. Gli aveva chiesto dove fosse Jasper e, prima che lui avesse il tempo di rifargli qualche buona scusa per coprire il fratello, Carlisle lo aveva gelato con le sue parole. Mi ha chiamato, sta male e ha bisogno d'aiuto. Il maggiore non ebbe neanche il tempo di realizzare quanto le parole del padre fossero piene di preoccupazione, che subito mise in moto il cervello per ricordarsi dove erano andati a recuperare Emily quella stessa mattina.
Poi mi dovete spiegare come conoscete questo posto! Gli aveva detto Carlisle, con tono freddo, in macchina, mentre lo guidava verso il locale poco fuori Forks, un posto a cui loro non avrebbero mai dovuto neanche avvicinarsi secondo la volontà paterna. Edward si era limitato ad annuire, continuando a dare le giuste indicazioni. Sapeva di non poter replicare, conosceva il padre eppure non lo aveva mai visto in quel mondo, neanche la sera di quella festa dove lui e Jasper erano andati lo stesso. Era un misto di nervosismo, rabbia e preoccupazione, quest'ultima talmente forte che, Edward l'avrebbe giurato, stava quasi per rompere il volante dell'auto.
Avevano trovato Jasper, una volta arrivati lì, accasciato all'auto, senza sensi, sembrava morto ed Edward ebbe un colpo al cuore. Carlisle, aveva fatto forza sul suo essere medico, ed era corso a soccorrere il figlio, controllando i segni vitali. C'è battito. Parole che ad Edward suonarono come una meravigliosa melodia, mentre il suo cuore riprendeva a battere. Aveva preso al volo il cellulare e aveva composto rapidamente il numero per chiamare un'ambulanza, mentre il padre controllava Emily e Jasper che non ripreso conoscenza neanche un secondo.
Ancora adesso, dopo quattro ore, né suo fratello né Emily si erano svegliati e ad Edward sembrò di essere tornato indietro nel tempo, quando accanto a lui c'era Jasper e quella che doveva svegliarsi era Esme. Non avrebbe retto ad un altro dolore, non avrebbe superato un'altra perdita e, ne era sicuro, neanche Carlisle era pronto ad un nuovo dolore. Perdere un figlio è una sofferenza che un genitore non dovrebbe mai provare. Dovrebbero essere i figli a seppellire i genitori, non il contrario. La morte di un figlio non si può mai superare.
Edward stringeva ossessivamente la mano di Bella, era stanca e portava ancora addosso i decimi della febbre che l'aveva costretta a letto nelle ultime settimane, ma non era intenzionata a lasciare il suo ragazzo da solo.
“Devi avere fede, andrà tutto bene” gli sussurrò, dopo un silenzio che parve infinito. Edward, al contrario di quello che pensasse la ragazza, si rabbuiò.
“Avere fede? E chi dovrei pregare? Lo stesso Dio che ci ha strappato via nostra madre quando avevamo poco più di dieci anni?” l'attaccò, nonostante Bella non avesse nessuna colpa in quell'assurda situazione. La ragazza stette in silenzio e si limitò ad abbracciarlo, se solo ci fosse stata Alice al posto di Jasper, lei sarebbe impazzita, quindi poteva capire perfettamente ciò che il suo fidanzato stesse provando.
“Quella poca fede che avevo, l'ho persa anni fa, Bella. Se Jasper si sveglierà sarà solo merito dei medici e della sua volontà.” disse, accarezzandole i capelli. Quegli stessi capelli che aveva baciato mille volte, che amava per la loro morbidezza e per il profumo alla vaniglia.
“Okay. Solo, credimi quando ti dico che andrà tutto bene, per favore.” lo supplicò Bella, stringendogli la mano, senza rompere l'abbraccio che li univa.
“D'accordo” sussurrò Edward e, prendendole il viso tra le mani, le lasciò un bacio leggero sulle sue labbra candide e perfette.

“Volenti no, dovete prendere un caffè!” esclamò Julia, presentandosi con in mano due bicchieri stracolmi di caffeina, destinati a suo marito e Carlisle.
“Grazie, tesoro” disse Mark, alzandosi dalla sedia per darle un delicato bacio. Era completamento esausto, ma Julia sapeva che non sarebbe mai riuscita a convincerlo a staccare finché Emily non si sarebbe svegliata.
“Grazie, Julia” anche Carlisle la ringraziò, accompagnando la sua esclamazione con un cenno del capo. La donna sorrise e si sedette, ormai libera, accanto al marito.
“Come stanno?” chiese, dopo qualche minuto in cui li aveva lasciati tranquillamente a bere il loro meritato caffè.
“Emily è stabile, sto aspettando gli esami del tossicologico per capire che cosa ha ingerito.” rispose Carlisle per primo. Per conflitto di interessi, Carlisle non aveva potuto prendere in cura suo figlio e Mark sua nipote, così avevano deciso di scambiarsi. Si fidavano ciecamente ognuno delle conoscenze mediche dell'altro.
“Stesso discorso per Jasper. Se non sono sicuro di quello che ha in corpo, non posso fare niente di più.” fu il turno di Mark, entrambi avevano spiegato a grandi linee ciò che si erano detti in termini medici qualche minuto fa.
“Vi prego, quando si sveglieranno non fatevi trovare con quelle facce da funerale!” esclamò Julia, dopo aver fissato per qualche secondo prima Carlisle e poi il marito. I due non fecero a meno di sorridere.
“Julia. Hanno fatto una stupidaggine e lo sai bene” replicò Mark, chiamandola con il suo nome, cosa che faceva raramente, con tono grave.
“Mark. Sono solo dei ragazzi e, come tali, è scientificamente testato che è normale fare delle cazzate alla loro età” ribatté Julia, si sentiva in dovere di difendere la piccola parte di ragazza che non l'aveva abbandonata e che, secondo lei, i due uomini stavano dimenticando.
“Andiamo! Siete pronti a giurare di non aver mai ingerito sostanze di dubbia provenienza quando eravate al collage o al liceo? Non credo proprio che eravate degli studenti modello. Tu di certo no!” aggiunse, indicando il marito dopo aver pronunciato l'ultima frase, cosa che fece sorridere Carlisle.
“Penso che la cosa che ci ferisca e ci faccia infuriare di più non è il fatto che abbiano provato o meno cose di dubbia provenienza, ma che non si siano fidati di noi. Chissà di quante bugie ci hanno riempito solo nell'ultima settimana!” fu il dottor Cullen a parlare e a Julia toccò il silenzio, non avrebbe mai potuto replicare su una cosa così. Mentire alle persone che ami e, quando queste persone lo scoprono, è la cosa che ferisce di più. Fa più male di cento coltelli conficcati nella schiena.

Alice era rimasta a sorvegliare Jasper per tutto il tempo, non era uscita neanche una volta dalla stanza dove si era precipitata quando il dottor Anderson le aveva dato il via libera.
Quando Jasper si svegliò, l'odore tipico dell'ospedale fu la prima cosa che sentì, seguito subito dopo dall'inconfondibile profumo alla fragola di Alice. Voltò piano la testa, era come se pesasse una tonnellata, e la vide, seduta accanto a lui con la testa appoggiata alla sua mano. Respirava profondamente e piano, segno evidentemente che si era appisolata. Il ragazzo sorrise e non fece a meno di pensare a quanto potesse essere bella anche con i capelli in disordine e il trucco colato. “Amore...” disse, usando tutta la voce che aveva in quel momento e il suo richiamo si perse in un sussurro, ma che Alice sentì subito. All'inizio credette di star sognando, ma quando lo udì più di una volta aprì gli occhi trovando un Jasper sveglio e sorridente ad accoglierla.
“Sei sveglio! Sei salvo!” esclamò, urlando disperatamente ed iniziando a piangere a dirotto senza neanche rendersene conto. Senza pensarci gli si buttò addosso, baciandolo come se non lo vedesse da anni e riempiendolo di carezze.
“Ehi. Sono felice anch'io di vederti” disse Jasper, con lo stesso tono basso di prima, aveva la gola secca, come se non bevesse da giorni interi. Ricordava poco e niente di quello che era successo e sul perché si trovasse lì, ma una cosa gli era rimasta impressa. La telefonata al padre era l'ultima cosa che aveva fatto prima di perdere i sensi, quella non l'aveva dimenticata.
“Devo andare a dirlo al dottor Anderson e a tuo padre, devo correre!” esclamò Alice, ma la mano di Jasper sul suo braccio le bloccò qualsiasi movimento.
“C'è così tanta fretta? Non sono ancora del tutto pronto ad affrontare un padre infuriato e un dottore che pretende chiarimenti su quello che è successo a sua nipote.” replicò il giovane Cullen, supplicando, attraverso gli occhi, Alice di aspettare ancora qualche minuto prima di andare a chiamare gli altri.
“Cosa ti fa pensare che io non sia furiosa con te?” domandò la ragazza, alzando un sopracciglio, morendo lentamente sotto gli occhi da cucciolo del suo fidanzato, sapeva che a quello sguardo non avrebbe resisto.
“Se tu fossi arrabbiata con me, non mi saresti saltata addosso in quel modo poco fa” rispose il ragazzo, sorridendo nonostante il mal di testa epico che lo attanagliava.
“Okay, punto per te. Comunque tuo padre è letteralmente terrorizzato e anche Edward, penso che lascerà le spiegazioni e i rimproveri a quando ti sentirai meglio” disse Alice, sospirando, poteva immaginare come Jasper si sentisse in quel momento, ma era stata dall'altra parte e aveva provato la stessa paura di perderlo che avevano ancora Carlisle ed Edward, non sapendo che si fosse svegliato.
“Ti amo, lo sai?” chiese, d'un tratto, Jasper, dopo aver pensato per qualche secondo a chissà cosa. La ragazza sorrise e, dopo avergli donato un romantico bacio, uscì dalla stanza per dare la buona notizia al resto del gruppo.

I due dottori avevano appena ricevuto i risultati dei test tossicologici sui loro pazienti.
“Jasper ha un livello abbastanza concreto, anche se minimo, di MDMA o, più comunemente, ecstasy, nel sangue. Il suo corpo dovrebbe smaltirla senza problemi.” disse il dottor Anderson, annunciandolo sia a Carlisle che a Julia, adesso seduta accanto ad Edward e Bella che li avevano raggiunti poco fa.
“Emily ha un livello molto alto, invece, della stessa sostanza. Ne ha ingerito di più e non solo MDMA, guarda.” fu il turno del dottor Cullen, che dopo aver letto attentamente i risultati li passò a Mark, prendendo in mano quelli del figlio.
“Perché quella faccia?” domandò Julia che, avendo notato il cambio repentino di espressione del marito, si era alzata per andargli accanto.
“Ha molto alcool in circolo che rallenta lo smaltimento dell'ecstasy nel sangue. In parole povere il suo corpo è più danneggiato rispetto a quello di Jasper, ci vorrà più tempo prima che si risvegli.” rispose l'uomo e le sue parole gelarono i presenti, tranne Edward che un po' se lo aspettava. La cosa non sfuggì a Carlisle che gli lanciò uno sguardo molto eloquente, aveva capito che anche Edward sapeva qualcosa in più su Emily, sicuramente Jasper si era confidato con lui.
“Ma si sveglierà, giusto? Voglio dire, non è grave, vero?” chiese Julia, in preda al panico, amava quella ragazza come se fosse sua figlia.
“Certo, si sveglierà. E, ti giuro sulla mia vita, che non farà mai più una cosa del genere.” sentenziò Mark e Julia capì quanto suo marito fosse deluso e furioso con la nipote. Silenziosamente Carlisle si era fatto la stessa promessa.



-Salve a tutti! :)
Piccola informazione:
Vi ricordo che Carlisle e Mark sono convinti che Emily e Jasper abbiano preso di loro spontanea volontà l'ecstasy. Non sanno che è tutta colpa del barman, ma lo scopriranno presto, tranquilli.
Spero che il capitolo non vi abbia deluso e aspetto con ansia le vostre recensioni! ;)
Alla prossima! Un bacio <3

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Brothers ***


Alice aveva ascoltato la conversazione tra i due medici, dietro di loro, in silenzio. Aveva pensato per interi minuti a come dire che Jasper si era già svegliato. Il pensiero di lui, solo, disteso sul letto dell'ospedale ad aspettare l'entrata furiosa del padre, le fece perdere un battito.
“Dottor Anderson, posso parlarle un minuto?” chiese di getto. In fondo a lei spettava dirlo al medico che lo aveva in cura, non di certo a tutta la famiglia.
“Certo, Alice. Seguimi” rispose cordialmente, guidandola verso un punto un po' più isolato rispetto alla stanza dov'erano tutti.
“Jasper si è svegliato. Senta, so che quello che ha fatto è sbagliato, molto e lo sa anche lui, deve credermi. Non penso però che quello di cui abbia bisogno adesso sia una sfuriata da parte di suo padre.” disse Alice, una volta soli. Aveva cercato di spiegare il più semplicemente possibile le sue convinzioni. Jasper non era pronto a confrontarsi con Carlisle, nonostante quest'ultimo avesse tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiato col figlio.
“Hai ragione, Alice. Parlerò con Carlisle, ma penso che lui già lo sappia, è un buon padre. Ora però devo andare a controllare Jasper.” spiegò Mark, aveva ascoltato attentamente il discorso di Alice e notò che non aveva nessuna pecca. Ora l'importante era che Jasper e Emily stessero bene, poi avrebbero avuto tutto il tempo per rimproverarli e pretendere spiegazioni.
La ragazza sorrise e si scansò per lasciar passare il medico, poi uscì anche lei dalla stanza. Raggiunse gli altri e si sentì lo sguardo di Edward puntato addosso, sicuramente aveva capito che nascondeva qualcosa, ma Alice rimase della sua convinzione. Toccava al dottor Anderson comunicare a loro del risveglio di Jasper.

Il giovane Cullen rimase particolarmente sorpreso quando vide entrare nella sua stanza Mark, forse un po' avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo sapeva che il padre non avrebbe mai potuto prenderlo in cura per conflitto di interessi. L'uomo aveva iniziato a fargli domande di ogni genere medico, se accusava dolori o se la testa gli faceva male, come si sentisse e cose così, con un tono distaccato e professionale che Jasper non aveva mai sentito. Quel tono scherzoso che usava durante le cene insieme era ben lontano, ma il ragazzo non replicò e si limitò a rispondere solo se interpellato.
“Come sta Emily?” domandò, dopo una buona mezz'ora. Ci aveva rimuginato su un bel po' prima di porre quella domanda.
“Non si è ancora svegliata se è quello che vuoi sapere. Il suo corpo non ha ancora smaltito l'effetto dell'ecstasy” rispose Mark, freddamente. Jasper impiegò più del dovuto prima di assimilare a pieno la risposta. Ecstasy. Ecco ciò che c'era in quel dannato bicchiere che gli aveva fatto perdere i sensi. In quel momento realizzò che, molto probabilmente, Mark e suo padre pensassero che i due l'avessero ingerita di loro spontanea volontà.
“Allora quello c'era nel bicchiere” si affrettò a replicare, in modo che almeno Mark capisse che loro non sapevano nulla di quella sostanza maligna.
“Come? Vi andate ad ubriacare e drogare e non sapete nemmeno cosa prendete? Complimenti!” esclamò il dottor Anderson con tono di rimprovero, negare davanti l'evidenza lo faceva ancora di più infuriare.
“Non hai capito, Mark. Io e Emily non sapevano che ci fosse dell'ecstasy nel bicchiere, ti prego di credermi. Non ne eravamo a conoscenza, sul serio!” ribatté Jasper. Se suo padre era convinto di una cosa del genere allora non gli avrebbe più rivolto la parola, di questo ne era certo.
“Ti prego, Jasper. Non pensi di aver già raccontato abbastanza bugie?” replicò il dottor Anderson, guardandolo severo. Davvero credeva di poterlo prendere ancora in giro?
“Mark. Credimi, ti prego. Ha fatto tutto il barman di quello stupido locale! Senti, lo so che abbiamo fatto un enorme cazzata, okay? Ma, ti giuro, che non abbiamo preso consapevolmente l'ecstasy! Io non lo farei mai!” disse Jasper, cercando di mantenere un contegno, la testa continuava a martellare. Fissò quello che era come uno zio per lui negli occhi, sperando vivamente che le sue parole l'avessero convinto. C'era tempo per le spiegazioni su quello che stava passando Emily, ma questo non poteva aspettare. Mark e suo padre dovevano sapere che loro non avrebbero mai preso l'ecstasy o qualsiasi altra droga, in nessun caso.
“Ti credo.” quelle parole fecero togliere a Jasper un enorme peso dal cuore. L'uomo aveva fissato negli occhi il ragazzo per più di dieci minuti prima di rispondere e in quello sguardo aveva letto sincerità.

Toccò ad Edward entrare nella stanza del fratello, dopo che Mark aveva detto ai presenti che Jasper si era svegliato.
“Non so se preoccuparmi o meno del fatto che papà non sia qui!” esclamò il ragazzo, non appena vide entrare il fratello. Questi non rispose e si sedette sulla sedia posta vicino al letto.
“Papà, insieme a Mark, stanno pensando di avviare una denuncia contro il barman di quel locale. Ora c'è Charlie con loro” spiegò Edward, dopo aver guardato per un paio di minuti il fratello negli occhi. Con lui non doveva fingere che andasse tutto bene, con lui avrebbe potuto essere semplicemente se stesso.
“Ho fatto un casino, Ed!” disse, poggiando la testa sul cuscino, con fare rassegnato. Edward sorrise, la paura di perderlo aveva minimizzato ogni cosa. Tutto è insignificante davanti alla possibilità di perdere una persona cara.
“Lo so. Jazz, niente è irreparabile, questo dovrebbe consolarti” replicò il maggiore. Lui sapeva bene che cosa significasse sfidare i propri limiti e la scena dello scontro con suo padre era ancora indelebile nella sua mente.
“Con te è diverso. Tu non sei finito in un letto d'ospedale per aiutare un'amica.” ribatté Jasper, alzando piano la testa. Nonostante il dolore fosse diminuito gli faceva ancora male.
“Diciamo che il motivo è diverso, ma il risultato è quello. Io ho recuperato il rapporto con papà e, in parte, è merito tuo. Si sistemerà tutto, devi solo avere pazienza.” disse Edward e aveva parlato col cuore in mano. Per quanto suo padre potesse essere arrabbiato o deluso con loro, prima o poi tutto sarebbe tornato al proprio posto. Questa era una delle poche certezze che aveva.
“Non ho fatto altro che mentirgli, Ed. Pensavo di potermela cavare da solo, che sarei riuscito ad aiutare Emily...” avrebbe voluto dire di più, ma sapeva che con Edward non aveva bisogno di parole. Lui aveva capito come si sentiva, entrambi capivano subito quello che l'altro provava.
“Ora ti sembra tutto così difficile e irreparabile, ma devi stare tranquillo. Spiegagli i tuoi motivi, fagli capire quanto tu ti senta in colpa per tutto questo e accetta le conseguenze, perché non posso prometterti che non ci saranno.” disse il maggiore, cercando di trasmettergli tutto il suo appoggio tramite un sorriso. Di riflesso anche Jasper sorrise, Edward era l'unico che poteva arrivare a lui, anche dove neanche Alice ci riusciva. Forse era questo il vero significato dell'essere fratelli. Avere una conoscenza dell'altro migliore di quella di se stessi.


 

-Salve a tutti! :)
Non ho descritto la scena tra Carlisle e Jasper o tra Mark e Emily, perché ho intenzione di dedicargli un intero capitolo. Mi sembrava molto confuso mettere tutto insieme e preferisco analizzare piano piano tutti i dialoghi, dividendoli in vari capitoli.
In questo ho raccontato quello tra Edward e Jasper, nel prossimo non lo so ancora (molto probabilmente quello tra Carlisle e Jasper che tutti voi state aspettando)
Ringrazio, come sempre, tutti quelli che continuano a leggere e recensire questa storia. Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima! 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Face to Face ***


Edward era uscito dalla camera di Jasper dopo una buona mezz'ora quando trovò suo padre seduto poco fuori l'ospedale. Si sedette accanto a lui, facendo il minimo rumore.
“Quando Charlie mi ha chiamato per dirmi che ti aveva arrestato, non sapevo che cosa pensare. Ero, allo stesso tempo, arrabbiato e preoccupato. Mio figlio era stato coinvolto in una rissa. Questo pensiero mi ha tormentato per tutto il tempo. Sai cosa ho pensato subito dopo? Sarebbe potuta andare molto peggio. Se solo tu avessi varcato la soglia di questo ospedale e io ti avessi visto in fin di vita...probabilmente sarei impazzito. Non avrei saputo come comportarmi e avrei dimenticato qualsiasi nozione medica.” il dottor Cullen stava dando sfogo a tutto ciò che aveva tenuto per sé ed Edward lo stava ascoltando, in silenzio.
“So che ciò che è successo a te è totalmente diverso da ciò che è capitato a tuo fratello. Io ho paura, Edward. Ho il terrore di perdervi...” fece una pausa e scacciò indietro le lacrime. Non doveva piangere davanti a suo figlio.
“Non sono ancora entrato in camera di Jasper, perché non so come comportarmi. Non so se essere arrabbiato o abbracciarlo perché sono felice che si sia svegliato. Io non so come mi sento e non so che cosa dirgli.” terminato il suo monologo, Carlisle si portò entrambi le mani in faccia. La stanchezza non gli pesava quanto il non sapere cosa fare.
“Papà. Tu devi essere esattamente come sei sempre stato. So che riuscirai a trovare le parole giuste, lo fai sempre. Sei il padre migliore che dei figli possano avere e lo penso sul serio.” disse Edward e con un braccio strinse le spalle di suo padre. Le stesse che sembravano portare il peso dell'intero mondo, senza nessun lamento.
Carlisle abbracciò suo figlio, se solo avesse perso uno di loro sarebbe impazzito. Loro erano l'unica ragione per cui continuava a svegliarsi la mattina.

Quando Carlisle entrò nella stanza del figlio, senza bussare, trovò Alice insieme a lui. La sua fidanzata era stata accanto a Jasper, più di quanto non avesse fatto lui. Che razza di padre era?
“Alice. Puoi lasciarci soli, per favore?” domandò, mascherando con un sorriso i sentimenti contrastanti che lo stavano invadendo da ore.
“Certo, dottor Cullen” rispose Alice, alzandosi subito. Si chinò verso Jasper e gli lasciò un bacio sulla guancia, sorridendo per diffondergli tranquillità, aveva capito che si era agitato alla vista del padre. Carlisle prese il posto della ragazza, quando questa lasciò la stanza. Si schiarì la gola e rifletté un'altra manciata di secondi su che cosa dire.
“Quando andavo al liceo parlavo pochissimo di ciò che mi succedeva con i miei genitori. Il più delle volte mi confrontavo con i miei più cari amici o con qualsiasi altra persona. L'importante era che i miei genitori non sapessero niente. Speravo di non aver costruito, con te e tuo fratello, lo stesso rapporto distaccato che io avevo con i miei. Per loro l'importante era che stessi bene e che andassi bene a scuola, guai a portare una sola insufficienza.” le sue parole stupirono Jasper, si sarebbe aspettato urla disumane su che diavolo gli fosse saltato in mente o qualcosa di simile. Mai avrebbe immaginato un racconto sul rapporto difficile che il padre aveva avuto con i suoi genitori.
“Speravo, con tutto me stesso, di aver costruito un rapporto basato sulla fiducia reciproca. Così che i miei figli, se mai avessero avuto bisogno, si sarebbero sentiti in dovere di chiedermi aiuto. Di non mentirmi. Che con me avessero quella sicurezza che io non ho mai avuto...Evidentemente mi sbagliavo.” una volta finito il discorso, Jasper capì dove volesse andare a parare. La gola iniziava a bruciare e cercò di parlare come meglio potesse.
“Papà, mi dispiace per tutto. È vero, ti ho riempito di bugie nelle ultime settimane e non ti ho chiesto aiuto. Ma non perché non mi fidassi di te, semplicemente credevo di poterla gestire. Di riuscire ad aiutare Emily senza che la situazione degenerasse” disse il giovane Cullen, d'un tratto interessato al colore bianco pallido del lenzuolo.

“E che cosa hai ottenuto?” domandò, con tono aspro, Carlisle. Ora la rabbia iniziava a farsi sentire e Jasper lo capì dal rapido cambio del tono della voce.
“Ciò che non volevo ottenere” rispose, con tono lieve e dispiaciuto, il ragazzo. Se avesse perso il bel rapporto che aveva con suo padre non se lo sarebbe mai perdonato.
“Qualsiasi rimprovero, qualsiasi parola per spiegarti come mi sento, sarebbe vana, Jasper. Ciò che ho vissuto qualche ora fa è stata la realizzazione di uno dei miei peggiori incubi!” esclamò il dottor Cullen, in fondo sapeva che alzare il tono della voce non sarebbe servito a niente, eppure non riuscì a controllarsi.
“Io ci provo, Jasper! Provo ogni giorno a mettermi nei vostri panni, cercando di non dimenticare che anch'io sono stato ragazzo e ho fatto delle stupidaggini. Ho commesso degli errori, non posso negarlo, ma ho anche accettato le conseguenze delle mie azioni. Sono andato a qualche festa a cui non avevo il permesso di andare, ho bevuto qualche birra in più e sono rientrato a casa tardi rispetto al coprifuoco. Sono cose che si fanno e lo capisco!” continuava a sostenere un tono di voce un po' alterato e la cosa iniziava ad intimorire Jasper.
“Io non ho fatto altro che capirvi, ma stavolta non ci riesco. Ci ho provato, credimi, con tutto me stesso, ma il pensiero che continua a tormentarmi è solo uno: Perché non si è fidato di me? Perché non mi ha chiesto aiuto? Rispondi a queste domande, perché mi stanno torturando!” esclamò Carlisle, incitando il figlio a rispondere, alzandosi dalla sedia, non riusciva più a rimanere seduto. Stavolta era lui ad avere bisogno di chiarimenti.
“Pensavo di potercela fare da solo, papà.” rispose, nel modo più innocente e semplice, cercando di mascherare la paura. Si aspettava che il padre fosse furioso e pensava di essere pronto ad affrontarlo, ma si sbagliava.
“Allora è questo il problema. Quando capirai che non sei solo? Che io sono qui per aiutarti, sostenerti e consigliarti? E continuerò a farlo finché ne avrò la forza!” replicò il dottor Cullen, voleva che il figlio capisse una volta per tutte di non essere solo quando si presentavano problemi più grandi di lui.
“L'ho capito, papà, devi credermi. Ho capito di aver commesso un enorme errore a non cercare il tuo aiuto. Ora ho bisogno di capire che pur avendoti deluso così tanto, tu continuerai a rimanere accanto a me e ad essere il padre meraviglioso che sei sempre stato!” ribatté Jasper, dando sfogo a ciò che aveva in corpo. Cogliendo al volo la possibilità di dare libera voce alle sue paure in quell'inevitabile faccia a faccia.
“Per quanto tu mi possa far infuriare, io non smetterò mai di camminare al tuo fianco e sostenerti quando cadrai.” disse Carlisle, ritornando al tono di voce calmo e pacato che Jasper si scoprì di amare. L'uomo abbracciò il ragazzo stringendolo saldamente a sé.
“Ti voglio bene, papà. Scusa!” esclamò il giovane Cullen, beandosi di quella stretta che il padre gli dedicò.
“Ti voglio bene anch'io, figliolo. Ciò non toglie il fatto che sei in punizione!” replicò Carlisle, cercando di mantenere un tono serio.
“Lo so!” ribatté Jasper, ridendo piano. Una risata che contagiò anche il dottor Cullen. Non aveva perso suo padre, del resto non gli importava.


 

-Ci ho messo un bel po' prima di convincermi a pubblicare. Non sapevo se avessi descritto al meglio Carlisle e l'intera situazione. Spero tanto che il dottor Cullen non vi abbia delusi!
Aspetto con ansia le vostre opinioni e ci sentiamo al prossimo capitolo!
Baci :*

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** We are family, now ***


Mark sostava davanti alla porta della stanza della nipote da più di mezz'ora. Il dottor Cullen gli aveva detto che si era svegliata e che i parametri erano positivi, dandogli il via libera per vederla. Lui lo aveva ringraziato e si era avviato spedito verso la camera, per poi fermarsi a osservarla. Aveva gli occhi chiusi, ma non stava dormendo seriamente e lo capì dalla bocca chiusa, di solito l'aveva sempre un po' aperta quando dormiva. Lo aveva notato in quelle poche volte che la guardava dormire la notte, durante le prime settimane che si era trasferita da lui. Una notte aveva finto di dormire, evidentemente lo aveva sentito arrivare, così lui finse di allontanarsi e la trovò con cellulare in mano alla ricerca di chissà cosa. Fu la prima volta nel quale la rimproverò e la minacciò di toglierle il telefono durante la notte. Per lui il sonno era sacro, senza un ottimo riposo e una ricca colazione nessuno poteva iniziare la giornata. Pensare che adesso era lui che non chiudeva occhio da giorni.
La sua espressione mortificata non l'aveva dimenticata ed era sicuro che, quel giorno, l'avrebbe rivista.
Entrò facendo il minimo rumore, ma l'orecchio fine di Emily lo avvertì lo stesso. Non aprì gli occhi, sperando di ingannarlo, non era pronta ad affrontarlo.
“So benissimo che non stai dormendo!” esclamò Mark, appena si sedette accanto al letto. La ragazza aprì gli occhi, ormai rassegnata. Non avrebbe mai abboccato.
“Ascolta. Prima che inizi una predica senza fine, voglio dirti che mi dispiace. Ho fatto una gran cazzata e ho anche coinvolto Jasper nei miei casini. So di non essermi comportata bene e ti chiedo un milione di volte scusa!” disse Emily, credendo di fermare sul nascere qualsiasi ramanzina. Suo zio era di tutt'altre vedute.
“Credi di cavartela così?” replicò l'uomo, fissandola duramente negli occhi. Credeva davvero di poter cancellare tutto con delle semplici scuse? E le ore passate a preoccuparsi, a tormentarsi e a chiedersi che diavolo le fosse saltato in mente, chi gliele avrebbe restituite?
“Sapevo che sarebbe stato difficile. Occuparsi di una ragazza in piena adolescenza e con tanti grilli per la testa. Ero preparato ad ogni evenienza, tranne a questa. Ora te lo devo chiedere, altrimenti rischio di impazzire: Che diavolo ti è saltato in mente, Emily? Spiegamelo, ti prego!” esclamò il dottor Anderson, mantenendo un tono di voce abbastanza alterato. La nipote rabbrividì, non l'aveva mai visto così.
“È iniziato tutto una sera, quando ho sentito alcuni ragazzi parlare di quel locale. Non volevo andarci, ma una piccola parte di me ha preso il sopravvento e ci sono andata lo stesso. Così ho ordinato un bicchiere d'acqua, ma il barman mi ha sorriso portandomi una birra. L'ho bevuta e quella è stata la prima di un circolo vizioso, non sapevo più come uscirne. Volevo parlatene, ma sapevo che ti avrei deluso, così mi sono detta che se ce l'avessi fatta da sola allora avrei dimostrato a me stessa quanto fossi forte e magari, quando te lo avrei confessato, saresti stato fiero di me.” rispose Emily, non smettendo mai di torturare il lenzuolo bianco che la copriva dalle gambe fino al busto. Mark sorrise amaramente, le cose dovevano cambiare.
“Devi imparare a fidarti di me, Emily. A dirmi la verità sempre e comunque, perché verrà in ogni caso fuori. Non devi dimostrare niente a nessuno, tanto meno a te stessa o a me. Sei speciale e unica così come sei, non hai bisogno di essere più coraggiosa o altro. Lo sei già, hai affrontato tutto ciò che ti è successo sempre col sorriso. Sei inciampata nelle tue stesse scarpe, dovevi parlarne con me di quello che ti stava accadendo e non cercare risposte nell'alcool.” disse Mark, stringendole una mano. Quello che stava passando e ciò che aveva dovuto affrontare avrebbero fatto vacillare tutti, doveva accettare che il dolore va sfogato in altri modi. Non facendo del male a se stessi.
“Lo so, mi dispiace. Avevo bisogno d'aiuto e credevo che cercarlo fosse da deboli, però ora ho capito e ti chiedo aiuto zio. Ho bisogno di te!” esclamò Emily, nonostante la voce leggermente impastata. Fissò suo zio negli occhi, il pensiero di averlo deluso le tormentava il cuore. Non avrebbe mai voluto farlo.
“Non credere che delle scuse e questi discorsi strappalacrime, ti risparmieranno una punizione!” ribatté Mark, chinandosi per abbracciarla. La ragazza rise piano, lasciandosi andare nelle braccia dell'uomo.
Julia, che non si era persa neanche un minuto della conversazione, si commosse a quella tenera scena.

Quando Mark uscì dalla camera, fu Julia ad entrare, dopo essersi scambiata un bacio col marito in modo che lui sapesse quanto fosse feria di averlo sposato.
“Ehi, come stai?” chiese con tono dolce, mentre chiudeva delicatamente la porta, per poi avviarsi alla sedia accanto al lettino.
“Sono stata meglio” rispose Emily e la conversazione sembrò finire lì. La ragazza teneva la testa bassa, sapeva di aver deluso anche a lei e aveva paura di incrociare il suo sguardo.
“Mi sento in dovere di chiedere scusa anche a te, Julia. Per tutto” disse la giovane, iniziando di nuovo a tortura il suo povero lenzuolo.
“Smettila!” esclamò Julia, fermandole le mani. Lei non era lì per rimproverarla e farla sentire ancora di più in colpa. Era lì per sapere come stava e per esserle accanto, come amica.
“So che ti dispiace, te lo si legge in faccia. Non sono qui per sentirmi chiedere scusa o rimproverarti, per quello è sufficiente Mark” disse la donna, stringendole le mani. Emily la guardò con aria confusa.
“Sono qui per starti accanto come amica. Credo che è questo che faccia una zia, no? È una specie di complice ed è ciò che voglio essere per te. A fare la parte dell'autoritario una persona basta e avanza, come con due genitori. C'è sempre quello più accondiscendente rispetto all'altro.” tentò di spiegare Julia. La ragazza sorrise e annuì, era felice di avere qualcuno accanto che non la guardasse come se avesse ucciso qualcuno.
“Quanto tempo ci vorrà, Julia? Prima che zio si fidi di nuovo di me” domandò con un tono di voce leggermente intimorito, aveva paura che la risposta risultasse tragica.
“Un po'. Devi solo dargli tempo, Emily. Lascia passare qualche settimana e poi, se proprio non cambia niente, allora gli parlerò io” rispose la signora Anderson, facendole un occhiolino d'intesa. Emily rise e l'abbracciò, era fantastico averla accanto. Con lei e Mark accanto non si sarebbe sentita più sola. Aveva capito che avrebbe potuto contare su una nuova famiglia, nonostante quella persa le sarebbe sempre mancata.


 

-Eccomi tornata! :)
Paradossalmente mi è risultato più difficile scrivere questo capitolo che quelli precedenti. So che non c'è nessuno dei personaggi protagonisti, ma mi sembrava doveroso dedicare un intero capitolo a questa nuova famiglia che accompagnerà quelle già note a noi, nei prossimi capitolo.
Spero di non avervi deluso e aspetto con ansia le vostre opinioni!
Un bacio :* 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Back to school ***


Era passata una settimana da quando, sia Jasper che Emily, erano usciti dall'ospedale. Ed ora si preparavano ad affrontare il loro primo giorno di scuola dopo tutto ciò che era successo.

“Sei ancora viva, questo è già un buon segno! Com'è andata?” esclamò Jasper, appena vide Emily davanti l'armadietto alla ricerca del libro perduto.
“Oh beh, probabilmente uscirò di casa quando compirò vent'anni, ma per il resto tutto bene. A te?” domandò, di rimando, Emily. Suo zio non era stato troppo chiaro su quanto sarebbe durata la sua punizione, si era limitato a dire finché non mi dimostrerai che posso fidarmi di nuovo di te.
“Mio padre non è stato molto dettagliato su quando potrò riprendere qualcosa che assomigli ad una vita sociale, però riesce a parlarmi!” esclamò il giovane Cullen. La ragazza sorrise, ancora non le andava giù il fatto di aver coinvolto anche Jasper nei suoi casini.
“Sei stato punito per un mio errore...” sussurrò, chiudendo l'armadietto. Tra poco avrebbero dovuto affrontare il test di matematica che avevano saltato la mattina di quel giorno maledetto.
“No. Sono stato punito per aver mentito, per essere uscito a notte fonda e per essere entrato in un locale del quale non avrei dovuto neanche sapere l'esistenza. Sono cose che ho fatto da solo, tu non c'entri!” replicò Jasper, guardandola negli occhi. Avrebbe potuto lasciarla da sola oppure chiamare suo zio, così non avrebbe alimentato l'ira di suo padre. Era stata una sua scelta, nessuno lo aveva costretto. Emily ricambiò lo sguardo, sorridendo, lui riusciva sempre a infonderle sicurezza.
“Salve, ragazzi! Pronti per il compito?” una voce vellutata spezzò la magia che i loro occhi avevano creato e una Alice saltellante fece il suo ingresso.
“Più o meno. La trigonometria non mi è mai piaciuta” fu Emily a rispondere, schiarendosi la gola. Il cuore le batteva velocemente e fissò rapita Jasper mentre baciava con passione la giovane Swan.
“Oh, sta tranquilla se hai bisogno puoi sempre chiedermi aiuto. Mi siederò davanti a te!” esclamò Alice, in quella materia, come in tutte le altre, i suoi voti erano impeccabili.
“La mia ragazza è un genio, non te lo avevo detto?” domandò Jasper, in tono ironico, baciandole una guancia. Emily finse una risata e tutte e tre si avviarono verso l'aula di matematica.

Due ore più tardi era come se si fossero tolti un grosso peso. Il compito era andato alla grande, almeno secondo il loro punto di vista, e la cosa li rallegrava particolarmente.
“Beh, io vado a ripassare biologia. Edward ha detto che mi dava una mano e mi aspetta in biblioteca. Grazie ancora per quell'esercizio Alice, mi hai salvata!” esclamò Emily, dopo qualche minuti. Alice scosse la testa come a indicare che si trattava solo di una sciocchezza e insieme a Jasper la guardò uscire di scena, per poi avviarsi verso il cortile.
“Venerdì è il mio compleanno” disse Alice, iniziando una conversazione come se fosse un argomento come un altro.
“Lo so...” replicò Jasper, incitandola a continuare con lo sguardo. La ragazza si scostò una ciocca dietro l'orecchio, segno di imbarazzo.
“E tu sei in punizione” continuò, lasciando di nuovo il discorso in sospeso. Il giovane Cullen iniziò a preoccuparsi.
“So anche questo!” affermò lui, soffocando una risata isterica. Dove voleva andare a parare la sua dolce metà? La piega che stava prendendo la conversazione non gli piaceva per niente.
“Stavo pensando, se tu parlassi con tuo padre e lo convincessi a darti il permesso per venire a cenare da me? Ci saranno anche i miei genitori! Non voglio passare quel giorno senza di te.” buttò fuori il resto tutto d'un fiato, spiazzando il suo fidanzato. Jasper sospirò, non aveva ancora ripreso un dialogo con suo padre che gli permettesse di fare certe richieste.
“Posso provarci, ma non ti garantisco niente.” disse, nonostante tutto non sapeva dire di no allo sguardo da cerbiatto della sua ragazza. Alice sorrise, baciandolo, Jasper ricambiò nonostante la preoccupazione che aveva preso possesso della sua mente. Non era per niente sicuro che il padre accettasse, anzi, le probabilità che glielo negasse erano molto alte, forse troppo.

Quando tornarono a casa, Edward e Jasper, la trovarono vuota. Probabilmente il padre era stato trattenuto a lavoro, negli ultimi giorni capitava spesso. Da ciò che avevano capito, pare che avesse un caso delicato tra le mani e che c'entrasse un ragazzo più o meno della loro età. Una cosa era certa: quel paziente non gli faceva chiudere occhio da tre giorni. Lo trovavano sempre di prima mattina, con un tazza di caffè tra le mani, a sfogliare per l'ennesima volta la stessa cartella clinica. Si sentiva in dovere di salvarlo e stava davvero dando tutto se stesso per quel ragazzo che, in fin dei conti, neanche conosceva.

“La voglia di studiare trenta pagine di storia è sotto zero!” esclamò Edward, distogliendo il fratello dai suoi pensieri. Si buttò sul divano, lasciando lo zaino a terra vicino all'appendiabiti accanto alla porta d'ingresso.
“Come lo è la tua voglia di parlare. Che succede?” domandò, dopo qualche minuto, e gli fece segno di sedersi accanto a lui, Jasper non obiettò.
“Alice mi ha chiesto di convincere papà a darmi il permesso per andare a cenare da lei, venerdì. È il suo compleanno e non vuole passarlo senza di me” rispose il minore, rendendo partecipe Edward dei suoi pensieri. Quest'ultimo, per poco, non scoppiò a ridergli in faccia.
“Vi vedrete comunque a scuola, Jazz. Credi davvero che papà ti faccia questa grazia?” replicò, in tono retorico, il maggiore. Neanche la madre, quando erano piccoli, riusciva a convincere il padre a diminuire o concedere qualcosa quando erano in punizione. Era un'impresa persa in partenza.
“Grazie del conforto, Ed. Io lo so e tu lo sai, quella che non sa com'è fatto papà è Alice. Le ho detto che ci avrei provato e ho seriamente intenzione di farlo, tentar non nuoce.” ribatté Jasper, sperava di ottenere un minimo di appoggio fraterno.
“Cosa dovresti chiedermi, Jasper?” domandò, in tono serio, una terza voce maschile, inconfondibile. I due fratelli si voltarono verso la porta e videro il padre fare il suo ingresso, evidentemente non avevano sentito lo scatto della serratura.
“Ehi papà, bentornato! Io ho un sacco di pagine di storia da studiare. Ci vediamo più tardi!” esclamò Edward e, alla velocità della luce, prese lo zaino e corse su in camera sua. Jasper deglutì, stavolta era solo ad affrontare la volontà paterna.

Il mattino seguente, all'entrata dell'edificio scolastico, Jasper fu accolto da una Alice saltellante. Sospirò pesantemente, doveva dirle che non aveva ancora parlato col padre, che era solo un vigliacco e non era riuscito a trovare la forza di affrontarlo. Il giorno prima, quando Edward li aveva lasciati soli, si era dileguato rapidamente anche lui con la scusa di avere molto da studiare e, appena chiusa la porta della sua camera, si era dato mentalmente dello stupido.
“Ciao!” esclamò la ragazza, buttandosi tra le sue braccia. Il giovane Cullen la accolse e, per un attimo, stringendo quel corpicino così fragile, dimenticò tutto il resto del mondo.



-Risorgo dalle ceneri! 
Scusate per l'immenso ritardo, ma tra ritorno a scuola e influenza non ho trovato molto tempo. Poi l'ispirazione non arrivava...insomma un mix perfetto, direi! 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** All for love ***


Jasper passò il resto della mattinata scolastica pensando sempre la stessa cosa. Possibile che non avesse il coraggio di parlare con suo padre?
Era così distratto che fu richiamato più volte durante le lezioni ed una rischiò anche di essere mandato dal preside dal professore di letteratura inglese. Lo odiava talmente tanto che avrebbe fatto di tutto per rovinargli la vita, di questo il giovane Cullen ne era certo.
“Signor Cullen! Ho pensato che, dato che è stato così attento durante la lezione, potrebbe farmi un saggio sull'autore e il libro che ho spiegato oggi. Così agevolerebbe anche i suoi compagni, che ne dice?” il tono era puramente sarcastico e il sorriso malefico stile scienziato pazzo gli dava un'aria leggermente inquietante.
“Certo, professore. Lunedì mattina glielo porterò più che volentieri!” esclamò, resistendo a stento alla voglia di mandarlo a quel paese. Il professor Schuester annuì compiaciuto e andò via dall'aula, quella era la sua ultima ora di lezione.
“Ehi, ti passo i miei appunti, tranquillo. Come mai sei così distratto oggi?” la voce di Alice lo riportò alla realtà, nella sua mente percorrevano le fantasie più macabre sul caro professore.
“Pensieri...” il tono era vago e la ragazza si arrese all'idea di non poterne sapere di più. Si limitò a stringergli la mano, come segno che lei ci sarebbe stata e lo avrebbe appoggiato sempre. Jasper sorrise a quel tocco apparentemente così semplice, ma con un significato di gran lunga più profondo.

Anche il dottor Cullen non era concentrato al cento per cento durante il turno lavorativo. Così aveva deciso di lasciare libero arbitrio al suo specializzando, mettendolo alla prova. Per tutta la mattinata avrebbe fatto le sue veci e, se proprio stava entrando nel pallone, sarebbe bastato chiamarlo e Carlisle sarebbe corso a salvarlo.
“Delle volte è bello avere degli specializzandi!” esclamò Mark, entrando nella sala relax e sedendosi di fronte all'amico.
“Non sei in forze neanche tu, vero?” chiese, di rimando, l'altro, sorridendo stancamente. Il dottor Anderson, per tutta risposta, si passò una mano tra i capelli e tirò un grande sospiro. Non era solo stanco, ma a pezzi.
“Questo caso ci sta facendo impazzire. Dobbiamo salvarlo Carlisle, è solo un ragazzino” disse l'uomo. Un ragazzo di quell'età non si sarebbe dovuto preoccupare di svegliarsi il mattino dopo, avrebbe dovuto preoccuparsi dei compiti in classe, degli amori complicati e allo stesso tempo tanto semplici. Non di certo di quanti giorni gli sarebbero rimasti da vivere.
“Lo so, Mark. Nell'ambito medico stiamo facendo di tutto. So che è difficile da accettare, ma non possiamo fare di più di ciò che stiamo già facendo” replicò Carlisle. A volte la professione di medico ti mette davanti a cose più grandi di te e devi soltanto arrenderti all'idea di non poter fare di più. Per lui non era la prima volta, ma nonostante questo, il solo pensiero che un ragazzo a quell'età dovesse fare i conti con la morte...sono cose alle quali non ci si abitua mai. Per Mark, adesso, era anche più difficile.
“Non riesco a non pensare ad Emily. Come fai a sembrare così indifferente? Non ti vengono in mente, neanche un attimo, Jasper ed Edward?” chiese il dottor Anderson e Carlisle sorrise amaramente. Sapeva che, prima o poi, gli avrebbe posto quella domanda. Era solo questione di tempo.
“Sempre, Mark. Mi vengono in mente costantemente, come tu pensi ad Emily, io non faccio altro che pensare a loro. Solo che se ci lasciamo condizionare allora non potremmo più continuare a fare questo lavoro.” Rispose e Mark si rese conto di vedere tutto con occhi diversi adesso, da quando Emily era entrata a far parte della sua vita.
“Devi importacene e non importacene allo stesso tempo. Giusto?” domandò, in cerca di qualche modo per rendere tutto più facile. Carlisle aveva più anni di esperienza alle spalle, ma col tempo non diventa per niente più semplice.
“Esattamente così. Più vai avanti e più diventa complicato, non è mai facile” rispose, cercando di trasmettere serenità all'amico.
“Meno male che avremmo dovuto rilassarci!” esclamò, per sdrammatizzare il tutto, alludendo che l'area relax non li aveva per niente rilassarti.
Carlisle rise a quella battuta e Mark con lui, nonostante tutto avrebbero potuto contare uno sull'altro e questo li rincuorava.

Per il povero Jasper il venerdì arrivò più velocemente di quanto avrebbe immaginato e, giustamente, Alice premeva per sapere una risposta. La verità era che il giovane Cullen non aveva proprio toccato l'argomento durante le poche conversazione avute col padre. Una volte Carlisle, secondo lui, era troppo stanco, un'altra aveva molto da studiare. Sta di fatto che il momento giusto, se non lo cerchi, non arriva mai e lui non aveva proprio provato a cercarlo.
Come ogni anno aveva aspettato la mezzanotte per inviarle gli auguri per primo e la mattina le avrebbe portato una rosa a scuola, così sperava di evitare il più a lungo possibile l'argomento.
“Jazz, non che tutto questo non mi piaccia, ma ho il sospetto che stai facendo di tutto per evitare di dirmi se hai parlato o meno con tuo padre. Se ti ha detto di no, non fa niente, lo capisco.” Disse Alice, dopo che, a pranzo, le aveva fatto trovare un'altra rosa rossa stavolta insieme ad una lettera accanto al suo piatto preferito, era partito mesi prima per convincere la cuoca. Voleva rendere quel compleanno speciale nonostante tutto. Era tutta la mattina che non faceva altro che darle baci, facendole più volte gli auguri dicendole quanto fosse fortunato ad averla accanto e ad Alice la cosa iniziava ad insospettire.
“Perché è così importante per te? Sarebbe più bello festeggiare da soli quando non sarò più in punizione, non credi?” chiese Jasper, prima di darle una risposta definitiva voleva capire quanto fosse importante per lei quella cena. La ragazza sospirò e si girò in modo da guardarlo in viso, lo stesso che aveva baciato tante volte. Sapevo che ciò che stava per dirgli lo avrebbe ferito ed era l'ultima cosa che avrebbe voluto.
“Mia madre pensa che tu sia un pericolo. È convinta che tu abbia preso l'ecstasy di tua spontanea volontà e che non farai altro che portarmi sulla cattiva strada.” Sentendo quelle parole Jasper si sentì mancare l'aria, si sentì catapultato in uno di quei classici film americani nei quali i genitori di lei non accettano la relazione iniziando a mettere i bastoni tra le ruote ai due mal capitati. Li guardava con aria di sufficienza, rincuorandosi del fatto che la sua vita non era così. A volte il destino fa brutti scherzi.
“Ho provato a spiegarle come stanno davvero le cose, ma non mi crede. Pensavo che questa cena avrebbe risolto le cose, magari sentendo la verità da te se ne sarebbe convinta. Non voglio perderti, amore” l'ultima parola l'aveva sussurrata, non le era mai piaciuto fare effusioni in pubblico. Preferiva la loro intimità e Jasper era più che d'accordo con lei, era bello amarsi in silenzio. Fu questo che spinse il giovane Cullen a pronunciare parole che si era promesso di non dire.
“Okay, facciamolo. Verrò da te stasera e affronterò tua madre” replicò Jasper ed Alice lo baciò, in sala mensa davanti a tutti, perché in quel momento esistevano solo loro.


 

-Rieccomi! :)
Mi dispiace per voi ma sono ancora viva, come lo è questa storia. Non ho scusanti per l'immenso ritardo, voglio solo dirvi che sono impegnatissima ultimamente e quindi ho poco tempo per scrivere. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo al più presto…è già in fase di scrittura (nella mia testa è già finito, in realtà ahahah)
State calmi! Sento voci che gridano “Non fare cazzate, Jasper!” fino a qui. State tranquilli, Jasper non ha detto che il padre glielo ha permesso e fino alle sera c'è tempo quindi...keep calm!
Ci sentiamo al prossimo capitolo! 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Paradise problems ***


Edward, seduto sul letto di Jasper, fissava il fratello andare avanti e indietro per la camera, indeciso su cosa indossare quella sera.
“Tu sei proprio sicuro di volerci andare senza neanche chiamare papà?” gli chiese ad un certo punto, mentre Jasper si toglieva l'ennesima maglia troppo stretta.
“Ci ho provato, Ed, ma non ha risposto a nessuna delle mie chiamate” rispose il minore. Ed era vero. Era dalla mattina che aveva provato a chiamarlo insistentemente senza ricevere risposta, il che era strano.
“Quante volte hai provato?” chiese Edward con fare perplesso. Il fratello si sedette accanto a lui e prima di rispondere prese un enorme respiro.
“Una decina di volte, credo. Secondo me è successo qualcosa a quel ragazzo...” rispose Jasper, aveva notato le occhiaie del padre in quei giorni, segno evidente che aveva passato notti insonni, preoccupato per qualche paziente.
“Quello che non gli ha fatto chiudere occhio tutta la settimana? Lo penso anch'io.” Replicò il maggiore, anche lui aveva notato la stanchezza e l'impotenza di non poter fare di più che regnavano negli occhi del padre in quei giorni.
Calò un silenzio di tomba, nessuno dei due sapeva cosa dire, forse perché, in quelle situazioni, non esiste qualcosa di giusto di cui parlare.
Fu Edward a rompere quel silenzio opprimente, alzandosi in piedi e prendendo una camicia color azzurro chiaro dall'armadio e dei pantaloni di colore blu scuro. Li appoggiò sul letto delicatamente per non rischiare di stropicciare la camicia.
“Se vuoi un mio consiglio, allora metti questi. Sicuramente farai una bella impressione poi il resto dipenderà solo da te.” Esclamò, una volta finito. Jasper guardò gli abiti e maledì il fratello, perché lui riusciva sempre a trovare i vestiti giusti mentre lui avrebbe perso tutto il pomeriggio per trovarne alcuni almeno decenti?
“Magari, se hai fortuna, torni anche prima di papà” disse Edward in tono speranzoso, non voleva che il fratello finisse ancora più nei guai col padre di quanto già non lo fosse.
“Indipendentemente da quello che succederà, non gli mentirò di nuovo. Glielo dirò in ogni caso, ho bisogno che lui capisca di potersi fidare di nuovo di me.” Replicò Jasper, aveva pronunciato quelle parole con tono serio.
Aveva bisogno di suo padre, di confidarsi con lui senza averne il timore. Promise a se stesso che non lo avrebbe più ferito come aveva fatto quella sera, ma per farlo aveva bisogno che il padre si fidasse nuovamente di lui e, stavolta, non lo avrebbe deluso.

Il dottor Cullen, quella sera, aveva ben altri pensieri. Per la prima volta, dopo anni, aveva dedicato tutte le sue attenzioni ad un paziente. Un ragazzo poco più che adolescente lottava tra la vita e la morte. Inconsapevolmente si era immedesimato in quei genitori che senza più lacrime lo pregavano di salvarlo, di fare di tutto pur di farlo vivere anche un giorno in più.
“Dottor Cullen, la prego!” gli aveva urlato la madre, ormai senza più voce. Il padre non aveva parlato, ma con un semplice sguardo gli aveva trasmesso la sua supplica. Lo salvi, per favore, non possiamo perderlo.
Quello sguardo, quella preghiera, ancora gli rimbombavano nella mente mentre prendeva le cose che aveva lasciato nell'armadietto ad inizio turno, tra cui il cellulare. Non aveva ancora salvato quel ragazzo, ma gli aveva dato la possibilità di mantenerlo in vita almeno fino al turno seguente, conscio del fatto che se voleva davvero portarlo fuori pericolo aveva bisogno di staccare la spina, almeno per un paio d'ore. Raccolse distrattamente tutte le sue cose e andò via, aveva bisogno di riposare.

 

La cena non andò esattamente secondo i piani di Jasper ed Alice, anzi fu un totale disastro. Il giovane Cullen tornò a casa esausto e con la consapevolezza di aver perso la sua unica occasione per salvare la sua storia con Alice.
Ringraziò il cielo che la mattina seguente avrebbe potuto dormire, perché se qualcuno lo avrebbe paragonato a Leopardi, quest'ultimo sarebbe risultato il più grande ottimista della letteratura. Poco prima di mettersi a letto ricevette un messaggio da Alice:

“Domani pomeriggio vengo da te. Dobbiamo parlare”

Ogni qualvolta che qualcuno gli diceva quelle parole, Jasper sapeva che non presagivano niente di buono. Chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi il più in fretta possibile in modo da annullare i pensieri.


La mattina seguente, il dottor Cullen pur avendo il turno di pomeriggio si alzò presto, quasi all'alba e cercò di non fare troppo rumore per non svegliare i figli ancora nel mondo dei sogni.
Stava iniziando a sorseggiare la tazza di caffè che si era preparato quando il rumore prepotente del campanello lo destò dai suoi pensieri. Fissò l'orologio che segnava le sette del mattino, chi era così pazzo, oltre lui, da essere già sveglio di sabato mattina?
Non appena aprì la porta si vide dei fiori scaraventati ai suoi piedi e impiegò qualche minuto per riconoscere la figura che aveva davanti.
Renée Swan, a braccia conserte e con espressione irritata, aspettava una reazione da parte del dottore e l'attesa non faceva altro che alimentare la sua ira.
“Dica pure a suo figlio che non ho bisogno di questo mazzo di fiori dopo il suo comportamento di ieri sera!” esclamò con tono offeso e cinico. Carlisle si ritrovò spiazzato, possibile che non potesse passare un giorno tranquillo?
“Qualsiasi cosa abbia fatto Edward non credo che...” iniziò, cercando qualche possibile giustificazione pur non sapendo che cosa fosse accaduto.
“Edward? Aspetti lei mi sta dicendo che non sapeva che Jasper ieri sera era a cena da me per il compleanno di Alice?” lo interruppe bruscamente la signora Swan. Carlisle strabuzzò gli occhi per lo stupore, non credeva che Jasper potesse deluderlo tanto.
“Non capisco. Jasper è in punizione e sono certo che non sarebbe mai uscito di nascosto” disse il dottore, anche se ormai non era sicuro più di niente.
“Allora lasci che la illumini sul comportamento inaccettabile di suo figlio!” esclamò Renée con un sorriso beffardo, ora sapeva come vendicare il torto subito.
Carlisle, con fare rassegnato, la fece accomodare offrendole una tazza del caffè che avrebbe dovuto risollevargli il morale.



-Salve a tutti! Pensavate che vi avevo abbandonato? Assolutamente no!
Sono solo stata straimpegnata tra scuola/scuola-guida/lavoro...insomma l'unica cosa che desideravano fare una volta tornata a casa era di buttarmi nel letto!
Per fortuna (o purtroppo) l'influenza mi ha costretto a staccare la spina e a chiudermi in casa al caldo ed ho trovato, finalmente, il tempo da dedicare a questa storia.
Spero di ritrovarvi tutti e che il capitolo sia stato di vostro gradimento!
Un bacio!  

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** The power of love ***


Jasper si svegliò con un gran mal di testa. Ci impiegò qualche minuto per alzarsi dal letto, distrattamente diede un'occhiata al cellulare, segnava le nove passate, così si fece forza trascinandosi verso il bagno.
Scese sapendo che avrebbe dovuto fare appello a tutta la sua volontà per mangiare qualcosa, il mal di testa gli portava sempre poco appetito, ma a stomaco vuoto non poteva prendere niente per farlo passare in fretta.
Quando entrò in cucina trovò suo padre seduto al solito posto che stringeva una tazza fumate tra le mani.
“Buongiorno, papà” disse e poi sospirò, fino a poco prima si era completamente dimenticato che doveva parlargli, raccontandogli tutto. Aveva ripromesso a se stesso che non gli avrebbe più mentito e una promessa è tale solo se mantenuta.
“Buongiorno, figliolo. Ti vedo strano, va tutto bene?” chiese Carlisle, sperando in cuor suo che il figlio gli raccontasse tutto con la sua versione dei fatti, perché quella che aveva ascoltato da Renée non deponeva di certo a suo favore.
“In verità mi sono svegliato con un gran mal di testa...” rispose Jasper e il discorso sembrò finire lì. Il dottor Cullen scosse la testa e il giovane tirò un sospiro mentre prendeva il pacco di cereali dalla credenza. Si sedette di fronte al padre senza riuscire a guardarlo negli occhi.
Carlisle si stava per arrendere all'idea che suo figlio non avrebbe confessato di sua spontanea volontà quando sentì Jasper prendere un ennesimo sospiro.
“Senti, papà, devo dirti una cosa...” la voce del ragazzo era quasi un sussurro. Non se lo immaginava che sarebbe stato così difficile confessare tutto al padre e si preparò mentalmente a qualsiasi reazione, anche a quella più impensata.

“Jasper, andiamo, parla! Non farla così complicata, non hai mica ammazzato qualcuno?” domandò, di rimando, Carlisle vedendo il figlio così intimorito nel parlare. Nonostante sapesse già ciò che gli stesse per dire decise comunque di fare finta di niente, provando a sdrammatizzare l'aria pesante che si era creata.
“No, certo che no!” si affrettò a negare Jasper. Di certo non aveva ucciso nessuno, a meno che la fiducia che il padre riponeva in lui non fosse una persona...quella sì che l'aveva uccisa, stritolandola lentamente.
“E allora?” chiese, di nuovo, il medico e l'ironia, la voglia di sdrammatizzare che lesse negli occhi del padre lo fece sentire ancora più in colpa di quanto già non lo fosse. Scosse la testa, sfregandosi le mani sulle gambe, in ansia. Era arrivato il momento, doveva parlare, non aveva nessuna via di scampo.
“Ieri sera sono uscito. Era il compleanno di Alice e sono andato a cena a casa sua, ho provato a chiamarti ma tu non rispondevi. So che non esistono giustificazioni per quello che ho fatto e avrei dovuto chiederti il permesso a te perché sono ancora in punizione, ma era importante per Alice, quindi tutto il resto è passato in secondo piano.” aveva parlato a raffica, perché sapeva che se si fosse fermato per guardare negli occhi il padre allora non avrebbe più continuato. Era consapevole del suo sbaglio, ma per la sua amata Alice avrebbe fatto di tutto.
Nella cucina calò il silenzio.
Carlisle si alzò e, senza dire una parola, si avvicinò al lavandino dove posò la tazza di caffè ormai vuota, dando le spalle al figlio. Sospirò pesantemente prima di parlare.
“C'è altro che devo sapere, Jasper?” domandò, con tono freddo, talmente gelato che il giovane sentì un brivido percorrergli la schiena, socchiuse gli occhi, pensieroso. Avrebbe dovuto dire della discussione che aveva avuto con Renée? Raccontargli davvero tutto, così da dargli un buon motivo per sbatterlo fuori di casa? Oppure avrebbe potuto far finta di niente, omettere quella scena e pregare tutte le divinità del mondo che il padre non lo scoprisse. Lui che scopriva sempre tutto. Dopo averci pensato su qualche altro secondo decise di dire tutta la verità e nient'altro che la verità, sembrava più un interrogatorio che una chiacchierata padre-figlio.
“Diciamo che ieri sera ho avuto una conversazione non del tutto amichevole con la signora Swan...” disse, quasi sussurrando, credendo di non essere stato sentito. Speranza vana, ovviamente.
“Che intendi esattamente con conversazione non del tutto amichevole?” chiese, calcando sulle ultime parole, il genitore.
“Avevamo da poco finito di cenare, in un clima teso come una corda di violino, e stavamo sparecchiando. Dovevo portare i bicchieri in cucina, quando ho sentito parlottare Renée e Charlie alle mie spalle, più che altro parlava solo lei. Ha detto non so quante cose brutte sul mio conto, ma non mi hanno fatto né caldo né freddo. Poi, a un certo punto, ha iniziato a mettere in mezzo te e la mamma. Ha incominciato a dire che non sei stato un buon padre, che si nota la mancanza di una figura materna nella mia educazione. Dopo tutto questo ha esclamato, testuali parole, capisco che è crepata, quella povera donna, con un figlio così! A quel punto, non ci ho visto più ed ho iniziato ad alzare il tono della voce, non ricordo neanche cosa le ho detto di preciso e sono corso via, senza neanche salutare Alice, di spalle, dietro di me, quasi in lacrime.” raccontò tutto, a costo di rimanere senza fiato, doveva sfogare tutta la rabbia e la frustrazione che aveva dentro dalla sera precedente, quando quelle parole gli avevano creato un bruciore allucinante alla bocca dello stomaco.
Carlisle rimase spiazzato, ovviamente le versioni che aveva ascoltato non coincidevano per niente e lui si ritrovò, di colpo, a decidere a chi credere. Guardò suo figlio negli occhi che esprimevano pentimento e disprezzo verso quella donna che aveva offeso la memoria della madre. Non ebbe il minimo dubbio, lui non mentiva. Ogni angolo del suo corpo comunicava sincerità, una verità amara e difficile da ingoiare, ma comunque la verità.
Così rimase in silenzio, fissando il figlio con uno sguardo indecifrabile che gli capitanava il volto. Jasper tremava e sperava vivamente che il padre non se ne accorgesse, era totalmente nel panico, si aspettava qualunque reazione immaginabile e, tutte, erano a suo sfavore.
Carlisle si mosse verso il figlio con movimenti lenti e un sorriso amaro gli spuntò sulle labbra quando lo vide tremare sotto il suo sguardo, lui non voleva essere quel tipo di padre. Non voleva assolutamente che i figli avessero paura di lui. Non voleva essere come suo padre.
“Promettimi che non mi mentirai più, Jasper, ti prego. Se non fai altro che riempirmi di bugie come faccio a fidarmi di te?” disse Carlisle e con gesto amorevole gli accarezzò una guancia per poi posare la stessa mano sulla spalla. Jasper, in quel gesto, non vide un padre pieno di rabbia verso il figlio, ma un genitore che chiedeva solamente una cosa, la più semplice e allo stesso tempo la più complicata, sincerità.
“Dammi modo di dimostrarti che puoi fidarti di me, papà. Non ti deluderò di nuovo” replicò Jasper e non era mai stato così sicuro di qualcosa come in quel momento. Il padre lo guardò negli occhi, quasi commosso, e lo abbracciò stringendolo con tutta la forza che aveva in corpo, la forza di quell'amore indissolubile.


-Sono tornata!
Avrei tanto voluto allungare il capitolo, scrivere di più e mettere anche Alice, lo stavo anche facendo, poi però ho pensato che fosse meglio lasciarlo così. Con all'ultimo quell'abbraccio tra padre-figlio che va oltre il silenzio, così da concedere al piccolo Jasper un po' di quiete prima di catapultarlo nella tempesta.
Ringrazio, come sempre, tutti coloro che continuano a seguirmi e spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Save her first ***


Jasper era rimasto solo, seduto sul divano, in attesa dell'arrivo di Alice. Dal momento in cui aveva affrontato il padre, chiarendo tutto, aveva passato il resto del tempo a farsi mille congetture su che cosa gli volesse dire la sua ragazza. Una più tragica dell'altra, ovviamente.
Alla fine aveva deciso di non rimuginarci più, ma quando il campanello suonò tutte gli ritornarono prepotentemente in testa e si preparò al peggio.
La figura che si ritrovò davanti era solo l'ombra della ragazza solare che era sempre stata Alice. Le occhiaie non le donavano affatto, sembrava molto più grande e i capelli, senza una logica che il vento aveva finito di spettinare. Il volto stanco e angosciato, di chi aveva trascorso tutta la notte a piangere, le stesse lacrime che Jasper aveva pensato bene di ignorare.
Rimasero a fissarsi per minuti interminabili, entrambi con il cuore in gola e la paura di iniziare la conversazione, che secondo il giovane Cullen, sarebbe stata l'ultima.
“Non ho intenzione di lasciarti se è quello a cui stai pensando.” disse Alice e il cuore di Jasper fece una capriola per la felicità, era il suo peggior timore. Mascherò la gioia e si concentrò sul volto della giovane Swan, che, pur avendo dato l'ombra di un sorriso, era ritornato serio molto rapidamente.
Solo in quel momento, vedendola leggermente rabbrividire per il freddo, Jasper si rese conto di non averla fatta ancora entrare. Fece qualche passo all'indietro in modo che avesse lo spazio necessario per passare e cercò di stringerle la mano, ma lei si scostò.
“Sono qui per proporti una cosa, prima di tutto però voglio dirti che la farò lo stesso con o senza di te.” riprese a parlare e iniziò anche a torturarsi le mani, il ragazzo diventò ancora più curioso di quanto già non fosse e la incitò a continuare con uno sguardo.
“Scappa con me, Jazz. Solo così saremmo liberi dalla cattiveria di mia madre e da tutto il male che ci sta facendo.” era seria, tremendamente seria e il giovane Cullen credette per un istante che fosse uscita pazza. Scappare? E per andare dove? Poi lui non aveva nessun motivo per fuggire via da suo padre, soprattutto dopo la chiacchierate che avevano avuto quella stessa mattina. Che senso poteva avere, per lui, andare via?
“Non è fuggendo che si risolvono i problemi.” replicò lui e, anche se sembrava la frase tipica di un anziano nonno saggio, era ciò che pensava.
“Ci abbiamo provato ad affrontarli ma non abbiamo ottenuto un bel niente!” ribatté Alice, sull'orlo di una crisi di nervi.
Jasper le strinse i polsi, cercando di infonderle calma con lo sguardo, le minò con le labbra di fare un profondo respiro e lei, poco dopo, riuscì a tranquillizzarsi.
“Sto bene, ma non ho intenzione di cambiare idea.” fu lei stessa a rompere il silenzio e in quel frangente al giovane Cullen venne in mente un piano.
“Va bene. Non ti lascio sola, se vuoi scappare allora lo faremo insieme.” replicò ed Alice si illuminò così tanto che Jasper la vide più bella che mai, gli prese il volto tra le mani, baciandolo con passione e gratitudine.

 

“No! Non ci credo! Dimmi che è uno scherzo, ti prego! Ti sei rincitrullito?!” esclamò Edward, scioccato per ciò che il fratello minore gli aveva appena detto. Volevo davvero scappare? E poi a che pro?
“Edward è solo per un giorno. Domani a quest'ora sarò di nuovo qui, devi solo darmi il tempo di convincere Alice e l'unico modo per farlo è assecondarla per adesso.” era calmo nel tono della voce, decisamente l'opposto rispetto al maggiore.
“Ed io cosa dovrei fare nel frattempo?” chiese, senza addolcirsi, l'altro. Jasper lo osservò attentamente prima di rispondere, cercando di leggerli la mente.
“Dovresti spiegare tutto a papà, quando torna da lavoro perché io sarò già andato via da un pezzo. Ti prego, Ed, non puoi dirmi di no!” lo supplicò lui, ma lo stesso si preparò ad un secco no, consapevole che era un opzione da variare.
“No! Assolutamente, non puoi andartene e lasciare a me la patata bollente!” ecco un'altra frase tipica di un anziano, era sicuramente suo fratello. Restarono a fissarsi negli occhi ed Edward sospirò prima di riprendere a parlare, dopotutto erano fratelli e non poteva lasciarlo senza il suo aiuto.
“Va bene, farò per te il lavoro sporco. Aspetta a ringraziarmi però e prega che papà ti capisca, perché sinceramente faccio fatica perfino io!” replicò il maggiore, ma Jasper non riuscì a trattenersi e lo abbracciò, Edward nonostante il suo voler essere indifferente sorrise alla stretta del suo fratellino.

Alice, a differenza del suo fidanzato, aveva lasciato una lettera sul letto di Bella e un foglio con due righe scritte sul comò dei genitori. Decisa a non far più ritorno, almeno non finché la madre fosse rimasta della sua idea
Passarono la prima notte insieme, felici e innamorati come solo due adolescenti sanno essere. Tutto stava andando come Alice aveva pianificato, tranquilli e rilassati perché l'unica cosa che contava veramente era il loro amore. Non sapevano neanche sei i genitori si fossero accorti della loro assenza, perché avevano spento i cellulari, decisi ad allontanarsi da tutto per sempre, almeno secondo Alice.
Fu solo verso le prime luci del mattino, quando si misero nella macchina si Jasper senza neanche sapere che ora fosse, che lui iniziò a parlare. Cercando di farla ragionare, ma ottenne l'effetto contrario. Litigarono pesantemente e Jasper perse il controllo dell'auto, perché Alice tentò di strappargli il volante dalle mani, consapevole che stavano andando verso casa, quando lei aveva urlato chiaramente che non era quello che voleva. Fu un attimo e tutto divenne nero.
La felicità, la gioia di vivere e l'amore che avevano fatto da colonna sonora fino a quel momento, quasi a fare invidia al film più romantico di tutti i tempi, fu sostituita con prepotenza da paura, rabbia e...sangue, con in lontananza il rumore sordo dei soccorsi.
Jasper aprì leggermente e con fatica gli occhi, trovandosi davanti un vigile del fuoco che gli sorrise rassicurante.
“Salvate prima lei...” sussurrò, ma non avrebbe mai saputo se lo aveva detto davvero e, soprattutto, se lo avevano ascoltato.


 

-Con molta fatica, ma ce l'ho fatta. Ho scritto questo capitolo che sembrava interminabile...*si va a nascondere un angolino*
Spero che questa specie di capitolo vi sia piaciuto...ci vediamo presto, credo. Un bacio e, come sempre, grazie a tutti quelli che mi seguono <3

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Don't give up ***


Il dottor Cullen cercava da mezz'ora di entrare in camera di Jasper per vedere come stava, ma veniva costantemente bloccato da Edward con ogni scusa possibile. Aveva capito che qualcosa non andava, ma si divertiva a vedere suo figlio maggiore che cercava ogni volta nuovi modi senza avere il coraggio di dirgli la verità.
All'inizio lo trovava perfino divertente e restava in silenzio, ridendo sotto i baffi per le mille trovate del figlio, cercando di ignorare quel piccolo allarme che il suo istinto sentiva suonare in modo da avvertirlo che qualcosa non andava per il verso giusto, che presto avrebbe scoperto una verità che non gli sarebbe minimamente piaciuta.
Lo squillo del telefono bloccò le azioni di entrambi e paralizzò Carlisle appena sentì quello che aveva da dire la voce dall'altra parte dell'apparecchio.
“Jasper è arrivato poco fa qui, dottor Cullen. Ha fatto un incidente con la sua auto insieme alla sua ragazza, non so ancora le sue condizioni. Il dottor Anderson mi ha detto di chiamarla prima che potessi chiedere o fare altro.” la voce di Jack, il suo specializzando, da quando lo conosceva non l'aveva mai sentita così preoccupata.
“Vengo immediatamente.” non era una domanda, era semplicemente un avviso. Di certo non sarebbe rimasto a casa con le braccia incrociate ad aspettare notizie su suo figlio.
“Devi andare in ospedale? È successo qualcosa?” chiese Edward, rimasto in disparte, se suo padre fosse stato impegnato con un paziente non si sarebbe accorto dell'assenza del fratello e questo sarebbe rientrato in tempo, vivo e vegeto.
“Sì. È successo qualcosa...a Jasper. E tu vieni con me, così mi spieghi perché diavolo non ha dormito qui stanotte!” esclamò Carlisle, fissando il maggiore dei suoi figli con sguardo truce. Edward sospirò, abbandonando l'idea di non dirgli niente. Possibile che suo fratello, ultimamente, combinasse solo casini?

Quando varcarono la soglia dell'ospedale furono accolti da un Mark visibilmente preoccupato e stressato, era l'unico medico-strutturando di turno e tutti gli specializzandi, come da protocollo, chiedevano a lui prima di iniziare qualsiasi trattamento su un paziente.
“Seguitemi.” era serio, tremendamente serio e quello non era affatto un buon segno. Edward, non conoscendo bene l'ospedale come il padre e quello che era come suo zio, era il più speranzoso dei tre. Quando lesse la scritta “Terapia intensiva” appesa sull'imponente porta che stavano per attraversare, il suo volto divenne pallido e iniziò a sudare freddo. I ricordi degli ultimi giorni di vita della madre, prima che la malattia la portasse via, gli ritornarono in mente, trascinandolo in un luogo che avrebbe fatto volentieri a meno di rivedere.
Arrivarono davanti alla camera di Jasper e lo videro attraverso la parete trasparente, era attaccato a monitor e tubi che Edward ignorava, ma che gli ricordavano ancora di più le condizioni di Esme nell'ultimo periodo, quello che suo padre ed altri medici avevano definito buio.
“Non posso mentirti, Carlisle. La situazione è critica, per qualche minuto riusciva a respirare autonomamente, ma poi è andato in arresto e abbiamo dovuto intubarlo. Stiamo aspettando che i parametri vitali si stabilizzano prima di operarlo, alcuni pezzi di vetro gli sono entrati in varie parti del corpo, ma fortunatamente non hanno provocato emorragie interne, almeno per ora. Puoi leggere tu stesso è tutto scritto qui.” ci aveva provato a mantenere un certo controllo, Mark, ma man mano che elencava le condizioni di Jasper la voce tremava, era impossibile rimanere distaccati quando si trattava della famiglia. Allungò la cartella clinica a Carlisle, che tremando leggermente la prese senza neanche guardarla, i suoi occhi erano fissi su Jasper da quando era entrato in quel reparto.
“Mi fido di te e del tuo giudizio, Mark. Mio figlio non potrebbe essere in mani migliori.” la voce era calma e l'amico si domandò come facesse a mantenere il controllo in una situazione del genere, senza sapere che Carlisle stava morendo dentro lentamente.
“C'è un problema. Io non posso occuparmi di lui e di Alice contemporaneamente, serve un altro medico-strutturando e tu dovevi essere di turno tra un paio d'ore, ma se non te la senti posso far chiamare il dottor Richardson, sono certo che capirebbe la situazione.” non sapeva che reazione aspettarsi, Mark, dopo aver esposto le sue preoccupazioni all'amico e collega. Qualsiasi decisione avrebbe preso, lui gli sarebbe stato accanto senza biasimarlo.
“No. Anche se si tratta della famiglia non significa che non possiamo fare bene il nostro lavoro, giusto? Avresti fatto chiamare me in ogni caso perché ero quello di turno solo che sono già qui. Passami la cartella clinica di Alice, mi occuperò io di lei.” aveva parlato senza esitazioni, prese un grosso respiro e fece forza sul suo autocontrollo, doveva semplicemente occuparsi di una paziente come aveva sempre fatto in anni di lavoro.
“Io non mi muovo da qui. Posso entrare per stargli accanto?” la voce di Edward era poco più alta di un sussurro e racchiudeva una singola supplica: poter percorrere quei pochi metri che lo separavano dal fratello e stringergli la mano.
“Certo. Puoi rimanere finché vuoi, Edward.” rispose Mark, dopotutto era lui il medico che aveva in cura Jasper e non sarebbe andato di certo a vedere l'orario di visita. Il figlio prima di entrare guardò suo padre trasmettendogli qualcosa di inspiegabile a parole, qualcosa che conoscevano solo loro e che il dottor Anderson non capì.
Carlisle rivolse un ultimo sguardo a Jasper prima di sparire attraverso la porta scorrevole che divideva il reparto di terapia intensiva dal resto dell'ospedale. Doveva cambiarsi e calmarsi prima di mettersi a lavoro, avrebbe dovuto ritrovare se stesso, ma si accontentò del suo essere medico perché il padre lo aveva lasciato in quella stanza, insieme al suo cuore.

“Eccolo là! Sarà contento adesso, no? Ha visto cosa ha fatto suo figlio alla mia bambina?” non fece neanche in tempo ad entrare nella stanza di Alice che il dottor Cullen fu attaccato dalla furia di Renée.
“Tesoro, ti puoi calmare, per favore? Non sappiamo come siano andate davvero le cose, non iniziare come tuo solito ad incolpare gli altri senza motivo! Ora l'unica cosa importante è che il dottor Cullen si prenda cura di Alice.” la voce dell'ispettore Swan era autoritaria e severa, fermò la corsa della moglie contro il medico in un attimo. Era stanco della caccia ai fantasmi che Renée aveva creato nelle ultime settimane.
“Penso che Charlie abbia ragione, l'unica cosa importante in questo momento è la salute di Alice ed io sono qui per prendermene cura.” disse Carlisle, ripetendo le ultime parole dell'ispettore. La donna lo fulminò con lo sguardo e tornò a guardare la figlia, che faticava a respirare.
“Sarò sincero, ora come ora non possiamo fare ulteriori esami, bisogna aspettare che i suoi segni vitali si stabilizzino. Ha riportato un lieve trauma cranico ma questo non mi preoccupa, perché dovrebbe riassorbirsi in poche ore. Il respiro è irregolare ed è quello su cui mi concentrò perché, ad un primo esame preliminare che hanno effettuato al pronto soccorso non riporta grossi traumi, perciò dobbiamo aspettare, procede ora alla cieca potrebbe solo peggiorare la situazione.” aveva ripreso il suo tono calmo e pacato, come medico non doveva farsi coinvolgere troppo dalle condizioni dei suoi pazienti e questa volta richiedeva più autocontrollo del dovuto. Rimase lì alcuni minuti, in attesa di domande o dubbi a cui rispondere con completa sincerità, ma non ricevendone alcuna si allontanò per lasciare i genitori accanto alla figlia.
“Jasper come sta?” gli domandò una voce dolce, quando si voltò riconobbe Bella in tuta e con i capelli in disordine, sicuramente era uscita di corsa di casa senza pensare minimamente all'estetica.
“Non bene.” rispose, con il cuore in gola. La ragazza si buttò tra le sue braccia, stringendolo per dargli forza. Nel suo piccolo voleva fare la sua parte e Carlisle sorrise, piacevolmente sorpreso da quel gesto, accarezzandole i capelli.

Edward da quando era entrato nella camera di Jasper gli aveva stretto la mano senza lasciarla neanche un secondo. Nell'altra aveva una foto scattata anni fa che ritraeva loro due con entrambi i genitori, quando erano felici.

 

Papà la mamma se ne andrà? Come quel signore laggiù?” domandò il figlio maggiore, di poco più di dieci anni, al padre indicando una stanza poco lontano che ospitava un uomo morto da poche ore con i figli ventenni accanto a lui in lacrime.
“Edward, ascoltami, anche se la mamma se ne andrà rimarrà sempre con te. Vivrà in ogni tuo respiro e in quello di tuo fratello.” rispose un Carlisle distrutto dalla consapevolezza di non poter salvare la donna amata. I due guardarono Jasper, il più piccolo, che si era disteso su due sedie e dormiva profondamente lontano da quella che era la crudele realtà che avrebbe dovuto affrontare da lì a poco.
“Non essere triste, papà. Ci saremo io e Jazz con te per sempre!” esclamò Edward, abbracciando il padre che sorrise accarezzandogli la testa.

 

All'epoca era troppo piccolo per comprendere il vero significato di un per sempre che in realtà non esiste. Una lacrima scivolò su quella piccola foto, macchiando prima il volto di Esme e poi quello di Jasper.
“Quando feci quella promessa a papà, giurai a me stesso di difenderti perché è quello che dovrebbe fare un fratello maggiore...invece ho fallito. Sono qui, adesso, parlando come un idiota sperando che tu mi senta. Non posso perdere anche a te, Jazz, non adesso e non così. Perché ti ho permesso di fare questa gran cazzata? Avrei dovuto fermarti e non spalleggiarti. Non sono qui a pregare un Dio che forse neanche esiste, perché se non ha salvato la mamma come può salvare te? Sono qui, accanto a te, perché non riuscirei a starti lontano...sono qui a pregare, supplicare la tua forza volontà. Non arrenderti, Jazz. Combatti e vinci questa battaglia come solo tu sei in grado di fare, rendendomi orgoglioso di avere un fratello come te.” ormai le lacrime avevano preso pieno possesso del suo volto, schiacciò la fronte contro le mani unite e pianse, sfogando tutta la disperazione che aveva dentro.



-Eccomi tornata!
Questo capitolo mi ha fatto penare, anche perché ultimamente non ho molto tempo libero causa studio. Iniziate le vacanze pasquali il mio primo pensiero è stato quello di finire di scriverlo e correggerlo in modo da pubblicare in giornata. Felice di avercela fatta!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio, come sempre, tutti quelli che continuano a seguire questa storia.
Un bacio a tutti! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Wake up ***


“Esme, te lo ripeto, sono bloccato a lavoro. Non posso andare alla scuola dei ragazzi, non te lo chiederei se potessi andarci io.” Il dottor Cullen, indaffarato tra un paziente e l’altro, aveva ricevuto un messaggio dalla preside delle scuola elementare di Forks, che chiedeva di parlare con un genitore per il comportamento di Jasper. Carlisle aveva dovuto rileggere il messaggio più di una volta prima di realizzare che fosse vero. C’era scritto proprio Jasper, non era uno sbaglio. Mille dubbi avevano affiorato la sua mente e si stava già togliendo il camice per correre alla sua auto, quando le porte del pronto soccorso si spalancarono mostrando un ragazzo zuppo di sangue dalla testa ai piedi e la gamba destra posizionata in un modo che dava i brividi al solo vederla. Il paziente non urlava né gesticolava in modo assurdo solo perché i paramedici l’avevano imbottito di antidolorifici.
“Dottor Cullen! Trauma 1!” aveva urlato la capo infermiera, colei a cui era affidato il compito di smistare i vari feriti in arrivo e assegnarli ai rispettivi medici di turno.
Carlisle, sospirò e, una volta stabilizzato il paziente, per quanto potesse, in attesa della preparazione della sala operatoria, chiamò la moglie per avvisarla.
“Carlisle, non me lo devi neanche chiedere. Lo so che se avessi avuto la possibilità ci saresti andato tu. Dammi il tempo di vestirmi e scendo subito” la voce di Esme era dolce e tranquilla come sempre, nonostante l’ultimo ciclo di chemio l’avesse mandata al tappeto, facendola crollare in un sonno profondo lungo quasi sedici ore. Nonostante la consapevolezza che quello era stato davvero l’ultimo ciclo di chemio, che non c’era più nessuna speranza, che la sua vita andava sempre di più a scontrarsi con la fine.
“Sei sicura di farcela? Posso chiamare la preside e dirle che passo io nel pomeriggio, non credo che sia così urgente.” Aveva proposto Carlisle, ma sapeva che la moglie avrebbe rifiutato senza ammettere altri tentativi di confinarla in casa quando uno dei suoi figli aveva bisogno di lei.
“Non ci pensare nemmeno. Posso farcela eccome, voglio essere presente per i miei figli per il tempo che mi rimane e non me starò chiusa in casa quando Jasper ha bisogno di me!” come sospettava, il tono di Esme era stato categorico. L’uomo socchiuse gli occhi e poté vedere davanti a lui la figura della moglie, distesa sul divano con il telefono in una mano e l’altra che cercava di versarsi un po’ di caffè, ormai neanche la caffeina la rigenerava più come prima.
“Okay, spero di essere a casa in tempo per la cena. Il ragazzo è in condizioni pessime. Ti amo” aveva cambiato argomento, cercando la normalità delle telefonate di un tempo, quelle in cui chiamava la sua amata solo per dirle che sentiva la sua mancanza e lei gli chiedeva quando sarebbe tornato a casa.
“Ti amo anch’io e so che lo salverai, sei il migliore!” aveva esclamato Esme poco prima di riattaccare, ritornando anche lei alla quotidianità di un tempo.
“Riesco a salvare molte persone, ma non te. Non sono il migliore, per niente.” aveva sussurrato un Carlisle distrutto ad un telefono staccato.


Il dottor Carlisle Cullen se ne stava in piedi davanti alla parate a vetro che lo separava dai suoi figli, godendosi quell’attimo di tranquillità. Se non fosse per il contesto, la scena che aveva davanti agli occhi sarebbe potuta risultare anche tenera: Edward si era addormentato appoggiando la testa sulle mani di lui e Jasper strette, nella stessa posizione in cui ore prima aveva pianto fino a finire le lacrime. Jasper sembrava sereno, come se stesse facendo il miglior sonno ristoratore di tutta la sua intera vita e, anche solo per un alcuni minuti, Carlisle si convinse che fosse così perché aveva bisogno di crederci, di riprendere fiato, di fermare per un attimo quel vortice che stava risucchiando tutte le sue energie.
“Stanno così da poco più di un’ora. Ero venuta per stare un po’ vicino ad Edward, ma si era già appisolato e non ho voluto svegliarlo…sono così teneri.” La voce di Bella lo riportò alla realtà e fece ripartire tutto, compreso il vortice che se ne stava tranquillo e indisturbato all’interno del suo corpo.
Carlisle la guardò e sorrise, non avevano mai parlato molto, solo durante qualche cena eppure era stata la sola della famiglia Swan che si era resa conto che anche i Cullen stavano soffrendo, e non solo per quanto riguardava Edward. Lo aveva abbracciato di slancio quella mattina, come se fosse la cosa più naturale del mondo e allora aveva per un attimo compreso quanto fossero vere le parole di suo figlio quando parlava di Bella e non il frutto di un ragazzo troppo innamorato.
“Alice sta bene, se continua così entro venerdì potrò anche dimetterla.” Disse Carlisle, senza tradire il tono professionale e distaccato. Alice si era svegliata dopo qualche ora e, prima di ogni cosa, aveva chiesto di Jasper, scoppiando in lacrime una volta che il dottore le aveva raccontato le sue condizioni.
“Grazie a lei. Non so come ha fatto a trattenersi dal mandare a quel paese mia madre, a volte è così irritante.” Replicò Bella, legandosi i capelli in una coda bassa. Carlisle la guardò e rise leggermente, chissà se Renée sapeva che cosa la figlia pensasse realmente di lei.
“Ho avuto a che fare con parenti più complicati di lei” ribatté il medico, il vero problema, il più delle volte, non sono i pazienti.
“Ora capisco perché ha una pazienza infinita. Io un giorno in casa mia ed è già tanto se non ci litigo, ultimamente è fissata su questa storia di Jasper ed Alice, la sua ossessione. Spero proprio che questo spavento e la lettera di Alice le faccia cambiare idea!” esclamò una Bella esasperata, toccandosi i capelli con fare nervoso. Carlisle era al corrente di tutto, Edward gli aveva fatto un reso conto completo come lui aveva preteso una volta saliti in auto e, di conseguenza, non si ritrovò sorpreso dalla notizia che l’idea di scappare fosse venuta ad Alice.
“Lo spero anch’io, non voglio di certo che mio figlio corra altri pericoli.” Pensò ad alta voce e dopo l’espressione intimorita di Bella si affrettò ad aggiungere che non aveva la minima intenzione di impedire la storia tra Jasper ed Alice, voleva solo che il figlio fosse felice senza dover per forza finire in ospedale.
“Stia tranquillo, se tutto questo non le farà cambiare idea, ci penseremo io e mio padre. Dovrebbe entrare, la mano sinistra di Jasper è libera.” Disse Bella, prima di sparire oltre la porta scorrevole che separava il reparto di terapia intensiva con il resto dell’ospedale, rivolgendo al medico un dolce sorriso.
Carlisle prese un grosso respiro e, facendo il minor rumore possibile, entrò nella stanza posizionandosi dal lato opposto dove si trovava Edward, per stringere la mano sinistra del suo piccolo eroe.
Fu un attimo che durò una frazione di secondi, ma lo sentì e, a giudicare dal fatto che Edward si fosse svegliato di sopprassalto, non l’aveva sentito solo lui. Jasper aveva ricambiato la stretta delle loro mani, seppur debolmente.
“Edward? Papà?” fu la melodia più dolce che le orecchie dei due presenti avessero mai udito, la voce debole più di un sussurro di Jasper che pronunciava i loro nomi.
Per la prima volta, dopo anni, Carlisle si lasciò andare, si tolse l’armatura che per troppo tempo aveva indossato, si lasciò trasportare da quei sentimenti che in anni di lavoro aveva imparato a nascondere, per la prima volta il dottor Carlisle Cullen si concesse di far vincere le lacrime e pianse, pianse perché era stato forte per troppo tempo.



-Eccomi tornata. So che non ho scuse per un ritardo di quasi quattro mesi, ma tra la maturità, la settimana di completo relax che mi sono concessa insieme alle mie amiche…insomma il tempo è volato senza che io me ne rendessi conto. Spero che ci sia ancora qualcuno a leggere questa storia, perché, nonostante i vari impegni che ho avuto e che avrò, non ho la minima intenzione di lasciarla incompiuta. Spero anche che il capitolo vi sia piaciuto e che i flashback vi abbiano conquistato, perché io li sto amando.
Grazie a tutti quelli che sono ancora qui e che mi hanno aspettato, a chiunque leggerà questo capitolo e lascerà una recensione…aspetto con ansia le vostre opinioni.
Alla prossima! <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Fear ***


Quando il dottor Cullen tornò a casa trovò la moglie in preda ad una crisi di pianto distesa sul divano. Era tardi, l’operazione del ragazzo era durata più del previsto.
“Esme! Che succede?” esclamò Carlisle, correndo accanto alla moglie, ma Esme non rispose né smise di piangere, si limitò solamente ad appoggiare la testa sul petto del marito, lasciandosi rassicurare dalle sue braccia. Solo dopo venti minuti Esme si calmò.
“Ora vuoi spiegarmi che cosa è successo?” domandò il medico con tono dolce, mentre le porgeva un bicchiere d’acqua.
“Jasper…” la voce della moglie non era altro che un sussurro ancora schiavo dei singhiozzi, Carlisle aspettò pazientemente che si calmasse del tutto prima di incitarla, tramite un semplice sguardo, a continuare.
“Oggi quando mi hai chiamata sono andata dalla preside e lei mi ha detto che Jasper ha dato di matto quando la maestra ha chiesto ai bambini di scrivere gli auguri per la festa della mamma. Ha iniziato ad urlare che sono cattiva, perché lo abbandono e che non gli voglio bene…quando ha visto che ero andata io a prenderlo ha cominciato a fare storie e a dire che voleva te, che tu non lo avresti abbandonato come me.” Parlava con voce tremante, scossa ancora per le lacrime, prese un grosso sorso d’acqua e proseguì.
“Quando siamo tornati a casa ho provato a parlargli, ma non ha voluto sentire ragioni così gli ho detto di andare in camera sua e sono crollata. So che è solo un bambino e che non può capire la gravità della malattia, ma non voglio lasciare questo mondo sapendo che mio figlio mi odia…se solo potessi rimarrei con lui, con Edward e con te, ma questo dannato tumore non me lo permette! Carlisle, io…non ce la faccio…” e giù altre lacrime, tentando di cacciare via il dolore, la disperazione che le attanagliava il cuore. Il dottor Cullen la strinse a sé senza saper dire niente. Che cosa avrebbe potuto dire? Che sarebbe andato tutto bene quando entrambi sapevano che non era vero? La verità era che anche lui aveva paura. Come avrebbe fatto senza sua moglie? Sarebbe stato in grado di fare sia da madre che da padre?


Carlisle era corso via dopo essersi reso conto di quanto fosse stato stupido perdere il controllo così, non doveva piangere, non doveva farsi vedere vulnerabile davanti ai suoi figli. Eppure la sensazione di sollievo che aveva sentito quando Jasper si era svegliato, come se fosse ritornato a vivere solo in quel momento, lo aveva fatto crollare. Aveva dato spettacolo della sua fragilità.
“Che cosa è successo? Dove va?” domandò Jasper, con un dolore allucinante alla testa. Gli ci volle qualche minuto per rendersi conto di ciò che lo circondava. Era in ospedale, di questo era più che certo, anche perché il monitor con il bip che scandiva il battito cardiaco lo vedeva bene oltre che sentirlo…come ci era finito? D’improvviso, come un film che va troppo veloce rivide tutto. Lui e Alice che litigavano, lui che cercava di calmarla, lei che tentava di prendergli il volante per convincerlo a tornare indietro, lui che perdeva il controllo dell’auto, lo schianto, il sangue che gocciolava dalla fronte della sua ragazza…il buio che lo aveva accolto fino al momento del risveglio.
“Non lo so…sarà andato a chiamare Mark. Vado a cercarlo” rispose Edward e prima che il fratello potesse replicare era già fuori la porta.
“Alice...” sussurrò Jasper, solo nella sua stanza, anche lei si era salvata, vero? Non poteva essere morta, non poteva abbandonarlo così. Non poteva, ma soprattutto non voleva immaginare la sua vita senza di lei, senza il suo amore. La paura di perderla prese il controllo e della calde lacrime gli rigarono il volto.

No, non era andato a chiamare Mark. Si era rintanato nella sala relax cercando di riprendere il controllo del suo corpo, del suo cuore e delle sue lacrime. Doveva calmarsi. Jasper si era svegliato, era vivo, non lo aveva perso. Respirò a fondo ripetendosi quelle parole come un mantra.
“Dottor Cullen? Tutto bene?” la voce di Jack, il suo specializzando lo riportò alla realtà. Carlisle alzò lo sguardo verso di lui, il ragazzo gli sorrise offrendogli una tazza di caffè che in realtà si era versato per sé poco prima.
“Grazie.” Disse il suo mentore prendendo la tazza fumante, evitando la domanda e allora Jack capì che voleva stare da solo, ma ciò che vogliamo non sempre corrisponde a ciò di cui abbiamo bisogno, così il ragazzo si versò una seconda tazza di caffè e si sedette accanto al suo capo. Senza dire una parola, solo per fargli sapere che lui c’era. Entrambi sorseggiarono un po’ di caffè, godendosi il silenzio e la compagnia dell’altro.
Il dottor Cullen, che fino a quel momento fissava un punto indefinito davanti a sé, rivolse lo sguardo verso Jack che in silenzio continuava a bere il suo caffè. Dentro di sé l’uomo sorrise, quel ragazzo poteva anche essere un po’ sbadato, ma aveva un grande cuore e questo per essere un buon medico era essenziale, nessuno poteva insegnartelo.

Alice Swan era da sola nella sua camera d’ospedale, sua sorella le aveva portato alcune delle riviste di cui lei andava matta in modo che potesse distrarsi. Ci aveva anche provato a sfogliarle, concentrandosi sulle mode del momento ma il suo unico pensiero era Jasper. Si era svegliato? Era ancora in coma? Era peggiorato? Le domande si succedevano una dopo l’altra nella sua mente ed ogni volta pensava al peggio, rabbrividendo. Avrebbe tanto voluto essere accanto a lui, stringergli la mano e dirgli quanto gli dispiaceva di averlo trascinato in quella follia, delle parole che gli aveva urlato in auto, ma soprattutto che lo amava…più di quanto amasse se stessa.
La porta che si apriva la riportò alla realtà e il sorriso di Jasper sparì dalla sua mente. Renée Swan entrò con passi lenti nella camera della figlia e, dall’espressione che aveva assunto il volto della giovane, capì che era l’ultima persona che voleva vedere. Andò a sedersi accanto ad Alice senza distogliere lo sguardo dagli occhi di lei. Madre e figlia si guardarono, in un silenzio teso, aspettando che una delle due parlasse.
“Alice…” fu Renée a rompere il silenzio, cercando di spezzare la tensione che era nell’aria, Alice continuò a guardala dritta negli occhi in segno di sfida.
“Mamma.” replicò con tono freddo, i momenti spensierati in cui, quando aveva cinque anni, le diceva che l’avrebbe sempre amata stringendola tra le sue esili braccia sembravano lontani anni luce.
“Sai, la cosa buffa è che dovrei essere io a trattarti in questo modo, ad essere arrabbiata con te. Sei scappata di casa, lasciando una lettera in cui mi davi la colpa di questa tua pazzia. Ti rendi conto di quante stupidaggini hai scritto? Se pensi che…” ed ecco qua, era iniziata la predica, ma stavolta Alice non sarebbe rimasta in silenzio a subire con la testa bassa scusandosi per il suo comportamento, stavolta avrebbe parlato affrontando l’autorità materna una volta per tutte.
“Basta!” esclamò la giovane esasperata. La madre si ammutolì, pietrificata dal tono usato dalla figlia. Come osava contraddirla?
“Sono stanca, mamma. Di te e delle tue assurde teorie, cosa devo fare per farti cambiare idea? Io amo Jasper! È così tanto difficile da accettare? Quello che ho scritto è la verità, sei stata tu a costringermi a scappare e sai una cosa? Jasper voleva che tornassimo a casa e per questo abbiamo litigato pesantemente, dicendoci cose che neanche pensiamo per davvero. È tutto vero, mamma. Io lo amo e non m’importa di ciò che pensi o non pensi di lui, non ti permetterò di separarci!” ce l’aveva fatta, aveva dato sfogo alla rabbia che le ribolliva dentro. Prese un grosso respiro e si preparò alla replica della madre che non tardò ad arrivare.
“Tu lo ami e io questo l’ho capito, ma non pensi che stai esagerando? Guarda a cosa ti ha portata! Hai rischiato di morire e per cosa? Per un ragazzo!” ribatté Renée nera di rabbia verso la figlia, ma soprattutto verso quel ragazzo che l’aveva resa sua complice.
“Mamma, ascoltami bene. Sono stata io a trascinare Jasper in questa follia, l’unica persona che ha tutte le ragioni per impedire la nostra storia è il dottor Cullen. Suo figlio è in coma, rischia seriamente di morire ed è solo colpa tua e mia. Giuro che se Jasper muore io…non posso perderlo, mamma…non voglio e non posso immaginare la mia vita senza di lui…” era scoppiata, non riusciva più a parlare per le troppe lacrime, aveva iniziato a scendere senza che lei se ne rendesse conto. La paura di perderlo era troppa, la paralizzava.
Renée non potè fare altro che arrendersi, la sua bambina era davvero innamorata. L’abbracciò, cercando di calmarla e Alice, dapprima restia, si lasciò consolare dalle braccia materne.



-Salve a tutti!
Stavolta ho fatto passare solo un mese, visto? Faccio pregressi ahahah scherzi a parte, spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto. Grazie, come sempre, a tutti quelli che continuano a leggere e a recensire questa storia, per me è davvero importante il vostro sostegno.
Aspetto con ansia i vostri commenti. Alla prossima! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Sweet Hugs ***


Dopo essersi sfogata ed aver pianto fino a prosciugare le lacrime Esme era crollata in un sonno profondo. Carlisle la guardò dormire per interminabili minuti, era così bella e rilassata in quel momento che tutto ciò che li circondava sembrava far parte di un terribile incubo ed invece...
Un rumore assordante proveniente dal piano di sopra lo riportò brutalmente alla realtà. Sciolse in modo delicato l’abbraccio e quasi pianse nel realizzare che, da lì a poco, non avrebbe più potuto toccarla, sentire la sua pelle sotto le sue mani, accarezzare quei lunghi capelli ribelli.
È buffo, quando inizi a dare importanza alle piccole cose, capisci che saranno quelle che ti mancheranno di più. 
“Jasper, piantala!” il grido di Edward si sentì per l’intera casa e Carlisle, armato di pazienza, si decise ad andare di sopra, accompagnato dai piccoli sospiri della moglie ancora assopita.

 
Edward aveva cercato il padre per quasi l’intero ospedale, la sala relax era l’unica che gli mancava stava per entrare quando sentì parlare e, riconosciuta la voce del padre, restò ad ascoltare.
“Sai…è strano il fatto che mi mancano le cose più banali. Chiamarla durante il turno per scambiare qualche battuta e finire con un ‘ti amo’, quel suo modo di tirarmi su quando perdevo un paziente, la tazza di thè che nonostante tornassi anche a tarda notte mi faceva trovare sul tavolo in cucina sempre fumante.” Stava parlando con Jack, il suo specializzando, nonostante quest’ultimo non avesse chiesto niente, ma sapeva che ne aveva bisogno.
“Le posso chiedere perché pensa a queste cose adesso, dottor Cullen? Suo figlio si è svegliato dovrebbe pensare solo a cose felici.” La voce di Jack era incerta, da una parte non avrebbe voluto fare quella domanda, ma dall’altra lui era sempre stato un tipo curioso…facile capire quale delle due avrebbe vinto.
“Credimi lo so, Jack. È solo che vorrei che lei fosse qui per vedere quanto sono cresciuti e quanto Jasper le assomigli così tanto…io vorrei soltanto un suo abbraccio, lei sapeva farti sentire a casa e Jasper ne ha bisogno ed anch’io.” L’ultima parola l’aveva pronunciata con un filo di voce infatti Edward fece fatica a coglierla.
Stava per entrare quando una mano sulla spalla lo bloccò, si voltò e vide Mark che lo fissava con sguardo interrogativo.
“Che ci fai qui Edward?” sperava davvero che il padre non l’avesse visto, ma la voce possente del dottor Anderson non lo aiutò affatto, socchiuse gli occhi per poi aprirli dopo un secondo.
“Ti stavo cercando Mark. Jasper si è svegliato!” esclamò prendendo la palla al balzo. Lo sguardo di Mark cambiò rapidamente e sorrise sollevato dalla bella notizia.
“Vado subito a visitarlo…non ho visto tuo padre in giro, immagino stia con lui o con Alice. In ogni caso digli che mi trova da Jasper” disse velocemente per poi correre via. Edward sospirò e sentì la porta dietro di lui aprirsi, scattò in avanti e incontrò lo sguardo del padre. Senza dire una sola parola lo strinse tra le sue braccia sperando di farlo sentire, almeno un po’, a casa.

Jasper era rimasto solo con le sue lacrime. Suo padre era fuggito coprendosi il viso, Edward era andato a cercarlo, ma nessuno dei due gli aveva dato notizie su Alice e, di conseguenza, la sua mente aveva dato il via a conclusioni una più dolorosa dell’altra.
Quando la porta si aprì e la figura di Mark si fece largo nella stanza, il ragazzo si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento. Come se il dottore gli avesse letto nel pensiero, gli sorrise sollevato e Jasper solo in quel momento ritornò, veramente, a vivere. Alice si era salvata.
“Di nuovo qui, eh? Ti sei affezionato dì la verità!” lo schernì, prontamente, il dottor Anderson, il giovane Cullen sorrise scuotendo il capo.
“Sì certo, soprattutto a te! Adoro rischiare di morire per poi svegliarmi e ritrovare la tua faccia!” rispose, a tono, Jasper facendo ridere quello che ormai chiamava zio.
“Già ci scherzi su, fai passi da gigante.” Fu l’ultima battuta di Mark per poi ritornare serio e fare ciò per cui era entrato, visitarlo e assicurarsi che andasse tutto bene.
Mark aveva appena finito di visitarlo, quando bussarono alla porta e, senza aspettare risposta, quest’ultima si aprì facendo entrare due poliziotti.
“È lei Jasper Cullen? Dovremmo farle alcune domande sull’incidente che ha visto coinvolto lei e la sua ragazza, Alice Swan.” Disse uno dei due, quello leggermente più basso, con un tono di voce serio. Il giovane Cullen si ritrovò spiazzato a quell’affermazione, se si era trattato di un incidente perché interrogarlo? Che avesse ferito qualcuno e lui non ne aveva memoria?
“Mi dispiace interrompervi agenti, ma il ragazzo è minorenne e non potete interrogarlo senza la presenza di un genitore. Inoltre si è appena ripreso e dovreste aspettare il consenso del suo medico, in questo caso il mio, prima di procedere con qualsiasi domanda.” Intervenne Mark, sconvolto anche lui dall’arrivo dei due, ma la sua esperienza gli aveva insegnato a gestire ogni genere di situazione. I due agenti si scambiarono un’occhiata eloquente e quello di prima riprese a parlare.
“Ci dispiace avervi interrotti. Credevamo che lei fosse il padre del ragazzo, vuol dire che torneremo tra un po’.” Detto questo, come prima, senza aspettare risposta, si congedarono lasciando Mark e Jasper soli.
“Che sta succedendo, Mark? Perché tutta questa urgenza di parlarmi, ho coinvolto qualche altra auto nell’incidente?” chiese, facendo domande a raffica, il giovane Cullen senza lasciare al dottore il tempo di rispondere.
“Jasper adesso calmati. Non devi agitarti, risolveremo questa situazione.” rispose Mark, poggiando entrambe le mani sulle spalle del ragazzo per infondergli calma. Doveva dire a Carlisle di questa storia, il prima possibile.

Renée Swan aveva fatto la sua comparsa nella camera di Alice, ora toccava al marito, l’ispettore Charlie Swan, colui che non aveva commentato le azioni della figlia concentrandosi solo ed unicamente sulla sua salute. Ora, però, doveva parlarle seriamente a quattro occhi.
“Sei sveglia, tesoro?” domandò, con voce cordiale, ma che tremava per la rabbia, la preoccupazione, per lo spavento che gli aveva fatto prendere quando aveva realizzato che non era a casa, quando aveva trovato la lettera piena di odio e risentimento indirizzata alla moglie, quando aveva capito che era scappata e chissà quando l’avrebbe rivista.
“Sì, papà, entra pure.” Rispose Alice, con voce innocente quasi ignara del dolore che suo padre aveva affrontato in pochi giorni, inconsapevole che probabilmente era più di lui che si doveva preoccupare piuttosto che della madre.
“Alice, dobbiamo parlare di quello che hai fatto.” Era tremendamente serio nel tono della voce e la giovane Swan iniziò a preoccuparsi di ciò che avrebbe detto.
“Sappiamo entrambi il perché hai fatto questa sciocchezza e quanto sia costato a te e al povero Jasper, che voleva solo compiacerti e ti ama così tanto, sul serio non ho mai visto un ragazzo guardare la propria fidanzata come fa lui. Apprezzo davvero quel ragazzo, è giusto per te e sai quanto abbia discusso con tua madre per la sua fissazione di rincorrere fantasmi.” Parlava con il cuore, le strinse la mano e si sedette accanto a lei sul letto.
“Io non ti ho insegnato questo, Alice. Non ti ho insegnato a fuggire dai problemi perché non li risolve, ti ho detto sempre di affrontarli e di accettare le conseguenze.” Ed eccola qui, la ramanzina che la ragazza sperava proprio di scampare, quella sensazione di aver deluso le aspettative del padre si fece largo nel suo cuore e faceva male, tremendamente male.
“Ci ho provato, papà. Ho tentato di parlare con la mamma e di risolvere la situazione, ma poi dopo la cena dove ha gettato fango su Jasper e tutta la sua famiglia, dopo la reazione di lui… Come potevo risolvere le cose?” chiese Alice, con la sua vocina delicata che implorava di essere capita, di trovare un minimo di conforto.
“Potevi venire di me, chiedermi aiuto, anzi la mattina dell’incidente io ero venuto a cercarti in camera tua perché sapevo che la situazione stava degenerando. Per trovare una soluzione insieme. Posso immaginare quanto ti sia sentita oppressa, prigioniera dell’idea di tua madre e quanto lei abbia sbagliato… ma credi che la tua reazione sia stata più matura della sua?” replicò Charlie, cercando di farle capire che poteva comprenderla fino a un certo punto, poteva davvero farlo ma poi i sentimenti avevano preso il sopravvento e questo non andava bene, almeno non sempre.
Alice non rispose, abbassò il capo consapevole della verità che si celava nelle parole del padre, quest’ultimo l’abbracciò. La ragazza iniziò a piangere silenziosamente e lui la strinse più forte. Sua figlia aveva capito.





-Sono imperdonabile, lo so.
Spero solo che sia rimasto qualcuno a leggere questa storia e che il capitolo vi sia piaciuto. Non mi sento di fare promesse su quando arriverà il prossimo, spero di trovare il prima possibile il tempo per scriverlo.
Grazie mille a tutti quelli che sono rimasti. Di vero cuore.
Alla prossima! <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Unexpected events ***


Il dottor Carlisle Cullen era letteralmente sparito dalla circolazione e Mark stava perdendo le speranze di ritrovarlo quando ebbe un’illuminazione: l’ultima possibilità era cercarlo sul terrazzo dell’ospedale dove andava di solito quando voleva allontanarsi dallo stress del pronto soccorso o quando perdeva un paziente.
Il dottor Anderson, infatti, lo trovò lì, nello stesso punto in cui si era rifugiato quando comprese che per Esme non c’era più alcuna speranza. In quello stesso luogo dove aveva visto la fragilità che l’amico cercava di nascondere crollare su di lui.
Carlisle era lì, sul punto più alto dell’ospedale a fissare l’orizzonte e, per quanto capisse il suo bisogno di restare solo, Mark non poteva lasciarlo in pace. Suo figlio aveva bisogno di lui e non poteva rimanere sordo alla sua richiesta. Si avvicinò a passi lenti, ma Carlisle lo sentì lo stesso.
“Ancora due minuti, ho bisogno solo di altri pochi muniti, Mark. Poi tornerò giù e metterò da parte i miei sentimenti, le mie paure e tutto il resto.” Disse e le sue parole avevano una verità che non dovrebbe essere tale. Un genitore non dovrebbe nascondere le proprie debolezze ai figli eppure è la cosa più naturale del mondo. Nessun padre, degno di essere chiamato tale, dovrebbe pesare sui propri figli, questo almeno secondo loro.
“Vorrei davvero lasciarti in pace, Carlisle, ma non posso. Jasper è in preda al panico, due poliziotti volevano interrogarlo.” Queste parole furono la miccia che fecero riaccendere l’anima smarrita del dottor Cullen, si voltò per guardare Mark negli occhi e quest’ultimo fu sollevato di aver ritrovato il suo amico. Senza perdere altro tempo, i due medici si affrettarono a raggiungere Jasper.
Quando scesero giù trovarono Julia ad aspettarli, la donna era stata chiamata dal marito sia per le sue doti di avvocato e sia come supporto morale a tutta quella situazione così surreale.
“Ciao Carlisle, ti chiederei come stai ma so quanto questa domanda possa risultare ridicola in questo momento. Ho parlato con gli agenti che volevano interrogare Jasper che, tra parentesi, appena hanno sentito la parola avvocato si sono terrorizzati. Comunque sia sono certa che non proveranno ad avvicinarsi a Jasper finché non li autorizzeremo noi.” Era entrata in modalità avvocato e donna in carriera, tutto ciò la rendeva ancora più sexy agli occhi di Mark.
“Ciao anche a te super Julia. Sa dove posso trovare mia moglie?” scherzò il dottor Anderson che, fino ad allora, non era stato minimamente considerato dalla sua amata. Quest’ultima alzò gli occhi al cielo, tirandogli una gomitata giocosa, solo suo marito poteva essere capace di scherzare in una situazione del genere.
“Hai scoperto perché volevano interrogare Jasper? Solo per chiarimenti sull’incidente o qualcuno ha sporto denuncia contro di lui?” chiese Carlisle, con un tono pacato che nascondeva bene la tensione, era decisamente un bravo attore.
“Sì e la risposta non ti piacerà” rispose a voce bassa Julia, tutta la carica di prima era smarrita insieme alla calma di Carlisle. A tradire quest’ultimo fu il suo sguardo, prima celava solo una piccola nota di preoccupazione, ora ne era pieno e per poco non crollò di nuovo.
“Il guidatore dell’altra auto ha sporto denuncia contro di lui, ritenendolo l’unico responsabile dell’incidente. Ho provato a parlarci, ma rifiuta categoricamente di parlare con qualcuno che non sia tu. Si tratta di William Cullen, tuo padre Carlisle.” A quelle parole il dottor Cullen lo fece, crollò per la seconda in un giorno, sorreggendosi al muro come un adolescente a cui hanno appena spezzato il cuore. Era così che lo faceva sentire suo padre, e a distanza di anni la sensazione non era diminuita, spezzato.

Jasper iniziava a perdere la pazienza, era stufo che nessuno gli dicesse che cosa stesse succedendo, se veramente, come sospettava, avesse coinvolto un’altra o più auto durante l’incidente. Le uniche persone che aveva visto da quando il dottor Anderson era corso via, erano le infermiere che, sfoggiando i loro migliori sorrisi, gli chiedevano ogni volta come si sentisse. Avrebbe voluto rispondere sinceramente, ma ciò che provava non era di certo di loro competenza.
Era sempre stavo un tipo ansioso, ma questa le batteva tutte, perciò quando sentì qualcuno bussare alla porta acconsentì subito al suo ingresso pur non sapendo chi fosse ed era decisamente l’ultima persona che credeva di vedere in quella stanza.
“Signora Swan, che cosa ci fa qua?” domandò a denti stretti, la rabbia che provava per quella donna, causata da tutto il fango che aveva gettato sulla sua famiglia senza averne diritto, gli ribolliva ancora dentro.
“So che sono l’ultima persona che vorresti vedere, ma dovevo guardarti negli occhi per dirti certe cose” rispose, camminando a passi lenti verso il letto. Le mani strette una nell’altra, gli occhi che saettavano da una parte all’altra della camera, era decisamente nervosa.
“La ascolto, allora” il tono di voce usato dal giovane Cullen era pacato, ricordava quasi quello del padre, così calmo che sorprese perfino lui stesso. Di certo un’altra scenata era l’ultima cosa che servisse ad Alice in quel momento.
“Io ti devo delle scuse, Jasper. Mi dispiace di essermi intromessa nella vostra relazione e, soprattutto, di aver attaccato la tua famiglia nonostante non ne avessi il diritto. Perdonami per aver portato te ed Alice a tanto, avete rischiato la vostra vita pur di dimostrarmi quanto ciò che vi lega sia forte. Concedimi un’altra possibilità e vedrai che non sono così terribile, forse.” Aveva parlato col cuore in mano e le sue parole avevano lasciato il ragazzo dinanzi a lei a bocca aperta, evento quasi raro. La signora Swan, colei che si era battuta con le unghie e con i denti contro la loro storia, gli stava chiedendo una seconda occasione. Jasper stentava a crederci, così tanto che pensò di star sognando. 
“Anch’io le devo delle scuse, signor Swan…” la mano alzata della donna fermò sul nascere ogni tentativo di Jasper di chiedere scusa. L’espressione confusa di quest’ultimo fece sorridere Renée.
“Tu non hai nulla di cui scusarti, Jasper. Hai reagito a ciò che ho detto io, forse in un tono troppo alto, ma chiunque avrebbe fatto lo stesso o anche peggio. Io sono l’unica che deve scusarsi qui e su questo non ho intenzione di cedere.” Replicò Renée e tutta la rabbia che Jasper provava per quella donna svanì quando comprese la sincerità delle sue parole.
“Va bene, allora. Scuse accettate ovviamente, ci mancherebbe. La ringrazio, signora Swan” avrebbe voluto dirle quanto quel gesto l’avesse stupito, ma il meglio doveva ancora venire, infatti Renée si avvicinò ancora di più per stringere, colui che riteneva ora a tutti gli effetti il fidanzato di sua figlia, in un abbraccio carico di affetto e riconciliazione.




-Non ho nulla da dire, perché ogni scusa per l’immenso ritardo risulterebbe superflua e inutile. Spero che qualcuno sia ancora rimasto. Grazie per la pazienza!
Al prossimo capitolo! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** We can’t lose you ***


“Non lo vuoi nemmeno salutare? Ne sei sicuro?” domandò Esme a suo marito, suonava così strano etichettarlo in questo modo, in fondo erano sposati solo da qualche mese.
“Se fosse per lui, io non sarei nemmeno qui.” Rispose secco Carlisle, sapeva bene quanto sua moglie disapprovasse la sua scelta di non avere nessun contatto con suo padre, ma per quanto cercasse di spiegarle ciò che aveva dovuto sopportare durante gli anni precedenti il college non riusciva a capire, certe cose devi provarle sulla tua pelle per comprenderle a fondo.
“D’accordo, come vuoi, tesoro” gli sussurrò Esme in modo dolce, dopo avergli lasciato un delicato bacio sulla guancia. Non era né il momento né il luogo adatto per iniziare una nuova discussione, il funerale della madre di Carlisle stava per cominciare.

 
William Cullen, suo padre, quell’uomo che non aveva mai considerato tale e dal quale si era allontanato anni prima era lì a pochi passi da lui, a dividerli solo una porta semiaperta. Carlisle stentava a crederci e tutto il suo corpo iniziava a bruciare in memoria di un tempo che credeva dimenticato. Non avrebbe mai voluto varcare quella soglia eppure si sentiva in dovere di farlo, per suo figlio, per essere il padre che quell’uomo non era mai stato.
“Figliolo, ne è passato di tempo, non credi?” quell’esclamazione, come se tutto andasse bene, diede a Carlisle la conferma che suo padre non era cambiato per niente.
“Mi hanno riferito che mi cercavi.” Professionale, distaccato, freddo questo era il tono che avrebbe usato con lui.
“Quanta freddezza! Non sono io che mi sono allontano da te, da quello che mi risulta” replicò con un ghigno l’altro. Carlisle fece leva su ogni briciolo della sua forza di volontà per non girare i tacchi e andarsene.
“Che cosa vuoi?” cambiò discorso, sperando di portare a termine quella conservazione quanto prima. Odiava dover condividere lo stesso spazio vitale con lui.
“Sai, sono rimasto un po’ sorpreso quando mi hanno detto che il conducente dell’altra auto portava il mio stesso cognome. Ho pensato che fosse una blanda coincidenza, ma ascoltando alcune infermiere ho realizzato di avere un nipote, abbastanza cresciuto da poter guidare una macchina, a quanto pare.” Era difficile decifrare cosa pensasse realmente suo padre e l’essere stati lontani per anni non lo rendeva più facile. Carlisle rimase impassabile, la sua accusa non lo fece minimamente vacillare, come, di questo ne era certo, William avrebbe sperato. Quell’uomo non gli faceva più paura e aveva smesso di tremare solo incrociando il suo sguardo.
“Sì, è così. Hai un nipote, in verità due. Ma non credo ti importi di questo dato che hai sporto denuncia contro Jasper.” Se si aspettava delle scuse per non averlo reso partecipe della sua vita negli ultimi venticinque anni, allora era un illuso. Aveva dovuto affrontare molte scelte e l’aver tagliato fuori suo padre dalla sua vita era forse l’unica di cui non si sarebbe mai pentito, fatta eccezione l’aver sposato Esme e aver avuto Edward e Jasper, ovviamente.
“Ho sporto denuncia contro un criminale che mi ha tagliato la strada, il fatto che sia mio nipote e la parentela che ci lega non cambia di certo le cose.” Era serio, tremendamente serio e Carlisle si ritrovò a sorride inconsapevolmente, come immaginava, suo padre non era cambiato.
“Bene. Allora perché volevi vedermi se non hai intenzione di ritirare la denuncia contro mio figlio?” aveva calcato bene l’ultima parola, in modo quasi possessivo, come se avesse paura che William potesse fargli del male al solo pensarlo come nipote.
“Per complimentarmi con te del tuo fallimento come padre. Evidentemente non ti ho insegnato niente nella vita. Non sei di certo come me.” Era così convinto che il dottor Cullen volle lasciarlo truciolare nel suo stesso brodo. Non replicò, non voleva dargli questa soddisfazione e non aveva intenzione di mettersi a discutere con qualcuno che considerava come un estraneo. Semplicemente si voltò e lasciò la stanza con la stessa ostilità con la quale era entrato qualche minuto prima. Suo padre non gli avrebbe arrecato più dolore, non glielo avrebbe permesso.

Jasper era rimasto solo, per l’ennesima volta, nella sua stanza e la cosa iniziava a innervosirlo. Suo padre era sparito appena lui si era svegliato e, dopo qualche minuto, anche Edward. Voleva abbracciarli e dirgli quanto avesse avuto paura di non rivederli più, di non ridere più con loro e di non mangiare più la cucina salutare che suo padre continuava a proporre ogni volta che aveva la possibilità di cucinare. Che loro non avessero avuto la sua stessa paura? Come era entrato, così velocemente quel pensiero lo abbandonò. Non doveva mettere in dubbio il bene che la sua famiglia provava per lui. Scosse la testa per scacciare tutti i brutti pensieri e sospirò, doveva trovare un modo per spiegare ciò che era successo a suo padre, ma più di tutto voleva abbracciarlo e promettergli di non rischiare più di morire. Due volte negli ultimi mesi erano abbastanza.
Tossì un paio di volte e stava per scendere del letto quando un dolore lancinante lo colpì al fianco, Mark aveva dimenticato di dirgli che aveva qualche costola rotta. Tirò dei grandi respiri e delicatamente si sdraiò di nuovo sul letto, sperando che il dolore diminuisse in attesa che suo padre o il dottor Anderson andassero a fargli visita.
Stava ancora lottando con i residui della fitta di dolore quando vide una figura minuta entrare nella stanza e, per un attimo, credette di star sognando.
“Mamma...” sussurrò, la voce impregnata di dolore, lo sguardo carico di ogni più variata emozione. Era bella proprio come la ricordava. I capelli rossicci quasi mossi le cadevano delicatamente sulle spalle e il sorriso tenero era lo stesso di anni prima. Le sorrise anche lui, seppur debolmente, e decise di lasciarsi andare, non riusciva più a combattere, era troppo stanco.

Il dottor Anderson era rimasto ad aspettare Carlisle a debita distanza così da non origliare la conversazione, sapeva quanto il collega l’avrebbe odiato se avesse agito diversamente. Accanto a lui c’era sua moglie che cercava di trasmettergli calma, conosceva il suo compagno e sapeva quanto quella situazione fosse frustrante anche per lui. Considerava Jasper come un figlio, al pari di Emily e aveva sfidato troppe volte la morte quel ragazzo ultimamente. Avrebbe dovuto essere furioso con lui, ma quando l’aveva visto sveglio pronto a scherzare non aveva resistito e tutta la rabbia era stata sostituita da una gioia immensa, il suo cuore era diventato più leggero da quel momento.
Il rumore assordante del cerca-persone riscosse Mark da ogni pensiero e impallidì. Codice rosso, stanza 242. Si trattava di Jasper. Un brivido gli percosse tutta la schiena, il cuore perse un battito e, senza dare alcuna spiegazione a Julia, corse via. Più correva tra gli ampi corridoi dell’ospedale e più la meta gli sembrava distante, ad ogni passo faceva forza sulle proprie gambe in modo da accelerale il più possibile. Non si sarebbe fermato. Non poteva perderlo, non se lo sarebbe mai perdonato.




-So che mi odiate. Non ho scuse per essere sparita, spero solo che ci sia rimasto qualcuno a seguire questa storia, perché ho intenzione di finirla prima o poi.
Non vi faccio promesse per quanto arriverà il nuovo capitolo, ma ce la metterò tutta per aggiornare il prima possibile!
Un bacio grande e grazie per la pazienza! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** It's not your fault ***


Julia sapeva che era successo qualcosa di grave, altrimenti il marito non sarebbe mai corso via in quel modo senza lasciare alcuna spiegazione. Stava per alzarsi in modo da seguirlo o almeno per chiedere informazione sulle condizioni di Jasper, aveva un brutto presentimento e, di solito, il suo istinto non la deludeva, ma la suoneria del cellulare la costrinse a rimanere seduta e a cercarlo nella borsa. Una volta trovato un sorriso di vittoria si dipinse sul volto durando solo pochi secondi perché subito dopo si affrettò a rispondere.
“Avvocato Julia Anderson, come posso esserle utile?” rispose con un tono professionale e si presentò con le sue credenziali, era un numero sconosciuto e la precauzione non era mai troppa nel suo lavoro.
“Signora Anderson? Perdoni il disturbo, sono Sophia Taylor, la consulente scolastica della scuola di sua nipote Emily.” La voce era incerta e dolce, quasi materna, come se stesse parlando con l’ennesimo studente che aveva paura di mostrare i suoi sentimenti.
“Sì, sono io, mi dica pure. C’è qualche problema con Emily?” sperò fino all’ultimo secondo che la risposta a quella domanda fosse negativa, ma la scuola non chiama mai per complimentarsi dei suoi alunni.
“Be’ niente di grave. Le spiego, quando venne a parlare il dottor Anderson mi disse chiaramente che, ogni qualvolta Emily si sarebbe assentata senza giustificazione, avrei dovuto avvisarlo. Mi dispiace aver chiamato lei, ma ho provato più volte a rintracciare suo marito senza successo.” Non voleva fare quella chiamata, si poteva sentire chiaramente nel tono che aveva usato la signora Taylor.
“Io non ne farei una tragedia, è la prima volta dopo mesi. La ragazza è migliorata molto, il suo rendimento scolastico soprattutto, forse non si sentiva bene e quindi…” cercò di giustificarla quando non sentì risposta da parte di Julia, quasi come se fosse lei la tutrice. Si era affezionata ad Emily, le ricordava molto lei ai tempi del liceo, aveva sofferto tanto quella ragazza si meritava un po’ di pace.
“Me ne occupo io, grazie per avermi avvisato signora Taylor e apprezzo tutto ciò che ha detto su Emily. La ringrazio molto e le auguro una buona giornata.” Dopo l’attimo iniziale di sorpresa Julia aveva riacquistato le facoltà per rispondere e chiudere cordialmente la chiamata. Era furiosa con Emily, dopo tutto quello che stavano passando con Jasper, ci mancava solo lei che saltava la scuola. Mark non poteva pensare ad entrambi e toccava a lei risolvere la questione. Una volta chiarito il tutto, avrebbe informato il marito.

Bella stringeva la mano del suo ragazzo come a volerlo proteggere da tutto il dolore che stava affrontando in pochi giorni, Edward, dal canto suo, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla porta chiusa che li separava dalla sala operatoria dove Jasper, il suo fratellino, era entrato ore prima.
“Non è colpa tua…” la giovane Swan pronunciò quella frase con voce docile, non voleva risultare invadente ma, allo stesso tempo, voleva impedire al suo fidanzato di crogiolarsi nei sensi di colpa che di certo lo tormentavano.
“Non dovevo farlo uscire. Avrei dovuto fermarlo in qualche modo e non appoggiarlo” non aveva parlato per ore ed ora che lo aveva fatto il suo tono risultò così disperato e stanco che Bella non seppe cosa fare, non lo aveva mai visto in quelle condizioni. Continuò a stringergli la mano e ad attendere il momento in cui Edward sarebbe crollato, lei quella volta l’avrebbe sorretto. Il silenzio divenne di nuovo padrone di quella sala d’attesa fino a quando dei passi veloci non fecero voltare i presenti, dopo qualche secondo la figura di Emily fece capolino. Dal suo aspetto era facilmente deducibile che avesse corso a perdi fiato fino a quel momento, i capelli scomposti e il trucco quasi sciolto erano due indizi più che convincenti. Prima che uno dei presenti parlasse fu lei a prendere parola.
“Come stanno Alice e Jasper? Che cosa è successo?” nonostante la rabbia sul suo volto, il tono tradiva un forte senso di preoccupazione. Prima che qualcuno potesse rispondere alle sue domande, la porta della sala operatoria si aprì e Mark fece la sua entrata in scena visibilmente provato.
“Non è stato un intervento semplice, non riuscivamo a capire da dove partisse l’emorragia, ma dopo un po’ siamo riusciti a fermarla. Dal punto di vista medico non c’è alto che possiamo fare, dobbiamo solo aspettare che si svegli.” Aveva parlato con tono professionale, ma leggermente sollevato, era riuscito a salvare Jasper e non era stato facile, nonostante la stanchezza e il gran mal di testa che provava quella era una grande vittoria. Sospiri di sollievo e lacrime di gioia divennero le nuove protagoniste di quel luogo mentre il battito dei presenti tornava regolare. L’abbraccio che vide scambiarsi tra Carlisle ed Edward fu la cosa più bella e sincera degli ultimi giorni. Solo quando notò Julia, appena arrivata, trascinare via dalla sala Emily si rese conto che qualcosa non andava e, dopo essersi scambiato uno sguardo d’intesa con il suo più caro amico, le raggiunse.

Man mano che si avvicinava al terrazzo dove Julia aveva letteralmente trascinato Emily, il dottor Anderson poteva sentire benissimo i toni accessi della discussione tra le due.
“Non hai nessun diritto di rimproverarmi quando la prima a sbagliare sei stata tu! Ho dovuto saperlo dai ragazzi a scuola che Jasper ed Alice avessero rischiato la vita, sono miei amici più di chiunque, diamine!” stava decisamente urlando Emily e un ospedale non era di certo il luogo adatto per gridare in quel modo. Julia stava per replicare proprio nel momento in cui Mark fece il suo ingresso ed Emily, appena vide lo zio sull’uscio della porta, si irrigidì.
“Non mi piace per niente il tono che hai usato per rivolgerti a Julia, signorina. Non so le cause che vi hanno spinto a discutere in questo modo e, per ora, neanche mi interessano. Sono esausto e Jasper è vivo per miracolo, se non vi dispiace vorrei godere di questa tranquillità. Una volta tornati a casa, avrete tutto il tempo di chiarirvi, magari dandomi anche una spiegazione.” Aveva parlato con voce severa e autoritaria, talmente efficacie che nessuna delle due ebbe il coraggio di replicare. Emily fu la prima a scappare via, aveva bisogno di calmarsi prima di far ritorno a casa e Julia, in quel momento, era l’ultima persona con cui avrebbe voluto condividere lo spazio.
L’avvocato guardò il marito e, senza proferire parola, sprofondò tra le sue braccia. Mark aveva ragione, quello era il momento di godersi un po’ di tranquillità, per discutere delle loro azioni c’era tempo.

Jasper sarebbe stato presto bene, era salvo e tutto si sarebbe risolto, eppure Carlisle non era tranquillo, qualcosa ancora lo tormentava. Cercò di scacciare via i brutti pensieri quando vide il maggiore dei suoi figli avvicinarsi.
“Papà, ti dispiace se entro prima io da Jasper?” domandò Edward con voce incerta e impaziente di far visita al fratello che aveva promesso di proteggere a costo della vita. Il medico sorrise, il rapporto fraterno che legava i suoi figli era qualcosa di straordinario e poteva ritenersi davvero fortunato.
“Certo che no, Edward. Vai pure, io comunque devo firmare alcuni moduli” rispose, pur consapevole che non c’era alcuna fretta per la compilazione di quei documenti, ma allontanarsi per riordinare i pensieri gli sembrò l’idea migliore in quel momento. Il giovane Cullen non se lo fece ripetere una seconda volta e percorse velocemente i pochi metri che lo separavano da Jasper. Carlisle, rimasto solo, si lasciò andare a peso morto su una sedia accanto a lui e pianse senza riuscire a controllarsi, aveva bisogno di scaricare tutta l’adrenalina accumulata in quei giorni e le lacrime erano un ottimo sfogo. Era talmente immerso nei singhiozzi che si rese conto della presenza del dottor Anderson solo quando quest’ultimo gli appoggiò una mano sulla schiena. Sollevò la testa e con il dorso delle mani si asciugò le ultime lacrime rimaste.
“Scusami, non so che cosa mi sia preso” si affrettò a dire, con la voce ancora preda dei singhiozzi, fece un respiro profondo per calmarsi.
“Avevi bisogno di sfogarti, tutto qui. Hai quasi perso tuo figlio, piangere è il minimo che potessi fare” replicò Mark, cercando di fargli capire che un uomo, per quanto forte, non può mai essere invincibile. C’era qualcos’altro che turbava l’amico, lui lo avevo capito, ma non si azzardò a porre domande, sarebbe stato Carlisle a rivelarlo se lo avesse voluto.
“È tutta colpa mia. Se fossi stato più presente, se fossi stato a casa sabato lui non sarebbe uscito, non avrebbe rischiato di morire, se…” non aveva la forza di continuare, la disperazione lo stava divorando, era diventato schiavo dei propri sensi di colpa.
“Smettila di dire cazzate. Tu non hai nulla da rimproverarti, Carlisle, hai fatto quello che hai potuto al massimo delle tue capacità. Jasper ha commesso un errore ed ha quasi pagato il prezzo più alto, ma non è successo, questa è la cosa più importante. Tuo figlio si sveglierà a momenti e, quando lo farà, vorrà riabbracciare suo padre ne sono più che sicuro” nonostante il mal di testa atroce e la voglia di riposare fino al mattino dopo, Mark non poteva girarsi dall’altra parte e fare finta di niente, doveva convincere il suo più caro amico che lui, in tutta quella assurda faccenda, non aveva un briciolo della colpa che si ostinava ad addossarsi.
“Forse hai ragione, ma non posso smettere di pensare che se Esme fosse stata qui tutto questo non sarebbe successo, lei avrebbe…” neanche questa volta riuscì a completare la frase e prima che Mark potesse replicare Edward rientrò in sala, dall’espressione addolorata sul suo volto il dottor Anderson capì che aveva ascoltato la conservazione o, almeno, l’ultima parte.
“Lei non avrebbe potuto fare niente di più, papà. Tutta questa storia di Jasper non è colpa tua, ma su una cosa hai ragione: se la mamma fosse qui non ti permetterebbe di crogiolarti nei sensi di colpa, ma ti trascinerebbe da Jasper perché l’unica cosa che conta davvero è che non l’abbiamo perso, papà. Lui se la caverà, starà bene e torneremo a tormentarti per il tuo essere troppo apprensivo molto presto.” Quel discorso avrebbe conquistato il cuore di chiunque e quello di Carlisle non fece eccezione, guardò dritto negli occhi suo figlio prima di sorridere stringendolo in un caldo e commuovente abbraccio, un gesto di cui il dottor Cullen aveva decisamente bisogno. Non c’era più tempo per i rimorsi o i sensi di colpa, ora doveva godere del bene più prezioso per un padre: l’amore dei propri figli.



-Come ho già detto alla fine dello scorso capitolo, so di essere imperdonabile. Non ho più tutto il tempo che avevo prima per questa storia e, quindi, mi trovo costretta a scrivere nei ritagli se non sono troppo stanca. Mi rendo conto di far passare settimane o addirittura mesi prima di aggiornare, ma state più che certi che non abbandonerò mai questa storia. Spero che voi facciate lo stesso. Grazie di esserci <3

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Awakening ***


Emily era corsa via il più lontano possibile, per poi tornare immediatamente indietro una volta resasi conto che la cosa più importante era stare vicino a Jasper ed Alice per quanto potesse e, nonostante odiasse, in quel momento, con tutta sé stessa Julia decise di andare nella sala d’attesa insieme agli altri. Com’era prevedibile, la sua zia acquisita era lì proprio seduta accanto al marito, le mani unite una nell’altra in modo da darsi forza a vicenda. Diede uno sguardo veloce in giro e notò l’assenza di Edward e Carlisle, sicuramente erano al capezzale di Jasper ad aspettare che si svegliasse. Fortunatamente notò Bella poco davanti, stava litigando con uno dei distributori, senza degnare di uno sguardo i suoi tutori la raggiunse.
“Lascia perdere. Dicono che il caffè qui è talmente orrendo che non ne vale la pena…” disse in tono scherzoso, notando come l’amica si stesse accanendo contro la macchinetta.
“Sì, ma almeno mi ridesse i soldi!” replicò Bella, assestando un’altra botta all’apparecchio. Emily si fece largo tra le braccia esili di lei e pigiò un tasto rosso, di solito è così che dovrebbe attivarsi la modalità di espulsione del denaro. Pochi secondi dopo, si sentì un rumore di monete e i soldi di Bella ritornarono in mano alla legittima proprietaria.
“Grazie, sono così fuori di testa che non l’avevo notato” sussurrò la giovane Swan, era stanca e decisamente esaurita, tutta l’intera situazione avrebbe fatto lo stesso effetto a chiunque.
“Di nulla. Ti va di andare alla ricerca di un caffè degno di essere chiamato tale? Come parente stretto di un medico ho accesso alla sala relax” domandò Emily, anche se non sapeva se fosse vero, ma avevano entrambe la necessità di allontanarsi e distrarsi per almeno qualche minuto, meglio sfruttare quel tempo in maniera proficua. Bella annuì, sforzando un sorriso, convincendosi che forse staccare un po’ era proprio ciò di cui aveva bisogno.

Quando Jasper si svegliò la prima cosa che avvertì fu una forte fitta alla testa e, subito dopo, la sensazione di voler bere almeno due litri d’acqua. La vista era leggermente offuscata, quindi strinse più volte le palpebre in modo da mettere a fuoco tutto ciò che lo circondava. Il bip assordante dei macchinari era unito al respiro profondo e assopito di Edward, accanto a lui con il capo appoggiato sulle loro mani unite. Poco distante, su una poltrona di dubbia comodità c’era Carlisle, dormiva anche lui, ma il sonno era decisamente agitato perché muoveva la testa a destra e a sinistra senza trovare un equilibrio. Jasper sospirò, il cuore colmo di gioia e ansia, da un lato era felice che la sua famiglia non l’avesse lasciato solo, dall’altro sapeva di dover dare delle spiegazioni e fronteggiare le preoccupazioni del padre era l’ultima cosa che volesse fare. Decise di svegliare prima Edward, anche se non voleva interrompere la pace che il fratello aveva trovato solamente nel sonno, ma il desiderio di stringerlo a sé era troppo grande. Mosse leggermente la mano e lo chiamò con tono calmo, quasi in un sussurro. Edward iniziò ad agitarsi e voltò il capo verso la figura del fratello, aprì poco gli occhi e, appena distinse la figura di Jasper, li spalancò. Era talmente entusiasta che non riuscì ad esprimere la sua emozione a parole, così si limitò ad abbracciarlo per quanto i vari fili attaccati al suo petto glielo permettessero.
“Ci hai fatto preoccupare per giorni! Vedi di non fare più scherzi del genere!” esclamò Edward in un tono tra lo scherzoso e il serio. Jasper rise piano, perché farlo più forte gli faceva male, sciolse l’abbraccio e indicò il padre con un cenno del capo.
“È a pezzi. Il tuo oscillare tra la vita e la morte l’ha letteralmente distrutto, credo si sia appisolato poco prima di me per necessità. Nessuno di noi ha chiuso occhio negli ultimi due giorni.” Edward era tornato serio mentre spiegava a grandi linee come lui e il padre avessero trascorso le ore prime del suo risveglio, Jasper chinò la testa, si sentiva tremendamente in colpa per aver fatto passare l’inferno alle persone che più amava nella sua vita. Prese un grosso respiro, nonostante il petto gli facesse male, prima di provare a parlare.
“Mi dispiace. Io volevo solo convincere Alice, poi abbiamo litigato e tutto è successo troppo in fretta. Ricordo solo lei, con sangue sparso per la fronte e un giovane vigile del fuoco che cercava di tranquillizzarmi.” Tentare di riportare alla mente gli attimi prima dell’incidente e subito dopo gli faceva male e non solo per il gran mal di testa che aveva. Lui ed Alice si erano urlati contro cose orribili in preda alla rabbia, doveva scusarsi anche con lei, ma solo dopo averla stretta talmente forte da non farla respirare. Gli mancava, tanto, ma era consapevole che prima di vederla sarebbero passate delle ore. La mano di Edward, che non aveva ancora lasciato la sua, riprese la stretta e i due fratelli si guardarono, Jasper in quel momento capì che il maggiore non era arrabbiato con lui, anzi non lo era mai stato. Gli occhi di Edward, arrossati dal pianto, comunicavano solo sollievo e gioia, era felice di poter parlare ancora con il suo fratellino, che Jasper non l’avesse abbandonato.
“Vuoi che vi lasci soli? Forse hai bisogno di chiarirti più con lui che con me.” Domandò, indicando Carlisle che ancora dormiva senza trovare pace neanche nel sonno. Edward aveva visto l’armatura del padre sgretolarsi sotto ai suoi occhi, preda dei sensi di colpa, ma era convinto che ci fosse ancora un muro da abbattere e questo compito spettava a Jasper, lui aveva già fatto la sua parte.
“Se credi che sia una buona idea e che non usi uno dei fili per strozzarmi…” provò a scherzare il minore, cercando di alleggerire la situazione però un po’ di ansia l’aveva davvero. Edward scosse il capo, suo fratello era incorreggibile anche dopo aver rischiato di morire per ben due volte.
“Tranquillo, ti ama troppo per farlo. Vado ad avvisare gli altri e a cercare un caffè decente, tu fai ciò che devi” ribatté Edward prima di sparire, ma solo dopo aver rivolto uno sguardo rassicurante cercando di tranquillizzare il più piccolo dei Cullen.

Il piccolo Jasper era solo, tremava davanti la porta chiusa che lo separava dalla stanza dei genitori. Aveva paura di abbassare quella maniglia ed entrare, perché era consapevole di non trovare più sua madre tra le braccia del padre che dormiva tranquilla, come se quella stretta potesse proteggerla dal mondo intero. Magari l’avesse fatto. Era notte fonda, suo fratello Edward dormiva a due porte di distanza, talmente profondamente che il piccolo sentiva il suo respiro come se fosse a un passo da lui. Avrebbe voluto lui accanto, perché insieme sarebbe stato più facile abbassare quella maledetta maniglia che pesava come un macigno. Era la prima volta che entrava in quella camera dopo la morte di Esme e forse neanche era pronto, ma il bisogno di stringere suo padre era diventato troppo opprimente quella notte e Jasper non avrebbe chiuso occhio fino a che Carlisle non lo avrebbe abbracciato, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene. Dicendogli che anche dopo la scomparsa della loro mamma, la sensazione di avere il mondo contro sarebbe svanita presto, perché erano insieme. Loro tre lo avrebbero superato, ricominciando a vivere.
Abbassò la maniglia e, con passi lenti, entrò nella stanza buia illuminata lievemente dalla luce della luna, suo padre aveva lasciato la persiana all’insù, ma aveva chiuso le ante della finestra per il troppo freddo. Si avvicinò e lo osservò dormire in un sonno agitato, non stava fermo un attimo. Prese un bel respiro e armato di tutto il coraggio che un bambino di dieci anni può avere lo chiamò, toccandogli il braccio. Lo sentì grugnire leggermente, forse infastidito e, dopo qualche secondo aprì gli occhi con la voglia di mandare a quel paese chiunque lo avesse svegliato, ma appena mise a fuoco la figura di suo figlio Jasper, il più piccolo dei Cullen, rimase a bocca aperta.
“È successo qualcosa, Jasper?” domandò, la voce impregnata da ogni tipo di preoccupazione possibile, guardò distrattamente l’orologio sul comodino accanto al letto, segnava le 3.27 del mattino, un orario decisamente insolito per Jasper, lui che amava talmente tanto dormire che svegliarlo la mattina era diventata un’impresa.
“Papà, mi manca tanto la mamma” rispose Jasper, con la voce tremolante e con la paura che il padre lo scacciasse via per averlo svegliato in piena notte solo per dirgli questo. Carlisle guardò negli occhi il figlio, si mise seduto sul letto e lo attirò a sé. Lo strinse talmente forte che a Jasper quasi mancò il respiro.
“Manca tanto anche a me, cucciolo. Ti prometto che andrà tutto bene, okay?” sussurrò Carlisle alle orecchie minuscole del piccolo. Jasper annuì e tra quelle braccia, con quella promessa suggellata in piena notte, finalmente si addormentò, mentre una lacrima rigava il viso di suo padre.


Quel ricordo gli tornò in mente quando Edward chiuse la porta della sua stanza, sorrise perché quella notte si era conclusa con lui che aveva dormito nel lettone assieme al padre e il giorno dopo entrambi si erano ripromessi di non raccontare niente ad Edward, altrimenti sarebbe stato geloso e avrebbe fatto di tutto per convincere il padre a far dormire anche lui nel letto grande. Per un momento, Jasper desiderò tornare bambino, precisamente a quella notte, all’attimo esatto in cui suo padre lo aveva abbracciato e lui aveva avuto la sensazione di essere protetto dal mondo intero, di essere invincibile. Quest’ultima gli sarebbe proprio servita per affrontare quella situazione, così si armò di tutto il coraggio che aveva, come aveva fatto quella notte prima di entrare nella camera da letto dei genitori, e pronunciò la parola che avrebbe dato inizio a tutto: papà.


 

-Salve a tutti e buon anno in ritardo!
Sì, sono ancora viva e no, non ho dimenticato questa storia. È un pezzo di me e la porterò a termine, mi dispiace solo non avere più il tempo da dedicarle che avevo quando l’ho iniziata. So di fare passi lenti peggio di una tartaruga, ma non sceglierò mai di lasciarla incompleta, ci tengo troppo. Ringrazio tutti coloro che, nonostante i mesi che lascio passare tra un capitolo e l’altro, sono ancora qui e hanno deciso, come me, di non abbandonare questa storia. Mi date forza, non scherzo. Grazie di cuore.
Alla prossima! (Ovviamente non so quando)

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** We have time to explain ***


Quel suono, la voce di suo figlio che lo chiamava, a Carlisle non sembrò vero. La classificò come uno scherzo del suo inconscio durante quel sonno così travagliato, un gioco davvero di cattivo gusto. Solo quando la sentì nuovamente per la terza volta, pensò che forse non fosse così e si sforzò di aprire gli occhi, pronto all’ennesima delusione. Impiegò qualche minuto per mettere bene a fuoco la figura di Jasper sveglio che gli sorrideva, come se tutto andasse per il meglio e lui non avesse rischiato di morire per la seconda volta nell’arco di pochi mesi. Il dottor Cullen si alzò lentamente dalla scomoda poltrona, aveva il timore che non fosse reale, per avvicinarsi pian piano al letto di suo figlio. Gli accarezzò il volto e appena ebbe la certezza che tutto fosse reale, quasi scoppiò a piangere. Non lo aveva perso e, quella volta più della prima, il timore che potesse succedere lo stava distruggendo in un modo che mai avrebbe immaginato. Dal canto suo, Jasper non sapeva cosa fare, qualsiasi parola cercasse di uscire dalla sua bocca, gli sembrò scontata e banale. Sapeva di aver rischiato grosso e poteva solo immaginare l’agonia che avevano patito i suoi familiari, eppure delle scuse non gli sembravano sufficienti per ripagarli di tutto lo strazio. Fu Carlisle a fare il primo passo, lo abbracciò di slancio per quanto i fili potessero permetterglielo, e iniziò a sussurrargli all’orecchio la stessa cantilena che gli cantava da piccolo per farlo calmare. Jasper, solo sentendo quella melodia, si rese conto che era l’unica cosa di cui avesse bisogno in quel momento. Per le spiegazioni e i chiarimenti c’era tempo, ora sicuramente di quello ne avevano in abbondanza.
 
Emily aveva sviscerato a Bella l’intera discussione che aveva avuto con la sua zia acquisita, soffermandosi particolarmente su i punti in cui era fermamente convinta di avere ragione. Bella si era limitata ad ascoltare in silenzio l’accaduto, esprimendo il suo consenso, o dissenso, con dei movimenti impercettibili del capo. Solo nel momento in cui fosse stata sicura che Emily avesse concluso il suo racconto, avrebbe preso parola dando spazio al suo punto di vista.
“Allora? Che ne pensi?” domandò Emily, quasi certa di avere ragione su tutta la linea, ma l’amica non era del suo stesso pensiero. Certamente, Emily aveva le sue ragioni ma come le aveva anche Julia.
“Penso che nessuna delle due abbia totalmente ragione e né, tantomeno, torto.” Disse Bella e, a quelle parole, Emily si accigliò. La giovane Swan, notando la sua espressione imbronciata, decise di aggiungere una spiegazione alla sua precedente affermazione.
“Mi spiego meglio. Tu hai perfettamente ragione nel sentirti messa da parte perché né Mark e né Julia ti hanno avvisato dell’incidente di Jasper e Alice. Sei consapevole del fatto che tuo zio abbia avuto ben altro per la mente e forse credeva che sarebbe stata Julia a chiamarti oppure non ci ha proprio pensato. Dato che nemmeno Julia ti ha resa partecipe della situazione, è comprensibile la tua rabbia e il gesto impulsivo del correre via da scuola per venire in ospedale. Avrei fatto anch’io la stessa cosa e di certo non ti biasimo per questo.” Fece una pausa per bere un sorso d’acqua dalla bottiglietta che avevano comprato insieme ed Emily non disse nulla aspettandosi un però che non tardò ad arrivare. 
“Però, prova anche solo per un minuto a metterti nei panni di Julia. Sei sola, tuo marito è appena corso via per salvare la vita al figlio del vostro più caro amico e la scuola di tua nipote ti chiama per avvisarti che ha lasciato la lezione a metà andando via chissà dove. A quel punto che cosa faresti? Metti in conto che non sei per niente lucida vista l’assurdità della situazione.” Concluse Bella ed Emily si stupì di come avesse razionalizzato l’accaduto in un così breve tempo e senza aver chiuso la notte precedente.
“Okay, forse ho un po’ esagerato. Questo non cambia il fatto che, secondo me, loro non si fidano ancora di me. E ti giuro che ce l’ho messa tutta per recuperare, soprattutto per quanto riguarda la scuola.” Ribatté la giovane Anderson, rendendosi conto che era questo che le faceva più male. Nonostante i suoi mille sforzi, coloro che classificava come dei genitori adottivi, continuavano a non riporre in lei la fiducia che pensava di essersi guadagnata.
“La fiducia non è qualcosa che si ottiene all’improvviso, Emily. Sono sicura che ci stanno provando quanto te o anche di più, ma non è facile dimenticare che il tuo sbaglio ti è quasi costato la vita. So che stai facendo tutto il possibile, ma forse hanno bisogno di un altro po’ di tempo o magari, in tutto questo caos, Julia non ha pensato che il suo atteggiamento potesse ferirti tanto. Parlarle, prima che tuo zio si metta ancora di più in mezzo, perché questa è una cosa che devi risolvere con lei, almeno per il momento.” Aveva provato a consolarla il più possibile nonostante la stanchezza, ora che sia Jasper che Alice erano fuori pericolo, stesse avendo la meglio. Emily non replicò, trovandosi d’accordo con il discorso di Bella e di slancio l’abbracciò. Aveva avuto bisogno di sfogarsi e lei l’aveva ascoltata nonostante ciò che aveva appena passato. Una delle più belle dimostrazioni d’amicizia che Emily avesse mai ricevuto.
 
Alice era da sola nella stanza quando vide Edward vacillare davanti la porta alla ricerca di qualcuno, probabilmente Bella. Era felice, particolarmente entusiasta e il cuore della giovane Swan tornò a battere in modo regolare perché quell’espressione poteva significare solamente una cosa: Jasper era finalmente fuori pericolo. Dopo pochi istanti, il giovane Cullen decise di entrare approfittandone anche per fare un saluto e dare ad Alice la bella notizia.
“Ciao. Cerchi Bella? È uscita da una mezz’ora più o meno, ma non so dove possa essere andata.” Disse Alice, anticipando ciò che Edward stava per chiederle.
“Ah va bene. Come ti senti? Ho saputo che anche tu te la sei vista brutta.” Rispose il ragazzo, fino a quel momento il fratello era stato il suo unico pensiero e, di conseguenza, non aveva avuto modo di andare a trovare Alice. Questo la giovane Swan poteva ben comprenderlo.
“Non quanto Jasper. Mi sento abbastanza bene, tuo padre è un ottimo medico. Nonostante tutto quello che ha rischiato di perdere per colpa mia ha scelto comunque di curarmi e l’ha fatto bene.” Erano parole sincere quelle appena pronunciate e a Edward non risultò difficile capirlo.
“Papà non ha mai permesso alle emozioni di offuscare il suo giudizio e questa volta non era diversa dalle altre. E allo stesso modo, non ha mai incolpato gli altri per le scelte mie o di Jasper. In questa storia, ognuno ha la sua parte di colpa ed è inutile cercare un unico responsabile. Io ero a conoscenza di tutto e non ho fatto niente per fermarvi, Jasper credeva che tutto si sarebbe risolto per il meglio, tu volevi dare una lezione a tua madre. Ciascuno di noi deve convivere con le proprie decisioni.” Era tremendamente serio mentre pronunciava queste parole, anche lui, come tutti, avrebbe potuto fare qualcosa per evitare il peggio, ma era rimasto in silenzio. Quando Jasper aveva varcato la porta di casa, Edward non aveva fatto niente per impedirlo. Questo lo rendeva, in un certo qual modo, responsabile della sorte che era capitata al fratello. Avrebbe dovuto proteggerlo e aveva, nuovamente, fallito. Se Jasper non fosse sopravvissuto, Edward non si sarebbe mai dato pace. Scosse la testa per scacciare quest’ultimo pensiero, ora il suo fratellino era vivo e si sarebbe presto ripreso, dovevamo pensare solo a quello. Non era tempo di mettersi a fare i conti con la propria coscienza.
 

-Ecco qui un nuovo capitolo. Come al solito, impiego tempo ma arriva! Grazie a chiunque stia ancora seguendo questa storia <3 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** “Sorry if I said goodbye”, “I’m not ready for that.” ***


“Hai intenzione di fissare quella cartella clinica per sempre?” la voce dolce di Esme riportò Carlisle alla realtà. Per un attimo desiderò spostare le lancette dell’orologio all’indietro, non riusciva a metabolizzare tutto ciò che era accaduto nelle ultime ventiquattro ore. Sua moglie, la sua amata Esme, la donna che aveva deciso di portare all’altare e con la quale aveva costruito una famiglia, era malata. E lui aveva messo tutto se stesso nella terapia, salvarla era diventato il suo unico scopo di vita, ma aveva fallito. Come i peggiori dei lottatori era stato messo a tappeto da una malattia che lui non poteva controllare, aveva perso e stavolta, per la prima volta in vita sua, non sapeva come affrontare la situazione. Come muoversi, come dirlo ai figli o, semplicemente, come avrebbe fatto ad abituarsi all’idea che Esme sarebbe morta da lì a pochi mesi.
“Scusa. È solo che…” non riuscì a completare la frase, qualsiasi cosa, ogni singolo pensiero, gli sembrò inutile, banale e tardivo. Cosa avrebbe mai potuto dire o fare per cambiare la situazione o anche solo migliorarla? Guardò sua moglie negli occhi, sorrideva, forse un po’ più tirato del solito, ma continuava a farlo nonostante il mondo le stesse crollando addosso.
“Guardiamo il lato positivo…” iniziò Esme, ma non riuscì a completare la frase e non perché non sapesse cosa dire, ma perché Carlisle aveva battuto la cartella clinica sul tavolo davanti a loro con una forza che la fece tremare, bloccandole le parole in gola.
“E quale sarebbe Esme? Se non te ne fossi resa conto è finita, stai morendo! Non ci saranno più natali, anniversari, compleanni. Non ci sarai quando i ragazzi si diplomeranno o andranno al loro primo ballo scolastico! Non invecchieremo insieme, mano nella mano, guardando i nostri nipotini correre per la casa! Tra pochi giorni ti sentirai così stanca da non riuscire neanche a preparare la tisana che adori bere davanti al camino. Dimmi, in tutto questo, dove sarebbe il lato positivo?!” era scoppiato, Carlisle aveva alzato la voce talmente tanto da far vibrare i vetri della credenza. Impiegò poco meno di un minuto per rendersi conto di aver esagerato, non appena vide la prima lacrima cadere nella tazza di thè che Esme teneva stretta tra le mani. Si passò frettolosamente una mano tra i capelli e, chinandosi accanto a lei, le accarezzò una spalla. Quasi istintivamente Esme si tirò indietro, pentendosi immediatamente. Carlisle chinò il capo, cercando un modo di riordinare i pensieri per rimediare alla scenata fatta poco prima.
“Posso dire addio. Ho la possibilità di salutare per sempre le persone che amo di più e i miei più cari amici. È questo, per me, il lato positivo.” Concluse Esme.


Fu il rumore di qualcuno che bussava alla porta della camera di Jasper a sciogliere la stretta tra padre e figlio, nessuno dei due seppe quantificare quanto tempo fossero rimasti in quella posizione. Il dottor Anderson entrò a passi lenti nella stanza per paura di interrompere quel momento di pace che tanto avevano faticato a conquistarsi. Jasper gli sorrise e lo stesso fece anche Carlisle che si alzò per abbracciarlo, in fondo lui aveva salvato la vita a suo figlio e questo valeva molto di più di tutte le dimostrazioni d’amicizia degli ultimi anni. Mark ricambiò saldamente la stretta, ricordava fin troppo bene l’ultima volta in cui il suo migliore amico lo aveva abbracciato in quel modo e non era per niente un bel ricordo.
“Grazie” sussurrò Carlisle, con la voce incrinata per il pianto trattenuto. Il dottor Anderson non replicò, si limitò semplicemente a stringerlo più forte. Aveva solo svolto il suo lavoro, dando tutto se stesso e vincendo, consapevole che questa volta la famiglia Cullen non avrebbe retto un’altra sconfitta.

Julia stava sorseggiando il quarto, o forse il quinto, caffè nel giro di due ore aspettando che suo marito la raggiungesse per comunicarle le condizioni di Jasper. Era troppo concentrata a fissare il fondo del bicchiere che stringeva tra le mani per accorgersi della presenza di Emily accanto a lei.
“Possiamo parlare?” chiese la ragazza, facendo sobbalzare la donna per lo stupore. Di certo non si aspettava che fosse lei a fare il primo passo, era fermamente convinta che la discussione fosse stata rimandata a quando avrebbero fatto ritorno a casa.
“Sì, certo” rispose frettolosamente, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, un gesto automatico quando era agitata. Spostò la borsa dall’altro lato della sedia per far spazio alla nipote che si accomodò velocemente strofinando le mani sui jeans, segno di nervosismo.
“Ti chiedo scusa, Julia. Ho avuto una reazione spropositata prima, ero arrabbiata e ho parlato senza ragionare. Ero terrorizzata all’idea che Jasper e Alice potessero…” lasciò la frase a metà, troppo agitata per continuarla ma non c’era bisogno di andare oltre, alla conclusione poteva arrivarci chiunque e Julia non era di certo una stupida. Rabbrividì al solo pensiero di tutti i ricordi che la notizia dell’incidente dei suoi amici le aveva riportato a galla, istanti prima che la sua vita cambiasse per sempre. Le sfiorò la spalla, incerta se abbracciarla o meno perché non sapeva se avessero raggiunto già quel livello di confidenza e per il timore che Emily potesse ritrarsi indietro. Non lo fece, anzi quel tocco fu come un balsamo, riuscì a lenire le ferite rendendo i ricordi un po’ meno dolorosi.
“Non posso neanche immaginare quello che hai provato quando hai ricevuto la notizia e forse ho esagerato anch’io a rimproverarti in quel modo prima, non avrei dovuto perdere così la calma” scosse la testa, decisamente scontenta di come aveva reagito qualche ora fa. Durante la sua carriera da avvocato aveva imparato a tenere a bada le emozioni, ma quel giorno il suo autocontrollo si era preso una vacanza.
“Julia, tu ti fidi di me?” sbottò Emily, quel dubbio la stava assillando da troppo tempo, doveva sapere la verità. Per Julia quella domanda fu come un fulmine a ciel sereno, d’improvviso le mancarono le parole. Avrebbe voluto rispondere di sì, che si fidava ciecamente, ma avrebbe mentito a se stessa perché quando la consulente scolastica l’aveva chiamata il suo primo pensiero non fu che Emily potesse avere una spiegazione valida, piuttosto che si fosse cacciata in qualche altro guaio e quello non aveva niente a che fare col fidarsi ciecamente di qualcuno. Rimase in silenzio forse per troppo tempo, perché la ragazza chinò il capo lasciando la stanza, quella risposta silente valeva più di qualsiasi parola.
“Emily aspetta!” tentò di fermarla chiamandola, ma lei non tornò indietro. Eppure era iniziata bene quella chiacchierata, avevano entrambe ammesso i propri errori e chiesto scusa, ma era finita anche peggio della discussione precedente. 
“Sono pessima come madre!” esclamò Julia, gettando violentemente il bicchiere di caffè vuoto nel cestino. Pensò che forse era questo il motivo per cui il suo desiderio di diventare madre ancora doveva realizzarsi, semplicemente non era portata per esserlo.

Emily stava percorrendo gli enormi corridoi dell’ospedale senza una meta precisa, voleva solo allontanarsi il più possibile dal dolore che quella non risposta le aveva provocato. La delusione, però, non è come uno zaino che puoi buttare in qualche angolo della stanza facendo finta che non esista. È un peso ben più grande e, soprattutto, non è possibile scaricarlo da nessuna parte. Fermò il suo cammino quando sentì qualcuno ridere dall’altra parte della stanza, erano risate di ragazzi che conosceva abbastanza bene. Erano Alice, Edward e Bella. Senza neanche pensarci varcò la soglia e li vede lì, a ridere e a scherzare come se niente fosse successo, come se nessuno avesse rischiato la vita in quei giorni e allora realizzò che era quello di cui aveva bisogno, ridere fino a perdere il fiato come solo una ragazza di sedici anni sa fare.
“Posso unirmi a voi?” chiese entrando nella stanza a passi lenti, non voleva violare la leggerezza del momento.
“Certo che sì, Emily! Accomodati pure!” esclamò Alice, il suo sorriso illuminava la camera, come se non si stesse appena riprendendo da un incidente stradale. Se non fosse per qualche livido e la garza in fronte, Emily avrebbe giurato che fosse tutto frutto della sua immaginazione.
“Grazie. Come ti senti, Alice?” domandò, si era seduta dalla parte opposta del letto rispetto a dov’erano seduti Edward e Bella, non avrebbe mai osato dividerli.
“Bene. Se continuo così, secondo il dottor Cullen dovrei essere dimessa già venerdì” rispose ed Emily poté tirare un sospiro di sollievo, dopo l’operazione salvavita di Jasper non avrebbe retto ad una nuova angosciosa brutta notizia. Sorrise, avrebbe voluto abbracciarla, ma preferì rimanere ferma per paura di farle del male, le accarezzò la mano e cercò di comunicarle quanto fosse felice per lei tramite un semplice sguardo. Poi Edward fece una battuta, alquanto stupida che neanche faceva ridere, ma loro quattro scoppiarono a ridere spensierati per smorzare la tensione di quei giorni estenuati e infiniti.

Julia era rimasta nella stessa posizione per un tempo che non seppe quantificare. Mark, una volta conclusa la visita di controllo di Jasper, la raggiunse e capì subito che c’era qualcosa che la preoccupava. Non chiese nulla, le sedette accanto e le strinse la mano, in silenzio aspettava che lei parlasse e se non avesse voluto farlo, lui non avrebbe insistito.
“Come sta Jasper?” una domanda di routine in quei giorni intensi, prima Mark era molto titubante sulle condizioni del giovane Cullen, ma ora era tutta un’altra storia.
“Bene per quanto la situazione possa permetterlo. I parametri sono stabili e posso dire con certezza che è fuori pericolo, adesso deve solo pensare a riprendersi.” Rispose il dottor Anderson con il cuore decisamente più leggero. Se lo avesse perso, non se lo sarebbe mai perdonato.
“È stato fortunato ad avere te” disse Julia e lo credeva davvero, era orgogliosa di essere la moglie di uno dei medici migliori a Forks. Lui aveva la capacità di far sembrare tutto un gioco da ragazzi, nonostante avesse a che fare con la morte più spesso di quanto la moglie potesse anche solo immaginare.
“Ti dispiace se torniamo a casa? Sono distrutto, credo che l’ultimo turno di lavoro così lungo risalga ai tempi di specializzando!” esclamò con un sorriso nostalgico, ora era lui a fare da mentore a dei ragazzi alle prime armi.
“Certo che no. Emily è con Alice e gli altri, le ho detto che può rimanere finché vuole, spero che non sia un problema per te” replicò Julia. Non aveva mai mentito a Mark, mantenendo costantemente fede alla promessa fatta l’uno all’altra poco prima di suggellare la loro unione in matrimonio, vent’anni prima. Si sentì immediatamente in colpa per averlo fatto, ma la discussione con Emily era una cosa che voleva risolvere da sola. In fondo, avrebbe dovuto fare da madre a quella ragazza per minimo altri due anni e sperava di costruire con lei un rapporto che fosse qualcosa di più che i loro nomi insieme su un pezzo di carta.
“No, figurati. Va tutto bene tra voi due?” domandò Mark alludendo alla lite che aveva fermato qualche ora prima. Che fosse quello a turbare Julia?
“Certo. Se ti riferisci alla discussione di poco fa, abbiamo chiarito, non preoccuparti.” Rispose, teoricamente quella più che una bugia era una mezza verità, però comunque non fece sparire i sensi di colpa. Quella volta, però, aveva una buona ragione o, perlomeno, cercò di convincersi che fosse così. Sorrise convinta per non far insospettire il marito e la tecnica sembrò funzionare, infatti l’uomo si alzò e si avviarono verso l’uscita, mano nella mano. Ponendo insieme la parola fine a quel giorno che sembrava infinito.

“Sai, ti sembrerà assurdo e insensato, ma per un attimo, sarà stata una frazione di secondo, mi è sembrato di vedere la mamma” con quell’esclamazione, semplice e dritta al cuore, Jasper spezzò il silenzio che si era creato dopo che Mark aveva interrotto l’abbraccio scomposto tra padre e figlio. Carlisle rimase di sasso, completamento spiazzato da quella rivelazione, confuso su cosa poter dire. Senza sapere come rispondere, il dottor Cullen, alla domanda implicita in quella frase, cioè se fosse davvero possibile una cosa del genere, poter vedere qualcuno, complici l’adrenalina e il mix di medicinali, che non c’è più. In quel momento, però il padre realizzò che nonostante fossero trascorsi ben sette anni da quel giorno maledetto e fossero riusciti ad andare avanti, facendo fronte comune nella lotta contro il dolore, l’assenza di Esme, delle volte, riusciva a fare ancora tremendamente male.
“Jasper… Io non so se sia possibile una cosa del genere, penso più che altro che fosse una specie di allucinazione dovuta al mix di farmaci che ti hanno somministrato. E mi dispiace…” il padre si bloccò, non riuscendo a trovare le parole adatte per esternare il suo pensiero.
“Mi dispiace che tu e tuo fratello le abbiate dovuto dire addio così presto” concluse poi. Jasper lo guardò negli occhi e, con un sorriso malinconico, strinse la mano del padre.
“Anche tu l’hai fatto.” Replicò, sentendo gli occhi pizzicare e, in un moto d’orgoglio, ricacciò indietro le lacrime prima che queste potessero iniziare a scendere.
“Già. Non ero pronto a dirle addio, non lo sono mai stato.” una volta pronunciata questa frase, Carlisle si stupì di quello che aveva appena fatto. Di aver dato voce, davanti a suo figlio, ad una verità che aveva sempre cercato di celare. Jasper non disse nulla e nascose un sorriso soddisfatto, continuando a tener stretta la mano del padre. Finalmente anche l’ultimo muro che Carlisle aveva alzato come scudo contro il dolore era caduto.


- Eccomi di nuovo qui, sono viva. Ho cercato di farmi perdonare l'immenso ritardo con un capitolo più lungo del solito. Spero apprezziate! Grazie a tutti quelli che continuano, come me, a non abbandonare questa storia! <3 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Home sweet home ***


“Quindi sono ufficialmente libero?” chiese Jasper appena il dottor Anderson smise di parlare. I valori erano ritornati nella norma, la ferita procurata dall’operazione si stava rimarginando e lui non aveva subito nessuna complicanza post-operatoria. Non c’era motivo di tenerlo sotto osservazione ancora a lungo.
“Diciamo di sì. Facciamo passare stanotte per sicurezza e domani mattina farò preparare le tue dimissioni. Dovrai stare a riposo ancora per almeno una settimana, ma questo non mi preoccupa dato che hai la fortuna di essere imparentato con un ottimo medico che sono certo non ti farà muovere un dito.”  Rispose Mark sorridendo verso Carlisle che non aveva smesso neanche un secondo di tenere d’occhio il figlio.
“Ah su questo non c’è dubbio! Sarà tanto se mi permetterà di andare in bagno da solo” scherzò il ragazzo guadagnandosi una finta occhiataccia da parte del padre. Mark scosse la testa rassegnato, niente e nessuno avrebbe fermato il temperamento di Jasper, neanche aver rischiato di morire e averla scampata per un soffio.
“I dettagli medici li discuterò direttamente con tuo padre. Tu cerca di tenere duro che è quasi finita” disse il dottor Anderson e, dopo aver accarezzato la spalla del suo paziente, si diresse verso la porta. Carlisle lo seguì quasi subito non senza prima aver dato un’ultima occhiata al figlio per essere certo che stesse davvero bene e che non si trattasse di un sogno. L’incubo stava per finire.
 
I due medici si erano spostati in un luogo un po’ più tranquillo così da poter discutere con calma delle cure di Jasper una volta che quest’ultimo fosse stato dimesso.
“Mark, non mentirmi per favore, sta davvero bene? La situazione è davvero così rosea come l’hai descritta prima?” domandò Carlisle. Voleva essere certo di poter gioire prima di farlo perché il suo cuore non avrebbe retto ad un’altra delusione.
“Puoi stare tranquillo, Carlisle. Davvero. Jasper ha risposto bene all’operazione e alla terapia che gli abbiamo somministrato. Sta bene, deve solo riprendersi completamente e non c’è nessun motivo per credere che non ce la farà.” Provò, per quanto potesse, a rassicurarlo sperando che le sue parole potessero riuscirci. In fondo non poteva di certo biasimarlo, rischiare di perdere un figlio non è qualcosa che riesci a superare in poco tempo. Il dottor Cullen sorrise o, perlomeno, ci provò. Il collega riprese a snocciolare termini medici per spiegargli la terapia che Jasper avrebbe dovuto seguire per due settimane prima della visita di controllo e Carlisle ascoltò in silenzio, annuendo man mano. La conversazione fu interrotta quando Alice fece capolinea da dietro le spalle di Carlisle che, vedendo l’amico ammutolito, si voltò a sua volta per guardare cosa fosse successo.
“Ciao Alice. Come ti senti?” chiese, vestendo immediatamente i panni da medico, nonostante avesse dimesso Alice già da qualche giorno rimaneva pur sempre una sua paziente.
“Alla grande, dottor Cullen, davvero. Non sono qui per me. Io vorrei… Ecco, vorrei vedere Jasper se per lei va bene” rispose la giovane Swan, farfugliando le ultime parole. Dopo quello che era successo avrebbe compreso se il dottor Cullen avesse avuto remore nel permettere ai due di frequentarsi.
“Ma certo! Vai pure, la stanza è l’ultima in fondo a destra. Sicuramente non vede l’ora di vederti” replicò Carlisle ed Alice rimase stupita da così tanta accondiscendenza. Ora non era più il suo medico e, quindi, non era obbligato ad essere gentile con lei. Il dottor Cullen, resosi conto del suo imbarazzo, riprese parola, cingendole le spalle.
“Alice, ascoltami. Quello che è successo non ha cambiato la mia opinione su di voi. So per certo che se non permettessi a Jasper di vederti troverebbe mille modi per farlo e otterrei solo la sua rabbia. Vai da lui e rendilo felice come solo tu riesci a farlo, io ne approfitterò per prendere un po’ d’aria.”  La guardò negli occhi ed Alice fece fatica a reggere lo sguardo perché si vergognava così tanto di ciò che aveva fatto. Di aver causato tanto dolore a quel padre così amorevole e premuroso. Lo abbracciò di slancio, chiedendogli scusa tra le lacrime trattenute, Carlisle ricambiò la stretta senza aggiungere una parola sperando che dopo quello sfogo lei sarebbe riuscita a perdonare sé stessa.
 
Alice aveva aspettato così tanto quel momento che viverlo le sembrò qualcosa di mistico, un sogno impossibile. Eppure, era lì. A separarla dal suo Jasper solo una semplice porta che da lì a poco avrebbe aperto. All’improvviso le gambe iniziarono a tremarle come se fosse il primo appuntamento e le famose farfalle nello stomaco incominciarono a danzare. E se Jasper fosse arrabbiato con lei? Scosse la testa per scacciare via quel futile dubbio. Era vivo, salvo e questo era l’unica cosa che contava per lei. Pure se dopo l’incidente lui avesse voluto mettere fine alla loro storia, lei doveva vederlo. Ne aveva bisogno per tornare a vivere. Si aggiustò i capelli e armata di coraggio abbassò la maniglia, pochi istanti dopo la porta si aprì. A Jasper, appena la figura mite di Alice fece capolinea nella stanza, gli mancò il fiato ed il cuore quasi perse un battito. Aveva atteso quel momento per così tanto tempo da sembrargli un’eternità. Avrebbe voluto alzarsi per correrle incontro, ma i fili attacchi al suo corpo glielo impedivano e così fu lei ad andare accanto a lui. Fu solo questione di pochi secondi prima dell’incontro delle loro labbra che si unirono in un appassionante bacio dal sapore agrodolce della mancanza. Trascorsero molto tempo stretti l’un l’altra, si separavano giusto il tempo di riprendere fiato per poi ricominciare a baciarsi, eppure non sembrò mai abbastanza. Avrebbero dovuto parlare, affrontare il motivo che li aveva portati a rischiare la propria vita, ma tutto sembrò così superfluo ai loro occhi che brillavano commossi come se si stessero baciando per la prima volta.
 
Tra le mura di casa Anderson, il clima che si respirava non era molto disteso, almeno è quello che parse ad Edward una volta messo piede nel salone d’ingresso. Era lì per aiutare Emily a ripetere per il compito di biologia che avrebbe dovuto sostenere il giorno seguente. Suo padre gli aveva praticamente imposto di ritornare a scuola. Sia per non fargli perdere troppe ore di lezione ed anche per allontanarlo dall’edificio ospedaliero che avevano imparato a conoscere a memoria e nel quale, il più delle volte, il giovane Cullen faceva fatica a respirare. Ad accoglierlo alla porta era stata Julia con espressione sorpresa, evidentemente Emily aveva dimenticato, di proposito o meno, di avvisarla del suo arrivo. Dopo un piccolo momento d’imbarazzo, la signora Anderson era andata a chiamare Emily con lo sguardo leggermente corrucciato ed Edward aveva sperato, in cuor suo, di non aver messo la ragazza nei guai. Pochi minuti dopo Emily entrò nel salone, dove trovò Edward ad aspettarla mentre curiosava tra le foto di famiglia poste sul camino. Per un attimo le balenò in mente l’idea di fargli uno scherzo, ma la abbandonò quasi subito perché non le sembrò opportuno considerato il periodo che la famiglia Cullen stava affrontando. Edward, udendo i passi pur delicati di Emily, si voltò e le sorrise.
“Pronta per una sessione intensa di studio tra le meraviglie della biologia?” domandò con tono ironico, cercando di allentare un po’ la tensione che c’era in quella casa. La ragazza rise, scuotendo la testa, il fatto che qualcuno potesse amare quella materia rimaneva per lei uno dei misteri ancora da risolvere.

Il dolce e familiare profumo di casa inebriò Jasper non appena varcò la soglia insieme a Carlisle che lo reggeva sotto al braccio, le sue gambe erano ancora troppo deboli per camminare da solo e l’idea di entrare in casa con la sedie a rotelle non gli piaceva per nulla, argomento su cui lui e suo padre avevano animatamente discusso appena usciti dall’ospedale. Alla fine, a vincere era stato Jasper e l’odiata sedia era rimasta a terra. Il ragazzo era pronto ad affrontare un’altra battaglia per poter ritornare in camera sua, ma il padre aveva già addebito il suo studio nella stanza dove Jasper avrebbe trascorso la sua convalescenza, battendolo così in contropiede. Il giovane Cullen aveva passivamente accettato senza però risparmiare al padre dei sospiri rassegnati che lo fecero sorridere.
“Non era necessario che rivoluzionassi casa, potevo rimanere nella mia stanza!” esclamò, sedendosi sul divano-letto. Il dottor Cullen, scosse la testa rassegnato, da una parte aveva sempre ammirato la determinazione del figlio, ma dall’altra a volte quest’ultima lo portava all’esasperazione.
“Non ho rivoluzionato l’intera casa, ma solo lo studio così ti è tutto più comodo ed io mi sento più sicuro. L’alternativa sarebbe stata chiamarmi ed aspettare me per ogni piccola cosa, anche per andare semplicemente in bagno, saresti stato più contento così?” gli rispose di rimando Carlisle e Jasper sospirò con fare rassegnato, forse rimanere ancora per qualche giorno in ospedale non sarebbe stato poi così male. Rise di questo pensiero ironico e decise di concentrarsi sulle piccole conquiste: era tornato a casa, niente sedie a rotelle e aveva il permesso per andare in bagno da solo. A poco a poco avrebbe riottenuto la completa libertà. Com'è che si dice? Casa dolce casa. 



-Come vi avevo già detto, questa storia continua ad essere tra i miei pensieri, il problema è che devo ritagliarmi il tempo per scrivere tra altre mille cose da fare... Però non la abbandono e, anche se più a rilento di quanto immaginassi all'inizio, continuerò a portarla avanti fino alla fine! Spero che non vi stanchiate di leggerla come me. Grazie, sempre! <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** A new beginning ***


“Mamma puoi dire a Jasper di non prendere i miei giocattoli, per favore?!” le urla di quel bambino di neanche dieci anni popolavano l’intera casa. Esme alzò gli occhi al cielo, quasi esasperata prima di raggiungere i figli nel salone. Lo spettacolo che le si presentò davanti fu più o meno come se fosse appena passato un uragano lasciando detriti e macerie sparpagliate per tutta la stanza. Evitò di chiedere ai figli come ci fosse finito un camion giocattolo sul ripiano più alto della libreria e si concentrò su Edward che stava per dare un pugno a Jasper.
“Se non vuoi passare il resto della settimana senza cartoni e rinunciare alla gita allo zoo, ti conviene tenere a posto le mani, signorino!” lo rimproverò, cercando con la voce di superare i pianti di Jasper mentre cercava di difendersi.

“Ma perché te la prendi con me? Non è giusto!” replicò Edward ma, consapevole di quanto fosse altamente probabilmente che la minaccia materna diventasse reale, tirò indietro la mano. Esme, soddisfatta del gesto, si chinò per guardare il figlio negli occhi.
“Tesoro, voglio solo che tu sappia che la violenza non è mai la risposta. Jasper ha sbagliato a prendere i tuoi giocattoli senza permesso, ma ciò non ti autorizza a picchiarlo. Hai capito?” il tono di voce era cambiato diventando più dolce e comprensivo. Edward annuì con il capo prima di buttarsi tra le braccia della madre che lo accolse prontamente.
“Jasper su, chiedi scusa a tuo fratello!” esclamò rivolgendosi al figlio più piccolo che non senza remore obbedì. Dopo neanche un minuto i due terremoti ripreso a giocare insieme come se non fosse successo nulla ed Esme sorrise scuotendo il capo. Sospirò e mentre si alzò per riandare in cucina sentì la testa girare, accasciandosi sul divano. Per fortuna, Jasper ed Edward non si resero conto di niente.

 
“Nulla! Non mi risponde, ma il cellulare lo ha per sport?” domandò retoricamente Carlisle, andando avanti e indietro nel salone mentre Jasper lo guardava come se fosse impazzito. Avrebbe dovuto essere a lavoro già da almeno dieci minuti, ma di Edward neanche l’ombra.
“Papà, se devi andare vai pure. Puoi anche lasciarmi solo per qualche minuto o hai paura che dia fuoco alla casa?” scherzò Jasper. Da quando era tornato a casa il padre aveva fatto in modo che o lui o Edward fossero sempre a sua disposizione e, per quanto potesse essere apprezzabile, al giovane Cullen questa imposizione iniziava ad andare un po’ stretta. La battuta di spirito però non sfiorò Carlisle che continuò ad armeggiare con il cellulare per riuscire a mettersi in contatto con il maggiore.
“Avrebbe già dovuto essere qui da un pezzo. Sa bene che non posso fare tardi a lavoro…” continuò a lamentarsi e Jasper si chiese se stesse parlando con lui o da solo. Tentò di replicare ma lo scatto della serratura fermò la sua risposta sul nascere perché il padre raccolse le ultime cose e, dopo aver scambiato qualche parola con Edward, si dileguò. I due fratelli si limitarono a scambiarsi uno sguardo rassegnato prima di scoppiare a ridere.
“Secondo te, per quanto andrà avanti questa storia del non lasciarmi solo neanche un secondo?” chiese Jasper alzandosi per andare in cucina. Aveva voglia di sgranocchiare qualcosa e, fortunatamente per lui, il fratello non era apprensivo quanto il padre. Riusciva a camminare da solo e i punti non gli facevano più tanto male, ma al dottor Cullen questo non era abbastanza chiaro.
“Non lo so, Jazz. So che può essere soffocante, ma questo è il suo modo di volerti proteggere. Quando sei stato male si è sentito così impotente…” rispose Edward mentre prendeva due bibite dal frigo per poi sedersi accanto al fratello e mangiare anche lui qualche patatina.
“Lo so, lo so. Ma ormai le due settimane di convalescenza stanno per finire e tra qualche giorno potrò tornare anche a scuola. Ha intenzione di accompagnarmi e seguirmi anche lì?” ribatté l’altro tirando un sospiro.
“Ho accettato tutto, Ed. Lo studio rivoluzionato per farmi dormire lì, essere sorvegliato ventiquattro ore al giorno neanche fossi Pablo Escobar… Chiedo solo un po’ di respiro” continuò a sfogarsi, almeno con lui riusciva a parlare senza peli sulla lingua.
“Non che avessi molta scelta, fratellino. Credevi davvero che sarebbe stato così facile?” replicò Edward con tono leggermente acido, ma vedendo lo sguardo affranto di Jasper cercò subito di raddrizzare il tiro. “Quello che voglio dire è che devi dargli tempo. Quanto? Non lo so nemmeno io. So però che abbiamo vissuto l’inferno mentre eri in bilico tra la vita e la morte, consapevoli entrambi che non avremmo potuto reggere un’altra perdita…” un groppo in gola lo bloccò, il solo ricordo di quel tempo così lontano faceva ancora troppo male. Jasper, capendo quello che i pensieri del fratello gli stessero portando a galla, cercò di risollevare la situazione abbracciandolo.
“Posso solo immaginare la paura che avete dovuto affrontare per colpa mia. Ma per quanto ancora dovrò scusarmi per questo?” domandò non sapendo come comportassi. Era consapevole di quanto il suo gesto e quello di Alice fosse stato pericoloso e avesse ferito le persone a loro più care, ma al tempo stesso pensava che avesse già pagato il prezzo per ciò che era successo.
“Stasera proverò a parlare con papà. Vedrai che le cose si sistemeranno, abbi fiducia, fratellino!” rispose Edward, scompigliandogli i capelli come quando erano piccoli. Jasper rise avendo la certezza che qualsiasi cosa fosse successa il fratello sarebbe stato sempre dalla sua parte.

Julia bussò almeno tre volte davanti alla porta chiusa della camera di Emily prima che quest’ultima si degnasse di farla entrare. Il loro rapporto, dopo la discussione avvenuta in ospedale settimane fa, era diventato più freddo di una cella frigorifera. Quando Mark era in casa provavano a dissimulare con sorrisi di circostanza, ma una volta che lo zio usciva per recarsi a lavoro o per qualche commissione Emily si rintanava in stanza fino al suo rientro. Era capitato anche che saltasse dei pasti, con tanto di rimostranze inascoltate di Julia, pur di non essere lasciata da sola con lei. La situazione diventata ogni giorno più insostenibile ed era arrivato il momento che una delle due facesse il primo passo verso la riconciliazione. Consapevole che la nipote non l’avrebbe mai fatto, toccò a Julia cercare di porgere il ramoscello d’ulivo. Ed eccola quindi sulla soglia della porta ad aspettare un minimo spiraglio da parte della ragazza.
“Allora? Vuoi rimanere ancora lì a fissarmi oppure mi dici perché sei venuta?” domandò Emily e il tono tagliente unito alla postura – rigorosamente a braccia conserte – diedero a Julia l’impressione di stare per schiantarsi contro l’ennesimo muro.
“Emily, io e te dobbiamo parlare. Non possiamo continuare così e so bene che, per quanto provi a negarlo, tu sei del mio stesso avviso. È ora di chiarire.” Rispose la zia, cercando di controllare il più possibile il tono della voce e sorvolando su quello usato dall’adolescente. Si sedette su un lato del letto di fronte la scrivania e le fece segno di sedersi accanto a lei. Contro ogni aspettativa, Emily accettò.
“Rifammi la domanda.” In un primo momento Emily non capì a che cosa si riferisse sua zia, ma una volta compreso le mancò il coraggio di farlo perché aveva paura di rimanere di nuovo ferita dalla non risposta di Julia.
“Emily, per favore. Prometto che questa volta saprò risponderti come avrei dovuto già fare la prima volta” la incalzò e allora la ragazza prese un profondo respiro.
“Julia, tu ti fidi di me?” a differenza della volta precedente aveva soppesato ogni singola parola, consapevole di star mettendo in gioco il loro rapporto.
“Lo ammetto, quando la consulente scolastica mi ha chiamata per avvisarmi che avevi lasciato la scuola a metà lezioni il mio primo pensiero è stato quello che ti stessi cacciando in chissà quale altro guaio. Ma non ero lucida, Em, con tutto quello che stava accadendo quella telefonata è stata come un fulmine a ciel sereno a cui non ero pronta a fare da parafulmini. Non ho saputo gestire la situazione, nonostante la signora Taylor avesse cercato di giustificarti tessendo le tue lodi, io non ho saputo prestare ascolto.” Fece una breve pausa, si stava mettendo a nudo, o perlomeno ci stava provando, nel rispondere a quella domanda così delicata. “Quando ho saputo di quello che era successo a Jasper ed Alice, non ho pensato ad avvisarti. Nemmeno Mark l’ha fatto in realtà, ma lui aveva decisamente ben altro per la testa essendo coinvolto in prima persona. Era mio dovere venirti a prendere per informarti ed anche qui, non ho saputo gestirla” un’altra pausa e ad Emily queste ammissioni di colpa, per quanto le trovasse apprezzabili e doverose, iniziavano a darle l’impressione che Julia stesse tergiversando per evitare un’altra volta di rispondere. “Poi mi hai posto questa domanda e, di nuovo, non ho saputo dirti. Insomma, in una sola giornata ho dato la dimostrazione di quanto sia tremenda come madre” continuò, di slancio Emily le strinse una mano perché, per quanto l’avesse ferita, sua zia era l’unica persona che le rimaneva come riferimento materno. E il termine mamma sarebbe rimasto per sempre un tasto dolente per entrambe. “Io mi fido di te, Emily. Voglio e devo farlo perché ne ho bisogno quanto te. Questo può essere un nuovo inizio tra noi se sei d’accordo: azzeriamo tutto.” Incoraggiata da quella stretta, Julia concluse il suo discorso a cuore aperto e fissò la nipote negli occhi tentando di decifrarne lo sguardo. La sua parte l’aveva fatta, ora la decisione finale spettava ad Emily.
“Diciamo che anch’io ho la mia parte di colpe in questa storia. Non avrei dovuto comportarmi in modo scostante e ti chiedo scusa se sono stata irrispettosa o impertinente in quest’ultimo periodo” iniziò la ragazza, non era molto fiera del suo atteggiamento, ma si era comportata in quel modo solo perché voleva ferire Julia come questa aveva fatto con lei. “Tu sei la persona più vicina ad una madre che mi rimane, Julia. La tua opinione per me conta tantissimo ed hai ragione: ho bisogno che tu ti fidi di me. Lo so, l’ho già delusa una volta, ma non lo farò di nuovo.” Promise e quella dichiarazione commosse Julia che faticò a trattenere le lacrime. Non ebbe bisogno di specificarlo ulteriormente: Emily era d’accordo a ricominciare da zero. Così zia e nipote si strinsero nell’abbraccio tanto atteso che mise la base per ritrovare la loro complicità.

In casa Cullen il pomeriggio tra fratelli era trascorso in modo tranquillo e al ritorno il padre li trovò a chiacchierare amabilmente sul divano. Non si concentrò molto sulla conservazione e, dopo aver dato uno sguardo attento a Jasper, andò dritto di sopra a cambiarsi. Scese le scale una mezz’oretta più tardi con abiti decisamente più comodi e si recò in cucina per preparare la cena. Fu in quel momento che, scambiata un’occhiata d’intesa con Jasper, Edward decise di raggiungerlo. Aveva pensato per tutto il pomeriggio a come introdurre l’argomento di discussione nel modo più consono possibile per non irritare la sensibilità del padre, ma purtroppo era arrivato alla conclusione che – volente o nolente – la conservazione alla quale stava per dare inizio non sarebbe stata tra le più tranquille. Questo pensiero non lo fermò: aveva fatto una promessa a Jasper e intendeva onorarla.
“Posso aiutarti in qualcosa?” domandò Edward riferendosi alla preparazione della cena, avere le mani occupate avrebbe reso il tutto più sopportabile. Carlisle gli indicò l’insalata da dover scartare, lavare e condire. Presa la verdura il figlio si avviò verso il lavandino e la fronte corrugata – segno di tensione – non sfuggì all’occhio vigile del medico. Senza fargli pressioni attese che Edward gli dicesse di cosa volesse parlargli, anche se una mezza idea già l’aveva.
“Papà, ascolta, vorrei dirti una cosa su Jasper” cercò di mantenere un tono che fosse il più neutrale possibile mentre strappava una foglia d’insalata, come se stesse dicendo una cosa come un’altra. Carlisle si voltò verso il figlio, quella premessa aveva confermato ogni suo sospetto, dedicandogli la sua totale attenzione. Annuì leggermente per incitarlo a continuare. “Dato che Mark all’ultimo controllo ha fatto presente che dovrebbe camminare almeno un’ora al giorno, stavo pensando che potrei accompagnarlo un po’ in giro, anche per fargli cambiare un po’ aria…” la buttò lì, lasciando il discorso in sospeso di proposito per vedere la reazione del padre.
“Perché? Il giardino qui davanti non è abbastanza arieggiato?” replicò Carlisle, ovviamente aveva capito perfettamente che il volere medico era solo un pretesto per poter far uscire nuovamente Jasper. Ma questa volta aveva deciso che non gliela avrebbe resa facile. O almeno non come avrebbe fatto qualche mese fa. Jasper aveva oltrepassato fin troppo il limite e la libertà era un privilegio che andava conquistato. Edward, in un primo momento rassegnato, si sforzò di trovare un compresso tra la voglia di uscire del fratello e la riluttanza del padre. Non sarebbe stato facile, ma doveva tentare per Jasper.
“Sai che non era quello che intendevo. Jasper ha tanto da farsi perdonare, anzi, mi ci metto anch’io perché non sono esanime da colpe. Insomma, entrambi abbiamo tanto da farci perdonare, lo sappiamo benissimo. Ma in qualche modo dovremmo pur iniziare, no? Mettici alla prova. Decidi tu momento della giornata, ora, tempo a disposizione, zone percorribili. Tutto. Di certo non possiamo permetterci il lusso di replicare, ti chiediamo solo un piccolo spazio in cui dimostrarti di poterti fidare” aveva ormai abbandonato l’insalata nella ciotola senza alcun goccio di condimento per potersi concentrare completamente sulla proposta fatta. Teoricamente, lui non era in nessun tipo di punizione, ma era certo che l’avrebbe meritato tanto quanto Jasper. Nessuno dei fratelli Cullen poteva biasimare Carlisle per quella severità esternata così duramente in quelle ultime settimane, anzi avevano la netta sensazione che da quel momento sarebbe diventata all’ordine del giorno almeno per un periodo. Il dottor Cullen si era preso del tempo per valutare minuziosamente la proposta del figlio maggiore, in fondo forse quella sarebbe stata la giusta via da imboccare per ristabilire un equilibro. Un atto di fiducia da un lato e un impegno – con la consapevolezza di non poter permettersi il minino sgarro - dall’altro. Un nuovo inizio per ambo le parti.

 



 
- *toc* *toc*
Rientro in punta di piedi e a capo chino in questa storia. Non ho il diritto di chiedervi nulla e non vi biasimo di certo se non troverò nessun* che leggerà questa storia. Io ho scelto di continuarla, anche se l'ho ripresa in mano dopo due anni, perché ne sento il bisogno (non vi tedio ulteriormente ma quest'ultimo periodo è stato tremendo a livello personale e ho dovuto - e in un certo senso continuo a farlo - annullarmi totalmente per questioni delicate). Ho ritrovato nella scrittura il mio rifugio e il voler continuare questa storia è un'esigenza personale che ho voluto ascoltare, è stato il mio respiro dopo un'apnea lunghissima. Ringrazio anticipatamente chiunque sceglierà di dedicargli ancora del tempo <3  

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3440214